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Italian Pages 370 Year 1969
S. TOMMASO D'AQUINO
LA SOMMA TEOLOGICA TRADUZIONE E COMMENTO A CURA DEI DOMENICANI ITALIANI TESTO LATINO DELL'EDIZIONE LEONINA
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L'INCARNAZIONE: a) il modo (III, qq. 1-13)
CASA EDITRICE ADRIANO SALANI
Nihil obstat Fr. Ludovicus Merlini O. P. Doct. $. Theologiae Fr. Albcrtus Boccancgra O. P. Doct. Philosophiae et Lect. S. Theologiae Imprimi Fr. Lconardus Prior Provincialis S. Florentiae die Xl
potcst Magrini O. P. Marci et Sardiniae Junii MCMLXIX
IMPRIMATUR Faesulis die XIV Junii MCMLXIX t Antonius Bagnoli Episc.
TUTTI I DIRITTI SON.O RISERVATI
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MCMLXIX - Casa Editrice Adriano Salani S.p.A.
------------·--·-Tip. Poliglotta Univ. Gregoriana, Roma - MCMLXIX , Printcd in Italy
L'INCARNAZIONE : a) il modo (Ili, qq. 1-13)
L'INCARNAZIONE : a) il modo (III, qq. 1-13) TRADUZIONE di Mons. Italo Volpi
INTRODUZIONE E NOTE del P. Tito S. Centi O. P.
INTRODUZIONE I - Nella Terza Parte i lettori affezionati della Somma italiana noteranno subito una novità: il traduttore di alcuni
volumi non è un padre domenicano, ma un sacerdote secolare, già noto al pubblico italiano per altre pubblicazioni. l\Ions. Italo Volpi, insegnante di dogmatica nel Seminario Regionale Umbro, per la sua passione di studioso, da molti anni aveva messo mano per conto proprio alla traduzione della Tertia Pars. Alla sua offerta di collaborazione abbiamo aderito ben volentieri. Perché affrontare di nuovo una fatica, rendendo infruttuosa quella già fatta da altri 1 Ci siamo perciò contentati di dare qualche ritocco alla traduzione di Mons. Volpi, per renderla più omogenea al resto dell'Opera.
I La Cristologia nel piano della Somma e nella vita dell'Autore.
2 - Nessuno, speriamo, vorrà accusarci di presunzione, se anche all'inizio di questo volume osian10 predisporre alla lettera del testo della Somma gli stessi lettori non sprovveduti con una introduzione, pur avendo pensato l'Autore stesliìo a dotarlo di un prologo. Codesto prologo infatti è così breve e conciso, da essere oggetto più di ammirazione e contemplazione, che fonte d'informazione spicciola e immediata. D'altra parte esso è l'introduzione non a un volume, ma a tutta la Terza Parte dell'Opera. Noi stessi siamo tentati di soffermarci a considerare queste poche righe, per rintracciare in esse le linee n1aestre della Somma Teologica, imitando i commentatori antichi e moderni. Ma vincendo la tentazione e richiamando alla Introd. Gen. pp. 195 ss., ci limiteremo a sottolineare le giuste osservazioni di qualche studioso moderno, rimandando per il resto alle note che accompagnano le parole dell'Autore.
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L'INCARNAZIONE
3 - C'è oggi chi prospetta un ripensamento di tutta la teologia cattolica in chiave cristologica, accusando quella finora imperante sotto l'ispirazione di S. Tommaso, di seguire un piano astratto e irreale. Pare, insomma, che il Dottore Angelico non abbia capito la centralità dcl mistero di Cristo. Del resto nel piano stesso della Somma Teologica ciò sarebbe evidente : la Terza Parte a tutto rigore non è necessaria per giustificare i trattati precedenti. In questa critica c'è qualche cosa di vero, che però fa onore a S. Tommaso. Questi infatti con la stessa organizzazione dell'Opera viene a ricordarci che l'incarnazione e la redenzione non sono nella sfera del necessario, ma dcl contingente : l'incarnazione è opera superogatoria, un eccesso dell'amore di Dio verso le creature. La gratuità di tanta benevolenza non poteva ricevere un risalto maggiore e più evidente. Non è detto però che quest'opera sia eterogenea al resto della Somma e quindi al resto della teologia. In ultima analisi essa non fa che porre in evidenza l'insondabile profondità del mistero di Dio, che noi possiamo conoscere solo dalle sue manifestazioni di bontà, di giustizia e di misericordia. Dom G. Lafont trova giustamente nel mistero della bontà di Dio il filo conduttore che lega tutte le parti dell'Opera : . Le sue messe erano spesso accompagnate da intenso fervore sensibile : « Consueverat saepe rapi in missa tanto devotionis affectu, ut totus perfunderetur lacrimis » (ibid., p. 35 ). Non è certo per puro caso che le parti complete della Somma
I:\TRODCZIO~E
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Teologica si chiudono con due dossologie cristologiche : « l1alis enim partus decebat eum qui est super omnia benedictus Deus in saecula seculorum. Amen » (I, q. 119, a. 2, ad. 4) ; (II-II, q. 189, a. IO, ad 3). - Non è un caso, perché in modo analogo l'Autore aveva concluso i1 suo commento a.i primi tre libri delle Sentenze. Non sappiamo come avrebbe concluso il Compendium Theologiae, ma l'inizio è uno squarcio eloquente di cristologia. 6 - Troppo lungo sarebbe ricordare qui tutte le opere in cui ha trattato anche indirettamente del mistero dell'incarnazione. Ricorderemo solo le principali, oltre quelle già nominate. Nella Somma Contra Gentiles dedica al mistero di Cristo in modo esplicito i cc. 27-49 del IV libro. Tra le che il Dottore Angelico faceva qui delle concessioni alla psicologia agostiniana, per riscontrare nell'anima l'immagine continua della Trinità anche nello stato di quiete. Invece nella Somma Teologica questa concessione è formalmente negata= (( Quia connaturale est intellectui nostro, secundum statum praesentis vitae, quod ad materialia et sensibilia respiciat ... consequens est ut sic seipsum intelligat intellectus noster, secundum quod fit actu per species a sensibilibus abstractas ... Non ergo per essentiam suam, sed per actum suum se cognoscit intellectus noster »(I, q. 87, a. 1). 23 - Né possiamo accettare a occhi chiusi la concessione iniziale, secondo il pensiero di S. Agostino, che riscontriamo in J, q. 93, a. 7, ad 4. 'lnfatti a quella concessione iniziale segue la soluzione ben piit gradita all'Autore: « Quamvis dici possit, quod fanima] percipiendo actum suum seipsam inte1ligit, quandocumque aliq-uid intelliwt ». · Perciò noi consideriamo inaccettabile questa conclusione del • J~'antocoscienza immediata nel pensiero di S. Tommaso t Chiediamo venia non solo per il rinvio a nn articolo nostro, ma anche dei molti errori tipografici di cui è infarcito. Ci rimettiamo In tutto ella pietà e e.ll'inteIIJgen.za. del lettore. 1
T. S. CENTI, O. P.
in Sapienza, 1950, pp. 220·24:2. -
L1';THODUZIONE
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Parente: «Possiamo concludere che S. Tommaso adotta fondamentalmente il concetto agostiniano della presenza abituale dell'anima a se stessa, ma tenta in tutti i modi di metterla d'accordo con la posizione aristotelica» (op. cit., p. 262). Noi pensiamo che S. Tommaso, per la logica del sistema, sia costretto a ripudiare la posizione agostiniana, pur facendo delle concessioni verbali. Perciò non ci sembra accettabile dal suo punto di vista una coscienza concepita come «una qualità immanente degli atti conoscitivi », «che derivi solo ex parte subiecti e riguardi solo il soggetto e gli atti del soggetto » (PIOLANTI, op. cit., p. 252). Nella nostra introduzione al vol. VI, abbiamo cercato di spiegare come si debba intendere tomisticamente la percezione che l'intelletto umano ha di se stesso, derivandolo dalla ·conoscenza di qualsiasi oggetto. Si deve partire, dicevamo, dalla « plurivalenza » della specie intenzionale. L'idea infatti di una qualsiasi realtà esterna non serve soltanto a presentare un dato oggetto all'intelligenza umana : serve anche a porre in atto questa facoltà e questo individuo. Il soggetto passa in tal modo da uno stato potenziale a uno stato attuale. Ora, questa attualità rende conoscibile in atto e la facoltà e il soggetto conoscente. Mentre penso, io so di pensare. Ma perché io pensi in modo esplicito a me stesso sarà necessaria forse una nuova specie intenzionale, diversa da quella che mi presenta l'oggetto esterno che occupa la mia mente? Per S. Tommaso la nuova specie non è necessaria. Basta la sola specie di quell'oggetto per raggiungere, con le sue molteplici intentiones, e l'idea come tale, cioè l'atto stesso dcl conoscere, e l'intelletto, e il soggetto pensante. - Stando rigorosamente alla terminologia scolastica, diremo che basta un'unica specie impressa, per suscitare all'accorrenza una moltiplicità di sµecie espresse. 24 - Ma per quanto riguarda la psicologia del Cristo è interessante il quesito seguente : nell'atto della riflessione, o del ripiegamento dell'intelligenza umana verso i dati soggettivi, qual'è il primo di questi dati? l'atto, la facoltà, o il soggetto~ - Noi pensiamo che il problema, da buoni tomisti, si debba risolvere a favore del soggetto, ossia del supposito sussistente, perehé oggetto primario dell'inte1letto è l'ente ; e il primo ente ad essere conosciuto dall'intelligenza umana non è l'acci- · dente ma ]a sostanza. Scrive infatti S. Tommaso : «Come gli altri predicamenti non hanno l'essere, se non -per questo, che hanno come soggetto la sostanza, così non hanno le possibilità di esser cono-
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L'I~CAR:'\ AZIO.'.\'E
sciuti, se non in quanto partecipano in qualche modo della cognizione della sostanza 1> (cfr. In 7 Metaphys., lect. I, n. 1259). Questo è vero per la conoscenza degli oggetti esterni, ma non è meno vero per la conoscenza che il soggetto ha di se stesso con la riflessione. Il primo dato, quindi, della nostra coscienza intellettiva è l'io : non perché la persona sarebbe, con1c dice 1\fons. Parente, il principio o causa efficiente del nostro operare ; ma semplice1nente perché tra i dati soggettivi della conoscenza è l'essere sostanziale, l'ente per sé, la sostanza prima, già implicita nell'atto conoscitivo primigenio, che emerge distintamente al primo moto di riflessione. A detta di S. Tommaso, questa prima cognizione raggiunge poco più che la sola conoscenza dell'atto esistenziale del soggetto medesimo, dando la possibilità di rispondere con sicurezza alla sola quaestio an sit (cfr. De Verit., q. IO, a. 8). Ma non si può mai escludere un minimo di conoscenza quidditativa del soggetto medesimo: innanzi tutto la propria unità pur nella molteplicità dei suoi componenti. 25 - Applicando questi dati della psicologia all'Uomo-Dio, diremo che nella forma pilì elementare di conoscenza umana attribuitagli dai teologi, cioè mediante la scienza acquisita o sperimentale, egli percepiva per riflessione, come ogni altro uomo, l'unità del supposito, che esprimeva nell'io cosciente. Ciò non significa che percepiAse per questa via il contenuto essenziale di codesto io. Come del resto non lo percepiamo noi mediante la prima e immediata riflessione. Chi di noi infatti conosce per riflessione, di primo acchito, l'e~senza o natura specifica dell'anima propria ~ - La riflessione della scienza acquisita e sperimentale afferra il soggetto nei suoi dati generici : è imprecisa quindi perché gene:rica; ma non perché falsa. Perciò anche nel Cristo questa riflessione squisitamente umana o connaturale portava alla percezione generica di un unico essere sussistente, non già della sola sua natura umana, come vuole il P. Galtier, il quale partiva dal preconcetto che il supposito divino non è s-perimentabile. Qui infatti non si tratta di sperimentare la qualifica del soggetto, ma il soggetto come tale. Ora l'io cosciente in Cristo deve emergere unico sotto le due nature, se non vogliamo negare al suo intelletto umano una perfezione riconosciuta a qualsiasi intelletto: quella di adeguarsi alla realtà almeno nella semplice apprensione. Tutti i buoni tomisti infatti non troveranno nessun imbarazzo a riconoscere che nel concetto genericissimo e analogico di ente rientra anche la divinità, senza pretendere affatto di raggiungere per questo l'intuizione di Dio.
INTROD'CZIO:"\E
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26 Il discorso sui contenuti specifici dell'io è molto più complesso, sia per l'uomo in genere, come per Cristo. Rispondere alla domanda : Io chi sono ? non dipende solo dalla presenza di un intelletto funzionante, ma dalle perfezioni accidentali di codesto intelletto, cioè dal suo intuito raffinato, dagli abiti o virtù intellettive. Analogamente dobbiamo pensnre eh in Cri~to 1n prrfetta osf'ienza deJI'io derivai;;se dai vari abiti enienza, perché e~ò supporrebbe già dimostrata la possibilità del fatto ; ma si limita a escludere ra· zmnalmente le pretese ragioni che sembrano condannare come irragioneYole e assu~da l'incarnazione de] Figlio di Dio. Questo Paragone è desunto dall'inizio dell'Arte Poelira di Orazio: « Ilumano capiti cervice.tll pictor equinam i ungere si velit .... ,,
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LA SOMMA TEOLOGICA. III, q. 1, a. 1
3. Tanto ci corre tra un corpo e lo spirito purissimo quanto tra il peccato e la somma bontà. Ma sarebbe stato del tutto sconveniente che Dio, bontà suprema, assumesse il peccato. Non era dunque conveniente che il sommo spirito increato assumesse un corpo. 4. Non si può costringere in minimi termini chi supera le grandi misure, né può dedicarsi a piccoli compiti chi è impegnato in quelli più grandi. Dunque non va bene, u::;ando le parole di Volnsiano a S. Agostino, «che nel corpicciuolo di un bimbo in fasce si nasconda colui al quale non basta Puniverso; che abbandoni i suoi cieli il grande Sovrano, e riduca a un solo minuscolo corpo il governo di tutto l'universo». IN CONTRARIO : È convenientissimo che le cose visibili mostrino le cose divine invisibili ; per questo fine infatti il mondo è stato creato, come asserisce lApostolo : «Le invisibili perfezioni di Dio appariscono chiare dalle opere sue». Ma il mistero dell'incarnazione, dice il Damasceno, « rivela insieme la bontà, la sapienza, la giustizia, la potenza di Dio : la bontà, perché non sdegnò la debolezza deUa sua creatura; la giustizia, perché foce sconfiggere iJ demonio dallo stesso che ne era stato vinto e non a forza strappò l'uomo dalla morte ; la sapienza, perché trovò il saldo pi~ generoso per il debito più insolvibile; l'infinita potenza, perché non c'è nulla di più grande di un Dio fatto uomo». Era dunque conveniente che Dio si incarnasse. 1 RISPONDO : A ciascuna cosa si addice quello che è secondo la sua natu i a ; all'uomo, per es., ragionare, perché è per sua natura ragionevole. Ma la natura di Dio è la bontà stessa, come spiega Dionigi. Perciò si addice a Dio tutto quello che è proprio della bontà. Ora, la bontà tende a comunicarsi, osserva Dionigi. 2 Di conseguenza alla somma bontà si addice di comunicarsi alla creatura in modo sommo. Ciò avviene precisamente quando Dio «unisce a sé una natura creata così intimamente che una sola persona risulti di tre elementi : Verbo, anima, carne », come si esprime S. Agostino. È chiaro dunque che l'incarnazione di Dio era conveniente. SOLUZIONE DELLE DIFFICOI.iTÀ: I. 'TI mistero del1'incarnazione non si è attuato per un qualche cambiamento nell'eterna condizione di Dio, ma in quanto egli in maniera nuova si unì a una creatura o meglio unì a sé la creatura. 3 Ora, non disdice che una 1 Si noti il metodo espositivo dell'Autore, che non rifugge dalle lunghe citazioni dei Padri. Egli evidentomente non mira all'originalità, ma a raccogliorc con fedeltà la voco della tradizione. 1 Questo famoso principio è desunto dal De Divinis N ominibus : • Passiamo ora allo studio di questa denominazione di Bene, con la quale i teologi definiscono la Divinità sopra-divina, quando la considerano nella sua assoluta trascendenza, chiamando Bontà, io penso, la sostanza stessa della Tearcbia e affermando che l'essere medesimo del Bene, in quanto Bene essenziale, diffonde la sua bontà a tutti gli esseri. Come il nostro sole, in verità, eonza riflessione e intenzione, ma in virtù dcl suo stesso essere, illumina. tutto ciò che è, secondo la. maniera. e la proporzione che
CONVENIE~ZA DELL'INCARNAZlO~E
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3. PRAETEREA, sic distat co~pus a sur;rimo spiritu sicut malitia a suroma bonitate. Sed orenmo esset inconveniens quod Deus, qui est summa bonitas, malitiam assumeret. Ergo non est conveniens quod summus spiritus increatus corpus assumeret. 4. PRAETEREA, inconveniens est ut qui excedit magna, contineatur in minimo; et cui imminet cura magnorum, ad parva se transferat. Scd Deum, qui totius mundi curam gerit, tota nniversitas capcre non sufficit. Ergo vidctur inconvcniens quod « intra corpusculum vagientis infantiae lateat cui parum putatur universitas; et tandiu a sedibus suis absit iUe Regnator, atque ad unum corpusculum totius mundi cura transferatur » ; ut Volusianus scribit ad Augustinum [ep. 135, inter Epist. Aug.]. SED CONTRA, il1ud vidctur esse convenientissimum ut per visibilia monstrentur invisibiHa Dei: ad hoc enim totus mundus est factus, ut patet per iJlud Apostoli, Rom. I, 20 : « Invisibilia Dei per ea quae facta sunt, intel1ecta, conspiciuntur ». Sed sicut Damascenus dicit, in principio 3 libri [c. l], per incarnationis mysterium «monstratur simul bonitas et sapientia et iustitia et potentia Dei », vel virtus : « b Jnitas quidem, quoniam non despexit proprii plasmatis infirmitatem; iustitia vero, quoniam non alium facit vincere tyrannum, neque vi eripit ex morte hominem; sapientia vero, quoniam invenit difficillimi decentissimam solutionem ; potentia vero », sive virtus, «infinita, quia nihil est maius quam Deum fieri hominem ». Ergo conveniens fuit Deum incarnari. RESPONDEO DICENDUM quod unicuique rei conveniens est illud quod competit ~dbi secundum rationem propriae naturae : sicut homini convenit..ns est ratiocinari qnia hoc convenit sibi inquantum est rationalis secundum suam naturam. Ipsa autem natura Dei est bonitas: ut patet per Dionysiusm, I cap. De Div. Nom. [lect. 3]. Unde quidquid pertinet ad rationem boni, convenicns est Deo. Pertinet autem ad rationem boni ut se aliia communicet : ut patet per Dionysium, 4 cap. De Div. Nom. [lect. I]. Unde ad rationem summi boni pertinet quod summo modo se creaturae communicet. Quod quidcm maxime fit per hoc quod « naturam creatam sic sibi coniungit ut una persona fiat ex tribus, Verbo, anima et carne» : sicut dicit Augustinus, 13 De Trin. [c. 17]. Unde manifestum est quod conveniens fuit Deum incarnari. AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod incarnationis mysterium non est impletum per hoc quod Dens sit aliquo modo a suo statu immutatus in quo ab aeterno non fuit: sed per hoc quod novo modo creaturae se univit, vel potius eam sibi. Est autem conveniens 1
ciascuna cosa è adatta a partecipare la sua luce ; coel certamente è del Bene..•.• il quale a tutti gli esseri, proporzionatamente alla loro virtù, distribuisce i raggi della ena bontà totale •. (c. 4 ; vedi eomment. di S. Tomm. lect. l ). Questa tendenza della bontà divina a comunicarsi non va intesa nel senso di una necessità fisica o morale, che porterebbe a un emanazionismo panteistico, o per 10 I?en a un ottimismo simile a quello di Malebranche e di Leibnitz; ma eolo come at~1tudme o .propensione libera e gratuita . ..i .....Pcr m~gllo comprendere questa. dottrina bisogna considerare i principii generali •"6u.ardant1 la relazione fra Dio e il creato, esposti In I, q, 13, a. 7 : e l'applica·
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creatura, mutevole di per se stessa, non sì mantenga sempre nel medesimo stato. Perciò come essa, non esistendo prima, fu prodotta nell'essere, così non era sconveniente che venisse unita a Dio dopo che non lo era mai stata. 2. L'unione con Dio in unità di persona non si addiceva alla carne umana in forza della sua natura, perché oltrepassava il suo ordine. Si addiceva tuttavia a Dio, per l'infinita eccellenza della sua bontà, che unisse a sé codesta carne per Ja nostra salvezza. 3. Ogni differenza che distanzia le creature dal Creatore è stata stabilita dalla sapionza di Dio e ordinata alla manifestazione della sua bontà : infatti Dio, non creato, non mutevole, non corporeo, produsse le creature mutevoli e materiali in funzione della sua bontà; ugualmente le pene furono introdotte dalla giustizia di Dio per la sua gloria. Al contrario le colpe si commettono con l'abbandono delle norme della sapienza divina e dell'ordine della divina bontà. Perciò Dio poteva assumere convenientemente una natura creata, mutevole, corporea e passibile; non cosi il male della colpa. 4. Rispondiamo con le stesse parole di S. Agostino a Volusiano : : ubi dicit Glossn quod « plC'nitu. Sed Deus sua sapientia omnia dcfinivit. Ergo convenientissimo tcmpore Deus est incarnatus. Et sic non fuit conveniens quod a principio humani generis Deus incarnaretur. RESPONDEO DICENDUM quod, cum opus incarnationis principaliter ordinetur ad reparationcm naturae humanae per peccati abolitionem, manifcstum est quod non fuit convenicns a principio humani generis, ante pcccatum, Deum incarnatum fuisse: non enim datur medicina nisi iam infirmis. Unde ipse Dominus dicit, Matth. 9, 12, 13: «Non est opus valentibus medicus, sed male habentibus : non enim veni vocare iustos, sed peccatorcs ». Sed non etiam statim post peccatum convcniens fuit Deum incarnari. Primo quidcm, propter conditionem humani peccati, quod ex superbia provenerat: unde eo modo crat homo liberandus ut, humi1iatus, recognosceret se liberatore indigere. Unde super illud Galat. 3, J.9: «Ordinata per angelos in manu mediatoris », dicit Glossa [ord.] : « Magno consilio factum est ut, post hominis casum, non illico Dei Filius mitterctur. Rcliqnit enim Deus prius homincm in libertate arbitrii, in lege naturali, ut sic vires naturae suae cognoscerct. Uhi cu m deficerct, Legem acccpit. Qua data, invaluit morbus, non Lcgis, sed naturae vitio : ut ita, cognita sua infirmitate, clamaret ad medicum, et gratiae quacrcrct auxilium ». Secundo, propter ordinem promotionis in bonum, secundum quem ab imperfecto ad perfectum proceditur. Unde Apostolus dicit, 1 ad Cor. 15, 46, 47 : «Non prius quod spirituale est, sed quod animale : deindc quod spirituale. Primus homo de terra, terrenus : secundus homo de caelo, caelestis ». Tertio, proptcr dignitatem ipsius Verbi incarnati. Quia super illud Galat. 4, 4, « Ubi venit plenitudo temporis », dicit Gk>ssa [ord. Aug.] : ((Quanto Il'.laior iudex vcniebat, tanto praeconum series longior praeccdere debebat ». . Quarto, ne fervor fidei temporis prolixitate tepesceret. Quia circa fincm mundi « refrigcscct caritas multorum » [Matth. 24, 12] : et Luc. 18, 8 dicitur : « Cum Filius hominis veniet, putasne inveniet fidem super terram? ». possiamo pienamente conoscerla; perché non conosciamo tutto il corso dcl tempo. Tuttavia Possiamo elencare varie ragioni di convenienza per il tempo che è stato scelto, (8 Sent., d. 1. q. 1, a. 4). 1
Cosl, nel commento giovanile alle Sentenze, S. Tommaso aveva esposto quest'ul· tima ragione : • IJa distanza dal principio smorza l'efficacia di es'!!o negli effetti :
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SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: l. La carità non indugia a soccorrere l'amico, tuttavia sceglie il momento più opportuno per le circostanze e per le persone. Se un medico desse a un infermo la medicina subito aB 'inizio della malattia, otterrebbe di meno, oppure lo danneggerebbe più che aiutarlo. Perciò anche il Signore non somministrò subito all'umanità il rimedio dell'incarnazione, perché non lo disprezzasse per superbia, non avendo ancora preso coscienza della propria informità. 2. All'obiezione S. Agostino diede in un primo tempo la seguente risposta : «Cristo volle apparire tra gli uomini e predicare 1a sua dottrina quando e dove sapeva che sarebbero vissuti i futuri credenti. Nei tempi infatti e nei luoghi dove il suo Vangelo non è stato predicato egli prevedeva che alla sua parola tutti sarebbero stati tanto increduli quanto 10 furono non tutti ma molti tra coloro che lo udirono in persona, i quali non vollero credere in lui neppur vedendolo risuscitare dei morti ». Ma in seguito lo stesso Santo così scrisse, riprovando questa soluzione : «Possiamo forse dire che i cittadini di Tiro e di Sidone si sarebbero rifiutati di credere con tali miracoli, o che non avrebbero creduto se si fossero compiuti tra ]oro, quando il Signore medesimo attesta che avrebbero fatto penitenza con grande umiltà, se quei segni dei divini interventi fossero stati fatti in mezzo a loro ? ». «Perciò», egli conclude, «si deve affermare oon l'Apostolo che ciò " non dipende né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia ". Dio, tra quanti previde che avrebbero prestato fede ai suoi miracoli, se fossero stati compiuti presso di essi, soccorse quelli che volle e non soccorse altri, di cui dispose diversamente nella sua predestinazione con atto occulto ma giusto. Cosicché dobbiamo credere e riscontrare senza esitazione la sua misericordia in coloro che vengono liberati e la sua giustizia in coloro che vengono puniti». 3. In cose diverse tra loro è vero che il perfetto viene prima dell 'imperfotto in ordine di tempo e di natura, perché è il perfetto che porta le altre cose alla perfezione ; 1 1na in una medesima cosa ciò che è imperfetto precede il perfetto in ordine di tempo, sebbene lo segua in ordine di natura. Cosi dunque l'imperfezione della natura umana è preceduta dall'eterna perfezione di Dio, ma precede il raggiungimento della propria perfezione, che consiste nella sua unione con lui.
infatti per Is. loro distanza. dal principio certi esseri non sono in grado di sussistere in perpetuo, cosl da rimanere numericamente identici. Se quindi il massimo rimedio che è l'incarnazione fosse stato dato all'inizio dei tempi, il suo eifetto sugli uomini sa.rebbo dlventa.to in fine di minor valore, per il raffreddarsi della. carità. Ecco perché aU'inizio dcl genere umano fu infusa nei cuori la legge naturale, per cui gli uomini stessero soggetti a Dio. In seguito, con l'abitudine di peccare essendosi tanto ottenebrata. in molti la. legge naturale, da non essere più sufficiente a governa.re il genere umano, fu apportato un altro rimedio, cioè la legge antica e quanto ad essa. si rife·
CONVENIENZA DEI...L'INCAfu'\;AZIO~E
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An PRIMUM ERGO DICENDUM quod caritas non dilfert amico subvcnire, salva tamcn negotiorum opportunitate et personarum conditione. Si enim mcdicus statim a principio aegritudinis medi~ cinam darct infirmo, minus proficeret, vel magis laederet quam iuvaret. Et ideo etiam Dominus non statim incarnationis rcmedium huma.no generi cxhibuit, ne illud contcmneret ex superbia, si prius suam infirmitatcm non cognosceret. Au SEC"L"NDU:'.\1 DICEXDU°'.\J quod Augustinns ad hoc respondet, in libro De Sex Quaestionibus Paganorum [ep. 102], dicens, qu. 2, quod « tunc voluit Christus hominibus apparere, et apud eos praedicari suam doctrinam, quando et uhi sciebat esse qui in eum fuerant crcdituri. His enim temporibus, et his in locis, tales homines in eius pracdicatione futuros esse scicbat qualcs, non quidcm omncs, sed tamen multi in eius corporali praesentia fucrunt, qui nec in eum, suscitatis mortuis, credere voluerunt ». Scd hanc rcsponsioncm reprobans idem Augustinus dicit, in libro De Perseverantia [c. 9] : e< Nunquid possumus diccrc Tyrios aut Sidonios, talibus apud se virtutibus factis, credere noluisse, aut crcdituros non fuissc si fiercnt : cum ipse Dominus cis attestctur quod acturi essent magnac humilitatis poenitcntiam, si in eis facta essent divinarum illa signa virtutum ? ». 4 questo i santi Padri nel Quinto Concilio [ecumenico] celebrato prcsf Costantinopoli, 2 condannarono entrambe le asserzioni : «Se qua cuno tenterà d'introdurre nel mistero di Cristo due sussistcn: o due persone, sia scomunicato, poiché la Trinità santa non 1 ricevuto una persona o una sussistenza di più per l'incarnazim della persona divina del Verbo». 3 Ma su.ssistenza è lo stesso cl realtà sussistente, ed è proprio della i postasi esser tale, con spiega Boezio. 8econdo, perché supposto che la persona aggiunga all'iposta un elemento valido per l'unione, esso non sarebbe altro che m dignità propria della persona, essendo questa definita da alcun: «una ipostasi caratterizzata dalla dignità che le è propria [d'e sere intellettuale] 1>. Se dunque l'incarnazione è unità di perso1 e non d'ipostasi, ciò vuol dire che l'unione non è stata attuata non per un legame di dignità. Proprio quello che fu condanna da S. Cirillo con l'approvazione del Concilio di Efeso : «Se qm~ cuno nell'unico Cristo divide dopo l'incarnazione le sussisten dicendole unite solo nella dignità, nell'autorità o nella potenza non invece per unione fisica, costui sia scomunicato» 5 • Terzo, perché soltanto all'ipostasi si attribuiscono le operazio1 le proprietà naturali e tutte le cose che spettano alla natura concreto : diciamo infatti che quest'uomo ragiona, ride, è anima ragionevole. Ed è per tale motivo che quest'uomo si dice supp sito, cioè in quanto si sub-pone a tutte le cose che sono propr dell'uomo ricevendone l'attribuzione. Se dunque ci fosse in Cris un'altra ipostasi oltre l'ipostasi del Verbo, ne conseguirebbe e 1 Dalla nota procedente sappiamo chi fossero costoro : si alludo cioè a GugliC'li di Champagne, a Giovanni di Cornovaglia e ai loro seguaci. ' Si tratta del II Concilio di Costantinopoli, radunato dall'Imperatore Giustinia nella pf'imavcra del 5,'>3, per condannare i massimi rappresentanti della scuola t• logica antiochena, nell'intento di cattivarsi la benevolenza dei 1\Ionoflsiti. Esso poi confermato a malincuore dal Papa. Vigllio.
• Cfr. DENZ.-S., 426.
L'UNIONE DEL VERBO CON LA NATURA U'.\1A:'\A
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naturam qui omnem ordincm secundum omnem naturam supersu bstantialiter excedit ». Non autem continetur sub specie humana nisi sit hypostasis quacdam humanae speciei. Ergo in Christo est alia hypostasis practer hypostasim Verbi Dei. Et sic idem quod prius. SED CONTRA EST quod Damascenus dicit, in 3 libro [De Fide Orth., c. 4] : «In Domino nostro lesu Christo duas naturas cognoscimus, unam autoin hypo::;tasim ». RESPONDEO DIOE.N"DUM quod quidam, ignorantes habitudinem hypostasis ad personam, licet conccdcrent in Christo unam solam personam, posuerunt tamen aliam hypostasim Dci et aliam hominis; ac si unio sit facta in persona, non in hypostasi. Quod quidcm apparct erroneum tripliciter. Primo, ex hoc quod persona supra bypostasim non addit nisi dcterminatam naturam, scilicet rationalem; sccundum quod Boetius dicit, in libro De Duabus Naturis [cc. 3, 4], quod «persona est rationalis naturae individua substantia ». Et ideo idem est attribucre propriam hypostasim humanae naturae in Christo, et propriam pcrsonam. Quod intelligentes sancti Patres, utrumque in Concilio Quinto, apud Cortstantinopolim celebrato, damnaverunt, dicentes [collat. 8, can. 5] : «Si quid introducere eonctur in mysterio Christi duas subsistentias seu duas pcrsonas, talis anathema sit: nee enim adiectionem personae vel subsistentiae suscepit sancta Trinitas, incarnato uno de sancta Trini tate, Deo Vcrbo ». Subsislentia autem idem est quod res subsistens : quod est proprium hypostasis, ut patet per Boetium, in libro De Duahus Naturis [c. 3]. Secundo quia, si dctur quod persona aliquid addat supra hypostasim in quo possit fieri unio, hoc nihil est aliud quam proprietas ad dignitatem pertinens : seeundum quod a quibusdam dicitur quod persona est « hypostasis proprietate distincta ad dignitatem ·pertinente». Si ergo facta sit unio in persona et non in hypostasi, consequens erit quod non sit faeta unio nisi sccundum dignitatem quandam. Et hoc est, approbantc Synodo Ephesina [P. 1, c. 26, anath. 3], damnatum a Cyrillo sub his verbis : . Tertio, quia tantum hypostasis est cui attribuuntur operationes et proprietates naturac, et ea etiam quae ad naturae rationem pertincnt in concreto : dicimns cnim quod hic homo ratioeinatur, et est risibilis, et est animai rationale. Et hae ratione hic homo dicitur esse suppositum : quia scilicct supponifur his quae ad h