Filosofia: autori, testi, temi. Dall'Umanesimo all'empirismo [Vol. 2a] [PDF]

  • 0 0 0
  • Gefällt Ihnen dieses papier und der download? Sie können Ihre eigene PDF-Datei in wenigen Minuten kostenlos online veröffentlichen! Anmelden
Datei wird geladen, bitte warten...
Zitiervorschau

L. Fonnesu – M. Vegetti

Mario Vegetti – Luca Fonnesu

Filosofia: autori testi temi Configurazione dell’opera ISBN 978-88-00-21943-3 ISBN 978-88-00-21944-0 ISBN 978-88-00-21945-7 ISBN 978-88-00-21946-4

Filosofia: autori testi temi Dall’Umanesimo all’empirismo

1 L’età antica e medievale 2a Dall’Umanesimo all’empirismo + 2b Dall’Illuminismo a Hegel 3a Dai post-hegeliani a Heidegger + 3b Dal neoempirismo alla filosofia contemporanea Guida per l’insegnante + CD-ROM

2a

LUCA FONNESU MARIO VEGETTI

Elena Castellani Claudio La Rocca Sergio Filippo Magni Roberta Picardi Elisabetta Scapparone

2a

Dall’Umanesimo all’empirismo

FILO SOFIA: AUTORI TESTI TEMI

Luca Fonnesu - Mario Vegetti Elena Castellani - Claudio La Rocca - Sergio Filippo Magni Roberta Picardi - Elisabetta Scapparone

FILOSOFIA: AUTORI, TESTI, TEMI 2a

Dall’Umanesimo all’empirismo

© 2012 by Mondadori Education S.p.A., Milano Tutti i diritti riservati www.mondadorieducation.it

Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche. Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

Per la realizzazione di quest’opera sono stati utilizzati contributi originari de Le ragioni della filosofia di MARIO VEGETTI e LUCA FONNESU (le introduzioni a Il Quattrocento e il Cinquecento e Il Seicento, Malebranche, Pascal e Bayle, Se Dio c’è, perché esiste il male nel mondo?, Che cosa sono le idee?, Vico e la filosofia della storia e il laboratorio Natura / naturale), ELENA CASTELLANI (La rivoluzione scientifica la parte su Bacone e il metodo scientifico, Newton e il sistema del mondo), CLAUDIO LA ROCCA (Cartesio e la nascita della filosofia moderna e la parte su Leibniz dell’unità Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo), SERGIO FILIPPO MAGNI (la parte su Bacone e il metodo scientifico dell’unità La rivoluzione scientifica e il laboratorio Diritto), ROBERTA PICARDI (Quale rapporto c’è tra l’anima e il corpo?, la parte su Spinoza dell’unità Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo, Hobbes, Locke, Berkeley: il soggetto e l’esperienza), ELISABETTA SCAPPARONE (Umanesimo e rinascimento), rielaborati e integrati da: ANNA LIA CELLI GIADA CERI LUCIANA CERI PASQUALE TURRISI

Progettazione e coordinamento Redazione Impaginazione Progetto grafico Copertina Ricerca iconografica

Fabio Ferri Barbara Rossi Studio Salviati, Milano Alfredo La Posta, Studio Salviati, Milano Angelini Design, Torino Antonella Ottobre Sasso

Fonti iconografiche

Archivio digitale Mondadori Education Photomovie Shutterstock

Per eventuali e comunque non volute omissioni e per gli aventi diritto tutelati dalla legge, l’editore dichiara la piena disponibilità. Per informazioni e segnalazioni: Servizio Clienti Mondadori Education e-mail [email protected] numero verde 800 123 931

INDICE Il Quattrocento e il Cinquecento 1. Il contesto storico

p.

2

...............................................................................................................................

p.

8

..........................................................................................................................................................................

p.

10

.............................................................................................................................................. p. 1.1 Il ritorno degli antichi ......................................................................................................................................................................... p. 1.2 Una nuova figura di intellettuale ....................................................................................................................................... p. 1.3 Impegno civile e dignità dell’uomo: Pico della Mirandola ..................................................... p.

14 14 15 15

.......................................................................................................................................................................................

2. Il contesto culturale e artistico 3. Il contesto filosofico

1 Umanesimo e Rinascimento 1. I caratteri dell’Umanesimo

2. Dall’Italia all’Europa: diffusione dell’Umanesimo e riforma religiosa

............................................................ p. 2.1 Filosofia cristiana e umori critici: Erasmo ........................................................................................................... p. 2.2 La crisi religiosa: Riforma protestante e Controriforma ............................................................... p. 2.3 Una ragione non dogmatica: Montaigne .............................................................................................................. p.

3. Il nuovo platonismo del Rinascimento 3.1 3.2 3.3 3.4

........................................................................................... p. Platone e Aristotele dopo il Medioevo ..................................................................................................................... p. Fra Ermete e Platone: la «teologia platonica» di Ficino ................................................................. p. Fra Platone e Aristotele: la «pace filosofica» di Pico ............................................................................ p. Fra neoplatonismo e tradizione mistica: la «dotta ignoranza» di Cusano ..... p.

4. La filosofia della natura fra magia e scienza 4.1 4.2 4.3 4.4

........................................................................ p. Il naturalismo aristotelico: Pomponazzi ............................................................................................................... p. Il naturalismo antiaristotelico: Telesio ..................................................................................................................... p. Un nuovo sistema filosofico: Campanella .......................................................................................................... p. La magia e la scienza moderna ............................................................................................................................................. p.

5. L’uomo nell’infinito: Giordano Bruno 5.1 5.2 5.3 5.4

.............................................................................................. p. La cosmologia: universo infinito e infiniti mondi ................................................................................. p. L’ontologia: materia, anima, vicissitudine .......................................................................................................... p. L’etica: la critica dell’ozio e l’esperienza del furore ............................................................................... p. La religione: dalla «nova filosofia» alla riforma del mondo .................................................. p.

6. La riflessione politica

17 18 19 23 25 25 26 27 28 31 31 32 33 36 37 37 40 42 44

...................................................................................................................................................................... p. 6.1 La lezione degli antichi e l’esperienza dei moderni: Machiavelli .................................. p. 6.2 La politica fra «discrezione» e analisi del «particulare»: Guicciardini .................... p. 6.3 Il reale e l’immaginario: le “città ideali” di Moro e Campanella ................................... p.

45 45 46 48

sommario p. 000......................................................................................................................................................................................................................................... p. lessico p. 000......................................................................................................................................................................................................................................... p. questionario

50 51 53

.......................................................................................................................................................................................................................

p.

III

III_XVI_Indice.indd 3

14/02/12 15:59

CITTADINANZA Contro la discriminazione .................................................................................................................. p. E COSTITUZIONE

54

➥ Biblioteca:

E. Garin, Il significato del Rinascimento

2 La rivoluzione scientifica 1. Che cos’è la rivoluzione scientifica

58 58 58 59

2. La rivoluzione copernicana

60 60 61 63 64

............................................................................................................. p. 1.1 La nuova immagine della scienza ..................................................................................................................................... p. 1.2 Leggi di natura e linguaggio matematico ............................................................................................................. p. 1.3 Una nuova concezione dell’uomo, della Terra e della natura ............................................ p.

2.1 2.2 2.3 2.4

............................................................................................................................................ p. Il moto della Terra ...................................................................................................................................................................................... p. Il sistema tolemaico ................................................................................................................................................................................ p. Il sistema copernicano ........................................................................................................................................................................ p. La disputa su Le rivoluzioni dei corpi celesti ........................................................................................................... p.

3. Il compromesso di Tycho Brahe

67 67 69

4. Giovanni Keplero: verso una moderna fisica dei cieli

71 72 75 76 77

......................................................................................................................... p. 3.1 Le scoperte di Brahe ................................................................................................................................................................................ p. 3.2 Il sistema ticonico ....................................................................................................................................................................................... p.

4.1 4.2 4.3 4.4

................................ p. Il Mistero cosmografico ............................................................................................................................................................................. p. La «nuova astronomia» e le prime due leggi ................................................................................................... p. L’«Armonia del mondo» e la terza legge ................................................................................................................. p. La fortuna di Keplero ............................................................................................................................................................................ p.

5. Galileo Galilei e la nascita della scienza moderna 5.1 5.2 5.3 5.4

............................................. p. Il “messaggero” delle stelle .......................................................................................................................................................... p. Lo studio sperimentale e matematico dei moti terreni .................................................................. p. La teoria della conoscenza del Saggiatore .............................................................................................................. p. Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, la condanna, l’abiura .................. p.

6. Francesco Bacone e il metodo scientifico 6.1 6.2 6.3 6.4 6.5

................................................................................... p. Gli errori della tradizione .............................................................................................................................................................. p. La teoria degli «idoli» ............................................................................................................................................................................ p. Il metodo della scienza ...................................................................................................................................................................... p. La conoscenza delle forme ........................................................................................................................................................... p. Scienza e tecnica ............................................................................................................................................................................................ p.

78 78 81 84 86 89 90 91 92 95 96

sommario p. 000......................................................................................................................................................................................................................................... p. 98 lessico p. 000......................................................................................................................................................................................................................................... p. 100 questionario .......................................................................................................................................................................................................................

n

L’A N T O L O G I A

p. 102

n

T1 Galileo, Distinzione tra le qualità oggettive e le qualità soggettive ................................................................................... p. 104 T2 Galileo, Contro il principio di autorità ............................................................................................................................................................... p. 105 T3 Bacone, I quattro tipi di idoli ...................................................................................................................................................................................... p. 108 CITTADINANZA La libertà di ricerca scientifica E COSTITUZIONE

IV

III_XVI_Indice.indd 4

.......................................................................................................

p.

110

Indice

06/02/12 14:55

➥ Biblioteca:

M. Cini, Mondo aristotelico e mondo galileiano

➥ Tutorial:

Galileo, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo Fare filosofia

Natura / naturale IL LIBRO, Il vecchio e il mare di E. Hemingway ....................................................................................................................................................... p. 116 IL FILM, Into the Wild di S. Penn ............................................................................................................................................................................................ p. 117

Il Seicento 1. Il contesto storico

.....................................................................................................................................................................................

2. Il contesto culturale e artistico 3. Il contesto filosofico

p. 120

................................................................................................................................

p. 124

...........................................................................................................................................................................

p. 127

3 Cartesio e la nascita della filosofia moderna 1. La libertà di giudicare da sé

............................................................................................................................................ p. 134 1.1 La crisi della cultura scolastica ............................................................................................................................................... p. 134 1.2 Una nuova fondazione del sapere ................................................................................................................................... p. 134

2. In cammino nell’Europa del Seicento

.................................................................................................

p. 136

3. Un pensatore su molti fronti e l’unità del sapere

139 139 141 141

4. Costruire il mondo (e l’uomo): fisica e fisiologia

142 142 144 145

.................................................. p. 3.1 La geometria analitica .......................................................................................................................................................................... p. 3.2 La matematica universale ............................................................................................................................................................... p. 3.3 Una filosofia pratica ................................................................................................................................................................................ p. ................................................ p. 4.1 La favola del mondo ............................................................................................................................................................................... p. 4.2 Il rapporto tra fisica e metafisica ......................................................................................................................................... p. 4.3 L’uomo come macchina ................................................................................................................................................................... p.

5. Idee come rappresentazioni 6. Ritrovare il fondamento 6.1 6.2 6.3 6.4 6.5 6.6 6.7 6.8

Indice

III_XVI_Indice.indd 5

..........................................................................................................................................

p. 146

.......................................................................................................................................................... p. Il Discorso sul metodo ................................................................................................................................................................................ p. La morale provvisoria e i principi del metodo ............................................................................................ p. Il dubbio e il cogito .................................................................................................................................................................................... p. Cogitare .......................................................................................................................................................................................................................... p. L’esistenza di Dio ......................................................................................................................................................................................... p. L’errore, la veridicità di Dio, le essenze .................................................................................................................... p. Le cose materiali ............................................................................................................................................................................................ p. La mente, il corpo e le passioni ............................................................................................................................................ p.

148 149 150 152 154 155 158 160 162

V

06/02/12 14:55

Tesi a confronto

Cartesio: quale rapporto tra l’uomo e la natura? ........................................................................................................................................... p. 166 sommario p. 000 ......................................................................................................................................................................................................................................... p. 168 lessico p. 000 ......................................................................................................................................................................................................................................... p. 169 questionario .......................................................................................................................................................................................................................

n

IL CLASSICO

p. 171

n

Meditazioni metafisiche ........................................................................................................................................................................................................ p. T1 Cartesio, Ricominciare dalle fondamenta ...................................................................................................................................................... p. T2 Cartesio, Dal dubbio alla certezza di esistere ............................................................................................................................................. p. T3 Cartesio, La veracità di Dio ........................................................................................................................................................................................... p. T4 Cartesio, La prova ontologica dell’esistenza di Dio .............................................................................................................................. p. T5 Cartesio, Esistenza delle cose corporee ........................................................................................................................................................... p. n

L’A N T O L O G I A

172 174 177 179 181 183

n

T6 Cartesio, I principi del metodo ................................................................................................................................................................................... p. 185 T7 Cartesio, Ipotesi sulla genesi del mondo ......................................................................................................................................................... p. 189 T8 Cartesio, L’azione del corpo sull’anima .............................................................................................................................................................. p. 191

➥ Biblioteca:

E. Scribano, La metafisica è uno strumento per la fisica

➥ Tutorial:

Cartesio, Le Meditazioni metafisiche

4 Quale rapporto c’è tra l’anima e il corpo? 1. Rivoluzione scientifica, crisi dell’ilemorfismo e dualismo cartesiano

...................................................................................................................................................................

p. 196

2. Risposte monistiche

........................................................................................................................................................................... p. 197 2.1 Monismo materialista e spiritualista ........................................................................................................................... p. 197 2.2 Monismo neutrale e dualismo degli attributi in Spinoza ......................................................... p. 197

3. Dio, anima e corpo

..............................................................................................................................................................................

4. Locke: verso una soluzione anti-metafisica n

L’A N T O L O G I A

...........................................................................

p. 198 p. 199

n

T1 Cartesio, Il distacco dalla tradizione aristotelica ...................................................................................................................................... p. 200 T2 La Mettrie, La coscienza non distingue uomini e animali ............................................................................................................... p. 201 T3 Locke, L’io non è una sostanza spirituale ......................................................................................................................................................... p. 202 Filosofia e letteratura

T4 Ovidio, L’amore di Narciso per se stesso lo conduce alla morte.................................................................................................. p. T5 Ariosto, Il ritrovamento del senno di Orlando.............................................................................................................................................. p. CHE COSA HAI IMPARATO ................................................................................................................................................................................................................................................................................................ p. CHE COSA NE PENSI TU ....................................................................................................................................................................................................................................................................................................... p.

VI

III_XVI_Indice.indd 6

203 204 206 207

Indice

06/02/12 14:55

5 Malebranche, Pascal e Bayle 1. Razionalismo cartesiano e sapere erudito

................................................................................. p. 210 1.1 Il dibattito sulla filosofia cartesiana .............................................................................................................................. p. 210 1.2 L’erudizione .......................................................................................................................................................................................................... p. 211

2. In dialogo con Cartesio: Gassendi e Arnauld

................................................................... p. 212 2.1 Pierre Gassendi: atomismo ed empirismo ......................................................................................................... p. 212 2.2 Antoine Arnauld: razionalismo e difesa della religione ............................................................... p. 213

3. L’ordine metafisico: Nicolas Malebranche

............................................................................... p. 215 3.1 La teoria delle idee e l’occasionalismo ..................................................................................................................... p. 215 3.2 Il rapporto tra fede e ragione .................................................................................................................................................... p. 216

4. Blaise Pascal: l’ordine del cuore

.......................................................................................................................... p. 4.1 La scienza moderna e i limiti della ragione ...................................................................................................... p. 4.2 La duplicità dell’uomo: grandezza e miseria .................................................................................................. p. 4.3 Il dio nascosto ................................................................................................................................................................................................... p.

218 219 220 221

5. Pierre Bayle: critica della tradizione e teodicea

........................................................... p. 224 5.1 La critica della superstizione e dell’idolatria ..................................................................................................... p. 225 5.2 Il problema del male e la critica della teodicea ............................................................................................ p. 226

6 L’officina della modernità

.................................................................................................................................................. p. 227 6.1 Ugo Grozio e Samuel Pufendorf: la nascita del giusnaturalismo moderno p. 228 6.2 Lo stato di natura ......................................................................................................................................................................................... p. 228

sommario p. 000 ......................................................................................................................................................................................................................................... p. 232 lessico p. 000 ......................................................................................................................................................................................................................................... p. 233 questionario .......................................................................................................................................................................................................................

n

L’A N T O L O G I A

p. 235

n

T1 Pascal, L’amor proprio .......................................................................................................................................................................................................... p. T2 Pascal, Il divertimento è distrazione della mente ................................................................................................................................... p. T3 Pascal, Il cuore sente, la ragione dimostra .................................................................................................................................................... p. T4 Pascal, La grandezza dell’uomo è nel pensiero ......................................................................................................................................... p. CITTADINANZA Libertà di pensiero e tolleranza E COSTITUZIONE

..................................................................................................

236 238 241 243

p. 246

➥ Biblioteca:

P. Serini, La teologia cristiana è una scienza del cuore

6 Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo 1. Baruch Spinoza 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7

Indice

III_XVI_Indice.indd 7

.............................................................................................................................................................................................. p. Lo “scandalo” dello spinozismo ......................................................................................................................................... p. Una vita “per la verità” ....................................................................................................................................................................... p. Il “Dio-Natura” dimostrato con metodo geometrico ....................................................................... p. Antropologia e morale ........................................................................................................................................................................ p. La teoria della conoscenza ............................................................................................................................................................ p. La critica della religione rivelata .......................................................................................................................................... p. Il pensiero politico: potere e democrazia ............................................................................................................. p.

250 250 250 252 257 266 269 274

VII

06/02/12 14:55

2. Gottfried Leibniz 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6

........................................................................................................................................................................................ p. L’ultima armonia .......................................................................................................................................................................................... p. Un genio universale tra teoria e prassi ...................................................................................................................... p. Anime come specchi: la rappresentazione del mondo .................................................................... p. La logica e i suoi presupposti metafisici ................................................................................................................. p. Sostanza e mondo ...................................................................................................................................................................................... p. Il finalismo, Dio e i possibili, la libertà .................................................................................................................. p.

279 279 279 281 286 292 297

sommario p. 000 ......................................................................................................................................................................................................................................... p. 304 lessico p. 000 ......................................................................................................................................................................................................................................... p. 306 questionario .......................................................................................................................................................................................................................

n

L’A N T O L O G I A

p. 308

n

T1 Spinoza, Le cose e i principi del mondo di Spinoza ................................................................................................................................. p. T2 Spinoza, La libertà vera e la libertà fittizia .................................................................................................................................................... p. T3 Spinoza, La natura degli affetti e il potere della mente .................................................................................................................... p. T4 Spinoza, L’origine delle lotte di religione ......................................................................................................................................................... p. T5 Spinoza, Il diritto naturale di ogni individuo coincide con la sua potenza .................................................................... p. T6 Leibniz, L’idea e l’espressione ...................................................................................................................................................................................... p. T7 Leibniz, La ragione e la verità ...................................................................................................................................................................................... p. T8 Leibniz, La sostanza come concetto completo ........................................................................................................................................... p. T9 Leibniz, Le monadi e i gradi della conoscenza ............................................................................................................................................ p.

310 313 315 317 319 321 322 325 327

CITTADINANZA Libertà ed eguaglianza ............................................................................................................................... p. 330 E COSTITUZIONE

➥ Biblioteca:

S. Landucci, In cosa Spinoza ha fatto epoca

➥ Tutorial:

Spinoza, Etica

7 Se Dio c’è, perché esiste il male nel mondo? 1. Teodicea e ottimismo: due neologismi per un vecchio problema

p. 334

2. Bayle: gli attributi del Dio cristiano sono incompatibili con l’esistenza del male

p. 334

3. Leibniz e il migliore dei mondi possibili

p. 335

......................................................................................................................................................

............................................................................................................................................................

...................................................................................

4. Pope e Voltaire: la discussione sull’ottimismo

..............................................................

5. Rousseau: difesa della provvidenza e critica della società 6. Hume e d’Holbach: verso il collasso della teodicea n

L’A N T O L O G I A

p. 336

...........................

p. 337

........................................

p. 337

n

T1 Bayle, Le soluzioni tradizionali della teodicea sono penose .......................................................................................................... p. 338 T2 Leibniz, La scelta di Dio è necessariamente saggia e buona ....................................................................................................... p. 339 T3 Voltaire, Il male è un abisso tragico e reale .................................................................................................................................................. p. 340

VIII

III_XVI_Indice.indd 8

Indice

06/02/12 14:55

Filosofia e letteratura

T4 Seneca, Perché, se c’è la provvidenza, ai buoni capitano disgrazie? .................................................................................. p. T5 Machiavelli, Non tutte le azioni dell’uomo dipendono dalla sorte ......................................................................................... p. CHE COSA HAI IMPARATO ................................................................................................................................................................................................................................................................................................ p. CHE COSA NE PENSI TU ....................................................................................................................................................................................................................................................................................................... p.

341 342 344 345

8 Hobbes, Locke, Berkeley: il soggetto e l’esperienza 1. Thomas Hobbes 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6

........................................................................................................................................................................................... p. Dalla nuova scienza a una nuova politica ........................................................................................................... p. L’umanista, il filosofo e l’eretico ......................................................................................................................................... p. Il monismo materialistico hobbesiano ................................................................................................................... p. La teoria della conoscenza ............................................................................................................................................................ p. Antropologia e morale ........................................................................................................................................................................ p. La teoria dello Stato assoluto ................................................................................................................................................... p.

2. John Locke 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6

................................................................................................................................................................................................................. p. Tra empirismo e razionalismo ............................................................................................................................................... p. Un filosofo nel mondo ...................................................................................................................................................................... p. La teoria delle idee .................................................................................................................................................................................... p. Le forme del sapere .................................................................................................................................................................................. p. Religione e tolleranza ........................................................................................................................................................................... p. La dottrina liberale dello Stato .............................................................................................................................................. p.

3. Gorge Berkeley 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5

................................................................................................................................................................................................. p. Un illuminismo cristiano ............................................................................................................................................................... p. Un ecclesiastico attivo .......................................................................................................................................................................... p. Immaterialismo e antiastrattismo .................................................................................................................................... p. Chimere, cose reali e mente divina ................................................................................................................................ p. L’apologia della tradizione ........................................................................................................................................................... p.

348 348 348 350 354 359 363 369 369 370 371 378 382 384 392 392 392 393 399 401

sommario p. 000 ......................................................................................................................................................................................................................................... p. 404 lessico p. 000 ......................................................................................................................................................................................................................................... p. 406 questionario .......................................................................................................................................................................................................................

n

L’A N T O L O G I A

p. 408

n

T1 Hobbes, Le cause della sensazione .......................................................................................................................................................................... p. T2 Hobbes, Ragionare è calcolare ................................................................................................................................................................................... p. T3 Hobbes, L’uomo non è un animale politico per natura ....................................................................................................................... p. T4 Hobbes, Il rapporto tra diritto naturale e leggi di natura ............................................................................................................... p. T5 Hobbes, La generazione dello Stato ...................................................................................................................................................................... p. T6 Locke, Sensazione e riflessione, origine delle idee ................................................................................................................................ p. T7 Locke, I limiti angusti della conoscenza certa ............................................................................................................................................ p. T8 Locke, In difesa della tolleranza ............................................................................................................................................................................... p. T9 Locke, Il contratto originario e il potere della maggioranza ....................................................................................................... p. T10 Berkeley, L’essere consiste nell’essere percepito ................................................................................................................................... p.

410 412 414 416 418 421 424 425 428 430

CITTADINANZA Il concetto di sovranità ............................................................................................................................. p. 432 E COSTITUZIONE

Indice

III_XVI_Indice.indd 9

IX

06/02/12 14:55

Fare filosofia

Diritto IL LIBRO, The Minority Report di P.K. Dick .................................................................................................................................................................... p. 438 IL FILM, Il mistero von Bülow di B. Schroeder ........................................................................................................................................................ p. 439

➥ Biblioteca:

A. Minerbi Belgrado, L’unità del reale: ontologia e concezione della scienza in Hobbes ➥ Tutorial: Hobbes, Leviatano

9 Che cosa sono le idee? 1. Che cos’è un’idea?

..................................................................................................................................................................................

2. Cartesio: una nuova concezione delle idee 3. Il dibattito sulla filosofia cartesiana

...........................................................................

p. 442

..........................................................................................................

p. 443

4. Locke: empirismo e critica dell’innatismo

...............................................................................

p. 443

..........................................................................................................

p. 444

.........................................................................................................................................................................................

p. 445

5. Leibniz: epistemologia e metafisica 6. Da Hume a Kant n

L’A N T O L O G I A

p. 442

n

T1 Cartesio, Le idee e la loro classificazione ......................................................................................................................................................... p. 446 T2 Locke, Non ci sono principi speculativi innati ............................................................................................................................................ p. 447 T3 Leibniz, L’idea come disposizione ............................................................................................................................................................................ p. 448 Filosofia e letteratura

T4 Lucrezio, Il pensiero è fondato sui sensi .......................................................................................................................................................... p. T5 Galileo, Anche i sensi e l’esperienza sono fonti di conoscenza .................................................................................................. p. CHE COSA HAI IMPARATO ................................................................................................................................................................................................................................................................................................ p. CHE COSA NE PENSI TU ....................................................................................................................................................................................................................................................................................................... p.

449 451 452 453

10 Newton e il sistema del mondo 1. Il completamento della «rivoluzione scientifica»

.................................................. p. 456 1.1 Il paradigma della fisica classica ......................................................................................................................................... p. 456 1.2 La nuova metodologia scientifica ...................................................................................................................................... p. 456

2. Newton, un personaggio complesso

......................................................................................................

3. Le premesse fondamentali della scienza newtoniana

p. 458

................................ p. 3.1 La nascita del calcolo infinitesimale ............................................................................................................................. p. 3.2 La teoria dei colori ..................................................................................................................................................................................... p. 3.3 La teoria della gravitazione .......................................................................................................................................................... p.

4. I Principia

........................................................................................................................................................................................................................

4.1 Contro Cartesio: il metodo sintetico

X

III_XVI_Indice.indd 10

...........................................................................................................................

459 460 461 463

p. 466 p. 466

Indice

06/02/12 14:55

4.2 4.3 4.4 4.5

Il tempo, lo spazio e il moto .................................................................................................................................................... p. Il dibattito su grandezze assolute o relative e il secchio di Newton ......................... p. Le leggi del moto .......................................................................................................................................................................................... p. Il sistema del mondo ............................................................................................................................................................................. p.

467 467 469 469

sommario p. 000 ......................................................................................................................................................................................................................................... p. 472 lessico p. 000 ......................................................................................................................................................................................................................................... p. 474 questionario .......................................................................................................................................................................................................................

p. 475

➥ Biblioteca:

P. Casini, L’universo-macchina di Newton

11 Vico e la filosofia della storia 1. L’importanza di Giambattista Vico

.............................................................................................................

p. 478

.............................................................................................................................................................

p. 480

.............................................................................................................................................................................................

p. 481

2. Un personaggio isolato 3. Contro Cartesio

4. Storia sacra e storia profana

.......................................................................................................................................... p. 4.1 La frattura tra storia sacra e profana .............................................................................................................................. p. 4.2 La provvidenza e il diritto naturale ................................................................................................................................ p. 4.3 La religione ............................................................................................................................................................................................................ p.

483 483 484 486

5. Il corso della storia delle nazioni

.................................................................................................................... p. 486 5.1 La storia ideale eterna: sviluppo dell’individuo e sviluppo storico ........................... p. 486 5.2 Corso e ricorso delle epoche storiche ......................................................................................................................... p. 488

sommario p. 000 ......................................................................................................................................................................................................................................... p. 490 lessico p. 000 ......................................................................................................................................................................................................................................... p. 492 questionario .......................................................................................................................................................................................................................

n

L’A N T O L O G I A

p. 493

n

T1 Vico, L’errore nel giudicare il passato ..................................................................................................................................................................... p. 494 T2 Vico, Il vero e il fatto .............................................................................................................................................................................................................. p. 496

➥ Biblioteca:

P. Rossi, La storia può essere una scienza

Indice dei nomi

Indice

III_XVI_Indice.indd 11

.....................................................................................................................................................................................................

p. 500

XI

06/02/12 14:55

1_11_contesto.indd 12

06/02/12 14:38

Il contesto

Il Quattrocento e il Cinquecento

Domenico Ghirlandaio, Sant’Agostino nello studio, 1480. Firenze, Chiesa di Ognissanti.

1

1_11_contesto.indd 1

06/02/12 14:38

Il contesto 1. Il contesto storico Il Quattrocento e il Cinquecento sono due secoli in cui, attraverso profonde trasformazioni sociali, politiche ed economiche, avviene il trapasso dal lungo periodo successivo alla fine dell’Impero romano, il Medioevo, all’Età moderna.

1.1 IL TRAMONTO DEI POTERI MEDIEVALI E LA NASCITA DELLA NUOVA EUROPA POLITICA

La situazione medioevale

L’organizzazione politica medievale, a partire dal IX secolo e dalla dissoluzione dell’Impero carolingio, è caratterizzata da due fenomeni: da un lato, la frammentazione di territori (regni, feudi, comuni, domini ecclesiastici ecc.) e di poteri (sovrani, feudatari, parlamenti, istituzioni cittadine ed ecclesiastiche); dall’altro, dall’aspirazione al controllo continentale da parte di due poteri universali in conflitto, il Papato e l’Impero, sostenuti da molti degli uomini di cultura dell’epoca. La nascita delle monarchie nazionali

Dal punto di vista politico, il tratto più importante del quadro istituzionale quattrocentesco è l’affermarsi delle monarchie nazionali in alcuni dei maggiori Paesi europei: Inghilterra, Francia, Spagna. Esse sono una forma istituzionale che si caratterizza per il controllo del proprio territorio e per la creazione di tre strumenti di gestione: una burocrazia composta da ufficiali e tribunali regi; un esercito che risponde direttamente al sovrano e che svolge anche compiti di sicurezza sul territorio; la creazione di un sistema fiscale. Il trapasso tra questi due scenari, e il superamento della frammentazione politica e istituzionale medievale, ha richiesto due secoli (dal XIV al XVI) e ognuno dei regni ha seguito un percorso diverso per realizzare la propria unità politica e territoriale. Per Francia e Inghilterra, per esempio, l’insieme di conflitti indicati come guerra dei Cento anni (13371453) è stata un’esperienza fondamentale nella costituzione delle identità nazionali.

Gli Imperi multinazionali

La nascita di queste nuove entità politiche non ha però cancellato realtà istituzionali diverse: nel periodo in cui si sono costituite le monarchie nazionali sono nati anche alcuni Imperi multinazionali, destinati a svolgere un ruolo fondamentale nella futura storia europea. Nell’area del Sud-Est europeo, la caduta di Bisanzio (1453) apre la strada per la conquista della Grecia e dei Balcani all’Impero ottomano e porta la minaccia turca nel cuore dell’Europa. Nei territori dell’Est si costituisce il Principato di Mosca, il primo embrione del futuro Impero russo, che prende forza soprattutto sotto il regno di Ivan III il Grande (che regna dal 1462 al 1505). Nell’Europa centrale il Sacro romano impero ha rinunciato al suo carattere di potere universale con la Bolla d’oro (1356), promulgata da Carlo IV di Boemia (1316-1378) che stabilisce che l’imperatore venga eletto da sette grandi elettori tedeschi (tre arcivescovi e quattro grandi feudatari). Il titolo imperiale diviene così appannaggio di poche grandi famiglie tedesche, fino al 1438 quando lo ricevono gli Asburgo, che lo mantengono per tutta l’età moderna. Il segno di questo cambiamento è dato anche dal mutamento di nome, che nel 1508 viene trasformato in Sacro romano impero della nazione germanica. L’Italia del Quattrocento

Il quadro politico italiano subisce un’evoluzione diversa dal resto d’Europa. Agli inizi del XV secolo essa è una realtà frammentata in signorie e repubbliche, pur essendo uno dei territori più ricchi e commercialmente attivi del continente. Durante la prima metà del secolo, attraverso una politica di aggressione e di guerre, alcune di queste assorbono i territori minori e si trasformano in Stati regionali che, a metà del secolo, sono il ducato di Milano, la repubblica di Venezia, la Toscana riunita sotto il controllo dei Medici e la signoria di Firenze, lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli. Nel 1454, con la pace di Lodi tra Venezia e Milano, l’Italia raggiunge una situazione di equilibrio politico e militare che prosegue per circa quarant’anni e grazie al quale si creano le condizioni per il fiorire della cultura rinascimentale.

2

1_11_contesto.indd 2

06/02/12 14:38

Il contesto

Benozzo Gozzoli, Corteo dei Magi, 1459. Firenze, Palazzo, Medici Riccardi.

L’assoggettamento dell’Italia

Pur essendo il Paese più avanzato d’Europa, culturalmente ed economicamente, la frammentazione politica, i contrasti politici e territoriali e le dimensioni ridotte degli Stati trasformano l’Italia in un territorio di battaglia nella contesa per l’egemonia europea tra Francia e Spagna. Alla morte di Lorenzo de’ Medici (1449-1492), nel 1492, l’equilibrio italiano si infrange e due anni dopo il primo esercito straniero, i francesi guidati da Carlo VIII (14701498), varca le Alpi allo scopo di ottenere il Regno di Napoli: inizia l’epoca delle guerre d’Italia che sono uno dei fronti della lotta tra Francia e Spagna.

1.2 LA CHIESA DURANTE IL XV SECOLO Potere temporale

La particolarità italiana è in parte dovuta anche alla presenza dello Stato della Chiesa. Durante la permanenza ad Avignone (1309-1377), l’organizzazione della Curia pontificia è stata razionalizzata e modellata sulle monarchie nazionali (accentramento delle decisioni, aumento dei tributi fiscali, costituzione di una burocrazia curiale, controllo sulle chiese locali ecc.). Dopo il ritorno a Roma questa struttura si salda con il controllo territoriale sui possedimenti pontifici trasformando il papato in uno Stato e il pontefice in un sovrano assoluto. Le critiche al potere temporale della Chiesa aumentano, anche perché, per mantenere questa struttura

amministrativa, crescono le richieste di denaro da parte della Curia verso le chiese locali. Altre fonti di malcontento, che si presentano durante il Quattrocento, sono il cumulo dei benefici (vescovi e cardinali designati a più cariche ecclesiastiche per ottenerne le rendite), la non residenza (sedi assegnate a ecclesiastici che non vi si recano e non se ne occupano), la vendita delle indulgenze (acquisto di “certificati” che garantivano la remissione dei peccati) per finanziare le casse della Curia. Divisioni e controversie religiose

Alle critiche per l’evoluzione politica della Chiesa romana e la venalità del clero, si aggiunge anche un lungo periodo di conflitto interno: lo Scisma d’Occidente (1378-1417). Al ritorno a Roma, infatti, vengono eletti nell’arco di pochi mesi due papi dai cardinali della Curia: la prima volta sotto la pressione del popolo romano, la seconda da parte di un gruppo di cardinali, in prevalenza francesi, scontenti della scelta precedente. Le due linee di successione papale trovano una ricomposizione con il concilio di Costanza (1414-1417). Ma la soluzione dello Scisma lascia aperta la questione del potere papale e del ruolo dei concili nella gestione della Chiesa, sia sul piano del governo, sia su temi teologici o dottrinali, che viene dibattuta anche al concilio di Basilea, Ferrara e Firenze (1431-1439) a cui partecipa una rappresentanza della Chiesa ortodossa e dell’Impero bizantino.

3

1_11_contesto.indd 3

06/02/12 14:38

Istanze di riforma e conflitti con le monarchie

Tutti questi fattori fanno crescere un movimento di critica alla Chiesa, alla sua organizzazione politica, al distacco dai problemi delle Chiese locali, alla corruzione e all’avidità della Curia e della corte papale. Inoltre, il potere della Chiesa entra in conflitto con le nuove istituzioni monarchiche che vorrebbero ricondurre le chiese locali sotto il controllo dei sovrani, al pari degli altri poteri formatisi in età medievale e comunale.

1.3 LE SCOPERTE GEOGRAFICHE Esplorazione e unificazione del globo

Alla fine del Quattrocento inizia anche un processo fondamentale non solo per la storia europea, ma per quella del mondo: l’età delle scoperte geografiche e dell’esplorazione del globo. Il viaggio inaugurale di questo processo è quello di Cristoforo Colombo (1451-1506) che nel 1492 arriva all’isola di San Salvador e poi a Cuba e Haiti alla guida di navi messegli a disposizione dalla Spagna. Nei decenni successivi altre spedizioni, inizialmente soprattutto portoghesi e spagnole e poi di altre nazioni europee, esplorano nuovi territori, scoprendo civiltà sconosciute e interi continenti. Le conseguenze delle scoperte geografiche

Gli esisti di questo processo sono essenzialmente tre: 1. un’unificazione della Terra che porta progressi-

vamente a ridisegnare i confini dei continenti e a conoscere realtà culturali, sociali e politiche diverse, aprendo nuove prospettive sulla storia e sulla natura dell’uomo; 2. l’impatto della civiltà europea su altre culture, che ha come risultato la distruzione di intere civiltà e l’assoggettamento territoriale, culturale e politico di territori vastissimi e dei loro abitanti agli Stati del nostro continente (colonialismo); 3. la prima formazione di un sistema di scambi e di commercio mondiale che per diversi secoli sarà incentrato sull’Europa e, al suo interno, sui Paesi più sviluppati economicamente e tecnologicamente (nascita di un sistema-mondo). In questo ambito è rilevante anche l’importazione di specie animali e vegetali che mutano le produzioni agricole europee e modificano stili di vita e tradizioni di coltivazione.

1.4 CARLO V E L’ETÀ D’ORO DELLA SPAGNA Un impero mondiale impegnato su più fronti

La scena politica europea della prima metà del Cinquecento è dominata dalla figura di Carlo d’Asburgo (1500-1558), re di Spagna con il titolo di Carlo V e imperatore del Sacro romano impero a partire dal 1519. La sua azione politica è determinata dalla vastità dei territori che controlla e dagli eventi che deve fronteggiare. Egli intraprende un lungo conflitto con la Francia, stretta tra i suoi domini e con cui

Giovan Battista Paggi, La Gloria di Colombo, 1606 ca. Genova, Gabinetto Disegni e Stampe del Comune.

4

1_11_contesto.indd 4

06/02/12 14:38

Il contesto

Taddeo Zuccari, La tregua di Nizza tra Carlo V e Francesco I (1538), 1561-66. Caprarola, Palazzo Farnese.

si scontra anche per il controllo dell’Italia. Sul fronte balcanico deve frenare la pressione ottomana, sia sul terreno sia per mare a causa degli attacchi dei pirati saraceni. In Spagna, in Italia, in Germania, nei Paesi Bassi, cerca di controllare le rivendicazioni politiche contro il dominio spagnolo e i contrasti religiosi legati alle lotte tra protestanti e cattolici, che coinvolgono anche i principi tedeschi. Il tramonto dell’ideale di un impero universale

La vicenda di Carlo V si chiude con l’abdicazione del 1556 in cui egli divide i suoi domini tra il figlio Filippo II (1527-1598), che ottiene il regno di Spagna, i domini oltreoceano e i Paesi Bassi e il fratello Ferdinando I (1503-1564), sovrano di Boemia e d’Ungheria, che diviene imperatore e controlla i territori austriaci. Al termine del conflitto con la Francia, in cui la Spagna conferma la sua superiorità militare, la pace di Cateau-Cambresis (1559) sancisce definitivamente la subalternità politico-militare degli Stati italiani e afferma l’egemonia della Spagna, che tiene sotto il proprio diretto controllo quasi la metà del territorio e influenza la politica dell’intera penisola.

La fine dell’unità religiosa

L’altra eredità politica di Carlo V, anche se a firmarla è stato il fratello Ferdinando, è il trattato di pace di Augusta (1555) che chiude il conflitto religioso in Germania e stabilisce che i principi possono scegliere se seguire la religione romana o il luteranesimo (escludendo ogni altra Chiesa) e che i sudditi devono conformarsi alla loro scelta (sintetizzata nella formula Cuius regio, eius religio («Di chi [è] il potere, di lui [sia] la religione»). Questo trattato sancisce indirettamente la frammentazione politica dell’area tedesca e “certifica” la fine dell’unità religiosa dell’Europa cristiana. L’età della Spagna

Nonostante gli esiti della politica di Carlo V, il periodo a partire dalla seconda metà del Cinquecento alla prima metà del Seicento viene indicato come l’età della Spagna o Secolo d’oro spagnolo, per definire un’egemonia culturale e politica: la Spagna raggiunge il vertice della sua potenza mondiale, che si estendeva a due continenti; domina i mari, soprattutto dopo l’annessione del Portogallo e del suo impero (1580); è il Paese che maggiormente si arricchisce per l’afflusso di oro e argento americano; ha la flotta e l’esercito più potenti.

5

1_11_contesto.indd 5

06/02/12 14:38

Giorgio Vasari e aiuti, La Battaglia di Lepanto, 1573 ca. Roma, Palazzi Vaticani, Sala Regia.

La Francia della seconda metà del Cinquecento

I conflitti di Filippo II

L’egemonia spagnola è favorita dalle difficoltà della Francia che, nella seconda metà del Cinquecento, è dilaniata da lotte dinastiche e guerre di religione (1562-1598), che si concludono nel 1598 con l’editto di Nantes emesso da Enrico IV (1553-1610) che consente libertà di coscienza e religione, libertà di culto in aree territoriali delimitate e concede l’accesso a scuole e cariche pubbliche ai protestanti.

Nonostante la potenza e la ricchezza possedute, però, la Spagna dovette fronteggiare diversi conflitti: nei Paesi Bassi, con la nascente potenza marittima e militare inglese; nel Mediterraneo e nei Balcani con la pressione turca che proseguiva, contro cui la maggior vittoria è quella ottenuta a Lepanto nel 1571 battendo la flotta musulmana.

6

1_11_contesto.indd 6

06/02/12 14:38

I Paesi Bassi

L’Inghilterra dei Tudor

All’interno dei domini spagnoli, le Fiandre sono al centro di un conflitto politico molto aspro. Esse sono il polo commerciale e finanziario più attivo d’Europa e vi è profonda ostilità verso la politica accentratrice e fiscale della Spagna. A questo conflitto economico si somma il problema religioso: le province settentrionali sono in prevalenza calviniste

In Inghilterra invece, dopo la guerra delle Due rose (1455-1485), tra due rami della famiglia reale che si contendono il trono, viene trovato un accordo che porta sul trono i discendenti di entrambe: Enrico VII Tudor (1447-1509) ed Elisabetta di York (14661503). La dinastia prosegue con Enrico VIII (14911547) che è il promotore dello Scisma della Chiesa anglicana. A lui succedono Edoardo VI (1537-1553), che muore dopo pochi anni di regno, e poi Maria I (1516-1558) che tenta di riportare l’Inghilterra al cattolicesimo, anche attraverso il matrimonio con Filippo II di Spagna. Alla sua morte sale al trono l’altra figlia di Enrico VIII, Elisabetta I (1533-1603) il cui regno è di fondamentale importanza nella storia inglese: dà pieno appoggio alla Chiesa anglicana, subendo per questo vari attentati in cui è coinvolta anche la cugina, regina di Scozia, Maria Staurt (1542-1587) che viene giustiziata; favorisce lo sviluppo della potenza militare, commerciale e marittima dell’Inghilterra; promuove le prime colonie in America; si oppone all’egemonia spagnola in un lungo conflitto con Filippo II sia in una guerra tra le due nazioni, sia appoggiando gli oppositori alla Spagna, come Olanda e Francia.

Due oppositori all’egemonia spagnola

Il contesto

Nella seconda metà del Cinquecento i principali oppositori all’egemonia spagnola sono i Paesi Bassi e l’Inghilterra, accomunati da una società più aperta, grazie all’impulso dei ceti mercantili, e dalle innovazioni nel sistema produttivo agricolo e manifatturiero. Molto diversa invece è l’evoluzione politica delle due situazioni.

e subiscono la repressione della Spagna cattolica. Nel 1572 Il principe Guglielmo di Orange-Nassau (1533-1584) guida una rivolta antispagnola e si proclama statolder (governatore militare) delle province settentrionali, mentre quelle meridionali restano alla Spagna. Il conflitto si protrae per vari anni e nel 1581 le sette province proclamano la propria indipendenza dando vita alla Repubblica delle Province Unite, di solito chiamata Olanda poiché è il nome della più importante.

1.5 DUE POTENZE IN ASCESA

Anonimo, Elisabetta I, 1575. Londra, National Portrait Gallery.

7

1_11_contesto.indd 7

06/02/12 14:38

2. Il contesto culturale e artistico Il Quattrocento e il Cinquecento sono due secoli fondamentali nella storia dell’arte e nella cultura europee.

2.1 IL TARDO GOTICO INTERNAZIONALE Caratteri e committenze

All’inizio del XV secolo il gotico è ormai un movimento in via di esaurimento, ma per la prima parte del Quattrocento è ancora presente soprattutto nelle corti e nelle committenze aristocratiche e religiose. In questa fase tarda del gotico prevale la ricchezza, l’eleganza del disegno e delle figure, la cura delle decorazioni e dei particolari. Per la ricchezza decorativa, questo espressione del gotico è detta “fiorito” (in architettura “fiammeggiante”) ed è accomunato al nascente Rinascimento dall’attenzione ai particolari naturalistici. Architettura, pittura e miniatura

In ambito architettonico i maggiori prodotti di questa fase sono il Duomo di Milano (iniziato nel 1386) e alcuni dei più importanti palazzi e chiese

veneziane, tra cui il Palazzo ducale (sec. XIV-XV). Le arti che esprimono meglio la finezza del gotico di questo periodo sono però: 1. la pittura, con le opere dei fratelli Zavattari, per esempio gli affreschi del duomo di Monza, di Antonio Pisanello (1395 ca.-1455 ca.), Gentile da Fabriano (1370 ca-1427) e Lorenzo di Giovanni detto Lorenzo Monaco (1370 ca.-1423-24); 2. la miniatura, molto richiesta dall’alta aristocrazia, di cui rimangono libri di preghiere, libri delle ore, codici miniati.

2.2 IL RINASCIMENTO DELLE ARTI Il significato di Rinascimento

Il movimento più importante di questa età è però il Rinascimento. Il nome deriva dal fatto che i suoi esponenti volevano far rinascere l’arte e la cultura classiche traendo la spinta dal parallelo movimento letterario e culturale dell’Umanesimo. Uno dei primi storici a utilizzare questa definizione è Giorgio Vasari (1511-1574) che descrive in Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori (1550) la storia e i protagonisti di questa “rivoluzione culturale”.

Piero della Francesca, Sacra Conversazione detta anche Pala di Brera, 1472-74. Milano, Pinacoteca di Brera.

8

1_11_contesto.indd 8

06/02/12 14:38

La rilettura del passato è lo spunto per una radicale innovazione dei linguaggi e dei generi artistici, che prosegue la via aperta dal gotico durante il XIII e il XIV secolo con Nicola Pisano (1215/12201278/1284), da Cimabue (1240-1302) e da Giotto di Bondone (1267-1337). I temi che caratterizzano l’arte del Rinascimento sono la centralità dell’uomo nell’universo, l’importanza della prospettiva e della proporzione (che richiedono attenti calcoli matematici e geometrici) sia nella rappresentazione di figure sia degli sfondi architettonici e poi paesaggistici; il ruolo conoscitivo attribuito all’arte nei confronti di ogni realtà, a partire dalla natura. In questo contesto la ricerca sull’arte antica non è solo imitazione, ma comprensione e riappropriazione dei canoni espressivi per riattualizzarli. I “padri” del Rinascimento

Possiamo considerare l’inizio del Rinascimento i primi decenni del Quattrocento, a Firenze, con l’attività di Filippo Brunelleschi (1377-1446), Donatello (1386-1466) e Masaccio (1401-1428). Accanto a loro un’altra figura fondamentale per la prima fase del movimento è Leon Battista Alberti (1404-1472). La bottega, la corte e la Chiesa

Il lavoro degli artisti dell’epoca è segnato, da un lato, dall’organizzazione e, dall’altro, dalla committenza. Il centro dell’attività è la bottega, dove entrano di solito da fanciulli e imparano mestiere e tecniche, principi teorici e forme di espressione, e dove spesso sperimentano arti diverse (pittura, scultura, oreficeria ecc.) partecipando a progetti di vaste dimensioni, come per esempio la grande fabbrica del Duomo di Firenze iniziata nel 1296 e consacrata nel 1436 dopo la realizzazione della cupola di Brunelleschi. L’altro aspetto del lavoro degli artisti dell’epoca sono le committenze che vanno dalle istituzioni civili, come appunto la repubblica o le corti signorili, ai privati, come le grandi famiglie di banchieri, commercianti, nobili; e infine la Chiesa e gli enti ecclesiastici. La ricerca urbanistica e le città ideali

Durante l’epoca rinascimentale il gusto per tutto quello che è armonioso e proporzionato, ispirato ai modelli greci e latini, orienta anche la progettazione urbanistica. Trova quindi grande diffusione il tema della città ideale, ossia progettata seguendo alcuni precisi criteri teorici e pratici. Questo si

concretizza sia nella riorganizzazione urbanista di aree cittadine preesistenti sia nella realizzazione di nuovi centri, modellati su questi criteri, come Urbino, Sabbioneta, Pienza.

Il contesto

Innovazione e rilettura del passato

La centralità dell’Italia

L’Italia è il fulcro del movimento rinascimentale: oltre alle principali signorie, poi capitali degli Stati regionali (Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli), anche i centri di territori “minori”, come Verona, Vicenza, Ferrara, Padova, Mantova, Genova, Urbino, Siena, Orvieto e Perugia vedono la creazione di complessi urbanistici, chiese, teatri, palazzi a cui lavorano alcuni dei maggiori artisti di tutti i tempi: Sandro Botticelli (1445-1510), Filippino Lippi (1457-1504), Paolo Uccello (1397-1475), Leonardo da Vinci (1452-1519), Michelangelo Buonarroti (1475-1564), Raffaello Sanzio (1483-1520), Piero della Francesca (1416/17-1492), Andrea Mantegna (1431-1506), Luca Signorelli (1445-1523), Antonello da Messina (1420/30-1479), Vittore Carpaccio (1465 ca.-1525/1526), Beato Angelico (1395-1455), Giorgione (1477 ca.-1510), Tiziano Vecellio (1480/85-1576). Tra i maggiori architetti rinascimentali ci sono invece Bramante (14441514), Luciano Laurana (1420/1425-1479), Giuliano Giamberti da Sangallo (1445-1516). L’opera di Andrea Palladio (1508-1580) si colloca cronologicamente nel secolo successivo, ma la sua definizione dei moduli architettonici ispirati all’arte classica anche nell’architettura civile rimane uno dei frutti più maturi della linea di ricerca rinascimentale. Un movimento europeo

Il movimento rinascimentale si estende poi a tutta l’Europa, anche grazie agli intensi scambi economici, intrecciandosi con impulsi culturali e artistici diversi. Nelle Fiandre, per esempio, si accompagna a un’analisi minuziosa della realtà e dei particolari: esemplari sono le opere pittoriche di Jan Van Eyck (1390-1441), Roger Van der Weyden (1399/14001464), Hans Memling (1435/40-1494), Hugo Van der Goes (1440-1482). Un percorso artistico particolare, intriso di simbolismo, angoscia, analisi della corruzione umana si esprime nell’opera di Hieronymus Bosch (1450 ca-1516). In ambito tedesco le maggiori figure dell’arte rinascimentale sono Albrecht Dürer (1471-1528) e Matthias Grünewald (1480-1528) mentre in Francia è Jean Fouquet (1420 ca.-1477/81).

9

1_11_contesto.indd 9

06/02/12 14:38

2.3 IL TARDO RINASCIMENTO Tra imitazione e ricerca

La fase conclusiva del Rinascimento ha confini cronologici incerti: in genere la si colloca tra la morte di Raffaello (1520) e la fine del Cinquecento e viene indicata come «manierismo» per indicare la prevalenza dell’imitazione dei temi e dello stile rinascimentale. In questa ripetizione gli storici sottolineano anche una ricerca spinta all’estremo e l’espressione di sentimenti di angoscia e di inquietudine rispetto alla ricerca dell’armonia della fase precedente. I maggiori artisti di questa epoca sono Pontormo (1494-1556/57), Rosso Fiorentino (1495-1540), Bronzino (1503-1572) e Lorenzo Lotto (14801556) nella pittura; Giulio Romano (1499-1556), Giorgio Vasari, Bartolomeo Ammannati (15111592), il Vignola (1507-1573), Domenico Fontana (1543-1607).

2.4 LA RIVOLUZIONE DEL LIBRO I principali effetti della diffusione del libro

Dal punto di vista culturale, l’altra “rivoluzione” di questo periodo è l’invenzione della stampa a caratteri mobili da parte di Giovanni Gutenberg (1455) che intreccia il suo cammino con una serie di trasformazioni radicali della società e della cultura. Se consideriamo i primi secoli della stampa possiamo elencare: 1. la diffusione del libro (nel 1450 il numero dei manoscritti presenti in Europa è di 3.000.000 di volumi, solo tra il 1450 e il 1500 le tipografie producono 9.000.000 di libri) e dell’alfabetizzazione; 2. la creazione dell’editoria e delle sue regole di produzione del libro; 3. le prime forme di dibattito pubblico, a cui partecipano letterati, filosofi, scienziati, al di fuori dei confini della Chiesa e delle università, e l’intensificarsi degli scambi culturali. In questa ottica anche il dibattito religioso della Riforma è fortemente collegato alla diffusione del libro e all’alfabetizzazione; 4. la creazione di comunità di letterati, scienziati, filosofi, uomini politici e di istituzioni come biblioteche e accademie; 5. il sorgere dell’esigenza di emancipare la cultura dal controllo della religione. L’impulso alle letterature nazionali

Un altro elemento legato alla stampa e alla diffusione della lettura è l’impulso alle letterature nazionali e alla riflessione sulla lingua: in Italia per

esempio, durante il Cinquecento, si svolge un ampio dibattito sulla “questione della lingua” ossia sulla mancanza di una lingua unitaria e sulla definizione dei suoi caratteri.

3. Il contesto filosofico Con l’età umanistica e rinascimentale si comincia ad affermare in Europa l’esigenza di un profondo rinnovamento della società, delle istituzioni e del sapere.

3.1 FILOSOFIA UMANISTICA E RINASCIMENTALE La riscoperta di libri e idee e il neoplatonismo

In ambito filosofico, i due fattori che hanno un peso rilevante sono la ripresa dei temi morali e politici della classicità a opera degli umanisti (la libertà, la dignità dell’uomo, l’impegno civile ecc.) e la “riscoperta” in Occidente di molti testi della cultura classica, andati perduti durante l’età medievale, ma conservatisi in Oriente all’interno della tradizione greco-bizantina. In particolare, vengono “ritrovate” e tradotte numerose opere platoniche e neoplatoniche che mutano radicalmente l’interpretazione di Platone. Accanto a platonismo e neoplatonismo, vengono diffuse anche correnti filosofiche, teologiche, mistiche (come stoicismo ed epicureismo, cabbala ed ermetismo) che spingono a ripensare in maniera critica temi e dottrine della tradizione cristiana. Da questa riscoperta nasce il nuovo platonismo del Rinascimento i cui maggiori rappresentanti sono Niccolò Cusano (Nicolaus Kreb, 1401-1464), Marsilio Ficino (1433-1499) e Giovanni Pico della Mirandola (1463-1496). La filosofia della natura

Infine, un altro tratto caratteristico del pensiero rinascimentale è l’interesse per la filosofia della natura. In questo ambito convivono la fiducia in discipline come l’alchimia, l’astrologia e la magia e una impostazione epistemologica fondata sulla ricerca di principi, leggi e forze e l’attenzione all’esperienza nello studio della natura. Questo doppio volto della filosofia della natura rinascimentale, in cui convivono magia e scienza, è palese in autori come Pietro Pomponazzi (1462-1525), Bernardino Telesio (1509-1588), Giordano Bruno (1548-1600) e Tommaso Campanella (1568-1639).

10

1_11_contesto.indd 10

06/02/12 14:38

Il protestantesimo

Uno dei segni della rottura con il passato, con l’età medievale, è la Riforma protestante, che vede nel Medioevo (termine coniato dagli umanisti) l’epoca della corruzione del cristianesimo originario che dovrebbe essere ristabilito. L’atteggiamento polemico verso il Medioevo e la sua identificazione con un’età “buia” comincia infatti proprio a ridosso della sua conclusione: per Martin Lutero (1483-1546) esso rappresenta la corruzione del cristianesimo. La critica teologica, morale e politica verso la Chiesa cattolica dà inizio a un ampio movimento, il protestantesimo, che trova diffusione soprattutto nell’Europa continentale, nelle isole britanniche e nei Paesi scandinavi. La figura più rilevante accanto a Lutero è quella di Giovanni Calvino (1509-1564).

Il contesto

3.2 RIFORMA, RIFORMA CATTOLICA E CONTRORIFORMA

Francesco Bacone (1561-1626) ha parole di disprezzo per autori della grandezza di Platone, con le sue pretese di possedere e promuovere un sapere che va al di là dell’esperienza e non proviene da essa.

3.3 NUOVA SCIENZA E PENSIERO MODERNO Copernico e l’eliocentrismo

La reazione alla Riforma protestante lascia un segno pesante sulla vita culturale europea, colpendo i fermenti intellettuali che in essa proliferano. Finita l’emergenza protestante, i rischi per la religione vengono infatti individuati proprio nelle nuove idee che cominciano a circolare, a partire dalla tesi eliocentrica di Niccolò Copernico (1473-1543), che costituisce non solo una rivoluzione di concezioni astronomiche, ma un radicale mutamento della visione del mondo e dell’uomo. La fase della rivoluzione scientifica

Tra tentativi di autoriforma e repressione

Sotto la spinta del movimento protestante, la Chiesa cattolica tenta a sua volta la via di una riforma, e una delle voci più forti nella richiesta di un ritorno a un cristianesimo più spirituale e di una nuova lettura delle Scritture è l’umanista cristiano Desiderio Erasmo da Rotterdam (1466/1469-1536) che si batte anche contro alcune delle teorie luterane. Ma al tentativo di una riforma dall’interno della teologia e delle istituzioni, si affiancano movimenti repressivi e di irrigidimento teologico, che culminano con la Controriforma e il Concilio di Trento (1545-1563). L’Italia, sede della Chiesa di Roma, è la prima a fare le spese del nuovo corso ecclesiastico del mondo cattolico, come testimoniano le drammatiche vicende di Giordano Bruno, di Tommaso Campanella e di Galileo Galilei (1564-1642).

Il dibattito sulla teoria astronomica copernicana e sulla fisica aristotelica prosegue per tutto il secolo successivo e ad esso partecipano i maggiori scienziati europei tra cui Tycho Brahe (1546-1601) e Giovanni Keplero (1571-1630). In questa prima fase della rivoluzione scientifica, che si concluderà con l’opera di Isaac Newton (1642-1727) nel XVIII secolo, la figura più importante è quella di Galileo Galilei che raggiunge risultati fondamentali sia nell’ambito delle osservazioni astronomiche, a conferma del copernicanesimo, sia in quelli della teoria del moto e della caduta dei gravi.

Contro la tradizione

Certo è che la critica della tradizione e delle istituzioni tradizionali, anche di quelle educative, segna con forza gli anni tra la seconda metà del Cinquecento e la prima metà del Seicento. Si tratta di un elemento costante, che accomuna personaggi anche molto diversi. Contro la cultura tradizionale, ritenuta libresca e inutile, si batte Montaigne (1533-1592), mentre Universo copernicano con il sole al centro. Incisione della Harmonia Macrocosmica di Andrea Cellario, Amsterdam 1661.

11

1_11_contesto.indd 11

06/02/12 14:38

1. Umanesimo

e Rinascimento 1417-1431 Concilio di Basilea, Ferrara e Firenze.

1447 Gutenberg mette a punto il primo sistema europeo di stampa.

1453 Caduta di Costantinopoli.

1492 Scoperta dell’America e morte di Lorenzo il Magnifico.

EVENTI EVENTI FILOSOFICI

1440 Cusano dà alle stampe La dotta ignoranza.

LE DOMANDE

1484 A Firenze Ficino pubblica il corpus platonico.

1486 Esce Orazione sulla dignità dell’uomo di Pico della Mirandola.

Gli umanisti

I filosofi rinascimentali

• È possibile rinnovare il sapere? Quali valori e conoscenze può trasmetterci la cultura grecoromana?

• Conosciamo veramente Platone e i platonici? Qual è il vero contenuto di questa tradizione di pensiero? Che rapporto ha con il pensiero cristiano?

• Come dobbiamo accostarci ai testi • È possibile rinnovare la filosofia platonica? del passato? È possibile definire un Quale forme avrebbe un nuovo platonismo? metodo scientifico per ripristinare e • È possibile integrare la filosofia platonica con interpretare gli scrittori antichi? altre tradizioni come la cabbala o l’ermetismo? • Conosciamo veramente la filosofia Quali sono gli elementi che le accomunano? antica, a parte quei testi che ci sono • Il platonismo può essere conciliato con la stati trasmessi dal Medioevo? Ed è tradizione mistica? Quale immagine di Dio, esatta l’immagine che noi abbiamo del mondo e dell’uomo derivano da questa dei filosofi greci? riflessione? • È possibile coniugare la cultura antica e il cristianesimo? • È possibile indagare l’interiorità dell’uomo? Come cambierebbero in questo caso la nostra conoscenza, la nostra etica, la nostra visione delle varie culture e delle loro differenze?

12

• Che cos’è la magia? Che rapporto ha con la filosofia della natura e con la vita degli uomini? • Per conoscere la natura dobbiamo utilizzare la filosofia antica? Ispirarci ad Aristotele o a Platone? Seguire i principi della magia o della scienza?

RISORSE MULTIMEDIALI

➥ Lezione LIM ➥ Test

12_55_umanesimo.indd 12

1509 Erasmo pubblica L’elogio della follia.

➥ Biblioteca: E. Garin, Il significato del Rinascimento

06/02/12 16:14

Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine. (Pico della Mirandola, Orazione sulla dignità dell’uomo)

1517 Lutero affigge le sue tesi sul portale della chiesa di Wittemberg.

1513 Machiavelli scrive Il principe.

1527 Sacco di Roma da parte delle truppe imperiali.

1516 Escono l’Immortalità dell’anima di Pomponazzi e Utopia di Tommaso Moro.

1545 Si apre il Concilio di Trento.

1525 Lutero con il Servo arbitrio risponde a Erasmo.

I riformatori religiosi e i teologi

• Il cristianesimo può essere riformato? E in quale modo? Quali sono i veri principi e insegnamenti che si possono ricavare dalle Scritture? • Dio è giusto? Quali forme ha la giustizia divina? Come può l’uomo ottenere la grazia? • L’uomo è libero e le sue opere determinano il suo destino dopo la morte? Oppure non lo è e la sua salvezza può venire solo da Dio? • È possibile derivare dai principi del cristianesimo anche un’etica e una politica? • Nella cristianità divisa dalla Riforma è possibile trovare una riconciliazione? Attorno a quali valori e principi?

1530 Gucciardini dà alle stampe i Ricordi politici e civili.

1559 Pace di Cateau-Cambrésis.

1536 Esce la prima edizione delle Istituzione della religione cristiana di Calvino.

Bruno

1571 Battaglia di Lepanto.

1580-1588 Escono i Saggi di Montaigne.

1618 Inizia la guerra dei Trent’anni.

1584-1585 1623 Campanella Bruno pubblica pubblica la Metafisica. i sei Dialoghi italiani.

I politici e gli utopisti

• È possibile intraprendere una riforma • Qual è la natura delle istituzioni? culturale e civile? E quali tradizioni • È possibile identificare una legge filosofiche possono ispirarla? che determina i mutamenti politici • La cosmologia copernicana è vera? e la nascita delle forme di governo L’universo è finito o infinito? Esiste un e di Stato? Come possiamo trovarla? principio metafisico che permetta di • Possiamo prevedere le azioni rispondere a queste domande? umane? Quali sono i motivi • Qual è la natura dell’essere? Se l’universo è infinito, qual è la natura di Dio e degli enti?

dell’agire degli uomini?

• Che cos’è la materia? È possibile identificare la legge dell’essere e del mutamento?

• Che rapporto c’è tra azioni umane e condizioni politiche e storiche? Esiste la fortuna, o la buona riuscita dipende dalla volontà e dalla capacità umana?

• Quali sono le virtù e i vizi dell’uomo? Qual è la guida dell’agire morale? Esiste una virtù che possa elevare l’uomo alla comprensione di Dio e del cosmo?

• È possibile costruire uno Stato modellato sul pensiero? E determinare la struttura di una società basandosi su principi filosofici e morali?

• Per riformare il mondo serve la religione? E se sì, quale?

13 ✔ Cittadinanza e costituzione: Contro la discriminazione

12_55_umanesimo.indd 13

06/02/12 16:14

1. I caratteri dell’Umanesimo Categorie storiografiche discusse

Un programma di rinnovamento della cultura

Il mito degli antichi

Ricerca e trascrizione di manoscritti di opere “perdute”

La filologia: prospettiva storica e rapporto critico con i testi

Cercare di tracciare, in forma sintetica, le linee di forza della cultura filosofica dell’età dell’Umanesimo e del Rinascimento è operazione complessa. E lo è perché un’operazione del genere richiederebbe la discussione preliminare delle stesse categorie di «Umanesimo» e «Rinascimento» e del loro rapporto, da un lato, con il Medioevo, dall’altro, con la modernità: un problema storiografico lungamente dibattuto e tuttavia decisivo per l’interpretazione di questa età. Limitiamoci quindi a ricordare un dato indiscutibile. In Europa, a partire dalla seconda metà del Trecento e per quasi tre secoli, si afferma una cultura il cui obiettivo è quello di realizzare un programma complessivo di rinnovamento del sapere, sensibilmente diverso da quello dei secoli immediatamente precedenti. Si tratta, anzi, di una cultura che orgogliosamente si autodefinisce in polemica antitesi con l’“età di mezzo”. Sono infatti gli umanisti a elaborare per primi il mito – poi ripreso con forza dagli illuministi e, in particolare, da Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert (1717-1783) – della rinascita, di un ritorno alla luminosa cultura greco-romana messo in atto per liberare gli uomini dalle tenebre del barbaro e ignorante Medioevo.

1.1 Il ritorno degli antichi Il ritorno degli antichi, la riscoperta dei classici costituisce dunque l’origine e la nota dominante di questa cultura. A partire dalla fine del Trecento, gli umanisti si dedicano a un’intensa attività di ricerca e trascrizione di manoscritti antichi, secondo due linee di esplorazione convergenti: 1. i testi latini vengono individuati attraverso una capillare ricognizione delle biblioteche monastiche italiane ed europee; 2. per i testi greci si guarda invece al mondo del mercato librario di Costantinopoli, fino alla conquista turca della città, nel 1453. Nel giro di pochi anni viene così rimessa in circolazione una notevole quantità di opere letterarie, filosofiche, scientifiche, enciclopediche delle quali il Medioevo aveva perduto memoria, o aveva avuto una conoscenza frammentata, sommaria, imprecisa. E alla riscoperta si accompagna un’intensa opera di correzione, emendazione e quindi traduzione, ispirata a criteri di chiarezza ed eleganza ancora una volta contrapposti alla rozzezza, alla letteralità e all’oscurità delle versioni medievali. Questo processo ha un significato che va ben al di là del mero dato quantitativo, pure imponente. Come ci ha insegnato uno dei maggiori studiosi di questo periodo, Eugenio Garin (1909-2004), quel che conta sono le forme dell’approccio, gli interessi e le domande del presente a cui questa riscoperta risponde. FILOSOFI A CONFRONTO

Diversamente dai pensatori medievali – che pure avevano assimilato, anche se in forme “cristianizzate”, aspetti del sapere antico –, gli umanisti si accostano alle opere della classicità consapevoli che si tratta di una cultura diversa e irriducibile alla propria. Verso il passato l’Umanesimo assume, per la prima volta, un’autentica prospettiva storica.

Nuovi fondamenti epistemologici e recupero di autori antichi

14

12_55_umanesimo.indd 14

Con i testi si stabilisce così un rapporto critico, che trova la propria espressione emblematica in una disciplina allora nascente: la filologia, che è, appunto, analisi rigorosamente storica delle opere, indagate nella loro costituzione testuale e nella loro espressione linguistica. Nel corso di questo processo di rifondazione del sapere, le singole discipline – dalla storia alla politica, dalla medicina alla filosofia – vengono, da un lato, discusse nei loro fondamenti epistemologici; dall’altro, rese autonome dallo schema enciclopedico scolastico, dominato dalla teologia e dalla metafisica.

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:14

FILOSOFI A CONFRONTO

Ma la cultura umanistica incrina i fondamenti della tradizione costituita anche moltiplicando le voci del dialogo culturale, attraverso una serie di “autorità” assai più nutrita e articolata rispetto al Medioevo. Così, alla voce di Aristotele, egemone nei secoli precedenti, se ne affiancano progressivamente altre, a cominciare da quella di Platone, fino a reintegrare nel dibattito culturale – grazie anche alla diffusione delle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio – correnti di pensiero trascurate o sottovalutate, come lo stoicismo, o addirittura rifiutate, come l’epicureismo.

1.2 Una nuova figura di intellettuale Nuovi ceti intellettuali laici e cittadini

Trasformazione delle università

Nuovi centri di ricerca e di insegnamento

Nuove figure di intellettuali

Lo sviluppo della nuova cultura umanistica porta con sé un sensibile mutamento anche nella geografia dei tradizionali luoghi di elaborazione, trasmissione e applicazione del sapere. A partire dal tardo Trecento, protagonisti di questo rinnovamento sono i nuovi ceti intellettuali cittadini, estranei al mondo universitario e provenienti da studi giuridici o dall’insegnamento grammaticale e retorico. Notai, segretari, maestri condividono il distacco dalla tradizione scolastica. In una società e in una cultura in rapida evoluzione gli umanisti contribuiscono così, da un lato, a mettere in discussione le gerarchie costituite del sapere; dall’altro, a proporre alternative alle professioni intellettuali consuete. I luoghi tradizionali del sapere – le università – si aprono abbastanza presto ad accogliere alcuni aspetti del rinnovamento umanistico, a partire dalla scelta di leggere gli autori, compreso lo stesso Aristotele, o nella loro lingua originaria o in traduzioni e commenti umanistici. Tuttavia, in questi decenni, le università non possono più essere considerate le uniche (e neanche le più importanti) istituzioni dove si producono e circolano le nuove idee, la cultura e la filosofia. Accanto a esse – e talvolta contro di esse – si formano nuovi centri di ricerca e di insegnamento: da semplici circoli umanistici a vere e proprie accademie; dalle nuove biblioteche, anche pubbliche (rapidamente incrementate grazie ai ritmi di produzione dei libri resi possibili dalla recente invenzione della stampa), alle cancellerie politiche. Lo spazio istituzionale privilegiato per l’intellettuale di questi secoli, però, è la corte signorile, che garantisce protezione, mecenatismo e tranquillità negli studi. Va inoltre sottolineata la feconda circolazione di idee che si realizza, a partire dal Quattrocento, tra filosofi naturali, artisti e tecnici, superando in parte la classica contrapposizione tra lavoro manuale e attività intellettuale. E comincia a delinearsi il profilo di uomini di cultura pronti a coniugare – come faranno ai livelli più alti Filippo Brunelleschi (1377-1446) o Leon Battista Alberti (1406-1472) – competenze intellettuali e abilità manuali, riflessione morale e pratica di ingegneria o di architettura.

1.3 Impegno civile e dignità dell’uomo: Pico della Mirandola L’Umanesimo civile

La riflessione sulla dignità dell’uomo

L’educazione imperniata sugli studi umanistici si collega anche a un nuovo concetto di cittadino. Questo concetto – che interpreta la politica della città come terreno in cui le potenzialità umane si esercitano nel modo più compiuto – si sviluppa in modo particolare a Firenze. Qui le strutture politiche – fino alla metà del Quattrocento ancora repubblicane – favoriscono la formazione di una figura del tutto nuova: l’umanista-cancelliere, insieme politico attivo e uomo di cultura. I rappresentanti più tipici e noti di questo atteggiamento politico-culturale, che va sotto il nome di “Umanesimo civile”, sono Coluccio Salutati (1331-1406) e Leonardo Bruni (1374-1444). Al centro della filosofia quattrocentesca è la riflessione sulla dignità dell’uomo e la sua nobiltà. Il tema è modulato in forme diverse, soprattutto nell’ambito della cultura fiorentina trova il suo vertice nell’Orazione sulla dignità dell’uomo (Oratio de hominis dignitate) di Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494), scritta alla fine del 1486 come introduzione alla grande disputa destinata a mostrare la convergenza e l’accordo fra le diverse tradizioni e filosofie.

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 15

15

06/02/12 16:14

La riflessione sull’essenza dell’uomo

La libertà come dono di Dio all’uomo

L’uomo è un «camaleonte»

L’Orazione ha avuto un suo rilievo e una sua fortuna anche nella filosofia successiva. Intrecciando temi della tradizione cristiana, platonica ed ermetica, Pico svolge un ragionamento il cui nucleo centrale si può riassumere così: la natura dell’uomo si identifica con la più totale, assoluta libertà. All’inizio di questo testo Pico presenta una scena in cui Dio stesso, dopo aver creato le essenze di tutte le cose, dalle intelligenze angeliche all’ultimo degli animali, si rivolge direttamente all’uomo per annunciargli che a lui non verrà donata un’essenza definita e stabile, uno statuto ontologico preciso. È Dio stesso, dunque, che ha voluto immettere nella natura dell’uomo il dono dell’assoluta libertà. Posto al centro del mondo, egli può contemplarlo tutto, ammirandone la bellezza e afferrandone la più profonda ragione di essere. E può, di volta in volta e nel corso della stessa vita, scegliere scale dissimili di valori e forme diverse di esistenza, innalzandosi – come un angelo – verso Dio e il mondo celeste, oppure abbassandosi – come un bruto – verso la bestialità. Vale la pena di insistere ancora sull’immagine di uomo che affiora dalle pagine dell’Orazione: quella di un «camaleonte», pronto ad assumere tutti i colori; quella, insomma, di un essere disponibile a ogni tipo di metamorfosi, come del resto, secondo Pico, insegnano le molte fonti antiche che si intrecciano in questo testo.

I CARATTERI DELL’UMANESIMO

UMANESIMO (dalla seconda metà del Trecento alla fine del Quattrocento)

temi

figure e centri intellettuali

• polemica e contrapposizione con il Medioevo

• intellettuali cittadini legati ai nuovi ceti professionali e alle corti signorili

• riappropriazione della cultura classica “perduta”: opere di Platone, stoicismo, epicureismo ecc. • ricostruzione e interpretazione filologica dei testi • rifondazione epistemologica di discipline (storia, politica, medicina, filosofia ecc.) e riorganizzazione dell’enciclopedia del sapere

• uomini di cultura che uniscono interessi culturali e competenze e abilità tecniche (F. Brunelleschi, L.B. Alberti) • centri di cultura extrauniversitari: accademie, corti, cenacoli artistici e intellettuali, biblioteche

• nuovi valori: impegno civile (C. Salutati, L. Bruni), libertà e dignità dell’uomo (G. Pico della Mirandola)

PER SINTETIZZARE • Qual è l’atteggiamento degli umanisti verso il Medioevo? • Quali sono i pensatori riscoperti grazie all’attività degli umanisti? • In che cosa differiscono gli intellettuali umanisti dagli scolastici? • Qual è la definizione di Pico dell’essenza dell’uomo?

16

12_55_umanesimo.indd 16

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:14

2. Dall’Italia all’Europa: diffusione dell’Umanesimo e riforma religiosa Una diffusione omogenea ma asimmetrica

Una società internazionale di dotti

Erasmo e Montaigne: i maggiori protagonisti dell’Umanesimo europeo

Nella sua prima fase, l’Umanesimo si caratterizza come fenomeno in prevalenza italiano. A partire dalla fine del Quattrocento, al processo di formazione degli umanisti come ceto autonomo si accompagna la diffusione di questa nuova cultura dall’Italia agli altri Paesi d’Europa – dalla Francia ai Paesi Bassi, dall’Inghilterra alla Germania, alla Spagna. Si tratta di un processo che, pur presentando una linea di evoluzione omogenea, si sviluppa secondo tempi asimmetrici e in forme diverse da Paese a Paese. Altro aspetto significativo della diffusione dell’Umanesimo è l’emergere di una società internazionale di dotti, unificata dall’uso del latino come lingua comune, che intreccia un dialogo fitto e costante, testimoniato dagli epistolari. E alcune di queste raccolte, per esempio quella di Erasmo da Rotterdam (1466/1469-1536), ci consentono di tracciare una vera e propria mappa del sapere europeo del tempo. I due grandi protagonisti della cultura filosofica umanistico-rinascimentale presi in esame in queste pagine – Erasmo e Montaigne (1533-1592) – incarnano in forma addirittura paradigmatica il mutamento complessivo che investe, nell’arco di due generazioni, la figura stessa dell’intellettuale. Erasmo è il rappresentante più celebre del sogno umanistico di tolleranza e di pace coltivato, in forme diverse, per tutto il Quattrocento; Montaigne vive invece la realtà drammatica degli odi confessionali e delle guerre di religione che insanguineranno l’Europa per più di un secolo.

Hans Holbein, Ritratto di Erasmo da Rotterdam, 1523. Parigi, Musée du Louvre.

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 17

17

06/02/12 16:14

L’evoluzione dell’esperienza dell’Umanesimo

L’orgogliosa indipendenza di Erasmo è destinata così a lasciare il posto alla sorte ben più drammatica di tanti pensatori del secondo Cinquecento o del primo Seicento, posti di fronte a un’alternativa davvero amarissima: affrontare lo scontro con il potere politico o religioso, con gli esiti spesso tragici testimoniati dalle vicende di Giordano Bruno (1548-1600) e Tommaso Campanella (1568-1639); oppure, di fronte al divampare dei conflitti e al dissolversi di ogni certezza, ritirarsi nella propria interiorità nutrita della lezione dei classici e di scetticismo, come nel caso dello stesso Montaigne.

2.1 Filosofia cristiana e umori critici: Erasmo Rinascita delle buone lettere e aspirazione al rinnovamento della vita religiosa sono i due assi fondamentali intorno ai quali ruota il pensiero del grande filologo e studioso olandese Erasmo da Rotterdam. I modelli classici

La critica al cristianesimo contemporaneo

Ritorno a un linguaggio universale e cristiano: la follia positiva

Il valore della pace

Recupero filologico dei testi cristiani

Cristianesimo ed eticità

18

12_55_umanesimo.indd 18

2.1.1 Follia negativa e follia positiva L’opera più nota e celebrata di Erasmo è L’elogio della

follia (1509). Dal punto di vista letterario, l’operetta si ispira a modelli classici: in quanto elogio ironico di ciò che è assurdo e irragionevole, essa rimanda infatti alla satira greca. Del tutto aderenti all’attualità sono invece i contenuti. Nell’Elogio la corrosiva critica erasmiana investe tutti gli aspetti dell’esperienza cristiana contemporanea, dominata da un atteggiamento convenzionale astratto e sterile e da un conformismo che sono la vera causa della sua profonda decadenza e corruzione. Egli critica le pratiche di culto ridotte a pura messinscena o assimilabili a rituali superstiziosi e la vita dissoluta di monaci ed ecclesiastici. E ancora: il dogmatismo dei teologi, che hanno ridotto il genuino linguaggio apostolico a un insieme di formule incomprensibili e controverse; la divaricazione tra professione di fede e comportamenti effettivi; la corte papale, dove ora, al posto della semplicità e povertà autenticamente cristiane, regnano i principi e i costumi della politica più concreta e spregiudicata. Se questa follia negativa ha trasformato la spiritualità del cristianesimo in una pratica superficiale e vana, occorre superare le apparenze per ricostituire un linguaggio davvero universale e cristiano. Per far questo, bisogna mettere al centro un altro tipo di «follia», stavolta di segno positivo: l’imitazione di Cristo, la «follia della croce», di cui ha parlato Paolo di Tarso (più avanti indicato solo come Paolo) nella seconda Lettera ai Corinzi. Questa sorta di raptus conoscitivo e amoroso è in grado di liberare l’uomo dalle false ambizioni e di ricondurlo a Dio. 2.1.2 La battaglia erasmiana per la pace Il ritorno al messaggio originario del cristianesimo si intreccia saldamente in Erasmo con un altro motivo profondo della sua riflessione: il richiamo al valore supremo della pace. Il messaggio di Cristo rigenera infatti la vita di ognuno solo nella misura in cui è compenetrazione di teoria e pratica, all’insegna di una concordia che va prima praticata individualmente, quindi proiettata anche sull’orizzonte della comunità politica. Se il fondamento della pace è nel Vangelo, per recuperarlo è necessario ripristinare e rendere di nuovo disponibile il messaggio cristiano, oscurato da secoli di false interpretazioni, dispute e contrasti. Da qui, il richiamo erasmiano all’insegnamento dei Padri della Chiesa – in primo luogo, Girolamo – e l’esigenza di approntare un’edizione filologicamente attendibile e una buona traduzione del Nuovo Testamento, affinché esso torni a essere patrimonio condiviso dei fedeli e non riservato ai teologi. La nuova edizione del testo greco del Nuovo Testamento vedrà la luce per la prima volta nel 1516, accompagnata dalla traduzione latina e da un corposo apparato di note. Una volta liberata dalle interpolazioni e dagli irrigidimenti dottrinali, la parola di Dio trasmette all’uomo un messaggio che Erasmo definisce «filosofia cristiana». Si tratta di un cristianesimo fortemente connotato in senso etico, di un progetto – in cui Cristo è guida e maestro – che investe a un tempo mente e cuore, cultura classica e condotta di vita, saggezza profana e prassi evangelica.

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:14

ERASMO: CRITICA DELLA CHIESA E RINNOVAMENTO DEL CRISTIANESIMO

critiche alla Chiesa • rifiuto del formalismo e del conformismo religiosi • condanna delle pratiche di culto • contrapposizione tra fede e comportamenti • mondanizzazione e ricerca del potere politico e temporale nella corte papale ERASMO proposte per il rinnovamento del cristianesimo • imitazione di Cristo e «follia della croce» • esaltazione della pace • traduzione e recupero filologico dei testi cristiani • cristianesimo fortemente connotato in senso etico • conciliazione tra cristianesimo e cultura classica

La questione cristiana nell’Europa del Cinquecento

La frattura tra uomo e Dio operata dal peccato originale

Salvezza e grazia

La giustificazione attraverso la fede

2.2 La crisi religiosa: Riforma protestante e Controriforma Attraverso la propria riflessione Erasmo esprime un sentimento diffuso nella cultura del tempo: l’insoddisfazione per l’atteggiamento della Chiesa, sempre più coinvolta nelle questioni di potere e impegnata nel ruolo politico e sempre meno fedele alla tradizione dottrinale e all’impegno pastorale. La reazione erasmiana a questi problemi, intrisa di cultura umanistica, non è però l’unica: dall’interno stesso della Chiesa sorge infatti un vasto movimento che si pone inizialmente come un tentativo di correzione e di riforma. Ma con il tempo, anche a causa del sommarsi di una serie di fattori non solo teologici ma politici, sociali e culturali, si genera una radicale frattura nell’unità religiosa dell’Europa cristiana. L’iniziatore e il principale protagonista di questo movimento è un monaco agostiniano tedesco: Martin Lutero (1483-1546). 2.2.1 La grazia, la fede, la Scrittura: Lutero Il nucleo centrale della teologia di Martin Lutero si può sinteticamente racchiudere in una serie di formule: «solo attraverso la grazia», «solo attraverso la fede», «solo per mezzo della Scrittura». Proviamo ad analizzarle più da vicino: la teologia di Lutero apre fra Dio e uomo un abisso incolmabile, fondato sulla netta contrapposizione fra carne e spirito, peccato e redenzione. Il peccato originale (ossia il peccato di Adamo che si trasmette a tutti gli uomini suoi discendenti), secondo Lutero, ha infatti precipitato l’uomo in una condizione di corruzione assoluta. Da questa condizione, l’uomo non è in grado in nessun modo di riemergere con le proprie forze, riscattandosi agli occhi di Dio attraverso la pratica delle buone azioni o l’osservanza della legge morale. Lutero individua una soluzione nelle parole di Paolo nella Lettera ai Romani: «L’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della legge». La salvezza non rimanda dunque allo sforzo dell’uomo di acquistare meriti agli occhi della divinità: sono la bontà e la misericordia di Dio a salvarci, attraverso la grazia. Siamo al concetto centrale della teologia di Lutero: quello della giustificazione, ossia dell’intervento di Dio che redime dal peccato, in virtù della sola fede. La giustizia di Dio può essere infatti intesa in due modi: 1. il primo corrisponde all’accezione comune, umana di giustizia, secondo la quale essa premia o punisce gli uomini a seconda dei loro comportamenti; 2. nel secondo, la giustizia è considerata secondo un’accezione del tutto diversa grazie alla qua-

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 19

19

06/02/12 16:14

La fede come unica “opera buona”

Disegno divino e teologia della Croce

Il rapporto tra credente e parola di Dio, senza la Chiesa

La visione teologica di Zwingli

le l’uomo può sperare nella salvezza per dono di Dio. È per sola iniziativa della sua volontà impenetrabile che Dio libera gli uomini dalle loro colpe, anche se non dal loro peccato. La grazia non cancella il peccato, ma non ne attribuisce la colpa all’uomo (nel lessico teologico, non lo imputa all’uomo), se egli si impegna concretamente a resistere all’inclinazione della sua natura. Condizione essenziale perché tale processo si compia, è la fede: l’uomo peccatore può ricevere la giustizia che Dio gli promette, solo a condizione che egli abbia fede in questa promessa. Per Lutero, l’unica vera “opera buona” è quindi la fede. L’uomo non è dotato di libero arbitrio. Il disegno divino che trasforma alcuni uomini da condannati in “giustificati” ed eletti è misterioso e insondabile. Ma non è lecito pretendere di valutare con criteri razionali la giustizia del comportamento di Dio, che resta irriducibile a ogni misura umana. La fede giustifica l’uomo, infatti, per mezzo del sacrificio di Cristo. Il processo di salvezza ha così il suo culmine nella teologia della Croce, vale a dire nella figura drammatica del Cristo crocifisso che accetta liberamente di salvare l’uomo dal peccato per mezzo della sua sofferenza e della sua morte. Altro punto importante è il rapporto fra credente e parola di Dio, fra sentimento religioso ed esame della Scrittura. Per Lutero, la Scrittura è fonte esclusiva della fede e norma infallibile di verità, né fra uomo e Dio appare in alcun modo necessario il tradizionale rapporto di mediazione esercitato dalla Chiesa, con le sue regole, rituali e apparati fondati sulla partecipazione, sulla condivisione, sull’obbedienza. Le espressioni esteriori di religiosità risultano destituite di ogni valore, così come le gerarchie ecclesiastiche (ogni cristiano è sacerdote e ministro di Dio) e ogni altro consueto elemento di intercessione o garanzia di un corretto rapporto fra Dio e i suoi fedeli – dal meccanismo delle indulgenze ai sacramenti (che Lutero intende riportare ai tre fondamentali: battesimo, penitenza, eucarestia). 2.2.2 Zwingli Il movimento riformatore non si esaurisce nella figura di Lutero. Negli stessi

anni in cui il monaco di Wittenberg inizia la sua battaglia, Huldrych Zwingli (1484-1513) vive un’esperienza analoga a Zurigo, città della cui cattedrale diviene parroco nel 1518. Influenzato dalla lettura di Paolo e di Agostino, egli si distacca dal cristianesimo critico ed etico di Erasmo, a cui aveva aderito durante la sua formazione teologica, e raggiunge una propria visione teologica fondata: 1. sulla salvezza, come opera della grazia e non ottenuta attraverso le opere; 2. sulla fede nella misericordia divina; 3. sulla Scrittura, come unico riferimento per l’agire religioso e morale. Sulla base di questi principi Zwingli, sostenuto anche dalle autorità di Zurigo, elimina dal culto cittadino tutte le pratiche liturgiche legate alla superstizione e prive di un fondamento nella Scrittura: le processioni, il culto di Maria e dei santi, i digiuni, le immagini sacre, il celibato dei sacerdoti e gli ordini monastici, i sacramenti, esclusi il battesimo e l’eucarestia. Nel 1525 Zwingli pubblica il Commentario sulla vera e sulla falsa religione (De vera et falsa religione commentarius) in cui espone in maniera organica le proprie concezioni teologiche. FILOSOFI A CONFRONTO

Divenuto la massima autorità non solo religiosa, ma anche politica nella sua città, Zwingli si confronta sia con i cattolici sia con il nascente movimento luterano: nel 1529 incontra Lutero a Marburgo per trovare una posizione comune, ma l’accordo è reso impossibile dalle divergenze riguardo il valore della celebrazione eucaristica. Per Zwingli essa è semplicemente una commemorazione dell’Ultima cena, in cui pane e vino sono solo simboli della presenza di Cristo, mentre Lutero, pur rifiutando la teoria cattolica, crede nella presenza reale del sangue e del corpo di Cristo nel pane e nel vino.

Lo scontro con i cattolici invece si conclude con una battaglia a Kappel nel 1531 fra i cantoni che aderiscono alla riforma di Zwingli e quelli fedeli a Roma, durante la quale il riformatore svizzero muore.

20

12_55_umanesimo.indd 20

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:14

Il calvinismo e la sua influenza

Teologia e politica per Calvino

2.2.3 Calvino Ben presto il movimento zwingliano viene soppiantato in Svizzera dal calvinismo, la cui influenza all’interno della Riforma è pari, e forse superiore, a quella esercitata dal luteranesimo. L’iniziatore, Giovanni Calvino (1509-1564), è di origine francese. Dopo una formazione umanistica e giuridica, a causa del suo impegno per il rinnovamento della Chiesa è costretto a lasciare Parigi, prima, e la Francia, poi. Giunto in Svizzera, inizialmente si rifugia a Basilea, dove nel 1536 pubblica la sua opera fondamentale Istituzione della religione cristiana (Christianae religionis institutio), opera che amplia nel 1545, 1550, 1559 e in cui si trovano i principi della sua teologia, destinati a influenzare tutte le Chiese riformate che si richiamano alla sua visione religiosa. Il tratto dominante del calvinismo, che condivide con gli altri movimenti riformatori il richiamo alla Scrittura come fondamento della teologia e della fede, è la concezione di Dio come un sovrano assoluto e un giudice inappellabile da cui deriva una teoria della predestinazione radicale. Secondo Calvino, l’elezione alla salvezza deve manifestarsi in ogni aspetto della vita, compresi il lavoro (il successo è un segno visibile del decreto divino che segna il destino di ognuno), il comportamento pubblico etico e politico, la sobrietà dei costumi e la rinuncia a tutto ciò che è superfluo. Chiamato a Ginevra, dopo vari contrasti che lo costringono ad abbandonare la città, Calvino vi si stabilisce definitivamente nel 1541 e modella la città sulla base dei propri principi teologici, etici e politici. Nel 1559 a Ginevra viene fondata l’Accademia per la formazione teologica dei pastori, che fa della città uno dei centri del protestantesimo internazionale.

AUTORI E TEMI DELLA RIFORMA RIFORMA

elementi comuni • rapporto diretto con la Scrittura • libertà di coscienza • rifiuto degli elementi della liturgia e del culto non riconducibili alla Scrittura • riduzione del numero di sacramenti • critica al potere temporale della Chiesa

LUTERO

ZWINGLI

CALVINO

• giustificazione per fede • fede come unica via per la salvezza • teologia della Croce • presenza reale del corpo e del sangue di Cristo nella Cena

• salvezza come opera della grazia • fede nella misericordia divina • Cena come commemorazione del sacrificio di Cristo

• concezione di Dio come un sovrano assoluto e un giudice inappellabile • teoria della predestinazione rigida • successo nel lavoro come segno di elezione • influenza della religione sulla vita politica e sociale

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 21

21

06/02/12 16:12

La Controriforma e il Concilio di Trento

Il libero arbitrio

L’importanza delle opere e il rifiuto della predestinazione Sacramenti e rapporto con la Scrittura

Repressione e attività missionaria

Un rapporto tormentato

Elementi comuni e differenze con Lutero

2.2.4 La risposta di Roma Alla sfida dottrinale e pastorale lanciata da Lutero e dagli altri riformatori la Chiesa di Roma risponde con quel movimento di repressione, ma pure di rinnovamento, che va sotto il nome di Controriforma. Espressione storica e normativa della Controriforma è il Concilio di Trento, tenutosi fra il 1545 e il 1563. Il Concilio si pone in primo luogo l’obiettivo di ribadire i punti fondamentali dell’ortodossia a proposito dei temi più scottanti discussi in quegli anni: le fonti della fede e il libero esame della Scrittura, i meccanismi della giustificazione e della salvezza, la predestinazione divina, la natura e la funzione dei sacramenti. A proposito del punto cruciale del libero arbitrio, il Concilio dichiara che la colpa di Adamo è stata trasmessa universalmente a tutti gli uomini, ma – a differenza di quanto proclamano i riformatori – essa ha solo attenuato e indebolito il libero arbitrio, senza corrompere integralmente la natura umana e la sua possibilità di compiere azioni morali. Sul piano della dottrina della salvezza, il Concilio sottolinea che la grazia e la liberazione dal peccato sono doni assolutamente gratuiti di Dio, ma respinge con fermezza il principio della giustificazione per sola fede. In questo quadro teologico, viene ribadita anche l’importanza e l’efficacia dei sacramenti. Per quanto riguarda il rapporto dei fedeli con il testo sacro, il Concilio condanna la possibilità del libero esame (vale a dire, della meditazione individuale e privata) della Scrittura da parte del singolo credente: solo la Chiesa ha la competenza e l’autorità per giudicare del vero senso e della corretta interpretazione della parola di Dio. La preoccupazione di restaurare la disciplina in una comunità cristiana lacerata e disorientata dal violento strappo di Lutero è alla base dell’istituzione o (come nel caso del Tribunale dell’Inquisizione) del potenziamento di un apparato di censura e repressione che opera sia attraverso un controllo capillare della stampa sia tramite atti pubblici di sottomissione, processi e condanne di necessità esemplari e perciò terribili. Ma alla repressione e al disciplinamento delle coscienze si accompagna in questi decenni anche un’azione missionaria, volta a una sorta di vera e propria nuova cristianizzazione di ceti sociali rimasti ancora largamente ignoranti dei fondamenti della dottrina cristiana. Ed è a questo scopo che la Chiesa si adopera nella formazione di un clero ben preparato e attento nella cura pastorale. 2.2.5 Erasmo e la Riforma Il rapporto di Erasmo con la Riforma è molto intenso e tormentato. Siamo in grado di ricostruirlo, da un lato, attraverso il carteggio intercorso con Lutero e con Melantone; dall’altro, attraverso una serie di opuscoli, fra i quali spicca Il libero arbitrio (De libero arbitrio diatribe) del 1524. Testimone nel 1517 della violenta ribellione di Lutero alla Chiesa di Roma, Erasmo, pur condividendone alcuni presupposti (la battaglia contro la corruzione ecclesiastica e l’incultura scolastica; il richiamo prioritario alla parola di Dio consegnata alla Scrittura), sceglierà di difendere l’unità dei cristiani, ritagliandosi un ruolo difficilissimo di mediazione e compromesso, che finirà per scontentare entrambe le parti. FILOSOFI A CONFRONTO

Così, se Lutero (e non sarà il solo) lo accuserà di debolezza, ambiguità e scetticismo [«lo Spirito Santo non è scettico», scriverà con durezza nel Servo arbitrio (De servo arbitrio) del 1525], la Chiesa di Roma finirà per considerarlo uno dei suoi avversari più pericolosi, accomunandolo agli eretici nella condanna integrale delle sue opere, inserite nell’Indice dei libri proibiti emanato nel 1559 da papa Paolo IV.

Ma indagini sistematiche hanno mostrato come, nonostante la repressione messa in atto dalla Controriforma, nell’Italia del Cinquecento Erasmo abbia trovato lettori appassionati e convinti di vedere nei suoi scritti la conferma delle loro speranze di rinnovamento religioso, culturale e morale.

22

12_55_umanesimo.indd 22

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:12

PER SINTETIZZARE • Quali sono i centri europei dell’Umanesimo? • In che cosa consiste, secondo Erasmo, la follia positiva? • Qual è il giudizio di Erasmo sulla Chiesa del suo tempo? • Qual è la concezione luterana della grazia? • Come va interpretata la Scrittura secondo i riformatori? • Come reagì la Chiesa cattolica ai problemi posti dalla Riforma?

2.3 Una ragione non dogmatica: Montaigne I temi dei Saggi

Uno dei capolavori della filosofia (e della letteratura) del Rinascimento sono i Saggi di Michel de Montaigne, pubblicati tra il 1580 e il 1588. I temi centrali della sua riflessione sono: il motivo dell’autobiografia come ricerca, e non semplice descrizione del sé; l’idea della filosofia come meditazione, riflessione, e non sapere oggettivo e normativo; la mediocrità come carattere costitutivo dell’uomo; e perfino lo sguardo attento e partecipe gettato sui «selvaggi» d’America, così vicini alla condizione di semplicità naturale ormai preclusa al civilizzato e colto uomo europeo.

Unità d’indagine, varietà dell’oggetto

2.3.1 L’indagine sul sé È l’indagine sul sé a conferire compattezza e organicità alla ma-

Un’ontologia qualitativa

I limiti della conoscenza umana

Osservare se stessi per capire la condizione umana

L’attacco all’antropocentrismo e l’attenzione al mondo animale

teria dei Saggi, non certo l’organizzazione interna del testo: i saggi obbediscono infatti, almeno in apparenza, agli argomenti più diversi. Il gusto del frammento non dipende solo da una scelta stilistica, ma corrisponde alla natura sfuggente dell’oggetto da indagare, e riveste per questo un valore filosofico preciso. Proviamo a comprenderne i motivi. Montaigne aderisce a un’ontologia qualitativa, fondata sull’individuazione della varietà, della differenza, della dissomiglianza come caratteri fondamentali dell’essere. Il mondo che ci circonda è, a suo parere, dominato da una diversità e da una molteplicità tali da impedirci di individuare, una volta per tutte, quale sia il nucleo centrale della nostra vita e della nostra conoscenza. L’uomo – creatura tutt’altro che privilegiata all’interno del mondo naturale – è costretto a muoversi entro un limite ontologico e conoscitivo assai angusto. Prigioniero del suo limitato orizzonte conoscitivo, l’uomo non può arrivare, né attraverso i sensi né attraverso la ragione, a conoscere la divinità o i meccanismi e i destini del mondo naturale. Ma non basta: perché nessuno può possedere mai, in maniera definitiva, neppure se stesso. Eppure, per Montaigne, questa consapevolezza del limite ontologico insormontabile può rovesciarsi in norma di vita. Se non riusciamo a possedere il nostro io, possiamo però descriverlo, cogliendo momento per momento il cambiamento e la varietà che questo io sperimenta. Mettendo a nudo se stesso, Montaigne attinge così una dimensione in qualche modo universale: l’io privato non costituisce una misura o un modello, ma un punto di vista particolare, che aiuta a verificare empiricamente cosa davvero sia la condizione umana. 2.3.2 L’ideale della saggezza La critica all’arroganza della ragione sottesa a queste posi-

zioni rientra poi in un attacco più generale alla prospettiva dell’antropocentrismo. Recuperando motivi propri della tradizione scettica, Montaigne denuncia così la vanità della pretesa umana di dominare gli altri esseri naturali, mettendo in discussione lo stesso presupposto di una differenza ontologica fra uomini e animali. È poi attraverso un uso sapiente delle fonti stoiche ed epicuree che egli presenta il suo ideale di misura e di saggezza: la saggezza consiste, da un lato, nell’imparare ad accettare gli eventi negativi e la stessa infelicità come segno del carattere contingente dell’esperienza umana; dall’altro, nel cercare di vivere in armonia con la natura, accettando – come fanno gli uomini più semplici e gli stessi animali – di prenderla per guida.

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 23

23

06/02/12 16:12

Varietà del mondo umano e relativismo morale

Assunzione critica della storicità della morale

Il saggio

2.3.3 La varietà del mondo umano L’atteggiamento di fondo di Montaigne emerge an-

che nella sua riflessione morale: se i caratteri universali del mondo naturale sono destinati a sfuggirci, questo sarà ancora più vero per quanto riguarda i valori supremi del bene e del male. Alla convinzione che Dio abbia iscritto leggi univoche ed eterne nella natura stessa dell’uomo, Montaigne oppone ancora una volta la considerazione della varietà che connota il mondo umano. Popoli diversi obbediscono infatti a precetti morali diversi, a seconda della loro storia, delle loro condizioni, della loro mentalità. E serrata è la sua critica all’abitudine a giudicare come barbarie tutto ciò che si discosta dal nostro costume. La morale ha dunque un fondamento storico, non naturale: è qualcosa di appreso, è un insieme di regole condivise dalla società che l’individuo impara. Sul piano teorico, dunque, Montaigne critica con la consueta lucidità gli automatismi che ci portano a giudicare i nostri simili in base ai criteri dell’abitudine, del conformismo, del pregiudizio. Sul piano pratico, tuttavia, egli è consapevole, con altrettanta lucidità, del carattere complicato e instabile delle società, che si fonda necessariamente sulla forza dei costumi ereditati e di una prassi giuridica collaudata. Il saggio si adeguerà allora esteriormente agli usi e ai valori della sua comunità, senza pretendere di giudicarli, pur conoscendone il valore limitato, particolare, relativo. Solo all’interno di sé, nella sua libera coscienza, egli saprà trovare il proprio equilibrio fra rispetto per l’ordine costituito e tutela della propria interiorità, che rappresenta una delle cifre distintive della sua riflessione.

LA FILOSOFIA DI MONTAIGNE

ontologia è fondata sulle differenze qualitative delle cose

gnoseologia MONTAIGNE

• limiti della conoscenza • inafferrabilità dell’io • studio della natura umana attraverso l’autosservazione

etica • relativismo morale • storicità della morale • distinzione tra morale del saggio e morale comune • revisione della nozione di barbarie

PER SINTETIZZARE • Indagando l’interiorità, Montaigne che cosa intende di trovare? • Qual è l’ideale etico di Montaigne? • Secondo Montaigne esiste una morale unica? • Che cosa differenzia uomini e animali, secondo Montaigne?

24

12_55_umanesimo.indd 24

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:12

3. Il nuovo platonismo del Rinascimento Ritorno agli antichi e rinnovamento filosofico

L’Umanesimo nasce come ricerca e recupero dei testi antichi “perduti” e attraverso un nuovo sforzo interpretativo genera non solo una conoscenza più chiara e approfondita della cultura classica, ma anche sviluppi filosofici nuovi e originali. Erasmo e Montaigne sono, come abbiamo visto, i due personaggi più rappresentativi di questo rinnovamento filosofico che ha le sue radici nella cultura umanista. Accanto a loro però incontriamo alcuni pensatori che vogliono rinnovare una delle più grandi tradizioni filosofiche occidentali: il platonismo.

3.1 Platone e Aristotele dopo il Medioevo FILOSOFI A CONFRONTO

Sul piano filosofico, l’Umanesimo risulta caratterizzato, soprattutto nella sua prima fase, da un forte richiamo a Platone, pensatore che, a differenza di Aristotele, era rimasto in larga parte sconosciuto al mondo latino.

Il Platone perduto

Le nuove traduzioni

La missione del filosofo

Per quanto riguarda la conoscenza diretta dei testi, nel Medioevo la “biblioteca” platonica è infatti limitatissima. Essa si riduce al Menone, al Fedone e alla prima parte del Timeo. Ignoti restano gli altri dialoghi platonici e i testi fondamentali della tradizione neoplatonica, a cominciare dalle Enneadi di Plotino. Questa biblioteca si accresce nella prima metà del Quattrocento con le versioni di Leonardo Bruni. Fra il 1404 e il 1435 egli traduce infatti il Fedone, il Gorgia, l’Apologia di Socrate, il Critone, il Fedro, le Epistole e parte del Simposio. Ma è la traduzione integrale del corpus platonico di Marsilio Ficino (1433-1499), pubblicata a Firenze nel 1484, a dare finalmente accesso all’altro grande maestro dell’antichità. Con la sua opera di traduzione e commento, Ficino impone peraltro a Platone un timbro preciso e una chiave di lettura assai diversa da quella – civile, politica, socratica – prospettata da Leonardo Bruni, interpretandone i testi secondo un’ottica fortemente orientata in senso neoplatonico e antiaristotelico. Il Platone di Ficino porta in primo piano i temi del cosmo come unità vivente e animata, dell’armonia universale, dell’amore. Centrale, nella sua speculazione, è anche l’ideale della missione sacerdotale e riformatrice del filosofo. FILOSOFI A CONFRONTO

Il platonismo si pone così, da un lato, accanto alla religione cristiana, come una sua premessa originaria e imperfetta; dall’altro, accanto alla tradizione ermetica, della quale, secondo Ficino, lo stesso Platone è uno dei rappresentanti.

I Libri ermetici

Una teoria della salvezza “precristiana”

Gli opuscoli ermetici – tradotti anch’essi da Ficino nel 1463, per volontà di Cosimo de’ Medici, lavorando su un manoscritto appena arrivato dalla Macedonia – sono testi di argomento filosofico-teologico e magico-astrologico-teurgico (intendendo per «teurgia» la capacità da parte di individui eccezionali di controllare le divinità incarnate all’interno di oggetti o statue) composti da autori diversi a partire dal II-III secolo d.C. e conosciuti come Libri ermetici (Corpus hermeticum). Ma in età rinascimentale questi testi vengono attribuiti a un unico, mitico autore: il leggendario Ermete Trismegisto («tre volte grande»), una figura immaginaria nata da una sorta di sovrapposizione fra il dio greco Ermete e quello egiziano Thoth. I trattati dei Libri ermetici, scritti in greco, e l’Asclepio (Asclapius), un testo latino dal contenuto affine, vengono perciò ritenuti antichissimi e fonti della originaria rivelazione precristiana, poi sviluppatasi nel platonismo antico. Al centro dei testi ermetici di argomento fi-

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 25

25

06/02/12 16:12

L’aristotelismo rinascimentale: natura, logica e anima

losofico-teologico c’è in effetti una gnosi, una dottrina della salvezza, inserita in una prospettiva cosmologica che ha al centro l’idea di una profonda armonia fra macrocosmo e microcosmo e un’immagine dell’uomo come creatura di origine celeste. Con il peccato e la caduta nel mondo materiale, l’uomo ha perso consapevolezza della sua natura divina, ma è in grado di riconquistarla attraverso una vita di ascesi e di conoscenza. In Italia, per tutto il Rinascimento, l’aristotelismo continua comunque a dominare nelle università. Soprattutto negli studi più prestigiosi, e in primo luogo a Padova, la tradizione peripatetica viene però progressivamente distaccandosi dalle problematiche metafisiche e teologiche tipicamente medievali, per indirizzarsi: 1. da un lato, verso questioni di fisica e di logica; 2. dall’altro, soprattutto a partire dalla seconda metà del Quattrocento, verso la discussione delle difficoltà e dei problemi suscitati dalla dottrina aristotelica dell’anima.

3.2 Fra Ermete e Platone: la «teologia platonica» di Ficino L’opera di traduttore di Ficino

Ripristino dell’unione di filosofia e teologia: la pia filosofia

Degenerazione paganizzante del cristianesimo aristotelico

Valore religioso ed etico della tradizione ermetico-platonica

Il cristianesimo come connessione di religione e sapienza

Cristo come autorivelazione di Dio

26

12_55_umanesimo.indd 26

Marsilio Ficino è uno dei più significativi rappresentanti della cultura filosofica italiana ed europea della seconda metà del Quattrocento. Pensatore innovativo e originale, egli è, in primo luogo, il traduttore e interprete della tradizione platonica e neoplatonica e il creatore di una “biblioteca”, capace di incidere a fondo sulla vita culturale e filosofica dell’Europa almeno fino alla fine del Seicento. Le sue traduzioni includono non solo tutti i dialoghi di Platone e i trattati ermetici, ma anche le Enneadi di Plotino e le opere dello Pseudo Dionigi Areopagita, di Giamblico, di Proclo, di Porfirio, dello storico e filosofo bizantino Michele Psello (1018-1078) e di altri ancora. All’origine della monumentale impresa di Ficino c’è la volontà di contribuire a ripristinare l’antica unione di filosofia e religione, ridisegnando i contorni di quella pia filosofia che era la caratteristica originale della tradizione ermetico-platonica e che, secondo Ficino, è ormai andata perduta. Il tema cruciale dell’unione tra filosofia e teologia è sviluppato da Ficino soprattutto in La religione cristiana (De christiana religione), pubblicato, sia in latino sia in volgare, nel 1474. Ficino è certo che, nel corso degli ultimi secoli, si sia compiuta una frattura dolorosa e pericolosa fra verità divina e sapienza umana, fra religione e filosofia. Preda di sacerdoti rozzi e ignoranti, la religione si è trasformata in pratica esteriore o in mera superstizione, mentre la filosofia, contaminata dalle varianti più nocive e irreligiose della tradizione aristotelica – l’alessandrinismo e l’averroismo – è diventata luogo di empietà e incredulità. Per annullare gli effetti dell’involuzione superstiziosa subita dal cristianesimo e della parallela paganizzazione della filosofia, la strada da battere, secondo Ficino, è una sola: ritornare alle antiche fonti della verità. Secondo Ficino, gli insegnamenti della tradizione ermetico-platonica tramandano una verità razionale concessa in ogni tempo da Dio all’uomo e, insieme, un vero e proprio programma di liberazione filosofica. Una teoria della felicità e della salvezza che coincide, al fondo, con la contemplazione intellettuale del divino. Si tratta di una dottrina che stringe insieme esigenze di conoscenza e di purificazione etica: una filosofia intimamente pia, perché incentrata sul motivo della natura immortale dell’anima, sul riconoscimento di un cosmo pervaso da ragioni divine, sull’appassionata difesa della dimensione soprasensibile. In questo senso la tradizione filosofica degli antichi teologi ha avvicinato pensatori ancora pagani alla comprensione dell’Uno-bene, alla nozione di trinità, di incarnazione, di redenzione. Tuttavia, per Ficino il vertice della connessione fra religione e sapienza si ha solo con il cristianesimo. Cristo ha illuminato il valore dell’antica filosofia, liberandolo dalle ombre, dalle favole e dalle allegorie necessarie per preservare una verità connotata, fin dalle sue origini, da un tratto esoterico. Per operare la necessaria mediazione tra il creatore e l’intera creazione, il Figlio-Logos ha scelto come strumento la natura umana. Una natura che rappresenta il centro di tutta la creazione e tutta la comprende in sé. Ma non basta. Perché la discesa da parte del Cristo-Verbo nella natura umana ha un significato che rimanda a un processo specu-

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:12

La dottrina platonica dell’amore

L’anima razionale come luogo di mediazione universale

lare e ascendente: la scelta del figlio di Dio di farsi uomo mostra, nella forma più estrema e significativa, come l’uomo possa a sua volta farsi figlio di Dio. È un tema su cui Ficino non si stanca di insistere: il recupero dell’eccellenza umana è possibile solo fuggendo dalla seduzione dei corpi, secondo il percorso già delineato da Platone nella sua dottrina d’amore, espressa nel Simposio. Qui, attraverso le parole di Diotima, viene descritto il processo attraverso cui si passa dall’amore delle cose belle alla contemplazione della bellezza in sé. Questi temi sono svolti soprattutto nell’opera principale di Ficino risalente al 1482, la Teologia platonica sull’immortalità dell’anima (Theologia platonica de immortalitate animorum). Qui il filosofo riconosce la funzione privilegiata svolta nell’economia del creato dall’anima razionale, destinata a giocare un ruolo determinante di mediazione fra finito e infinito, tempo ed eternità, mondo sensibile e mondo intelligibile. In modo particolare, il compito dell’uomo si identifica per Ficino con il tentativo di risalire dall’ombra della dimensione corporea alla luce divina attraverso la pratica di una concentrazione interiore e di una purificazione dell’anima; l’universo è un organismo ordinato e comunicante, pervaso anch’esso da un principio animato (l’«anima del mondo»). All’interno di questa visione dell’universo si inseriscono la fiducia nelle conoscenze astrologiche e l’attenta valorizzazione della magia naturale, affidata in modo particolare ai tre libri su La vita (De triplici vita) risalenti al 1489.

3.3 Fra Platone e Aristotele: la «pace filosofica» di Pico L’opera di mediazione culturale di Pico

Ancora più originale, complessa e sfaccettata è la posizione dell’altro grande protagonista della cultura filosofica della Firenze laurenziana: Giovanni Pico della Mirandola. Personalità geniale ed eclettica, Pico va ricordato, oltre che per le riflessioni sulla libertà come essenza della natura umana, per il proprio ideale di ricerca della pace e di concordia fra le diverse dottrine e filosofie. Il suo progetto di conciliazione raggiunge livelli significativi di mediazione culturale, oltrepassando l’orizzonte delineato da Ficino, per aprirsi ad ambienti e tradizioni rimasti estranei alla catena sapienziale ermetico-platonica. FILOSOFI A CONFRONTO

Un esempio su tutti: l’apertura alla cultura ebraica e in modo particolare alla tradizione cabbalistica, considerata come chiave per penetrare i segreti dei testi sacri e della realtà naturale.

La cabbala come chiave interpretativa

Molte filosofie, un’unica verità

La cabbala (dall’ebraico qabbalah, “ricezione” e per estensione «tradizione») è un insieme di dottrine della cultura ebraica esoteriche e mistiche: una tradizione millenaria condensata in un’enorme mole di scritti, sia pubblicati sia manoscritti, ai quali si affiancano molti materiali orali. In essa troviamo perciò una grande varietà di scuole e di metodi influenzati da molte correnti filosofiche e religiose (platoniche e neoplatoniche, gnostiche e cristiane, aristoteliche ecc.), ma caratterizzati da due elementi costanti: 1. la fede in una sapienza originaria (tradizione) presente alle creature prima del peccato; 2. l’esistenza dell’ispirazione, raggiunta grazie alla comunicazione diretta di Dio, che consente una visione profetica sulla natura di Dio e sul suo rapporto con il cosmo e le creature. Colui che raggiunge questa ispirazione lo fa attraverso un potenziamento di tutte le sue facoltà, fisiche, psichiche e intellettuali. Della tradizione fanno parte anche alcune tecniche esegetiche che permettono di cogliere il significato mistico della Bibbia, andando al di là del senso letterale, grazie alla conversione delle lettere dell’alfabeto ebraico in simboli o numeri. Ma fondamentale per la formazione di Pico è anche la profonda conoscenza dell’aristotelismo medievale, nelle sue diverse articolazioni e varianti. Pico è portavoce di una concezione della filosofia secondo la quale tutte le scuole e tutti i pensatori hanno espresso un aspetto – necessariamente limitato e parziale – di una cono-

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 27

27

06/02/12 16:12

La preparazione dell’incontro di Roma

La formazione di Niccolò Cusano

L’approccio gnoseologico al problema Uno-molti

La via “negativa” come metodo della conoscenza

Il «Dio nascosto»

Dio come unità assoluta e «coincidenza degli opposti»

La «dotta ignoranza» come ammissione dei limiti umani

28

12_55_umanesimo.indd 28

scenza e di una verità che è unica. Chi intende veramente fare filosofia, da un lato, deve comprendere la dinamica della comparsa progressiva delle varie scuole, il loro apporto originale, il loro stile di pensiero; dall’altro, deve cercare di individuare e attuare il legame segreto che esse celano. Questa presa di posizione ispira anche il progetto di un incontro di pacificazione universale, “pace filosofica”: una grande disputa pubblica fra i dotti da tenersi a Roma il giorno dell’epifania del 1487. Di questo incontro, l’Orazione sulla dignità umana avrebbe dovuto costituire l’introduzione. Come base per la discussione, Pico raccoglie novecento tesi – le Conclusioni filosofiche, cabbalistiche e teologiche (Conclusiones philosophicae, cabalisticae et theologicae), pubblicate il 7 dicembre 1486. La discussione pubblica a Roma viene impedita dall’intervento del papa Innocenzo VIII. Ma nonostante la successiva condanna papale di tredici Conclusioni, l’ideale della concordia filosofica continua a guidare Pico in tutti i suoi lavori successivi.

3.4 Fra neoplatonismo e tradizione mistica: la «dotta ignoranza» di Cusano La formazione di Niccolò Cusano (italianizzazione di Nikolaus Krebs, 1401-1464) si svolge a partire da problemi e dottrine diversi da quelli degli umanisti e risulta legata, piuttosto, a motivi della tradizione neoplatonica tardoantica e medievale e a correnti di pensiero mistico, ancora vive negli ambienti tedeschi e fiamminghi. Nella sua biblioteca spiccano infatti, oltre a una raccolta di testi matematici e astronomici, gli scritti di Proclo e dello Pseudo Dionigi con i commenti di Alberto Magno, le opere di Giovanni Scoto Eriugena, dei pensatori della Scuola di Chartres e di Meister Eckhart, oltre a un significativo numero di scritti del filosofo e teologo spagnolo Raimondo Lullo (1235-1315). Al centro della filosofia di Cusano emerge un motivo classico della tradizione neoplatonica: il problema del rapporto fra unità e molteplicità, fra Dio e mondo. Se il problema è antico, merito di Cusano è quello di averlo tradotto in termini moderni, dandone una lettura in chiave eminentemente gnoseologica. Fin dalle sue prime opere risalenti al 1440, La dotta ignoranza (De docta ignorantia) e Le congetture (De coniecturis), egli insiste sui limiti strutturali della conoscenza umana. Muovendo da un’idea della tradizione mistica – non può darsi discorso positivo su Dio e alla sua idea possiamo accostarci solo «attraverso definizioni negative», dicendo di lui quello che non è –, Cusano estende questo criterio all’intero campo della conoscenza filosofica. Per sviluppare il suo ragionamento, egli parte da un presupposto preciso: la conoscenza umana procede sempre in maniera discorsiva e comparativa. La ragione mette in relazione e confronta i dati della realtà, cercando di comprendere i rapporti logici che collegano fra loro gli enti finiti attraverso una catena di proporzioni, paragoni e collegamenti tra quello che è noto e quello che è ignoto, quello che è certo e quello che è incerto. Questo procedimento proporzionale e comparativo, però, non riuscirà mai a farci cogliere Dio, che è il fondamento ontologico dell’intera realtà e l’infinito in atto, vale a dire l’essere in cui tutte le possibili proprietà sono realizzate nella forma più piena e completa. In quanto tale, Dio si sottrae a ogni sforzo conoscitivo dell’uomo e rimane indecifrabile, impenetrabile alla sua ragione. Egli è per noi un «Dio nascosto». Nessun concetto riesce a definire, a “catturare” l’essenza di Dio, perché egli non esclude nulla, ma concentra tutto in sé e dà origine a ogni cosa. Dio è l’unità assoluta, anteriore a ogni forma di distinzione: egli è, insieme, massimo assoluto (in quanto non può darsi nulla di superiore a lui) e minimo assoluto (in quanto unità non ulteriormente divisibile). La mente umana, quindi, di fronte all’idea di Dio, può solo intuire che in lui si realizza quella composizione dei contrari, quella «coincidenza degli opposti» che la logica classica tradizionalmente esclude e la mente umana non riesce neppure a pensare. L’uomo, di fronte all’inattingibile infinità di Dio, deve consapevolmente rifugiarsi nella dotta ignoranza, ossia in una consapevole ammissione di insufficienza e di inadeguatezza dei suoi strumenti concettuali. Ma Cusano estende e applica il concetto di «dotta ignoranza» dalla teologia a tutti gli ambiti della conoscenza umana. Se non riusciamo a cogliere fino

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:12

La «congettura» come conoscenza

Concetti matematici e conoscenza vera

Comunicazione tra Dio e il mondo

in fondo Dio, che è il fondamento ontologico del reale, a maggior ragione non potremo mai avere conoscenza vera delle cose del mondo, penetrarne l’essenza più profonda. Tuttavia, la consapevolezza del carattere limitato e provvisorio della conoscenza non comporta una svalutazione del sapere umano. Al contrario, Cusano dà al concetto di «congettura» (che è la conoscenza di cui l’uomo è capace) una connotazione positiva. Come qualsiasi prodotto delle facoltà umane, la congettura è conoscenza parziale, limitata, determinata, mai coincidente con la verità degli enti reali; eppure, si tratta di una conoscenza che partecipa della verità. Ogni frammento, ogni congettura riflette un aspetto o un momento della stessa verità. E anzi è proprio in quanto origine delle congetture che la mente umana si mostra partecipe dell’infinità creativa di Dio. Questo è vero in modo particolare per i concetti e i simboli della matematica e le figure e nozioni della geometria, che più si avvicinano all’effettiva struttura dell’universo e al rapporto metafisico che lega Dio al mondo. Dio dà origine a tutti i molteplici enti finiti e comprende in sé, in forma unitaria, tutto l’universo, pur non identificandosi con esso e non risolvendosi in esso. Tra i due poli (Dio e l’universo) si dà un rapporto di comunicazione e di compenetrazione: Dio, partecipandosi ad altro da sé, si diffonde nel mondo, pur non risolvendosi in esso e restandone il fondamento trascendente; mentre l’universo, a sua volta, si configura come immagine del principio divino, in cui ogni ente è un microcosmo che riproduce e rispecchia l’essere dell’intero universo.

DIO, MONDO E UOMO NELLA FILOSOFIA DI CUSANO

uomo • possiede solo una conoscenza discorsiva che non è applicabile a Dio • deve accettare la propria dotta ignoranza rispetto all’essenza di Dio • ha la capacità di fare congetture che gli permettono di raggiungere una forma di conoscenza vera. Poiché è capace di fare congetture la mente umana si avvicina all’infinità di Dio • possiede dei concetti matematici che gli permettono di conoscere la struttura del mondo e i rapporti tra Dio e mondo

APPROCCIO GNOSEOLOGICO AL PROBLEMA UNO/MOLTI

si diffonde nel mondo mondo • il mondo è indefinito e privo di centro o punti fissi • ogni ente è un microcosmo e rispecchia l’essere dell’intero universo

Dio • Dio è infinito in atto • Dio è per l’uomo nascosto e può essere colto solo come coincidenza degli opposti è immagine del principio divino

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 29

29

06/02/12 16:12

Jan Provost, Allegoria cristiana, 1523. Parigi, Museé du Louvre. Dio e mondo: due diverse nozioni di infinito

Universo indefinito e nuova cosmologia

Cristo come sintesi di Dio e universo

Da questa concezione del rapporto fra Dio e mondo discendono anche prospettive cosmologiche assai moderne e innovative sviluppate nei capitoli finali del secondo libro della Dotta ignoranza. Se l’universo è esplicazione e manifestazione di Dio, esso dovrà essere a sua volta non circoscritto da limiti. Tuttavia, Cusano istituisce una differenza fra l’infinità di Dio e l’infinità dell’universo: Dio è infinito in atto, pienezza infinita dell’essere, e dunque la sua infinità va intesa come assenza di ogni limite alla sua perfezione; diversamente, l’universo non è infinito in atto e pienamente dispiegato, perché altrimenti coinciderebbe con Dio. Nel caso dell’universo, si tratta allora di un indefinito, di un indeterminato che manca di precisione e di punti di riferimento. L’universo non possiede così né un centro assoluto e immobile, né una circonferenza assoluta; viene meno l’idea di una perfetta circolarità delle orbite dei corpi celesti e di un’uniformità della loro velocità di rivoluzione. Nella cosmologia di Cusano si dissolvono anche l’idea della perfetta sfericità della Terra, in quanto la perfezione geometrica delle figure non è data in natura; la distinzione tra la regione sublunare, soggetta alla generazione e corruzione, e la perfezione incorruttibile degli astri; la considerazione della Terra come solo mondo abitato da forme di vita. Nel terzo libro della Dotta ignoranza, dedicato a Cristo, quest’ultimo è presentato come il massimo contratto e assoluto a un tempo, sintesi di Dio e dell’universo e, in questo senso, compimento e punto più alto della creazione. Questa coincidenza fra creatura e creatore si realizza nell’uomo. Infine, per quanto riguarda la fortuna della speculazione di Cusano nella filosofia rinascimentale, vanno sottolineati due aspetti: l’influenza delle sue dottrine sui primi circoli umanisti francesi e il rilievo decisivo che le sue posizioni rivestono per la genesi e lo sviluppo della filosofia di Giordano Bruno. PER SINTETIZZARE • Che cos’è l’ermetismo? • Qual è la concezione dell’anima di Ficino? • Che cos’è, secondo Pico, ciò che unisce le filosofie? • Che cosa significa che Dio è nascosto, secondo Cusano?

30

12_55_umanesimo.indd 30

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:12

4. La filosofia della natura fra magia e scienza Magia e scienza come forme di conoscenza della natura

Nel corso della seconda metà del Cinquecento si determina un nuovo interesse per lo studio della natura. Comincia così a delinearsi un orientamento destinato a rivelarsi di grande importanza storica: anziché ricorrere a schemi astratti o a enti esterni alla natura, i filosofi preferiscono individuare principi, forze e meccanismi che consentano di spiegare gli eventi senza uscire dal mondo dell’esperienza. Nella filosofia rinascimentale della natura confluiscono tradizioni diverse: “scienze occulte” e discipline prescientifiche (astrologia, magia, alchimia) convivono con il progressivo emergere di un atteggiamento scientifico in senso moderno. Pur nelle insopprimibili differenze di carattere epistemologico e metodologico, vi è tuttavia l’idea comune, sia alla magia sia alla scienza, che il mondo naturale possa essere conosciuto nelle leggi che lo regolano e, a partire da questa conoscenza, controllato e indirizzato verso comportamenti ed effetti precisi.

Critica dell’aristotelismo cristiano

Il ruolo svolto dall’aristotelismo nel dibattito filosofico rinascimentale trova la sua espressione più efficace e articolata nell’opera di Pietro Pomponazzi (1462-1525).

4.1 Il naturalismo aristotelico: Pomponazzi

FILOSOFI A CONFRONTO

All’interno di una riflessione complessiva sul pensiero di Aristotele e sulle sue interpretazioni antiche e contemporanee, Pomponazzi si sofferma soprattutto sull’analisi dell’interpretazione cristiana dello Stagirita. Dichiarata per un verso l’indiscutibilità del cristianesimo in quanto insieme di dottrine credute per fede, anche se non suffragate dall’evidenza razionale, Pomponazzi concentra la sua critica sul cristianesimo come sistema dotato di ambizioni filosofiche.

L’immortalità dell’anima non è dimostrabile

La morale del saggio e del volgo

Verità filosofica e verità religiosa Influsso degli astri sul mondo sublunare

Nell’Immortalità dell’anima (De immortalitate animae), muovendosi fra le varie soluzioni del problema fornite dai commentatori del trattato Sull’anima aristotelico – in primo luogo, Alessandro di Afrodisia e Tommaso d’Aquino –, egli nega che la ricerca filosofica, sulla base dei principi aristotelici, possa approdare alla dimostrazione dell’immortalità dell’anima. Il testo aristotelico, la ragione e l’esperienza mostrano invece concordemente che l’anima è mortale. Questo non implica però alcuna ricaduta negativa sul piano della morale. Secondo Pomponazzi – che recupera motivi tipici dello stoicismo – la virtù non solo è autonoma da ogni riferimento a premi o punizioni ultraterrene, ma è anzi tanto più pura quanto più sa trovare in se stessa la propria ragione. Se questa è la morale – e la felicità – propria del sapiente, diversa è la questione per quanti non sanno regolare autonomamente la propria condotta e necessitano di un sistema di premi e punizioni. Se la norma morale è chiara solo per il sapiente, per chi sa far buon uso della ragione, ai legislatori religiosi – che hanno di mira non la perfezione individuale, ma lo sviluppo armonico del corpo politico e la convivenza civile – spetta il compito di condurre il volgo alla pratica della virtù attraverso il ricorso al consueto scenario ultraterreno (immortalità dell’anima, paradiso, inferno). Il problema dell’immortalità dell’anima dimostra che la verità filosofica è nettamente separata da quella religiosa, portando in primo piano il problema dei compiti pedagogici e civili della religione e addirittura di un suo uso politico. Una prospettiva analoga attraversa anche Le cause degli effetti naturali o gli incantesimi (De incantationibus). In questo testo Pomponazzi riconduce a cause naturali quei fenomeni che apparentemente sembrano collocarsi al di sopra dell’ordine della natura: magia, operazioni straordinarie, miracoli. Pomponazzi individua le cause universali e necessarie degli eventi nelle intelligenze motrici delle sfere celesti, che utilizzano gli astri come strumenti di mediazione e comunicazione con il mondo sublunare. Questo assetto metafisico perenne e autosufficiente ha una

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 31

31

06/02/12 16:12

Influssi astrali e sviluppo delle religioni

La critica di Telesio alla filosofia della natura aristotelica

sua immediata ricaduta sul piano fisico, in quanto impone i suoi ritmi alla vicenda di generazione e corruzione che riguarda tutti gli enti del mondo sublunare. Al pari di ogni altro evento naturale, anche le religioni sono sottoposte a un ciclo di nascita, sviluppo e morte, e si susseguono le une alle altre secondo un ritmo sorretto dai cieli e stabilito astrologicamente. Sviluppando un tema che attraversa come un filo rosso tanta parte della riflessione filosofica cinquecentesca, Pomponazzi presenta anche lo stesso cristianesimo come una realtà prossima al suo tramonto.

4.2 Il naturalismo antiaristotelico: Telesio L’aristotelismo medievale, spogliato dagli elementi cristiani e da ogni traccia di eventi soprannaturali, diviene nel pensiero di Pomponazzi una forma di naturalismo in cui gli astri esercitano un influsso determinante sulla realtà terrena e umana. FILOSOFI A CONFRONTO

L’obiettivo dichiarato di Bernardino Telesio (1509-1588) è, invece, quello di superare l’interpretazione aristotelica del mondo naturale. Aristotele ha infatti cercato di spiegare la realtà attraverso il ricorso a categorie puramente teoriche, a principi esterni e del tutto astratti (su tutti, i concetti di forma e materia, atto e potenza), sostituendo alla natura fisica e concreta una natura metafisica e fittizia.

Ricerca dei veri principi di intelligibilità della natura

Due principi agenti (calore e freddo) e un sostrato passivo (materia)

Il calore come origine del moto e della varietà naturale

La natura animata

Uomo e natura

La teoria della conoscenza e l’etica

32

12_55_umanesimo.indd 32

Diversamente, Telesio rivendica un nuovo modo di porsi di fronte al mondo naturale, ben sintetizzato dal titolo della sua opera maggiore La natura spiegata a partire dai suoi stessi principi (De rerum natura iuxta propria principia): la natura possiede in se stessa non solo i fondamenti della propria struttura, ma anche quelli della propria intelligibilità. L’uomo, per comprenderli, deve ascoltare la natura, che comunica con lui attraverso la sensibilità. L’indagine sulla costituzione del mondo naturale porta Telesio a individuare due principi agenti universali: il calore e il freddo. Queste forze hanno poi bisogno di un principio passivo su cui esercitare la propria azione. Tale principio è per Telesio il sostrato corporeo, la materia, la quale subisce modificazioni sotto l’azione opposta dei due principi agenti che pervadono il mondo naturale, in una perenne lotta per la sopravvivenza e il predominio. Il caldo è forza che illumina, riscalda, dilata, alleggerisce, espande la materia e la mette in movimento; mentre il freddo condensa, ispessisce, appesantisce e arresta il movimento. Il Sole e i cieli, in quanto costituiti di calore, sono dotati di moto naturale; mentre la Terra, principio del freddo, rimane necessariamente immobile al centro dell’universo. La natura trae dal suo interno la spinta al divenire: il calore celeste agisce sulla Terra e dallo scontro fra queste forze si genera la molteplicità degli enti, la cui diversità è correlata alla diversa intensità dell’azione del Sole sulle parti terrestri. Nella natura telesiana ogni corpo è dotato di un certo grado di sensibilità. Nei corpi organici questa sensibilità si caratterizza come spirito: una sostanza materiale estremamente sottile e rarefatta, generata dal principio del calore, capace di movimento, coestensiva ai corpi e quindi mortale. E su questi presupposti si fonda anche l’idea di una continuità e omogeneità fra natura e uomo. Tutto l’uomo è composto di materia e anche l’anima non è altro che spirito vitale: diversamente, essa non potrebbe ricevere sensazioni a partire dal corpo, né agire su di esso. Preoccupato che in questo modo non risulti sufficientemente definita la specificità umana, Telesio introdurrà successivamente il concetto di un’anima superiore infusa da Dio e immortale. Dal punto di vista gnoseologico, Telesio delinea una dottrina della conoscenza tutta incentrata sulla conoscenza sensibile (sensismo). Il processo conoscitivo ha inizio dalla sensazione e consiste nella percezione della modificazione subita dallo spirito a opera delle cose stesse, sulla base di affinità e diversità.

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:12

Da presupposti analoghi deriva anche l’etica di Telesio, fondata sulle sensazioni piacevoli o negative che lo spirito prova in occasione del contatto sensibile con le cose. Il fine ultimo e il vero bene di ogni essere naturale è l’autoconservazione e l’accrescimento: così, ciascun essere percepisce con piacere eventi e fenomeni che lo favoriscono e lo conservano, mentre percepisce con dolore quanto può danneggiarlo o distruggerlo. PER SINTETIZZARE • Pomponazzi crede nell’immortalità dell’anima? • Qual è l’errore della filosofia della natura aristotelica per Telesio? • Qual è l’origine del moto, secondo Telesio?

4.3 Un nuovo sistema filosofico: Campanella FILOSOFI A CONFRONTO

Insofferente della disciplina aristotelica appresa nei conventi domenicani di Calabria, Tommaso Campanella (1568-1639) trova un’alternativa affascinante e persuasiva, da un lato, nel naturalismo di Telesio; dall’altro, nella magia e nella dottrina dell’animazione universale. A partire da questi presupposti, egli, nel corso della sua vita tormentata, elabora un nuovo sistema filosofico radicalmente alternativo alla filosofia aristotelica, considerata come la fonte di tutte le false dottrine del tempo.

LA VITA E LE OPERE 1568

Campanella nasce a Stilo, in Calabria, e viene battezzato con il nome di Giovan Domenico.

1582

Entra nell’ordine domenicano e assume il nome di Tommaso.

1591

Si ispira a Telesio per comporre la Filosofia che ci è mostrata dai sensi (Philosophia sensibus demonstrata).

1592-1594

Si trasferisce a Napoli, dove entra in contatto con Della Porta; accusato dai suoi superiori di pratiche magiche, gli viene intimato di tornare in Calabria. Per questo motivo Campanella si muove tra Roma, Firenze e Padova. Viene arrestato con l’accusa di professare dottrine eterodosse e trasferito a Roma, dove è condannato alla pubblica abiura.

1596

Viene riabilitato dal Sant’Uffizio, ma pochi mesi dopo viene nuovamente denunciato e arrestato, e infine è costretto a tornare in Calabria.

1598

A Stilo si mette a capo di una cospirazione antispagnola. Viene arrestato a Napoli, torturato e condannato a ventisette anni di carcere con l’accusa di eresia e ribellione contro l’autorità.

1599-1626

Durante la prigionia interviene con scritti su importanti questioni, come l’Apologia pro Galileo (1616) in difesa della libertà di filosofi e scienziati. In questi anni compone anche lo scritto politico La Città del sole (1602) e la Metafisica (1623).

1629

Ottiene la libertà.

1634-1639

Viene nuovamente accusato di complottare contro la Spagna. Lascia Roma e viene accolto in Francia da Luigi XIII. Qui Campanella si dedica all’edizione delle proprie opere e compone nuovi scritti politici, fino alla morte sopravvenuta nel 1639.

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 33

33

06/02/12 16:12

I presupposti della filosofia di Campanella

Sensismo telesiano e dottrine di matrice neoplatonica – legate a un’interpretazione originale del concetto di «anima del mondo» – contribuiscono a determinare l’impianto della filosofia della natura campanelliana, esposta nella sua prima opera a stampa del 1591, la Filosofia dimostrata dai sensi (Philosophia sensibus demonstrata), e in seguito nel 1604 – in forma più definita – in Il senso delle cose e la magia (De sensu rerum et magia). 4.3.1 Il senso delle cose FILOSOFI A CONFRONTO

Da Telesio, Campanella trae due fondamentali opzioni: la convinzione che l’indagine filosofica debba volgersi al libro divino della natura, piuttosto che ai libri degli uomini; e l’idea che tutti gli enti siano dotati di sensibilità. Ogni cosa desidera infatti perseverare nel proprio stato, autoconservarsi, ed è quindi dotata in modi diversi di «senso», vale a dire della capacità di distinguere quanto può giovare alla propria vita da quel che invece le nuoce o la distrugge.

Vari gradi di sensibilità degli enti

L’uomo e la mente incorporea

L’enciclopedia del sapere

I tre principi dell’essere e le loro manifestazioni negli enti

Dio e gli altri enti

34

12_55_umanesimo.indd 34

Alcuni enti (per esempio, gli astri) possiedono una forma di sensibilità estremamente raffinata e più pura di quella animale; altri (per esempio, i minerali), appesantiti dalla materia, sono dotati di un senso più ottuso e torpido. Negli organismi animali vita e conoscenza sono collegate all’attività dello spirito – costituito di materia estremamente rarefatta e mobile, assottigliata dal calore solare. Entrando in contatto con la realtà esterna attraverso gli organi di senso, lo spirito viene modificato in forme diverse, dando luogo a percezioni e passioni. Rispetto agli animali, l’uomo è dotato di uno spirito più sottile e puro, che gli consente di elaborare ragionamenti più complessi. Ma soprattutto possiede una mente incorporea di origine divina, che rappresenta la sua dimensione specifica, grazie alla quale può superare la mera prospettiva dell’autoconservazione per volgersi a obiettivi e beni più alti. Sulla capacità di sentire universalmente diffusa si fonda anche l’attività del mago che, conoscendo la specifica qualità del senso che inerisce a ogni ente, è in grado di utilizzarlo in modo conveniente ed è capace di indurre sullo spirito determinate alterazioni e passioni. 4.3.2 Un nuovo sistema filosofico Nei lunghi anni di carcere in seguito all’accusa di eresia

e magia, Campanella si dedica a un’impresa di rifondazione dell’enciclopedia del sapere, componendo opere in cui prende in esame teologia e medicina, astrologia e metafisica, filosofia universale e religione naturale: il progetto di un nuovo sistema filosofico, capace di porsi come completa e praticabile alternativa all’aristotelismo. L’opera in cui questo intento sistematico si fa più esplicito è la Metafisica (1623): questa disciplina, secondo Campanella, ha il compito di considerare razionalmente la realtà nel suo complesso, dal punto di vista della totalità degli enti. La dottrina fondamentale esposta in questo scritto è quella secondo cui i principi dell’essere si specificano in tre primalità, di cui compartecipano sia Dio sia le creature. Ogni ente, secondo Campanella, è costituito dal nesso di tre propensioni o intenzioni originarie: il poter essere, il saper essere, il voler essere (nel lessico campanelliano, «possanza, senno e amore»). Ogni primalità segue il criterio per cui ogni cosa si riferisce prima a se stessa, quindi alle altre. Ogni ente ha dunque prima potenza su di sé, poi sugli altri enti; ha autoconsapevolezza, sapere innato di sé (benché con gradi diversi di chiarezza), e poi del mondo; ama se stesso e perciò è capace di porsi in sintonia con gli altri enti. Solo in Dio, ente assoluto, potenza, sapienza e amore sono presenti in forma perfetta e illimitata. Al contrario, negli enti finiti, nelle creature, questi principi sono limitati dalle primalità opposte (impotenza, ignoranza, odio). Queste ultime rendono ragione, da un lato, della contingenza degli enti creati; dall’altro, dell’imperfezione e dell’irrazionalità che si riscontrano nell’universo.

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:12

Ontologia e religione

La superiorità del cristianesimo

Se da una parte la dottrina delle primalità fonda l’idea dell’animazione universale, dall’altra essa rappresenta l’espressione filosofica (e dunque conoscibile dalla ragione) del dogma cristiano della Trinità. A questo proposito, occorre tenere presente un altro aspetto della teoria religiosa di Campanella: egli ritiene che Dio sia oggetto, da parte delle creature, di un sentimento innato d’amore (religione naturale), che la rivelazione cristiana ha reso consapevole e manifesto. Ciò non significa, però, che Campanella assimili il cristianesimo a tutti gli altri culti. All’opposto, egli lo considera superiore a ogni altra religione e massimo inveramento della stessa razionalità naturale. Da ciò, l’obbligo di combattere e respingere con forza tutte le filosofie che si pongano in contrasto con l’autentica dottrina cristiana (da non confondere con il sistema filosofico-teologico della Scolastica). D’altra parte, gli uomini che, pur non illuminati dalla rivelazione, si lasciano guidare dai principi e dalle leggi della ragione, vanno considerati, sia pure in forma mediata e inconsapevole, anch’essi cristiani.

LA FILOSOFIA DI CAMPANELLA

filosofia della natura • indagine sulla natura a partire dai suoi principi interni • tutti gli enti sono dotati di sensibilità

teoria della conoscenza • ogni ente conosce attraverso lo spirito (principio di animazione) • ogni ente conosce attraverso percezioni e passioni • l’uomo oltre lo spirito possiede una mente incorporea di origine divina

CAMPANELLA

mago conosce lo spirito più profondamente degli altri uomini e può operare sugli enti

ontologia • ci sono tre principi dell’essere (primalità): potenza, saggezza, amore • in Dio sono tutte e tre in forma perfetta e illimitata • negli enti finiti sono limitati dalle primalità opposte (impotenza, ignoranza, odio)

religione • Dio è oggetto, da parte delle creature, di un sentimento innato d’amore (religione naturale) • la rivelazione cristiana ha reso consapevole e manifesto questo amore • superiorità del cristianesimo

politica • obiettivo di instaurare una società secondo ragione nell’Europa del suo tempo • esigenza prioritaria di superare i contrasti religiosi • modello di una società ideale nella Città del Sole

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 35

35

06/02/12 16:12

Un rinnovamento sociale all’insegna del cristianesimo

4.3.3 Opere politiche Nelle opere di argomento dichiaratamente politico, Campanella sug-

gerisce la via da percorrere per instaurare una società secondo ragione nell’Europa del suo tempo. Da un lato, egli indica come prioritaria l’esigenza di superare i contrasti religiosi; dall’altro, però, crede che questo superamento possa realizzarsi sotto il segno di un cattolicesimo rigenerato e rinnovato. Campanella assegna ai grandi monarchi europei il ruolo di “braccio armato” di una teocrazia universale guidata dal papa. PER SINTETIZZARE • Qual è la differenza tra l’uomo e gli altri enti, secondo Campanella? • Qual è la differenza tra analisi qualitativa e analisi quantitativa dei fenomeni naturali?

Il ruolo della magia nella filosofia del Rinascimento Magia come conoscenza, prassi e forma di potere

4.4 La magia e la scienza moderna Se è vero che la magia ha, in varie forme, sempre accompagnato il sapere dell’umanità, nel Rinascimento essa si trova al centro di una complessa mediazione di diverse tradizioni culturali e risulta assai difficile – oltre che sbagliato – sottovalutarne l’importanza. L’attenzione alle tematiche magiche presenti nel Rinascimento è importante, perché consente, in primo luogo, di mettere a fuoco la dimensione “pratica” della cultura rinascimentale e della concezione della natura che contribuisce a elaborare. Conoscenza, prassi: ma la magia è certamente anche potere. Catturare l’energia dell’universo attraverso forme diverse di attrazione e fascinazione, indirizzarne le forze nella direzione desiderata, plasmare la materia consente all’uomo un dominio sulla realtà degno della sua centralità cosmica. FILOSOFI A CONFRONTO

E proprio in questa identificazione della magia con un momento operativo in grado di arricchire e perfezionare il carattere puramente contemplativo della scienza aristotelica risiede, secondo gli studiosi, anche l’importanza della magia per la nascita della scienza moderna. Quest’ultima si costituisce come forma di sapere in grado di recuperare e perpetuare il desiderio di potenza incarnato dalla magia rinascimentale, ma trasformandone profondamente le modalità.

Una nuova figura di sapiente

Un passaggio graduale

Pur nel permanere di alcune dottrine (parallelismo macrocosmo-microcosmo; principio della simpatia universale), fra la seconda metà del Cinquecento e la prima del Seicento si definisce una nuova concezione del sapiente e del sapere. Si sostituisce ai requisiti della segretezza, dell’eccezionalità, dell’illuminazione spirituale propri delle scienze occulte, un’esigenza di pubblicità e comunicazione dei risultati, una chiarezza, un rigore, una lettura meccanicistica e quantitativa del mondo naturale, che queste non possedevano. Tuttavia, pur tenendo presenti i criteri in base ai quali una consolidata tradizione storiografica ha finora distinto il mago dallo scienziato, occorre sottolineare che una tale trasformazione non avvenne di colpo. La scienza si emancipò gradualmente dalla mentalità magica, anche grazie alla progressiva “naturalizzazione” della magia nell’epoca moderna.

PER RIFLETTERE La magia è considerata ancora oggi da alcuni una vera forma di comprensione della realtà e un potere su aspetti altrimenti non controllabili della vita e del corso degli eventi. • Tu che opinione hai in merito? Credere nella magia è possibile o è una forma di superstizione? Hai mai discusso questo tema con i tuoi compagni e le tue compagne?

36

12_55_umanesimo.indd 36

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:12

5. L’uomo nell’infinito: Giordano Bruno Importanza e modernità di Bruno

La personalità filosofica di Giordano Bruno (1548-1600), così come la sua drammatica vicenda biografica, è notevolmente complessa. Nella storia della filosofia del Rinascimento, egli si caratterizza per una serie di posizioni di dirompente novità sul piano metafisico come su quello cosmologico, etico e religioso. FILOSOFI A CONFRONTO

La modernità di Bruno nasce, da un lato, da una posizione filosofica profondamente radicata nel suo tempo, come dimostrano le importanti suggestioni che egli recupera dalle dottrine di Ficino e Cusano; dall’altro, da un confronto serrato e assai consapevole con la tradizione filosofica classica: i presocratici, Platone e il neoplatonismo, ma anche Aristotele, la tradizione peripatetica e Tommaso d’Aquino.

Bruno e il processo di riforma culturale e civile

Il programma di Bruno non solo investe tutti i campi della riflessione filosofica, ma propone una riforma complessiva del sapere e della vita civile. Inoltre, si tratta di una prospettiva filosofica segnata da una forte componente personale, autobiografica. FILOSOFI A CONFRONTO

Bruno pensa se stesso come il messaggero di una nuova età di giustizia e di pienezza, destinato dagli dèi a illuminare gli altri uomini, riportando in luce le dottrine dell’«antiqua vera filosofia», occultata e dimenticata soprattutto a opera di Aristotele e dei suoi interpreti e seguaci.

I dialoghi italiani

Autore di numerose e importanti opere latine, a Londra, in due anni di lavoro intensissimo, Bruno pubblica fra il 1584 e il 1585 i suoi dialoghi italiani, che costituiscono un vero e proprio concentrato delle sue posizioni filosofiche più qualificanti. Questi sei dialoghi vengono tradizionalmente distinti in due gruppi, in base ai temi affrontati: dialoghi cosmologici e dialoghi morali.

I “dialoghi cosmologici”: innovazione cosmologica e ontologica

I cosiddetti “dialoghi cosmologici” – la Cena de le Ceneri, L’infinito universo e gli infiniti mondi (De l’infinito universo e mondi), La causa, il principio e l’Uno (De la causa, principio et uno) – sono tutti pubblicati nel 1584.

5.1 La cosmologia: universo infinito e infiniti mondi

FILOSOFI A CONFRONTO

Questi testi presentano una prospettiva fortemente critica sia dell’aristotelismo dominante sia degli ambienti accademici inglesi, pervasi dalla rigidità, dal letteralismo, ossia dall’interpretazione letterale della Scrittura, e dalla diffidenza per le novità dei professori puritani (seguaci dell’ala più radicale del protestantesimo inglese).

La piena adesione al copernicanesimo eliocentrico

In essi compaiono una cosmologia e un’ontologia profondamente innovative e, insieme, decisamente eversive sia sul piano fisico sia su quello metafisico. Nella Cena de le Ceneri, Bruno prende apertamente posizione a favore del sistema cosmologico eliocentrico presentato dall’astronomo polacco Copernico in Le rivoluzioni dei corpi celesti (De revolutionibus orbium coelestium), pubblicato nel 1543. Difendendo con energia tale dottrina, Bruno afferma la verità fisica e cosmologica dell’eliocentrismo. Agli occhi di Bruno, peraltro, Copernico non è un matematico come tanti, ma un momento importante della rinascita della verità dopo secoli di tenebre. Riproponendo e rinnovando l’antichissima concezione del moto della Terra – ormai disprezzata o addirittura dimen-

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 37

37

06/02/12 16:12

LA VITA E LE OPERE 1548

Giordano Bruno nasce a Nola, in Campania.

1562

È a Napoli per continuare gli studi: segue lezioni private di dialettica e di logica.

1565

Entra come novizio nel convento domenicano di San Domenico Maggiore a Napoli assumendo il nome di Giordano.

1572

Viene ordinato sacerdote.

1575

Prende la licenza in teologia, ma assume presto atteggiamenti ribelli e posizioni difficilmente conciliabili con l’ortodossia cattolica, che portano all’apertura di un procedimento disciplinare nel 1575 e quindi alla fuga a Roma l’anno successivo.

1578

Giunge a Ginevra, dove entra ben presto in attrito con le locali autorità calviniste.

1581

Giunge a Parigi, dove riesce a interessare alla sua arte della memoria il re Enrico III e a ottenere l’incarico di “lettore reale”, ovvero di docente stipendiato dal re. L’anno successivo Bruno dedica proprio al re Le ombre delle idee (De umbris idearum).

1583-1585

Lascia Parigi per l’Inghilterra e nei primi mesi è impegnato nel tentativo di affermarsi nell’ambiente accademico di Oxford, ma le sue lezioni suscitano la violenta reazione dell’ambiente universitario, che giunge ad accusarlo di plagio. In Inghilterra pubblica la Cena de le Ceneri, il primo dialogo in italiano, nel 1584. Al periodo inglese appartengono anche gli altri dialoghi filosofici scritti in italiano, di argomento cosmologico-teologico, L’universo e i mondi infiniti; ontologico, La causa il principio e l’Uno; politico-religioso, Spaccio de la bestia trionfante e Cabala del cavallo Pegaseo; antropologico-gnoseologico, Gli eroici furori.

1585

Tornato a Parigi nell’ottobre, Bruno è costretto a lasciare la città in seguito a un suo violento attacco pubblico contro gli aristotelici. Sceglie allora di raggiungere la Germania.

1587-1588

Vive prima a Marburg, quindi a Wittenberg, dove insegna per due anni, poi si rifugia a Praga.

1589

Lo colpisce la scomunica anche da parte della Chiesa luterana. In questo periodo (1587-91) Bruno compone in latino una serie di trattati di argomento magico, inediti fino al 1891: La magia matematica, La magia naturale, Articoli sulla magia, I vincoli in generale, I principi, gli elementi e le cause delle cose, Medicina Lulliana, tratta in parte da principi matematici, in parte da principi fisici, La lampada delle trenta statue.

1591

Mentre è a Francoforte per stampare i suoi poemi latini di ispirazione lucreziana I tre tipi di minimo e la misura, La monade, il numero e la figura, L’immenso e gli innumerabili viene raggiunto dall’invito del patrizio veneziano Giovanni Mocenigo, che desidera apprendere da lui i segreti dell’arte della memoria.

1591-1592

Si trasferisce a Palazzo Mocenigo: ma il giovane patrizio, deluso dall’insegnamento di Bruno, e turbato dal contenuto eterodosso delle sue idee, lo denuncia all’Inquisizione.

1593

Dopo una prima fase del processo a Venezia, nel febbraio Bruno viene trasferito a Roma e rinchiuso nel carcere del Sant’Uffizio, dove passa i suoi ultimi anni di vita.

1599

Su istanza del cardinale Roberto Bellarmino, gli vengono sottoposte otto proposizioni eretiche, perché egli le abiuri. Bruno abbandona ogni ricerca di compromesso e rifiuta di ritrattare.

1600

Condannato come eretico «impenitente» e «pertinace», viene arso vivo in Campo de’ Fiori il 17 febbraio.

38

12_55_umanesimo.indd 38

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:12

ticata –, egli ha infatti aperto la strada alla liberazione dell’umanità dall’ignoranza e dall’impostura. Per definire il suo rapporto con Copernico, Bruno fa ricorso alla metafora del giorno: sotto questo profilo, l’astronomo rappresenta l’aurora, mentre Bruno incarna il sole della verità che torna nuovamente a illuminare gli uomini. FILOSOFI A CONFRONTO

Tuttavia, accanto a questo merito, Bruno riconosce anche il limite fondamentale di Copernico: egli ha svolto un discorso più «matematico» che «naturale», si è mosso da astronomo, non da filosofo. Non è riuscito a produrre, oltre che una nuova cosmologia, anche una nuova filosofia, che gli consentisse di «profondare», di calarsi in profondità dentro la struttura del mondo naturale.

Bruno si assume il compito di portare alle estreme conseguenze la “scoperta” di Copernico, oltrepassando ampiamente la sua prospettiva per sviluppare il modello eliocentrico in chiave infinitistica. FILOSOFI A CONFRONTO

Se per Copernico l’universo – finito e limitato dal cielo delle stelle fisse – mantiene come suo centro fisso e immobile il Sole, intorno al quale ruotano le orbite circolari dei pianeti, Bruno non si limita a sostituire alla posizione della Terra la nuova centralità del Sole, ma abolisce l’immagine di un universo chiuso e dissolve la nozione di centro assoluto.

Un universo attualmente infinito

Infrangendo una tradizione secolare, egli afferma infatti che l’universo è attualmente (cioè, di fatto) infinito. In quanto infinito, esso è privo di centro e di circonferenza ed è costituito da infiniti mondi, da infiniti sistemi solari. Esistono innumerevoli soli e innumerevoli terre, che girano loro intorno, mosse da un principio vitale interiore, da un’anima, ricevendone luce e calore. Soli, terre, mondi non si distinguono dal punto di vista della sostanza che li costituisce, che è unica e identica per tutte le cose. FILOSOFI A CONFRONTO

Si dissolve così un altro principio della cosmologia aristotelico-tolemaica: l’idea di una gerarchia del mondo naturale, suddiviso in una regione celeste incorruttibile e in una terrestre, dove si svolgono i processi di generazione e corruzione. Facendo coincidere materia del mondo sublunare e materia del mondo celeste, Bruno mostra l’inconsistenza della scala naturale, che, secondo i peripatetici, ordina tutti gli enti secondo gradi maggiori o minori di perfezione.

Un universo privo di distinzioni gerarchiche

L’universo infinito come manifestazione dell’infinità divina

Bruno delinea così un modello di universo privo di distinzioni gerarchiche, infinito in estensione, composto da infiniti mondi di identica natura e tutti abitati da innumerevoli individui. La Terra, da centro dell’universo, si trasforma in uno degli infiniti mondi sparsi nel cosmo; l’uomo, concepito fino a quel momento come apice del creato, viene immesso nell’infinità, perdendo ogni primato e ogni centralità. Profondamente convinto della radicale novità del suo pensiero, Bruno celebra la sua scoperta dell’infinito con toni accesi ed entusiasti, senza temere di istituire addirittura un paragone fra la sua “rivelazione” e quella di Cristo. Nella Cena la polemica di Bruno si indirizza prevalentemente contro le premesse filosofiche del geocentrismo e le rigidità e le contraddizioni presenti nella fisica e nella cosmologia peripatetica. Diversamente, nell’Infinito egli sostiene la sua concezione anche sulla base di un argomento di natura metafisica e teologica. L’universo infinito è effetto, manifesta-

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 39

39

06/02/12 16:12

zione e immagine di Dio, ed è legato a lui da un rapporto di specularità: negarne l’infinità comporterebbe quindi negare anche l’infinità della sua causa divina, con il risultato – inaccettabile – di porre un limite all’onnipotenza e alla perfezione stessa di Dio.

La definizione della sostanza dell’universo

5.2 L’ontologia: materia, anima, vicissitudine Nella Cena e nell’Infinito il problema di determinare la sostanza che costituisce l’universo e dalla quale hanno origine gli individui e i mondi innumerevoli rimane sullo sfondo. Per illustrare i fondamenti ontologici che sono alla base della sua cosmologia, Bruno scrive La causa, il più denso, complesso e difficile dei dialoghi italiani. Qui il filosofo affronta in modo specifico la questione di quale sia il fondamento della vita di tutti gli enti, di quale sia la sostanza prima e universale. Se la tradizione filosofica aveva concordemente identificato la materia con la potenza pura e “nuda”, fondamento inerte e privo di qualsiasi caratterizzazione, quel che interessa a Bruno è ripensare in termini nuovi questo concetto, trasformando la materia da «quasi nulla», a principio inesauribile di energia e di vita. FILOSOFI A CONFRONTO

Questo significa, inevitabilmente, istituire una polemica frontale in primo luogo con l’ontologia di Aristotele. Aristotele e i suoi interpreti medievali non sono riusciti a pensare la sostanza come ente unico ed eterno, sfondo immobile e immutabile di ogni movimento e cambiamento, ma l’hanno identificata nei singoli individui, attribuendole quindi una dimensione inevitabilmente dissolubile e corruttibile e perdendo di vista la fonte unica da cui scaturisce la vita universale.

La materia come principio attivo, infinito, eterno e universale

Coincidenza di materia e forma

A fondamento di tutti gli infiniti enti – i mondi, le specie, gli individui – di cui l’universo è costituito, Bruno pone al contrario una sostanza unica, che è il principio del dinamismo della vita naturale. Questa sostanza è una materia infinita, eterna, universale, una materia che è infinita energia formatrice, perché possiede in sé la vita. Per Bruno la materia è principio attivo. Le forme non trascendono, ma sono immanenti alla materia, che le produce continuamente dal suo grembo. Questo è possibile, perché il principio materiale è compenetrato dall’anima del mondo e possiede quindi in sé anche il principio formale. Possiamo dire che la materia è priva di forma – scrive Bruno – solo nello stesso senso in cui diciamo che una donna incinta è priva di prole, nel senso che non l’ha ancora partorita, ma la possiede già in sé. Nella sostanza bruniana, dunque, forma e materia coincidono. Ma non basta, perché in essa coincidono anche atto e potenza, principio e causa. FILOSOFI A CONFRONTO

Ripensando in profondità il concetto di materia e sottraendolo – grazie alla ripresa di motivi tratti da Plotino – a una connotazione puramente corporea, Bruno individua infatti una materia unica che si pone come fondamento sia del mondo intelligibile sia del mondo sensibile, mettendo in comunicazione piani diversi dell’essere.

Dio e l’universo

Gli enti accidentali come espressione temporanea dell’unico essere

40

12_55_umanesimo.indd 40

In quanto si identifica con la vita infinita che percorre l’universo, questa sostanza finisce per diventare «uno essere divino nelle cose», coincidendo, in ultima analisi, con Dio, anche se Dio mantiene un margine di trascendenza rispetto a essa. La potenza infinita della vita universale si produce infatti secondo un ritmo infinito, inesauribile, dominato dalla tensione fra contrari, dando continuamente origine a nuovi enti. Ed è sullo sfondo di questa materia che si stagliano le varie configurazioni e le infinite sorti dei composti, dei singoli enti.

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:12

Un universo in continuo mutamento

La «vicissitudine» come legge della natura

Immanenza e trascendenza di Dio

L’uomo come ente uguale agli altri, sola natura

Il movimento, il cambiamento non incide sull’inalterabilità e immobilità della sostanza, ma coinvolge l’ente solo nei suoi aspetti accidentali, in quello che Bruno definisce il suo «volto». Gli individui che continuamente scaturiscono dalla sostanza sono soltanto forme accidentali della sua apparizione, realtà del tutto contingenti, espressioni temporanee, transitorie e corruttibili di questo unico essere. Una volta compiuto il proprio ciclo vitale, queste momentanee aggregazioni di parti si dissolvono, tornando nuovamente nella sostanza universale. A Bruno risultano, così, estranei sia il concetto di creazione sia quelli di nascita e morte, a cui sostituisce quello di cambiamento, o meglio, di «mutazione». Il suo è un universo dominato dal tempo, dove non si dà nulla di perpetuo e stabile, ma tutto è in movimento. Questo movimento – va ribadito – investe solo gli accidenti e consente il continuo trasformarsi delle cose – il modificarsi del «volto» –, lasciando inalterata la sostanza. Su questo principio si fonda il concetto – fondamentale nella filosofia bruniana – di vicissitudine. La vicissitudine è il principio che, all’interno della natura infinita, governa il movimento delle singole nature finite, sottoponendole a un continuo processo di mutazione e metamorfosi, di generazione e dissoluzione. La vicissitudine è la legge più generale e più profonda della natura. Essa è riscontrabile ovunque: nelle vicende della Terra e degli altri astri come nell’esistenza dell’uomo, sia sul piano individuale sia su quello collettivo e storico. In quanto legge naturale e provvidenza divina, essa è lo strumento attraverso il quale l’universo raggiunge infine la sua perfezione. In effetti, se l’universo è necessariamente infinito, questo dispiegarsi non si dà solo sul piano spaziale, ma fa sì che in ogni parte dell’universo infinito diventino attuali, per quanto possibile, tutte le forme. Tuttavia, dato che la presenza di una forma esclude la simultanea presenza di altre, la materia può accettarle solo successivamente, sostituendo la forma precedente con una nuova. È questo processo che spiega la mutazione vicissitudinale del tutto: il succedersi delle forme al suo interno testimonia il desiderio inesausto della materia di farsi tutto e diventare tutto, per uguagliare l’infinità di Dio. Pur partecipando dei suoi attributi, l’universo non coincide infatti del tutto con Dio, che rispetto all’universo mantiene un complesso rapporto di immanenza e trascendenza, collocandosi contemporaneamente dentro e fuori di esso. Questa attualizzazione di tutto in tutto attraverso la vicissitudine esclude però la dimensione della ripetitività, il riproporsi degli stessi cicli: nell’infinito tutto si trasforma, in un movimento senza fine, ma niente torna mai uguale. Da qui la consapevolezza della transitorietà di ogni composizione, compreso l’uomo. La materia e l’anima che lo costituiscono sono le stesse di tutti gli altri esseri viventi, degli animali e perfino «delle cose stimate senz’anima». Ente fra gli enti, egli non possiede né uno statuto, né una dignità particolare. Bruno riduce l’uomo a sola natura, immergendo totalmente la sua esistenza nel flusso della vicissitudine ed eliminando ogni prospettiva di carattere trascendente. In tal modo, l’unione con la divinità è raggiungibile dall’uomo solo come contemplazione della natura infinita. Giuseppe Tramontano, Giordano Bruno rinchiuso nelle carceri di Roma rifiuta di sconfessare le sue dottrine, 1867. Napoli, Collezione della Provincia.

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 41

41

06/02/12 16:12

L’ONTOLOGIA DI BRUNO

PREMESSE

non parte dalla nozione di Dio come causa prima

prende in esame i caratteri dell’universo come «ombra» della divinità

riprende i concetti aristotelici (potenza / atto, materia / forma ecc.), ma ne trasforma il significato

materia = sostanza unica • principio attivo, eterno e universale • energia infinita che ha in sé la vita • compenetrata dall’anima del mondo, possiede il principio formale e ha in sé tutte le forme. È contemporaneamente potenza e atto, principio e causa

ONTOLOGIA

Dio e il mondo • Dio è immanente alla materia, pur mantenendo un margine di trascendenza rispetto alla realtà • gli enti accidentali sono esseri transitori, forme temporanee assunte dall’unico essere che poi si dissolvono di nuovo nella materia • tutto è in perenne mutazione

vicissitudine • principio interno alla natura che governa il mutamento perenne delle cose • legge naturale ed espressione della provvidenza divina

uomo • l’uomo è un ente come tutti gli altri e non ha nell’universo una posizione particolare, né maggiore dignità • può unirsi alla divinità solo attraverso la contemplazione della natura infinita

Nuovi valori etici

Caratteri e virtù per il rinnovamento morale

L’operosità dell’uomo

42

12_55_umanesimo.indd 42

5.3 L’etica: la critica dell’ozio e l’esperienza del furore L’etica di Bruno, come abbiamo appena visto, è strettamente connessa al tema dell’infinito. Se la fondazione di un universo senza limiti e gerarchie dissolve radicalmente tutti i presupposti tradizionali, compresi quelli che definivano il ruolo, la dignità e la moralità dell’uomo, al tempo stesso pone le premesse per una riconfigurazione e per un rinnovamento dei valori. Questi temi trovano espressione nei cosiddetti «dialoghi morali»: lo Spaccio de la bestia trionfante (1584), la Cabala del cavallo Pegaseo e De gli eroici furori (1585). Lo Spaccio – costruito come il resoconto di un concilio degli dèi convocato da Giove per liberare il cielo dalle «bestie», cioè dai vizi – illustra i caratteri e le virtù che devono essere posti a base del rinnovamento morale, religioso e civile cui sono ormai chiamati gli uomini. Bruno sottolinea che l’uomo – pur sottoposto, come tutti gli altri enti, al ciclo infinito della vicissitudine – può tuttavia lasciare un segno della sua presenza nel mondo. E può farlo, grazie a un uso laborioso e consapevole degli organi che lo caratterizzano: l’intelletto e la mano. L’operosità consente all’uomo di farsi «dio de la terra», affiancandosi in certo modo a Dio nella trasformazione della natura. Se l’eccellenza dell’uomo scaturisce dalla sinergia fra

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:12

La metempsicosi e il giudizio sulle azioni

azione e contemplazione, l’ozio e la passività ne costituiscono al contrario i vizi più gravi e tali da assimilarlo a una condizione ferina. Per Bruno – che rielabora nello Spaccio la dottrina pitagorica della metempsicosi (trasmigrazione delle anime) –, il castigo di chi, vivendo oziosamente, ha rinnegato e mortificato la propria umanità è quello di vedersi imprigionato, nella successiva incarnazione, in un corpo inferiore e bestiale. In questo modo, la vicissitudine delle infinite trasformazioni si configura anche come espressione di una provvidenza divina, trasformandosi da ciclo cieco e casuale a opera di giustizia, volta a ricompensare o punire ciascuno per quanto ha meritato nel corso dell’esistenza. FILOSOFI A CONFRONTO

Ogni tentativo di svincolare la giustizia dalla responsabilità e dal merito umano è destinato a produrre frutti perversi, come è accaduto con Lutero, che ha voluto ignorare i comportamenti dei singoli per proclamare l’uguaglianza uniforme di tutti gli uomini nel peccato. Ed è proprio a partire dal concetto di giustizia che Bruno nello Spaccio attacca con grande durezza la dottrina luterana della salvezza per sola fede.

Civiltà egizia come culla della vera giustizia

Bruno afferma che la «vecchiaia» del mondo si è determinata quando la predicazione di Lutero ha affermato che non può esistere rapporto tra giustizia di Dio e giustizia degli uomini. Al contrario, nella civiltà dell’Egitto, reinterpretata anche sulla base dell’ermetismo, Bruno individua l’epoca della «giovinezza» del mondo, una stagione positiva e prospera della civiltà. Allora non regnava la falsa giustizia di Lutero, ma la giustizia vera, quella che nasce dalla corrispondenza e dalla concordia fra Dio, natura e uomo. Così, nell’ultima parte dello Spaccio, Bruno celebra le arti magiche dei sacerdoti egizi, i quali, da profondi conoscitori delle forze che agiscono nel mondo naturale, avevano elaborato un raffinato cerimoniale magico per comunicare con gli dèi. FILOSOFI A CONFRONTO

Ma Bruno nella Cabala del cavallo Pegaseo – una delle sue opere più radicali – si spinge ancora oltre. Sottoponendo il cristianesimo a una critica e a una dissoluzione totale, egli afferma che la decadenza luterana non è che il frutto inevitabile dei germi di corruzione contenuti già all’origine nella predicazione di Cristo e di Paolo, tesa a esaltare come valori assoluti la passività e l’ignoranza, creando così una società intimamente malata.

La critica radicale del cristianesimo

Una possibilità per l’uomo di raggiungere l’unità con l’essere infinito

«Furore eroico» come esperienza intellettuale

«Furore» come affinamento interiore

Il cristianesimo è fin dall’inizio una cattiva religione e un’etica della decadenza, perché non invita i propri fedeli all’amore per la conoscenza e a compiere imprese utili per il benessere della comunità civile, ma impone loro la disciplina “asinina” della rassegnazione, dell’ascolto, dell’attesa della beatitudine ultraterrena. Se nello Spaccio vengono tracciate le linee-guida di una necessaria riforma dell’umanità, negli Eroici furori, l’ultima opera pubblicata da Bruno a Londra, l’eccellenza dell’uomo è esaltata in un’altra prospettiva. Il discorso si sposta ora sul piano esistenziale, per illustrare l’esperienza interiore attraverso la quale l’individuo può oltrepassare l’amore naturale – radicato nella bellezza ingannevole dei corpi – per protendersi verso l’oggetto supremo della conoscenza intellettuale: la bellezza divina, l’unità dell’essere infinito. Sul problema del rapporto tra finito e infinito Bruno si interroga fin dagli anni trascorsi a Napoli in convento e già da allora mantiene fermo un punto, che per lui è irrinunciabile: la distanza incommensurabile tra finito e infinito non può essere colmata attraverso un “salto” di tipo mistico. E anche il furore eroico è tutt’altro che un’esperienza irrazionale: anzi, potenzia in massimo grado le facoltà propriamente umane – in primo luogo, l’intelletto e la volontà. L’itinerario del «furioso», per le difficoltà di cui è costellato, non può essere portato a termine da tutti, ma è un processo di affinamento interiore assai raro e impervio. E questo perché il «furioso», dal punto di vista dell’ontologia bruniana, tenta davvero l’impossibile: lo

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 43

43

06/02/12 16:12

Impossibilità per l’uomo di cogliere Dio La visione dell’unità del reale

sforzo di arrivare a contemplare l’unità del reale implica infatti il tentativo di sottrarsi a ogni ordine e necessità della natura, fino al punto da incrinare, insieme, il ritmo della realtà e l’unità strutturale della sua persona. Ma c’è un altro motivo che spiega perché Bruno insista con tanta forza sui limiti che comunque circoscrivono la vicenda del «furioso»: l’uomo non può arrivare, in nessun modo, a cogliere direttamente l’unità superessenziale, a “vedere” e a comprendere Dio. E tuttavia il «furioso» consegue infine un risultato straordinario: al termine del suo percorso, egli, pur senza poter penetrare la verità assoluta, Dio, riesce a vedere di fronte a sé – proiettandosi per un brevissimo istante oltre la sua natura – tutta la realtà concentrata e risolta in unità, al di là di ogni successiva distinzione. Pur rimanendo creatura finita e «cosa dell’universo», si misura con l’infinito ponendosi dal punto di vista dell’intero universo.

5.4 La religione: dalla «nova filosofia» alla riforma del mondo FILOSOFI A CONFRONTO

Negli ultimi anni, la critica ha molto lavorato sulla polemica anticristiana di Bruno, insistendo soprattutto sulla nettezza e la durezza del suo giudizio verso il sistema di valori filosofici ed etico-civili incarnati storicamente dal cristianesimo, con le sue false promesse di salvezza fondate sul rovesciamento del corretto rapporto Dio-natura-uomo.

Le false promesse di salvezza del cristianesimo

I “trattati magici” e il progetto di riforma politica

Riforma religiosa oltre che politica

Il cristianesimo costituisce infatti il consapevole fraintendimento di quella comunione con la divinità che l’uomo può attingere solo attraverso il mondo naturale, l’universo infinito. Cristo, cosciente di tutto questo, ha corrotto e stravolto in mera superstizione i tratti dell’antico linguaggio magico, cancellando di fatto la consapevolezza della legge naturale propria in passato dell’umanità, e ponendosi come unico intermediario fra uomo e Dio. Bruno è fermamente convinto che una società non possa vivere senza religione e senza legge: ma non è tuttavia nel cristianesimo che è possibile individuare il fondamento del «ben vivere» civile. È in un’altra direzione che bisogna cercare: nel rapporto organico tra conoscenza del mondo naturale, operazioni magiche e «civile conversazione». E negli ultimi scritti del filosofo – quei “trattati magici” composti tra il 1587 e il 1591, pubblicati soltanto alla fine dell’Ottocento – viene presentata una figura di mago come depositario di un sapere efficace e fecondo, anche sul piano politico. La magia correttamente compresa e applicata insegna infatti ad aprirsi all’altro, a rispecchiarsi in lui, per mettere in comunicazione individui diversi, indirizzandoli alla reciprocità e alla vita comune. Questa «buona magia» costituisce, secondo Bruno, un possibile antidoto alla decadenza. La riforma cui guarda Bruno in questi anni contempla anche l’idea di un vincolo di carattere religioso, nel quale possano riconoscersi e coesistere tutte le confessioni cristiane. Il nuovo modello etico-politico individuato da Bruno è fondato sul primato della pace e del bene pubblico, sul consenso, sulla reciprocità del rapporto governante-governato. Esso è direttamente contrapposto sia all’esperienza luterana sia a quella controriformistica, entrambe radicate nel principio della forza come espressione di potere e pratica di governo. PER SINTETIZZARE • Qual è, secondo Bruno, il significato dell’opera di Copernico, oltre i suoi risultati scientifici? • Che cosa differenzia la concezione dell’infinito di Bruno da quelle che la precedono? • Che cos’è la materia per Bruno? • Come può l’uomo lasciare un segno nel mondo, secondo Bruno? • Che cos’è la buona magia per Bruno?

44

12_55_umanesimo.indd 44

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:12

6. La riflessione politica Verso lo Stato moderno

La polemica contro le teorie dell’autonomia del politico

Un ingegno multiforme

Due elementi unificanti La crisi italiana

La fissità della natura umana

Rapporto con gli antichi e concetto di «imitazione»

La ciclicità della storia illumina la natura umana

«Riscontro» tra individuo e storia

Il processo di formazione e consolidamento dello Stato moderno è accompagnato da un’intensa riflessione teorica. Il quadro dottrinale medievale – caratterizzato da una prospettiva universalistica e dal problema costante del rapporto fra potere politico e potere religioso – viene gradualmente abbandonato, per volgersi piuttosto alle grandi questioni della modernità: i meccanismi e i principi dell’azione politica; i fondamenti e i limiti del potere; l’origine dei diritti. In Francia, dove l’unità nazionale è già un dato di fatto, si apre un intenso dibattito sulla fondazione della sovranità, reso più vivo dalla crisi delle guerre di religione. Jean Bodin (1530-1576), con la sua teorizzazione di uno Stato moderno fortemente centralizzato e “burocratizzato”, ne è uno dei protagonisti. Nella cultura della Controriforma, l’idea di una giustificazione razionale del potere dello Stato al di fuori di ogni legittimazione trascendente è destinata inevitabilmente a scontrarsi con un pensiero teso, al contrario, a riproporre il primato della dimensione religiosa su quella politica. D’altra parte, una diversa risposta agli squilibri della società e alle devastazioni della guerra è fornita dai modelli di società ideali, improntate a equità e razionalità, ripresi sia dalla tradizione classica sia dall’insegnamento erasmiano.

6.1 La lezione degli antichi e l’esperienza dei moderni: Machiavelli Niccolò Machiavelli (1469-1527) è uomo dai molteplici interessi. Storico, teorico della politica, letterato, egli fa interagire in maniera originale “antico” e “moderno”, esperienza politica e diplomatica e lettura dei testi classici, in particolar modo di Livio. Né tralascia di prendere posizione anche su grandi temi della tradizione filosofica. La varietà di interessi di Machiavelli risulta sostenuta da due cardini fortemente unitari: il primo, di carattere storico-politico; il secondo, di carattere antropologico: 1. sul piano storico, tutto il suo lavoro testimonia di una riflessione costante e puntuale sulla crisi e la decadenza che attanaglia l’Italia fra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, preda delle mire espansionistiche dei sovrani stranieri e della violenza dei loro eserciti; 2. d’altra parte, la sua riflessione sulla natura e sulla storia (così come il progetto di una scienza della politica) poggia su una specifica antropologia: a suo modo di vedere, la natura umana è caratterizzata da una sorta di fissità. Gli uomini – al pari del cielo, del Sole, degli elementi –, lungo i secoli e la storia, sono stati sempre «a uno medesimo modo». Essi hanno sempre la stessa natura e non è dato loro di poterla mutare. È su questa base che si innesta anche il rapporto istituito da Machiavelli con l’antichità, in particolare con gli storici, attraverso il concetto di «imitazione». A suo modo di vedere, sono le «storie operate da e regni e republiche antique» che hanno la capacità di mostrare l’effettivo fondamento della natura umana. Lo studio delle storie antiche ci introduce direttamente dentro la natura dell’uomo, consentendoci di seguire i processi – e individuare i meccanismi – di un’indole che genera con costanza gli stessi desideri, le stesse passioni, gli stessi comportamenti. Attraverso la lezione delle storie – e in modo particolare della storia di Roma – riusciamo a comprendere la politica, gli Stati e le forme attraverso cui essi nascono, si sviluppano, decadono e inevitabilmente muoiono. Le istituzioni politiche, infatti, sono destinate a perire, perché sottoposte, come tutte le cose del mondo, a un destino ciclico. Il problema è allora quello di individuare quali siano i cicli della politica, presupponendo che gli uomini operino con successo solo nel momento in cui si stabilisce un riscontro (altro termine fondamentale in Machiavelli che significa «armonia», «sintonia») fra natura e storia, fra le caratteristiche del singolo individuo e il tempo storico in cui egli agisce. Cerchiamo di chiarire meglio questo punto fondamentale: ogni uomo, secondo Machiavelli, ha avuto dalla natura un carattere diverso dagli altri; ed è a partire da questo carattere,

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 45

45

06/02/12 16:12

Il ruolo della «fortuna»

La passione politica

La «virtù» del principe

Il «vincolo» come base del consenso

dalle sue qualità che egli si misura con il proprio tempo. Ma, mentre la natura di ognuno resta la medesima, il tempo muta, e con il tempo cambiano le situazioni storiche specifiche con cui l’uomo è chiamato a misurarsi. È dal «riscontro» con il tempo che dipende il successo o l’insuccesso di ogni azione umana. Se oggi un uomo può aver «fortuna», perché c’è corrispondenza e simmetria fra la sua natura e il tempo in cui egli vive e agisce, quello stesso uomo, in una situazione differente, è condannato allo scacco, perché non è in grado di assecondare il velocissimo mutare del tempo, elaborando una strategia alternativa. È questa la radice del rapporto che l’uomo istituisce con la fortuna, con gli elementi che non è possibile prevedere. Tuttavia, queste posizioni non devono essere interpretate come testimonianza di un atteggiamento radicalmente negativo nei confronti della realtà e di ogni sforzo inteso a modificarla. In Machiavelli, è stato sottolineato anche di recente, accanto al disincanto, c’è un elemento di insopprimibile passione politica. E ne è testimone il Principe (1513, pubblicato postumo nel 1532) in cui si pone il problema di come, in una situazione eccezionale, si possa conservare lo Stato, a costo di sacrificare la propria integrità morale. Nel Principe Machiavelli si concentra quindi sulla capacità di alcuni uomini di contrastare e frenare la fortuna. Questo obiettivo estremo e perfino innaturale può essere perseguito attraverso una «virtù» che, rinunciando a ogni connotazione tradizionale, si configura come consapevolezza storica, lucida razionalità e come sforzo di prevedere o assecondare tempestivamente il mutare delle circostanze. Nell’azione del principe anche «forza» e «consenso» svolgono ruoli fra loro complementari. Senza il consenso, la forza delle armi, utile al momento della fondazione dello Stato, si rivela nel lungo periodo insufficiente. Machiavelli individua così nel concetto di «vincolo» il principio del consenso necessario per stabilire su basi solide una civiltà.

LA FILOSOFIA POLITICA DI MACHIAVELLI

MACHIAVELLI

principi della teoria politica: • teoria della fissità della natura umana • valore esemplare della riflessione dei classici, soprattutto degli storici • teoria della ciclicità della storia • concetto di riscontro tra individuo e storia • ruolo della fortuna nelle vicende politiche individuali e collettive • teoria del consenso come vincolo

Differenze tra Machiavelli e Guicciardini

46

12_55_umanesimo.indd 46

analisi della crisi italiana e proposte di soluzione: • situazione di decadenza dell’Italia tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento • necessità di un principe in grado di unificare lo Stato italiano • le virtù necessarie al principe: consapevolezza storica, razionalità e sforzo di prevedere o assecondare la fortuna • il principe deve coniugare forza e consenso

6.2 La politica fra «discrezione» e analisi del «particulare»: Guicciardini L’incontro con gli scritti di Machiavelli è essenziale agli sviluppi e all’approfondimento della riflessione di Francesco Guicciardini (1483-1540). Sul rapporto, e sulle divergenze, fra i due grandi storici fiorentini gli studiosi hanno molto insistito, prendendo in esame in modo particolare le differenze fra i due autori.

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:12

Ritratto di Francesco Guicciardini, 1567. Un’etica fondata sull’analisi della natura umana

Una saggezza lucida e disincantata

Una visione pessimistica dell’uomo

Non meno di Machiavelli, Guicciardini ha consegnato alle sue opere storiche giudizi di straordinaria lucidità sugli eventi politici italiani. Ma, accanto all’impegno storiografico e all’analisi di temi politici, egli svolge una riflessione etica fondata su un’indagine sottile delle caratteristiche essenziali della natura umana, affidandola soprattutto alle pagine amare e disincantate dei Ricordi politici e civili (1530). I Ricordi non sono né un diario, né un’autobiografia, né una raccolta di memorie. Privilegiando una scrittura breve, frammentaria, quasi aforistica, Guicciardini consegna piuttosto a queste pagine una serie di riflessioni e precetti, che insistono su singoli spunti, ricercandone però un senso complessivo, una direttiva di vita ispirata a una saggezza lucida e disillusa, nella forte consapevolezza della fragilità della ragione e della labilità e mutevolezza delle «cose del mondo». Elaborata attraverso redazioni successive e in un lungo arco di tempo, la raccolta si confronta, da un lato, con la storia; dall’altro, con i rapporti familiari e sociali, fino a toccare i grandi temi della vita, della morte, della fede, pur rinunciando a ogni assunto di carattere metafisico. Sui suoi simili Guicciardini getta uno sguardo assai aspro e pessimistico: gli uomini sono per la maggior parte fragili, «poco buoni», «poco prudenti», senza fede e non riescono mai ad approdare alla saggezza, nemmeno alla fine della vita. Ma c’è un limite, un elemento irrazionale e imprevedibile che sfugge all’incalzare di simulazioni e di inganni propri della vita umana: la fortuna. A proposito della complessità degli eventi che dipendono dalla fortuna, Guicciardini insiste nel sottolineare i tratti specifici, irripetibili di ogni situazione. A partire da questi presupposti, Guicciardini indica al politico che voglia governare con successo la via di un realismo consapevole, vigile e talora spregiudicato.

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 47

47

06/02/12 16:12

Discrezione e prudenza

L’importanza degli interessi personali

Al di fuori di ogni astrattezza e di ogni generalizzazione, il politico deve sapersi muovere usando l’arma decisiva della discrezione. Quello di «discrezione» è un concetto fondamentale nel pensiero di Guicciardini e indica proprio quelle doti di perspicacia, acume, capacità di analisi dettagliata delle circostanze che possono aiutare l’uomo «savio» a muoversi con «prudenza» nella complessità della vita pratica, valutando e risolvendo le singole situazioni. Cercare nei libri regole efficaci di comportamento, irrigidire l’esperienza del passato in un sistema chiuso di prescrizioni e direttive non aiuta perciò a comprendere un presente nel quale la politica si rivela sempre più come lo scontro di forze e interessi personali – «particulari», secondo il lessico di Guicciardini.

I PRINCIPI DELLA MORALE DI GUICCIARDINI

pessimismo sulla natura umana: gli uomini sono per la maggior parte fragili, poco prudenti, ignorano la verità delle cose ecc.

ruolo determinante della fortuna nel destino degli uomini e irripetibilità di ogni situazione GUICCIARDINI discrezione e prudenza sono le massime virtù dell’uomo

importanza della capacità di perseguire il particulare, ossia il proprio interesse

Il tema della “città ideale”

Moro e l’isola che non c’è

Le due parti dell’opera di Moro

48

12_55_umanesimo.indd 48

6.3 Il reale e l’immaginario: le “città ideali” di Moro e Campanella Il recupero della cultura classica e la spinta verso l’«imitazione» durante l’età umanistica e rinascimentale non sono limitati alla letteratura, alla filosofia, alla storia e alla riflessione politica, ma coinvolgono anche il mondo dell’arte: pittura, scultura, architettura e urbanistica. Di questo sguardo al passato fa parte anche il tema della «città ideale», che trova una duplice incarnazione sia sul piano dell’immaginario sia su quello reale. Analogamente, accanto al realismo politico, impegnato a studiare scientificamente i processi che sono alla base di nuove strutture di governo e nuovi rapporti di potere, nel Rinascimento gli intellettuali individuano anche un diverso modo di confrontarsi con l’attualità politica, i problemi che pone, le disuguaglianze e le sofferenze che genera. Se tuttora definiamo utopia ogni costruzione e proposta di assetti, valori, modelli normativi astratti, lo dobbiamo a un neologismo (dall’unione delle parole greche ou, “non”, e tópos, “luogo”) coniato da Tommaso Moro (1478-1535): Utopia è l’isola che non si trova in nessun luogo. L’operetta che reca questo titolo – e che inaugura, insieme, un nuovo modo di pensare la politica e un fortunato genere letterario – viene pubblicata nel 1516. Nella prima parte di Utopia, Raffaele Itlodeo, un navigatore che ha visitato il paese di Utopia, parla con Moro della situazione politica inglese, criticando le ingiustizie prodotte – soprattutto nei confronti dei contadini – dalle nuove dinamiche economiche e sociali in atto nel Paese e dalla sete di profitto dei proprietari terrieri. Nella seconda parte il viaggiatore presenta, come modello alternativo e paradigma per una riforma dei mali del presente, la

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:13

La proposta politica di Campanella

L’organizzazione politica della Città del Sole

L’abolizione della proprietà e della famiglia

Un sapere immediatamente fruibile

descrizione di un’isola immaginaria, organizzata socialmente secondo moduli assai diversi da quelli consueti. Nell’Italia della Controriforma, ispirandosi anche all’utopia politica di Moro, Campanella affida la sua proposta di rinnovamento civile alla sua opera certo più famosa, la Città del Sole, composta in carcere nel 1602 e pubblicata, in traduzione latina, nel 1623. Nella forma di un dialogo fra un marinaio genovese e un cavaliere di Malta, Campanella contrappone all’ingiustizia, all’infelicità, alla «follia» del suo tempo una società ideale, in quanto espressione della ragione dell’uomo e risultato di un rapporto armonico con la natura. L’organizzazione dello Stato riprende così la struttura metafisica dell’universo: i Solari vivono in una repubblica retta da un sacerdote-filosofo, il Metafisico, e da tre magistrati – Pon, Sin e Mor –, che simboleggiano le tre primalità dell’essere teorizzate nella Metafisica e sovrintendono rispettivamente alle armi, al progresso del sapere e allo sviluppo demografico. La città è felice, in quanto costituisce un vero e proprio organismo, un «corpo di repubblica», in cui le singole membra, molteplici e diversificate per funzioni, si integrano e si coordinano in funzione del bene comune. In tale società il lavoro viene distribuito equamente, rispettando le inclinazioni naturali, e per i Solari le attività manuali non sono considerate inferiori o vili. Essi conducono una vita «alla filosofica in comune», nella quale, per impedire lo scatenarsi degli egoismi e dei particolarismi e favorire il senso della collettività, sono abolite ogni forma di possesso e ogni struttura familiare. La stessa generazione dei figli, in vista dell’interesse collettivo, è retta da ritmi astrologici e norme eugenetiche; i bambini, che non conoscono i propri genitori, vivono in locali comuni e sono educati a cura dello Stato. Sul piano del sapere, le sette cerchia di mura della città non si limitano semplicemente a difendere i suoi abitanti, ma svolgono anche una funzione didattica e formativa, in quanto costituiscono le pagine di una vera e propria enciclopedia. Fin da piccolissimi i bambini possono percorrerne le pareti – istoriate con le immagini di tutte le arti e le scienze –, imparando rapidamente e senza sforzo.

PER SINTETIZZARE • Quali sono le virtù del principe secondo Machiavelli? • Come giudica la natura umana Guicciardini? • Perché nel XVI secolo nascono le utopie?

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 49

49

06/02/12 16:13

SOMMARIO I CARATTERI DELL’UMANESIMO

1

1 L’età dell’Umanesimo e del Rinascimento è caratterizzata dalla riscoperta, dallo studio filologico e dalla rielaborazione dei classici. 2 La cultura umanistica si incarna in nuove figure intellettuali legate ai ceti cittadini emergenti e determina il rinnovamento delle università e la nascita di nuovi centri della vita culturale. 3 Inizialmente, incontriamo un «umanesimo civile» la cui massima espressione è la nozione di dignità dell’uomo di Pico della Mirandola. DALL’ITALIA ALL’EUROPA: DIFFUSIONE DELL’UMANESIMO E RIFORMA RELIGIOSA

2

1 L’Umanesimo diventa ben presto un fenomeno europeo, una società internazionale di dotti in continuo contatto reciproco. Erasmo da Rotterdam è il filosofo che più di ogni altro lo incarna attraverso la critica della follia negativa del cristianesimo contemporaneo e la proposta di un rinnovamento religioso e culturale. 2 L’ansia di rinnovamento religioso è presente anche nella Riforma, il cui primo esponente è Martin Lutero, le cui tesi principali sono la giustificazione per fede, la centralità della teologia della Croce, il rapporto diretto con la Scrittura, il rifiuto della mediazione della Chiesa. La Chiesa cattolica reagisce con un movimento di Controriforma. 3 La riflessione umanistico-rinascimentale sulla frattura morale e religiosa europea trova espressione nell’analisi delle diverse concezioni morali di Montaigne, in cui hanno un ruolo importante il concetto di barbarie, il rifiuto dell’antropocentrismo e il tema dell’inafferrabilità dell’io, per mostrare la varietà dei costumi, i limiti della conoscenza, il carattere relativo della morale. IL NUOVO PLATONISMO DEL RINASCIMENTO

3

1 Il recupero del platonismo assume varie sfumature: in Ficino si orienta in senso neoplatonico e antiaristotelico, saldandosi con la tradizione ermetica. 2 Egli difende una pia filosofia, in cui Platone viene letto come teologo “precristiano” e hanno un ruolo importante l’immagine dell’uomo come microcosmo, la teoria della salvezza e la valorizzazione della magia naturale. 3 Pico si impegna in una vasta opera di mediazione culturale cercando di realizzare la concordia tra tutte le religioni. 4 Cusano, attraverso la riflessione gnoseologica sul rapporto Uno-molti e sui limiti della conoscenza umana, enuncia la nozione di dotta ignoranza: di Dio si danno solo definizioni negative, ma si possono utilizzare concetti matematici e geometrici per esprimere il suo rapporto con l’universo. LA FILOSOFIA DELLA NATURA FRA MAGIA E SCIENZA

4

1 Al rinnovamento della filosofia della natura appartiene l’aristotelismo di Pomponazzi con la tesi dell’indimostrabilità dell’immortalità dell’anima, la separazione tra filosofia e teologia e la negazione della magia. 2 Il naturalismo antiaristotelico di Telesio, invece, spiega i fenomeni naturali con l’azione di due principi, uno attivo e uno passivo, sulla materia, affermando che la natura è animata. Egli espone anche una teoria della conoscenza sensista e un’etica fondata sul piacere. 3 La teoria sensista della conoscenza e quella dell’animazione universale sono fatte proprie anche da Campanella, che elabora un sistema metafisico secondo cui tutti gli enti agiscono in base a tre primalità, o prin-

50

12_55_umanesimo.indd 50

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:13

cipi: poter essere, saper essere e voler essere. Il sistema è il presupposto di una riforma religiosa e politica. 4 Intanto la magia, come forma di conoscenza vera, prassi e capacità di dominio sulla natura, è un presupposto della nascita della scienza. 5

L’UOMO NELL’INFINITO: GIORDANO BRUNO

1 Bruno in cosmologia sostiene il copernicanesimo, aggiungendovi l’affermazione dell’infinità dello spazio e dei mondi e la negazione di ogni gerarchia interna. 2 Anche sul piano ontologico egli afferma l’esistenza di una sostanza infinita, eterna, animata, in perenne mutamento sulla base del principio della vicissitudine, identica a Dio, che però mantiene un margine di trascendenza rispetto a essa. 3 L’etica di Bruno è un umanesimo radicale, in cui l’uomo diviene artefice di un rinnovamento morale, fondato sull’azione e sulla contemplazione intellettuale dell’infinito e dell’unità del reale, la cui massima espressione è il furore eroico. 4 Il rinnovamento deve però estendersi alla società, alla politica e alla religione attraverso una «buona magia» come apertura e comprensione dell’altro. 6

LA RIFLESSIONE POLITICA

1 Un ultimo aspetto della filosofia umanistico-rinascimentale è la riflessione politica sullo Stato. Machiavelli elabora un’analisi della natura umana incentrata sulla nozione di riscontro tra individuo e storia e sul ruolo della fortuna, e un esame disincantato della crisi italiana. 2 Sull’analisi della natura umana è incentrata anche la riflessione morale di Guicciardini, che vede come massima virtù la discrezione, ossia un comportamento prudente e adatto alla situazione. 3 Oltre al realismo, il pensiero politico si arricchisce anche di importanti contributi nella costruzione di modelli astratti di Stato: le utopie politiche di Moro e di Campanella offrono all’immaginario culturale dei contemporanei importante materiale di riflessione.

LESSICO

B D

Barbarie. In Montaigne termine con cui ogni società definisce quello che si discosta dai propri costumi e consuetudini. Attraverso l’analisi di questo concetto egli esprime la sua concezione della storicità della morale. Dignità dell’uomo. Concetto con cui Pico indica la collocazione privilegiata dell’uomo, che consiste nella sua libertà di essere artefice di se stesso. Discrezione. Nella riflessione morale di Guicciardini indica la suprema virtù dell’uomo, la sua capacità di comprendere, analizzare e decidere una linea di azione prudente, consapevole e adatta alle circostanze. Dotta ignoranza. In Cusano, definizione paradossale della doppia natura della conoscenza umana: il suo carattere inadeguato e la consapevolezza dei propri limiti.

F

Follia. Soggetto dell’opera più importante di Erasmo: in essa egli distingue una follia negativa (il mondo cristiano contemporaneo) da abbandonare e una follia positiva (il ritorno alle radici cristiane, l’imitazione di Cristo ecc.) da perseguire per ritrovare Dio.

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 51

51

06/02/12 16:13

Furore eroico. Nel pensiero di Bruno l’esperienza razionale che permette all’uomo, attraverso un affinamento interiore, di contemplare l’unità del reale e la relazione tra finito e infinito.

G

Giustificazione. Concetto teologico che esprime l’azione attraverso cui Dio redime l’uomo dal peccato originale. Correlato all’attributo divino della giustizia è interpretato in maniera diversa: nel cattolicesimo viene dato rilievo alle opere, mentre nel pensiero riformato il contributo umano è limitato alla fede ed è determinante il giudizio imperscrutabile (predestinazione) di Dio.

M

Magia. Dal greco maghèia, “dottrina dei Magi persiani (sacerdoti astrologi)”, la capacità di dominare e manipolare la realtà attraverso pratiche spirituali, mentali e rituali. Ficino, Pico, Campanella, Bruno la considerano una forma di conoscenza vera, mentre Pomponazzi le nega veridicità.

Microcosmo. Termine greco composto da mikrós, “piccolo”, e kósmos, “mondo”, che indica l’uomo attraverso un’analogia strutturale tra esso e il mondo nel suo complesso (il “macrocosmo”, da makrós, “grande”). Utilizzata da molti filosofi antichi, passata poi nel sapere medico, nel neoplatonismo, nella gnosi, nella cabbala e infine nei filosofi rinascimentali – tra cui Ficino, Cusano, Bruno –, questa analogia applica al cosmo concetti antropomorfi (anima, simpatia, fine ecc.) e viceversa ipotizza intime corrispondenze tra parti del cosmo e parti del corpo umano (per esempio, la corrispondenza tra i quattro elementi e gli umori corporei).

P

Pia filosofia. Concezione che Ficino deriva dalla tradizione ermetico-platonica: esiste una sapienza originaria e antichissima, proveniente da Dio e rivelata da Ermete Trismegisto, in cui convergono verità filosofiche e teologiche (filosofia della natura, immortalità dell’anima, teoria della salvezza ecc.) che raggiungono la propria perfezione nel pensiero cristiano. Primalità. Nell’ontologia di Campanella i tre principi originari dell’essere – poter essere, saper essere e voler essere – che determinano l’agire di Dio e delle creature. Nel primo si esplicano in forma piena e perfetta, mentre nelle seconde la loro manifestazione incontra tre principi negativi: impotenza, ignoranza e odio.

R

Rinascimento. Categoria storiografica che indica il periodo di rinascita letteraria e artistica compreso tra la seconda metà del Quattrocento e la seconda metà del Cinquecento. In filosofia comprende i nuovi platonismi, forme di naturalismo, i sistemi di Campanella e Bruno e il pensiero politico di Machiavelli.

Riscontro. Termine della filosofia politica di Machiavelli che indica il rapporto tra indole e caratteristiche dell’individuo e realtà storica: se vi è corrispondenza tra questi due elementi, l’agire umano è destinato al successo («fortuna»), altrimenti al fallimento.

T

Teologia della Croce. In Lutero indica la riflessione sulla figura di Cristo (cristologia) come rivelazione della misericordia divina: Cristo condivide il destino dell’uomo peccatore che culmina con l’esperienza della Croce, l’abbandono del Padre e la morte di Dio. Proprio il simbolo dell’estrema sofferenza vissuta da Cristo per redimere gli uomini dal peccato, diviene però, secondo Lutero, il segno della misericordia del Padre.

U

Umanesimo. Categoria storiografica che indica il periodo tra la seconda metà del Trecento e la fine del Quattrocento caratterizzato dallo studio dell’antichità, dalla riscoperta filologica dei testi classici e da una nuova concezione della centralità e della dignità dell’uomo. Utopia. Neologismo coniato da Moro (dal greco ou, “non”, e tópos, “luogo”) per indicare il proprio modello politico immaginario e ideale, passato poi a definire ogni progetto politico, sociale, normativo astratto.

V

Vicissitudine. In Bruno indica il principio che governa il mutamento perenne della sostanza infinita (materia) da cui si originano tutti gli enti finiti, le loro trasformazioni e il succedersi dei cicli storici.

52

12_55_umanesimo.indd 52

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:13

QUESTIONARIO 1

LA FILOSOFIA CRISTIANA DI ERASMO Chiarisci perché la riflessione di Erasmo può essere definita «filosofia cristiana». (max 4 righe)

2

MONTAIGNE E L’ANALISI INTERIORE Perché secondo Montaigne l’analisi interiore ha valore universale? (max 2 righe)

3

LA «PIA FILOSOFIA» DI FICINO Quali sono i temi essenziali della «pia filosofia» di Ficino? (max 8 righe)

4

PICO E L’ARISTOTELISMO Qual è il giudizio di Pico sull’aristotelismo? (max 1 riga)

5

DIO E MONDO PER CUSANO Qual è il rapporto tra Dio e il mondo secondo Cusano? (max 6 righe)

6

IL MOVIMENTO NELLA FILOSOFIA NATURALE DI TELESIO Qual è il principio del movimento nella filosofia della natura di Telesio? (max 2 righe)

7

ESSERE E ANIMAZIONE UNIVERSALE IN CAMPANELLA Qual è il legame tra teoria dell’essere e animazione universale nel sistema di Campanella? (max 3 righe)

8

BRUNO E COPERNICO Quali sono le critiche di Bruno a Copernico? (max 4 righe)

9

MATERIA E FORMA NELL’ONTOLOGIA DI BRUNO Qual è il rapporto tra materia e forma nell’ontologia di Bruno? (max 2 righe)

10

VICISSITUDINE E METEMPSICOSI IN BRUNO Esponi il rapporto tra vicissitudine e metempsicosi nella filosofia di Bruno. (max 3 righe)

11

I CICLI DELLA STORIA PER BRUNO Spiega la teoria dei cicli storici di Bruno. (max 6 righe)

12

MACHIAVELLI E LA STORIA ANTICA Qual è il ruolo della storia antica nella riflessione di Machiavelli? (max 2 righe)

13

L’UTOPIA NELLA CULTURA RINASCIMENTALE A quali principi del pensiero rinascimentale si ispira il pensiero utopico? (max 4 righe)

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 53

53

06/02/12 16:13

CITTADINANZA E COSTITUZIONE

Contro la discriminazione

Il rifiuto della discriminazione in Montaigne Il rifiuto della discriminazione da parte di Montaigne nasce dal riconoscimento della diversità come la qualità più universale: nel mondo non ci sono mai state due opinioni uguali, come non ci sono stati due capelli o due grani identici. L’Europa non si trova al centro del mondo, né l’uomo al centro dell’universo. Montaigne rifiuta così l’antropocentrismo e riconosce che tutte le diverse leggi, morali e religioni hanno un loro fondamento. Montaigne sottolinea la varietà che caratterizza il mondo umano e ragiona in una prospettiva di relativismo culturale, per cui non esiste una verità assoluta e i valori di una cultura devono essere considerati in se stessi anziché essere valutati in relazione a quelli di una cultura assunta come modello. In base a questa posizione Montaigne condanna le sofferenze e la riduzione in schiavitù dei popoli del Nuovo Mondo, il cui cannibalismo gli provoca meno orrore delle torture che vengono loro inflitte dagli europei.

Troppo spesso si dimentica che il contrario di relativismo è assolutismo. (G. Giorello)

Il divieto della discriminazione nel costituzionalismo moderno La discriminazione viene rifiutata fin dalla Rivoluzione francese, che afferma il principio di uguaglianza tra i cittadini. Tale principio convive però con il riconoscimento della libertà e dei diritti della persona: i cittadini hanno caratteristiche e capa-

cità diverse e devono essere liberi di agire in base a esse. Dunque, in una società totalmente ugualitaria non possono esserci piena libertà e rispetto dei diritti individuali e in una società totalmente libera non può esserci piena uguaglianza. Il punto di equilibrio si raggiunge garantendo l’uguaglianza nella possibilità di esercitare i propri diritti. Il divieto della discriminazione rappresenta il principale presupposto della democrazia, che si fonda sui principi dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, della coesistenza di valori diversi, talora contrapposti, e della tolleranza reciproca. Fondamentale è la pluralità di valori in una società, poiché il confronto con posizioni diverse dalle proprie rappresenta una fondamentale possibilità di arricchimento. Il Trattato di Lisbona, firmato nel dicembre 2007, si richiama al rispetto della dignità umana, della libertà, dei diritti umani, compresi quelli delle persone appartenenti a una minoranza (etnica, religiosa e così via).

Leggi Montaigne La ragione ha tante forme che non sappiamo a quale appigliarci; l’esperienza non ne ha meno. La conseguenza che vogliamo trarre dalla somiglianza degli avvenimenti è mal sicura, poiché essi sono sempre dissimili: in quest’immagine delle cose non c’è alcuna qualità così universale come la diversità e la varietà. [...] La somiglianza non rende tanto uguale quanto la differenza rende diverso. La natura si è obbligata a non far due cose che non fossero dissimili.

Il divieto della discriminazione nella Costituzione italiana La Costituzione della Repubblica italiana vieta esplicitamente la discriminazione in base a differenze di sesso, razza, lingua, religione, opinione politica, condizione personale e sociale. Tale divieto trova fondamento nel principio di uguaglianza proclamato nell’art. 3. Ciò non significa che tutti siano o debbano essere uguali, ma che le differenze fra i cittadini non possono dare luogo a trattamenti differenziati e deve esserci uguaglianza nella possibilità di manifestare la propria diversità.

54

12_55_umanesimo.indd 54

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 16:13

Avere la possibilità di sviluppare e manifestare liberamente la propria individualità è condizione necessaria per l’adempimento di un dovere che la Costituzione attribuisce a ogni cittadino, ossia quello di contribuire con il proprio lavoro al progresso della società di cui fa parte. Occorre distinguere, però, fra il concetto di uguaglianza formale e quello di uguaglianza sostanziale: il primo indica l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge, il secondo rimanda alla necessità di tutelare

chi dispone di minori possibilità. Attraverso leggi differenziate si garantisce ai cittadini socialmente più fragili l’uguaglianza come parità di opportunità e di trattamento nell’esercizio dei propri diritti. Per loro un trattamento uguale a quello riservato a cittadini che si trovano in condizioni (per esempio economiche o di salute) più agevoli sarebbe iniquo e impedirebbe il pieno esercizio della libertà costituzionalmente garantita.

Leggi la Costituzione Art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Art. 4 [...] Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Art. 6 La Repubblica tutela le minoranze lingui-

stiche con apposite norme. Art. 8 Tutte le confessioni religiose sono egualTeologi appartenenti alla Compagnia di Gesù e teologi protestanti a colloquio a Ratisbona, 1601.

mente libere davanti alla legge. [...]

RIELABORA E RIFLETTI 1. Indica che cosa si intende per relativismo culturale in riferimento a Montaigne in un max di 3 righe. 2. Spiega in un max di 5 righe qual è il fondamento del divieto di discriminazione nella Costituzione italiana. 3. Commenta, in un testo di almeno 5 righe, la differenza tra eguaglianza formale ed eguaglianza sostanziale.

1. Umanesimo e Rinascimento

12_55_umanesimo.indd 55

55

06/02/12 16:13

2. La rivoluzione

scientifica 1517 Lutero affigge le 1527 Sacco di Roma 1492 Colombo arriva sue tesi sul portale della da parte delle truppe sulle coste americane. chiesa di Wittemberg. imperiali tedesche.

1545 Si apre il Concilio di Trento.

1559 Pace di Cateau-Cambrésis.

EVENTI EVENTI FILOSOFICI

1507-1512 Copernico scrive l’Abbozzo sulle ipotesi sui moti celesti.

1543 Escono Le rivoluzioni dei corpi celesti di Copernico.

I fisici e gli astronomi

• È possibile comprendere le leggi che regolano il moto dei corpi sulla Terra? E quelle che regolano il moto dei corpi celesti? • Il mondo terrestre e il mondo celeste sono composti da elementi diversi? • Che cos’è la scienza? È possibile definire un metodo di ricerca valido? • Qual è il ruolo delle osservazioni nella definizione dei modelli cosmologici?

LE DOMANDE

• Come possiamo distinguere le ipotesi errate da quelle esatte? È possibile verificarle in modo da creare un sapere condiviso? • Qual è il posto dell’uomo nell’universo?

I TESTI

56

RISORSE MULTIMEDIALI

➥ Lezione LIM ➥ Test

56_117_scientifica.indd 56

➥ Biblioteca: M. Cini, Mondo aristotelico e mondo galileiano ➥ Tutorial: Galileo, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo

06/02/12 14:58

[...] sendo autore che non mai tratta di cose attenenti a religione o a fede, né con ragioni dependenti in modo alcuno da autorità di Scritture Sacre [...] ma sempre se ne sta su conclusioni naturali, attenenti a i moti celesti, trattate con astronomiche e geometriche dimostrazioni, fondate prima sopra sensate esperienze ed accuratissime osservazioni. (Galileo, Lettera XIV, A Cristina di Lorena granduchessa di Toscana)

1571 Battaglia di Lepanto.

1573 Brahe pubblica Una nuova stella.

1577 Avvistamento di una grande cometa da parte di Brahe.

1588 Viene stampato Il secondo libro su alcuni recenti fenomeni del mondo celeste di Brahe.

1618 Inizia la Guerra dei Trent’anni.

1595 Esce il Mistero cosmografico di Keplero.

1642 In Inghilterra scoppia il conflitto tra Carlo I e il Parlamento.

1610 Galileo 1620 Bacone 1623 Esce dà alle stampe pubblica il Il Saggiatore l’Annunzio Nuovo Organo. di Galileo. sidereo.

1627 Esce postuma la Nuova Atlantide di Bacone.

1632 Viene stampato il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo di Galileo.

1638 Sono editi i Discorsi e dimostrazioni matematiche di Galileo.

Galileo

Bacone

• Quale ruolo svolgono gli strumenti scientifici nell’osservazione? È possibile costruire strumenti che migliorino la nostra osservazione dei corpi celesti?

• Che rapporto esiste tra la magia e la scienza? E tra la filosofia tradizionale e quella sperimentale? • Nella scienza è possibile liberarsi dai pregiudizi e dagli errori di giudizio? Possiamo raggiungere un’interpretazione vera dei fenomeni naturali?

• Nella scienza che valore dobbiamo dare alle spiegazioni metafisiche e teologiche? È possibile conciliare le conoscenze della scienza con le verità trasmesse dalle Scritture?

• Il metodo induttivo tradizionale è valido? O dobbiamo elaborare una nuova teoria dell’induzione?

• È possibile trovare una teoria unificante per tutti i tipi di moto? Che differenza c’è tra la quiete e il moto? • Nell’indagine sui fenomeni, che ruolo dobbiamo assegnare alle esperienze soggettive? È possibile raggiungere una conoscenza oggettiva? Possiamo creare “artificialmente” le condizioni e gli strumenti che la rendono possibile? • Che ruolo ha la matematica nell’elaborazione delle teorie scientifiche sul mondo fisico?

• Quali tipi di causa dobbiamo considerare nell’induzione? È possibile cogliere la vera essenza della realtà? • Che rapporto c’è tra la scienza e la tecnica? Che funzione possono svolgere le società scientifiche?

• La teoria copernicana è vera? Come possiamo dimostrarlo?

T1 Galileo, Distinzione tra le qualità oggettive e le qualità soggettive T2 Galileo, Contro il principio di autorità

T3 Bacone, I quattro tipi di idoli

57 ✔ Cittadinanza e costituzione: La libertà di ricerca ✔ Fare filosofia: Natura / naturale

56_117_scientifica.indd 57

06/02/12 14:58

1. Che cos’è la rivoluzione scientifica Un cambiamento epocale

Fra il Cinquecento e il Seicento avviene un cambiamento nel pensiero filosofico e scientifico europeo che è stato giudicato epocale e a proposito del quale gli storici della scienza si sono trovati d’accordo nel parlare di “rivoluzione scientifica”. Tra la pubblicazione di Le rivoluzioni dei corpi celesti (De revolutionibus orbium caelestium) di Copernico nel 1543 e la pubblicazione dei Principi matematici della filosofia naturale (Philosophiae Naturalis Principia Mathematica) di Newton nel 1687, si assiste non solo alla nascita della scienza moderna, ma anche a un mutamento radicale nell’immagine stessa della scienza e della figura del “filosofo naturale”, cioè di colui che si occupa della conoscenza e del dominio del mondo naturale, che si avvia a divenire il moderno “scienziato”.

I tratti caratteristici della scienza moderna

Attraverso i contributi di personaggi come Niccolò Copernico (Niklas Koppernigk, 14731543), Tycho Brahe (1546-1601), Giovanni Keplero (Johannes Kepler, 1571-1630), Galileo Galilei (1564-1642) e infine Isaac Newton (1642-1727), si verifica una vera e propria mutazione che porta a una nuova immagine della scienza. Lo storico della filosofia Paolo Rossi (1923-2012) la sintetizza nei seguenti caratteri: 1. la scienza come una costruzione perfettibile che nasce dalla collaborazione tra studiosi e ricercatori, accomunati da un linguaggio specifico e rigoroso e organizzati in istituzioni che valutano risultati e linguaggio. La nuova scienza si costituisce come un’impresa comune, come un «sapere universale», dove più studiosi sono portati a collaborare e a interagire nello sforzo intersoggettivo di comprensione della natura; 2. la scienza come formulazione di proposizioni “vere” intorno al mondo, verificabili attraverso esperimenti e confronto con ipotesi alternative; 3. la scienza come progressiva crescita della conoscenza, attraverso lo sviluppo di teorie sempre più ampie, logicamente più forti, più capaci di spiegare e prevedere i fenomeni, più controllabili. Parallelamente a questi caratteri, la figura dell’uomo di scienza si differenzia completamente da quella dell’antico sapiente. Colui che si occupa di scienza non è più solo il dotto detentore di un sapere indiscutibile, basato sull’autorità degli antichi e per pochi eletti, ma è invece il portatore di un sapere da sottoporre continuamente al giudizio dell’esperienza, da comunicare il più possibile e quindi da formulare in un linguaggio comprensibile. Il nuovo uomo di scienza può appartenere alle categorie più diverse e il nuovo processo culturale si svolge, in gran parte, al di fuori delle università e dei luoghi tradizionali del sapere. I protagonisti di questo processo sono infatti non solo insegnanti universitari, ma anche medici, viaggiatori, farmacisti, o chiunque avesse una curiosità, anche dilettantesca, da far valere. A tutti è aperta l’appartenenza alle società scientifiche, senza che sia necessaria una caratteristica del dotto del tempo, la conoscenza del latino, o una cattedra universitaria.

1.1 La nuova immagine della scienza

Una nuova figura dell’uomo di scienza

La moltiplicazione dei luoghi del sapere

1.2 Leggi di natura e linguaggio matematico Si afferma anche una nuova immagine sia del mondo naturale sia della posizione che l’uomo assume in questo mondo. FILOSOFI A CONFRONTO

L’immagine tradizionale della natura era derivata dalla filosofia aristotelica, che era stata poi riletta in chiave cristiana nel Medioevo. La natura era concepita come ordinata da Dio in senso teleologico: ogni cosa era supposta avere un proprio fine a cui tendere, una propria causa finale, che ne indicava la natura essenziale. Con i risultati della nuova scienza questa immagine viene progressivamente messa in discussione: l’ordine della natura diventa, da teleologico, causale.

58

56_117_scientifica.indd 58

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

Relazioni causali e leggi matematiche

Primato della matematica

Non è più tanto la causa finale lo strumento che consente di cogliere il funzionamento della natura, quanto la causa efficiente: la struttura della natura è retta da relazioni di causa ed effetto, dove la causa è l’evento il cui accadere comporta l’accadere dell’effetto. Anche se non indirizzata verso un fine, la natura, grazie a questo insieme di relazioni causali, conserva un proprio ordine. In essa possono essere rintracciate relazioni costanti che regolano il comportamento dei fenomeni. La natura è quindi retta da regole uniformi, che lo scienziato cerca di formulare in proposizioni di carattere generale, cioè in leggi, e possibilmente in linguaggio matematico. La matematica, che nell’antichità e nel Medioevo era considerata per lo più una costruzione intellettuale astratta, viene ora applicata allo studio della natura e diventa lo strumento principale che accompagna il sorgere della nuova scienza. Come aveva osservato già Leonardo da Vinci (1452-1519), che per alcuni aspetti può essere considerato un precursore della mentalità alla base della rivoluzione scientifica, «nessuna umana investigazione si può dimandare vera scienza, s’essa non passa per le matematiche dimostrazioni».

DAL FINALISMO ALLA CAUSALITÀ FISICA MEDIOEVALE

FISICA MODERNA

OBIETTIVO DELLA SCIENZA

risalire dalla causa finale al fenomeno

individuare le cause efficienti dei fenomeni

PRINCIPIO D’ORDINE DELLA NATURA

ordine teleologico derivato dalla creazione divina

regolarità della natura espressa in leggi, formulate in linguaggio matematico

1.3 Una nuova concezione dell’uomo, della Terra e della natura L’uomo e la Terra non sono più al centro del mondo

Alla concezione tradizionale del mondo corrispondeva una determinata immagine della posizione dell’uomo; ogni cosa era concepita in sua funzione: • l’uomo era il centro della Terra = antropocentrismo; • la Terra il centro dell’universo = geocentrismo. L’organizzazione dell’universo era posta da Dio in relazione all’uomo, aveva influenza sul suo carattere e sul suo destino. Con la nuova scienza, la Terra perde la sua posizione centrale nell’universo e la natura viene progressivamente spersonalizzata. FILOSOFI A CONFRONTO

Questi risultati della nuova scienza si pongono in forte contrasto con gli assunti della filosofia del tempo e con le Sacre Scritture, da cui era derivata l’immagine tradizionale del mondo.

Il rifiuto delle autorità

Per affermare la nuova immagine, la scienza dovrà mettere in discussione queste autorità, rendersi autonoma dalle dottrine dei filosofi del passato e dalla lettera delle Scritture: «i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta», dirà Galileo. Si tratta di un processo lungo e travagliato, di cui illustreremo qui di seguito le tappe più significative. PER SINTETIZZARE • In quale arco cronologico si sviluppa la rivoluzione scientifica? • Quali sono i caratteri della rivoluzione scientifica, secondo Rossi?

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 59

59

06/02/12 14:58

2. La rivoluzione copernicana Il processo di cambiamento scientifico e concettuale chiamato “rivoluzione scientifica”, che nell’arco di circa un secolo e mezzo porta sia alla nascita della scienza moderna sia a una nuova visione del mondo e della posizione dell’uomo al suo interno, ha ufficialmente inizio con la pubblicazione nel 1543 a Norimberga di Le rivoluzioni dei corpi celesti dell’astronomo polacco Niccolò Copernico, dove il termine “rivoluzione” indica il moto attorno a un centro gravitazionale. L’opera di Copernico segna propriamente l’avvio di quella che è stata denominata rivoluzione astronomica o anche rivoluzione copernicana: una trasformazione che inizialmente avviene solo nel campo dell’astronomia, ma che, per le conseguenze che ne risulteranno, si rivelerà una vera rivoluzione delle idee e una trasformazione del modo in cui l’uomo guarda all’universo e al suo rapporto con esso.

Copernico avvia la rivoluzione scientifica

LA VITA E LE OPERE 1473

Niklas Koppernigk (italianizzato in Niccolò Copernico) nasce in Polonia, a Torun (Pomerania), il 19 febbraio.

1491

Studia all’Università di Cracovia dove conosce l’astronomia e se ne appassiona.

1495

Si reca a studiare diritto in Italia, a Bologna, Roma, Padova e Ferrara, dove si laurea in diritto canonico.

1504

Torna a Frauenburg, dove si stabilisce definitivamente. Lavora come amministratore per il duca Alberto di Prussia, come diplomatico per lo zio vescovo. Ma l’interesse più forte e l’occupazione principale di Copernico è l’astronomia.

1507-1512

Lavora all’Abbozzo sulle ipotesi sui moti celesti (De hypothesibus motuum coelestium commentariolus).

1523-1532

Si dedica alla stesura di Le rivoluzioni dei corpi celesti (De revolutionibus orbium coelestium).

1543

Le rivoluzioni viene dato alle stampe da Rheticus (Georg Joachim von Lauchen), quando l’autore stava per morire, a cura del teologo luterano Andrea Osiander, che aggiunse all’opera una celebre e controversa prefazione.

La tesi rivoluzionaria: la Terra si muove intorno al Sole

L’astronomia del Cinquecento

60

56_117_scientifica.indd 60

2.1 Il moto della Terra In che cosa consiste, dunque, la rivoluzione astronomica a cui Copernico dà inizio con la sua opera, e in che senso il suo contributo ha un carattere rivoluzionario? Copernico compie di fatto un rivolgimento: sovverte le posizioni tradizionalmente assegnate alla Terra e al Sole nell’universo, attribuendo alla Terra un moto di rotazione intorno al Sole (sistema eliocentrico) invece che l’inverso. Un rivolgimento che, sottolinea Copernico, è del tutto in accordo con i dati delle osservazioni compiute fino ad allora. Copernico non è il primo, nella storia del pensiero scientifico, a ipotizzare che la Terra si muova. Perché dunque il suo contributo assume un carattere così rivoluzionario? Per comprenderlo, occorre considerare chi era Copernico, il contesto nel quale s’inserisce la sua opera, e quindi il modo in cui egli usa la sua ipotesi del moto della Terra nella costruzione del proprio sistema astronomico. Copernico era uno specialista, un astronomo di grande fama, che si era dedicato in tutto il corso della sua vita professionale allo studio matematico dei moti planetari. Lavorò fino alla morte alla soluzione del problema della corretta descrizione dei moti dei pianeti: un problema che non era ancora stato risolto in modo soddisfacente.

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

Il sistema del mondo dominante con cui si trovava a fare i conti era quello cosiddetto tolemaico, nel quale convivono la fisica aristotelica, l’astronomia tolemaica, alcune correnti neoplatoniche, elementi di astrologia e una certa teologia cristiana.

2.2 Il sistema tolemaico Due pilastri del pensiero scientifico

Il contesto scientifico in cui Copernico opera è dunque dominato, per la fisica, dall’aristotelismo, e per l’astronomia matematica dalla teoria fondata sull’opera dell’astronomo alessandrino Claudio Tolomeo, vissuto nel II secolo d.C. L’astronomia matematica era quella disciplina che si occupava esclusivamente di ottenere un modello matematico adatto per la descrizione dei moti planetari, senza preoccuparsi degli aspetti “fisici”, come per esempio le “cause” di questi moti. 2.2.1 La fisica aristotelica I capisaldi della fisica aristotelica, e della cosmologia tolemai-

ca fondata su di essa, possono essere riassunti schematicamente nei punti seguenti: 1. la distinzione tra: • mondo terrestre, o mondo sublunare, che è il luogo dell’alterazione e del mutamento, dove i moti naturali dei corpi sono rettilinei, difformi e limitati temporalmente; i corpi che lo compongono sono formati da combinazioni dei quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco; • mondo celeste, dove tutto è inalterabile e perenne, gli unici moti ammessi sono quelli circolari (e, in quanto tali, perfetti) uniformi ed eterni; i pianeti, le stelle e le sfere celesti che lo compongono sono formati da un quinto elemento, l’etere o quinta essenza, che è solido, ma imponderabile e trasparente; 2. la distinzione tra: • moti naturali, che sono i moti dei corpi verso i loro luoghi naturali. I moti “verso il basso” per i corpi pesanti, composti in prevalenza da terra o acqua, i moti “verso l’alto” per i corpi leggeri, composti in prevalenza da aria o fuoco; • moti violenti, che sono i moti dovuti all’azione di una forza esterna e quindi cessano quando cessa l’effetto della forza (la causa); 3. la concezione cosmologica che vede l’universo chiuso, delimitato dalla sfera delle stelle fisse, il «primo mobile», il cui moto circolare si trasmette per contatto alle altre sfere fino a giungere alla sfera della Luna, che è il limite inferiore del mondo celeste. La Terra, che per la sua natura non celeste non può avere moto circolare, rimane ferma al centro dell’universo.

LA STRUTTURA DELL’UNIVERSO SECONDO LA FISICA ARISTOTELICA IL DIVENIRE

LE TIPOLOGIE DEI MOVIMENTI

LA COMPOSIZIONE DEI CORPI

ESTENSIONE

MONDO CELESTE

i corpi sono permanenti e immutabili

solo moto circolare uniforme

un unico elemento = quinta essenza

dal cielo delle stelle fisse (limite esterno) fino alla Luna

MONDO SUBLUNARE

alterazione e mutamento continui

movimenti naturali vs movimenti violenti

quattro elementi = terra, aria, acqua, fuoco

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 61

pianeta Terra

61

06/02/12 14:58

Il modello di Eudosso: le sfere omocentriche

Da Eudosso a Tolomeo: gli epicicli, gli eccentrici...

2.2.2 La cosmologia matematica La cosmologia tolemaico-aristotelica è una sorta di

traduzione nella realtà del modello geometrico, del tutto astratto, proposto da Eudosso di Cnido nel IV secolo a.C. Questo modello spiega i fenomeni celesti con l’ausilio di 27 sfere con il medesimo centro (omocentriche) poi portate a 33 dall’astronomo Callippo nella seconda metà del IV secolo, e successivamente a 55 da Aristotele. Lo scopo principale di Eudosso consiste nel trovare una soluzione matematica al problema del moto anomalo dei pianeti che l’osservazione mostrava non essere né circolare né uniforme. A tal fine, egli introduce l’idea che a ogni pianeta corrisponda un diverso sistema di sfere con il medesimo centro, che ruotano di moto uniforme, ma con velocità diverse e con diversa inclinazione le une rispetto alle altre. Non conta, in questa prospettiva, né la causa di queste rotazioni né se le sfere abbiano esistenza reale: le sfere di Eudosso sono cioè puri artifici matematici introdotti per spiegare il movimento dei pianeti. Con l’intento di offrire una migliore aderenza del sistema di calcolo ai fenomeni osservati, Apollonio di Perge e poi Ipparco di Nicea, nel II secolo a.C., escogitano un nuovo tipo di descrizione basato sugli “epicicli” (Figura 1) e sugli “eccentrici” (Figura 2). Questa descrizione viene poi migliorata e codificata da Claudio Tolomeo nel suo Trattato matematico (Mathematikè syntaxis), comunemente noto come Almagesto. E così nasce il sistema detto “tolemaico”.

Figura 1 Teoria degli epicicli. Il disegno A mostra il movimento del pianeta come combinazione di due rotazioni: la rotazione del pianeta descrive un cerchio (epiciclo) intorno a un centro che a sua volta ruota lungo una traiettoria circolare (deferente). Il disegno B mostra l’orbita del pianeta risultante dalla combinazione dei due movimenti di rotazione. Teoria degli eccentrici. Nel disegno è raffigurato il moto di un pianeta (indicato con P) intorno alla Terra (T). La Terra si trova in un punto intermedio tra il centro (C) e la circonferenza dell’orbita. Per questo il sistema che si viene a costituire è detto “eccentrico”. I due punti indicati come Perigeo e Apogeo sono rispettivamente il punto di minima e di massima distanza del pianeta P dalla Terra.

62

56_117_scientifica.indd 62

Figura 2

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

... e gli equanti

Ferma restando l’ipotesi della Terra immobile al centro dell’universo e della rotazione intorno ad essa della sfera delle stelle fisse, il moto di ciascun pianeta viene ora spiegato ricorrendo al moto uniforme del pianeta lungo la circonferenza di un cerchio (l’epiciclo), il cui centro ruota, a sua volta uniformemente, lungo la circonferenza di un cerchio eccentrico rispetto al centro dell’universo, la Terra (sistema geocentrico). La varietà dei moti è quindi rappresentabile introducendo un opportuno numero di epicicli, e facendo talvolta ricorso a un altro tipo di cerchi, gli “equanti” (Figura 3), che non possono in alcun modo essere interpretati in senso fisico, ma che servono come ipotesi ad hoc per salvare il paradigma dell’uniformità dei moti celesti, ivi compresa la distanza variabile dei pianeti dalla Terra. Questa ricchezza e versatilità del sistema di calcolo dell’astronomia tolemaica spiega la sua tenuta e il suo successo per più di mille anni.

Figura 3

Teoria degli equanti. Nel suo movimento intorno alla Terra il pianeta percorre l’epiciclo di centro C. Il movimento è eccentrico poiché il centro del deferente (D) non coincide con la posizione della Terra. Inoltre, C non si sposta uniformemente rispetto a D, ma rispetto al punto equante (E), collocato in posizione opposta alla Terra rispetto a D. Questa caratteristica del movimento del pianeta può essere descritta anche attraverso le linee VE e BD: con il movimento del pianeta la linea VE si sposta uniformemente (percorre angoli uguali in tempi uguali), mentre lo spostamento della linea BD non è uniforme.

2.3 Il sistema copernicano FILOSOFI A CONFRONTO

Delle due anime rispettivamente fisica e matematica del sistema del mondo tolemaico, la fisica aristotelica e l’astronomia matematica basata sull’Almagesto di Tolomeo, è soprattutto la seconda a essere oggetto di critica da parte di Copernico.

Critica del sistema di Tolomeo

Che cosa disturba maggiormente Copernico nell’astronomia tolemaica? Non il fatto che non fosse in grado di rendere conto adeguatamente di tutti i fenomeni osservati. Copernico stesso non è un grande osservatore e, dal punto di vista del “salvare i fenomeni”, ossia costruire una teoria coerente con i dati osservativi, la sua astronomia non sarebbe molto superiore a quella precedente. A spingere Copernico a sostenere la centralità del Sole nell’universo (sistema eliocentrico), e la conseguente riduzione della Terra a un pianeta ruotante insieme agli altri pianeti attorno al Sole, sono piuttosto motivi di altra natura: • innanzitutto, la divergenza che egli avverte tra la fisica aristotelica – che sostiene la perfetta circolarità dei moti celesti – e l’astronomia tolemaica – i moti planetari descritti nella teoria tolemaica non sono sempre circolari uniformi;

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 63

63

06/02/12 14:58

Gli influssi pitagorici e platonici

Copernico costruisce una nuova teoria matematica dei moti celesti

• in secondo luogo, l’influsso sul suo pensiero del pitagorismo e del platonismo, che lo porta ad attribuire un significato particolare sia alla presenza di perfette simmetrie e armonie nel suo sistema del mondo, sia al ruolo centrale del Sole, al quale assegna una dignità particolare, una natura “regale”. Copernico, dunque, rimuove la Terra (e con essa l’umanità) dal centro del mondo e ne fa un pianeta ruotante, insieme ad altri, intorno al Sole. Ma, a differenza di coloro che già nel passato avevano avanzato l’ipotesi del moto della Terra – come, nell’antichità, il pitagorico Filolao e Aristarco di Samo –, Copernico costruisce un complesso sistema matematico, una vera e propria teoria attorno a tale ipotesi (Figura 4).

Figura 4 L’elaborazione della teoria

Sistema copernicano. La sfera delle stelle fisse (I) è la parte più esterna del cosmo ed è immobile; al suo interno si trovano, concentriche, le orbite dei pianeti, nell’ordine: Saturno (II, compie una rivoluzione o rotazione completa ogni 30 anni), Giove (III, una rivoluzione ogni 12 anni), Marte (IV, una rivoluzione ogni 2 anni), la Terra (V, una rivoluzione ogni anno), circondata a sua volta dall’orbe lunare, quindi Venere (VI, una rivoluzione ogni 9 mesi), Mercurio (VII, una rivoluzione ogni 80 giorni). Al centro si trova il Sole.

Le tesi centrali di questa costruzione, la completa elaborazione della quale è contenuta in Le rivoluzioni dei corpi celesti, sono chiaramente formulate già nel testo Abbozzo sulle ipotesi sui moti celesti (De hypothesibus motuum coelestium commentariolus), che si suppone Copernico scriva tra il 1507 e il 1512 e sono le seguenti: 1. non esiste un solo centro di tutti i corpi celesti; 2. il centro della Terra non è il centro dell’universo, ma solo della gravità e della sfera della Luna; 3. tutte le sfere ruotano intorno al Sole come al loro punto centrale; 4. la distanza della Terra dal Sole è impercettibile in confronto all’altezza del firmamento; 5. la Terra, con gli elementi a lei più vicini compie una completa rotazione sui suoi poli fissi in un moto diurno, mentre il firmamento e il più alto cielo rimangono immobili; 6. ciò che ci appare come movimento del Sole non deriva dal suo moto, ma dal moto della Terra. La Terra ha pertanto più di un movimento; 7. l’apparente moto dei pianeti non deriva dal loro moto, ma da quello della Terra. Il moto della sola Terra è pertanto sufficiente a spiegare tutti i movimenti che vediamo nel cielo. Il testo dell’Abbozzo circola solo come manoscritto e ha già una certa diffusione. Gli anni 1523-1532 sono, probabilmente, quelli in cui Copernico lavora alla stesura di Le rivoluzioni dei corpi celesti, che fu pubblicato solo nella primavera del 1543, poco prima della sua morte.

La teoria di Copernico come ipotesi: il consiglio pragmatico di Osiander

2.4 La disputa su Le rivoluzioni dei corpi celesti Le rivoluzioni viene pubblicato dall’editore Petreio di Norimberga, sotto la cura del teologo luterano Andrea Osiander (1498-1552). Questi suggerisce a Copernico, in una lettera del 20 giugno 1541, di presentare la sua teoria come un’ipotesi puramente matematica, poi-

64

Il Quattrocento e il Cinquecento

56_117_scientifica.indd 64

06/02/12 14:58

La convinzione realistica di Copernico e l’interpretazione di Osiander

Seguaci di Copernico

La posta in gioco è un intero sistema del mondo

ché il moto della Terra, se interpretato come moto reale, andava contro la lettura corrente delle Sacre Scritture. In esse, infatti, esiste un passo in cui Giosuè ordina al Sole, non alla Terra, di fermarsi. Il suggerimento di Osiander viene rifiutato da Copernico, che nella Dedica al papa Paolo III riconferma la propria convinzione realistica (il suo sistema non è uno dei tanti, ma quello vero), oltre a sottolineare la maggiore semplicità e armonia del suo sistema rispetto a quello tolemaico. Il rifiuto di Copernico di presentare il moto della Terra come mera ipotesi non impedisce tuttavia a Osiander di premettere una prefazione anonima alla prima edizione dell’opera, nella quale viene asserito il carattere puramente ipotetico non solo della teoria copernicana ma di qualsiasi teoria astronomica. Questa interpretazione pragmatica di Osiander – non importa che le ipotesi siano vere, basta che “salvino i fenomeni” – trova terreno fertile presso chi voleva servirsi dei vantaggi indubbi dell’astronomia copernicana, senza tuttavia impegnarsi sul fronte della realtà o meno delle sue tesi. Molti astronomi si servono, per esempio, dei risultati delle Rivoluzioni pur non accettando che la Terra si muova. In particolare, tutti si servono delle nuove tavole planetarie note come “tavole pruteniche” (in quanto dedicate al duca di Prussia), compilate sulla base delle tecniche matematiche e dei risultati di Copernico da Erasmo Reinhold (1511-1553) nel 1551. Lo stesso Reinhold, d’altronde, non si dichiarava seguace di Copernico. Ma la disputa sulle tesi copernicane non rimane certo limitata al mondo dell’astronomia, per quanto Le rivoluzioni sia un’opera a carattere molto tecnico – contenente, in gran parte, formule matematiche, diagrammi e tavole – e rivolta essenzialmente a un pubblico di esperti. Come già accennato, la trasformazione dell’astronomia operata da Copernico apre le porte a radicali mutamenti anche in altri campi, dalla cosmologia e dalla fisica alla filosofia e alla religione. Alla rivoluzione astronomica messa in moto da Copernico si accompagna un processo di trasformazione più profondo che, come abbiamo visto, prende il nome di “rivoluzione scientifica”, e in virtù del quale, per dirla con lo storico della scienza Alexandre Koyré (1892-1964), «l’uomo ha perso il suo posto nel mondo, o forse più correttamente ha perso il mondo stesso che formava il quadro del suo pensiero e l’oggetto della sua

Niccolò Tornioli, Gli astronomi, 1645. Roma, Galleria Spada.

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 65

65

06/02/12 14:58

conoscenza, e ha dovuto trasformare e sostituire non solo le sue concezioni fondamentali, ma le strutture stesse del suo pensiero». FILOSOFI A CONFRONTO

La posta in gioco nella disputa circa il carattere ipotetico o realistico delle tesi di Copernico è quindi molto alta. Per gli oppositori di Copernico si tratta non tanto di difendere il precedente sistema astronomico, quanto di evitare la catena di conseguenze a cui l’accettazione della verità di Copernico può condurre.

CONFRONTO TRA SISTEMA TOLEMAICO E COPERNICANO SISTEMA TOLEMAICO

SISTEMA COPERNICANO

il Sole gira intorno alla Terra

VS

la Terra e tutte le altre sfere girano intorno al Sole

sfere omocentriche e vari tipi di descrizioni per i moti anomali degli astri (epicicli, eccentrici, equanti)

VS

teoria semplice e unitaria per spiegare i moti: il moto della Terra spiega tutti gli altri

sfere come puri artifici matematici

VS

il sistema riproduce la realtà del cosmo

uomo e Terra al centro dell’universo

VS

perdita di centralità dell’uomo e della Terra

• i calcoli di Copernico sono esatti e utilizzabili in astronomia • concezione ipotetica della teoria copernicana e di ogni teoria astronomica

posizione di Osiander

PER SINTETIZZARE • La rivoluzione copernicana è solo una rivoluzione dell’astronomia? • Quali sono i principi della fisica aristotelica? • Il modello delle sfere di Eudosso che rapporto ha con la realtà fisica? • Che cosa sono gli epicicli, nella cosmologia tolemaica? • Quali sono i temi platonici presenti nella teoria copernicana? • Che rapporto esiste, secondo Copernico, tra moto della Terra e moti dei pianeti? • Su quale aspetto divergono le tesi di Copernico e di Osiander?

66

56_117_scientifica.indd 66

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

3. Il compromesso di Tycho Brahe Se a Copernico si deve la trasformazione della teoria astronomica, al danese Tyge (Tycho) Brahe (1546-1601), che nasce tre anni dopo la pubblicazione delle Rivoluzioni e sarà la figura dominante, in campo astronomico, degli ultimi decenni dell’astronomia cinquecentesca, si deve un contributo fondamentale all’innovazione delle tecniche e dei metodi dell’osservazione dei pianeti e delle stelle. Tycho Brahe è ritenuto il migliore degli osservatori a occhio nudo della storia dell’astronomia.

Un eccezionale osservatore

LA VITA E LE OPERE 1546

Tyge (Tycho) Brahe nasce a Knudstrup, in Danimarca. Di nobili origini (era figlio del governatore del castello di Helsingborg), si interessa presto di astronomia e di astrologia.

1573

Rende conto nello scritto Una nuova stella (De nova stella) dei risultati delle sue osservazioni, culminate nella scoperta, l’11 novembre del 1572, di un nuovo luminosissimo corpo celeste.

1576

Si trasferisce ad Hveen, un’isoletta donatagli dal re danese Federico II, dove costruisce l’osservatorio di Uraniborg, a cui si aggiunge poi quello sotterraneo di Stjoerneborg.

1597

In seguito a disaccordi sorti con il nuovo re di Danimarca Cristiano IV, lascia l’isola, per andare due anni dopo a stabilirsi in un altro castello-osservatorio vicino a Praga, nel ruolo di matematico imperiale.

1588

Pubblica i risultati degli anni di Uraniborg, durante i quali aveva compiuto ricerche sistematiche sulle comete, in Il secondo libro su alcuni recenti fenomeni del mondo celeste (De mundi aetherei recentioribus phaenomenis liber secundus).

1601

Muore a Praga.

3.1 Le scoperte di Brahe Osservazione, strumenti, anomalie

Un eccezionale osservatore

La scoperta di una nuova stella: un cambiamento nei cieli

Nel corso della sua vita, non solo esegue numerosissime osservazioni delle posizioni dei corpi celesti, procurandosi strumenti (come astrolabi, sestanti e quadranti) sempre più precisi – spesso disegnandoli, costruendoli e calibrandoli lui stesso –, ma dà anche una svolta all’osservazione dei moti planetari. Brahe promuove infatti la pratica di osservare i pianeti con regolarità durante tutto il loro moto orbitale, e non solo quando si presentano in una configurazione particolarmente favorevole, come invece si usava fare. Questa innovazione dà subito importanti risultati, come per esempio la scoperta di numerose anomalie nelle orbite dei pianeti rispetto a quanto ottenuto o previsto con i dati e con le teorie a disposizione fino ad allora. Inoltre, la sera dell’11 novembre del 1572 si verifica un evento che doveva renderlo famoso: osserva un nuovo corpo celeste, luminosissimo, nella costellazione di Cassiopea. La nuova stella osservata da Brahe (oggi sappiamo che si trattava dell’esplosione di una supernova), suscita subito un enorme interesse in tutta Europa e viene seguita con grande attenzione nei diciotto mesi in cui rimane visibile, perdendo via via luminosità fino a scomparire agli inizi del 1574. Grazie ai suoi strumenti sofisticati, Brahe riesce a stimarne con una discreta precisione la distanza dalla Terra. In base alle sue stime, di cui rende conto nello scritto Una nuova stella (De nova stella) del 1573, la «nova» risulta posizionata ben al di là del sistema solare, in prossimità di quella che allora si chiamava la sfera delle «stelle fisse». Ciò dimostra che qualcosa di mutevole è quindi presente anche nei cieli ritenuti immutabili, contro la convinzione – fondata sulla cosmologia e sulla fisica aristoteliche – che la mutabilità sia propria solo del mondo sublunare.

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 67

67

06/02/12 14:58

Una cittadella in Danimarca per osservare le stelle

Le comete: altri mutamenti nelle regioni eteree

Nel 1576 il re danese Federico II offre in dono a Brahe l’isoletta di Hveen, insieme a una ricca dotazione annua, per convincerlo a svolgere le proprie ricerche in Danimarca (anziché a Basilea, dove Brahe aveva manifestato l’intenzione di stabilirsi). L’offerta viene accettata e Brahe fa costruire sull’isola una specie di cittadella dell’astronomia, il castello-osservatorio di Uraniborg (Città di Urano). Il castello, al quale viene aggiunto anche un secondo osservatorio sotterraneo chiamato Stjoerneborg (Città delle stelle) – formato da nicchie scavate nel terreno per evitare i disturbi dovuti alle eventuali vibrazioni degli edifici –, diventa presto il luogo privilegiato di formazione per molti giovani astronomi europei. Brahe vi resterà fino al 1597. Negli anni successivi al suo arrivo a Hveen, Tycho Brahe conduce una sistematica osservazione delle comete, a partire dallo studio della grande cometa avvistata nel 1577. Grazie alle sue precise misure, Brahe riesce a dimostrare in modo conclusivo come le comete osservate abbiano «parallassi» piccolissime e siano quindi, anch’esse (come la stella nuova del 1572), molto più lontane dalla Terra di quanto non lo sia l’orbita della Luna. La parallasse è il fenomeno per cui un oggetto (una stella) sembra spostarsi rispetto allo sfondo (la volta celeste) se si cambia il punto di osservazione (per esempio per effetto del moto della Terra), e che risulta tanto minore quanto più l’oggetto è lontano dal punto di osservazione (Figura 5). Figura 5

Parallasse lunare. Nel disegno in alto vediamo spiegato l’effetto di parallasse attraverso il confronto tra due casi di osservazione della Luna. L’osservatore nel punto A della superficie terrestre vede la Luna (L) guardando in direzione del punto L2 sulla sfera delle stelle fisse. L’osservatore nel punto B, invece, vede la Luna guardando in direzione di L1 e quindi come sfondo della Luna vede una diversa porzione della sfera delle stelle fisse. L’effetto cambia a seconda della posizione della Luna; nel disegno in basso vediamo i due casi estremi: quando la Luna è collocata allo Zenit (punto Z) l’effetto di parallasse è nullo, quando la Luna è collocata all’orizzonte (O) l’effetto è massimo.

Le orbite delle comete trasgrediscono il moto circolare

In base alla dimostrazione di Brahe risulta dunque che le comete non si trovano nel mondo sublunare, come pensavano gli aristotelici, ma «nelle regioni eteree del mondo», e le loro orbite possono attraversare le sfere planetarie. Questo fatto mette decisamente in difficoltà la tesi aristotelica della realtà delle sfere celesti: come possono essere sfere solide di cristallo, se vengono attraversate dalle orbite di corpi celesti?

68

Il Quattrocento e il Cinquecento

56_117_scientifica.indd 68

06/02/12 14:58

FILOSOFI A CONFRONTO

Lo studio delle orbite delle comete porta Brahe, oltre alla negazione del carattere materiale delle sfere orbitali, all’abbattimento di un altro dogma dell’astronomia a lui precedente, sia tolemaica sia copernicana: la tesi della perfetta circolarità dei moti celesti.

In base ai dati osservativi che ha raccolto, egli arriva infatti a ipotizzare che l’orbita della cometa del 1577 abbia forma ovale invece che circolare. Si tratta della prima volta, nella storia dell’astronomia, in cui viene ipotizzato che un corpo celeste possa muoversi lungo un’orbita che non sia circolare. Sarà comunque solo con Keplero che un’ipotesi di tale natura assumerà concretezza, tanto da diventare, come vedremo, la base della prima delle tre leggi dei moti planetari da lui formulate.

3.2 Il sistema ticonico A metà strada tra Tolomeo e Copernico

L’opera Il secondo libro su alcuni recenti fenomeni del mondo celeste (De mundi aetherei recentioribus phaenomenis liber secundus), stampata a Uraniborg nel 1588, in cui sono raccolti ed elaborati i risultati di questi studi di Brahe, è famosa anche per il nuovo sistema astronomico che vi viene proposto, noto come «sistema ticonico del mondo». FILOSOFI A CONFRONTO

Sulla base delle numerosissime osservazioni effettuate, Brahe giunge a elaborare un proprio sistema della disposizione dei pianeti e delle stelle, a carattere intermedio – o di compromesso – tra quello tolemaico e quello copernicano.

Ciò che resta del sistema tolemaico Critica del sistema copernicano

Critica del sistema tolemaico

Il compromesso di Brahe

Del sistema tolemaico Brahe mantiene la tesi fondamentale: l’immobilità della Terra e la sua centralità nell’universo. La Terra è al centro di un universo che è racchiuso dalla sfera delle stelle, la cui rotazione giornaliera spiega i moti stellari circolari. Le motivazioni che spingono Brahe a rifiutare l’ipotesi copernicana del moto della Terra sono di vario tipo: 1. attribuire movimento alla Terra urta «non solo contro i principi della fisica, ma anche contro l’autorità delle Sacre Scritture che confermano in vari passi la stabilità della Terra»; 2. il fatto che non si osservi alcun effetto di parallasse stellare porterebbe a supporre, nel sistema copernicano, una distanza immensa («un vastissimo spazio vuoto interposto») tra l’orbita di Saturno e la sfera delle stelle fisse: supposizione impossibile per Brahe; 3. inoltre, se la Terra fosse in moto, una pietra lasciata cadere da una torre raggiungerebbe il suolo lontano dalla sua base (qui Brahe aderisce a quella che è la credenza comune), al contrario di quanto di fatto osservato. Ma anche il sistema tolemaico viene respinto da Brahe: 1. la distribuzione tolemaica delle orbite non è abbastanza coerente; 2. è superfluo il ricorso agli epicicli, mentre «la moderna innovazione introdotta dal grande Copernico» permetteva di evitare «tutto ciò che nel sistema tolemaico risultava superfluo e incoerente, senza contravvenire ai principi della matematica». Qual è dunque la soluzione di Brahe, l’ipotesi che a suo giudizio consente il migliore compromesso tra i due sistemi precedenti, evitando le assurdità contenute in entrambi? Una ipotesi che non fosse in contrasto né con la matematica né con la fisica; che non si esponesse alle censure teologiche e che, nello stesso tempo, salvasse i fenomeni celesti? Il compromesso a cui arriva Brahe è il seguente: come nel sistema tolemaico, la Terra è al centro delle orbite del Sole e della Luna; ma – e qui inizia la differenza con il sistema tolemaico e la vicinanza con quello copernicano – è il Sole, non la Terra, a essere al centro

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 69

69

06/02/12 14:58

delle orbite degli altri cinque pianeti (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno; Figura 6).

Sistema ticonico. Viene raffigurata la struttura del sistema del mondo di Tycho Brahe: la Terra è al centro delle orbite della Luna e del Sole, mentre i pianeti girano intorno al Sole; all’esterno si trova il firmamento delle stelle fisse.

Figura 6

FILOSOFI A CONFRONTO

Il sistema misto, in parte geocentrico e in parte eliocentrico, così proposto da Brahe ha il doppio vantaggio di essere, dal punto di vista dei calcoli delle posizioni dei pianeti, del tutto equivalente a quello copernicano, e dal punto di vista della religione e del senso comune, in accordo con le concezioni tradizionali.

Viene quindi bene accolto da quanti vogliono conservare i vantaggi matematici del sistema copernicano ed evitare, allo stesso tempo, gli inconvenienti fisici, cosmologici e teologici che il moto della Terra sembra comportare.

IL SISTEMA TICONICO COME TEORIA DEL COMPROMESSO

SISTEMA TICONICO

collocazione della Terra

ferma al centro sistema tolemaico

collocazione del Sole

orbita attorno alla Terra

orbite dei pianeti

hanno come centro il Sole sistema copernicano

strutture ad hoc (epicicli)

70

56_117_scientifica.indd 70

non sono necessarie, quindi non ci sono

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

PER SINTETIZZARE • Qual è il maggior contributo di Tycho Brahe alla rivoluzione scientifica? • Che cosa dimostra per Brahe l’osservazione di una nuova stella? • Come era strutturato l’osservatorio di Brahe? • Che cos’è una parallasse? • Quali sono i motivi per respingere il copernicanesimo, secondo Brahe?

4. Giovanni Keplero: verso una moderna fisica dei cieli Nell’ultimo periodo della sua vita, Tycho Brahe ha un assistente d’eccezione: Giovanni Keplero (1571-1630). Del giovane astronomo, convinto assertore del sistema copernicano, Brahe aveva molto apprezzato l’opera prima, nota con il titolo abbreviato di Mistero cosmografico (Mysterium cosmographicum, 1595). Dal febbraio del 1600 Keplero, su invito del grande astronomo danese, si trasferisce in Boemia, e lì rimane fino al 1612, sostituendo Brahe, dopo la morte di questi nell’ottobre del 1601, nel ruolo di Matematico imperiale. Keplero ha dunque la straordinaria opportunità di avere a disposizione il ricchissimo patrimonio di dati osservativi raccolti da Brahe. Su questo patrimonio, da lui definito «l’opera più importante di Tycho», egli si sentì chiamato a costruire l’edificio della vera teoria astronomica, l’architettura dell’universo.

Assistente di Tycho Brahe

LA VITA E LE OPERE 1571

Johannes Kepler (o Keplero, dalla forma latinizzata Keplerus) nasce a Weil der Stadt, cittadina vicino a Stoccarda. Compie i suoi studi in Germania, all’Università di Tubinga.

1594

Si trasferisce in Austria, a Graz, con l’incarico di insegnante di matematica.

1596

Pubblica la sua prima opera, il Mistero cosmografico (Mysterium cosmographicum), ristampato nel 1621.

1600

Su invito del grande astronomo danese Brahe, si trasferisce in Boemia, a Praga, dove rimane fino al 1612, divenendo prima assistente di Brahe e poi sostituendo il maestro dopo la morte (1601) nell’incarico di Matematico imperiale.

1609

Gli anni boemi vengono dedicati allo studio dell’orbita di Marte, i cui risultati sono pubblicati nella sua opera principale, Nuova astronomia delle cause, o Fisica dei cieli (Astronomia nova seu physica coelestis).

1611

Esce la Diottrica (Dioptrica) che tratta dei fondamenti dell’ottica del telescopio.

1612

Keplero si trasferisce a Linz, dove ricopre la carica di Matematico del distretto.

1619

Keplero dà alle stampe l’Armonia del mondo (Harmonices mundi libri quinque) in cui compare la terza legge e la teoria sul rapporto tra cosmologia e leggi dell’armonia musicale.

1627

Pubblica a Ulm, dove si è trasferito l’anno precedente, le Tavole rudolfine.

1630

Muore a Ratisbona.

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 71

71

06/02/12 14:58

La ricerca delle ragioni della struttura del sistema planetario

Le tre questioni fondamentali

Una formazione copernicana

4.1 Il Mistero cosmografico Trovare una soluzione definitiva al problema della struttura del sistema planetario, e in particolare svelare le ragioni di tale struttura, il perché del numero e dei moti dei pianeti e delle dimensioni delle loro orbite, costituisce l’obiettivo di tutta l’attività scientifica di Keplero. Perché i pianeti sono di quel dato numero, perché sono disposti precisamente a quelle date distanze dal Sole, e perché possiedono quelle determinate velocità nel loro moto orbitale sono dunque le domande fondamentali che si pone Keplero, e alle quali risponderà, a tappe progressive, fino al completamento della sua visione cosmologica con l’Armonia del mondo (Harmonices mundi) del 1619. Quando compone il Mistero, nel corso del 1595, Keplero non ha ancora a disposizione i dati osservativi di Brahe, ma conosce bene quelli utilizzati da Copernico e la teoria di quest’ultimo. Keplero era stato introdotto al sistema copernicano durante gli studi all’Università di Tubinga dal suo “Maestro di Matematica”, Michael Maestlin (1550-1631), che era un sostenitore di Copernico. FILOSOFI A CONFRONTO

Keplero viene subito talmente attratto dalla teoria copernicana da prenderne apertamente le difese, cercando al tempo stesso di svilupparla integrandone le «ragioni matematiche» con «ragioni fisiche e metafisiche».

La credenza nell’armonia del mondo

L’interesse per l’astrologia

L’armonia come nozione fondata sulla matematica

I poliedri platonici

L’architettura geometrica del cosmo

72

56_117_scientifica.indd 72

Una prima articolazione di queste ragioni è contenuta nel Mistero, ed è fondata sulla profonda convinzione che dominerà tutta la vita sia personale sia scientifica di Keplero: quella dell’esistenza di un’«armonia del mondo» che, espressione della perfezione di Dio, si manifesta in tutti gli aspetti del creato, dal sistema solare alle relazioni umane, e li connette fra loro. Da questo punto di vista, risulta naturale l’interesse che Keplero nutre anche per l’astrologia, tanto da dedicare addirittura un’opera ai fondamenti di questa disciplina, considerata come un settore dell’astronomia. Un interesse che, tra l’altro, gli porta un certo successo quando, finiti gli studi, si trova a occupare, nel 1594, il doppio incarico di insegnante di matematica al seminario protestante di Graz, capitale della provincia austriaca della Stiria, e di “Matematico della provincia”. Tra i compiti che quest’ultima carica comportava, c’è infatti anche quello di stilare un calendario annuale con l’oroscopo, e Keplero si distingue subito riuscendo ad azzeccare alcune previsioni, come quella della particolare ondata di freddo che si avvera l’anno dopo il suo arrivo e quella di un’invasione dei turchi in Europa. Parlando di “armonia” Keplero, influenzato dalle tradizioni pitagorica e neoplatonica, intende qualcosa di ben preciso, fondato sulla matematica, e cioè relazioni aritmetiche e figure geometriche. Mosso dalla persuasione che ci debba essere una ragione per tutto ciò che Dio ha creato e che questa ragione sia di natura matematica, è attraverso strumenti come le proporzioni e le figure regolari che Keplero cerca una soluzione al problema planetario. Tra le figure regolari, sono i cosiddetti poliedri platonici a fornire la chiave di volta della costruzione cosmografica del Mistero. Scrive Keplero nell’introdurre l’opera: «Mi sono proposto di dimostrare, con questa operetta, o lettore, che Dio Ottimo Massimo, nella costruzione del mondo e nella disposizione dei cieli, guardò ai cinque corpi solidi regolari che tanto sono stati celebrati fino dal tempo di Pitagora e Platone e che dispose numero, proporzioni e movimenti delle cose celesti secondo le proprietà di quei corpi». In che modo, per Keplero, Dio avrebbe usato i cinque solidi regolari nella costruzione del mondo? Disponendo le cose in accordo alla seguente architettura: i pianeti si muovono su sfere tutte centrate sul Sole e ordinate in modo tale che ognuno dei cinque poliedri si trovi incluso tra due sfere, secondo una precisa disposizione fondata su proporzioni numeriche.

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

Procedendo dall’esterno verso l’interno (cioè verso il Sole), ai pianeti Saturno, Giove, Marte, Terra, Venere e Mercurio (i sei pianeti allora conosciuti) corrispondono sei sfere concentriche, separate l’una dall’altra, nell’ordine, da un cubo (esaedro), un tetraedro, un dodecaedro, un ottaedro, e un icosaedro (Figura 7).

Figura 7

I cinque poliedri platonici nella teoria di Keplero. Nel disegno A sono raffigurati i cinque poliedri regolari già utilizzati da Platone nel Timeo (rispettivamente cubo, tetraedro, dodecaedro, icosaedro e ottaedro). Nel disegno B, invece, si vede come essi sono utilizzati nel sistema planetario di Keplero: i cinque solidi sono inscritti, uno dopo l’altro, nelle sfere dei pianeti, seguendo l’ordine di cui al disegno A, dalla sfera più esterna (quella di Saturno, in cui è inscritto un cubo) alla più interna (quella di Mercurio, in cui è inscritto un ottaedro).

FILOSOFI A CONFRONTO

L’idea di utilizzare figure geometriche come i poliedri regolari nella descrizione del mondo fisico non è certo nuova nella storia della scienza – basti pensare al ruolo di questi poliedri nella dottrina degli elementi contenuta nel Timeo di Platone. Ma il modo in cui Keplero traduce quest’idea è del tutto inedito.

Il perché del numero dei pianeti

Le ragioni fisiche e metafisiche delle distanze nel sistema planetario

Esempi delle ragioni di Keplero

Come racconta Keplero stesso, egli arriva alla sua particolare costruzione cosmografica sviluppando un’idea che gli era balenata in mente, nel corso di una lezione, mentre illustrava con un disegno un fenomeno relativo alle congiunzioni dei pianeti. I pianeti sono sei perché ci sono solo cinque solidi regolari possibili. Così Keplero risponde alla prima delle tre domande base che motivano la sua opera. La costruzione fondata sui poliedri platonici gli fornisce una risposta anche alla seconda domanda: quella relativa alle distanze dei pianeti dal Sole. Le ragioni che adduce per la sua teoria dei solidi regolari, cioè perché i solidi siano disposti proprio in quel modo tra le sfere planetarie, sono di natura fisica, matematica (come quella che giustifica il numero dei pianeti), ma anche metafisica, teologica e astrologica. Per esempio: poiché i corpi regolari si distinguono, in base alle proprietà matematiche, in due generi (il cubo, il tetraedro e il dodecaedro sono «corpi primari», l’ottaedro e l’icosaedro «corpi secondari»), la Terra, in quanto abitata dall’uomo che è il fine della creazione, è “degna” d’essere posta tra i due generi di corpi. Il cubo ha la posizione più esterna perché rappresenta il solido più importante (essendo, tra le altre cose, l’unico solido generato dalla propria base, l’unico a indicare con i suoi elementi le tre direzioni dello

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 73

73

06/02/12 14:58

Un salto di qualità: il confronto con i dati osservativi di Brahe

Le ragioni delle variazioni di velocità

Il Sole come anima motrice

spazio, l’unico ad avere sei lati come nell’uomo sono sei le possibili orientazioni). Il cubo, con i suoi angoli retti, si addice al carattere inesorabile e inflessibile di Saturno, l’ottaedro, per la sua mobilità, si addice alla versatilità e rapidità d’ingegno di Mercurio e via dicendo. L’uso dei poliedri platonici, per quanto basato in larga parte su ragioni che oggi non chiameremmo scientifiche, non è frutto di mera speculazione per Keplero. La sua architettura planetaria deve rendere conto dei valori osservati per le dimensioni delle orbite e per i moti dei corpi celesti. È dunque con grande entusiasmo che Keplero si reca da Tycho Brahe in Boemia: finalmente avrà a disposizione dati osservativi in gran numero, e ben più precisi di quelli precedenti, per verificare l’accordo della sua teoria cosmografica con l’esperienza. Il confronto con i dati di Brahe spingerà Keplero a modificare, in parte, la sua teoria, ma non lo porterà mai ad abbandonare del tutto il suo uso dei cinque solidi regolari. Tanto che, ancora nel 1621, curerà una ristampa del Mistero. La teoria dei poliedri platonici fornisce una risposta alle prime due domande (relative, rispettivamente, al numero dei pianeti e alle loro distanze dal Sole), ma non alla terza domanda: rimane da spiegare perché i pianeti abbiano velocità che variano non solo da pianeta a pianeta (la velocità risulta tanto minore quanto più distante è il pianeta dal Sole) ma anche all’interno di ogni orbita. La soluzione che propone Keplero nel Mistero è la seguente: il Sole viene visto come la causa fisica del moto dei pianeti, la loro «anima motrice». Questo potere solare mette in moto i pianeti e, distribuendosi nello spazio, si indebolisce con la distanza. Anche in questo caso coesistono, nella descrizione di Keplero, ragioni di varia natura, in cui entrano in gioco, per il ruolo fisico del Sole, considerazioni relative anche alla sua “bellezza” («il Sole è il corpo più bello, in qualche modo l’occhio del mondo»), alla sua luminosità (che «adorna, dipinge e abbellisce gli altri corpi del mondo»), al suo calore («il Sole è il focolare del mondo»), e così via.

LE DOMANDE E LE RISPOSTE DI KEPLERO NEL MISTERO COSMOGRAFICO domande

risposte

NUMERO DEI PIANETI

perché ci sono esattamente sei pianeti?

perché ci sono solo cinque poliedri regolari

ESTENSIONE DELLE ORBITE DEI PIANETI

perché si trovano esattamente alle distanze che hanno dal Sole?

perché i poliedri regolari hanno una determinata successione, spiegabile con ragioni teologiche, matematiche e astrologiche

PERIODO DELLE ORBITE DEI PIANETI

perché hanno le velocità e le orbite esattamente di quelle misure?

perché il potere di attrazione del Sole, la loro anima motrice, diminuisce la sua azione all’aumentare della distanza

Un emblema dell’evoluzione della scienza

74

56_117_scientifica.indd 74

Questo intrecciarsi di geniali intuizioni fisiche e acute soluzioni matematiche con considerazioni di tutt’altro tipo è caratteristico dell’intera opera di Keplero. Per questa sua doppia natura, razionale e sperimentale da una parte, mistica e metafisica dall’altra, la figura di

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

Keplero come scienziato è un emblema del processo evolutivo che avviene all’interno del sapere scientifico tra il Cinquecento e il Seicento. PER SINTETIZZARE • Come intende integrare il sistema copernicano Keplero? • Qual è il giudizio di Keplero sull’astrologia? • Qual è il centro del cosmo di Keplero? • Che rapporto c’è tra Keplero e Brahe? • Che tipo di potere esercita il Sole sui pianeti, secondo Keplero?

4.2 La «nuova astronomia» e le prime due leggi Le tavole “rudolfine”

La Nuova astronomia, il capolavoro di Keplero

L’orbita di Marte: la più eccentrica

Orbite ellittiche

La prima legge

La seconda legge

Appena arrivato in Boemia, Keplero riceve l’incarico di occuparsi del problema dell’orbita di Marte, in vista della preparazione di nuove tavole astronomiche, dette “rudolfine”, in onore dell’imperatore Rodolfo II. Queste tavole dovevano sostituire, sulla base dei nuovi dati osservativi raccolti da Brahe, quelle precedenti note come “pruteniche” e vedranno la luce, per opera di Keplero, solo nel 1627. Il moto orbitale di Marte era rimasto fino ad allora un mistero, per le numerose irregolarità che presentava e che nessuno dei sistemi astronomici esistenti permetteva di spiegare. Keplero impiegherà sei anni per venire a capo del problema, ma tutto il lavoro che compirà in questi anni è di capitale importanza in quanto gli permetterà di rivoluzionare la «fisica dei cieli». Il risultato di questa sua fatica è contenuto nella sua opera più importante, Nuova astronomia delle cause, o Fisica dei cieli (Astronomia nova), che termina di scrivere nel 1606 ma non riesce a far pubblicare prima del 1609 (lo stesso anno in cui Galileo punterà il suo cannocchiale verso il cielo). Un lavoro a proposito del quale il grande astronomo e storico della scienza John L.E. Dreyer (1852-1926) ha affermato che «nella storia dell’astronomia ci sono solo altre due opere di pari importanza, Le rivoluzioni di Copernico e i Principi di Newton». Che cosa ottiene dunque Keplero di così rilevante combattendo con le difficoltà collegate al moto di Marte? Marte è il pianeta più eccentrico, in quanto la sua orbita si discosta da una circonferenza più di quelle degli altri pianeti. Questo significa che, proprio perché è il pianeta che presenta maggiori irregolarità quando si cerchi di descriverlo per mezzo di un’orbita circolare, è anche il pianeta il cui studio più facilmente può suggerire la vera forma dell’orbita. E infatti è proprio studiando i problemi posti dall’orbita di Marte, alla luce dei dati di Brahe, che Keplero arriva alla rivoluzionaria conclusione che le orbite dei pianeti non sono circolari ma ellittiche. Infrangendo una tradizione millenaria – e attraverso un faticosissimo cammino che si protrarrà per diversi anni (durante i quali approfondisce anche altri argomenti, come l’ottica, per la rilevanza di questa disciplina ai fini delle osservazioni astronomiche) e di cui fornisce un dettagliato resoconto nella sua opera – Keplero arriva dunque a stabilire che: 1. «l’orbita di un pianeta ha la forma di un’ellisse di cui il Sole occupa uno dei fuochi». Questa conclusione è nota come prima legge di Keplero. Nel lungo percorso che lo porta alla scoperta della forma ellittica delle orbite planetarie, Keplero arriva anche a formulare, già nel 1602, quella che è invece nota come seconda legge di Keplero: 2. «la linea che congiunge un pianeta con il Sole, o raggio vettore, descrive aree uguali in tempi uguali». Con questa legge Keplero riusciva a rendere conto di quanto risultava dai dati dell’osservazione, cioè della natura non uniforme del moto dei pianeti, e del modo in cui la loro velocità variava a seconda della distanza a cui si trovavano dal Sole lungo la propria traiettoria orbitale.

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 75

75

06/02/12 14:58

Magnetismo e moti dei pianeti

La semplicità della teoria

Il completamento delle leggi dei moti planetari

Una teoria coerente

Il ritorno ai temi pitagorici e la teoria musicale del sistema planetario

Descrizioni statica e dinamica

La teoria della «proporzione sesquialtera»

76

56_117_scientifica.indd 76

Ma Keplero non si ferma a questa descrizione “geometrica”. Cerca anche di spiegare la causa fisica della variazione di velocità dei moti orbitali e a tale scopo ricorre a «facoltà magnetiche», ispirandosi a Il magnete (De Magnete), pubblicato nel 1600 dall’inglese William Gilbert (1544-1603). Più precisamente Keplero attribuisce al Sole – che secondo lui ruota su se stesso portandosi dietro nel suo moto i pianeti come se li sferzasse – un’emanazione magnetica, che attrae i pianeti (immaginati come piccoli magneti) quando i poli opposti sono più vicini, e li respinge leggermente per il resto dell’orbita. Grazie alla sostituzione delle orbite circolari di Tolomeo, Copernico e Brahe con le orbite ellittiche, e del moto uniforme dei pianeti attorno a un punto (posto al centro o vicino al centro) con la legge di uniformità della velocità areale o areolare (la seconda legge di Keplero), veniva dunque eliminata ogni necessità di ricorrere a espedienti come erano stati gli eccentrici, gli epicicli o gli equanti dell’astronomia precedente. Come ha osservato lo storico e filosofo della scienza Thomas Kuhn (1922-1996), «per la prima volta una singola curva geometrica, non combinata con altre curve, e una singola legge di moto bastano a prevedere la posizione dei pianeti, e per la prima volta queste previsioni sono in perfetto accordo con le osservazioni disponibili». In questo modo si raggiunge uno degli scopi principali di Keplero, e cioè la semplicità e l’unità della natura.

4.3 L’«Armonia del mondo» e la terza legge Il sistema di leggi planetarie di Keplero viene portato a compimento con l’aggiunta, vari anni più tardi, di una terza legge. Si tratta di una legge di natura differente dalle prime due, e apparentemente un po’ misteriosa; stabilisce che: 3. «i quadrati dei periodi di rivoluzione di due pianeti sono proporzionali ai cubi delle loro distanze medie dal Sole». Questa legge è contenuta nell’opera più singolare di Keplero, con la quale egli tenta di costruire una teoria coerente dell’universo interamente fondata su leggi armoniche: l’opera, che s’intitola Armonia del mondo in cinque libri, viene terminata nel 1618 e pubblicata nel 1619 a Linz, dove Keplero si è trasferito da quando, nel 1612, ha dovuto lasciare Praga in seguito all’abdicazione di Rodolfo II. A Linz Keplero rimarrà per quattordici anni con la qualifica di “Matematico del Distretto”, finché per motivi religiosi connessi alla Guerra dei trent’anni sarà costretto a spostarsi di nuovo, iniziando un vagabondaggio presso vari mecenati fino alla morte, che lo coglierà a Ratisbona nel 1630. Con l’Armonia del mondo Keplero intende portare a compimento l’opera intrapresa con il Mistero cosmografico: mostrare come l’intero creato sia governato da leggi armoniche, dando una ragione matematica di tutto ciò che concorre a formare l’«armonia del mondo». Dopo molti anni, con il bagaglio dei risultati astronomici e fisici da lui nel frattempo ottenuti, e di un accurato studio delle basi teoriche della musica, Keplero riprende dunque la tematica pitagorica del Mistero e cerca una nuova legge che permetta di superare i limiti della descrizione precedente. Nella sua costruzione cosmografica basata sui solidi regolari si era infatti occupato solo della “struttura spaziale” del sistema planetario, lasciando aperto il problema della “struttura temporale”: cioè il problema del rapporto, per i pianeti, tra la durata dei loro periodi di rivoluzione e la grandezza delle orbite. Alla “descrizione statica” fondata sui cinque solidi regolari Keplero affianca ora una “descrizione dinamica”, per cui i moti orbitali vengono collegati a una teoria musicale del sistema planetario, sulla base dell’associazione a ogni pianeta di un «tono» o «modo musicale». In questo contesto si comprende il valore capitale che assume per Keplero la scoperta della terza legge. Il rapporto tra i cubi (l’esponente 3) e i quadrati (l’esponente 2) contenuto nella legge rispecchia il ruolo fondante che ha la «proporzione sesquialtera» (cioè il rapporto 3/2, che produce, in musica, l’intervallo detto di “quinta”) nel sistema musicale pitagorico. Come scrive Keplero, la chiave di volta per «vincere le tenebre della mente» dopo «ventidue anni di attesa» dal Mistero è data dal fatto «certissimo ed esattissimo» che «la proporzione che lega i tempi periodici di ciascuna coppia di pianeti sia precisamente la proporzione se-

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

squialtera delle distanze medie» (la sua terza legge). Un risultato che, è importante sottolineare, Keplero mette subito a confronto con i dati sperimentali di Tycho Brahe, trovando un tale accordo tra questi e la sua teoria che «sulle prime pensa di sognare».

LA TEORIA FINALE DI KEPLERO

numero dei pianeti teoria dei poliedri regolari estensione delle orbite

durata delle orbite

potere del Sole

orbite ellittiche

PRIMA LEGGE

variazione di velocità dei moti orbitali

SECONDA LEGGE

rapporto tra durata ed estensione

TERZA LEGGE

ARMONIA UNIVERSALE = teoria coerente dell’universo interamente fondata su leggi armoniche

4.4 La fortuna di Keplero Una figura di passaggio verso la modernità

I pareri dei contemporanei

Le tre leggi di Keplero, che ancora oggi troviamo, così denominate, nei manuali di fisica, emergono dunque da un contesto che avremmo difficoltà a qualificare come scientifico. Questo spiega la fortuna controversa che ebbero, tra i contemporanei di Keplero, le sue opere. Con il suo misticismo dei numeri e la sua metafisica delle armonie da una parte, la sua razionalità matematica e l’attenzione ai dati sperimentali dall’altra, Keplero rappresenta una figura di passaggio: • la sua “antichità” si esprime nei temi pitagorici e neoplatonici che ne permeano le opere e nel suo mescolare, nelle costruzioni teoriche, a ragioni di tipo fisico e matematico ragioni di tutt’altra natura. • la sua “modernità” si esprime nella ricerca sistematica di precise leggi matematiche che regolino i moti e le dimensioni orbitali dei pianeti, e di cause fisiche che ne spieghino le caratteristiche e le particolarità. Se, nella prospettiva odierna, è possibile avere una chiara visione di questa distinzione tra gli aspetti antichi e moderni di Keplero, questo non vale per i suoi contemporanei, per i quali non era certo facile discriminare tra quanto di davvero scientifico e quanto di arbitraria speculazione ci fosse nelle sue opere. Galileo, in particolare, non comprenderà mai davvero la rilevanza dei risultati raggiunti da Keplero, con grande dispiacere di quest’ultimo, che di Galileo aveva invece grandissima stima. Lo giudicherà invece molto distante dal proprio modo di essere scienziato: riterrà perfino che alcune tesi di Keplero fossero contrarie alla teoria di Copernico, invece che a suo favore. Bacone lo ignorerà completamente, e Cartesio lo ricorderà soltanto per i contributi sull’ottica.

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 77

77

06/02/12 14:58

I riconoscimenti di Newton

In realtà è solo dopo gli anni Sessanta del Seicento, quando Newton ne farà uso nella sua opera, che le leggi di Keplero acquisteranno finalmente piena credibilità nel mondo scientifico. PER SINTETIZZARE • Di cosa trattano le prime due leggi di Keplero? • Che rapporto esiste tra astronomia e musica, secondo Keplero? • Quali sono gli aspetti “moderni” del pensiero di Keplero?

5. Galileo Galilei e la nascita della scienza moderna L’importanza del cannocchiale come nuovo strumento di indagine scientifica

Un nuovo modo di vedere

5.1 Il “messaggero” delle stelle Nel 1609, il quarantacinquenne professore di matematica allo Studio di Padova Galileo Galilei punta un giorno verso il cielo il cannocchiale costruito con le proprie mani e comincia una serie di osservazioni: questa immagine ha assunto il significato simbolico della nascita della scienza moderna. Lo studioso che, non solo manifesta fiducia in uno strumento nato nell’ambiente degli artigiani e dei meccanici, solitamente disprezzati dalla scienza ufficiale, ma agisce egli stesso da artigiano, ricostruendo quello strumento per poi usarlo con metodo e spirito scientifico ai fini della conoscenza della natura, è l’emblema del “nuovo uomo di scienza”. La cultura tradizionale guarda in realtà con sospetto alle arti meccaniche e al lavoro manuale, né miglior sorte ce l’hanno gli strumenti pensati come aiuti per i sensi. In questa frattura, e nella convinzione della sua utilità e della sua necessità, troviamo tutta l’importanza del cannocchiale galileiano come nuovo strumento scientifico. Che cosa vede dunque Galileo con questo strumento che usa per osservare con sistematicità il cielo, per fare «centinaia e migliaia di esperienze in mille e mille oggetti, e vicini e lontani, e grandi e piccoli, e lucidi e oscuri»? Il vedere attraverso il cannocchiale è un nuovo modo di vedere, che permette innanzitutto di scoprire aspetti diversi di cose già viste. Come nel caso della Luna, la cui superficie vista da più vicino appare non più «liscia, uniforme e di sfericità esattissima, come di essa Luna e degli altri corpi celesti una numerosa schiera di filosofi ha ritenuto», ma simile a quella terrestre, con irregolarità dello stesso genere (Figura 8; in questo modo si dimostra falsa la distinzione della tradizione aristotelica tra mondo celeste e mondo sublunare). E come nel caso della Via Lattea e delle nebulose, che Galileo scopre essere, invece che semplici «nubi biancheggianti» di cui non si conosceva l’essenza, degli ammassi di miriadi di stelle.

La superficie della Luna. L’immagine della Luna visibile guardando attraverso il cannocchiale in due fasi diverse: si notano nei disegni le irregolarità della superficie del corpo celeste.

78

56_117_scientifica.indd 78

Figura 8

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

LA VITA E LE OPERE 1564

Galileo Galilei nasce a Pisa il 15 febbraio.

1574

La famiglia si trasferisce a Firenze, dove Galilei compie i primi studi. Successivamente, per volere del padre, va all’Università di Pisa per studiare medicina, ma prova scarso interesse per la materia e presto torna a Firenze, dove passa allo studio della matematica e compie le prime osservazioni di fenomeni fisici.

1583

Ottiene i primi importanti risultati con i suoi studi sul moto di oscillazione del pendolo.

1586

Escono La bilancetta, dedicata a esporre il suo progetto di uno strumento di misura (una bilancia idrostatica), e alcuni studi letterari.

1589

Ottiene il suo primo incarico universitario, come lettore di matematica a Pisa.

1592

Si trasferisce all’Università di Padova, dove si inserisce in un mondo culturale molto vivo e intraprende varie ricerche scientifiche.

1605

Pubblica la prima opera di astronomia: un opuscolo in dialetto padovano, di cui non figura come autore, intitolato Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene in perpuosito de la Stella Nuova.

1609

Avuta notizia di un «occhiale» costruito in Olanda per poter osservare, ingranditi, gli oggetti lontani, egli realizza un proprio strumento.

1610

Descrive le sue osservazioni nell’Annunzio sidereo (Sidereus Nuncius). In quest’anno torna in Toscana per ricoprire il posto di “Filosofo e matematico primario” a Firenze.

1613

Viene pubblicata la raccolta di lettere Istorie e dimostrazioni intorno alle macchie solari. Inoltre Galilei inizia a preoccuparsi del rapporto tra scienza e fede, come testimonia l’importante lettera a Benedetto Castelli.

1615

Viene denunciato al Sant’Uffizio dell’Inquisizione romana.

1616

Arriva l’atto di censura e ha un celebre colloquio con il cardinale Bellarmino. L’oggetto principale del contendere era la teoria copernicana, condannata dalla Chiesa di Roma.

1619-1623

Polemica con il gesuita Orazio Grassi sulle comete; da essa ha origine una delle opere principali di Galilei, Il Saggiatore (1623).

1632

Sperando in un’accoglienza più tollerante dopo la morte di Bellarmino e l’elezione del nuovo papa, lo scienziato pisano pubblica il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano. La reazione della Chiesa è di nuovo durissima: l’opera viene confiscata.

1633

Lo scienziato subisce un nuovo processo davanti al Sant’Uffizio, che termina con la condanna al carcere e l’abiura. Galilei ottiene però di poter vivere ritirato in casa e si trasferisce prima a Siena e poi nella sua villa di Arcetri, vicino a Firenze.

1638

Negli ultimi anni Galilei diviene progressivamente cieco, ma riesce a terminare un’ultima grande opera, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla meccanica e ai movimenti locali, pubblicata in Olanda, a Leida.

1642

Muore ad Arcetri.

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 79

79

06/02/12 14:58

Differenze tra stelle e pianeti

Anche Giove ha dei satelliti

L’Annunzio sidereo e le scoperte fatte con il cannocchiale

L’importanza delle misure

Nuove scoperte sui pianeti

La soluzione del problema delle macchie solari

80

56_117_scientifica.indd 80

L’osservazione attraverso il cannocchiale rivela anche una differenza sostanziale tra le stelle e i pianeti: le prime – punti luminosi circondati da «raggi brillanti» – «si mostrano di uguale figura all’occhio nudo e viste al cannocchiale» (sono dunque lontanissime); i secondi, invece, cambiano notevolmente di grandezza, «presentano i loro globi esattamente rotondi e definiti e, come piccole lune luminose perfuse ovunque di luce, appaiono circolari». Ma vedere attraverso il cannocchiale porta anche, e soprattutto, a scoprire cose nuove, mai viste prima. Oltre all’improvviso popolarsi del cielo di innumerevoli stelle «invisibili alla vista naturale», come nel caso di quelle componenti la Via Lattea, Galileo fa una delle sue più importanti scoperte astronomiche: vede le quattro lune (o satelliti) di Giove. La Terra non è più l’unico pianeta ad avere una sua luna: «il senso mostra quattro stelle erranti attorno a Giove, così come la Luna attorno alla Terra». Il pisano Galileo le battezzerà «stelle medicee» in onore del granduca di Toscana Cosimo II de’ Medici, che, offrendogli il posto di “Filosofo e matematico primario” a Firenze, gli permetterà di tornare nella regione d’origine dopo diciotto anni trascorsi a Padova. Al granduca Galileo dedica anche il volumetto dal titolo Annunzio sidereo (Sidereus Nuncius), pubblicato a Venezia nel marzo del 1610, nel quale annuncia le scoperte fatte con il cannocchiale e le conseguenze che ne derivavano per la filosofia naturale e la concezione del mondo. Galileo era da tempo un convinto sostenitore del sistema copernicano. Come aveva scritto nel 1597 a Keplero, quando questi gli aveva mandato una copia del Mistero cosmografico, egli si era convertito da molti anni alla teoria di Copernico e aveva scritto «molte ragioni per preferirla e confutazioni agli argomenti contrari», ma senza aver osato pubblicare nulla. Nel 1604, quando si era di nuovo verificato un evento analogo a quello della «stella nova» studiata nel 1572 da Tycho Brahe – fenomeni che mettevano in difficoltà la tesi aristotelica dell’immutabilità dei cieli –, Galileo aveva cominciato a esporre pubblicamente il proprio pensiero, sia in conferenze sia nel Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene in perpuosito de la Stella Nuova (1605). Qui criticava la pretesa da parte di una certa filosofia di risolvere i problemi astronomici solo per mezzo di considerazioni metafisiche e non invece, come era opportuno, attraverso determinate misure. Le misure ottenute per mezzo del cannocchiale permisero a Galileo di aggiungere presto ai risultati esposti nell’Annunzio altre fondamentali scoperte astronomiche: da quella relativa alla particolare configurazione di Saturno, che gli risultava come formato da tre corpi sferici (Galileo non aveva uno strumento sufficientemente potente per visualizzare gli anelli di Saturno), alla scoperta delle fasi di Venere (Figura 9). Il fatto (non spiegabile nel sistema tolemaico) che il pianeta Venere «va mutando le figure nell’istesso modo che fa la Luna» fornisce, per Galileo, un argomento decisivo a favore della teoria copernicana. Venere, nel suo moto intorno al Sole, doveva presentare fasi alterne di illuminazione come accadeva per la Luna. Dopo questi risultati Galileo lascia da parte ogni cautela. È ormai convinto di avere «sensate e certe dimostrazioni» delle due grandi questioni rimaste fino ad allora «dubbie tra’ maggiori ingegni del mondo»: cioè il fatto che i pianeti ruotino intorno al Sole e che siano corpi opachi, che brillano solo di luce riflessa. Il colpo di grazia per questi “filosofi da libro”, che non si confrontano con la natura e l’esperienza, è rappresentato per Galileo dalla soluzione del problema delle macchie solari alla quale egli arriva grazie alle accurate misure che gli permette l’uso del cannocchiale. Contro l’ipotesi che le macchie fossero causate da corpi in moto nello spazio tra Terra e Sole, Galileo dimostra che esse sono contigue alla superficie del Sole e che il loro moto indica, di conseguenza, un vero e proprio movimento del Sole. Galileo è persuaso che questo non possa creare alcuna difficoltà a coloro che accettano il fatto che mutazioni e alterazioni possono verificarsi anche al di là della sfera lunare, contrariamente a quanto

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

sostenuto da Aristotele e dai suoi seguaci, come scrive in una delle lettere raccolte e pubblicate con il titolo Istorie e dimostrazioni intorno alle macchie solari (1613).

Figura 9

Le fasi di Venere. Nel disegno A è raffigurata l’orbita di Venere intorno al Sole secondo il sistema copernicano e si vede come tale sistema si accordi con l’osservazione delle fasi del pianeta. Nel disegno B, invece, è raffigurata l’orbita di Venere intorno alla Terra (con epiciclo), secondo il sistema tolemaico, e si vede come non sia possibile osservare le fasi di Venere in un tale sistema, poiché il centro dell’epiciclo del pianeta è sempre sulla linea retta che congiunge la Terra al Sole.

5.2 Lo studio sperimentale e matematico dei moti terreni FILOSOFI A CONFRONTO

La polemica galileiana contro il sapere scientifico tradizionale non si esplica solo nell’ambito dell’astronomia. Un altro terreno su cui Galileo viene a scontrarsi con l’aristotelismo è quello della teoria fisica del moto dei corpi pesanti (o «gravi»), sia in caduta libera sia «proiettati» (cioè lanciati).

Le ricerche sulla caduta dei gravi

Le ricerche sul moto occupano tutta la vita scientifica di Galileo: a cominciare dalle prime indagini svolte durante gli anni pisani che precedono il suo trasferimento a Padova nel 1592 (e durante i quali ricopre un posto di lettore di matematica allo Studio di Pisa), fino alla sua ultima grande opera, intitolata Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla meccanica e ai movimenti locali (1638), che raccoglie e organizza tutti i suoi risultati sulla fisica e matematica del moto e sulla resistenza dei materiali. Quando, tra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento, Galileo comincia a dedicarsi allo studio dei movimenti dei gravi, una teoria fisica del moto in senso moderno è ancora tutta da costruire.

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 81

81

06/02/12 14:58

FILOSOFI A CONFRONTO

La fisica allora dominante era quella della tradizione aristotelica, le cui tesi principali si fondavano su generalizzazioni di osservazioni empiriche ricavate dall’esperienza quotidiana. Dominava l’idea, basata sul principio che tutto ciò che si muove è mosso (finché dura il movimento) da qualcosa, che ci fosse una distinzione fondamentale e qualitativa tra stato di quiete e stato di moto.

La mancanza di una teoria moderna del moto

L’esperienza comune suggerisce infatti che un carretto stia fermo se non riceve nessuna spinta, che si muova se viene spinto, che il suo moto cessi appena ne cessa la causa (la forza con cui è trascinato). Non esistevano nozioni precise di che cosa fossero la velocità e l’accelerazione. Nello studio dei movimenti, l’attenzione era concentrata sulla velocità piuttosto che sull’accelerazione, che si pensava fosse presente solo in una fase iniziale e transitoria del moto. E si riteneva, infine, che la velocità del movimento fosse direttamente proporzionale alla forza applicata. FILOSOFI A CONFRONTO

Tutte queste supposizioni, apparentemente giustificate dall’immediata esperienza dei sensi, sono errate dal punto di vista della fisica moderna.

I fondamenti della teoria moderna

Il ricorso all’astrazione

Lo studio del moto dei gravi: strumenti e laboratorio

I primi due risultati fondamentali

82

56_117_scientifica.indd 82

In realtà, vale il principio d’inerzia (la cosiddetta «prima legge di Newton»), secondo il quale ogni corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, a meno che non sia costretto da forze impresse a mutare quello stato. Questo principio ci dice che non c’è differenza qualitativa tra uno stato di quiete e uno stato di moto rettilineo uniforme, e che ci può dunque essere uno stato di moto senza che venga applicata una forza. Ed è vera la legge fondamentale della meccanica (nota come «seconda legge di Newton»), secondo cui il cambiamento di moto è proporzionale alla forza motrice impressa. Questa legge stabilisce che è l’accelerazione a essere direttamente proporzionale alla forza applicata, non la velocità. Questo ci fa capire come, per l’uomo di scienza del Seicento, la via per arrivare a una formulazione moderna delle leggi del moto non era quella della semplice generalizzazione a partire da esperienze particolari. Allo scienziato Galileo occorreva compiere un’operazione di astrazione dalle situazioni particolari e contingenti che erano oggetto di osservazione. In altre parole, occorreva la capacità di distinguere gli elementi costitutivi del fenomeno indagato da quelli puramente accidentali. Nei suoi studi sul moto dei gravi in caduta libera e dei «proietti» (ossia i corpi lanciati nell’aria), Galileo compie i primi fondamentali passi in questa direzione. Si rende progressivamente conto di come la resistenza del mezzo in cui avviene il moto sia solo un elemento accidentale e non costitutivo del moto, al contrario di quanto si era fin lì ritenuto, e realizza esperimenti in condizioni tali da minimizzare l’azione perturbatrice del mezzo. Crea, per esempio, strumenti che riducano gli attriti, oppure sperimenta su moti più lenti di quelli dei gravi in caduta libera, come i moti oscillatori dei pendoli e i moti su piani inclinati. Allo stesso tempo, costruisce strumenti di misura, come il cronometro ad acqua per misurare gli intervalli di tempo, e ne affina via via la precisione, allestendo nella propria abitazione un vero e proprio laboratorio (anche con l’aiuto di un tecnico). Il cammino che Galileo percorre in questo modo verso una moderna fisica del moto passa attraverso i due seguenti fondamentali risultati, ottenuti rispettivamente nel 1604 e intorno al 1608: 1. la legge di caduta dei gravi; partendo dalla premessa errata che la velocità di un grave in caduta libera sia proporzionale allo spazio percorso (invece che al tempo trascorso, come

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

Non c’è distinzione tra moti naturali e violenti

sarebbe arrivato a concludere correttamente in seguito), Galileo arriva attraverso un ragionamento di natura geometrica alla giusta conclusione che gli spazi percorsi sono proporzionali ai quadrati dei tempi necessari per percorrerli; 2. la forma parabolica delle traiettorie dei proietti. Galileo giunge a questo risultato applicando allo studio dei moti di proietti, come quello descritto da una pallina tra l’istante in cui abbandona il piano inclinato e l’istante in cui colpisce il suolo, la pratica geometrica della composizione dei moti fino ad allora applicata solo ai moti celesti. La concezione tradizionale si fondava sulla distinzione aristotelica tra moto naturale (il moto con cui un corpo tende al proprio “luogo naturale”) e moto violento (il moto provocato dall’azione di una forza). Perciò il movimento del corpo lanciato nell’aria veniva visto come la successione di due movimenti distinti: prima il corpo è soggetto a un moto violento dovuto al lancio, poi, quando tale moto s’interrompe, riprende il suo moto naturale di caduta verso il basso. FILOSOFI A CONFRONTO

Galileo comprende che c’è continuità tra i due moti (quello dovuto al lancio e quello di caduta), annullando così di fatto la distinzione tra moti naturali e violenti, e che la loro composizione geometrica dà come risultato una traiettoria parabolica.

GALILEI E IL MOTO DEI GRAVI

TEORIA DEL MOTO DI ARISTOTELE

TEORIA DEL MOTO DI GALILEO

esperienza quotidiana

esperienze in condizioni controllate (laboratorio, strumenti di misurazione precisi ecc.)

astrazione: vengono isolati gli elementi essenziali

distinzione moti naturali e moti violenti

cade la distinzione tra moti naturali e moti violenti

generalizzazioni di osservazioni quotidiane

si formano teorie generali, formulate in linguaggio matematico

RISULTATI FONDAMENTALI • presuppone principio di inerzia • definizione del concetto di accelerazione • legge della caduta dei gravi • forma parabolica delle traiettorie dei proietti

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 83

83

06/02/12 14:58

PER SINTETIZZARE • Che rapporto esiste tra scienza e arti meccaniche, secondo Galileo? • Perché è importante la scoperta dei satelliti di Giove, per Galileo? • Che cosa dimostra l’esistenza delle macchie solari, secondo Galileo? • Che cosa dice la legge fondamentale della meccanica? • Che cos’è il cronometro ad acqua e perché Galileo lo costruisce?

Un primo tentativo di conciliazione tra scienza e fede

L’interpretazione delle Scritture

5.3 La teoria della conoscenza del Saggiatore Le posizioni di Galileo nettamente a favore del sistema copernicano e contro alcune tesi fondamentali della fisica aristotelica cominciarono presto a suscitare critiche e polemiche specialmente negli ambienti religiosi. Galileo, accusato da più parti di voler sovvertire, con i suoi argomenti, la filosofia naturale aristotelica e le Sacre Scritture, comprese di doversi difendere. Provò a farlo in una lettera inviata all’amico Benedetto Castelli nel dicembre del 1613, in modo che nell’ambiente della corte dei Medici si venisse a conoscenza di ciò che egli pensava del rapporto tra scienza e fede. La linea difensiva di Galileo si basava sulla distinzione tra verità di fede (verità de fide) e verità della natura (verità de rerum natura). Le divine scritture sono assolutamente vere quando si occupano dei problemi riguardanti la fede, ma per quanto riguarda i problemi relativi ai fenomeni naturali si limitano a pochissimi riferimenti, tali che possano essere compresi da persone senza cultura. Spettava dunque al buon cristiano di interpretare con saggezza quei riferimenti, non fermandosi al senso letterale di quanto era spesso scritto in un linguaggio metaforico. Il tentativo di conciliazione tra teologia e astronomia copernicana operato da Galileo si rivela subito troppo debole e nel 1615 egli viene denunciato al Sant’Uffizio dell’Inquisizione romana per affermazioni «sospette e temerarie» contenute nella lettera al Castelli. PER RIFLETTERE Galileo cerca una conciliazione tra obiettivi della scienza e fede, affermando che le Scritture non vanno prese alla lettera, rispetto a ciò che dicono sui fenomeni naturali. • Secondo te, questo problema è ancora attuale? Conosci qualche argomento su cui c’è ancora oggi uno scontro tra Scritture e scienza? Che cosa ne pensi della soluzione proposta da Galileo?

La censura del cardinale Bellarmino

L’antefatto del Saggiatore

84

56_117_scientifica.indd 84

Nel febbraio del 1616 i teologi del Sant’Uffizio stendono l’atto di censura sulle affermazioni che sostengono il moto della Terra intorno al Sole, e pochi giorni dopo Galileo viene convocato e ammonito dal cardinale Bellarmino. Gli viene ordinato di «abbandonare completamente detta opinione, non accoglierla, difenderla e insegnarla in alcun modo con parole e con scritti». Poco dopo usciva il decreto di condanna della Sacra Congregazione dell’Indice che proibiva tutti i libri che sostenevano la dottrina copernicana, a partire da Le rivoluzioni dei corpi celesti stesso. A Galileo veniva così «serrata la bocca» e tale sarebbe rimasta fino a quando, nel 1623, non avrebbe dato alle stampe Il Saggiatore. L’occasione che si offre a Galileo per tornare pubblicamente in campo è la polemica con il gesuita Orazio Grassi (1590-1654), matematico presso il Collegio Romano, a proposito della teoria di questo sulle comete. Contro il Grassi, Galileo interviene in realtà già nel 1619, suggerendo all’amico Mario Guiducci (1585-1646) il testo del Discorso sulle comete, uscito a nome del Guiducci. A questo testo il Grassi aveva risposto

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

L’argomento della polemica

Una questione di realtà: qualità oggettive e soggettive dei corpi

T1 Percezione e realtà: il carattere oggettivo della scienza

con uno scritto in chiave chiaramente antigalileiana, intitolato Bilancia astronomica e filosofica (Libra astronomica et philosophica, 1619), che costituisce l’obiettivo polemico del Saggiatore. Qual era dunque il fulcro della polemica? Il Grassi, contro chi usava il fenomeno delle comete a favore della dottrina copernicana, sosteneva che queste compiono orbite circolari attorno al Sole, elaborando una tesi già difesa da Tycho Brahe, e sostenendola con misure di parallasse da cui deduceva che le comete non potevano muoversi al di sotto dell’orbita lunare. Il suo vero obiettivo, che non sfuggiva a Galileo, era di sostenere la superiorità del sistema ticonico rispetto a quello copernicano. Galileo non disponeva di una teoria sulla natura delle comete e sul loro moto. Ma ciò che lo preoccupava era soprattutto l’idea che si potesse far leva su una teoria delle comete per confutare il sistema copernicano. L’attacco di Galileo alle tesi di Grassi ha dunque come scopo quello di demolire la base osservativa su cui si regge la tesi del gesuita. Il punto che mette a fuoco la questione, per Galileo, diventa così quello della realtà o meno degli oggetti da sottoporre a misura. Se quindi le comete siano oggetti reali (come sostengono Tycho Brahe e Grassi) o non lo siano, come egli vuole dimostrare. Il ragionamento sul quale si basa per raggiungere questo scopo è centrato sulla distinzione che introduce tra: 1. le qualità oggettive dei corpi, come le configurazioni geometriche, le disposizioni nello spazio, gli stati di movimento e il numero delle parti costituenti i corpi, che esistono indipendentemente dal soggetto conoscente; 2. le qualità soggettive, come i colori, i sapori, gli odori, i suoni e il calore, cioè le qualità che si costituiscono solo nella relazione dell’oggetto naturale con la sensibilità del soggetto. La riflessione di Galileo riguarda qui il tema del rapporto tra percezione e realtà, tra ciò che ci appare e ciò che esiste veramente. La conoscenza scientifica deve essere indipendente dalle particolarità del «corpo sensitivo», deve rivolgersi solo a ciò che realmente caratterizza il mondo esterno. Solo in questo modo, cioè riferendosi alle qualità oggettive, la conoscenza può progredire verso la verità. Galileo esprime chiaramente, in questo punto, la tesi del carattere oggettivo della scienza modernamente intesa, quella che, abbiamo visto, nasce con la rivoluzione scientifica.

L’IMMAGINE DELLA SCIENZA NEL SAGGIATORE

SOGGETTO

OGGETTO

QUALITÀ SOGGETTIVE (colore, sapore ecc.)

QUALITÀ OGGETTIVE (caratteristiche misurabili)

ciò che appare

conoscenza scientifica = conoscenza oggettiva

dipendono dalla relazione dell’oggetto naturale con la sensibilità del soggetto

L’argomento di Galilei: le comete come illusioni ottiche

sono indipendenti dal soggetto

Nella descrizione della natura devono essere eliminati tutti gli elementi soggettivi e qualitativi che non fanno parte dell’architettura oggettiva dell’universo, quegli elementi su cui invece si erano basate, per esempio, la magia e l’astrologia, fondate proprio sulla possibile

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 85

percezione

85

06/02/12 14:58

Scopi e criteri di valutazione della scienza

Matematica e struttura quantitativa del mondo

La scienza mostra come il mondo è

influenza dell’uomo sulla natura e della natura sull’uomo. Come utilizza dunque Galileo la sua teoria della conoscenza contro la tesi del Grassi sulle comete? L’argomento di Galileo è il seguente: le comete fanno parte del mondo delle apparenze, delle qualità soggettive, e quindi non sono oggetto di scienza. Non sono corpi reali ma illusioni ottiche: tolta la vista, esse svaniscono. Oggi sappiamo che Galileo era in errore nel considerare le comete come pure apparenze, ma la sua argomentazione deve essere giudicata inserendola nel contesto in cui egli opera. All’epoca, dal punto di vista scientifico non c’erano infatti argomenti validi per sostenere il carattere reale delle comete. L’atteggiamento di Galileo era quindi quello di un vero scienziato: i dati a disposizione non permettevano al Grassi di difendere la tesi ticonica delle comete. Il Grassi aveva così scelto in modo infondato il problema delle comete per difendere il sistema ticonico. Per questo Galileo gli rimprovera di essersi basato, nell’agire in tale maniera, più sull’autorità di Tycho Brahe che non su argomenti veri e controllabili. La filosofia naturale è invece, secondo Galileo, qualcosa di molto diverso. Nel Saggiatore egli spiega che essa consiste nel comprendere il linguaggio in cui è scritto il libro della natura: la lingua della matematica e della geometria. In questo passo, diventato famosissimo e che ha fatto parlare di platonismo di Galileo, viene dunque ribadita la ferma convinzione galileiana della necessità di usare gli strumenti adeguati nell’esplorazione della natura. Innanzitutto quelli matematici, solo attraverso i quali si può raggiungere la verità sulla struttura fisica oggettiva, e quindi quantitativa, del mondo. E le teorie sulla natura devono essere valutate in base alla verità o meno di quello che dicono, non in base a criteri di autorità. La scienza non si limita a formulare ipotesi per salvare i fenomeni, come sostenevano molti a proposito della teoria copernicana, ma ha lo scopo di svelare, attraverso gli strumenti adatti, come il mondo è veramente fatto. PER SINTETIZZARE • Che cosa deve fare uno scienziato cristiano leggendo le Scritture, secondo Galileo? • Qual è la tesi di Galileo sulle comete? • Qual è l’accusa di Galileo a Grassi?

Un nuovo contesto politico, più tollerante

Un’opera in difesa del copernicanesimo

L’importanza del fenomeno delle maree

Il titolo definitivo

86

56_117_scientifica.indd 86

5.4 Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, la condanna, l’abiura Quando Galileo scrive Il Saggiatore la situazione politica era decisamente migliorata. Nel 1621 era morto il cardinale Bellarmino e nel 1623 era stato eletto come nuovo papa, con il nome di Urbano VIII, il cardinale Maffeo Barberini, che aveva in più occasioni manifestato la sua stima per Galileo. Nel nuovo clima di maggiore tolleranza che si era instaurato, Galileo si sente incoraggiato a proseguire la sua opera in difesa del copernicanesimo e, in particolare, a sviluppare il progetto della stesura di un Dialogo sopra il flusso e il riflusso delle maree, con il quale aveva l’intenzione di mettere definitivamente a tacere gli oppositori della dottrina del moto della Terra. È infatti sua ferma convinzione che la spiegazione del fenomeno delle maree sulla base del moto della Terra costituisca l’argomento fisico decisivo a favore dell’ipotesi copernicana. Sotto tale rispetto egli era in errore, ma si può comprendere come Galileo non potesse accettare la spiegazione che si basava su «influssi» da parte della Luna, che all’epoca apparivano alquanto misteriosi e a Galileo sembravano dello stesso genere delle qualità occulte del sapere magico. Il testo sarà pronto agli inizi del 1630, ma Galileo dovrà aspettare il 1632 per ottenere l’autorizzazione alla stampa, e dovrà accettare di cambiare il titolo in Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano.

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano, in Fiorenza 1632. Pisa, Biblioteca Universitaria. I personaggi raffigurati nell’incisione dell’antiporta sono Aristotele, Copernico e Tolomeo.

Simplicio e l’autorità di Aristotele

T2

Le quattro giornate e i loro temi

5.4.1 I protagonisti del Dialogo L’opera è scritta in volgare, in quanto non è diretta ai ristretti ambienti accademici ma al pubblico ben più vasto della borghesia, del clero e delle corti. Da qui anche il tono colloquiale che è favorito dalla struttura del testo, che riproduce, sotto forma di dialogo, il dibattito fra tre protagonisti: 1. Sagredo, ispirato al patrizio veneziano Giovan Francesco Sagredo, nel cui palazzo si immagina svolgersi la discussione, che raffigura l’intellettuale libero e senza pregiudizi; 2. Salviati, ispirato al fiorentino Filippo Salviati, che impersona lo scienziato che argomenta in modo calmo e misurato a favore della dottrina copernicana; 3. Simplicio, l’unico personaggio fittizio, che rappresenta il difensore della tradizione aristotelica, e che pur non essendo uno sprovveduto teme ogni novità che vada contro il sapere costituito. Simplicio rappresenta tipicamente la mentalità che predilige il valore dell’autorità rispetto alla lezione del ragionamento e dell’esperienza. Se si lascia l’autorità di Aristotele, chiede a un certo punto Simplicio, su quale altra autorità basarsi, «chi ne ha da essere scorta nella filosofia»? La risposta che Galileo dà per mezzo di Salviati è di fare appello a «ragioni» e «dimostrazioni» ed è diventata il manifesto del suo pensiero. 5.4.2 La struttura del Dialogo L’intera discussione fra i tre personaggi è articolata in quattro giornate. 1. La prima giornata è dedicata alla dimostrazione dell’insostenibilità della concezione del mondo secondo la tradizione aristotelica, basata sulla distinzione tra mondo celeste e mondo sublunare. A essa Galileo contrappone, per mezzo delle argomentazioni del Salviati e del Sagredo, la tesi dell’unicità del mondo fisico, descrivibile da un’unica e medesima scienza. 2. La seconda giornata prende in dettagliato esame tutti i tipici argomenti rivolti contro l’ipotesi del moto diurno della Terra, cioè della rotazione che la Terra compie in un giorno su se stessa (dall’argomento della pietra lasciata cadere dall’alto di una torre, che dovrebbe toccare il suolo in un punto spostato verso occidente rispetto alla base della torre; a quello del vento che dovremmo sentire per effetto del moto della Terra o degli effetti centrifughi che da tale moto dovrebbero risultare). A tutti questi argomenti Galileo risponde con quello che poi è stato chiamato il principio di relatività galileiano: cioè il principio per cui, in base alle osservazioni compiute all’interno di un determinato sistema di riferimento (per esempio, una nave), non è possibile stabilire se il sistema sia in quiete o in moto uniforme. 3. Nella terza giornata è preso in considerazione il moto annuale della Terra (la rivoluzione che la Terra compie intorno al Sole). 4. Infine, nella quarta giornata, viene discussa per esteso quella che Galileo ritiene la prova inconfutabile a favore del moto della Terra, cioè la sua teoria del fenomeno delle maree.

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 87

87

06/02/12 14:58

IL DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO

DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO

personaggi

struttura e temi

Sagredo = intellettuale libero

PRIMA GIORNATA: • critica del mondo aristotelico • tesi dell’unicità del mondo fisico

Salviati = scienziato

SECONDA GIORNATA: • espone argomenti contrari al moto diurno terrestre • principio di relatività galileiano

Simplicio = aristotelico

TERZA GIORNATA: moto annuale della Terra

QUARTA GIORNATA: teoria sulle maree

Un impatto brusco

L’Inquisizione blocca la diffusione del Dialogo

L’abiura

5.4.3 La condanna di Galileo Il Dialogo venne pubblicato nel febbraio e già nell’estate la

reazione ostile contro le sue tesi era diventata così forte da suscitare una presa di posizione da parte dello stesso papa Urbano VIII. Galileo, consapevole della portata della sua opera, aveva cercato di moderarne l’impatto fingendo di aderire, nel proemio e nelle parole conclusive del libro, alla posizione che considerava l’astronomia copernicana alla stregua di pura ipotesi matematica, senza pretesa di descrizione della realtà. Ma questa sua adesione risultava ben poco credibile alla luce del resto dell’opera, e non poteva servire a salvare Galileo dal dramma che si stava preparando. Nel luglio del 1632 l’Inquisitore di Firenze diede l’ordine di sospendere la diffusione del Dialogo e di confiscare tutte le copie esistenti. Il testo fu mandato alla Congregazione del Sant’Uffizio e in ottobre fu intimato a Galileo di recarsi a Roma e mettersi a disposizione del Commissario dell’Inquisizione. Galileo riuscì a rimandare la partenza per qualche mese, ma nel gennaio del 1633 dovette alla fine mettersi in viaggio per presentarsi al Sant’Uffizio. La triste vicenda terminò con la sentenza di condanna emessa il 22 giugno del 1633. Nello stesso giorno Galileo fu costretto a leggere un pubblico atto d’abiura.

PER SINTETIZZARE • In quale lingua è scritto il Dialogo? • Perché Galileo decide di pubblicare il Dialogo?

88

56_117_scientifica.indd 88

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

6. Francesco Bacone e il metodo scientifico Francis Bacon, o italianizzato Francesco Bacone (1561-1626), è insieme con Galilei il grande pensatore grazie al quale il sapere scientifico acquisisce consapevolezza del proprio metodo e delle proprie potenzialità pratiche. Ma Bacone è anche una figura peculiare rispetto agli altri protagonisti della rivoluzione scientifica. Se essi, come abbiamo visto, hanno praticato direttamente la scienza, Bacone non fu uno scienziato, ma principalmente un uomo politico. Con Bacone si afferma la consapevolezza, di fronte alla nascente scienza della natura e alle numerose scoperte e invenzioni, della necessità di un nuovo modo di praticare la filosofia e, più in generale, di una nuova cultura. Secondo Bacone, questo rinnovamento del sapere avrebbe avuto grandi conseguenze pratiche e avrebbe condotto a un’epoca che si sarebbe differenziata da tutte le altre; di questo nuovo periodo della storia dell’umanità egli stesso si attribuì il ruolo di annunziatore e di iniziatore.

Una carriera politica importante

L’annuncio di una nuova cultura

LA VITA E LE OPERE 1561

Francis Bacon (italianizzato in Francesco Bacone), figlio di sir Nicholas Bacon, per vent’anni Lord Guardasigilli della regina Elisabetta I, nasce a Londra il 22 gennaio.

1573

All’età di 12 anni inizia gli studi di legge a Cambridge, al Trinity College. Dopo gli studi trascorre un periodo a Parigi come diplomatico.

1583

Tornato in Inghilterra alla morte del padre e iniziata l’attività politica, viene eletto in parlamento.

1603

Con l’ascesa al trono di re Giacomo I la carriera di Bacone ha un’impennata tanto da giungere alle cariche di Lord Guardasigilli (1617) e poi di Lord Cancelliere (1618) e ai titoli di barone di Verulamio (1618) e di visconte di Sant’Albano (1621). Nel corso dell’attività politica si dedica anche alla filosofia e al suo progetto di una riforma del sapere, la Grande instaurazione (Instauratio magna).

1605

Esce Il progresso della conoscenza, primo volume della Grande instaurazione.

1620

Pubblica il Nuovo Organo (Novum Organum), secondo volume della Grande instaurazione.

1621

Viene accusato di corruzione. Ammessa la propria colpevolezza, evita il carcere, ma subisce l’interdizione dai pubblici uffici e si ritira a vita privata. Si dedica allora agli studi a tempo pieno e redige il discorso preliminare della Grande instaurazione.

1622-1626

Scrive una rielaborazione del precedente volume del 1605 cambiando il titolo in La dignità e l’accrescimento delle scienze (De dignitate et augmentis scientiarum, 1623) e i due tomi del terzo volume della Grande instaurazione, rispettivamente intitolati Storia naturale e sperimentale (Historia naturalis et experimentalis, 1622) e La selva della selve (Silva silvarum, pubblicato postumo nel 1627). Quest’ultimo testo reca in appendice la Nuova Atlantide, incompiuta.

1626

Muore improvvisamente a Londra. Postumi escono anche Il parto maschio del tempo (terminato nel 1603) e La confutazione delle filosofie (1608).

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 89

89

06/02/12 14:58

Primo passo: la critica della tradizione

Due obiettivi polemici

6.1 Gli errori della tradizione Per giungere a questo rinnovamento occorre, secondo Bacone, rifiutare nettamente la filosofia del passato. La critica alla tradizione è il passo indispensabile per costruire la filosofia della nuova epoca, sebbene nella sua opera siano ancora presenti temi della tradizione: della magia, dell’astrologia, dell’aristotelismo e del platonismo. Due sono i principali obiettivi polemici verso i quali, fin dai suoi primi lavori filosofici, Bacone indirizza la propria attenzione: • il sapere della magia; • il sapere della filosofia tradizionale. A essi contrappone il sapere della scienza e la filosofia sperimentale che nasce dal contatto diretto con la natura e l’esperienza. FILOSOFI A CONFRONTO

Il sapere della magia è un sapere segreto e solo per iniziati, mentre il sapere della scienza è di carattere pubblico e intersoggettivo; il sapere della magia cerca cause occulte, non controllabili empiricamente, mentre il sapere della scienza si basa sull’osservazione empirica e sulla ripetizione sperimentale.

Il valore dell’esperienza

La filosofia tradizionale è una filosofia di parole

L’esperienza costituisce, per Bacone, la guida della filosofia. Nella sua prima e breve opera filosofica, Il parto maschio del tempo (1603, uscito postumo), il filosofo inglese si scaglia duramente contro le imposture dei maghi e contro Paracelso (Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, 1593-1641), il principale esponente delle correnti magiche e alchimistiche del Cinquecento. Anche il sapere della filosofia della tradizione è stato cieco di fronte all’esperienza, e proprio per questo motivo è risultato oscuro e sterile: una filosofia delle parole senza contatto con la realtà, e perciò incapace di avere conseguenze pratiche, di dar luogo a invenzioni e scoperte. FILOSOFI A CONFRONTO

Fino dai tempi della Grecia classica, fino da Platone e Aristotele, secondo Bacone, la filosofia ha preferito le vie dell’astrazione all’analisi attenta della realtà. La filosofia greca ha poi tramandato questo carattere a quella successiva, fino alla filosofia a lui contemporanea.

Il rifiuto dell’autorità della tradizione

La verità figlia del tempo

90

56_117_scientifica.indd 90

Tutto ciò non è stato solo il frutto di un errore filosofico, ma una vera e propria colpa morale dei filosofi del passato, che hanno peccato di superbia intellettuale, sostituendo al difficile lavoro di indagine della natura la speculazione astratta e la contemplazione interiore. Inoltre, come già Galileo, Bacone rimprovera alla filosofia della tradizione di aver preferito alla guida dell’esperienza l’autorità di pochi filosofi del passato. Essa si è accontentata delle loro dottrine, dedicandosi all’interpretazione dei testi, e non è progredita nello studio della natura. La conseguenza è che le scienze sono rimaste per duemila anni «nello stesso stato senza nessun progresso degno di nota», come scrive in un’opera composta nel 1608, La confutazione delle filosofie. Al culto dell’autorità e alla sapienza degli antichi, Bacone obietta che non c’è un sapere che possa essere considerato indubitabile e la cui autorità sia eterna e si debba imporre a tutti. Come si esprime in un’altra opera di questo periodo, i Pensieri e conclusioni sull’interpretazione della natura o sulla scienza operativa (1605): «per universale consenso la verità è figlia del tempo».

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

BACONE E LA DIFESA DELLA SCIENZA E DELLA FILOSOFIA SPERIMENTALE BACONE

OBIETTIVI POLEMICI

NUOVA CULTURA

magia • sapere segreto e per iniziati • cerca cause occulte, non controllabili empiricamente

scienza • sapere pubblico e intersoggettivo • si basa su osservazione empirica e verifica sperimentale

filosofia tradizionale • vie dell’astrazione • contemplazione interiore • non ha conseguenze pratiche

filosofia sperimentale • analisi della realtà • contatto diretto con la natura • esperienza

6.2 La teoria degli «idoli» Errori che si frappongono tra l’intelletto e la realtà

Quattro tipi di errori

Gli idoli della tribù

Gli idoli della spelonca

Gli idoli del foro

Gli idoli del teatro

Tutte queste errate concezioni della tradizione filosofica sono dovute al fatto che la mente umana soltanto con molta difficoltà riesce ad avere un accesso alla realtà diretto e libero da pregiudizi. Nell’intelletto umano si radicano, infatti, tutta una serie di errori e false illusioni – chiamati da Bacone «idoli» (dal latino idola), cioè forme vane di sapere – che risultano di ostacolo alla corretta comprensione della realtà. Da questi errori l’uomo si deve liberare se vuole approdare al raggiungimento della verità e alla conoscenza della natura. La teoria degli idoli è contenuta in un’opera pubblicata nel 1620, il Nuovo Organo, nella quale vengono fissate le tesi principali della filosofia di Bacone. Gli errori da cui la mente umana può essere sviata sono, a seconda della loro origine, di quattro tipi: gli «idoli della tribù», gli «idoli della spelonca», gli «idoli del foro» e gli «idoli del teatro». 1. Gli idoli della tribù (idola tribus) derivano dalla natura della specie umana, in particolare dalla tendenza naturale della mente a semplificare e a deformare le cose, e dalla naturale insufficienza dei sensi a cogliere gli aspetti più reconditi della natura. Proprio in quanto tendenze naturali, essi sono comuni a tutti gli uomini. 2. Gli idoli della spelonca (idola specus) sono invece gli errori che hanno origine nella natura singolare di ogni individuo. A causa della sua propria e particolare costituzione, dell’educazione ricevuta, dell’influsso dell’ambiente e delle circostanze esterne, essa riflette sempre in modo diverso la luce della natura, così come – dice Bacone con un implicito riferimento al mito della caverna di Platone – in una spelonca viene riflessa la luce che viene dall’esterno. Gli altri due tipi di errori non derivano dalle caratteristiche generali o singolari della natura umana, ma direttamente dalla realtà esterna rispetto all’uomo. 3. Gli idoli del foro (idola fori) hanno origine nelle caratteristiche dell’interazione e del consorzio tra gli uomini, e in particolare nel linguaggio usato in questa interazione, il quale, nascendo da un uso comune e volgare, porta con sé le tracce dell’ignoranza. Il foro, cioè la piazza e il mercato, è il luogo esemplare in cui avviene il contatto fra gli uomini e in cui nascono gli errori di questo tipo. La maggior parte di essi deriva da un uso confuso e ambiguo delle parole, oppure dall’uso delle parole per riferirsi a oggetti inesistenti. 4. Gli idoli del teatro (idola theatri) sono invece gli errori che si possono imputare alle diverse teorie apparse sulla scena della filosofia. Esse hanno creato false rappresentazioni della realtà e della natura, storie immaginarie analoghe a quelle che vengono recitate sul palcoscenico di un teatro.

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 91

91

06/02/12 14:58

T3 Anticipazioni della natura

Interpretazione della natura e induzione

Di questo genere sono per esempio, secondo Bacone, la dottrina dei quattro elementi o la teoria del moto circolare dei pianeti. Tutti questi idoli conducono a errate rappresentazioni della natura e della realtà. Ci sono, infatti, due modi di rappresentare la natura, uno errato e uno vero. Le rappresentazioni errate sono chiamate da Bacone «anticipazioni della natura»: esse sono errate perché prodotte frettolosamente dall’esame di pochi dati o dall’esame soltanto dei dati più abituali. Le rappresentazioni vere sono invece chiamate «interpretazioni della natura»: esse sono vere perché prodotte dall’esame di molti dati, inclusi quelli meno abituali. Le interpretazioni della natura, cioè, sono vere perché prodotte seguendo il corretto metodo di acquisizione della conoscenza: l’induzione. Gli errori della tradizione sono destinati a essere scacciati qualora venga seguito il metodo corretto, attraverso il quale è possibile giungere a una rappresentazione non deformata della realtà. PER SINTETIZZARE • Perché Bacone auspica un rinnovamento del sapere? • Qual è l’opinione di Bacone sull’alchimia? • Come concepisce la verità Bacone? • Che cosa sono gli idoli del foro, per Bacone?

6.3 Il metodo della scienza Il metodo di acquisizione della conoscenza viene delineato da Bacone nel Nuovo Organo (1620). FILOSOFI A CONFRONTO

Già dal titolo quest’opera si pone come la presentazione di una nuova logica, in grado di superare la vecchia logica contenuta nell’Organo aristotelico.

Un Nuovo Organo per superare la logica aristotelica

Critica della concezione aristotelica dell’induzione

Di questo metodo si sarebbe dovuta avvalere la scienza nella sua opera di conoscenza della realtà. Il primo passo compiuto da Bacone è quello di criticare la logica deduttiva di Aristotele come una logica sterile e inadatta alla scienza della natura. Il metodo sillogistico aristotelico deduce da alcuni assiomi generali delle conclusioni particolari attraverso delle assunzioni intermedie (come nel noto sillogismo: “Tutti gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo, allora Socrate è mortale”). Il metodo sillogistico, sostiene Bacone, è formalmente ineccepibile, ma è sterile, perché le conclusioni non aggiungono niente a quanto già contenuto nelle premesse. Ed è inadatto alla scienza, perché non dà garanzie che le premesse siano vere e ricavate in maniera corretta dalla realtà naturale. Ma anche Aristotele non si era limitato al metodo sillogistico-deduttivo. Aveva affiancato ad esso un procedimento induttivo attraverso il quale, dall’esame dei casi particolari, si poteva passare a principi di carattere generale. FILOSOFI A CONFRONTO

Tuttavia, il modo aristotelico di concepire l’induzione è, secondo Bacone, scorretto: l’induzione di Aristotele si limita a trarre immediatamente dal particolare il generale, e in ciò consiste il suo errore. Essa si basa su quella che Bacone chiama «enumerazione semplice»: l’enumerazione di una serie di casi da cui immediatamente viene indotto il principio generale.

92

56_117_scientifica.indd 92

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

La corretta induzione

Il metodo induttivo basato sull’esclusione

Tre tipi di tavole per ordinare i dati

Il passaggio dal caso particolare ai principi generali deve invece essere un passaggio graduale, che non trae il generale immediatamente dal particolare, ma che «induce» dal particolare prima degli «assiomi medi», dai quali possono poi essere indotti gli «assiomi generali». L’induzione così concepita è quindi una vera e propria «interpretazione» della realtà. Questa nuova induzione non si basa, quindi, sulla semplice enumerazione ma sull’esclusione. È solo dopo l’attenta scelta dei casi e delle conclusioni non essenziali che si giunge agli assiomi medi e, da qui, agli assiomi generali. Il procedimento ideato da Bacone prevede tre passaggi: 1. come primo passo deve essere predisposto un attento lavoro di raccolta dei dati, che Bacone chiama «storia naturale e sperimentale». Questo lavoro da solo non è tuttavia sufficiente, in quanto i dati così raccolti mancano di ordine; 2. come secondo passo devono quindi essere predisposte delle «tavole» in cui i dati sono registrati e ordinati. Le tavole in cui vengono ordinati i dati dell’esperienza sono di tre tipi:

John Vanderbank, Ritratto di Francis Bacon, 1731. Londra, National Portrait Gallery.

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 93

93

06/02/12 14:58

Prima ipotesi provvisoria di spiegazione

a) tavole della presenza, in cui vengono riportati tutti casi in cui compare il fenomeno di cui si cerca la spiegazione; per esempio tutti i casi in cui si manifesta il fenomeno del calore: i raggi del sole, i vari tipi di fiamma, i fulmini e così via. b) tavole dell’assenza, in cui vengono riportati tutti i casi che sono prossimi e simili ai precedenti, ma nei quali il fenomeno che viene indagato è assente. Per esempio i raggi della luna, i raggi delle comete, i fuochi fatui, i lampeggiamenti che fanno luce ma non bruciano ecc. c) tavole dei gradi, in cui sono riportati i casi in cui il fenomeno è presente ma varia per gradi di intensità. Attraverso una stesura esauriente delle tavole, si può giungere all’esclusione delle ipotesi non pertinenti e si può tentare una prima provvisoria ipotesi di spiegazione, che è detta da Bacone «prima vendemmia» (vindimiatio prima). 3. solo su questa base è possibile il terzo passo, costituito dall’induzione per eliminazione.

I DUE TIPI DI INDUZIONE INDUZIONE TRADIZIONALE (SCIENZA ARISTOTELICA)

INDUZIONE BACONIANA

dati particolari dell’esperienza

enumerazione semplice

raccolta dei dati particolari

tavole e coordinazione dei casi particolari

• eliminazione delle ipotesi non pertinenti • ipotesi provvisoria = prima vendemmia

generalizzazione semplice

induzione per eliminazione

esperimenti di conferma (per esempio esperimento cruciale)

Gli esperimenti di conferma

94

56_117_scientifica.indd 94

L’ultimo passaggio, per capire se il procedimento di induzione risulta corretto e se siamo quindi di fronte a una vera interpretazione della natura, è costituito dal sottoporre le ipotesi a cui si giunge dopo la prima vendemmia a numerosi esperimenti di conferma, chiamati «istanze prerogative». L’istanza più importante è il cosiddetto «esperimento cruciale» (instantia crucis), attraverso il quale si arriva a selezionare una sola spiegazione fra più ipotesi possibili, scartando le altre come errate, così come a un incrocio si sceglie quale strada seguire scartando tutte le altre.

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

6.4 La conoscenza delle forme Il bilanciamento tra esperienza e ragione

Le metafore animali

La forma delle cose come oggetto della scienza

Il metodo induttivo così delineato si presenta come un procedimento in cui i dati raccolti dall’esperienza vengono bilanciati con le ipotesi e le congetture della ragione. Bacone stesso è consapevole dell’importanza di questo equilibrio fra esperienza e ragione, per evitare i difetti insiti nel privilegiare solo l’esperienza – è la posizione di coloro che chiama «empirici» –, oppure nel privilegiare solo la ragione – è la posizione di coloro che chiama «dogmatici» o «razionalisti». Utilizzando una similitudine che diverrà poi famosa, i primi sono paragonati alle formiche, che consumano direttamente il materiale da loro accumulato; i secondi ai ragni, che creano da sé la tela che darà loro nutrimento. La posizione corretta è quella che unisce le virtù di entrambe: cioè quella delle api, che ricavano il nutrimento dall’esterno, ma lo trasformano secondo la propria natura. Il fine del procedimento induttivo è quello di giungere alla conoscenza della «forma» della cosa studiata, cioè di ciò che viene considerato l’essenza profonda e la vera natura della cosa. Una conoscenza che Dio ha immediatamente, ma che l’uomo può raggiungere solo attraverso il metodo induttivo. FILOSOFI A CONFRONTO

Delle quattro cause individuate da Aristotele – materiale, finale, efficiente e formale – Bacone scarta infatti le prime tre come inutili e sterili, e ritiene essenziale solo la causa formale, sforzandosi di dare a questa nozione un significato nuovo.

Forma, schematismo latente e processo latente

La nozione di forma è connessa ad altri due concetti introdotti da Bacone: 1. lo schematismo latente, che è la struttura ultima e non percepibile di un particolare fenomeno; 2. il processo latente, che è il processo di trasformazione, anch’esso non immediatamente visibile ai sensi, del fenomeno. Conoscere la forma è allora conoscere lo schematismo e il processo latente, la struttura essenziale e la legge che regola la trasformazione del fenomeno.

IL PERCORSO DELLA SCIENZA NELLA RICERCA DELLE FORME

DATI DELL’ESPERIENZA

CONOSCENZA CHE L’UOMO RAGGIUNGE CON L’INDUZIONE

natura manifesta ai sensi (fenomeni naturali)

essenza nascosta dei fenomeni naturali (natura latente)

struttura ultima e non percepibile di un fenomeno

schematismo latente cause formali

processualità: generazione e movimento

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 95

processo latente = legge

95

06/02/12 14:58

Una concezione ancora qualitativa della scienza

Una matematica estranea alla scienza L’alchimia e la trasformazione dei corpi

Uno dei problemi maggiori nell’interpretazione del pensiero di Bacone è spiegare cosa egli intenda con la nozione di «forma»; ed è anche uno degli aspetti in cui è apparso più evidente il legame con la tradizione aristotelica e scolastica. Come quella tradizione, Bacone privilegia un’analisi qualitativa della realtà, lasciando fuori della sua attenzione quanto invece si era già affermato con Keplero e Galileo: da una parte, la centralità della nozione di causa efficiente, a cui preferisce quella di causa formale, dall’altra l’uso della matematica ai fini della scienza. La matematica è ancora considerata da Bacone come qualcosa di estraneo al procedimento scientifico, come uno strumento utile a rendere conto di un ordine metafisico di armonia universale, così come essa era stata concepita nella tradizione platonica. Non solo, ma la conoscenza delle forme avrebbe per Bacone aperto alla scienza orizzonti sorprendenti, tanto da essere soddisfatte le stesse aspirazioni della magia e dell’alchimia. Bacone ritiene, come gli alchimisti, che una volta conosciute le nature semplici di un corpo sia possibile separarle da esso. Si possa, per esempio, separare una pietra dal suo colore, dal suo peso, dalla sua duttilità ecc., e introdurre tali nature in un altro corpo, tanto da poter trasformare una qualsiasi pietra in oro. Elementi moderni e pre-moderni convivono così nel pensiero di Bacone, come del resto, lo si è visto, in gran parte dei protagonisti della rivoluzione scientifica. PER SINTETIZZARE • Che cosa sono le tavole della presenza, per Bacone? • Che ruolo hanno le ipotesi nel metodo induttivo, secondo Bacone? • L’analisi di Bacone è qualitativa o quantitativa?

6.5 Scienza e tecnica Un legame inscindibile

Conoscere e dominare il mondo

L’utopia della Nuova Atlantide

Un modello per le società scientifiche

96

56_117_scientifica.indd 96

Il riconoscimento del legame della scienza con l’operare tecnico è uno degli aspetti di maggiore interesse e novità del pensiero di Bacone. Il ruolo pratico della scienza viene apprezzato in tutta la sua importanza: come viene sempre ripetuto, per Bacone «sapere è potere». Innanzitutto la tecnica è di aiuto nel perseguimento della conoscenza. Senza uno stretto rapporto con il fare tecnico la scienza non sarebbe possibile, dato che affinché si abbia scienza è necessaria la costruzione di nuovi strumenti e l’elaborazione di complessi esperimenti. Inoltre, il perfezionamento della tecnica è conseguenza diretta della scienza. Grazie alla scienza l’uomo può accrescere la propria forza e il proprio dominio sulla realtà, viene messo in possesso di invenzioni e scoperte che diventano lo strumento di questo dominio. Compito della scienza è non solo conoscere, ma trasformare la realtà a vantaggio dell’uomo. Un mondo utopico in cui si realizza questo dominio della scienza e della tecnica viene immaginato da Bacone in una delle sue ultime opere, rimasta incompiuta, la Nuova Atlantide (1627, postumo). In essa viene descritta una società ideale, scoperta in un’isola immaginaria al largo del Perù, «Bensalem». Nell’isola trova attuazione una perfetta convivenza morale e civile fra gli uomini; gli scienziati detengono il potere politico e, dopo avere liberata la mente umana dalle illusioni e dai fantasmi, usano la scienza al servizio dei loro cittadini, per estenderne la potenza e il dominio sulla natura. Essi sono riuniti in una istituzione, la Casa di Salomone, la cui organizzazione, delineata nei dettagli da Bacone, ha costituito il prototipo delle prime accademie scientifiche d’Europa, in particolare della Royal Society di Londra, fondata nel 1662. In esse trovò realizzazione il modello di sapere pubblico e intersoggettivo praticato dalla nuova scienza naturale.

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

Il progetto di un’enciclopedia universale delle scienze

Il progetto di un sapere universale ispirato a questi ideali viene elaborato da Bacone in un’altra opera dell’ultimo periodo, Sulla dignità e l’accrescimento delle scienze (1623). In quest’opera è delineata l’esigenza di un’enciclopedia universale delle scienze, che segua, nella sua ripartizione, le facoltà della mente umana: • la storia, corrispondente alla memoria; • la poesia, corrispondente all’immaginazione; • la filosofia (a sua volta distinta in teologia, scienza della natura e scienza dell’uomo), corrispondente alla ragione. Bacone non ebbe modo di portare a compimento l’imponente progetto, tuttavia esso ebbe grande fortuna, rappresentando il modello a cui si ispirarono, un secolo dopo, Diderot e d’Alembert per la realizzazione dell’Enciclopedia illuministica. PER SINTETIZZARE • La scienza per Bacone ha un fine pratico? • Che cos’è l’enciclopedia del sapere per Bacone?

Collezioni di coleotteri di Hans Sloane. Londra, Natural History Museum.

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 97

97

06/02/12 14:58

SOMMARIO CHE COS’È LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA

1

Va sotto il nome di “rivoluzione scientifica” il cambiamento epocale avvenuto nel pensiero filosofico e scientifico europeo fra il XVI e il XVII secolo. 1 Questo processo storico modifica radicalmente l’immagine della scienza, facendone un progetto di ricerca intersoggettivo, cambia la figura dello scienziato e, più in generale, il rapporto dell’essere umano con la conoscenza e con l’universo. 2 Si avviano mutamenti culturali e concettuali fondamentali: l’abbandono della concezione finalistica della natura, l’identificazione dell’obiettivo della scienza con la ricerca di leggi fisiche causali generali esprimibili in formule matematiche. 3 Ne consegue l’abbandono dell’idea della centralità dell’essere umano e del pianeta Terra nell’universo. LA RIVOLUZIONE COPERNICANA

2

1 La rivoluzione scientifica parte nel XVI secolo con le ricerche astronomiche di Copernico e la pubblicazione del suo Le rivoluzioni dei corpi celesti. 2 Il sistema tolemaico è fondato sui capisaldi della fisica aristotelica come la distinzione tra mondo terrestre e mondo celeste e tra moti naturali e moti violenti. 3 Copernico invece sostiene che è la Terra a muoversi intorno al Sole (sistema eliocentrico) e non viceversa (sistema geocentrico), e su questa tesi costruisce un sistema astronomico alternativo. 4 La teoria di Copernico è ben sviluppata tecnicamente e gli astronomi iniziano a utilizzare le sue tavole, ma la sua descrizione del cosmo è in contrasto con la lettura corrente della Bibbia e con l’idea radicata che l’uomo e la Terra siano al centro dell’universo. Copernico non recede dalle sue convinzioni e rifiuta i compromessi, come quello suggerito da Osiander che vuole riconciliare scienza e fede dando alla teoria scientifica solo un valore ipotetico, senza pretese di verità. IL COMPROMESSO DI TYCHO BRAHE

3

Brahe è uno dei maggiori protagonisti del dibattito astronomico del XVII secolo. Egli passa alla storia come il maggior osservatore del cielo a occhio nudo raccogliendo, anche grazie al suo grande osservatorio, un’enorme mole di dati sui fenomeni celesti, patrimonio prezioso anche per i suoi successori. 1 Le osservazioni contraddicono il sistema tolemaico: per esempio le traiettorie delle comete passano attraverso le ipotetiche «sfere» trasparenti dei cieli e non sono circolari. 2 Brahe tuttavia ha da obiettare anche contro il sistema copernicano e propone una sua originale ipotesi di compromesso tra i due, il cosiddetto «sistema ticonico». GIOVANNI KEPLERO: VERSO UNA MODERNA FISICA DEI CIELI

4

1 Keplero, grande studioso dei moti planetari, elabora una teoria astronomica innovativa, avvalendosi anche dei dati osservativi raccolti da Brahe, di cui è collaboratore e successore. Il suo modello delle orbite dei pianeti utilizza figure geometriche (i poliedri platonici) nella descrizione del mondo fisico. 2 Keplero afferma che le orbite planetarie sono ellittiche e definisce la variazione di velocità dei modi orbitali, enunciando le prime due leggi fisiche ancora oggi note come «leggi di Keplero».

98

56_117_scientifica.indd 98

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

3 La terza legge invece è diversa dalla altre due e stabilisce una proporzione tra i periodi di rivoluzione e le distanze dei pianeti dal Sole. Questa proporzione viene poi collegata da Keplero alla tematica pitagorica dell’armonia delle sfere, mettendo in relazioni struttura fisica e struttura dinamica dell’universo. 4 Keplero è una figura emblematica del suo tempo: da un lato è moderno perché formula le sue teorie in termini matematici e si attiene saldamente ai dati di osservazione, dall’altro resta legato alla tradizione pitagorica e platonica e per certe sue tesi egli dà ragioni mistico-metafisiche accanto a quelle scientifiche. 5

GALILEO GALILEI E LA NASCITA DELLA SCIENZA MODERNA

Con Galilei si compie la creazione di una nuova scienza e la sua figura riassume molti tratti dello scienziato moderno. 1 Egli elabora un metodo sperimentale avanzato e fa cadere la barriera tradizionale tra scienza e tecnica con la costruzione e l’uso del cannocchiale per l’osservazione degli astri e di un laboratorio in cui ripetere le esperienze sulla caduta dei gravi in condizioni controllate. I risultati delle sue ricerche sono altrettanto rilevanti: porta nuove prove a sostegno della verità della teoria di Copernico. 2 Inoltre, nega la distinzione tra moto naturale e moto violento e getta le basi per una teoria del moto in forma matematica in cui definisce il concetto di accelerazione. Il metodo galileiano non si basa su generalizzazioni ma sull’astrazione. 3 Galilei cerca di conciliare la teologia e l’astronomia copernicana introducendo la distinzione tra verità di fede e verità della natura. Nel Saggiatore Galilei, introducendo la distinzione tra qualità oggettive e soggettive rivendica la capacità della scienza di conoscere la realtà oggettiva, indipendente dalle condizioni del soggetto conoscente, attraverso la misurazione e l’espressione matematica delle caratteristiche quantitative dei fenomeni. 4 Il lungo e drammatico confronto con la Chiesa termina con la condanna del capolavoro di Galilei, il Dialogo sopra i due massimi sistemi, in cui tra le altre tesi espone il principio di relatività galileiano, e con l’abiura dello scienziato. 6

FRANCESCO BACONE E IL METODO SCIENTIFICO

1 Bacone è uno dei massimi metodologi e promotori della scienza moderna. In polemica con la filosofia contemplativa di matrice platonica e con la magia, afferma la necessità di un nuovo approccio alla conoscenza della natura. 2 Nella sua teoria degli «idoli» Bacone classifica ed esamina i principali errori che viziano la conoscenza umana. 3 Nel Nuovo Organo elabora un metodo di induzione per avanzare progressivamente nella conoscenza della natura sottoponendo le ipotesi generali a conferma e a selezione sulla base dell’esperienza e l’uso di «tavole», in cui vengono ordinati i dati. 4 Accanto ad aspetti di grande modernità, nel pensiero di Bacone sopravvivono elementi tradizionali come una concezione qualitativa dell’oggetto della scienza (le forme), che rimanda da un lato all’aristotelismo e dall’altro all’alchimia. 5 Infine, un tratto tipicamente moderno della filosofia di Bacone è la valorizzazione del rapporto tra scienza e tecnologia: la tecnologia fornisce alla scienza strumenti per conoscere la natura, la teoria scientifica serve a perfezionare gli strumenti tecnologici e l’intreccio scienza-tecnologia serve – «sapere è potere» – a dominare la natura.

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 99

99

06/02/12 14:58

LESSICO

A

Accelerazione. Variazione della velocità nell’unità di tempo. Questa grandezza, prima trascurata e mal definita, ha una parte importante nella nascita della scienza moderna, particolarmente in relazione alle ricerche di Galilei sul moto dei gravi.

Astrazione. Generalizzazione operata escludendo gli elementi reputati accidentali e conservando solo quelli essenziali.

B E G I

Base osservativa. Il complesso dei dati delle osservazioni su cui si basa una teoria fisica. Eliocentrico. Detto del sistema teorico del cosmo che pone al centro il Sole. Geocentrico. Detto del sistema teorico del cosmo che pone al centro la Terra.

Induzione. Ragionamento che procede dal particolare al generale; esso permette di costruire una teoria generale a partire dai dati dell’esperienza, che è sempre particolare. Intersoggettivo. Condiviso e/o condivisibile da una molteplicità di soggetti; l’intersoggettività della conoscenza ne rende possibile il controllo da parte di persone diverse e in circostanze diverse e, in epoca moderna, diventa un criterio importante di validità oggettiva.

L M

Legge (fisica). Proposizione universale che descrive l’andamento di determinati fenomeni fisici, tipicamente formulata in termini matematici nella scienza moderna.

Mondo celeste. Concetto fondamentale della fisica aristotelica, che distingue nettamente il mondo celeste, in cui esistono solo movimenti perfettamente circolari e nessun altro mutamento, dal mondo terrestre o sublunare. Mondo terrestre o sublunare. Il mondo del nostro pianeta; nella fisica aristotelica è contrapposto nettamente al mondo celeste e si caratterizza per essere soggetto a ogni sorta di mutamento, di generazione e di corruzione. Moto naturale. Nella fisica aristotelica, il movimento di ciascun corpo verso il luogo a cui tende per sua natura (luogo naturale), che può essere interrotto solo dal raggiungimento del luogo naturale o da un moto violento. Moto violento. Nella fisica aristotelica, il movimento impresso a un corpo da un altro corpo; questo concetto viene contrapposto a quello di moto naturale.

P

Poliedri platonici. I cinque solidi regolari, ossia tetraedro, cubo, ottaedro, dodecaedro e icosaedro. Sono detti «platonici» per la funzione fondamentale che è stata loro attribuita nella genesi del cosmo nel Timeo di Platone.

Q

Qualità oggettive. In un processo conoscitivo, le caratteristiche dell’oggetto indipendenti dallo stato del soggetto; per via di tale indipendenza la loro conoscenza ha validità oggettiva. Nel Saggiatore Galilei identifica le qualità oggettive con le caratteristiche quantitative dei fenomeni, misurabili ed esprimibili in termini matematici.

100

56_117_scientifica.indd 100

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

Qualità soggettive. Le caratteristiche dell’oggetto, date nell’esperienza, che dipendono dallo stato del soggetto e per questo non hanno valore di conoscenza della realtà. Per Galilei (Saggiatore) colori e sapori sono esempi di qualità soggettive.

R

Relatività (principio galieiano di). Principio enunciato da Galilei nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, secondo il quale non è possibile riconoscere se un sistema di riferimento è in quiete o in moto rettilineo uniforme in base a esperienze di meccanica compiute al suo interno.

S

“Salvare i fenomeni”. Espressione che si riferisce al rapporto tra teoria scientifica ed esperienza: una teoria “salva i fenomeni” quando è coerente con i dati osservativi. L’espressione è stata utilizzata dai sostenitori della concezione secondo la quale la scienza non può ambire alla conoscenza della realtà e quindi deve limitarsi a “salvare i fenomeni”. Sistema tolemaico / Astronomia tolemaica / Cosmologia tolemaica. Denominazioni che si riferiscono alla concezione del cosmo codificata dall’astronomo Tolomeo nel II secolo d.C. e adottata con sviluppi e aggiustamenti successivi fino all’epoca di Copernico.

V

Verità di fede / Verità della natura. Distinzione introdotta da Galilei per definire l’ambito delle verità della religione rispetto alle leggi e ai principi della natura, ricavati con il metodo della nuova scienza, per tentare di conciliare la tradizione della Scrittura con l’astronomia copernicana.

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 101

101

06/02/12 14:58

QUESTIONARIO 1

LA LEGITTIMAZIONE DELLA NUOVA SCIENZA In che modo la nuova scienza legittima la sua pretesa di superare le autorità del sapere tradizionale come la filosofia antica e i testi biblici? (max 3 righe)

2

SALVARE I FENOMENI Rispetto all’obiettivo di salvare i fenomeni, che differenza c’è tra sistema tolemaico e sistema copernicano? (max 3 righe)

3

IL COSMO PRIMA DI COPERNICO Quali sono le due grandi dottrine che caratterizzano la concezione del cosmo prima di Copernico? (max 2 righe)

4

L’INTERPRETAZIONE PRAGMATICA DEL COPERNICANESIMO In che cosa consiste l’interpretazione pragmatica della teoria copernicana e chi la propose? (max 2 righe)

5

L’INCOERENZA DEL SISTEMA TOLEMAICO In che cosa consiste l’incoerenza che Copernico attribuisce alla concezione tradizionale e in particolare all’uso degli “eccentrici”? (max 3 righe)

6

LO STUDIO SULLE COMETE DI BRAHE Quali furono le conseguenze delle osservazioni sulla comete di Brahe? (max 4 righe)

7

IL SISTEMA TICONICO Quali sono le motivazioni che portano Tycho Brahe a elaborare un terzo sistema astronomico, diverso da quello tolemaico e da quello copernicano? (max 5 righe)

8

IL MISTERO COSMOGRAFICO Quali sono le principali tesi del Mistero cosmografico di Keplero? (max 5 righe)

9

I POLIEDRI PLATONICI Nell’elaborazione del suo modello matematico che ruolo assegna Keplero ai poliedri platonici? (max 3 righe)

10

L’ARMONIA DEL COSMO Da dove deriva e in quali termini è esprimibile l’armonia del mondo di cui parla Keplero? (max 4 righe)

11

IL CANNOCCHIALE DI GALILEO A che cosa serve il cannocchiale a Galileo nello studio dell’astronomia? (max 3 righe)

12

LE FASI DELLA LUNA Qual è la conclusione che Galileo trae dall’osservazione delle fasi della luna? (max 2 righe)

102

56_117_scientifica.indd 102

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

13

IL LABORATORIO DI GALILEO Quale esigenza conoscitiva fondamentale porta Galileo a costruire un laboratorio per lo studio del moto dei gravi? (max 3 righe)

14

IL PRINCIPIO DI INERZIA Nella teoria del moto di Galileo, qual è il significato del principio di inerzia? (max 3 righe)

15

L’ASTRAZIONE E IL METODO GALILEIANO Nel metodo galileiano che funzione svolge l’astrazione? (max 3 righe)

16

LA CONOSCENZA SCIENTIFICA PER GALILEO Qual è l’oggetto della conoscenza scientifica secondo Galileo nel Saggiatore? (max 2 righe)

17

IL DIBATTITO TRA GRASSI E GALILEO Quale movimento planetario è l’oggetto del contendere nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo e perché è così importante? (max 4 righe)

18

GLI OBIETTIVI POLEMICI DI BACONE Bacone ritiene che la scienza moderna debba rompere con la cultura tradizionale, che ostacola la conoscenza della natura: quali sono i due principali obiettivi polemici in questo senso? (max 2 righe)

19

BACONE E I PREGIUDIZI Che cosa sono i pregiudizi secondo Bacone e perché vanno abbandonati? (max 4 righe)

20 BACONE E L’INTERPRETAZIONE DELLA NATURA

Che cos’è l’interpretazione della natura secondo Bacone? (max 3 righe) 21

LA «PRIMA VENDEMMIA» DI BACONE Come si svolge quel processo che Bacone chiama «prima vendemmia» e a che cosa serve? (max 5 righe)

22 LA «FORMA» PER BACONE

Che cos’è la «forma» per Bacone e come è possibile conoscerla? (max 4 righe) 23 SCIENZA E TECNICA IN BACONE

A che scopo Bacone auspica la collaborazione di scienza e tecnica? (max 2 righe) 24 LA NUOVA ATLANTIDE DI BACONE

Quali sono i temi della Nuova Atlantide di Bacone? (max 3 righe)

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 103

103

06/02/12 14:58

Distinzione tra le qualità oggettive e le qualità soggettive

FOC

T1 US

Obiettivo polemico Il saggiatore (1623) è l’opera di Galilei in cui il filosofo polemizza con il gesuita Orazio Gras-

si e la sua teoria sulle comete. Il brano che leggiamo, tratto dal cap. 48, è dedicato al tema delle qualità della materia e, in polemica con la teoria tradizionale basata sulla fisica di Aristotele, presenta la concezione galileiana della conoscenza scientifica. Per ottenere una conoscenza vera e oggettiva, infatti, bisogna mettere tra parentesi le qualità che dipendono dalla relazione tra l’oggetto e la sensibilità (soggettive) e occuparsi di quelle misurabili (oggettive). Questa distinzione viene fatta propria da tutti i fisici della rivoluzione scientifica.

da G. Galilei, Il Saggiatore, in id., Opere, Barbera, Firenze 1890-1909, vol. 6, pp. 347-350.

n

L’A N T O L O G I A

n

5

Obiettivo polemico Galileo rifiuta la teoria aristotelico-scolastica secondo cui le qualità soggettive sono qualità reali della materia.

1. In generale. 2. Riteniamo che [il caldo] sia. 3. Una qualità vera, essenziale. 4. Fatta questa premessa. 5. Mi sento costretto dalla necessità, dalla logica del ragionamento. 6. Contemporaneamente. 7. Che quella sostanza sia finita e abbia una figura definita. 8. E non posso, nemmeno con l’immaginazione, separarla da queste qualità. 9. La mia mente non si sente spinta. 10. A dover pensare quella sostanza. 11. Se i sensi non accompagnassero la nostra esperienza. 12. Nemmeno il linguaggio o l’immaginazione da sé stessa si occuperebbero mai di esse. 13. Per ciò. 14. Risiedano. 15. Nella sensibilità corporea. 16. Così che, se escludiamo il soggetto animato, vengono tolte e ridotte a nulla. 17. Nei; Galilei usa la forma con apocope o elisione. 18. In realtà.

104

56_117_scientifica.indd 104

10

15

20

25

[…] prima mi fa bisogno fare alcuna considerazione sopra questo che noi chiamiamo caldo, del quale dubito grandemente che in universale1 ne venga formato concetto assai lontano dal vero, mentre viene creduto essere2 un vero accidente affezione e qualità3, che realmente risegga nella materia dalla quale noi sentiamo riscaldarci. Per tanto4 io vi dico che ben sento tirarmi dalla necessità5, subito che concepisco una materia o sostanza corporea, a concepire insieme6 ch’ella è terminata e figurata di questa o di quella figura7, ch’ella in relazione ad altre è grande o piccola, ch’ella è in questo o quel luogo, in questo o quel tempo, ch’ella si muove o sta ferma, ch’ella tocca o non tocca un altro corpo, ch’ella è una, poche o molte, né per veruna imaginazione posso separarla da queste condizioni8; ma ch’ella debba esser bianca o rossa, amara o dolce, sonora o muta, di grato o ingrato odore, non sento farmi forza alla mente9 di doverla apprendere10 da cotali condizioni necessariamente accompagnata: anzi se i sensi non ci fussero scorta11, forse il discorso o l’immaginazione per sé stessa non v’arriverebbe già mai12. Per lo che13 vo io pensando che questi sapori, odori, colori etc., per la parte del suggetto nel qual ci par che riseggano14, non sieno altro che puri nomi, ma tengano solamente lor residenza nel corpo sensitivo15, sì che rimosso l’animale, siano levate e annichilate16 tutte queste qualità. […] Ma che ne’17 corpi esterni, per eccitare in noi i sapori, gli odori e i suoni, si richiegga altro che grandezze, figure, moltitudini e movimenti tardi o veloci, io non lo credo; e stimo che, tolti via le orecchie le lingue e i nasi, restino bene18 le figure i numeri e i moti, ma non già gli odori né i sapori né i suoni, li quali fuor dall’animale vivente non credo che sieno altro che nomi, come […] altro che nome non è il solletico e la titillazione, rimosse l’ascelle e la pelle intorno al naso.

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

ANALISI DEL TESTO Guida alla lettura L’attenzione di Galileo si rivolge al fenomeno del calore, di cui solitamente si ha un concetto molto lontano dal vero, ritenendolo una qualità “reale” della sostanza. Se si riflette in maniera scientifica sui corpi, invece, si vede che vi sono alcuni caratteri da cui non si può prescindere: il fatto di avere una figura, di occupare uno spazio, di essere confrontabile con altri corpi, di essere in moto o in quiete ecc. Qualità essenziali senza le quali non si può immaginare una sostanza. Invece vi sono altre caratteristiche che dipendono solo dalla sensibilità (colore, sapore, suono ecc.). Queste qualità sono legate ai sensi del soggetto e, se non consideriamo la sen-

Retorica, Il brano che leggiamo è tratto dal Dialogo sopra i due massimi sistemi, l’opera pubblicaArgomentazione, ta nel 1632 che provocò lo scontro finale tra Galileo e le autorità ecclesiastiche e la conObiettivo polemico danna dello scienziato.

Nei quattro dialoghi che lo compongono, uno per ogni giornata, sono discusse le scoperte astronomiche e fisiche di Galileo e di altri scienziati, come Copernico e Keplero. Il vero obiettivo è, però, dimostrare la fondatezza del sistema copernicano. Questa parte è tratta dalla seconda giornata e i tre protagonisti, l’aristotelico Simplicio, il pensatore aperto e privo di pregiudizi Sagredo e lo scienziato Salviati, stanno affrontando il tema dell’autorità di Aristotele. Nel brano che segue il confronto si restringe a Salviati, che è il “portavoce” del pensiero di Galilei, e a Simplicio.

da G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, in Id., Opere, Barbera, Firenze 18901909, vol. 7, pp. 137-139. 5

Retorica Galileo costruisce un gioco di parole che riprende il nome del protagonista aristotelico.

10

SIMPLICIO Io credo, e in parte so, che non mancano al mondo de’ cervelli molto stravaganti1, le vanità de’ quali non dovrebbero ridondare in pregiudizio d’Aristotile2, del quale mi par che voi parliate talvolta con troppo poco rispetto; e la sola antichità, e ‘l gran nome3 che si è acquistato nelle menti di tanti uomini segnalati4, dovrebbe bastar a renderlo riguardevole5 appresso6 di tutti i letterati7. SALVIATI Il fatto non cammina così8, signor Simplicio: sono alcuni suoi seguaci troppo pusillanimi9, che danno occasione, o, per dir meglio, che darebbero occasione, di stimarlo meno, quando noi volessimo applaudere10 alle loro leggerezze11. E voi, ditemi in grazia, sete12 così semplice13 che non intendiate che quando14 Aristotile fusse stato pre-

1. Strampalati, bizzarri. 2. Gli errori dei quali non si dovrebbero tramutare in danni per Aristotele. 3. Fama, celebrità. 4. Di valore.

5. Degno di rispetto. 6. Presso. 7. Gli uomini di cultura. 8. I fatti non stanno così. 9. Di mente ristretta.

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 105

n

Contro il principio di autorità

L’A N T O L O G I A

US

Obiettivo polemico La distinzione di Galileo tra qualità oggettive, misurabili, dei corpi e qualità apparenti, o soggettive, si pone come radicale alternativa alla fisica qualitativa aristotelica e scolastica. Infatti, secondo tale teoria, gli elementi che costituiscono i corpi (acqua, aria, terra e fuoco) si differenziano per le loro qualità.

n

FOC

T2

sibilità, esse scompaiono. Le qualità soggettive, quindi, non sono altro che un effetto secondario della struttura fisica dei corpi (grandezze, figure, moto). Se eliminiamo i sensi di esse ci restano solo i nomi.

10. Concordare, acconsentire. 11. Errori. 12. Siete. 13. Ingenuo, ma anche credulone. 14. Se.

105

06/02/12 14:58

15

20

25

Obiettivo polemico 30

L’A N T O L O G I A

n

In questa parte Galileo specifica che l’obiettivo della sua critica non è Aristotele, ma il principio di autorità.

35

n

40

45

sente a sentir il dottor che lo voleva far autor del telescopio15, si sarebbe molto più alterato16 contro di lui che contro quelli che del dottore e delle sue interpretazioni si ridevano? Avete voi forse dubbio che quando Aristotile vedesse le novità scoperte in cielo, e’17 non fusse per mutar opinione e per emendar18 i suoi libri e per accostarsi19 alle più sensate20 dottrine, discacciando da sé quei così poveretti di cervello che troppo pusillanimamente s’inducono a voler sostenere ogni suo detto, senza intendere che quando Aristotile fusse tale quale essi se lo figurano, sarebbe un cervello indocile21, una mente ostinata, un animo pieno di barbarie22, un voler tirannico, che, reputando23 tutti gli altri come pecore stolide24, volesse che i suoi decreti fussero anteposti ai sensi25, alle esperienze, alla natura istessa? [...] SIMPLICIO Ma quando si lasci Aristotile, chi ne ha da essere scorta26 nella filosofia? Nominate voi qualche autore SALVIATI Ci è bisogno di scorta ne i paesi incogniti e selvaggi, ma ne i luoghi aperti e piani i ciechi solamente hanno bisogno di guida; e chi è tale, è ben che si resti in casa, ma chi ha gli occhi nella fronte e nella mente27, di quelli si ha da servire per iscorta. Né perciò dico io che non si deva ascoltare Aristotile, anzi laudo il vederlo28 e diligentemente studiarlo, e solo biasimo il darsegli in preda29 in maniera che alla cieca si sottoscriva a ogni suo detto e, senza cercarne altra ragione, si debba avere per decreto inviolabile; il che è un abuso che si tira dietro un altro disordine estremo, ed è che altri30 non si applica più a cercar d’intender la forza delle sue dimostrazioni. E qual cosa è più vergognosa che ‘l sentir nelle publiche dispute, mentre si tratta di conclusioni dimostrabili uscir un di traverso31 con un testo, e bene spesso scritto in ogni altro proposito32, e con esso serrar la bocca all’avversario? Ma quando pure voi vogliate continuare in questo modo di studiare, deponete il nome di filosofi, e chiamatevi o istorici o dottori di memoria33; ché34 non conviene35 che quelli che non filosofano mai, si usurpino l’onorato titolo di filosofo. Ma è ben ritornare a riva, per non entrare in un pelago36 infinito, del quale in tutt’oggi non si uscirebbe. Però, signor Simplicio, venite pure con le ragioni e con le dimostrazioni, vostre o di Aristotile, e non con testi e nude autorità, perché i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta.

15. A sentire lo scienziato che lo avrebbe voluto far guardare attraverso il telescopio. 16. Arrabbiato. 17. Egli; forma con apocope (caduta di un suono o una sillaba). 18. Correggere. 19. Aderire. 20. Fondate sui sensi, sull’esperienza. 21. Incapace di intendere ragione. 22. Idee irragionevoli.

106

56_117_scientifica.indd 106

23. Considerando. 24. Stolte, sciocche. 25. Vorrebbe che i suoi principi fossero considerati come leggi non modificabili dai sensi. 26. A chi ci dobbiamo affidare. 27. Gli «occhi nella mente» indicano la capacità di pensare. 28. Leggerlo. 29. L’affidarsi completamente a lui. 30. Gli altri individui.

31. Mettersi in mezzo qualcuno. 32. Molte volte scritto su un altro argomento. 33. Conoscitori del passato ed esperti della memoria. 34. Perché. 35. È utile. 36. Mare.

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

ANALISI DEL TESTO

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 107

pire la forza degli stessi argomenti aristotelici. Nel confronto tra scienziati non è più tollerabile che basti citare Aristotele, anche a sproposito, per chiudere la bocca ai propri avversari. Se gli aristotelici vogliono continuare così non possono più pretendere di essere ancora considerati filosofi. Essi possono partecipare al confronto delle idee se hanno ragioni e dimostrazioni da portare e il dibattito non deve riguardare i libri, ma il mondo reale dei fenomeni.

Obiettivo polemico Galilei / Salviati è molto critico, verso gli aristotelici, che qualifica con aggettivi come «pusillanimi» e «poveretti di cervello». La sua posizione su Aristotele invece è più articolata, poiché egli ritiene che sia utile studiarlo e che le sue dimostrazioni abbiano una loro forza. L’errore sta nell’utilizzare l’autorità come un mezzo per tappare la bocca agli avversari invece che entrare nel merito delle questioni e portare ragioni e argomentazioni valide.

L’A N T O L O G I A

Argomentazione Nella prima risposta a Simplicio contenuta nel brano, Salviati pone una serie di domande retoriche, che hanno lo scopo di mostrare la forza delle proprie tesi. Sono verità talmente ovvie che l’avversario non può che concordare con lui. A esse, infatti, Simplicio non obietta e sembra consentire con Salviati, quando, subito dopo, chiede chi potrebbe sostituire Aristotele come autorità da seguire.

n

Retorica Molti interpreti criticarono Galilei per la scelta del nome dell’aristotelico Simplicio, che gioca con il duplice significato di “semplice”: ingenuo e credulone. In questo brano, il modo in cui Salviati si rivolge a Simplicio sembra dare ragione a questi critici.

n

Guida alla lettura Il brano inizia con una concessione da parte di Simplicio, che ammette che talvolta i pensieri bizzarri di alcuni seguaci possono danneggiare il nome di Aristotele. Ma questo non invalida l’autorevolezza che gli è riconosciuta da uomini famosi e di cultura. Salviati gli risponde che non è questo il punto: sono alcuni suoi discepoli dalla mente ristretta i colpevoli delle accuse che vengono fatte ad Aristotele. Chiede poi a Simplicio di ammettere che, se avesse potuto assistere a una dimostrazione dell’uso del telescopio, Aristotele si sarebbe arrabbiato con i suoi discepoli e non con lo scienziato di cui essi avevano riso. Non ci sarebbe dubbio, continua Salviati, che se Aristotele avesse potuto conoscere le nuove scoperte astronomiche, avrebbe cambiato le sue opinioni e corretto i suoi libri, concordando con ciò che veniva provato dall’esperienza. E non c’è dubbio che avrebbe allontanato da sé quegli sciocchi dal cervello limitato che ripetono ogni sua affermazione, senza rendersi conto che lo fanno apparire come un uomo dalla mente ristretta e dalle idee irragionevoli, un uomo che difende i propri principi come se fossero le leggi di un tiranno e non accetta gli insegnamenti dell’esperienza e della natura. A questo punto Simplicio chiede quale autorità, allora, potrebbe sostituire Aristotele e farci da guida. Salviati risponde che di una guida c’è bisogno per viaggiare in luoghi sconosciuti e selvaggi, ma per indagare e conoscere dovrebbero bastarci gli occhi e la capacità di pensare. Il suo scopo non è denigrare Aristotele, che anzi dobbiamo continuare a leggere e studiare, ma questo non vuol dire che la sua autorità debba essere assoluta. Tanto più che, dal principio di autorità così interpretato, segue anche che molti non si sforzano di pensare e ca-

107

06/02/12 14:58

T3 US

I quattro tipi di idoli La teoria degli idoli è presentata da Bacone nel Nuovo organo, l’opera del 1620 che vuole porre le basi per un nuovo metodo della scienza, che deve sostituire quello presentato da Aristotele nei libri del suo Organo. L’obiettivo di Bacone è infatti un programma scientifico e filosofico di rinnovamento del sapere (la Grande instaurazione) che avrebbe avuto conseguenze pratiche e avrebbe condotto a un’epoca nuova. Di questo progetto complessivo, a cui Bacone lavorò tutta la vita, il Nuovo organo rappresenta il secondo volume. Quest’opera è scritta in brevi paragrafi, di stile aforistico, di cui ora leggiamo quelli riguardanti la teoria degli idoli: gli errori e le illusioni da cui gli uomini devono liberarsi per poter dare vita al nuovo sapere.

da F. Bacone, Nuovo organo, in Id., Scritti filosofici, a. c. di P. Rossi, Utet, Torino 1975, pp. 559-562.

Gli idoli1 e le false nozioni che sono penetrati nell’intelletto umano fissandosi in profondità dentro di esso, non solo assediano le menti in modo da rendere difficile l’accesso alla verità, ma addirittura (una volta che questo accesso sia dato e concesso) di nuovo risorgeranno e saranno causa di molestia2 anche nella stessa instaurazione delle scienze3: almeno che4 gli uomini, preavvertiti, non si agguerriscano per quanto è possibile contro di essi. Gli idoli della tribù5 sono fondati sulla stessa natura umana e sulla stessa tribù o razza umana. Pertanto si asserisce falsamente che il senso6 è la misura delle cose. Al contrario, tutte le percezioni, sia del senso che della mente, derivano dall’analogia7 con l’uomo, non dall’analogia con l’universo. L’intelletto umano è simile a uno specchio che riflette irregolarmente i raggi delle cose, che mescola la sua propria natura a quella delle cose e le deforma e le travisa. […] Gli idoli della spelonca sono idoli dell’uomo in quanto individuo. Ciascuno infatti (oltre alle aberrazioni8 proprie della natura umana in generale) ha una specie di propria caverna o spelonca che rifrange e deforma la luce della natura: o a causa della natura propria e singolare di ciascuno, o a causa dell’educazione e della conversazione con gli altri, o della lettura di libri, e dell’autorità di coloro che vengono onorati e ammirati, o a causa delle diversità delle impressioni a seconda che siano accolte da un animo già condizionato e prevenuto oppure sgombro ed equilibrato. […] Vi sono poi gli idoli che derivano quasi da un contratto9 e dalle reciproche relazioni del genere umano: li chiamiamo idoli del foro a causa del commercio10 e del consorzio11 degli uomini. Gli uomini infatti si associano per mezzo dei discorsi ma i nomi vengono imposti secondo la comprensione del volgo e tale errata e inopportuna imposizione ingombra straordinariamente l’intelletto. […] Le parole fanno violenza all’intelletto e confondono ogni cosa e trascinano gli uomini a innumerevoli e vane controversie e finzioni. […] Vi sono infine gli idoli che sono penetrati nell’animo degli uomini dai vari sistemi filosofici e dalle errate leggi delle dimostrazioni. Li chiamia-

FOC

Obiettivo polemico

L’A N T O L O G I A

n

5

n

10

15

20

1. Errori, letteralmente dal latino idola, “fantasmi, credenze vane”. 2. Danno. 3. La riforma della cultura e del sapere che Bacone progettava. 4. A meno che. 5. Gli errori naturali comuni alla specie umana. 6. La sensibilità. 7. Sono in relazione con l’uomo. 8. Errori. 9. Accordo, patto. 10. Scambio. 11. Cooperazione, associazione.

108

56_117_scientifica.indd 108

25

30

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

35

mo idoli del teatro perché consideriamo tutte le filosofie che sono state accolte e create come altrettante favole presentate sulla scena e recitate, che hanno prodotto mondi fittizi da palcoscenico. Non parliamo soltanto dei sistemi filosofici attuali o delle antiche filosofie e delle antiche sette, perché è sempre possibile comporre e combinare molte altre favole dello stesso tipo.

IMPARA A IMPARARE: COSTRUISCI TU L’ANALISI DEL TESTO Guida alla lettura Integra e approfondisci la lettura guidata, svolgendo le attività proposte. Il brano può essere suddiviso in cinque parti. Inizialmente (righe 1-7), Bacone spiega qual è il suo obiettivo e perché vuole mettere in guardia gli uomini contro gli idoli e le false nozioni. 1. Qual è il danno che fanno questi pregiudizi una volta che si annidano nella mente? ...........................................................................................................................................................................................................................................................

...........................................................................................................................................................................................................................................................

In seguito l’attenzione di Bacone si rivolge alla descrizione degli idoli della spelonca (righe 15-23), derivanti da varie fonti tra cui la natura degli individui, l’educazione, le idee apprese da altri ecc. 3. Che cosa intende Bacone con la nozione di spelonca e come si originano questi errori? ...........................................................................................................................................................................................................................................................

n

2. Da che cosa derivano questi errori?

L’A N T O L O G I A

n

Per primi Bacone parla degli idoli della tribù, ossia della specie umana (righe 8-14).

Bacone mette in guardia poi dagli idoli del foro (righe 24-31) che nascono dallo scambio e dall’associazione con gli altri uomini. 4. A quale ambito appartengono questi tipi di errori? Dove li troviamo? ...........................................................................................................................................................................................................................................................

Infine, Bacone pone l’attenzione agli idoli derivanti dalla filosofia e dall’errato uso delle dimostrazioni (righe 32-39) e li chiama idoli del teatro. 5. Perché gli errori di questo tipo sono paragonati a ciò che avviene in un teatro? ...........................................................................................................................................................................................................................................................

Obiettivo polemico Bacone critica coloro che privilegiano solo l’esperienza – che chiama «empirici» –, e chi privilegia solo la ragione – che chiama «dogmatici» o «razionalisti». Sapresti riconoscere tra i vari tipi di errori-idoli elencati nel brano quelli degli uni e quelli degli altri? Scrivili sul tuo quaderno.

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 109

109

06/02/12 14:58

CITTADINANZA E COSTITUZIONE

La libertà di ricerca scientifica

Galileo e l’autonomia della scienza Galileo Galilei afferma l’autonomia della scienza da qualsiasi autorità esterna, politica, culturale o religiosa. Ogni ambito, sostiene, ha pari dignità e occorre tenere distinto il linguaggio della Bibbia da quello della natura. Secondo Galileo, l’universo è scritto in lingua matematica, i cui caratteri sono triangoli, cerchi e altre figure geometriche che è necessario comprendere perché la natura non diventi un “oscuro laberinto”. Inoltre, Galileo sostiene che la verità dei risultati della ricerca sulla natura può essere stabilita solo applicando il metodo scientifico, in base al quale i risultati devono essere sottoposti a verifica sperimentale. Solo grazie a questa, e non assumendo come punto di riferimento l’autorità, è possibile stabilire se una teoria scientifica è valida. Le scoperte astronomiche di Galileo confermano la teoria eliocentrica copernicana e mettono l’autore in contrasto con gli aristotelici e con le gerarchie ecclesiastiche. Galileo viene accusato e condannato per eresia: il 22 giugno 1633 è costretto ad abiurare le proprie concezioni.

Leggi Galileo Né [...] dico io che non si deva ascoltare Aristotile, [...] e solo biasimo il darsegli in preda in maniera che alla cieca si sottoscriva a ogni suo detto e, senza cercarne altra ragione, si deva avere per decreto inviolabile; il che è un abuso che si tira dietro un altro disordine estremo, ed è che altri non si applica più a cercar d’intender la forza delle sue dimostrazioni. La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l’universo) ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscere i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche [...].

110

56_117_scientifica.indd 110

Lo scienziato non è l’uomo che fornisce le vere risposte; è quello che pone le vere domande. (C. Lévi-Strauss) La libertà di ricerca nel costituzionalismo moderno La libertà di ricerca rappresenta un diritto civile e politico basilare. Rimanda, in senso più ampio, alla libertà personale quale fondamento della democrazia e costituisce una delle principali fonti di salute e benessere per i cittadini. Già nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, proclamata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, l’art. 27 stabilisce che “Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici. [...]”. Oggi la libertà di ricerca è contemplata nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Art. 13), che si ispira al principio del pluralismo. Questo principio è garantito anche dalla libertà di sviluppare idee e opinioni diverse tra loro. Tuttavia il problema del rapporto fra scienza, società e politica è ancora oggi una questione dibattuta e aperta. La libertà di ricerca nella Costituzione italiana La scienza occupa una posizione centrale nella Costituzione italiana. La Costituzione definisce “libera” la ricerca e affida alla Repubblica il compito di promuoverne lo sviluppo, secondo principi analoghi a quelli espressi dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Risulta evidente l’investimento pubblico nella promozione della scienza fra le varie branche della cultura, bene immateriale e in continuo divenire

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

Il dottor Jan Wilmut, direttore del dipartimento di Embriologia di Roslin Institute di Edimburgo con Dolly, la prima pecora clonata (febbraio 1997).

che è assunto come valore fondamentale in una prospettiva di pluralismo dei punti di vista e degli orientamenti religiosi e politici. La libertà di ricerca rappresenta infatti uno strumento essenziale per lo sviluppo della personalità dei cittadini e dell’identità del Paese, per il progresso tecnologico e le prospettive di crescita economica, per l’arricchimento della collettività. In questo senso, la libertà di ricerca scientifica e tecnica va considerata in stretto rapporto con l’Art. 41 della Costituzione, che sancisce la libertà dell’iniziativa economica che sia svolta in armonia con l’utilità sociale e nel rispetto della sicurezza, della libertà e della dignità umana. La libertà di ricerca, tuttavia, implica questioni complesse. Si pone, per esempio, il problema dell’asservimento della ricerca scientifica alle dinamiche del mercato e agli interessi, anche militari, dei Paesi ricchi; allo stesso tempo, occorre dare impulso all’attività scientifica quale indispensabile motore dello sviluppo economico. La libertà di ricerca scientifica va considerata anche in rapporto a due fondamentali diritti della persona: il diritto all’autodeterminazione sul pia-

no medico-sanitario e il diritto alla salute (Art. 32 della Costituzione), in senso individuale e collettivo. Nella nostra società i temi che riguardano la salute, la vita e la morte a volte entrano in conflitto, sul piano giuridico e politico, con il principio di laicità sancito dall’Art. 7 della Costituzione italiana. Secondo questo articolo, lo Stato italiano e la Chiesa cattolica devono astenersi da intromissioni reciproche.

Leggi la Costituzione Art. 7 Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. Art. 9 La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. [...] Art. 33 L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. Art. 41 L’iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. [...]

RIELABORA E RIFLETTI 1. Spiega in un max di 3 righe gli argomenti con i quali Galileo sostiene l’autonomia della ricerca scientifica rispetto all’autorità. 2. Indica in un max di 2 righe gli articoli della Costituzione che sono in rapporto con la libertà della ricerca. 3. In un testo di almeno 10 righe commenta il rapporto fra libertà della ricerca scientifica e principio di laicità (Art. 7).

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 111

111

06/02/12 14:58

FARE FILOSOFIA Natura / naturale 1. La natura e il mondo Ambiguità del termine “natura” Poche parole, nel

linguaggio comune e non solo in questo, sono così ambigue e così difficili da definire come “natura”: qualunque tentativo non può che essere un’approssimazione, quando si affrontano termini così generali. A voler fare un po’ di ironia, si potrebbe risolvere la questione dicendo che la natura è quella cosa di cui si occupano le scienze naturali, ma è evidente che in questo modo si eviterebbe soltanto di avvicinarsi a una definizione. Il significato più generale: “natura” come “mondo”

Un primo tentativo di definizione potrebbe allora prendere le mosse dal significato più generale del termine: la natura è l’insieme delle cose esistenti, tra le quali rientriamo anche noi. Questo evidenzia molte affinità tra la parola “natura” e la parola “mondo”, e probabilmente molti punti di contatto o di intersezione tra esse; ma le due parole non sono identiche. Quando parliamo di “mondo” ci riferiamo di solito alla totalità degli oggetti e allo spazio in cui essi sono inclusi, ma quando parliamo di “natura” intendiamo qualcosa di più specifico: ci riferiamo sì agli oggetti, visti però anche attraverso le loro caratteristiche principali e le leggi che ne regolano il funzionamento, o almeno le leggi attraverso le quali noi ne spieghiamo il funzionamento. Anche nel linguaggio quotidiano, infatti, si parla delle “leggi della natura”, ma non delle “leggi del mondo”.

2. Natura e artificio La contrapposizione tra “naturale” e “artificiale”

Qualcuno potrebbe obiettare che non tutti gli oggetti sono “natura”, perché alcuni sono frutto dell’arte umana, intesa come azione degli uomini: ciò che viene utilizzato, in questo caso, è un’antica contrapposizione tra “natura” e “artificio”. Ci sono, secondo questa prospettiva, oggetti naturali diversi dagli oggetti artificiali: l’albero o la mela sono oggetti naturali, mentre un’automobile è artificiale.

112

56_117_scientifica.indd 112

La distinzione tra “natura” e “artificio”, tuttavia, non è ovvia come ci appare intuitivamente. Un confine difficile da stabilire Un esempio del-

la difficoltà di stabilire un confine tra i due concetti viene dall’attività umana naturale per eccellenza: l’agricoltura. Un albero da frutta è naturale? Fino a quando conserva questa sua caratteristica? E, soprattutto, può perderla? Se l’albero viene curato e potato dalla mano dell’uomo, diventa qualcosa di “artificiale” o, forse, qualcosa di intermedio? Piante che non avrebbero lo stesso sviluppo senza l’intervento dell’uomo sono ancora naturali? Il confine tra “naturale” e “artificiale” è evidentemente difficile da individuare. Casi-limite tra natura e artificio Ma le cose sono ancora più complicate. Non è facile infatti nemmeno stabilire con certezza il carattere di oggetti che, a prima vista, nessuno avrebbe dubbi nel definire artificiali. Pensiamo a una diga, per esempio, e poniamo che una diga venga formata nel tempo dagli avvallamenti del terreno, dalle eruzioni vulcaniche o dai terremoti: nessuno avrebbe dubbi nel considerare questi specchi d’acqua fenomeni naturali. L’azione umana tra arte e natura Poi pensiamo a

una diga fatta dai castori: anche in questo caso, probabilmente, avremmo pochi dubbi sulla sua naturalità. Ma in base a quale criterio dovremmo rifiutare la stessa caratteristica a una diga costruita dagli uomini? Anch’essi fanno parte della natura, benché la loro natura biologica sia diversa da quella dei castori. Il confine, dunque, è labile: si può arrivare alla strana conclusione che la bellezza del tramonto non è diversa dalla bellezza di un grattacielo o di un quadro, e non è più naturale di essi. Per tutti questi oggetti, infatti, valgono certi principi universali: sono le leggi “di natura”, come quelle della fisica e della chimica, che hanno permesso tanto il sorgere del sole e la sua percezione da parte degli esseri umani quanto la costruzione di grattacieli da parte di questi ultimi.

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

ne non cambierebbe molto se cercassimo criteri molto raffinati, individuando l’“artificialità” nella semplicità geometrica delle simmetrie e nella ripetizione delle forme, che sembrano segni certi della mano dell’uomo. In questo modo, effettivamente, potremmo classificare come naturali le montagne, i fiumi e i laghi e, come artificiali, le macchine o gli edifici.

norma, non intesa come una prescrizione, ma come la regolarità e la prevedibilità di un carattere o di un evento. Si tratta di un significato del termine “natura” che va del tutto al di là della distinzione tra “natura” e “artificio”. In questa prospettiva, ciò che è naturale si contrappone a ciò che è insolito e raro, ma anche a ciò che è soprannaturale.

… e i suoi limiti Ma così risulterebbero artificiali, per

L’insolito come non naturale Nel primo caso, ciò

esempio, gli alveari, le ragnatele e i cristalli, che sono naturali, e anche le costituenti prime della materia – quindi anche della natura – come l’atomo e le particelle elementari studiati dalla fisica. Certo si tratta di un esito paradossale, ma se approfondiamo le nozioni di “natura” e di “artificio” basandoci su argomenti e non su affermazioni istintive scopriamo che non disponiamo di molti criteri per distinguere ciò che appartiene al primo ambito e ciò che appartiene al secondo.

che è insolito o raro viene considerato anormale e quindi non facente parte della natura ordinaria delle cose, non perché sia davvero esterno alla natura ma perché è qualcosa che avviene di rado e che ci sembra eccezionale (anche in senso negativo) rispetto alle nostre aspettative. L’anormalità viene vista in questo caso come qualcosa che viola un ordine, una regolarità. Tutto ciò non ha alcuna connotazione valutativa, né positiva né negativa: la morte è naturale quanto la vita e la salute è naturale quanto la malattia.

3. Natura e normalità

Fenomeni soprannaturali Il termine “natura” nel

Il criterio della semplicità geometrica… La situazio-

Natura come consuetudine e regolarità Un signifi-

cato estremamente diffuso dell’aggettivo “naturale” è quello di “normale”, “consueto”, “abituale”. La normalità, in questo senso, è ciò che rientra nella

senso di “normalità”, “regolarità prevedibile”, può essere utilizzato in contrapposizione a un’eccezionalità dovuta a forze soprannaturali, per esempio i fenomeni magici o i miracoli che troviamo in molte superstizioni e religioni.

Henri Rousseau, L’incantatrice di serpenti, 1907. Parigi, Musée d’Orsay.

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 113

113

06/02/12 14:58

Natura / naturale

In questo caso, chi opera la magia o il miracolo si colloca al di fuori della natura: questa collocazione interrompe l’ordine naturale attraverso poteri soprannaturali, che non dipendono dalle leggi di natura e non sono limitati da esse, ma riescono a dominarle.

me parte della natura, è qualcosa che non ci appartiene. Per lo stesso motivo, sostenendo che gli uomini hanno sulla natura un diritto limitato, si possono concepire delle limitazioni all’intervento dell’uomo su di essa e contestare la legittimità delle modifiche che, sempre sulla natura, la scienza può compiere.

4. Natura e valore

Il fondamento del “diritto naturale” Su una pro-

L’essenziale bontà della natura Un uso importante

del termine “natura” e dell’aggettivo “naturale” è quello che dà loro una connotazione di valore. Questo uso si fonda sostanzialmente sull’idea che la natura sia un modello da seguire nel comportamento, ossia che la natura sia buona e gli uomini, nella loro condotta, non debbano contrastarla. Tale atteggiamento può essere spiegato sulla base di mentalità molto diverse, accomunate dall’idea della bontà della natura. La bontà del creatore della natura In primo luogo,

si può pensare che la natura sia buona perché è stata creata da un essere buono. Questa è la prospettiva prevalente nella religione cristiana, che crede all’esistenza di un Dio creatore buono e onnipotente: la natura deve essere seguita perché in essa sono implicitamente contenuti anche i comandi di Dio. Interrompere, o modificare sostanzialmente, i processi naturali è illegittimo, perché l’uomo non ha il diritto di intervenire su qualcosa di cui non è artefice. Le limitazioni degli interventi sulla natura Questa mentalità può avere per conseguenza anche l’illegittimità di un intervento sulla propria vita, perché essa, co-

spettiva come quella appena descritta può fondarsi anche una certa idea del “diritto di natura”, cioè di un codice normativo fondato su diritti assoluti. Tale codice costituirebbe al tempo stesso il modello di legittimità di altri tipi di diritto e, in particolare, del diritto positivo, creato dagli uomini. Secondo questa interpretazione c’è, dunque, un diritto oggettivo e assoluto che non può essere violato dalle norme morali e giuridiche concretamente esistenti perché ha un valore ad esse superiore. La bontà intrinseca della natura L’idea che la natura sia buona e debba essere un modello da seguire o da non contrastare non ha bisogno di una legittimazione soprannaturale. Essa può basarsi su un punto di vista non religioso, per cui alla natura viene attribuita sempre, implicitamente o esplicitamente, un’autorità superiore. Natura e valore morale Comunque li si giustifichi, è da questi tipi di atteggiamento che deriva l’uso della coppia “natura” / “contro natura” come termini che hanno valore morale: è moralmente legittimo ciò che è conforme alla natura e alle sue indicazioni, mentre è moralmente illegittimo tutto ciò che è contro natura, cioè tutto ciò che viola l’andamento naturale delle cose.

NATURA = VARIE ACCEZIONI

il mondo, l’insieme delle cose esistenti

normalità, regolarità prevedibile (“normale” e “anormale” non hanno connotazione negativa)

modello da seguire nel comportamento

la natura è buona perché è stata creata da un essere buono

114

56_117_scientifica.indd 114

Il Quattrocento e il Cinquecento

06/02/12 14:58

Il piano dei fatti e quello dei valori C’è chi contesta questa impostazione e non ritiene che le indicazioni della natura debbano diventare normative (cioè una guida) per il comportamento degli esseri umani. Secondo tale modo di vedere il piano della natura è il piano dei fatti, che non sono in sé moralmente significativi ma corrispondono soltanto a un certo funzionamento degli organismi naturali; il piano dei valori e delle norme morali, invece, è considerato un piano diverso, che non deriva dall’osservazione della natura.

ESISTE UN DIRITTO DI NATURA CHE GLI UOMINI NON POSSONO VIOLARE

contrapposizione fra ciò che è “natura” e ciò che è “contro natura”, moralmente illegittimo

concezione della natura secondo cui la natura è intrinsecamente buona

critica di questa concezione della natura: • il piano della natura è il piano dei fatti (privi di significato morale) • il piano dei valori non può essere derivato dall’osservazione della natura Sandro Botticelli, La Primavera, 1478 ca. Firenze, Galleria degli Uffizi.

2. La rivoluzione scientifica

56_117_scientifica.indd 115

115

06/02/12 14:58

Bello / brutto

Il libro Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway DETTAGLI DI PUBBLICAZIONE Titolo originale: The Old Man and the Sea 1a edizione: 1952 1a edizione italiana: Il vecchio e il mare, tr. F. Pivano, Mondadori, 1962

TRAMA Santiago, un vecchio pescatore, non è riuscito a pescare nulla per più di ottanta giorni e nel suo villaggio è circondato dalla solitudine di chi sia stato colpito da una maledizione. Manolo, un giovane che aveva lavorato con lui, gli fornisce le sardine che serviranno da esca, lo aiuta ogni sera a tornare a casa, gli porta l’albero della nave e gli procura da mangiare per cena. Grazie al sostegno del ragazzo Santiago ritrova la forza per spingersi al largo e provare a pescare un Marlin. Dopo alcune ore abbocca un pesce così grande da trascinare la barca con sé: Santiago non cede e riesce infine ad avere la meglio sul Marlin. Quando infine lo uccide, lo lega alla barca e si avvia verso la riva. Nel frattempo, però, il sangue perso dal pesce attira gli squali: il vecchio pescatore riesce a ucciderne molti, ma non può impedire che, pezzo dopo pezzo, i pesci gli strappino la preda. Quando arriva nel porto del villaggio, così, a Santiago rimane ben poco del trofeo della battaglia che ha ingaggiato e vinto: la testa e la lisca. Ma è riuscito a ristabilire un rapporto di sintonia con le forze della natura.

CITAZIONE «L’uomo non trionfa mai del tutto, ma anche quando la sconfitta è totale quello che importa è lo sforzo per affrontare il destino e soltanto nella misura di questo sforzo si può raggiungere la vittoria nella sconfitta».

MOTIVO D’INTERESSE Nel romanzo di Hemingway la forza della natura e la tenacia dell’uomo vengono messe a confronto: il vecchio pescatore, nella sua aspra lotta con il pesce e con il mare, sembra scontare con la mancanza del sonno, il freddo, la solitudine, il digiuno, l’arsura delle labbra, addirittura il sangue delle ferite il tentativo – che diviene quasi una colpa – di aver voluto spezzare la vita della creatura che ha abboccato all’amo. Questo ci riporta alle considerazioni sull’idea che gli uomini non debbano, nella loro condotta, contrastare la natura e che, anche a partire da un punto di vista che non è necessariamente quello della religione, la natura abbia sugli uomini un’autorità superiore. Nella sua caccia e nella battaglia che combatte a mani nude contro il mare e contro gli squali che gli strappano la preda un pezzo dopo l’altro, tuttavia, il vecchio pescatore riporta almeno una vittoria: ritrova in sé la determinazione per contrapporsi alle forze della natura (pur incontenibili) e riesce a ristabilire con esse un’armonia che sembrava perduta.

PER RIFLETTERE

116

56_117_scientifica.indd 116

n Prova a riflettere sul significato della maledizione con cui ha inizio la vicenda di Santiago: pensi che esistano poteri indipendenti dalle leggi di natura o pensi invece che, in ogni caso, qualunque alterazione dell’ordine possa essere ricondotta a cause naturali? Ritieni che l’esistenza Il Quattrocento e il “naturale” Cinquecento di un ordine soprannaturale possa essere sostenuta o che invece si tratti di qualcosa che viene richiamato quando ci si trova di fronte a eventi insoliti, rari, che contraddicono o sorprendono le nostre aspettative e che non riusciamo a spiegare?

06/02/12 14:58

Il film Into the Wild – Nelle terre selvagge di Sean Penn SCHEDA TECNICA Titolo originale: Into the Wild Regia: Sean Penn

Anno: 2007 Durata: 148 min., colore

TRAMA Il film narra la storia del giovane Christopher McCandless, un giovane di famiglia benestante che, dopo essersi laureato in Scienze sociali, si libera dei suoi averi e dei suoi documenti di identità e si allontana da una società nella quale non riesce più a vivere a causa del consumismo e del capitalismo che la dominano. Christopher fugge da un padre che non sente come proprio e da una famiglia nella quale i rapporti sono costruiti su menzogne e convenzioni imposte dall’esterno. Il giovane si mette dunque in viaggio e attraversa gli Stati Uniti, assumendo lo pseudonimo di Alexander Supertramp. Si sposta quindi verso l’Alaska e incontra, sulla strada, vari personaggi. In queste terre Christopher trova una natura incontaminata e selvaggia che lo conferma nella scelta che ha fatto, quando ha deciso di abbandonare i beni materiali per trovare una felicità che prima gli sfuggiva. Ma la libertà lo spinge infine oltre il limite estremo. Christopher muore in Alaska, il 18 agosto 1992, probabilmente per un’intossicazione alimentare causata da semi velenosi.

CITAZIONE «Il sole ha un potere inspiegabilmente disinfettante».

MOTIVO D’INTERESSE Il viaggio di Christopher scandisce le tappe di una vera e propria iniziazione: prima la nascita, quindi la presa di coscienza e, infine, la morte. Durante il suo lungo viaggio il giovane si misura con una natura incontaminata e uno smisurato senso di libertà: Christopher cerca una purezza e un’autenticità che si traducono in una vera rinascita interiore, resa possibile dal contatto, non mediato, con la natura selvaggia. Attraverso il viaggio del protagonista il film racconta la sua ricerca della verità e la sua tensione verso l’essenza autentica, la libertà dal futile e dal superfluo, dalla banalità e dall’abitudine alla comodità, dai condizionamenti e dalle convenzioni di una società carica di inutili orpelli. Se lo spazio della città, civile e organizzato, rappresenta la gabbia in cui si ripetono i rapporti sociali e i percorsi individuali stabiliti dalle convenzioni e dalla tradizione, la natura estrema delle terre selvagge costituisce la condizione per il nuovo. Nell’esperienza di Christopher la natura diviene luogo e strumento per ricongiungersi con la propria specificità e disporsi alle possibilità, idealmente infinite, che si aprono all’essere umano.

PER RIFLETTERE n Abbiamo analizzato, sopra, il significato di “natura” in rapporto ad “artificio” e abbiamo visto quali difficoltà si possono incontrare nel tentativo di stabilire fra essi un confine definito. Rifl su questo tema ca in rapporto alle vicende di Christopher McCandless, ritieni 2. ettendo La rivoluzione scientifi 117 che nella sua scelta estrema si possa individuare la certezza del confine tra ciò che è “natura” e ciò che non lo è? Pensi che la direzione da lui perseguita sia verso un rapporto di sintonia con la natura o pensi invece che, sfidando i propri limiti, lo stesso Christopher abbia violato l’ordine naturale?

56_117_scientifica.indd 117

06/02/12 16:20

119_131_contesto.indd 118

06/02/12 17:17

Il Seicento

Giovanni Andrea De Ferrari, L’estate, 1680 ca. Genova, Palazzo Groppallo.

119_131_contesto.indd 119

06/02/12 17:17

Il contesto 1. Il contesto storico Il XVII è un secolo pieno di luci e ombre, che segna una svolta fondamentale nella storia europea. Lo sviluppo storico di questo periodo può essere analizzato distinguendo tre linee evolutive: la lotta per l’egemonia politica in Europa e la creazione di un “sistema” internazionale; un processo di differenziazione delle economie con l’emergere dei primi tratti del modello capitalistico in Inghilterra; la differenziazione sociale e politica tra i vari Paesi europei.

1.1 LA NASCITA DEL SISTEMA POLITICO DEGLI STATI Un quadro politico sostanzialmente stabile

All’inizio del Seicento la situazione politica europea presenta un quadro abbastanza stabile: la Spagna ha una sostanziale egemonia sul continente ed è la massima potenza mondiale; in Europa si so-

no formate le monarchie nazionali e ha iniziato a prendere forma lo Stato moderno (caratterizzato dall’accentramento del potere amministrativo e fiscale e dal controllo del territorio); i conflitti della Riforma e delle guerre di religione sembrano ormai superati. I fattori di mutamento

Questa situazione di relativa stabilità si infrange nei primi decenni del XVII secolo per due fattori: 1. la crisi della Spagna, sia politica (incapacità di ammodernare lo Stato e di superare i conflitti regionali sui suoi territori) sia economica (determinata dagli sforzi bellici e dall’arretratezza del sistema produttivo, sia in agricoltura sia nell’artigianato); 2. l’emergere sulla scena europea di nuove potenze che intendono contrastare la sua egemonia: Francia, Svezia, Danimarca, Russia, Olanda, Inghilterra. In particolare la Francia, prima con Enrico IV (15531610) e poi con il cardinale Armand-Jean du Plessis Richelieu (1585-1642), crea una struttura di governo moderna, rafforzando l’amministrazione centrale e il potere regio e migliorando il sistema agricolo e produttivo. La Guerra dei Trent’anni

Il conflitto si apre nei territori dell’Impero, ormai da vari decenni controllati dagli Asburgo, in cui esistono varie questioni aperte. In primo luogo, permane la questione religiosa, nonostante la soluzione trovata con la pace di Augusta, e i dissapori portano nel 1608 alla creazione di due alleanze militari contrapposte, una di principati e regni cattolici e una di quelli protestanti. L’episodio che scatena la guerra avviene nel 1618 in Boemia, a Praga, quando i messi imperiali tentano di imporre i principi della Controriforma e di ostacolare le richieste dei protestanti, calvinisti e luterani. I rappresentanti imperiali vengono gettati fuori da una della finestre del palazzo regio (defenestrazione di Praga) e proclamano decaduto dal titolo di re di Boemia l’imperatore, Ferdinando II (1578-1637). Peter Paul Rubens, Enrico IV di Frrancia davanti al ritratto di Maria de’ Medici, 1622-25. Parigi, Musée du Louvre.

120

119_131_contesto.indd 120

06/02/12 17:17

Il contesto

La pace di Westfalia e il nuovo ordine internazionale

Il trattato che conclude la guerra sancisce un profondo cambiamento nei rapporti internazionali: 1. segna la fine delle guerre di religione; 2. modifica in maniera definitiva gli equilibri del continente, segnando la fine dell’egemonia spagnola e l’inizio del declino della Spagna e dell’Italia, che resta sotto il controllo spagnolo fino al primo decennio del Settecento; 3. il quadro politico vede l’affermarsi di vari Stati nazionali e sovrani: la Francia che diverrà la maggior potenza continentale; la disgregazione dell’Impero; la nascita di aree regionali dominate da potenze minori, come la Svezia nell’Europa del Nord; una supremazia mondiale dell’Olanda, legata a motivi sociali ed economici; 4. Westfalia segna soprattutto la nascita di un sistema internazionale di relazioni tra Stati che dura fino a dopo la Seconda guerra mondiale e la nascita dell’Onu (1945/46) e i cui cardini sono il riconoscimento della sovranità di ognuno e la costituzione di regole minime per la coesistenza, e la creazione di rapporti duraturi fra gli Stati. Gerard Ter Borch, Ratifica del Trattato di Münster, 1648. Londra, National Gallery.

1.2 L’ECONOMIA DEL SEICENTO

Le fasi del conflitto

Economicamente il XVII secolo vive una crisi piuttosto grave, dovuta a una serie di fattori negativi: il calo demografico, il peggioramento del clima, le pestilenze, l’impatto della Guerra dei Trent’anni sul sistema economico e produttivo di molti Stati. Il risultato è un fase di recessione soprattutto per le economie con una struttura più rigida come i Paesi iberici e l’Italia.

La crisi del Seicento

La guerra scoppia tra Impero e ribelli boemi, ma subito intervengono la Spagna e l’alleanza militare cattolica, a sostegno degli Asburgo, e l’alleanza protestante, guidata dal Palatinato, a sostegno della rivolta. Il conflitto prosegue per trent’anni, attraverso varie fasi che vedono il progressivo coinvolgimento delle altre potenze europee. Dopo il 1640 la situazione del fronte asburgico è aggravata dallo scoppio di rivolte nella penisola iberica, prima i catalani e poi i portoghesi che volevano tornare indipendenti. Iniziato come un conflitto regionale per motivi religiosi la guerra convoglia progressivamente interessi diversi: gli Stati del nord vogliono bloccare l’espansione asburgica e affermare la supremazia sul Baltico. La Francia intende arginare l’espansione spagnola. Inghilterra e Olanda appoggiano il fronte protestante perché antispagnolo e per motivi religiosi. Dal canto loro, gli Asburgo difendono il cattolicesimo, cercando di frenare l’espansione protestante, e vogliono mantenere il controllo sui territori tedeschi e preservare la loro egemonia in Europa.

Le economie emergenti: l’Olanda...

La crisi ha un esito diverso però per Inghilterra e Olanda. Dopo le scoperte geografiche, il baricentro economico europeo si sposta sull’Atlantico e tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII le Province Unite sanno approfittare delle difficoltà economiche dei Paesi iberici, Spagna e Portogallo: sul piano commerciale e navale diventano la principale potenza europea e mondiale. Il fondamento del loro successo è il fatto che Amsterdam diviene il centro del commercio mondiale e il luogo dove si determinano le quotazioni sui mercati globali. Le navi olandesi assumono un ruolo centrale sia nel Baltico, sia nei commerci atlantici e, in particolare, sviluppano il commercio d’intermediazione: acqui-

121

119_131_contesto.indd 121

06/02/12 17:17

Paul Brill, Marina, 1598. Firenze, Galleria degli Uffizi.

stano merci a basso prezzo in Africa e Asia e poi le rivendono a prezzi molto più alti in Europa. Per sostenere questa rete mondiale di scambi l’Olanda crea un vasto impero coloniale, le cui caratteristiche sono uno sfruttamento spietato delle popolazioni e una forte specializzazione dei vari centri: Ceylon diventa il centro produttivo della cannella, Banda della noce moscata, Giava del pepe e del caffè.

I miglioramenti nella produzione agricola e la scomparsa dei piccoli proprietari aumentano la disponibilità di manodopera. Tra la fine del Cinquecento e il Seicento si sviluppano così le “industrie a domicilio”: la produzione si sposta dalle botteghe artigiane a piccole industrie domestiche poste nelle aree rurali, dove i lavoratori accettano salari minori. I presupposti per lo sviluppo del capitalismo

... e Inghilterra

La supremazia olandese però ha dovuto fare i conti con il fatto che lo Stato era di piccole dimensioni e alla lunga non ha retto il confronto con l’Inghilterra. Dopo il 1670, e vari conflitti tra le due nazioni, il perno del commercio e della finanza mondiale si sposta a Londra, dove rimane fino agli inizi del XX secolo. L’Inghilterra ha infatti sviluppato a sua volta una rete di colonie e di commercio mondiale: nel 1600, per esempio, ha fondato la prima Compagnia delle Indie orientali a cui fa seguito un’analoga organizzazione di commercio in Olanda (1602). La compagnia inglese nel tempo diventa una vera e propria Marina militare potentemente armata. Agricoltura intensiva e industrie a domicilio

Inoltre, entrambe le nazioni hanno riformato le tecniche agricole, favorendo l’agricoltura intensiva. In Inghilterra questo indirizzo è stato favorito dal fenomeno delle recinzioni dei territori demaniali destinati all’uso comune (enclosures) iniziato nel secolo precedente.

Un sistema commerciale e finanziario sempre più ampio e allargato a livello mondiale, l’afflusso di materie prime e basso prezzo, disponibilità di manodopera e bassi salari, produzione agricola in crescita e prime strutture di impresa: questi caratteri dell’economia inglese del XVII secolo sono tra le cause fondamentali della nascita del modello economico capitalistico nel secolo successivo.

1.3 LA DIFFERENZIAZIONE SOCIALE E POLITICA DEGLI STATI EUROPEI La società di Antico regime

La divaricazione economica tra i territori europei determina anche un diverso sviluppo sociale e politico. Nella maggior parte dei Paesi del continente prende forma la società di Antico regime, caratterizzata da: 1. la divisione in ceti (nobiltà, clero – ceti privilegiati – e terzo stato) che svolgono funzioni diverse – per esempio i ceti privilegiati non lavorano e considerano il lavoro con disprezzo – e godono di diritti diversi;

122

119_131_contesto.indd 122

06/02/12 17:18

La Francia del Re Sole

Il Paese più importante tra quelli in cui si realizza la società di Antico regime e l’assolutismo politico è la Francia sotto il governo di Luigi XIV, detto il Re Sole (1638-1715). Sotto la sua guida prende forma uno Stato fortemente centralizzato, con una struttura di governo che fa capo al sovrano e che, con JeanBaptiste Colbert (1619-1683) come Ministro delle Finanze, sviluppa una politica economica mercantilistica e una forma di intervento statale nel favorire manifatture e commercio nazionali (protezionismo).

Il contesto

2. il peso della tradizione: i ruoli sociali sono ereditari e i ceti privilegiati sono alleati della monarchia, ritenuta depositaria del potere per diritto divino. Politicamente il tratto fondamentale è l’assolutismo, ossia la concentrazione del potere nelle mani del sovrano; 3. il predominio della nobiltà, che diventa una realtà sociale con regole di comportamento e uno stile di vita basato sulla rendita e il possesso fondiario; 4. l’aspirazione da parte dei funzionari dello Stato e dei ceti mercantili ad accedere ai ranghi della nobiltà (nobilitazione) attraverso i servizi resi al sovrano o il matrimonio; 5. una struttura sociale di ceti inferiori piuttosto articolata: professionisti cittadini, artigiani, piccoli e medi proprietari, basso clero. In fondo alla scala sociale ci sono i contadini senza terra e i poveri che vivono di espedienti o di carità.

Tolleranza religiosa e sviluppo culturale in Olanda

È proprio questo ceto a dare alla vita sociale e culturale olandese i suoi tratti più importanti: una grande apertura mentale e un reale spirito di tolleranza. Le città olandesi diventano così il luogo in cui trovano ospitalità persone di religione e cultura diversa: i protestanti provenienti dai Paesi cattolici, gli ebrei spagnoli scacciati alla fine del XV secolo, eretici e liberi pensatori. Un segno di questa apertura è la grande attività editoriale che trasforma questa piccola nazione in uno dei maggiori centri di stampa europei. Lo sviluppo sociale la prima rivoluzione in Inghilterra

Anche la società inglese vive un’evoluzione diversa dal resto d’Europa. Agli inizi del secolo abbiamo di fronte una società rurale, in cui la proprietà e la ricchezza sono diffuse. Ulteriori fattori di crescita sono lo sviluppo dell’agricoltura intensiva, del commercio e della finanza, l’aumento delle colonie. Ma il punto di svolta della storia inglese è il Hyacinthe Rigaud, Luigi XIV, 1701. Parigi, Musée du Louvre.

L’Olanda: istituzioni repubblicane... e aristocrazia urbana

L’importanza dell’Olanda nel XVII secolo non è legata solo alla posizione economica dominante: vi contribuscono anche alcune caratteristiche sociali e politiche che la rendono un Paese con caratteri del tutto originali. In primo luogo, politicamente era una Repubblica federale in cui le varie province godevano di ampi margini di autogoverno. Esisteva un organo rappresentativo, l’Assemblea, che guidava la politica estera mentre le due maggiori cariche dello Stato, elettive, erano lo statolder, la più alta, che deteneva la guida militare, e il Gran Pensionario, che guidava la politica interna. Dopo la guerra d’indipendenza dalla Spagna la carica di statolder diventa appannaggio della casa d’Orange. Il potere degli Orange, però, è controbilanciato da un ceto nobiliare di origine mercantile, prevalentemente calvinista, un’aristocrazia urbana che conserva un ruolo politico e impedisce il passaggio alla monarchia.

123

119_131_contesto.indd 123

06/02/12 17:18

Una seduta del Parlamento inglese in un’incisione di Wenceslaus Hollar (1607-1677).

lungo periodo delle rivoluzioni e della guerra civile da cui esce un mutamento radicale della società e delle istituzioni politiche. La prima rivoluzione (1642-1649) è determinata dalla resistenza dei corpi territoriali e del Parlamento al modello assolutista di Stato che voleva imporre Carlo I (1600-1649), su cui si innesta una contrapposizione religiosa tra il re cattolico e i protestanti.

a principi liberali (diritti civili, divisione dei poteri, rappresentanza politica ecc.) che costituisce un’alternativa allo Stato assoluto e che, con i suoi mutamenti durante il XVIII secolo, costruisce un modello di parlamentarismo e di dibattito pubblico che è fondamentale per la sfera politica moderna.

Il fronte anti-Stuart

2. Il contesto culturale e artistico

Durante i successivi periodi, la Repubblica guidata da Oliver Cromwell (1599-1658) e la Restaurazione degli Stuart (1660-1689), la società inglese continua a mutare e il fronte anti-Stuart raccoglie: 1. la classe dei gentiluomini di campagna (gentry), da cui proveniva Cromwell, che costituisce la classe emergente all’interno della società inglese: quella che investe nelle manifatture domestiche e che cura con grande attenzione il proprio patrimonio; 2. coloro che hanno prosperato grazie al commercio, il nuovo ceto dei mercanti; 3. una parte dell’aristocrazia che si oppone al potere assoluto del re e vuole mantenere i diritti e il ruolo del Parlamento; 4. organizzazioni potenti come la Compagnia delle Indie, i cui interessi sono stati danneggiati dalle decisioni dei sovrani Stuart; 5. la componente più radicale del protestantesimo (anglicani, calvinisti, anabattisti) che è contraria alla permanenza di una dinastia cattolica sul trono inglese. La Seconda rivoluzione inglese

La Seconda rivoluzione (1688-1689) dà vita a una monarchia costituzionale e parlamentare, ispirata

2.1 L’ARTE DEL SEICENTO I caratteri del Barocco

Il Seicento è il secolo del Barocco, un movimento artistico, culturale e letterario piuttosto complesso, che nasce in Italia e poi si diffonde nel resto del continente e del mondo (se ne trovano moltissimi esempi in America latina) ma definibile attraverso alcune tendenze comuni: 1. sviluppa alcuni aspetti del manierismo tardo-rinascimentale, come il senso della crisi della civiltà rinascimentale; la ricerca di forme espressive nuove e tese a stupire; l’espressione di sentimenti (angoscia, inquietudine, esaltazione). Privilegia, cioè, la rappresentazione dell’interiorità e l’introspezione dell’uomo rispetto alla quiete e al senso di armonia con la natura; 2. vuole esprimere il movimento attraverso la decorazione, gli scorci prospettici, i contrasti tra luci e ombre; 3. è legato alla mentalità controriformista e alla concezione sacrale del potere tipica dell’assolutismo e del tradizionalismo politico. I monumenti e le scelte urbanistiche esprimono la maestà della

124

119_131_contesto.indd 124

06/02/12 17:18

Il Barocco italiano

L’Italia è il centro propulsore dell’arte barocca e la città in cui esso trova la sua massima espressione è Roma. Qui, in architettura, i maggiori esponenti di questa tendenza sono Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), il Borromini (Francesco Castelli, 1599-1667), Pietro da Cortona (Pietro Berrettini, 1596-1669), Carlo Fontana (1643-1714). A Torino lavora invece Guarino Guarini (1624-1683) e a Venezia Baldassarre Longhena (1598-1682). L’architettura barocca trova espressione anche in altri importanti centri dell’Italia meridionale come Napoli, Lecce, Palermo Modica e Noto. In pittura a Bologna operano i Carracci (Ludovico, 1555-1619), Agostino (1557-1602) e Annibale (1560-1609), che vogliono mantenere un legame con la tecnica pittorica, l’attenzione al disegno

Il contesto

Chiesa, la magnificenza e la regalità, mentre i ritratti dei grandi artisti di questa epoca sottolineano il lusso degli abiti e degli ornamenti e celebrano l’aristocrazia e il potere; 4. è accompagnato da elementi di teatralità: vuole colpire e stupire l’osservatore, fare di lui uno spettatore. Questo spinge l’artista barocco alla ricerca di forme espressive raffinate e complesse, a un gusto per la “messa in scena” sia nell’arte sacra che in quella profana; 5. è caratterizzato da una “paura del vuoto” (horror vacui) attraverso l’uso di decorazioni, linee curve, fregi, stucchi e dorature ecc.

e l’uso del colore dei pittori lombardi, veneti e tosco-romani (come Raffaello, Correggio, Tiziano) ma coniugandola con temi e motivi religiosi e devozionali della Controriforma. Alle idee carraccesche si ispirano i pittori della generazione successiva, tra cui Guido Reni (1575-1642), il Domenichino (Domenico Zampieri, 1581-1641) e il Guercino (Giovan Francesco Barbieri, 1591-1666). Una corrente più estrosa, il cortonismo, e più vicina alle tendenze barocche fa capo a Pietro da Cortona. Michelangelo Merisi detto il Caravaggio

Nella pittura seicentesca italiana la figura più interessante e rappresentativa, uno dei più grandi artisti di ogni tempo, è senza dubbio Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (1571/73-1610) che riprende la tradizione cinquecentesca, ma vuole esprimere soprattutto temi esistenziali, il dramma dell’uomo alla ricerca della verità, uno sguardo crudo sulla realtà delle cose. Per sottolineare questi aspetti egli usa la luce che mette in risalto un oggetto, una figura, un’azione e lascia in ombra il resto. I suoi dipinti sono caratterizzati da una forte emotività e drammaticità e da alcuni tratti crudamente realistici (antimanieristi e anticonformisti) che all’epoca destano stupore e talvolta violenta condanna. Il Barocco in Europa

In Spagna il Barocco raggiunge i suoi vertici soprattutto in ambito pittorico con Francesco Zurbarán (1598-1664), Diego De Silva y Velázquez (1599Pietro da Cortona, Enea sbarca alle foci del Tevere, 1651-54. Roma, Palazzo Pamphili.

125

119_131_contesto.indd 125

06/02/12 17:18

Antoon van Dyck, Ritratto della marchesa Elena Grimaldi, 1623. Washington, National Gallery of Art.

Accanto alla pittura vi è, infine, un grande sviluppo dell’urbanistica e dell’architettura civile favorite dalla crescita delle città, dalla ricchezza diffusa e dalla cura del territorio, in cui viene ampliata la struttura di canali per l’agricoltura e il trasporto. Il classicismo

Minoritario, ma importante per lo sviluppo del secolo successivo, è il classicismo seicentesco il cui massimo esponente è Nicolas Poussin (1594-1665) che passa gran parte della vita a Roma per studiare l’arte rinascimentale e i resti dei monumenti antichi e vuole tradurre in pittura gli ideali di chiarezza della filosofia cartesiana.

2.2 IL SECOLO DEL TEATRO Il teatro barocco e le scuole nazionali

In ambito letterario la massima espressione del Barocco è il teatro, che è in grado di esprimere sia il desiderio di suscitare stupore e meraviglia, sia il senso di una profonda inquietudine esistenziale, sia il gusto per la “messa in scena” dei sentimenti e delle emozioni. Questo interesse per il genere teatrale trova però forme espressive diverse a seconda della varie nazioni e culture. 1660) e Bartolomé Esteban Murillo (1618-1682). Originari dei Paesi Bassi, ma molto attivi anche in Italia, sono Pieter Paolo Rubens (1577-1640), che nei suoi dipinti e ritratti esprime la grandezza del potere politico e religioso, e Anton van Dyck (15991641), uno dei maggiori ritrattisti del secolo che lavora anche in Inghilterra.

Il teatro spagnolo

Il teatro spagnolo, per esempio, affronta soprattutto temi ispirati alla religiosità controriformistica o quelli popolari (come l’avventura, l’amore, la difesa dell’onore, episodi storici ecc.) e tratta spesso il tema della vita come sogno o illusione. I suoi maggiori esponenti sono Lope Felix de Vega Carpio (15621635) e Pedro Calderón de la Barca (1600-1681).

L’arte nell’Olanda riformata

All’avanguardia in campo sociale, economico, tecnologico e culturale delle Province unite riformate si associa anche un vasto movimento artistico in cui ha un ruolo centrale la pittura. L’arte olandese del XVII secolo, erede di una tradizione pittorica che risale agli inizi del XV, presenta nomi importanti, tra cui spiccano Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606-1669) e Johannes Vermeer (1632-1675), ma anche scuole pittoriche come quella paesaggistica di Deft e i caravaggeschi di Utrecht. I temi principali sono ritratti, squarci di interni e nature morte. Con questa vastissima produzione, l’Olanda di quegli anni diviene anche il centro di una vasta rete commerciale di opere d’arte e d’artigianato che contribuirono alla ricchezza del Paese.

Il teatro francese

In Francia nasce un teatro neoclassico che segue le regole aristoteliche (unità di luogo, tempo e spazio) e tratta i temi dell’esistenza umana con verosimiglianza e sobrietà, ispirandosi anche allo studio del costume e della morale dei filosofi dell’epoca, come Cartesio e Pascal. I più importanti autori francesi sono Pierre Corneille (1606-1686) e Jean Racine (1639-1699), che nutrono una profonda attenzione per i conflitti interiori e gli ideali contrastanti, e il commediografo Moliére (1620-1673), particolarmente attento all’analisi dei caratteri. William Shakespeare

In Inghilterra, infine, opera agli inizi del secolo William Shakespeare (1564-1616) uno dei maggiori

126

119_131_contesto.indd 126

06/02/12 17:18

La nascita del melodramma

In Italia intanto nasce un nuovo genere teatrale, il melodramma, che si ispira al “dramma cantato” greco, ma in realtà è una forma di opera totale in cui si uniscono musica, canto, balletto e testo letterario, scenografia e azione, protagonisti e coro. Il primo melodramma giunto fino a noi è l’Euridice di Jacopo Peri (1561-1633) rappresentata a Firenze per le nozze di Enrico IV di Francia e Maria de’ Medici (1575-1642). Ma il maggiori artista dell’epoca è Claudio Monteverdi (1567-1643). Ben presto il melodramma diventa un genere popolare e si diffonde anche nel resto d’Europa.

2.3 IL DON CHISCIOTTE, IL PROGENITORE DEL ROMANZO MODERNO

Il contesto

autori teatrali di ogni epoca, che abbandona le regole classiche e centra le sue opere sull’analisi di problemi psicologici o morali, sui comportamenti inusuali o patologici (inquietudine, contraddizioni, follia), sulle lacerazioni e i dubbi della coscienza, innovando profondamente il linguaggio teatrale e la figura dell’eroe.

3. Il contesto filosofico Tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Seicento, la filosofia umanistico-rinascimentale si è fatta portavoce di una richiesta di profondo rinnovamento della cultura; contemporaneamente, la rivoluzione scientifica ha inaugurato un nuovo metodo di ricerca e una nuova visione del mondo e del posto dell’uomo nell’universo.

3.1 CARTESIO E LA NASCITA DELLA FILOSOFIA MODERNA

Un nuovo metodo della conoscenza

Le esigenze e le richieste culturali dei due secoli precedenti trovano nel Seicento il vero punto di svolta filosofico: l’iniziatore di un nuovo corso della riflessione, che inaugura la filosofia moderna, è Cartesio (René Descartes, 1596-1650). Egli ha molte cautele, ma non manca di rilevare come l’insegnamento tradizionale, a partire dalla logica scolastica e aristotelica, sia insufficiente per un reale avanzamento del sapere: è urgente, invece, un nuovo metodo della conoscenza.

Temi e tecniche narrative innovativi

All’epoca barocca appartiene un’opera letteraria considerata da molti studiosi il progenitore del romanzo moderno: il Don Chisciotte de la Mancia (1605-1615) di Miguel de Cervantes Saavedra (1547-1616), che è anche un importante autore teatrale e di novelle. In esso si esprimono i temi barocchi dell’inquietudine, della follia e dell’insicurezza; l’ironia verso la tradizione letteraria e la società; il conflitto tra sogno e realtà. Ai canoni espressivi del Barocco sono collegate anche la complessità della struttura (la pluralità degli autori, gli inserti narrativi costruiti su più piani), la varietà dell’ambientazione e dei linguaggi dei protagonisti.

Bernardo Cavallino, La cantatrice, prima metà del XVII secolo. Napoli, Museo di Capodimonte.

127

119_131_contesto.indd 127

06/02/12 17:18

Jan Baptist Weenix, René Descartes, 1647. Utrecht, Museum Catharijneconvent.

Gli epistolari e i contatti tra studiosi

Nel corso del Seicento diventano ricorrenti le riunioni tra gli intellettuali del tempo per discutere dei problemi più diversi, e una vera novità del secolo è costituita dagli epistolari, vero strumento di circolazione delle idee che coinvolge tutti i grandi filosofi dell’epoca, da Cartesio a Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716). Anche personaggi minori, come il frate Marino Mersenne (1588-1648), passano così alla storia: è da lui, in place Royal a Parigi, che ci si ritrova per discutere, ed è ancora lui che intrattiene scambi di lettere con i grandi pensatori contemporanei. Per non dire che Mersenne è anche il peculiare redattore di quello che può essere visto come uno dei più importanti epistolari della storia della filosofia: le obiezioni e le risposte alle Meditazioni metafisiche (1641) di Cartesio, per le quali Mersenne funge da mediatore. Le società scientifiche

L’impostazione cartesiana

Per una caratterizzazione davvero “moderna” della filosofia, quindi, sulla scia della rivoluzione scientifica, Cartesio auspica un rinnovamento radicale degli strumenti concettuali. La rottura non riguarda allora soltanto il Medioevo e la scolastica, ma anche l’immagine vivente e dinamica della natura presente nella cultura rinascimentale: anche a questa viene contrapposto il meccanicismo fondato sulle leggi della matematica e della geometria.

3.2 I LUOGHI E I MEZZI DI CIRCOLAZIONE DELLE IDEE

La perdita di centralità delle università

Se si eccettua la Germania – dove la Riforma luterana, con l’opera di Melantone (1497-1560), aveva promosso una riforma degli studi universitari –, le università non costituiscono più, in Europa, il centro del dibattito intellettuale e scientifico. Altri sono i luoghi e i mezzi per la circolazione delle idee: è significativo che lo stesso Galileo Galilei (1564-1642) insegni a Padova secondo il sistema geocentrico di Tolomeo (vissuto nel II secolo d.C.), pur se è già un sostenitore delle tesi copernicane, e non è un caso se finirà per abbandonare l’università diventando il «matematico e filosofo» del granduca di Toscana.

Fuori dalle università, nascono in tutta Europa, nel corso del Seicento, le maggiori società scientifiche. L’innovazione nel pensiero filosofico e scientifico del XVII secolo passa anche attraverso la creazione di nuove istituzioni, finalizzate allo sviluppo di nuove conoscenze più che alla trasmissione di un sapere già acquisito. Nascono le accademie e le società scientifiche che resteranno per lungo tempo i luoghi privilegiati di esposizione, di confronto e di verifica delle nuove teorie e dei nuovi risultati sperimentali. Libero confronto e indipendenza della ricerca

Di questo nuovo fenomeno vanno sottolineati due aspetti fondamentali: 1. con la creazione di accademie e società gli scienziati esprimono il bisogno di condividere i loro risultati con i colleghi, di confrontarsi e di discutere apertamente con loro, sottoponendo a verifica le proprie teorie (buona parte delle attività delle accademie consisteva proprio nel passare al vaglio le ricerche dei membri); 2. riunendosi in gruppi strutturati gli scienziati si danno da sé le proprie regole – e anche questo è un punto di grande importanza, che testimonia il bisogno di indipendenza della ricerca scientifica. La scienza come impresa collettiva

La scienza moderna si configura così come un’impresa collettiva e (almeno tendenzialmente) autonoma rispetto alle autorità politiche e religiose. Numerosi sono i gruppi formati da scienziati e filosofi; tra i più importanti possono essere menzionati:

128

119_131_contesto.indd 128

06/02/12 17:18

Il contesto

1. la Royal Society in Gran Bretagna, fondata nel 1660, viene riconosciuta per decreto reale da Carlo II due anni dopo, priva di contributi statali e finanziata attraverso l’autotassazione dei membri (che sono numerosi e di diversa provenienza), tra cui Robert Boyle e Robert Hooke. Lo scienziato più importante è, però, Isaac Newton (1642-1727) che ne è stato anche il presidente e che è considerato colui che ha portato a compimento la rivoluzione scientifica con la sua teoria della gravitazione universale che unifica la nuova fisica del moto con la fisica astronomica; 2. l’Académie Royale des Sciences in Francia, nata nel 1666 da un precedente gruppo, meno strutturato ma già di successo, che ha il supporto finanziario dallo Stato del Re Sole, con il coinvolgimento diretto del ministro Jean-Baptiste Colbert, e conta tra i suoi membri personalità di primo piano della scienza e della filosofia, non solo francesi ma anche straniere, tra cui Christiaan Huygens; 3. l’Accademia dei Lincei, non l’unica esperienza in questo senso realizzata in Italia, ma la più prestigiosa (ha tra i suoi membri anche Galilei), e la prima in ordine cronologico (la sua fondazione risale al 1603); 4. nel 1700 sorge anche l’Accademia delle scienze di Berlino, che ha come primo presidente e fondatore Leibniz, e si differenzia perché in essa trovano posto anche le materie filosofiche e letterarie.

Rapporti difficili con il potere politico e religioso

Il rapporto delle nuove istituzioni con quelle già esistenti non è sempre facile. I riferimenti con il potere politico sono diversi caso per caso, e sono legati anche alle diverse modalità con cui le accademie e le società scientifiche si finanziano. Anche i rapporti con le autorità religiose cambiano in funzione del contesto; resta però costante la ricerca dell’indipendenza intellettuale, che è uno dei principali valori di riferimento per tutte queste istituzioni. Conflitti con le università

Ancora più centrale, nella vita delle accademie e società scientifiche, è il rapporto spesso conflittuale con le università. Nel mondo del sapere e della cultura i secoli XVI-XVIII registrano dei cambiamenti epocali, sui quali le università tardano ad aggiornarsi, anche per la posizione ancora secondaria che avevano discipline come la fisica e la stessa matematica nei programmi di studio. In generale, si può affermare che l’impulso alla creatività scientifica che caratterizza la ricerca moderna è stato sostenuto più dalle accademie scientifiche e dalle società scientifiche che dalle università. Sotto questo aspetto hanno pesato la maggiore propensione delle nuove istituzioni alla libertà di ricerca e alla creatività scientifica e la maggiore rapidità nel recepire le innovazioni e la creazione di nuove discipline e campi di studi.

Il Gresham College di Londra, prima sede della Royal Society, in un’incisione del XVII secolo.

129

119_131_contesto.indd 129

06/02/12 17:18

Ferdinando Bol, Studioso, 1663, Amburgo, Kunsthalle.

L’indagine sulla ragione umana

L’altra protagonista è la ragione, innanzitutto come ragione umana che diventa, con Cartesio, una mente il cui contenuto è fatto di idee: queste non sono più i modelli della realtà della tradizione platonica, né gli agostiniani modelli della mente di Dio, ma contenuti della mente umana che ne esprimono le capacità conoscitive. Dio è il punto di riferimento, ma il punto di partenza è la ragione umana. L’analisi del soggetto

Le riviste

Verso la fine del secolo, poi, cominciano a uscire, a partire dal 1665, le riviste “Journal des Savants”, “Philosophical Transactions”, “Mémoires de Trevoux” (l’influente rivista dei gesuiti, dal 1682), “Acta Eruditorum” (1683). Anche per il primo emergere di una nuova, attiva classe sociale, la borghesia, cambiano nel Seicento le forme di organizzazione e comunicazione del sapere, un processo che avrà una più compiuta realizzazione nel secolo successivo.

3.3 LA NUOVA VISIONE DI DIO, DELLA RAGIONE, DEL SOGGETTO

Una nuova concezione di Dio

Nella nuova atmosfera successiva a Riforma protestante, Controriforma e guerre di religione, la religione ha sicuramente un ruolo centrale, e non solo per gli avvenimenti storici e storico-culturali, ma anche per quanto riguarda il contenuto delle teorie filosofiche. Una nuova immagine di Dio, costruita secondo i canoni della nuova scienza, gioca per tutto il Seicento un ruolo da protagonista nei grandi sistemi filosofici: come garante dell’evidenza della verità in Cartesio, come espressione dell’ordine geometrico in Baruch Spinoza (1632-1677), come massimo esempio delle capacità del calcolo matematico in Leibniz – un calcolo che, non potendo che essere perfetto, ha prodotto il migliore dei mondi possibili.

È il grande, nuovo tema del soggetto moderno che investiga le proprie capacità analizzando la propria mente, un’indagine che troverà per più versi un punto di arrivo, e l’inizio di una nuova storia, solo con la Critica della ragion pura di Immanuel Kant (1724-1804), ma che comincia proprio con le Meditazioni cartesiane: si tratta appunto di «meditazioni», nelle quali l’accento cade sul modo di conoscere del soggetto della conoscenza, l’uomo. Il rapporto del soggetto con il mondo, le forme della conoscenza, il ruolo dell’esperienza

L’impostazione cartesiana dell’analisi della mente, del rapporto tra soggetto e mondo e del problema delle fonti e delle forme della conoscenza è al centro della ricerca filosofica dei maggiori pensatori del secolo. Le questioni logiche, metafisiche e ontologiche sono quelle che interessano maggiormente Spinoza, Leibniz, Antoine Arnauld (1612-1694) e Nicolas Malebranche (1638-171). Nella cultura anglosassone, invece, prevale un’impostazione che mette al centro la riflessione sull’esperienza, a partire da Thomas Hobbes (1588-1679) e John Locke (1632-1704) per finire, in pieno XVIII secolo, con George Berkeley (1685-1753). Critica razionale della religione

All’esame della ragione non può sottrarsi nemmeno la tradizione religiosa, che come ogni tradizione deve essere sottoposta a critica. Di qui lo studio accurato dei testi sacri, che corre il rischio di di-

130

119_131_contesto.indd 130

06/02/12 17:18

Il contesto

ventare pericoloso per la Chiesa soprattutto quando mostri le difficoltà, di fronte all’esame critico, dei tanti racconti di miracoli contenuti nelle Scritture. Ma non solo: l’esame accurato di queste ultime mostra, quando lo si confronti con altre fonti di informazione e con altre civiltà che non sono più, dopo le scoperte geografiche, del tutto ignote, quanto le misure del tempo possano essere diverse da quelle fornite dalla Bibbia.

della sua grandezza, con la rivoluzione copernicana. Né mancano coloro che, come Giordano Bruno e Bernard le Bovier de Fontenelle (1657-1757), parlano della Terra soltanto come di un mondo tra altri, che potrebbero essere infiniti. E così nascono le perplessità, lo scetticismo e la travagliata meditazione di Pascal su grandezza e miseria dell’uomo, erede dello scetticismo di Montaigne. Riflessioni sui problemi morali e politici

Libertini, erudizione e critica alla teologia

Nel Seicento si scatena infatti il dibattito sulla cronologia: il libro della religione cristiana non può essere preso alla lettera, a meno di non rassegnarsi a una ottusa ignoranza. La storia degli uomini è, in realtà, ben più antica di quella del popolo ebraico, come dimostrano tutte le testimonianze che i cristiani incontrano al di fuori del loro libro sacro, ovvero le notizie sugli egizi, sui caldei, sui cinesi. È dall’intersecarsi di razionalismo e di erudizione che nascono i libertini, il massimo pericolo per la religione, ed è a questo orizzonte problematico che appartiene l’anticartesiano (e antimoderno) Giambattista Vico (1668-1744,), pur se la sua Scienza nuova apparirà a Settecento inoltrato, nel 1725. Ma la sintesi del secolo cartesiano e razionalistico, in cui convergono critica della teologia e della tradizione, erudizione, analisi storica e scetticismo è l’opera di Pierre Bayle (1647-1706), in particolare le varie edizioni del Dizionario storico-critico (1696, 1702, 1730 postumo).

La ragione umana non può, infine, trascurare le questioni morali e politiche, come dimostra il giusnaturalismo moderno, che, avviato nel Seicento soprattutto con Hobbes, Locke e Spinoza dominerà la discussione filosofico-politica fino a Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831), che ne sarà, invece, un aspro critico. È dal calcolo razionale e intelligente degli individui, infatti, attenti al proprio interesse e alla difesa di se stessi, che nasce e riceve legittimità lo Stato, frutto di un contratto tra individui, in linea di principio, uguali. Si tratta della stessa uguaglianza che diventerà, nel secolo successivo, la parola d’ordine di una borghesia sempre più affermata contro i privilegi del clero e della nobiltà.

Johannes Vermeer, Il soldato e la fanciulla, 1655. New York, Collezione Frick.

La scienza diventa fondamento della filosofia

La scienza moderna, fondata sulla matematica e sulla geometria, costituisce ben più che lo sfondo della nuova prospettiva filosofica: essa ne costituisce piuttosto lo scheletro. Ma non si tratta soltanto di astrazioni matematiche; è cominciata, infatti, la progressiva riabilitazione delle arti meccaniche che proseguirà nel secolo successivo. La polemica verso il sapere tradizionale è anche polemica verso la sua inutilità, mentre il XVII secolo procura, sulla base delle acquisizioni scientifiche, strumenti che realizzano l’auspicio baconiano di un sapere utile, come la macchina calcolatrice di Blaise Pascal (16231662) e di Leibniz o il cannocchiale di Galileo. Una nuova visione dell’uomo

Questa scienza non offre, però, soltanto trionfi: essa celebra sì la ragione umana, ma alla tranquilla collocazione della Terra al centro dell’universo offerta dal sistema tolemaico sostituisce una concezione che sembra togliere all’uomo almeno parte

131

119_131_contesto.indd 131

06/02/12 17:18

3. Cartesio e la nascita

della filosofia moderna Cartesio e il suo tempo

1572 Strage degli ugonotti a Parigi.

1594 Enrico IV viene incoronato re di Francia.

1598 Editto di Nantes: Enrico IV riconosce libertà di culto e diritti civili ai protestanti.

1618 Scoppia la Guerra dei Trent’anni.

EVENTI VITA E OPERE

1596 Cartesio nasce a La Haye (in Turenna) da un’agiata famiglia francese.

1618 Si arruola nell’esercito del principe protestante olandese Maurizio di Nassau.

1619 Nel novembre intravede i fondamenti di una «scienza meravigliosa».

1628 Inizia il trattato Regole per la guida dell’intelligenza.

I luoghi di Cartesio Neuburg Nella notte del 10 novembre 1619 fa tre sogni che gli rivelano i fondamenti di una scientia mirabilis.

Stoccolma Città in cui muore Cartesio.

Copenhagen Vi si reca in uno dei suoi viaggi.

Parigi Vi trascorre alcuni anni.

Danzica La visita nel corso dei suoi viaggi.

La Haye Città natale di Cartesio. La Flèche Frequenta il Collegio dei gesuiti.

Amsterdam Vi si reca nel corso dei suoi numerosi viaggi.

Poitiers All’università ottiene il baccalaureato in diritto canonico e civile.

Leida Viene pubblicato il Discorso sul metodo.

132

RISORSE MULTIMEDIALI

➥ Lezione LIM ➥ Test

132_171_cartesio.indd 132

➥ Biblioteca: E. Scribano, La metafisica è uno strumento per la fisica ➥ Tutorial: Cartesio, Le Meditazioni metafisiche

06/02/12 16:23

È da tempo che mi sono reso conto di quanto di falso avevo preso per vero fin dall’infanzia e di come sia dubbio tutto quel che in seguito vi ho costruito sopra; ed è da allora che ho capito che, se aspiravo a stabilire nelle scienze qualcosa di solido, destinato a durare, avrei quindi avuto da buttare all’aria tutto quanto, per una volta nella vita, e ricominciare dalle fondamenta. (Cartesio, Meditazioni metafisiche)

1630 Gustavo II di Svezia interviene nella guerra contro gli Asburgo.

1630-1633 Scrive Il Mondo o Trattato sulla luce. Interrompe l’opera (che viene pubblicata postuma) a causa della condanna di Galileo.

1632 Cristina, figlia di Gustavo II di Svezia, succede sul trono al padre.

1637 Viene pubblicato anonimo, a Leida, il Discorso sul metodo.

1648 La pace di Westfalia segna la fine della Guerra dei Trent’anni e la sconfitta degli Asburgo.

1641 Escono le Meditazioni metafisiche.

1652-1653 Prima guerra tra Olanda e Inghilterra.

1644 Escono I principi della filosofia.

1667-1668 Guerra di devoluzione della Francia contro i Paesi Bassi.

1649 Vengono pubblicate Le passioni dell’anima.

1650 Cartesio muore a Stoccolma.

Le domande di Cartesio • • • • • •

Che cosa è necessario per ricondurre all’unità i vari rami del sapere umano? Qual è l’origine del mondo? Quale rapporto c’è tra la mente e il corpo? Sono del tutto separati l’una dall’altro o sono congiunti? Qual è la natura delle idee? Sono essenze eterne oppure sono rappresentazioni mentali delle cose? Qual è il primo passo da compiere per rifondare l’intero edificio della conoscenza umana? Qual è l’origine delle passioni umane?

I testi Il classico: Meditazioni metafisiche T1 Cartesio, Ricominciare dalle fondamenta T2 Cartesio, Dal dubbio alla certezza di esistere T3 Cartesio, La veracità di Dio T4 Cartesio, La prova ontologica dell’esistenza di Dio T5 Cartesio, Esistenza delle cose corporee L'antologia: T6 Cartesio, I principi del metodo T7 Cartesio, Ipotesi sulla genesi del mondo T8 Cartesio, L’azione del corpo sull’anima

133 ✔ Tesi a confronto: Cartesio: quale rapporto tra l’uomo e la natura?

132_171_cartesio.indd 133

06/02/12 16:22

1. La libertà di giudicare da sé Ricerca filosofica come percorso di formazione

Una formazione tradizionale

Viaggiare attraverso culture e opinioni

Spaesamento e perdita delle certezze

Nuova scienza e crisi del senso comune

La perdita dell’unità religiosa e le guerre di religione

Salvaguardare l’autonomia del sapere

134

132_171_cartesio.indd 134

Spesso si abusa della nozione di “crisi” e dell’idea della transizione tra epoche, ma nel caso di Cartesio questi concetti colgono un’indubbia realtà. Egli vive un periodo di profonde trasformazioni, e soprattutto è interprete dei problemi della sua cultura, contribuendo in modo decisivo alla nascita di nuove forme di organizzazione del sapere. La vita e il pensiero di Cartesio sono stati un percorso di trasformazione che egli ha compiuto dando ordine e senso a quanto avveniva a lui e intorno a lui. Nel Discorso sul metodo (1637) descrive la sua storia personale come esemplare: egli vuole rappresentare la propria vita come una “storia” o una “favola” dalla quale trarre esempi istruttivi. E molto istruttiva è, in effetti, la sua vicenda.

1.1 La crisi della cultura scolastica Dall’età di undici anni Cartesio è allievo del Collegio gesuita di La Flèche, una delle più rinomate istituzioni educative in Francia. Fa esperienza così del sistema culturale che stava iniziando a entrare in crisi sia per il peso dirompente che andava assumendo la scienza matematica della natura sia per la crescente sensazione di inaffidabilità delle fonti tradizionali di certezza in campo scientifico, religioso, morale e politico. La mente di Cartesio inizia a viaggiare, prima che, alla fine degli studi, egli si metta realmente in cammino per l’Europa: la lettura, dirà poi, è come «una conversazione con gli uomini dei secoli passati» e «in realtà conversare con gli autori degli altri secoli è quasi lo stesso che viaggiare». Cartesio fa esperienza della pluralità delle opinioni e dei modi di vita e del fatto che non vi è necessariamente coincidenza tra ciò che si riceve attraverso l’educazione e ciò che è ragionevole: «è giusto avere qualche conoscenza dei costumi dei diversi popoli, [...] per non ritenere che tutto ciò che non è conforme alle nostre usanze sia ridicolo e contrario alla ragione». L’esperienza del viaggiare, che poi diventerà reale e intensa per Cartesio, causa un sommovimento delle convinzioni accolte passivamente. Essa può condurre, però, anche allo spaesamento: attraversando epoche e luoghi si diventa «alla fine stranieri nel proprio paese». La straordinaria apertura che la crisi della cultura scolastica porta con sé ha il suo rovescio nella mancanza di un fondamento del sapere adeguato alla nuova epoca. Mentre Cartesio studia nel Collegio dei gesuiti, Galilei si confronta con la possibilità di rendere compatibili le nuove visioni astronomiche con le verità della fede e discute con Keplero del sistema copernicano, di un universo non più centrato sull’uomo. La scienza moderna mette in questione anche le certezze del senso comune: la percezione immediata (per esempio il Sole che gira intorno alla Terra) non corrisponde alla realtà mostrata dalla scienza (la Terra che gira intorno al Sole). Le guerre di religione, provvisoriamente bloccate in Francia nel 1598 dall’editto di Nantes, mostrano la virulenza dello scontro tra credenze assolute contrapposte e intaccano la solidità dei fondamenti di fede. La lacerazione tra fedi diverse porta alla Guerra dei trent’anni fra potenze cattoliche e protestanti, alla quale Cartesio partecipa (cattolico, si arruola in un primo tempo nei reggimenti di volontari francesi che servono sotto il principe protestante olandese di Nassau). La stessa idea del fondamento divino del potere politico è posta in discussione da autori come Ugo Grozio (1583-1645), che riconducono la legittimità del potere politico alla sovranità del popolo, oppure a principi derivanti dalla ragione umana. 1.2 Una nuova fondazione del sapere Il riferimento all’autorità come origine della validità del sapere umano non è più soddisfacente. In questo senso, Cartesio esprime addirittura fastidio per i libri «che nella maggior parte, lette poche righe, [...] hanno rivelato tutto, perché il resto fu aggiunto per riempire la carta». Il problema filosofico centrale di Cartesio diventa allora quello di una nuova fondazione del sapere che ne salvaguardi l’autonomia.

Il Seicento

06/02/12 16:22

L’autonomia della ricerca razionale

Ricerca di un sapere evidente

L’esame della ragione per legittimare il sapere

Il paradigma della modernità

L’idea di una ragione umana e comune a ognuno che possa ricominciare da capo è la cifra di un problema filosofico e di un atteggiamento che caratterizza la modernità. L’epoca moderna non intende trarre i propri criteri di orientamento da altre epoche. È sullo scoprire, piuttosto che sull’accettare passivamente delle verità, sulla inventio opposta alla memoria, che Cartesio insiste. Traluce qui l’idea di un sapere che è valido soltanto perché è tale di fronte alla ragione dell’individuo: un sapere che può essere, dirà poi Cartesio, «evidente». La conoscenza tramandata non costituisce scientias, ma historias. Così, dirà Cartesio, «le scienze depositate nei libri» non hanno nessun privilegio, anzi, «non si avvicinano tanto alla verità quanto invece vi si avvicinano i semplici ragionamenti che può fare [...] un uomo di buon senso intorno alle cose che gli si presentano». Davanti alla ragione, giudice di sé e di ogni sapere, le conoscenze dell’epoca si mostrano inadeguate. Cartesio oserà sottoporre a critica razionale anche la teologia proveniente dal libro considerato più autorevole, la Bibbia. Sosterrà che «tutto quel che si può sapere di Dio lo si può dimostrare con argomenti che non si traggano se non dalla nostra mente stessa». L’insufficienza del sapere tramandato, racconta Cartesio, «mi faceva prendere la libertà di giudicare da me tutti gli altri». Non si tratta solo della libertà che il giovane Cartesio rivendica per sé, ma del diritto dell’individuo moderno di riconoscere solo ciò che la ragione considera legittimo. Il compito che Cartesio assume è, dunque, di rifondare il sapere in base a ciò che regge alla prova dell’autonoma ragione individuale. La filosofia di Cartesio è paradigmatica di un atteggiamento proprio del pensiero moderno che consiste nell’idea di sottoporre tutto alla ragione autonoma. Tale modo di comprendere il mondo, proprio perché vuole avere in sé i propri fondamenti, ne è sempre alla ricerca e quindi esso stesso può esser posto in questione. Cartesio contribuisce ad avviare tale ricerca.

CARTESIO E IL SUO TEMPO

CRISI EPOCALE

TENDENZE PERSONALI

nuova scienza e nuova cosmologia

affermare l’autonomia della ricerca razionale

crisi delle certezze del senso comune

ricerca di un sapere evidente e autofondato

fine dell’unità dei cristiani e guerre di religione

curiosità e desiderio di scoprire da solo la verità

messa in discussione di un fondamento divino del potere politico e del diritto

spaesamento di fronte alla varietà di opinioni e al cadere delle vecchie certezze

il problema filosofico centrale per Cartesio è una nuova fondazione del sapere

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 135

135

06/02/12 16:22

PER SINTETIZZARE • Qual è l’atteggiamento di Cartesio di fronte alla crisi della cultura scolastica avvenuta nel Seicento? Cartesio aderisce a questa cultura o prende radicalmente le distanze da essa? • Quale valore viene attribuito da Cartesio alle conoscenze tramandate?

2. In cammino nell’Europa del Seicento Approfondire le proprie conoscenze e cercare la pace

Coraggio intellettuale e cautela nella vita Soldato e viaggiatore alla ricerca della propria missione

I sogni di Cartesio

Il rifugio olandese e i contatti con matematici e scienziati

I rapporti con i Rosacroce

Le accuse di ateismo

La prudenza nel pubblicare

136

132_171_cartesio.indd 136

Si è accennato a quanto l’esperienza del viaggiare sia stata importante per Cartesio. In un suo sogno famoso, che egli ha raccontato, il filosofo trova un libro sulla sua scrivania, lo apre e legge le parole del poeta latino Ausonio (310-395 d.C.): «Quale cammino seguirò nella vita?». A un certo punto Cartesio crede di avere trovato la risposta: «dedicare tutta la mia vita a coltivare la ragione, e progredire quando potessi nella conoscenza della verità». Ma per seguire questo cammino Cartesio dovrà percorrere moltissime vie nell’Europa del Seicento; cercherà allo stesso tempo di arricchire la sua conoscenza e di trovare le condizioni esterne per potere svolgere i suoi studi in tranquillità d’animo e senza rischi. La figura di Cartesio è segnata da tendenze almeno in apparenza contraddittorie: il coraggio intellettuale nella ricerca del nuovo, la curiosità inesauribile, e allo stesso tempo la cautela, la ricerca di pace. Trovare la pace non è facile nell’Europa del Seicento e Cartesio, in realtà, cerca piuttosto la guerra: nel 1618 decide di arruolarsi nell’esercito del principe protestante olandese Maurizio di Nassau. Da quel momento, grazie anche alle consistenti fortune della sua famiglia, inizia un itinerario attraverso l’Europa, caratterizzato dalla ricerca della sua missione nella vita. È un percorso avventuroso, se si pensa a che cosa significasse viaggiare in quell’epoca; ma Cartesio trova in esso il tempo di cominciare a coltivare i propri pensieri. Nel paese di Neuburg sul Danubio, nella notte del 10 novembre 1619, Cartesio vive un’esperienza particolare: fa tre sogni che sembrano indicargli la sua missione e la scoperta dei fondamenti di una scienza meravigliosa. Dopo molti altri viaggi, nel 1628 si stabilisce in Olanda. Sarà questo il Paese, tollerante e ricco di stimoli, che Cartesio considererà il più adatto alla prosecuzione del suo cammino di pensiero. Il girovagare è per Cartesio anche un modo per prendere contatto con matematici e scienziati dei diversi Paesi. Tra i suoi primi contatti vi è, in Germania, il matematico Johann Faulhaber (1580-1635), membro della confraternita dei Rosacroce, una società segreta di alchimisti, matematici, mistici e scienziati che vogliono trasformare il mondo attraverso il sapere. I Rosacroce sono contrari al potere ecclesiastico e intendono promuovere un’unità del genere umano che vada al di là dei confini nazionali. Si è spesso discusso se Cartesio si sia affiliato alla Confraternita: certamente ne condivide alcune idee, come l’unità del sapere o la critica alla scienza praticata nelle università. E anch’egli ha avuto rapporti difficili con la Chiesa. Cattolico quasi per caso, Cartesio non rinnega la religione in cui è stato allevato, tuttavia teme a lungo l’Inquisizione e vive per molto tempo nell’Olanda protestante, cercandovi un ambiente più protetto. Paradossalmente le accuse di ateismo verranno da ambienti olandesi. Nel 1637 Cartesio pubblica, anonima, l’opera che lo rende subito celebre: il Discorso sul metodo. Rinuncia invece a pubblicare un’altra opera, Il Mondo o Trattato sulla luce, «per fare atto di completa obbedienza alla Chiesa», pur sperando di ottenere un mutamento di opinione da parte delle gerarchie ecclesiastiche. Oscilla spesso tra la volontà di rendere pubbliche le sue scoperte e la risoluzione di tenerle nascoste in attesa di tempi migliori. Pubblicare in quei tempi non è un atto indifferente poiché il controllo della Chiesa e del Sant’Uffizio cercano di estendersi su tutta l’Europa, e l'accusa di ateismo poteva costare il rogo. Cartesio tiene molti dei suoi contatti con il mondo intellettuale europeo tramite padre Marin Mersenne, un frate parigino che è in comunicazione con le maggiori personalità dell’epoca.

Il Seicento

06/02/12 16:22

Curioso verso tutto, ma ostile all’esoterismo

L’interesse per le discipline tecniche e la medicina

L’ultimo rifugio in Svezia

Studioso di numerose discipline, Cartesio si preoccupa sempre della ricaduta pratica del sapere e si accosta anche alle «scienze più curiose e rare», tra cui la magia naturale, che nel Rinascimento includeva studio della natura e pratiche esoteriche, ma rifiuta presto la ricerca di chiavi arcane di ogni sapere. I viaggi servono a Cartesio anche per osservazioni di ogni genere: da quelle riguardanti le tecniche militari alle osservazioni di fenomeni naturali, alla conoscenza di usi e costumi e di diverse lingue. Gli interessa moltissimo la medicina, che considera tra le scienze più importanti. Frequenta a lungo anche le botteghe dei macellai, per dissezionare animali, e l’anfiteatro di anatomia dell’Università di Leida. Divenuto famoso, Cartesio deve difendersi sia da attacchi sul piano teorico sia da minacce molto più concrete: il rettore dell’Università di Utrecht – il teologo calvinista Gisbert Voet (1588-1676) – usa la risposta di Cartesio a un libello anticartesiano per citarlo per diffamazione. Forse questa vicenda è tra i motivi che inducono Cartesio ad accettare l’invito della regina di Svezia, Cristina, a recarsi a Stoccolma presso la sua corte. Dalla Svezia Cartesio non torna più: muore l’11 febbraio 1650.

Rembrandt, Lezione di anatomia del Dottor Tulp, 1632. L’Aja, Mauritshuis.

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 137

137

06/02/12 16:22

LA VITA E LE OPERE 1596

René Descartes (“Cartesio” deriva da Cartesius, la latinizzazione del suo cognome) nasce a La Haye (in Turenna) da un’agiata famiglia francese.

1606-1614

Studia nel Collegio dei gesuiti di La Flèche.

1616

Ottiene il baccalaureato in diritto canonico e civile all’Università di Poitiers.

1618

Si arruola nell’esercito del principe protestante olandese Maurizio di Nassau.

1619

Dopo essere stato acquartierato a Breda con l’esercito, si mette in viaggio verso il Nord; va ad Amsterdam, a Copenaghen, a Danzica e attraversa Polonia, Ungheria e Germania. Si ferma a Francoforte, dove assiste all’incoronazione dell’imperatore Ferdinando II (30 agosto). Si arruola poi nell’esercito del principe cattolico Massimiliano di Baviera, che stringe d’assedio Praga e ne fa fuggire Federico di Boemia. Con la figlia di Federico, Elisabetta, molti anni dopo Cartesio intreccerà un intenso rapporto epistolare, che stimolerà molte delle sue riflessioni. Nel novembre ha un’esperienza particolare che gli fa intravedere i fondamenti di una «scienza meravigliosa».

1623

Va in Italia, dove non riesce (come voleva) a incontrare Galilei.

1624

Torna in Francia.

1628

Si stabilisce in Olanda. Inizia il trattato Regole per la guida dell’intelligenza (che resta incompiuto, ma circola in forma manoscritta, e sarà pubblicato postumo).

1630-1633

Scrive Il Mondo o Trattato sulla luce, che comprende una parte intitolata L’uomo. Interrompe l’opera (che viene pubblicata postuma) a causa della condanna di Galileo.

1637

Viene pubblicato anonimo, a Leida, il Discorso sul metodo per ben condurre la propria ragione e cercare la verità nelle scienze più la Diottrica, le Meteore e la Geometria che sono saggi di questo metodo.

1640

Il 19 novembre Cartesio invia a padre Mersenne il manoscritto delle Meditazioni metafisiche con le Prime obiezioni formulate dal teologo scolastico olandese Jan de Kater (Caterus).

1641

Escono le Meditazioni metafisiche con le Prime obiezioni di Jan de Kater, le Seconde obiezioni di padre Mersenne, le Terze obiezioni di Thomas Hobbes, le Quarte obiezioni di Antoine Arnauld, le Quinte obiezioni del teologo giansenista Pierre Gassendi, le Seste obiezioni di vari teologi e geometri e le risposte di Cartesio.

1642

Vengono pubblicate le Settime obiezioni, scritte da un gesuita, con le risposte di Cartesio.

1644

Escono I principi della filosofia, in cui Cartesio presenta in maniera sistematica il proprio pensiero sul mondo e sull’uomo.

1649

Vengono pubblicate Le passioni dell’anima.

1650

Trasferitosi in Svezia su richiesta della regina Cristina, Cartesio muore a Stoccolma.

138

132_171_cartesio.indd 138

Il Seicento

06/02/12 16:22

3. Un pensatore su molti fronti e l’unità del sapere Una ricerca che intreccia scienza e filosofia

L’impegno per la «nuova scienza»

I saggi scientifici e il Discorso sul metodo

La Diottrica

Le Meteore

L’obiettivo principale di Cartesio è stato quello di tentare una rifondazione generale del sapere sulla base di nuove premesse. Tuttavia questo compito filosofico non è stato il suo scopo esclusivo. Cartesio ha potuto svolgerlo perché si è immerso nelle conoscenze dell’epoca, contribuendo al cambiamento dei modelli di sapere scientifico utilizzati. La filosofia era allora una disciplina intrecciata ad altre forme di conoscenza e Cartesio stesso, nella sua fisica, pensava di trattare delle verità eterne e del loro rapporto con Dio. Cartesio si è occupato prima di scienze che di filosofia, e di queste ha continuato a occuparsi per tutta la vita: in particolare di matematica, fisica, ottica, meteorologia, fisiologia, medicina, embriologia, musica, di macchine e di vari problemi tecnici. Egli non si limita dunque a fornire un nuovo quadro filosofico e metafisico che consenta di comprendere la scienza moderna della natura, ma opera per contribuire a farle prendere forma. Il Discorso sul metodo di Cartesio è la prefazione a un’opera più complessa, apparsa nel 1637 con il titolo Discorso sul metodo per ben condurre la propria ragione e cercare la verità nelle scienze più la Diottrica, le Meteore e la Geometria che sono saggi di questo metodo. È un libro che comprende un saggio di ottica, uno di meteorologia e uno di geometria. Tali saggi sono la realizzazione della teoria sul metodo esposta nel discorso introduttivo. La Diottrica tratta della rifrazione, ma anche del telescopio e del cannocchiale, che hanno avuto un ruolo centrale nel modificare la nostra visione del mondo fisico. In questo saggio si parla, però, anche dell’occhio e della natura della percezione sensibile, un tema centrale per la teoria della conoscenza. Le Meteore si occupano dei cosiddetti fenomeni sublunari, ossia di quelli che si producono sulla Terra e tra la Terra e la Luna. Cartesio dà una spiegazione dell’arcobaleno che costituisce una straordinaria applicazione della matematica allo studio di fenomeni fisici. FILOSOFI A CONFRONTO

Le opere scientifiche di Cartesio mostrano un cambiamento radicale nel modo di affrontare i fenomeni della natura. La meteorologia scolastica spiegava, per esempio, la brina e la rugiada in riferimento a quella che Aristotele chiamava la loro «causa finale» (gli effetti benefici per le piante). Per Cartesio, invece, ogni spiegazione è: 1. genetica: essa consiste nell’indicare le condizioni del prodursi del fenomeno; 2. meccanicistica: utilizza soltanto i parametri di estensione (la qualità della materia di occupare uno spazio in larghezza, lunghezza e profondità) e movimento.

Tali parametri possono essere trattati in modo matematico. In questo senso, la disciplina contenuta nel trattato sulla Geometria costituisce un fondamento decisivo per la concezione cartesiana dello studio della natura: è la premessa per il progetto della rifondazione del sapere su basi nuove.

3.1 La geometria analitica La matematizzazione dello spazio fisico

I caratteri della geometria analitica

Secondo la matematica insegnata nell’epoca di Cartesio, la geometria e l’algebra sono due discipline nettamente separate. La geometria si occupa delle figure costruibili con riga e compasso, l’algebra di equazioni con simboli e numeri. Cartesio introduce il sistema poi noto come coordinate cartesiane: l’utilizzazione di un sistema di riferimento di assi ortogonali che consentono di “tradurre” in numeri qualunque figura dello spazio e di costruire tramite equazioni figure che non sono costruibili con il sistema tradizionale di riga e compasso (per esempio, linee curve complesse). Con la geometria analitica, così escogitata, 1. si ottiene l’unificazione di due discipline matematiche, consentendo di trattare problemi geometrici in termini di equazioni, ma anche di risolvere problemi algebrici con costruzioni geometriche;

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 139

139

06/02/12 16:22

2. si rende possibile la soluzione di problemi matematici prima insoluti; 3. si rende possibile la matematizzazione dello spazio fisico, con un sistema capace di trasformare linee in numeri e numeri in linee: una premessa indispensabile per la piena applicazione della matematica allo studio dei fenomeni naturali.

I VANTAGGI DELLA GEOMETRIA CARTESIANA

LA GEOMETRIA ANALITICA PRODUCE TRE RISULTATI

unificazione di algebra e geometria

Riforma della matematica ed evoluzione della fisica

Dal sapere fondato sulle essenze alla ricerca di leggi

possibilità di risolvere problemi matematici che in precedenza non erano risolvibili

possibilità di matematizzare lo spazio fisico e, dunque, di applicare appieno la matematica allo studio della natura

Nel riformare la matematica Cartesio si rende conto del suo ruolo cruciale in rapporto a una nuova maniera di concepire i fenomeni naturali, che la “nuova” scienza newtoniana stava facendo emergere; questa maniera sconvolgeva la concezione dell’essenza delle cose tipica della metafisica. Il mondo aristotelico è un mondo di sostanze, di cose dotate di una loro essenza, in grado di determinare le proprietà che le cose manifestano. A questo corrisponde l’ideale di un ordine classificatorio: in esso le diverse “qualità” delle cose naturali vengono organizzate secondo le relazioni esistenti tra le essenze che le determinano. I protagonisti della rivoluzione scientifica seicentesca (Keplero, Galilei, Newton) si occupano invece di leggi, ossia di regole del prodursi dei fenomeni, poiché la filosofia aristotelica non è più in grado, per loro, di corrispondere alla natura delle cose fisiche. Cartesio si rende conto che è necessario un nuovo strumento e l’unificazione di algebra e geometria gli sembra soltanto il segno di qualcosa di più vasto.

CARTESIO E LA «NUOVA SCIENZA»

abbandono del finalismo e dell’essenzialismo aristotelici

spiegazione genetica: trovare le condizioni del prodursi del fenomeno

utilizzazione solo dei parametri passibili di trattazione matematica: estensione e moto (meccanicismo)

matematizzazione dello spazio fisico attraverso la geometria analitica

RICERCA DI LEGGI

PER SINTETIZZARE • Quale rapporto c’è, nel pensiero di Cartesio, tra scienza e filosofia? Sono discipline nettamente distinte o c’è tra esse uno stretto legame? • Quali sono i vantaggi della geometria analitica elaborata da Cartesio?

140

132_171_cartesio.indd 140

Il Seicento

06/02/12 16:22

Uno strumento universale di conoscenza: la mathesis universalis

3.2 La matematica universale L’unità di algebra e geometria, di numero e spazio, viene vista nel quadro di un compito più ampio: quello di individuare uno strumento universale capace di conservare il meglio delle discipline (logica, algebra, geometria). Nelle Regole per la guida dell’intelligenza (scritte in gran parte negli anni 1627-1628) questo programma è espresso con grande chiarezza. Se quello che conta sono ordine e misura – relazioni matematizzabili – «non ha interesse se tale misura si debba cercare nei numeri, o nelle figure, o negli astri, o nei suoni, o in qualunque altro oggetto». E dunque è possibile «una scienza generale che spieghi tutto ciò che si può chiedere circa l’ordine e la misura non riferite ad alcuna speciale materia». Cartesio pensa di dare a tale scienza il nome di mathesis universalis, una matematica universale che costituisca la logica generale del sapere umano. FILOSOFI A CONFRONTO

Cartesio si persuade della essenziale unità di ogni sapere umano, contro la suddivisione della conoscenza in campi separati che caratterizzava l’impostazione aristotelico-scolastica.

Il progetto di un sapere unitario necessita di un metodo

La filosofia deve produrre effetti positivi per l’uomo

Chi riesca a conoscere la ragione del prodursi delle cose possiede la chiave di ogni conoscenza, se tutte le cose sono concatenate tra loro. Cartesio è anche consapevole del fatto che questo progetto comporta la possibilità di un potente dominio su ciò che è conosciuto. Lo strumento per ottenere una tale conoscenza è disporre dei principi per acquisirla, non di informazioni accumulate. Dunque, il compito che si presenta è stabilire una logica che indichi come raggiungere e possedere saldamente le verità. Si tratta di stabilire un metodo, ossia delle regole del procedere, che possano valere per qualunque conoscenza.

3.3 Una filosofia pratica Cartesio non si limita a concepire questo progetto metodologico, ma lo porta avanti in pratica. In questo senso il suo pensiero non è una pura riflessione filosofica, ma una riforma della conoscenza: in essa la riflessione sui fondamenti del conoscere è unita al tentativo di produrre un sapere nuovo. Nel Discorso sul metodo, pubblicato dopo molti anni di studi, Cartesio dichiara di volere impiegare il tempo che gli resta da vivere «nello studio della natura per acquistare qualche conoscenza da cui sia possibile ricavare regole per la medicina più sicure di quelle in uso oggi». Il sapere che egli esalta maggiormente è quello di una filosofia “pratica” che possa produrre il bene degli uomini attraverso una conoscenza che renda possibile controllare la natura. FILOSOFI A CONFRONTO

Per ottenere tutto ciò è necessario cambiare il modo di conoscere: non cercare di giungere fino all’essenza nascosta delle cose, ma sviluppare una conoscenza che spieghi il prodursi dei fenomeni. L’idea di un dominio sulla natura attraverso il sapere, che ha in Bacone un precursore, si traduce in Cartesio nel programma di costruzione di un sapere basato su principi affidabili; esso deve produrre una diversa immagine del mondo.

PER SINTETIZZARE • Qual è la posizione di Cartesio sulla suddivisione della conoscenza in ambiti separati? La condivide o la respinge? • Qual è, in Cartesio, il fine della ricerca di un metodo che valga per ogni tipo di conoscenza?

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 141

141

06/02/12 16:22

4. Costruire il mondo (e l’uomo): fisica e fisiologia Lo studio dei fenomeni fisici

Il proposito di una fisica generale: Il Mondo

Cartesio si occupa di molte scienze, ma anche di problemi metafisici. I suoi studi più intensi vanno in un primo tempo alla matematica. Si dedica poi a problemi di metafisica, ma si imbatte nel fenomeno dei pareli, ossia della comparsa di macchie luminose vicine al Sole; esse sono dovute alla rifrazione della luce attraverso particelle di ghiaccio presenti nell’atmosfera. Questo fenomeno lo conduce verso la fisica. Cartesio decide di trattare tutti i fenomeni sublunari, poi la luce e, infine, l’intero mondo fisico. Il progetto di spiegare tutti i fenomeni della natura sfocia nel piano di un trattato intitolato Il Mondo o Trattato sulla luce.

UNA NUOVA IMMAGINE DEL MONDO

UNITÀ DI TUTTE LE SCIENZE

Processo a Galileo e rinuncia alla pubblicazione

Espediente retorico: la teoria in forma di ipotesi T7

Un nuovo modello teorico

Svincolarsi dal peso della teologia

142

132_171_cartesio.indd 142

unità del metodo

riconduzione delle cose alle loro cause

conoscenza con fini pratici: controllo sulla natura

4.1 La favola del mondo Il Mondo o Trattato sulla luce non viene pubblicato durante la vita di Cartesio per motivi di prudenza, dal momento che nel 1633 Galileo viene condannato dal Sant’Uffizio per la sua difesa della concezione eliocentrica. Ancora, nel 1600 Giordano Bruno è stato bruciato sul rogo per aver sostenuto l’eternità dell’universo e l’infinità dei mondi. Cartesio rinuncia alla pubblicazione della propria opera, anche perché non crede che la teoria del movimento della Terra possa facilmente essere omessa. Il trattato viene pubblicato dopo la sua morte, in due volumi: il primo nel 1662 in latino (De Homine), il secondo nel 1664 in francese (Le Monde). Ma alcuni aspetti del trattato sul mondo saranno esposti da Cartesio nel Discorso sul metodo. Cartesio si rende conto della pericolosità delle sue teorie sul mondo fisico e sceglie quindi un espediente retorico per proporle. Nella sua esposizione, presentata come un’ipotesi, Dio si limita a creare la materia, a infonderle una certa quantità di movimento e a darle leggi che la governino. Dopo di ciò, il mondo si evolve autonomamente; l’unica concessione di Cartesio alla teologia tradizionale è l’ammissione che Dio “concorre” all’accadere dei fenomeni, limitandosi a conservare ciò che esiste. Si tratta dunque di una costruzione ipotetica, fantastica. Cartesio parla anche della sua «favola del Mondo». Questa favola ha ragioni profonde. Presentare tutto come la costruzione di un «mondo nuovo», diverso da quello esistente, non risponde solo a motivi di prudenza. Certo, per Cartesio è «un espediente per mezzo del quale io possa dire la verità, senza [...] urtare le opinioni comunemente accolte». Ma la «favola del Mondo» intende anche mostrare la costruzione del nostro mondo a partire da alcuni elementi semplici e da alcune leggi fondamentali: Cartesio vuole mostrare come il mondo si sia prodotto, così come un orologiaio è in grado di stabilire le regole di composizione di un meccanismo pur non avendolo costruito. Smontare e rimontare il mondo, partendo dal caos per ritrovare l’ordine: è questo il progetto di Cartesio. E la natura “ipotetica” della sua costruzione non indica il grado della sua certezza (non indica cioè che si tratta di una ipotesi), ma indica la volontà di svincolare la conoscenza del mondo da conseguenze metafisiche troppo rigide. La costruzione ipotetica del mondo consente a Cartesio di svincolarsi dalla teologia.

Il Seicento

06/02/12 16:22

Tre elementi

Creazione della materia e leggi del moto

L’infinità della sostanza estesa

Vortici e corpi celesti

Il Mondo procede dall’individuazione di tre elementi (fuoco, aria, terra) che Cartesio non spiega facendo riferimento alle “qualità” (calore, freddo, umidità e secchezza), ma riferendosi a movimento, grandezza, figura e disposizione delle parti. Sono forma e movimento delle particelle a spiegare le proprietà di fuoco, aria e terra. Ma la favola vera e propria prevede che Dio crei la materia (altrove Cartesio la definirà res extensa, «sostanza estesa»). L’attributo essenziale della materia viene identificato con la sua proprietà di occupare un certo spazio, ossia con l’estensione. Inoltre, la favola prevede che Dio crei delle leggi di natura, ossia regole che nella materia determinano il mutamento, derivato dal movimento originario impresso da Dio. Queste leggi sono tre: 1. ogni parte della materia rimane nello stesso stato finché il contatto con altre non la obblighi a cambiarlo; 2. la quantità di moto negli urti si conserva; 3. ogni corpo tende a continuare il proprio movimento in linea retta. La quantità originaria di moto dato da Dio e le leggi fanno sì che poi l’universo faccia tutto da solo. Dall’identificazione tra materia ed estensione risulta l’infinità della sostanza estesa, perché: • è infinito lo spazio con cui la sostanza coincide, ossia lo spazio concepito secondo la geometria di Euclide (incentrata sul postulato secondo cui le rette parallele non si incontrano mai); • la divisibilità della sostanza è infinita: le particelle di materia sono chiamate da Cartesio corpuscoli e sono divisibili all’infinito; • la sostanza estesa è continua (non è pensabile il vuoto) e quindi non ha limiti. Le leggi del movimento fanno sì che si creino dei vortici attraverso i quali le particelle si muovono in diverse direzioni. In tal modo esse costituiscono dei sistemi di corpi al centro dei quali vi sono le particelle di fuoco; quelle di terra, invece, si aggregano e costituiscono i pianeti. Vi saranno allora «tanti diversi cieli per quante stelle vi sono, – e poiché il loro numero è indefinito, lo sarà anche quello dei cieli». Il sistema solare – concepito secondo l’ipotesi eliocentrica – è uno di questi vortici ed è costituito a sua volta da vortici, che spiegano l’attrazione gravitazionale e il moto dei pianeti. Questa teoria cerca di trovare una spiegazione unitaria della gravità e del moto dei pianeti.

INFINITÀ DELLA SOSTANZA

SOSTANZA ESTESA (MATERIA) = INFINITA

tre ragioni spiegano l’infinità della sostanza

la sostanza estesa coincide con lo spazio e lo spazio è infinito

la sostanza estesa è composta di particelle («corpuscoli») che sono divisibili all’infinito

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 143

la sostanza estesa è continua, quindi non ha limiti

143

06/02/12 16:22

Autonomia delle spiegazioni fisiche

Dio, fondamento di ogni verità Distanza tra il sapere e le cose

4.2 Il rapporto tra fisica e metafisica La fisica cartesiana ha un rapporto peculiare con la metafisica. Da un lato, la costruzione presentata ne Il Mondo si svincola da conseguenze metafisiche: la fisica non ha bisogno di essere anche una metafisica, e il problema della conoscenza del mondo fisico è relativo solo al modo in cui l’uomo può conoscere questo mondo. Cartesio richiama l’attenzione sulla «differenza fra le nostre sensazioni e le cose che le producono». Dall’altro lato, tutte le verità hanno il loro fondamento in Dio: anche la stabilità delle tre leggi che determinano il mutamento della materia dipende esclusivamente dal fatto che Dio conserva ogni cosa mediante un’azione continua e che la sua natura è immutabile. La favola del mondo libera la potenza della mente umana che immagina la genesi del tutto secondo le proprie forze; allo stesso tempo, la favola di Cartesio produce una distanza tra il sapere umano e le cose che può essere colmata soltanto riconducendo la conoscenza umana a un’assoluta certezza e legando questa certezza alla veridicità di Dio: questo sarà il progetto metafisico fondamentale di Cartesio.

LA FISICA CARTESIANA costruzione ipotetica che spiega non solo come il mondo è, ma come si è prodotto

Dio crea la materia, le infonde una quantità di moto, stabilisce leggi immutabili perché fondate sulla sua immutabilità

la materia (res extensa) è suddivisa in tre elementi diversi per dimensioni, forma ecc. dei corpuscoli ed è infinita

l’interazione di materia e leggi del moto forma il cosmo: vortici e assenza di vuoto

IL MONDO FISICO È AUTONOMO, MA È CREATO E CONSERVATO DA DIO

il carattere ipotetico di questa ricostruzione produce una distanza tra sapere umano e cose stesse

PER SINTETIZZARE • Quale ruolo viene attribuito a Dio nella «favola del mondo» scritta da Cartesio? • Quale rapporto c’è, secondo Cartesio, tra la fisica e la metafisica?

144

132_171_cartesio.indd 144

Il Seicento

06/02/12 16:22

4.3 L’uomo come macchina Il modello fisico e fisiologico cartesiano

L’interesse di Cartesio per gli automi

L’ipotesi dell’uomo-macchina

Dualismo cartesiano e unione mente-corpo

Il motore meccanico dell’organismo umano è il cuore

Gli «spiriti animali»

Le funzioni degli spiriti

La costruzione del mondo fisico di Cartesio è molto importante dal punto di vista metodologico per l’impostazione meccanicistica e la trasformazione delle forme sostanziali nei fattori di estensione e movimento. Questa costruzione non resisterà nei suoi contenuti all’impostazione newtoniana e verrà presto superata, così come la teoria fisiologica. Tuttavia la ricostruzione interamente meccanica del corpo umano offre un modello influente e tuttora fecondo per la comprensione dell’uomo. Cartesio si interessa dell’uomo-macchina e sostiene che gli animali e l’uomo, fino al punto in cui coincide con essi, sono equivalenti a delle macchine. Il naturale rovescio di questo interesse è quello per la macchina-uomo, ovvero per gli automi. Secondo un aneddoto che circolava su Cartesio, negli ultimi anni della sua vita egli viaggiava con un automa meccanico che riproduceva una bambina. Sia vero o meno, il modello dell’ultima parte del Mondo è quello della ricostruzione meccanica del corpo umano; ma questa ricostruzione doveva render conto anche dei sensi e del cervello. Cartesio presenta ancora la sua esposizione come una “favola”, come un’ipotesi riguardante altri uomini che non coincidono con noi, ma sono del tutto analoghi a noi: «Come noi, questi uomini saranno formati di un’anima e di un corpo. E, a parte, prima di ogni altra cosa, è necessario che vi descriva il corpo; poi, essa pure a parte, l’anima; e infine che vi mostri come queste due nature devono essere congiunte e unite per formare uomini che ci rassomiglino». La posizione di Cartesio è il dualismo: ci sono due sostanze (che in altre opere definirà res extensa e res cogitans, «sostanza estesa» e «sostanza pensante»), ma tali sostanze – il corpo e la mente – sono congiunte. La parte dell’opera in cui Cartesio descrive l’unione mente-corpo non ci è pervenuta, ma nel Discorso e nelle Meditazioni metafisiche l’unione di mente e corpo è indicata come non estrinseca: essa è diversa dall’unione che c’è, per esempio, tra un pilota e la sua nave, poiché la mente è «congiunta e unita più strettamente» al corpo. La costruzione cartesiana dell’uomo ci conduce fino alla presentazione nel cervello, alla coscienza, delle tracce di un sistema meccanico che ci rappresenta le cose esterne. Cartesio intende spiegare la fisiologia e non la genesi dell’uomo. E, di nuovo, la spiega sulla base di un primo motore meccanico: il calore prodotto nel cuore. Il cuore, secondo Cartesio, ha la funzione di produrre il calore necessario al movimento dell’organismo. La fisiologia cartesiana si basa su una concezione del corpo umano come sistema meccanico-idraulico. In questa concezione ha un ruolo importante l’ipotesi cartesiana dei cosiddetti spiriti animali. Si tratta di un’ipotesi fisica che Cartesio propone per spiegare diversi fenomeni del corpo. Vi sono tre generi di spiriti: 1. quelli naturali, particelle dissolte dalla digestione; 2. quelli vitali, provenienti dalla rarefazione del sangue; 3. quelli animali, che possono sussistere allo stato puro, ossia separati dal sangue. Gli spiriti animali sarebbero «un certo vento sottilissimo, o meglio ancora una fiamma vivissima e purissima», che si produrrebbe a partire dal sangue nel cervello. Essi viaggiano anche attraverso i nervi che sono piccoli filamenti «pieni, come il cervello, di una certa aria o vento sottilissimo». La natura sottile degli spiriti animali, trasportati nel sangue, consente che essi vengano trasmessi per tutto il corpo. Ciò permette la comunicazione del movimento ai muscoli a partire dal cervello e consente poi agli spiriti animali di operare nel cervello. Essi non incontrano resistenza e formano dunque una specie di «ente sempre in moto» che tiene in comunicazione cervello, nervi e resto del corpo.

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 145

145

06/02/12 16:22

La ghiandola pineale

Le particelle sottili giungono infine nella ghiandola pineale (o Conarion, vedi Figura 1) dove gli spiriti animali si separano dalle altre particelle, restando allo stato puro. La ghiandola pineale svolge un ruolo cruciale poiché è la sede in cui avviene il passaggio dalle figure materiali, tracciate in essa dagli spiriti (in seguito alla percezione dei sensi), all’anima razionale, ossia alla mente immateriale: la ghiandola pineale è «la sede principale dell’anima e il luogo dove si formano tutti i nostri pensieri». Cartesio la individua in base a ragioni puramente anatomiche: perché è l’unica parte del cervello che non sia doppia e per la sua posizione centrale. Inoltre, egli cerca di dare una teoria delle rappresentazioni dei sensi interamente meccanica (fino al punto in cui tali rappresentazioni giungono nel luogo in cui vengono considerate dall’anima). È da qui che parte la teoria cartesiana della conoscenza. Figura 1 Il cervello e la ghiandola pineale, indicata con la lettera H, secondo Cartesio (da L’uomo).

PER SINTETIZZARE • Su quale concezione del corpo umano è fondata la fisiologia cartesiana? • Perché la ghiandola pineale svolge un ruolo cruciale nella fisiologia umana?

5. Idee come rappresentazioni Relazione rappresentativa tra idee e mondo

Le species intenzionali della tradizione

Il Mondo inizia con la tesi secondo cui tra le sensazioni e le cose che le producono non esiste un rapporto di somiglianza. Cartesio mette così in discussione l’idea che la somiglianza sia il fondamento della relazione rappresentativa. A tale idea Cartesio sostituisce la concezione secondo la quale le idee presenti nel nostro pensiero rappresentano le cose in modo analogo a come avviene con le parole: esse «non hanno alcuna rassomiglianza con le cose che significano, ma non per questo sono meno in grado di farcele concepire». La tradizione da cui Cartesio muove interpretava la percezione come trasmissione di species intenzionali, ossia di qualità emesse dall’oggetto e ricevute nei sensi; tali qualità erano concepite come immagini delle cose. Le species erano espressione della natura delle cose. FILOSOFI A CONFRONTO

Per ottenere tutto ciò è necessario cambiare il modo di conoscere: non cercare di giungere fino all’essenza nascosta delle cose, ma sviluppare una conoscenza che spieghi il prodursi dei fenomeni. L’idea di un dominio sulla natura attraverso il sapere, che ha in Bacone un precursore, si traduce in Cartesio nel programma di costruzione di un sapere basato su principi affidabili; esso deve produrre una diversa immagine del mondo.

146

132_171_cartesio.indd 146

Il Seicento

06/02/12 16:22

DUE DIVERSE CONCEZIONI DELLE IDEE

CHE COSA SONO LE IDEE?

La formazione delle idee

tradizione

cartesio

le idee sono essenze eterne

le idee sono rappresentazioni delle cose

Come si formano le idee? Cartesio parte dalla visione: i raggi luminosi colpiscono il fondo dell’occhio e muovono i filamenti del nervo ottico che giungono fino al cervello. Il cervello è concepito come un tessuto di filamenti sottilissimi che danno luogo a tubicini, i quali si rivolgono in direzione della ghiandola pineale. I tubicini sono mobili e possono essere piegati dalla forza del movimento degli spiriti, mantenendo le ultime pieghe che hanno ricevuto (vedi Figura 2).

Figura 2 L’immagine degli aghi attraverso la tela nel trattato L’uomo. Le particelle aprono i pori dei filamenti che costituiscono i nervi e questi pori rimangono poi dilatati, facilitando i passaggi successivi. Così Cartesio spiega il permanere nella memoria delle idee.

La traccia materiale nel cervello

Le idee non sono immagini

I diversi punti dell’oggetto trasmettono raggi che comprimono il fondo dell’occhio. La compressione del fondo dell’occhio traccia una figura che si riferisce all’oggetto e tale figura, attraverso il microsistema meccanico-idraulico dei filamenti e degli spiriti animali, determina il fatto che essa stessa venga “disegnata” nel cervello. Ciò avviene attraverso una specie di calco in negativo: gli spiriti animali sono in massima attività all’interno della ghiandola pineale, e dunque è lì il vero principio attivo. Quindi è l’apertura dei tubi a far sì che gli spiriti fuoriescano più velocemente nei punti corrispondenti e tale fuoriuscita traccia la figura all’interno della ghiandola. Dunque, ciò che dà luogo alle «idee» è un sistema di figure che si trasmettono secondo il principio della traccia. Il primo esempio di Cartesio è riferito alla visione, ma le idee non sono immagini in senso letterale.

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 147

147

06/02/12 16:22

Un sistema di corrispondenze La formazione della memoria

Idee materiali

Le idee materiali non appartengono alla mente

Quello descritto nel Mondo è un complesso sistema rappresentativo di tracce delle cose corporee, con molteplici corrispondenze nella vita mentale dell’uomo. Solo alcune delle figure tracciate all’interno della ghiandola pineale vengono identificate come idee. Sulla superficie interna del cervello si conservano, invece, figure che si riferiscono a quelle degli oggetti, perché certi percorsi si mantengono aperti o tendono a riaprirsi più facilmente: si costituisce così la memoria (vedi Figura 2, p. 147). Essa è formata dalla possibilità di riattivarsi di tracce grazie alla via, già aperta, che le particelle possono trovare. Soltanto il prodotto finale di un sistema di tracce con corrispondenze a catena costituisce l’idea (materiale). L’idea è dunque la traccia ultima delle cose esterne che, attraverso questo sistema, si forma sulla ghiandola pineale. A questa macchina fittizia va poi aggiunta, secondo Cartesio, un’anima razionale, di cui si sarebbe data la descrizione. Le idee in quanto tracce nel cervello non appartengono alla mente e non possono appartenere a essa: come entità corporee le idee hanno un’estensione, che non può essere propria della mente, che è res cogitans. La mente, come res cogitans, non è estesa; essa tuttavia può rivolgersi a ciò che è esteso, e lo fa nella ghiandola pineale “osservando” le tracce materiali. Come questo possa avvenire resta un problema del sistema cartesiano.

LE IDEE MATERIALI CORPO = res extensa

uomo-macchina

cervello = microsistema meccanico-idraulico

idee materiali = tracce nel cervello (nella ghiandola pineale)

PER SINTETIZZARE • Quale rapporto c’è, secondo la teoria di Cartesio, tra le idee e le cose? • Perché, secondo Cartesio, le idee materiali non appartengono alla mente?

6. Ritrovare il fondamento La distanza tra rappresentazione e cosa

148

132_171_cartesio.indd 148

Le tracce contemplate dalla coscienza per dar luogo a idee immateriali sono un sistema di corrispondenze che rappresentano il mondo, ma non ne esprimono la natura ultima. Anche nelle Regole per la guida dell’intelligenza Cartesio parla del rapporto tra idee preparate nei sensi corporei e loro conoscenza intellettuale e sostiene che «si dovranno presentare ai sensi non le cose stesse, ma piuttosto delle loro figure ridotte». La rappresentazione non è la cosa. Da questa distanza tra rappresentazione e cosa si può prescindere solo se a essa fa da contrappeso la certezza del conoscere, la sua saldezza.

Il Seicento

06/02/12 16:22

Sapere fondato sulla certezza e ricerca di un nuovo metodo

Il progetto di Cartesio di rifondare il sapere sulla certezza deriva dalla sua convinzione circa l'inaffidabilità del sapere del tempo, ma anche dalla natura della nuova forma di conoscenza che egli cerca di promuovere e dalla nuova ontologia che ne scaturisce. Cartesio mantiene un’ontologia di essenze eterne, ma la limita a due sostanze: pensiero ed estensione. Tra le “cose” del mondo non vi sono sostanze: per esempio, non esiste la sostanza “cavallo”. Su questo sfondo va letta la ricerca di un nuovo metodo, esposta nel Discorso sul metodo, e la sua fondazione metafisica, approfondita soprattutto nelle Meditazioni metafisiche.

L’ONTOLOGIA CARTESIANA

DUE ESSENZE ETERNE

res extensa = sostanza estesa

SEPARAZIONE ONTOLOGICA

res cogitans = sostanza pensante

TRA essenza o attributo essenziale: estensione

SOSTANZE

modi della sostanza estesa: corpi

essenza o attributo essenziale: pensiero

modi della sostanza pensante: menti

6.1 Il Discorso sul metodo Esposizione di alcuni aspetti del metodo

La struttura del Discorso

Il primo titolo che Cartesio sceglie per quello che diventerà il Discorso suonava: Il progetto di una Scienza universale, che possa innalzare la natura al suo più alto grado di perfezione. In più, la Diottrica, le Meteore e la Geometria, in cui le materie più curiose che l’autore ha potuto scegliere, per dar prova della Scienza Universale che propone, sono spiegate in modo tale, che anche quelli che non hanno studiato le possono intendere. Nel corso della realizzazione dell’opera il titolo cambia, perché Cartesio sostiene di non volere esporre tutto il metodo che ha in mente, ma soltanto «dirne qualcosa». E aggiunge di aver rinunciato a titoli come Trattato del metodo «per mostrare che non mi propongo di insegnarlo, ma solo di parlarne». Scritto in francese, il Discorso è diviso in sei parti. 1. La prima è una sorta di breve storia di sé e del maturare delle proprie convinzioni. 2. La seconda continua la storia e inizia a esporre il nuovo metodo e le sue ragioni. 3. La terza presenta quella che Cartesio definisce una morale provvisoria, da adottare, e da lui adottata, prima di trovare fondamenta solide; descrive inoltre l’ulteriore percorso di ricerca della certezza. 4. La quarta narra delle «prime meditazioni» su temi metafisici e illustra il principio «io

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 149

149

06/02/12 16:22

Insoddisfazione verso il sapere dell’epoca

Non una teoria, ma il risultato della propria esperienza

Un progetto di conoscenza

La morale provvisoria

Le regole

Morale provvisoria e autonomia della ragione

I quattro principi del metodo

150

132_171_cartesio.indd 150

penso dunque sono» e la dimostrazione dell’esistenza di Dio. 5. La quinta espone gli elementi principali del Trattato sul mondo. 6. La sesta narra dei motivi che lo hanno indotto a non pubblicare quel trattato e di quelli che lo hanno spinto a scrivere i saggi scientifici e il Discorso stesso. Cartesio indica i motivi di insoddisfazione incontrati durante il suo studio nei riguardi di quasi tutte le discipline e afferma di essersi trovato tra tanti dubbi ed errori da avere scoperto sempre di più la propria ignoranza. Le stesse scienze matematiche, privilegiate per «la certezza e l’evidenza» delle loro ragioni, gli risultano di uso incerto. In generale, il suo percorso è quello di liberazione da ogni sapere tramandato, in favore di ciò che «poteva trovarsi in me stesso o nel gran libro del mondo»: Cartesio riconduce la base di ogni sapere valido alla facoltà di distinguere il vero dal falso presente in ogni uomo. All’insoddisfazione nei confronti delle diverse forme di sapere si uniscono la constatazione della variabilità dei costumi e delle opinioni nel tempo e nei diversi popoli e la constatazione del peso dell’abitudine. Ma l’esperienza del dubbio e dello spaesamento non diventano subito progetto di riforma: è necessario procedere lentamente e con circospezione. Cartesio non si presenta come riformatore, senz’altro per motivi di fondatissima prudenza: ma anche perché preferisce proporre un’esperienza piuttosto che una teoria.

6.2 La morale provvisoria e i principi del metodo L’esperienza vissuta da Cartesio è quella di un uso autonomo della ragione. Essa, però, non si libera di tutto ciò che ostacola tale uso senza prima avere delineato un nuovo progetto di conoscenza: la ragione naturale ha bisogno di un metodo per non procedere secondo una «curiosità cieca»; senza di esso il rischio è che «con studi disordinati [...] l’intelligenza [sia] accecata». Così, all’esperienza del dubbio si unisce per molti anni una condotta che consente di cercare senza aver ancora trovato. La morale provvisoria che Cartesio descrive è di nuovo il racconto di un’esperienza e di un metodo per poter ricercare nuove certezze senza muoversi nel vuoto: prima di cominciare a ricostruire la casa in cui si abita bisogna sì abbatterla, ma averne intanto «un’altra dove poter soggiornare comodamente per tutto il tempo che durano i lavori». La morale provvisoria consiste di poche massime: 1. ubbidire alle leggi e ai costumi del proprio Paese, conservando la religione in cui si è stati educati – seguendo per il resto le opinioni più moderate accolte da coloro con cui si vive; 2. essere risoluti nelle proprie azioni, seguendo le opinioni che si è deciso di accogliere, senza oscillare; 3. cercare di vincere se stessi piuttosto che la fortuna e cambiare i desideri, anziché l’ordine del mondo. Queste massime esprimono più una storia che una teoria e adottandole Cartesio mantiene la libertà di abbandonare qualunque opinione. La convinzione della presenza della ragione lo induceva infatti a non doversi «contentare, neppure per un istante, delle opinioni altrui». Anzi, trattandosi di una razionalità condivisa, essa gli garantisce un fondamento abbastanza sicuro per le sue scelte e la possibilità di far appello a un identico «buon senso» degli altri. E le stesse regole della morale provvisoria sono rivedibili: la morale provvisoria non sospende l’autonomia della ragione, ma ne è una provvisoria espressione. I principi del metodo che Cartesio espone nel Discorso precedono il racconto della morale provvisoria in quanto sono principi di ricerca, non certezze acquisite. Secondo Cartesio tali principi possiedono i vantaggi di logica, geometria e algebra senza condividerne i difetti. I principi sono quattro: 1. non accogliere nulla che non sia conosciuto con evidenza, ossia con tale chiarezza e distinzione da non aver motivo di metterlo in dubbio; 2. suddividere ciascuna difficoltà in tutte le parti in cui è possibile e necessario dividerla; 3. condurre con ordine i pensieri muovendo dagli elementi semplici per salire progressivamente ai complessi;

Il Seicento

06/02/12 16:22

Evidenza come chiarezza e distinzione

Analisi e sintesi

T6

La matrice matematica del metodo

4. fare enumerazioni complete e rassegne generali in modo da esser certi di non aver tralasciato nulla. Il primo principio contiene nozioni centrali del pensiero cartesiano: • l’evidenza, intesa come il presentarsi alla mente «pura e attenta» di qualcosa che non può esser messo in dubbio; • l’idea di chiarezza e distinzione, che con l’evidenza è strettamente interconnessa, in quanto ciò che si presenta con chiarezza e distinzione è evidente. È chiaro e distinto solo ciò che si presenta a un unico atto della mente. La conoscenza, quindi, deve individuare (analisi) le parti semplici che possono essere colte in tal modo. Con queste parti si deve operare una sintesi, seguendo un ordine: si deve partire da quelle più fondamentali (che non ne presuppongono altre) per poi risalire a quelle che presuppongono solo le precedenti e così via. L’analisi e la sintesi possono svolgersi in modo corretto solo se gli elementi sono stati identificati in modo completo. Questo controllo è richiesto dalla quarta regola. Ne scaturisce l’idea che la conoscenza sia risoluzione in elementi semplici, di cui si ha conoscenza certa, e ricomposizione, sulla loro base, del più complesso. La matrice matematica di questo metodo è sottolineata da Cartesio stesso. Il modello per giungere a qualunque verità, in ogni campo del sapere, è dato dalle «catene di ragionamenti [...] di cui i geometri si servono per pervenire alle loro [...] dimostrazioni». Tuttavia non si tratta delle catene di deduzioni dei sillogismi, dove dal generale si deduce il particolare. Esteso oltre i confini delle discipline matematiche, questo metodo diventa una procedura euristica (ossia una procedura per trovare nuove verità) e una procedura di controllo. Per Cartesio, infatti, le tradizionali forme del sillogismo non possono servire a trovare verità di cui non si disponga già.

IL METODO CARTESIANO 1. accogliere solo ciò che è conosciuto con evidenza

METODO CARTESIANO = quattro principi euristici, di ricerca

2. scomporre in elementi semplici (analisi)

3. passare ordinatamente dal semplice al complesso (sintesi)

4. fare enumerazioni complete e rassegne generali (regola di controllo)

PER SINTETIZZARE • Quali sono le caratteristiche del Discorso sul metodo? L’opera è una trattazione sistematica del metodo di Cartesio o ha un carattere autobiografico? • Qual è la funzione della morale provvisoria cartesiana? • A quale disciplina è ispirato il metodo di Cartesio?

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 151

151

06/02/12 16:22

Il progetto di rifondazione della conoscenza

La radicalità delle Meditazioni

La distruzione generale

I sensi e il sogno

Il dubbio colpisce le conoscenze matematiche

6.3 Il dubbio e il cogito La nuova fisica richiede un nuovo fondamento metafisico, e la nuova teoria della conoscenza, che con essa si sviluppa, richiede di ristabilire un rapporto solido con la realtà “rappresentata”. Nella Parte quarta del Discorso Cartesio fa vedere come il metodo di ricerca della verità venga applicato per rifondare l’intero edificio della conoscenza. Tuttavia il percorso qui riassunto è svolto con notevole approfondimento nell’opera che Cartesio intitola Meditationes de prima philosophia, oggi note come Meditazioni metafisiche, pubblicata nel 1641 e scritta in latino. Cartesio ha però fatto circolare il testo prima della stampa presso studiosi del suo tempo, per riceverne osservazioni. Le pubblica, rispondendovi nello stesso volume, con il titolo Obiezioni e risposte. Nel Discorso Cartesio dice che le sue meditazioni «sono talmente metafisiche e così inconsuete che forse non a tutti saranno gradite», temendo – rivolgendosi in francese a un vasto pubblico – un influsso troppo forte della parte distruttiva. Nelle Meditationes latine procede invece in modo radicale. «Buttare all’aria tutto quanto, per una volta nella vita»: anche questo compito va svolto in modo metodico. Cartesio procede a una «distruzione generale» delle sue opinioni, ma non si propone di dimostrare che sono false; tale compito, infatti, può essere difficile quanto una dimostrazione della verità. Cartesio sceglie invece di dimostrare che vi è almeno una ragione per mettere in dubbio ognuna di tali opinioni o, meglio, le fondamenta generali di ogni opinione. In dubbio vengono poste in primo luogo le verità basate sui sensi, per due ragioni. Una è la tradizionale osservazione che i sensi possono ingannare. A essa si aggiunge la considerazione che tutto ciò che ci circonda potrebbe essere soltanto un sogno. All’ipotesi del sogno sembrano resistere alcune qualità senza le quali non ci può essere immaginazione, e dunque nemmeno sogno: colori, estensione, figura, quantità, luogo, tempo. Sembrano così salvarsi aritmetica e geometria, che trattano di ciò che è «semplice e generale» e non si occupano del fatto se esista in natura o no. Qui Cartesio ricorre all’ipotesi che

Franz Floris, La Geometria, 1557. New York, collezione privata.

152

132_171_cartesio.indd 152

Il Seicento

06/02/12 16:22

Un’esperienza spirituale vissuta in prima persona

La consapevolezza di esistere

Un nuovo rapporto tra pensiero ed essere

T2

Dio possa ingannarlo. Poi, per consolidare il dubbio ed evitare problematiche teologiche, ricorre all’ipotesi di un «genio malvagio, che sommamente potente e astuto, ce la metta tutta per ingannarmi». A questo dubbio non resiste infine neanche la certezza matematica. Cartesio raggiunge così il suo scopo preliminare: mettere da parte ciò che può essere sottoposto anche al minimo dubbio. La situazione diventa come quella di chi, gettato «in un gorgo profondo», non riesca né a poggiare il piede sul fondo né a risalire in superficie. È necessario che questo diventi una vera esperienza. Cartesio costruisce le sue Meditazioni sulla base del modello delle meditazioni religiose, degli esercizi spirituali. Propone così un percorso in prima persona, descritto sempre al presente: narra della propria meditazione, più che proporre una teoria. Cartesio è consapevole del peso dei pregiudizi laddove non si raggiunga un assenso profondo alle verità trovate. Che cosa può fare l’io che è caduto in quel gorgo ed è riuscito a fare esperienza del fatto che non c’è niente di certo nel sapere ricevuto? Qui Cartesio introduce uno degli argomenti più celebri della storia della filosofia. È possibile che mi inganni su tutto, che qualunque contenuto della mia mente sia prodotto da me stesso. È possibile che esista un essere sovrumano (Dio o un genio maligno) che dedichi tutte le sue energie a ingannarmi sempre. Ma ora sorge una domanda che può capovolgere il dubbio: come posso io non essere nulla, se lui mi inganna? Quindi io sono qualcosa, io esisto. In queste pagine Cartesio non pronuncia il celebre Cogito ergo sum («Penso dunque sono»), che si trova nei Principi della filosofia e, in francese, nel Discorso. Ma dal persuadersi e dall’ingannarsi – che sono modi del cogitare –, ricava la certezza dell’esistenza dell’“io che pensa”. Molti interpreti parlano a questo proposito del «principio della filosofia moderna», dell’istituzione di un nuovo rapporto tra pensiero ed essere. Cartesio non fornisce una teoria della soggettività, ma pone le basi per una filosofia che la elabori. E tutto il pensiero successivo a Cartesio rilegge questo principio e si confronta con esso. FILOSOFI A CONFRONTO

La tesi cartesiana Cogito ergo sum è stata da subito oggetto di intensa discussione filosofica. Anzitutto si è discusso sulla sua natura argomentativa: se si tratti di una inferenza (ossia di una conclusione logica da premesse, come il “dunque” suggerirebbe), di un’intuizione immediata, o di altro. Si è discusso parimenti sulla sua originalità, in quanto un pensiero assai simile è presente in Agostino. Ma, come ogni proposizione filosofica, anche questa acquista il suo senso dalla funzione che ha nel pensiero in cui si inserisce. Vediamo come Cartesio la utilizza.

Dalla consapevolezza di esistere alla certezza di essere una «cosa che pensa»

Il dubbio portato all’estremo ha prodotto la certezza che «io esisto». Allora si pone subito la questione di «che cosa mai io sia». Qui Cartesio applica di nuovo il principio di ammettere solo ciò che sfugge a ogni dubbio. Sono un uomo? Ma non so cosa significhi davvero. Cosa pensavo di essere? Qualcuno che aveva un volto, mani, insomma un corpo. Ma tutto questo è messo in dubbio dall’ipotesi del genio malvagio. Cos’è che appartiene inseparabilmente a quell’io che non può non esistere? Non il camminare e il nutrirsi, e nemmeno il sentire, perché queste cose non avvengono senza il corpo. E il pensare? «Qui ho trovato», dice Cartesio: il cogitare è l’unico atto che non posso separare dall’io che esiste. Dunque, di me posso dire solo questo: sono una «cosa che pensa», una res cogitans. PER SINTETIZZARE • In che cosa consiste la radicalità del progetto realizzato da Cartesio nelle Meditazioni metafisiche? • Come viene raggiunta, nelle Meditazioni metafisiche, la consapevolezza di esistere?

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 153

153

06/02/12 16:22

DAL DUBBIO AL COGITO

CERTEZZE MESSE IN DISCUSSIONE DAL DUBBIO = • verità dei sensi: i sensi possono ingannare • esistenza del mio corpo: potrei sognare • esistenza delle qualità e delle essenze matematiche: potrei essere ingannato

l’io dubita di tutto perché potrebbe esistere un genio maligno che lo inganna sempre

se lui mi inganna, io sono qualcosa

IO ESISTO

che cosa di me esiste al di là di ogni possibile dubbio?

il fatto di pensare (cogitare)

io penso dunque sono (una cosa pensante)

Il significato di cogitare

Il rapporto tra pensiero e autocoscienza

La certezza si estende alle idee

154

132_171_cartesio.indd 154

6.4 Cogitare Ma che cos’è il pensiero? Il cogitare non deve essere identificato con il pensiero inteso in un senso ristretto, vicino al nostro uso consueto. Cartesio dice con molta chiarezza cosa intende: «Ma cos’è una cosa che pensa? Di certo una cosa che dubita, intende intellettualmente, afferma, nega, vuole, non vuole, e anche immagina e sente. Se tutto ciò mi appartiene, in verità non è poco» (Seconda meditazione). Come si vede, il cogitare comprende molte cose: comprende per esempio il volere (e anche l’amare e l’odiare), e addirittura l’immaginazione e i sensi. Ma il sentire non era stato escluso perché legato al corpo? Qui Cartesio fa una precisazione importante: il sentire può ingannare, perché adesso credo di vedere, udire, o di avere caldo, e invece, per esempio, sto soltanto sognando. Ma «di certo mi sembra di vedere, udire, avere caldo; ed è questo che non può essere falso». Ciò che caratterizza il cogitare è questo «mi sembra di…», dunque una coscienza dei propri atti: è una coscienza riflessiva che accompagna qualunque tipo di rappresentazione, il fenomeno dell’autocoscienza, cui Cartesio assegna un ruolo centrale. Ciò che caratterizza tutti gli atti cogitativi è la cogitatio, ovvero la coscienza. Essa è qualcosa di naturalmente noto a ogni essere pensante, pur non essendo vera e propria “scienza”. Ciò che appartiene alla res cogitans ha questa comune caratteristica, che la distingue da tutto ciò che appartiene ai corpi. La comune caratteristica dei corpi è l’estensione, mentre la

Il Seicento

06/02/12 16:22

Distinzione delle idee in base alle loro componenti

Distinzione delle idee in base all’origine

dimensione della res cogitans è quella in cui non vi è spazio per l’errore, in quanto costituisce la semplice presentazione – priva di elementi di disturbo – delle idee alla mente. La mente pura e attenta che contempla le idee dispone dunque dell’evidenza. Dalla dimensione delle idee come ciò che si presenta in modo immediato alla mente può muovere l’ulteriore percorso di rifondazione del sapere. Cartesio organizza l’ambito dei «pensieri», delle cogitationes in questo modo. Da un lato vi sono quei pensieri che hanno una natura rappresentativa, che sono come immagini delle cose: «come per esempio quando penso un uomo, o una chimera, o un angelo, o Dio». Questi sono le «idee». Poi vi sono «forme ulteriori», che presuppongono una rappresentazione di qualcosa, ma caratterizzano ulteriormente l’atto di pensiero: «per esempio voglio, o temo, o affermo, oppure nego». Cartesio li chiama «volontà, affetti e giudizi». Il rapporto tra queste componenti può essere espresso in questo modo: Ogni pensiero ha una componente rappresentativa e può avere un’altra forma. Questa è l’organizzazione che Cartesio dà ai «pensieri», ossia a tutti i contenuti della mente. Le idee, le componenti che rappresentano qualcosa, non possono essere “false”: che mi rappresenti una capra o una chimera non fa differenza. Ma il problema è la corrispondenza con qualcosa di esistente. In relazione all’origine del contenuto delle idee Cartesio propone un’altra distinzione: 1. idee innate, date dalla mia stessa natura: il comprendere che cosa sia una cosa, il pensiero, la verità; 2. idee avventizie, originate da cose fuori di me: udire un rumore, vedere il sole, avvertire il calore; 3. idee fatte da me: sirene, ippogrifi, esseri fantastici. Questa suddivisione esprime solo definizioni alle quali non so se corrisponde qualcosa: potrebbe essere che tutte le idee siano solo un prodotto della mia mente.

TRE TIPI DI IDEE

ORIGINE DELLE IDEE

natura umana

cose esterne

uomo

idee innate

idee avventizie

idee fattizie

PER SINTETIZZARE • Come vengono definite le idee nella teoria cartesiana? • Quale differenza c’è tra le idee innate e le idee avventizie?

6.5 L’esistenza di Dio Prima certezza: l’esistenza dell’io

Il Cogito ergo sum ha consentito di raggiungere una prima certezza. Non si tratta, però, della prima conoscenza certa: devo sapere, per esempio, che per pensare bisogna essere e devo sapere cosa siano l’esistenza, il pensiero. Si tratta di presupposti che Cartesio ammette nei Principi

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 155

155

06/02/12 16:22

della filosofia. Pensiero ed essere sono tra le idee innate. Quella che riguarda l’esistenza dell’io è piuttosto la prima conoscenza certa di un’esistenza, la prima certezza con valore ontologico. Si tratta ora di riguadagnare la certezza dell’esistenza di «cose fuori di me». Questo percorso passa anzitutto dalla dimostrazione dell’esistenza di Dio, per giungere alla dimostrazione dell’esistenza del mondo. FILOSOFI A CONFRONTO

A questo punto Cartesio è più vicino al linguaggio e all’ontologia della scolastica. Le idee contengono più o meno realitates, «realtà». Questa parola non indica qualcosa che c’è effettivamente, ma si riferisce a qualità di una cosa (che possono anche non esistere). Le realitates possono essere ordinate in «gradi». Una sostanza, per esempio, ha più «realtà» dei suoi accidenti, in quanto le sue qualità non richiedono l’esistenza di altre.

L’idea di Dio

Prima prova dell’esistenza di Dio

Esaminando tutte le idee che trovo in me rispetto al loro grado di «realtà», trovo che una non potrebbe derivare da me. Il suo contenuto, infatti, è una realtà superiore a me; quindi la sua causa non può che essere di livello ontologico superiore al mio: è l’idea di Dio come sostanza infinita, indipendente, sommamente intelligente, sommamente potente. Questa idea, che io concepisco come massimamente chiara e distinta, non può provenire da me stesso perché i suoi contenuti oltrepassano quanto in me può essere contenuto. Come essere finito non potrei avere in me l’idea di una sostanza infinita se questa non provenisse da un ente infinito.

LA PRIMA PROVA: DAL COGITARE ALL’ESISTENZA DI DIO

tra le mie idee c‘è quella di un Ente infinito, indipendente, sommamente potente, sommamente intelligente: Dio

io non posso esserne la causa perché non sono infinito, indipendente, sommamente potente ecc.

quindi deve essere causata da una realtà ontologicamente superiore a me e dotata di un grado di realtà superiore

l’Ente infinito, indipendente, sommamente potente ecc. esiste necessariamente: DIO ESISTE

Seconda prova dell’esistenza di Dio

156

132_171_cartesio.indd 156

A questa prova Cartesio ne aggiunge una seconda. Essa non procede dalla presenza di una certa idea in me, ma dalla mia stessa esistenza: non dal cogitare, ma dal sum. Da che cosa deriva la mia esistenza? Non deriva da me stesso, altrimenti non sarei imperfetto, ma mi sarei dato tutte le perfezioni. Non deriva da cause naturali (i miei genitori), perché in una

Il Seicento

06/02/12 16:22

causa ci dev’essere altrettanta realtà che nel suo effetto, e la causa di una «cosa pensante» che ha in sé l’idea di Dio dovrebbe avere anche questa «realtà»; ma nessun elemento materiale può averla. Resta solo Dio come possibile causa della mia esistenza. La presenza in noi dell’idea di Dio si trasforma, attraverso queste prove, anche nella dimostrazione del suo essere un’idea innata: né fittizia, né ricavata dai sensi.

LA SECONDA PROVA: DAL SUM ALL’ESISTENZA DI DIO

io esisto, sono una sostanza pensante e ho l’idea di Dio

da che cosa deriva la mia esistenza? non da me perché sono imperfetto

inoltre ho in me l’idea di Dio, che non può derivarmi da cause naturali, perché Dio è l’Ente perfetto, onnipotente ecc.

chi può aver dato origine a una sostanza pensante con l’idea di Dio?

verità autoevidente = in una causa deve esserci almeno altrettanta realtà che nel suo effetto

solo l’Ente infinito, indipendente, sommamente potente ecc. può essere causa dell’esistenza di me come sostanza pensante con l’idea di Dio: DIO ESISTE NECESSARIAMENTE

Terza prova dell’esistenza di Dio

T4

Una terza prova viene inserita da Cartesio nella Quinta meditazione, quasi incidentalmente, durante la trattazione delle verità della matematica pura e delle essenze delle cose fisiche (ossia delle altre idee innate). Quasi incidentalmente, perché in realtà Cartesio tratta lì del rapporto tra essenze (ciò che determina “che cosa è” un qualcosa) ed esistenze (il fatto che un qualcosa “è”). La dimostrazione in questione, nota come prova ontologica, è un passaggio dall’essenza all’esistenza: è una derivazione della necessaria esistenza di Dio dall’idea, presente in noi, della sua essenza. Se dall’idea di una figura geometrica posso trarre tutte le proprietà di quella figura, non sarà possibile procedere in modo simile nel caso dell’idea di Dio? FILOSOFI A CONFRONTO

Questo argomento, che ha un precedente in quello di Anselmo d’Aosta già criticato da Tommaso d’Aquino, crea un ponte tra la dimensione delle essenze e quella dell’esistenza.

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 157

157

06/02/12 16:22

LA TERZA PROVA: LA PROVA ONTOLOGICA esistono idee, le essenze matematiche, a cui appartengono delle proprietà che io vedo distintamente e chiaramente

in me c’è l’idea di un Ente perfetto

alla natura (essenza) dell’Ente perfetto appartiene chiaramente e distintamente la proprietà dell’esistenza necessaria (esistere in ogni tempo)

come alle essenze matematiche appartengono necessariamente (sempre) le proprietà di quella figura o di quel numero, allo stesso modo

L’ESISTENZA DI DIO È IMPLICATA DALLA SUA ESSENZA

La prova ontologica ha, quindi, un ruolo cruciale che va ben oltre l’aspetto teologico e che ne farà un architrave delle ontologie razionalistiche. In altri termini, tale prova non serve soltanto alla dimostrazione dell’esistenza di Dio: serve a garantire una permeabilità tra la sfera di ciò che può essere conosciuto e la sfera di ciò che esiste. E questa permeabilità è alla base della possibilità di una conoscenza “trasparente” del mondo.

PER SINTETIZZARE • Quale differenza c’è tra il punto di partenza della prima prova cartesiana dell’esistenza di Dio e quello della seconda prova? • Da quale idea presente in noi viene derivata l’esistenza di Dio nella terza prova esposta da Cartesio?

Dio come garante della verità

Origine dell’errore

T3

158

132_171_cartesio.indd 158

6.6 L’errore, la veridicità di Dio, le essenze Le dimostrazioni dell’esistenza di Dio rappresentano un passo per ritrovare un fondamento certo alla conoscenza del mondo esterno. Se Dio esiste ed è un essere perfetto, non potrà ingannarmi. Ma per arrivare da questa constatazione alla fiducia nella «certezza e verità di ogni scienza» è necessario proseguire il nostro percorso argomentativo. Dio non può ingannarmi. Ma allora da dove viene l’errore? Spiegare questo è necessario per tenere insieme la certezza nelle possibilità delle scienze con la consapevolezza della fallibilità della conoscenza umana. La soluzione di Cartesio è nell’analisi del rapporto tra intelletto e volontà. L’uomo dispone di queste due fondamentali capacità e benché sia un ente imperfetto, non è a esse che va ricondotto l’errore. L’errore non deriva, cioè, dal fatto di aver ricevuto da Dio qualcosa di non adeguato.

Il Seicento

06/02/12 16:22

La volontà e l’intelletto

Il giudizio errato

La volontà è dotata di libero arbitrio, quindi essa è in me così grande che non è possibile concepirne una più grande. L’intelletto è sì limitato rispetto a quello divino, ma l’ho ricevuto da Dio, dunque, «qualunque cosa intenda con l’intelletto, senza dubbio la intendo correttamente [...]». Quindi l’errore non scaturisce da limiti intrinseci della volontà e dell’intelletto, ma da un uso imperfetto di queste facoltà; l’errore risiede nel loro scorretto rapporto. L’idea per Cartesio non è ancora giudizio, e non può quindi esser falsa. Il giudizio dipende dalla volontà che può affermare o negare, concedere il suo assenso a una rappresentazione, oppure sospendere il giudizio stesso. Se io non trattengo la volontà nei limiti di ciò che le è mostrato in modo chiaro e distinto dall’intelletto, cado in errore. «La percezione dell’intelletto deve precedere sempre la determinazione della volontà»: se seguo questa massima non sbaglierò, perché ogni rappresentazione chiara e distinta è vera.

L’ORIGINE DEGLI ERRORI L’UOMO È UN ESSERE FALLIBILE: COMMETTE ERRORI

da dove derivano gli errori umani?

soluzione respinta da Cartesio: gli errori umani derivano dal fatto di aver ricevuto da Dio una volontà e un intelletto inadeguati

Recupero delle certezze perdute: verità matematiche e geometriche

soluzione proposta da Cartesio: gli errori umani derivano dall’uso scorretto della volontà e dell’intelletto

Ogni rappresentazione chiara e distinta è vera però solo basandosi sul presupposto della veridicità di Dio, solo cioè se presumo che Dio non mi inganni. Su questo presupposto Cartesio costruisce la rifondazione di ogni sapere dopo l’esperienza del dubbio. E lo fa seguendo un ordine inverso rispetto a quello della distruzione metodica delle conoscenze possedute. In primo luogo si dedica alla rifondazione di quelle verità che rientrano tra le idee innate. Come Cartesio dice nella Quinta meditazione, esse costituiscono quelle «verità tanto palesi [...] che, quando le scopro per la prima volta, ho l’impressione, più che di imparare qualcosa di nuovo, di ricordarmi di qualcosa che conoscevo già». FILOSOFI A CONFRONTO

C’è una chiara allusione qui alla dottrina platonica della reminiscenza delle idee (secondo cui la conoscenza è ricordo di idee contemplate dall’anima prima di incarnarsi nel corpo). E infatti Cartesio ripropone una concezione platonica delle verità ideali, che corrispondono a quella che qui viene detta «matematica pura e astratta». Alcune delle idee che possono trovarsi in me non sono un «mero niente» neppure se a esse non corrispondesse nulla fuori di me. Infatti tali idee riguardano qualcosa che non è inventato da me: «una natura, o essenza, o forma, immutabile ed eterna». Le verità matematiche (che riguardano anche grandezze, figure, movimenti, durate) hanno questo carattere, e di esse posso fidarmi.

Nel titolo della Quinta meditazione, nella quale dimostra l’affidabilità delle verità matematiche, Cartesio dice che parlerà dell’«essenza delle cose materiali». In realtà sullo sfondo sta la questione della liberazione del mondo fisico dalle «forme essenziali» della tradizione

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 159

159

06/02/12 16:22

La vera struttura del mondo

Conosciamo le strutture ideali, non i corpi

Veridicità divina come fondamento assoluto del sapere

scolastica in favore di essenze di tipo nuovo. Tali essenze corrispondono alle proprietà matematizzabili, cioè a estensione e movimento, sulle quali si fonda la moderna scienza fisico-matematica della natura. Gli oggetti della conoscenza basata sulla matematica pura non sono una mia costruzione e non sono un niente, ma non sono neppure qualcosa di esistente. Essi, però, possono esistere e dunque esprimono la struttura del mondo fisico. Le cose materiali sono oggetto della matematica pura soltanto riguardo alla loro possibilità e che esse siano possibili è garantito dal loro essere concepite con chiarezza e distinzione: «non c’è dubbio che Dio è in grado di far essere tutto quel che io sono capace di concepire in modo appunto chiaro e distinto». La discrepanza tra entità ideali ed entità fisiche – il fatto che per esempio non vi siano in natura linee, punti inestesi – non annulla la corrispondenza del conoscere con la sostanza. Sostanza è infatti solo la res extensa, mentre le figure geometriche – fatte di linee e punti – non sono considerate da Cartesio come sostanze. Gli enti di cui si occupa la matematica sono essenze, strutture ideali, delle cose materiali. La veridicità di Dio garantisce la verità delle strutture ideali quando si manifestano alla mente, e garantisce anche la permanenza della loro acquisizione: abbiamo difficoltà ad avere sempre presenti le fonti delle nostre conoscenze evidenti e questa difficoltà potrebbe far vacillare la convinzione che esse siano vere conoscenze, se non si basasse sul principio che quanto è percepito una volta con chiarezza e distinzione non può cessare di essere vero. Noi ci ricordiamo spesso del fatto che un ragionamento ci convinceva, non del perché ci convinceva. La memoria introdurrebbe allora un elemento di incertezza, che Cartesio vuole escludere. L’evidenza, sigillata dalla veridicità di Dio, serve anche a dare alle conoscenze che la possiedono una solidità diversa da tutte le altre. Cartesio intende ritrovare una stabilità assoluta del sapere. PER SINTETIZZARE • Qual è il fine per cui Cartesio espone le tre prove dell’esistenza di Dio? • Qual è, secondo Cartesio, l’origine degli errori dell’uomo?

Primo argomento: l’immaginazione come tramite tra mente e corpo

Secondo argomento: dai dubbi sulla conoscenza sensibile...

160

132_171_cartesio.indd 160

6.7 Le cose materiali Cartesio ha ritrovato il fondamento delle verità matematiche, e dunque il fondamento dell’essenza delle cose materiali. Ora va stabilito il punto più importante per superare il dubbio metodico: l’esistenza delle cose esterne alla mente. È il tema della Sesta meditazione. Il primo argomento di Cartesio a favore dell’esistenza delle cose esterne passa attraverso il ruolo dell’immaginazione. Questa facoltà «parrebbe non esser altro che un’applicazione della facoltà conoscitiva a un corpo che le sia presente intimamente». Ciò sembra risultare da queste constatazioni: • per immaginare sono necessari uno sforzo, una tensione particolari; • la facoltà di immaginare sembra non essere essenziale alla mia esistenza: se non l’avessi rimarrei quello che sono. La funzione dell’immaginazione sembra allora dipendere dalla necessità da parte dell’anima di rivolgersi al corpo (è l’immaginazione che contempla le immagini corporee, le tracce nella ghiandola pineale). Questo, però, rende solo probabile che un corpo esista, non lo dimostra. Il secondo argomento si svolge in riferimento ai sensi. Cartesio ricapitola i motivi che portano a credere alla testimonianza dei sensi circa l’esistenza del mondo esterno: • le sensazioni si presentano senza il mio consenso; • le sensazioni sono più vivaci e chiare di quelle della memoria o della riflessione; • le idee intellettuali sembrano derivare dalle sensazioni stesse. Inoltre vi sono buoni motivi per ritenere mio il corpo che chiamo il mio corpo: non me ne sono mai separato, avverto in esso appetiti, stimolazioni dolorose o piacevoli.

Il Seicento

06/02/12 16:22

... alla dimostrazione dell’esistenza dei corpi

T5

Ma tutto ciò era stato messo in questione dal dubbio. I sensi esterni sbagliano spesso (per esempio nel valutare le dimensioni delle cose) e perfino sul dolore mi posso sbagliare. Cartesio richiama il fenomeno dell’“arto fantasma”: è quello sperimentato da persone che, avendo perso un braccio o una gamba in seguito a un’amputazione, continuano a sentire dolore nella parte del corpo che non hanno più. E poi ci sono l’ipotesi che tutto sia un sogno e quella del genio ingannatore. Ma ora è possibile superare questi dubbi e ritornare alla verità dei sensi. La mente è soltanto una cosa che pensa. La possibilità di formare «idee di cose sensibili» non presuppone il pensiero inteso come intellezione: «tali idee si producono in me senza che io vi collabori, e anzi spesso senza la mia volontà». Resta solo da vagliare l’ipotesi che le idee delle cose corporee provengano da una sostanza diversa da quella pensante. Una tale sostanza o è corpo, o è Dio. Non v’è, però, alcun indizio che mi faccia propendere verso l’ipotesi che sia Dio a far sì che io abbia tali idee; vi sono indizi (quelli sopra ricordati) che mi spingono a credere che esse provengano dai corpi. Quindi, conclude Cartesio, se Dio non è ingannatore, le cose corporee esistono veramente.

IL PERCORSO DELLE MEDITAZIONI DUBBIO METODICO

cogito = certezza di esistere

io che esisto sono una “cosa che pensa”

io in quanto “cosa che pensa” ho le idee

tra le idee c’è quella di Dio: prime due prove dell’esistenza di Dio

veridicità divina che garantisce la conoscenza certa (evidenza)

essenze matematiche e terza prova

conoscenza della struttura matematica del mondo

esistenza delle cose esterne

PER SINTETIZZARE • Da che cosa dipende, secondo Cartesio, la funzione dell’immaginazione? • Qual è il ruolo di Dio nella dimostrazione dell’esistenza delle cose corporee data da Cartesio?

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 161

161

06/02/12 16:22

Il problema del rapporto mente-corpo

Evidenza dell’unione tra mente e corpo

Comprendere l’unione attraverso l’analisi delle passioni

L’unione come idea innata T8

6.8 La mente, il corpo e le passioni Mente (o anima) e corpo, res cogitans e res extensa, sono ora assicurati nella loro indubitabile esistenza. Cartesio però si trova di fronte il problema di congiungere queste due sostanze: una volta affermato che il mio corpo è «congiunto a me molto strettamente», occorre spiegare come questa unione sia possibile. Il Mondo si interrompe proprio a questo punto. Nella Sesta meditazione Cartesio cerca di dire qualcosa a questo proposito e poi il tema tornerà centrale nel suo ultimo scritto, Le passioni dell’anima. Raggiunta la certezza dell’esistenza delle cose corporee, è dall’esperienza di me e del mondo che si può partire per cercare di chiarire l’unione di mente e corpo. È come io vivo il mio corpo a testimoniarmi che il corpo è mio, che cioè il corpo è congiunto essenzialmente all’anima. Allora la “natura” che è qui da approfondire è quella che mi è stata data da Dio «in quanto io sono composto di mente e corpo». Questa natura non è solo pensiero, né solo leggi fisiche dei corpi: è il rapporto tra il pensiero e i corpi. La natura mi insegna che devo ricercare alcuni corpi e fuggirne altri; avrò percezioni gradite e percezioni sgradite, e allora posso capire che io posso ricevere danni e vantaggi dall’incontro con gli altri corpi. Cartesio scrive il trattato Le passioni dell’anima su sollecitazione della principessa Elisabetta di Boemia, con la quale aveva intrattenuto un’intensa corrispondenza su temi filosofici. Al centro di questo trattato è l’unione mente-corpo, che Cartesio intende affrontare in relazione al tema delle passioni. Passioni dell’anima, precisa Cartesio, che muove dal dualismo tra anima e corpo; e sottolinea che per conoscere le passioni dell’anima è necessario anzitutto distinguere le funzioni dell’anima da quelle del corpo. Cartesio afferma che l’azione e la passione sono una medesima cosa con due nomi, a seconda che la si consideri in una prospettiva o in un’altra. E c’è passione dell’anima quando c’è azione del corpo. Quindi le passioni dell’anima sono un fenomeno decisivo per affrontare la questione dell’unione tra mente e corpo. Tale unione, sostiene Cartesio, è una tra le idee innate ed è l’unica che riguardi l’anima e il corpo presi insieme. FILOSOFI A CONFRONTO

Cartesio sottrae all’anima la funzione di principio vivificante del corpo, di ciò che vi infonde movimento, sostenuta dall’aristotelismo: per questo aspetto il corpo è una macchina del tutto autonoma ed è il suo mancato funzionamento che costituisce la morte, a cui consegue l’abbandono dell’anima.

I pensieri dell’anima

L’anima e la volontà

Delimitazione dell’analisi delle passioni

Definizione delle passioni in senso ristretto

162

132_171_cartesio.indd 162

All’anima possono essere attribuiti solo i pensieri (intesi da Cartesio come contenuti della mente, non come pensieri in senso stretto). Cartesio li suddivide in: 1. azioni, ossia gli atti volontari di cui sperimentiamo che vengono dall’anima e che solo da essa dipendono; 2. passioni, le percezioni di ogni genere presenti in noi che l’anima riceve dalle cose. Gli atti della volontà hanno termine o nell’anima (quando sono rivolti a oggetti non materiali: amare Dio, per esempio) o nel corpo (la volontà di camminare, per esempio). Cartesio non sta parlando della volontà come facoltà, ma degli atti volontari, cioè di ogni operazione mentale che la mente stessa controlla. Alla suddivisione dei pensieri in azioni e passioni Cartesio ne sostituisce poi una più precisa: alcuni pensieri che non dipendono dal controllo della volontà vengono esclusi dalle passioni intese in senso più ristretto, le passioni dell’anima. Cartesio fa coincidere le passioni dell’anima con quelle che noi chiamiamo emozioni, e che anch’egli chiama in questo modo. Cartesio esclude dalle passioni: 1. gli atti involontari di immaginazione (il sogno, le fantasticherie a occhi aperti): essi non hanno una causa tanto determinata quanto le percezioni delle cose esterne e sono solo come «un’ombra e una copia» delle percezioni delle cose esterne; 2. le percezioni riferite agli oggetti fuori di noi e quelle riferite al nostro corpo (fame, sete, dolore, caldo).

Il Seicento

06/02/12 16:22

Unione reale di anima e corpo come fondamento delle emozioni

Il meccanismo che unisce mente e corpo

Cartesio identifica infine le passioni in senso stretto, le emozioni, con quelle «che riferiamo alla nostra anima», «i cui effetti si sentono come se fossero nell’anima stessa». L’anima «non può sentirle senza che siano proprio come le avverte». Le emozioni vengono così “filtrate” da tutto ciò che si può trovare nell’anima, e sembrano da identificare come ciò che di corporeo è più “vicino” all’anima: come ciò che, tra tutte le cose che l’anima non deve a se stessa, la investe più direttamente. L’emozione è qualcosa di cui l’io non dispone e, tuttavia, è «mia». Per questo motivo l’emozione è la dimensione decisiva per potere avvicinarsi alla congiunzione di anima e corpo. L’anima non ha un vero e proprio luogo, perché è inestesa; tuttavia essa ha una «sede», ossia un rapporto privilegiato con la ghiandola pineale. Attraverso di essa l’anima controlla il corpo. La ghiandola pineale viene concepita infatti come un organo mobile, che assume diverse inclinazioni, venendo influenzata dal movimento delle particelle (vedi Figura 3) e influenzandolo. La volontà è in grado di agire direttamente sul movimento della ghiandola, e in tal modo controlla il corpo. Figura 3 La mobilità della ghiandola pineale è influenzata dal calore proveniente dal cuore attraverso le arterie che la sorreggono (vedi nell’immagine i filamenti posti sotto). Basta una minima percezione per farla oscillare. Nell’immagine la vediamo piegarsi verso destra e indirizzare su quel lato il flusso di spiriti, favorendo l’apertura dei pori a, b, c e il passaggio degli spiriti verso i punti 2, 4, 6. In questo modo dalla ghiandola parte l’impulso a muovere le parti del corpo collegate con i punti elencati sopra (da L’uomo).

Il problema del potere dell’anima sulle passioni

L’anima agisce sulle passioni attraverso l’abitudine

Il movimento della ghiandola trasmette un movimento agli spiriti, che lo trasmettono ai nervi e da questi ai muscoli. Da un’unica rappresentazione contenuta nella ghiandola possono scaturire movimenti di più organi verso un oggetto (vedi Figura 4). Ma il problema centrale delle Passioni dell’anima non è solo di spiegare l’azione dell’anima sul corpo e, dunque, i suoi atti volontari. Cartesio vuole spiegare anche un problema importante per la vita morale dell’uomo: quale potere abbia l’anima nei confronti delle passioni. Le passioni hanno una particolare persistenza: sono mantenute e rafforzate da un determinato movimento degli spiriti. La soluzione che Cartesio intravede è quella di un controllo indiretto dell’anima sulle passioni: non possiamo evocare o sopprimere volontariamente delle passioni, ma possiamo controllarle indirettamente, associandole a rappresentazioni. Il coraggio non ce lo si può dare, almeno d’un colpo: ma è possibile considerare le ragioni che persuadono che il pericolo non è grande, oppure che il rischio è maggiore a fuggire che a difendersi ecc. Le

Figura 4 Il coordinamento tra la percezione degli oggetti e il movimento delle membra (da L’uomo). Nell’immagine, oltre al meccanismo della visione, si distinguono i tubicini del sistema idraulico del corpo immaginato da Cartesio, che partono dal cervello e raggiungono i muscoli del braccio, facendolo muovere.

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 163

163

06/02/12 16:22

Analisi delle passioni e passioni «primitive»

Il primo esempio di indagine fisiologica dei processi mentali

Una morale dell’equilibrio tra passioni

passioni possono interagire con le rappresentazioni razionali. Per Cartesio ognuno può acquistare dominio sulle passioni: può farlo anche attraverso l’esercizio e l’istituzione di un’abitudine. Esercizio e abitudine possono formare associazioni diverse tra le rappresentazioni delle cose e i movimenti a esse congiunti che eccitano passioni, o possono separare le associazioni già esistenti. Cartesio approfondisce la sua analisi delle passioni seguendo le regole del metodo scompositivo e compositivo. Egli individua così sei passioni «primitive», dalle quali tutte le altre risultano composte: ammirazione, amore, odio, desiderio, gioia, tristezza. Dal desiderio, per esempio, può scaturire la speranza o il timore, a seconda che l’oggetto del desiderio sia considerato facilmente conseguibile o meno. Ogni passione viene collegata con aspetti fisiologici: l’unica passione legata al solo cervello è la meraviglia (che precede ogni percezione sul senso positivo o negativo che un oggetto ha per noi), mentre le altre passioni sono connesse anche con cuore, milza, fegato ecc. Cartesio non risolve il problema mente-corpo (come lo si chiama oggi); dà, però, un esempio importante di trattazione unitaria di aspetti psicologici e fisiologici che spesso viene fatta cadere nell’ombra. Non tenendo nella giusta considerazione la sua profonda convinzione dell’unitarietà di mente e corpo non ci si accorge che Cartesio offre un primo esempio di ciò che oggi chiamiamo «neuroscienze», ossia di indagine fisiologica sui processi mentali basata sulla conoscenza delle funzioni cerebrali. La teoria cartesiana pone, infine, le basi per una morale dell’equilibrio tra la ragione e le passioni. Cartesio valuta infatti le passioni positivamente: le considera per loro natura tutte buone e ritiene dannoso solo il loro cattivo uso o eccesso. Quella proposta da Cartesio non è una morale della rinuncia alle passioni: temperate dalla ragione, le passioni sono anzi secondo il filosofo la fonte di ogni bene o male nella vita. Il saperle usare costituisce la saggezza, che presuppone tutte le altre scienze che Cartesio ha cercato di abbozzare. PER SINTETIZZARE • Qual è il tema centrale del trattato Le passioni dell’anima? • A che cosa si riferisce Cartesio quando parla di «passioni dell’anima»? • In quale modo, secondo Cartesio, l’anima può esercitare un controllo sulle passioni?

PER RIFLETTERE Tra le varie branche della medicina ce n’è una, la medicina psicosomatica, che si occupa delle malattie somatiche riconducibili a fattori psicologici. Iniziatore della medicina psicosomatica è considerato Georg Walter Groddeck (1866-1934), medico e psicoanalista tedesco che studiò gli effetti sul corpo di conflitti psichici. I disturbi psicosomatici sono condizioni patologiche che comportano danni di tipo organico e sono causate o aggravate da fattori emozionali. Si tratta, cioè, di malattie del corpo dovute a problemi di natura psicologica. • Quale sarebbe stato, a tuo avviso, il giudizio di Cartesio sulla validità della medicina psicosomatica?

164

132_171_cartesio.indd 164

Il Seicento

06/02/12 16:22

PENSIERI, AZIONI E PASSIONI PENSIERI

azioni (atti volontari)

passioni (percezioni o conoscenze che si trovano in noi ricevute dalle cose rappresentate)

che hanno termine nell’anima

che hanno termine nel corpo

causate dall’anima

amare dio, applicare il pensiero a un oggetto non materiale

camminare ecc.

percezioni degli atti volontari e di tutte le immaginazioni o altri pensieri che ne dipendono (anche: immaginazione di cose che non esistono, considerazione di cose intelligibili)

causate dal corpo

immaginazioni involontarie (sogni, fantasie da svegli)

che giungono attraverso i nervi: • riferite a oggetti esterni (vedere, udire) ecc. • riferite al nostro corpo (dolore, fame, sete ecc.) • riferite alla nostra anima (passioni in senso stretto, chiamate emozioni)

Caravaggio, La vocazione di san Matteo, 1599-1600 ca. Roma, San Luigi dei Francesi, Cappella Contarelli.

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 165

165

06/02/12 16:22

Tesi a confronto

Cartesio: quale rapporto tra l’uomo e la natura? A Cartesio, unanimemente riconosciuto come il fondatore ideale della modernità, risale la celebre distinzione tra res cogitans e res extensa, ovvero quella differenza essenziale tra l’uomo, con la sua capacità di pensare e di mettere in dubbio il dato, e la natura, il regno dell’essere dotato di estensione e materialità ma destinato a restare privo di una sua tangibilità autentica senza l’atto del pensare. Nel panorama contemporaneo, la netta distinzione cartesiana tra uomo e natura è stata posta alla base di un interessante dibattito sul ruolo del lavoro nell’orizzonte della persona umana. Alcuni critici sostengono che Cartesio, assegnando il primato alla res cogitans, avrebbe spezzato il vincolo costitutivo tra uomo e natura, generando non soltanto un individualismo politico ma anche un isolamento dell’uomo tanto dalla natura che lo circonda quanto dagli altri uomini che assieme a lui possono, attraverso il lavoro, dominarne e controllarne la potenza; altri critici ritengono invece che questa scissione è senz’altro da intendersi positivamente, poiché attraverso la sua introduzione non si è soltanto ribadita la centralità della condizione umana nella riflessione filosofica, ma si è riconosciuta per la prima volta al pensiero una capacità non solo contemplativa, ma propriamente attiva e creativa.

TESI 1 - SIMONE WEIL da Primi scritti filosofici *

Cartesio ha spezzato il vincolo tra uomo e natura Essere cartesiano vuol dire dubitare di tutto, poi esaminare tutto con ordine, senza credere a null’altro che al proprio pensiero […]. Io sono sempre due, da un lato c’è l’essere passivo che subisce il mondo, dall’altro l’essere attivo che ha presa su di lui; la geometria, la fisica mi permettono di concepire in quale modo questi due esseri possono ricongiungersi, ma di fatto esse non realizzano questa congiunzione. Non mi è concesso raggiungere la saggezza perfetta, la saggezza in atto che potrebbe riunire le due parti di me stesso. Certamente non posso unirle direttamente, dal momento che proprio in questa impossibilità consiste la presenza del mondo nei miei pensieri; posso però farlo indirettamente, dal momento che proprio in questo consiste l’azione. Non una parvenza d’azione, mediante cui la folle immaginazione mi porta a sconvolgere ciecamente il mondo con i miei desideri sregolati, ma l’azione vera […], l’azione conforme alla geometria, o, per chiamarla con il suo vero nome, il lavoro. È mediante il lavoro che la ragione afferra il mondo e imbriglia l’immaginazione folle. […] L’unica saggezza consiste nel sapere che esiste un mondo, cioè una materia, che solo il lavoro può trasformare […]. * Marietti, Torino 1999

166

132_171_cartesio.indd 166

Il Seicento

06/02/12 16:22

TESI 2 - HANNAH ARENDT da Vita activa *

Cartesio ha concepito l’uomo come soggetto attivo e creativo Cartesio è il padre della filosofia moderna quanto Galileo è l’antenato della scienza moderna […]. La filosofia moderna cominciò con il de omnibus dubitandum est di Descartes […]. Nella filosofia e nel pensiero moderni, il dubbio occupa la stessa posizione centrale che occupò per tutti i secoli prima il thaumàzein dei greci, la meraviglia per tutto ciò che è in quanto è. Descartes fu il primo a concettualizzare questo dubitare moderno, che dopo di lui divenne il motore evidente e dato per scontato che ha mosso tutto il pensiero, l’asse invisibile sul quale si è incentrato ogni pensare. I filosofi compresero subito che le scoperte di Galileo non implicavano semplicemente una sfida alla testimonianza dei sensi e che non era più la ragione […] ad aver “commesso una tale violenza sui loro sensi” […]. Non era la ragione ma uno strumento artificiale che praticamente cambiava la visione del mondo fisico; non era la contemplazione, l’osservazione e la speculazione che conducevano alla nuova conoscenza, ma l’attivo procedere dell’homo faber, del fare e del fabbricare. * Bompiani, Milano 2000

IL COMMENTO Nel testo 1 la filosofa Simone Weil (1909-1943), pur ritenendo Cartesio l’iniziatore dell’epoca moderna grazie all’introduzione del dubbio come strumento indispensabile della conoscenza, allo stesso tempo gli attribuisce una radicalizzazione della mentalità idealistica di stampo greco e giudaico-cristiano. Il filosofo francese, infatti, ponendo con forza l’accento sull’attività cogitativa dell’uomo, ne avrebbe svalutato la dimensione pratico-effettiva, ovvero l’azione e il lavoro. Cartesio, continua la Weil, avrebbe tratteggiato un pensiero intellettualistico ed elitario nel quale non solo non può trovar spazio una concezione nobilitante del lavoro, ma soprattutto non si danno le condizioni di possibilità per riconoscere quel tratto che lo caratterizza, e cioè il fatto che attraverso il lavoro l’uomo è in grado di stabilire un rapporto con la natura e di dominarne la forza. Di differente opinione è Hannah Arendt (1906-1975), che nel testo 2 sostiene che Cartesio, assegnando maggiore importanza alla dimensione soggettiva e individuale piuttosto che a quella oggettiva e naturale, avrebbe per primo riconosciuto l’importanza del pensiero come attività creativa, attribuendo all’uomo le fattezze dell’homo faber, cioè di quell’essere vivente capace attraverso il suo lavoro non solo di provvedere alla sua sopravvivenza, ma di esprimere e realizzare per intero le proprie attitudini creative.

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 167

167

06/02/12 16:22

SOMMARIO LA LIBERTÀ DI GIUDICARE DA SÉ

1

1 Cartesio ha un ruolo fondamentale nella storia della filosofia, perché ha saputo incarnarne uno dei passaggi epocali: quello segnato dalla fine della cultura medievale scolastica, dalla nascita della nuova scienza, dal vacillare delle verità religiose e dalla crisi di un fondamento divino del diritto e del potere. 2 Pur avendo ricevuto una formazione scolastica, egli è stato capace di distaccarsi dalla tradizione viaggiando, in un primo tempo, attraverso la cultura, grazie alle sue letture, poi attraverso l’Europa. Il suo scopo è la rifondazione di un sapere razionale, autonomo e autogarantito. IN CAMMINO NELL’EUROPA DEL SEICENTO

2

L’uomo e il filosofo sembrano attraversati da tendenze contraddittorie: da coraggio e curiosità da un lato e, dall’altro, dalla prudenza nel pubblicare le proprie idee. Cartesio ha la volontà di fare nuove esperienze, affrontando i rischi della vita militare e i continui viaggi, e allo stesso tempo cerca un rifugio tranquillo dove poter studiare. Lo trova prima in Olanda e, negli ultimi anni, in Svezia. Spiccato è, inoltre, l’interesse di Cartesio per ogni disciplina e conoscenza tecnica, cui è unito il rifiuto della tradizione esoterica. UN PENSATORE SU MOLTI FRONTI E L’UNITÀ DEL SAPERE

3

Cartesio ha costruito una nuova unità del sapere anche grazie alle sue notevoli capacità scientifiche. Il suo progetto prevede la costruzione di un edificio del sapere che comprende metafisica, fisica, scienze e culmina con la saggezza, che le assorbe tutte sotto di sé. 1 Il massimo contributo di Cartesio alla scienza è rappresentato dai tre saggi pubblicati con il Discorso sul metodo: una teoria della rifrazione, Diottrica, una teoria dei fenomeni sublunari, Meteore, e la Geometria, che unifica l’algebra e la geometria euclidea. 2,3 L’unità di discipline così diverse è data dal metodo, fondato sulle nozioni di ordine e misura (relazioni matematizzabili), sulla spiegazione genetica (che riconduce le cose alle loro cause) e sul meccanicismo, ossia sulla riduzione dei fenomeni fisici a descrizioni che non ricorrono alle essenze aristoteliche e scolastiche, ma alle nozioni di estensione e movimento. COSTRUIRE IL MONDO (E L’UOMO): FISICA E FISIOLOGIA

4

1 Successivamente, affrontando la fisica, Cartesio sceglie un artificio retorico: descrive sotto forma di ipotesi, di “favola”, l’origine del mondo, concentrandosi sul fenomeno della luce. In questo modo può esporre il suo modello teorico svincolandosi dalla teologia e soffermandosi sui soli aspetti meccanici dell’evoluzione del cosmo. 2 La sua teoria ipotizza la creazione della materia (res extensa) da parte di Dio, che le infonde una certa quantità di moto e stabilisce tre leggi che ne guidano l’evoluzione. La sostanza estesa è infinita e formata da corpuscoli; successivamente il mondo si organizza in un sistema di vortici che escludono il vuoto. 3 Un’analoga ipotesi meccanicistica descrive la fisiologia umana, fermandosi alle soglie dell’anima o mente, costituita dalla res cogitans (sostanza pensante). I processi fisiologici cerebrali sono frutto dell’azione di una materia sottilissima, gli spiriti animali, che tracciano le «idee materiali» sulla ghiandola pineale. Questa funge da tramite tra il livello fisiologico e quello psicologico.

168

132_171_cartesio.indd 168

Il Seicento

06/02/12 16:23

IDEE COME RAPPRESENTAZIONI

5

Cartesio concepisce le idee come rappresentazioni che stanno per la cosa attraverso un complesso sistema di corrispondenze. Nel passaggio dalla visione alla formazione delle tracce materiali sul cervello, il meccanismo rappresentativo è guidato dalle leggi fisiche della rifrazione, che sono all’origine anche della memoria. Queste idee-tracce non appartengono alla mente. RITROVARE IL FONDAMENTO

6

1 La parte metafisica della riflessione cartesiana ha come scopo di rifondare la certezza del conoscere. Cartesio muove da una nuova ontologia: il dualismo di due sostanze identificate dagli attributi dell’estensione e del pensiero. 2,3 Il processo di rifondazione assume la forma di presentazione della propria esperienza, che inizia con il rifiuto di tutte le conoscenze possedute attraverso il dubbio. Ma proprio la consapevolezza di poter essere ingannato permette a Cartesio di raggiungere la prima certezza ontologica, quella di essere qualcosa. 4,5 Il successivo passaggio consiste nell’identificare se stesso con una sostanza pensante che possiede alcuni 6,7 contenuti mentali, le idee. Attraverso un’analisi di esse Cartesio individua un’idea innata, quella di Dio, che attraverso tre prove (tra cui quella ontologica) gli permette di raggiungere la certezza dell’esistenza di un Dio perfetto e quindi verace. Sulla veridicità divina si fonda il criterio dell’evidenza come garanzia di certezza per le successive acquisizioni metafisiche: la validità delle verità matematiche, l’esistenza delle cose esterne, il dualismo delle sostanze e la soluzione del problema mente-corpo attraverso l’idea innata dell’unione reale. 8 L’ultima fase della riflessione cartesiana sarà l’analisi delle passioni dell’anima e la comprensione di come l’anima può controllarle attraverso l’abitudine.

LESSICO

C

Corpuscolo. La particella minima della materia, divisibile all’infinito: ne esistono tre tipi diversi per dimensioni, che formano i tre elementi del cosmo cartesiano, cioè terra, aria e fuoco. Coscienza. A partire da Cartesio (che, peraltro, vi accenna raramente) questo termine indica la consapevolezza, soggettiva e interiore, di sé e dei propri atti mentali, immediatamente autoevidente, che accompagna l’intera vita della mente. Dualismo. Ogni concezione (religiosa, psicologica, ontologica ecc.) che afferma l’esistenza di due principi autonomi e indipendenti l’uno dall’altro.

D

Dubbio. Cartesio sceglie questo atteggiamento di critica razionale come primo momento del suo cammino di rifondazione del sapere: il dubbio gli permette di liberarsi da tutte le forme di credenza ingenua (fiducia nei sensi, esistenza dei corpi esterni e del proprio corpo) o acquisita (verità matematiche, tradizione filosofica e scientifica), ma gli fornisce anche il primo elemento su cui ricostruire le proprie certezze. Nelle Meditazioni l’esperienza del dubbio gli fa raggiungere la prima certezza ontologica, quella di essere qualcosa.

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 169

169

06/02/12 16:23

E

Estensione. L’essenza, o attributo essenziale (extensio), della sostanza estesa che indica la proprietà di occupare una parte di spazio in larghezza, lunghezza e profondità.

Evidenza. La forma di certezza più alta della teoria della verità cartesiana, intuitiva e immediata: i suoi contenuti si presentano con le proprietà di chiarezza (sono nitidi per la mente attenta) e distinzione (sono perfettamente distinguibili da ogni altro contenuto).

I

Idea. Ogni contenuto della mente immateriale umana capace di rappresentare, “stare per”, una cosa o un suo modo. In Cartesio esiste anche la nozione, che però egli non definisce, di «idea materiale»: è la traccia ultima di una cosa esterna che, attraverso un sistema meccanico di trasmissione, si forma sulla ghiandola pineale. Le idee si distinguono sulla base delle componenti (se hanno un altro elemento oltre quello rappresentativo sono volizioni, giudizi ecc.) e in base all’origine, in innate, fattizie e avventizie.

M

Mathesis universalis. Letteralmente l’espressione significa «matematica universale» e indica la logica generale del sapere umano che accomuna ogni conoscenza; Cartesio ne tratta nelle Regole per la guida dell’intelligenza.

Meccanicismo. Una teoria fisica che riduce tutti i fenomeni a materia e movimento. Metodo. L’insieme di prescrizioni che, per Cartesio, permettono di raggiungere la certezza in ogni ambito del sapere: ricercare l’evidenza, scomporre i problemi in elementi semplici, risalire dagli effetti alle cause, fare enumerazioni complete e ricostruire tutti i nessi e le relazioni tra gli oggetti indagati.

P

Passione. Questo termine, che deriva dal greco pàthos, indica una modificazione subita dall’anima (emozione) a opera del corpo attraverso un meccanismo fisiologico che coinvolge il cervello. Cartesio individua sei passioni primitive, che si compongono variamente per produrre tutte le altre.

Pensiero. Parola che Cartesio usa con due significati: il primo indica l’essenza, o attributo essenziale, della sostanza pensante, ossia l’attività mentale (cogitatio); il secondo indica tutti i contenuti mentali o cogitationes (idee, volizioni, giudizi ecc.), ossia gli oggetti di tale attività. Problema mente-corpo. Data la totale alterità tra le sostanze del mondo cartesiano, questa espressione indica la questione di come possano interagire due realtà totalmente eterogenee tra cui non c’è causalità reciproca. Cartesio risolve tale problema ipotizzando l’esistenza di un organo, la ghiandola pineale, che partecipa sia dei processi fisiologici sia di quelli psicologici e funge da tramite tra i due piani. Res cogitans / Res extensa. La sostanza pensante e la sostanza estesa, le due realtà ontologiche che costituiscono il mondo cartesiano, definite attraverso la negazione reciproca: la res cogitans pensa e non è estesa, la res extensa è estesa e non pensa.

S

Spiriti animali. Nozione che Cartesio desume dalla tradizione medica e che indica una materia sottilissima, mobilissima e pura, ottenuta dal sangue attraverso la combustione. Si trovano nel cervello e scorrono nei nervi. Esistono altri due tipi di spiriti, inferiori per purezza: quelli della digestione (spiriti naturali) e quelli ottenuti per rarefazione del sangue (spiriti vitali).

U

Unione mente-corpo. La reale unità di mente e di corpo nell’uomo, idea innata che possiamo cogliere intuitivamente e osservare attraverso i suoi effetti. Gli effetti principali sono, rispettivamente, le passioni dell’anima e le azioni volontarie del corpo.

V

Vortice. Modello di organizzazione del cosmo cartesiano: le leggi del moto formano queste entità al cui centro, grazie alla forza centrifuga, si addensano le particelle dell’elemento più pesante (terra) e si forma un corpo celeste. Gli altri due elementi sono spinti verso i margini esterni del vortice.

170

132_171_cartesio.indd 170

Il Seicento

06/02/12 16:23

QUESTIONARIO 1

LA CRISI DELLA CULTURA SCOLASTICA Quali sono gli elementi che denotano la crisi della cultura scolastica nel XVII secolo? (max 4 righe)

2

L'IDEA CARTESIANA DI RAGIONE Qual è la concezione della ragione sostenuta da Cartesio? (max 3 righe)

3

CARTESIO E I ROSACROCE Chi erano i Rosacroce? Quali rapporti ebbe con loro Cartesio? (max 4 righe)

4

CARTESIO E LA SCIENZA Qual è il modello di spiegazione scientifica seguito da Cartesio? (max 2 righe)

5

MONDO ARISTOTELICO E NUOVA SCIENZA Qual è la differenza tra il modo aristotelico di concepire la realtà e quello della nuova scienza? (max 6 righe)

6

LA «FAVOLA» DELL'ORIGINE DEL MONDO Per quali scopi Cartesio scrive la «favola del mondo» e quali sono i suoi contenuti? (max 4 righe)

7

GLI SPIRITI ANIMALI Quale ruolo viene svolto dagli spiriti animali nella fisiologia dell’uomo? (max 4 righe)

8

LA CONCEZIONE CARTESIANA DELL'IDEA Qual è la differenza fondamentale tra la nozione antica e medievale di idea e quella cartesiana? (max 3 righe)

9

LA RAPPRESENTAZIONE Descrivi il meccanismo della rappresentazione attraverso le idee. (max 5 righe)

10

IL DISCORSO SUL METODO Di quante parti si compone il Discorso sul metodo e quali argomenti affronta? (max 8 righe)

11

LA MORALE PROVVISORIA Che cos’è la morale provvisoria e quali sono le sue regole? (max 6 righe)

12

IL PROCESSO CONOSCITIVO Qual è la differenza tra analisi e sintesi nel processo conoscitivo? (max 2 righe)

13

LE MEDITAZIONI Quali cose vengono revocate in dubbio nel percorso delle Meditazioni, e in quale ordine? In quale ordine vengono recuperate? (max 8 righe)

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 171

171

06/02/12 16:23

Il classico Meditazioni metafisiche (1641)

IL CLASSICO

n

Il genere La veste letteraria delle Meditazioni metafisiche ne fa un’opera originale rispetto ai testi filosofici dell’epoca (quali le disputationes, le quaestiones e le summae). L’esposizione è infatti affidata al protagonista, lo stesso Cartesio: egli parla in prima persona al tempo presente e, più che proporre una teoria, spiega il proprio percorso di ricerca. Il percorso è suddiviso in sei tappe e Cartesio lo inizia ponendo in dubbio tutte le proprie opinioni e arrivando gradualmente a ricostruire le proprie certezze. Il metodo adottato nell’affrontare le varie questioni è analitico, ossia rivolto alla soluzione di problemi e agli occhi di Cartesio tale metodo ha il vantaggio di far ripercorrere al lettore la via da lui stesso seguita nel ritrovare la verità e di fargliela conoscere, così, in modo graduale. Con le Meditazioni metafisiche Cartesio crea un genere letterario nuovo: nell’epoca in cui scrive le “meditazioni” avevano soltanto un carattere religioso, erano esercizi spirituali. Nell’opera cartesiana l’autoesame che caratterizza le meditazioni è invece uno strumento di conoscenza, volto a eliminare gli errori. Cartesio ritiene che i pregiudizi, le opinioni semplicemente ricevute di cui occorre liberarsi, non siano prodotti dalla riflessione filosofica, ma dalla natura stessa degli esseri umani. Per eliminarli è allora necessario un cambiamento nell’uomo stesso: non è sufficiente comprendere il contenuto dell’opera che Cartesio espone, ma occorre che il modo di pensare presentato in essa diventi per l’uomo una consuetudine. Le meditazioni cartesiane non sono, dunque, semplicemente un testo filosofico da leggere, ma un esercizio da praticare.

n

Il titolo All’opera oggi conosciuta come Meditazioni metafisiche Cartesio aveva dato il titolo Meditationes de prima philosophia (Meditazioni di filosofia prima). In essa, infatti, non vengono trattati soltanto i temi di Dio e dell’anima, ma tutte le principali questioni filosofiche: il fondamento della verità matematica, l’essenza e l’esistenza delle cose materiali, il modo in cui conosciamo i corpi, il rapporto tra la mente e il corpo. Storia ed edizioni Le Meditazioni metafisiche furono pubblicate nel 1641 in latino con il titolo Meditationes de prima philosophia. Prima di dare l’opera alle stampe Cartesio la fece circolare presso alcuni studiosi per riceverne le osservazioni, che pubblicò insieme con le proprie risposte, in appendice allo stesso volume, con il titolo Obiezioni e risposte. Esse contengono le Prime obiezioni di Jan de Kater, le Seconde obiezioni di padre Mersenne, le Terze obiezioni di Thomas Hobbes, le Quarte obiezioni di Antoine Arnauld, le Quinte obiezioni di Pierre Gassendi e le Seste obiezioni di alcuni teologi e geometri. Perché è considerato un classico? Nelle Meditazioni metafisiche Cartesio realizza il progetto di rifondare l’edificio della conoscenza riportandola a una certezza assoluta e legando questa alla veridicità di Dio. La necessità di rifondare il sapere deriva dall’instabilità del sapere stesso e dalla natura della nuova forma di conoscenza che Cartesio vuol promuovere. Egli procede a una «distruzione generale» delle sue opinioni: dimostrerà che c’è almeno una ragione per dubitare delle fondamenta generali di ogni opinione.

172

132_171_cartesio.indd 172

Il Seicento

06/02/12 16:23

LA STRUTTURA DELL’OPERA

Lettera Al Decano e ai Dottori della sacra Facoltà di teologia di Parigi, sapientissimi ed illustrissimi

I TESTI

Cartesio presenta la propria opera e la raccomanda alla protezione della facoltà di teologia della Sorbona.

Prefazione per il lettore Compendio delle sei meditazioni

Prima meditazione Di che cosa si ha ragione di dubitare

Cartesio propone alcuni dubbi (sul fatto di avere un corpo, sulle essenze matematiche ecc.). Per liberarsi dalle opinioni ritenute vere occorre infatti metterle in dubbio in modo sistematico.

Seconda meditazione La mente umana, e come la si conosca meglio che i corpi

Prima certezza raggiunta: io penso, dunque esisto. Il pensiero costituisce la mia natura. Ma la sostanza pensante è materiale o non lo è? Cartesio esamina il modo in cui conosciamo i corpi.

Terza meditazione Esistenza di Dio

Chiarezza e distinzione sono il criterio di verità. Cartesio esamina i pensieri per capire se esista altro oltre a ciò che è presente nella nostra mente. Occorre trovare almeno un’idea che abbia realtà oggettiva: è l’idea di Dio, di cui viene dimostrata a posteriori l’esistenza.

Quarta meditazione Il vero e il falso

Cartesio enuncia la tesi della veracità di Dio. Fonte degli errori umani è la differenza tra l’estensione dell’intelletto (finito) e quella della volontà (che, in se stessa, non ha limiti).

T3 La veracità di Dio

Quinta meditazione L’essenza delle cose materiali, e di nuovo sull’esistenza di Dio

Delle caratteristiche quantitative dei corpi abbiamo idee innate: le verità matematiche sono indipendenti da noi. Dimostrazione a priori dell’esistenza di Dio; la veracità divina garantisce l’affidabilità della conoscenza.

T4 La prova ontologica

Sesta meditazione L’esistenza delle cose materiali, e distinzione reale della mente dal corpo

Viene esposta la dimostrazione della distinzione reale tra mente e corpo (dualismo). Cartesio formula la tesi dell’interazione causale tra mente e corpo.

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 173

T2 Dal dubbio alla certezza

n

di esistere

IL CLASSICO

n

T1 Ricominciare dalle fondamenta

dell’esistenza di Dio

T5 Esistenza delle cose corporee

173

06/02/12 16:23

U

Ricominciare dalle fondamenta

S Stile, Retorica

Con il brano che segue si apre la prima delle Meditazioni metafisiche. In questa opera Cartesio svolge in modo ampio e approfondito un percorso che aveva già delineato nella Parte quarta del Discorso sul metodo. Fine di Cartesio è la rifondazione dell’intero edificio della conoscenza. Tale fine viene ora perseguito in modo radicale: per rifondare la conoscenza è necessaria una «distruzione generale» delle opinioni finora sostenute, sottoponendole al dubbio. Cartesio non intende, però, esaminare tali opinioni singolarmente, bensì procedere in modo metodico e dimostrare che c’è almeno una ragione per mettere in dubbio le fondamenta su cui ciascuna di tali opinioni poggia.

Di che cosa si ha ragione di dubitare

da Cartesio, Prima meditazione, in Meditazioni metafisiche, trad. e introd. di S. Landucci, Laterza, Roma 1997, pp. 27, 29, 31. 5

IL CLASSICO

n

FOC

T1

n

10

15

20

25

30

174

132_171_cartesio.indd 174

È da tempo che mi sono reso conto di quanto di falso avevo preso per vero fin dall’infanzia e di come sia dubbio tutto quel che in seguito vi ho costruito sopra; ed è da allora che ho capito che, se aspiravo a stabilire nelle scienze qualcosa di solido, destinato a durare, avrei quindi avuto da buttare all’aria tutto quanto, per una volta nella vita, e ricominciare dalle fondamenta. Ma una simile impresa mi pareva non poco impegnativa, e la rimandai all’età matura, ritenendola la più adatta per raggiungere conoscenze sicure, anche rispetto al tempo che ancora mi fosse stato dato di vivere dopo. Però ora ho già indugiato tanto, per questo motivo, che sarei in colpa se, continuando a rimandare la decisione, facessi passare il tempo che ancora mi resta per dare esecuzione al progetto. Quindi, ora che ho sgombrato l’animo da ogni preoccupazione, mi sono procurato tranquillità e agio, e mi ritrovo in solitudine, mi dedicherò finalmente, con serietà e in libertà, ad una distruzione generale delle mie opinioni. Per ciò non sarà però necessario che di tutte io mostri che sono false (del resto, forse neppure ci riuscirei); perché, dal momento che la ragione ci persuade che a quanto non sia del tutto certo e indubitabile si deve rifiutare l’assenso non meno che a quanto è manifestamente falso, per respingere tutte quelle vecchie opinioni sarà sufficiente che per ognuna di esse io trovi una ragione di metterla in dubbio. E neppure sarà necessario, per ciò, che io le passi in rassegna una per una (il che sarebbe senza fine): considerando che, una volta scalzate le fondamenta, crolla da sé tutto quanto vi sia stato costruito sopra, attaccherò subito i princìpi stessi su cui poggiava tutto quel che ho creduto in passato. Ordunque, finora ho ammesso come vero, anzi come vero per eccellenza, tutto quel che ho ricevuto o dai sensi o per mezzo dei sensi. Mi sono però anche reso conto che talora essi ingannano; e prudenza vuole che non ci si fidi mai del tutto di chi ci abbia ingannati anche una sola volta. Ma – si dirà – è senz’altro vero che talora i sensi ingannano, per esempio su quel che sia troppo piccolo o troppo distante; ma non perciò si può

Il Seicento

06/02/12 16:23

45

50

55

60

n

1. Secondo la medicina dell’epoca cartesiana un eccesso di bile (nera) è all’origine della follia.

n

40

dubitare di molto altro di cui pure si è informati dai sensi, come, per esempio, che ora io sto qui, seduto accanto al fuoco, con addosso una vestaglia da inverno, maneggio questo foglio di carta su cui vado scrivendo, e così via. E per nessuna ragione si potrebbe mai negare che esistano davvero le mie mani, e tutt’intero questo corpo che è mio, a meno che io non mi consideri simile a certi pazzi che hanno il cervello così sconvolto dai pesanti vapori della bile1 da sostenere fermamente di essere dei re, mentre sono dei poveracci, o di avere indosso vesti di porpora, mentre sono nudi, o di avere una testa d’argilla, o di essere delle zucchine, o fatti di vetro; ma costoro sono fuori di senno, e non mi sembrerebbe di esserlo di meno se mai li prendessi a esempio per concepire me stesso. Proprio ben detto! Come se non fossi un uomo, invece, e, quando di notte dormo, nei sogni non mi venissero le stesse fantasie che a quei dementi quando sono desti, e talora anche di più inverosimili! In effetti, quanto mai spesso nel riposo notturno mi persuado di quel che mi è abituale, e cioè appunto che sono qui, in vestaglia, seduto accanto al fuoco, mentre invece sono svestito e disteso sotto le coperte. Però – si insisterà – è di certo con occhi ben svegli che ora guardo questo foglio di carta, non è addormentata questa testa che muovo, è facendoci attenzione che allungo la mano e so di allungarla; ma niente di altrettanto distinto potrebbe accadere a chi dorma. Ma davvero? Come se non ricordassi di essere stato a volte ingannato, nei sogni, anche da pensieri simili! Così, riflettendoci con più attenzione, tanto chiaramente mi rendo conto che non è mai dato di distinguere la veglia dal sogno con criteri certi, da rimanerne attonito; e proprio questo stupore mi porta quasi a credere di star sognando anche ora.

IL CLASSICO

35

IMPARA A IMPARARE: COSTRUISCI TU L’ANALISI DEL TESTO Guida alla lettura Integra e approfondisci la lettura guidata, svolgendo le attività proposte. Il brano può essere suddiviso in quattro parti. Nella prima (righe 1-17) Cartesio presenta il progetto che vuol realizzare in tutta la sua radicalità. Dell’esigenza di porvi mano Cartesio è consapevole, ma ne ha a lungo rimandato l’esecuzione. Ora, però, è tempo di dedicarvisi, anche perché le condizioni di agio in cui Cartesio vive lo consentono. 1. Qual è l’impresa cui Cartesio si accinge? ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

Cartesio delinea poi (righe 18-27) il metodo che intende adottare: procederà in modo metodico. Non dimostrerà che le opinioni sostenute in passato sono false: tale dimostrazione è difficile (e forse impossibile), perché dimo-

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 175

175

06/02/12 16:23

strare la falsità di qualcosa non è meno semplice che dimostrare la verità. Inoltre, mostrare la falsità delle opinioni è inutile, perché per rifiutare un’opinione basta che essa non sia indubitabile. 2. Perché Cartesio sceglie di non esaminare una per una le proprie opinioni passate? ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

Cartesio comincia quindi (righe 28-45) con il mettere in dubbio le verità basate sui sensi, per due considerazioni. La prima è che i sensi possono ingannare; e poiché a volte ci ingannano, è prudente non fidarsene mai del tutto. Ma l’affermazione che talvolta i sensi ingannano può essere contestata. 3. Qual è la possibile obiezione a chi sostenga che talora i sensi sono fonte di inganno? ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

Infine (righe 46-60) Cartesio espone un’altra ragione per mettere in dubbio le verità fondate sui sensi: tutto ciò che ci circonda potrebbe essere un sogno. Nei sogni crediamo cose non corrispondenti alla realtà, ma pensiamo che siano vere. I sogni possono ingannarci: in essi le cose possono apparirci chiare quanto ci appaiono quando siamo svegli.

n

IL CLASSICO

n

4. Qual è la conclusione cui Cartesio giunge dopo aver esaminato i sogni? ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

Stile Le possibili obiezioni a Cartesio e le sue risposte vengono presentate in una forma particolare. Descrivila in un max di 2 righe, individuando nel testo gli elementi da cui emerge. ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

Retorica Nel presentare la propria impresa Cartesio usa una metafora. Individuala nel testo e spiegane il significato in un max di 3 righe, rileggendo con attenzione i passi in cui compare. ........................................................................................................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

176

132_171_cartesio.indd 176

Il Seicento

06/02/12 16:23

T2

da Cartesio, Seconda meditazione, in Meditazioni metafisiche, cit., pp. 39, 41.

Dopo la meditazione di ieri sono in preda a tanti dubbi, di cui non posso più scordarmi, e non ho idea se ci sia mai modo di risolverli. Ne sono sconcertato, come se, caduto all’improvviso in un gorgo profondo, non mi riuscisse né di poggiare il piede sul fondo né di risalire alla superficie. Però, continuando a battere la strada imboccata ieri1, farò tutto il possibile per mettere da parte quanto si presti anche al minimo dubbio, non diversamente che se avessi accertato che è completamente falso; andrò avanti così finché non conoscerò qualcosa di certo [...] o, se non altro, finché non saprò almeno per certo che di certo non c’è niente. Suppongo dunque che tutto quel che vedo ora sia falso, e anche la memoria mi inganni, ossia che non sia mai esistito niente di quel che essa mi rappresenta; e cioè suppongo di non avere affatto i sensi, e che siano chimere il corpo, la figura, l’estensione, il movimento ed il luogo2. Allora, che cosa sarà vero? Forse [...] soltanto che non c’è niente di certo. Ma [...] come faccio a sapere se non ci sia pur qualcosa, diverso da quanto ho appena menzionato3, di cui non si abbia il [...] minimo motivo di dubitare? Esisterà forse un Dio [...] che mi infonda i pensieri di tali cose? Non vedo [...] perché mai dovrei crederlo, dal momento che potrebbe pur darsi che a produrli sia io stesso. Ma, allora, non sarò qualcosa almeno io? È a questo punto che rimango incerto, perché è vero che ho supposto di non avere [...] sensi né corpo, e tuttavia [...] sono forse io così legato al corpo e ai sensi da non poter esistere senza di essi? Mi sono [...] persuaso che non esiste [...] nulla al mondo [...]; ma per ciò anche che non esisto neppure io? No di certo! Esistevo di certo, se mi sono persuaso di qualcosa! Ma se ci fosse un non so quale ingannatore, quanto mai potente ed astuto, che si dia da fare ad ingannarmi sempre? Ebbene, nel caso che lui mi inganni, allora non c’è dubbio che esisto anch’io; e, mi inganni pure quanto ne è capace, non potrà però mai far sì che io non sia niente, fintantoché penserò di essere qualcosa. Così, [...] alla fine si ha da stabilire che l’asserto io esisto è impossibile che non sia vero, ogniqualvolta io lo pronunci o concepisca mentalmente. Però, se ora so che è impossibile che io non esista4, [...] non perciò an-

5

Retorica Cartesio usa una similitudine per descrivere la propria esperienza.

10

15

20

25

1. Nella Prima meditazione. 2. Cartesio si riferisce alle verità basate sui sensi e alle qualità sottoposte al dubbio nella Prima meditazione. 3. Sensi, corpo, figura, estensione, movimento e luogo. 4. Cartesio sottintende che ciò è impossibile soltanto se penso.

30

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 177

IL CLASSICO

Nel brano seguente, con cui si apre la Seconda meditazione, Cartesio descrive la situazione in cui si trova dopo l’esperienza del dubbio radicale, esteso a tutto il sapere soltanto ricevuto. Essa lo ha privato di ogni punto d’appoggio, ossia di tutte le conoscenze che Cartesio riteneva certe. Ma è proprio partendo da questa condizione di dubbio che Cartesio raggiunge una prima conoscenza certa: quello del dubitare è un modo del pensare (cogitare) e, secondo Cartesio, è impossibile che ciò che pensa non esista. È dunque dall’interno del dubbio che egli acquisisce la conoscenza certa della propria esistenza. La conoscenza concernente l’esistenza dell’io è la prima certezza che ha un valore ontologico ed è il primo passo per recuperare la certezza dell’esistenza di cose esterne all’io.

FOC

Argomentazione, Retorica

n

S

n

U

Dal dubbio alla certezza di esistere

177

06/02/12 16:23

35

5. La conoscenza relativa alla mia esistenza: io esisto, poiché penso. 6. Gli argomenti presentati nella Prima meditazione.

40

cora so che cosa mai io sia. Ma, a questo riguardo, dovrò stare attento a non scambiare per me [...] qualcosa che sia invece diverso da me, perché così facendo andrei fuori strada anche quanto a quella conoscenza che pur sostengo essere la più certa ed evidente di tutte5; per cui adesso ripenserò attentamente a quel che credevo di essere in passato, prima cioè che intraprendessi le riflessioni in cui ora sono impegnato, e poi ne toglierò via quanto possa venire infirmato [...] dagli argomenti già addotti6, in modo che non rimanga se non [...] quanto sia certo [...].

n

IL CLASSICO

n

ANALISI DEL TESTO Guida alla lettura In questo brano Cartesio espone la prima certezza raggiunta attraverso il dubbio: la certezza di esistere. Descrive anzitutto la condizione di smarrimento in cui si trova dopo la Prima meditazione, in cui ha sottoposto a dubbio tutto ciò che finora aveva ritenuto certo. Ma, nonostante l’instabilità causata dalla perdita di tutte le conoscenze considerate certe, Cartesio persiste nella decisione di rifiutare tutto ciò che sia dubitabile, finché non sia giunto a una conoscenza certa – sia pure la certezza che nulla è certo. Cartesio espone poi il modo in cui giunge alla certezza di esistere. La sua argomentazione può essere suddivisa in alcuni passi: 1. Cartesio formula l’ipotesi che sensi e memoria lo ingannino e mette così in dubbio tutto ciò che finora riteneva certo. 2. Esclude l’ipotesi che esista almeno un essere sovrumano che gli infonde quei pensieri che ha messo in dubbio; la esclude perché essi potrebbero essere il mero frutto di un suo sogno. 3. Cartesio formula una domanda che può capovolgere il dubbio: se esiste un essere potente e astuto che impiega le proprie energie per ingannarmi sempre, come posso io non essere nulla? Da qui viene tratta la conclusione che costituisce la prima certezza: se quell’essere mi inganna, io sono qualcosa; quindi, io esisto. Cartesio ha raggiunto, così, la prima conoscenza certa di un’esistenza, ossia dell’esistenza dell’io. Sono certo di esistere perché sono certo di pensare (e per Cartesio è impossibile che ciò che pensa non esista): se penso, allora esisto. Qui Cartesio non usa la formula «penso dunque sono» (cogito ergo sum), che si trova nei Principi della filosofia e nel Discorso sul metodo; ma ne usa due equivalenti a essa: «Esistevo di certo, se mi sono persuaso di qualcosa!» e «nel caso che lui mi inganni, allora non c’è dubbio che esisto anch’io». La prima equivale a «mi persuado di qualcosa, dunque esisto», e «persuadersi» è un modo del cogitare. La seconda equivale ad «ammettendo che io sia ingannato, chi mi inganna, per ingannarmi, deve far sì

178

132_171_cartesio.indd 178

che io creda qualcosa di diverso dalla verità», quindi equivale a «credo qualcosa, dunque esisto»; e anche «credere» è un modo del cogitare. Tuttavia, la certezza dell’esistenza dell’io non è conoscenza certa di che cosa è questo io. Che cosa sono io che so di esistere? Per trovare la risposta a tale domanda, osserva Cartesio, occorre procedere con cautela: devo fare attenzione, afferma, a non scambiare per me cose che sono diverse da me, a non identificarmi con qualcosa di diverso dall’io di cui sono giunto a conoscere l’esistenza. Devo dunque riflettere su ciò che credevo di essere prima dell’esperienza del dubbio ed eliminare da tali credenze quanto può essere messo in dubbio. Argomentazione Il percorso che Cartesio illustra, e lo ha portato dal dubbio estremo alla certezza di esistere, può essere presentato come un’argomentazione suddivisa in tre passi. 1. Nel primo (righe 10-13) Cartesio formula un dubbio radicale, supponendo che non ci sia niente di certo e che i sensi e la memoria lo ingannino. 2. Nel secondo (righe 14-19) esclude l’ipotesi che esista un essere sovrumano che produce i pensieri dei quali egli stesso ha messo in dubbio la certezza. 3. Nel terzo (righe 19-30) viene formulata una domanda che può capovolgere il dubbio: se esiste un essere potente e astuto che mi inganna sempre, come posso io non essere nulla? Da qui Cartesio trae la conclusione (righe 30-32): se quell’essere potente e astuto mi inganna, io sono qualcosa; quindi, io esisto. Retorica Cartesio spiega l’esperienza del dubbio con una similitudine, in cui accosta la propria condizione di instabilità a quella di chi, caduto in un gorgo profondo, non riesce a trovare alcun punto d’appoggio né a tornare in superficie. Cartesio usa poi un’altra figura retorica, una litote («alla fine si ha da stabilire che l’asserto io esisto è impossibile che non sia vero») che consiste nella negazione del contrario per affermare un concetto in forma attenuata.

Il Seicento

06/02/12 16:23

T3

da Cartesio, Quarta meditazione, in Meditazioni metafisiche, cit., pp. 87, 89, 91.

Per cominciare, dunque, riconosco che non può accadere che Dio mi inganni mai; ché in ogni frode o inganno si trova un qualche genere di imperfezione. È vero infatti che essere in grado di ingannare sembra un indizio di acutezza o di potenza; ma volere ingannare attesta indubbiamente o malizia o debolezza, e quindi non si dà in Dio. In secondo luogo, constato che in me c’è una facoltà di giudicare che di certo ho ricevuto da Dio, al pari di tutto il resto che è in me. E allora, appunto poiché egli non mi vuole ingannare, di certo non mi ha dato una facoltà di giudicare tale che possa darsi che io erri finché ne faccio un uso corretto. Su ciò non rimarrebbe alcun dubbio, se non sembrasse però seguirne che allora non può darsi neanche che io erri mai, dal momento che, se ho da Dio tutto quel che è in me ed egli non mi ha data alcuna facoltà per errare, mi pare che non potrebbe mai darsi che io erri. In effetti, è vero che, fintantoché continuo a pensare a Dio soltanto, rivolgendomi interamente a lui, non trovo alcuna causa dell’errore o del falso. È invece quando mi rivolgo a me stesso che constato di essere tuttavia soggetto a innumerevoli errori; e, se mi metto allora a ricercarne la causa, mi rendo conto che io non ho soltanto l’idea, reale e positiva, di Dio, ossia d’un ente sommamente perfetto, ma anche una idea negativa (per così dire) del nulla, ossia di ciò che è massimamente lontano da qualsiasi perfezione, e che io mi trovo collocato come a metà fra Dio e il nulla, ossia fra l’ente sommo e il non-ente; di modo che, in quanto sono creato dall’ente sommo, in me non c’è niente per cui io sia ingannato o indotto in errore, ma, in quanto partecipo in qualche modo del nulla, ossia del non-ente, e cioè in quanto non sono io stesso l’ente sommo, e quindi mi manca moltissimo, non è affatto sorprendente che io mi inganni. E così comprendo che l’errore, in quanto è errore, non è alcunché di reale, che dipenda da Dio, bensì soltanto un difetto, e che, quindi, per errare non ho bisogno di una facoltà attribuitami da Dio a questo scopo, ma accade che io erri solo perché non è infinita la facoltà, che ho da Dio, di giudicare correttamente. Tuttavia neppure ciò mi soddisfa ancora del tutto, perché, per un verso, l’errore non è una mera «negazione1», bensì una «privazione»2, ossia la mancanza di conoscenze che in qualche modo dovrebbero trovarsi in me; ma, per un altro verso, e cioè se considero la natura di Dio, non mi sembra che possa darsi che egli abbia posto in me una qual-

5

Argomentazione Cartesio enuncia la tesi che intende sostenere.

Argomentazione Prima considerazione a sostegno della tesi enunciata.

10

Argomentazione Seconda considerazione a sostegno della tesi enunciata.

15

Argomentazione Conclusione tratta dalle due considerazioni precedenti.

Argomentazione

20

Inizia la seconda parte dell’argomentazione di Cartesio.

Retorica Cartesio si serve di un’antitesi nell’esporre la propria tesi.

25

Argomentazione Cartesio spiega perché la conclusione precedente non è corretta.

30

1. Termine di derivazione scolastica che indica la mancanza, in una cosa, di ciò che non appartiene alla sua natura. 2. Termine della Scolastica che indica la mancanza, in un ente, di qualcosa che appartiene alla natura della classe di cui è membro.

35

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 179

IL CLASSICO

Nella Quarta meditazione (Il vero e il falso), dalla quale è tratto il brano seguente, Cartesio affronta il problema della verità e dell’errore e spiega qual è l’origine degli errori umani. Essa non deve essere ricercata in Dio: l’ipotesi che l’ente sommo sia la causa degli inganni nei quali l’uomo cade è del tutto incompatibile con l’onnipotenza e la somma bontà di Dio. Viene stabilita così la veridicità divina, che Cartesio considera il fondamento assoluto del sapere.

FOC

Argomentazione, Retorica

n

S

n

U

La veracità di Dio

179

06/02/12 16:23

40

Retorica Cartesio pone una domanda retorica.

45

che facoltà che non sia perfetta nel suo genere, ossia sia priva di qualche perfezione ad essa dovuta. Se è vero infatti che quanto più perfetto è un artefice tanto più perfette sono le sue opere, come è mai possibile che qualcosa fatto da quel sommo creatore di tutto non sia compiuto sotto ogni riguardo? D’altra parte, non c’è dubbio che Dio avrebbe potuto crearmi tale che io non mi ingannassi mai; ma non c’è neppur dubbio che egli voglia sempre quel che è ottimo, ed è allora forse meglio che io mi inganni anziché non mi inganni? Vediamo.

n

IL CLASSICO

n

ANALISI DEL TESTO Guida alla lettura In questo brano Cartesio sostiene la tesi della veracità o veridicità di Dio: Dio non può ingannarci, non può essere la fonte dei nostri errori. L’argomentazione presentata a sostegno di tale tesi può essere suddivisa in due parti. Nella prima parte Cartesio fa due considerazioni. Anzitutto, un essere sommamente buono e potente come Dio non può ricorrere a un mezzo come l’inganno. Infatti, la volontà di ingannare presuppone in chi l’ha malvagità o debolezza, incapacità di raggiungere i propri fini in altro modo. Ma, ovviamente, Dio non è malvagio né debole. L’ipotesi che Dio ci inganni contraddice la sua onnipotenza e la sua somma bontà. In secondo luogo, l’uomo ha la capacità di giudicare, cioè di distinguere il vero dal falso, che gli è stata data da Dio. Quindi, conclude Cartesio, Dio non può aver dato all’uomo una facoltà tale da indurlo in errore; se l’uomo usa correttamente la facoltà di giudicare, non può errare. Escluso Dio come causa degli errori umani, occorre cercarla altrove. Ciò è necessario perché è un fatto che gli uomini non sono infallibili. I loro errori devono avere una causa: se non è Dio, la si dovrà ricercare nell’uomo stesso. Rivolgendo l’attenzione a sé Cartesio osserva che in se stesso non trova solo l’idea di Dio, ossia dell’ente sommamente perfetto che lo ha creato: trova anche l’idea del nulla (del non-ente). Rispetto all’idea di Dio, che ha tutte le perfezioni, quella del nulla è «negativa» perché il nulla è privo di ogni perfezione. Cartesio si rende conto, così, di trovarsi in una posizione intermedia tra l’ente sommamente perfetto e l’ente sommamente imperfetto: poiché è creato dal primo, non c’è niente in lui che lo induca in errore; ma poiché non è egli stesso l’ente perfetto (poiché cioè partecipa del nulla), è soggetto all’inganno e agli errori. Di qui la conclusione che gli errori non sono qualcosa di reale, derivante da Dio: essi sono difetti, derivano cioè da un uso non corretto della facoltà di giudicare che l’uomo ha ricevuto da Dio. Tale conclusione è però provvisoria e viene subito smentita. Cartesio non la ritiene soddisfacente e spiega perché non lo è: la fonte dell’errore non può consistere nel fatto che l’uomo partecipa del nulla, del non-ente, perché gli errori non sono una negazione (non sono cioè la mancanza,

180

132_171_cartesio.indd 180

nell’uomo, di ciò che non fa parte della sua natura). Essi sono una privazione, mancanza di conoscenze che l’uomo dovrebbe avere (essendo dotato della facoltà di giudicare correttamente). Il problema è capire da dove deriva tale mancanza. Cartesio esclude che essa sia riconducibile a Dio: Dio è l’ente sommamente perfetto e, dunque, ciò che fa è altrettanto perfetto. E poiché Dio ha creato l’uomo e tutte le sue facoltà, la facoltà umana di giudicare non può essere intrinsecamente imperfetta. Se lo fosse, si dovrebbe concludere che Dio ha dato all’uomo una facoltà imperfetta; ma poiché è onnipotente, avrebbe potuto dargli una facoltà perfetta di giudicare – ossia creare l’uomo in modo tale che egli fosse infallibile. La causa degli errori umani va quindi cercata altrove. Argomentazione L’argomentazione con cui Cartesio sostiene la tesi secondo cui non è Dio la causa dei nostri errori nel giudicare il vero e il falso può essere suddivisa in due parti. 1. Nella prima Cartesio fa due considerazioni: 1) l’ipotesi che Dio ci inganni contraddice l’onnipotenza e la somma bontà divine; 2) Dio ha dato all’uomo la facoltà di giudicare, cioè di distinguere il vero dal falso. Ne consegue che Dio non può averci dato una facoltà tale da indurci in errore. 2. Nella seconda parte dell’argomentazione, esclusa l’ipotesi che Dio sia la fonte degli errori umani, Cartesio rivolge l’attenzione a se stesso. Dalla constatazione di avere due idee (quella dell’ente sommo, Dio, e quella del non-ente, o nulla) trae la conclusione che gli errori derivano da un difetto della facoltà di giudicare. Nell’ultima parte dell’argomentazione Cartesio respinge la conclusione precedente e spiega perché è sbagliata. Retorica Nell’esporre la tesi della veridicità di Dio Cartesio si serve di un’antitesi, figura retorica che consiste nell’accostare due termini o espressioni che hanno sensi opposti. L’antitesi è tra l’idea di Dio, l’ente sommo, e il non-ente (o nulla). Nella parte conclusiva del brano, poi, viene formulata da Cartesio una domanda retorica: non si tratta di una domanda autentica, ma di una domanda che presuppone la risposta a essa (in questo caso, una risposta negativa).

Il Seicento

06/02/12 16:23

T4

da Cartesio, Quinta meditazione, in Meditazioni metafisiche, cit., pp. 109, 111.

Orbene, se dal solo fatto che posso trarre dal mio pensiero l’idea di una cosa segue che a questa cosa appartiene veramente tutto ciò che io percepisco chiaramente e distintamente1 appartenerle, da ciò non si potrà derivare anche un argomento per provare l’esistenza di Dio? È certo, infatti, che l’idea di Dio, ossia di un ente sommamente perfetto, la trovo in me non meno dell’idea di qualsiasi figura o numero; e io non intendo meno chiaramente e distintamente che alla natura di Dio appartiene di esistere in ogni tempo di quanto intendo che alla natura di una figura o di un numero appartiene quel che io dimostri di essi; e pertanto – anche nel caso che non tutto fosse vero, quanto sostenuto nelle Meditazioni precedenti – dovrei esser certo dell’esistenza di Dio almeno altrettanto quanto finora lo sono sempre stato delle verità matematiche. A prima vista, è vero, ciò non appare del tutto evidente, e sembra anzi un po’ sofistico2; ma è soltanto perché, essendo io abituato a distinguere, in tutte le altre cose, l’esistenza3 dall’essenza4, mi persuado facilmente che anche dall’essenza di Dio possa venir disgiunta l’esistenza, e quindi che anche Dio possa essere pensato come non esistente. Invece, a rifletterci meglio, risulta palese che dall’essenza di Dio l’esistenza non può venir separata più che dall’essenza del triangolo l’uguaglianza della somma dei tre angoli a 180 gradi, o dall’idea di monte l’idea di valle; per cui non è meno contraddittorio pensare Dio, ossia l’ente sommamente perfetto, privo dell’esistenza – vale a dire di una perfezione5 – che pensare un monte senza valle. Si obbietterà che – per quanto sia vero che io non posso pensare Dio se non come esistente, allo stesso modo che non posso pensare un monte senza valle – tuttavia, come dal fatto che io pensi un monte con la valle non perciò segue che ci sia nel mondo qualche monte e qualche valle, così neppure dal fatto che io pensi Dio come esistente appare seguire che Dio esista; ché il mio pensiero non impone alcuna necessità alle cose, per cui, come si può ben immaginare un cavallo alato anche se nessun cavallo ha ali, così io potrei attribuire a Dio l’esistenza anche se egli non esistesse affatto.

5

Retorica Cartesio pone una domanda retorica.

Argomentazione Prima parte della prova ontologica.

10

Argomentazione Inizia la seconda parte della prova ontologica.

15

20

Argomentazione Terza parte della prova ontologica.

1. Chiaro è ciò che si presenta nitido alla mente attenta e distinto è ogni contenuto che sia perfettamente distinguibile dagli altri. 2. Cavilloso. 3. Il fatto che una cosa è. 4. Ciò che determina che cosa è una certa cosa. 5. Realtà.

25

30

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 181

IL CLASSICO

In questo brano Cartesio espone una prova dell’esistenza di Dio che è una sorta di parentesi nell’opera, essendo collocata nel corso della trattazione delle verità matematiche e delle essenze delle cose fisiche. Grazie a questa prova Cartesio stabilisce un collegamento tra la dimensione delle essenze e quella dell’esistenza, ossia tra sfera di ciò che può essere conosciuto e sfera di ciò che esiste. Tale collegamento è alla base della possibilità di avere una conoscenza chiara del mondo. La prova cartesiana è «ontologica» perché, in essa, l’esistenza necessaria di Dio viene derivata dall’idea dell’essenza di Dio che è presente alla nostra mente; e l’esistenza è una perfezione che l’ente perfetto non può non avere.

FOC

Argomentazione, Stile, Retorica

n

S

n

U

La prova ontologica dell’esistenza di Dio

181

06/02/12 16:23

35

Retorica Cartesio pone un’altra domanda retorica.

40

Argomentazione Quarta parte della prova ontologica.

45

Ebbene, come non vedere che è invece proprio in un’obiezione come questa che si annida un sofisma? Perché è vero che, dal fatto che non mi è possibile pensare un monte se non con la valle, non segue che esistano in alcun luogo qualche monte e qualche valle, bensì soltanto che monte e valle – sia che esistano sia che non esistano – non possono venir separati l’uno dall’altra; e tuttavia, dal fatto che non mi è possibile pensare Dio se non come esistente, segue proprio che da lui l’esistenza è inseparabile, e quindi che egli esiste effettivamente. E non è affatto il mio pensiero a far sì che sia così, o ad imporre alcuna necessità ad alcuna cosa; esattamente al contrario, in questo caso è la necessità della cosa stessa, e cioè dell’esistenza di Dio, a costringermi a pensare che Dio esiste effettivamente; tant’è vero che non sono libero di pensare Dio senza l’esistenza – vale a dire un ente sommamente perfetto senza la perfezione somma – come invece sono libero di immaginare un cavallo senza ali oppure con le ali.

n

IL CLASSICO

n

ANALISI DEL TESTO Guida alla lettura In questo brano Cartesio espone una prova dell’esistenza di Dio, che consiste in un passaggio dall’essenza all’esistenza: l’esistenza di Dio viene derivata dall’idea dell’essenza di Dio che è presente in noi. La prova è composta da quattro parti. Argomentazione 1. Nella prima parte Cartesio osserva che ciò che può fare riguardo alle idee matematiche e geometriche può farlo anche riguardo all’idea di Dio. Per esempio, dall’idea di una figura geometrica – afferma – posso trarre tutte le proprietà che appartengono a tale figura. Io vedo in modo chiaro (nitido) e distinto (da ogni altro contenuto) le sue proprietà. Ora, in modo altrettanto chiaro e distinto vedo che l’esistenza necessaria (l’esistenza in ogni tempo) appartiene a Dio. Dunque, se dall’idea di una figura geometrica posso trarre tutte le sue proprietà, posso fare altrettanto con l’idea di Dio. 2. Nella seconda parte della prova Cartesio difende la conclusione precedente. Essa può sembrare discutibile, ma ciò dipende da un errore: l’errore di fare nel caso di Dio ciò che si fa con tutte le altre cose, ossia separare l’esistenza dall’essenza. L’esistenza è una perfezione; e poiché Dio è l’essere perfetto, non può non avere anche questa perfezione. In altre parole, se Dio fosse privo dell’esistenza non sarebbe l’ente perfetto che è; pensare che l’ente perfetto sia privo di una perfezione è contraddittorio. Cartesio lo mostra con un esempio: pensare Dio privo dell’esistenza è contraddittorio quanto pensare un monte senza valle. 3. Cartesio esamina poi una possibile obiezione a ciò che ha appena affermato. Secondo l’obiezione, l’esempio usato da Cartesio non basta per dimostrare che Dio esiste: dal

182

132_171_cartesio.indd 182

fatto che non possiamo pensare un monte senza valle non consegue che un monte e una valle esistano, perché il nostro pensiero non può determinare le cose; pensare una cosa non basta per renderla esistente (per esempio, possiamo pensare a un cavallo alato, ma ciò non prova che esso esiste). Allo stesso modo, dal fatto che non possiamo pensare Dio privo dell’esistenza non consegue che Dio esiste. 4. Cartesio conclude mettendo in luce l’errore contenuto in questa obiezione. È vero che dal fatto che non possiamo pensare un monte senza valle non consegue che monte e valle esistono; ne consegue soltanto che non è possibile separarli nel pensiero: l’idea del monte non è separabile da quella di valle, indipendentemente dal fatto che monte e valle esistano oppure no. Ma nel caso dell’idea di Dio la separazione tra essenza ed esistenza non è possibile: non possiamo separare l’essenza di Dio dalla sua esistenza, perché l’esistenza è una perfezione di Dio. È perché Dio la possiede che non possiamo pensare che non esista: l’esistenza di Dio non è qualcosa che il nostro pensiero impone, bensì qualcosa che si impone a esso. Stile Cartesio scrive periodi complessi (righe 26-36), nei quali la proposizione principale è unita a varie subordinate. L’esposizione è però chiara, anche grazie all’uso di esempi, e ha una struttura simile a quella del dialogo: un’affermazione è seguita da un’obiezione, a sua volta seguita da una risposta. Retorica Per dare efficacia alla propria prova dell’esistenza di Dio Cartesio ricorre a due domande retoriche, che non sono poste per avere un’informazione, ma contengono in sé la risposta.

Il Seicento

06/02/12 16:23

T5

da Cartesio, Sesta meditazione, in Meditazioni metafisiche, cit., pp. 129, 131.

Anzitutto, dal momento che so che tutto quel che intendo chiaramente e distintamente1 può essere fatto da Dio così come io lo intendo, basta che possa intendere chiaramente e distintamente una cosa senza un’altra per esser certo che l’una è diversa dall’altra2 [...]. Pertanto, dal fatto stesso che so di esistere e nel contempo mi rendo conto che alla mia natura, o essenza, non appartiene assolutamente nient’altro se non che io sono una cosa che pensa, concludo correttamente che la mia essenza consiste soltanto nell’essere io una cosa che pensa. E, benché forse (o meglio di sicuro, come dirò fra un momento) io abbia un corpo a me congiunto molto strettamente3, tuttavia, poiché da una parte ho un’idea4 chiara e distinta di me stesso in quanto soltanto una cosa che pensa e non estesa, e, dall’altra parte, un’idea distinta del corpo in quanto soltanto una cosa estesa e non pensante, è certo che io sono distinto realmente dal mio corpo5, e che posso esistere senza di esso. Inoltre, in me trovo anche delle facoltà di pensare in modi affatto peculiari, come sono la facoltà di immaginare e quella di sentire; e senza di queste posso intendere con l’intelletto me stesso tutto intero, mentre viceversa non posso intendere quelle due facoltà senza di me, cioè senza una sostanza intellettuale a cui ineriscano, ché nel loro concetto formale6 includono pur in qualche modo l’intellezione7; e da ciò comprendo che esse si distinguono da me come i modi da una cosa8. [...] Ora, è vero che in me c’è una facoltà passiva di sentire, ossia di ricevere e conoscere idee di cose sensibili9, ma non potrei farne alcun uso se non si desse [...] anche una facoltà attiva di produrre, ossia causare, tali idee. Però questa facoltà attiva non può di certo trovarsi in me stes-

5

10

15

20

25

1. In modo nitido e tale che ciò che si presenta alla mia mente è distinguibile da ogni altro contenuto. 2. Tra esse c’è una distinzione reale: ognuna può esistere indipendentemente dall’altra. 3. Secondo Cartesio l’unione tra mente e corpo non è estrinseca. 4. Per Cartesio è ogni contenuto della mente umana capace di rappresentare una cosa.

5. Tra me (la mia mente) e il mio corpo c’è una distinzione reale: possono esistere indipendentemente l’uno dall’altro. 6. Nella loro essenza. 7. Il pensiero, ossia il cogitare. Qui Cartesio sembra sostenere che cogitare significa in ultima analisi intendere con l’intelletto, mentre altrove sostiene che significa anche immaginare e sentire.

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 183

IL CLASSICO

Cartesio affronta qui l’ultima questione delle Meditazioni, dopo avere ritrovato il fondamento delle verità matematiche e dell’essenza delle cose materiali. Per superare il dubbio che ha segnato il percorso di Cartesio occorre una dimostrazione dell’esistenza di cose esterne alla mente. Essa poggia sulla premessa generale della veridicità di Dio. Prima di questa dimostrazione Cartesio presenta quella della distinzione reale tra mente (res cogitans) e corpo (res extensa). Egli sostiene così la tesi del dualismo: esistono due sostanze tra loro distinte, benché strettamente congiunte.

FOC

Argomentazione, Stile

n

S

n

U

Esistenza delle cose corporee

8. Da una sostanza, ovvero (secondo il linguaggio della Scolastica) da ciò che fa da sostrato stabile alle proprietà mutevoli di un ente. I modi (o accidenti) di una sostanza non possono darsi senza di essa, ma non viceversa: una sostanza non può darsi senza alcun modo, ma nessun modo determinato è essenziale per il darsi di essa. 9. Corpi esterni.

183

06/02/12 16:23

30

35

n

IL CLASSICO

n

40

so, perché non presuppone affatto l’intellezione, e perché tali idee si producono in me senza che io vi collabori, ed anzi spesso anche contro la mia volontà; per cui non resta se non che essa si trovi in qualche altra sostanza diversa da me. D’altra parte – come ho avvertito di sopra10 – in tale sostanza deve esserci [...] tutta la realtà che è «oggettivamente11» nelle idee prodotte da tale facoltà attiva; e quindi i casi sono due: o tale sostanza è corpo, natura corporea, oppure è Dio o qualche creatura comunque più nobile del corpo12 [...]. Ma, dal momento che Dio non è ingannatore, è del tutto manifesto che non è lui direttamente a far sì che io abbia tali idee e che neppure lo fa tramite qualche altra creatura nella quale la loro realtà «oggettiva» sia contenuta [...]; perché non vedo come si potrebbe mai riconoscere che Dio non è ingannatore, se tali idee non derivassero da cose corporee, in quanto egli non mi ha dato alcun modo di rendermi conto di ciò ed anzi mi ha dato una grande propensione a credere che esse derivino da cose corporee. Quindi, cose corporee esistono.

10. Nella Terza meditazione. 11. Realtà oggettiva è la realtà rappresentata, in quanto rappresentata; è la realtà che

non ci sarebbe se non ci fosse qualcuno a pensarla.

12. Per esempio, l’ipotetico genio malvagio citato nella Prima meditazione.

ANALISI DEL TESTO Guida alla lettura Nella prima parte del brano Cartesio dimostra la distinzione reale tra mente e corpo. La dimostrazione può essere ricostruita come segue. 1. Prima premessa (righe 1-2): Dio ha il potere di fare tutto ciò che noi intendiamo chiaramente e distintamente. 2. Seconda premessa (righe 3-7): intendo chiaramente e distintamente che alla mia essenza non appartiene se non essere una cosa che pensa. Dalle due premesse segue una prima conclusione: la mia essenza è solo di essere una cosa pensante (righe 7-8). 3. A quanto detto fin qui Cartesio aggiunge una terza premessa (righe 9-13): ho un’idea chiara e distinta di me stesso come cosa che pensa e non estesa e ho un’idea chiara e distinta del corpo (che forse ho) come cosa estesa e non pensante. 4. Di qui la conclusione (righe 13-14): tra me stesso e il mio corpo c’è una distinzione reale, una separazione tale che possiamo esistere l’uno senza l’altro. Ora, se due o più cose possono esistere l’una senza l’altra (se cioè, qualora fossero separate, ognuna continuerebbe a essere quello che era), ciascuna di esse è una sostanza. In questo brano Cartesio indica due cose di cui abbiamo un’idea chiara e distinta: la mente (una cosa che pensa e non estesa) e il corpo (una cosa estesa e non pensante). La mente è solo pensante perché, secondo Cartesio, è priva delle funzioni tradizionalmente attribuite all’anima in funzione del corpo (ossia delle funzioni vegetativa, lo-

184

132_171_cartesio.indd 184

comotiva e sensitiva). Il corpo è soltanto esteso perché è concepito da Cartesio in termini di materia e movimento, ossia come meccanismo. Cartesio formula, così, la tesi del dualismo di sostanza pensante e sostanza estesa. Nella seconda parte del brano Cartesio espone la dimostrazione dell’esistenza delle cose esterne o corpi. Egli premette che tra le facoltà di immaginare e sentire, che trovo in me, e l’intelletto, c’è un rapporto simile a quello che c’è tra i modi (o accidenti) di una sostanza e la sostanza: i modi di una sostanza non possono darsi senza di essa, ma nessun modo determinato è essenziale perché si dia la sostanza. Così, con il solo intelletto posso intendere completamente me stesso, e per farlo non ho bisogno dell’immaginazione e della facoltà di sentire; non posso invece intendere queste ultime senza l’intelletto. Cartesio espone quindi la propria dimostrazione. 1. Secondo la prima premessa (righe 22-25), io ho la facoltà di ricevere idee delle cose sensibili (dei corpi esterni), cioè di sentire; ma posso usarla solo se c’è anche una facoltà che produca tali idee. 2. La seconda premessa (righe 25-28) afferma che la facoltà che produce le idee che io ricevo non può trovarsi in me, perché: a) la possibilità di formare idee di cose sensibili non presuppone pensiero (intellezione), e la mente è soltanto una cosa che pensa; dunque, non può produrre tali idee; b) spesso queste idee si presentano alla mia mente contro la mia volontà.

Il Seicento

06/02/12 16:23

U

Argomentazione In questo brano Cartesio presenta due dimostrazioni. La prima è quella della distinzione reale tra sostanza pensante e non estesa (mente) e sostanza estesa e non pensante (corpo). La seconda, fondata sulla premessa generale della veridicità di Dio, è quella dell’esistenza di cose corporee.

I principi del metodo

S Genere, Stile

da Cartesio, Discorso sul metodo, Seconda parte, in Id., Opere filosofiche, volume primo, trad. di E. Garin, G. Galli e M. Garin, Laterza, Roma-Bari 1986, pp. 301-303.

Il brano seguente è tratto dalla Seconda parte del Discorso sul metodo, in cui Cartesio spiega come ha proceduto nella propria ricerca (tesa a rifondare il sapere) e le ragioni per cui ha scelto di procedere in tal modo. La ricerca è caratterizzata da un uso autonomo della ragione: Cartesio non intende accogliere passivamente le opinioni acquisite nel corso dei suoi studi e dei suoi viaggi. Non vuole, però, abbandonare definitivamente tali opinioni senza prima avervi riflettuto. Per farlo occorre procedere con ordine, osservando costantemente poche regole. Di tali regole è costituito il metodo elaborato da Cartesio: le ritiene una guida indispensabile della ragione, che altrimenti procederebbe in modo confuso e sarebbe incapace di giungere alla conoscenza certa.

5

10

La semplice decisione di abbandonare tutte le opinioni a cui si è fatto in precedenza credito è un esempio che non tutti devono seguire; anzi, le persone di questo mondo rientrano quasi sempre in due categorie a cui non conviene affatto. La prima si compone di coloro che, sopravvalutando le proprie capacità, non possono astenersi dal dare giudizi precipitati, né avere abbastanza pazienza da svolgere ordinatamente il corso di tutti i loro pensieri; quindi, se una volta si prendessero la libertà di rifiutare i princìpi che hanno accolto, e di scostarsi dal comune cammino, non potrebbero mai più seguire il sentiero che bisogna prendere per procedere senza tortuose deviazioni e per tutta la vita resterebbero degli sbandati. La seconda categoria comprende coloro che, abbastanza assennati e modesti da giudicarsi meno capaci di discerne-

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 185

n

Stile Cartesio espone con chiarezza le due dimostrazioni della distinzione reale tra mente e corpo e dell’esistenza delle cose corporee. Il brano è reso però complesso dall’uso di un linguaggio tecnico e di nozioni tratte dalla Scolastica (quali quelle di sostanza, modo e realtà oggettiva).

L’A N T O L O G I A

FOC

T6

rore; ma ciò non è possibile, perché Dio non mi inganna. Allora, resta solo la possibilità che la sostanza che ha la facoltà di produrre idee delle cose sensibili sia corpo. Di qui la conclusione (riga 41): le cose corporee esistono veramente.

n

Da queste due premesse Cartesio trae una prima conclusione: la facoltà che produce le idee di cose sensibili si trova necessariamente in una sostanza diversa da me. 3. Aggiunge poi una terza premessa (righe 29-31): nella sostanza cui appartiene la facoltà che produce le idee delle cose sensibili deve esserci tutta la realtà che è rappresentata nelle idee prodotte da tale facoltà. 4. Secondo la quarta premessa (righe 31-33), esclusa l’ipotesi che le idee di cose sensibili siano prodotte dalla mente, rimangono due possibilità: o la sostanza in cui c’è la facoltà che le produce è corpo, o è Dio (oppure il genio malvagio di cui Cartesio ha ipotizzato l’esistenza nella Prima meditazione). 5. Nella quinta premessa dell’argomentazione (righe 3340) Cartesio afferma la veridicità di Dio e, sulla base di essa, esclude l’ipotesi che sia Dio a produrre le idee delle cose sensibili: io ho l’inclinazione naturale a credere che tali idee derivino da cose corporee; tale inclinazione mi è stata da Dio. Dunque, se quelle idee non derivassero da cose corporee, la mia inclinazione mi indurrebbe in er-

185

06/02/12 16:23

15

20

25

n

30

L’A N T O L O G I A

35

n

40

45

1. Il Collegio dei gesuiti di La Flèche dove Cartesio studia tra il 1606 e il 1614. 2. Usi e abitudini. 3. L’adesione della maggioranza delle persone a certe opinioni. 4. Per Cartesio l’evidenza è la forma di certezza più alta; i suoi contenuti si presentano con chiarezza (sono nitidi per la mente attenta) e distinzione (sono distinguibili da ogni altro contenuto). 5. Chiarezza e distinzione sono per Cartesio le proprietà che caratterizzano ciò che è evidente. 6. Del tutto.

186

132_171_cartesio.indd 186

50

55

60

re il vero dal falso in confronto ad altri da cui possono imparare, devono contentarsi di seguire le opinioni di questi altri piuttosto che cercarne per proprio conto di migliori. E io sarei stato senza dubbio nel numero di questi ultimi, se avessi avuto un solo maestro, o se avessi ignorato le differenze che, in ogni tempo, ci sono state tra le opinioni dei più dotti. Ma già all’epoca del collegio1 avevo imparato che niente di così strano e poco credibile si può immaginare, che non sia stato sostenuto da qualche filosofo; e poi, viaggiando, mi ero reso conto che non tutti quelli che la pensano molto diversamente da noi sono perciò barbari e selvaggi, anzi, molti di loro fanno uso della ragione quanto noi e anche di più; e avevo considerato quanto lo stesso uomo, con le stesse possibilità, allevato fino dall’infanzia tra Francesi o Tedeschi risulti diverso da quel che sarebbe se avesse sempre vissuto fra Cinesi o cannibali; e come, fino alle mode dell’abbigliamento, la stessa cosa che dieci anni fa ci è piaciuta, e che forse tornerà a piacerci fra meno di dieci, ci sembri ora stravagante e ridicola; sì che il costume2 e l’esempio esercitano su di noi molto più efficace persuasione di qualunque conoscenza certa; tuttavia la maggioranza dei suffragi3 non è prova attendibile per le verità alquanto difficili da scoprirsi, perché è molto più verosimile che le abbia scoperte un uomo solo piuttosto che un intero popolo. Per tutte queste ragioni non potevo scegliere nessuno le cui opinioni mi sembrassero da preferirsi a quelle degli altri, e mi trovavo in certo modo costretto a cercare di trovare una guida in me stesso. Ma, come un uomo che procede da solo nelle tenebre, decisi di camminare così piano, e di essere in tutto così circospetto che, pur avanzando pochissimo, almeno avrei evitato senz’altro di cadere. Anzi, non volli cominciare col rifiutare del tutto nessuna di quelle opinioni che in passato avevano potuto insinuarsi nella mia fiducia senza l’avallo della ragione; volevo prima dedicarmi abbastanza a lungo al progetto dell’opera cui ponevo mano, e a cercare il vero metodo per giungere alla conoscenza di tutte le cose accessibili alla mia intelligenza. [...] [...] ritenni che mi sarebbero bastate le quattro seguenti [regole], purché prendessi la ferma e costante decisione di non mancare di osservarle neppure una volta. La prima era di non accogliere mai come vera nessuna cosa che non conoscessi evidentemente4 per tale; ossia evitare con cura la precipitazione e la prevenzione, giudicando esclusivamente di ciò che si presentasse alla mia mente in modo così chiaro e distinto5 da non offrire alcuna occasione di essere revocato in dubbio. La seconda era di dividere ciascuna delle difficoltà che esaminavo in quante più parti era possibile, in vista di una miglior soluzione. La terza di imporre ai miei pensieri un ordine, cominciando dagli oggetti più semplici e più facili da conoscersi per risalire un po’ alla volta, come per gradi, alla conoscenza dei più complessi, supponendo un ordine anche tra quelli tra cui non vige nessuna precedenza naturale. L’ultima era di fare, in ogni occasione, enumerazioni tanto complete, e rassegne così generali da essere sicuro di non dimenticare nulla. Quelle lunghe catene di ragioni, affatto6 semplici e facili, di cui i geo-

Il Seicento

06/02/12 16:23

65

metri si servono abitualmente per portare in fondo le loro dimostrazioni più difficili, mi avevano fatto immaginare che tutte le cose suscettibili di cadere sotto la conoscenza umana si susseguano allo stesso modo e che, se solo ci si astenga dall’accoglierne per vera qualcuna che non lo sia, e si mantenga sempre il debito ordine nel dedurre le une dalle altre, non possono esservene di tanto lontane da non essere alla fine raggiunte, né di tanto riposte da non essere scoperte.

IMPARA A IMPARARE: COSTRUISCI TU L’ANALISI DEL TESTO Guida alla lettura

...........................................................................................................................................................................................................................................................

Cartesio osserva poi (righe 16-44) che sarebbe stato tra chi, consapevole dei propri limiti, si affida alle opinioni altrui se, grazie agli studi e ai viaggi compiuti, non avesse avuto esperienza della diversità di credenze e usi. La necessità di seguire un percorso di ricerca autonomo deriva in Cartesio dalla difficoltà di scegliere un punto di riferimento. Essa ha varie cause: lo studio presso il collegio di La Flèche gli ha mostrato la varietà e le differenze esistenti tra i filosofi; i viaggi gli hanno fatto capire che opinioni molto diverse da quelle che conosce non sono per questo irragionevoli, e si è reso conto di quanto le opinioni e i gusti delle persone siano condizionati dagli usi della loro società e dall’abitudine. Ma l’adesione della maggioranza a certe opinioni non è prova della loro verità. Cartesio sottolinea peraltro la cautela con cui si è accinto alle proprie ricerche, necessaria proprio perché in esse non avrebbe avuto alcuna guida e avrebbe dovuto affidarsi alla propria ragione.

L’A N T O L O G I A

...........................................................................................................................................................................................................................................................

n

Il brano può essere suddiviso in quattro parti. Nella prima parte (righe 1-15) Cartesio fa una precisazione riguardo al metodo che viene applicato nel suo progetto di rifondazione del sapere e che è fondato sul dubbio, cioè sulla critica razionale delle opinioni acquisite: non a tutti però, precisa, conviene assumere l’atteggiamento del dubbio e intraprendere, in modo autonomo rispetto alle opinioni acquisite, la ricerca volta a raggiungere una conoscenza certa. 1. Quali sono i tipi di persone cui, secondo Cartesio, non si addice la ricerca autonoma rispetto alle opinioni acquisite?

n

Integra e approfondisci la lettura guidata, svolgendo le attività proposte.

2. In quale modo Cartesio decide di iniziare la propria indagine? ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

Nella terza parte del brano (righe 45-60) vengono illustrate le quattro regole nel seguire le quali consiste il metodo delineato da Cartesio. 3. Quale concezione della conoscenza emerge dalla descrizione delle regole del metodo cartesiano? ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 187

187

06/02/12 16:23

Cartesio spiega infine (righe 61-68) che il modello del metodo è la geometria. E ritiene che seguendo tale modello sarà possibile conoscere tutto ciò che può essere oggetto di conoscenza. 4. Qual è il pensiero suscitato in Cartesio dalla riflessione sui ragionamenti dei geometri? ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

Genere Nel Discorso sul metodo Cartesio descrive brevemente la propria storia, il proprio metodo e le sue ragioni, compie le proprie riflessioni su temi metafisici, espone gli elementi principali dello scritto Il mondo o Trattato sulla luce e i motivi per i quali ha scelto di non pubblicarlo. Indica il genere di opere cui il Discorso appartiene e individua nel testo gli elementi sulla base dei quali può essere considerato un esempio di tale genere. Rispondi in un max di 5 righe. ........................................................................................................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

L’A N T O L O G I A

n

Stile In questo brano Cartesio usa una similitudine per spiegare come ha proceduto nella propria ricerca. Trovala e spiegane il significato rileggendo attentamente il passo in cui compare. Rispondi in un max di 3 righe. ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

n

...........................................................................................................................................................................................................................................................

188

132_171_cartesio.indd 188

Il Seicento

06/02/12 16:23

S

Il brano seguente è tratto dalla Quinta parte del Discorso sul metodo, in cui Cartesio espone i temi dello scritto Il Mondo o Trattato sulla luce. Tale opera apparirà postuma: Cartesio decide di non pubblicarla, in seguito alla condanna subita da Galileo per la sua difesa dell’eliocentrismo. Pur attento a evitare implicazioni teologiche, Cartesio non rinuncia a presentare la propria teoria sull’origine del mondo; decide, così, di esporla come un’ipotesi. Tale scelta non è dettata però dalla sola prudenza, ma presuppone precise ragioni teoriche: Cartesio vuol mostrare come il mondo si sia prodotto, spiegandone la costruzione a partire da elementi semplici e alcune leggi fondamentali.

da Cartesio, Discorso sul metodo, cit., Quinta parte, pp. 318-320.

5

Retorica Cartesio spiega con una similitudine il modo in cui ha proceduto nella propria trattazione.

10

Retorica

15

Cartesio sceglie di esporre la propria teoria usando l’espediente della costruzione ipotetica.

20

1. Includere nel trattato Il Mondo o Trattato sulla luce, di cui Cartesio sospende la pubblicazione dopo la condanna di Galileo. 2. Corpi celesti che si trovano a una tale distanza dalla Terra da sembrare immobili. 3. Nel sistema tolemaico i cieli sono le sette sfere celesti. 4. Con questa espressione Cartesio intende dire che Dio si limita a conservare ciò che nel mondo esiste. 5. Il soggetto è Dio. 6. Le leggi, stabilite da Dio, che regolano la natura.

25

30

Il mio disegno era d’includervi1 quanto pensavo di sapere, prima di scriverlo, circa la natura delle cose materiali. Ma, come i pittori, non potendo rappresentare altrettanto bene sulla superficie piana di un quadro tutte le diverse facce di un corpo solido, ne scelgono una delle più importanti per mettere quella sola in luce e, lasciando in ombra le altre, le rendono visibili solo nella misura in cui si possono vedere guardando la prima; così, nel timore di non saper dare nel mio discorso espressione adeguata a tutto ciò che avevo in mente, cercai soltanto di esporvi con molta ampiezza la mia concezione della luce; poi di prenderne occasione per aggiungere qualcosa sul sole e sulle stelle fisse2, in quanto la luce viene quasi esclusivamente di lì; sui cieli3, perché la trasmettono; e, in particolare, su tutti i corpi che sono sulla terra, perché sono, o colorati, o trasparenti, o luminosi; infine sull’uomo, perché di tutto questo è spettatore. Addirittura, per adombrare alquanto tutte queste cose, e poter dire più liberamente ciò che ne pensavo senza l’obbligo di seguire o di rifiutare le opinioni che hanno corso tra i dotti, decisi di lasciare alle loro dispute tutto questo nostro mondo, e di parlare soltanto di ciò che accadrebbe in un mondo nuovo, se Dio creasse ora in qualche luogo degli spazi immaginari abbastanza materia per la sua composizione, e agitasse variamente e senza un ordine le diverse parti di questa materia, sì da farne un caos tanto confuso quanto possono raffigurarselo i poeti, e, in seguito, si limitasse a offrire alla natura il suo ordinario concorso4, lasciandola operare secondo le leggi che ha5 stabilito. Così, in primo luogo, descrissi questa materia [...]. Inoltre feci vedere quali erano le leggi della natura e, senza fondare le mie ragioni su alcun altro principio che sulle infinite perfezioni di Dio, cercai di [...] far vedere che esse6 sono tali da farci escludere che, se anche Dio creasse parecchi mondi, qualcuno potesse esservene in cui mancassero di essere osservate. Dopo di ciò mostrai come la maggior parte della materia di questo caos, in forza di queste leggi, dovesse disporsi e ordinarsi in un certo modo che la rendesse simile ai nostri cieli; come, nel corso di tutto ciò, alcune parti dovessero comporre una terra, altre dei pianeti e delle comete, altre ancora un sole e delle stelle fisse. A questo punto, poi, soffermandomi a lungo sulla luce, spiegavo per disteso quale luce do-

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 189

n

Stile, Retorica

L’A N T O L O G I A

U

Ipotesi sulla genesi del mondo

n

FOC

T7

189

06/02/12 16:23

35

Stile Cartesio espone con ordine il contenuto della sua teoria sul mondo.

40

Retorica Emerge qui la cautela di Cartesio nel presentare le proprie tesi.

45

Stile Un esempio della complessità della scrittura cartesiana.

50

55

n

L’A N T O L O G I A

n

7 Anche ammettendo che.

vesse trovarsi nel sole e nelle stelle, e come di là traversasse in un istante gl’immensi spazi dei cieli, e dai pianeti e dalle comete riflettesse i suoi raggi verso la terra. Aggiungevo anche parecchie cose relative alla sostanza, alla situazione, ai movimenti e a tutte le diverse qualità di questi cieli e di questi astri, dimodoché pensavo di aver detto abbastanza per far intendere che nei cieli e negli astri del nostro mondo non si rileva nulla che non debba, o almeno non possa, presentarsi con caratteristiche affatto simili nei cieli e negli astri del mondo che descrivevo. Di là venni a parlare in particolare della Terra. [...]. [...] Tuttavia da tutto ciò non volevo inferire che il nostro mondo sia stato creato nella maniera da me proposta; è molto più verosimile che, fin dall’inizio, Dio lo abbia fatto tale quale doveva essere. Ma è certo, ed è opinione comunemente accettata dai teologi, che l’azione mediante cui attualmente lo conserva è proprio uguale a quella di cui si è servito per crearlo. Perciò, ancorché7 non gli avesse conferito all’inizio altra forma se non quella del caos, se, stabilite le leggi della natura, prestasse alla natura il suo concorso perché agisca come di solito agisce, senza sminuire il miracolo della creazione si può credere che, senza bisogno d’altro, tutte le cose puramente materiali avrebbero potuto, col tempo, divenire quali le vediamo attualmente. Ed è molto più facile concepire la loro natura vedendole nascere a questo modo un po’ alla volta, che non considerandole bell’e realizzate.

ANALISI DEL TESTO Guida alla lettura In questo brano Cartesio espone il progetto – spiegare la natura dei fenomeni – che avrebbe dovuto realizzare nell’opera Il Mondo o Trattato sulla luce (apparsa postuma). Spiega di aver scelto di concentrarsi su un numero limitato di argomenti, per poterli esporre in modo chiaro. E dichiara l’espediente retorico usato per affrontarli: si tratta di una costruzione ipotetica, grazie alla quale Cartesio può esporre la propria teoria sottraendosi ai vincoli della teologia e all’obbligo di esprimere il proprio accordo o dissenso rispetto alle tesi dei teologi. Quindi, il mondo di cui Cartesio intende spiegare origine e formazione non è quello reale, ma un «mondo nuovo». Cartesio spiegherà come Dio abbia creato la materia, abbia infuso in essa una certa quantità di movimento e abbia dato a essa leggi che la governino. Dopo ciò il mondo si evolve in modo automatico, secondo le leggi naturali stabilite da Dio, ed egli concorre al verificarsi dei fenomeni limitandosi a conservare ciò che esiste. Vengono poi indicati i temi affrontati, il primo dei quali è la luce. Cartesio parlerà poi del sole e dei corpi celesti (che sono la fonte principale della luce), dei cieli (che la diffondono) e dei corpi presenti sulla Terra (sui qua-

190

132_171_cartesio.indd 190

li la luce si riflette). Di qui passerà a parlare dell’uomo (cui è infatti dedicato uno dei volumi, apparsi dopo la morte del filosofo). Cartesio sottolinea che quanto afferma riguardo a questo mondo nuovo non è diverso da ciò che si può dire del mondo reale: la sua costruzione è ipotetica, ma non fantasiosa. Ciò non significa, precisa lo stesso Cartesio, che intende affermare la verità della propria teoria. La ritiene tuttavia verosimile: gli stessi teologi sostengono che Dio conserva il mondo mediante la stessa azione con cui lo ha creato; ciò non è affatto in contrasto con la teoria cartesiana, secondo la quale Dio, una volta creata la materia e stabilite leggi che la governino, si limita a conservare ciò che esiste e il mondo si evolve in modo autonomo. Infine, nonostante la cautela, Cartesio non manca di osservare (a favore della propria teoria) che è più facile comprendere il mondo avendo avuto una spiegazione di come si è evoluto gradualmente che non pensandolo come frutto di un atto di creazione. Stile L’uso di verbi in prima persona singolare indica il carattere autobiografico del brano e dell’opera da cui

Il Seicento

06/02/12 16:23

è tratto. Lo stile di Cartesio è complesso, come mostra la lunghezza delle frasi (spesso composte da una proposizione principale e da altre proposizioni, subordinate e coordinate). Tuttavia, l’esposizione è chiara: Cartesio presenta gli argomenti l’uno dopo l’altro, seguendo un ordine preciso.

Genere, Lessico, Argomentazione, Stile

Con il brano seguente si apre l’ultimo scritto di Cartesio, il trattato Le passioni dell’anima. Tema centrale dell’opera è l’unione dell’anima, o mente (res cogitans), e del corpo (res extensa). Dell’unione delle due sostanze Cartesio, che muove dal dualismo di anima e corpo, intende dare una spiegazione. Il problema dell’unione di sostanza pensante e sostanza estesa viene affrontato, qui, in relazione al tema delle passioni. Procedendo nel modo metodico che gli è consueto, Cartesio comincia con il dare una definizione della parola «passione» e della parola, a essa correlata, «azione»: a suo avviso tali parole indicano la medesima cosa, considerata da punti di vista differenti. Cartesio individua, poi, il procedimento che deve essere seguito per conoscere le passioni dell’anima: occorre distinguere le funzioni dell’anima e quelle del corpo. Viene quindi illustrata la regola da applicare per distinguerle.

Articolo I. Ciò che è Passione in rapporto a un soggetto, è sempre Azione da qualche altro punto di vista.

da Cartesio, Le passioni dell’anima, saggio introduttivo, trad. e apparati di S. Obinu, Bompiani, Milano 2003, pp. 113, 115, 117. 5

Genere Il testo ha la struttura di un trattato.

10

Stile Spiegando ciò che farà in questa opera Cartesio usa verbi in prima persona.

Lessico Secondo Cartesio i due termini indicano la stessa cosa considerata da punti di vista diversi.

15

20

1. Colui che subisce l’azione.

Non c’è niente in cui appaia meglio la limitatezza delle scienze tramandateci dagli Antichi, quanto in ciò che essi hanno scritto delle Passioni. Infatti anche se questa è una materia che si è sempre cercato di conoscere, e non sembra affatto delle più ostiche, visto che ognuno, facendone esperienza in se stesso, non ha necessità di cercare altrove osservazioni che ne chiariscano la natura, tuttavia, ciò che gli Antichi ce ne hanno insegnato è così modesto, e per lo più così poco attendibile, che non posso avere alcuna speranza di avvicinarmi alla verità se non prendendo le distanze dalle strade che essi hanno seguito. Per questo motivo sarò costretto a scrivere qui come se mi occupassi di una materia mai trattata da alcuno prima di me. E per cominciare, ritengo che tutto ciò che di nuovo si produce o capita è generalmente chiamato dai Filosofi una Passione relativamente al soggetto a cui capita, e un’Azione rispetto a ciò che lo provoca. Ne consegue che, per quanto l’agente e il paziente1 siano spesso molto diversi, l’Azione e la Passione non cessano d’essere una stessa cosa, che ha questi due nomi, in rapporto ai due diversi soggetti ai quali può essere riferita.

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 191

n

S

L’A N T O L O G I A

U

L’azione del corpo sull’anima

n

FOC

T8

Retorica In questo brano Cartesio afferma esplicitamente di aver scelto l’espediente retorico della costruzione ipotetica per esporre la propria teoria senza essere legato alle tesi teologiche. Egli usa inoltre una similitudine per spiegare come ha proceduto nell’esposizione, e paragona il proprio modo di procedere a quello usato nella pittura.

191

06/02/12 16:23

25

Argomentazione Cartesio muove dalle premesse secondo cui l’anima è unita al corpo e il corpo è ciò che agisce nel modo più diretto su di essa.

30

Argomentazione Cartesio formula la conclusione derivante dalle premesse precedenti.

35

40

Noto inoltre che non rileviamo alcun soggetto che agisca più direttamente sulla nostra anima2, del corpo a cui essa è unita; e di conseguenza dobbiamo pensare che quanto in essa è una Passione nell’altro è in genere una Azione: di modo che non c’è percorso più adeguato per giungere a conoscere le nostre Passioni, di un esame della differenza che c’è tra l’anima e il corpo, per conoscere a quale dei due si debba attribuire ciascuna delle funzioni che si trovano in noi. Articolo III. Quale regola si deve seguire a questo scopo Non incontreremo grandi difficoltà in questo3, se prestiamo attenzione al fatto che tutto ciò che sperimentiamo essere in noi, e notiamo poter essere anche in corpi totalmente inanimati, non deve essere attribuito che al nostro corpo; e al contrario, che quanto è in noi, e ci pare impossibile che possa appartenere a un corpo, deve essere attribuito alla nostra anima.

n

L’A N T O L O G I A

n

2. È la mente, per Cartesio, la res cogitans. 3. Nel conoscere le funzioni dell’anima e quelle del corpo.

Articolo II. Per conoscere le Passioni dell’anima, è necessario distinguere le sue funzioni da quelle del corpo.

ANALISI DEL TESTO Guida alla lettura In questo brano Cartesio presenta il tema che affronterà nell’opera Le passioni dell’anima. Fin dall’inizio esprime con chiarezza l’intenzione di prendere le distanze dalla tradizione filosofica, di cui nell’Articolo I sottolinea una lacuna: l’argomento delle passioni è stato trascurato, pur non trattandosi di un argomento difficile (le passioni sono infatti qualcosa di cui noi tutti facciamo esperienza nel corso della vita). Cartesio si propone di colmare questa lacuna. Il primo passo per farlo è chiarire il significato dei termini «azione» e «passione»: secondo Cartesio essi indicano la stessa cosa, considerata da due punti di vista diversi. L’azione è ciò che accade, considerato dal punto di vista di chi lo fa accadere, cioè dell’agente; la passione è ciò che accade, considerato dal punto di vista di colui al quale accade, cioè del paziente. Azione e passione sono la stessa cosa anche nei casi in cui agente e paziente siano soggetti diversi. Nell’Articolo II Cartesio spiega come intende procedere nell’analisi delle passioni dell’anima (ossia della mente). Muove da due premesse: 1. il corpo è ciò che agisce nel modo più diretto sull’anima; 2. l’anima è unita al corpo.

192

132_171_cartesio.indd 192

Da tali premesse consegue che ciò che è passione nell’anima è azione nel corpo. Da ciò consegue, a sua volta, una considerazione sul procedimento che deve essere usato per conoscere le passioni dell’anima: occorre esaminare le differenze tra l’anima e il corpo e distinguere le funzioni dell’una da quelle dell’altro. L’analisi cartesiana delle passioni muove, dunque, dal dualismo tra anima e corpo (che, benché siano uniti, sono distinti). Anche nell’affrontare il tema delle passioni Cartesio procede in modo metodico, applicando regole precise. Nell’Articolo III viene indicata la regola che deve essere applicata nell’analisi delle funzioni dell’anima e delle funzioni del corpo: dobbiamo attribuire al corpo tutto ciò che sperimentiamo in noi stessi e osserviamo anche in corpi ai quali non è unita l’anima; all’anima dobbiamo invece attribuire tutto ciò che sperimentiamo in noi e che riteniamo impossibile che appartenga a un corpo. Genere L’opera Le passioni dell’anima ha la struttura di un trattato, è cioè una esposizione ordinata ed esaustiva della teoria sostenuta dall’autore sulle passioni. È composta da tre parti, ciascuna delle quali è suddivisa in articoli. La prima parte (articoli 1-50) è dedicata alle passioni in

Il Seicento

06/02/12 16:23

generale; vi viene affrontata, in particolare, la questione dell’unione di anima e corpo in relazione alle passioni. Nella seconda parte (articoli 51-148) Cartesio esamina le cause e le funzioni delle passioni, enumera le passioni e spiega le sei passioni «primitive» (ossia quelle fondamentali: ammirazione, amore, odio, desiderio, gioia, tristezza). Infine, nella terza parte (articoli 149-212) vengono analizzate le passioni «particolari», cioè quelle fondate sulle sei principali.

Argomentazione Nell’Articolo II Cartesio si serve di un argomento per individuare il procedimento che occorre applicare ai fini della conoscenza delle passioni. L’argomento è il seguente. Cartesio inizia da due premesse: la prima è quella secondo cui il corpo è ciò che agisce nel modo più diretto sull’anima; la seconda premessa è quella per cui l’anima è unita al corpo. Da tali premesse Cartesio trae la conclusione che ciò che è passione nell’anima è azione nel corpo. Stile In questo brano, che spiega quanto il filosofo si propone di fare nell’opera, Cartesio usa verbi formulati in prima persona singolare. Inoltre, le frasi che Cartesio scrive sono spesso lunghe, essendo composte da varie proposizioni.

n

L’A N T O L O G I A

n

Lessico In questo brano Cartesio definisce due termini molto rilevanti nella sua indagine sulle passioni dell’anima. Uno di essi è, ovviamente, «passioni»: esso indica ciò che accade, considerato dal punto di vista di colui al quale accade, cioè del soggetto che lo subisce (del paziente). L’altro termine è «azione»: esso indica ciò che accade, considerato dal punto di vista di chi lo fa accadere, cioè del soggetto che agisce (dell’agente). Nella definizione cartesiana viene sottolineata l’identità di ciò che i

due termini indicano: essi si riferiscono alla stessa cosa, considerata in prospettive differenti, ossia in quella del paziente e in quella dell’agente.

3. Cartesio e la nascita della filosofia moderna

132_171_cartesio.indd 193

193

06/02/12 16:23

4. Quale rapporto c’è

tra l’anima e il corpo? 1558 Elisabetta I regina d’Inghilterra.

1572 Strage degli ugonotti a Parigi.

1598 Editto di Nantes: Enrico IV riconosce libertà di culto e diritti civili ai protestanti.

1603 Morte di Elisabetta I.

1642 Guerra civile in Inghilterra.

1643 Sale al trono Luigi XIV.

1648 Pace di Westfalia.

EVENTI FILOSOFI

I FILOSOFI E LE LORO TESI

LE RISPOSTE

1588 Hobbes nasce a Malmesbury.

194

1596 Cartesio nasce a La Haye.

1632 Spinoza nasce ad Amsterdam; Locke nasce a Wrington.

1638 Malebranche nasce a Parigi.

1646 Leibniz nasce a Lipsia.

ANIMA-CORPO = IMPOSTAZIONE METAFISICA DEL PROBLEMA = l’anima ha una natura ontologica

Cartesio

Hobbes, La Mettrie

Berkeley

Spinoza

Geulincx, Malebranche

Leibniz

l’anima e il corpo sono sostanze distinte

esistono solo corpi e il pensiero è una proprietà del corpo

esistono soltanto sostanze spirituali (monismo spiritualistico)

c’è un’unica sostanza (DioNatura), non interamente spirituale né corporea (monismo neutrale)

tra mente e corpo non c’è interazione causale: entrambi dipendono da Dio, che è causa di tutto (occasionalismo)

tra mente e corpo non c’è interazione causale: la corrispondenza tra stati mentali e corporei è un caso particolare dell’universale armonia voluta da Dio

T1 Il distacco dalla tradizione aristotelica

T2 La coscienza non distingue uomini e animali

RISORSE MULTIMEDIALI

➥ Lezione LIM ➥ Test

194_207_animacorpo.indd 194

06/02/12 15:11

L’anima aiuta il corpo e in certi momenti lo solleva. È l’unico uccello che sostenga la sua gabbia. (V. Hugo, I miserabili)

1652-1653 Prima guerra tra Olanda e Inghilterra.

1667-1668 Guerra di devoluzione della Francia contro i Paesi Bassi; Gloriosa rivoluzione in Gran Bretagna.

1684 Guerra di successione spagnola.

1713 Con la bolla Unigenitus il papa Clemente XI condanna il giansenismo.

1740 Sale al trono Federico II di Prussia.

1756-1763 Guerra dei Sette anni.

1650 Cartesio 1677 Spinoza 1679 Hobbes 1685 Berkeley 1704 Locke 1709 La 1715 1716 Leibniz 1751 muore a muore a L’Aia. muore a nasce a muore a Oates. Mettrie nasce Malebranche muore a La Mettrie Stoccolma. Hardwicke. Thomastown. a Saint-Malo. muore a Parigi. Hannover. muore a Berlino.

esistono sia le sostanze spirituali sia quelle corporee, ma non possiamo sapere se l’anima sia o non sia materiale T3 L’io non è una sostanza spirituale

I FILOSOFI E LE LORO TESI

Locke

LE RISPOSTE

ANIMA-CORPO = IMPOSTAZIONE ANTI-METAFISICA DEL PROBLEMA = l’anima non ha una natura ontologica

1753 Berkeley muore a Oxford.

195 ✔ Filosofia e letteratura: T4 Ovidio, L’amore di Narciso per se stesso lo conduce alla morte T5 Ariosto, Il ritrovamento del senno di Orlando

194_207_animacorpo.indd 195

06/02/12 15:11

1. Rivoluzione scientifica, crisi dell’ilemorfismo e dualismo cartesiano Origini del dibattito sul rapporto tra anima e corpo

Due alternative all’ilemorfismo

Argomento di Cartesio a favore del dualismo di anima e corpo

T1

Interazione tra mente e corpo

Il ruolo della ghiandola pineale

Nella filosofia moderna il rapporto tra anima e corpo è oggetto di un vivace dibattito, iniziato a cavallo tra Seicento e Settecento. Alle sue origini vi è la crisi della concezione aristotelica dell’anima come forma del corpo, nell’ambito della quale il rapporto tra anima e corpo non poneva particolari problemi. Esso risultava infatti analogo al rapporto che, in un tavolo, lega il legno di cui è fatto e la sua forma: secondo la dottrina oggi chiamata “ilemorfismo” (da hy`le, “materia” e morphè, “forma”), come la forma di ogni oggetto è la sua funzione, così la forma del corpo (cioè l’anima) conferisce a esso vita, sensibilità e pensiero. La sostituzione della fisica aristotelica con il meccanicismo, avvenuta nel contesto della rivoluzione scientifica, è accompagnata dall’abbandono della concezione ilemorfica dell’anima, a favore di due ipotesi: 1. riduzione materialistica dell’anima a organo corporeo; 2. divaricazione sempre più netta tra corpo e anima. Il primo a porre su nuove basi la questione del rapporto tra anima e corpo è Cartesio, che li intende come due sostanze differenti: la «cosa pensante» e la «cosa estesa». Cartesio dimostra il dualismo tra anima e corpo a partire dall’argomento del «cogito», secondo il quale se dubito di qualcosa, e quindi penso, allora necessariamente esisto. Il dubbio metodico e l’ipotesi del genio maligno mettono in crisi ogni certezza, salvo quella dell’esistenza di me stesso in quanto essere pensante. Se il fatto di essere pensante mi garantisce la mia esistenza, allora tutte le proprietà appartenenti alla natura corporea si rivelano inessenziali al mio io: la sola proprietà che costituisce la mia essenza è il pensiero, che è indipendente dal corpo. Poiché grazie al «cogito» ho un’idea chiara e distinta di me come qualcosa a cui solo il pensare è essenziale, si può dimostrare che anima e corpo sono sostanze separate; infatti, la veracità divina ci garantisce che ciò che concepiamo chiaramente e distintamente è come lo concepiamo. Cartesio si pone in rottura rispetto alla tradizione aristotelica, che considerava anima e corpo come forma e materia di un’unica sostanza. Egli identifica l’anima con il «cogito», che è pensiero in atto che ha bisogno solo di sé per sussistere e contesta il termine aristotelico “anima”, che giudica fuorviante, preferendogli il termine “mente”, o “spirito”. Pur affermando il dualismo tra mente e corpo, però, Cartesio riconosce i reciproci rapporti tra essi: noi sperimentiamo continuamente la forza che la mente ha di muovere il corpo e quella che il corpo ha di agire sulla mente, causando sentimenti e sensazioni. La spiegazione di questa interazione è però problematica, una volta presupposto il dualismo di mente e corpo: se il corpo umano è res extensa – i cui movimenti sono spiegabili in termini meccanicistici, come azione e reazione –, come è possibile che un moto meccanico corporeo produca una modificazione nella res cogitans, che non è sottoposta alle leggi meccaniche? E com’è possibile che un moto volontario della mente produca una modificazione nel corpo? Cartesio risolve tale problema mediante l’ipotesi della ghiandola pineale, cioè l’epifisi (situata nel cervello): attraverso quest’ultima gli “spiriti” – particelle sottili di materia – fanno avvertire alla mente i moti corporei stimolando in essa le sensazioni corrispondenti, e la mente mette in movimento gli “spiriti” che producono i moti corporei. PER SINTETIZZARE • Quale argomento viene usato da Cartesio a sostegno del dualismo tra mente e corpo?

196

194_207_animacorpo.indd 196

Il Seicento

06/02/12 15:11

2. Risposte monistiche 2.1 Monismo materialista e spiritualista

Hobbes: non esiste una sostanza incorporea L’errore di Cartesio

Gli eventi mentali sono meccanismi fisici La Mettrie: gli esseri umani sono macchine

Anima e corpo hanno la stessa natura T2 Berkeley: esistono solo sostanze spirituali

Il dualismo cartesiano tra anima e corpo divise i contemporanei e i successori di Cartesio. Esso fu rifiutato dai sostenitori di due opposti tipi di monismo: • il monismo materialistico, che nega l’esistenza di una “sostanza immateriale”; • il monismo spiritualistico, che nega l’esistenza di una “sostanza corporea”. Sostenitore del monismo materialistico moderno è Thomas Hobbes, secondo il quale esistono solo corpi e “sostanza” è sinonimo di “corpo”. Dunque, parlare di una sostanza immateriale come fa Cartesio equivale a parlare di un “corpo incorporeo”, il che è assurdo. Hobbes critica la pretesa cartesiana di dedurre dal «cogito» l’esistenza di una sostanza pensante distinta dalla sostanza corporea: dall’affermazione «io penso», ossia «io sono pensante», si può dedurre che esisto, ma non che sono pensiero. Infatti non vi è alcuna ragione logica per escludere che il soggetto di quell’atto del pensiero sia corporeo: il pensare, secondo Hobbes, è una proprietà del corpo. Per Hobbes, dunque, l’anima umana è materiale e tutti i suoi atti sono movimenti, prodotti dai movimenti dei corpi esterni secondo le leggi del meccanicismo che regola l’intera natura. Il monismo materialistico giunge al suo esito più radicale in alcuni esponenti del pensiero illuministico, come d’Holbach (1723-1789) e La Mettrie (1709-1751). Nell’opera L’uomo macchina (1748) La Mettrie estende all’uomo la dottrina cartesiana secondo cui gli animali sono meccanismi privi di coscienza. Muovendo dalla constatazione che ci sono numerose somiglianze tra il comportamento degli animali – che sono semplici macchine – e quello degli uomini, La Mettrie sostiene che nulla ci autorizza a negare la coscienza agli animali. Ma se si ammette che gli animali possano essere coscienti, allora il fatto di essere cosciente non può essere addotto a prova dell’esistenza, nell’uomo, di una sostanza irriducibile al meccanismo materiale. La Mettrie riconosce che alcune funzioni umane, come il pensiero e la coscienza morale, sono assenti nelle creature animali; ritiene, però, che tali funzioni siano spiegabili in virtù della maggiore complessità dell’organizzazione della materia cerebrale: il pensiero è una modificazione della materia. L’espressione più radicale del monismo spiritualistico si ha invece con George Berkeley (1685-1753) che respinge sia il materialismo sia il dualismo cartesiano: a suo avviso esistono solo sostanze spirituali. PER SINTETIZZARE • Quale rapporto c’è, secondo Hobbes, tra eventi mentali e meccanismi fisici? • Che cosa afferma il monismo spiritualistico sostenuto da Berkeley?

2.2 Monismo neutrale e dualismo degli attributi in Spinoza C’è una sola sostanza: il Dio-Natura

Mente e corpo sono modi finiti di due attributi di Dio

Tra corpo e mente non c’è interazione causale

Un caso a parte è il monismo sostenuto da Spinoza, che si distingue sia da quello materialistico sia da quello spiritualistico per il suo carattere neutrale. Secondo Spinoza c’è una sola Sostanza: il Dio-Natura. Solo quest’ultimo esiste unicamente in virtù della sua essenza e tutte le altre cose sono suoi «modi», che dipendono da Lui. Questa Sostanza non è soltanto spirituale né solo corporea: la sua essenza è costituita da infiniti attributi, tra cui pensiero ed estensione. Essi sono gli unici attributi che possano essere conosciuti dall’uomo, che è costituito da una mente e da un corpo. Mente e corpo sono modi finiti rispettivamente del pensiero e dell’estensione infinita di Dio. Dunque, pur negando il dualismo tra res cogitans e res extensa, Spinoza ammette un dualismo degli attributi: estensione e pensiero sono due attributi dell’unica Sostanza infinita, cioè del Dio-Natura. Partendo da queste premesse, Spinoza rifiuta le dottrine secondo le quali è possibile un’influenza reciproca tra la mente e il corpo, negando la possibilità di un’azione causale tra modi di attributi diversi quali sono il pensiero e l’estensione.

4. Quale rapporto c’è tra l’anima e il corpo?

194_207_animacorpo.indd 197

197

06/02/12 15:11

Corrispondenza tra stati mentali e corporei

Simultaneità tra vita mentale e vita corporea

Anima e corpo sono inseparabili

Il corpo ha la stessa dignità della mente

Tutti gli esseri viventi hanno una mente

Tuttavia il monismo neutrale consente a Spinoza di affermare che c’è una corrispondenza necessaria tra l’ordine delle idee e l’ordine delle cose e, dunque, tra stati mentali e modificazioni corporee: poiché il Dio-Natura è sia la totalità delle idee sia la totalità delle cose, in Esso non può esistere un’idea che non sia idea di qualcosa. Secondo Spinoza la mente è l’idea di un certo corpo, che in Dio deve necessariamente esistere, se vi è quell’idea: in virtù della corrispondenza necessaria tra ordine delle idee e ordine delle cose, ogni volta che avviene un mutamento in un corpo vi deve essere un’idea del mutamento stesso, cioè una modificazione degli stati mentali. Dunque, la vita mentale procede in maniera simultanea con ciò che accade nel corpo, perché vita psichica e vita corporea sono espressioni di un’unica Sostanza. Questa teoria spinoziana della simultaneità e coincidenza tra stati mentali e modificazioni corporee non equivale, però, alla riduzione dei primi alle seconde: secondo Spinoza la mente non è un organo corporeo. Tuttavia, anche Spinoza si pone in netta rottura rispetto alla tradizione cristiana, secondo la quale l’anima è indipendente dal corpo ed è in grado di guidarne i movimenti. Per Spinoza l’anima non è né forma del corpo (come sostiene l’ilemorfismo), né sostanza (come afferma Cartesio): l’anima è un modo della sostanza, al pari del corpo; essa è inseparabile dal corpo e non può esercitare alcuna influenza su esso. Inoltre, Spinoza nega la subordinazione del corpo rispetto all’anima: a suo avviso, il materiale e lo spirituale hanno pari dignità. La rivalutazione della corporeità accomuna il monismo neutrale di Spinoza e il monismo materialistico. Ma essi hanno anche altri punti comuni: 1. entrambi negano il libero arbitrio (cioè la libertà della volontà umana). Hobbes afferma che la volontà umana non si sottrae al determinismo universale, per cui ogni evento ha necessariamente una causa. Per Spinoza, il libero arbitrio è un’illusione, che deriva dall’ignoranza delle cause efficienti delle proprie azioni: ogni modo finito (del pensiero e dell’estensione) agisce in quanto è determinato ad agire da un altro modo finito secondo la legge di causalità; quindi, nemmeno la mente (modo finito del pensiero) è libera; 2. anche nella dottrina di Spinoza, come in quella di La Mettrie, si riduce sensibilmente la distanza tra gli uomini e gli altri esseri viventi. Infatti, neanche per Spinoza l’anima è una prerogativa esclusivamente umana: in ogni cosa vi è un’idea del proprio corpo, cioè una «mente».

PER SINTETIZZARE • Perché, secondo Spinoza, tra stati mentali e modificazioni corporee c’è un rapporto di simultaneità?

3. Dio, anima e corpo Teorie che negano l’interazione tra mente e corpo L’occasionalismo: le cose create non hanno efficacia causale

L’unica causa di tutto è Dio

198

194_207_animacorpo.indd 198

Nel corso del Seicento e del Settecento vengono elaborate diverse teorie che negano la possibilità di interazione reciproca tra mente o anima e corpo. Esse sono basate sulla concezione cristiana di Dio come puro spirito. Una di queste teorie è l’“occasionalismo”, i cui rappresentanti più significativi sono Arnold Geulincx (1624-1669) e Nicolas Malebranche. Gli esponenti dell’occasionalismo affrontano la questione del rapporto tra anima e corpo muovendo da un presupposto comune: negano l’efficacia causale delle cose create, perché solo Dio agisce veramente. Inoltre, essi accettano il dualismo cartesiano di res cogitans e res extensa. Partendo da esso, e dalla negazione dell’efficacia causale delle cause seconde, l’occasionalismo afferma che il corpo non agisce sull’anima, né questa sul corpo; mente e corpo dipendono da Dio. È Dio che, “in occasione” di un certo stato del mio corpo, produce la sensazione corrispondente e,

Il Seicento

06/02/12 15:11

Le monadi di Leibniz

La critica leibniziana dell’occasionalismo

Armonia tra vita corporea e vita psichica

Dio come un abilissimo orologiaio

“in occasione” di un mio atto di volontà, provoca nel corpo un movimento adeguato. Quelle che a noi sembrano cause di certi eventi sono, in realtà, “occasioni” dell’intervento di Dio. Leibniz condivide il rifiuto dell’interazione causale tra mente e corpo: secondo la sua teoria metafisica la monade, sostanza che costituisce le «anime ragionevoli», e le monadi che appaiono come «corpo» sono indipendenti tra loro. E anche secondo Leibniz la corrispondenza tra stati mentali e corporei deve essere ricondotta a Dio. Tuttavia, Leibniz respinge la soluzione elaborata dagli occasionalisti riguardo al rapporto tra spirito e corpo; essa presuppone un continuo intervento di Dio per produrre, in occasione del movimento del corpo, un moto dell’anima, e viceversa. Secondo Leibniz, tale ipotesi contraddice la perfezione di Dio: pensare che Dio debba intervenire in ogni istante per far concordare gli stati mentali e corporei equivale a pensare che la sua creazione sia così imperfetta da richiedere continui aggiustamenti. Leibniz sostiene invece che la corrispondenza tra stati mentali e stati corporei è un caso particolare dell’universale armonia prestabilita, cioè dell’armonia voluta da Dio all’atto della creazione. La coincidenza tra le fasi dell’evoluzione dell’anima e quelle dell’evoluzione del corpo è la conseguenza di un artificio divino: grazie a esso vita corporea e vita psichica sono state regolate originariamente in modo da concordare per l’eternità. Dunque, Leibniz concepisce Dio come un abilissimo orologiaio, che abbia costruito due orologi in modo così perfetto che, funzionando ciascuno per proprio conto, segnino sempre la stessa ora.

PER SINTETIZZARE • Come viene spiegata da Leibniz la corrispondenza tra stati mentali e stati corporei?

4. Locke: verso una soluzione anti-metafisica Un nuovo modo di affrontare il problema anima-corpo

Locke e l’inconoscibilità della sostanza

Delle sostanze possiamo dire solo che esistono

L’«io» non è una sostanza pensante

L’io è conoscibile T3

Le soluzioni del problema anima-corpo finora esaminate hanno in comune l’impostazione metafisica: in base a essa tale problema può essere affrontato solo a partire da una definizione della natura ontologica dell’anima. C’è però un approccio del tutto diverso: la soluzione anti-metafisica del problema anima-corpo proposta da John Locke. Secondo Locke, l’inconoscibilità della sostanza vale anche riguardo alle sostanze corporee e spirituali: l’idea di sostanza è frutto della supposizione, indimostrabile, che esistano sostegni dei gruppi di proprietà di cui osserviamo la compresenza; allo stesso modo, l’idea di uno spirito è semplicemente l’idea di un sostrato comune alle attività mentali di una persona. Secondo Locke esistono sia le sostanze corporee sia quelle spirituali, ma di esse possiamo affermare solo che esistono: non possiamo conoscere la loro costituzione e il loro modo di agire, perché il nostro intelletto può conoscere solo il materiale offerto dall’esperienza: non possiamo quindi sapere se l’anima sia materiale o meno. Se non ha senso interrogarsi sulla natura spirituale o materiale dell’anima, occorre invece indagare le leggi empiriche che regolano l’associazione tra stati mentali. Questa è l’unica indagine dalla quale il filosofo possa attendersi un chiarimento sul concetto di “io” o “persona”, che Locke concepisce come relazione tra stati mentali. Locke ritiene che la conoscenza dell’io sia possibile perché l’io consiste nella continuità del flusso dei ricordi: “io” sono il legame tra tutte le azioni e i pensieri che riconosco come miei. L’identità della persona dipende dunque dalla sua coscienza, che rimane la stessa.

PER SINTETIZZARE • Che cosa possiamo conoscere, secondo Locke, delle sostanze corporee e spirituali?

4. Quale rapporto c’è tra l’anima e il corpo?

194_207_animacorpo.indd 199

199

06/02/12 15:11

Cartesio, Il distacco dalla tradizione aristotelica

T1

Il brano seguente è tratto dalle Risposte alle quinte obbiezioni, pubblicate nel 1641 insieme con le Meditazioni metafisiche di Cartesio e con gli altri cinque gruppi di risposte dello stesso Cartesio alle obiezioni rivoltegli. Nelle Risposte alle quinte obbiezioni Cartesio replica alle critiche di Pierre Gassendi (1592-1655), che aveva elaborato un modello di meccanicismo alternativo a quello cartesiano. In questo brano Cartesio mostra l’equivocità del termine anima e sostiene la distinzione tra anima e corpo.

n

da Cartesio, Risposte alle quinte obbiezioni, in Id., Meditazioni metafisiche. Obiezioni e riposte, in Id., Opere filosofiche, a c. di E. Garin, Laterza, Roma-Bari 1986, vol. 2, pp. 343-344.

5

L’A N T O L O G I A

10

n

15

20

1. Pierre Gassendi (1592-1655). 2. Solitamente. 3. Siano adeguati a indicare. 4. Dal principio. 5. Usato soltanto per indicare. 6. Questo termine indica un disturbo caratterizzato da un eccesso continuo di sonno. 7. Tracce, segni. 8. Vi è. 9. Persona che si trova in uno stato di letargia. 10. Adatto. 11. Nella sesta meditazione Cartesio ha dimostrato che tra la mente e il corpo c’è una distinzione reale: le due sostanze, benché siano strettamente congiunte, sono distinte l’una dall’altra e ciascuna di esse può esistere indipendentemente dall’altra.

200

194_207_animacorpo.indd 200

25

30

35

L’oscurità che voi1 trovate qui è fondata sull’equivoco della parola anima [...]. [...] i nomi sono stati d’ordinario2 imposti da persone ignoranti, il che fa sì che essi non convengano3 sempre con molta precisione alle cose significate; nondimeno, [...] possiamo solamente correggere i loro significati, quando vediamo che non sono bene intesi. Così, poiché, forse, i primi autori dei nomi non hanno distinto in noi quel principio, in forza del quale ci nutriamo, cresciamo e facciamo, senza il pensiero, tutte le altre funzioni che ci sono comuni con le bestie, da quello4, in forza del quale pensiamo, essi han chiamato l’uno e l’altro col solo nome di anima; e vedendo dopo che il pensiero era differente dalla nutrizione, han chiamato col nome di spirito [...] quella cosa che in noi ha la facoltà di pensare, ed hanno creduto che fosse la principale parte dell’anima. Ma io, osservando che il principio in forza del quale ci nutriamo, è interamente distinto da quello in forza del quale pensiamo, ho detto che il nome di anima, quando è preso insieme per l’uno e per l’altro, è equivoco, e che [...] dev’essere inteso solamente di5 quel principio, in forza del quale pensiamo: così l’ho [...] chiamato [...] spirito [...] per togliere quell’equivoco [...]. Poiché [...] considero lo spirito [...] come quell’anima tutta quanta che pensa. Ma, voi dite, siete ansioso di sapere se «io credo, dunque, che l’anima pensa sempre». Ma perché non penserebbe sempre, dato che è una sostanza che pensa? E che meraviglia v’è in questo, che noi non ci ricordiamo dei pensieri che abbiamo avuti [...] durante una letargia6, ecc., quando non ci ricordiamo neppure di molti pensieri che sappiamo benissimo di aver avuto, essendo [...] svegli? La ragione della qual cosa è che, per ricordarsi dei pensieri concepiti una volta dallo spirito, mentre è congiunto col corpo, è necessario che ne restino delle vestigia7 impresse nel cervello [...]; ora, che v’ha8 di meraviglioso, se il cervello d’un fanciullo o d’un letargico9 non è atto10 a ricevere tali impressioni? Infine, dove ho detto «che forse poteva darsi che ciò che io non conosco ancora ([...] il mio corpo) non fosse differente da me che conosco ([...] dal mio spirito) [...]», voi m’obbiettate: «Se non lo sapete, [...] perché dite di non esser nulla di tutto ciò?». [...] siccome non sapevo allora se il corpo fosse o no la stessa cosa che lo spirito, non ho voluto asserirne nulla, [...] finché [...] ho [...] dimostrato [...] che era realmente distinto11 dal corpo.

Il Seicento

06/02/12 15:11

La Mettrie, La coscienza non distingue uomini e animali

T2

10

15

1. Cartesio. 2. Mere, semplici. 3. Della mente (o anima), la sostanza pensante, e del corpo, la sostanza estesa. 4. Questo aggettivo, nel contesto presente, indica chi ostenta un’alta concezione di se stesso e ricerca ciò che può far risaltare le sue qualità personali. 5. In modo indipendente dall’osservazione dei fatti e dall’esperienza. 6. Secondo il monismo materialistico sostenuto da La Mettrie, non esistono due sostanze distinte (come sosteneva Cartesio), ossia la mente o anima e il corpo, ma esiste una sola sostanza, ed essa è una sostanza corporea. Il pensiero, secondo La Mettrie, è semplicemente una modificazione della materia, cioè della sostanza corporea.

20

25

30

35

4. Quale rapporto c’è tra l’anima e il corpo?

194_207_animacorpo.indd 201

L’A N T O L O G I A

5

È vero che quel celebre filosofo1 ha commesso molti sbagli [...]: ma in fin dei conti ha conosciuto la natura animale, e per primo ha dimostrato [...] che gli animali erano delle pure2 macchine. [...] dopo una scoperta di tanta importanza [...], come si potrebbe [...] non perdonargli tutti i suoi errori? Essi, secondo me, sono tutti riparati da quella sua grande affermazione. [...] sebbene egli faccia della retorica intorno alla distinzione delle due sostanze3, è evidente che non è che [...] un’astuzia stilistica, per far sorbire ai teologi un veleno nascosto all’ombra di un’analogia [...] che i soli teologi non vedono. Perché è essa [...] che spinge tutti gli scienziati [...] ad ammettere che quegli esseri fieri e vani4, che si distinguono più per la loro presunzione che per il nome di uomini, [...] non sono altro che degli animali e delle macchine che si muovono stando in posizione verticale. Tutti hanno quel meraviglioso istinto che, una volta educato, produce l’intelligenza, la quale ha sempre sede nel cervello [...]. Essere macchina, sentire, pensare, saper distinguere il bene dal male come il blu dal giallo, in una parola, essere nato con un’intelligenza e con un sicuro istinto morale, e tuttavia non essere che un animale, sono dunque cose fra le quali non c’è contraddizione maggiore che fra l’essere una scimmia o un pappagallo e saper godere il piacere. Infatti, [...] chi avrebbe mai indovinato, ragionando a priori5, che una goccia di liquido eiaculata durante l’accoppiamento fa provare piaceri divini e che poi ne nascerà una creaturina che un giorno [...] potrà a sua volta godere delle stesse delizie? Credo che il pensiero sia così poco compatibile con la materia organizzata da sembrarne anzi una proprietà, come l’elettricità, [...] l’impenetrabilità [...] eccetera. Volete altre osservazioni? Eccone alcune che [...] provano [...] che l’uomo assomiglia perfettamente agli animali [...]. [...] l’uomo è una macchina, e [...] in tutto l’universo c’è una sola sostanza diversamente modificata6. Questa non è un’ipotesi costruita a forza di [...] supposizioni: non è l’opera del pregiudizio, né della mia sola ragione; avrei disdegnato una guida che credo poco sicura, se i sensi, portando [...] la fiaccola, non m’avessero, con l’illuminarla, costretto a seguirla. L’esperienza mi ha dunque parlato a favore della ragione: e quindi io le ho congiunte insieme.

n

da J.O. de La Mettrie, L’uomo macchina seguito da L’uomo pianta, Anti-Seneca ossia Discorso sulla felicità, a c. di G. Preti, SE, Milano 1990, pp. 64-65, 71.

n

Il brano che segue è tratto dall’opera L’uomo macchina (1748), di Julien Offroy de La Mettrie, dedicata all’anatomista tedesco Albrecht von Haller (1708-1777). Se il materialismo si affermò in Francia solo per opera di autori quali d’Holbach e Diderot, tuttavia lo scritto di La Mettrie fu uno dei primi in cui la tesi materialistica veniva sostenuta in terra francese, con i rischi che ciò comportava. In questo brano il filosofo sostiene la tesi per cui gli uomini sono delle macchine al pari degli animali, e il pensiero costituisce una modificazione della sostanza corporea.

201

06/02/12 15:11

T3

Locke, L’io non è una sostanza spirituale Il brano seguente è tratto dal Saggio sull’intelletto umano (1690) di John Locke. L’opera è frutto di una lunga elaborazione teorica e ha uno scopo non speculativo, ma pratico: Locke vuole capire come la ragione umana funzioni affinché gli uomini, grazie a essa, possano stabilire una forma di convivenza libera e pacifica che permetta a ognuno di ricercare la sua felicità in questo mondo. In questo brano, riflettendo sulla nozione di identità personale, Locke sostiene che è solo la coscienza a creare quello che chiamiamo “io”, tenendo insieme e unificando tutti i nostri atti percettivi, idee, volizioni e ricordi.

5

L’A N T O L O G I A

n

da J. Locke, Saggio sull’intelletto umano, a c. di M. e N. Abbagnano, UTET, Torino 1971, Libro secondo, capitolo 27, parr. 11-12, pp. 394-396.

10

n

15

20

1. L’io. 2. Riflessione su se stessi. 3. La sensazione è per Locke l’esperienza esterna, la percezione causata dall’influsso degli oggetti esterni particolari sui nostri sensi, dalla quale derivano le idee delle qualità sensibili (quali il freddo, il dolce e così via). 4. Sostrato, essenza. 5. Dalla coscienza. 6. Il termine “idea” indica, nella teoria di Locke, tutto ciò che è oggetto dell’intelletto.

202

194_207_animacorpo.indd 202

25

30

35

11. [...] per trovare in che cosa consista l’identità personale1, dobbiamo considerare per che cosa sta la parola persona; e sta [...] per un essere pensante intelligente, dotato di ragione e di riflessione, che può considerare se stessa come se stessa, [...] la [...] cosa pensante, in diversi tempi e luoghi, il che accade solamente mediante quella coscienza2 che è inseparabile dal pensare [...], giacché è impossibile che qualcuno percepisca senza percepire che percepisce. Quando vediamo, udiamo, odoriamo, [...] meditiamo o vogliamo qualcosa, sappiamo di farlo. Così avviene sempre per ciò che riguarda le nostre sensazioni3 [...] presenti, e così ciascuno è per se stesso ciò che chiama io: poiché non si considera in questo caso se lo stesso io continui nella stessa sostanza o in sostanze diverse. Infatti, poiché la coscienza accompagna sempre il pensare ed è ciò che fa sì che ognuno sia quello che egli chiama io, distinguendo [...] se stesso da tutti gli altri esseri pensanti, in questo solo consiste l’identità personale, cioè nel fatto che un essere razionale è sempre lo stesso. E fin dove questa coscienza può essere estesa indietro ad una qualsiasi azione o pensiero del passato, fin lì giunge l’identità di quella persona [...]. [...] 12. [...] la domanda è: che cosa costituisce la stessa persona; non se si tratta della stessa [...] sostanza4 che pensa sempre nella stessa persona [...]. Infatti sostanze diverse sono unite da una medesima coscienza [...] in una persona sola, come corpi diversi sono uniti da una medesima vita in un animale solo [...]. Poiché è la stessa coscienza che fa sì che un uomo sia se stesso per se stesso, l’identità personale dipende [...] solamente da questa5 [...]. Infatti, nella misura in cui un essere intelligente può ripetere l’idea6 di un’azione passata con la stessa coscienza che ne aveva in principio [...], in questa misura si tratta dello stesso io personale. Giacché solo per mezzo della coscienza che ha dei propri pensieri e azioni presenti, l’io è ora un io per se stesso, e così sarà lo stesso finché la stessa coscienza può estendersi ad azioni passate o a venire. E la distanza di tempo o il cambiamento di sostanza non ne farebbero due persone più di quanto un uomo diventerebbe due uomini portando oggi vestiti diversi da quelli che portava ieri [...]: è la stessa coscienza che unisce le azioni distanti nella stessa persona [...].

Il Seicento

06/02/12 15:11

Filosofia e letteratura

Ovidio, L’amore di Narciso per se stesso lo conduce alla morte

T4

10

15

20

25

1. Lirìope, una delle ninfe naiadi, che nella mitologia classica sono divinità femminili, personificazioni di elementi o fenomeni na-

turali, e sono mortali. 2. Nell’antica Roma l’indovino è un sacerdote che ha il compito di interpretare i vo-

4. Quale rapporto c’è tra l’anima e il corpo?

194_207_animacorpo.indd 203

L’A N T O L O G I A

5

La bellissima ninfa1, rimasta incinta, aveva partorito un bambino che già appena nato meritava di essere amato. E lo aveva chiamato Narciso. Interrogato se Narciso sarebbe giunto a vedere una lunga, tarda, vecchiaia, l’indovino2 aveva risposto: «Se non conoscerà se stesso». [...] Qui c’era una fonte senza un filo di fango, dalle acque argentate e trasparenti. [...]. Mentre cerca di sedare la sete, un’altra sete gli cresce: mentre beve, invaghitosi della forma riflessa, spera in un amore che non ha corpo, crede che sia un corpo quello che è un’ombra. Attonito fissa se stesso e senza riuscire a staccare lo sguardo rimane immobile come una statua scolpita in marmo di Paro. [...] Desidera, senza saperlo, se stesso; elogia, ma è lui l’elogiato, e mentre brama, si brama, e insieme accende e arde. Quante volte non dà vani baci alla fonte ingannatrice! Quante volte non tuffa nell’acqua le braccia per gettarle attorno al collo che vede, ma nell’acqua non si afferra! Non sa che sia quel che vede, ma quel che vede lo infiamma, e proprio l’errore che gli inganna gli occhi glieli riempie di cupidigia. Ingenuo, che stai a cercare di afferrare un’immagine fugace? Quello che brami non esiste; quello che ami, se ti volti, lo fai svanire. Questa che scorgi è l’ombra, il riflesso della tua figura. Non ha nulla di suo quest’immagine; con te è venuta e con te rimane; con te se ne andrebbe – se tu riuscissi ad andartene! [...] E come cera bionda a una leggera fiamma, come brina mattutina al tepore del sole, così, sfinito dall’amore, si strugge e un fuoco occulto a poco a poco lo consuma.

n

Ovidio, Le metamorfosi, III, 344-490, a c. di P. Bernardini Marzolla, Einaudi, Torino 1979, pp. 115-117.

n

Il brano seguente è tratto dal Libro terzo delle Metamorfosi (1-8 d.C.), composte da quindici libri. Il poeta romano Publio Ovidio Nasone (43 a.C.-17 d.C.) vi narra numerosi miti, al centro dei quali sono i mutamenti di forma subiti da semidei, eroi e altri individui a causa dell’avversione o della protezione di una divinità. Il mito di Narciso, qui narrato, mostra come la parte non-corporea di noi possa influire sul corpo e portare alla sua dissoluzione.

leri divini attraverso l’osservazione di alcuni segni (fulmini e tuoni, il volo degli uccelli, il loro canto e il loro modo di cibarsi).

203

06/02/12 15:11

T5

Ariosto, Il ritrovamento del senno di Orlando Il brano seguente è tratto dal canto XXXIV del poema Orlando furioso di Ludovico Ariosto (1474-1533), apparso nel 1516. L’opera (composta da quarantasei canti in ottave) narra le vicende di Orlando, che smarrisce la ragione a causa del suo amore per Angelica. Il duca Astolfo sale allora al cielo della luna per recuperare il senno di Orlando, e vi trova anche quello degli altri uomini. Letta alla luce del problema del rapporto tra anima o mente e corpo, la vicenda di Orlando suggerisce che essi siano separabili.

n

L’A N T O L O G I A

n

da L. Ariosto, Orlando furioso, Hoepli, Milano 1997, canto XXXIV, 71-75, 82-83, 85, pp. 373-374. 1. Astolfo è il paladino di Carlo Magno. 2. Che la luna, da vicino, appaia così grande, mentre quando la si guarda dalla terra essa appare soltanto come una piccola sfera. 3. Entrambi gli occhi. 4. Se da lì. 5. Dal momento che la Terra non ha una luce propria, l’immagine del mare e dei continenti arriva poco lontana. 6. Ben diversi e più grandi. 7. Sulla terra. 8. Con case più grandi delle quali Astolfo non vide mai. 9. Astolfo non si soffermò a esplorare e percorrere tutto ciò che gli appariva. 10. Poiché non era salito fino al cielo della luna per quello scopo. 11. Da san Giovanni evangelista, incontrato da Astolfo nel paradiso terrestre. 12. Miracolosamente si trovava. 13. Fortuna è la dea romana, personificazione del destino, in parte equivalente alla greca Tyche. Era raffigurata bendata, come cieca dispensatrice del bene e del male, e aveva come attributi il timone, il globo, la ruota, le spighe e la cornucopia. 14. Si raduna, si raccoglie. 15. Sui quali la ruota della Fortuna agisce instancabilmente. La ruota è uno degli attributi della dea Fortuna. 16. Ma intendo riferirmi anche a tutto ciò che la Fortuna non ha potere di togliere o di dare agli esseri umani. 17. Progetti vani, inutili, che non si realizzano mai.

204

194_207_animacorpo.indd 204

5

10

15

20

Quivi ebbe Astolfo1 doppia maraviglia: che quel paese appresso era sì grande, il quale a un picciol tondo rassimiglia a noi che lo miriam da queste bande2; e ch’aguzzar conviengli ambe le ciglia3, s’indi4 la terra e ‘l mar ch’intorno spande discerner vuol, che non avendo luce, l’immagin lor poco alta si conduce5.

71

Altri6 fiumi, altri laghi, altre campagne sono là su, che non son qui tra noi7; altri piani, altre valli, altre montagne, c’han le cittadi, hanno i castelli suoi, con case de le quai mai le più magne non vide il paladin prima né poi8 [...].

72

Non stette il duca a ricercare il tutto9; che là non era asceso a quello effetto10. Da l’apostolo santo11 fu condutto in un vallon fra due montagne istretto, ove mirabilmente era ridutto12 ciò che si perde o per nostro difetto, o per colpa di tempo o di Fortuna13: ciò che si perde qui, là si raguna14.

73

25

Non pur di regni o di ricchezze parlo, 74 in che la ruota instabile lavora15; ma di quel ch’in poter di tor, di darlo non ha Fortuna, intender voglio ancora16. [...] 30

35

Le lacrime e i sospiri degli amanti, l’inutil tempo che si perde a giuoco, e l’ozio lungo d’uomini ignoranti, vani disegni che non han mai loco17, i vani desideri sono tanti, che la più parte ingombran di quel loco:

75

Il Seicento

06/02/12 15:11

45

50

55

60

82

Era come un liquor suttile e molle, atto26 a esalar, se non si tien ben chiuso; e si vedea raccolto in varie ampolle, qual più, qual men capace, atte a quell’uso. Quella è maggior di tutte, in che del folle signor d’Anglante era il gran senno infuso27; e fu da l’altre conosciuta28, quando29 avea scritto di fuor: Senno d’Orlando. [...]

83

Altri in amar lo perde, altri in onori, altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze; altri ne le speranze de’ signori, altri dietro alle magiche sciocchezze [...]. Di sofisti30 e d’astrologhi raccolto, e di poeti ancor ve n’era molto.

85

n

18. Hai perduto. 19. Suoi. 20. Si rivolse. 21. C’era una guida. 22. Noi. 23. Per riottenere il quale non si fecero mai voti a Dio. 24. Una grande quantità. 25. Che, da solo, era molto più grande di tutte le cose enumerate. 26. Che tende. 27. Nella quale era contenuto il grande senno del folle Orlando. 28. Fu riconosciuta e distinta dalle altre. 29. Poiché. 30. Filosofi.

Quivi ad alcuni giorni e fatti sui19, ch’egli già avea perduti, si converse20; che se non era interprete21 con lui, non discernea le forme lor diverse. Poi giunse a quel che par sì averlo a nui22, che mai per esso a Dio voti non ferse23; io dico il senno: e n’era quivi un monte24, solo assai più che l’altre cose conte25.

L’A N T O L O G I A

40

n

ciò che in somma qua giù perdesti mai18, là su salendo ritrovar potrai. [...]

Battista Dossi, Notte (o Sogno), 1544. Dresda, Staatliche Kunstsammlung.

4. Quale rapporto c’è tra l’anima e il corpo?

194_207_animacorpo.indd 205

205

06/02/12 15:11

CHE COSA HAI IMPARATO IDENTIFICA LE TESI

I

1 Perché la tesi del dualismo di mente e corpo, sostenuta da Cartesio, rende problematico spiegare l’interazione tra essi? 2 Esponi le differenze tra i due tipi di risposte che sono state date dai contemporanei e dai successori di Cartesio alla tesi cartesiana del dualismo di mente e corpo confrontando le posizioni di Hobbes e di La Mettrie con quella di Berkeley. 3 Spinoza rifiuta la tesi cartesiana del dualismo di mente e corpo e sostiene una forma neutrale di monismo che, seppure diversa sia dal monismo spiritualistico sia dal monismo materialistico, condivide alcune tesi con il secondo. Spiega quali sono i punti comuni tra la teoria spinoziana del rapporto tra anima e corpo e il monismo materialistico. 4 Locke affronta il problema del rapporto tra anima e corpo impostandolo in modo molto diverso rispetto a Leibniz. Esponi le soluzioni del problema date dai due filosofi e spiega quale differenza c’è tra esse. 5 Ariosto narra la vicenda dello smarrimento del senno di Orlando e del suo ritrovamento da parte di Astolfo, che trova anche il senno degli altri uomini, raccolto in varie ampolle. A quale delle varie soluzioni filosofiche date al problema del rapporto anima-corpo può essere avvicinata la posizione di Ariosto?

RICONOSCI LE ARGOMENTAZIONI E L’OBIETTIVO POLEMICO

II

1 In T1 Cartesio sostiene la tesi secondo la quale l’anima è una sostanza che pensa e prende in esame un’obiezione rivolta a essa. Quale argomento viene formulato da Cartesio a sostegno della propria tesi, in risposta a quell’obiezione? 2 In T2 La Mettrie espone una tesi sul rapporto tra anima e corpo che lo pone in contrasto con la tesi cartesiana del dualismo tra essi. Illustra la tesi di La Mettrie e gli argomenti con i quali la sostiene, spiegando quali differenze ci sono tra essa e la tesi di Cartesio. 3 Nel testo di Locke, T3, viene sostenuta una posizione molto diversa da quella emersa dal testo di Cartesio, T1, sulla natura dell’anima. Esponi la tesi di Locke e l’argomentazione che dà a sostegno di essa e spiega quali differenze ci sono tra questa tesi e quella di Cartesio. 4 In T4 Ovidio narra il mito di Narciso, che si innamora di se stesso al punto di desiderare di separarsi dal proprio corpo e muore a causa del sentimento d’amore che prova. Come viene descritto da Ovidio il rapporto tra lo stato mentale di Narciso e la sua condizione fisica? Quali somiglianze e quali differenze ci sono tra il contenuto di questo brano e le tesi sostenute da La Mettrie, in T2, sul rapporto tra anima o mente e corpo? III

ANALIZZA IL LESSICO, LA RETORICA E LO STILE

1 Illustra la definizione del termine “anima” data da Cartesio in T1. 2 Per mostrare la solidità della tesi secondo cui l’uomo è una macchina, La Mettrie (T2) ricorre a un’immagine e fa uso di un linguaggio figurato. Ricerca nel testo questi elementi stilistici, spiega il significato dell’immagine usata da La Mettrie e commentane l’efficacia. 3 A sostegno della tesi secondo cui l’identità personale dipende unicamente dalla coscienza, la quale fa sì che una persona sia se stessa per se stessa, Locke (T3) introduce un paragone. Ritrovalo nel testo, spiegane il significato e commentane l’efficacia. 4 In T4 Ovidio si serve di una similitudine per descrivere gli effetti prodotti sul corpo di Narciso dall’amore che egli prova per se stesso e dallo stato mentale in cui si trova. Ricerca nel testo questa similitudine e commentane l’efficacia, indicando poi altre similitudini che potrebbero essere usate al posto di essa.

206

194_207_animacorpo.indd 206

Il Seicento

06/02/12 15:11

CHE COSA NE PENSI TU A

SUGGERISCI UNA CONNESSIONE

In questa incisione del 1808, l’artista Luigi Schiavonetti raffigura un corpo abbandonato, al momento della morte, dall’anima (che qui ha, per di più, le stesse fattezze del corpo mortale). A quale posizione filosofica puoi associare questo tipo di immagine? Motiva la tua risposta.

....................................................................................................................... ....................................................................................................................... ....................................................................................................................... ....................................................................................................................... ....................................................................................................................... ....................................................................................................................... ....................................................................................................................... .......................................................................................................................

B

IMPIEGA ALTRE FONTI

Hai avuto modo di conoscere, attraverso le conoscenze che hai acquisito nel corso del tempo e lo scambio di vedute con altre persone, un’altra concezione del rapporto tra la mente e il corpo e del legame o dell’indipendenza reciproca tra stati mentali e stati corporei? Esponi questa concezione in un max di 4 righe, chiarendo: • in quali circostanze l’hai conosciuta e in quali documenti è esposta; ..................................................................................................................................................................................................................................................... .....................................................................................................................................................................................................................................................

• che cosa afferma chi la sostiene. ..................................................................................................................................................................................................................................................... .....................................................................................................................................................................................................................................................

C

ESPRIMI LA TUA OPINIONE

Dopo aver letto questo capitolo e aver analizzato i brani tratti da opere filosofiche e letterarie, prova a esporre in un saggio breve la tua opinione personale sul rapporto esistente tra la mente e il corpo di un individuo e sull’influenza che ciascuno di essi può avere sull’altro. Nell’esporla formula gli argomenti a favore di essa e tenta di rispondere agli argomenti con i quali potrebbe essere confutata. Scegli lo stile che ti sembra più adatto a illustrare la tua opinione, tentando di renderla chiara a chi legge facendo uso, se è necessario, di esempi o immagini tratti dalla tua esperienza personale o da altre fonti (per esempio, immagini tratte da opere teatrali o cinematografiche).

4. Quale rapporto c’è tra l’anima e il corpo?

194_207_animacorpo.indd 207

207

06/02/12 15:11

5. Malebranche, Pascal

e Bayle 1598 Viene promulgato l’editto di Nantes.

1610 Muore Enrico IV, cui succede Luigi XIII.

1634 La Francia entra 1618 Scoppia la Guerra in guerra contro gli dei Trent’anni. Asburgo.

1643 Sale al trono Luigi XIV.

EVENTI EVENTI FILOSOFICI

1583 Grozio nasce a Delft, in Olanda.

LE DOMANDE

1592 Gassendi nasce a Champtercier (in Provenza).

1623 Blaise Pascal nasce a Clermont (in Alvernia).

1625 Viene pubblicato il De jure belli ac pacis di Grozio.

1637 Esce il Discorso sul metodo di Cartesio.

1638 Malebranche 1644 Disquisitio nasce a Parigi. metaphysica di Gassendi.

Cartesiani e anticartesiani

Malebranche

• Quale valore hanno le conoscenze dell’uomo moderno rispetto a quelle degli antichi? Esse hanno un valore minore o sono superiori alle conoscenze che l’uomo ha acquisito nell’antichità?

• L’uomo è un essere autonomo o è invece dipendente da Dio? Gli esseri umani sono in grado, da soli, di conoscere e di agire o hanno bisogno dell’aiuto divino?

• Su che cosa è fondata la conoscenza? Essa ha fondamento nell’esperienza o deriva interamente dal ragionamento?

• L’intelletto umano è attivo o passivo? • Se Dio è buono e onnipotente perché esiste il male nel mondo?

• Il sapere razionale, frutto della ragione, è l’unica forma di sapere autentico che l’uomo può acquisire? O ci sono altre forme autentiche di sapere che non sono il risultato della nostra attività razionale?

I TESTI

208

RISORSE MULTIMEDIALI

➥ Lezione LIM ➥ Test

208_247_malebranche.indd 208

➥ Biblioteca: P. Serini, La teologia cristiana è una scienza del cuore

06/02/12 15:15

L’uomo non è che una canna, la più debole della natura; ma è una canna pensante. Non c’è bisogno che tutto l’universo s’armi per schiacciarlo: un vapore, una goccia d’acqua basta ad ucciderlo. Ma, anche se l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe ancor più nobile di chi lo uccide, perché sa di morire e conosce la superiorità dell’universo su di lui; l’universo invece non ne sa niente. (B. Pascal, Pensieri)

1685 Con l’editto di Fontainebleau Luigi 1667 La Francia invade XIV revoca l’editto di Nantes. 1648 Pace di Westfalia. i Paesi Bassi.

1647 Bayle 1655 Gassandi nasce a Carlat muore a Parigi. (in Alvernia) da una famiglia protestante.

1662 Esce La logica, o l’arte di pensare di Arnauld e Nicole; Pascal muore a Parigi.

1669 Vengono pubblicati i Pensieri di Pascal.

Pascal

• La ragione umana è in grado di farci acquisire tutte le conoscenze? Essa ha capacità illimitate o è, invece, soggetta a illusioni?

1688-1697 Guerra della Lega d’Augusta la Francia.

1672 De jure 1675 La ricerca 1694 Grozio naturae della verità muore et gentium di Malebranche. a Berlino. di Pufendorf.

1713 Con la bolla Unigenitus il papa Clemente XI condanna il giansenismo.

1696 1706 Bayle 1715 Malebranche Dizionario muore muore a Parigi. storico-critico a Rotterdam. di Bayle.

Bayle

Il giusnaturalismo

• Una conoscenza che gode del massimo consenso è sicuramente vera?

• Quale origine hanno i diritti degli esseri umani? Essi sono diritti naturali, originari, dell’uomo oppure no?

• Quale rapporto c’è tra la fede e la morale? • Le verità della religione e della fede sono accessibili all’uomo attraverso la ragione o La mancanza di fede nell’esistenza di Dio ha conseguenze negative può arrivare a conoscerle soltanto in modo sul piano morale o è del tutto non razionale? La ragione è superiore alla compatibile con la condotta morale? fede o è, invece, subordinata a essa? • Qual è la posizione dell’uomo nell’universo?

1700-1714 Guerra di successione spagnola contro la Francia.

• I diritti sono preesistenti all’istituzione della società e delle leggi o derivano da essa?

• Da chi dipende il male nell’universo?

• Quale atteggiamento conviene all’uomo riguardo all’esistenza di Dio? È inutile credere che Dio esista o crederlo è vantaggioso per gli esseri umani? T1 Pascal, L’amor proprio T2 Pascal, Il divertimento è distrazione della mente T3 Pascal, Il cuore sente, la ragione dimostra T4 Pascal, La grandezza dell’uomo è nel pensiero

209 ✔ Cittadinanza e costituzione: Libertà di pensiero e tolleranza

208_247_malebranche.indd 209

06/02/12 15:15

1. Razionalismo cartesiano e sapere erudito Le due sfide dell’età cartesiana

Gli interlocutori di Cartesio nelle Meditazioni

Cartesiani e anticartesiani

La filosofia della seconda metà del XVII secolo si trova a dover rispondere a due sfide. Da un lato, si pone il problema del confronto con la filosofia di Cartesio, ossia con una metafisica razionalistica che mette al centro del proprio orizzonte la conoscenza e il metodo razionale. Dall’altro lato, si sviluppa enormemente un sapere erudito che ha importanti riflessi nella cultura filosofica. Razionalismo cartesiano ed erudizione costituiscono quindi i due grandi temi di questi decenni.

1.1 Il dibattito sulla filosofia cartesiana Il dialogo con Cartesio inizia prima dell’uscita delle sue Meditazioni metafisiche: lo stesso Cartesio pubblica infatti le obiezioni di alcuni importanti personaggi della cultura filosofica contemporanea, a cui è stato dato in lettura il manoscritto, seguite dalle proprie risposte. Oltre a filosofi come Thomas Hobbes, tra gli interlocutori di Cartesio compaiono esponenti della filosofia seicentesca come Pierre Gassendi e Antoine Arnauld. Gassendi ricerca un’impostazione propria per affrontare i grandi temi della scienza moderna e concepisce una teoria meccanicistica alternativa a quella di Cartesio. Arnauld è il protagonista più rappresentativo, con Blaise Pascal, della cultura sviluppata nell’abbazia di Port-Royal. Inoltre, Arnauld è autore con Pierre Nicole (1625-1695) di una Logica che avrà un’enorme influenza. Lo scontro tra cartesiani e anticartesiani costituisce un aspetto centrale della filosofia del Seicento. Si tratta di schieramenti che si vanno intersecando con le polemiche tra i diversi ordini religiosi. FILOSOFI A CONFRONTO

Le università e gli ordini più legati alla tradizione aristotelica (i gesuiti e i domenicani) assumono una posizione critica verso Cartesio. Chi invece rimanda a Platone e, soprattutto, ad Agostino – i giansenisti e i benedettini, oltre agli agostiniani – intende combattere la tradizione e trovare al cartesianesimo vie di accesso nella cultura scientifica e filosofica. Ciò avviene a Port-Royal, nel cui ambito maturano le riflessioni di Arnauld, Nicole, Pascal: il cogito cartesiano viene accostato alle tesi di Agostino, che aveva dato ampio spazio all’introspezione. Philippe de Champaigne, Ex-voto, 1662. Parigi, Musée du Louvre.

210

208_247_malebranche.indd 210

Il Seicento

06/02/12 15:15

Il giansenismo e i suoi legami con l’agostinismo

L’occasionalismo di Malebranche

Ad Agostino, infatti, era dedicata l’opera del vescovo Cornelius Jansen (latinizzato in Giansenio, 1585-1638), punto d’origine del movimento giansenista, che da lui prende il proprio nome; esso ha a Port-Royal il centro della sua diffusione. Il giansenismo, condannato dalla Chiesa nel 1653, è caratterizzato: • dal rigore morale, • dalla difesa della teoria agostiniana della grazia e della predestinazione, • dalla proposta di una riforma della devozione cristiana. I problemi nati nell’ambito della metafisica cartesiana hanno durante il Seicento importanti sviluppi. I maggiori sono: 1. la forma di occasionalismo proposta da Nicolas Malebranche, secondo la quale una volta accettata l’impossibilità di una causalità reciproca tra corpo e mente (perché queste due sostanze sono distinte), tutti gli eventi materiali e mentali dipendono dall’agire divino. È Dio stesso, quindi, che in “occasione” di ogni evento interviene: è Dio l’unico vero agente; 2. la critica del razionalismo e la riflessione sull’uomo di Pascal. Pascal è un grande scienziato, ma rappresenta anche l’inquietudine per un essere umano non più garantito da un cosmo fatto a sua misura, con l’uomo al proprio centro, come avveniva nell’immagine tolemaica del mondo. PER SINTETIZZARE • Quali sono i temi affrontati nella filosofia della seconda parte del Seicento? • Quali sono i critici delle tesi cartesiane e quali ne sono, invece, i sostenitori?

1.2 L’erudizione Storia sacra e storia profana

Libertinismo erudito e letteratura clandestina

Riprese delle scuole filosofiche antiche

La difesa della religione

La disputa tra antichi e moderni

L’erudizione è il secondo tratto rilevante del dibattito filosofico seicentesco. Essa diventa uno strumento importante per la critica razionalistica della religione. Contemporaneamente si diffondono studi che rivelano la scarsa affidabilità della cronologia biblica che contrasta con le altre fonti disponibili (costituite dagli storici antichi come Erodoto, ma anche dalle fonti egizie, caldee, persiane e cinesi). In questo modo, la storia si stacca progressivamente dalla storia sacra per fare emergere la maggiore verosimiglianza di una storia «profana», non fondata sul racconto della Bibbia. Un fenomeno importante in questo ambito è il libertinismo erudito. Esso dimostra che l’apologetica cristiana, timorosa dei possibili esiti sovversivi della ricerca storica, lascia tale ricerca nelle mani dei critici della religione. I libertini sviluppano infatti fino all’ateismo la critica della religione, anche attraverso una letteratura clandestina, ed esercitano una notevole influenza. Esempi significativi del pensiero libertino sono François La Mothe Le Vayer (1588-1672), Gabriel Naudé (1600-1653) e Savinien de Cyrano de Bergerac (16191655), autore di finzioni letterarie. La critica della religione dei libertini è spesso sorretta dalla ripresa delle scuole filosofiche greche successive ad Aristotele, che conoscono un notevole successo nel Seicento: • lo stoicismo propone una morale svincolata dalla religione; • l’epicureismo presenta una concezione materialistica della realtà e dell’uomo; • lo scetticismo mette l’accento sui limiti delle possibilità di conoscere. Qualche difensore della religione come Richard Simon (1638-1712) o Jean Le Clerc (16571736) cerca di attenuare con gli strumenti dell’erudizione i risultati delle discipline storiche ritenuti più pericolosi, ma gran parte dell’apologetica rifiuta questa nuova situazione, cercando di ribadire la verità di tutto quanto è scritto nella Bibbia. 1.2.1 Gli antichi, i moderni, la tradizione Nell’ambito del confronto con il passato rientra anche la cosiddetta “disputa sugli antichi e sui moderni”. Si tratta del dibattito nato, nella seconda metà del Seicento, su problemi estetici e poi ampliato agli altri campi del sapere.

5. Malebranche, Pascal e Bayle

208_247_malebranche.indd 211

211

06/02/12 15:15

Fontenelle: la difesa dei moderni

Bayle: sintesi tra razionalismo ed erudizione

L’inizio del dibattito concerne la lingua e la letteratura: alcuni sostengono la supremazia della tradizione classica, mentre altri difendono i tentativi di rinnovare lo stile e i temi. Dall’ambito letterario il confronto si sposta su opposizioni di natura filosofica (autorità / ragione, pregiudizi / progresso ecc.). L’intervento più rilevante è quello di Bernard Le Bovier de Fontenelle (1657-1757), con lo scritto Digressione sugli antichi e i moderni (1688). Fontenelle si dichiara a favore dei moderni: essi hanno accumulato una maggiore conoscenza, soprattutto nelle scienze, e hanno visto in Cartesio un decisivo passo avanti per l’analisi del ragionamento. Si apre così la possibilità di vedere la storia umana in termini di progresso. Allo stesso tempo, Fontenelle dimostra l’importanza metafisica della teoria copernicana. Egli pubblica infatti i Dialoghi sulla pluralità dei mondi (1686), in cui pone la questione dell’esistenza di altri mondi abitati oltre alla Terra. Una sorta di sintesi tra razionalismo ed erudizione è rappresentata dal Dizionario storico-critico (1696) di Pierre Bayle, una critica della tradizione e degli errori in essa accumulati. Di grande rilevanza è la trattazione che Bayle fa del problema del male e della giustificazione di Dio di fronte all’esistenza del male nel mondo. PER SINTETIZZARE • Che cosa viene mostrato dagli studi storici che si diffondono nella seconda metà del XVII secolo? • Quale posizione viene sostenuta da Fontenelle nella disputa sugli antichi e sui moderni?

2. In dialogo con Cartesio: Gassendi e Arnauld 2.1 Pierre Gassendi: atomismo ed empirismo Gassendi e le Meditazioni

Le critiche di Gassendi a Cartesio

Circolarità della nozione cartesiana di evidenza

212

208_247_malebranche.indd 212

Tra gli interlocutori principali di Cartesio vanno ricordati, come si è detto, Antoine Arnauld (1612-1694) e Pierre Gassendi (1592-1655). Gassendi è uno degli autori delle obiezioni alle Meditazioni cartesiane (le Quinte), interviene nel dibattito sulla filosofia cartesiana e pubblica un volume contenente le Meditazioni, le proprie obiezioni, le risposte di Cartesio e le proprie osservazioni a queste risposte. Gassendi è profondamente critico nei confronti sia dell’aristotelismo sia del naturalismo rinascimentale, ma di particolare rilevanza è il suo confronto con Cartesio delle cui posizioni critica: 1. il dualismo tra pensiero ed estensione, ossia la separazione ontologica tra sfera spirituale e sfera materiale e l’assenza di interazione causale tra esse: tale separazione rende difficile a Cartesio dimostrare come Dio agisca sul mondo e come sia possibile l’unità tra mente e corpo; 2. la nozione cartesiana di sostanza: Gassendi la ritiene inutilizzabile. Cartesio identifica ogni sostanza con il suo attributo principale, pensiero o estensione, ed è convinto di descriverne l’essenza attraverso queste proprietà. Gassendi ritiene invece che, sebbene conosciamo le manifestazioni esteriori delle cose, la natura interna delle cose ci sfugga e ritiene che la sostanza sia inconoscibile perché solo Dio che l’ha prodotta la conosce; 3. la concezione cartesiana dell’evidenza, ossia la tesi che esistano verità chiare e distinte che si possono cogliere attraverso l’intuizione. Secondo Gassendi Cartesio giustifica il proprio criterio dell’evidenza attraverso un ragionamento circolare. Cartesio ricerca un criterio per verificare la chiarezza e distinzione delle idee e in tale ricerca egli si affida all’evidenza, ma deve poi trovare un criterio infallibile dell’evidenza stessa e lo individua nella veridicità divina; quindi esso si fonda sull’esistenza di Dio e sulla sua natura di Ente perfettissimo (buono, non ingannatore ecc.). Ma precedentemente Cartesio ha dimostrato l’esistenza di Dio utilizzando lo stesso criterio dell’evidenza (la prima prova delle Meditazioni inizia infatti dalla presenza in noi di un’idea chiara e distinta di Dio). Quindi, afferma Gassendi, il ragionamento di Cartesio è circolare.

Il Seicento

06/02/12 15:15

Un modello di fisica alternativo: l’atomismo

La teoria della conoscenza

Etica e religione: epicureismo e fede in Dio

Gassendi respinge inoltre la concezione metafisica cartesiana che identifica la sostanza estesa con la materia e la pensa attraverso l’idealizzazione matematico-geometrica. A questa concezione Gassendi contrappone l’atomismo di Epicuro, una teoria fisica che gli sembra priva delle elucubrazioni metafisiche di Cartesio. Oltretutto, l’atomismo è adeguato per spiegare la natura così come viene vista dalla scienza moderna. Gassendi sostiene così l’esistenza del vuoto, rifiutando la tesi cartesiana della divisibilità infinita dell’estensione e, quindi, dell’inesistenza del vuoto. L’atomismo permette di spiegare la permanenza della materia e i mutamenti che avvengono nel mondo fisico. Sul piano della teoria della conoscenza, Gassendi è empirista: sostiene che il conoscere si fonda sull’esperienza e pensa che alla base del processo conoscitivo ci sia la percezione che consiste nello staccarsi di atomi dall’oggetto conosciuto, che vanno a colpire i sensi del soggetto che conosce. Solo attraverso il ripetersi di esperienze è possibile un processo di elaborazione delle percezioni che consente di trarre conclusioni generali a partire dalle singole esperienze (induzione) e consente di formulare ipotesi da sottoporre a verifica. Sul piano etico Gassendi assume una posizione ispirata all’epicureismo, secondo cui l’uomo è volto alla ricerca del piacere. Egli tenta però di rendere l’epicureismo compatibile con la dottrina cristiana, eliminandone il tratto materialistico: gli atomi sono creati da Dio e possono essere annientati da Dio. Gassendi ritiene che sulla base dell’ordine del mondo voluto da Dio si possa risalire all’esistenza di Dio stesso e che la fede abbia un proprio ambito nel quale non ci può essere conflitto con la ragione. PER SINTETIZZARE • Perché, secondo Gassendi, il ragionamento con cui Cartesio giustifica il criterio dell’evidenza è circolare? • Quale teoria fisica viene sostenuta da Gassendi contro la concezione metafisica di Cartesio?

LA FILOSOFIA DI GASSENDI critiche a Cartesio: • rifiuto del dualismo ontologico • inconoscibilità della sostanza • circolarità dell’evidenza

sperimentalismo, empirismo e induzione GASSENDI meccanicismo e atomismo

etica epicurea; Dio creatore degli atomi; conciliazione fede / ragione

2.2 Antoine Arnauld: razionalismo e difesa della religione Arnauld e la logica

Anche Arnauld (1612-1694) è autore di obiezioni alle Meditazioni di Cartesio (le Quarte). Inoltre, Arnauld scrive con Pierre Nicole la Logica o l’arte di pensare (1662), un testo che ha lasciato il segno nella logica e nella linguistica successive.

5. Malebranche, Pascal e Bayle

208_247_malebranche.indd 213

213

06/02/12 15:15

FILOSOFI A CONFRONTO

La logica non è soltanto l’arte della dimostrazione: essa riguarda tutto il pensiero, inteso come l’attività più importante dello spirito. Nella Logica Arnauld e Nicole cercano di conciliare la filosofia di Cartesio con la fede cristiana, accostando il cogito cartesiano al pensiero di Agostino e alla certezza dell’autocoscienza (ossia della coscienza di sé). La questione del dubbio, tramite la quale Cartesio tenta di fondare un metodo per giungere alla verità, era stata già affrontata da Agostino. Il criterio della chiarezza che caratterizza la coscienza di sé, allora, dovrà essere il criterio per ricercare la verità.

Limitazione del criterio dell’evidenza all’intendere

Il credere, sapere autentico accanto all’intendere

L’opinare, fonte dell’errore

Secondo Arnauld, però, il criterio razionale della chiarezza e distinzione deve essere limitato a una certa sfera dello spirito: quella dell’intendere, cioè il sapere razionale che ha per oggetto le cose che riguardano le scienze e «che cadono sotto la nostra intelligenza»; esso non include le cose «che riguardano la fede e le azioni della nostra vita». Oltre all’intendere, infatti, un’altra forma di sapere autentico è la fede, cioè il credere, che riguarda le questioni religiose e non è fondato sulla chiarezza e distinzione. Esso è fondato sul credito che viene conferito a qualche autorità in ambiti nei quali l’uomo non è in grado di intendere razionalmente. L’intendere razionale e il credere sono forme di sapere autentico che si contrappongono all’opinare, fonte dell’errore e indegno per gli uomini in quanto colui che crede di sapere qualcosa che in realtà ignora non è più capace di imparare e perché la presunzione è un carattere negativo. FILOSOFI A CONFRONTO

Quindi Arnauld riconosce la validità del razionalismo cartesiano, ma vuole evitarne le possibili implicazioni pericolose per la religione. Per far ciò, limita la portata del criterio cartesiano della chiarezza e della distinzione, tenendone fuori la religione.

LE FORME DEL SAPERE IN ARNAULD

FORME DI SAPERE AUTENTICO

intendere = sapere razionale che ha per oggetto le cose che riguardano le scienze, conosciute attraverso l’evidenza (idee chiare e distinte)

credere = riguarda le questioni religiose ed è fondato sull’autorità

ARNAULD

FORME DI SAPERE INAUTENTICO

opinare = fonte dell’errore derivante dalla presunzione di sapere

PER SINTETIZZARE • Arnauld sostiene che il criterio cartesiano della chiarezza e della distinzione deve essere applicato a tutte le forme di sapere autentico o sostiene che l’applicazione di tale criterio deve essere limitata?

214

208_247_malebranche.indd 214

Il Seicento

06/02/12 15:15

3. L’ordine metafisico: Nicolas Malebranche FILOSOFI A CONFRONTO

Nicolas Malebranche è uno dei pensatori più originali dell’epoca. Anch’egli, come Arnauld, testimonia l’incontro tra filosofia cartesiana e tradizione agostiniana, anche se su una questione centrale della teoria della conoscenza egli si distacca da Cartesio.

LA VITA E LE OPERE 1638

Nicolas Malebranche nasce a Parigi; il padre è un segretario del re.

1664

Prende i voti e nello stesso anno conosce la filosofia di Cartesio e l’occasionalismo.

1660

Diviene novizio nell’ordine dell’Oratorio.

1675

Viene pubblicata La ricerca della verità.

1679

Escono i Chiarimenti, aggiunti a La ricerca della verità.

1680

Con il Trattato della natura e della grazia Malebranche interviene nella polemica tra gesuiti e giansenisti. Inizia il confronto di idee tra Malebranche e Arnauld (cui partecipa anche Bossuet), conclusosi sette anni dopo.

1682

Escono le Meditazioni cristiane e metafisiche.

1684

Viene pubblicato il Trattato di morale.

1688

Appaiono i Colloqui sulla metafisica e sulla religione.

1692

Viene pubblicato il trattato Sulla comunicazione dei moti.

1715

Malebranche muore a Parigi.

3.1 La teoria delle idee e l’occasionalismo Rifiuto dell’innatismo cartesiano

L’opera principale di Malebranche è La ricerca della verità, che è anche una rassegna critica delle teorie sulle idee. FILOSOFI A CONFRONTO

Malebranche rifiuta la tesi cartesiana secondo cui alcune idee sono innate e riformula la teoria di Cartesio secondo la quale tali idee sono modificazioni innate della mente la cui evidenza ci è garantita dalla veridicità divina.

Il platonismo cristiano

La teoria delle idee innate di origine platonica si è trasformata nel pensiero medioevale a partire da Agostino, il quale sostiene che le idee sono essenze delle cose poste nella mente divina, che gli uomini conoscono grazie all’intuizione intellettuale. Per sottolineare la potenza divina, Malebranche interpreta le idee come essenze che noi vediamo direttamente in Dio mediante un processo in cui emerge la passività della mente umana: in “occasione” del fatto che i nostri sensi vengono colpiti da un oggetto esterno, Dio suscita in noi l’idea di tale oggetto. La conoscenza non si fonda sull’impressione sensibile che arriva dall’esterno e l’intelletto è passivo: è Dio il produttore della conoscenza.

5. Malebranche, Pascal e Bayle

208_247_malebranche.indd 215

215

06/02/12 15:15

Occasionalismo e legge di causalità

Con la tesi della visione delle idee direttamente in Dio Malebranche vuole dimostrare agli uomini che non sono in grado di far nulla senza l’aiuto divino; quindi, essi sono in una «totale dipendenza da Dio». Malebranche difende l’occasionalismo anche riguardo alla legge di causalità, ovvero alla legge di natura che è il perno della scienza moderna. Anche il rapporto causale tra due palle da biliardo, tale che una colpendo l’altra è la causa del suo movimento, ci induce in errore, se ci spinge a pensare che il movimento della prima palla sia la causa del movimento della seconda. Infatti il movimento della prima palla è soltanto l’“occasione” del movimento della seconda, che deve essere prodotto da Dio. Quindi, Dio è causa di tutte le cose.

PER SINTETIZZARE • Che cosa intende dimostrare Malebranche con la tesi secondo cui le idee sono essenze che vediamo direttamente in Dio? • Quale posizione viene assunta da Malebranche riguardo alla filosofia cartesiana?

3.2 Il rapporto tra fede e ragione FILOSOFI A CONFRONTO

La critica dell’erudizione

I rischi del dubitare

Tensione tra ragione e fede

Malebranche è profondamente convinto della superiorità del pensiero cartesiano sulla tradizione aristotelica. I criteri cartesiani della chiarezza e dell’evidenza ne sono la prova più convincente. Egli è polemico anche verso l’erudizione per le sue possibili implicazioni negative per la religione, come dimostrano le teorie dei libertini.

Lo stesso dubbio cartesiano è valutato da Malebranche ben diversamente quando si riferisca all’uso che ne ha fatto Cartesio oppure all’uso che ne fanno i critici della religione. Ciò di cui parla Cartesio è il dubitare «correttamente» ai fini della ricerca della verità; il dubbio dei critici della religione è invece un dubbio tenebroso, che non guida verso la luce ma «sempre ne allontana». Ciononostante, Malebranche è consapevole della tensione che può instaurarsi tra ragione e fede. Le idee della ragione ci sono state date da Dio soltanto per muoverci nell’ordine naturale delle cose; in tale ambito dobbiamo usare il criterio dell’evidenza. Per i misteri della fede, invece, non possiamo usare lo stesso criterio, quindi il rapporto tra ragione e fede è fondato su una netta divisione dei compiti. Malebranche affronta anche un problema che era emerso dalla riflessione cartesiana a proposito dell’arbitrarietà della volontà divina e, di conseguenza, l’arbitrarietà della creazione. Tra le cose create Cartesio aveva incluso anche le verità eterne, ossia le essenze matematiche e le leggi logiche (per esempio, il principio di non contraddizione). FILOSOFI A CONFRONTO

In polemica con tale teoria, Malebranche riprende la posizione agostiniana: le proposizioni razionali, come le verità eterne della metafisica e della matematica, non sono frutto dell’arbitrio; esse esprimono la natura di Dio. E di Dio Malebranche sottolinea piuttosto la saggezza che la potenza assoluta, arbitraria.

L’agire divino è regolato da leggi generali e uniformi

216

208_247_malebranche.indd 216

Per Malebranche la creazione non può essere né arbitraria né il frutto di interventi particolari: l’ordine che caratterizza l’universo è un ordine contrassegnato dalla semplicità delle leggi della natura e dalla generalità dei principi su cui si regge.

Il Seicento

06/02/12 15:15

Dio non può essere responsabile del male

La presunzione antropocentrica dell’uomo

L’intervento divino nel mondo non si attua quindi in casi particolari, ma attraverso leggi generali caratterizzate dalla massima perfezione e dalla semplicità. La semplicità diventa un importante criterio anche sul piano fisico, e non solo su quello metafisico, dell’azione di Dio. Essa è infatti una chiave per comprendere la natura secondo la nuova scienza matematica. Il rapporto tra le leggi generali volute da Dio e il problema dell’esistenza del male viene affrontato da Malebranche nel Trattato della natura e della grazia (1680). Sulla base della semplicità delle leggi della natura Malebranche rifiuta l’idea che Dio possa essere responsabile del male del mondo. Per Malebranche è piuttosto l’uomo che giudica il mondo in modo errato e presuntuoso, pensando che il fine della creazione del mondo sia il benessere degli uomini. Questo atteggiamento antropocentrico distorce la grandezza divina, perché Dio non può aver creato che per la propria gloria, non certo in funzione del benessere umano. Agire altrimenti sarebbe indegno di Dio.

LA FILOSOFIA DI MALEBRANCHE teoria della conoscenza: • rifiuto dell’innatismo cartesiano • teoria della visione in Dio delle idee • Dio come produttore della conoscenza

fisica occasionalistica: Dio come unica causa efficiente

critica dell’erudizione e dell’aristotelismo MALEBRANCHE metafisica razionalistica: • rifiuto dell’arbitrarismo • scelte divine fondate su saggezza e immutabilità della natura di Dio • ordine del reale fondato su leggi generali, semplici e uniformi

soluzione del problema del male: l’uomo non è in grado di cogliere nella sua interezza l’ordine metafisico del reale

PER SINTETIZZARE • Malebranche sostiene che il criterio dell’evidenza deve essere applicato sia nell’ambito del mondo naturale sia nell’ambito della fede o ritiene che per i due ambiti non possa valere lo stesso criterio? • Su che cosa è fondato, secondo Malebranche, l’intervento di Dio nel mondo? • Perché, secondo Malebranche, il modo in cui l’uomo giudica il mondo è sbagliato?

5. Malebranche, Pascal e Bayle

208_247_malebranche.indd 217

217

06/02/12 15:15

4. Blaise Pascal: l’ordine del cuore Blaise Pascal esprime tutta la tensione teorica ed esistenziale del secolo XVII. Grande scienziato, Pascal è nella sua originalità uno degli intellettuali più significativi della sua epoca. Accanto alla sua opera maggiore, i Pensieri (pubblicati dopo la sua morte), bisogna ricordare che Pascal è l’autore di uno dei primi capolavori della lingua francese: le Provinciali, opera scritta dopo la condanna dell’amico Arnauld come giansenista e in parte redatta in collaborazione con lui.

Originalità del pensiero di Pascal

LA VITA E LE OPERE 1623

Blaise Pascal nasce a Clermont (in Alvernia). Il padre appartiene alla piccola nobiltà e inizialmente è lui a occuparsi della sua educazione.

1635

Trasferitosi con la famiglia a Parigi, frequenta con il padre il circolo di Mersenne, dove conosce i due più noti matematici del tempo, Girard Desargues (1591-1661) e Gilles de Roberval (1602-1675), e attraverso di loro i protagonisti della rivoluzione scientifica (Galilei, Cartesio, Evangelista Torricelli, Pierre de Fermat).

1640

Viene pubblicato il Saggio sulle coniche.

1644 1 1646

Pascal concepisce il progetto di una macchina calcolatrice, che brevetta cinque anni dopo.

1647

Appaiono i Nuovi esperimenti intorno al vuoto.

1652

La sorella di Pascal entra nel convento di Port-Royal, cosa che porta a una rottura dei loro rapporti.

1654

Dopo un periodo di intensa attività scientifica e di frequentazioni di ambienti libertini, Pascal ha una profonda crisi spirituale, la «seconda conversione», che egli narra in un Memoriale, e aderisce al giansenismo ritirandosi per un periodo a Port-Royal. Negli anni successivi alterna periodi di ritiro con la ripresa delle attività di studio, risolvendo tra l’altro il problema della roulette o cicloide.

1656-1657

Interviene in difesa di Arnauld con le Pronvinciali (diciotto lettere). Inoltre, progetta un’opera apologetica in difesa della religione cristiana.

1662

Muore a Parigi. Dell’opera apologetica progettata rimane, alla sua morte, una serie di piccoli fogli, privi di un ordine.

1669

Esce la prima edizione (parziale) dei Pensieri, a opera di un gruppo di amici e parenti, tra cui Arnauld e Nicole; ma molti frammenti sono stati espunti, altri rielaborati e si è scelto di raggrupparli in base ai temi affrontati. Nel 1711 un nipote di Pascal incolla gli originali su fogli bianchi raccolti in un album, probabilmente nell’ordine in cui si trovavano alla morte dell’autore. La prima edizione integrale dell’opera, ricavata da questo manoscritto, uscirà nel 1844.

La grandezza dell’uomo è nel pensiero

218

208_247_malebranche.indd 218

Pascal entra in contatto con il giansenismo e avviene la sua «prima conversione».

In Pascal si esprime tutto il disagio esistenziale derivante dalla nuova considerazione dell’essere umano inserito in un universo infinito che rimpicciolisce l’essere umano di fronte al cosmo e a Dio, anche se gli viene riconosciuta una qualità che lo solleva al di sopra di tutto il creato: il pensiero.

Il Seicento

06/02/12 15:15

Pascal rappresenta quindi la presa di coscienza dell’“uomo copernicano”, che è parte di un mondo del quale non è più il centro astronomico, benché ne sia ancora il centro metafisico. La grandezza dell’uomo sta nel suo pensiero, quel pensiero che ha compiuto la rivoluzione scientifica e ha reso possibile la filosofia di Cartesio.

4.1 La scienza moderna e i limiti della ragione Gli studi scientifici e tecnici

I limiti della ragione

Pascal offre fin da bambino prove del suo talento per le scienze. Stando alle testimonianze della sorella, egli ricostruisce a dodici anni alcune proposizioni degli Elementi di geometria di Euclide, senza averne mai letto il testo. A sedici anni scrive un Saggio sulle coniche e pochi anni dopo concepisce un sistema meccanico per realizzare le operazioni di calcolo. Al tempo stesso, Pascal si occupa del problema del vuoto, la cui esistenza viene negata da Cartesio e sostenuta da Evangelista Torricelli (1608-1647). Inoltre Pascal affronta la questione della dinamica dei liquidi e formula il principio detto appunto di Pascal, per il quale la pressione esercitata da un liquido si trasmette con uguale intensità in tutte le direzioni. Riguardo al rapporto tra antichi e moderni, Pascal ritiene che la scienza moderna sia superiore alla scienza antica. Nonostante la sua passione per la scienza e le sue notevoli scoperte, Pascal ha ben presente il carattere limitato della ragione. FILOSOFI A CONFRONTO

La sopravvalutazione delle capacità intellettuali dell’uomo è uno dei limiti anche di Cartesio: egli costruisce su tali capacità tutto il suo sistema razionalistico, ma secondo Pascal non coglie la portata enorme della presenza di Dio. Nei Pensieri Pascal esprime tutta la propria diffidenza verso la metafisica razionalistica di cui Cartesio è il massimo rappresentante: «Non posso perdonarla a Cartesio, il quale in tutta la sua filosofia avrebbe voluto poter fare a meno di Dio, ma non ha potuto evitare di far dare un colpetto al mondo per metterlo in moto; dopo di che non sa più che farne di Dio».

Gli inganni reciproci tra sensi e ragione

I limiti della conoscenza morale

Ipocrisia e autoinganno dell’uomo T1

Per Pascal la ragione umana è piuttosto limitata: l’uomo è un essere «pieno d’errore» e ha grandi limiti nella sua possibilità di conoscere la verità. Se i sensi ingannano la ragione attraverso false apparenze, la ragione si vendica: il risultato è una sorta di inganno reciproco tra i sensi e la ragione, che sono le due possibili fonti di conoscenza. In questo atteggiamento si rivela la radice scettica della tesi di Pascal sui limiti della ragione umana. Questi limiti si mostrano anche nell’impossibilità di conoscere i criteri morali del giusto e dell’ingiusto. La maggior parte degli uomini sembra affidare tali criteri agli usi dei popoli cui ciascuno appartiene e questo atteggiamento scettico non avrebbe luogo se l’uomo fosse in grado di conoscere che cos’è la giustizia L’uomo, afferma Pascal, non è in grado di conoscere se stesso. Questa critica della pretesa conoscenza di sé è anche critica dell’ipocrisia e dell’autoinganno dell’uomo. Se tutti gli uomini sapessero che cosa dicono l’uno dell’altro «non esisterebbero quattro amici al mondo». Gli uomini rifiutano di dirsi la verità e, ciò che è ancora più grave, di dire la verità a se stessi. Si rivela così l’amor proprio, inteso come concentrazione benevola su di sé che rifiuta di vedere in se stessi gli stessi difetti che attribuisce agli altri.

PER SINTETIZZARE • Perché Pascal è critico nei confronti del razionalismo di Cartesio? • Quale posizione viene sostenuta da Pascal riguardo alla possibilità della conoscenza morale? Pascal ritiene che gli uomini siano in grado di sapere che cosa è giusto e che cosa è ingiusto o sostiene che le loro capacità di conoscenza siano molto limitate?

5. Malebranche, Pascal e Bayle

208_247_malebranche.indd 219

219

06/02/12 15:15

Subordinazione della ragione alla fede T3

«Spirito di geometria» cartesiano e «spirito di finezza» pascaliano

4.1.1 La ragione e il cuore: geometria e finezza

Un aspetto della consapevolezza pascaliana dei limiti della ragione umana lo si ritrova nella opposizione tra ragione e cuore. Benché l’uomo sia segnato dal peccato originale, e quindi sia incapace di conoscere l’infinito, egli è capace di conoscere le cose finite grazie alla propria ragione e al metodo geometrico. La conoscenza dei principi (esistenza dello spazio, del tempo, del movimento, dei numeri) è assegnata da Pascal a ciò che chiama «il cuore», il quale permette di cogliere sia principi sia le verità più importanti, ovvero le verità della religione e della fede. Dunque, il riconoscimento dei limiti della ragione ha per esito la subordinazione della razionalità all’organo della fede. Nel pensiero di Pascal c’è una contrapposizione tra lo spirito di geometria e lo spirito di finezza analoga alla contrapposizione tra ragione e fede. Lo spirito di geometria è legato alla ragione e alla capacità di trarre le conclusioni corrette a partire da determinate premesse: esso riesce bene quando si tratta di affrontare materie semplici a partire da pochi assiomi. Lo spirito di finezza, invece, è più raffinato: è un principio di orientamento in materie complesse, che non possono essere risolte sulla base di pochi principi; in esse si presentano molti principi e, quindi, occorre usare una sorta di istinto, di spirito fine: esso è particolarmente adatto per affrontare le questioni che riguardano l’uomo.

SPIRITO DI GEOMETRIA E SPIRITO DI FINEZZA DISTINZIONE TRA DUE ATTEGGIAMENTI CONOSCITIVI

L’ambivalenza della condizione umana

Pensiero e consapevolezza sono caratteri distintivi dell’uomo

220

208_247_malebranche.indd 220

SPIRITO DI GEOMETRIA

SPIRITO DI FINEZZA

è legato alla ragione

è una sorta di istinto

è adatto ad affrontare questioni semplici

è adatto ad affrontare questioni complesse

4.2 La duplicità dell’uomo: grandezza e miseria Nei suoi scritti Pascal sottolinea la duplicità dell’uomo, cioè la sua grandezza e la sua miseria. La grandezza dell’uomo consiste soprattutto nella sua capacità di riconoscersi «miserabile», poiché un albero, per esempio, non sa di essere miserabile. La duplicità della natura umana si esprime nell’idea dell’uomo radicalmente segnato dal peccato, ma al tempo stesso nella possibilità della salvezza per opera della grazia divina. Grandezza e miseria sono quindi due elementi che rimandano l’uno all’altro. L’infinità dell’universo e la forza della natura possono cancellare in un attimo la presenza fisica dell’uomo; quindi non è in questa dimensione che andrà ricercata la sua grandezza. L’uomo ha la stessa fragilità di una canna, esposta alle variazioni delle condizioni naturali. Ma il pensiero, e la consapevolezza di quello che accade intorno a lui, sono in grado di dargli una dignità superiore a ogni altro essere naturale. Tuttavia l’uomo si distoglie continuamente dal pensare: non c’è certo bisogno, dice Pascal, di un rombo di cannone, ma è sufficiente il ronzio di una mosca vicino al suo orecchio perché l’uomo diventi incapace di prendere la giusta decisione.

Il Seicento

06/02/12 15:15

Il divertissement come distrazione della mente

T2

È però ben più grave il tentativo continuo di non riflettere su se stesso. Riflettendo su questo atteggiamento di fuga dell’uomo, Pascal introduce il tema del divertissement, del «divertimento». Esso viene inteso, in senso letterale, come ”distrazione”, ovvero come operazione della mente che tende a distogliere la riflessione da ciò che è importante: la fragilità umana, il bisogno di Dio come autore dell’esistenza. Se non riesce a distrarsi, l’uomo è assalito dalla noia, che si trasforma spesso in disperazione e tristezza. Anche la vita apparentemente più appagata è in realtà una vita infelice, se non ci si può affidare al divertimento. PER SINTETIZZARE • Quale differenza c’è tra lo spirito di geometria e lo spirito di finezza, che Pascal contrappone l’uno all’altro? • In che cosa consiste, secondo Pascal, la duplicità della natura umana?

PER RIFLETTERE • Assumendo la posizione sostenuta da Pascal sul ruolo che il divertimento ha nella vita umana, quale giudizio esprimeresti riflettendo sul modo di vivere che caratterizza la società alla quale appartieni? Nella società contemporanea occidentale un numero consistente di individui si trova a dover affrontare una quantità di impegni di vario genere, cui risulta spesso difficile far fronte. • Pensi che in alcuni di questi casi l’eccesso di attività possa essere considerato una forma di distrazione, un modo per eludere la riflessione su se stessi e sugli aspetti realmente significativi dell’esistenza umana?

4.3 Il dio nascosto

Il Dio nascosto e l’oscurità della religione

Un argomento razionale, non una prova metafisica

Scommessa sull’esistenza di Dio

La prospettiva religiosa di Pascal è profondamente segnata dalla coscienza del peccato originale e della distanza di Dio dal mondo. Questi tratti rivelano l’impronta giansenistica del suo pensiero ed egli sostiene che il riconoscimento della lontananza di Dio da parte del cristianesimo è il segno della sua superiorità rispetto alle altre religioni. È Dio che chiarisce a chi vuole ciò che appare oscuro attraverso la grazia: è solo presunzione quella di coloro che vogliono spiegare l’oscurità della religione attraverso la razionalità. È falsa la religione di coloro che negano l’oscurità della religione e la religione che non ci spiega le oscurità è incapace di istruire. Il cristianesimo, invece, le spiega con la dottrina del peccato originale e della grazia. Scrive Pascal: «Poiché Dio si è così nascosto, ogni religione che afferma che Dio non è nascosto non è vera; e ogni religione che non ne dà la spiegazione non istruisce. La nostra fa tutto questo [...]». 4.3.1 La scommessa All’interno dei Pensieri si trova l’argomento detto “del pari”, ovvero

della scommessa. Tale argomento è enigmatico, perché Pascal è spesso polemico verso le prove dell’esistenza di Dio, ma in questa occasione la sua argomentazione è razionale. Pascal non fa però appello a nozioni teologiche o metafisiche: il suo ragionamento prende le mosse dalla ricerca del proprio utile da parte dell’uomo. Pascal dichiara di volere utilizzare solo il lume naturale, ossia la ragione di cui tutti sono partecipi. La ragione non ci può dire nulla di certo sull’esistenza di Dio, tuttavia essa deve prendere posizione: deve “scommettere” sull’eventualità che Dio esista e viene indotta a farlo da un calcolo razionale: secondo Pascal esso ha la funzione di preparare alla fede, la quale può essere soltanto un dono di Dio. Pascal cerca di mostrare che è vantaggioso scommettere sull’esistenza di Dio rispetto alla sua non esistenza, visti i vantaggi che sono in gioco se Dio esiste. Il problema è se convenga ri-

5. Malebranche, Pascal e Bayle

208_247_malebranche.indd 221

221

06/02/12 15:15

nunciare ai beni di questa vita in nome della vita eterna intesa come beatitudine, che la ragione non ci può mostrare per certa. Di fronte a questa posta in palio, afferma Pascal, la scommessa non può che essere sull’esistenza di Dio. Infatti la vita eterna come beatitudine è infinitamente superiore a qualunque altro bene. In ballo c’è un’eternità di vita e di felicità.

LA SCOMMESSA COME ARGOMENTAZIONE RAZIONALE UOMO = CERCA SEMPRE IL PROPRIO UTILE

due alternative

Dio esiste

Dio non esiste

si deve scommettere su una delle due ipotesi

se Dio non esiste e crediamo in lui = non perdiamo nulla

se Dio esiste e non crediamo in lui = perdiamo la beatitudine eterna

CONVIENE SCOMMETTERE SULL’ESISTENZA DI DIO

In difesa del giansenismo

4.3.2 La morale e la polemica con i gesuiti L’attacco ai giansenisti condotto dalla Chie-

sa (nel 1653, con la bolla Cum occasione) e dai dottori della Sorbona impone a Pascal una netta presa di posizione che riguarda la morale dei gesuiti, i principali avversari dei giansenisti. È questo il contenuto delle Provinciali, un’opera composta da una serie di lettere pubblicate anonimamente da Pascal, con la collaborazione di Arnauld. Tali scritti sono ricchi di sarcasmo nei confronti dei gesuiti. FILOSOFI A CONFRONTO

L’oggetto del contendere è il tentativo dei gesuiti di costruire una morale più vicina all’uomo, nella quale la ragione gioca un ruolo importante. Si confrontano due diverse concezioni della grazia e due opposte valutazioni del peso del peccato originale e delle capacità umane.

1. Secondo i gesuiti, nonostante la colpa originaria che discende dal peccato di Adamo, la grazia sufficiente permette all’uomo di operare bene; quindi i gesuiti riconoscono all’uomo una capacità autonoma. 2. Secondo la tradizione agostiniana seguita dal giansenismo la salvezza è operata dalla grazia efficace. Essa viene da Dio: l’uomo non può conquistare la salvezza in modo auto-

222

208_247_malebranche.indd 222

Il Seicento

06/02/12 15:15

Pascal e la condanna della casistica

nomo. Per la loro posizione radicale su questo tema i giansenisti vengono condannati. Nel tentativo di rivalutare la ragione, i gesuiti danno largo spazio alla casistica, cioè all’esame accurato dei singoli casi che hanno significato morale. In questo modo i gesuiti cercano di attenuare il rigore della moralità cristiana, anche per motivi opportunistici: l’analisi dei casi particolari consente di ammettere modi particolari di comportamento. L’uso della casistica permette di adeguare la morale cristiana agli usi sociali, rendendola così più praticabile e più attraente. Tuttavia, secondo i critici della casistica essa si spinge fino all’ipocrisia. Pascal la rifiuta e sottolinea il peso del peccato originale. Egli sostiene inoltre che occorre un’interpretazione rigoristica della morale cristiana concepita come modello inflessibile di coerenza.

I TEMI DELLA FILOSOFIA DI PASCAL interesse per la scienza e studi scientifici

limiti della metafisica razionalistica di Cartesio: • scetticismo: inganni reciproci tra sensi e ragione • l’uomo non è in grado di conoscere né la morale né se stesso • distinzione cuore / ragione • distinzione spirito di geometria / spirito di finezza PASCAL analisi esistenziale della condizione umana: • angoscia esistenziale, noia e divertissement • miseria e grandezza dell’uomo • la grandezza dell’uomo risiede nel pensiero

giansenismo e polemica con i gesuiti: • difesa di Arnauld • apologia del cristianesimo • rifiuto delle prove dell’esistenza di Dio e scommessa • concezione della grazia efficace e predestinazione • rigorismo morale e rifiuto della casistica

PER SINTETIZZARE • Perché Pascal ritiene che il cristianesimo sia superiore alle altre religioni? • Quale posizione viene sostenuta da Pascal riguardo alla salvezza? Pascal ritiene che l’uomo possa conquistarla da solo o ritiene, invece, che essa venga soltanto da Dio?

5. Malebranche, Pascal e Bayle

208_247_malebranche.indd 223

223

06/02/12 15:15

5. Pierre Bayle: critica della tradizione e teodicea In Bayle trovano compimento l’impostazione razionalistica, da un lato, e l’atteggiamento erudito e scettico, dall’altro. L’una è il fondamento dell’analisi storica, l’altro proviene dalla letteratura libertina. L’operazione di Bayle si compie nel Dizionario storico-critico del 1696, poi ampliato nelle edizioni successive.

Bayle come sintesi dei temi dell’età cartesiana

FILOSOFI A CONFRONTO

La polemica verso la conoscenza storica caratterizza tanto la riflessione di Cartesio quanto quella di Malebranche. Secondo Cartesio si tratta di una conoscenza non chiara e distinta; Malebranche è polemico verso l’erudizione anche per il timore dei suoi esiti antireligiosi. Bayle, invece, tenta di rivalutare la conoscenza delle discipline storiche. Il suo atteggiamento scettico vale anche nei confronti della storia, che si presta a essere manipolata per interessi di parte; tuttavia il Dizionario si confronta con la tradizione utilizzando sia la critica razionalistica sia l’indagine storica e mostra che esse possono interagire.

LA VITA E LE OPERE 1647

Pierre Bayle nasce a Carlat (in Alvernia) da una famiglia protestante.

1669

Si converte al cattolicesimo mentre frequenta l’Università di Tolosa, gestita dai gesuiti.

1670

Torna al protestantesimo.

1675

Inizia l’incarico di professore di filosofia a Sedan.

1681

Bayle diventa professore di filosofia a Rotterdam. In questi anni studia la filosofia contemporanea: Malebranche, gli scolastici, Gassendisti, ma anche filosofi eterodossi come i libertini, Spinoza e Hobbes.

1682

Vengono pubblicati anonimi i Pensieri sulla cometa.

1684

Bayle fonda la rivista “Nouvelles de la république des lettres”, che diviene presto molto influente.

1693

Avvenuta la sua rottura con il calvinismo rigorista, Bayle viene destituito dalla cattedra universitaria di Rotterdam. Da questo momento si mantiene solo grazie alla sua attività di scrittore.

1694

Esce la prima edizione delle Aggiunte ai pensieri sulla cometa.

1696

Viene pubblicato, in due volumi, il Dizionario storico-critico.

1702

Esce la seconda edizione del Dizionario storico-critico.

1704

Esce la seconda edizione delle Aggiunte ai pensieri sulla cometa.

1703-1706

Viene pubblicata la Risposta alle domande di un provinciale.

1706

Bayle muore a Rotterdam.

224

208_247_malebranche.indd 224

Il Seicento

06/02/12 15:15

5.1 La critica della superstizione e dell’idolatria Contro l’argomento del consenso

Bayle comincia a esercitare la critica della tradizione come critica della superstizione nei Pensieri sulla cometa. In quest’opera Bayle contesta l’interpretazione miracolistica dei fenomeni astronomici, e in particolare delle comete: rifiuta l’opinione diffusa che le comete portino sciagure. Bayle intende mettere in discussione l’idea che un ampio consenso su un’opinione (come quella sugli effetti delle comete) possa aumentare la verosimiglianza di quell’opinione: l’antichità e l’universalità di un’opinione, scrive Bayle, non sono un segno della sua verità. Tutte le credenze, quindi, devono essere esaminate con attenzione, altrimenti si cade nella superstizione e nell’idolatria.

L’ateismo è preferibile all’idolatria

5.1.1. La difesa dell’ateismo Un elemento di grande novità nella riflessione di Bayle è il mo-

Ateismo e condotta morale

Superiorità dell’ateismo sul fanatismo religioso

do di affrontare l’ateismo. Egli si contrappone infatti alle tesi tradizionali, secondo le quali l’ateismo è legato alla corruzione dei costumi (cioè alla corruzione morale) ed è incompatibile con qualunque tipo di vita sociale. Secondo la tradizione, dunque, l’ateismo ha conseguenze devastanti anche sul piano morale. Bayle nega esplicitamente questa tesi. In realtà, il demonio preferisce l’idolatria all’ateismo: credere in falsi dèi rende più difficile la conversione, rispetto a una posizione atea, perché lo zelo di un idolatra è una disposizione del cuore molto più radicata. Secondo Bayle l’idea che l’ateismo conduca «necessariamente» alla corruzione morale è il frutto di una falsa convinzione: quella che la condotta umana sia guidata dalla razionalità, che cioè gli uomini seguano i precetti che razionalmente giudicano migliori. In realtà il comportamento dell’uomo è determinato dalla passione o dalle abitudini. Per questo una società di atei avrebbe le stesse possibilità di sopravvivere pacificamente di quante ne hanno le società pagane, che Bayle accosta alla vita sociale del mondo cristiano contemporaneo. In tutti i tipi di società ciò che permette la convivenza sono più le punizioni, e quindi le leggi penali, che le convinzioni religiose. In altre parole, tra le società umane non c’è gran differenza per quanto riguarda la moralità; e se c’è una differenza, essa non ha radice nella religione. Bayle sembra spingersi fino alla tesi contraria rispetto alla tradizione: chi sembra davvero pericoloso dal punto di vista sociale è il fanatico della falsa religione; ma egli rischia di non poter essere più distinto dal fanatico della religione «vera», ossia cristiana. L’ateo non sembra soggetto, invece, a molte tentazioni che caratterizzano il credente. Quindi Bayle considera l’ateo superiore a qualunque credente. La sua trattazione finisce per essere una sorta di apologia dell’ateismo mai comparsa prima, appoggiandosi a figure di atei intese come modelli di «onestà».

LE OPPOSTE VALUTAZIONI DELL’ATEISMO: LA TRADIZIONE E BAYLE

ATEISMO

tradizione = giudizio negativo

Bayle = giudizio neutrale se non positivo

l’ateismo conduce necessariamente: • alla corruzione morale • è incompatibile con la vita sociale

l’ateismo: • non conduce necessariamente alla corruzione morale • è meno pericoloso per la vita sociale rispetto al fanatismo religioso

5. Malebranche, Pascal e Bayle

208_247_malebranche.indd 225

225

06/02/12 15:15

PER SINTETIZZARE • Quale valutazione viene data da Bayle delle discipline storiche? Bayle ritiene che la conoscenza storica non sia autentica conoscenza o la giudica, invece, positivamente? • Quale posizione viene difesa da Bayle riguardo all’ateismo? Lo considera causa di corruzione morale o nega che lo sia? Sacralità della coscienza in tema di religione

Il problema del male

5.1.2 La tolleranza Alla convinzione dei rischi del fanatismo religioso si unisce in Bayle la preoccupazione per la convivenza di religioni diverse. Non è una preoccupazione fuori luogo: il 15 ottobre del 1685, infatti, Luigi XIV revoca l’editto di Nantes con cui la Francia aveva permesso la libertà di religione quasi un secolo prima. E Bayle prende posizione, concentrandosi sull’idea che la coscienza del singolo sia la «voce di Dio». La sacralità della coscienza è per Bayle il fondamento della tolleranza. Quando la coscienza che sbaglia (o coscienza «errante») è in buona fede, essa ha gli stessi diritti della coscienza giusta. Li ha perché in materia di fede non ci sono prove certe e definitive. Dal pensiero di Bayle, quindi, emerge la necessità di separare la moralità dalla religione: la religione non è condizione di rettitudine morale; al contrario, essa sembra essere spesso la causa dell’immoralità.

5.2 Il problema del male e la critica della teodicea L’incompatibilità tra fede e ragione è al centro del Dizionario storico-critico. Essa trova espressione nell’analisi condotta da Bayle sul problema del male e della giustizia divina di fronte al male del mondo, ossia sul problema della teodicea. Non è un caso che nel Dizionario due voci importanti siano quelle dedicate ai manichei e ai pauliciani (un altro nome della medesima setta manichea). Essi risolvevano il problema dell’esistenza del male del mondo in un modo incompatibile con il monoteismo cristiano, ovvero con la credenza in un solo Dio: essi affermavano l’esistenza di due principi indipendenti e contrapposti, il principio del bene e il principio del male. FILOSOFI A CONFRONTO

Al manicheismo si era opposto Agostino. Secondo Agostino il male è assenza di bene, è una semplice privazione dovuta alla finitezza di tutto ciò che è creato, non è qualcosa di effettivo, dotato di un’esistenza autonoma. La semplice privazione, secondo Agostino, è all’origine del male fisico e del male morale che caratterizza l’essere umano. Bayle rifiuta le soluzioni di compromesso e mette direttamente il dito sulla piaga: il male non può essere visto come una semplice ”assenza” o mancanza di perfezione. Il male è qualcosa di effettivo, che può essere osservato di continuo nella vita degli uomini, sia per l’aspetto fisico (del dolore) sia per l’aspetto morale (della malvagità).

Razionalità del manicheismo

Due soluzioni del conflitto tra ragione e fede

226

208_247_malebranche.indd 226

Il contrasto tra la fede in un Dio buono e onnipotente e la presenza del male è dimostrato dalla lucida sensatezza della soluzione manichea: dalla compresenza inspiegabile di male e di bene il manicheismo trae la conclusione che esistono due principi contrapposti. In tal modo la setta manichea non è contraria alla ragione, mentre lo è invece il cristianesimo, secondo il quale Dio assomma in sé le qualità di essere buono e onnipotente. Sul piano razionale le tesi manichee sono molto più capaci di spiegare l’esperienza, rispetto alle tesi cristiane. Dio non può essere contemporaneamente buono e onnipotente, altrimenti il male non esisterebbe. Se Dio è in grado di evitare il male e non lo fa, non è buono; se non è in grado di evitare il male, non è onnipotente. Secondo Bayle tra fede e ragione c’è una contrapposizione così radicale che non restano molte soluzioni, le scelte disponibili sono soltanto due: 1. o un fideismo cieco, che si affida totalmente alla fede senza curarsi del responso della ragione; 2. o un ateismo coerente sul piano della razionalità.

Il Seicento

06/02/12 15:15

Bayle dichiara sempre la propria adesione alla prima soluzione, quella di un fideismo cieco. Tuttavia rimane una questione aperta se questa dichiarazione non fosse un modo di mascherare la propria più profonda convinzione.

BAYLE E IL PROBLEMA DEL MALE

MALE = QUALCOSA DI REALE, NON È SEMPLICE PRIVAZIONE

immagine teologica razionale di Dio = contraddizione tra la sua potenza e la sua bontà

se Dio è buono e onnipotente il male non dovrebbe esistere

IPOTESI MANICHEA = ESISTONO DUE PRINCIPI CONTRAPPOSTI IN PERENNE LOTTA TRA LORO = PIÙ RAZIONALE DELLA TEOLOGIA CRISTIANA

PER SINTETIZZARE • Qual è, secondo Bayle, il fondamento della convivenza di religioni diverse e della tolleranza? • Come viene affrontato da Bayle il problema del conflitto tra fede e ragione? Bayle ritiene che tale conflitto possa essere superato o ritiene che fede e ragione siano incompatibili l’una con l’altra?

6. L’officina della modernità

Premodernità: leggi naturali come leggi di Dio

Si è visto che nel corso del Seicento, con la rivoluzione scientifica e con la svolta inaugurata da Cartesio, viene messa in discussione la convinzione di poter identificare un ordine finalistico e immutabile dell’essere, da cui discendono anche le forme della politica e della società, la distinzione tra giusto e ingiusto ecc. Ciò si riflette anche su un altro tema che è oggetto di riflessione in questo secolo: il tema del diritto. Con il termine giusnaturalismo – derivante dal latino ius, “diritto“ e natura, “natura”– si intende la dottrina secondo la quale vi è un diritto naturale: vi è cioè un sistema di norme universali che regolano i rapporti umani. Tale sistema è antecedente e superiore rispetto al diritto positivo, che consiste nelle norme imposte dalle istituzioni politiche esistenti.

5. Malebranche, Pascal e Bayle

208_247_malebranche.indd 227

227

06/02/12 15:15

Modernità: giusnaturalismo come diritto razionale

Nell’antichità e nel Medioevo la “natura” considerata radice del diritto era l’ordine teologico del mondo: diritto di natura e leggi di natura coincidono con il diritto e le leggi di Dio. Nel XVII secolo il diritto naturale assume una forma moderna: il diritto non è più fondato sulla natura in generale, bensì sulla natura umana, cioè sulla ragione. La ragione è il tratto distintivo degli esseri umani. Il diritto di natura perde così il carattere metafisico-teologico che aveva in precedenza e diventa diritto razionale, quindi diritto soggettivo, nel senso che è proprio solo del soggetto umano, e non nel senso che varia da individuo a individuo, dal momento che la ragione è unica.

6.1 Ugo Grozio e Samuel Pufendorf: la nascita del giusnaturalismo moderno

Autonomia del diritto e della morale

La laicizzazione della politica

I due concetti fondamentali del giusnaturalismo

Emblematica sotto questo profilo è la posizione di Ugo Grozio (nome latinizzato di Huig van Groot), che è considerato una figura importante per la nascita del giusnaturalismo moderno. Nel De jure belli ac pacis (1625) Grozio fonda il diritto esclusivamente sulla ragione umana, pur non negandone l’origine divina. Grozio sostiene che ciò che è conforme alla ragione dell’uomo è giusto, ciò che se ne discosta è ingiusto. In questo modo, Grozio rende il diritto e la morale autonomi rispetto alla metafisica e alla teologia: egli asserisce che il diritto naturale conserverebbe la sua validità anche se Dio non esistesse. Un tratto distintivo del giusnaturalismo moderno è il suo carattere scientifico: esso ambisce a trasformare la politica in una scienza razionale, conforme al nuovo ideale geometrico-deduttivo di scienza e valida per tutti. In breve tempo il giusnaturalismo moderno fa il suo ingresso nelle università come insegnamento specifico con Samuel Pufendorf (1632-1694), al quale viene assegnata la prima cattedra della nuova «scienza del diritto naturale». Il giusnaturalismo moderno è l’espressione di un profondo rinnovamento nel modo di concepire l’obbligazione politica. Questa nuova concezione è innescata dalla Riforma protestante: incrinando l’unità del mondo cristiano, essa mette in crisi l’idea dell’origine divina dell’autorità e avvia un processo di laicizzazione della politica. Venuto meno il fondamento divino dell’obbligazione politica, si tratta di trovarne uno nuovo – a partire dalla ragione umana. A questo scopo, il giusnaturalismo moderno elabora due concetti fondamentali: 1. lo stato di natura, cioè la condizione degli uomini al di fuori delle istituzioni politiche; esso è assunto come punto di partenza dell’analisi dello Stato; 2. il contratto sociale: è considerato l’elemento indispensabile per passare dallo stato di natura allo stato politico ed è ritenuto il principio di legittimazione dello stato politico.

PER SINTETIZZARE • Quale rapporto c’è, secondo il giusnaturalismo, tra diritto naturale e diritto positivo? Il primo è antecedente e superiore al secondo o è vero il contrario? • Come viene concepita la politica dal giusnaturalismo?

La condizione naturale prepolitica

228

208_247_malebranche.indd 228

6.2 Lo stato di natura I giusnaturalisti concepiscono lo stato di natura come uno stato composto da individui singoli non associati che hanno diritti naturali innati e, quindi, sono liberi e uguali tra loro. Tra stato di natura e stato politico viene stabilito un rapporto di contrapposizione più o meno forte: secondo i giusnaturalisti lo Stato è il rimedio necessario per correggere i difetti dello stato di natura.

Il Seicento

06/02/12 15:15

Il contratto come fondamento dello Stato

La sovranità, espressione razionale della volontà politica

Giusnaturalismo come alveo originario della politica moderna

Poiché stato di natura e stato politico sono contrapposti, il passaggio dall’uno all’altro non è inteso come un passaggio naturale, che avvenga cioè necessariamente per la forza delle cose. I giusnaturalisti lo intendono invece come il frutto di un atto volontario, cioè di un contratto o di un patto tra gli individui. Da questo patto nasce l’ordine politico razionale, il solo che rende efficaci i diritti di natura. Dunque, nel contrattualismo razionalistico che contraddistingue il giusnaturalismo moderno la natura contiene in sé soltanto germi di ordine, cioè i diritti e le leggi di natura, che devono essere tutelati nella dimensione politica. Il potere politico che nasce dal patto fra individui è la sovranità dello Stato. Essa è concepita come l’espressione della razionalità e della volontà politica di tutti. Anche il suo modo di funzionamento è razionale: la sovranità produce la legge che è razionale perché regola la vita di tutti i cittadini, uguali tra loro. I principi appena illustrati sono gli elementi essenziali del ”modello giusnaturalistico”, cioè di uno schema di fondazione dell’ordine politico che si ritrova in tutti i principali filosofi politici dell’età moderna. L’influenza del modello giusnaturalistico si estende però ben oltre la sfera filosofica. L’idea che gli esseri umani, in quanto esseri razionali, abbiano i diritti naturali innati di libertà e uguaglianza, che l’ordine politico deve tutelare, ha trovato espressione nelle Dichiarazioni dei diritti dell’uomo e del cittadino, che accompagneranno la Costituzione americana e quella della Francia rivoluzionaria (emanate alla fine del Settecento). La stessa idea permea ancora la cultura occidentale. Dunque, il giusnaturalismo costituisce l’alveo in cui nascono i concetti fondamentali della politica moderna.

I CARATTERI DEL GIUSNATURALISMO GIUSNATURALISMO = ESISTE UNA LEGGE DI NATURA

antico = legge fondata su un principio teologico o metafisico

moderno = legge fondata sulla razionalità umana

legge di natura = legge di Dio

legge di natura = legge del soggetto umano

origine divina dell’autorità: ordine oggettivo ed eterno

laicizzazione della politica: costruzione di un ordine artificiale • stato di natura come condizione prepolitica • contratto sociale come mezzo per passare allo Stato e come legittimazione del potere

5. Malebranche, Pascal e Bayle

208_247_malebranche.indd 229

229

06/02/12 15:15

Due prospettive politiche

Nel corso del Seicento emergono due prospettive politiche nell’ambito del giusnaturalismo: 1. la teoria dello Stato assoluto sostenuta da Thomas Hobbes, il fondatore della nuova scienza del diritto naturale; 2. la dottrina dello Stato liberale, elaborata da John Locke. FILOSOFI A CONFRONTO

Nel pensiero politico di entrambi ha un ruolo centrale il nesso tra patto e sovranità razionale. Tuttavia le teorie politiche di Hobbes e di Locke affrontano in modi molto diversi due questioni fondamentali: 1. la questione se la capacità politica manifestata dagli uomini nel patto che origina lo Stato confluisca interamente nell’ordine politico che è stato costruito – come sostiene Hobbes – o se una parte resti presso gli individui anche dopo il patto, come sostiene Locke; 2. la domanda se e come sia possibile limitare il potere dello Stato, che tende a essere illimitato perché nasce dalla ragione di tutti; ciò pone problemi a quegli stessi individui a favore dei quali il potere è nato. A questa domanda Hobbes risponde in modo negativo, elaborando la teoria dello Stato assoluto; Locke dà invece una risposta positiva e quindi può essere considerato un fondatore del liberalismo moderno.

Spinoza: un contrattualismo anomalo

Il patto non crea un ordine opposto allo stato di natura

Una posizione anomala all’interno della teoria contrattualistica viene sostenuta da Baruch Spinoza, cronologicamente anteriore a Locke. Spinoza dichiara infatti di non dissentire dalla teoria opposta al contrattualismo, cioè dalla teoria naturalistica della genesi della società; secondo tale teoria la società nasce in maniera naturale, non attraverso l’artificio del patto. Spinoza sostiene tale posizione perché ha una concezione molto particolare del patto. Per Spinoza il patto non è artificiale. Esso non ha la funzione di costruire un ordine politico razionale del tutto artificiale, in rottura con la natura. Secondo Spinoza il patto serve semplicemente a regolamentare una condizione nella quale gli uomini sono già consociati: la forma politica che risulta dal patto non deve essere opposta allo stato di natura; essa è, invece, tanto più perfetta quanto più si avvicina a esso. FILOSOFI A CONFRONTO

Sulla base di questa concezione del patto, Spinoza elabora una teoria politica alternativa sia all‘assolutismo sia al liberalismo. Secondo Spinoza, infatti, l’assolutezza del potere politico e le libertà individuali fondamentali non sono in contraddizione tra loro: Spinoza pone le libertà dell’individuo a fondamento del potere assoluto dello Stato.

PER SINTETIZZARE • Come viene concepito lo Stato dal giusnaturalismo moderno? Esso sostiene che lo Stato è una sorta di prosecuzione dello stato di natura o sostiene, invece, che è contrapposto a esso? • Quali teorie politiche vengono elaborate da Hobbes e da Locke? • Qual è, secondo Spinoza, il fondamento del potere dello Stato?

230

208_247_malebranche.indd 230

Il Seicento

06/02/12 15:15

TEMI E AUTORI DELL’ETÀ CARTESIANA libertinismo erudito: La Mothe Le Vayer, Naudé, Cyrano de Bergerac

tentativi di conciliare analisi storico-critica e religione: Simon e Le Clerc

ERUDIZIONE: critica storica e recupero delle filosofie antiche

difesa della cronologia biblica: Bossuet

disputa tra antichi e moderni: Fontenelle

Gassendi: critiche a nozioni cartesiane, empirismo, ripresa dell’epicureismo conciliato con il cristianesimo

CARTESIANESIMO E METAFISICA RAZIONALISTICA

Bayle: erudizione e razionalismo, analisi storico-critica, tolleranza e critica della teologia

Malebranche: cartesianesimo occasionalista e agostinismo; critica dell’erudizione

giansenismo: riproposizione dell’agostinismo e rigorismo morale

Arnauld: ripresa della nozione cartesiana di evidenza (intendere) e giansenismo; critiche alla teoria delle idee di Malebranche

gesuiti: difesa dell’aristotelismo e casistica

Pascal: critiche al cartesianesimo; limiti della scienza e del razionalismo; spirito di geometria e spirito di finezza; apologetica cristiana e riflessione su miseria e grandezza dell’uomo; polemica coi gesuiti

DIBATTITO TRA AGOSTINIANI E ARISTOTELICI

GIUSNATURALISMO esiste una legge di natura fondata sulla razionalità umana

5. Malebranche, Pascal e Bayle

208_247_malebranche.indd 231

Ugo Grozio: ciò che è conforme alla ragione dell’uomo è giusto Samuel Pufendorf: promuove la «scienza del diritto naturale»

231

06/02/12 15:15

SOMMARIO RAZIONALISMO CARTESIANO E SAPERE ERUDITO

1

1 Nella filosofia della seconda metà del Seicento sono centrali la metafisica razionalistica di Cartesio e lo sviluppo dell’erudizione. Il dibattito sul cartesianesimo (iniziato con le Obiezioni e risposte alle Meditazioni metafisiche) e lo scontro tra cartesiani e anticartesiani si intrecciano con due correnti della teologia cristiana: una aristotelica e una platonico-agostiniana, rinnovata dal giansenismo. Dal punto di vista filosofico due importanti interpreti di Cartesio sono Malebranche, con l’occasionalismo, e Pascal, con la sua critica del razionalismo e la riflessione sull’uomo. 2 Gli esiti più importanti dell’erudizione sono: la critica della religione, che accompagna la consapevolezza della scarsa affidabilità della storia sacra e fornisce argomenti al libertinismo erudito, che si esprime attraverso una vasta letteratura clandestina e spesso approda all’ateismo; la rinascita della filosofia delle scuole antiche (epicureismo, stoicismo, scetticismo). Al rapporto con il mondo antico è collegata anche la disputa su antichi e moderni in cui ha un ruolo centrale Fontenelle. IN DIALOGO CON CARTESIO: GASSENDI E ARNAULD

2

1 Uno dei principali interlocutori di Cartesio è Gassendi, che critica la metafisica cartesiana mettendo in luce i problemi del dualismo, il carattere metafisico della nozione di sostanza e la circolarità dell’argomentazione delle Meditazioni a proposito dell’evidenza. Gassendi elabora anche un proprio sistema ispirato all’epicureismo in cui presenta una fisica meccanicistica e atomistica, una teoria della conoscenza empiristica e un’etica del piacere. 2 Un altro critico di Cartesio è Arnauld, che sottolinea il legame del cartesianesimo con l’agostinismo e dal punto di vista della conoscenza limita il valore dell’evidenza all’intendere, affiancandogli un’altra forma di sapere autentico, il credere. L’ORDINE METAFISICO: NICOLAS MALEBRANCHE

3

1 Malebranche è uno dei filosofi più influenti dell’età cartesiana e tenta di conciliare il pensiero cartesiano con quello di Agostino. La sua teoria delle idee riprende la tradizione del platonismo cristiano radicalizzandola in senso occasionalistico: le idee sono essenze che vediamo direttamente in Dio; anche il nesso causale tra eventi fisici dipende dall’azione divina. 2 Malebranche concorda con Cartesio nella critica dell’aristotelismo, ma mette in guardia contro l’erudizione e l’esasperazione del dubbio scettico, che favoriscono le argomentazioni dei libertini. Contro l’arbitrarismo cartesiano egli afferma l’immutabilità dei decreti divini fondati sulla saggezza del Creatore e la sua azione regolata da leggi generali, semplici e uniformi: soltanto cogliendo l’ordine metafisico del reale l’uomo comprende che Dio non è la causa del male. BLAISE PASCAL: L’ORDINE DEL CUORE

4

1 Pascal è un grande scienziato che contribuisce allo sviluppo della matematica e della fisica, pur riconoscendo i limiti della scienza. Le sue critiche maggiori vanno alla pretesa cartesiana che la ragione sia l’unica fonte della conoscenza: esiste una forma di sapere fondata sul cuore, ed esistono due atteggiamenti conoscitivi complementari, lo spirito di geometria e lo spirito di finezza, che incarnano rispettivamente l’ideale dimostrativo cartesiano e la conoscenza del gusto e della morale fondata sul senso comune e accessibile a tutti gli uomini. 2 Nonostante i propri limiti e la propria fragilità, l’uomo è il centro del creato perché possiede il pensiero ed è capace di nobilitarsi grazie a esso, anche se spesso, angosciato dalla propria condizione e preda della noia, si rifugia nel divertissement, nella «distrazione».

232

208_247_malebranche.indd 232

Il Seicento

06/02/12 15:15

3 Per superare il vuoto dell’esistenza, però, l’unico vero aiuto è la fede in Dio, effetto della sua grazia e non raggiungibile per via razionale, anche se attraverso un’argomentazione persuasiva, la scommessa, è possibile convincersi dei vantaggi della fede. Dal punto di vista teologico Pascal sostiene la teoria della grazia efficace contro quella della grazia sufficiente difesa dai gesuiti, dei quali condanna anche l’uso della casistica. 5

PIERRE BAYLE: CRITICA DELLA TRADIZIONE E TEODICEA

1 Bayle, unendo erudizione e razionalismo, sottopone a un’acuta analisi storico-critica la superstizione e l’idolatria, mostrando la superiorità morale degli atei sui fanatici di ogni credo e la compatibilità tra ateismo e vita associata. Dalla condanna del fanatismo religioso Bayle trae argomenti a favore della tolleranza e della libertà di coscienza nelle scelte religiose. 2 Fondamentale è infine la sua analisi del problema del male che mette in crisi la tradizionale visione teologica di Dio: dal punto di vista della ragione, Bayle respinge la definizione del male come privazione e argomenta la coerenza del manicheismo, affermando che le uniche due soluzioni al conflitto tra fede e ragione sono il fideismo e l’ateismo. 6

L’OFFICINA DELLA MODERNITÀ

Uno dei più importanti elementi da cui ha origine la modernità è l’evoluzione del giusnaturalismo da teoria che pensa l’ordine giuridico-politico come dipendente da un principio teologico o metafisico a teoria che lo pensa come insieme di norme universali fondate sulla ragione umana. Esso afferma infatti che gli esseri umani, in quanto esseri razionali, hanno diritti naturali per tutelare i quali viene fondato lo Stato. 1 All’origine di tale concezione ci sono Ugo Grozio, che per primo rende il diritto e la morale autonomi rispetto alla teologia e alla metafisica, e Samuel Pufendorf. 2 I concetti fondamentali del giusnaturalismo sono quello di stato di natura – la condizione pre-statuale – e quello di contrattualismo, tesi secondo la quale c’è un patto che fonda le istituzioni politiche. Attraverso il patto avviene la legittimazione del potere politico, cioè della sovranità.

LESSICO

A

Ateismo. Teoria filosofica che nega l’esistenza di Dio e ritiene che l’idea di Dio sia un prodotto dell’uomo. Nel Seicento si danno due spiegazioni dell’origine di tale idea: la superstizione e l’ignoranza delle vere cause delle cose e la teoria dell’impostura, ossia la convinzione che tale nozione sia stata creata per motivi politici.

C

Contrattualismo. Teoria politica, giuridica e filosofica secondo cui la società e/o lo Stato si fondano su un accordo implicito o esplicito (patto, contratto) fra coloro che li costituiscono.

Cuore. Termine con cui Pascal indica un meccanismo conoscitivo opposto alla ragione che procede attraverso l’intuizione ed è in grado di cogliere i principi primi (esistenza del tempo, dello spazio, dei numeri, del moto ecc.); in quanto capacità di ”sentire“ Dio; è il fondamento della fede.

D

Divertissement. Atteggiamento psicologico descritto da Pascal che spinge l’uomo alla continua ricerca di distrazione, per colmare il vuoto della propria esistenza.

5. Malebranche, Pascal e Bayle

208_247_malebranche.indd 233

233

06/02/12 15:15

E

Erudizione. Insieme approfondito di conoscenze delle lingue, dei testi, delle culture e delle filosofie antiche che nel Seicento diviene uno stimolo essenziale alla critica della religione, della superstizione e della tradizione storica e teologica fondata sulla Bibbia.

F G

Fideismo. Atteggiamento religioso proprio di chi, di fronte agli argomenti eruditi e razionali contro la teologia e le Scritture, decide di accettare le verità e gli insegnamenti delle Chiese sulla base della sola fede. Giansenismo. Movimento religioso (secoli XVII-XVIII) nato dalla dottrina del vescovo Cornelius Jansen e legato alla tradizione agostiniana, che sostiene una teoria della predestinazione e della grazia vicina al protestantesimo, una visione ascetica della vita e il rigorismo morale. Giusnaturalismo. Termine che deriva dal latino ius, “diritto“, e natura, “natura” e indica una teoria giuridica e politica che afferma l’esistenza di un diritto naturale preesistente a ogni ordinamento giuridico e valido autonomamente e universalmente. Grazia sufficiente / Grazia efficace. Teorie opposte della grazia divina, ossia dell’atto gratuito con cui Dio concede la salvezza agli uomini: la prima indica un intervento divino sufficiente a rendere l’uomo capace di contribuire alla propria salvezza attraverso l’azione; la seconda indica un intervento di Dio, dettato dall’imperscrutabile decreto divino, come unica fonte della salvezza.

I L

Idolatria. Venerazione di oggetti e/o immagini; termine usato come sinonimo di «religione pagana» e composto dal greco èidolon, ”immagine“, e lautrèuein, ”servire”. Letteratura clandestina. Testi prodotti e diffusi clandestinamente, spesso in forma manoscritta e anonima, o perché posti all’Indice o perché espongono e diffondono tesi filosofiche contrarie alla teologia, alla morale e alla politica tradizionali. Libertinismo. Forma di pensiero (XVI-XVIII secolo) che afferma la libertà di riflessione e di critica in morale e in religione. Nel XVII secolo vi confluiscono vari elementi filosofici, che ogni autore dosa in modo diverso.

M

Manicheismo. Dottrina religiosa creata dal persiano Mani nel III secolo in cui si afferma l’esistenza di due principi, quello del Bene e quello del Male, in perenne lotta. Molte sette cristiane si sono ispirate alle dottrine manichee (pauliciani, bogomili, catari) e tutte ritengono il nostro mondo una mescolanza dei due principi, spiegando così l’origine del male. Metafisica razionalistica (razionalismo). In Cartesio è la scienza che stabilisce i fondamenti e i principi della conoscenza (gnoseologia) e le caratteristiche e le proprietà delle sostanze (ontologia) con il solo ausilio della ragione e dell’argomentazione razionale.

O

Occasionalismo. La teoria metafisica formulata tra il 1660 e il 1670 tra i cartesiani, secondo cui le cause seconde (siano esse cause efficienti o ragioni / moventi) sono solo apparentemente dipendenti da una catena materiale di eventi o dalle volizioni individuali, mentre in realtà è Dio, come causa prima, che agisce in occasione di esse.

P

Patto. Accordo tra gli individui che nella teoria del contrattualismo è all’origine dello Stato. Potere politico. Potere di promulgare le leggi e di usare la forza per renderle esecutive.

S

Scommessa. Argomentazione razionale elaborata da Pascal per indurre chi non crede ad aprirsi alla possibilità della fede in Dio facendo appello all’interesse e all’utile.

234

208_247_malebranche.indd 234

Il Seicento

06/02/12 15:15

Sovranità. Termine che indica la pienezza del potere: chi la possiede è indipendente sia giuridicamente sia politicamente. Spirito di geometria / Spirito di finezza. Due atteggiamenti conoscitivi descritti da Pascal come opposti, ma di pari legittimità: il primo (cartesiano) procede per deduzioni e dimostrazioni ordinate e razionali, si applica alla scienza e individua principi evidenti ma lontani dall’uso comune; il secondo (pascaliano) procede attraverso il sentimento e il giudizio (il cuore), si applica al gusto e alla vita morale, individua principi sottili e numerosi percepiti attraverso il senso comune. Stato. Entità giuridico-politica che ha la sovranità su un territorio e sulla popolazione che lo abita. Stato di natura. La condizione in cui vivono gli uomini prima che si costituiscano le istituzioni politiche: nello stato di natura gli uomini sono tutti liberi e uguali.

QUESTIONARIO 1

L’OCCASIONALISMO DI MALEBRANCHE Spiega la tesi di Malebranche che solo Dio agisce, riferendoti sia alla teoria della conoscenza che alla fisica. (max 4 righe)

2

LE LEGGI DI NATURA SECONDO MALEBRANCHE Quali sono le caratteristiche delle leggi di natura stabilite da Dio secondo Malebranche? (max 1 riga)

3

PASCAL E I LIMITI DELLA RAGIONE Quali sono secondo Pascal i casi in cui sono più evidenti i limiti della ragione? (max 4 righe)

4

L’ORDINE DEL CUORE DI PASCAL Definisci la nozione pascaliana di cuore. (max 2 righe)

5

IL DIVERTISSEMENT Che cos’è il divertissement e da che cosa è provocato secondo Pascal? (max 3 righe)

6

BAYLE E L’ATEISMO Con quali argomenti Bayle sostiene che l’ateismo è superiore al fanatismo? (max 4 righe)

7

I MANICHEISMI SECONDO BAYLE Perché il manicheismo è giudicato da Bayle più razionale della teologia cristiana? (max 2 righe)

8

GIUSNATURALISMO ANTICO MODERNO Qual è la differenza tra il giusnaturalismo antico e quello moderno? (max 4 righe)

9

I CONCETTI FONDAMENTALI DEL GIUSNATURALISMO Indica quali sono i due concetti fondamentali del giusnaturalismo e descrivili brevemente. (max 4 righe)

5. Malebranche, Pascal e Bayle

208_247_malebranche.indd 235

235

06/02/12 15:15

T1 US

L’amor proprio Uno dei motivi centrali dei Pensieri di Pascal, dai quali è tratto il frammento seguente, è l’analisi della natura umana. Qui Pascal si sofferma sull’avversione dell’uomo per la verità che riguarda i suoi difetti (e, dunque, sull’autoinganno): essa è presente in tutti gli individui, benché in gradi diversi; è infatti legata all’amor proprio, elemento essenziale della natura umana. Quella di Pascal non è la mera descrizione di un aspetto dell’uomo: dell’amor proprio egli sottolinea con forza il carattere negativo e mette in luce ciò che ognuno tenta di nascondere a sé e agli altri. In tale critica Pascal può essere avvicinato alla condanna dell’ipocrisia espressa dai moralisti francesi del XVII secolo.

da B. Pascal, Pensieri, a c. di Gennaro Auletta, Mondadori, Milano 1994, pp. 156-158.

Amor proprio. – La natura dell’amor proprio e di questo io umano1 consiste nel non amare che se stesso e non considerare altro che sé. Ma che farà? Non potrà certo impedire che questo oggetto da lui amato non sia pieno di difetti e di miserie; vuole essere grande, e si vede piccolo; vuole essere felice, e si trova miserabile; vuole essere perfetto, e si trova pieno di imperfezioni; vuole essere oggetto dell’amore e della stima degli uomini, e s’accorge che i suoi difetti meritano la loro avversione e il loro disprezzo. Questo imbarazzo in cui si trova produce in lui la più ingiusta e criminale passione che sia possibile immaginare; infatti concepisce un odio mortale contro quella verità che lo riprende e lo convince dei suoi difetti. Desidererebbe annientarla e, non potendo distruggerla in se stessa, la distrugge, per quanto può, nella sua conoscenza e in quella degli altri, vale a dire mette tutto il suo impegno nel nascondere i suoi difetti agli altri e a se stesso e non può tollerare né che gli vengano mostrati né che lui li veda. È indubbiamente un male esser pieno di difetti; ma il male maggiore è esserne pieni e non volerlo riconoscere, poiché vi si aggiunge anche il male di una illusione volontaria. Non vogliamo che gli altri ci ingannino; non troviamo giusto che gli altri vogliano essere stimati più di quel che meritano; dunque non è neppure giusto ingannarli e volere che ci stimino più di quel che meritiamo. Così, quando essi scoprono in noi imperfezioni e vizi che effettivamente abbiamo, è chiaro che non ci fanno alcun torto, perché non ne sono essi la causa, anzi ci fanno un bene perché ci aiutano a liberarci da un male, che è l’ignoranza di queste imperfezioni. Non dobbiamo adontarci che ci conoscano e ci disprezzino; perché è giusto che ci conoscano per quel che siamo e ci disprezzino se siamo disprezzabili. Questi sono i sentimenti che nascerebbero in un cuore pieno di equità e di giustizia. Che cosa dunque dobbiamo dire del nostro cuore, vedendovi una disposizione del tutto contraria? Non è forse vero che odiamo la verità e coloro che ce la dicono, e preferiamo che si ingannino a nostro vantaggio, e vogliamo essere stimati diversi da quelli che siamo in realtà? Eccone una prova che mi fa orrore. La religione cattolica non obbliga

FOC

Genere, Lessico, Retorica

5

n

L’A N T O L O G I A

n

Lessico Con questa espressione Pascal indica un fondamentale aspetto negativo dell’uomo.

10

Retorica Pascal usa un’anafora.

Retorica Pascal pone in antitesi ciò che l’uomo vorrebbe essere e ciò che realmente è.

15

20

25

30

Retorica La domanda contiene in sé la risposta.

1. È l’individuo.

236

208_247_malebranche.indd 236

Il Seicento

06/02/12 15:15

Retorica Pascal pone un’altra domanda retorica.

50

Retorica Pascal parla dell’amor proprio come se fosse una persona.

55

ANALISI DEL TESTO Guida alla lettura Tema di questo frammento è l’amor proprio, ossia la concentrazione benevola dell’uomo su se stesso, che rifiuta di riconoscersi i difetti che attribuisce agli altri. Pascal svolge dunque una critica dell’autoinganno e dell’ipocrisia. L’amor proprio è ritenuto da Pascal un tratto essenziale dell’uomo: egli ama solo se stesso ed è concentrato unicamente su di sé. Si trova però in una condizione di conflitto tra ciò che è e ciò che vorrebbe essere: ha numerosi limiti e difetti, e vorrebbe essere perfetto; è miserabile, e si vorrebbe felice. Da questo conflitto l’uomo si trae fuori in un modo che Pascal critica con forza: l’uomo non può eliminare la propria miseria e imperfezione e, non potendo farlo, tenta di occultarle agli altri e a se stesso, intollerante verso chiunque gliele mostri. Pascal fa un esempio che riguarda la pratica della confessione: nonostante la sua segretezza, l’uomo la trova onerosa e vi si oppone. Pascal si sofferma infine sulle conseguenze di tale ostilità sul comportamento degli altri nei nostri confronti: essi non possono avere con noi un rapporto sincero e criticarci apertamente; la nostra suscettibilità alle critiche li costringe a fingere di non notare i nostri difetti o, almeno, a soppesare con cura le parole con cui le esprimono. Ma anche

5. Malebranche, Pascal e Bayle

208_247_malebranche.indd 237

in tali casi reagiamo negativamente e tentiamo di eludere le critiche, come facciamo con una medicina dal sapore sgradevole che ci aiuterebbe a recuperare la salute: ne prendiamo meno possibile, tutt’altro che grati a chi ce la offre.

n

45

L’A N T O L O G I A

40

a rivelare i propri peccati a chiunque, indistintamente; essa tollera che ci si nasconda a tutti gli altri uomini; però ne eccettua uno solo, e ci comanda di andare da questi a scoprire i segreti del nostro cuore e di farci vedere così come siamo. Al mondo c’è questo solo uomo che essa ci obbliga a non ingannare nel tempo stesso che obbliga lui a un segreto inviolabile, il quale segreto rende come inesistente questa conoscenza. È possibile immaginare qualcosa di più caritatevole e di più dolce? E tuttavia la corruzione dell’uomo è tale che egli trova ancora dura questa legge; e questo è uno dei motivi principali che ha fatto rivoltare contro la Chiesa una gran parte dell’Europa. Come è ingiusto e irragionevole il cuore dell’uomo! Trova che è un male essere obbligato a fare verso un uomo quel che sarebbe giusto fare verso tutti gli uomini! È forse giusto che li inganniamo? Ci sono differenti gradi in questa avversione per la verità; ma possiamo dire che in qualche grado essa è in tutti, perché è inseparabile dall’amor proprio. Ed è questa falsa delicatezza che obbliga coloro, i quali sono necessariamente costretti a richiamare gli altri, a scegliere circonlocuzioni e parole addolcite per non urtarli. Devono sminuire i nostri difetti, devono far finta di scusarli, mescolarli a lodi e a testimonianze d’affetto e di stima. E nonostante tutto, questa medicina è sempre amara per l’amor proprio, il quale ne prende meno che può, e sempre con disgusto, e spesso anche con un segreto dispetto per coloro che gliela offrono.

n

35

Genere I Pensieri sono gli appunti dell’Apologia della verità della religione cristiana cui Pascal si dedicò negli ultimi otto anni della sua vita. L’opera rimase incompiuta a causa della morte prematura dell’autore e gli appunti, privi di ordine, furono raccolti e pubblicati con il titolo di Pensieri. L’opera è dunque un insieme di frammenti, numerosi e di varia lunghezza. Lessico Particolare rilevanza, in questo brano, ha l’espressione «amor proprio», usata da Pascal in un’accezione negativa. Retorica Il brano contiene alcune figure retoriche: un’anafora (ripetizione di una o più parole all’inizio di enunciati successivi); un’antitesi (o contrapposizione) tra ciò che l’uomo vorrebbe essere e ciò che è; due domande retoriche (che contengono in sé la risposta); infine, una personificazione (all’amor proprio Pascal attribuisce sentimenti e azioni propri degli esseri umani).

237

06/02/12 15:15

FOC

T2 US

Il divertimento è distrazione della mente Lessico, Stile, Retorica

Pascal espone in questo brano tratto dai Pensieri una delle sue tesi fondamentali sulla natura umana: l’uomo cerca continuamente di distogliere la mente dalla riflessione su ciò che è importante. È questo il senso in cui Pascal parla di «divertimento», distrazione della mente da tale riflessione. In esso egli vede il mezzo con cui l’uomo riesce a evitare il pensiero della propria fragilità e l’infelicità che ne deriva inevitabilmente. Il tentativo di distrarsi è inconsapevole: gli esseri umani sono convinti di desiderare il riposo e non si rendono conto di rifuggirlo costantemente, con le riflessioni che potrebbe ingenerare. Ciò mostra quanto poco conoscano se stessi.

da B. Pascal, Pensieri, a c. di G. Auletta, Mondadori, Milano 1994, pp. 167-170.

L’A N T O L O G I A

n

5

10

n

15

20

25

1. Non si impiegano tante energie per ottenere. 2. Questo termine deve essere inteso in senso letterale, come «distrazione», operazione della mente che tende a distogliere la riflessione da ciò che è importante. 3. Non perché.

238

208_247_malebranche.indd 238

30

Divertimento. – Quando talvolta mi sono accinto a considerare le diverse agitazioni degli uomini e i pericoli e le pene cui si espongono a corte, in guerra, e che sono causa di tante liti, di tante passioni, di tante ardite imprese e di tante azioni spesso cattive ecc., ho scoperto che tutta l’infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare tranquilli in una camera. Un uomo che ha abbastanza per vivere, se sapesse restare in casa con piacere, non ne uscirebbe per navigare o per correre all’assedio d’una fortezza. Non si compra così cara1 una carica nell’esercito se non perché si trova insopportabile non muoversi dalla città; e non si cercano le conversazioni e i divertimenti, se non perché non si può restare in casa propria con piacere. Ma quando ho esaminato la cosa più da vicino, e, dopo d’aver trovato la causa di tutte le nostre infelicità, ho voluto scoprirne la ragione, ho scoperto che ce n’è una veramente effettiva, che consiste nella infelicità naturale della nostra condizione, debole, mortale e così miserabile che nulla ci può consolare quando la consideriamo seriamente. Immaginate una qualunque condizione, mettete insieme tutti i beni che ci possono appartenere, ma l’essere re è lo stato migliore del mondo; e tuttavia immaginate un re circondato da tutte le soddisfazioni che possono appagarlo: se però è senza divertimento ed è lasciato a considerare e a riflettere quello che è, allora la sua malinconica felicità non lo sosterrà per nulla e sarà necessariamente vittima della visione di ciò che lo minaccia, delle rivolte che possono accadere e infine della morte e delle malattie che sono inevitabili; cosicché, se egli è privo di quel che si chiama divertimento, diventa infelice e più infelice dell’ultimo dei suoi sudditi, che gioca e si diverte. [Dunque l’unico bene degli uomini consiste nell’essere distolti dal pensare alla loro condizione mediante una qualsiasi attività, o una piacevole e nuova passione che li afferri, oppure mediante il gioco, la caccia o qualche interessante spettacolo e, da ultimo, mediante ciò che si chiama «divertimento2»]. Così si spiega perché sono tanto ricercati il gioco, la conversazione con le donne, la guerra, le grandi cariche. Non già che3 in queste cose ci sia effettivamente della felicità né che si pensi che la vera beatitudine con-

Il Seicento

06/02/12 15:15

50

55

60

65

n

45

L’A N T O L O G I A

40

siste nel possedere il denaro che si può guadagnare al gioco, oppure nell’inseguire una lepre: queste cose, se ci fossero offerte, non le vorremmo. Noi non cerchiamo né il godimento tranquillo e pacifico che ci lascia pensare alla nostra infelice condizione, né i pericoli della guerra né la preoccupazione delle cariche, ma cerchiamo proprio il trambusto che ci distoglie dal pensarci e ci diverte. Questa è la ragione per cui si gusta più la caccia che la preda. Per questo gli uomini amano tanto il rumore e il trambusto; per questo la prigione è un supplizio così orribile; per questo il piacere della solitudine è una cosa incomprensibile. E, infine, il maggiore motivo di felicità nella condizione dei re è il fatto che si cerca continuamente di divertirli e di procurare loro ogni specie di piaceri. Il re è circondato da gente che pensa soltanto a divertire il re e a impedirgli di pensare a se stesso. Perché, se pensa, quantunque re, è un infelice. [...] Per questo quando si rinfaccia loro [agli uomini] che ciò che essi cercano con tanto ardore non può soddisfarli, se rispondessero – come dovrebbero fare se ci pensassero bene – che non ricercano in tutto questo se non una occupazione forzata e indaffarata che li distolga dal pensare a loro stessi, e che per questo si propongono un oggetto attraente che li affascini e li attiri ardentemente, chiuderebbero la bocca ai loro avversari. Ma essi non rispondono così, perché non conoscono se stessi. [...] Essi ritengono che se ottenessero quella tale carica, dopo si potrebbero riposare a bell’agio; ma non si rendono conto dell’insaziabile natura della loro cupidigia. Credono di cercare sinceramente il riposo e in realtà cercano soltanto l’agitazione. [...] E così passa tutta la vita. Si cerca il riposo combattendo alcuni ostacoli e, se questi vengono superati, il riposo diventa insopportabile; perché o si pensa alle miserie che si hanno oppure si pensa a quelle che ci minacciano. E anche se ci vedessimo abbastanza sicuri sotto ogni aspetto, la noia, di sua propria iniziativa, non mancherebbe di venir fuori dal fondo del cuore, dove ha le sue radici, e di invadere lo spirito col suo veleno.

n

35

IMPARA A IMPARARE: COSTRUISCI TU L’ANALISI DEL TESTO Guida alla lettura Integra e approfondisci la lettura guidata, svolgendo le attività proposte. Il brano può essere suddiviso in cinque parti. Nella prima (righe 1-16) Pascal, che intende affrontare il tema del divertimento nella vita umana, afferma che l’uomo si dedica a varie attività (per esempio, politiche o militari), le quali sono fonte di travaglio e pericolo. Ma non è in esse che si deve ricercare la vera causa dell’infelicità umana, bensì nella debolezza e fragilità connaturata all’uomo. 1. Quale conseguenza ha sull’uomo la riflessione sulla propria miseria? ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

5. Malebranche, Pascal e Bayle

208_247_malebranche.indd 239

239

06/02/12 15:15

Pascal osserva poi (righe 17-31) che la riflessione sulla propria fragilità renderebbe infelice anche chi fosse nella condizione più favorevole, quale quella di un re: privato del divertimento, anch’egli cadrebbe in uno stato di infelicità, ben più profonda di quella di chi non gode dei suoi vantaggi. 2. Qual è la funzione del divertimento nella vita umana? ...........................................................................................................................................................................................................................................................

È per distrarre la propria mente, prosegue Pascal (righe 32-49), che gli uomini si impegnano in attività e svaghi numerosi. Ciò che spiega l’impegno continuo nel lavoro e in attività ludiche è il bisogno di distrarsi, non il desiderio di ciò che esse permettono di ottenere e del piacere che ne deriva. La solitudine e le riflessioni che la accompagnano non sono fonte di serenità, ma di infelicità: non appena rifletta su se stesso, l’uomo diviene infelice. 3. Perché l’uomo non trarrebbe alcuna soddisfazione dall’ottenere senza fatica ciò per cui si impegna? ...........................................................................................................................................................................................................................................................

Pascal sottolinea (righe 50-60) l’inconsapevolezza dell’uomo: non conosce se stesso e, dunque, non comprende il motivo che lo spinge a distrarsi. L’uomo non è trasparente a se stesso, ma soggetto all’autoinganno. È convinto di aspirare alla tranquillità e crede che se riuscisse a raggiungere i risultati voluti, potrebbe abbandonare le attività che sono fonte di angustia. 4. Perché ciò che l’uomo crede riguardo a se stesso è sbagliato?

n

L’A N T O L O G I A

n

...........................................................................................................................................................................................................................................................

Pascal afferma infine (righe 61-67) che non appena raggiunge il riposo, l’uomo si rivela incapace di tollerarlo, perché esso lo porta a riflettere sulla propria miseria e sui pericoli cui è esposto. Ma se anche non ci fosse alcun pericolo, il riposo rimarrebbe causa di infelicità. 5. Qual è la causa dell’infelicità che il riposo procura all’uomo? ...........................................................................................................................................................................................................................................................

Lessico Il brano contiene un termine molto rilevante nel linguaggio di Pascal. Danne una definizione usando gli elementi che puoi trovare nel testo. divertimento: ..................................................................................................................................................................................................................................

Stile Pascal si esprime con un linguaggio semplice e in tono quasi colloquiale. Individua le espressioni che hanno tali caratteri. Rispondi in un max di 2 righe. ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

Retorica Pascal usa varie figure retoriche, tra cui la personificazione. Trovala e spiegane il significato rileggendo attentamente il passo in cui compare. Rispondi in un max di 2 righe. ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

240

208_247_malebranche.indd 240

Il Seicento

06/02/12 15:15

Nel brano seguente, tratto dai Pensieri, emerge l’atteggiamento critico di Pascal verso il razionalismo. Pur appassionato alla scienza e scienziato di notevoli capacità, Pascal sottolinea – in polemica con la filosofia cartesiana – i limiti della ragione. Essi emergono dall’opposizione che, secondo Pascal, c’è tra ragione e cuore. Se attraverso la ragione l’uomo è in grado di conoscere le cose finite, alla conoscenza dei principi primi non può arrivare per via razionale, ma solo attraverso il cuore. Il cuore è per Pascal l’organo capace di farci conoscere le verità più importanti, quelle della religione e della fede. Il riconoscimento dei limiti della ragione umana conduce così alla subordinazione della ragione all’organo della fede.

da B. Pascal, Pensieri, cit., pp. 219-220.

282 Conosciamo la verità non solo con la ragione ma anche col cuore1; ed è in questo secondo modo che conosciamo i primi principî2, e inutilmente il ragionamento, che non vi ha parte, s’industria di combatterli. I pirroniani3, che hanno questo come scopo, vi si affaticano inutilmente. Sappiamo di non sognare; per questo siamo impotenti a darne le prove con la ragione, questa impotenza ci porta a concludere per la debolezza della nostra ragione, ma non per l’incertezza di tutte le nostre conoscenze, come pretenderebbero loro. Infatti la conoscenza dei primi principî, come l’esistenza dello spazio, del tempo, del movimento, dei numeri, è più salda di qualunque cosa che ci viene dai nostri ragionamenti. E proprio su tali conoscenze del cuore e dell’istinto la ragione deve appoggiarsi e su di esse fondare tutto il suo ragionamento. (Il cuore sente che ci sono tre dimensioni nello spazio e che i numeri sono infiniti; la ragione in seguito dimostra che non esistono due numeri quadrati di cui l’uno sia doppio dell’altro. I principî si sentono, le proposizioni si deducono; e tutto con certezza, sebbene questa si raggiunga per vie diverse). Ed è tanto inutile e ridicolo che la ragione chieda al cuore di dar le prove dei suoi primi principî, per decidersi a prestare il suo assenso, quanto sarebbe ridicolo che il cuore chiedesse alla ragione un sentimento di tutte le proposizioni che essa dimostra, per decidersi ad accettarle. Questa impotenza4 non deve dunque servire ad altro che ad umiliare la ragione – la quale vorrebbe giudicare di tutto –, non già a combattere la nostra certezza, come se soltanto la ragione fosse capace di istruirci. Anzi, volesse il cielo che non ne avessimo mai bisogno e conoscessimo ogni cosa per istinto e per sentimento! Ma la natura ci ha negato questo dono; anzi non ci ha concesso che pochissime cono-

Obiettivo polemico Pascal si oppone al razionalismo.

5

Obiettivo polemico Pascal respinge lo scetticismo.

10

Stile Pascal si rivolge ai lettori usando verbi in prima persona plurale.

15

Retorica Pascal pone in antitesi ciò che fa il cuore e ciò che fa la ragione.

Retorica Pascal parla della ragione e del cuore come se fossero due persone.

20

25

1. Il meccanismo conoscitivo opposto alla ragione, che procede attraverso l’intuizione. 2. Sono, Pascal lo dirà poco dopo, principi quali quelli dell’esistenza del tempo, dello

spazio, dei numeri e del moto. 3. Termine che indica gli scettici (dal nome di Pirrone, filosofo greco vissuto nel IV-III secolo a.C.). Lo scetticismo è una scuola filosofi-

5. Malebranche, Pascal e Bayle

208_247_malebranche.indd 241

n

Stile, Retorica, Obiettivo polemico

L’A N T O L O G I A

US

Il cuore sente, la ragione dimostra

n

FOC

T3

ca sorta in Grecia, che sottolinea i limiti delle possibilità di conoscere. 4. L’impotenza a dare prove dei principi primi attraverso il ragionamento.

241

06/02/12 15:15

30

35

Retorica Pascal pone in antitesi la fede concessa da Dio e quella raggiunta con la ragione.

scenze di questa specie; tutte le altre non si possono acquistare se non col ragionamento. Per questo coloro ai quali Dio ha concesso la religione5 mediante il sentimento del cuore sono ben fortunati e legittimamente convinti. Ma a coloro che non l’hanno, noi non possiamo darla se non col ragionamento, nell’attesa che Dio gliela conceda per sentimento del cuore, senza di che la fede è puramente umana e inutile alla salvezza.

5. Pascal esprime qui la concezione giansenistica della fede, secondo cui essa non può es-

sere raggiunta in modo razionale ed è un effetto della grazia concessa da Dio.

n

L’A N T O L O G I A

n

ANALISI DEL TESTO Guida alla lettura Pascal sostiene una tesi contraria al razionalismo, secondo cui la ragione è l’unica fonte di conoscenza: il cuore ha la priorità rispetto alla ragione. La ragione non è in grado di farci conoscere i principi primi (esistenza di spazio, tempo, numeri e così via). L’impossibilità di conoscerli in modo razionale non è però una prova dei limiti delle possibilità umane di conoscenza, come ritengono i filosofi scettici. Al contrario, la conoscenza dei principi primi ha una solidità superiore a quella delle conoscenze raggiunte per mezzo della ragione. L’impossibilità di conoscere in modo razionale i principi primi mostra i limiti della ragione, che ci permette di conoscere solo alcune verità. I nostri ragionamenti devono essere fondati sulle conoscenze raggiunte grazie al cuore: esse sono il fondamento di tutte le nostre conoscenze, incluse quelle ottenute per via razionale. Nel sottolineare le capacità del cuore, Pascal non vuol sostenere che la ragione è inutile ai fini della conoscenza e afferma, anzi, che la conoscenza raggiunta attraverso la ragione è certa quanto quella ottenuta grazie al cuore. Pascal insiste, piuttosto, sulla distinzione tra funzione del cuore e funzione della ragione e sui limiti di quest’ultima: essa non è in grado di farci conoscere i principi primi (che sono oggetto di sentimento), ma può dedurre proposizioni. Le funzioni di ragione e cuore sono distinte, e nessuno dei due può svolgere quelle dell’altro. Infine, Pascal ribadisce che il riconoscimento dei limiti della ragione non deve indebolire la certezza delle conoscenze acquisite, ma deve ricondurre la ragione entro i suoi limiti. Le verità conoscibili mediante il cuore includono quelle di religione e fede. A chi non ha fede si possono espor-

242

208_247_malebranche.indd 242

re ragionamenti per convincerlo, ma il valore della fede raggiunta in modo razionale è inferiore a quello della fede concessa da Dio attraverso il sentimento del cuore. Solo quest’ultima è fonte di salvezza, la quale è frutto della grazia divina. Stile Pascal sostiene la tesi sui limiti della ragione e sulle capacità del cuore con molta chiarezza, senza far uso di un linguaggio tecnico, e si esprime in modo colloquiale, rivolgendosi ai lettori (come mostra l’uso di verbi in prima persona plurale). Retorica Pascal esprime la propria opposizione al razionalismo attraverso l’antitesi tra il cuore che «sente» e la ragione che «dimostra». Un’altra antitesi compare nell’ultima parte del brano: Pascal contrappone la fede concessa all’uomo da Dio attraverso il sentimento del cuore alla fede che l’uomo può raggiungere con il ragionamento e che è inutile ai fini della salvezza. Infine, nel distinguere le funzioni del cuore e della ragione Pascal parla di essi personificandoli. Obiettivo polemico La tesi secondo cui la ragione non è in grado di farci conoscere i principi primi è sostenuta contro il razionalismo, ovvero contro la filosofia cartesiana. Pascal respinge anche la tesi dello scetticismo, che sottolinea i limiti della possibilità di conoscenza: contro i «pirroniani» Pascal afferma che l’impossibilità di conoscere i principi primi per via razionale non prova i limiti delle possibilità umane di conoscenza; la conoscenza di tali principi ci è infatti accessibile attraverso il cuore.

Il Seicento

06/02/12 15:15

Nei quattro frammenti seguenti, tratti dai Pensieri, Pascal sostiene la strutturale duplicità della natura umana, ossia la sua ambivalenza: la condizione umana è misera e, allo stesso tempo, l’uomo ha una grandezza che lo contraddistingue dagli altri esseri. Considerato come parte dell’universo (ed è una parte piccolissima), l’uomo è una creatura miserabile: l’universo, che ha una forza infinitamente superiore, lo include in sé e può cancellarne in un attimo, senza sforzo, la presenza fisica. L’uomo ha però una capacità di cui l’universo e gli altri esseri sono privi: quella di pensare e acquisire, attraverso il pensiero, la consapevolezza della propria fragilità. L’uomo è in grado di comprendere quell’universo che lo sovrasta, ed è nella capacità di pensare che deve essere ricercata la grandezza umana. Di qui il dovere (morale) di fare un uso corretto del pensiero.

346 Il pensiero costituisce la grandezza dell’uomo.

da B. Pascal, Pensieri, cit., pp. 240-241, 254.

5

10

347 L’uomo non è che una canna, la più debole della natura; ma è una canna pensante. Non c’è bisogno che tutto l’universo s’armi per schiacciarlo: un vapore, una goccia d’acqua basta a ucciderlo. Ma, anche se l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe ancor più nobile di chi lo uccide, perché sa di morire e conosce la superiorità dell’universo su di lui; l’universo invece non ne sa niente1. Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero. È con questo che dobbiamo nobilitarci e non già con lo spazio e il tempo che potremmo riempire. Studiamoci dunque di pensar bene: questo è il principio della morale.

n

Stile, Retorica

L’A N T O L O G I A

US

La grandezza dell’uomo è nel pensiero

n

FOC

T4

15

20

25

348 Canna pensante. – Non devo chiedere la mia dignità allo spazio ma al retto uso del mio pensiero. Non otterrei nulla di più col possesso delle terre; mediante lo spazio, l’universo mi circonda e mi inghiottisce come un punto; mediante il pensiero, io lo comprendo. [...] 397 La grandezza dell’uomo è grande in questo: che si riconosce miserabile. Un albero non sa di essere miserabile. Dunque essere miserabile equivale a conoscersi miserabile; ma essere grande equivale a conoscere di essere miserabile.

1. Non conosce la propria superiorità rispetto all’uomo.

5. Malebranche, Pascal e Bayle

208_247_malebranche.indd 243

243

06/02/12 15:15

IMPARA A IMPARARE: COSTRUISCI TU L’ANALISI DEL TESTO Guida alla lettura Integra e approfondisci la lettura guidata, svolgendo le attività proposte. I brani riportati sono tratti da quattro frammenti dei Pensieri. Nel frammento 346 Pascal enuncia una tesi fondamentale sulla natura dell’uomo. 1. In che cosa è da ricercarsi la grandezza degli esseri umani? ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

Nel frammento 347 Pascal espone la tesi affermata nel frammento precedente e sottolinea il carattere duplice della natura umana, ossia due aspetti contrapposti che coesistono nell’uomo: grandezza e miseria. Pascal rileva la fragilità connaturata all’uomo: di tutte le creature l’uomo è la più debole, esposta alle continue variazioni delle condizioni naturali. L’infinità dell’universo e la forza della natura possono annullare senza sforzo la sua presenza fisica. Eppure l’uomo è di tutte le creature la più nobile ed è superiore all’universo: ha una dignità superiore a quella di ogni altro essere naturale e dell’universo, che, pure, ha una forza infinitamente superiore e la esercita. 2. In che cosa consiste la differenza essenziale tra l’uomo e l’universo?

n

L’A N T O L O G I A

n

........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

Nel frammento 348 la tesi secondo cui la grandezza dell’uomo risiede nella sua capacità di pensare è espressa con le parole che l’uomo rivolge a sé. Pascal contrappone la forza dell’universo alla capacità che l’uomo ha di conoscere la propria inferiorità. Grazie a essa l’uomo, parte piccolissima dell’universo, può sollevarsi al di sopra della propria miseria. 3. Qual è l’esortazione che l’uomo rivolge a se stesso? ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

Nel frammento 397 Pascal ribadisce la grandezza dell’uomo rispetto a tutte le altre cose esistenti. 4. Che cosa accomuna l’uomo a un albero? Quale caratteristica li rende profondamente diversi l’uno dall’altro? ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

Stile Pascal si esprime con un linguaggio semplice, privo di termini tratti dal lessico filosofico e vicino al linguaggio comune. Lo stile dell’esposizione non è però identico nei vari frammenti. Individua quello in cui lo stile di Pascal cambia e spiega come viene modificato. ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

244

208_247_malebranche.indd 244

Il Seicento

06/02/12 15:15

Retorica Pascal usa varie figure retoriche, tra cui una metafora. Trovala nel testo e spiegane il significato. ........................................................................................................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

n

L’A N T O L O G I A

n

Gerritt van Honthorst, detto Gherardo delle Notti, Allegro violinista con bicchiere, 1623. Amsterdam, Rijksmuseum.

5. Malebranche, Pascal e Bayle

208_247_malebranche.indd 245

245

06/02/12 15:15

CITTADINANZA E COSTITUZIONE

Libertà di pensiero e tolleranza

La difesa della libertà di pensiero in Bayle Tolleranza e libertà di coscienza furono fondamentali nel pensiero di Pierre Bayle (1647-1706), che condannò le persecuzioni commesse in nome della religione e, in particolare, del cristianesimo. Bayle apparteneva alla minoranza degli ugonotti, i protestanti (calvinisti) presenti in Francia tra il XVI e il XVII secolo, che furono oggetto di restrizioni e persecuzioni da parte dell’aristocrazia, della Chiesa cattolica e del re. Quando Luigi XIV revocò l’editto di Nantes (1685), Bayle si schierò in difesa della sacralità della coscienza: l’ultima a decidere è la coscienza dell’individuo, «voce di Dio», poiché in materia di fede non esistono prove inconfutabili. A una coscienza che sbaglia, se in buona fede, bisogna riconoscere gli stessi diritti di una coscienza che è nel giusto. Su questa premessa Bayle elaborò una dottrina della tolleranza universale che includesse anche ebrei, musulmani e pagani, negò la legittimità dell’intervento delle autorità politiche per imporre una determinata confessione religiosa, difese il diritto dell’individuo a professare il proprio credo. La libertà di pensiero nel costituzionalismo moderno La libertà di pensiero rientra fra i diritti civili che ga-

Non possiamo mai essere certi che l’opinione che tentiamo di soffocare sia falsa; e se ne fossimo certi, soffocarla sarebbe ancora un male. (J.S. Mill) rantiscono all’individuo la completa espressione di sé e trovano tutela in tutte le costituzioni moderne. A partire dalla Rivoluzione inglese (1640-1689), attraverso la Rivoluzione americana (culminata con la Dichiarazione di indipendenza del 1776) e, poi, con la Rivoluzione francese del 1789 (che dette luogo alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino), si giunge all’affermazione della libertà di opinione e di espressione nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, proclamata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. In seguito, tale libertà è stata inserita nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (1955)

Leggi Bayle Se ciascuno praticasse la tolleranza che io vengo predicando, ci sarebbe la stessa concordia in uno stato diviso fra dieci religioni, che in una città nella quale le diverse consorterie di artigiani si tollerano e si sopportano a vicenda. Per quanto concerne quell’enorme miscuglio di sètte, indegno della religione, che si pretende abbia origine dalla tolleranza, affermo che si tratta del male minore e meno vergognoso per il cristianesimo in confronto ai massacri [...] con i quali la Chiesa romana ha cercato, senza riuscirvi, di conservare l’unità.

246

208_247_malebranche.indd 246

Il Seicento

06/02/12 15:15

Manifestazione islamica a Copenaghen contro le vignette satiriche su Maometto pubblicate da un giornale danese. (Fotografia scattata il 3 febbraio 2006).

e, più di recente, nella Carta dei diritti fondamentali, proclamata la prima volta il 7 dicembre 2000 e riaffermata in concomitanza con la firma del trattato di Lisbona (13 dicembre 2007). Questa libertà è considerata alla base del progresso delle società democratiche e dello sviluppo degli individui, nella convinzione che per promuoverli siano essenziali il confronto e la discussione delle idee. Libertà di pensiero nella Costituzione italiana La Costituzione italiana riconosce a ogni cittadino alcuni diritti inviolabili. Il regime democratico della Repubblica italiana si fonda infatti sulla libertà delle persone, secondo una concezione della società per cui esiste una sfera di libertà individuale che lo Stato deve riconoscere, rispettare e far rispettare, in cui sono comprese la libertà di opinione, il diritto alla riservatezza (privacy), la libertà religiosa e di pensiero.

Leggi la Costituzione Art. 13 La libertà personale è inviolabile. [...] Art. 15 La libertà e la segretezza della corri-

spondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge. Art. 19 Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume. Art. 21 Tutti hanno diritto di manifestare li-

beramente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

RIELABORA E RIFLETTI 1. Spiega in non più di 5 righe quali diritti derivano dalla libertà di pensiero sancita dall’art. 21 della Costituzione italiana. 2. Spiega quali sono i punti in comune tra il pensiero di Bayle e il riconoscimento della libertà di opinione nel costituzionalismo moderno, in un max di 5 righe. 3. In un testo di almeno 10 righe esamina i limiti che sono posti alla libertà di manifestazione del pensiero e della propria fede religiosa nella Costituzione italiana.

5. Malebranche, Pascal e Bayle

208_247_malebranche.indd 247

247

06/02/12 15:15

6. Spinoza e Leibniz:

il soggetto e il mondo Spinoza, Leibniz e il loro tempo 1609 Filippo III di Spagna riconosce l’indipendenza delle Province Unite (Paesi Bassi del sud).

1618 Scoppia la Guerra dei Trent’anni.

1648 Pace di Westfalia; l’Olanda si libera dalla Spagna.

1649 Prima rivoluzione inglese e decapitazione di Carlo I Stuart.

EVENTI VITA E OPERE

1632 Spinoza nasce ad Amsterdam.

1646 Leibniz nasce a Lipsia.

1656 Spinoza viene scomunicato e bandito dalla sinagoga.

I luoghi di Spinoza e Leibniz Londra (1673) Leibniz va in missione diplomatica e presenta alcuni suoi esperimenti alla Royal Society.

Lipsia Vi nasce Leibniz che studia filosofia nella locale università, laureandosi a soli 17 anni.

Amsterdam Vi nasce Spinoza. L’Aja Nel 1670 Spinoza vi si trasferisce e vi rimane fino alla morte. Parigi (1672-1676) Leibniz conosce Malebranche e Arnauld, studia con il matematico Huygens e frequenta l’Accademia della Scienza.

248

Rijnsburg Spinoza vi si trasferisce nel 1661.

RISORSE MULTIMEDIALI

➥ Lezione LIM ➥ Test

248_331_spinoza.indd 248

Hannover Leibniz entra al servizio del duca di Hannover e qui muore.

➥ Biblioteca: S. Landucci, In cosa Spinoza ha fatto epoca ➥ Tutorial: Spinoza, Etica

06/02/12 15:29

Io dico che è libera quella cosa che esiste ed agisce per la sola necessità della sua natura: è invece costretta quella che è determinata ad esistere e a operare in un certo e determinato modo. Per esempio, Dio esiste liberamente anche se necessariamente, poiché esiste per la sola necessità della sua natura. [...] Vedete dunque che io metto la libertà non nella libera decisione, ma nella libera necessità. (B. Spinoza, Epistola LVIII)

1661 Gli Stuart tornano a regnare in Inghilterra con Carlo II.

1666 Leibniz pubblica L’arte combinatoria.

1672-1674 Terza guerra angloolandese: l’Inghilterra assume il ruolo dominante nel commercio mondiale.

1670 Esce 1675 Spinoza anonimo termina l’Etica. il Trattato teologico-politico di Spinoza.

1677 Spinoza muore a L’Aja ed escono le Opere postume.

1688-1689 Seconda rivoluzione inglese: l’olandese Guglielmo d’Orange sale al trono in Inghilterra.

1686 Esce il Discorso di metafisica di Leibniz.

1714 Sale sul trono inglese il primo re della casa di Hannover, Giorgio I.

1705 Leibniz 1710 Escono 1716 Leibniz muore scrive i Nuovi saggi i Saggi di teodicea ad Hannover. sull’intelletto umano, di Leibniz. che usciranno postumi.

Le domande di Spinoza • Dio è quello descritto nelle Scritture oppure è possibile pensare a un Dio con caratteristiche diverse? • Quando osserviamo la Natura la scopriamo come risultato di una serie necessaria di fenomeni o piuttosto come il regno della libertà e del caso? • Che posto occupa l’uomo nell’ordine del mondo? • Qual è la natura della mente umana e in che rapporti sta con il corpo? • Quali sono i fondamenti della vita civile e politica e qual è la miglior forma di governo per gli uomini?

Le domande di Leibniz • • • •

Il mondo è una realtà unitaria e armonica? E se sì, come si manifesta questa armonia? Che rapporto c’è tra le nostre rappresentazioni e le cose? E quanti tipi di rappresentazioni esistono? La verità è una sola o ha più forme? Esiste una connessione tra logica e realtà? Se Dio ha creato il mondo, da dove deriva il male?

I testi T1 T2 T3 T4 T5

Spinoza, Le cose e i principi del mondo di Spinoza Spinoza, La libertà vera e la libertà fittizia Spinoza, La natura degli affetti e il potere della mente Spinoza, L’origine delle lotte di religione Spinoza, Il diritto naturale di ogni individuo coincide con la sua potenza

T6 T7 T8 T9

Leibniz, L’idea e l’espressione Leibniz, La ragione e la verità Leibniz, La sostanza come concetto completo Leibniz, Le monadi e i gradi della conoscenza

249 ➥ Cittadinanza e costituzione: Libertà ed eguaglianza

248_331_spinoza.indd 249

06/02/12 15:29

1. Baruch Spinoza

Bayle: Spinoza come ateo virtuoso

Il Dio di Spinoza non è quello dei teologi

La salvezza attraverso la saggezza

1.1 Lo “scandalo” dello spinozismo Per più di un secolo dal loro primo diffondersi, il complesso di idee che la tradizione storica ha individuato come proprie della filosofia di Spinoza – designate con il termine “spinozismo” – furono oggetto di polemiche violente. Su Spinoza caddero gli anatemi delle gerarchie ecclesiastiche di diverse religioni, ma non solo: anche filosofi di opposte correnti si curarono in ogni modo di prendere le distanze dal suo pensiero. Per quel che si riteneva di conoscerne, infatti, lo spinozismo apparve come uno scandalo, perché fu considerato ateo, determinista e materialista, nonostante fosse generalmente riconosciuta l’onestà di costumi dell’uomo Spinoza. Unione di ateismo e virtù che creava ancora più scandalo, in quanto contraddiceva la convinzione comune del legame necessario tra religione e morale. Alla formazione e diffusione di quest’immagine dello spinozismo – dominante sino alla fine del Settecento – contribuì soprattutto l’articolo Spinoza del Dizionario storico-critico (1697) di Bayle, un’opera in cui le dottrine sia filosofiche che religiose non venivano solo esposte in brevi voci enciclopediche ma anche discusse criticamente. A Bayle si deve uno dei primi ritratti del pensatore olandese come «ateo virtuoso» e la definizione del suo pensiero come un ateismo «di sistema», svolto «secondo un metodo tutto nuovo», cioè una «dottrina coerente e concatenata alla maniera dei matematici». Le reazioni dei contemporanei e dei pensatori settecenteschi non possono essere considerate come del tutto ingiustificate, o motivate da meri interessi politici e confessionali. Infatti, è indubbio che il Dio di Spinoza non è né il Dio dei teologi né quello dei filosofi: l’equiparazione spinoziana di Dio con la Natura – intesa come cosmo meccanicamente determinato da leggi necessarie – si presenta piuttosto come consapevole alternativa rispetto alla concezione giudaico-cristiana di Dio come Ente personale trascendente. Di questa Spinoza offre una confutazione condotta con una coerenza sistematica assente nei pensatori precedenti, che pure si erano distaccati dalla tradizione. Su questa nuova base, Spinoza pone al centro della propria indagine un problema classico della tradizione filosofica occidentale: il problema di quale sia la strategia adeguata per raggiungere la salvezza, ossia per sottrarre l’uomo – e i suoi beni – alla fragilità propria della finitezza. La soluzione che egli elabora non è più, però, la consolazione offerta dalla fede nella Provvidenza o nell’aldilà: per Spinoza la strada maestra per raggiungere la salvezza è piuttosto la saggezza intesa come «meditazione della vita», fondata su una comprensione naturalistica del mondo e degli «affetti umani». PER SINTETIZZARE • Quali erano le accuse rivolte a Spinoza e allo spinozismo? • Come venne conosciuta la sua opera nonostante la messa all’Indice?

Tra ebraismo e nuova scienza

250

248_331_spinoza.indd 250

1.2 Una vita “per la verità” L’eccentricità del pensiero spinoziano non costituisce il frutto geniale di una meditazione solitaria, bensì piuttosto il risultato dell’originale confronto critico tra: • la tradizione religiosa, filosofica e mistica dell’ebraismo; • lo studio approfondito dei testi della nuova scienza della natura e di diverse correnti filosofiche – dalla Scolastica al naturalismo rinascimentale e alla filosofia cartesiana – reso possibile dal vivace ambiente culturale dell’Olanda del Seicento. Spinoza nasce e vive, infatti, in uno dei momenti di massimo splendore della storia d’Olanda che, godendo all’epoca della fama di patria della tolleranza, aveva attirato i principali spiriti liberi. Tuttavia, ciò non impedì a Spinoza di essere in più occasioni vittima di

Il Seicento

06/02/12 15:29

quell’«odio teologico» da lui stesso aspramente criticato: dall’espulsione dalla comunità ebraico-portoghese di Amsterdam per sospetto di eterodossia, alle molteplici condanne del Trattato teologico-politico – uscito anonimo nel 1670 – da parte non solo delle autorità ecclesiastiche, ma anche dei poteri civili.

LA VITA E LE OPERE 1632

Baruch Spinoza nasce a Amsterdam.

1639

Inizia a frequentare la scuola ebraica.

1652

Inizia lo studio del latino.

1656

Subisce un attentato da parte di un fanatico ebreo e successivamente viene scomunicato e bandito dalla sinagoga.

1658-1659

Scrive in latino il Trattato sull’emendazione dell’intelletto (Tractatus de intellectus emendatione) rimasto incompiuto.

1662

Riformula il Trattato sull’emendazione dell’intelletto nella prima parte dell’Etica dimostrata in modo geometrico (Ethica more geometrico demonstrata).

1661

Spinoza si trasferisce a Rijnsburg.

1663

Pubblica i Principi della filosofia cartesiana (Renati Des Cartes principiorum philosophiae), una sintesi della filosofia di Cartesio esposta “secondo il metodo geometrico” con in appendice i Pensieri metafisici (Cogitata metaphisica).

1663

Si trasferisce vicino a L’Aja ed entra in relazioni con il segretario della Royal Society londinese Henry Oldenburg con cui scambia negli anni molte delle numerose lettere che compongono il suo Epistolario.

1670

Pubblica anonimo il Trattato teologico-politico (Tractatus theologico-politicus).

1673

Rifiuta una cattedra all’Università di Heidelberg.

1675

Pensa di pubblicare l’Etica ma rinuncia perché è sicuro che verrà accolta con odio.

1675-1677

Lavora al Trattato politico (Tractatus politicus) che lascia incompiuto.

1677

Spinoza muore e in quello stesso anno vengono pubblicate le Opere postume (comprendenti l’Etica, il Trattato sull’emendazione dell’intelletto, l’Epistolario, il Trattato politico e una Grammatica della lingua ebraica in compendio) subito inserite nell’Indice e mai più pubblicate fino all’Ottocento.

La reticenza di Spinoza a pubblicare

Non sorprende, dunque, che Spinoza abbia esitato a dare alle stampe i suoi scritti. Non è un caso che l’unico libro che Spinoza pubblicò durante la propria vita siano i Principi della filosofia cartesiana – comprendenti in appendice i Pensieri metafisici – vale a dire un’opera in cui egli offre un’esposizione, condotta secondo il metodo geometrico, dei capisaldi non del proprio pensiero, bensì di quello cartesiano, che pure per molti aspetti non condivideva. La reticenza di Spinoza a rendere pubbliche le proprie idee – che peraltro non ne impedì la diffusione già durante la sua vita, grazie alla precoce formazione di un circolo spinoziano – è espressione di prudenza, ma non di mancanza di coraggio. Essa è da ricondurre piuttosto, oltre al sincero rispetto per le leggi e consuetudini del proprio Paese, soprattutto al desiderio di conservare le condizioni esterne necessarie per proseguire la ricerca della verità e «affermare in ogni modo la libertà di filosofare».

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 251

251

06/02/12 15:29

Un forte spirito d’indipendenza e la passione per la verità

La preoccupazione di salvaguardare la propria indipendenza caratterizza infatti in maniera costante il comportamento di Spinoza, come traspare da due atti pubblici particolarmente significativi, all’inizio e alla fine della sua vicenda intellettuale. Il primo è la scelta di non accettare la pensione che il comitato direttivo della comunità ebraico-portoghese di Amsterdam gli aveva offerto, a condizione di non manifestare il proprio dissenso. Piuttosto che rinunciare alla libertà di esprimere le proprie convinzioni, Spinoza preferì affrontare le difficoltà economiche causate dalla scomunica – che lo costrinse a interrompere l’attività commerciale svolta sino a quel momento insieme al fratello – dedicandosi alla levigatura delle lenti per telescopio e microscopio. Il secondo è il rifiuto di una cattedra alla prestigiosa Università di Heidelberg, offertagli nel 1673 dall’Elettore del Palatinato Carlo Luigi con l’annotazione che lì avrebbe goduto della «più ampia libertà di filosofare», confidando però che non ne avrebbe abusato per non turbare la religione pubblicamente professata. A tale invito Spinoza rispose esprimendo il desiderio di dedicarsi in maniera esclusiva, e soprattutto senza limiti o imposizioni, alla ricerca della verità. PER SINTETIZZARE • Con quali tradizioni teologiche e filosofiche si confronta il pensiero di Spinoza? • Per quali motivi Spinoza fu restio a pubblicare i propri scritti?

Il metodo geometrico come garanzia di rigore e certezza

1.3 Il “Dio-Natura” dimostrato con metodo geometrico Spinoza dedica alla trattazione del concetto di Dio la prima parte della sua Etica, in cui confluiscono le riflessioni sull’argomento già svolte negli scritti precedenti – in particolare nella prima sezione del Breve trattato giovanile e nel Trattato teologico-politico – rielaborate e soprattutto ordinate sistematicamente, secondo il «metodo geometrico» che dà il titolo all’opera. Quest’ultimo consiste in un procedimento argomentativo ed espositivo che, partendo da definizioni, assiomi e postulati, si svolge sinteticamente attraverso “proposizioni”, spesso accompagnate da corollari e scolii, cioè commenti aggiunti a ulteriore chiarimento di un concetto. FILOSOFI A CONFRONTO

La scelta di adoperare tale procedimento – che Spinoza denomina «metodo geometrico», con chiaro riferimento agli Elementi del matematico greco Euclide (IV-III secolo a.C.) – è dettata innanzitutto dall’idea che le scienze matematiche costituiscano un modello di rigore e certezza. Si tratta di una convinzione che Spinoza condivide con la maggior parte dei principali pensatori dell’epoca, da Cartesio a Hobbes.

Nell’Etica, però, egli allarga in modo peculiare l’ambito di applicazione del metodo geometrico, adoperandolo per la prima volta per trattare temi che vanno dalla metafisica alla psicologia sino alla morale. Secondo i presupposti fondamentali della sua filosofia, il metodo geometrico è, infatti, l’unico strumento appropriato per indagare ogni ambito della realtà, in quanto nel suo complesso quest’ultima: • non è altro che un intero geometricamente ordinato di cose concatenate in maniera necessaria; • e dunque sistematicamente deducibili l’una dall’altra. 1.3.1 L’unicità della sostanza Seguendo questo metodo, nella prima parte dell’Etica Spinoza fa discendere da una serie di definizioni e assiomi tutto quanto concerne la natura di Dio, inteso quale sostanza dotata di infiniti attributi.

252

248_331_spinoza.indd 252

Il Seicento

06/02/12 15:29

La sostanza: autonomia ontologica e conoscitiva

Modi e attributi

T1

La sostanza è causa di se stessa, increata, eterna, infinita e unica

La sostanza è Dio

La base di questa costruzione è costituita dalle definizioni di tre nozioni chiave della metafisica spinoziana, quelle di sostanza, attributo e modo. La definizione della sostanza è divisa in due parti: 1. nella prima parte, Spinoza afferma che essa è «ciò che è in sé», intendendo dire che la sostanza è ciò che ha in se stessa, e non in altro, la causa della propria esistenza e quindi è il principio dell’essere; 2. nella seconda parte, egli si riferisce invece alla conoscibilità della sostanza, affermando che essa è ciò che «per sé si concepisce»: questa formulazione si comprende solo tenendo conto che per Spinoza la conoscenza vera è conoscenza genetica, cioè conoscenza della causa di una determinata cosa. Ora, la sostanza è ciò che «per sé si concepisce», proprio in quanto – essendo causa di se stessa – la sua conoscenza non presuppone il concetto o la conoscenza di nient’altro. La definizione di «modi» esprime una realtà opposta sia sul piano ontologico sia su quello della conoscenza. Questi sono, infatti, le molteplici forme (alterazioni, «affezioni») in cui la sostanza si esprime. In quanto tali, i modi di ogni specie: • non hanno la causa della propria esistenza in sé, bensì “in altro”, cioè nella sostanza stessa; • hanno la condizione necessaria della loro conoscibilità nella sostanza. Fra la sostanza e i modi nell’ontologia spinoziana si collocano gli attributi, ossia le qualità che costituiscono l’essenza della sostanza, e quindi esistono in essa in maniera necessaria. Tra gli attributi e la sostanza esiste un legame così stretto che possiamo separarli solo attraverso la ragione. Tra gli attributi, invece, esiste una distinzione reale, cioè non possiamo pensare che siano l’uno causa dell’altro. A partire da queste premesse, Spinoza deduce le proprietà generali della sostanza. Le principali sono riconducibili, in ultima analisi, alla concezione di quest’ultima come «causa sui», ossia come «causa di se stessa». Secondo la definizione spinoziana, infatti, una cosa che è «causa di se stessa» è ciò la cui essenza implica necessariamente l’esistenza, ossia ciò che non può non esistere. Ma abbiamo già visto che la sostanza è per definizione ciò che è causa di sé; identificandola con la propria causa affermiamo dunque che esiste anche in modo necessario. Tutto questo equivale a dire che essa è increata ed eterna. Inoltre, per Spinoza la sostanza – in quanto causa di sé – esiste necessariamente come infinita, cioè come dotata di infiniti attributi: ciò che è causa di sé è, infatti, infinito, non essendo determinato e limitato da nient’altro nel darsi l’esistenza. In quanto costitutivi della sostanza divina, anche i singoli attributi sono infiniti, ma in maniera diversa rispetto alla sostanza. L’infinità che compete a ciascun attributo è, infatti, un’infinità relativa, che si riferisce cioè a un solo genere: per esempio, l’attributo del pensiero è infinito solo in quanto esprime tutta la realtà e perfezione di un aspetto dell’essenza della sostanza, cioè il pensiero. Quella che compete alla sostanza è invece un’infinità assoluta, che comprende al suo interno tutti gli attributi. Dall’affermazione dell’infinità assoluta della sostanza discende quella della sua unicità, che costituisce il tratto peculiare dell’ontologia spinoziana, per questo motivo correntemente definita come monistica. Come si è già detto, infatti, Spinoza esclude che in natura possano esistere due sostanze del medesimo attributo, ossia che abbiano in comune la medesima qualità essenziale. Inoltre, essendo infinita in senso assoluto, la sostanza comprende nella sua essenza tutti i possibili attributi, sia quelli che noi conosciamo (pensiero ed estensione) sia altri che non siamo in grado di concepire. Di qui la conclusione che «non esiste che una sola sostanza» infinita, che non è altro che Dio, dal momento che, come si è detto all’inizio di questo paragrafo, Spinoza concepisce Dio come sostanza dotata di infiniti attributi: «Oltre Dio non si può dare né concepire alcuna sostanza».

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 253

253

06/02/12 15:29

FILOSOFI A CONFRONTO

Attraverso la dimostrazione di tale affermazione, Spinoza prende espressamente le distanze rispetto a quello che egli considera come uno dei principali equivoci della filosofia di Cartesio che – oltre alla «sostanza prima» e infinita di Dio – aveva ammesso anche, come «sostanze seconde» e «create», l’estensione (la res extensa) e il pensiero (la res cogitans), o meglio la pluralità delle sostanze pensanti. Per Spinoza, invece, come si è visto, non ha senso parlare di «sostanze create», dal momento che la sostanza è per definizione ciò che è causa di sé. Di conseguenza, egli concepisce il pensiero e l’estensione non come «due diverse sostanze», bensì esclusivamente come due degli infiniti «attributi» che costituiscono l’essenza dell’unica sostanza increata e infinita, che è Dio.

L’ONTOLOGIA DI SPINOZA SOSTANZA: È CAUSA DI SE STESSA E SI CONCEPISCE DI PER SÉ

essenza della sostanza

infiniti attributi che non conosciamo

distinzione reale: non ammette intercausalità

attributo pensiero

distinzione reale: non ammette intercausalità

modi del pensiero: sono in altro e si concepiscono grazie ad altro

attributo estensione

modi dell’estensione: sono in altro e si concepiscono grazie ad altro

PER SINTETIZZARE • Perché Spinoza sceglie di esporre il suo pensiero seguendo il metodo geometrico? • Quali caratteri della sostanza derivano dalla tesi che essa è causa di sé? • Che differenza c’è tra l’infinità della sostanza e quella degli attributi?

Dio è anche materia

1.3.2 Il Dio-sostanza: liquidazione del Dio-persona e della “creazione dal nulla” Già dalle

ultime osservazioni emerge in modo chiaro una delle innovazioni più radicali che il monismo spinoziano implica nel modo di concepire la divinità. Includere l’estensione tra gli attributi della sostanza significa, infatti, concepire Dio anche come materia, dato che l’estensione è, a partire da Cartesio, l’attributo essenziale della materia. FILOSOFI A CONFRONTO

Ciò rappresenta un’aperta e consapevole rottura con la concezione di Dio come puro spirito, condivisa da una secolare tradizione religiosa e filosofica che arriva sino a Cartesio. Spinoza prende espressamente posizione contro coloro che «negano che Dio sia corporeo»: l’idea è che l’infinità della sostanza non può esaurirsi in una sola forma dell’Essere, per questo Dio, oltre che pensiero, deve essere anche estensione.

254

248_331_spinoza.indd 254

Il Seicento

06/02/12 15:29

Tutto è in Dio

Dio è causa immanente, necessaria e autodeterminata

Dio è libero

La vera potenza di Dio è infinita e in atto

Il mondo è infinito, increato ed eterno

La portata innovativa del monismo spinoziano rispetto alla concezione tradizionale del divino non si esaurisce nella tesi della corporeità di Dio, ma va ben oltre. In primo luogo, la corrispondenza biunivoca che Spinoza stabilisce tra Dio e la sostanza è alla radice del rifiuto della concezione di Dio come essere trascendente – cioè al di là e al di sopra del mondo – e a favore di una concezione immanentistica, secondo la quale «Tutto ciò che è, è in Dio, e niente può essere né essere concepito senza Dio». Nel sistema spinoziano, infatti, affermare che al di fuori di Dio non può esserci alcuna altra sostanza equivale ad affermare che al di fuori di Dio non può esserci nulla, dal momento che, oltre alla sostanza, per Spinoza esistono solo i modi che però non sono altro che le molteplici forme, infinite e finite, in cui la sostanza stessa si esprime, attraverso la particolarizzazione dei suoi attributi. Precisamente, per Spinoza i modi sono interni alla sostanza – che ne è la causa – in quanto egli attribuisce a Dio una causalità immanente, cioè una causalità che produce effetti che non sono separati dalla causa, mentre, reciprocamente, la causa continua a operare in loro. A differenza di quanto avviene nella creazione, che è invece un tipo di causalità transitiva, che produce qualcosa che poi esiste separatamente dal creatore. Emerge così la concezione dinamica ed espansiva dell’infinito caratteristica di Spinoza, in base alla quale da una sostanza infinita, quale è Dio, deriva una causalità infinita, che si esprime nelle infinite cose e negli infiniti modi che costituiscono la Natura. Ciò significa che la causalità del Dio spinoziano è caratterizzata da una ferrea necessità, che la distingue in maniera essenziale dalla creazione in quanto atto di libero arbitrio. Un Dio che non può che produrre infinite cause, infatti, non è libero nel senso di potere creare o non creare qualunque cosa voglia. Tuttavia, la necessità della causalità divina non elimina la libertà come la intende Spinoza. Per quest’ultimo, infatti, nel suo unico vero significato la libertà indica non la libertà d’indifferenza – cioè la facoltà di scelta priva di motivazione e completamente indifferente rispetto alle conseguenze – bensì l’autodeterminazione ad agire senza condizionamenti esterni, in base alla sola «necessità della propria natura». Nella prospettiva di Spinoza, dunque, viene meno l’opposizione tra necessità e libertà, e il Dio-sostanza, pur essendo necessitato a produrre infiniti modi, risulta essere una causa sommamente libera. Dal momento che al di fuori di esso non vi è nulla che possa costringerlo, la sua azione causale è determinata, infatti, in maniera esclusiva e necessaria, dalle leggi della sua natura. Su questo punto il distacco dalla tradizione è molto profondo, e Spinoza stesso avverte l’esigenza di segnalarlo, confutando le ragioni degli avversari. Il principale obiettivo polemico di Spinoza è la dottrina dei filosofi scolastici che, per salvare la libertà della creazione, avevano affermato che Dio sceglie liberamente di portare all’esistenza ciò che vuole, tra le essenze – cioè gli archetipi delle cose – presenti attualmente nel suo intelletto. Per Spinoza tale dottrina limita e nega la perfezione divina, in quanto implica una riduzione inaccettabile della sua onnipotenza. In Dio – come causa di sé, la cui essenza implica necessariamente l’esistenza – non vi è differenza tra potenza (ciò che potrebbe accadere ma non è detto che accada) e atto (ciò che accade effettivamente), né in lui si possono distinguere l’intelletto dalla volontà, per cui è assurdo pensare che egli abbia la facoltà di non mettere in atto qualcosa che è in suo potere. 1.3.3 Il determinismo e la confutazione del pregiudizio finalistico La concezione della

causalità divina come causalità infinita, necessaria e immanente si ripercuote inevitabilmente anche sulla maniera di intendere il mondo, che da tale causalità è prodotto. In primo luogo, se il Dio-sostanza è causa di sé, che deve esistere producendo in maniera necessaria le infinite cose che costituiscono l’universo, quest’ultimo risulterà, nel suo complesso, anch’esso infinito, increato ed eterno come Dio. Tesi che costituisce un ulteriore colpo inflitto alla tradizionale nozione di creazione come produzione del mondo dal nulla. In secondo luogo, un Dio che esercita una causalità necessaria non può che produrre un ordine necessario. Ciò significa che per Spinoza in natura «non vi è nulla di contingente»,

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 255

255

06/02/12 15:29

Modi infiniti e modi finiti

Il Dio-sostanza è la Natura

Il finalismo è un pregiudizio

cioè non vi è nessuna cosa esistente che avrebbe potuto anche non essere, o essere diversamente da come è: tutto è e accade necessariamente, in quanto determinato a esistere e ad agire dalla necessità della natura divina; qualcosa ci appare contingente solo perché ignoriamo la causa che l’ha prodotta. La causalità necessaria di Dio si esplica in due diverse maniere, in quelli che Spinoza definisce rispettivamente i modi infiniti e i modi finiti: • i modi infiniti sono le proprietà costitutive degli attributi, che – derivando direttamente o indirettamente da questi ultimi – ne condividono l’infinitezza: per esempio, modi «infiniti» immediati dell’attributo dell’estensione sono il moto e la quiete, in quanto tutti i corpi che esistono o sono in quiete o sono in movimento. I modi infiniti derivano dagli attributi di Dio dall’eternità, in base a un rapporto di derivazione causale che è dunque sovratemporale; • i modi finiti sono, invece, le cose singole, cioè le concretizzazioni particolari degli attributi, limitate nello spazio e nel tempo: l’attributo dell’estensione si particolarizza, per esempio, in una pietra, nel corpo di un dato animale o di un dato uomo. Dal momento che da Dio e dai suoi attributi non possono seguire che effetti infiniti, Dio non può essere causa dei modi finiti in maniera immediata. Per questo motivo, Spinoza indica la causa immediata di ogni cosa singola in un’altra cosa singola, la quale a sua volta è determinata a esistere e ad agire da un’altra cosa singola, e così via in un regresso all’infinito di cause finite, regolato in maniera necessaria dalla legge di causa-effetto. Alla radice di tutto questo processo vi è, però, il Dio-sostanza, che si conferma dunque come la causa prima ed efficiente di tutte le cose, anche di quelle infime. Alla luce di quanto detto, risulta in modo chiaro come il Dio-sostanza spinoziano non sia altro che la Natura, intesa non come forza animata, misteriosa e imprevedibile, bensì – nello spirito della scienza moderna – come ordine necessario ed eterno, meccanicisticamente determinato dalla legge di causa-effetto. Dio non è al di sopra della Natura e delle sue leggi, in quanto le leggi e la necessità dell’essenza divina altro non sono che leggi e necessità della Natura. Sulla base di queste premesse, Spinoza riprende la distinzione scolastica tra Natura naturans (“Natura non creata e che crea”) e Natura naturata (“Natura creata”), caricandola però di un significato profondamente innovativo: con il primo termine egli designa la sostanza e i suoi attributi in quanto causa libera, con il secondo l’insieme dei modi visti come effetti. Dalla concezione della causalità divina come causalità necessaria – e dalla conseguente affermazione del determinismo come principio universale – discende la negazione di ogni finalismo in natura e, in particolare, del finalismo antropocentrico, consistente nel considerare tutte le cose naturali come mezzi creati da Dio per l’utile dell’uomo. FILOSOFI A CONFRONTO

Una simile visione finalistica aveva dominato per secoli la metafisica e le tradizioni religiose occidentali – dai greci in poi – anche se, all’epoca di Spinoza, aveva già iniziato a mostrare i primi segni di crisi, sotto i colpi della rivoluzione copernicana e della rivoluzione scientifica: andavano in questa direzione il rifiuto del primato ontologico dell’uomo in Bruno, o la negazione galileiana dell’interesse scientifico delle cause finali.

Il finalismo come radice di tutti i pregiudizi

256

248_331_spinoza.indd 256

Spinoza considera la concezione finalistica come un mero pregiudizio, o meglio come la radice di tutti i pregiudizi. Il pregiudizio finalistico deriva, infatti, dal fatto che gli uomini nascono ignorando le cause efficienti di tutte le cose – anche dei loro stessi desideri – mentre sono immediatamente consapevoli del fine che si propongono, cioè la ricerca dell’utile. Questa condizione li induce a ritenere che il loro agire sia determinato non da cause efficienti, bensì da cause finali, cioè dall’utile che si pongono come scopo. Proiettando la propria esperienza sulle cose

Il Seicento

06/02/12 15:29

Il finalismo nasce dall’immaginazione

naturali e sulla loro causa prima, essi giungono così a immaginare che tutto sia mosso da cause finali – e non da cause efficienti – e che il mondo sia stato creato per gli scopi degli uomini da un Dio, mosso a sua volta dal fine di essere adorato dall’uomo. In base alla genealogia appena illustrata, la concezione teleologica, o finalistica, risulta dunque essere un semplice frutto dell’immaginazione, la cui falsità è dimostrata da Spinoza innanzitutto attraverso il richiamo ai caratteri essenziali della causalità della sostanza. La confutazione del finalismo non è altro, dunque, che il coronamento di una teoria della divinità che ha con sistematica coerenza smontato l’immagine troppo umana del Dio-persona forgiata dalla riflessione filosofica e teologica precedente, giungendo sino al punto di concepire, se non un universo senza Dio, senza dubbio un universo senza scopo. PER SINTETIZZARE • Qual è il rapporto tra Dio e materia secondo Spinoza? • La sostanza spinoziana è identificata con la Natura. Qual è l’origine delle leggi di natura, secondo Spinoza? • Che cosa sono i modi infiniti, nell’ontologia di Spinoza, e che rapporto hanno con i modi finiti? • Qual è, secondo Spinoza, il rapporto tra finalismo e pregiudizi?

1.4 Antropologia e morale Ordine delle cose e ordine delle idee

La distinzione reale tra gli attributi: il parallelismo

Come si è già detto, gli attributi della sostanza sono infiniti. Tuttavia, soltanto due di questi infiniti attributi sono accessibili alla conoscenza dell’uomo, in quanto essere finito costituito da una mente e da un corpo, entrambi modi finiti rispettivamente dell’attributo pensiero e dell’attributo estensione di Dio. Per Spinoza non solo la serie infinita dei corpi bensì anche quella delle idee deriva da Dio secondo un ordine necessario, regolato dal principio della determinazione causale: come una cosa c è determinata da una cosa b, a sua volta prodotta da una cosa a, allo stesso modo un’idea c non può che scaturire da un’idea b, a sua volta causata da un’idea a. Il principio della determinazione causale non vale, però, nel rapporto tra due modi di attributi diversi: ogni attributo della sostanza – esprimendo l’essenza di essa – non può essere stato prodotto da un altro attributo, bensì è in essa da sempre. Di conseguenza, tra la serie delle idee e la serie delle cose estese non vi può essere alcuna causalità reciproca: le idee non sono causate dalle cose percepite, così come esse, a loro volta, non possono esercitare alcuna influenza sui corpi. Per Spinoza, quindi, sia le singole idee sia le singole cose sono modi finiti di un’unica e medesima sostanza, considerata, però, sotto i due diversi attributi del pensiero e dell’estensione, tra i quali sussiste una distinzione reale. Tra idee e cose, dunque, non può esservi un rapporto di causalità, ma piuttosto un rapporto di perfetta coincidenza e identità su due piani paralleli e distinti: «l’ordine e la connessione delle idee sono identici all’ordine e alla connessione delle cose». In parole più semplici, per Spinoza nessun termine di una delle due serie può incidere su quelli dell’altra, ma quando si ha un mutamento nell’ordine delle cose si ha sempre anche un’idea del mutamento stesso. Tale corrispondenza si verifica necessariamente, in quanto il Dio-Natura è sia la totalità delle idee sia la totalità delle cose: di conseguenza, in esso non può esistere una cosa senza che di questa vi sia un’idea, così come non può esistere un’idea che non sia idea di qualcosa.

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 257

257

06/02/12 15:29

LA CAUSALITÀ IN SPINOZA causa di sé

causa necessaria ed eterna

SOSTANZA

causa immanente e continua

causa infinita

causa unica attributo è causa dei modi del proprio genere

modi

Tutte le cose sono sia mente sia corpo, ossia animate

causalità efficiente tra modi dello stesso genere: a ¬ b ¬ c...

1.4.1 Il rapporto mente-corpo Sulla base di queste premesse ontologiche, Spinoza stabilisce un’unione strettissima tra il corpo e la mente: egli concepisce, infatti, quest’ultima come l’idea di un dato corpo, idea che in Dio, ossia nella sostanza, deve necessariamente esistere, se vi è quel corpo. Dal principio dell’identità dell’ordine delle idee e dell’ordine delle cose, segue anche che nel corpo non può avvenire nulla, senza che vi sia nella mente un’idea di tale mutamento. Ciò vale a proposito di tutte le cose, e non solo degli esseri umani; per questo motivo, Spinoza non considera la mente in generale come una prerogativa esclusiva degli uomini. Di tutte le cose c’è un’idea in Dio, in quanto per ogni cosa o modo dell’estensione divina vi è un’idea o mente corrispondente nel pensiero divino: ora, siccome Dio è immanente, l’idea o mente che è in Dio è nelle cose. FILOSOFI A CONFRONTO

Spinoza ripete dunque il pensiero rinascimentale secondo il quale «tutte le cose sono animate», ma attribuendogli un significato molto differente da quello che esso aveva, per esempio, nel pensiero di Bruno: per Spinoza, infatti, la mente non è l’ineffabile e spontaneo principio della vita, bensì – in quanto modo finito di uno degli attributi della sostanza – è rigidamente determinata in maniera meccanica dalla legge di causa-effetto. Così intesa, l’anima non è principio della vita più di quanto lo sia il corpo, dal momento che entrambi sono mossi da quello che Spinoza definisce il conatus, cioè la tendenza all’autoconservazione.

La specificità della mente umana: è modo inseparabile dal corpo

258

248_331_spinoza.indd 258

La specificità della mente umana consiste, per Spinoza, unicamente nel fatto di essere idea di un corpo quale quello umano, che egli intende come un organismo composto da più individui di natura diversa (sulla base della fisica cartesiana), bisognoso, per la propria autoconservazione, di molti altri corpi (gli organi), sui quali a sua volta agisce.

Il Seicento

06/02/12 15:29

FILOSOFI A CONFRONTO

Questa concezione della mente ha anch’essa un significato profondamente innovativo rispetto alla tradizione di pensiero platonica e cristiana che, sino a Cartesio, aveva inteso l’anima quale sostanza indipendente dal corpo e da esso separabile, sede della spiritualità.

1. Innanzitutto, per Spinoza l’anima non è sostanza, bensì solo un modo di essa, come tutte le altre cose finite. 2. In secondo luogo, in quanto idea di un corpo, la mente è inseparabile da quest’ultimo. 3. Infine, tra mente e corpo non vi è alcuna gerarchia. Spinoza non ritiene il materiale come inferiore allo spirituale, bensì conferisce a essi pari dignità, concependo entrambi come uguali espressioni della sostanza, fra le quali tra l’altro non è possibile nessun rapporto causale. La mente non ha potere sulle passioni

L’illusione della libertà

T2

Il rifiuto della teoria cartesiana dell’interazione tra sostanze

FILOSOFI A CONFRONTO

A partire da queste premesse, Spinoza nega la tesi stoica – ripresa anche da Cartesio – che la mente umana abbia per natura o possa conquistare, mediante l’esercizio, un «potere assoluto sulle passioni» del corpo.

Tra gli argomenti solitamente addotti a sostegno del presunto «impero» della mente sul corpo, il principale è costituito dall’esperienza che gli uomini comuni fanno, riguardo alla capacità di seguire o meno – senza nessun motivo – una data passione corporea e di muovere o meno una data parte del corpo (per esempio, la lingua, quando decidono di parlare o tacere): in altri termini, la coscienza della cosiddetta libertà di scelta. A questo genere di argomenti, Spinoza contrappone la propria teoria della simultaneità e coincidenza tra «l’ordine delle azioni e passioni corporee» e «l’ordine delle azioni e passioni della mente». La convinzione di potere dirigere in maniera assoluta il proprio corpo in base a delle libere decisioni della mente è per Spinoza una mera illusione, che nasce negli uomini per il fatto di ignorare le cause efficienti delle proprie azioni. Secondo il rigido determinismo che è alla base dell’ontologia spinoziana, infatti, ogni modo finito – sia del pensiero sia dell’estensione – esiste e agisce in quanto è determinato a esistere e ad agire da un altro modo finito. Anche la mente, dunque, in quanto modo finito del pensiero, non è libera, ma è piuttosto determinata a volere questo o quello da una causa, che a sua volta è stata determinata da un’altra, secondo un regresso all’infinito. In base a quanto detto sopra, la causa che determina le decisioni della mente non è il corpo – così come parimenti la mente non può determinare il corpo a muoversi – dal momento che tra due modi di attributi diversi non vi può essere alcun rapporto causale. Piuttosto, ogni stato mentale è determinato dalla catena precedente di stati mentali, così come ogni movimento corporeo ha la sua causa nella serie antecedente di movimenti. FILOSOFI A CONFRONTO

Il monismo consente dunque a Spinoza di risolvere uno dei problemi centrali della filosofia dualistica di Cartesio che – muovendo dal presupposto che res cogitans e res extensa fossero due sostanze distinte e completamente eterogenee – non aveva poi saputo spiegare la relazione tra l’anima e il corpo umani, se non ricorrendo alla teoria della ghiandola pineale, ossia postulando che in un punto del corpo (l’epifisi posta nel centro del cervello) vi fosse il luogo dell’interazione reciproca, ma senza dire niente sulla natura di questa interazione. Questa tesi cartesiana nell’Etica è rigettata come «un’ipotesi più occulta di ogni occulta qualità», priva di ogni rigore scientifico.

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 259

259

06/02/12 15:29

CORPI E MENTI IN SPINOZA

attributo estensione

attributo pensiero

T3

Affetto e conatus

260

248_331_spinoza.indd 260

corpo umano: composto da più individui di natura diversa

determinazioni corporee

non influenzano le decisioni della mente

distinzione reale: non c’è causalità reciproca / parallelismo: non vi è gerarchia fra i due livelli

SOSTANZA

La visione naturalistica dell’uomo

corpi: lo sono tutti i modi dell’attributo estensione

poiché il Dio / Sostanza è immanente, la mente è anche nel corpo

la mente umana è inseparabile dal corpo

menti: tutte le idee presenti nella mente divina

mente umana: è un’idea diversa perché è l’idea di un corpo umano

essi non possono determinare i moti del corpo

stati mentali

1.4.2 La deduzione degli affetti La concezione deterministica della vita intellettuale e affettiva degli uomini imprime all’indagine etica di Spinoza un carattere peculiare: 1. in primo luogo, essa lo induce a rifiutare la posizione privilegiata e di dominio attribuita all’uomo rispetto alla natura, in virtù della sua presunta capacità di governare le proprie passioni e di autodeterminarsi ad agire. Dal momento che la mente umana non esercita alcun impero sul corpo, gli esseri umani sono una semplice parte della natura, sottoposta, al pari delle altre, alle sue leggi, cioè al principio della determinazione causale; 2. questo presupposto è alla base dell’impostazione rigorosamente scientifica che Spinoza adotta nell’indagine sugli affetti umani. Nel determinismo universale dell’ontologia spinoziana, è imputabile come vizio dell’uomo solo ciò che è frutto di una libera scelta, e non il risultato dell’ordine necessario della natura. In quanto obbediscono alle medesime leggi della Natura-sostanza infinita di cui l’uomo è parte, gli affetti possono essere studiati con il medesimo metodo geometrico utilizzato nell’indagine sulle altre cose generate dalla Natura, come Spinoza afferma nella Prefazione alla terza parte dell’Etica, intitolata Origine e natura degli affetti. Per affetto Spinoza intende un’affezione del corpo che ne accresce o diminuisce la potenza di agire, unita all’idea di tale affezione. Coerentemente con la concezione dell’uomo come unità indissolubile di mente e corpo, l’affetto è dunque concepito come il risultato di un intreccio tra una componente corporea – cioè la modificazione del corpo che determina l’affezione – e una componente mentale – che consiste nell’idea o consapevolezza di tale affezione. Prendendo le mosse da questa definizione, Spinoza deduce gli affetti umani a partire da

Il Seicento

06/02/12 15:30

Il desiderio come essenza dell’uomo

una legge universale della Natura, cioè la legge in base alla quale ogni cosa si sforza e non può non sforzarsi, per quanto è in sé, di perseverare nel proprio essere. Questa tendenza all’autoconservazione (in latino conatus) – che è l’espressione dell’infinita potenza della sostanza – rappresenta per Spinoza l’essenza di ogni cosa singola. Precisamente, il conatus che costituisce l’essenza dell’uomo si manifesta per Spinoza sotto la forma del desiderio (in latino cupiditas): termine con cui egli intende l’appetito accompagnato dalla coscienza, ovvero lo sforzo alla conservazione e al potenziamento di sé, riferito simultaneamente alla mente e al corpo. Se il desiderio costituisce la sua essenza, l’uomo non può non fare ciò che segue da esso. Così intesa, la cupiditas si configura come il fondamento di tutti gli affetti umani, sia quelli di segno positivo sia quelli di segno negativo: 1. gli affetti positivi si identificano con il passaggio a una potenza e perfezione maggiore, che Spinoza definisce con il termine di laetitia o gioia (passioni liete); 2. gli affetti negativi, denominati con il termine tristitia o tristezza, sono invece il passaggio inverso, cioè una diminuzione della potenza del proprio essere (passioni tristi). Il desiderio, la gioia e la tristezza rappresentano gli «affetti primari», cioè gli affetti basilari, da cui per Spinoza è possibile derivare tutti gli altri per composizione: per esempio, attraverso la determinazione per effetto di ciò che produce gioia, il desiderio si trasforma in amore, e per effetto di ciò che produce tristezza in odio.

Franz Hals, Il giovane Ramp e la sua bella, 1623. New York, The Metropolitan Museum of Art.

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 261

261

06/02/12 15:30

LA GEOMETRIA DEGLI AFFETTI

CONATUS = sforzo per autoconservarsi comune a tutte le cose

CUPIDITAS = appetito accompagnato dalla coscienza = essenza dell’uomo AFFETTI PRIMARI o BASILARI

CUPIDITAS = FONDAMENTO DI TUTTI GLI AFFETTI UMANI

laetitia = affetti positivi

tristitia = affetti negativi

aumento della potenza individuale

diminuzione della potenza individuale

da questi due affetti derivano tutti gli altri

Bene e male sono nozioni soggettive

Affetti della tristezza e della gioia

262

248_331_spinoza.indd 262

1.4.3 Un’etica della laetitia Soltanto dopo avere indagato la struttura e la genesi degli affetti, Spinoza procede, nella quarta parte dell’Etica, a un esame di essi, volto a distinguere quelli buoni da quelli cattivi. Anche tale esame non poggia, però, su nessuna morale presupposta. Spinoza ritiene, infatti, che il bene e il male non siano comandamenti divini, né entità ontologiche assolute o qualità oggettive delle cose, bensì nozioni soggettive, che formiamo perché paragoniamo le cose tra di loro. Queste nozioni sono dunque relative alla prospettiva di chi giudica e al momento in cui tale giudizio viene formulato: per esempio, la musica – che è buona per i malinconici e cattiva per gli afflitti – risulta invece indifferente per i sordi. Nella valutazione degli affetti, l’unico criterio di giudizio che secondo Spinoza è, in linea di principio, condivisibile da ognuno è costituito dai dettami della ragione coincidenti con l’universale legge di natura, in base alla quale ciascuno deve cercare il proprio utile, ovvero deve sforzarsi di conservare e potenziare il proprio essere. Di conseguenza, per bene egli intende ciò che maggiormente incrementa la potenza – ed è dunque fonte di gioia – e per male ciò che invece la diminuisce, generando tristezza. Il risultato dell’esame degli affetti condotto sulla base di un simile criterio di giudizio è una ferma condanna di tutti gli affetti della tristezza: quest’ultima – essendo per definizione la discesa a una condizione di minore potenza e perfezione – è «direttamente cattiva».

Il Seicento

06/02/12 15:30

FILOSOFI A CONFRONTO

Assumendo come unico parametro di valutazione e unica legge quella del desiderio di autorealizzazione, Spinoza elabora così un’etica che è in netta rottura rispetto allo spirito di sacrificio tipico della morale cristiana, affermando esplicitamente che l’uomo saggio non disprezza i semplici piaceri della vita, anzi li accetta come buona regola di vita. Al contrario degli affetti di tristezza, infatti, gli affetti di gioia sono per Spinoza buoni in sé, in quanto fonti di arricchimento, utili alla conservazione e al potenziamento del nostro essere nella sua totalità, cioè sia nella dimensione corporea sia in quella mentale.

PER SINTETIZZARE • Che cos’è il conatus, secondo Spinoza, e quali enti lo possiedono? • Quali sono, per Spinoza, gli affetti fondamentali dell’uomo? • Quali sono, per Spinoza, le passioni liete e qual è il loro effetto sulla vita degli uomini?

Il conflitto tra autodeterminazione e cause esterne

La forza degli affetti immediati

La libertà come potere della mente sugli affetti

1.4.4 Dalla schiavitù alla libertà In questa cornice, può a prima vista apparire incompren-

sibile che gli uomini commettano consapevolmente il male, dal momento che questo consiste nella tristezza, mentre il bene coincide con la gioia, che dovrebbe naturalmente essere dotata di una capacità di attrazione superiore. Spinoza risolve questo problema, riconducendo il fatto che l’uomo spesso commette il male – pur vedendo il bene – a quella che egli definisce la «schiavitù umana», ovvero l’«impotenza a dominare» gli affetti, che sottrae l’individuo a se stesso gettandolo nelle mani della fortuna, cioè delle cause esterne. Secondo i presupposti dell’ontologia deterministica di Spinoza, infatti, l’impulso di ogni individuo a conservare e a potenziare il proprio essere – che è anche impulso ad affetti gioiosi – è una tendenza necessaria che, però, non si verifica mai allo stato perfetto, perché le cause esterne nel loro concorso combinato sono sempre più potenti della cosa singola. Di conseguenza, l’impulso umano all’autoconservazione e alla realizzazione di sé urta, per ciascuno, contro la preponderanza delle cause esterne. Di qui deriva il manifestarsi di una enorme quantità di comportamenti passionali dannosi all’individuo stesso, che pure li vive immaginando di perseguire il meglio per sé. L’uomo che cede per esempio al vizio del bere e arreca così danno a se stesso – comportandosi in contrasto con l’impulso di autoconservazione – lo fa perché è determinato ad agire da impulsi esterni che sollecitano alcune parti del suo corpo verso quel piacere immediato. E questo non per una sua debolezza o colpa particolari, ma semplicemente perché, nella geometria delle passioni costruita da Spinoza, un affetto immediato, cioè riferito a una cosa vicina nello spazio e nel tempo, è sempre di intensità superiore rispetto a un affetto mediato, riferito a qualcosa di assente o meramente possibile. Questo non significa che, per Spinoza, non vi siano vie di uscita dalla schiavitù, cioè dalla soggezione umana rispetto alle passioni. FILOSOFI A CONFRONTO

Certo, egli ritiene – in polemica con la tradizione stoica e con Cartesio – che l’uomo non possa mai raggiungere uno stato di completa immunità dalle passioni, in quanto esso è una parte della natura che non può sottrarsi all’influsso delle altre parti, di cui ha continuamente bisogno per conservarsi.

Fermo restando questo assunto, Spinoza ammette, però, che l’uomo possa elevarsi a una condizione di libertà intesa non come libero arbitrio, bensì nel senso di potenza della men-

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 263

263

06/02/12 15:30

Affetti passivi e affetti attivi

Capire è emanciparsi dalla schiavitù

Libertà è consapevolezza e gioia

I veri beni dell’uomo

264

248_331_spinoza.indd 264

te sugli affetti: l’obiettivo fondamentale della sua etica è proprio quello di indicare i passaggi necessari in questa direzione. La peculiarità di essa consiste nel fatto che la strada dell’emancipazione non è concepita nei termini di una repressione razionale degli affetti, ma piuttosto come una strategia di trasformazione e conversione delle passioni, in grado di ridurre al minimo la componente di passività. Il presupposto di questa concezione etica è costituito dalla distinzione degli affetti in passivi e attivi: 1. passivi sono quegli affetti congiunti a un’affezione di cui siamo solo causa parziale, insieme ad altre concause esterne, di cui dunque patiamo l’influsso; 2. attivi sono definiti invece quegli affetti congiunti a un’affezione di cui noi stessi siamo la causa adeguata, cioè la causa esclusiva, attraverso le sole leggi della nostra natura. Per comprendere quest’ultima definizione, occorre chiarire come l’uomo possa essere causa di qualcosa solo attraverso se stesso, pur essendo una parte della natura dipendente da tutte le altre. Per Spinoza, ciò è possibile in quanto essere causa adeguata e attiva di qualcosa non significa uscire o deviare dalla necessaria catena di cause-effetti bensì equivale semplicemente ad avere un’idea adeguata delle cose, cioè un’idea corrispondente alla reale natura delle cose. L’uomo in possesso di un’idea adeguata non potrà, infatti, che comportarsi in base a essa, cioè esclusivamente in base a una legge della sua natura. In questo modo, egli si sgancerà dall’influsso passivo delle cause esterne. Questa comprensione dell’ordine necessario dell’universo ha l’effetto benefico di ridurre al minimo il potere delle passioni sul nostro animo, in quanto l’uomo che la acquisisce comprende che non ha senso desiderare di essere in una condizione diversa da quella in cui si trova. Di contro, l’uomo è causa parziale dei propri affetti quando è in possesso unicamente di idee inadeguate delle cose, cioè di quelle idee che in realtà rispecchiano più le modificazioni interne del nostro corpo che la natura delle cose stesse. L’uomo la cui conoscenza si ferma a questo punto non si comporta secondo le proprie idee delle cose, ma è piuttosto passivamente determinato dalle cause esterne. Sulla base di queste premesse, Spinoza ammette la possibilità di convertire le passioni in affetti attivi, mediante l’acquisizione di una conoscenza chiara e distinta dell’affetto stesso. Una simile conversione è ai suoi occhi la via maestra per l’emancipazione dell’uomo dalla schiavitù delle passioni. In altri termini, per Spinoza la forza della ragione non è da sola sufficiente per contrastare la forza degli affetti. Di conseguenza, essa non deve agire sulle passioni direttamente, bensì indirettamente, attraverso un processo di chiarificazione degli affetti. Così intesa, l’emancipazione dalla schiavitù delle passioni non consiste, dunque, in una completa distruzione della vita emotiva, ma piuttosto nel conseguimento di una condizione di predominanza degli affetti attivi – cioè degli affetti rischiarati dalla ragione – che permette quel pieno dispiegamento dello sforzo alla conservazione e al potenziamento di sé, in cui Spinoza ripone sia la virtù sia la felicità. Schiavo è per Spinoza colui che, trascinato dalla forza cieca di passioni non illuminate dalla luce della ragione, commette gesti di cui non conosce le conseguenze, procurando spesso danno a se stesso oltre che agli altri. Libero è colui che, agendo sulla base di una conoscenza adeguata di se stesso e dei propri desideri, dirige i suoi sforzi verso la massima gioia, cioè verso il suo vero utile o bene, che è tale non solo per lui, ma anche per tutti gli uomini. Infatti, soltanto le passioni, che sono estremamente variabili, dividono gli uomini, spingendoli a considerare come beni oggetti diversi. Quando invece all’origine della gioia vi è un’idea adeguata, si amano – cioè si giudicano come beni – le medesime cose, ossia ciò che sappiamo con certezza aumentare la nostra potenza di uomini: 1. innanzitutto la stessa conoscenza adeguata; 2. in particolare, poiché ogni conoscenza adeguata implica l’idea di Dio, il sommo bene non potrà che consistere nella conoscenza di Dio;

Il Seicento

06/02/12 15:30

Libertà dalle passioni è amore per la vita

3. un ulteriore bene vero per l’uomo è, secondo Spinoza, l’unione con i propri simili. Egli ritiene, infatti, che nulla sia più utile all’uomo della vita in società, che gli consente di aumentare la propria potenza e di procurarsi molto più facilmente ciò di cui ha bisogno, così come di contrastare con maggiori probabilità di successo i pericoli che incombono sulla sua autoconservazione. Nella prospettiva spinoziana, la libertà dalle passioni è dunque quanto di più lontano possa esservi rispetto all’ideale ascetico di rinuncia a esse per paura di ciò che verrà dopo la morte. Per Spinoza, la libertà dalle passioni coincide piuttosto con una conoscenza razionale che ha per oggetto esclusivamente la vita, la sua conservazione e il suo potenziamento mediante l’unione con i propri simili: «l’uomo libero non pensa a niente meno che alla morte; e la sua sapienza è meditazione non della morte, ma della vita». La morte – in quanto negazione dell’impulso all’autoconservazione che costituisce l’essenza di tutti gli individui – non può che essere un evento passivamente subito. Ciò non significa che il sapiente possa sottrarsi alla morte, della cui necessità è al contrario pienamente consapevole, in quanto sa di essere un piccolo atomo nella totalità della Natura. Tuttavia, egli sceglie di agire nel mondo e di dedicarsi alla vita piuttosto che ripiegarsi su se stesso e sul proprio destino mortale.

L’ETICA SPINOZIANA: DALLA SCHIAVITÙ ALLA LIBERTÀ

SCHIAVITÙ = UOMO INCONSAPEVOLE DELL’ORIGINE DELLE PROPRIE PASSIONI

attraverso un’idea adeguata, chiara e distinta di sé, l’uomo vede chiaramente le cause delle passioni

si comporta in modo conforme alle leggi della propria natura, ossia accetta la necessità divenendo causa adeguata

la consapevolezza raggiunta rende più efficace lo sforzo di autoconservazione (conatus) e il potenziamento di sé

l’uomo si libera dalla schiavitù delle passioni e raggiunge la massima gioia = libertà

PER SINTETIZZARE • Che rapporto ha l’uomo con le cause esterne, ossia con la fortuna? • Che differenza c’è tra gli affetti attivi e quelli passivi e quali sono i loro effetti? • Quali sono i beni a cui deve tendere l’uomo, secondo Spinoza?

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 265

265

06/02/12 15:30

I tre generi di conoscenza

Immaginazione e conoscenza “per sentito dire”

Ragione come conoscenza discorsiva delle leggi naturali

Sapere intuitivo come conoscenza adeguata di Dio

266

248_331_spinoza.indd 266

1.5 La teoria della conoscenza Come si è appena visto, Spinoza stabilisce una corrispondenza tra i livelli della vita affettiva ed etica dell’uomo – da un lato – e i diversi generi di conoscenza, istituendo un nesso indissolubile tra il possesso di idee adeguate e la possibilità dell’uomo di liberarsi dalla schiavitù delle passioni. Più precisamente, Spinoza distingue tre forme del conoscere, in tutte e tre le redazioni della teoria della conoscenza che ci ha tramandato, contenute nel Trattato sull’emendazione dell’intelletto, nel Breve trattato e nell’Etica. L’Etica contiene non solo la versione di dottrina della conoscenza più matura, ma offre anche la visione d’insieme più sintetica dei tre generi di conoscenza. Per Spinoza il problema centrale della conoscenza è costituito dalla formazione delle nozioni universali: ciascuno conosce, infatti, molte cose, ma nessuno attribuisce il valore di scienza alle sue conoscenze, se non è in grado di estenderle dal particolare al generale. Per esempio, un esperimento dà luogo a sapere scientifico soltanto se da esso si può ricavare una legge applicabile alla generalità dei fenomeni da esso interessati. Muovendo da questa visione della conoscenza, Spinoza ne distingue tre modi. La prima è definita «conoscenza di primo genere, opinione o immaginazione», ed è a sua volta articolata in due tipi: 1. innanzitutto, è conoscenza di primo genere quella dell’uomo che forma «nozioni universali» – cioè trae conclusioni generali – a partire dall’«esperienza vaga», intendendo con tale espressione le idee delle affezioni del nostro corpo. In altri termini, quelle idee che sono il corrispettivo mentale delle modificazioni subite dal nostro corpo in seguito al fortuito incontro con le cose esterne (percezioni di suoni, colori, odori ecc.). Tali idee sono prive di ordine e «mutile», in quanto non rispecchiano la totalità dei rapporti in cui ogni singola cosa è inserita, ordinati secondo la rigida legge di determinazione causale. Inoltre, esse sono confuse, in quanto sovrappongono alla cosa rappresentata le modificazioni del nostro corpo, e variano dunque inevitabilmente da soggetto a soggetto. Per questo motivo, le idee delle affezioni del nostro corpo in cui consiste l’immaginazione non possono fungere da base per la conoscenza scientifica; 2. la seconda variante della conoscenza di primo genere è invece quella che Spinoza definisce conoscenza “per sentito dire”, che ha luogo quando l’uomo forma le proprie idee delle cose accettando senza verifiche le conoscenze altrui, recepite in forma scritta o parlata. Il secondo genere di conoscenza si chiama ragione, e compendia le procedure del sapere scientifico dell’età galileiana e cartesiana. Con il termine “ragione” Spinoza designa, infatti, la conoscenza discorsiva, che forma leggi universalmente valide partendo dalle «nozioni comuni», cioè dalle idee delle componenti geometrico-matematiche comuni al nostro corpo e al corpo che ci impressiona. A differenza delle idee delle affezioni del nostro corpo, le idee di ciò che è comune a tutti i corpi sono per Spinoza sempre «adeguate», cioè riflettono la struttura delle cose, identica per tutti gli uomini: una nozione comune è, per esempio, l’affermazione che tutti i corpi o si muovono o stanno fermi. Proprio in quanto sono idee adeguate, le nozioni comuni ci permettono di raggiungere leggi universalmente valide in ogni scienza. Proprietà comuni a tutte le cose sono per Spinoza l’estensione, il moto e la quiete. La terza e più alta forma di conoscenza, che nell’Etica è chiamata sapere intuitivo, si svolge in direzione inversa rispetto a quella razionale e ci viene dall’intelletto. Per scienza intuitiva Spinoza intende, infatti, quella conoscenza che muove immediatamente dalla conoscenza più universale possibile – l’idea dell’essenza di Dio in quanto estensione e pensiero – per dedurre, a partire da essa, l’essenza delle cose singole, ossia ciò che dall’eternità e per l’eternità le distingue le une dalle altre. Un simile procedimento è per Spinoza possibile, dato che secondo i presupposti della sua ontologia tutte le cose particolari sono in Dio – che è causa della loro essenza ed esistenza – e «sono concepite per mezzo di Dio», cioè possono essere adeguatamente conosciute solo attraverso la sostanza infinita, che ne è la causa prima.

Il Seicento

06/02/12 15:30

Errore e livelli di conoscenza

Ragione e scienza intuitiva conoscono «sotto una specie di eternità»

Immaginazione: idee mutile e confuse

Immaginazione, vita corporea e cose

Immaginazione e memoria: all’origine di molti processi psichici

Per Spinoza l’errore può derivare solo dal primo genere di conoscenza, mentre il secondo e il terzo non possono mai essere fonte di falsità. Inoltre, in quanto conoscenza inadeguata, frammentaria e parziale, la prima forma di conoscenza considera le cose come contingenti. Al contrario, la ragione e la scienza intuitiva, che sono una conoscenza adeguata e vera, considerano le cose come necessarie, cogliendo i rapporti e la struttura in cui esse sono inserite. Inoltre, cogliendo le cose nella loro genesi dalla necessità della natura divina, la ragione e la scienza intuitiva le percepiscono – afferma Spinoza – «sotto una certa specie di eternità» (sub specie aeternitatis). Tale affermazione può apparire contraddittoria, dal momento che sembra impossibile percepire come eterne le cose la cui esistenza ha una durata nel tempo. Tuttavia, l’apparente contraddizione viene meno, se si considera che le cose particolari non sono che modi della sostanza, la quale è eterna e infinita: l’essere totale di questa rimane identico così come anche le leggi che regolano la manifestazione della sua infinita potenza. 1.5.1 L’ambivalenza dell’immaginazione L’immaginazione è per Spinoza il genere di cono-

scenza più basso, fonte di idee mutile e confuse, cioè di quelle idee inadeguate che, come si è visto sopra, pongono l’uomo in una condizione di passività rispetto alle cause esterne e in uno stato di schiavitù rispetto alle passioni. Conformemente a questo presupposto, Spinoza fa risalire all’immaginazione ogni forma di superstizione – come si vedrà meglio nell’esame della critica spinoziana della religione – e tutti i pregiudizi umani, compreso il pregiudizio dei pregiudizi, cioè quello finalistico. In realtà, però, l’immaginazione non è per Spinoza esclusivamente una fonte di errore, bensì costituisce piuttosto una manifestazione fisiologica e necessaria della mente umana, in quanto indissolubilmente legata al corpo di cui essa è idea. La rivalutazione della corporeità che, come si è visto, caratterizza la filosofia spinoziana rispetto alle teorie tradizionali non può non riverberarsi anche sulla sua teoria dell’immaginazione, conferendole dei tratti peculiari che vale la pena di mettere in risalto. A tale scopo, occorre innanzitutto ritornare sul nesso tra immaginazione e vita corporea: come la mente è l’idea del corpo, così le immagini con le quali le cose esterne ci si presentano – cioè le idee proprie dell’immaginazione – sono le idee delle modificazioni che avvengono nel nostro corpo sotto l’impulso delle cause esterne. Idee che si danno nella nostra mente in maniera necessaria, in virtù del parallelismo psico-fisico. Dal momento che le modificazioni corporee permangono anche una volta venute meno le cause che le hanno provocate, nella mente permangono anche le idee di esse: motivo per cui nella mente vi possono essere anche immagini di cose assenti. L’immaginazione non è altro che la rappresentazione meccanica e necessaria – cioè regolata da leggi – delle cose esterne come presenti, che può avere luogo sia quando le cose sono effettivamente presenti sia quando esse sono assenti o non esistenti. In entrambi i casi, l’immaginazione non è in sé una nociva fonte di errore, bensì può diventarlo solo sulla base di un suo uso distorto. Nel primo caso l’immaginazione – pur non facendoci conoscere l’essenza delle cose – è molto importante, perché ci offre le idee delle affezioni del nostro corpo e, in questo modo, delle informazioni sugli effetti che le cose esterne hanno su di noi: informazioni preziose per discernere ciò che è utile o dannoso per il potenziamento del nostro essere, in cui consiste il bene. L’errore si ha solo quando la mente scambia gli effetti delle cose su di sé per la reale essenza delle cose. Anche la raffigurazione di cose lontane o addirittura inesistenti come presenti – mediante l’immaginazione – non è in sé un vizio della natura umana, ma piuttosto una virtù e una forza: a patto, però, che l’evocazione non si sovrapponga tanto alla mente da far sì che uno creda effettivamente presente ciò che invece è assente. Senza quest’attività dell’immaginazione, non sarebbero infatti possibili la comunicazione e le relazioni tra gli uomini, né ogni tipo di collegamento tra i fatti psichici. Senza di essa, non potremmo parlare con nessuno di un Paese lontano, o di un nostro caro che è morto, o di un amico che vive in un’altra città; anzi, qualora tale amico venisse a trovarci, non lo riconosceremmo.

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 267

267

06/02/12 15:30

PER SINTETIZZARE • Quali tipi di conoscenza derivano dall’immaginazione, secondo Spinoza? • Su quale tipo di conoscenza si fonda la scienza della natura, secondo Spinoza? • Qual è l’oggetto della conoscenza intuitiva, secondo Spinoza? • Come si forma la memoria, secondo Spinoza? Amore intellettuale di Dio: culmine della conoscenza e della virtù

Caratteri dell’amore intellettuale

Beatitudine come conoscenza di Dio attraverso le cose

1.5.2 Scienza intuitiva, amore intellettuale di Dio e beatitudine Il nesso tra vita intellettuale e vita etica vale anche per gli stadi superiori della conoscenza: come si è visto, infatti, il processo di emancipazione dalle passioni può compiersi solo attraverso l’acquisizione di quella «conoscenza adeguata» delle cose che è prerogativa della ragione e della scienza intuitiva. In particolare, Spinoza indica il culmine del processo di liberazione dell’uomo e la suprema virtù nella pratica del terzo genere di conoscenza – cioè la scienza intuitiva – che egli concepisce come indissolubilmente legata all’affetto dell’«amore intellettuale di Dio», identificato con la «beatitudine». L’amore intellettuale di Dio non ha nulla a che vedere con l’amore come sentimento reciproco che lega tra loro due soggetti, e che presupporrebbe necessariamente il riferimento a un Dio personale. Si tratta dunque di spiegare in che cosa esso invece consiste. L’amore in generale è, per Spinoza, l’affetto di gioia accompagnato dall’idea di una causa esterna, ove la gioia è il passaggio a una perfezione superiore. L’uomo che raggiunge il terzo genere di conoscenza passa a una perfezione superiore rispetto a quando non possedeva tale conoscenza, e prova dunque un affetto di gioia. Questa gioia è amore di Dio, in quanto è accompagnata dall’idea di Dio come sua causa: l’idea di Dio – inteso non come Dio personale e trascendente, bensì come ordine geometrico dell’universo – è il punto di partenza della scienza intuitiva, che deduce l’essenza delle cose singole in quanto sono in Dio e derivano necessariamente da Dio. Infine, si tratta di un amore intellettuale, in quanto la gioia unita alla scienza intuitiva esprime un incremento di perfezione del conoscere, che non riguarda il corpo. Solo la mente conosce in maniera perfetta la realtà, in quanto considera le cose nel loro legame di derivazione necessaria ed eterna dalla natura divina. In sintesi, l’amore intellettuale di Dio può essere descritto – com’è stato detto – come la semplice gioia di cui godono lo scienziato e il filosofo, quando intendono l’ordine necessario ed eterno immanente nell’universo e comprendono le cose singole come elemento e manifestazione necessaria di tale ordine. Parimenti, la beatitudine che coincide con questo amore intellettuale di Dio è sì una forma di conoscenza di Dio, ma non è in nessun modo la contemplazione ascetica di un Dio trascendente e lontano, perché è conoscenza dell’essenza delle cose singole. Per Spinoza questa forma di conoscenza di Dio è la più elevata proprio in quanto, coerentemente con i presupposti della propria ontologia immanentistica, egli ritiene che «Quanto più intendiamo le cose singole, tanto più intendiamo Dio». FILOSOFI A CONFRONTO

Sulla base di questi presupposti, Spinoza capovolge completamente la concezione ascetica della beatitudine come risultato del distacco dal mondo e della repressione delle passioni: di contro, egli sostiene che l’uomo può frenare queste ultime solo in quanto gode della beatitudine, cioè solo una volta che abbia raggiunto la conoscenza adeguata, che gli consenta di ridurre al minimo la componente passiva dei propri affetti.

PER SINTETIZZARE • Quali sono i caratteri dell’amore intellettuale per Dio? • Chi è in grado di raggiungere il sommo bene, secondo Spinoza?

268

248_331_spinoza.indd 268

Il Seicento

06/02/12 15:30

GENERI DI CONOSCENZA E GRADI DI CERTEZZA GENERI DI CONOSCENZA

FUNZIONE

OGGETTO

RISULTATO

idee delle affezioni del nostro corpo

conoscenza inadeguata

conoscenze “per sentito dire”

conoscenza inadeguata

positiva: ci fa conoscere ciò che ci è utile IMMAGINAZIONE (primo tipo)

IMMAGINAZIONE (secondo tipo)

negativa: scambia le proprie impressioni soggettive per la vera essenza delle cose positiva: ci permette di ricordare cose lontane o assenti negativa: è all’origine di tutte le superstizioni e i pregiudizi

RAGIONE DISCORSIVA (ragione)

conosce anche le cose singole sub specie eternitatis

nozioni comuni, ossia idee delle componenti geometricomatematiche dei corpi: estensione, moto, quiete

conoscenza adeguata della natura

leggi naturali SCIENZA INTUITIVA (intelletto)

conosce anche le cose singole sub specie eternitatis nel loro rapporto con Dio

il Dio-sostanza e tutte le cose in quanto derivano conoscenza adeguata di Dio: da lui, permangono in lui, sono amore intellettuale di Dio concepibili attraverso di lui

1.6 La critica della religione rivelata I pochi saggi e la moltitudine

Paura e speranza: passioni impotenti e fonti di superstizione

Religione: la salvezza attraverso l’obbedienza

Come si è appena visto, il messaggio fondamentale dell’Etica consiste nell’individuazione della «conoscenza adeguata» come la via maestra per raggiungere la libertà e la salvezza. L’uomo saggio, in quanto consapevole dell’ordine necessario ed eterno nel quale è unito al Dio-Natura, non subisce turbamenti dall’esterno. Egli è perciò libero e gode di una tranquillità dell’animo che non può essere scalfita da nulla. Spinoza è tuttavia conscio che questa strada della salvezza, insegnata dalla ragione, è una strada straordinariamente difficile, alla portata di pochi. Il problema della salvezza dei più – cioè della moltitudine di coloro che, ignari di sé e del mondo, sono in balia delle proprie passioni fluttuanti e incontrollate – costituisce invece il problema centrale dell’altro scritto fondamentale del filosofo olandese, cioè il Trattato teologico-politico, che si apre proprio con la descrizione della condizione in cui si trova la maggior parte degli esseri umani vittime della propria ignoranza e del destino, combattuti tra paura e speranza, sempre pronti a rifugiarsi nella superstizione. Spinoza sa che tutti gli uomini sono soggetti per natura alla superstizione, poiché tutti sono soggetti alle due passioni che la generano: la speranza e la paura, che non a caso nell’Etica sono presentate come due affetti che non sono buoni di per sé, in quanto segni di un animo impotente, cioè esposto alle alterne vicende della fortuna, ossia le cause esterne di cui abbiamo una conoscenza inadeguata. Spinoza è inoltre persuaso che la teologia, che in realtà è un sistema della superstizione, esalti a proprio vantaggio il timore e la speranza, riferendoli rispettivamente a una punizione e a un premio eterni. Mosso dalla convinzione che il potere della sola ragione sia di gran lunga inferiore a quello della superstizione, nel Trattato teologico-politico Spinoza si sforza dunque di individuare un percorso di salvezza alternativo, che non sia basato solo sulla ragione, bensì coinvolga anche l’immaginazione. In questa prospettiva, egli riconosce una funzione essenziale alla

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 269

269

06/02/12 15:30

Depurare la religione dalla superstizione

T4

religione, in quanto strumento utile per indurre gli uomini al controllo parziale delle proprie passioni – cioè alla virtù – non mediante la conoscenza adeguata, bensì mediante l’obbedienza. Tuttavia, al tempo stesso, Spinoza ritiene che tale importante funzione non possa essere assolta dalla religione insegnata e professata dalle diverse confessioni dell’Europa del Seicento che, per la reciproca rivalità, avevano insanguinato e continuavano a insanguinare il continente, generando quel clima di intolleranza di cui egli stesso era stato vittima. Sulla base di un’analisi molto pessimistica della condizione religiosa del proprio tempo, Spinoza ritiene che la religione possa condurre alla salvezza la massa di coloro che non sono in grado di sollevarsi alla conoscenza adeguata soltanto se depurata dai pregiudizi teologici. Per questo motivo, egli dedica tutta la prima parte del Trattato teologico-politico alla confutazione sistematica dei pregiudizi religiosi. La seconda parte dell’opera ha invece per tema centrale la fondazione della libertà civile e politica.

LA FUNZIONE DELLA RELIGIONE

COSA INSEGNA L’ETICA DI SPINOZA

COSA INSEGNA LA RELIGIONE

la saggezza è la via maestra per raggiungere libertà e salvezza

VS

l’obbedienza alle regole serve per il controllo delle passioni

si serve della ragione e della scienza intuitiva

VS

si serve dell’immaginazione

Pieter Jansz Saenredam, Interno della Mariekerk di Utrecht, 1638. Amburgo, Kunsthalle.

270

248_331_spinoza.indd 270

Il Seicento

06/02/12 15:30

L’indagine critica delle fonti

Le Scritture come documento letterario e umano

1.6.1 Un nuovo metodo d’interpretazione delle Scritture Consapevole del fatto che la ra-

gione non è tenuta in grande considerazione dai teologi, per criticare i principali pregiudizi di questi ultimi Spinoza non si serve solo di argomenti razionali. Decide piuttosto di scendere sul terreno dei suoi avversari, cercando di dimostrare la falsità delle loro posizioni a partire dalla fonte principale della conoscenza teologica occidentale, cioè le Sacre Scritture. Scelta che è dettata anche dalla constatazione che l’interpretazione di queste ultime costituiva da sempre – e in particolare dopo la Riforma protestante – il principale terreno di scontro tra le diverse correnti teologiche e confessioni religiose. Per porre fine una volta per tutte a questo genere di controversie e per «liberare la mente dai pregiudizi dei teologi», Spinoza adopera un nuovo metodo di lettura dei Libri Sacri che si può definire storico-critico, in quanto è fondato sulla ricostruzione storica del testo mediante un’accurata indagine filologica, cioè mediante la ricerca dell’autentico significato storico delle parole. Alla base di un simile metodo vi è il rifiuto del presupposto basilare dell’interpretazione teologica tradizionale, cioè la tesi che le Sacre Scritture siano un’opera scritta da Dio stesso attraverso le mani dei profeti. Per Spinoza, di contro, si tratta di libri che, al pari di ogni altro documento letterario, possono essere interpretati solo sulla base di un’accurata analisi filologica, in quanto i loro autori sono anch’essi semplici uomini. A loro Dio ha trasmesso un certo insegnamento eticoreligioso non attraverso un rapporto personale e sovrannaturale, bensì attraverso la sua semplice idea, presente nella mente umana. La scelta di adoperare tale metodo costituisce anche una presa di distanza rispetto all’interpretazione delle Sacre Scritture mediante l’applicazione di principi filosofici. Per Spinoza, infatti, come la conoscenza della Natura va ricavata dalla sola Natura, così la conoscenza di ciò che è contenuto nella Scrittura va ricavato dalla sola Scrittura, senza contaminarla con le opinioni filosofiche dell’interprete e senza piegarla ai principi della conoscenza naturale. PER SINTETIZZARE • Quali sono, secondo Spinoza, le passioni fondamentali della moltitudine? • Quali sono le condizioni perché la religione possa condurre alla salvezza gli uomini? • Come devono essere interpretate le Scritture, secondo Spinoza?

Confronto tra conoscenza naturale e rivelazione

1.6.2 Conoscenza naturale e rivelazione Sulla base dei criteri appena illustrati, Spinoza mostra come le stesse Sacre Scritture, se correttamente interpretate, contraddicano i principali pregiudizi teologici. Il primo e più importante tra questi è, per Spinoza, l’affermazione del primato della conoscenza rivelata o profetica – in quanto veicolo di messaggi divini – rispetto a quella naturale. Contro tale tesi, egli ricava, a partire dalle Sacre Scritture, una descrizione della natura e dei caratteri della profezia che gli consente di rivendicare l’autonomia e la pari dignità della scienza rispetto a essa. 1. In primo luogo, Spinoza può equiparare la conoscenza naturale a quella rivelata. Dal momento che egli ritiene che la conoscenza di Dio sia fonte e causa della conoscenza naturale di tutte le cose, quest’ultima può essere considerata come conoscenza rivelata da Dio agli uomini. 2. Mentre l’organo della scienza è la ragione, quello della conoscenza profetica è l’immaginazione: le Scritture mostrano, infatti, che Dio si è rivelato ai profeti esclusivamente mediante parole e immagini, cioè mediante due elementi che si collocano entrambi nel dominio dell’immaginazione. Come si è visto sopra, l’immaginazione è il genere più basso di conoscenza. 3. Ciò comporta una delimitazione del campo proprio della rivelazione e di quello della conoscenza naturale. Spinoza nega, infatti, che le Sacre Scritture contengano insegnamenti speculativi, utili alla conoscenza della realtà materiale e spirituale, attingibile solo mediante la conoscenza naturale. Agli insegnamenti della rivelazione egli riconosce un valore

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 271

271

06/02/12 15:30

esclusivamente pratico, cioè quello di offrire norme di vita pratica in grado di guidare alla virtù – attraverso lo strumento dell’obbedienza a Dio – gli uomini incapaci di seguire la strada della ragione. 4. A questa distinzione tra rivelazione e conoscenza naturale corrisponde quella tra teologia e filosofia. In polemica con i sostenitori della subordinazione della seconda alla prima o viceversa, Spinoza nega che tra le due sia possibile qualsiasi forma di interferenza, presentandole come ambiti completamente diversi. 5. In base alla distinzione tra filosofia e teologia, risulta vera solo la conoscenza di Dio offerta dalla prima: la conoscenza intellettuale della natura divina. La conoscenza di Dio offerta dalla religione rivelata, che è una conoscenza immaginativa, non è invece vera: per venire incontro al bisogno degli uomini comuni di avere un modello di vita morale da imitare, la rivelazione fornisce, infatti, una rappresentazione antropomorfica della divinità. Nonostante ciò, essa è ammissibile e anzi utile e necessaria, nella misura in cui è funzionale a spingere alla virtù tramite l’obbedienza – e dunque a condurre alla salvezza – tutti coloro che non sono in grado di elevarsi alla conoscenza adeguata. Elementi essenziali e non essenziali della rivelazione

Non esiste un popolo “eletto”

I riti e i dogmi non sono necessari alla salvezza

Origine psicologica della fede nei miracoli

272

248_331_spinoza.indd 272

1.6.3 La critica dei dogmi, dei riti e dei miracoli La tesi che la religione rivelata abbia come scopo l’esortazione all’obbedienza costituisce anche un criterio per discernere quanto in essa è essenziale da ciò che invece è contingente, derivante dalla mentalità dei profeti o dall’esigenza di adattarsi alla mentalità dei destinatari. Secondo Spinoza, infatti, per inculcare la virtù tramite l’obbedienza è sufficiente una nozione di Dio molto semplice ed elementare, quale Ente Supremo che esige di essere adorato tramite l’esercizio della giustizia e della carità. Tutte le altre notizie sulla natura divina – e in particolare i complicati dogmi speculativi su di essa, contenuti nelle Scritture o stabiliti dalla tradizione, spesso in contraddizione tra loro e all’origine delle divisioni tra le differenti religioni rivelate – non servono al fine di stimolare gli esseri umani alla virtù mediante l’obbedienza. Di conseguenza, esse devono essere considerate come elementi inessenziali rispetto alla religione rivelata e rispetto al conseguimento della salvezza per il genere umano. Sulla base di questi presupposti, Spinoza finisce di fatto per negare l’assunto basilare di tutte le comunità religiose fondate sulla fede in una determinata rivelazione, e in particolare della religione ebraica, in quanto religione del “popolo eletto”. Egli nega cioè l’assunto che la salvezza costituisca la prerogativa esclusiva dei membri di una determinata confessione religiosa – in opposizione alle altre – e richieda come condizione necessaria la fede nei dogmi e nelle storie peculiari di quest’ultima, nonché la pratica delle cerimonie di culto da essa prescritte, presentate come comandamenti divini. In secondo luogo, egli nega che, in generale, le cerimonie di culto e la fede nel contenuto storico positivo delle diverse religioni rivelate costituiscano una condizione necessaria per la salvezza. Le differenti narrazioni storiche delle diverse religioni rivelate sono solo degli strumenti per esortare alla virtù, tramite l’appello all’esperienza, coloro che non sono in grado di seguire una dimostrazione razionale. Il principio di utilità vale anche per i riti del culto religioso, in cambio dei quali – argomenta Spinoza – la Scrittura promette esclusivamente benessere e piaceri materiali, lasciando dunque intendere che essi non giovano affatto alla beatitudine, bensì esclusivamente alla prosperità di un ordinamento sociale e politico. Infine, Spinoza sottopone a una critica sistematica quella componente delle religioni rivelate che a suo avviso è la principale espressione del desiderio di ogni popolo di convincere e convincersi che il proprio Dio è il più potente di tutti gli dèi: la fede nei miracoli. In questo caso, Spinoza fonda la propria critica non solo sull’esame filologico delle Scritture – dal quale egli ricava la conclusione che in esse l’espressione «azione di Dio» si riferisce, se ben inteso, all’ordine della natura quale deriva da leggi eterne, e non a un intervento sovrannaturale in contrasto con tale ordine – ma anche e soprattutto sulla conoscenza naturale.

Il Seicento

06/02/12 15:30

La questione se si possa concedere che in natura accada qualcosa che sia contrario alle sue leggi è, infatti, un tema schiettamente filosofico, che può e deve essere indagato con un approccio razionale. Come si è visto, Spinoza nega che sia possibile una deviazione dal necessario ordine delle cause naturali, a partire dal presupposto che non vi è alcuna differenza tra la potenza di Dio e la potenza e la necessità naturali. Di conseguenza, egli considera il miracolo la semplice espressione di un difetto di conoscenza. Con la propria definizione di miracolo, Spinoza colloca la possibilità di tale esperienza in un’epoca in cui non esisteva ancora la scienza esatta. Un’epoca di ignoranza, in cui le rappresentazioni erano dominate dall’immaginazione e dalle passioni, e gli uomini erano ben lontani dal possedere una conoscenza adeguata – cioè chiara e distinta – dei fenomeni. Alla luce della consapevolezza delle possibilità illimitate di progresso dischiuse dalla nuova scienza, Spinoza afferma che ciò che sfugge alla nostra comprensione non appare come un miracolo – cioè come qualcosa che è in sé inspiegabile, in quanto al di sopra delle leggi naturali – bensì semplicemente come qualcosa che non è ancora stato compreso, ma potrà esserlo in futuro, grazie a ulteriori ricerche scientifiche. Alla teologia biblica, radicata nell’esperienza del miracolo quale intervento personale di Dio nel mondo, Spinoza contrappone dunque la propria teologia – fondata sull’identificazione tra Dio e l’ordine fisso e immutabile della natura – nella quale i decreti divini altro non sono che le stesse leggi universali della natura.

LA CRITICA DELLA RELIGIONE CRITICA DELLA RELIGIONE

ricostruzione storica dei testi e indagine filologica

pari valore tra conoscenza profetica e conoscenza naturale

distinzione tra elementi essenziali e non essenziali delle Scritture

indagine filosoficoscientifica sulla natura

Scritture come documento letterario e umano

delimitazione reciproca di ambiti: due immagini di Dio

negazione di alcune “verità di fede” e dei riti

rifiuto dei miracoli

PER SINTETIZZARE • Qual è la differenza tra teologia e filosofia, secondo Spinoza? • Come dobbiamo valutare, secondo Spinoza, i riti e i dogmi delle religioni rivelate? • Che cosa sono i miracoli, per Spinoza?

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 273

273

06/02/12 15:30

1.7 Il pensiero politico: potere e democrazia FILOSOFI A CONFRONTO

Spinoza condivide con Thomas Hobbes (1598-1688) l’esigenza di fondare la scienza politica su una visione realistica dell’uomo, in polemica con i filosofi morali tradizionali, avvezzi a lodare una natura umana inesistente e a deridere o biasimare quella realmente esistente.

Spinoza è, infatti, consapevole che la maggior parte degli uomini che entrano in rapporto reciproco non seguono la via difficile indicata dalla ragione, bensì sono trascinati dalle passioni: di conseguenza, soltanto partendo da una comprensione realistica della comune natura umana – cioè dall’analisi geometrica degli affetti compiuta nell’Etica – è possibile adempiere quello che egli considera l’obiettivo fondamentale della politica: garantire la sicurezza, a prescindere dalle virtù o vizi dei governanti e dei governati. L’antropologia positiva e dinamica di Spinoza

Un diritto naturale commisurato alla propria potenza T5

Relatività di giusto e ingiusto

Eguaglianza naturale, conflitto e spontanea tendenza ad associarsi

274

248_331_spinoza.indd 274

1.7.1 Diritto naturale e potenza Per Spinoza la legge fondamentale della natura umana è la

legge universale della Natura-Sostanza infinita di cui gli uomini sono parte: la legge in virtù della quale tutti gli individui tendono non solo alla conservazione, ma anche al perfezionamento del proprio essere, attraverso uno sforzo (conatus) che coincide con la loro potenza. Il culmine di questo processo di perfezionamento – cioè il sommo bene – è costituito dal raggiungimento della conoscenza razionale e della scienza intuitiva, che consentono di cogliere l’ordine necessario ed eterno dell’universo. La sicurezza che la politica ha il compito di garantire è solo il presupposto indispensabile affinché il maggior numero possibile di uomini possa innalzarsi alla ragione, raggiungendo così la vera libertà. Questi presupposti ontologici e antropologici si riflettono innanzitutto sull’analisi della condizione pre-statuale degli uomini, da cui Spinoza prende le mosse per comprendere la genesi e i caratteri del potere politico. Essi sono, infatti, alla base dell’identificazione tra diritto naturale e potenza individuale, che contraddistingue lo stato di natura, ossia la condizione in cui vivono gli uomini prima che si costituiscano le istituzioni politiche. Il punto di partenza di questa identificazione è costituito dalla tesi che il Dio-Natura ha un diritto su tutte le cose, che coincide con la sua infinita potenza. Partecipando della potenza divina – di cui sono espressione – tutte le cose naturali partecipano anche del suo diritto, in misura proporzionata al grado di potenza posseduto: di conseguenza, ogni individuo ha il diritto di fare tutto ciò che può, cioè ha un diritto commisurato alla sua potenza. Questo diritto è ciò che Spinoza definisce diritto naturale: prima della nascita delle istituzioni politiche, esso non ha altri limiti oltre a quelli dati dalla quantità di potenza di ogni individuo, che non è vincolata al rispetto di alcuna altra norma. Negando ogni finalismo, Spinoza rifiuta anche l’assunto che nell’ordine naturale complessivo esistano regole prestabilite e oggettive del giusto o dell’ingiusto: nella prospettiva spinoziana, in natura vige unicamente il principio della conservazione dell’esistenza individuale, come espressione dell’infinita potenza della Sostanza. Di conseguenza, a questo livello l’uomo ha un diritto naturale anche ad azioni eticamente riprovevoli o politicamente dannose, se a esse è spinto dal suo sforzo di autoconservazione o “conato” – o meglio dalla sua cupiditas, il «desiderio, passione accompagnata dalla consapevolezza» – che, tra l’altro, lo determina ad agire in maniera necessaria: motivo per cui in natura non ha senso parlare di colpa o peccato. Ciò vale per gli uomini come per tutti gli altri esseri naturali: come il pesce più grande ha il pieno diritto naturale di mangiare quelli più piccoli, allo stesso modo in natura l’ignorante ha il diritto naturale di perseguire con tutti i mezzi ciò cui lo inclina la legge dell’istinto, e il saggio di vivere secondo i dettami della ragione. Il diritto naturale non proibisce, dunque, nient’altro se non ciò che nessuno desidera e nessuno può. Il diritto naturale, così inteso, costituisce per Spinoza al tempo stesso la radice dell’uguaglianza tra gli uomini, e il motore di relazioni segnate dalla concreta possibilità della collisione tra i diversi diritti naturali, cioè della guerra. L’affermazione incontrollata del dirit-

Il Seicento

06/02/12 15:30

to di natura – che si verifica nella condizione prestatuale – produce, infatti, una situazione di conflittualità e insicurezza, fatta di «contese, odi, ira, inganni». Spinoza ritiene però che, anche in questo scenario conflittuale, agisca già una spontanea tendenza degli uomini ad associarsi, fondata sul fatto che nulla è più utile all’essere umano della vita in società, che gli consente di procurarsi molto più facilmente ciò di cui ha bisogno e di contrastare meglio i pericoli che le altre specie e la natura pongono alla sua autoconservazione. FILOSOFI A CONFRONTO

Sulla base di queste considerazioni, Spinoza rovescia polemicamente il principio «l’uomo per l’uomo è lupo» – che Hobbes aveva posto all’origine del processo di formazione dello Stato – nel principio opposto, secondo il quale l’uomo per l’uomo è Dio.

Passaggio dalla vita naturale a quella politica

Il patto

Potere sovrano e diritto di resistenza

1.7.2 Il potere sovrano è assoluto ma non definitivo In base a quanto detto, per Spinoza il perseguimento dell’utile – nella duplice forma di bisogno di sicurezza e ricerca di cooperazione – spinge gli uomini a passare dalla vita naturale alla vita politica: dal momento che ciascuno è spinto a ricercare l’utile dallo sforzo alla conservazione e al potenziamento del proprio essere, nella prospettiva spinoziana questo passaggio non è una scelta tra le altre, bensì una necessità, cui gli uomini non possono sottrarsi, per sopravvivere e vivere bene. L’uscita dallo stato di natura avviene attraverso un patto che gli uomini fanno tra loro e con il potere che essi costituiscono, in virtù del quale stabiliscono, per motivi di utilità, che il diritto naturale – che fino a quel momento ciascuno esercitava individualmente e illimitatamente – venga gestito dalla collettività. Non si tratta tanto di una cessione del proprio diritto naturale da parte del singolo, bensì piuttosto di una composizione o somma dei diritti naturali – cioè delle quantità di potenza – degli individui, da cui viene fuori una potenza-diritto collettiva superiore a tutte le altre, cioè la potestà suprema dello Stato. A partire dal patto, solo a quest’ultima spetta il diritto di stabilire cosa è utile o dannoso per tutti – cioè cosa è giusto o ingiusto – attraverso l’istituzione e l’interpretazione delle leggi civili, al cui rispetto lo Stato può costringere tutti anche con l’uso della forza. Per Spinoza il potere supremo che scaturisce dal patto è assoluto, nel senso che è al di sopra di ogni legge, in quanto nessuno ha la forza di vincolarlo all’obbedienza, mentre invece tutti sono tenuti a ubbidire alle sue prescrizioni. FILOSOFI A CONFRONTO

Tuttavia per Spinoza questo potere assoluto non compete allo Stato in modo definitivo, cioè una volta e per sempre. Spinoza stabilisce, infatti, un legame indissolubile tra il rispetto del patto e la sua utilità, che differenzia la sua concezione del patto dal contrattualismo giusnaturalistico, fondato sul principio dello “stare ai patti” e quindi sull’impossibilità di revocarlo da parte dei contraenti. Nella prospettiva spinoziana, di contro, un patto stipulato per ragioni di utilità può avere validità e stabilità solo sino a quando il rispetto di esso porta dei vantaggi: di conseguenza, se lo Stato esercita il proprio potere in modo tale che il patto sociale stipulato dagli individui si riveli nocivo, questi possono romperlo.

Controllo statale sulla religione e sul culto

Il diritto naturale di perseguire il proprio utile, che legittima la rottura di un patto che risulti dannoso, conserva dunque per Spinoza intatta tutta la sua validità anche all’interno del corpo politico, segnando il limite al di là del quale le somme potestà non possono andare nell’esercizio del loro potere, se lo vogliono mantenere. In altri termini, per Spinoza il potere dello Stato è assoluto in quanto non è vincolato dalle leggi civili, che esso stesso istituisce – potendole variare in ogni momento – e che solo esso può fare rispettare. Inoltre, esso non è soggetto nemmeno al diritto divino e alle autorità religiose: sulla base dell’analisi di alcuni aspetti della storia ebraica, Spinoza ritiene che spetti alle autorità civili,

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 275

275

06/02/12 15:30

La resistenza non è sovversione dell’ordine

e non a quelle ecclesiastiche, di regolare il culto esterno della religione e la pratica della pietà, in modo da adeguarli all’interesse dello Stato. Tesi che è dettata dalla preoccupazione di preservare l’unità dello Stato dal rischio di disgregazione in seguito ai conflitti religiosi. Il potere politico provoca, però, la ribellione dei cittadini e determina la sua propria rovina se agisce contro le leggi naturali e le regole della ragione, tra cui rientra innanzitutto il tener conto della natura e dell’utilità di coloro cui l’ordine è rivolto. Come nessuno Stato ha il potere di fare sì che gli uomini volino, allo stesso modo nessuno Stato può far sì che essi rispettino ciò che suscita riso o disgusto, o non tengano conto di ciò che costituisce il principale stimolo della loro azione, cioè la ricerca dell’utile. Spinoza non è un sovversivo: nel suo pensiero politico è centrale, infatti, il problema della stabilità del potere e dell’ordine politico. Tuttavia Spinoza è convinto che la paura non sia, di per sé, sufficiente a sostenere nessun regime politico, nemmeno quello più dispotico. Per potere sopravvivere, lo Stato deve piuttosto preservare il consenso operando in maniera razionale, cioè garantendo che al suo interno gli individui possano esplicare al meglio il proprio sforzo all’autoconservazione e al perfezionamento. In questo modo, lo Stato aumenta anche la sua propria potenza, dal momento che quest’ultima non è che la somma delle potenze individuali.

DALLA POTENZA INDIVIDUALE ALLO STATO LEGGE UNIVERSALE DELLA SOSTANZA = tutti gli enti tendono all’autoconservazione e al loro perfezionamento, in proporzione alla loro potenza

il sommo bene per l’uomo è la conoscenza intuitiva

la politica è utile perché il maggior numero di uomini viva in sicurezza e possa arrivare alla conoscenza

ogni uomo è dotato di un diritto naturale pari alla propria potenza: da ciò nasce un conflitto potenziale

l’uomo si associa per il proprio utile: il patto compone i diritti di tutti

diritto di resistenza = il potere sovrano è assoluto ma può essere revocato quando non porta più vantaggi ai cittadini

PER SINTETIZZARE • Che cos’è il diritto naturale per Spinoza? • Qual è la condizione degli uomini nello stato di natura, secondo Spinoza? • Perché gli uomini si riuniscono in società, secondo Spinoza?

276

248_331_spinoza.indd 276

Il Seicento

06/02/12 15:30

La democrazia è la forma di governo più vicina allo stato di natura

1.7.3 Democrazia e libertà di espressione A partire dall’affermazione di un nesso essenziale

tra assolutezza del potere politico e consenso, Spinoza indica la forma di Stato nella quale più che in ogni altra si realizza il suo modello politico nella democrazia, definita come l’unione di tutti gli uomini che ha collegialmente pieno diritto a tutto ciò che è in suo potere. FILOSOFI A CONFRONTO

Se si considerano le ragioni che Spinoza adduce per giustificare la propria preferenza per il regime democratico, emerge in modo chiaro la differenza fondamentale della sua dottrina politica rispetto al contrattualismo giusnaturalistico: la democrazia è, infatti, ai suoi occhi la migliore forma di Stato in quanto è quella che maggiormente si avvicina allo stato di natura.

I pregi della democrazia: eguaglianza e libertà

La conservazione dei diritti fondamentali dell’uomo

Questa convinzione poggia su due considerazioni: 1. in primo luogo, la democrazia dà espressione politica all’uguaglianza che vi è tra gli individui, se considerati dal punto di vista della loro natura ontologica, di modi della Sostanza (enti che dipendono dalla Sostanza e che senza di essa non possono essere concepiti): nella democrazia, infatti, a differenza che nella monarchia e nell’aristocrazia, non vi è distinzione tra governanti e governati; il potere è nelle mani di tutti; 2. in secondo luogo, nella democrazia ciascuno conserva il proprio diritto naturale, cioè la propria libertà di decidere su tutto: in democrazia, infatti, nessuno obbedisce a un’autorità esterna, bensì tutti obbediscono solamente a se stessi, cioè alle leggi che essi stessi si sono dati, seguendo i dettami della ragione. È solo su questi ultimi, infatti, che gli uomini concordano, mentre sono tra loro in contrasto se trascinati dalle passioni. Nel regime democratico, gli uomini non hanno più il diritto naturale illimitato che avevano nello stato di natura, cioè la libertà di agire secondo il proprio convincimento: ognuno deve piuttosto agire sottostando alle decisioni che hanno ottenuto il maggior numero di voti, che soltanto hanno forza di leggi. Tuttavia, in democrazia ciascuno conserva quella che per Spinoza è la libertà fondamentale e insopprimibile, cioè la libertà di pensiero e di parola. Dando vita a un ordinamento democratico, gli uomini si impegnano sì ad agire in conformità ai decreti della maggioranza – consapevoli dell’impossibilità di una costante uniformità di opinioni – ma si riservano il diritto di giudicare con la propria testa e di esprimere i propri giudizi. Diritto da cui deriva la possibilità continua di migliorare l’ordine esistente. PER RIFLETTERE Spinoza ha una concezione del patto sociale in cui i cittadini conservano precisi diritti, anche nei confronti del potere statale: in sintesi, diritto di resistenza, diritto di parola e di opinione. • Tu hai mai riflettuto sul rapporto tra cittadino e Stato e su quali siano i diritti a cui non è possibile rinunciare? • Trovi che quelli indicati da Spinoza siano una buona base su cui fondare la cittadinanza?

I vantaggi della libertà

Sulla base della propria concezione dinamica del potere politico, Spinoza ritiene che la libertà di opinione e di parola non solo non compromettano la pace interna e la sopravvivenza dello Stato, bensì al contrario ne costituiscano una condizione essenziale. Il tentativo di reprimerle produce degli effetti negativi: • dal momento che è impossibile impedire agli uomini di pensare ciò che vogliono, il divieto di esprimere i propri pensieri finisce per istigare alla menzogna e all’ipocrisia, minando la lealtà – che è uno dei fondamenti dello Stato – e sollevando l’inevitabile indignazione e ribellione di tutti gli uomini onesti; • inoltre, la ragione e l’esperienza insegnano che leggi che pretendono di reprimere e controllare le opinioni impediscono lo sviluppo delle arti e delle scienze, privando lo Stato delle energie fondamentali dei cultori di queste ultime.

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 277

277

06/02/12 15:30

Quindi, il miglior metodo di governo, secondo Spinoza, è quello che consenta la libertà di giudizio e renda possibile la convivenza pacifica anche di uomini che abbiano diverse e contrastanti opinioni.

I VANTAGGI DELLA DEMOCRAZIA SECONDO SPINOZA DEMOCRAZIA = forma di governo più vicina allo stato di natura

tutti mantengono l’uguaglianza originaria

tutti conservano il diritto naturale, ossia la libertà di decidere su tutto

tutti godono delle libertà individuali (di parola, d’opinione, di giudizio ecc.)

la libertà di tutti favorisce: • la lealtà allo Stato • lo sviluppo di arti e scienze

PER SINTETIZZARE • Qual è la natura del potere dello Stato, secondo Spinoza? • Qual è il rapporto tra cittadini e Stato per Spinoza? • Quali sono le libertà civili fondamentali per Spinoza?

Rembrandt van Rijn, La ronda di notte, 1642. Amsterdam, Rijksmuseum.

278

248_331_spinoza.indd 278

Il Seicento

06/02/12 15:30

2. Gottfried Leibniz 2.1 L’ultima armonia La ricerca di una nascosta assonanza

Un progetto filosoficamente unitario

L’idea di una ragione unificante

Risultati non sistematici dell’opera di Leibniz

L’opera di Leibniz, di enorme ricchezza e complessità, offre uno straordinario intreccio di tematiche e di linee di pensiero. Motivi almeno in apparenza contraddittori, che egli vuole ricondurre a un’armonia complessiva, sintetizzando i principali risultati della cultura della sua epoca e quelli che Leibniz stesso raggiunge. Leibniz è stato sempre convinto che verità che si presentano come contraddittorie possano trovare, attraverso uno scavo più profondo, una nascosta assonanza. Prospettive molteplici e punti di vista differenti non si contraddicono se ripensati in una unità più vasta. Da questa sua convinzione personale, dalla sua figura di “genio universale”, capace di innovazioni nei campi più diversi, e dal suo profondissimo talento speculativo è scaturito un progetto filosofico che cercava – forse per l’ultima volta – di tenere insieme e anzi di rafforzare reciprocamente istanze che già si presentavano in conflitto: scienza moderna e metafisica, meccanicismo e cause finali, forme sostanziali e matematizzazione dei fenomeni, specializzazione del sapere e unità enciclopedica, azione scientifica e culturale e prassi politica, pensiero e tecnica, fede e ragione, libertà e necessità, male nel mondo e presenza in esso di Dio. Anche le filosofie che dopo Leibniz insisteranno sull’unità del sapere e sulla razionalità del reale non saranno in grado di prospettare in egual misura un’armonica convergenza. Al centro di questo progetto sta l’idea di una ragione in grado di rendere conto di ogni aspetto del mondo e di guidare il progressivo perfezionamento dell’uomo. Al tempo stesso, quello che è stato chiamato l’”eclettismo creativo” di Leibniz, ossia la sua capacità di assorbire e fare proprie le più diverse prospettive in campi disparati, con contributi innovativi, ha prodotto risultati e modelli concettuali con valore anche autonomo rispetto al suo pensiero complessivo. La capacità di dialogare in molti campi e con posizioni diverse, il tentativo di rendere sempre più concreta l’armonia progettata, ha fatto sì che Leibniz non abbia mai dato una sistemazione davvero compiuta e definitiva al suo pensiero, ma si sia espresso in una miriade di opere diverse su temi anche particolari. Così che l’unità dello stesso sistema che teorizzava l’armonia del tutto è rimasta per certi versi un progetto non completamente definito. E la filosofia di Leibniz, paradossalmente, poche volte è stata recepita come un tutto. PER SINTETIZZARE • Qual è l’obiettivo che unifica la riflessione e l’attività in molteplici campi di Leibniz? • Quali sono le alternative teoriche e le istanze che Leibniz intende conciliare?

2.2 Un genio universale tra teoria e prassi Uno degli ultimi eruditi universali

La formazione

La figura dell’erudito universale, dell’uomo di cultura che si occupa dei rami più disparati del sapere, diffusa in particolare a partire dal Rinascimento e ancora nel Seicento, si realizza nell’opera di Leibniz a livelli alti in molti campi, in una misura che in seguito non sarà più possibile conseguire. Genio precoce – a otto anni leggeva gli autori latini, a dodici i greci, a tredici si occupava di logica – Leibniz si immerse subito in riflessioni ad ampio raggio, e si dedicò nel corso della sua vita non soltanto a discipline diverse, ma ad attività intellettuali non limitate all’ambito scientifico e teorico. Fu giurista e diplomatico, e anche storico, al servizio di principi. Il suo primo incarico, a ventun anni, è quello di magistrato per conto del principe elettore e arcivescovo di Magonza; nel frattempo aveva già scritto di metafisica, diritto, matematica, e una Dissertazione sull’arte combinatoria (1666) in cui delinea un progetto di «logica inventiva» e di «scrittura universale» che continuerà a perseguire e a perfezionare in seguito.

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 279

279

06/02/12 15:30

Il primo incarico diplomatico a Parigi

Gli studi matematici e la disputa con Newton

Gli studi storici: linguistica e geologia

I viaggi e l’epistolario

I progetti pratici

La fondazione dell’Accademia delle Scienze di Berlino

Su incarico di un suo amico e protettore, il barone Johann Christian von Boineburg, svolge nel 1672 il suo primo incarico diplomatico a Parigi, avendo così l’occasione di entrare in contatto con un mondo culturale aperto e innovatore, e di conoscere in particolare Christiaan Huygens (1629-1695), importante scienziato e matematico olandese, che lo spinge e lo indirizza nello studio della matematica più avanzata, tra cui quella di Cartesio. Pochi anni dopo, nel 1775, scopre il calcolo infinitesimale, un’acquisizione fondamentale della matematica moderna, che sarà oggetto successivamente di una disputa con Newton circa la priorità della scoperta (è ormai chiaro che essa avvenne parallelamente e indipendentemente, con metodi diversi, da parte di entrambi gli autori). In seguito alla morte dell’elettore di Magonza, Leibniz passa, nel 1676, al servizio come consigliere del duca di Hannover Johann Friedrich von Braunschweig-Lünenburg. Alla corte dei duchi di Hannover, con i quali però i rapporti furono talvolta difficili, resterà legato fino alla sua morte, pur accettando incarichi da altri sovrani. A Hannover, presso l’Archivio Leibniz, sono ancora conservati i suoi manoscritti e le sue lettere: una massa di scritti non ancora tutti pubblicati. Accanto agli interessi matematici, giuridici, filosofici e fisici di cui si è detto, Leibniz coltiva studi di linguistica storica ed etimologia, studi in ambito geologico: redige una storia della Terra, la Protogaea. Svolge anche, su incarico della corte di Hannover, una lunga ricerca storica sulla casa di Braunschweig, nella quale applica metodi storiografici rigorosi, stabilendo nuovi standard scientifici nella ricerca storica. Dei suoi incarichi sia diplomatici che scientifici approfitta anche per compiere molti viaggi, che lo portano a Londra, in Olanda, in Italia, in Austria, oltre che, come si è detto, in Francia, e gli consentono contatti personali con studiosi in tutta Europa. L’epistolario scientifico di Leibniz, di mole impressionante, che conteneva contributi filosofici rilevantissimi, coinvolge autori come Hobbes, Spinoza, Malebranche, Newton, Samuel Clarke, Arnauld, e moltissimi altri studiosi del suo tempo. Nel corso della sua vita di studioso e di diplomatico Leibniz cerca di realizzare diversi progetti concreti. Progetta una macchina calcolatrice (la “calcolatrice a scatti”), di cui presenta un prototipo alla Royal Society di Londra; ma sarà la definizione della numerazione binaria il suo maggiore contributo alla futura storia dei calcolatori. Nella sua azione diplomatica Leibniz svolge diversi incarichi, spesso mirati a favorire processi di pace. Concepisce un progetto di riunificazione delle Chiese cristiane, per il quale lavora anche su incarico del duca di Hannover. Leibniz si rende conto presto che il suo progetto di una scienza universale, di una enciclopedia che offrisse una “Porta delle Cose”, non è realizzabile senza una organizzazione del lavoro scientifico nei campi più diversi, senza lo sforzo congiunto di più persone. Concepisce allora l’idea di un’Accademia delle Scienze, che riesce a realizzare nel 1700 a Berlino, con l’appoggio del principe elettore di Brandeburgo Federico III. Nasce così l’Accademia prussiana delle Scienze, di cui diventa presidente, alla quale Leibniz intende dare finalità non solo scientifiche. È in generale la sua visione dell’uomo come di un essere che ha il compito di perseguire un costante perfezionamento di se stesso a spingerlo verso una concezione attiva dell’operato dell’uomo di cultura. PER SINTETIZZARE • Quali erano i principali campi di interesse di Leibniz? • In quali campi le intuizioni e le scoperte di Leibniz sono ancora oggi valide? • Quali erano i motivi che spinsero Leibniz a fondare l’Accademia delle Scienze?

280

248_331_spinoza.indd 280

Il Seicento

06/02/12 15:30

LA VITA E LE OPERE 1646

Gottfried Wilhelm von Leibniz nasce a Lipsia, in Sassonia, dove si forma studiando le lingue classiche e la filosofia scolastica e dedicandosi, poi, alla filosofia moderna.

1663

Si laurea in filosofia a diciassette anni.

1666

Leibniz ottiene anche la laurea in diritto presso l’Università di Altdorf, in Svizzera. In quello stesso anno esce la sua prima opera Dissertazione sull’arte combinatoria (Dissertatio de arte combinatoria), in cui presenta la sua teoria della logica come calcolo, rimasta inedita fino agli inizi del Novecento.

1672-1676

Soggiorna a Parigi, dove conosce Nicolas Malebranche e Antoine Arnauld, e studia con il matematico olandese Christiaan Huygens. Nel 1673 si reca anche in missione diplomatica in Inghilterra, dove presenta alcuni suoi esperimenti alla Royal Society.

1675

Formula la sua teoria del calcolo infinitesimale, che rende pubblica nel 1684.

1676

Entra al servizio del duca di Hannover, alla cui corte rimarrà fino alla morte, ricoprendo vari incarichi: bibliotecario, diplomatico, storiografo ufficiale.

1686

Esce il Discorso di metafisica.

1695

Viene pubblicato il Nuovo sistema della natura, della comunicazione tra le sostanze e dell’unione tra l’anima e il corpo.

1700

Fonda l’Accademia prussiana delle Scienze, a Berlino.

1704-1705

Lavora ai Nuovi saggi sull’intelletto umano, in cui critica e commenta il Saggio sull’intelletto umano di John Locke, che non pubblica per la sopravvenuta morte del filosofo inglese nel 1704 e che escono postumi nel 1765.

1710

Escono i Saggi di teodicea, la maggiore e la più sistematica tra le opere edite.

1714

Gli ultimi lavori di Leibniz sono i Principi della natura e della grazia fondati sulla ragione e la Monadologia, entrambi dedicati alla metafisica.

1716

Muore ad Hannover. Leibniz lascia un’imponente mole di taccuini, articoli, note e un epistolario ricchissimo (circa quindicimila lettere) frutto dei contatti con più di mille corrispondenti.

2.3 Anime come specchi: la rappresentazione del mondo Una concezione attiva dell’uomo di cultura

Nella produzione di Leibniz non esiste un’opera sistematica di ampio respiro come le Meditazioni di Cartesio o l’Etica di Spinoza. Per seguire l’indagine leibniziana sulla razionalità e sull’intima unità del reale il nostro cammino inizia dalla sua teoria della rappresentazione e quindi dalla sua teoria della conoscenza come fondamentale relazione unificante tra le sostanze.

L’universo come gioco di specchi

2.3.1 Rappresentazione e sostanza spirituale L’intero universo è per Leibniz un sistema rappresentativo: non è soltanto la mente umana a essere capace di rappresentazione, ma ogni sostanza semplice è per lui «un perpetuo specchio vivente dell’universo». L’universo, si può dire, è un gioco di specchi, perché i rapporti reciproci di rappresentazione (o di espressione, come dirà Leibniz) ne costituiscono la struttura profonda. Questa grandiosa e complessa teoria può svolgersi sulla base di una nozione di rappresentazione che appunto non è legata all’operare di una mente umana.

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 281

281

06/02/12 15:30

La percezione

Essa prevede una gradualità e una complessità tali da rendere conto dei diversi ordini di sostanze che possono partecipare a questo gioco, fino alla sua forma più sviluppata costituita dalla sostanza intelligente, ossia dall’anima umana. La percezione, il termine più generale che Leibniz utilizza per quella che noi chiameremmo rappresentazione, inizia a esistere dove c’è l’espressione di una molteplicità in unità: dunque non vi è rappresentazione in una traccia materiale, per esempio in una traccia nel cervello, che abbia ragioni puramente meccaniche, ma solo dove vi è un processo di unificazione e dunque una sostanza semplice, una unità in grado di attuarlo. Leibniz non ammette, di conseguenza, che la materia possa pensare. 2.3.2 Rappresentazione e coscienza Leibniz sostiene la possibilità di rappresentazioni inconsce, che chiama piccole percezioni o percezioni insensibili. FILOSOFI A CONFRONTO

C’è quindi un grado basilare della rappresentazione che Leibniz riconosce, contro la visione cartesiana, cui si ricollegava in quegli anni anche Locke, con il quale egli si confronta direttamente nell’opera Nuovi saggi sull’intelletto umano. In questo modo egli rompe l’identificazione tra pensiero e coscienza, ossia la tesi che ogni nostro atto mentale è sempre accompagnato dallo “sguardo interiore” della coscienza, aprendo la strada all’indagine sulle rappresentazioni inconsce che avrà in seguito un notevole sviluppo. Le percezioni insensibili e le loro funzioni

Gusti, sensazioni inconsce e moventi dell’agire

Le piccole percezioni o percezioni insensibili vengono identificate con percezioni parziali che non siamo in grado di distinguere di per sé e che quindi non sono oggetto della nostra attenzione. Leibniz fa l’esempio del rumore del mare: per udirlo è pur necessario, sostiene, sentire il rumore di ciascuna onda che ne fa parte, anche se ognuno di questi rumori non è percepibile isolatamente, ma lo è soltanto nell’insieme di cui fa parte. Le percezioni insensibili rivestono una grande importanza nel sistema di Leibniz: 1. costituiscono quel “non so che” che spesso ci fa valutare la qualità delle cose e determinano i nostri gusti; 2. caratterizzano inoltre e costituiscono l’individuo stesso, che conserva delle tracce dei suoi stati precedenti collegandoli con quelli presenti, senza che questa operazione sia consapevole, e senza che se ne conservi memoria in senso proprio; 3. sono anche quelle che ci muovono in molte occasioni, che possono guidare le nostre azio-

Jan Vermeer, Il bicchiere di vino, 1660. Berlino, Nationalgalerie.

282

248_331_spinoza.indd 282

Il Seicento

06/02/12 15:30

Legami tra un ente e il resto dell’universo

ni e che danno anche corpo a quella “inquietudine” che costituisce per Leibniz un tono continuo del nostro desiderio e del nostro piacere, e che differisce dal dolore solo per la misura. 4. infine, le piccole percezioni sono anche ciò che costituisce il legame che ogni essere ha con tutto il resto dell’universo: con l’eccezione dell’anima umana, il rispecchiamento del mondo è dato da queste percezioni non consapevoli. La stessa armonia prestabilita tra mente e corpo, che costituisce un aspetto importante del pensiero leibniziano, è fondata sulle percezioni inconsapevoli. Individuare questa dimensione nascosta del rappresentare serve a Leibniz anche a sottolineare quella che egli chiama «l’immensa sottigliezza delle cose», che egli vede dispiegarsi nella natura graduale e progressiva dei processi rappresentativi. La conoscenza umana si colloca su una dimensione continua che procede da gradi bassi fino alle forme superiori di intelligenza. 2.3.3 Cos’è un’idea In questa prospettiva si colloca la ridefinizione dei tipi di rappresen-

tazione operata da Leibniz, e la differenziazione di distinti tipi di idee in una scala di sempre maggiore adeguatezza conoscitiva. FILOSOFI A CONFRONTO

Cartesio aveva posto le fondamenta per svincolare la nozione di idea dalle sue connotazioni ontologiche: l’idea non è più la cosa stessa in uno dei suoi modi di essere, quel modo di essere che ha nell’intelletto, e dunque l’essenza della cosa, ma un’entità mentale che deve rappresentare la cosa, riferirsi ad essa. Leibniz conserva questa caratteristica moderna dell’idea, la articola in una complessa tipologia di forme di rappresentazione, per recuperare poi però in un modo nuovo e particolare la sua valenza ontologica. Idea leibniziana come capacità T6 La nozione di rappresentazione come espressione

L’espressione si fonda su una legge costante di relazione

In un breve scritto del 1678, Che cos’è un’idea, Leibniz intende per idea «qualcosa che è nella mente», dunque non le tracce che sono impresse nel cervello. Egli sottolinea poi che l’idea non è un atto particolare del pensare, una singola rappresentazione nella mente, ma una facoltà, ossia la capacità di pensare una cosa. Questo pensare è sostanzialmente un esprimere: Leibniz dice nei Nuovi saggi sull’intelletto umano che l’idea è un «oggetto immediato interno» – qualcosa che si presenta immediatamente all’anima – ma questo oggetto è un’espressione della natura o delle qualità delle cose. Con la nozione di espressione Leibniz cerca di articolare il concetto di rappresentazione in modo da precisare in che cosa consista il nesso rappresentativo tra pensiero e cosa. Esso consiste sostanzialmente in un sistema di corrispondenze che consentono di risalire dalla proprietà di ciò che rappresenta alle proprietà di ciò che è rappresentato. Una cosa esprime un’altra, dirà altrove Leibniz, «quando c’è un rapporto costante e regolato tra ciò che si può dire dell’una e dell’altra»: dove c’è una legge costante di relazione che consente di riferire elementi dell’una cosa a elementi dell’altra. La nozione di espressione può valere per il rapporto tra qualunque genere di pensiero e il suo “oggetto”, di qualunque natura esso sia – può valere tanto per la sensazione animale che per la conoscenza intellettuale. FILOSOFI A CONFRONTO

Con essa Leibniz intende superare l’idea della rappresentazione come somiglianza con l’oggetto rappresentato, che già Cartesio aveva criticato, ma che era stata ripresa per esempio da Locke riguardo alla formazione delle idee di qualità primarie dei corpi. PER SINTETIZZARE • Che cosa sono le percezioni insensibili e quali sono le loro funzioni, per Leibniz? • Che cos’è un’idea per Leibniz?

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 283

283

06/02/12 15:30

TIPI DI RAPPRESENTAZIONE E RAPPORTI DI ESPRESSIONE RAPPRESENTAZIONE COME ESPRESSIONE = RELAZIONE UNIFICANTE DEL REALE

tipi di rappresentazioni

esempi di rapporti di espressione

• piccole percezioni = rappresentazioni inconsce

• disegno di una macchina ¬ macchina • rappresentazione su due dimensioni ¬ solido

• idee = oggetti immediati interni della mente; non sono atti mentali, ma capacità di pensare una cosa

• discorso ¬ pensieri • caratteri ¬ numeri • equazione algebrica ¬ figura geometrica

• sensazioni = coscienza di oggetti esterni esprimono la cosa in generale per analogia delle disposizioni reciproche

possono esprimere

PER NATURA • attraverso somiglianza • attraverso proiezione • come l’effetto “rappresenta” la causa • attraverso una causa comune

Idea chiara e oscura

Idee confuse e distinte

284

248_331_spinoza.indd 284

ARBITRARIAMENTE • come i caratteri • come le parole

2.3.4 La scala delle idee In uno scritto del 1684, le Meditazioni sulla conoscenza, la verità e le idee, Leibniz offre un’articolata classificazione di tipi diversi di conoscenza: 1. l’idea come oggetto immediato interno viene distinta dalla sensazione come appercezione (coscienza) di un oggetto esterno. Successivamente, le idee vengono suddivise in diversi tipi: 2. la prima distinzione è tra idee chiare e idee oscure. Un’idea è chiara quando è sufficiente a riconoscere una cosa e a distinguerla (se ho un’idea chiara di un abete, sarò in grado di riconoscerlo e di distinguerlo da altri tipi di albero). Quando questo non è possibile, allora sono sì in possesso di un’idea, ma questa va considerata oscura. 3. Un’idea chiara può essere a sua volta confusa o distinta. Chiara e distinta un’idea lo è quando si è in grado di distinguere i suoi componenti, ciò che essa racchiude. In tal caso è possibile svolgere un’analisi e dare una definizione, mentre per un’idea chiara e confusa (come quelle del calore o di un colore) è indispensabile ricorrere a esempi (non sono consapevole dei criteri che mi portano alla distinzione): un colore può soltanto essere mostrato.

Il Seicento

06/02/12 15:30

Idea adeguata e inadeguata: conoscenza intuitiva e simbolica

4. Se a loro volta le note componenti un’idea vengono conosciute in modo distinto, l’idea è adeguata, altrimenti, se le note sono conosciute ma in modo confuso, l’idea è inadeguata. Un aspetto importante del pensiero di Leibniz è tuttavia la considerazione che la mente umana non è in grado di afferrare direttamente le idee, se non in misura limitata: cogliamo con un unico atto della mente solo le idee semplici (quelle da cui sono formate tutte le altre). In questo caso si parla di conoscenza intuitiva. Invece non siamo in grado di rendere presenti alla mente tutti i tratti costituenti le idee complesse: per questo motivo la mente opera con segni, che costituiscono dunque uno strumento indispensabile per pensare. Questo tipo di conoscenza – l’unica possibile all’uomo per idee complesse – è chiamata simbolica.

LA CLASSIFICAZIONE DELLE IDEE IN LEIBNIZ

oscura IDEA = OGGETTO IMMEDIATO INTERNO chiara = basta a riconoscere ea distinguere la cosa

Linguaggio e idee complesse o catene di ragionamento

Linguaggio come manipolazione di simboli e segni

confusa = • le note componenti l’idea non possono essere distinte; • è indispensabile ricorrere a esempi

distinta = • si distinguono le noto che la compongono • è possibile un’analisi o una definizione

inadeguata = le note sono conosciute in modo confuso

adeguata = tutte le note sono a loro volta distinte

2.3.5 Idee e linguaggio «Abbiamo le idee delle cose semplici, abbiamo solo i caratteri del-

le cose composte»: sulla base di questa assunzione, Leibniz attribuisce un’importanza fondamentale al linguaggio come elemento indispensabile del pensiero umano. Dal momento che la mente umana non è in grado di dominare, cioè di cogliere con un unico atto, idee complesse o catene di ragionamenti, essa può riuscire a farlo solo attraverso segni che “stiano per”, che simboleggino le idee. Pensando solo il singolo segno, la mente può conservare memoria e attenzione nel ragionamento. Leibniz parla a questo proposito di «pensieri ciechi», o anche di «pensieri sordi», ossia di pensieri che si svolgono manipolando simboli, mantenendosi per così dire a distanza dalle idee. Il linguaggio svolge così la funzione di una guida nell’immensa complessità del mondo immateriale dei pensieri, di un «filo sensibile» che consente alla mente umana di orientarsi nel labirinto dei pensieri. FILOSOFI A CONFRONTO

Questa concezione non conduce però a conseguenze nominaliste, ossia alla visione secondo la quale – come pensava Hobbes – segni e linguaggio costituiscono una organizzazione arbitraria, sottoposta alla variabilità delle lingue, di rappresentazioni che non hanno un loro ordine in sé. I segni possono essere arbitrari, ma non lo sono le idee cui si riferiscono, e soprattutto non lo sono le connessioni tra queste che essi sono in grado di esprimere: vi è «una qualche disposizione complessa, un ordine, che conviene alle cose».

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 285

285

06/02/12 15:30

Verità come espressione di analogia strutturale

La verità per l’uomo è garantita da quest’ordine interno alle cose e dal rapporto – la «proporzione», dice Leibniz – che hanno tra di loro insiemi di caratteri che esprimono la stessa cosa: non l’identità di segni o parole, ma la loro analogia strutturale, che corrisponde a un medesimo rapporto con le cose. PER SINTETIZZARE • A quali tipi di idee sono legate, rispettivamente, la conoscenza intuitiva e quella simbolica e in che cosa si differenziano questi due modi di conoscere? • Che cos’è il linguaggio secondo Leibniz?

2.4 La logica e i suoi presupposti metafisici Definite le nozioni fondamentali della teoria della conoscenza di Leibniz (rappresentazione, idee e loro classificazione in base alle capacità di esprimere la conoscenza, natura del linguaggio), passiamo ora ad analizzare la sua logica e i rapporti di questa con il piano dell’essere, o l’ontologia, iniziando dall’origine delle idee. Verità e legami tra idee

2.4.1 Le idee nel «paese dei possibili» La verità è fondata nel legame delle idee. Ma di che

tipo è questo legame? Leibniz lo spiega in un brano in cui sostiene che esse sono fondate nell’intelletto divino, in una sostanza necessaria, ovvero uno spirito supremo che le pensa e così le fa esistere nella loro interconnessione. Queste idee sono il «prototipo», il modello di quelle presenti nelle anime umane. FILOSOFI A CONFRONTO

Vi è, in Leibniz, la ripresa della concezione tradizionale di stampo platonico delle idee come archetipi, modelli delle cose, indipendenti dal pensiero umano, alle quali anzi il pensiero umano deve poter pervenire o ritornare, con la modificazione, tipica del pensiero medioevale, secondo la quale questi archetipi sono fondati nell’intelletto di Dio.

Il «paese dei possibili»

Dio e le essenze

La logica come combinazione di idee

286

248_331_spinoza.indd 286

Le idee concepite dall’intelletto di Dio costituiscono una «regione delle verità eterne» che Leibniz chiama anche il «paese dei possibili», in quanto le idee come modelli delle cose contengono la possibilità dell’esistenza di queste ultime (che equivale alla loro realtà nella mente di Dio); in base a un atto della volontà divina queste pure possibilità possono essere poi tradotte in esistenze. Dio stesso è un ente perfettissimo in quanto è la congiunzione di tutte le “perfezioni” in un medesimo soggetto, ossia delle determinazioni positive che, in combinazioni differenti, possono dar luogo all’essenza delle cose del mondo. In senso pieno Dio è autore delle esistenze, non delle idee in quanto archetipi delle cose, che costituiscono un universo dei possibili, che è pensato da Dio, dunque obiettivamente dato, immutabile ed eterno, ma che è non da lui scelto, voluto. Un’unica esistenza precede il mondo delle possibilità, quella di Dio, ma tutto il resto si impianta sulle idee-archetipi. Dio sceglie a quale “possibile” dare attuazione. 2.4.2 Il pensiero come calcolo e la caratteristica universale La scienza che si occupa della combinazione delle idee tra di loro, ossia della connessione tra i pensieri (inclusione o esclusione tra concetti, legami di derivazione tra proposizioni), è la logica. Già da quello che si è detto risulta evidente come in Leibniz logica e metafisica siano strettamente intrecciate: una scienza della connessione dei pensieri è, allo stesso tempo, una scienza di quel «paese dei possibili» in cui va ravvisato il modello per tutto ciò che esiste.

Il Seicento

06/02/12 15:30

FILOSOFI A CONFRONTO

La logica tradizionale, di matrice aristotelica, non era stata concepita come legata all’idea di calcolo: matematica e logica erano discipline del tutto distinte. Che il pensare fosse riconducibile al calcolare era stata un’idea avanzata da Hobbes, per il quale il ragionamento poteva esser identificato con operazioni di addizionare e sottrarre. Inoltre, già in Cartesio si era fatta avanti l’idea di una «matematica universale» come scienza delle relazioni, che doveva andare al di là della matematica tradizionale e riguardare semmai principi generali della ragione umana e un metodo per la conoscenza.

Leibniz e la logica matematica

L’atomismo concettuale

Il metodo dell’analisi

Verità come calcolo

L’arte caratteristica universale

Il metodo dell’arte caratteristica

Caratteristica universale come sapere universale e ordinato

Leibniz pone le basi per quella che sarà la futura logica matematica cercando di ricondurre le regole logiche – come quelle dei sillogismi – a relazioni numeriche, sulla base dell’operazione preliminare di utilizzare simboli come lettere e numeri per esprimere i concetti e le loro combinazioni, ossia le proposizioni. Sullo sfondo delle analisi e costruzioni logiche di Leibniz c’è un’idea relativa alla struttura sia del pensiero che della realtà che si può chiamare atomismo concettuale: la conoscenza razionale può essere ricondotta, attraverso l’analisi progressiva delle sue componenti, a elementi ultimi che costituiscono nozioni “primitive” semplici. Attraverso il collegamento dei concetti primitivi, in ordini diversi di complessità, si formerebbe l’universo del conoscere razionale. Così ogni proposizione complessa sarebbe il risultato della connessione – svolta tramite due sole funzioni come negazione e congiunzione – di proposizioni elementari e, parimenti, ogni proposizione elementare potrebbe essere ricondotta a concetti primitivi. La verità dei concetti primitivi scaturisce, per Leibniz, dal principio fondamentale di ogni relazione logica – ma che è anche, più in generale, un principio fondamentale della sua filosofia –, ossia quello dell’inerenza del predicato nel soggetto. Secondo questo principio è vera la proposizione affermativa in cui il predicato esprime una nota, un concetto parziale contenuto nel concetto del soggetto. Il giudizio ”A è B” in realtà è formulato in base al principio di identità, ossia ha in fondo la forma “AB è B”: anche se la nota B è implicita o nascosta nel concetto A, e deve essere appunto esplicitata dall’analisi. Se qualunque verità è riconducibile alla fine a una combinatoria di nozioni primitive, allora, una volta identificate queste nozioni, sarà possibile ricavarne ogni verità, e soprattutto farlo attraverso un calcolo, che garantisca la sicurezza e la possibilità di condividere, come in matematica, i risultati raggiunti. Per fare questo bisogna però superare le ambiguità presenti nelle lingue naturali, che non consentono di impiegarle per una procedura di controllo analoga al calcolo. Questo problema può essere risolto escogitando una lingua artificiale che indichi le nozioni primitive per mezzo di segni (“caratteri”) con i quali si possa poi operare attraverso le procedure di un calcolo. Questo disegno grandioso di una «lingua nuova» basata su caratteri è il progetto di un’arte caratteristica universale, un mezzo per ordinare conoscenze e per trovarne di nuove. Il progetto di Leibniz non ha tuttavia soltanto intenti scientifici. Egli lo inserisce in una visione più generale, propria del suo modo di pensare, che mira alla promozione del bene comune e alla realizzazione della pace tra gli uomini: in essa avevano un posto centrale la diffusione del sapere a cerchie sempre più ampie di persone, la comunicazione tra comunità di scienziati, la possibilità di basarsi sul discorso razionale. L’arte caratteristica universale era concepita come il più potente strumento volto a questo fine. Trattandosi non di una lingua autonoma rispetto alla natura delle cose, ma ancorata ad essa, la caratteristica universale diventa la chiave della comprensione di tutto e sfocia tendenzialmente in un sapere universale e ordinato. Leibniz si renderà conto progressivamente della difficoltà non soltanto dell’impresa in generale, ma in particolare dell’individuazione di nozioni assolutamente primitive e univoche, che risultino fondate nell’essenza delle cose.

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 287

287

06/02/12 15:30

Riterrà però, da un lato, che possa essere già un notevole risultato individuare nozioni che siano per noi concetti primitivi. E cercherà, dall’altro lato, di costruire intanto un sistema di calcolo logico come se le nozioni primitive fossero state individuate, compiendo così studi e importanti passi avanti nell’elaborazione di una logica matematica come disciplina autonoma, che saranno poi riscoperti nel Novecento.

L’ARTE CARATTERISTICA UNIVERSALE atomismo concettuale = la conoscenza può essere ridotta a idee semplici attraverso l’analisi

le proposizioni complesse sono connessioni di proposizioni semplici ottenute attraverso negazione e congiunzione

principio dell’analisi = inerenza del predicato nel soggetto

ARTE CARATTERISTICA UNIVERSALE COME NUOVA LINGUA = COMBINATORIA DI NOZIONI PRIMITIVE ATTRAVERSO IL CALCOLO

opera per analisi dal complesso al semplice e per sintesi dal semplice al complesso

La garanzia metafisica della conoscenza

Verità delle cose dal punto di vista di Dio

Dimostrazione e induzione

Verità e modalità

288

248_331_spinoza.indd 288

favorisce la diffusione del sapere e la comunicazione

supera il linguaggio naturale

è un sapere universale e ordinato

presenta difficoltà di realizzazione, ma anticipa la logica formale novecentesca

2.4.3 Tipi di verità Parlare di verità – di qualunque verità – come di inerenza del predicato al soggetto (se per inerenza si intende l’essere incluso in una nozione) comporta una concezione delle idee come qualcosa di dato obiettivamente, che non è soltanto un contenuto della mente umana. Le idee infatti, abbiamo visto, si incardinano nella mente di Dio e all’uomo spetta, in qualche modo, di riconoscerle. In questo senso tutto ciò che viene attribuito a un soggetto è già contenuto, in linea di principio, in esso: l’intera realtà è traduzione in esistenza di un mondo dei possibili in cui le idee sono già fissate e prefigurano ciò che può esistere. Leibniz è però consapevole che questo sfondo ontologico valido in linea di principio, che costituisce la garanzia metafisica della conoscenza, è vero da un punto di vista assoluto, quello appunto rappresentato da Dio, ma non è colto come tale dalla conoscenza umana. Dal punto di vista della ragione umana, per esempio, è difficile concepire realmente la conoscenza di concetti primi, assolutamente semplici. In ogni caso, solo una parte delle verità – quelle fondate nelle essenze – è conoscibile per l’uomo attraverso dimostrazione, ossia in modo puramente razionale, e dunque ricostruibile per mezzo di una logica combinatoria. Altre verità, che si presentano all’uomo come non necessarie, devono essere conosciute a partire dall’esperienza (sono fondate nell’esistenza), per induzione, ossia partendo dal particolare dato per risalire al generale. La riflessione leibniziana sulla natura della verità, posta in relazione con i presupposti metafisici della sua concezione delle idee, sposta ora la sua analisi in un altro ambito della logica: la riflessione sulle modalità. La logica modale è quella che si occupa di distinguere –

Il Seicento

06/02/12 15:30

Rembrandt van Rijn, Geremia prevede la distruzione di Gerusalemme, 1630. Amsterdam, Rijksmuseum.

Verità di ragione e di fatto e metodo dell’analisi

T7

Distinzione tra necessità assoluta e ipotetica

Le verità miste

e utilizzare correttamente – le proposizioni che affermano una verità necessaria da quelle che esprimono una verità solo possibile, e infine, da quelle che descrivono una verità contingente, ossia vera solo a causa di una successione di possibilità realizzate. Leibniz afferma che: 1. le verità di ragione sono necessarie: il loro opposto è impossibile e Leibniz dice che sono vere in tutti i mondi possibili; 2. le verità di fatto – egli parla anche di proposizioni esistenziali – sono contingenti: il loro opposto è possibile, ossia avrebbe potuto realizzarsi se la successione dei fatti fosse stata diversa. Solo per le verità necessarie vale il metodo dell’analisi. Va osservato però che anche le verità di fatto hanno il loro fondamento ultimo nel principio secondo cui la verità è inerenza del predicato nel soggetto: dunque in linea di principio anche un’azione storica, che conosciamo attraverso i fatti e che logicamente – ossia in base a pure relazioni tra concetti – avrebbe potuto essere altrimenti, ha tuttavia il suo fondamento nella natura del soggetto, ha una sua ragione interna. Vi è, da un lato, una necessità assoluta – detta anche «geometrica» o «metafisica»–, appunto valida in tutti i mondi possibili, dall’altro una necessità ipotetica, derivabile dall’essenza di un individuo effettivamente esistente (quell’essenza che è diventata esistenza per un decreto di Dio), che all’uomo non è dato di conoscere nella sua interezza. Così, dall’essenza di Augusto si potrebbe derivare (Dio lo può fare) che diventerà imperatore dei romani, ma all’uomo è possibile saperlo soltanto attraverso i fatti, ossia tramite l’esperienza. La nozione di un individuo (essenza) in linea di principio è completa: contiene tutto ciò che di questo individuo si può dire in relazione a tutti i predicati possibili, e include pertanto in sé una infinità di fatti. Tutte le proposizioni esistenziali sono certamente vere, ma non necessarie. Infatti, non possono essere dimostrate se non con un procedimento all’infinito, ossia mediante la scomposizione fino a fatti infiniti; cioè non possono venir dimostrate se non in base ad una completa nozione dell’individuo, che implica infiniti esistenti. La distinzione di principio tra verità di ragione e verità di fatto non esclude, inoltre, che in realtà vi siano verità “miste”, come le chiama Leibniz, che vengono ottenute in parte da premesse ricavate dall’osservazione, dai sensi, in parte da premesse puramente razionali, dedotte a priori dall’intelletto. Molte verità della scienza della natura sono di questo tipo: hanno lo stesso valore di verità di fatto.

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 289

289

06/02/12 15:30

VERITÀ DI RAGIONE E VERITÀ DI FATTO IN LEIBNIZ

SFONDO ONTOLOGICO = LE IDEE SONO CONTENUTE NELLA MENTE DIVINA ED ESISTONO DA SEMPRE

principio logico di inerenze del predicato nel soggetto

Dio deduce dal soggetto i suoi predicati

l’uomo conosce attraverso l’esperienza i predicati che appartengono a un soggetto

verita di ragione o eterne = conoscibili a priori

verità di fatto o contingenti = conoscibili a posteriori

Dio riconosce nelle cose una necessità assoluta

l’uomo riconosce nelle cose una necessità ipotetica

PER SINTETIZZARE • Che rapporto c’è tra Dio e le essenze secondo Leibniz? • Che cos’è l’atomismo concettuale e su quale principio si basa? • Qual è il rapporto tra verità di ragione e necessità secondo Leibniz?

Ogni verità ha una ragione

Relazione tra principio di ragion sufficiente e verità di fatto

290

248_331_spinoza.indd 290

2.4.4 Il principio di ragion sufficiente Bisogna considerare che vi sono due grandi principi dei nostri ragionamenti: 1. l’uno è il principio di contraddizione, secondo il quale, «di due proposizioni contraddittorie, l’una è vera e l’altra è falsa»; 2. l’altro è il principio della ragione determinante, secondo il quale «non accade mai niente senza che vi sia una causa, o almeno una ragione determinante», vale a dire qualcosa che possa servire a rendere ragione a priori del perché una data cosa è esistente piuttosto che non esistente e perché è così anziché in tutt’altro modo. Questo grande principio si applica a tutti gli eventi, e non se ne darà mai un esempio contrario. Il principio di ragione ha due aspetti: • uno logico, che afferma che «di qualunque proposizione vera è possibile trovare una ragione che la rende tale»; • uno ontologico, da cui risulta che «nulla di ciò che esiste è privo di una ragione che lo fa essere». Questo principio si traduce, per esempio, nell’ambito dei fenomeni naturali, nel principio di causa ed effetto, per il quale ogni evento ha una causa che lo determina. Il versante ontologico riguarda direttamente le verità di fatto perché le verità di ragione trovano il loro fondamento nel principio di contraddizione, ossia nella dimensione del possibile piuttosto che in quella delle esistenze. Il principio di ragion sufficiente riconduce alla fine a Dio: in Dio coincidono essenza ed esistenza, e la ricerca delle ragioni sufficienti, risalendo all’indietro, non può non terminare in una ragione ultima, e dunque in un ente che ha questo carattere.

Il Seicento

06/02/12 15:30

Ragion sufficiente e non contraddizione dipendono dal principio di analisi

Unità dei principi, unità di logica e ontologia

Chiarita la differente natura modale dei due principi, Leibniz sostiene anche che il principio di ragion sufficiente e il principio di contraddizione sono entrambi ricompresi in quello dell’inerenza del predicato nel soggetto. Leibniz parla a questo proposito di due principi che reggono i nostri ragionamenti, ossia di due principi logici della conoscenza, che però dal punto di vista ontologico si fondano entrambi sull’unità complessiva del tutto. Il principio che nulla accade senza ragione non è che un caso particolare di quello secondo cui nulla è senza ragione, ed entrambi riconducono a un ente: • in cui sia le cose che sono (verità eterne o di ragione) sia le cose che accadono (verità contingenti o di fatto) trovano il loro fondamento; • che, come abbiamo visto, ha in sé la propria ragione. Che nulla sia senza ragione può essere allora il principio che è sia a fondamento della metafisica (e conduce all’esistenza di Dio) sia a fondamento della fisica, e conduce alla ricerca delle cause, sia a fondamento dell’etica, dove si ricercano le ragioni dell’azione che non coincidono con cause efficienti.

IL PRINCIPIO DI RAGION SUFFICIENTE PRINCIPIO DELL’INERENZA DEL PREDICATO NEL SOGGETTO

principio di non contraddizione

le proprietà appartengono necessariamente a un soggetto (verità di ragione)

Dio vede che tutto ciò che accade è necessario

principio di ragion sufficiente

aspetto ontologico = nulla di ciò che esiste è privo di una ragione che lo fa essere (verità di fatto)

aspetto logico = per qualsiasi proposizione vera esiste una ragione che la rende tale

l’uomo conclude dal principio di ragione che nulla accade o esiste senza una ragione determinante

metafisica attraverso il principio di ragion sufficiente si dimostra che esiste un Ente necessario, perfettissimo e da cui ha origine il mondo

fisica dal principio di ragion sufficiente discende che ogni cosa ha una causa

etica dal principio di ragion sufficiente deriva che ogni azione ha una ragione

PER SINTETIZZARE • Che cosa è il principio di ragion sufficiente? • Che cosa ci permette di dimostrare il principio di ragion sufficiente? • Perché secondo Leibniz logica e ontologia sono unite?

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 291

291

06/02/12 15:30

2.5 Sostanza e mondo FILOSOFI A CONFRONTO

Attraverso le distinzioni tra verità di ragione e verità di fatto, tra necessità assoluta e necessità ipotetica, tra sfera determinata dal principio di non contraddizione e sfera retta dal principio di ragion sufficiente Leibniz sfugge alla rigida identificazione tra piano ontologico e piano logico che caratterizzava il sistema spinoziano, pur mantenendo l’unità complessiva dei due ambiti, intrecciandoli e riconducendoli entrambi a Dio come garante dell’unità del mondo. Il dibattito sulla conoscibilità della sostanza

2.5.1 La sostanza individuale Principi logici e principi ontologici sono in Leibniz dunque

strettamente interconnessi. Il punto di congiunzione tra logica e ontologia è l’idea di sostanza individuale. Abbiamo visto che, per Leibniz, se ogni predicazione vera deve avere un fondamento nella natura delle cose, ad essa corrisponde una sostanza individuale che è la ragione di ogni predicato che possa essere attribuito a un soggetto. FILOSOFI A CONFRONTO

Una tesi diversa è sostenuta in quegli anni da Locke, che nel suo Saggio sull’intelletto umano argomenta contro la tradizionale nozione di sostanza, come un sostrato delle idee in cui esse sussistono e da cui risultano. Egli afferma che l’idea di sostanza è solo una supposizione, un’ipotesi di cui si può fare a meno perché non aggiunge niente alla nostra conoscenza. La sostanza come essere completo T8 Due punti di vista sulla sostanza individuale

Espressione come chiave per capire l’interconnessione delle cose

L’armonia prestabilita tra sostanze

292

248_331_spinoza.indd 292

Se vi è “qualcosa” responsabile della verità di ciò che affermiamo a proposito di un soggetto non può essere che la sua sostanza individuale, l’individuo concreto che contiene in sé tutti i predicati che possono essergli con ragione attribuiti, che in questo senso è un essere completo. Dal punto di vista della conoscenza umana eventi non logicamente necessari (gli eventi che riguardano l’esistenza di un individuo ) sono conoscibili solo quando avvengono, dunque attraverso l’esperienza. Da un punto di vista assoluto o di principio (il punto di vista di Dio) gli eventi sono, però, inscritti nel concetto completo dell’individuo e dunque conoscibili a priori (indipendentemente dall’esperienza). Questa dottrina, nei termini in cui viene enunciata da Leibniz, può essere coerentemente sostenibile soltanto se si comprende nel concetto di sostanza individuale assolutamente tutto ciò che ad essa è attribuibile. Da questa teoria della sostanza individuale scaturisce una visione allo stesso tempo prospettica e unitaria dell’universo. È il concetto di espressione, che sta alla base della teoria leibniziana della rappresentazione, a fornire anche la chiave dell’interconnessione tra le cose: la sostanza rispecchia l’universo esprimendolo, ossia attraverso le corrispondenze con tutti gli eventi dell’universo, regolate da una legge costante di relazione. Il rispecchiamento dunque non va inteso come una conoscenza sul modello di quella della mente umana. Dal momento che ogni sostanza individuale contiene l’infinità delle sue determinazioni e dunque – in una certa prospettiva – tutto l’universo, essa, si può dire, è l’universo sotto un certo punto di vista. L’accordo cui le sostanze sono tenute non è l’effetto di cause esterne, ma è l’armonia prestabilita (stabilita in origine da Dio) a determinare le relazioni reciproche tra le sostanze. Quest’accordo spiega anche la corrispondenza tra mente e corpo, che non è che un caso particolare di relazione tra sostanze, e che non va intesa come un influsso reciproco, ma come la coincidenza tra due sistemi regolati originariamente – così come due orologi si corrispondono senza agire l’uno sull’altro per un rapporto stabilito in anticipo.

Il Seicento

06/02/12 15:30

Punti metafisici o monadi

2.5.2 Le monadi come fondamento metafisico del mondo fisico Leibniz sviluppa la sua

concezione delle sostanze individuali in una costruzione teorica che coglie come costituenti ultimi di tutto ciò che esiste quelli che egli chiama punti metafisici e che in seguito indica anche come monadi (dal greco mónos, “unico”). Nella sua concezione confluiscono molte ragioni teoriche di tipo diverso, che cercano di tener conto di problemi emergenti dalla fisica come dalla matematica. Leibniz si trova di fronte, come Cartesio, alla necessità di concepire una natura fisica matematizzabile, e in cui i fenomeni sono concepiti essenzialmente come relazioni regolate, ma questo gli pone alcuni problemi cruciali. FILOSOFI A CONFRONTO

Il più importante è che, se i corpi devono essere “letti” attraverso gli strumenti della geometria – come aveva imposto Cartesio con la riduzione dello spazio fisico a spazio geometrico – l’unità che deve essere alla base dei fenomeni sembra sfuggire. I corpi estesi rischiano di dissolversi in una «polvere composta, per così dire, di soli punti»: se la materia è – come la concepiva Cartesio – estensione (ossia è definita dalle qualità geometriche di larghezza, lunghezza e profondità) essa contiene in sé una divisibilità infinita, alla quale manca ogni principio di unità. A questo si aggiunge, inoltre, la considerazione che la materia non si lascia concepire soltanto come composta da quantità, forma e moto. Leibniz dimostra che il principio cartesiano della conservazione della quantità di moto è errato, perché ciò che si conserva è in realtà la forza motrice.

Soluzione metafisica del problema della forza: la potenza attiva

La ricerca di un ente semplice, unificante e attivo

I livelli ontologici del reale

Da tutto questo Leibniz deduce che, per spiegare i fenomeni dei corpi, bisogna ricorrere a qualcosa di distinto dall’estensione, appunto il concetto di forza. Questa forza è concepita come potenza attiva – in riferimento all’«entelechia» aristotelica –, ossia come una “perfezione”, ovvero una forma (essenza), che si sviluppa dalla potenza e si traduce in atto realizzando il proprio fine interno. E dunque è vista come «forma sostanziale», termine scolastico che Leibniz usa anche come sinonimo di «anima» per indicare il principio di attività interno che caratterizza in maniera univoca un individuo – o essenza individuale – e solo lui. Leibniz concepisce un ente semplice, che stia alla base di quanto si manifesta nel mondo fisico e ne risolva alcuni paradossi, avendo tra le sue proprietà principali quella di avere «percezione» e «appetizione», ossia un principio di unificazione e un impulso, una forza. Sono questi enti immateriali che fondano le realtà fisiche, le quali sono soltanto un modo di manifestarsi di ciò che è a loro fondamento e quindi appartengono a un livello ontologico inferiore rispetto alla sostanza. Il carattere semplice, invisibile di queste sostanze le fa definire anche come «atomi di sostanza» o, come si diceva, «punti metafisici». Punti fisici, punti matematici e punti metafisici stanno in un rapporto di progressiva “rarefazione” rispetto al nostro mondo dei sensi, ma anche di progressiva fondatezza e di sempre maggior peso ontologico: 1. i punti fisici sono approssimazioni, in realtà scomponibili; 2. i punti matematici hanno un’effettiva indivisibilità ma sono solo modi, ossia proprietà di una sostanza che non esistono indipendentemente da essa; 3. solo ai punti metafisici, che sono ciò che costituisce ogni realtà fisica, spetta piena realtà. Nell’opera I principi della filosofia, poi divenuta nota come Monadologia, composta nel 1714, Leibniz parla di «monadi» come entità semplici, immutabili, diverse ognuna da ogni altra, che non possono cominciare né finire senza l’intervento divino.

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 293

293

06/02/12 15:30

PUNTI METAFISICI, MATEMATICI E FISICI ONTOLOGIA

CONOSCENZA UMANA

PUNTI METAFISICI sono il vero fondamento della realtà, ma sono immateriali

Leibniz deduce la loro esistenza e le loro caratteristiche: ente semplice, attivo, immateriale, unificante, capace di esprimersi attraverso la matematica

PUNTI MATEMATICI sono modi della sostanza, sue proprietà

conosciamo le proprietà della sostanza attraverso la matematica

PUNTI FISICI sono approssimazioni, li cogliamo come realtà frammentaria

la matematizzazione della fisica ci permette di coglierne le caratteristiche più importanti

PER SINTETIZZARE • Qual è il rapporto tra sostanza individuale e universo, secondo Leibniz? • Qual è la legge che regola i rapporti tra sostanze nell’universo di Leibniz? • Che cos’è la materia secondo Leibniz?

Gerarchia delle monadi e percezione T9 Le monadi “nude” e la materia prima

L’anima, la materia seconda e la memoria

2.5.3 Anime e spiriti Ogni sostanza individuale o monade è dotata di percezione, e rispecchia in sé l’intero universo. Ma questo avviene per lo più in un modo oscuro e confuso. Leibniz indica una gradazione progressiva di sostanze basata sulla loro capacità di rispecchiare in modo sempre più perfetto l’universo. Qualunque sostanza ha percezione, che è uno stato transitorio che implica e rappresenta una molteplicità nell’unità. Leibniz conferisce un grande spazio a questo principio vitale, anche a livelli microscopici, arrivando a considerare vitale anche il livello delle monadi “nude” o «entelechie primitive». Egli esprime in una lettera ad Arnauld la sua teoria della vita come presente in ogni parte di materia. Fin dal livello più basso, la monade comprende un lato attivo, la forza, e una potenza passiva (resistenza), che costituisce un primo livello di materia, che è in realtà un’astrazione, in quanto non è concepibile separatamente dalla monade, di cui è una componente. Le monadi di tipo superiore possiedono la sensazione, che richiede la percezione di qualcosa di distinto e soprattutto memoria, ossia una certa continuità nel percepire. Soltanto per quelle sostanze che sono in grado di conservare la percezione si può però parlare in modo pertinente di anime. FILOSOFI A CONFRONTO

In questo senso posseggono un’anima gli animali, contro la visione cartesiana che li considerava come puri meccanismi.

294

248_331_spinoza.indd 294

Il Seicento

06/02/12 15:30

L’anima razionale

Quella che Leibniz chiama sostanza corporea è una complessa organizzazione di monadi, che cooperano attraverso l’azione di una monade dominante, che finisce per costituirne il principio unificante, ciò che può fare di infinità di monadi un animale. Un secondo livello di materia è dato dal corpo organico o appunto materia seconda. Il corpo è unificato dall’anima, caratterizzata dal fatto di avere la memoria. Questa produce qualcosa di analogo alla ragione: gli animali collegano a una percezione una percezione analoga avuta in passato e si aspettano ciò che con quella era connesso. Una parte della conoscenza umana – e, secondo Leibniz, tre quarti delle azioni degli uomini – si basa su questa aspettativa del ripetersi di casi simili. Ma gli uomini sono anche capaci di ragione, ossia della conoscenza chiara e distinta – che procede a priori – di verità eterne. La sostanza individuale che è capace di ciò è un’anima razionale o spirito. FILOSOFI A CONFRONTO

Tra l’anima razionale e il suo corpo non sussiste una relazione quale quella tra due sostanze, come era in Cartesio, dal momento che la prima non è che il principio organizzativo delle sostanze (monadi) che costituiscono il corpo organico, ed è solo un caso particolare di ogni relazione tra sostanze, regolata dall’«armonia prestabilita».

Appercezione e atti riflessivi

Nelle anime razionali o spiriti alla percezione si aggiunge l’appercezione, ossia la coscienza di percepire. FILOSOFI A CONFRONTO

Cartesio e i cartesiani hanno confuso, secondo Leibniz, l’appercezione con la percezione, negando così l’esistenza di monadi di grado inferiore capaci di rappresentazione e di anime nel senso leibniziano.

Le nozioni derivanti dagli atti riflessivi

L’appercezione – quella che verrà chiamata dopo Leibniz autocoscienza – consente anche gli atti riflessivi, ossia i pensieri rivolti a ciò che è in noi. Da questi è possibile ricavare non solo l’idea di un Io, ma concetti fondamentali che scaturiscono «pensando se stessi», come l’essere, la sostanza, il semplice e il composto, l’immateriale, Dio. L’anima intelligente, inoltre, ha una sussistenza metafisica maggiore delle altre anime; riconoscendosi come Io costituisce l’identità personale e con essa anche la responsabilità morale. Conservando il «fondamento della conoscenza di ciò che sono» le anime intelligenti sono, infatti, tenute a rendere conto delle loro azioni, ed entrano così in un ordine diverso, in cui castigo e ricompensa hanno un senso.

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 295

Gerrit von Hontorst, Orfeo, 1614-1616. Napoli, Museo dell’Appartamento Storico del Palazzo Reale.

295

06/02/12 15:30

LA GERARCHIA DELLE MONADI

ogni ente superiore ha in sé le caratteristiche di quelli inferiori

GERARCHIA ONTOLOGICA

GERARCHIA DEI GRADI DI CONOSCENZA

monadi “nude” o entelechie primitive = la sostanza semplice come centro di attività

percezioni insensibili: percezioni prive di coscienza e di memoria

anime = composizioni di monadi semplici; tra esse ci sono gli animali: composizioni di monadi unificate (corpo organico) da una monade dominante

percezioni distinte: sensazioni + memoria, ossia una certa continuità nel percepire; possiedono una forma di ragione che le spinge ad aspettarsi il ripetersi di casi simili

anime razionali o spiriti = sono dotati di autocoscienza, di ragione (conoscenza chiara e distinta di verità eterne), di identità personale e di responsabilità morale

Autonomia della spiegazione scientifica rispetto alla metafisica

Natura come mondo dei fenomeni

ogni forma di conoscenza superiore mantiene le caratteristiche di quella inferiore

appercezione e atti riflessivi: oltre alla percezione, alla sensazione, alla memoria e alla conoscenza induttiva esse hanno l’appercezione, la conoscenza chiara e distinta, che procede a priori

2.5.4 La conoscenza e il mondo dei fenomeni La struttura razionale sottesa al mondo fisico e fondata sulle monadi garantisce un’unità e un fondamento alla conoscenza che nei modelli concettuali della scienza moderna della natura sembra sfuggire. Leibniz lascia però l’ontologia sostanzialistica, per così dire, sullo sfondo, sviluppando una conoscenza del mondo fisico che si muove secondo le linee della fisica matematica. Il riferimento alle forme sostanziali (i principi di attività spirituali) non è necessario in un primo livello di considerazione del mondo fisico, ovvero non ha alcun ruolo nella spiegazione scientifica concreta. Come dice Leibniz, le forme sostanziali «non cambiano nulla nei fenomeni». Così, si comprende che cosa sia un orologio riferendosi al suo modo di operare meccanico: è la connessione funzionale e causale delle sue parti a spiegarne la natura. Lo studio della natura conserva una sua autonomia epistemologica e in esso le cose si presentano come «fenomeni bene fondati», ossia strutture invarianti regolate da leggi, che a loro volta spiegano il molteplice presentarsi delle cose, le «apparenze». Questa dimensione ha un carattere ontologico diverso, in un certo senso più debole di quello delle sostanze. Leibniz dice anche che concetti basilari della fisica come grandezza, figura e movimento racchiudono «qualcosa di immaginario e di relativo alle nostre percezioni» per il quale si può dubitare «se si trovino effettivamente nella natura delle cose fuori di noi». FILOSOFI A CONFRONTO

Leibniz quindi considera questi concetti nello stesso modo in cui altri filosofi – Galileo, Cartesio, Locke per esempio – considerano le cosiddette «qualità secondarie» come colore o sapore.

296

248_331_spinoza.indd 296

Il Seicento

06/02/12 15:30

Le cose corporee non sono sostanze

Spazio e tempo come relazioni d’ordine tra cose

Rispetto alla conoscenza che si muove nella dimensione dei fenomeni non conta tanto il fondamento nella natura della cosa, ma l’accordo tra i soggetti conoscenti. Materia e moto non sono in sé sussistenti, ma modi di presentarsi delle sostanze alle menti. I corpi fisici in questo senso non si distinguono – né è necessario che si distinguano – da «sogni bene ordinati», che sono veri in quanto giudicati tali da tutti i soggetti secondo regolarità comuni, in tempi e luoghi diversi. È questo legame dei fenomeni tra di loro a garantire la loro realtà e la verità delle nostre proposizioni (le verità di fatto) nella nostra conoscenza concreta del mondo fisico, senza che questo significhi dissolvere la natura materiale in una semplice apparenza. Essa ha uno status ontologico diverso da quello delle forme metafisiche. Il carattere di sostanza viene negato da Leibniz non solo alle cose corporee, ma anche allo spazio (a cui Cartesio dava invece dignità di sostanza) e al tempo, che vengono ricondotti invece a relazioni: lo spazio è un ordine delle coesistenze possibili, mentre il tempo è un ordine delle successioni, ovvero delle possibilità incompatibili. FILOSOFI A CONFRONTO

In questo modo Leibniz si oppone alla visione di Newton, che concepiva spazio e tempo come entità assolute, ossia in grado di sussistere in se stesse, indipendentemente dall’esistenza di enti in relazione tra loro. Spazio e tempo assumono invece il carattere di entità ideali, relazioni d’ordine tra cose, seppure fondate anch’esse, come ogni relazione tra idee, nell’intelletto divino.

PER SINTETIZZARE • Quanti e quali sono i livelli ontologici dell’universo leibniziano? • Qual è la caratteristica delle anime razionali secondo Leibniz? • Che cosa sono i corpi, secondo Leibniz, e che rapporto hanno con le anime?

2.6 Il finalismo, Dio e i possibili, la libertà Importanza della nozione di sostanza individuale

La nozione di sostanza individuale come concetto completo non ha solo unificato e risolto il problema della connessione tra piano logico e piano ontologico, ma ha anche permesso a Leibniz di dare un fondamento metafisico alla sua fisica e di proporre una soluzione ad alcuni dei problemi legati alla matematizzazione della fisica e all’affermarsi del meccanicismo. 2.6.1 Il recupero del finalismo FILOSOFI A CONFRONTO

Nel momento in cui Leibniz riconosce l’autonomia della spiegazione meccanicistica del mondo dei fenomeni sottolinea, però, anche l’importanza fondamentale di una considerazione diversa, che tenga conto della prospettiva finalistica decisamente rifiutata da Cartesio e anche da Spinoza.

Meccanicismo e strumenti

Finalismo e progetto

Del finalismo sottolinea da un lato la compatibilità con la spiegazione meccanicistica, dall’altro la sua indispensabilità per una comprensione più profonda delle cose del mondo. La possibilità di conciliare le due prospettive è individuata nella distinzione tra progetto e strumenti. La connessione meccanica tra le cose è da paragonare agli strumenti per raggiungere un certo fine: posso propormi di deviare un corso d’acqua per irrigare un campo, e a questo fine provocare una frana con un’esplosione. Tutto ciò che avviene da un certo punto in poi è uno strumento per il mio progetto, e procede attraverso una serie di cause meccaniche. Una comprensione piena di ciò che è avvenuto è possibile tuttavia solo tenendo conto del progetto che vi stava dietro. Secondo l’esempio di Leibniz, uno storico non può compren-

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 297

297

06/02/12 15:30

Armonia tra spiegazione meccanica e spiegazione finalistica

dere la conquista di una fortezza se si limita ad analizzare la connessione degli eventi fisici; in modo simile non si comprende pienamente l’universo se non si fa riferimento a una intelligenza che conferisce ordine alle cose del mondo. L’autonomia della conoscenza dei fenomeni per via sperimentale e induttiva richiede un fondamento metafisico che conferisca una base ontologica non arbitraria a ciò che viene conosciuto. Sull’ontologia soggiacente delle forme sostanziali (la nozione di sostanza come essere completo) si può poi basare la prospettiva finalistica: le entelechie rispondono a un disegno divino, di cui la connessione causale nei fenomeni è solo espressione. La volontà di conciliare la via delle cause finali e quella delle cause efficienti è in Leibniz esplicita e programmatica. Leibniz aggiunge però un’ulteriore considerazione a favore della prospettiva finalistica: rivendica un ruolo interno alla scienza stessa. Il ricorso alle cause finali può servire a trovare delle verità, orientando la ricerca verso soluzioni che difficilmente verrebbero intraviste per la via lunga della catena delle cause, ma che devono essere “prefigurate”.

IL MONDO FISICO DI LEIBNIZ MONDO FISICO = • livello ontologico inferiore rispetto alla sostanza individuale (monadi o punti metafisici) • realtà frammentata e difficile da concepire (problemi legati alla matematizzazione della fisica)

• materia prima come resistenza alla forza = astrazione • materia seconda come corpo organico che l’anima percepisce come unità = è un fenomeno, un’apparenza, non una sostanza

CORPO ORGANICO = • relazione con l’anima regolata dall’armonia prestabilita; anima come principio unificante di una composizione di sostanze • relazioni con gli altri corpi e con se stessi che sorge dall’interno, espressione dell’armonia tra tutti i corpi

MATERIA E MOTO, SPAZIO E TEMPO = • sono modi con cui le menti rappresentano ed esprimono le relazioni e le influenze tra corpi • non sono sostanze ma soltanto fenomeni e non colgono la realtà ontologica profonda del mondo

• IL MECCANICISMO SPIEGA LA REALTÀ COME FENOMENO • IL FINALISMO SPIEGA IL PROGETTO, IL DISEGNO CHE GOVERNA IL MONDO

298

248_331_spinoza.indd 298

Il Seicento

06/02/12 15:30

Dio come ragione delle cose ed ente necessario

La prova dell’esistenza a partire dalla contingenza

La prova dell’esistenza a partire dalle essenze

L’identificazione tra ente necessario ed ente perfettissimo

2.6.2 L’esistenza di Dio Aggiungere la prospettiva dei fini a quella delle cause meccaniche

vuol dire anche chiedersi non soltanto che cosa sono le cose, domanda che può esaurirsi nell’indicazione delle condizioni per la loro produzione (degli «strumenti», nel senso che si diceva), ma perché le cose sono. Qui diventa indispensabile non soltanto il ricorso alle forme sostanziali come realtà ontologica profonda dei fenomeni, ma a Dio stesso come ragione ultima di tutto. La necessità dell’esistenza di Dio risulta da due argomentazioni. 1. Da un lato, le verità contingenti o fattuali (le esistenze) richiedono una ragione per esistere, e questa non può solo essere cercata nella serie delle cause, perché questa procede all’infinito: deve esistere pertanto una sostanza necessaria che sia fuori dalla catena delle cause, dei corpi contingenti, e questa è appunto Dio, in quanto ente sufficiente a se stesso, ovvero che ha in sé la ragione della propria esistenza. 2. Ma anche le essenze, come dimensione del possibile, richiedono che vi sia qualcosa che le fonda. Questo qualcosa è, come abbiamo visto, l’intelletto di Dio, senza il quale nulla potrebbe neanche essere possibile, così come senza la sua volontà nulla esisterebbe. Se le essenze si fondano su un ente necessario, questo deve essere l’ente nel quale l’essenza implica l’esistenza. Un ente di questo tipo – una sostanza originaria – deve contenere in sé, senza limiti, tutte le qualità positive che sono presenti nelle sostanze derivate: deve contenere quelle che Leibniz chiama «perfezioni» e, in particolare, potenza, conoscenza e volontà perfette. FILOSOFI A CONFRONTO

L’ente necessario sarà dunque onnipotente, onnisciente, sommamente buono: in questo modo Leibniz riesce ad attribuire all’ente necessario le caratteristiche del Dio-persona della tradizione cristiana, senza instaurare, come Spinoza, un legame intrinseco tra Dio e il mondo.

PER SINTETIZZARE • Qual è la differenza tra spiegazione meccanicistica e spiegazione finalistica, secondo Leibniz? • Perché, secondo Leibniz, Dio è identificabile con l’ente necessario? • Quale rapporto esiste tra le essenze che compongono un mondo possibile, secondo Leibniz?

Dio, i mondi possibili e la scelta divina

Valutazione di compossibilità e bontà divina

2.6.3 Perché le cose sono il migliore dei mondi possibili È l’esistenza di Dio che rende possibile una risposta alla prima domanda che, secondo Leibniz, il principio di ragion sufficiente ci consente di porre, e cioè alla domanda: «perché esiste qualcosa piuttosto che il nulla?». Con Dio sono dati originariamente i possibili, i modelli delle cose costituiti dalle idee. Essi esistono in quanto pensati da Dio, ma di essi Dio non dispone: il suo intelletto li contempla, non li crea. I possibili costituiscono però un campo infinito, quello di tutto ciò che è pensabile senza contraddizione, nel quale hanno spazio più mondi possibili. L’esistenza del mondo deve derivare pertanto, in quanto realizzazione di una possibilità tra molte, da una scelta divina, da un atto della sua volontà. Questa scelta, dati i caratteri di onniscienza e somma bontà di Dio, non può che essere dettata da una sorta di comparazione che Dio svolge tra tutti i mondi possibili per individuarne il migliore, da una saggezza che si spinge oltre la contemplazione per diventare creazione. Bisogna osservare che Leibniz intende conservare la libertà della volontà di Dio quando questa dà luogo all’esistenza: per questo motivo la comparazione che Dio svolge tra tutti i

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 299

299

06/02/12 15:30

Armonia come fattore determinante di scelta

L’obiezione proveniente dalla realtà del male

possibili per determinare il massimo di bene non ha il carattere di una dimostrazione. Una dimostrazione costituirebbe una necessità, alla quale Dio non potrebbe non sottostare. Se l’intelletto di Dio è vincolato ai possibili, la sua volontà però non può esserlo. Per questo Leibniz si esprime dicendo che Dio «vede» quale mondo sia il migliore. Per farlo deve considerare la compossibilità, ossia quali cose (sostanze complete individuali) siano possibili insieme. È dalla limitazione reciproca dei possibili che scaturisce un universo. Ed è la bontà di Dio a far sì che crei il migliore, non una logica a costringerlo. Ma qual è il mondo migliore tra tutti i possibili? Secondo Leibniz è quello in cui si trova il grado massimo di armonia. Le cose ottime sono quelle massimamente armoniche, così che Leibniz arriverà a dire che «l’esistere non è altro che l’essere armonico». L’armonia è data dall’unione di due fattori: semplicità e varietà. La semplicità deve essere quella delle leggi che regolano il tutto: è più semplice un universo retto da un numero minore di leggi. Il massimo di varietà o molteplicità lo ha l’universo che, come dice Leibniz, è più ricco in fenomeni ovvero ha il massimo numero possibile di essenze in relazione reciproca: potremmo dire una massima diffusione di “senso”. L’armonia è così anche l’essere aperte delle cose a una mente che le coglie, e dunque anche bellezza e fonte di piacere. 2.6.4 La teodicea Questa grandiosa visione armonica di Leibniz, costruita sulla base di

complesse speculazioni concettuali, deve fare i conti con le cose del mondo. La perfetta armonia del cosmo si scontra con la realtà drammatica della presenza del male nel mondo. FILOSOFI A CONFRONTO

Fu in particolare un filosofo, Bayle, a presentare a Leibniz il conto rappresentato dall’infelicità e dal male nel mondo, sollevando tra molte questioni anche quella della possibilità, che lui negava, di conciliare fede e ragione in rapporto all’esistenza del male.

La teodicea: la difesa della giustizia di Dio

Le forme del male

300

248_331_spinoza.indd 300

Leibniz affronta la questione in modo ampio, in quella che è stata vista come la sua opera conclusiva, i Saggi di teodicea. Il termine “teodicea”, coniato da Leibniz stesso, significa “giustizia di Dio” (dal greco theós, “Dio”, e dìke, “giustizia”), ma si riferisce in particolare alla giustificazione o difesa della giustizia di Dio in relazione al problema rappresentato dalla presenza del male nel mondo, che sembra mettere in questione o l’onnipotenza o la bontà di Dio. Perché Dio permette che nel mondo vi sia del male? Leibniz è consapevole del fatto che nel suo sistema la risposta a una simile domanda deve discendere da «ragioni ideali»: è nella regione delle verità eterne che si deve trovare l’origine del male. Leibniz distingue, secondo la tradizione, tra male fisico, male morale e male metafisico. Il male fisico è costituito dalle sofferenze, il male morale consiste nel peccato, il male metafisico nell’imperfezione delle creature. 1. La presenza del primo tipo di male, il male fisico, può essere concepita o come un castigo della colpa, oppure come un mezzo per un fine maggiore, il conseguire maggiori beni. 2. Il male morale è da Dio soltanto permesso e deriva dal male metafisico, ossia dalla limitatezza delle creature, rispetto al quale però l’intervento divino non è coinvolto direttamente. Dio è causa delle perfezioni nella natura e nelle azioni della creatura, mentre se nell’azione di questa vi sono dei difetti, questo è dovuto al fatto che gli esseri creati sono, in quanto tali, limitati. 3. Il male metafisico ha essenzialmente una natura negativa o privativa (discende dai limiti delle creature), e in questo senso non è imputabile a Dio. Ma Leibniz cerca soprattutto il senso del male, ossia una ragione tale che consenta di conciliare la presenza del male nel mondo con l’idea che quello esistente sia comunque il migliore dei mondi possibili.

Il Seicento

06/02/12 15:30

La minimizzazione del male

Giustificare il male, non tutti i mali

Ridefinizione del concetto di libertà

La libertà presuppone la contingenza

La libertà è spontaneità e piena intelligenza del bene

Distinzione tra necessità e determinazione

Le ragioni che Leibniz porta a sostegno della sua tesi sono essenzialmente due: 1. è possibile che i mali a noi conosciuti siano quasi nulla in confronto a tutti i beni che si trovano nell’universo; 2. a una prospettiva limitata può sfuggire l’essenziale, ossia il senso che può assumere il male: se vediamo di un quadro un frammento privo di compiutezza, non si è in grado di riconoscerne né il disegno né la bellezza. Così quando non si vede l’intera opera di Dio non c’è da stupirsi se non si manifesta l’ordine del tutto. Tuttavia ciò che gli è visibile, l’armonia che riesce a percepire nella parte che conosce, spinge a credere che essa verrebbe trovata anche altrove, se il tutto fosse conosciuto. Leibniz dà dunque una giustificazione alla presenza del male del mondo basata su considerazioni metafisiche – su «ragioni ideali», come afferma – e quindi una specie di sua deduzione dall’alto, per così dire; ma essa non vuole essere una compiuta giustificazione di ogni male. Dal punto di vista degli uomini, il calcolo di Dio da cui scaturisce il mondo resta senza soluzione. Piuttosto, essenziale è che sia salvata la possibilità di un mondo ottimo. 2.6.5 Il “labirinto della libertà e della necessità” Qual è il ruolo dell’agire umano nell’uni-

verso così stabilito da Dio? È evidente che in un cosmo così unitario e così ordinato una libertà imprevedibile non può avere molto spazio. Leibniz risolve quello che chiama il “labirinto della libertà e della necessità” operando una ridefinizione precisa del concetto stesso di libertà. Libertà nel senso possibile all’uomo – compatibile appunto con un universo retto da Dio, e da lui in anticipo conosciuto e predeterminato – può significare l’unione di tre aspetti. 1. Anzitutto la libertà presuppone l’esclusione della necessità logica o metafisica, quella secondo la quale un’azione è necessaria se il suo opposto è contraddittorio, logicamente impossibile. Perché vi sia libertà deve esserci contingenza (che come abbiamo visto non esclude la ragione sufficiente, dunque la determinazione, ma questa riguarda solo il mondo attuale, non ogni mondo possibile). 2. In secondo luogo, perché vi sia libertà deve esserci spontaneità, ossia la condizione che la volontà non sia determinata da nulla di estraneo ad essa. In altri termini, la volontà dell’uomo è libera quando l’agire è dettato da una volontà che sia la sua. 3. Tuttavia, perché un’azione si configuri come veramente libera è essenziale la terza condizione, che appunto molto spesso manca: una conoscenza distinta dell’oggetto della deliberazione, ossia quella che Leibniz chiama intelligenza. L’anima non soltanto deve autodeterminarsi e farlo in un contesto di assenza di necessità metafisica contraria (nel «paese dei possibili»), ma deve compiere la sua azione illuminata dalla piena comprensione del bene che rappresenta e persegue. Così Leibniz cerca di riformulare il vocabolario con cui le questioni della libertà e della necessità venivano trattate. Il concetto rigoroso di necessità viene riservato al suo senso logico-metafisico, assoluto. In ambito morale Leibniz vuole sostituire a essa il concetto di determinazione e di certezza: che qualcosa non sia necessario non significa che non sia determinato – l’azione libera è determinata da ragioni; e ciò che è conosciuto come determinato è certo. Così si può salvare, agli occhi di Leibniz, insieme la libertà umana, la predeterminazione dell’universo da parte di Dio, la presenza di una ragione in tutto ciò che avviene e di cui siamo spettatori. PER SINTETIZZARE • Qual è l’obiettivo della teodicea di Leibniz? • Quanti e quali tipi di male esistono nel mondo? • Qual è il rapporto tra libertà e contingenza, secondo Leibniz? • Qual è la differenza tra scelta determinata e scelta necessaria?

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 301

301

06/02/12 15:30

SPINOZA

SOSTANZA

Esiste un’unica sostanza, identificabile con Dio e con la Natura.

Le idee sono i modi del pensiero, tutte le idee sono menti. I corpi sono i modi dell’estensione. MENTI E CORPI

Tutti i modi sono inseriti in una necessaria catena causale all’interno del rispettivo attributo, e quindi all’interno della sostanza. Ogni corpo ha una mente o idea corrispondente e parallela e viceversa, ma non c’è interazione causale tra menti e corpi. La mente umana è inseparabile dal proprio corpo e subisce delle modificazioni interne parallelamente agli appetiti corporei. Ogni modo appartenente all’attributo pensiero.

IDEA

Ogni modo del pensiero (mente o idea) corrispondente a una parallela e simmetrica modificazione nell’attributo estensione. La rappresentazione di qualcosa. L’idea adeguata, ossia l’idea chiara e distinta di un oggetto, di un affetto, di un corpo.

LIBERTÀ

L’uomo raggiunge la libertà attraverso un’idea adeguata di sé • comprendendosi come causa adeguata delle proprie azioni • abbandonando la schiavitù delle passioni.

Dio si identifica con la sostanza. DIO

È l’ente necessario, causa di sé, che ha infinita potenza e conoscenza immediata, assoluta e necessaria di sé. La causalità divina è necessaria e libera al tempo stesso. Perde tutte le caratteristiche del Dio-persona. Tutto è necessario e non esistono né possibilità, né contingenza.

MODALITÀ

Tutto è determinato dalla natura della sostanza. Esiste solo la necessità assoluta. I concetti di possibilità e contingenza sono inadeguati.

Identificazione tra sostanza e natura. MONDO La materia-estensione è reale ed è un attributo della sostanza. La natura è determinata dalla necessità. Il meccanicismo è vero, esprime una conoscenza adeguata della natura. Rifiuto del finalismo e delle cause finali.

302

248_331_spinoza.indd 302

Il Seicento

06/02/12 15:30

LEIBNIZ

Dio.

SOSTANZA

Le sostanze individuali sono le monadi o punti metafisici. Tutte le sostanze individuali sono menti. I corpi sono fenomeni che l’anima percepisce come un tutto unitario. Armonia prestabilita tra corpi e menti: non vi è influenza reciproca, ma sono due sistemi organizzati regolati in modo da corrispondersi. È solo un caso particolare della generale armonia prestabilita tra tutte le sostanze.

MENTI E CORPI

La mente si comporta come se il corpo la influenzasse e viceversa, ma in realtà l’unica attività è quella delle sostanze immateriali.

Idee come archetipi nella mente di Dio, eterne e incerate. Idee come oggetto immediato interno e capacità di pensare una cosa.

IDEA

Nessuna traccia materiale corrisponde alle Idee. Tipi di idee come espressione di una conoscenza sempre più adeguata Libertà come espressione delle relazioni tra sostanze, che Dio sceglie ma non determina.

LIBERTÀ

Libertà come spontaneità, ossia la volontà è determinata da se stessa. È la sostanza che contiene le sostanze individuali nella propria mente. Dio è un ente necessario, la cui essenza implica l’esistenza.

DIO

Conserva le caratteristiche del Dio-persona.

La presenza di altri mondi possibili non realizzati costituisce la premessa della scelta divina, che è determinata ma non necessaria.

MODALITÀ

La necessità assoluta è quella valida in tutti i mondi possibili; la necessità ipotetica è quella relativa al mondo esistente. Il contingente è ciò il cui opposto è possibile. Mondo come insieme di esistenze compossibili. La natura è una realtà fenomenica unificata dall’attività delle monadi o punti metafisici.

MONDO

La natura è regolata da un’intima armonia. Spiegazione meccanica e spiegazione finalistica sono entrambe giustificate.

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 303

303

06/02/12 15:30

SOMMARIO 1

BARUCH SPINOZA

1 Nonostante gli attacchi violenti contro il suo sistema considerato da molti ateo, Spinoza incarna la figura dell’«ateo virtuoso». Egli in realtà non è ateo, ma propone una visione di Dio alternativa rispetto alla concezione personalistica giudaico-cristiana e una strategia di salvezza fondata sulla meditazione e la comprensione degli affetti umani. 2 Pur vivendo in Olanda, il Paese più libero e tollerante del tempo, Spinoza rimane chiuso all’interno di un circolo di pochi intimi, pubblica poco e solo in forma anonima e rifiuta ogni incarico pubblico. Egli vive una vita ritirata e prudente, dedicandosi alla libera ricerca e preservando la propria indipendenza. 3 Spinoza nella sua opera maggiore, l’Etica, sostiene, basandosi sul metodo geometrico, l’esistenza: 1. della sostanza, l’ente unico, identificato con Dio, che esiste necessariamente, ossia è causa di sé, eterno, increato, infinito e conoscibile solo a partire da sé; 2. degli attributi, ossia le qualità della sostanza, infiniti nel loro genere e infiniti di numero, tra i quali conosciamo solo il pensiero e l’estensione; 3. dei modi, ossia le cose singole, limitate nel tempo e nello spazio, dipendenti ontologicamente dalla sostanza e conoscibili solo a partire da essa. Il Dio-sostanza possiede un aspetto materiale, l’estensione, ed è immanente al mondo: in questo modo esercita una causalità necessaria e libera, ossia autodeterminata dalle leggi della propria natura, su tutta la realtà, rendendola infinita, priva di finalità, necessaria ed eterna. 4 Il Dio-sostanza è unico, ma esiste in esso una distinzione reale tra i suoi attributi, che non possono interagire causalmente. I modi dell’estensione sono i corpi mentre i modi del pensiero sono le idee: ogni corpo ha una mente o idea corrispondente e parallela. La mente umana è inseparabile dal proprio corpo e subisce delle modificazioni interne parallelamente agli appetiti corporei: a ogni azione o passione corporea corrisponde un’azione o passione mentale. La mente umana non può dominare le passioni ma, spinta dal desiderio di autoconservazione comune a tutti gli enti (conatus), è capace di unire al desiderio (cupiditas) la coscienza di esso. In questo modo realizza pienamente la propria natura umana, potenzia tutti i propri affetti positivi, legati alla laetitia o gioia, e controlla quelli negativi, legati alla tristitia o tristezza. Raggiungendo un’idea adeguata di sé, l’uomo raggiunge la libertà e la pienezza della vita. 5 La liberazione dalle passioni avviene secondo Spinoza per mezzo della conoscenza, che è divisa in vari tipi e culmina con la scienza intuitiva, che corrisponde alla conoscenza adeguata e sub specie aeternitatis del Dio-sostanza e di tutto ciò che segue dalla sua natura infinita. Il massimo livello della vita cognitiva è anche il massimo della vita etica. 6 La liberazione descritta nell’Etica è possibile solo per pochi sapienti, mentre la moltitudine si affida alla religione. Ma le lotte tra religioni hanno provocato la perdita di questo scopo: per recuperarlo si deve purificare la religione dai pregiudizi teologici; mostrare l’intima unione tra conoscenza naturale e conoscenza vera di Dio; comprendere come i riti e i dogmi non siano necessari alla salvezza e come anche i miracoli siano solo errori dell’immaginazione. 7 Spinoza ha una visione realistica dei rapporti conflittuali tra gli uomini, che seguono per lo più le passioni e non la ragione. Ma la sua è un’antropologia dinamica, in quanto si fonda sulla sua ontologia: il diritto naturale è commisurato alla potenza di ciascuno (che è un’emanazione della potenza della Sostanza-natura), per cui ognuno è spinto dal conatus verso il perfezionamento. Nello stato di natura non esiste un comportamento giusto o ingiusto di per sé. Nonostante la tendenza naturale li spinga al conflitto, gli uomini hanno anche un impulso ad associarsi, per poter realizzare meglio i propri fini: autoconservarsi e ottenere un maggior utile. Quindi per Spinoza esiste un passaggio naturale dalla situazione prepolitica all’istituzione politica in cui, attraverso il patto, le potenze individuali si compongono in un potere superiore. La forza che tiene saldo il patto è l’utilità che esso ha per i contraenti e così lo Stato deve agire in modo razionale per assicurarsi il consenso dei cittadini.

304

248_331_spinoza.indd 304

Il Seicento

06/02/12 15:30

Per questo la democrazia è la miglior forma di governo perché garantisce l’uguaglianza e la libertà di tutti di decidere su tutto; tutti mantengono libertà di opinione, di pensiero, di religione, e scienza e arti progrediscono. 2

GOTTFRIED LEIBNIZ

1 Leibniz coltiva il progetto di ripensare in armonia il sapere umano attraverso la ragione, ma la sua opera non raggiunge i risultati sistematici che si propone. 2 Leibniz è uno degli ultimi eruditi universali. Genio precoce, egli ha svolto per tutta la vita impegni diplomatici, interessandosi oltre che di filosofia, diritto, storia, scienze naturali, anche di progetti pratici. È stato uno dei maggiori matematici del suo tempo, in contatto con molti intellettuali europei e il fondatore dell’Accademia delle Scienze di Berlino. 3 L’universo leibniziano trova un elemento unificante nella nozione di rappresentazione, come espressione unitaria di una molteplicità. Ogni sostanza è dotata della capacità rappresentativa, la cui forma più bassa sono le percezioni insensibili. Le rappresentazioni o idee sono oggetti immediati interni che costituiscono una scala progressiva, per chiarezza, distinzione e adeguatezza. Per esprimere e conoscere idee complesse o catene di ragionamento l’uomo crea il linguaggio, che si fonda su un’analogia strutturale tra pensiero e cose. 4 All’origine di tutto ci sono le idee-archetipi presenti nella mente divina, i cui legami possono essere descritti attraverso la logica: componendo e scomponendo le idee e usando connessione e negazione, è possibile “calcolare” proposizioni vere. Il nuovo linguaggio capace di esprimere questo sapere regolato e ordinato è l’arte caratteristica universale. La teoria leibniziana della verità distingue poi, grazie alla riflessione sulla modalità, le verità di ragione, proprie della conoscenza di Dio, dalle verità di fatto o contingenti, dipendenti rispettivamente dal principio di non contraddizione e dal principio di ragion sufficiente, entrambi riconducibili al principio di analisi. 5 La teoria leibniziana della sostanza si incentra sulla nozione di concetto o essere completo, nella quale si uniscono il piano ontologico e quello logico. La sostanza del mondo sono le monadi o punti metafisici, enti immateriali, semplici, attivi ecc., che si compongono in gerarchie sempre più complesse al cui vertice c’è l’anima razionale. La sostanza corporea è invece solo una realtà fenomenica conoscibile attraverso la spiegazione meccanicistica della fisica moderna. 6 Il meccanicismo deve però essere coniugato con il finalismo, che descrive il progetto di Dio sul mondo. Dio è l’ente necessario e perfetto, buono, saggio, giusto ecc., che crea il migliore dei mondi possibili. Nonostante il suo razionalismo, Leibniz ammette che il male e la libertà umana non sono giustificabili pienamente, ma salva la loro possibilità attraverso la sua teodicea e la nozione di libertà come spontaneità.

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 305

305

06/02/12 15:30

LESSICO

A

Affetto. Termine derivante dal latino afficere, “provocare uno stato”. In Spinoza indica un cambiamento che interessa, dato il parallelismo, sia il corpo che la mente dell’uomo; può essere positivo, con un accrescimento della potenza, o negativo, con una sua diminuzione. Appercezione. Sinonimo di “autocoscienza” o coscienza di percepire. Secondo Leibniz, appartiene solo all’anima razionale o spirito, e permette gli atti riflessivi (pensieri rivolti a ciò che è in noi) dai quali derivano nozioni complesse come l’Io, l’essere ecc. Appetito. Termine che deriva dal latino appetere, “desiderare intensamente qualcosa”. In Spinoza, indica un intenso desiderio che richiede appagamento. Armonia. Nozione con cui Leibniz caratterizza l’unità e l’intima corrispondenza di ogni aspetto (logico, ontologico, gnoseologico, estetico ecc.) del reale. Attributo. In Spinoza, qualità della sostanza che fa parte della sua essenza, distinguibile da essa solo attraverso l’intelletto. Gli attributi sono distinti e non interagiscono causalmente. Noi ne conosciamo solo due: l’estensione (che rende Dio corporeo, ma infinito, non divisibile e non passivo) e il pensiero (l’unità di tutte le idee o menti). Azioni / Passioni. Secondo Spinoza, due tipi di affetti: l’azione è un cambiamento di cui qualcuno è causa adeguata, ossia causa accompagnata da un’idea chiara e distinta di sé all’interno della catena necessaria delle cause; la passione è un cambiamento di cui qualcuno è causa parziale, ossia accompagnata da un’idea oscura e confusa delle cause esterne e interne che lo determinano.

C

Conatus. Termine derivato dal latino conari, “tentare, sforzarsi”. In Spinoza indica lo sforzo, o potenza individuale, per autoconservarsi, comune a tutti gli individui: in questo senso include appetiti, cupidità, volizioni ecc. Concetto / Essere completo. Termini che secondo Leibniz identificano, rispettivamente, l’aspetto logico (l’insieme di tutti i predicati possibili) e quello ontologico (l’insieme di tutte le proprietà possibili) di una sostanza individuale.

Cupiditas. Termine derivato dal latino cupere, “desiderare”. In Spinoza indica un affetto accompagnato dalla sua consapevolezza; la definisce anche l’«essenza dell’uomo», che lo differenzia da tutti gli altri esseri.

E

Espressione. Termine che Leibniz usa per definire la capacità di una rappresentazione di esprimere in maniere diverse (per somiglianza, analogia, natura, arbitrio ecc.) una cosa. Essa si fonda su un sistema di corrispondenze regolare e costante.

L

Laetitia (gioia) / Tristitia (tristezza). I due affetti fondamentali e originari per Spinoza, perché legati alla potenza individuale o conato, che rispettivamente fanno aumentare o diminuire. Da essi derivano tutti gli altri affetti.

M

Modi. L’elemento più basso nell’ontologia spinoziana: tutte le modificazioni degli attributi limitate nello spazio e nel tempo da altre modificazioni e concepibili solo come dipendenti da altro e pensabili attraverso altro. Noi conosciamo solo i modi del pensiero o idee e i modi estesi o corpi. Esistono anche i modi infiniti, ossia le caratteristiche generali di tutti i modi appartenenti a un attributo: per il pensiero è l’intelletto infinito, ossia la totalità delle menti finite; per l’estensione sono il moto e la quiete.

306

248_331_spinoza.indd 306

Il Seicento

06/02/12 15:30

Monade o punto metafisico. Termine derivato dal greco mónos (“unico”) con cui Leibniz indica un ente dotato di un principio attivo, semplice, immutabile e immateriale che è il costituente ultimo di ogni sostanza individuale e che rispecchia l’intero universo. Le monadi sono organizzate in gerarchie e si strutturano in forme sempre più complesse; nelle sostanze corporee la cooperazione tra tutte è garantita da una monade dominante. Mondo possibile. Per Leibniz una totalità di essenze compossibili. Ognuno possiede proprie leggi e tutti insieme costituiscono una gerarchia continua al vertice della quale sta il migliore per semplicità e varietà.

P

Patto. Accordo tra gli individui che nella teoria del contrattualismo è all’origine dello Stato. Secondo Spinoza è la somma dei diritti naturali dei singoli, da cui scaturisce la potestà suprema dello Stato. Percezioni insensibili. Per Leibniz sono le rappresentazioni che non raggiungono la coscienza; esse costituiscono la maggior parte delle rappresentazioni delle monadi, presenti anche nell’uomo.

R

Rappresentazione. Secondo Leibniz indica tutti gli oggetti mentali, consci e inconsci, che esprimono una conoscenza attraverso l’unificazione di una molteplicità di dati. Le rappresentazioni sono di vari gradi. Ogni sostanza possiede la rappresentazione della totalità dell’universo, ma solo in Dio è completa e adeguata.

S

Stato di natura. La condizione in cui vivono gli uomini prima che si costituiscano le istituzioni politiche: in esso gli uomini sono tutti liberi e uguali. Spinoza vede una continuità tra stato di natura e società politica, poiché entrambi sono fondati sull’utile dei cittadini. Sub specie aeternitatis. È una caratteristica della suprema forma di conoscenza secondo Spinoza: la capacità di vedere ogni cosa, anche i modi, gli affetti ecc. come necessaria.

V

Verità di ragione / Verità di fatto. Secondo Leibniz le prime sono necessarie, vere in tutti i mondi possibili e conoscibili a priori; il loro opposto è impossibile; le seconde sono contingenti, vere solo in un mondo, conoscibili a posteriori; il loro opposto è possibile.

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 307

307

06/02/12 15:30

QUESTIONARIO 1

SOSTANZA, ATTRIBUTI, MODI Quali sono le caratteristiche principali della sostanza spinoziana? (max 6 righe) Che cosa sono gli attributi? Qual è il loro rapporto con la sostanza? (max 4 righe)

2

LA GERARCHIA ONTOLOGICA Quale grado occupano i modi nell’ontologia spinoziana? Di quanti tipi possono essere? (max 6 righe)

3

MENTE E CORPO IN SPINOZA Esprimi in un massimo di 6 righe le nozioni spinoziane di mente e corpo e la loro relazione reciproca.

4

GLI AFFETTI O PASSIONI Da’ una definizione della nozione di affetto, spiegando i suoi rapporti con gli attributi “pensiero” ed “estensione”. (max 4 righe)

5

LA LIBERAZIONE DALLE PASSIONI Spiega in che modo l’uomo può liberarsi dalla schiavitù delle passioni secondo Spinoza. (max 5 righe)

6

L’ERRORE SECONDO SPINOZA Quando può verificarsi un errore nella conoscenza secondo Spinoza? (max 2 righe)

7

LO SCOPO DELLA RELIGIONE Qual è lo scopo della religione secondo Spinoza? (max 2 righe)

8

L’ANTROPOLOGIA DI SPINOZA Sintetizza i tratti essenziali dell’antropologia, ossia della concezione dell’uomo, di Spinoza. (max 5 righe)

9

LA SPINTA ALL’UNIONE POLITICA Che cos’è che spinge gli uomini ad associarsi secondo Spinoza? (max 2 righe)

10

I VANTAGGI DELLA DEMOCRAZIA PER SPINOZA Perché, secondo Spinoza, la democrazia è la forma migliore di governo? (max 4 righe)

11

LA RAPPRESENTAZIONE E LA COSA IN LEIBNIZ Qual è la base del nesso rappresentativo tra una cosa e la sua idea secondo Leibniz? (max 2 righe)

12

LA LOGICA COME CALCOLO Spiega in un massimo di 4 righe la nozione della logica come calcolo elaborata da Leibniz.

13

L’ARTE CARATTERISTICA UNIVERSALE Definisci la nozione leibniziana di arte caratteristica universale e il suo rapporto con il sapere. (max 5 righe)

308

248_331_spinoza.indd 308

Il Seicento

06/02/12 15:30

14

LE FORME SOSTANZIALI Che cosa sono le forme sostanziali e quale ruolo svolgono nel mondo di Leibniz? (max 6 righe)

15

IL CONCETTO COMPLETO Definisci la nozione di concetto completo e spiega qual è il suo rapporto con il principio di analisi. (max 4 righe)

16

L’AUTONOMIA EPISTEMOLOGICA DELLA FISICA SECONDO LEIBNIZ Su che cosa si fonda l’autonomia epistemologica della fisica secondo Leibniz? (max 3 righe)

17

LE PROVE DELL’ESISTENZA DI DIO Quali sono le due argomentazioni che portano ad affermare l’esistenza di Dio secondo Leibniz? (max 6 righe)

18

I MONDI POSSIBILI Che cos’è un mondo possibile e in quale luogo dell’universo essi si trovano, secondo Leibniz? (max 4 righe)

19

LA LIBERTÀ DELL’UOMO IN LEIBNIZ Illustra il concetto di libertà leibniziano, definendone le caratteristiche. (max 5 righe)

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 309

309

06/02/12 15:30

FOC

T1

Le cose e i principi del mondo di Spinoza

US Genere, Lessico, Argomentazione

L’Etica (Ethica more geometrico demonstrata) di Spinoza è divisa in cinque parti, ognuna delle quali si apre con definizioni e assiomi: le prime riguardano cose o proprietà delle cose, i secondi relazioni tra cose. Quindi le definizioni hanno soprattutto rilievo sul piano della realtà e dell’essere, mentre gli assiomi sono sempre principi universali e astratti che valgono per tutti gli enti. L’ente a cui è dedicata principalmente questa prima parte è Dio, che nello sviluppo del testo viene identificato con l’unica sostanza e con la causa di sé, ossia l’ente necessariamente esistente. Questa caratterizzazione di Dio non è dichiarata nelle definizioni iniziali, in cui questi concetti metafisici sono presentati ancora come distinti. L’identificazione emerge progressivamente nel corso delle dimostrazioni delle varie proposizioni che compongono questa parte. Oltre a Dio, in questo primo gruppo di definizioni compaiono i concetti fondamentali dell’ontologia spinoziana: le nozioni di sostanza, attributo e modo.

DEFINIZIONI 1. Con causa di sé1 intendo ciò la cui essenza implichi l’esistenza2, ossia non possa venir concepito che come esistente3.

5

2. Si dice finita nel suo genere4 una cosa che possa venir limitata da un’altra della stessa essenza5.

Genere

Ad esempio, un corpo si dice finito perché, datone uno, se ne concepisce sempre un altro più grande. E così un pensiero é limitato da un altro pensiero. Un corpo, invece, non è limitato da un pensiero; né un pensiero da un corpo6.

Il trattato di Spinoza è costruito secondo lo schema espositivo e dimostrativo degli Elementi di Euclide.

n

L’A N T O L O G I A

n

da B. Spinoza, Etica, Parte I, Dio, a c. di S. Landucci, Laterza, Roma-Bari 2009, pp. 5-7, 18-19.

10

3. Con sostanza intendo ciò che sia in sé7; e che si concepisca per sé, ovvero il cui concetto non abbia bisogno d’essere formato a partire dal concetto di alcunché d’altro. 4. Con attributo intendo ciò che l’intelletto percepisca come costituente l’essenza d’una8 sostanza.

Lessico Sono definiti qui i principali enti dell’ontologia spinoziana.

15

5. Con modo intendo le modificazioni d’una sostanza, ovvero ciò che sia in altro9 e che mediante ciò anche venga concepito. 6. Con Dio intendo un ente che sia infinito assolutamente, ovvero una

1. Spinoza intende l’essere causa di sé in senso positivo: ciò che è origine del proprio essere ed esistere. 2. L’ente che esiste necessariamente: la definizione richiama il concetto chiave della prova a priori dell’esistenza di Dio, unendo la necessità logica con la necessità ontologica. 3. L’ultima parte della definizione fa riferi-

310

248_331_spinoza.indd 310

mento alla necessità epistemologica (autoevidenza): non possiamo concepire questo ente come non esistente. 4. Spinoza usa «genere» in senso cartesiano: ogni genere è un attributo. 5. L’insieme di proprietà che distinguono un ente. 6. Spinoza chiarisce subito in questa definizione che cosa sono gli enti finiti e che tra

corpi e menti non ci sono relazioni causali. 7. La sostanza è autonoma sia ontologicamente (è in sé, esiste realmente fuori dall’intelletto) che epistemologicamente (il suo concetto, l’idea che ne abbiamo, non si forma a partire da altro). 8. Una qualsiasi. Per adesso Spinoza lascia aperta la possibilità che vi siano più sostanze. 9. O in una sostanza, o in un attributo.

Il Seicento

06/02/12 15:30

sostanza che consti d’infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime un’essenza eterna e infinita. 20

Dico infinito assolutamente, e non già infinito nel suo genere10; perché di tutto ciò che sia infinito soltanto nel proprio genere si può negare un’infinità d’attributi11, mentre all’essenza di ciò che infinito lo sia assolutamente appartiene tutto quanto esprime un’essenza e non implica alcuna negazione.

25

7. Si dice libero quanto esista per la sola necessità della sua essenza e si determini ad agire da sé solo. Necessario, invece – o meglio costretto – quanto determinato da altro ad esistere e ad operare in una certa maniera. [...]

10. L’infinità che appartiene agli attributi. 11. A ogni attributo non appartengono le proprietà degli altri infiniti attributi. 12. Sia implicata: la nozione di eternità viene definita come un’inferenza logica dalla definizione dell’essenza di una cosa. 13. Sono indicati i due tipi di relazione ontologica tra gli enti: autonomia ontologica o dipendenza ontologica. 14. Sono indicati i due tipi di relazione epistemica tra gli enti: concepito in base al proprio concetto (autoevidente) o in base ad altro. 15. In questo assioma vengono definiti il principio causale sia nella forma positiva che negativa (il nulla non produce effetti). 16. Viene stabilito il principio che la vera conoscenza è conoscenza di cause. 17. Spinoza considera le cause necessarie non solo sul piano fisico, ma anche logico, assimilando la necessità causale (dipendenza, determinazione) a quella logica (implicazione). 18. Prop. 11: «Dio – e cioè una sostanza che consti di infiniti attributi, ciascuno dei quali esprima un’essenza eterna e infinita – esiste necessariamente». 19. Prop. 5: «In natura non possono darsi due o più sostanze della stessa essenza, ossia dello stesso attributo». 20. Prop. 10: «Ciascun attributo di una sostanza ha da venir concepito per sé». 21. Degli attributi.

35

40

8. Con eternità intendo l’esistenza stessa di una cosa in quanto si concepisca che essa consegua necessariamente12 dalla sua sola definizione. [...] ASSIOMI 1. Ogni cosa che esista, è o in sé o in altro13. 2. Ciò che non possa venire concepito mediante altro, ha da venir concepito per sé14. 3. Data una determinata causa, segue necessariamente un effetto; e, al contrario, se non si dia una causa determinata, è impossibile che segua alcun effetto15. 4. La conoscenza d’un effetto dipende dalla conoscenza della sua causa16, e la implica17. [...] Prop. 14. Oltre a Dio, non può darsi né può venir concepita alcun’altra sostanza.

45

50

Dim. Dal momento che Dio è un ente infinito assolutamente, del quale non può essere negato alcun attributo che esprima l’essenza della sostanza (per la Def. 6), ed esiste necessariamente (per la Prop. 1118), se oltre a Dio si desse anche una qualche altra sostanza, anche questa dovrebbe essere spiegata da qualche suo attributo, e così esisterebbero due sostanze d’uno stesso attributo; il che (per la Prop. 519) è assurdo. Perciò, oltre a Dio non può darsi e neppure può venir concepita alcun’altra sostanza [...]. Coroll. I. Ne segue chiarissimamente che Dio è unico, e cioè che (per la Def. 6) in natura non si dà che una sostanza sola, e essa è infinita assolutamente, come già mostrato nello Scolio a Prop. 1020.

55

Coroll. 2. Ne segue inoltre che una cosa estesa ed una cosa pensante sono (per l’Ass. I) o attributi di Dio oppure modificazioni di questi21.

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 311

n

30

L’A N T O L O G I A

Anche le dimostrazioni seguono la struttura di quelle della geometria euclidea.

n

Argomentazione

311

06/02/12 15:30

n

L’A N T O L O G I A

n

ANALISI DEL TESTO Guida alla lettura Le otto definizioni che aprono la prima parte dell’Etica, quella dedicata a Dio, descrivono i principali enti e concetti dell’ontologia di Spinoza: la prima definisce la causa di sé, la causa prima della realtà come l’ente necessariamente esistente e la cui esistenza è autoevidente. Questa nozione richiama il principio neoplatonico tradizionale, l’Uno, ma accentuandone l’aspetto di potenza e di origine dell’essere. Successivamente vengono definiti, nell’ordine: gli enti finiti, cioè i corpi e le menti, sottolineando che tra loro non ci può essere relazione causale; le nozioni di sostanza, attributo e modo, con termini che richiamano esplicitamente il linguaggio cartesiano; Dio come ente infinito in modo assoluto, introducendo la distinzione tra infinito in senso assoluto e infinito nel suo genere. Le ultime due definizioni riguardano le nozioni di libertà ed eternità che, come si vedrà poi nel corso dell’opera, sono entrambi attributi dell’ente necessario. Seguono poi otto assiomi, ossia i principi delle relazioni tra le cose e gli enti, di cui qui leggiamo i primi quattro relativi alla relazione ontologica (essere necessario o essere dipendente da altro); alla relazione epistemica con la verità (autoevidenza o essere concepito per derivazione da ciò che è autoevidente); al principio causale (con la riduzione della causalità alla sola causalità efficiente); alla definizione della conoscenza come conoscenza genetica o conoscenza delle cause, affermando la coincidenza tra necessità causale e necessità logica. Nel brano segue la proposizione 14, con la dimostrazione e i suoi corollari, che è quella in cui viene dimostrato che Dio e l’unica sostanza coincidono, affermando quindi la relazione di inerenza tra Dio e il mondo. Il primo corollario ribadisce l’esistenza di una sola sostanza, escludendo il dualismo cartesiano, e il secondo introduce il tema dell’estensione, ossia della corporeità di Dio.

312

248_331_spinoza.indd 312

Genere L’Etica di Spinoza è strutturata in modo geometrico, ossia utilizzando la struttura assiomatica messa in atto negli Elementi del matematico greco Euclide (IV-III secolo a.C.). Le definizioni e gli assiomi sono asserzioni autoevidenti. Le proposizioni sono invece l’equivalente dei teoremi: asserzioni da dimostrare facendo riferimento o a definizioni e assiomi o a proposizioni precedentemente dimostrate. Gli scoli sono commenti aggiunti a ulteriore chiarimento di un concetto; e, infine, i corollari sono ulteriori asserzioni vere che derivano da quelle appena dimostrate. Lessico Dalle definizioni 3, 4 e 5 è possibile dedurre le nozioni spinoziane di sostanza, attributo, modo e definire quindi i principali aspetti dell’ontologia spinoziana: l’autonomia ontologica e conoscitiva della sostanza; la finitezza e la collocazione subordinata, sia ontologicamente sia dal punto di vista conoscitivo, dei modi; il ruolo degli attributi, che si collocano in posizione intermedia tra sostanza e modi, e ciascuno dei quali rappresenta in maniera infinita una qualità dell’essenza della sostanza. Argomentazione Il procedimento argomentativo dell’Etica è modellato sulla dimostrazione della geometria euclidea: tutto ciò che è asserito (o attraverso la necessità epistemica o attraverso la dimostrazione argomentativa) può essere poi utilizzato nella costruzione delle dimostrazioni successive. Così l’argomentazione è una costruzione rigorosa, a partire da poche verità iniziali. Nell’esempio che leggiamo qui vediamo utilizzate nell’argomentazione della proposizione 14 una definizione e due proposizioni dimostrate precedentemente. Mentre le asserzioni dei corollari si basano su una definizione, una proposizione, uno scolio e uno degli assiomi.

Il Seicento

06/02/12 15:30

T2

da B. Spinoza, Epistola LVIII, in appendice a P. Cristofolini, Spinoza per tutti, Feltrinelli, Milano 1993, pp. 97-98.

Io dico che è libera quella cosa che esiste ed agisce per la sola necessità della sua natura1: è invece costretta quella che è determinata2 ad esistere e a operare in un certo e determinato modo. Per esempio, Dio esiste liberamente anche se necessariamente, poiché esiste per la sola necessità della sua natura. Allo stesso modo Dio comprende se stesso e tutte le cose in modo assolutamente libero, poiché è conseguenza3 della sola necessità della sua natura che comprenda tutto. Vedete dunque che io metto la libertà non nella libera decisione, ma nella libera necessità. Ma scendiamo alle cose create, che sono tutte determinate a esistere e a operare in un certo e determinato modo. Per intendere questo con chiarezza pensiamo a una cosa semplicissima: una pietra, per esempio, riceve in base a una causa esterna una certa quantità di moto con la quale poi, cessato l’impulso della causa esterna, continuerà necessariamente a muoversi4. Dunque questo continuare della pietra nel moto è coatto5, non perché sia necessario, ma perché deve essere definito dall’impulso della causa esterna. E quel che dico qui della pietra si deve intendere di qualunque cosa singola6, per quanto la si concepisca composta e atta a più cose: in altri termini, ciascuna cosa è necessariamente determinata da qualche causa esterna a esistere e a operare in un certo e determinato modo. Proviamo ora a pensare che la pietra, mentre comincia a muoversi, pensi, e sappia di sforzarsi, per quanto è in suo potere, di continuare il movimento. Essa a questo punto, in quanto puramente7 consapevole del proprio sforzo, che non le è indifferente, si crederà di essere perfettamente libera e di continuare nel suo moto per il semplice motivo che lo vuole. Così è fatta la famosa libertà umana, di cui tutti si vantano: consiste nel semplice fatto che gli uomini conoscono il proprio desiderio e ignorano le cause da cui sono determinati. Così il bambino crede di desiderare liberamente il latte, il ragazzo rissoso la vendetta, il pauroso la fuga; e l’ubriaco crede di dire per libera scelta cose che poi, da sobrio, vorrebbe avere taciuto; e ancora gli squilibrati, i chiacchieroni, e tanta gente del genere, credono di agire per libera scelta, e non di es-

5

10

15

20

1. Essenza. 2. Causata. 3. Segue necessariamente. 4. Concezione del moto che presuppone il principio di inerzia: un corpo persiste nello stato di moto o di quiete se non interviene una forza esterna a modificarli. 5. Necessario. 6. Modo, ente finito. 7. Esclusivamente.

25

30

6. Spinoza e Leibniz: il soggetto e il mondo

248_331_spinoza.indd 313

L’A N T O L O G I A

L’epistolario spinoziano inizia dopo la sua cacciata dalla comunità ebraica e testimonia, tra le altre cose, i rapporti tra Spinoza e un ristretto circolo di amici olandesi, a cui comunicava apertamente le sue riflessioni e i progressi delle sue opere. La consueta riservatezza di Spinoza sulle sue teorie quindi è, in queste lettere, abbandonata ed esse forniscono elementi importanti, esposti in un linguaggio chiaro e colloquiale. Il destinatario delle pagine che seguono è Giovanni Huddle, all’epoca borgomastro di Amsterdam. A lui furono indirizzate tre missive, il cui tema complessivo è «l’unità di Dio». Tutte assieme, infatti, sviluppano il principio ontologico che è alla base della prova a priori dell’esistenza di Dio come ente necessariamente esistente, ossia che l’esistenza è un attributo necessario dell’essenza divina. All’interno di questo quadro generale, in questo brano viene trattato il tema della libertà.

FOC

Argomentazione, Retorica

n

US

n

La libertà vera e la libertà fittizia

313

06/02/12 15:30

8. Universale, comune a tutti. 9. Modificazioni, sia del corpo sia della mente, tra loro contrastanti. 10. Gli affetti non seguono la ragione, che mostra ciò che è meglio.

35

sere trascinati da impulsi. E trattandosi di un pregiudizio innato8 in tutti gli uomini non è facile liberarsene. Sebbene infatti l’esperienza mostri più che a sufficienza che gli uomini di nulla sono meno capaci che di controllare i propri istinti, e che spesso, combattuti da affetti contrari9, vedono il meglio e si attengono al peggio10, si credono tuttavia liberi.

IMPARA A IMPARARE: COSTRUISCI TU L’ANALISI DEL TESTO Guida alla lettura Integra e approfondisci la lettura guidata, svolgendo le attività proposte. Il brano può essere suddiviso in quattro parti. Il brano inizia con una definizione di libertà (righe 1-10), del tutto simile a quella dell’Etica. Spinoza poi la chiarisce con degli esempi che fanno distinzione tra un ente libero e un ente non libero. 1. Qual è l’ente libero e che caratteristiche ha? ...........................................................................................................................................................................................................................................................

n

L’A N T O L O G I A

n

...........................................................................................................................................................................................................................................................

Segue poi una seconda parte (righe 11-20) in cui, attraverso un esempio e un riferimento ai principi della fisica del moto, descrive la realtà degli enti non liberi, coatti. 2. A quale principio del moto fa riferimento Spinoza? ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

Nella terza parte (righe 21-33) Spinoza affronta il tema della libertà dell’essere umano, inserendolo tra gli enti finiti e quindi non liberi. 3. Qual è l’errore di giudizio che fa sì che gli uomini credano nella propria libertà? ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

Infine (righe 34-38) Spinoza spiega qual è la causa che rende questo pregiudizio così radicato nella mente umana. 4. Qual è l’ostacolo maggiore alla consapevolezza umana? ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

Argomentazione Quale procedimento argomentativo utilizza Spinoza per definire e dimostrare la natura della libertà? Ti sembra che ci siano somiglianze con quello utilizzato nell’Etica? E se sì, quali? ........................................................................................................................................................................................................................................................... ...........................................................................................................................................................................................................................................................

314

248_331_spinoza.indd 314

Il Seicento

06/02/12 15:30

Retorica L’analogia tra uomo e pietra può sembrare paradossale, ma Spinoza la costruisce sul fatto che tra i due enti sussistono delle somiglianze dal punto di vista ontologico. Quali sono le somiglianze che gli permettono di servirsi di questo strumento retorico? ......................................