La Somma Teologica. Vita e operazioni di Dio [Vol. 2] [PDF]

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Zitiervorschau

S. TOMMASO D'AQUINO

LA SOMMA TEOLOGICA TRADUZIONE E COMMENTO A CURA DEI DOMENICANI ITALIANI TESTO LATINO DELL'EDIZIONE LEONINA II

VITA E OPERAZIONI DI DIO (I, qq. 14- 26)

Edizioni Studio Domenicano della Provincia Domenicana Utriusque Lombardiae

TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

© 1992 - PDUL Edizioni Studio Domenicano Via dell'Osservanza 72 - 40136 Bologna - ITALIA - Te!. 051/582034 Finito di stampare nel mese di maggio 1992 presso le Grafiche Dehoniane - Bologna

VITA E OPERAZIONI DI DIO (I, qq. 14-26)

VITA E OPERAZIONI DI DIO (I, qq. 14- 26)

TRADUZIONE del P. Antonino Balducci O. P. INTRODUZIONE E NOTE del P. Marcolino Daffara O. P.

INTRODUZIONE I I principii della scienza teologica. 1 - Come appare dal prospetto, questo volume contiene questioni tra le più vitali e importanti della teologia. Ci sia lecito premettere alcune considerazioni per aiutare il lettore volenteroso a penetrare nello spirito della teologia di S. Tommaso. Quel che diremo non sarà che lo sviluppo un po' più ampio di quanto si è accennato nella Introduzione del volume precedente (cfr. n. 20 ss.); insistendo sul valore perenne delle soluzioni, che il nostro Dottore ha dato in modo strettamente unitario ai problemi teologici fondamentali. Notavamo nella suddetta Introduzione, l'importanza che hanno, in tutta la sintesi tomista, i cinque attributi divini, a cui concludono le cinquF? vie. Quegli attributi vengono poi subito condensati nel concetto più semplice e più ricco di Dio come Essere per sè sussistente (q. 3, a. 4) : concetto che subito diviene fondamentalissimo nella speculazione di S. Tommaso. Esso illumina, si può dire, tutte le questioni più importanti della teologia e dà unità alla speculazione di S. Tommaso. È questo appunto che ci prefiggiamo di mettere brevemente in rilievo in questa Introduzione. Anzitutto non è inutile ricordare che la consistenza delle tesi insegnate nella teologia, sia nel sistema di S. Tommaso sia in qualsiasi altro sistema, è data dalle tonti proprie della teologia: vale a dire dalla sacra Scrittura, dalla tradizione apo~itolica, dalle definizioni della Chiesa. La teologia infatti argomenta partendo dalla dottrina esplicitamente rivelata, secondo che ci è manifestata nell'insegnamento della Chiesa; dottrina, a cui si aderisce con un atto di fede (vedi q. i, a. 8, ad 2; Introd., n. 7 ss.). Non sono propriamente i ragionamenti desunti dalla filosofia e dalle scienze profane, che stabiliscono, per il teologo, la verità di una tesi qualsiasi ; ma la scoperta del nesso che la lega con una verità esplicitamente rivelata. Nessuna dottrina insegnata in teologia, è teologia se non è

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illuminata dalla rivelazione divina. Quelle che la rivelazione non illumina, almeno di riflesso, possono tutt'al più considerarsi come semplici opinioni d1 teologi, ma non hanno la dignità di scienza. Tutti i teologi sono, in questo, d'accordo con S. Tommaso, il quale è chiarissimo, come si può vedere, p. es., in /, q. 1, a. 3; a. 5; a. 7. In quest'ultimo luogo dimostrando il nesso di tutta la teologia con le verità della fede e la sua omogeneità con esse, scrive che i principii di questa scienza sono gli articoli della fede, la quale riguarda Dio conosciuto alla luce della rivelazione; e che identico è il soggetto dei principii e del!' intera scienza, "giacchè tutta la scienza virtualmente è contenuta nei principii ". I principii essendo rivelati, bisogna concludere che tutto lo sviluppo della scienza teologica, per quanto vasto, deve rimanere entro il campo di ciò che è realmente rivelato, $ia pure in modo implicito, ed essere illuminato dalla luce della Rivelazione. La piena conoscenza di un oggetto o soggetto di scienza non è data, per noi uomini, dall'apprensione delle prime nozioni che lo manifestano alla nostra mente; ma si costituisce a poco a poco, procedendo con metodo: definendo, dividendo, raziocinando. Solo con questo paziente lavoro si dispiega davanti alla nostra mente la ricchezza di verità contenuta in un soggetto. Questo lavoro metodico costruisce la teologia (cfr. I, q. 85, a. 5). In quest'opera di penetrazione ed enucleazione del dato rivelato c'entra la mentalità, ossia la personalità scientifica, .propria del teologo. Egli porta nella costruzione del sistema, ossia nella elaborazione scientifica della dottrina rivelata, la sua cultura, il suo punto di vista personale, servendosi del concetto che ritiene centrale, massimamente comprensivo e capace di tutto ordinare e chiarire. Non si costruisce scienza teologica senza questa idea unificatrice. La quale serve da strumento per rilevare la intelligibilità dci divini misteri, per collegarli tra loro secondo la maggiore o minore principalità, per intenderne le precisazioni fatte dal magistero ecclesiastico, per dedurne la ricchezza in modo coerente, ossia in modo scientifico. Questo prezioso elemento è incluso esso stesso, o esplicitamente o come presupposto, nella rivelazione. La quale ha un senso ben determinato nella mente di Dio. E la teologia, partecipazione della scienza di Dio, appoggiata all'evidenza che dei misteri hanno Dio e i beati, cerca a suo modo di avvicinarsi a quel senso preciso e di prenderne possesso, operando a questo scopo con tutte le sue funzioni (esegetica, storica, sistematica), attenta ali' insegnamento della Chiesa e nello stesso tempo strumento prezioso di questo medesimo insegnamento. Procedendo secondo le esigenze oggettive e soggettive della ragione scientifica, la teologia è certa di seguire la linea del

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vero senso della dottrina rivelata, scoprendone il contenuto reale, sia pure formulato sotto il velo dell'analogia. Diremo che si ha scienza teologica (o teologia, senz'altro) quando si è dimostrativamente riusciti a conseguire tale certezza. Altrimenti si ha una probabilità teologica; si resta nel campo dell'opinione, che è per altro abbastanza vasto nella dottrina sacra. 2 - Nella costituzione delle tesi della teologia, lo studio scientifico delle fonti della rivelazione (l'esegesi e la storia .... ) ha il primato indiscusso. Si può chiamare teologia positiva. Ma già in questi primi passi previi, assolutamente necessari, il vero teologo è in traccia dei concetti o delle verità più comprensive, che si prestino a unificare tutto il contenuto della rivelazione secondo stretti nessi e a renderlo in tal modo più pienamente intelligibile. Perchè intendere è unificare, ossia ridurre la molteplicità delle nozioni a ciò che è più semplice e più comprensivo. La ~cienza è infatti sistema, unità di ordine intelligibile, fatta alla luce di uno o di pochi concetti comprensivi, collegati tra di loro in perfetta coerenza. Sono questi principii, che ci rendono certi non solo che la verità è quale l'affermiamo, ma che non potrebbe essere diversa. Il teologo, che cerca la intelligibilità del dato rivelato, affermerà con certezza scientifica, più o meno grande, le sue tesi, secondo che quei concetti sintetici sono in grado di illuminarle: vale a dire, secondo che le contengono realmente nella loro virtualità, salva sempre la certezza della !oro verità materiale; se sono contenute nelle fonti della dottrina sacra. Ma in questo caso (vale a dire: quando sono bensì contenute nella rivelazione, ma non illuminate dai principii) si ha propriamente conoscenza di fede, non conoscenza teologica. Questa si ha quando la conoscenza di fede è veduta in un complesso, di cui è parte viva, o come principio unificante, o come conclusione armonizzata con i principii e con le altre conclusioni. La conoscenza teologica aggiunge alla conoscenza di fede una ulteriore cognizione, che è penetrazione più profonda degli stessi veri rivelati, in quanto sono veduti propriamente come principii, cioè come illuminanti un complesso organico vasto di molte verità, anch'esse realmente contenute nella rivelazione, sebbene non in primo piano, ossia in modo esplicito. Ed è alla luce di uno o pochi concetti sintetici, massimamente comprensivi, che la mente penetra con più sicurezza il contenuto virtuale della rivelazione, scorge il nesso tra le varie verità, e ne dà una intelligibilità. più piena e più certa. La mente quando ha raggiunto la certezza che una data verità è contenuta nella rivelazione, non è paga di questo, ma vuol sapere, per quanto è possibile, per quale motivo deve essere così. B vero che la nostra ragione (anche illuminata dalla fede) è

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impari a una penetrazione dimostrativa dei misteri; ma, supposta la rivelazione di essi, e senza presumere di volerli dimostrare con argomenti razionali, è pure una grande gioia intellettuale (iucundissimum est, scrive S. Tommaso) penetrarne i reconditi motivi e scoprirne la sorprendente armonia con le verità accessibili alla ragione (cfr. 1 Cont. Gent., cc. 8, 5; 4, c. i). L'analogia con le verità di ordine naturale è una fonte di intelligibilità dei misteri, come nota espressamente il Concilio Vaticano (cfr. DENZ, 1796); ma ancor più i misteri si illuminano vicendevolmente, pur nella loro, per noi invincibile, fondamentale oscurità, per il nesso che li lega tra loro e col fine ultimo dell'uomo, come dice lo stesso Concilio (ivi). La teologia non è completa e degna del nome di scienza e di sapienza, se nella via inventionis (ordine sintetico) non scruta diligentemente le fonti della rivelazione per rilevarne il preciso contt>nuto, unificarlo sotto verità più fondamentali e più comprensive; e se nella via iudicii (ordine analitico) non procede a indicare, in quelle verità più fondamentali, la ragione intrinseca che rende intelligibile (per quanto è a noi possibile) la molteplicità delle dottrine che la parola di Dio contiene. Sono due le questioni che riassumono, secondo l'esigenza della nostra mente, il processo di ogni scienza. Per sapere bisoi:ma conoscere della n·altà studiata: an sit e quid aut quomodo sit. Trattandosi della teologia, nella prima questione, nota S. Tommaso, l'autorità ha il primato ; ma nella seconda questione "bisogna appogg'iarsi a ragioni scrutanti la radice della verità, che fanno conoscere in che modo è vero ciò che si insegna; altrimenti, se il maestro determina la questione con soli argomenti di autorità, il discepolo acquisterà certezza che è così; ma non acquisterà nè scienza nè intP-lligenza e se ne andrà vuoto» (Quodl., 4, q. 9, a. 3).

II I principii sintetici della Teologia di S. Tommaso nelle questioni concernenti la scienza di Dio.

3 - J principii sintetici del tomismo furono messi in evidenza da studiosi di primo piano. Il P. Norberto Del Prado O. P. scrisse un solido volume. in cui mostra come i concetti di Essere per sè sussistente (atto puro) e di essere per partecipazione (atto misto di potenza) sono l'anima della filosofia e della teologia tomista. Dal vertice di questi due concetti S. Tommaso unifica la sua visione teologica. Essi sono lo sbocco delle cinque vie, il condensamento delle attualità contenute nei cinque attributi, a cui le cinque vie terminano immediatamente.

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Queste cose le abbiamo già accennate nell'Introduzione al volume precedente. Ma qui le richiamiamo per rilevare, in luce più viva, come questi medesimi concetti dànno unità e intelligibilità alle questioni importantissime trattate in questo volume. Sono gli attributi riguardanti l'attività di Dio, come contradistinti dagli attributi riguardanti l'essere di Dio, studiati nel precedente volume. La questione concernente la scienza di Dio con i suoi 16 articoli (q. 14), e le questioni annesse circa le idee divine (q. 15), circa la natura della verità (q. 16) e della falsità (q. 17), portano una esauriente luce su tale argomento. La scienza di Dio non è che l'atto puro del suo stesso essere, sommamente immateriale e pertanto sommamente conoscitivo (a. 1 e a. 4). In questa infinita attualità di comprensione di sè non è possibile concepire complessità di soggetto-oggetto-atto conoscitivo (a. 2). In se stesso Dio conosce tutte le altre cose, perchè tutte le cose non sono che possibili o reali partecipazioni del!' Essere per sè sussistente. Nessun ordine di cose è concepibile che non sia partecipazione da esso totalmente dipendente : per così dire, sospeso alla essenza di Dio e al suo intelletto, se si tratta di un ordine di cose possibili ; tutto sospeso inoltre al suo volere, se si tratta di un ordine in qualche modo reale. Ab aeterno Dio conosce tutte le participazioni di sè: quelle puramente possibili (scienza di semplice intelligenza) ; quelle che avranno nel tempo un'esistenza che le distingua dai puri possibili; il che non è, se non in quanto ab aeterno sa e vuole che sia così (scienza di visione). La scienza di Dio riguardo alle cose, spiega S. Tommaso, è scienza di artefice (questa è la più appropriata analogia): scienza cioè causativa delle realtà conosciute. Non e' è ordine di cose possibili, che possa concepirsi anteriore alla scienza di Dio e non dipendente da essé1 in totalità assoluta. Non c'è ordine di cose, che (ipoteticamente o assolutamente) avranno l'esistenza in una qualche zona del tempo (futuri o futuribili), se non per dipendenza dalla scienza di Dio in quanto egli decreta o vuole che ciò avven!rn (a. 8). La prima causa opera per intelletto e volontà. Non solo opera perchè è buona, ma perchè è buona di queste bontà, che sono l'intelligenza e il volere. Anzi, essendo il suo intendere null'altro che il suo essere {a. 4), le cose preesistono nel suo intendere per ciò stesso che preesistono nel suo essere; e dunque è manifesto che Dio le causa con il suo intelletto. Importante correzione del principio neoplatonico bonum est diffusivum sui, da cui poteva scaturire il panteismo, facendo della creazione una naturale espansione della natura di Dio, essendo essa null'altro che infinita bontà. Certo, risponde l'Aquinate: Dio è infinita. bontà, ma è nello stesso tempo infi-

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nita intelligenza, e le cose sono tutte precontenute nel suo intendere, che si identifica con il suo essere. Le conosce e le vuole come partecipazioni di sè, non necessarie alla sua perfezione, perchè l'Essere per sè sussistente ha in sè tutta l'attualità dell'essere, a cui pertanto nulla aggiungono gli enti per partecipazione. Li vuole, dunque, liberamente (cfr. q. 19, aa. 9-iO). 4 - Gli attributi divini: causa prima, ente necessario, sommamente ente (attributi condensati nel concetto di essere per sè sussistente o per essenza) fanno sentire anche in queste questioni della scienza di Dio la loro forza illuminante. Ammettere un qualsiasi ordine di cose possibili (futuri o futuribili) che la scienza di Dio contempla solo ma non causa, sarebbe fare entrare nella sintesi di S. Tommaso un principio non solo estraneo, ma distruttivo dei supremi concetti che reggono la sua costruzione scientifica. L'Essere per sè sussistente non può essere che uno, tutte le altre cose sono enti per partecipazione, e perciò derivati e dipendenti totalmente da quello. t facile rilevare come tutte le altre questioni concernenti la scienza di Dio (" se Dio conosca i singolari ", a. ii ; " se conosca infinite cose'" a. i2; ecc.) trovano la loro soluzione nella causalità della scienza di Dio: ossia, in definitiva, nella considerazione che tutto ciò che è o può essere è partecipazione reale o possibile della essenza divina, in cui Dio tutto conosce (cfr. q. i5, a. 2). Anche la misteriosa conoscenza del male da parte di Dio è riallacciata da S. Tommaso alla sua universale causalità. " La scienza di Dio, egli scrive, non è causa del male, ma è causa del bene, per il quale il male è conosciuto" (q. 14, a. iO, ad 2) " Sebbene il male non sia opposto all'essenza divina, la quale non può essere corrotta dal male, è in contrasto, tuttavia, con le opere di Dio; opere che egli conosce, e, conoscendo le quali conosce i mali contrari " (ivi, ad 3). Nell'articolo 13 ritorna la questioni:\ sotto l'aspetto più difficile: come Dio conosca i futuri contingenti. Ma evidentemente la soluzione è già implicita nell'art. 8: La scienza di Dio è causa delle cose. Tutte le creature, anche quelle che diciamo necessarie, sono a un dato momento future e non si possono liberare dalla contingenza. t la scienza di Dio che le causa e come future e come contingenti. t bensì vero che la scienza di Dio è necessaria, ma non per questo è necessario l'effetto, che ha la sua contingenza non dalla causa prima, ma dalla causa prossima ed immediata (ad 1). Dio conobbe e volle effetti contingenti, e perciò adattò ad essi una causa operante contingentemente (q. 19, a. 8). Ma Dio appunto perchè tutto conosce nella causalità della sua essenza e della sua scienza, che è immutabile. conferisce al fu f. uro contingente la condizione ne -

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cessaria perchè sia conoscibile con certezza: la presenza davanti al suo sguardo immutabile, dal quale soltanto dipende l'esistenza delle cose (cfr. il commento del Gaetano all'art. i3,

n. 24). Il concetto, tanto comprensivo, di Essere per sè sussistente, è dunque una chiave di volta nel sistema teologico di S. Tommaso. La conoscenza divina si estende a tutte le cose, non esclusi i pensieri occulti del cuore, perchè a tutte le cose si estende la sua causalità. « lddio conoscendo la sua essenza conosce le altre cose, nello stesso modo come gli effetti sono conosciuti quando se ne conosce la causa. Egli dunque, conoscendo la sua essenza, conosce tutte le cose alle quali si estende la sua causalità. Ma questa si estende a tutte le operazioni dell' intelletto e della volontà. Infatti, siccome ciascuna cosa opera mediante la sua forma, da cui le deriva un qualche essere, bisogna che il principio fontale rii tutto l'essere, dal quale deriva pure ogni forma, sia principio di ogni operazione, poichè gli effetti delle cause seconde si riportano principalmente alle cause prime. Dio dunque conosce i pensieri e i sentimenti dell'anima» (1 Cont. Gent., c. 68, trad. di A. Puccetti O. P.).

III Gli stessi principii nelle questioni concernenti la volontà e l'amore di Dio. 5 - Le questioni riguardanti la volontà di Dio, con le due annesse circa l'amore, la misericordia e la giustizia di Dio (qq. 19-21), ricevono anch'esse luce dallo stesso principio. La volontà di Dio è lo stesso essere divino, considerato nella coesione fruitiva al proprio bene infinito, e nella tensione verso questo medesimo bene in quanto partecipabile ad altri esseri in infiniti modi. Il volere " consegue " alla conoscenza. L'essere divino è tutto volontà e amore, come è tutto conoscenza (q. 19, a. i). t tutto proteso verso di sè, perchè nessun bene esiste fuori di Dio che non sia partecipazione del bene divino. L'amore che Dio porta alle creature è l'amore che porta a se stesso, come partecipato in varia misura: è un volere ad altri la partecipazione del proprio bene. Come conoscendo se stesso conosce tutte le cose, così amando se stesso ama tutte le cose; poichè le cose preesistono in lui e non sono che partecipazioni della sua perfezione, infinitamente amata. Tutte le creature perciò sono sospese alla conoscenza e all'amore di Dio, e nulla, assolutamente, possono avere che dalla conoscenza e dall'amore di Dio non derivi. Ma il volere di Dio rispetto alle cose non è necessario in moclo assoluto. come invpce è necessario in moclo

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assoluto rispetto a se stesso. ·In altre parole Dio ama se stesso necessariamente, ma vuole le cose liberamente (q. 19, a. 3). Le opere ad extra sono libere creazioni divine. Dio non agisce fuori di sè per necessità di natura; il primo agente non può essere che una causa che conosce e sceglie i suoi fini in modo assolutamente indipendente (a. 4). Altrimenti ci sarebbe un altro essere al di sopra di lui che lo determina ai suoi finì: non sarebbe la prima causa, l'Essere per sè sussistente, dal quale derivano per partecipazione tutti gli esseri. Anche qui domina sovrano quel concetto, massimamente sintetico. L'Essere per sè sussistente non ha nè può avere in sè indeterminatezza. e contingenza, sebbene sia libero creatore delle cose. A un tale essere nobilissimo, infatti, nulla manca, e le creature nulla aggiungono, perchè l'essere rier partecipazione non può far somma con l'essere per essenza (a. 3). La perfetta completezza dell'essere e della volontà divina, e il fatto che le creature, enti per partecipazione, nulla le aggiungono, rende intelligibile il rapporto di questa volontà con le cose create come un rapporto non di necessità ma di libertà (a. 10).

Se le creature non fossero volute da lui in assoluta libertà, egli dipenderebbe da esse. C'è di certo una ragione per cui le vuole: manifestare la propria bontà, partecipandola alle singole cose e più splendidamente ali' insieme dell'universo nell'ordine mirabile che lo costituisce. In quest'ordine una cosa esiste per causa di un'altra, e a sua volta ha ragione di causa rispetto ad altre; vale a dire c'è un nesso reale tra le cose, che la scienza studia, nesso voluto da Dio. Ma la volontà di Dio non ha propriamente causa; perchè non c'è nulla di superiore a Dio, che possa influenzarlo; e sebbene egli sia tutto intellezione, l'intellezione è tuttavia identica al suo volere, e come intellettivamente concepisce l'ordine dell'universo, così 10 vuole; e come con un atto solo intuisce nel principio del! 'essere tutte le partecipazioni dell'essere, così. con un solo atto di volontà vuole il fine (manifestare la sua bontà) e tutte le creature come mezzo (per manifestarla). Perciò quell'atto è primo assoluto nell'ordine della causalità efficiente (a. 5). Volontà efficace di per se stessa, che non può essere impedita da nulla di estraneo, giacchè come nessun ente può evadere dalla forma univer5ale dell'essere, perchè cadrebbe nel nulla, così nessuna causa creata potrebbe uscire dalla efficienza divina senza cessare di essere causa (a. 6). 6 - Anche il mistero della volontà salvifica universale di Dio (cfr. 1" T1m., 2, 4) l'Angelico cerca di chiarirlo in relazione al principio della causalità universale assoluta di Dio, come spiegherà più ampiamente trattando della predestinazione (cfr. q. 23. a. 5). interpretando in modo diverso da Molina la volontà

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conseguente del Damasceno. Nè si può negare che, secondo la rivelazione e l'insegnamento ecclesiastico, proprio in questo misttJro della nostra salvezza la suprema inscrutabile causalità divina si manifesta in tutta la sua illimitata libertà. Nessun inizio di salvezza che provenga dalla creatura; nessun ordine di realtà pensabili che Dio contempli solo senza esserne in modo assoluto la causa. Alla prima causa non si può assegnare una causa. Immutabilmente essa è la fonte di tutte le realtà che nel tempo si attuano mediante il divenire. Ciò che diviene non può influi re su chi è al di fuori e al di sopra del divenire, " la cui conoscenza è misurata dalla eternità, come il suo essere; e l'eternità essendo tutta insieme chiude in sè tutti i tempi» (q. i4, a. i3), essendo causa senza contingenza e senza mutazione di tutto ciò che nel tempo diviene (q. i9, a. 7). f: causa di ciò che diviene sia necessariamente sia contingentemente; perchè anche il contingente libero è un effetto della volontà divina; sebbene in essa sia inconcepibile la contingenza. Dio è il per se necessarium, in modo assoluto; ed appunto perchè tale, rende conto dell'esistPnza di cose contingenti. Duns Scoto pensò che una certa contingenza ci sarebbe anche in Dio; e Gaetano giustamente confuta questa sua affermazione come antiteologica e antifilosofica. Ma chiunque altro sottraesse il contingente libero alla causalità divina, ossia alla sua volontà, non offenderebbe meno il valore e le conclusioni universali a cui S. Tommaso giunge nella q. 2, a. 3; poichè implicitamente viene ad affermare o che causa prima assoluta non è soltanto Dio, ma ve ne sono altre coordinate a lui (sicut duo trahentes navim =come avviene quando due tirano una nave); oppure che il contingente (l'atto umano) non può derivare che dal contingente. Il che è un ricadere nello stesso peccato, consistente, sembra, nel concepire la causalità della prima causa in modo piuttosto univoco alla causalità seconda (anzichè in modo lontanamente analoQ'o), rischiando così di nullificare la nozione di Dio. L'emin0nza della causalità divina pare che sfugga a questi autori (cfr. 1 Cont. Gent .. c. 82). Essa è la scaturigine prima dell'essere e delle differenze dell'essere; e nessun frammento di una qualsiasi realtà notrebbe esistere senza derivare da essa la sua esistenza: tanto meno potrà esistere l'atto libero, il quale è bensì la realtà più nobile di tutto l'universo, ma non esce tuttavia dalla sfera dell'ente per partecipazione. L'articolo 8 è limpido e cristallino a questo riguardo e completa in modo perfetto il senso in cui va intesa la causalità del!' Essere per sè sussistente. La contingenza, nota l'Angelico, non si spiega arrestandosi alle cause seconde, ma salendo fino alla efficacissima effidenza della volontà divina perchè, « quando una causa è [proprio] efficace nel suo operare, l'effetto la segue non solo quanto al risultato materiale, ma ne riproduce

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anche il modo nell'operare e nell'essere: così p. es., dipende da una inefficace virtù attiva del seme, se un figlio nasce non somigliante al padre nelle qualità accidentali, le quali ne costituiscono il modo di essere. Ma siccome la volontà di Dio è efficacissima, ne segue che non solo si compiano le cose che essa yuole, ma anche che si effettuino nel modo da lei voluto. Orn Dio vuole che alcune cose !'i producano necessariamente, altre in maniera contingente, affinchè vi sia ordine nelle cose per la perfezione dell'universo. Perciò ha dato ad alcuni effetti delle cause necessarie, che non possono incontrare ostacoli e dalle quali gli effetti provengono di necessità; ad altri invece ha dato cause contingenti defettibili, dalle quali gli effetti procedono in maniera contingente. Non è vero quindi che gli effetti voluti da Dio siano contingenti perchè sono contingenti le loro cause prossime; ma Dio ha predisposto loro delle cause contingenti perchè voleva che avvenissero in modo contingente» (q. 19, a. 8). Gli effetti contingenti dunque non meno che gli effetti necessari, hanno come causa prima - conoscitiva, volitiva, effettiva - Dio: cui nulla può sottrarsi appunto perchè egli è causa prima. Certo il male morale non può nè direttamente nè indirettamente essere causato da Dio, ma solo permesso. Il male morale è difetto e privazione di ordine nei riguardi del fine ultimo che è Dio stesso; è difetto insito nell'azione di chi opera, e indica in lui una radicale deficienza. Dio ama necessariamente la sua bontà e le cose in quanto hanno ordine ad essa; e non può esserci un difetto nella sua azione. Il male morale non può essere oggetto della sua volontà neppure indirettamente (a. 9). E tuttavia lo conosce nella propria efficienza, in quanto è causa di quei beni di cui il male è un accidente (q. 14, a. 10). 7 - Le tesi riguardanti l'amore di Dio si illuminano anch'esse alla luce del medesimo principio: Dio è lEssere per sè sussistente, da cui deriva ogni partecipazione di essere o di bene. Dio ama le creature rendendole partecipi dell'essere. Amare è voler del bene, ossia del! 'essere. Dio ama tutte le creature, non presupponendo il bene in esse, come facciamo noi, ma infondendo il bene che vuole alle creature; le quali sono da lui amate non perchè sono buone, ma sono buone perchè sono da lui amate (q. 20, a. 2). Il suo amore, creatore del bene, si effonde sulle cose in misura varia (a. 3) Con un atto solo, ugualmente intenso da parte sua, vuole la varietà infinita dei beni delle s11e creature; ma si dice che le creature migliori sono maggiormente da lui amate, perchè vuole ad esse un bene più grande; giacchè l'amore di Dio è alla radice di tutto il bene che le creature possiedono (a. 4). L'amore di Dio è assolutamente disinteressato. proprio perchè il bene che ne è oggetto

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nulla aggiunge alla di lui perfezione, non essendo che espansione libera di essa. Interessante è l'analisi che nel Contra Gentiles S. Tommaso fa della natura dell'amore, considerato dal basso, per dir cosi, ossia nell'analogato inferiore, per servirsene poi per chiarire alla nostra mente, legata alle cose sensibili, il mistero dell'amore divino (1, c. 9i) : « Poichè ogni essere vuole naturalmente e desidera a modo suo il proprio bene, se la natura dell'amore in cl ude che l'amante voglia o desideri il bene dell'amato, ne consegue che l'amante abbia relazione all'amato come a colui col quale forma in un certo modo una cosa sola. Così si capisce come l'essenza propria dell'amore consista in questo: che l'affetto di uno tenda nell'altro come in una cosa identica in qualche modo a se stesso; e perciò Dionigi dice (De Div. Nom., c. 4) che l'amore è una forza unitiva. Quanto dunque maggiore è ii legame per cui l'amante è una cosa sola con l'amato, tanto più intenso è l'amore. Infatti noi amiamo più quelli cui siamo uniti col legame del sangue, con la pratica della vita, o con simili legami, che quelli a cui ci unisce soltanto la comunanza umana. E inoltre quanto più intimo è nell'amante il fondamento che produce l'unione, tanto più saldo diventa l'amore. Per questo, a volte, l'amore scaturito da qualche passione diventa più intenso di quello che proviene dall'origine di natura, o da qualche abitudine; ma passa più facilmente. Or bene quel fondamento per cui tutte le cose sono unite a Dio, vale a dire la sua bontà che da tutte è imitata, è intimo e massimo in Dio, essendo egli la sua stessa bontà. Dunque in Dio vi è amore, non solo vero, ma anche perfettissimo e saldissimo .... "· "Inoltre è proprietà dell'amore spingere all'unione reciproca, come dice Dionigi; poichè a causa della somiglianza o convenienza tra l'amante e l'amato, essendo l'affetto dell'amante unito in qualche guisa all'amato, il desiderio tende alla perfezione dell'unione, cioè a questo scopo: che l'unione già principiata con l'affetto, sia compiuta nella realtà; onde è caratteristica propria degli amici il godere della vicendevole presenza, convivenza e colloqui. Ora, Dio muove tutte le cose all'unione, perchè nel dar loro l'essere e le altre perfezioni, se le unisce in quel modo che è possibile. Dunque Dio ama sè e le altre cose"· t ammirevole la profondità di questo pensiero: l'essere e ogni perfezione partecipata è una intimità divina, una vocazione all'unione con la bontà ineffabile: intimità e vocazione che è lo stesso esplicarsi della suprema causalità di Dio, il cui amore è infundens bonitatem - creatore del bene che ci vuole. Il ricchissimo concetto raggiunto sulla soglia, per così dire, della teologia, è inesauribile nella sua virtualità illuminatrice. Anche il "Deus caritas est", rivelazione commoven-

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tissima della nostra fede, inteso come espansione della bontà di Dio sommamente misericordiosa, entra ad arricchire quel concetto tanto comprensivo (cfr. q. 21, a. 4). Se ce ne fosse bisogno, resterebbe provato ancora una volta che il termine e il contenuto proprio della speculazione di S. Tommaso è ben diverso formalmente (nonostante l'identità verbale che spesso ricorre) e ben più comprensivo che il contenuto della speculazione del Filosofo, nei cui schemi sembra ad alcuni che S. Tommaso sia rinchiuso, e soffochi la dovizia della rivelazione.

IV La provvidenza e la predestinazione alla luce degli stessi principii. 8 - La stessa unità organica di pensiero va rilevata nelle altre questioni di interesse ancora più grande riguardanti la provvidenza e la predestinazione. Queste sono conseguenti all'onniscienza divina e all'amore che Dio porta alle creature, a cui volle liberamente donare l'esistenza. Le ha create per un fine, che fu ab aeterno limpidamente presente al suo pensiero. Il fine è l'ultima perfezione che le creature conseguiscono, corona di tutte le altre perfezioni. L'ordine, che è il fine intrinseco all'universo, è il bene che lo rende partecipe di una somma più grande di bontà divina. Il fine, e l'ordine al fine, di tutte le cose, preconcepito dall'eternità, è ciò che si chiama provvidenza di Dio (q. 22, a. 1). Ad essa tutte le creature in universale e in particolare sottostanno, non escluse quelle dotate di libero arbitrio. Come potrebbe essere diversamente se egli è la prima causa universalissima dell'essere? "La causalità di Dio, il quale è l'agente primo, si estende a tutti gli esseri non solo quanto ai principii della specie, ma anche quanto ai principii individuali, sia delle cose incorruttibili, sia delle cose corruttibili. Quindi è necessario che tutto ciò che in qualsiasi modo ha l'essere, sia da Dio ordinato al suo fine» (a. 2). E non per questo scompare dal mondo il fortuito e il casuale, come non scompare il contingente e il libero, essendo nel disegno stesso di Dio, che alcuni effetti siano fortuiti rispetto alle loro cause prossime. La provvidenza non elimina il fortuito e il casuale, ma lo fa essere nelle cose con l'efficacia della sua causalità. È anch'esso un modo di essere; e dunque viene dalla fonte prima dell'essere» (ad 1). Il male non è un modo di essere, ma privazione di entità e di ordine al fine. E tuttavia entra nei disegni della provvidenza

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universale per una somma maggiore di bene nel creato. :E; fatto servire a un ordine superiore pur essendo disordine (ad 2). "Sebbene il male, in quanto esce dall'agente proprio sia cosa disordinata, e sotto questo aspetto si definisca come privazione di ordine, ossia disordine, nulla impedisce che da un superiore agente sia introdotto in un ordine; ed è così che cade sotto la provvidenza,, (De Verit., q. 5, a. 4, ad 3). Nell'art. 4 ritorna ancora una volta la delicata questione riguardante i rapporti tra causa prima e cause seconde libere. La provvidenza rende forse necessario e ineluttabile tutto ciò che le è soggetto? La questione è per S. Tommaso già risolta in antecedenza (cfr. q. 19, a. 8). Dio vuole la ricchezza dell'universo che è costituita dalla molteplicità e dalla varietà degli esseri, alcuni determinati e "necessitati"· altri liberi. Proprio della provvidenza divina è governare tutte le creature secondo la loro natura conforme al disegno preconcepito. Ci sono effetti necessari, perchè Dio ha voluto e posto nell'essere cause necessarie; e ci sono effetti liberi perchè Dio ha voluto e posto nell'essere cause che operano liberamente. 9 - Rispond·~ndo a un'obiezione, limpidamente, conforme ai principii stabiliti della universale causalità dell'Ente per essenza, scioglie la difficoltà che sempre grava sulla nostra intelligenza quando si tratta dei rapporti tra l'azione di Dio e le nostre azioni libere. " Se la mente di Dio tutto ha preveduto, se la volontà di Dio tutto ha disposto, e se l'essere tutto promana da Dio come da causa prima, senza che la sua azione possa essere frustrata, come si salva la libertà delle creature?"· La risposta suona così: " effetto della divina provvidenza non è soltanto che una cosa avvenga in un modo qualsiasi; ma che avvenga in modo contingente, o necessario. Perciò quello che la divina provvidenza dispone che avvenga infallibilmente e necessariamente, avviene infallibilmente e necessariamente; quello che il piano della provvidenza diYina esige che avvenga in modo contingente, avviene in modo contingente» (q. 22, a. 4, ad i). E nelle due risposte successive ribadisce che l'ordine certo e infallibile della provvidenza, anche circa le cose contingenti, non è concepibile se non per la stessa ragione: l'efficacia della causa suprema: l'ordine della provvidenza è certo ed immobile, perchè le cose cadono sotto di essa non soltanto secondo il loro essere sostanziale, ma altresì secondo il loro proprio modo di essere. Ora contingente e necessario sono due modi di essere conseguenti all'essere come tale; quindi le cose cadono sotto l'ordine della provvidenza e secondo l'uno e secondo l'altro modo ; sicchè " avvengono tutte nel modo da Dio prefisso; cioè in modo necessario o contingente,, (ad 2). Contro la tentazione di insistere (data la difficoltà intrinseca della materia), che, pure essendo l'evento contingente, è tuttavia

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necessario che avvenga, S. Tommaso ci previene con l'invito esplicito a completare la supposizione, per non restare nell'astratto. Dio non vuole enti astratti, ma enti concreti che saranno o contingenti o necessari, perchè contingente e necessario sono modi che seguono l'ente come tale. Bisogna dunque completare quella supposizione così: «ciò che Dio ha voluto come effetto di contingenza o di libertà, infallibilmente o necessariamente avverrà come effetto di contingenza o di libertà"· Il che non è la negazione, ma l'affermazione della libertà. In Dio nulla vi è che non sia Dio stesso: nulla quindi di contingente o di fallibile. Ma proprio per questo ciò che egli ha pensato o voluto che avvenga in un determinato modo, avverrà certissimamente in quel determinato modo. E la causa prima ed universale che condiziona l'essere. E l'essere da essa causato resta nel suo piano, cioè nel piano creato, quello che è, secondo che l'ha voluto: non necessario, ma contingente; non inevitabile, ma evitabile, effetto di una causa che liberamente si è determinata, potendo determinarsi altrimenti [in senso diviso, non in senso composto, vale a dire, non mentre si determina a questo] (cfr. q. i4, a. i3, ad 3). Bisogna qui ricordare. per non moltiplicare inutilmente le questioni, che l'ordine increato, l'ordine propriamente provvidenziale, non entra in composizione con l'ordine creato. Quindi questo resta quello che è, nella sua consistenza, ente per partecipazione, tutto plasmato secondo le idee divine, ma senza che nessun elemento divino entri a costituirlo. Ha tutte e sole le proprietà che convengono alla sua natura di ente per partecipazione, collocato in un modo di essere e di operare o contingente o necessario, secondo che la causa prima ha concepito e voluto che sia (ibid.). R legittimo certo collegare l'evento con la previsione e la causalità divina, dalla quale dipende secondo tutto quello che è. E possiamo allora formare una proposizione, in cui le realtà dei due ordini entrano in composizione. Ma la composizione non è nè in Dio nè nelle cose, ma solo nella nostra mente. Allora nella nostra mente noi enunceremo una necessità ; ma non può essere che una necessità ipotetica, una necessità che consegue alla cosa in quanto esistente nella scienza di Dio, come pensata da lui, il cui atto è lo stesso suo essere, determinatissimo e immutabile. Non è un attributo della cosa creata. Il mondo, creato secondo la scienza e il volere di Dio, costituisce il mondo della indeterminazione, della contingenza, della mutabilità, della fallibilità. Questi due mondi sono distinti, separati, incommensurabili. Non bisogna confonderli. Il secondo dipende interamente dal primo e dal primo ha tutto quello che ha, necessità o contingenza. La proposizione: « se Dio ha voluto che una cosa avvenga, avverrà necessariamen-

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te'" perchè non sia un'astrazione, deve essere completata così: 11 se Dio ha voluto che una cosa avvenga come effetto di necessità, necessariamente avverrà in tal modo; se Dio ha voluto che una cosa avvenga come effetto di contingenza o di li.bertà, necessariamente avverrà in tal modo"· Contingente e necessario sono modi conseguenti l'essere in quanto tale: Dio, volendo esseri concreti, vuole o l'uno o l'altro di questi modi; e come vuole, così sarà. S. Tommaso insiste sulla causalità universale della scienza e della volontà divina, perchè è il concetto più ricco e più basilare che di Dio possiamo legittimamente formarci (cfr. q. 19, a. 6). Non è un concetto diverso dal concetto di "Essere per sè sussistente o ente per essenza»: perchè questo secondo riporta alla priorità assoluta (quella dell'essere) la priorità causale, e la rende intelligibile nella luce dell'essere che è l'oggetto proprio dell'intelletto. L'Essere per sè sussistente è la causa creatrice dell'ente per partecipazione, cioè di ogni cosa distinta da lui. 10 - Indicando la mirabile coerenza della dottrina di S. Tommaso nell'affrontarr. la soluzione di questi problemi, noi non vogliamo affermare che la questione non sia per noi piena di mistero. Menti elet.tissime, dopo S. Tommaso. lhanno detto con efficacia. L'azione di Dio è un mistero insondabile per noi, che conosciamo Dio soltanto nel riflesso delle creature, infini· tam onte distanti rla lui. Come animali notturni dinanzi alla luce del sole, noi !'.'appiamo di Dio e della sua azione quello che non è, anzichè quello che è (cfr. q. 3, Pro!.). Bisogna rassegnarsi alla nostra ignoranza; tenere energicamente la divina immutabilità, la certezza e la universalità della sua scienza e della sua azione, che non soffre ostacoli ; e tenere non meno energicamente la realtà del nostro libero arbitrio, di cui abbiamo esperienza. Non ci è dato di poter vedere come i due estremi della catena si saldino t.ra loro. La conciliazione delle due verità è certa; ma come avvenga è un mistero naturale. Non abbiamo vie che ci conducano ali' intrinseca evidenza (cfr. Gaetano, in I, q. 22, a. 4, nn. 8-9; Bossuet, Tratt. del Lib. Arb., c. 8). Nota giustamente Bossuet che la stessa predeterminazione, che è nella mente divina, rende inevitabile ciò che facciamo, nello stesso modo e nello stesso senso che lo rende inevitabile la nostra propria determinazione. Ciò che io faccio è inevitabile, dato che io lo faccio. Esprimendomi così, non faccio che formulare la legge dell'essere : ciò che è, è. Similmente, ciò che Dio predetermina nella sua provvidenza, è inevitabile, dato che egli lo predetermina. Ma esprimendomi in tal modo formulo pure, benchè indirettamente, la legge dell'essere creato, essendo Dio la fonte prima dell'essere, senza la cui determina-

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zione nulla può esistere. Sarebbe assurdo pensare che la nostra determinazione ci toglie la libertà (è anzi l'esercizio della nostra libertàl ; così non meno assurdo sarebbe il dire che ce la toglie Dio col suo decreto, movendoci conforme alla nostru natura. Come spesso ripete S. Tommaso: «Dio è causa prima, che muove alle loro azioni e le cause naturali e le cause volontarie. E come movendo le cause naturali non toglie che le loro azioni siano naturali ; così movendo le cause volontarie non impedisce che le loro azioni siano volontarie ; chè anzi questo proprio produce in esse (sed potius hoc in eis facit). Opera infatti in ogni essere conforme alle proprietà di ciascuno» (I, q. 83, a. 1, ad 3). Questo richiamo alla suprema causalità dell'Essere per sè sussistente è, dunque, costante nella teologia di S. Tommaso, essendo una chiave di volta del suo sistema. E non si può dire che sia un principio scelto ad arbitrio, un'opinione di scuola; perchè è un principio rivelato e di pieno contenuto metafisico, capace di rischiarare tutta la sintesi teologica, e darci un' intelligenza appropriata della divina rivelazione, in modo conforme alle esigenze della nostra ragione. Il principio è senza dubbio il più efficace a questo scopo, ma non giunge, nè potrebbe giungere, a illuminare il mistero se non estrinsecamente, giacchè la realtà divina è, fin che siamo viatori, impenetrabile e ineffabile. 11 - Come abbiamo già accennato, nella questione della provvidenza è implicitamente risolta anche quella della predestinazione ; la quale è la parte della divina provvidenza che ha per oggetto la cura delle creature razionali che sono la parte migliore del creato. Nessun sistema teologico ortodosso nega la predestinazione, che è verità di fede tra le più esplicite nelle fonti della divina rivelazione. Le dispute tra teologi delle diverse scuole non riguardano il fatto della predestinazione, ma il come può e deve concepirsi: se cioè essa abbia una causa: la quale non potrebbe essere se non la prescienza dei meriti (q. 23, a. 5). Giova anche su questo punto richiamare la coerenza della dottrina di S. Tommaso; coerenza che deriva dai medesimi principii su cui l'Angelico costruisce la sua sintesi. Il motivo della divergenza è facile intuirlo. Chi dice che i meriti previsti determinano la predestinazione, ragiona così : la salvezza è una ricompensa, dunque suppone il merito; come la dannazione è un castigo, ed è causata dai nostri demeriti. Dio premia chi fa il bene, castiga chi fa il male e persevera in esso. Non è questo il dramma della nostra vita morale? Quel che vale per la riprovazione che è causata dalle nostre colpe, sembra che debba valere anche per la predestinazione, la quale perciò sarebbe causata dai nostri meriti. Come credere

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che questa salvezza possa essere voluta da Dio indipendentemente dai meriti, senza tener conto di essi, per cosi dire arbitrariamente? Non è questa un 'offesa al sentimento che abbiamo della giustizia divina? Chi si sentisse nella sua coscienza offeso dalla dottrina tomistica, può rinunciarvi, notano i teologi; perchè qui, quando si è scartato il pelagianesimo e il semipelagianesimo, non è in giuoco la fede, ma la coerenza teologica. Questa proviene dai principii usati nella sintesi ; principii che non sono imposti dalla fede, ma scelti dal teologo conformemente alla fede e in armonia con la sua mentalità scientifica. I principii filosofici sono necessari alla teologia, ma non sono necessari alla fede. Sono preziosi per avere una certa intelligibilità delle dottrine rivelate, come si esprime il Concilio Vaticano; ma ciò non toglie libertà di non accettarli a quelli che non vedessero in essi un aiuto ma un ostacolo. Il P. L. Janssens O. S. B., commentando la dottrina dell'Angelico, scrive: «La sentenza che difendiamo, pensiamo dal fondo del cuore che sia la stessissima insegnata da S. Paolo, da S. Agostino, da S. Tommaso; e siamo persuasi che si misconosce l'altezza del mistero tanto fortemente raccomandato dall'Apostolo, se si accetta l'opinione che In predestinazione alla gloria, per gli adulti, non è se non in conseguenza della previsione dei meriti. Se qualcuno tuttavia per una ragione qualsiasi, stima di trovare più profitto spirituale in questa sentenza, la tenga pure in libera coscienza. B meglio conseguire la salvezza e avere una migliore corona tenendo un'opinione meno alta circa la predestinazione che risr.hiare di venir mc•no alla salvezza o di avere un premio minore tenendo un pensiero più sapiente, che tuttavia non si riesce a sopportare,, (De Deo Uno, tom. II, p. 400. Frib., iOOO). Questa lealtà è dovere. Ma detto questo si è più liberi di apprezzare nel giusto valore la sentenza di S. Tommaso. Chi non l'accetta in sostanza ragiona così: « Dio non può stabilire la ricompensa senza supporre il merito, perchè il merito è causa d8lla ricompensa». Questo ragionamento sembra evidente, ma è invece senza valore. Il merito è senza dubbio causa della ricompensa; non però causa prima, bensì causa seconda; è causa in totale sottomissione e dipendenza dalla causa prima. Si erige il merito a causa prima e se ne rende Dio stesso dipendente, quando si ritiene che egli non può agire che sotto la condizione di un'altra azione, cioè sotto la condizione della scelta e del buon uso da parte della creatura. In quest'ordine Dio cesserebbe di essere causa prima. Un assurdo. 12 - li principio assunto da S. Tommaso per la sua sintesi teologica rende intelligibile anche questa sua sentenza circa la totale gratuità della predestinazione. Per lui non ha senso pensare che la sovrana azione di Dio, agendo come causa prima

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dell'essere, possa, quanto alla predestinazione degli eletti, recare pregiudizio alla lihertà della creatura libera ed all'efficacia dei meriti. Essa è trascendente, fuori dei quadri delle cose create, al di sopra e al di fuori delle differenze dell'essere, principio fontale dell'essere e delle sue differenze. Tutto ciò che c'è nelle creature : natura, libertà, grazia, azione meritoria, - essendo ente partecipato - non potrebbe avere altra scaturigine che questa fonte. Esistono ed hanno consistenza nel loro ordine, perchè Dio Ii ha concepiti, li ha voluti, li ha tratti all'esistenza. " Egli concepisce, vuole e fa che l'uomo sia : concepisce, vuole e fa che sia libero; che agisca liberamente; che agendo liberamente e virtuosamente meriti ; che meritando sia premiato » (Sertillanges). Processo preconcepito ab aeterno interamente autonomo nel suo ordine increato, identico all 'essere divino. L'azione di Dio, esecutrice del disegno preconcepito e voluto, non si inserisce nell'ordine creato per sconvolgerlo e falsarlo ; ma è presente in ogni punto del processo, affinchè sia, e sia così come la mente lo ha concepito e la volontà lo ha voluto. La gloria, ultimo termine del processo, dovrà essere data per i meriti. Così egli ha decretato. Dunque chi è predestinato alla gloria, avrà dei meriti, che derivano come da radice dalla grazia. La grazia è dono gratuito. Più gratuita ancora è la predestinazione alla gloria, da cui dipende se avremo la grazia e i meriti. Dio vuole, diremo con S. Tommaso, che una cosa sia causa di un'altra cosa: - che il merito sia causa della ricompensa - ; ma non vuole una cosa a causa di un'altra: - non vuole la ricompensa a causa del merito - ; ma poichè ha voluto che la beatitudine sia data come premio, vuole che ci sia il merito. In un ordine pratico, ossia ordinato all'azione, è il fine che anzitutto è voluto e condiziona tutto ciò che ha ragion di mezzo. La grazia e i meriti sono dei mezzi per conseguire la gloria. Tutto questo si applica nell'ordine soprannaturale, come potrebbe applicarsi nell'ordine naturale, se ci fosse un ordine naturale a parte. Dio dona la grazia; in quest'ordine essa è il cominciamento assoluto. La grazia non è dovuta a chi non è in grazia; come non è dovuta la natura a chi non esiste secondo la natura. Al nulla nulla si deve; a chi è nulla in un determinato ordine, nulla gli si deve in quel determinato ordine; come a chi non è militare non sono dovuti i galloni di caporale, nota scherzosamente il Sertillanges. Dio all'inizio opera solo; il merito non c'è; la sua misericordia pone la radice prima del nostro essere naturale e soprannaturale, da cui poi tutto si genera. Non la pone in previsione che la creatura ponga essa qualcosa che condizioni l'azione precedente ; ma la pone affinchè ci sia tutto quello che ha deciso che ci sia. :B l'azione divina che pone virtualmente tutto, ponendo la prima radice:

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« il cui influsso permane in tutto ciò che vien dopo e vi opera con maggior efficacia, perchè una causa prima ha influssi più vigorosi (vehementius influit) che una causa seconda,, (q. 21. a. 4). Il merito vien dal buon uso della grazia; ma questo stesso buon uso non può essere senza Dio, anzi deve essere tutto riportato a Dio come a causa prima, come l'ente partecipato all'ente per essenza. La gloria, felice coronamento dell'ordine soprannaturale, non può essere sottratta all'influsso positivo e totale della causa prima, non soltanto quanto alla sostanza della cosa, ma anche quanto alla modalità del conseguimento, che è per ragione del merito; il che costituisce la perfezione squisita del dono di Dio. La distinzione che S. Tommaso fa dei due ordini, quello à'intenzione e quello di esecuzione, completa il senso di questa dottrina sotto la luce del concetto di causa prima, Essere per sè sussistente. L'ordine dell'esecuzione è il corso dei fatti, come accadono e si susseguono. In questo ordine precede la grazia, segue il buon uso di essa, che produce il merito, e quindi giunge lu gloria, di cui Dio ci pone in possesso a cagione del merito acquistato. Ma tutto questo avviene perchè, nell'ordine dell' intenzione, Dio ha deciso di darci la gloria come ricompensa. In quest'ordine la gloria tutto precede ; e siccome Dio è il primo in tutto, bisogna dire con S. Tommaso che il predestinarci alla gloria gli appartiene a titolo assolutamente indipendente. Ma ciò non toglie che, nell'ordine dei fatti, la gloria dipenda veramente dal merito acquistato, così come un atto di libertà e di natura dipende dal lihero arbitrio e dalla natura. Distinguendo i due ordini si comprende come tutto sia dalla causa prima e tutto dalla causa seconda, senza possibili confusioni; "giacchè non è distinto ciò che proviene dal libero arbitrio e ciò che proviene dalla predestinazione, come non è distinto quello che deriva dalla causa seconda da quello che deriva dalla causa prima; poichè la provvidenza, come è stato già detto, produce i suoi effetti mediante le operazioni delle cause seconde» (q. 23, a. 5). Non divisioni di compiti e interferenze tra i due ordini con mescolanze di energie (come avviene quanrlo due tirano la stessa nave), ma subordinazione totale dell'essere creato ali' Essere per sè sussistente, del finito all'infinito, senza somme o mescolanze, giacchè nulla aggiunge all'essere divino la perfezione partecipata dell'universo. Non si tratta di dividere l'essere e di darne una parte alla creatura, e una parte, sia pure la principale, a Dio; ma di lasciare a Dio il suo attributo essenziale di causa prima universale, di ente per essenza, e alla creatura il suo attributo essenziale di ente per partecipazione. Solo così si salvano le debite distanze tra Dio e il creato, senza mettere questo in concorrenza con que11o.

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cc Ricompensando i nostri meriti Dio non fa che coronare i suoi doni». Questa formula di S. Agostino riassume il senso della dottrina dell'Angelico. «Ricompensa i nostri meriti": dunque i meriti sono veramente causa a riguardo della gloria. « Non fa che coronare i suoi doni " : dunque tutto viene da Dio come da prima, inesauribile, fonte : e la natura, e la grazia, e il buon uso della grazia, e la capadtà di merito, e la perseveranza, e la gloria. La stretta coerenza di S. Tommaso non è soltanto bellezza, ma garanzia di profonda verità; e l'armonia sorprendente con i testi della sacra Scrittura, e specialmente di S. Paolo, conferisce alla sintesi tomista una solidità teologica che non si trova in altri sistemi.

V L'onnipotenza divina. 13 - Gli articoli della questione riguardante la divina potenza ci riportano alla stessa unità di concezione. La potenza di Dio è infinita, perchè il suo essere (Essere per sè sussistente) è infinito. La finitezza e il limite non convengono ali' Essrre per sè sussistente, e pertanto neppure alla sua potenza. Ogni agente infatti opera in virtù della sua forma costitutiva; l'estensione (' l'intensità della quale misura il suo poter agire. Ora la forma divina è senza misura; dunque anche il suo poter agire (q. 25, a. 2). Esso è onnipotenza (a. 3). Tutto ciò che il pensiero di Dio può concepire, la sua volontà può eleggerlo e la sua potenza può realizzarlo. Sono questi i termini ~he definiscono la potenza divina in modo assoluto. Solo la contraddizione assoluta limita la potenza di Dio. S. Tommaso trova, nel principio supremo della sua sintesi, la ragione nitida che gli permette di precisare in che senso Dio è onnipotente e di escludere le strane opinioni di coloro che sostengono (p. es., Cartesio) che Dio può realizzare l'assurdo (p. es., che il circolo sia quadrato, oppure che l'odio a Dio sia lecito). Senza dubbio Dio è la fonte della verità ed è al di sopra delle nostre categorie del possibile e dell'impossibile, quando l' impossibile si misura relativamente a una potenza attiva determinata (p. es., alla natura) ; ma se ci si eleva al concetto di possibile assoluto (ciò che ha ragion d'essere) e al concetto di impossibile assoluto (ciò che non ha nè può avere ragion d'essere: il contradditorio), allora appare impossibile l'assurdo; giacchè Dio è causa per intelletto; l'intelletto ha come oggetto l'essere: lintelletto di Dio, l'essere di Dio. La verità di Dio è l'essere di Dio arle-ruato a se stesso. Dio non può non essere

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coerente a sè, anzi è la coerenza assoluta. Il contraddittorio invece è l'incoerenza assoluta, il non essere; fuori dunque dalle possibili partecipazioni di Dio.

VI Conclusione.

Il metodo usato dall'Aquinate è remoto dal nostro modo di pensare e potrà essere molto arido per il lettore moderno. Non ha slanci poetici e formole vaghe e indeterminate, lampeggianti tuttavia di suggestioni che piacciono tanto al nostro gusto. Egli ha creduto bene, in armonia col suo secolo, di costruire un edificio tanto severo, bandendo di proposito le fughe vaghe della fantasia e di ogni arte che non fosse quella dell'austero murare. Ma sotto la forma e l'armatura medioevale, il pensiero circola limpido, robusto e sicuro. Un pensiero fecondo aperto alle indagini 8pecializzate della realtà teologica, filosofica, storica che sono conquista della speculazione moderna. Esse, nonostante qualche apparente contrasto, sono destinate a integrare e ringiovanire un pensiero che in verità, quanto agli elementi essenziali e strutturali, non è mai invecchiato.

P.

MARCOLINO DAFFARA

0. P.

CONTENUTO DEL PRESENTE VOLUME

I

I)

l'esistenza

II) la natura

~

(vedi vol. I) a) la scienza di Dio (q. U.). b) le idee (q. 15). 1) cognizione

e) la verità (q, 16). à) la falsità (q. 17).

A) Operazioni

manenti

e) la vita di Dio (q. 18).

im-

a) la volontà di Dio (q. 19).

DIO III) le operazioni

b) attributi diretti della

volontà

l

1)

l'amore di Dio (q. !BO).

!I)

la giustizia e la misericoraia (q. !1).

!I) volere

1) la divina provvidenza (q. 22). e) attributi spettanti

insieme all'intelletto I !) la predestinazione e la e alla volontà ) riprovazione (q. !3).

B) Operazioni transitive: la potenza di D10 (q. 25). C) La beatitudine di Dio (q. 16).

\ 3) il libro della vita (q. !I&).

AVVERTENZE

1. Nel testo italiano sono stati eliminati i richiami e le indicazioni delle opere citate, perchè figurano a fronte nel testo latino. Dove l'intelligibilità della frase lo richiedeva è stato inserito qualche termine o qualche espressione tra [ ], per facilitare la comprensione del testo senza ricorrere a perifrasi. Nella punteggiatura si segue ordinariamente il latino, per dare agio al lettore di controllare la traduzione e di consultare il testo originale. I richiami delle note sono tutti nel testo italiano, esse però continuano anche sotto il testo latino e talvolta nelle pagine seguenti. 2. Il testo critico latino dell'Edizione Leonina è riprodotto con la più scrupolosa fedeltà. La sola enumerazione degli articoli all'inizio della Quaestio è stata fatta senza capoversi. Manca però, nella nostra edizione, l'apparato critico. Le sole varianti di un certo interesse vengono prese in considerazione nelle note. Le citazioni, o i dati complementari delle citazioni, che l'Ed. Leonina riporta in margine, sono state inserite nel testo tra [ ]. Soltanto i versetti della Sacra Scrittura - in corsivo - figurano senza altri contrassegni. Le citazioni e i luoghi paralleli 5ono semplificati con criteri tecnici moderni. Le Opere dei SS. Padri sono citate secondo le diciture più comuni: per non infarcire troppo il testo di elementi estranei, abbiamo trascurato i titoli e le enumerazioni meno usuali. Dove i richiami sono vere correzioni del testo della Somma, vengono riportati in nota.

QUESTIONE 14 La scienza di Dio.

Esaurite le questioni spettanti la natura divina, rimane da esamir.are ciò che riguarda le sue operazioni. E poichè vi sono operazioni che rimangono nell'operante ed operazioni che passano nell'effetto esterno, prima tratteremo della scienza e della volontà (l' intendere, infatti, resta in colui che intende, e il volere in colui che vuole) ; e poi della potenza di Dio, la quale è considerata come il principio della divina operazione che passa sull'effetto esterno. E siccome, l' intendere è una maniera di vivere, d-0po l' indagine sulla scienza di Dio, dovremo trattare della vita divina. E poic.bè la scienza ha per oggetto il vero, dovremo indagare anche sulla verità e sulla falsità. Infine, poichè ogni oggetto attuale di conoscenza è nel conoscen te, e le essenze delle cose CDnsiderate come con06Ciute da Dio sono chiamate idee, bisognerà aggiungere allo studio della scienza quello delle idee. Rispetto alla scienza si pongono sedici quesiti : 1. Se in Dio vi sia scienza ; 2. Se Dio conosca se stesso ; 3. Se comprenda se stesso ; 4. Se il suo intendere sia la sua sostanza ; 5. Se oonosca le altre cose distinte da sè ; 6. Se di tali cose abbia una conosoenza appropriata; 7. Se la scienza di Dio sia raziocinativa; 8. Se la scienza di Dio sia causa delle cose ; 9. Se la scienza di Dio si estenda alle cose che non sono ; 10. Se si estenda a1 male ; 11. Se si estenda ai singolari ; 12. Se abbracci infinite cose ; 13. Se si estenda ai futuri contingenti ; 14. Se raggiunga le proposizioni ; 15. Se la scienza di Dio sia variabile ; 16. Se Dio abbia delle cose un.a scienza speculativa o pratica.

ARTICOLO 1 Se in Dio vi sia scienzL 1

SEMBRA che in Dio non vi sia sCienza. Infatti: 1. La sCienza è un abito; e questo, essendo tra la potenza e l'atto, non compete a Dio. Dunque non vi è sciooza in Dio. 1 1 11 termine actenza è preso qui nel significato di oonoscenza Intellettiva certa-. In senso più rigoroso, cioè più aderente al modo di conoscere umano, si chiama •ctenza una conoscenza la cut certezza ~ dtmostrata con un ragtonamento. 2 La scienza, in noi creature, è una disposizione Interiore e stabile dell' inteli.etto, proveniente dal ratto che esso è In possesso de! pr!nc!pli oggettivi del conoscere, In !orza de! quali l'uomo può passare all'atto di Intellezione quando vuole senza difficoltà. In no! la facoltà Intellettiva, analogamente alle altre raoo~'tà, sJ può considerare In tre st.ati: a) è dapprima In pura potenza a conoscere ; b) ma

QUAESTIO 14 De scientia Dei.

m uxdectm artlculos

dtvts4.

Post considerationem eorum quae ad divinam substantiam pertinent, restat considerandum de his quae pertinent ad operationem ipsius [cfr. q. 2, Prol.]. Et quia operatio quaedarn est quae manet in operante, quaedam vero quae procedit in exteriorem effectum, primo agemus de scientia et voluntate (nam intelligere in intelligente est, et velie in volente); et postmodum [q. 25] de potentia Dei, quae consideratur ut principium operationis divinae in effectum exteriorem procedentis. Quia vero intelligere quoddam vivere est, post considerationem divinae scientiae, considerandum erit de vita divina [q. 18). Et quia scientia verorum est, erit etiam considerandum de veritate et falsitate [q. 16]. Rursum, quia omne cogm.itum in cognoscente est, rationes autem rerum secundum quod sunt in Deo cognoscente, ideae vocantur, cum consideratione scientiae erit etiam adiungemla consideratio de ide:Ls [q. 15] Circa scientiam vero quaeruntur sexdecim. Primo: utrum in Deo sit scientia. Secundo: utrum Deus intelligat seipsum. Tertio: utrum comprehendat se. Quarto: utrurn suum intelligere sit sua substantia. Quinto: utrum intelligat alia a se. Sexto: utrum habeat de eis propriam cognitionem. Septimo: utrum scientia Dei sit discursiva. Octavo: utrum scientia Dei sit causa rerum. Nono: utrum scientia Dei sit eorum quae non sunt. Decimo: utrum sit malorum. Undecim-0: utrum sit singularium. Duodecimo: utrum sit infiuitorum. Decim-0tertio: utrum sit contingentium futurorum. Decimoquarto: ut.rum sit emuntiabilium. Decimoquinto: utrum scientia Dei sit variahilis. Decimosexto: utrum Deus de rebus habeat speculativam scientiam vel practicam. ARTJCULUS 1 Utrum in Deo sit scientia. I Sent.,

d. 35, a. t ; I ront. Gent., c. 44: ne Vertt., q. !, Compend. Theol., c. 28; lf Metaphys., lect. 8.

a. t;

AD PRJMUM SIC PROCEDITt:R. Videtur quod in Deo non sit scientia. Scientia enim habitus est: qui Deo non competit, cum sit medius inter potentiam et actum. Ergo scientia non est in Deo.

quando, nell'uomo di scienza, possiede quelle Intrinseche dlsp06izlonl dt cui si è parlato, non è più in pura potenza, ma In potenza· prosstma all'atto. Questa condizione costituisce ciò che gli scolastici chiamano habitus; che l'oblclente dice • medlus Inter potentiam et actum "; ri si ha inflne l'atto puro e semplice della scienza quando l'Intelletto sta constderando gli oggetti della scienza. Gli scolastici chiamano questi tre stati : potenza, atto primo, atto secondo. f.: chiaro, come si dirà nella risposta, che la scienza In Dio non è hal>ttus, ma puro atto di intellezione.

LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 14,

a.. t

2. La scienza ha per oggetto le conclusioni; quindi è una conoscenza causata dal di fuori, cioè dai principii. Ora, In Dio non vi è niente di causato. Dunque n-0n vi è scienza in Dio. 1 3. Ogni scienza è universale o particolare. Ora, in Dio, come abbiamo dimostrato, n-0n si dà nè universale nè particolare. Dunque in Dio non vi è scienza. 2 IN CONTRARIO: Dice l'Apostolo: " O altezza delle ricchezze della sapienza e della scienza di Dio"· RISPONDO: In Dio vi è scienza allo stato perfettissimo. A chiarimento di ciò, bisogna considerare che gli esseri conoo.citivi si distinguono dagli esseri non conoscitivi in questo, che i non conoscitivi non hanno che la propria forma ; mentre quelli dotati di conoscimento son fatti per avere anche la forma delle altre cose, giacchè in chi conosce si trova I' immagine 3 dell'ogg·etto conosciuto. Quindi è chiaro che la natura degli esseri non conoscitivi è più ristretta e più limitata; mentre quella dei oonoocitivi è di maggiore ampiezza ed estensione. Per tal motivo il FiJ.o&ofo • dice che "l'anima è in certo modo tutte le cose n. • Ma la limitazione della forma viene dalla materia. Per questo anche sopra abbiamo detto che le forme quanto più sono immateriali, tanto più si accostano a una certa infinità. f' dunque evidente che l' immaterialità di un esseTe è la ragione della sua natura conoscitiva, e che la perfezione del conoscere dipende dal grado di immaterialità. Per questo Aristotele dice che le piante non sono dotate di conoscenza a causa della loro materialità. Il senso invece è conoscitivo per la sua capacità a ricevere le immagini delle cose senza la mate.ria: l' intelletto poi lo è anche di più perchè maggiormente staccato dalla materia e senza misture, come direhbe Aristotele. Quindi, essendo Dio nel sommo grado di immaterialità, come apparisce chiaro da ciò che precede, ne viene che egli sia all'apiee del conoscere. SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Siccome le perfezioni derivate da Dio nelle cose, in Dio sono in grado più elevato, come è stato spiegato sopra, è necessario, tutte le volte che si attribuisce a Dio un nome tratto dalle perfezioni delle creature, che sia escluso dal ~mo significato tutto ciò che risente del modo imperfetto proprio della creatura. Perciò la scienza in Dio non è qualità o abito, ma sostanza e atto puro. 2. Abibiamo già visto che quanto nelle creature è frazionato e molteplice, si ritrova in Dio in modo semplice e indiviso. Ora, l'uomo ha diverse conoscenze secondo la diverSTità degli oggetti: in quanto intuisce i principii, si dice che ha intelligenza ; in quanto conosce Il concetto rigoroso di scienza, anche come habitus, è che sia conos~nza di conos~nza di oggetti che hanno il loro esSf:re e la loro conoscibilità in altri oggetti (vedi p. 30, nota 1). I prtntiptt sono CO· nosciuti per tntutztone, le conclustont sono conosciute per ragtonamento. Gli scolastici ammettono un habitus tntutti~o (l' tntellectus prtnci.ptorum), il cui atto è chiamato tnteittgentta (cfr. ad 2), e un habttu.! raztoctnativo, Il cui atto è chian1nt-0 sctentta. La quale scienza è cognizione certa, ma causata, come dice l'obi· c!ente. 2 Le scienze 5ono m.o.lteplici e si dividono secondo la loro maggiore e minore universalità. In Dio non v1 è molteplicità di nessun genere. • Specles, quando si tratta della conoscenza, Indica l'immagine tmmatertate dell'oggetto conosciuto, mediante la quale questo è presente alla facoltà conoscitiva: immagine psichica che, pur essendo perfezione di una facoltà vivente realtà vitale quindi anch'essa -. è tuttavia torma rappresentativa dell"oggetto co1

conclustont illuminata da principi i:

LA SCIENZA DI DIO

33

2. PRAETEREA, scientia, cum sit conclusionum, est quaedam cognitio ab allo causata, scilicet ex cognitione principiorum. Sed nihil causatum est in Deo. Ergo scientia non est in Deo. 3. PRAETEREA, omnis scientia ve! universalis vel particularis est. Sed in Deo non est universale et particulare, ut ex superioribus (q. 13, a. 9, ad 2] patet. Ergo in Deo non est scientia. SEo .:oNTRA EST quod Apostolus dicit Rom. 11, 33: «O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei"· RESPONDEO DICENDUM quod in Deo perfectissime est scientia. Ad cuilli! evidentiam, considerandum est quod cognoscentia a non cognoscentibus in hoc distinguuntur,. quia non cognoscentia nihil habent nisi formam suam tantum; sed cognoscens natum est habere formam etiam rei alteriua, nam species cogniti est in cognoscente. Unde manifestum est quod natura rei non cognoscentis est magis coarctnta et limitata: natura autem rerum cognoscentium habet maiorem amplitudinem et extensionem. Propter quod dicit Philosophus, 3 De Anima [c. 8, lect. 13], quod "anima est quodammodo omnia"· Coarctatio autem formae est per materiam. Unde et supra [q. 7, aa. 1, 2] diximus quod formae, secundum quod sunt magis immateriales, secundum hoc magis accedunt ad quandam inftnitatem. Patet igitur quod immaterialitas alicuius rei est ratio quod sit cognoscitiva; et secundum modum immaterialitatis est modus cognitionis. Unde in 2 De Anima [c. 12, lect. 24] dicitur quod plantae non cognoscunt, propter suam materialitatem. Sensus autem cognoscitiYus est, quia receptivus est specierum sine materia: et intellectus adhuc magis cognoscitivus, quia magis separatus est a materia et immixtus, ut dicitur in 3 De Anima [c. 4, lect. 7]. UITTde, cum Deus sit in summo immaterialitatis, ut ex superioribus (q. 7, a. 1] patet, sequitur quod ipse sit in summa cognitionis. AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod, quia perfectiones procedentes a Deo in creaturas, altiori modo sunt in Deo, ut supra [q. 4, a. 2) dictum est, oportet quod, quandocumque aliquod nomen sumptum a quacumque perfectione creaturae Deo attribuitur, secludatur ab eius signiftcatione omne illud quod pertinet ad imperfectum modum qui competit creaturae. Unde scientia non est qualitas in Deo vel habitus, sed substantia et actus purus. AD SECUNDUM DICENDT!M quod ea quae sunt divisim et multipliciter in creaturis, in Deo sunt simpliciter et unite, ut supra (q. 13, a. 4] dictum est. Homo autP.m, secundum diversa cognita, habet diversas cognitiones: nam secundum quod cognoscit principia, dicitur habere noscibile; e contiene l'essere conoscibile delle cose, non secondo le loro oondizionl fisiche ma secondo condizioni diverse, che gli scolastici chiamano tntenztonalt (cfr. Dtz. Tom., " Species »). • Cioè Aristotele, li grandi' filosofo greco detto nel Medioevo il Filosofo per antonomasia. • Qui è messa in evidenza la natura specifica del conoscere. In questa mirabile attività non avviene una composizione fisica tra due elementi diversi, dandio origine a un prodotto diverso dai due componenti; ma avviene una composizione di ordine superiore, psichico, per cui uno dei componenti (l'Intelletto) diventa l'altro (l'oggetto present.e per la species), arricchendosi della perfezione di questo, senza alterarlo, vlvP,ndolo conoscitlvamente. Cosi uno specchio tersissimo, nel quale si riflette un oggetto colorato, diventa quel medesimo oggetto co1orato, slcchè chi guarda vede non lo specchio, ma l'Immagine di quallo. L'intelletto divenuto già In un primo tempo l'oggetto conoscibile per la .•pecte Impressa (cfr. Diz. ·rom.), lo diventa più perfettamente, vitalissimamente, nell'atto di conoscere. Cosi l'anima diventa tutte le cose.

LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 14, aa. 1-2

le conclusioni, gli si attribuisce la scienza; gli si attri buisee la sapienza, in quanto conooee le cause supreme; 1 consiglio o prudenza, in quanto oonosce le azioni da compi ere. Ma Dio conosoo tutte queste cose oon una sola e semplice cognizione, come vedremo a suo luogo. Quindi l'unica cognizione di Dio si può denominare con tutti questi termini: purchè, da ciascun di essi, in quanto si applica a Dio, si elimini tutto ciò che vi ha d'imperfezione e si consideri quanto vi si trova di perfezione. In questo senso è detto in Giobbe: "In lui è la sapienza e la fortezza; egli possiede consiglio e intelligenza ". • 3. La sdenza si uniforma al modo di essere del soggetto conoscente, giacchè la cosa conosciuta si trova nel conoscente secondo il modo di esso. E perciò, siccome il modo di essere di Dio è più alto del modo di essere delle creature, la scienza divina non ha le modalità della scienza creata, cioè a dire non è universale o particolare, abituale o potenziale, o conformata secondo uno di questi modi. 0

0

ARTICOLO 2 Se Dio conosca se stesso.

che Dio non conosca se stesso. Infatti: 1. Nel libro De Causis • si dice che "ogni essere conoscitivo nel!' intendere la propria essenza ritorna completa.mente sopra se stesso».' Ora, Dio non esce dalla propria essenza, nè si muove iu modo alcuno, e così non gli oompete il ritorno sopra se stesso. Dunque non conosce se stesso. 2. Il conosceT-e è una specie di passività e di moto, come dice Aristotele: la scienza stessa è un diventare simile all'oggetto, e l'oggetto conosciuto è un perfezionamento di colui che conosce. Ora, niente può esseTe trasformato, o subire l'azione o essern perfezionato da se stesso, "nè può essere la somiglianza di sè », come nota S. Ilario. Dunque Dio non conosce se stesso. 3. Noi siamo simili a Dio particolarmente per lintelletto: perchè, come dice S. Agostino, " siamo ad immagine di Dio secondo la mente ». Ora, il nostro intelletto non conosce se stesso se non percbè conosce altre cose, come dice Aristotele. • Dunque neppure Dio ) Le conosce nella sua essenza come causa esemplare e insieme come volonta di creare determinate cose fra tutle le cose possibilt: e allora rispetto a queste cose si dice che la scienza di Dio è scienza di visione. I tomisti chiamano " decreto " 1'essenza di-

vina, in quanto ha scelto di creare alcune cose a preferenza di altre. Le cose passate o future sono viste da Dio come presenti " nel suo decreto"· Tra la sctenza di semplice tnteUigenza e .la scienza dt visione, in cui s. Tommaso divide la scienza di Dio (in rapporto agli oggetti di questo sapere) Lutgt Mol!na S. J. (t 1600), seguendo Pietro da Fonseca (t 1599), Introdusse la scienza media; che fu chiamata così, perchè partecipa dei carntlerl dell'una e dell'altra, essendo libera in certo modo come è li11era la sci,enza di visione, e necessaria in certo modo come è necessari;; la scienza di semplice intellig€nza. Alla suddetta scienza dovrebbero appartenere gli enti futuri condizionati, che però non saranno chiamati all'esistenza, perché le conrlizioni d.el loro esistere non saranno poste mal (sono I cosi detti futuril>ili). Secondo Molina la causalità dell'eterna scienza di Dio per rispetto alle creature si svolgerebbe come in tre momenti: 't) pre-cognizione dei possibili (scienza di semplice tntcu.tgenza, necessaria) ; 2) precognizlon non ci sono affatto nella causa suprema universale e necessaria, immutabile ed eterna, ma sono nelle cause prossime che producono gli eventi nel tempo in modo conting-ente. Questo basta per dire che gli effetti sono futuri e conting-enti, sebbene sottostiano allo sguardo di Dio de· terminatamente e immobilmente. Dio si trova in una sfera eterna che avvolge, penetra e trascende Il tempo e tutte le cause che operano nel tempo. La sua cognizione riveste necessariamente caratteri propriamente divini, che non possono convenire alle cose in se stesse. Si confondono dunque le due sfere - l'increata ed eterna, e la creata e temporale - quando si vuol dedurre, dalla neces.~ità e immobilità della scienza divirn1, la neirnzione della contingenza o della libertà negli evpnf1 rrPM1.

78

LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 14, a. 13

cessarla, tuttavia un effetto può essere contingente a me>tivo della contingenza della sua causa prossima: p. es., la germinazione di una pianta è ce>ntingente per la sua causa prossima contingente, sebbene il moto del sole, che ne è la causa prima, sia necessario. Parimente, le cose che Dio sa, sono contingenti in confronto alle loro cause prossime, sebbene la scienza di Dio, che ne è la causa prima, Slia necessaria. 1 2. Alcuni rispondono che questa protasi: Dio ha conosciuto che tale contingente do'!!rà essere, non è necessaria, ma co11tingente, perchè sebbene espressa al passato, pure si riferisce al futuro. - Ma ciò non le toglie la necessità: perc.hè ciò che ebbe una relazione col futuro non può non averla avuta, ancoIThè questo futuro non si avveri.• Altri dicono che tale protasi è contingente, perchè è un composto di necessità e di contingenza ; come è contingente questa proposizione: Socrate è un uomo bianco. • Ma anche questa risposta non conta niente, perchè nella prope>sizione, Dio ha conosciuto ii futuro avverarsi di questo contingente, il termine contingente non è che un complemento, e non parte principale della proposizione: quindi la contingenza, oppure la necessità, non influisce per niente a che 111 proposizione sia necessaria ovvero contingente, vera o falsa. Può essere ugualmente vero che io abbia detto che l'uomo è un asino, o che Socrate corre, o che Dio è: la stessa ragione vale per il necessario e il contingente. Quindi bisogna dire che la protasi in discussione è necessaria assolutamente. Secondo alcuni però non ne seguirebbe che anche l'apodosi sia così necessaria, perchè la protasi è [soloj causa remota dell'apodosi, la quale rimane contingente a motivo della sua causa prossima. - Ma ciò non prova niente. Perc.hè sarebbe [semplicemente] falsa quella proposizione condizionale che avesse come protasi una causa remota necessaria, e come apodosi un effetto contingente, p. es., se io dicessi: Se H sole si leva, l'erba germoglierà. ' Dobbiamo, perciò, rispondere diversamente e dire che se nella protasi viene presentata una cosa come oggetto di un'operazfone dell'auima, nell'apodosi essa non va presa nella sua esistenza oggettiva, ma come entità esistente nell'anima: perchè altro è l'essere della cosa in se stessa, e altro l'esse,re della cosa nell'anima. P. es., quando io dico: se l'anima conosce una cosa, questa è immateriale, bisogna intendere che è immaterialtl in quanto esisltl nella mente, e non in quanto esiste in se stessa. Parimente, quando io diico: se Dio ha conosciuto una cosa, essa sarà, questa conseguenza deve intendersi in quanto la cosa è sottoposta alla scienza divina, cioè secondo che è presenzialmente in Dio. E così è necessaria, come 1 Il paragone è calzante, ma è solt"nto un p;iragone. In sostanza è la causa prossima che decide se un eftìetto è contingente o no, non una causa anteriore o remota. Tra il sole per rispetto alla germinazione, e Dio per rispetto a tutte le creature, la differenza è che il sole non è se non causa parziale della germinazione, Dio è causa totale de,ll'essere delle creature. '.Ila qui sta la ricchezza e tra scendenza di Dio quanto al modo dell'operare: egli concepisc.e nella sua mente e vuole che esistano degli esseri contingenti. e crea per effetti contingenti cause contingenti e muove tali cause ad operare conformemente alla loro natura. Il suo volere e Il suo provvedere non è meno esteso ed emcace del suo intendere (cfr. q. 19, a. 8, dove S. Tommaso s1 domanda: • se la volontà di Dio renda necessarie le cose volute»).

tamen effectus potest esse contingens, propter causam proximam contingentem: sicut germinatLo plantae est contingens propter causam proximam contingentem, licet motus solis, qui est causa prima, sit necessarius. Et similiter scita a Deo sunt r,ontingentia propter causas proximas, licet scientia Dei, quae est causa prima, sit necessaria. An sECUNDUM DICENDCM quod quidam dicunt quod hoc antecedens, Deus sci1;-it hoc continaens futurum, non est necessarium, sed contingens: quia, licet sit praeteritum, tamen importat respectum ad futurum. - Sed hoc non tollit ei necessitatem: quia id quod habuit respectum ad futurum, necesse est habuisse, licet etiam futurum non sequatur qiiandoque. Alii vero dicunt hoc antecedens esse contingens, quia est compositum ex necessario et contingenti; sicut istud dictum est contingens, Socratem esse hominem aU•um. - Sed hoc etiam nihil est. Quia cum dicitur, Deus scivit esse futurum hoc contingens, contingens non ponitur ibi nisi ut materia. verbi, et non sicut principalis pars propositionis: unde contingentia eius vel necessitas nihil refert ad hoc quod propositio sit necessaria vel contingens, vera vel falsa. Ita enìm potesi esse verum me dixisse hominem esse asinum, sicut me dixisse Socratem currere, ve! Deum esse: et eadem ratio est de necessario et contingenti. Unde dicendum est quod hoc antecedens est necessarium absolute. Nec tamen sequitur, ut quidam dicunt, quod consequens sit necessarium absolute: quia antecedens est causa remota consequent~s, quod propter causam proximam contingens est. - '3ed hoc nihil est. Esset enim conditionalis falsa, cuius antt>cedens esset causa remota necessaria, et consequens effcctus contingens: ut puta si dicerem, si sol moi;etur, herba germinabit.

Et ideo aliter dicendnm est, quod quando in antecedente ponitur aliquid pertinens ad actum animae, oonsequens est accipiendum non secundum quod in se eRt, sed se·:undnm 4uod est in anima: aliud cnim est r.sse rei in seipsa, et esse rei in anima. Ut puta, si dicam, Si anima intelligit aliquid, illucl est immateriale, intelligendum est quod illud est immateriale secundum quod es! in 1Ptellectu, non secundum quod est in s.eipso. Et similiter si dicam, si Deus scivit aliqu·id, il/ud erit, consequens intelligendum est prout subest divinae scientiae, scilicet prout est in sua praesentialitate. Et sic necessa2 Dunque la scienza di Dio, che lo vede prospettato nel futuro, non cessa per questo di essere necessaria: lo vooe In quel determinato rapporto e non potrebbe non vederlo. L'errore sta nel voler portare la contingenza nel plano divino, mentre è tutta nel plano creato. La sentenza che S. T·Ommaso confuta è di S. Bonaventura (In I Sent., d. 38, a. 2, q. 2) e di S. Alberto Magno (In I Seni., d. 38. a. 4). Ecco la distinzione di S. Bonaventura 1n tutt.~ la s1in 1n!!enn1tà: "In pr~escientla haec duo dicuntur, scillcet 11ctus divinae ro!(nitiol'is. f>t hunc nece&."arlnrn est esse slve fu!sse; et ord!na'tto futurt ad 11lurn actum. et l1aec ordlnatlo futuri ad 111um actum non est necessaria. Et !ndicanda est contingent!a .... ratlone .... connotati"· • Il senso è chiaro: la proposizione, " Socrate è un uomo bianco "• contiene un elemento nece11sarlo (SocrMe è nccessa»iamcnte uomo), e un elemento contingente (Socrate è IJtamco). La propo~izion~ Intera, "Socrate è uomo bianco"• è contingente. Questa opinione è di Roberto GroSS>o come dice Aristotele. 1 3. Le cose che si attuano nel tempo, da noi sono conosciute successivamente nel tempo, ma da Dio son conosciute nell'eternità, la quale è al disopra del tempo. Quindi i futuri contingenti non possono esser certi per noi, perchè li apprendiamo come tali ; ma soltanto per Iddio, il quale conosce le cose nella eternità, al disopra del tempo. E come chi vada per una strada e non vede coloro che gli vengono dietro; mentre un-0 che dall'alto di un monte abbraccia con lo sguardo lutto il perc0è un ente concepito dal la ragione. 3 3. La proposizione, l'ente non 8'i. può apprendere se non sotto l'aspetto di vero, si può intendere ill due modi. O nel senso chr non si può apprendere l'e11te senza che questa apprensione sia accompagnata dalla 110zione di vero. E così l'affermazione è vera. Oppure nel senso che l'ente non può essere appreso senza che sia conosciuta la ragione di vero. E qursto è falso. Piuttosto è il \'ero che 110'11 si può conoscere se [prima] non si apprende l'ente, perchè l'ente è incluso nella nozione di vero. E come se noi paragonassimo l' intelligibile all'ente. Infatti, l'ente non potreblbe mai essere conosciuto intellettualmente, se non fosse intelligibile: tuttavia, può essere conosciuto l'ente, prescindendo dalla sua intelligibilità. Così pure l'ente intellettualmente conosDF:O IJICENDUM quod, sicut bonum habet rationem appetibi· lis, ita verum habet ordinem ad cognitionem. Unumquodque autem inquantum hahet de esse, intantum est cognoscibile. Et propter hoc dicitur in .'l ne Anima [c. 8, lect. 13J, quod "anima est quodammodo omnia n secundum sensnm et intellectum. Et ideo, sicut :bonum COl!lvertitur cum ente, ita et verum. Sed tamen, sicut bonum addit rationem appetibilis supra ens, ita et verum comparationem ad intel. Jectum. AD PRIM!":\1 ERGO DICENDUM quod verum est in rebus et in intellectu, ut dictum est [a. 1). Verurn autem quod est in rebus, convertitur cum ente secundum substantiam. Sed verum quod est in intellectu, convertitur cum ente, ut manifestativum cum manifestato. Hoc enim est de ratione veri, ut dictum e.st [ibid.]. - Quamvis posset di.ci quod etiam ens est in rebus et in int.ellectu, sicut et verum; licet verum principaliter in intellectu, ens vero principaliter in rebus. Et hoc accidit propter hoc, quod verum et ens differunt ratione. AD SECt:NDUM DICENDUM quod non ens non habet in se unde cognoscatur, &ed cognoscitur inquantum intellectus facit illud cognoscihile. Unde verum fundatur in ente, inquantum non ens est quoddam ens rationis, apprehensum scilicet a ratione. AD TERTIUM DICENDUM quod, cum dicitur quod ens non potest apprehendi sine ratione veri, hoc potest dupliciter intelligi. Uno modo, ìta quod non apprehendatur ens, nisi ratio veri assequatur apprehensionem entis. Et sic locutio habet veritatem. Alia modo posset sic intelligi, quod ens nQn posset apprehendi, nisi apprehenderetur ratio veri. Et hoc falsnm est. Sed verum non potest apprehendi, nisi apprehendatur ratio entis: quia ens cadit in ratione veri. Et est simile sicut si oomparcmus intel!ig·ibile ad ens. Non enim potesi intelligi ens, quin ens sit intelligibile: sed tamen potest intelligi ens, ita quod non intelligatur eius intelligibilitas. Et similiter ens intellectum est verum: non tamen intelligendo ens, intelligitur vernm. participi.o del verbo esse). Pierò sia il rapporto all'essere, sia il rapporto ali' In· telletto è importato dalla sostanza 'tessa clell"ente. J Il non.ente (come le negazioni, le pMvazlonl, I rapporti Lneslstentl) è conce~ lto dat nostro Intelletto come un rnte di raqtane, vale a dire come un qualcosa Chfl ha C•sistenza solo nell'atto del ccnoscere, per una spede di raffronto fatto dalla mente stessa. L'atto del conoscflre è sempre realtà positiva, ma il contenuto

  • solus Deus est veritas. Ergo non est alia veritas quam Deus. 2. PnAETEREA, Anselmus dicit, in libro De Veritate [c. 14], quod sicut tempus se habet ad ternporalia, ita veritas ad res veras. Sed unum est tempus omnium temporalium. Ergo una est veritas, qua omnia vera sunt. SED CONTH.\ r.sT quod Ìill Psalmo 11, 2 dicitur: " diminutae· sunt veritates a fìliis hominum n. Rr.sP0Nnro nrc:ENDLM quod quodammodo una est veritas, qua omnia sunt vera, et quodammodo non. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod, qunndo ali quid praedicatur uni voce de multis, illud in realtà uomo !"essere cat:1logato dalla nostra mente negli schemi deHe categorie. Non posso dunque concluder·e: Tizio è specie. Cosi qui: l:i fornicazione e un fatto fisico e morale, che procede dalla volontà disorclinata clell'uomo. A questo fatto è accidentale di essere conosciuto da me e che io vi pronunci sopra un giudizio. Se lo formulo, esso è vero, e la fonte prima della sua verità è qu1'lla
  • ne non importa cosa alcuna, nè viene a determinare un dato soggetto ; e per questo motivo essa si può attribuire sia all'ente che al non ente, come, p. es., il non vedere e il non essere seduto. • Neppure la privazione importa qualche cosa, ma determina un sogg-etto ; pexchè essa, al dire di Aristotele, è negazione in un soggetto: cieco, p. es., non si diee se non di chi è nato per vedere. La contrarietà invece importa l' idea di qualche cosa, e insieme determina un soggetto ; così il nero è una specie del colore [e si trova in un corpoì. - Ora, il falso importa qualche cosa. La falsità infatti esiste, al dire di Aristotele, perchè una data cosa vien detta o creduta essere quello che non è, o non essere quello che è. E in realtà, come il vero importa un concetto adeguato alla cosa, cosi il falso importa un concettt> non adeguato alla cosa stessa. :E; evidente quindi che il vero e il falst> sono tra loro contrarli. 1 Contrartet4 qui è presa in senso strettamen1le filosofico. E una delle quattro forme di opposizione dei concetti, studiate nella Logica. Le altre sono l'opposizione contraddittorta, la prtvaltva (a cui S. Tommaso accenna nell'articolo) e la

    re la Uva.

    L'opposizione relativa si h. RISPONDO: Come risulta da ciò che si è già notato, il nostro intelletto, il quale ha come oggetto proprio di conoscenza l'essenza delle cose, dipende dai sensi, che hanno per oggetto proprio gli accidenti esterni. Ne segue perciò che arriviamo a conoscere l'es,senza di una cosa partendo da quello che apparisce esternamente. E poichè, come abbiamo detto sopra, denominiamo le cose a seconda che le conosciamo, per lo più i nomi che significano l'essenza delle cose derivano dalle proprietà esteriori. Quindi tali nomi, a volte, sono presi rigorosamente per le stesse essenze delle cose, a significar le quali sono stati principalmente destinati: a volte, meno propriamente, si prendono per le stesse qualità da cui hanno avuto origine. Cosi, p. es., il termine corpo fu scelto per indicare un certo genere di sostanze, perchè in esse si trovano le t're dimensioni: e per questo motivo il termine corpo si adopra per designare le tre dimensioni, nel qual senso corpo è una specie della quantità [corpo matematico cont.rapposto a corpo fisico]. Così deve dirsi della vita. La voce vita deriva da un qualche cosa che apparisce all'esterno e che consiste nel movimento spontaneo; ma questo nome non è adoperato per indicare tale fenomeno, bensì per significare una sostanza alla quale compete, secondo la sua natura, muoversi spontaneamente, o comunque determina.T'Si all'operazione. E secondo ciò virere non è altro che essel"e in tale natura, e la vita indica la. medesima cosa, ma in astratto, come la voce corsa significa il correre in astratto. Quindi il termine '&ivente non è un

    LA VITA DI DIO

    149

    continuum fluxum: aquae enim stantes, quae non continuantur ad 1irincipium continue fiuens, dicuntur mortuae, ut aquae cisternarum et lacunarum. Et hoc dicitur per similitudinem: inquantum enim videtur se movere, habent similitudinem vitae. Sed tamen non est in eis vera ratio vitae: quia hunc motum non habent a seipsis, sed a causa generante eas; sicut accidit circa motum aliorum gravium et levium. ARTICULUS 2 Utrum vita sit quaedam operatio. Infra, q, 54, a. 1, ad 2 ; 8 Sent., d. 35, q. 1, a. 1, ad 1 ; 4, d. 49, q. 1, a. 2, qe. 8: f Cont. Gent.,

    c.

    98; De Dtv. Nom.,

    c.

    6,

    lect. 1.

    AD SECUNDUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod vita sit quaedam operatio. Nihil enim dividitur nisi per ea quae sunt sui generis. Sed vivere dividitur per operationes quasdam, ut patet per Philosophum in 2 libro De Anima [c. 2, lect. 3], qui distinguit vivere per quatuor, scilicet alimento uti, sentire, moveri se.cundum locum, et intelligere. Ergo vita est operatio quaedam. 2. PRAETEREA, vita activa dicitur alia esse a contemplativa. Sed contemplativi ab activis non diversifìcantur nisi secundum operationes quasdam. Ergo v.ita esi quaedam operatio. · 3. PRAETEREA, cognoscere Deum est operatio quaedam. Haec autem est vita, ut pate-t per illud loan. 17, 3: "Haec est autem vita aeterna, ur cognoscat te solum verum Deum '" Ergo vita est operatio. SED CONTRA EST quod dicit Philosophus, in 2 De Anima [c. 4, lect. 7]: « vivere viventilbus est esse 11. RESPONDEO DICENDU:M quod, sicut ex dictis [q. 17, aa. 1, 3] patet, intellectus noster, qui proprie est cognoscitivus quidditatis rei ut proprii obiecti, accipit a sensu, cuius propria obiecta sunt accidentia exteriora. Et inde est quod ex his quae txterius apparent de re, devenimus ad cognoscendam essentiam rei. Et quia sic nominamus aliquid sicut cognoscimus illud, ut ex supradictis [q. 13, a. 1] patet, inde est quod plerumque a proprietatibus exterioribus imponuutur nomina ad significandas essentias rerum. Unde huiusmodi nomina quandoqu e accipiuntur proprie pro ipsis essentiis rerum, ad quas significandas principaliter sunt imposita: aliquando autem sumuntur pro proprietatibus a quibus imponuntur, et hoc minus proprie. Sicut patet quod hoc nomen corpus impositum est ad significandum quoddam genus substantiarum, ex eo quod in eis inveniuntur tres dimensiones: et ideo aliquando ponitur hoc nomen corpus ad significandas tres dimensiones, secundum quod corpus ponitur species quantiwtis. Sic ergo dicendum est et de vita. Nam 11itae nomen sumitur ex quodam exterius apparenti circa rem, quod est movere seipsum: non tamen est impositum hoc nomen ad hoc significandum, sed ad significandam substantiam cui convenit secundum suam naturam movere seipsam, vel agere se quocumque modo ad operationem. Et secundum hoc, viuerc nihil aliud est quam esse in tali natura: et vita significat hoc ipsum, sed in abstracto ; sicut hoc nomen cursus siguificat ipsum currere in abstracto. Unde vfoum non est praedica-

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    LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 18, a.a. 2-3

    attributo accidentale, ma sostanziale. -·Qualche volta, tuttavia, U termine vita, in senso meno proprio, si adopera per designare le operazioni della vita, dalle quali è stato desunto ; e in tal senso il Filosofo dic1e che "vivere è principalmente sentire ed intendere"· 1 SOLl'ZIO:siE DELLE DIFFICOLTÀ. 1. Il Filosofo, qui, prende il termine 1:ìvc·re per indicare l'operazione vitale. - O anche si può dire, assai meglio, che sentire e intendere, ecc., talora si p·rend·ono per indicare certe operazioni, tal'altra per designare la natura degli esseri cosl operar.ti. Dice infatti Aristotele che " Pssere è seutire o intendere "• cio-è avere una natura capace di sentire o di intende·re. In tal maniera il Filosofo distingue il vivere in quelle quattro forme. In questo mondo inferiore, difatti, vi sono quattro generi di viventi. Alcuni di esffi hanno una natura limifata solo all'uso dell'alimento e, conseguentemente, all'aumento e alla generazione ; altri vanno più oltre, fino alla sensazione, come gli animali immobili, p. es., le ostriche; altri arrivano anche più in là e vi aggiungono il moto locale, come gli animali perfetti, quali sono i quadrnpedi, i volatili e simili ; altri, finalmente, hanno in pili una natura capace d' intende.re, come l'uomo. 2. Opere vitali si dicono quelle i cui principii 'lOllO nell'operante, così che questo si determini da Slè a tali operazioni. Ora, capita che relntivamente ad alcune operazioni, negli uomini, non soltanto vi sono dei principii naturali, cio~ le facoltà naturali, ma anche altri prineipii supp.Jementari, cioè gli abiti, che inclinano in modo con11aturale a ce1ti generi di Dp€razioni, rendendole dilettevoli. E per questo nel parlare chiamiamo vita di un uomo, per analogia, quella tale operazione che per lui è piacevole, verso la quale sente inclinazione, in cui si esercita, e a cui ordina tutta la sua esistenza: e così si dice che akuni fanno vita lussnriosa, altri vita onesta. Ora la vita attiva si distingue dalla vita contemplativa, in tal modo. E a.JJa stessa maniera !':i dice che la vita eterna consiste nel conoscere Dio. E cosl resta sciolta anche la terza difficoltà. ARTICOLO 3 Se a Dio convenga la vita.

    SEMBRA che a Dio non convenga la vita. Infatti: 1. Abbiamo detto che alcune cose vivono perchè si muovono da sè. Ora, a Dio non si addice il moto. Dunque neppure la vita. 2. In tutti gli esseri che vivono deve trovarsi un principio vitale. Infatti scrive Aristotele che cc l'anima è causa e principio del corpo vivente'" Ora, Dio non ha causa. Dunque a lui non compete la vita. 1 In breve: I termini vtvere, vtta, vtvente, possono essere presi in senso so.•tanztale; e allora lndtcano la natura specifica, cui, a diffe-,.enza di altre nature, compete muovere se stessa secondo qualcuno dei moti SJJ-Ontanel (nutrirsi, cresceTe, rigenerarsi, moltiplicare la specie, muoversi localm~nte). È la vita o il vivere tn arto primo, come dicono gli scolastici. Quel termini possono anche esser presi a significare l'eserctzto stesso delle attività spontanee proprie della natura vivente. Questa è la vita tn atto secondo, come si esprimono gll scolastici (vedi Dtz. Tom., "Actus »). I clue slgniflC2.tl hanno tra loro una stretta connessione. Noi conosciamo le na·

    LA VITA DI DIO

    151

    tum accidentate, sed substantiale. -- Quandoque tamen vita sumitur minus proprie pro operati.onibus vitae, a quibus nomen vita,e assumitur ; sicut dicit Philosophus, 9 Ethic. [c. 9, lect. 11], quod 11 vivere principaliter est sentire vel intelligere ». AD PRIMUM ERGO D!CENDUM quod Philosophus ibii. accipit vivere pro operatione vitae. - Vel dicendum est melius, quod sentire et intelligere, et huiugrnodi, quandoque sumuntur pro quitusdam operationibus; quandoque autem pro ipso esse sic operantium. Dicitur enim 9 Ethic. [ibid.], quod "esse est sentire vel intelligere », idest habere naturam ad sentiendum vel intelligendum. Et hoc modo distinguit Philosophus vivere per illa quatuor. Nam in istis inferioribus qnatuor sunt genera viventium. Quorum quaedam habent naturam solum ad utenclum aliment,o, et ad co"11sequentia, quae sunt augmentum et generatio; quaedam ulterius ad sentiendum, ut patet in animalibus immobilibus, sicut sunt ostrea ; quaedam vero, cum his, ulterius ad movendum se secundum locum, sicut aIJJimalia perfecta, ut quadrupedia et volatilia et huiusmodi; quaedam vero ulterius ad intelligendum, sicut homines. Ao SECUNDUM DICENDUM quod opera vitae dicuntur, quorum principia sunt in operantibus, ut seipsos inducant in tales operationes. Contingit autem nliquorum operum inesse hominibus non solum principia naturalia, ut sunt potentiae naturales ; sed eti.am quaedam superaddita, ut sunt habitus inclinantes ad quaedam operationum genera quasi per modum naturae, et facientes illas operationes esse delectabiles. Et ex hoc dicitu.r, quasi per quandam similitudinem, quod illa opeTatio quae est homini delectabilis, et ad quam inclinatur, et in qua coniversatur, et ordinai vitam suam ad ipsam, dicitur vita hominis: unde quidam dicuntur agere vitam luxurios,am, quidam vitam honestam. Et per hunc moctum vita contemplativa ab activa distinguitur. Et per hunc etiam mQdum cognoscere Deum dicitur vita aeterna. Unde patet solutio ad tertium. ARTICULUS 3 Utrum Deo convepiat vita. I Cont. Gent.,

    cc.

    !n, 98; 4,

    c.

    11; in Ioan.,

    c.

    14,

    Ject.

    2; I! Me!aphy1., lact. 8.

    AD TERTIUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Deo TIn sono conoscenze particolari addlzionall alla eterna intuizione che Dio ha di sè ; come non è addlzi-0nablle l'essere che comunica· alle creature e l'essere che gli è proprio, E que· sto Il mistero di Dio (cfr. So~r. FRAl'iC., Dteu, III, p. 276).

    166

    LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 19, aa. 2-3

    4. Come l'atto dell'intelletto divino è uno, perchè conosce cose molteplici in un .solo principio, così uno e semplice è il divin.o yolere, p.erchè non ha per oggetto una moltitudine di cose se non per un unico motivo, che è la sua bontà.

    ARTICOLO 3 Se tutto quello che Dio vuole lo voglia necessariamente.

    SEMBRA che tutto quello che Dio vuole lo voglia necessariamente. Infatti: 1. Tutto ciò che è eterno, è necessario. Ora, tutto ciò che Dio vuole, lo vuole dall'eternità ; perchè altrimenti la sua volontà sarebbe mutevole. Dunque tutto quello che Dio vuole, lo vuole per necessità. 2. Dio vuole le altre cose, in quanto vuole la propria bontà. Ora, Dio vuole la propria bontà necessariamente. Dunque necessariamente vuole anche le altre cose. 3. Tutto quel che a Dio è naturale, è nec.essario, perchè Dio è di per se stesso necessario e principio di ogni necessità, come Sii è dimostrato. Ora, per lui, è naturale volere tutto quello che vuole, perchè, al dire di Aristotele, in Dio non ci può essere niente fuori della sua natura. Dunque tutto quello che vuole, lo vuole necessariamente. 4. Non essere necessario e poter non essere si equivalgono. Se dunque non è necessario che Dio voglia una delle cose che vuole, è possibile che non la voglia ; ed è possibile che egli voglia quello che non vuole. Dunque la volontà divina è contingente [o indifferente] verso le due alternative. E così è imperfetta: perchè tutto ciò che è contingente è imperfetto e· mutevole. 5. Chi è indifferente verso due alternative non si determina se non è spinto v.erso una di esse, come dice il Commentatore. Se dunque la volontà di Dio relativa.mente a certe cose fosse libera [o indifferente], la sua determinazione a causare dipenderebbe da un altro. Così avrebbe una causa anteriore. 6. Ciò che Dio sa, lo sa necessariamente. Ma come la scienza divina, oosì la divina volontà si identifica con la divina essenza. Dunque Dio vuole necessariamente tutto quello che vuole. IN CONTRARIO: L'Apostolo così parla [di Dio]: "Egli che tutto opera secondo il consiglio deHa prop·ria volontà n. 1 Ma quello che sri fa secondo il consigli.o della propria volontà non lo si vuole necessariamente. Dunque Dio non vuole necessariamente tutto quello che è oggetto della sua volontà. RISPONDO: Una cosa può dirsi necessaria in due maniere: cioè in modo assoluto e in forza di una ipotesi. Si denomina necessario in modo assoluto quanto risulta dal nesso logico dei termini [di una proposizione]: come nel caso in cui il predicato si trova nella definizione del soggetto, e in tal modo è neces$ario, p. e,s., che l'uomo sia un animale ; oppure perchè il soggetto rientra nella no-zione del i L'Apostolo parla della predestinazione degli eletti, ma la sua affermazione è universale, ed esprime uno del concetti fondamentali del pensiero cristiano: l'assoluta libertà di Dio In tutte le sue opere. Questo concetto, logicamente connesso

    LA VOLONTA DI DIO

    167

    Ao QUARTUM DICENDUM quod, sicut intelligere divinum est unum, quia multa non videt nisi in uno ; ita velle divinum est unum et simplex, quia multa non vult nisi per unum, quod est bonitas sua. ARTICULUS 3 Utrum quidquid Deus vult, ex necessitate velit. I Coni. Geni., cc. 80 ss.; 3, c. 97; De Veril .. q. 23, a. 4; /Je Poi., q. 1, a. 5 ; q. 10, a. 2, ad 6. AD TERTIUM SIC PROCEDITCR. Videtur quod quidquid Deus vult, ex necessitate velit. Omne enim aeternum est necessarium. Sed quidquid Deus vult, ab aeterno vult: alias, voluntas eius es.set muta.bilis. Ergo quidquid vult, ex necessitate vult. 2. PRAETEREA, Deus vult alia a se, inquantum vult bonitatem suam. Sed Deus bonitatem suam ex necessitate vult. Ergo alia a se ex necessitate vult. 3. PR.\ETEREA, quidquid est Dea naturale, est necessarium: quia Deus est per se necesse esse, et princ.ipium omnis necessitatis, ut supra [q. 2, a. 3] ostensum est. Sed naturale est ei velie quidquid vult: quia in Dea nihil potest esse praeter naturam, ut dicitur in 5 Metaphys. [c. 5, lect. 6]. Ergo quidquid vult, ex necessitate vult. 4. PRAETEREA, non necesse esse, et possibile non esse, aequipollent. Si igitur non necesse est Deum velie aliquid eorum quae vult, possibile est eum non velie illud ; et possibile est eum velle illud quod non vult. Ergo voluntas divina est contingens ad utrumlibet. Et sic imperfecta: quia omne contingens est impe>1·fectum et mutabile. 5. PRAETEREA, ab eo quod est ad utrumlibet, non sequitur aliqua actio, nisi ab aliquo alio inclinetur ad unum, ut dicit Commentator, in 2 Physic. [comm. 48]. Si ergo voluntas Dei in aliquibus se habet ad utrumlibet, sequitur quod ab aliquo alio determinetur ad effectum. Et sic habet aliquam causam priorem. 6. PRAETEREA, quidquid Deus scit, ex necessitate scit. Sed sicut sdentia divina est eius essentia, ita voluntas diviua. Ergo quidquià Deus vult, ex necessitate vult. SEo CONTRA EST quod dicit Apostolus, Ephes. 1, 11: "Qu.i operatur omnia secundum consilium voluntati