La Somma Teologica. La virtù di religione [Vol. 18] [PDF]

  • 0 0 0
  • Gefällt Ihnen dieses papier und der download? Sie können Ihre eigene PDF-Datei in wenigen Minuten kostenlos online veröffentlichen! Anmelden
Datei wird geladen, bitte warten...
Zitiervorschau

S. TOMMASO D'AQUINO

LA SOMMA TEOLOGICA TRADUZIONE E COMMENTO A CURA DEI DOMENICANI ITALIANI TESTO LATINO DELL' EDIZIONE LEONINA

xvm LA VIRTÙ DI RELIGIONE (IJ,II, qq.

80~ 100)

CASA EDITRICE ADRIANO SALANI

Nihil obstat Fr. Ludovicus Merlini O. P. Lect. S. Theologiae

Fr. Albertus Boccanegra O. P. Doct. Ph1\osophiae et

Lect. S. Theologiae

Imprimi potest Fr. Leonardus Magrini O. P.

Prior Provmcialis S. Marci et Sardiniae Florentiae die XIX Martiì MCMLXVII IMPRIMATUR Faesulis die XX Martii MCMLXVII t Antonius Bagnoli Episc.

TUTTl I

DIRITTI SONO RISERVATI

(; .MCMLXV II - Casa Editrice Adriano Salani S.p.À.

Otlicine Grafiche Smmu. Sanc:asciano • MCMLXVII - Printed in lt.a\y

LA VIRTÙ DI RELIGIONE (11,11. qq. 80, 100)

LA VIRTÙ DI RELIGIONE (II~II,

qq. 80 ... 100)

TRADUZIONE, INTRODUZIONE E NOTE del P. Tito S. Centi O. P.

INTRODUZIONE 1 - Le riforme radicali operate nella liturgia in questi ultimi

anni sono la conseguenza del vasto movimento liturgico che era in piena attività da diversi decenni. Con il trionfo delle idee innovatrici le pubblicazioni sui temi liturgici non si contano più : è ormai il caso di parlare di una vera inflazione libresca, se proprio non si vuol denunziare - come è stato già fatto da qualcuno - un'infatuazione dì liturgismo. In questi casi avviene che si scriva più di quanto non si rifletta. Ma non c'è dubbio che in fase di assestamento deve pur venire il momento della riflessione, per risalire dal contingente all'essenziale, e ancorare saldamente sulla dottrina le iniziative pratiche. Nel i920, quando il movimento liturgico era quasi agli inizi, il benedettino Dom O. I,ottin diede alle stampe un opuscolo eh~ tutti i liturgisti dovrebbero conoscere e meditare: L'ame du culte: la vertu de religion d'après S. Thomas d'Aquin (Lovanio, i920). In esso egli esprimeva queste elementari riflessioni: « Se la liturgia è la pietà della Chiesa, sarà indubbiamente utile analizzare il concetto di pietà in generale. Se, in un senso più ristretto, la liturgia è il culto esterno che la Chiesa rende a Dio, e se questo culto misura il suo valore morale sul culto interiore, non è opportuno forse conoscere l'anima di quest'ultimo? Uno studio in generale sulla virtù di religione è qui dunque pienamente al suo posto» (p. 3). 2 - Ci si potrebbe chiedere perchè i teologi e i moralisti, quando affrontano questo tema generale risalgano concordemente a S. Tommaso, che a tutto rigore non era un liturgista. E vero che egli era stato iniziato alla preghiera liturgica fin dall'infanzia in un grande monastero benedettino. E come se ciò non bastasse, era entrato nelrOrdine di S. Domenico, il quale era così legato alle istituzioni dei canonici regolari, da inserire tra i commi essenziali del suo programma la recita solenne dell'ufficio divino. E va notato che durante i primi anni dell'insegnamento parigino del nostro Santo l'Ordine Domenicano dovette operare per conto

LA VIRTÙ DI RELIGIONE (II~U.

qq. 80 .- 100)

TRADUZIONE, INTRODUZIONE E NOTE del P. Tito S. Centi O. P.

INTRODUZIONE 1 - Le riforme radicali operate nella liturgia in questi ultimi anni sono la conseguenza del vasto movimento liturgico che era in piena attività da diversi decenni. Con il trionfo delle idee innovatrici le pubblicazioni sui temi liturgici non si contano più: è ormai il caso di parlare di una vera inflazione libresca, se proprio non si vuol denunziare - come è stato già fatto da qualcuno - un'infatuazione di liturgismo. In questi casi avviene che si scriva più di quanto non si rifletta. Ma non c'è dubbio che in fase di assestamento deve pur venire il momento della riflessione, per risalire dal contingente all'essenziale, e ancorare saldamente sulla dottrina le iniziative pratiche. Nel 1920, quando il movimento liturgico era quasi agli inizi, il benedettino Dom O. I~ttin diede alle stampe un opuscolo che tutti i liturgisti dovrebbero conoscere e meditare: L'ame du culle: la vertu de rcligion d'après S. Thomas d'Aquin (Lovanio, i920). In esso egli esprimeva queste elementari riflessioni : « Se la liturgia è la pietà della Chiesa, sarà indubbiamente utile analizzare il concetto di pietà in generale. Se, in un senso più ristretto, la liturgia è il culto esterno che la Chiesa rende a Dio, e se questo culto misura il suo valore morale sul culto interiore, non è opportuno forse conoscere l'anima di quest'ultimo? Uno studio in generale sulla virtù di religione è qui dunque pienamente al suo posto» (p. 3). 2 - Ci si potrebbe chiedere perchè i teologi e i moralisti, quando affrontano questo tema generale risalgano concordemente a S. Tommaso, che a tutto rigore non era un liturgista. E vero che egli era stato iniziato alla preghiera liturgica fin dall'infanzia in un grande monastero benedettino. E come se ciò non bastasse, era entrato nell'Ordine di S. Domenico, il quale era così legato alle istituzioni dei canonici regolari, da inserire tra i commi essenziali del suo programma la recita solenne dell'ufficio divino. E va notato che durante i primi anni dell'insegnamento parigino del nostro Santo l'Ordine Domenicano dovette operare per conto

8

LA RELIGIONE

proprio una riforma liturgica, dandosi un rito unico, a imitazione di quello allora esistente nella Francia meridionale. Che poi il Santo gustasse la liturgia ci viene confermato dai primi biografi, i quali ci narrano tra l'altro che egli si commoveva sino alle lacrime, ascoltando l'antifona quaresimale della Compieta secondo il rito domenicano, « Media vita ». Del suo buon gusto poi in fatto di culto liturgico abbiamo un documento quanto mai persuasivo nell'Ufficio del .SS. Sacramento, da lui composto per incarico di Urbano IV. Ma non sono questi fatti indubitabili a far considerare S. Tommaso come la fonte primaria del trattato De Religione. Si risale a lui perchè egli ha avuto il merito di costruire la prima volta, e quasi d'inventare l'argomento. I Fonti e costruzione tomistica del trattato.

3 - Per essere esatti, e quindi per non varcare i limiti imposti dalla giustizia, è necessario distinguere subito tra la virtù di religione e i vari atti in cui si esercita. Non c'è dubbio che, già prima di S. Tommaso, molto si era parlato di devozione, di adorazione, di preghiera, di sacrificio, di voti e di giuramenti; ma non era chiaro il legame di tutti questi atti come esercizio di un'unica virtù, specificamente distinta da quelle teologali e dalle altre virtù morali. Si era parlato sporadicamente anche di religione come virtù, ma a ben guardare codeste pericopi, si nota che non si tratta della virtù speciale, bensì di quella generale. Perchè i nostri lettori meno preparati possano comprenderr meglio questa distinzione 1 riportiamo qui subito una precisazione di S. Tommaso: «Come la magnanimità è una virtù speciale, sebbene si serva degli atti di tutte le virtù secondo l'aspetto speciale del proprio oggetto, che consiste nel proporsi grandi cose nell'esercizio di tutte le virtù; così anche la religione è una virtù speciale, considerando negli atti di tutte le altre virtù l'aspetto specifico del proprio oggetto, cioè l'aspetto di cosa dovuta a Dio; e in tal modo è appunto parte della giustizia. Però alla religione vengono attribuiti in modo speciale quegli atti che non appartengono a nessun'altra virtù, come le prostrazioni e simili, nei quali secondariamente consiste appunto la religione. Da ciò risulta evidente [p. es.] che l'atto di fede appartiene materialmente alla religione, come gli atti dello altre virtù; ... ma formalmente è distinto dalla religione, avendo per oggetto un'altra ragione formale (In De Trinit ., q. 3, a. 2, fine). Ghi ha la fortuna di poter leggere integralmente l'articolo citato (che in gran parte si ritrova riproposto in q. 81, a. i) può

INTRODUZIONE

9

rendersi conto che tale distinzione non era affatto chiara negli autori precedenti, dai quali l'Aquinate prendeva le mosse. Nella somma, per essere più chiaro, S. Tommaso dà alla religione corrie virtù generale un nome proprio: santità (q. 81, a. 8). 4 - l pochi accenni su cui poteva contare per una buona definizione egli li trovava in Cicerone (cfr. ! Rhet., c. 53) e in S. Isidoro (10 Etym., litt. R, n. 234). Ma essi potevano servire più per una definizione nominale ed etimologica, che per una definizione realè, capace di far emergere questa virtù dalle altre qualità morali con la sua fisonomia distinta e inconfondibile. II commento al De Trinitate di Boezio, di cui ci siamo serviti sopra, è attribuito dagli studiosi e dai biografi moderni del Santo al periodo terminale del primo insegnamento parigino [12571258]. Ma già qualche anno prima egli aveva avuto modo di precisare il suo pensiero sulla virtù di religione nella dura lotta combattuta dagli Ordini Mendicanti contro i maestri secolari dell'università parigina. Ci sembra di poter scorgere un'eco di questa circostanza storica nell'ultimo degli argomenti sed contra dell'articolo citato, in cui si tratta del problema se la fede sia distinta dalla religione : « Sono chiamati comunemente religiosi coloro che sono legati da speciali voti; mentre non essi soltanto sono chiamati fedeli. Perciò fedele e religioso non s'identificano, e quindi neppure la fede e la religione» (ibid., arg. 3 S. c.). La conferma di quanto diciamo possiamo trovarla nell'opuscolo nato dalla polemica suddetta: Contra impugnantes Dei cultum et religionem. Non è necessario sfogliare molte pagine. Nel primo capitolo troviamo subito trattato il problema che c'interessa: «Quid sit religio, et in quo consistat religionis perfectio ». La questione però non è approfondita come nelle opere successive, per quanto riguarda la definizione esatta della religione come speciale virtù. Ben diversa è l'impostazione del problema nel Commento alle Sentenze, in cui il giovane Baccelliere mostra di aver acquisito con chiarezza un principio quanto mai fecondo per la sistemazione definitiva del trattato sulla religione nella sua sintesi dottrinale: egli accetta da Cicerone l'elenco delle parti potenziali della giustizia, in cui la religione occupa il primo posto (,j Sent ., d. 33, q. 3, a. 4, qc. 1). Nel commentare il medesimo libro egli aveva abbozzato poco ~rima la divisione di un eventuale trattato sul nostro argomento: ((In noi ci sono tre tipi di beni: spirituali, corporali e beni esterni. E poichè tutti e tre ci vengono da Dio, dobbiamo rendere a lui con tutti e tre il culto di latria. Con lo spirito gli offriamo il debito amore; con il corpo le prostrazioni e il canto; coi beni esterni gli offriamo sacrifici, candele, lampade, e altri doni consimili: le quali cose offriamo a Dio non perchè ne abbia bisogno, ma in riconoscimento del fatto che tutto abbiamo da lui. E rico-

10

LA RELIGIONE

noscendolo con tutti i beni, con tutti lo onoriamo» (3 Sent., d. 9, q. 1, a. 3, qc. 3). Abbiamo riportato il brano anche perchè il lettore avveduto noti l'enorme distanza che passa tra l'abbozzo giovanile e il piano attuato nella maturità. Nella Somma infatti si salva quest'ordine, ma con materiali diversi. Infatti gli atti esterni abbracciano la devozione (q. 82) e l'orazione (q. 83); gli atti del corpo si riducono all'adorazione (q. 84); le cose esterne abbracciano sacrifici (q. 85L oblazioni e primizie (q. 86), e finalmente le decime (q. 97), i voti (q. 88). Inoltre a questi tre elementi se ne aggiunge un quarto, che consiste nell'assumere e nell'impiegare cose divine: sacramenti (Ili Parte) e nome di Dio. Quest'ultimo viene assunto con il giuramento (q. 89), con lo scongiuro (q. 90), eon l'invocazione e la lode ricorrendo alla parola ispirata delle Scritture (q. 91). ~ inutile indugiare sui luoghi paralleli: gli spunti che possiamo raccogliere sono ben poca cosa. L'abbozzo del ·' Cont. Gent., (cc. 119, 120), presenta indubbiamente buoni sounti apo· logetici contro lirreligione che disprezza il culto esterno, e la superstizione che degrada il sentimento religioso; ma non offre nulla di originale e dj inedito nei confronti con il testo della Somma. Perciò i1 trattato che stiamo presentando al pubblico italiano nella nostra traduzione ha questa caratteristica: mentre per altri argomenti l'Autore ha completato altrove il suo pensiero, o lo ha esposto in maniera più sintetica sotto altri punti di vista, per la virtù di religione la Somma è tomisticamente esauriente. L'Autore ne ha costruito i1 trattato di sana pianta, servendosi dei pochi elementi a disposizione per strutturare la virtù, e raccogliendo in sintesi organica le membra sparse dei suoi molteplici atti. 5 - Uno sguardo panoramico sullo schema generale dell'Opera è sufficiente a persuaderci che siamo ancora nell'ambito della giustizia. Perchè la religione è essenzialmente virtù morale e non teologale; e non essendo tra le quattro cardinali, rientra imnerfettamente sotto la formalità specifica della giustizia. Questo schema eosì logico non compromette affatto la dignità della religione; perchè l'appartenenza a una virtù principale come parte potenziale n6n nregiudica l'intrinseca dignità o priorità di una virtù. E si sa che S. Tommaso dà alla virtù di religione 1a preminenza su tutte le altre virtù morali (q. 81, a. 6). Ma questa dipendenza logica pare che urti i nervi di certi teologi, i quali hanno preferito criteri meno raziona1i. Ecco la u:iu~tiftcazione introduttiva di uno rli essi: « Aderendo alla distribuzione logica [dei trattati), S. Tommaso dopo aver terminato gli articoli sulla prudenza passa subito a parlare della giustizia, virtù cardinale di cui la religione è una parte potenziale. Molti teologi moderni però, tra i quali ci mettiamo anche

INTHODUZIONE

11

noi preferiscono l'ordine di dignità, cosicchè trattano prima delÌa religione che della giustizia» (VERMEERSCH A., S. J ., T heol. Moralis Principia, Bruges, !937, II, p. 143). :m questa la maniera più efficace per confondere le idee degli studenti, i quali si formeranno così la falsa convinzione che le parti potenziali di una virtù sono sempre gerarchicamente inferiori ad essa. - Meno tollerabile ancora è l'impostazione di quei moralisti che legano immediatamente la religione alle virtù teologali (p. es. LANZA-PALAZZINI, Theologia Moralis, Torino, 1955, t. II, pp. 233 ss.). - E poi addrittura ridicolo il proposito di giustificare questa dislocazione del trattato, facendo rientrare fa religione nell'ambito delle virtù teologali. L'argomento più curioso in proposito è quello di Mons. E. Aman. Secondo lui S. Tommaso avrebbe ricondotto la virtù di religione alla giustizia, perchè Cicerone l'aveva elencata tra le parti potenziali della giustizia. L'Autore della Somma si sarebbe trovato davanti a una a categoria imposta dalla storia» (D.T.C., XIII, col. 2308). Oltre tutto la storia del trattato ci dice con assoluta chiarezza che la documentazione di cui S. Tommaso disponeva non poteva imporre nulla, perchè scarsa e in parte incoerente. Per convincersene basta leggere per intero un articolo che abbiamo già citato: 3 Sent., d. 33, q. 3, a. 4. E chi non ha a disposizione altre opere dell'Aquinate, legga la q. 80, che forma il prologo dell'Autore al nostro trattato. Ma ci sono ben altre considerazioni da tener presenti : qui noi abbiamo a che fare con un pensatore così eccezionale per la coerenza sistematica, da lasciare sbalorditi gl' ingegni più penetranti. Ora, questa coerenza incontrovertibile non si potrebbe neppure concepire in uno studioso, disposto a lasciarsi imporre categorie prefabbricate dalla incoerente storia del pensiero filosofico. Sarà meglio quindi applicarsi con impegno a scoprire i motivi profondi che hanno guidato il Dottore Angelico nell 'impostazione del trattato sulla virtù di religione. - Per distinguerla dalle virtù teologali sarà bene ricordare quanto egli aveva già scritto nel suo originalissimo commento al De Trinitate di Boezio : « La religione non è una virtù teologale ; poichè ha per materia quasi tutti gli atti, sia della fede che delle altre virtù, che però essa offre a Dio come cose dovute ; ed ha invece Dio per fine. Prestare infatti culto a Dio consiste nell'offrire a lui codesti atti come dovuti» (In De Trinitate, q. 3, a. 2). Meglio ancora sarà leggere poi nella Somma l'articolo 5 della q. Si, in cui si ribadisce l'idea che mentre le virtù teologali hanno per oggetto l'ultimo fine (Dio); la religione, al pari delle virtù morali, anche se nel modo più immediato (cfr. a. 6), ha per oggetto i mezzi per raggiungerlo (atti di culto, sacrifici, preghiere, sacramenti. ... ).

12

LA RELIGIONE

Dopo tutto questa virtù può e deve concepirsi nei suoi elementi essenziali anche nell 'ordinc puramente naturalistico: gli stessi pagani, guidati dalla legge naturale, sono capaci di atti di culto. Inv.ece per le virtù teologali è indispensabile la divina grazia. 6 - Non si creda però che S. Tommaso si muova su un piano naturalistico o filosofico nella costruzione del trattato: la formalità delle cose non gli fa mai dimenticare la loro concretezza. Ecco perchè la fonte principale del suo trattato rimane, senza possibili confronti, la sacra Scrittura: vecchio e nuovo Testamento. E accanto alla Scrittura l'autore preferito: S. Agostino. Non volendo però sacrificare alla completezza del trattato l' armonia della sintesi generale, scopo principale dell'Opera, S. Tommaso ha rinunciato di proposito a parlare dei sacramenti, che costituiscono la parte pi·eminentc del culto cristiano: «Dell'uso dei sacramenti parleremo nella Terza Parte di quest'opera » {q. 89, prol.). Com'è possibile infatti svolgere codesto tema, senza aver prima parlato del Redentore Divino? Ma anche così ridotto il De Religione è inserito nella Somma in un contesto essenzialmente teologico. Il fatto di essere una parte potenziale della giustizia non viene dimenticato quando si tratta di stabilire il dono corrispondente di codesta virtù, secondo il programma fissato in partenza (Il-Il, Prol.). S. Tommaso non dimentica che tra tutte le parti della giustizia la religione occupa il primo posto (« quae est potissima pars iustitiae », q. 122, a. i). Quindi le attribuisce quel dono dello Spirito Santo, che forma il coronamento divino della virtù di religione : cioè il dono della pietà. Questo muove a prestare a Dio il culto e l'obbedienza non più come a Creatore e Signore dell'universo, ma come al Padre nostro che è nei cieli (cfr. q. 121, a. i). II La lode divina nella liturgia e nella Somma.

7 - Dallo sguardo d'insieme scendiamo ora ai particolari. Il lettore attento noterà da sè a colpo d'occhio la differente lunghezza delle questioni: si va dalla q. 83, dedicata alla preghiera, che con i suoi diciassette artico]j cosUtuisce un piccolo trattato nel trattato, alla q. 91 di due soli articoli. Ebbene, noi ci fermeremo qui a esaminare proprio quest'ultima, dedicata alla lode divina. La brevità in questo caso non deve trarci in inganno: i problemi in essa trattati sono vitali per il culto esterno, e oggi sono al centro delle discussioni per il rinnovamento liturgico. Le lodi divine recitate o cantate dall'assemblea di fedeli, o dal coro dei chierici, costituiscono un atto vitale della Chiesa di Cristo. Platone racconta che Socrate, sul finire della vitat dopo essersi elevato ai più alti fastigi del pensiero e della perfezione morale,

INTHODUZIONE

13

espresse il proposito di dedicarsi alla musica. Anche se la notizia non fosse vera, è però verosimile: siamo certi infatti che altri giganti dello spirito hanno sentito lo stesso impulso al vertice della loro ascesa verso Dio. S. Francesco d'Assisi, per citare un esempio ben noto, negli ultimi anni, dopo le stimmate, compose e cantò il Cantico di frate sole, e spesso bastava il tocco di uno strumento musicale per mandarlo in estasi. - Da queste esperienze eccezionali non si deve però conclude re che il canto delle lodi divine deve essere riservato ai pochi scalatori delle vette. La Chiesa praticamente ci dice il contrario: essa si è sempre servita del canto liturgico per l'elevazione spirituale delle masse. Ecco perchè S. Tommaso, al pari di S. Agostino, vede nel canto liturgico una materna condiscendenza della Chiesa verso i più infermi dei suoi figli (q. 92, a. 2). Perciò a suo parere il canto liturgico e la lode divina non devono mai essere ridotti a una bandita di caccia per un certo numero di privilegiati. Sono quindi pienamente giustificati dalla sua dottrina i passi compiuti per vincere le difficoltà, incontrate dalla massa, per gustare i canti, i riti e i testi liturgici. 8 - In questa breve introduzione non possiamo neppur tentare un confronto delle disposizioni positive emanate dal Concilio Vaticano II con la dottrina di S. Tommaso. La cosa però potrebbe essere utile e vantaggiosa per i teologi e i liturgisti, i quali ultimi non dovrebbero mai dimenticare questo principio, enunciato da un loro collega : « Iuris liturgici fundamenta habentur in ipso iure naturali» (MORETTI A., Caeremoniale, Torino, 1936, vol. I, p. i). Noi qui ci limiteremo a esaminare brevemente i problemi proposti daU'Aquinate nella Somma Teologica. Sia ben chiaro però che per la lode divina, come per tutto il De Religione, nei luoghi paralleli delle altre sue opere non troviamo molto da aggiungere. Lo spoglio di essi, del resto, è presto fatto. Dal commento della lettera agli Efosini (Ad Ephesios, c. 5, lect. 7) si può raccogliere lindicazione storica, che furono gli eretici a combattere il canto vocale delle lodi di Dio; nonchè i tre effetti derivanti da codesta lode esteriore : i) 1 incremento della devozione personale di chi canta (cc Sed si ex hoc aliquis commoveatur ad dissolutionem, vel in gloriam inanem, hoc est contra intentionem Ecclesiae n) ; 2) la devozione degl' ignoranti (rudes) ; 3) il senso della gratitudine verso Dio negli uni e negli altri. Le altre pericopi relative alla lode di Dio noi le troviamo nel commento incompleto dei Salmi (In Ps. 32, 1-3; 33, 2-5; 49, 7-9). Di esse abbiamo tenuto conto nelle nostre note agli articoli della Somma, e non le dimenticheremo in questa nostra introduzione. 9 - La cosa che più meraviglia nell'impostazione tomistica è la netta distinzione tra preghiera e lode divina: le due questioni sono poste a rispettosa distanza tra loro (qq. 83, 91). Eppure la

14

LA RELIGIONE

loro affinità è riconosciuta da S. Tommaso stesso nel prologo della q. gf: «Veniamo quindi a trattare dell'uso che del nome di Dio facciamo invocandolo nella preghiera e nella lode. Ma della preghiera abbiamo già parlato .... ». La cosa non ha meravigliato soltanto noi; perchè tutti i trattati moderni sulla religione uniscono la lode alla preghiera vocale, trovando scomodo e incongruente l'ordine della Somma Teologica. Pensiamo che S. Tommaso abbia perseguito nel suo schema due scopi molto importanti. Da un lato egli ha voluto sottolineare con chiarezza l'aspetto essenziale della preghiera, che è e deve rimanere un atto interno non già esterno dell'anima religiosa ; dall'altro ha voluto porre in rilievo l'elemento divino [il nome di Dio comunicatoci dalla Scrittura) che viene a integrare codesto atto, soprattutto nella preghiera vocale. E evidente che nella preghiera pubblica e collettiva le due cose sono indissolubilmente connesse, e in concreto i due atti si alternano e si confondono. Ma il Dottore Angelico ha avvertito che la lode presenta problemi che di suo non interessano la preghiera. Quando infatti parla dell'orazione solo indirettamente considera l'aspetto liturgico di essa; quando invece parla della lode la liturgia è sempre in primo piano. Esiste però una questione preliminare comune: perchè l'orazione vocale? Nella soluzione di essa S. Tommaso stabilisce che la liturgia ha valore di mezzo e non di fine: > (q. 92, a. 2). È certo ehe niente in1pedisce, nè da parte della ragione naturale, nè da parte del dogma cattolico che le anime dei defunti possano talora con1unicare con i vivi. Esempi di simili comunicazioni sembra che siano seriamente provati. Ma nè la ragione nè il dogma catt.olic.o ammettono che le anime dei trapassati siano a disposizione~ dei vivi, per soddisfare allo loro curiosità spesso mesehine e per assecondaro i loro capricci. Nell'al di là le anime dHi defunti sono certamente sottoposte al sovrano do-

INTHODUZIONE

21

minio di Dio, più di quanto lo fossero mentre vivevano sulla terra; perciò sarebbe ridicolo fare di Dio il complice di tutte queste 1!1anifestazioni_ vi~i~te da.I .capriccio e dalla superficialità, 0 addirittura da pass10n1 ignob1h. Le anime poi, che cercano con sincerità nelle pratiche spfritiche la via por tenersi in contatto con i loro defunti, devono convincersi facilmente, dalle vaghe e insignificanti risposte, che codesti oracoli non sono degni nè delle anirno dei trapassati, nè della infinita sapienza di Dio. Del resto le apparizioni meglio fondate sono brevi, motivate e soprattutto spontanee, cioè non provocate da una determinata tecnica evocativa. L'altro motivo che spinge i teologi a condannare lo spiritismo è dettato dal rispetto dovuto alla salute fisica del nostro corpo, specialmente quando è in pericolo il sistema nervoso. Sta il fatto che le sedute spiritiche, anche se promosse per divertimento, e quasi come un gioco di società, danneggiano la salute mentale, soprattutto quando chi vi partecipa non è in perfette condizioni di equilibrio psichico. Dopo tutto queste pratiche hanno generalmente effetti deleteri sui sentimenti religiosi e morali dei loro frequentatori, oltre che su quella dei medium. Basterà ricordare la fine miseranda delle sorelle Fox, prime artefici di questa torbida superstizione contemporanea. Dopo essersi separate per gelosia di mestiere, Caterina e Margherita Fox si degradarono nella lussuria. ~a prima morì nel i892, bruciata dall'alcool e abbandonata da tutti. La seconda chiuse i suoi giorni l'anno successivo, prostrata dal vizio e vomitando volgarità. Anche a proposito dello spiritismo bisogna ricordare cho esso moralmente sì condanna da sè, perchè il suo motivo ispiratore principale rimane la curiosità. Ora, la curiosità è un vizio, come spiegherà in seguito S. Tommaso nella q. 167. Essa infatti non va confusa con l'interesse per l' indagine seria e scientifica, che l'Autore denomina studiosità (q. 166). La ricerca del futuro contingente è una delle forme caratteristiche della curiosità; e così altra forma d'indiscrezione è la pre~esa di conoscere cose estranee all'attuale capacità della nostra intelligenza (q. 167, a. i). Ora, sono precisamente questi i motivi ordinari che sollecitano l'interesse per le sedute spiritiche. La Chiesa però, non volendo ostacolare in nessun modo il progresso della scienza, è pronta a concedere ai veri studiosi che lo chiedono, il permesso d'indagare anche sperimentalmente sui fatti medianici, per distinguere in essi, nei limiti del possibile, la realtà del trucco, ciò che è naturale da ciò che va attribuito a forze preternaturali.

2 ·XVIII

22

LA RELIGIONE

IV Dalla superstizione alla religione.

18 - Ciò non toglie che in certi casi questo vicolo cieco sia servito, e possa continuare a servire, come canale di ricupero per quelle anime che sono lontane da ogni sentimento e da ogni pratica religiosa. Classico ormai, nell'Italia di quest'ultimo dopoguerra, il caso di Pitigrilli, il quale ha documentato il suo itinerario spirituale nel suo libro La Piscina di Siloc. In esso egli scrive candidamente : cc Cercare di frugare le piccole verità. non è andare incontro alla grande Verità, ma negarla .... Tuttavia io ho trovato la fede così. ... Da quel giorno col cominciare a credere a una parte, ho cominciato a credere a tutto : a Dio, alla potenza della preghiera .... Si obbietterà.: Dio non sceglie questi mezzi. E io rispondo : Che ne sappiamo noi? Il P. Lacordaire in una conferenza a Notre Dame, affermò: "Souvent Dieu, mes frères, pour parvenir à ses fins, emploie des moyens vraiment diaboliques,, ,, (pp. 87-89). Ma per vincere gli ostacoli che ruomo oggi incontra nello svi1up po del sentimento religioso, normalmente bisogna percorrere ben altre vie. Innanzi tutto si deve affrontare con serietà e con impegno il problema religioso alle sue radici, e cioè al livello metafisico; quindi procedere a una conoscenza approfondita delle origini del cristianesimo. Stando sul piano morale, in cui si muove la Seconda Parte della So1nrna Teologica, bisognerà partire dalla convinzione ragionata della utilità somma, per il genere umano, del sentimento religioso. Questo lungi dall'essere, come pretendono Marx e i suoi fanatici satelliti, una forma di alienazione, concilia queste due tendenze apparentemente contrastanti del nostro essere : la brama della propria personale felicità, e la propensione di gettarci col nostro agire in un'altra realtà che ci trascende. Dio infatti, causa estrinseca e fine estrinseco dell'universo, soddisfa quest'ultimo desiderio senza annientare la persona singola, come invece fa la società, o la classe che pretende di sostituirlo. Inoltre il sentimento religioso armonizza la ricerca della felicità personale con il desiderio assoluto del vero e del bene, essendo Dio la felicità somma e la fonte prima di ogni verità e di ogni bontà in tutto l'universo. Che poi in alcuni casi il sentimento religioso sia stato occasione di eccessi e persino di guerre, non è una cosa che si possa concedere senza risei·ve. Spesso infatti codeste guerre promosse apparentemente per motivi religiosi, avevano moventi assai meno spirituali; e la religione era solo un pretesto per soddisfare la brama di ricchezza, oppure l'ambizione personale o collettiva.

INTRODUZIONE

Nel caso dovremmo considerare molto più nocive per il consorzio umano la famiglia, il matrimonio, il possesso dei beni terreni, l'onorabilità personale; perchè pretesto e occasioni di guerre, di odii, di delitti crudeli e nefandi, assai più della religione. Inseguendo così le idee di certi dissennati arriveremmo a condannare le istituzioni essenziali del vivere civile. Di esse la religione anche in sede naturale è la suprema. Per questo la Chiesa Cattolica, pur avendo piena coscienza di essere la depositaria infallibile della rivelazione divina, di fronte a una civiltà che pretende di mettere sotto processo il fatto religioso come tale, ha voluto affermare nel Concilio Vaticano Il il valore di quanto c'è di positivo nelle altre religioni. Esse, pur nelle loro aberrazioni, hanno conservato nelruomo il senso della dipendenza da una realtà suprema, e quindi un'inclinazione e una disponibilità al messaggio evangelico. P. TITO s. CENTI o. P.

CONTENUTO DEL PRESENTE VOLUME A)

I

in se stessa (q.

81)

) 1} devozione {q. 82)

I) interni:

~

n) nei suoi atti:

o

Il)

.....m N

esterni;

·-.....-

t

I

t)

preghiera (q. 83)

l)

adorazione

2)

of!erta di. be~ m esterm;

di cose d1vme:

tll)

b)

{ a) 3) assunz~o~e

::i

I} RELIGIONE:

et!

\ a

Ì

l /

UJ

()

(q. 84)

~

' b) ; et > ; et beneficenti a, quae hic vocatur '' humanitas )), - Haec autem Tullius praetermisit, quia parum habent de ratione debiti, ut dictum est [in corp. ]. AD TERTIUM DICENDUM quod cc obedientia >> includitur in « observantia », quam Tullius ponit: nam praecellentibus personis debetur et reverentia honoris et obedientia. - e1 Fides >> autem, u per quam ftunt dieta n [Tuu,., 4 De Republ. ], includitur in u veritate ))' quantum ad observantiam promissorum. Veritas autem in plus se habet, ut infra [ q. 109] patebit. - «Disciplina» autem non debetur ex debito necessitatis: quia inferiori non est a1iquis obligatus, inquantum est inferi or (po test tamen aliquis superiori obligari ut fnferioribus provideat: secundum illud Matth. 24, 45: cc Fidelis servus et prudens, quem constituit dominus super familiam suam,, ). Et ideo a Tu11io praetermittitur. Potest autem contineri sub humanitate, quam Macrobius ponit. - > vero sub epieikeia, vel amicitia. An QUARTUM DICENDUM quod in illa enumeratione ponuntur quaedam pertinentia ad veram iustitiam. Ad particularem quidem, a bona commutatio n : de qua dicit quod est «habitus in commutationibus aequalitatem custodiens ». - Ad legalem autem iusti. tlam, quantum ad ea quae communiter sunt observanda, ponitur :. 111 legispositiva n : quae, ut ipse dicit, est cc scientia commutationum politicarum ad communitatem relatarum n. Quantum vero ad ea i;Q'Uae quandoque particu1ariter agenda occurrunt praeter com-

32

LA SOMMA TEOLOGICA, II-II, q. 80, a. 1

ordinarìe, si ha l'eugrwmosus, cioè la buona gnome, che, come so· pra abbiamo detto nel trattato della prudenza, ha il compito di dirigere in codesti casi. Ecco perchè egli la chiama «una giustificazione volontaria n : poichè in questi casi uno custodisce di proprio arbitrio ciò che è giusto, e non per una legge scritta. Ma queste due cose quanto alla direzione appartengono alla prudenza, mentre appartengono alla giustizia quanto all'esecuzione. - Eusebia poi equivale a buon cullo, e quindi si identifica con la religione. Perciò di essa egli afferma che è > si riferisce all'ordine che l'uomo deve avere in se stesso. Dunque la religione non si limita a ordinare i rapporti con Dio. 2. S. Agostino insegna: l, Ergo relinquitur quod sit virtus theologica. SED CONTRA EST quod ponitur pars iustitiae, quae est virtus moralis. RESPONOEO DICENDUM quod, sicut dictum est [aa. 2, 41, religio est quae Deo debitum cultum affert. Duo igitur in religione considerantur. Unum quidem quod relìgio Deo affert, cultus scilicet: et hoc se habet per modum materiae et obiect.i ad religionem. Aliud autem est id cui affertur, scilicet Deus. Cui cultus exhibetur non quasi actus quibus Deus colitur ipsum Deum attingunt, sicut cum credimus Deo, credendo Deum attingimus (propter quod supra [q. 2, a. 21 dictum est quod Deus est fidei obiectum non solum inquantum credimus Deum, sed inquantum credimus Deo): affertur autem Deo debitus cultns inquantum actus quidam, quibus Deus colitur, in Dei reverentiam fiunt, puta sacriflciorum oblationes et alia hniusmodi. Unde manifestum est quod Deus non comparatur ad virtuten1 religionis sicut materia vel obiectum, sed sicut finis. Et ideo religio non est virtus theologica, cuius obiectum ~st ultimus finis: sed est virtus moralis, cuius est esse circa ea (}Uae sun t ad fi nem. ~ Dio non è fine, ma oggetto della religione, e quindi hanno elevato quelit.'ultima alla dignità di virtù teologale naturale (ctr. HOURCADE M. in Bull.. de tttttr. Ecclés. 1944, pp. 181-219). Altri hanno creduto di scorgere nell'imposta-

48

LA SOMMA TEOLOGICA, 11-11, q. 81, aa. 5-6

SoLIJZIONE DELLE DIFI. AD TERTIUM DICENDUM quod sanctitas distincta est a religione propter differentiam praedictam : non quia differat re, sed ratione tantum, ut dicturn est [in corp.]. che praticano cerimonie e sacrifici possono chiamarsi religiosi ; ma non possono dirsi santi, se mediante codesti atti non applicano se stessi tnteriormente a Dio .. (in h. a., n. I). - Con buona pace del Gaetano questa riduzione deUa virtù di · religione al formalismo degli atti di culto non è conforme al pensiero di S. Tommaso. Intatti per quest'ultimo la religione consiste principaJmeute negli atti interni (devozione o pronta obbedienza a Dfo e preghiera), i quali costi~ tuiscono l'essenza stessa della santità. Perciò la distinzione unica riguarda la maggiore o minore estensione causale di queste virtù. La religione è limitata agli atti di culto, mentre il suo sinonimo santità si estende anche, col suo •imperio '" agli atti delle aure vil•tù morali.

QUESTIONE 82 La devozione. Veniamo ora a considerare gli atti della religione. In primo luogo gli atti interni, che sono i principali, come abbiamo detto; in secondo luogo quelli esterni, che sono secondari. Ora, gli atti interni della religione sono devozione e preghiera. Perciò dobbiamo trattare: primo, della devozione; secondo, della preghiera. Sul primo argomento esamineremo quattro cose: 1. Se la devozione sia un atto specificamente distinto; 2. Se sia un atto della virtù di religione; 3. La causa della devozione; 4. I suoi effetti. 1

ARTICOLO 1 Se la devozione sia nn atto speeifi.camente distinto. SEMBR.\ che la devozione non sia un atto specificamente distinto. Infatti: 1. Ciò che si riduce a un modo dì altri atti non è un atto speciale. Ma la devozione si riduce a un modo di altri atti, poichè si legge nei Paralipomeni: t< Tutta la moltitudine offrì vittime e lodi e olocausti con animo devoto n. 2 Dunque la devozione non è un atto speciale. 2. Nessun atto specifico può rientrare in generi diversi di atti. Ora, la devozione si riscontra in atti di generi diversi, e cioè in atti corporali e in atti spirituali: infatti si può dire che uno è devoto e nel meditare, e nel genuflettere. Quindi la devozione non è un atto specifico, o speciale. 3. Qualsiasi atto specifico appartiene, o alla facoltà appetitiva, o a quella conoscitiva. Ma la devozione non è attribuita nè all'una nè all'altra; com'è evidente per chi scorre l'enumerazione già ricordata dei loro ntti specifici. Perciò la devozione non è un atto speciale. · IN CONTRARIO: Come sopra abbiamo notato, si merita con gli atti. Ora, la devozione ha un'efficacia speciale nel meritare. Dunque la devozione è un atto specifico. RISPONDO: Devozione deriva da devovere [consacrare l: infatti si dicono de'8oti coloro che in qualche modo si consacrano a Dio, sottomettendosi a lui totalmente. Per questo in antico presso i pa1 Questi quatt1'0 articoli sono dispostt dall'Autore secondo Il suo schema abituale: esse.nza. della lle,-ozione specificata dall'oggetto (a.a. 1, 2), causa (a, 3), effetti (a. 4). Qncsti elementi, l"is\uto1·c. che nel easo è piuttosto complesso. :-.i~t luoghi paralleli inùitati st1U.o :i.l tttolo lattno dell'articolo si parla. indifferentemente di obMigatorietà della preghiera (4 Sent.; In Matth.), di opportunità e di utilità (In Matth.; ,'1 Cont. Gent.). :!'\el Compendium Theotogiae invece, come qui. nella Somma si parla 1H co1ivenicma. Ma è evidente che nel pensiero dell'Autore cocJesti tE:'rrni11i sono sinonimi in questo caso; perchè egli in tutti i passi. citati ha di mim sempre il medesimo scopo, r.he è quello di giustificare razionalmente e teologicamente codesto atto. Di qui la nostra traduzione. 2 L'argomento ·tn co11t1·ario é esattanumte quello del luogo para.Uelo del Commento alle Sentenze, che, come abbiamo accennato, parla di obbligatorietà e non di convenicuza. Ma è c.biaro rhe ~e Dio comanda, l'opera imposta non può essere irragionevole o sconvenìenlt>.

LA PHEGHIERA

77

AHTlCULUS 2 Utrum sit conveniens orare.. 4 Sent., d. 15, q. 4, a. 1, qc. 3, ad 1, 2, 3 ; 3 Cont. Gent., cc. 95, 96; compe11d, Theol., P. H, c. 2; In Matth., c. 6.

PROCEDITLR. Videtur quod non sit conveniens orare. Oratio enim videtur esse necessaria ad hoc quod intimemus ei a quo petimus id quo indigemus. Sed, sicut dicitur Matth. 6, 32, (( scit Pater vester quia his indigetis ». Ergo non est conveniens Deum orare. 2. PnAETEREA, per orationem fiectitur animus eius qui oratur ut faciat quod ab eo petitur. Sed animus Dei est immutabilis et infiexibilis: secundum illud I Reg. 15, 29: «Porro triumphator in Israel non parcet, nec poenitudine fiectetur ». Ergo non est conveniens quod Deum oremus. 3. PRAETEREA, liberalius est dare aliquid non petenti quam dare petenti: quia, sicut Seneca dicit [2 De Bene[., c. 1j, (, Perciò l'uomo non deve chiedere a Dio cose temporali nella preghiei·a. 4. L'uomo non deve chiedere n. Dio altro che cose buone e utili. Ora, spesso i beni temporali sono nocivi, non solo spiritualmente, ma anche materialmente. Dunque non si devono chiedere a Dio nella preghiera. IN co~TRARIO: "Sei Prm)erbi si legge questa preghiera: re Dammi soltanto quel che è necessario al mio sostentamento».

LA PREGHIERA

87

plures pessumdederunt; regna, quorum exitus saepe miserabiles cernuntur; splendida coniugia, quae nonnunquam funditus domos evertunt )). Sunt tamen quaedam bona quibus homo male uti non potest, quae scilicet malum eventum habere non possunt. Haec autem sunt quibus beatificamur et quibus beatitudinem meremur. Quae quidem sancti orando absolute petunt: secundum illud [79, 4] : cc Ostende faciem tuam, et salvi erimus )) ; et iterum [118, 85] : « Dednc me in semitam mandatornm tuorum n. An PRIMUM ERGo DICE~DUM quod licet homo ex se scire non possit quid orare debeat, « Spiritus )) tamen, ut ibidem dicitur, in hoc "adiuvat ìnfirmitatem nostram )) quod, inspirando nobìs sancta desideria, recte postulare nos facit. Unde Dominus dicit. loan. 4, 23, 24, quod « veros adoratores adorare oportet in Spiritu et veritate n. An SECUNDUM DICENDUM quod cum orando petimus aliqua quae pertinent ad nostram salutem, conformamus voluntatem nostram voluntati Dei, de quo dicitur, I ad Tim. 2, 4, quod « vult omnes homines salvos fieri u. An TERTIUM DICENDUM qnod sic ad bona Deus nos invitat quod ad ea non passibus corporis, sed piis desideriis et devotis orationibus accedamus. ARTICULUS 6 U trum homo de beat temporalia petere a Deo orando. 4 Sent., d. 15, q. 4, a. 4, qc. 2; In Matth., c. 6.

AD SEXTUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod homo non debeat temporalia petere a Deo orando. Quae enim arando petimus, quaerimus. Sed temporalia non debemus quaerere: dicitur enim Matth. 6, 88: secondo le parole evangeliche: e< Santo è il suo nome n. 11 suo regno poi è eterno, secondo l'espressione dei Salmi: «Il tuo regno, o Signore, è regno di tutti i secoli». Così pure la volontà di Dio si adempie sempre, come si legge in Isaia: «Ogni mia volontà sarà adempiuta)). Perciò è cosa vana chi.edere che (( iJ nome di Dio sia santificato n, che cc venga il suo regno))' e che (C sia fatta la sua volontà n. 2. L'allontanamento dal male precede il conseguimento del bene. Perciò sembra illogico presentare le domande che riguardano il conseguimento del bene, prima di quelle che si riferiscono alla remozione del male. 3. Le domande si fanno per avere qualche cosa in dono. Ma il dono principale di Dio è lo Spirito Santo, e i donativi che ne derivano. Dunque non sono ben formulate le suddette domande, poichè non corrispondono ai doni dello Spirito Santo. 4. Nel Vangelo di S. Luca il Pater Noster abbraccia cinque sole domande. Perciò nelle sette domande che troviamo in S. Matteo ce ne sono di superflue. 5. E vano il tentativo di cattivarsi 1a benevolenza di una persona, che ~i previene con la sua benev()lenza. Ora, Dio con la sua benevolenza ci previene.: poichè, a detta di S. Giovanni, «egli per primo ci ha amati n. Dunque è superflua la premessa: >: quia scilicet ad hoc praecipue voluntas Dei tendit ut eius sanctitatem cognoscarnus, et cum ipso regnemus. « Quod etiam Matthaeus in ultimo posuit, "Libera nos a malo", Lucas non posuit, ut sciat unusquisque in eo se liberari a malo quod non infertur in tentationem ll, AD QUINTUM DICENDUM quod oratio non porrigitur Deo ut ipsum flectamus: sed ut in nobis ipsis fiduciam excitemus postulandi. Quae quidem praecipue excitatur in nobis considerando eius caritatem ad nos, qua bonum nostrum vult, et ideo dicimus, cc Pater noster >'; et eius excellentìam, qua potest, et ideo dicimus, u qui es in caelis ».

AHTICULUS 10 Utrum orare sit proprium rationalis creaturae. 4 Sent., d. 15, q. 4, a. 6, qcc. 1, 3.

AD DECIMUM sic PROCEDITUR. Videtur quod orare non sit proprium rationalis creaturae. Eiusdem enim videtur esse petere et accipere. Sed accipcre convenit ctiam Personis increatis, scilicet F'ilio et Spiritui Sancto. Ergo etiam eis convenit orare: nnm et Filius dicit,

rallelismo tra i doni dello Spirito Santo e le 1lomande dcl Pater Noster, commentando il testo di S. Agostino, che qui viene solo riferito letteralmente. ~ Con l'articolo 10 inizia la seconda parte della questione, quella dedicata alle circostanze deUa preghiera. S' inizìa con la circostanza di persona, ossia del soggetto della preghiera. Escludendo tutti quem che non hanno la possibilltà dl emettere codesto atto, se ne precisa meglio il valore e la portata. 1 - XVIII

102

LA SOMMA TEOLO(ilCA, 11-11, q. 83, aa. 10-11

il pregare; infatti il Figlio lm dichiarato nel Vangelo: re. 1

LA PREGHIERA

105

nec pro se orant: quia iam sunt in termino constituti. Ergo etiam neque pro nobis orant. 2. PRAETEREA, sancti perfecte suam voluntatem Deo conformant, ut non velint nisi quod Deus vult. Sed illud quod Deus vult semper impletur. Ergo frustra sancti pro nobis orarent. 3. PRAETEREA, sicut sancti qui sunt in patria sunt superiores nobist ita et illi qui sunt in purgatorio: quia iam peccare non possunt. Sed illi qui sunt in purgatorio non orant pro nobis, sed magis nos pro eis. Ergo nec sancti qui sunt in patria pro nobis orant. 4. PRAETERF.A, si sancti qui sunt in patria pro nobis orarent, superiorum sanctorum esset efficacior oratio. Non ergo deberet implorari suffragium orationum sanctorum inferiorum, sed solum superiorum. 5. PRAETEREA, anima Petri non est Petrus. Si ergo animae sanctorum pro nobìs orarent quandiu sunt a corpore separatae, non deberemus interpellare sanctum Petrum ad orandum pro nobis, sed animam eius. Cuius contrarium Ecclesia facit. Non ergo sancti, ad minus ante resurrectionem, pro nobis orant. SEn CONTRA EST quod dicitur 2 Mach. ult., 14: « Hic est qui multum orat pro populo et universa sancta civitate, Ieremias, propheta Dei1J. RESPONDEO DICENDUM quod, sicut Hieronymus dicit [Cont. Vigilant., n. 6], Vigilantii error fuit quod, u dum vivimus, mutuo pro nobis orare possumus; postquam autem mortui fuerimus, nullius sit pro alio exaudienda oratio: praesertim cum martyres, ultionem sui sanguinis obsecrantes, impetrare nequiverint n. - Sed hoc est omnino falsum. Quia cum oratio pro aliis facta ex caritate proveniat, ut dictum est [aa. 7, 8], quanto sancti qui sunt in patria sunt perfectioris caritatis, tanto magis orant pro viatoribus, qui orationibus iuvari possunt: et quanto sunt Deo coniunctiores, tanto eorum orationes sunt magis efficaces. Habet enim hoc divinus ordo, ut ex superiorum excellentia in inferiora refundatur, sicut ex claritate solis in aerem. Unde et de Christo dicitur, Heb. 7, 25: e< Accedens per semetipsum ad Deum ad interpellandum pro nobis ». Et propter hoc Hieronymus, Contra Vigilantium [loco cit.], dicit: «1. Sor.uzIO:\Jl compiere certe cose per esser visti dagli uomini». )I.

-

valore eccezionale· tleUa prcglliera pubtili~a. la preghiera privata può davvero ancora giustificarsi? A. Fonck nel difendere emcar.:emente quest'ultima dagli attacchi ingiustificati di certo fanatismo liturgista, col richiamo alla dottrina tradizionale. si domanda; "Perrll8 si cJcve essere obbligati oggi a insistere su verità l:'.osi ele.memwri 'l 1> (ctr. "Priè>re 11, in D. T. C., XIII, col. 197). - Si veda in proposito la Cost. De Sacra I.ituJ'gia {n. 12) del Concilio Vaticano II.

LA PHEGHIERA

109

in persona totius fidelis populi Deo offertur. Et ideo oportet quod talis oratio innotescat toti populo, pro quo profertur. Quod non posset fieri nisi esset vocalis. Et ideo rationabiliter institutum est ut ministri Ecclesiae huiusmodi orationes etiam alta voce pronuntient, ut ad notitiam omnium possit pervenire. Oratio vero singularis est quae offertur a singulari persona cuiuscumque sive pro se sive pro aliis orantis. Et de huiusmodi orationis necessitate non est quod sit vocalis. Adiungitur tamen vox tali oratìonì triplici ratione. Primo quidcm, ad excitandum interiorem devotionem, qua mens orantis elevetur in Deum. Quia per exteriora signa, sive vocum sive etiam aliquorum factorum, movetur mens hominis et secundum apprehensionem, et per consequens secundum affectionem. Unde Augustinus dicit, Ad Probam [epist. 130, c. 9], quod >. Et ideo in singulari oratione tantum est vocibus et huiusmodi signis utendum quantum proficit ad excitadum interius mentem. Si vero mens per hoc distrahatur, vel qualitercumque impediatur, est a talibus cessandum. Quod praecipue contingit in illis quorum mens sine huiusmodi signis est sufftcienter ad devotionem parata. Unde Psalmista dicebat [Ps. 26, 8]: u Tibi dixit cor meum: Exquisivit te facies mea » ; et de Anna legitur, 1 Reg. 1, 18, quod « loquebatur in corde suo)), Secundo, adiungitur vocalis oratio quasi ad redditionem debiti: ut scilicet homo Deo serviat secundum totum illud quod ex Deo habet, idest non solum mente, sed etiam corpore. Quod praecipue competit orationi secundum quod est satisfactoria. Unde dicitur Osee ult., 3: (( Omnern aufer iniquitatem, et accipe bonum: et reddemus vitulos labìorum nostrorum ». Tertio, adiungitur vocalis oratio ex quadam redundautia ab anima in corpus ex vehementi affectione: secundum illud Psalm. [15, 9]: « Laetatum est cor meum, et exultavit lingua mea ». AD PRl MUM ERGO DICENDUM quod vocalis o ratio non profertur ad hoc quod aliquid ignotum Deo manif estetur: sed ad hoc quod mens orantis vel a.liorum excitetur in Deum. AD SECCNDUM DICENDUM quod verba ad aliud pertinentia distrahunt mentem, et impediunt devotionem orantis. Sed verba signiftcantia aliquid ad devotionem pertinens excitant mentes, praecipue minus devotas. AD TERTIUM DICENDUM quod, sicut Chrysostomus dicit, Super Matth. [Op. Imp. in Matth., homilia 13), gluere elle uno fa per se stesso (De oraWme, devottone ei horts caoonicis, J. l. ('('. 22-27). :!\la, a parte cll.e cosi si viene a contraddtre lo stesso S. Agostino e l'opinione comune dei santi Padri, ci sembra che la pretesa di Suarez sia dancro smisnrata. Egll (limentica che anche nell'ordino soprannaturale la. creatura. ha. :,:,empl'e una causalità limitata. sarebbe infatti contro l'ordine della presentt:1 economia della salvezza pretendere dal Signore, in forza della promessa infallibilità della preghiera, la grazia del battesimo per tutti i bambiui pagani inferiori ai due anni. Essi certo sono idonet a riceverla; ma non \.• davvero formale l'impegno del Signore ad esaudire una ~imile pregblera.

LA PREGHIERA

121

Usti >>. - Quia vero homo non potest alii mererì vitam aeternam ex condigno, ut supra [I-Il, q. 114, a. 6] dictum est; ideo per consequens nec ea quae ad vitam aeternam pertinent potest aliquando a.liquis ex condigno alteri mereri. Et propter hoc non semper ille auditur qui pro alio orat, ut supra [a. 7, ad 2, 3] habitum est. Et ideo ponuntur quatuor conditiones, quibus concurrentibus, semper aliquis impetrat quod petit: ut scilicet pro se petat, necessaria ad salutem, pie et persevera.nter. AD TERTIC'M DICENDUM quod oratio innititur principaliter fidei non quantum ad efficaciam merendi, quia sic innititur principaliter caritati: sed quantum ad efficaciam impetrandi. Quia per fidem habet homo notitiam omnipotentiae divinae et misericordiae, ex quibus oratio impetrat quod petit.

ARTICULUS 16 Utrum peccatores orando impetrent aliquod a Deo. Infra, q. 178, a. 2, ad 1 ; 3 Cont. Gent .• c. 96; De Pot., q. 6, a. 9, ad 5 ; In loan., c. 9, lect. 3.

AD SEXTUMDECIMCM SIC PRoCEDITUR. Videtur quod peccatores orando non impetrent aliquid a Deo. Dicitur enim Ioan. 9, 31: > : oratio autem execrabilis non impetrat aliquid a Deo. Ergo peccatores non impetrant aliquid a. Deo. 2. PRAETEREA, iusti impetrant a Deo illud quod merentur, ut supra [a. praec., ad 21 habitum est. Sed peccatores nihil possunt mereri: quia grati a carent, et etiam caritate, quae est (( virtus pietatis », ut dicit Glossa [ord.], 2 ad Tim. 3, super illud [v. 5], u Habentes quidem speciem pietatis, virtutem autem eius abnegantes >>; et ita non pie orant, quod requiritur ad hoc quod oratio impetret, ut supra (a. praec., ad 2] dictum est. Ergo peccatores nihil impetrant orando. 3. PRAETEREA, Chrysostomus dicit, Super Matth. [Op. Imp. in Matth., hornil. 141: 1. Sed in Oratione quam Christus dictavit dicitur, . 1 il mio nome tra le

~r-ni1, e in ogni Iuogo è offerto incenso al mio nomo, e un'oblazione pura. pokhè grande è il mio nome tra le genti. dice il Signore delle schiere" (Malac. 1. fl}.

L'ADORAZIONE

137

AD SECUNDl;M DICE~lHJM qnod determinatus locus eligitur ad adorandum, non propter Deum, qui a1 [Ioan. 8, 12; 9, 5] et « Oriens n nominatur, Zach. 6, 12; et «qui ascendit super caelum caeli ad orientem)) [Ps. 67, 34] ; et ab oriente etiam expectatur venturus, secundum illud Matth. 24, 27: « Sicut fulgur exit ab oriente et paret usque ad occidentem, ita erit adventus Filii hominis n. i Per quanto riguarda l'« orientamento .. delle chiese cristiane in opposizione al culto giudaico, \ledi sopra I-Il, cr. 102, a. 4, ad 5 (voi. XII. p. 326 s.).

QUESTIONE 85 Il sacrificio. Eccoci a parlare di quegH atti in cui si offrono a Dio dei beni esterni. Sull'arp;omento dovremo considerare due cose: primo, le offerte presentate a Dio dai fedeli; secondo, i voti con i quali gli si promette qualche cosa. 11 primo tema ci porta a parlare del sacrificio, delle oblazioni> delle primizie e delle decime. A proposito del sacrificio si pongono quattro quesiti: 1. Se sia di legge naturale offrire a Dio dei sacrifici; 2. Se il sacrificio si debba offrire a Dio soltanto; 3. Se offrire il sacriftcio sia uno specia1e atto di virtù; 4. Se tutti siamo tenuti a offrire il sacrificio. 1

ARTICOLO 1 Se otl"rire a Dio dei sacrifici sia di legge naturale. 2 SEMBRA

che offrire a Dio dei sacrifici non sia di legge naturale.

Infatti: 1. Le cose imposte dal dirH to naturale sono comuni presso tutti gli uomini. Questo invece non avviene per i sacrifici: infatti di alcuni p. es., di Melchisedec. si legge cl1e offrirono pane e vino; di altri, al contrario, che offrirono questi, o quegli altri animali. Dunque l'offerta dei sacrifici non è di diritto naturale. 2. Le cose dì diritto naturale furono osservate da tutti i giusti. Invece non si legge che Isacco abbia offerto sacrifici: e neppure Adamo, di cui la scrittura afferma, che ) .i\la l'animale zoppo o inalato è posseduto legittimamente. Dunque non è vero che si può fare oblazione di quanto legittimamente si possiede. IN coNTRAmo; ì\ei Proverbi si legge: LOGICA, II-II, q. 87, a. 1

tre undici dessero la decima parte dei loro proventi ai Leviti ; perchè vivessero in una maniera decorosa, e anche per supplire la neg1igenza dei futuri trasgressol'ì. Perciò questa norma quanto alla determinazione della decima parte era un precetto legale: come molti altri precetti specialì emanati per codesto popolo, allo scopo di far rispettare la giustizia secondo le condizioni di quel popolo. Questi sono denominati appunto precetti legali o giudiziali; sebbene secondariamente indicassero auc-11~ qnalche rosa di futuro, come tutti gli avvenimenti di codesto popolo, secondo la dottrina di S. Paolo: