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Zitiervorschau

LLLE ANEMIE L’anemia è una diminuzione dei livelli di emoglobina, non necessariamente del numero di globuli rossi; ci sono infatti anemie in cui l’emoglobina è ridotta e i globuli rossi sono normali o anche un po’ superiori alla norma. I GLOBULI ROSSI Molto rapidamente vediamo cosa fanno i globuli rossi. Globuli rossi  Strutture cellulari biconcave contenenti Emoglobina  Trasportano Ossigeno ai tessuti  Vita media 120 giorni  4.4-5.9 x 1012 GR/L (m) ; 3.8-5.2 x 1012 GR/L (f) È molto importante considerare le dimensioni del globulo rosso. Vi ricordate perché i globuli rossi hanno questa forma e queste dimensioni? Studente: Perché possono passare attraverso i capillari! Prof: E capillari più piccoli del nostro organismo dove sono? Studente: Nei polmoni! Prof: E infatti i globuli rossi sono appunto costruiti in modo tale che nei capillari polmonari si impilano. Infatti proprio per la loro struttura “a doppia orecchietta” hanno la massima superficie rispetto al volume. Questo è molto importante dato che la loro superficie è la superficie di scambio. Quindi se sono fatti così e hanno queste dimensioni è perché:  devono passare attraverso i capillari più piccoli del nostro organismo impilandosi e  devono aumentare il più possibile la superficie di scambio per fare il proprio lavoro, che è quello di scambiare ossigeno. Altra cosa che ci interessa è la vita media. Un globulo rosso ha una vita media di 120 giorni. Quindi da quando viene rilasciato dal midollo in forma non completamente matura a quando viene distrutto in media occorrono 120 giorni. È quindi una cellula (chiamiamola così) che ha una vita segnata. Perché questo? Studente: Perché i globuli rossi non hanno nucleo e quindi lo stress ossidativo altera le strutture di membrana e queste alterazioni espongono degli epitopi e nella milza… Prof: Sì. I globuli rossi infatti fanno un lavoro “sporco” che è quello di trasportare ossigeno. L’ossigeno come sapete ci serve ma è anche molto tossico, provoca infatti uno stress ossidativo. I globuli rossi hanno delle strutture, gli enzimi antiossidanti, che sono limitati nel tempo perché, non avendo nucleo, non hanno la possibilità di reintegrarli. Gli enzimi antiossidanti vengono quindi consumati man mano i globuli rossi trasportano ossigeno  questo è un dato che ci interessa nelle anemie perché ci sono anemie particolari in cui i globuli rossi hanno un’emivita ancora più limitata perché questi enzimi sono in quantità notevolmente ridotta. Normale turn-over cellulare • Sopravvivenza media ~ 120 giorni • I macrofagi del sistema reticolo-endoteliale (RE) rimuovono i GR “invecchiati” – Non è chiaro quale sia il “marcatore” dell’invecchiamento eritrocitario – La milza è la sede principale della clearance eritrocitaria • Il sistema RE è extravascolare – 90% della distruzione dei GR si verifica senza rilascio di Hb in circolo.

Sapete che i globuli rossi vengono distrutti soprattutto dal sistema reticolo endoteliale. Le alterazioni ossidative provocano delle alterazioni di membrana che li rendono progressivamente riconoscibili dai globuli bianchi che li eliminano dal circolo. La milza è la sede principale della clearence eritrocitaria. La maggior parte del sistema reticolo endoteliale è extravascolare  il 90% della distruzione dei globuli rossi si verifica senza rilascio di emoglobina in circolo. Quindi questo vuol dire che basta che ci sia un po’ di più di liberazione di emoglobina in circolo che questa determinerà effetti o segni e sintomi evidenti. L’ ESAME EMOCROMOCITOMETRICO Esame emocromocitometrico PARAMETRI ERITROCITARI: Emoglobina (Hb) : Concentrazione emoglobina nel sangue g/dL Globuli rossi (GR): numero/mm3 Ematocrito (Ht): esprime il volume di sangue occupato dai GR (%) Reticolociti (Ret): globuli rossi “giovani” (appena rilasciati nel sangue, contengono ancora nel citoplasma corpuscoli evidenziabili con colorazioni particolari) COSTANTI CORPUSCOLARI: Volume globulare medio (MCV) : 85-95 fl Emoglobina corpuscolare media (MCH): 26-30 pg Concentrazione emoglobinica corpuscolare media (MCHC): g/dL Distribuzione eritrocitaria (RDW): (% ) Coefficiente di Variazione della distribuzione dimensionale dei Globuli Rossi. Quando leggiamo un emocromo ci sono alcuni parametri su cui dobbiamo soffermarci. Innanzitutto dobbiamo guardare l’emoglobina, che è la concentrazione di emoglobina nel sangue (quindi gr/dl), il numero di globuli rossi e l’ematocrito, che è il volume che spetta ai globuli rossi rispetto al volume del sangue, e i cui i valori sono un po’ diversi nell’uomo e nella donna e nei ciclisti. I reticolociti sono i globuli rossi giovani, ed è un dato importante sapere quanti reticolociti ci sono in circolo: vedremo infatti che ci sono anemie in cui i reticolociti sono pochi (e questo vuol dire che il midollo in qualche modo non compensa o non produce) oppure anemie in cui i reticolociti sono tanti. Il dato dei reticolociti quindi può essere importante nella diagnostica differenziale delle anemie. Mentre i valori di emoglobina ed ematocrito sono importanti soprattutto per la diagnosi di anemia, il dato dei reticolociti può aiutarci a fare diagnosi del tipo di anemia. Molto importanti sono il volume globulare medio, come vedremo, e la distribuzione eritrocitaria (spesso indicata con RDW). Il volume globulare medio è il valore medio del volume del globulo rosso. La distribuzione eritrocitaria cos’è? Studente: È la distribuzione delle dimensioni degli eritrociti rispetto a un valore medio. Prof: Sì. Quindi avremo un valore normale più o meno qualche deviazione standard. Quando questo valore medio è aumentato (cioè quando ci sono grandi deviazioni standard) ci sono globuli rossi con dimensioni molto diverse. Questo dato è molto importante sia per la diagnosi che per la prognosi sia per il tipo di risposta iniziale a qualche terapia in corso di anemia.

ERITROPOIESI Eritropoiesi La cellula staminale pluripotente è stimolata dall’ormone eritropoietina (rene) a proseguire verso la differenziazione in cellula ematopoietica eritroblastoide.

• I proeritroblasti si dividono un certo numero di volte modificandosi (maturando) ad ogni generazione successiva. – Il contenuto in Hb aumenta progressivamente – Il materiale nucleare e gli organelli citoplasmatici si riducono progressivamente. • I reticolociti terminano la loro maturazione a eritrociti durante i primi giorni all’interno del circolo ematico. Costituiscono circa l’1% della massa eritrocitaria

Per fare un globulo rosso… Sostanze Necessarie per una Normale Eritropoiesi • Aminoacidi (e Lipidi) — sintesi Hb, struttura delle membrane eritrocitarie • Ferro — componente Hb (Eme) • Rame - mobilizzazione del Fe dai tessuti • Acido Folico e Vitamina B12 — sintesi di timidina trifosfato (DNA) • Piridossina (Vit. B6) — Sintesi dell ‘Eme • Riboflavina (Vit. B2) — coinvolta in reazioni ossidative e nel met. del Fe • Vitamin E — protegge le membrane dei GR dal danno ossidativo • Acido Ascorbico (Vit. C) — mantiene il Fe in forma ferrosa (Fe 2+ ) Ecco una cosa importante: per fare un globulo rosso ci vogliono tante cose: • Ci vogliono amminoacidi e lipidi, perché il globulo rosso deve sintetizzare il suo contenuto principale che è l’emoglobina, ma anche le strutture di membrana, gli enzimi necessari per la sopravvivenza del globulo rosso sia dal punto di vista antiossidante che metabolico, e ci vogliono comunque i lipidi perché la membrana dei globuli rossi è una membrana plasmatica come tutte le altre e anzi con caratteristiche un po’ diverse. • Poi ci vuole il ferro, che serve per fare l’emoglobina (EME), • ci vuole il rame e • ci vogliono le vitamine, come vitamina B12 e acido folico che servono per la sintesi del DNA, ci vuole la vitamina B6, fondamentale per la sintesi dell’EME, la riboflavina che ha a che fare con il metabolismo del ferro ed è coinvolta nelle reazioni di ossidoriduzione, la vitamina E che è un antiossidante di membrana e protegge in qualche modo i globuli rossi dall’ossidazione, e la vitamina C che è un antiossidante e serve per mantenere il ferro nella forma bivalente che è la forma che poi si trova dentro l’EME.

Quindi ci vogliono tutte queste cose per fare un globulo rosso; se qualcuna di queste cose viene a mancare può darsi che la produzione di globuli rossi, e quindi dell’emoglobina, venga in qualche modo influenzata, ed ecco che potremo avere un’anemia genericamente carenziale. A seconda del tipo di carenza, il tipo di anemia che avremo potrà essere un po’ diversa. LE ANEMIE La trattazione che faremo oggi sarà abbastanza approfondita ma tiene conto delle anemie “per scomparti”. Nella realtà della gestione clinica del paziente è vero che possiamo avere dei pazienti che hanno delle anemie pure caratterizzate da un problema solo, ma più spesso, soprattutto andando avanti con l’età, è più facile trovare situazioni miste, che possono determinare problemi di diagnostica differenziale. L’esempio più classico, molto semplice da capire, è quello che potrebbe succedere se il paziente avesse contemporaneamente una carenza di ferro e una carenza di vitamina B12 e di acido folico. Infatti la carenza di ferro provoca un’anemia di tipo microcitico e la carenza di B12 e folati provoca un’anemia di tipo macrocitico  quindi una tira da una parte, l’altra tira dall’altra e ci potremmo trovare di fronte alla situazione paradossale di avere un’anemia di tipo normocitico. Quello che allora ci aiuterà a fare diagnosi differenziale potrà essere la distribuzione eritrocitaria. Se noi avessimo di fronte un’anemia microcitica pura di tipo sideropenico l’RDW sarebbe piccolo (tutti i globuli rossi sono piccoli, sono uguali); viceversa se avessimo di fronte un’anemia macrocitica. Se quindi trovo un’anemia normocitica con un RDW largo posso pensare che c’è una situazione di tipo misto. E così tutte le volte in cui si sovrappongono le varie situazioni che sono purtroppo situazioni reali e spesso non sono così facili da sbrogliare. DEFINIZIONE Condizioni patologiche caratterizzate dalla diminuzione del patrimonio emoglobinico dell’organismo – 95 fl) è eterogenea : le modificazioni macrocitiche periferiche non sono associate alle caratteristiche di laboratorio, biochimiche e cliniche tipiche della megaloblastosi. L'anemia macrocitica non megaloblastica si verifica in vari stati clinici, non tutti chiariti. La macrocitosi con eccesso di membrana eritrocitaria si verifica nei pazienti con malattia cronica del fegato nella quale l'esterificazione del colesterolo è deficitaria. L'uso cronico di alcol è stato anche associato a indici eritrocitari macrocitici (generalmente MCV di 95-105 fL/ cellula); queste modificazioni non sono causate da carenza di acido folico o da altro identificabile meccanismo metabolico. Una modesta macrocitosi si verifica anche nell'anemia aplastica), specialmente nella fase di ripresa. In ognuno di questi casi, l'anemia è correlata a meccanismi differenti dalla macrocitosi e il midollo non è megaloblastico. Un ulteriore indizio che sostiene la macrocitosi è rappresentato dall'assenza di tipici macro-ovalociti negli strisci periferici e dall'incremento dell'RDW, tipico della classica anemia megaloblastica. Modificazioni macrocitiche sono comuni nella mielodisplasia, nella quale l'eterogeneità cellulare è enfatizzata dall'aumento dell'RDW e dalla marcata anisocitosi. Il midollo osseo contiene precursori eritrocitari megaloblastoidi (comuni anche nelle fasi avanzate di epatopatia), con pattern nucleare di cromatina densa che differisce dalle modificazioni dell'anemia megaloblastica tipica.

Le anemie non megaloblastiche danno ovviamente GR grandi ma privi di megaloblastosi; è una situazione, stavolta, che colpisce in maniera pressoché esclusiva la serie rossa. È evidente che alla base ci sono meccanismi diversi, e come si vede dalla diapo le cause possibili sono veramente tante. La prima e più importante è l’alcool, che in effetti è in grado di provocare anemia macrocitica sia di tipo megaloblastico che non megaloblastico:  Quella megaloblastica perché l’alcool “brucia” lo stomaco, che produce il fattore intrinseco, fondamentale per l’assorbimento della vitamina B12 che dunque manca nell’etilista portando a questa situazione.  Quella non megaloblastica è dovuta all’effetto tossico diretto dell’alcool e di alcuni metaboliti sul processo di maturazione dei GR. Proseguendo nella rassegna delle cause possiamo trovare l’ipotiroidismo, dove è possibile una forma mielodisplastica che con il tempo si trasforma in un’anemia macrocitica (eventualità da tenere sempre presente in anemie senza carenza di folati e vit B12), l’uso di farmaci citotossici, la gravidanza..

Anemie Megaloblastiche : Eziologia I meccanismi che causano lo stato Megaloblastico comprendono : - Carenza o Difettosa Utilizzazione della vitamina B12 e/o dell'acido folico; -

Farmaci citotossici (in genere farmaci antitumorali o immunosoppressori) che interferiscono con la sintesi del DNA

-

Sindrome di Di Guglielmo (rara forma di mielodisplasia che muta in una forma di leucemia mieloide acuta). Il chiarimento dell'eziologia e della fisiopatologia è di importanza cruciale nell'anemia megaloblastica

Ad ogni modo la causa più frequente è la carenza di vit B12 e folati, che si ritrova in diverse situazioni; quella più comune in assoluto è la gravidanza! Sono entrambe sostanze fondamentali per la sintesi del DNA e la crescita dei tessuti, ed in quel periodo se la dieta non viene supplementata la donna può andare in anemia, così come la mancanza di B12 potrebbe causare alterazioni dello sviluppo fetale. Ci potrebbero anche essere farmaci citotossici che agiscono specificamente bloccando l’utilizzazione dei folati, es il metotrexate, un vero e proprio anti-folati. Questo spiega come l’anemia megaloblastica spesso la veda – oltre il ginecologo, il geriatra e altri - anche l’ematologo, che in un certo senso tramite questi farmaci la provoca, tant’è che esiste la terapia di salvataggio con levofolinato nei pz che devono usare il metotrexate. Esiste infine la sindrome di Gugliemo in cui i folati non vengono utilizzati; questa situazione potrebbe evolvere col tempo in leucemia. Ricordiamo inoltre che la vit B12 e l’acido folico sono fondamentali nel metabolismo dell’omocisteina e degli aminoacidi solforati: la metionina viene trasformata in omocisteina e poi in cisteina, anche se è possibile il passaggio inverso da omocisteina a metionina; proprio per la rimetilazione di questo ultimo passaggio servono le due sostanze di cui parliamo, se così non è ci sarà anche un aumento dei livelli di omocisteina, non più trasformata in metionina. Ergo, come conclusione pratica, un aumento di omocisteina potrebbe essere un segno metabolico di carenza di B12 e folati! La cosa importante è che avviene prima della comparsa di anemia (naturalmente il solo aumento di per sé non specifica se manchino i folati o la B12) ed è importante proprio come marcatore precoce. Siccome poi l’omocisteina è un fattore di rischio per il tromboembolismo venoso avremo anche questa situazione da tenere presente e affrontare.

Esami di Laboratorio • •



Emocromo – ¯ Hb, PLT, neutrofili; MCV, RDW Eritropoiesi Inefficace – LDH, bilirubina indiretta – ¯ Aptoglobina, Reticolociti – Reticol. Non aumentati Parametri Marziali – ferritina, sideremia, Tf satur.

Per fare diagnosi di anemia macrocitica di tipo megaloblastico la metodica più semplice è l’emocromo, che ovviamente farà vedere un’anemia macrocitica; c’è eritropoiesi inefficacie (vedi sopra) con riduzione di aptoglobina - poiché c’è un po’ di emolisi nelle anemie macrocitiche – ma ciò che tagli ala testa al toro è il dosaggio di vit B12 e acido folico; o volendo essere più precisi come fanno certi laboratori il dosaggio dell’omocisteina che potrebbe evidenziare, come dicevamo, un difetto clinicamente ancora non manifesto ma metabolicamente presente.

Cause di Deficit di Cobalamina 1. Dieta Inadeguata -vegetariani: no carne, uova, latte 2. Inadeguata proteolisi della cobalamina

-gastrite atrofica -omeprazolo, H2-bloccanti 3. Deficit di IF gastrico Gastrectomy; H2-bloccanti Anemia Perniciosa 4. Insufficienza Pancreatica - mancata dissociazione della cobalamina dalla R-protein nel tenue 5. Ansa Cieca - overgrowth di batteri che utilizzano la cobalamina della dieta 6. Diphyllobothrium latum -verme piatto di derivazioe ittica che utilizza la cobalamina 7. Malassorbimneto intestinale - Malattie del tenue: Crohn’, sprue, TBC - Ressezione ileale - Difetti intrinseci del IF 8. Deficit di trasporto o di utilizzo - Malattie ereditarie: cong. IF deficit; alterazioni del recettore per IF-Cbl ileale; deficit TCII ; - N2O inalazione (ossidazione irreversibile della Cbl)

Diagnosi di Deficit di Cobalamina COBALAMINA SIERICA FOLATI SIERICI FOLATI ERITROCITARI ACIDO METILMALONICO OMOCISTEINA Test Assorb. COBALAMINA Ab Anti-IF

Bassa NORMALI, a volte aumentati Normali o Bassi Aumentato (plasma,urine) Aumentata (plasma,urine) Di solito ANORMALE Se Positivo = diagnosi di AP

Test di Schilling 1. 1.0 mg 57CoCbl PO + 1000 mg Cbl non marcata IM 2. Determinare escrezione urinaria di 57CoCbl --SE Bassa ( parte dei casi anemia lieve-moderata – Possibili splenomegalia, colelitiasi, ittero Laboratorio – Anemia emolitica con sferociti – Est di fragilità osmotica positivo – Autoimmunità negativa Terapia – > parte dei casi non necessità di terapia – splenectomia – Counseling paziente e familiari

La sferocitosi ereditaria è una pt ereditaria in cui sono alterate le proteine che codificano per il citoscheletro della membrana, che determina la forma classica del GR; se questi “cavi” sono mutati il GR diventerà sferico. Dal pdv clinico provoca conseguenze: la deformabilità è molto minore, i GR perdono il fisiologico rapporto volume/superficie e sono ossigenati un po’ meno, possono occludere più facilmente i vasi (anche se in numero assoluto sono meno, e questo aiuta ad evitare occlusioni). Ci sono soggetti con sferocitosi che stanno benissimo! Altri pz invece stanno molto male e hanno emolisi molto freq che richiedono trasfusioni; questo per dire come il quadro clinico sia in primis molto variabile e soprattutto non prevedibile in nessun modo. Nelle forme più gravi per ridurre l’emolisi possiamo togliere la milza, ma ci si arriva raramente.

Deficit di G6PD (Favismo) • • • •





La più frequente fra le enzimopatie eritrocitarie ereditarie – Fino al 10% in soggetti Africani and Mediterranei X-linked Emolisi conseguente a eccessivo danno ossidativo cellulare Severità clinica assai variabile – > parte dei casi asintomatica o no anemia in assenza di fattori scatenanti – Fattori scatenanti: • infezioni • sulfamidici, primachina, dapsone • fave Diagnostica di Laboratorio – Cellule “a morso” – Heinz bodies – Dosaggio dei livelli di G6PD Terapia – Di Supporto – Evitare fattori scatenanti – counseling individuale/familiare

Abbiamo già nominato il deficit di G6P DH o favismo. E’ ereditario, legato al cromosoma X, e causa un eccessivo danno ossidativo cellulare stimolato da condizioni intercorrenti, es farmaci “sbagliati” per questi pz come i sulfamidici che innescano crisi emolitiche più o meno gravi. La tp sarebbe dare antiossidanti o cercare di evitare i fattori scatenanti. Altresì teniamo conto che quando i GR si rompono le membrane se ne vanno in circolo e potrebbero determinare piccole manifestazioni ischemiche! Infatti questi sogg durante una crisi possono sperimentare dolori molto forti specie alle estremità. La diagnosi ovviamente si fa con il dosaggio dell’enzima carente.

PORFIRIE Le porfirie sono un gruppo eterogeneo di malattie metaboliche che sono conseguenti a un difetto o a un’alterazione dell’attività catalitica di uno degli otto enzimi che regolano il metabolismo dell’EME. Si tratta di patologie rare, anche se alcune sono meno rare di altre, e sono ereditarie: sono trasmesse prevalentemente con modalità autosomica dominante, anche se la penetranza è estremamente variabile, per cui spesso vi sono soggetti portatori del gene mutato che non sviluppano mai la sintomatologia, altri che presentano un’unica crisi in tutta la vita, e altri ancora che presentano sintomi ricorrenti. Di conseguenza, oggi sappiamo che, affinché la porfiria si manifesti clinicamente, non è sufficiente la presenza della mutazione, ma sono necessari fattori scatenanti, soprattutto di tipo ambientale; per cui, nella fisiopatologia di una porfiria, l’interazione ambiente-genetica è fondamentale. Alcuni tipi di porfiria sono francamente acquisiti: prima qualcuno di voi ha parlato dell’intossicazione da piombo, e infatti il saturnismo è un tipo particolare di porfiria acquisita, in cui il piombo blocca uno di questi enzimi, determinando un effetto simile a quello che si ha in caso di mutazione. Per il clinico, le porfirie rappresentano una grande sfida diagnostica, poiché arrivare alla diagnosi di porfiria non è per nulla facile; inoltre, gli specialisti che possono avere a che fare con la porfiria sono molti: il neurologo, lo psichiatra (il nostro paziente aveva presentato delirium), i chirurghi, il dermatologo, poiché alcune porfirie danno delle manifestazioni cutanee, l’internista, medici di terapia intensiva.

METABOLISMO DELL’EME L’EME è una struttura planare costituita da quattro pirroli legati tra loro. La sua funzione è quella di mantenere al proprio interno il Fe ++, che è fondamentale per il nostro organismo ma è anche altamente tossico. Le EME-proteine sono tutte quelle proteine che hanno come gruppo prospettico l’EME, e ve ne sono due, presenti in grande quantità nel nostro organismo, che sono l’emoglobina e la mioglobina; vi sono però molti altri enzimi che contengono al proprio interno l’EME, come la catalasi, la perossidasi, importante nella sintesi dei neurotrasmettitori, e i citocromi P450, che sono proteine fortemente inducibili soprattutto ad opera di farmaci. Pertanto, l’utilizzo di farmaci che vengono sintetizzati dai citocromi consuma i citocromi e consuma di conseguenza EME, richiedendo all’organismo una nuova produzione di EME; non è un caso che proprio i farmaci sono tra i fattori scatenanti le crisi di porfiria, soprattutto di

porfiria acuta, e tra questi farmaci vi sono molti anti-epilettici. Il nostro paziente aveva effettuato un’anestesia generale per l’intervento di laparoscopia, e l’anestesia generale fa parte dei fattori scatenanti, perché consuma citocromi; in seguito, a causa della comparsa delle convulsioni, sono stati somministrati diazepam e fenobarbital, quindi è logico che la situazione sia peggiorata ulteriormente. Quella che vedete nell’immagine è la via di sintesi dell’EME: si parte da molecole molto semplici, come la glicina e il succinil-CoA, e pian piano, attraverso un progressivo processo di ciclizzazione, si costruisce una molecola complessa, che è la protoporfirina IX, in cui viene inserito il Fe++ con la formazione di EME.

Degli otto enzimi che intervengono in questa via biosintetica ve ne sono alcuni (quelli a sinistra) che sono localizzati all’interno dei mitocondri, e altri (sulla destra) che si trovano invece nel citosol. Inoltre, vengono prodotte due diverse tipologie di sostanze: alcune non sono ancora completamente ciclizzate, come l’acido δ-aminolevulinico e il porfobilinogeno, che è ciclizzato ma costituito da un solo anello, mentre altre sono del tutto ciclizzate e via via sempre più simili al prodotto finale. Ciascuno di questi enzimi può risultare

carente, e per ciascuno di essi avremo una malattia diversa, con segni e sintomi differenti a seconda del tipo di precursori che si accumulano: se si accumulano i precursori lineari, che sono soprattutto l’acido δaminolevulinico e il porfobilinogeno, la sintomatologia è prevalentemente di tipo acuto, come nel nostro paziente; se invece il difetto è più a valle e si accumulano sostanze più simili al prodotto finale la sintomatologia è prevalentemente di tipo cutaneo, perché queste sostanze tendono ad accumularsi a livello della pelle e sono fortemente foto-sensibilizzanti. Pertanto, le porfirie si distinguono in due tipologie: 1. acute; 2. non acute o cutanee: questi pazienti non possono stare al sole, tanto che si crede che le porfirie abbiano fatto nascere il mito dei vampiri, perché in questi pazienti anche solo tenere il braccio fuori dal finestrino durante la guida causa ustioni importantissime. Vi sono però delle forme in cui vi sono entrambi i difetti e si accumulano entrambi i precursori, per cui le manifestazioni possono essere o di tipo viscerale, o di tipo cutaneo, o entrambe.

Nell’immagine vedete i nomi delle principali forme di porfiria: il nostro paziente presenta una porfiria acuta intermittente, che è causata dal deficit del terzo enzima, la PBG deaminasi, ed è caratterizzata dall’accumulo di precursori lineari, con conseguenti manifestazioni acute. Come in tutte le reazioni

biochimiche, l’EME, una volta prodotto, esercita un feed-back negativo sul primo enzima, che si chiama ALA-sintetasi: se è presente un deficit degli enzimi a valle, come la PBG-deaminasi, la coproporfirinogeno ossidasi o la protoporfirinogeno ossidasi, e si verifica una condizione che provoca un deficit di EME, ad esempio l’utilizzo di farmaci che richiedono l’utilizzo di citocromi in grande quantità, viene meno l’inibizione dell’EME sull’ALA-sintetasi. L’ALA-sintetasi verrà quindi prodotta in grande quantità, e siccome vi è un deficit funzionale di uno degli enzimi della via biosintetica, si accumulano ALA (acido δ-aminolevulinico) e PBG (porfobilinogeno), che sono entrambi composti lineari e responsabili delle manifestazioni acute di tipo neuroviscerale. E infatti, quando abbiamo misurato ALA e PBG nelle urine del nostro ragazzo, erano dieci volte il valore normale. L’ALA presenta una struttura molto simile al GABA, che è un neurotrasmettitore inibitorio: tutte le volte in cui l’ALA si accumula va ad interferire con il GABA, con conseguente ipereccitazione che ha un effetto tossico sul SNC; anche la sintomatologia dolorosa, simile ad un quadro di addome acuto, in realtà non è determinata da un coinvolgimento infiammatorio della parete addominale, ma è causata da un interessamento di tipo funzionale dei nervi con conseguente polineuropatia da iperfunzione. Vi sono degli studi su modelli murini in cui è stato iniettato dell’ALA, con una reazione del tutto simile a quella che si ha in una porfiria acuta intermittente. Quali sono i sintomi di un attacco di porfiria acuto? 

Dolore addominale, nel 95% dei casi: sono dolori intensissimi, il paziente si ritorce nel letto senza trovare una posizione. Molte donne in età fertile, dopo aver sperimentato un attacco acuto di porfiria, tutte le volte in cui hanno dolori mestruali temono si tratti di un nuovo attacco di porfiria e assumono subito degli oppiacei, rischiando di sviluppare una tossicodipendenza.



Vomito;



Stipsi;



Astenia;



Tachicardia;



Sintomi mentali;



Ipertensione;



Convulsioni;



Paralisi;



Coma.

La sindrome da inappropriata secrezione di ADH è un sintomo tipico dell’attacco di porfiria, e fa parte della disfunzione del SNC caratterizzata anche da epilessia e allucinazioni: probabilmente la neuroipofisi subisce un’alterazione funzionale e viene stimolata in maniera eccessiva, producendo l’ormone ADH in eccesso. E’ difficile poi stabilire se l’iposodiemia ha a sua volta un ruolo nello scatenare le convulsioni.

Sembra che re Giorgio III d’Inghilterra fosse affetto da una forma di porfiria acuta, una coproporfiria ereditaria, perché ogni tanto aveva dei momenti di totale follia, in cui correva per il cortile in camicia da notte: e i valletti si erano accorti che tutte le volte in cui presentava queste manifestazioni di follia le sue urine erano di colore rosso porto. In Inghilterra, sono andati a valutare la concentrazione di ALA e PBG nei pazienti ricoverati in manicomio e hanno riscontrato una percentuale più elevata del normale; anche tra i miei pazienti, ve ne sono molti che hanno parenti che sono stati ricoverati a lungo in ambiente psichiatrico. Le urine presentano questo colore caratteristico in base alle quantità di ALA e PBG che vengono eliminate: talvolta anche durante una crisi le urine presentano un colore normale, ma se vengono tenute per un certo periodo alla luce, questa le fa ciclizzare, determinando così il colore rosso porto. Per motivi ancora non chiari i malati di porfirie acute, soprattutto di porfiria acuta intermittente, presentano frequentemente un danno renale: probabilmente ALA e PBG danno un danno a carico dei glomeruli renali, ma non è mai stato dimostrato; una delle ipotesi è che questo danno sia causato da un’eccessiva produzione di ossalati. L’ALAsintetasi, che è l’enzima che viene indotto dall’assenza di EME, funziona a vitamina B6. Per cui, se si ha un’improvvisa iperattività dell’ALA-sintetasi l’organismo consuma moltissima vitamina B6, la cui carenza causa un accumulo di ossalato perché la via metabolica degli ossalati richiede vitamina B6; al momento però si tratta di un’ipotesi non confermata. In genere i sintomi compaiono dopo la pubertà, e nella donna, dopo la menopausa, migliorano. In Italia, la porfiria acuta intermittente ha una frequenza di un caso/100.000 abitanti; la porfiria cutanea tarda, che dà solo interessamento cutaneo, è molto più frequente, e può arrivare a 25 casi/100.000. La porfiria variegata, che è sia viscerale che cutanea, è ancora più rara nel nostro paese, mentre in Sud Africa raggiunge frequenze di 50 casi/100.000, a causa del cosiddetto “effetto fondatore”. Come si fa la diagnosi? - Innanzitutto se riscontrate la sintomatologia che abbiamo descritto guardate le urine, che possono avere già dall’inizio il colore del vino porto o possono assumerlo dopo una mezz’ora che stanno alla luce del sole (prova solare). Può essere utilizzata la fluorescenza poiché si tratta di composti fluorescenti: si possono quindi guardare le urine con una particolare lunghezza d’onda. Infine, si può effettuare il dosaggio dell’ALA e del PBG, con l’esame specifico. Ogni tipo di porfiria ha un suo precursore, per cui in base al precursore che viene eliminato noi arriviamo a fare la diagnosi del tipo di porfiria. Come comportarci davanti a un attacco di porfiria acuto o sospetto tale? E’ ovvio che anche il malato di porfiria acuta può avere un’appendicite acuta, quindi non tutti i dolori di questi pazienti sono da attribuire all’attacco acuto di porfiria. Tutte le volte in cui sospettiamo o abbiamo la certezza di un attacco di porfiria dobbiamo ricoverare il paziente, perché abbiamo visto che la situazione può precipitare molto velocemente. Dobbiamo innanzitutto eliminare tutti quei fattori che possono causare un attacco di porfiria acuta, come: –

farmaci;



stress;



alcool;



digiuno: le porfirie acute sono nemiche del digiuno, ovvero l’ipoglicemia è un fattore che può scatenare una crisi di porfiria, e sono particolarmente a rischio le donne malate di porfiria che fanno diete troppo drastiche.

La terapia dell’attacco porfirico acuto si basa su due punti: 1. Infusione di glucosio, in particolare soluzioni ipertoniche glucosate al 20%; dobbiamo però fare attenzione, perché se il paziente ha un’iposodiemia rischiamo di peggiorarla ulteriormente. 2. Somministrazione di EME: abbiamo a disposizione un composto, chiamato NORMOSANG®, che viene fatto in infusione, e serve proprio per il trattamento delle crisi porfiriche acute. Non tutti gli ospedali però hanno a disposizione il NORMOSANG®, per cui in assenza di esso si effettua la glucosata, che è meno potente e meno efficace, ma è meglio che niente. Inoltre sarà necessario trattare il dolore, che essendo così intenso viene trattato soprattutto con gli oppiacei. Qual è il razionale di questa terapia? La somministrazione di EME dall’esterno va ad inibire l’ALAsintetasi, e un’azione simile è svolta anche dal glucosio: quando si somministra glucosio si produce insulina, con aumento dell’IGF-1 (insulin growth factor), che è un inibitore dell’ALA-sintetasi; in caso di digiuno, invece, si riduce l’IGF e aumenta quindi l’attività dell’ALA-sintetasi, ed è questo il motivo per cui il digiuno rappresenta un fattore scatenante la crisi. La somministrazione di EME è più efficace rispetto al glucosio, poiché l’EME esercita una duplice azione: da un lato blocca l’enzima con un meccanismo allosterico, dall’altro agisce a livello genico, bloccando la sintesi proteica di nuovo enzima.

Torniamo al nostro paziente… Una volta fatta la diagnosi, il malato viene subito trasferito nel nostro reparto, in decima giornata, e qui viene così trattato: –

sono somministrati NORMOSANG® e glucosata insieme;



viene iniziata un’alimentazione parenterale, perché il ragazzo non si alimentava da sei-sette giorni;



è stata sommnistrata petidina, molto utile nella gestione del dolore nella porfiria acuta intermittente;



è stata effettuata un’antibiotico-copertura;



l’anti-epilettico è stato cambiato: è stato eliminato il fenobarbital ed è stato introdotto in terapia il gabapentin, che è un farmaco considerato safe in questi pazienti.

Marco ha presentato progressivamente un miglioramento: è tornato a muoversi, si è alzato, ha fatto un po’ di fisioterapia, e i valori di ALA e PBG, così come la sodiemia, si sono normalizzati. Una volta dimesso, gli è stato consegnato il cartellino che i malati di porfiria devono sempre avere con sé, in cui ci sono i numeri che

il medico di PS può contattare in caso di crisi acuta, e l’elenco di farmaci che i pazienti non possono assumere: CONSIDERATI POCO SICURI E SICURI NELLE PORFIRIE ACUTE* Poco sicuri Sicuri Barbiturici† Acido valproico† Analgesici narcotici Antibiotici sulfonamidici† Pirazoloni (aminopirina, Aspirina Meprobamato† antipirina) Paracetamolo Carisoprodolo† Griseofulvina† Fenotiazine Glutetimide† Alcaloidi della segale Penicillina e derivati Metiprilone cornuta Streptomicina Etclorvinolo† Metoclopramide† Glucocorticoidi Fenitoina† Rifampicina† Bromuri Mefenitoina Pirazinamide† Insulina Succinimidi Diclofenac† Atropina (etosuccimide, metsuccimide) Progesterone e Cimetidina Carbamazepina† progestinici di sintesi† < Ranitidina,† § Clonazepam Danazol ? Estrogeni,† || Primidone† Alcol Nifedipina e altri calcioantagonisti‡ Felbamato Dioni (trimetadione, parametadione)

Durante il ricovero, per completamento diagnostico, è stato effettuato lo studio dell’attività enzimatica della PBG-deaminasi, che è risultata essere inferiore al 35% del normale, e si è valutato il tipo di mutazione. E’ stato poi effettuato lo screening dei familiari, seppure poco collaborativi: è stato visto che una cugina di Marco era sintomatica, ovvero aveva avuto una sintomatologia da porfiria che però non era stata riconosciuta come tale. Dopodiché Marco è stato sottoposto a follow up, durante il quale però ha presentato altre crisi: ogni volta in cui è stato registrato un incremento di ALA e PBG si è sempre presentato dolore addominale, e la cosa interessante è che queste crisi sono sempre state precedute da episodi influenzali. Ovviamente, tutte le volte in cui iniziava a presentare dolore gli veniva somministrato del NORMOSANG®, bloccando così sul nascere la crisi. Tuttavia, siccome le crisi sono state frequenti e i valori di ALA e PBG rimanevano alti, si è pensato di fare una terapia di mantenimento, somministrandogli una volta alla settimana/una volta al mese una glucosata con del NORMOSANG® per cercare di limitare il più possibile il numero delle crisi. Il problema principale di queste malattie è che, a differenza del diabete o dell’ipertensione, non vi sono delle linee guida che stabiliscono, sulla base dei valori di ALA e PBG, il numero di infusioni mensili, ma la decisione è lasciata al singolo medico, che decide in base al numero di crisi e ai valori di ALA e PBG. Nonostante la terapia di mantenimento, però, si sono presentate comunque quattro crisi. Un altro problema significativo è che il NORMOSANG® ha dentro il ferro: una fiala di NORMOSANG®, che si usa una o due volte al mese, contiene 200 mg di ferro; contiene inoltre anche dell’alcool che per un malato di porfiria acuta intermittente non è ottimale, ma è necessario per mantenere il contenuto in soluzione. Prima di iniziare la terapia di mantenimento è stata quindi testata la genetica

dell’emocromatosi perché, dovendo somministrare del ferro, se il paziente è portatore del gene dell’emocromatosi è ancora più a rischio per l’accumulo di ferro: fortunatamente Marco non aveva mutazioni dell’HFE e neppure dei geni meno frequenti. Ciononostante, si è registrato un aumento dei livelli di ferritina, che sono arrivati anche fino a 1265 ng/ml. Davanti a un valore di ferritina così elevato si è valutata l’eventuale presenza di depositi di ferro a livello degli organi, in particolare il fegato, mediante una risonanza magnetica effettuata con un software particolare in grado di misurare il LIC (liver iron content, o contenuto epatico di ferro), che nel nostro paziente risulta essere di 180, mentre dovrebbe essere inferiore a 36. Per cui si è deciso di togliergli del ferro attraverso l’utilizzo di un Fe ++-chelante come la deferoxamina; Marco è però intollerante alla deferoxamina, e sviluppa ogni volta un’orticaria, quindi si passa al deferasirox, un chelante orale. La ferritina ha iniziato a calare, ma bisogna ricordare che il deferasirox può dare problemi renali, e per questo viene monitorato. Ricordate che se avete un paziente affetto da porfiria che viene da voi con dolore addominale, la prima cosa da fare è dosare ALA e PBG: se questi sono normali non si tratta di un attacco di porfiria e dovete orientarvi verso altre cause; se invece i valori sono elevati, lo dobbiamo trattare come una crisi di porfiria acuta. Il saturnismo è assolutamente indistinguibile da un attacco di porfiria acuta intermittente, poiché i sintomi sono assolutamente simili: il piombo blocca l’ALA-deidratasi, quindi si accumula solo l’ALA e non il porfobilinogeno; è l’unico tipo di porfiria, eccetto la porfiria da deficit di ALA-deidratasi di cui sono stati descritti sette casi al mondo, in cui si ha l’accumulo solo di ALA.

Malattie dell’apparato cardiovascolare Cardiopatie Termine con cui si indica qualunque anomalia strutturale o funzionale a carico del cuore. Le cardiopatie possono essere divise in: o congenite, se presenti fin dalla vita fetale; o acquisite, quando si sviluppano in un’epoca successiva alla nascita.

Cardiopatie congenite Le cardiopatie congenite, che possono portare nei casi di particolare gravità a morte intrauterina, rappresentano la causa più comune di malattia cardiaca nel neonato, presentandosi in circa otto nati vivi su mille. Possono evidenziarsi clinicamente già alla nascita, quando nel nascituro si verifica il passaggio dalla circolazione sanguigna placentare a quella autonoma; oppure possono manifestarsi e aggravarsi nella prima infanzia o, ancora, essere diagnosticate nell’età adulta. Spesso presenti con una maggiore incidenza all’interno della stessa famiglia, possono essere associate a mutazioni cromosomiche (come la sindrome di Down o la sindrome di Turner), essere conseguenti a malattie infettive contratte dalla madre durante il primo trimestre di gravidanza (ad esempio la rosolia), all’uso di farmaci (quali i barbiturici e alcuni chemioterapici antitumorali) o all’abuso di alcol. La classificazione prevede la suddivisione delle cardiopatie congenite in forme cianogene, dove una colorazione bluastra delle mucose e delle estremità distali di mani e piedi evidenzia una insufficiente ossigenazione dei tessuti (cianosi: Hb ridotta > 5 g/dl), e in forme non cianogene. Delle cardiopatie cianogene fanno parte: o Cardiopatie congenite cianogene con iperafflusso polmonare : - la trasposizione completa dei grossi vasi, caratterizzata dal sorgere dell’aorta dal ventricolo destro e dell’arteria polmonare dal ventricolo sinistro; - il ventricolo singolo. o Cardiopatie congenite cianogeno con ipoafflusso polmonare : - la tetralogia di Fallot, caratterizzata dalla presenza di un difetto del setto interventricolare, da stenosi polmonare, dall’ipertrofia del ventricolo destro e dall’anomalo posizionamento dell’arteria aorta a cavallo del setto interventricolare; - l’anomalia di Ebstein, caratterizzata dallo spostamento verso il basso della valvola tricuspide all’interno del ventricolo destro; - l’atresia tricuspidale. Tra le cardiopatie non cianogene sono comprese: o Cardiopatie congenite non cianogene con shunt sinistra-destra : - i difetti del setto interatriale e interventricolare; - la pervietà del dotto arterioso di Botallo, cioè del vaso che durante la vita fetale mette in comunicazione l’arteria aorta con l’arteria polmonare. o Cardiopatie congenite non cianogene senza shunt : - le stenosi delle valvole aortica e polmonare; - la coartazione aortica, cioè il restringimento di un tratto di questa arteria.

Cardiopatie acquisite Le cardiopatie acquisite comprendono processi morbosi a diversa eziologia che iniziano dopo la nascita. Esse possono esprimere una malattia che interessa direttamente il cuore in una delle sue componenti (il pericardio, il miocardio, l’endocardio), oppure possono rappresentare una sofferenza o un risentimento cardiaco secondario ad altre affezioni, di organi in stretto rapporto funzionale con il cuore (malattie dei polmoni), o dell’intero organismo (aterosclerosi, ipertensione arteriosa, febbre reumatica).  CARDIOMIOPATIE Le cardiomiopatie sono malattie che interessano primitivamente il miocardio e non sono provocate da ipertensione arteriosa o da malattie congenite, valvolari, coronariche, arteriose o pericardiche. La classificazione eziologica delle cardiomiopatie ne distingue due tipi fondamentali: - un tipo primitivo, caratterizato da malattia del muscolo cardiaco di eziologia sconosciuta; - un tipo secondario, caratterizzato da malattia del miocardio di eziologia nota o associata a malattie che coinvolgono altri apparati. Nella maggior parte dei casi non è possibile raggiungere una diagnosi eziologica, e quindi è più utile classificare le cardiomiopatie sulla base dei loro specifici aspetti fisiopatologici e clinici: - cardiomiopatia dilatativa; - cardiomiopatia ipertrofica; - cardiomiopatia restrittiva; - cardiomiopatia (o displasia) aritmogena del ventricolo destro. CARDIOMIOPATIA DILATATIVA Dilatazione ventricolare sinistra e/o destra con deficit della funzione di pompa sistolica. - Eziologia ed epidemiologia: è nella maggior parte dei casi idiopatica/primitiva, probabilmente il risultato finale di un danno miocardico provocato da una varietà di agenti tossici, metabolici o infettivi (forse evoluzione finale di miocardite virale acuta con possibile intervento mediatore di fattori immunitari). Interessa tutte le fasce di età, anche se colpisce più frequentemente i maschi adulti ed è più comune nella popolazione afroamericana. Circa il 20 % dei pazienti presenta una forma familiare della malattia, geneticamente eterogenea, caratterizzata da mutazioni genetiche per la decodificazione di proteine strutturali miocardiche. Forme di cardiomiopatia dilatativa secondaria sono:  Cardiomiopatia alcolica: l’elevato consumo di alcolici per lunghi periodi può dare un quadro clinico identico a quello della cardiomiopatia dilatativa idiopatica; nei paesi occidentali è la forma più frequente di cardiomiopatia dilatativa secondaria. A differenza della forma idiopatica che è caratterizzata da un deterioramento progressivo, l’interruzione dell’abuso di alcol può arrestare la progressione di questa malattia o addirittura detrminarne la risoluzione.  Cardiomiopatia “peripartum”: nell’ultimo trimestre di gravidanza o nei primi sei mesi dopo il parto può comparire una dilatazione cardiaca accompagnata da segni di insufficienza cardiaca; tipicamente sono pazienti multipare, afroamericane e con più di 30 anni. La prognosi è favorevole se, dopo il primo episodio di insufficienza congestizia, le dimensioni del cuore tornano normali. La mortalità può raggiungere il 25-50 % dei casi. Le pazienti che sopravvivono all’episodio di scompenso congestizio devono essere scoraggiate dall’avere altre gravidanze, soprattutto se persiste cardiomegalia persistente.  Cardiomiopatia dilatativa in corso di malattie neuromuscolari : nella maggior parte delle distrofie muscolari è comune il coinvolgimento cardiaco.  Cardiomiopatia da farmaci: numerosi farmaci possono danneggiare acutamente il miocardio provocando flogosi o danni cronici simili a quelli che si osservano nella cardiomiopatia dilatativa idiopatica (derivati dell’antraciclina tra cui la doxorubicina, ciclofosfamide, 5-fluorouracile, antidepressivi triciclici, fenotiazine, litio, cocaina).

- Sintomatologia: comparsa di sintomi di insufficienza cardiaca congestizia destra e sinistra; aritmie; emboli periferici a partenza da trombi murali, particolarmente localizzati all’apice del ventricolo sinistro. - Diagnosi: all’esame obiettivo  sono comuni distensione venosa giugulare, rantoli, itto del ventricolo sinistro discinetico e ampio, terzo e quarto tono, epatomegalia, edemi periferici, soffi da insufficienza mitralica e tricuspidale. Agli esami strumentali  l’RX torace mostra cardiomegalia, ridistribuzione del circolo polmonare e versamenti pleurici; l’ECG evidenzia aritmie, dilatazione atriale sinistra, alterazioni del tratto ST e dell’onda T, difetti di conduzione intraventricolare e bassi voltaggi; l’ecocardiografia evidenzia dilatazione ventricolare destra e sinistra con compromissione globale della cinesi. - Prognosi e terapia: la maggior parte dei pazienti presenta un decorso clinico caratterizzato da un progressivo deterioramento. Il decesso, in particolare nei pazienti che superano i 55 anni di età, avviene entro 3 anni dall’inizio dei sintomi. I pazienti vanno incontro a morte per insufficienza congestizia o aritmie ventricolari; la morte improvvisa rappresenta un rischio permanante. Terapia dello scompenso cardiaco, terapia anticoagulante cronica per prevenire l’embolia sistemica, astensione dall’alcol, defibrillatori nei pazienti affetti da aritmie maligne (da evitare farmaci antiaritmici per il rischio di effetti proaritmici), trapianto cardiaco negli stadi più avanzati di malattia refrattari alla terapia medica.

CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA Ipertrofia abnorme, ad eziologia sconosciuta, del ventricolo sinistro, coinvolgente in misura maggiore il setto che la parete libera, con o senza ostruzione al deflusso ventricolare sinistro, con cavità ventricolare sinistra non dilatata. Si distinguono:  cardiomiopatia ipertrofica non ostruttiva (75 % dei casi);  cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva o stenosi subaortica ipertrofica idiopatica (25 % dei casi). Le anomalie fisiopatologiche sono:  diastolica (più comune) aumento della rigidità delle pareti muscolari ipertrofiche, alterazione del rilasciamento diastolico con ridotta distensibilità diastolica ventricolare, che induce un’elevata pressione diastolica di riempimento;  sistolica (meno comune) ostruzione dinamica telesistolica all’eiezione ventricolare sinistra (da ipertrofia asimmetrica del setto e impianto anteriore della mitrale) con gradiente pressorio intraventricolare. - Eziologia ed epidemiologia: ipertrofia ventricolare sinistra ad eziologia sconosciuta, quindi non secondaria ad una malattia cardiovascolare o sistemica condizionante un sovraccarico emodinamico del ventricolo sinistro (HTN arteriosa o stenosi aortica). In circa il 50 % dei casi di cardiomiopatia ipertrofica è presente una anamnesi familiare positiva con trasmissione autosomica dominante a penetranza incompleta (identificate più di 100 differenti mutazioni a carico dei geni codificanti per la miosina β cardiaca, per la troponina T, per la proteina C legante la miosina, per l’α-tropomiosina, per la troponina I, …). - Sintomatologia: l’andamento clinico delle cardiomiopatie ipertrofiche è molto variabile. La maggior parte dei pazienti è asintomatica; spesso questi pazienti hanno parenti affetti dalla malattia. Sfortunatamente, la prima manifestazione clinica della malattia può essere la morte improvvisa, che può frequentemente colpire bambini e giovani adulti, spesso durante o dopo un esercizio fisico. I sintomi sono secondari all’elevata pressione diastolica, all’ostruzione dinamica al deflusso del ventricolo sinistro e alle aritmie  dispnea, angina pectoris, astenia, sincope. - Diagnosi: all’esame obiettivo  nei pazienti con ostruzione sono evidenti itto apicale con doppio o triplice impulso, ripida branca ascendente del polso carotideo, quarto tono, soffio telesistolico rude con morfologia a diamante sul margine sternale sinistro, soffio da insufficienza mitralica all’apice (i soffi si accentuano con la manovra di Valsalva e con l’attività fisica). Agli esami strumentali  l’ECG mostra i segni di ipertrofia ventricolare sinistra con onda Q settale prominente nelle derivazioni D1, aVL, V5-6; all’Holter frequente rilevazione di periodi di FA e tachicardia ventricolare; all’RX torace frequente riscontro di cardiomegalia lieve o moderata; all’ecocardiografia sono evidenti l’ipertrofia ventricolare sinistra, con il caratteristico aumento di spessore del setto, con restringimento del lume ventricolare sinistro a forma di clessidra.

- Prognosi e terapia: la storia naturale della cardiomiopatia ipertrofica è variabile. Molti pazienti restano completamente asintomatici. La causa principale di decesso è rappresentata dalla morte improvvisa; fattori predisponenti alla morte improvvisa sono: età inferiore ai 30 anni, tachicardia ventricolare all’Holter, frequenti sincopi, presenza di ipertrofia ventricolare marcata, storia familiare di morte improvvisa. Poiché la morte improvvisa si può verificare durante o subito dopo un esercizio fisico, attività agonistica e sforzi eccessivi sono sconsigliati. Profilassi antibiotica per le endocarditi nei pazienti con forma ostruttiva. Ca+antagonisti o beta-bloccanti; pace-maker o defibrillatore; ablazione miocardica settale transluminale percutanea (infarto del setto interventricolare indotto da iniezioni di etanolo nell’arteria settale); intervento chirurgico di miectomia del setto ipertrofico. Ricerca nella famiglia di ulterori casi di malattia. CARDIOMIOPATIA RESTRITTIVA Anormale funzione diastolica ventricolare: la parete ventricolare è eccessivamente rigida e ostacola il riempimento ventricolare, l’aumento della rigidità miocardica compromette la distensione ventricolare, per cui la portata cardiaca è limitata e le pressioni ventricolari diastoliche sono elevate. L’endocardio diventa più spesso e si ricopre di trombi con notevole rischio di embolie. - Eziologia ed epidemiologia: Ne sono generalmente responsabili la fibrosi miocardica, l’ipertrofia o l’infiltrazione secondaria a varie cause. Le malattie infiltrative rappresentano una causa importante di cardiomiopatia restrittiva secondaria  amiloidosi, emocromatosi, glicogenosi, malattia di Fabry, fibrosi endomiocardica, sarcoidosi, eosinofilie, sclerodermia; nei pazienti sottoposti a trapianto cardiaco e in quelli sottoposti a radiazioni del mediastino; nelle infiltrazioni neoplastiche e nelle fibrosi miocardiche di eziologia diversa.  Fibrosi endomiocardica: malattia progressiva, a eziologia sconosciuta, che interessa particolarmente i bambini e i giovani adulti delle aree tropicali e subtropicali dell’Africa. In Africa è una causa frequente di insufficienza cardiaca ed è responsabile di circa il 25 % delle morti per cardiopatie. E’ caratterizzata da lesioni endocardiche fibrose a carico del tratto di afflusso del ventricolo destro e/o del ventricolo sinistro ed interessa le valvole atrioventricolari; gli apici dei ventricoli sono obliterati da una massa di tessuto fibroso e di trombi. Terapia medica insoddisfacente; intervento chirurgico di escissione dell’endocardio fibroso e di sostituzione valvolare.  Endocardiomiopatia con eosinofilia (o endocardite fibroplastica di Loeffler): aspetto particolare della sindrome ipereosinofila in cui il cuore è l’organo bersaglio, per gli effetti tossici delle proteine eosinofile. Ispessimento marcato dell’endocardio con coinvolgimento del sottostante miocardio; sviluppo di grandi trombi murali, fonti di emboli polmonari e sistemici. Associazione con epatosplenomegalia e coinvolgimento di altri organi. Terapia sintomatica ed eziologica (glucocorticoidi e citotossici, come idrossiurea). - Sintomatologia: i sintomi più importanti sono la scarsa resistenza all’attività fisica e la dispnea; questi pazienti, a causa dell’incremento persistente della pressione venosa centrale, presentano frequentemente edemi periferici, ascite ed epatomegalia. - Diagnosi: (D.D. con pericardite costrittiva) all’esame obiettivo  toni cardiaci lontani, terzo e quarto tono, itto cardiaco prominente palpabile. Agli esami strumentali  all’Rx torace lieve ingrandimento del ventricolo sinistro e assenza di calcificazioni pericardiche; all’ECG evidenza di bassi voltaggi, alterazioni del tratto ST e dell’onda T, aritmie; all’ecocardiografia ispessimento simmetrico delle pareti ventricolari. Per D.D.con pericardite costrittiva, trattabile con intervento chirurgico  biopsia cardiaca, TC e RM. - Prognosi e terapia: prognosi generalmente sfavorevole. Profilassi tromboembolica con anticoagulanti orali. DISPLASIA ARITMOGENA DEL VENTRICOLO DESTRO Cardiomiopatia con degenerazione lipomatosa del miocardio ventricolare destro e dilatazione ventricolare destra. - Eziologia ed epidemiologia: eziologia sconosciuta, nel 40 % dei casi anamnesi familiare positiva per casi di morte cardiaca improvvisa; è la causa del 10-20 % di tutte le morti cardiache improvvise in giovani uomini. - Sintomatologia: si manifesta generalmente verso il 30° anno di età con disturbi del ritmo ventricolare, eventualmente con sincope, oppure con morte improvvisa, spesso scatenata da sforzi fisici.

- Diagnosi: all’ECG aritmie; all’ecocardiografia e alla RM riscontro di depositi di tessuto adiposo a livello del ventricolo destro. - Terapia: risparmio fisico (non praticare sport), prevenzione e trattamento delle aritmie (beta-bloccanti, defibrillatore).

 CARDIOPATIE ISCHEMICHE La cardiopatia ischemica è la manifestazione dell’aterosclerosi a carico dei vasi coronarici. Provocata da stenosi coronariche che riducono il flusso, conduce a insufficienza coronarica = squilibrio tra fabbisogno e apporto di ossigeno nel muscolo cardiaco. L’ischemia miocardica così determinatasi si manifesta con diverse modalità: - forma latente = asintomatica (ischemia silente) - ischemia manifesta = sintomatica o angina pectoris: dolori toracici dovuti ad ischemia miocardica reversibile o infarto cardiaco: necrosi miocardica ischemica o danni ischemici del muscolo cardiaco con insufficienza sinistra o disturbi del ritmo (specialmente disturbi del ritmo ventricolare sino alla fibrillazione ventricolare) o morte cardiaca improvvisa

Epidemiologia Nei paesi industrializzati è la maggior causa di morte; prevalenza sino al 20% dei soggetti di età media; M:F = da 2:1 a 3:1. Frequenza delle varie forme di ischemia come prima manifestazione: • angina pectoris 55% • infarto cardiaco 25% • morte cardiaca improvvisa 20% Eziologia Cause (fattori di rischio) dell’aterosclerosi a) Fattori di rischio non influenzabili: • familiarità • età • sesso maschile b) fattori di rischio influenzabili: fattori di rischio di 1° ordine (più importanti): • dislipidemia: colesterolo totale e LDL aumentati, colesterolo HDL diminuito, trigliceridi aumentati • ipertensione • diabete mellito • sindromi metaboliche: obesità, resistenza all’insulina e iperinsulinemia + malattie

associate (1-3) • fumo di sigarette fattori di rischio di 2° ordine: • lipoproteina(a) aumentata • iperfibrinogenemia (> 300 mg/dl) • iperomocisteinemia (> 12 μmol/l) • anticorpi antifosfolipidi • deficit genetici di t-PA • poco movimento • fattori psico-sociali: stress, basso stato sociale, ecc. Se si hanno due fattori di rischio di 1° ordine, il rischio di infarto aumenta di quattro volte rispetto ad una persona normale; in presenza di tre fattori di rischio di 1° ordine il rischio aumenta di dieci volte.

 ANGINA PECTORIS Clinica L’angina pectoris si manifesta di regola in caso di stenosi coronarica critica (≥ 75%). L’angina pectoris (stenocardia) è il sintomo principale dell’insufficienza coronarica: prevalentemente si hanno dolori retrosternali, per lo più scatenati da sforzi fisici o stress emotivi , e di breve durata (minuti). I dolori possono irradiarsi al collo, alla mandibola, alle spalle, al braccio sinistro (destro), fino a raggiungere la punta delle dita nel lato ulnare. L’esposizione al freddo o la digestione (sindrome di Roemheld) possono acutizzare i dolori. Nei casi tipici i dolori scompaiono dopo somministrazione di nitroderivati, nonché al termine dello sforzo fisico. Molti pazienti accusano solo un senso di pressione retrosternale o di oppressione toracica. Decorso dell’angina pectoris 1. Angina pectoris stabile: viene regolarmente scatenata da determinati fattori (ad es. sforzo fisico). Risponde bene ai nitroderivati. 2. Angina pectoris instabile (sindrome pre-infartuale): — qualsiasi prima manifestazione di angina (angina di recente insorgenza < 2 mesi) — recente crescendo di gravità, durata, frequenza degli attacchi — angina a riposo o scatenata da un’attività minima — aumentato fabbisogno di farmaci antianginosi. Nell’angina pectoris instabile vi è un aumentato rischio di infarto (20%). Il passaggio all’infarto avviene quasi sempre con una rottura della placca ateromatosa con conseguente trombosi coronarica. Nel 30% dei casi è aumentata la troponina T/I; tanto maggiore è il suo livello, tanto più sfavorevole è la prognosi. 3. Forme particolari: — angina di Prinzmetal = angina variante: angina pectoris con sopraslivellamento del tratto ST durante l’attacco, reversibile. Il dolore toracico è simile a quello anginoso ma più intenso e prolungato, insorge solitamente in condizioni di riposo o al risveglio, in pazienti spesso fumatori e più giovani di quelli con angina instabile secondaria ad aterosclerosi coronarica. Assenza di alterazioni enzimatiche. Spesso i pazienti presentano, alla coronarografia, stenosi coronariche, a livello delle quali possono verificarsi spasmi transitori. Vi è un aumento del rischio di sindrome coronarica acuta e infarto. Diagnosi Esame obiettivo: spesso normale; la presenza di soffi arteriosi o di alterazioni dei vasi retinici suggerisce un’aterosclerosi generalizzata; quarto tono. Durante l’episodio anginoso acuto si possono manifestare altri segni: terzo tono intenso e quarto tono, sudorazione profusa, rantoli e soffio transitorio da insufficienza mitralica da ischemia deimuscoli papillari. ECG: negli intervalli liberi tra le crisi anginose può essere normale o evidenziare pregressi infarti. Durante le crisi compaiono le tipiche alterazioni del tratto ST e dell’onda T (il sottoslivellamento del tratto ST riflette un’ischemia subendocardica; il sopraslivellamento può essere indicativo di un infarto acuto o di uno spasmo coronarico transitorio). Le aritmie ventricolari spesso accompagnano l’ischemia acuta.

Test da sforzo: utile per porre diagnosi di malattia coronarica. Si esegue un esercizio fisico su tappeto rotante o su cicloergometro fino a raggiungere una data frequenza cardiaca o fino alla comparsa di sintomatologia (dolore toracico, senso di mancamento, ipotensione, dispnea intensa, tachicardia ventricolare) o di alterazioni diagnostiche del tratto ST. La scintigrafia con tallio o tecnezio aumenta la sensibilità e la specificità ed è particolarmente utile nei casi in cui siano presenti alterazioni di base dell’ECG che possono inficiare l’interpretazione del test (BBS). Se il paziente non può effettuare il test da sforzo, può essere eseguito un test con infusione endovenosa di dipiradomolo o adenosina durante scintigrafia con tallio o tecnezio, o uno studio ecocardiografico con dobutamina. Coronarografia: trova indicazione in caso di: 1) angina refrattaria alla terapia medica; 2) prova da sforzo marcatamente positiva; 3) angina ricorrente o positività al test da sforzo dopo IMA; 4) diagnosi di spasmo coronarico; 5) valutazione di pazienti con dolore toracico dubbio. Trattamento Angina stabile: identificare e trattare i fattori di rischio (sospensione del fumo, trattamento del diabete, dell’ipertensione e delle dislipidemie); correggere i fattori aggravanti che contribuiscono all’angina (obesità, anemia,ipertiroidismo); terapia farmacologica (nitroderivati, beta-bloccanti, calcio-antagonisti, acido acetilsalicilico); angioplastica coronarica transluminale percutanea +/- posizionamento di stent; BPAC. Angina instabile: ricovero in Unità Coronarica; anticoagulanti + nitroderivati e beta-bloccanti; angioplastica; BPAC. Angina di Prinzmetal: nitroderivati e calcio-antagonisti.

 INFARTO MIOCARDICO ACUTO Necrosi del miocardio su base ischemica, quasi sempre dovuta ad una cardiopatia ischemica con stenosi di grado elevato di un’arteria coronarica. Patogenesi: arteriosclerosi _ placca stabile _ placca instabile _ rottura della placca _ occlusione trombotica _ angina pectoris instabile oppure infarto miocardico oppure morte cardiaca improvvisa. Fattori scatenanti • improvvisi sforzi fisici • situazioni di stress con forti variazioni pressorie • nell’angina pectoris instabile vi è un rischio maggiore di infarto (20%). • il 40% di tutti gli infarti si verifica nelle ore del mattino (6.00-12.00). Clinica • dolori precordiali intensi e persistenti (>30 minuti) da angina pectoris non influenzabili dal riposo o dalla somministrazione di nitroglicerina. Oltre ai dolori tipici dell’angina pectoris, il dolore può irradiarsi in direzione epigastrica, specialmente nell’infarto della parete posteriore. Nota: il 15-20% degli infarti miocardici è privo di dolore (infarti «silenti»), particolarmente nel diabetico (in seguito a neuropatia diabetica autonomica) e nei soggetti più anziani • senso di debolezza, angoscia e sintomatologia neuro-vegetativa secondaria (sudorazione, nausea, vomito, eretismo, ecc.), eventualmente temperatura subfebbrile • disturbi del ritmo cardiaco (95% dei casi): specialmente del tipo ventricolare fino a fibrillazione ventricolare • frequentemente caduta pressoria. Nota: per l’ipertono simpatico, la pressione può anche essere normale o un poco aumentata • il polso può essere normale, tachicardico o bradicardico • sintomi dell’insufficienza cardiaca sinistra (1/3 dei soggetti): dispnea, rantoli umidi alle regioni polmonari basali, eventuale edema polmonare • nei soggetti più anziani eventuali disturbi della circolazione cerebrovascolare accompagnati da stati confusionali ecc. La diagnosi risulta difficile negli infarti a decorso atipico senza dolori toracici, come ad es.:

• solo dolori a spalla/braccio sinistro • solo dolori epigastrici • solo dispnea • solo caduta pressoria/collasso. Diagnosi Esame obiettivo: possono essere presenti pallore, sudorazione, tachicardia, quarto tono, discinesie dell’itto. In caso di complicanze cardiache si possono riscontrare rumori molto accentuati come: sfregamento pericardico nella pericardite epistenocardica (controindicazione alla terapia anticoagulante, rischio di emopericardio); soffio sistolico nella perforazione del setto ventricolare da necrosi oppure nell’insufficienza mitralica per rottura del muscolo papillare o nella cardiodilatazione con insufficienza valvalore AV relativa; rantoli umidi nella stasi / edema polmonare. Esami di laboratorio: lieve leucocitosi, iperglicemia, cardioenzimi (prima mioglobina e troponina, poi CPK-MB). ECG: indispensabile per definire dimensioni, localizzazione ed età dell’infarto (prima slivellamento del tratto ST, poi inversione dell’onda T, infine comparsa dell’onda Q). Ecocardiografia: evidenzia alterazioni della cinesi di parete. Scintigrafia miocardica (con tallio o tecnezio): identifica regioni di ipoperfusione. Trattamento Terapia iniziale Ridurre il dolore, limitare le dimensioni della zona infartuata, prevenire/trattare le aritmie e le complicanze meccaniche. Acido acetilsalicilico 160/325 mg immediatamente. Per IMA con sopraslivellamento del tratto ST (IMA Q): precoce terapia trombolitica entro 3 ore dalla comparsa dei sintomi + terapia anticoagulante; nei pazienti con controindicazioni a tale terapia si esegue angioplastica. Per IMA senza sopraslivellamento del tratto ST (IMA non Q): terapia antitrombotica, beta-bloccanti e nitroderivati; angioplastica. Terapia successiva Ricovero in Unità Coronarica con monitoraggio contiunuo dell’ECG; accesso venoso a permanenza per trattamento d’emergenza delle aritmie; controllo del dolore (morfina e nitroderivati); O2 terapia; lieve sedazione (BDZ); beta-bloccanti; anticoagulanti/antiaggreganti piastrinici; ACE-inibitori. Complicanze Aritmie ventricolari Scompenso cardiaco congestizio Shock cardiogeno Complicanze meccaniche acute (rottura del setto interventricolare e insufficienza mitralica acuta secondaria ad ischemia dei muscoli papillari; rottura acuta della parete libera del ventricolo) Pericardite epistenocardica Aneurisma ventricolare Angina ricorrente Sindrome di Dressler (Febbre, dolore pleuritico e versamento pericardico 2-6 settimane dopo l’IMA)

LE VALVULOPATIE Anatomia valvolare Le valvole cardiache sono le strutture che separano fra di loro le camere cardiache (atri e ventricoli) e queste ultime dai grandi vasi (aorta ed arteria polmonare). Le valvole cardiache sono quattro (tricuspide,

polmonare, mitrale e aorta), in grado di aprirsi e chiudersi in maniera coordinata con il battito cardiaco, così da lasciare passare il sangue solo in una direzione. L’ apparato valvolare sia nel ventricolo destro che in quello sinistro comprende: - l’orifizio e l’ anello che lo delimita - le cuspidi o lembi valvolari - le corde tendinee di vario tipo - i muscoli papillari; tutte queste strutture agiscono in maniera armonica con il miocardio striale,ventricolare e settale,grazie al tessuto di conduzione e alla coesione meccanica assicurata dallo “scheletro”fibro-elastico del cuore e, durante le varie fasi del ciclo cardiaco vanno tutte incontro a importanti modificazioni di posizione,forma ,angolazione e dimensione. Quindi le valvole che troviamo nel cuore sono 4 ma sono fondamentalmente di due tipi: - atrioventricolari, simili tra loro morfologicamente - aortiche e polmonari, che sono valvole semilunari e sono simili tra loro. Le valvole atrioventricolari sono la tricuspide a destra e la bicuspide a sinistra. Sono due valvole i cui lembi ( anteriore-posteriore-mediale nella tricuspide e anteriore-posteriore nella bicuspide)quando il cuore è in diastole, cioè quando le valvole sono aperte,hanno una parte detta parietale perché guarda la pareta del cuore e una parte assiale che è a contatto con il sangue che scende dall’ atrio al ventricolo. La parte parietale è la parte più rugosa mentre la parte assiale è quella liscia. Per riconosce la morfologia di queste valvole bisogna considerarle come una formazione conoide la cui base è inserita nella comunicazione atrio-ventricolare e il cui apice sta nel ventricolo. Se facciamo 2 o 3 tagli,a seconda della valvola, si hanno i lembi valvolari.il taglio non arriva fino all’ inserzione della valvola, perciò si avrà una porzione della valvola uniforme che è quella parte della v valvola aderente all’ anello fibroso e un porzione costituita dai lembi che irregolarmente scendono verso il ventricolo. Si distingue: - una zona basale più chiara che è quella che si inserisce sul punto di comunicazione atrioventricolare ( anello fibroso) - una zona chiara che è la base di ciascun lembo valvolare - il lembo valvolare che è costituito da una parte esterna parietale più rugose ed una assiale più liscia. I filuzzi tendinei che dalla base si inseriscono sull’ apice dei muscoli papillari, si inseriscono sulla faccia parietale. Sulla parte assiale scorre sempre il sangue durante la diastole. Ci sono dei gruppi di muscoli papillari in corrispondenza di ciascun lembo valvolare. Le valvole semilunari sono quelle aortiche e quelle polmonari; in ognuno di questi vasi ci sono 3 valvole semilunari: sono come tre scodelle da latte flosce che sono inserite lungo l contorno dell’arterie, i cui lembi si riempiono quando il sangue cerca di tornare indietro durante la diastole e invece vengono spinte contro le pareti durante la sistole. Il loro meccanismo d’azione è simile a quello delle valvole venose. Ciascun lembo ha un margine concavo che è inserito alla parete dell’arteria e un margine convesso che è quello che sporge nel lume quando il lembo si riempie di sangue. Nella parte centrale del margine convesso del lembo c’è un ispessimento, che si chiama nodulo,ai lati del quale c’è la parte più sottile che si chiama lunula. La presenza dei noduli determina un sistema di chiusura migliore nella valvola consento una migliore tenuta dato che convergono tutti uno verso l’altro quando i lembi si riempiono in diastole .

Definizione Le malattie delle valvole cardiache si definiscono VALVULOPATIE e possono essere di due tipi: • Stenosi (incompleta apertura; il sangue passa attraverso un orifizio più piccolo della norma) • Insufficienze (incompleta chiusura; parte del sangue torna indietro attraverso la valvola che dovrebbe essere chiusa). Molto spesso tuttavia stenosi e insufficienza coesistono, in diversa misura, nella stessa valvola, realizzando la cosiddetta stenoinsufficienza. →CONGENITE, presenti cioè dalla nascita →ACQUISITE (compaiono nel corso della vita)

• Degenerativa (più frequenti nei soggetti anziani, spesso ipertesi,dovute in sostanza a usura delle strutture valvolari) • Infettiva (endocarditi) • Ischemica (in corso di infarto miocardio acuto) • Traumatica (molto raramente) • Secondaria a cospicua dilatazione del ventricolo e/o dei grandi vasi. Decorso Il decorso delle valvulopatie è nella maggior parte dei casi lentamente evolutivo, con una fase anche molto lunga (anni) di completa asintomaticità. Qualora invece la valvulopatia insorga acutamente su una valvola fino a quel momento normale (in seguito a traumi, infarto miocardico, endocardite con perforazione dei lembi valvolari) la presentazione clinica può essere drammatica.Le malattie delle valvole del settore destro del cuore (tricuspide e polmonare), dove vige un regime pressorio più basso, sono rare e in genere dovute a problemi congeniti. Le malattie di mitrale e aorta sono invece molto più frequenti. Cause VALVULOPATIE CONGENITE: alterazioni dello sviluppo embrionale delle strutture cardiache e spesso sono associate ad altre anomalie congenite che realizzano sindromi assai complesse. VALVULOPATIE ACQUISITE: possono essere dovute a infezioni, infiammazioni, degenerazione del tessuto valvolare, traumi, ischemia miocardica o a patologie del muscolo cardiaco o dell’aorta ascendente. Negli scorsi decenni una delle cause principali di valvulopatia era la malattia valvolare reumatica, che insorge come complicanza di una faringite o tonsillite causata dallo streptococco b emolitico. Le valvole cardiache sono colpite alcune settimane dopo l’infezione tonsillare. Esse vengono danneggiate e progressivamente si deformano. Al giorno d’oggi, con il miglioramento delle condizioni di vita, la riduzione delle infezioni e l’aumento della durata della vita, la causa più frequente di valvulopatia è quella degenerativa, dovuta cioè al progressivo danneggiamento della struttura valvolare che avviene con l’invecchiamento. Conseguenze Le conseguenze della malattia valvolare dipendono dal tipo di anomalia (stenosi o insufficienza) e dalla sua gravità. La conseguenza estrema di ogni valvulopatia è lo scompenso cardiaco. Pur essendo difficile generalizzare, si può affermare che ogni valvulopatia attraversa due fasi: una prima di compenso, durante la quale il cuore mette in atto una serie di meccanismi per far fronte al problema, e una seconda che evolve verso la insufficienza cardiaca, quando i meccanismi di adattamento non sono più sufficienti a mantenere una portata cardiaca adeguata. Le stenosi valvolari causano un aumento di pressione a monte della valvola malata. In caso di interessamento delle valvole aortica o polmonare, i ventricoli vanno incontro a ipertrofia (aumento di spessore della parete) che li rende in grado, per un certo periodo, di generare una pressione più elevata, mentre in caso di interessamento mitralico o tricuspidale gli atri, la cui parete presenta spessori molto ridotti, vanno incontro a dilatazione. La dilatazione delle camere atriali causa spesso l'insorgenza della fibrillazione atriale, un'aritmia che peggiora ulteriormente la funzione cardiaca. A un certo punto i ventricoli non sono più in grado di aumentare ulteriormente i loro spessori e iniziano anch'essi a dilatarsi in modo esagerato. La evoluzione a questo punto è verso lo scompenso cardiaco.

Nelle insufficienze valvolari invece, le camere cardiache interessate ricevono una quantità eccessiva di sangue, dovuta al rigurgito attraverso la valvola che chiude in maniera imperfetta. Non dovendo vincere un'aumentata resistenza esse non hanno bisogno di aumentare lo spessore delle loro pareti e reagiscono al sovraccarico di volume dilatandosi. Quando la dilatazione è troppo marcata, il cuore non riesce più a contrarsi adeguatamente e si verifica un ristagno di sangue nel letto vascolare polmonare (edema polmonare), a livello del fegato (epatomegalia, gonfiore addominale) e degli arti inferiori (edemi o gonfiori). Sintomi Il paziente affetto da valvulopatia è spesso asintomatico o poco sintomatico anche fino a uno stadio avanzato. Per questo motivo il rischio principale è che si arrivi alla diagnosi e alla terapia troppo tardi. Una volta che il cuore è eccessivamente dilatato infatti, anche sostituendo la valvola malata, non si assiste a un miglioramento delle condizioni cliniche e il paziente va incontro a progressivo scompenso cardiaco. I sintomi dipendono dal tipo di valvulopatia. I primi sintomi sono in genere la comparsa di facile affaticabilità, dispnea (fatica a respirare) durante l'attività fisica e in seguito anche a riposo. I pazienti possono accusare batticuore a causa dell'insorgenza di aritmie come la fibrillazione atriale. Talvolta il primo segno clinico può essere un ictus, dovuto all'entrata nel circolo sanguigno di parti di coaguli che si formano all'interno della camere cardiache dilatate. Se viene coinvolto il ventricolo destro compaiono congestione epatica e edemi declivi (ritenzione di liquidi a livello degli arti inferiori). In presenza di una stenosi aortica il paziente può andare incontro angina, sincope o addirittura morte improvvisa. Per accusare meno problemi il paziente spesso diminuisce inconsciamente la propria attività fisica. Per questo motivo il grado di limitazione funzionale è spesso sottostimato. Come si riconoscono Il sospetto clinico di valvulopatia viene posto in genere nel corso di una visita medica routinaria per la presenza alla auscultazione cardiaca di un soffio?. Bisogna fare una distinzione tra i soffi cosiddetti ?innocenti? o ?fisiologici? e i soffi patologici. I soffi innocenti sono suoni causati dal passaggio del sangue attraverso le camere e le valvole cardiache e sono comuni nei bambini e in alcuni adulti. Non hanno alcun significato clinico e possono attenuarsi o accentuarsi in varie condizioni, aumentando di intensità quando la frequenza cardiaca aumenta (febbre, agitazione o attività fisica). Generalmente scompaiono durante la crescita e possono ricomparire in gravidanza. Una volta esclusa la presenza di valvulopatie o altri problemi cardiaci, questi soffi non necessitano più di controlli. I soffi nelle valvulopatie invece vengono causati dal passaggio del sangue attraverso valvole che non aprono o non chiudono bene. L'ecograia del cuore (ecocardiografia) conferma ladiagnosi, quantifica la gravità della valvulopatia e valuta le condizioni dei ventricoli e degli atri. L'elettrocardiogramma a riposo è utile per individuare eventuali segni di ipertrofia ventricolare sinistra e/o di impegno atriale, mentre talvolta risulta utile eseguire una prova da sforzo per valutare la tolleranza allo sforzo del paziente. Evoluzione Tranne nei rari casi acuti dovuti a trauma, rottura valvolare, infezione con perforazione delle valvole o infarto miocardico con conseguente malfunzionamento valvolare, l'evoluzione delle valvulopatie è in genere assai lenta. Spesso trascorrono degli anni o addirittura decenni prima che la gravità della patologia sia tale da dover prendere in considerazione l'intervento chirurgico. E' importante però che i pazienti vengano seguiti regolarmente, perché non di rado si assiste a una progressione ?a gradini? Della patologia. Essa può rimanere infatti stabile per anni, per poi peggiorare improvvisamente. L'ECG risulta importante per valutare la funzione dei ventricoli e quindi per poter decidere tempestivamente quando prendere in considerazione l'intervento chirurgico. E' infatti importante porre rimedio al difetto valvolare prima che il ventricolo sia eccessivamente dilatato, per limitare il rischio dell'intervento chirurgico e facilitare il recupero dopo l'operazione. Trattamento

Il trattamento risolutivo delle valvulopatie è solitamente chirurgico. La terapia medica ha il ruolo di rallentare la progressione/controllare i sintomi nelle valvulopatie congenite e acquisite a lenta evoluzione (vasodilatatori, diuretici) o di contribuire alla stabilizzazione clinica delle valvulopatie acute, in modo da permettere al paziente di arrivare all'intervento chirurgico nelle migliori condizioni. In casi selezionati si ricorre alla dilatazione della valvola stenotica, effettuata con un catetere a palloncino introdotto attraverso un vaso sanguigno. Questo intervento può risolvere temporaneamente il problema, spostando nel tempo l'intervento chirurgico. Al giorno d'oggi le tecniche chirurgiche si sono evolute notevolmente e spesso risulta possibile riparare la valvola senza doverla sostituire. In alternativa sono possibili sostituzioni con valvole meccaniche, che hanno il vantaggio di non rovinarsi nel tempo, ma lo svantaggio di richiedere l'assunzione della terapia anticoagulante; oppure possono essere utilizzate valvole biologiche, che durano meno, ma non necessitano di anticoagulazione. Le valvole biologiche possono essere ottenute da tessuto valvolare prelevato da cadavere o da altri animali (spesso maiali). Prevenzione Per le valvulopatie congenite e per la maggior parte di quelle acquisite (soprattutto quelle degenerative) non è possibile parlare di prevenzione in senso stretto. E' possibile e doveroso invece prevenire alcune complicanze: i pazienti già affetti da problemi valvolari infatti hanno un rischio aumentato di contrarre infezioni delle valvole stesse, causate da batteri normalmente localizzati a livello delle superfici cutanee o delle mucose che possono entrare nel circolo sanguigno in occasione di procedure chirurgiche, dentarie, ginecologiche e invasive in generale. Prima di sottoporsi a tali procedure viene quindi raccomandata la profilassi antibiotica (profilassi dell'endocardite batterica). Nei pazienti con valvulopatia mitralica invece, soprattutto se di origine reumatica e/o accompagnata da fibrillazione atriale è indicata una adeguata terapia anticoagulante per la prevenzione di eventi tromboembolici. Nei pazienti con tonsillite o faringite batterica un precoce e adeguato trattamento antibiotico previene l'evento iniziale che è la infiammazione della superficie interna del cuore. Importante è anche un ambiente di vita sano, che riduce le infezioni tonsillari e la gravità delle loro conseguenze. La recidiva di malattia reumatica è abbastanza frequente, ma si riduce man mano che passano gli anni dall'attacco precedente. La prevenzione di un nuovo attacco si attua con la somministrazione intramuscolare mensile di un antibiotico specifico (penicillina), da effettuarsi anche per molti anni.

INSUFFICIENZA MITRALICA Caratterizzata da un reflusso sistolico diretto dal ventricolo all’atrio sinistro EZIOLOGIA - Degenerativa (calcificazione dell’ anulus soprattutto nelle donne anziane per eziologia sconosciuta) - più frequente nei maschi - Malattia Reumatica cronica - Prolasso Mitralico - Infettiva (Endocarditi) - in alcuni casi congenita (insieme a difetti atrio ventricolare) - in seguito ad eventi ischemici - Forme rare: sindrome di Marfan - LES - distrofie muscolari - tumori FISIOPATOLOGIA INSUFFICIENZA MITRALICA ACUTA: rigurgito abbondante che si

instaura improvvisamente. Vengono a mancare rapidamente i meccanismi di compenso cardiocircoilatorio in quanto non c’è tempo per lo sviluppo di ipertrofia. INSUFFICIENZA MITRALICA CRONICA: il reflusso si instaura progressivamente e quindi vengono evocati i meccanismi di adattamento e di compenso. Importante in questo caso la frazione di rigurgito che è la percentuale di sangue che torna in atrio sx durante la sistole e può arrivare al 70%. In questo caso il sovraccarico di volume determina progressiva dilatazione del ventricolo sinistro per il meccanismo dell’ipertrofia eccentrica. QUADRO CLINICO INSUFFICIENZA MITRALICA ACUTA: • Dispnea ingravescente • Edema polmonare acuto • Shock cardiogeno INSUFFICIENZA MITRALICA CRONICA: i sintomi insorgono gradualmente e dipendono dall’entità del rigurgito e dalla durata del processo. I primi sintomi sono legati alla ridotta gittata • Facile faticabilità (astenia) • Lieve dispnea da sforzo e ortopnea • Dispnea parossistica notturna • Dispnea a riposo ESAME OBIETTIVO Pressione arteriosa normale. Nei casi gravi il polso arterioso ha una rapida salita. All’ apice cardiaco è palpabile un fremito sistolico. Auscultazione: -primo tono non apprezzabile oppure ridotto di intensità o coperto dal soffio sistolico:la presenza del primo tono accentuato esclude l’insufficienza mitralica grave. Ampio sdoppiamento del secondo tono(per precoce chiusura della valvola aortica). Se si presenta un schiocco di apertura probabile associazione con stenosi mitralica. Presenza del terzo tono indica un’ insufficienza grave. Caratteristico soffio olosistolico prevalente all’ apice e si irradia all’ ascella (se c’è una rottura delle corde tendinee ha un timbro pigolante)questo soffio si accentua durante l’esercizio isometrico e si riduce durante a manovra di Valsala. DIAGNOSI ELETTROCARDIOGRAMMA: poche informazioni; di dilatazione atriale destra e di fibrillazione. ECOCARDIOGRAMMA:sia tran toracica che trans esofagea(fornisce informazioni più precise) valutazione precisa delle camere cardiache. atrio sinistro aumentato e/o di aumenta motilità) RX TORACE: dilatazione atriale e ventricolare nelle forme croniche. Edema polmonare nelle forme acute(strie B di Kerley).possibile presenza di calcificazioni all’ anulus nell’ insufficienza cronica. CATETERISMO CARDIACO: utile per una valutazione pre operatoria. TERAPIA Riduzione del consumo di sodio e assunzione di diuretici per ridurre l’ astenia e la dispnea. Vasodilatatori e la digitale migliorano la gittata del ventricolo sn in caso di scompenso. Nitrati per ridurre il post carico e quindi il rigurgito.ACE inibitori per l’insufficienza cronica. Nelle fasi avanzate si utilizzano farmaci anticoagulanti per diminuire gli episodi di trombosi ed embolia polmonare. Il trattamento chirurgico è consigliato sia nei pz asintomatici sia quelli con sintomi lievi quando la disfunzione ventricolare sinistra è progressiva,la frazione di eiezione del ventricolo sinistro scende sotto il 60%.valvuloplastica o inserimento di una protesi( anche biologica).

STENOSI MITRALICA EZIOLOGIA

Generalmente dovuta alla malattia reumatica dove il processo infiammatorio causa cicatrizzazione ed ispessimento delle cuspidi valvolari da tessuto fibroso e/o depositi calcifici, con fusione dei lembi e ipomobilità degli stessi e restringimento dell’orifizio. In altri una stenosi mitralica di minor grado può accompagnare un’ insufficienza mitralica e lesioni della valvola aortica. Si manifesta generalmente dalla III alla V decade ;i due terzi di tutti i pz con stenosi mitralica sono donne. Raramente è la conseguenza di altre condizioni patologiche quali il LES, l’artrite reumatoide, la sindrome da carcinoide, l’amiloidosi. nell’anziano può essere causata da Calcificazioni dell’anulus. In alcuni casi si può presentare Stenosi congenita. FISIOPATOLOGIA Il normale orifizio è di circa 4-6 cm2. A seconda del grado di stenosi si ha una riduzione del flusso attraverso la valvola con incremento della pressione atriale sinistra. L’aumento della pressione venosa polmonare e della pressione arteriosa di incuneamento polmonare determina una riduzione della compliance polmonare e la comparsa di dispnea da sforzo. Per valutare l’importanza dell’ ostruzione è essenziale misurare sia il gradiente pressorio trans-valvolare sia la velocità del flusso.quest’ultima non dipende solamente dalla portata ma anche dalla frequenza; un’ incremento della frequenza cardiaca riduce proporzionalmente più la durata della diastole che della sistole e quindi diminuisce il tempo disponibile al sangue per passare attraverso l’orifizio mitralico. Quindi per ogni dato valore di portata cardiaca la tachicardia aumenta il gradiente transvalvolare e eleva ulteriormente la pressione striale sinistra L’esercizio fisico determina un aumento della pressione striale sinistra,dei capillari e dell’ arteria polmonari . La conseguenza è lo sviluppo di edema polmonare acuto . La risposta emodinamica per un dato gradiente di ostruzione mitralica può essere caratterizzata da una portata normale a riposo con elevato gradiente presso rio atrio ventricolare sn o, all’opposto, da una ridotta portata cardiaca con modesto gradiente presso rio trans valvolare. In stenosi moderate si può dire che la portata cardiaca è normale mentre aumenta in modo insufficiente durante lo sforzo fisico; in casi di ostruzione grave la portata è già ridotta a riposo e può addirittura diminuire durante l’esercizio. L’ipertensione polmonare è determinata da: -trasmissione retrograda passiva delle elevate pressioni in atrio sinistro -vasocostrizione delle arterie polmonari che è presumibilmente innescata dalla ipertensione striale sinistra e delle vene polmonari(ipertensione polmonare reattiva) -edema interstiziale nella parete dei piccoli vasi polmonari -modificazioni obliterative del letto vascolare polmonare. La risultante ipertensione polmonare determina la comparsa di insufficienza tricuspidale e insufficienza polmonare e quindi insufficienza cardiaca destra. SINTOMATOLOGIA • Dispnea, ortopnea, dispnea parossistica notturna, edema polmonare. Inizialmente presenti solo in casi di stress tipo da esercizio fisico,eccitazione ,febbre,anemia grave,tachicardia parossistica,attività sessuale,gravidanza e tireotossicosi…successivamente con il progredire e l’aggravarsi della patologia bastano pure piccoli stress e il pz diventa fortemente limitato nella sua attività quotidiana. • Bronchiti invernali • Emottisi determinata dalla rottura dei piccoli vasi venosi broncopolmonari secondaria all’ipertensione,non è quasi mai fatale. In genere quando la malattia progredisce e le restitenze polmonari aumentano o quando si sviluppa l’insufficienza o una stenosi tricuspidale, i sintomi dovuti alla congestione polmonare si riducono, così come gli episodi di edema polmonare acuto ed emottisi.l’aumento delle resistenze vascolari polmonari incrementa ulteriormente la pressione ventricolare destra, il che determina insufficienza ventricolare destra con.. • Astenia e affaticamento,disturbi addominali da congestione epatica ed edema. • Aritmie atriali ( battiti ectopici, tachicardie parossitiche, flutter e fibrillazione atriale); l compasa di una fibrillazione atriale cronica segna una svolta importante nel decorso del pz e in genere è associata ad una ingravescenza dei sintomi.

• Embolie sistemiche derivanti da trombi che si sono formati nell’atrio sin, più spesso si riscontrano in pz con fibrillazione striale o altre aritmie parossistiche,in pz anziani e quelli con gittata cardiaca ridotta. L’embolizzazione sistemica potrebbe risultare il sintomo d’ esordio in pz con stenosi altrimenti asintomatici . • Embolia ed infarto polmonare .causa di morbilità e mortalità importante. SEGNI FISICI/ ESAME OBIETTIVO - Facies mitralica (zigomi rossi e labbra viola,cianosi periferica e facciale) - Turgore giugulare - Pressione arteriosa normale o leggermente diminuita - si apprezza un impulso lungo il margine sternale sinistro dovuto alla dilatazione del ventricolo destro, spesso si avverte un fremito diastolico a livello dell’apice cardiaco,sprtt con pz in decubito laterale sn. Auscultazione: -il primo tono è accentuato e sdoppiato -nei pz con ipertensione polmonare il secondo tono è sdoppiato e in caso di grave ipertensione polmonare si pu apprezzare un click sistolico in eiezione;lo schiocco di apertura della valvola si apprezza più facilmente in espirazione all’ apice cardiaco,anche lungo il margine sternale sinistro.(l’intensità dello schiocco di apertura è inversamente proporzionale alla gravità della stenosi) -lo schiocco di apertura è di solito seguito da un rullio diastolico a bassa frequenza che si ascolta meglio all’ apice con il pz in decubito laterale sinistro.(la durata del soffio è correlata alla gravità della stenosi) DIAGNOSI ELETTROCARDIOGRAMMA: pz con stenosi mitralica grave possono avere un QRS normale.in caso di ipertensione polmonare si osservano una deviazione assiale destra e una ipertrofia ventricolare destra. ECOCARDIOGRAMMA: valutazione precisa delle camere cardiache e della entità della stenosi. soprattutto grazie all’ ECOdoppler RX TORACE: ingrandimento isolato dell’atrio sinistro. Dilatazione ventricolare destra. Presenza delle strie B di Kerley(segno di edema interstiziale) CATETERISMO CARDIACO e ANGIOCARDIOGRAFIA: utile per una valutazione pre operatoria. TERAPIA Nei pz adolescenti asintomatici è importante la profilassi con penicilline per le infezioni da streptococchi e per l’endocardite batterica. Restrizione di sodio e uso di diuretici nei sintomatici. Digitale e beta-bloccanti per i pz fibrillanti. Cardioversione al ritmo sinusale farmacologia o elettrica dopo 3 settimane di anticoagulanti trattamento chirurgico:valulotomia mitralica (o percutanea con palloncino o attraverso intervento chirurgico). PROLASSO MITRALICO Questa sindrome viene anche indicata come sindrome del click-soffio sistolico, sindrome di Barlow,sindrome della valvola vacillante,e sindrome del lembo mitralico ridondante. Patologia che interessa il 6% della popolazione di razza bianca prevalentemente nel sesso femminile tra i 14 e 30 anni . Il decorso è ottimo per le forme lievi che vanno solamente monitorate nel tempo.la condizione patologia evolv nell’arco di anni o decenni. I lembi mitralici sono ridondanti perché più grandi( caratteristici della degenerazione mixomatosi dovuta ad un aumento della concentrazione di mucplisaccaridi acidi.questo è frequente nei pz con patologie ereditarie del connettivo come per esempio la sindrome di Marfan,l’osteogenesi imperfecta e la sindrome di Ehler-Danlos).l’eziologia rimane sconosciuta per la maggior parte dei pazienti.il prolasso può determinare una sollecitazione anomala dei muscoli papillari che è causa del malfunzionamento e dell’ ischemia di questi e del miocardio circostante. Se è presente insufficienza mitralica concomitante la sintomatologia è riconducibile a questa patologia. La maggior parte dei pz rimane asintomatico per tutta la vita.il prolasso della valvola mitrale rappresenta la causa più comune di grave insufficienza mitralica isolata. Caratterizzata auscultatoriamente da un click mesosistolico (non di eiezione)dovuto al rapido tendersi delle corde tendinee allungate o al lembo prolassante quando raggiunge la sua massima escursione; si posono ascoltare click sistolici multipli,spesso seguiti da soffio telesistolico in crescendo-decrescendo meglio apprezzabile all’ apice. Il click e il soffio divengono più precoci quando il pz è in ortostatismo o quando è

sottosforzo nella manovra di Valsalva (queste manovre provocano la riduzione del volume ventricolare sinistro aumentando il prolasso). Elettrocardiogramma:normale o presenta un onda T difasica o invertita nelle derivazioni II,III e VF. l’ Ecocardiografia consente di visualizzare il prolasso dei lembi vlvolari (infatti la definizione: dislocazione sistolica ,in parasternale, delle cuspidi valvolari della mitrale di almeno 2mm verso l’atrio sn superiormente al piano passante per l’anulus mitralico. Con il Doppler è possibile valutare l’eventuale concomitante presenza di insufficienza valvolare. La terapia è volta a rassicuare il pz alla prevenzione dell’ endocardite infettiva con antibiotici e al trattamento delle pericardialgie atraverso l’utilizzo dei beta bloccanti.in caso di insufficienza mitralica grave si ricorre alla valvulo plastica o più raramente di sostituzione valvolare. STENOSI AORTICA Malattia delle valvole semilunari caratterizzata da restringimento valvolare e ostruzione al flusso ventricolare sinistro con sviluppo di gradiente pressorio ed ipertrofia concentrica del ventricolo sx. interessa il 25% di tutti i pz con lesioni valvolari. Circa l’ 80% dei pz adulti con stenosi aortica sono maschi. EZIOLOGIA • provocata da calcificazioni degenerative di eziologia sconosciuta(più frequente) • congenita (sviluppo di fibrosi e calcificazioni durante i primi 3 decenni di vita, oppure presenza di una valvola congenitamente anomala ma senza stenosi significativa fino all’ adolescenza) • secondaria a malattia reumatica(l’endocardite reumatica dei lembi valvolari aortici determina una fusione commisurale che provoca la formazione di una valvola bicuspide peggiorando lo stres emodinamico) • forme rare FISIOPATOLOGIA L’orifizio aortico ha una area di circa 2-3 cm2. Una riduzione dell’area superiore al 30% determina lo sviluppo di un gradiente significativo transvalvolare. Per contrastare il gradiente il ventricolo sinistro va incontro allo sviluppo di ipertrofia concentrica attraverso la replicazione in parallelo delle miofibrille. L’aumento della massa muscolare miocardia dovuta all’ ipertrofia fa sì che aumentino pure le richieste miocardiche di ossigeno. Con formazione di zone ischemiche a livello sub endocardico(anche in assenza di coronaropatie perche la pressione esercitatadel ventricolo in contrazione è maggiore di quella dei vasi coronarici così che venga ostruito il flusso anche in asenza di restringimenti vasali) . L’ipertrofia determina una maggiore rigidità delle pareti del ventricolo sinistro che quindi si oppone alla distensione passiva durante la diastole determinando quindi una disfunzione diastolica. MANIFESTAZIONI CLINICHE Assume raramente rilevanza clinica fino a quando l’area valvolare non si riduce ad almeno una terzo del normale cioè a 0.5 cm2/m2 in età adulta. Classica triade sintomatologica: ANGINA ectoris DISPNEA da sforzo SINCOPE Poiché la portata cardiaca a riposo è normale in genere fino agli stadi più avanzati della malattia, di solito l’astenia, la cianosi periferica e le altre manifestazioni di bassa portata sono caratteristiche solo delle fasi terminali della malattia. 1)ANGINA E’ il risultato di una combinazioni di fattori: 1) Squilibrio tra massa muscolare ipertrofica e letto vascolare capillare coronarico. 2) Riduzione della riserva coronarica subendocardica 3) Eccessivo aumento da sforzo della domanda di ossigeno 4) Aumento della pressione diastolica ventricolare 5) Compressione diretta sui vasi intramurali 2)SINCOPE

E’ causata da un inadeguato flusso ematico attraverso la valvola stenotica con conseguente ridotta perfusione cerebrale e coronaria Anche la comparsa di aritmie ipercinetiche ventricolari è stata presa in considerazione come causa della sincope. La sopravvivenza media è di circa 3 anni da un episodio sincopale 3)DISPNEA Astenia, tosse, dispnea parossistica notturna ed edema polmonare acuto.la dispnea è dovuta sll’ incremento della pressione capillare polmonare provocato dall’aumento della pressione telediastolica dell’ atrio e del ventricolo sinistri. La sopravvivenza media è di circa 2 anni dalla comparsa di scompenso cardiaco ESAME OBIETTIVO Ritmo regolare e pressione arteriosa sistemica in genere nella norma. Nelle fasi terminali, quando si riduce la portata cardiaca, la pressione sistolica cadde e la pressione differenziale diminuisce. Il polso arterioso periferico valutato a livello delle carotidi o quello brachiale aumenta lentamente fino a raggiungere un picco sostenuto ritardato (pulsus parvus et tardus). Itto iper dinamico,dislocato lateralmente e riflette la presenza di ipertrofia ventricolare sinistra. Si può rilevare un doppio impulso apicale(con il pz in decubito laterale sinistro),fremito sistolico alla base del cuore, a livello del giugulo e lungo le carotidi. Auscultazione: -nei bimbi e negli adolescenti si apprezza spesso un click sistolico che rappresenta lo schiocco di apertura della valvola. -quando la stenosi diventa grave ,la sistole ventricolare sinistra può essere così prolungata da determinare il ritardo del tono di chiusura aortico che non precede più quello polmonare, ma può fondersi con esso oppure seguirlo, il che provoca il cosiddetto sdoppiamento paradosso del secondo tono -nella maggior parte dei pz si apprezza all’ apice cardiaco un quarto tono che riflette l’aumentata pressione telediastolica del ventricolo sinistro. In genere la presenza di un terz tono sta ad indicare un ventricolo sinistro dilatato. -soffio caratteristico è un soffio sistolico (meso) che inizia appena dopo il primo tono, aumenta di intensità e raggiunge il picco verso la metà del periodo elettivo,diminuendo progressivamente subito dopo per terminare appena prima della chiusura della valvola aortica. Il soffio è di solito di bassa frequenza, rude, di forte intensità e si apprezza meglio a livello del secondo spazio intercostale destro.si irradia al giugulo e ai vasi del collo. COMPLICANZE • Embolie sistemiche (rare) • Endocardite infettiva • Aritmie ventricolari e morte improvvisa • Fibrillazione atriale • Dissezione aortica • Disturbi di conduzione DIAGNOSI ELETTROCARDIOGRAMMA: nelle fasi più avanzate si riscontra nelle derivazioni I e VL e nelle precordiali sinistre una depressione del tratto ST e dell’ inversione dell’onda T (sovraccarico ventricolare sinistro) RADIOLOGIA:una stenosi aortica critica può essere evidenziata da una dilatazione post stenotica dell’aorta ascendente. In genere la radiografia al torace può rimanere normale per lungo tempo.solo nelle situazioni terminale si può osservare una progressiva dilatazione del ventricolo sinistro e possono comparire anche segni radiologici di congestione polmonare e dilatazione dell’atrio sinistro,delle arterie polmonari, del ventricolo destro e dell’ atrio destro. ECOCARDIOGRAMMA: • Diagnosi differenziale nei confronti di altre patologie ostruttive dell’efflusso VSX • Studio dell’apparato valvolare e dell’area STENOSI LIEVE area valvolare > 1,5 cm2 STENOSI MODERATA area valvolare compresa tra 0,8 e 1,5 cm2

STENOSI SEVERA area valvolare < 0,8 cm2 • Studio dei gradienti transvalvolari STENOSI LIEVE gradiente medio 20-30 mmHg STENOSI MODERATA gradiente medio 30-50 mmHg STENOSI SEVERA gradiente medio > 50 mmHg CATETERISMO CARDIACO e CORONAROGRAFIA: • Studio coronarografico pre-operatorio • Studio dei gradienti transvalvolari emodinamici STENOSI LIEVE gradiente medio 20-30 mmHg STENOSI MODERATA gradiente medio 30-50 mmHg STENOSI SEVERA gradiente medio > 50 mmHg Questi esami sono fondamentali soprattutto nei seguenti casi: -pz con segni clinici di stenosi aortica e sintomi di ischemia miocardia nei quali si sospetta la presenza di una coronaropatia.è indispensabile determinare se la stenosi o l’aterosclerosi sono responsabili dei sintomi;la coronarografia serve a identificare i pz che necessitano di una rivascolarizzazione coronaria durante l’intervento sulla valvola. -nei pz con valvulopatie multiple nei quali prima dell’ intervento bisogna determinare il peso emodinamico di ciascun vizio alveolare. -nei pz in cui si sospetta che l’ostruzione del tratto di efflusso ventricolare non sia a livello della valvola aortica,ma sotto o sopra valvolare. TERAPIA Tutti i pz con stenosi aortica moderata o grave richiedono attenti controlli periodici.nella fase di cardiopatia congestiazia è indicato l trattamento con digitale,dieta iposodica, e cauta somministrazione di diuretici(attenzione però a non ridurre a tal punto il volume che può causare una marcata riduzione della gittata cardiaca) Nei pz adulti con stenosi aortica calcifica e grave ostruzione si prende in considerazione la sostituzione valvolare. L’intervento deve essere eseguito possibilmente prima della comparsa dei sintomi di insufficienza ventricolare sinistra che comportano un aumento dei rischi operatori del 20%. Un’ alternativa all’ intervento di sostituzione valvolare con una protesi,nei bambini e nei giovani adulti è la valvuloplastica percutanea con palloncino. INSUFFICIENZA AORTICA EZIOLOGIA In passato la malattia reumatica e la sifilide erano le cause principali. Attualmente per il calo di queste due patologie si ha un aumento dell’incidenza legato a: • Malformazione della valvola (Aorta bicuspide) • Connettivopatie -necrosi cistica mediale dell’ aorta ascendente -sindrome di Marfan -dilatazione idiopatica dell’ aorta -osteogenesi imperfecta • Ipertensione arteriosa • Endocarditi Reflusso diastolico dall’aorta in ventricolo sinistro per lesione dei lembi semilunari aortici o della aorta ascendente con coinvolgimento dei lembi valvolari. FISIOPATOLOGIA INSUFFICIENZA CRONICA: Il reflusso di sangue nel ventricolo sinistro aumenta il riempimento diastolico(aumento del precarico) determinando un sovraccarico di volume. Per mantenere una gittata anterograda normale il volume del ventricolo sinistro aumenta. Si ha ipertrofia eccentrica con aumento del volume ventricolare. Secondo la seconda legge di Laplace la tensione di parete del miocardio è data dal prodotto della pressione intracavitaria per il raggio del ventricolo sinistro;quindi un pz con insufficienza

aortica grave può presentarte una gittata sistolica effettiva normale e una normale frazione di eiezione associate ad un volume ed una pressione telediastolica del ventricolo sinistro aumentati. MANIFESTAZIONI CLINICHE INSUFFICIENZA CRONICA • Asintomatica per anni • Astenia e Dispnea da sforzo • Dispnea notturna, a riposo e edema polmonare,sudorazione profusa notturna con angina da decubito,ortopnea -crisi di angina a riposo e sotto sforzo -nelle fasi avanzate ritenzione idrica, edemi declivi, ascite,epatomegalia. ESAME OBIETTIVO: il pz con insufficienza aortica grave presenta chiari segni della malattia,consistenti in pulsazione di tutto il corpo,movimento pulsatorio della testa(segno di De Musset)che accompagna ogni sistole e arterie pulsanti(segno della danza delle carotidi). Polso caratteristico della patologia, detto “polso celere o collassate” (polso di Currigan) dovuto al aumento della pressione differenziale.a livello delle arterie brachiali si può percepire il segno del dardo palpatoriamente. Il segno di Quincke:rapido alternarsi di iperemia e pallore del letto ungueale quando viene applicata una pressione all’ estremità dell’unghia. Sulle arterie femorali si può ascoltare un tono detto “a colpo di pistola”(segno di Traube);inoltre sempre sull’arteria femorale se si applica una lieve pressione sul vaso con lo stetoscopio si può ascoltare il soffio “va e vieni”(segno di Douriez). Questi due ultimi segni sono presenti nelle forme moderate e scompaiono nelle forme gravi. Come abbiamo già detto la pressione differenziale è aumentata.la gravità dell’insufficienza non è correlata con i valori pressori. Lungo il margine sternale sinistro si può apprezzare un fremito diastolico e lungo l’incisura giugulare si può apprezzare un fremito sistolico che viene trasmesso lungo le carotidi. Auscultazione: -forte soffio sistolico in crescendo-decrescendo detto “a bandoliera” che si può quindi apprezzare dal punto di auscultazione aortico che si trova nel secondo spazio intercostale lungo il margine destro sternale fino alla punta del cuore -il soffio dell’ insufficienza aortica è un soffio diastolico in calando ad alta frequenza che di solito si ascolta meglio a livello del terzo spazio intercostal sinistro. -nei pz con insufficienza aortica si apprezza spesso un terzo soffio detto di Austin Flint,un rullio mesodiastolico o presistolico dolce a bassa frequenza,probabilmente provocato dalle vibrazioni del lembo anteriore della mitrale investito dal flusso rigurgitante dall’ aorta. DIAGNOSI ELETROCARDIOGRAMMA Presenta segni di ipertrofia ventricolare sinistra. Alte onde R nelle derivazioni precordiali sinistre, profonde onde S nelle precordiali destre, depressione del tratto ST e un ‘inversione dell’onda T nelle derivazioni I, a VL, V5, V6 (“sovraccarico ventricolare sinistro”) QUADRO RADIOLOGICO L’insufiicenza aortica grave è associata a vari gradi di dilatazione ventricolare sinistra e frequentemente l’ombra cardiaca si estende al di sotto dell’emidiaframma. Quando l’insufficienza è dovuta a una malattia della parete dell’aorta si osserva la dilatazione aneurismatica che in proiezione laterale può riempire lo spazio retro sternale. ECOCARDIOGRAMMA • Definisce l’entità del rigurgito • Studio dell’apparato valvolare: • Presenza di vegetazioni infette • Anomalie delle cuspidi CATETERISMO CARDIACO • Studio coronarografico pre-operatorio

• Valutazione dell’entità del rigurgito alla ventricolografia e della funzione ventricolare sinistra. TRATTAMENTO Il trattamento risolutivo delle valvulopatie è solitamente chirurgico. La terapia medica ha il ruolo di rallentare la progressione/controllare i sintomi nelle valvulopatie congenite e acquisite a lenta evoluzione (restrizione di sodio nella dieta,vasodilatatori, diuretici,digitale,ifedipina) o di contribuire alla stabilizzazione clinica delle valvulopatie acute, in modo da permettere al paziente di arrivare all’intervento chirurgico nelle migliori condizioni. L’intervento è consigliato dopo la comparsa dei primi sintomi di disfunzione ventricolare sinistra ma prima della comparsa dei sintomi gravi. l’intervento può essere rinviato fino a quando il pz resta asintomatico e mantiene una funzione ventricolare normamale. In casi selezionati si ricorre alla dilatazione della valvola stenotica, effettuata con un catetere a palloncino introdotto attraverso un vaso sanguigno. Questo intervento può risolvere temporaneamente il problema, spostando nel tempo l’intervento chirurgico. Al giorno d’oggi le tecniche chirurgiche si sono evolute notevolmente e spesso risulta possibile riparare la valvola senza doverla sostituire. In alternativa sono possibili sostituzioni con valvole meccaniche, che hanno il vantaggio di non rovinarsi nel tempo, ma lo svantaggio di richiedere l’assunzione della terapia anticoagulante; oppure possono essere utilizzate valvole biologiche, che durano meno, ma non necessitano di anticoagulazione. Le valvole biologiche possono essere ottenute da tessuto valvolare prelevato da cadavere o da altri animali (spesso maiali). INSUFFICIENZA AORTICA ACUTA Le cause più comuni di insufficienza aortica sono rappresentate dall’endocardite batterica, dalla dissezione aortica e dai traumi. Dal momento che l’evento acuto non concede al ventricolo sinistro tempo sufficiente di dilatarsi,la gittata sistolica diminuisce e la pressione telediastolica ventricolare sale in modo significativo;la pressione arteriosa differenziale spesso non è aumentata e possono non essere presenti i segni caratteristici dell’ insufficienza aortica cronica grave. È frequente il riscontro di una chiusura precoce della valvola mitrale, dimostrabile anche con l’eco. In genere il primo tono è lieve o assente e il soffio diastolico dell’insufficienza aortica è caratteristicamente breve. I pazienti presentano una congestione polmonare o un quadro di edema polmonare acuto e ipotensione secondaria alla bassa portata. L’insufficienza aortica acuta richiede n intervento chirurgico immediato che può salvare la vita del paziente. STENOSI TRICUSPIDALE Rappresenta una patologia rara negli Stati Uniti e in Europa. In genere di origine reumatica,più comune nelle donne che negli uomini. Si trova di solito associata alla stenosi mitralica. È presente un gradiente presso rio diastolico tra l’atrio e il ventricolo di destra. Un gradiente diastolico medio superiore a 4 mmHg di solito è sufficiente a elevare la pressione striale destra media al punto tale da provocare congestione venosa sistemica con ascite ed edemi se l’apporto alimentare di sodio non è stato ridotto e non vengono somministrati diuretici. La bassa portata è responsabile del riscontro di pressioni striali sinistre, polmonari e ventricolari destre normali o solo lievemente aumentate,anche in presenza di stenosi mitralica. La maggior parte dei pazienti presentano inizialmente segni di congestione polmonare. In questi pz è caratteristica la discrepanza tra i sintomi (lieve dispnea) e il quadro obiettivo di epatomegalia ,ascite e edemi. Nella stenosi tricuspidale e/o insufficienza tricuspidale sono comuni l’astenia secondaria alla bassa portata cardiaca e i disturbi dovuti agli edemi ricorrenti,all’ascite e dell’epatomegalia. Poiché questa patologia è di solito associata ad altre valvulopatie più comuni la diagnosi non viene posta. Una stenosi tricuspidale grave è associata a marcata congestione epatica che spesso provoca cirrosi, ittero,segni di malnutrizione,gravi edemi e ascite.può esservi splenomegalia. Il soffio diastolico della stenosi tricuspidale condivide molte caratteristiche di quello della stenosi mitralica,cui spesso si associa e viene confuso. Comunque il soffio tricuspidale in genere è meglio

apprezzato a livello del processo tifoideo,aumenta nel corso dell’inspirazione e si riduce durante l’espirazione e la manovra di Valsala,meglio apprezzato quando il pz è in posizione eretta. All’esame ecocardiografico si osserva una valvola tricuspide con lembi ispessiti e il Doppler permette di stimare l gradiente transvalvolare. Nel periodo preoperatorio sono importanti la dieta priva di sodio e l terapia diuretica;questo può ridurre la congestione epatica riducendo i rischi connessi all’intervento. L’intervento consiste nella valvuloplastica o una sostituzione con una protesi,preferibilmente biologica. INSUFICIENZA TRICUSPIDALE Nella maggior parte dei casi l’insufficienza tricuspidale è funzionale ed è secondaria a una dilatazione del ventricolo destro e dell’anello tricuspidale.l’insufficienza tricuspidale funzionale può complicare un ingrandimento ventricolare destro di qualsiasi natura,compresi i casi di infarto della parete inferiore con interessamento del ventricolo destro,le cardiopatie congenite con ipertensione polmonare grave,le cardiopatie ischemiche,le miocardiopatie e i cuore polmonare. Se ‘ipertensione polmonare recede l’insufficienza tricuspidale è almeno in parte reversibile. La malattia reumatica può produrre un’insufficienza tricuspidale organica spesso associata ad una stenosi. Eno frequentemete si osservano casi di insufficienza tricuspidale legata a malformazioni ongenite della valvola tricuspide,come nei difetti del canale atrioventricolare. Le caratteristiche cliniche dell’insufficienza consistono essenzialmente nella congestione venosa sistemica e nella riduzione della portata cardiaca. I segni caratteristici dell’insufficienza tricuspidale consistono in una pulsazione ventricolare destra lungo la regione parasternale sinistra e in un soffio olosistolico a livello del margine inferiore sinistro dello sterno, che in genere si intensifica nel corso dell’inspirazione e si riduce durante l’espirazione o la manovra di Valsala. Di solito i pz presentano fibrillazione striale. L’ ECG mostra i segni caratteristici della lesione responsabile della dilatazione del ventricolo destro a cui segue l’insufficienza tricuspidale. Nei rari casi di insufficienza tricuspidale isolata è frequente un blocco di branca destro incompleto. La radiografia al torace dimostra una dilatazione sia del ventricolo che dell’atrio destro. L’ecografia può essere utile nel dimostrare la dilatazione del ventricolo destro e il prolasso delle cuspidi tricuspidali; la diagnosi di insufficienza tricuspidale può essere posta mediante il Doppler, anche la sua gravità e la pressione arteriosa polmonare. La pressione media nell’atrio destro e la pressione teldiatolica ventricolare destra sono elevate. In genere l’insuffiicenza tricuspidale isolata è ben tollerata e non richiede l’interveto chirurgico. Se associata ad altre valvulopatie in genere il trattamento di queste comporta un miglioramento dell’insufficienza tricuspidale sena intervenire su questa. IPERTENSIONE ARTERIOSA Prima causa di mortalità nel mondo, secondo il rapporto dell’OMS Definizione Rapporto del Joint National Committee americano n.7, 2003/ Linee guida ESH ESC 2007 Categoria Sistolica (mmHg) Diastolica (mmHg) Ottimale < 120 e /=110 Ipertensione sistolica isolata >/=140 e/o 50 anni aumenta in maniera significativa. Classificazione per eziologia

-

essenziale secondaria

IPERTENSIONE ESSENZIALE: dovuta ad alterazioni funzionali o non specifiche, detta anche primitiva o idiopatica Rappresenta circa il 90-95% dei casi di ipertensione. Fattori influenti: - genetici= ereditarietà multifattoriale o difetti monogenici in geni suscettibili - ambientali=assunzione di sodio, soprattutto attraverso un elevato consumo di sale da cucina; obesità; tipo di lavoro (stressante o meno); benessere sociale (alimentazione eccessiva e ricca di grassi) Tra le ipotesi patogenetiche, si considerano i possibili ruoli svolti dall’assunzione di sodio,di cloro e calcio, dalla secrezione di renina(influenzata da numerosi fattori, come la volemia e l’assunzione di sodio con la dieta), da eventuali difetti di membrana e dall’iperinsulinemia. I difetti di membrana consistono nell’anomalo trasporto transmembrana del sodio, in particolare a livello delle cellule muscolari lisce dei vasi, con conseguente accumulo di calcio intracellulare, quindi aumentata risposta vascolare a sostanze vasocostrittrici. L’iperinsulinemia provoca, invece, oltre ad un alterato trasporto transmembrana di ioni con aumento del calcio intracitoplasmatico, ritenzione renale di sodio, aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico e ipertrofia delle cellule muscolari lisce vascolari dovuta all’attività mitogena propria dell’insulina. Fattori prognostici negativi: razza nera, giovane età, sesso maschile, pressione diastolica >115 mmHg, fumo di sigaretta, diabete mellito, ipercolesterolemia, assunzione eccessiva di alcool, obesità, evidenza di danno d’organo (cardiaco, oculare, renale, nervoso)

IPERTENSIONE SECONDARIA: dovuta ad una precisa anomalia organica (pazienti giovani!)  Ipertensione renale per funzionalità renale alterata con incapacità di mantenere equilibrio idrosalino o per alterata secrezione renale di sostanze vasoattive - Nefrovascolare:dovuta a ridotta perfusione tissutale renale che attiva il sistema renina angiotensina (es:stenosi dell’arteria renale, per displasia fibromuscolare spt.donne giovani o per aterosclerosi spt.uomini anziani→soffio addominale!) - Parenchimale: dovuta a modificazioni flogistiche e fibrotiche dei piccoli vasi renali, che esitano in una riduzione di perfusione renale e attivazione del sistema renina-angiotensina. Ci sono anche altre ipotesi patogenetiche da danno parenchimale: possibile produzione di una sostanza vasopressoria non identificata o mancata produzione di una sostanza vasodilatatrice, incapacità di inattivare sostanze vasopressorie circolanti, inappropriata eliminazione di sodio con conseguente ritenzione (es: rene policistico, glomerulonefrite acuta e cronica, pielonefrite,…) - eccessiva produzione di renina per neoplasie delle cellule iuxtaglomerulari o nei nefroblastomi (rara)  Ipertensione endocrina - Surrenale:

iperaldosteronismo primitivo per tumore o iperplasia surrenalica bilaterale (→aumento aldosterone, riduzione renina, ipokaliemia); feocromocitoma (tumore secernente catecolamine→calo peso, cefalea, palpitazioni, crisi d’ansia, sudorazione profusa, iperglicemia, aumentata increzione di adrenalina e noradrenalina, aumento dei metabolici urinari delle catecolamine es. acido vanilmandelico nelle urine delle 24 ore!) - Acromegalia - Ipercalcemia (iperparatiroidismo) - Tireotossicosi (malattia di Graves, tumori, tiroiditi, gozzo multinodulare tossico, adenomi,…)  Coartazione aorta: ( indentazione dell’aorta spt.a livello dell’origine dell’arteria succlavia di sinistrapolso femorale ridotto e ritardato!) l’ipertensione si genera per ostacolo meccanico o per alterazioni alla circolazione renale Ipertensione maligna: marcata ipertensione, papilledema, encefalopatia ipertensiva (cefalea grave, vomito, disturbi visivi, paralisi, convulsioni, stupore, coma), insufficienza cardiaca, riduzione rapida della funzione renale. (urgenza!) La lesione vascolare caratteristica è la necrosi fibrinoide delle pareti delle arteriose. Patogenesi sconosciuta. Più frequente nei maschi, età media 40 anni.

Effetti sistemici dell’ipertensione -cardiaci: ipertrofia ventricolare sinistra concentrica con incremento dello spessore delle pareti(ingrandimento cardiaco e segni elettrocardiografici di sovraccarico ventricolare) →successiva dilatazione della cavità per deterioramento della funzione contrattile, con conseguente insufficienza cardiaca →aumento delle richieste miocardiche di ossigeno, eventuale comparsa di angina pectoris o infarto miocardico acuto

-neurologici: cefalea occipitale, soprattutto al mattino; vertigini; ronzii auricolari; offuscamento visivo; emorragie (rottura di microaneurismi); TIA; encefalopatia (= ipertensione, disturbi di coscienza, aumento pressione intracranica, retinopatia con papilledema, convulsioni) -oculari: spasmi vascolari, edema papilla, essudati (FOO!) -renali: lesioni arteriosclerotiche delle arteriole afferenti ed efferenti con riduzione del filtrato glomerulare→insufficienza renale (proteinuria, microematuria!)

Trattamento Importante sensibilizzare il paziente, soprattutto se presenta fattori di rischio quali fumo obesità ipercolesterolemia, a modificare il proprio stile di vita:

-

dieta (ridotto apporto di sodio, aumentato apporto di potassio e calcio, riduzione dell’introito di grassi saturi e riduzione dell’apporto calorico) riduzione dei fattori di stress esercizio fisico regolare calo ponderale abolizione del fumo

L’inizio del trattamento farmacologico dipende dai valori pressori e dai fattori di rischio cardiovascolare del paziente. La terapia farmacologica va iniziata nei soggetti che presentano valori di pressione diastolica > 90 mmHg e/o di pressione sistolica > 140 mmHg, se questi non risultano controllati dalle sole modifiche dello stile di vita o in presenza di 3 o + fattori di rischio. Classi di farmaci: vedi tabella 246.6 pagina 1656 Harrison - diuretici: i diuretici tiazidici rappresentano la prima scelta nel trattamento;possono essere associati a ACE-inibitori ottenendo un sinergismo con potenziamento - antiadrenergici: in particolare i beta-bloccanti - ACE-inibitori e sartani:agenti sul sistema renina-angiotensina - Calcio-antagonisti: nifedipina (agisce spt.sui vasi), verapamil e diltiazem (agiscono sul cuore) - Vasodilatatori (idralazina, diazossido,..): non vengono utilizzati nel trattamento iniziale

Obiettivo: raggiungimento di una pressione arteriosa stabilmente inferiore a 140/90 mmHg; nei pazienti diabetici e in quelli a rischio cardiovascolare elevato o con danni d’organo, la riduzione dovrebbe essere a valori di 130/80 mmHg. Nei pazienti diabetici, ACE-inibitori: influiscono meno degli altri sul metabolismo glucidico In gravidanza, per trattamento di preeclampsia e eclampsia, consigliati metildopa (antiadrenergico ad azione centrale, idralazina e calcio antagonisti) IPERTENSIONE SISTOLICA CON AUMENTO DELLA PRESSIONE DIFFERENZIALE 1. Ridotta compliance aortica (arteriosclerosi) 2. Aumento gittata sistolica - Insufficienza aortica - Tireotossicosi - Sindrome del cuore ipercinetico - Febbre - Fistola arterovenosa - Dotto di Botallo pervio IPERTENSIONE SISTOLICA E DIASTOLICA (AUMENTO DELLE RESISTENZE VASCOLARI PERIFERICHE) 1. Renale - pielonefrite cronica - glomerulonefrite acuta e cronica - rene policistico - stenosi nefrovascolare o infarto renale - altre nefropatie (nefrosclerosi arteriolare, nefropatia diabetica,..) - tumori renino-secernenti 2. Endocrina - contraccettivi orali - iperattività della corticale dei surreni: sindrome di Cushing, iperaldosteronismo primitivo, sindromi surrenogenitali congenite o ereditarie (deficit di 17alfaidrossilasi e 11betaidrossilasi) - feocromocitoma

- mixedema - acromegalia 3. Neurogena - psicogena - sindrome di encefalica - disautonomia familiare (Riley-Day) - polinevrite (porfira acuta, avvelenamento da piombo) - aumento acuto della pressione intracranica - sezione del midollo spinale 4. Varie - coartazione dell’aorta - aumento del volume intravascolare (trasfusioni eccessive, policitemia vera) - panarterite nodosa - ipercalcemia - farmaci (ciclosporina, glucocorticoidi) 5. Eziologia sconosciuta - ipertensione essenziale - tossiemia gravidica - porfira intermittente acuta

ARITMIE Anatomia del sistema di conduzione: in condizioni fisiologiche l’attività di pacemaker cardiaco è situata nel nodo senoatriale (velocità di conduzione pari a 1 m/sec) . l’impulso elettrico, che qui si origina, attraversa l’atrio fino a raggiungere il nodo atrioventricolare (qui la velocità di conduzione cala fino a 0,02 – 0,05 m/sec). Dal nodo emerge il fascio comune di His (la cui velocità di conduzione aumenta fino a 2 – 4 m/sec) che attraversa la parte membranosa anteriore del setto interventricolare; dalla sua porzione distale emergono due fasci di fibre che si portano uno verso sinistra (branca sinistra) e uno verso destra (branca destra). La successiva suddivisione di entrambe le branche origina il sistema periferico di purkinje che si dirama a tutto il miocardio ventricolare. Fisiologia del sistema di conduzione: le cellule cardiache presentano vari tipi di potenziali d’azione che sono i responsabili delle diverse capacità di funzione delle stesse. Tra questi potenziali possiamo individuare due tipi principali:  Rapido: tipico delle cellule di conduzione ( fascio di His e cellule di Purkinje),  Lento: tipico delle cellule dei nodi. Osservando i due potenziali possiamo notare come il potenziale transmembrana di riposo di queste cellule sia differente: meno negativo quello delle cellule a risposta lenta (-70 mV). Questa differenza è alla base della capacità di automatismo delle cellule dei nodi. I potenziali d’azione sono formati da varie fasi numerate da 0 a 4 che sono determinate da variazioni della capacità di conduttanza della membrana a vari ioni (principalmente Na+ , K+, Ca++ ). Prendendo in esame il potenziale delle fibre a risposta rapida (che parte da un valore di -90 mV) vediamo che la depolarizzazione rapida (fase 0) è determinata da una corrente maggiore di ioni Na+ in ingresso e da una minore di ioni Ca++. La depolarizzazione che si instaura permette l’apertura dei canali del K e la fuoriuscita di K+ dalla cellula, questo crea una lieve ripolarizzazione (fase 1), che viene seguita da una fase di plateau (fase 2) caratterizzata dalla presenza di più correnti che da un lato depolarizzano ( Na+ e Ca++ in ingresso ) e dall’altro ripolarizzano (K+ in uscita). L’altra fase è quella della ripolarizzazione (fase 3) che è

causata totalmente dall’uscita massiva di K+ dalla cellula con varie correnti. L’ultima fase è invece quella in cui si ristabilisce il potenziale di membrana a riposo della cellula. Il potenziale delle fibre a risposta lenta è invece caratterizzato da un potenziale di riposo meno negativo e da una depolarizzazione (fase 0) determinata da un ingresso di ioni Ca++. manca la ripolarizzazione e la depolarizzazione è più lenta di quella vista prima. Questa fase è poi seguita da una ripolarizzazione anche qui è mediata dalla fuoriuscita del K+. La fase caratteristica di questo potenziale è la depolarizzazione spontanea (fase 4) in cui la cellula ritorna al potenziale di membrana a riposo e ha la capacità, quando raggiunge il valore critico della soglia, di attivare una corrente di ioni Na+ e Ca++ in ingresso che ne permettono una nuova depolarizzazione e così la partenza di un nuovo impulso.

Le caratteristiche che distinguono le cellule miocardiche sono:  Automatismo  Velocità di conduzione  Periodo refrattario Con il termine di periodo refrattario si indica quel lasso di tempo in cui la cellula non può generare un nuovo potenziale, anche se viene raggiunta da un nuovo stimolo. Questo periodo è suddiviso in: 1. periodo refrattario assoluto, indica che la cellula non riesce a sviluppare un potenziale per nessuna entità di stimolazione e corrisponde alle fasi 1,2 del potenziale rapido e 0,3 del lento. 2. periodo refrattario relativo, indica che la cellula può far nascere un nuovo potenziale ma solo se lo stimolo è superiore ad un certo valore critico. Corrisponde alle fasi 3 e 4. La velocità di conduzione dipende dalla velocità di ascesa e dall’ampiezza della fase 0, queste a loro volta dipendono dal numero di correnti ioniche che le causano. La variazione di uno di questi parametri può condizionare l’insorgenza di un quadro aritmico. Le due cause principali che portano alla formazione di un quadro di aritmia sono:  disturbo nella genesi dell’impulso  disturbo nella conduzione dell’impulso Classificazione: le aritmie vengono classificate in due grandi gruppi:  ipocinetiche  ipercinetiche questi due termini vengono usati in riferimento al cambiamento delle frequenza cardiaca osservabile nel tipo di aritmia. È anche da considerare che l’aritmia può essere definita sinusale: con questo termine si identifica un quadro aritmico, quindi con alterazione nella frequenza cardiaca, che mantiene l’origine della genesi dell’impulso a livello del nodo del seno anche se superiore (tachicardia sinusale) o inferiore (bradicardia sinusale) a quello normale che oscilla normalmente tra 60-80 battiti/min. Gli altri tipi di aritmie invece presentano un ritmo che non può essere definito come sinusale in quanto l’origine dell’impulso non si mantiene nel nodo del seno. Aritmie ipocinetiche: 1. Sinusali:  Bradicardia  Aritmia sinusale respiratoria  Wandering pace-maker  Blocchi seno atriali di I, II, III grado 2. da rallentata o bloccata conduzione atrio ventricolare:  Blocchi atrio ventricolari di I, II, III grado

3. battiti di scappamento o di evasione a genesi atriale, giunzionale o ventricolare.

Bradicardia sinusale: si intende un rallentamento della frequenza di scarica del nodo del seno sotto il limite convenzionale di 60 battiti/min. Clinica: è una situazione abbastanza frequente e, nella maggior parte dei casi, non è patologica. Più frequente nei giovani e negli atleti (dove si possono raggiungere anche frequenze molto basse 35-40 battiti/min). la causa che più frequentemente si osserva è la prevalente influenza parasimpatica (il vago diminuisce la frequenza di scarica del nodo) a livello cardiaco. in alcuni casi è segno di una disfunzione del nodo del seno che non riesce ad adeguare la frequenza con le esigenze dell’organismo. In questa situazione il paziente può lamentare affaticabilità, capogiri, episodi sincopali o presincopali dovuti a prolungate pause nella generazione dell’impulso a livello del nodo del seno. In alcuni casi questa patologia può evidenziarsi in seguito ad assunzione di farmaci (es. β- bloccanti, digitale) o in situazioni in cui la frequenza dovrebbe fisiologicamente alzarsi come la febbre o l’esercizio fisico. Diagnosi: viene fatta sulla base del tracciato ECG dove, dopo aver controllato che le onde P siano di origine atriale (positive nelle derivazioni D1, D2 e da V3 a V6 e negative in aVR), vediamo che la frequenza è inferiore ai 60 battiti/min. Un quadro particolare è rappresentato dalla sindrome bradicardia-tachicardia caratterizzata dalla presenza di aritmie atriali parossistiche seguite da protratte pause sinusali o alternanza di periodi di tachi e bradiaritmie. In tal caso gli episodi sincopali possono essere causati dall’incapacità del nodo di tornare ad una normale funzione dopo che è stato soppresso dalla presenza della tachicardia. La diagnosi si pone poiché all’ECG si presentano fasi di tachiaritmie (che possono essere flutter o fibrillazione atriale) seguiti da una pausa cui segue la normale ripresa dell’attività sinusale. Aritmia sinusale respiratoria: si intende un quadro in cui la frequenza sinusale si modifica periodicamente in rapporto con agli atti del respiro. In inspirazione aumenta la frequenza mentre in espirazione tende a rallentare. Clinica: questo tipo di aritmia è più frequente nei giovani e si manifesta come un quadro assolutamente fisiologico. Negli adulti è molto meno osservabile e viene determinata da una condizione di ipereccitabilità vagale. Diagnosi: viene fatta durante l’esecuzione del tracciato ECG poiché si evidenziano le alterazioni in corrispondenza con le fasi del respiro. Deve essere messa in D.D. con la presenza di extrasistoli atriali qualora si osservi un tracciato registrato e con pochi complessi per ogni derivazione. Wandering pace-maker: anomalia caratterizzata dalla temporanea cessione da parte del nodo del seno ad altri segnapassi atriali o giunzionali della sua funzione (Si crea un continuo passaggio di consegne tra i segnapassi senza una grande variazione della frequenza). Clinica: questo quadro è benigno e determinato dall’influenza del sistema nervoso vegetativo sul nodo del seno. Raramente è spia di una cardiopatia organica e si osserva una sua regressione quando si aumenta la frequenza con lo sforzo o con l’uso di atropina( che è un antagonista competitivo a livello dei recettori post gangliari M1,M2,M3 dell’ach). Diagnosi: all’ECG possiamo notare un costante cambiamento nell’onda P che varia da positiva in D2 e D3 fino a negativa (con vari stadi intermedi causati dalla posizione del focus ectopico che sostituisce il nodo) . Blocchi seno-atriali : lo stimolo si forma normalmente a livello delle cellule del nodo del seno ma non riesce ad emergere o lo fa in ritardo a livello atriale.

Vengono distinti in tre gradi: I grado : è solo un rallentamento nella conduzione dello stimolo. Diagnosi: Non è diagnosticabile sul tracciato ECG ma solo con metodi invasivi diagnostici. II grado: suddiviso in tipo 1 e tipo 2 di Blumberger. - Tipo 1 presenta dei progressivi ritardi della conduzione fino al blocco periodico di un battito. - Tipo 2 presenta una sporadica o ciclica mancanza di un intero ciclo elettrico. Diagnosi: si evidenzia sul tracciato ECG. Nel tipo 1 evidenziamo la mancanza periodica di un ciclo P-QRS preceduta da una sequenza non perfettamente ritmica. Gli intervalli PR sono sempre uguali mentre la distanza PP va decrescendo fino al blocco dove risulta inferiore ai due cicli normali PP. Nel tipo 2 evidenziamo mancanza di un ciclo elettrico che genera una pausa uguale alla somma di due cicli precedenti. Tali blocchi possono avere andamento ciclico con cadenza di 2:1, 3:1 (sono causati generalmente da alterazioni della struttura cellulare del nodo del seno) . III grado o completo: è la mancata conduzione dell’impulso sinusale agli atri; si osserva una periodica o stabile scomparsa dell’attività sinusale con pausa asistolica interrotta da uno o più battiti di emergenza che temporaneamente prendono le veci del nodo del seno. Clinica: il soggetto può presentare degli episodi sincopali parossistici e assolutamente imprevedibili. Diagnosi: sul tracciato ECG si evidenzia una completa assenza di attività atriale o una presenza di attività ectopica atriale. Nell’ECG standard questa situazione non può essere differenziata dall’arresto sinusale (che identifica la mancata formazione dello stimolo sinusale) poiché se ne differenzia solo per l’elettrogenesi; la differenziazione viene fatta tramite delle diagnostiche invasive di registrazione intracavitarie. Per lo studio di queste alterazioni può essere utile l’approccio con elettrocardiografia Holter delle 24 ore (anche se può capitare che non siano diagnostici in quanto non si verifica nessun episodio sincopale durante questo periodo e quindi possiamo non evidenziare il difetto). Altri studi eseguibili sono: la pressione del seno carotideo e la “denervazione” vegetativa del cuore. La prima viene eseguita nel sospetto di una sindrome da ipersensibilità del seno carotideo; in tali pazienti la risposta alla prova può determinare una sospensione dell’attività sinusale anche superiore ai 5 sec (nei soggetti normali abbiamo sospensioni di 3 sec) . Se con atropina siamo già in grado di sopprimere la risposta alla pressione del seno possiamo supporre che non si tratti di una lesione primaria a livello del nodo ma di un quadro secondario ad alterazioni vegetative. Altri studi possono essere eseguiti con farmaci che modificano l’attività del sistema autonomo e ci permettono di valutarne l’influenza sul nodo del seno così da capire l’influenza che il sistema vegetativo esercita in quel paziente (ricordiamo che il sistema vagale causa bradicardia mentre il sistema simpatico causa tachicardia) . Vagomimetici come l’uso di fenilefrina (causa ipertensione), vagolitiche con atropina, simpaticomimetiche con isoproterenolo o Na nitroprussiato (causa ipotensione), simpaticolitiche con β- bloccanti singolarmente o in associazione. Terapia: solitamente si limita ai casi sintomatici in cui si installano dei pace-maker permanenti a richiesta ventricolare o, poiché spesso queste alterazioni si associano con delle alterazioni di altre parti del sistema di conduzione, con pace-maker permanenti ma sequenziali in grado di preservare la normale attività del nodo atrio-ventricolare. Blocchi atrio-ventricolari: si verificano per rallentamento o interruzione della conduzione dall’atrio al ventricolo. Possono originarsi per cause funzionali (come una iperattività vagale o per effetto farmacologico tipico nell’intossicazione da digitatici ma anche in caso di eccesso di β-bloccanti o di Ca-antagonisti) o per cause

organiche (come un IMA, una cardiopatia degenerativa, cardiopatie infiammatorie come la cardiopatia reumatica, amiloidosi cardiaca, emocromatosi, anomalie congenite). Si distinguono tre gradi : I grado: osserviamo un rallentamento della conduzione senza disturbo nel ritmo cardiaco. Diagnosi: nel tracciato ECG evidenziamo un allungamento del tratto PR (che individua il tempo di percorrenza dell’impulso dal nodo del seno fino al fascio di His e normalmente ha un valore di 0,20 sec) che risulta superiore agli 0,20 sec. Possiamo distinguere rallentamenti lievi o marcati anche di 0,40 sec. II grado: osserviamo una mancata conduzione sporadica o ciclica di un battito. Questa situazione si verifica quando lo stimolo non attraversa il nodo atrio-ventricolare o il fascio di His. Possiamo distinguere tre tipi:  Mobitz tipo 1: si evidenzia un progressivo ritardo della conduzione atrio ventricolare fino al blocco (onda P non seguita dal complesso QRS).  Mobitz tipo 2: sporadicamente o ciclicamente si osserva una onda P bloccata.  Grado avanzato (peggioramento del tipo 2): si osservano almeno due onde P consecutive bloccate con lo sviluppo di un rapporto tra onda P e complessi QRS di 2:1 o anche superiore. Diagnosi: nel Mobitz 1 l’ECG mostra un periodismo (definito di Luciani-Wenckebach) che porta ad un costante aumento dell’intervallo PR per più cicli fino al blocco, che viene seguito da una nuova depolarizzazione in cui l’intervallo PR è minore. Nel Mobitz 2 l’ECG mostra la presenza ogni tanto dell’onda P non seguita dal complesso QRS. In questo caso l’intervallo PR rimane costante. Nel grado avanzato si crea alternanza tra battiti atriali trasmessi e non trasmessi e all’ECG evidenziamo che le onde P sono più dei complessi QRS. Si possono evidenziare dei rapporti tra le onde del tipo 2:1 o 3:1 a volte anche superiori. Anche qui l’intervallo PR rimane costante quando i battiti vengono trasmessi. Clinica: il Mobitz 1 può evidenziarsi come anomalia temporanea nel corso di IMA inferiori o nell’intossicazione digitalica. Si può osservare anche in pazienti normali ma con aumentato tono vagale. Raramente si ha progressione di questo tipo di blocco verso il blocco completo. Il Mobitz 2 ha una elevata incidenza di progressione verso un blocco completo. Può essere secondario ad IMA anterosettale o a malattie sclerodegenerative o calcifiche del cuore. III grado (o completo) : c’è impossibilità di conduzione tra atrio e ventricolo. In questa situazioni atri e ventricoli si contraggono in modo totalmente indipendente. Gli atri continuano a depolarizzarsi seguendo il ritmo determinato dal nodo del seno ma nessuno di questi stimoli viene trasmesso ai ventricoli che si contraggono per azione di un centro sussidiario che crea un ritmo di evasione compreso tra 60-20 battiti/min. L’instaurarsi di questo quadro è una grave eventualità (tanto più grave quanto più è lento il segnapassi secondario). Può inoltre capitare che all’instaurarsi del quadro per alcuni secondi non si attivi il segnapassi secondario questo provoca una pausa asistolica con conseguente ischemia cerebrale acuta e sincope. Diagnosi: nel tracciato ECG osserviamo la disgiunzione tra le onde P e i complessi QRS che assumono anche delle caratteristiche particolari in quanto la loro contrazione e la propagazione del segnale non è più quella abituale. Terapia: quella farmacologica viene riservata in linea di massima ai quadri acuti dove l’uso di atropina o isoproterenolo permettono di aumentare la frequenza cardiaca in caso di gravi bradicardie. Nei casi cronici si preferisce impiantare in questi soggetti degli stimolatori che possono essere temporanei o permanenti e applicati agli atri o ai ventricoli. Questa situazione va in diagnosi differenziale con la dissociazione atrio-ventricolare in cui abbiamo una mancata successione dell’attività ventricolare a quella atriale. Si può verificare per una interruzione anatomo-funzionale delle vie di conduzione e anche per l’emergenza di un centro giunzionale o

ventricolare che prende il controllo dell’attività del ventricolo. Si crea una asincronia funzionale che è totalmente reversibile (la conduzione atrio ventricolo è ancora possibile) determinata dalla presenza di questi due pace-maker differenti. Questa stessa condizione può anche verificarsi in caso di grave bradicardia sinusale causata da intossicazione digitalica, da β-bloccanti o Ca-antagonisti. Battiti di scappamento: sono generati da focus ectopici che entrano in funzione quando la pausa asistolica diventa più lunga di un ciclo R-R normale. Questi battiti sono definiti tardivi in quanto la distanza dal QRS che li precede è sempre maggiore del normale ciclo R-R . Rappresentano la risposta la difesa del cuore contro l’arresto cardiaco. La differenza con le extrasistoli è rappresentata dal fatto che questo battito compare in modo posticipato rispetto al normale ritmo sinusale. Vengono definiti battiti poiché solitamente sono isolati ma possono anche prendere il controllo del cuore e allora si parla di ritmi di scappamento. I centri che li causano vanno a sostituirsi al nodo del seno e sono quindi dei ritmi lenti. Ritmo del seno coronario: si caratterizza per la presenza di onde P negative nelle derivazioni D2, D3 aVF . questo avviene poiché la depolarizzazione degli atri avviene in senso contrario alla norma. Di solito non rappresenta un quadro di patologia ed è più frequente nei giovani con caratteristiche vagotoniche.

Aritmie Ipercinetiche: distinte in 1. sopraventricolari (poiché la genesi è situata al disopra del fascio di His) :  extrasistoli (atriali, giunzionali)  tachicardia sinusale  tachicardie da rientro  flutter atriale  fibrillazione atriale 2. ventricolari  extrasistoli  tachicardia ventricolare  fibrillazione ventricolare  torsione di punta Extrasistoli: sono dei battiti precoci che anticipano il normale ritmo sinusale e sono generate, nella maggior parte dei casi, da focus ectopici. In genere tali battiti anticipati sono poi seguiti da una ripresa del ritmo sinusale. Tra l’extrasistole e il battito successivo si crea una pausa di tempo variabile che possiamo distinguere in: o compensatoria se la distanza tra R-R’ è esattamente uguale a 2 cicli R-R normali o non compensatoria se la distanza è inferiore ai due cicli normali. Le extrasistoli possono anche cadere tra due complessi QRS senza modificare il ritmo sinusale, quindi parliamo di interpolate. Possono inoltre essere isolate o ripetitive. ATRIALI: il focus ectopico si situa a livello degli atri. L’impulso percorre delle vie che sono differenti da quelle normalmente usate ma si propaga poi tramite il fascio di His ai ventricoli.

In soggetti suscettibili la comparsa di queste extrasistoli possono scatenare delle tachicardie sopraventricolari parossistiche. Diagnosi: all’ECG si evidenzia un’onda P prematura, con morfologia differente da quella delle onde P sinusali, seguita da un complesso QRS normale. Il tratto P-R può essere minore (se il focus è vicino al nodo atrio-ventricolare) maggiore o uguale. Si possono osservare delle extrasistoli talmente premature che trovano il nodo ancora in periodo refrattario assoluto e questo comporta sul tracciato la presenza dell’onda P ma non il complesso QRS poiché lo stimolo non può essere condotto ai ventricoli; possiamo osservare invece un ritardo nel tratto PR . In altri casi possiamo osservare delle alterazioni nei complessi QRS che seguono una extrasistole questo dipende dal fatto che lo stimolo trova una delle branche ancora in periodo refrattario e quindi la conduzione è alterata. Clinica e terapia: la maggior parte di queste extrasistoli è asintomatica quindi non prevede alcuna terapia. Nel caso in cui si scatenino delle tachicardie o palpitazioni si possono utilizzare β-bloccanti. -GIUNZIONALI: il focus ectopico si trova nella giunzione atrio ventricolo e questo determina una depolarizzazione atriale opposta a quella normale (dal basso verso l’alto). Sono molto meno frequenti di quelle atriali o ventricolari e spesso sono associate a malattie cardiache o a intossicazione digitalica. Diagnosi: all’ECG le onde P sono identificabili poiché spesso sono inglobate nei complessi QRS, altre volte sono retrograde (negative in D2 D3 e aVF ). Clinica e terapia: nella maggior parte dei casi sono asintomatiche; se sintomatiche si usa lo stesso trattamento visto prima. - VENTRICOLARI: sono dei battiti prematuri che hanno origine a livello ventricolare. Questi battiti prematuri possono essere isolati o ripetitivi (quattro di seguito si definiscono già tachicardia ventricolare). Possono essere sporadiche o frequenti e ,in questo caso, possono generare dei ritmi particolari chiamati alloritmie (bigeminismo, trigeminismo o quadrigeminismo). Possiamo anche distinguerle in precoci (appena dopo il periodo refrattario assoluto e vicine all’onda T; se troppo precoci possono cadere sull’onda T e con più facilità determinare un quadro pericoloso che porta alla fibrillazione) e tardive (si discostano dall’onda T). si parla di parasistolia ventricolare quando esiste un rapporto fisso tra le extrasistoli, questo indica che l’origine del quadro è in un focus che segue un proprio ritmo e non viene interessato dal ritmo sistolico. Diagnosi: sono dei complessi QRS che anticipano il normale ritmo sinusale, non sono generalmente preceduti da onda P, e hanno morfologia differente da quella normale poiché sono di maggiore ampiezza (> di 0,12 sec). Sono di solito seguite da una pausa compensatoria che è pari a due normali intervalli R-R. Clinica: si possono riscontrare sia in individui sani che in affetti da cardiopatie. In pazienti normali non rappresentano un aumentato rischio di mortalità o morbilità ma nel caso di un paziente con recente IMA lo sono soprattutto quando ripetitive. Possono causare palpitazioni o pulsazioni al collo. In pazienti in cui siano frequenti possono essere causa di episodi sincopali (per riduzione della portata cardiaca). Terapia: viene richiesta nel caso in cui siano sintomatiche e possono essere trattate con β-bloccanti. Nei pazienti con cardiopatia si tende a ridurle o eliminarle per il rischio che possano portare ad insorgenza di un quadro di tipo fibrillazione. Tachicardia sinusale: si intende l’aumento della frequenza sinusale al di sopra del limite convenzionale di 100 battiti/min. È una tachicardia reattiva secondaria a sforzo, emozioni, febbre anche se si può riscontrare nella maggior parte delle cardiopatie. Si presenta anche in caso di tireotossicosi, ipovolemia, ansia, ipossia. Una particolare forma a carattere parossistico è determinata dalla presenza di una frequenza cardiaca di 140-200 battiti/min. questa tachicardia è sostenuta dalla formazione di un circuito di rientro nel nodo del seno. Diagnosi: all’ECG evidenziamo un inizio e un termine della tachicardia di tipo graduale con onde P e complessi QRS normali. Nella forma parossistica invece si presenta un quadro di tipo brusco sia nell’inizio che nel termine.

Terapia: deve sottendere alla cura della causa sottostante in quanto questo tipo di alterazione della frequenza si presenta in risposta ad una aumentata richiesta di attività. Tachicardia sopraventricolare da rientro: sono vari quadri caratterizzati da un andamento parossistico e determinati dalla formazione di un circuito di rientro per anomalie della conduzione. Tale circuito può originarsi sia a livello del nodo del seno che nel nodo atrio-ventricolare. Può essere segno di cardiopatia o di squilibrio elettrolitico o complicare la sindrome di wolff-parkinsonwhite. La frequenza cardiaca varia tra i 120 e i 250 battiti/min. molto spesso sono positive alla manovra di stimolazione vagale che causa una brusca interruzione del quadro aritmico. Diagnosi: all’ECG vediamo la successione ritmica e rapida di complessi QRS generalmente normali (l’anormalità può essere causata da un preesistente blocco di branca o funzionale). Le onde P da rientro intrasinusale sono uguali alle altre onde P e precedono il QRS. Le onde P da rientro intranodali o giunzionali sono in genere inglobate nel complesso QRS e quindi sono meno evidenziabili. Le onde P possono anche essere di tipo retrogrado evidenti dopo l’onda T . - TACHICARDIA GIUNZIONALE PAROSSISTICA: è la forma più comune tra le tachicardie da rientro sopraventricolare. Per spiegare la sua elettrogenesi si ipotizza la presenza di una doppia via di conduzione nel nodo atrioventricolare. Tali vie si pensa abbiano diverse proprietà elettriche con velocità di conduzione differente. In questa situazione un impulso prematuro troverebbe una via ancora in periodo refrattario assoluto e quindi lo stimolo non riuscirebbe a passare, se non nell’atra via che invece ha già superato la fase di refrattarietà. Mentre lo stimolo si sposta sulla seconda via l’altra avrebbe il tempo di superare la fase refrattaria e lo stimolo può così passare ma in senso inverso (si ha una depolarizzazione degli atri in senso retrogrado). Nel frattempo la prima via ritorna stimolabile e si ottiene un circolo vizioso che si automantiene con rapida attivazione ventricolare e atriale. Perché tale comportamento si verifichi non è sufficiente la presenza di una doppia via ma serve anche un fattore scatenante dato dall’extrasistole. - TACHICARDIA DA RIENTRO ATRIO VENTRICOLARE: rappresenta la più comune complicanza della sindrome di WPW. È caratterizzata dalla formazione di un circuito tra il nodo atrio-ventricolare ed una via di conduzione anomala. Lo stimolo attraversa il nodo in senso anterogrado, arriva ai ventricoli dove trova la via anomala, lo stimolo la percorre arrivando agli atri in senso retrogrado e tornare al nodo. Anche qui serve un evento scatenante prematuro. Diagnosi: a seconda della direzione con cui lo stimolo attraversa la via anomala possiamo evidenziare onde P che stanno dopo il QRS e l’onda T (senso retrogrado) o la presenza di onde delta che sono segno di preeccitazione ventricolare. Flutter atriale: Il ritmo sinusale viene sostituito da un’attività atriale ectopica ad alta frequenza (220-350 battiti/min). si ritiene che sia causato da una forma di rientro limitata all’atrio. Clinica: si trova più spesso associata ad una forma di cardiopatia e può manifestarsi sia in forma acuta che cronica. Nella forma cronica di solito è evidenziabile un fattore scatenante come la pericardite o l’insufficienza respiratoria. di solito ha una breve durata ma può, se permane a lungo, anche trasformarsi in fibrillazione atriale. Si osserva di frequente nei soggetti che hanno subito interventi di cardiochirurgia durante la prima settimana post-operatoria ma anche in soggetti che hanno avuto IMA è riscontrabile. Diagnosi: all’ECG si evidenzia una rapida successione di onde che creano un aspetto a denti di sega eliminando la presenza della linea isoelettrica. Queste onde, dette F, sono meglio evidenziabili nelle derivazioni D2,D3, V1 e aVF. La risposta ventricolare a questa alta frequenza atriale è variabile per la presenza di BAV funzionali di tipo 2:1 o 3:1 che sono determinati dalla presenza del nodo atrio-ventricolare del periodo refrattario che blocca alcuni degli impulsi. La manovra della stimolazione vagale (massaggio di un seno carotideo che causa una diminuzione della velocità di scarica del nodo SA e un rallentamento del tempo di conduzione del nodo AV) permette,

bloccando temporaneamente il nodo atrio-ventricolare, di rallentare la risposta ventricolare consentendo una più chiara osservazione del quadro atriale (le fasi diastoliche vengono allungate). Terapia: il trattamento più efficace è la cardioversione elettrica che già a bassa energia risulta efficace, anche se, si preferisce usare energia superiore per evitare il rischio di insorgenza di fibrillazione. La cardioversione può essere fatta anche farmacologicamente con amiodarone o chinidina. In soggetti in post-operatorio o con pregresso IMA o in terapia digitalica si tratta il quadro tramite una stimolazione atriale con elettrodi temporanei. Se le condizioni del paziente o permettono è sempre meglio creare un rallentamento farmacologico (caantagonisti, β-bloccanti o digitale) del nodo atrio ventricolare così da diminuire l’attività dei ventricoli. Fibrillazione atriale: si intende un quadro in cui l’attività dell’atrio è completamente desincronizzata, caotica e molto frequente. Emodinamicamente l’attività dell’atrio è inconsistente. Clinica: questa aritmia è particolarmente comune e si presenta in forma parossistica o persistente. La forma persistente è di solito secondaria a malattie cardiovascolari come la cardiopatia reumatica, valvulopatie mitraliche, cardiopatie ipertensive, malattie polmonari croniche. Può presentarsi in soggetti normali a seguito di stress emotivi, dopo interventi chirurgici, o in presenza di malattie polmonari che sviluppino acutamente ipossia o ipercapnia. La morbilità associata è secondaria a:  eccessiva frequenza ventricolare con ipotensione congestione polmonare e angina  prolungamento della pausa che segue la cessazione del quadro con sincope  embolizzazione sistemica  perdita del contributo atriale alla portata cardiaca con astenia  ansia secondaria e palpitazioni Diagnosi: all’ECG vediamo la sostituzione dell’onda P con una serie irregolare di onde, onde F (meglio visibili in V1 e V2), con frequenza superiore a 350-400 battiti/min. l’attività dei ventricoli, per a funzione di filtro fornita dal nodo AV che permette il passaggio solo di alcuni degli impulsi atriali, risulta aritmica e disordinata (delirium cordis) ma con complessi QRS che mantengono la loro struttura normale. Per la diagnosi sono necessari tre parametri: 1. assenza onde P 2. presenza onde F 3. successione aritmica di complessi QRS tra loro uguali. Terapia: la cardioversione è il trattamento di prima scelta nel caso di paziente critico, se invece il paziente non è troppo compromesso dobbiamo rallentare l’attività ventricolare e poi stabilizzare l’atrio. Se la terapia medica non riesce a far recedere il quadro entro le 24 ore allora si usa la cardioversione elettrica. Bisogna anche iniziare una terapia anticoagulante poiché riduce il rischio di embolizzazione sistemica. Tachicardia ventricolare: è un’aritmia a genesi ectopico da rientro con focus ripetitivo o con formazione da rientro intraventricolare. si manifesta con una tachicardia a frequenza variabile tra 100 e 220 battiti/min. la durata della tachicardia permette la sua distinzione in sostenuta (dura più di 30 secondi) e non sostenuta (dura meno di 30 secondi). Vengono definite maligne quelle aritmie che sfociano in fibrillazione ventricolare. Clinica: si accompagna ad alcune forme di cardiopatia organica e a cardiopatie ischemiche croniche. Si può ritrovare anche in caso di alterazioni metaboliche, tossicità da farmaci o sindrome del QT lungo. La forma non sostenuta si ritrova con più frequenza in cuori normali. La forma sostenuta è sempre sintomatica e si accompagna ad alterazioni emodinamiche e alterazioni ischemiche. Se la frequenza è elevata ed è associata a disfunzione miocardica si avranno episodi sincopali e ipotensione. Bisogna sempre tenere presente il rischio di una morte improvvisa per le alterazioni della portata cardiaca. Diagnosi: all’ECG si evidenzia la successione rapida di quattro o più complessi larghi molto simili a quelli delle extrasistoli ventricolari. Di solito vi è dissociazione atrio-ventricolare con onde P di origine sinusale e a frequenza diversa dai QRS. Non viene influenzata dalle manovre di stimolazione vagale.

Di particolare importanza è distinguerla dalla tachicardia sopraventricolare con aberrazione, si possono distinguere per: - mancata dissociazione atrio-ventricolare - presenza di battiti di cattura (sono complessi QRS sporadici) - non viene interrotta da stimolazione vagale. Terapia: bisogna sempre considerare che le terapie antiaritmiche possono esacerbare la stessa aritmia. I soggetti con quadro non sostenuto e asintomatico non vengono trattati perché questo non migliora la loro prognosi. I pazienti che hanno la sindrome del QT lungo congenito hanno invece un maggior rischio e questo impone il loro trattamento. I farmaci di prima scelta usati sono: β-bloccanti, verapamil o altri farmaci della classe I o III. In soggetti che hanno segni di compromissione dello stato emodinamico o segni di ischemia bisogna interrompere immediatamente l’aritmia con la cardioversione. Se invece c’è ancora un buon compenso si può pensare di trattare il soggetto farmacologicamente (farmaco più efficace è la procainamide). Se i farmaci non funzionano si può pensare ad una stimolazione rapida con cateterismo. -SINDROME DA PRE ECCITAZIONE (Wolff – Parkinson – White): si associa alla presenza di un fascio accessorio atrio-ventricolare. I soggetti che presentano questa sindrome si caratterizzano per la presenza sia di segni ECG sia di tachicardia parossistica. Diagnosi: il tracciato si presenta con tratto PR accorciato, inizio lento e allargamento del complesso QRS. Questo risulta dall’attivazione combinata di entrambi ventricoli sia attraverso i fasci anomali che tramite le fibre di His-Purkinje. Durante le tachicardie sopraventricolari di solito l’impulso viene condotto per via anterograda lungo la normale via anatomica. Terapia: l’ablazione chirurgica del fascio accessorio è possibile in più del 90% dei casi e garantisce guarigione permanente. La terapia farmacologica viene usata al fine di alterare le componenti del rientro; si possono utilizzare β-bloccanti o ca-antagonisti per aumentare la durata del periodo refrattario del nodo AV, chinidina o flecainide per rallentare la conduzione. Fibrillazione ventricolare: è l’aritmia più grave perché porta all’inefficienza totale della funzione di pompa cardiaca e corrisponde ad un arresto cardiaco. L’attività miocardica è completamente desincronizzata dalla presenza di foci ectopici multipli non coordinati. Clinica: tale aritmia risulta di più frequente osservazione in pazienti con quadro di cardiopatia ischemica. Lo scatenarsi del quadro aritmico porta ad un rapido instaurarsi di perdita di coscienza e, se non trattato, porta a morte. Spesso rappresenta l’evoluzione di un quadro scatenato da extrasistoli ventricolari che cadono sull’onda T che rappresenta il periodo debole. Diagnosi: all’ECG si presentano delle oscillazioni larghe, irregolari, completamente anormale e abnormi con ampiezza e frequenza varie che vanno a sostituire i QRS normali. Terapia: rimane la terapia migliore in questi quadri l’uso della cardioversione elettrica per tentare di ristabilire un ritmo normale. Torsione di punta: è una tachicardia ventricolare polimorfa maligna che può evolvere in una fibrillazione ventricolare. Clinica: si riscontra nelle cardiopatie gravi soprattutto ischemiche, nelle gravi ipopotassiemie e nei QT allungati. Diagnosi: all’ECG si alternano sequenze di complessi positivi e negativi in modo disordinato. La frequenza è superiore a 150 battiti/min. si osserva una variazione fasica della polarità dei complessi QRS sull’asse isoelettrico.

Classe I:

-

Ia: rallentano la conduzione e prolungano la ripolarizzazione (CHINIDINA, PROCAINAMIDE, DISOPIRAMIDE) Ib: accorciano la ripolarizzazione (LIDOCAINA, FENITOINA, TOCAINAMIDE) Ic: rallentano marcatamente la conduzione (FLECAINAMIDE, PROPAFENONE)

Classe II: β-bloccanti Classe III: allungano il potenziale d’azione (SOTALOLO, BRETILIO,AMIODARONE) Classe IV: ca-antagonisti (VERAPAMIL, DILTIAZEM)

TIROIDE Effetti generali degli ormoni tiroidei: • aumento del metabolismo basale e del metabolismo globale • effetto stimolante sulla crescita e sullo sviluppo (deficit ormonali prenatali comportano disturbi della maturazione cerebrale, rallentamento della crescita ossea e del saldamento delle epifisi) • effetti sul sistema nervoso: ipotiroidismo: apatia ipertiroidismo: eccitabilità

• effetti muscolari: ipotiroidismo: riflessi tendinei rallentati ipertiroidismo: eventuale miopatia • effetti stimolanti sul metabolismo di calcio/fosfato • effetto inibitorio sulla sintesi proteica e di glicogeno • elevata sensibilità del cuore alle catecolamine; per questo motivo in presenza di ipertiroidismo si ha tachicardia. IPOTIROIDISMO ACQUISITO Eziologia — Ipotiroidismo primitivo: • conseguenza di una malattia autoimmune (tiroidite di Hashimoto), talvolta nel contesto di una sindrome poliendocrina autoimmune • iatrogeno: dopo strumectomia, dopo terapia con radioiodio, da farmaci (ad es. tireostatici, litio) — Ipotiroidismo secondario ipofisario: insufficienza del lobo anteriore dell’ipofisi — Ipotiroidismo terziario ipotalamico (raro). Clinica — calo delle prestazioni fisiche e mentali, estrema povertà di movimenti spontanei, astenia, rallentamento psicomotorio, disinteresse, apatia (osservare l’espressione del volto!), tempo del riflesso achilleo prolungato — aumentata sensibilità al freddo — cute secca, fredda, pastosa, giallo pallida, desquamante — capelli secchi, fragili — aumento ponderale da mixedema generalizzato — stipsi — voce roca, rauca (possibile errore di diagnosi: affezione laringea) — mixedema cardiaco: bradicardia, cardiomegalia con eventuale insufficienza cardiaca refrattaria alla digitale; ECG: complessi QRS di basso voltaggio — arteriosclerosi precoce, da ipercolesterolemia — eventualmente miopatia, con aumento di CPK — alterazioni mestruali, turbe della spermatogenesi, infertilità, poliabortività. Diagnosi — Ipotiroidismo primitivo manifesto: clinica e dati di laboratorio (il TSH basale è il test di screening)

— Ipotiroidismo latente: • FT3 e FT4 normali (evtl. ai livelli inferiori della norma) • TSH basale e TSH dopo somministrazione di TRH da normale ad aumentato — Nella tiroidite autoimmune di Hashimoto: spesso dimostrazione di anticorpi anti-tireoglobulina e anticorpi antiperossidasi tiroidea (anticorpi anti-TPO). Ecografia ed evtl. agoaspirato tiroideo (infiltrato linfocitario). — Ecografia ed evtl. agoaspirato tiroideo (ad es. in caso di tiroidite linfocitaria di Hashimoto) — Scintigrafia: accumulo di radionuclidi nella tiroide fortemente ridotto o assente.

Terapia — Ipotiroidismo conclamato Trattamento sostitutivo con L-T4 e controlli per tutta la vita. Tanto più è pronunciato l’ipotiroidismo, tanto più gradualmente e lentamente deve essere instaurata la terapia sostitutiva per il rischio di attacchi di angina pectoris, disturbi del ritmo cardiaco! La dose ottimale individuale è valutata in base allo stato generale di salute del paziente e al TSH basale (o test con TRH) • dose esatta: TSH basale normale (o test con TRH normale) • dose troppo alta: TSH basale ridotto (o test con TRH negativo) • dose troppo bassa: TSH basale aumentato (oppure riscontro di TSH in eccesso dopo somministrazione di TRH). — Ipotiroidismo latente Il trattamento è necessario solo in casi particolari (ad es. gravidanza). IPERTIROIDISMO Eziologia 1. Ipertiroidismo autoimmune (malattia di Basedow); i 2/3 dei casi si manifestano dopo i 35 anni; F:M = 5:1. a) ipertiroidismo senza gozzo b) ipertiroidismo con gozzo diffuso c) ipertiroidismo con gozzo nodulare. 2. Ipertiroidismo da autonomia tiroidea; la maggior parte dei casi si manifesta in età avanzata. In base al reperto scintigrafico del tessuto tiroideo autonomo si distinguono 3 forme: — autonomia unifocale (adenoma autonomo secondo la vecchia terminologia) — autonomia multifocale — autonomia diffusa. Nota: sindrome di Marine-Lenhart = associazione di malattia di Basedow e autonomia tiroidea (interessa sino al 10% dei pazienti con malattia di Basedow nelle aree geografiche con carenza di iodio). 3. Forme più rare di ipertiroidismo: — transitorio nelle tiroiditi subacute — carcinoma della tiroide — iatrogeno (ipertiroidismo factitio = apporto esogeno di ormoni tiroidei) — ipertiroidismo «centrale», molto raro, ad es. iperproduzione di TSH da adenoma ipofisario — molto raramente, produzione paraneoplastica di TSH. Clinica A) dell’ipertiroidismo: — gozzo (70-90% dei pazienti); per l’ipervascolarizzazione della tiroide si apprezza un soffio all’auscultazione — agitazione psicomotoria: fine tremore delle dita delle mani, ansietà, insonnia — tachicardia sinusale, eventuale disturbi del ritmo (extrasistoli, fibrillazione atriale), pressione arteriosa differenziale aumentata — calo ponderale (nonostante l’aumento dell’appetito), eventuale iperglicemia (a causa dell’aumentato metabolismo, con mobilizzazione dei depositi di lipidi e di glicogeno). Diagnosi differenziale: diabete mellito non trattato — cute calda, umida, capelli morbidi, sottili — intolleranza al caldo (vampate di calore, eventuale temperatura subfebbrile) — eventuale diarrea (la stipsi tuttavia non esclude l’ipertiroidismo) — miopatia: debolezza della muscolatura dei cingoli, adinamia — osteopatia: bilancio negativo del calcio: nel 15-20% dei casi ipercalcemia, ipercalciuria, fosfatasi alcalina aumentata

— alterata tolleranza glucidica (50% dei casi) — evtl. steatosi epatica — evtl. alterazioni mestruali, infertilità (più raramente che nell’ipotiroidismo). B) Ulteriori sintomi in caso di ipertiroidismo autoimmune (malattia di Basedow): — oftalmopatia endocrina nel 50% dei casi (per i dettagli vedi il relativo capitolo) — triade di Merseburg della malattia di Basedow (50% dei casi): gozzo, esoftalmo, tachicardia — mixedema pretibiale nel 5% dei casi: come nell’oftalmopatia endocrina, si giunge a depositi di glicosaminoglicani nel tessuto sottocutaneo pretibiale, raramente anche a livello dell’avambraccio e delle spalle. È possibile la regressione spontanea — raramente acropachia (deformazione a clava delle dita e dell’alluce). Diagnosi Diagnosi dell’ipertiroidismo manifesto: 1. anamnesi (farmaci contenenti iodio, mezzo di contrasto iodato, ecc.) 2. clinica (sintomi di ipertiroidismo) 3. laboratorio: — TSH basale diminuito (è il test di screening) — FT3 sempre aumentata — FT4 aumentata nel 90% dei casi. In caso di TSH basale ridotto, la sola determinazione di FT4 non è sufficiente, in quanto esistono ipertiroidismi isolati da T3 (ad es. nello stadio iniziale dell’ipertiroidismo). Nota: diagnosi del raro ipertiroidismo centrale (ad es. da adenoma ipofisario TSH-secernente): ormoni tiroidei aumentati + TSH basale non soppresso, talvolta persino aumentato. Una situazione analoga è presente nella rara forma di resistenza agli ormoni tiroidei (da difetto del recettore ormonale). — dimostrazione di autoanticorpi verso i recettori per il TSH nell’80% dei casi e anti-TPO nel 70% dei casi di ipertiroidismo autoimmune — dimostrazione di iodio nelle urine in caso di contaminazione da iodio quale agente scatenante dell’ipertiroidismo 4. diagnostica per immagini: — ecografia: ipoecogenicità circoscritta o diffusa + ipervascolarizzazione al colordoppler. — scintigrafia: TcTU aumentato • ipercaptazione intensa e omogenea nell’ipertiroidismo autoimmune • ipercaptazione unifocale, multifocale o diffusa nelle 3 forme di autonomia tiroidea. Terapia Trattamento dell’ipertiroidismo Non si conosce nessun trattamento causale. La scelta della terapia dipende dall’età del paziente e dalla forma di ipertiroidismo. a) Terapia tireostatica farmacologica Tireostatici: bloccano la sintesi degli ormoni tireoidei. Tutte le forme di ipertiroidismo vengono trattate con tireostatici sino al raggiungimento di uno stato eutiroideo. • Perclorati: inibiscono la captazione di iodio da parte della tiroide. • Tireostatici contenenti zolfo: inibiscono la sintesi di MIT e DIT, ma non la liberazione degli ormoni definitivi (T3 e T4); l’effetto terapeutico inizia perciò dopo 6-8 giorni di latenza — propiltiouracile — tiamazolo — carbimazolo Effetti collaterali — reazioni allergiche con esantema, febbre, dolori articolari e muscolari, ecc. — piastrinopenia, leucopenia; raramente agranulocitosi da ipersensibilità (controllo dei leucociti) — alterazioni degli enzimi epatici, colestasi, ecc.

Nell’ipertiroidismo autoimmune si deve assolutamente evitare un’evoluzione in ipotiroidismo che peggiorerebbe l’oftalmopatia endocrina eventualmente presente. Terapia farmacologia aggiuntiva: in caso di tachicardia, betabloccanti, ad es. propranololo che inibisce la conversione T4 _ T3. b) Terapia chirurgica Trattamento tireostatico prima dell’intervento per riportare i pazienti ad una situazione di eutiroidismo. Successivamente procedere all’intervento con tiroidectomia subtotale, lasciando circa 4 ml di tiroide. In caso di sospetta neoplasia maligna della tiroide, tiroidectomia totale. Indicazioni: — gozzo pronunciato — segni di compressione — sospetto di malignità (ad es. nodulo freddo) — crisi tireotossica.

PARATIROIDI L’omeostasi del metabolismo del fosfato di calcio è determinata dal paratormone e dalla vitamina D. Tra il calcio e l’ormone paratiroideo esiste una regolazione di feed-back negativo, per cui le loro concentrazioni sono inversamente correlate. Il meccanismo regolatorio di feed-back negativo è conservato nella ipercalcemia da neoplasia, intossicazione da vitamina D, e sarcoidosi: in questi pazienti i valori di PTH sono ridotti. Di contro, nell’ipoparatiroidismo entrambi i valori risultano ridotti. Nell’iperparatiroidismo primitivo sono entrambi aumentati. Il PTH agisce stimolando l’adenilciclasi a livello osseo e renale. Nel rene viene inibito il riassorbimento tubulare dei fosfati, viene aumentato quello del calcio. Calcitonina La calcitonina viene sintetizzata nelle cellule C della tiroide, inibisce l’attività degli osteoclasti. La secrezione della calcitonina è determinata dal livello di Ca++ nel sangue: concentrazioni elevate la stimolano, concentrazioni ridotte la inibiscono. Metabolismo della vitamina D e funzione delle paratiroidi Nel fegato la vitamina D3 viene trasformata in calcifediolo che viene trasformata a livello renale in calcitriolo, biologicamente assai attivo. Questa trasformazione è regolata dalla concentrazione di fosfato: una bassa concentrazione di fosfato favorisce la formazione di calcitriolo, e viceversa. Il calcitriolo stimola l’assorbimento enterico di calcio e fosfato. Regolazione della calcemia 1. diminuzione del Ca++ plasmatico _ 2. secrezione di paratormone _ 3. stimolazione dell’eliminazione di fosfato a livello renale _ 4. diminuzione di HPO4– – _ 5. stimolazione della produzione di calcitriolo a livello renale _ 6. assorbimento enterico e mobilizzazione ossea di Ca++ e HPO4– – _ 7. normalizzazione del Ca++ plasmatico. IPERPARATIROIDISMO PRIMITIVO Definizione: malattia primitiva delle paratiroidi con aumentata produzione di ormone paratiroideo (PTH). Eziologia 1. adenoma isolato (80%), adenoma multiplo (5%) delle paratiroidi. 2. iperplasia delle paratiroidi (15%); istologia: iperplasia delle cellule chiare o delle cellule principali 3. raramente carcinoma delle paratiroidi (< 1%).

Raramente si osserva una neoplasia endocrina multipla (MEN) Patogenesi dell’ipercalcemia: nell’iperparatiroidismo primitivo, l’ipercalcemia è la conseguenza dell’azione del PTH a 3 livelli: — aumento del riassorbimento di calcio dall’osso (aumento delle piridinoline urinarie) — maggiore assorbimento enterico di calcio (mediato dal calcitriolo) — aumento del riassorbimento tubulare renale di calcio. Clinica: oltre la metà dei pazienti non accusa disturbi o accusa disturbi aspecifici (diagnosi occasionale di ipercalcemia). 1. Manifestazioni renali (40-50%): — frequente nefrolitiasi (fosfato e ossalato di calcio) — rara neofrocalcinosi (prognosticamente sfavorevole). Tipica è la diminuzione della capacità di concentrazione refrattaria all’ADH che determina poliuria con polidipsia. Nei casi avanzati si instaura insufficienza renale. 2. Manifestazioni ossee (circa il 50%): l’aumento dell’ormone paratiroideo porta all’aumento degli osteoclasti, nonché per reazione anche degli osteoblasti, cosicché si va incontro a un bilancio osseo negativo. L’attività degli osteoclasti porta, nei casi conclamati, a lacune di riassorbimento osseo subperiostale con acroosteolisi di mani e piedi. Segno radiologico frequente è una osteopenia diffusa che può essere osservata alle ossa della mano nel 40% dei casi, della colonna vertebrale nel 20% dei casi; l’esame radiografico del cranio – seconda sede per frequenza – mostra un aspetto di «vetro opaco». La lamina dura degli alveoli dentali mostra fenomeni di erosione ed è presente dolore alla colonna vertebrale e agli arti che è sintomo di interessamento osseo. In caso di coinvolgimento osseo, all’analisi di laboratorio risultano aumentati i valori della fosfatasi alcalina e della escrezione di idrossiprolina. 3. Manifestazioni gastrointestinali (circa 50% dei casi): — inappetenza, nausea, stipsi, meteorismo, calo ponderale — ulcera gastro/duodenale rara (circa 10%) — rara pancreatite (circa 10%; la pancreatite può diminuire la calcemia, mascherando così un iperparatiroidismo primitivo!). 4. Sintomi neuromuscolari: affaticabilità, astenia e atrofia muscolare; accorciamento del QT all’ECG. 5. Sintomi psichiatrici: depressione. 6. Crisi ipercalcemica (< 5%): Sintomatologia: — poliuria, polidipsia — vomito, disidratazione, adinamia — sintomi psicotici, sonnolenza, coma. In seguito alla insufficienza renale che si instaura rapidamente, il fosfato plasmatico aumenta e possono comparire calcificazioni a livello di diversi organi (ad es. cornea, tonaca media delle arterie). Aritmie cardiache possono portare a morte improvvisa. Diagnosi differenziale della ipercalcemia 1. Tumori maligni: rappresentano la causa più frequente di ipercalcemia (circa 60% dei casi). I tumori più frequenti sono il carcinoma bronchiale, mammario, prostatico e il plasmocitoma. In caso di ipercalcemia da tumore il PTH intatto è di regola soppresso. Sono possibili 2 meccanismi: a) ipercalcemia osteolitica, da metastasi ossee (ad es. da carcinoma mammario) e da plasmocitoma. b) ipercalcemia paraneoplastica, da produzione ectopica di peptidi simili al paratormone (PTHrP) da parte del tumore (ad es. carcinoma bronchiale). 2. Cause endocrine: iperparatiroidismo primitivo (20%), ipertiroidismo, insufficienza cortico-surrenalica. 3. Da farmaci: intossicazione da vitamina D o da vitamina A, trattamento con tamoxifene, diuretici tiazidici, litio, scambiatori di cationi contenenti calcio, ecc. 4. Immobilizzazione.

5. Sarcoidosi (sintesi di 1,25-(OH)2-D3 da parte dei macrofagi). Diagnosi di iperparatiroidismo primitivo a) Laboratorio La determinazione ripetuta del calcio plasmatico e del paratormone è il parametro più rilevante dal punto di vista diagnostico (aumentati in oltre il 90% dei casi di iperparatiroidismo primitivo); il fosfato sierico risulta diminuito nel 70% dei casi (questo reperto può essere mascherato in presenza di insufficienza renale). b) Biopsia ossea: (ossa del bacino), non è di regola necessaria; c) Diagnosi di sede: come prima indagine, si esegue solitamente un’ecografia. Peraltro, la sensibilità diagnostica di tutti i metodi d’indagine preoperatori è sempre inferiore a quella di un chirurgo esperto! Terapia La malattia è curabile mediante l’asportazione chirurgica tempestiva delle paratiroidi ingrossate. Durante l’intervento devono essere ricercate e valutate tutte le paratiroidi: — asportazione isolata di paratiroidi adenomatose ingrandite (oltre 50 mg) — quando tutte le ghiandole sono iperplastiche: paratiroidectomia totale Indicazioni all’intervento in caso di iperparatiroidismo primitivo asintomatico: — calcemia > 3 mmol/l — riduzione della clearance della creatinina — riduzione della densità ossea (Z-score > –2) — malattie concomitanti. Se non vi è indicazione all’intervento, valgono i seguenti consigli: — bere molto; non utilizzare diuretici tiazidici e digitale — prevenzione dell’osteoporosi nelle donne in post-menopausa con associazioni di estro-progestinici — controlli regolari (ogni 3 mesi). Sono in fase di studio dei preparati calcioagonisti che riducono la secrezione di paratormone. IPERPARATIROIDISMO SECONDARIO Quando una affezione extra-paratiroidea comporta la diminuzione del calcio sierico, le paratiroidi reagiscono secondariamente con una maggiore secrezione di PTH. Iperparatiroidismo secondario di originale renale Iperparatiroidismo secondario con funzione renale normale Eziologia a) cause enteriche: sindrome da malassorbimento con ridotto assorbimento di calcio b) cause epatiche (rare): • cirrosi epatica (alterata trasformazione D3 _ 25-OH-D3) • colestasi (alterato assorbimento di vitamina D3) c) ridotta sintesi cutanea di vitamina D3: carente esposizione alla luce solare. Clinica • sintomi della malattia di base • evtl. dolori ossei. Diagnosi differenziale Iperparatiroidismo secondario renale (aumento di fosfatemia, azotemia e creatininemia). Diagnosi Calcemia diminuita, fosfatemia normale, PTH aumentato. Terapia • terapia della malattia di base • apporto di vitamina D3 ed evtl. calcio.

IPOPARATIROIDISMO Definizione Carenza funzionale delle paratiroidi con deficit di PTH. Il sintomo tipico è la tetania ipocalcemica. Eziologia 1. postoperatorio (causa più frequente): dopo intervento chirurgico al collo, soprattutto strumectomia 2. idiopatico: raro (autoimmune?) 3. agenesia delle paratiroidi e del timo (sindrome di Di George, molto rara). Clinica 1. Sintomi funzionali — tetania ipocalcemica): accessi convulsivi con conservazione dello stato di coscienza, spesso accompagnati da parestesie, atteggiamento delle mani «da ostetrico», spasmo della glottide — segno di Chvostek la percussione del nervo facciale sotto l’arcata zigomatica determina la contrazione dell’angolo della bocca — segno di Trousseau — ECG: allungamento del tratto QT. 2. Alterazioni organiche Disturbi della crescita dei capelli, delle unghie, formazione di cataratta, calcificazione dei gangli della base, osteosclerosi. 3. Disturbi psichici (irritabilità, depressione). Diagnosi differenziale 1. Tetania normocalcemica (la più frequente): diminuzione del calcio ionizzato dovuta ad alcalosi (quasi sempre alcalosi respiratoria da iperventilazione psicogena). 2. Ipocalcemia di altra genesi (PTH intatto aumentato): pancreatite acuta, sindrome da malassorbimento, peritonite, fase di guarigione del rachitismo, osteomalacia (deficit di vitamina D), insufficienza renale, infusione di EDTA o di sangue citratato, cause più rare. 3. Pseudo-ipoparatiroidismo (estremamente raro): Diagnosi 1. ipocalcemia, ipomagnesiemia, iperfosfatemia 2. ridotta escrezione renale di: calcio, fosfato, cAMP 3. diminuzione del PTH intatto I reperti di ipocalcemia e di iperfosfatemia con creatinina normale (esclusione di insufficienza renale) e albuminemia normale (esclusione di sindrome da malassorbimento) rendono molto probabile la diagnosi di ipoparatiroidismo primitivo. Il riscontro di ridotti livelli di PTH conferma la diagnosi. Terapia In caso di tetania Iniezione e.v. lenta di 20 ml di soluzione di calcio al 10%. Attenzione: il calcio e la digitale sono farmaci ad azione sinergica. Non somministrare perciò a nessun paziente digitalizzato calcio e.v.! Trattamento a lungo termine Vitamina D ad alta dose (colecalciferolo 40.000 UI/die oppure calcitriolo 1-1,5 μg/die) + calcio per via orale 1-3 g/die con regolare controllo della calcemia e della calciuria. CORTECCIA SURRENALE

Regolazione della secrezione di aldosterone a) Stimolazione: — il più importante stimolo è rappresentato dal sistema renina-angiotensina (omeostasi del volume ematico totale, che si attiva per iposodiemia, ipovolemia e ridotta perfusione renale) — aumento del potassio sierico — ACTH (meno significativo). b) Inibizione: peptide natriuretico atriale (ANP). IPERALDOSTERONISMO PRIMITIVO Sinonimo Sindrome di Conn. Clinica 1. ipertensione (sintomo principale) con cefalea ed eventuali lesioni organiche. 2. ipopotassiemia con sintomi associati: • astenia muscolare • stipsi • alterazioni ECGrafiche (slivellamento di ST, onda U) • poliuria, polidipsia, ipostenuria: l’ipopotassiemia provoca una tubulopatia vacuolarem con diabete insipido nefrogeno • alcalosi metabolica con parestesie (ed eventuale tetania). Laboratorio — ipopotassiemia (sempre), ipersodiemia (50% dei casi) — potassiuria aumentata (> 40 mmol/24 ore) — aldosterone plasmatico aumentato, renina plasmatica ridotta. Diagnosi differenziale — iperaldosteronismo secondario a) stimolazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone • organica: stenosi delle arterie renali, ipertensione maligna, tumore renale renino- secernente _ con ipertensione • funzionale: iposodiemia, ipovolemia, edemi di altra genesi, sindrome di Bartter, sindrome di Gitelman _ senza ipertensione. b) iperaldosteronismo «relativo» da ridotto metabolismo dell’aldosterone: ad es. edema cardiaco, epatico, renale. — pseudoiperaldosteronismo da abuso di liquerizia. Diagnosi Clinica (ipertensione ipopotassiemica), dosaggio della renina (diminuita) e dell’aldosterone (aumentato). Terapia — in caso di tumore cortico-surrenale unilaterale, asportazione chirurgica del surrene interessato dopo preparazione con spironolattone per 4 settimane

— in caso di iperplasia cortico-surrenale bilaterale, trattamento a lungo termine con antiipertensivi e antagonisti dell’aldosterone (spironolattone) — nelle rare forme di iperaldosteronismo sopprimibile con desametasone, terapia con desametasone a bassa dose — nell’estremamente raro carcinoma surrenale metastatizzante secernente aldosterone, intervento chirurgico + chemioterapia. IPOALDOSTERONISMO Eziologia 1. ipoaldosteronismo primitivo con reninemia aumentata: malattia di Addison, deficit di sintesi dell’aldosterone; forme transitorie dopo escissione di un adenoma aldosterone-secernente con soppressione del surrene controlaterale 2. ipoaldosteronismo secondario con reninemia diminuita (= ipoaldosteronismo iporeninemico): — nei pazienti con diabete mellito (frequente) — indotto da farmaci: terapia con mineralcorticoidi, ACE-inibitori, inibitori della sintesi delle prostaglandine; terapia protratta con eparina. Clinica Evtl. ipotensione con relativi sintomi. Laboratorio Iposodiemia, iperpotassiemia (evtl. minacciosa), acidosi metabolica. Diagnosi Aldosterone plasmatico diminuito; renina plasmatica aumentata (forma primitiva) oppure diminuita (forma secondaria). Terapia Nella forma primitiva (ad es. malattia di Addison) terapia con mineralcorticoidi (fludrocortisone); nella forma secondaria sospendere gli eventuali farmaci favorenti; altrimenti, in caso di manifestazioni rilevanti, somministrare mineralcorticoidi. La terapia va guidata in base al controllo degli elettroliti e della reninemia. Glucocorticosteroidi La produzione ormonale della corteccia surrenale segue un ritmo circadiano. La produzione minima è attorno a mezzanotte, quella massima tra le 6 e le 8 del mattino. Questo ritmo fisiologico è abolito nella sindrome di Cushing. Effetti farmacologici dei glucocorticoidi 1. Azione sul metabolismo glucidico e proteico: Essa consiste nella stimolazione della gluconeogenesi, con produzione di carboidrati a spese degli aminoacidi e dei prodotti intermedi (lattato, piruvato, glicina). Di conseguenza aumenta il catabolismo proteico con atrofia muscolare e osteoporosi. L’azione glucocorticoide è contrapposta all’azione insulinica: aggravamento di un evtl. stato diabetico. 2. Sul metabolismo lipidico: iperlipidemia, aumento del catabolismo lipidico, mobilizzazione di lipidi dalla periferia, accumulo di lipidi nel fegato, ridistribuzione del grasso corporeo con obesità caratteristica. 3. Sul tessuto emopoietico e linfatico: — aumento dei leucociti neutrofili, riduzione del numero di eosinofili e linfociti, riduzione del tessuto linfatico e soppressione dell’attività dei linfociti B e specialmente T. Conseguenza: aumentata predisposizione alle infezioni, effetto antiallergico e immunosoppressivo — aumento degli eritrociti e delle piastrine con effetto favorente la formazione di trombi.

4. Inibizione di flogosi, essudazione e proliferazione del tessuto connettivo, degli epiteli e del mesenchima; conseguenza: — azione antiflogistica — ritardata cicatrizzazione di ferite ed azione ulcerogena. 5. Effetto ipocalcemico: inibizione dell’assorbimento enterico di calcio + stimolazione dell’eliminazione renale di calcio. 6. Effetto mineralattivo del cortisolo rispetto all’aldosterone 1:1000. Consiste in: ritenzione di sodio, liberazione di potassio, spostamento del potassio da intra- ad extracellulare con scambio contro sodio e idrogenioni. IPERCORTICOSURRENALISMO Sinonimo: sindrome di Cushing. Classificazione ed eziologia I) Ipercorticosurrenalismo esogeno Per lo più iatrogeno a seguito di trattamento cronico con glucocorticoidi o ACTH: il più frequente. II) Ipercorticosurrenalismo endogeno Dovuto a maggiore secrezione di cortisolo o di ACTH: più raro. 1. Forma ACTH-dipendente con iperplasia secondaria della corteccia surrenale: a) sindrome di Cushing centrale (= malattia di Cushing): rappresenta il 70% delle sindromi di Cushing endogene; colpisce soprattutto le donne in età media. Nell’80% dei casi si tratta di un microadenoma del lobo anteriore dell’ipofisi, non sempre dimostrabile alle tecniche neuroradiologiche. Negli altri casi si ipotizza un’iperfunzione ipotalamica primitiva. In alcuni pazienti è possibile riscontrare la presenza di auto-anticorpi diretti contro cellule del lobo anteriore dell’ipofisi b) secrezione ectopica (paraneoplastica) di ACTH: secrezione di ACTH da parte di neoplasie (più raramente secrezione ectopica di CRH) c) sindrome di Cushing da etilismo: reversibile dopo la sospensione dell’alcool. 2. Forma ACTH-indipendente (forma primitiva): sindrome di Cushing surrenalica: a) da tumori surrenalici producenti cortisolo; nell’età adulta prevalentemente adenomi, nel bambino frequentemente carcinomi della corteccia surrenale b) raramente, displasia micronodulare o iperplasia macronodulare. Clinica 11. metabolismo lipidico: ridistribuzione dei depositi di grasso, con «facies lunare», collo taurino, obesità centrale, ipercolesterolemia 12. metabolismo proteico: osteoporosi, con evtl. dolori ossei, miopatia con ipotrofia muscolare, adinamia 13. metabolismo glucidico: tendenza al diabete 14. sistema emopoietico: leucociti, piastrine ed eritrociti aumentati, eosinofili e linfociti diminuiti 15. ipertensione (85%) 16. cute: ritardata guarigione delle ferite, predisposizione ad acne, foruncolosi, ulcerazioni, comparsa di strie cutanee rosse, atrofia della cute (cute «a pergamena»). 17. virilizzazione, irsutismo, disturbi del ciclo mestruale 18. nel bambino arresto della crescita 19. disturbi psichici (ad es. disturbi psicotici) 10. ipopotassiemia (5%), secondaria a iperproduzione di mineralcorticoidi (relativamente rara). Deve far sospettare una produzione ectopica di ACTH oppure una neoplasia della corticale surrenalica. L’ipercorticosurrenalismo primitivo dovuto alla presenza di adenomi surrenalici comporta per lo più un aumento solo dei glucocorticoidi. L’ipercorticosurrenalismo secondario è invece caratterizzato dall’aumentata secrezione di ACTH in caso di iperplasia globale bilaterale della corticale surrenale; l’aumento è ancor più pronunciato in caso di carcinoma; si ha anche un aumento degli androgeni (e meno dell’aldosterone), tanto che in questo caso subentrano sintomi condizionati dall’eccesso

di androgeni (virilizzazione, irsutismo, disturbi mestruali, ecc.). Diagnosi a) di ipercorticosurrenalismo: — clinica

Terapia Chirurgia IPOCORTICOSURRENALISMO Eziologia e classificazione 1. Forma primitiva (ACTH aumentato): — malattia di Addison: adrenalite autoimmune (70% dei casi): distruzione della corteccia surrenale da parte di un processo autoimmune, con presenza di autoanticorpi diretti contro la corteccia surrenale, spesso contro la 17-idrossilasi (= enzima chiave della sintesi steroidea). Alcuni di questi pazienti soffrono di una sindrome poliendocrina autoimmune — metastasi da carcinoma — malattie infettive: tubercolosi, infezioni da CMV nei pazienti affetti da AIDS — aplasia o ipoplasia della corteccia surrenale, difetti enzimatici; trattamento con sostanze contenenti inibitori della sintesi del cortisolo (ad es. aminoglutetimide). Cause di insufficienza surrenalica acuta: — sindrome di Waterhouse-Friderichsen = infarto emorragico dei surreni in seguito a sepsi meningococcica — emorragie (anticoagulanti orali, neonati) — asportazione chirurgica dei surreni 2. Forma secondaria (ACTH diminuito): — insufficienza del lobo anteriore dell’ipofisi o dell’ipotalamo — terapia protratta con corticosteroidi (in questo caso non interrompere bruscamente i corticosteroidi per il pericolo di una crisi addisoniana). Nella forma primitiva di insufficienza della corteccia surrenale si giunge generalmente al deficit di tutti i corticosteroidi; al contrario, nella forma secondaria la produzione di aldosterone è solo marginalmente interessata a seguito della carenza di ACTH, così da far passare in secondo piano i disturbi elettrolitici. In caso di insufficienza ipofisaria diminuiscono spesso secondariamente anche gli ormoni periferici, con comparsa di manifestazioni endocrine carenziali complesse. Clinica Malattia di Addison: Si distinguono 4 stadi di malattia: 1. insufficienza corticosurrenale latente 2. insufficienza corticosurrenale manifesta 3. crisi endocrina 4. coma endocrino. I 4 sintomi tipici dell’insufficienza corticosurrenale manifesta (presenti in > 90% dei casi) sono: 1. debolezza e facile affaticabilità 2. pigmentazione della cute e delle mucose, evtl. vitiligine 3. perdita di peso e disidratazione

4. ipotensione arteriosa. Possono anche aggiungersi: — disturbi addominali (nausea, vomito, dolori addominali, diarrea, stipsi) — perdita delle caratteristiche pilifere secondarie nella donna (carenza di androgeni), ecc. Crisi addisoniana: oltre ai sintomi sopra citati, sono presenti: — disidratazione, caduta della pressione arteriosa, shock, oliguria — pseudoperitonite — evtl. diarrea e vomito — inizialmente temperatura inferiore alla norma, in seguito febbre e disidratazione — delirio, coma. Laboratorio — sodiemia diminuita, potassiemia aumentata (Na+/K+ < 30) — evtl. ipercalcemia (30% dei casi), linfocitosi, eosinofilia — cortisolemia diminuita. Diagnosi 1. test con ACTH: Nella malattia di Addison il valore basale risulta diminuito o ai limiti inferiori della norma e non aumenta dopo ACTH (un aumento di almeno 7 μg/dl è considerato normale). Lo stesso vale anche per l’insufficienza corticosurrenale secondaria presente già da tempo, dove l’assenza di stimolo ACTH ha portato ad atrofia della corteccia surrenale 2. ACTH plasmatico: nell’insufficienza corticosurrenale primitiva (malattia di Addison) l’ACTH basale nel plasma è sensibilmente aumentato; in quella secondaria risulta invece diminuito o ai limiti inferiori della norma e al test con CRH non aumenta oppure aumenta in modo insufficiente 3. indagini per chiarire l’eziologia: — ricerca di auto-anticorpi diretti contro la corteccia surrenale (presenti sino nell’ 80% dei casi) — diagnostica per immagini dei surreni: ecografia, esame dell’addome a vuoto (calcificazioni dei surreni in caso di tubercolosi), TC, evtl. angiografia (metastasi da carcinoma?). Terapia: somministrazione sostitutiva di glucocorticoidi e nella malattia di Addison anche di mineralcorticoidi: IPOFISI E IPOTALAMO TUMORI IPOFISARI PROLATTINOMA Definizione Adenoma del lobo anteriore dell’ipofisi secernente prolattina; • microprolattinoma: prolattinemia < 200 ng/ml, diametro del tumore < 1 cm • macroprolattinoma: prolattinemia > 200 ng/ml, diametro del tumore > 1 cm. Clinica — donna: • amenorrea secondaria, anovulazione con sterilità ed evtl. Osteoporosi • eventuale galattorrea • perdita della libido — uomo: perdita della libido e della potenza, evtl. ginecomastia (effetto indiretto legato all’ipogonadismo) — eventuali segni di ipertensione endocranica o di compressione di strutture adiacenti (cefalea, difetti del campo visivo) ed insufficienza del lobo anteriore dell’ipofisi

Diagnosi differenziale — iperprolattinemia: a) fisiologica, ad es.: • gravidanza, da aumento degli estrogeni di 10-20 volte rispetto al normale • manipolazioni del capezzolo e della mammella, allattamento • stress b) cause patologiche, ad es.: • prolattinoma • tumori para- o soprasellari con compromissione della sintesi e/o trasporto della dopamina = prolactin inhibiting factor (PIF) • sindrome della sella vuota (= sella contenente liquor) • ipotiroidismo primitivo grave • insufficienza renale cronica c) cause farmacologiche, ad es.: • estrogeni • neurolettici e antidepressivi, oppiacei • reserpina e -metildopa • antagonisti della dopamina (ad es. metoclopramide) • cimetidina, antiistaminici, ecc. — altre cause di amenorrea secondaria — in caso di galattorrea, esclusione di un carcinoma mammario. Diagnosi — determinazione ripetuta della prolattina basale: valori > 200 ng/ml sono quasi una prova, 25-200 ng/ml richiedono ulteriori indagini — prolattina dopo somministrazione di TRH (nel prolattinoma di solito nessun aumento) — anamnesi farmacologica per escludere una iperprolattinemia da farmaci — esclusione di un ipotiroidismo e di una insufficienza renale — esami oftalmologici — diagnosi di localizzazione (TC, RMN) — in caso di prolattinoma documentato, valutazione delle altre funzioni ipofisarie parziali. Terapia Il trattamento è anzitutto farmacologico, con antagonisti della dopamina: bromocriptina, lisuride, quinagolide, cabergolina. In oltre il 95% dei pazienti è possibile così ottenere la normalizzazione dei livelli ematici di prolattina e la riduzione delle dimensioni del tumore. L’indicazione all’intervento transfenoidale o transfrontale sull’ipofisi sussiste solamente in caso di mancata risposta agli antagonisti della dopamina. ACROMEGALIA Sinonimo: iperpituitarismo. Eziologia Adenoma somatotropo del lobo anteriore dell’ipofisi con iperproduzione dell’ormone della crescita = growth hormon (GH) = ormone somatotropo (STH). Clinica Un iperpituitarismo che si manifesta prima della fine dell’accrescimento staturale porta a gigantismo (altezza oltre 2 m); in età adulta l’eccesso di GH si presenta con acro- e visceromegalia. L’esordio della malattia è insidioso. 1. sintomi tipici:

— alterazione della fisionomia con tratti grossolani del volto, cute del viso ispessita e rugosa (cutis gyrata): confrontare con foto precedenti! — ingrossamento di mani, piedi e cranio (scarpe, guanti e cappelli non si adattano più) — ingrossamento della lingua e allargamento degli spazi interdentali (eloquio impastato) — ingrossamento degli organi interni (visceromegalia) 2. sintomi facoltativi: — cefalea, ipertensione (sino al 30% dei casi) — disturbi della vista, difetti del campo visivo (emianopsia bitemporale) _ diagnostica oculistica — evtl. sindrome del tunnel carpale (compressione del nervo mediano con dolori prevalentemente notturni + parestesie delle prime tre dita + atrofia dell’eminenza tenar), evtl. dolori articolari — iperidrosi, ipertricosi — evtl. tolleranza patologia al glucosio (60% dei casi), diabete mellito (10-15% dei casi) — amenorrea secondaria. Radiologia — ingrossamento delle cavità paranasali — ispessimento della corticale delle ossa di mani e piedi — cardiomegalia alla radiografia del torace. Diagnosi 1. Valutazione ormonale: — aumento del GH plasmatico; a causa della secrezione pulsatile, è necessario determinare più valori nel corso della giornata — mancata soppressione della liberazione di GH dopo carico di glucosio (test orale di tolleranza al glucosio): GH normale < 2 ng/ml — aumento di IGF-I — verifica delle restanti funzioni ipofisarie parziali, al fine di escluderne una insufficienza. 2. Diagnostica di localizzazione: documentazione di un adenoma ipofisario mediante RMN, TC. Terapia 1. chirurgica: adenomectomia transfenoidale 2. terapia radiante: convenzionale oppure radiochirurgica stereotattica (ad es. «gamma knife») 3. tentativo di inibizione farmacologica della secrezione di GH: — antagonisti della dopamina: ad es. bromocriptina, hanno successo solo nel 20% dei casi — analoghi della somatostatina: ad es. octreotide, anche per somministrazione depot (1 al mese). IPOPITUITARISMO Definizione — panipopituitarismo: insufficienza funzionale globale del lobo anteriore dell’ipofisi, con quadro clinico completo — ipopituitarismo parziale: insufficienza parziale limitata ad alcune funzioni del lobo anteriore dell’ipofisi (è la forma più frequente). Clinica A) Insufficienza cronica del lobo anteriore dell’ipofisi Prima che si giunga a sintomi clinici da deficit ormonale periferico deve essere distrutto l’80% del lobo anteriore dell’ipofisi. — deficit di GH nel periodo dell’accrescimento: nanismo ipofisario (l’intelligenza e le proporzioni somatiche sono normali) — deficit di GH nell’adulto: aumento del tessuto adiposo, riduzione del tessuto muscolare; adinamia; iperlipidemia, ipoglicemia; evtl. depressione; aumento del rischio di arteriosclerosi, aumento del rischio di osteoporosi

— ipogonadismo secondario (riduzione delle gonadotropine LH e FSH): amenorrea secondaria, perdita della libido e della potenza, scomparsa delle caratteristiche pilifere secondarie — ipotiroidismo secondario (riduzione del TSH): intolleranza al freddo, bradicardia, astenia, ecc. — insufficienza corticosurrenalica secondaria (carenza di MSH e ACTH): adinamia, calo ponderale, pallore cereo da depigmentazione, ipotensione arteriosa, ecc. — il deficit di prolattina nella donna che allatta provoca agalattia. B) Insufficienza acuta del lobo anteriore dell’ipofisi e coma ipofisario La mancanza di GH, LH, FSH oppure MSH non comporta mai una situazione acuta di crisi. Sotto stress la mancanza di ACHT o TSH può condurre a coma ipofisario acuto con un quadro clinico di sonno e stupore. Fattori scatenanti possono essere infezioni, traumi, interventi chirurgici; sono stati chiamati in causa anche vomito e diarrea, soprattutto in caso di terapia sostitutiva insufficiente. Sintomi: — ipotensione, bradicardia — ipotermia, ipoglicemia — ipoventilazione con ipercapnia — pallore cereo, assenza delle caratteristiche pilifere secondarie. Diagnosi 1. anamnesi e clinica 2. diagnostica funzionale endocrinologica: oltre ad un ridotto valore basale degli ormoni dell’ipofisi anteriore, vi è anche un deficit della loro risposta alla somministrazione dei releasing hormone specifici 3. diagnostica di localizzazione ipofisaria (esclusione di un tumore): RMN, TC. Terapia 1) Terapia causale: ad es. trattamento del tumore ipofisario. 2) Terapia sostitutiva degli ormoni carenti DIABETE INSIPIDO Definizione Ridotta capacità dei reni a produrre, in caso di sottrazione di liquidi, urina concentrata, dovuta alla mancanza di ADH (diabete insipido centrale) oppure alla mancata risposta dei reni all’ADH (diabete insipido renale). Patogenesi La causa del diabete insipido centrale è il deficit di ormone antidiuretico (ADH = adiuretina = argininavasopressina), secreto dal lobo posteriore dell’ipofisi. Per questo motivo non risulta possibile la concentrazione dell’urina dipendente da ADH nel tubulo distale e si ha una aumentata secrezione di urina diluita (poliuria) e contemporanea incapacità di concentrazione urinaria (astenuria). Dal punto di vista della regolazione osmotica si ha una polidipsia forzata. Il diabete insipido nefrogeno consiste in una risposta alterata deficitaria del tubulo distale all’ADH (difetto dei recettori per l’ADH). Clinica: triade tipica: • poliuria (5-25 l/24 h) • sete intensa con polidipsia • mancata capacità di concentrazione delle urine (astenuria). Diagnosi differenziale 1. polidipsia psicogena 2. diabete mellito (diuresi osmotica) 3. uso errato di diuretici.

Diagnosi

Terapia 1. del diabete insipido centrale: a) causale: trattamento della malattia di base nelle forme sintomatiche b) sintomatica: desmopressina, analoghi della vasopressina per via intranasale o orale 2. del diabete insipido renale: a) terapia causale! b) sintomatica: tentativo con diuretici tiazidici o antiflogistici non steroidei. SINDROME DI SCHWARTZ-BARTTER Sinonimo SIADH = sindrome da inappropriata secrezione di ADH Definizione Secrezione di ADH patologicamente aumentata con ritenzione idrica e iposodiemia da diluizione. Eziologia — paraneoplastica (soprattutto carcinoma bronchiale a piccole cellule - 80% dei casi) — secrezione ipofisaria inappropriata di ADH: malattie polmonari (ad es. polmonite), disturbi neurologici centrali (ad es. meningite, apoplessia, ecc.), da farmaci (antidepressivi triciclici, carbamazepina, vincristina, ciclofosfamide, ecc.). Clinica Una parte dei casi decorre in modo asintomatico (reperto occasionale di laboratorio). Possono comparire i seguenti disturbi: — inappetenza — nausea, vomito, cefalea, crampi muscolari — eccitabilità, alterazioni della personalità — evtl. intossicazione da acqua con sintomi neurologici (stupor, convulsioni) — assenza di edemi, poiché la ritenzione idrica è solo di 3-4 litri. Laboratorio — iposodiemia (spesso < 110 mmol/l), ipo-osmolarità plasmatica — nonostante il liquido extracellulare sia ipotonico, eliminazione di urina concentrata (ipertonica; > 300 mosmol/l) — normale funzionalità renale — normale funzionalità surrenalica — ADH plasmatico normale o aumentato (non è dosabile in altre forme di iposodiemia). Diagnosi: anamnesi, clinica, laboratorio. Terapia A) causale: in caso di malattie infiammatorie miglioramento spontaneo dopo terapia della malattia di base B) sintomatica:

— restrizione dell’apporto di liquidi (500-800 ml/die) — in caso di SIADH sintomatica, eventuale tentativo terapeutico con antagonisti dell’ADH, che inibiscono l’effetto renale dell’ADH; ad es. demeclociclina — solo in caso di intossicazione da acqua con pericolo di vita (sodiemia < 100 mmol/l) prudente infusione di soluzione ipertonica di NaCl e somministrazione di furosemide per aumentare la diuresi (in caso di aumento troppo veloce della sodiemia, pericolo di mielinolisi pontina centrale).

Manuela Rebuzzi – CdL in Medicina e Chirurgia 6° anno – 10/03/2008 FUO – Fever of Unknown Origin

“Humanity has but three great enemies: fever, famine and war; of these by far the greatest, by far the most terrible is fever”. Sir William Osler, 1986

DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE Il termine FUO fu introdotto nel 1961 da Petersdorf e Beeson per indicare una febbre con 3 caratteristiche: 1. rialzo termico = o > a 38,3° C, riscontrato in più occasioni; 2. durata > di 3 settimane; 3. impossibilità di formulare diagnosi dopo 1 settimana di accertamenti in pz ricoverato. Dopo 30 anni (1991) Durack e Street hanno proposto una nuova classificazione tuttora in uso, con 4 differenti forme di FUO, caratterizzate da un comune rialzo termico = o > a 38,3° C riscontrato in più occasioni e altre peculiari caratteristiche: 1. FUO nosocomiale/ ospedaliera -> pz ricoverato in terapia acuta, nessuna infezione presente o in incubazione al momento del ricovero, almeno 3 gg di indagini diagnostiche negative;

2. FUO neutropenica -> pz con neutrofili = o < 500 mm³ (o previsti entro 1-2 gg), almeno 3 gg di indagini senza che venga trovata la causa; 3. FUO associata ad HIV -> pz sieropositivo per HIV, almeno 3 gg di indagini se pz ospedalizzato o 4 settimane di accertamenti se pz ambulatoriale negativi; 4. FUO classica -> tutti gli altri pz.i con febbre per 3 o più settimane, almeno 3 visite ambulatoriali o 3 gg di indagini senza riscontri positivi circa la diagnosi.

EZIOLOGIA E D.D. Le cause di FUO classica possono essere divise in 4 grandi gruppi:  Infezioni (+ frequenti – 30-40%)  Neoplasie (20-30%)  Disordini infiammatori sistemici – malattie di carattere infiammatorio/ autoimmune/ reumatologico (10-15%)  Miscellanea Circa il 25-30% rimane non diagnosticato, e quindi indicabile col termine FUO in senso stretto. In relazione al tipo di FUO esistono naturalmente cause più o meno probabili e frequenti. Inoltre studi hanno dimostrato che più lo stato febbrile si protrae, più diminuiscono le probabilità che si tratti di un’origine infettiva. L’eziologia è da mettersi in relazione anche con l’età del pz: nell’anziano infatti sono più frequenti sia il primo gruppo di cause (TBC in testa), sia soprattutto il secondo (Ca del colon + frequente) e il terzo (arterite a cellule giganti in particolare), mentre nel giovane aumentano i casi di miscellanea e quelli non diagnosticati. Rispetto alla durata e all’andamento della febbre, i casi di FUO ricorrente sono i più difficili da diagnosticare. Nella tabella sottostante sono indicate le cause che più frequentemente originano FUO classica, divise per categorie eziologiche [2]: INFEZIONI

+ comuni Ascessi (addominali, pelvici) Endocardite subacuta batterica Febbre tifoide TBC miliare, renale, cerebrale

NEOPLASIE

+ comuni Linfomi

DIS. INFIAM. SISTEMICI

MISCELLANEA

NOTA: NAPROXEN TEST

+ comuni Artrite temporale Malattia di Still dell’adulto Polimialgia reumatica/arterite cellule giganti + comuni Febbre da farmaci Cirrosi alcoolica

- comuni Mononucleosi da EBV CMV Leismaniosi viscerale (Kala azar)

- comuni Ca colon Metastasi fegato Disordini mieloproliferativi (LMA in fase pre-leucemica, LMC, LLC) - comuni AR LES a Periarterite nodosa

- comuni Tiroidine subacuta M. di Crohn

Nel 1987 l’oncologo Chang ha introdotto questo test allo scopo di poter differenziare una FUO di origine infettiva da una di altra origine: il test consiste nella somministrazione di Naproxen per os alla dose di 375 mg 2vv/ die per 3gg. Questo farmaco fa parte della categoria farmaceutica dei FANS (derivato dell’ac. propionico). Il test risulta positivo se durante la somministrazione si osserva una defervescenza rapida, ed è indicativo di origine non infettiva; se invece si ha una defervescenza modesta o non la si ha proprio, è indicativo di origine infettiva e il test si dice negativo. Com’è immediatamente comprensibile, il grosso limite di questo test è l’impossibilità di poter discernere tra origine neoplastica, infiammatoria/reumatologica o altro. Per quanto riguarda invece gli altri tipi di FUO, le cause più frequenti sono:  FUO nosocomiale (50% infezioni) -> febbre da farmaci, colite da Clostridium difficile, tromboflebite settica, sinusite, reazione a trasfusioni, embolia polmonare, colecistite;  FUO neutropenica -> aspergillosi, candidemia, infezioni perianali;  FUO associata ad HIV (80% infezioni) -> febbre da farmaci, TBC, MOTT, linfoma non-H, CMV, toxoplasmosi, infezioni polmonari da P. carinii. Nella tabella sono riportati alcuni dei farmaci che più frequentemente possono essere associati a una FUO, quindi dare la cosiddetta febbre da farmaci. Bisogna tener presente che è possibile osservare qualsiasi andamento febbrile, con o senza eosinofilia ed eruzione cutanea. Solitamente la febbre da farmaci compare dopo 1-3 settimane di terapia e regredisce dopo 2-3 gg dalla sospensione. Antibiotici beta-lattamici Antineoplastici FANS Iodio Allopurinolo Farmaci per il SCV Metil-dopa Anti-convulsivanti Eparina Isoniazide, Rifampicina

Penicilline, Cefalosporine, Carbapenemi Salicilati, Ibuprofene

Chinidina, Idralazina, Procainamide Fenitoina, barbiturici

APPROCCIO DIAGNOSTICO Cercando di standardizzare il percorso diagnostico, si può suddividerlo in 3 fasi:  1a FASE:  Anamnesi: con particolare attenzione alla professione, ai viaggi all’estero, contatto con animali, farmaci in uso, pregressi interventi chirurgici/odontoiatrici/traumi. SINTOMI La presentazione clinica è molto importante per un percorso diagnostico più mirato:  febbre+brividi+sudorazione notturna+calo ponderale ma non di appetito → fanno sospettare più un’infezione  febbre+astenia marcata+calo ponderale e appetito+sudorazione notturna → sospetto di FUO di natura neoplastica  febbre+artralgia+mialgia+dolore addominale → origine infiammatoria/ reumatologica

 Esame obiettivo: soprattutto cute (esantema, ascesso), ferite se presenti; cavità paranasali (percussione dolorosa); cuore (soffi patologici); linfonodi (palpabili); fegato e milza; esplorazione rettale ed eventuale visita ginecologica; sedi di cateteri.

 Ripetute rilevazioni della temperatura (6 vv/ die): alla presenza di personale medico. Diversi tipi di febbre (senza terapia):  continua: oscillazioni giornaliere < a 1° C (infezioni batteriche e virali gravi)  remittente: oscillazioni giornaliere > a 1° C (sepsi, TBC miliare)  intermittente: oscillazioni giornaliere > a 2° C con brividi e/o reazione circolatoria tipica della sepsi-ipotensione (endocardite batterica)  periodica: intervali con assenza di febbre (malaria)  ondulatoria: decorso ondulatorio con intervalli di più gg (brucellosi, linfoma H)  Diagnostica di base - esami di laboratorio: emocromo+formula, VES, PCR, funzionalità epatica, LDH, creatinina, proteine totali, esame chimico-fisico standard delle urine - imaging: Rx torace, ECO addome - esami colturali: urinocoltura, emocoltura (almeno 3), coprocoltura



2a FASE:

o Diagnostica ampliata: -



ricerca sangue occulto nelle feci esami di laboratorio: funzionalità tiroidea, elettroforesi sierica, fattore reumatoide, ferritina, auto-Ac gruppo ENA (ANA, anti-ds-DNA, anti-Sm, …), frazioni complemento C3-C4 screening sierologico: EBV, CMV, HIV, HBV, HCV, toxoplasma, brucella, leptospirosi,… diagnostica TBC: PPD-test cutaneo, analisi espettorato imaging: ECOcardio trans-esofageo (endocardite, mixoma atriale), ECO pelvi, Rx seni paranasali

3a FASE:

 Diagnostica tecnica e invasiva ampliata: -

-

-

imaging: TC addome e torace (linfoma, ascesso), endoscopie app. gastro-intestinale, scintigrafie (con tecnezio, gallio o leucociti marcati) polmonare o dello scheletro (osteomielite, metastasi) o total body (ascessi) biopsie: fegato –laparoscopia (ascesso, epatite granulomatosa-funzionalità epatica anche nella norma, TBC miliare); LNF –più predittivi quelli sovra-clavicolari o cervicali posteriori o epitrocleari (linfoma, TBC); BOM (mieloma multiplo, pre-leucemia LMA, istoplasmosi disseminata, altri disordini mieloproliferativi); arteria temporale (arterite) laparoscopia esplorativa: da alcuni anni soppiantata dalle moderne tecniche di imaging e possibilità di biopsie mirate (fino a pochi anni fa considerata necessaria se altre diagnostiche avevano fallito [3].

PROGNOSI La FUO può risolversi spontaneamente o a seguito di terapia più o meno mirata, può anche diventare ricorrente (spt. eziologia infiammatoria/reumatologica). Se la durata supera l’anno con o senza terapia, è molto difficile un’eziologia infettiva, mentre se di origine neoplastica può persistere per anni. Generalmente prognosi buona se durata > a 6 mesi (a prescindere dall’avvenuta diagnosi), benché la febbre possa essere molto fastidiosa per il pz.

TERAPIA Vanno privilegiate l’osservazione e l’esecuzione degli accertamenti sopra-elencati, evitando finchè possibile terapie “d’urto” empiriche, che possono anche arrivare amascherare una FUO (spt. FANS e glucocorticoidi).

Dev’essere sospeso se possibile l’uso di cateteri, o questi devono essere sostituiti (previo tampone punta da analizzare); inoltre è utile sospendere tutti i farmaci possibili (almeno per 72 ore), per evitare FUO da farmaci. Secondo le linee-guida [7] dell’IDSA (Infectious Diseases Society of America), che prevedono la terapia antibiotica empirica per i tipi di FUO, questi casi dovrebbero essere trattati con:  se mono-tp -> cefalosporina di terza o quarta generazione (Ceftazidime o Cefepime rispettivamente), oppure Imipenem, oppure Piperacillina-Tazobactam  se in poli-tp -> come sopra più Vancomicina (spt. per Stafilococco aureus meticillino-resistente) Secondo le stesse linee-guida, tuttavia, la Vancomicina dovrebbe essere aggiunta solo in determinati casi: -polmonite -infezioni legate a presenza di cateteri -infezioni tessuti molli o cute -instabilità emodinamica Se il medico lo ritenesse necessario, aggiungere tp empirica anti-fungina:  itraconazolo Nel pz neutropenico per tempo > a 7 gg, è necessario procedere ad una tp profilattica proprio per evitare stati febbrili con Ciprofloxacina unitamente ad Itraconazolo.

ALGORITMO DIAGNOSTICO: anamnesi approfondita+E.O. riscontri + sì test diagnostici specifici no completamento 1a fase di test diagnostici risultati + sì no

test diagnostici specifici

2a fase test diagnostici risultati + sì test diagnostici specifici no tentativo di assegnazione caso FUO ad una delle 4 categorie eziologiche con test 3a fase

infezione

altro neoplasia

infiammazione/ m. reumatologica

Bibliografia: [1] Harrison, vol.2, cap. 125, J. A. Gelfand; pagg. 946-952. [2] B. A. Cunha (2007). FUO: focused diagnostic approach based on clinical clues from the history, physical examination and laboratory tests. Infect Dis Clin N Am, 21: 1137-1187. [3] J. E. Arch-Ferrer, D. Velazquez-Fernandez, J. Sierra-Madero et al. (2003). Laparoscopic approach to fever of unknown origin. Surg Endos, 17: 494-497.

[4] D. C. Norman, M. B. Wong, T. T. Yoshikawa (2007). FUO in older persons. Infect Dis Clin N Am, 21: 937945. [5] S. Tal, V. Guller, A. Gurevich (2007). FUO in older adults. Clin Geriatr Med, 23: 649-668. [6] www.aafp.org/afp (American Academy of Family Phisicians). A.R. Roth, G. M. Basello. Approach to the adult patient with FUO. [7] www.idsociety.org (sito dell’IDSA, Infectious Diseases Society of America). Linee-guida per il trattamento della FUO.

Marzo 2008

La febbricola Definizione Si tratta di una sindrome morbosa di più o meno lunga durata, poco nulla incidente sulle condizioni generali, in genere di difficile diagnosi relativamente alle usuali tecniche cliniche e di laboratorio, il cui sintomo, spesso unico, talvolta principale e dominante, accompagnato di solito da perturbazioni metaboliche di scarsa entità, è costituito da un aumento della temperatura corporea oscillante tra i 37-38°C. Questa definizione comprende le 5 proprietà che caratterizzano una vera febbricola, e cioè: 1. Limiti entro confini ben definiti (tra i 37-38°C) del movimento febbrile, prescindendo dalle oscillazioni giornaliere della temperatura del corpo umano e dal livello termico individuale. 2. Durata del movimento febbricolare per un certo tempo (come limite minimo convenzionale 1 mese). 3. Caratteristica difficoltà diagnostica interpretativa relativamente agli usuali esami clinici e di laboratorio. 4. Presenza di un complesso di alterazioni metaboliche quali si hanno nella vera febbre  

 

aumento del metabolismo basale con aumentata distruzione proteica, aumento dell'azoto urinario ed eliminazione aumentata di ammoniaca, acido urico, aminoacidi; modificazioni del metabolismo glicido e lipidico, accentuata glicogenolisi epatica e muscolare e maggiore mobilizzazione di acidi grassi dai depositi adiposi con conseguente chetonuria e nel caso di febbri prolungate acidosi metabolica; riduzione della diuresi per la maggiore eliminazione di acqua sia per via respiratoria sia con il sudore e quindi emissione di urina ad alto peso specifico; modificazioni chimiche e morfologiche del sangue, della riserva alcalina e delle secrezioni



ormoniche; disturbi circolatori (alterazione del tono vasale e tachicardia) e respiratori (polipnea per compenso all'acidosi metabolica); perturbamenti in genere meno intensi e conseguentemente meno appariscenti e solo apparentemente mancanti.

5. Evoluzione in individui che, in genere, conservano uno stato generale soddisfacente e spesso veramente buono così da dare l'impressione clinica che il movimento febbricolare poco o nulla incida sulle loro condizioni generali. Eziologia e classificazione La seguente classificazione, che ha il pregio indiscutibile di una relativa semplicità, oltre a rappresentare una realtà clinica e pratica, traccia già in partenza la linea da seguire per diagnosticare una sindrome febbricolare. 1. Febbricole tossinfettive in senso lato: - di origine focale (da focus tubercolare da focus digestivo da focus oro-faringo-nasale da focus respiratorio da focus genitale da focus urinario da focus cardiaco) - infezioni generali - da intossicazioni (esogene o endogene) 2.

febbricole neurovegetative :- neurovegetative pure - neuro-endocrino-vegetative  neurovegetative-vasomotorie

3. febbricole da malattie sistemiche 4. febbricole miste- neurovegetative I quattro gruppi, febbricole tossinfettive in senso lato, neurovegetative, da malattie sistemiche e miste infettivo-neurovegetativo comprendono tutte le sindromi febbricolari esistenti; all'infuori di esso non esistono praticamente altre forme. Le febbricole, una volta definite indeterminate o di natura indeterminabile o indiagnosticabili, rappresentano un evento in realtà assai raro e che va restringendosi a poche isolati casi eccezionali la cui esistenza è molto probabilmente legata a cause e difetti organici ancora imperfettamente conosciuti o addirittura ignorati. La frequenza si può calcolare intorno al 2-3 % dei malati, relativamente ai dati desunti dalla statistiche ambulatoriali, dato che questi pazienti difficilmente ricorrono al ricovero ospedaliero. Le febbricole tossinfettive e quelle da malattie sistemiche rappresentano nella casistica circa l'80% dei casi; le forme neurovegetative circa il 20%; le forme miste infettivo-neurovegetative costituiscono un numero molto esiguo e pertanto di entità trascurabile. Per quanto riguarda il sesso, su cento febbricole di ogni tipo, le donne costituiscono in genere il 75-85% dei casi, sia perché si osservano più minuziosamente degli uomini sia per una particolare reattività del loro sistema linfatico e del loro sistema endocrino, sia per la maggiore morbilità in esse, della colecisti e dell'apparato genito-urinario.

L'età più frequentemente colpita è quella tra i 20 e i 30 anni. La durata della febbricola è varia: da pochi giorni, a qualche mese, a qualche anno ( anche fino a 10-12 anni). I fattori esterni e ambientali sono costituiti, sia dalle influenze termiche- stagionali, sia da particolari momenti emozionali agenti su condizioni di neurolabilità costituzionale. Condizioni fisiologiche causa di rialzi termici transitori possono essere: la dentizione, l'alimentazione, la crescita, la digestione, il lavoro muscolare, lo sviluppo puberale, la mestruazione (febbricola pre-mestruale, mestruale vera, ovulare (coincidente con la deiscenza del follicolo dal 6° al 17° giorno) , intermestruale etc); la gravidanza e la menopausa possono essere causa di febbricole. Febbricole tossinfettive in senso lato:   

     

febbricole di origine focale: da focus tubercolare (TBC delle sierose, paranchimale, ghiandolare, miliare, etc.); da focus digestivo (gastriti, duodeniti; perivisceriti, ulcera gastro-duodenale, appendiciti croniche, coliti, stipsi abituale, pregresse infezioni tifo-paratifoidee e da Coli, epatiti; epato-colangiti, colecistiti croniche, ascessi epatici, pancreatiti, etc.); da focus oro-faringo-nasale (piorrea alveolare, ascessi, carie e granulomi dentari, paradentosi, paradentiti, tonsilliti e faringiti croniche, riniti, sinusiti, etc.); da focus respiratorio (bronchiti croniche, bronchiectasie, aspergillosi, pneumoconiosi, ascessi polmonari, lue e tumori polmonari, etc .); focus genitale (salpingiti, pelvi-peritoniti, annessiti, metriti, parametriti, etc.); focus urinario (pieliti, cistiti, colibacillosi urinaria, etc.); focus cardiaco (infezione reumatica, luetica, endocarditi lente, etc.). focus osseo (osteomieliti)



febbricole da infezione (febbre tifoide, paratifoidi, maltese, infezioni varie da Coli, malaria, influenza, ebv, lue).



febbricola da intossicazioni esogene ed endogene (febbricola alimentare, da agenti fisici come il colpo di calore e i traumi, da medicinali [morfina, atropina e cocaina], uremia, gotta, colemia cronica, parassitosi intestinali).

Febbricole neurovegetative In queste febbricole il movimento termico è spesso accompagnato da un corteo sintomatologico a carico del sistema neurovegetativo ed endocrino abbastanza caratteristico. Comprendono:  febbricole neurovegetative pure, caratterizzate dal complesso dei disturbi della cosiddetta distonia neurovegetativa. Questi disturbi, o turbe, o stigmate neurovegetative, possono esplicarsi attraverso la più varia e polimorfa sintomatologia i cui caratteri fondamentali sono però costituiti da alterazioni funzionali di vari organi senza lesioni anatomiche di essi clinicamente dimostrabili. La cefalea capricciosa, spesso di tipo emicranico, l'astenia fisica e psichica, la svogliatezza, i capogiri, la facile emotività, anche per cause minime, l'insonnia, i dolori più o meno vaghi come le più strane localizzazioni variabili, i disturbi vasomotori, a carico principalmente delle estremità fredde, livide e sudoranti, l'anoressia, il senso di peso dopo i pasti, le digestioni laboriose, la pirosi, le nausee, i conati di vomito, le scariche diarroiche o accessionali, le varie dolenzie addominali, le eruttazioni, le mosche volanti (miodesopsie), i ronzii agli orecchi (acufeni), la dispnea accessionale senza causa apprezzabile, il deperimento, la cenestesi alterata, l'instabilità termica rappresentano le manifestazioni più frequenti di questa particolare sindrome morbosa suscettibile di facile riconoscimento attraverso una così ricca e polimorfa sintomatologia.





f. neuro-endocrino-vegetative (soprattutto ipertiroidismo e raramente in altri disturbi endocrini quali ipotiroidismo, insufficienza ovarica sia primitiva che secondaria [febbricola ovarica, f. tiroovarica, f. ipofisi-tiro-ovarica], ipoparatiroidismo, ipersurrenalismo, iposurrenalismo, iperpituitarismo [f. ipofisaria]). f. neuro vegetativo vasomotorie ( psicogene, isteriche).

Come curiosità storica.. f. neurovegetative periodiche stagionali: sia di tipo estivo che di tipo invernale, dovute ad una deficienza o ad una mancata produzione da parte della tiroide, nel periodo stagionale relativo, dei due ormoni termoregolatori e cioè, la termotirina A e B. Le tipiche ricorrenti variazioni stagionali di queste febbricole, che non dipendono dalle variazioni stagionali della temperatura ambientale, si verificano, nel maggior numero dei casi con f. presente e perdurante soltanto nel periodo ottobrenovembre fino al marzo-aprile dell'anno successivo (di tipo invernale); in un minor numero dei casi la f. è presente nel periodo marzo-aprile fino all'ottobre-novembre dello stesso anno (di tipo estivo).

Febbricole da malattie sistemiche        

malattie del sangue (anemia di Biermer-Addison o perniciosa, leucemie e linfomi, malattie emorragiche e emolitiche); trombosi venosa profonda ed embolia polmonare; malattie del sistema nervoso; neoplasie; malattie infiammatorie sistemiche (sarcoidosi) malattie autoimmuni (LES, artrite reumatoide); vasculiti (arterite a cellule giganti); etc;

Febbricole miste infettivo-neurovegetative (meta infettive, residuali, post-febbrili). Presentano le seguenti caratteristiche:  i due fattori infettivo e neurovegetative sono contemporaneamente in atto e simultaneamente operanti  pregressa condizione di costituzionale neurolabilità individuale  interruzione della f. con l'eliminazione del focolaio infettivo e la correzione della distonia neurovegetativa. Diagnosi di natura e diagnosi differenziale delle febbricole Si fonda su  accurata indagine anamnestica centrata sull'attuale sintomatologia e i pregressi stati morbosi, specie TBC; su disfunzioni endocrine, sulle caratteristiche del movimento febbrile rispetto alle varie attività fisiologiche, alle fasi mestruali, alle ore del giorno, alle stagioni, al clima, all'altitudine, alla attività fisica e psichica; 

raccolta dei dati obiettivi accuratissima in tutti i casi, specie nei riguardi della febbricola la quale dovrà essere esattamente misurata per via ascellare o bi ascellare o meglio rettale, ogni 2-3 h per

poter stabilire nel soggetto la curva termica quotidiana e la zona termica individuale (compresa tra i valori massimi e minimi giornalieri della temperatura corporea) 

esami collaterali e di laboratorio che costituiscono un prezioso aiuto. In ogni portatore di febbricola devono essere sempre eseguiti una routine con emocromo, glicemia, assetto lipidico, funzionalità renale ed epatica, indici di colestasi e citolisi, un esame delle urine, la VES; inoltre valutando caso per caso andrà effettuata la Mantoux o il QuantiFERON, l'esame ORL, l'esame ginecologico, le siero agglutinazioni, l'emocoltura (più volte e possibilmente durante l'acme febbrile), il metabolismo basale, e RX torace. Ancora potranno essere eseguiti una visita odontoiatrico, l'ecg, altre indagini radiografiche, il tampone tonsillare, urino e coprocoltura, etc. Se necessario si procederà ad eseguire ecografie, TC e RMN.

I risultati di questi rilievi accuratamente eseguiti e opportunamente integrati, concorreranno al chiarimento del giudizio diagnostico. Circa la febbricola TBC, evenienza clinica oggi non troppo frequente, possono esse utilizzati i seguenti dati:  precedenti tubercolari ereditari o familiari; - precedenti tubercolari ambientali e personali o chiaramente tubercolari o sospetti di tal natura;  sintomi accessori accompagnanti la febbricola (anemia ipocromica, astenia intensa, anoressia, sudorazioni profuse, dolori vaganti toraco-addominali, facile e frequente tachicardia, segni di ipertiroidismo [basedowismo]) e dovuti alla tossiemia TBC;  i sintomi soggettivi e obiettivi di scarso rilievo, il caratteristico andamento della f. di tipo francamente pomeridiano, accentuantesi con lo sforzo fisico, nel periodo pre mestruale, con le emozioni;  la positività delle prove tubercoliniche, l'aumento della VES, la benefica influenza del clima di altitudine;  le indagini radiologiche. La febbricola luetica raramente oltrepassa i 38°C, si accentua nelle ore pomeridiane, preceduta da leggeri brividi di freddo o da sensazione di freddo alle estremità, con dolori ossei diffusi e cefalea spesso insistente. Questi disturbi si accentuano nelle ore notturne e cessano con sudorazione discreta nelle prime ore del mattino. Quindi per concludere..     

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La febbricola rappresenta, nella pratica clinica del Medico di Medicina Generale, uno dei problemi più frequenti. Numerose e differenti possono essere le cause. L'età, la storia clinica individuale, gli eventuali fattori di rischio presenti, gli elementi obiettivi che emergono in occasione di una accurata visita medica, orientano la diagnosi. Infezioni dell'orecchio-naso-gola o del tratto genito-urinario, rappresentano una causa relativamente frequente. Vanno ovviamente valutate anche le ipotesi di un problema polmonare o internistico in senso lato (malattie del connettivo, del sangue, della tiroide, del tratto digerente, infezioni cardiache, renali ecc.). Raramente, una causa di febbre di ndd é la TBC. Infine, vi sono le neoplasie ma queste ultime rappresentano una causa importante soprattutto negli anziani (rara nei giovani). Occorre iniziare da esami di routine: emocromo, VES, transaminasi, protidogramma, ecc., un RX torace standard in 2 proiezioni, un tampone faringeo con antibiogramma, una urinocoltura con Antibiogramma, e via via, ulteriori accertamenti. Occorre ricordare che molto spesso febbricole possono essere causate da fatti neurovegetativi legate ad ansia, distress, depressione, con prognosi assolutamente favorevole.

Bibliografia:  PONTIERI, “Fisiopatologia generale”, ed. Zanichelli (2°ed.1998).  Enciclopedia medica italiana, ed. Sansioni edizioni scentifiche (1960).

Medicina interna

30 maro II ora

INSONNIA QUADRO CLINICO TIPICO • Donna di 45 anni che da circa 15 anni lamenta fatica a prendere sonno, associata a difficoltà a mantenersi sveglia di giorno; • Tale disturbo inizia dopo la nascita del secondo (e ultimo) figlio; • Ogni sera la paziente impiega almeno due ore per prender sonno, aiutandosi con letture e con la televisione; • Se riesce ad addormentarsi prima (va a letto alle 11 di sera) solitamente si sveglia alle 2 del mattino e non riesce a riaddormentarsi; • Andare a letto più tardi non migliora la situazione; • In ogni caso, ha un sonno molto superficiale, sogna ma non ricorda la trama dei sogni, la mattina è già sveglia alle 5; • La paziente non ha alcuna malattia né alcuna particolare preoccupazione. Quindi,è un caso di insonnia vera. INSONNIA: CERCHIAMO DI DEFINIRLA(questa è una serie di definizioni ,alcune anche bizzarre,che il prof ha tratto da alcuni libri) A) Ritardo di almeno 30 minuti dell’inizio del sonno (e quando inizia il sonno?); B) Riduzione “dell’efficienza del sonno” di meno dell’85% (?); C) Difficoltà nell’inizio, nel mantenimento, nella durata e nella qualità del sonno, che risulta (in certi casi) in un certo impedimento della vita diurna, nonostante adeguate circostanze e opportunità per dormire (con questa ci avviciniamo ad una definizione idonea,perché inserisce tutti i vari aspetti); D) Nella pratica clinica è spesso sufficiente una definizione soggettiva dell’insonnia, ed una sua valutazione, da parte del paziente. QUALCHE DATO STATISTICO



La prevalenza dell’insonnia è del 10-15% della popolazione (dai 6 ai 9 milioni in Italia) e si è registrato un aumento negli ultimi anni; • È più frequente nelle donne che negli uomini; • È più frequente negli adulti e negli anziani che nei giovani; • È più frequente nei malati psichiatrici; • Pur essendo diffusa in tutto il mondo, sembra essere più frequente nei paesi occidentali ed ad elevato sviluppo tecnologico(potrebbe questo dato esser dovuto al fatto che nei paesi occidentali ci sono delle statistiche più adeguate). PATOGENESI • Eziologia e patogenesi dell’insonnia rimangono sconosciute; • Studi recenti avrebbero documentato – non senza controversie – una situazione di “elevata attività mentale” in molti pazienti con insonnia(cioè spesso sono pz che non riescono a ‘staccare’), infatti – 1) studi mediante PET (che sfrutta proprio il glucosio marcato) mostrano un aumento del consumo di glucosio da parte degli insonni, sia da svegli che da addormentati; – 2) l’EEG ha talora documentato eccesso di attività “Beta” e diminuzione di attività “Theta” e “Delta”; – 3) il metabolismo basale può essere elevato (infatti,l’insonnia è frequente negli ipertiroidei, ma i tireopatici non sono particolarmente frequenti fra gli insonni); – È stata documentata una elevata secrezione di ACTH e cortisolo. Queste sono solo delle ipotesi;per ora conviene tenere per buono il primo punto.

OCCORRE FARE SPECIALI ACCERTAMENTI? • La gran maggior parte degli insonni viene trattata in base alla descrizione dei sintomi, e senza alcun esame specifico preliminare; • Può essere utile eseguire una batteria completa di esami del sangue, un ECG, un Rx torace ed una ecografia addominale specie per escludere altre patologie; • Nel sospetto di squilibrio psichici è bene inviare il paziente dallo psichiatra (ci penserà lui, in certi casi, a farlo dormire a lungo!); • In casi particolari – da valutare assieme al neurologo – può essere utile uno studio accurato del sonno (EEG, “Polisonnografia”che è una specie di holter del sonno che si fa mentre il soggetto dorme). COME TENTA DI CURARSI L’INSONNE Il Rassegnato:

Prende medicine, su prescrizione medica

L’Originale:

Fa cose più o meno stravaganti durante la notte, nella speranza di indurre il sonno (mangiare, bere, fumare, telefonare),in quanto crede di poter risolvere da solo il problema

Lo Stakanovista:

Prende l’abitudine di sottoporsi a fatiche più estenuanti prima di andare a letto (jogging, palestra, nuoto)

Il Ribelle:

Rifiuta ogni trattamento medico (timore di assuefarsi) e cerca di indurre il sonno con metodi tradizionali (lettura)

Il Curioso:

Tenta diverse vie “non ortodosse”, del tipo pozioni antiinsonnia, rimedi omeopatici, agopuntura e altro

Ci sono 3 approcci all’insonnia,ma,in genere è il terzo ad essere più utilizzato,cioè quello farmacologico. TERAPIA: A) TERAPIE COGNITIVO-COMPORTAMENTALI •

Tali terapie sono indirizzate verso quei fattori non causali ma che contribuirebbero a mantenere lo stato di insonnia: – A) Controllo dello stimolo: assume che l’insonnia è dovuta ad una risposta errata verso fattori come l’orario, l’ambiente della camera da letto, errate abitudini; implica processi di apprendimento e riassociazione tra letto e sonno; – B) “Sleep-restriction”: mira a far sì che l’insonne possa gradualmente abituarsi a vivere a proprio agio con un numero di ore di sonno minori di quelle solitamente richieste; – C) “Rilassamento”: assumono che l’insonne sia un “ipereccitato”; si tenta di rilassarlo in vario modo (massaggi, musicoterapia, sedute di gruppo). Sono dei metodi che si provano prima di ricorrere alle terapie farmacologiche. B)IGIENE DEL SONNO • Evitare rumori eccessivi (discontinui)nella stanza da letto; • Uso moderato di tè e caffè, da evitare almeno 6-8 ore prima di andare a letto; • Evitare l’eccesso di alcoolici (possono favorire l’addormentamento, ma spesso si associano – nell’insonne cronico – a risveglio precoce); • Evitare di andare a letto con lo stomaco eccessivamente pieno(anche perché se si assumono farmaci questi avranno meno effetto).

Le benzodiazepine sono sicuramente i farmaci più usati e fra queste il Lorazepam ha il primato.Quelle a durata breve hanno un effetto più immediato,ma che dura per minor tempo e,quindi,si possono accompagnare a risvegli precoci.Possiamo usare anche il Diazepam(Valium),che però è più un ansiolitico che un seativo ipnotico. Negli ultimi anni sono stati usati anche gli agonisti dei R benzodiazepinici,che però hanno un effetto minore rispetto alle benzodiazepine,anche se la differenza è minima.

In caso di resistenza a buone dosi di benzodiazepine si può ricorrere all’anti-depressivo,ma solo in questo caso. Una volta si usavano molto anche i barbiturici,oggi non si usano più,perché le benzodiazepine sono più maneggevoli. EFFETTI COLLATERALI DELLE BENZODIAZEPINE • Tutte le Benzodiazepine e i loro agonisti recettoriali hanno effetti collaterali; • Si tratta per lo più di effetti controllabili, che non impediscono l’uso prolungato (solitamente decenni) di queste sostanze; • Principali effetti collaterali sono: – amnesie – disorientamento – sonnolenza diurna(che col passare del tempo diventa sempre meno importante) – sensazione di amaro in bocca – vertigini • L’uso prolungato di Benzodiazepine dà sintomi di astinenza alla loro sospensione(quindi,attenzione a sospenderli troppo bruscamente..conviene sospenderli gradualmente), fra questi: – tremori – mancata coordinazione muscolare – astenia.

Prof. Girardis 25/03/2010 INSUFFICIENZA RESPIRATORIA

Questa immagine vi piace? E' una TAC di un torace. Siamo più o meno all'altezza dove è già avvenuta la biforcazione, vedete che siamo sotto la carena perché vedete i due bronchi e che qui si sta staccando il principale di dx. Questo triangolino che vedete qua è un CVC che “spara” e da un'immagine come se fosse una stella. Cosa vi sembra? “Una congestione polmonare” prima possibilità. Concentrandoci solo sul parenchima: diversamente dalla fibrosi polmonare che normalmente interessa tutto il parenchima, osserviamo che sono interessate solo le sezioni posteriori del lobo superiore di dx e del lobo superiore di sx. “Un edema” è un'altra possibilità, ma l'edema non ha la caratteristica di interessare solo le regioni declivi (?); qui è proprio appoggiato dietro sulle vertebre. Può interessare le regioni basse del polmone se il paziente è in piedi, ma le interessa uniformemente, dallo sterno alle vertebre posteriori. Qui invece vedete che anteriormente non c'è. Questa è una tipica immagine di un ARDS ( Adult Respiratory Distress Syndrome) che si caratterizza per la presenza di un edema interstiziale e/o alveolare, il che vuol dire che abbiamo acqua nell'interstizio inizialmente, poi può arrivare anche negli alveoli, però non è su base idrostatica ma è su base lesionale. Vuol dire che l'endotelio polmonare che invece di avere una normale permeabilità all'acqua e alle proteine aumenta la sua permeabilità e questo aumento di permeabilità a parità di pressione idrostatica che c'è dentro il circuito polmonare (sapete che i nostri circuiti sono come quelli del riscaldamento e quando vanno in sovrappressione i riscaldamenti succedono due cose: a) l'acqua non circola; b) se l'acqua non circola i termosifoni non scaldano e perde nel punto più debole che è proprio l'endotelio capillare polmonare).

L'edema polmonare cardiogeno è su base idrostatica: sale la pressione a livello del circolo polmonare e in modo particolare nei capillari polmonari ed esce acqua a livello interstiziale e poi negli alveoli; il sistema va “in sovrappressione” e il punto più debole che è l'endotelio polmonare “perde” [nel parallelismo creato dal prof. Fra il nostro sistema cardiocircolatorio e i tubi di riscaldamento dei termosifoni], il sangue può continuare a girare, il cuore non scoppia, ma l'acqua deve andare da qualche parte. Per questo motivo qualsiasi azione voi facciate per ridurre la pressione interna del circuito è favorevole per la risoluzione dell'edema polmonare. La prima cosa che dobbiamo pensare di fronte ad un pz con edema polmonare è che dobbiamo ridurre la pressione nel circuito, quindi facciamo? “LASIX” No! Perché il lasix ha un effetto veno dilatante che riduce immediatamente la pressione, però la prima scelta generalmente ricade su un nitroderivato o la morfina e anche in questi casi si sfrutta l'effetto dilatante a livello del circolo polmonare. In un secondo momento il diuretico avrà anche la funzione di ridurre il volume circolante, ma attenzione però a fare un diuretico per un edema polmonare su una crisi ipertensiva, perché si tratta di un pz ipovolemico. Sapete che un pz ipervolemico [dice proprio così...]... sapete già qst robe vero? Salto. Io ho un concetto prima di tutto: Non esistono patologie esistono pazienti. I pazienti hanno più patologie, mai una soprattutto perché curiamo anziani. Le cause di edema polmonare sono numerose Una causa che vi può succedere è la crisi ipertensiva. La vasodilatazione ci sta, ma prima di ridurre violentemente il volume circolante, voi dovete porvi il problema di cosa abbia scatenato la crisi ipertensiva: un cattivo controllo della sua ipertensione essenziale in trattamento? Può essere se vi dice che erano tre giorni che soffriva di mal di testa. Quanto vi aspettate che possa avere uno che si fa un edema polmonare da crisi ipertensiva? - “200 di massima” - “non dipende da quanto ha di solito?” [si stizzisce per la nostra vaghezza] 200/70 può essere un problema, perché è la pressione diastolica che fa venire la cefalea! Tant'è che noi parliamo di pressione media, in quanto la pressione diastolica nel computo di un'onda sfigmica conta più della pressione sistolica. La pressione sistolica durante un atto meccanico del cuore conta un terzo. Ma è diverso avere 220/70 tra avere 160/110? se il pz ha anche una P sist normale, ma la diastolica elevata è quello l'importante! Perché per crisi ipertensiva, su pz precedentemente sani, si intende una P media superiore a 115mmHg (120 secondo le linee guida americane). Per fare 120 mmHg di P media, o avete una diastolica robusta o dovete avere una sistolica superiore ai 200 mmHg, perché la P media è uguale a : P media= P diastolica + 1/3 * P differenziale (qualcuno usa 2/3 come moltiplicatore) Il concetto è che la P diastolica conta tanto, mentre la P sistolica conta poco. Capite che uno con 70 di P diast, prima di arrivare a 120 di P media, deve avere 150 di P differenziale, cioè 220 di P sist.

Questo vale per i pazienti precedentemente sani, per i pazienti precedentemente ipertesi il livello [immagino di P media] sale ancora prima di trattarlo. Sapete cosa succede se trattate una crisi ipertensiva su pz iperteso che in realtà non è una crisi ipertensiva? Il pz perde coscienza perché riducendo la pressione si riduce la perfusione cerebrale. Quindi porsi la domanda: “devo trattarlo o no?” Se mi arriva un pz con 150 mmHg di P media e che riferisce cefalea nei giorni precedenti, lo tratto senza tanti indugi. Se mi arriva un pz che ha solo pressione alta, ma non mal di testa, epistassi, edema polmonare, allora ci ragiono un attimo, se ha un sintomo invece si. Quando si parla di shock? Se volete farmi un piacere personale la P sist non citatela mai più se non “sulla strada” dove non puoi stare li a fare i ciappini. Quello che porta il sangue nei nostri vasi è la P media, addirittura per le coronarie è la P diast, la P sist non porta sangue e varia in funzione di diversi fattori: età, dove viene misurata (la P sist nell'arco aortico è completamente differente che quella dell'arteria radiale, mentre la P media è uguale). Per questo bisogna parlare pi P media. Normalmente si parla di shock quando P media < 60mmHg ( 70mmHg per il pz anziano). Quando trattate un pz anziano, considerate quelli che sono i valori pressori ai quali viaggia di solito, infatti ci sono molti anziani che sono abituati a vivere con valori di 100 mmHg di P media e allora anche a 80 – 85 mmHg possono andare incontro a shock e diventano oligurici perché il rene è molto pressione dipendente. Definire un valore soglia per lo shock è quindi per certi aspetti limitante, infatti la definizione di shock ha una definizione che è indipendente dalla pressione. Tornando all'ARDS e all'edema lesionale che lo determina precisiamo che è costituisce un esito di moltissime patologie perché non riconosce un momento eziologico unico, ne ha molteplici: 2. inalazioni di fumi 3. infezioni 4. traumi 5. mancanza di surfattante nel neonato 6. pancreatite 7. ecc... Molte sono le patologie che possono esitare in ARDS che è solamente un momento fisiopatologico. Immaginate di essere i medici di PS... Vi arriva questo paziente anziano in tp con claritromicina (sottodosata) prescritta dal medico di base, fa il triage infermieristico che non è altro che la principale raccolta dei parametri vitali, ma ne manca uno...

Caso clinico Paziente bianco, maschio, Arduino P. 75 anni (>65) residente in una casa protetta del Comune, ma autosufficiente Anamnesi remota Vasculopatia cerebrale (ictus ischemici con deficit di forza residuo) Ipertensione arteriosa Anamnesi recente  Febbre da 3 giorni con peggioramento dello stato mentale e ridotto apporto idrico e nutrizionale.  Antibioticoterapia iniziata dal medico di base con Klacid (250 mg x 2)

A m b u l a t o r i o m e d i c oT R I A G E

Ore 21:45

23:00

arrivo al PS accompagnato da 118

Quadro clinico Disorientato, agitato, non collaborante, senza segni di lato Febbre 38,5° Tachipnea (34 atti/min) Tachicardia (118 bpm) e ipertensione (150/70) SpO2 88% SpO2 96% (in VM) Quadro clinico Paziente più collaborante e orientato EO: rantoli a sinistra Catetere venoso periferico ECG (negativo) Esami bioumorali: Hb 14,2 Hct 42 GB 15000 Plt 154000 Urea 50 Creatinina 1,2 GOT/GPT 43/57 CPK 180 EGA (con O2) PCO2 35 PO2 72 HCO3 21 Rx torace: addensamento basale sx Ricovero in pneumologia

Interventi tp

VM con O2 8 L/min Interventi tp

O2 4 L/min Confermata tp con Klacid (500 x 2) (linee guida CAP_ref 7)

fig.1 Quali sono i parametri vitali, quelli che troviamo nella grafica giornaliera? Dalla testa ai piedi troviamo: 6. Coscienza (che normalmente non viene registrata come parametro vitale ma all'arrivo in PS viene valutata 7. Freq Respiratoria 8. Saturazione (storicamente non è considerata come parametro vitale ma recentemente sta assumendo sempre più importanza per cui mi sta bene) 9. Freq Cardiaca 10. Pressione 11. Temperatura 12. Diuresi (è fondamentale chiedere al pz quando ha fatto pipi l'ultima volta, sperando che si ricordi) Pz con febbre, ha rumori polmonari a sx, ha un catetere venoso periferico, fa un ECG, l'ematochimico ed ha una leucocitosi. Per quanto riguarda i parametri emato-chimici, l’unico dato rilevabile è una leucocitosi caratterizzata da 15.000 GB (fig.1). Inoltre una cosa che dovete notare è che il disorientamento del pz si è risolto subito con l'ossigeno il che vuol dire che quell'ipossiemia aveva già un segno clinico. È molto importante che voi non solo ragioniate per “flag”, in quanto ogni laboratorio ha dei prorpi range di normalità che si basano valori medi riscontrati nella popolazione. È chiaro che ogni paziente può essere lontano dalla normalità. Considerando la creatinina e non avendo dati precedenti, in un paziente di 75 anni 1.2mg/dL di creatinina ci può stare tranquillamente. L’emo-gas-analisi viene effettuata con l’ossigeno poiché il paziente si trova in una condizione di grave ipossiemia (saturazione in aria ambiente pari a 88): se consideriamo che per effettuare un EGA non influenzato dall’ossigeno somministrato è necessario sospenderlo per 20 minuti, in quanto abbiamo una riserva funzionale di ossigeno, un paziente anziano come quello del caso potrebbe andare incontro ad una grave peggioramento dell’ipossiemia e quindi non si deve rischiare. La terapia adottata, dopo ricovero in pneumologia, consiste nella somministrazione di ossigeno a 4 litri/minuto e terapia antibiotica con Klacid (claritomicina) 500mg due volte/die. Il sospetto quale era? Una polmonite e qua vedete il suo RX torace.

Se voi foste in guardia medica e foste chiamati per andare a valutare il paziente a domicilio quello che dovete fare è essenzialmente il triage e la domanda che ci dobbiamo porre è se questo paziente ha o no un’insufficienza respiratoria acuta e se necessita di ricovero ospedaliero. Il criterio clinico che in questo caso ci permette di definire l’insufficienza respiratoria è la tachipnea (34 atti respiratori/minuto) e la saturazione di 88 (se invece fosse stato un paziente affetto da BPCO questo valore di saturazione è ancora accettabile), ma vediamo ora in dettaglio quali sono le condizioni e parametri che consentono di identificare un’insufficienza respiratoria. Dovete considerare che durante il servizio di guardia medica non avete a disposizione l’ossigeno (a meno che il paziente non facesse ossigeno-terapia a domicilio), ma il saturi metro sì. In questo caso non ci sono dei numeri magici, ma è la clinica che ci permette di identificare tale quadro e qualsiasi paziente si presenta con queste condizioni: 1. 2. 3. 4.

Agitazione Tachipnea Tachicardia + Ipertensione SpO2 < 90% in AA

Quindi è a rischio di insufficienza respiratorio il paziente che presenta questo quadro clinico, che in realtà possiamo trovare anche in altre insufficienze d’organo e sono tutti segni di tentativo di compenso, compreso l’agitazione che è tipica dei pazienti che cercano l’aria e molti vi diranno dammi da respirare . quando avete a disposizione un saturi metro la scienza dice che una saturazione < 90% in aria ambiente sono da considerare insufficienze respiratorie, è ovvio che mettendo l’ossigeno anche un paziente con una saturazione di 94 può avere un’insufficienza respiratoria. Quindi l’insufficienza respiratoria in prima battuta, in ambiente medico e non intensivo, ha una diagnosi clinica, dopodiché possiamo dare un’entità all’insufficienza respiratoria, ma un anziano che si presenta con 88 di saturazione, non è confuso, non è tachipnoico, non è tachicardico, si può pensare che abbia un’alterazione respiratoria di qualche natura, ma non ha l’insufficienza respiratoria acuta. Abbiamo detto i segni dell’insufficienza respiratoria acuta in compenso, poi ci sono i segni dell’insufficienza respiratoria acuta scompensata: immaginate il paziente che invece che agitato si presenta soporoso, è eupnoico o bradipnoico, è tachicardico e lievemente ipoteso o normoteso, satura 88, in questo caso il paziente è ipercapnico. La CO2 dà proprio questi sintomi:  Sopore  Riduzione della frequenza cardiaca  ipotensione Il riflesso all’ipossia acuta è lo spegnimento delle funzioni vitale: il soggetto perde coscienza, il battito cardiaco rallenta, quindi il cuore si auto-protegge, risparmia le riserve energetiche (glicolisi anaerobia, cretina) per poter continuare a contrarsi e sopravvivere. Ritornando al paziente, se presenta i segni di scompenso anche se gli somministrate ossigeno, la saturazione aumenta, ma è la CO2 a provocare i danni. Un esempio sono i bambini affetti da male asmatico che inizialmente sono molto agitati, piangono ed urlano, poi improvvisamente si calmano, diminuisce la frequenza respiratoria e quella cardiaca, a questo punto si pensa che con l’ossigeno si è risolto il problema, ma in realtà il bambino si sta intossicando di CO2 e dopo tre minuti è da intubare. È perciò sempre necessario fare l’EGA per valutare la Pa di CO2 perché rischiate di pensare di aver risolto il problema quando in realtà il quadro sta peggiorando a causa della CO2. Quando avete di fronte un paziente con insufficienza respiratoria, le due condizioni che determinano segni clinici sul paziente sono

l’ipossiemia e l’ipercapnia, la prima che si può valutare con una saturi metro e che dà i segni di allerta di cui abbiamo parlato prima, la seconda che si può valutare solo con l’analisi dei gas nel sangue. Inoltre questi due parametri ci permettono di identificare due differenti tipi di insufficienza respiratoria che vanno trattati in maniera diversa, uno che risponde all’ossigeno terapia, l’altro invece che non risponde all’ossigeno terapia. Fisiopatologia dell’insufficienza respiratoria. Facendo per un attimo una digressione sulla fisiologia respiratoria, tra le funzioni polmonari, le DUE FONDAMENTALI da considerare in un paziente nel contesto dell’urgenza-emergenza sono nell’ordine: 1) Trasporto di O2 dalla miscela dei gas inspirati al sangue dei capillari polmonari 2) Trasporto di CO2 dal sangue dei capillari polmonari all’atmosfera Quindi l’insieme di processi che consentono il trasporto dei gas dall’aria ambiente al sangue si può raggruppare in due momenti, il primo che fa arrivare aria (in particolare ossigeno) all’alveolo e quindi al capillare alveolare e che dipende dalla ventilazione alveolare, il secondo che permette alla CO2 di essere rimossa dai capillari polmonari ed essere eliminata attraverso gli alveoli. Queste DUE FONDAMENTALI FUNZIONI vengono svolte attraverso un insieme di processi fisiologici che possono essere, per comodità clinica (particolarmente in condizioni di emergenza) riassunti in 2 insiemi: - VENTILAZIONE ALVEOLARE (Va) - SCAMBI GASSOSI ALEVOLO-POLMONARI (DL, Va/Q) L’insufficienza respiratoria si identifica sulla base del meccanismo fisiopatologico che l’ha provocata:  Insufficienza respiratoria ipossiemica  Insufficienza respiratoria ipercapnica  Insufficienza respiratoria ipossiemica- ipercapnica  Acuta o cronica Nel nostro caso abbiamo un’insufficienza respiratoria ipossiemica (Sp oO2=88 e PaO2=72), ma non ipercapnica in quanto la CO2 arteriosa è 35. a parte i numeri la diagnosi di insufficienza respiratoria è innanzitutto clinica e solamente dopo la caratterizzo dal punto di vista numerico. Per attribuire all’insufficienza respiratoria un carattere intensivo (i.e. gravità dell’insufficienza in atto) e per poter seguire l’evoluzione indipendentemente dalla quantità di O2 somministrato, si utilizza la seguente scala: PaO2/FiO2 (mmHg) 300-400 lieve PaO2/FiO2 (mmHg) 200-300 moderata PaO2/FiO2 (mmHg) 100-200 severa PaO2/FiO2 (mmHg) a 400, perché la PaO2 normalmente è intorno a 95 mmHg e la frazione inspirata di ossigeno è 21/100, se dividete 95 per 0.21, il risultato è maggiore di 400. Se vi do l’ossigeno, la frazione inspiratoria di ossigeno ad esempio diventa 0.50 la Pa O2 diventa 200 mmHg. Tutte le volte che questo rapporto va al di sotto di 400 identifichiamo una insufficienza respiratoria, al di sotto di 150-200 si parla di insufficienza severa e molto severa e necessitano di assistenza meccanica che può essere fatta con un tubo, con una maschera oppure una tracheotomia. In un reparto di medicina o di pronto soccorso per derivare la FiO2 si utilizza il sistema Venturi, si tratta di una valvola attaccata alla maschera dell’ossigeno che fornisce la quantità di ossigeno somministrato; nel nostro ospedale abbiamo una valvola Venturi che permette di scegliere la quantità di ossigeno da erogare al paziente, fino al 50% di

ossigeno, oltre tali valvole non sono più efficaci. Se non abbiamo a disposizione il sistema Venturi, si utilizza una formula per derivare la FiO2= 20+4*LO2, ad esempio se sto erogando al paziente 8L di O2, moltiplico 8 per 4 +20= 52, quindi circa il 50%. È molto importante questa stratificazione perché l’insufficienza respiratoria severa se non siete anestesistirianimatori dura poco, è un paziente che ha bisogno di una assistenza ventilatoria, tanto è che in alcuni ospedali come a Monza, il paziente viene stratificato in base a questa classificazione e se si trova in insufficienza respiratoria severa viene mandato in rianimazione, altrimenti viene monitorato in pneumologia ogni 3 o 4 ore rispettivamente in caso di insufficienza respiratoria moderata o lieve. La classe 2 è un paziente dove viene chiesto se và in pneumologia il monitoraggio orario. La classe 3 invece và direttamente in terapia intensiva, mentre per la classe 1 il monitoraggio viene eseguito ogni 4 ore. In un mondo ideale un paziente con insufficienza severa dovrebbe essere monitorizzato continuamente con un saturimetro e quando si arriva ad una certa % di ossigeno bisogna attivarsi per fare dell’altro. Come impostare l’ossigeno-terapia in un paziente che arriva con insufficienza respiratoria ipossiemica? Quando non risultasse efficace come si procede? Avete un paziente con insufficienza respiratoria acuta e mettete 8 l di ossigeno, passando da 88 di saturazione a 96, con 72 di pO2 cosa fate? Riducete l’ossigeno, perché è inutile darlo se non serve, quindi riducete la frazione di ossigeno, poi cosa fate? Si valuta se la saturazione tiene. L’ossigeno è un farmaco ed è pochissimo tollerato dai pazienti perché è freddo e secco. Il valore target per la saturazione è 90, mentre per la PaO2 è 60. Si considera 90 perché è il punto nel quale la curva di dissociazione dell’emoglobina passa da una fase piatta o semi piatta a una fase pendente. Qualsiasi peggioramento della funzione respiratoria che tolga un ulteriore gradiente alveolo-capillare di ossigeno di pochi mmHg farà scendere velocemente la saturazione. Significa che spostarsi in una zona sopra i 90 permette di essere nella zona di sicurezza, dove anche se aumentate di molto la pressione parziale di ossigeno non aumentate di molto la saturazione, mentre se siete nella zona pendente qualsiasi piccola perdita di funzionalità del mio polmone, che si misura in gradiente alveolo-arterioso per l’ossigeno, determina una grande variazione di saturazione dell’emoglobina. L’ossigeno quindi và regolato per avere delle saturazioni superiori a 90, ragionevolmente tra 90 e 95. Và usata la minima frazione di O2 possibile per evitare gli effetti collaterali da O2. Ricordare 90 di saturazione e 60 di PaO2, questo in condizioni stabili. Se siamo in alta quota, se siamo in acidosi, se siamo a basse temperature si verifica lo shift della curva dell’emoglobina e la legge 90-60 non vale più, in quanto la curva dell’Hb si sposta a destra o a sinistra. Vi suggerisco il seguente algoritmo clinico per porre la corretta diagnosi di insufficienza respiratoria.

La prima domanda da porsi di fronte a un pz con insufficienza respiratoria acuta (segni clinici di IR: tachipnea, dispnea, tachicardia, agitazione) è: ha o non ha la PaCO2 aumentata? La CO2 permette di individuare un gruppo di malattie/condizioni che hanno come momento comune l’ipoventilazione e un gruppo di malattie che hanno come momento

comune il peggioramento del gradiente alveolo-arterioso, che significa che l’ossigeno arriva all’alveolo, ma questo non riesce ad arrivare in circolo. Questo algoritmo vi consente di fare diagnosi differenziale e di impiegare il presidio più corretto. Il nostro pz non aveva la PaCO2 aumentata, quindi ci spostiamo a destra e ci poniamo la seconda domanda: abbiamo un aumento del gradiente alveolo-arterioso di O2? Il suo rapporto PaO2/FiO2 è o no inferiore a 400? Il gradiente alveolo-arterioso di O2 prevede il calcolo della pressione alveolare di O2, una semplificazione è il rapporto PaO2/FiO2, quindi la domanda è: il rapporto PaO2/FiO2 è inferiore a 400? Nel nostro pz era inferiore a 400. Se la risposta fosse stata no, quindi rapporto PaO2/FiO2 normale, con livelli di PaCO2 normali l’unica possibilità è che il pz si trovi in condizioni di bassa pressione inspiratoria di ossigeno, questo si verifica in caso di alte altitudini o quando la frazione inspirata di O2 diminuisce (respirare miscele ipossiche). In questi casi è un problema di concentrazione di O2 nell’aria che viene respirata. Con rapporto PaO2/FiO2 inferiore a 400 (gradiente alveolo-arterioso aumentato) bisogna domandarsi se la bassa P parziale di O2 sia correggibile con la somministrazione di O2. Dando O2 aumenta la saturazione nel nostro pz? Si, quindi abbiamo un alterato rapporto ventilazione/perfusione (Va/Q), quindi ci sono degli alveoli che ricevevano poco O2, pur essendo perfusi. Dando O2 a quegli alveoli che erano poco ventilati il disequilibrio del rapporto Va/Q rimane, ma lo supero somministrando O2. Se ho un alveolo che invece di ricevere ad esempio 1 litro di aria al minuto ne riceve 0.5 litri, moltiplicando 0.5 l per 21 (FiO2) ottengo un certo flusso si O2. Se 0.5 l lo moltiplico per una % superiore di O2, ad es. 50, aumenta il flusso di O2 agli alveoli. L’alterazione del rapporto ventilazione/perfusione rappresenta il 90% delle cause di insufficienza respiratoria nei nostri pazienti; edema polmonare, embolia polmonare, polmonite, versamento pleurico, asma, tutte queste danno alterazione del rapporto ventilazione/perfusione. Se in un alveolo cala la ventilazione si modifica il rapporto Va/Q. Supponiamo che si sia dimezzata l’aria che giunge all’alveolo al minuto, quindi la quantità di O2 al minuto si è dimezzata, per riottenere una normale quantità di O2 al minuto con un alveolo che ventila la metà bisogna raddoppiare la concentrazione di O2. Il pz mantiene la sua malattia, ma risponde all’ossigeno. Le cause sono:  Asma  Bronco pneumopatia cronica  Patologie interstiziali  Patologie alveolari (edema polmonare, RDS, alveoliti, polmoniti)  Patologie vascolari polmonari Se il pz non risponde all’O2 siamo in presenza di uno shunt, quindi c’è una zona del polmone che è perfusa, ma che non è ventilata. In tal caso somministrando O2 non cambia nulla (6 L=40% di O2, 8 L=50% di O2, 10 L=70% di O2), il pz rimane sugli 88-89 di saturazione, non si modifica. Questo pz non ha un’alterazione del rapporto Va/Q, ma ha uno shunt. Le cause di shunt sono:  Edema polmonare massivissimo (alveoli pieni d’acqua che non ricevono aria), perché altrimenti un po’ d’aria ci entra sempre  Atelectasie polmonari (zona del polmone che collassa, non passa più aria, mentre il sangue continua ad arrivare), come in caso di pneumotorace o di versamento pleurico massivo, emotorace, dove non c’è polmone  Shunt intracardiaco, il pz rimane desaturato nonostante si somministri O2, fate un ECO-cardio che mostra l’apertura del forame ovale Per valutare se vi è un aumento della PaCO2 devo eseguire un emogas, ma già un pz ipossico e letargico, con bradipnea dice che la PaCO2 è alta. Guardate la saturazione dopo aver messo l’O2, oppure fate il rapporto PaO2/FiO2 e se il pz non ha un gradiente alveolo-arterioso aumentato abbiamo una condizione di ipoventilazione da sola; questa sta aumentando per via dell’aumento delle patologie neuro-muscolari.

Questi sono pz che non hanno alterazioni del rapporto ventilazione-perfusione o uno shunt, ma hanno esclusivamente un’ipoventilazione. I pz che fanno oppiacei in ospedale (pz oncologici o chirurgici) hanno una depressione del centro del respiro, che determina una ipoventilazione. Una volta sospesa la terapia con oppiacei i pz non hanno nessun problema di funzione respiratoria. I tossicodipendenti che vanno in overdose da eroina presentano occhi a capocchia di spillo, sono bradipnoici, PaCO2 aumentata, il pz è letargico, mettete il saturimetro con un po’ di O2 e torna a saturare, ma continua a ipoventilare, fate un emogasanalisi che mostra un’ipercapnia. Il tossico muore ipercapnico per arresto respiratorio. Se siamo di fronte a una congestione polmonare più un pneumotorace tipico di un trauma avete insieme questi 2 momenti, avete sia un’ipoventilazione, sia un peggioramento del rapporto ventilazione/perfusione e in tal caso il gradiente alveolo-arterioso è aumenteto. Un pz con embolia polmonare dal punto di vista respiratorio presenta un rapporto Va/Q elevato, quindi gli alveoli sono ventilati, ma non perfusi (spazio morto). Prendiamo in considerazione l’unità alveolo-capillare con una situazione di ventilazione e perfusione normale, quindi poniamo che il rapporto Va/Q sia uguale a 1, questo in un condizioni ideali (1 L di aria al minuto su 1 L di sangue al minuto). Quando si ha un calo della ventilazione, come ad esempio 0.5 L/1 L si verifica un mismatch del rapporto ventilazione/perfusione. Il gas che ne risente è l’O2, perché ha un coefficiente di diffusibilità diverso dalla CO2, mentre la CO2 diffonde rapidamente. Significa che con 0.5 L di aria al minuto tutta la CO2 passa dal capillare all’alveolo, ma non tutto l’O2 passa dall’alveolo al capillare. Questo per capire che un rapporto Va/Q alterato provoca grossi problemi all’ossigenazione. Ora considerate di avere una ventilazione alveolare pari a 0, quindi con Va/Q=0, questa situazione si chiama shunt. Se l’alveolo inizia a riempirsi di acqua come nell’edema si ha un basso rapporto Va/Q, fino ad arrivare allo shunt quando l’alveolo è talmente pieno di acqua da impedire totalmente all’aria di penetrarvi. L’alveolo continua ad essere perfuso, ma non è più ventilato, quindi la CO2 li non riesce ad uscire, ma il pz con shunt non è ipercapnico, in quanto gli altri alveoli compensano aumentando la diffusione della CO2, mentre l’O2 si riduce perché gli altri alveoli non riescono a compensare. Se al contrario abbiamo conservata la ventilazione alveolare, ma non abbiamo flusso di sangue il rapporto Va/Q diventa uguale a infinito, questo corrisponde allo spazio morto. Abbiamo visto i 2 estremi del rapporto ventilazione-perfusione. I nostri alveoli costituiscono una curva normale, dove gran parte degli alveoli ha un rapporto Va/Q=1, una buona parte ha un rapporto uguale a 0 e una parte ha un rapporto uguale ad infinito (questo nel nostro corpo normalmente). Va/Q= ∞ spazio morto Va/Q= 0 shunt La maggior parte degli alveoli hanno un rapporto normale che è uguale a 0.8 +/- 1 Deviazione Standard. Al di fuori di questo range di normalità si parla di mismatch del rapporto ventilazione-perfusione.

Tutte le malattie che danno insufficienza respiratoria danno spostamenti di questa curva.

Lo spazio morto concettualmente fa sprecare aria senza che sul pz si veda nulla: è quello che succede nell’embolia polmonare in cui il pz ha un emogas sostanzialmente normale se non fosse per l’ipocapnia perché iperventila…questo nella prima fase, perché nella fase avanzata l’embolia polmonare dà ipossia, derivante da microinfarti polmonari, che riducono la respirazione del pz e portano il rapporto ventilazione/perfusione verso lo Shunt; quello che interessa a noi è che il pz con embolia polmonare normalmente non ha un problema respiratorio, ha un problema cardio-circolatorio e l’obiettivo del clinico è di evitare che il pz sviluppi uno shock mediante terapia eparinica, mentre nel pz con shock l’obiettivo è sciogliere il trombo, perché vuol dire che in quel momento la pressione che il cuore dx riesce a generare perché l’embolo si è impiantato nel vaso non è tale da permettere al pz di avere una buona perfusione. Il cuore di dx infatti ha una capacità di generare lavoro minore rispetto al sx e se si trova di fronte a resistenze molto alte si sfianca e provoca uno shock terminale. VENTILAZIONE MECCANICA INSUFFICIENZA RESPIRATORIA

CASO CLINICO

Q1. il paziente è in insuffic ienza respiratoria ? Q2. che tipo e che gravità di insuffic ienza respiratoria ? Q3. Qual è il meccanismo fisiologico alterato ? Q4. Quale è il primo presidio nell’insuffic ienza respiratoria ?

Q5. Se il paziente presenta un insuffic ienza respiratoria non responsiva all’O2 terapia, qual’è il presidio terapeutico successivo ? VENTILAZIONE A PRESSIONE POSITIVA 1. MANUALE (temporanea ..!!!) 2. MECCANICA - Invasiva - Non Invasiva

Se il pz è molto ipercapnico, non ha più capacità muscolare e l’O2 terapia non è più sufficiente, occorrerà sostenere la respirazione con presidi diversi: a questo proposito, il muscolo che dura di più è il diaframma, infatti un individuo prima di morire fa un gasping. Dunque, il pz che va in arresto respiratorio, o più semplicemente ha una miastenia gravis tanto grave da impedire la respirazione mediante l’attività muscolare, sarà aiutato a respirare, o manualmente o mediante ventilazione meccanica. Il pz in overdose da eroina, mentre fa effetto l’antagosista naloxone, verrà ventilato manualmente e nell’arco di circa 10-15 min sia il miastenico, sia il pz in overdose riprendono la normale capacità respiratoria. Diverso è il discorso del pz con SLA , che solitamente arriva in ospedale perché ha problematiche parenchimali (polmonite, influenza), la necessità di eliminare CO2 aumenta, ma i suoi muscoli non sono in grado di eliminarla, quindi per qst pz non è prevedibile che nel giro di pochi minuti o ore si possa risolvere il quadro. Esistono due tipi di ventilazione meccanica, invasiva e non invasiva: l’invasiva è praticata attraverso un tubo, che parte dalla bocca e si posiziona in trachea sopra la biforcazione, ed è assimilabile ad una tracheotomia. Nella ventilazione non invasiva l’aria non va direttamente in trachea ma segue le vie fisiologiche (bocca, faringe, laringe), somministrata mediante maschere o caschi.

VENTILAZIONE A PRESSIONE POSITIVA 1. MANUALE (temporanea ..!!!) 2. MECCANICA - Invasiva - Non Invasiva

Respiro Spontaneo

VENTILAZIONE NON INVASIVA

Pressione Positiva

VENTILAZIONE INVASIVA

Indipendentemente dalla tipologia di presidio con cui esplichiamo la ventilazione meccanica, il concetto è che si esercita una pressione positiva: normalmente, l’aria entra negli alveoli perché si crea una differenza di pressione negativa; la ventilazione meccanica sfrutta invece una pressione positiva e i nostri alveoli non raggiungono mai una pressione negativa poiché l’aria viene sparata dentro a P positiva. Questo fa capire che è una ventilazione non fisiologica, ed è questa la ragione per cui la respirazione meccanica crea danni, perché il nostro polmone non è abituato a lavorare a P positive: in casi estremi possono svilupparsi rotture del polmone, pneumotorace o pneumomediastino. I polmoni d’acciaio, abbandonati per complessità tecnologica, creavano una respirazione fisiologica, perché venivano applicati al torace del pz ed estendevano la gabbia toracica, generando nell’alveolo una P negativa.

Ipotermia

L’ipotermia di definisce come l’abbassamento della temperatura corporea al di sotto dei 35°C. A questa temperatura, il sistema della termoregolazione si indebolisce perché la risposta fisiologica compensatoria, per ridurre la perdita di calore è parzialmente inibita. L’ipotermia si distingue in primaria o accidentale, a seguito di permanenza in un ambiente freddo senza un’adeguata protezione e un’ipotermia secondaria. I fattori coinvolti nella genesi dell’ipotermia sono:  L’ambiente freddo  Le modificazioni fisiologiche della termoregolazione legate all’età  Farmaci  Le malattie che riducono la produzione di calore,aumentano la sua dissipazione,compromettono la termoregolazione,riducono l’attività motoria. I farmaci che possono predisporre i pazienti all’ipotermia sono alcool, antidepressivi, barbiturici, benzodiazepine, oppioidi, fenotiazine, reserpina. FATTORI DI RISCHIO PER L’IPOTERMIA La riduzione della produzione di calore si ha:  Nella chetoacidosi diabetica  Nell’ipoglicemia  Nell’ipopituitarismo  Nella malnutrizione o digiuno  Nel mixedema  Nell’ipotiroidismo(come nel nostro caso). La compromissione della termoregolazione si ha: nelle neuropatie (diabete,alcolismo) nelle malattie primitive del SNC:traumi cranici,poliomielite,ictus,emorragie subaracnoidee,ematomi subdurali,tumori,encefalopatia di Wernicke nelle malattie sistemiche che interessano l’ipotalamo nell’avvelenamento da monossido di carbonio,nell’uremia. L’aumento della dispersione di calore si ha: negli shunt artero-venosi nelle dermatiti infiammatorie nel Morbo di Paget nella vasodilatazione indotta dall’alcool nell’esposizione al freddo nella riduzione del tessuto adiposo sottocutaneo,nella malnutrizione. La riduzione dell’attività fisica si ha: nel morbo di Parkinson nell’artrite nella demenza nelle cadute nella paralisi o ictus. SEGNI E SINTOMI DELL’IPOTERMIA L’ipotermia si definisce lieve se la temperatura corporea è compresa tra 34 e 36°C,moderata se compresa tra 34 e 30,severa se inferiore a 30. TC SNC

LIEVE TC 36-34 Confusione mentale Amnesia

MODERATA 34-30 Letargia Allucinazioni

SEVERA 38°C o 90 bpm Frequenza respiratoria > 20 atti/min Globuli bianchi >12.000 o 12000 o < 4000.

OBIETTIVI: PAM >65 mmHg Diuresi >0,5 ml/Kg/h PVC : 8-12 mmHg Saturazione Venosa mista> 65 % o da Vena Cava superiore > 70%.

DISFUNZIONE D’ORGANO: almeno1: SNC  sopore, agitazione S.RESP  PaO2 60mmHg B.VOLEMIA: Se Diuresi < 0,5 ml/Kg/h o PAM < 65 mmHg infondere colloidi 300 ml o cristalloidi 500 ml fino a PVC 8 mmHg. C.TERAPIA ANTIBIOTICA EMPIRICA Entro 1 ora dalla comparsa dei sintomi D.METABOLISMO Se Saturazione venosa mista SvO2 < 70% Valutare Hct e trasfondere EC se Hct 40 mmHg. º Resistente al riempimento idrico (500 ml/30 min fino a PVC= 8 mmHg) º Pa sostenuta da infusione di: Dopamina > 5 mcg/Kg/min o Noradrenalina

SHOCK SETTICO

SHOCK Per shock si intende una riduzione marcata e diffusa della perfusione tessutale con lesioni cellulari inizialmente reversibili , ed in seguito se le condizioni persistono , irreversibili. La perfusione tessutale dipende da : - pompa cardiaca

- volume dei fluidi - letto vascolare e qualsiasi evento che alteri una di queste variabili favorisce l’insorgenza di uno stato di shock. I meccanismi patogenetici si possono sostanzialmente ridurre a : - Volume circolatorio inadeguato (shock ipovolemico) - Compromissione del tono vascolare (shock distributivo) - Deficit critico della portata cardiaca (shock cardiogeno) - Ostacolo al deflusso ventricolare (shock ostruttivo ) CLASSIFICAZIONE SHOCK IPOVOLEMICO : emorragico deplezione di liquidi SHOCK CARDIOGENO : miogeno meccanico aritmico SHOCK DISTRIBUTIVO : settico Anafilattico neurogeno spinale SHOCK OSTRUTTIVO : tamponamento cardiaco tromboembolia polmonare pneumotorace La diagnosi di shock conclamato è per lo più facile, più complicato può essere individuare gli aspetti clinici iniziali (riconoscimento e valutazione dello stadio dello shock) .

ADO med int (ventura), giov 15/05/08 entrambe le ore (14-16), LA MALATTIA TROMBOEMBOLICA Parleremo soprattutto del tromboembolismo venoso; quello arterioso è simile al venoso, anche se ha delle caratteristiche un po’ particolari, ed è molto meno frequente del venoso. Cominciamo con un caso clinico: paziente in ottime condizioni generali, giovane (circa 40 anni). Ad un certo punto comincia ad avere dolore al polpaccio destro. È un dolore che inizialmente assomiglia ad un crampo; associato ad una contrattura, viene inizialmente trattato con massaggi ed antinfiammatori ma non passa, anzi, nel giro di una settimana aumenta. Aumenta a tal punto che la mattina, al risveglio, il paziente fatica ad alzarsi e non riesce ad appoggiare il piede; con un po’ di riscaldamento poi il paziente riesce a camminare. In una settimana insorge un grande dolore alla gamba, che affligge il paziente anche di notte. Egli lo avverte come un problema “interno” alla gamba. Il paziente fa un’ECO doppler, alla ricerca di una trombosi venosa. Esso conferma la diagnosi di trombosi venosa profonda del polpaccio destro. Teniamo presente che il paziente è giovane! Cosa facciamo? Dobbiamo trovare la causa di tale trombosi e fare terapia. Dobbiamo indagare sull’esistenza di una trombofilia, cioè una condizione patologica che potrebbe giustificare una tendenza a fare trombosi in età così giovane. La trombofilia può essere congenita (quindi ereditaria) o acquisita. La prima cosa che dobbiamo verificare è che non ci sia un tumore da qualche parte, quindi facciamo un’ECO addome, i marcatori neoplastici ed un Rx torace. Nel paziente in considerazione tutto questo risulta negativo. Tra l’altro il paziente non ha altri tipi di sintomi, oltre al dolore. Gli esami del sangue sono completamente normali. Rimane il problema della trombofilia ereditaria. Qui si apre il problema della valutazione della trombofilia ereditaria in una situazione acuta! Si fa lo studio per la trombofilia ereditaria nel paziente e si trova un deficit della proteina C della coagulazione (e non quella reattiva), che ha effetto anticoagulante. Se trovi proteina C ridotta durante una trombosi, pensi che la trombosi sia dovuta alla proteina C o, viceversa, pensi che quest’ultima si abbassi a causa della trombosi che l’ha consumata? Questa domanda non ha una risposta. O hai valori molto bassi di proteina C (e allora forse si tratta di un vero deficit), oppure, se i suoi valori sono intermedi, non abbiamo una risposta quindi dobbiamo rifare gli esami dopo aver fatto la terapia (che nel mentre dobbiamo chiaramente fare). La trombosi venosa profonda va infatti trattata perché rischia di estendersi e rischia di dare embolia polmonare. L’emostasi è il bilancio tra la tendenza all’emorragia e la tendenza alla coagulazione. Nel meccanismo dell’emostasi entrano diversi componenti: i vasi, le proteine della coagulazione e le piastrine. In condizioni normali c’è una piccola tendenza all’emorragia ed una piccola tendenza alla formazione del coagulo ed i due fenomeni sono in equilibrio; nessuno dei due prevale. Esistono una via intrinseca ed una estrinseca della coagulazione; le due vie confluiscono poi su di una comune, che alla fine, attraverso l’attivazione della trombina, provoca la trasformazione del fibrinogeno in fibrina (e quindi abbiamo il coagulo). Il coagulo viene poi progressivamente distrutto attraverso la fibrinolisi, attivata dalla stessa trombina. Tutti questi sistemi sono interrelati tra loro con meccanismi complessi a feedback. La via intrinseca viene valutata tramite l’aPTT, cioè il tempo di tromboplastina attivata, mentre la via estrinseca tramite il PT, cioè il tempo di protrombina. Il fatto che i due parametri che usiamo per valutare gli effetti della terapia anticoagulante siano diversi è importante e dovremo tenerlo presente quando vedremo come si attua la terapia del tromboembolismo venoso, sia in acuto che in situazione cronico. Nella malattia tromboembolica qualcosa sposta l’equilibrio di cui abbiamo parlato a favore della trombosi, quindi il sangue coagula di più. La malattia tromboembolica si distingue in arteriosa e venosa e noi parliamo della venosa.

Vedremo quali sono i fattori di rischio della trombosi venosa, qual è la classificazione, l’epidemiologia, la diagnosi, la terapia in acuto e la profilassi. Gli ultimi due punti sono molto importanti e servono molto nella pratica clinica! Alla fine ci saranno due diapositive sulle novità relative alla terapia antitromboembolica, che sta migliorando a gran passo. Probabilmente le novità esposte nelle ultime due diapo sostituiranno le eparine a basso peso molecolare in futuro! La trombofilia è una tendenza ereditaria o acquisita a spostare l’equilibrio di cui parlavamo verso la trombosi. Avremo trombosi quando il potenziale trombotico supera un certo valore soglia. Teniamo presente che sono importanti i fattori genetici, ma lo sono anche quelli ambientali: il 30-40% dei pazienti ha un fattore di rischio acquisito, e come tale è un fattore evitabile! Esistono situazioni in cui pazienti presentano trombosi venose profonde e non se ne trova la causa. È calcolato che circa il 30-40% delle cause di trombosi venosa rimangono inspiegate. Probabilmente non sono spiegate perché il meccanismo di coagulazione è talmente complesso che non è ancora del tutto conosciuto. Ciò è anche avallato dal fatto che continuamente si scoprono nuovi fattori di rischio. Quindi non vi dovete spaventare per il fatto che in alcuni pazienti, come è il caso del paziente che abbiamo considerato oggi, pur con tutti gli accertamenti opportuni non si trova la causa. Vediamo i fattori di rischio per la trombofilia venosa acquisita: Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo. La chemioterapia rappresenta un fattore di rischio per la trombofilia perché, determinando citolisi, si ha liberazione in circolo di enzimi che possono spostare il famoso equilibrio di cui parliamo. Ci sono ipotesi eziopatogenetiche che sostengono che la rettocolite ulcerosa (RCU) sia paradossalmente una malattia di tipo ischemico e che le lesioni di tipo ulceroso che la caratterizzano siano una conseguenza di lesioni di tipo ischemico. In molte sezioni istologiche di RCU si trovano microtrombi a livello della parete vascolare e sicuramente i soggetti con RCU presentano la patologia tromboembolica con elevata frequenza. La sindrome nefrosica è un fattore di rischio per trombofilia acquisita perché si perdono i fattori di coagulazione ed in particolare quelli anticoagulanti, come l’antitrombina terza (ATIII). Abbiamo detto che esiste una forma ereditaria di trombosi venosa. Un aspetto caratteristico di essa è che i fenomeni trombotici compaiono in età precoce. Quando si tratta di una condizione di omozigosi chiaramente la situazione ha maggiore gravità: è più facile che le trombosi siano multiple, più gravi, e che compaiano in giovane età. Le cause più frequenti della patologia che stiamo trattando sono i deficit di ATIII, di proteina C ed S, e del fattore quinto di Leiden. Poi abbiamo, tra le cause, la presenza della PT20210A, che è una mutazione della protrombina che la rende più attiva; poi anche la mutazione del fattore VIII e l’iperomocisteinemia sono cause di trombofilia. Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo. Le ultime quattro condizioni segnalate nella slide hanno una incidenza non indifferente e notiamo anche che il rischio relativo del FV Leiden è alto. La trombofilia ereditaria vede tre possibili meccanismi: o c’è perdita di inibizione, o aumento di funzione, oppure ci sono altri meccanismi (endotelio?). Per quanto riguarda la perdita di inibizione, se manca l’ATIII, la proteina C, o la proteina S, o il fattore V di Leiden è alterato, manca l’inibizione quindi il soggetto coagula troppo. Viceversa nell’aumento di funzione abbiamo un fattore VIII o una protrombina troppo reattivi, oppure siamo nella condizione di iperomocisteinemia. L’iperomocisteinemia può essere dovuta a fattori ereditari (perché per produrre e per smaltire omocisteina bisogna essere provvisti di certi enzimi). Il più frequente di questi fattori e la mutazione della MTHFR (metiltetraidrofolatoreduttasi): il 25% della popolazione italiana è portatrice di un deficit eterozigote di MTHFR, e quindi è potenzialmente a rischio di sviluppare iperomocisteinemia se contemporaneamente va incontro a deficit di acido folico. Questa mutazione determina il fatto che viene utilizzato un po’

peggio l’acido folico; c’è quindi più bisogno di acido folico e se un soggetto con tale mutazione va in carenza di acido folico è facile che si determini iperomocisteinemia, la quale può favorire trombosi. Sia la carenza di folati che di vitamina B12 possono provocare iperomocisteinemia acquisita. Oltre a quella di tipo congenito ed acquisito, può esserci anche un’iperomocisteinemia mista, quando è presente sia una carenza di vitamine che un modesto deficit enzimatico. Quando sospettiamo un trombofilia ereditaria? La sospettiamo se abbiamo pazienti giovani (meno di 45 aa), se compare una trombosi venosa non riconducibile ad un motivo preciso o in seguito ad uno stimolo banale (per es. dopo un lieve sforzo fisico), se è ricorrente in assenza di neoplasie, se compare in sedi non comuni (per es. agli arti superiori oppure a livello addominale), se è presente una storia familiare di TEV (ricordiamo che il TEV può manifestarsi nella parentela in modo non tipico, cioè dobbiamo tenere presente anche per es. il fatto che il paziente abbia una parente che ha presentato aborti ripetuti, che possono essere determinati da fenomeni trombotici a livello della placenta). I test funzionali per la determinazione di alterazioni trombofiliche non dovrebbero mai essere eseguiti durante la fase acuta di un evento trombotico perché possono essere mascherati dalle modificazioni dell’equilibrio (tra tendenze a coagulazione-emorragia) dovuti alla trombosi stessa. È chiaro che se ho un trombo i fattori anticoagulanti saranno stressati al massimo e quindi consumati. Ovviamente tali test non dovremmo farli nemmeno durante la terapia anticoagulante. Inoltre non dovrebbero essere fatti nemmeno durante la gravidanza perché fisiologicamente ci possono essere delle alterazioni. Non dovrebbero essere fatti anche in corso di epatopatie (l’insufficienza epatica è una delle cause più frequenti di deficit coagulativi perché il fegato è la sede principale di sintesi dei fattori della coagulazione e dei fattori anticoagulanti); non è quindi strano che un epatopatico abbia PT alterato ed abbia un deficit di proteina C ed S. Tutte le volte che vogliamo fare uno screening per trombofilia dobbiamo farlo a distanza di almeno 3 mesi dall’evento tromboembolico venoso acuto e dopo la sospensione da almeno un mese della terapia. Come si classifica la malattia tromboembolica? Esistono 2 condizioni patologiche: la trombosi venosa profonda (TVP) e l’embolia polmonare (EP). L’1% della popolazione generale è colpita da questa malattia e la sua incidenza tende ad aumentare con l’età. In America colpisce circa due milioni (su circa 400) di pazienti all’anno. Il 30% dei soggetti con TVP ha delle recidive. Il 30% ha una sindrome postflebitica. È una causa di morte importante negli anziani ed è stato calcolato che le complicanze della TVP (l’EP) uccidono più dell’AIDS e del tumore della mammella insieme. Diagnosi di TVP: Dobbiamo in primo luogo distinguere tre tipi di TVP: quella agli arti inferiori, quella agli arti superiori e la TVP in sedi non usuali. Le tromboflebiti superficiali su vena safena (le varicoflebiti) sono complicanze infiammatorie del fenomeno trombotico (e non sono propriamente TVP); a volte possono associarsi a presenza di TVP ed hanno anch’esse un rischio, anche se inferiore, di evoluzione in complicanze tromboemboliche. Come si manifesta la TVP? Le manifestazioni tipiche sono quelle viste precedentemente, ma a volte è possibile la presenza di una manifestazione atipica, come nel caso clinico considerato oggi, in cui il paziente, pur avendo una serie di conoscenze di tipo sanitario, aveva pensato ad un problema muscolare. Quando abbiamo TVP agli arti inferiori è importante stare attenti alla distinzione che c’è tra TVP di tipo prossimale e quella di tipo distale, vale a dire se la TVP coinvolge le vene al di sopra della rima articolare del polpaccio (cioè sostanzialmente le vene femorali) oppure se colpisce le vene distali, cioè quelle al di sotto del polpaccio cioè quelle al di sotto della rima articolare (la vena poplitea, come nel caso del nostro paziente). Questo perché il rischio di complicanze tromboemboliche è molto diverso. L’EP si ha molto più frequentemente in seguito a TVP prossimali rispetto a quelle distali.

Supponiamo di sospettare che un paziente abbia una TVP. Quali sono le armi a nostra disposizione per fare diagnosi? Il doppler! Sicuramente poi la flebografia è la diagnosi di certezza; flebografia significa incannulare una vena distalmente, inserire un mezzo di contrasto, seguirne il decorso fino all’ostruzione della vena. Oppure abbiamo a disposizione la RMN, che può avere significato in caso di trombosi venose in sedi inusuali, ad es. nel caso di una TV delle vene ovariche un’ECO doppler può non essere adeguato, a differenza della RMN. Il doppler è l’esame di riferimento nelle TV degli arti. In altri casi bisogna pensare di utilizzare le “armi grosse”, quindi RMN o anche la angioTC. La RMN serve soprattutto per valutare l’estensione nel caso di una TV ileo-cavale, cioè nei casi in cui una TVP degli arti possa interessare non solo gli arti ma anche il sistema cavale. Può essere utile anche per una valutazione del mediastino, teniamo infatti presente che è possibile perfino una TV della cava superiore. Le tromboflebiti superficiali possono essere pericolose soprattutto quando colpiscono una vena superficiale, come la safena, per la possibilità che il processo infiammatorio sbilanci il famoso equilibrio di cui abbiamo parlato generando una trombosi venosa che si può poi propagare in sede profonda e quindi complicarsi con una TVP. La tromboflebite superficiale dà TVP nel 6% dei casi, quindi non va sottovalutata! La varicoflebite è la flebite che complica una insufficienza venosa cronica; essa è generalmente meno pericolosa.

EMBOLIA POLMONARE (EB) È l’altra faccia della malattia tromboembolica. È la complicanza, generalmente, di una TVP (ma profonda in senso generale e non dobbiamo pensare solo a quelle degli arti). È sicuramente una diagnosi non facile. Quali sono i sintomi dell’EP? Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo. Nell’ambito della dispnea e tachipnea consideriamo anche la polipnea, che ci dà l’idea di un quadro di respiro superficiale. Se sono presenti sincope ed ipotensione bisogna fare particolarmente attenzione perché potrebbe trattarsi di segni di embolia polmonare massiva: sono coinvolti tanti vasi quindi è condizionato il ritorno venoso al cuore, e di conseguenza il cuore sinistro si trova improvvisamente in deficit di volemia e cala improvvisamente la pressione con conseguente sincope.

Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo. L’EP può essere scambiata facilmente con una BPCO perché può avere sintomi sovrapponibili, in particolare certe volte ci può essere un quadro simil-asmatico, perché se delle regioni polmonari non sono perfuse si ha vasocostrizione per mantenere il rapporto ventilazione/perfusione. Se non perfondo cerco di non ventilare perché se ventilo ciò che non è perfuso peggioro il quadro di ossigenazione ematica. Per questo possiamo avere nella sintomatologia sibili simil-asmatici, oppure rumori umidi come i rantoli perché se c’è un piccolo infarto polmonare è chiaro che ci sarà un po’ di liquido che può passare dall’interstizio al polmone. Tutte le volte che abbiamo un paziente, ricoverato per dispnea, in cui sospettiamo un’EP, sarebbe buona norma visitare il paziente osservando anche le gambe! Andiamo a vedere se ha segni o sintomi di TVP. Diagnosi differenziale dell’EP: Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.

(La dissecazione aortica solitamente si presenta con un dolore intensissimo al torace, posteriormente, e tale sintomatologia può essere mimata da una EP) Arriva in PS un paziente di 75 aa con dispnea e tachipnea, esiti di ictus cerebri, che si muove poco ed ha una gamba un po’ più gonfia dell’altra ma non sono presenti segni precisi di TVP; ha magari una neoplasia nota. Dobbiamo pensare alla possibilità di una EP. Quali armi abbiamo per diagnosticare EP? ECG: se ho EP improvvisamente la pressione nel circolo polmonare sale ed in cuore destro tende a dilatarsi quindi con l’ECG andiamo a cercare i segni di sovraccarico ventricolare destro; essi non sono molto frequenti. Facciamo anche un Rx torace, che si deve fare sempre, anche per fare diagnosi differenziale con altri tipi di patologie. EGA, infatti immaginiamo sia facile che ci sia un deficit di ossigenazione del sangue. Dai banchi vengono poi suggeriti i markers cardiaci e il prof reagisce chiedendoci: supponiamo che il paziente abbia 0,20 di troponina; possiamo escludere che abbia EP? No! La troponina è un marker di sofferenza miocardia. Se il paziente ha EP il cuore ne risente: si dilata nei settori di destra e poi non è molto ossigenato; è quindi verosimile che soffra, tanto più se era già sofferente precedentemente all’EP, quindi si tratterà si una sofferenza legata all’EP e non necessariamente di un infarto miocardico. I marker cardiaci possono quindi avere senso ma non sono i primi da fare se ho il sospetto di EP. D-dimero: è un prodotto di degradazione della fibrina. Ha un valore predittivo negativo alto di EP, cioè è molto probabile che se il D-dimero è normale, cioè se il test è negativo, la malattia non ci sia, quindi ci serve per escludere quest’ultima. Se il D-dimero è positivo non facciamo diagnosi di EP perché potrebbe trattarsi anche di un’altra patologia, però lo teniamo presente perché ci aiuta. Relativamente all’EGA: l’ipossiemia nell’EP può essere assente perchè posso avere un buon compenso funzionale. Affinché ci sia l’ipossiemia è necessario che l’EP sia veramente importante o che ci sia una patologia preesistente. L’alcalosi respiratoria può essere presente nell’EP perché il paziente iperventila. L’ECOcardiogramma è molto importante per la diagnosi differenziale ma spesso non riusciamo a farlo in urgenza perché bisogna passare attraverso l’autorizzazione della cardiologia. Sostanzialmente l’ECOcardio consente, se l’embolo è localizzato molto prossimamente, di vederlo direttamente in corso di ECOcardio però deve essere grosso. Con tale esame possiamo cercare i segni indiretti di cuore polmonare acuto, cioè della dilatazione e della difficoltà pompare del ventricolo destro. Un altro segno cardiaco che può essere presente nell’EP è l’insufficienza tricuspidalica secondaria: se il ventricolo destro si dilata, si dilata il setto della tricuspide quindi si ha insufficienza tricuspidale. È possibile valutare anche il fattore natriuretico atriale, ma tralasciamo. Mentre arriviamo a diagnosticare un’EP dobbiamo pensare anche a quale può essere stata la sua origine: atrio destro, perché la fibrillazione atriale può dare EP (motivo in più per fare ECG; in genere si sa già se il soggetto è fibrillante o no perché spesso si hanno fibrillanti cronici). La fibrillazione di per sé rallenta il flusso del sangue, che tende a ristagnare e si ha trombosi parietale; appena riattivi la funzione contrattile normale i trombi si staccano; infatti i cardiologi iniziano la terapia anticoagulante prima di convertire una fibrillazione atriale. Sicuramente andiamo a cercare la trombosi negli arti inferiori ma questa può essere anche in altre sedi (anche a livello della cava inferiore o superiore) quindi bisogna anche considerare la possibilità di fare una (angio)TC total body. Score di wells: è un famosissimo punteggio che consente, dando dei punti ad ognuno dei sintomi e dei segni che abbiamo visto, o anche a dati di tipo anamnestico, di arrivare ad un punteggio finale che ci aiuta

nel definire la probabilità del soggetto in questione di avere EP. Se tale score è maggiore di 6 la probabilità di avere EP è alta; se è tra 6 e 2 è moderata; se è inferiore a 2 è bassa. Esami strumentali: - Rx torace: nel 15% dei casi di EP è negativo. I segni di Westermark, Palla ed Hampton sono riportati nei testi migliori di semeiotica radiologica ma il prof non ne ha mai visto uno (slide 57). (Westermark → pezzo di polmone completamente nero poiché l’EP impedisce la vascolarizzazione di tale settore; Hampton → l’EP dà una zona triangolare non perfusa per chiusura della relativa arteria polmonare) - TC spirale (slide 58): è sicuramente importante; vedere esempio su slide: trombo segnalato da freccia. È molto utile per localizzare i trombi nelle arterie di grosse dimensioni (lobari e segmentarie) e meno utile per valutare ischemie distali. Il problema è che è costosa, bisogna usare il mezzo di contrasto e deve essere anche disponibile il radiologo che te la fa velocemente. - Scintigrafia polmonare (slide 59-63): usa un radionuclide. Si può fare in 2 modi: può essere solo perfusionale oppure si può aumentare la specificità valutando anche l’aspetto della ventilazione. Si può vedere in questo modo se il problema è dovuto veramente ad un deficit di perfusione o ad un primitivo deficit di ventilazione che provoca poi un deficit di perfusione. La scintigrafia e la TC sono sostanzialmente simili come importanza nella diagnostica; hanno sensibilità e specificità sovrapponibili, anche se la scintigrafia può essere un po’ più utile nelle arterie distali. - L’angioTC (slide 64) costa di più della scintigrafia ma il problema è che non in tutti gli ospedali hai a disposizione entrambe le tecnologie. È più facile che sia presente la TC piuttosto che il centro radioisotopi. Al policlinico facciamo di più la scintigrafia. Di notte però, per es., si può fare solo la TC. L’angiografia è il gold standard. È chiaro che non c’è nulla di meglio che iniettare un mezzo di contrasto dentro al vaso per vedere se è chiuso. L’angiografia polmonare è qualcosa di simile alla venografia, però chiaramente ha dei problemi non da poco: bisognerebbe fare un cateterismo cardiaco quindi ha un’invasività. Terapia del TVP: nelle condizioni di TVP, fibrillazione atriale non recente (NRAF), valvola meccanica ed embolia arteriosa c’è un rischio di sviluppare un tromboembolismo. Come fare la terapia? Tra i farmaci a disposizione il più antiquato ma quello ancora più utilizzato è l’eparina standard, quella non frazionata; poi viene l’eparina a basso peso molecolare. Le soluzioni scritte in piccolo nella slide numero 69 (attivatore del plasminogeno e trombolisi diretta via catetere) sono quelle che usiamo di meno. Gli anticoagulanti orali (in particolare il Warfarin) è invece utilizzatissimo. Poi ci sono i farmaci più nuovi che tratteremo dopo. Parliamo dell’eparina standard, cioè la classica eparina che si fa in vena, che trova ancora indicazione in rare occasioni, ossia quando abbiamo un’embolia polmonare massiva e quando abbiamo una TVP o un’EP in pazienti con IRC, in cui quindi l’uso di eparina a basso peso molecolare non può essere sfruttato a causa dell’insicurezza dell’attività farmacologia di tali farmaci. Le eparine a basso peso molecolare hanno utilizzo sia nella terapia sia nella profilassi del TVP e dell’EP. Gli anticoagulanti orali vengono in seconda battuta. Meccanismo di azione dei vari farmaci: l’eparina standard agisce portando ad una modificazione conformazionale dell’antitrombina che quindi funziona di più e va ad agire su determinati fattori ed in particolar modo blocca la formazione della trombina e del fattore decimo attivato. L’eparine a basso peso molecolare agiscono anch’esse andandosi a legare all’antitrombina ed hanno un’azione prevalente sul fattore decimo attivato (e non sulla trombina); gli anticoagulanti orali invece bloccano la formazione da parte del fegato dei fattori della coagulazione vitamina K-dipendenti (II,VII,X,X). L’eparina è un composto che una volta veniva ricavato dall’intestino di maiale e dal polmone bovino; la sua attività prevalente si esplica attraverso l’antitrombina (ATIII).

La molecola di eparina ha una porzione cosiddetta pentasaccaridica (slide numero 73) che si lega all’ATIII ed è grazie a questa porzione che svolge la sua attività; poi ha una coda, che generalmente è maggiora di 13 saccaridi, che può determinare un’inibizione diretta (cioè non tramite l’ATIII) della trombina (fattore II), soprattutto a concentrazioni elevate. Tramite l’antitrombina si ha anche inibizione del fattore Xa. Come si monitora l’eparina? Utilizziamo l’aPTT, che è l’esame che esplora la via intrinseca (slide 74). Nel paziente che ha TVP, 80 aa e 2 di creatinina, quindi un fitrato glomerulare di 25-30, non posso mettere su il clexane (ossia l’eparina a basso peso molecolare); mi tocca metter su l’eparina normale. Vado poi a valutare l’aPTT e il rapporto aPTT paziente/cotrollo deve rimanere tra 1,5 e 2,5. Quando metto su l’eparina devo fare un controllo dell’aPTT dopo sei ore e finchè non raggiungo almeno due valori stabili di aPTT tra 1,5 e 2,5 devo ripetere il controllo ogni sei ore; dopo due valori stabili lo faccio poi ogni 12 ore. L’altro problema importante dell’eparina è che può portare alla piastrinopenia: una precoce, che è generalmente benigna e reversibile, ed una secondaria (può insorgere 7-8 gg dopo) che può associarsi paradossalmente a delle manifestazioni trombotiche. Nel paziente ricoverato nei primi giorni di terapia valuteremo quindi, oltre all’aPTT, anche l’emocromo. E guardiamo bene le piastrine, oltre all’Hb. Guardiamo che le piastrine non calino sotto le centomila o che non calino più del 30% del valore iniziale. Le eparine a basso peso molecolare sono più corte dell’eparina standard (slide 77). Hanno la molecola del pentasaccaride quindi possono unirsi all’ATIII ed attivarla, quindi attivare il Xa, però, avendo meno di 13 saccaridi nella catena “coda”, non hanno un’inibizione diretta sulla trombina; è proprio per questo che, generalmente, quando utilizziamo un’eparina a basso peso molecolare non si hanno delle modificazioni dell’aPTT (si potrebbero avere modificazioni solo qualora vi fosse accumulo del farmaco). Vantaggi EBPM: slide 78. sono utili! L’infermiera non deve fare ogni 6 ore il prelievo, il medico di guardia non deve svegliarsi alle 3 di notte a controllare l’aPTT, si fanno 2 volte/die sottocute (non in vena) e possono essere fatte a domicilio e dal paziente stesso; hanno un minore rischio di piastrinopenia ed un minor rischio emorragico rispetto alle eparine standard. L’unico problema è che hanno un effetto anticoagulante che però non è monitorabile e quindi per questo motivo non possiamo usarle nel paziente con IR. Spesso quando lo usiamo nei pazienti anziani con una creatinina un po’ alterata ritroviamo poi una complicanza emorragica o un allungamento anomalo dell’aPTT, che non dovrebbero avere. Quando usiamo le EBPM (slide 79)? Nella prevenzione di tutti i casi, visti prima, che possono portare ad una TV, e nel trattamento. Sono state introdotte anche in altre condizioni come l’IMA non Q, l’angioplastica coronarica e la fibrillazione atriale (come ponte all’anticoagulante orale). Trascuriamo le differenze tra le eparine non frazionate (ENF) e le EBPM (slide 80). Slide 82: il prof consiglia di tenere a portata di mano la tabella con tutte le eparine presenti in commercio, con nomi commerciali e dosaggi in terapia o in profilassi. In ospedale nel 95% dei casi utilizziamo il clexane e nel 5% il fragmin. Una volta curato un paziente con la TVP, per non mandarlo a casa con la pompa per l’infusione o con le punture di eparina da fare in pancia con la possibilità che si formino ematomi, gli diamo il Warfarin (Coumadin), utilizzatissimo. Esso blocca la produzione a livello epatico dei fattori vitamina K-dipendenti. L’attività della singola compressa da 5 mg di coumadin è molto diversa da persona a persona, perché chiaramente modificano la disponibilità di esso vari fattori (IR, infiammazioni, assunzione di altri farmaci..). Il monitoraggio degli anticoagulanti orali è un attento gioco di equilibrismo e fortunatamente a Modena c’è un ambulatorio dedicato (di Marietta).

Per il Coumadin non monitoriamo l’aPTT ma il PT, espresso come INR (slide 86). L’INR nella maggior parte dei casi (ossia nella TVP, nell’EP,..) deve essere mantenuto tra 2 e 3 (slide 98); in altre condizioni invece deve essere mantenuto a valori più alti. Perché dobbiamo fare la profilassi nell’anziano ricoverato per polmonite? Perché tale tipo di paziente ha, nell’ambito della medicina interna, una stima di incidenza di TEV del 15%! Il 75% dei pazienti che vanno incontro a decesso per embolia polmonare sono pazienti che non sono stati sottoposti ad intervento chirurgico di chirurgia maggiore (per il quale si è molto più attenti, tant’è che in chirurgia ed in ortopedia hanno come provvedimento fisso di fare a tutti il clexane! A medicina interna invece dipende, però cmq la situazione migliora).

Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo. Per la profilassi usiamo in tutti i pazienti, a meno che non ci siano problemi di allergie al farmaco, le eparine a basso peso molecolare, indipendentemente dal peso e dal grado di IR, perché si è visto ad es. che il clexane a dosaggio di 4000 unità una fiala sottocute al giorno va bene per l’anziano di 40 chili fino ad arrivare all’obeso di 120 chili, sia che abbiano 1, sia che abbiano 2,5 di creatinina; non c’è un aumentato rischio emorragico. Nel caso in cui ci sia controindicazione all’uso di eparina, per allergie o perché il paziente sta sanguinando, si usano mezzi fisici come le calze antitrombo (ad entrambe le gambe). Terapia TVP: in presenza di un sospetto clinico elevato, cioè nel paziente per il quale sospettiamo la presenza di una TVP o di una EP, la terapia dovrebbe essere iniziata anche prima della conferma strumentale. E possiamo usare: - l’eparina standard - l’eparina a basso peso - gli anticoagulanti orali Il clexane si usa in terapia al dosaggio di 100 unità pro chilo 2 volte/die; ossia all’anziana di 40 chili farò 40 per 100 unità 2vv/die, al soggetto di 60 chili farò 6000 unità/die ed a quello di 100 kg ne farò 10000 (tempo fa c’era il problema che la dose oltre le 10000 unità non era commercializzata quindi bisognava fare più punture contemporaneamente). E il coumadin? Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo. Paziente classico con TVP: nel primo giorno faccio eparina a dosi terapeutiche (clexane 6000, 2 vv/die) più una compressa da 5 mg di coumadin, di solito alle ore 16 poiché si è lontani da cena e pranzo (alcuni cibi interagiscono con l’assorbimento del warfarin). Nel secondo giorno: idem (gli faccio un controllo dell’INR per vedere che il paziente non si particolarmente sensibile e quindi che non abbia un aumento dell’INR). Terzo giorno: idem, poi faccio un controllo dell’INR per gli altri 3 gg. Quindi nei primi 3 giorni do una compressa di coumadin più o meno a tutti; dal quarto giorno in avanti invece ci vuole un po’ di esperienza o bisogna telefonare a Marietta. Cioè faccio 3 compresse; al quarto giorno il paziente ha un INR di 1,8: ci sarà il medico coraggioso che deciderà autonomamente di fare mezza compressa e quello più indeciso che si consulterà con Marietta. La biodisponibilità dei farmaci è molto variabile da persona a persona. Il target dell’INR deve essere tra 2 e 3 per la TVP e per L’EP. Per quanto tempo devo fare il coumadin al paziente che ho ricoverato ed in cui ho trovato le TVP? Dipende: - Se il paziente è in una condizione di TVP in seguito ad un intervento chirurgico maggiore dopo il quale è stato allettato ed immobilizzato e non gli è stata fatta adeguatamente la profilassi (criminosamente), sarà

sufficiente fare terapia per un periodo minore perché siamo sicuri di quale sia causa che ha portato alla TVP. - Quando la causa è meno certa devo continuare per più tempo la terapia. In alcune condizioni, per es. in presenza di omozigosi del fattore V di Leiden o della mutazione della protrombina, i pazienti assumono a vita il coumadin. Ritorniamo al caso clinico iniziale perché è un esempio del fatto che, al di là delle regole generali viste oggi, ci sono casi particolari in cui l’esperto (Marietta) prende decisioni su misura. Secondo lo schema generale il paziente avrebbe dovuto iniziare la terapia con l’eparina a basso peso molecolare sottocute a dosaggio terapeutico (pesa 78 kg quindi facciamo 0,8 per 2vv/die) ed avrebbe dovuto iniziare subito in seconda giornata (o in prima) con la terapia col coumadin: una compressa per 3 die poi valutazione dell’INR; quando questo fosse stato nel range (supponiamo 2,2-2,3) lui avrebbe dovuto continuare per altri due gg eparine a basso peso molecolare, sospendere le punture e continuare con la terapia anticoagulante. Quest’ultima per quanto tempo? Dobbiamo tenere presente che essa può dare dei problemi in un paziente di questo tipo. Quali? Non abbiamo una risposta, tant’è vero che lui sta facendo l’eparina a basso peso molecolare ancora, senza fare terapia anticoagulante orale; la farà per 3 mesi, poi sospenderà, rifarà la valutazione della trombofilia ed in quel momento si deciderà se sospendere l’EBPM completamente oppure no. Il nostro paziente ha 40 aa; dobbiamo fargli terapia anticoagulante orale per tutta la vita, col rischio che per una semplice botta gli venga un ematoma? Si tratta di casi per i quali è difficile prendere una decisione. E se (mentre gli sto facendo la terapia): Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo. le piastrine le devo guardare per controllare la piastrinopenia in corso di eparina. Se l’emorragia è importante devo sospendere la terapia. Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo. Vi è maggior rischio di piastrinopenia durante l’uso di eparina standard (ENF) rispetto all’EPBM, soprattutto tra il quinto ed il decimo giorno dall’inizio della terapia, per la formazione di Ac anti-piastrine indotti da eparina. Quali farmaci abbiamo a disposizione nell’emergenza? Nel caso io stia dando eparina standard, e solo in questo caso, posso usare il solfato di portamina, che è un farmaco che neutralizza l’attività dell’eparina; 1 mg neutralizza 100 unità di eparina. Dobbiamo quindi calcolare quanta eparina abbiamo infuso al paziente; sarà sufficiente neutralizzarne la metà per avere già un effetto protettivo nei confronti di un eventuale nuovo sanguinamento. Se il paziente sanguina mentre è in terapia col warfarin? non posso usare il solfato di protamina. Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo. Gli diamo il Konakion, che è vitamina K; è il fitomenadione. In caso di un sovradosaggio, come molto spesso capita nell’anziano che ha BPCO e quindi ha accumulato un po’ warfarin, diamo il konakion in gocce (sono sufficienti 2 gocce per valori di INR maggior di 5 o 6 senza un’emorragia importante in atto). Se invece c’è una complicanza emorragica possiamo usare il konakion in fiale, stando attenti a darlo lentamente perché può scatenare reazioni simil-anafilattiche ed ipotensione, oppure usiamo fattori della coagulazione pronti che abbiamo nel plasma fresco congelato. Terapia EP: Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo. Possiamo usare nell’EP non emodinamicamente instabile normalmente ed in maniera indifferente l’eparina non frazionata o di basso peso molecolare; nei pazienti in cui c’è un’EP massiva bisogna che i cardiologi usino la streptochinasi o i farmaci tromboembolitici. Come si usa l’eparina standard? Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo.

Fare il bolo di 80 unità pro kg poi metto su 250 o 500 cc di fisiologica e la faccio andare giù alla velocità iniziale di 18 unità pro kg/ora. Poi controllo l’aPTT a 6 ore e guardo che sia tra 1,5 e 2,5; se è più alto dovrò ridurre la velocità d’infusione e se è più basso devo invece aumentare. Slide 106: schema illustrante tutte le modificazioni posologiche e di velocità che si devono attuare in caso di alterazioni dell’aPTT. Se poi ho due valori di aPTT nel range di normalità potrò fare tale valutazione ogni 12 ore. L’effetto anticoagulante dell’eparina standard cessa dopo 60 minuti. Le EBPM: hanno un’efficacia equivalente a quella dell’eparina standard (ENF), non richiede monitoraggio né aggiustamenti di posologia; somministrazione sottocute, possono essere somministrate dal paziente stesso, danno un minor rischio di trombocitopenia, costano meno (anche perché non bisogna fare tutti i vari controlli dell’aPTT), non possono essere usate nell’IR per elevato rischio emorragico ed imprevedibilità di azione (perché non esiste un cut-off della clearance della creatinina rispetto il quale poter stare tranquilli). La trombolisi per l’EP (slide 108) viene utilizzata solamente nei pazienti con shock cardiogeno, che in medicina interna sono pochi. Ultime 3 slide riguardano due gruppi di nuovi anticoagulanti. ♪ Uno è il fondaparinux, che è un ulteriore derivato dell’eparina (molto piccolo: 1700 Dalton)che inibisce in maniera diretta il fattore decimo attivato, ed anche parzialmente in maniera indiretta mediante l’ATIII. Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo. Il fondaparinux non ha confermato tutte le speranze che erano riposte in esso. ♪ I farmaci più nuovi sono gli inibitori diretti della trombina (come il Dabigatran), che agiscono direttamente bloccando la trombina. Sono dei derivati delle irudine. Agiscono probabilmente su quello che è l’elemento centrale di tutto il sistema della coagulazione. Avrebbero tutta una serie di vantaggi: risposta anticoagulante prevedibile, non si legano alle proteine plasmatiche (quindi non subiscono alterazioni che possono invece subire per es. gli anticoagulanti orali classici, che possono essere scalzati da altri farmaci e quindi esplicare un effetto eccessivo), bloccano in parte anche l’aggregazione piastrinica, non provocano trombocitopenia e non devono essere monitorati. Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo. Errore. Non si possono creare oggetti dalla modifica di codici di campo. Se un paziente è già in terapia anticoagulante orale (ed è in range: per es. ha 2,7-2,8 di INR) ma, nonostante ciò, presenta ugualmente una TVP o un’EP, cosa faccio? Si potrebbe sospendere l’anticoagulante provando a rimettere su l’eparina; poi potremmo valutare la sede della trombosi e nel caso sia grave prendere in considerazione un intervento drastico, a seconda della condizione del paziente (per es. se c’è una TVP esiste la possibilità di usare l’”ombrellino” che previene l’EP).

Malattie gastrointestinali  Dolore addominale I1 dolore addominale rappresenta una manifestazione frequente di patologia intra-addominale. I1 dolore addominale può essere classificato come acuto o cronico. Il dolore acuto si verifica improvvisamente e suggerisce la presenza di alterazioni fisiologiche importanti. A1 contrario, il dolore cronico può essere presente per diversi mesi; sebbene non richieda un'attenzione urgente, il dolore cronico può necessitare di una successiva valutazione a lungo termine. FISIOLOGIA I1 dolore addominale è determinato dalla stimolazione di specifici recettori termici, meccanici o chimici. Quando tali recettori vengono stimolati, gli impulsi dolorifici viaggiano lungo le fibre simpatiche. Il dolore addominale può essere di natura somatica o viscerale. 11 dolore somatico (netto e distintamente localizzabile) trae origine dalla parete addominale e dal peritoneo parietale, mentre il dolore viscerale (di estrema variabilità quanto a sensazione soggettiva e a localizzazione) trae origine dagli organi interni e dal peritoneo viscerale. Il dolore viscerale risulta dallo stiramento delle pareti degli organi cavi, o della capsula degli organi solidi, cosi come dall'infiammazione e dall'ischemia.

CAUSE DI DOLORE ADDOMINALE Il dolore addominale può essere dovuto a numerose patologie intra-addominali ed extra-addominali. CARATTERISTICHE CLINICHE Anamnesi La diagnosi differenziale del dolore addominale, tra do1ore acuto e cronico, richiede la raccolta di un'anamnesi accurata riguardo a caratteristiche, localizzazione e decorso temporale, ed eventuale presenza di sintomi di accompagnamento. La localizzazione del dolore è spesso indicativa dell'organo responsabile del problema. E’ possibile anche che il dolore correlato ad una data patologia venga inizialmente percepito in una sede e che in seguito venga invece percepito in un’ altra; questo schema di progressione pub essere suggestivo di alcune sindromi specifiche. In diagnosi può essere utile conoscere la modalità con cui il dolore si attenua. Il clinico deve anche cercare di stabilire se il dolore è stabile, intermittente o se esacerba durante la notte. Riguardo al dolore notturno, va fatta una distinzione tra il dolore che determina il risveglio del paziente e il dolore che viene avvertito se il paziente si sveglia per altre ragioni. La tabella riporta le caratteristiche, la localizzazione e l ' irradiazione del dolore in alcune patologie addominali acute e croniche più frequenti. Condizione Dolore addominale acuto Appendicite Colecistite Pancreatite Perforazione Ostruzione Infarto

Tipo

Localizzazione

Irradiazione

Crampiforme, stabile Intermittente, stabile Stabile Improvviso, intenso Crampiforme Intenso, diffuso

Periombelicale, RLQ Epigastrica, RVQ Epigastrica, periombelicale Epigastrica Periombelicale Periombelicale

Dorso Scapola destra Dorso Intero addome Dorso Intero addome

Dolore addominale cronico Esofagite Ulcera peptica Dispepsia IBS

Urente Corrosivo Senso di gonfiore Crampiforme

Retrosternale Epigastrica Epigastrica LLQ, RLQ

Braccio sinistro, dorso Dorso Nessuna Nessuna

IBS: Sindrome del colon irritabile; LLQ: quadrante inferiore sx; RLQ: quadrante inferiore dx; RVQ: quadrante superiore dx

ESAME OBlETTIVO Un paziente che si contorce nel letto e che non riesce a trovare una posizione che gli dia sollievo potrebbe soffrire di un problema ostruttivo. Al contrario, un paziente che giace con gli arti inferiori flessi e che evita ogni movimento potrebbe avere una peritonite. La distensione dell'addome indica ostruzione o ascite. Movimenti peristaltici visibili all'ispezione della parete addominale orientano verso una diagnosi di ostruzione del piccolo intestino, anche se il segno è presente solo nelle fasi precoci. La presenza di aree focali di distensione addominale può suggerire l'esistenza di ernie; va inoltre posta attenzione ad ogni eventuale ferita chirurgica. L'auscultazione va effetuata in diverse sedi al fine di valutare il timbro e le caratteristiche dei rumori intestinali, e al contempo ricercare eventuali soffi vascolari e borgorigmi. Un’assenza di rumori intestinali suggerisce la presenza di un ileo paralitico, mentre la presenza iperperistalsi può indicare ostruzione. La presenza di soffi multipli deve allertare il clinico circa la possibilità di un'importante patologia vascolare e di un fenomeno ischemico. Un’ esplorazione rettale è infine utile per ricercare un eventuale tumore responsabile di un'ostruzione del colon o una dolorabilità della porzione superiore del retto in caso di ascite acuta. Nelle donne, al fine di escludere una malattia infiammatoria pelvica, va effettuato un esame della pelvi. Addome acuto E’ causato da una improvvisa infiammazione, perforazione, ostruzione o necrosi di diversi organi addominali. Tuttavia,va ricordato che alcune affezioni ex addominali, quali polmonite, infarto del miocardio, nefrolitiasi e alcuni disturbi metabolici, possono indurre dolore addominale acuto. In caso di addome acuto l'indagine anamnestica è molto importante, in particolare riguardo a eventuali pregressi interventi chirurgici: infatti, un paziente con un improvviso dolore crampiforme ed una distensione addominale può avere un’ostruzione intestinale dovuta ad aderenze o ad una ernia incarcerata. inoltre importante effettuare un esame obiettivo completo, ricercando la presenza di ittero, lesioni cutanee o segni di epatopatia cronica. Emocromo completo con formula leucocitaria, esame delle urine, dosaggio dell'amilasi sierica, della lipasi, della bilirubina e degli elettroliti sono esami di laboratorio che vanno praticati di routine. Una leucocitosi può indicare una malattia infiammatoria intestinale, mentre una marcata leucocitosi è un reperto abbastanza tipico di ischemia intestinale. Una iperamilasemia generalmente suggerisce una pancreatite acuta, sebbene un aumento dell’amilasi possa verificarsi anche per un’ulcera perforata o una trombosi mesenterica. L'esame Radiologico è un elemento essenziale nella valutazione del paziente con addome acuto: rivela la presenza di gas nell'intestino; un radiogramma eseguito in posizione eretta, tale da includere il diaframma , o effettuato in decubito laterale sinistro può aiutare a rilevare la presenza di aria intraddominale. L'ultrasonografia può essere utile nella diagnosi di colecistite acuta o di appendicite. La TC è da considerare un esame di grande utilità, e può consentire la diagnosi precoce di patologie addominali talvolta non sospettate. Dolore addominale cronico

Il clinico deve differenziare il dolore organico, causato da uno specifico processo patologico, da quello funzionale. La localizzazione e le caratteristiche del dolore sono importanti ai fini diagnostici, al pari degli eventuali altri sintomi di accompagnamento. La presenza di nausea post-prandiale e vomito suggerisce una diagnosi di ulcera peptica, di alterazione dello svuotamento gastrico o di lesioni ostruttive. La documentazione di una perdita di peso impone la ricerca di una causa organica, come la malattia infiammatoria intestinale o il morbo celiaco. Se la perdita di peso è accompagnata da anoressia, è necessario escludere una patologia neoplastica, soprattutto negli anziani. Se non è possibile diagnosticare una neoplasia e tutte le indagini diagnostiche risultano nella norma, va presa in considerazione la diagnosi di depressione cronica. Le cause più frequenti di dolore addominale cronico sono di tipo funzionale. La dispepsia è caratterizzata da Dolore epigastrico cronico di tipo intermittente, talvolta associato a nausea o senso di gonfiore. La sindrome del colon irritabile è un'affezione molto comune. La sindrome si manifesta con distensione addominale, flatulenza e disturbi intestinali funzionali. I1 dolore addominale tende a localizzarsia livello del quadrante inferiore sinistro, sebbene possa manifestarsi anche altrove o essere generalizzato. Ogni paziente che presenti perdita di peso, anemia, sintomi notturni, steatorrea, o un'insorgenza dei sintomi dopo i 50 anni di età va valutato attentamente riguardo all'eventuale presenza di una malattia organica. I criteri utili nella diagnosi di sindrome a da colon irritabile sono dolore associato a cambiamento delle "abitudini" intestinali, alleviate dalla defecazione o accompagnato da distensione addominale o sensazione di gonfiore. I pazienti vanno rassicurati e trattati con anticolinergici ed emollienti delle feci. Il problema clinico più ostico riguardo al dolore addominale è la sindrome da dolore addominale cronico benigno. Questo termine descrive una situazione in cui il dolore è presente da mesi o addirittura da anni. La percezione soggettiva del dolore è spesso non correlata all’alimentazione, alla defecazione, al ciclo mestruale, a differenza di altre cause di dolore cronico. I1 paziente non è un simulatore, a dispetto del fatto che il dolore non sia ascrivibile ad alcun pattern familiare.

Approccio al pz con dolore addominale cronico:

Emorragia gastrointestinale  Emorragia gastrointestinale acuta Se si verifica un sanguinamento gastrointestinale massivo i pazienti di solito manifestano vertigini, stordimento, respiro corto, alterazioni posturali della pressione arteriosa o del polso, dolore addominale crampiforme e diarrea. Le caratteristiche del sanguinamento possono essere di ausilio per localizzare la fonte di sanguinamento a livello del tratto gastrointestinale superiore o inferiore. I pazienti con sanguinamento acuto di solito esibiscono uno dei seguenti sintomi:

Ematemesi Vomito di materiale rosso vivo o simile al fondo di caffè. Dopo aver escluso la possibilità che il soggetto abbia inghiottito del sangue proveniente dal nasofaringe o secondario ad emottisi, è probabile che il sanguinamento origini prossimalmente al legamento di Treitz. Melena Una quantità di sangue pari a 50-100 ml nello stomaco può produrre melena. Feci nere, catramose, di solito di odore estremamente sgradevole sono spesso una manifestazione di sanguinamento del tratto gastrointestinale superiore; comunque, occasionalmente, la melena può anche essere conseguente ad un’emorragia localizzata nell’intestino tenue o nel colon prossimale. Ematochezia L’emissione dal retto di sangue o di feci rossastre indica generalmente un sanguinamento del tratto gastrointestinale inferiore. EZlOLOGlA DEL SANGUINAMENTO GASTROINTESTINALE Fonte Tratto gastrointestinale superiore Esofagite Cancro esofageo Gastrite, Ulcera gastrica Duodenite, Ulcera duodenale Cancro gastrico Varici esofago-gastriche Sindrome di Mallory-Weiss Tratto gastrointestinale inferiore Infezione Malattia infiammatoria intestinale Diverticoli Angiodisplasia Cancro del colon Polipo del colon Colite ischemica Diverticoli di Meckel Emorroidi

Caratteristiche cliniche associate

Trattamento

Bruciore retro sternale,disfagia, odinofagia Disfagia progressiva, perdita di peso Uso di aspirina e FANS Dolore addominale, dispepsia, infezione HP Sazietà precoce, perdita di peso, dolore Epatopatia cronica Vomito prima dell’ematemesi

Farmaci, chirurgia Radio-chemio, chirurgia Sospensione trattamento Farmaci, endoscopia Chirurgia, chemio Legatura varici Terapia supportiva

Esposiz all’anamnesi, diarrea, febbre Colite, diarrea, dolore, febbre Ematochezia senza dolore Ematochezia senza dolore Variaz dell’alvo, perdita di peso, anemia Di solito asintomatico Soggetti anziani, patologia vascolare, dolore Ematochezia senza dolore Sanguinamento rettale associato a motilità intestinale

Antibiotici Steroidi, immunoterapia, chir Di supporto, chirurgia Terapia endoscopica Chirurgia Rimozione chirurgica o endo Di supporto Chirurgia Di supporto, chirurgia, legatura

APPROCCIO AL PAZIENTE CON SANGUINAMENTO GASTROINTESTINALE Valutazione dei segni vitali e rianimazione Determinare la severità della perdita di sangue: Vanno registrati immediatamente i segni vitali, con le eventuali variazioni posturali. Se la pressione arteriosa sistolica si riduce di oltre 10 mmHg e la frequenza cardiaca aumenta più di 10 battiti al minuto modificando la posizione del paziente da supina ad eretta, è probabile che il paziente abbia perso almeno 800ml(15%) del volume ematico circolante. Ipotensione,

tachicardia, tachipnea ed alterazioni dello stato mentale in un quadro di emorragia gastrointestinale acuta sono suggestive di una perdita di volume ematico circolante di almeno 1500 ml (30%). Inizialmente viene utilizzato un grosso catetere intravenoso per somministrare soluzioni isotoniche (soluzione di Ringer lattato, NaCl all0 0,9%) e, se indicato, prodotti del sangue. Se il paziente è in stato di shock, va stabilito un accesso venoso centrale. Se lo stato della coagulazione è anomalo, come si osserva comunemente nei pazienti cirrotici, può essere necessaria la trasfusione di plasma fresco congelato e/o piastrine per controllare l’emorragia in corso. Valutazione iniziale 1. La natura del sanguinamento: melena, ematemesi, ematochezia, o sangue occulto. E’ essenziale un esame rettale per determinare il colore delle feci e per identificare eventuali fessurazioni anali o neoplasie intestinali. 2. La durata del sanguinamento, che aiuta a determinare la fonte dell'emorragia. 3. La presenza o meno di dolore addominale; per esempio, l’ematochezia causata da un diverticolo sanguinante o da un'angiectasia tipicamente non associata a dolore; al contrario, quando è causata da un'ischemia può essere accompagnata da dolore addominale. 4. Altri sintomi associati, compresi febbre, tenesmo, urgenza alla defecazione, recente variazione delle abitudini intestinali, perdita di peso. 5. Assunzione in corso o recente di farmaci, in particolare di anti-infiammatori non steroidei (FANS) o acido acetilsalicilico, che può predisporre alla malattia ulcerosa o alla gastrite emorragica, Anticoagulanti e di alcol. 6. Patologie remote di rilievo ed anamnesi chirurgica L'esame obiettivo deve comprendere la valutazione dei segni vitali, l'esame cardiaco e polmonare e l'esplorazione rettale digitale. Gli esami di laboratorio iniziali devono comprendere una conta completa delle cellule ematiche, la tipizzazione del sangue, il cross-matching, ed il dosaggio degli elettroliti sierici, dell'azotemia, della creatininemia e dei fattori della coagulazione. I1 primo ematocrito può non riflettere l'entità esatta della perdita di sangue; esso diminuire gradualmente sino a stabilizzarsi entro 24-48 ore. IDENTIFICAZIONE DELLA FONTE DI SANGUINAMENTO I dati emergenti dall’anamnesi ed i reperti dell'esame obiettivo consentono di dirimere se la localizzazione del sanguinamento sia a livello del tratto gastrointestinale superiore (prossimalmente al legamento di Treitz) o inferiore (distalmente a tale punto). Nel paziente con melena o ematemesi, va individuato in prima istanza il tratto gastrointestinale superiore. I pazienti con ematochezia più comunemente hanno un sanguinamento la cui fonte è il tratto gastrointestinale inferiore, ma quando la velocità del sanguinamento è elevata, una lesione a livello del tratto gastrointestinale superiore può determinare ematochezia. Un primo passo ragionevole in questi casi è il posizionamento di un tubo nasogastrico per individuare la presenza la natura dei contenuti. In generale, nei pazienti con emorragia gastrointestinale acuta e significativa perdita di sangue, un'endoscopia del tratto superiore deve essere il primo passo nella valutazione. Una volta che si sia identificato invece il tratto gastrointestinale inferiore come la sede del sanguinamento, la sigmoidoscopia e la colonscopia rappresentano gli esami elettivi. In caso di sanguinamento dal tratto gastrointestinale inferiore in cui la velocità del sanguinamento è così elevata da precludere la visualizzazione endoscopica del colon e del retto, l’esame scintigrafico con eritrociti marcati con colloide solforoso contenente Tecnezio-99 (-Tc) o con Tecnezio-99 pertecnectato può permettere di localizzare il sito di sanguinamento.  Emorragia gastrointestinale cronica L'emorragia gastrointestinale cronica può presentarsi con episodi ricorrenti ed autolimitanti di melena o ematochezia, in assenza dell'impatto emodinamico riscontrato in caso di evento acuto. I pazienti possono

anche non presentare alcuna evidenza tangibile di perdita ematica, ma avere un'anemia persistente ed una consistente perdita occulta di sangue. Le cause probabili di questo tipo di sanguinamento sono diverse da quelle del sanguinamento acuto. I pazienti interessati da questa condizione di solito sono stati sottoposti ad un esame endoscopico del tratto gastrointestinale superiore o inferiore almeno una volta, senza che sia stata identificata alcuna fonte di sanguinamento. In generale, l'intestino tenue viene valutato radiologicamente. Nel paziente con persistente perdita di sangue in cui non è possibile identificare endoscopicamente alcuna fonte di sanguinamento a livello del tratto gastrointestinale superiore o del colon, e con reperti radiografici negativi, viene esaminato l'intero intestino tenue mediante una laparotomia con endoscopia operatoria. Inoltre la valutazione angiografica dell'intero tratto gastrointestinale pub rivelare la fonte del sanguinamento cronico.

Malassorbimento I1 termine maldigestione fa riferimento all'insufficienza del processo di idrolisi dei nutrienti, mentre il termine malassorbimento si riferisce ad una disfunzione dell'assorbimento a livello della mucosa. Nella pratica clinica comunque con malassorbimento ci si riferisce a tutti gli aspetti attinenti ad una disfunzione dell'assimilazione delle sostanze nutrienti. I1 malassorbimento può coinvolgere una molteplicità di elementi nutritivi o essere più selettivo, e le manifestazioni cliniche di malassorbimento sono pertanto altamente variabili. I1 processo completo dell'assorbimento consiste di una fase luminale, in cui vari elementi vengono idrolizzati e solubilizzati; una fase mucosa, in cui ulteriori processi hanno luogo a livello del bordo a spazzola delle cellule epiteliali con successivo trasporto all'interno della cellula; ed una fase di trasporto, in cui i nutrienti sono mobilitati dall'epitelio alla circolazione portale o linfatica. Una disfunzione in ciascuna di queste fasi può dare esito a malassorbimento. FASE LUMINALE La digestione è operata per la maggior parte dagli enzimi pancreatici, in particolare la lipasi, la colipasi, e la tripsina; gli enzimi gastrici digestivi non giocano un ruolo rilevante. Di conseguenza la pancreatite cronica può dare luogo a malassorbimento, in particolare dei grassi e delle proteine. Anche la carenza di sali biliari contribuisce a1 malassorbimento di grassi e può essere il risultato di epatopatie col estatiche (disfunzione della secrezione biliare), di una carica batterica elevata (che determina de-coniugazione dei sali biliari luminali), e di una patologia o della resezione ileale (con perdita di un’efficace circolazione biliare enteroepatica). La maggior parte della digestione si verifica nel duodeno e nel digiuno prossimale. FASE MUCOSA La malattia che colpisce la mucosa è una causa comune di malassorbiiento, e si può verificare a seguito di una patologia diffusa dell'intestino tenue, come la sprue celiaca o il morbo di Crohn, o a causa di una riduzione della superficie mucosa (ad es., dopo resezione chirurgica per infarto intestinale). Eventuali difetti selettivi nel contesto di un intestino complessivamente normale possono dare esito ad entità specifiche come il deficit di lattasi o di beta lipoproteina. FASE Dl TRASPORTO Dopo l'assorbimento i nutrienti lasciano la cellula attraverso i vasi venosi o linfatici. Di conseguenza il malassorbimento può verificarsi dopo un'ostruzione del circolo venoso mesenterico,una linfangectasia, o un'ostruzione linfatica ascrivibile a processi maligni o infiltrativi (morbo di Whipple). MANIFESTAZIONE CLINICHE DI MALASSORBIMENTO Le manifestazioni cliniche del malassorbimento sono di solito aspecifiche. Possono verificarsi precocemente modificazioni della motilità intestinale, di solito con diarrea e perdita di peso. In una fase successiva si sviluppano i sintomi e i segni della carenza di sostanza nutritive. La perdita di massa muscolare e l'edema sono determinati dal malassorbimento di proteine. L'anemia nutrizionale, causata dal deficit di ferro e

vitamine (folati e B12) contribuisce ad uno stato di stanchezza. La tendenza al sanguinamento, che può manifestarsi con ecchimosi, può attribuirsi al prolungato tempo di protrombina dovuto al deficit di vitamina K. La presenza di feci voluminose ed oleose è il segno caratteristico della steatorrea risultante dal malassorbimento dei grassi, mentre gonfiore (da distensione addominale) e gli stimoli diarroici si verificano come risultato del malassorbimento di carboidrati. TEST CLINICI PER LA DIAGNOSI DI MALASSORBIMENTO I dosaggi ematici di albumina, carotene, colesterolo, ed acido folico e la valutazione del tempo di protrombina costituiscono utili test di screening per il malassorbimento Questi test non sono sufficientemente specifici per la diagnosi differenziale. Test utili per una corretta diagnosi di malassorbimento sono: ANALlSl DEI GRASSI FECALI I1 metodo qualitativo pih semplice per valutare i grassi Nelle feci è l'esame microscopico di un frammento di feci con colorazione di Sudan. Una normale escrezione di grassi non deve superare i 6 g/die. Sebbene il test sia alquanto grossolano e aspecifico, permette un'accurata quantificazione dell'escrezione fecale grassa. TEST DELLA FUNZIONE PANCREATICA ESOCRINA 1. Test invasivo: Dopo la stimolazione del pancreas, il contenuto del duodeno viene aspirato ed analizzato al fine di valutare l'output enzimatico e di bicarbonato. 2. La valutazione degli enzimi pancreatici nel sangue (tripsinogeno) o nelle feci (chimotripsina o elastasi) è semplice e fornisce un'evidenza utile per la diagnosi di pancreatite da moderata a severa. 3. Le calcificazioni pancreatiche evidenziabili radiograficamente o mediante tac indicano la presenza di una pancreatite cronica. 4. Un’anomalia del dotto può essere dimostrata per mezzo della colangiopancreatografia retrograda per via endoscopica, ma questo test e invasivo e determina diversi effetti collaterali.

BlOPSlA DELL'INTESTINO TENUE La biopsia della mucosa dell'intestino tenue è un test di diagnostico chiave per le patologie che colpiscono la fase Cellulare dell'assorbimento.

TEST CON D-XILOSIO Il D-xilosio è un monosaccaride che viene trasportato attraverso la mucosa intestinale per lo più per diffusione passiva. Il pz assume lo xilosio, e il risultato del test esprime la funzionalità del trasporto intestinale e della superficie mucosa; un basso livello nelle urine si ottiene in caso di una funzione renale escretoria compromessa, edema periferico massivo o ascite.

STUDI RADlOGRAFlCl Gli studi radiografici con bario dell'intestino tenue in caso di malassorbimento sono di solito aspecifici. Sprue tropicale Possono riscontrarsi alterazioni anatomiche peculiari in corso di diverticolosi digiunale, linfoma, morbo di Crohn. Inoltre, può rendersi evidente un pattern radiografico con bario peculiare, consistente nell'assottigliamento delle pareti e nella dilatazione delle anse, suggestivo di sprue celiaca. TEST Dl SCHILLING L’assorbimento di vitamina B 12 richiede diversi steps. In primo luogo, la vitamina ingerita con gli alimenti si lega alla proteina salivare fattore- R; le cellule parietali dello stomaco secernono un fattore si miscela con bolo ingerito. Nel duodeno la tripsina pancreatica idrolizza il fattore-R, liberando la vitamina, che può legarsi al fattore intrinseco. Il complesso fattore intrinseco-vitamina B12 viene quindi assorbito dopo essersi legato a recettori specifici presenti sugli enterociti a livello dell’ileo distale. Di conseguenza, il malassorbimento di B 12 può verificarsi a causa della mancanza di fattore intrinseco (ad es., in caso di anemia perniciosa o resezione gastrica), di un'insufficienza pancreatica, di un'iperproliferazione batterica, di una resezione ileale o di una malattia della mucosa (ossia, morbo di Crohn). I1 test di Schilling permette di quantificare l’assorbimento di B 12 mediante l'utilizzo di B 12 radiomarcata come marker. Il pz ssume la vitamina B12 marcata, viene quindi raccolto un campione di urina per la misurazione del livello di radioattivita; un ridotto livello suggerisce un malassorbimento di vitamina. I1 test viene ripetuto con l'aggiunta di fattore intrinseco per via orale alla vitamina B 12 ingerita. Se l'escrezione urinaria dell'elemento radiomarcato risulta corretta possibile fare diagnosi di anemia perniciosa. Se il malassorbimento è ancora presente, il paziente viene sottoposto ad un breve ciclo di terapia antibiotica per via orale ed il test e ripetuto; l'eventuale correzione dell'escrezione di vitamina B 12 radiomarcata porta ad interpretare il malassorbimento come ascrivibile ad un'iperproliferazione batterica. Se il risultato del test rimane ancora normale, vengono somministrati degli enzimi pancreatici per via orale ed il test viene ripetuto; la correzione dell'anomalia implica in questo caso che la causa di base è una disfunzione pancreatica esocrina. Infine, se tutti questi steps non sono utili per identificare il problema, la diagnosi si può orientare sulla patologia ileale o sull'assenza di transcobalamina. BREATH TEST I breath tests sfruttano la degradazione batterica degli elementi presenti nel lume, che esita nel rilascio di prodotti del metabolismo gassosi (come idrogeno, metano ed anidride carbonica), che possono esser misurati nell'aria espirata. Con il deficit di disaccaridasi, uno specifico disaccaride che viene ingerito può non essere adeguatamente assorbito nell'intestino tenue; quando giunge a1 colon, la fermentazione batterica libera diversi metaboliti; uno di questi è l'idrogeno, che è un gas che può essere dosato nell’aria espirata. In presenza di iperproliferazione batterica a livello dell'intestino tenue, il glucosio ingerito oralmente fermenta nel tratto prossimale del tenue (invece di essere assorbito) e determina un incremento dell'idrogeno espirato; in questo caso il timing dell'esalazione di idrogeno è un parametro per la diagnosi. APPROCCIO AL PAZIENTE CON SOSPETTO MALASSORBIMENTO Nel malassorbimento dei grassi, il test più accurato per il malassorbimento rimane l'analisi dei grassi fecali nelle 72 ore; il test è però difficile da effettuare nella pratica clinica. Uno screening alternativo per rivelare la steatorrea, è rappresentato dall'esame qualitativo dei grassi fecali (con colorazione di Sudan) e dall'analisi del carotene nel siero. Se il contenuto dei grassi nelle feci è normale, il paziente può ancora avere una compromissione selettiva dell'assorbimento di specifici carboidrati. Quest'ultima condizione va sospettata se i sintomi sono crampi, flautulenza e diarrea. L'esempio più comune di malassorbimento selettivo di carboidrati è l’intolleranza al lattosio. Quando viene dimostrato un malassorbimento dei grassi va effettuato di seguito un test di assorbimentoescrezione di D-xilosio. Un risultato normale a quest'ultimo test rende improbabile una patologia della

mucosa e suggerisce una condizione di mal digestione, principalmente un deficit di enzimi pancreatici o di Sali biliari. Gli elementi suggestivi di una pancreatite cronica sono una storia di abuso di alcol o precedenti episodi di pancreatite; l'accertamento di cause specifiche di malassorbimento pancreatico, come la fibrosi cistica, la microlitiasi, o la tossicità da farmaci, richiede l'esecuzione di test altrettanto specifici ed un'anamnesi dettagliata. Nell'indagine diagnostica per accertare una maldigestione, il dosaggio degli enzimi nel siero e la diagnostica per immagini focalizzata sull’addome (radiografia o tomografia computerizzata dell'addome) possono essere effettuati per identificare una pancreatopatia. Se l’escrezione urinaria di D-xilosio è anomala, il breath test dell’idrogeno può essere utilizzato per diagnosticare un'iperproliferazione batterica. Quando non è presente una proliferazione batterica, va effettuata una biopsia della mucosa. Quando l'origine del malassorbimento rimane incerta, è necessario includere nelle ipotesi diagnostiche ulteriori Un’ eziologia parassitaria, ad esempio un’infezione da Giardia lamblia o il coinvolgimento del dotto pancreatico da parte di un'ascariasi. Queste diagnosi richiedono un'accurata analisi delle feci alla ricerca delle uova e dei parassiti o delle analisi antigeniche. Occasionalmente vanno subito istituiti dei protocolli terapeutici per le condizioni trattabili, come una dieta priva di glutine per il morbo celiaco, la sostituzione enzimatica per ristabilire la funzione pancreatica esocrina, il metronidazolo per l'infezione da G. lamblia, o antibiotici ad ampio spettro per una sospetta iperproliferazione batterica.  La sprue celiaca Sinonimi: malattia celiaca, enteropatia glutine sensitiva. Definizione: malassorbimento causato da un'infiammazione dell'intestino tenue che s'instaura dopo l'ingestione di glutine. Il miglioramento clinico ed istologico si ottiene con una dieta priva di glutine e recidiva se il glutine viene reintrodotto nella dieta. Ciò permette anche di fare diagnosi. Il glutine è una sostanza contenuta nei grani dell'orzo, della segale e del frumento; serve per conferire l'elasticità necessaria per creare una matrice utile ad impastare la farina (proprietà tipica della farina). Se viene tolto l'impasto acquista una consistenza diversa. Il glutine del grano è composto da varie sostanza: -alfa gliadina -beta gliadina -gamma gliadina -omega gliadina Storia della malattia celiaca La celiachia è stata studiata già nel II sec d.C. nei bambini. 1887: era stato notato che alcune diarree potevano essere curate per mezzo della dieta. Non era ancora nota l'associazione con la farina. 1926: i bambini affetti da diarrea venivano trattati con una dieta a base di banane. 1940: Dicke, pediatra tedesco, stabilì il legame con il glutine osservando che, durante la II guerra mondiale, la sintomatologia dei bambini affetti da Sprue celiaca migliorava in carestia e recidivava quando i cereali venivano reinseriti. Prevalenza: alta, 1/120- 1/300 sia in Europa che in Nord America. Nonostante le femmine manifestino più frquentemente anemia, il rapporto M:F = 2:1. Per 1 nuovo caso diagnosticato ve ne sono altri 7 che compaiono. La più elevata prevalenza è in Europa Occidentale e nei paesi nei quali sono emigrati gli europei. La prevalenza diminuisce in Africa e Asia.

1980: studi epidemiologici internazionali hanno rivelato che la malattia variava nei vari paesi sia come prevalenza che come manifestazioni: -UK e Irlanda: scomparsa della malattia -Italia:prevalenza invariata della malattia -Finlandia: prevalenza non modificata ma insorgenza più tardiva della malattia Da ciò si è dedotta l'importanza della componente ambientale ( aumento di allattamento al seno e aumento dell'utilizzo di latte di mucca oltre che l'associazione con la quota di glutine negli alimenti tipici della dieta dei vari popoli) e di quella genetica (legata a geni di istocompatibilità). I fattori ambientali sembrano influenzare la presentazione clinica della Sprue aggravandola, più che la sua prevalenza. Iceberg del morbo celiaco 1.Sintomatici (che si trovano al vertice) 2.Casi non diagnosticati ma che presentano un'attivazione immunologica e quindi l'enteropatia indotta da glutine. Possono essere silenti o sintomatici. 3.Soggetti a rischio genetico ma senza segni di attivazione immunologica 4.Soggetti con intestino normale, a dieta libera ma che in passato hanno presentato o svilupperanno nel futuro alterazioni morfologiche responsive a dieta priva di glutine. Negli ultimi tempi stanno aumentando le diagnosi di malattia celiaca anche in pazienti di una certa età e non più solo in individui giovani (il 20% dei celiaci ha età > di 60anni). Patogenesi: la malattia è mediata dai linfociti T nei soggetti geneticamente predisposti (95% presentano HLA DQ 2). Il glutine entra a livello della mucosa intestinale, attraversa la lamina propria, viene modificato dalle transglutamminasi e viene reso disponibile dalle cellule che presentano l'antigene in compresenza dell'HLA DQ2. La presentazione di quest'antigene attiva i linfociti CD4 i quali instaurano una risposta immunitaria e quindi provocano un danno a carico della mucosa: si determina atrofia dei villi, iperplasia delle cripte, linfocitosi intraepiteliale. Contemporaneamente vengono attivati anche i linfociti B che producono anticorpi diretti contro le varie componenti. Sintomi La sintomatologia viene divisa in tre classi: -classica -subclinica -silente o non sintomatica Varia anche a seconda dell'età d'insorgenza; nei bambini l'età d'esordio è tra i 4 e i 24 mesi. Si manifesta con diarrea, ritardo di crescita, distensione e dolori addominale e se l'inizio dei sintomi è graduale, segue l'introduzione dei cereali nella dieta. Possono esserci anche ipertransaminasemia, artralgie, difetti dello sviluppo dello smalto e disturbi comportamentali. Se non trattata questi bambini vanno incontro a ritardo mentale, iposviluppo staturale, anemia e rachitismo. Negli adulti la sintomatologia è molto meno importante, è asintomatica o presenta sintomi modesti. Di solito insorge ex-novo o può scatenarsi durante situazioni parafisiologiche come la gravidanza. I sintomi più frequenti sono: -diarrea episodica notturna -flatulenza -perdita di peso -intolleranza al lattosio -dolori addominali -anemia da carenza di ferro Possono esservi condizioni associate come: -carenza di vit. D e K -dermatite erpetiforme -polineuropatia e atassia

-alopecia -alterazione del ciclo mestruale -pericardite Diagnosi -ricerca di anticorpi antigliadina (AGA, usati per la prima volta negli anni '80) diretti contro la frazione alfa solubile del glutine. Sono anche markers dell'attività della malattia. -ricerca di anticorpi antiendomisio (EMA), diretti contro la matrice del collagene che fascia il muscolo liscio dell'intestino -ricerca di anticorpi antitransglutamminasi. Sono determinanti per gli EMA positivi. Si usano tutti e tre i test: -se sono tutti negativi si può far diagnosi di negatività della malattia con alta probabilità -se hai la positività di 1 o 2 test su 3 bisogna ricordare che c'è il rischio di falsi negativi; infatti gli anticorpi antigliadina sono test molto specifici ma poco sensibili(la prof dice il contrario). E' quindi importante, in caso di forte sospetto clinico e di negatività totale (difficile) o parziale dei test, fare una biopsia intestinale. Nel caso di test negativi ma di biopsia positiva (quindi eseguita per forte sospetto clinico), prima di poter far diagnosi di malattia celiaca vanno eliminate tutte le altre cause di atrofia dei villi intestinali e di infiltrato linfocitario, tra cui il linfoma, intolleranza al latte di mucca, gastroenterite, gastroenterite eosinofila, enteropatia autoimmune, morbo di Crohn, infarto e ischemia intestinale, sprue tropicale. Per far diagnosi differenziale si può anche provare a intraprendere una dieta priva di glutine e valutare come variano i sintomi. -se sono tutti positivi, secondo le ultime linee guida, non è indicata la biopsia intestinale e si può far diagnosi di malattia celiaca (anche se la prof non è completamente d'accordo con queste indicazioni). Terapia: -dieta priva di glutine (attenzione alle etichette) -nuovi farmici: CCX282-B (inibitore della migrazione dei leucociti), AT1001 (inibitore della disfunzione della barriera epiteliale). Servono entrambi per limitare il danno prodotto dal glutine. -Ingegneria genetica: si ipotizza, a breve termine, la realizzazione di un frumento geneticamente modificato, che mantenga le caratteristiche elastiche ma sia privo delle proteine del glutine. NB: secondo le ultime linee guida, in caso di anemia sideropriva senza altre cause diagnosticabili, è importante fare il test per la celiachia (che, per giunta, costa poco). L’anemia sideropenica si associa spessissimo al morbo celiaco! Ci sono delle linee guida che dicono che quando c’è un’anemia sideropenica senza cause che la giustifichino andrebbe sempre indagato il pz per celiachia, così come si fa per l’ipertransaminasemia. L’anemia nel m. celiaco potrebbe essere dovuta a varie cose: -Alterazione dell’assorbimento di folati -Alterazione dell’assorbimento di vit B12 ma in entrambi i casi si avrebbe un’anemia macrocitica E’ più frequente tra le due un’anemia da deficit di folati perchè sono assorbiti a livello distale, il deficit di vit B12 è più raro -Deficit dell’assorbimento di ferro questa è la più frequente, quindi generalmente il celiaco ha un’anemia sideropenica cronica. Questa è più frequente nelle donne per via delle perdite ematiche mestruali, infatti questa donna aveva avuto in passato sempre mestruazioni abbondanti. Mostra delle recenti reviews, in particolare 3 di queste mostrano l’alta prevalenza della celiachia nella popolazione. Affermano inoltre che l’ipertransaminasemia senza spiegazione deve sempre far pensare anche a un’eventuale celiachia che è molto più frequente rispetto a quel che si pensa. La celiachia in particolare andrebbe indagata in tutti i pz che hanno epatopatia. Diagnosi differenziale delle ipertransaminasemie:

-Steatosi epatica (eco negativa per Bright Liver) -Epatiti virali (marker negativi per HCV, HBV, CMV e EBV) -Malattie metaboliche (come deficit di alfa1 antitripsina, HFE (emocromatosi), morbo di Wilson, eccetera... risultati negativi) -Epatiti autoimmuni (ANA, ENA, anti-DNA, AMA, SM, LKM negativi) Il m. di Wilson può dare un’ipertransaminasemia modesta, ma nel giovane si presenta nella maggior parte dei casi come un’epatite acuta. Il Wilson è molto pericoloso e bisogna sempre pensarci quando troviamo un’ipertransaminasemia e il pz si fa un’epatite acuta. Il deficit di alfa1 antitripsina ci può essere ma in alcuni casi può anche non essere rilevato dagli esami quindi se ho un sospetto faccio comunque la biopsia epatica. L’emocromatosi è una malattia da deposito marziale non solo a livello del fegato. Le epatiti autoimmuni sono associate a dei livelli più alti di transaminasi. Altre patologie rare sono: l’ipo-beta-lipoproteinemia, NAFLD, farmaci, sarcoidosi, alcune malattie ad IgE, malattie intestinali, alcol, amiloidosi, glicogenosi, morbo celiaco.  Sindrome da iperproliferazione batterica La proliferazione dei batteri del lume può dare esito a diarrea e malassorbimento attraverso un'ampia varietà di meccanismi: I) de-coniugazione degli acidi biliari, che compromette I'efficace formazione di micelle e l'assunzione dei grassi; 2) danno diffuso degli enterociti (piccole cellule epiteliali intestinali); 3) competizione diretta per l'utilizzo dei nutrienti (ad es., uptake di vitamina B12 da parte dei batteri gramnegativi o del cestode Diphyllobothrium latum); 4) stimolazione della secrezione di acqua ed elettroliti ad opera dei prodotti del metabolismo batterico, come gli acidi biliari idrossilati e gli acidi organici a catena corta (volatili). CONDIZIONI ASSOCIATE CON L’IPERPROLIFERAZIONE BATTERICA I più importanti fattori che mantengono la sterilitità del tratto digerente superiore includono: 1) l'acidità gastrica, 2) la peristalsi e 3) le immunoglobuline intestinali (IgA). Di conseguenza, le condizioni che compromettono queste funzioni possono dare esito ad una proliferazione batterica abnorme. La compromissione della peristalsi può essere determinata dalle disfunzioni della motilità (ad es., sclerodermia, amiloidosi, diabete mellito) o da modificazioni anatomiche (ad es., anse cieche create da interventi chirurgici, ostruzione, diverticolosi digiunale). Anche l'acloridria (risultante dalla gastrite atrofica o dall'inibizione della secrezione acida gastrica), l’'insufficienza pancreatica, e l'ipogammaglobulinemia si associano alla proliferazione batterica, ma comunemente danno esito ad una steatorrea clinicamente rilevante. DIAGNOSI La coltura diretta dell'aspirato digiunale rappresenta il test diagnostico che ha maggior prohabilità di essere definitivo; esso è però invasivo, sgradevole e costoso. Il breath test con idrogeno dopo somministrazione orale di glucosio è più semplice, anche se non parimenti sensibile e specifico. I protocolli terapeutici a base di antibiotici rappresentano un'alternativa accettabile ai test diagnostici. TRATTAMENTO Quando appropriata, va effettuata una terapia specifica come nel caso del trattamento chirurgico dell’ostruzione intestinale. Più comunemente, i pazienti vengono trattati con antibiotici; i più appropriati sono quelli efficaci contro i microrganismi enterici aerobi ed anaerobi. Tetracidina, Trimetoprimsulfametossazolo, o metronidazolo (ciascuno dei quali in combinazione con una cefalosporina o un chinolonico) rappresentano opzioni affidabili.

 Diarrea DEFINIZIONE La diarrea è sia un sintomo che un segno. In quanto sintomo la diarrea è nella maggior parte dei casi riferita come una diminuzione della consistenza delle feci ed un incremento del loro volume; In quanto segno, la diarrea è definita in base al peso (ossia, contenuto di acqua) delle feci: un peso maggiore di 200 g in 24 ore configura una diarrea. FISIOLOGIA NORMALE Circa 8.9 litri di liquidi hanno accesso nell’intestino tenue ogni giorno: uno o due litri traggono origine dall’assunzione dietetica; il resto è il risultato delle normali secrezioni salivari, gastriche, pancreatiche, biliari e intestinali. L’intestino tenue assorbe la maggior parte di questi liquidi, così che solo 1-1,5 litri passano nel colon. A livello del colon, un ulteriore assorbimento d’acqua determina un output di acqua fecale finale pari a solo 100-200 ml/die. DlARREA SECRETORlA Le diarree secretorie sono causate tipicamente da mediatori neuroumorali e/o da tossine batteriche; Il meccanismo alla base è caratterizzato da una secrezione aumentata e/o ridotto assorbimento di sodio e cloro. Un classico esempio di diarrea secretoria è quella che si verifica nel colera. Una tossina prodotta dal batterio determina una diarrea massiva, una perdita di volume intravascolare, e in assenza di una tempestiva somministrazione di fluidi, un possibile collasso circolatorio. Clinicamente, le diarree secretorie sono caratterizzate: 1) da un elevato output (spesso >1 l/die) 2) persistono anche a digiuno 3) assenza di gas o pus Alcune delle cause di diarrea secretoria sono il colera, tumori secernenti VIP, enteropatia da Sali biliari, diarrea da acidi grassi. DIARREA OSMOTICA La diarrea osmotica è causata semplicemente da livelli eccessivi di soluti scarsamente assorbiti ed osmoticamente attivi nel lume. Alcune cause di diarrea osmotica sono l’intolleranza al lattosio, malassorbimento generalizzato, lassativi contenenti magnesio. La diarrea osmotica ha due importanti caratteristiche: in primo luogo, essa si arresta quando i pazienti digiunano in quanto essi non assumono elementi che saranno mal assorbiti ed osmoticamente attivi. Le feci sono acquose, non contengono sangue e pus, ma possono contenere globuli di grasso o fibre carnee. In secondo luogo l'analisi delle feci rivela un elevato gap osmolare, ascrivibile alla presenza nelle feci di agenti osmoticamente attivi e/o non assorbiti. MOTILITA INTESTINALE ANOMALA L'alterazione della motilità intestinale può causare diarrea in base a due distinti meccanismi: 1. Aumentata motilità, che determina un rapido transito intestinale ed un ridotto tempo di contatto tra gli elementi contenuti del lume e le cellule epiteliali deputate ai processi di assorbimento. I1 ridotto tempo di transito e l'aumento delle contrazioni propulsive si riscontrano nelle situazioni di diarrea post-vagotomica, postgastrectomica da carcinoide, diabetica, nonchè in casi di sindrome da colon irritabile con diarrea predominante. 2. Ridotta motilità, causata da patologie come sclerodermia o diabete. Tali patologie favoriscono l'instaurarsi di una stasi intestinale che può dare esito ad una proliferazione di batteri anaerobi che si rendono a loro volta responsabili della de-coniugazione degli acidi biliari, causando steatorrea e diarrea. DIARREA ESSUDATIVA

Le condizioni infiammatorie o infettive che determinano un danno a livello della mucosa intestinale possono causare diarrea attraverso una serie svariata di meccanismi. Si determina sostanzialmente ma perdita di sangue, muco e proteine del siero. L'entità di tale perdita dipende largamente dal grado di danneggiamento. I1 danno alla mucosa e l'infiammazione ad esso associata possono interferire con l'assorbimento, indurre la secrezione, ed influenzare la motilità. Tutti questi eventi contribuiscono all'instaurarsi di diarrea (colite ulcerosa, shigellosi, amebiasi). VALUTAZIONE DELLA DIARREA ANAMNESI ED ESAME OBIETTlVO I1 dato relativo alla durata della diarrea è particolarmente utile in quanto la maggior parte delle diarree acute sono causate da microrganismi patogeni e si risolve indipendentemente dagli interventi. La diarrea cronica, definita come una diarrea che dura più di 4 settimane, ha scarsa probabilità di avere origine infettiva. L'eventuale presenza di sangue rappresenta un indicatore utile in quanto suggerisce una genesi infiammatoria, neoplastica, ischemica, o infettiva da parte di organismi patogeni invasivi. Una diarrea copiosa suggerisce la presenza di una patologia ad interessamento dell'intestino tenue o del colon prossimale; a1 contrario, la tendenza ad ma defecazione frequente associata a senso di urgenza del bisogno di defecare suggerisce una patologia ad interessamento del colon discendente e/o del retto. Va registrato attentamente il dato relativo all'assunzione attuale o recente di farmaci (specialmente nuovi farmaci, antibiotici ed antiacidi) nonché di alcol. E’ necessario conoscere le abitudini del soggetto: i viaggi, il tipo di acqua assunta per bere (acqua di città trattata o acqua di pozzo), il consumo di latte non pastorizzato nelle popolazioni rurali, l'esposizione agli animali, che può essere fonte di diffusione di Salmonella o Brucella, e le abitudini sessuali. Allo stesso modo vanno evidenziati gli eventuali casi familiari di morbo celiaco, malattia infiammatoria intestinale, o sindromi neoplastiche endocrine multiple. DlARREA ACUTA La diarrea acuta è definita come una diarrea che dura meno di 4 settimane, ed è per lo più determinata da microrganismi infettivi o tossine. Si tratta di un fenomeno autolimitantesi e, in assenza di sangue nelle feci, può non essere diagnosticato. Se il paziente viene precocemente all'attenzione del clinico e presenta solo una forma lieve di diarrea senza sintomi sistemici o sangue nelle feci, l'intervento appropriato è l'osservazione ed un accurato follow-up. In caso contrario, e sicuramente in presenza di sangue, le feci vanno esaminate per accertare l'eventuale presenza di organismi infettivi ed iniziare l'appropriata terapia antimicrobica. Se non vengono identificati tali organismi, va effettuata una sigmoidoscopia ed una biopsia. Ulteriori eventuali analisi devono essere orientate dai risultati della sigmoidoscopia (ad es., se è sospettata una malattia infiammatoria intestinale), dalla severità della diarrea, dallo stato immunitario del paziente, e dalla eventuale presenza di tossicità sistemica. DlARREA CRONICA Diversamente da quanto si verifica nella diarrea acuta, nella cronica è poco comune l'eziologia infettiva. In ogni caso, alcune infezioni parassitarie, come la giardiasi e le sindromi post-virali possono produrre le condizioni per una diarrea cronica da malassorbimento. La perdita di peso e l'evidenza di deficit nutrizionali suggeriscono una condizione di malassorbimento causato da un processo patologico a livello dell'intestino tenue o del pancreas; quest'ultimo si associa di solito ad un'anamnesi positiva per abuso di alcol e/o per pancreatite cronica. Una diarrea cronica sanguinolenta suggerisce una malattia infiammatoria intestinale, in particolare una colite ulcerosa. Una diarrea cronica senza evidenza di un disturbo nutrizionale o metabolico suggerisce un'intolleranza al lattosio (comune); la sindrome del colon irritabile, in particolare quando associata a dolore addominale (comune); una colite microscopica; un'incontinenza fecale; un eccessivo utilizzo di lassativi. L'eventualità di un cancro del colon va sempre tenuta in considerazione. La presenza di grandi volumi di diarrea in assenza di deficit nutrizionali con le caratteristiche di un processo secretorio, deve orientare verso la ricerca

di tumori producenti ormoni. Quando possibile,la terapia deve essere diretta specificamente verso la causa sottostante. Quando non è possibile approntare alcun trattamento specifico, si possono tentare terapie empiriche (ad es., antibiotici per una possibile iperproliferazione batterica o un infezione da G. lamblia, colestiramina per malassorbimento di acidi biliari) e/o la somministrazione di agenti che riducono la motilità (ad es., loperamide, difenolato e, in casi più gravi, analoghi della somatostatina a lunga durata d’azione. Patologie gastriche e duodenali 

DISPEPSIA

E' un argomento abbastanza importante per la frequenza con cui si manifesta questo disturbo: il 30-40% delle consulenze gastroenterologiche. Def: digerire male ---> per cui si tratta di sintomi che compaiono da subito dopo a 1-2 ore dopo il pasto. Non può venire a digiuno. Quadro clinico è molto variegato: da subito dopo a 1-2 ore dall'introduzione degli alimenti. Sintomatologia vaga ma sempre legata alla introduzione di cibo : Dolore/tensione epigastrico, oppure pirosi, eruttazioni, nausea, talora vomito.Come vedete sono disturbi molto vaghi, generici, certe volte predomina uno certe volte l'altro. In realtà si tratta di un disconforto post-prandiale, coè uno dopo il pasto si sente poco bene a livello dell'epigastrio. L'epidemiologia l'abbiamo già vista. E' molto importante di fronte a pz con disturbi dispeptici, distinguere se siamo di fronte ad una : Forma organica ( dove la dispepsia è un sintomo insieme a tanti altri disturbi che quel pz può avere) Forma funzionale (è la dispepsia sindrome, forma funzionale abbiamo solo i disturbi dispeptici e le nostre indagini bioumorali, radiologiche ecc. sono risultate negative) Quindi dispepsia-sintomo e dispepsia-sindrome. Iter diagnostico Valutazione anamnestico clinica (con l'anamnesi di solito arrivi a un sospetto di diagnosi dell'80%) Valutazione psicologica (perchè la sindrome dispeptica è caratteristica di alcune persone e non di altre dal punto di vista dell'habitus psicologico) Esame obiettivo Esami strumentali Esami funzionali ( secrezione e motilità) Dispepsia organica (sottostante c'è una malattia anche grave) è la 1° cosa da escludere perchè nella forma funzionale, cioè disturbi della secrezione o motilità ci sono disturbi ma non è mai grave. E’ di recente e improvvisa insorgenza, generalmente in pazienti senza particolari profili psicologici. Può essere dovuta ad alterazione organiche in diversi organi : Esofago (qualsiasi patologia dell'esofago può dare una sindrome dispeptica dalla neoplasia dell'esofago ad una esofagite peptica per un'ernia iataleper es ) Vie biliari (questo è un ccapitolo molto importante perchè molte volte si sottovaluta: il 30% dei colelitiasici presenta sintomi dispeptici con o senza coliche. Non sempre la calcolosi della colecisti da dolore in ipocondrio destro, ma dà sintomi di mal digestione: dice che digerisce male, che ha un peso in epigastrio dopo che ha mangiato ed ha i calcoli) Il sintomo dispeptico talora rimane anche dopo l’intervento. Fegato (epatite acuta sì: nausea, vomito e dispepsia, meno le epatiti croniche) Pancreas soprattutto la pancreatite acuta e sub-acuta la cronica meno. Stomaco IMP ricordare che solo nel 15/20% dei casi di ulcera ha una dispepsia, spesso presentano dolore

vero e proprio o sono asintomatici e il risultato è un pz con anemia sideropenica da perdita a causa dell'ulcera gastrica. Anche le neoplasie dello stomaco possono dare dispepsia. Duodeno (per lo più sono ulcere, stesso discorso dello stomaco, ma le neoplasie duodenali sono rare se non i linfomi) Neoplasie se del tubo digerente, è un sintomo precoce, se extra digerente è tardivo in questo caso fa parte di una sindrome paraneoplastica da neoplasia in altra sede come da neoplasia polmonare e in questo caso sarà una sintomatologia tardiva. Anche le neoplasie del colon possono dare dispepsia. Stati febbrili e sistemici ci può essere il sintomo della dispepsia, come nella sintomatologia influenzale. Malattie psichiatriche alcune patologie psichiatriche hanno come sintomo la dispepsia. E' chiaro che di fronte a un paziente che lamenta una grave dispepsia devo ricordarmi questo elenco ed escludere la causa organica, in seguito dire che si tratta di una dispepsia funzionale. Sarebbe opportuno valutare anche questa con degli strumenti (vedremo dopo quali sono). Dispepsie funzionali Diciamo subito che per la funzione dello stomaco e del duodeno, essi vanno incontro ad una secrezione ed ad una motilità per far progredire gli alimenti 1-Di tipo secretivo ( Ipocloridrico o ipercloridrico) cioè iposecretiva o ipersecretiva 2- Di tipo motorio: possiamo distinguere: Alte : Da reflusso gastro esofageo per incontinenza del LES. (se non è ben coordinato con la deglutizione o se è beante come nell'ernia iatale si può andare incontro a reflusso disturbi dispeptici ed esofagite) Corpo-fondo : abbiamo 2 possibilità: 1) Ridotto o mancato rilasciamento recettivo ( senso precoce di ripienezza), lo stomaco, quando è vuoto, è una cavità virtuale abbiamo solo un pò d'aria, 30-40 ml nel fondo, quando assumi alimenti c'è una dilatazione del fondo gastrico per contenere Se non c'è questo meccanismo che avviene per un riflesso vaso-vagale, da stimolazione di chemo-recettori, il pz appena mangia si sente pieno. 2)Motilità gastrica insufficiente a uno svuotamento progressivo ( noi vediamo che in questo caso il pz ha un rallentato svuotamento digestione lunga e laboriosa ma non vomito. Si sente la digestione anche dopo molte ore) Basse 1) Da spasmo del giunto antro pilorico( qui senso di ripienezza e anche vomito) 2)Da rilasciamento del giunto antro pilorico ( non funziona bene ma è sempre aperto e che facilita il reflusso del succo duodenale dal duodeno allo stomaco non è fisiologico, avremo gastriti da acidi biliari e non da secrezione gastrica e diarrea post- prandiale). Sistemi per valutare la funzione motorie dello stomaco: per dispepsie motorie. Metodi di studio dell’attività motoria dello stomaco Sostanze marcate (non si usano più: pasti con Tc99 e si rileva la radiattività con la gamma-camera dopo ogni 30 min e valuti quanto dura, se dopo 2 ore c'è ancora è rallentato) Rx pasto baritato (esame semplice, dai bario, fai radiografia subito dopo e dopo ogni 15 minuti e valuti come si svuota lo stomaco. In realtà non sono stimolazioni fisiologiche perchè noi normalmente non mangiamo il bario, ma facciamo pasti con primo, secondo ecc.che è diverso per la motilità) meglio fare altri. Breath test : ( acido octanoico C-13) (non è l'urea-breth test, quello usato per l'Helicobacter, ma si usa 1 isotopo non radiattivo, C13, che è unito ad acido octanoico ac.grasso a media catena scisso nel duodeno e C13 è rilasciato col respiro. Misuri C13 del respiro prima del pasto e dopo. Più è precoce l'emissione di C13 più è rapido lo svuotamento gastrico) test corretto ma non di moda. Ecografia ha più senso (fai fare un pasto normale al pz e vedi con l'ecografo grandezza dello stomaco e vedi quando si svuota. Però dura 1-2 ore, ma hai un'idea abbastanza precisa della motilità)

Registrazioni pressorie (sono il gold standard insieme alle registrazioni attività elettrica per valutare l'attività motoria ) Si introducono nello stomaco dei piccoli sondini (open o con palloncino) se ci sono delle contrazioni gastriche si verificano alterazioni pressorie che si ripercuotono sul palloncino e che sono registrate trasformandole in onde manometriche a seconda della frequenza ed ampiezza delle onde manometirche mi da un indice quantizzabile dell’attività contrattile della muscolatura liscia. Registrazione dell’attività elettrica "elettrocardiogramma dello stomaco", è la registrazione dell'attività elettrica dello stomaco ( in realtà si può fare anche per piccolo intestino il duodeno, ecc, ma nelle dispepsie quella che ci interessa è quella gastrica) Mettiamo sondini nasogastrico sottili con elettrodi che posizioniamo sulla grande e piccola curvatura dove vogliamo e registriamo le variazioni di potenziale: come nel cuore la presenza di onde di depolarizzazione e ripolarizzazione è indice dell'attività cardiaca così nello stomaco, onde di depolarizzazione e ripolarizzazione sono indice dell'attività dello stomaco. Si registra con degli elettrodi a placca o ad ago sulla grande curvatura dello stomaco che si possono adattare alle sonde manometriche. Registri le variazioni di potenziale, indici di attività dello stomaco. L’attività elettrica coordina l’attività contrattile dello stomaco. Il punto di partenza non avviene come nel cuore in un tessuto specifico, ma parte dalle stesse miocellule che depolarizzandosi spontaneamente creano variazioni di potenziale (espressione dell’attività metabolica). Tali variazioni vengono chiamate Potenziali elettrici di controllo (ECP).( se prendi 1 singolo punto) L’insieme di successivi cicli di ECP costituiscono l’Attività elettrica di controllo (ECA). Ricorda che: Ogni gruppo di miocellule si depolarizza ritmicamente con una frequenza costante. Sulla grande curvatura l’ECP cala in senso aborale fino all'antro-piloro da 3/3,5 cicli al minuto fino a 2/2,5. ( dal fondo all'antro). Le miocellule a frequenza maggiore fungono da pace-maker. ( le cellule con più alta frequenza comandano su quelle a più bassa). Pertanto l’ECA è uguale in ogni punto dello stomaco.(onda ritmica dello stomaco viaggia a 3/3,5 cicli al minuto e visto che le contrazioni dello stomaco ci sono solo quando c'è questa onda qui, le contrazioni sono al massimo a questa velocità dalle 3 alle 4 al minuto) Ponendo una serie di elettrodi lungo la grande curvatura si osserva che l’ECP registrato in un punto è anticipato rispetto a quello distale. Ciò è l’espressione della propagazione dell’impulso che parte dalle cellule pace-maker. E’ possibile registrare un altro tipo di onda : l’Attività elettrica di risposta (ERA). Questa è l’espressione di una contrazione della muscolatura liscia.Se noi registriamo contemporaneamente l’attività elettrica e pressoria dimostra la corrispondenza tra ERA e contrazione.Dal punto di vista elettrico consiste in potenziali rapidi inseriti nella branca discendente dell’onda a lenta ripolarizzazione (ECA).Pertanto le contrazione dello stomaco,in condizioni di normalità, non possono superare le 3/3,5 al minuto. Se pensiamo di mettere elettrodi nei punti 4 e 1 sulla piccola e grande curvatura in alto ma allo stesso livello, in tutti questi punti si ha una depolarizzazione contemporanea e quindi si ha un'ECA circolare. Se noi poi andiamo a metterli invece nei punti 2 e 3 vediamo che man mano che ci avviciniamo da 1 e 4 in cui si ha una depolarizzazione contemporanea a 2 e 3 si ha un ritardo, questo ritardo nella depol è quello che mi determinerà un'ECA longitudinale. Che va dal fondo all'antro-piloro. A) In alto: A :antro, P :piloro, D: duodenale, la freq è 3, 3,5 depolarizzazioni al minuto (non contrazioni) B) in basso dopo somministrazione di gastrina nella branca discendente la freq è più alta: la gastrina aumenta sia l'ECA , da 3,5 a 4,5-5, che l'ERA. Meccanismi di regolazione dell’attività motoria dello stomaco: Ricorda che Si attuano a diversi livelli con integrazione reciproca. A livello miogeno, ad opera dell’attività elettrica della muscolatura liscia (visto adesso) A livello ormonale, tramite gli ormoni gastrointestinali (vedi gastrina che aumenta l'ERA e l'ECA) A livello neurogeno, per intervento della innervazione vegetativa.( attraverso il vago) Questi sono i 3 meccanismi che regolano l'attività motoria e adesso vedremo come fanno ad integrarsi tra loro. Mentre l’attività elettrica coordina l’attività contrattile, il sistema neuro-ormonale innesca i processi metabolici responsabili della contrazione. Perchè quando registriamo l'attività elettrica non valuti l'attività motoria che si valuta se compare l'ERA, o se fai la registrazione onda pressoria, quindi l'attività elettrica

serve a coordinare, perchè ci sia la contrazione ci devono essere stimoli nervosi o ormonali. Regolazione ormonale dell'attività contrattile. Prima abbiamo visto la miogena, Si ritiene che lo stomaco nella sua attività di mescolamento e svuotamento degli alimenti dipenda da un meccanismo intrinseco che subisce una regolazione di tipo prevalentemente inibitore dal punto di vista ormonale.--> lo stomaco è prevalentemente inibito a livello ormonale. Nelle fasi interdigestive (Quando ho finito la digestione): abbiamo soprattutto una regolazione nervosa dell'attività contrattile. Nelle fasi postprandiali : regolazione ormonale. Quando introduciamo degli alimenti si mette in atto una regolazione ormonale dell'attività secretiva e motoria, soprattutto secretiva in realtà. I principali ormoni interessati a questa regolazione ormonale sono : Gastrina : Induce un aumento di frequenza dell’ECA da 3 a 4,5 cicli al minuto, associato ad un marcato aumento dell’ERA e di conseguenza anche del numero delle contrazioni.( perchè se aumenta l'ECA, aumenta anche la possibilità di avere delle contrazioni) La gastrina determina anche una precoce ed ampia attivazione elettrica dell’antro rispetto al corpo gastrico provocandone una contrazione anticipata rispetto all’onda peristaltica che pertanto risulta meno efficace al fine dello svuotamento. (nell' ipergastrinemia quindi accade che nonostante ci sia un'attività contrattile aumentata, l'onda peristaltica si blocca e si verifica un rallentamento dello svuotamento per questa contrazione precoce dell'antro rispetto al corpo) E' interessante in alcuni stati di ipergastrinemia come quando diamo certi farmaci come gli antiH2 che determinano un'ipergastrinemia ---> danno uno svuotamento rallentato La gastrina è prodotta dalle cellule gastriche G ( 17 AA, antro- piloro) ma anche nel duodeno (big gastrin e big-big gastrin= 34 aminoacidi, tanto che se noi la misuriamo nei pz gastrectomizzati è presente quasi come nei non gastrectomizzati. penta gastrina = ricorda: ultimi 5 AA della gastrina, è quella che si usa in terapia e nelle stimolazioni diagnostiche, ma ha lo stesso effetto biologico della gastrina.Si usa quello perchè 5 aa si fanno prima a sintetizzare. Secretina: dalle cellule S, riduce sia l’attività contrattile che la velocità dello svuotamento gastrico. CCK-Pz : (dalle cell. CCK ) ha un effetto discordante, generalmente inibente ma talora eccitante ( per competitività recettoriale con la gastrina con cui condivide gli ultimi 4 aminoacidi). Se agisce in modo competitivo con la gastrina ha lo stesso effetto della gastrina --> aumenta la contrattilità gastrica, sennò la inibisce. In entrambi i casi, però lo svuotamento risulta rallentato.(vedi prima per gastrina o per riduzione contrattilità) Secretina e CCK sono liberati dal duodeno vengono liberate per il chimo acido, l'acidificazione duodenale porta a aumento di queste sostanze. Nei pz che prendono PPI e che non hanno acidità nello stomaco, non avranno neanche la secrezione di secretina e CCK, mancandolo stimolo fisiologico dell'acidificazione duodenale. Quindi questi pz avranno anche 1 deficit di secrezione di questi H, importanti per es per la secrezione del pancreas esocrino. La secretina induce la secrezione di H2O e bicarbonati del succo pancreatico, la CCK induce la secrezione degli enzimi pancreatici. Presenta gli ultimi AA simili alla gastrina ---> compete con la gastrina o inibisce di suo l'attività della gastrina. Motilina : è diverso da tutti gli altri. E' l’unico ormone che ha un effetto eccitante sulla motilità ma è limitato alle fasi interdigestive. Nel tratto gastrointestinale vi sono numerosi altri ormoni ma più che sulla motilità agiscono sulla secrezione e sul metabolismo. (nella motilità agiscono quelli che abbiamo visto prima). L’azione di questi ormoni si esplica attraverso l’azione di mediatori finali che sono gli stessi che si incontrano nella Regolazione neurogena (attraverso fibre vagali che vanno dal centro alla periferia e che possono essere sia simpatiche che parasimpatiche agiscono liberando alcune sostanze che sono le stesse liberate quando ci sono questi

ormoni attivi, ma andiamo a vedere quali sono. Regolazione neurogena Le caratteristiche delle contrazioni gastriche sono determinate dall’attività elettrica (e questo l'abbiamo già visto) L’ampiezza e la frequenza sono modulate invece dalla stimolazione neuro ormonale. L’evento iniziatore indispensabile è costituito dalla liberazione locale di acetilcolina. (cioè sia la stimolazione ormonale che quella neurogena determinano la liberazione di Ach, tanto che l’atropina, anticolinergico o vagolitico, blocca qualsiasi attività contrattile, si da in gastroscopia così inibisco ogni motilità e riesco anche a incannulare la papilla del Vater se voglio fare un ERCP). Ach è il fattore chiave, in quanto la sua liberazione è mediata sia dalla stimolazione ormonale che da quella neurogena. Le vie nervose sono costituite dal nervo vago e dai nervi splancnici. L’azione degli impulsi nervosi sulla muscolatura si esplica mediante la liberazione di neurotrasmettitori che agiscono su recettori specifici che se inibiti o attivati danno un aumento o diminuzione dell'attività gastrica. Sono stati individuati recettori : - Colinergici - Alfa e beta adrenergici  Dopaminergici.  Lungo il vago decorrono fibre sensoriali afferenti (90%) e fibre efferenti di tipo colinergico ( eccitomotorie) e di tipo adrenergico ( prevalentemente inibenti) e dopaminergico ( inibenti). La stimolazione colinergica induce un aumento della motilità con la comparsa, sui tracciati elettromanometrici,di ERA associate ad ampie onde pressorie in senso oro-aborale.(quindi un'aumento più che del numero dell'ampiezza delle onde manometriche) La stimolazione beta adrenergica riduce l’attività motoria con la scomparsa di ERA, e una disorganizzazione dell’ECA( come se venisse fuori una fibrillazione atriale) La stimolazione alfa adrenergica invece determina una risposta motoria inibente con riduzione dell’ERA La stimolazione dopaminergica provoca una netta inibizione dell’antro e dell’ERA, mentre la frequenza dell’ECA risulta aumentata con le caratteristiche di una tachicardia.Ma tutto sommato la velocità di svuotamento gastrico risulta inibita. Ecco questo per dirvi come sia complessa la regolazione della motilità gastrica, poi ognuno ricordi quello che pensa. Tappe funzionali della motilità gastrica Quando introduciamo gli alimenti abbiamo 3 tappe fondamentali da ricordare: 1-Immagazzinamento. Il cibo arrivato nello stomaco si dispone nel corpo fondo dove si attua un rilasciamento attivo della muscolatura che consente di accogliere gli alimenti. Questo avviene attraverso meccanismi neuro ormonali. La stimolazione dei meccano e chemo recettori locali da parte degli alimenti e liberazione di sostanze ormonali scatena gli impulsi che inducono il rilasciamento muscolare, via nervo vago e neurotrasmettitore dopaminergico. (Questo serve per avere una dilatazione, riflesso oro-vagale). La vagotomia tronculare abolisce il rilasciamento recettivo. 2-Svuotamento. Dipende dalla forza e dalla frequenza delle contrazioni muscolari a loro volta legate all’attività elettrica. Questa attività motoria ha lo scopo di mescolare col succo gastrico e triturare gli elementi e passarli in duodeno. Importante lo spasmo del giunto antro-pilorico che se non si rilascia quello quello non passa assolutamente niente. 3-Fase interdigestiva. E' interessante vedere cosa accade: a digiuno l’attività contrattile dello stomaco è quasi assente. Vi è tuttavia una periodica attività contrattile che si verifica circa ogni 2 ore, inizia nel fondo gastrico e raggiunge l’ileo. Sono stati chiamati Complessi motori migranti interdigestivi e hanno la funzione di “ripulire” l’intestino dai residui alimentari e che non ci sia una sovrapposizione batterica e ci sia una sterilità del digiuno, di mantenere costante la flora intestinale. Sono sotto il controllo della motilina e l’introduzione del cibo arresta tale attività per 4-6 ore. Se questa è la motilità dello stomaco ci si può chiedere se esistono delle patologie che la alterano:

Patologie disfunzionali motorie dello stomaco Dispepsia funzionale (per regolazione nervosa autonomo, per es. Diabete da una neuropatia autonomica --> anche delle dispepsie) Gastrite da reflusso.se noi abbiamo un'incontinenza dell'antro pilorico per un'alterazione motoria e un reflusso di bile nello stomaco avremo una gastrite, diversa da quella da ipersecrezione, in quanto gli sali biliari sono detergenti e danno fastidio alla parte finale dell'antro-piloro---> atrofia e aggravamento della situazione di quel pz. Iper incontinenza pilorica Incoordinazione motoria del giunto gastroduodenale ( ipocinesia gastrica o ipermotilità duodenale non propulsiva o retropropulsiva). Ulcera gastrica. (anche l'ulcera gastrica si può presupporre può essere una patologia motoria. Può essere dovuta : alterazione della barriera mucosa con retrodiffusione idrogenionica.--> Questo può accadere per ipersecrezione o per una barriera insufficiente--> posso avere anche un'ulcera gastrica in situazione di normosecrezione. Qui invece si presuppone ci sia un'alterazione motoria e non secretiva che deriva dal fatto che vi sono siti preferenziali delle ulcere gastriche che si formano nei punti di intersezione dei vari fasci muscolari, oppure la presenza di alterazioni motorie del giunto antro-piloro-duodenale che mi darà un reflusso duodenogastrico la bile altera la barriera gastrica e aumenta il pH e stimola le cellule G a produrre ulteriore gastrina (per il feedback: se pH aumenta le cell G producono più gastrina)---> aumento secrezione HCl nel corpofondo (perchè le cellule G sono lì) Quindi anche l'ulcera gastrica si può presupporre che dipenda da alterazioni della motilità gastrica. Oltre che dall'alterazione della barriera mucosa e da fattori lesivi. Sbilanciamento tra fattori aggressivi e fattori di difesa Suggestive ed ipoetiche disfunzioni motorie Queste ultime si basano sui seguenti dati : Sedi preferenziali delle ulcere gastriche Esistenza di alterazioni motorie Che a loro volta determinano Reflusso duodeno gastrico ( con bile che altera la barriera mucosa e stimolazione delle cellule “G”,che producono gastrina) Ipomobilità dell’antro ( che provocando ristagno gastrico determina flogosi della mucosa e liberazione eccessiva di gastrina). Ulcera duodenale. Nella sua patogenesi prevalgono i fattori aggressivi retrodiffusione idrogenioni, ma spesso sono presenti anche alterazioni motorie: spesso c'è un rapido svuotamento gastrico:HCl arriva non ben tamponato dagli alimenti nel duodeno e lesiona la mucosa, e iperattività motoria del duodeno Stenosi ipertrofica del piloro ( sia congenita che acquisita, secondaria ad ulcera) Gastropatia ipocinetica ( o stasi gastrica). Somigliano all'atonia gastrica e sono situazioni in cui certi pz in pieno benessere hanno un'alterazione acuta della motilità gastrica, con gastroparesi, gastrectasia, il pz vomita, va incontro a disidratazione e se si prolunga nel tempo può dare mancato assorbimento ecc, ma di solito si autolimita. Può essere idiopatica ,da incoordinazione o secondaria, neurogena o miogena Gastropatia ipercinetica (o accelerato svuotamento gastrico) Può esser idiopatica o secondaria a : 1° insufficienza pancreatica con ridotta produzione di monosaccaridi e pertanto minor produzione di ormoni GI ad azione gastroinibente, 2° iperproduzione ormonale, gastrinoma,WDHA , 3° sequele chirurgiche dello stomaco. Atonia gastrica ( o pseudo ostruzione gatrointestinale)può manifestarsi in qualsiasi parte anche nell'intestino, con blocchi dovuti ad alterazioni motorie funzionali. E’ una sindrome rara che si manifesta acutamente determinando stasi gastrica intrattabile(distensione massiva,vomito,perdita di peso). Recede

spontaneamente per poi ripresentarsi ed è dovuta ad un aumento dell’ECA dell’antro distale rispetto a quello prossimale. E’ ereditaria. Patologia motoria post-chirurgica : è per alterazione dell'anatomia vagotomia e gastroresezione La vagotomia tronculare ( che una volta era fatta per curare l'ulcera gastrica, se ne vedono) determina : temporanea disorganizzazione dell’ECA con rallentamento della conduzione elettrica che clinicamente si manifesta con gastroparesi post- intervento e allungamento del periodo di svuotamento gastrico--> i pz riferiscono che non digeriscono bene ecc La vagotomia selettiva determina : visti i danni della precedente, hanno provato a fare questa, sezionando solo i rami del vago che innervano il corpo-fondo dove ci sono le cellule che producono HCl, ma veniva a mancare il rilasciamento recettivo soprattutto per liquidi---> svuotamento accelerato per i cibi liquidi, che sono regolati dalla pressione vigente nel corpo fondo gastrico. I disturbi provocati dalla gastroresezione trovano origine: poteva essere più o meno ampia: BIRET(?)1:senza tagliare il duodeno si fa un'anastomosi tra 1 ansa digiunale e fondo dello stomaco. 2 : anastomosi diretta tra stomaco e duodeno ecc In questa situazione si hanno lesioni anatomiche con: 1°Riduzione del volume gastrico con limitazione della funzione di deposito e ridotta capacità di diluizione e mescolamento. 2°Riduzione della acidità perchè manca corpo-fondo e a sua volta determina inquinamento batterico e irritazione della bile con atrofia della mucosa residua e aggravamento della ipocloridria 3°Alterato svuotamento gastrico per annullamento della funzione antro pilorica duodenale 4°Perturbazioni della fase bilio pancreatica e intestinale della digestioneche è dovuta a) scarsa liberazione di secretina e CCK-Pz,determinata dalla ipocloridria b) asincronismo tra svuotamento rapido e più tardivo arrivo nel digiuno dei secreti biliopancreaticic) invasione batterica digiunale ---> alterazioni extragastriche come dell'assorbimento. Sindromi cliniche post gastroresezione Si vedono spesso Sindromi post prandiali precoci (sindrome da damping=passaggio rapido) Si possono vedere 3 ordini di fattori patogenetici: Effetto neuroriflesso che provoca variazioni del tono e della peristalsi intestinale, variazioni della frequenza cardiaca, vasodilatazione nel territorio mesenterico (tutte per aumento di ormoni intestinale spttutto VIP) Effetto osmotico che provoca : ipovolemia,riduzione del ritorno venoso,diminuzione della gittata sistolica,ipotensione,riduzione flusso cerebre,sincope (dopo mangiato hanno 1 sincope per riflesso vagovagale, alterazione assorbimento liquidi e ipovolemia) Effetto umorale con liberazione di ormoni attivi (bradichinina,serotonina,VIP..) Diarrea post prandiale precoce Sindrome da stomaco piccolo Sindromi post prandiali tardive (ipoglicemia) pz gastroresecati che dopo 2 ore dal pasto ho sudorazione profuse anche fino al coma perchè il passaggio rapido di cibo dallo stomaco al piccolo intestino mi determina liberazione soprattutto a livello basso del piccolo intestino di GLP1, ormone che stimola la secrezione insulinica : per un rapido svuotamento gastrico. Ulcere post anastomotiche Sindromi da deficit di digestione ed assorbimento( statorrea, anemia sideropenica e/o megaloblastica,osteoporosi) Neoplasia del moncone Importante, spesso dopo 20 anni dalla gastroresezione.

Finora abbiamo parlato delle dispepsie funzionali che dipendono da alterazioni della motilità gastrica, ma ci

sono anche quelle da alterata secrezione gastrica: Secrezione gastrica La secrezione gastrica (acqua, HCL, pepsinogeno, fattore intrinseco e altre sostanze) è sotto l’influsso di sostanze stimolanti e inibenti che avvengono a 3 diversi livelli della digestione. In tutte queste 3 fasi troviamo una stimolazione e una inibizione della secrezione gastrica. Ogni sogg normale nelle 24 ore secerne circa 1,5 litri di succo gastrico, 2 litri di succo pancreatico e 3-4 di succo enterico--> notevole! E vengono tutti riassorbiti a livello del colon per fortuna... 1-Fase cefalica. Stimolando centri corticali, limbici, ipotalamici e spinali si può avere sia stimolazione che inibizione. Vista (pasticceria), odore,masticazione del cibo, attraverso la via vagale, stimolano la secrezione clorido-peptica ( attraverso la stimolazione diretta delle ghiandole oxintiche mediante la liberazione di acetilcolina, sia stimolando direttamente le cellule”G”) che non è che faccia bene...perchè è un'ipersecrezione. Cmq vedremo dopo che ci sono anche sostanze inibenti la secrezione di HCl. 2-Fase gastrica. La secrezione di HCl viene provocata da 3 ordini di fattori diversi : chimici ( alcuni cibi, peptoni che sono primi prodotti di degradazione delle proteine, alcol, ma anche sali biliari, determinano la liberazione di istamina, che è l'ultimo mediatore per fare la secrezione di HCl a livello delle cellule del fondo); meccanici (la semplice distensione gastrica da parte dei cibi determina la liberazione di gastrina via vago-vagale); nervosi (la stimolazione vagale determina la liberazione di gastrina tramite la liberazione di acetil-colina che poi darà la liberazione di istamina perchè sembra che sia l'ultimo mediatore). La fase gastrica è la più importante! Anche nella fase intestinale si ha secrezione acida! Fase intestinale Si è visto negli animali che l’introduzione diretta di alimenti in digiuno provoca la liberazione di sostanze che stimolano la secrezione clorido-peptica. Soggetti con ampie resezioni intestinali presentano aumento della gastrina circolante e quindi della secrezione acida ( la gastrina è eliminata sia per via renale ma anche per via intestinale, in questo caso l'aumento è dovuto sia per diminuita inattivazione di gastrina sia per la mancanza di fattori inibenti) Controllo delle cellule “ G “, sono le cellule che producono gastrina e che si trovano nell'antro-piloro, (si trovano anche nel duodeno ma lasciamo perdere, si trovano anche nel pancreas endocrino, le isole pancreatiche contengono cell alfa, beta, delta e cell indifferenziate che possono differenziarsi in cellule producenti gastrina, motivo per cui i gastrinomi sono neoplasie secernenti gastrina in realtà siano per lo più in sede pancreatica!) Controllo della secrezione di gastrina: La secrezione di gastrina è controllata da numerosissimi fattori sia stimolanti che inibenti e che possono manifestarsi nelle 3 fasi! Fattori stimolanti: Nella fase cefalica : i fattori stimolanti sono meccanismi colinergici centrali, adrenalina Nella fase gastrica: sostanze bombesino simili (la bombesina è un ormone gastro-intestinale), distensione antrale, aumento Ph endoluminare, aminoacidi, peptoni. Nella fase intestinale: bombesina è un ormone simile alla gastrina che stimola la secrezione clorido-peptica durante il passaggio del cibo dallo stomaco all'intestino. Altri fattori stimolanti: calcio ( ricorda il calcio che stimola le cellule G e la secrezione acida, 1 litro di latte contiene 600 g di calcio, che aumenta la secrezione gastrica), magnesio, cortisonici, STH, ACTH, PRL,insulina. Una volta il latte era usato come rimedio per l'ucera...in realtà il calcio aumenta la secrezione acida, tuttavia il latte è ancora usato come rimedio, quindi vuole dire che tanto male non fa! Da una parte stimola le cellule G, ma nel latte ci sono proteine che tamponano il pH acido che c'è aumentandolo, forse hanno la prevalenza sul meccanismo mediato dal calcio.---> cmq non sarebbe indicato.) Cortisonici: è nota la capacità del cortisone di dare ulcere gastro-duodenali, sia esogeno, cioè da farmaci, sia chi ha un cortisone endogeno elevato, per capirci nel Cushing.

Insulina di per sè non stimola la secrezione clorido-peptica, ma le ipoglicemie che l'insulina determina attivazione del nervo vago che aumenta la secrezione clorido-peptica. Fattori inibenti: importanti perchè alla fine la secrezione clorido-peptica è un equilibrio tra fattori stimolanti ed inibenti. Nella fase cefalica : fattori inibenti sono la sostanza P che è un ormone gastro-intestinale presente anche a livello cerebrale (= pain, perchè si è visto essere mediatore della trasmissione degli stimoli dolorosi, ma ha anche molti effetti di tipo gastrico e della motilità ), VIP, noradrenalina. Nella fase gastrica: importante perchè questa fase è il nocciolo della questione sia per i fattori inibenti che stimolanti. La somatostatina (è un ormone prodotta normalmente dalle cellule delle isole pancreatiche ma anche in abbondanza nello stomaco dove ha la capacità di inibire la secrezione clorido-peptica dello stomaco, tanto che la somatostatina, o meglio l'octreotide (gli ultimi 8 aminoacidi della somatostatina sintetizzati e in commercio) si usa nella terapia delle ulcere gastro-duodenali sanguinanti), VIP, diminuzione Ph antrale Nella fase intestinale: secretina (inibisce la secrezione), bulbogastrone ( detto così perchè si trova a livello del bulbo in realtà si potrebbe chiamare EGF: epidermal growth factor e si trova nelle ghiandole del Brunner intestinali), Tanto che nelle ulcere da FANS classicamente da indometacina, agiscono soprattutto a livello delle ghiandole del Brunner e agiscono inibendo la secrezione del bulbogastrone---> inibiti i fattori inibenti. VIP,glucagone,GIP, SST, CCK, ceruleina Visto che abbiamo parlato della gastrina come ormone principale, vediamo anche le azioni al di fuori della secrezione clorido-peptica, che sono diverse: Azioni della gastrina su vari organi Esofago : Livelli elevati di gastrina rinforzano la contrazione del LES (aumenta il tono dello SEI) Stomaco: Stimola : la secrezione acida,la secrezione peptica e la motilità antrale. Inibisce : la contrazione dello sfintere pilorico. Tenue : stimola la motilità Pancreas: visto che assomiglia un pochino alla CCK stimolerà la secrezione alcalina, cioè acquosa (moderatamente), e la secrezione enzimatica (fortemente) Fegato: stimola (moderatamente) il flusso biliare e la contrazione della colecisti Circolo : abbassa la tensione arteriosa. Come vedete la gastrina ha anche molti effetti extra-gastrici. Abbiamo visto prima la motilità gastrica e diversi metodi di indagine del funzionamento della motilità gastrica, ora abbiamo visto la secrezione gastrica e vediamo i metodi per studiare la secrezione gastrica, cioè vedere se un pz è normosecretivo, ipersecretivo o iposecretivo. Esplorazione funzionale della secrezione gastrica Si attua tramite “sondaggio gastrico” e ci permette di 1° determinare lo stato secretivo di un pz ulceroso (perchè la terapia dell'ulcera usata oggi è di ridurre la secrezione peptica con gli antiH2, ma ci possono essere pz iposecretivi con un danno per lo più alla barriera--> bisogna proteggere la parete dando prostaglandine (aumenti le difese!!)e non togliere l'acido che sarà per lo più normale. Quindi di fronte a un paziente con ulcera gastrica andrebbe fatto prima uno studio della secrezione per vedere se bisogna inibire la secrezione gastrica con antiH2 o proteggere la parete. 2° dimostrare la presenza di iper-ipo o acloridria gastrica. 3° diagnosticare una sindrome di Zollinger-Ellison( ne abbiamo parlato prima, è il gastrinoma. Si può fare diagnosi con questo esame, se i fai solo una TC e c'è solo un'iperplasia e non ancora un adenoma non la vedi!)--->si studia bene con questo esame. 4° valutare l’efficacia di un'eventuale vagomia, ma lasciamolo perdere perchè oggi non si fa più. Modalità nell’esecuzione dell’esame: paziente a digiuno, a letto sul fianco sx in modo che la grande

curvatura sia sul fianco sx, introduciamo un sondino naso-gastrico per 60 cm in modo da arrivare alla grande curvatura dentro, la produzione di HCl si raccoglie nella grande curvatura e noi vi peschiamo col sondino. (in un pz normale a digiuno al mattino troverai circa 50 cc di liquido). Una volta posizionato sng butti via il liquido che trovi poi lo si tiene in sede per 1 ora senza fare nulla per vedere la secrezione basale di HCl (in un ora circa 50-60 cc se nelle 24 ore è 1 litro e mezzo ) Poi stimoli la secrezione: la puoi fare in diversi modi, quello migliore è quello più vicino al fisiologico, cioè con la gastrina. Gli stimoli usati per l’esecuzione del test sono: 1° pentagastrina ( 6 micro grammi x Kg di peso)--> oggi si usa questa, ultimi 5 aa della gastrina. 2° istamina ( 40 micro grammi x Kg di peso) non si fanno più, dal punto di vista solo teorico. 3° insulina / 0,2 U xKg di peso) perchè determina ipoglicemia e aumento secrezione acida. (vedi prima, ma non si usa). Dopo la prima ora allora inietti gastrina e raccogli il succo gastrico per 1 altra ora. Quindi mandi in laboratorio il succo gastrico nella prima ora basale e poi nella seconda ora. Come si valuta? La valutazione dell’attività secretiva si esegue valutando la: Portata acida che si esprime in mEq di HCL secreti in 1 ora. Si possono determinare i seguenti parametri: BAO ( basal acid output) valori normali 1-4 mEq/ora: Esprime la quantità di HCL secreta darante la prima ora basale senza stimolazione, se iposecretivo ne avrà 0,5, se iper ne avrà di più. MAO (maximal acid output) valori normali 20 +/- 6 mEq: esprime la quantità di HCl secreta durante la prima ora dopo stimolazione. Questi sono i due parametri principali. In realtà quando si raccoglie il succo per 1 ora, si fanno delle raccolte ogni 15 min(cioè 4 raccolte da 15 minuti) e si valuta la secrezione acida dei quarti d'ora. Questo si fa perchè spesso i soggetti con ulcera gastrica hanno un MAO praticamente normale cioè durante la prima ora di secrezione, ma se vai a fare il PAO (cioè picco), durante l'ora di stimolazione il BAO è normale, ma se vai a fare il PAO ho un picco molto più alto del normale. Per cui il PAO sembra essere il responsabile della ipersecrezione cloridrica che non è ipersecretiva in assoluto ma relativa al quarto d'ora. PAO ( peak of acid output) valori normali 22 +/- 6 mEq: esprime la media dei 2 valori acidi più elevati. Il TAO lo lasciamo perdere perchè è relativo alla secrezione dopo stimolazione di insulina. TAO ( total acid output) valori normali 23 +/-6 mEq: esprime l’intera secrezione cloridrica nelle 2 ore successive alla stimolazione insulinica. Correlazioni tra gastrinemia e acidimetria. Abbiamo la possibilità in questi soggetti anche di andare a dosare la gastrina ( valori normali 50+/-20 picog/ml).in realtà si può arrivare anche a 80-90 nella normalità. Abbiamo 2 situazioni diverse: Ipergastrinemia con ipercloridria: - Stenosi pilorica: ovviamente determina un ristagno di alimenti che danno stasi e dilatazione dello stomaco con ipersecrezione di gastrina e se corpo e fondo funzionano avremo anche un' iperstimolazione della secrezione acida. - Antro ritenuto o escluso: situazioni anatomiche particolari post-chirurgiche per cui gli alimenti non bagnano l'antro per cui non abbiamo la situazione di feedback normale e avremo una continua produzione di HCl. - Iperplasia G antrale: fa parte di una forma particolare di Zollinger Ellison. (In realtà esistono 2 tipi di sindrome di Zollinger-Ellison: la Z-E 2: che è quella da neoplasia del pancreas, la Z-E 1 che è quella con iperplasia G antrale. - Sindrome di Zollinger-Ellison - Ritardata degradazione gastrinica (insufficienza renale e nelle resezioni intestinali) i pz in dialisi prendono tutti gli inibitori di pompa, perchè la gastrina è eliminata per via renale e in corso di IR possiamo avere un'ipergastrinemia. La stessa cosa può succedere nelle ampie resezioni intestinali, perchè la gastrina è eliminata dall'intestino.  Insufficienza respiratoria cronica interessante, perchè abbiamo un aumento delle catecolamine per

lo stress importante e la beta stimolazione determina una stimolazione cellule G--> ipersecrezione cloridopeptica e si possono fare delle ulcere gastriche. Esempio: nei pz BPCO possono esserci delle dispepsie ipersecretive. Ma ci sono anche pz con: ipergastrinemia con ipocloridria:quando per qualunque motivo questi pazienti hanno un'alterazione del corpo o fondo gastrico, dove avviene la produzione di HCL: - Gastriti croniche (corpo e fondo gastrico), la riduzione Hcl--> aumento pH--> aumento gastrina che non produrrà HCl... - Vitiligo (è sempre associata a 1 atrofia del corpo-fondo--> chi ha 1 vitiligo estesa probabilmente avrà anche una dispepsia dovuta a questa alterazione particolare del corpo) - Anemia perniciosa (o anemia di Birmer, per far diagnosi basta fare dosaggio della gastrina che sarà alta perchè nell'anemia perniciosa ho una gastrite del corpo-fondo dove si produce anche fattore intrinseco e aumento della gastrina a meno che non ci sia una lesione del corpo fondo ma per Ac anti Fattore Intrinseco) - Ulcera gastrica o neoplasia gastrica del corpo e fondo: alterazione del corpo e del fondo quindi no HCl - Vagotomia abbiamo già visto. - Vipoma (neoplasia che secerne VIP in cui abbiamo 1 ipocoridria perchè il VIP inibisce la secrezione di HCl) Ci possono essere anche sindromi dispeptiche con gastrina molto bassa. In questo caso avremo una gastrite atrofica diffusa. La ipogastrinemia (gastrite atrofica diffusa) si associa sempre a ipoachilia. Per quello che riguarda la fisiopatologia della dispepsia poi rimane il fatto che noi alla fine però ci troviamo sempre davanti il nostro paziente dispeptico... Come comportarsi davanti a 1 pz con sintomi dispeptici? In generale: Se uno riferisce sintomi dispeptici e sta male, ma arriva con una cartella enorme ed è passato da tanti medici--> pensi ad una dispepsia funzionale, ma bisogna stare attenti se cambiano improvvisamente le caratteristiche dei sintomi---> vale la pena di fare qualche esame...perchè anche chi ha la sindrome dispeptica da tanto tempo può ammalarsi di una neoplasia del digerente...vanno comunque ascoltati! importante cercare di vedere se questi disturbi anche in modo subdolo cambiano caratteristiche...per poter un pò orientarci. Se è da poco tempo che è comparsa la sintomatologia dispeptica---> pensi a una causa organica e fai tutte le indagini viste nelle prime diapositive per valutare eventualmente la presenza di una neoplasia o qualcosa di organico del digerente o extradigerente. Quindi in linea generale valuta: recente/non recente con anamnesi Se ci si decide per una dispepsia funzionale sarebbe bene fare comunque qualche esametto come il Breath test con acido octanoico per vedere se ha uno svuotamento accelerato o lento perchè abbiamo visto come le dispepsie motorie possono essere dovute sia a transito accelerato che ridotto. Se è accelerato daremo alcuni farmaci sintomatici, sennò ne daremo altre!! Se è una dispepsia su base secretiva: adesso normalmente si danno sempre gli inibitori di pompa protonica (PPI), ma se è ipocloridrica possono far peggio!! Vanno bene nelle dispepsie ipercloridiche, ma se uno ha una dispepsia ipocloridica come nella atrofia del corpo-fondo gastrico dovremo dare dell'acido cloridrico e non i PPI! Infatti in commercio c'è l'acidoipepsina che sono soluzioni contenente acido e pepsina che è quello prodotto dal fondo gastrico che, essendo atrofico, viene a mancare. Se uno ha una dispepsia e ha la vitiligo non ci deve mai venire in mente di dargli i PPI ma acidoipepsina, perchè la vitiligo è spesso associata a una gastrite atrofica. Per la diagnosi c'è un kit chiamato gastropanel che determina alcune cose che possono interessare la dispepsia in generale. Si possono mettere Valutazione gastrica mediante KITGastropanel Su un prelievo ematico il KIT determina Anticorpi anti helicobacter pylory (se ha senso eradicarlo è ancora in discussione, anche perchè è presente nel 70% -80% delle persone adulte senza sintomatologia. Invece in altre c'è associata l'ulcera gastrica. Allora in questo caso, se lo trovo a livello istologico ha senso eradicarlo con antibiotici e PPI! Invece è ancora

aperta la questione se sia da eradicare in assenza di sintomatologia e di segni di gastrite all'esame bioptico. ) Gastrina 1-17 ( è quella prodotta dall’antro gastrico) Pepsinogeno 1(è prodotto dal fondo e corpo gastrico) Pepsinogeno 2 (è prodotto anche dalle ghiandole antroduodenali) a seconda della combinazione della presenza di gastrina e di pepsinogeno o meno snoi riusciamo a vedere se la lesione è a livello del corpofondo gastrico o se è a livello antrale. Se c'è la lesione. La terapia: (praticamente non esiste, sono malati che girano per tanti medici e hanno provato molti farmaci. Tra i farmaci più usati ci sono i procinetici, e fra questi è meglio il peridon (domperidone) rispetto alla cloropropamide o plasil che può dare attivazione extrapiramidale (movimenti coreici!) meglio usarli a basso dosaggio e non per periodi prolungati. antisecretivi: stare attenti se c'è un'ipersecrezione. Dare Acidoipepsina se c'è un'iposecrezione. (magari la farmacista vi guarda male se glielo chiedete perchè non si vende più, ma esiste e ve lo può preparare) Poi si stanno valutando altri farmaci per pz particolari con una spiccata sensibilità: magari patofobici: si può mandarli dallo psicologo o provare con le benzodiazepine e sostanze psicotrope. Alla fine se la dispepsia è funzionale il problema non si risolve, mentre se è organica bisogna stare attenti a fare una bella diagnosi differenziale perchè si possono prendere delle cantonate.

Malattia infiammatoria intestinale Il termine malattia infiammatoria intestinale (infiammatori bowel disease: IBD) generalmente si riferisce principalmente a due patologie idiopatiche: la retto colite ulcerosa ed il morbo di Crohn. La colite ulcerosa è caratterizzata da una serie di modificazioni infiammatorie che coinvolgono la mucosa del colon in modo superficiale e continuo, generalmente a partire dal retto ed estendendosi prossimalmente. A seconda del grado di malattia, la colite ulcerosa può essere suddivisa in proctite (coinvolgente solo il retto), proctosigmoidite, colite sinistra (che si estende sino alla flessura splenica), e pancolite. A differenza della colite ulcerosa, il morbo di Crohn può coinvolgere qualsiasi segmento del sistema gastrointestinale, spesso in modo discontinuo. La malattia è caratterizzata da un'infiammazione transmurale, che determina una serie significativa di complicanze, tra cui ascessi, fistole e restringimenti. CAUSE Sebbene le cause precise della malattia infiammatoria intestinale rimangano al momento sconosciute, grazie ai recenti progressi nella comprensione dei fattori genetici, immunologici ed ambientali alla base di questa complessa sindrome, si sta iniziando a decifrarne I'eziologia. Allo stato attuale, la teoria più fondata sulla patogenesi della malattia infiammatoria intestinale è quella basata sulla disregolazione dei normali processi immunologici intestinali. Tale disregolazione dà luogo ad una risposta immune esageratamente aggressiva, nella maggior parte dei casi diretta verso la flora batterica intestinale dell'individuo stesso o verso altri fattori ambientali sconosciuti.  Colite ulcerosa La colite ulcerosa è caratterizzata da un'infiammazione cronica della superficie mucosa, che coinvolge il retto (proctite) e si estende prossimalmente nel colon in maniera continua. La maggioranza dei pazienti esibisce inizialmente diarrea , dolore addominale, urgenza alla defecazione, sanguinamento rettale, e passaggio di muco dal retto. I pazienti presentano occasionalmente alcune manifestazioni extraintestinali prima dello sviluppo dei sintomi intestinali. Il decorso clinico tipico della malattia è costellato di esacerbazioni intermittenti, seguite da periodi di remissione. I segni di peggioramento clinico includono lo sviluppo di dolore addominale, disidratazione, febbre e tachicardia. Le caratteristiche cliniche come defecazione frequente, febbre, aumento della frequenza cardiaca e sangue nelle feci, oltre al rilievo di anemia e di un'elevata velocità di eritrosedimentazione, vengono utilizzate per stabilire il grado di severità della malattia.

COMPLICANZE PRINCIPALI Megacolon tossico e/o perforazione I1 megacolon tossico è caratterizzato da un’ampia dilatazione dell'intestino crasso associata a febbre, dolore addominale, disidratazione, tachicardia e diarrea sanguinolenta, che possono richiedere un intervento chirurgico urgente. In caso di megacolon tossico o nei pazienti con colite attiva, specialmente se trattati con corticosteroidi, può verificarsi una perforazione. Anemia L'anemia è causata dal sanguinamento significativo a livello del colon, cosi come dalla soppressione del midollo osseo causata dalla condizione infiammatoria. I casi di emorragia massiva sono rari. Adenocarcinoma del colon I1 rischio di cancro del colon è aumentato nei pazienti con colite ulcerosa. La colonscopia di controllo associata a prelievo bioptico di monitoraggio va effettuata ogni 2 anni dopo 8 anni di malattia nei pazienti con pancolite, e dopo 12-15 anni di malattia nei pazienti con colite sinistra; dopo 20 anni di malattia si procede ad una cadenza annuale di monitoraggio. In caso di riscontro di displasia, (al di fuori del contesto di un polipo del colon), un precursore del cancro, è da raccomandare una colectomia. La proctite non è associata ad un incremento del rischio di cancro.  Morbo di Crohn Può coinvolgere qualsiasi porzione del tratto gastrointestinale e, diversamente rispetto alla colite ulcerosa, l'infiammazione del morbo di Crohn è transmurale, e la parete dell'intestino appare ispessita, fibrotica e caratterizzata da restringimenti. La superficie mucosa può presentare un aspetto “acciottolato"( cobblestoning), correlato con l'edema, con ulcerazioni lineari. Possono svilupparsi fessurazioni profonde che possono dar luogo a micro-perforazioni e alla formazione di tratti fistolosi. La malattia può avere una distribuzione continua, ma spesso è caratterizzata dalle cosiddette skip lesion, con segmenti intervallari di tessuto intestinale normale. I1 mesentere può presentare un’infiltrazione di grasso, conosciuto col termine di grasso pericolico. La malattia è spesso già presente per mesi o anni prima della diagnosi, e nei bambini l'unico segno evidente può essere un ritardo della crescita. La modalità di distribuzione del morbo di Crohn può essere di tre tipi principali:  La forma più comune è quella ileocecale, che coinvolge la porzione distale del piccolo intestino (ileo terminale) ed il tratto prossimale del grande intestino: il morbo di Crohn ileocecale può mimare molte altre patologie, tra cui l'appendicite acuta. I sintomi comuni includono dolore addominale localizzato al quadrante inferiore destro, febbre, perdita di peso ed alcune volte la presenza di una massa infiammatoria palpabile. L'infiammazione cronica, che conduce alla fibrosi ed alla formazione di restringimenti del lume, può esitare in un'ostruzione intestinale parziale o completa, che possono manifestarsi clinicamente con dolore e distensione addominale, nausea e vomito. Siccome la vitamina B12 ed i sali biliari vengono assorbiti a livello dell'ileo terminale, il morbo di Crohn ileocecale o la resezione dell'ileo terminale possono condurre ad un deficit di vitamina B12 ma anche di altre vitamine liposolubili (A, D, E, e K), come risultato del malassorbimento dei sali biliari.  La seconda modalità di distribuzione del morbo di Crohn è caratterizzata dal coinvolgimento dell'intestino tenue, specialmente della porzione terminale dell'ileo. E’ possibile lo sviluppo delle medesime complicanze, incluse le fistole, che possono formarsi tra differenti segmenti dell'intestino, tra intestino ed epidermide, tra intestino e vescica, e tra intestino e vagina.  La terza modalità di presentazione è confinata a1 colon. Sebbene la malattia spesso risparmi il retto, il 30-40% dei pazienti pub sviluppare un disagevole coinvolgimento della zona perianale, con fessurazioni, fistole e ascessi. La diarrea è la conseguenza più frequente.

 Le modalità di distribuzione rimanenti del morbo di Crohn sono rare (5%) e includono l'esofago, lo stomaco ed il duodeno. COMPLICANZE PRINCIPALI Stenosi o (restringimento) dell'intestino tenue o del colon La stenosi può condurre ad un'ostruzione intestinale o ad una stasi con iperproliferazione batterica. Malattia (o resezione) estesa della mucosa ileale Una malattia estesa della mucosa ileale può condurre a malassorbimento di vitamina B12 (che se non corretta determina un'anemia megaloblastica ed una serie di effetti neurologici) e di sali biliari (che determina diarrea indotta dai sali biliari non assorbiti ed un potenziale deficit di vitamine liposolubili). La perdita di peso può risultare da un malassorbimento generalizzato causato dalla perdita di superficie assorbente. Fistole L'infiammazione transmurale può determinare un drenaggio spontaneo negli organi adiacenti adiacenti, o può condurre alla formazione di ascessi attorno all'intestino o a livello di altri tessuti circostanti. Calcoli renali di ossalato di calcio Carcinoma Emorragia massiva L'emorragia massiva è rara nel morbo di Crohn. DIAGNOSI I test di laboratorio non sono specifici e di solito riflettono uno stato infiammatorio (leucocitosi) e/o un'anemia. L'anticorpo anticitoplasma dei neutrofili perinucleare (p-ANCA) è positivo ne170% circa dei casi di colite ulcerosa, ma è raramente positivo nei pazienti con morbo di Crohn, mentre gli anticorpi antiSaccharomyces cerevisiae (ASCA) sono di comune riscontro nel morbo di Crohn ma sono rari nella colite ulcerosa. Questi test sierologici comunque non sono abbastanza sensibili o specifici da essere utilizzati di routine. L'esame delle feci per la ricerca di uova e l'identificazione di eventuali parassiti, ed i test di identificazione della tossina del Clostridium difficile e degli enterobatteri patogeni,vanno effettuati per escludere l'evenienza di infezioni che mimano la malattia infiammatoria intestinale. La colonscopia è fondamentale per la diagnosi e mostra alterazioni anatomopatologiche di entità variabile in relazione al grado di severità della malattia. Nel morbo di Crohn la radiografia dell'intestino rappresenta tradizionalmente il metodo d'indagine migliore per l'esame del digiuno e dell'ileo, sebbene si stia facendo recentemente sempre maggior ricorso all'endoscopia con video-capsula. La TAC permette di valutare l’ispessimento della parete intestinale, con l’infiammazione circostante, nonché gli eventuali ascessi intra-addominali e le fistole. La biopsia completa l’iter diagnostico. MANIFESTAZIONI EXTRA-INTESTINALI Sebbene sia la retto colite ulcerosa che il morbo di Crohn coinvolgano primariamente l'intestino, esse si associano ad una serie di manifestazioni infiammatorie localizzate in altri organi; la manifestazione extraintestinale di più comune riscontro è l'artrite, di cui sono stati identificati due tipi principali. Il primo tipo rappresenta una forma di artrite periferica, asimmetrica, sieronegativa, oligo-articolare, non deformante, che colpisce le grandi articolazioni (circa 20% dei pazienti). Questa forma di solito decorre parallelamente alla malattia del grande intestino e perdura solo per poche settimane.

La seconda forma di artrite ha una localizzazione assiale, ed il suo decorso non corrisponde a quello della malattia intestinale. Consiste di una sacro ileite e/o di una spondilite anchilosante. Si registrano , inoltre, manifestazioni cutanee: pioderma gangrenoso ed eritema nodoso; complicanze epatobiliari: colangite sclerosante primaria, colelitiasi, epatite autoimmune; complicanze oculari: uveite ed episclerite; miscellanea: stati di ipercoagulabilità, anemia emolitica autoimmune, amiloidosi.

OPZIONI DI TRATTAMENTO Grado di severità della malattia Lieve

Rettocolite ulcerosa Composti a base di acido 5aminosalicilico per via orale e topica

Morbo di Crohn Composti a base di acido 5aminosalicilico per via orale e topica Antibiotici Dieta essenziale

Moderato

Composti a base di acido 5aminosalicilico per via orale e topica Steroidi per via orale Azatioprina, 6- mercaptopurina

Composti a base di acido 5aminosalicilico per via orale e topica Antibiotici Budesonide o steroidi per via orale Azatioprina, Metotrexate, Infliximab, 6- mercaptopurina

Severo

Steroidi per via endo, Ciclosporina, Azatioprina, 6mercaptopurina, Chirurgia

Steroidi per via endovenosa Azatioprina, Infliximab, mercaptopurina, Chirurgia

6-

Nefropatie Approccio al paziente nefropatico A) Anamnesi 1. alterazioni della diuresi e della minzione: poliuria: > 2.000 ml di urina/die, oliguria: < 500 ml di urina/die, anuria: < 100 (200) ml di urina/die; pollachiuria: minzione frequente, tenesmo vescicale, spesso in caso di cistite; stranguria: minzione dolorosa in caso di cistite e uretrite; disuria: minzione difficoltosa/debole in caso di disturbi dello svuotamento vescicale (ad es. adenoma prostatico) 2. dolori di origine renale — l’insorgenza acuta di una colica renale (tipicamente il dolore si irradia ai genitali accompagnandosi a tenesmo vescicale ed ematuria) suggerisce la presenza di un calcolo nell’uretere — dolore gravativo, continuo, in regione lombare e/o alla percussione locale: ad es. nella pielonefrite 3. edemi (glomerulonefrite, sindrome nefrosica, insufficienza renale) 4. cefalea (provocata ad es. da ipertensione, pielonefrite, insufficienza renale) 5. febbre (in caso di pielonefrite acuta) 6. precedenti affezioni. B) Reperti obiettivi

— pallore (ad es. anemia di origine renale) — cute color caffelatte (anemia con deposito di cataboliti azotati in caso di uremia) — fetore uremico — edemi — fibrillazioni muscolari, fascicolazioni alla percussione del muscolo (ad es. da ipopotassiemia) — ipertensione — soffio stenotico paraombelicale (ad es. per stenosi dell’arteria renale) — sfregamento pericardico (ad es. uremia) — toni cardiaci parafonici, stasi giugulare (ad es. a seguito di versamento pericardico in corso di uremia) — tachipnea, rantoli (ad es. quale indice di edema polmonare alveolare nell’insufficienza renale con ritenzione idrica) — massa renale palpabile (ad es. tumore di Wilms, cisti renale, ecc.). C) Reperti di laboratorio I Esame delle urine 1. Aspetto: il contenuto urocromico dell’urina e, conseguentemente, l’intensità della normale colorazione delle urine sono inversamente proporzionali al volume delle urine e direttamente proporzionali al loro peso specifico: — dopo scarso o mancato apporto idrico, colorazione ambrata delle urine con elevato peso specifico (fino ad un massimo di 1.035 g/l) ed elevata osmolarità (fino a 1.200 mosm/kg) — dopo carico idrico: urina limpida con peso specifico basso (fino a 1.001 g/l) con bassa osmolalità (fino a 50 mosm/kg). Eccezione classica: diabete mellito: diuresi abbondante e colorazione chiara delle urine. Il peso specifico tuttavia è abbastanza alto per effetto della glicosuria e aumenta anche in caso di proteinuria. Reazioni delle urine: il pH delle urine può variare tra 4,8 e 7,6, a seconda dell’alimentazione: — urina acida: nelle diete ricche di carne, in caso di acidosi, ecc. — urina alcalina: nelle diete vegetariane, senza carne; quando l’urina è stata conservata troppo a lungo; in caso di pielonefrite per effetto di germi che formano ammoniaca (Proteus); molto raramente nei casi ereditari di ridotta estrazione urinaria di acidi (con acidosi metabolica ipercloremica). 2. Proteinuria: nell’ultrafiltrato del rene sano compaiono solo proteine a basso peso molecolare, che vengono riassorbite al 90% a livello del tubulo prossimale. Per proteinuria si intende un’eliminazione urinaria di proteine > 150 mg/24 ore, oppure una variazione qualitativa rispetto alla proteinuria fisiologica. Per microalbuminuria si indica l’eliminazione di albumina in quantità di 30-300 mg/24 ore o di 20-200 mg/l (tipico sintomo precoce di una nefropatia diabetica o ipertensiva). Nella donna una lieve proteinuria può essere simulata dalla presenza di leucorrea. Una lieve proteinuria riscontrata solo durante il giorno, mentre le urine notturne risultano prive di albumina, depone per una proteinuria ortostatica (reperto generalmente privo di significato patologico, soprattutto nei maschi giovani). 3. Glicosuria: nel diabete mellito l’iperglicemia è tale da superare la normale soglia renale (corrispondente a una glicemia di 160-180 mg/dl = 8,9-10,0 mmol/l); nella cosiddetta glicosuria renale (in particolari affezioni tubulari renali) la soglia renale è patologicamente più bassa (glicosuria con glicemia normale). 4. Sedimento: a) Ematuria: valore normale: fino a 5 emazie/μl = limite di sensibilità dello stick. Nota: lo stick documenta l’azione perossidasica dell’emoglobina e della mioglobina, non distingue tra ematuria, emoglobinuria e mioglobinuria; pertanto, in caso di stick positivo, eseguire l’analisi microscopica del sedimento

— microematuria: > 5 emazie/μl, senza tuttavia alcuna colorazione rossa visibile dell’urina — macroematuria: colorazione rossa visibile dell’urina dovuta alla presenza di numerose emazie — analisi al microscopio a contrasto di fase: • eritrociti dismorfici (con morfologia alterata) = indicativi di origine renale: eritrociti raggrinziti e con spicule (acantociti) • eritrociti isomorfi (con morfologia normale) = indicativi di origine postrenale. Cause di positività allo stick per la ricerca di sangue nelle urine: Ematuria: — nelle donne: contaminazione durante il ciclo mestruale — cause pre-renali: diatesi emorragica, anticoagulanti — cause renali: glomerulonefrite, pielonefrite, ipernefroma, necrosi papillare infarto renale, tubercolosi renale, traumi — cause post-renali: urolitiasi, tumori, cistite, traumi. Emoglobinuria Conseguenza di emolisi intravasale (reazioni post-trasfusionali, crisi emolitica in caso di anemia emolitica, emoglobinuria da marcia, ecc.). Mioglobinuria Dopo trauma muscolare. b) Leucocituria: range di normalità fino a 10 leucociti/μl. Se il numero di leucociti nelle urine è tale da avere un color giallo torbido, si parla di piuria. La leucocituria si riscontra soprattutto nelle infezioni delle vie urinarie. La presenza di cilindri leucocitari suggerisce l’origine renale dei leucociti, soprattutto in caso di pielonefrite. Una leucocituria non accompagnata da batteriuria si può riscontrare in: infezioni in corso di trattamento antibiotico, gonorrea, uretrite non gonococcica e post-gonococcica, tubercolosi, sindrome di Reiter, nefropatia da analgesici, ecc. c) Cellule di sfaldamento: Cellule di forma poligonale: origine soprattutto renale. Epitelio piatto: cellule delle basse vie urinarie (senza significato clinico). d) Cilindri: Si formano nei tubuli renali per precipitazione: sono dunque di origine renale. Urinocoltura Azotemia e creatininemia — Creatinina La creatinina si forma nel muscolo per catabolismo del creatinfosfato e viene filtrata dal glomerulo renale. La concentrazione plasmatica della creatinina non dipende dall’alimentazione (fatto salvo per un eccessivo apporto di carne) bensì solo dalla filtrazione glomerulare. Nota: la creatinina supera i valori normali (1,1 mg/d = 97 μmol/l) solo quando la filtrazione glomerulare è diminuita di oltre il 50%. — Azotemia (urea) L’urea rappresenta il prodotto finale del catabolismo proteico. La concentrazione plasmatica di urea dipende da diversi fattori: • renali: quantità di urea filtrata dal glomerulo e retrodiffusione di urea • extrarenali: un maggior apporto proteico esogeno e l’aumento del catabolismo (febbre, ustioni, cachessia) aumentano i valori dell’urea. Solo quando il filtrato glomerulare scende al di sotto del 25%, viene superato il valore normale superiore dell’urea plasmatica pari a 50 mg/dl (= 8,3 mmol/l).

III Determinazione della clearance Clearance: volume plasmatico depurato dal rene da una determinata sostanza in un determinato intervallo di tempo. L’acqua costituisce approssimativamente il 60% del peso corporeo totale dell’uomo. Il potassio e il magnesio costituiscono i principali intracellulari, mentre il sodio rappresenta il principale catione extracellulare. Il fosfato e le proteine costituiscono i principali anioni intracellulari, mentre il cloro e il bicarbonato rappresentano i principali anioni extracellulari. La pressione osmotica del plasma si correla al numero di particelle presenti in soluzione. La osmolalità è pari alla concentrazione di tutte le particelle osmoticamente attive per kg di acqua (osmolarità per l di soluzione). Valori normali: 280-296 mosmol/kg H2O. Il mantenimento dell’isotonia o della isoosmolalità nel liquido extracellulare viene determinato principalmente dalla concentrazione del Na+. Le variazioni degli anioni non hanno alcun effetto particolare sull’isotonia, in quanto i due anioni principali nel liquido extracellulare, HCO3– e Cl–, possono sostituirsi a vicenda per motivi di neutralità elettrica. Alterazioni della concentrazione di K+, Ca++ e Mg++, non influiscono minimamente sull’isotonia, poiché le alterazioni a carico di questi elettroliti non sono più compatibili con la vita, prima che la loro variazione di concentrazione possa agire sull’osmolalità. Tuttavia alcune sostanze non elettrolitiche come il glucosio e l’urea possono aumentare notevolmente l’osmolalità (coma diabetico, insufficienza renale). REGOLAZIONE DELLA CONCENTRAZIONE DI Na E DELLA VOLEMIA Scopo di tale regolazione è il mantenimento dello stato isotonico e isovolemico a livello intravascolare. L’ADH regola il bilancio idrico corporeo: un aumento di osmolalità plasmatica e/o un deficit di volume conducono, mediante la secrezione di ADH nella neuroipofisi, a ritenzione idrica (antidiuresi) e a sete (assunzione orale di acqua). Altri segnali ormonali (sistema renina-angiotensina-aldosterone, ANP, BNP) modificano la eliminazione di sodio (e acqua) a livello renale.

EQUILIBRIO IDRO-ELETTROLITICO Le variazioni della isovolemia e della isotonia sono collegate fra di loro. Le variazioni dell’isotonia sono determinate più frequentemente da alterazioni della concentrazione di sodio (l’osmolarità del plasma dipende principalmente dalla concentrazione di Na+); tuttavia anche gravi iperglicemie ed aumenti dell’urea possono far aumentare sensibilmente l’osmolarità. La regolazione del volume è prioritaria e più rapida rispetto a quella dell’osmolarità. A) Alterazioni del volume, che interessano prevalentemente il compartimento intravasale 1. Ipovolemia: vedi cap. Shock ipovolemico. 2. Ipervolemia:

Eziologia: insufficienza renale + iperidratazione. Nota: l’ipervolemia acuta compare, di regola, solo quando si verificano contemporaneamente una riduzione della funzione renale e un aumento dell’apporto di liquidi; infatti, un rene con funzione normale è in grado di eliminare velocemente l’eccesso di liquidi. Clinica: — tosse, dispnea _ stasi polmonare, edema polmonare (rantolini umidi) — aumento della pressione venosa centrale, stasi venosa (vene del collo e della base linguale), tachicardia, aumento della pressione arteriosa — cefalea, tendenza a convulsioni — rapido aumento di peso — emodiluizione.

Terapia: — causale — sintomatica • posizione seduta con gambe abbassate (diminuzione della pressione idrostatica nei vasi polmonari) • diuretico dell’ansa ad effetto rapido: furosemide 20-40 mg e.v. (somministrazioni ripetute) • nell’edema polmonare inoltre diminuzione del pre-carico (nitroglicerina, salasso non cruento) e respirazione assistita (PEEP) con O2 al 100% • in caso di crisi ipertensiva: nitroglicerina ed altri antiipertensivi • nell’insufficienza renale e iperidratazione: dialisi, calcolo del bilancio idrico e pesatura quotidiana. B) Alterazioni del volume a carico del compartimento extracellulare: tali alterazioni determinano effetti secondari anche sul compartimento intracellulare. Dal punto di vista dello stato di idratazione e dell’osmolalità esistono 6 possibili alterazioni:

a) Disidratazione isotonica Definizione Perdita isotonica di sodio e acqua extracellulare. Eziologia — Perdite renali: • perdite renali primitive: fase poliurica dell’insufficienza renale acuta e cronica. • perdite renali secondarie: terapia con diuretici, malattia di Addison. — Perdite extrarenali: • perdite intestinali: vomito, diarrea, fistole • perdite dal comparto transcellulare (pancreatiti, peritoniti, occlusioni intestinali) • perdite attraverso la cute: ustioni. Clinica Sintomi da ipovolemia: sete intensa, tachicardia, ipotensione, shock, oliguria.

Laboratorio • aumento di ematocrito, emoglobina, proteine totali • osmolalità plasmatica e natriemia normali • aumento del peso specifico dell’urina (con funzione renale normale). b) Disidratazione ipotonica Definizione Perdita di sali > perdita di acqua _ disidratazione extracellulare, edema intracellulare. Eziologia Come nella disidratazione isotonica (vedi sopra), ma con apporto eccessivo di acqua priva di sali. Patogenesi La diminuzione del volume extracellulare comporta, mediante secrezione di ADH, una ritenzione idrica renale. L’iposodiemia comporta un aumento del liquido intracellulare con sintomi cerebrali. Clinica — sintomi da ipovolemia (come nella disidratazione isotonica) con marcata tendenza al collasso — sintomi cerebrali: torpore psichico, psicosi, convulsioni. Laboratorio • emoglobina, ematocrito e proteine sieriche aumentate • natriemia e osmolalità plasmatica diminuite • Na+ urinario < 20 mmol/l in caso di perdite extrarenali • Na+ urinario > 20 mmol/l in caso di perdite renali. c) Disidratazione ipertonica Definizione Deficit di acqua libera con diminuzione del volume intra- ed extracellulare. Eziologia • mancato o insufficiente apporto idrico (sete) • perdite di acqua da: cute (sudorazione), polmoni (iperventilazione), reni (coma diabetico, diabete insipido), tratto gastro intestinale • iatrogena (eccessivo apporto di liquidi osmo-attivi). Patogenesi Per effetto del gradiente osmotico si verifica abitualmente un deficit di acqua intracellulare con sintomi relativamente modesti da ipovolemia. Nella disidratazione ipertonica tutte le cellule perdono acqua, anche gli eritrociti che quindi diminuiscono di volume; in questo caso, nonostante la disidratazione, l’ematocrito aumenterà relativamente poco. Clinica • sete intensa • cute secca e grinzosa, mucose secche • febbre • torpore psichico, stato confusionale • oliguria. Nota: circolazione stabile relativamente a lungo! Laboratorio • ematocrito, emoglobina, proteine sieriche aumentati • osmolalità plasmatica e natriemia aumentate

• osmolalità dell’urina aumentata nei pazienti con funzionalità renale normale • osmolalità dell’urina diminuita (< osmolalità plasmatica) nel diabete insipido. Dopo somministrazione di ADH l’osmolalità dell’urina aumenta nel diabete insipido centrale, ma non in quello nefrogeno. Trattamento della disidratazione 1. Causale 2. Sintomatico — Bilanciare l’apporto e la perdita d’acqua, valutazione del peso corporeo, controllo del bilancio elettrolitico. — Apporto di acqua: valutazione della perdita idrica (adulto, 70 Kg): • esclusivamente sete: fino a 2 l • con cute/mucose secche: 2-4 l • inoltre sintomi circolatori (tachicardia, pressione arteriosa diminuita, pressione venosa centrale diminuita): > 4 l. I sintomi circolatori si manifestano più precocemente nella disidratazione ipotonica (ulteriore spostamento d’acqua da extra ad intracellulare!) Nota: non somministrare plasma expander nella disidratazione in quanto accentuano il deficit idrico extravasale. Nell’insufficienza cardiaca o renale cauto apporto di liquidi _ controllo pressione venosa centrale + peso corporeo! (pericolo di edema polmonare). — Correzione del bilancio sodico: lievi alterazioni della sodiemia rispetto alla norma, in un range di 125-150 mmol/l, sono generalmente asintomatiche. Al primo posto dell’intervento terapeutico sta l’eliminazione della causa scatenante (ad es. sospensione di una terapia diuretica). Nota: alterazioni prolungate del sodio nel siero comportano anche alterazioni del liquor e vanno compensate lentamente nel corso di alcuni giorni. Un riequilibrio veloce tra liquor e liquido extracellulare porta a gradienti osmotici pericolosi per la vita! Questo vale sia per l’ipo- che per l’ipersodiemia in atto da un certo tempo. Nel deficit sodico andrebbero forniti, in aggiunta all’equilibrio volemico ed al bilanciamento, non più di 150 mmol di sodio/die. In caso di iposodiemia grave sintomatica, la correzione dell’iposodiemia non dovrebbe superare le 20 mmol/l/24 ore; la sodiemia non dovrebbe superare 125-130 mmol/l. • In caso di disidratazione isotonica: somministrare soluzione fisiologica o altre soluzioni isotoniche-isoioniche (ad es. soluzione di Ringer) • In caso di disidratazione ipotonica: apporto di soluzione fisiologica (NaCl 0,9%). In caso di deficit di sodio, non più di 200 mmol Na+/24 ore, compresa la quota utile al ripristino del bilancio _ attenzione: in caso di aumento troppo veloce della osmolalità plasmatica la pressione del liquor cade bruscamente!_ pericolo di danno (o emorragia) cerebrale. • In caso di disidratazione ipertonica: apporto di acqua libera sotto forma di glucosata al 5%, dove tuttavia 1/3 del deficit di liquidi deve essere ricostituito con soluzioni isotoniche, isoioniche. Anche in questo caso riequilibrare lentamente nel corso di più giorni; in caso di equilibrio troppo rapido vi è il pericolo di aumento di pressione del liquor, edema cerebrale e mielinolisi pontina centrale. IPERIDRATAZIONE In base alla osmolalità plasmatica – ossia quasi sempre in base alla sodiemia – si distinguono 3 forme di iperidratazione: Eziologia

Eccesso relativo di liquidi e/o cloruro di sodio nei seguenti casi: 1. insufficienza renale 2. insufficienza cardiaca 3. ipoproteinemia: — da perdita di proteine: sindrome nefrosica, enteropatia protidodisperdente — da ridotto apporto: edema da denutrizione — da ridotta sintesi dell’albumina: cirrosi epatica. 4. alterazione dei meccanismi di regolazione — iperaldosteronismo secondario — terapia con gluco- o mineral-corticoidi — sindrome da inappropriata secrezione di ADH (SIADH) = sindrome di Schwartz-Bartter: cause: • paraneoplastica (solitamente microcitoma) • affezioni cerebrali • affezioni polmonari • ipotiroidismo • iatrogena (ad es. citostatici) Nota: nella SIADH non ci sono edemi. Patogenesi In base all’osmolalità o alla concentrazione plasmatica di Na+ si distingue fra iperidratazione isotonica, ipertonica e ipotonica. Ciò dipende dal rapporto con cui vengono somministrati acqua e cloruro di sodio. In caso di alterazioni della osmolalità (della sodiemia) si hanno pericolose alterazioni a carico del contenuto idrico cerebrale: — ipoosmolalità _ aumento di liquidi nel cervello fino all’edema cerebrale — iperosmolalità _ sottrazione di liquidi dal cervello. Clinica — aumento del peso corporeo — sintomi di ipervolemia: • nel grande circolo: edema • nel piccolo circolo: dispnea, stasi polmonare, edema polmonare — evtl. versamento pleurico, ascite — in caso di alterazioni rispetto all’osmolalità (sodiemia) normale si hanno inoltre sintomi neurologici: cefalea, evtl. convulsioni, coma — nell’iperosmolalità (ipersodiemia) la pressione è sovente aumentata, e piuttosto bassa nell’ipoosmolalità (iposodiemia). Laboratorio • diminuzione di ematocrito, emoglobina, proteine sieriche.

Terapia 1) causale: ad es. trattamento dell’insufficienza cardiaca, renale, ecc. 2) sintomatica: — bilancio tra apporto e perdite, peso, controllo degli elettroliti

Nota: l’iposodiemia da iperidratazione (iposodiemia da diluizione) non deve essere confusa con una carenza di sodio, e non va quindi trattata con l’apporto di sodio! In caso di insufficienza cardiaca con edemi, cirrosi epatica con ascite, sindrome nefrosica e insufficienza renale, è di regola indicata la restrizione di acqua e di cloruro di sodio (+ diuretici) — diuretici: • nell’iperidratazione non pericolosa senza segni di ipervolemia nel piccolo circolo: lenta disidratazione controllando particolarmente il bilancio del potassio, ad es. associazione di un saluretico tiazidico ad un saluretico risparmiatore di potassio (al fine di evitare il più possibile una ipopotassiemia) • nell’iperidratazione pericolosa con segni di ipervolemia nel piccolo circolo: somministrazione di un diuretico dell’ansa a rapida azione, ad es. furosemide 20-40 mg e.v., ripetere la dose se necessario (per ulteriori dettagli vedi Terapia dell’ipervolemia) — nell’iperidratazione dovuta ad insufficienza renale: dialisi. EDEMA Definizione Accumulo patologico di liquido nello spazio interstiziale. Un edema generalizzato compare inizialmente nelle regioni declivi: a livello della regione coccigea nel paziente sdraiato, simmetricamente a livello malleolare e pretibiale nel paziente in grado di camminare. Eziologia 1. aumentata pressione idrostatica nei capillari: — generalizzata: insufficienza renale, insufficienza cardiaca destra (vedi anche Iperidratazione) — localizzata: alterazione del deflusso venoso (flebedema): flebotrombosi, sindrome post-trombotica, insufficienza venosa cronica. 2. diminuita pressione oncotica nel plasma secondaria ad ipoalbuminemia (< 2,5 g/dl): — perdita di albumina: sindrome nefrosica, enteropatia essudativa — apporto diminuito: edema da denutrizione — diminuita sintesi di albumina: cirrosi epatica 3. aumentata permeabilità dei capillari: — generalizzata: glomerulonefrite acuta post-infettiva, angioedema — localizzata: edema allergico e infiammatorio, edema post-traumatico, malattia di Sudeck 4. diminuito drenaggio linfatico: linfedema 5. nelle donne pensare alle seguenti possibilità: — edema indotto da diuretici: soprattutto donne che lavorano in strutture mediche o sanitarie, che assumono di nascosto diuretici per dimagrire _ stimolazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone — edema ciclico (in genere pre-mestruale, talvolta periovulatorio) — edema idiopatico (soprattutto donne in premenopausa) — edema fattizio: da autoapplicazione, su base psicopatologica, di un laccio a un’estremità (fare attenzione all’eventuale segno del laccio). Diagnosi differenziale • mixedema da ipotiroidismo: cute di consistenza pastosa; la pressione digitale locale non lascia il segno della fovea (al contrario dell’edema vero, da imbibizione con acqua) • lipoedema: gambe gonfie da depositi adiposi + linfedema; risparmia i piedi. ANGIOEDEMA Definizione Edema acuto del tessuto connettivo profondo, generalmente localizzato a labbra, palpebre, lingua, faringe, con pericolo di edema della glottide e rischio di soffocamento; tendenza alle recidive. Eziologia

1. angioedema istaminergico e angioedema da orticaria (forme più frequenti) — angioedema idiopatico — angioedema da intolleranza; agente scatenante più importante: acido acetilsalicilico — angioedema da ACE-inibitori — angioedema causato da IgE = angioedema allergico — angioedema da cause fisiche (pressione, vibrazione, freddo, luce) 2. angioedema da deficit di C1 -esterasi-inibitore (forma rara) — angioedema ereditario: deficit ereditario autosomico dominante del sistema del complemento: • tipo I (più frequente): ridotta sintesi di C1-inibitore • tipo II (più raro): sintesi di C1-inibitore funzionalmente inattivo — angioedema acquisito: • tipo I: in caso di linfoma maligno • tipo II: da autoanticorpi anti-C1-inibitore. Una forma particolare di angioedema è la «capillary leak syndrome», caratterizzata da edema generalizzato, ascite e shock circolatorio (ad es. quale complicanza rara della terapia con interleuchina-2).

Terapia • Causale: evitare le cause scatenanti, ad es. acido acetilsalicilico, ACE-inibitori, ecc.; allontanare eventuali allergeni. SODIO Valore normale nel plasma: 135-145 mmol/l nell’adulto, 130-145 mmol/l nel bambino. Iposodiemia Definizione Sodio plasmatico < 135 mmol/l negli adulti (< 130 mmol/l nei bambini). Fisiopatologia La sodiemia normale è fisiologicamente regolata dall’assunzione di acqua (senso della sete) e dalla sua eliminazione (ormone antidiuretico, ADH). L’iposodiemia è solitamente la conseguenza di una ridotta eliminazione renale di acqua dipendente dall’ADH; 2 cause: a) stimolazione alla sintesi di ADH causata dall’ipovolemia e mediata dai barorecettori: ad es. cirrosi epatica scompensata, insufficienza cardiaca scompensata, ipovolemia da altre cause b) sindrome da inappropriata secrezione di ADH (SIADH). 1. Iposodiemia ipoosmolare (< 280 mosmol/kg H2O): a) con eccesso di sodio e acqua (edema): sinonimo: iposodiemia da diluizione, iperidratazione ipotonica; cause: — extrarenali (sodio urinario < 20 mmol/l): insufficienza cardiaca, cirrosi epatica, sindrome nefrosica — renali (sodio urinario > 20 mmol/l): insufficienza renale b) con deficit di sodio e di acqua (ipovolemia): sinonimo: disidratazione ipotonica; cause: — extrarenali (sodio urinario < 20 mmol/l): diarrea, vomito, ustioni, traumi, peritonite, pancreatite — renali (sodio urinario > 20 mmol/l): diuretici, nefropatie con perdita di sali, deficit di mineralcorticoidi c) con sodio e acqua normali (non edemi né sintomi da ipovolemia): deficit di glucocorticoidi, ipotiroidismo, polidispia psicogena, farmaci che trattengono acqua, SIADH. 2. Iposodiemia isoosmolare = pseudoiposodiemia (280-296 mosmol/kg H2O):

in caso di aumento dei lipidi o delle proteine plasmatiche, la concentrazione totale del sodio è diminuita, mentre è normale quella del sodio libero. Il dosaggio del sodio con fotometro a fiamma dà valori diminuiti, il dosaggio con elettrodi ione-specifici dà valori normali. 3. Iposodiemia iperosmolare (> 296 mosmol/kg H2O): infusioni ipertoniche (glucosio, mannitolo), iperglicemia. Ipersodiemia Definizione Sodio plasmatico > 145 mmol/l. 1. Con segni di deficit di acqua = ipersodiemia ipovolemica: a) osmolalità urinaria > 800 mosm/kg: perdita di acqua extrarenale e/o insufficiente apporto di acqua b) osmolalità urinaria < 800 mosm/kg: perdita renale di acqua • aumento dell’osmolalità delle urine dopo somministrazione di ADH: diabete insipido centrale • mancato aumento della osmolalità delle urine dopo somministrazione di ADH: diabete insipido nefrogeno oppure diuresi osmotica. 2. Con segni di ipervolemia (rara) = ipersodiemia ipervolemica da infusione incontrollata di soluzione di NaCl. CLORURO Valore normale nel plasma: 97-108 mmol/l. Modifiche della concentrazione di cloruro plasmatico sono parallele a quelle del sodio. Alterazioni isolate della concentrazione di cloruro nel plasma si hanno nelle alterazioni dell’equilibrio acido-base . POTASSIO Fisiologia I valori normali di riferimento variano con l’età: — nei bambini 3,2-5,4 mmol/l — negli adulti 3,6-5 mmol/l. L’apporto giornaliero di potassio ammonta, con alimentazione varia, a ca. 50-150 mmol/die; l’eliminazione avviene per il 90% per via renale e per il 10% per via enterale. In caso di insufficienza renale viene eliminato per compenso più potassio attraverso il colon. Solo il 2% del potassio totale è a livello extracellulare (Ke), il 98% si trova a livello intracellulare (Ki). Il rapporto Ki/Ke, che viene mantenuto tramite il trasporto attivo (NA+/K+-ATPasi), determina il potenziale delle membrane. Il potenziale delle membrane a riposo ammonta a ca. –85 mV, il potenziale soglia che provoca il potenziale di azione è di –50 mV. Fisiopatologia • L’ipopotassiemia acuta provoca, con l’aumento del rapporto Ki/Ke, una diminuzione dell’eccitabilità neuromuscolare; nel caso estremo si ha una paresi muscolare dovuta a blocco dell’iperpolarizzazione. • L’iperpotassiemia acuta comporta inizialmente un aumento dell’eccitabilità neuromuscolare; nel caso estremo si ha una paresi muscolare dovuta al blocco di depolarizzazione. L’iperpotassiemia ha sul cuore un effetto inotropo negativo (forza contrattile diminuita) e dromotropo negativo (conduzione dell’eccitabilità diminuita). • Nelle turbe croniche del potassio i disturbi neuromuscolari sono minori, in quanto la modifica del potassio extracellulare comporta una parallela modifica del potassio intracellulare (per cui il rapporto Ki/Ke si rinormalizza). Nei pazienti con ipo- o iperpotassiemia cronica è dunque possibile che manchino modifiche dell’ECG.

La distribuzione del potassio tra spazio intra- ed extracellulare dipende dai seguenti fattori: 1. equilibrio acido-base: nell’acidosi del liquido extracellulare si ha un afflusso di H+ nelle cellule con lo scambio di potassio _ l’acidosi comporta una iperpotassiemia. Nel senso inverso l’alcalosi comporta una ipopotassiemia 2. insulina ed aldosterone promuovono l’afflusso di potassio nelle cellule; pertanto è possibile trattare a breve termine una iperpotassiemia con infusione di glucosio/insulina 3. la carenza di magnesio comporta una perdita di potassio dalle cellule cardiache e da quelle dei muscoli scheletrici (inibizione della Na+/K+-ATPasi). Nota: — poiché il 98% del potassio è a livello intracellulare, la concentrazione nel plasma non è sufficientemente rappresentativa del bilancio del potassio; — pertanto, è necessaria l’ulteriore verifica a livello degli organi la cui funzione è dipendente dal potassio. Nelle alterazioni acute della potassiemia è utile un ECG; — con la misurazione del potassio nelle urine si può determinare se la perdita di potassio sia a livello renale o enterale; Ipopotassiemia Definizione: potassio plasmatico < 3,6 mmol/l negli adulti (< 3,2 mmol/l nei bambini). Eziologia A) ipopotassiemia da mancato apporto o da perdita (alterazione del bilancio esterno) 1. ridotto apporto orale 2. perdite intestinali: — diarrea, abuso di lassativi, fistole, vomito — mucorrea (aumento della secrezione di muco enterale) nell’adenoma villoso Nota: l’abuso continuo di lassativi costituisce la causa più frequente di un’ipopotassiemia non chiara. Le giovani donne con disturbi non ben definiti (apatia, stipsi) devono essere interrogate circa l’eventuale uso di lassativi! L’ipopotassiemia aumenta la stipsi 3. perdite renali: — primitive, in corso di nefropatia: • nefriti interstiziali croniche • fase poliurica dell’insufficienza renale acuta • acidosi tubulare renale — secondarie: • terapia con diuretici: è la causa più frequente di ipopotassiemia; pertanto in corso di terapia diuretica è necessario aumentare l’apporto di potassio oppure associare un saluretico risparmiatore di potassio • iperaldosteronismo primitivo o secondario • pseudoiperaldosteronismo da abuso di liquerizia • ipercortisolismo • terapia con gluco- e mineralocorticoidi • terapia con amfotericina B B) ipopotassiemia da distribuzione (alterazione del bilancio interno) Spostamento di potassio dallo spazio extracellulare nelle cellule: — alcalosi — terapia insulinica del coma diabetico — paresi parossistica ipopotassiemica (rara affezione familiare). Clinica

Le ipopotassiemie croniche sono per la maggior parte reperti casuali asintomatici nel quadro di un esame di laboratorio. Tanto più rapidamente si manifesta una ipopotassiemia, tanto più accentuati sono anche i sintomi: — adinamia fino alla paresi, fascicolazioni alla percussione del muscolo — stipsi, fino a ileo paralitico (anche paralisi vescicale) — astenia sino alla areflessia — ECG: appiattimento delle onde T, sottoslivellamento del tratto ST, onda U (l’onda U è più alta di T), fusione TU, extrasistoli: la comparsa di extrasistoli durante la terapia con digitale pone sempre il sospetto di ipopotassiemia o sovradosaggio di digitale. Nota: l’ipopotassiemia aumenta i rischi di tossicità digitalica! Nel senso inverso la tollerabilità di una terapia con digitale può essere migliorata mantenendo la concentrazione plasmatica del potassio (e del magnesio) ai limiti superiori della norma — nefropatia da ipopotassiemia: evtl. comparsa di una tubulopatia vacuolare con poliuria + polidipsia, refrattaria all’ADH (diabete insipido renale). Nell’ipopotassiemia cronica si può avere una nefrite interstiziale — alcalosi metabolica. Diagnosi — anamnesi + clinica — potassio nel plasma e nelle urine: • potassio nelle urine > 20 mmol/l: perdita di potassio a livello renale • potassio nelle urine < 20 mmol/l: perdita di potassio a livello enterale — equilibrio acido-base — in caso di ipertensione con ipopotassiemia considerare la possibilità della sindrome di Conn e della stenosi dell’arteria renale. Terapia — Causale: eliminazione delle cause scatenanti, ad es. sospensione di lassativi, terapia con diuretici che non interferiscono sul potassio. — Sintomatica: apporto di potassio tenendo conto del pH • alimentazione ricca di potassio (succhi di frutta, banane, ecc.) • cloruro di potassio: equilibra sovente, accanto alla ipopotassiemia, anche l’alcalosi metabolica concomitante. Se somministrato per os in un soggetto con funzionalità renale normale non vi è alcun pericolo di sovradosaggio: il cloruro di potassio sotto forma di compresse è obsoleto in quanto si possono formare delle ulcere nell’intestino tenue; pertanto assunzione di potassio durante e dopo i pasti con abbondante liquido (ad es. compresse effervescenti). Parenterale: determinazione del deficit di K+ mediante nomogramma (tenendo conto del pH). Apporto di potassio e.v. con controlli della potassiemia + monitoraggio dell’ECG. Nota: 1 mmol di deficit di potassio plasmatico extracellulare corrisponde ad un deficit di 100 mmol di potassio. Per via parenterale non somministrare più di 20 mmol/h (dosaggio massimo giornaliero 3 mmol/kg peso corporeo). Diluire sufficientemente la soluzione di potassio in quanto il potassio è tossico per la parete dei vasi. Nell’ipopotassiemia e acidosi riequilibrare anzitutto il deficit di potassio; solo successivamente correggere l’acidosi (in caso contrario, l’ipopotassiemia peggiora!). Iperpotassiemia Definizione Potassio nel plasma > 5,0 mmol/l negli adulti (> 5,4 mmol/l nei bambini). Eziologia A) Alterazioni del bilancio esterno: 1. eccessivo apporto di potassio

Nota: in caso di normale funzione renale l’apporto orale di potassio non costituisce pericolo, contrariamente a quanto avviene nell’insufficienza renale avanzata: in quest’ultimo caso, una iperpotassiemia pericolosa per la vita può derivare dall’eccessiva assunzione di frutta o del cosiddetto sale dietetico (a base di potassio). Per via parenterale, in assenza di possibilità di controllo, non somministrare mai più di 20 mmol K+/h! 2. diminuzione dell’escrezione renale di potassio: — insufficienza renale acuta: nell’anuria il potassio plasmatico aumento di ca. 1 mmol/l al giorno per effetto del catabolismo cellulare — insufficienza renale cronica: fin tanto che la clearance della creatinina è > 5 ml/min non si ha oliguria e non si verifica una iperpotassiemia, in quanto il potassio viene maggiormente secreto a livello tubulare ed escreto attraverso il colon. In caso di apporto incontrollato di potassio (ad es. frutta, sale dietetico a base di potassio) oppure di somministrazione di farmaci capaci di indurre iperpotassiemia, ad es. diuretici risparmiatori di potassio (amiloride, triamterene, spironolattone), ACE-inibitori, antagonisti recettoriali dell’angiotensina II, FANS, trimetoprim, cisplatino, ciclosporina A, pentamidina, ecc., si possono verificare iperpotassiemie pericolose per la vita! — malattia di Addison (deficit di mineralcorticoidi). B) Alterazioni del bilancio interno (iperpotassiemia da distribuzione) dovute a spostamento del potassio intracellulare a livello extracellulare. 1. acidosi, coma diabetico (carenza di insulina), grave intossicazione digitalica (blocco della Na+/K+-ATPasi con fuoriuscita passiva di potassio nello spazio extracellulare) 2. liberazione di potassio in caso di danni cellulari — vaste ferite dei tessuti molli con miolisi, rabdomiolisi, ustioni — crisi emolitica, trasfusioni di sangue freddo — trattamento con citostatici in caso di tumori maligni — paresi periodica da iperpotassiemia (sindrome di Gamstorp) — dopo ricanalizzazione tardiva di occlusioni arteriose complete (sindrome del laccio). C) Pseudoiperpotassiemia: 1. emolisi dopo prelievo di sangue: spesso vengono riscontrati valori erroneamente alti di potassiemia, conseguenti ad emolisi artificiale (lunga stasi, aspirazione rapida del sangue con aghi a lume stretto, centrifugazione ritardata)! 2. liberazione di potassio nella siringa del prelievo in presenza di marcata piastrinosi o leucocitosi (nella leucemia mieloide cronica). Diagnosi: potassio sierico aumentato, ma potassio plasmatico normale! Clinica Decorso spesso con pochi sintomi: non esiste alcun sintomo affidabile indice di iperpotassiemia! — eventuali sintomi neuromuscolari: parestesie, “formicolio” attorno alla bocca, lingua stopposa, sensazione di “seconda pelle”, spasmi muscolari. — ECG: • onda T a punta di notevole altezza • disturbi di conduzione dello stimolo (blocco A-V, blocco di branca) • flutter o fibrillazione ventricolare, asistolia. Diagnosi — escludere un’insufficienza renale (creatinina) — equilibrio acido-base — escludere la presenza di emolisi (aptoglobina, ecc.) o di miolisi (CPK, ecc.).

Terapia A) Causale, ad es. sospensione di farmaci risparmiatori di potassio nell’insufficienza renale. B) Sintomatica 1. interrompere l’apporto di potassio, sospendere gli alimenti ricchi di potassio (ad es. banane, frutta) 2. favorire l’ingresso di potassio nelle cellule: — glucosio e insulina: 1 UI di insulina pronta ogni 2 g di glucosio (ad es. 400ml di glucosio al 10% + 20 UI di insulina pronta in 1 ora; controllare la glicemia) — bicarbonato di sodio: 50-100 ml di una soluzione 1 molare (all’84%) in più ore — gluconato di calcio: ha solo un effetto limitato ed è controindicato nei pazienti trattati con digitale e nell’ipercalcemia — salbutamolo (2-simpaticomimetico) per via inalatoria: può temporaneamente ridurre la potassiemia (effetti collaterali e controindicazioni Asma bronchiale) 3. rimozione del potassio mediante: — scambiatori di cationi, che scambiano a livello intestinale il potassio con sodio (o calcio). Due tipi: a scambio di sodio, controindicato nell’ipersodiemia e nell’ipertensione; a scambio di calcio, controindicato nell’ipercalcemia. Impiego orale o sottoforma di clisma — dialisi in caso di insufficienza renale. Nota: una potassiemia > 6,5 mmol/l comporta un imminente pericolo di vita e richiede una veloce correzione. MAGNESIO Contenuto complessivo di magnesio nell’organismo ca. 12,4 mmol (0,3 g)/kg di peso corporeo; fabbisogno giornaliero: 15-20 mmol/die (36-48 mg/die). Il magnesio si distribuisce nell’organismo in questo modo: • 1% nel plasma (legato per il 30% all’albumina): concentrazione plasmatica normale: 0,65-1,05 mmol/l • 67% nelle ossa • 32% nella muscolatura scheletrica. A livello intracellulare, il magnesio è legato soprattutto all’ATP (MgATP) ed è in equilibrio con gli ioni Mg++ liberi. Il magnesio è coinvolto nell’attivazione di numerosi enzimi, tra l’altro attiva la Na+/K+-ATPasi influenzando la distribuzione del potassio. Inoltre il magnesio inibisce la messa a disposizione del calcio a livello intracellulare («inibitore naturale del calcio»). Ipomagnesiemia Definizione Magnesiemia < 0,65 mmol/l. Eziologia 1. Ipomagnesiemia primitiva: malattia autosomica-recessiva estremamente rara (con convulsioni generalizzate). 2. Ipomagnesiemia secondaria (acquisita): la maggioranza dei casi: — dieta sbilanciata (alcoolismo, alimentazione parenterale) — sindrome da malassorbimento — aumentato fabbisogno (gravidanza) — maggiore eliminazione renale (disturbi poliurici, terapia con diuretici, ciclosporina A, cisplatino, aminoglicosidi) — pancreatite acuta — abuso di lassativi — affezioni endocrine (diabete mellito, ipertiroidismo).

Clinica Poiché l’ipomagnesiemia può coesistere con una ipocalcemia e/o ipopotassiemia, i suoi sintomi non sono specifici: 1. sistema nervoso: tetania da carenza di magnesio, parestesie, disturbi depressivi, eccitabilità 2. cuore: extrasistoli ventricolari, maggiore sensibilità alla digitale, aumentata suscettibilità delle arterie coronarie agli spasmi coronarici, evtl. con angina pectoris. ECG: sottoslivellamento dell’ST, appiattimento dell’onda T, allungamento del QT 3. tratto gastrointestinale: ad es. spasmi intestinali. Diagnosi — clinica (non tipica), ipomagnesiemia, dosaggio del magnesio urinario nelle 24 ore — esclusione di una ipopotassiemia/ipocalcemia. Terapia 1. Causale 2. Sintomatica: somministrazione di magnesio. Indicazioni: — apporto orale per ripristinare valori normali: dosaggio 10-30 mmol/die — dosaggi farmacologici in caso di valori di magnesiemia normali: ad es. • aritmie ventricolari da digitale • l’extrasistolia può spesso risentire favorevolmente dell’aumento dei livelli di magnesio e potassio ai limiti superiori della norma • tachicardia ventricolare di tipo torsione di punta • eclampsia con convulsioni generalizzate • contrazioni uterine precoci. Ipermagnesiemia Definizione Magnesiemia > 1,05 mmol/l. Eziologia Le cause più frequenti sono l’insufficienza renale e la terapia con antiacidi a base di magnesio. Più raramente: rabdomiolisi, somministrazione di magnesio per via parenterale. Clinica Solitamente reperto di laboratorio asintomatico. In caso di concomitante ipocalcemia e/o iperpotassiemia possono manifestarsi: — debolezza muscolare, nausea, parestesia al volto — ipoventilazione — sonnolenza sino alla narcosi da magnesio — ECG: allungamento del tempo P-Q, allargamento del complesso QRS. Terapia In caso di sovradosaggio parenterale di magnesio, il calcio e.v. funge da antidoto. In caso di ipermagnesiemia e iperpotassiemia da insufficienza renale terminale: dialisi. CALCIO Valori normali nel plasma: calcio totale 2,2-2,7 mmol/l, calcio ionizzato 1,1-1,3 mmol/l.

Ipocalcemia Definizione Calcio plasmatico totale < 2,2 mmol/l, ionizzato < 1,1 mmol/l. Eziologia — con calcio ionizzato normale: ipoalbuminemia di qualunque origine — con calcio ionizzato diminuito: a) con livelli normali di magnesio: • PTH basso, fosfato alto: – ipoparatiroidismo – fase transitoria dopo paratiroidectomia per iperparatiroidismo primitivo • PTH alto, fosfato basso: – deficit di vitamina D – terapia con anticonvulsivanti – pancreatite • PTH alto, fosfato normale o aumentato: – pseudoipoparatiroidismo – rabdomiolisi – iperalimentazione – acidosi tubulare renale – insufficienza renale cronica b) con livelli diminuiti di magnesio: • alcoolismo • sindrome da malassorbimento • forme da farmaci (ad es. terapia con diuretici dell’ansa, gentamicina, cisplatino). Clinica — tetania da ipocalcemia: crampi muscolari senza perdita di coscienza, spesso associati a parestesie, laringospasmo, mano da ostetrico — segno di Chvostek: la percussione del n. facciale nell’area della guancia provoca, in caso positivo, la contrazione dell’angolo della bocca — segno di Trousseau: dopo l’applicazione del bracciale per la misurazione della pressione – alcuni minuti al valore della pressione arteriosa media – compare, in caso positivo, la mano da ostetrico — ECG: allungamento del QT. Diagnosi differenziale Tetania da iperventilazione (calcio totale normale, calcio ionizzato diminuito in seguito ad alcalosi respiratoria). Terapia: tranquillizzare il paziente, farlo respirare in un sacchetto. Terapia 1. Causale 2. Sintomatica — nella tetania: calcio e.v. — terapia a lungo termine: apporto orale di calcio, evtl. in aggiunta vitamina D Ipercalcemia Definizione Calcio plasmatico totale > 2,7 mmol/l, ionizzato > 1,3 mmol/l. Eziologia

1. tumori maligni: sono la causa più frequente (ca. 60% dei casi), soprattutto carcinoma bronchiale, mammario e plasmocitoma — ipercalcemia da osteolisi da metastasi ossee (ad es. nel carcinoma mammario) o da plasmocitoma. — ipercalcemia paraneoplastica da produzione ectopica di peptidi analoghi al paratormone (PTHrP) da parte del tumore (ad es. carcinoma bronchiale). 2. cause endocrine: iperparatiroidismo primitivo (20%), ipertiroidismo, insufficienza surrenalica 3. da farmaci: intossicazione da vitamina D o vitamina A, trattamento con tamoxifene, diuretici tiazidici o scambiatori di cationi contenenti calcio, ecc. 4. immobilizzazione 5. sarcoidosi (sintesi nei macrofagi di 1,25(OH)2-D3) 6. forma transitoria dopo trapianto renale (iperfunzione delle paratiroidi nel corso dell’insufficienza renale). Clinica 1. Evtl. sintomi dell’affezione causale (ad es. affezione tumorale nota). 2. Sintomi da ipercalcemia: la metà dei pazienti non accusa sintomi specifici da ipercalcemia (reperto occasionale da esame di laboratorio) — sintomi renali: diabete insipido renale con poliuria/polidipsia, in caso di mancato apporto idrico adeguato si giunge a disidratazine e anuria — sintomi gastrointestinali: nausea, vomito, stipsi, raramente pancreatite — sintomi cardiaci: aritmie, accorciamento del QT all’ECG — sintomi neuromuscolari: adinamia, debolezza muscolare sino alla pseudoparalisi — crisi ipercalcemica (pericolosa se calcemia > 3,5 mmol/l): • poliuria, polidipsia • vomito, disidratazione con iperpiressia • manifestazioni psicotiche, sonnolenza, coma. Diagnosi 1. dell’ipercalcemia: aumento della calcemia 2. delle cause dell’ipercalcemia: • paratormone (PTH immunoreattivo) aumentato nell’iperparatiroidismo primitivo, ridotto nell’ipercalcemia paraneoplastica • peptide analogo al paratormone (PTHrP) aumentato nell’ipercalcemia paraneoplastica • 1,25-(OH)2-vitamina D3 aumentata nell’ipercalcemia da sarcoidosi • 25-(OH)-D3 aumentata nella intossicazione da vitamina D • ricerca del tumore (radiografia del torace, evtl. mammografia nelle donne, ecografia dell’addome, immunoelettroforesi). Terapia In caso di crisi ipercalcemica: 1. terapia causale 2. terapia sintomatica: — misure generali: • l’intervento terapeutico più importante è la diuresi forzata (5 l/die e oltre) indotta mediante infusione di soluzione fisiologica e furosemide, con controllo del quadro idro-elettrolitico (apporto di potassio) • sospendere l’apporto di calcio (ad es. nelle acque minerali); attenzione ai glicosidi cardiaci e ai diuretici tiazidici! • difosfonati: terapia di scelta nell’ipercalcemia da tumore. Meccanismo d’azione: inibizione dell’attività degli osteoclasti. Ad es.: acido pamidronico 45-90 mg in infusione lenta, in caso di necessità ripetere a distanza di 3-4 settimane. Nota: la calcitonina ha un effetto troppo rapido

— ulteriori provvedimenti: • i glucocorticosteroidi sono antagonisti della vitamina D_utilizzo in caso di ipercalcemia da vitamina D (intossicazione da vitamina D, sarcoidosi); agiscono anche sull’ipercalcemia in corso di plasmocitoma • emodialisi con soluzioni dializzanti prive di calcio, in caso di insufficienza renale. EQUILIBRIO ACIDO-BASE Fisiologia Il mantenimento della concentrazione fisiologica di ioni idrogeno nel sangue e del pH a 7,37-7,45, nonostante la continua azione di metaboliti acidi, avviene grazie a tre meccanismi di regolazione: 1. sistemi tampone 2. eliminazione polmonare di CO2 3. eliminazione renale degli ioni idrogeno. L’organismo dispone di due sostanze tampone extracellulari e di due sostanze tampone intracellulari: • extracellulari: bicarbonato (HCO3–) proteine plasmatiche • intracellulari: fosfato (HPO4 – –) emoglobina Il sistema bicarbonato/acido carbonico riveste la maggiore importanza. La CO2 è eliminata dal polmone e l’escrezione di HCO3 – è regolata dal rene. La regolazione renale dell’equilibrio acido-base è più lenta di quella respiratoria e coinvolge 3 meccanismi: • riassorbimento del bicarbonato: poiché il bicarbonato viene consumato per neutralizzare gli acidi ed eliminato come CO2 dal polmone, esso deve essere continuamente rigenerato dal rene. La anidrasi carbonica gioca un ruolo importante. Per ogni HCO3 – rigenerato viene secreto un H+ e per mantenere la neutralità elettroionica viene riassorbito Na+ • formazione di acido titolabile • formazione di ioni ammonio, che servono per la neutralizzazione degli ioni idrogeno in eccedenza nel lume tubulare. Fisiopatologia 3 tipi di alterazioni nell’equilibrio acido-base: 1. alterazioni respiratorie causate da maggiore o minore espirazione di CO2. 2. alterazioni metaboliche dovute a modificazione della concentrazione di bicarbonato. 3. alterazioni miste, dalla combinazione di disturbi metabolici e respiratori. Meccanismi di compenso Al fine di mantenere costanti gli ioni idrogeno (isoidria), l’organismo compensa equilibrando le variazioni della concentrazione del bicarbonato con opportune modifiche della concentrazione di CO2 e viceversa. Nota: variazioni respiratorie vengono compensate a livello metabolico. Variazioni metaboliche vengono compensate a livello respiratorio. Se, dopo attivazione dei meccanismi di compenso, il pH si trova entro i limiti da 7,37 a 7,45 si parla di variazione compensata, altrimenti di variazione non compensata. Un pH normale non è pertanto sinonimo di normale equilibrio acido-base, ma significa soltanto che i meccanismi di compenso funzionano ancora. Diagnosi Valori normali del sangue arterioso:

ACIDOSI Effetti generali dell’acidosi:

1. per effetto del passaggio intra-extracellulare di K+ si instaura una iperpotassiemia, che tuttavia scompare eliminando l’acidosi (può addirittura trasformarsi in ipopotassiemia) 2. l’acidosi diminuisce la sensibilità della muscolatura liscia vasale alle catecolamine (ad es. nello shock cardiogeno), mentre ha un effetto inotropo negativo sul cuore 3. l’acidosi grave determina ipoperfusione renale (shock + acidosi) _ anuria 4. urina solitamente acida 5. poiché la barriera tra sangue/liquor è ben permeabile al CO2 (contrariamente agli acidi metabolici e al bicarbonato), i disturbi respiratori provocano una variazione più rapida del pH del liquor rispetto ai disturbi metabolici. A) Acidosi metabolica Eziologia 1. Acidosi da addizione: — formazione endogena di acidi: • chetoacidosi: precoma/coma diabetico (da -idrossibutirrato e acetoacetato), digiuno, etilismo • acidosi lattica: eccesso di lattato nello shock, nell’ipossia, raramente quale complicanza di una terapia con biguanidi, grave deficit di tiamina, ecc. — apporto esogeno di acidi: intossicazione da salicilati, alcool metilico, glicole, ecc. 2. Acidosi da ritenzione: — minore eliminazione renale di acidi: • insufficienza renale • acidosi tubulare distale (tipo I) con minore secrezione di ioni H+. 3. Acidosi da perdita di sostanze tampone: — perdita enterale di bicarbonato, ad es. da diarrea — perdita renale di bicarbonato: • acidosi tubulare prossimale (tipo II) • terapia con inibitori dell’anidrasi carbonica. Clinica Respiro (profondo) di Kussmaul (= meccanismo di compenso). Diagnosi — clinica + emogasanalisi — HCO3– diminuito, per compenso diminuita anche pCO2 — pH normale (compensato) o diminuito (scompensato) — in base ai dati di Cl– e gap anionico si hanno 2 quadri: • acidosi ipercloremica con gap anionico normale: ad es. acidosi da sottrazione • acidosi normocloremica con gap anionico aumentato: ad es. acidosi da addizione o ritenzione. Nota: Cl– e HCO3 – costituiscono normalmente l’85% degli anioni nel plasma; il resto (proteinato, solfato, fosfato, anioni organici) è considerato come gap anionico.

B) Acidosi respiratoria Eziologia Insufficienza respiratoria con ipoventilazione alveolare di varia patogenesi Clinica

• ipoventilazione nell’ambito dell’insufficienza respiratoria • astenia, disorientamento fino al coma. Diagnosi — clinica - emogasanalisi — pCO2 aumentata, per compenso anche HCO3– aumentato — pH normale (compensato) o diminuito (scompensato) — pO2 diminuita. ALCALOSI Effetti generali dell’alcalosi: 1. per effetto del passaggio extra-intracellulare e della secrezione tubulare di K+, si instaura una ipopotassiemia 2. l’alcalosi diminuisce la concentrazione degli ioni Ca++ _ evtl. tetania 3. il pH delle urine è quasi sempre alcalino, eccetto che nell’alcalosi metabolica da perdite extrarenali di potassio: in tal caso il rene trattiene il K+ eliminando H+ (aciduria paradossa). A) Alcalosi metabolica Eziologia 1. perdita di succo gastrico acido (dovuto ad es. a vomito) 2. ipopotassiemia da diuretici: in caso di ipopotassiemia il rene elimina più H+ 3. eccesso di mineralocorticoidi (sindrome di Conn, terapia con mineralcorticoidi): i mineralocorticoidi stimolano la secrezione di K+ e di H+ nel tubulo distale del rene 4. maggiore apporto di bicarbonato. Clinica • evtl. bradipnea (= meccanismo di compenso) • evtl. tetania • evtl. sintomi cardiaci: extrasistoli. Diagnosi — clinica + emogasanalisi: — HCO3– aumentato, per compenso anche pCO2 aumentata — pH normale (compensato) o aumentato (scompensato) — in base all’eliminazione renale di Cl– dopo apporto di NaCl 0,9% si distinguono due tipi: • eliminazione di cloruri nelle urine delle 24 ore < 10 mmol/l: perdita di succo gastrico, terapia con diuretici _ alcalosi correggibile mediante infusione di soluzione di NaCl 0,9% • eliminazione di Cl– nelle urine delle 24 ore > 20 mmol/l: eccesso di mineralocorticoidi_ alcalosi non correggibile mediante infusione di soluzione di NaCl 0,9%. B) Alcalosi respiratoria Eziologia Maggiore ventilazione alveolare: • iperventilazione psicogena (più frequente!) • iperventilazione compensatoria nell’ipossia • disturbi cerebrali con iperventilazione • altre cause rare: shock settico, encefalopatia epatica, ecc.

Clinica • iperventilazione come sintomo causale • evtl. tetania da iperventilazione con parestesie, tremore muscolare • in casi pronunciati evtl. diminuzione della irrorazione cerebrale con irritabilità, disturbi di concentrazione/coscienza. Diagnosi — clinica + emogasanalisi: — pCO2 diminuita, per compenso anche HCO3 – diminuito — pH normale (compensato) o aumentato (scompensato). Nota: l’iperventilazione è presente sia nell’alcalosi respiratoria (= causa) che nell’acidosi metabolica (= compenso). L’iperventilazione con alcalosi respiratoria da causa psicogena compare in situazioni di completa salute. Trattamento dei disturbi dell’equilibrio acido-base 1. Trattamento causale: eliminare la causa! 2. Trattamento sintomatico, da attuare con cautela e controlli ravvicinati degli esami: — acidosi respiratoria: aumento della ventilazione a scopo compensatorio per eliminare CO2 — acidosi metabolica: situazione pericolosa quando pH < 7,15: somministrazione di bicarbonato _ effetto: HCO3 – + H+ _ H2O + CO2_ polmoni Nota: in caso di alterazioni rapidamente reversibili (ad es. chetoacidosi diabetica) l’apporto di bicarbonato va attuato con cautela. Infondere il bicarbonato lentamente e a piccole dosi _ rischio di ipopotassiemia! Non aumentare il bicarbonato plasmatico a valori > 15 mmol/l — alcalosi respiratoria: nell’iperventilazione psicogena: esercitare una influenza tranquillizzante sul paziente, arricchimento dell’aria in CO2 mediante aumento dello spazio morto (respirazione in un sacchetto sotto controllo medico) — alcalosi metabolica: situazione pericolosa quando pH > 7,55 • in caso di perdita di succo gastrico acido: infusione di soluzione di NaCl 0,9%; se vi è rischio di sovraccarico di sodio: somministrazione di soluzione di cloruro di arginina • nell’ipopotassiemia: somministrazione di potassio.

PIELONEFRITE ACUTA La pielonefrite acuta è un’infezione del tratto urinario superiore, specificamente del parenchima renale e della pelvi. La definizione della Società Americana di Malattie Infettive è una coltura che mostra almeno 10000 unità formanti colonie per mm3 e sintomi compatibili con la diagnosi. Patogenesi: la maggior parte delle infezioni parenchimali sono secondarie ad un’infezione batterica ascendente dall’uretra e dalla vescica. In più dell’80% dei casi di pielonefrite acuta l’agente eziologico è l’E. Coli. Nei pazienti anziani l’E. Coli è meno commune (circa il 60%) causa di pielonefrite acuta. L’aumentato uso di cateteri in questi pazienti li predispone a infezione con altri Gram – come Proteus, Klebsiella, Serratia, or Pseudomonas. La batteriuria, che frequentemente è polimicrobica, si sviluppa in più del 50% dei pazienti che richiedono cateterismo per più di 5gg e virtualmente in tutti i pz che richiedono catetere a permanenza per più di 1 mese. Pazienti diabetici tendono ad avere infezioni causate anche da Klebsiella, Enterobacter, Clostridium, or Candida.

Questi pz sono anche a rischio aumentato di sviluppare una pielonefrite enfisematosa (che è una malattia necrotizzante con la produzione di gas intraparenchimale) o la necrosi papillare che può portare allo shock e a insufficienza renale grave. Diagnosi differenziale della pielonefrite acuta: - malattia infiammatoria pelvica - colecistite - appendicite - polmonite del lobo inferiore - perforazione di un viscere addominale - fase prodromica di herpes Zoster quando c’è dolore e non ci sono ancora lesioni cutanee evidenti Diagnosi: - esame delle urine - urino coltura: positiva nel 90% dei pz con pielonefrite acuta e che i campioni per la coltura dovrebbero essere ottenuti prima di iniziare la tp antibiotica - segni e sintomi: febbre, brividi, dolore fianco, nausea, vomito, dolorabilità dell’angolo costovertebrale - sintomi suggestivi di cistite: disuria, pollachiuria e urgenza urinaria e dolore sovrapubico - Trattamento: nel pz ambulatoriale la terapia orale può risultare efficace, se non ci sono complicazioni, fino al 90% dei pz. Il trattamento può essere eseguito con ciprofloxacina per via endovenosa o per via orale (il vantaggio di questo antibiotico è che può essere assunto tranquillamente per via orale con un modesto ritardo nell’insorgenza dell’azione). Nella donne immunocompetenti si richiedono da 7 a 14gg di terapia; gli uomini di meno di 60 anni senza ostruzione nè prostatite rispondono a un ciclo di 14gg di tp antibiotica. Gli uomini che hanno un’infezione urinaria ricorrente possono richiedere un trattamento fino a 6 settimane, se hanno una prostatite acuta 4 sett di durata… Sono schemi molto americani…alcune cose sono più lunghe rispetto agli standard nostri. Gli uomini con prostatite cronica prolungano il trattamento fino a 12 settimane. L’urinocoltura di controllo va fatta almeno 1-2 settimane dopo aver finito la tp antibiotica I pz che hanno una complicanza della pielonefrite acuta o che hanno alter malattie sottostanti o che non rispondono alla tp ambulatoriale devono essere ospedalizzati. Se il pz richiede ospedalizzazione, la linea guida raccomanda come inizio di tp antibiotica dopo l’ospedalizzazione: 1) un fluorochinolone 2) un aminoglicoside con o senza associazione con ampicillina 3) cefalosporina a spettro esteso con o senza associazione con aminoglicosidico In realtà noi tendiamo ad utilizzare di più o il chinolonico o la cefalosporina di III generazione perché gli amino glicosidici hanno effetti collaterali sul rene non indifferenti. Il trattamento orale si può utilizzare non appena il pz si sfebbra e migliora clinicamente e può quindi tollerarlo. Il trattamento ottimale per i pz ospedalizzati è di 14 gg. La pielonefrite acuta associata con stati di immunosoppressione risponde bene ad un periodo di chemioterapia di 14-21gg con il fluorochinolone o con il Bactrim. Infezioni urinarie da germi “difficili” Infezioni acquisite in Ospedale (o anche sempre più spesso in RSA e strutture per anziani). Enterobatteri produttori di Beta Lattamasi a spettro esteso (sull’antibiogramma presenti come ESBL+) pongono indicazione a trattamento con carbapenemi (Imipenem e Meropenem)

Enterococchi (faecalis, faecium) resistenti alle penicilline richiedono trattamento con glicopeptidi e cioè teicoplanina e vancomicina (il fenomeno emergente è quello degli enterococchi vancomicino resistenti). Questo è un caso molto importante anche in termini medico-legali. La signora ha infatti denunciato e ha richiesto il risarcimento dei danni per imperizia dei medici che l’hanno seguita durante questo percorso. Bisogna quindi sempre muoversi cercando di tutelarsi da questi fatti. Qui la questione è il non aver raccolto i segni incipienti di shock con tutte le conseguenze del caso. SINDROME NEFROSICA Definizione — grave proteinuria (> 3 g/die) — ipoproteinemia — edemi da ipoalbuminemia (quando albumina sierica < 2,5 g/dl) — iperlipoproteinemia con aumento di colesterolo e trigliceridi. Eziologia 1. Glomerulonefrite 2. Nefropatia diabetica (vedi il relativo capitolo). 3. Cause rare: plasmocitoma, amiloidosi, trombosi venosa renale. Clinica • 4 sintomi tipici della sindrome nefrosica • clinica della malattia di base • evtl. carenza di IgG acquisita con conseguente suscettibilità alle infezioni in caso di forte perdita proteica • nello stadio avanzato sintomi da insufficienza renale • frequenti complicanze tromboemboliche (perdita renale di antitrombina III). Laboratorio — elettroforesi sierica: albumina e gammaglobuline diminuite, con aumento relativo di 2- e -globuline — in caso di insufficienza renale: aumento di azotemia, creatinina; riduzione della clearance della creatinina — eventuale diminuzione di IgG e antitrombina III — aumento di colesterolo e trigliceridi — esame delle urine: il peso specifico dell’urina è elevato per effetto del contenuto albuminico. Diagnosi — clinica + laboratorio — ecografia renale — biopsia renale: per motivi diagnostici, terapeutici e di prognosi è necessario eseguire la biopsia renale con esame istologico. Terapia 1. Trattamento delle malattia di base, rimozione delle evtl. cause tossiche. 2. Terapia sintomatica: a. Misure generali: — evitare gli sforzi — dieta povera di proteine (0,8 g/kg peso corporeo/die) e di NaCl (circa 3 g/die) — terapia diuretica: associazione di un diuretico risparmiatore di potassio e di un tiazidico. In caso di edemi e di scarsa risposta diuretica: associazione di un tiazidico a un diuretico dell’ansa; controlli del quadro idroelettrolitico (in particolare, K+ e Na+). In caso di complicanze tromboemboliche terapia con dicumarolici per via orale

— in caso di edemi gravi e pericolosi per la vita, aumento temporaneo della pressione colloido-osmotica mediante infusione di una soluzione di albumina umana iperosmolare povera di sali — in caso di infezione batterica, antibiotici + somministrazione di gammaglobuline. Vaccinazione contro pneumococchi e virus influenzali — terapia dell’ipercolesterolemia (inibitori dell’HMG-CoA-reduttasi) — trattamento dell’ipertensione (già a valori ai limiti superiori della norma), in quanto questa danneggia ulteriormente i reni. Valori ottimali: 120/80 mmHg. Vengono preferiti gli ACE-inibitori per il loro effetto protettivo sul glomerulo. In caso di insufficienza renale avanzata (clearance della creatinina < 30 ml/min) gli ACE-inibitori sono relativamente controindicati. INSUFFICIENZA RENALE INSUFFICIENZA RENALE ACUTA (IRA) Definizione Insufficienza renale ad esordio acuto, abitualmente reversibile. Sintomo tipico: riduzione della produzione di urina _ oligoanuria con aumento di azotemia e creatininemia. Oliguria: < 500 ml urina/die Anuria: < 200 ml urina/die. Il 15% dei casi presenta diuresi normale o poliuria. In questi casi l’unico sintomo è rappresentato dall’aumento nel plasma delle sostanze normalmente eliminate con le urine. In assenza della dialisi, l’IRA ha un decorso verso l’uremia e l’exitus. Eziologia 1. IRA prerenale (70-80% dei casi) — danno renale circolatorio-ischemico da ipotensione, ipovolemia, shock di varia genesi. Nota: non è sempre possibile accertare anamnesticamente lo shock. Spesso la sintomatologia dello shock è transitoria oppure viene mascherata (ad es. non viene notata la caduta della PA durante la narcosi). — danno renale tossico (alcuni autori lo considerano tra le cause renali di IRA); principali fattori scatenanti: • farmaci: antiinfiammatori non steroidei = FANS (inibitori della sintesi di prostaglandine); ACE-inibitori; antibiotici: aminoglicosidi, cefalosporine, inibitori della girasi, amfotericina B, ecc.; citostatici: cisplatino, metotrexate, ciclosporina, • mezzi di contrasto • sostanze chimiche, ad es. glicole • emolisi (incidente trasfusionale) • rabdomiolisi: traumi («crush-syndrome»), abuso di farmaci, delirio da astinenza alcoolica, eccessivo sforzo fisico, ipolipemizzanti (ad es. inibitori della HMG-CoA-reduttasi, fibrati). 2. IRA renale: affezioni renali da cause diverse: — nefropatie infiammatorie: sindrome di Goodpasture, nefrite interstiziale acuta da farmaci, infezione da Hantavirus, ecc. — nefropatie vascolari: occlusione dell’arteria o vena renale, vasculiti, ecc. — sindrome emolitico-uremica (SEU) = sindrome di Gasser: è la causa più frequente di IRA in età infantile. — ostruzione tubulare da precipitazione di catene leggere (in caso di plasmocitoma), urato (in caso di iperuricemia), ossalato (ad es. in caso di intossicazione da glicole). 3. IRA postrenale: ostacoli al flusso urinario (localizzati dal bacinetto renale fino all’uretra = blocco urinario). Clinica

All’esordio l’IRA non presenta sintomi significativi: successivamente compaiono rapidamente astenia, nausea, torpore, ev. labilità neuropsichica. Poiché in taluni casi può mancare il sintomo principale (oliguria) conviene sempre controllare accuratamente la funzione renale nelle affezioni predisponenti all’IRA (bilancio idrico, azotemia e creatininemia, esame delle urine). 4 Stadi dell’IRA: 1. lesioni renali (ad es. shock, nefrotossine) 2. oligo-anuria: pericoli principali: — ipervolemia (insufficienza cardiaca sinistra, edema cerebrale, edema polmonare) — iperpotassiemia (acidosi metabolica, uremia) 3. poliuria: pericolo principale: perdita di acqua, sodio e potassio 4. guarigione con normalizzazione della diuresi. Complicanze 1. Polmone: — polmone da shock (ARDS) nell’ambito di uno shock che ha portato all’IRA — fluid lung, edema polmonare da ipervolemia — polmonite (ad es. dovuta a respirazione artificiale). Diagnosi 1. anamnesi + clinica 2. quantità della diuresi 3. esami ematochimici: iperazotemia (evtl. stick rapido in caso di emergenza), ipercreatininemia, disturbi elettrolitici, emogasanalisi 4. esami urinari: sedimento, proteinuria, peso specifico e osmolalità, urea, sodio 5. ecografia color-doppler: IRA: nefromegalia; IRC: piccoli reni grinzi; stasi nel bacinetto renale? calcoli? mancato riempimento vescicale? 6. inoltre: — radiografia del torace (fluid lung?) — sospetto di trombosi dei vasi renali _ecografia color-doppler, angiografia — sospetto di IRA postrenale _ parere dell’urologo — esclusione di una GN rapidamente progressiva (diagnostica immunologica: ANCA, ecc.) — esclusione di una infezione da Hantavirus; in età infantile esclusione di una infezione Terapia della IRA 1. Trattamento della patologia di base: — trattamento dello shock — misure di rivascolarizzazione in caso di malattia occlusiva reno-vascolare — trattamento urologico in caso di ostruzione delle vie urinarie. 2. Trattamento sintomatico dell’IRA da causa renale o prerenale: somministrazione di un diuretico dell’ansa, ad es. furosemide. Il trattamento diuretico determina l’aumento della diuresi (ma non del filtrato glomerulare). Ciò rappresenta il presupposto per l’apporto per via parenterale di: — calorie — farmaci. 3. Bilancio idroelettrolitico — in caso di iperpotassiemia, somministrare resine a scambio ionico, ecc. — in caso di acidosi metabolica bicarbonato di sodio (secondo il base-excess)

— apporto di liquidi per bilanciarne la perdita: In aggiunta alle perdite, l’introduzione quotidiana di liquidi in caso di anuria dovrebbe ammontare a circa 600 ml 4. Alimentazione Apporto calorico sufficientemente elevato (ca. 40 kcal/kg). 5. In caso di evtl. somministrazione di farmaci (ad es. antibiotici, digitalici), se ne devono adeguatamente ridurre le dosi. Per il controllo ottimale della terapia, misurare la concentrazione ematica dei farmaci. 6. Trattamento dialitico Indicazioni per la dialisi: — azotemia > 150 mg/dl, oligoanuria < 300 ml urina/24 h — insufficienza renale acuta ipercatabolica (aumento giornaliero dell’azotemia > 60 mg/dl) — iperpotassiemia non controllabile con terapia conservativa — acidosi metabolica non controllabile con terapia conservativa — ipervolemia ingravescente, con pericolo di «fluid lung», edema cerebrale, edema polmonare — pericardite uremica. INSUFFICIENZA RENALE CRONICA E UREMIA Definizione È la conseguenza della perdita irreversibile delle funzioni glomerulare, tubulare ed endocrina di entrambi i reni Eziologia — nefropatia diabetica (circa 35% dei casi) — danni renali da ipertensione (circa 25%) — glomerulonefrite cronica (circa 10%) — nefrite interstiziale, compresa la pielonefrite cronica (circa 5%) — nefropatia policistica (circa 3%) — nefropatia da analgesici (circa 1%) — altre cause (6%): malattie del collagene (in particolare LES) e vasculiti, amiloidosi, mieloma multiplo, ecc. — eziologia non chiara (circa 15%). Stadiazione dell’insufficienza renale: I. Stadio iniziale di compenso: lieve riduzione della clearance della creatinina e della capacità di concentrazione con valori di azotemia e creatininemia ancora normali. II. Stadio della ipercreatininemia compensata: aumento dei valori di creatininemia sino a 6 mg/dl (530 μmol/l), senza sintomi clinici di uremia. III. Stadio della insufficienza renale pre-terminale (preuremia): creatininemia > 6 mg/dl; con valori > 8 mg/dl (707 μmol/l) compaiono i sintomi dell’uremia e si parla di ipercreatininemia scompensata. IV. Insufficienza renale terminale (stadio uremico): creatininemia > 10 mg/dl (884 μmol/l); malgrado l’attuazione di una terapia conservativa, progressione delle manifestazioni uremiche. Trattamento sostitutivo con dialisi e trapianto L’insufficienza renale cronica comporta: 1. deficit di funzione renale escretoria

2. disturbi del bilancio idrico, elettrolitico e acido-base 3. disturbi della funzione renale ormonale: ridotta secrezione di eritropoietina, renina, calcitriolo = 1,25(OH)2-D3, e prostaglandine 4. danno organico tossico provocato dalla ritenzione di sostanze normalmente eliminate con le urine. Clinica dell’uremia 1. stadio di compenso iniziale: isostenuria, poliuria, nicturia, alterazioni del sedimento urinario 2. stadio dell’ipercreatininemia compensata: — sintomi ematologici: • anemia renale con astenia e ridotta resistenza allo sforzo • trombocitopenia, trombocitopatia (_ evtl. diatesi emorragica terminale) • alterazioni della funzione immunitaria — ipertensione arteriosa: ipertensione con sovraccarico del cuore sinistro, evtl. cefalea. Nota: in caso di insufficienza renale terminale si distinguono 2 tipi di ipertensione: • ipertensione secondaria alla ritenzione di acqua e sali _ miglioramento col trattamento dialitico (80-90% dei casi) • ipertensione secondaria all’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone_ non risente del trattamento dialitico 3. insufficienza renale pre-terminale: — ritenzione di sodio ed acqua, con incremento del peso corporeo ed edemi _ (controllare il peso!), «fluid lung» (non rilevabile all’auscultazione, ma diagnosticabile solo con l’indagine radiologica del torace) — insufficienza cardiaca — gastroenterite uremica con vomito e diarrea (_ evtl. disidratazione), emorragie intestinali — prurito — neuropatia uremica — alterata funzionalità gonadica, impotenza — osteopatia renale: I seguenti 3 sintomi caratteristici indicano la presenza di osteopatia renale: • spesso dolori ossei diffusi, a livello dello scheletro delle spalle, delle coste e delle articolazioni delle anche, ginocchia e caviglie • comparsa di fratture spontanee alle coste, vertebre e alle articolazioni delle anche • astenia muscolare, soprattutto alla muscolatura prossimale degli arti inferiori (evtl. andatura barcollante) 4. insufficienza renale terminale: ai sintomi sopra indicati si aggiungono — fetore uremico — neuropatia motoria, encefalopatia uremica con alterazioni della concentrazione, ecc. — pericardite (ecocardiogramma: evtl. versamento pericardico) e pleurite uremica — iperidratazione con edema polmonare — diatesi emorragica — coma, morte. Diagnosi 1. clinica 2. esami di laboratorio — valori ematici: iperazotemia, ipercreatininemia (il suo monitoraggio nel tempo consente di valutare il decorso dell’insufficienza renale), clearance della creatinina diminuita, disturbi elettrolitici (da diuresi, vomito, diarrea), acidosi metabolica (_ evtl. respiro di Kussmaul), anemia renale normocromica — valori urinari: peso specifico intorno a 1.010 (isostenuria) - ammesso che non aumenti per effetto della proteinuria o della glicosuria. Osmolalità < 600 mosmol/ kg, urea < 1 g/dl; evtl. glicosuria (diminuito riassorbimento tubulare)

3. ecografia: nella pielonefrite/glomerulonefrite cronica, si riscontrano reni sclerotici a superficie irregolare e con parenchima assottigliato. Presenza eventuale di cisti renali. In caso di ostruzione delle vie urinarie: stasi nel bacinetto renale 4. diagnostica dell’osteopatia renale Terapia A) Conservativa 1. Trattamento della nefropatia di base 2. Diminuzione della ritenzione di sostanze azotate con dieta povera di proteine ma ricca in aminoacidi. La restrizione proteica deve avvenire solo fino al raggiungimento del valore limite dell’equilibrio azotato (l’apporto proteico deve corrispondere alla perdita). Con una alimentazione normale bisogna garantire un apporto giornaliero di proteine di 0,5 g/kg di peso corporeo. Una dieta ottimale deve mantenere intorno a 10 il rapporto azotemia/creatininemia. La creatininemia non viene influenzata dalla dieta povera di proteine. Una riduzione della creatininemia in assenza di un aumento della clearance della creatinina depone per un decremento della massa muscolare secondario a bilancio proteico negativo (_ aumentare l’apporto proteico!). La dieta iposodica è indicata in caso di ipertensione o edemi per effetto della ritenzione di sodio. 3. Aumento dell’apporto di liquidi (sino a 2-2,5 l/die) così da provocare una maggiore eliminazione di composti azotati tramite l’aumento della diuresi a 2,5 l/ die. In tal modo è possibile ridurre l’azotemia ma non la creatininemia. Una volta assicurato il bilancio elettrolitico, una riduzione della diuresi può essere trattata con due provvedimenti terapeutici: — somministrazione di un diuretico dell’ansa (ad es. furosemide): Invece del trattamento con diuretici dell’ansa ad alte dosi impiegato sino ad oggi, si preferisce ora associare al diuretico dell’ansa un tiazidico. Questo blocco sequenziale del nefrone consente infatti di superare la resistenza ai diuretici. Esso può però comportare una perdita di potassio e magnesio _ controllare gli elettroliti! — somministrazione di bicarbonato per correggere l’acidosi Se nonostante questa terapia la diuresi continua a ridursi, sono allora esaurite tutte le possibilità di terapia conservativa dell’insufficienza renale, e diviene quindi indicato il trattamento sostitutivo. 4. Controlli del bilancio idrico, elettrolitico e acido-basico con correzione dei relativi disturbi La mancanza di sale rappresenta la causa principale di diminuzione della diuresi. L’apporto giornaliero di NaCl si basa sulla perdita nelle urine. 5. Attenzione: tenere conto delle variazioni della farmacocinetica. In caso di insufficienza renale ridurre le dosi di mantenimento (la prima dose rimane invariata) dei farmaci eliminati per via renale . Preferire i farmaci il cui dosaggio resti invariato anche in caso di insufficienza renale. 6. Prevenzione e trattamento delle complicanze: • trattamento dell’ipertensione, che danneggia ulteriormente il rene. Valori ottimali da raggiungere: 120/80 mmHg. La terapia di scelta sono gli ACE-inibitori che dovrebbero svolgere un’azione protettiva sul rene. Nell’insufficienza renale terminale l’ipertensione è solitamente la conseguenza della ritenzione idro-elettrolitica e richiede il trattamento dialitico

• prevenzione e trattamento dell’iperpotassiemia: eliminare la causa (ad es. cibi ricchi di potassio, catabolismo), correggere l’acidosi, somministrare resine a scambio ionico (scambiatori di Na+ oppure di Ca+ +, a seconda della situazione); sono controindicati i diuretici risparmiatori di potassio; anche gli ACEinibitori e il cotrimossazolo possono provocare iperpotassiemia • prevenzione e trattamento dell’osteopatia renale: — terapia dell’iperfosfatemia e controllo del calcio sierico: – restrizione dietetica di fosfati – trattamento con chelanti dei fosfati contenenti calcio (acetato di calcio, carbonato di calcio) Effetti collaterali: pericolo di ipercalcemia — somministrazione di calcitriolo • trattamento dell’anemia renale: somministrazione di eritropoietina • evtl. trattamento del prurito uremico B) Trattamento sostitutivo della funzione renale Obiettivi: rimozione dell’acqua e delle scorie azotate (creatinina, urea, tossine uremiche), correzione delle alterazioni dell’equilibrio elettrolitico ed acido-base; prevenzione delle complicanze dell’insufficienza renale cronica. Procedimenti: 1. Emodialisi extracorporea e dialisi peritoneale — Emodialisi Le sostanze da eliminare diffondono attraverso una membrana semipermeabile secondo un gradiente di concentrazione dal sangue al mezzo dialitico isotonico/isoionico. La differenza di concentrazione tra sangue e dializzato viene mantenuta meccanicamente. In caso di emodialisi extracorporea si utilizzano membrane sintetiche semipermeabili. Per avere un accesso vascolare riutilizzabile, si crea nel paziente sottoposto a programma di dialisi cronico-intermittente, una fistola arterovenosa (ad es. shunt di Cimino tra l’arteria radiale e la vena cefalica). La emodialisi cronico-intermittente va effettuata 3 volte per settimana, ogni volta per 4-8 ore (a seconda della funzionalità renale residua e della taglia corporea). Oltre che nei centri di dialisi è oggi possibile effettuare anche una dialisi domiciliare. Nota: con la dialisi giornaliera (2 ore/die) i pazienti si sentono più efficienti. Pertanto in pazienti selezionati, l’emodialisi continua assume sempre maggiore significato. — Dialisi peritoneale Nella dialisi peritoneale il peritoneo funge da membrana semipermeabile (con una superficie di scambio di circa 1 m2), la cavità addominale funge da contenitore per il dializzato che viene instillato con un catetere. Come liquido di lavaggio si usa una soluzione glucosata priva di potassio, adattata al contenuto elettrolitico del sangue (che però, dopo alcuni anni, può danneggiare il peritoneo riducendone la capacità di ultrafiltrazione); oppure una soluzione col polimero glucidico icodestrina. Indicazioni — dialisi cronica in caso di insufficienza renale cronica; indicazioni all’inizio del trattamento: • sintomi uremici • ipertensione arteriosa difficilmente controllabile • iperpotassiemia non controllabile • iperfosfatemia grave • anemia renale grave • acidosi metabolica grave • creatininemia > 8-10 mg/dl • azotemia > 160-200 mg/dl — insufficienza renale acuta — intossicazione da veleni dializzabili o ultrafiltrabili — ritenzione idrica da causa cardiaca. Complicanze

— nello shunt: stenosi, trombosi, emorragie, infezioni, sepsi, sindrome da furto ematico (con dolori alle dita), aneurisma, insufficienza cardiaca — peritonite nella CAPD, e talvolta infezioni profonde dell’accesso, lungo il catetere (solitamente provocate da germi cutanei: stafilococchi in oltre il 70% dei casi. Diagnosi: scarico di dializzato torbido, ricco di leucociti; identificazione del germe) — in caso di assunzione di liquido incontrollata: ipervolemia ed ipertensione (pesarsi giornalmente) — in caso di assunzione di potassio incontrollata iperpotassiemia pericolosa per la vita — epatite B (vaccinazione profilattica attiva!) ed epatite C — depositi di alluminio cerebrali (demenza da dialisi) ed ossei (attenzione agli antiacidi contenenti alluminio) — cachessia dovuta a catabolismo — polineuropatia — raramente amiloidosi con sindrome da tunnel carpale e artropatia amiloidosica (causa: aumentata concentrazione della 2-microglobulina?) — problemi psichici. C) Trapianto renale

Pneumologia

Pneumopatie ostruttive 

Broncopneumopatia cronica ostruttiva

BPCO è un termine che include un gruppo di patologie polmonari che causano dispnea e che sono caratterizzate da mutamenti strutturali nel polmone che portano ad una limitazione al flusso fissa o progressivamente irreversibile. Questo termine include l’enfisema, la bronchite cronica e le bronchioliti croniche, così come tutte le patologie polmonari che hanno manifestazioni cliniche, radiologiche e fisiologiche comuni. Il termine esclude altre cause di ostruzione al flusso, come la fibrosi cistica e le bronchi ectasie, che anche possono causare irreversibile ostruzione al flusso, e l’asma. Il fumo di sigaretta è la causa più frequente di BPCO; tuttavia contribuiscono altri fattori quali l'inquinamento atmosferico, l'esposizione occupazionale alle polveri e ai vapori e le infezioni. Sebbene il fumo di sigaretta sia una causa molto frequente, va sottolineato che solo il 20% dei fumatori sviluppa una BPCO clinicamente significativa. Ciò suggerisce chela BPCO derivi da una suscettibilità a fattori ambientali (ad es., il tabacco) che dipende da una predisposizione genetica. CARATTERISTICHE CLINICHE Dispnea cronica progressiva DATI DI LABORATORIO

Riduzione dei flussi espiratori principalmente per una diminuzione della pressione di ritorno elastico, ma anche per un’aumentata resistenza al flusso nelle piccole vie aeree. Ipossia ed Ipercapnia nelle fasi terminali.  Enfisema L'enfisema è un’entità clinica inclusa nel termine generale di BPCO. E’ una dilatazione permanente degli spazi aerei che deriva da una distruzione del parenchima polmonare, in assenza di fibrosi. Tali alterazioni esitano in un acino abnorme con una limitata capacità per gli scambi gassosi. L’enfisema può essere classificato in centroacinoso e pan acinoso: l’enfisema centroacinoso, che colpisce la parte prossimale dell’acino,è più comunemente correlato al fumo, mentre I'enfisema pan acinoso è osservabile nell'ambito di un deficit di alfa1-antitripsina. L'elastina è ritenuta il bersaglio principale delle proteasi polmonari, poiche I'assenza di alfa1-antitripsina previene l'inattivazione dell’elastasi. Una eccessiva distruzione delle fibre di elastina porta ad una riduzione del ritorno elastico del polmone. Dal momento che le elastasi, possono essere rilasciate nel polmone dai neutrofili, macrofagi ed altre cellule immuni, anche l’infiammazione viene considerata un processo chiave nello sviluppo dell’enfisema. L’infiammazione inoltre causa edema della mucosa e produzione di muco, i quali portano entrambi ad un restringimento delle vie aeree. Anche gli stimoli neurogenici sono considerati importanti nella patogenesi delle malattie ostruttive delle vie aeree. La via bronco costrittiva, che normalmente serve a proteggere le vie aeree da agenti nocivi, in condizioni patologiche può contribuire all'iperreattività delle vie aeree. MANlFESTAZlONl CLINICHE Generalmente, l'enfisema da fumo di sigaretta non si osserva nei pazienti con meno di 40 anni. L'enfisema correlato all'esposizione cronica a1 tabacco si manifesta con dispnea lentamente progressiva, che in un primo momento si presenta durante l'esercizio, ma successivamente progredisce negli anni fino ad essere evidente anche a riposo. I pazienti affetti da enfisema possono lamentare intolleranza all'esercizio e astenia; la malattia comporta peraltro anche perdita di peso, depressione e/o ansia dovuti ad aumento del lavoro respiratorio. In alcuni casi può essere presente tosse cronica, secca o produttiva a seconda del grado di coinvolgimento delle vie aeree. Durante le fasi iniziali dell'enfisema, l’esame obiettivo può essere normale e ritardare la diagnosi. Quando la patologia progredisce, il polmone può risultare iperfonetico alla percussione e con l'auscultazione è possibile rilevare alcuni ronchi, sibili o deboli crepitii. Nelle fasi più avanzate della malattia i pazienti mostrano evidente aumento del lavoro respiratorio, come risaltato dall'uso dei muscoli accessori, dalle labbra increspate e dalla perdita di peso. Con il progredire della malattia, i volumi polmonari aumentano (iperinflazione) e il diaframma si appiattisce; ciò rende l'escursione inspiratoria insufficiente. Il volume corrente si riduce e la frequenza respiratoria aumenta, nel tentativo di ridurre il lavoro respiratorio. A causa della perdita di vascolarizzazione delle pareti alveolari distrutte, le pressioni polmonari aumentano (ipertensione vascolare polmonare), con sovraccarico del ventricolo destro. Tali alterazioni, associate alla costrizione dei vasi polmonari prodotta dall'ipossiemia, possono accelerare lo sviluppo di insufficienza ventricolare destra, nota come cuore polmonare. I segni che caratterizzano il cuore polmonare comprendono ritmo di galoppo, distensione delle vene del collo, reflusso epatogiugulare ed edema degli arti inferiori. DIAGNOSI La spirometria, essendo in grado di rilevare una riduzione del FEV1, consente di individuare meglio queste caratteristiche. La riduzione del FEV1 predomina rispetto alla riduzione della capacita vitale forzata (CVF) portando ad una riduzione del FEV1/CVF%; la riduzione del FEV1 e del FEV1/CVF% è patognomonica della limitazione del flusso aereo (CVF: massima quantità di aria che può essere espirata dopo un’inspirazione

normale; FEV1: volume espiratorio forzato in 1 secondo, che corrisponde a quella porzione di CVF che può essere espirata nel primo sec). La severità di malattia e la prognosi possono essere stimate in base al FEV1: un FEV1 intorno a 1L (generalmente indica ostruzione severa). I volumi polmonari vanno sempre misurati, poichè la limitazione al flusso di aria espirato e la diminuzione del ritorno elastico portano ad iperinflazione del polmone, la quale viene evidenziata da un aumento del volume residuo (quantità di aria che rimane nel polmone dopo espirazione massimale), della capacità funzionale residua e anche della capacita polmonare totale (quantità di aria presente nei polmoni dopo inspirazione massimale). La perdita di superficie alveolare, insieme con l'ostruzione bronchiale e I'alterata distribuzione dell'aria ventilata porta ad un deviazione o disarrangiamento del rapporto ventilazione/perfusione (V/Q), che può determinare ipossiemia (si crea uno spazio morto) . Le alterazioni negli scambi gassosi possono essere evidenziate mediante emogasanalisi arteriosa. Nelle prime fasi dell'enfisema, la radiografia del torace potrebbe essere inefficace nel rivelare anomalie ma, nelle fasi più tardive, l'esame radiografico mostra iperinflazione, iperdiafania, appiattimento del diaframma e modificazioni bollose del parenchima polmonare. La TC consente una valutazione più dettagliata del parenchima polmonare e delle strutture circostanti. L'elettrocardiogramma può mostrare segni di sovraccarico del ventricolo destro. Gli esami ematologici possono evidenziare un'eritrocitosi nel contesto di un'ipossiemia cronica, mentre un aumento della conta dei globuli bianchi pub suggerire un'infezione. MANAGEMENT Poiché non esiste una cura per l’enfisema, l’approccio migliore consiste nella sua prevenzione. Una volta accertato l’enfisema, la terapia è diretta ed evitare le complicanze (ad es., infezioni), cercando di aumentare il calibro delle vie aeree e di minimizzare gli effetti di un'ossigenazione non adeguata. I farmaci utilizzati per diminuire l’ostruzione delle vie aeree includono i broncodilatatori, gli anti-infiammatori e i mucolitici. Il supplemento cronico di ossigeno attualmente è spesso adoperato in pazienti con enfisema avanzato e legato a disturbi polmonari ostruttivi. I1 supplemento può rendersi necessario anche negli stadi iniziali in presenza di un danno d'organo documentato o nei peggioramenti acuti della patologia. In alcuni pazienti con patologia allo stadio avanzato, gli interventi chirurgici dovrebbero dimostrarsi vantaggiosi. Di questi, la bullectomia, l'intervento chirurgico per ridurre il volume polmonare (LVRS), e il trapianto dei polmoni sono tutti potenziali opzioni chirurgiche efficaci per pazienti scelti.  Bronchite cronica La bronchite cronica spesso coincide con l'enfisema nel paziente con BPCO, ed è definita come una tosse persistente che ha come risultato la produzione di espettorato per più di tre mesi in ciascuno degli ultimi due anni. Il fumo delle sigarette è la causa principale, sebbene anche l'esposizione a sostanze tossiche potrebbe avere il suo ruolo. I risultati patologici sono iperplasia delle cellule cilindriche, tappi di muco e fibrosi. Al contrario dell’enfisema, la bronchite cronica è principalmente una malattia delle vie respiratorie e non del parenchima polmonare. Pertanto, le principali manifestazioni cliniche sono correlate alla limitazione del flusso aereo legato alla resistenza delle vie aeree. La presentazione clinica del paziente con bronchite cronica è simile a quella descritta per i pazienti con enfisema, ma un sintomo predominante è la produzione di espettorato. Potrebbero essere presenti anche ricorrenti infezioni batteriche delle vie respiratorie. La diagnosi include test di funzionalità polmonare e radiografia toracica in aggiunta a test di laboratorio standard. Il trattamento include I'uso di broncodilatatori Per inalazione e corticosteroidi. Fisioterapia toracica per favorire I'espettorazione. In pazienti selezionati, la terapia antibiotica continua con cicli alternanti di agenti differenti (antibiotico-terapia a rotazione) potrebbe migliorare i risultati.

 Bronchiolite cronica La bronchiolite cronica è una malattia associata all'infiammazione, alla fibrosi, e alla distorsione delle piccole vie aeree (bronchioli membranosi e respiratori) che portano alla limitazione delle vie aeree dovuta all'aumento della resistenza delle vie respiratorie. Questi cambiamenti possono essere accompagnati da iperplasia muscolare delle vie aeree. Il fumo delle sigarette è la causa principale. La bronchiolite può anche essere riscontrata dopo esposizione cronica alle polveri minerali collegate all'occupazione come silicio e amianto. Presentazione e valutazione clinica simili a quelle descritte per la BPCO.  Bronchiectasia La bronchiectasia è una dilatazione anomala dei bronchi che è la conseguenza di un’ infiammazione e di cambiamenti distruttivi permanenti negli strati elastici e muscolari delle pareti bronchiali. Questa malattia è di solito causata da infezioni ricorrenti o croniche gravi. I pazienti con bronchiectasia mostrano tosse cronica, espettorato abbondante e di cattivo odore (talora con tracce di sangue), respiro corto, suoni toracici anomali e stanchezza. La diagnosi si esegue mediante test di funzione polmonare, che mostrano vari gradi di ostruzione; l’RX toracico può essere normale o mostrare dilatazione bronchiale, pareti ispessite, immagini a binario (cioè pareti ispessite che non decrescono dai siti prossimali ai distali). La TC è più sensibile per la scoperta delle vie aeree dilatate.  Fibrosi cistica Malattia genetica autosomica recessiva; colpisce diversi organi. E’ il frutto di una mutazione di un singolo gene che codifica un regolatore di conduttanza trans membrana della fibrosi cistica (CFTR), che è un canale localizzato sulla superficie apicale delle cellule epiteliali. Questa imperfezione ha come risultato un trasporto difettoso del cloro e un aumento dell’assorbimento del sodio nelle vie aeree e negli epiteli del dotto, creando secrezioni spesse e viscose nei tratti respiratori, epatobiliari, gastrointestinali, e riproduttivi. Le secrezioni spesse causano ostruzione del lume e distruzione dei dotti esocrini. CARATTERISTICHE CLINICHE Nei pazienti con la fibrosi cistica le vie respiratorie vengono colonizzate all'inizio dallo Staphylococcus aureus o Haemophilus influenme, seguiti dallo Pseudomonas Aeruginosa. L'infiammazione e l'infezione persistenti causano distruzione della parete bronchiale e bronchiectasia. L’otturazione delle piccole vie respiratorie da parte dei muchi causa dilatazioni cistiche post-ostruttive e distruzione parenchimale. Segue l'ostruzione progressiva del flusso aereo e la maggior parte dei pazienti muore di scompenso respiratorio. Questi pz possono presentare depositi salini sulla cute, tosse persistente, con o senza produzione di espettorato, sibili, dispnea, inappetenza o deficit di crescita,feci grasse e voluminose, sterilità e/o osteoporosi e diabete. DIAGNOSI I test di funzionalità respiratoria possono evidenziare diversi gradi di ostruzione, anche se non uente udostruzione progressiva delle vie aeree. Le indagini radiologiche del torace possono risultare normali

evidenziare delle bronchiectasie. TRATTAMENTO Il trattamento della fibrosi cistica comporta un'attenta rimozione delle secrezioni dall'albero bronchiale, un supporto nutrizionale compresa la terapia sostitutiva con enzimi pancreatici e la somministrazione di terapia antibiotica, broncodilatatori e DNasi umano ricombinante aerosolizzato, che riduce la viscosità dell'espettorato. L’'unica possibilità di trattamento per i pazienti con fibrosi cistica allo stadio terminale è il trapianto di polmone.  Asma L'asma è un disturbo polmonare cronico caratterizzato dall'infiammazione, iperreattività e ostruzione reversibile delle vie aeree. L'infiammazione delle vie respiratorie è considerata il principale meccanismo fisiopatologico responsabile dell'asma. L'asma è anche associato a1 rimodellamento della parete delle vie respiratorie che è caratterizzato da iperplasia e ipertrofia delle cellule del muscolo liscio, edema, infiltrazione infiammatoria, e l'aumento della deposizione delle componenti del tessuto connettivo come collagene di tipo I e III. I1 rimodellamento della parete delle vie respiratorie porta ad una limitazione del flusso respiratorio irreversibile, che peggiora il disturbo rendendo i farmaci broncodilatatori meno efficaci: il rimodellamento della parete delle vie respiratorie rende anche molto più difficile distinguere questo disturbo dalla BPCO nella quale l'ostruzione del flusso respiratorio è irreversibile. MANlFESTAZlONl CLINICHE La classica triade dei sintomi prevede respiro sibilante persistente, dispnea episodica cronica e tosse cronica. Spesso questi sintomi peggiorano di notte o durante le prime ore del mattino. DIAGNOSI La diagnosi dell'asma richiede una documentazione di iperreattività e ostruzione reversibile delle 'vie respiratorie al flusso. La limitazione del flusso dell’aria è facilmente rilevata se presente dalla spirometria. Il test di bronco provocazione consiste nel fornire al paziente una dose a livello delle vie respiratorie di uno stimolante con attività bronco dilatatoria; istamina, metacolina e aria fredda tra gli stimolanti più utilizzati. Anche lo sforzo può essere usato per scatenare un attacco. La diagnosi dipende dalla dose dello stimolante necessaria a provocare l’effetto. Di ausilio anche rx toracico e analisi del sangue. TRATTAMENTO La terapia di mantenimento in tutte le forme di asma, escluse quelle lievi, si fonda sull’assunzione di corticosteroidi per inalazione. I broncodilatatori, al lunga o breve durata d’azione sono aggiunti per il controllo dei sintomi suppletivi.

Pneumopatie interstiziali Le pneumopatie interstiziali rappresentano un gruppo di oltre 120 entità nosologiche distinte, caratterizzate da un danno polmonare cronico diffuso e da un processo infiammatorio che di solito evolve

con un esito fibrotico irreversibile. Distinguiamo in questo macro gruppo le polmoniti interstiziali idiopatiche; malattie granulomatose; pneumopatie interstiziali legate al tessuto connettivo; pneumopatie interstiziali indotte da farmaci; vasculite polmonare; entità distinte di origine sconosciuta che si manifestano come sindromi ben definite, come sarcoidosi, granuloma eosinofilo, e linfangioleiomiomatosi. In generale, le pneumopatie interstiziali sono caratterizzate da quattro manifestazioni, che insieme vengono indicate come sindrome da pneumopatia interstiziale: 1) sintomi respiratori come dispnea e tosse, 2) infiltrazioni bilaterali visualizzate all'esame radiografico del torace, 3) anomalie fisiologiche, tra cui la più frequente è quella polmonare restrittiva, 4) anomalie istologiche, caratterizzate da fibrosi ed infiammazione. I sintomi respiratori nei pazienti con pneumopatia interstiziale sono di solito subacuti o cronici; alcuni pazienti infatti ricevono una diagnosi dopo settimane, mesi o addirittura anni dall'insorgenza. Senso di affaticamento, febbre e perdita di peso non sono infrequenti. Durante le fasi precoci della patologia i sintomi si presentano sotto sforzo. Un'anamnesi accurata è di grande ausilio per la diagnosi. I pazienti con pneumopatia interstiziale mostrano una ridotta espansione toracica durante I'ispezione. La palpazione percussione raramente rivelano modificazioni significative, ma l'auscultazione mostra crepitii velcro-simili alle basi di entrambi i polmoni. L’evidenza di un’insufficienza cardiaca destra, distensione delle giugulari, ritmo di galoppo, edema agli arti inferiori suggerisce ipertensione polmonare; l’insufficienza del ventricolo dx è di solito il risultato dell’ipossiemia cronica. Le pneumopatie interstiziali colpiscono l'interstizio del polmone in diverse localizzazioni. A seconda della sede di attività della malattia, le conseguenze possono variare. Specificamente, le malattie che interessano I'interstizio che circonda la parte distale degli alveoli conducono ad un quadro restrittivo con riduzione dei volumi polmonari. Al contrario, le malattie che interessano preferenzialmente I'interstizio vicino le parti piu prossimali dell'acino, in prossimità dei bronchioli distali, possono dar luogo ad un quadro caratterizzata da volumi polmonari preservati e da ostruzione fisiologica. Normalmente, l'interstizio del polmone contiene pochi fibroblasti e pochi elementi del tessuto connettivo, all'interno di una parete molto sottile che permette una diffusione efficace dei gas. Nella pneumopatia interstiziale invece questo spazio si espande, con l'accumulo di fibroblasti e con la deposizione di una matrice aberrante che aumenta la distanza tra lo spazio alveolare e le strutture vascolari, ritardando così - e in alcuni casi impedendo - lo scambio gassoso. Questo ispessimento dell'interstizio rende conto della scarsa ossigenazione e dell'aumentata rigidità del tessuto polmonare, che si manifestano come ridotta compliance, riduzione dei volumi polmonari e incrementato lavoro respiratorio.

Patologie della parete toracica e del mediastino  Versamento pleurico Un versamento pleurico può essere dovuto sia a patologie benigne che maligne. La causa più comune è rappresentata dall’insufficienza cardiaca congestizia. Sono comuni anche i versamenti parapneumonici, che raramente evolvono in empiema. I processi neoplastici possono determinare versamento pleurico per interessamento della pleura da parte del tumore primitivo o delle metastasi. Quando la causa non è immediatamente evidente, è necessario prelevare liquido pleurico per esaminarlo. Lo scopo di tale procedura è quello di determinare il meccanismo fisiopatologico alla base del versamento. Le forze osmotiche ed idrostatiche risultano responsabili della formazione di un trasudato, come si osserva in corso di cirrosi, scompenso cardiaco congestizio e ipoproteinemia.

Un'alterata permeabilità vascolare, come si osserva in caso di infiammazione, infezione o neoplasia, determina lo sviluppo di un essudato. In alcune condizioni (ad es., patologie tromboemboliche), il liquido pleurico può essere sia un trasudato che un essudato. Per distinguere un essudato da un trasudato, occorre che sia soddisfatto uno di questi tre criteri seguenti: 1) rapporto tra proteine nel liquido pleurico/proteine sieriche>0,5; 2) rapporto tra lattico deidrogenasi (LDH) sierica e LDH del liquido pleurico >0,6; 3) LDH nel liquido pleurico >200. Se sono soddisfatti tutti e tre i criteri, si tratta di un versamento essudativo al 98%. se viene identificato un essudato, allora è importante determinare se si tratti di un versamento complicato o non complicato. Un versamento complicato si riferisce ad accumulo di liquido in conseguenza di un'infezione, come osservato nell'empiema. In questo caso, è necessario eliminare il versamento e tale rimozione si può ottenere mediante l'inserimento di un drenaggio per toracostomia. Un valore di pH 20 o >50, non è utile la risposta segnata con dei +, ci sono laboratori che lo fanno e non ha senso nemmeno chiederlo se la risposta è così. Se una paziente ha un RA test pari a 80 U.I. (v.n. fino a 50) cosa penso? Che sia una artrite reumatoide? In realtà il FR è positivo in tantissime patologie reumatiche per esempio:  Malattie reumatiche  Artrite reumatoide, Lupus, Sjogren, Connettivite mista, Polimiosite, Crioglobulinemia  Malattie infettive  TBC, Sifilide, Epatiti  Altro  Età, Cirrosi, Sarcoidosi, Waldenstrom il FR è positivo nel 24% dei casi di A.R., nel 9% delle connettiviti e altro 67%, quindi non è specifico per A.R., però è un indice prognostico perche se molto alto all’esordio la prognosi è peggiore. Non va chiesto se non vi è un forte sospetto di malattia reumatica e non va chiesto nel follow-up perché non c’è correlazione tra il valore e la gravità ANTICORPI ANTI-CITRULLINA  Gli anticheratina riconoscono un epitopo che contiene una forma di arginina chiamata citrullina  Un peptide sintetico circolare contenente citrullina (CCP -peptide citrullinato ciclico) è maggiormente correlato all’AR  Circa il 70% dei pazienti con AR sono positivi per anti-CCP IgG, contro solo il 2%dei controlli molto specifico e si alza molto precocemente  Il test anti-CCP non solo è estremamente specifico ma anche molto utile sotto il profilo diagnostico  anticorpi anti-CCP possono essere riscontrati molto precocemente nei soggetti affetti da artrite reumatoide, in alcuni casi addirittura anni prima della comparsa dei primi sintomi  Gli anticorpi anti-CCP sembrano avere anche un elevato valore predittivo per lo sviluppo di lesioni articolari erosive La positività sia a FR che a questi anticorpi nella A.R. ci fa pensare ad una forma più grave e a prognosi peggiore. ANTICORPI ANTI-NUCLEO (ANA) Se abbiamo sospetto di connettivite o les questa può essere un’indicazione; non ha senso farlo nel followup e come screening. Non sono specifici di una sindrome clinica, ci sono soggetti sani che hanno ANA + perché magari sono reattivi a qualche fenomeno infiammatorio.

Nella popolazione genrale gli ANA sono positivi in circa il 5% dei casi, la prevalenza degli ANA nel LES è del 98%, il LES ha una prevalenza nella popolazione generale di circa 1:2000. Vi sono diverse categorie in cui gli ANA possono essere positivi. Quindi se ANA- possiamo escludere il LES nel 95% dei casi, ci sono ANA falsi positivi in un 5% di adulti che hanno un pattern omogeneo e a basso titolo 1:80 1:160, più si invecchia più aumentano falsi positivi. METODICHE DI RICERCA DI QUESTI ANTICORPI  ANA Elisa  ANA IFA su Hep-2,con titolazione a partire da 1: 80 e definizione del pattern di fluorescenza  ENA Elisa (per Sm, RNP, SSA, SSB, Jo1, SCL 70)  ENA Western-Blot  antiDNA Elisa (titolato in U.I.)  antiDNA IFA su Crithidia luciliae, a partire dal titolo 1: 10 per conferma nei casi positivi Gli antinucleo vanno richiesti:  nel sospetto di connettivite SI  nel follow-up delle connettiviti NO  La positività di ANA o di anti-DNA è di poco aiuto nella diagnostica differenziale poiché tali anticorpi compaiono in una varietà di patologie  La negatività degli ANA rende improbabile la diagnosi di LES o di altre patologie autoimmuni sistemiche  Un alto titolo di ANA supporta fortemente la diagnosi

CELLULE LE Un neutrofilo fagocita un nucleo di cellula omogeneo, è un test vecchio, non va più richiesto però è stata la prima metodica per diagnosi di LES

Diverse immagini dei test che utilizzano autoanticorpi (a solo letto le diapo, non le inserisco) In caso di positività agli anti-centromero la diagnosi più probabile è di sindrome CREST. Anticorpi anti-nuclolare:  Frequente nella sclerodermia diffusa  Occasionalmente presente nel LES e nella sindrome di Sjogren Anticorpi anti-RNP  Anti-RNP ad alto titolo sono caratteristici delle connettiviti miste, soprattutto se sono isolati  Anti-RNP sono visti frequentemente nel LES ma i titoli sono soprattutto bassi.  Anti-RNP possono essere visti nella SSP, miosite e raramente in altre patologie ANA+, sempre a basso titolo Anti-SM sono altamente specifici per il LES Anti-SSA  Gli anti SSA e gli anti SSB sono visti  nella sindrome di Sjogren primaria

 nel LES  nella sindrome di Sjogren secondaria. 

questi soggetti vanno seguiti bene in gravidanza Gli anti-SSA sono correlati al  lupus neonatale,  LE cutaneo subacuto  nel deficit omozigote di C2 associato a patologia LES-like

Gli anti-Scl-70 (anti-topoisomerasi 1) si ritrovano esclusivamente nella Sclerodermia diffusa Nella DERMATOMIOSITE sono presenti anticorpi anti-Jo  Anticorpi anti istadil tRNA sintetasi  localizzato nel citoplasma, dà una colorazione granulare diffusa su Hep-2  La ricerca degli ENA in ELISA è il metodo migliore per cercarlo  Si ritrova esclusivamente nei soggetti con miosite (su 100 +:54 PM, 40DM e 6 miositi secondarie ad altre connettiviti)  E’ presente nel 20% delle PM/DM Anti-DNA  Gli anti DNA sono ristretti al LES  raramente si ritrovano nelle forme gravi di AR. Gli antimitocondrio  sono associati con la  cirrosi biliare primitiva  sclerodermia  CREST ANCA  C-ANCA (citoplasmatico) (anti PR3) sono fortemente suggestivi per Wegener  Modificazioni del titolo riflettono l’attività di malattia  P-ANCA (periferico)suggeriscono Churg-Strauss e micropoliangioite  P-ANCA si possono riscontrare in connettiviti (non individuano subset particolari )  P-ANCA (X-ANCA) nelle rettocoliti (50-70%) e nel Crohn (10-40%) Soprattutto per il Wegener il titolo è importante per valutare gravità e decorso. Per chi di voi farà l’ortopedico, se vi capita un paziente che si presnta con un versamento al ginocchio, ricordatevi di chiedere sempre l’esame a fresco del liquido sinoviale perché può essere diagnostico; per esempio la diagnosi di gotta la si fa trovando cristalli di urato nel liquido sinoviale e non valutando i livelli di ac.urico nel sangue. Cristalli di ac. Urico nel liquido sinoviale.

Cristalli di pirofosfato di calcio ci permette di fare diagnosi Di condrocalcinosi

EMERGENZA IN REUMATOLOGIA È l’unica vera emergenza in reumatologia e si ha quando viene da voi un paziente con più di 60 anni con dolore irradiato a entrambe le spalle, rigidità mattutina, cefalea temporale, pulsante e presente anche di notte, con claudicatio mandibolare, è un quadro tipico di Arterite Temporale di Horton, spesso troverete anche una arteria temporale ingrandita, pulsante e dolente. Questa patologia richiede un’immediata terapia cortisonica 1mg/kg perché si rischia la cecità per ischemia del nervo ottico. Terapia: non abbiamo tempo di trattrla, però tenete presente che se avete un paziente che fa farmaci di fondo come metotrexate, immunosoppressori vari o i nuovi farmaci biologici e l’avete ricoverato per qualunque motivo non dimenticate di segnalarlo al reumatologo perché magari il ricovero è dovuto ad una complicanza del trattamento.

Sindrome metabolica Fat distribution: Come è distribuito il grasso, il tessuto adiposo nell’organismo umano? Grasso, retroperitoneale, viscerale, sottocutaneo e ipertrofia dorso-cervicale. Nella sindrome metabolica così come nella obesità tutti i parametri peggiori sono correlati al grasso viscerale; mentre in passato, si riteneva che il grasso sottocutaneo non fosse molto importante in campo di metabolismo, in realtà oggi si stanno rielaborando questi concetti. Ultimamente è venuto fuori questo nuovo parametro, l’ipertrofia dorso-cervicale, cioè il gibbo. Un recente articolo ha dimostrato il fatto che persone in sovrappeso o con obesità con gibbo, hanno un enorme impatto sulla patologia epatica;cioè questi soggetti hanno un peggioramento della fibrosi epatica che è indipendente da tutti i parametri della sindrome metabolica. Quindi anche guardare se una persona ha il gibbo o meno può essere importante per il fegato e per il metabolismo.

 Criteri diagnostici per la sindrome metabolica: criteri definiti per la prima volta e più usati quelli del -2002: ( ATP-III Adult treatment panel-III) -circonferenza vita: >102 uomo; >88 donna (obesità centrale); -glicemia a digiuno: >110 mg/dl (intolleranza); -pressione arteriosa: >130 sist.; >85 diast.; -trigliceridi sierici : >150 mg/dl; -HDL colesterolo: 80 donna; negli europei (quindi è stato inserito un parametro etnico, quindi i valori cambiano a seconda della etnia che consideriamo, ad esempio le popolazioni orientali hanno un rischio maggiore patologia cardiovascolare quindi i cut off sono più bassi.) -glicemia a digiuno: >100 mg/dl . -2005: (AHA American Heart Association…) -circonferenza vita: >120 uomo; >88 donna (torna come nel 2002) -glicemia a digiuno: >100 mg/dl I parametri rimangono gli stessi, circonferenza vita, glicemia a digiuno, pressione arteriosa trigliceridi sierici, e HDL, cio’ che può cambiare a seconda della classificazione, sono i valori di cut off. La sindrome metabolica è classificata nell’ ICD 9, diagnosi per cui gli ospedali vengono pagati, ed è 277.7 e questo è molto importante perché vuol dire che quel paziente puo’ avere dei rimborsi, anche se non ci sono ancora oggi terapie. Con l’ultima classificazione descritta succede che il 50% di tutta la popolazione rientra nella diagnosi di sindrome metabolica; quindi diciamo che bisogna essere prudenziali ad utilizzarla, perché se il 50% della popolazione ce l’ha si fa fatica a descrivere come patologia. Loro di solito usano i primi criteri del 2002.  Prevalenza della sindrome metabolica -nelle diverse etnie: (studio 2005 su Lancet) Si puo’ vedere l’enorme prevalenza della sindrome metabolica negli Stati Uniti d’America con anche un ruolo che va al di la dei semplici fattori ambientali, in quanto c’è una differenza evidente di prevalenza a seconda della etnia che consideriamo. -in rapporto all’età: (grosso studio epidemiologico) Considerando i soggetti con età superiore ai 20 anni e considerando gli anni che vanno dal 1999 al 2002: si vede che c’è un aumento della prevalenza della sindrome con l’avanzamento dell’età sia negli uomini che nelle donne; con una prevalenza maggiore per gli uomini fino ai 60 anni, dopo i quali la prevalenza nelle donne aumenta notevolmente.( stesso ragionamento che si fa per le malattie cardiovascolari, ruolo protettivo degli estrogeni fino ai 60 nella donna ..) -prevalenza fra tutte le classi, in totale è del 35%

 Le 4 condizioni di base della sindrome metabolica Cuore della sindrome metabolica è l’insulino resistenza: Se per resistenza agli antibiotici intendiamo che l’antibiotico non ha più la sua efficacia, quindi o si cambiano gli antibiotici o si cambia il metabolismo.. per analogia l’insulino-resistenza è l’incapacità dell’organismo di risposta a quelle dosi di insulina in quel determinato metabolismo; servono delle dosi superiori. Le 4 condizioni di base chiamate “quartetto mortale” sono: -ipertensione -dislipidemia -obesità -diabete In più è stata aggiunta la epatopatia (NAFLD) Definizione corretta di insulino-resistenza: resistenza alla captazione del glucosio insulino-mediata, resistenza dell’organismo a qualsiasi effetto biologico dell’insulina endogena ed esogena; si puo’ valutare in diversi modi: - insulina a digiuno - rapporto citochine insulina - QUICKI (quantitative insulin sensitività check Index) indice di insulino-sensitività - HOMA (homeostasis Model Assesment) indice di insulino-resistenza Questi ultimi due indici sono importanti e calcolabili facilmente con una semplice glicemia ed insulinemia a digiuno e possono dare un idea di quella che è l’insulino resistenza di quell’organismo e quindi valutarne i rischi; alto rischio o meno, in realtà non ci sono cut off prestabiliti, ma possono comunque dare una idea, sono valori che dovrebbero sempre comparire nella cartella clinica oltre peso ed altezza.. - Curva da carico glucidica..  Classificazione obesità In base al BMI (peso in kg/altezza al quadrato in metri.. tanto per ricordarlo..) >18.5 sottopeso 18.5-24.9 normopeso 25-29.9 sovrappeso 30-34.9 obesità primo grado 35-39.9 obesità secondo grado >40 obesità terzo grado Non tiene conto del rapporto massa magra/massa magra..esempio: il palestrato con BMI alto non è che sia obeso, perché il peso non è dovuto ad una eccessiva massa grassa, ma a quella magra. Quindi è un parametro che deve comunque essere valutato attentamente, non è valido ed attendibile in assoluto. -Con che cosa si fa diagnosi di diabete? Glicemia a digiuno >126mg/dl per almeno due volte. -E cosa si intende per Hb glicata? Hb glicata misura l’andamento della glicemia negli ultimi mesi. (domanda del pubblico su un caso visto dal MMG di un pz con due misurazioni di glicemia a digiuno di 135, in seguito alle quali il medico ha ritenuto di dover fare l’Hb glicata risultata nella norma..qual’ è la

diagnosi..? la prof. Risponde che bastano le due glicemia a digiuno, se si è sicuri che sia stato veramente a digiuno per far diagnosi a quel paziente, che poi sia da trattare o meno è un altro discorso..la prof afferma che loro in casi simili prescrivono una dieta povera di glicidi semplici e soprattutto consigliano di ridurre l’utilizzo di bevande come coca cola, aranciata, pompelmo e similari che contengono una notevole quantità di zucchero..con riduzione peso corporeo ed aumento dell’esercizio fisico.) -Quando si fa il Carico orale? si fa quando la glicemia>110 perché non è ancora definibile diabete, ma intolleranza.. (La prof dice che quando darà le fotocopie delle diapo darà anche tutte le info che riguardano questo argomento..)  Valori limite dei lipidi sierici (stabiliti dal programma nazionale degli Stati Uniti...) -trigliceridi: normali < 150 mg/dl; borderline 150-199 alti 200-499 molto alti >500 -colesterolo LDL: ottimali180 -colesterolo HDL:basso60 -colesterolo tot.: Normale 240

 Impatto sulla mortalità di patologie cardiovascolari in generale e patologia cardiaca, stroke.. Questo per farci capire l’importanza della diagnosi di sindrome metabolica perché l’insieme di tutte quelle patologie dette prima diabete, ipertensione,dislipidemia,obesità.. determina un rischio cardiovascolare e di ictus che supera la somma dei rischi presi singolarmente..quindi l’impatto sulla mortalità della sindrome metabolica.. L’ obesità è una delle condizioni della sindrome metabolica più importanti (lavoro del 2006) E ormai si sa che la sindrome metabolica e l’obesità è associata ad un rischio aumentato di cancro che si ha a tutti i livelli(studio di popolazione: 900.000persone studiate circa le eteroplasie a tutti i livelli dal New England). Si spiega: (obesità associata ad aumento di incidenza di cancro..perchè??) l’insulino-resistenza si associa ad un aumento della secrezione di insulina,che dissocia le sue capacità..l’insulina tra i suoi diversi effetti biologici presenta anche l’effetto di stimolare la proliferazione cellulare..quindi mentre perde l’effetto metabolico, persiste l’effetto proliferativo.  Terapia -dieta ed esercizio fisico (calo di peso corporeo che migliora l’insulino-resistenza) -trattamento chirurgico (solo per gravi obesità, con bendaggio gastrico o shunt intestinale) -trattamento farmacologico:

orlistat e sibutramina hanno alcuni problemi, ma sta tornando in auge glitazone, metformina (usata anche nei diabetici, non da ipoglicemia), salassoterapia (correzione dell’insulino-resistenza) fibrati e statine (riduzione dell’assorbimento tg e CH e produzione) ace-inibitori e sartani (correzione ipertensione, adatti perché agiscono sul tess adiposo.) antagonisti del CB1 recettore “RIMONABANT”(farmaci ad azione centrale e periferica) La dieta mediterranea: composizione della dieta che sembra avere un ruolo importante nella sindrome metabolica: l’oleato o acido oleico ha un ruolo importante per il metabolismo perché sembra che non dia flogosi ai tessuti periferici. Confrontando l’acido oleico,acido grasso monoinsaturo con il palmitato,polinsaturo,si vede che:l’acido oleico si accumula molto di più nelle cellule, ma a parità di accumulo il danno cellulare è inferiore rispetto a quello del palmitato e se si uniscono i due, il danno è intermedio,questo vuol dire che l’acido oleico ha un ruolo protettivo, protegge dal danno indotto dal palmitato almeno a livello epatico.Quindi è preferibile assumere acidi grassi monoinsaturi piuttosto che polinsaturi presenti nel burro.. Cosa capita nella sindrome metabolica quando si fa una dieta: si ha uno sviluppo nel tempo di sindrome metabolica molto inferiore rispetto a quelli che fanno la metformina e risolvono la sindrome molto di più dei pazienti che fanno metformina e anche più del placebo. Tant’è che oggi è considerato target primo della terapia della sindrome metabolica la dieta e lo stile di vita, con continua implementazione psicologica, terapia di supporto. Non si deve pensare di risolvere tutto dando solo una dieta al paziente, perché la farà per un mese dopo di che si avrà l’effetto yoyo..

SPLENOMEGALIA VALUTAZIONE CLINICA in corso di splenomegalia: I più comuni sintomi prodotti da malattie che coinvolgono la milza sono il dolore e una sensazione gravativa a livello del quadrante addominale superiore sinistro. Una splenomegalia massiva può anche causare senso di sazietà precoce. Il dolore può derivare da splenomegalia con stiramento della capsula, infarto o infiammazione della capsula. Una milza palpabile è il segno obiettivo principale prodotto da malattie che colpiscono la milza e indica appunto un aumento di volume dell’organo. Tuttavia la presenza di milza palpabile non equivale sempre alla presenza di malattia (ad es. in alcuni paesi tropicali come la Nuova Guinea l’incidenza di splenomegalia senza patologia sottostante può raggiungere il 60%). Così come non sempre la splenomegalia riflette la malattia primitiva ma piuttosto una reazione ad essa: esempio è il linfoma di Hodgkin in cui solo 2/3 delle milze palpabili dimostrano un coinvolgimento della neoplasia. L’esame obiettivo della milza comunque utilizza principalmente palpazione e percussione. L’ispezione può rilevare una rotondità del quadrante superiore sinistro che scende durante l’inspirazione, reperto associato solo ai casi di ingrandimento massivo della milza. All’auscultazione si può rilevare un fruscio venoso o uno sfregamento. Indagini di Laboratorio: Le maggiori anomalie di laboratorio che accompagnano la splenomegalia sono determinate dalla sottostante alterazione sistemica. La conta eritrocitaria può essere normale, ridotta (sindromi talassemiche maggiori, lupus eritematoso sistemico, cirrosi con ipertensione portale) o aumentata (policitemia vera). La conta granulocitaria può essere normale, ridotta (sindrome di Felty, splenomegalia congestizia, leucemie), o aumentata (infezioni o malattie infiammatorie, malattie mieloproliferative). Allo stesso modo la conta piastrinica può essere normale, ridotta (quando vi è un accresciuto sequestro o distruzione di piastrine in una milza ingrandita, come per es. nella splenomegalia congestizia, nella malattia di Gaucher e nella trombocitopenia immunitaria) o aumentata (nelle malattie mieloproliferative come la policitemia vera). L’esame emocromocitometrico completo può evidenziare citopenia di uno o più tipi cellulari, dando luogo a una sindrome nota come ipersplenismo, caratterizzata dalla triade: 1) splenomegalia;

2) riduzione di uno o più elementi cellulari del sangue, quindi anemia, leucopenia, trombocitopenia o una combinazione di queste situazioni associata a iperplasia dei precursori midollari del tipo di cellula che risulta carente; 3) correzione della citopenia ematica attraverso splenectomia. La risposta alla citopenia reversibile, in particolare alla granulocitopenia, è talvolta non mantenuta dopo splenectomia. Le citopenie derivano dall’aumentata distruzione di elementi cellulari secondaria al ridotto flusso del sangue attraverso i cordoni ingrossati e congesti (splenomegalia congestizia) o a meccanismi immunitari. Nell’ipersplenismo i differenti tipi cellulari hanno usualmente una normale morfologia sullo striscio di sangue periferico, sebbene i globuli rossi possano apparire sferocitici a causa della perdita di superficie durante il loro transito prolungato attraverso una milza ingrandita. L’aumentata produzione midollare di globuli rossi dovrebbe riflettersi in un aumento dell’indice di produzione reticolocitaria, sebbene il valore possa essere minore di quello atteso a causa dell’aumentato sequestro dei reticolociti nella milza. La necessità di ulteriori indagini di laboratorio è dettata dalla diagnosi differenziale della patologia sottostante di cui la splenomegalia è soltanto una manifestazione.

CAUSE DI SPLENOMEGALIA: Parlando di milza ingrandita in realtà bisogna distinguere 2 diverse situazioni: ● splenite settica o tumore spodogeno; ● splenomegalia La discriminante tra queste 2 situazioni per l’esattezza non è tanto la dimensione della milza quanto il peso: infatti se questo è al di sopra di 300 g si inizia a parlare di splenomegalia, se è al di sotto di tumore spodogeno. Per le dimensioni invece si calcola che il volume della milza debba aumentare di circa 2-3 volte prima che il suo polo inferiore diventi palpabile. L’entità della splenomegalia si esprime in cm dal margine inferiore sinistro dell’arcata costale. Il tumore spodogeno è una condizione che deriva dall’accumulo di detriti cellulari e cataboliti della milza. La milza appare molle, al taglio non presenta follicoli linfatici e tale aspetto sarebbe causato da flogosi a livello addominale ed extra addominale (classicamente salmonellosi, infezioni tossialimentari e polmoniti). Le cause di una reale splenomegalia possono invece essere:

SPLENOMEGALIA INFIAMMATORIA: Dovuta all’aumentata richiesta della funzione immunitaria splenica: - acute e subacute: ascessi splenici, sepsi generalizzata, mononucleosi infettiva, endocardite batterica subacuta; - croniche: tubercolosi, sifilide, sindrome di Felty, artrite reumatoide, malaria, leishmaniosi, tripanosomiasi, istoplasmosi, schistosomiasi, echinococcosi, sarcoidosi, berilliosi.

SPLENOMEGALIA CONGESTIZIA: Dovuta ad un anomalo flusso splenico o portale: - cirrosi epatica; - trombosi, stenosi, trasformazione cavernosa della vena porta; - trombosi e altre forme di ostruzione della vena epatica o della vena splenica; - scompenso cardiaco del cuore destro. SPLENOMEGALIA IPERPLASTICA: Dovuta all’iperplasia del sistema reticoloendoteliale (da rimozione di eritrociti difettosi): - anemie croniche: anemia falciforme, talassemia major, emoglobinopatie, anemie nutrizionali O dovuta a immunoregolazione alterata:

- lupus eritematoso sistemico, collagenovasculopatie, porpore anemie emolitiche immunitarie, artrite reumatoide O dovuta a emopoiesi extramidollare: - mielofibrosi

trombocitopeniche,

SPLENOMEGALIA INFILTRATIVA: - malattia di Gaucher - malattia di Niemann Pick - malattia di Tangier - amiloidosi CISTI E NEOPLASIE: - cisti vere: epiteliali, endoteliali, da parassiti; - cisti false: emorragiche, sierose, degenerative, infiammatorie; - linfangiomi, emangiomi; - leucemie; - morbo di Hodgkin; - linfomi non Hodgkin; - istiocitosi X; - neoplasie metastatiche (il melanoma è la neoplasia primitiva più comune).

1) SPLENOMEGALIE INFIAMMATORIE: Una splenomegalia infiammatoria acuta o subacuta si può verificare in associazione con numerosi processi infettivi e infiammatori come espressione di un aumento della capacità di difesa di quest’organo. La necessità di eliminare batteri, protozoi e cellule danneggiate può portare ad un incremento nel numero delle cellule reticoloendoteliali spleniche e/o alla iperproduzione di anticorpi con iperplasia linfoide. Dal punto di vista anatomopatologico la milza si presenta di volume aumentato tra i 200 e i 400 g e di consistenza molle. Al taglio la polpa rossa è mal trattenuta e i corpuscoli malpighiani sono poco visibili. La microscopia ottica mostra congestione acuta della polpa rossa e follicoli linfatici iperplastici, con notevole ingrandimento dei centri germinativi. Di rado si riscontra la formazione di ascessi, mentre infarti splenici settici si possono associare con una endocardite infettiva. Una splenomegalia infiammatoria cronica si può verificare in situazioni flogistiche croniche, in malattie immunitarie e nelle parassitosi. La milza arriva talvolta a pesare oltre 1000g e aumenta di consistenza. Al taglio la polpa rossa è congesta e i corpuscoli malpighiani appaiono ben visibili. La microscopia ottica dimostra iperplasia dei follicoli linfatici con grossi centri reattivi e sinusoidi ripieni di macrofagi; la polpa bianca e quella rossa contengono inoltre numerosi macrofagi, plasmacellule, eosinofili. Tra le cause più comuni di splenomegalia infiammatoria ricordiamo: a) Sindrome di Felty: associazione di: - splenomegalia - leucopenia - artrite reumatoide Ci sono poi altri reperti concomitanti quali pigmentazione cutanea abnorme, linfoadenopatia, noduli sottocutanei, ulcerazioni della cute (spesso agli arti inferiori), episcleriti, vasculiti, sierosità.

La leucopenia è di grado variabile; in particolare si registra una diminuzione della quota neutrofila e linfatica e un aumento di eosinofili e monociti. Il midollo è ipercellulare con numerosi elementi mieloidi, alcuni pazienti presentano un quadro di arresto maturativo. Il quadro di attività dell’artrite reumatoide non sembra correlarsi con la gravità o meno del quadro ematologico. Nei pazienti con artrite reumatoide la splenomegalia è presente in percentuali assai varie, dall’1 al 21%. Si avranno alti titoli di fattore reumatoide, di autoanticorpi contro antigeni nucleari e riduzione del complemento (frazione C3 ridotta). Rimane di difficile valutazione il perché della neutropenia. Le opzioni prevalenti sono che i granulociti vengono ridotti di numero per effetto di meccanismi immunologici. Inizialmente si è pensato che i responsabili fossero autoanticorpi diretti contro antigeni nucleari propri dei granulociti. Più recentemente si è attribuita importanza all’azione dei linfociti T soppressori: si pensa infatti che l’azione dei linfociti T suppressor, non si sa da che cosa indotta, si eserciterebbe sui precursori dei granulociti. In questa sindrome sembra comunque che la splenectomia dia effetti positivi a breve termine nell’80% dei casi, mentre a lungo termine solamente nel 24%. b) sifilide: La splenomegalia talvolta si verifica in associazione con la sifilide, in particolare se congenita, come reazione infiammatoria interstiziale alla spirochetemia generalizzata. Anche la sifilide terziaria comporta un incremento della milza sia per formazione di lesioni tipiche (gomma luetica), sia per amiloidosi secondaria. c) tubercolosi: Esiste una rara forma (100 casi segnalati al mondo) di tubercolosi primaria alla milza senza interessamento di altri distretti dell’organismo. Il quadro clinico è variamente caratterizzato da splenomegalia, ematemesi, ascite, ittero, porpora; il quadro ematico invece può presentare anemia, leucopenia o trombocitopenia, anche se va rilevato che la letteratura registra una casistica tutt’altro che sparuta di splenomegalia tubercolare con policitemia. La TBC può essere diagnosticata solo dopo splenectomia: si può rilevare una semplice iperplasia reattiva aspecifica della polpa bianca, oppure si possono evidenziare noduli miliari o noduli caseosi a seguito della diffusione ematogena della malattia. Possibile è il riscontro di calcificazioni intraspleniche. Non è obbligatoria una positività marcata della intradermoreazione alla tubercolina. d) malaria: la malaria nelle zone tropicali è di sicuro una delle cause più comuni di splenomegalia. Questa è ovviamente dovuta ad un aumento della distruzione delle emazie, ne consegue l’anemia riferibile appunto al sequestro splenico e ad un incremento del volume plasmatico; normale è invece la massa eritrocitaria anche quando si osserva una ridotta emivita delle emazie. Leucopenia e trombocitopenia non sono sempre presenti. e) leishmaniosi (kala-azar): questo tipo di splenomegalia va tenuta presente soprattutto nelle regioni meridionali e insulari d’Italia, oltre che nell’area asiatica. La leishmaniosi si manifesta con linfoadenomegalia, splenomegalia (la milza può arrivare fino a 3 kg), movimento febbrile irregolare, deperimento grave e leucopenia.La diagnosi si basa sul riscontro nel sangue periferico, nella milza ma soprattutto nel midollo di monociti e istiociti farciti dal protozoo Leishmania Donovani fagocitato. Ci sono poi altre infezioni quali la tripanosomiasi, l’istoplasmosi e la schistomiasi che possono dare un quadro di splenomegalia. In particolare quest’ultima può anche interessare direttamente il fegato e provocare una reazione cronica granulomatosa, seguita nel tempo da cicatrizzazione, fibrosi epatica e quindi ipertensione portale. f)

sarcoidosi:

anche se la splenomegalia è presente solo nel 5-10% pei pazienti, l’angiografia celiaca e la biopsia splenica dimostrano l’interessamento della milza nel 50-60% dei casi.. Un interessamento diffuso e marcato può dare una splenomegalia superiore a 1000 g di peso. Istologicamente tutta la polpa splenica appare disseminata di granulomi che si trovano nei vari stadi di proliferazione cellulare, di fibrosi e di ialinizzazione. Pochi tuttavia sono i pazienti che manifestano trombocitopenia, anemia emolitica, neutropenia, pancitopenia. Evento raro è la rottura della milza.

2) SPLENOMEGALIA CONGESTIZIA (sindrome di Banti): EZIOPATOGENESI: una congestione venosa persistente o cronica può determinare l’ingrossamento della milza. La congestione venosa può avere origine sistemica, essere causata da deviazioni del drenaggio venoso portale o dovuto a processi ostruttivi venosi nelle vene porta o splenica. ● Una congestione venosa sistemica o centrale si riscontra negli stati di scompenso del cuore destro, come può verificarsi nelle valvulopatie della tricuspide o della polmonare o in seguito a scompenso cardiaco sinistro. Questa congestione passiva sistemica determina soltanto un modesto ingrossamento della milza che raramente supera i 500 g. ● Una lunga congestione venosa della milza può essere causata da un’ostruzione intraepatica al drenaggio venoso portale, infatti la causa più comune di splenomegalia congestizia è la cirrosi epatica. La cirrosi avanzata dà come complicanze l’ipertensione portale e le sue conseguenze: in primis l’emorragia da varici gastroesofagee e la splenomegalia con ipersplenismo, ma anche ascite, encefalopatia epatica, peritonite batterica spontanea, sindrome epatorenale e carcinoma epatocellulare. La diagnosi di malattia epatica cronica si basa appunto sul rilevamento di uno tra questi segni clinici: splenomegalia, ascite, encefalopatia e/o varici esofagee (il cui sanguinamento è reso più imponente dalla concomitante piastrinopenia indotta dalla splenomegalia). Tutti questi segni sono dovuti, almeno in parte, allo sviluppo di circoli collaterali portosistemici di cui i più importanti sono localizzati alla giunzione cardioesofagea (varici esofagee), al retto (emorroidi), nello spazio retroperitoneale e al legamento falciforme del fegato (collaterali periombelicali o della parete addominale→caput medusae). ● Una splenomegalia congestizia può anche essere dovuta ad ostruzione del tratto extraepatico della vena porta o della vena splenica. Tale ostruzione venosa può essere dovuta a trombosi spontanea della vena porta, che è di solito associata a una malattia ostruttiva intraepatica o può incominciare con interessamento infiammatorio della vena porta, pileflebite, quale si ha in corso di infezioni intraperitoneali. La trombosi della stessa vena splenica può essere provocata dalla compressione da parte di tumori situati in organi adiacenti, per esempio un carcinoma dello stomaco o del pancreas.

CLINICA E LABORATORIO: La splenomegalia congestizia determina fondamentalmente un ipersplenismo: l’aumento della pressione venosa portale provoca deposizione di collageno nella membrana basale dei sinusoidi, che appaiono dilatati per la rigidità della loro parete. Ne consegue squilibrio del flusso ematico tra i cordoni e i sinusoidi, che prolunga l’esposizione delle cellule ematiche all’azione dei macrofagi dei cordoni, provocandone una distruzione eccessiva. Essendo poi associata a ipertensione portale, si accompagna frequentemente a episodi di emorragie da rottura di varici esofagee. L’esordio il più delle volte è insidioso, ma può anche essere acuto, caratterizzato da ematemesi, feci picee, emorragie intestinali. Altre volte la sintomatologia è più sfumata: astenia, crampi addominali, flatulenza, diarrea, subittero, febbricola, talvolta epistassi. L’anemia, dapprima modesta, è normocitica e normocromica, poi con la comparsa di ripetute emorragie diventa microcitica e ipocromica. E’ sempre presente leucopenia che interessa soprattutto i granulociti. Anche le piastrine si presentano diminuite di numero, anche se non a tal punto da influenzare il tempo di sanguinamento.

ANATOMIA PATOLOGICA: Una splenomegalia congestizia di lunga durata produce aumenti marcati del volume splenico (1000 g o più); l’organo è duro e la sua consistenza diventa sempre maggiore quanto più a lungo dura il fenomeno congestizio. Il peso può arrivare anche a 5000g. Istologicamente si rileva la congestione e la dilatazione dei seni venosi e la ricca cellularità dei cordoni splenici rappresentati da fibroblasti e cellule reticoloendoteliali proliferate. In risposta a uno stato di ipossia locale di lunga durata si possono sviluppare focolai di ematopoiesi. DIAGNOSI: La diagnosi presuppone l’esclusione di tutte le numerose condizioni responsabili di anemia, leucopenia e splenomegalia come anemie emolitiche, talassemia, leucemie aleucemiche. Come esami strumentali è di aiuto alla diagnosi la splenoportografia o la RMN che possono mettere in evidenza o escludere una eventuale ostruzione della vena porta a livello extraepatico o della vena splenica. TERAPIA: Il problema fondamentale è rappresentato dalle varici esofagee. Nel tentativo di ridurre l’ipertensione portale una volta veniva praticata la splenectomia. Oggi constatata l’inutilità e le possibili conseguenze dannose si preferisce ricorrere alla derivazione porta-cava o a interventi analoghi ( come il posizionamento percutaneo del TIPS, shunt portosistemico intraepatico transgiugulare, per una decompressione del flusso portale). Bisogna quindi sottolineare che una splenectomia senza shunt chirurgico porto-sistemico può in realtà aumentare la pressione portale e condurre a trombosi della vena splenica.

3) SPLENOMEGALIA IPERPLASTICA: In questi casi l’ipertrofia della milza, come già detto, sarà secondaria soprattutto a due fenomeni: - eccessiva rimozione delle cellule ematiche dal circolo perché difettose; - ematopoiesi extramidollare E’ il caso di numerose forme di anemia, di alcuni casi di porpora trombocitopenica, come pure di soggetti che fanno largo uso di Fenacetina. In quest’ultimo caso la splenomegalia verosimilmente è secondaria ad emolisi marcata. Anche la splenomegalia associata a mielofibrosi o a policitemia può venire classificata in questo gruppo. In particolare nella mielofibrosi il midollo osseo è completamente distrutto e la milza assume una crescente funzione ematopoietica.

In questo ambito particolare importanza rivestono le SPLENOMEGALIE DELLE MALATTIE EMOLITICHE: qui rientrano tutte le situazioni iperemolitiche in senso stretto, nelle quali cioè il fattore primigenio è costituito da esasperato immagazzinamento e distruzione di eritrociti comunque tarati o alterati; la splenomegalia che ne consegue –raramente di grossa taglia- è in un certo senso commisurata nelle sue dimensioni all’entità del processo iperemolitico in atto. Quindi in rapporto alla violenza e alla durata delle crisi emolitiche può svilupparsi una splenomegalia, così come può per contro istituirsi, per esaurimento funzionale, una situazione aplastica del midollo osseo. Di seguito sono elencati i tipi più importanti di anemie emolitiche: a) anemie da difetto globulare intrinseco e a carattere congenito: è capostipite la microsferocitosi di Minkowski-Chauffard o sferocitosi ereditaria. Seguono l’anemia ellittocitica, le anemie da enzimopatia (deficit di glucosio-6-fosfatodeidrogenasi o di piruvato-chinasi) e l’emoglobinuria parossistica notturna di Marchiafava-Micheli. b) Emoglobinopatie: qui rientrano le talassemie (particolarmente importanti le β-talassemie) e l’anemia a cellule falciformi (da HbS). c) Anemie emolitiche acquisite da causa extracorpuscolare, tra le quali hanno particolare rilievo le anemie da fattori anticorpali (isoanticorpi, autoanticorpi caldi,freddi e difasici), da fattori infettivi (malaria, sepsi acuta, ecc), da fattori animali (veleno di serpenti) e vegetali, da fattori chimici (piombo, fenilidrazina) e infine da fattori fisici (ustioni, raggi X).

d) Anemie emolitiche da alterazioni vascolari, tra i quali le collagenosi, la porpora di Moschcowitz e le anemie da chirurgia cardiovascolare. Per quanto concerne le dimensioni dell’incremento splenico, esso può essere davvero importante solo nella β-talassemia major, in cui l’incremento pulpare è dovuto anche al profilarsi più o meno marcato di una metaplasia midollare. Una grossa splenomegalia può aversi anche nella emoglobinuria parossistica notturna e nell’anemia a cellule falciformi –che incide prevalentemente nella razza nera- dove talora si va incontro a rottura e a fenomeni regressivi-fibrotici della milza. Per giungere alla diagnosi di splenomegalia da malattia emolitica, è di elementare importanza la documentazione preliminare di segni generici di iperemolisi. E questi sono: - anemia con reticulocitosi, policromatofilia e perfino normoblastosi del sangue periferico; - iperplasia eritroblastica del midollo; - reperto di una sopravvivenza accorciata degli eritrociti (documentabile con l’uso del Cromo radioattivo); - forte aumento della bilirubinemia indiretta con subittero e perfino ittero; - ipersideremia, iperbilinia fecale ed urinaria. Questi ultimi 2 segni clinici sono facilmente spiegabili col fatto che dall’emolisi dei globuli rossi si ricava emoglobina da cui i macrofagi liberano due sostanze: un pigmento, la bilirubina, che in condizioni normali attraverso il circolo portale raggiunge il fegato dove poi è eliminata con la bile; e il ferro che, sempre in condizioni di normalità, giunto per via ematica nel midollo, serve per la sintesi di nuova emoglobina durante la formazione di eritrociti. Se però la quantità di ferro circolante è superiore a quella necessaria per la sintesi di emoglobina, come avviene in queste malattie emolitiche, esso viene momentaneamente immagazzinato come ferritina o come emosiderina in tutto il sistema reticoloistiocitario sia della milza (e da qui la splenomegalia) sia di midollo rosso e di fegato. La seconda tappa diagnostica è costituita dalla precisazione della malattia emolitica in atto, attraverso la semeiologia laboratoristica e soprattutto il ricorso ad alcune prove specifiche come il test dell’autoemolisi per la microsferocitosi o la determinazione dell’assetto emoglobinico per la βtalassemia. Altre malattie ematologiche non maligne che possono essere accompagnate da splenomegalia sono le anemie megaloblastiche causate da carenza di acido folico o vitamina B12. Sempre all’interno del grosso capitolo delle splenomegalie iperplastiche rientrano anche altre 2 entità nosologiche: -

la splenomegalia idiopatica non tropicale: sono pazienti che presentano un notevole aumento delle dimensioni spleniche, ipersplenismo, anamnesi negativa per l’esposizione a malaria o ad altri parassiti. Il quadro clinico è variabile (astenia, febbricola, palpitazioni, talvolta ulcere al cavo orale e agli arti inferiori), alcuni pazienti presentano un linfoma maligno ma il più delle volte il quadro è quello di una iperplasia linfoide non neoplastica. Si è pensato a un processo autoimmune ma i dati sono ancora incerti. La splenectomia sembra migliorare notevolmente la situazione di questi pazienti. Tuttavia, con intervallo variabile, nei pazienti splenectomizzati spesso compare un linfoma. - la sindrome splenomegalica tropicale (o della grande milza): si rileva nelle aree dove la malaria è endemica, colpisce soprattutto gli adulti ed è caratterizzata da splenomegalia di dimensioni variabili, assenza di malaria in fase attiva, saltuaria febbricola, pancitopenia. La malaria sembra comunque rivestire un ruolo di particolare importanza nella patogenesi di questa sindrome; si pensa infatti ad una abnorme risposta immunologica ad antigeni circolanti, espressione di ripetute esposizioni al plasmodio malarico. 4) SPLENOMEGALIA INFILTRATIVA: Le tesaurismosi comprendono un gruppo di affezioni caratterizzate da un “ingorgo” dei lisosomi delle cellule del sistema reticoloendoteliale con metaboliti non degradati a causa delle carenze geneticamente determinate di uno o più enzimi lisosomiali. Ci sono circa 30 enzimi attivi

rispettivamente su:lipidi, carboidrati, proteine. La milza, al pari di midollo e fegato, presenta un alto contenuto di cellule reticoloendoteliali che sono coinvolte nel processo di smaltimento. Di qui la possibilità di una cospicua splenomegalia in corso di tesaurismosi. Sono fondamentalmente malattie lisosomiali congenite, in cui manca l’enzima in grado di degradare una determinata sostanza che finisce per accumularsi.Es: MALATTIA DI GAUCHER: è una malattia autosomica recessiva causata da un accumulo di glucosio nella cellula dovuto alla mancanza dell’enzima che lo metabolizza, la β-glucosidasi acida. Le diverse varanti della malattia sono classificate sulla base della presenza o meno della neuropatia e sulla sua gravità. In relazione invece all’interessamento splenico si può presentare in 2 forme anatomocliniche diverse: una forma che compare immediatamente dopo la nascita, caratterizzata da epatosplenomegalia, linfoadenomegalie, laringospasmo e spesso conduce a morte. La forma che caratterizza l’adulto si presenta invece con epatosplenomegalia associata a fratture ossee per la presenza di una malattia scheletrica cronica. MALATTIA DI TANGIER: in questo caso nelle cellule si accumulano esteri di colesterolo. La patogenesi risiede in un deficit della proteina trasportatrice ABC1, alterata captazione e/o fuoriuscita di colesterolo dai macrofagi. Clinicamente è sempre caratterizzata da epatosplenomegalia, inoltre in più casi si possono avere anche tonsille ipertrofiche e giallastre, opacità corneali e polineuropatia recidivante. A differenza di Gaucher le cellule sono Pas negative. MALATTIA DI TAY SASCH: caratterizzata da accumulo di gangliosidi per deficit della proteina βesosaminidasi. Circa 1 su 30 ebrei askenazi è portatore. La forma infantile è una malattia neurodegenerativa fatale caratterizzata da macrocefalia, perdita delle capacità motorie e spot rosso ciliegia all’esame retinico. La variante adulta è caratterizzata da debolezza motoria progressiva, disartria e declino delle capacità intellettive. MALATTIA DI NIEMANN-PICK: accumulo di sfingomielina per difetto della sfingomielinasi. Può esordire precocemente, entro i 6 mesi di vita, con rapido deterioramento del SNC e grave epatosplenomegalia o più tardivamente sempre con splenomegalia e possibile comparsa di cirrosi e sostituzione delle cellule epatiche con cellule schiumose che sono presenti anche negli alveoli, nei vasi linfatici e nelle arterie polmonari. Questo quadro porterà a morte in età adolescenziale. LEUCODISTROFIA METACROMATICA: è una patologia di ambito pediatrico. E’ una cerebrosidesulfatidosi, cioè una malattia che dà un accumulo di lipide solfato. La diagnosi può essere fatta agevolmente mettendo del Blu di Toluidina su una carta da filtro contenente urina: si evidenziano sostanze metacromatiche che non sono presenti in condizioni normali. Le forme della seconda infanzia si manifestano dopo il 2^ anno di vita con una progressiva regressione dello sviluppo intellettivo ed è fatale entro la prima decade di vita. Le forme adulte sono invece caratterizzate da disturbi comportamentali e psicosi: queste varianti a esordio tardivo possono rispondere al trapianto di midollo osseo. AMILOIDOSI: è causata dalla deposizione di una sostanza proteica, fibrosa, insolubile nota come amiloide principalmente negli spazi extracellulari di vari organi e tessuti dell’organismo, con conseguente organomegalia soprattutto a carico di fegato, rene, milza e cuore. La splenomegalia è in genere moderata e non si associa a leucopenia ed anemia. L’amiloide si deposita soprattutto nella polpa bianca e le zone interessate assumono un aspetto opaco, vitreo.

5) CISTI E NEOPLASIE: Un aumento di volume della milza può essere dovuto allo sviluppo di cisti epiteliali, endoteliali e da echinococco, pseudocisti emorragiche, sierose, infiammatorie, o secondarie a colliquazione di aree infartuate. I tumori primitivi benigni e maligni della milza sono rari, entrambi possono provocare cospicue splenomegalie. I tumori benigni più frequenti sono i linfangioni e gli emangiomi, spesso di tipo cavernoso. Talvolta si hanno localizzazioni primitive di linfomi di Hodgkin o non Hodgkin, istiocitosi X o sarcomi molli della milza. Infine sono possibili metastatizzazioni da carcinomi, ma bisogna specificare che, benché quasi il 50% dei pazienti morti di carcinoma presentasse metastasi spleniche, queste di solito si verificano come evento tardivo nel decorso della malattia e raramente causano una

splenomegalia clinicamente individuabile. La splenomegalia in un contesto di carcinoma metastatico è in genere provocata da ipertensione portale secondaria a ostruzione da parte di depositi tumorali nel fegato o altrove. L’angiosarcoma è un tumore maligno primitivo, caratterizzato da rapida crescita, non dolente, evolve frequentemente in rottura della milza.

SPLENECTOMIA: Possono essere identificate 4 indicazioni per la splenectomia: 1) prima di tutto la splenectomia è un’importante opzione di trattamento per quei pazienti con citopenie che minacciano la sopravvivenza, in cui la milza può essere responsabile della persistenza della citopenia. Queste condizioni includono le anemie emolitiche, la trombocitopenia immune, i disturbi mieloproliferativi e linfoproliferativi e disturbi come la sindrome di Felty. Ovviamente una splenectomia per disturbi ematologici non è curativa, ma può garantire un significativo miglioramento dei sintomi riducendo o eliminando la necessità di trasfusioni; inoltre può migliorare la prognosi limitando il rischio di complicanze, quali la sepsi o l’emorragia. 2) Una seconda indicazione per la splenectomia consiste nel verificarsi di un incidente vascolare o traumatico che coinvolga la milza. La splenectomia può salvare la vita nel contesto di una distruzione traumatica della milza e in caso di infarto splenico può fornire un sollievo sintomatico, nonché una profilassi contro la distruzione spontanea della milza. 3) Una terza indicazione riguarda la compressione meccanica esercitata dalla milza ingrossata su altri organi addominali. L’organo più spesso colpito è lo stomaco, con senso di sazietà precoce e talvolta notevole perdita di peso. Meno frequentemente può verificarsi l’ostruzione del sistema collettore renale sinistro. 4) Un’ultima indicazione per la splenectomia avviene per la diagnosi: in alcuni pazienti con splenomegalia isolata, un attento esame tramite tecniche non invasive può non riuscire a fornire diagnosi. In questi pazienti possono essere indicati una laparotomia esplorativa per la splenectomia e biopsie diagnostiche dei linfonodi e del fegato.

PAZIENTE ASPLENICO: La suscettibilità a un’infezione grave è una complicanza ampiamente riconosciuta della splenectomia. Benché questo rischio sia amplificato per una splenectomia eseguita nell’infanzia o nella prima giovinezza, rimane significativo nell’adulto. L’incidenza di infezioni gravi postsplenectomia è di circa 1.5% quando la splenectomia viene eseguita a seguito di trauma, mentre può essere maggiore in altre condizioni, quali un morbo di Hodgkin trattato. Una grave infezione postsplenectomia può verificarsi anche molti anni dopo l’operazione. Il tasso di mortalità è di circa il 50%. Poiché in più della metà dei pazienti gli agenti infettanti sono gli Pneumococchi, la profilassi con penicillina e la vaccinazione antipneumococcica sono state raccomandate per quei pazienti che vengono sottoposti a splenectomia. L’evidenza suggerisce che queste modalità sono efficaci nel ridurre l’incidenza di infezioni gravi nei bambini, ma non esistono ad oggi dati confrontabili per gli adulti. La rimozione della milza determina caratteristiche modificazioni delle cellule ematiche, che sono prontamente identificabili sullo striscio periferico. Queste modificazioni includono anomalie della forma degli eritrociti, compresa la comparsa di cellule a bersaglio, acantociti e cellule frammentate. Gli eritrociti possono contenere frammenti nucleari, detti corpi di Howell-Jolly; possono infine essere osservati eritrociti nucleati. Dopo una splenectomia si verificano anche una leucocitosi transitoria e una trombocitosi. In pazienti con anemia emolitica o disturbi mieloproliferativi può persistere marcata trombocitosi.

01.03.2012 Prof.ssa Mussi Integrazione delle sbobine del 7 e 21 marzo 2011 L'esame sarà soltanto su argomenti trattati a lezione CADUTE e SINCOPE I dati e le informazioni derivano dalle linee guida del 2009 della European Society of Cardiology (ESC), quindi quanto di più nuovo abbiamo a disposizione. Cosa s’intende con il termine sincope? 4. Perdita di coscienza e del tono posturale; 5. Transitoria; 6. Autolimitantesi; 7. Ripresa spontanea; 8. Porta a caduta → questo è il principale motivo per cui è un tema molto sentito in ambito geriatrico; 9. Il meccanismo sottostante è una ipoperfusione transitoria e globale del tessuto cerebrale → questo meccanismo permette di distinguerla da tutte le altre perdite di coscienza transitorie non sincopali; 10. È un sintomo → determinato da diverse possibili cause;

In passato di usavano due termini, ovvero lipotimia e pre-lipotimia; la prima era la sincope e la seconda invece era data da un insieme di sintomi che facevano presagire una perdita di coscienza senza arrivare però alla lipotimia. Secondo le nuove linee guida tali termini sono stati sostituiti da SINCOPE e PRESINCOPE, per cui non si usano più. Aggiornamento del 2011 delle linee guida del 2009, la modificazione più significativa è l'inserimento della classificazione della sincope nel più ampio contesto delle perdite di coscienza transitorie (T-LOC); vengono poi riconfermati i precedenti concetti delle linee guida 2009: è transitoria, T-LOC (transient loss of consciousness); Causa: ipoperfusione cerebrale globale; Rapido onset; Ripresa rapida e spontanea. Nel 2009 la necessità di rivedere le linee giuda è nata per sottolineare la necessità di trovare la CAUSA della sincope per poter impostare un trattamento che dev'essere meccanismo-specifico. Bisogna identificare il rischio cui va incontro un anziano colpito da sincope, che dipende spesso non dalla sincope di per sé, ma dalle patologie sottostanti. Secondo le linee guida gli step da seguire sono: - verificare se il pz ha avuto realmente una perdita di coscienza o se c'è stata una caduta o uno stato di coscienza alterata o altro; - com'è stata la perdita di coscienza, se è stata transitoria o se è in uno stato di coma, se è stata transitoria, ad esordio rapido, di breve durata e con recupero spontaneo ci troviamo di fronte ad una PdCT che può essere anche in conseguenza di un trauma ma il meccanismo sottostante non è una ipoperfusione globale del tessuto cerebrale, quindi non sincopale; se invece non è di origine traumatica le possibilità sono: - ci troviamo di fronte ad un episodio sincopale, quindi ad una ipoperfusione transitoria globale del tessuto cerebrale; - epilessia, c'è una perdita di coscienza ma non è dovuta ad una ipoperfusione cerebrale; - funzionale, o pseudo-sincopi di tipo psichiatrico come ad esempio l'isteria, dove il pz sembra che perda coscienza ma in realtà è una forma psichiatrica; - forme rare. Condizioni incorrettamente definite come sincope Con T-LOC totale o parziale, ma il cui meccanismo NON è l’ipoperfusione cerebrale globale. → Epilessia: è una perdita di coscienza dovuta ad un’alterata attività elettrica di una porzione di encefalo, non da ipoperfusione transitoria; → Disordini metabolici come l’ipoglicemia: non è una sincope, poiché ciò che non arriva in sufficienza al cervello è lo zucchero, non il sangue; → Intossicazioni: esempio da monossido di carbonio; → TIA carotideo e vertebro-basilare: anche se in passato era considerati sinonimi di sincope, attualmente vi è una dimostrata distinzione tra i due; il TIA ha una sua sintomatolgia ma è dovuto ad una causa LOCALE e non ad una ipoperfusione globale;

La sincope è data quindi da una ipoperfusione transitoria e globale del tessuto cerebrale causata da una ipotensione globale che a sua volta può essere schematicamente ricondotta ad una riduzione delle resistenze vascolari sistemiche o da una riduzione della portata cardiaca.

Questo schema suddivide le cause di sincope in tre grandi classi: 1. le sincopi riflesse 2. cardiache 3. da ipotensione ortostatica. SINCOPE RIFLESSA Generalmente è benigna, in questo caso entra in gioco il sistema nervoso autonomo, va ricordato che simpatico (NA, A) e parasimpatico (Ach) sono due attori che comunicano continuamente, il primo fa aumentare frequenza e pressione e ci prepara alla fuga, il secondo si attiva in conseguenza e va a frenare l’azione del simpatico impedendo un eccessivo aumento di frequenza e pressione. Le sincopi riflesse appartengono ad in gruppo eterogeneo in cui il meccanismo è un riflesso che generalmente è appropriato, ma che in soggetti con trigger specifici diventa anomalo (ad intermittenza). Possono essere classificate in base: -alle EFFERENZE: Cardioinibitoria, Vasodepressiva, Mista; prevale l'azione del vago a livello cardiaco o a livello vascolare o più frequentemente su entrambi. -alle AFFERENZE: Trigger; mi permette di identificare la causa scatenante e quindi mettere in atto strategie di prevenzione (es. prelievo di sangue da sdraiato). Le cause sono sostanzialmente tre: 1. Sincope vasovagale: Mediata da stress emotivo (vista del sangue, paura, dolore, indagini strumentali invasive), iperattività del simpatico mediata da questi trigger specifici a cui fa seguito una risposta uguale e contraria del vago che determina ipotensione e sincope. 2. Mediata dall’ortostatismo protratto (diverso da sincopi da ipotensione ortostatica!), quando stiamo in piedi per molto tempo il sangue si accumula a livello degli arti inferiori, diminuisce la pressione a livello del cuore e dei barocettori che attivano il simpatico per aumentare pressione e frequenza, dopo un lasso di tempo variabile che è attivo il simpatico il sistema si sbilancia a favore del vago che determina la sincope. 3. Sincope situazionale: Tosse, Stimolo gastroenterico (dolore addominale, deglutizione, defecazione), Post-minzionale, Dopo sforzo, Post-prandiale, Altro (risata …); è dato essenzialmente dalla manovra di Valsalva, aumenta la pressione endoaddominale si attiva il vago e si ha bradicardia, ipotensione e la sincope. 4. Sincope da sindrome del seno carotideo (5. Forme atipiche)

Alla base delle sincopi riflesse c'è quindi uno sbilanciamento del riflesso simpato-vagale e non una patologia cardiaca, sono provocate da un lato dalla riduzione delle RVS per vasodilatazione e dall'altro da una riduzione della portata cardiaca in seguito all'attivazione del vago. SINCOPI DA IPOTENSIONE ORTOSTATICA Occupano una fetta importante dello schema, sono sempre date da due componenti: una riduzione delle RVS e della portata cardiaca. I trigger possono essere tre: 1. danno funzionale del sistema nervoso autonomo 2. danno strutturale del sistema nervoso autonomo 3. ritorno venoso inadeguato  Ipotensione ortostatica classica: Riduzione di almeno 20 mmHg della PA sistolica nel passaggio dal clino- all’ortostatismo o nel passaggio da una posizione seduta all’ortostatismo (primi 3 minuti). Oppure una PA sistolica inferiore a 90 mmHg sia in clino- che in ortostatismo Nelle nuove linee guida vediamo altre due definizioni altrettanto importanti:  

IO ritardata o progressiva “Delayed Orthostatic Hypotension” → Riduzione di almeno 20 mmHg della PA sistolica dopo 5-10 minuti dall’assunzione della postura eretta IO iniziale o fugace → Riduzione di almeno 20 mmHg della PA sistolica entro 30 secondi dall’assunzione della postura eretta, diagnosi più difficile in quanto la pressione viene misurata al primo e al terzo minuto e potrebbe quindi sfuggire, la diagnosi viene fatta con il tilt-test. Per fare diagnosi di ipotensione ortostatica abbiamo due possibilità:  Lo sfigmomanometro  Il TILT-test

Con lo sfigmomanometro misuriamo direttamente la pressione del paziente prima in clinostatismo poi in ortostatismo al primo e terzo minuto (di ortostatismo) e se vediamo il calo pressorio facciamo diagnosi. Con il TILT-test possiamo far sdraiare il paziente su un piano mobile, verrà collegato ad un elettrocardiografo e ad uno sfigmomanometro che darà una misurazione pressoria continua (battito-battito). Il paziente rimane in clinostatismo per 5 minuti, poi il lettino si posiziona a 60°, quasi in ortostatismo. Siccome si misura la pressione battito-battito, è possibile cogliere quei due tipi di ipotensione ortostatica definiti prima (ritardata e fugace). La differenza fra le sincopi riflesse e quelle ortostatiche o disautonimche è che nelle prime il riflesso simpato-vagale è normale e solo in alcuni casi si ha un disequilibrio e il pz perde coscienza, in quelle disautonomiche avviene il contrario, il simpatico non si attiva e non c'è vasocostrizione e aumento della frequenza con conseguente ipotensione. Le cause delle sincopi da ipotensione possono essere: - Alterazione primitiva del SNA (Parkinson, MSA, demenza a corpi di Lewy)

- Alterazione secondaria del SNA (diabete, amiloidosi, uremia, trauma della spina dorsale) - Da farmaci - Da deplezione di volume (emorragia, ipovolemia da disidratazione, vomito, diarrea) 1. ALTERAZIONE PRIMITIVA DEL SNA Se ricordiamo la fetta di torta corrispondente, questa comprende le alterazioni primitive del SNA. 5. MSA è l’atrofia multisistemica che purtroppo è una di quelle malattie neurologiche che assomiglia alla SLA anche per il fatto che non c’è terapia, quindi oggettivamente è una patologia selettiva del SNA che ad un certo punto colpisce tutto il SNA. Il SNA guida il cuore ed i polmoni, quindi la prognosi di questa patologia è infausta, è molto grave, ma fortunatamente anche rara. 6.

Oltre a questa fra le alterazioni primitive del SNA abbiamo anche il Morbo di Parkinson; una delle caratteristiche del Morbo di Parkinson è l’alterazione della sostanza nigra che è il primo problema che si manifesta, ma questi pazienti vanno anche incontro ad un depauperamento del SNA. Il morbo di Parkinson è da tenere bene a mente, perché è un danno clamoroso per l’anziano, perché di per sé lede il SN in quanto malattia neurologica, inoltre i farmaci che si prendono per il Parkinson come la Dopamina danno come effetto collaterale l’ipotensione ortostatica, quindi l’anziano cade e non si sa se per un sovradosaggio di farmaco o per il Parkinson. Il Madopar dà anche delle alterazioni del comportamento, delirium. Il paziente con Parkinson diventa disfagico, quindi non beve più e così peggiora la sua ipotensione ortostatica. Infine il paziente con Parkinson cammina a base allargata ed ha anche il freinage per cui ha un elevatissimo rischio di caduta, quindi bisogna correggere la disidratazione ed i farmaci che sono gli unici fattori modificabili nel paziente con Parkinson in modo da attuare dei metodi preventivi per fare in modo che il paziente non caschi per terra.

7.

Demenza a corpi di Lewy. Molto tempo fa si pensava che la demenza fosse solo la demenza di Alzheimer, dopo la demenza è diventata mista, cioè si sono divise due branche: degenerativa pura (Alzheimer), vascolare (infartuale). Andando poi a studiare i vari tipi di presentazione clinica di queste demenze ce n’era una fettina che presentava dei disturbi del comportamento. La demenza di per sé è una patologia degenerativa in cui si hanno: alterazione della memoria più alterazione dell’autosufficienza, se non c’è questa connessione non c’è la demenza. Ad un certo punto durante la progressione della malattia c’è la complicanza con i disturbi del comportamento che sono destruenti per i famigliari che vengono in ambulatorio lamentando alterazione del ritmo sonno/veglia del paziente (che molto spesso resta sveglio di notte), iperfagia, wandering (ovvero pazienti che iniziano a camminare e non li riuscite a fermare) e allucinazioni. Si è visto che un particolare sottogruppo di quelli che venivano diagnosticati come Alzheimer puri ad un certo punto presentavano delle allucinazioni e dei deliri ben costruiti, quindi il medico metteva l’antipsicotico che causava una reazione avversa clamorosa all’antipsicotico, tant’è che la demenza a corpi di Lewy viene spesso diagnosticata per esclusione. Spesso sono degli Alzheimer che fanno dei disturbi del comportamento specifici, cioè hanno delle allucinazioni floride e con l’antipsicotico vanno peggio, a questo punto si diagnostica la demenza a corpi di Lewy che per associazione con il Parkinson è una demenza che si verifica in modo particolarmente frequente nei pazienti con morbo di Parkinson, tant’è che si crea un’entità clinica che si chiama Parkinson-Demenza e spesso non riuscite a distinguere se è prima un paziente demente o Parkinsoniano. Questi pazienti hanno un rischio di caduta molto più elevato rispetto ai pazienti che hanno invece qualsiasi altro tipo di demenza. Chi ha la demenza a corpi di Lewy ha anche una alterazione del SNA che inizia precocemente rispetto a tutte le altre forme di demenza; prima o poi in qualsiasi forma di demenza salterà fuori una qualche disautonomia, perché la demenza è una patologia neurodegenerativa corticale e non periferica, ma negli archi riflessi prima o poi la parte centrale viene toccata; nella demenza a corpi di Lewy questa alterazione del SNA è precoce. Quindi:



disturbi del comportamento più marcati con delirio/agitazione psico-motoria;

  

risposta paradossa agli antipsicotici; elevato rischio di caduta; alterazione precoce del SNA. Queste sono le quattro caratteristiche fondamentali di chi ha la demenza a corpi di Lewy. Sono quelle che servono nella pratica clinica, perché sapere che nelle autopsie avevano i corpi di Lewy è bellissimo ma il vostro intervento non è più necessario!

2. ALTERAZIONE SECONDARIA DEL SNA 

Diabete. Nella neuropatia disautonomica diabetica le fibre sono molto sottili e senza guaina mielinica per questo sono le prime che subiscono l'insulto iperglicemico anche se è una forma più subdola rispetto a quella sensitiva.



Amiloidosi. L’amiloide è una sostanza che va a depositarsi dove non dovrebbe; ne abbiamo un esempio clamoroso nell’Alzheimer, perché il primum movens della demenza di Alzheimer è proprio il deposito di questi granelli di amiloide che non si scioglie che quindi rimane e depositandosi dà la neuro degenerazione. La cosa che deve rimanere in mente è che se un paziente ha l’amiloidosi non l’ha localizzata solo al cervello, ma dappertutto, allora è ovvio che la manifestazione più eclatante è a livello cerebrale, ma se voi fate un ecocardiogramma a questi pazienti vedete un cuore iperiflettente, l’ecocardiografista riscontra una ipereflessività del tessuto cardiaco perché nelle miofibrille del cuore si deposita l’amiloide che dà questo tipo di immagine. L’amilodie si deposita anche a livello del SNA ed avviene esattamente come nel diabete dove per prime vengono danneggiate le fibre più piccole, allo stesso modo l’amiloide si deposita per prima nei nervi più sottili. È inoltre da ricordare che l’amiloide si deposita nei vasi, quindi arriva in sede attraverso i vasi e quindi dà dei problemi al SNA causando ipotensione ortostatica. Quando c’è stata la prima divisione tra Alzheimer e demenza vascolare erano tutti convintissimi che si trattasse di cose completamente diverse, poi facendo la TC a tutti i pazienti anziani si è visto che una gran differenza tra chi aveva una diagnosi clinica di demenza di Alzheimer e vascolare non c’era, perchè il 90% degli anziani hanno un quadro misto, quindi c’è stato un grande periodo di tempo in cui si è visto che le due patologie sono quasi sovrapposte. Hanno trovato in chi ha la demenza vascolare dei depositi di amiloide a livello dei vasi, quindi sembra che l’alterazione vascolare sia anche caratteristica del morbo di Alzheimer anche se le caratteristiche cliniche delle due patologie sono diverse. La prima differenza è l’andamento clinico: l’Alzheimer ha un andamento progressivamente peggiorativo, mentre la demenza vascolare ha un peggioramento a gradini, perché sono tanti piccoli ictus, però a livello istopatologico e strumentale delle grandi differenze non ce ne sono; è per questo che la diagnosi del tipo di demenza si fa con la clinica e non con gli esami strumentali.



Uremia. L’uremia dà: gastropatia, encefalopatia, si deposita sulla cute e fa venire prurito…allo stesso modo si deposita a livello del SNA. I cristalli di urea che dovrebbe essere eliminata con le urine ed invece rimane dove non dovrebbe essere, alterano anche il SNA, quindi in chi ha l’insufficienza renale e fa la dialisi troverete l’ipotensione ortostatica per due motivi: chi fa dialisi una gran volemia non ce l’ha per definizione, in secondo luogo perché ha danneggiato il SNA.

DA FARMACI, alterano in modo diretto o indiretto il SNA. DEPLEZIONE DI VOLUME  

Ipovolemia da disidratazione Emorragia

 Vomito  Diarrea. Il vomito e la diarrea sembrano sintomi benigni e questo è vero se avete di fronte un paziente giovane; in un paziente anziano non sono mai sintomi benigni, perché disidratano e perché con essi si perdono tutti quegli elettroliti come il Na ed il K che tanto servono per gli enzimi e le cellule. In un anziano bisogna ricordarsi che l’equilibrio è labilissimo, quindi a volte basta un giorno di diarrea per portare ad un quadro di shock ipovolomeico e quindi al ricovero. Facciamo un esempio pratico: pz in terapia con FANS perché ha tanto male, è un iperteso ed un bel giorno si trova con 80/60 di PA e sviene, in PS si fa sempre l’esplorazione rettale perché potrebbe avere melena; infatti in una certa percentuale dei casi se un paziente ha una sincope oltre a fargli un emocromo bisogna anche fargli una esplorazione rettale, perché se non riferisce l’emissione di feci scure è sempre importante andare a cercare se c’è melena oppure no. Perché ci si occupa di sincope in geriatria? Perché la prevalenza aumenta con l’aumentare dell’età. Arriva al 23% negli over 70 anni. Le linee guide (di cui dopo vedremo i principali punti) sono state definite non solo da cardiologi e neurologi, ma anche da geriatri; ciò a sottolineare come la sincope sia una condizione di particolare interesse per questo ambito. Secondo le linee guida ESC – 2009 le prime azioni che si devono compiere su un paziente che arriva con transitoria perdita di coscienze sono:  Anamnesi;  Esame obiettivo;  PA in clino- e ortostatismo;  ECG standard (nelle 12 derivazioni); Questo iter deve esser seguito in ogni caso di reale o apparente perdita di coscienza (qui ancora non possiamo usare il termine sincope, poiché include SOLO le ipoperfusioni cerebrali globali transitorie); è importante non richiedere subito esami costosi (come TC e RMN), come primo step dobbiamo attenerci a quanto riportato sopra. In questo modo possiamo già distinguere se il paziente ha avuto una sincope vera oppure una perdita di coscienza non sincopale.

Quali sono le cause delle SINCOPI VERE? → Neuromediate; → da Sindrome del seno carotideo; → da Ipotensione ortostatica; → da Patologia cardiaca: strutturale o aritmica; → da Patologia strutturali polmonari: è il campo dell’embolia polmonare; Quali sono invece le cause di episodi di perdita di coscienza NON SINCOPALI? → Cadute: in realtà nell’anziano è difficile distinguere tra sincope e caduta; → Cataplessia: il pz si addormenta, ma è abbastanza rara; → Drop Attack: il paziente che dice “mi hanno ceduto le gambe e sono caduto come una pera, ma non ho perso coscienza”, è una sindrome neurologica; → Pseudosincope psicogena: di solito giovani donne con diagnosi di isteria; → TIA carotideo e vertebro-basilare: anche se in passato era considerati sinonimi di sincope, attualmente vi è una dimostrata distinzione tra i due; → Epilessia: è una perdita di coscienza dovuta ad un’alterata attività elettrica di una porzione di encefalo, non da ipoperfusione transitoria; → Disordini metabolici come l’ipoglicemia: non è una sincope, poiché ciò che non arriva in sufficienza al cervello è lo zucchero, non il sangue;

→ Intossicazioni: esempio da monossido di carbonio; Tra le condizioni incorrettamente definite come sincope ci sono le CADUTE Perché nel paziente anziano non è semplice distinguere tra una sincope e un episodio non sincopale? Come vediamo a lato l’anziano può avere tutte e tre queste condizioni, ognuna delle quali responsabile di caduta: 13. Sincope; 14. Cause accidentali; 15. Problemi di andatura/equilibrio; Infatti l’anziano può avere una malattia acuta, ma ne avrà sicuramente di croniche, tra cui malattie neurologiche, cardiovascolari e ortopediche. → La valutazione iniziale dell’anziano deve essere tanto più precisa quanto più è complessa la situazione di base. Finchè non è certa la causa, se il primo step non è dirimente, il pz viene considerato come se avesse avuto una sincope!

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Epidemiologia: La 5a causa di morte negli USA è la morte accidentale; Le cadute rappresentano i 2/3 delle morti accidentali; I 3/4 dei decessi dovuti a caduta accidentale avvengono negli ultra65enni; Anziani a domicilio: 1/3 cade ogni anno, il 5% si frattura o viene ospedalizzato. Teniamo presente che la popolazione anziana è molto numerosa in Italia, per cui il 5% è un numero molto elevato; Anziani in struttura: l’incidenza di cadute è 3 volte maggiore poiché:  I soggetti sono più fragili: hanno un numero maggiore di patologie;  La segnalazione dell’evento è più frequente;

Conseguenze della caduta: 5. In generale, si frattura il 4% dei soggetti che cadono (range: 1-10%) 6. Traumi cranici, danni ai tessuti molli, ferite severe: 11% (range: 1-36%) Tuttavia, una volta caduto, anche se non si è fatto male, un anziano ha una più alta probabilità di morire per le conseguenze della caduta. Perché è molto importante questo concetto? Perché la geriatria è la scienza dell’AUTOSUFFICIENZA, quindi per il geriatra è meno grave che un anziano muoia, piuttosto che diventi non autosufficiente (parole testuali della prof.). Al geriatra non interessa che un soggetto arrivi a 100 anni malato, con le piaghe da decubito, allettato e non autosufficiente; al geriatra interessa che l’anziano sia autosufficiente e le cadute alterano l’autosufficienza. Vediamo il circolo vizioso causato dalla caduta: La caduta causa disabilità:  diretta: se si fa male e a maggior ragione se si frattura;  indiretta: “paura del cadere” che porta alla “postfall anxiety syndrome” (sindrome che ci chiederà all’esame). Cioè il paziente si autolimita, non esce più e così cala l’autosufficienza;

Siccome “più uno non cammina, più fa fatica a camminare”, l’anziano con postfall anxiety syndrome svilupperà una ridotta confidenza durante la deambulazione. In geriatria parliamo di “use it, or lose it”, ovvero “usa la funzione, se no la perdi”. Ne segue un ulteriore declino funzionale con conseguente depressione e perdita di fiducia in sé stesso. Il paziente si isola e diventa definitivamente non autosufficiente. La disabilità diventa irreversibile! Ricordiamo che l’uomo è un animale bio-psico-sociale. Torniamo alle linee guida: seguendo quei 4 step che prima abbiamo elencato, abbiamo la possibilità di orientarci tra una sincope e un episodio non sincopale. Quando abbiamo stabilito che il paziente ha avuto una sincope, possiamo fare una diagnosi suggestiva e indirizzarci verso una delle possibili cause: 8. Cardiaca; 9. Neuromediata; 10. Cerebrovascolare → in realtà questa causa non esiste più; NB: si arriva ad una diagnosi certa di CAUSA nel 45% dei casi. Diagnosi certa significa che non si devono fare ulteriori accertamenti. Ricordiamo l’importanza dell’ANAMNESI. Cosa dobbiamo chiedere a un paziente che ha avuto una perdita di coscienza transitoria? Si deve indagare la condizione o la situazione in cui si è verificata la caduta:  Nel passaggio in ortostatismo  Dopo prolungata stazione eretta → In questi casi dobbiamo pensare ad una SOSPETTA ipotensione ortostatica.       

Ambiente caldo Dopo sforzo fisico In seguito a sensazione di paura (forte emozione) Per visione del sangue Durante o dopo iniezione (ev o im) In associazione ad intensa sintomatologia dolorosa In ambiente affollato → In questi casi dobbiamo pensare ad una SINCOPE VASO-VAGALE CLASSICA, non sospetta, ma certa. Quindi se abbiamo un paziente che ha anamnesi positiva per uno di questi elementi ed EO neurologico negativo, prova della pressione ortostatica negativa ed ECG negativo siamo di fronte a un caso di sincope vaso-vagale classica e non si devono fare ulteriori accertamenti (TC, RMN, peraltro molto costosi).



Durante un pasto o post-prandiale → In questi casi dobbiamo pensare ad una SOSPETTA ipotensione post-prandiale, che nelle linee guida rientra nel gruppo delle sincopi SITUAZIONALI.

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Con la defecazione, con il vomito, con la minzione, con la tosse, con lo starnuto Con la deglutizione → In questi casi dobbiamo pensare ad una SINCOPE SITUAZIONALE, anche qui certa, non sospetta.

Se un pz ha l'anamnesi positiva per uno di questi eventi, l'ECG negativo, L'EO cardioogico e neurologico negativo e la prova dell'ipotensione ortostatica negativa si fa diagnosi certa di sincope vaso-vagale o situazionale senza altri accertamenti! Se invece l'anamnesi è positiva per ipotensione ortostatica con prova positiva e sempre ECG negativo, EO cardiologico e neurologico negativo si fa diagnosi e il pz va a casa!

Domanda: - La TC in un pz che cade va fatta? Sì ma per valutare le eventuali conseguenze, non nella flow chart diagnostica. - Ha senso fare un doppler dei tronchi sovraortici? No perchè una stenosi delle carotidi potrà dare un TIA ma non una ipoperfusione cerebrale globale con una perdita di coscienza transitoria, può essere chiesto nel caso in cui si senta un soffio ma non per una sincope. Per riassumere: Sincope vasovagale  Iperattività del vago, che causa bradicardia ed ipotensione  Ipoafflusso cerebrale globale  Analisi degli eventi trigger: reazione di fuga  Meccanismo: iperattività del simpatico a cui risponde il vago con entità della risposta uguale e contraria Sincope situazionale  Iperattività del vago, che causa bradicardia ed ipotensione  Ipoafflusso cerebrale globale  Analisi degli eventi trigger: manovra di Valsalva  Meccanismo: iperattività del simpatico a cui risponde il vago con entità della risposta uguale e contraria SINTOMI PRODROMICI    

Testa leggera, Debolezza, Scotomi/acufeni, Disturbi del visus e/o dell’udito Nausea/vomito/disturbi addominali, Sudorazione profusa, Bocca secca Nessuno (perdita di coscienza improvvisa), Palpitazioni, Dolore precordiale Delirium

I primi sono i sintomi che precedono la perdita di coscienza, sono sintomi di ipoperfusione cerebrale globale, di pre-sincope, se il pz li riconosce può evitare la sincope, sdraiarsi e non cadere. La nausea, bocca secca, sudorazione sono invece la conseguenza dell'attivazione del vago indicano quindi un interessamneto del SNA. La perdita di coscienza improvvisa, palpitazioni e dolore precordiale invece devono far pensare ad una causa cardiaca da indagare. Il delirium riferito dai famigliari prima della sincope è la conseguenza sempre dell'ipoperfusione cerebrale globale. Avevamo detto che è molto difficile nell’anziano stabilire se ha avuto una sincope, perché questo?

→ Circa il 30% dei soggetti anziani cognitivamente intatti (non dementi) non è in grado di ricordare cadute documentate dopo tre mesi. C’è un’amnesia per la caduta. → Nel 50% dei casi non ci sono testimoni. Capiterà di frequente il paziente anziano che dice “mi sembra di esser inciampato in un gradino”, quando in realtà questo non è contestualizzabile. Ci sono poi i casi in cui arriva il “vecchietto con gli occhi a panda” e dice che è inciampato. Inciampare senza mettere le mani avanti spesso è segno di perdita di coscienza. → Nel 40% dei soggetti con sindrome del seno carotideo (pazienti con una pausa di almeno 3 secondi durante il massaggio del seno carotideo [MSC]) l’unico sintomo era la caduta o la caduta preceduta da “dizziness” → Nel 20% dei casi di sincope durante Massaggio del Seno Carotideo il paziente non ricorda di avere perso coscienza Quando si fa il MSC ci sono dei pazienti che fanno delle pause “clamorose”, fanno un arresto, e questo viene definito un MSC sintomatico ed è diagnostico per sindrome del seno carotideo. Esiste anche l’ipotensione post-prandiale, ovvero una riduzione di almeno 20 mmHg della PA sistolica nelle due ore successive al pasto, concettualmente è simile all'ipotensione ortostatica. L'anziano in seguito ad un episodio di sincope deve essere sottoposto ad una valutazione multidimensionale geriatrica che consideri tutte le componenti bio-psico-sociali. Stato Cognitivo: Mini Mental State Examination, perchè se alterato l'anamnesi deve essere rivolta ad un famigliare. Stato emotivo-affettivo: Geriatric Depression Scale, per la valutazione della postfall anxiety syndrome Comorbidità: Cumulative Illness Rating Scale Autosufficienza: ADL e IADL, Activities of daily living (alzarsi, mangiare, la continenza...) e Instrumental activities of daily living (fare la spesa, pulire...)

Se abbiamo un paziente con storia di sincope nel passaggio da clino- ad ortostatismo e facciamo diagnosi con lo sfigmomanometro di ipotensione ortostatica sintomatica (possiamo riprodurre una presincope nel passaggio da clino a ortostatismo)possiamo fare diagnosi di SINCOPE DA IPOTENSIONE ORTOSTATICA. Quando arriviamo a questa diagnosi CERTA non dobbiamo proseguire con inutili accertamenti. Perché l’anziano è predisposto all’ipotensione ortostatica? Perché l’ipotensione ortostatica è un effetto collaterale dei farmaci e le linee guida dicono che le sincopi da ipotensione ortostatica sono dovute ad effetti collaterali farmacologici nel 30% dei casi. Siccome l’anziano è un malato cronico e con polipatologia ed assume farmaci per ogni patologia è frequente riscontrare l’ipotensione ortostatica come effetto collaterale di una categoria di farmaci oppure per interazione tra farmaci di diverse classi. Quali sono i principali farmaci che danno tale effetto? → Antipertensivi; → Antidepressivi (molto abusati); → Antipsicotici (soprattutto nelle strutture protette a scopo sedativo sull’anziano); → Nitrati (si danno nell’angina e nello scompenso cardiaco); → Antiaritmici; → Antiparkinsoniani; I faramci che più frequentemente danno ipotensione ortostatica sono i nitroderivati e gli antiparkinsoniani (Incidence of orthostatic hypotension as cause of syncope in emergency departments: the EGSYS 2 Study) Quindi fondamentale è MISURARE LA PRESSIONE in clino e ortostatismo. Tra gli antipertensivi, quali danno più frequentemente ipotensione ortostatica?  α – bloccanti (Cardura): ormai nelle linee guida non sono più usati come farmaci di primo step. Il MMG spesso dava questo farmaco per risolvere contemporaneamente problemi di ipertensione e di ipertrofia prostatica.  Diuretici: danno una deplezione di volume e pertanto quando il paziente si alza in piedi il sangue si accumula nelle gambe e non ce n’è più a sufficienza per il cervello quindi compare la sincope.  Β – bloccanti (soprattutto quelli di vecchia generazione metoprololo, atenololo, meno quelli nuovi come carvedilolo).  Calcio-antagonisti che però iniziano ad essere una classe di farmaci abbastanza sicura.  ACE-inibitori e sartani. In passato nelle linee guida per l’ipertensione avevamo β-bloccanti e diuretici (poco costosi), adesso invece sono consigliabili anche calcio-antagonisti, sartani e ACE-I; la prof raccomanda nell’anziano di usare ACE-I e sartani, eventualmente associati all’idroclorotiazide che dura 24 ore.

Cos’è la dizziness? È una sindrome geriatrica con cui si indicano un insieme di sintomi:  Perdita di equilibrio senza strane sensazioni alla testa (disequilibrio)  Pre-sincope (sensazione di venir meno ma senza arrivare alla sincope)  Percezione di movimento (vertigine o rotazione)  Qualsiasi altra cosa definita come senso di testa confusa, leggera, ecc. Questi nel 75% dei casi sono dovuti a modificazioni della pressione arteriosa e/o ipotensione ortostatica. Davanti a un paziente anziano è frequente riscontrare una di queste quattro manifestazioni.

La dizziness ci interessa perché è un fattore di rischio per la caduta.

Geriatria 19/03/2012 Prof. Mussi IL DELIRIUM è una manifestazione frequentissima nell'anziano, quindi oggi diamo le indicazioni diagnostico terapeutiche per questa condizione.

Il primo a identificarla fu Ippocrate: se il paziente sta delirando non riconosce i suoi amici,e non può sentire o capire, e questo è un sintomo mortale. Quindi Ippocrate aveva identificato sia le caratteristiche cliniche che la gravità del problema delirium. Il delirium è uno scompenso cerebrale acuto. Si fa diagnosi seguendo i criteri del DSM IV, manuale che utilizzano gli psichiatri e che si utilizza anche in clinica, il quale da un'identificazione del delirium in quattro punti. Disturbo dello stato di coscienza (ridotta consapevolezza dell’ambiente) con ridotta capacità di fissare, mantenere e spostare l’attenzione. Quindi lacaratteristica principale del delirium è il deficit di attenzione Alterazioni della sfera cognitiva (deficit di memoria, disorientamento temporo-spaziale, disturbi del linguaggio) non giustificabili da una demenza preesistente o in evoluzione. Questo secondo punto è uguale a quello che capita nella demenza.Vedremo successivamente che è possibile che un delirium si manifesti in una persona demenza, e i due criteri distinguono il delirium dalla demenza sono i seguenti: Il disturbo si manifesta in un periodo di tempo breve (di solito ore o giorni) ed ha un decorso fluttuante nel corso della giornata). Al mattino il paziente può essere assolutamente normale e verso sera inizia il disorientamento spazio temporale e l agitazione psicomotoria C’è evidenza dalla storia, dall’esame obiettivo, o da altri accertamenti che il disturbo è una diretta conseguenza di una patologia medica in corso, di un’intossicazione da farmaci o da una sindrome di astinenza. È uno dei punti più importanti nella diagnosi di delirium perché è insita la causa e la terapia. da questa definizione si capisce che non si puo' parlare di demenza perché questa non è data da qualcosa di esterno.la stessa cosa vale per il farmaco DIAGNOSI ci sono moltissimi test per fare diagnosi di delirium, quello più facile più veloce e più riconosciuto in letteratura è il CAM confusion assesmant method che si basa sui quattro criteri che abbiamo visto nel DSM IV con l'unica differenza al primo posto mette l' insorgenza acuta e l'andamento fluttuante 1. Insorgenza acuta e andamento fluttuante Dato acquisito di solito da un familiare: c’è stato un cambiamento acuto nello stato mentale del paziente rispetto alla sua situazione di base? Il comportamento anormale varia durante la giornata, per esempio va e viene o si modifica di intensità 0= no 1=sì 2. Perdita dell’attenzione  Il paziente presenta difficoltà nel concentrare la sua attenzione, per esempio è facilmente distraibile, non riesce a mantenere il filo del discorso ecc.? 0= no 1=sì 3. Disorganizzazione del pensiero Il pensiero del paziente è disorganizzato e incoerente, passa da un argomento all’altro senza filo logico, in modo imprevedibile? 0= no 1=sì 4. Alterato livello di coscienza 0= vigile 1= iperallerta, letargia, stupor, coma La diagnosi di delirium richiede la presenza di 1, 2 ed alternativamente 3 o 4.

Il CAM è validato in tutti i reparti, nelle strutture protette, a domicilio etc. Quindi si può sempre utilizzare. Il paziente con delirium apparirà in stato di:

Del paziente in stato di delirium si occupa il geriatra perchè aumenta esponenzialmente con l’aumentare dell’età. Il delirium può colpire chiunque, anche pazienti giovani con patologie acute, che hanno assunto un farmaco o che sono in astinenza da sostanze; ma chi si occupa di anziano non può non riconoscerlo perchè dai 65 anni in avanti c’è una crescita esponenziale di questo problema. STATO DI COSCIENZA E ATTENZIONE

La funzione attenzione, è una funzione particolarmente complessa e nel delirium viene alterato questo pattern. Il delirium dipende dal sistema colinergico, questo è importante conoscerlo perchè, nel momento in cui si vanno ad identificare le cause, si vedrà che i farmaci con azione anti colinergica hanno un potere deliriogenico. Questa ipotesi è stata esposta nel 1991 quando hanno antagonizzato l’ACH con dei farmaci, anche in anziani non dementi, questi sviluppavano un deficit di attenzione e quindi un delirium. In più è stato visto che i livelli sierici di farmaci che hanno attività anticolinergica correlano con l’insorgenza di delirium e la sua severità, quando il delirium si risolve gli elevati livelli di anticolinergici diminuiscono. Ridotte quote di zucchero e di ossigeno si associano a un ridotto rilascio sinaptico di ACH e ad un aumento del glutammato. Ciò vuol dire che gli insulti a livello di due possibili cose che succedono nel delirium, come

l’alterazione del metabolismo glucidico e l’ipossia determinano alterazioni dei livelli di ACH ( l’unica cosa che interessa alla prof è che il delirium è causato da un calo di acetilcolina).

Ci sono poi un’ipotesi dopaminergica, serotoninergica e gabaergica anche se meno accreditate. Da sapere il concetto che l’aloperidolo è utilizzato nella cura sintomatica del delirium per la sua azione antidopaminergica. TIPI DI DELIRIUM Esistono tre tipi di delirium

Il primo è il più facile da diagnosticare perchè il paziente è molto agitato e non si riesce a tenere calmo. Molto più grave e difficile da individuare è il delirium di secondo tipo, in ospedale questo tipo di malati “sfuggono” perchè non danno fastidio a nessuno e l’infermiere, a meno che non sia sensibilizzato sul problema, fa fatica a riconoscerlo. Più o meno la prevalenza dei vari tipi è uguale. DELIRIUM IPOATTIVO I disturbi fluttuanti del comportamento vanno dall’agitazione psicomotoria al sopore Delirium “ipoattivo” è correlato ad un peggiore stato di salute alla dimissione ad un tempo di degenza più lungo ad un aumentato rischio di piaghe da decubito Il delirium ipoattivo correla con una peggiore prognosi, perchè i disturbi fluttuanti del comportamento che arrivano al sopore correlano ad un peggiore stato di salute alla dimissione, il paziente è più ammalato, lo si dimette meno guarito. È un paziente che sta più tempo allettato, quindi si fa più facilmente le piaghe da decubito. Infine, aspetto che interessa di più alla direzione sanitaria, passa più giorni in ospedale. PERCHE’ IL DELIRIUM VIENE MISCONOSCIUTO?

Fondamentalmente perchè non lo si cerca. Se la diagnosi viene fatta, le prevalenze registrate sono molto alte. Soggetti ospedalizzati: dall’11 al 42% Dopo chirurgia: fino al 60% Peggiora la prognosi: 11. Aumenta la mortalità 12. Aumenta la durata della degenza 13. Aumenta la disabilità 14. Aumenta il rischio di istituzionalizzazione È quindi fondamentale fare diagnosi se no il paziente va incontro a una prognosi peggiore. Codici ICD-9-CM Diagnosi di Delirium: 293.0 293.1 292.0 292.81 291.0 290.3 290.41 290.42 290.11 348.3 349.82 292.2 293.82 293.81 298.2 Questi sono i codici ICD-9, servono per compilare le SDO in fase di chiusura delle cartelle. Si devono associare alle patologie che il paziente ha i codici ICD-9; il DRG è il diagnosis related group, che ci dice se siamo stati “bravi”oppure no. Il concetto è che una polmonite ad esempio, è da dimettere entro 5 gg e se ce ne impieghiamo 7 la direzione sanitaria si “arrabbia”. Sul delirio ci sono tantissimi codici ICD-9 perchè causa tutti quei problemi visti precedentemente. Invece questi non sono molto utilizzati anche perchè la diagnosi spesso non viene fatta.

Queste sono le prevalenze delle diagnosi di delirium, dal 2000 al 2003, nelle SDO. Sono molto più basse di quelle viste in precedenza, questo perchè per il medico “medio” l’anziano è normale che “svalvoli” nel momento in cui entra in reparto. Il problema nasce dal PS

15. Solo 15-30% identificato in Pronto Soccorso 16. Solo 30-50% hanno segni/sintomi segnalati all’ammissione in reparto 17. Anche se i segni/sintomi sono stati segnalati, spesso sono misconosciuti (demenza, depressione) Il deliruim va identificato nel momento in cui il paziente arriva all’attenzione del medico, la diagnosi potrebbe anche essere fatta da un infermiere. Al massimo in PS ne viene identificato il 30%, il 30-50% hanno segni o sintomi che potrebbero essere identificati dal medico di reparto come campanelli d’allarme, in particolare questo vale per il delirium ipocinetico. Infine se anche i segni/sintomi sono stati segnalati, spesso sono misconosciuti perchè vengono confusi con altri due quadri che fanno parte delle famose tre D della geriatria, che sono demenza, depressione e delirium. Sono tre patologie completamente diverse. quando invece si utilizza il CAM, la diagnosi cresce al

20,7%, il che vuol dire che basta cercarlo con lo strumento giusto per essere identificato questo è uno studio multicentrico svolto dalla

geriatria di Modena insieme con altre geriatrie italiane, dove si è andati a vedere l’outcome surrogato, cioè l’utilizzo di antipsicotici al bisogno all’interno del reparto di geriatria. L’antipsicotico al bisogno è per definizione una contenzione farmacologica, perchè altrimenti non ci sarebbe altro motivo per prescrivere un antipsicotico al bisogno. Quelli indicati nel grafico sono tutti pazienti senza diagnosi di delirium, all’aumentare dell’età aumentava la prescrizione degli antipsicotici. Nella fascia d’età >85aa a domicilio le prescrizioni erano sotto al 5% mentre subivano un picco al 9% durante l’ospedalizzazione, ciò vuol dire che almeno il 9% di questi anziani ha sviluppato un delirium ipercinetico in reparto, in seguito al quale gli sono stati somministrati antipsicotici al bisogno. Mini Mental State Examination E’ diagnostico? 18.

Il MMSE non consente la diagnosi di delirium e non distingue tra delirium e demenza

19.

Non rileva la caratteristica variabilità dei sintomi, né i disturbi psicomotori

20.

La variazione del suo punteggio nel tempo in controlli seriali è orientativa

Questa diapositiva è stata inserita perchè spesso all’esame, alla domanda “come si fa a fare diagnosi di delirium?” lo studente rispondeva: “con il MMSE”. Questo non è corretto. Il MMSE serve per identificare un DEFICIT COGNITIVO, non dà però nessuna idea di quanto fluttuante ed acuto sia il deficit cognitivo. Se però si fa il MMSE ad un paziente appena entrato in reparto e questo prende 10(bassissimo), poi glielo si rifà alla dimissione e prende 30(massimo), si potrà dire che questo, era un paziente che aveva un deficit cognitivo dovuto al delirium (paziente entrato per patologia acuta, risolta durante la degenza e di conseguenza risolto il delirium, all’uscita ha un livello di coscienza normale) va ricordato che al 2 punto del DSM-V il delirium è caratterizzato da: deficit di memoria, disturbo dell’orientamento spazio temporale, afasia etc.. Ovvero tutti sintomi di deterioramento cognitivo, che nel caso del delirium è acuto.

L’anamnesi è fondamentale, è per questo che va fatta immediatamente. Appena il paziente viene visto la domanda da porre è: “com’era prima questo malato?”. Il punto chiave dell’anamnesi è capire com’era in precedenza il paziente. Se il parente ci dice che sono già alcuni anni che il paziente è in quelle determinate condizioni, ci orienteremo verso uno stato di demenza; mentre se il parente dice che non riconosce più il paziente, che ha notato un cambiamento repentino nell’arco di poche ore, questo ci farà orientare su una diagnosi di delirium. Tutti i pazienti che si osservano soprattutto in area critica vanno sottoposti a screening cognitivo, perchè va considerato alla stregua di un parametro vitale (cosa che purtroppo non ancora accade nei reparti di PS ed emergenza urgenza).

Queste sono scale, per farci capire che questo è un problema davvero spinoso; sono nate tantissime scale per identificare il delirium. NEECHAM CONFUSION SCALE   1. PROCESSING (punti da 0 a 14) attenzione ed allerta, risposta, riconoscimento, interpretazione, azione, orientamento, memoria, contenuto del discorso 2. COMPORTAMENTO (punti da 0 a 10) come si mostra (anche igiene); movimento, conversazione 3. PARAMETRI VITALI E FISIOLOGICI (punti da 0 a 6) segni vitali, saturazione periferica O2, continenza

In totale il punteggio varia da 0 a 30: da 0 a 19 lo stato confusionale è severo o moderato, da 20 a 24 è “mild” o iniziale, da 25 a 26 normalità con possibile rischio, da 27 a 30 normalità Questa è una scala interessante perchè mette al terzo punto l’alterazione dei parametri vitali fisiologici perchè alla base del delirium c’è sempre una causa di tipo medico, farmacologico e quindi i parametri vitali mi dicono se c’è qualcosa che non va a livello fisiologico. DELIRIUM INDEX Si basa sul rilievo di: 7. Alterata attenzione (da 0 a 3) 8. ragionamento disorganizzato (da 0 a 3) 9. livello di coscienza (da 0 a 3) 10. disorientamento (da 0 a 3) 11. compromissione della memoria (da 0 a 3) 12. alterata percezione (da 0 a 3) 13. disturbi motori (da 0 a 3) Il punteggio è 9 quando non determinabile per gli item 1, 2, 4, e 5) I valori molto piccoli indicano normalità; si usa somministrando i primi 5 item del MMSE

Questa scala, in realtà, si valuta sui primi 5 item del MMSE e, a differenza del CAM, al settimo punto c’è la segnalazione dei disturbi motori. Ci aiuta quindi a distinguere tra un delirium iper e un delirium ipocinetico. (le scale non sono da sapere)

Qui si apre un capitolo che è d’importanza fondamentale. Il DSM-IV afferma che il delirium ha una causa che bisogna identificare, perchè la cura del delirium è la cura della causa. Se la causa non viene identificata non si guarisce il paziente da due malattie: la causa e il delirium. In letteratura si sono sbizzarriti nel creare degli acronimi per tenersi in mente le cause di delirium

tutte le patologie acute o riacutizzazioni di patologie croniche possono

causare delirium. Le più frequenti sono le cause vascolari tra cui c’è l’ictus, questo può avere una manifestazione completamente diversa rispetto a quella che ci si aspetta solitamente nel paziente giovane, infatti si può manifestare solo col delirium. Le infezioni sono un’altra delle cause più frequenti di delirium, se non si identificano il paziente va in sepsi. Anche la malnutrizione è causa di delirium. I farmaci sono pericolosissimi nell’anziano, bisogna sempre ricordare la frase “start low go slow”, gli anziani vanno spesso incontro ad effetti avversi e ad interazioni farmacologiche; un effetto avverso dei farmaci è il delirium. I traumi. Le cause cardiache tra cui le aritmie e gli infarti che presentano nell’anziano, come unico sintomo, un quadro di delirium. Tutte le riacutizzazioni delle malattie autoimmuni sono poco frequenti. I tumori, soprattutto in fase terminale. Tra le patologie endocrine che possono causare delirium c’è il diabete scompensato (ipo-iper glicemia) e le alterazioni della tiroide (ipo-iper tiroidismo), va fatto sempre un TSH in chi presenta delirium. Domanda: anche con uremia si può avere delirium? Sì, infatti nel prossimo acronimo troviamo la disidratazione come una delle cause più frequenti di delirium, molto prima dell’uremia, basta un’insufficienza renale pre-renale da disidratazione. in questo acronimo al primo posto troviamo i farmaci, che in effetti sono

quelli che in assoluto danno più frequentemente il delirium. Al secondo posto troviamo eye ed ears, ciò sta a significare che se un paziente ci vede e ci sente poco ed in più viene messo in un ospedale, questo si disorienta in brevissimo tempo. Abbiamo poi la bassa ossigenazione e quindi l’ischemia. La R di retention è molto importante, si intende ritenzione sia urinaria che fecale; l’anziano con globo vescicale spesso non ci chiama dicendo che non riesce ad urinare, ma si agita solamente; parallelamente la stessa cosa succede per il paziente stitico. Di nuovo troviamo le infezioni; la disidratazione già menzionata sopra così come i disordini metabolici.

in questo acronimo è stata aggiunta anche la “s” perchè una delle

manifestazioni dell’ematoma subdurale nei pazienti anziani è la confusione mentale acuta, ovvero il delirium. Quando un paziente ha un delirium e ha l’anamnesi positiva per caduta la TAC va sempre fatta perchè potrebbe avere un ematoma subdurale. Sono stati fatti tantissimi studi sulle cause di delirium, ognuno dei quali ha identificato qualche causa maggiore dell’altra. alla prof è piaciuto molto questo, perchè ha semplificato un

po’ le cose. Sono stati identificati 4 fattori di rischio. Il primo è il fatto che il paziente ci veda poco, il secondo è la presenza di patologie acute gravi (l’apache è un metodo di valutazione oggettiva della gravità dei pazienti che arrivano in PS), il terzo punto è il fatto che ci sia un deterioramento cognitivo, quindi una demenza sottostante è un fattore di rischio di delirium. Il quarto punto è la disidratazione. È stato visto che se il paziente non ha nessuno di questi fattori ha un rischio di sviluppare delirium che è basso( incidenza 9%) mentre invece se ne ha 3-4 ha un rischio elevatissimo (incidenza 83%). Ciò significa che se abbiamo un paziente anziano va sempre considerato ad alto rischio di delirium. Delirium da farmaci Antipsicotici triciclici (fenotiazine) Antidepressivi triciclici (Nortriptilina) Barbiturici Benzodiazepine Antistaminici Antiparkinsoniani Antidiarroici (difenossilato) Miorilassanti, spasmolitici Prodotti da banco per il trattamento sintomatico della tosse (Codeina) Digitale Narcotici (Meperidina, Morfina) Prednisolone Antibiotici (Cefalosporine, Chinolonici) Il concetto che deve emergere è che ogni anziano è diverso da quell’altro. Quindi se gli diamo un farmaco a volte non si hanno gli effetti che ci si aspetta come da proprietà del tale farmaco. Potenzialmente, qualsiasi

farmaco nuovo che si somministra ad un anziano, può causare delirium. Ovviamente ci sono farmaci a cui stare maggiormente attenti. È stato detto precedentemente dell’ipotesi colinergica, tutti i farmaci che hanno attività anticolinergica possono peggiorare il delirium. È per questo che succede che il medico di guardia di notte, chiamato per un delirium ipercinetico e che non va a visitare il paziente e non ne identifica la causa, somministra per telefono il TALOFEN ev (antipsicotico triciclico del gruppo delle fenotiazine dalla potente attività anticolinergica) e il paziente invece che sedarsi si agita di più, il medico somministra altro talofen, che essendo cardiotossico, manda il paziente in arresto cardiaco. Stesso discorso vale per gli AD TRICICLICI. La codeina quando si dà a dosaggio alto perchè c’è un paziente che ha la tosse, questa dà il delirium in circa il 30% dei pazienti anziani. Tra gli antibiotici bisogna fare molta attenzione hai CHINOLONICI, perchè sono epilettogeni e deliriogenici in quanto agiscono direttamente come irritanti del SNC. Bisogna indagare se l’anziano che ha il delirium ha da poco iniziato un nuovo farmaco, se questo si verifica bisogna subito togliere il nuovo farmaco. Il compito del medico è quello di capire la causa del delirium, non di sedare il paziente agitato. Delirium post-chirurgico Ipossia cerebrale perichirurgica Ipotensione Aumento di cortisolo da stress chirurgico Uso di farmaci narcotici con attività anticolinergica Dolore postchirurgico Alterazioni idro-elettrolitiche Queste sono le cause di delirium post-chirurgico. Questò è diventato più frequente dato che il numero di anziani operati è maggiore rispetto al numero dei giovani. Chi fa un intervento chirurgico va in ipossia per la perdita di sangue, per l’anestesia generale che fa sì che gli si riduca la pressione e tutta una serie di parametri tali per cui arriva poco sangue al cervello. Questo avviene soprattutto per determinati interventi chirurgici (frattura di femore, chirurgia addominale). Tra i farmaci deliriogenici era citato il cortisone, tutte le situazioni da stress fanno aumentare il nostro cortisone ovvero il cortisolo, che quindi induce delirium. Domanda: nella sindrome della sella vuota, se un paziente deve essere sottoposto ad intervento chirurgico, come ci si dovrebbe comportare? Se c’è una SDR della sella vuota non si ha davanti un paziente anziano, quindi bisogna fare tutta la terapia, l’intervento chirurgico stando attenti nel post chirurgico al delirium. Il fatto è che in questa sindrome non ci sono alternative terapeutiche quindi il delirium è “il male minore”. Uno dei metodi più semplici in chirurgia per fare in modo che non venga il delirium al paziente è lasciare vicini i famigliari. Purtroppo nei nostri reparti i famigliari vengono fatti uscire immediatamente di conseguenza il paziente rimane da solo e si disorienta. Il paziente con frattura di femore non va lasciato da solo perchè sicuramente farà il delirium. Il DOLORE è una causa importantissima di delirium, ci sono dei pazienti che non sanno esprimere il loro dolore a parole ma si agitano solamente, quindi spesso la vera terapia è l’antidolorifico. Nel post operatorio si danno moltissimi liquidi a tutti, ma spesso ci sono degli squilibri di Na-K perchè non vengono bilanciati bene nelle varie soluzioni somministrate. Il neurone che riceve una quota inadeguata di Na-K va in insufficienza cerebrale acuta. Per evitare il delirium post-chirurgico bisogna: 21. Correggere anemia 22. Evitare ipotensione 23. Evitare ipossiemia cerebrale 24. Compensare situazione emodinamica e respiratoria 25. Trattare precocemente le complicazioni: infezioni delle vie urinarie polmoniti ritenzioni acute di urina stipsi ostinata con fecalomi

L’ipotensione si evita somministrando fluidi, stando però attenti a non mandare in edema chi ha lo scompenso cardiaco o accellerarlo in chi ha uno scompenso cardiaco latente. Bisogna poi trattare precocemente le complicanze post chirurgiche: infezioni urinarie, polmoniti nosocomiali, ritenzione acuta d’urina e stipsi da fecaloma. Il paziente allettato che fa un intervento chirurgico, per definizione diventa stitico, bisogna quindi assicurarsi che vada di corpo LE TRE D

Gli anziani possono averle tutte e tre contemporaneamente, il delirium si può poi anche associare a:

Nel delirium ipocinetico il paziente è allettato e ha frequentemente decubiti. I disturbi del sonno sono molto importanti nel delirium ipercinetico perchè il paziente a casa non riesce più ad essere gestito dai famigliari. Il paziente con delirium diventa incontinente, quindi viene cateterizzato. C’è poi il grandissimo problema del caregiver, il quale non capisce il motivo per cui questo paziente a un certo punto non è più la persona che aveva 24 ore prima, quindi è il medico che ha il compito di tranquillizzare il famigliare dicendo che è una cosa normale nell’anziano e che una volta identificata la causa il delirium scompare. questo è uno studio che mostra i pazienti con il delirium che

vanno incontro più facilmente a: incontinenza urinaria, cadute, piaghe da decubito e altre complicanze.

Cosa fare SEMPRE

Queste sono le cose da fare sempre in un paziente col delirium dal punto di vista diagnostico. Fare molta attenzione al dolore, che in un paziente con delirium è molto difficile da identificare per l’impossibilità di avere un colloquio. Si può utilizzare la scala VAS con le “faccine” che ci dice se il paziente può avere dolore oppure no. Il calcio, insieme al Na-K, è sempre coinvolto nei processi biochimici ed è quindi responsabile di delirium se manca. La TAC encefalo va considerata per l’ematoma subdurale. Criteri clinici 26. indice di disidratazione = urea/creatinina >25 27. deficit di acqua = peso (Kg) x 0.45 –[140/ (Na+ plasmatico x peso (Kg) x 0.45)] 28. Guardare sempre cute e mucose Se non disponiamo di un iPod, bisogna guardare sempre cute e mucose per vedere il grado di disidratazione del paziente, la cute si solleva in pliche che non scendono e la lingua è molto secca se il paziente è disidratato.

Aspetti confusionali nella esistenza delle persone anziane

Visto che il paziente è un essere BIO-PSICO-SOCIALE non si può non considerare la componente psicologica. Ci sono dei quadri di delirium che sono dati da uno stress psicologico. Anamnesticamente si riesce trovare una relazione causa effetto tra una delle condizioni elencate sopra e l’insorgenza di delirio. La deprivazione sensoriale: se si pensa al paziente ospedalizzato, questo è un individuo che viene portato via dal suo ambiente, quindi si disorienta; la luce poi in reparto difficilmente rispetta i ritmi circadiani del

paziente, spesso c’è troppo rumore, se il paziente vede poco spesso misinterpreta quello che gli capita intorno e quindi manifesta il delirium.

la diagnosi differenziale è molto semplice in quanto il delirium è un evento ACUTO, mentre la demenza è CRONICA.

di tutti questi aspetti clinici ci interessano solo quelli evidenziati.  disturbo della coscienza: nella demenza non è presente, il paziente è uguale al giorno precedente, non è né in iperallerta né letargico.  Deficit di attenzione: nel delirium non si riesce più a cogliere l’attenzione del malato, può avvenire nelle fasi molto avanzate della demenza  Fluttuazione nelle 24 ore: caratteristica del delirium, mentre la demenza non fluttua durante la giornata.  Esordio acuto nel delirium. Perché l’anziano affetto da demenza si rivolge al pronto soccorso?

Il pz demente con delirium non riesce ad essere gestito a domicilio. Il PS è però il posto peggiore per gestire un pz con delirium.  ci sono barelle e non letti, che sono scomode e soprattutto alte quindi il pz può agitarsi e cadere.

Il pz deve rimanere da solo perchè si ritiene che i parenti facciano troppa confusione In PS si cade perchè i pavimenti sono sdrucciolevoli per far passare le barelle In PS ci sono tende e non muri che separano gli ambienti, quindi è molto rumoroso In PS non ci sono finestre ma la luce artificiale, quindi il pz si disorienta perchè non capisce che ore

   

sono L’anziano ha tante comorbilità e tante terapie che non riesce a riferire, mentre il triage e la diagnosi devono essere per forza rapidi. Per risolvere questi problemi nasce il Geriatric Emergency Department (GEDI) che conclude in questo modo: “ dopo una visita in PS gli anziani sono più a rischio di complicanze, declino funzionale e ridotta qualità della vita”.. “quindi il PS non è fatto per il pz anziano”. Ovviamente questo è uno studio che mostra che con accorgimenti come quelli elencati prima le cose migliorano. 

In PS bisogna, oltre a controllare i parametri vitali, verificare il declino funzionale e mentale. La diagnosi di delirium va fatta in PS. ( se in PS arriva un pz con deficit cognitivo, e lo si battezza come demente, questa diagnosi compare nella diagnosi di PS e quindi questo paziente non se la “tira più via”). Trattamento non farmacologico do everything to make life easy for the patient. 29. Aiutare l’orientamento con grandi orologi e calendari 30. Assicurare una buona veduta dalla finestra 31. Ripetere regolarmente le informazioni 32. Massimizzare l’acuità visiva: occhiali, luce 33. Massimizzare l’acuità acustica: assicurarsi l’uso e la funzione di protesi, ridurre i rumori competitivi 34. Usare oggetti famigliari al paziente (foto che riguardano il paziente stesso) 35. Assicurare oggetti di riconoscimento adeguati per le stanze Il trattamento non farmacologico è il più importante, bisogna fare qualsiasi cosa semplifichi la vita del malato. Fondamentale riorientare il pz. Quando si studierà la demenza si farà la ROT( re-orientation teraphy) che è un metodo per prevenire il declino cognitivo nel demente. PROTOCOLLI Questi sono due tipi di protocolli che hanno ridotto l’incidenza di delirium nei reparti in cui sono stati utilizzati. ORIENTATION PROTOCOL 36. Ripetere quotidianamente o meglio più volte al giorno la collocazione di luogo e di tempo in cui ci si trova 37. Discussione di eventi correnti (lettura quotidiani, visione di fatti di attualità, ecc.) 38. Ricordi strutturati 39. Fatti che riguardano il paziente SLEEP PROTOCOL 40. Strategie di riduzione del rumore degli spazi 41. Revisione dei tempi di medicazione e terapia 42. Riduzione dell’intervento farmacologico 43. Musica rilassante

44.

Massaggio

Purtroppo quando si ha un pz agitato in reparto, qualcosa in acuto si deve fare. Il farmaco che c’è in tutte le linee guida è l’ALOPERIDOLO (Serenase). Nascono con molta frequenza lavori in letteratura su nuovi farmaci, ma comunque è preferito l’aloperidolo perchè ha un effetto minore sulla respirazione e sulla pressione, quindi in acuto è più gestibile rispetto ad altri farmaci. Ricordarsi il concetto “start low and go slow”, si parte con una dose di 2mg. L’emivita è molto lunga per cui può rimanere un effetto sedativo strascico abbastanza importante. Peggiora gli effetti extrapiramidali nei pazienti con Parkinson. Bisogna stare attenti alla sedazione prolungata per problemi di ab ingestis e di ulcere da decubito ( arrossamento che persiste da più di 2 ore è già una piaga da decubito al 1°). ALTRI FARMACI: tutto il gruppo dei farmaci antipsicotici atipici( risperidone, olanzapina, quetiapina); BDZ a breve emivita lorazepam e alprazolam; trazodone (trittico) farmaco che nasce come anti depressivo quadriciclico ma che ha anche un effetto sedativo blando andando a ridurre il delirium senza dare sedazioni prolungate.

Questa è una review uscita da poco che è sulle linee guida NICE secondo cui il grande problema è il paziente con demenza e delirium. In questo caso va bene qualsiasi cosa funzioni però va dato a basse dosi e per periodi di tempo standard, se no diventa una contenzione farmacologica non giustificata. Se si guarda il foglietto del risperidone,olanzapina e quetiapina non c’è indicazione a usarli per l’agitazione psicomotoria, sono farmaci off label, li si utilizzano perchè nella pratica clinica si è visto che funzionano. Fondamentale tutte le volte che si prescrive un farmaco, scrivere in cartella il proprio ragionamento clinico.

Ricordare che l’aloperidolo allunga il QT.

METABOLISMO DEL FERRO

Il ferro si trova a livello plasmatico,viene assorbito dall’intestino e viene eliminato attraverso meccanismi non attivi;l’uomo infatti è stato fatto NON per perdere ferro,ma per tenerlo dentro,essendo fondamentale per molte funzioni vitali. Quando ne entra troppo,quindi,tende ad accumularsi. L’unico meccanismo che si può regolare attivamente è l’assorbimento intestinale,mentre tutti i meccanismi di eliminazione sono passivi (a parte il mestruo per le donne che è un meccanismo attraverso cui ne esce una parte abbastanza importate). Il ferro è stato creato per il midollo osseo,per creare GR:ogni giorni servono 20 mg di ferro per creare Hb,dopodiché i GR escono dal midollo e dopo 120 giorni vengono distrutti dai macrofagi di fegato,milza e qualche altro organo e il ferro torna al midollo attraverso il circolo:quello perso si riassorbe dall’intestino. Prima si pensava che tutti questi meccanismi fossero automatici mentre ora si è scoperto un ormone (equiparabile al controllo sui glucidi da parte dell’insulina nel diabete) che è l’ EPCIDINA che governa il metabolismo del ferro Un uomo adulto contiene circa 4-5 grammi di ferro, distribuito in diversi compartimenti. - il 70% nei globuli rossi legato all'emoglobina - il 10% nella mioglobina (che fissa l'ossigeno all'interno dei muscoli), nei citocromi (gli enzimi che permettono la respirazione cellulare) e in altri enzimi contenenti ferro - il 10-20% nella ferritina - 0,1-0,2% è trasportato in circolo legato alla transferrina. Ogni giorno l'uomo perde circa 1 milligrammo di ferro con la desquamazione delle vecchie cellule che rivestono la pelle o l'intestino. Nella donna in età fertile, le perdite mestruali possono raddoppiare o anche triplicare questa quota. La piccola quota di ferro che giornalmente viene perduta deve essere ricostituita per mantenere l'equilibrio Nel corso degli anni sono state studiate tutte le patologie correlate al ferro: - 1500: CLOROSI o MORBO DELLE VERGINI (da carenza di ferro): era presente in giovani donne = anemia ipocromica da mestruazioni; ci vollero circa 200 anni per capire che il ferro o estratti di ferri potevano correggere questo problema. Nel 1700 arrivò la terapia con pillole di solfato di ferro (ancor oggi utilizzate). Nel 1800 un medico internista molto capace “Trusseau” pensò che fosse una malattia da isteriche quindi legate ad una patologia psichiatrica. -

1860: lo stesso medico presentò per la prima volta,durante una lezione, il caso di un ragazzo di 28 anni con pelle bronzea e fegato indurito;lo definì “diabete bronzino”. Questa sindrome, dopo 20 anni,fù chiamata “emocromatosi” dall’anatomo patologo von Recklinghausen(lo stesso della Neurofibromatosi) che su reperti autoptici notò come gli organi di questi soggetti fossero scuri e pensò che la causa fosse l’eme che “cromatos =colorava” i tessuti. L’idea era sbagliata ma il nome è rimasto. PATOLOGIE DA ACCUMULO DI FERRO: EREDITARIE - Emocromatosi - Anemie con sovraccarico di ferro:talassemie, a.sideroblastica.. - Iperferritinemia familiare ACQUISITE - emodialisi - Politrasfusioni - Consuetudine alcolica - Epatite virale cronica ed altre epatopatie(NASH = patologia da grasso): in queste patologie il ferro si accumula solo nel fegato - Parkinson e Alzheimer : ferro che si accumula nei nuclei della base

Nel corso della storia,il ferro è sempre stato fondamentale per la vita anche perché è l’unico che può esistere in forma bi e trivalente. FUNZIONI: - permette alle attività enzimatiche di funzionare,fa da biocatalizzatore - lega l’O 2 sull’Hb e quindi per la respirazione dei mitocondri - serve per il collagene - serve per la formazione del DNA Ps: infatti ci sono sempre 4 gr di ferro presenti nel nostro corpo. ERA PALEOLITICA: l’unico modo per poter mangiare era cacciare,quindi il ferro che entrava era il ferro eminico della carne rossa; questo eme si trova solo negli alimenti di origine animale, in particolare nella carne, in quanto presente nelle emoproteine muscolari .Viene assorbito più facilmente rispetto al ferro non eme, ma è presente in quantità minore. ERA NEOLITICA: c’è stato un cambiamento nell’alimentazione:si è passati ai vegetali e sono iniziati i primi problemi perché il ferro andava estratto. Quest'ultimo è detto anche ferro inorganico o ferro sale e può essere presente o sotto forma di ione ferroso (ione Fe 2+, bivalente), o sotto forma di ione ferrico (ione Fe 3+, trivalente), i quali sono solubili rispettivamente a pH 7 e a pH minore di 3. Le patologie genetiche ,come l’emocromatosi,sono insorte proprio in questo periodo perché davano un vantaggio selettivo in quanto favorivano l’assorbimento e quindi erano molto sviluppate. APPROFONDIMENTO SULL’ASSORBIMENTO Gli alimenti ricchi di ferro vengono attaccati all'interno dello stomaco dai succhi gastrici, che facilitano la dissociazione degli ioni del ferro dal resto del cibo (dissociazione che è peraltro favorita dalla cottura). Con l'aiuto dell'acido ascorbico(Vit. C), tali ioni vengono subito ridotti a ioni ferrosi Fe 2+; è per questa ragione che per assorbire meglio il ferro presente nei vegetali è consigliabile il consumo contemporaneo di alimenti ricchi di vitamina C. Non tutti i composti possono essere dissociati dal ferro che contengono e questa porzione del ferro alimentare, di cui costituisce la maggior parte, non viene assorbita. Il ferro viene assorbito principalmente nell'intestino, in particolare nel duodeno. Gli enterociti sono in grado di assorbire il ferro eme direttamente, in quanto l'intera molecola che lo contiene può attraversare la membrana dell'enterocita (per poi rilasciare il ferro sotto forma di ione trivalente, in particolare dividendosi in protoporfirina IX e Fe3+ libero). Al contrario, il ferro non eme può essere assorbito solo dopo essere stato separato dalla molecola originaria e legato ad altre molecole, come zucchero o vit. C. L'organismo è in grado di assorbire il ferro non eme bivalente(e non quello trivalente) la cui formazione è favorita dal carattere basico dell'ambiente duodenale, dovuto ai succhi pancreatici. Di conseguenza, il ferro trivalente, per essere assorbito, deve prima essere ridotto nella forma bivalente. La riduzione può avvenire nello stomaco, favorita dall'acidità dovuta alla presenza dei succhi gastrici, o nell'intestino, in cui viene ridotto dal citocromo duodenale B (o anche DCYTB), presente sul dominio apicale delle cellule duodenali. Dopo la riduzione, un trasportatore di metalli divalenti (DMT-1) ne consente l'ingresso nella cellula intestinale tramite un simporto Fe2+/H+. L'assorbimento a livello della mucosa è influenzato dalla concentrazione di ferro già presente nell'organismo: una carenza di ferro porta ad un aumentato assorbimento intestinale, mentre un sovraccarico di ferro porta ad una diminuzione dell'assorbimento. Infatti: - se vi è carenza di ferro, la sintesi di apoferritina è bassa, la proteina lega pochi atomi di ferro, e di conseguenza quest'ultimo è libero di circolare nel sangue, legato alla propria proteina di trasporto (la transferrina, oppure, nei granulociti, la lattoferrina); - se vi è un sovraccarico di ferro nell'organismo, c'è una grande sintesi di apoferritina (che, nell'epitelio intestinale può legare sino a 4.500 atomi di ferro, anche se normalmente si trova legata a circa tremila atomi), impedendo, in questo modo, la circolazione di ferro libero nel sangue, dove si potrebbe legare ad altre proteine inattivandole o provocandone disfunzioni.

Un altro meccanismo di regolazione avviene attraverso la mobilferrina: quest'ultima, se c'è carenza di ferro, lo trasporta sino alla membrana basale dell'epitelio, ma, in condizioni di sovraccarico, lo lega alla ferritina. Giunto presso la membrana basale, il ferro è trasportato nei capillari sanguigni dal complesso efestinaferroportina 1 che lo lega alla transferrina (la quale ha proprio il compito di trasportare il ferro nel sangue

Un altro problema è quello di combattere i patogeni,virus e batteri. I patogeni,come l’uomo,hanno bisogno di ferro per crescere e moltiplicarsi,infatti appena infettano l’uomo,vanno a cercare il ferro: prima lo cercano sulla trasferrina (fe circolante) poi dai tessuti. Quindi ,da un lato il ferro è fondamentale,ma d’altro canto,se ce n’è troppo,può facilitare la crescita dei patogeni. L’organismo sopperisce a questo problema producendo un singolo ormone peptidico da parte del fegato: l’EPCIDINA che si accorge sia della presenza dei patogeni che dell’eccessiva quantità di fegato e ne blocca l’assorbimento intestinale. I sensori più importanti per i patogeni sono le citochine, e in particolare l’IL-6 che fa si che il fegato produca epcidina. È pertanto una defensina perché va a livello della parete intestinale,nella porzione baso-laterale(quella che guarda il sangue) o nei macrofagi (le cellule di deposito del ferro)e degrada la ferroportina (proteina transmembrana che trasporta il ferro fuori dalla cellula,presente sia nei macrofagi che nella membrana basale degli enterociti duodenali)che è l’unico mezzo attraverso cui il ferro può entrare in circolo: se manca,il ferro rimane dentro al villo e viene eliminato quando il villo si rigenera . Quindi, inibendo la ferroportina, l'epcidina inibisce il rilascio di ferro nel sangue da parte degli enterociti, riducendo quindi l'assorbimento del ferro e, inibendo anche la ferroportina macrofagica, inibisce il rilascio in circolo del ferro già presente nell'organismo . Si è visto che in topi transgenici se si overesprime l’epcidina , i topi non nascono nemmeno perché viene bloccato il trasporto di ferro dalla placenta al feto che quindi va in anemia e non nasce. Nell’uomo non ci sono casi perché queste patologie genetiche sono incompatibili con la vita. CAUSE DI EPCIDINA ALTA: - Anemia dell’anemie croniche: pz oncologici,con patologie renali o reumatiche che hanno infiammazioni e/o degenerazioni croniche - Anemie con basso ferro e alta ferritina perché l’epcidina è sovraprodotta , blocca l’assorbimento intestinale di ferro e il rilascio dai macrofagi(quindi si accumula in queste cellule); in questo modo il ferro in circolo è basso,la saturazione della transferrina è bassa,ma la ferritina è alta perché il ferro è intrappolato dentro ai tessuti e ai macrofagi. Attualmente non ci sono possibilità terapeutiche per queste anemie perché se date ferro questo va dentro ai macrofagi e ci rimane e se fate trasfusioni si sovraccarica inutilmente il pz perché tanto il ferro andrà comunque dentro ai macrofagi. Si stanno quindi cercando degli inibitori di questo ormone.

CAUSE DI EPCIDINA BASSA: aumento della sideremia e della transferrina - anemie Fe carenziali,da perdita,da Hb bassa ecc.. : l’epcidina è nemica del midollo perché impedisce che quei 20 mg giornalieri di ferro vi arrivino,quindi,dal midollo partono dei segnali che inibiscono i geni dell’epcidina a livello epatico. - Emocromatosi: tutte le forme sono dovute ad una scarsa produzione epatica di epcidina: il ferro,sin dalla nascita, è quindi libero di entrare e a 20 anni si ammalano di cirrosi,diabete,cardiopatia (ecc) da accumulo di ferro. Normalmente: Transferrina:la proteina che trasporta il ferro all'interno dell'organismo, dai distretti in cui il ferro viene assorbito (intestino) a quelli che lo utilizzano (in particolare il midollo osseo, dove vengono prodotti i globuli rossi) o agli organi di deposito (in particolare il fegato). In caso di necessità, il ferro dagli organi di deposito viene ceduto alla transferrina che provvede al suo trasporto ai diversi tessuti. Ogni molecola di transferrina può legare al massimo due atomi di ferro. La misurazione della saturazione della transferrina è un esame molto importante per stabilire lo stato del ferro di un individuo. Infatti se inferiore al 18% è indice di uno stato ferro-carenziale e se superiore al 50% è indice di un sovraccarico di ferro e il ferro va dentro agli organi parenchimatosi come fegato,cuore,gonadi ,pancreas. Il valore normale è del 30%. PASSIAMO AD UN CASO CLINICO N.D. nato il 25-08-71 Anamnesi patologica prossima Al controllo periodico dei dati biochimici: ferritinemia superiore a 2000 ng/ml (v.n. 10 clinic. rilevante, con un punteggio totale massimo di 15.



FRONTAL ASSESSMENT BATTERY (FAB)

Batteria composta da sei sub-test che indagano aspetti connessi alle funzionalità dei lobi frontali: 8. SOMIGLIANZE: misura la capacità di ragionamento logico-astratto. 9. SCIOLTEZZA LESSICALE: misura la flessibilità cognitiva, l’utilizzo strategie inusuali e la capacità di shifting dell’attenzione. 10. PROGRAMMAZIONE MOTORIA: misura l’organizzazione nel tempo ed il mantenimento e l’esecuzione di azioni sequenziali. 11. SUSCETTIBILITA’ ALL’INTERFERENZA: misura la capacità di mantenere l’attenzione in un compito in cui i comandi verbali sono in conflitto con le informazioni sensoriali. 12. CONTROLLO INIBITORIO: misura la capacità del paziente di inibire risposte, risposte automatiche inappropriate, evidenziando la tendenza all’impulsività. 13. AUTONOMIA AMBIENTALE: misura anch’essa la capacità di inibire di risposte inappropriate, evidenziando la dipendenza dagli stimoli ambientali Esplora molte delle funzioni esecutive che coinvolgono i circuiti dei lobi frontali ma che comprendono anche i circuiti dei gangli della base, valutando quindi la funzione di processore interno del cervello, cioè la capacità d’interazioni tra le varie zone cerebrali. Dovrebbe essere utilizzato sempre.

Perché sono importanti tutti questi test? Perché non posso dire a braccio il tipo e la gravità di demenza che ha questa persona? Questi test sono considerati importanti strumenti diagnostici al pari della misurazione della Pressione o Hb glicata. Il paziente non li dovrebbe vivere come un’interrogazione che crea ansia, anzi in alcuni casi il paziente può essere aiutato: Esempio[1]: se voglio testare l’orientamento spaziale del paziente gli posso chiedere in che regione si trova, dandogli delle possibilità (come Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte), perché magari non sa che significato ha la parola regione. Esempio[2]: se invece devo testare la memoria a breve termine dico tre parole al paziente (casa, pane, gatto) dicendogli di ricordarsele perché poi saranno richieste, poi gli faccio eseguire un compito attentivo (contare all’indietro) e gli richiedo le tre parole. Se il paziente non se le ricorda non gliele posso suggerire, posso solo eventualmente dirgli che una delle tre parole era un animale. Se si ricorda allora il deficit non sarà così grave come nel caso in cui non si ricordi proprio nulla. Queste sono tutte informazioni che mi caratterizzano il disturbo di memoria. Graduando il disturbo che ho davanti posso ottenere molte informazioni come identificare la presenza di un deficit, che comunque da solo non mi fa diagnosi. Inoltre questi strumenti sono estremamente importanti per poter comunicare tra medici. È importante conoscere bene questi strumenti che abbiamo a disposizione: perché ci permette di comprenderne il risultato o semplicemente capire se è il caso di usarli o meno, evitando di usare un metro per misurare una cellula. Quindi dopo questa lunga carrellate tra le varie scale di valutazione, vi rendete conto di come la diagnosi di demenza è tutt’altro che semplice. Richiede molti passaggi, molto tempo, e molto banalmente deve esserci la possibilità di avere un esame strumentale che ci permette di fare diagnosi, aspetto non è così scontato.

A questo punto vorrei sottolineare l’importanza di richiedere certi esami per arrivare ad una diagnosi certa di demenza: non bisogna farsi scrupoli nel richiedere una TC solo perché un paziente è anziano. Ci sono infatti condizioni (K cerebrali o ictus) che la diagnosi differenziale deve escludere. La TC è un supporto importante non solo per la diagnosi di demenza ma anche per distinguere tra i vari tipi di demenza. Anche la dimensione temporale aiuta nella diagnosi di demenza: la valutazione nel tempo ed il peggioramento caratterizzano una demenza piuttosto che un’altra. Eseguire esami bioumorali e strumentali (monitoraggio pressione, Holter, TTT, ECG, TC, RMN, EEG, SPET, PET…) è necessario a definire l’eziologia della demenza, ad escludere altre cause per i deficit cognitivi, a valutare elementi patologici associati che possono peggiorare il quadro. Molte forme metaboliche od organiche che possono dare dei deficit cognitivi devono essere esclusi: ipertiroidismi, encefalopatia epatica. Non esiste solo la demenza di Alzheimer ed è importante fare diagnosi differenziale tra le possibili demenze perché le terapie cambiano. La demenza ha un storia che dura anni e generalmente si fa diagnosi quando i sintomi iniziano a manifestarsi, ma questo vuole dire che la malattia è presenta già da alcuni anni. La diagnosi si fa infatti in media da 1-4 anni dall’inizio dei primi disturbi. Quello su cui si sta cercando di lavorare è identificare dei fattori diagnostici che ci permettano di fare diagnosi precoce. Questo è un obbiettivo purtroppo ancora lontano. Non c’è ancora una grande chiarezza su quello che è il normale invecchiamento cerebrale: non ci sono studi sufficientemente ampi ed articolati che ci possano spiegare cosa significa e cosa succede nell’invecchiamento cerebrale. Sicuramente il cervello invecchia con il passare del tempo, sicuramente c’è la perdita di alcuni tipi di memoria e di funzioni cerebrali. Il problema è non cadere nel concetto di ageismo: non cadere nell’errore di attribuire la causa della demenza all’età o considerarla normale solo perché uno è anziano. Tutti invecchiamo ma non tutti diventiamo dementi. La demenza è una malattia che deve essere identificata e curata, la difficoltà maggiore si ha soprattutto in quelle forme borderline in cui c’è un iniziale deficit cognitivo ma in cui non si ha ancora disabilità ( INIZIALE DEFICIT COGNITIVO NON ANCORA DEMENZA), quindi non so se il paziente è vecchio ma normale o è demente. Ovviamente più cerco di anticipare la diagnosi più questo problema si presenta. Inoltre bisogna essere cauti nel diagnosticare questo tipo di malattia perché dire ad una persona che è demente non è equivalente a diagnosticargli una polmonite! La demenza ha una cura ma non si risolve, è progressiva e porta a disabilità. Quindi la possibilità di intercettare precocemente pazienti con un maggiore rischi di sviluppare demenza ci permetterebbe di iniziare subito il trattamento garantendo una migliore qualità di vita.

Raccogliere una storia clinica accurata (anamnesi) Esame clinico e neurologico Valutare lo stato mentale (test psicometrici) Valutare lo stato funzionale Valutare le patologie e i farmaci che assume Escludere la presenza di altre condizioni che potrebbero essere responsabili dei deficit cognitivi (delirium, depressione, alterazioni metaboliche, altre patologie …) Rivalutare nel tempo: non avere fretta! Eseguire esami bioumorali e strumentali (monitoraggio pressione, Holter, TTT, ECG, TC, RMN, EEG, SPET, PET…) è necessario a definire l’eziologia della demenza, ad escludere altre cause per i deficit cognitivi, a valutare elementi patologici associati che possono peggiorare il quadro…)

Diagnosi precoce e marcatori biologici: Mi preme sottolineare il ruolo dei marcatori biologici nella diagnosi precoce di demenza: ci sono una serie di studi volti ad identificare in maniera sempre più sensibile e specifica questi tipi di markers. Ne esistono alcuni che però prevedono il prelievo di CSF (legge la slid): 

  

Esame del LCS (10 pazienti con sintomi collegati all'Alzheimer e di altre 10 persone che non mostravano segni caratteristici della malattia) esame di 17 gruppi di proteine. Tra queste in particolare due, la cistatina C e la beta 2 microglobulina, sono collegate alla malattia di Alzheimer. I risultati dello studio indicano che l'Alzheimer provoca cambiamenti nel cervello già da 10 a 20 anni prima della comparsa dei sintomi (Odile Carrette 2008) Rilevazione nel LCS dei biomarcatori tau totale, tau fosforilata e diminuzione beta-amiloide, Metalloproteinasi di Matrice (MMP). Test ELISA per rilevazione della proteina del tubo neurale (NPT) nelle urine. Tomografia a emissione di positroni (PET) capace di predire l'invecchiamento cerebrale patologico prima della sua manifestazione clinica tramite sonda chimica  in grado di legarsi ai depositi di placche e grovigli, in modo da poter individuare precocemente con neuroimmagine i loro siti di accumulo anormale nel cervello (FDG-PET , BIP-PET)

Se l’esame del liquor è positivo possiamo fare diagnosi di demenza e nonostante non ci sia il farmaco miracoloso la malattia viene curata (ma non guarita), il paziente non viene abbandonato. Si dà una diagnosi infausta, senza di fatto avere un trattamento effettivamente efficace nel fermare o rallentare la progressione della malattia. Questi marcatori ci sono per l’Alzheimer ma non per altri tipi di demenza. Un’altra possibilità è quella di utilizzare indagini strumentali come la PET, associandola a marcatori specifici che permettono di identificare le aree di ridotto metabolismo, permettendo così di anticipare la diagnosi. La Tomografia a emissione di positroni (PET) è capace di predire l'invecchiamento cerebrale patologico prima della sua manifestazione clinica (Gary W. Small et al. , Jan. 2009) tramite sonda chimica in grado di legarsi ai depositi di placche e grovigli, in modo da poter individuare precocemente con neuroimmagine i loro siti di accumulo anormale nel cervello. La PET con BIP va ad analizzare la presenza l'amiloide. Inoltre stanno diventando sempre più importanti sono gli studi fatti a livello del genotipo ApoE e di mutazioni di PPS1 (presenelina), PPS2, APP (proteina precursore dell’amiloide). La ricerca di queste mutazioni viene fatta soprattutto per l’identificazione di forme famigliari e di solito l’identificazione della presenza di queste mutazioni dà un rischio aumentato di manifestare la malattia. Per il genotipo ApoE quando presente in omozigosi nel genotipo epsilon4 aumenta il rischio di sviluppare lì Alzheimer di circa 4 volte rispetto alla popolazione normale ed è la presentazione allelica più frequente nell’Alzheimer di tipo sporadico. Ribadisco che sulla base di queste evidenze non si può dire che una persona ha l’Alzheimer perché ha questo tipo di presentazione allelica, ha soltanto un rischio aumentato di svilupparlo.

→ revisione dei criteri diagnostici e la proposta di un nuovo lessico alla luce di nuovi strumenti diagnostici. Definirebbe come Ad prodromal quella malattia dove c'è un problema di memoria nel test, un problema di posivitià dei miei biomarker ma non ho la demenza. Oppure l'AD preclinical, io sono completamente asintomatico. Possono nella asintomatica con rischio per Alzheimer avere dei biomarker positivi e nessun sintomo . Oppure possono essere presintomatico, dove non ho niente, nessun sintomo, biomarker negativi, ma fattori genetici positivi.

→ questo porta a spunti interessanti: per esempio possono esserci ripercussioni a livello lavorativo, possono esserci implicazioni per l'uso di terapia, di vaccini, che a breve saranno disponibili. Devo sapere a chi ha senso fare un trattamento: ha senso fare un'immunizzazione e rimuovere le placche di beta-amiloide ad una persona in fase preclinica o precoce, non quando ha già perso funzioni. Non saranno terapie che restituiranno alla persona le funzioni che ha perso. es. se biomarker positivi in liquor. Riflessioni: caso mai il collega in pronto soccorso può andare a scrivere come diagnosi “crisi ipertensiva in paziente con Alzheimer”. → Per un soggetto di 60 anni lavoratore, magari per avvocato, un medico, può essere un problema. Pensiamo poi allo scenario assicurativo: se non si ha una malattia ma si ha un fattore di rischio?. Ha senso fare uno screening con costi elevatissimi (PET con BIP)? Perchè succede questo? Ci sono pazienti con segni di Alzheimer e non hanno malattia, contro pazienti con segni e forme particolarmente aggressive. Perchè il nostro cervello funziona in modo diverso. Esiste una riserva cerebrale, esiste una riserva cognitiva. Teoria Della Riserva Cognitiva (Stern)  

Il cervello ha capacità di compensare il danno subito sia questo degenerativo o vascolare Esistono 2 tipi di riserva: - PASSIVA: livello individuale di sviluppo delle normali funzioni cognitive (fattori biologici, genetici, numero delle sinapsi presenti, ambiente in cui si è vissuti, stile di vita, stimolazione intelletuale, educazione, fattori nutrizionali…) - ATTIVA: capacità del cervello ad adattarsi e compensare la presenza di patologia.

ci sono persone che hanno deficit cognitivi lievi e rimangono così per anni e ci sono persone il cui deficit cognitivo si conclama in qualcosa di più solo quando viene meno il compenso cerebrale, cioè quando si arriva ad essere al di sotto di una certa riserva cognitiva perchè gli insulti cerebrali sono troppi. Questo è il conclamarsi di una malattia progressiva Se il paziente non evolve mai rimane con un deficit che non riesco a classificare in nessuna malattia. Non va considerata solo la demenza di Alzheimer: non tutte le demenze progrediscono allo stesso modo. Pensate solo alla demenza frontale, che esordisce con un quadro più di tipo comportamentale. I cardini della demenza:  sintomi cognitivi  sintomi comportamentali  disabilità su questo va ad agire il nostro intervento.

I sintomi della demenza (cognitivi e comportamentali) derivano dal fatto che alcune strutture cerebrali non funzionano più come prima perché c’è una malattia degenerativa e/o vascolare alla base che compromette il sistema neurotrasmettitoriale. Nella demenza di Alzheimer i neurotrasmettitori coinvolti sono:  ACETILCOLINA (riduzione del tono colinergico).  DOPAMINA (riduzione del tono dopaminergico).  SEROTONINA (perdita di cellule del Nucleo del rafe, diminuzione del tono serotoninergico e quindi deflessione tono dell’umore, aggressività, ansia, agitazione).  NORADRENALINA (perdita di neuroni noradrenergici del locus coeruleus, riduzione della stimolazione NA della corteccia, depressione).

La loro disregolazione determina tutto quel corollario di sintomi cognitivi (soprattutto acetilcolina) e comportamentali (soprattutto dopamina, serotonina e noradrenalina). Quindi c'è un correlato anche con il tipo di disturbo.

Presa in carico: paziente + caregiver + medico = alleanza terapeutica Non uscite dal corso di geriatria dicendo che la demenza di Alzheimer è una malattia incurabile, sono balle! È ancora una malattia che non guarisce ma è curabile. Non dimenticate che un altro aspetto molto importante è la presa in carico della famiglia oltre che del paziente. Tutto questo è ovviamente nell’ottica di migliorare la qualità di vita del paziente e di ridurne le complicanze quando saremo nella parte terminale della malattia. Quindi è importante considerare: » Trattamento dei fattori di rischio (es. consigli a famigliare giovane → fattori protettivi) » Trattamento dei fenomeni eziopatogenetici (farmaci che mirano a interrompere il processo in corso) » Trattamento dei sintomi: cognitivi e comportamentali (farmaci più disponibili oggi) » Trattamento delle complicanze » Farmacologico/non farmacologico

Dicevamo prima: un paziente a cui viene diagnosticata una demenze non può, non deve, essere lasciato “orfano”, cioè da solo e senza una terapia o meglio di una cura. Mi raccomando la differenza tra malattia incurabile e inguaribile!! Anche l'Alzheimer, come il diabete o l'ipertensione, non è guaribile, ma è curabile, cioè non può andare incontro a remissione totale, ma può essere oggetto di cure che ne rallentino la (inevitabile) progressione. Esistono dei farmaci, e soprattutto esiste la presa in carico da parte della famiglia e del caregiver, e del medico curante. La demenze è una malattia cronica, progressiva, che comporta sintomi pesanti, non autosufficienza, disturbi del comportamento, e perciò comporta un'assistenza importante: deve esserci un'alleanza terapeutica tra paziente-caregiver-medico. Tutto ciò è importante da chiarire, perché se iniziamo una terapia (di qualsiasi tipo) e l'aspettativa è guarire come si guarisce da una polmonite, allora nessuna terapia sarà efficace. Ho invece dei farmaci che ci permettono di curare la malattia, di rallentare la sua progressione, di ridurre i disturbi del comportamento, di ridurre la perdita cognitiva, ho tutta una serie di appoggi che tentano di vicariare le funzioni perdute. Questo nell'ottica di un miglioramento della qualità di vita, di riduzione delle complicanze quando entreremo in una fase tardiva e di riduzione dei ricoveri ospedalieri, di avere un paziente che è in grado di stare a casa il maggior tempo possibile, ecc. Tanto si può fare [e bla bla bla..], siamo contenti se anche solo il paziente non peggiora. Il trattamento della demenza può essere fatto su vari livelli. 18. Trattamento dei fattori di rischio 19. Trattamento dei fenomeni eziopatogenetici 20. Trattamento dei sintomi: cognitivi e comportamentali 21. Trattamento delle complicanze I primi due sono però ancora lontani dalla pratica clinica. Si riesce ad intervenire soprattutto su terzo e quarto punto, con l'ausilio o no di farmaci. Se la demenza, come dicevamo anche la scorsa lezione, è una patologia multifattoriale, è importante però ricordare che ci sono tanti fattori di rischio che la supportano che sono modificabili, oltre ad età e fattori genetici non modificabili: 45. Livello di istruzione 46. Condizione socio-economiche

47. Fumo/alcol 48. Stile di vita (attività fisica, relazioni sociali..) 49. Dieta 50. Farmaci 51. Esposizione ambientale (collanti, pesticidi, solventi) e occupazionale (lavori manuali) 52. Fattori di rischio vascolare (ipercolesterolemia, ipertensione, FA, diabete…) Anche fare “ginnastica cognitiva”, cercando di mantenere al mente il più possibile attiva, è assolutamente utile, soprattutto nelle prime fasi della malattia di Alzheimer, per ridurre la progressione. Vediamo ora brevemente il trattamento della patogenesi della malattia, perché queste verosimilmente saranno le terapie del futuro. La maggior parte di queste terapie sono anti-amiloidee, secondo il modello per il quale nella malattia di Alzheimer c'è un'alterata processazione della proteina precursore dell'amiloide ad amiloide β42 e β40, due isoforme che si accumulano e portano a morte cellulare. Ricordare comunque che l'amiloide corrisponde solo ad un aspetto della patologia → l'evidenza di efficacia di tali trattamenti non è elevata. Si tratta soprattutto di studi in corso. Sono stati elaborati tutta una serie di farmaci che intervengono in questa catena attraverso: 11. riduzione della produzione: inibitori della β- e γ-secretasi 12. aumento della degradazione: antagonisti PPAR-γ (Rosiglitazone, farmaco antidiabetico ora in fase III per l'Alzheimer) 13. modifica del trasporto attraverso la BEE: RAGE inibitori 14. riduzione dell’aggregazione: inibitori di aggregazione 15. aumento della rimozione: immunoterapia (il cosiddetto vaccino per l'Alzheimer) 2) E' stata ideata una prima modalità di immunizzazione, attiva, volta a stimolare il sistema immunitario a riconoscere e a eliminare la βamiloide. Il problema di un'immunizzazione attiva era l'induzione di una eccessiva risposta autoimmune proinfiammatoria TH1-mediata, con compromissione degli eventuali benefici derivanti dalla rimozione delle placche (motivo per cui il primo vaccino su sospeso; per alcuni si erano verificati casi di encefalite); si registrarono poi modesti o assenti benefici a livello cognitivo, non aumento della sopravvivenza; la cosa che tuttora lascia perplessi è che a livello anatomico le placche vengono sì rimosse, ma la progressione della malattia non rallenta. E' un problema che ha fatto vacillare l'ipotesi amiloidea, che è una delle ipotesi più accreditate nella patogenesi dell'Alzheimer. Poi sono stati sviluppati farmaci che evitano di avere tale risposta sui linfociti T e quindi l'encefalite. Sembra che la formazione di aggregati di β-amiloide non sia l'evento centrale, ma che siano implicate forme oligomeriche. 3) Sulla possibilità invece di fornire dall'esterno anticorpi preformati antiamiloide (per prevenire la deposizione di placche o aumentare l'eliminazione) si sta concentrando la maggior parte degli studi. La somministrazione passiva di anticorpi anti- B amiloide può aggirare la risposta T-cellulare indesiderata associata alla vaccinazione attiva, mantenendo le importanti attività biologiche correlate all’efficacia (es di farmaci in studio: Babineuzumab, Solaneuzumab).

Il problema di tutti questi farmaci che stanno “fiorendo” è che per la valutazione di efficacia su una demenza servono mesi, anni, tanto tempo. Intanto per non aspettare, vengono comunque messi in commercio. Ci sono poi farmaci ad azione sulla proteina tau, l'altra proteina che si ritiene maggiormente implicata nella patogenesi della malattia e che in qualche modo lega la demenza di Alzheimer alle forme di Parkinson demenza, che sono tutte caratterizzate da alterazioni nella processazione della proteina tau (per questo vengono dette taupatie). Anche qui ci sono farmaci che inibiscono la produzione delle fibrille tramite l'inibizione della fosforilazione della proteina tau. Ci sono studi su Litio e Acido Valproico in questo senso, come potenziali inibitori della fosforilazione di tau. Oltre a questi, vengono eseguiti studi su farmaci antiinfiammatori, antiossidanti, neuroprotettori, fattori di crescita, e sulla terapia con cellule staminali (lo scenario del futuro quello di poter ricostruire ciò che dalla malattia è stato distrutto); tutti volti a ridurre la progressione della malattia sopperendo ai danni, proteggendo e recuperando ciò che resta. Un altro problema importante è quello di trovare dei marcatori biologici non solo per la diagnosi ma anche per monitorare l'efficacia delle terapie. Questo perché riuscire a valutare un miglioramento solo sulla base dei test che si effettuano normalmente (es. MMSE) non è un modo preciso ed affidabile. Ad oggi si utilizzano: 20. Riduzione della concentrazione dell’Abeta 1-40 e della β-amiloide 1-42 nel plasma o nel LCS 21. Frammenti di β-amiloide (1-16, 1-14, 1-15) per l’inibizione della gamma secretasi Per quanto riguarda i farmaci che si utilizzano oggi, come vi dicevo sono tutti sintomatici, per i disturbi cognitivi o per i disturbi del comportamento, e sono gli inibitori dell'acetilcolinesterasi (donepezil, rivastigmina, galantamina) e la memantina, antagonista dei recettori NMDA. L'efficacia di questi farmaci è valutata in termini di stabilizzazione di malattia e non ci sono grosse differenze tra l'uno e l'altro. I primi neuroni che vengono persi nel corso della malattia sono colinergici, per cui questi farmaci suppliscono alla mancanza di Acetilcolina aumentandone la concentrazione intraencefalica. Sono però farmaci soltanto sintomatologici; con il progredire della patologia, il tono colinergico viene del tutto a mancare e i farmaci perdono di efficacia. Perciò è importante una diagnosi precoce e un inizio precoce nell'utilizzo di questi farmaci. Si sente ancora dire che sono farmaci che non servono a nulla; questo è vero se si cerca di guarire la malattia, non di curarla. Purtroppo è vero che non sono i farmaci ideali e che vorremo avere farmaci molto più efficaci. Sul Donepezil ci sono studi che affermano un suo ruolo anche nella neuroprotezione, però in questo senso non c'è ancora nessuna certezza. C'è una grande percentuale di non-responders 10-15 %, ma comunque hanno cambiato il corso della malattia, aumentando il tempo libero da disabilità. Il target non è il punteggio del Mini Mental, ma che il paziente sia il più autosufficiente, il più tranquillo, il più gestibile possibile per la maggior parte del tempo. Quindi riuscire a stabilizzare il paziente. Sono farmaci anche non più troppo costosi. Un particolare divertente: questi farmaci, in particolare il Donepezil, sono stati utilizzati anche su volontari sani e rientrano fra le cosiddette “smart drugs”, cioè quelle sostanze che vengono utilizzate per avere rendimenti migliori ai test, agli esami, negli studi. Un primo studio è stato fatto su piloti aerei, dimostrando una risposta ai compiti più rapida e precisa e risultati migliori rispetto a coloro che non avevano assunto il farmaco. [leggendo meglio la slide, al contrario di quello che dice lei, non si tratta di piloti di linea e/o di caccia, ma di semplici prove al simulatore. Grazie al cielo!]

Gli stessi risultati si ottengono su giovani volontari sani. Putroppo i risultati nei malati di Alzheimer sono sì positivi come indicano anche questi studi, ma non così significativi da poter dire che il malato recupera o guarisce, interrompendo il decorso della malattia. In ogni caso, non è questo un consiglio ad usarli... visto che ci sono importanti effetti collaterali, quali:  Gastrointestinali (dispepsia, vomito, diarrea) soprattutto  Cardiovascolari (bradicardia, ipotensione ortostatica, ipertensione arteriosa)  Insonnia, incubi notturni  Agitazione/tremori  Respiratori (broncospasmo)  Muscolari (crampi, ipertono incontinenza urinaria) Controindicazioni:  Epilessia  Sincopi  BPCO /Asma  Anomalie della conduzione atrio-ventricolare Memantina Meccanismo d'azione completamente diverso. Agisce sui recettori NMDA (N-Metil-D-Aspartato) per il glutammato ed è un antagonista non selettivo. Il glutammato è il principale neurotrasmettitore eccitatorio del sistema nervoso centrale. Nell'Alzheimer si è osservata una eccessiva concentrazione di glutammato, che non viene eliminato permettendo un influsso aberrante di calcio all'interno delle cellule (fenomeno della cosiddetta eccitotossicità). Succede che le cellule sono in una fase di depolarizzazione eccessiva, per cui ci saranno anche problemi nella trasmissione degli impulsi nervosi. Il fatto che il farmaco non sia un inibitore selettivo è una buona cosa perché quando la membrana inizia a essere più depolarizzata rilascia il recettore lasciando quindi la possibilità al glutammato di aprire i canali del calcio e quindi di depolarizzare la cellula in fase di attività sinaptica (in corso di parziale depolarizzazione di membrana è attivo, ma il suo blocco viene rimosso in corso di depolarizzazione). Inoltre sembra avere un effetto neuroprotettivo modulando l'attività della glicogeno-Kinasi-sintasi (GKS-3), enzima coinvolto nella patogenesi dell'AD (fosforilazione tau, attività amiloidogenica). La memantina è risultata efficace nel migliorare le capacità cognitive e funzionali dei pazienti con AD moderata e severa in trattamento stabile con donepezil o in monoterapia. Inoltre è considerata efficace anche sulle capacità cognitive di pazienti con demenza vascolare, mentre mancano evidenze di un effetto positivo sullo stato funzionale. Viene usata tantissimo anche in pazienti con disturbi del comportamento, con risultati utili. Non ha problemi a livello cardiovascolare, quindi viene usato anche per coloro che non possono accedere agli inibitori dell'aceticolinesterasi. Negli USA è stata registrata per i casi di demenza moderata severa. EFFETTI COLLATERALI  Cefalea  Sonnolenza  Stipsi  Ipertensione  Capogiro  Confusione  Allucinazioni  Psicosi

   

Affaticabilità Vomito Pancreatite Trombosi venosa

Ha anche effetto a modi risvegli, in cui pazienti gravi hanno recuperato un buon contatto anche relazionale, mentre pazienti a cui va messa di notte altrimenti durante il giorno il paziente dorme. Come si utilizzano tutti questi farmaci  Raggiungere la sempre la minima dose efficace (donepezil 5-10 mg, rivastigmina 6-12 mg, galatamina 16-24 mg)  I risultati migliori si ottengono con le dosi superiori (l'efficacia è dose-dipendente)  Considerare la tollerabilità alle dosi superiori  Monitoraggio degli effetti collaterali (controllo previsto anche dall’AIFA)  Monitoraggio dell’EFFICACIA (controllo previsto anche dall’AIFA)  Condivisione degli obiettivi/risultati con il MMG, il caregiver, il paziente Sul monitoraggio dell'efficacia di questi farmaci si aprono delle diatribe. Se prima si diceva che ci sarebbe bisogno di biomarker per valutare l'efficacia, diciamo che ci sarebbe bisogno anche di marker neuropsicologici. Teoricamente sarebbe consigliata la sospensione del farmaco se dopo 3 mesi non ha effetto, per cui l'efficacia andrebbe valutata già dopo i primi 3 mesi; ma un miglioramento o un peggioramento dopo questo periodo non sappiamo bene quanto sia indicativo. In realtà non si tratta di sospensione vera e propria del farmaco, ma più spesso si tratta di rimozione della rimborsabilità (nota 85 dell'AIFA): se il farmaco non è efficace, io dovrei quantomeno togliere la rimborsabilità. Sono farmaci che sono soggetti a piano terapeutico, non possono essere prescritti se non dal neurologo specialista o dal geriatra specialista dell'unità di valutazione Alzheimer, che sono dei centri territoriali ambulatoriali. Strategie possibili che vengono consigliate in caso di effettivo peggioramento: switch therapy (cambiare molecola), associare all'inibitore dell'Acetilcolinesterasi la memantina (in italia questa possibilità viene data) .

Altri farmaci proposti ci sono poche evidenze. OMOTAURINA: inibisce l'aggregazione di B-Amiloide , azione su Gaba con neuroprotezione, migliora le performance cognitive. È uscito come integratore alimentare, costo moderato. Va ancora valutato a pieno. Per il momento non ha indicazione per la demenza di Alzheimer. Viene dato per i disturbi cognitivi. Poi ancora: - Antiinfiammatori (inibizione del danno dovuto alla risposta infiammatoria / inibizione diretta di Bsecretasi?) - Antiossidanti (vitamina E (alfa-tocoferolo) è in grado di ridurre la velocità di progressione della AD) - Statine (legame tra colesterolo cellulare e cascata B-amiloide) - Terapia ormonale sostitutiva (nessuna evidenza) - Ginko biloba, iperico…( nessuna evidenza)

Ricordiamo che non esiste, come dicevamo anche prima, solo l'AD, ma anche altre forme di demenza, per le quali siamo ancora più “orfani” di possibili terapie:  Demenza vascolare: prevenzione/trattamento dei fattori di rischio cardiovascolari, riduzione del danno ischemico (acido docosaesaenoico DHA). Anche qui tutto un fiorire di farmaci antiossidanti per un miglioramento e un riduzione del danno. 

Demenza corpi di Lewy: rivastigmina  Parkinson demenza: rivastigmina  Demenza fronto-temporale: SSRI 

Se per AD andiamo male, per le altre andiamo anche peggio. Assenza di evidenza importnate. Oltre alla terapia farmacologica c'è tutta una serie di cose da fare che non sono trascurabili o di poca importanza (vedi anche slides). Ci sono evidenze: -L’esercizio, mentale e fisico sono in grado di ritardare il declino funzionale - terapie cognitive - L’adattamento dell’ambiente alle capacità residue del paziente demente riduce i disturbi comportamentali -I meccanismi di plasticità, di riorganizzazione e adattamento funzionale del sistema nervoso centrale permettono un recupero delle funzioni perse in conseguenza della patologia degenerativa o vascolare

TRATTAMENTO DEI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO (BPSD, Behavioral and Psycological Symptoms of Dementia) Ricordare che esiste un lessico specifico. Hanno un correlato di tipo anatomico. Mi preme dirvi che dal punto di vista dell'approccio, il farmaco dovrebbe essere sempre l'ultimo step. Prima di tutto identifichiamo il disturbo, verifichiamo i possibili fattori scatenanti e l'eziologia, proviamo a trattare il paziente non farmacologicamente, cioè a ridurre le condizioni ad esempio ambientali che possono aver favorito il disturbo del comportamento. Nell'eziologia ricordare la correlazione anatomica, la relazione tra paziente e ambiente (persone intorno e ambiente in sé, luce, rumori...), impatto dei tratti della personalità pre-morbosa. Avremo: - Sintomi affettivi - Sintomi neuropsichiatrici - Disturbi neurovegetativi - Comportamenti specifici Provvedimenti di tipo non farmacologico es.: pazienti con difficoltà nel riconoscimento della propria persona, e che vedono nella persona riflessa nello specchio, un estraneo. Questo può scatenare comportamenti di aggressione e anche veri e propri delirii (es. vedono un uomo in casa che non riconoscono → delirio di gelosia). Questi reagiscono perfettamente alla copertura degli specchi. Senza nessun farmaco il paziente sta tranquillo. Paziente molto spesso incoerenti nel proprio disturbo. Quindi l'efficacia di portare l'attenzione su qualche cos'altro, notando che dopo poco non si ricorda più nulla. Alzare la voce o sgridare non serve a niente. (sulle slides riflessioni e consigli sulla gestione del paziente e delirio). → tutta una serie di interventi ambientali non farmacologici, di cui sono anche stati fatti studi per valutare l'efficacia, che possono essere usati a seconda del setting in cui ci si trova. In questo deve essere coinvolto il caregiver. Importante parlare con i famigliari per capire cosa è successo e per dare consigli su cosa fare: molte volte sono loro stessi a causare il disturbo del comportamento per il

loro atteggiamento anche in buona fede. es. figlia che porta a papà il portafoglio vecchio, ma vuoto può scatenare il delirio di furto. Deliri che possono rimanere, anche per alcuni giorni o di più. es. telefonate a casa a moglie perchè intestataria della bolletta, come scatenamento di delirio di gelosia. Per il caregiver deve essere fatto un percorso, soprattutto i famigliari. Loro stessi vivono la malattia e devono essere supportati e capiti. Percorrono tutta una serie di fasi prima di calarsi nei panni del caregiver. Non è detto che solo perchè caregiver sia pronto a prendersi cura del soggetto. → interventi non farmacologici sempre da preferire nel disturbo del comportamento. Alcuni rivolti al paziente, altri rivolti ai famigliari. Perchè si spinge tanto su questo? Perchè il farmaco dato all'anziano lascia tutta una serie di incognite: diversa farmacocinetica (organi sono “vecchi” non funzionano più come dovrebbero), interazioni (in media un paziente da 15-20 farmaci)...

Terapia farmacologica Vengono comunemente utilizzati:  Antidepressivi  BDZ  Antipsicotici  Stabilizzanti umore  Inibitori dell’acetilcolinesterasi - memantina  Beta-bloccanti  Terapia ormonale Altro concetto importante è racchiuso nella frase inglese Start slow, go slow…but go!!, cioè: usare il dosaggio minimo efficace, monitorare gli effetti collaterali e rivalutare costantemente la terapia, perché i BPSD non sono sempre costanti nella malattia. Cosa molto importante è che i farmaci vanno adeguati al sintomo. In realtà la maggior parte dei farmaci che prescriviamo, li usiamo out off-label ANTIDEPRESSIVI Inibitori delle monoaminossidasi (IMAO) - tranilcipromina, moclobemide Triciclici (TCA) - amitriptilina, imipramina, clorimipramina, nortriptilina, desipramina Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) - fluoxetina, fluvoxamina, paroxetina, sertralina, citalopram, escitalopram Inibitori selettivi della ricaptazione della noradrenalina (NARI) - reboxetina Inibitori della ricaptazione di serotonina e noradrenalina (SNRI) - venlafaxina, duloxetina Antidepressivi noradrenergici e serotoninergici specifici (NaSSA) - mianserina, mirtazapina Antidepressivi ad azione serotoninergica mista (SARI) - trazodone, nefazodone Inibitori della ricaptazione di noradrenalina e dopamina - bupropione A parte i vecchi triciclici e inibitori delle monoaminossidasi che nell'anziano non si usano, perchè hanno effetti anticolinergici importanti. Un nuovo farmaco, agente sui recettori della melatonina ha un buon uso, anche per i disturbi del sonno. Un suo problema è l'elevato costo. Ha un effetto rapido, quindi non occorre aspettare troppo tempo per vedere l'effetto antidepressivo.

SSRI negli Anziani VANTAGGI

PRECAUZIONI

Dosi terapeutiche in monosomministrazione

Effetti indesiderati “comuni” (> GI, sex, iporessia con fluoxetina)

Assenza di ipotensione ortostatica

Iponatremia (SIADH)

Assenza di tossicità cardiaca

Sintomi extrapiramidali (parkinsonismo, distonie, discinesie)

Tossicità comportamentale trascurabile

Bradicardia

Sicurezza in overdose

< aggregazione piastrinica (emorragie) Interazioni farmacologiche

Gli SSRI rispetto agli altri farmaci hanno miro tossicità cardiaca, provocano minor ipotensione ortostatica (insomma). Attenzione all'effetto opposto che possono provocare (mania), per cui bisogna togliere l'antidepressivo, in realtà quindi qualche effetto comportamentale lo possono avere. Sicuramente sono più sicuri dei farmaci più vecchi. Attenzione inoltre a: Stati maniacali soprattutto in pazienti con associati disturbi comportamentali (aggressività, agitazione) Effetto anticolinergico Sindrome serotoninergica ANTIPSICOTICI Utilizzati per 14. disturbi psichici: allucinazioni/deliri 15. disturbi comportamentali: aggressività verbale/fisica, agitazione, disinibizione Sono farmaci da utilizzare solo in caso di effettiva necessità! Ricordate che un sintomo comportamentale va trattato solo se disturbante (er il caregiver o per il paziente (es. se vede i suoi compagni di infanzia e ne è felice, non necessario togliere allucinazione) . Molte volte può bastare un antidolorifico: il paziente anziano che ha dolore va in agitazione, in delirium! E' importante però che il paziente venga messo “al sicuro”, in condizioni di non nuocere alla propria e altrui salute, per cui se necessario intervenite. Sono indicazioni quindi la psicosi, la demenza quando da gesitre, e anche il delirium (aloperidolo rimane il farmaco d'elezione, con le precauzioni dovute). Inoltre ricordate che è importante valutare la durata del trattamento con antipsicotico, perché spesso non è necessario un trattamento molto lungo e, come dicevamo prima, è importante rivalutare costantemente la terapia perché i BPSD non sono costanti. Negli anziani poi è maggiore il rischio di effetti indesiderati e la finestra terapeutica è molto ridotta, per cui quando possibile è necessario cercare di scalare, ridurre, sospendere la terapia.

I neurolettici tipici (clorpromazina, tioridazina, promazina, clotiapina, aloperidolo) possono essere a bassa o alta potenza:  alta potenza tipo aloperidolo: con un basso numero di mg ottengo l'effetto desiderato (terminazione deliri e allucinazioni). Hanno lo svantaggio che tendono a dare delle sindromi extrapiramidali.  bassa potenza tipo il Talofen®: devono essere dati a dosaggi molto più alti per togliere i disturbi florido (allucinazioni..). Però sedano di più e impiegano molto tempo per dare l'effetto extrapiramidale.

Da ricordare quindi gli importanti effetti collaterali:  Effetti antiistaminico: sedazione  Blocco alfa-adrenergico ed effetto centrale sui sistemi vasoregolatori: ipotensione  Effetti anticolinergici: periferici (secchezza fauci, ritenzione urinaria, glaucoma) centrali (compromissione memoria, confusione, allucinazioni, aggressività)  Effetti antidopaminergici: S. extrapiramidale acuta (parkinsonismo, distonie, acatisia) Discinesie tardive (orofaciali)  Allungamento del QT: aritmie maligne, torsione di punta  Iperprolattinemia  Effetti cerebrovascolari  S. metabolica  Agranulocitosi  Ipertermia  S. neurolettica maligna

Gli antipsicotici atipici (risperidone, olanzapina, clozapina, quetiapina) mostrano invece minori effetti extrapiramidali. Hanno maggior efficacia e minor effetti collaterali. In particolar modo la clozapina richiede una gestione particolare. Bisogna fare prelievi perchè può dare psicosi. Quindi va monitorata. Perciò viene raramente utilizzata se non quando gli altri farmaci abbiano fallito o ci sia la necessità di usarla in quanto è l'unica che abbia indicazione per i pazienti con malattia di parkinson.

Ci sono stati studi sul fatto che gli antipsicotici atipici aumenterebbero il rischio di accidenti cerebrovascolari. Altri studi non hanno confermato questi dati; da notare che non sono stati eseguiti su quetiapina, per cui chissà...

ANTIEPILETTICI (soprattutto Acido Valproico e Carbamazepina) Indicazione: Stabilizzanti umore Utilizzo: controllo dell’agitazione/aggressività, degli stati maniacali (magari legati a sindromi frontali), degli atteggiamenti compulsivi (es. anche sessuali come masturbazioni ripetute) Effetti indesiderati: epatotossicità, alopecia, tremore, incremento ponderale. BENZODIAZEPINE Indicazioni: ansiolitici, ipnoinducenti. Utilizzo: stati di agitazione, insonnia e parasonnie, sonniloquio, ansia, come miorilassanti. Tutti vi diranno di non usarle nell'anziano per il rischio di effetti paradossi. E' vero, possono scatenare delirium, possono non avere molta efficacia, però ricordate che per certi versi sono molto più sicure di molti altri farmaci. Ricordate che come ipnoinducenti esistono anche altri farmaci (zolpidem, zopiclone e simili). Effetti collaterali: aumentato rischio di caduta, stati confusionali, allucinazioni, eccessiva sedazione Inoltre attenzione ai problemi respiratori: depressione respiratoria soprattutto se anziano con BPCO e ossigeno. TRAZODONE (trittico) Indicazione: depressione maggiore Utilizzo: ipnoinducente, stati di agitazione, s. del tramonto, controllo dell’aggressività, dell’irritabilità, antidepressivo inversione ritmo sonno-veglia Basso dosaggio e frazionato nella giornata: utile come prima linea di trattamento Effetti collaterali: ipotensione, iponatriemia,sedazione eccessiva, agitazione (effetto paradosso), Tra tutti i farmaci di cui abbiamo parlato fino ad ora è tra quelli più sicuri. Anche rispetto l'iponatriemia: è meno a rischio il paziente che prende trazodone rispetto a quello che assume SSRI. Il discorso di molti di questi farmaci è che sono spesso prescrizioni “out of label”, cioè al di fuori delle indicazioni classiche, con il grosso problema che sono pochi gli studi clinici affidabili eseguiti sugli anziani. Il trazodone ne è appunto l'esempio. Nell'uso va quindi sempre motivato e spiegato al paziente e ai famigliari il perchè della scelta. Il significato della terapia farmacologica In tanti casi un paziente a rischio si seda. La contenzione farmacologica deve essere regolamentata e descritta in cartella esattamente come la contenzione vera e propria. Perchè ci sono dei problemi che possono subentrare. Deve essere scritto cosa faceva il paziente, il perchè si fa contenzione, il perchè della scelta di quel farmaco, per quanto lo si usa. Il paziente deve ricevere le stesse attenzioni anche da un punto di vista medico legale come se fosse contenuto in modo vero e proprio. Bisogna avere lo stesso tipo di remore che si hanno nel legare un paziente. Fase di malattia avanzata il malato in condizioni particolarmente gravi da un punto di vista cognitivo. Non riesce a comunicare e non è in grado di condurre le attività di vita quotidiana. In questa fase se prima l'intervento specialistico poteva essere predominante, in questa fase il ruolo del curante diventa essenziale. Fasi di accompagnamento e di terminalità della malattia in cui devono essere fatte delle scelte riguardo la qualità di vita, le misure di prevenzione legate alla malattia, che comporta allettamento, malnutrizione, lesioni da decubito; e poi nel caso ci sia disfagia va affrontata con i famigliari tutta la tematica degli aspetti nutrizionali.

Finalità del trattamento di fine vita - QUALITA' di VITA - RISPETTO DELLA PERSONA - ACCOMPAGNAMENTO ALLA MORTE - EVITARE ACCANIMENTO - EVITARE OMISSIONI  RISPETTO DELLE VOLONTA' DEL PAZIENTE Questo diventa molto importante quando si è in reparto dove purtroppo molte volte tali decisioni devono essere prese, perchè a casa c'è una gestione troppo difficile del malato. Molto spesso i famigliari sono impreparati per la gestione domiciliare. Sul malato grave ricordare che per quanto ci sia incomunicabilità, c'è un piano di comunicazione non verbale sul quale si può investire. Aspetto esteriore Espressione del volto Sguardo Gesti psicologici Gesti comunicativi Posizione nello spazio Contatto corporeo

Come abbiamo già detto, è importante sostenere, educare ed aiutare i familiari del paziente, cercando di mettere in atto strategie ambientali. Ad esempio: minimizzare l’impatto dei deficit sensoriali, modificare l’ambiente se necessario, impegnare il paziente in attività quotidiane routinarie, ottimizzare la stimolazione sociale/fisica, ecc. Fondamentale, ovviamente, è ricercare e trattare eventuali cause mediche e ambientali scatenanti. IL CAREGIVER E' un'importante risorsa, deve far parte della nostra alleanza terapeutica, deve essere informato sulla nostra eventuale prescrizione farmaceutica perché la faccia rispettare al malato e anche perché sia alleato con noi, perché cerchi con noi i risultati della terapia senza aspettarsi cose non possibili, perché sia attento agli effetti indesiderati dei farmaci e ai peggioramenti della malattia. Tenete presente che, come dicevo prima, mettersi il “vestito” del caregiver non è semplice.

Terapia medica 27 aprile 2012 Prof. Amedeo Lonardo Il prof non ha lasciato la presentazione che era bella condita con tabelle ricavate da studi eseguiti in ambito epatologico. Ho segnato il nome dell’autore, l’anno e la rivista quando mi era possibile, perciò li potete rintracciare online se siete interessati; mentre al fine di comprendere l’argomento sono sufficienti i dati che ha letto lui e che ho riportato nella sbobba. CIRROSI Etimologicamente: giallo. Si ritiene che Laennec l’abbia coniato; costui era un competente in malattie dell’apparato respiratorio, colui che inventò lo stetoscopio. Studiando la TBC, si accorse che c’era dei fegati enormi. Anche il Morgani studiò la malattia, sistematizzando tutte le correlazioni anatomo-cliniche, inoltre dedicò alcune sezioni del suo trattato alle principali società scientifiche europee. Noi definiamo la Cirrosi come un’entità anatomo-clinica la cui eziologia è quanto mai varia; sostanzialmente è una sindrome in cui il fegato presenta una ridotta capacità di risposta nei confronti dei vari agenti eziologici che lo danneggiano, la sua reazione è sempre simile: steatosi, epatite, cirrosi ed epatocarcinoma finale. Patologicamente assistiamo a un’alterazione sclero-nodulare con una sua peculiare progressione, sia istologica che clinica, verso le principali complicanze: - Ipertensione portale  indissociabile dalla malattia cirrotica - Trasformazione cancerosa  questo è l’end-stage che si rende manifesto soprattutto al giorno d’oggi in virtù della maggiore sopravvivenza di questi pazienti. - Emorragie digestive - Insufficienza epatocellulare - Ascite Elementi anatomici importanti per capire la patologia: - Vena porta, grande via biliare, cava inferiore con i suoi rami (sovra epatica destra, mediana e sinistra) sono tutti elementi ben visibili in ecografia.

- Istologicamente abbiamo il lobulo epatico, triade portale, vena centro lobulare. Il fegato è sottoposto a flussi ematici molto importanti, i quali, in condizioni normali, sono sostenuti per il 70% dalla vena porta; questo è importante perché nell’istogenesi dell’epatocarcinoma queste proporzioni si invertono (vena porta/arterie epatiche). Istologicamente in un fegato normale osserviamo l’estremo ordine che esiste fra le strutture, in caso di cirrosi invece osserviamo il completo sovvertimento delle stesse. In particolare osserviamo l’espansione del tessuto cicatriziale, all’interno del quale non si riconoscono più i lobuli epatici bensì una nuova stuttura: il nodulo. In virtù di questa forte espansione cicatriziale si osserva un’alterazione profonda della componente sinusoidale, per cui gli scambi fra sangue e cellule epatiche diventano più difficili. La consistenza del fegato diventa logicamente molto più dura e la resistenza al flusso ematico nel fegato è aumentata anche per questa ragione.

Il nodulo rigenerativo è l’elemento istologico più importante, perché è da questo che in alcuni soggetti si origina l’epatocarcinoma. Per la loro diagnosi ci è di aiuto l’individuazione di una neovascolarizzazione arteriosa autonoma. La cirrosi la possiamo considerare una sindrome perché il quadro clinico che presenta è abbastanza uniforme nella popolazione degli ammalati, nonostante l’eziologia vari da soggetto a soggetto. In seguito a uno studio italiano terminato nel 2001, è stata stilata una lista degli agenti eziologici che più frequentemente sono implicati nel nostro paese: - HCV 51% - HCV + ALCOOL 15% - ALCOOL 12% - HBV

-

HBV + ALCOOL 2,7% HBV + HCV 2% HBV + HCV + ALCOOL 1% AUTOIMMUNI 0,8% CIRROSI BILIARI PRIMITIVE EMOCROMATOSI WILSON STEATOSI NON ALCOOLICA CRIPTOGENICHE (ovvero in tutti i casi in cui le altre vengono escluse definitivamente)

Discussione sulla quantità di alcool/die epatolesiva: dipende da sesso, età, razza. In generale per l’uomo è 30gr/die, per la donna è 20gr/die. Questi valori corrispondono a poco meno di 3 unità alcooliche per l’uomo e a poco meno di due per la donna. [1U.A. = 12gr etanolo  1 bicchiere 125ml di vino rosso circa, 1 birra 33cl circa, 1 cicchetto (40ml) superalcoolico circa]. Bisogna però considerare che non tutti quelli che eccedono queste dosi vanno incontro a lesioni epatiche che poi portano a cirrosi; difatti c’è una grossa variabilità individuale: per esempio a parità di esposizione all’alcool la donna è più a rischio di sviluppare epatopatia dell’uomo, come è vero lo stesso per l’obeso nei confronti del normopeso a parità di sesso (l’idea è che chi ha un alto BMI è già esposto a un rischio di natura metabolico ADDITIVO). Breve discussione su un caso clinico riportato in aula: il paziente entra per ittero e ascite, transaminasi elevate, bilirubina elevata, riscontro di trombosi portale ed ecostruttura epatica alterata per fibrosi intraparenchimale. Il prof si sofferma sulla colestasi; è extra o intra epatica? Nel primo caso potrebbe essere un tumore della testa del pancreas, un tumore di Klatskin, litiasi del coledoco; nel secondo un’epatite acuta da virus, farmaco, autoimmune, wilson. Dall’aula si sollevano voci sulla necessità di eseguire una paracentesi diagnostica nonostante l’ascite fosse di prima insorgenza: da eseguire una conta cellulare, un esame microbiologico, un chimicofisico incluso il gradiente di albumina (vd.dopo). Come si arriva alla diagnosi Nel caso di un paziente con esordio con ascite è importante - clinica: reticolo venoso periombelicale, ernia ombelicale come complicanza di un’ascite tesa, edemi agli arti inferiori - laboratorio: gradiente di albumina - ecografia: struttura epatica - fibroSCAN - endoscopia: riscontro di varici esofagee e/o gastriche - biopsia: questa la si riserva a quei pazienti con manifestazioni sfumate o poco chiare [riporta lo stesso studio terminato nel 2001, condotto da un importante epidemiologo-epatologo italiano “Stroffolini” in cui si riscontra un’aumentata età media di insorgenza della patologia, un aumento dell’incidenza fra le donne, nonostante la malattia cirrotica rimanga molto più frequente fra gli uomini, un’aumento delle diagnosi in classe A di Child-Pough, mentre la prevalenza del carcinoma rimane stabile] Fa vedere spider-nevi ed altri reperti dermatologici associati alla cirrosi. CIRROSI COMPENSATA: quando il soggetto non presenta ittero, ascite, encefalopatia  una persona che sta sostanzialmente bene e in cui l’epatopatia viene riscontrata in modo quasi incidentale durante check-up di laboratorio o durante gli esami preoperatori per altri motivi o per firmare una polizza assicurativa… Ora viene osservato un lavoro di “JAMA” nel quale sono stati raccolti dati di letteratura su anamnesi, esame obiettivo e valori di laboratorio. Per esempio:

-

se un paziente è già diabetico il valore predittivo positivo è alto, come anche quello negativo se un paziente fa uso di alcool sintomi come prurito, stanchezza, anoressia (non ce l’ha data) distensione vene addominali, alti valori sia positivi che negativi Encefalopatia idem Ittero alto valore predittivo positivo, ma nessun valore predittivo negativo Splenomegalia alti entrambi: Trombocitopenia INR Ipoalbuminemia Iperttransaminasemia Iperbilirubinemia Ridotta conta leucocitaria Anemia Ecc..

Altro studio italiano (“Giannini”) in cui è stato studiato il rapporto fra numero di piastrine/diametro bipolare della milza: se normalmente questo valore di attesta sui 12600, man mano che il valore diminuisce diventa più forte il sospetto di cirrosi. Il pro di questo studio è rivolto soprattutto a cercare di rendere l’iter diagnostico più preciso col minor impiego di mezzi, come per esempio la riduzione delle endoscopie se questo valore al di sotto di un certo cut off risulta essere sufficientemente predittivo di malattia cirrotica; sta di fatto però che saltano fuori dei bias, per esempio il valore delle piastrine non è relato soltanto alla cirrosi, idem per il volume della milza; vedasi una trombocitemia essenziale. Diagnosi differenziale nella splenomegalia: individuare i meccanismi con cui si sviluppa quindi elencare le possibili condizioni. - Malattie neoplastiche: trombocitemia essenziale, malattie mieloproliferative - Emodinamiche (Ostacolo al deflusso venoso): cirrosi, trombosi portale, ipertensione portale, trombosi splenica - Infettive: mononucleosi, leishmaniosi, malaria, endocardite, tbc… - Tesaurismosi - Malattie emolitiche Coagulazione nella cirrosi Si possono avere sia difetto che eccesso. È presente un deficit di sintesi dei fattori della coagulazione vitamina K dipendenti (2,7, 9, 10) con conseguente aumento dell’INR e clinicamente evidente nel sanguinamento delle varici digestive, e per questo motivo e per il fattore emodinamico dovuto all’ipertensione portale. Contemporaneamente c’è un deficit di sintesi di ATIII, Pr.C, Pr.S che anch’essi vengono prodotti dal fegato e un aumento del fattore VIII della coagulazione dai sinusoidi epatici lesi portando a uno stato pro coagulante che si può manifestare, per esempio, con una trombosi portale. FibroScan Utilizzando un segnale ecografico misura la rigidità del fegato. Il limite di questa metodica è nella non capacità di discriminare la componente dura/morbida: presenza di fibrosi contemporaneamente a presenza di grasso, che riduce la rigidità. Altro limite è l’ipertransaminasemia, molto tipica dell’epatite B cronica. Perciò risulta più utile nel monitoraggio di un paziente con già la diagnosi in mano, in particolare per quanto riguarda la diagnostica precoce dell’epatocarcinoma. Child-Pough score

Bilirubina, Albumina, INR, Ascite, Encefalopatia (gli ultimi due parametri sono piuttosto soggettivi). Questo punteggio è importante per quanto riguarda la formulazione di una prognosi a lungo termine, soprattutto perché esistono 3 classi statiche, mentre i cinque valori sono in continuo divenire. Sul momento invece è ben più indicativo sapere se la cirrosi è compensata o meno: una volta i cirrotici scompensati vivevano qualche mese, oggi di più ma comunque l’ipotesi trapianto è percorribile soltanto se c’è la complicanza più temibile: l’HCC. Uno degli autori più importanti italiani in questo campo è “D’Amico” il quale prende due parametri per determinare lo stato attuale della cirrosi: VARICI e ASCITE. - COMPENSATA (asintomatico): stadio 1: NO VARICI, NO ASCITE stadio 2: SI VARICI, NO ASCITE - SCOMPENSATA (sintomatico): stadio 1: SI/NO VARICI, SI ASCITE stadio 2: EMORRAGIA, SI/NO ASCITE D’amico ha anche attribuito percentuali di pazienti che passano da uno stadio all’altro e mortalità per ogni stadio (non si capisce però, ci voleva la presentazione). I parametri di laboratorio importanti per determinare un rapido peggioramento del quadro cirrotico sono quelli che variano più velocemente come INR e secondariamente COLESTEROLO ( 10%

0 -0.9

-1

-1.0 -1.4

-2

-2.0 -2.3

-2.4

-2.2

-3

-4

Gli/Met (n = 162) Metformina (n = 157) Gliburide (n = 143)

-3.1 -2.9

-3.6

J Clin Endocrinol Metab 2003, 88: 3598-3604

Riassumendo le sulfaniluree sono farmaci che  hanno un indicazione solo nel diabete di tipo 2, come in generale tutti gli ipoglicemizzanti orali,  di solito rappresentano il trattamento di prima scelta nel paziente non sovrappeso BMI ≤ 26 kg/m2 (anche se l’opzione della metformina può essere applicabile anche in questi pazienti)

   

ha senso proporli quando i livelli di glicemia a digiuno non sono drammaticamente alterati FPG ≤ 240-260 mg/dl e anche i livelli della emoglobina glicata non devono essere eccessivamente elevati HbA1c ≤ 9-10% (10 è già un po’ tanto) vanno prescritti in pazienti che non abbiano delle marcate compromissioni della funzione epatica o renale sono farmaci che possono essere utilizzati da soli ma che si possono tranquillamente associare sia ad altri ipoglicemizzanti orali che anche all’insulina

La metformina è un farmaco che  agisce più sul versante dell’insulino sensibilità (mentre le sulfaniluree sono squisitamente dei farmaci segretagoghi attivi sul recettore SUR1) trovano indicazione nel diabete mellito di tipo 2 e in alcuni casi di diabete mellito tipo 1 con sovrappeso/obesità (ultima affermazione un po’ “forzata”)  rappresenta il trattamento di prima scelta nel paziente sovrappeso, BMI ≥ 26 kg/m2, può rappresentare anche la prima scelta nel paziente non sovrappeso  va prescritta in pazienti che non devono avere grossolane alterazioni della funzione epatico e renale  si presta ad essere associata ad altri ipoglicemizzanti orali o anche all’insulina (stesso discorso delle sulfaniluree) Sulfaniluree e metformina sono i due farmaci ipoglicemizzanti orali di prima scelta e sono anche i più utilizzati. Da alcuni anni sono entrati nell’armamentario terapeutico anche gli tiazolidinedioni o glitazoni, che agiscono mediante questo meccanismo molecolare preciso, sono degli agonisti del recettore PPAR-γ. Fibrates and Glitazones: the PPAR Signaling Pathways  I recettori PPAR sono una famiglia di recettori nucleari che sono estremamente importanti per il controllo delle funzioni metaboliche.  Gli agonisti dei recettori PPAR-α fra cui dei fibrati, i derivati dell’acido fibrico, hanno una efficacia soprattutto nel controllo del metabolismo lipidico (riduzione dei livelli di trigliceridi, aumento dell’ossidazione degli acidi grassi, aumento delle HDL).  I recettori PPAR-γ invece sono prevalentemente coinvolti nel metabolismo del tessuto adiposo a livello periferico (non tanto sui livelli circolanti nei lipidi plasmatici) e sulla sensibilità all’insulina.  Gli agonisti del PPAR-γ, tiazolidinedioni o glitazoni, vengono utilizzati come insulino sensibilizzanti e hanno un loro ruolo nella terapia del diabete. I tiazolidinedioni o glitazoni sono farmaci che  hanno un indicazione solo nel diabete mellito di tipo 2  possono essere associati alle sulfaniluree e alla metformina (l’uso dei glitazoni è per il momento limitato dalla necessità di poter utilizzare tali molecole solo in associazione agli altri antidiabetici orali)





hanno una controindicazione se non assoluta comunque relativa al loro utilizzo in associazione all’insulina, in virtù di un possibile effetto sul peso corporeo che potrebbe portare ad un aumento non gradito e con effetti sinergici fra i due farmaci e a un certo grado di ritenzione idrica che i glitazoni possono dare vanno prescritti in pazienti che hanno una funzione cardiaca (infatti possono peggiorare lo scompenso cardiaco), epatica e renale normale

In sintesi per queste tre categorie di antidiabetici orali  In media ci possiamo attendere una riduzione dell’emoglobina glicata di 1-2 punti percentuali rispetto al non trattamento.  Quando antidiabetici diversi sono stati confrontati nell’ambito dello stesso studio, non sono emerse differenze significative in termini di efficacia; tuttavia la tipologia e la frequenza degli effetti indesiderati sono diverse tra i vari farmaci.  La scelta del farmaco da utilizzare va individualizzata paziente per paziente. In caso di obesità la metformina è particolarmente utile.  Spesso si possono usare questi farmaci in combinazione e la loro combinazione a dosaggio più basso consente un controllo migliore della glicemia rispetto a quello ottenibile in monoterapia (senza dover ricorrere a dei dosaggi elevati potenzialmente tossici). Il sistema delle incretine: agonisti delle GLP-1 e inibitori del dipeptidilpeptidasi-4 Questa è una delle ultime categorie di farmaci entrata nel commercio. Sono dei farmaci che agiscono sul sistema delle incretine, in particolar modo sulle GLP-1 e sull’enzima che lo degrada la dipeptidilpeptidasi-4. Il GLP-1 è un ormone gastrointestinale che a dispetto del suo nome, glucagon-like peptide (quindi effetti simile al glucagone con effetti iperglicemizzanti), ha un azione favorevole nel metabolismo glucidico e nel contesto di un eventuale trattamento del diabete mellito.

FARMACI CHE AGISCONO SUL SISTEMA DELLE INCRETINE Essi agiscono sul GLP1 e sull’enzima che lo degrada che è la dipeptidil-peptidasi IV (DPP4). Il GLP1 è un ormone gastrointestinale che a dispetto del suo nome (glucagon like peptide) ha un’azione favorevole nel metabolismo glucidico e di un eventuale trattamento del diabete. Il GLP1 ha degli effetti positivi sulla Betacellula pancreatica, aumenta la produzione e secrezione di insulina e aumenta l’effetto protettivo nei confronti dell’apoptosi betacellulare. Il problema del GLP1 è che una volta in circolo viene degradato dopo pochi minuti dall’enzima dipeptidil-peptidasi IV per cui somministrato in quanto tale avrebbe un’efficacia non proponibile proprio in virtù della sua ridotta permanenza in circolo e durata d’azione. Il problema è che fisiologicamente questo ormone viene attivato in tempi estremamente

rapidi da questo sistema enzimatico che chiamiamo dipepdidil-peptidasi 4 (DPP4) che fa sì che dopo una ipotetica iniezione parenterale di questa sostanza, dopo pochi minuti non ne avremmo più in circolo, quindi con una efficacia biologica praticamente nulla.

L’azienda farmaceutica per risolvere questo problema ha agito valutando due alternative: a)

b)

produrre degli analoghi che non venissero inattivati dalla dipeptidil-peptidasi IV, ad esempio l’exenatide (e l’iraglutide) che è un congenere che non presenta il sito di attacco per l’inattivazione proteolitica da parte dell’enzima, ed è un farmaco correntemente utilizzato; l’unico inconveniente è che deve essere somministrato per via parenterale l’altra opzione è agire con dei farmaci sull’enzima inattivante; sono i composti attualmente disponibili in commercio, i gliptinici che inibendo la degradazione del GLP1 ne aumentano l’efficacia, la biodisponibilità e di conseguenza gli effetti benefici. I gliptinici possono essere somministrati per os. Esempi sono il vidagliptin e il sitagliptin. In realtà in commercio vi sono altri analoghi tipo il saxsagliptin di sicuro.

PARENTESI DA Wikipedia Le  incretine  sono ormoni prodotti a livello gastrointestinale e sono principalmente:  GLP-1  (Glucagon-like peptide 1), prodotto dalle  cellule L  dell'ileo/colon;  GIP  (Glucose-dependent insulinotropic peptide), prodotto dalle cellule K del  duodeno. Questi  ormoni, secreti dopo i pasti, specialmente il GLP-1, hanno la funzione di controllare la  glicemia  in vari modi:  aumentando la secrezione di  insulina  da parte delle cellule beta del  pancreas;  diminuendo la secrezione di  glucagone  (antagonista dell'insulina) da parte delle cellule alfa del pancreas;  rallentando la motilità e dunque lo svuotamento gastrico (rendendo più "soft" la curva glicemica postprandiale) e diminuendo l'appetito. Il GLP-1 è rapidamente (1-2 minuti) degradato a  peptide  inattivo (cioè è disattivato) dall'enzima DPP-4 (dipeptidil-peptidasi IV). Poiché la produzione di GLP-1 diminuisce col diminuire della glicemia e la sua permanenza attiva è di soli 1-2 minuti il suo controllo sulla glicemia è calibrato e "al bisogno", evitando così situazioni di ipersecrezione di insulina e conseguenti pericolose ipoglicemie. Inoltre pare che cellule beta coltivate in vitro in presenza di GLP-1 perdurino integre più a lungo suggerendo un intervento protettivo dell'ormone. La terapia orale del  diabete mellito  di tipo 2 (DM2) ha nel suo armamentario molti farmaci tra cui ricordiamo  biguanidi,  sulfaniluree  e  glitazoni. Questi farmaci nel complesso hanno i più svariati effetti avversi che in una terapia prolungata come quella necessaria per il DM2 possono risultare molto problematici. Fra questi l'ipoglicemia  e l'aumento di peso sono fra i più temibili. Per questo e altri motivi la ricerca nel campo della terapia orale del diabete non è mai cessata e oggi la via delle incretine sembra promettente. In sostanza l'obiettivo è quello di ripristinare e sfruttare l'azione "naturale" del GLP-1 che nei diabetici è deficitaria. Due sono stati gli approcci tentati. -Il primo prevede la somministrazione di sostanze analoghe al GLP-1 ma resistenti alla degradazione da parte di DPP-4, con conseguente persistenza del GLP-1-analogo in circolo anche in pazienti che ne producono meno. Fra questi analoghi è stato testato e dunque approvato dalla  Food and Drug Administration  (FDA) (29 aprile  2005) l'Exendin-4, estratto dalla saliva di una grossa lucertola, la  Heloderma suspectum, e commercialmente chiamato Exenatide, venduto come Byetta®  negli USA. Un

vantaggio dell'Exenatide, oltre alla comprovata azione antidiabetica, è la riduzione dell'appetito associata spesso ad una perdita di peso che aiuta a ridurre il pericoloso e frequente binomio diabete-obesità. Uno svantaggio è la sua somministrazione giornaliera e sottocutanea. -Il secondo e più promettente è l'approccio consistente nell'inibire il DPP-4 evitando così la degradazione del GLP-1. Tra le sostanze in grado di farlo sono state sintetizzate il Sitagliptin (Xelevia®, Januvia®), approvato dall'FDA e il Vidagliptin, molecola ancora in studio di fase III. Entrambe queste molecole hanno dimostrato in diversi studi la loro capacità di ridurre in modo considerevole l'emoglobina glicosilata ( HbA1c, parametro per valutare il controllo della glicemia a lungo termine)(il Sitagliptin comporta una riduzione dello 0,70% di Hb1Ac in associazione con  Metformina  in 24 settimane e dello 0,88% se associato con  Pioglitazone) e senza indurre in alcun modo aumento del peso (spesso provocano addirittura riduzione del peso) e con rarissimi casi di ipoglicemia. Un ulteriore punto di vantaggio degli inibitori del DPP-4 è la loro somministrazione  orale. Gli effetti avversi più comuni che si sono manifestati nei trial clinici sono stati cefalea, nausea, sonnolenza, diarrea e infezioni del tratto respiratorio superiore. I risultati sono molto incoraggianti ma una conferma definitiva la daranno i risultati postmarketing, specialmente riguardo agli effetti collaterali.

Adesso passiamo in rassegna alcune evidenze che si sono osservate nel paziente diabetico trattando via via le varie alterazioni metaboliche che possono venire trattate. Targhet lipidici LDL al di sotto di 100, anche se secondo alcune linee guida recenti questi targhet potrebbero essere ulteriormente abbassati. Di solito il diabetico con indicazione alla terapia ipolipemizzante riceve generalmente statine che rappresentano il cardine per questo tipo di terapia. Questo soprattutto quando il disordine prevalente è relativo a delle LDL alte. Con triglicerdi alti e HDL basse si possono considerare anche i fibrati come farmaci alternativi.

Rivediamo gli obiettivi:

Qui abbiamo studi che hanno indagato sull’interveno su diversi fatto ri di rischio nei pazienti diabetici. Gli studi dell’UKPDS hanno indagato ipoglicemizzanti, farmaci con sartani, con statine, con glitazione Molti altri studi importanti hanno compreso delle coorti ampie di soggetti. In pazienti diabetici di tipo II vedete che aveva dato risultati incoraggianti per certi aspetti, però un po’ deludenti per altri. Era evidente che gli eventi microvascolari venivano ridotti, non c’era una riduzione altrettanto significativa sugli eventi macrovascolari. Un follow up di questo stesso studio, 10 anni dopo, ha fatto vedere come insistendo con l’approccio più intensivo i risultati saltino fuori alla lunga. Infarto miocardico, malattia cardiovascolare, morte da ogni causa, la significatività emerge quindi a distanza. Il trattamento intensivo della glicemia può avere degli effetti protettivi sulla mortalità e sugli eventi cardiovascolari. Altro studio ci dice che la strategia di controllo glicemico intensivo abbassa ulteriormente i valori di HB glicata e si accompagna ad una diminuzione relativa degli end points combinati di eventi macro e micro vascolari. Il rovescio della medaglia è rappresentato è alla comparsa di eventi non piacevoli (scompenso cardiaco di nuova insorgenza o peggioramento se già presente).

Glitazioni hanno un effetto di poco superiore sulla glicata rispetto alle sulfaniluree come si vede da questo studio (non molto però), innalza i livelli di colesterolo HDL, un effetto significativo nell’abbassare la PCR e riduzione del volume della massa della placca ateromasica (dovuto probabilmente alla somma degli effetti). Controllo pressione arteriosa e controllo della proteinuria. Studi fatti con sartani (che riducono la pressione di ultrafiltrazione glomerulare agendo sull’asse reninaangiotensina-aldosterone). Effetto protettivo a livello renale. Diminuisce l’incidenza di nefropatia diabetica in pz con diabete di tipo II. Altro studio importanza di usare ACE inibitori e sartani per la protezione del rene nel paziente diabetico. Lo studio 4S ha documentato l’importanza delle statine nel diminuire gli eventi cardiovascolari in pz ad alto rischio. Questo sia con sinvastatina che pravastatina. Altro studio ha utilizzato la torvastatina in una popolazione di soli pz diabetici, con riduzioni di rischio addirittura superiori al 30%. Anche con la fluvastatina gli effetti sono positivi. Sulla scorta di tutti questi studi, il targhet terapeutico di HDL si potrebbe ulteriormente ridurre in pz a rischio elevato, a 70 mg/dL. Questi pz sono i pz che hanno già avuto un evento cardiovascolare e che hanno anche il diabete o un altro fattore di rischio importante, o che hanno la sindrome metabolica. Non è facile raggiungere il goal di 70, ma se si raggiunge può esserci un vantaggio. Fibrati e statine nel paziente diabetico Questo studio ha documentato con i fibrati un calo dei trigliceridi, ma anche un calo della progressione della arteriopatia a livello coronarico.

E per ultimo lo studio FIELD uno studio che ha utilizzato il fenofibrato in pz diabetici in cui si è andato a vedere l’efficacia in termini di end points duri (quindi mortalità e di eventi) dove si è evidenziato un effetto non eccezionale ma significativo nei confronti della prevenzione degli eventi cardiovascolari ed anche rivascolarizzazione coronarica. Un sottostudio pubblicato più recentemente ha mostrato dati interessanti e inaspettati su come l’utilizzo di questo fibrato (che abbassa i Tg e alza le HDL) si siano documentati anche degli effetti a livello della progressione di un evento microvascolare quale la retinopatia diabetica. Edema maculare, retinopatia proliferativa e retinopatia in generale, con effetto protettivo di questo farmaco, che normalmente non sembrerebbe avere degli effetti così diretti. I dati dei 2 studi STENO hanno fatto vedere come un trattamento intensivo ad ampio raggio a 360 gradi, su tutti i fattori di rischio curabili, quindi pressione, Hb glicata, colesterolo, trattamento con ACE inibitori e aspirina, portasse a degli effetti assolutamente benefici nei confronti di un regime di terapia che potremmo definire convenzionale. I dati sono stati confermati dal follow up a lungo termine dopo altri 5 anni. Ricordo le norme non farmacologiche come i presidi di stile di vita, siano gli unici che riescono ad agire su tutti questi fattori di rischio: peso corporeo, glicemia, pressione, profilo lipidico. Non c’è nessun altro farmaco che è in grado di agire a 360° su queste componenti. Questo per stimolare il paziente su un corretto stile di vita.

Terapia antiaggregante nel pz diabetico E’ un aspetto abbastanza controverso. L’opinione è divergente e si può riassumere con la necessità di valutare la terapia adeguata caso per caso nel singolo paziente, ma se nel pz con diabete scompensato ad alto rischio (parliamo di prevenzione primaria, perché la secondaria è scontato che l’ASA salvo controindicazioni particolari vada utilizzata) è un approccio pagate se riusciamo ad individuare il paziente ad alto rischio. In quello compensato, come per gli altri traghet ci si può accontentare di qualcosa di meno

ambizioso, non è automaticamente detto che debbano ricevere tutti la terapia con ASA. Ci saranno altre cose che ci aiutano: presenza di arteriopatia subclinica, doppler delle arterie sovraortiche, ecce cc. Non consideriamolo come assioma, l’ASA può andar bene in una buona percentuale di pz diabetici ma non in maniera automatica ed acritica.

La metformina rappresenta il farmaco di prima scelta nella terapia del diabete.

CURA DEL DIABETE NELLE PERSONE ANZIANE (sopra i 65 aa) Fino ai 70-75 aa c’è un aumento della prevalenza del diabete. Quando andiamo oltre nell’età c’è un appiattimento o addirittura una riduzione della prevalenza. L’ultra 80enne ci mette davanti f scenari differenti per quanto riguarda i targhet terapeutici. I valori di uptake di glucosio mediato dall’insulina è praticamente un indice di sensibilità all’insulina. Tende a calare andando verso i 70 aa. I valori tendono a peggiorare nei soggetti che hanno livelli bassi di deidropepiangiosterone (DHEA). Questo perché il DHEA ha effetti di modulazione sulla sensibilità all’insulina. Non mi soffermo sulla casacata biochimica, ma vi ricordate il mediatore Glut4 responsabile dell’internalizzazione del glucosio. Altro fattore importante nell’anziano è l’IGF1 metabolita attivo (II messaggero del GH) che ha effetti trofici e metabolici importanti; nell’anziano i livelli di IGF1 tendono a diminuire con il progredire dell’età. La combinazione della riduzione di IGF1 e DHEA concorrono assieme alla modificazione dell’assetto corporeo nell’anziano (sarcopenia, sostituzione della massa magra con la massa grassa che spesso è associato ad un fenomeno infiammatorio). I sintomi classici del diabete negli anziani: poliuria, polidipsia, astenia, calo ponderale, spesso nell’anziano i sintomi classici non sono così chiari, possono essere attenuati, perché magari il paziente non è in grado di riferirvi una poliuria o di rendersi conto dello stimolo della sete e di bere adeguatamente. A volte la glicosuria può essere meno evidente. Spesso compaiono i sintomi da disidratazione. Il coma iperosmolare può essere l’esordio ci un diabete di tipo II nell’anziano o cmq di sindrome iperosmolare (magari hanno 800 di glicemia) Si associa spesso alle altre disabilità dell’anziano, tra qui il declino cognitivo, una aumentata incidenza di fratture. Studi hanno paragonato l’insulina resistenza con il declino cognitivo: le due componenti rappresentano un substrato comune nella sindrome della fragilità (di cui vi parleranno). Esauribilità, scarsa attività fisica, scarsa velocità del cammino, riduzione della forza della presa, diminuzione del peso corporeo non intenzionale, tutti questi parametri rientrano nella sindrome. Iper e ipoglicemia possono essere fattori di peggioramento di tutti questi paramentri, con aumento della mortalità e riduzione della qualità di vita. Tra loro cmq sono come un circolo vizioso. Indice di comorbidità secondo Rozzini che classifica il pz anziano secondo presenza o meno di patologie sintomatiche La classe IV ha espressione massima di coopatologia o gravità delle patologie associate. Ecco quelle che vanno sotto il nome di carte di rischio (si utilizzano e ci confronterete anche voi ben presto) che tengono in conto nella valutazione del rischio cardiovascolare globale del nostro soggetto una serie di parametri fra cui sicuramente non mancano  l’età,  il colesterolo,

 la pressione,  il fatto di essere o non essere fumatori e anche  il diabete che ha un impatto estremamente importante in maniera non controversa. Se voi confrontate la scheda del paziente non diabetico e la scheda del paziente diabetico, il paziente diabetico a parità di altre condizioni si trova in un livello di rischio cardiovascolare sicuramente più elevato come è denotato dalla presenza di quadratini di colore diverso. Ci sono carte di rischio che valgono per l’uomo e altre che valgono per le donne. Queste sono le carte di rischio del progetto cuore, a nostro avviso il rischio cardiovascolare nelle donne è largamente sottostimato come si può vedere dalla presenza di tutte queste caselline verdi, comunque anche in questa situazione si vede che il diabete conferisce un rischio in più rispetto al fatto di non avercelo. Si tende a sottostimare il rischio nelle donne Questi sono dati di una casistica nostra del centro antidiabetico del policlinico dove abbiamo dovuto documentare e confermare che le variabili che si riteneva essere a rischio per malattie cardiovascolari sono certamente operanti anche nel diabete, quindi l’età, la pressione, il colesterolo HDL basso e assieme a queste anche delle variabili che potremo definire specifiche per la malattia diabetica. Quindi a parità di altre condizioni avere un diabete di durata più prolungata e avere un valore di emoglobina glicata più elevato rappresentano delle condizioni a rischio specifico per avere un evento cardiovascolare. Questo noi lo abbiamo visto confrontando pazienti che hanno avuto entro i 10 anni successivi alla prima visita un evento cardiovascolare rispetto a pazienti che questo evento non l’hanno avuto.

Sono delle raccomandazioni specifiche per la cura e il trattamento del diabete nelle persone anziane emesse annualmente dalla Società Italiana di Diabetologia e dall’Associazione dei Medici Diabetologi. Secondo quanto esposto nelle slide precedenti: a) le linee guida della American Diabetes Association fanno riferimento a valori di Emoglobina Glicata di circa 7 nel controllo del metabolismo glucidico. b) Gli obiettivi terapeutici di un paziente diabetico che sta bene sono gli stessi di un paziente non anziano. Nel paziente invece “comorbido” gli obiettivi sono diversi e più stringenti. Le linee guida degli standard terapeutici hanno recepito questi due punti nel senso di individuare dei target diversi di Emoglobina Glicata a seconda delle condizioni generali del paziente. Per questo un paziente anziano in condizioni generali e di abilità buone il valore di Hb glicata sarà sostanzialmente lo stesso del paziente non anziano quindi con un target intorno al 7- 7,5. Questo per evitare le complicanze d’organo. Nel paziente anziano fragile o con pluripatologie (magari affetto da demenza) in cui il rischio di un controllo glicemico intensivo probabilmente supera i benefici (perché il rischio di ipoglicemia è alto) è appropriato ricercare un obiettivo un po’ meno ambizioso con valori di Hb glicata tra 7,5 e 8,5 , mantenere un benessere soggettivo. Quanto enunciato rappresenta un primo punto importante, cioè l’individuare un target “meno aggressivo” in un paziente anziano a rischio.

In considerazione di tutte queste premesse che vi ho fatto le linee guida delle società scientifiche (questa è la linea guida dell’ADA) si sono poste dei target di intervento, dei goal

terapeutici per ridurre proprio questo rischio cardiovascolare nei soggetti diabetici in generale, non necessariamente anziano. Sono ovviamente dei goal di:  controllo glicemico, quello di emoglobina glicata è 7,  di pressione arteriosa,  del profilo lipidico. Nel paziente anziano questi valori possano anche essere discussi e modificati. OBIETTIVI TERAPEUTICI NEL PAZIENTE DIABETICO ANZIANO  Nel soggetto autonomo o con disabilità lieve, questo di solito coincide col fatto di essere anziani delle fasce di età più giovanili, quindi fra i 65-75 anni gli obbiettivi possono essere: o Gli stessi del soggetto adulto non anziano o Rallentamento della progressione delle complicanze d’organo, di rischio di eventi cardiovascolari proiettato a 5-10 anni.  Nell’anziano fragile (comorbilità, non autosufficienza, o entrambe) che spesso può coincidere con delle fasce di età anziana ancora più avanzate “ci si accontenta” di obbiettivi meno ambiziosi. Evidentemente se vi trovate di fronte a un paziente di 85-90 anni estremamente compromesso quello che si cerca di dargli non è un beneficio del rischio cardiovascolare a 10 anni (che i 10 anni sapete che non li raggiungerà mai) si cerca invece di dargli: o Benessere soggettivo. o Prevenzione delle crisi ipoglicemiche, che in un anziano forse ci preoccupano di più rispetto al controllo dell’iperglicemia in senso stretto. o Prevenzione delle complicanze metaboliche acute, anche un soggetto anziano e disabile ha tutto il diritto di non farsi un coma chetoacidosico o di non farsi un coma iperosmolare (quest’ultimo forse è più frequente). o Conservazione di un normale metabolismo energetico

FARMACI IPOGLICEMIZZANTI - aspetti specifici per il paziente anziano USO DEI SECRETAGOGHI (Sulfaniluree) nell’anziano 

Va condotto con cautela soprattutto per quanto riguarda la Glibenclamide (in alcuni testi italiani e anglosassoni è chiamata Gliburide), poiché è un farmaco che già di per se ha un’emivita lunga soprattutto in caso di pazienti con insufficienza renale, e spesso l’anziano ha una condizione di insufficienza renale (anche se non conclamata) Non esiste un anziano con filtrato glomerulrare di 90



In questa categoria di farmaci ci sono anche le sulfaniluree Gliclazide, Glimepiride, Glipizide che hanno un minore rischio di ipoglicemia poiché hanno un’emivita più breve e quindi una maggiore maneggevolezza.

PARENTESI Le Sulfaniluree si possono dividere in molecole di I ( Clorpropamide) e di II generazione (Glibenclamide, Gliclazide, Glipizide, ecc). Queste due classi si disti nguono essenzialmente per potenza e tollerabilità, pur condividendo lo stesso meccanismo d’azione, che consiste nello sti molare la secrezione di insulina da parte delle cellule beta del pancreas (ovviamente solo nel caso in cui il pancreas sia ancora in grado di produrre insulina).

CHIUSA PARENTESI •

Nel paziente in cui si ritiene opportuno utilizzare dei farmaci secretagoghi ci sono alcune evidenze che suggeriscono di impiegare i Glinidi e/o gli inibitori della Dipeptidilpeptidasi-IV (che agiscono come detto in precedenza sull’asse del GLP1 e che fra le altre cose sembrano avere un rischio di ipoglicemia minore). La repaglinide è quella più usata che ha un emivita che copre il pasto. RACCOMANDAZIONI Questo lo ritroviamo negli stessi standard/schemi di monitoraggio. Se in un soggetto anziano è indicata una terapia con antidiabetici orali non è opportuno l’utilizzo della clorpropamide (quest’anno 2012, dice di non nominarlo perché crede non esista più) e della glibenclamide. La clorpropamide è probabile che non esista neanche più in commercio e si consiglia caldamente di non considerarla tra i farmaci da utilizzare; la glibenclamide invece è tuttora largamente utilizzata per cui occorre tenere presente tale indicazione.

Questi sono dei dati che fanno riferimento ad uno degli inibitori delle DPP4 di cui si accennava prima, l’Alogliptin, farmaco che non è in commercio in Italia però per analogia le considerazioni che se ne possono estrapolare sono valide anche per il Sitagliptin; questo farmaco presenta un’efficacia decorosa nel calare i livelli di Hb glicata sia nel paziente giovane che nell’ anziano, accompagnata ad un’efficacia altrettanto decorosa nel ridurre i livelli di glicemia a digiuno e a fronte di questo un’assenza di effetti collaterali sul versante delle ipoglicemie sia nel giovane sia nell’anziano.

Facendo il confronto con il placebo, sia alla dose più bassa sia a quella più elevata, non si manifestano eventi di ipoglicemia nè moderata nè severa. Da questo punto di vista i gliptidici sembrano farmaci accompagnati da una relativa maneggevolezza.

RACCOMANDAZIONI (per l’anziano) La metformina è un farmaco che comporta il rischio di acidosi lattica, perché uno dei suoi effetti metabolici è quello di orientare la glicolisi verso quella anaerobia a dispetto di quella aerobia, con il rischio conseguente di lattoacidosi, da tener presente soprattutto per i pazienti con funzionalità renale compromessa. Le linee guida degli standard italiani suggeriscono che nei pazienti anziani con creatinina elevata non sia raccomandabile l’uso di metformina; basandosi però su una valutazione a più ampio respiro ed anche abbastanza realistica conviene ragionevolmente basarsi non sulla creatinina ma sul calcolo del filtrato glomerulare (attraverso l’utilizzo delle formule di Cockroft o la MDRD; alcuni laboratori danno direttamente

assieme al valore della creatinina anche il calcolo del filtrato glomerulare presunto in base alle caratteristiche anagrafiche del paziente). Uso della metformina nell’anziano e funzione renale • Per valori di filtrato glomerulare < 30 (quindi una situazione abbastanza compromessa) NON è da utilizzare • Con valori di Filtrato Glomerulare di 30-60 è raccomandabile limitare il dosaggio a 1500 mg/die. La metformina nel suo impiego terapeutico generale si utilizza dai 1000 ai 3000 mg/die, la dose piena quindi sono 3 gr/die, sicuramente in soggetto anziano è raccomandabile somministrare un dosaggio più basso. • Con valori di Filtrato Glomerulare > 60 si può somministrare un dosaggio pieno anche se è difficile trovare un paziente sopra i 70 anni con tali valori. PARENTESI Queste formule forniscono una stima del VFG mediante la formula di Cockroft-gault e quella sMDRD FORMULA DI COCKROFT Clearance creatinina =

(140 - età) x peso (Kg)  72 x creatinina (mg/dl)

Formula MDRD semplificata Clearance Creatinina = 186 x Creatinina - 1,154 x età - 0.203 x K1 x K2 K1: razza bianca = 1,00;  razza nera = 1,21 K2: maschio = 1,00;   femmina = 0,742    Valori normali di VFG per età e sesso Una volta calcolato il VFG di un singolo paziente e normalizzato per la superficie corporea standard, è necessario confrontarlo con i valori che la tabella seguente propone come normali per età e per sesso. Età Uomo Donna (VFG ml/min/1.73mq) (VFG ml/min/1.73mq) 20 -29 30 - 39 40 - 49 50 - 59 60 - 69 70 - 79 80 - 89

128 116 105 93 93 70 58

(102 -154) (93 -139) (84 -126) (74 -112) (74 -112) (56 - 84) (46 - 70)

118 100 97 86 75 64 53

(94 - 142) (86 - 128) (78 - 116) (69 - 103) (60 - 90) (51 - 77) (42 - 64

CHIUSA PARENTESI Uso della metformina nell’anziano – Controindicazioni Nel soggetto anziano in generale affermare che la metformina è controindicata è eccessivo, affermare invece che la metformina va impiegata ad un dosaggio ridotto e tenendo sotto controllo la funzione renale, la creatinina e ancora meglio il filtrato glomerulare è un opzione accettabile. In un paziente anziano è auspicabile iniziare la terapia partendo da un dosaggio di 500 mg x 2 /die aumentandola successivamente alla dose di 500 mg x 3 /die; questa modalità non dovrebbe comportare dei rischi particolarmente elevati anche di lattoacidosi. Occorre tener presente anche che la metformina a differenza della glibenclamide è un farmaco a rischio molto basso di ipoglicemia perché non è un farmaco secretagogo diretto, ma agisce su alcuni aspetti metabolici, cioè sulla sensibilità all’insulina; è rarissimo che somministrata da sola dia delle ipoglicemie importanti evento che invece si può verificare con le sulfaniluree.

Le controindicazioni vere e proprie, cogenti, a parte il discorso della funzione renale, sono: •

L’Insufficienza epatica conclamata (cirrosi scompensata).

Spesso nei foglietti illustrativi del farmaco si trovano delle controindicazioni abbastanza generiche che citano “controindicato nell’insufficienza epatica”, “nell’epatopatie” , in realtà in un paziente che sia solo portatore di un’epatopatia steatosica non alcolica (NAFLD Non-alcoholic fatty liver disease) la metformina migliora alcuni parametri legati all’epatopatia stessa, quindi non rappresenta una controindicazione. • Scompenso cardiaco severo • Insufficienza respiratoria ipossiemica Sono delle condizioni ad alto rischio per l’acidosi metabolica che può essere a sua volta aggravata da un farmaco come la metformina. Uso

dei

tiazolidindioni

(glitazoni)

nell’anziano

-

Possibili

effetti

collaterali



Ritenzione idrica con il potenziale peggioramento di scompenso cardiaco



Aumento ponderale I tiazolidindioni a differenza della metformina e delle sulfaniluree non hanno un’indicazione ad essere associati all’utilizzo dell’insulina, ed è proprio in virtù di questo possibile/temuto sinergismo di azione riguarda gli effetti collaterali della ritenzione idrica e dell’aumento ponderale



È stata “stressata” anche la possibilità di un aumentato rischio di osteoporosi/fratture; in realtà tale rischio deve essere un po’ ridimensionato, esso è presente innanzitutto solo nella donna poiché per l’uomo il testosterone ha un effetto protettivo. L’aspetto delle fratture va tenuto presente nel paziente diabetico poichè ha un maggiore rischio se va in ipoglicemia che non per una terapia con tiazolidindioni.

PRESSIONE ARTERIOSA Se è vero che 130-80 può essere considerato il targhet ideale per la popolazione generale e per la popolazione giovane, nel pz anziano, così come per l’Hb glicata anche questo targhet può essere situato intorno ai 140-80. Il problema è che il soggetto anziano può avere una minor tolleranza alla riduzione dei valori pressori maggior rischio di eventi sincopali, maggiori rischi di cadute. Va instaurato con gradualità ed aggiustato nei dosaggi ancora più gradualmente. Chi riceve ACE inibitori: controllo funzionalità renale e potassiemia (rischio aumento). Chi riceve i diureti tiazidici: controllo potassiemia (rischio diminuzione) e sodiemia.

Importate la disidratazione! Già detto prima, il pz anziano può non sentire la necessità di bere e non accorgersi della disidratazione. Importante anche la possibile presenza di depressione e/o decadimento cognitivo, quest’ultimo in correlazione al discorso dell’azione insulinica a livello del sistema nervoso. Ricordatevi lo screening per l’incontinenza e la valutazione per quanto riguarda le problematiche oculari. Anamnesi sulle cadute e il dolore cronico.

STUDIO SUI GLITAZONI

È stato condotto con il Pioglitazone. Tale studio ha messo in risalto che tale farmaco diminuisce la morbilità da complicanze cardiovascolari acute in quanto consente un miglioramento dei parametri endocrino metabolici. Un altro aspetto rilevato è un aumento dei di casi di ospedalizzazione per scompenso cardiaco più elevati per i pazienti trattati con Pioglitazone rispetto al placebo. Quindi gli effetti positivi sull’assetto glicemico e sulla possibilità di non dover ricorrere all’insulina vanno valutati in maniera accurata sui possibili effetti sullo scompenso cardiaco. È presente comunque nella scheda tecnica del farmaco la controindicazione alla somministrazione in pazienti affetti scompenso cardiaco di classe III o superiore. Il loro impiego deve tener conto in particolare della valutazione delle condizioni cliniche del paziente e del peso corporeo. Rapporti tra insulino resistenza e sindromi geriatriche

Il pz anziano dovrebbe essere sottoposto sempre ad una valutazione

Sono delle tabelle definite “un po’ noiose” che il professore legge velocemente. La necessità di fare una valutazione del rischio cardiovascolare comunque nei pazienti diabetici e anziani può orientare verso dei target di trattamento.

Se il paziente anziano è dislipidemico è auspicabile correggere anche il quadro lipidico.

Nel

paziente anziano può essere richiesto anche un controllo della pressione arteriosa però il più delle non ci si deve prefiggere dei target troppo ambiziosi.

volte

Nella valutazione del paziente anziano dovrebbero essere presi in considerazione anche i rapporti fra insulino-resistenza e la fragilità delle condizioni geriatriche; il paziente anziano dovrebbe essere sempre sottoposto ad una valutazione multidimensionale geriatrica che tenga conto anche delle comorbidità.

L’apporto alimentare, lo stato di nutrizionale, l’idratazione, se è vero che devono essere valutati qualsiasi paziente con diabete a maggior ragione questo deve essere vero per il paziente anziano. Molta attenzione deve essere posta al rischio di depressione in questi pazienti. L’anziano dovrebbe essere invitato ad avere una registrazione accurata dei farmaci assunti.

in

Gli effetti di decadimento cognitivo devono essere tenuti in considerazione così come i sintomi di incontinenza. Un’anamnesi inerenti eventuali cadute deve essere sempre effettuata nel paziente anziano diabetico che ci deve far sospettare che il soggetto sia a rischio di episodi ipoglicemici che possano determinare delle cadute e che possano essere corretti con una gestione differente della terapia ipoglicemizzante.

Il diagramma in basso rappresenta una flow chart abbastanza recente delle linee guida europee riferite alla gestione e al trattamento del diabete nell’anziano.

Si rilevano i due target distinti di Hbglicata: - 7 nell’anziano privo di comorbidità - circa di 8 nel soggetto più fragile e a rischio di ipoglicemia. Se con le adeguate norme inerenti un appropriato stile di vita non si riesce a raggiungere il target prefissato si utilizzano inizialmente gli ipoglicemizzanti orali: -nel paziente sovrappeso si inizia con la metformina -nel paziente non in sovrappeso si può optare se partire con le sulfaniluree o con la metformina a seconda delle caratteristiche del paziente (di solito se non si raggiunge il target si aggiunge alla terapia l’altro farmaco dei due non utilizzato) -si possono considerare in caso di insufficiente controllo farmacologico le altre opzioni terapeutiche precedentemente citate: tiazolidindioni e gli inibitori delle DPP4 (questi ultimi a rischio particolarmente basso per ipoglicemie) Quando questi target non vengono raggiunti si parte con la terapia insulinica. Quindi quest’ultima in un paziente anziano la si utilizza: (in parte il discorso vale anche per il pz non anziano) - se non si raggiungono gli obiettivi prefissati dopo aver provato gli ipoglicemizzanti orali

-

Subito se: (pz critico o glicemia particolarmente scompensato) o Glicemia a digiuno > 250 mg/dl o Glicemia postprandiale > 300 mg/dl o HbA1c > 10% (indice di scompenso grave) o Chetonuria (indice di scompenso grave) o Diabete sintomatico (perdita di peso, poliuria) o Patologie acute che richiedano ospedalizzazione o Storia pregressa di cardiopatia ischemica o Patologie epatiche o renali avanzate (controindicazioni agli IGO)

L’INSULINA Vari tipi di insulina sono attualmente disponibili, ed i più rilevanti sono: – Insulina ad azione rapida – Insulina ad azione intermedia – Analoghi ricombinanti dell’insulina ad azione rapida (insulina lispro, insulina aspart); sono quelli che vengono maggiormente utilizzati nella terapia iniziale. – Analoghi dell’insulina ad azione lenta (insulina glargina)

La farmacocinetica dei vari tipi di insulina è differente L’analogo ad azione rapida è quello che mima più fedelmente la cinetica dell’insulina endogena.

Questo tabella rappresenta un elenco abbastanza completo delle insuline disponibili. Essendo un elenco inglese alcuni nomi commerciali non coincidono: - Novolog  l’analogo disponibile in Italia si chiama Novorapid - NovoLogmix 70/30  Novomix 30/70 per ciascuna di queste insuline si vede l’”Onset on action”(tempo di inizio degli effetti dopo la somministrazione) , la durata d’azione, il picco. In generale gli analoghi umani hanno un’insorgenza d’azione molto rapida, quindi sui 10-15 minuti, un picco altrettanto rapido ed una durata d’azione significativamente diversa rispetto alle insuline regolari.

INDICAZIONE AD UTILIZZARE GLI ANALOGHI AD AZIONE RAPIDA nel paziente diabetico in generale e nell’anziano a rischio: - Elevati livelli di glicemia postprandiale - Rischio di ipoglicemie soprattutto nella fase postprandiale tardiva, questo concetto vale anche nel soggetto non anziano; ci sono molti pazienti che utilizzano l’insulina umana regolare e riferiscono degli episodi ipoglicemici prima di cena/pranzo; in questo caso “switchando” da un’insulina regolare ad un analogo delle volte questa ipoglicemia tardiva si può risolvere. Gli SCHEMI DI SOMMINISTRAZIONE possono prevedere: 

Insulina Basale (Lantus) (da fare alla notte) + ipoglicemizzanti orali: rappresenta spesso la terapia iniziale Da 1 a 3 iniezioni di analoghi rapidi ai pasti + / - Ipoglicemizzante orale (questo via via che la glicemia richiede più controllo) Da 1 a 3 iniezioni di analogo bifasico Schema basal-bolus: 1 insulina basale, di solito dopo cena, con i vari boli ai pasti, con o senza supporto di terapia ipoglicemizzante orale (rappresenta lo step finale di formulazione terapeutica)

  

Alcuni schemi di terapia insulinica Pomeriggio

Sera

Rapida

Rapida NPH o Lenta

Col

P

Mattino Pomeriggio Sera

Notte

NPH o Lenta

C

Effetto dell’insulina

Effetto dell’insulina

Mattino

Rapida Rapida

Rapida NPH o Lenta

NPH o Lenta Col

S

P

C

Sera Analogo rapido

NPH o Lenta

Col

P

Notte

NPH o Lenta

C

S Pasti

Mattino Pomeriggio Effetto dell’insulina

Effetto dell’insulina

Analogo Analogo rapido rapido

S

Col

Pasti

Pasti Mattino Pomeriggio

Notte

Sera

Notte

Analogo Analogo Analogo rapido rapido rapido

Analogo lento

Col

P

C

S Pasti

Col = Colazione; P = Pranzo; C = Cena; S = Spuntino h 23

Lo schema in basso a destra è il cosiddetto “Basal Bolus” in cui si vede la somministrazione alla sera di un analogo lento (che potrebbe essere l’insulina gliargina) e di un analogo rapido ai tre pasti. Il vantaggio di uno schema di questo tipo è quello di avvicinarsi alla fisiologia della secrezione insulinica in rapporto ai pasti, ovviamente questo comporta dei problemi logistici di gestione poiché occorre effettuare 4 somministrazioni (punture) nell’arco della giornata.

CRITERI DI SCELTA DEL REGIME DI TERAPIA INSULINICA  Andamento delle glicemie nella giornata: se molto alte in fase post prandiale, si può usare insulina al pasto più critico  Grado di compenso glicometabolico (se HbA1c > 9: meglio lo schema basal-bolus: se siam di fronte ad una situazione molto scompensata è difficile pensare di farvi fronte con un’unica somministrazione di insulina nell’arco della giornata)  Disponiblità e compliance da parte del paziente e dei caregivers (non è infrequente il caso del paziente che non ha un familiare/una persona che lo può assistere)  Rischio d’ipoglicemie (minimo con basale) Le opzioni meno invasive hanno dei vantaggi e degli svantaggi: se ci si limita ad utilizzare in associazione alla terapia con ipoglicemizzanti orali un’insulina lantus alla sera occorre essere coscienti che il rischio di ipoglicemie sarà minime ma allo stesso tempo sarà meno probabile avere un controllo ottimale. Al contrario somministrando un’insulina rapida ai tre pasti e un’insulina basale alla sera può essere più alto il rischio di ipoglicemie, la resa è migliore in termini di risultati ma richiesto un impegno maggiore al paziente e al caregiver. CONFRONTO INSULINA REGOLARE-ANALOGHI

E’ un lavoro inerente alcuni pazienti ricoveranti presso una struttura protetta: l’analogo ricombinante rispetto all’insulina umana si ritiene che abbia - degli effetti più consistenti e prevedibili - dei livelli di Hbglicata migliori o quantomeno equivalenti - un controllo migliore dei livelli di glicemia post prandiali - un ridotto rischio di ipoglicemia L’articolo si dilunga anche sull’utilizzo delle “penne” con cui l’insulina viene somministrata e si sofferma sulla questione che il raggiungimento del target dipende molto dalla capacità di collaborazione da parte del paziente e dei familiari. I dati specifici che fanno riferimento al paziente anziano e in struttura che abbiano confrontato l’insulina umana con l’analogo ricombinante non sono molti, uno di questi è: “Lispro insulin treatment in comparison with regular human insulin in type 2 diabetic patients living in nursing homes” Regular

Lispro

Mean blood glucose (mg/dl) HbA1c (%) Triglycerides (mg/dl) Hypoglycemic episodes/wk Hyperglycemic episodes/wk

166 ± 12 8.5 ± 0.6 261 ± 40 2.1 ± 0.2 12 ± 1

143 ± 9* 7.6 ± 0.5* 218 ± 20* 1.6 ± 0.3* 8 ± 3*

Da questo studio si rileva un apparente migliore effetto per quanto riguarda: - i livelli di glicemia del mattino - l’Hbglicata - soprattutto una ridotta incidenza di episodi ipo e iperglicemici A parità di altre condizioni si può correttamente ritenere che l’utilizzo di analoghi umani possa essere preferito rispetto all’insulina regolare. L’altro vantaggio è che quando si utilizza l’analogo si può somministrare immediatamente prima o a dopo il pasto. L’insulina umana regolare deve essere invece somministrata (il suo effetto inizia circa un’ora dopo la somministrazione) una mezz’oretta prima del pranzo. La possibilità di somministrare il farmaco a fine pasto è un vantaggio poiché la dose può essere adeguata basandosi su quanto e se il paziente abbia mangiato. SINTESI  La terapia insulinica va individualizzata paziente per paziente, tenendo presenti, in particolare, le proprietà di farmacocinetica di ciascun preparato. 

Gli schemi che consentono di ottenere i migliori risultati si basano su iniezioni multiple di insulina (4-6 al giorno) in modo da coprire il fabbisogno postprandiale e garantire un’adeguata insulinizzazione a distanza dai pasti e durante la notte

Occorre ulteriormente sottolineare, attraverso l’analisi dei dati presentati dallo Studio Accord, la necessità di un approccio bilanciato tra aggressività terapeutica, il saper riconoscere gli obiettivi e minimizzare gli effetti collaterali Questo studio ha confrontato due opzioni terapeutiche: -un trattamento aggressivo e intensivo -un trattamento “convenzionale” Sono stati presi in esame un numero spropositato di pazienti (circa 10000 tutti affetti da diabete di tipo 2) e trattati con regimi terapeutici mirati ad ottenere target diversi di Hbglicata.

Metà dei pazienti hanno ricevuto un regime di terapia molto più intensivo che in una percentuale più alta dei casi prevedeva l’insulina e in una percentuale un po’ più alta prevedeva anche l’utilizzo di altri farmaci (secretagoghi o glitazoni). Lo scopo era che i due tipi di trattamento fossero titolati per raggiungere dei target diversi di Hbglicata. Alla fine dello studio i soggetti sottoposti a terapia standard si situavano su livelli di Hbglicata 7,5, quelli con terapia “intensiva” presentavano valori di Hbglicata di 6,5 circa.

I risultati di questo studio: -un dato forse prevedibile (ma non con questa entità e importanza) è che le ipoglicemie erano più incidenti (circa 3 volte di più) tra i pazienti del gruppo trattato con una terapia più intensiva. Questo dato vale sia per le ipoglicemie in generale sia per quelle che richiedevano assistenza medica. -nei soggetti trattati con il regime più aggressivo c’era un aumento della mortalità generale (statisticamente significativo) e con un aumento del rischio di circa il 20 %. ‘-il dato più stupefacente è che anche la mortalità cardiovascolare fosse aumentata tra i pazienti trattati con una terapia più intensiva. Il dato, statisticamente significativo, presentava un rischio aumentato di circa il 35% di avere un evento cardiovascolare fatale. In altre parole gli eventi cardiovascolari che ci si prefigge di prevenire con un controllo adeguato del profilo glicometabolico non sempre sono collegati ad un trattamento terapeutico più intensivo. Quando il miglioramento del profilo glicometabolico provoca un aumento del rischio di ipoglicemie per il paziente questo si può riverberare in un rischio maggiore per gli stessi eventi cardiovascolari. Questi ultimi, nello studio sopracitato, erano probabilmente collegati alla presenza di ipoglicemie particolarmente dannose per il miocardio. Gli autori nel loro abstract concludono che a confronto con la terapia standard l’uso della terapia intensiva per orientare l’Hbglicata verso livelli normali -aumentava la mortalità - non riduceva in maniera significativa gli eventi cardiovascolari maggiori. Questi dati quindi identificano un pericolo non precedentemente riconosciuto legato all’eccessiva riduzione dei livelli glicemici in pazienti diabetici ad alto rischio. Quando si parla di terapia ipoglicemizzante il rischio di ipoglicemia e delle conseguenze ad essa connesse devono essere sempre tenuti in considerazione soprattutto nel paziente anziano perché potenziale portatore di plurimi fattori di rischio (che in possono agire sinergicamente nello scatenare l’ipoglicemia) come ad esempio: -utilizzo di farmaci adrenergici -la neuropatia autonomica -le interazioni farmacologiche

Carta Europea Scorecard per regioni ad alto ed a basso rischio

A differenza della funzione di Framingham, la Scorecard ci fornisce una stima della probabilità che un dato paziente ha di avere un evento cardiovascolare fatale quindi che porta a morte il paziente (questo spiega perché le percentuali in questo studio sono sensibilmente più basse rispetto al precedente dove sono considerati sia gli eventi fatali che quelli non fatali). In questa carta la trasposizione visuale è più immediata rispetto alla carta precedente, c’è una divisione per sesso, età, colesterolo totale, pressione sistolica, fumo. E’ importante notare che il range di età si ferma a 65 anni e questo risulta un grave limite comune anche a molte altre carte di rischio. Oggi la carta di rischio maggiormente utilizzata è la carta del rischio cardiovascolare del “progetto cuore” sviluppata dall’Istituto Superiore di Sanità. In questa carta si ritrovano le componenti già viste in precedenza quali: età, fumo, pressione arteriosa sistolica, valori di colesterolemia totale, diabete.

Tra i fattori di rischio trattabili delle malattie cardiovascolari nell’anziano, oltre al diabete già visto nella lezione precedente, includiamo l’ipertensione arteriosa e l’ipercolesterolemia che sono probabilmente i più rilevanti ed i meglio trattabili. L’IPERTENSIONE Dal 1988 al 2004 c’è stato un aumento significativo nella prevalenza dell’ipertensione arteriosa. L’Ipertensione è tuttora un problema che interessa in modo più rilevante le donne, le persone con più di 70 anni, i neri e i messicani, le persone con DM ed insufficienza renale. L’ipertesione sistolica isolata Parlando di ipertensione nell’anziano si deve considerare l’ipertensione sistolica isolata che rappresenta una variante dell’ipertensione tipica dell’età avanzata. In una review di 3 anni fa pubblicata sul New England si evidenzia come l’andamento dei valori pressori si modifica con l’avanzare dell’età ed in particolare, sia nell’uomo che nella donna, c’è un trend in aumento della pressione sistolica più o meno lineare man mano che si va verso le decadi più avanzate mentre la diastolica sembra quasi raggiungere un suo massimo intorno ai 50-60 anni per poi stabilizzarsi oppure può tendere persino a calare a valori più bassi.

Nel grafico precedente si può anche osservare il differente andamento dei valori pressori nelle diverse etnie, come già prima era stato detto. In questo secondo grafico si evidenzia quanto sia considerevole la prevalenza della pressione sistolica isolata nell’anziano. Mentre la diastolica isolata è quasi esclusivamente riscontrata nella popolazione giovanile, sopra gli 80 anni c’è la quasi assoluta certezza di essere davanti ad una ipertensione sistolica isolata.

Qui di seguito verranno trattati i fattori determinanti l’aumento della pressione differenziale (pulse pressure) e quindi la presenza di ipertensione sistolica isolata: in un articolo pubblicato su “Circulation” nel 2003 (vedi grafico pag seguente) si mette in evidenza come in soggetti di sesso femminile (barre nere) e in soggetti di sesso maschile (barre bianche), considerando una popolazione di soggetti ipertesi e confrontandola con una popolazione di soggetti normotesi, la pressione differenziale centrale risulta significativamente aumentata negli ipertesi sia negli uomini che nelle donne e sembrerebbe avere un impatto ancora più rilevante nel sesso femminile. Nelle donne ipertese come anche negli uomini ipertesi si ha un significativo aumento anche dell’impedenza.

Un altro elemento molto importante per la sua rilevanza fisiopatologia nella genesi dell’ipertensione sistolica isolata (oltre a PP e impedenza) è quello della ridotta compliance aortica verosimilmente legata ad una ridotta distensibilità dell’aorta stessa. Sia nelle donne che negli uomini la compliance aortica prossimale risulta significativamente ridotta nel soggetto iperteso (questo vale anche per la compliance arteriosa periferica anche se con delle differenze di entità in quanto risulta qualitativamente minore). Con l’avanzare dell’età c’è sempre un aumento del diametro aortico, come si vede nella fig di sn. Nella fig di dx si nota come ci sia anche un aumento della rigidità di parete correlato con l’età. Se consideriamo delle popolazioni con pulse pressure (PP) aumentata (linea nera tratteggiata) rispetto a popolazioni che hanno la pressione differenziale più bassa (linea grigia continua), quello che si osserva è che nel primo caso si ottiene una curva molto meno ripida rispetto alla seconda, come a dire che l’aumento progressivo e costante del calibro dell’aorta nella popolazione anziana correlato con l’avanzare dell’età, è meno presente in chi ha una pressione differenziale elevata (il diametro aumenta con l’età e tale aumento risulta più ridotto nei soggetti con alta PP). A sn si vede invece una proporzionalità più diretta tra le due popolazioni per quello che riguarda l’indice di rigidità e spessore della parete aortica che quindi risultano aumentare con l’età e con l’aumento della PP.

In questo secondo grafico le barre bianche sono i soggetti con PP bassa, le barre nere rappresentano quelli con PP alta. Si nota come il diametro della radice aortica tende ad essere più ridotto in chi ha la pressione differenziale più alta al contrario di ciò che accade per l’indice di rigidità vascolare.

Nel disegno qui a lato, in basso è rappresentato il comportamento di un’aorta normale con una buona distensibilità ed una buona compliance, ha una sua onda pulsatoria di propagazione che ritorna e determina un’onda dicrota (così chiamata nel pulsogramma aortico e dei grossi vasi e qui indicata dalla freccia), che si trova all’incirca alla fine della sistole. Nel caso dei pazienti con ipertensione sistolica isolata si ha una velocità di propagazione molto più rapida ed un ritorno dell’onda pulsatoria di ritorno altrettanto rapido arrivando a coincidere con l’apice della sistole. Questo da un lato determina un aumento dell’onda sistolica e quindi della pressione sistolica, dall’altro riduce il ritorno e la pressione diastolica con conseguente aumento della pressione differenziale. Tutto questo spiega il perché del manifestarsi dell’ipertensione sistolica nell’anziano. In questo grafico sono illustrati i diversi profili di soggetti non trattati: circa i ¾ di soggetti risultano normotesi, nell’ambito degli ipertesi circa la metà ha un’ipertensione sistolica isolata, l’altra metà ha un’ipertensione sisto-diastolica e risulta molto più rara l’ipertensione diastolica isolata. Sempre a tale riguardo, nel grafico che segue sono riportati i dati di variazioni morfologiche a livello di rimodellamento ventricolare senza che emergano grandi differenze nell’ipertenzione diastolica rispetto alla sistolica. Il profilo patologico prevalente è quello del rimodellamento concentrico a livello ventricolare che prima ancora di determinare un’ipertrofia ventricolare vera e propria, può essere evidenziato in un riscontro ecocardiografico.

Uno studio italiano ha rilevato un’aumentata morbilità cardiovascolare in relazione alla pressione sistolica (per morbilità cardiovascolare in generale si intendono gli eventi cardiovascolari acuti).

Questo vale per tutti i parametri e modelli di misurazione della pressione sistolica sia che venga considerata la misurazione clinica, a livello di ambulatorio, sia che venga considerata qualche altra modalità di rilevazione della pressione ad esempio la pressione ambulatoria delle 24 ore (anche detto hoter pressorio), perché c’è sempre un rapporto tra l’aumento della pressione sistolica e l’aumento della mobilità cardiovascolare ma si nota che tale aumento è molto più marcato quando l’ipertensione è documentata sulla base di una rilevazione in continuo il che vuol dire che la sola misurazione ambulatoriale della pressione potrebbe anche non essere sempre sufficiente per definire il rischio di eventi cardiovascolari legato all’ipertensione. TRATTAMENTO: Nella tabella sopra riportata si confronta l’impatto del trattamento e del placebo sulla morbilità cardiovascolare in relazione alla pressione sistolica. Nei vari istogrammi si confrontano i pazienti che nei vari studi clinici ricevevano trattamento con placebo rispetto a quelli che ricevevano il trattamento attivo, per ciascuna di queste voci i pazienti sono stati stratificati per categoria di rischio e nella voce CVD si identificano quelli che hanno già avuto un evento cardiovascolare o cerebrovascolare. A destra è riportato un indice frequentemente utilizzato per quantificare l’impatto o l’efficacia di una terapia: NNT (number need to treat: numero di pazienti da trattare per avere la prevenzione di un evento) Quanto più basso è il NNT tanto più il trattamento è efficace. Parlare di trattamento implica il fatto è necessario che il medico dia quella che ritiene essere la terapia giusta e che il paziente la assuma.

C’è un lavoro italiano fatto da cardiologi in collaborazione con medici di medicina generale dove sono stati studiati i valori effettivi di aderenza alla terapia farmacologia per l’ipertensione. I risultati non sono incoraggianti perché in pazienti che hanno una buona adesione alla terapia per almeno l’80% del tempo esaminato, sono solo poco più dell’8% all’inizio e circa il 10% alla fine.

Il fatto stesso di essere anziani rappresenta un elemento di rischio per ricadere nelle fasce di adesione al trattamento più basse. Il paziente anziano più raramente presenta una elevata adesione al trattamento. L’incidenza di eventi CV è minore nei pazienti con elevata adesione alla terapia. Passiamo ad esaminare più nel dattaglio quali sono le evidenze presenti sulla documentata efficacia del trattamento ed anche con quali farmaci questo è stato visto. Effetti del trattamento dell’Ipertensione Sistolica nell’anziano : Lo studio SHEP Questo studio è cominciato negli anni ’80 e, protraendosi per molti anni, ha dimostrato l’effetto protettivo del clortalidone sulla mortalità cardiovascolare. Il CLORTALIDONE è un congenere dei diuretici tiazidici anche se ha una struttura molecolare diversa da quella tiazidica classica, attualmente di scarso utilizzo.

Lo studio INDIANA Si tratta di una metanalisi del ’99 e sembra gettare qualche ombra di dubbio sugli effetti del trattamento dell’ipertenzione sistolica nell’anziano sulla mortalità, concludendo che se c’è un effetto protettivo sugli eventi cardiovascolari c’è anche l’assenza di effetto protettivo sulla mortalità totale.

Lo studio HYVET HY= Hypertension VET= Veterans E’ uno studio sull’ipertensione nei veterani quindi condotto su soggetti ultraottantenni utilizzando indapamide con o senza perindopril (i-ACE) come terapia.

Il grafico mostra l’effetto della terapia con indapamide sul calo della pressione sistolica più che della diastolica, associato ad una riduzione dell’incidenza di tutti gli end-points considerati (end-point combinato di stroke fatale o non fatale, morte cardiovascolare, scompenso cardiaco). Con questo studio si è dimostrato l’effetto protettivo nei confronti di eventi cardiovascolari del trattamento (indapamide con o senza perindopril).

RISCHIO CARDIOVASCOLARE E DEMENZA Un altro aspetto importante che deve essere sottolineato parlando del trattamento dell’ipertensione nell’anziano è il rapporto tra fattori di rischio classici e demenza perché sicuramente un paziente che ha

avuto ripetuti eventi cerebrovascolari potrà sviluppare una demenza di tipo vascolare ma è anche vero che i fattori di rischio vascolari classici quali ipertensione, diabete, dislipidemia, attività fisica,…oltre ad essere fattori di rischio per eventi cerebrovascolari documentati e successivo sviluppo di demenza, possono essere ritenuti fattori di rischio correlati direttamente con la demenza e possono essere anche fattori di rischio per una cerebrovasculopatia definibile sub-clinica che potrebbe essere associata alla presenza della demenza.

Lo studio HYVET è stato utilizzato anche per un’analisi dei possibili effetti protettivi sull’insorgenza di demenza. In questo caso, però, l’evidenza dello studio è stata più border-line: anche se si poteva riscontrare una tendenza ad una minore incidenza di demenza nei soggetti trattati ma la differenza non era statisticamente significativa. Nello stesso studio è stata fatta anche una metanalisi prendendo in esame anche altri studi che avevano utilizzato numeri consistenti di pazienti e mettendo insieme i vari risultati è emersa una significatività anche se non eclatante con una riduzione di circa il 13% di insorgenza dei nuovi episodi di demenza in pazienti trattati con terapia anti-ipertensiva. Esiste un trattamento ottimale dell’Ipertensione Sistolica nell’anziano? Alcuni studi affermano l’esistenza di tale trattamento mentre altri hanno dato dei risultati più controversi. Per esempio lo STUDIO ACCOMPLISH ha confrontato il trattamento con i-ACE (Benazepril) in associazione o con l’amlodipina o con un diuretico tiazidico (idroclorotiazide). Quello che si è visto è che a parità di riduzione dei livelli pressori sembra esserci un effetto protettivo derivante dall’aggiunta di AMLODIPINA rispetto all’ idrocloritiazide. Lo STUDIO LIFE è stato condotto per valutare gli effetti protettivi del LOSARTAN rispetto all’atenololo dimostrando che il sartano può avere effetti protettivi in più rispetto al beta-bloccante. Una recente review ha preso in esame tutte le varie evidenze senza però arrivare a conclusioni definitive ma comunque può essere ritenuta un punto di partenza nella scelta della terapia. Si è visto che per gli studi fatti verso placebo quindi verso farmaco inattivo, le evidenze risultano abbastanza chiare almeno per quel che riguarda i farmaci i-ACE, perché si è visto che sia nei soggetti più giovani che in quelli più anziani l’utilizzo dell’ i-ACE ha un effetto protettivo in termini di eventi cardiovascolari. Per quanto riguarda il Calcio-antagonista nei confronti del placebo si è visto che può essere utilizzato con beneficio nel paziente over-65. Non sono emersi dati particolarmente significativi confrontando schemi di terapia più o meno intensivi. Alla fine si può dire che non ci sono grossissime differenze tra le varie categorie di farmaci e questo vale sia nei pazienti con meno di 65 anni che per quelli con più di 65 anni. In linea di massima si può riscontrare una correlazione tra la riduzione della pressione sistolica e la riduzione del rischio relativo per eventi cardiovascolari. Si erano visti prima gli studi che sembravano suggerire gli aspetti protettivi dell’una o dell’altra categoria ma quando questi studi sono stati messi insieme nelle metanalisi le differenze si sono attenuate. Inoltre sempre da questa metanalisi la riduzione della pressione arteriosa risulta avere un impatto minore sugli eventi cardiovascolari rispetto a quanto dimostrato in precedenza, pur restando sempre significativa.

Per riassumere i risultati di questo lavoro (del 2008-2009): Trattamento dell’ipertensione

Beneficio del trattamento antiipertensivo in tutte le classi di età: le evidenze disponibili danno un sostegno estremamente rilevante all’utilizzo dei farmaci antipertensivi in tutte le classi di età, quindi la persona anziana trae lo stesso beneficio, se non un beneficio maggiore, rispetto ad una persona più giovane con questo tipo di trattamento. Dubbie evidenze sugli effetti specifici di alcune classi di farmaci in prevenzione cardiovascolare. Criteri di scelta: • Tollerabilità •

Costo Sicuramente i bloccanti dei recettori per l’angiotensina (ovvero i sartani), appena usciti in commercio, avranno sicuramente un costo superiore rispetto ad un diuretico, ad un β-bloccante, ad un ACE-inibitore: recentemente è scaduto il brevetto del Ramipril, quindi ha un costo irrisorio e, a parità di altre considerazioni, anche valutare il costo può essere l’atteggiamento corretto.

Quindi teniamo conto del costo, della tollerabilità e dobbiamo inoltre considerare le caratteristiche del singolo paziente in termini di patologie associate. Ipertensione Sistolica Isolata: trattamento Queste sono le linee guida di quello stesso lavoro del New England, visto precedentemente, sul trattamento dell’ipertensione sistolica isolata. Questa flow-chart (vedi pag. successiva) elenca i vari passaggi da seguire: l’anamnesi, l’esame obiettivo, gli esami di laboratorio. Il trattamento per lo stadio I dell’ipertensione inizialmente può prevedere anche la sola modifica dello stile di vita, poi nel paziente che non raggiunge un target può rendersi necessario formulare uno schema di terapia farmacologica. Sono 5 le categorie di farmaci che vengono proposte e di queste non esiste una sequenza preferenziale: tiazidici, ACE-inibitori, bloccanti dell’angiotensina, β-bloccanti e calcio-antagonisti. In realtà per il paziente di stadio I la terapia con il tiazidico può essere la più indicata, anche per il discorso del costo, come accennato precedentemente. Nel paziente di stadio II, il più delle volte, può essere indicato un trattamento di combinazione fin dall’inizio: per esempio l’ACE-inibitore con il diuretico tiazidico o il bloccante dell’angiotensina con il diuretico tiazidico, in modo che la tendenza a dare ipopotassiemia del tiazidico possa essere compensata dagli effetti dell’ACE-inibitore o del bloccante dell’angiotensina. In generale tutte le categorie di farmaci posseggono un buon grado di adattabilità al trattamento con altri farmaci. Quando ci sono invece delle indicazioni specifiche, che possono essere variabili da paziente a paziente, queste ovviamente possono orientare verso categorie specifiche di farmaci: per esempio nel paziente che ha uno scompenso cardiaco un farmaco ACE-inibitore potrà rappresentare un farmaco di prima scelta, magari associato al diuretico, che è quello che dà il sollievo più immediato dal punto di vista della sintomatologia clinica; nel paziente post-infartuato il β-bloccante potrà avere un ruolo importante, mentre nel paziente con malattia renale cronica sicuramente gli ACE-inibitori e i bloccanti dell’angiotensina possono avere un effetto importante nel ritardare l’evoluzione della nefropatia, ecc. Sarà sicuramente la valutazione del singolo paziente e sarà di volta in volta la comorbilità del paziente che potrà orientare verso l’uno o l’altro tipo di trattamento. Con questa slide concludiamo questa chiacchierata sull’ipertensione, per ricordare che in alcune situazioni patologiche sono necessarie maggiori cautele. Vanno ricordati gli effetti negativi di alcuni ACE-i e dei bloccanti i recettori dell’angiotensina sulla funzione renale; anche se abbiamo appena visto che in alcune categorie di pazienti nefropatici questi rappresentano addirittura farmaci di prima scelta, in quanto prevengono il danno renale, nel paziente che ha una funzione renale compromessa, soprattutto se ha avuto una recente compromissione di tale funzione, vanno utilizzati con grande cautela. Sono farmaci

che hanno come meccanismo d’azione quello di ridurre la pressione di filtrazione glomerulare, quindi da un lato proteggono dalla proteinuria e da altri danni che ci possono essere per esempio nella nefropatia diabetica, dall’altro lato, in particolari fasi di criticità per la funzione renale, vanno usati con una certa cautela. Così come una certa cautela va usata per gli effetti inotropi negativi del β-bloccante: sono farmaci che attualmente vengono usati anche nello scompenso cardiaco, perché il controllo dell’iperattivazione adrenergica è importante in questi pazienti, però in presenza di una funzione inotropa marcatamente compromessa anche il β-bloccante va usato con estrema cautela e anche quando si utilizzano a scopo antipertensivo bisogna prestare molta attenzione. Qualsiasi classe di diuretici, ad eccezione dei risparmiatori di potassio, può portare ad ipopotassiemia, quindi occorre monitorizzare il paziente ed evitare tale condizione. Un discorso a parte riguarda i farmaci α-bloccanti, che non sono presenti nella lista di farmaci con cui iniziare una terapia antipertensiva: per esempio la clonidina (Catapresan), che non rientra in questa lista, può avere un suo ruolo, magari come farmaco di seconda battuta. Infatti i farmaci αbloccanti periferici difficilmente sono considerati farmaci di primo impatto, però potrebbero essere utilizzati in associazione. Va posta un’attenzione particolare all’utilizzo degli α-bloccanti nell’anziano, perché sono farmaci ad alto rischio per ipotensione ortostatica: l’anziano ha un’estrema labilità vasomotoria, i meccanismi compensatori sono molto più deboli, quindi l’utilizzo degli α-bloccanti va valutato con una certa cautela. Ricordiamoci anche che molti pazienti anziani maschi fanno uso dell’α-bloccante per l’ipertrofia prostatica, altro elemento di interazione che va considerato. Quindi, a maggior ragione, nell’anziano occorre usare maggiore cautela nel dosaggio e nell’associazione di farmaci: spesso è meglio partire con due farmaci a dosaggio molto basso, piuttosto che con uno solo a dosaggio elevato (per il raggiungimento del dosaggio massimo bisogna procedere con estrema gradualità), per ridurre gli effetti collaterali.