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Italian Pages 218 [221] Year 2008
Jonah Lehrer
Proust era un neuroscienziato Traduzione di Susanna Bourlot
Il WWF • ONLUS Biblioteca Pier Lorenzo Florio
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EDIZIONI
Jonah Lehrer Proust era un neuroscienziato Progetto grafico: studiofluo srl Impaginazione: adfarmandchicas . · Reqazi?n,e:Alessia, Dimitri .·, C.oordi~aipento prod11ttivo: Enrico .Casadei Jonah Lehrer Proust Was a Neuroscièntist Copyright© Jonah Lehrer 2007 Ali rights reserved © 2008 Codice edizioni, Torino ISBN 978-88-7578-096-8
Tutti i diritti sono riservati
Per Sarah e Ariella
Indice
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Preludio Capitolo 1
Walt Whitman. La sostanza del sentimento Capitolo 2 23
George Eliot. La biologia della libertà
47
Auguste Escoffier. L'essenza del gusto
67
Marcel Proust. Il metodo della memoria
85
Paul Cézanne. Il processo della visione
105
Igor Stravinskij. La fonte della musica
125
Gertrude Stein. La struttura del linguaggio
145
Virginia Woolf. L'io emergente
163
Coda Ringraziamenti Note Bibliografia Indice analitico
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
171
173 189 201
La realtà è un prodotto dell'immaginazione più augusta.WALLACE STEVENS
Questa sistematica negazione, da parte della scienza, della personalità quale condizione di eventi, quest'idea rigorosa che nella sua natura più profonda e fondamentale il nostro sia un mondo rigidamente impersonale, potrebbe alla lunga dimostrarsi proprio il difetto che i nostri discendenti più si stupiranno di trovare nella nostra tanto vantata scienza, un'omissione per cui la giudicheranno manchevole e miope. WILLIAM JAMES
Preludio
Tempo fa lavoravo in un laboratorio di neuroscienze. Tentavamo di capire come la mente ricordi, come un insieme di cellule riesca a incapsulare il nostro passato. Ero solo un tecnico e passavo la maggior parte del tempo a mettere in atto gli strani verbi della pratica scientifica: amplificare, vorticare, pipettare, sequenziare, digerire e così via. Si trattava di un semplice lavoro manuale, ma aveva un che di profondo: i grandi misteri venivano distillati in domande più piccole e, se i miei esperimenti non fallivano, finivo per ottenere una risposta. La verità sembrava accumularsi lentamente come la polvere. In quello stesso periodo cominciai a leggere Proust. Spesso portavo in laboratorio Dalla parte di Swann, per leggiucchiare qualche pagina in attesa che finisse un esperimento. Da Proust mi aspettavo solo un po' d'intrattenimento, al massimo di essere addestrato nell'arte di costruire frasi. Per me la sua storia sulla memoria di un singolo uomo era solo questo, appunto: una storia. Un'opera di fantasia, l'opposto di un fatto scientifico. Quando superai, però, lo stridente contrasto tra le due forme - la mia scienza parlava per acronimi, mentre Proust preferiva una prosa sinuosa - cominciai a intravedere una convergenza sbalorditiva. Il romanziere aveva previsto i miei esperimenti. Proust e le neuroscienze condividevano la stessa visione sul funzionamento della memoria.A un ascolto più attento, dicevano la stessa cosa. Questo libro narra di alcuni artisti che anticiparono le scoperte dei neuroscienziati: scrittori, pittori e compositori che scoprirono verità sulla mente umana - verità reali, tangibili - che la scienza solo oggi sta riscoprendo. La loro immaginazione ha predetto fatti del futuro. Naturalmente non ci aspettiamo che la conoscenza progredisca in questo modo: gli artisti imbastiscono per noi belle storie, mentre gli scienziati descrivono l'universo in modo oggettivo. Nell'impenetrabile prosa della letteratura scientifica immaginiamo un riflesso perfetto della realtà e un giorno, pensiamo, la scienza spiegherà tutto.
XII
Proust era un neuroscienziato
Qui vorrei raccontare una storia diversa. Tutti questi artisti assistettero alla nascita della scienza moderna - Whitman e la Eliot lessero Darwin, Proust e la Woolf ammiravano Einstein-, ma non smisero mai di credere nella necessità dell'arte. Mentre gli scienziati cominciavano a scomporre i pensieri nei loro elementi anatomici, questi artisti volevano capire la coscienza dal di dentro. La nostra verità, dissero, deve partire da noi stessi, da quel che la realtà ci sembra. Ciascuno di loro aveva un suo metodo: Marcel Proust passava le giornate a letto, rimuginando sul passato; Paul Cézanne poteva contemplare una mela per ore; Auguste Escoffier stava cercando solo di compiacere i suoi clienti; Igor Stravinskij stava cercando di non compiacere i suoi clienti; a Gertrude Stein piaceva giocare con le parole. Ma al di là delle tecniche diverse, condividevano tutti lo stesso interesse per l'esperienza umana. Le loro opere erano delle esplorazioni, dei modi per affrontare i misteri che non riuscivano a capire. Questi artisti vissero in un'epoca segnata dall'ansia: verso la metà del XIX secolo, la tecnologia spodestò il romanticismo e l'essenza della natura umana fu messa in discussione. In seguito alle angoscianti scoperte scientifiche, l'anima immortale morì: l'uomo era una scimmia, non un angelo caduto. Nell'affannosa ricerca di inediti generi espressivi, gli artisti trovarono allora un nuovo procedimento: si guardarono allo specchio (come dichiarò Ralph Waldo Emerson: «La mente si è accorta di se stessa»). Questo viaggio interiore creò un'arte squisitamente autocosciente: il suo oggetto era la nostra psicologia. La nascita dell'arte moderna scatenò il caos. Il pubblico non era abituato ai versi liberi né ai dipinti astratti o ai romanzi senza trama. Si dava per scontato che l'arte fosse gradevole o divertente, preferibilmente tutt'e due le cose. Il suo compito era raccontarci storie sul mondo, descriverci la vita come dovrebbe essere o come potrebbe essere. La realtà era dura e l'arte costituiva la nostra via di fuga. Invece i modernisti si rifiutarono di darci quel che volevamo: in un impeto di arroganza e ambizione fenomenali, tentarono di creare opere di fantasia che raccontassero la verità. Perché, sebbene la loro arte fosse difficile, aspiravano alla trasparenza: volevano che nelle forme e nelle fratture delle loro opere vedessimo noi stessi. Gli otto artisti di cui si parla in questo libro non furono certo gli unici a cercare di capire la mente, ma li ho scelti perché la loro arte si è dimostrata la più precisa, anticipando in modo particolarmente esplicito la nostra scienza. Tuttavia la loro originalità fu influenzata da un ampio spettro di pensatori:Whitrnan fu ispirato da Emerson, Proust
Preludio
XIJI
assorbì le idee di Bergson, Cézanne studiò Pissarro e la Woolf fu incoraggiata da Joyce. Ho cercato di tratteggiare l'atmosfera intellettuale che circondava il loro processo creativo e di mettere in luce le persone e le idee da cui emerse la loro arte. . Una delle maggiori influenze su tutti questi artisti - l'unica che li accomuna - è la scienza del loro tempo. Molto prima che Charles Snow lamentasse la triste separazione tra le due culture, quella umanistica e quella scientifica, Whitman studiava manuali di anatomia cerebrale e assisteva a interventi chirurgici raccapriccianti, George Eliot leggeva Darwin e Maxwell, la Stein conduceva esperimenti psicologici nel laboratorio di Williams James e la Woolf si documentava sulla biologia della malattia mentale. È impossibile capire la loro opera senza tener conto di queste relazioni. Doveva essere emozionante studiare scienza in quegli anni. All'i.,. nizio del xx secolo, il vecchio sogno dell'Illuminismo sembrava ormai a portata di mano: in qualunque direzione gli scienziati guardassero, il mistero batteva in ritirata. La vita non era altro che chimica, e la chimica non era altro che fisica. L'intero universo era solo una massa di molecole oscillanti. Questo nuovo sapere rappresentò soprattutto il trionfo di un metodo: gli scienziati avevano scoperto il riduzionismo e lo stavano applicando con successo alla realtà. Per usare la metafora del Timeo di Platone 1 , il riduzionista mira a «suddividere Va natura] secondo i punti delle articolazioni», come un buon macellaio. L'insieme può essere capito solo scomponendolo nelle sue parti, dissezionando la realtà fino a che non si dissolve. Ecco cosa siamo: parti, atomi, acronimi. Gli artisti, però, non si limitarono a mettere i fatti scientifici in bella forma. Sarebbe stato troppo facile. Esplorando le proprie esperienze, dissero quel che. nessun esperimento poteva dire. Da allora, nuove teorie scientifiche sono sorte e tramontate, mentre la loro arte dura nel tempo, sapiente e attuale come non mai. Oggi sappiamo che Proust aveva ragione sulla memoria, che Cézanne aveva centrato il bersaglio in pieno a proposito della corteccia visiva, che la Stein anticipava Chomsky e che la Woolf penetrava il mistero della coscienza. Le moderne neuroscienze hanno confermato queste intuizioni. In ciascuno dei capitoli che seguono, ho tentato di trasmettere il senso del processo scientifico, del modo in cui gli scienziati traducono i loro dati in nuove ipotesi rigorose. Ogni brillante esperimento, come ogni grande opera d'arte, nasce da un'idea.
XIV
Proust era un neuroscienziato
Purtroppo la nostra cultura contemporanea aderisce a una definizione molto angusta di verità: se qualcosa non può essere misurata o calcolata, allora non può dirsi vera. Siccome questo rigido approccio scientifico ha spiegato tante cose, pensiamo che possa spiegare tutto. Ma ogni metodo, persino quello sperimentale, ha dei limiti. Prendiamo la mente umana: gli scienziati descrivono il nostro cervello in base ai suoi componenti fisici; in questa prospettiva, non siamo che un telaio di cellule elettriche e spazi sinaptici. Quel che la scienza dimentica è che non è così che noi facciamo esperienza del mondo (noi ci sentiamo come lo spettro, non come la macchina). È paradossale ma vero: l'unica realtà che la scienza non può ridurre è l'unica realtà che mai conosceremo.Ecco perché abbiamo bisogno dell'arte. Esprimendo la nostra esperienza reale, l'artista ci ricorda che la scienza è incompleta, che nessun tipo di mappa spiegherà mai l'immaterialità della nostra coscienza. La morale di questo libro è che noi siamo fatti di arte e di scienza. Siamo fatti della stessa materia dei sogni, ma siamo pur sempre materia. Sappiamo abbastanza del cervello per capire che il suo mistero rimarrà sempre tale. Come un'opera d'arte, trascendiamo il materiale con cui siamo realizzati.Alla scienza occorre l'arte per dar forma al mistero, ma l'arte ha bisogno della scienza perché non tutto sia un mistero. Neppure la verità da sola è una soluzione, perché la nostra realtà è plurale. Spero che la storia di queste scoperte artistiche dimostri che qualsiasi descrizione del cervello esige le due culture: la scienza e l'arte. I metodi riduzionisti della scienza devono allearsi con l'investigazione artistica dell'esperienza. Nei capitoli seguenti cercherò di reimmaginare questo dialogo: la scienza vista attraverso la lente del1' arte e l'arte interpretata alla luce della scienza. L'esperimento e la poesia si completano a vicenda. La mente è il risultato finale.
Proust era un neuroscienziato
Capitolo
1
Walt Whitman La sostanza del sentimento
Il poeta scrive la storia del suo corpo.
HENRY DAVID THOUREAU
Per Walt Whitman, la guerra civile americana aveva a che fare con il corpo. Il crimine della Confederazione, pensava, era di trattare i neri come pezzi di carne da vendere e comprare. L'illuminazione, che ebbe durante un'asta di schiavi a New Orleans, fu che il corpo e la mente sono inseparabili. Frustate il corpo di un uomo e ne frusterete anche l'anima. È l'idea centrale della poetica di Whitman: noi non abbiamo un corpo, noi siamo un corpo. Sebbene i nostri sentimenti siano immateriali, cominciano nella carne. Whitman inizia il suo unico libro di poesie, Foglie d'erba, impregnando la pelle di spirito, «l'odore di queste ascelle è aroma più delicato delle preghiere» 1 : Chiedeva forse qualcuno di vedere l'anima? Guarda la tua forma, il tuo aspetto [... ] include e afferma l'anima. 2
La fusione di corpo e mente operata da Whitman era un'idea rivoluzionaria, tanto radicale quanto il suo verso libero. A quel tempo gli scienziati pensavano che le nostre sensazioni provenissero dal cervello e che il corpo fosse solo una massa di materia inerte. Whitman invece era convinto che la nostra mente dipendesse dalla carne, ed era profondamente determinato a scrivere poesie sulla nostra «forma completa». È questo che rende i suoi versi così incalzanti: il tentativo di spremere la «bellezza dal sudore», l'anima metafisica da pelle e grasso. Invece di segmentare il mondo in dualismi, come i filosofi avevano fatto per secoli, Whitman vedeva qualsiasi cosa come continua a qualsiasi altra. Per lui il corpo e 1' anima, il sacro e il profano erano solo nomi diversi della stessa cosa. Come disse Ralph Waldo Emerson, il
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Proust era un neuroscienziato
trascendentalista di Boston: «Whitman è uno straordinario miscuglio di Bhagavadgita e di "New York Herald"». Whitman elaborò la sua teoria dei sentimenti corporei indagando se stesso. Per lui Foglie d'erba non era che «un tentativo, dalla prima all'ultima riga, di trascrivere in assoluta libertà, pienamente, sinceramente, un Individuo, un e~sere umano (me stesso, nella seconda metà del secolo decimonono, in America)»3. E così il poeta si trasformò in empirista, in cantore della propria stessa esperienza. Come scrisse nella prefazione a Foglie d'erba: «Voi mi starete al fianco e osserverete lo specchio insieme a me»4. Questo metodo portò Whitman a considerare anima e corpo come indissolubilmente «intrecciati». Fu il primo poeta a scrivere versi in cui la carne non fosse un'estranea. Piuttosto, in quella forma senza metrica, il paesaggio del suo corpo divenne l'ispirazione per la sua poesia. Ogni verso recava dolorosamente in sé le sollecitazioni dell'anatomia di Whitman, i suoi desideri e le sue simpatie inarticolate. Non vergognandosi di nulla, non ometteva niente. «La vostra carne stessa», promise ai suoi lettori, «diverrà un grande poema»s. Le neuroscienze oggi sanno che la poesia di Whitman diceva il vero: le emozioni sono generate dal corpo. Per quanto effimeri possano sembrare, i nostri sentimenti sono radicati nei movimenti dei nostri muscoli e nelle palpitazioni delle nostre viscere. Di più, questi sentimenti materiali sono un elemento essenziale nell'elaborazione del pensiero. Come nota il neuroscienziato Antonio Damasio: «La mente è incorporata, nel senso più pieno del termine, non soltanto intrisa nel cervello»6. All'epoca, però, l'idea di Whitman fu considerata erotica e troppo audace. La sua poesia fu denunciata perché «espressione pornografica», e preoccupati cittadini ne chiesero a gran voce la censura. Whitman si gustò la controversia: niente gli dava più piacere che abbattere il perbenismo vittoriano e sovvertire le certezze scientifiche. La storia della separazione del cervello dal corpo nasce con Cartesio. Il più influente filosofo del XVII secolo divise l'essere in due sostanze distinte: un'anima sacra e una carcassa mortale. L'anima è la fonte della ragione, della scienza e di tutto ciò che è bello. La nostra carne, invece, è «come un orologio», una semplice macchina che sanguina. Con questo scisma Cartesio condannò il corpo a una vita di sudditanza, come una centrale elettrica che alimenta le lampadine del cervello. Ai tempi di Whitman, l'impulso cartesiano a venerare il cervello e ignorare il corpo diede origine alla nuova "scienza" della frenologia,
Walt Whitman
inaugurata da Franz Josef Gall all'inizio del XIX secolo. I suoi rappresentanti erano convinti che la forma del cranio, con quegli strani bozzi e avvallamenti, riflettesse accuratamente la mente racchiusa al suo interno. Misurando le sporgenze ossee, questi pseudoscienziati speravano di misurare la personalità di un soggetto, determinando quali aree del cervello si fossero gonfiate per l'uso e quali si fossero invece rattrappite per il disuso. La scatola cranica rivelava· così il nostro interno; il resto del corpo era irrilevante. Alla metà del XIX secolo sembrò che la promessa della frenologia stesse per realizzarsi.A difesa delle sue teorie furono scritti innumerevoli trattati di medicina, ricchi di illustrazioni tecniche; venne misurato un numero infinito di crani; si scoprirono ventisette nuove attitudini mentali. La prima teoria scientifica sulla mente sembrava dover essere anche l'ultima. Ma la misurazione è sempre imperfetta, e le spiegazioni facili da inventare. Le prove a supporto della frenologia, sebbene raccolte con serietà e onestà, erano una collezione di osservazioni accidentali (il cervello è un organo talmente complicato che le sue scissure possono giustificare pressoché qualsiasi ipotesi fantasiosa, almeno fino a che non ne arriva una migliore). Per esempio, Gall situa il tratto dell'immaginazione nel «solco temporale delle ossa frontali», perché i busti di Omero presentavano sempre in quel punto un bozzo e perché i poeti quando scrivono tendono a toccarsi quella parte della testa. Questi erano i dati. Naturalmente, alla nostra sensibilità moderna la frenologia sembra incresciosamente non scientifica, una sorta di astrologia del cervello. Ci è difficile coglierne il fascino o capire come abbia potuto imperare per la maggior parte dell'Ottocento7.Whitman amava citare al riguardo Oliver Wendell Holmes: «Stabilire quantQ cervello abbia un uomo tastandogli i bozzi sulla testa è come voler dire quanto denaro ci sia in una cassaforte palpando il pomolo sullo sportello»B. Ma il sapere emerge dal cumulo dei nostri errori e, proprio come lalchimia portò alla chimica, il fallimento della frenologia indusse la scienza a studiare il cervello in sé e non il suo contenitore calcificato. Whitman, da attento studioso della scienza del suo tempo9, ebbe un rapporto complicato con la frenologia. Definì la prima conferenza cui assistette «la più grande conglomerazione di pretese e assurdità che ci sia mai toccato sentire.[ ... ] Non intendiamo dire che nella frenologia non vi sia alcunché di vero, bensì che le sue pretese di certezza, come avanzate da Mr. Fowler, sono quanto mai insensate»rn. Poco più di dieci anni dopo, comunque, quello stesso Mr. Fowler,
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Proust era un neuroscienziato
della casa editrice Fowler and Wells di Manhattan, diventò il distri, butore unico della prima edizione di Foglie d'erba; Whitman non era riuscito a trovare nessun altro che glielo pubblicasse. E se il poeta sembrò stemperare la propria posizione circa la stupidità della frenologia - si sottopose addirittura ad alcuni esami frenologici II-, nondimeno la sua poesia negava caparbiamente la premessa fondamentale di quella disciplina. Come Cartesio, la frenologia cercava l'anima solo ~ella testa, ansiosa di ridurre la mente alle sue cause craniali. Whitman capì che simili riduzioni poggiavano su un errore madornale: ignorando le sottigliezze del corpo, questi scienziati non potevano render conto delle sottigliezze dell'anima. Proprio come Foglie d'erba, che poteva essere capito solamente nella «sua totalità - nella sua accumulazione», Whitman pensava che l'esistenza non potesse essere «compresa in nessun caso nelle sue parti, ma sempre nella sua unità»r2. Questo è il succo della poetica di Whitman: l'essere umano è un tutto irriducibile; corpo e anima sono amalgamati l'uno nell'altra. «Esistere in qualsiasi forma, che vuol dire?», si chiese, «La mia non è una conchiglia calcarea»rJ.
Emerson La fede di Whitman nel corpo trascendentale fu influenzata dal trascendentalismo di Ralph Waldo Emerson. Quando Whitman era ancora un ignoto giornalista che viveva a Brooklyn, Emerson iniziava a scrivere le sue conferenze sulla natura. L'ex pastore unitariano era più interessato al mistero della propria mente che a predicare di un Dio remoto. La religione organizzata non gli andava a genio, perché relegava lo spirito in un luogo celeste, invece di cercarlo tra le cose «comuni, terrene e familiari». Senza il misticismo di Emerson, è difficile immaginare la poesia di Whitman. «Stavo sobbollendo, non riuscivo che a sobbollire», disse Whitman, «quando Emerson mi portò all'ebollizione»r4. Dal filosofo di Boston, il poeta imparò a fidarsi della propria esperienza, a cercare in se stesso i segni del divino. Ma se la magnificenza di Emerson era data anche dalla sua vaghezza, dalla sua difesa della Natura, quella di Whitman stava nella sua immediatezza: tutte le sue poesie cominciano dall'uomo, il cui corpo è un'incarnazione della natura. Nonostante le affinità intellettuali, Whitman e Emerson non avrebbero potuto essere più diversi. Emerson aveva il phisique du role
Walt Whitman
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del pastore puritano, con zigomi pronunciati e un lungo naso adunco. Solitario per carattere, era spesso assorto nei propri pensieri. «lo amo la chiesa silenziosa, prima che il servizio cominci, più di ogni predica» 1 5, confessò ne La fiducia in se stessi. Nel suo diario scrisse che gli piaceva l'essere umano ma non gli uomini. Quando desiderava riflettere, faceva lunghe passeggiate solitarie nel bosco. Whitman - «spalle larghe, pellaccia ruvida, sopracciglia degne di Bacco, barba da satiro, e maleodorante» 1 6 - doveva la sua religione a Brooklyn, alle sue strade polverose e ai suoi carrettieri, al suo mare e ai suoi marinai, alle sue madri e ai suoi uomini. Era affascinato dalle persone, dai cittadini della sua sensuale democrazia. Come evidenzia il suo esame frenologico, inspiegabilmente azzeccato 1 7: «I tratti dominanti del carattere sembrano essere Amicizia, Simpatia, Sublimità e Autostima, e tra le sue combinazioni spicca la pericolosa pecca dell'Indolenza, una propensione ai piaceri della Voluttà e della Gola, e una certa, incauta tendenza ad assecondare desideri animali, troppo incurante, probabilmente, del giudizio altrui» 1 s. Whitman ascoltò Ralph Waldo Emerson per la prima volta nel 1842. Il filosofo era all'inizio di un ciclo di conferenze per promuovere il suo nuovo libro, Saggi. Nel suo articolo sul giornale newyorkese "Aurora", Whitman definì quel discorso «una delle più ricche e belle composizioni» 1 9 che avesse mai udito. Restò folgorato soprattutto dall'appello di Emerson per un nuovo poeta americano, un cantore che fosse adatto alla democrazia: «In mezzo a uomini parziali, esso rappresenta l'uomo completo»20 , disse Emerson. «Il poeta riattacca le cose al tutto» 21 • Ma Whitman non era pronto a diventare poeta. Per i dieci anni seguenti continuò a «sobbollire», a osservare New York con gli occhi del giornalista, del direttore del "Brooklyn Eagle" e del ''Freeman". Scrisse articoli su criminali e abolizionisti, su star della lirica e sul nuovo traghetto di Fulton. Quando il "Freeman" chiuse i battenti, andò a New Orleans, dove vide un'asta di schiavi, «i loro corpi ricoperti di metalliche catene». Risalì il Mississippi su un battello a ruote e assaporò la vastità dell'Ovest, il fatto che «gli Stati Uniti sono in se stessi essenzialmente un immenso poema» 22 • Fu durante questi anni travagliati, quando era un reporter disoccupato, che Whitman cominciò a scrivere frammenti di poesia, scribacchiando quartine e rime su taccuini da due soldi. Senza un pubblico, era libero di sperimentare. Mentre tutti gli altri poeti contavano ancora le sillabe, Whitman scriveva versi che erano caotici
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Proust era un neuroscienziato ,
montaggi di participi presenti, parti anatomiche e metafore erotiche. Abbandonò la metrica rigorosa perché voleva che la forma riflettesse la natura, che esprimesse pensieri «tanto vivi da avere un'architettura tutta loro». Come aveva insistito Emerson anni prima: «Non dubitare, o poeta, persisti. Di': "È in me ed uscirà fuori"» 2 3. E così, mentre il suo paese si stava lentamente spezzando in due, Whitman inventò una poesia nuova, una forma d'inesplicabile stranezza. Questo consapevole «creatore di linguaggio» non aveva precursori: nessun altro poeta nella storia della lingua inglese aveva preparato i lettori a quelle eccentriche cadenze («sheath'd hooded sharp-tooh'd touch» «inguainato, incappucciato toccarsi dai denti aguzzi!») 2 4, ai suoi verbi inventati (