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QUANDO VIAGGIARE ERA UN’ARTE CAPITOLO 1
Sotto il regno della regina Elisabetta si registrano le prime escursioni del continente, soprattutto in Italia, fatte da giovani aristocratici con il desiderio di conoscere altri paesi e altre culture. Questi giovani concludevano il loro percorso di studi universitari (soprattutto i corsi giuridici) attraverso il viaggio, si discostavano quindi da tutti coloro i quali sceglievano di recarsi all’estero per motivi di studio. Interessati ad acquisire i rudimenti dell’arte diplomatica, delle lingue e delle culture straniere, concludono il loro viaggio nelle maggiori città italiane, che rappresentano la matrice della cultura umanistica che si diffuse in tutta Europa e non solo. Le parole di Montaigne e di Evelyn contribuirono a fondare la tradizione del tour europeo ed italiano e a diffonderla presso le famiglie aristocratiche e borghesi e presso gli uomini di cultura del loro paese. Moryson scrisse la prima grande guida per chi voleva intraprendere il tour continentale per motivazioni di studio e di diletto; il suo Itinerary interrompe la lunga serie delle guide per pellegrini diretti nei grandi santuari europei o in Terra Santa. Alla fine del XVII secolo nasce il Grand Tour in risposta alla nuova forma di viaggio che inizia a diffondersi soprattutto dopo il declino delle università italiane (che nei secoli XV e XVI erano molto frequentate da studenti inglesi, tedeschi, francesi e di altre nazionalità) e la ristrutturazione degli atenei europei sulla base dell’influenza culturale dell’empirismo baconiano o del razionalismo cartesiano. Il viaggio perde quindi la concezione di pellegrinaggio e inizia ad essere una nuova esperienza da perseguire, capace di rendere i figli di borghesi e aristocratici dei mercanti, burocrati di stato e dei professionisti, nonché degli autentici gentiluomini e degli apprendisti diplomatici. Il Grand Tour quindi diventa uno dei più importanti fenomeni della moderna cultura europea, nel quale si mescolano vari aspetti, tra i quali: duraturo ed effimero, gusto di osservazione, curiosità e spirito d’avventura. Gli avi dei giovani rampolli che intraprendono il Grand Tour sono i pellegrini, i mercanti, i banchieri, i diplomatici di corte e di curia, i soldati di ventura e le compagnie di teatro. Inoltre, la lunga peregrinazione verso Roma piuttosto che verso Venezia, porto di partenza verso la Terra Santa, sono un importantissimo reticolo viario del quale si tenne conto quando si ricostruirono i grandi itinerari del sapere occidentale. Tra la fine del Cinquecento e l’Ottocento non esiste intellettuale europeo, soprattutto anglosassone, che non abbia compiuto il viaggio attraverso i paesi europei. L’Italia diventa il titolo e il soggetto di numerosi vademecum, diari, saggi, cronache, relazioni, epistolari e veri o simulati. A termini travel, journey e voyage si unisce quello di tour, inteso come il “giro” di paesi continentali con partenza ed arrivo nella stessa città. Le caratteristiche del viaggiatore del Grand Tour per quanto riguarda la mentalità e le motivazioni del viaggio hanno subito l’influenza della cultura baconiana e della filosofia sperimentale. Il viaggiatore seicentesco era un’amante dell’arte italiana e conosceva la cultura classica, ed era inoltre appassionato nella ricerca dei fenomeni naturali. Egli era mosso dalla “curiosità” e tramite il viaggio voleva raggiungere un’esperienza. In questo caso la curiosità era intesa come: - raccolta e catalogazione di opere artistiche e di rarità naturali che dovevano servire per soddisfare i desideri del “virtuoso” e del collezionista - studio di usi e di costumi di popoli - analisi delle loro forme di governo e delle magistrature - esplorazione sistematica di ordini culturali. Mentre l’esperienza comprende, invece, il processo intellettuale che doveva soddisfare la stravagante curiosità e promuovere la circolazione della moneta.
Agli inizi del Settecento Jonathan Richardson compie un viaggio in Olanda ed in Italia per stilare un elenco delle statue e delle pitture esistenti; analogamente i viaggi del conte di Arundel e del conte di Burlington, sono i capostipiti della tradizione britannica del collezionismo di opere italiane e della fortuna del palladianesimo inglese. Thomas Palmer elenca le cinque cause che attraggono il visitatore in Italia: clima, antichità, forme di governo, università e le corti; a queste cinque cause e alla voglia di conoscere si devono le più suggestive guide e relazioni di viaggio del XVII secolo e di quelli successivi. Bisogna inoltre ricordarsi che in alcuni casi i forestieri impegnati nel tour di paesi europei svolgono la funzione di informatori sui movimenti di compatrioti o di espatriati; in altri casi lo studio di un territorio o della forma politica vengono usati per un controllo di eventi di rilievo internazionale. Il termine Grand Tour compare per la prima volta nel volume di Lassels An Italian Voyage, or, Compleat Journey through Italy del 1697, anche se probabilmente a quel tempo aveva un significato diverso. Si presume che l’espressione riguardasse la visita parziale di vari paesi europei, dalle Fiandre all’Italia (da sempre considerata la tappa culminante il GT), passando per Germania, Svizzera e Francia. Quindi, con l’espressione Grand Tour si indica il viaggio continentale, svolto tra il XVI e il XVII, svolto soprattutto in Francia e in Italia ed intrapreso da intere generazioni di aristocratici e borghesi europei, soprattutto inglesi, compiuto nel momento in cui dovevano passare dall’età adolescenziale a quella adulta. Nel Settecento raggiunge il culmine e diventa una consuetudine didattica, i grandtourists avevano un’età che oscillava tra i sedici e i ventidue anni e il fine era il coronamento di una buona educazione. Si pensava inoltre che tramite l’esperienza del GT il giovane potesse acquisire quelle doti di intraprendenza, coraggio, attitudine al comando, capacità di rapide decisioni, conoscenza di costumi, maniere, galatei e lingue straniere. Queste doti, che caratterizzavano i membri della nuova classe dirigente e i rampolli dell’aristocrazia che erano impegnati nell’amministrazione dei propri patrimoni. Al viaggio venivano comunque riconosciute le funzioni iniziatiche in modo che potesse sentirsi ammesso nel mondo degli adulti. Questa finalità serve inoltre per evidenziare cosa può e deve essere pubblicato e cosa invece deve rimanere nella sfera privata nell’ambito della letteratura di viaggio. Fonti preziose dalle quali possiamo scoprire le funzioni celate del Grand Tour sono le satire e la trattatistica in lode o in biasimo di questa istituzione. Già in epoca elisabettiana ci sono due testimonianze le cui citazioni per molti anni saranno un monito esemplare: 1. Ascham, The Scholemaster, 1570. Nel quale si afferma che i rampolli che tornavano dai viaggi in Italia disprezzavano il matrimonio e cercavano di convincere anche gli altri a condividere la loro idea. 2. Hall, Quo Vadis? A just Censure of Travel, 1617. Nel quale si affermava che i giovani rampolli si mettevano in viaggio in un’età troppo giovane e non avevano dei tutori ed accompagnatori che fossero sufficientemente dotti. Nel 1764 Smith riassume e riprende i dati forniti da Hall ed esposti da Sterne, affermando che un giovane che partiva all’età di 17 o 18 anni e che torna a 21, generalmente si rivelava privo di principi, senza voglia di studiare o di lavorare, a differenza di quanto sarebbe successo se fosse rimasto a casa. A bilanciare la quantità crescente di libri di viaggio che nella fine del XVII secolo si imposero sui mercati librari di mezza Europa, c’è un dibattito attivo sul clima di esaltazione ed eccessiva fiducia in merito al potere formativo del Grand Tour. Gli induci dei letterati, primi tra tutti i giornalisti, derivano dalla diffidenza verso ogni moda culturale, dai pregiudizi che pesavano sull’Italia (che veniva considerata un paese di corrotti politicamente e nei costumi; paese influenzato dal papa e da Machiavelli). Bisogna quindi prendere con le pinze ciò che dicono letterati e scienziati, che si aspettavano spesso mediocri risultati dal Grand Tour (gli unici aspetti positivi erano l’incentivo allo studio delle lingue straniere e la capacità di togliersi i pregiudizi nazionali di dosso).
Verso la metà del Settecento in Francia e in Italia si registrano circa quarantamila presenze annuali straniere. Sterne distingue alcune classi di viaggiatori: scioperati; curiosi; bugiardi; orgogliosi; ipocondriaci; traditori; sciagurati; innocenti e i viaggiatori sentimentali. In questa epoca, non è facile stabilire l’identità o i caratteri generali del viaggiatore tipo, si sa però che tra questi viaggiatori, siano essi borghesi o aristocratici; il più delle volte erano accompagnati da nobili decaduti, scrittori ed avventurieri. Tra i tanti accompagnatori possiamo annoverare: Robert Wood, Adam Smith, John Locke, François Misson e Richard Lassels; a loro si deve la maggior parte delle osservazioni, diari, epistolari, guide che costituiscono la letteratura di viaggio, che raggiunge l’apice nel Settecento. Tra i voyageurs più intelligenti ci sono le donne scrittrici, che fornirono i prodotti migliori e più innovativi; le più importanti scrittrici sono Madame Dubocage, Lady Mary Wortley Montagu e Hester Lynch Piozzi. Il Settecento è il secolo d’oro dei viaggi, l’era di una cultura ancorata ai parametri della ragione ottimistica, cosmopolita ed itinerante. Ci sono due eventi che consentono di circoscrivere precisamente il fenomeno e la stessa definizione del Grand Tour distinguendolo dai viaggi che hanno sempre caratterizzato le epoche precedenti. PRIMO EVENTO: pubblicazione nel 1710 delle Remarks upon Several Parts of Italy di Joseph Addison. I viaggiatori di anno in anno aumentano nel corso del secolo e fanno registrare un forte incremento con la fine della guerra dei Sette Anni, nel 1763, dopo un miglioramento dei rapporti diplomatici tra Inghilterra e le corti cattoliche del continente. SECONDO EVENTO: allo scoccare del secolo le campagne napoleoniche mettono a soqquadro l’Europa interrompendo per quindici anni la passione per i grandi viaggi, fungendo quindi anche da conclusione del Grand Tour; i grandi viaggi ricominceranno dopo il Congresso di Vienna (1815). Il Settecento ha delle caratteristiche inconfondibili, anche se sono complesse e variegate, rimangono comunque omogenee con la struttura culturale del secolo. Il Grand Tour fu così importante da lasciare tracce profonde ed inconfondibili nella letteratura del secolo e soprattutto nel romanzo. Tutto ciò accade nel Settecento perché in quest’epoca la società cosmopolita voleva conoscere il mondo in cui viveva, credeva che l’uomo fosse in grado di comunicare con entità etniche e culturali diverse, comprendendone le caratteristiche di usi e costumi e soprattutto abbattendo le barriere linguistiche. La fortuna della letteratura di viaggio è quindi data dall’idea del movimento delle passioni e dalla percezione di una morale comune e naturale, che supera la varietà dei costumi, delle leggi, delle maniere, delle lingue di genti e nazioni. Un recensore settecentesco di libri di viaggio li definisce come dei trattati di “filosofia sperimentale”; Hume, invece, afferma che l’utilità della storia consiste nello scoprire i principi costanti ed universali della natura umana, mostrando gli uomini in tutte le possibili circostanze e fornendoci il materiale da cui sia possibile ricavare le nostre osservazioni e sulla cui base sia possibile informarsi sulle origini del comportamento umano. La percezione estetica del luogo che si va a visitare è fondamentale, perché il viaggiatore scriverà molto sul la belle nature, ossia tutti gli aspetti piacevoli e ricorrenti; tende a nascondere gli aspetti sgradevoli e unicamente pittoreschi del paesaggio naturale e umano; ignora tutti gli elementi di topografia che caratterizzeranno l’epoca successiva. Il viaggiatore settecentesco è portato a vedere, da oriente ad occidente, un mondo di uomini molto simili, diversificati da caratterizzazioni locali, puramente accessorie, che non ne modificano l’identità di fondo. Le descrizioni migliori instaurano un rapporto calzante con la natura fondamentale di tutti gli uomini; esse, non appena vengono espresse, sono da tutti recepite come la novità e l’originalità fossero una specie di rievocazione. Varietà, novità, originalità sono aspetti che denotano il libro di viaggio e che ne determinano seduzione e funzione. Questi principi etico-estetici rappresentano i canoni generali ai quali si rifà la letteratura di viaggio del XVIII secolo. Il diciottesimo secolo si apre con due testi che stabiliscono
le regole generali della letteratura di viaggio e cercano di distinguere il viaggio veritiero, dal quello romanzato e da quello immaginario. 1. Joseph Addison, Remarks on Several Parts of Italy, 1705 I Remarks di Addison segnano l’inizio dell’era del Grand Tour continentale e sono la prima guida moderna. Questa guida era costantemente un confronto tra presente e memoria classica, ma allo stesso tempo se ne discostava. Il valore del testo di Addison consiste nello stabilire i canoni di un nuovo genere letterario, tramite il quale i poeti hanno una descrizione di prima mano del paese e delle antichità classiche; il suo esempio diventa inoltre determinante per gli autori che in vario modo sono interessati alla tradizione antiquaria. Ad Addison si deve inoltre l’inaugurazione dell’atteggiamento sprezzante verso gli Italiani che durò fino al momento in cui finì la moda del Grand Tour. Addison fa da portavoce a quella borghesia che unisce alla forza della propria imprenditorialità la consapevolezza secondo la quale la nuova cultura empiristica e razionalistica può proporsi come unica ed autentica erede della virtù e della saggezza dell’antica Roma. 2. Daniel Defoe, Tour Thro’ the Whole Island of Great Britain, 1724-1725 Defoe invece pone l’accento sulle finalità pratiche del viaggio. Per lui il viaggio è preceduto da un dettagliato catalogo che comprende la descrizione: città e cittadine principali: della loro ubicazione; governo; grandezza; commerci; costumi; maniere; lingua; suddivisioni; attività ed impieghi della gente; prodotti e migliorie dell’agricoltura, del commercio e dell’industria; porti e delle fortificazioni costiere, del corso dei fiumi e della navigazione fluviale; edifici pubblici e dei palazzi della nobiltà e dell’aristocrazia Con Defoe si rinnova un progetto di viaggio in cui interagiscono la cultura del geografo, dell’economista, dell’antropologo e dell’architetto. Addison e Defoe rappresentano i due volti dell’epoca: ADDISON DEFOE Mette in pratica il motto di Lassels, filtrando il Considera il presente delle nazioni come un presente attraverso l’attualità di Cesare e Livio. fenomeno da studiare in sé. Differisce le finalità concrete del viaggio nella Ostenta le finalità concrete del viaggio nel fare sedimentazione culturale di dati e citazioni pratico. Nelle sue pagine si intravede il mito umanistico di Nelle sue pagine si intravede un nuovo spirito un uomo indiviso che riflette sui classici; compara pratico, sostanzialmente specialistico, nonostante antiche guide con quelle al presente e si diletta la varietà di interessi ed è orientato ad una nella filosofia sperimentale. formazione tipicamente professionale. Anche se molto distanti tra loro, Addison e Defoe stabiliscono quindi le regole generali del travel book, conferendogli identità e dignità letterarie e formali, generalmente sconosciute nelle epoche precedenti. Il compito e il fine del travel book è quello di catturare la fantasia per istruire i viaggiatori e il lettore (fireside traveller) sulla natura complessa senza dover ricorrere alla fantasia romanzesca. La struttura diaristica o epistolare sono un accorgimento finalizzato ad accreditare la veridicità del viaggio, dell’esperienza vissuta con i propri occhi e con i propri sensi; tutto ciò è dimostrato dal fatto che la maggior parte dei libri veniva scritto a posteriori, basando tutto il lavoro unicamente sulla memoria, che comprende anche notizie tratte da altri volumi o fonti. Il libro di viaggi settecentesco si divide spesso in due sezioni: forma diaristica (o epistolare) forma di saggio sotto la rubrica ricorrente delle “Osservazioni generali” In questi testi, esaurito l’itinerario della città, regione o paese, si possono trovare accenni alle caratteristiche generali del luogo, dei suoi abitanti, dei costumi e delle consuetudini. L’equilibrio e la disposizione delle due sezioni sono mutevoli e variano a seconda del destinatario al quale il volume è rivolto.
I libri di viaggio apparsi intorno alla metà del secolo mantengono un equilibrio sostanziale tra la funzione didattico-informativa e la narrazione effettiva del viaggio, inserendo eventi ed aneddoti che non mettono mai in risalto il protagonismo del narratore. La storia della letteratura di viaggio registra il progressivo spostarsi del baricentro del libro dalla scienza (complesso di informazioni ambientali) alla trama degli eventi (trama tacitamente autobiografica che ne consente la piacevole esposizione), facendo emergere l’io narratore che Addison e Defoe avevano cercato di nascondere. Al viaggiatore filosofico del primo Settecento (che concentra la sua attenzione su maniere e costumi, antichità e meraviglie naturali, fondendo istruzioni tramite la descrizione degli eventi di viaggio ma tacendo sul proprio ruolo di teste itinerante), si uniscono quello ipocondriaco e quello sentimentale e tutto ciò che li caratterizza (instabilità emotiva, sentimenti, interferenze del cuore). La prospettiva di un’Italia considerata come un’enorme e variegata riserva culturale, continua anche in gran parte dell’Ottocento, anche se limitata durante l’epoca romantica, quando si intravidero negli italiani quelle doti di umanità e sensibilità che erano carenti nelle civiltà puritane, e si scorse nell’Italia il luogo adatto per coltivare utopie e fantasie rivoluzionarie. Quando il topos letterario del classico viaggiatore ipocondriaco diventa più una moda che un bisogno effettivo, o comunque legato a necessità terapeutiche, l’egocentrismo del viaggiatore avrà la possibilità di esibirsi con grazia o con presunzione a seconda del testo che abbiamo davanti. Nonostante le diversità di esperienze, di itinerari e di personalità letterarie, i canoni della letteratura di viaggio sono abbastanza vincolanti e consentono una relativa flessibilità. L’opera che stravolge la tradizione letteraria del Grand Tour ed inaugura la moda del viaggiatore sentimentale è l’opera di Sterne Sentimental Journey del 1768. Con questo libro, elabora la propria parodia della letteratura di viaggio e dei suoi canoni fondando un nuovo genere, nel quale l’inconsueto e il fugace prendono il posto delle rubriche classiche. In questo nuovo genere si esalta ciò che si cercava di occultare precedentemente, ossia la presenza soggettiva ed egoistica del narratore; al quale ora è concesso di selezionare quanto deve essere rappresentato e descritto. Il viaggiatore sentimentale con il proprio soggettivismo la propria partecipazione alle minuzie reintroduce la finzione romanzesca dalla cui esclusione all’inizio del secolo era nato il genere di road book. Sterne capovolge l’ottica degli autori di travel book, spostando l’indagine dall’esterno dell’uomo (usi e costumi) al suo interno (sentimenti). Il mutamento che si verifica nella letteratura di viaggio a partire dagli anni Settanta del XVIII secolo, con la nuova dimensione del viaggiatore sentimentale, eleva un prodotto di indubbio valore letterario al livello di scrittura innovativa, che estende la propria influenza nell’ambito della stessa tradizione romanzesca. La seconda metà del XVIII secolo elabora comunque una complessa serie di poetiche attraverso le quali la natura si costituisce in una nuova immagine per il viaggiatore disposto ad ascoltare il cuore e i sentimenti che mutano con il paesaggio. Il SUBLIME è il particolare fascino del paesaggio inteso come occasione offerta all’animo umano di misurarsi con la grandezza incommensurabile della natura, con la minaccia incombente delle sue forze e allo stesso tempo con il sentimento della propria umana fragilità. Il rapporto tra la fragilità individuale e la grandiosità naturale è data sia dalla natura intesa come paesaggio naturale (paesaggio selvaggio delle Alpi e quello desolato degli Appennini; lo squallore sconfinato e malinconico della campagna romana e l’irruenza di cascate e vulcani), e dalla natura intesa come paesaggio storico (che è in grado di far scaturire un giudizio morale ed un ammonimento nei confronti della meschinità del presente esempio: le rovine di Roma).
Schiller afferma che il sentimento del sublime è un sentimento misto, perché è composto da un senso di pena, che si manifesta come un brivido, e da un senso di spensieratezza, che si raggiunge con l’entusiasmo. Gilpin nel 1772 sintetizza molto efficacemente l’inedito gusto del pittoresco, che era già iniziato a trasparire in altre opere. Gilpin rivela la propria radice illuministica nel suo inquadrare la natura attraverso il filtro dell’artificio e nella sua volontà di considerare il paesaggio naturale in termini di un’opera pittorica. Tutto ciò comporta una distinzione precisa tra la natura (che ricorre ad una scala visiva grandiosa) e l’arte (che ricorre ad una scala visiva ridotta). L’intento del PITTORESCO è quindi quello di adattare all’occhio dell’uomo i particolari salienti della superficie della natura. L’inquadratura pittoresca implica una continua dialettica tra l’unità compositiva dell’arte e la varietà delle cose naturali. L’innovazione che deriva da Gilpin è l’immaginazione, la capacità di illuminare e non riflettere la scena paesaggistica, conferendole vita autonoma e ricrearla. Il picturesque traveller è quindi condotto ad un certo punto a percorrere un cammino inverso, che lo porta dalle raffinatezze dell’arte all’indefinito della natura. Nell’Essay on the Picturesque di Price (1794-98) nel quale il pittoresco viene proposto come terza categoria accanto a quelle di bello e di sublime, proprio nei confronti di quest’ultimo il pittoresco si propone come correttivo. Se il sublime persegue l’uniformità attraverso l’enfasi riposta su un singolo effetto dominante capace di monopolizzare la mente, il secondo sollecita l’interesse con un gioco fondato su varietà, apparenza e incompiuto. Price individua degli elementi che si adattano alla categoria del pittoresco: rovine architettoniche come segno della rottura della compiutezza formale e simmetria architettura gotica strutture spontanee di case, capanne e mulini specchi d’acqua increspati alberi nodosi e coperti di muschio capretti, cervi e asini piuttosto che pecore e cavalli zingari, mendicanti, villici, nobili personaggi vecchi ed esiliati Gilpin afferma che tra tutti gli oggetti dell’arte, l’occhio pittoresco è attratto soprattutto dai ruderi, dalle torri dirute, dagli archi gotici, dai resti dei castelli e delle abbazie; tutte queste sono l’eredità più ricche dell’arte, in quanto consacrate dal tempo e meritano quasi la stessa venerazione riservata all’opera della natura. Beckford scrive nel 1783 Dreams, Waking Thoughts, and Incidents, ma sono così distanti dalla panoramica dei libri di viaggio da decidere di distruggerli per poi pubblicarli nuovamente nel 1834 con il titolo di Italy, with Sketches of Spain and Portugal. Quando Beckford intraprese il suo viaggio in Europa era accompagnato da un precettore, un medico, un musicista, un pittore all’acquarello, postiglioni e servitori. Ciò che rende il testo di Beckford basilare è l’aderenza ad una sorta di immaginazione visiva e di abilità compositiva grazie alle quali ogni scena appare immobilizzata in una posa o in una prospettiva pittoresca. Quest’analogia tra prosa descrittiva, inquadratura pittorica e sensibilità cromatica deriva dalle lezioni di acquarello; d’altro canto, l’altra componente essenziale è la sua personale adesione alla lezione di Gilpin, con particolare attenzione all’insistenza con cui sfuoca pittoricamente le cose viste o intraviste. Il viaggiatore scrittore non è più quello che riflette su di un contesto ambientale, selezionando i particolari di uno scenario secondo parametri precostituiti. Il pittoresco determina un deciso mutamento nell’ottica del viaggiatore facendo emergere sulle pagine di diari e sui fogli degli album la lunga sequela del paesaggio che si snoda da una città all’altra. Anche il meno ispirato dei viaggiatori pone l’interrogativo di quanto sopravviva alla ripresa delle comunicazioni nel 1814 del viaggiatore settecentesco; ossia di quel tipo di viaggiatore che è disposto a
conversare di tutto, aperto di mente ma legato all’osservazione delle cose piccole; sagace studioso delle lingue e dei costumi di ogni paese; scaltro nell’uso della penna, senza però concedersi alcuna libertà. Nella ricerca dello scabroso, del tenebroso, qualità tipiche del pittoresco, il viaggiatore romantico enuncia in termini visivi l’ultimo appiglio dell’immaginazione creatrice, allo stesso modo in cui in altri contesti si addentra nella ricerca storica, del folklore e del mito locale. A differenza dei viaggiatori del secolo dei lumi, i romantici sono attratti proprio dall’irriducibilità delle differenze ambientali, storiche ed artistiche, etniche e culturali dei paesi visitati e dinnanzi all’orrido, al sublime e al pittoresco del paesaggio il loro sentimento inizierà a vibrare e a farne motivo di canto e di esaltazione. Da questa nuova dimensione derivano i libri e i diari di viaggio di più godibile lettura; godibilità dovuta alla registrazione di una eterogenea gamma di reazioni psicologiche, di episodi accessori, bozzetti, descrizioni ambientali, minuzie aneddotiche come se la letteratura turistica volesse rivendicare la propria creatività e il proprio timbro individuale.