La «Critica del giudizio» di Kant. Introduzione alla lettura
 8843043994, 9788843043996 [PDF]

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Francesca Menegoni

LA CRITICA DEL GIUDIZIO DI KANT Introduzione alla lettura

Nuova edizione

Carocci editore

2a edizione, marzo 2008 1a edizione, maggio 1995 © copyright 2008 by Carocci editore S.p.A., Roma

Finito di stampare nel marzo 2008 per i tipi delle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino ISBN

978-88-430-4399-6

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Awertenza

9

I.

La Critica del Giudizio

II

I.I.

Introduzione alla lettura

II

La recezione della terza Critica I r.r.2. Il compito della Critica del Giudizio I.I.I.

I.2.

La genesi del testo La Erste Einleitung L'ambito problematico affrontato nella terza Critica

I6

I9 22

r+r. Il problema dell'Ubergang I 1+2. Natura e libertà I r.4+ Linee per un'antropologia trascendentale

Le facoltà dell'animo umano

28

La tripartizione delle facoltà dell'animo I r.5 .2. Il sentimento di piacere e dispiacere I r.5.3. Il fine della ragione e la destinazione dell'uomo I. 5. I.

I.6.

La facoltà di giudicare

35

r.6.r. Il ruolo mediatore del Giudizio I r.6.2. Il fattore "contingenza"

Il Giudizio riflettente e il principio della finalità r.7.r. Natura e limiti del Giudizio riflettente I r.7.2. La finalità I r.7.3. Massime e modelli I.8.

i.9.

Giudizio estetico e Giudizio teleologico Analisi testuale r.9.r. La Prefazione I r.9.2. L'Introduzione

2.

La Critica del Giudizio estetico

2.I.

La struttura della Critica del Giudizio estetico Analitica del bello

2.2.

2.2.r. Individualità o universalità del gusto? I 2.2.2. Il libero gioco delle facoltà conoscitive nel giudizio di gusto I 2.2.3. La bellezza libera

7

Analitica del sublime 2.3.r. Caratteri generali del sublime I 2.3.2. Il sublime matematico I 2.3.3. Il sublime dinamico

Deduzione dei giudizi estetici puri 2+r. Il significato sociale del gusto I 2.4.2. L'arte bella e il genio ar-

tistico

2.5.

Dialettica del Giudizio estetico 2. 5 .r. L'antinomia del Giudizio estetico I 2.5.2. Della bellezza come simbolo della moralità

2.6. 2.7.

Metodologia del gusto Osservazioni conclusive sulla Critica del Giudizio estetico



La Critica del Giudizio teleologico

121

121

3.2.

La struttura della Critica del Giudizio teleologico e la finalità oggettiva della natura Analitica del Giudizio teleologico

124

3.2.r. Finalità oggettiva formale I 3.2.2. Finalità oggettiva materiale

3.3.

Dialettica del Giudizio teleologico

135

3.3.r. L'antinomia del Giudizio teleologie?: me~canicismo e fin.alismo I 3.3.2. Finitezza e ulteriorità: intelletto ectipo e mtelletto archetipo

Metodologia del Giudizio teleologico

143

3 +r. Lo scopo ultimo della natura e della specie uma~a I 34.2. ~eli­ cità e cultura I 3+3· Scopo finale I 3+4· Teleologia e teologia I 3.4.5. Morale e teologia I 3+6. La conoscenza analogica

3.5.

Osservazioni conclusive sulla Critica del Giudizio teleologico Conclusione Cronologia della vita e delle opere Nota bibliografica Indice analitico 195

Indice dei nomi 8

Avvertenza

Questa introduzione alla lettura della Critica del Giudizio presenta sia il quadro generale dell'opera, a cui è dedicata la prima parte del nostro lavoro, sia le tematiche proprie delle due sezioni (Critica del Giudizio estetico e Critica del Giudizio teleologico), in cui essa si articola. Queste ultime sono oggetto rispettivamente della seconda e della terza parte della nostra lettura. Anche in queste due parti, come nella precedente, si è cercato di far risaltare soprattutto l'architettonicità e il significato d'insieme del disegno kantiano. In questa sede desidero esprimere il mio ringraziamento alla Fondazione Alexander von Humboldt, il cui generoso supporto mi ha consentito di aggiornare e completare la raccolta di materiali indispensabili per la stesura di questo testo. Nei rimandi alle opere kantiane si fa riferimento all'edizione curata dall'Accademia delle Scienze di Berlino: Kant's gesammelte Schrzften, hrsg. von der Koniglich PreuBischen (poi Deutschen) Akademie der Wissenschaften, Berlin (poi Berlin und Leipzig) 1902 ss. In nota gli scritti kantiani citati più di frequente vengono indicati con alcune sigle, di cui si riporta qui l'elenco. Segue, ove possibile, il numero del paragrafo, poi il numero della pagina relativo al volume dell'edizione dell'Accademia, infine il numero della pagina della traduzione italiana utilizzata. Modifiche di lieve entità rispetto alle traduzioni citate non vengono segnalate; le annotazioni di Kant vengono indicate con la sigla An. KrV

Kritik der reinen Vernunft (2 Auflage 1787), Kant's gesammelte Schri/ten, Bd. m; Critica della ragion pura, trad. it. di G. Gentile e G. Lombardo Radice, riv. con Introduzione e Glossario a cura di V. Mathieu, Universale Laterza, Roma-Bari 1979 7 •

Proleg.

Prolegomena zu einer jeden kiinftzgen Metaphyszk, die als Wùsenschaft wz'rd au/treten konnen, Kant's gesammelte Schri/ten, Bd. IV,

9

LA CRITICA DEL GIUDIZIO DI KANT

pp. 253-383; Prolegomeni ad ogni futura metafisica che si presenterà come scienza, trad. it. di P. Carabellese, ediz. riv. con nuova Introduzione di R. Assunto, Biblioteca Universale Laterza, RomaBari 1982. Grundl.

Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, Kant's gesammelte Schrzf ten, Bd. IV, pp. 385-463; Fondazione della metafisica dei costumi, trad. it. di V. Mathieu, Rusconi, Milano 1982, pp. 67-qr.

KpV

Kritik der praktischen Vernunft, Kant's gesammelte Schrzften, Bd. v, pp. l-163; Critica della ragion pratica, trad. it. di V. Mathieu, Rusconi, Milano 1982, pp. 173-289.

KdU

Kritzk der Urtheilskra/t, Kant's gesammelte Schri/ten, Bd. v, pp. 165-485; Critica del Giudizio, trad. it. di A. Gargiulo, riv. con Glossario e Indice dei nomi a cura di V. Verra, Biblioteca Universale Laterza, Roma-Bari 1982.

Rel.

Die Religion innerhalb der Grenzen der bloflen Vernunft, Kant's gesammelte Schri/ten, Bd. VI, pp. l-202; La religione entro i limiti della sola ragione, trad. it. di A. Poggi, riv. con Introduzione di M .. M. Olivetti, Universale Laterza, Roma-Bari 1980.

MdS

Die Metaphysik der Sitten, Kant's gesammelte Schrzften, Bd. VI, pp. 203-493; La metafisica dei costumi, trad. it. di G. Vidari, riv. da N. Merker, Biblioteca Universale Laterza, Roma-Bari 1983.

Anthr.

Anthropologie in pragmatischer Hinsicht, Kant's gesammelte Schrif ten, Bd. VII, pp. l 17-333; Antropologia pragmatica, trad. it. di G. Vidari, riv. da A. Guerra, Biblioteca Universale Laterza, RomaBari 1985.

Brie/e

Kant's Briefwechsel, Kant's gesammelte Schrzften, Bde. x-xrn; trad. it. parziale in Epistolario filosofico I76I-I8oo, a cura di O. Meo, Il Melangolo, Genova 1990.

BE

Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskraft, Kant's gesammelte Schrzften, Bd. xx, pp. 193-251; Prima introduzione alla Critica del Giudizio, trad. it. e note di P. Manganaro, Introduzione di L. Anceschi, Universale Laterza, Roma-Bari 1984.

IO

I

La Critica del Giudizio

I.I

Introduzione alla lettura I. I. I.

LA RECEZIONE DELLA TERZA CRITICA

Quanto più un'opera è ricca, articolata, complessa, tanto più numerose sono le letture che essa rende possibili. Sotto questo riguardo il caso rappresentato dalla Critica del Giudizio è emblematico. Come già accadde per i precedenti scritti kantiani, anche per la Critica del Giudizio si dovette attendere qualche tempo prima di poter leggere non le prime reazioni, apparse per lo più sotto forma di estratti o commenti quasi letterali r, ma i primi tentativi di interpretazione e valutazione critica globale 2 • Accolta in modo via via diverso e r. Nella storia della prima recezione della terza Critica sono da ricordare le seguenti esposizioni, accessibili nella ristampa anastatica dell"'Aetas Kantiana" (Bruxelles 1968 ss.): F. W. D. Snell, Ueber das Gefiihl des Erhabenen nach Kants Kritik der Urtheilskraft, in I. H. Abicht, F. G. Born (hrsg.), Neues philosophisches Magazin. Erlauterungen und Anwendungen des Kantischen Systems bestimmt, Bd. 2, Leipzig 1791 (in "Aetas Kantiana", vol. 5, 2, pp. 426-65); Id., Darstellung und Erlcluterung der Kantischen Critik der asthetischen Urtheilskraft, Mannheim 1791 (in "Aetas Kantiana", vol. 257); J. S. Beck, Erla"uternder Auszug aus den critischen Schri/ten des Herrn Prof Kant auf Anrathen desselben, Zweyter Band, welcher die Critik der Urtheilskraft und die metaphysischen Anfangsgriinde der Naturwissenschaft enthalt, Riga 1794 (in "Aetas Kantiana", vol. 20, 2); C. W. Snell, Lehrbuch der Kritik des Geschmacks, mit bestiindiger Rucksicht au/ die Kantische Kritik der asthetischen Urtheilskra/t, Leipzig 1795 (in "Aetas Kantiana", vol. 256); L. Bendavid, Vorlesungen iiber die Critik der Urtheilskraft, Wien 1796 (in "Aetas Kantiana", vol. 30); C. F. Michaelis, Entwurf der Aesthetik als Leitfaden bei akademischen Vorlesungen uber Kant's Kritik der asthetischen Urtheilskra/t, Augsburg 1796 (in "Aetas Kantiana", vol. 185). 2. Sulle vicende della recezione della Critica del Giudizio informano per cenni essenziali V. Gerhard e F. Kaulbach in Kant, Ertrage der Forschung, Bd. 105, Darmstadt 1979 (1989 2

).

II

LA CRITICA DEL GIUDIZIO DI KANT

diversificato da Fichte, Schelling, Hegel, Schlegel e Schopenhauer sul versante filosofico, e da Schiller, Goethe e Holderlin su quello letterario, l'opera catturò l'attenzione più per singole tematiche in essa trattate che per l'intento di completamento sistematico del criticismo che Kant le affidava 3. Una panoramica sugli studi dedicati a questo testo kantiano nel corso dei duecento anni che ci separano ormai dalla sua apparizione rivela come l'interesse degli interpreti si sia per lo più rivolto ad uno o ad alcuni dei numerosi nuclei tematici che esso affronta. L' attenzione del lettore viene di volta in volta richiamata sulla particolare natura dei giudizi di gusto, sulla tematica del sublime, sulle riflessioni sulla natura organica, sul legame tra teleologia e teologia. Oppure ci si sofferma su questioni di ordine epistemologico, quali le molteplici funzioni connesse con la facoltà di giudicare, la capacità euristica inerente al principio della finalità, la pretesa alla validità universale avanzata dal giudizio di gusto. A questa sensibilità interpretativa orientata tematicamente, si affianca e spesso si sovrappone un interesse storicofilologico, volto a dimostrare come la Critica del Giudizio non nasca come un fungo isolato, né affondi le sue radici sul solo terreno della filosofia kantiana. I molteplici argomenti che essa affronta si radicano nella cultura europea settecentesca, anche se originale è il tentativo di comporre tematiche tanto eterogenee in un disegno unitario. Ed è a questo proposito che si apre un'ulteriore e forse più fruttuosa possibilità di lettura, la quale mira ad evidenziare l'unità sistematica che sottende i diversi temi in essa affrontati. Uno studio che voglia introdurre alla lettura di quest'opera, la cui difficoltà è sottolineata con maggiore o minore enfasi da tutti coloro che le si sono accostati, non può trascurare nessuna delle possibili letture sopra ricordate. Certo un'introduzione non può pretendere di dire nulla di definitivo su argomenti su cui si discute da più di due 3. Fa eccezione in questo contesto l'interpretazione hegeliana, per la capacità che essa dimostra di cogliere le strutture portanti dell'opera e l'aria nuova che vi si respira. Il riconoscimento dell'originalità dell'impostazione data da Kant ai problemi del rapporto tra sensibile (natura) e soprasensibile (libertà), necessità e contingenza, meccanicismo e finalismo, intelletto umano e intelletto divino si accompagna però in più occasioni nelle valutazioni di Hegel ad una sorta di violenza interpretativa che mina i fondamenti stessi della concezione kantiana. Significativi a questo proposito sono in particolare i primi scritti jenesi, la Dif/erenz des Fichte'schen und Schelling'schen Systems der Philosophie (1801) e Glauben und WiSsen oder die Philosophie des Subjekti-

vitilt in der Vollstà'ndigkeit ihrer Formen als Kantische, ]akobische und Fichtesche Philosophie (1802; entrambi tradotti in G. W. F. Hegel, Primi scritti critici, a cura di R. Bodei, Milano 1971). Sulla recezione in Hegel della terza Critica cfr. H.-F. Fulda, R.-P. Horstmann (hrsg.), Hegel und die "Kritik der Urteilskraft", Stuttgart 1990.

I2

l.

LA CRITICA DEL GIUDIZIO

secoli 4. Essa conseguirà tuttavia un risultato già positivo se riuscirà a rendere più accessibile lo splendido edificio architettonico che Kant è riuscito ad innalzare con la sua terza Critica. A fondamento di questo compito introduttivo ed esplicativo sta dunque in primo luogo il bisogno di intendere la connessione che in quest'opera lega ambiti, quali quello dell'arte e della natura vivente, che di primo acchito sembrano essere del tutto eterogenei.

I.I.2. IL COMPITO DELLA CRITICA DEL GIUDIZIO

Un corretto accesso ai nuclei problematici propri della Critica del Giudizio richiede che siano tenuti contemporaneamente presenti diversi livelli di valutazione. Un primo livello riguarda la funzione assegnata a quest'opera nel contesto del compito critico: essa viene infatti a completare il disegno iniziato con la Critica delle ragion pura e con la Critica della ragion pratica, ed è in rapporto ad essa che Kant dichiara espressamente di aver terminato «il suo assunto critico» 5 • L'intento critico implica in Kant il vaglio di tutto quel settore della facoltà conoscitiva umana che poggia su elementi a priori, quei principi che il conoscere non attinge dall'esperienza concreta, ma contiene in sé quali preformazioni, schemi o costrutti, che consentono al soggetto di accogliere i dati parziali delle singole impressioni e organizzarli mediante nessi in un complesso che prende il nome di esperienza. Si tratta dunque di un 4. La memoria va immediatamente alle caustiche parole della Prefazione alle Osservazioni sulla "Critica del Giudizio" di L. Scaravelli in Scritti kantiani, Firenze 1968

(rist. anast. 1973). Ricordando i nomi di coloro verso i quali Kant sarebbe debitore di questa o quella parte dell'opera, o gli scritti kantiani in cui è possibile ritrovare il germe originario di queste stesse parti, Scaravelli si chiede che cosa di nuovo si possa «sperare o immaginare di trovare in quest'opera, ormai studiata e ristudiata nei suoi problemi, smontata e rismontata in ogni sua parte» (p. 341). Non la genesi dell'opera, né la sua costruzione sistematica, è ciò che Scaravelli pone al centro della sua attenzione, ma «il problema teoretico che sorge da quelle parti della Critica del Giudizio nelle quali Kant passa al laminatoio delle prime due Critiche [... ] il materiale che su questioni di biologia, di psicologia, di antropologia, di gusto, di arte, di vita sociale, di ipotesi finali e teleologiche era venuto raccogliendo nei molti anni della sua vita, e che sempre meglio vedeva non poter rientrare né sotto i principi della prima Critica, né sotto quelli della seconda» (pp. 347-8). 5. «Con ciò io termino dunque il mio assunto critico. Passerò senza indugio alla parte dottrinale, per strappare, se è possibile, alla mia crescente vecchiezza il tempo che potrebbe essere ancora in qualche modo favorevole a tale lavoro» (KdU, Vorrede, p. 170; Prefazione, p. 7).

r3

LA CRITICA DEL GIUDIZIO DI KANT

compito che prende ad oggetto le strutture trascendentali, universali e necessarie, della soggettività. Un secondo livello da non perdere di vista è rappresentato dall'intento sistematico-dottrinale perseguito da Kant. I due programmi l'uno critico, l'altro sistematico - sono inseparabili nella loro distinzione. Per quanto riguarda la ragione nel suo uso teoretico, il compito della prima Critica è quello di saggiarne gli elementi costitutivi, la possibilità e l'estensione. Questo programma finisce con il tracciare i confini invalicabili dell'umana conoscenza, la quale è impossibilitata ad oltrepassare l'orizzonte fenomenico. Sul piano dottrinale questo programma critico, di enorme portata dal momento che si estende all'analisi dei fondamenti del sapere che avanza pretese di scientificità, ha come controparte un edificio di dimensioni tutto sommato molto più ridotte. Si tratta infatti del tentativo, contenuto nei Primi principi metafisici della scienza della natura, di esporre secondo un ordine categoriale tutte le proprietà matematiche, e dunque a priori, della materia attraverso la teoria del movimento (foronomia), delle forze motrici (dinamica), della relazione tra corpi (meccanica), della rappresentazione del movimento in quanto oggetto d'esperienza (fenomenologia): non dunque l'esposizione di una compiuta metafisica della natura, ma solo dei principi primi di essa. Altre considerazioni valgono per il vaglio critico e sistematico a cui dev'essere sottoposta la ragione nel suo uso pratico. Qui Fondazione della metafisica dei costumi e Critica della ragion pratica si propongono di portare allo scoperto le condizioni a priori dell'agire umano e del comportamento etico. Queste condizioni - asserite come un fatto della ragione - sono rispettivamente la libertà, intesa come spontaneità (ossia come facoltà di cominciare da sé qualcosa) e come autodeterminazione, e la legge morale che, per il suo carattere universale e incondizionato, è ciò che rende consapevoli di essere liberi. Nel caso però della ragione nel suo uso pratico la parte critica non è più ampia rispetto a quella dottrinale, esposta nella Metafisica dei costumi, che tratta rispettivamente dei principi primi a priori che stanno a fondamento della Dottrina del diritto e della Dottrina della virtù. Nei confronti di questi intenti, per cui ad un'indagine critica relativa alle possibilità e ai limiti della ragione nel suo uso teoretico e pratico corrisponde una parte dottrinale esposta rispettivamente nella metafisica della natura e nella metafisica dei costumi, la Critica del Giudizio rappresenta un'eccezione. Ad essa Kant assegna infatti un ruolo nel programma critico, ma a questo ruolo non corrisponde uno spazio specifico nell'esposizione sistematica. Questa peculiarità riflette

l.

LA CRITICA DEL GIUDIZIO

la natura particolare dell'oggetto della terza Critica: questo oggetto infatti non è la ragione, facoltà conoscitiva per eccellenza che stabilisce i principi universali della scienza e della morale, ma è la facoltà di giudicare (Urteilskra/t), una facoltà che, come si vedrà, gioca liberamente in diversi contesti, obbedendo a regole di volta in volta diverse. Relativamente a questa facoltà esiste uno spazio nel compito critico, ma non in quello sistematico-dottrinale. A questi due ordini di valutazione, critico il primo, sistematico il secondo, è opportuno aggiungere una terza considerazione. La comprensione di quest'opera presuppone infatti la soluzione di un problema di coerenza e unitarietà interna, che non ha pari complessità in alcun altro scritto kantiano. Molte sono le opere kantiane che mostrano una suddivisione in due parti distinte: basta pensare alla Dottrina degli elementi e alla Dottrina del metodo in cui si articolano le due prime Critiche, oppure alla Dottrina del diritto e alla Dottrina della virtù in cui è suddivisa la Metafisica dei costumi. Anche la Critica del Giudizio si presenta al lettore come un'opera articolata in due parti, Critica del Giudizio estetico e Critica del Giudizio teleologico, ma, almeno a prima vista, queste due parti sembrerebbero avere ben poco in comune. Nel primo caso infatti il giudizio è chiamato ad esprimersi su ciò che per comune accordo si definisce bello, nel secondo caso il giudizio verte su quegli aspetti del mondo naturale e umano che possono essere oggetto di una spiegazione finalistica: rientrano in quest'ordine di valutazione gli organismi viventi, ma anche l'agire dell'uomo in rapporto a sé, alla natura e ai suoi simili. La prima impressione che colpisce oggi chi si accosti per la prima volta alla Critica del Giudizio è quella di trovarsi di fronte a due parti che, originate da interessi diversificati, troverebbero una giustificazione del loro accostamento solo a posteriori, sulla base di un disegno architettonico artificiosamente imposto 6 . In realtà questa impressione di accostamento artificioso nasce per lo più in chi si limita alla lettura di una sola parte dell'opera e, moti6. Tra le interpretazioni che sostengono l'artificiosa combinazione sistematica delle due parti della Critica del Giudizio ricordo tra le più antiche e autorevoli quella di F. Paulsen, Immanuel Kant. Sein Leben und sein Lehre, Achte Aufl., Stuttgart 1924 (1898 1 ), p. 384. Di contro a questa si possono ricordare le prese di posizione di E. Cassirer, Vita e dottrina di Kant, trad. it. di G. A. De Toni, Firenze 1984, pp. 323 ss.; A. Banfi, Esegesi e letture kantiane, voi. I, Urbino 1969, p. 51; A. Caracciolo, Arte e

pensiero nelle loro istanze metafisiche. Ripensamento dei problemi della Critica del Giudizio, Milano-Roma 1953, pp. 9 ss.; L. Pareyson, L'estetica di Kant. Lettura della "Critica del Giudizio", nuova edizione aumentata, Milano 1984. Tutte queste letture sottolineano l'unità nella cultura settecentesca tedesca della riflessione sull'arte e sulla natura.

LA CRITICA DEL GIUDIZIO DI KANT

vato da legittimi interessi di natura diversa, siano essi estet1c1, epistemologici, scientifici, metafisici, etici o teologici, trascura di cogliere il significato compl~ssivo della Critica del Giudizio, un significato che emerge solo da una sua lettura unitaria e che è anticipato da quella che può essere considerata quasi una terza parte dell'opera, l'ampia e complessa Introduzione. A questa concezione unitaria, per altro radicata nella cultura del suo tempo, Kant arriva del resto attraverso un proprio percorso speculativo, che lo porta a rivedere un disegno primitivo, in base al quale pensava di scrivere una Critica del gusto, per comporre invece una Critica del Giudizio. Un'introduzione alla lettura di quest'opera deve dunque cominciare di qui, dalla trasformazione di questo disegno iniziale e dalla lettura a prima vista ingrata delle pagine della Prefazione e dell'In; traduzione, le parti che non a caso Kant scrisse per ultime, una volta completata la stesura dell'intera opera.

I.2

La genesi del testo La Critica del Giudizio corona un intenso decennio di attività speculativa ed editoriale, che vede la pubblicazione sul terreno della filosofia teoretica delle due edizioni della Critica della ragion pura (1781, 1787), dei Prolegomeni ad ogni futura metafisica che si presenterà come scienza (1783) e dei Primi principi metafisici della scienza della natura (1786); sul piano della filosofia pratica della Fondazione della metafisica dei costumi (1785) e della Critica della ragion pratica (1788), per tacere di altri saggi più brevi, ma non per questo meno interessanti. Termine di riferimento per chiunque si interroghi sulle vicende che portarono alla composizione della Critica del Giudizio sono ancora le indagini di Giorgio Tonelli 7 , il quale ricostruisce le tappe della 7. Cfr. G. Tonelli, La formazione del testo della "Kritik der Urteilskra/t", in "Revue internationale de Philosophie", 8, 1954, pp. 423-48. L'ordine di composizione delle varie parti, rilevato sulla base della presenza o assenza di termini chiave, quali facoltà di giudicare, Giudizio riflettente e determinante, finalità (cfr. ivi, p. 445), prospetta come testo più arcaico l'Analitica del bello; fanno seguito nell'ordine la Deduzione dei giudizi estetici puri, la Dialettica del Giudizio estetico, la prima Introduzione (un testo che non entrò nella stesura finale dell'opera), l'Analitica del sublime, la Critica del Giudizio teleologico e da ultime la seconda Introduzione e la Prefazione, che contengono il disegno sistematico complessivo. Agli studi di Tonelli si riferisce, con opportune integrazioni e correzioni, il saggio di H. Mertens, Kommentar zur Erste Einleitung in Kants Kritt'k der Urteilskra/t, Miinchen 1975, in particolare nell'Appen-

r6

l.

LA CRITICA DEL GIUDIZIO

progettazione e gli stadi di avanzamento dei lavori relativi alla stesura dell'opera, fissandone la data di inizio alla fine del settembre 1787 8 • L'interesse per una critica del gusto è già presente nella nota lettera del 21 febbraio 1772 a M. Herz, in cui Kant ricorda, con probabile riferimento alle Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime (1764), di aver delineato già da tempo e in modo per lui soddisfacente «i principi del sentimento, del gusto e della facoltà di giudicare insieme ai loro effetti: il piacevole, il bello, il bene» 9 e accenna ad un suo progetto, che dovrebbe intitolarsi I limiti della sensibilità e della ragione; la seconda parte di questo progetto dovrà trattare nella sua prima sezione dei «principi generali del sentimento, del gusto e dei desideri sensibili» rn. Di una critica del gusto a cui sta effettivamente lavorando, egli parla però solo quindici anni più tardi, nella lettera del 2 8 dicembre 1787 (integrata con un poscritto il 3 l dello stesso mese) a C. L. Reinhold. In questa lettera Kant scrive di essere al momento occupato con una critica del gusto, che spera di poter ultimare, manoscritta, per Pasqua, e aggiunge di aver scoperto un nuovo tipo di principi a priori, relativo non alla facoltà di conoscere o alla facoltà di desiderare, ma alla teleologia rr. Per lo meno fino al marzo del 1788 Kant dice: Zur Textgenese und Edition der Ersten Einleitung in die Kritik der Urteilskra/t, pp. 235-5r. 8. Scrivendo a C. G. Schiitz il 25 giugno 1787, Kant asserisce di non avere il tempo di recensire la terza parte delle Idee sulla filosofia della storia del!' umanità di J. G. Herder, perché deve dedicarsi «subito al Fondamento della critica del gusto» (Brie/e, Bd. x, p. 490; p. 154) e nella lettera a L. H. Jacob dell'II settembre 1787 scrive: «Ora mi rivolgerò immediatamente all'elaborazione della Critica del gusto; con essa chiuderò la mia impresa critica per procedere a quella dogmatica. Dovrebbe comparire, penso, non più tardi di Pasqua» (ivi, p. 494; p. 156). L'inizio della composizione dell'opera è pertanto successivo a questa data. 9. Ivi, p. 129; p. 64. IO. Ibid. l l. «Così, al momento mi sto occupando della critica del gusto. In questa occasione ho scoperto un tipo di principi a priori nuovo rispetto ai precedenti. Le facoltà dell'animo sono infatti tre: facoltà conoscitiva, sentimento di piacere e dispiacere, facoltà di desiderare. Ho trovato principi a priori per la prima nella Critica della ragion pura (teoretica) e per la terza nella Critica della ragion pratica. Li cercavo anche per il secondo; e, sebbene prima ritenessi impossibile trovarne, sono stato messo su questa strada dalla sistematicità che l'analisi delle facoltà prima menzionate mi ha fatto scoprire nell'animo umano e che mi ha messo a disposizione una materia sufficiente per il resto della mia vita, perché io abbia di che meravigliarmene e - ove possibile perché la penetri a fondo. Cosicché ora riconosco tre parti della filosofi.a, ognuna delle quali ha i propri principi a priori, e li si può enumerare; grazie ad essi, è determinabile con sicurezza l'ambito della conoscenza in tal modo possibile - filosofi.a teoretica, teleologia e filosofi.a pratica. L'intermedia risulta essere certamente la più povera di

LA CRITICA DEL GIUDIZIO DI KANT

continua a chiamare Critica del gusto l'opera a cui sta lavorando 12 • Solo nelle lettere del 12 maggio 1989 a C. L. Reinhold e del 26 maggio a M. Herz parla di una Critica del Giudizio, di cui la Critica del gusto costituisce una parte l3. Tra il marzo del 1788 e il maggio del 1789 avviene dunque l'ampliamento del disegno iniziale, ampliamento dietro cui può stare in parte la consapevolezza maturata in seguito alla composizione del saggio Sull'impiego dei principi teleologici in filosofia (scritto nell'autunno del 1787 e pubblicato nel "Teutscher Merkur" tra gennaio e febbraio del 1788 4), ma soprattutto la convinzione che giudizi estetici e giudizi teleologici siano due diverse applicazioni della stessa facoltà di giudicare, sulla base dell'unico principio a priori della finalità. Questa convinzione matura quando interessi presenti in Kant ancora negli anni Sessanta si innestano progressivamente e si armonizzano in un complessivo disegno critico e sistematico, ed è questo impianto architettonico quello che consente di dare soluzione a problemi finora tenuti al margine della filosofia trascendentale, quali quelli 1

fondamenti di determinazione a priori. Spero di aver pronto verso Pasqua, con il titolo Critica del gusto, il manoscritto, quand'anche non l'opera stampata» (ivi, pp. 514-5; pp. 163-4). Da questo contesto è chiaro come Kant veda coincidere teleologia e critica del gusto, entrambe riferite al sentimento di piacere e dispiacere, una coincidenza che sta alla base dell'originaria unità di quelle che saranno poi le due parti della Critica del Giudizio, unificate sotto l'unico a priori rappresentato dal principio della finalità. 12. Cfr. la lettera a C. L. Reinhold del 7 marzo 1788, in cui, ringraziandolo per la pubblicazione nel "Teutscher Merkur" del saggio Sull'impiego dei principi teleologici in filosofia (trad. it. in Scritti sul criticismo, a cura di G. De Flaviis, Roma-Bari 1991, pp. 33-60), definito per altro «piuttosto fiacco» e «stampato con più correttezza di quanto ne avrebbe meritata», scrive: «Spero proprio di poter consegnare la mia Critica del gusto per la Fiera di S. Michele e di poter così completare la mia impresa critica» (Brie/e, Bd. x, p. 532; p. 167). 13. Cfr. ivi, Bd. XI, p. 39; p. 49; p. 188. 14. Cfr. K. Vorlander, Immanuel Kant. Der Mann und das Werk, 3. Aufl., mit einer Bibliographie zur Biographie von R. Malter und einem Verzeichnis der Bibliographien zum Werk I. Kants von H. Klemme, Hamburg 1992 (1924 p. 346. Il saggio riprende alcuni temi relativamente al concetto di razza, già in parte affrontati negli scritti Sulle diverse razze degli uomini (1775) e Determinazione del concetto di razza umana (1785), ed è una risposta alle obiezioni di G. Forster. Al di là di questo aspetto però, ciò che più conta sono alcune asserzioni che verranno pari pari accolte nella Critica del Giudizio. Tra queste la convinzione espressa da Kant che, quando non sia possibile ricorrere alla spiegazione in base alle cause efficienti, si sia autorizzati a servirsi delle cause finali, pur assicurando alle prime il diritto di precedenza. Altre tesi presenti in qusto saggio sono quelle dell'applicazione della spiegazione teleologica agli organismi viventi, dell'analogia tra la possibilità di intendere certi prodotti della natura e i prodotti dell'arte umana, della relazione tra la teleologia morale e la teleologia applicata alla natura. 1

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relativi allo statuto specifico dei giudizi sugli oggetti belli e sugli organismi viventi. Il venire definitivamente in chiaro sulla configurazione ed estensione della teleologia e del principio della finalità è ciò che consente a Kant di riportare la problematica relativa alla Critica del gusto all'interno della più ampia Critica del Giudizio. Nell'ottobre del 1789 buona parte del lavoro è già compiuta, come scrive Kant all'editore berlinese F rançois Théodore de Lagarde l5. Tra gennaio e febbraio del 1790 Kant gli spedisce in due tornate il grosso dell'opera 16 , licenziando da ultime l'Introduzione e la Prefazione, spedite il 22 marzo 1790 17 • Alla prima edizione del 1790 (Berlin und Libau, bey Lagarde und Friederich), seguirono, curate da Kant, una seconda edizione nel 1793 e una terza nel 1799 (entrambe: Berlin, bey F. T. Lagarde). I curatori delle edizioni successive alla morte del filosofo scelsero chi la prima stesura (Rosenkranz, Kirchmann, Kehrbach), per altro assai scorretta, chi la seconda, migliorata sotto il profilo formale (Hartenstein, Erdmann, Windelband, Cassirer, Lehmann), chi infine la terza (Vorlander) 18 •

r.3

La Erste Einleitung Una vicenda a sé stante nella storia della composizione della Critica del Giudizio è quella che riguarda la prima Introduzione. Scritta prima della stesura della Critica del Giudizio teleologico, essa non venne mai pubblicata da Kant e fu sostituita con una nuovo testo, composto tra gennaio e marzo del 1790 1 9. 15. Cfr. Brie/e, Bd. XI, p. 91 (la lettera è del 2 ottobre 1789). 16. Cfr. inoltre le lettere a de Lagarde del 21 gennaio 1790 (ivi, p. 123), 9 febbraio 1790 (ivi, p. 132), 9 marzo 1790 (ivi, p. 143). 17· Cfr. la lettera a de Lagarde del 25 marzo 1790 (ivi, p. 145). Su ciò cfr. Mer-

tens, Kommentar zur Erste Einleitung in Kants Kritik der Urteilskra/t, cit., pp. 235-6. 18. La traduzione italiana di A. Gargiulo, che ricorda in parte queste vicende (pp. VII-VIII; ma cfr. anche il Nachwort des Herausgebers nella Universal-Bibliothek Reclam, a cura di G. Lehmann, Ditzingen bei Stuttgart 1963, p. 518) e che leggiamo nella revisione di V. Verra (Biblioteca Universale Laterza 1982), si basa sull'edizione di B. Erdmann (quindi sulla seconda edizione), confrontata con quella di K. Vorlander (basata sulla terza). La traduzione di A. Bosi (Classici UTET 1993) si riferisce alle edizioni di Windelband (condotta sulla seconda stesura), Vorlander (condotta sulla terza) e Weischedel (cfr. ivi, p. 68). 19. Per queste vicende cfr. I. Kant, Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskra/t. Faksimile und Transkription, hrsg. von N. Hinske, W. Miiller-Lauter, M. Theunissen, Stuttgart-Bad Cannstatt 1965. Riassumo per brevi cenni le dettagliate informazioni

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La prima Introduzione non fu mai sconfessata da Kant. Anzi, al termine del 1792 -Kant la spedì al suo ex allievo Jakob Sigismund Beck, e di qui prese il via una complicata vicenda, su cui informano dettagliatamente N. Hinske, W. Miiller-Lauter, M. Theunissen, editori del facsimile e trascrizione della Erste Einleitung 20 • Kant .riteneva che il testo sarebbe tornato utile alla stesura del compendio, che Beck intendeva comporre, della Critica del Giudizio 21 • A questo proposito egli dichiarò espressamente di aver rinunciato alla pubblicazione del testo a causa della sua sproporzionata estensione, ma di considerarlo ancora valido per una più compiuta comprensione del concetto di finalità della natura. Effettivamente proprio questi due sono gli aspetti che saltano agli occhi di chi ponga a confronto i testi delle due Introduzioni: la prima è caratterizzata da una maggiore prolissità rispetto alla seconda, che costituisce da questo punto di vista un vero capolavoro di concisione ed equilibrio tra le parti, tanto più ammirevole se si pensa al breve tempo in cui fu composta. Un secondo elemento di differenziazione riguarda la prevalenza nella Erste Einleitung di un'attenzione rivolta alla finalità della natura rispetto alla tematica estetica. Ma questo si può spiegare pensando che se effettivamente, secondo la ricostruzione di G. Tonelli, la prima Introduzione fu composta prima dell'Analitica del sublime e della Critica del Giudizio teleologico, nel momento in cui Kant scrive queste pagine ha di fatto risolto quasi tutti i problemi relativi all'estetica ed è invece tutto preso dal compito a cui si dovrà dedicare: il passaggio dalla considerazione della finalità estetica alla finalità della natura. Beck pubblicò un estratto del testo inviatogli, tralasciando numerose pagine, sotto il titolo forviante di Note all'Introduzione alla Criticontenute in questo testo (Zur Geschichte des Textes, ivi, pp. III-XII, qui pp. V-VI), che già Tonelli definiva «un eccellente strumento di lavoro» (G. Tonelli, Leibniz e Kant, Torino 1967, p. 4). 20. Cfr. Kant, Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskra/t. Faksimile und Transkription, cit. In proposito cfr. però anche l'Introduzione di G. Lehmann a I. Kant, Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskraft, Leipzig 1927, pp. III-VIII e l'Appendice al testo di Mertens, Kommentar zur Erste Einleitung in Kants Kritik der Urteilskra/t, cit., pp. 235-5r. 2r. Cfr. Brie/e, Bd. XI, p. 396; pp. 312-3: «In prò del suo futuro compendio della Critica del Giudizio, Le invierò prossimamente, perché ne disponga a suo piacimento, un plico contenente il manoscritto dell'Introduzione che avevo redatto per essa, ma che cassai per il semplice fatto che la sua prolissità la rendeva sproporzionata al testo. Tuttavia essa mi sembra contenere ancora qualcosa che può contribuire ad una più compiuta intelligenza del concetto di finalità della natura» (a J. S. Beck, 4 dicembre 1792).

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ca del Giudizio (Anmerkungen zur Einleitung in die Kritik der Urtheilskra/t) 22 • Pubblicato successivamente da F. C. Starke nel volume secondo della sua raccolta di scritti minori kantiani con il titolo ancor più infelice Della filosofia in generale e della Critica del Giudizio in particolare (Ueber Philosophie uberhaupt und uber die Kritik der Urtheilskra/t insbesondere, Leipzig 1833), il testo comparve anche in successive edizioni di opere kantiane sempre separatamente rispetto alla terza Critica 23 . Fu infine Benna Erdmann a porre nuovamente in relazione l'estratto di Beck con la Critica del Giudizio 2 4. Ritrovato nella biblioteca dell'Università di Rostock da W. Dilthey, il quale ne diede notizia nel l 889, il manoscritto utilizzato da Beck rimase ancora a lungo sconosciuto al pubblico, poiché lo stesso Windelband, curatore della terza Critica per l' Akademie-Ausgabe ( l 908) conosceva la prima Introduzione solo tramite l'estratto di Beck. Fu E. Cassirer il primo ad accogliere il testo originale nella sua edizione delle opere kantiane, dove fu pubblicata a cura di O. Buek 25 • Fecero seguito le edizioni curate da G. Lehmann per la Philosophische Bibliothek nel 1927 e per il vol. xx della Akademie-Ausgabe nel 1942, e da W. Weischedel nel 1957 26 • Il lettore italiano ha a sua disposizione le traduzioni del testo a cura di P. Manganaro e A. Bosi 27 • 22. Pubblicato in Erlciuternder Auszug aus den critischen Schri/ten des Herrn Prof Kant auf Anrathen desselben van M. ]acob Sigismund Beck, cit., pp. 541-90. 23. Così nel primo volume della Gesamtausgabe di G. Hartenstein (Leipzig 1838), nei Sà"mmtliche Werke curati da K. Rosenkranz e F. W. Schubert (Leipzig 1838), nella seconda Gesamtausgabe di G. Hartenstein (Leipzig 1868) e nella Philosophische Bibliothek a cura di J. H. von Kirchmann (Berlin 1870). 2+ Immanuel Kant's Kritik der Urtheilskraft, hrsg. von Benno Erdmann, Leipzig 1880, pp. 341-73. Per queste vicende editoriali cfr. ancora Kant, Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskraft. Faksimile und Transkription, cit., pp. VII-IX. 25. Immanuel Kants Werke, in Gemeinschaft mit R Cohen, A. Buchenau, O. Buek, A. Gorland, B. Kellermann, hrsg. von E. Cassirer, Bd. v, Berlin 1914 (rist. 1922). 26. Immanuel Kant, Werke in sechs Bà"nden, hrsg. von W. Weischedel, Bd. v, Wiesbaden und Darmstatt 1957· Cfr. Kant, Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskra/t. Faksimile und Transkription, cit., p. XI. 27. La prima è presente nella Piccola Biblioteca Filosofica Laterza, Bari 1969 1 e nella Universale Laterza, Roma-Bari 19841, con l'Introduzione di L. Anceschi; la seconda nei Classici della filosofia UTET, Torino 1993· Da ricordare è anche la precedente traduzione a cura di E. Migliarini, Firenze 1968.

In questa introduzione alla lettura della Critica del Giudizio non si riserva uno spazio specifico ali' analisi della prima Introduzione. Si segnaleranno tuttavia di volta in .volta sia le divergenze rispetto alle formulazioni dell'Introduzione definitiva, sia quei luoghi che consentono di intendere meglio sia la problematica generale sia singoli aspetti dell'opera.

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I.4

L'ambito problematico affrontato nella terza Critica r+r. IL PROBLEMA DELL'UBERGANG

L'indagine critica condotta da Kant anteriormente alla Critica del Giudizio è caratterizzata dal fatto di isolare e contrapporre due ordini di realtà: il mondo della natura da un lato e il regno della libertà dall'altro. Ciò non significa che questa distinzione corrisponda all' effettiva struttura dell'esperienza umana, la quale è, secondo Kant, originariamente sintetica. L'uomo è insieme natura e libertà; è portatore di esperienze che si lasciano determinare in termini di causalità necessaria, ma è parimenti in grado di accedere ali' assoluta libertà del puro pensiero, sciolto da condizionamenti fenomenici; il suo intelletto formula mediante l'apparato categoriale le leggi che descrivono l'ordine dell'universo, la sua ragione trova in se stessa un diverso ordine e una diversa legge. Solo una riflessione di tipo analitico isola i due ordini, portando allo scoperto gli elementi ultimi, a monte dei quali non è possibile risalire, che consentono al soggetto di avere conoscenza delle leggi che regolano il primo aspetto della realtà e di muoversi da soggetto responsabile nel secondo. Il cuore problematico della Critica del Giudizio è rappresentato dalla relazione tra questi due ordini, dal passaggio dal determinismo riscontrabile nel mondo naturale, fenomenico, spiegabile mediante rigorose leggi scientifiche che Kant recepisce dalla fisica newtoniana, alla libertà che sta a fondamento delle azioni umane, compreso lo stesso pensare. La Critica del Giudizio pone a tema l'Ubergang tra ne-· cessità e libertà e radica questo passaggio in una prospettiva trascendentale. La possibilità di pensare, almeno senza contraddizione, la coesistenza dei due ordini nel medesimo soggetto è problema che Kant affronta già nella Critica della ragion pura. Ma pensare (denken) alla coesistenza dell'ordine fenomenico e dell'ordine noumenico vuol dire solo dimostrare l' incontraddittorietà dei due ordini riferiti ad un medesimo soggetto 28 ; questo non significa però ancora spiegare (erklà"ren) se e come il primo possa accordarsi con il secondo. Questa spiegazione esige l'individuazione di un principio tale da consentire il passaggio dal modo di pensare secondo i principi del primo ordine al modo di pensare secondo i principi del secondo. 28. Cfr. a questo proposito G. Santinello, Conoscere e pensare nella filosofia di Kant, Padova 1963.

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E proprio questo passaggio da un modo di pensare all'altro costituisce il tema dell'ultima Critica, la quale non affronta questa questione sul piano sistematico o dottrinale della connessione tra le tematiche proprie della filosofia della natura e quelle della filosofia morale, ma sul piano della riflessione trascendentale, la quale verte sul modo di pensare secondo i canoni della necessità e sul modo di pensare secondo libertà. Tutta la terza Critica è posta sotto il segno del trascendentale: in essa non si tratta né di una scienza del bello né di una scienza del vivente. Ciò di cui si fa questione è il rapporto che le facoltà conoscitive del soggetto intrattengono con questi ogg~tti, al fine di individuare il passaggio che consente di connettere due diverse forme di riflessione. La terza Critica si propone infatti di chiarire come avvenga il passaggio dal modo di pensare (Denkungsart) secondo principi che valgono nel mondo fenomenico al modo di pensare secondo principi validi nel mondo noumenico delle cose in sé: si tratta pertanto di un'indagine che non considera direttamente oggetti, ma quelle strutture conoscitive o esperienziali a priori che consentono al soggetto conoscente, senziente e agente di accedere a determinati oggetti: si ha a che fare dunque con un'indagine trascendentale in senso stretto 29 • La possibilità di fare esperienza di determinati oggetti esige però come condizione la presenza di determinate facoltà nell'animo umano; senza tali facoltà gli oggetti nemmeno si presenterebbero alla coscienza del soggetto. La Critica del Giudizio mira ad individuare in primo luogo quella facoltà che, presente nell'animo umano, rende possibile il passaggio dal modo di pensare valido nel mondo dei fenomeni al modo di pensare applicabile a realtà sovrasensibili. 1+2. NATURA E LIBERTÀ

Il problema dell'Ubergang delineato nella terza Critica merita alcune riflessioni ulteriori. Innanzitutto va rilevato che il bisogno di proporre una mediazione tra ambiti eterogenei non va affatto considerato come qualcosa di 29. «È un principio trascendentale quello col quale è rappresentata la condizione universale a priori, sotto la quale soltanto le cose possono diventare oggetti della nostra conoscenza in generale» (KdU, PAR. v, p. 181; p. 21). Il termine "trascendentale" - osserva Kant nei Prolegomeni - «non vien usato mai a significare un rapporto della nostra conoscenza con le cose, ma soltanto con la facoltà conoscitiva» (Proleg., p. 293; p. 49). Cfr. a questo proposito A. Rigobello (a cura di), Ricerche sul trascendentale kantiano, Padova 1973; G. Traversa (a cura di), Il trascendentale nella "Critica del Giudizio", in "Il cannocchiale", 1990, 3.

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nuovo nel pensiero kantiano, ma ne rappresenta anzi una delle costanti. Presente già negli scritti precritici, questo tema diviene centrale nelle grandi opere della maturità e costituisce uno dei principali nuclei problematici delle riflessioni che Kant venne annotando anche negli ultimi anni della sua vita. La questione della distinzione e della correlazione tra mondo fenomenico e mondo noumenico costituisce già il tema della dissertazione del 1770 De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis, dove assume la configurazione del rapporto tra due forme di causalità, quella meccanica che sta alla base della spiegazione dei fenomeni del mondo sensibile, vincolato a precise condizioni spaziali e temporali, e quella libera propria del mondo intelligibile, i cui principi non sono sottoposti a condizioni spazio-temporali. È questo del resto il problema che verrà ripreso e sviluppato sul piano conoscitivo nella Critica della ragion pura e su quello della riflessione etica nella Critica della ragion pratica. Nella prima si tratta di spiegare come i costrutti ottenuti mediante l'applicazione delle categorie dell'intelletto al molteplice sensibile non si limitino a valere solo sul piano soggettivo della facoltà intellettiva, ma abbiano valore oggettivo, problema la cui soluzione sarà affidata alle parti più complesse della prima Critica: deduzione trascendentale e schematismo. Nella seconda Critica si deve invece dar ragione di come l'agire umano, determinato da precise condizioni spazio-temporali, sia nel contempo connesso ad un principio, quello della libertà, che non si lascia assoggettare a queste condizioni e che nell'uomo si manifesta come spontaneità, come capacità di dar inizio da sé a qualcosa, come indipendenza da condizionamenti di qualsivoglia natura, come facoltà di volersi in un certo modo e quindi di autodeterminarsi 3°. La tematica dell'istituzione di un passaggio tra ambiti eterogenei costituisce però in particolare il problema specifico, accanto ad altri ad esso connessi, della Critica del Giudizio. Con quest'opera infatti Kant intende gettare un vero e proprio ponte tra due domini distinti: il dominio teoretico, sottoposto alla legislazione dell'intelletto, e quello pratico, posto sotto la legislazione della ragione. In termini kantia-

30. Tra i contributi più recenti sull'argomento ricordo quelli di G. Prauss, Kant uber Freiheit als Autonomie, Frankfurt a.M. 1983; F. Chiereghin, Il problema della libertà in Kant, Trento 1991, e di K. Diising, Spontaneità e libertà in Kant, in "Studi kantiani", 6, 1993, pp. 23-46.

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ni l'uno si identifica con l'ambito della natura, l'altro con quello della libertà. L'abisso, su cui dev'essere gettato il ponte, è costituito dalla radicale differenziazione esistente tra il modo di procedere della ragione umana nel suo uso speculativo e nel suo uso pratico 3 1 • Nel primo caso, quando si tratta di determinare le leggi costanti dell'universo fisico, valgono le spiegazioni della fisica classica. Nel secondo caso invece, il principio che sta a fondamento della legislazione pratica - la libertà - si carica di un valore assoluto e incondizionato che prescinde da determinazioni spazio-temporali e non si lascia spiegare in base a quelle leggi su cui poggiano scienze quali la matematica e la fisica pura. Tradotto nel linguaggio della Critica della ragion pura questo significa che la legislazione dell'intelletto è abile a spiegare tutto ciò che nell'uomo e fuori dell'uomo avviene in base al principio della causalità necessaria, per cui un certo effetto è sempre riconducibile ad una determinata causa, ma questa spiegazione non regge allorché interviene quella causalità secondo libertà, la quale consente che un determinato effetto, un'azione ad esempio, sia sussumibile sotto cause, ossia moventi, estremamente vari. È qui che si apre lo spazio per il problema del passaggio dall'uno ali' altro ordine ed è questo il contributo nuovo che la Critica del Giudizio intende offrire, prestando attenzione a facoltà dell'animo umano, a modalità conoscitive e riflessive e a principi che le precedenti riflessioni avevano certo non trascurato, ma confinato in ruoli marginali. r.4.3. LINEE PER UN'ANTROPOLOGIA TRASCENDENTALE

La domanda che sta alla base di questo testo non concerne dunque la definizione dei limiti del conoscere («che cosa posso sapere?») né l'individuazione dei principi su cui si fonda il comportamento morale («che cosa devo fare?»), e nemmeno .la possibilità di gettare uno sguardo nel mondo del sovrasensibile, là dove il sapere deve cedere

3I. Su questo aspetto cfr. A. Dorner, Kants Kritik der Urteilskraft in ihrer Beziehung zu den beiden anderen Kritiken und zu den nachkantischen Systemen, in "KantStudien", 4, 1900, pp. 248-85; P. Heintel, Die Bedeutung der Kritik der à'sthetischen Urteilskraft Jur die transzendentale Systematik, Bonn 1972; M. Horkheimer, Kant, la Critica del Giudizio, trad. it. e introd. di N. Pirillo, Napoli l98I.

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alla fede («che cosa mi è lecito sperare?»), pur implicandole in realtà tutte 32 • Nella Critica del Giudizio infatti il problema relativo al conoscere riguarda la sussunzione sotto regole di quegli aspetti del mondo naturale e umano. che, caratterizzati da una costitutiva contingenza, sono oggetto di discipline quali la botanica, la biologia, la medicina, l'anatomia, l'antropologia, la storia. L'interesse per il fare si sposta dall'individuazione dei principi incondizionati che governano la vita buona, al concreto operare secondo fini e in particolare alla produzione di forme belle nella natura e nell'arte. Tuttavia in questo caso, come nel precedente, la pretesa non è quella di spiegare l'origine della vita o la genesi dell'opera d'arte; l'intento, di gran lunga più modesto, resta circoscritto ai giudizi che hanno luogo nell'uno o nell'altro caso e ai principi che presiedono alla formulazione di questi giudizi. Per quanto riguarda infine l'afflato religioso e la speranza che questo dischiude nell'orizzonte umano, questo si specifica nella fondazione di una teologia che, lasciandosi alle spalle i limiti di un deismo su base razionale e percorrendo la doppia via della conoscenza analogica sotto il profilo conoscitivo e della riflessione sull'ordine dei fini sotto il profilo pratico, arriva a determinare le nozioni del bene sommo per l'uomo e dell'essere supremo. Non è ancora questo il momento opportuno per affrontare i diversi e molteplici problemi di ordine gnoseologico-epistemologico ed etico-religioso che la Critica del Giudizio mette sul tappeto e che si cercherà di analizzare nel corso di questa esposizione. Ciò che da tale lettura dovrà risultare è il radicarsi di tutte queste tematiche su un terreno comune. È questo interesse comune infatti quello che sta alla base di ciascuna delle tre domande che si chiedono rispettivamente che cosa è possibile sapere, che cosa bisogna fare, in che cosa è lecito 32. Nelle lezioni di logica Kant fa seguire alle tre domande, già formulate nella Critica della ragion pura (KrV, p. 522; p. 612), un quarto interrogativo: «che cos'è l'uomo?» (Logik, Physische Geographie, Pcidagogik, Kant's gesammelte Schri/ten, Bd. IX, p. 25; Logica, trad. it. di L. Amoroso, Roma-Bari 1984, p. 19. Cfr. anche la lettera del 4 maggio 1793 a C. F. Staudlin in Briefe, Bd. XI, p. 429; p. 319). A questo quarto interrogativo, che presuppone i precedenti, si appoggia M. Heidegger (Kant e il problema della metafisica, trad. it. di M. L. Reina, riv. e con introd. a cura di V. Verra, Roma-Bari 1981) per proporre, sulla scorta delle suggestioni kantiane, l'idea di un'antropologia filosofica come disciplina sulla quale dovrebbe concentrarsi l'interesse dell'intera filosofia. Sulla centralità nella filosofia kantiana di un interesse antropologico cfr. anche i saggi di P. Salvucci, L'uomo di Kant, Urbino 1963; J. Schwartlander, Der Mensch ist Person. Kants Lehre vom Menschen, Stuttgart 1968; K. Alphéus, Was ist der Mensch? (Nach Kant und Heidegger), in "Kant-Studien", 59, 1968, pp. 187-98; I. Herrmann, Kants Teleologie, Budapest 1972, ispirato all'interpretazione lukacsiana.

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sperare, ciascuna delle quali evidenzia un elemento di incompiutezza, di indigenza, in una parola di finitezza, e rinvia come sua condizione di possibilità a quel soggetto finito che tutte le pone, l'uomo, radicandosi pertanto in un'antropologia filosofi.ca 33. È questa antropologia - filosofi.ca dunque e non pragmatica, ma più opportunamente bisognerebbe definirla trascendentale 34 - la prospettiva comune che, mai esplicitamente tematizzata da Kant, può essere posta a fondamento di tutto il programma critico, una prospettiva che trova nella Critica del Giudizio un accesso peculiare. Il ponte che quest'opera intende gettare infatti sull'abisso che separa il dominio della ragione speculativa da quello della ragione pratica, non è altro che un tentativo di spiegare come un essere finito e condizionato, radicato nella sensibilità e quindi assegnato alla temporalità, qual è l'uomo, faccia esperienza in sé di valori che si sottraggono a condizionamenti spazio-temporali e si presentano con il segno dell'assolutezza e incondizionatezza. La novità della terza Critica concerne la scelta dell'accesso a questa problematica, un accesso che assume come tema della riflessione aspetti radicati nella sensibilità e nella contingenza, quali l'esperienza della bellezza e il fenomeno della vita. Entrambi divengono oggetto di interesse· non per lo studioso di estetica o per il biologo (non è questo almeno l'intento primario che Kant si propone, anche se le riflessioni kantiane hanno attirato generazioni di studiosi dell'uno e dell'altro settore), ma per il filosofo trascendentale. L'antropologia trascendentale kantiana .sottesa alla Critica del Giudizio è analisi dell'uomo a partire dallo studio delle facoltà del suo animo, riflessione su ciò che nell'uomo si presenta sia con i caratteri della finitezza sia con' i caratteri dell'assolutezza e dell'incondizionatezza. Per questo costituisce il tentativo forse più radicale all'interno del pensiero moderno di trovare un punto di equilibrio tra soggettività e assolutezza, immanenza e trascendenza.

33. È questa la tesi già ricordata ed esposta da Heidegger in Kant e il problema della metafisica, cit., pp. 178 ss. La suggestione heideggeriana di un'antropologia filosofica è fatta propria da E. Weil (Problemi kantiani, ed. it. a cura di P. Venditti, presentazione di P. Salvucci, Urbino 1980, p. 36): «Risulta così che il fondamento ultimo della filosofia kantiana deve essere ricercato nella sua teoria dell'uomo, nell' antropologia filosofica, non in una "teoria della conoscenza" e neppure in una metafisica, che pure rappresentano parti essenziali del sistema. Ma Kant non fa di questo fondamento del suo pensiero l'oggetto della sua riflessione, non lo tematizza. Le linee essenziali ne sono tuttavia visibili: finitezza e universalità [... ]». 34. Questa è la proposta avanzata giustamente da L. Amoroso in Senso e consenso. Uno studio kantiano, Napoli 1984, pp. 79 e 86.

LA CRITICA DEL GIUDIZIO DI KANT

r.5

Le facoltà dell'animo umano r.5.r. LA TRIPARTIZIONE DELLE FACOLTÀ DELL'ANIMO

L'analisi trascendentale con cui si apre la Critica del Giudizio muove dall'esame delle facoltà dell'animo umano. Non si può certo dire che questo procedimento si presenti nella storia del pensiero occidentale come un qualcosa di nuovo. La presentazione di una tripartizione delle funzioni che si radicano nell' animo umano si ritrova infatti nei grandi testi filosofi.ci dell'antichità, dalla Repubblica di Platone all'Etica Nicomachea di Aristotele ed è premessa in entrambe le opere per l'analisi delle virtù, ciò per cui ogni componente dell'animo compie al meglio la funzione che le è propria. Ma per intendere il quadro delle· facoltà dell'animo umano presentato nella Critica del Giudizio e le radici in cui esso affonda, non occorre ricorrere ad una tradizione tanto antica, tanto più che non c'è modo di ·attestare una conoscenza diretta di Kant degli autori della grecità 35. Molto più facile è trovare antecedenti di questo modo di procedere negli autori sulla cui manualistica Kant si era formato, e i cui testi continuava ad utilizzare come base per i suoi corsi universitari (Leibniz, Wolff, Baumgarten, Meier, Tetens). In questa prospettiva si potrebbe anzi asserire che il quadro delle facoltà dell'animo proposto da Kant, lungi dal rappresentare ancora «nei suoi aspetti intrinseci [.. .] un angolo buio nell'esegesi kantiana» 3 6 , non è che un esempio dell'aderenza kantiana alla tradizione culturale di cui era figlio. In realtà le cose non sono così semplici; proprio questo quadro consente anzi di sottolineare un aspetto dell'originalità del punto di vista kantiano. A questo scopo è opportuno prendere le mosse dall'analisi della tavola che suggella l'Introduzione all'opera, là dove Kant prospetta 35. Relativamente alla formazione kantiana P. Menzer osservava come non ci sia modo di provare la conoscenza di Platone e Aristotele, in assenza di citazioni in originale; la conoscenza della filosofia greca classica, che Kant dimostra di possedere, può derivare da compendi di storia della filosofia; altrettanto vale per quella dei grandi tragici greci; buona invece è la sua conoscenza della lingua latina, che traspare non solo nella definizione dei concetti, ma anche nella costruzione del periodare (cfr. P. Menzer, Kants Asthetik in ihrer Entwicklung, Berlin 1952, p. 8). 36. Così P. Manganaro nella Nota bibliografica alla traduzione italiana della Prima Introduzione (BE, p. 60). Il rapporto di Kant con il pensiero di Sulzer, Tetens, Eberhard, Herder, Mendelssohn in relazione alla dottrina delle facoltà dell'animo è sottolineato da J. Bona-Meyer, La psicologia di Kant. Un'esposizione critica, trad. e cura di L. Guidetti, Firenze 199I.

I. LA CRITICA DEL GIUDIZIO

una veduta d'insieme delle facoltà dell'animo, «considerate nella loro unità sistematica». Si tratta di un'esposizione sintetica e sistematica delle facoltà dell'animo (Gesammte Vermogen des Gemuts) 37, degli interessi da cui queste facoltà sono sollecitate e dei principi che presiedono al funzionamento delle rispettive facoltà conoscitive, diverse a seconda che riguardino il conoscere, l'appetire o il sentire. Con questa esposizione Kant intende assolvere al compito di una «Introduzione enciclopedica della critica del Giudizio nel sistema della critica della ragion pura» 3 8 . In questi termini viene infatti presentata nella Prima Introduzione la distinzione tra una introduzione propedeutica e una introduzione enciclopedica. La prima è semplicemente preparatoria ad una dottrina, si basa su conoscenze già note e mette in chiaro i principi specifici della dottrina che ci si appresta a svolgere. La seconda invece non presuppone conoscenze affini, ma dà luogo ad un quadro molto più ampio e complesso, rappresentato dall'idea di un sistema che dev'essere completato proprio dalla nuova dottrina. Una introduzione enciclopedica è cosa particolarmente complessa, perché contiene in sé l'idea di una totalità sistematica e insieme il principio di una sua suddivisione completa 39, ed è per questi motivi che dovrebbe costituire propriamente la conclusione della dottrina a cui di fatto introduce, dal momento che ne determina il luogo nel complesso a cui appartiene. Conformemente a queste linee direttive, la tavola che conclude l'Introduzione 4° presenta la seguente articolazione: 37. Il Gemut, traduzione del latino animus, costituisce per Kant la fonte e il complesso (Inbegri/f) di tutte le rappresentazioni e la radice unitaria che nell'uomo tiene insieme sensibilità e capacità intellettiva per l'aspetto conoscitivo, sentimento di piacere e dispiacere, facoltà di desiderare. 38. BE, PAR. XI, p. 241; p. 126. 39. Cfr. ivi, p. 242; p. 127. 40. KdU, PAR. IX, p. 198; p. 40. Sulla sistematicità di questa tavola c'è di che discutere. Un primo aiuto viene dall'annotazione di Kant, il quale, a fronte del sospetto di artificiosità con cui si è sempre guardato alle sue suddivisioni, quasi sempre triadiche, obietta che «ciò è nella natura stessa della cosa» (ivi, p. 197; p. 40). Infatti - osserva - se si deve far intervenire una divisione a priori, essa sarà analitica o sintetica. Nel primo caso, dovendo essa obbedire al principio di contraddizione, consterà sempre di due parti reciprocamente escludentisi («quodlibet ens est aut A aut non A»); nel secondo caso, invece, dovendo intervenire su un'unità sintetica, originata da concetti a priori, presupporrà tre termini: «1° la condizione, 2° un condizionato, 3° il concetto, che nasce dall'unione della condizione col condizionato» (zhid.), e dovrà presentarsi quindi necessariamente come una tricotomia. Nello schema che Kant propone è difficile attribuire a prima vista ai diversi elementi la qualifica di condizione o di condizionato e certo la prima impressione che se ne ricava può essere efficacemente descritta nei termini che lo stesso Kant adopera

LA CRITICA DEL GIUDIZIO DI KANT

Complesso de!!e facoltà de!!'animo

Facoltà di conoscere

Principi a priori

Applicazione alla

Facoltà di conoscere Sentimento di piacere e dispiacere Facoltà di desiderare

Intelletto Giudizio

Conformità a leggi Finalità

Natura Arte

Ragione

Scopo finale

Libertà

I. 5 .2. IL SENTIMENTO DI PIACERE E DISPIACERE

Vermogen sono le capacità dell'animo umano, funzioni o potenzialità che vengono di volta in volta attivate da oggetti o in ambiti diversi, i quali si lasciano suddividere in tre classi principali: la natura, ossia l'insieme di tutti i fenomeni suscettibili di essere interpretati secondo leggi costanti, e quindi conosciuti grazie all'intelletto; l'arte, ovvero la capacità tecnica che sta alla base del produrre, tanto che questo produrre rinvii ad un soggetto inanimato e sia privo di intenzionalità, quanto che sia considerato come proprio della creatività umana; la libertà, la quale attiva la facoltà di volere. A questi tre ambiti corrispondono nel soggetto tre facoltà: la facoltà del conoscere, il sentimento di piacere o di dispiacere e la facoltà di desiderare. Anche nell'apprezzamento del sentimento, a cui viene riservato un ruolo intermedio tra la facoltà conoscitiva e quella appetitiva, Kant si dimostra a prima vista figlio del proprio tempo. Il XVIII secolo vede infatti fiorire ovunque in Europa, ma soprattutto in Inghilterra e Scozia, una rivalutazione del sentimento nei confronti della ragione scientifica. Si tratta dell'idea di un sentimento comune di benevolenza o simpatia, che sta alla base del mondo che gli uomini creano in co-

per indicare il lungo e tortuoso cammino, che consente di cogliere l'idea unitaria che sta a fondamento di un sistema architettonicamente strutturato, e cioè che inizialmente ogni sistema sembra essere nato «come i vermi, [... ] per una generatio aequivoca dal semplice concorso di concetti raccolti insieme» (KrV, p. 540; p. 63 I). Già nella Prefazione alla Critica della ragion pratica, tuttavia, Kant afferma che, quando «si ha a che fare con la determinazione di una particolare facoltà dell'animo umano, secondo fonti, contenuti e confini, non si può, per la natura stessa della conoscenza umana; se non cominciare dalle sue parti e da una loro precisa e (per quel che è possibile, nell'attuale condizione degli elementi già acquisiti) completa esposizione» (Kp V, p. 10; p. 183). Sul carattere triadico dello schema kantiano cfr. E. Garroni, Schema di lettura dell'Introduzione della Critica del Giudizio e alcuni rilevanti studi kantiani, in AA.W., La tradizione kantiana in Italia, Messina 1986, pp. 93-115.

l.

LA CRITICA DEL GIUDIZIO

mune. Si tenta con ciò di individuare un fondamento del giudizio morale e politico, capace di rendere ragione del convenire degli uomini su principi universali, non in base a procedimenti di tipo scientifico-deduttivo, ma in forza di un comune modo di sentire. Shaftesbury, Hutcheson, Hume, A. Smith e in genere la scuola scozzese del common sense (Reid, Beattie, Oswald) concordano nel riconoscere negli uomini una componente altruistica, un sentimento del bene e dell'interesse comune, che sta alla base di ogni accordo intersoggettivo. In quest'ottica, ad esempio, lo scetticismo e il relativismo derivanti in campo pratico dal fatto che i cosiddetti valori morali non sono ritenuti altro che un coacervo di impressioni, passioni, volizioni, pensieri, vincolati al gioco soggettivo della nostra approvazione o riprovazione, senza oggettività alcuna, viene temperato in Hume dalla persuasione dell'esistenza di un sentimento morale comune a tutta l'umanità, che raccomanda lo stesso oggetto ali' approvazione generale. In modo ben più radicale Shaftesbury fonda su questo sentimento morale, inteso come percezione intuitiva del bene e del vero, l'intera costruzione etica. Ma è soprattutto la filosofia scozzese quella che dedica il massimo di attenzione alla nozione di common sense, come sorgente di verità in campo etico e religioso, una sorta di a priori conoscitivo e pratico non speculativo, in contrapposizione al ragionare astratto. In realtà Kant si distacca decisamente dalle tesi dei moralisti inglesi e scozzesi, nella misura in cui fa del sentimento una facoltà del1' anima assolutamente autonoma rispetto alla facoltà del conoscere e alla facoltà di desiderare. Questa autonomia ha, come si cercherà di dimostrare, molteplici conseguenze, che si riverberano non solo sul!'impossibilità per il sentimento di stabilire qualcosa su ciò che è vero o su ciò che è bene, ma anche sui limiti della facoltà conoscitiva che riguarda questa capacità dell'animo umano, sui principi che ne determinano il funzionamento e sugli oggetti a cui essa si rivolge. Una delle novità che la terza Critica offre è rappresentata proprio dall'analisi trascendentale della capacità che il soggetto ha di provare sentimenti. Estremamente ampio è l'ambito di interessi che attiva questa facoltà. Per designarlo, Kant ricorre al termine altrettanto ampio di arte, intesa sia in senso specifico come sinonimo di arte bella, sia in senso lato come tecnica, capacità produttiva. L'universo soggettivo in cui il soggetto è creatore di forme belle ha come corrispettivo oggettivo quegli aspetti della natura che sfuggono all'interpretazione meccanicistica e che sembrano obbedire ad una sorta di finalità, che fa sì che si parli di una tecnica della natura, quasi che essa in certi

LA CRITICA DEL GIUDIZIO DI KANT

suoi prodotti porti ad esecuzione dei progetti. Né l'intelletto né la ragione possono conoscere alcunché in relazione a questo mondo, e tuttavia l'arte attiva nel soggetto sentimenti di piacere o dispiacere, sia che si tratti della produzione o fruizione di oggetti belli, sia che la considerazione della natura in quanto tecnica consenta di organizzare sistematicamente riflessioni sugli aspetti contingenti della natura stessa. L'indagine trascendentale, a cui Kant si accinge, si propone di individuare la facoltà conoscitiva e i principi a priori che si connettono all'attivarsi del sentimento in relazione all'arte o agli aspetti tecnici della natura. Questa facoltà conoscitiva viene identificata da Kant con la capacità, comune a tutti gli esseri razionali, di formulare giudizi: la Urteilskraft 4r. I. 5. 3. IL FINE DELLA RAGIONE E LA DESTINAZIONE DELL'UOMO

Le facoltà dell'animo non sono dunque entità sussistenti per sé 4 2 , né accidenti di una sostanza designata come Gemut. Sono invece disposizioni, funzioni, modalità diverse di rapporto del soggetto alle rappresentazioni di oggetti. A questi modi di rapportarsi del soggetto ad oggetti diversi corrispondono capacità conoscitive differenziate, le quali regolano la capacità rappresentativa delle funzioni dell'animo in base a principi. Kant le definisce facoltà conoscitive superiori, poiché sono caratterizzate da autonomia di funzionamento e indipendenza dal riferimento a dati oggettivi empirici; sono infatti attive in un soggetto che non è passivo fruitore, ma produttore delle proprie rappresentazioni. Intelletto, facoltà di giudicare e ragione sono le facoltà conoscitive che presiedono alle rappresentazioni prodotte dalla facoltà di conoscere, dal sentimento di piacere e dispiacere e dalla facoltà di desiderare. È questa sistematica delle facoltà dell'animo e delle facoltà conoscitive ciò da cui bisogna prendere le mosse per intendere il contesto complessivo entro cui si situano i diversi temi affrontati da Kant nella terza Critica e l'approccio trascendentale alla problematica del passag4r. È invalso l'uso, a partire dalla traduzione di A. Gargiulo, di rendere per brevità e per evitare equivoci Urteilskraft con "Giudizio", inteso come facoltà di giudicare, e Urteil con "giudizio", proposizione unificante un soggetto e un predicato. 42. Questo osserva giustamente Mertens, Kommentar zur Erste Einleitung in Kants Kritik der Urteilskra/t, cit., p. 194·

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l. LA CRITICA DEL GIUDIZIO

gio tra modi di pensare validi in relazione a realtà diversificate 43. Sarebbe un errore considerare questa articolazione come qualcosa di artificioso, di cui non si sa spiegare la provenienza, perché è invece chiaro che questa sistematica deriva tutta dal fine che l'umana ragione si propone. Tale fine esprime al tempo stesso l'essenza e la destinazione dell'uomo, il compito o la missione che esso è chiamato a realizzare. Per indicare questa determinazione di un'essenza, che è parimenti indicazione del suo fine, la lingua tedesca si serve di una sola parola: Bestimmun g. Ora l'intima costituzione d'essere dell'uomo in contrapposizione ad altri esseri viventi e il compito che egli è chiamato ad assolvere sono espressi da un unico concetto: la libertà. È questa la parola che conclude lo schema finale dell'Introduzione e che costituisce la chiave di volta non solo della ragione nel suo complesso, ma dell'intero sistema che Kant viene articolando. Del resto già nella Critica della ragion pura egli asserisce che due sono gli oggetti propri della ragione umana, natura e libertà,' i quali debbono essere considerati «da ultimo in un unico sistema filosofico» 44. «Sotto il governo della ragione» - così scrive Kant nella Architettonica della ragion pura - «le nostre conoscenze in generale non possono formare una rapsodia, ma devono costituire un sistema, in cui soltanto esse possano sostenere e promuovere i fini essenziali di quella [ragione]. Per sistema intendo poi l'unità di molteplici conoscenze raccolte sotto un'idea» 45 . È questa idea ciò che determina a priori la forma del tutto e il luogo che le singole parti vi occupano, poiché essa contiene in sé non solo il fondamento dell'intero sistema, ma anche il fine di esso. L'unità del fine, a cui tutte le parti si riferiscono [.. .] fa che ciascuna parte non possa mancare nella conoscenza delle altre, e che non possa esserci alcuna addizione accidentale [. .. ]. Il tutto è quindi organizzato (articulatio) e non ammucchiato (coacervatio); può crescere dall'interno (per intussusceptionem), ma non dall'esterno (per appositionem), come un corpo animale, il cui ere-

43. A differenza di quanto scrive E. Schaper nella Prefazione a Studies in Kant's Aesthetics, Edinburgh 1979, e nel più recente Zur Problematik des iisthetischen Urteils (in Akten des Siebenten Internationalen Kant-Kongresses, hrsg. von G. Funke, Bonn r99r, Bd. I, p. 17), ritengo che proprio l'analisi del sistema delle facoltà dell'animo esposto nell'Introduzione costituisca il migliore approccio alla comprensione delle tematiche affrontate da Kant nella terza Critica. 44· KrV, p. 543; p. 635. 45. Ivi, p. 538; p. 629.

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LA CRITICA DEL GIUDIZIO DI KANT

scere non aggiunge nessun membro, ma, senza alterazione della proporzione, rende ogni membro più forte e più utile 4 6 •

L'idea che esprime al tempo stesso il fondamento e il fine dell'intera articolazione sistematica è l'idea di libertà, il cui concetto - come si legge nel noto passo della Prefazione alla Critica della ragion pratica costituisce «la chiave di volta dell'intero edificio di un sistema della ragion pura, anche della ragione speculativa» 4 7 • In essa si saldano metafisica della natura e metafisica dei costumi, le due parti del sistema della ragione pura nel suo uso speculativo e pratico. Letto alla luce dell'idea unificatrice della libertà, espressione del fine proprio dell'umana ragione, l'intento che Kant viene delineando nella pagine della Prefazione e dell'Introduzione della Critica del Giudizio, e che sintetizza nella tavola conclusiva del PAR. IX dell'Introduzione, risulta perfettamente conseguente e riassumibile nei seguenti termini: c'è nella ragione dell'uomo, che è quanto è posto a tema dall'indagine filosofica, un fine che ne esprime al tempo stesso l'essenza; questo fine è l'idea di libertà. Poiché questa libertà deve realizzarsi non in un iperuranio che condannerebbe l'uomo ad una schizofrenia esistenziale, ma in quella natura in cui tutti i viventi sono collocati, è necessario cercare l'origine dell'accordo tra i fini propri della natura e quelli che l'uomo si propone nella sua libertà. La via che conduce a questa meta passa per la riflessione sull'arte, quella produttività guidata da fini, attribuibile tanto all'uomo quanto alla natura. Ma poiché la riflessione sull'arte sfugge ai canoni applicabili agli eventi fisici o ai valori etici e, pur avendo a che fare con intelligenza e volontà, si sottrae ad una sussunzione sotto l'una o sotto l'altra, essa rinvia ad una peculiare facoltà dell'animo umano, quel sentimento che include in sé emozioni, immaginazione, fantasia creatrice. È questo un mondo che sfugge alla legislazione fisica o etica, pur obbedendo a proprie leggi, spesso non meno rigorose di quelle fisiche o etiche. Portare allo scoperto questa legislazione, quella che Kant con felice espressione definisce «la legalità del contingente», è il compito arduo che Kant persegue nella terza Critica e affida ad una particolare facoltà conoscitiva: il Giudizio. Le caratteristiche di questa peculiare facoltà la rendono infatti per un verso capace di intrattenere un rapporto con le altre facoltà conoscitive, pur salvaguardandone l' autono46. Ivi, p. 539; p. 630. 47. KpV, pp. 3-4; p. 176.

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I. LA CRITICA DEL GIUDIZIO

mia, e per un altro aspetto la rendono idonea a trarre allo scoperto gli elementi a priori inerenti al sentire.

r.6

La facoltà di giudicare r.6.r. IL RUOLO MEDIATORE DEL GIUDIZIO

Ciò che è a tema nella terza Critica non sono singoli giudizi, poiché questo aprirebbe un campo senza fine, dal momento che;· sotto la generica definizione di proposizione unificante un soggetto e un predicato, Kant prospetta una molteplicità di giudizi diversi. Non è infatti sufficiente fermarsi alla nota distinzione tra giudizi analitici e giudizi sintetici, i quali a loro volta si distinguono in a priori e a posteriori. A questi si aggiungono giudizi di percezione e di esperienza, etico- e tecnico-pratici, estetici e teleologici, per ricordare solo quelli esplicitamente tematizzati da Kant. Tutti questi sono singoli prodotti della facoltà di giudicare, così come insegna la logica, la quale distingue le facoltà superiori della conoscenza in facoltà dell'intelletto (Verstand), del Giudizio (Urteilskraft) e della ragione (Vernunft), pur riconducendole tutte sotto la generica denominazione di intelletto in generale 4 8 . Non dunque singoli giudizi costituiscono l'oggetto specifico della terza Critica (anche se alcuni di essi vengono di fatto analizzati nell' opera), quanto piuttosto la facoltà che presiede in generale alla loro formulazione: la Urteilskraft. Ali' analisi di questa facoltà dedicano pagine pregnanti tanto la Critica della ragion pura quanto la Critica della ragion pratica e l'Antropologia pragmatica 49 • Già nella Critica della rag;·on pura la facoltà di giudicare è definita come «la facoltà di sussumere sotto regole, cioè di distinguere se qualche cosa stia o no sotto una regola data (casus 48. L'intelletto infatti, in quanto «facoltà di pensare (di rappresentarsi qualcosa per mezzo di concetti)», ovvero di riportare la molteplicità delle intuizioni sensibili sotto l'unità di determinate regole (per questo l'intelletto è definito anche come «facoltà delle regole») viene indicato come facoltà conoscitiva superiore in contrapposizione alla sensibilità, considerata come inferiore (cfr. Anthr., PAR. 40, p. 1 9 6; pp. 82-3). Esiste dunque un doppio modo di intendere l'intelletto: da un lato infatti esso, contrapposto alla sensibilità, è in generale la facoltà di pensare, dall'altro costituisce una particolare modalità di questa facoltà di pensare, accanto alla ragione e al Giudizio, e si distingue da essi per il diverso oggetto conoscitivo che gli compete. 49. Sul ruolo della Urteilskraft nelle tre Critiche cfr. W. Bartuschat, Zum systematischen Ort von Kants Kritzk der Urteilskra/t, Frankfurt a.M. 1972, pp. 23-91.

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LA CRITICA DEL GIUDIZIO DI KANT

datae legis )» 5°. Proprio perché esecutore della delicatissima e concreta operazione di applicazione di una regola al caso particolare o di sussunzione del caso particolare sotto un principio universale, il Giudizio è definito «un talento particolare, che non si può insegnare, ma soltanto esercitare [.. .] l'elemento specifico del così detto ingegno naturale (Mutterwitz), al cui difetto nessuna scuola può supplire». A questo noto passo, in cui Kant definisce la carenza di capacità di giu51 dicare, presente anche in persone molto dotte, come stupidità , seguono gli altrettanto noti esempi del medico, del giudice o dell'uomo di Stato, il cui sapere nel campo della patologia, del diritto o della scienza politica non evita loro di commettere errori nel momento dell'applicazione, perché, pur comprendendo «l'universale in abstracto», non sanno poi «distinguere se un caso particolare in concreto vi rientri» 52 • Di qui discende la peculiarità del Giudizio, una peculiarità che ne fa il portatore di una funzione psicologica e logica 53 , conoscitiva e pratica insieme. Come elemento del Mutterwitz, dell'ingegno naturale, una sorta di tatto logico o di demone che si identifica alla fin fine con il buon senso, il Giudizio infatti consente di approdare alla soluzione di un problema anche senza rendersi analiticamente conto dei processi che stanno ali' origine di quella soluzione. Il suo «retto uso» è cosa tanto necessaria e richiesta che finisce con l'identificarsi con il «sano intelletto» (der gesunder Verstand). Per questo la facoltà di giudicare può venire acuita mediante esempi e casi pratici, con il ricorso dunque ali' esperienza, ma è certo che non c'è scuola che possa supplire al suo difetto, né regola che ne insegni l'uso 54 • Ancora più ev~­ dente è questa funzione nel Giudizio pratico, al quale spetta determinare se un'azione per noi possibile «rappresenti un caso che sta sotto la regola o no»; al Giudizio spetta infatti di determinare l' applicazione di «ciò che vien detto nella regola genericamente (in abstracto) [ .. .] a un'azione in concreto» 55 • Kant attribuisce pertanto alla facoltà di giudicare una funzione che è insieme teoretica e pratica, poiché si tratta in ogni caso di avere 50. 5I. 52. 53.

KrV, p. 131; p. 160. Cfr. Anthr., PAR. 46, p. 204; p. 9I. KrV, p. 132; p. l6I.

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Significativa è la distinzione sottolineata da K. Marc-Wogau (Vzer Studzen zu Kants Kritik der Urteilskra/t, Upsala-Leipzig 1938, p. l) tra l'aspetto psicologico della Urteilskraft, che ne fa quel talento particolare la cui mancanza compo~ta stupidità, e l'aspetto logico, in quanto facoltà di sussumere il particolare sotto l'universale. 54- Cfr. KrV, p. 131; p. 160. 55. KpV, p. 67; p. 26+

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LA CRITICA DEL GIUDIZIO

a che fare con un dato particolare e di dover decidere in che rapporto questo particolare si pone nei confronti di un principio universale che può essere sia noto - in questo caso si tratta di una sussunzione vera e propria - sia ignoto. E qui le cose si fanno più complicate, perché il Giudizio è chiamato in questo caso a palesare la sua capacità inventiva, dovendo porre da se stesso una regola universale, sotto cui sussumere poi il caso particolare. Questo porterà, come vedremo tra breve, a distinguere tra due diverse modalità di funzionamento del Giudizio. Ciò che resta fermo è comunque il fatto che alla facoltà di giudicare Kant attribuisce comunque un ruolo di mediazione sia tra I?articolare e universale, sia tra ordine conoscitivo e ordine pratico. E questa funzione ciò che spinge Kant, quando si tratti di gettare un ponte tra i due ambiti separati della ragione teGfetica e della ragione pratica, a giocare le sue carte puntando sulla facoltà del Giudizio che, autonoma rispetto ad entrambe le modalità di esercizio della ragione, può tuttavia, per la sua vocazione teorico-pratica, essere applicata in entrambi i campi. r.6.2. IL FATTORE "CONTINGENZA"

Poiché il Giudizio in tutte le sue applicazioni ha sempre a che fare con casi particolari, che cerca variamente di rapportare a principi di ordine generale, questo determina un'ulteriore specificità della Critica del Giudizio che, a differenza delle Critiche precedenti, si esercita a partire da elementi diversi, caratterizzati tutti da una nota comune: l'essere espressione di finitezza, il portare a manifestazione elementi particolari, la partecipazione ad un quadro assegnato alla contingenza. Ed è a questo proposito che emerge, accanto a quello di un Ubergang tra mondo della necessità e regno della libertà, tra uso speculativo e uso pratico della ragione, un altro tema qualificante della terza Critica: la definizione dello statuto epistemologico del particolare e contingente. L'elemento della singolarità e dell'accidentalità, imbrigliato entro le categorie e i principi puri dell'intelletto nella prima Critica e confinato nella sfera dell'arbitrio nella seconda, diviene ora centrale nella terza. Il singolare e l'individuale sono ciò che la Critica del Giudizio pone a tema sotto due diversi profili complementari. Il primo, più generale, è rappresentato dalla critica di quella facoltà - il Giudizio per l'appunto - che si assume il compito di rapportare particolare e universale, ricercando il senso del primo. Il secondo, più specifico, si dispiega in una pluralità di prospettive, le quali possono essere gene37

LA CRITICA DEL GIUDIZIO DI KANT

ricamente ricondotte alle due modalità del Giudizio estetico e del Giudizio teleologico, ma che di fatto tocca una gamma assai ampia di esperienze umane che hanno a che fare con il sentimento, il piacere, l'arte, il rapporto con la· natura, con la storia, con la religione. . Con ciò la Critica del Giudizio dischiude, a partire dalla riflessione su una specifica facoltà dell'animo umano, un accesso non generico, ma affrontato su una molteplicità di fronti che è ardua impresa tenere aperti insieme, alla domanda filosofica sull'essenza dell'uomo, un accesso al chi è questo singolo individuo 56 , la cui conoscenza cozza contro una datità originaria che gli impone limiti invalicabili, la cui azione è continuamente esposta all'accidentalità, al rovesciamento di ciò che era nell'intenzione dell'agente in qualcosa di radicalmente diverso. È quest'opera di riflessione e comprensione, in cui si saldano in unità le diverse componenti dell'animo umano, ciò che consente all'individuo di dare un senso al suo essere e operare nel mondo.

r.7

Il Giudizio riflettente e il principio della finalità r.7.r. NATURA E LIMITI DEL GIUDIZIO RIFLETTENTE

Quest'accesso alla comprensione del significato dell'individuale e dell'accidentale, che caratterizzano l'essere dell'uomo nel mondo, viene affidato non alla facoltà di giudicare in generale, ma ad una sua specifica modalità: il Giudizio riflettente. Definita infatti la Urteilskra/t come la facoltà di pensare il particolare come contenuto nell'universale, Kant distingue due modi diversi di intendere questa relazione: Se è dato l'universale (la regola, il principio, la legge), il Giudizio che opera la sussunzione del particolare [. .. ] è determinante. Se è dato invece soltanto il particolare, e il Giudizio deve trovare l'universale, esso è semplicemente riflettente 57 • 5

6. A ragione pertanto W. Frost (Der Begriff der Urteilskra/t bei Kant, Halle

i 9o6, p. i5) afferma che il concetto della facoltà di giudicare doveva condurre Kant

al problema dell'individuo. Sul rapporto tra contingenza e Giudizio riflettente cfr. V. Mathieu, Regola implicita e Giudizio riflettente kantiano, in "Nuova civiltà delle macchine", 3 , i 9 8 5 , pp. 60-4. La presenza del fattore "contingenza" nella Critica del Giudizio è sottolineata inoltre da I. Bauer-Drevermann, Der Begriff der Zu/iilligkeit in der Kritik der Urteilskraft, in "Kant-Studien", 56, i965-66, pp. 497-504; F. Chiereghin, Nota su "contingenza", "singolarità" e "coerenza" nella Critica del Giudizio, in "Archivio di storia della cultura'', 5, i992, pp. i57-6+ 57· KdU, PAR. IV, p. q9; pp. 18-9.

I.

LA CRITICA DEL GIUDIZIO

Determinante è dunque quella modalità della facoltà di giudicare che sussume il caso particolare sotto le leggi dell'intelletto o della ragione. Il Giudizio determinante non è dunque autonomo, ma solo sussuntivo, ed è questa sua limitazione originaria quella che lo preserva dal rischio di cadere in contraddizione circa i principi a cui esso deve obbedire. Determinanti sono tanto i giudizi delle scienze esatte quanto i giudizi pratici, i quali riconducono l'azione singola sotto l'universalità della legge morale, che è legge di ragione e comanda di agire sempre in modo che la massima dell'azione sia passibile di valere come principio di una legislazione universale. Diverso è il caso del Giudizio riflettente, il quale - osserva Kant è obbligato a risalire da un particolare dato ad un universale, ossia una legge o un principio, il quale non è affatto noto. E qui si manifesta tutta la forza euristica del Giudizio riflettente il quale, in questa sua opera di riconduzione del particolare sotto un universale, è costretto a fare da principio a se stesso, poiché non è possibile fare uso alcuno delle facoltà conoscitive indipendentemente da principi 5 8 • Mentre il Giudizio determinante può sbagliare solo nell'atto concreto della sussunzione, il Giudizio riflettente è tutto affidato a se stesso: il suo, più che un caso di autonomia, è un caso di eautonomia, perché non si limita ad assoggettarsi di sua volontà ad una legge data, ma è costretto a darsi da sé questa legge 59. Con questo però, accanto alla portata conoscitiva del Giudizio riflettente, sono evidenti anche i suoi limiti, perché questa facoltà avrà sempre e solo un valore relativo al solo soggetto conoscente e non diventerà mai fonte di conoscenza dell'intrinseca natura di qualsivoglia oggetto. La reflektierende Urteilskra/t non serve dunque a conoscere oggetti, se conoscere significa ricondurre un'intuizione empirica sotto una categoria o concetto dell'intelletto. Non serve nemmeno ad individuare direttive dell'agire né principi di valutazione dell'azione compiuta. Essa ha il compito, in apparenza assai più modesto, di riflettere su determinati oggetti, in modo che questa riflessione torni a vantaggio delle facoltà conoscitive nel loro complesso, istituendo un ponte tra i due ambiti apparentemente separati dell'intelletto e della ragione e tornando così a vantaggio di una componente non trascurabile dell' animo umano: non l'intelligenza né la volontà, ma la facoltà di sentire, la quale esprime piacere, gioia o soddisfazione là dove, nel pullulare atomistico di realtà o eventi non riconducibili a norme o principi di 58. Cfr. ivi, PAR. 69, p. 385; p. 255. 59· Cfr. ivi, PAR. V, pp. i85-6; p. 26.

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ordine generale, avverte delle connessioni capaci di dare un senso unitario a ciò che ne è a prima vista privo 60 • Si tratta di un'utilità che ha valore solo in una prospettiva trascendentale, non dottrinale: nel Giudizio riflettente, ribadisce Kant, «non è certo la determinazione dell'oggetto ad essere compresa, ma solo quella del soggetto e del suo sentimento» 61 • È per questo che il Giudizio non può dar vita ad una terza parte del sistema, accanto a metafisica della natura e metafisica dei costumi. I principi a cui esso obbedisce non sono leggi né della natura né della· libertà. Però, proprio a causa di questa sua indipendenza, esso si colloca nel punto dell'Ubergang tra le due parti in cui si articola il sistema della filosofia e consente di riflettere sul rapporto tra natura e libertà. r.7.2. LA FINALITÀ

Il fatto che il Giudizio riflettente non possa basarsi su leggi o principi noti ma che debba trovare da sé l'universale sotto cui sussumere il cas; particolare, implica - come notava ancora Marc-Wogau 62 - il fatto che questo universale debba essere inteso come scopo in relazione al particolare: il rapporto del particolare all'universale assume così il carattere della finalità. Che la finalità sia il principio a priori proprio del· Giudizio riflettente, ciò che ne consente il funzionamento in quanto facoltà conoscitiva, diventa evidente se si considera· il modo di procedere del Giudizio teleologico. Non che questo non valga anche per il Giudizio estetico, ma per questo le cose si fanno più complesse e in sede introduttiva conviene attenersi al solo Giudizio teleologico, il quale per Kant non è altro che il Giudizio riflettente in generale. È qui che si manifesta, a partire dal principio della finalità, l'idoneità del Giudizio a fungere da termine di passaggio tra il modo di pensare in base a leggi valide nel dominio della natura al modo di pensare secondo principi validi nel dominio della libertà. Pensare in termini di conformità ad un fine non consente di conoscere alcunché, ma permette di istituire nessi, anche se validi solo soggettivamente, 60. Nella Prima Introduzione Kant scrive a questo proposito che il Giudizio riflettente opera tecnicamente o artisticamente «secondo l'universale e pur indeterminato principio di un ordinamento finale deUa natura in un sistema, in modo vantaggioso per il nostro Giudizio, nella conformità delle sue leggi particolari (sulle quali l'intelletto non dice nulla) alla possibilità dell'esperienza come sistema» (EE, PAR. v, p. 214; p. 89). 6L Ivi, p. 223; p. IOI. 62. Marc-Wogau, Vier Studien zu Kants Kritik der Urteilskra/t, cit., pp. 14-5.

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tra elementi diversi, riconducendoli ad un'unità che partecipa dell'a priori, perché presupposta rispetto ali' esperienza, e dell' a posteriori, perché applicata alla riflessione su oggetti che si danno nell' esperienza. Guardare agli oggetti come conformi ad uno scopo consente di individuare un principio, labile e soggettivo finché si vuole, che mette ordine là dove sembrano dominare solo caso e accidentalità. Per questo Kant definisce la finalità come conformità a leggi (Gesetzlichkeit) applicata al contingente 6 3. La finalità è un concetto puramente trascendentale, che non viene attribuito come proprietà alla natura, ma «rappresenta soltanto l'unico modo che noi dobbiamo seguire nella riflessione sugli oggetti della natura allo scopo di ottenere un'esperienza coerente in tutto nel suo complesso» 6 4. In questo modo il Giudizio riflette su quegli aspetti contingenti della natura, in primo luogo sul fenomeno della vita, ma anche sulle connessioni tra mondo inorganico e regno organico e sui prodotti dell'opera di cultura e civilizzazione dell'umanità. Tutti questi aspetti della realtà concreta non sono sussumibili sotto le leggi necessarie dell'intelletto, eppure il Giudizio rinviene anche in essi la possibilità di accordi e connessioni, che tornano comunque a vantaggio della coerenza di un' esperienza, e generano in colui che fa quest'esperienza un sentimento di piacere, che corrisponde ali' appagamento di un bisogno di ordine, e più ancora di comprensione, proprio dell'animo umano. Non è necessario fare intervenire a spiegazione di questo procedimento qualcosa come una «finzione» 65 • Si tratta molto più semplicemente di un procedimento analogico, in base al quale «la natura è rappresentata mediante questo concetto come se [als ob] ci sia un intelletto che contenga il principio che dia unità al molteplice delle leggi empiriche di essa» 66 . Così come la finalità pratica implica un disegno unitario, che sorregge un progetto volto alla realizzazione di alcunché, altrettanto la finalità della natura è un modo per trarre allo scoperto connessioni nell'esistente, rispondendo così ad un bisogno di significato che l'uomo avverte nei confronti di ciò che sembra apparentemente casuale. Essa non dà vita ad un ordine realmente sussi63. Cfr. KdU, PAR. 76, p. 404; p. 277. 64. Ivi, PAR. v, p. 184; p. 2+ 65. Volto a confutare la tesi H. Vaihinger (Die Philosophie des Als-Ob. System der theoretischen, praktischen und religiosen Fiktionen der Menschheit au/ Grund eines idealistischen Positivismus. Mit einem Anhang uber Kant und Nietzsche. Neudruck der 9ho. Aufl. Leipzig 1927, Aalen 1986), il quale vede in Kant un interprete del suo Fiktionalismus, è il volume di E. Adickes, Kant und die Als-Ob-Philosophie, Stuttgart 1927, che distingue opportunamente tra un uso fittizio e un uso ipotetico dell'als-ob. 66. KdU, PAR. IV, p. 180; p. 20.

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stente, ma ad un ordinamento ideale in cui trovano posto fenomeni quali il sorgere, della vita, il prodursi dell'opera d'arte, il senso dell' esistenza e della destinazione dell'umanità. I. 7. 3. MASSIME E MODELLI

Il valore soggettivo e regolativo del principio della finalità è confermato dal fatto che esso non si esprime secondo leggi, le quali sono sempre caratterizzate da universalità e necessità, ma attraverso massime o comportamenti che assumono valore esemplare. Il primo caso è proprio quello del Giudizio teleologico, il quale enuncia regole che consentono di raggruppare sistematicamente, cioè di classificare, aspetti particolari della natura. Esempi di tali regole sono quelle sentenze di cui, osserva Kant, è costellato il cammino della metafisica e che hanno tutte alla loro radice la nozione di un fine: La natura prende il più breve cammino (lex parsimoniae); essa non fa alcun salto, né nella serie dei suoi cambiamenti, né nella giustapposizione delle sue forme specificamente diverse (lex continui in natura); nella grande varietà delle sue leggi empiriche vi è l'unità sotto pochi principi (principia praeter necessitatem non sunt moltiplicanda) 67 •

Anche il giudizio che sta alla base dello studio sistematico del regno organico si fonda su massime. Coloro che studiano la struttura di piante e animali, per spiegare «perché e a qual fine furono date loro quelle parti, quella disposizione e quel legame delle parti stesse, e proprio quella forma interna, ammettono come imprescindibilmente necessaria la massima, che niente è inutile in tali creature», un principio teleologico a cui accordano lo stesso valore del principio generale della scienza naturale, «cioè che nulla avviene a caso» 68 . 67. Ivi, PAR. v, p. 182; p. 22. 68. Ivi, PAR. 66, p. 376; p. 245. Il successivo PAR. 67 ribadisce il valore soggettivo

e regolativo di queste massime del Giudizio riflettente: «Tutto nel mondo è utile a qualche cosa, niente vi esiste invano, è un principio inerente alla ragione solo soggettivamente, vale a dire in quanto massima [. .. ]. Si comprende che questo non è un principio pel Giudizio determinante, ma soltanto pel Giudizio riflettente; che è regolativo e non costitutivo; e che perciò noi riceviamo da esso solo una guida per considerare le cose della natura, relativamente ad un fondamento di determinazione già dato, secondo un nuovo ordine di leggi, e per estendere la scienza della natura secondo un altro principio, cioè quello delle cause finali, senza pregiudizio, per altro, di quello del meccanicismo della sua causalità» (PAR. 67, p. 379; p. 248). Trattando della soggettività di queste massime Kant riprende e sviluppa quanto scrive nella parte conclusiva della Dissertatio De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis del 1770 sui

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Il secondo caso è presente nell'opera d'arte, di cui non si può dire che sia prodotta in assenza di regole, ma nemmeno sulla base di una rigida regolamentazione imposta dall'esterno. È il genio artistico quello che dà a se medesimo la regola, in cui si congiungono immaginazione creatrice e intelletto raziocinante ed è questa regola che, una volta compresa, assume valore esemplare e consente che altri si mettano sulla stessa strada, non per imitare pedissequamente il risultato ottenuto, ma per porsi sul cammino che ha condotto ad esso e produrre così qualcosa di nuovo.

I.8

Giudizio estetico e Giudizio teleologico Il principio della finalità è dunque di fatto il tema centrale intorno a cui ruota tutta la Critica del Giudizio. È questo il principio atto a dare una spiegazione di quegli aspetti della realtà che non si lasciano sussumere sotto l'operare del Giudizio determinante, dell'intelletto speculativo o della ragione pratica, quali I' esperienza della produzione e fruizione di oggetti belli, la sfera biologica, la prassi individuale e storica. Per questo alla finalità, principio guida del Giudizio riflettente, Kant affida il compito di rendere possibile I'Ubergang tra natura e libertà, dominio dei concetti dell'intelletto e ambito della ragione e della libertà. Ed è ancora nella prospettiva della finalità che trovano un punto d'incontro, pur nella loro distinzione, le due modalità del Giudizio estetico e del Giudizio teleologico. Sui caratteri distintivi del Giudizio estetico e del Giudizio teleologico avremo modo di soffermarci ampiamente nella seconda e nella terza parte di questa nostra lettura. Per il momento, per meglio comprendere I' estensione del principio della finalità, ci limitiamo a preprincipi della convenienza (principia convenientiae): «regole del giudizio alle quali volentieri ci assoggettiamo e alle quali ci atteniamo, quasi fossero assiomi, per la sola ragione che se ci scostassimo da esse risulterebbe pressocché impossibile al nostro intelletto esprimere un giudizio attorno ad un dato oggetto» (La forma e i principi del mondo sensibile e intelligibile, Kant's gesammelte Schri/ten, Bd. II, p. 418; trad. it. in Scritti precritici, a cura di P. Carabellese (1923), nuova ed. riv. e accresciuta a cura di R. Assunto e R. Hohenemser (1953), ampliata da A. Pupi con nuova introd. di R. Assunto, Roma-Bari 1982, pp. 459-60). Tra questi principi Kant annovera i seguenti: tutto accade nell'universo secondo l'ordine della natura; i principi non devono essere moltiplicati tranne che per necessità estrema; assolutamente nulla della materia nasce o perisce.

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stare attenzione ali' accordo tra le due forme di giudicare, un accordo che rinvia ad una più profonda unità, la quale affonda le sue radici in un'antica e consolidata tradizione: quella dell'origine comune di arte e tecnica 69 • Entrambe rientrano nell'orizzonte pratico-produttivo relativo al1' operare umano: tecniche sono definite nella prima Introduzione tutte quelle regole che «appartengono ali' arte di realizzare ciò che desideriamo che avvenga» 70 , e comportano il reperimento dei mezzi che consentono di perseguire sia scopi particolari, sia quello scopo che tutti gli uomini consapevolmente o inconsapevolmente si propongono, ossia la felicità. Tecnica e arte rinviano dunque ad un comune significato che, presente anche nel termine greco réxv11 e nel latino ars, si mantiene fino a tutto il secolo XVIII e definisce qualsiasi forma di attività capace di portare a compimento dei prodotti. Esiste pertanto in Kant un significato ampio del termine arte, come sinonimo di tecnica, abilità produttiva, e un significato più ristretto e specifico come produzione di oggetti belli. La coppia di termini arte e tecnica non viene però fatta valere solo in relazione all'uomo e al suo operare, ma viene estesa per analogia all'intero ambito della natura. Kant parla infatti espressamente di una «tecnica della natura» 7 r o di una considerazione della natura come arte. Con queste espressioni intende significare che, in analogia con la produttività umana, anche la natura procede "tecnicamente", non certo nel senso di proporsi intenzionalmente dei fini da raggiungere 72 , ma nel senso che taluni suoi prodotti, qualora non siano riconducibili ad una comprensione di tipo meccanico-fisico, possono essere riguardati alla luce di una prospettiva teleologica, cioè «sono talvolta giudicati solo come se la loro possibilità si fondi sull'arte» 7 3, cioè su una sorta di capacità produttiva guidata 69. Cfr. su questo punto K. Kuypers, Kants Kunsttheorie und die Einheit der Kritik der Urteilskra/t, Amsterdam-London 1972, il quale ricerca la ragione dell'unità di gusto e teleologia sottolineando l'uso linguistico kantiano dei termini Kunst, Kunstwerk, Kunstler in rapporto alla tradizione dei termini -rtxv11 e ars. 70. BE, PAR. I, p. 200; p. 7r. Sull'arte cfr. le Reflexionen 2703/9, Kant's gesammelte Schrzften, Bd. XVI, pp. 477-8. 7r. BE, PAR. II, p. 204; p. 76; cfr. anche KdU, PAR. VIII, p. r93; p. 34, e PAR. 76, p. 404; p. 277. 72. «Si dice assai poco» - osserva Kant (ivi, PAR. 65, p. 374; p. 243) - «della natura e della facoltà che essa dimostra nei prodotti organizzati, quando questa si chiama un analogo dell'arte; perché allora si. pensa l'artista (un essere ragionevole) fuori di essa». 73. BE, PAR. I, p. 200; pp. 7r-2.

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I. LA CRITICA DEL GIUDIZIO

da fini. Con questo è chiaro che la tecnica della natura non spiega nulla circa l'intrinseca costituzione d'essere degli oggetti di natura, ma rappresenta un modo della nostra facoltà di giudicare di porsi in relazione con determinati oggetti, il cui essere diviene per noi significante, quando si ragioni non in termini di cause necessarie, ma di scopi possibili. Tecnica della natura è sinonimo di finalità della natura ed esprime il principio che guida a priori il Giudizio nella sua opera di riflessione. Questo modo di intendere il concetto di arte in senso lato, non solo nel significato oggi corrente di arte bella, ma come sinonimo di tecnica, attività produttiva di scopi possibili riferibile a qualsiasi produttore, giustifica l'intento perseguito da Kant di sottoporre al Giudizio riflettente le diverse forme di conformità a fini presenti n.ell' arte e nella natura. A questo intento corrisponde la distinzione della Critica del Giudizio nelle due parti della Critica del Giudizio estetico e nella Critica del Giudizio teleologico. La prima analizza la finalità soggettiva, relativa alle componenti dell'animo umano che entrano in gioco, quando si ha a che fare con il piacere suscitato da oggetti belli, esistenti in natura (un bel tramonto, un bel fiore) o prodotti dall'uomo (un dipinto, una statua, una poesia, una composizione musicale). La seconda esamina quella finalità oggettiva, che consente di accordare intorno ad un concetto unificante molteplici particolari, in funzione del costituirsi per il soggetto di un'esperienza unitaria e coerente 74. Entrambe le forme di finalità, soggettiva e oggettiva, estetica e teleologica, sono solo un analogo della finalità pratica, la cui analisi non trova spazio nella Critica del Giudizio, poiché è oggetto della parte pratica del sistema e si lascia ricondurre sotto l'operare del Giudizio determinante, a cui spetta appunto il compito di determinare quali mezzi consentano di conseguire lo scopo voluto, quali azioni siano conformi al dettato della legge morale, quale sia lo scopo finale verso cui tutto l'edificio morale è orientato.

74- Già Banfi (Esegesi e letture kantiane, cit., p. 5r) sottolineava come la riconduzione del campo estetico e teleologico sotto un unico principio va letto in Kant come un recupero in chiave trascendentale di una tradizione che ha sempre sottolineato la coincidenza. tra la struttura armonico-finalistica dell'universo e il suo valore estetico, una tradizione che, presente in Plotino e nel neoplatonismo rinascimentale, ritorna nel XVII e XVIII secolo in Leibniz, Shaftesbury, Hemsterhuis e, passando attraverso Kant, si rinnova poi nel pensiero romantico.

45

LA CRITICA DEL GIUDIZIO DI KANT

I.9

Analisi testuale r.9.r. LA PREFAZIONE

Prima di affrontare la lettura delle due parti del testo, conviene dedicare ancora un po' di attenzione a quella che effettivamente costituisce quasi una terza parte della Critica del Giudizio, nel senso che ha una propria compiutezza e organicità e costituisce il presupposto necessario per intendere il disegno complessivo dell'opera. Mi riferisco alle pagine apposte da Kant a titolo di premessa e introduzione. Proprio perché questi sono i testi che Kant compose per ultimi, è ad essi che si deve guardare per individuare il punto di maggior autoconsapevolezza da lui raggiunto in relazione al cammino compiuto. Solo da questi densi paragrafi., la cui lettura è a prima vista ingrata ed è apparsa a non pochi interpreti appesantita da una volontà di sistema esasperata e da un'architettonicità portata al limite dell'incomprensibile, emerge la ragione dell'unità dell'opera e della sua articolazione interna e il posto che essa occupa nell'insieme della concezione kantiana. Cominciamo dalla Vorrede, in cui Kant determina il ruolo affidato alla terza Critica nei confronti della Critica della ragion pura e della Critica della ragion pratica. Posto che la prima si occupa delle leggi che l'intelletto prescrive a priori alla natura in quanto complesso di fenomeni e stabilisce i limiti che tale conoscenza non può valicare, mentre la seconda indaga il ruolo costitutivo della ragione nella determinazione della volontà, la terza Critica esaminerà la facoltà di giudicare, la quale nell'ordine delle facoltà conoscitive costituisce il termine medio tra intelletto e ragione. Relativamente a questa facoltà Kant comincia col porre tre interrogativi: r. se anche questa facoltà di giudicare abbia, al pari di intelletto e ragione, propri principi à priori; 2. se questi principi siano costitutivi o solo regolativi; 3. se, mediante tali principi, il Giudizio prescriva a priori la regola al sentimento di piacere e dispiacere, il quale è posto nell'animo umano come termine medio tra la facoltà di conoscere e la facoltà di desiderare, così come l'intelletto prescrive leggi alla prima e la ragione alla seconda. In realtà, nel momento in cui Kant formula queste tre domande, si è già assicurato le relative risposte, peraltro contenute già nella successiva Introduzione. Riassumendole in forma sintetica, dovremo pertanto asserire che:

I. LA CRITICA DEL GIUDIZIO

r. Il Giudizio riflettente (quello determinante non è qui in questione) ha un proprio principio a priori: questo principio è la finalità

(Zweckmafligkeit). Anche se la Critica esaminerà di questo principio diverse modalità

2.

(finalità soggettiva e oggettiva, formale e materiale), ne confermerà però sempre il valore puramente regolativo. 3. Mediante questo principio il Giudizio riflettente fornisce effettivamente a priori una regola per il sentimento di piacere e dispiacere, ma prima ancora a se stesso, al fine di disciplinare il suo stesso funzionamento. Con ciò viene prospettata, con un'essenzialità esemplare a fronte della ricchezza di temi e problemi squadernata nelle due parti dell' opera, la problematica di fondo in cui si inquadra la terza Critica. Fin da principio se ne rimarca il carattere trascendentale, un carattere che, nel proporsi come scopo l'indagine su una facoltà conoscitiva, impone precise delimitazioni all'opera che ci accingiamo a leggere: da essa non ci si dovrà attendere né un ampliamento della parte dottrinale della filosofi.a, né una formazione del gusto estetico, né un' estensione della conoscenza scientifica ma, se è possibile, un maggior grado di comprensione da parte dell'uomo tanto di sé, delle sue facoltà ed esperienze, quanto del mondo a cui appartiene. r.9.2. L'INTRODUZIONE

Questi intenti vengono ribaditi nelle successive pagine dell'Introduzione, articolata in tre parti: nella prima (PARR. 1-m) viene presentata lesigenza di una critica del Giudizio in vista dell'unificazione delle due parti della filosofi.a in un intero. Nella seconda (PARR. IV-VI) vengono esposti i caratteri della facoltà di giudicare e della finalità quale principio trascendentale per il Giudizio e per il sentimento. La terza parte (PARR. VII-IX) distingue le due manifestazioni di questa finalità (estetica e teleologica) che verranno analizzate nel corso delle due parti dell'opera, e ribadisce il compito mediatore che la facoltà di giudicare assolve nei confronti dell~ legislazione dell'intelletto e della ragione e dei relativi ambiti nei cui confronti essi introducono regole: lambito della natura interpretabile in base a leggi fisico-meccaniche e lambito della libertà, la cui ratio cognoscendi è la legge morale. L'Introduzione costituisce pertanto una sorta di manifesto programmatico dell'intera esposizione della Critica del Giudizio, di cui in realtà è il risultato, e va compresa alla luce della lettura dell'intera opera e delle due parti in cui essa si articola. Per questo la tavola 47

LA CRITICA DEL GIUDIZIO DI KANT

finale che suggella il PAR. IX, e che ci ha già guidato in questo primo approccio alla terza Critica, non va interpretata solo in relazione all'ultimo paragrafo dell'Introduzione e nemmeno in relazione all'intera Introduzione, ma come esposizione schematica dell'intero intento critico e sistematico che la filosofia kantiana persegue. Questo intento risulta del resto palese fin dall'apertura· del primo paragrafo dell'Introduzione: 1.

Della divisione della filosofia

In questo primo paragrafo Kant comincia con il ricordare come la filosofia in quanto sistema, inteso come insieme dei «principi della conoscenza razionale delle cose mediante concetti» 75 , si divide in una parte teoretica (filosofia della natura) e una parte pratica (filosofia morale). La prima prende a tema i concetti della natura, ossia la capacità di interpretare il mondo fenomenico sussumendone i diversi aspetti sotto la legalità dell'intelletto, così da approdare ad una visione delle cose che è poi quella propria della fisica matematica di matrice classica, newtoniana, dominata da una causalità di tipo meccanico. La seconda assume come proprio oggetto il concetto di libertà, espressione di una causalità diversa da quella che governa la materia inanimata o i comportamenti istintivi degli animali. All'interno di questa distinzione principale Kant introduce un'ulteriore distinzione nell'ambito del "pratico", in cui distingue regole tecnico-pratiche e principi etico-pratici, espressione entrambi della causalità della volontà. Mentre i principi etico-pratici appartengono di diritto alla filosofia pratica, in quanto si fondano interamente sull'idea di libertà ed enunciano leggi· che, non essendo altro che diverse formulazioni dell'unico imperativo categorico, non hanno alcuna relazione con scopi o intenzioni particolari, le regole tecnico-pratiche includono quelle prescrizioni dell'arte e dell'abilità in generale o quei consigli della prudenza destinati a fungere da mezzo per il conseguimento di qualche scopo particolare. Le regole tecnico-pratiche stanno alla base di discipline pragmatiche quali «l'economia domestica, l'agricoltura, la politica, l'arte del condursi in società, i precetti della dietetica, [. .. ] la dottrina generale della felicità e l'arte di frenare le inclinazioni e reprimere gli affetti in vista della felicità stessa» 76 • Tutte queste discipline devono venire annoverate pertanto tra i corollari della filosofia teoretica, in quanto hanno come base non l'idea di una volontà libera, ma il concetto di una volontà che

75· 76.

KdU, KdU,

PAR. I, p. 171; p. 9· Cfr. BE, PAR. I, p. 195; p. 65. PAR. I, p. 173; p. II. Cfr. BE, PAR. I, pp. 195-6; p. 66.

I.

LA CRITICA DEL GIUDIZIO

agisce in quanto determinata da alcunché, come una delle tante cause naturali esistenti nel mondo destinate a produrre un effetto. Tecnici sono quei principi che enunciano la connessione di una causa con un effetto, necessario o possibile secondo concetti della natura, e per questo sono definiti corollari appartenenti alla filosofia teoretica. Come tali sono regole di comportamento che, muovendosi all'interno di una situazione condizionata, sono riconducibili tutte alla formulazione "se... , allora ... ", una formulazione che la filosofia pratica, fonda~a sulla nozione sovrasensibile di libertà, perentoriamente esclude. E questa una distinzione che avrà un peso determinante e chiarificatore proprio in relazione ai concetti di arte e tecnica, dei quali Kant si premura fin d'ora di sottolineare l'autonomia nei confronti dell'ambito morale. II.

Del dominio della filosofia in generale

Un altro aspetto che Kant sottolinea con decisione fin dalle prime battute introduttive è la natura rigorosamente trascendentale della sua analisi. L'indagine a cui egli si accinge non verte su uno specifico oggetto, ma sul modo di conoscere determinati oggetti, e dunque sulle facoltà conoscitive del soggetto e sul loro rapportarsi a determinate facoltà dell'animo umano. La stessa separazione dell'ambito sistematico della filosofia in due settori distinti, filosofia teoretica o della natura e filosofia pratica o morale, è infatti legata alle possibilità conoscitive umane. Kant asserisce che la nostra facoltà conoscitiva ha due domini, ossia due ambiti, in cui essa è legislatrice a priori: il dominio (ditio, Gebiet) dei concetti della natura e quello del concetto della libertà. La legislazione nei due domini è introdotta rispettivamente dall'intelletto mediante le sue categorie e dalla ragione mediante la legge morale. Il dominio costituisce però solo una parte del più ampio territorio (territorium, Boden), rappresentato dall'insieme di fenomeni di cui sono possibili l'esperienza e la conoscenza: ad esempio «i concetti dell'esperienza hanno bensì il loro territorio nella natura, che è l'insieme di tutti gli oggetti del senso, ma non vi hanno alcun dominio» 77 • Detto in altri termini: vi è un settore d'esperienza più ampio rispetto a quello sottoposto alla legislazione dell'intelletto e della ragione; la questione è in che modo si determini la conoscenza in quest'ambito, ovvero se anche all'interno di questo territorio, apparentemente caratterizzato da contingenza e accidentalità, sia possibile individuare un qualche ordine o una qualche regolarità. 77. KdU, PAR. II, p. 174; p. 13.

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LA CRITICA DEL GIUDIZIO DI KANT

La distinzione tra dominio conoscitivo e territorio, più ampio rispetto al precedente, ha come conseguenza il fatto che intelletto e ragione danno vita a due sistemi legislativi diversi sul medesimo territorio dell'esperienza, senza che l'una legislazione possa interferire sul1' altra. Le due legislazioni non fanno capo a due soggetti diversi: esse coesistono nel medesimo soggetto e rispecchiano due possibilità di considerare quest'unico soggetto come fenomeno accanto agli altri fenomeni conoscibili nella natura o come espressione di un valore sovrasensibile, come dimostrato dalla terza Antinomia della Critica della ragion pura. I due domini non possono essere ridotti ad uno solo, poiché la legislazione dell'intelletto non si solleva oltre il mondo dei fenomeni e non riesce a gettare uno sguardo in ciò che sta al di là di questo mondo. Appartiene a questo regno sovrasensibile degli oggetti di puro pensiero il concetto della libertà, del quale non può essere fornita l'intuizione corrispondente e di cui pertanto non può esservi conoscenza in senso proprio. , Nella loro reciproca limitazione i due diversi domini hanno in comune il fatto di far presente al soggetto che esiste un campo (Felcl) illimitato, il quale non può costituire né un territorio d'esperienza né un dominio per la nostra facoltà conoscitiva, un campo denominato genericamente come mondo sovrasensibile (espressione kantiana non propriamente felice per il rischio che essa comporta di venir intesa come un'ipostatizzazione), in cui spazia libero il puro pensiero e in cui si accordano le potenzialità dell'animo umano, un mondo che il soggetto awerte in sé e fuori di sé, ma di cui non potrà avere mai conoscenza, a causa della costitutiva limitatezza del suo sapere. È qui che si determina il compito affidato alla terza Critica. Posta infatti la radicale separazione tra mondo della necessità (il mondo dei fenomeni cronotopicamente determinati per i quali valgono le leggi matematico-fisiche) e mondo della libertà, pure «il secondo deve avere un influsso sul primo» 7 8 , perché la spontaneità e la capacità di autodeterminazione del soggetto agente non si realizzano fuori del 78. «Ora, sebbene vi sia un incommensurabile abisso tra il dominio del concetto della natura, o il sensibile, e il dominio del concetto della libertà, o il soprasensibile, in modo che non è possibile nessun passaggio dal primo al secondo (mediante l'uso teoretico della ragione), quasi fossero due mondi tanto diversi, che il primo non potesse avere alcun influsso sul secondo; tuttavia il secondo deve avere un influsso sul primo, cioè il concetto della libertà deve realizzare nel mondo sensibile lo scopo posto mediante le sue leggi, e la natura, per conseguenza, deve poter essere pensata in modo che la conformità alle leggi, che costituiscono la sua forma, possa almeno accordarsi con la possibilità degli scopi, che in essa debbono essere realizzati secondo le leggi della libertà» (ivi, pp. 175-6; pp. 14-5).

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mondo sensibile, ma si danno in esso, pur non dipendendo da esso. Questa constatazione spinge a cercare un passaggio tra i due mondi un passaggio che non media due oggetti o due piani, ma due modi di pensare, il modo di pensare (Denkungsart) secondo i concetti della natura e il modo di pensare secondo l'idea di libertà. Ciò che dev'essere individuato è un accesso a quel sovrasensibile che sta a fondamento tanto di ciò che accade in natura quanto di ciò che awiene secondo libertà, in quanto radice unitaria, per quanto inconoscibile delle facoltà conoscitive umane. ' Kant afferma infatti che vi deve essere un fondamento dell'unità tra il soprasensibile, che sta a fondamento della natura, e quello che il concetto della libertà contiene praticamente; un fondamento il cui concetto è insufficiente, in verità, a darne la conoscenza, sia teoreticamente che praticamente, e quindi non ha alcun dominio proprio, ma che permette nondimeno il passaggio dal modo di pensare secondo i principi dell'uno al modo di pensare secondo i principi dell' altro

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Proprio perché ci si muove all'interno di un'indagine trascendentale, l'accesso al sovrasensibile che sta a fondamento sia della natura sia della libertà non potrà essere ricercato che a partire dall'interno del1' animo umano e dalle sue potenzialità. III. Della critica del Giudizio come mezzo per riunire in un tutto le due parti della filosofia Conformemente a questo presupposto il terzo paragrafo dell' Introduzione precisa il compito che la terza Critica dovrà assumersi in ordine all'unificazione delle due parti della filosofia in un tutto e affida questo compito alla facoltà di giudicare, intermedia tra intelletto e ragione tra le facoltà conoscitive superiori e dotata anch'essa di un proprio principio a priori. Si tratta di un principio puramente soggettivo (la finalità), che non ha alcun dominio proprio (è un principio regolativo dunque e non costitutivo), ma che potrà avere un proprio territorio, ossia potrà svolgere una certa funzione conoscitiva nel campo degli oggetti di cui l'uomo fa esperienza. Questa facoltà dovrà essere sottoposta a critica, c?sì come lo furono in precedenza intelletto e ragione, al fine di saggiarne potenzialità e limiti e vedere come possa condurre a determinare quel fondamento unitario del sovrasensibile, che sta alla base della natura e della libertà.

79. Ivi, p. 176; p. 15.

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iv. Del Giudizio come facoltà legislativa a priori Ciò che la critica deve porre a tema non è pertanto il Giudizio determinante, poiché questo. può cadere in errore solo nell'opera concreta di sussunzione del caso particolare sotto la regola universale nota e non relativamente ai principi che lo guidano, ma il Giudizio riflettente. Questa modalità della facoltà di giudicare si esercita infatti in assenza di regole predeterminate, nel senso che non può fare appello ai principi dell'intelletto o a quelli della ragione. Di conseguenza nella sua opera di riflessione il Giudizio è costretto a ricercare in se stesso un principio guida e proprio quest'operazione delicatissima, esposta al rischio di errori e fallimenti, dev'essere sottoposta a vaglio critico. Gran parte delle difficoltà che la, terza Critica deve affrontare è data proprio dalla specificazione dell'opera di riflessione del Giudizio riflettente e dalla determinazione del principio in base al quale viene effettuata la riflessione stessa. Tale principio, proprio perché si esercita sul particolare e contingente, non può operare deduttivamente, e tuttavia risponde al bisogno dell'animo umano di individuare una legalità, un ordine, una spiegazione plausibile anche per ciò che appare sotto il segno della casualità. Per questo la riflessione messa in atto dalla facoltà di giudicare si affida non alla ricerca delle cause efficienti, ma a quella delle cause finali. Ricerca cioè lo scopo delle cose, quel concetto che individua il fondamento di possibilità di un certo oggetto in ciò-in-vistadi-cui esso esiste o può esistere, in una parola: nella sua finalità (Zweckmii/Sigkeit). Questo, aggiunge Kant, è un principio del tutto diverso dalla finalità pratica, per quanto possa essere indubbiamente pensato secondo un'analogia con quella finalità che sta alla base della produttività umana o della morale. Tramite il principio a priori della finalità il Giudizio riesce ad individuare un'unità, un'armonia, una regolarità anche in quel territorio dell'esperienza su cui intelletto e ragione non possono estendere il loro dominio. Questo territorio appartiene al mondo sensibile, pur non potendo essere ricondotto sotto le leggi fisico-meccaniche, ma lascia al tempo stesso scorgere in sé gli effetti della libertà, pur non potendo essere riguardato attraverso le leggi della ragione pura pratica.

v. Il principio della finalità formale della natura è un principio trascendentale del Giudizio Essendo legato alla struttura del soggetto conoscente, il principio della finalità è un principio che richiede una deduzione non psicologica, ma trascendentale. Mediante quest'opera di deduzione si ricer52

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cherà a priori nelle fonti della conoscenza umana il suo fondamento. Da questa deduzione, che sarà compito della seconda parte dell'opera svolgere, risulterà che esso «non è né un concetto della natura né un concetto della libertà» e «rappresenta soltanto l'unico modo che noi dobbiamo seguire nella riflessione sugli oggetti della natura allo scopo di ottenere un'esperienza coerente in tutto nel suo complesso; per conseguenza esso è un principio soggettivo (una massima) del Giudizio» 80 • Ritrovare una connessione, una coerenza ed un'unità sistematica là dove sembra impossibile, provoca nel soggetto conoscente un sentimento di piacere, anche se quest'unità non può essere compresa né dimostrata concettualmente. Perciò, come se si trattasse di un caso felice e favorevole al nostro scopo, noi proviamo un sentimento di piacere (propriamente di liberazione da un bisogno), quando c~imbattiamo, tra le leggi puramente empiriche, in siffatta unità sistematica; sebbene dobbiamo necessariamente ammettere l'esistenza dell'unità stessa, senza poterla tuttavia né comprendere né dimostrare sr.

Senza questa supposizione del resto non sarebbe possibile trovare alcun ordine nella natura empirica e nessun filo conduttore nella ricerca di un'unità nella molteplicità e varietà delle sue leggi particolari. Assumendo a proprio principio quello della finalità, il Giudizio riflettente scopre dunque in sé un principio a priori «ma soltanto dal punto di vista soggettivo, col quale prescrive, non già alla natura (in quanto autonomia), ma a se stesso (in quanto eautonomia) una legge per la riflessione della natura [.. .]» 82 • La cosiddetta «finalità della natura» non appartiene dunque alla natura, ma è un principio che l'umana ragione assume per estendere la sua esperienza e acquistare conoscenza in ambiti che sfuggono al dominio dell'intelletto e della ragione in senso proprio, e che pertanto vengono sottoposti alla riflessione di quella facoltà, che ha come sua specifica funzione quella di trovare per un particolare dato un principio o una regola generale. In questo modo viene raggiunto uno scopo, nel senso che viene soddisfatto un bisogno di comprensione e questa soddisfazione non può non avere un riflesso positivo sull'animo umano. Si spiega così il legame che congiunge insieme in un rapporto di interdipendenza il principio della finalità con la facoltà conoscitiva di giudicare e .con il

80. lvi, PAR. V, p. 184; p. 24. 81. Ibid. 82. Ivi, pp. 185-6; p. 26.

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sentimento di piacere e dispiacere, un legame che il successivo PAR. ribadisce. VI. Del!'unione del sentimento di piacere col concetto della finalità della natura Qui infatti si afferma che «la scoperta dell'unione di due o parecchie leggi empiriche eterogenee della natura sotto uno stesso principio» - ad esempio la constatazione che in natura vi è una subordinazione tra generi e specie e che i generi si approssimano sempre più ad un principio comune, in modo che è possibile il passaggio dall'uno all'altro - «è fonte di un notevolissimo piacere: spesso anzi di un'ammirazione, la quale non cessa quando anche l'oggetto sia abbastanza conosciuto». «Certamente» - così continua il passo in questione - «noi non troviamo più un piacere notevole nella possibilità di abbracciare la natura e l'unità della sua divisione in generi e specie [. .. ]; ma questo piacere si ebbe senza dubbio a suo tempo, ed è soltanto perché la più comune esperienza non sarebbe possibile senza di esso, che si è andato confondendo con la semplice conoscenza, e non è stato più particolarmente notato» 8 3. Fino a che punto il Giudizio riflettente possa spingersi nella sua ricerca di un ordine e di un'unità nell'eterogeneità delle forme della natura e delle sue leggi, è un limite che non è possibile determinare. Ma il piacere non verrebbe meno neppure «se ci si dicesse che una più profonda o più vasta conoscenza della natura mediante l'osservazione deve alla fine imbattersi in una varietà di leggi che nessun intelletto umano può ricondurre ad un principio» 8 4. Anche questa constatazione in fondo, sia pur nella sua negatività, costituirebbe pur sempre un filo conduttore per le indagini sulla natura. Con ottimismo illuministico Kant esprime tuttavia la speranza che, quanto più si estenderà la nostra conoscenza della natura, «tanto più la troveremo semplice nei suoi principi, e, allargandosi la nostra esperienza, la troveremo sempre 8 più unitaria nell'apparente eterogeneità delle sue leggi empiriche» 5.

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vn. Della rappresentazione estetica della finalità della natura Fino ad ora Kant ha trattato della finalità in una prospettiva dominata in prevalenza dal Giudizio teleologico 86 . I P ARR. vn e VIII 83. Ivi, PAR. VI, p. 187; p. 28. 84. Ivi, p. 188; p. 29. 85. Ibid. 86. Si possono trovare delle motivazioni per questa eccedenza nell'Introduzione

della trattazione del principio della finalità in relazione al Giudizio teleologico rispetto al Giudizio estetico. Non credo siano da addurre a questo proposito spiegazioni estrinseche, quali quella che tutto sommato Kant sarebbe più sensibile ai problemi

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c~iariscono .ulteriormente i caratteri generali di questo principio, di-

stmguendo m esso una rappresentazione estetica (finalità estetica) e una rappresentazione logica (finalità della natura), distinzione che sta alla base dell'articolazione della Critica in una Critica del Giudizio estetico e in ~n~ C~iti:a del Giudizio teleologico. La prima comprende «la facolta di gmd1care la finalità formale (detta anche altrimenti soggettiva) per via del sentimento di piacere o dispiacere» la seconda «la facoltà di giudicare la finalità reale (oggettiva) della ~atura mediante l'intelletto e la ragione» 87 • La distinzione è complessa e richiede di essere chiarita, a cominciare dalla finalità estetica. La qualifica di estetico implica infatti una ripresa della distinzione che già la Critica della ragion pura faceva valere tra la riflessione trascendentale che si occupa delle forme a priori della sensibilità e la disciplina che ha per oggetto lo studio del bello e dell'arte. Qui infatti Kant riservava, com'è noto, la denominazione di estetica trascendentale alla, scienza dei p:incipi a priori della sensibilità, e polemizzava contro 1uso tedesco, mvalso con Baumgarten, di definire estetica la critica del gusto. Nella Critica del Giudizio, senza mutare il proprio uso terminologico, Kant ~tegra ~ punto di vista esposto nella prima Critica, precisando che il termme estetico perde l'ambiguità che lo caratterizza quando viene impiegato per designare le operazioni del Giudizio 88 • connessi con la finalità teleologica, avendo appena ultimato la stesura della seconda parte dell'opera; questa motivazione di fatto si attaglia meglio alla prima Introduzione, che, composta so.tto l'urgenza di affrontare la tematica del Giudizio teleologico, n:iostra n~lle sue pagme un prevalere dell'interesse per il tema dell'esperienza come sistema, rispetto a quello dell'applicazione della finalità al Giudizio estetico. Né credo val?a la considerazione secondo cui in un'introduzione che si ripromette di prospettare il quadr? generale .d~i pro?lem.i è buona ;egola. lasciare da parte quelli più spinosi ~ c~mplessi,. e la finalita estetica rientra senz altro m questi ultimi. In realtà la ragione mtrmseca ~i q~esta prevalenza ne~'Introduzione della finalità della natura rispetto a quella estetica e data dal fatto che m queste pagine Kant tratta del Giudizio riflettente in generale e questo, come viene esplicitamente asserito al PAR. VIII, è il Giudizio teleo~ogico. ~sso infatti, a d~fer.e~za del. Giudizio estetico, «non è una facoltà» (quale puo essere il gusto come Gmdizio estetico),