Introduzione alla lettura della Scienza della logica di Hegel [PDF]

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Zitiervorschau

SOFIA V ANNI ROVIGHI

INTRODUZIONE ALLA LETTURA della

SCIENZA DELLA LOGICA DI HEGEL

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. Appunti dalle lezioni di Storia della lìlosolìa

Anno Accademico 1965-66

( Red11lli dal Profe11sore)

C E, L U. C. CoOIJNIIIivll Editrice Librario Universilti Caltolica

( pro monuscripfo)

PROGRAMMA DEL CORSO DI STORIA DELLA FILOSOFIA

1965-1966

a)

LA LOGTCA DI HEGEL (martedì e mercoledì).

b)

DIO E L'ANIMA lN S. AGOSTINO (giovedì). Gli studenti iscritti al corso per ht laurea tere e Filosofia), in Pedagogia (Facoltà di in Vigilanza dovranno dar prova, oltre quanto sarù delta nelle lezioni, di avere

in Filosofia (Facoltà di LetMagistero) o per il diploma che di essere informati di letto:

- per la parte a): Ht:GEL, Scienza della lo.e,ica. Se ciò fosse loro impossibile per la diflicoltà di rcpcrirc la tradwione italiana di detta opera (trad. TV!oni, Bari, Laterza) possono leggere, di Hegel, l'Eilciclopedia delle scie11ze filosofiche, trad. Croce, Bari, Laterza, per intero. Do\Tanno inoltre leggere almeno una monografia scelta fra le seguenti: L PF.u.ovx, Lu logica di H egei, Milano, Pubblicazioni dell'Università Catt. S.C., 1938; E. D~: NEGIO, lnterpretaz.ione di Hegel, Firenze, Sansoni, 1942; J. N. FI~DI.AY, Egcl, Londra, Allen and Univ., 1958; J. HYPI'Ot.ITF, Lvgiquc el evistence, Parigi, P.t:.F., 1953; G. R. G. MURE, lntroduz.ione u ffepcl (trad. dall'inglese); G. R. G. MuRE, A Study of llegel's /,ogic, Oxford, Clarendon Press. 1950.

-

per la parte b) troveranno presso la libreria "Vita e Pensiero,

una scelta di testi di S. Agostino raccolti dalla sottoscritta. Dovranno leggere inoltre almeno uno dei libri seguenti: P. ÙJLIRCELLE, Recherches sur !es Confessions de St. Auguslin, Parigi, Dc Boccard, 1950; E. GILSON, Jntroduction à l'étude de St. Augu.~tìn, Parigi, Vrin, 2" ed., 1943 (varie ristampe); H. I. MARROU, St. Augustin et la fin de la culture mttique, Parigi, De Boccard, 2" ed., 1949; H. l. MARROU, St. Augustin et !'augustinisme, Parigi, Ed. du Seui!, 1955; M. PET.LEGRI\.10, Le Confessioni di S. Agostino, Roma, Editrice Studium, 1956. c)

Dovranno seguire il corso libero del Prof. Angelo Pupi o comunque dimostrarsi informati sul contenuto di questo corso.

d)

Dovranno dimostrare - o in sede d'e~ame o in colloquio da tenersi nelle date fissate dalla sottoscritta - una conoscenzZ~ generale della Storia della filosofia.

Gli studenti inscritti al corso per la laurea in Lettere sono esonerati dallo studio dei punti c) c d). Per il punto a) potranno sostituire alla Scienza della Logica la /.ogica (compresa l'Introduzione) contenuta nell'Enciclopedia delle scienze filosofiche. SOPIA VAt>;NJ

ROVIGIII

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INTRODUZIONE Anche la filosofia di Hcgcl, come ogni fìloso!ìa storicamente espressa, nasce e si forma sotto la !:-pintél di due fattori fondamentali: la storb del suo Autore, cioè il suo temperamento, i suoi interessi personali, il modo personale in cui egli cerca la verità - c il modo in cui egli si

trova presentata questa verità dalla filosofia contemporanea. In altre parole dipende dalla sua personalità c dall'incontro con altre filosofie. Naturalmente non si tratta di due fattori facilmente scindibili, perchè la personalità di un Autore è determinata anche dalla situazione storica in cui egli vive, e di questa situazione storica fanno parte anche le filosofie che egli incontra. Sta di fatto però che un filosofo è quello che l· - coi suoi gusti, tendenze e interessi - cd essendo quello che è, si mette a cercare la verità, a fìlosofare. Ma non filosofa nel deserto o nel poiile cartesiano: rilosof a leggendo dei libri di filosofia (noi stessi facciamo così). Quindi per cercar di conoscere e di capire quello che un filosofo ci ha detto noi dovremmo domandarci: "Chi era?, e nza (quelli dci quali parla la scienza, quelli che sono il soggetto log-ico dclll' pruposizioni -~cientifichc, ossia dci giudizi sintetici a priori) sono fatti og:gct1i dai concc!ti puri, dalle fom1e ::1 priori dç]]'inklk-tto llllWno. Ma questi concetti puri sonn « vuoti "· ossia suno incapéìci di J-apprco.cnt::tre un o,f!getto se non si incarn:mo nei dati dclb scnsibilitù, se non unilìcano i dati della ~eìì­ sibilità, che e/1.\Chaftslehre). Osserviamo: la tesi che la filosofia si idcntirichi con la dottrina della scienza è certo kantiana (la

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lìlosofia intesa come indagine sulla possibili t a c k condi/ioni del :-,a pere, anzichè come indagine sulla rc;.:dt~t); 111cienza c logica: " ... La logica - dice Fkhtc - Jcvç dare a tutte le scicn;:c po.:-,sibili puramente c sernplicc·mentl' la funnu. la dottrina della scienza, invece non soltanto la forma, ma anche il conll'nuto ... » (COI!Cettu, trad. Tilgher, p. 32). Come si n~dc, il rapportu fra logica c dottrina della scienza è analogo a quello che Kant poncv~1 fra logiGl formale c logica trascendentale çon la Uiflerenza che in Ficht,_· i cotlcctti della Uottrina della scienza non sono concetti vuoti, che dcbbono essere riempiti dai Uati della scn:-.ibilitù, ma sono concetti pieni, ddcguati ad esprimere la realtù. E' dunque possibile, per Fichtc, dcdurrl· tutto il .'>apere da una scienza suprema: si fa sentire qui il mito della deduzione (il termine 0 di "'L Campo, che ne parla a proposito di \Voi !T: il mito vvolfliano della deduzione ritorna nell'idealismo). Il mito della deduzione si fu sentire ancor più fortemente quando (cd è il secondo rilievo che volevo Lnc) Fichu: dice che il p1·incipio fondamentSere come si110l~imo di cosa. E come sappiamo noi che l'Io ~, attivitù? Fichte risponde: con una inrui::iv11e iutclleilrwle. " L'intui;.ione intcllctuale i: la coscie111.a immediata che io agisco c di come agisco: c ciò mediante cui io so qualcosa perchè lo laccio» (Medicus, Ili, p. 47). Ora Kant nella Critica della rrr.~ion 1mru, :wcva ncgntu che l'uomo avesse una intui;iune intellettuale, ave\a dl'tto che l'intuizione inte!lcttn::~lc è propria dcll'illtcl!ccws urclrt'l-''jJIIs, dell'intelletto che fa le cose, dcll'intellt'!lo che con !a sU.uo opposto.

Se \O;;iliamo dunque rias-;umcJ·c il giudi;.io di Hcgcl su richk ndh1 Di[fcrcu:,: diremo che Fichtc ha ) non è, come ner Plotino, b seconda ipostasi, ma la terza (della prima triack). ,_.osa questa che Hcgcl sottolinea con.':>entcndo ('), pcrchè anche pvr lui lo spirito è il krzo momento del disriegarsi dell'Idea. Quello stesso Uno da cui tutto procede in sè indi abile, è q w::! lo che si Jispiega m·! nwlkplicc cd a cui il' molteplice ritorna. All'ini·tio fìchtianu della filosofia, cioi.· ::di'assunzione dell'Io come ini~:io (pp. 6.5-68; 60·63) f!eg:el muove queste uhil't:ioni: 1) Fichtc JicL' che si deve cominciar~~ cbll'Io perche' l'Io è la realtà più certa; ma che co:-.a ~,i deve intendere per lo? La coscienza concreta con tutta la molteplicità dei suoi contenuti? Ma quL'Sta è appunto un concreto, una moltcp!iciUl: è in certo senso tutto ciò che è dato, c ~i tratta di veckn:: che cosa in questa moltcpliciU! puù essere assunto conv punto di partcn7:l.. In certo senso dunque p:lrti.:·c cbll'Io ~arebbc come partire da tutto, c si trattC~ di vedere che cosa o che lta all'inizio, a ciò d:t cui tutto dcvv procedere. è in certo senso il paradigma di tutte le altre. Per illustrare l'unii;\ dialettica di essere e nulla nel divenire, Hcgcl indica i " momenti » del ùin·nirc, che sono il nascere c il perire. Ma, come abbiamo accennato, l'unità di c dire veramente r:ssere, si dom (p. 163/140). Qui però preme ad Hegel chiarire questa idealità dell'infinito contro il secondo tipo di infinito, quello del processo all'nfinito, del compito infinito di Fichtc. L'infinito è essere (p. 163) non dover essere. Che sarebbe come dire: l'infinito è la storia, non la idealità morale. Con questo Hegel non vuoi dire che ci si possa fermare nella storia, anzi: la storia è storia pr·oprio perchè in essa non ci si può mai fermare. Lo storicismo di Hegel non è mai stato reazionario, come quello di Hugo, della scuola storica del diritto; si è però sempre opposto alla ricerca di un valore sopra-storico.

difficoltà di intcrprcta.-:ionc pcrchi.·, per un verso, introduce alla quantità, per l'altro parla di idealità, di idealismo, di spirito. J. N. Findlay, nel suo libro su Hegel (Londo11, A!len e Unwin, 1958) dice a questo proposito: « Dopo alcune oscure manovre, felicemente omesse nell'Enciclopedia, l'essn-per-sè è esplicitamente identificato con la nozione dell'uno " (p. 165). Mure, invece, parla senz'altro di spirito (A Studv of Hegel's J.ogic, Oxiord, Cl3renclon Press, 1950, pp. 52 ss.) senza spiegare come mai se ne parli qui, alla soglia della quantità, come egli stesso ammette. La difficoltà si risolverebbe probabilmente se conoscessimo meglio le opere contemporanee alle quali Hegel si riferisce. Comunque, salvo meliori iudicio, proporrei per ora questa spiegazione: siamo alle soglie della categoria della quantità: col paragrafo B (Uno e molteplice) Hegel incomincia a introdurre riferimenti all'atomismo. Tali riferimenti - espliciti nella Nota a p. 184/156 - sono confermati dalle Lezioni sulla storia della filosofia (trad. i t., vol. I, p. 333), dove si dice: « La cosa principale e l'uno, l'esser per sè. Questa determinazione è un grande principio che non avevamo ancora. Parmenide pone l'essere, o universale astratto; Eraclito il processo; la determinazione dell'essere per sè spetta a Leucippo; Eraclito ammette soltanto il divenire come trasformazione dell'essere e del nulla, nella quale tutto è negato, sebbene si ammetta che entrambi se ne stiano semplicemente in sè: il positivo come l'uno che è per sè, il negativo come vuoto; ora in Leucippo questo pensiero viene alla coscienza c diventa determinazione assoluta. Per questo lato il prb1cipio atomistico non è morto, ma deve sopravvivere per sempre. In ogni filosofia logica l'essere per sè deve apparire sempre come momento essenziale, non però come l'ultimo. Veramente quando si procede per \'ia logica dall'essere e dal divenire a questa determinazione del pensiero, appare prima l'esser qualcosa; ma questo rientra nella sfera della finità, e non può quindi diventar principio della filosofia. Se dunque anche lo svolgimento storico della filosofia deve corrispondere af!o svolgimento della logica filosofica, anche in quest'ultima devono trovarsi dei punti che nello svolgimento storico non appaiono" (sottolineature mie). Il principio atomistico, dice Hegel, «deve sopravvivere per sempre», è «un momento essenziale ,, anche se non è l'ultimo. Può darsi dunque che Hegel l'abbia visto rinascere, come idea generale, in quelle filosofie che riducono tutto il mondo corporeo a quantità. Ma, nelle filosofie moderne che affermano questa riduzione, alcune, c una in modo tipico, quella del Malebranche (della quale si parla nella Nota a p. 176) riduce l'estensione a idea. E con questo tale filosofia dimostra di capire che il vero esser per sè è quello della coscienza, dello spirito. Ora mi sembra che questo voglian dire i discorsi sull'esser per sè come tale (pp. 173-181/147-154). L'esser per sè è « la determinatez?a assoluta,, cioè quello che si. detennina non perchè incontra un limite fuori di sè, perchè deve essere qualcosa che ancora non è; ma perchè ha negato tutto ciò che può limitarlo (p. 172/147). Ma qual'è l'essere che nega tutto ciò che può mimitarlo? La coscienza (p. 173/148). Infatti la coscienza ha h1 sè, idealmente, l'altro. La coscienza non si urta all'altro come ad un limite, a qualcosa che la nega, ma se lo appropriia conservandone tuttavia la realtà (p. 174/

L'esser per sè Questa categoria, l'esser per sè, ultima della qualità, offre alcune

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148). Hegcl aggiunge però elle una OJSL'il'tlt.a che affermi una realtà del conosciuto come cstcrnn Uiusscres) 0 solLanto una coscienza apparente (erscheinendes Bn\·'1/SSt.~ein) ossia non vera. La co..,cicnt.a che ha_ trovato la sua \'crità, il suo fondamento ultimo si scopre, come hL"JCnza eh sè come della realtà totale. Ma, dopo queste affnmazioni nelb parte introduttiva dd paragrafo A, sembra che Hegcl si renda conto che non siamo ancora arrivati a tanto, che la stradu per i-''n1stificarc queste erva che la pos~ihilità di esser diviso, che è propria del continuo, dell'esteso, non vuo! dire ul/uale divisio11e. Ora Hegel osserva nella Nota 2 che l'antinomia del continuo nasce proprio dal confondare la ùivisibilitù (o possibilità di divit>ione) con la didsione attuale. L'esteso è divisibile ma non diviso. La Nota comincia con una ossen·azionc l!enerale sulle antinomie, che abbiamo già trovata nella Introduzione, c~ cioè: la antinomie kantianc nascono dalla pretesa di applicare al!a rL·altà i concetti astratti dell'intdletto. Il merito di Kant sta nell'aver dimostrato che tali concetti nqn esp1 imono la cm.a i11 sl·, c quindi ndl'u\TJ" ,, dato il tr::Kollo all'antica met::disica, (p. 217-183) che pretendeva di cogliere il reale con tali concc!tì. li merito di Kant nelle antinomie sta insomma nel· l'aver falto vedere che i concetti astratti scoppiano, per dir così, c dam10 luogo a contraddìtionì ~c si vuoi far loro contenere la re3ltà. Ma il suo torto sta nell'aver rinunciato a conoscere la rcaltil in sé per buttar via - diciamo meglio: per non superare - quei concetti. Se ci si rende conto che i concetti astratti scoppiano (mi pcnnettano questa espressione: figur