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Immunologia
2 16-03-2017
INTRODUZIONE IMMUNOLOGIA GENERALE Siamo esseri viventi e riusciamo a stare al mondo in equilibrio con esso in quanto siamo in grado di lottare contro altri esseri viventi per la sopravvivenza. Abbiamo diverse armi di difesa: Barriere chimiche e fisiche; Fisiche: cute e mucose, costituite da diversi strati epiteliali, specializzate, come la mucosa bronchiale con le sue ciglia vibratili, o i cheratinociti della cute che producono lo strato squamoso. Altri mezzi di protezione fisica sono funzionali, come ad esempio il flusso di urina, la tosse ecc. Chimiche: pH gastrico, pH urinario, pH cutaneo Possono essere anche facilmente superate, è sufficiente una ferita, una riduzione del pH gastrico, della funzione delle ciglia vibratili ad esempio in un fumatore ecc.. In tutti questi casi abbiamo una maggiore facilità per agenti esterni di arrivare e permanere all'interno del nostro organismo. Sistema immunitario: costituito da cellule, molecole e organi. La differenza dagli altri apparati è che il sistema immunitario e ubiquitario, presente in qualsiasi regione del nostro corpo. (Da questo punto di vista sono presenti analogie con il sistema nervoso e con quello endocrino). Ci sono ovviamente dei punti del nostro organismo in cui le cellule del sistema immunitario non riescono ad arrivare, come le valvole cardiache, o non devono arrivare, come la cornea, il cristallino e gli altri mezzi diottrici dell'occhio. Quando parliamo di reazione immunologica parliamo di ogni reazione che mette in atto il sistema immunitario in risposta ad un agente, che potrà essere esterno, o autologo, autoantigene. Nella maggior parte dei casi la risposta immunologica è efficace, benigna e autolimitante, e ha come risultato l'allontanamento della noxa dall'organismo, con danno d'organo o tissutale minore possibile. In altri casi la risposta immunologica diventa essa stessa particolarmente aggressiva e dannosa per l'organismo, assumendo un significato patogeno.
CENNI STORICI Il concetto di immunità è molto antico; già diversi secoli prima dei vaccini, in Cina si era intuito il concetto di immunizzazione. Si praticava nei bambini, ad esempio per il vaiolo, una profilassi rudimentale che consisteva nell'inalazione di polveri ricavate dal pus delle lesioni cutanee dei soggetti malati. Si notò una maggiore probabilità di guarigione e forme di malattia meno severe rispetto ai soggetti non sottoposti a questa pratica.
3 Ovviamente i cinesi non sapevano che in quel pus era presente il virus del vaiolo, che la pratica dell'essiccazione lo uccideva lasciandone intatti gli antigeni proteici e che questi venivano poi a contatto nell'inalazione con il sistema immunitario dei bambini. Questo causava una risposta immunitaria che rendeva le difese del bambino pronte a fronteggiare un nuovo incontro col patogeno. Su queste basi totalmente empiriche si è dovuto aspettare alla fine del ‘700, dopo Jenner, per iniziare ad indagare in modo più scientifico i meccanismi alla base dell'immunità. Sempre attraverso l'osservazione Jenner notò la presenza di un vaiolo umano e di un vaiolo vaccino, meno virulento, di cui si ammalavano gli allevatori a contatto con gli animali. In questi allevatori le epidemie di vaiolo avevano un'incidenza minore per mortalità e morbilità. Jenner inoculò nel sottocute di un bambino il pus non essiccato di lesioni da virus vaccino e, dopo un mese, quello da virus umano; fortunatamente il bambino sopravvisse e nacque così la pratica della vaccinazione. Oggi il vaccino si pratica sia per profilassi da agenti infettivi che tossici, come la tossina tetanica e difterica. Sono indiscussi i benefici che le vaccinazioni hanno portato, con una drastica riduzione della mortalità per tutte le patologie sottoposte a profilassi vaccinica e delle loro complicanze, oltre che della loro incidenza. Un calo delle vaccinazioni (nei paesi in guerra, o in lotta contro l'idiozia) causa un ritorno nella popolazione di queste patologie, e quindi un aumento delle complicanze a esse correlate e della loro mortalità. I vaccini sono sicuramente presidi medici, e come tutti i presidi medici non sono esenti da rischio. La percentuale di encefalite da vaccino del morbillo è di circa 1 su un milione di dosi somministrate. La percentuale di encefalite da morbillo è di 1 su mille soggetti affetti. Quindi il rapporto rischio/beneficio tra morbillo e suo vaccino è mille volte a favore del vaccino. L'immunologia è una scienza relativamente recente. Da Jenner a Pasteur con la sua pastorizzazione passò un altro secolo circa. Dal ‘900 in poi, di pari passo con i progressi tecnologici, si ebbero tutta una serie di scoperte fondamentali, dagli anticorpi all'MCH (anni '50), dalla tolleranza immunitaria ai linfociti T (anni '70). Andando avanti dal '70 al 2000, nell'arco di nemmeno 30 anni, si sono avute tantissime altre nuove scoperte e acquisizioni.
Antigeni Sono strutture proteiche, glucidiche, lipopolisaccaridiche, e acidi nucleici, che possono essere riconosciute dal nostro sistema immunitario. Possono essere: Esogeni: prodotti di agenti patogeni, dell'alimentazione, inalanti, farmaci, tumori. Endogeni: auto-antigeni, contro cui il sistema immunitario reagisce nelle patologie autoimmuni.
Sistema immunitario _1. Classificazione Una classificazione scolastica e classica lo divide in:
Immunità innata (non specifica)
4 Immunità acquisita (specifica) È una classificazione estremamente limitata, in quanto non tiene conto delle continue e fondamentali interazioni tra questi due compartimenti. I vari compartimenti dell'immunità innata son già presenti alla nascita. L'immunità acquisita, con i suoi recettori, deve formarsi, non è già pronta in origine. L'immunità innata è destinata a riconoscere, in modo grossolano, un numero limitato di molecole estranee, quelle presenti ad esempio su tutti i gram-. La cosa importante è percepire e bloccare prima possibile l'agente patogeno. Queste informazioni son già scritte nel nostro DNA, quindi non c'è una varietà molto elevata di questi recettori. La cosa è diversa per l'immunità acquisita o specifica. Le cellule che la compongono vengono distinte in linfociti B e linfociti T. I linfociti T riconoscono l'antigene tramite un recettore detto TCR (T-Cell Receptor), i linfociti B lo riconoscono tramite il BCR, meglio conosciuto come immunoglobulina, Ig. Questi due recettori, a differenza di quelli dell'immunità innata, vanno incontro ad una fortissima variabilità e riarrangiamento. All'interno del DNA abbiamo diversi alleli che durante la fase di maturazione si ricombinano e si modificano in modo diverso tra di loro. Le cellule dell'immunità innata, NK, macrofagi ecc sono già presenti in forme di vita primitive, come invertebrati, anfibi ecc, mentre l'immunità specifica compare solamente nei vertebrati. Le classi di immunoglobuline aumentano di numero all'aumentare della complessità degli organismi, fino ad arrivare al massimo nei mammiferi. Schema del meccanismo di azione del sistema immunitario.
_2. Risposta Immunitaria Ipotizziamo una banale ferita cutanea. All'interno della ferita si ha la contaminazione da parte di microorganismi. Le prime cellule in grado di affrontare questi microorganismi nelle primissime fasi sono cellule ad azione monocito-macrofagica (cellule di Langherans nella cute, cellule dendritiche, polimorfonucleati, come i neutrofili). Queste cellule, facenti tutte parte dell'immunità innata, sono essenziali nell'attivazione dell'immunità acquisita. Mentre i linfociti B si attivano semplicemente al contatto delle loro Ig di membrana con l'antigene, i linfociti T, più esigenti, per attivarsi hanno la necessità che l'antigene venga loro presentato dalle APC, cellule presentanti l'antigene, prevalentemente cellule fagocitiche. Gli antigeni presentati sono legati prevalentemente alle molecole MHC di classe II.
MHC: Complesso Maggiore di Istocompatibilità Ne esistono diversi tipi: i principiali sono di classe I e classe II: 1. Gli MHC di classe II sono presenti prevalentemente sulla membrana delle cellule presentanti
5 l'antigene, quindi macrofagi, monociti, cellule di Langherans, microglia ecc., 2. l'MHC di classe I è presente su tutte le cellule nucleate del nostro organismo, quindi non è presente sugli eritrociti.
A distanza di tempo avremo in questo modo l'attivazione dei linfociti T, che porta alla produzione di alcune molecole solubili, chiamate citochine in generale, linfochine perché prodotte da queste cellule. Una di queste è ad esempio l'interferone gamma, che ha azione in feedback positivo sulla cellula presentante l'antigene, rendendola capace di produrre più radicali dell'ossigeno, aumentandone la citotossicità e la capacità di intervenire sul patogeno distruggendolo. ---Per far sì che la APC reagisca all IFN gamma dovrà presentare il recettore adatto sulla sua membrana. Questo concetto è fondamentale per capire il sistema immunitario. Tutta la risposta immunitaria avviene tramite il riconoscimento di ligandi con i loro recettori. Recettori non per forza specifici per un singolo ligando. Un ligando può infatti legarsi a più di un recettore, con maggiore o minore affinità, quindi i meccanismi di modulazione e le possibili combinazioni sono davvero sterminati ed estremamente complessi.--Oltre ai linfociti T e B abbiamo i cosiddetti linfociti T regolatori, che modulano la risposta immunitaria anche in senso negativo, ma ancora i granulociti, le cellule epiteliali stesse ecc, e in tutto questo scenario abbiamo sempre un equilibrio tra tollerabilità della risposta e sua efficacia (molte patologie sono dovute più agli effetti citotossici di un'abnorme risposta immunitaria che alla virulenza del patogeno, vedi TBC).
_3. Cellule e molecole del Sistema Immunitario Tutte le cellule dell'immunità maturano a livello del midollo osseo. Qui, a partire dalle cellule staminali totipotenti, in grado di differenziarsi nelle tre linee, serie rossa, bianca e piastrine, si ha via via la specializzazione fino all'acquisizione delle caratteristiche di maturità. A questo punto la stragrande maggioranza di queste cellule fuoriescono dal midollo già mature e pronte a entrare in circolo per svolgere la loro azione. I linfociti T devono invece migrare al timo per completare la loro maturazione. I monociti-macrofagi hanno la capacità di fagocitare i microorganismi, distruggerli mediante la formazione del fagolisosoma e esporre i loro antigeni sulla membrana dopo il legame con l'MHC di
6 classe II, e presentarli ai linfociti T. Assumono vari nomi a seconda delle sedi (Microglia nel SNC, cellule di Kuppfer nel fegato, Mesangio nel rene, Istiociti nel connettivo). Contemporaneamente queste cellule sono attivate, cioè producono alcune molecole invece che altre, e sono in grado di portare avanti meccanismi di killing sfruttando radicali dell'ossigeno, lisozima, lattoferrina, proteasi e altro. Sono le cellule che agiscono nelle primissime fasi della risposta immunitaria. La differenza tra i macrofagi e le cellule dendritiche presentanti l'antigene è che queste hanno una capacità mille volte superiore rispetto ai macrofagi di presentare l'antigene.
Le molecole utilizzate dalle cellule dell'immunità innata per riconoscere gli antigeni sono i TLR, tolllike receptor (una ventina di isoforme, ognuna specializzata in strutture diverse, come i TLR-9
riconoscono gli acidi nucleici), gli scavenger receptor, i recettori per le lectine, CD14; sono tutti recettori capaci di riconoscere strutture antigeniche ripetitive sulla superficie dei patogeni, come l'LPS dei gram-, la flagellina dei protozoi (riconosciuta dai TLR-5) ecc Altri recettori importanti presenti sulla membrana di queste cellule sono i recettori per la frazione Fc delle immunoglobuline, il frammento costante, comune a tutte le immunoglobuline di una stessa classe, differente tra le diverse classi. La presenza di questo recettore amplifica enormemente la capacità di risposta di queste cellule, e la fa evolvere in senso di immunità acquisita, perché ai recettori per il frammento Fc si legheranno complessi antigene-anticorpo (anticorpi prodotti dai linfociti B) di una determinata classe attivando i fagociti in modo più specifico contro una determinata noxa, rendendoli effettori della risposta immunitaria acquisita. Il legame ligando-recettore attiva ovviamente tutta una serie di reazioni a cascata all'interno della cellula, che culminano con modificazioni a livello nucleare, con la sintesi proteica di citochine, chemochine e altri fattori paracrini, con l'attivazione del citoscheletro per i movimenti ameboidi e la fagocitosi. Non è necessario conoscere tutte le citochine prodotte da queste cellule, e in generale tutte quelle coinvolte nella risposta immunitaria, perché sono tante, ripetitive, e agiscono in modo complesso e su più vie; su alcune è però necessario soffermarsi, come sull'IL-12. Questa citochina è prodotta dalle cellule macrofagiche una volta attivate dal legame con una noxa, ed è essenziale per l'intervento di un tipo particolare di linfocita T. Altre citochine importanti da
7 ricordare sono quelle pirogene, come l'IL-1 e l’IL-6, che agiscono sul centro di termoregolazione con un risettaggio della temperatura corporea. Le chemochine sono un'altra importantissima classe di molecole. La cosa importante da sapere di queste è la loro differenza con le citochine: le citochine hanno un'azione funzionale, ognuna ha la propria funzione, spesso sovrapposta, pirogenica, attivante questa o quella classe di cellule ecc.. Le chemochine sono invece molecole solubili che tendono a creare un gradiente di concentrazione, sono in grado di accumularsi in un determinato punto e sono quindi responsabili del grandiente chemiotattico. Hanno la capacità di far muovere le cellule, solo le cellule che hanno il recettore per quella chemochina. Quindi in soldoni le cellule con i recettori per le chemochine tenderanno a muoversi in direzione delle cellule che producono le chemochine.
Ruolo delle chemochine Perché una ferita sulla mano ad esempio causa l'ingrossamento di un linfonodo ascellare? Cosa fa muovere una cellula di Langherans dalla cute della mano al linfonodo ascellare per presentare l'antigene? Una cellula di Langherans esprime normalmente tutta una serie di molecole di adesione che la tengono ferma e intercalata tra gli strati più basali dell'epidermide. Il contatto col patogeno in caso di ferita, patogeno riconosciuto tramite ad esempio un TLR-4, causa tutta una serie di modificazioni intracellulari e nucleari, che esitano nell'espressione di molecole come l'IL-12, che è però inutile in questo contesto, perché non ho ancora linfociti T nella sede della lesione. Ma avranno attivato anche la via che porta all'inibizione delle molecole di adesione, quindi le cellule di Langherans si troveranno libere di muoversi, ma ancora senza una direzione. Avranno però attivato anche l'espressione genica per la sintesi dei recettori per le chemochine e la loro esposizione sulla membrana. Le chemochine vengono prodotte a livello dei vasi linfatici, con un gradiente prossimo-distale, dai linfonodi (più alto), fino alla periferia (più basso): questo porterà alla migrazione della cellula di Langherans nel circolo linfatico, e piano piano tenderà a muoversi verso il linfonodo, presentando l'antigene ai linfociti T, attivandoli con l'IL-12. Le chemochine hanno un'azione complessa, detta pleomorfa: ogni chemochina può riconoscere diversi recettori e ogni recettore può riconoscere diverse chemochine, anche se con affinità diversa. È quindi un network, una rete molto complessa. Nel nostro organismo abbiamo circa 600 stazioni linfonodali, alcune più superficiali e raggiungibili, altre profonde, come i linfonodi mediastinici, pre e para aortici ecc. Una volta che la cellula di Langherans avrà raggiunto la stazione linfonodale attiverà 2-3 classi specifiche di linfociti T, quelle specifiche per quel particolare antigene. Questa attivazione significherà proliferazione, inibizione della produzione di molecole di adesione e il rilascio in circolo di questi linfociti. Una volta in circolo quando arriveranno nei pressi del sito della lesione interverranno ancora una volta le chemochine con il loro gradiente a far si che possano avvenire quei processi di marginazione, rotolamento, adesione all'endotelio e diapedesi che permettono ai linfociti T di
8 raggiungere il sito di lezione.
Le cellule NK, Natural Killer, sono importantissime nella difesa contro cellule trasformate, i tumori, e contro le infezioni virali. Normalmente hanno dei recettori capaci di riconoscere e interagire con le molecole dell'MHC di classe I. Se questi auto-antigeni sono normali e ben formati si legano, si distaccano, e non si attivano. Se, al contrario, queste molecole sono modificate, o perché la cellula è neoplastica, o perché eterologa (trapianti), o perché è infettata da un certo virus, le NK lo riconoscono modificato e si attivano. Attivandosi producono perforine, e altre molecole che causano la lisi osmotica della cellula e la sua necrosi. Oltre a tutto ciò abbiamo l'immunità acquisita, un sistema decisamente più perfezionato e fine nella risposta, a differenza della grossolanità dell'immunità adattativa. Il midollo osseo e il timo sono considerati organi linfatici primari, i linfonodi, l'anello del Waldeyer con le adenoidi e le tonsille palatine, le MALT, la milza, le placche del Peyer, sono tutti organi linfatici secondari. Sono cioè colonizzati da linfociti T e B già maturi. I linfociti T terminano la loro maturazione nel timo. Il timo è un organo mediastinico la cui unità funzionale è il lobulo, costituito da una corticale è da una midollare. La corticale è più scura, maggiormente nucleare, con un numero molto maggiore di cellule, rispetto alla midollare, dove si possono invece riconoscere i corpuscoli di Hassal. Di linfociti T esistono i CD4+, i CD8+, possono esistere i doppi positivi, e in alcune fasi della maturazione anche i doppi negativi. Un'altra differenza tra linfociti è data dal loro recettore, il TCR, che può essere o alfa-beta o gamma-delta Sulla loro funzione posso riconoscere linfociti Th-1, particolarmente citotossici, o i Th-2 coinvolti in una risposta di tipo umorale con la produzione di immunoglobuline. I linfociti B viceversa sono linfociti con la funzione di produrre immunoglobuline delle diverse classi: IgA, IgE, IgG e IgM. I recettori fondamentali di queste cellule sono il TCR e il BCR (immunoglobuline). I TCR non sono una ventina di sottotipi come i TLR dei fagociti, sono 10^6 specificità diverse. Ogni linfocita ha la capacità di riconoscere quel singolo antigene, quel singolo epitopo antigenico. Ad esempio nella reazione contro lo streptococco vengono coinvolti più linfociti, ognuno specializzato nel riconoscimento di un singolo epitopo antigenico streptococcico.
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Nei confronti di antigeni batterici abbiamo una risposta che tira in gioco prevalentemente linfociti CD4+. I CD8+ sono deputati a rispondere prevalentemente ai virus. Una differenza importante tra i CD8 e i CD4 è la molecola capace di presentargli l'antigene. Mentre i CD4 necessitano di una presentazione tramite MHC di classe II, i CD8 tramite quello di classe I, non a caso un'infezione virale può interessare tutte le cellule del nostro organismo, che presentano l'MHC di classe I, che lega gli antigeni virali presenti nel citoplasma della cellula e li espone sulla membrana. Anche i linfociti B sono dotati del MHC di classe II come tutte le cellule presentanti l'antigene. Le immunoglobuline sono eterodimeri costituiti da quattro catene, due catene pesanti legate tra loro, due catene leggere legate tra loro, e ognuna legata ad una catena pesante. Nel caso in cui queste Ig funzionino da recettore presentano anche una coda in porzione COOH terminale transmembrana che ne permette l'ancoraggio sulla membrana dei linfociti B. I TCR sono invece formati da un dimero, due catene ancorate alla membrana. Entrambi questi recettori presentano una porzione costante, comune tra tutti, e una porzione variabile o ipervariabile in zona NH terminale, estremamente diversa da un recettore all'altro e che permette di giustificare questa enorme specificità del repertorio immunologico.
2 lezione - 03-2017
Immunità umorale Fra le varie componenti dell'immunità acquisita esiste anche quella costituita dai linfociti B, i quali sono capaci di secernere le Ig, complessi proteici costituiti da quattro catene proteiche, due pesanti e due leggere.
10 Gli anticorpi si legano agli antigeni sia nella fase di riconoscimento che nella fase effettrice delle risposte umorali. L’interazione dell’antigene con gli anticorpi espressi sulla superficie dei linfociti B rappresenta la fase di riconoscimento dell’immunità umorale Nella fase effettrice gli anticorpi secreti si legano agli antigeni. L’eliminazione dell’antigene richiede spesso la cooperazione di componenti dell’immunità innata (complemento, macrofagi, cellule NK, mastociti)
_Struttura delle Ig La porzione COOH terminale può possedere una porzione trans-membranaria che permette alla Ig di rimanere ancorata alla membrana della cellula e costituire quindi un recettore per il linfocita. Quando questa porzione viene scissa abbiamo la sintesi delle immunoglobuline solubili. Quindi la porzione trans-membrana è presente solo in quelle Ig che fungono da recettore. Riconosciamo nelle Ig tre parti: - un frammento Fc - due variabili - una porzione centrale cerniera. A livello della zona NH terminale, nelle porzioni variabili dove avviene il riconoscimento con l'antigene, la composizione della catena amminoacidica presenta una certa variabilità, e in delle zone ben precise abbiamo una iper-variabilità. In queste zone il tipo di amminoacido che si viene a localizzare è diverso da un'immunoglobulina all'altra (in posizione 26, 53, 70, 96 ecc). Vengono definite appunto regioni ipervariabili. Nella conformazione primaria queste regioni si trovano estremamente distanti tra loro, ma nella conformazione terziaria vengono a trovarsi molto vicine. Bisogna immaginare le due porzioni variabili delle Ig come le due mani, e le porzioni ipervariabili come le punte delle dita, che, a seconda della sequenza primaria, avranno una conformazione diversa. È sufficiente cambiare un aminoacido in queste porzioni per modificare in modo significativo la tasca di riconoscimento dell'immunoglobulina. In questo modo si ottiene una diversità nella funzione di riconoscimento delle varie immunoglobuline. Una diversità che non inficia il frammento Fc che più o meno rimane uguale nelle diverse classi di immunoglobuline.
11 La funzione della zona cerniera è importante, perché ogni Ig è bivalente, ha due frammenti FAB ed è capace di riconoscere due epiteti antigenici, ma questi non sono posizionati in modo appropriato per poter essere riconosciuti da una Ig a struttura fissa, è la Ig stessa che deve adattarsi a riconoscere questi epitopi. La Ig è quindi costituita in modo quasi perfetto per riconoscere l'antigene nella zona FAB, nel modo più appropriato possibile grazie alla zona cerniera, e per svolgere una funzione legata alla presenza del frammento Fc.
_Classificazione delle Ig Le immunoglobuline sono cinque classi (IgA, IgE, IgG, IgD, IgM), le IgG sono quelle maggiormente rappresentate, le IgE sono tracce (si dosano addirittura in U/L), più consistenti nei soggetti atopici.
Nell'ambito delle varie classi, per le IgG o le IgA si riconoscono diverse sottoclassi. 1. Le IgG hanno quattro sottoclassi, IgG1, IgG2, IgG3 e IgG4, le IgA due. Le IgG1 sono la sottoclasse più rappresentata e sono dei monomeri. 2. le IgA si presentano come dimero, unite da una struttura di raccordo (Gentile Marco Fadda), sono presenti nel siero ma si trovano più abbondanti a livello delle mucose, a livello quindi dell'apparato digerente, del respiratorio, dei genitali. Sono una sorta di vernice che ricopre la porzione più apicale dell'epitelio. 3. le IgM sono più voluminose, sono pentameri e rappresentano i recettori dei linfociti naive, appena fuoriusciti dal midollo osseo e che ancora non hanno avuto un priming e ricevuto l'antigene. Questa classe di linfociti presenta IgM di membrana è solamente in un secondo momento andranno incontro ad un processo chiamato switch isotipico, cioè il cambiamento di isotipo, e a seconda dell'ambiente e dei segnali diventeranno IgA, IgG o IgE.
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4. Le IgE sono importanti in corso di infezioni parassitarie e malattie allergiche. All'elettroforesi sierica, rappresentazione delle proteine nel nostro siero distribuite in una piastra carica (le proteine del siero si separano in base alla carica e al peso molecolare), il primo picco è dato dall'albumina, proteina maggiormente presente a livello plasmatici e a minor peso molecolare. A seguire le alfa 1, le alfa 2 le beta e le gamma globuline. A livello del picco delle gamma globuline e in parte anche delle beta ritroviamo le immuno-globuline, soprattutto le IgG, le IgA tendono a migrare più verso il picco delle beta.
_Legame antigene-anticorpo Possiamo essenzialmente distinguere due tipi di funzioni delle immunoglobuline. Un tipo richiede essenzialmente la presenza del sito di riconoscimento, la regione FAB. La stragrande maggioranza delle altre funzioni richiedono la presenza di un'immunoglobulina intera, non alterata, presente in tutte le sue componenti. Tra queste funzioni abbiamo ad esempio l'attivazione del complemento, fenomeni di opsonizzazione, di citotossicità, l'ipersensibilità per quanto riguarda le IgE, la capacità di passare o meno attraverso la barriera placentare, di trovarsi nel latte materno.
A seconda del legame tra antigene e anticorpo si potranno avere dei determinanti antigenici diversi. 1. Per esempio un antigene, normalmente riconosciuto da un anticorpo specifico, qualora venisse denaturato e si trovasse nella sua struttura primaria, non sarebbe più riconosciuto come tale dall'anticorpo. Si parla in questo caso di determinante conformazionale.
13 2. Se viceversa l'anticorpo è capace di riconoscere determinati amminoacidi, vicini tra loro nella sequenza primaria, anche se si denaturasse l'antigene l'anticorpo riconoscerebbe sempre la sequenza aminoacidica e vi si legherebbe. Si parla in questo caso di determinante lineare. 3. Talvolta addirittura con la denaturazione della proteina si vengono a creare dei nuovi determinanti antigenici, a causa dell'esposizione di sequenza che nella conformazione naturale della proteina sarebbero state nascoste e non in grado di legarsi ad un eventuale anticorpo. 4. Oppure ancora si possono creare nuovi determinanti perché durante la denaturazione si ha una rottura della struttura proteica. Sindrome allergica orale Tutto questo ovviamente si traduce nella realtà sul paziente, in modo pratico, ad esempio in una manifestazione allergica chiamata sindrome allergica orale. Il paziente racconta di reazioni allergiche immediate dovute al contatto di un alimento come ad esempio la mela con la mucosa orale. Questo sarà dovuto al contatto di un antigene, presente sulla buccia o nella polpa della mela, che viene a contatto con le IgE della mucosa orale. Ma se gli si chiederà se ad esempio la torta di mele gli crei problemi il paziente magari risponderà di no. Nella torta la mela è cotta, quindi l'antigene è denaturato e l'anticorpo non è più capace di riconoscerlo. Oppure viceversa può succedere che un soggetto che mangi una mandorla cruda non abbia problemi, ma che manifesti la reazione allergica mangiando una mandorla tostata. La tostatura denatura una determinata proteina, magari slatentizzando degli epitopi presenti o creandone nuovi.
Il legame tra l'antigene e l'anticorpo non è un legame covalente, è un insieme di legami deboli, legami a idrogeno, forza di Van del Walls ecc, tutte forze che tendono a tenere le due strutture proteiche l’una vicino all'altra, il tutto correlato con la distanza a cui queste proteine si possono trovare. Maggiore sarà la capacità di essere complementari l'uno con l'altro maggiore sarà la possibilità di avvicinare queste strutture e far entrare in gioco tutte le forze e tenere l'anticorpo fortemente legato al suo antigene. Diciamo anticorpo, ma potrebbe essere qualsiasi altro recettore, ad esempio un TCR. Se la conformazione non è perfettamente complementare avremo sì delle forze di attrazione, ma anche di repulsione, e quindi un'affinità minore, quell'anticorpo nei confronti di quell'epitopo antigenico non si legherà in modo appropriato. In generale i linfociti T sono capaci di riconoscere, tramite il TCR, antigeni di natura proteica, riconoscono dei peptidi presentatigli dagli MHC di classe I o II. Gli anticorpi viceversa son capaci di riconoscere non soltanto proteine ma anche altre strutture, come un mucopolisaccaride, strutture solubili o meno, un acido nucleico, uno zucchero o un grasso.
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_Produzione delle Ig Come vengono prodotti gli anticorpi? I linfociti B naive, appena usciti dal midollo, sono già in grado di riconoscere un antigene. Nel momento in cui incontrano l'antigene la prima volta, vanno incontro ad un fenomeno di attivazione che consiste in un aumento della proliferazione e del numero dei linfociti, e in una specializzazione in plasmacellula. Questi linfociti B si trovano poi anche sotto l'azione dei linfociti T: se abbiamo un microambiente dove i B si trovano con i T in un bagno di IL-2, queste cellule diventano capaci di shiftare la loro capacità di produrre anticorpi da IgM a IgG. Se invece si trovano in un bagno di IL-4 divengono capaci di produrre igE, con il TGFß e a volte IL-5, IgA. Il tipo di immunoglobuline prodotto dipende quindi dal tipo di linfociti T che si trovano in quel momento accanto ai B, e dal tipo di citochina prodotta. La fase di shift isotipico è definitiva. Una volta che quella linea cellulare sceglie la sua via di differenziazione sotto influenza e controllo dei linfociti T non può più tornare indietro, perché durante le fasi di shift si ha una ricombinazione a livello genico e i domini che codificano per le IgM vengono in qualche modo eliminati totalmente a favore del dominio che codifica per la Ig finale che potrà essere IgG, IgA o IgE. Il legame così stretto tra linfociti B e T viene reso ancora più stabile dalla presenza di altri co-recettori, uno in particolare è il legame che si forma tra CD40 e CD40L (ligando). La presenza di questo legame è fondamentale affinché si abbia la maturazione e una attiva proliferazione e differenziazione del B. Infatti quando è presente una mutazione a livello del co-recettore CD40 o del suo ligando, si ha un quadro di immunodeficienza chiamato sindrome da iper-IgM. Questi soggetti non saranno in grado di shiftare, di modificare isotipo, è produrranno solo IgM, che sono meno affini rispetto alle igG e danno un quadro di protezione minore.
15 Quando ci si infetta con virus o batterio ecc abbiamo nella prima settimana più o meno l'attivazione di queste cellule, che inizieranno a produrre anticorpi. Quindi la prima risposta sarà di tipo IgM, che si attiverà e sarà dosabile nel siero dopo un paio di settimane: raggiungerà un certo livello, non elevatissimo, e poi piano piano tenderà a calare. Questa è la risposta primaria, che tutti noi abbiamo al primo incontro con un antigene. Se per caso successivamente si incontrasse nuovamente quell'antigene verranno riattivate quelle cellule, che saranno prima di tutto aumentate di numero, perché come sappiamo una delle prime fasi dell'attivazione consiste nella proliferazione, saranno poi già pronte, avranno già riconosciuto l'antigene la prima volta e già scelto che tipo di Ig produrre, ci sarà già stato lo shift, e saranno inoltre molto più attive e responsive, già dopo una settimana vedremo un picco di risposta, che sarà più alto è più duraturo, talvolta per tutta la vita.
Da medici si andranno a dosare le diverse classi di immunoglobuline sul siero, ad esempio IgM e IgG per capire se si ha un'infezione recente o se si ha già incontrato un antigene. L'esempio più lampante di queste indagini è ad esempio la ricerca dell'infezione in gravidanza del virus della rosolia. Le IgG passano la barriera placentare, le IgM no, il virus della rosolia sì. Questo fa capire perché è importante avere ben chiari questi concetti introduttivi di immunologia.
Per riassumere: 1.
Un linfocita B naive, che incontra l'antigene, in presenza dell'effetto stimolante, helper, dei linfociti T CD4 che non a caso si chiamano helper, andrà incontro a: espansione clonale e proliferazione; produzione di anticorpi.
2.
Il linfocita B è capace di legare l'antigene con le sue Ig di membrana, endocitare questo complesso, distruggerlo all'interno del citoplasma, processarlo e in parte legarlo all'MHC di classe II, che viene esposto sulla membrana. Questo perché il linfocita B è dotato di MHC di classe II, e si comporta come una cellula presentante l'antigene nei confronti del linfocita T.
3.
Successivamente si avrà lo shift isotipico.
4.
Infine aumento dell'affinità e della memoria immunologica di questi linfociti.
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_Funzioni delle Ig 1. 2. 3. 4. 5.
Neutralizzazione di batteri, tossine e altri antigeni; Opsonizzazione (capacità di favorire la fagocitosi); Attività citolitica; Attivazione del complemento; Protezione fetale e neonatale.
Non tutte le classi di Ig presentano le stesse funzioni.
1. NEUTRALIZZAZIONE DI ANTIGENI
La neutralizzazione è l’unica funzione effettrice degli anticorpi interamente legata all’interazione con l’antigene; essa non richiede la partecipazione delle regioni costanti della catena pesante. La neutralizzazione si può ottenere con il solo frammento Fab ed è indipendente dall’isotipo. L'azione neutralizzante degli anticorpi si esplica ad esempio con le tossine, con il legame tra gli anticorpi e il loro sito di legame. Questo accade ad esempio per le IgG specifiche per la tossina tetanica, ma anche per quella difterica. Queste IgG rendono impossibile il legame di questa tossina con il suo recettore a livello nervoso. Questa azione è immediata, ed è il principio, ad esempio in questo caso, della profilassi anti-tetanica con l'anti-tossina: si somministra cioè un siero con anticorpi anti-tossina tetanica. Dopo questa profilassi si dovrà anche vaccinare il soggetto per fare in modo che produca lui stesso questi anticorpi.
17 2. OPSONIZZAZIONE
I fagociti, di cui fanno parte macrofagi, cellule dendritiche ecc, riconoscono l'antigene tramite i TLR, Toll-like receptors, lo legano e lo internalizzano andando poi ad innescare la risposta immunitaria. Gli anticorpi prodotti dal linfocita B attivato contro quell'antigene si vanno a legare, tramite il loro frammento Fc, su dei recettori presenti sulle cellule fagocitarie. I TLR non sono tantissimi numericamente, e hanno inoltre delle capacità di riconoscimento davvero limitate e generiche (il TLR-4 riconosce ad esempio tutti i batteri che hanno il lipo-polisaccaride di membrana). Invece il legame dell'anticorpo sulle cellule fagocitarie le rende estremamente specifiche e aggressive nei confronti di quel determinato antigene. Il recettore fagocitico che lega gli anticorpi sul frammento Fc si chiama Fc-γ-receptor, o alfa o epsilon a seconda del tipo di immunoglobulina legata. È un recettore ad alta affinità di legame. Quindi si avrà un'enorme espansione, da parte di queste cellule, della loro capacità di riconoscere quel determinato antigene, è quindi di endocitarlo ed eliminarlo. È un sistema di potenziamento della fagocitosi. I recettori per Fc espressi dai fagociti favoriscono la fagocitosi delle particelle opsonizzate e trasmettono all’interno della cellula segnali che ne stimolano le potenzialità battericide (radicali dell’ossigeno)
3. ATTIVITÀ CITOLITICA
L'altra funzione importante ma legata ad un meccanismo molto simile all'opsonizzazione è la cosiddetta citotossicità anticorpo mediata. Se l'antigene non è un batterio ma una grossa cellula, magari la cellula di un trapianto o eterologa, gli anticorpi si legheranno sugli antigeni presenti sulla membrana della cellula e il loro frammento Fc esposto all'esterno verrà riconosciuto dagli stessi recettori ad alta affinità Fc receptors, presenti questa volta su cellule ad azione citolitica, come le NK, natural killer. Una volta attivata questa cellula è in grado di lisare quella bersaglio, che era stata rivestita da questi anticorpi. Perché però le NK riconoscono e si legano proprio a questi anticorpi legati a loro volta sulla cellula target e non i legano ad esempio sulla miriade di anticorpi circolanti presenti sul siero? Perché nel momento in cui una proteina si lega ad un'altra si avrà un cambio conformazionale, è qualcosa cambierà nella sua struttura terziaria, e quel frammento Fc risulterà accessibile ai recettori delle cellule NK.
4. ATTIVAZIONE DEL SISTEMA DEL COMPLEMENTO
Sistema costituito da tante molecole presenti nel siero, non ancora attivate, che tendono ad attivarsi a cascata. In questo momento ci interessa sottolineare la via classica di attivazione, ma sono importanti e vanno conosciute anche le altre. Gli anticorpi legati ad un antigene cambiano la loro struttura terziaria, il frammento Fc si modifica e diventa capace di legare la prima componente del complemento, cioè il C1. Questo si
18 modifica a sua volta e si lega al C4, che si scinde in C4b e C4a, poi C2, C3 è così via. Non interessano i dettagli. Il concetto importante dev’essere che da questa attivazione sequenziale alla fine si attivano tante altre proteine e si vengono a creare dei veri e propri pori, assemblando alla fine il C9, con la successiva lisi osmotica della cellula, batterio ecc. Non tutte le immunoglobuline vengono a fissare il complemento, ma solo le IgG e le IGM Durante la fase di attivazione del complemento si vengono anche a liberare dei frammenti, C5a, C3a e altri, e questi vanno a legarsi a dei recettori presenti ad esempio sulle superfici dei macrofagi, dei mastociti, comportandone l'attivazione. Se si attiva il complemento con un immunocomplesso poi la cascata del complemento va avanti da sola, quindi potenzialmente se non si riuscisse a bloccare l'attivazione del complemento la produzione di questi frammenti attivi C3a C5a, che vengono chiamati non a caso anafilo-tossine, si possono creare dei fenomeni di immuno-patologia come orticaria, angioedema ecc. Esistono dei sistemi che portano all'inattivazione del complemento agendo a livelli diversi, a livello di C1, C3, C4, della formazione del complesso C9 ecc. Una proteina importante è l'inibitore di C1, la C1 esterasi.
Edema di Quincke Esiste una patologia chiamata edema di Quincke, o edema angio-neurotico, caratterizzata dalla carenza di questo inibitore. I soggetti con questa carenza non sono più capaci di bloccare l'attivazione del complemento e vanno a fenomeni di angioedema importanti, che interessano gli stati più profondi della cute a differenza del pomfo dell'orticaria, sono più diffusi e possono andare ad interessare anche le mucose, orale, palpebrale, genitale, ecc. È una condizione pericolosa un'altra vada ad interessare la mucosa della laringe, causando l'occlusione della rima della glottide. In questi casi si inocula al paziente in emergenza un inibitorie di C1.
5. PROTEZIONE IMMUNOLOGICA FETALE E NEONATALE
Un'altra funzione importante delle Ig è la capacità, legata alle IgA, di passare l'epitelio a livello delle mucose, e venire secreta a livello della porzione apicale. Queste sono quindi le prime Ig che un agente infettante vede nel momento in cui giunge a contatto con la mucosa, enterica, bronchiale ecc. Un'altra secrezione importante che le contiene è il latte. Il latte materno rappresenta un aiuto per il bambino anche dal punto di vista di protezione immunologica. Infine non tutte le Ig sono capaci di passare la barriera placentare, le igM no le IgG sì.
19 Se ho mancanza di IgG nella madre questo può rappresentare un problema nel caso di infezione in gravidanza, perché le IgM da sole non riescono a passare, essendo pentameri, quindi non danno una appropriata protezione al feto. Le IgG sono poi prodotte in quantità sicuramente maggiori rispetto alle IgM, e questo aiuta a proteggere il bambino.
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IMMUNODEFICIENZE Abbiamo visto cosa succede quando funziona il sistema immunitario, ora vedremo cosa succede quando non funziona.
In generale si parla di immunodeficienza quando una o più funzioni del sistema immunitario non sono adeguate o sono carenti. Ci si accorge dell'immunodeficienza quando ci si trova davanti ad infezioni ripetute, difficili da curare, sostenute da germi tendenzialmente opportunisti, normalmente non patogeni, come ad esempio una candidosi estremamente aggressiva, oppure un'insorgenza maggiore di neoplasie, dovute generalmente a virus con azione oncogena, come il linfoma di Burkitt, o il cranio-faringioma, sostenuto dal virus di Epstein Barr. L'immunocompromissione non permette di combattere nè il virus nè l'oncogenesi.
Classificazione Si può classificare l'immunodeficienza in: Umorale, se interessa un deficit di produzione di anticorpi Cellulo-mediata, se sono interessati i linfociti T, le cellule NK, Del sistema fagocitario, se sono interessate cellule dendritiche macrofagi ecc, Del complemento. Ognuno di questi sistemi può essere alterato, talvolta è sufficiente una mutazione puntiforme, ad esempio a carico della proteina ZAC-60 legata al TCR, che rende tutti i linfociti T ciechi, incapaci di riconoscere gli antigeni, per cui tutto il sistema immunitario può essere annientato da una mutazione che interessa un singolo amminoacido. Sulla base dei tipi di infezione a cui andrà incontro il soggetto si può sospettare il livello di alterazione. Ad esempio un deficit dell'immunità cellulo-mediata, sostenuta da linfociti T, posso avere un'alterazione a più livelli: risposta contro batteri, virus, ma anche alterazioni secondarie a livello umorale, con un deficit di produzione di anticorpi da mancato stimolo dei linfociti B.
Possiamo distinguere ancora le immunodeficienze in: 1. Primitive: legate a alterazioni nei fenomeni di ontogenesi del sistema immunitario, Si tratta di un numero veramente enorme di forme, sia perché possono interessare tutte le diverse branche, ma anche perché ogni giorno emergono mutazioni nuove. In genere ogni singola patologia è poco rappresentata, ci possono essere 4-5 casi in tutto il mondo, e spesso particolarmente gravi. 2. Secondarie: forme che esordiscono in un soggetto fino ad una certa età senza particolari problemi, che secondariamente ad una neoplasia, alla terapia di una malattia autoimmune, ad un'infezione virale, ad esempio HIV, o Hepstein-Barr, malnutrizione, potrà essere, anche per un breve periodo, immunodeficiente.
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Epidemiologia Quando si va a vedere quanti sono i casi di soggetti con immunodeficienza sono ovviamente le immunodeficienze secondarie le più diffuse. Sono molti di più i soggetti con un tumore, con un quadro di immunosoppressione, con un quadro quindi più o meno grave di immunodeficienza secondaria, rispetto a soggetti con una rara mutazione genica o difetti di ontogenesi del sistema immunitario che presentano una immunodeficienza primaria.
1. IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVE Classificazione È un caos. Sono molto complesse e tradiscono la difficoltà di classificazione. Ogni giorno si trovano mutazioni nuove e diverse. Questa è la classificazione ufficiale: 1. ID combinate 2. ID da prevalente deficit anticorpale 3. Sindromi con ID ben definita 4. Altre malattie da ID primitiva 5. Malattie congenite o ereditarie associate con ID 6. Deficit delle funzioni complementari 7. Deficit delle funzioni fagocitarie In generale possiamo dividerle in immunodeficienze che colpiscono il sistema B o il sistema T, da deficit del sistema anticorpale, alcune associate a sindromi malformative, deficit di funzione complementare ecc Ci interessano solo le più importanti, e molte sono patologie da iper-specialist. La cosa più importante è senz’altro sospettare che ci sia un'immunodeficienza. Il medico di base dev’essere la figura più attenta, la prima che percepisce che c’è qualcosa che non va, e inizia l'iter diagnostico.
Ci sono due tre quadri che sono in assoluto i più frequenti, sono: Deficit selettivo di IgA, carenza solo di IgA; Immunodeficienza comune variabile: soggetti che per vari motivi non sono in grado di produrre Ig; Deficit di mieloperossidasi, MPO, con un'alterazione della funzione fagocitaria. In alcuni casi i quadri di immunodeficienza primitiva si possono associare ad un incremento delle malattie autoimmuni, o anche ad un incremento dei tumori a carico dei linfociti, i linfomi. Questo perché il nostro sistema immunitario sviluppa una tolleranza verso il self, e una aggressione verso il non self.
22 Può capitare ad esempio in caso di infezioni batteriche, che un epitopo antigenico sia molto simile a molecole self, autologhe e si venga a creare una risposta immunitaria sia verso l'antigene che verso l'autoantigene simile. È quello che si chiama mimetismo molecolare. È un fenomeno per il quale il sistema immunitario viene confuso, e innescato e attivato contro il self. Non a caso in corso di immunodeficienze si possono avere anemie autoimmuni, tiroiditi autoimmuni, perché questi soggetti fanno passare antigeni più facilmente all'interno del proprio organismo, e si può più facilmente verificare quel fenomeno di molecolar miming
1.1 Immunodeficienze combinate Nelle immunodeficienze combinate si ha sia l'alterazione dei linfociti B sia dei T. Determinano infezioni molto gravi che colpiscono la prima infanzia, spesso portando a morte. Interessano una singola molecola, un singolo recettore, ma che sono componenti chiave per l'attivazione del nostro sistema immunitario. Tra queste abbiamo: Immunodeficienza grave combinata legata al cromosoma X Immunodeficienza grave combinata autosomica Nel primo caso non viene prodotta una catena gamma di un recettore di citochine. I recettori per citochine sono normalmente costituiti da due catene, gamma, comune a tutti, e alfa, specifica per ogni singola citochina. Se non si ha la sintesi della catena gamma questi linfociti, T o B che siano, non sono più in grado di sentire la presenza di queste citochine, in particolare della IL-2, che un tempo non a caso veniva chiamata T cell growth factor, senza di essa i linfociti T non riescono a crescere nelle piastre di coltura. Nel secondo caso, autosomico recessivo, il quadro clinico è sempre lo stesso, la differenza è che il danno non è sulla catena gamma ma sulla proteina JACK 3, impegnata nella trasduzione del segnale. Quindi alla fine il risultato sarà sempre lo stesso, e cioè una mancata risposta all'azione delle citochine.
1.2 Immunodeficienze da deficit anticorpale Nelle immunodeficienze da prevalente deficit anticorpale si è più fortunati, perché in questo caso si può avere anche una terapia appropriata, anche se non in tutti i casi, perché ad esempio nel deficit di IgA non si possono somministrare. La terapia consiste nella somministrazione delle Ig mancanti. Oggi come oggi esiste anche un altro metodo di somministrazione, quello sottocutaneo. Questo può essere effettuato dal paziente stesso nella sua abitazione, e non in ambiente ospedaliero come quella endovenosa, in cui si devono valutare eventuali reazioni avverse.
23 Sindrome da iper IgM, è presente una mutazione a livello del co-recettore CD40 o del suo ligando, si ha un quadro di immunodeficienza chiamato sindrome da iperIgM. Questi soggetti non saranno in grado di shiftare, di modificare isotipo, è produrranno solo IgM, che sono meno affini rispetto alle igG e danno un quadro di protezione minore. Carenza di sottoclassi di IgG (rara), spesso sotto diagnosticate e difficili da diagnosticare a causa di IgG ai limiti della norma alle elettroforesi, richiede l'esecuzione dei dosaggi specifici. Immunodeficienza comune variabile con carenza grave di Ig. In questi soggetti oltre alla terapia con le Ig, in caso di infezioni batteriche su deve ricorrere ad una adeguata terapia antibiotica, perché quel soggetto da solo non è in grado di debellare i batteri. Deficit selettivo di igA, il quadro più frequente, 1/500 nella popolazione generale. Le manifestazioni cliniche più importanti di questi soggetti sono diarrea, dolori addominali, infezioni del tratto gastroenterico o a livello dell'apparato respiratorio. Normalmente questi soggetti sono però asintomatici. Questo deficit è legato alla mancanza dello switch isotipico. Questi soggetti o non riescono a produrre TGFß, o non hanno il recettore, o mancano altri meccanismi che portano alla fine alla produzione di igA. Solitamente la carenza di IgA è un riscontro clinico occasionale, mentre si eseguono esami ad esempio per la ricerca di anticorpi anti endomisio o anti tissue glutaminasi per un sospetto di celiachia. Quando si eseguono questi esami si richiede sempre anche il dosaggio delle IgA perché si vuole essere certi che la negatività degli anticorpi dosati ero la celiachia non sia un falso negativo dovuto al fatto che il soggetto non produce proprio IgA. Nel caso di riscontro occasionale bisogna tenere questi soggetti sotto controllo, rivederli dopo pochi mesi, perché potrebbero sviluppare dolori articolari, artriti migranti, fenomeno di Raynaud, ecc, che sono tutti segnali dello sviluppo di una malattia autoimmune.
1.3 Altre immunodeficienze primarie Tra le immunodeficienze primarie abbiamo ancora Deficit della c1 esterasi con angioedema Deficit dell'attività macrofagica, con alterazioni del killing, della motilità, della citotossicità.
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2.IMMUNODEFICIENZE SECONDARIE - HIV Esistono situazioni in cui si possono avere delle immunodeficienze secondarie, le quali interessano soggetti che acquisiscono una situazione in cui il sistema immunitario non è ben funzionante in un secondo momento e non in correlazione con la nascita. Tali situazioni sono dovute a varie cause che rappresentano nel loro insieme un capitolo molto più ampio e molto più frequente rispetto alle primitive. Possono essere secondarie a: neoplasie, sia tumori solidi ma in modo particolare tumori ematologici; iatrogene: dovute a terapie immunosoppressive o radianti. Sono effettuate anche contro i tumori, per esempio una chemioterapia che deve inibire la proliferazione cellulare, purtroppo però cellule in attiva proliferazione sono anche le cellule del sistema immunitario, quindi avremo una riduzione della proliferazione a livello midollare, timico, linfonodale con conseguente perdita della funzione del sistema immunitario. malattie da perdita proteica: malassorbimento, malnutrizioni infezioni di diverso genere, come la tubercolosi, l’infezione da virus di Epstein Barr che spesso causa situazioni di immunodeficienza secondaria transitoria. Per arrivare infine al principe delle immunodeficienze secondarie che è HIV, il virus dell’immunodeficienza umana.
Cenni storici di HIV Nei primi anni 80 si cominciarono a vedere delle situazioni un po’ particolari, soprattutto negli Stati Uniti in cui i medici si resero conto che c’erano dei soggetti generalmente giovani, di sesso maschile, con una maggiore frequenza omosessuali che presentavano delle situazioni di immunodeficienza acquisita. Persone che fino a quel momento erano state assolutamente bene e che poi cominciavano a sviluppare delle infezioni che non riuscivano ad essere contenute e anche se venivano trattate e risolte con un antibiotico, a distanza di poche settimane o mesi recidivavano. Non solo infezioni recidivanti, ma anche infezioni sostenute da germi normalmente non patogeni (es. candida), così detti opportunisti che si presentavano solamente nel momento in cui il sistema immunitario degli individui risultava non funzionante. Si manifestavano non solo quadri di infezione, ma anche quadri di neoplasie, come il sarcoma di Kaposi, linfomi, neoplasie che si sapevano essere correlate ad un’infezione virale. Per esempio il virus di Epstein Barr è causa del linfoma di Burkitt, il sarcoma di Kaposi dovuto ad un virus appartenente alla famiglia degli herpes virus e così via: tumori correlati a virus oncogeni. Allora in quel periodo fu coniato il termine di AIDS, sindrome da immunodeficienza acquisita. (Quando si parla di sindrome si parla di una situazione in cui abbiamo un insieme di sintomi, per esempio in una sindrome influenzale si ha febbre, cefalea, faringodinia, tosse, ecc.)
25 Erano presenti una serie di sintomi caratterizzati principalmente dalle suddette infezioni, correlate a quadri di immunodeficienza acquisita e in più si aveva il riscontro laboratoristico di infezione da HIV, cioè veniva ritrovata la presenza di anticorpi diretti contro questo virus (poteva anche essere ricercata la presenza della proteina p24 che è una proteina tipica del virus, ma generalmente la diagnosi veniva fatta con il riscontro di anticorpi). Negli anni 80 veniva visto un po’ come la peste del secolo. Si aveva quel sentore di un’infezione che potesse essere trasmessa, di un virus che potesse essere inoltre difficilmente controllato. Un virus che allora non era conosciuto e che quindi portò ad un notevole stato di paura. HIV è originato dalla fusione di più virus. Nell’arco del tempo alcuni agenti virali che attaccavano specie diverse di scimmie si sono trovati all’interno di un unico scimpanzé, qui i genomi dei due virus si sono in parte fusi tra di loro. Questa è una cosa che succede abitualmente, il materiale genetico di organismi viventi diversi può normalmente fondersi. Pensate che circa l’8% del nostro genoma è di origine virale, per esempio la sincitina che è una proteina importante per la funzione del sincizio trofoblasto è di origine virale. A ogni modo all’interno di questo animale la fusione di questi genomi può dare origine a un virus nuovo. Questo virus può avere due possibilità, o si adatta bene con quell’ambiente quindi è capace di replicarsi, di sopravvivere e dunque nasce una nuova specie oppure non sopravvive. Purtroppo si è verificata la prima ipotesi e il virus è sopravvissuto. (scene di dolore straziante) A un certo punto questo virus è passato in un qualche modo dall’animale all’uomo e purtroppo è riuscito a sopravvivere nell’uomo (stessa ipotesi di prima, o vive nell’uomo o non vive). Altri virus come per esempio il FIV, il virus dell’immunodeficienza felina non infetta l’uomo perché l’uomo non ha i recettori per interagire con questo virus, purtroppo l’uomo ha i recettori per poter interagire con HIV.
Caratteri di HIV HIV appartiene alla famiglia dei lentivirus, è un virus molto piccolo, molto semplice, formato da un paio di catene di RNA a singola elica, da qualche proteina importante per la sua replicazione, tutto avvolto all’interno di un core proteico e tutto questo racchiuso in un doppio strato lipidico di origine cellulare, che deriva da cellule umane. Il rivestimento lipidico è tempestato da queste spikes, queste proteine che sono gp120 e gp41, e sono le due proteine che rappresentano la chiave che servirà per entrare nella serratura che è presente in alcune cellule umane. Questa serratura è rappresentata da CD4, questo significa che tutte quelle cellule che hanno questa molecola sulla loro superficie hanno il ligando per la gp120. Le cellule che hanno CD4 sono i linfociti CD4 e poi un’altra popolazione che presenta CD4 a bassa espressione cioè i monociti-macrofagi. Anni fa furono eseguiti alcuni esperimenti in cui un
26 fibroblasto, che non possiede CD4 (i blasti non hanno CD4 di membrana), veniva messo a contatto con il virus e non si infettava. Se trans infettati con il genoma che serve per trascrivere e produrre il CD4, ci si aspetta che abbiano CD4 di membrana e che si infettino, ma questi non si infettavano ugualmente. Questo significa che CD4 era importante (necessario), ma non sufficiente per avere un’infezione. Successivamente è stato visto che per avere un’infezione e la penetrazione del virus all’interno della cellula è importante che ci siano anche dei corecettori. Questi corecettori sono essenzialmente due: il CXCR4 e il CCR5. Sono due recettori per chemochine. Solamente quelle cellule che esprimono sia CD4 che uno di questi altri corecettori possono essere infettate. In natura esistono delle coppie sessualmente attive in cui uno dei due partner è sieropositivo e l’altro è sieronegativo, che per loro scelta hanno rapporti sessuali non protetti, quindi tendenzialmente sono a rischio di infettarsi, che però non si infettano. È stato visto che c’è una mutazione a livello di CCR5, quindi questo recettore è modificato per cui non può legare in modo appropriato gp120 e quindi non si ha l’infezione. Questo non significa che queste persone sono protette per sempre, perché esistono anche altri recettori, però hanno una minore probabilità di infettarsi. Domanda: Ma non si è provato a lavorare con tecniche di biologia molecolare per modificare questi recettori? Risposta: Esistono dei farmaci che agiscono su CCR5 e che quindi riducono l’infezione, quindi sì ci hanno lavorato eccome.
Il genoma di HIV è un genoma piuttosto semplice e piccolo, è formato da un gene POL che codifica per una serie di enzimi, da un gene ENV che codifica per le strutture di rivestimento proteiche, e poi tutta un’altra serie di geni di controllo. Una di queste proteine che è fondamentale per la replicazione del DNA, cioè la trascrittasi inversa, è un enzima che funziona male e fa tantissimi errori. Questo risulterà un vantaggio per il virus.
_Ciclo replicativo HIV Nel momento in cui si ha un’infezione, in cui il virus entra a contatto con l’organismo e trova il suo recettore CD4 allora gp120 si lega, si avvicina alla cellula e a quel punto interviene la proteina gp41 che è una proteina fusogena che permette la fusione della membrana virale con la membrana cellulare. A questo punto tutto il contenuto che è presente all’interno del virus viene iniettato nel citoplasma cellulare, quindi: il core, le varie proteine enzimatiche, il genoma virale.
27 A questo punto la prima proteina che entra in gioco è la trascrittasi inversa, che a partire da uno stampo di RNA riesce a creare una catena di DNA, dopodiché sulla catena di DNA si forma un’altra catena di DNA e si avrà dunque un DNA a doppia elica. Il DNA a doppia elica può passare all’interno del nucleo e grazie a un altro enzima, sempre di origine virale che è un’integrasi (un’endonucleasi), si integra all’interno del genoma umano. Da quell’instante in poi è un tutt’uno col genoma, non esiste la possibilità di dividerli, di eradicare quel virus da quella cellula. Questo è il punto chiave. La suddetta cellula è nella stragrande maggioranza dei casi un linfocita CD4, ma può trattarsi anche di una cellula macrofagica ecc. Questo linfocita può fare la sua vita normale, può quindi proliferare, può replicarsi, può rimanere quiescente ecc. Generalmente si replica o perché viene attivato da un antigene specifico o all’interno del linfonodo dove c’è una grossa produzione di IL-2, la quale è un fattore attivante la replicazione del linfocita T. In quel momento si attiva anche la replicazione del DNA virale; di conseguenza le cellule figlie conterranno il provirus, l’informazione per replicare il virus. Quando questa zona di genoma, per vari motivi, si attiverà e verrà prodotto RNA anche l’RNA virale potrà essere prodotto. L’ RNA virale verrà trasformato in proteine, generalmente sono poliproteine che verranno scisse da proteasi e si formeranno le varie proteine costitutive, quelle del core virale, le proteine enzimatiche ecc., il tutto si addenserà vicino alla membrana plasmatica e per gemmazione si avrà la produzione di una serie di nuovi virioni che andranno a infettare altre cellule.
_Effetti citopatici HIV All’interno di un soggetto vengono prodotti ogni giorno da 50 a 500 miliardi di nuovi virioni ed è sufficiente un virus per poter infettare un nuovo individuo. In questo processo queste cellule soggette a attivazione, replicazione, gemmazione di tutti questi virioni vanno incontro a fenomeni di sofferenza per azione citopatica diretta del virus, e a lungo andare si avrà una lisi osmotica della cellula. Ma si potrà avere anche un’azione del sistema immunitario, dei linfociti CD8 che riconoscono queste proteine virali sulla membrana di CD4 e inducono loro (i CD8) la lisi cellulare. Quindi un’azione indiretta, che può essere mediata anche da cellule NK. Si avrà quindi una riduzione del numero dei linfociti CD4
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Storia naturale dell’infezione
Nella prima fase in cui il soggetto si è infettato si avrà un aumento esponenziale della replicazione virale e una diminuzione del numero dei linfociti CD4. Nelle prime settimane di infezione acuta clinicamente il soggetto può non avere nulla o al limite un po’ di febbricola, ma comunque quadri assolutamente aspecifici oppure eventualmente dolori addominali, una linfadenopatia, una splenomegalia; questo può passare inosservato o essere scambiato per sindrome influenzale o per mononucleosi. Questo quaadro tende generalmente nell’arco di qualche settimana a risolversi. Si avrà anche un coinvolgimento del sistema immunitario, su CD8 in particolare. Si avrà anche produzione di anticorpi, ma sia l’attività di CD8, sia l’attività di anticorpi diretti contro il virus non sono efficaci a controllare la malattia, il virus è dentro il genoma. Domanda: La produzione di anticorpi dove si localizza nell’arco del tempo? Risposta: Non prima di due settimane, anche un po’ prima ma non sono rilevabili.
Dopo un paio di settimane si comincia a rilevare qualche anticorpo, questo è importante per la diagnosi. Se si ha un sospetto che un rapporto avuto il giorno prima possa aver dato origine ad un’infezione, si dosano gli anticorpi il giorno dopo e si trovano, è ovvio che non siano legati al rapporto del giorno prima, ma erano già presenti. Per essere certi che quella produzione di anticorpi sia legata ad un determinato evento devo per lo meno aspettare un paio di settimane.
29 Normalmente se si vuole fare diagnosi legata ad un evento sospetto avvenuto pochi giorni prima, si fa un prelievo di sangue, si ricercano gli anticorpi ma dopo un mese o due si ripete il prelievo. Si ripeterà un’altra volta dopo sei mesi. Si può avere una finestra più o meno ampia dove si può dosare la produzione di questi anticorpi, ma non esiste finestra così ampia al di sopra dei sei mesi: se dopo sei mesi quel soggetto è negativo allora non è infetto. La produzione di virus può essere 0, 1000, 30000, raggiunge un plateau più o meno soggettivo. Tanto più basso è il livello di produzione di virus che si raggiunge, tanto più lunga sarà la fase di latenza clinica. Da dopo la fase acuta il paziente non avrà assolutamente alcun sintomo, sarà una persona totalmente normale che vive la sua vita perfettamente ignaro di ciò che sta albergando. I linfociti CD4 raggiungono livelli più bassi rispetto ai valori normali, ma possono mantenere questi valori, che comunque sono sempre nel range di normalità, per mesi o anni. Il virus può anche essere non dosabile o a bassa carica, ma in ogni caso se non si hanno sintomi non si ha neanche il motivo di andare a fare particolari test ecc. Questo periodo può durare anni (da pochi a una decina). Esistono persone che dopo 15 anni di infezione pur avendo gli anticorpi contro HIV, continuano ad avere il virus indosabile e i CD4 nella norma. Questo non vuol dire che non sono infettati, lo sono eccome e possono infettare. Dopo un periodo di latenza clinica (non di latenza virologica), in cui il virus comunque tende a replicarsi, quando il sistema immunitario risulterà particolarmente abbattuto allora cominceranno anche le manifestazioni cliniche, quelle infezioni secondarie, opportunistiche che caratterizzano il quadro di sindrome da immunodeficienza acquisita. Le manifestazioni cliniche posso andare avanti per mesi, per anni fino a che il soggetto non va incontro ad infezioni opportunistiche particolarmente gravi o tumori che lo porteranno alla morte. La morte quasi sempre non è da HIV, ma HIV causa un’immunodeficienza che causa poi una bronchite (per esempio da streptococco), una sepsi ecc. che porteranno al decesso.
Epidemiologia Al mondo ci sono milioni di persone che hanno l’infezione da HIV, la maggior parte è localizzata a livello dell’Africa sub sahariana e probabilmente non solo perché il virus ha avuto origine lì, ma anche per altri motivi. Il numero di soggetti che si infettano tutti i giorni è un numero piuttosto cospicuo, si parla di diverse migliaia di persone. Non c’è nessuna correlazione o prevalenza di sesso, il rapporto maschio/femmina è analogo.
30 In Africa la prevalenza di HIV è elevatissima, ma la spesa che viene dedicata per l’infezione in Africa è bassissima. Quell’alta prevalenza (30.000.000-90.000.000) che si osserva in questi paesi è legata quasi sicuramente ad un rapporto molto sfavorevole per il controllo e la prevenzione di HIV. Purtroppo per contrastare questo virus, una volta che si contrae l’infezione, le spese necessarie sono particolarmente elevate, ma sostenibili alle nostre latitudini e insostenibili in altri paesi. La spesa per la terapia antiretrovirale per un soggetto infetto da HIV è di circa 1000 euro al mese. Per avere un controllo dell’infezione in svizzera viene utilizzato circa l’1% del PIL di quello stato, per avere lo stesso livello di controllo dell’infezione in paesi sub sahariani si deve investire il 300% del PIL.
_Vie di trasmissione di HIV La trasmissione di HIV avviene per: Via sessuale: via vaginale, anale, oro-genitale. Questo perché il virus si trova a livello delle secrezioni vaginali, del liquido pre-coitale dell’uomo, del liquido spermatico. Via ematica: il sangue contiene HIV, contiene i CD4. Allattamento: il latte materno contiene HIV, l’allattamento al seno in questi casi è assolutamente sconsigliato. Via materno-fetale: donne in gravidanza possono trasmettere il virus al feto, in modo particolare al momento del parto quando abbiamo la così detta commistio sanguinis. Una donna positiva in gravidanza ha una probabilità di trasmettere HIV al bambino nel 25% dei casi. Per ridurla se la donna sta eseguendo terapia antiretrovirale deve continuare a farla, se non la sta eseguendo deve iniziare a farla, il parto dovrà essere un cesareo dove il rischio di commistione di sangue è praticamente zero e il bambino appena nato inizierà a fare la terapia antiretrovirale anche se non si sa se è infetto fino a che non si ha la certezza che non ci sia l’infezione. Nei primi mesi il bambino avrà gli anticorpi, ma sono quelli che gli ha dato la madre, che sono passati attraverso la placenta. Se questi anticorpi permangono dopo sei mesi allora non sono più quelli materni, ma sono del bambino. L’uso del profilattico, dal costo di 1 euro, è fondamentale nei rapporti tra persone che non hanno una buona conoscenza l’uno dell’altro, evitando così l’infezione e la conseguente spesa per la terapia antiretrovirale. La terapia non cura la malattia, ma la controlla. Oggi la terapia di controllo ha ottimi risultati, ma la guarigione è lontana nonostante gli studi interessanti degli ultimi tempi.
_Distribuzione demografica All’inizio degli anni 80 la distribuzione dell’infezione era nel 60% a carico di tossicodipendenti, il 20-30% soggetti omosessuali e rarità in soggetti eterosessuali non tossicodipendenti.
31 Questo rappresentò un grosso problema, perché le persone non tossicodipendenti e non omosessuali non consideravano la possibilità di poter contrarre l’infezione e in più certe persone venivano letteralmente ghettizzate. Il virus non ha nulla a che vedere con le abitudini sessuali delle persone, tanto che oggi la situazione risulta invertita e il rischio maggiore di avere una infezione da HIV risiede nei rapporti di tipo eterosessuale.
Quand’è che un individuo sa di avere l’infezione da HIV? Nel 64% dei casi lo sa nel momento in cui compaiono i sintomi, ma dal momento in cui viene contratta l’infezione fino alla comparsa dei sintomi possono passare mesi ma anche dieci anni. In questo periodo il soggetto potrebbe aver avuto diversi rapporti sessuali e di conseguenza c’è il rischio di aver trasmesso l’infezione. Dunque il rischio di contrarre l’infezione nella popolazione generale non è così basso.
Diagnosi _Ricerca dell’infezione La diagnosi va fatta essenzialmente ricercando anticorpi anti HIV. Esistono due tipi di test che vengono fatti in serie: ELISA: un test di screening, molto sensibile, quindi un risultato negativo è veramente negativo. Non si può dire però che un risultato positivo sia veramente HIV, ma potrebbe essere qualcos’altro. Western Blot: un test di conferma a cui sottopongo i positivi ad ELISA. È un test altamente specifico. Permette di decifrare anticorpi diretti contro varie proteine del virus. Se si nota un bandeggio che evidenzia anticorpi diretti contro gp24, gp120, gp41 siamo sicuri che il soggetto ha un’infezione da HIV. È fondamentale fare entrambi i test. È importante ricordare al paziente che questi test possono essere eseguiti in forma anonima. Può farlo anche un minorenne, ma se è positivo la risposta viene data in presenza di un genitore, questo perché la legge non pensa che un minorenne sia adatto a gestire il trattamento per cui ha bisogno di essere guidato. Il test è assolutamente gratuito.
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_Analisi dell’immunodeficienza Clinicamente il paziente è un individuo che si ammala molto facilmente. Ha un quadro che richiama a un’immunodeficienza. Bisogna, quindi, fare delle indagini per capire il quadro del sistema immunitario: INDAGINI DI PRIMO LIVELLO
Elettroforesi (bisogna vedere che tipo di proteine il soggetto può produrre), Dosaggio delle diverse classi di Immunoglobuline (e le sottoclassi), Emocromo (numero di globuli bianchi e lo studio di ogni popolazione lifocitaria CD3, T, B, CD44, NK). Dosaggio del complemento. Test per l’infezione da HIV. Test da ipersensibilità cutanea (che ora ha perso terreno). Sono dei testi in vivo in cui si usano una decina di antigeni diversi a cui un soggetto con immunodeficit non risponderà o risponderà massimo a uno o due.
INDAGINI DI SECONDO LIVELLO: Studio qualitativo e quantitativo dei linfociti: attraverso l’elettroforesi sierica si studiano i picchi delle globuline; quel che interessa è il picco delle γ globuline perché contiene le immunoglobuline (agammaglobulinemia o ipogammaglobulinemia sono degli indizi). Normalmente la maggior parte delle Ig prodotte sono IgA ma vanno tutte a livello delle mucose. Delle IgG si dosano le quattro sottoclassi (IgG 1, 2, 3, 4) le 1 sono le più rappresentate, 1 e 3 fissano il complemento e riconoscono antigeni proteici. Le 2 riconoscono antigeni carboidratici, le 4 sono le meno rappresentate ma che sono protagoniste di malattie da iperproduzione di IgG4 che sono caratterizzate da fibrosi a vari livelli.
Questi test non riescono a mettere in evidenza tutti i quadri di immunodeficienza. Bisogna andare a ricercare il tipo di linfociti circolanti perché il numero può essere nella norma ma potrebbero essere tutti B e nessun T o viceversa. Citofluorimetria: il citofluorimetro permette di mettere in fila i globuli bianchi, che vengono intercettati da un raggio laser. La luce avrà due reazioni: passa oltre disegnando il contorno della cellula o la riflessione a 90°. Si avranno le dimensioni della cellula (il cono d’ombra) e la complessità della cellula (direttamente proporzionale alla quantità di luce riflessa). Quindi ci sono cellule piccole e semplici, grandi e semplici, grandi e complesse (linfociti, monociti, granulociti). Si può analizzare ciascuna di queste cellule (es. solo i linfociti e se queste cellule sono marcate con anticorpi monoclonali diretti contro molecole presenti esclusivamente in una certa popolazione cellulare (Linfociti T CD3, e poi CD4 e CD8. Linfociti B CD19 e CD20. NK CD16 e CD56) ed evidenziarle con un colore diverso. Si possono, dunque, tipizzare le cellule e studiarne la funzione (es. la produzione di citochine) e la proliferazione in confronto di uno stimolo aspecifico (IL2 ecc.) con cui proliferano tutti i linfociti oppure una stimolazione antigene-specifica per esempio un paziente che ha una candidosi ricorrente si può vedere se i suoi linfociti T riconoscono la candida. Altri metodi: Stratificazione del sangue su una sostanza che ha una densità intermedia tra bianchi e rossi. Si mette il tutto a centrifugare e ci sarà una separazione tra rossi che sono sul fondo, il siero in alto e i bianchi in mezzo. I bianchi potranno essere ulteriormente separati e analizzati.
33 Cell Sorting in cui se passa una cellula marcata in un modo particolare essa viene caricata elettricamente.
Terapia Agli inizi degli anni 90 come terapia veniva impiegato un inibitore della trascrittasi inversa. Questo farmaco agiva inibendo la replicazione virale per qualche mese, poi subentravano delle resistenze e dopo qualche anno il virus riiniziava a replicare, CD4 diminuiva e si andava incontro ad infezioni ecc.
_Indicazioni Si prendono in considerazione due parti: la carica virale ovvero la quantità di RNA virale presente che è direttamente proporzionale al numero di copie virali e la conta dei T CD4+. Si può avere una carica elevata di virus, una carica bassa e se si è fortunati anche indosabile: Se la carica è elevata (oltre le 20-30-50 mila copie) bisogna iniziare la terapia immediatamente. Se la carica è bassa bisogna chiedersi, visto che il virus è poco attivo o non si trova, quanto danno ha già fatto. Allora si dosano i CD4+. Se questi sono al di sotto di 300-500 cellule per μl, il sistema immunitario è compromesso e bisogna iniziare la terapia. Ma se la carica virale è bassa e il sistema immunitario presenta ancora dalle 800 cellule per μl (normali), ma il soggetto ha, per esempio, un’infezione da candida nell’orofaringe il sistema è compromesso qualitativamente sebbene sia numericamente normale in questo caso bisogna intervenire con la terapia perché la clinica evidenzia un quadro di immunodeficienza.
_Obiettivi terapeutici L’obiettivo della terapia NON è l’eradicazione del virus. I farmaci che si hanno a disposizione oggi permettono di mantenere bassa la replicazione virale e di conseguenza permettono al sistema immunitario di ripristinare la sua funzione; i B nel midollo e i T nel timo possono cercare di ripristinare le condizioni antecedenti all’infezione. Tutto questo porta a un miglioramento della qualità della vita, riduzione di malattie e della mortalità (meno infezioni batteriche), i pazienti devono, però, stare attenti a non avere rapporti sessuali non protetti. Non devono infettare gli altri. Un soggetto con infezione da HIV, se fa la terapia adeguata in modo adeguato, ha un’aspettativa di vita sovrapponibile a un individuo senza l’infezione. A causa della grande quantità di errori della trascrittasi inversa, è possibile che il 99% dei prodotti della replicazione siano mal fatti e mal funzionanti, poco infettanti. Ma quell’1% potrebbero essere costituito da virus che sopravvive anche in presenza del farmaco. Cioè se il farmaco è un inibitore della trascrittasi inversa ma il virus appartenente a quell’1% che ha una trascrittasi inversa geneticamente modificata (funzionante) il farmaco non inibirà quella replicazione. Per ridurre la probabilità di avere questo tipo di mutazioni bisogna fare una terapia presto a dose piena e a lungo. È essenziale sopprimere subito e totalmente il virus (lo stesso discorso vale per i batteri e le resistenze agli antibiotici o chemioterapici). L’agente infettivo svilupperà mutazioni resistenti solo in seguito all’incontro con il farmaco. Nel caso dell’HIV, a causa dell’enorme capacità replicativa del virus, il rischio di resistenze è molto alto. Se la
34 compliance non è ottimale (ovvero l’adesione al paziente alla terapia), il rischio di resistenze è enorme, con l’aumento del numero di virioni resistenti. Nel 1995 fu sintetizzato un inibitore delle proteasi. Quindi una triplice terapia: 2 inibitori di trascrittasi inversa + 1 inibitore di proteasi. Agire sul virus da più parti vuol dire ridurre in modo esponenziale (e non sommatorio) la probabilità di sviluppare resistenze. Successivamente c’è stata opportunità di dosare la presenza delle resistenze. Un paziente può presentare farmaco-resistenze prima dell’inizio della terapia se la persona che gli ha trasmesso il virus aveva già sviluppato le resistenze. Ci sono persone che non hanno rispetto del prossimo. Perché mentre prima, senza la terapia, era facile capire se una persona avesse l’AIDS osservando l’aspetto fisico, ora grazie alla terapia non è possibile e deve essere la persona affetta ad avvertire il partner. Non tutti hanno questo rispetto e si trasformano in bombe a orologeria. Talvolta questo problema è dato dal fatto che alcuni non sanno con che malattia hanno a che fare. Altre volte è la società che spinge il sieropositivo a nascondere la sua patologia trattandolo come un appestato, a partire dal personale sanitario. Bastano dei guanti per essere al sicuro. Non è possibile avere contagio con un bacio o una stretta di mano. Se si trova una siringa per terra e questa c’è da più di 15 minuti il virus sarà già morto. Ci sono altri virus più resistenti e temibili da questo punto di vista che non vengono mistificati in questo modo. Quindi la malattia consta di tre attori: Il soggetto, il virus e il farmaco. I farmaci hanno degli effetti collaterali e il soggetto tende a non aderire al 100% spalancando le porte alle resistenze. Un tempo i farmaci erano diversi (alcuni da prendere a stomaco pieno, altri a stomaco vuoto, altri vicini tra loro, altri lontani) e l’aderenza alla terapia era davvero difficoltosa. Oggi ci sono compresse contenenti anche tre farmaci e la terapia efficace è più semplici.
_Farmaci Antiretrovirali I farmaci sono diversi tra i quali: Inibitori della trascriptasi inversa. Inibitori Nucleosidici. Inibitori della proteasi. Inibitori della fusione (si legano e agiscono a livello della gp41). inibitori delle integrasi, di “recente” intoduzione, si legano a livello del recettore. Nella sua drammaticità l’HIV ha aperto la strada verso una terapia nei confronti dei virus (HCV, HBV, HIV ecc.) mentre prima l’infezione da virus era lasciata quasi esclusivamente al proprio destino. EFFETTI COLLATERALI: Gastralgia.
Diarrea. Reazioni allergiche cutanee (orticaria, dermatite). Tra i più gravi ci sono quelli legati agli inibitori delle proteasi che portano a un aumento dell’acido urico e dunque calcolosi renale. Aumento del grasso centrale (addome globoso, gibbo di bufalo) a scapito di quello periferico, lipodistrofia.
35 26-4-2017
MALATTIE ALLERGICHE - GENERALITÀ Definizione La definizione di allergia non è molto chiara, a volte si parla di allergia quando si ritrovano le IgE in circolo, ma non tutte le forme allergiche sono in realtà IgE mediate, è il caso ad esempio delle allergie alimentari. In generale si parla di reazione allergica quando abbiamo un’iper-reattività (frequentemente ma non sempre IgE mediata) del sistema immunitario nei confronti di antigeni, i cosiddetti allergeni, che generalmente non sono dannosi. L’identificazione delle IgE è relativamente recente, risale a circa 50 anni fa. Altri attori fondamentali della flogosi allergica sono i mastociti, gli eosinofili, i Th2 e l’IL-4, fattore di switch isotipico. Ogni volta che abbiamo una flogosi allergica IgE mediata, si deve sempre pensare che l’obiettivo finale delle IgE è incontrare l’allergene.
Flogosi allergica N.B. ERRORE spesso fatto agli esami segnalato dal professore: le IgE una volta prodotte si legano tramite il loro frammento Fc al recettore presente sulla superficie dei mastociti e successivamente avviene la degranulazione. Questo non è vero, le cose accadono in altro modo:
In generale, nel caso un soggetto abbia una qualunque allergia, quando per la prima volta entra in contatto con l’allergene, si sensibilizza, ovvero vengono solo prodotte le IgE contro quel determinato antigene attraverso una serie di passaggi che coinvolgono diverse cellule e meccanismi (che verranno descritti in seguito). Una volta prodotte, le IgE vengono immesse in circolo e si legano al mastocita; il legame avviene tra il recettore presente sulla superficie del mastocita e il frammento Fc delle IgE. Questo legame NON determina la degranulazione del mastocita! La condizione perché ciò avvenga si verifica nel momento in cui il soggetto allergico incontra per una seconda volta l’allergene: quando questo accade, l’allergene si va a legare ad almeno due IgE legate a loro volta al mastocita (a tal proposito è importante ricordare che le due IgE devono essere specifiche per lo stesso allergene) e si forma così un ponte tra l’allergene e le due IgE. Solo questa è la condizione che determina la degranulazione. Quindi al primo incontro con l’allergene si producono le IgE che si legano al mastocita, agli incontri successivi l’allergene lega le IgE che son legate al mastocita e questo degranula liberando tutte le sostanze vasoattive. Esempio: se si sottopone un soggetto allergico alle graminacee, al prick test nel mese di gennaio, ovviamente si formerà il pomfo, che sta ad indicare che egli possiede le IgE contro le graminacee, legate ai mastociti. Ma in gennaio le graminacee non producono pollini, quindi quel soggetto allergico non avrà la sintomatologia data dalla degranulazione del mastocita, perché non c’è nessun allergene legato alle IgE!
36 Il concetto quindi è che non basta avere la formazione delle IgE e il legame di queste ai mastociti per causare degranulazione, serve proprio il legame dell’allergene alle IgE legate a loro volta al mastocita.
ECCEZIONE: DEGRANULAZIONE DA IgG
Esistono anche casi in cui i mastociti degranulano in assenza dell’allergene, un esempio è la forma di orticaria autoimmune. I mastociti in questo caso si legano al frammento Fc di una classe di Ig, per esempio le IgG, che possono essere dirette contro: - le IgE: IgG si mette a ponte fra due IgE contigue (specifiche per un qualsiasi tipo di allergene) mimando la funzione dell’allergene e legandosi tramite due regioni variabili, così il mastocita degranula. -
il recettore per il frammento Fc delle IgE: due recettori vengono legati dalle IgG e si forma un ponte che scatena la degranulazione
_Formazione delle IgE Quali sono i meccanismi che, al primo incontro con l’allergene, portano alla formazione di IgE? Quando l’allergene penetra per la prima volta nell’organismo, esso va a legarsi con le IgM di membrana, costituenti parte del recettore BCR specifico dei linfociti B. Nell’ipotesi di un successivo incontro con l’allergene, il linfocita B entrerà in contatto con un linfocita Th2/T-naive, responsabile della produzione di IL-4 e allora avverrà lo switch isotipico delle IgM a IgE: 1. il linfocita B lega l’allergene tramite il recettore immunoglobulinico IgM (presente sulla sua superficie); 2. il complesso IgM-allergene viene internalizzato; 3. l’allergene viene processato e successivamente ri-esposto sulla superficie esterna della cellula, legato al MHC II di cui sono dotati i linfociti B; 4. il linfocita Th2/T naive riconosce l’MHC II che porta l’allergene e vi si lega saldamente; 5. Th2 produce IL-4; 6. IL-4 si lega al linfocita B determinando lo switch isotipico da IgM a IgE. Da ciò si può dedurre come sia necessaria per la formazione delle IgE la presenza di IL-4 e, a monte, un differenziamento dei linfociti T verso Th2, gli unici capaci di produrla. Non è detto che il linfocita T che lega il B presentante l’allergene sia sempre naive, in realtà può essere già differenziato a Th2 da un incontro precedente, ma il legame con questo tipo di antigene (in questo caso l’allergene), lo indirizza verso la produzione di IL-4; nel caso in cui il linfocita T sia naive e il linfocita B gli presentasse l’allergene, questo potrà reagire solamente producendo IL-4 e quindi prendendo la via differenziativa Th2. Il differenziamento verso la via Th1 o Th2 si mette in evidenza quando un linfocita B lega un antigene di natura batterica: il legame lo indurrà a produrre IL-12, perciò quando un linfocita T naive riconoscerà l’antigene sul MHC II del linfocita B legandosi a questo, si differenzierà in Th1 e produrrà IFN γ, fattore che blocca la sintesi di IL-4, rendendo impossibile lo switch isotipico da IgM verso IgE. I geni dell’IL-4 e dell’IFN γ viaggiano in parallelo ma si influenzano in senso inibitorio. Se un linfocita T si differenzia in Th2, col passare del tempo diventerà sempre più capace di produrre IL-4 e sempre meno invece saprà produrre IFN γ, quindi la produzione di quest’ultimo sarà inibita nel caso prevalga la prima, e viceversa.
37 Tutti questi eventi si verificano nei linfonodi o all’interno di follicoli a livello tissutale o comunque dove sia presente una struttura linfatica simil-linfonodale. Nel caso in cui l’antigene non sia di origine proteica, i linfociti T non lo riconoscono e quindi non seguono reazioni allergiche. In realtà potrebbero anche verificarsi, perché in quel linfonodo dove sta avvenendo una reazione sono presenti anche linfociti B e Th2, e se il linfocita B specifico per il batterio della tubercolosi che si trova nel linfonodo in quel momento, vede un’ IL-4 potrebbe favorire lo switch isotipico da IgM a IgE.
_Meccanismo d’azione IgE Quando l’allergene ha legato l’IgE accadono tre eventi significativi: 1. Degranulazione: i granuli contengono amine vasoattive preformate; nel momento in cui avviene il segnale, contemporaneamente le membrane dei granuli si fondono tra di loro e la membrana citoplasmatica si fonde con quest’unica grande membrana dei vari granuli e il mastocita degranula, si svuota improvvisamente di tutto il suo contenuto; 2. Attivazione della cascata dell’acido arachidonico: questa porta alla formazione dei leucotrieni. Essi hanno un ruolo rilevante nelle reazioni allergiche, ad esempio in corso di asma o rinite, in quanto mantengono lo stato della flogosi attivo; ciò esprime il razionale nelll’utilizzo di farmaci antileucotrienici come lo zafirlukast; 3. Sintesi proteica: fra i protidi sintetizzati, rientrano le IL-4 prodotte che mantengono un microambiente a livello locale favorente il perpetuarsi dello stato flogistico. Tra il legame dell’allergene alle IgE legate al mastocita, a quando compaiono i sintomi, passano pochi minuti.
_Effetti dei mediatori mastocitari Dopo la degranulazione e l’immissione in circolo di mediatori come istamina, leucotrieni e citochine, si verificano i seguenti effetti: IMMEDIATI:
-
broncospasmo, edema, angioedema delle labbra, pomfo, crisi di starnuti, aumento della peristalsi intestinale con colica addominale, diarrea, gastralgia, vasodilatazione con aumento della permeabilità capillare, broncocostrizione e crisi asmatica;
38 TARDIVI
Sono condizioni che richiedono l’intervento di altre cellule quali eosinofili, neutrofili, linfociti stessi; viene così a essere ulteriormente prodotta IL-4 che facilita la formazione di fibrosi, come spiegato di seguito. In una mucosa bronchiale normale si trova l’epitelio ricco di cellule caliciformi mucipare; in un soggetto asmatico abbiamo l’epitelio gravemente danneggiato, contenente nuclei di cellule linfocitarie; ci può essere infiltrazione ed edema nella sottomucosa ma soprattutto abbiamo un ispessimento, una fibrosi marcata della membrana basale. Questo è il sottofondo sul quale si basa la cronicità dell’asma: la crisi dispnoica è un quadro acuto, intermittente; il danno invece è cronico, persistente, ci son solo momenti e periodi in cui essendo amplificato, provoca la sintomatologia tipica della malattia. Se si fa una biopsia a livello della mucosa bronchiale, si ritroveranno tutti questi elementi cellulari. Se si prelevano secrezioni con uno scovolino a livello della mucosa nasale, si strisciano su un vetrino e si colora il preparato, si riscontreranno molti eosinofili; una flogosi allergica è quella dove si trovano i Th2, che non significa solo presenza di IL-4, ma anche di IL5, cioè vuol dire che sono coinvolti gli eosinofili. Si possono trovare anche mastociti, plasmacellule e così via.
Eziologia: Ipotesi Th2 nella flogosi allergica Il fatto di essere allergici o meno dipende da fattori genetici, e ce ne sono tanti: saper produrre IgE, saper produrre IL-4, quantità di IL-4, avere un recettore per IL-4 più o meno prono al legame con questa ecc. Questo grafico mostra le reazioni a due fattori di un soggetto allergico e di uno non allergico. • ascissa: IFN γ • ordinata: IL-4 • ogni puntino rappresenta un linfocita T A. Riquadro in alto a destra: Stimolazione dei linfociti del soggetto allergico con Derp 1, cioè l’allergene principale del Dermatophagoides pteronyssinus (l’acaro della polvere): si osserva che le cellule sanno produrre enormi quantità di IL-4 ma poco IFN γ e quindi si deduce che siano Th2. B. Riquadro in basso a destra: Stimolazione dei linfociti del soggetto non allergico con Derp 1: si osserva produzione di IFN γ, quindi il 30 - 40% dei linfociti sono Th1. Questo non deve meravigliare perché per il soggetto non allergico, l’acaro è un antigene come un altro, non ha cioè evocato una reazione con produzione di IgE e ciò rende ragione del fatto che il livello di IL-4 da egli prodotto sia praticamente nullo. Se gli stessi soggetti vengono stimolati con streptochinasi, un antigene batterico, ci si aspetta una risposta
39 Th1, ma in realtà quello allergico risponde anche con una piccola produzione di IL -4: il suo microambiente è stato capace di far esistere in lui dei linfociti che producano IL-4. È quindi. Per avere una risposta Th2 è importante l’allergene ma anche il fattore genetico (geni per le citochine, per i secondi messaggeri etc.)(: è ovvio che un figlio che nasce da due genitori allergici, avrà una probabilità di essere anch’esso allergico, del 50 - 60%. Da non sottovalutare i fattori ambientali quali ambiente intrauterino e ambiente post nascita. Alcuni ormoni, estrogeni e altri, sono importanti per differenziare i linfociti T in Th2; una buona riuscita della gravidanza è favorita da una buona risposta Th2. Una risposta nei confronti di antigeni virali e altro inducono la produzione di IL-12, fattore favorente lo sviluppo di una risposta protettiva nei confronti di batteri, ma non nei confronti di microrganismi che richiedono una risposta Th2. Chi produce molta IL-12 e quindi IFN γ, non avrà produzione di IL-4.
_Fattori ambientali: l’ipotesi igienica Sembra che l’inquinamento abbia favorito l’allergia. Un asmatico che si trovi in una strada particolarmente trafficata può avere una crisi asmatica. “Le allergie sono aumentate perché è diminuita la tubercolosi”. Con questa frase “sarcastica”, si intende dire che la minor esposizione a batteri e agenti patogeni secondaria a un miglioramento delle condizioni di vita ha favorito, come conseguenza, il dilagare delle allergie, per cui molti più soggetti risultano affetti da allergie rispetto al passato. L’ipotesi igienica è stata formulata in seguito a diversi studi genetici ed epidemiologici: nel momento in cui si contrae un’infezione da batteri endocellulari, si avrà l’attivazione dell’APC e produzione di IL-12 e quindi di IFN γ da parte dei Th1. Quasi un secolo fa, in periodo di guerra, le condizioni igieniche lasciavano a desiderare; noi adesso siamo molto più fortunati, c’è molta più precauzione e condizioni migliori, per questo motivo il bambino nelle prime fasi della sua vita non dà molti stimoli al suo sistema immunitario che deve lavorare in un ambiente dove il livello di IFN γ è più basso e quindi ci sarà una prevalenza di Th2 con produzione di IL-4. Questo si traduce con un numero maggiore di persone interessate dall’allergia, circa il 25 - 30%. Diversi studi hanno dimostrato che lo stile di vita rurale protegge dallo sviluppo di allergie; i secondogeniti sono meno proni dei primogeniti a sviluppare allergie, perché? Perché i primogeniti che fuori da casa, da grandi, contraggono influenze, infezioni batteriche e simili, contagiano i secondogeniti che sono appena nati e questi si prendono di tutto in poco tempo rispetto al primogenito. Paradossalmente questa sembrerebbe una fortuna poiché riduce lo sviluppo di allergie.
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Gli allergeni Da un punto di vista chimico gli allergeni sono generalmente glicoproteine, che possono essere termostabili, termolabili, idrosolubili, di peso molecolare modesto; si può essere allergici al pelo di gatto, di cane, di topo, di cavallo, all’acaro della polvere, agli scarafaggi, ai pollini. Di seguito si analizzano i principali: ACARI Gli acari non sono visibili ad occhio nudo; le nostre abitazioni ne sono stracolme. Hanno l’abitudine di cibarsi di materiale organico, come forfora, peli ecc. Vivono bene a un certo tasso di umidità, infatti stanno molto a loro agio nei materassi.
La cosa importante, qualora si faccia uso di insetticidi, è comunque rimuovere l’acaro morto, perché anche ammazzato continua ad essere un allergene fastidioso per i soggetti allergici. Non tenere animali domestici (cane, gatto, cavallo) può prevenire l’invasione degli acari, che si cibano di peli; i tendaggi pesanti, i tappeti, la moquette sono tutti ricettacoli di acari perché son difficili da pulire. È importante aprire le finestre e far arieggiare, far entrare il sole perché gli sbalzi di temperatura uccidono gli acari. Prediligono la primavera e l’autunno, ma la loro presenza è costante. SCARAFAGGI Sono i cugini degli acari e spesso succede di ritrovarli quando si fanno lavori di ristrutturazione nelle case e a quel punto scatenano la reazione nei soggetti allergici.
POLLINI
I pollini hanno una produzione stagionale. Ne esistono di tantissimi tipi, in Sardegna ad esempio c’è notevole prevalenza della parietaria. La caratteristica di tutte queste piante è l’impollinazione anemofila, cioè che utilizza come tramite di dispersione il vento. Queste piante per loro natura producono un’enorme quantità di pollini piccolissimi che vengono dispersi nell’ambiente. Chi è allergico sa che il periodo peggiore durante la primavera sono i giorni successivi alle piogge: l’indomani col sole i fiori sbocciano e si aprono liberando tutto il polline imprigionato. Inoltre durante le giornate umide il grano del polline si apre e in quel momento tutti gli allergeni contenuti vengono liberati. Non tutte le regioni italiane sono uguali. Per esempio la parietaria a Firenze è una piantina come un’altra, come le graminacee, può dar fastidio un paio di mesi in primavera; viceversa nelle regioni costiere, mediterranee, più a sud, la parietaria è diffusissima e fiorisce
41 da febbraio fino a novembre, quindi parlare di allergia stagionale per la parietaria, in Sardegna, non ha molto senso. La betulla e il cipresso hanno un periodo di impollinazione più limitato e fioriscono nei primi mesi dell’anno. A causa forse dei cambiamenti climatici si è osservato un inizio del periodo di impollinazione sempre più precoce nell’arco degli anni per la betulla. Il diametro delle particelle determina l’entità della reazione allergica: i pollini di dimensioni maggiori di 10 µm si fermano a livello delle alte vie aeree, quelli più piccoli invece scendono a livello bronchiale.
MICOFITI
Altro allergene importante sono i micofiti, le muffe. I principali sono: aspergillo, cladosporium, alternaria. Talvolta possono essere riscontrate altre allergie particolari in casi particolari, ad altre muffe. Normalmente le spore tendono ad essere presenti nell’ambiente in periodi caldi /caldo - umidi.
LATTICE
Il lattice è un altro materiale che causa reazioni allergiche: derivato dalla pianta “Brasiliensis”, oggi viene utilizzato nella produzione di tantissimi elementi: guanti chirurgici, preservativi, cerotti, materassi, boccagli delle maschere da sub.
RINITE ALLERGICA La rinite allergica è una malattia diffusa in tutto il mondo. Dal punto di vista istopatologico, a livello della mucosa nasale, si trova la stessa identica situazione osservata per la mucosa bronchiale, il danno è esattamente lo stesso (fibrosi della lamina basale, danneggiamento dell’epitelio). La nostra mucosa nasale - bronchiale è un continuum, quindi se si valuta l’ispessimento della membrana nasale e quella bronchiale, osserviamo una corrispondenza.
_Classificazione Il modo migliore per classificare la rinite è dividerla in: Intermittente: se dura meno di 4 settimane, con episodi limitati a 4 giorni per ciascuna settimana; Persistente: se dura da più di 4 settimane tutti i giorni. Sulla base della “gravità” della reazione, si identificano tre gradi: • Lieve
42 • Moderato • Grave: può essere disturbato il sonno, il lavoro, la frequenza scolastica ecc.
_Eziologia Non tutte le riniti sono su base allergica, hanno alcune caratteristiche che le differenziano. Quella su base allergica si presente con rinorrea, senso di ostruzione nasale, prurito, starnutazioni. La rinorrea può essere acquosa nelle forme virali, muco - purulenta in quelle batteriche dove prevale il senso di ostruzione. Esistono anche le forme di rinite vasomotorie, che si confonde un po’ con l’allergia da acari: compare la mattina al risveglio, quando si passa da un ambiente caldo ad uno freddo, ma gli acari non ne sono responsabili. Altra forma assolutamente importante è quella farmaco - indotta. In Sardegna molte persone che hanno il naso chiuso, con senso di ostruzione, sentono subito la necessità di respirare bene e acquistano in farmacia Rinazina o Sinex e lo spruzzano nel naso. Appena spruzzato, il farmaco aiuta a respirare, ma a lungo andare, l’abuso di questi farmaci che son vasocostrittori, determina una condizione in cui senza utilizzare il farmaco non si riesce più a respirare bene da soli.
Infiammazione minima persistente Se il soggetto ha la rinite ma non l’asma bronchiale, osservo comunque un danno a livello della mucosa bronchiale, anche in assenza di sintomi. Il concetto è quello di infiammazione minima persistente: un soggetto allergico, che presenta l’infiammazione a livello di entrambe le mucose, ha sempre e comunque un certo grado di sintomatologia dovuta a una flogosi persistente, seppur minima. Quando si parla di asma bronchiale, si parla di una patologia con flogosi cronica, caratterizzata da bronco costrizione, generalmente reversibile con o senza farmaci e iper reattività bronchiale. Se si è allergici al gatto, per esempio, e si sente un forte profumo, si ha una stimolazione delle terminazioni nervose che sono esposte a causa di un danneggiamento dell’epitelio bronchiale e questo suggerisce che non si esce mai dalla condizione sintomatica. Una volta che un soggetto asmatico inizia a fare terapia con steroidi e broncodilatatori, la porta avanti tutta la vita.
43
_Diagnostica:
_Trattamento C’è anche chi, in un soggetto con rinite, prescrive spray preventivamente, nell’eventualità che si presenti l’asma, “cosa che non mi trova assolutamente d’accordo! Nel momento in cui si presentano i sintomi si dà il farmaco, non prima!”. Col vaccino ci si può “immunizzare”, ma solo nel caso in cui il soggetto sia monosensibile, perché il vaccino è monospecifico: se si hanno troppe allergie non si può fare un insieme di vaccini ognuno contro allergene X! E il vaccino in tale caso dev’essere fatto nei primi anni di vita.
_Infiammazioni associate Alla rinite si possono anche associare forme di congiuntivite; Congiuntivite allergica: è un’affezione della mucosa congiuntivale caratterizzata da ipersensibilità a sostanze esogene (allergenini) mediata da IgE e con flogosi cronica automantenentesi. Generalmente chi ha rinite, nello stesso periodo ha anche prurito agli occhi, lacrimazione, arrossamento, irritazione. Altra forma di rinite allergica esuberante è la cheratocongiuntivite primaverile, che colpisce i bambini fra i 10 e 15 anni ed è caratterizzata da ipertrofia a livello della congiuntiva tarsale.
44 10-3-2017
ASMA BRONCHIALE Definizione È una malattia infiammatoria cronica caratterizzata da bronco-ostruzione reversibile (al contrario di BPCO) e iperreattività bronchiale. Questi sono i cardini. (da dire all'esame) L’elemento cardine è la flogosi. Quali sono i fattori che portano a ciò? Atopia, (allergia verso inalanti perenni o stagionali, pelo del gatto, acaro, polline). Essa, di per sé, può causare, se molto importante, ostruzione bronchiale. Una persona con un’allergia seria, con alte IgE sieriche verso un allergene e che si trova a contatto con esso, ha una risposta mastocitaria molto importante. Si può avere anche una flogosi subliminale, non talmente intensa da causare direttamente broncocostrizione, ma che causa a livello bronchiale una situazione su cui qualsiasi altro stimolo aggiuntivo anche banale, come trovarsi al supermercato con forti profumi, una risata o in un ambiente con aria fredda o umida, può agire scatenando una tosse (questo dato si troverà frequentemente nei pazienti, che stanno bene tutto sommato).
Epidemiologia Impatto sulla società: varia a seconda delle popolazioni. È correlato a allergeni, atopia, stimoli aggiuntivi. Un ambiente (anche lavorativo) molto inquinato è una situazione che può portare alla comparsa dell’asma. I paesi occidentali sono molto colpiti (vedi ipotesi igienica) e nell'arco degli anni c'è stato un aumento di frequenza delle manifestazioni allergiche, soprattutto di asma bronchiale. L'albero respiratorio è uno, è molto frequente che il soggetto con asma abbia anche manifestazioni rinocongiuntivitiche. È vero anche il contrario: il soggetto con rinite può sviluppare poi asma (40% dei casi) (non bisogna però trattare la rinite come se fosse asma).
_Fattori di rischio Endogeni: familiarità, sesso, atopia, etnia africana. Ambientali: allergeni perenni (es la parietaria che in Sardegna ha una fioritura lunga), infezioni respiratorie virali da bambini (es VRS), fumo, irritanti ambientali, GERD e obesità.
Tipologie di asma Oggi si parla anche di fenotipo di asma, dal momento che le cellule coinvolte, riscontrabili con una biopsia, possono essere diverse. Ci sono forme marchiate da Th2, alta produzione IL-4, niente IFN. Questo tipo prevale nelle forme di asma a insorgenza giovanile, nei bambini con broncospasmo o asma vera e propria. Nelle altre forme non IgE-mediate, lavorative, post infettive, prevalgono i Th17: essi sono capaci di produrre IL-17.
45 Se trovo eosinofili nell’escreato o nel BAL avrò maggiore responsività ai corticosteroidi. I neutrofili indicano scarsa responsività
Patogenesi e Istopatologia A livello istologico si riscontra: ispessimento membrana basale, iperplasia epiteliale e un aumentato infiltrato infiammatorio mucosale. La patogenesi è tipica delle reazioni IgE-mediate. Si ricordi che le IgE sono responsabili della forma immediata (io allergico al gatto sono in una stanza con lui ho immediatamente la reazione). Tuttavia è la flogosi mucosa che porta al riarrangiamento di tutta la mucosa, con un ispessimento e fibrosi. Nel processo sono coinvolti eosinofili, citochine e chemochine e recettori relativi.
Sintomatologia Quadri estremamente diversi, talvolta l’unica manifestazione è la tosse secca che può manifestarsi in alcune situazioni con irritanti aspecifici. Oppure durante la notte ha una dispnea con broncocostrizione, di tipo espiratorio. E se fosse inspiratorio? Fate aprire la bocca, può essere un corpo estraneo. L'asma all'inizio è prevalentemente espiratorio. Un tirage è altro, edema glottide etc, una ostruzione alta in linea di massima.
Il paziente è seduto sul letto o appoggiato alla finestra. Nelle forme più gravi è a letto con dispnea importante, ha sia di tipo inspiratorio che espiratorio, con segni importanti alle estremità. L'esacerbazione notturna è data dalla prevalenza in queste ore del tono vagale. C'è una gradazione di gravità.
Diagnosi ANAMNESI L’anamnesi è importantissima; si indaga la presenza di atopia, gli ambienti in cui è avvenuta la crisi, la presenza di episodi in precedenza, assunzione farmaci come fans (asma da aspirina). Un soggetto con reazione ai salicilati, episodi di asma bronchiale potrebbe avere anche un altro segno: poliposi nasale. E.O. Torace iperespanso: l'aria è intrappolata, non riesce ad essere espulsa, aumenta il volume Iperfonesi percussoria Fischi e sibili espiratori diffusi su tutto l'ambito polmonare
ESAMI STRUMENTALI
necessari per confermare la diagnosi
46 Spirometria: evidenzia un quadro ostruttivo: riduzione FEV1. Esso si riduce anche in corso di bpco, ma nell'asma è reversibile. Ci sono casi in cui la spirometria non evidenzia problemi, la reversibilità non fa vedere nulla è già al 100%. In tal caso faccio un test di provocazione con metacolina. Induco così broncocostrizione. Nell'asmatico la dose necessaria è minore rispetto a quella del soggetto sano evidenzio così l’iperreattività bronchiale.
ESAMI LABORATORIO A questo punto è necessario stabilire la causa, anche in funzione del trattamento: prove allergologiche cutanee, dosaggio IgE specifiche sieriche.
CLASSIFICAZIONE IN BASE ALLA GRAVITÀ Importante quantizzare il grado di bronco-ostruzione, per aggiustare il trattamento terapeutico Come si classifica? Sulla base di sintomi e indici spirometrici Intermittente: episodi meno frequenti di 1/settimana; la sintomatologia altera relativamente la vita del paziente a livello di attività fisica, lavorativa. Persistente: il soggetto li presenta episodi più frequenti di 1/settimana, anche qui con un certo grading; essi influenzano le nomali attività quotidiane.
Terapia _Obiettivi nel trattamento a lungo termine Ottenere e mantenere il miglior risultato possibile tramite: il controllo dei sintomi, la prevenzione degli episodi di asma o delle esacerbazioni, il mantenimento della funzione polmonare il più vicino possibile ai livelli di normalità deve stare bene Se a tal fine è sufficiente uno spray inalatorio steroideo faccio quello. Se sono necessari gli steroidi e.v. faccio quelli. Devo azzerare la flogosi. Controllandola, il decadimento della funzionalità respiratoria/età sarà parallelo ai soggetti sani. Ridurre la variazione giornaliera di PEF Mantenere normali livelli di attività fisica Evitare gli effetti avversi dei farmaci Prevenire lo sviluppo di una ostruzione irreversibile se la mantengo la flogosi a zero evito la “strutturazione” della mucosa bronchiale.
47 Prevenire la mortalità per asma
Domande Ma i broncodilatatori da soli? Al tempo in cui studiava il prof c'era una diatriba tra i sostenitori dei corticosteroidi (immunologi, che sapevano che fossero il miglior infiammatorio) e gli pneumologi che non li vedevano di buon occhio e usavano solo broncodilatatori. C'era un ragazzo di Salerno,, obeso col puffer di ventolin, ne faceva fuori 2/2-3gg, era tachicardico e non riusciva più a alzarsi dal letto. Iniziato a fare gli steroidi (e calato di peso) ha iniziato a stare bene. La terapia si mantiene anche dopo molto tempo che passano i sintomi? Dipende dalla causa, se è allergico al cipresso si fa la terapia, il paziente sta bene, cesso la terapia, sta ancora bene e non ha iperreattività bronchiale. Dovrei fare un test spirometrico con metacolina e se negativo interrompere la terapia. Se conosco il paziente, a seconda dell’agente eziologico posso sospenderla in alcuni periodi dell’anno.
_Principi di trattamento 1. Coinvolgere il paziente nella gestione della malattia. Non limitarsi alla classica ricetta, questo sarà l'asso nella manica: se conoscono la malattia la sanno gestire meglio, saranno più soddisfatti e forse li vedrete meno, anche perché avranno meno dubbi. I 10 minuti spesi la 1a volta sono un investimento per i 2/3 mesi successivi; 2. Valutare la gravità dell’asma monitorando la sintomatologia e la funzionalità polmonare. Anche gli stessi pazienti devono sapere come gestire la malattia, quando e se ridurre il trattamento, o prevedere situazioni in cui si starà male (es se faccio una corsa e ho la tosse secca tanto bene le cose non vanno). 3. Evitare l’esposizione a fattori di rischio come fumo o altri irritanti; 4. Effettuare una appropriata terapia farmacologica cronica: l’uso dei glucocorticoidi inalatori è un punto chiave, a dosaggi globalmente bassi ma localmente alti senza effetti collaterali degli steroidi per via sistemica 5. Trattare prontamente le esacerbazioni 6. Incoraggiare un regolare controllo medico
_Farmaci utilizzati FARMACI DI FONDO Corticosteroidi inalatori e B2-agonisti a breve o lunga durata d’azione. Cromoni e metilxantine venivano usati prima: i primi hanno scarso effetto, le metilxantine effetti collalterali cardiaci. Antileucotrieni: possono aiutare in particolare nell’asma da sforzo e da aspirina. In questi casi danno un certo beneficio.
FARMACI SINTOMATICI
48 Nelle forme di asma intermittente con episodi di poco tempo posso usare da soli i broncodilatori. (Da questo livello di gravità in poi sempre lo steroide)
Le forme steroido-resistenti si trattano con immunosoppressori e numalizumab, anticorpo anti-IgE. È somministrato 1 volta al mese e ha risultati ottimi. Ha però un alto costo.
_Immunoterapia specifica Si tratta di un vaccino: inietto un allergene per via sublinguale o sottocute: attraverso il dosaggio e la via di somministrazione ottengo una stimolazione delle IgG (e non IgE) e dei Treg specifici. Deve essere fatta per 4-5 anni con somministrazioni settimanali. Devo sceglier il paziente giusto: in un poliallergico si pone una scelta (non posso vaccinarlo per tutti gli allergeni); ricadrà su un allergene perenne, ma se è allergico a più allergeni perenni non potrà avere particolari benefici clinici. Se invece è monosensibile faccio il vaccino per l’antigene cui è sensibile e “90 volte su 100” avrò ottimi risultati, non più broncospasmo e una rinite meno accentuata. Inoltre evito la “marcia allergica” che comporta anche le polisensibilizzazioni: a livello linfonodale, quando avviene la reazione (allergica) verso un allergene, ho la produzione di IL-4. Essa favorisce lo sviluppo delle reazioni Th2 mediate anche contro antigeni banali come l’acaro della polvere. Col vaccino evito tutto questo.
Messaggio finale: quando il prof era studente si moriva di asma. Una volta capito che era una malattia infiammatori e trovati i farmaci giusti, si è cambiato il destino: oggi c’è la terapia inalatoria, fattibile anche a casa o l’immunoterapia specifica.
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REAZIONI AVVERSE AGLI ALIMENTI- ALLERGIE ALIMENTARI La trattazione si articolerà attraverso 4 fasi: 1.
Descrizione di un caso clinico
2.
Generalità sulle reazioni avverse agli alimenti
3.
Procedure diagnostiche
4.
Principali indicazioni terapeutiche
1.Descrizione di un caso clinico QUADRO CLINICO ALLA PRIMA VISITA una signora giovane, con rinocongiuntivite, diatesi allergica, che dall'età di 30 anni (4 anni prima dell’osservazione medica) manifestava orticaria, talvolta anche angioedema di mucose e zone lasse, ad insorgenza ravvicinata ai pasti, durata breve, 3-4 ore, con episodi inizialmente occasionali che poi piano piano sono aumentati di frequenza; riferisce di aver avuto, il mese prima della visita, uni shock anafilattico: dopo un’ora dal pranzo manifestava prurito generalizzato, lesioni pomfoidi e orticaria diffusa; in pochi minuti compariva angioedema al volto. Assume 1 cp di antistaminico e il marito le pratica iniezione di Bentelan: acqua fresca, in pochi minuti sopraggiunge sensazione di soffocamento e all’arrivo di ambulanza presentava dolore precordiale, sottoslivellamento S-T, ipotensione importante, tachicardia, sudorazione algida, pallore, iniziali segni di perdita di conoscenza . C’è stata una degranulazione generalizzata, con vasodilatazione generalizzata quindi inadeguata irrorazione alle cellule periferiche, liberazione cataboliti vasodilatanti ad aggravare la situazione. Chiaro come sia necessario in questi casi ripristinare pressione, circolazione ed evitare danni tissutali //
excursus: Shock anafilattico _Principali caratteri del quadro clinico conclamato: Cardiovascolari
Ipotensione, tachicardia, polso piccolo e frequente, aritmie
Sistema nervoso
Perdite coscienza e sensorio
Respiratori
Broncospasmo con dispnea
Gastrointestinali
Nausea, vomito diarrea
Urinari
Oliguria
Cutanei
Vasocostrizione, pallore, prurito
_Sintomi premonitori di una reazione sistemica È importante riconoscere i sintomi prodromici, prima che a situazione si metta male, Prurito, calore diffuso; Arrossamento a livello cutaneo con vasodilatazione, con presenza o meno di orticaria;
50 Angioedema su labbra e lingua; Sensazione di congestione nasale: acqua dal naso, naso ostruito; Broncospasmo: costrizione alla gola; Cambiamento del tono della voce (edema glottide). Sono tutte manifestazioni che devono far pensare male.
_Fattori prognostici negativi Soggetto che ha già avuto episodi pregressi di shock, magari con un graduale aumento di frequenza e gravità. Presenza di concomitante asma bronchiale Rapidità insorgenza: tanto più è breve il periodo tra l’assunzione dell’ allergene (di imenottero, pesca, farmaco) e l’inizio dei sintomi, tanto peggiore è l’evoluzione e la gravità dell’episodio. Ritardo di inizio della terapia: più è lungo peggiore è la prognosi
ANAFILASSI BIFASICA: Quando il paziente si presenta al medico, al pronto soccorso, è importante che ci rimanga almeno 12 ore. C’è un quadro di nuovo episodio dopo poche ore dalla risoluzione del primo, stavolta più grave e meno controllabile. Se vuole andarsene firma, sennò non lo si deve dimettere.
_Cause di anafilassi: Variano con l’età: nel bambino prevalgono da alimenti, nell’adulto da farmaci L’episodio di shock da insetti è il 5% (nell’adulto np). Sembra nel complesso una quota piccola, ma è gravata da un alto rischio, perché capita in situazioni in cui il soggetto è da solo: in campagna, nei boschi, ambienti senza altre persone e dove non può essere soccorso, a differenza dei casi da alimenti o farmaci. Se c’è una perdita coscienza è più facile che si incorra nell’exitus. Fine excursus.
// QUADRO ANAMNESTICO ESSENZIALE Questa signora riferiva alcuni episodi 10 anni prima di asma bronchiale da pollini, 5 anni fa episodi orticaria dopo Voltaren, da allora non ne aveva più assunto FANS, patch test positivi ai metalli e sino a quel momento praticava una dieta libera. L’ipotesi era che fosse allergica a qualche alimento.
51
2.Generalità su reazioni avverse da alimenti L’esistenza di reazioni ad alimenti era nota già a Ippocrate e ai romani: alcuni soggetti stavano male dopo aver mangiato alcuni elementi innocui per la popolazione generale: il soggetto aveva dunque qualcosa di particolare. La prevalenza copre il 2% della popolazione, non eccezionale ma rilevante, (significa che a Sassari 2000 c.ca). È un capitolo con cui si avrà a che fare nella professione (il 30% della pop è allergica e il 70% pensa di esserlo).
_Classificazione Tossiche: tutti i soggetti se assumono quella determinata sostanza stanno male; sono dose dipendenti: amanita falloide, è un veleno. Non si analizzeranno. Non tossiche: riguardano solo alcuni soggetti. Si distinguono in: o
Allergie: entra in gioco il sistema immunitario; possono essere: IgE mediate Non IgE mediate (più difficili da evidenziare)
o
Intolleranze alimentari: fattori farmacologici, enzimatici, es favismo, deficit lattasi. Assumendo grosse quantità lattosio può avere problemi intestinali, dolori addominali, diarrea etc. Non sono rilevanti le quantità di lattosio nelle pillole dei medicinali, lo sono quelle in un bicchiere di latte, questo perché è dose dipendente (torna in gioco la compliance e l’informazione dei pazienti)
_Sintomi: Nelle Ig-mediate ci può essere: interessamento gastroenterico: dal cavo orale al colon; manifestazioni cutanee come orticaria e angioedema; rinite, asma (una manifestazione respiratoria legata unicamente all’allergia alimentare è però rarissima da vedere, è più facile che ci sia una dispnea associata ad una reazione anafilattica); quadri di anafilassi generalizzata, talvolta indotta da esercizio fisico: situazioni in cui il paziente sa di essere allergico es. alla pesca, la mangia e non ha problemi, va a ballare e niente. Se mangia pesca e va a ballare avrà manifestazioni orticarioidi. Ci sono forme cellulo-mediate, una è il morbo celiaco: la celiachia è una reazione immuno-mediata al glutine in soggetti geneticamente predisposti, portatori degli aplotipi HLADQ2 e DQ8, presentanti anticorpi anti-glutine, anti-endomisio e anti-transglutaminasi, ma non IgE. Ci sono poi quadri misti con anche IgE specifiche, anche se non giustificano tutto, es DA, Gastroenterite eosinofila.
Si vedano (molto rapidamente) le varie forme nel dettaglio:
Forme GI
52 Il quadro più semplice di IgE mediata è la Sindrome allergica orale. Il paziente mangia un alimento (generalmente un vegetale), inizia ad avere starnuti, prurito alla lingua, le labbra si gonfiano e si manifestano problemi del cavo orale, il resto niente). Classica domanda da fare: ma se mangia lo stesso alimento dopo averlo cotto ha problemi? No. Questa discrepanza indica una sensibilizzazione verso allergeni nella loro struttura nativa, conformazionale; le IgE riconoscono l’allergene intero, che di solito è termolabile, dopo la cottura no. Spesso sono allergeni presenti sia sul frutto che nei pollini:. Durante la primavera questi soggetti lamentano starnutazione e in quel periodo una maggior facilità di queste manifestazioni. Gastroenterite immediata: il soggetto mentre sta mangiando o poco dopo ha nausea, vomito, dolori addominali, diarrea. Venisse fatta la biopsia della mucosa gastrica si troverebbero mastociti degranulati. Nelle forme con ricchezza di eosinofili a livello della mucosa non sempre si riesce a trovare l’allergene responsabile. Si possono trovare le IgE specifiche, ma non tuto passa attraverso di esse, cominciamo ad avere forme miste in cui parte delle reazioni avverse avviene mediante altri tipi cellulari. Enteriti da proteine, tipiche dei bambini: vomito, diarrea soprattutto, dolori addominali; non trovi mai le IgE. Si ottengono risultati e miglioramenti dei sintomi evitando alimenti di natura animale. Questi col tempo possono essere nuovamente riassunti
Forme cutanee Orticaria: quadro del genere, pomfi anche grossi, potenzialmente ad aspetto figurato, con tendenza a confluire. Tendono ad essere fugaci, di poche ore ed a non ripresentarsi nei gg successivi. L’orticaria è un mondo: vi sono forme spontanee e croniche (6 settimane è il cut-off temporale), forme in cui il pomfo è a capocchia di spillo, morbiliforme, durano 20-30 min, è la colinergica che niente c’entra con gli allergeni alimentari. Ci sono poi forme di orticaria fisica: da dermografismo, vibratoria (tipica di che usa martello pneumatico), da freddo, caldo, acquagenica; forme associate a vasculite, che durano settimane, a malattie autoimmuni, a quadri di post-infezione. Tutto ciò associato o meno ad angioedema.
Dermatite Atopica: altra manifestazione cutanea in cui il bambino o l’adulto ha eczema, con vescicolette pruriginose segnate da lesioni da grattamento e una tendenza ad andare incontro alla lichenificazione. Diffusa più o meno ovunque. Sia il paziente con DA che quello orticaria cronica hanno una qualità di vita scarsa.
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_Eziologia delle reazioni avverse I principali allergeni alimentari possono essere vari, di natura animale, contenuti in latte, uova, crostacei, molluschi, pesci, o di natura vegetale: da noi prevalgono le rosacee (pesche albicocche ciliegie), frutta secca, arachidi, nocciole. Oggi si sa anche che dei vari allergeni presenti in un certo alimento alcuni sono termolabili, altri termostabili e possono dare sintomi diversi. Ciò che si trova nei semi sono allergeni molto stabili al calore e ad altre variazioni dell’ambiente, ciò si sposa con la funzione del seme: mentre la polpa è labile e serve per attirare l’animale che poi mangerà il frutto, il seme deve essere depositato con le feci a distanza, dovrà passare tutto il canale digerente e poi deve rimanere integro nella sede finale per dare origine alla pianta. Alcuni alimenti possono presentare cross-reattività. Se sono allergico al latte di mucca devo stare attento anche al formaggio pecorino: la latto-globulina è presente in entrambi. Nel bambino latte, arachidi, uova, soia e grano sono il 90% dei responsabili. Negli adulti l’85% è coperto da pesce, crostacei, arachidi.
3.Procedure diagnostiche Quando si ha davanti un soggetto che racconta dei sintomi esaminati dobbiamo pensare a cosa è allergico. I rischi sono due: 1. non trovare la causa, mandarlo via col rischio che possa poi avere uno shock anafilattico; 2. mandar via il paziente con indicazioni a non mangiare quasi nulla: per un eccesso di precauzione viene tolto tutto. I pazienti poi non sanno cosa mangiare e come gestirsi. Fondamentale arrivare alla diagnosi corretta. I test diagnostici comprendono metodi standardizzati e non.
_Metodi standardizzati I primi sono: discorso anamnestico (già con questa faccio quasi la diagnosi), i test servono solo a confermare il sospetto. Ci sono test in vivo validissimi, come lo Skin Prick Test, Prick by Prick, Patch Test, diete ad eliminazione o se possibile le diete di stimolazione (che si fanno in ambienti controllati). Nei test in vitro doso le IgE specifiche, misuro la liberazione di istamina. ANAMNESI ALLERGOLOGICA L’anamnesi allergologica deve essere particolarmente accurata: se paziente riferisce di un episodio di orticaria dopo mangiato, devo capire cosa ha mangiato e se magari prima o dopo ha assunto aspirina; capire se il paziente con angioedema assume costantemente ACE-inibitore per il trattamento dell’ipertensione (bloccano le bradichinine): caratteristicamente hanno angioedemi intermittenti mai associati ad orticaria.
54 TEST IN VIVO Skin Prick Test: di semplice svolgimento, l’unica accortezza è che per i 3-4 gg prima il soggetto non assuma antistaminico, sennò è inutile. Quindi sulla regione volare deposito prima gocce dei vari allergeni e poi con un ago, che cambio ogni volta, sollevo un lembo di epidermide. Se dopo 5-10 minuti ho il pomfo, il soggetto avrà le IgE specifiche (che causano la degranulazione dei mastociti). Se è tutto negativo e non mi fido sul fatto che abbia interrotto l’antistaminico, metto l’istamina, come controllo positivo. Se al contrario ho 20/20 positivi, non ci credo, ci deve essere una iperreattività cutanea: userò della fisiologica o pungo senza nulla; se si sviluppa il pomfo anche lì allora il test non è valido. Il VPN è molto alto (95%): se il test è fatto bene, se es. per il latte è negativo, lui non è allergico al latte. Viceversa, il VPP è del 50%: in caso di positività ad un antigene non è detto che quello sia la causa. Mi deve qui aiutare la clinica: se è positivo al latte e la mattina ha preso un cappuccino e non ha avuto problemi, il latte difficilmente sarà il problema. Viceversa se è stato male.
Prick by Prick: caso particolare è quando ho un soggetto con sindrome allergica orale, che sospetto essere allergico alla mela, pungo e non vedo nulla prick by prick: pungo con un ago la mela e con lo stesso la pelle. Così utilizzo un allergene nativo, fresco. È estremamente frequente vedere una positivizzazione con questa variante. I centri organizzati hanno dei preparati con ad es. pezzetti di frutta fresca cosicchè si salta il prick classico. Questi due test sono validi per indagare le risposte IgE-mediate.
Patch Test: utilizzati se la causa è cellulo-mediata, legata spesso ai contaminanti dell’alimento. Un esempio è il nichel, i 3° metallo per frequenza sulla crosta terrestre. Tutto ciò che ha radici lo può assorbire, il grano lo concentra molto nella crusca. I soggetti avranno disturbi intestinali all’assunzione di alcuni alimenti. Fortunatamente l’allergia non è IgE-mediata (dove basterebbero piccole quantità di allergene per importanti reazioni). Le reazioni si hanno spesso combinando alimenti che lo contengono, ad es. pasta (grano) al pomodoro con tonno in scatola metallica, nichel, fagioli, nichel, pane integrale, nichel, profiteroles al cioccolato, nichel. Si alza da tavola e avrà problemi. Non associandoli si riesce invece a gestire efficacemente il problema. I patch test verificano queste reazioni. CI sono dei cerotti con cellette, in cui è depositato un allergene. I cerotti son tenuti adesi per almeno 48 h con lettura a 48, 72, 96h. Se il soggetto è positivo compare l’eczema, una lesione vescicolare, pruriginosa, più o meno estesa. Cromo, cobalto, nichel, parabeni: li posso trovare nei miei alimenti come inquinanti Diete di eliminazione o provocazione: se sospetto che un soggetto possa avere sintomi correlati a un alimento glielo levo per un periodo es. di 1 mese e mezzo. Se la sintomatologia cambia radicalmente ho anche ottenuto una prova clinica. Identificato l’alimento devo toglierlo. Nelle strutture adeguatamente organizzate posso anche fare il challenge in doppio cieco con placebo. In una cialda do o l’alimento o la sostanza inerte, un medico valuta la reazione lamentata o presentata. È il gold standard, più teorico che pratico. Si può fare più facilmente un challenge in aperto, si fa nei bambini di solito in cui sospetto allergia al latte (necessario in quanto il latte difficilmente sostituibile).
55 TEST IN VITRO RAST, dosaggio IgE specifiche Dosaggio IgE totali: in generale, nel sospetto di una reazione allergica non dicono nulla, non hanno senso da richiedere. Le situazioni in cui si può avere un loo incremento sono varie. Come i linfomi, alcolismo, mieloma a IgE.
_Metodi non standardizzati Si sottolineano il Citotest, Vegatest: sono bufale che costano moltissimo, con 0 risultato, come i tarocchi. Da bandire.
4.Principali indicazioni terapeutiche Sia che dica di introdurre che evitare un alimento devo essere certo, sennò faccio solo danno. Soprattutto nel bambino che poi potrà mostrare difficoltà di accrescimento. La signora iniziale aveva Skin Prick Test positivi per latte, lattalbumina, caseina di mucca e capra. Stranamente aveva avuto risultati negativi per il latte a precedenti dosaggi RAST. La diagnosi era di orticaria angioedema IgE mediata da latte totale eliminazione tutto ciò che lo contiene: formaggi, burro, mozzarella, salmone affumicato. Quando si trova scritto negli ingredienti “idrolisati” spesso sono di caseina, che possono contenere l’allergene responsabile; si riscontrano anche in creme come fissan.
Oggi si corrono meno certi rischi, dato che eventuali tracce di qualcosa sono sempre segnalati sulle confezioni dei prodotti, tutto è dichiarato, anche spesso quando non è detto che ci siano. Questi soggetti devono avere con sé un kit di emergenza: Adrenalina in primis: è il farmaco principe, da fare assolutamente nel soggetto con shock anafilattico. Il paziente che sta per averlo ha delle fiale predisposte, delle penne pre-riempite (fast jekt): il paziente leva il cappuccio, appoggia sul quadricipite, l’ago entra con lo scatto, conta sino a 10. Questo non è il salvavita definitivo, è un estintore contro un incendio. Se non c’è risposta in 5 min se ne fa un’altra, un’altra, un’altra mantenere il circolo. Clorfenamina Metilprednisolone Contattare immediatamente il PS Appena questi pazienti arrivano la prima cosa da fare è prendere la vena, o la prendi subito o non la prendi più, perché si collassano.
TERAPIA FARMACOLOGICA Cromoni (di dubbia utilità) Antistaminici: trimeton
56 Cortisonici: alti dosaggi, 4 mg di Bentelan non fanno nulla. Non risolvono lo shock in atto, ma i sintomi a distanza Immunosoppressori Tenere il paziente in osservazione per almeno mezza giornata, il resto sono chiacchiere.
La tipa è stata rivista dopo, ha avuto altro angioedema ma legato a frittelle toscane, fatte di riso bollito nel latte, poi episodi di nausea vomito….ma perché era incinta.. era diventata mamma.
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REAZIONI AVVERSE A FARMACI: APPROCCIO CLINICO Quando noi vediamo una reazione conseguente alla somministrazione di un farmaco dobbiamo cercare di capire 1. Quali sono le caratteristiche cliniche della reazione, come si presenta, se è una reazione sistemica o localizzata, reazione cutanea, ecc. 2. Potremmo cercare di ipotizzare i meccanismi patogenetici alla base, talvolta possiamo immaginare che si tratti di una reazione IgE-mediata, o che quel determinato quadro di vasculite possa essere dato da una reazione da immunocomplessi, e poi 3. Infine capire qual è il farmaco che entra in gioco, perciò qual è l’eziologia della reazione.
1. Caratteristiche cliniche _Manifestazioni Cutanee Le manifestazioni cutanee che noi possiamo avere a seguito della somministrazione di un farmaco possono essere varie: si può andare da un banale prurito talvolta sine materia (ossia senza particolari lesioni sulla cute), ad un quadro di rash eritematoso vari tipi di esantema (maculare, papulare, bolloso), o un quadro di orticaria/angioedema quindi con interessamento anche delle zone più profonde del derma. Possiamo avere anche quadri che cominciano ad essere più gravi con delle lesioni papulose che rientrano nel quadro della AGEP, la pustolosi esantematosa generalizzata, eritemi polimorfi che ricordano un quadro post-erpetico con lesioni cutanee di diverso aspetto vescicolare, eczematoso, lesioni in fase di guarigione e altre in fase attiva, o anche un quadro di dermatite da contatto in caso di utilizzo di un farmaco topico (crema, pomata, unguento, ecc.) che può essere o meno scatenato ad esempio dall’esposizione al sole: ci sono infatti alcuni farmaci topici che se utilizzati su un paziente che poco dopo si espone al sole determinano una reazione da fotosensibilità. Oppure un altro quadro ancor più grave è la presenza di porpora o petecchie, quindi una lesione vasculitica vera e propria con danno alla parete dei vasi, o pemfigo quindi lesioni vescicolari bollose, particolarmente estese. E anche la sindrome di StevensJohnson/TEN in cui si ha un quadro simile ad un’ustione, con lesioni vescicolari importanti, flittene generalizzato che può interessare anche le mucose e con un alto tasso di mortalità.
58 SOMIGLIANZA CON MALATTIE INFETTIVE Se io utilizzo un antibiotico per una certa malattia infettiva e si presentano delle lesioni come quelle nelle foto affianco (un eritema diffuso e una lingua a fragola) sono sicuro che è una reazione al farmaco, o è un’evoluzione della malattia infettiva?
Se si tratta dell’evoluzione della malattia infettiva è importante conoscere i meccanismi con cui si presenta la malattia e la sua evoluzione, mentre se si tratta di una reazione al farmaco è ovvio che dobbiamo interrompere l’assunzione del farmaco.
_Manifestazioni Sistemiche Oltre alle manifestazioni cutanee che abbiamo visto possiamo avere anche dei sintomi sistemici: -
a carico delle vie respiratorie come rinocongiuntivite e asma bronchiale;
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a carico del rene, come glomerulo nefrite o interstiziale;
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a carico del sistema piastrinopenia, CID;
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lesioni a livello del SNC e SNP: in corso di terapia con Indinavir o comunque farmaci inibitori delle proteasi si possono avere come effetti collaterali delle neuropatie di tipo sensitivo essenzialmente con parestesie e altre manifestazioni;
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a carico dell’apparato cardiovascolare come tachicardia, aritmia e shock anafilattico. (Non c’è da meravigliarsi infatti se dopo l’assunzione di una beta-lattamina in un soggetto che sapeva già di essere allergico ci sia non solo una reazione locale (orticaria e angioedema) ma anche un quadro più esteso come uno shock anafilattico.
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a carico dell’apparato gastroenterico, nausea, vomito (ematemesi), dolore addominale e flatulenza, diarrea, ecc.;
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a carico del fegato: quando si ha una risposta nei confronti di un virus dell’epatite, si ha un quadro di epatite perché il sistema immunitario (in modo particolare i linfociti CD8) riconoscono antigeni virali che si affacciano sulla membrana dell’epatocita, dopo averli riconosciuti eliminano non solo il virus ma anche l’epatocita, ed è per questo che si ha un quadro di epatite virale legata alla risposta del sistema immunitario nei confronti del virus. Analogamente se su quest’epatocita ho adeso un farmaco che il mio sistema immunitario riconosce come estraneo e magari con una risposta di tipo CD8 ho un quadro di epatite da farmaci.
emopoietico
come
nefrite
anemia,
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_Quali sono i test di laboratorio che possono esserci utili? (Quadri laboratoristici) Anamnesi: detta legge, grazie ad essa possiamo sapere che farmaco è stato utilizzato, da quanto tempo il paziente lo sta utilizzando, quanto tempo è percorso tra l’assunzione del farmaco e la comparsa della reazione. Teniamo presente che il tempo che intercorre può essere variabile, possiamo avere uno shock anafilattico o un angioedema a distanza di mezzora (e generalmente queste sono reazioni di tipo IgE-mediato) oppure possono passare diverse ore o diversi giorni e in questi casi le reazioni non saranno shock o angioedema ma magari esantema, sindrome di StevenJohnson o lesioni di tipo vasculitico. Emocromo, può mettere in evidenza quadri di anemia, piastrinopenia, linfopenia o meno. Un quadro di anemia si può avere in un soggetto che prende un farmaco, ad esempio un antibiotico: questo si lega al globulo rosso, c’è una risposta del sistema immunitario principalmente anticorpomediata, ma anche cellulo-mediata e quindi ho la sua lisi e un quadro di anemia. Lo stesso ragionamento per quanto riguarda la piastrinopenia o linfopenia. Enzimi epatici, ci dicono se è presente o meno un quadro di danno epatico. Test di Coombs, è un test che mette in evidenza anticorpi anti-globuli rossi, (ad esempio io posso avere un’anemia di tipo autoimmune, quindi anticorpi diretti contro un antigene posto sulla membrana del globulo rosso, questi anticorpi si legano al globulo rosso, si fissa il complemento e il globulo rosso va incontro a lisi). Esistono due tipi di Test di Coombs, il diretto e l’indiretto. Il diretto vede se i globuli rossi del paziente hanno anticorpi legati sulla loro superficie, mentre l’indiretto ricerca eventuali anticorpi presenti nel siero capaci di legarsi al globulo rosso. Mettiamo di avere un soggetto con un’anemia emolitica di tipo autoimmune, sia il Test di Coombs diretto che l’indiretto saranno positivi, mentre in un soggetto con anemia emolitica da reazione a farmaci il Test di Coombs diretto sarà positivo e l’indiretto negativo, perché nell’indiretto io prendo il siero del paziente ma i globuli rossi non del paziente, e di conseguenza questi anticorpi che non sono diretti contro i globuli rossi ma son diretti contro il farmaco che nel paziente è legato al globulo rosso. ANA (Anticorpi anti-nucleari), non danno grosse informazioni salvo casi particolari in cui ho un aumento della produzione degli ANA in soggetti che fanno una terapia con anticorpi anti-TNF o Interferone, ma questo non deve trarre in inganno perché il paziente non ha né un Lupus né una malattia da anticorpi anti-nucleari ma semplicemente è un effetto collaterale di terapie come quelle citate. Immunocomplessi circolanti, li posso andare a ricercare se ho un quadro di vasculite da immunocomplessi in cui trovo questi aggregati nel siero (riscontrerò in tal caso una contemporanea ipocomplementemia).
2.Meccanismi patogenetici Classificazione ADR A. Tipo A (augmented), prevedibili sulla base delle caratteristiche del farmaco, sono reazioni dose
60 dipendenti, ad esempio un eccesso di cortisone o antidolorifici potrà portare ad effetti collaterali legati all’uso eccessivo del farmaco. B. Tipo B (bizarre), reazioni che non compaiono in tutti i soggetti, ma solo in quelli che hanno un quadro di ipersensibilità, che hanno una risposta generalmente immuno-mediata nei confronti del farmaco e che non sono assolutamente prevedibili. (posso prevedere che un paziente avrà gastralgia se assume 5 cp di aspirina in due ore, ma non posso prevedere che un paziente che assume 1 cp di antibiotico abbia uno shock anafilattico). C. Tipo C (chemical), prevedibili sulla base delle caratteristiche chimiche del farmaco e dei suoi metaboliti. D. Tipo D (delayed), effetti a lungo termine come teratogenicità o cancerogenicità, ad esempio neuropatia dall’uso prolungato di alcuni inibitori della trascrittasi inversa. E. Tipo E (end of dose), reazioni conseguenti l’interruzione del farmaco, ad esempio l’uso prolungato degli steroidi inibisce la funzione corticosurrenalica, e se improvvisamente quest’assunzione cessa, le ghiandole surrenali sono a riposo e non producono la quantità fisiologica degli steroidi portando a un quadro di iposurrenalismo.
Nei casi presi in considerazione, essenzialmente il Tipo B, possiamo avere dei quadri di ipersensibilità che possono essere di tipo A. immunomediato (reazioni allergiche classiche) Nell’ambito di queste i meccanismi patogenetici possono essere vari: o cellulo-mediato o
anticorpo-mediato, IgE-mediato non IgE-mediato.
B. non-immunomediato (legate a meccanismi non immunologici, ad esempio di tipo enzimatico, come ciò che accade in soggetti G6PDH carenti). Un richiamo sul meccanismo IgE-mediato: abbiamo le IgE, assunzione del farmaco, incontro delle IgE legate al mastocita basofilo con il farmaco, degranulazione e tutto ciò che in questi soggetti può avvenire: orticaria, shock anafilattico, ecc.
_Tipologie di Ipersensibilità REAZIONI TIPO II Ssono quelle in cui abbiamo essenzialmente anticorpi fissanti il complemento (IgG o IgM), che si legano al farmaco, il quale magari si trova legato ad altre cellule (globuli rossi, piastrine, linfociti, o a livello renale nella parete dei vasi) e dal legame dell’antigene del farmaco con l’anticorpo si ha la formazione di immunocomplessi a cui si lega il complemento e questa è la condizione per cui si può andare incontro a quel fenomeno di formazione di pori e lisi osmotica della cellula.
61 Quindi in questo caso avremo poi un’anemia di tipo emolitico.
REAZIONI TIPO III In altri casi il farmaco per esempio si lega agli anticorpi, si formano degli immunocomplessi che diventano instabili a livello del circolo, precipitano nelle pareti dei vasi più piccoli, ad esempio nei glomeruli renali, qui inizia lo stesso meccanismo di fissazione del complemento, richiamo di cellule infiammatorie che hanno sulla loro parete sia i recettori del frammento Fc degli anticorpi, sia recettori per le varie componenti del complemento, e quindi la formazione di un sito di flogosi con danno a livello della parete vascolare e di conseguenza una reazione di tipo vasculitico (tipo III).
REAZIONI TIPO IV Reazione di tipo cellulo-mediato, son state classificate in più sottocategorie, in cui varie cellule entrano in gioco, come le Th1, quindi linfociti CD4+ che producono IFN-gamma, caratteristicamente ritrovati su biopsie a livello di quadri bollosi, oppure Th2, in un quadro di esantema maculopapulare, o ancora possiamo avere delle lesioni in cui troviamo linfociti CD8, che producono perforine, granzyme, enzimi tossici per la cellula bersaglio, o ancora cellule che son capaci di produrre citochine e chemochine e richiamano in sede neutrofili. Ad esempio IL-8 capace di richiamare in sede granulociti neutrofili e in associazione presentano lesioni pustolose.
Tutto questo può essere dimostrato a livello di lesioni bioptiche dove con esame immunoistochimico andiamo a identificare le cellule. // Il lavoro a destra, nonostante sia datato (1999), permette di evidenziare la risposta cellulo-mediata: in questo soggetto vedevamo che, se le cellule mononucleate nel sangue del soggetto (quindi linfociti e CPA come i monociti) venivano messi in presenza di Penicillina, Amoxicillina o Ampicillina (farmaci delle beta-lattamine), si presentava la produzione di enormi quantità di IL-4, IL-5 o IL-13, quindi vedevamo un quadro di tipo Th2. Quindi a livello delle cellule T è presente questo quadro di tipo Th2, mentre ci aspettiamo a livello dei linfociti B la produzione di IgE. E infatti questi erano dei soggetti con quadri importanti di IgE, in cui quest’esperimento ha dimostrato che non solo abbiamo una risposta B di tipo anticorpo IgE-mediato, ma abbiamo anche una risposta di tipo T, cellulo-mediata.
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3.Quale farmaco è responsabile? Test per la diagnosi di ADR Non è facile la diagnostica per una reazione a farmaci. La possibilità di avere materiale per poter ricercare una reazione IgE-mediato è piuttosto limitata. Per esempio una ricerca delle IgE nel siero in vitro essenzialmente viene fatta nei confronti di farmaci che appartengono alla famiglia delle beta-lattamine, quindi due metaboliti della penicillina, l’amoxicillina, l’ampicillina e una cefalosporina. Poi in alcuni casi possono essere ricercati nei confronti dell’insulina o dell’eparina, ma ci fermiamo li. Sicuramente ancora meno per quanto riguarda i test in vivo: esistono anche in questo caso dei metaboliti che potrebbero essere utilizzati per andare a testare la presenza di IgE nei confronti di farmaci della famiglia delle beta-lattamine.
_Anamnesi L’anamnesi c’è molto d’aiuto, deve essere scrupolosa anche perché avendo poco dell’altro dobbiamo basarci molto sulla storia del paziente. Per esempio, se io ho avuto una reazione all’ampicillina e all’amoxicillina e successivamente ho la necessità di usare una cefalosporina, posso farlo? Forse si e forse no, sono farmaci che a livello molecolare hanno componenti molto simili. Se ho una reazione nei confronti dell’anello beta-lattamico (che può essere uguale in diversi farmaci di questa famiglia) nessun farmaco di quella famiglia può essere idoneo, se invece ho delle IgE dirette verso le catene laterali che sono diverse tra un antibiotico e l’altro potrei avere la speranza di utilizzare altri farmaci della stessa famiglia senza avere reazione. Se volessimo valutare se il soggetto ha una reazione all’anello o ad un’altra porzione della molecola, lo si fa testando il farmaco sul paziente oppure facendo esami sierologici? Risposta: Esami sierologici che possano darci questa risposta non ne esistono. Potrebbe aiutare l’anamnesi: se per esempio il paziente ha utilizzato due farmaci della stessa famiglia con lo stesso anello beta-lattamico e radicali diversi ed ha avuto la reazione per entrambi verosimilmente siamo sull’anello beta lattamico.
Valutare il background allergologico del paziente. Se è la prima volta che utilizza quella famiglia di farmaci non posso prevederlo. Potrei per esempio, se tra ampicillina e amoxicillina ho, a livello sierico IgE elevate in entrambe e non ce le ho per la penicillina e neanche per la cefalosporina, e i primi due antibiotici hanno dei punti in comune che non hanno gli altri, potrebbero essere questi a causare la reazione, però ricordiamoci che stiamo parlando degli antibiotici beta-lattamici, quindi io questo lavoro posso farlo solo su questa limitatissima famiglia di antibiotici. Comunque se ho un paziente che ha già una storia di reazioni avverse verso un farmaco, bisogna pensarci due volte prima di andare a prescrivergli un farmaco della stessa famiglia. Valutare compatibilità della sintomatologia con una reazione allergica. Generalmente non è frequente trovare soggetti che hanno una vera reazione IgE-mediata a più famiglie. Se ha una reazione IgE mediata ad un chinolonico il problema sta sui chinolonici, talvolta possono esserci delle reazioni che non sono immunomediate legate a altre cause che possono essere presenti all’assunzione di più antibiotici, però generalmente non sono IgE mediate. È importante anche la cronologia dei sintomi: se assumo un farmaco oggi posso avere il sintomo ora, a distanza di qualche ora ma anche a distanza di qualche giorno.
63 Talvolta può capitare che un soggetto dopo 3-4 ore dall’assunzione di un farmaco riferisce di aver avuto un angioedema, ecco due cose banali: quando ho preso l’aspirina? Dopo pranzo. Siamo sicuri che sia l’aspirina e non una reazione avversa ad un alimento? Se si tratta di una persona anziana che ha preso l’aspirina bisogna chiedersi se è anche iperteso, se dovesse esserlo bisogna chiedersi se fa uso di ACE-inibitori, se si bisogna chiedersi se l’angioedema è accompagnato da orticaria o se c’è solo angioedema, se c’è solo l’angioedema isolato è molto più probabile che sia da ACEinibitore, e non è IgE-mediata (assunzione di altri farmaci)
_Test cutanei standardizzati Dal punto di vista delle prove allergologiche cutanee essenzialmente i test possibili sono tre: prick test, patch test e intradermoreazioni. INTRADERMOREAZIONE L’intradermoreazione è un’iniezione intradermica del farmaco che deve essere fatta non con il farmaco intero ma diluito in dosi via via a scalare. Se io ho un soggetto che ha avuto una reazione per esempio ad una beta-lattamina ed ha una polmonite, ovviamente dovrò prescrivere un antibiotico e inizierò a pensare a un antibiotico che non avrà a che fare con le beta-lattamine, ad esempio un chinolonico o un macrolide, utilizzerò di questi prodotti in diluizioni scalari, partirò da 1/10000 e farò delle iniezioni intradermiche, bastano 50 microlitri, e se mi compare un pomfo a 1/10000 mi fermo subito, sennò potrebbe essere a 1/1000, sennò 1/100, se non compare niente arrivo fino all’intero, e se la reazione in quel caso è negativa il soggetto non ha IgE nei confronti di quel farmaco.
È sempre bene far precedere questa procedura da un Prick test, che è meno sensibile dell’intradermoreazione ma è anche più sicuro, infatti con l’intradermoreazione e la dose intera posso rischiare di avere delle reazioni importanti. Generalmente quando si deve fare un test sarebbe bene che fossero interrotti i beta-bloccanti, questo perché se dovesse esserci uno shock anafilattico, l’iniezione di adrenalina necessaria al paziente non agirà perchè il beta bloccante blocca gli effetti dell’adrenalina.
SKIN PRICK TEST Il valore predittivo di questi SPT per i vari farmaci è sicuramente buono per quanto riguarda penicilline, miorilassanti, enzimi, ecc. soddisfacente per altri come i vaccini, ormoni, oppiacei, ecc, mentre i mezzi di contrasto iodato, FANS, non hanno senso, hanno un valore predittivo imprecisato, per esempio anche per i FANS come per gli ACE-inibitori non siamo di fronte a una reazione IgE-mediata, quindi è inutile che io faccia un test cutaneo nella speranza di vedere un pomfo perché non ci sono IgE.
Anche nei soggetti che hanno avuto reazioni ai mezzi di contrasto per esempio per risonanza, si hanno reazioni che in realtà non sono delle vere e proprie reazioni IgE-mediate, e non esistono dei test in vitro o in vivo verso queste reazioni non immuno-mediate.
PATCH TEST Anche i patch test possono essere utilizzati, ma è molto probabile che risultino negativi, nonostante ciò sono descritti e possono essere utilizzati, ed evidenziano una risposta cellulo-mediata, se è positiva
64 potremmo avere un eritema (anche se un eritema e basta non la considero propriamente una risposta positiva), potremo avere lesioni vescicolari, reazioni eczematose, talvolta riescono anche ad ulcerarsi o avere reazioni più importanti.
_Test in vitro DOSAGGIO IgE SPECIFICHE Potrebbe essere fatto per svariati farmaci (ACTH, ampicillina, amoxicillina, penicillina, cefaclor, insulina, protamina, ecc.) ma da un punto di vista pratico ci limitiamo a quei 4-5 metaboliti delle beta-lattamine.
LTT: TEST TRASFORMAZIONE LINFOCITARIA Nei laboratori di terzo livello, cioè particolarmente attrezzati per fare questi test, si possono fare anche i cosiddetti Test di trasformazione linfocitaria in vitro, cioè dei test in cui io prendo i linfociti del paziente, li incubo in presenza di farmaci in diluizione, e vado a vedere a distanza di 48/72/96 ore la presenza di una risposta proliferativa all’interno del pozzetto.
Tutto viene fatto in queste piastre da 96 pozzetti, e dopo averle messe in coltura vado a vedere se ho proliferazione, nel pozzetto si vedrà il fondo costellato di tante cellule, si evidenziano dei clump di proliferazione, cioè delle zone in cui questi linfociti tendono ad addensarsi tra loro, in realtà non si stanno addensando ma stanno proliferando. Se si vuole quantizzare la proliferazione, l’unico modo è inserire Timidina triziata in coltura, la timidina verrà incorporata all’interno del DNA in fase di proliferazione, lavando via l’eccesso e rimanendo solamente con le cellule, viene messo in un beta-counter e a quel punto si evidenzia una radioattività diversa e se c’è una forte proliferazione aumenterà la radioattività nel pozzetto, e questo mi permetterà di quantizzare il grado di proliferazione. Oppure, recuperando il supernatante di queste colture, si può anche andare a vedere la produzione di citochine (IL-4, IL-5, INFgamma, ecc.), infatti oggi con 20 microlitri con particolari apparecchiature è possibile dosare citochine per una ventina di tipi diversi. Questo test è frequentemente positivo se abbiamo reazioni cutanee, se abbiamo episodi di anafilassi, quindi quadri di tipo IgE-mediato. Sarà invece raramente positivo in caso di vasculiti, di necrosi epidermiche, ecc.
Riassumendo: possiamo avere delle reazioni avverse ai farmaci di tipo immuno-mediato in cui entrano in gioco delle IgE, oppure altri anticorpi o immunocomplessi fissanti il complemento o meno, oppure reazioni di tipo cellulo-mediato. In altri casi in farmaco stesso può attivare il complemento, può avere una reazione bradichinino simile, può permettere la liberazione spontanea di istamina, di leucotrieni, ed in questi casi ho comunque dei quadri orticarioidi.
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_Test di provocazione Il gold standard alla fine è l’esposizione del paziente al farmaco, questo perché io comunque posso avere una reazione al principio attivo del farmaco, o ad un eccipiente, o ad un metabolita dopo che il farmaco è passato nel fegato, non è cosi facile affrontare questa problematica, perciò somministrando il farmaco al paziente vedrò o meno se avrà la reazione. L’utilità starà nel: RICERCARE FARMACI ALTERNATIVI E ESCLUDERE CROSS-REATTIVITÀ
È ovvio che non si darà il farmaco ad un soggetto che ha avuto uno shock anafilattico, o una Sdr di Lyell, però posso utilizzare questa metodica per testare farmaci alternativi, se il paziente ha bisogno di un antibiotico ed ha avuto uno shock anafilattico con lo Zimox (amoxicillina) e con una penicillina, allora il paziente non prenderà neanche più una caramella per paura di prendere compresse. Quindi stiamo parlando più che di soggetti ansiosi, di soggetti maltrattati, e dobbiamo fargli riacquistare fiducia nei confronti dei farmaci, dobbiamo fargli capire che l’allergia non è ai farmaci in generale ma a quel farmaco. Quindi questi test di esposizione, che in genere sono test di esposizione orale, in cui si fanno assumere dosi crescenti del farmaco in più volte, sono utili per farci una diagnosi in sicurezza sulla possibilità di far assumere quel farmaco a quel paziente. Se io somministro un’amoxicillina ad un paziente che ha avuto una reazione all’amoxicillina, ed ha nuovamente la reazione, sono certo che è quello, ma in questi casi in genere basta l’anamnesi, non è necessario somministrarlo nuovamente. Quando possiamo avere dei risultati falsi negativi? Quando il paziente sta assumendo in questo momento antistaminici, corticosteroidi, se è trascorso troppo tempo dalla reazione (se la reazione la si è avuta 10 anni fa verosimilmente oggi quel farmaco si può riassumere perché le IgE ormai sono ridotte, anche se era una reazione IgEmediata). ANAMNESI NON SUGGESTIVA DI ALLERGIA
Spesso capitano pazienti che riferiscono di aver avuto in infanzia reazioni ad esempio alla Tachipirina, e da allora non hanno più assunto il farmaco. Prima cosa la Tachipirina in genere non dà reazioni IgE-mediata, e seconda cosa queste reazioni non IgE-mediate, non immuno-mediato, possono capitare a tutti noi: può capitare che oggi si abbia la reazione e domani no allo stesso farmaco, possono essere dose dipendente, o associati all’assunzione contemporanea di alcol, di gamberoni, o quello che volete, mille concause. In questi soggetti generalmente lo faccio il test di esposizione orale alla Tachipirina, proprio per far capire che questo farmaco può essere riutilizzato. STABILIRE DIAGNOSI DEFINITIVA CON ANAMNESI SUGGESTIVA
Talvolta capita che a suo tempo abbia dato una reazione una beta-lattamina, e le beta-lattamine son quei farmaci che più di frequente danno reazioni di tipo IgE-mediate, però magari dalla storia non mi convince, magari son convinto che potrebbe riassumerlo, o il paziente stesso ha bisogno di quel farmaco perché un batterio che presenta è sensibile solo a quello. Allora cosa si fa, si fa il test di esposizione orale, ovviamente non compare reazione, non gli dico subito che può riassumerlo, perché se lui ha i B della memoria, io con il test che ho fatto li sto stimolando quindi magari sto inducendo la formazione di nuove IgE, a distanza di un mese vado a fare un dosaggio delle IgE
66 specifiche, se le trovo alte ho indotto la produzione di nuove IgE e ci fermiamo li, se le trovo basse rifaccio un test di esposizione orale, se anche a questo punto sono basse il paziente lo può riprendere. // Questa slide è solo per far capire come dalla storia di una reazione avversa a farmaci, piano piano si debba arrivare a dare una risposta, o può assumere quel farmaco, oppure se ho una conferma della reazione allergica a quel farmaco, quest’ultimo deve essere assolutamente bandito. Nella provincia di Sassari siamo 500 mila persone, se aggiungiamo Oristano arriviamo a 700 mila, su questa popolazione si può prevedere una quota di 70 mila persone che possono avere una reazione avversa a farmaci, un numero molto elevato che si spalma su tutti i medici che spesso si trovano molto in difficoltà.
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ALLERGIA AGLI IMENOTTERI DIGRESSIONE ENTOMOLOGICA SUGLI IMENOTTERI Gli imenotteri sono un grande ordine di insetti, ma quelli che a noi interessano particolarmente son quelli che appartengono alla famiglia delle api, il bombo e la famiglia delle vespe.
Una delle differenze tra le apidi e le vespidi è il pungiglione, mentre le vespidi hanno un pungiglione più o meno lineare, quindi possono pungere e fuggire, le apidi hanno un pungiglione simile ad un amo, e una volta che pungono non riescono ad estrarlo, e questa caratteristica permette di capire, dopo essere stati punti, se è stata una vespa o un ape, perché in un caso il pungiglione rimane in sede e l’ape è morta a poca distanza da noi, mentre nell’altro le vespe possono pungere e ripungere più volte. Pungono quando sono costrette, ad esempio quando si va, anche incautamente, a disturbarle o quando ci si trova nel cosiddetto corridoio di raccolta del polline, che le api attraversano dal campo dei fiori all’alveare, oppure quando si guida in moto con la visiera aperta ed entra dentro, o se per esempio se ci si muove senza rendersi conto di avere un’ape poggiata, e il nostro movimento le minaccia. Una delle diversità di questi veleni è la quantità che viene iniettata dal diverso animale, l’ape ne somministra una quantità decisamente superiore, ma una vespa (il “giallone”)per esempio ha anche un’altra caratteristica, che è quella di richiamare le compagne mediante la liberazione di ferormoni, per cui se io vengo punto in prossimità di un nido, c’è un’alta probabilità che venga punto anche da altre.
PROFILASSI Se un soggetto è allergico a questi veleni deve essere molto molto prudente, quindi le norme da seguire sono:
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Evitare l’uso di abiti sgargianti e neri Evitare cosmetici profumati Evitare il giardinaggio e coprirsi adeguatamente Non avvicinarsi a fiori o frutta matura Non camminare scalzi nei prati Usare cautela quando si cucina o si mangia all’aperto Essere cauti nel praticare sport all’aperto Tenere i rifiuti ben chiusi Tenere chiusi i finestrini dell’auto In moto indossare casco con visiera e guanti Applicare zanzariere alle finestre di casa
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Bonificare da personale specializzato i nidi di imenotteri Evitare movimenti bruschi in presenza di imenotteri
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Reazioni al veleno degli imenotteri IL VELENO Cosa è presente nel veleno? Chi è stato punto sa che è doloroso, che si ha una reazione locale, un pomfo, un eritema locale. Questo accade perché il veleno contiene istamina, serotonina, efedrina, e altre sostanze vasoattive che comunque sia stimolano le terminazioni nervose, danno dolore, causano vasodilatazione, edema e il pomfo.
Se contenesse solo queste sostanze si avrebbero problemi solo dopo esser punti da uno sciame di api, il problema è che ci sono altre sostanze: proteine, in particolare Mellitina, Fosfolipasi, che sono proteine nei confronti dei quali il soggetto sviluppa IgE specifiche, quindi quando il soggetto viene per l’ennesima volta punto da questi insetti, in presenza di questi antigeni in circolo si ha liberazione di sostanze vasoattive di derivazione mastocitaria, basofila. CLASSIFICAZIONE PATOGENETICA
Le reazioni possono essere a patogenesi immunologica e prevalentemente IgE-mediate, le quali insorgono rapidamente, comunque entro 1 ora e regrediscono rapidamente se adeguatamente trattate; oppure a patogenesi non-immunologica (tossiche), le quali sono causa di reazioni locali o sistemiche in relazione al numero di punture, la morte può sopraggiungere anche a distanza di giorni.
CLASSIFICAZIONE DI MUELLER
Abbiamo due tipi di reazioni, quelle locali (che non sono quelle che abbiamo tutti ma sono locali estese) che sono reazioni da più di 10 cm di diametro e che durano più di 24 ore, per esempio a seguito di una puntura nel polso si ha tutto l’avambraccio edematoso, in questo caso è una reazione locale, non ho né shock né un interessamento sistemico, ma una locale estesa. Oppure posso avere una reazione sistemica che possono andare da un’orticaria diffusa e un senso di malessere ad un quadro in cui ho anche un angioedema, sensazione di quasi broncospasmo, e nel grado successivo dolori addominali, diarrea, fino ad arrivare al quadro classico con un interessamento del sistema cardiovascolare, con shock anafilattico, perdita di coscienza, ecc. Sono reazioni di gravità crescenti. Reazioni locali estese Edema locale con diametro >10 cm e durata >24 ore Reazioni sistemiche Grado I
Orticaria diffusa, malessere, ansia
Grado II
Idem + 2 dei seguenti: angioedema, costrizione toracica, nausea, vomito, diarrea, dolore addominale, vertigini
Grado III
Idem + 2 dei seguenti: dispnea, broncospasmo, stridore laringeo, secchezza delle fauci, disfonia, disfagia, disartria, obnubilamento, angoscia con senso di morte imminente
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Grado IV
Idem + 2 dei seguenti: cianosi, ipotensione, collasso, perdita di coscienza, incontinenza sfinterica
Abbiamo già detto parlando dello shock anafilattico che il 5% dei quadri di shock anafilattico sono legati a punture di insetti, e abbiamo anche detto che questo 5% verosimilmente è causa di un maggior numero di decessi, proprio perché può avvenire lontano da un mezzo di soccorso.
Generalmente le reazioni locali sono abbastanza frequenti su tutti coloro che possono essere punti, le sistemiche meno frequenti, più frequenti in chi ci sta per lavoro vicino a questi insetti, però tutti questi dati alla fine probabilmente sono sottostimati. Si potrebbe pensare che 15 decessi ogni anno in Italia siano pochi, si muore molto di più per altre cause, però attenzione, non è un numero da sottovalutare anche perché è possibile fare qualcosa a livello di prevenzione.
FATTORI PROGNOSTICI SFAVOREVOLI (A cosa bisogna stare attenti?)
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Precedenti reazioni locali estese o sistemiche gravi Breve intervallo di tempo tra due punture successive (la prima puntura sensibilizza e aumenta la produzione di IgE e la seconda sfrutta l’aumento delle IgE che c’è stato dalla prima) Elevato numero di precedenti punture Elevata concentrazione di IgE specifiche Età avanzata Patologie cardiovascolari concomitanti Uso di beta bloccanti o ACE-inibitori Mastocitosi sistemica con elevati valori basali di triptasi Breve intervallo tra puntura e inizio dei sintomi sistemici (