Dispense Geotecnica [PDF]

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INTRODUZIONE

INTRODUZIONE La Geotecnica è una disciplina che tratta la meccanica dei terreni e delle rocce, e le sue applicazioni nell’ambito dei problemi di ingegneria civile e ambientale (fondazioni, opere di sostegno, stabilità dei pendii, miglioramento e rinforzo dei terreni, etc..). Poiché ogni opera di ingegneria civile è fondata e/o è realizzata con il terreno, la progettazione geotecnica esiste da quando esiste l’ingegneria civile. Tuttavia fino a non molti decenni fa le regole di progettazione geotecnica sono state sostanzialmente empiriche, basate sull’osservazione dei fenomeni naturali e del comportamento delle opere costruite. Oggi non sarebbe più possibile progettare su base empirica, per molti motivi, fra cui: - riduzione dei tempi di esecuzione (il comportamento del terreno è fortemente influenzato dalla velocità di applicazione dei carichi); - necessità di operare in contesti ambientali diversi, spesso residuali e non conosciuti, - minore tolleranza di effetti indesiderati, come i cedimenti assoluti e differenziali. La meccanica dei terreni si differenzia dalla meccanica dei solidi e dalla meccanica dei fluidi poiché studia il comportamenti di mezzi plurifase particellari. Il relativamente tardo sviluppo della meccanica dei terreni moderna (prima metà del XX° secolo) è dovuto alle difficoltà di modellare il comportamento di materiali costituiti da tre fasi (solida – liquida - gassosa) che interagiscono fra loro, ed alla grande variabilità dei materiali compresi sotto il termine “terreno”. Variabilità stratigrafica, poiché il volume di terreno interessato da un problema geotecnico può comprendere materiali differenti, variabilità intrinseca ad ogni terreno, dipendenza del comportamento dei terreni dalla storia tensionale, deformativa e dal tempo. Un’altra difficoltà specifica dell’ingegneria geotecnica consiste nell’acquisizione di dati sperimentali quantitativamente significativi e qualitativamente affidabili. Per risolvere i problemi di ingegneria geotecnica si ricorre spesso ad una tecnica non rigorosa ma ingegneristicamente efficace che consiste nel considerare separatamente i diversi aspetti del problema, e nell’affrontare ciascuno di essi con modelli parziali, capaci di dare una risposta affidabile solo limitatamente ad un aspetto. Ad esempio il problema delle fondazioni superficiali viene affrontato modellando il terreno come un continuo elastico per determinare la diffusione delle tensioni, come un mezzo rigido perfettamente plastico per determinare il carico limite di rottura, come un mezzo elasto-plastico-viscoso per il calcolo delle deformazioni e del loro decorso nel tempo, etc.. In termini ingegneristici, i materiali naturali che costituiscono la parte più superficiale della crosta terrestre possono essere suddivisi in due grandi categorie: i terreni e le rocce. I terreni (o rocce sciolte) sono aggregati di particelle, o granuli, di minerali e materiali organici, generalmente sciolti o con deboli legami di cementazione o di adesione che possono essere distrutti con semplice agitazione meccanica o in acqua. Risultano quindi caratterizzati da valori limitati della resistenza meccanica. Le rocce (lapidee) sono aggregati naturali di minerali tra i quali si esercitano forze attrattive e di adesione di notevole entità che conferiscono all’insieme valori elevati della resistenza meccanica. 1 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

INTRODUZIONE

Per queste ultime, la disaggregazione, se si eccettua il caso di alcune rocce solubili, non può essere ottenuta neppure dopo la permanenza in acqua. Questa distinzione è convenzionale: in altre discipline scientifiche i termini terreno e roccia assumono significati diversi; inoltre esistono materiali naturali, “di transizione”, con caratteristiche tali da non poter essere facilmente inseriti in nessuna delle due categorie. Nel seguito, ci occuperemo in particolare di terreni o rocce sciolte, cioè di materiali che possono essere schematizzati come mezzi polifase, costituiti da uno scheletro solido, formato dall’insieme di tutti i granuli, o meglio, di tutte le particelle1, da una fase liquida (generalmente acqua) e da una fase gassosa (generalmente aria e/o vapor d’acqua). Se ci riferiamo ai terreni naturali, ai nostri climi e alle profondità che in genere interessano l’ingegneria civile, non commettiamo un grosso errore se consideriamo in prima approssimazione le terre come mezzi a due fasi, essendo quasi tutti i vuoti tra granulo e granulo riempiti d’acqua.

1

Il termine “granulo” per alcuni tipi di terreno, come ad esempio una ghiaia o una sabbia, non dà problemi di comprensione; per altri, ad esempio per un terreno argilloso, può essere molto meno comprensibile, nel senso che il granulo non è neppure visibile a occhio nudo ed è una struttura molto più complessa di quella di un granulo di sabbia

2 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 1

ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

CAPITOLO 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI 1.1 Origine dei terreni I terreni derivano dai processi di alterazione fisica e chimica delle rocce. I processi di alterazione di natura fisica o meccanica producono una disgregazione delle rocce in frammenti di dimensioni ridotte. Questi processi sono legati a fenomeni di erosione delle acque, all’azione di agenti atmosferici (gelo, variazioni termiche), all’azione delle piante, degli animali, dell’uomo. I processi di alterazione di natura chimica o organica decompongono invece i minerali che costituiscono le rocce in particelle di natura colloidale, che costituiscono poi la frazione prevalente dei materiali fini. Questi processi sono legati a fenomeni di ossidazione, riduzione ed altre reazioni chimiche generate dagli acidi presenti nell’acqua o prodotti dai batteri. I frammenti di roccia (cioè le particelle, i granuli) derivanti da questi processi di alterazione vengono poi trasportati (più o meno lontano) e successivamente depositati dal vento, dall’acqua e dai ghiacciai; durante la fase di trasporto possono subire ulteriori processi di disgregazione meccanica o di alterazione chimica. Nella figura 1.1 è riportata una rappresentazione semplificata del ciclo di formazione delle rocce e dei terreni. Se durante le fasi di formazione, trasporto e deposizione intervengono solo processi fisici, le particelle di terreno avranno la stessa composizione delle rocce di origine; se si hanno anche trasformazioni chimiche si formano altri materiali. L’esempio più importante in ambito geotecnico sono i minerali argillosi, tra i quali i più noti sono caolinite, illite e montmorillonite. Le dimensioni delle particelle, che costituiscono il risultato finale di tutti questi fenomeni, sono molto varie, comprendendo frammenti di roccia, minerali e frammenti di minerali.

Figura 1.1 - Rappresentazione semplificata del ciclo di formazione delle rocce e dei terreni

3 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 1

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1.2 Struttura dei terreni Anche il risultato finale dell’aggregazione delle particelle, che costituisce la struttura del terreno, può essere molto vario ed influenzarne marcatamente il comportamento. In particolare, i caratteri strutturali del terreno possono essere evidenziati a diverse scale, ossia in termini di: − microstruttura − macrostruttura − megastruttura Quando si parla di caratteri microstrutturali ci si riferisce alla forma e alle dimensioni dei grani e ai legami esistenti tra le particelle; i caratteri macrostrutturali sono invece quelli osservabili su una porzione di terreno di dimensioni limitate (ad esempio un campione di laboratorio) e sono costituiti da fessure, intercalazioni, inclusioni di materiale organico, ecc..; i caratteri megastrutturali sono infine quelli evidenziabili a grande scala, come ad esempio giunti, discontinuità, faglie. Per ora ci limiteremo ad analizzare l’influenza dei caratteri microstrutturali sul comportamento dei terreni. In particolare, se pensiamo al terreno come ad un aggregato di particelle solide e acqua interstiziale, possiamo facilmente immaginare che in questa miscela esistano due tipi di interazione: − un’interazione di tipo meccanico, dovuta alle forze di massa o di volume − un’interazione di tipo chimico, dovuta alle forze di superficie Sulla superficie esterna di ogni granulo esistono infatti delle cariche elettriche che lo portano ad interagire con gli altri granuli e con l’acqua interstiziale. Quindi, se la superficie esterna è piccola in relazione alla massa, anche le azioni superficiali sono modeste e quindi prevalgono le interazioni di tipo meccanico (in tal caso si parla di granuli “inerti”), se la superficie è grande anche le azioni superficiali, e quindi le interazioni di tipo chimico, possono diventare importanti, addirittura più importanti di quelle di volume (in questo caso si parla di granuli “attivi”). Di conseguenza, l’elemento distintivo tra la prevalenza delle forze di volume o delle forze di superficie è legato essenzialmente alla geometria dei granuli, ovvero alla superficie riferita all’unità di massa, che si definisce superficie specifica: S S = (Eq. 1.1) M ρ ⋅V dove S è la superficie del granulo, M la massa, V il volume e ρ la densità. Se, ad esempio, prendiamo un grammo di sabbia e sviluppiamo tutte le superfici esterne dei grani in esso contenuti, otteniamo che il valore della superficie specifica è dell’ordine di 10-3÷10-4 m2; se invece prendiamo un grammo di argilla “molto attiva” vediamo che la somma delle aree laterali di tutti gli elementi solidi che questo contiene può essere dell’ordine di 800m2. È da notare che la superficie specifica di un certo materiale dipende dalla forma e dalle dimensioni delle particelle, come è possibile dedurre dalla definizione (1.1) 1. S sp =

1

In particolare, nell’ipotesi di forma sferica, alla quale si avvicinano ad esempio i grani di una sabbia: S = πD2, V = πD3/6, quindi Ssp = 6/ρD. Nell’ipotesi di parallelepipedo appiattito, forma simile a quella delle particelle di argilla, di dimensioni BxLxh: S = 2LB + 2Bh + 2Lh, V = BLh; quindi S = 1 ⎛⎜ 2 + 2 + 2 ⎞⎟ e se sp ρ⎝ h B L⎠

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Capitolo 1

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Valori tipici della dimensione media e della superficie specifica di sabbie e argille sono riportati in tabella 1. La conseguenza di quanto detto sopra è che nei materiali come le sabbie l’interazione tra i granuli è esclusivamente di tipo meccanico, mentre nelle argille le azioni sono quasi esclusivamente di tipo chimico-fisico. Tabella 1. Dimensione media e superficie specifica di sabbie e argille

SABBIE (forma sub-sferica) MINERALI ARGILLOSI (forma lamellare): MONTMORILLONITE ILLITE CAOLINITE

Dimensione media [mm]

Superficie specifica 2 [m /g]

2 mm

2⋅10

10-6 (0.03 ÷ 0.1)x 10-3 (0.1 ÷ 4) x 10-3

fino a 840 65 ÷ 200 10 ÷ 20

-4

Dunque, una prima distinzione tra i vari tipi di terreno può essere fatta in base alle dimensioni e alla forma delle particelle che li costituiscono, perché questo è un elemento che ne differenzia notevolmente il comportamento. Dimensioni e forma delle particelle dipendono dai minerali costituenti. Si distinguono così, in primo luogo, i terreni a grana grossa (ghiaie e sabbie) e forma sub-sferica, o comunque compatta, dai terreni a grana fine (limi e argille) e forma appiattita o lamellare, nei quali i singoli grani non sono visibili a occhio nudo. I terreni naturali consistono generalmente in una miscela di più tipi di terreno appartenenti alle due categorie suddette, a cui può aggiungersi talvolta del materiale organico. Analizzando un poco più in dettaglio le caratteristiche delle due grandi categorie di terreni che abbiamo appena definito, si può affermare che i terreni a grana grossa sono generalmente costituiti da frammenti di roccia o, nel caso delle particelle più piccole, da singoli minerali o da frammenti di minerali (ovviamente minerali sufficientemente resistenti e stabili dal punto di vista chimico, come ad esempio quarzo, feldspati, mica, ecc..). I materiali meno resistenti danno origine a terreni con grani più arrotondati, quelli più resistenti a granuli più irregolari. Il comportamento dei terreni a grana grossa dipende soprattutto: − dalle dimensioni − dalla forma (angolare, sub-angolare, subSUBANGOLARE ANGOLARE arrotondata, arrotondata) (figura 1.2) − dalla distribuzione granulometrica (figura 1.3) − dallo stato di addensamento dei granuli (figura 1.4). Nel caso dei terreni a grana fine, le informaSUBARROTONDATA zioni relative alla distribuzione e alle caratteri- ARROTONDATA stiche granulometriche sono meno significati- Figura 1.2 – Forma delle particelle

l’altezza h è molto minore delle altre due dimensioni, Ssp ≅

2 . In conclusione, la Ssp aumenta al diminuiρh

re delle dimensioni e dell’appiattimento delle particelle

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ve. I terreni a grana fine sono aggregati di particelle colloidali di forma lamellare, che risultano dalla combinazione di molecole (o unità elementari). Le unità elementari sono rappresentate da tetraedri (con atomo di silicio al centro e ossigeno ai vertici) o ottaedri (con atoSABBIA BENE ASSORTITA SABBIA POCO ASSORTITA mi di alluminio o magnesio al centro e Figura 1.3 – Tipo di assortimento di una sabbia ossidrili ai vertici) (Figura 1.5) che si combinano tra loro per formare reticoli piani (pacchetti elementari). Successive combinazioni diverse di pacchetti elementari danno origine alle particelle di argilla. A seconda della loro composizione i SABBIA DENSA SABBIA SCIOLTA pacchetti possono stabilire legami più o Figura 1.4 – Stati di addensamento di una sabbia meno forti tra loro e in relazione a questo le particelle di argilla possono avere uno spessore più o meno elevato e i terreni possono presentare un comportamento meccanico molto diverso tra loro. Ad esempio la caolinite ha uno spessore tipico di circa 1µm, ha legami piuttosto forti ed è quindi un’argilla stabile, con comportamento meccanico buono; la montmorillonite, invece, che ha uno spessore di pochi nm (1nm = 10 Armstrong = 10-3 µm), ha deboli legami tra i pacchetti elementari ed un comportamento meccanico scadente e sensibile al disturbo perché i legami tendono a spezzarsi (dal punto di vista ingegneristico avere a che fare con questo tipo di materiali è un problema, perché sono molto deformabili e tendono a rigonfiare in presenza di acqua). Il comportamento dei minerali argillosi è fortemente condizionato dalla loro interazione con il fluido interstiziale, che in genere è acqua. Le unità fondamentali, tetraedri e ottaedri b)

a)

e

e

= ossigeno

= sil icio

b)

a)

e

= ossidrili

= alluminio, magnesio

Figura 1.5 – Struttura delle particelle colloidali: unità elementari tetraedriche e ottaedriche (a) e loro combinazione in pacchetti elementari (b).

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che costituiscono i minerali argillosi, pur essendo complessivamente neutri, hanno carica positiva all’interno e negativa sulla superficie esterna. Questa caratteristica le porta a stabilire legami molto forti con le molecole d’acqua che, essendo dipolari (poiché, com’è noto, i due atomi di idrogeno, che hanno carica positiva, non sono disposti simmetricamente rispetto all’atomo di ossigeno, carico negativamente), sono attratte elettricamente verso la superficie delle particelle di argilla. Acqua adsorb ita H H L’acqua che si trova immediaO tamente a contatto con le particelle diventa perciò parte integrante della loro struttura ed è definita “acqua adsorbita” (Figura 1.6). Allontanandosi dalla superficie delle particelle Cristallo di m ontmorillonite (100x1 nm) C ristallo di caolinite (1000x100nm) i legami diventano via via più deboli, finché l’acqua assume Figura 1.6 – Spessore dell’acqua adsorbita per differenti mi- le caratteristiche di “acqua libera” o “acqua interstiziale” nerali argillosi (Figura 1.7). È da notare che lo spessore di acqua adsorbita è approssimativamente lo stesso per tutti i minerali argillosi, ma a causa delle differenti dimensioni delle particelle, il comportamento meccanico dell’insieme risulta molto diverso. +

+

-

PARTICELLA

molecole d’acqua ANDAMENTO DELLA FORZA DI ATTRAZIONE TRA PARTICELLA PARTICELLAEEMOLECOLE MOLECOLE TRA D’D’ACQUA ACQUA

0

5

10

15

20

25

30

35

Distanza dalla superficie della particella (in micron)

acqua acqua pellicolare adsorbita acqua di ritenzione

acqua gravifica

Figura 1.7 – Schema dell’interazione tra particelle d’argilla e molecole d’acqua

Anche tenendo conto della presenza dell’acqua adsorbita, le particelle di argilla risultano cariche negativamente in superficie e tendono a manifestare forze di repulsione, alle quali si sommano forze di tipo attrattivo (Van der Walls), legate alla struttura atomica del mate7 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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riale. Questo fa sì che l’ambiente circostante riesca a condizionare la forma e la geometria strutturale delle argille: in particolare, se le particelle sono circondate da un fluido con elevata concentrazione di ioni positivi (p. es. in ambiente marino), le cariche negative superficiali esterne tenderanno a neutralizzarsi e quindi l’effetto di repulsione sarà minore e le particelle tenderanno ad aggregarsi in strutture più chiuse; al contrario, in un ambiente povero di ioni positivi (p. es. in acqua dolce) tenderanno a prevalere le forze di repulsione e si avranno strutture più aperte (o disperse). A conclusione di quanto sopra detto, va anche evidenziato che, mentre nei terreni a grana grossa i grani sono necessariamente a contatto tra loro e formano un vero e proprio “scheletro solido”, nei terreni a grana fine le particelle possono anche essere non in diretto contatto tra loro, pur conservando il materiale caratteristiche di continuità.

1.3 Relazioni tra le fasi e proprietà indici Un terreno è, come già detto, un sistema multifase, costituito da uno scheletro formato da particelle solide e da una serie di vuoti, che possono essere a loro volta riempiti di liquido (generalmente acqua) e/o gas (generalmente aria e vapor d’acqua) (Figura 1.8a). Facendo riferimento ad un certo volume di terreno e immaginando per comodità di esposizione di separare le tre fasi (Figura 1.8b), e indicati con: Vs = volume del solido (inclusa l’H2O adsorbita) VW = volume dell’acqua (libera) VG = volume del gas VV = volume dei vuoti (VW+VG) V = volume totale (VS+VW+VG) PW = peso dell’acqua PS = peso del solido P = peso totale (PW +PS) si possono stabilire delle relazioni quantitative tra pesi e volumi. a)

b)

Gas

P

VG V V

PW

Acqua

VW

PS

Particelle solide

VS

V

Figura 1.8 – Rappresentazione del terreno come materiale multifase (a) e relazione tra le fasi (b)

In particolare si definiscono: V v ⋅ 100 V (n=0% solido continuo, n =100% non vi è materia solida)

1. porosità:

n (%) =

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(Eq. 1.2)

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Vv Vs V v= Vs e=

2. indice dei vuoti: 3. volume specifico:

(Eq. 1.3) (Eq. 1.4)

Tra le tre grandezze sopra definite, è più comodo utilizzare v ed e rispetto ad n perché, per i primi due, al variare del volume dei vuoti, varia solo il numeratore del rapporto. Comunque n, e e v esprimono lo stesso concetto e sono biunivocamente legate tra loro: (n / 100) e= v = 1+ e; 1 − (n / 100) Vw S r (%) = ⋅ 100 4. grado di saturazione: (Eq. 1.5) Vv (Sr=0% terreno asciutto, Sr=100% terreno saturo) P w (%) = w ⋅ 100 (Eq. 1.6) 5. contenuto d’acqua: Ps P γs = s 6. peso specifico dei costituenti solidi: (Eq. 1.7) Vs P γ= 7. peso di volume: (Eq. 1.8) V P γd = s V 8. peso di volume del terreno secco: (Eq. 1.9) P (ovvero per S r = 0) V P γ sat = V (Eq. 1.10) 9. peso di volume saturo: (per S r = 100 %)

γ ' = γ sat − γ w

10. peso di volume immerso:

(Eq. 1.11)

dove γw è il peso specifico dell’acqua (9.81 kN/m ). Il peso di volume γ può assumere valori compresi tra γd, peso di volume secco (per Sr = 0%) e γsat, peso di volume saturo (per Sr =100%). Spesso si utilizza la grandezza adimensionale Gs = γs/γw (gravità specifica), che rappresenta il peso specifico dei costituenti solidi normalizzato rispetto al peso specifico dell’acqua. Si osservi che mentre le grandezze n (porosità) ed Sr (grado di saturazione) hanno, espresse in %, un campo di esistenza compreso tra 0 e 100, il contenuto d’acqua, w, può assumere valori anche superiori a 100%. 3

11. densità relativa:

D r (%) =

e max − e ⋅100 e max − e min

(Eq. 1.12)

dove e è l’indice dei vuoti allo stato naturale, emax ed emin sono rispettivamente gli indici dei vuoti corrispondenti al minimo e al massimo stato di addensamento convenzionali, determinati sperimentalmente mediante una procedura standard.

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La densità relativa rappresenta un parametro importante per i terreni a grana grossa in quanto permette di definirne lo stato di addensamento; può variare tra 0 e 100%, e la differenza che compare al denominatore è una caratteristica del terreno, mentre il numeratore dipende dallo stato in cui il terreno si trova. Con un mezzo ideale costituito da particelle sferiche di ugual diametro si ha un assetto che corrisponde al massimo indice dei vuoti (reticolo cubico, Figura 1.9a) e un assetto che corrisponde al minimo (reticolo tetraedrico, Figura 1.9b). Nel caso di reticolo cubico si ha n ≅ 46%, nel caso di reticolo tetraedrico si a) b) ha n ≅ 26%. Ovviamente per un terreno reale, in cui le particelle hanno forma irregolare e Figura 1.9 – Reticolo cubico (a) e tetraedrico (b) dimensioni variabili, la porosità massima può essere maggiore del 46%, e la porosità minima può essere inferiore al 26%. I valori tipici di alcune delle proprietà sopra definite sono riportati nelle tabelle 1.2 e 1.3. Tabella 1.2. Valori tipici di alcuni parametri del terreno

GHIAIA SABBIA LIMO ARGILLA TORBA

n (%)

e

25-40 25-50 35-50 30-70 75-95

0.3-0.7 0.3-1.0 0.5-1.0 0.4-2.3 3.0-19.0

γd (kN/m3) 14-21 13-18 13-19 7-18 1-5

γ (kN/m3) 18-23 16-21 16-21 14-21 10-13

Tabella 1.3. Valori tipici del peso specifico dei costituenti solidi di alcuni materiali

γs (kN/m3) 26 26.3-26.7 23.9-28.6 23

SABBIA QUARZOSA LIMI ARGILLE BENTONITE

1.3.1 Determinazione del contenuto d’acqua

La determinazione sperimentale di w è piuttosto semplice ed è basata su misure di peso. Operativamente, si mette una certa quantità di terreno, di cui si vuole determinare il contenuto in acqua, w, in un recipiente di peso noto (pari a T) e si pesa il tutto (P1). Per ottenere l’evaporazione di tutta l’acqua libera, si pone poi il contenitore con il terreno in forno a essiccare (a 105° per 1÷2 giorni a seconda della quantità e del tipo di materiale) e si ripesa nuovamente (P2). A questo punto si può ricavare w. La differenza tra le due pesate (P1-P2) rappresenta il peso dell’acqua, PW, mentre il peso del solido è dato dalla differenza tra P2 e T, ossia:

w=

Pw P − P2 ⋅100 = 1 ⋅100 Ps P2 − T

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Valori tipici di w variano tra il 20% al 30% (massimo) per un terreno sabbioso, tra il 10% e il 15% per argille molto dure, tra il 70% e l’80% per argille molli, anche se, teoricamente, come già osservato, può assumere valori superiori al 100%. Tra le proprietà sopra definite, quelle che risultano indipendenti dalla storia tensionale e dalle condizioni ambientali che caratterizzano il terreno allo stato naturale, vengono dette proprietà indici. Tra le proprietà indici possono essere annoverate anche la granulometria e i limiti di Atterberg, che verranno definite nei paragrafi seguenti.

1.4 Composizione granulometrica Il comportamento dei terreni a grana grossa è, come già osservato, marcatamente influenzato dalle dimensioni dei grani e dalla distribuzione percentuale di tali dimensioni, ovvero dalla granulometria. Per ottenere queste informazioni si ricorre alla cosiddetta analisi granulometrica, che consiste nella determinazione della distribuzione percentuale del diametro dei granuli presenti nel terreno. L’analisi granulometrica viene eseguita mediante due tecniche: 1. setacciatura per la frazione grossolana (diametro dei grani maggiore di 0.074 mm) 2. sedimentazione per la frazione fine (diametro dei grani minore di 0.074 mm) La setacciatura viene eseguita utilizzando una serie di setacci (a maglia quadrata) e/o crivelli (con fori circolari) con aperture di diverse dimensioni (la scelta delle dimensioni delle maglie va fatta in relazione al tipo di terreno da analizzare). I setacci vengono disposti uno sull’altro, con apertura delle maglie decrescente verso il basso. Una buona curva granulometrica può essere ottenuta scegliendo opportunamente la successione dei setacci: ad esempio ogni setaccio potrebbe avere apertura delle maglie pari a circa la metà di quello sovrastante (esistono anche indicazioni di varie associazioni tecnico-scientifiche, ad es. dell’Associazione Geotecnica Italiana). Nella Tabella 1.4 sono riportate le sigle Tabella 1.4 – Sigla ASTM e diametri equivalenti ASTM (American Society Standard Madei setacci impiegati per l’analisi granulometrica terial) e l’apertura delle maglie corrispondente (diametri equivalenti) per i seApertura delle maglie, D N. ASTM tacci che vengono normalmente impiega[mm] ti nella setacciatura. Il setaccio più fine 4 4.76 che viene generalmente usato nell’analisi 6 3.36 granulometrica ha un’apertura delle ma8 2.38 glie di 0.074 mm (setaccio n. 200 10 2.00 ASTM); al di sotto dell’ultimo setaccio 12 1.68 viene generalmente posto un raccoglito16 1.19 re. Il materiale viene prima essiccato, pe20 0.840 stato in un mortaio, pesato e disposto sul 30 0.590 setaccio superiore. Tutta la pila viene poi 40 0.420 fatta vibrare (con agitazione manuale o 50 0.297 meccanica), in modo da favorire il pas60 0.250 saggio del materiale dalle maglie dei vari 70 0.210 setacci. Per i terreni più fini si ricorre an100 0.149 che all’uso di acqua (in tal caso si parla 140 0.105 di setacciatura per via umida). 200 0.074 11 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 1

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Alla fine dell’agitazione, da ciascun setaccio sarà passato il materiale con diametro inferiore a quello dell’apertura delle relative maglie. La percentuale di passante al setaccio iesimo, Pdi , può essere determinata pesando la quantità di materiale depositata su ciascun setaccio al di sopra di quello considerato, Pk (con k = 1,...i), mediante la formula che segue: i

Pdi =

PT − ∑ Pk k =1

PT

⋅100

dove PT è il peso totale del campione di materiale esaminato. I risultati dell’analisi granulometrica vengono riportati in un diagramma semilogaritmico (per permettere una buona rappresentazione anche quando l’intervallo di variazione dei diametri è molto esteso), con il diametro (equivalente), D, dei setacci in ascissa e la percentuale di passante in ordinata (curva granulometrica) (Figura 1.10).

Figura 1.10 – Curve granulometriche tipiche per i terreni

Per i diametri minori di 0.074 mm, cioè per il materiale raccolto sul fondo, si ricorre all’analisi per sedimentazione. Si tratta di una procedura basata sulla misura della densità di una sospensione, ottenuta miscelando il materiale all’acqua con l’aggiunta di sostanze disperdenti per favorire la separazione delle particelle, la cui interpretazione viene fatta impiegando la legge di Stokes, che lega la velocità di sedimentazione di una particella in sospensione al diametro della particella e alla densità della miscela. Eseguendo misure di densità a diversi intervalli di tempo e conoscendo il peso specifico dei grani è possibile ricavare il diametro e la percentuale in peso delle particelle rimaste in sospensione e quindi aventi diametro inferiore a quelle sedimentate. Utilizzando questi dati è così possibile completare la curva granulometrica. In pratica quella che si ottiene è una curva cumulativa. La forma della curva è indicativa della distribuzione granulometrica: più la curva è distesa, più la granulometria è assortita. L’andamento della curva viene descritto sinteticamente mediante due parametri (che, come vedremo più avanti, vengono impiegati per classificare i terreni). Indicando con Dx il diametro corrispondente all’x % di materiale passante (Figura 1.10), si definiscono: 12 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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D 60 (Eq. 1.13) D10 (U ≥ 1, più è basso più il terreno è uniforme, Figura 1.10) 2 D 30 C= (Eq. 1.14) coefficiente di curvatura: D 60 ⋅ D10 (C esterno all’intervallo 1÷3 indica mancanza di diametri di certe dimensioni ovvero bruschi cambiamenti di pendenza della curva granulometrica, Figura 1.10) U=

coefficiente di uniformità:

1.5 Limiti di Atterberg (o limiti di consistenza)

CONTENUTO D’ACQUA

DIMINUZIONE DEL

Come già osservato, il comportamento dei terreni a grana fine è marcatamente influenzato dall’interazione delle particelle di argilla con il fluido interstiziale (acqua), strettamente legata alla loro composizione mineralogica. Così, per questo tipo di terreni, è importante non solo conoscere la quantità di acqua contenuta allo stato naturale, ma anche confrontare questo valore con quelli corrispondenti ai limiti di separazione tra stati fisici particolari (in modo analogo a quanto si fa confrontando l’indice dei vuoti naturale con emax ed emin per i terreni a grana grossa). Nei terreni argillosi si osserva infatti una variazione dello stato fisico, al variare del contenuto d’acqua. In particolare, se il contenuto d’acqua di una sospensione argillosa densa è ridotto gradualmente, la miscela acqua-argilla passa dallo stato liquido, ad uno stato plastico (dove il materiale acquisisce sufficiente rigidezza da deformarsi in maniera continua), ad uno stato semisolido (in cui il materiale comincia a presentare fessurazioni) e infine ad uno stato solido (in cui il terreno non subisce ulteriori diminuzioni di volume al diminuire del contenuto d’acqua). Poiché il contenuto d’acqua corrispondente al passaggio da uno stato all’altro varia da un tipo di argilla da un altro, la conoscenza di questi valori può essere utile nella classificazione ed identificazione dei terreni a grana fine. Tuttavia il passaggio da uno stato all’altro non è istantaneo, ma avviene gradualmente all’interno di un range di valori del contenuto d’acqua. Sono stati perciò stabiliti dei criteri convenzionali (Atterberg, 1911) per individuare le condizioni di passaggio tra i vari stati di consistenza. I contenuti d’acqua corrispondenti alle condizioni di passaggio, “convenzionali”, tra i vari stati, sono definiti limiti di Atterberg e variano, in generale, da un tipo di argilla ad un altro. Lo schema relativo ai 4 possibili stati fisici e i corrispondenti limiti di Atterberg sono riportati in Figura 1.11 Si individuano, in particolare, il limite liquido (o di liquidità), wL, nel passaggio tra lo stato liquido e lo stato plastico, il limite miscela fluida w plastico (o di plasticità), wp, tra terra-acqua LIQUIDO lo stato plastico e lo stato seLIMITE LIQUIDO, wL misolido (o solido con ritiro), PLASTICO LIMITE PLASTICO, wP il limite di ritiro, tra lo stato SEMISOLIDO semisolido e lo stato solido (o LIMITE DI RITIRO, wS solido senza ritiro), ws. SOLIDO terreno secco

Ciascuno dei 3 limiti può essere determinato in laboratorio mediante un’opportuna procedura standardizzata. Figura 1.11 – Stati fisici del terreno e limiti di Atterberg 13 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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1.5.1 Determinazione del limite liquido

Il limite liquido, wL, si determina in laboratorio con il cucchiaio di Casagrande (Figura 1.12a). Un prefissato volume di terreno, prelevato dal passante al setaccio n. 40 (0.42 mm), viene mescolato con acqua distillata fino ad ottenere una pastella omogenea. L’impasto viene successivamente diUtensile a) sposto nel cucchiaio, spianandone la All’inizio Cucchiaio superficie e praticando poi nella zona centrale, con un’apposita spatola, un solco di 2 mm di larghezza e 8 mm di Al termine 10 mm altezza. Con un dispositivo a manoBase 8 mm vella, il cucchiaio viene quindi la2 mm sciato cadere ripetutamente, a intervalli di tempo regolari, da un’altezza prefissata su una base di materiale standardizzato e vengono contati i b) colpi necessari a far richiudere il sol49 co per una lunghezza di 13 mm. Vie48 w ne poi prelevato un po’ di materiale 47 dal cucchiaio e determinato su questo 46 il valore del contenuto d’acqua. La procedura viene ripetuta più volte 25 variando la quantità di acqua 50 1 20 30 40 10 5 Numero di colpi nell’impasto, in modo da ottenere Figura 1.12 – Cucchiaio di Casagrande (a) e proce- una serie di coppie (4 o 5) di valori, dura sperimentale per la determinazione del limite li- numero di colpi-contenuto d’acqua. I valori del contenuto d'acqua in funquido (b). zione del numero di colpi vengono poi riportati in un diagramma semilogaritmico, figura 1.12b, e interpolati linearmente: il contenuto d’acqua corrispondente a 25 colpi rappresenta convenzionalmente il limite liquido, wL. L

1.5.2 Determinazione del limite plastico

Il limite plastico, wp, è il contenuto d’acqua in corrispondenza del quale il terreno inizia a perdere il suo comportamento plastico. Si determina in laboratorio impastando una certa quantità di terreno passante al setaccio n. 40 (0.42 mm) con acqua distillata e formando manualmente dei bastoncini di 3.2 mm (1/8 in.) di diametro. Quando questi cilindretti, che vengono fatti rotolare continuamente su una lastra di materiale poroso (in modo da perdere progressivamente acqua), iniziano a fessurarsi (Figura 1.13), si determina il contenuto ≅ 3.2 mm d’acqua e questo rappresenta il limite plastico, wP. Generalmente si fanno 3 determinazioni e Figura 1.13 – Determinazione sperimentale si assume come wP il valor medio. del limite plastico

14 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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1.5.3 Determinazione del limite di ritiro

volume

Il limite di ritiro, wS, che ha un interesse molto limitato per le applicazioni in ingegneria civile e non viene di norma determinato, è il contenuto d’acqua al di sotto del quale una ulteriore perdita di acqua da parte del terreno non comporta nessuna variazione di volume; pertanto, a differenza degli altri due limiti, non è un vawS contenuto d’acqua lore convenzionale, legato alla procedura di determinazione, ma ha un preciso significato Figura 1.14 – Determinazione sperimentale fisico. Si determina in laboratorio su un provino indisturbato che viene essiccato per passi del limite di ritiro successivi, misurando ad ogni passaggio il volume e il contenuto d’acqua. I valori del volume vengono riportati in un grafico in funzione del contenuto d’acqua (Figura 1.14) e wS è definito come il contenuto d’acqua corrispondente al punto di intersezione tra le tangenti alla parte iniziale e finale della curva ottenuta interpolando i punti sperimentali.

1.6 Indici di consistenza Si definisce indice di plasticità, IP, l’ampiezza dell’intervallo di contenuto d’acqua in cui il terreno rimane allo stato plastico, ovvero: IP (%) = wL -wP (Eq. 1.15) Tale indice dipende dalla percentuale e dal tipo di argilla e dalla natura dei cationi adsorbiti. Per ogni materiale, l’indice di plasticità cresce linearmente in funzione della percentuale di argilla presente, con pendenza diversa in relazione al tipo di minerali argillosi presenti (Figura 1.15). La pendenza di questa retta è definita indice di attività: IP (Eq. 1.16) CF dove CF = % in peso con diametro d < 0.002 mm. Sulla base dei valori assunti da questo indice i terreni possono essere classificati inattivi, normalmente attivi, attivi. Considerando oltre ai limiti di consistenza, anche il contenuto naturale d’acqua, si possono definire l’ indice di liquidità: w − wP IL = (Eq. 1.17) IP Ia =

IP

Ia= 1.25

Attivi

Normalmente Ia= 0.75 attivi

Inattivi

CF e l’indice di consistenza Figura 1.15 – Indice di attività delle argille wL − w IC = = 1 − IL (Eq. 1.18) IP L’indice di consistenza, oltre ad indicare lo stato fisico in cui si trova il terreno, fornisce informazioni qualitative sulle sue caratteristiche meccaniche; all’aumentare di IC aumenta la resistenza al taglio del terreno e si riduce la sua compressibilità (da notare anche 15 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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l’analogia tra IC per terreni a grana fine e Dr per i terreni a grana grossa). Una suddivisione dei terreni basata sui valori dell’indice di plasticità e dell’indice di consistenza è riportata nelle Tabelle 1.5 e 1.6 rispettivamente, mentre nella Tabella 1.7 sono riportati i valori tipici di wL, wP e IP dei principali minerali argillosi. Tabella 1.5 - Suddivisione dei terreni basata sui valori dell’indice di plasticità

TERRENO NON PLASTICO POCO PLASTICO PLASTICO MOLTO PLASTICO

IP 0-5 5 - 15 15 - 40 > 40

Tabella 1.6 - Suddivisione dei terreni basata sui valori dell’indice di consistenza

CONSISTENZA

IC

1

FLUIDA FLUIDO-PLASTICA MOLLE-PLASTICA PLASTICA SOLIDO-PLASTICA SEMISOLIDA (W > WS) O SOLIDA (W < WS)

Tabella 1.7 - Valori tipici di WL, WP e IP dei principali minerali argillosi

MINERALE ARGILLOSO

wL (%)

wP (%)

IP (%)

MONTMORILLONITE ILLITE CAOLINITE

300-700 95-120 40-60

55-100 45-60 30-40

200-650 50-65 10-25

1.7 Sistemi di classificazione I sistemi di classificazione sono una sorta di linguaggio di comunicazione convenzionale per identificare attraverso un nome (o una sigla) il tipo di materiale, in modo da fornirne indirettamente, almeno a livello qualitativo, delle indicazioni sul comportamento. In pratica, individuano alcuni parametri significativi e distintivi dei vari tipi di terreno in modo da poterli raggruppare in classi e stabilire così dei criteri universali, convenzionali, di riconoscimento. Data l’estrema variabilità dei terreni naturali e le diverse possibili finalità ingegneristiche, non è pensabile di poter creare un unico sistema di classificazione. Per questo motivo, si sono sviluppati nel tempo diversi sistemi di classificazione, che possono essere utilizzati per scopi e finalità diversi. Tuttavia, alcuni aspetti fondamentali accomunano i diversi sistemi di classificazione nella scelta delle proprietà di riferimento. In particolare tali proprietà: - devono essere significative e facilmente misurabili mediante procedure standardizzate; - non devono essere riferite ad uno stato particolare, ossia devono essere indipendenti dalla storia del materiale, dalle condizioni di sollecitazione o da altre condizioni al contorno. Per quanto visto fino ad ora, i parametri che possiedono queste caratteristiche sono quelli precedentemente definiti proprietà indici, e riguardano la composizione granulometrica e 16 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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la composizione mineralogica. I sistemi di classificazione più vecchi sono basati unicamente sulla granulometria e perciò sono significativi solo per i materiali a grana grossa (ghiaie e sabbie). Tra questi, i più comunemente usati sono riportati in Tabella 1.8. Tabella 1.8. Alcuni sistemi di classificazione basati sulla granulometria

SISTEMA

MIT AASHO AGI

Ghiaia

Sabbia

2 2 2 mm

Limo

0.06 0.075 0.02 mm

Argilla

0.002 0.002 0.002 mm

Essendo i terreni una miscela di grani di diverse dimensioni, una volta determinate le frazioni in peso relative a ciascuna classe, il materiale può essere identificato utilizzando i termini delle varie classi come sostantivi o aggettivi, nel modo seguente: I termine: nome della frazione granulometrica prevalente II termine: nomi delle eventuali frazioni maggiori del 25%, precedute dal prefisso con III termine: nomi delle eventuali frazioni comprese tra il 15% e il 25%, con il suffisso oso IV termine: nomi delle eventuali frazioni minori del 15%, con il suffisso oso, precedute dal prefisso debolmente. Se ad esempio da un’analisi granulometrica risulta che un terreno è costituito dal 60% di limo, dal 30% di sabbia e dal 10% di argilla, esso verrà denominato limo con sabbia debolmente argilloso. Una classificazione che tiene conto solo della granulometria non è tuttavia sufficiente nel caso di limi e argille, il cui comportamento è legato soprattutto alla composizione mineralogica. Per questo tipo di terreni si può ricorrere ad esempio al sistema di classificazione proposto da Casagrande (1948). Tale sistema è basato sui limiti di Atterberg ed è riassunto in un diagramma (noto come “carta di plasticità di Casagrande”) (Figura 1.16) nel quale si individuano sei zone, e quindi sei classi di terreno, in funzione del limite liquido (riportato in ascissa) e dell’indice di plasticità (riportato in ordinata). La suddivisione è rappresentata dalla retta A di equazione: IP = 0.73 (wL-20) (Eq. 1.19) e da due linee verticali in corrispondenza di wL = 30 e wL = 50. Le classi che si trovano sopra la retta A includono le argille inorganiche, quelle sotto la retta A i limi e i terreni organici (a titolo informativo va detto che la presenza di materiale organico in un terreno può essere rilevata attraverso la determinazione del limite liquido prima e dopo l’essiccamento. L’essiccamento provoca infatti nei materiali organici dei processi irreversibili con riduzione di wL; se tale riduzione è maggiore del 75%, il materiale viene ritenuto organico). Esistono poi sistemi che, facendo riferimento sia alla caratteristiche granulometriche sia a quelle mineralogiche, possono essere utilizzati per la classificazione di qualunque tipo di terreno. In particolare, i due sistemi più comunemente utilizzati e che verranno brevemente descritti nel seguito sono il sistema USCS e il sistema HRB (AASHTO, CNR_UNI 10006).

17 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

60

wL = 50 %

Indice di plasticità, PI (%)

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0) -2

6

1.7.1 Sistema USCS

wL = 30 %

Il sistema USCS (Unified Soil Classification System), sviluppato originariamente da Casa5 4 grande e successivamente modificato negli 20 USA, è il sistema più utilizzato per classificare i 3 terreni di fondazione. 2 1 0 Secondo tale sistema, i terreni vengono suddivisi 60 80 100 20 40 in cinque gruppi principali, due a grana grossa Limite di liquidità, w (%) (con percentuale passante al setaccio 200 minore del 50%), ghiaie (simbolo G) e sabbie (simbolo 1 Limi inorganici di bassa compressibilità S), tre a grana fine (con percentuale passante al 2 Limi inorganici di media compressibilità e limi organici setaccio 200 maggiore del 50%), limi (simbolo 3 Limi inorganici di alta compressibilità M), argille (simbolo C) e terreni organici (sime argille organiche 4 Argille inorganiche di bassa plasticità bolo O). Ciascun gruppo è a sua volta suddiviso 5 Argille inorganiche di media plasticità in sottogruppi, in relazione ad alcune proprietà 6 Argille inorganiche di alta plasticità indici, secondo quanto indicato nello schema di Figura 1.16 – Carta di plasticità di Casa- Figura 1.17. In particolare i terreni a grana grossa vengono grande classificati sulla base dei risultati dell’analisi granulometrica in ghiaie (G) e sabbie (S) a seconda che la percentuale passante al setaccio N.4 sia rispettivamente minore o maggiore del 50%. Quindi viene analizzata la componente fine del materiale (passante al setaccio N.200): 1) se essa risulta minore del 5% allora si considera solo l’assortimento del materiale sulla base dei valori del coefficiente di uniformità, U, e di curvatura, C (se U>4 e 1 10-6 m/s.

hm > d/4

d > 10-15 diametro massimo dei granuli

H > 7 hm

Figura 4.14 – Schema della prova in pozzetto superficiale

In particolare, nel caso di pozzetto circolare valgono le seguenti relazioni: 1 q ⋅ per prova a carico costante k= d ⋅ hm π d h1 − h2 1 k= ⋅ ⋅ per prova a carico variabile 32 t2 − t1 hm

(Eq. 4.33) (Eq. 4.34)

mentre nel caso di pozzetto a base quadrata: q 1 k= 2⋅ per prova a carico costante (Eq. 4.35) b 27 ⋅ hm + 3 b h 1+ 2 ⋅ m h1 − h2 b per prova a carico variabile k= ⋅ (Eq. 4.36) h t2 − t1 27 ⋅ m + 3 b Nelle Equazioni da (4.33) a (4.36), h1 e h2 sono le altezze dell’acqua nel pozzetto rispettivamente agli istanti t1 e t2, e hm = (h1 + h2)/2 è l’altezza media.

62 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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4.7.2 Prove in foro di sondaggio Le prove in foro di sondaggio possono essere eseguite a varie profondità durante la perforazione, oppure a fine foro, sul tratto terminale e forniscono generalmente un valore puntuale della permeabilità, limitatamente alla verticale esplorata e alle profondità considerate. Le pareti del foro devono essere rivestite con una tubazione fino alla profondità a cui si vuole effettuare la misura di permeabilità (Figura 4.15a). Nei terreni che tendono a franare o a rifluire il tratto di prova viene riempito di materiale filtrante e isolato mediante un tampone impermeabile (Figura 4.15b). Il filtro deve avere una granulometria opportuna, in modo da non influenzare il flusso all’interno del materiale di cui si vuole determinare la permeabilità. b)

a)

Tubazione interna

Q

h

Q

Rivestimento esterno

h

h2 h1

h2

h1

Tubo di rivestimento

Tampone impermeabile Filtro

L L D

D

Figura 4.15 – Schema della prova di immissione in foro di sondaggio, a carico variabile o costante, senza filtro (a) e con filtro (b)

In particolare, deve risultare: F60/F10 ≤ 2 (materiale uniforme) e 4D15 ≤ F15 ≤ 4D85 dove Fx sono i diametri del filtro e Dx quelli del terreno indagato. Le prove in foro di sondaggio si suddividono in: di immissione (sopra o sotto falda) −

prove a carico costante 63 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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di emungimento (solo sotto falda) di risalita (solo sotto falda) −

prove a carico variabile di abbassamento (sopra o sotto falda)

Prove a carico costante Nelle prove a carico costante viene misurata, a regime, la portata, emunta o immessa, Q, necessaria a mantenere costante il livello dell’acqua nel foro. Il coefficiente di permeabilità viene ricavato mediante la seguente relazione: Q k= [m/s] (Eq. 4.37) F ⋅h dove Q [m3/s] è la portata, h [m] il livello dell’acqua nel foro (rispetto alla base del foro se la prova è eseguita sopra falda, oppure rispetto al livello di falda se la prova è eseguita sotto falda) ed F [m] un fattore di forma, dipendente dalla forma e dalla geometria della sezione filtrante ed è riportato in Tabella 4.3 in relazione alle geometrie rappresentate in Figura 4.16. Tabella 4.3 – Espressioni del coefficiente di forma F per differenti geometrie della sezione filtrante (per lo schema geometrico vedi Figura 4.16) Geometria della sezione

Coefficiente di forma F

1. Filtro sferico in terreno uniforme 2. Filtro emisferico al tetto di uno strato confinato 3. Fondo filtrante piano al tetto di uno strato confinato 4. Fondo filtrante piano in terreno uniforme

2π ⋅ D π ⋅D

5. Tubo parzialmente riempito al tetto di uno strato confinato

6. Tubo parzialmente riempito in terreno uniforme

2D 2.75 D 2D ⎛ 8 L kh ⎜⎜ 1 + ⋅ ⋅ π D k' v ⎝ 2.75 D

⎞ ⎟⎟ ⎠

⎛ 11 L k ⎜⎜ 1 + ⋅ ⋅ h π D k' v ⎝

⎞ ⎟⎟ ⎠

3π ⋅ L 2⎞ ⎛ 3L ⎛ 3L ⎞ + 1 + ⎜ ⎟ ⎟⎟ ln⎜⎜ ⎜ D ⎝ D⎠ ⎟ ⎝ ⎠ 3π ⋅ L

7. Filtro cilindrico al tetto di uno strato confinato

2 ⎛ L L⎞ ⎛ ln⎜⎜ 1.5 + 1 + ⎜ 1.5 ⎟ D D⎠ ⎜ ⎝ ⎝

8. Filtro cilindrico in terreno uniforme

2π ⋅ L ⎛r ⎞ ln⎜ 0 ⎟ ⎝ r ⎠

9. Filtro cilindrico attraversante uno strato confinato

⎞ ⎟ ⎟⎟ ⎠

64 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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2

1

3

D

D

D

D/2

4

5

6

D D

D L

k’v

L

k

k

7

k’v

9

8

D

D

D r L

0

L

L

Figura 4.16 – Geometrie del fattore di forma per il calcolo del fattore di forma F

Prove a carico variabile Le prove di risalita a carico variabile vengono effettuate prelevando acqua dal foro in modo da abbassarne il livello di una quantità nota e misurando la velocità di risalita; nelle prove di abbassamento viene immessa acqua nel foro in modo da alzarne il livello di una quantità nota e viene misurata la velocità di abbassamento. Il coefficiente di permeabilità viene ricavato mediante la seguente relazione: 65 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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k=

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h A ⋅ ln 1 [m/s] F ⋅ (t 2 − t1 ) h2

(Eq. 4.38)

dove A [m2] è l’area di base del foro, h1 e h2 sono le altezze agli istanti t1 e t2 rispetto al livello della falda o a fondo foro (se si tratta di prove di abbassamento condotte sopra il livello di falda), F [m] è il fattore di forma precedentemente definito (Tabella 4.3). Una stima più attendibile del valore del coefficiente di permeabilità può essere eseguita determinando la media geometrica dei valori ricavati con prove di risalita (kr) e di abbassamento (ka), ovvero k = k r ⋅ k a . Infatti, durante le prove di abbassamento, la frazione più fine del materiale tende ad essere spinta verso il fondo del foro e la spinta idrodinamica tende a comprimere il terreno, facendone diminuire la permeabilità; al contrario, durante le prove di risalita, la frazione più fine del materiale tende ad essere asportata dall’acqua e la spinta idrodinamica tende a decomprimere il terreno, facendone aumentare la permeabilità. Se la permeabilità orizzontale del terreno è diversa da quella verticale (a causa dell’orientamento dei grani nella fase di deposizione il coefficiente di permeabilità orizzontale, kH, risulta generalmente maggiore, anche di un ordine di grandezza, del coefficiente di permeabilità verticale, kV), il coefficiente k ottenuto da prove in foro di sondaggio tende a rappresentare il coefficiente di permeabilità verticale, kV, tanto più è ridotta la lunghezza del tratto filtrante L (Figura 4.16-8) rispetto al diametro del foro, D, fino alla situazione limite di sezione piana, L=0 (Figura 4.16-4). Mentre per valori di L/D sufficientemente grandi (L/D ≥ 1.2) si assume che il coefficiente di permeabilità misurato sia quello orizzontale, kH. Per situazioni intermedie (0 ≤ L/D ≤ 1.2) si assume che venga misurato un coefficiente di permeabilità medio k medio = k H ⋅ kV . 4.7.3 Prove di pompaggio Le prove di pompaggio vengono eseguite in terreni con permeabilità medio-alta, al di sotto del livello di falda. Consistono nell’abbassare il livello della falda all’interno di un pozzo, opportunamente realizzato, e nel rilevare in corrispondenza di un certo numero di verticali, strumentate con piezometri, l’abbassamento una volta raggiunto un regime di flusso stazionario (Figura 4.17). Nella fase di emungimento la velocità di abbassamento del livello diminuisce all’aumentare del volume di terreno interessato dal flusso, fino ad un valore prossimo alla stabilizzazione (regime pseudo-stazionario) se la falda non è alimentata e si stabilizza se la falda è alimentata. Il raggio di influenza è tanto maggiore quanto maggiore è la permeabilità. Per una corretta interpretazione della prova è necessario conoscere con buona approssimazione la stratigrafia, l’estensione dell’acquifero e le condizioni iniziali della falda, che quindi vanno preventivamente ricavati mediante apposite indagini in sito. Il pozzo principale, che viene utilizzato per l’emungimento, ha un diametro D compreso generalmente tra i 200 e i 400 mm; intorno ad esso, nella zona di depressione della falda (a causa dell’andamento caratteristico della superficie piezometrica si parla anche di “cono di depressione”) vengono disposti una serie di piezometri il cui numero dipende dalla eterogeneità del terreno. 66 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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a)

Piezometri di controllo

Pozzo

b)

Q

s

s

h

h

Livello piezometrico iniziale

2

1

h r

2

1

1

r

2

Acquifero confinato

b

Linee di flusso c)

Pompa sommersa

Superfici equipotenziali

Piezometri di controllo

Pozzo

Q

s

s

h

h

Livello piezometrico iniziale

2

1

r h

Linee di flusso

1

2

1

r

Acquifero non confinato

2

Pompa sommersa

Superfici equipotenziali

Figura 4.17 – Disposizione in pianta del pozzo e dei piezometri (a) e schema della prova di pompaggio in acquifero confinato (b) e non confinato (c)

Per la realizzazione del pozzo viene disposto all’interno del foro un tubo finestrato, con area delle aperture maggiore del 10% dell’area laterale. Nel tratto di terreno da investigare, l’intercapedine tra tubo e terreno è riempita con un filtro di ghiaietto e sabbia con una opportuna granulometria; nel tratto sovrastante, per evitare l’infiltrazione di acque ester67 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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ne, l’intercapedine è riempita con materiale impermeabilizzante (generalmente argilla o bentonite). Il tipo di piezometri viene scelto in relazione al tipo di terreno; devono essere in numero non inferiore a tre, disposti secondo allineamenti passanti per il pozzo (almeno due allineamenti di cui uno parallelo alla direzione di moto della falda) come mostrato in Figura 4.17a. La distanza tra i piezometri aumenta con legge esponenziale: il primo di ogni allineamento viene posto a qualche metro dal pozzo, l’ultimo al limite della zona di influenza (50÷200 m a seconda della permeabilità del deposito). Come già detto, la prova viene eseguita prelevando acqua dal pozzo mediante un sistema di pompaggio e misurando il livello piezometrico nel pozzo e nei piezometri fino a che non si raggiunge una stabilizzazione. Le letture vengono eseguite a intervalli di tempo via via crescenti (2 min. nelle prime due ore, 5 min. nelle 4 ore successive, 10÷15 min. per il resto della prova, che dura mediamente 24÷36 ore e anche di più per terreni a bassa permeabilità). Le prove di emungimento vengono interpretate tenendo presente che: - nel caso di acquifero confinato (falda artesiana) le linee di flusso sono orizzontali e le superfici equipotenziali sono cilindri concentrici rispetto al pozzo (Figura 4.17b); - nel caso di acquifero non confinato (falda freatica) le linee di flusso (e le superfici equipotenziali) sono curve. In questo caso deve essere posta particolare attenzione alla profondità di installazione dei piezometri, poiché l’altezza di risalita dell’acqua (o comunque la pressione misurata) corrisponde alla pressione interstiziale della superficie equipotenziale passante per il punto di misura. (Figura 4.17c). Soluzioni semplificate forniscono l’espressione del coefficiente di permeabilità rispettivamente per il caso di acquifero confinato (Figura 4.17b) e non confinato (Figura 4.17c): r ln( 2 ) r1 Q (Eq. 4.39) ⋅ k= 2π ⋅ b ( h2 − h1 ) k=

Q

π

ln( ⋅

( h22

r2 ) r1

− h12

(Eq. 4.40) )

Il valore della permeabilità ricavato con questo tipo di prova è un valore medio relativo al volume di terreno interessato dal cono di depressione.

4.8 Pressioni di filtrazione e gradiente idraulico critico Allo scopo di osservare come si modifica il regime delle pressioni (totali, efficaci e interstiziali) in un punto del terreno, passando da una condizione in cui il fluido presente nel terreno è in quiete (regime idrostatico), ad una in cui avviene un moto di filtrazione (supponiamo in regime stazionario), consideriamo uno schema costituito da due recipienti comunicanti, di cui uno contenente solo acqua (serbatoio) e l’altro contenente un campione di sabbia saturo completamente immerso, di altezza h2, con livello dell’acqua sovrastante la superficie superiore del campione di una lunghezza h1 (Figura 4.18). 68 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 4

IDRAULICA DEI TERRENI

In relazione alla posizione relativa del livello dell’acqua nei due recipienti si possono distinguere tre casi:

a) u

A h1 h2

O

B

γ h

w 1

z

P

γ (h + h ) w

1

2

1

γw z

b) u

A h1 h2

h

O

γ h

z

P

w 1

B

γ zi w

γ (h + h - h) w

1

1

2

γw

1

σz = γsat⋅z + γw⋅h1 (Eq. 4.41)

γw z

b) e la pressione dell’acqua (pressione interstiziale): B

u

c)

h

A O P

h1

γ h

u = γw⋅(h1+z)

(Eq. 4.42)

c) per cui la pressione verticale efficace vale:

w 1

z h 2

a) assenza di filtrazione. Se l’acqua si trova allo stesso livello nei due recipienti (Figura 4.18a) non c’è differenza di carico (ossia di energia) tra due punti, A e B, appartenenti alla due superfici libere, per cui l’acqua è in quiete. La pressione verticale totale nel generico punto P, a profondità z dall’estremità superiore del campione, O, sarà data da:

γw z i γ (h + h + h) w

1

z

1

2

σ’z = σz – u = γsat⋅z + (Eq. γw⋅h1 - γw⋅(h1+z) = γ’⋅z 4.43)

1

γw γ w

essendo γ’ = γsat -γw Figura 4.18 – Esempio di assenza di filtrazione (a), filtrazione discendente (b) e ascendente (c) in un campione di sabbia saturo

d) filtrazione discendente. Se il livello dell’acqua nel serbatoio è mantenuto più basso di quello nel recipiente che contiene il campione, di una altezza h, si ha una differenza di carico costante che provoca un moto di filtrazione dal recipiente che contiene il campione verso il serbatoio (da un punto a energia maggiore, A, a un punto a energia minore, B). La pressione verticale totale nel punto P a profondità z dall’estremità superiore del campione, O, sarà data anche in questo caso da (Figura 4.18b):

σz = γsat⋅z + γw⋅h1

(Eq. 4.44) 69

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IDRAULICA DEI TERRENI

La pressione dell’acqua nel punto O, all’estremità superiore del campione, per z=0, è governata dalla quota del pelo libero nel recipiente e vale uz=0 = γw h1, mentre all’estremità inferiore, per z=h2, è governata dalla quota del pelo libero nel serbatoio e vale uz=h2 = γw (h2+h1-h). La pressione dell’acqua all’interno del campione varia linearmente con la profondità e, nel punto P, alla generica profondità z, vale u = γw (h1+z) –γw (h/h2)z. Il rapporto h/h2 è, per definizione, il gradiente idraulico, per cui si può scrivere che nel punto P a profondità z la pressione interstiziale vale: u = γw (h1+z) –γw i z e la pressione efficace: σ’z = σz – u = γsat z + γw h1 – γw (h1+z) +γw i z = (γsat – γw) z – γw i z = γ’ z + γw i z Ovvero, rispetto al caso precedente di assenza di filtrazione, la filtrazione verticale discendente ha prodotto una riduzione della pressione interstiziale, γw i z, ed un eguale aumento di pressione efficace. Il termine γw i z è la pressione di filtrazione. Allo stesso risultato si perviene ragionando in termini di carico piezometrico come descritto nel seguito. Supponendo che la perdita di carico, h, tra i punti A e B appartenenti alle due superfici libere, avvenga interamente nel campione, e che vari linearmente al suo interno, la h perdita di carico nel tratto OP è pari a ⋅z = i⋅z. h2 u u h ) = (z + h 1 ) − = ⋅ z , da cui: Quindi h 0 − h P = h 1 − (−z + γw γ w h2 h u = (z + h 1 ) ⋅ γ w − ⋅ z ⋅ γ w = (z + h 1 ) ⋅ γ w − i ⋅ z ⋅ γ w (Eq. 4.45) h2 La pressione efficace vale in questo caso:

σ’z = σz – u = γsat⋅z + γw⋅h1 - (z + h1)⋅ γw + i⋅z⋅γw = γ’⋅z + i⋅z⋅γw

(Eq. 4.46)

e) filtrazione ascendente. Se il livello dell’acqua nel serbatoio è mantenuto più alto di quello nel recipiente che contiene il campione, di una quantità h, si ha una differenza di carico costante che provoca un moto di filtrazione dal serbatoio verso il recipiente che contiene il campione (Figura 4.18c). La pressione totale nel punto P, a profondità z dall’estremità superiore del campione, O, sarà data anche in questo caso da:

σz = γsat⋅z + γw⋅h1

(Eq. 4.47)

La pressione dell’acqua nel punto O, all’estremità superiore del campione, per z=0, è governata dalla quota del pelo libero nel recipiente e vale uz=0 = γw h1, mentre all’estremità inferiore, per z=h2, è governata dalla quota del pelo libero nel serbatoio e vale uz=h2 = γw (h2+h1+h). La pressione dell’acqua all’interno del campione varia linearmente con la profondità e, nel punto P, alla generica profondità z, vale u = γw (h1+z) +γw (h/h2)z. Il rapporto h/h2 è, per definizione, il gradiente idraulico, per cui si può scrivere che nel punto P a profondità z la pressione interstiziale vale: u = γw (h1+z) +γw i z 70 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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e la pressione efficace: σ’z = σz – u = γsat z + γw h1 – γw (h1+z) - γw i z = (γsat – γw) z – γw i z = γ’ z - γw i z Ovvero, rispetto al caso precedente di assenza di filtrazione, la filtrazione verticale ascendente ha prodotto una aumento della pressione interstiziale, γw i z, ed un eguale riduzione di pressione efficace. Il termine γw i z è la pressione di filtrazione. Allo stesso risultato si perviene ragionando in termini di carico piezometrico come descritto nel seguito. Supponendo che la perdita di carico h, tra i punti B e A appartenenti alle due superfici libere, avvenga interamente nel campione, e che vari linearmente al suo interno, nel h tratto PO, la perdita di carico è pari a ⋅z = i⋅z. h2 u u h Quindi h P − h 0 = (−z + ) − h1 = − (z + h 1 ) = ⋅ z , da cui: γw γw h2 u = (z + h 1 ) ⋅ γ w +

h ⋅ z ⋅ γ w = (z + h 1 ) ⋅ γ w + i ⋅ z ⋅ γ w h2

(Eq. 4.48)

La pressione efficace vale in questo caso:

σ’z = σz – u = γsat⋅z + γw⋅h1 - (z + h1)⋅ γw - i⋅z⋅γw = γ’⋅z - i⋅z⋅γw

(Eq. 4.49)

Le osservazioni precedenti evidenziano che in presenza di filtrazione, in un punto a profondità z, la pressione dell’acqua varia di una quantità pari i⋅z⋅γw, che rappresenta la componente idrodinamica della pressione interstiziale (pressione di filtrazione). Di conseguenza la pressione efficace varia della stessa quantità; nel caso di filtrazione discendente la pressione efficace aumenta, mentre nel caso di filtrazione ascendente la pressione efficace diminuisce rispetto al casi di assenza di filtrazione. In particolare, la pressione effettiva in presenza di filtrazione ascendente è data da σ’z = γ’⋅z - i⋅z⋅γw e si annulla quando il gradiente idraulico è pari a (Eq. 4.50) ic= γ’/γw detto gradiente idraulico critico. In questa condizione, se il terreno è privo legami coesivi, si annullano le forze intergranulari, si annulla la resistenza del terreno e le particelle solide possono essere trasportate dall’acqua in movimento, dando origine ad un fenomeno progressivo di erosione che conduce al collasso della struttura del terreno. Tale fenomeno è noto come instabilità idrodinamica (o sifonamento) ed è quello che può manifestarsi ad esempio nel caso di uno scavo sorretto da un diaframma. (Figura 4.19). È da notare che essendo γ’≅ γw, il valore di ic è prossimo all’unità. Si definisce fattore di sicurezza nei confronti del sifonamento il rapporto tra il gradiente idraulico critico e quello che si ha in esercizio (definito gradiente di efflusso, iE), ossia: (Eq. 4.51)

FS = ic/iE

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p.c.

Essendo il sifonamento un fenomeno improvviso, senza segni premonitori, ed essendo difficile tener conto di fattori quali A l’eterogeneità e l’anisotropia del terreno, si adottano valori alti di FS (generalmente si H impone FS > 4). Nel caso di un diaframma infisso ad una B p.c. profondità D in un mezzo omogeneo, il gradiente di efflusso può essere valutato in prima approssimazione dividendo la perdita D di carico per la lunghezza delle linea di flusso più corta, rappresentata dal percorso di una particella d’acqua in aderenza al diaframma, indicato con A-B in Figura 4.19, Figura 4.19 – Scavo sorretto da un diaframma ovvero, trascurando lo spessore del diaframma ed indicando con H la differenza di carico esistente tra due punti A e B appartenenti alle due superfici libere, si può porre: (Eq. 4.52) iE = H/(H+2D) Per determinare un valore del gradiente di efflusso più aderente alla realtà si può ricorrere a diagrammi disponibili in letteratura per vari casi pratici ricorrenti (Figura 4.20). a)

0.53

b/D c) Gradiente di efflusso iE

Gradiente di efflusso iE

α

b)

h/D

h/D

Figura 4.20 – Gradiente di efflusso, iE, nel caso di uno scavo in un mezzo di spessore infinito (a), nel caso di uno scavo nastriforme in un mezzo di spessore infinito (b), nel caso di uno scavo in un mezzo di spessore limitato (c)

A titolo di esempio, con lo schema di Figura 4.20°, per h/D = 2 e d/D = 1 si ha ie ≅ 0.53. La stima, approssimata per eccesso, ottenuta dall’Equazione (4.52) è: h h/ D 2 ie = = = = 0.66 d + 2D d / D + 2 1 + 2 72 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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p.c.

Un fenomeno analogo al sifonamento, dovuto alle pressioni di filtrazione al piede di un diaframma, è quello D/2 del sollevamento del fondo scavo. Terzaghi ha osservato che il fenomeno di instabilità si estende a tutta la H profondità D di infissione per una H c larghezza pari a D/2 e che E p.c l’andamento delle sovrapressioni interstiziali (ovvero delle pressioni interstiziali in eccesso rispetto alla D pressione idrostatica di valle) è quelD lo riportato in Figura 4.21. In prima approssimazione, cautelativamente, si assume che il valore delA la sovrapressione al piede del diaframma sia costante per una larghezγ H w c za D/2 e pari ad γw ⋅Hc, dove Hc si ricava dall’Eq.(4.52): Figura 4.21 – Distribuzione delle sovrapressioni al ie = H/(H+2D) =Hc/D piede di un diaframma in un mezzo di spessore infinito e quindi: Hc = (H D)/(H+2D). La forza totale di filtrazione che tende a sollevare il cuneo è data da Sw = Hc⋅γw⋅D/2; quando questa uguaglia il peso efficace del cuneo (peso totale del cuneo meno spinta di Archimede), dato da W’ = γ’ D D/2, si raggiungono le condizioni limite di instabilità. Il fattore di sicurezza nei confronti del sollevamento del fondo scavo è definito come rapporto tra il peso efficace del cuneo e la forza di filtrazione che tende a sollevarlo, ossia: (è da osservare che in pratica il rapporto Hc/D rappresenta il gradiente di efflusso nel trat-

W' γ '⋅D ⋅ D / 2 γ '⋅D = = (Eq. 4.53) Sw γ w ⋅ H c ⋅ D / 2 γ w ⋅ H c to infisso, e che quindi l’Eq. 4.53 corrisponde all’Eq. 4.51). Talvolta, nel caso di terreno omogeneo, viene assunto cautelativamente Hc= H/2, invece che Hc= HD/(H+2D), come risulterebbe, sempre in maniera approssimata, dallo schema di Figura 4.21. Per incrementare il valore di FS si possono adottare le seguenti soluzioni: - aumentare la profondità di infissione in modo da ridurre il gradiente di efflusso; - disporre sul fondo dello scavo in adiacenza al diaframma un filtro costituito da materiale di grossa pezzatura in modo da incrementare le tensioni efficaci. In questo caso γ '⋅D 2 / 2 + W FS = (Eq. 4.54) γ w ⋅ Hc ⋅ D / 2 dove W è il peso del filtro; - inserire dei dreni in modo da ridurre le sovrapressioni. Se lo scavo è realizzato in un terreno a grana fine, sovrastante uno strato a permeabilità molto più elevata, nel tempo che intercorre tra la realizzazione dello scavo e l’instaurarsi del moto di filtrazione, occorre ragionare in termini di pressioni totali: se la forza risultante delle pressioni idrostatiche iniziali alla base del cuneo supera il peso totale del cuneo FS =

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può verificarsi il sollevamento. In questo caso il fattore di sicurezza è definito mediante il rapporto tra la pressione verticale totale e la pressione interstiziale all’intradosso dello strato di argilla a valle (Figura 4.22): γ ⋅D FS = (Eq. 4.55) γ w ⋅ Hw p.c. Sabbia

H

w

Argilla NC

D γ

w

H

w

Sabbia

Figura 4.22 - Scavo realizzato in un terreno a grana fine, sovrastante uno strato a permeabilità molto più elevata

4.9 Considerazioni conclusive Per affrontare e risolvere i problemi di ingegneria geotecnica si utilizzano modelli semplificati del sottosuolo, costituiti da strati di terreno omogenei, con superfici di confine ben definite, cui vengono attribuite proprietà geotecniche medie o caratteristiche. La geometria e le proprietà fisiche, idrauliche e meccaniche dei diversi strati di terreno sono stimate in base ai risultati di indagini geotecniche in sito e di laboratorio. Come vedremo nei capitoli successivi, le indagini geotecniche hanno limiti e incertezze, dovuti alla rappresentatività del campione statistico, alla variabilità intrinseca delle proprietà dei terreni, alla impossibilità di riprodurre in laboratorio le reali condizioni in sito, alle incertezze nelle procedure di trasformazione dei risultati sperimentali in proprietà geotecniche, etc.. Pertanto il modello di sottosuolo utilizzato per il calcolo è solo uno schema semplificato della realtà fisica, sia per quanto riguarda la geometria sia per quanto riguarda le proprietà geotecniche attribuite ai singoli strati. Le incertezze del modello hanno effetti molto diversi a seconda del problema geotecnico. In alcuni di essi, anche scarti considerevoli dei valori reali di una proprietà geotecnica dal valore medio stimato ed assunto per il calcolo, hanno modesti effetti sul risultato (ad esempio, la stima della capacità portante e dei cedimenti di una fondazione, o anche la stima della spinta del terreno su un’opera di sostegno). Ma nei problemi di idraulica del terreno, ove è necessario considerare la filtrazione dell’acqua e la distribuzione delle pressioni interstiziali nello spazio e nel tempo, anche dettagli geologici minimi, apparentemente insignificanti e di difficile individuazione con le usuali tecniche di indagine, possono avere un’influenza decisiva, per cui l’uso di un modello semplificato di sottosuolo, che trascuri tali dettagli, può condurre a risultati decisamente errati. Si consideri, ad esempio, una palancola a sostegno di uno scavo in un deposito di sabbia, in cui sia presente un sottile strato di argilla. In assenza di falda, e quindi di filtrazione, la presenza dello straterello argilloso e molto poco permeabile, ha un’influenza trascurabile 74 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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sulla pressione mutua terreno-struttura, e quindi sulla stabilità e sulle deformazioni del sistema geotecnico. Al contrario, in presenza di falda, se il livello argilloso è al di sopra dell’estremità inferiore della palancola ed è continuo, esso intercetta quasi completamente la filtrazione ed altera profondamente la distribuzione delle pressioni interstiziali. Se tuttavia il livello di argilla non è continuo, ma corrisponde ad una piccola lente, la rete di filtrazione ne risulta modificata solo localmente. Una verticale di indagine geotecnica (ad esempio un sondaggio o una prova penetrometrica) eseguita per la progettazione della struttura, può non avere rilevato la presenza del sottile livello argilloso, oppure può averla rilevata ma senza poterne accertare l’estensione e la continuità. In definitiva, l’intensità e la distribuzione delle pressioni interstiziali in presenza di filtrazione sono stimate mediante la rete idrodinamica, la cui determinazione è molto incerta e raramente rispecchia le reali condizioni idrauliche del terreno. Per cui l’analisi teorica del comportamento atteso del modello geotecnico, pur necessaria, deve essere convalidata da misure sperimentali durante la costruzione e in corso d’opera, ed eventualmente variata se le misure sperimentali non confermano le previsioni.

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Capitolo 5

MODELLI REOLOGICI

CAPITOLO 5 MODELLI REOLOGICI La reologia è la scienza che studia l’andamento delle deformazioni nella materia sotto l’effetto dell’applicazione di un sistema di sollecitazioni. Uno degli obiettivi principali di questa disciplina è quello di caratterizzare il comportamento meccanico dei materiali mediante la definizione di modelli matematici che stabiliscano dei legami tra tensioni, deformazioni e tempo (detti legami costitutivi). Anche nella meccanica dei terreni si ricorre generalmente all’impiego di modelli, ovvero di schemi più o meno semplificati, per l’interpretazione di fenomeni fisici complessi e per la previsione del comportamento dei vari mezzi in seguito all’applicazione di un sistema di sollecitazioni. Un aspetto importante da sottolineare è che un modello reologico non è legato solo al tipo di materiale, ma anche e soprattutto al fenomeno fisico che lo interessa; per questo motivo la scelta del tipo di modello è strettamente dipendente oltre che dal tipo di materiale, da quello dell’applicazione ingegneristica considerata. Tra i modelli “classici”, quelli di maggiore interesse nell’ambito della meccanica dei terreni sono: - il modello elastico - il modello plastico - il modello viscoso che possono essere assunti singolarmente o in combinazione tra loro. Nella descrizione dei modelli reologici, riportata nei paragrafi seguenti, verranno adottati schemi monodimensionali e simboli convenzionali, per renderne più immediata la comprensione a livello qualitativo. Passando dagli schemi monodimensionali al mezzo continuo, al concetto di forza si sostituisce quello di tensione e al concetto di spostamento quello di deformazione.

5.1 Modello elastico Il comportamento di un corpo è definito elastico se le deformazioni prodotte da un sistema di sollecitazioni scompaiono una volta rimosse tali sollecitazioni. La relazione sforzideformazioni è biunivoca e indipendente dal tempo: una stessa sollecitazione produce sempre la stessa deformazione anche se applicata ripetutamente. Il simbolo comunemente usato per rappresentare l’elasticità di un mezzo è una molla, e lo schema monodimensionale semplificato è quello rappresentato in Figura 5.1 (schema di Hooke). K Se si immagina di applicare una forF za F all’estremità libera del carrello e di registrarne lo spostamento s (Figura 5.1), la relazione tra F ed s è del tipo: O

(Eq. 5.1) F = f(s) ed è rappresentata in Figura 5.2.

A s

Figura 5.1. - Schema di Hooke per un mezzo elastico

76 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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Se f(s) è una funzione lineare (linea (a) di Figura 5.2), ovvero:

MODELLI REOLOGICI

F

(b)

F = f(s)

F=Ks (Eq. 5.2) F = K⋅s con K = costante, si parla di comK (a) portamento elastico-lineare, con K 1 costante elastica del mezzo. Se dipende dal livello di sforzo (o di deformazione) raggiunto (curva (b) di Figura 5.2), si parla di legame elastico non lineare. La funzione che s rappresenta un legame elastico non lineare può essere approssimata con Figura 5.2. – Comportamento elastico lineare (a) e non una funzione lineare a tratti, su in- lineare (b) tervalli opportunamente piccoli dello spostamento. Le principali applicazioni geotecniche per le quali viene spesso assunta l’ipotesi di comportamento elastico del terreno sono: − il calcolo delle deformazioni nei terreni sovraconsolidati; − l’analisi della diffusione delle tensioni nel terreno; − il calcolo delle strutture di fondazione.

5.2 Modello plastico Il comportamento di un corpo è definito plastico se, raggiunta una determinata soglia di sollecitazione, si manifestano deformazioni permanenti (ossia che si conservano anche una volta rimosse le sollecitazioni) e indipendenti dalla durata delle sollecitazioni applicate. La relazione sforzi-deformazioni è quindi indipendente dal tempo e non biunivoca: ad uno stesso valore della deformazione, s, possono corrispondere valori diversi della sollecitazione, F. La plasticità di un mezzo può essere rappresentata mediante un F pattino ad attrito, secondo lo schema monodimensionale semplificato rappresentato in Figura 5.3 (schema di Coulomb). Se si O A immagina di applicare una forza F all’estremità libera del carrello s collegato al pattino, si osserva che non si hanno spostamenti fino Figura 5.3 – Schema di Coulomb per un mezzo plastico a che la sollecitazione non raggiunge un valore limite F*. In corrispondenza di tale valore lo spostamento plastico può avvenire a forza applicata costante (mezzo plastico perfetto) (linea (a) di Figura 5.4) oppure progredire con aumento della forza applicata (linea (b) di Figura 5.4) o diminuzione della forza applicata (linea (c) di Figura 5.4). In questi casi si parla, rispettivamente, di mezzo incrudente positivamente o negativamente. Annullando la forza F non si ha alcun recupero dello spostamento accumulato come è possibile osservare in Figura 5.5; incre77 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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mentando nuovamente la forza F il pattino rimarrà fermo nella posizione assunta sotto il carico precedente, fino a che l’intensità della forza applicata non raggiunge il nuovo valore limite F*, che sarà uguale al precedente per mezzo plastico perfetto, maggiore per mezzo incrudente positivamente, minore per mezzo incrudente negativamente. F

F H > 0 (b) 1

H H = 0 (a)

F*

B F*

1

H

A

H < 0 (c) s

C

O sp

s

Figura 5.4 – Andamento tensioni-deformazioni Figura 5.5 – Deformazione permanente per un per un mezzo plastico perfetto (a), incrudente mezzo plastico. positivamente (b) e negativamente (c).

La relazione tra lo spostamento plastico, dsp, e l’aliquota di forza che eccede F*, dF*, è del tipo: 1 ds p = dF * (Eq. 5.3) H dove H, detto coefficiente di incrudimento, sarà uguale a zero per mezzo plastico perfetto, positivo per mezzo incrudente positivamente, negativo per mezzo incrudente negativamente. Nelle applicazioni geotecniche l’ipotesi di comportamento plastico è assunta nella trattazione dei problemi di stabilità, per i quali si fa riferimento alle condizioni di equilibrio limite (capacità portante delle fondazioni, stabilità dei pendii, delle opere di sostegno, ecc..)

5.3 Modello viscoso Il mezzo viscoso è caratterizzato da deformazioni permanenti che si sviluppano con una velocità legata alla sollecitazione applicata. La velocità di deformazione si annulla all’annullarsi della sollecitazione. Il simbolo con cui si rappresenta la viscosità di un mezzo è lo smorzatore viscoso (o ammortizzatore idraulico) costituito da un pistone forato che scorre in un cilindro pieno di liquido. Lo schema monodimensionale semplificato del modello è rappresentato in Figura 5.6 (schema di Newton). Se si immagina di applicare una forza F all’estremità libera del carrello e di registrarne lo ds , ossia spostamento s, si osserva una relazione tra F e la velocità di spostamento s = dt (linea (a) di Figura 5.7): F = f(s) (Eq. 5.4) 78 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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F η

F = f(s)

(a)

F

F=ηs (b)

O

η 1

A s

s

Figura 5.6 – Schema di Newton per un mezzo viscoso

Figura 5.7 – Comportamento di un mezzo viscoso (a) e di un mezzo viscoso perfetto (b)

Se f(s) è una funzione lineare (linea (b) di Figura 5.7), ovvero:

F = η⋅s

(Eq. 5.5)

con η = costante, si parla di mezzo viscoso perfetto o newtoniano, con η viscosità del mezzo.

5.4 Modelli reologici complessi I modelli semplici descritti nei precedenti paragrafi possono essere combinati tra loro per ottenere in alcuni casi modelli più adatti a schematizzare il comportamento del terreno. La combinazione può essere fatta in serie o in parallelo. Nel primo caso lo spostamento risultante è la somma dei singoli spostamenti e la forza è la stessa per tutti i componenti; nel secondo caso la forza è la somma delle forze nei singoli componenti mentre lo spostamento è lo stesso. Tra le possibili combinazioni verranno esaminate nel seguito: − il modello elasto-viscoso in parallelo (modello di Kelvin –Terzaghi) − il modello elasto-plastico incrudente 5.4.1 Modello elasto-viscoso in parallelo (modello di Kelvin –Terzaghi)

Lo schema monodimensionale semplificato che rappresenta questo modello è riportato in Figura 5.8. Se Fe rappresenta la forza che agisce sulla molla, Fv quella agente sullo smorzatore, se ed sv i rispettivi spostamenti, si ha: F = Fe + Fv

(Eq. 5.6)

s = se = sv

(Eq. 5.7)

79 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 5

MODELLI REOLOGICI

Sostituendo ad Fe e Fv le rispettiK

.

F

ve espressioni in funzione s ed s si ottiene: F = Ks + ηs (Eq. 5.8)

η

Integrando l’equazione precedente nell’ipotesi che lo spostamento iniziale sia nullo (s(0) = 0) e che s venga applicata istantaneamente Figura 5.8 – Schema semplificato del modello di Kelvin- una forza F = Fo, si ha: O

A

Terzaghi

tK

t

− − Fo e η s( t ) = ⋅(1 − e ) = s ⋅ ( 1 − e Trit ) K

(Eq. 5.9)

dove Trit = η/K è detto tempo di ritardo. Lo spostamento progredisce nel tempo in funzione delle caratteristiche elastiche e viscose del mezzo tendendo asintoticamente allo spostamento se che compete alla componente elastica (curva OAC in Figura 5.9). La derivata dell’Eq. 5.9 è: s t

s e − Trit s( t ) = ⋅e T se Trit C A e per t = 0 risulta: se s( t = 0 ) = . Trit Quindi Trit rappresenta l’ascissa corrispondente al punto di intersezione B O t1 t Tr i t tra s = se e la tangente nell’origine (indicato con T in Figura 5.9). Se all’istante t1 la forza viene rimosF0 sa, il ritorno nella posizione originaria è ritardato dalla presenza dello F smorzatore (curva AB in Figura 5.9). Figura 5.9 – Andamento nel tempo degli spostamenti Il modello di Kelvin-Terzaghi è utinel modello di Kelvin-Terzaghi lizzato nell’interpretazione della teoria della consolidazione edometrica. 5.4.2 Modello elasto-plastico incrudente Lo schema monodimensionale di questo modello è rappresentato da una molla ed un pattino ad attrito in serie (Figura 5.10). In questo caso, se si immagina di applicare una forza al carrello lo spostamento sarà inizialmente pari a quello elastico della molla. Raggiunto il valore di soglia della forza, F* (rappresentato dal punto A in Figura 5.11), inizierà a muoversi anche il pattino e l’incremento di spostamento ds del carrello, conse-

80 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 5

MODELLI REOLOGICI

guente ad un incremento di forza dF* (rappresentato in Figura 5.11 dal tratto AB), sarà dato da: (Eq. 5.10) ds = dse + dsp = λ dF* e p essendo ds e ds gli incrementi di spostamento che competono rispettivamente alla molla e al pattino. Essendo dse = k dF*, con k pari all’inverso della costante elastica del mezzo, K, si avrà: (Eq. 5.11) dsp =ds – dse = (λ−k)dF* Il coefficiente di incrudimento del mezzo sarà dato da:

H = dF*/dsp = 1/(λ-k)

(Eq. 5.12)

Con un modello elasto-plastico incrudente si interpreta la compressibilità edometrica dei terreni sovraconsolidati. K

F

O

A s

Figura 5.10 – Schema semplificato del modello elasto-plastico incrudente

ds

F

p

ds ds e dF*

B

λ

1

A

F*

k O s

p

C

1

se

s

s Figura 5.11 – Comportamento di un mezzo elasto-plastico incrudente

81 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 6

DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

CAPITOLO 6 PRESSIONI DI CONTATTO E DIFFUSIONE DELLE TENSIONI IN UN SEMISPAZIO ELASTICO

6.1 Pressioni di contatto Una fondazione superficiale trasmette al terreno il carico proveniente dalla struttura in elevazione. Le pressioni mutue all’intradosso della fondazione sono dette pressioni di contatto. La distribuzione delle pressioni di contatto dipende dall’entità e distribuzione del carico all’estradosso della fondazione, dalla rigidezza della struttura di fondazione e dalla rigidezza del terreno di fondazione. In Figura 6.1 sono qualitativamente rappresentati gli effetti della rigidezza della struttura di fondazione e della rigidezza del terreno di appoggio sulla distribuzione della pressione di contatto per fondazioni soggette ad un carico uniforme. a) fondazioni flessibili

b) fondazioni rigide

c) fondazioni semi-rigide

p

p

p

schema p

W min

p

p

W

min

W

Wmax

p

su argilla

q max

q m in

Wmax

q min

q max

Wmin

su sabbia

p p

p W max

W

Wmin

p

q max

q min

Wmax

q max

Figura 6.1: Pressioni di contatto e cedimenti per fondazioni superficiali su terreno omogeneo soggette a carico verticale uniforme

Se la fondazione è priva di rigidezza, ovvero non resistente a flessione, la distribuzione delle pressioni di contatto è necessariamente eguale alla distribuzione del carico applicato, e la sua deformata si adatta ai cedimenti del terreno. Se il terreno di appoggio ha eguale rigidezza sotto ogni punto della fondazione (argilla), il cedimento è massimo in mezzeria e minimo al bordo, ovvero la deformata ha concavità verso l’alto. Se invece il terreno di appoggio ha rigidezza crescente con la pressione di confinamento (sabbia), il cedimento è minimo in mezzeria e massimo al bordo, ovvero la deformata ha concavità verso il basso (Figura 6.1a). Lo schema di fondazione priva di rigidezza si applica, ad esempio, alle fondazioni dei rilevati. Se la fondazione ha rigidezza infinita, ovvero è indeformabile e di infinita resistenza a flessione, per effetto di un carico a risultante verticale centrata, subisce una traslazione verticale rigida (cedimenti uniformi). La distribuzione delle pressioni di contatto è sim82 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 6

DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

metrica per equilibrio e dipende dalla rigidezza del terreno di appoggio. Se il terreno di appoggio ha eguale rigidezza sotto ogni punto della fondazione (argilla), le pressioni di contatto sono massime al bordo e minime in mezzeria. Viceversa se terreno di appoggio ha rigidezza crescente con la pressione di confinamento (sabbia), le pressioni di contatto sono massime al centro e minime al bordo (Figura 6.1b). Lo schema di fondazione infinitamente rigida si applica, ad esempio, a plinti in calcestruzzo, alti e poco armati. Se la fondazione ha rigidezza finita, il suo comportamento è intermedio fra i due sopradescritti, ovvero ha una deformata curvilinea ma meno pronunciata di quella della fondazione priva di rigidezza, con concavità verso l’alto o verso il basso a seconda del tipo di terreno di appoggio (Figura 6.1c). Lo schema di fondazione di rigidezza finita si applica, ad esempio, alle platee di fondazione. Se il carico proveniente dalla struttura in elevazione (e applicato all’estradosso della struttura di fondazione) non è uniforme ma ha comunque risultante verticale centrata, la distribuzione delle pressioni di contatto è: - per fondazioni flessibili, eguale alla distribuzione del carico applicato, - per fondazioni di rigidezza infinita, eguale alla distribuzione per carico uniforme di pari risultante, - per fondazioni di rigidezza finita, intermedia ai due casi precedenti1.

6.2 Diffusione delle tensioni nel terreno La realizzazione di un’opera di ingegneria geotecnica produce un’alterazione dello stato di tensione naturale nel terreno, e quindi deformazioni e cedimenti. Per stimare i cedimenti è necessario conoscere: a) lo stato tensionale iniziale nel sottosuolo, b) l’incremento delle tensioni prodotto dalla realizzazione dell’opera, e c) la relazione fra incrementi di tensione e incrementi di deformazione (legge costitutiva). Lo stato tensionale iniziale nel sottosuolo corrisponde alle tensioni geostatiche, di cui abbiamo discusso nel Capitolo 3 . Per la stima, approssimata, dell’incremento delle tensioni verticali nel sottosuolo, da cui principalmente dipendono i cedimenti in superficie, si fa spesso riferimento al modello di semispazio omogeneo, isotropo, elastico lineare e senza peso che, pur avendo un comportamento per molti aspetti diverso da quello dei terreni reali, fornisce soluzioni sufficientemente accurate ai fini progettuali. In particolare, le principali differenze tra il modello del continuo elastico e i terreni reali, sono: 1. raramente i depositi di terreno reale sono costituiti da un unico strato di grande spessore, più spesso sono stratificati, e ogni strato ha differente rigidezza, e/o è presente un substrato roccioso (bedrock) di rigidezza molto superiore a quella degli strati sovrastanti2; 2. anche nel caso di terreno omogeneo, la rigidezza dei terreni reali non è costante ma cresce con la profondità3;

1

Ai soli fini del calcolo strutturale delle fondazioni, per la stima della distribuzione delle pressioni di contatto, si fa spesso riferimento al modello di Winkler, argomento che esula dal presente corso. 2 Esistono soluzioni elastiche che considerano il terreno stratificato e/o il bedrock. La presenza di un bedrock porta a valori della tensione verticale indotta superiori a quelli del semispazio omogeneo. 3 Esistono soluzioni elastiche che considerano il modulo di Young linearmente crescente con la profondità. Tali soluzioni portano a valori della tensione verticale indotta superiori a quelli del semispazio omogeneo.

83 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 6

DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

3. i terreni reali non sono isotropi. Il rapporto tra i moduli di deformazione in direzione verticale ed orizzontale, Ev/Eh, è di norma maggiore di uno per terreni normalmente consolidati e debolmente sovraconsolidati, mentre è minore di uno per terreni fortemente sovraconsolidati; 4. l’ipotesi di elasticità lineare può essere accolta solo per argille sovraconsolidate e sabbie addensate limitatamente a valori molto bassi di tensione, ma non è accettabile per tutti gli altri casi4. La non corrispondenza fra le ipotesi del modello e la realtà fisica, porta a risultati generalmente inaccettabili in termini di deformazioni calcolate, ma accettabili limitatamente alla stima delle tensioni verticali. Pertanto, con una procedura teoricamente non corretta ma praticamente efficace e molto comune in ingegneria geotecnica, si utilizzano modelli diversi (leggi costitutive diverse) per risolvere aspetti diversi dello stesso problema. Ad esempio, per una stessa fondazione superficiale, si utilizza il modello rigidoperfettamente plastico per il calcolo della capacità portante, il modello continuo elastico lineare per la stima delle tensioni verticali indotte in condizioni di esercizio, il modello edometrico per il calcolo dei cedimenti e del decorso dei cedimenti nel tempo, il modello di Winkler per il calcolo delle sollecitazioni nella struttura di fondazione, etc... 6.2.1

Tensioni indotte da un carico verticale concentrato in superficie (problema di Boussinesq) P

r

ψ R z

σθ σr

Il matematico francese Boussinesq, nel 1885, fornì la soluzione analitica del problema capostipite di tutte le successive soluzioni elastiche: tensioni e deformazioni indotte da una forza applicata ortogonalmente sulla superficie di un semispazio ideale, continuo, omogeneo, isotropo, elastico lineare e privo di peso. Con riferimento allo schema di Figura 6.2 le tensioni indotte in un generico punto di tale semispazio, valgono (in coordinate cilindriche)5: 3 ⋅ P z3 Eq. (6.1) σz = ⋅ 2⋅ π R5 ⎡ 3 ⋅ r 2 ⋅ z (1 − 2 ⋅ ν ) ⋅ R ⎤ P σr = − ⋅ + Eq.(6.2) ⎢− (R + z ) ⎥⎦ 2⋅π⋅R2 ⎣ R3 σθ = −

σz

Figura 6.2: Carico concentrato, problema di Boussinesq

τ rz

(1 − 2 ⋅ ν ) ⋅ P ⋅ ⎡ z 2⋅π⋅R

2

R ⎤ ⎢ R − (R + z ) ⎥ ⎣ ⎦

3⋅ P z2 ⋅ r = ⋅ 2 ⋅π R 5

Eq. (6.3) Eq. (6.4)

dove R2 = r2+z2

4

Per carichi concentrati l’ipotesi di elasticità lineare conduce a valori infiniti della tensione in corrispondenza del carico. Non esiste un materiale reale capace di resistere a tensioni infinite. (E d’altra parte anche i carichi concentrati sono solo un’astrazione matematica). 5 Con riferimento ad un caso reale, quindi ad un terreno dotato di peso, le tensioni ottenute dalla soluzione di Boussinesq (e per i casi di seguito considerati) vanno sommate alle tensioni geostatiche preesistenti.

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Capitolo 6

DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

Si osservi che l’Eq. 6.1, che permette di calcolare la tensione verticale indotta, non contiene il coefficiente di Poisson, ν. La distribuzione delle tensioni verticali su un piano orizzontale alla profondità z dal p.c. è una superficie di rivoluzione avente forma di una campana, simile alla curva gaussiana, il cui volume è pari al carico applicato in superficie. Al crescere di z la campana è sempre più estesa e schiacciata. A profondità z=0, la campana degenera in una tensione infinita su un’area infinitesima, ovvero nel carico applicato P. A titolo di esempio in Figura 6.3 sono rappresentate le distribuzioni di tensione verticale indotte da un carico concentrato P=100kN alle profondità z = 2m, 5m e 10m. La distribuzione delle tensioni verticali al variare della profondità z per un assegnato valore della distanza orizzontale r dall’asse di applicazione della forza P, è indicata in Figura 6.4. Per r=0, ovvero in corrispondenza del carico applicato, la tensione a profondità z=0 è infinita per poi decrescere monotonicamente al crescere di z. Per r>0, la pressione verticale vale 0 alla profondità z=0, poi cresce con z fino ad un valore massimo per poi decrescere tendendo al valore zero. A titolo di esempio in Figura 6.4 sono rappresentate le distribuzioni di tensione verticale indotte da un carico concentrato P = 100kN alle distanze r = 0m, 2m e 5m. σz (kPa)

12

0

1

2

3

4

5

0

Z = 2m Z = 5m Z = 10m

5

z (m)

σz (kPa)

8

4

10

15

r = 0m r = 2m r = 5m

0 -10

-5

0

5

20

10

r (m)

Figura 6.3 - Distribuzioni di tensione verticale indotte in un semispazio alla Boussinesq da un carico P=100kN alle profondità z = 2m, 5m e 10m

Figura 6.4 - Distribuzioni di tensione verticale indotte in un semispazio alla Boussinesq da un carico P = 100kN alle distanze r = 0m, 2m e 5m

Poiché per l’ipotesi di elasticità lineare è valido il principio di sovrapposizione degli effetti, la soluzione di Boussinesq è stata integrata per ottenere le soluzioni elastiche relative a differenti condizioni di carico applicato in superficie. Le più frequentemente usate nella pratica professionale sono le seguenti. 6.2.2

Tensioni indotte da un carico verticale distribuito su una linea retta in superficie

Con riferimento allo schema di Figura 6.5, le tensioni indotte da un carico verticale distribuito su una linea retta in superficie sono fornite dalle equazioni (6.5), (6.6), (6.7) e (6.8) (in coordinate cartesiane ed assumendo l’asse y orientato secondo la direzione della linea di carico): 85 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 6

DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

2 ⋅ P' z 3 ⋅ π R4 2 ⋅ P' z ⋅ x 2 ⋅ 4 σx = π R 2 ⋅ P' z ⋅ν ⋅ 2 σy = π R 2 ⋅ P' x ⋅ z 2 τ xy = ⋅ 4 π R

σz =

P’

x

R

(Eq. 6.5) (Eq. 6.6) (Eq. 6.7) (Eq. 6.8)

z

dove P’ è il carico per unità di lunghezza, e R2 = x2+z2. 6

σx

x σy

6.2.3 σz

Tensioni indotte da una pressione verticale uniforme su una striscia indefinita

Con riferimento allo schema di Figura 6.6, le tensioni indotte da una pressione verticale uniforme su una striscia indefinita sono fornite dalle equaFigura 6.5 - Carico distribuito su una zioni (6.9), (6.10), (6.11) e (6.12) (in coordinate linea retta cartesiane ed assumendo l’asse y orientato secondo la direzione della striscia di carico). z

B

q ⋅ [α + senα ⋅ cos(α + 2 ⋅ β)] π q σ x = ⋅ [α − senα ⋅ cos(α + 2 ⋅ β )] π 2⋅q σy = ⋅ν⋅α π q τ xy = ⋅ senα ⋅ sen (α + 2 ⋅ β ) σz =

q

π

x

(Eq. 6.9) (Eq. 6.10)

(Eq. 6.11) (Eq. 6.12)

dove q è il carico per unità di superficie, α e β sono espressi in radianti, β è negativo per punti sotto l’area caricata.

β α

6.2.4 σx

Tensioni indotte da una pressione verticale triangolare una striscia indefinita

Con riferimento allo schema di Figura 6.7, le tensioni indotte da una pressione verticale trianσz Figura 6.6: Pressione uniforme su stri- golare su una striscia indefinita sono fornite dalle scia indefinita equazioni (6.13), (6.14) e (6.15) (in coordinate cartesiane ed assumendo l’asse y orientato secondo la direzione della striscia di carico): z

6

σy

Si osservi come le tensioni, per evidenti ragioni di simmetria, siano indipendenti da y.

86 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 6

σz =

DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

q ⎛x 1 ⎞ ⋅ ⎜ ⋅ α − ⋅ sen 2β ⎟ π ⎝B 2 ⎠

(Eq. 6.13)

⎤ ⎛R 2 ⎞ 1 q ⎡x z ⋅ ⎢ ⋅ α − ⋅ ln⎜⎜ 1 2 ⎟⎟ + ⋅ sen 2 β ⎥ π ⎢⎣ B B ⎝ R2 ⎠ 2 ⎥⎦ q ⎛ z ⎞ = ⋅ ⎜1 + cos 2β − 2 ⋅ ⋅ α ⎟ 2⋅π ⎝ B ⎠

σx =

(Eq. 6.14)

τ xz

(Eq. 6.15)

dove q è il valore massimo del carico per unità di superficie, α e β sono espressi in radianti, β è negativo per punti sotto l’area caricata. 6.2.5

B

Tensione verticale indotta da una pressione verticale trapezia su una striscia indefinita

q

Il caso della pressione verticale trapezia, di uso molto frequente poiché corrisponde al carico trasmesso da rilevati stradali, può essere risolto per sovrapposizione di effetti utilizzando le equazioni delle strisce di carico rettangolare e triangolare. Se interessa conoscere la tensione verticale in asse al rilevato, con riferimento allo schema ed ai simboli di Figura 6.8, può essere utilizzata, più semplicemente, la seguente equazione:

x

R2 β

R

1

α σx

z σy σz

Figura 6.7 - Pressione triangolare su striscia indefinita

σ z ( x =0 ) =

2⋅q ⎡ ⎛a⎞ ⎛ a ' ⎞⎤ a ⋅ arctan⎜ ⎟ − a '⋅ arctan⎜ ⎟⎥ ⎢ (a − a ') ⋅ π ⎣ ⎝z⎠ ⎝ z ⎠⎦

Eq. (6.16)

2a'

q x

2a

z Figura 6.8: Pressione trapezia su striscia indefinita

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Capitolo 6

6.2.6

DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

Tensione verticale indotta da una pressione uniforme su una superficie circolare

Con riferimento allo schema di carico di Figura 6.9, le tensioni verticali indotte in asse all’area caricata possono essere calcolate con la seguente equazione:

σ z (r =0 )

⎧ ⎪ ⎪ 1 ⎪ = q ⋅ ⎨1 − 3 ⎪ ⎡ ⎛ R ⎞2 ⎤ ⎪ ⎢1 + ⎜ ⎟ ⎥ ⎪⎩ ⎣⎢ ⎝ z ⎠ ⎦⎥

⎫ ⎪ ⎪ ⎪ ⎬ ⎪ ⎪ ⎪⎭

(Eq. 6.17)

mentre per la stima il delle tensioni indotte in corrispondenza di altre verticali si può fare riferimento alla Tabella 6.1 ed alle curve rappresentate in Figura 6.10. 2R σz/q

q

0

r

0,25

0,5

0,75

1

0

1

z 2 z/R

Figura 6.9 - Pressione uniforme su area circolare

r/R=0

3

r/R=0,5 Osservando la Figura 6.10 si può notare che alla profondità z = 0 r/R=1 4 in corrispondenza delle verticali r/R=2 interne all’area caricata (r < R)la 5 pressione di contatto è pari alla pressione q agente sull’area circolare (fondazione flessibile), in corrispondenza delle verticali e- Figura 6.10 - Variazione della tensione verticale indotta sterne (r > R) la pressione di con- da una pressione su area circolare per differenti verticali tatto è zero, e che in corrispondenza delle verticali sul bordo (r = R) la pressione di contatto è pari alla metà della pressione q.

6.2.7

Tensioni indotte da una pressione uniforme su una superficie rettangolare

La soluzione relativa al caso di un’area rettangolare uniformemente caricata è molto importante, non solo perché molte fondazioni hanno forma rettangolare, ma anche perché, sfruttando il principio di sovrapposizione degli effetti, permette di calcolare lo stato tensionale indotto da una pressione uniforme agente su un’area scomponibile in rettangoli. Con riferimento allo schema di Figura 6.11, le tensioni indotte dal carico in un punto sulla verticale per uno spigolo O dell’area caricata, posto: 88 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 6

DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

Tabella 6.1: Variazione della tensione verticale indotta da una pressione su area circolare per differenti verticali (dati relativi alla Figura 6.10) r/R

0

0,5

1,000 0,999 0,992 0,976 0,948 0,910 0,863 0,811 0,758 0,700 0,646 0,546 0,461 0,390 0,332 0,284 0,245 0,213 0,186 0,164 0,146 0,086 0,057

1,000 0,995 0,977 0,941 0,894 0,840 0,780 0,718 0,664 0,612 0,565 0,480 0,408 0,351 0,303 0,262 0,228 0,201 0,178 0,158 0,141 0,082 0,054

R3

0,500 0,481 0,464 0,447 0,430 0,412 0,395 0,378 0,362 0,346 0,329 0,298 0,268 0,241 0,217 0,195 0,176 0,158 0,142 0,131 0,119 0,077 0,052

0,000 0,000 0,001 0,003 0,006 0,010 0,016 0,022 0,028 0,035 0,041 0,052 0,061 0,067 0,071 0,073 0,073 0,073 0,071 0,069 0,067 0,052 0,041

x

z x

B L R3

R2

R1

y

σx σy σz

z

Figura 6.11- Pressione uniforme su un’area rettangolare

( ) = (B + z ) = (L + B + z )

R 1 = L2 + z 2 R2

2

q

σz / q

z/R 0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1 1,2 1,4 1,6 1,8 2 2,2 2,4 2,6 2,8 3 4 5

1

B

2

2

0,5

2 0,5

2

2 0,5

valgono: ⎛ L⋅B ⎞ L⋅B⋅z ⎛ 1 q ⎡ 1 ⎞⎤ ⎟⎟ + ⋅ ⎜⎜ 2 + 2 ⎟⎟⎥ ⋅ ⎢arctan⎜⎜ 2 ⋅ π ⎢⎣ R3 ⎝ z ⋅ R3 ⎠ ⎝ R 1 R 2 ⎠⎥⎦ ⎛ L⋅B ⎞ L⋅B⋅z ⎤ q ⎡ ⎟⎟ − 2 σx = ⋅ ⎢arctan⎜⎜ ⎥ 2⋅π ⎣ ⋅ z R R1 ⋅ R 3 ⎦ 3 ⎠ ⎝ ⎛ L⋅B ⎞ L⋅B⋅z ⎤ q ⎡ ⎟⎟ − 2 σy = ⋅ ⎢arctan⎜⎜ ⎥ ⋅ 2⋅π ⎣ z R R2 ⋅R3 ⎦ 3 ⎠ ⎝ q ⎡B B ⋅ z2 ⎤ τ zx = ⋅⎢ − 2 ⎥ 2 ⋅ π ⎣ R 2 R1 ⋅ R 3 ⎦ σz =

Eq. (6.18)

Eq. (6.19) Eq. (6.20) Eq. (6.21)

89 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 6

DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

Volendo conoscere lo stato tensionale in un punto del semispazio alla profondità z, sulla verticale di un punto M non coincidente con lo spigolo O del rettangolo, si procede per sovrapposizione di effetti di aree di carico rettangolari, nel modo seguente (Figura 6.12): a) M interno ad ABCD; le tensioni risultano dalla somma delle tensioni indotte in M dalle 4 aree (1), (2), (3) e (4), ciascuna con vertice in M: σ zM ( ABCD) = σ zM ( AA 'MC') + σ zM ( A 'BB'M ) + σ zM ( B'DD 'M ) + σ zM ( D 'CC 'M ) Eq. (6.22) b) M esterno ad ABCD; le tensioni risultano dalla somma algebrica delle tensioni indotte da rettangoli opportunamente scelti, sempre con vertice in M: σ zM ( ABCD) = σ zM ( AB'MC') − σ zM ( BB'MD '') − σ zM ( CD 'MC') + σ zM ( DD 'MD '') Eq. (6.23) caso a)

caso b)

A’

A

B

1

A

B

B'

C

D

D'

C'

D''

2

C’

B’ M 3

4

D’

C

D

M

Figura 6.12 - Esempi di sovrapposizione di aree di carico rettangolari

Può essere talvolta utile valutare anche i cedimenti elastici. L’equazione per il calcolo del cedimento in corrispondenza dello spigolo O dell’area flessibile di carico uniforme q, di forma rettangolare BxL su un semispazio continuo, elastico lineare, omogeneo e isotropo, avente modulo di Young E, e coefficiente di Poisson ν, è la seguente: posto ξ = L/B

(

)

(

)

⎛1 + 1 + ξ2 q ⋅ B 1− ν2 ⎡ 2 ⎢ w= ⋅ ⋅ ln ξ + 1 + ξ + ξ ⋅ ln⎜ ⎜ E π ξ ⎢ ⎝ ⎣

⎞⎤ ⎟⎥ ⎟⎥ ⎠⎦

Eq. (6.24)

L’Eq. 6.24 permette di calcolare il cedimento elastico in qualunque punto della superficie, per sovrapposizione degli effetti, con procedura analoga a quella sopra descritta per il calcolo delle tensioni verticali.

90 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 7

COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

CAPITOLO 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA La risultante delle deformazioni verticali che si manifestano in un terreno è comunemente indicata con il termine cedimento e di tale grandezza, nella pratica ingegneristica, interessa di solito conoscere sia l’entità sia l’evoluzione nel tempo. I principali meccanismi che contribuiscono allo sviluppo dei cedimenti sono: − compressione e inflessione delle particelle di terreno per incremento delle tensioni di contatto (tale fenomeno produce deformazioni in gran parte reversibili, ovvero elastiche); − scorrimento relativo dei grani indotto dalle forze di taglio intergranulari (tale fenomeno produce deformazioni in gran parte irreversibili, ovvero plastiche); − frantumazione dei grani in presenza di elevati livelli tensionali (le conseguenti deformazioni sono irreversibili); − variazione della distanza tra le particelle dei minerali argillosi, dovuta a fenomeni di interazione elettrochimica (le conseguenti deformazioni sono in parte reversibili e in parte irreversibili in relazione alle caratteristiche del legame di interazione); − compressione e deformazione dello strato di acqua adsorbita (le conseguenti deformazioni sono in gran parte reversibili, ovvero elastiche); In definitiva, le deformazioni (e quindi i cedimenti) conseguono direttamente alla: 1. compressione delle particelle solide (incluso lo strato di acqua adsorbita); 2. compressione dell’aria e/o dell’acqua all’interno dei vuoti; 3. espulsione dell’aria e/o dell’acqua dai vuoti. Per i valori di pressione che interessano nella maggior parte dei casi pratici, la deformabilità delle particelle solide è trascurabile. Inoltre, se il terreno è saturo, come spesso accade per i terreni a grana fine, anche la compressibilità del fluido interstiziale (acqua e/o miscela aria-acqua) può essere trascurata, essendo trascurabile la quantità di aria presente e l’acqua praticamente incompressibile. Pertanto, il cedimento nei terreni è dovuto prevalentemente al terzo termine ed in particolare all’espulsione dell’acqua dai vuoti1. Via via che l’acqua viene espulsa dai pori, le particelle di terreno si assestano in una configurazione più stabile e con meno vuoti, con conseguente diminuzione di volume. Il processo di espulsione dell’acqua dai vuoti è un fenomeno dipendente dal tempo (ovvero dal coefficiente di permeabilità del terreno), l’entità della variazione di volume è legata alla rigidezza dello scheletro solido. Si distinguono quindi i due concetti di compressibilità e consolidazione. Compressibilità è la risposta in termini di variazione di volume di un terreno sottoposto ad un incremento dello stato tensionale (efficace, in base al principio delle pressioni efficaci). È necessario studiare la compressibilità di un terreno per stimare le deformazioni volumetriche ed i conseguenti cedimenti.

1

I cedimenti possono essere anche dovuti a costipamento, ovvero all’espulsione di aria da un terreno non saturo come conseguenza dell’applicazione di energia di costipamento (vedi capitolo 2), a deformazioni di taglio a volume costante, che si verificano nei terreni saturi e poco permeabili in condizioni non drenate all’atto stesso di applicazione dell’incremento delle tensioni, o a deformazioni volumetriche a pressione efficace costante, ovvero a creep (viscosità).

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Consolidazione è la legge di variazione di volume del terreno nel tempo. È necessario studiare la consolidazione per stimare il decorso delle deformazioni volumetriche e dei conseguenti cedimenti, nel tempo. Sebbene in linea di principio si possano applicare i concetti di compressibilità e di consolidazione sia a terreni granulari che a terreni a grana fine, in pratica interessano soprattutto questi ultimi, e particolarmente le argille, perché di norma responsabili di cedimenti maggiori e di tempi di consolidazione molto più lunghi.

7.1 Compressibilità edometrica La compressibilità di un terreno viene spesso valutata in condizioni di carico assiale uniformemente distribuito e di assenza di deformazioni laterali; tali condizioni sono dette “edometriche” (dal nome della prova utilizzata per riprodurle, che verrà descritta nel seguito). Le condizioni edometriche si realizzano ad esempio nel caso della formazione di un deposito di terreno per sedimentazione lacustre (v. anche Capitolo 3 – Tensioni geostatiche), il cui schema è riportato nella Figura 7.1a. Il terreno è immerso e quindi è saturo (tutti i vuoti sono pieni d’acqua); inoltre, essendo il deposito infinitamente esteso in direzione orizzontale, per simmetria non sono possibili deformazioni orizzontali. In corrispondenza di un generico punto P (Figura 7.1a), la pressione efficace verticale (ed anche quella orizzontale) cresce gradualmente via via che avviene la sedimentazione e che il punto considerato, viene a trovarsi a profondità maggiori. Per effetto dell’incremento di tensioni efficaci, il terreno subisce deformazioni volumetriche, εV, le quali, non essendo possibili deformazioni orizzontali, sono eguali alle deformazioni verticali (assiali), εa, ovvero:

εv =

∆V V0

=

∆H H0

= εa

(Eq. 7.1)

essendo V0 e H0 il volume e l’altezza iniziale di un elemento di volume nell’intorno del punto P considerato, ∆V e ∆H le relative variazioni di volume e di altezza. In Ingegneria Geotecnica, per tradizione, si fa più spesso riferimento alle variazioni di indice dei vuoti piuttosto che alle variazioni di volume. Dalla definizione di deformazione volumetrica e ricordando la definizione di indice dei V vuoti ( e = v ), si desume comunque la relazione: Vs

∆V V0

=

∆e

1 + e0

=

∆H

(Eq. 7.2)

H0

avendo indicato con e0 l’indice dei vuoti iniziale dell’elemento di terreno considerato. Rappresentando in un diagramma l’indice dei vuoti del terreno in funzione della pressione verticale efficace, riportata in scala logaritmica, nel caso in cui il deposito sia soggetto a più cicli di carico e scarico, ad esempio sedimentazione (A-B), seguita da erosione (B-C), di nuovo sedimentazione (C-D), fino a superare lo strato eroso, poi di nuovo erosione (DE), si ottiene l’andamento qualitativo rappresentato nel grafico di Figura 7.1b. In particolare, trascurando il piccolo ciclo di isteresi formato dai tratti BC (scarico) e CB (ricarico), si può osservare che:

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a)

b)

e A C

(D) (E) (B) (C) (A)

P

B E D

σ’c

σ’v (log)

Figura 7.1 - Sedimentazione in ambiente lacustre con più cicli di carico e scarico (a) e variazione dell’indice dei vuoti con la pressione verticale efficace (b): A→B: compressione vergine, B→C: decompressione, C→B: ricompressione, B→D: compressione vergine, D→E: decompressione.

- nelle fasi di primo carico (compressione vergine, tratti AB e BD) il comportamento deformativo del terreno è elasto-plastico, poiché nella successiva fase di scarico una sola parte delle variazioni di indice dei vuoti (e quindi delle deformazioni) viene recuperata; - i tratti di primo carico appartengono alla stessa retta; - nelle fasi di scarico e ricarico (tratti BC, CB e DE) il comportamento deformativo è elastico ma non elastico-lineare (il grafico di Figura 7.1b è in scala semilogaritmica); - sia in fase di carico vergine che in fase di scarico e ricarico, essendo la relazione e-σ’v rappresentata da una retta in scala semilogaritmica, per ottenere un assegnato decremento dell’indice dei vuoti, ∆e, occorre applicare un incremento di tensione verticale efficace ∆σ’v tanto maggiore quanto più alto è il valore di tensione iniziale, ovvero la rigidezza del terreno cresce progressivamente con la tensione applicata. La massima pressione verticale efficace sopportata dall’elemento di terreno considerato è detta pressione di consolidazione (o di preconsolidazione), σ’c (ad esempio, nel caso di Figura 7.1 la pressione di consolidazione è rappresentata dall’ascissa del punto D del grafico. Quando l’elemento di terreno si trovava in un punto appartenente alla retta ABD, era soggetto ad una pressione verticale efficace che non aveva mai subito nel corso della sua storia precedente, ovvero era soggetto alla pressione di consolidazione; nei tratti BC e DE invece era soggetto ad una pressione verticale efficace minore di quella di consolidazione. Un terreno il cui punto rappresentativo si trova sulla curva edometrica di carico vergine (ABD) si dice normalmente consolidato (o normalconsolidato) (NC), mentre un terreno il cui punto rappresentativo si trova su una delle curve edometriche di scarico-ricarico (BC, CB, DE) si dice sovraconsolidato (OC). Il rapporto tra la pressione di consolidazione, σ’c, e la pressione verticale efficace agente, σ’vo, è detto, come già anticipato nel Capitolo 3, grado di sovraconsolidazione: σ 'c OCR = ' . σ vo In conclusione, si può affermare che in condizioni edometriche (e non solo, come vedremo più avanti) il comportamento del terreno segue, con buona approssimazione, un modello elastico non lineare – plastico ad incrudimento positivo (vedi Capitolo 5). 93 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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La pressione di consolidazione rappresenta la soglia elastica (o di snervamento) del materiale. Per valori di tensione inferiori alla pressione di consolidazione (terreno OC) il comportamento è elastico non lineare. Se un terreno NC viene compresso la pressione di consolidazione, ovvero la soglia elastica aumenta di valore (incrudimento positivo). La compressibilità dei terreni viene studiata in laboratorio mediante la “prova edometrica”, i cui risultati sono comunemente utilizzati per calcolare le deformazioni (e i cedimenti) conseguenti all’applicazione di carichi verticali in terreni a grana fine, come verrà illustrato più in dettaglio nei paragrafi seguenti e nel Capitolo 16 (cedimenti di fondazioni superficiali).

7.2 Determinazione sperimentale della compressibilità edometrica Per studiare in laboratorio la compressibilità (e, come vedremo in seguito anche la consolidazione) nelle condizioni di carico verticale infinitamente esteso, strati orizzontali, filtrazione e deformazioni solo verticali (quali quelle presenti ad esempio durante il processo di formazione di un deposito per sedimentazione), viene impiegata una prova di compressione a espansione laterale impedita, detta prova edometrica. La prova viene di norma eseguita su provini di terreno a grana fine (argille e limi) indisturbati (ovvero ricavati in modo da alterare il meno possibile la struttura naturale del terreno in sito. Vedi anche Capitolo 12). I provini, di forma cilindrica e rapporto diametro/altezza (D/H0) compreso tra 2,5 e 4 (molto spesso D=6cm, H0=2cm), durante la prova sono lateralmente confinati da un anello metallico, di rigidezza tale da potersi considerare indeformabile. L’assenza di deformazioni radiali (che nello schema di formazione di un deposito descritto precedentemente consegue alle condizioni di estensione infinita e stratificazione orizzontale) è garantita dal vincolo meccanico costituito dall’anello. La forma schiacciata del provino è motivata dalle necessità di ridurre al minimo le tensioni tangenziali indesiderate di attrito e di aderenza con la parete dell’anello (che a tal fine viene lubrificata), e di contenere i tempi di consolidazione. Sulle basi inferiore e superiore del provino vengono disposti un disco di carta da filtro e uno di pietra porosa, per favorire il drenaggio. L'insieme provino-anello rigidopietre porose è posto in un contenitore (cella edometrica) pieno d'acqua, in modo da garantire la totale saturazione del provino durante la prova (Figura 7.2). Le modalità standard di esecuzione della prova prevedono l’applicazione del carico verticale N per successivi incrementi, ciascuno dei quali è mantenuto il tempo necessario per consentire l’esaurirsi del cedimento di consolidazione primaria2 (in genere 24h). Quindi, diversamente dallo schema di formazione del deposito per sedimentazione, caratterizzato da un incremento graduale e continuo della pressione verticale (totale ed efficace), nella prova edometrica standard la tensione verticale totale è applicata per gradini, con discontinuità. Durante la permanenza di ciascun gradino di carico, viene misurata la variazione di altezza del provino, ∆H, nel tempo (tale informazione consente di studiare l’evoluzione nel tempo dei cedimenti, ovvero il processo di consolidazione, come verrà illustrato nel Paragrafo 7.7). Noto il valore di ∆H è possibile calcolare le deformazioni as-

2

La consolidazione primaria è distinta dalla consolidazione secondaria dovuta a fenomeni viscosi (Par. 7.9).

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siali (e volumetriche), ε a =

∆e =

∆H H0

∆H H0

, e le variazioni di indice dei vuoti (Eq. 7.2),

⋅ (1 + e0 ) . N Capitello

Anello edometrico

Cella edometrica

Pietre porose

H0 D

Figura 7.2– Cella edometrica

indice dei vuoti, e

I valori della deformazione assiale e/o dell’indice dei vuoti corrispondenti al termine del processo di consolidazione primaria per ciascun gradino di carico3 (o più spesso, per comodità ma commettendo un errore, corrispondenti al termine delle 24h di permanenza del carico di ogni gradino), vengono diagrammati in funzione della corrispondente N 4⋅N . Collegando fra loro i punti pressione verticale media efficace, σ 'v = = A π ⋅ D2 sperimentali si disegnano le curve di compressibilità edometrica. Nel grafico in scala semilogaritmica della 0.7 0 Figura 7.3, è rappresen1 2 tato l’andamento del3 4 l’indice dei vuoti (asse 0.6 5 delle ordinate a sini5 stra) e della deformazione assiale (asse delle 0.5 10 6 ordinate a destra) in 11 funzione della pressio7 0.4 15 ne verticale media effi10 cace, ottenuto speri9 mentalmente da una 8 20 0.3 prova edometrica stan0.01 0.1 1 10 dard condotta su un Tensione efficace verticale, σ'v (Mpa) (log) [MPa] provino “indisturbato” di argilla4 (le due curve Figura 7.3 – Esempio di risultati di prova edometrica 3

Le altezze del provino corrispondenti all’inizio e alla fine del processo di consolidazione primaria, per ciascun gradino di carico, si determinano mediante opportune procedure descritte nei Paragrafi 7.7.1 e 7.7.2. 4 Si osservi che i punti sperimentali hanno passo costante in ascissa. Essendo la scala delle ascisse logaritmica, ciò significa che gli incrementi di carico sono applicati con progressione geometrica. Nella fase di

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sono omologhe, in quanto le variabili εa e ∆e sono proporzionali). Nel grafico si individuano tre tratti per la fase di carico: − un tratto iniziale a debole pendenza (punti 1-2) − un tratto intermedio a pendenza crescente (punti 2-5) − un tratto finale a pendenza maggiore e quasi costante (punti 5-8). La curva di scarico (punti 9-11) ha pendenza minore e quasi costante. Il grafico può essere interpretato, alla luce di quanto detto al paragrafo precedente, tenendo conto della storia tensionale e deformativa subita dal provino di terreno. Il provino, quando si trovava in sito, era soggetto alla pressione litostatica. Durante il campionamento, l’estrazione, il trasporto, l’estrusione dal campionatore, ha subito una serie di disturbi (inevitabili) ed una decompressione fino a pressione atmosferica in condizioni di espansione libera5. A causa della decompressione il provino si è espanso e, a parità di contenuto in acqua, è diminuito il grado di saturazione e si sono generate pressioni neutre negative (vedi Capitolo 9). Poi è stato fustellato con l’anello metallico della prova edometrica6 e inserito nella cella riempita d’acqua, dove assorbendo acqua in condizioni di espansione laterale impedita ha in parte rigonfiato. Infine è iniziata la fase di carico. Il tratto iniziale della curva di Figura 7.3 (punti 1-2) corrisponde perciò ad un ricompressione in condizioni edometriche che tuttavia segue ad uno scarico (non rappresentato nel grafico) non edometrico. Perciò il primo tratto non è rettilineo, e comunque non ha pendenza eguale a quella del ramo di scarico. Il secondo tratto della curva (punti 2-5) è marcatamente curvilineo e comprende il valore della pressione di consolidazione in e sito, la cui determinazione sperimentale viene di norma eseguita con la Cr costruzione grafica di Casagrande, A descritta nel seguito. 1 Il terzo tratto della curva di carico (punti 5-8) corrisponde ad una compressione edometrica vergine o di Cc primo carico. Il grafico di Figura 7.3 viene utilizza1 to per stimare i parametri di compressibilità. Cs A tal fine, la curva sperimentale di 1 compressione edometrica e-σ’v, in scala semilogaritmica (Figura 7.3), σ'c σ'v (log) viene approssimata, per le applicaFigura 7.4 - Schematizzazione della curva di com- zioni pratiche, con tratti rettilinei a pressione edometrica scarico il numero di punti sperimentali è minore (in genere la metà). Il primo gradino di carico è generalmente pari a 25 kPa, l’ultimo gradino deve essere tale da superare abbondantemente la pressione di preconsolidazione (6÷8 σ’c) 5 Poiché il disturbo da campionamento è inevitabile, specie per i terreni normalmente consolidati, nessuna prova di laboratorio può riprodurre esattamente le condizioni in sito. 6 Per ridurre il disturbo prodotto dal fustellamento l’anello ha un bordo tagliente con parete interna verticale (vedi Figura 7.4).

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differente pendenza7 (Figura 7.4); il tratto di ginocchio a pendenza crescente è sostituito con un punto angolare (punto A), corrispondente alla pressione di consolidazione, σ’c. La pendenza del tratto iniziale è detta indice di ricompressione, Cr, e non è molto significativo per i motivi sopradetti. La pendenza del tratto successivo al ginocchio, ovvero alla pressione di consolidazione, è detta indice di compressione, Cc. La pendenza nel tratto di scarico tensionale è detta indice di rigonfiamento, Cs8. Valori tipici di Cc sono compresi tra 0.1 e 0.8; Cs è dell’ordine di 1/5÷1/10 del valore di Cc. Per una stima approssimata dell’indice di compressione per argille N.C. si può ricorrere alla seguente relazione: Cc = 0,009 (wL – 10) (Eq. 7.3) Per determinare la pressione di preconsolidazione sono state proposte varie procedure, tra cui la più comunemente utilizzata è quella di Casagrande, che prevede i seguenti passi (Figura 7.5): 1. si determina il punto di massima curvatura (M) del grafico semilogaritmico e- σ'v 2. si tracciano per M la retta tangente alla curva (t), la retta orizzontale (o), e la retta bisettrice (b) dell'angolo formato da t ed o 3. l'intersezione di b con la retta corrispondente al tratto terminale della curva di primo carico individua la pressione di preconsolidazione.

e σ’p,min

σ’p,max S o

M R

b t

σ’c

σ’v (log)

Figura 7.5 – Determinazione della pressione di preconsolidazione σ’c con il metodo di Casagrande

Considerate le difficoltà spesso esistenti nell'individuare il punto di massima curvatura, è utile confrontare sempre il valore di σ'c ottenuto, con i suoi possibili limiti inferiore e superiore: − il primo è rappresentato dall’ascissa del punto di intersezione tra la retta di ricompressione e quella di compressione vergine (punto S); − il secondo dall’ascissa del punto R a partire dal quale la relazione e-logσ' diventa una retta. Confrontando il valore della σ’c, determinato sperimentalmente, con la tensione verticale efficace σ’v0 (calcolata) esistente in sito alla quota di prelievo del campione, si determina il grado di sovraconsolidazione OCR del deposito in esame (nel punto di prelievo del campione).

∆e . ∆ log10 σ 'v

7

Le pendenze nei diversi tratti sono date dal rapporto adimensionale

8

Sarebbe buona norma fare eseguire in laboratorio un intero ciclo di scarico-ricarico e determinare l’indice di rigonfiamento come pendenza dell’asse del ciclo di isteresi.

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Indice dei vuoti, e

La qualità del campione costituisce il requisito più imσ’v0 (= σ’c ) portante per una affidabile e0 determinazione delle pendenze e della σ’c. Il disturbo Curva di compressione tende infatti a distruggere in “in sito” parte o in tutto la struttura del terreno e le informazioni in essa contenute (in partiProvino ricostituito colare la memoria dello staProvino disturbato to tensionale), rendendo Provino indisturbato meno pronunciato il pas0.4 e 0 saggio dal tratto di ricompressione a quello di compressione, e alterando le log σ’ pendenze rispetto alla curva Figura 7.6 – Effetto del disturbo sulla curva di compressibilità in sito. edometrica Per migliorare l’interpretazione della prova si può ricorrere alle costruzioni di Schmertmann (1955). In Figura 7.6 sono mostrate le curve di compressione edometrica di tre provini della stessa argilla con differente grado di disturbo e la curva di compressione in sito. È stato osservato che, indipendentemente dal grado di disturbo le tre curve convergono in un punto che corrisponde ad un indice dei vuoti pari al 40% del valore iniziale. È pertanto ragionevole assumere che anche la curva che si riferisce alle condizioni in sito passi da quel punto. Schmertmann (1955) ha proposto di definire la curva di compressione in sito nel modo seguente: per terreno NC (Figura 7.7): 1. si determina l’indice dei vuoti naturale del provino in sito, e0, (in base al contenuto naturale in acqua, wn, ed al peso specifico dei costituenti solidi, γs,) e si prolunga la curva sperimentale di compressione fino ad un valore dell’indice dei vuoti pari al 40% del valore naturale (punto B); 2. si stima la pressione verticale efficace geostatica alla profondità di estrazione del campione, σ’v0, che per terreno NC coincide con la pressione di consolidazione, σ’c; 3. si disegna il punto A di coordinate (σ’v0, e0); 4. si traccia la retta AB che corrisponde alla migliore stima della curva di compressibilità in sito. per terreno OC (Figura 7.8): 1. si esegue un programma di carico della prova edometrica comprendente un ciclo completo di scarico-ricarico a partire da una pressione superiore alla pressione di consolidazione (presunta)9, e si determina l’indice di rigonfiamento Cs come pendenza dell’asse del ciclo di isteresi, CD; 2. si determina l’indice dei vuoti naturale del provino in sito, e0, e si prolunga la curva sperimentale di compressione fino ad un valore dell’indice dei vuoti pari al 40% del valore naturale (punto B); 9

Se il terreno è fortemente sovraconsolidato e durante la prova edometrica non è superata la pressione di consolidazione, si ottiene una curva priva di tratti rettilinei che spesso viene male interpretata ed attribuita a disturbo o a errore di sperimentazione.

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si stima la pressione verticale efficace geostatica alla profondità di estrazione del campione, σ’v0; si disegna il punto A di coordinate (σ’v0, e0); si stima la pressione di consolidazione, σ’c, con il metodo di Casagrande; si traccia dal punto A una retta di pendenza Cs fino al punto E avente ascissa σ’c (AE); si traccia la retta EB; la spezzata AEB corrisponde alla migliore stima della curva di compressibilità in sito.

4. 5. 6. 7. 8.

e0

Indice dei vuoti, e

e0

A Curva in sito “corretta”

Curva sperimentale

0.4 e 0

Indice dei vuoti, e

3.

B

Curva in sito “corretta”

A E

∆e

D C Curva sperimentale (fase di ricarico)

log σ’ 0.4 e 0

σ’v0 (= σ’c )

B σ’v0

σ’c

log σ’

Figura 7.7: Costruzione di Schmertmann per Figura 7.8: Costruzione di Schmertmann terreno NC per terreno OC

Indice dei vuoti, e [-]

I valori sperimentali della 0 0.7 deformazione assiale, εa, 1 e dell’indice dei vuoti, e, 2 3 5 ottenuti al termine del 0.6 4 processo di consolidazione primaria per ciascun 5 10 gradino di carico, possono 0.5 6 essere rappresentati anche 11 in grafici in scala naturale 15 7 0.4 (e non semilogaritmica). 10 Nella Figura 7.9 sono rap9 8 presentati i punti e le cur20 0.3 ve corrispondenti alla 0.00 0.50 1.00 1.50 2.00 2.50 3.00 3.50 prova di Figura 7.3 (ovTensione efficace verticale, σ'v (MPa) viamente anche in questo caso le due curve sono Figura 7.9: Risultati della prova di Figura 7.5 rappresentati in omologhe). La rappresenscala naturale tazione in scala naturale rende ancor più evidente la non linearità e l’aumento di rigidezza al crescere della tensione applicata. 99 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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Dalla curva (σ’v – εa) di Figura 7.9 si definiscono i seguenti parametri di compressibilità che, a differenza di Cc e di Cs, sono dipendenti dal campo di tensione cui si riferiscono: − il coefficiente di compressibilità di volume: ∆ε a mv = [F-1 L2] (Eq. 7.4) ' ∆σ v − e, il suo reciproco, il modulo edometrico: ∆σ 'v 1 M= = [F L-2] (Eq. 7.5) m v ∆ε a Dalla curva (σ’v – e) di Figura 7.9 si definisce: −

il coefficiente di compressibilità: ∆e [F-1 L2] av = ∆σ 'v

(Eq. 7.6)

e valgono le relazioni: av 1 mv = = 1 + eo M (1 + e 0 ) ' M = 2,3 ⋅ ⋅ σv Cc

(Eq. 7.7) (Eq. 7.8)

Valori orientativi di M, in funzione di IC, per terreni coesivi sono riportati in Tabella 7.1. Tabella 7.1 - Valori orientativi di M per terreni coesivi (nel campo dei valori di σ’v più frequenti per i problemi di ingegneria geotecnica)

Ic M (MPa)

0-0,5 0,2-4

0,5-0,75 4-12

0,75-1 12-30

>1 30-60

7.3 Calcolo del cedimento totale di consolidazione primaria Utilizzando i parametri appena definiti e determinabili mediante la prova edometrica è possibile calcolare il cedimento di uno strato di terreno al quale è applicato un carico uniformemente distribuito ∆σv, nel caso in cui possa ritenersi soddisfatta l’ipotesi di deformazione monodimensionale. In pratica il comportamento dello strato viene assimilato a quello di un provino sottoposto ad una prova edometrica (Figura 7.10), assumendo che i parametri di compressibilità dello strato siano uguali a quelli determinati per il provino. Ricordando che in condizioni edometriche: ∆H ∆e = (Eq. 7.9) H o 1 + eo Il cedimento ∆H sarà dato da : Ho ∆H = ⋅ ∆e (Eq. 7.10) 1 + eo dove Ho è l’altezza iniziale dello strato, eo è l’indice dei vuoti iniziale e ∆e la variazione dell’indice dei vuoti, conseguente all’applicazione del carico, che può essere ricavata dai risultati della prova edometrica.

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e σ’ v0

σ’ c

C

σ’ +∆σ v v0

∆σ r

∆H

1

(σ’ , e ) v0 0

∆e

v

H

0

C c 1

σ’ (log) v

Figura 7.10 – Schema per il calcolo del cedimento di consolidazione primaria di uno strato di terreno coesivo

Facendo riferimento al grafico e-logσ’v si può infatti osservare che nel caso più generale di terreno sovraconsolidato (assumendo Cr = Cs): σ' σ ' + ∆σ ∆e = C s ⋅ log ' c + C c ⋅ log vo ' v (Eq. 7.11) σ vo σc da cui consegue: Ho σ' σ ' + ∆σ ∆H = ⋅ [C s ⋅ log ' c + C c ⋅ log vo ' v ] (Eq. 7.12) 1 + eo σ vo σc Se il carico applicato è tale da non far superare la σ’c, si ha invece: σ ' + ∆σ v ∆e = C s ⋅ log vo ' (Eq. 7.13) σ vo e quindi: Ho σ ' + ∆σ v ] ∆H = ⋅ [C s ⋅ log vo ' (Eq. 7.14) 1 + eo σ vo Se il terreno invece è normalconsolidato: σ ' + ∆σ v ∆e = C c ⋅ log vo ' (Eq. 7.15) σ vo e quindi Ho σ ' + ∆σ v ] ∆H = ⋅ [C c ⋅ log vo ' (Eq. 7.16) 1 + eo σ vo In alternativa ai parametri Cc e Cs, si può fare riferimento al coefficiente di compressibilità di volume mv, o al modulo edometrico M, o al coefficiente di compressibilità av: ∆σ v Ho ∆H = H o ⋅ ∆σ v ⋅ m v = H o ⋅ = ⋅ ∆σ v ⋅ a v (Eq. 7.17) M 1 + e0 tenendo conto del fatto che tali parametri dipendono dal livello di tensione e quindi vanno scelti opportunamente in funzione dell'intervallo tensionale significativo per il problema in esame. 101 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 7

COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Nella pratica, soprattutto in presenza di strati di elevato spessore e non omogenei, è opportuno per una stima migliore del cedimento, suddividere lo strato in più sottostrati, eventualmente differenziando i parametri di compressibilità del terreno (laddove siano disponibili un certo numero di prove edometriche eseguite su provini estratti a differenti profondità). Il cedimento complessivo dello strato risulta essere così espresso: n H oi σ' σ ' + ∆σ ∆H = ∑ ⋅ [C si ⋅ log ' ci + C ci ⋅ log voi ' vi ] (Eq. 7.18) σ voi σ ci i =1 1 + e oi oppure: n n H ∆H = ∑ (H oi ⋅ ∆σ vi ⋅ m vi ) = ∑ ( oi ⋅ ∆σ vi ⋅ a vi ) (Eq. 7.19) i =1 i =1 1 + e oi dove le pressioni ed i parametri di compressibilità sono riferiti alla mezzeria di ciascuno degli n sottotrati, di spessore H0i. Nell’ipotesi di carico, q, applicato in superficie, uniformemente distribuito ed infinitamente esteso, il conseguente incremento della tensione verticale totale, ∆σv, che compare nelle Eq. 7.10 – 7.18, è costante sia in direzione orizzontale che al variare della profondità ed è pari al carico applicato (∆σv = q). Nel caso in cui il carico sia distribuito su una superficie di dimensioni limitate (rispetto allo spessore dello strato) il valore di ∆σv si riduce al crescere della profondità e varia in direzione orizzontale; tale incremento può essere determinato con riferimento alla teoria dell’elasticità (vedi Capitolo 6) in funzione della geometria della superficie di carico. In prima approssimazione, nel caso di carico q uniformemente distribuito su un’area rettangolare, il valore di ∆σv può essere stimato al variare della profondità z, ipotizzando che il carico si diffonda con un rapporto 2:1 (Figura 7.11). Alla profondità z risulta, quindi: ∆σ v (z) =

q⋅L⋅B (L + z ) ⋅ (B + z )

(Eq. 7.20)

Nelle Eq. 7.17 e 7.18 il valore dell’incremento di pressione verticale, ∆σvi, è riferito alla mezzeria di ciascun sottostrato.

Impronta di carico

B

L

L

2

z

z 1

∆σvi z/2

z/2 L+z

Figura 7.11 – Schema semplificato per il calcolo della diffusione delle tensioni

102 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 7

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7.4 Consolidazione Come già evidenziato nei paragrafi precedenti, l’applicazione di un sistema di sollecitazioni induce nel terreno un sistema di distorsioni (cambiamenti di forma) e/o di deformazioni (variazioni di volume). Essendo i terreni mezzi particellari costituiti da grani solidi e vuoti, con i grani solidi praticamente incompressibili, ogni variazione di volume di un elemento di terreno corrisponde ad una variazione del volume dei vuoti. Inoltre, se il terreno è saturo, ovvero se tutti i vuoti sono riempiti d’acqua, essendo l’acqua praticamente incompressibile, una variazione di volume comporta un moto di filtrazione dell’acqua interstiziale: in allontanamento dall’elemento di terreno se il volume si riduce, in entrata nell’elemento se il volume aumenta. Il processo di espulsione dell’acqua dai pori avviene quando, per effetto del carico applicato, si genera, all’interno di un certo volume di terreno, u + ∆u un campo di sovrapressioni neuu tre, ∆u, variabile da punto a punto. La conseguente differenza di carico idraulico, rispetto alle condizioni di equilibrio, Figura 7.12 – Campo di sovrappressioni generato in un provoca l’instaurarsi di un flusterreno a grana fine in seguito all’ applicazione di un cari- so dell’acqua in regime transitorio dai punti a energia maggiore co verso i punti a energia minore, e in particolare verso l’esterno della zona interessata dall’incremento delle pressioni interstiziali (Figura 7.12). Come già osservato nell’introduzione di questo Capitolo, via via che l’acqua viene espulsa dai pori, le particelle di terreno si deformano e si assestano in una configurazione più stabile e con meno vuoti, con conseguente diminuzione di volume. La velocità di questo processo dipende dalla permeabilità del terreno. L’entità della variazione di volume, dipende dalla rigidezza dello scheletro solido, cioè dalla struttura del terreno. Escludendo le sollecitazioni di natura dinamica e riferendosi quindi solo al caso di carichi statici o quasi statici, nei terreni a grana grossa (ghiaie e sabbie), a causa della loro elevata permeabilità (k > 10-6 m/s), l’espulsione dell’acqua è praticamente istantanea e quindi anche la deformazione volumetrica. Nel caso dei terreni a grana fine (limi e argille), invece, a causa della loro scarsa permeabilità (k t2 la forza Q è equilibrata in parte dalla reazione della molla, QM, e in parte dalla sovrapressioni residua dell’acqua, QW: ∆σv v= = pp

pp

Q = Q M ( t ) + Q W ( t ) = K ⋅ ∆l( t ) + ∆u w ( t ) ⋅ A

(Eq. 7.21) in cui si è indicato con K la costante elastica della molla. Il manometro registra una progressiva diminuzione della pressione dell’acqua nel tempo. 10

Si osservi che la prova edometrica riproduce quasi esattamente le condizioni di carico e di vincolo descritte e rappresentate in Figura 7.13.

104 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 7

COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Chiuso

Valvola

Aperto

Pressione 0

t

1

t

t

2

t

3

t

4

t

5

t

6

7

W i

Q (t )

Q

Sovraccarico

M i

Q (t )

t

0

t

0

t

1

t

2

t

t

3

4

t

5

t

6

t

Tempo 7

Figura 7.14 – Modello meccanico di elasticità ritardata

Al tempo t=t7 il processo si esaurisce. La molla sostiene per intero il carico Q, la sovrapressione dell’acqua si è interamente dissipata. Quanto appena descritto rappresenta in maniera semplificata ciò che accade in un terreno coesivo durante il processo di consolidazione edometrica: inizialmente il sovraccarico applicato è sopportato quasi esclusivamente dall’acqua interstiziale. Gradualmente l’acqua viene espulsa dai pori, con filtrazione verticale, e il carico viene trasferito allo scheletro solido che si comprime, con conseguente aumento delle pressioni effettive. Alla fine del processo di consolidazione tutte le sovrapressioni neutre si sono dissipate e il sovraccarico totale applicato è interamente sopportato dallo scheletro solido (cioè interamente equilibrato da un incremento delle pressioni verticali efficaci). Un altro, più completo modello meccanico, utile a introdurre la teoria della consolidazione edometrica è quello proposto da Terzaghi e rappresentato in Figura 7.15. Esso consiste in un recipiente cilindrico contenente una serie di pistoni forati, eguali fra loro, separati da molle di eguale rigidezza, e riempito d’acqua. Ciascuna zona di interpiano in cui risulta suddiviso il recipiente tramite i pistoni è collegata ad un tubo aperto per la misura del carico piezometrico. Applicando un incremento di pressione ∆σ (rispetto alla pressione esistente in condizioni di equilibrio) si osserva che questo è istantaneamente sopportato dall’acqua. L’altezza di risalita dell’acqua in tutti i piezometri nell’istante di applicazione del carico (t=0) è data da ∆σ/γw. La differenza di carico idraulico innesca una filtrazione 105 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 7

COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

verticale ascendente verso la superficie a pressione atmosfeB ∆σ’ γw rica. Col passare del tempo la pressione dell’acqua nelle varie ∆σ/γw E zone si riduce gradualmente, ed ∆u’ entrano in compressione le molγw A le, a partire dalla parte più alta D del recipiente. Al generico istante di tempo t in un dato interpiano, la pressione dell’acqua e l’altezza d’interpiano saranno inferiori rispetto a quelle dell’interpiano sottostante. Il Figura 7.15 - Modello meccanico di Terzaghi processo continua finché, dopo un tempo relativamente lungo, la sovrapressione dell’acqua in tutte le zone si sarà interamente dissipata e la distanza di interpiano sarà eguale (la pressione neutra assume il valore esistente prima dell’applicazione del sovraccarico in condizioni di equilibrio, i dischi si saranno avvicinati della quantità corrispondente alla pressione sopportata dalle molle). Con riferimento allo schema di Figura 7.15 si osservi che l’area del rettangolo ABCD è proporzionale al carico totale applicato Q=∆σ Ar (essendo Ar l’area della sezione retta del recipiente) e che ad un generico istante di tempo (ad esempio t=t2) l’area ABCE è proporzionale alla quota parte di Q sostenuta dalle molle, mentre l’area AED è proporzionale alla quota parte di Q sostenuta dall’acqua. L’isocrona AE riferita all’asse AD rappresenta la distribuzione delle sovrapressioni neutre con la profondità, e riferita all’asse BC la distribuzione delle tensioni verticali sulle molle. Se le molle sono ad elasticità lineare, e quindi vi è proporzionalità tra tensioni e deformazioni, l’area ABCD è proporzionale al cedimento finale, l’area ABCE è proporzionale al cedimento avvenuto al tempo t=t2, l’isocrona AE riferita all’asse BC rappresenta la distribuzione delle deformazioni verticali al tempo t=t2. Negli schemi sopra descritti, le molle rappresentano lo scheletro solido, l’acqua nel cilindro rappresenta l’acqua che riempie i pori, i fori sui pistoni rappresentano la permeabilità del terreno. C

7.6 Teoria della consolidazione edometrica La teoria della consolidazione edometrica di Terzaghi si basa sulle seguenti ipotesi semplificative: 1. consolidazione monodimensionale, cioè filtrazione e cedimenti in una sola direzione (verticale); 2. incompressibilità dell’acqua (ρw = cost.) e delle particelle solide (ρs = cost.); 3. validità della legge di Darcy; 4. terreno saturo, omogeneo, isotropo, con legame sforzi deformazioni elastico lineare, a permeabilità costante nel tempo e nello spazio; 5. validità del principio delle tensioni efficaci. La teoria è sviluppata a partire dall’equazione generale di flusso (Capitolo 4, Eq. 4.22), che nelle ipotesi suddette diviene: 106 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 7

k

COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

∂ 2h 1 ∂e = 2 1 + eo ∂t ∂z

(Eq. 7.22)

∂e ∂e ∂σ v' = ⋅ e ricordando la definizione del coefficiente di compressibilità: ∂t ∂σ v' ∂t ∂e av = − ' (Eq. 7.23) ∂σ v

Posto

si ha, essendo per ipotesi di elasticità lineare av = cost: k ( 1 + eo ) ∂ 2 h ∂σ v' = − (Eq. 7.24) av ∂t ∂z 2 Se poi il carico piezometrico h viene espresso come somma dell’altezza geometrica, z, e dell’altezza di pressione, u/γw, e la pressione a sua volta viene espressa come somma del termine dovuto alla pressione dei pori in regime stazionario, up (in condizioni di equilibrio prima dell’applicazione del sovraccarico) e di quello dovuto all’eccesso di pressione dei pori conseguente all’applicazione del sovraccarico, ue, si può scrivere, con riferimento allo schema di Figura 7.16: ( u p + ue ) h= z+ (Eq. 7.25

γw

e osservando che la distribuzione delle pressioni in regime stazionario, up è lineare con la profondità z, per cui la derivata seconda di up rispetto alla profondità è zero, si ha: ∂ 2 h 1 ∂ 2ue = ⋅ (Eq. 7.26) ∂z 2 γ w ∂z 2 Essendo per il principio delle pressioni efficaci (Capitolo 3, Eq. 3.3): ∂σ v' ∂σ v ∂u e = − ∂t ∂t ∂t

(Eq. 7.27)

∆p

0 zw z Argilla

2H

isocrona all’istante t = 0

zw Profondità

Sabbia

up (z)

ue (z,t)

u(z,t)

isocrona ad un generico istante t

u0 Zw + 2H

u(z,t)=up (z) + ue (z,t)

Pressione dei pori

Sabbia

Figura 7.16. – Distribuzione delle pressioni neutre con la profondità durante il processo di consolidazione in condizioni edometriche

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e supponendo che il sovraccarico applicato, σv, sia costante nel tempo si ha: ∂σ v' ∂u =− e ∂t ∂t L’equazione di continuità si riduce quindi alla seguente espressione: k ( 1 + e o ) ∂ 2 u e ∂u e = γ w ⋅ a v ∂z 2 ∂t Il termine: k ( 1 + eo ) k = = cv γ w ⋅ av γ w ⋅ mv

[L2/T]

(Eq. 7.28)

(Eq. 7.29)

(Eq. 7.30)

è chiamato coefficiente di consolidazione verticale e può essere determinato elaborando i risultati della prova edometrica secondo le procedure che verranno descritte nel Paragrafo 7.8. Utilizzando l’ Eq.7.30, dopo avere ricavato dalla prova edometrica anche il coefficiente di compressibilità di volume, mv (Paragrafo 7.2), è possibile ottenere una stima del coefficiente di permeabilità k del terreno. Ovviamente, potendo determinare tanti valori di cv e di mv, quanti sono i gradini di carico applicati al provino, si possono ottenere altrettanti valori del coefficiente di permeabilità. In genere si assume come valore più rappresentativo per il terreno in sito quello corrispondente al gradino di carico entro cui ricade la tensione litostatica valutata alla profondità di estrazione del provino. Con la definizione di cv (Eq. 7.30), l’equazione differenziale della consolidazione monodimensionale di Terzaghi diventa: ∂ 2 u e ∂u e (Eq. 7.31) cv = ∂t ∂z 2 dove u e = u e (z, t ) rappresenta, come già detto, il valore dell’eccesso di pressione neutra nel punto a quota z, e al tempo t dall’istante di applicazione del carico. Vengono definite le due variabili adimensionali: z Z= (Eq. 7.32) H c ⋅t Tv = v 2 (chiamato fattore di tempo) (Eq. 7.33) H con H altezza di drenaggio, pari cioè al massimo percorso che una particella d’acqua deve compiere per uscire dallo strato (nel caso di strato doppiamente drenato è pari alla metà dell’altezza dello strato, nel caso di strato da un lato solo è pari allo spessore dell’intero strato). L’equazione (7.35) può essere così riscritta: ∂ 2 u e ∂u e = (Eq. 7.34) ∂Z 2 ∂Tv La soluzione dell’equazione 7.34 dipende dalle condizioni iniziali e dalle condizioni al contorno (due condizioni per z e una per t), in particolare dalle condizioni di drenaggio (da un solo lato o da entrambi i lati) e dalla distribuzione iniziale della sovrapressione ue 108 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 7

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con la profondità z (isocrona iniziale), che nel caso di consolidazione determinata da un carico infinitamente esteso applicato in superficie è uniforme. Sotto le ipotesi edometriche (Figura 7.16) di: − isocrona iniziale costante con la profondità (per t=0 ue= uo, ∀z) − superfici superiore e inferiore perfettamente drenanti (per z=0 e z=2H ue= 0, ∀t≠0) la soluzione risulta esprimibile in serie di Taylor come:

u e ( Z ,Tv ) = dove: M =

m =∞

2 2u o (sin MZ )e − M Tv m =0 M



(Eq. 7.35)

π

( 2m + 1 ) . 2 Tale soluzione, che permette (per ogni z e t) di calcolare u e (z, t ) noto cv, si trova usualmente diagrammata in termini di grado di consolidazione Uz, definito come rapporto tra la sovrapressione dissipata al tempo t e la sovrapressione iniziale uo, cioè: u − u e ( z ,t ) u ( z ,t ) Uz = o = 1− e (Eq. 7.36) uo uo in funzione del fattore di tempo Tv (noto una volta noto cv). Un diagramma tipico Uz = f(Z,Tv) è riportato in Figura 7.17. Da tale soluzione si può osservare che: − subito dopo l’applicazione del carico si ha un gradiente idraulico elevato alle estremità che si riduce progressivamente verso l’interno dello strato (e nel tempo); − in mezzeria il gradiente dell’eccesso di pressione è sempre nullo, cioè non vi è alcun flusso attraverso il piano orizzontale a metà dello strato. A(Tv ) At = Area totale del grafico

Z= z/H

Grado di consolidazione medio Um (Tv ) = A(Tv )/At

Grado di consolidazione, Uz

Figura 7.17 – Grado di consolidazione Uz in funzione del fattore di tempo, Tv, e di z/H (Taylor, 1948)

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Capitolo 7

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In base a quest’ultima osservazione si ha che il piano di mezzeria può essere considerato impermeabile e pertanto la soluzione può essere estesa anche al caso in cui si abbia uno strato drenato solo ad una estremità, come nel modello meccanico di Figura 7.15, ponendo attenzione alla definizione di altezza di drenaggio che in questo caso è pari all’altezza dello strato. La soluzione dell’equazione della consolidazione monodimensionale fornisce il decorso nel tempo delle sovrapressioni interstiziali, ma può essere utilizzata anche per la previsione del decorso dei cedimenti nel tempo dell’intero strato. Infatti nella maggior parte dei casi pratici non interessa conoscere il valore del grado di consolidazione Uz in un dato punto dello strato di terreno, ma piuttosto il valore del grado di consolidazione medio dell’intero strato raggiunto dopo un certo periodo di tempo dall’applicazione del carico. Il grado di consolidazione medio dell’intero strato in termini di sovrapressione interstiziali, corrispondente ad un certo fattore di tempo, Tv, ossia ad un certo istante, t, è dato da: 2H

U=

∫ [u

− u e ( z ,t )] ⋅ dz

o

0

(Eq. 7.37)

2H

∫u

o

⋅ dz

0

Osservando che durante il processo di consolidazione le pressioni efficaci variano della stessa quantità delle pressioni interstiziali, con segno opposto, e che, per l’ipotesi di elasticità lineare, la deformazione verticale è direttamente proporzionale alla pressioni verticale efficace: u 0 − u e ( t ) ∆σ ' ( t ) M ⋅ ε ( t ) ε ( t ) = = = (Eq. 7.38) ∆σ v εf u0 M ⋅ε f si ha che il grado di consolidazione medio in termini di sovrapressione interstiziali, U, (rapporto tra la sovrapressione dissipata al tempo t e la sovrapressione totale iniziale) coincide con il grado di consolidazione medio in termini di cedimento, Um, definito come rapporto tra il cedimento al tempo t, s(t), che per definizione è l’integrale delle deformazioni verticali al tempo t, e il cedimento finale totale, sf: 2H

Um =

∫ ε ( t ) ⋅ dz 0 2H

∫ε

f

⋅ dz

=

s( t ) =U sf

(Eq. 7.39)

0

ed è questa l’informazione che generalmente interessa nei casi pratici (interessa conoscere l’aliquota del cedimento totale che si è realizzata dopo un certo tempo dall’applicazione del carico). Si può osservare che nei grafici Uz-Tv, il valore di Um corrispondente ad un certo tempo adimensionalizzato Tv, rappresenta il rapporto tra l’area, A(t), compresa tra la linea Uz=0 e la relativa curva di Tv e l’area totale del grafico, At, (quella compresa tra le linee Uz=0 e Uz=1). Ad esempio in Figura 7.17 il rapporto tra l’area tratteggiata e l’area totale del grafico rappresenta il grado di consolidazione medio corrispondente ad un fattore di tempo Tv = 0.05. Le soluzioni del grado di consolidazione medio Um in funzione del fattore di tempo Tv si trovano diagrammate o tabulate per diversi andamenti dell’isocrona iniziale (costante, triangolare, etc.). In tabella 7.2 e in Figura 7.18 sono riportate le soluzioni relative al caso di isocrona iniziale costante con la profondità (con ascissa in scala lineare e logaritmica). 110 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 7

COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Tabella 7.2. – Valori tabulati della soluzione dell’equazione Um = f(Tv) per il caso di isocrona iniziale costante con la profondità 10 0.0077

20 0.0314

30 0.0707

40 0.126

0

Grado di consolidazione medio, Um [%]

Grado di consolidazione medio, Um [%]

Um Tv 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

50 0.196

70 0.403

90 0.848

95 1.129

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 0.001

Fattore di tempo, Tv

0.01

0.1

1

Fattore di tempo, Tv

Figura 7.18 - Diagrammi della soluzione dell’equazione Um = f(Tv) per il caso di isocrona iniziale costante con la profondità, con ascissa in scala lineare (a) e logaritmica (b)

Esistono anche espressioni analitiche che forniscono una stima approssimata della soluzione per il caso di isocrona iniziale costante con la profondità, ad esempio: Um = 6

Tv

3

Tv + 0.5

Um = 2⋅

3

Tv

π

; Tv = 3

; Tv =

π

0 .5 ⋅ U m 1 −Um

⋅U m

6

(Brinch-Hansen)

6

per U m ≤ 60%

2

4 Tv = 1.781 − 0.933 log( 100 − U m (%))

Um =

⎛ 4 ⋅ Tv ⎞ ⎜ ⎟ ⎝ π ⎠

0.5

⎡ ⎛ 4 ⋅ Tv ⎞ ⎤ ⎟ ⎥ ⎢1 + ⎜ ⎣⎢ ⎝ π ⎠ ⎥⎦ 2.8

; Tv =

⋅U m

4 5.6 1−Um

[

(Eq. 7.41)

per U m > 60%

π 0.179

(Terzaghi)

(Eq. 7.40)

2

]

0.357

(Sivaram & Swamee)

(Eq. 7.42)

Se fossero verificate le ipotesi della teoria della consolidazione, le curve sperimentali in prova edometrica cedimento – tempo, per qualunque terreno e per qualunque carico applicato, dovrebbero essere eguali, a meno di fattori di scala, alle curve teoriche adimenc ⋅t s( t ) sionali Um = f(Tv). Infatti U m = è proporzionale al cedimento s(t) e Tv = v 2 è proH sf porzionale al tempo t. I fattori di scala sono caratteristici dei diversi terreni e devono essere determinati sperimentalmente. In particolare occorre determinare il cedimento di consolidazione edometrica finale, sf, la lunghezza del percorso di drenaggio H, e il coefficiente di consolidazione, cv. In realtà le ipotesi alla base della teoria non sono ben verificate per i terreni reali, come discuteremo in seguito, ma l’accordo fra le curve adimensionali teoriche e quelle sperimentali è accettabile per gradi di consolidazione non superiori al 60%. 111 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

1

Capitolo 7

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A questo punto è opportuno conoscere come si può determinare il coefficiente di consolidazione, cv, (parte essenziale del fattore di scala) l’unico parametro che nella soluzione dell’equazione della consolidazione tiene conto delle proprietà del terreno. Per la sua determinazione si utilizzano i risultati della prova edometrica.

7.7 Determinazione sperimentale del coefficiente di consolidazione verticale Come abbiamo visto al paragrafo 7.2 la prova edometrica standard è eseguita applicando incrementi successivi di carico, mantenuti costanti fino all’esaurimento del fenomeno di consolidazione (e oltre). Durante tale periodo si rilevano i cedimenti del provino nel tempo11. I valori osservati dell’altezza del provino sono generalmente diagrammati secondo due modalità: - in funzione del logaritmo del tempo, - in funzione della radice quadrata del tempo. Gli andamenti tipici dei grafici che si ottengono nei due casi sono rappresentati nelle Figure 7.19a e 7.19b. 2H

2 Hi 2H 2 Hi

2 H90 2 Hf

2 Hf

t=0

a)

b)

Figura 7.19 – Andamento dell’altezza del provino (2H) durante la consolidazione edometrica in funzione del logaritmo del tempo (a) e della radice quadrata del tempo (b)

Dai diagrammi così ottenuti è possibile determinare, relativamente a ciascuno dei gradini di carico applicati, il coefficiente di consolidazione, cv, mediante una delle due procedure di seguito descritte.

7.7.1 Metodo di Casagrande Si applica al grafico tempo (log)-altezza del provino (Figura 7.19a), nel quale si assume di poter distinguere un primo tratto, AB, corrispondente al processo di consolidazione e11

Normalmente vengono prese misure di abbassamento a intervalli di tempo via via crescenti (10’’, 20’’, 30’’, 1’, 2’, 5’, 10’ etc..)

112 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 7

COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

dometrica primaria, e un secondo tratto lineare, BD, corrispondente alle deformazioni viscose (la consolidazione secondaria di cui parleremo in seguito). Ovviamente tale suddivisione è del tutto arbitraria, in quanto un’aliquota del cedimento viscoso si sovrappone al cedimento di consolidazione primaria nel tratto iniziale della curva, mentre nel tratto finale, oltre al cedimento di consolidazione secondaria sarà presente anche una componente (seppure trascurabile) del cedimento di consolidazione primaria. Come già detto, per poter interpretare il fenomeno reale mediante il modello teorico di Terzaghi, occorre sovrapporre e far coincidere la curva teorica adimensionale Um=f(Tv) con la curva sperimentale, allo scopo di determinare i fattori di scala. Il primo passo del metodo consiste nell’individuare, mediante una procedura convenzionale, le altezze del provino corrispondenti all’istante iniziale e alla fine del processo di consolidazione primaria. L’origine (zero corretto) delle deformazioni può essere ricavata osservando che la relazione tra grado di consolidazione medio, Um, e fattore di tempo, Tv, (e quindi la relazione tra cedimenti e tempo), per valori di Um < 60% (Eq. 7.45), è con buona approssimazione una parabola ad asse orizzontale. Il tempo risulta cioè proporzionale al quadrato del cedimento, ossia, considerati due istanti, t1 e t2, e i relativi cedimenti, S(t1) e S(t2) (tali che Um 0, ∆u > 0, 0 ovvero 0 < B = ∆u/∆σ < 1. 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0 0 Il parametro B dipende dal grado di Grado di saturazione, Sr saturazione dei terreno, con una legge non lineare e variabile da terreno a ter- Figura 9.7 – Tipica variazione del coefficiente B di reno, qualitativamente rappresentata in Skempton con il grado di saturazione Sr Figura 9.7.

9.4.2 Il coefficiente A Se l’elemento di terreno è saturo, come abbiamo visto risulta B = 1, per cui i parametri A e Ā=A·B coincidono. Per un dato terreno, il loro valore non è unico, come per il parametro B, ma dipende dallo stato tensionale iniziale e dall’incremento di tensione deviatorica. 131 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 9

RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Il valore assunto dal parametro A in condizioni di rottura è indicato con Af, che pertanto rappresenta il rapporto tra l’incremento di pressione interstiziale in condizioni non drenate a rottura, ∆uf, e il corrispondente valore dell’incremento di tensione deviatorica totale (∆σ1 – ∆σ3)f. Il valore di Af dipende da numerosi fattori, il principale dei quali è la storia tensionale, ovvero il grado di sovraconsolidazione OCR. Per le argille normalmente consolidate (OCR = 1) Af ha valori usualmente compresi tra 0,5 e 1, mentre per le argille fortemente sovraconsolidate (OCR > 4) Af assume valori negativi.

Coefficiente Af di Skempton

1.0 In Figura 9.8 è mostrata una tipica variazione di Af con OCR per un’argilla. È importante notare il significato fisico di A, e riflettere sulle sue conseguenze 0.5 nel comportamento meccanico delle opere geotecniche: un valore positivo di A significa che la pressione interstiziale nel terreno cresce con la tensione 0 deviatorica totale, mentre al contrario se A è negativo la pressione interstiziale decresce. Occorre tuttavia sottolineare il fatto che i valori di Af, generalmen-0.5 te riportati in letteratura e nei rapporti 3 4 1 6 8 10 2 20 geotecnici di laboratorio, non possono Grado di sovraconsolidazione, OCR essere utilizzati per valutare gli incrementi di pressione interstiziale in con- Figura 9.8 – Tipica variazione del coefficiente Af di dizioni di esercizio, poiché si riferisco- Skempton con il grado di sovraconsolidazione OCR no a condizioni di tensione differenti.

9.5 Apparecchiature e prove di laboratorio per la determinazione della resistenza al taglio La resistenza al taglio dei terreni può essere determinata (o stimata) con prove di laboratorio e con prove in sito. Le due categorie di prove sono fra loro complementari, nel senso che presentano vantaggi e limiti di tipo opposto, come già è stato detto a proposito della determinazione sperimentale del coefficiente di permeabilità, e come sarà meglio chiarito in seguito quando si tratteranno le prove in sito. L’analisi dei risultati delle prove di laboratorio si presta bene allo studio delle leggi costitutive, poiché le condizioni geometriche, di vincolo e di drenaggio dei provini sono ben definite, il percorso di carico e/o di deformazione è imposto e controllato, il terreno su cui si esegue la prova è identificato e classificato. I principali limiti delle prove di laboratorio sono invece da ricercarsi nella incerta rappresentatività del comportamento in sito, sia per il ridottissimo volume di terreno sottoposto a prova sia perché durante le operazioni di campionamento, trasporto, estrusione e preparazione dei provini si produce inevitabilmente un disturbo tale che essi non sono mai nelle stesse condizioni in cui si trovavano in sito. 132 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Esistono molte apparecchiature e prove di laboratorio per la determinazione della resistenza al taglio dei terreni. In questa sede esamineremo soltanto le più semplici e diffuse: la prova di taglio diretto e le prove triassiali standard.

9.6 La prova di taglio diretto La prova di taglio diretto è la più antica, la più intuitiva e la più semplice fra le prove di laboratorio per la determinazione della resistenza al taglio dei terreni. Essa può essere eseguita su campioni ricostituiti di materiali sabbiosi e su campioni indisturbati o ricostituiti di terreni a grana fine. Una rappresentazione schematica della cella dell’apparecchiatura è mostrata in Figura 9.9. La prova si esegue su almeno tre provini, che in genere hanno sezione quadrata di lato 60÷100 mm e altezza 20÷40 mm. La dimensione massima dei grani di terreno deve essere almeno 6 volte inferiore all’altezza del provino, per cui sono escluse le ghiaie e i ciottoli, salvo che non si disponga di apparecchiature speciali, molto grandi. Figura 9.9 – Cella per la prova di taglio diretto Il provino è inserito in un telaio metallico a sezione quadrata diviso in due parti da un piano orizzontale in corrispondenza della semialtezza, ed è verticalmente compreso tra due piastre metalliche nervate e forate, oltre ciascuna delle quali vi è una carta filtro ed una piastra di pietra porosa molto permeabile. Attraverso una piastra di carico è possibile distribuire uniformemente sulla testa del provino una forza verticale di compressione. Il tutto è posto in una scatola piena d’acqua che può essere fatta scorrere a velocità prefissata su un’apposita rotaia. La metà superiore del telaio metallico è impedita di traslare da un contrasto collegato ad un anello dinamometrico (per la misura delle forze orizzontali T applicate), cosicché il movimento della scatola produce la rottura per taglio del provino nel piano orizzontale medio. La prova si esegue in due fasi. Nella prima fase viene applicata in modo istantaneo e mantenuta costante nel tempo una forza verticale N che dà inizio ad un processo di consolidazione edometrica. Durante la prima fase si misurano gli abbassamenti nel tempo del provino, controllando in tal modo il processo di consolidazione e quindi il raggiungimento della pressione verticaN le efficace media σ n' = , essendo A la sezione orizzontale del provino. La durata della A prima fase dipende dalla permeabilità del terreno e dall’altezza del provino. Nella seconda fase si fa avvenire lo scorrimento orizzontale relativo, δ, a velocità costante fra le due parti del telaio producendo il taglio del provino nel piano orizzontale medio. Durante la fase di taglio si controlla lo spostamento orizzontale relativo e si misurano la forza orizzontale T(δ), che si sviluppa per reazione allo scorrimento, e le variazioni di al133 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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tezza del provino. La velocità di scorrimento deve essere sufficientemente bassa da non indurre sovrapressioni interstiziali. A tal fine la velocità può essere scelta in modo inversamente proporzionale al tempo di consolidazione della prima fase. A titolo puramente indicativo, le velocità di scorrimento sono dell’ordine di 2 10-2 mm/s per terreni sabbiosi e di 10-4 mm/s per i terreni a grana fine. La prova va continuata fino alla chiara individuazione della forza resistente di picco Tf (Figura 9.10.a) o fino ad uno spostamento pari al 20% del lato del provino, quando non si possa individuare chiaramente un valore di picco della resistenza. a) τ

b) τ

ϕ’

τ 3f σ’ τ 2f τ

3n

σ’2n 1f

σ’

1n

c’ Spostamento, δ

σ’

1n

σ’2n

σ’3n

σ

Figura 9.10 - Determinazione della resistenza a rottura, τf (a) e dei parametri di resistenza al taglio (b) da prova di taglio diretto.

La tensione efficace normale a rottura σ’n,f = σ’n e la tensione tangenziale media a rottura Tf 3 , sono le coordinate di un punto del piano di Mohr apparsul piano orizzontale, τ f = A tenente alla linea inviluppo degli stati di tensione a rottura. Ripetendo la prova con differenti valori di N (almeno tre) si ottengono i punti sperimentali che permettono di tracciare la retta di equazione: τ f = c'+σ '⋅ tan φ ' (Eq. 9.10) e quindi di determinare i parametri di resistenza al taglio c’ e φ’ (Figura 9.10b). I valori di N, e quindi di pressione verticale, devono essere scelti tenendo conto della tensione verticale efficace geostatica. I principali limiti della prova di taglio diretto sono: l’area A del provino varia (diminuisce) durante la fase di taglio, la pressione interstiziale non può essere controllata, non sono determinabili i parametri di deformabilità, la superficie di taglio è predeterminata e, se il provino non è omogeneo, può non essere la superficie di resistenza minima.

3

In realtà l’area su cui distribuisce la forza resistente di picco Tf a rottura sarà inferiore a quella iniziale A per effetto dello scorrimento relativo delle due parti del provino.

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Se la prova è condotta a velocità troppo elevate per consentire il drenaggio si ottiene una sovrastima di c’ e una sottostima di φ’. L’esecuzione di prove di taglio diretto “rapide non drenate” è fortemente sconsigliata, poiché la rapidità della prova non è comunque sufficiente a garantire l’assenza di drenaggio ed i risultati non sono interpretabili né in termini di tensioni efficaci né in termini di tensioni totali.

9.7 L’apparecchio e le prove triassiali standard Le prove triassiali standard sono eseguite, con modalità diverse, su campioni ricostituiti di materiali sabbiosi e su campioni indisturbati o ricostituiti di terreni a grana fine per determinarne le caratteristiche di resistenza al taglio e di rigidezza. Nel seguito si considereranno solamente le prove di compressione su terreni saturi. Differenti modalità di prova (ad esempio per estensione) o prove su terreni non saturi sono possibili ma richiedono apparecchiature più complesse e, allo stato attuale, non sono di routine. In Figura 9.11 è rappresentato lo schema di un apparecchio per prove triassiali standard. I provini di terreno hanno forma cilindrica con rapporto altezza/diametro generalmente compreso tra 2 e 2.5. Il diametro è di norma 35 o 50mm. Poiché il diametro deve essere almeno 10 volte maggiore della dimensione massima dei grani, prove triassiali su terreni contenenti ghiaie o ciottoli non sono possibili salvo disporre di apparecchiature speciali di grandi dimensio- Figura 9.11 – Cella per prove triassiali di tipo standard ni. Lo stato tensionale a cui è soggetto un provino durante una prova triassiale è di tipo assial-simmetrico e rimane tale durante tutte le fasi della prova, quindi le tensioni principali agiscono sempre lungo le direzioni assiale e radiali del provino. Il provino, la cui preparazione richiede procedure diverse a seconda della natura del terreno, è appoggiato su un basamento metallico all’interno di una cella di perspex. Tra il basamento e il provino è posto un disco di materiale poroso molto permeabile, protetto da un disco di carta filtro che evita l’intasamento dei pori. Anche superiormente al provino è posto un disco di carta filtro ed una pietra porosa, sopra la quale è appoggiata una piastra circolare di carico. La superficie laterale del provino è rivestita con una membrana di lattice di gomma, molto flessibile ed impermeabile, stretta con guarnizioni di gomma (Oring) al basamento inferiore ed alla piastra di carico superiore. Talvolta tra la superficie laterale del provino e la membrana di lattice di gomma sono poste strisce verticali di carta filtro. La cella di perspex è riempita d’acqua che può essere messa in pressione esercitando così uno stato di compressione isotropa sul provino. 135 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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Il provino risulta idraulicamente isolato dall’acqua interna alla cella di perspex, ma in collegamento idraulico con l’esterno, poiché sia il basamento che la piastra di carico sono attraversati da condotti collegati con sottili e flessibili tubi di drenaggio. La carta filtro disposta sulla superficie laterale del provino ha la funzione di facilitare il flusso dell’acqua dal provino all’esterno. I tubi di drenaggio possono essere anche utilizzati per mettere in pressione l’acqua contenuta nel provino (contropressione interstiziale o back pressure), o possono essere chiusi e collegati a strumenti di misura della pressione dell’acqua. Il tetto della cella è attraversato da un’asta verticale scorrevole (pistone di carico, Figura 9.11) che può trasmettere un carico assiale al provino attraverso la piastra di carico. In definitiva con l’apparecchio triassiale standard è possibile: esercitare una pressione totale isotropa sul provino mediante l’acqua contenuta nella cella; o fare avvenire e controllare la consolidazione isotropa del provino misurandone le variazioni di volume, corrispondenti alla quantità di acqua espulsa o assorbita attraverso i tubi di drenaggio; o deformare assialmente il provino a velocità costante fino ed oltre la rottura misurando la forza assiale di reazione corrispondente; o misurare il volume di acqua espulso o assorbito dal provino durante la compressione assiale a drenaggi aperti; o controllare le deformazioni assiali del provino, determinate dalla velocità di avanzamento prescelta della pressa, durante la compressione assiale; o misurare la pressione dell’acqua nei condotti di drenaggio (che si suppone eguale alla pressione interstiziale uniforme nei pori del provino) quando la compressione, isotropa o assiale, avviene a drenaggi chiusi, o mettere in pressione l’acqua nei condotti di drenaggio, e quindi creare una eguale pressione interstiziale nel provino. o

Nell’interpretare i risultati delle prove si ipotizza un comportamento deformativo isotropo del terreno. Le prove triassiali standard sono condotte secondo tre modalità: o prova triassiale consolidata isotropicamente drenata (TxCID), o prova triassiale consolidata isotropicamente non drenata (TxCIU), o prova triassiale non consolidata non drenata (TxUU). Per ciascuno dei tre tipi di prova il provino è inizialmente saturato mediante la contemporanea applicazione di una tensione isotropa di cella e di una poco minore contropressione dell’acqua interstiziale4. In tal modo le bolle d’aria eventualmente presenti nel provino tendono a sciogliersi nell’acqua interstiziale. La verifica dell’avvenuta saturazione viene fatta mediante la misura del coefficiente B di Skempton: a drenaggi chiusi si incrementa la pressione di cella di una quantità ∆σ e si misura il conseguente aumento di pressione interstiziale, ∆u. Se il rapporto ∆u/∆σ, ovvero 4

Teoricamente la pressione di cella e la back pressure dovrebbero essere eguali, in modo da non produrre variazioni di tensione efficace. In pratica si applica una pressione di cella lievemente maggiore della contropressione interstiziale per evitare che si accumuli acqua fra la membrana e la superficie laterale del provino.

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il coefficiente B, risulta pari ad 1, il provino è saturo (in pratica si ritiene sufficiente B > 0.95), se invece risulta B < 0.95 il provino non è saturo. Pertanto, per favorire la saturazione, si incrementano della stessa quantità i valori di pressione di cella e di contropressione interstiziale (in modo da mantenere costante la pressione efficace di consolidazione), e si ripete la verifica dell’avvenuta saturazione eseguendo una nuova misura di B.

9.7.1 Prova triassiale consolidata isotropicamente drenata (TxCID) Dopo avere eseguito la saturazione, la prova si svolge in due fasi. Nella prima fase il provino saturo è sottoposto a compressione isotropa mediante un incremento della pressione di cella, a drenaggi aperti fino alla completa consolidazione. La pressione di consolidazione, σ’c, è pari alla differenza fra pressione di cella (totale), σc, e contropressione interstiziale, u0. Il processo di consolidazione è controllato attraverso la misura nel tempo del volume di acqua espulso e raccolto in una buretta graduata, che viene diagrammato in funzione del tempo (Figura 9.12). Nella seconda fase, ancora a drenaggi aperti, si fa avanzare il pistone a velocità costante e sufficientemente bassa da non produrre sovrapressioni interstiziali all’interno del provino. La velocità può essere scelta in modo inversamente proporzionale al tempo di consolidazione della prima fase. Durante la seconda fase è controllata la variazione nel tempo dell’altezza del provino, e sono misurate: - la forza assiale esercitata dal pistone - la variazione di volume del provino. Tali misure permettono di calcolare, fino ed oltre la rottura del provino: - la deformazione assiale media, εa , - la deformazione volumetrica media, εv, (e quindi anche la deformazione radiale media, εr = Figura 9.12 – Variazione di volume di un provino che consolida in cella triassiale, in funzione del tempo (εv – εa) / 2, - la tensione assiale media, σa, (e quindi anche di tensione deviatorica media, σa – σr = σ’a – σ’r, essendo σr la pressione radiale che rimane costante durante la prova). I risultati della prova sono di norma rappresentati in grafici εa - (σa – σr), e εa – εv (Figura 9.13). Poiché durante la fase di compressione assiale la pressione di cella σc e la pressione interstiziale u0 rimangono costanti (e quindi anche la pressione radiale totale σr = σc) e poiché non si sviluppano sovrappressioni interstiziali, essendo la prova drenata, allora rimane costante anche la pressione radiale efficace, σ’r, che corrisponde alla tensione efficace principale minore (σ’r = σ’3), mentre cresce la tensione efficace assiale media, σ’a, che corrisponde alla tensione efficace principale maggiore (σ’a = σ’1). 137 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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a) σ’a − σ’r (σa’ − σr’ ) 3f

σ’3c

(σa’ − σr’ ) 2f

σ’2c

(σa’ − σr’ ) 1f

σ’1c

εa

b)

εv Figura 9.13 - Risultati di prove TxCID: a) diagrammi εa – (σ’a – σ’r); b) diagrammi εa - εv

È dunque possibile seguire l’evoluzione nel tempo del cerchio di Mohr corrispondente allo stato tensionale del provino fino ed oltre la rottura (Figura 9.14).

τ

ϕ’

O

σ’σ’ r = σ’c = σ’3f f

σ’1f

σ’

Figura 9.14 - Evoluzione dei cerchi di Mohr durante la prova TxCID

La prova deve essere eseguita su almeno tre provini a differenti pressioni di consolidazione. 138 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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I cerchi di Mohr a rottura dei tre provini sono tangenti alla retta di equazione: τ f = c'+(σ − u ) ⋅ tan φ ' = c'+σ '⋅ tan φ ' (Eq. 9.11) che rappresenta, per il campo di tensioni indagato, la resistenza al taglio del terreno (Figura 9.15).

τ

ϕ’

c’ O

σ’

σ’ f

Figura 9.15 – Determinazione dei parametri di resistenza al taglio da prove triassiali TxCID e TxCIU

L’esecuzione della prova TxCID richiede un tempo tanto maggiore quanto minore è la permeabilità del terreno, ed è pertanto generalmente riservata a terreni sabbiosi o comunque abbastanza permeabili. 9.7.2 Prova triassiale consolidata isotropicamente non drenata (TxCIU) Anche questa prova, una volta eseguita la saturazione, si svolge in due fasi, la prima delle quali è identica a quella della prova TxCID. Al termine della prima fase, e quindi a consolidazione avvenuta (ad una pressione di consolidazione, σ’c, pari alla differenza fra la pressione di cella, σc, e la contropressione interstiziale, u0), vengono chiusi i drenaggi isolando idraulicamente il provino che, essendo saturo, non subirà ulteriori variazioni di volume. Nella seconda fase, a drenaggi chiusi e collegati a trasduttori che misurano la pressione dell’acqua nei condotti di drenaggio e quindi nei pori del provino, si fa avanzare il pistone a velocità costante, anche relativamente elevata. Durante la seconda fase è controllata la variazione nel tempo dell’altezza del provino, e sono misurate: - la forza assiale esercitata dal pistone, - la variazione di pressione interstiziale all’interno del provino. Tali misure permettono di calcolare, al variare del tempo fino ed oltre la rottura del provino: - la deformazione assiale media, εa, - la tensione assiale media, σa, (e quindi anche la tensione deviatorica media, σa – σr = σ’a – σ’r, essendo σr la pressione radiale), - il coefficiente A di Skempton. I risultati della prova sono di norma rappresentati in grafici εa - (σa – σr), e εa – εv (Figura 9.16). 139 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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a) σ’a − σ’r (σa’ − σr’ ) 3f

σ’3c

(σa’ − σr’ ) 2f σ’2c

(σa’ − σr’ ) 1f

σ’1c

εa

b)

∆u Figura 9.16 - Risultati di prove TxCIU: a) diagrammi εa – (σ’a – σ’r); b) diagrammi εa - ∆u

In questo tipo di prova, durante la fase di compressione assiale la pressione di cella σc rimane costante (e quindi anche la pressione radiale totale σr = σc), mentre la pressione interstiziale u, inizialmente pari a u0, varia. Di conseguenza variano sia la tensione efficace assiale media, σ’a = σa – u, che corrisponde alla tensione efficace principale maggiore (σ’a = σ’1), sia la pressione radiale efficace, σ’r = σc – u, che corrisponde alla tensione efficace principale minore (σ’r = σ’3), ed è possibile seguire l’evoluzione nel tempo del cerchio di Mohr corrispondente allo stato tensionale del provino fino ed oltre la rottura, sia in termini di tensioni totali che in termini di tensioni efficaci. Infatti, se si rappresentano i cerchi a rottura sul piano di Mohr in termini di tensioni totali e si traslano di una quantità pari alla pressione interstiziale misurata a rottura, uf, si ottengono i cerchi corrispondenti in termini di tensioni efficaci (Figura 9.17). La prova viene eseguita su almeno tre provini a differenti pressioni di consolidazione. La retta inviluppo dei cerchi di Mohr a rottura dei tre provini, in termini di tensioni efficaci, che consente di ricavare i parametri c’ e φ’, ha equazione (9.11) e rappresenta, per il campo di tensioni indagato, la resistenza al taglio del terreno (Figura 9.15).

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τ Se la prova è interpretata in termini di tensioni totali, il valore a rottura dello sforzo di Cerchio di Mohr in tensioni efficaci ⎛σ1 −σ 3 ⎞ Cerchio di Mohr in tensioni totali taglio, ⎜ ⎟ , ⎝ 2 ⎠ f cu rappresenta la resiσ’,σ stenza al taglio non σ’ σ’ σ’ σ σ 3f 3f 1f 1f drenata cu (Figura 9.17). uf Poiché i tre provini vengono consolidati sotto tre diversi valori Figura 9.17 - Evoluzione dei cerchi di Mohr durante la prova TxCIU di pressione, σ’c, risultano diversi tra loro anche i valori di cu. Se il terreno è normalmente consolidato si ha c’ = 0 in termini di tensioni efficaci, mentre c in termini di tensioni totali il rapporto u' è costante. f

σc Per un dato terreno e a parità di pressioni di consolidazione, i risultati delle prove TxCIU, interpretati in termini di tensioni efficaci, sono sostanzialmente analoghi ai risultati delle prove TxCID. Pertanto esse sono generalmente riservate a terreni argillosi o comunque poco permeabili, per i quali l’esecuzione di prove TxCID richiederebbe tempi molto lunghi. 9.7.3 Prova triassiale non consolidata non drenata (TxUU)

È consigliabile che anche questa prova sia eseguita previa saturazione dei provini, sebbene spesso ciò non avvenga. Anch’essa si svolge in due fasi. Nella prima fase, dopo avere chiuso i drenaggi, il provino è sottoposto a compressione isotropa portando in pressione il fluido di cella al valore assegnato di pressione totale σc. Se il provino è saturo, e quindi il coefficiente B di Skempton è pari ad 1, il volume del provino non varia e l’incremento della pressione di cella (totale) comporta un uguale aumento della pressione interstiziale, mentre le tensioni efficaci non subiscono variazioni e quindi non varia la pressione efficace, σ’c. Nella seconda fase, a drenaggi ancora chiusi, si fa avanzare la pressa su cui si trova la cella triassiale a velocità costante, anche piuttosto elevata. Durante la seconda fase è controllata la variazione nel tempo dell’altezza del provino, ed è misurata la forza assiale esercitata sul provino, mentre di norma non è misurato l’incremento di pressione interstiziale. Tali misure permettono di calcolare, al variare del tempo, fino ed oltre la rottura del provino: - la deformazione assiale media, εa, - la tensione assiale media, σa, (e quindi anche la tensione deviatorica media, σa – σr = σ’a – σ’r, essendo σr la pressione radiale).

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τ La prova viene eseguita su almeno tre provini a diffeCerchi di Mohr in tensioni efficaci renti pressioni totali di Cerchi di Mohr in tensioni totali cella. Poiché la pressione efficace di consolidazione dei tre provini è la stessa, cu i cerchi di Mohr a rottura σ’,σ dei tre provini nel piano σ’ σ 1f σ’1f σ σ’3f 3f delle tensioni totali avranno lo stesso diametro e uf quindi saranno inviluppati da una retta orizzontale di Figura 9.18 – Risultati di prove TxUU su provini saturati e a difequazione (Figura 9.18): ferenti pressioni totali di cella (σc)i f

τ = cu

(Eq. 9.12) Se si misurasse la pressione interstiziale a rottura per i tre provini e si traslassero i cerchi di Mohr di una quantità pari alla pressione interstiziale misurata a rottura per ciascuno di essi, si otterrebbero cerchi coincidenti in termini di tensioni efficaci. Le prove TxUU sono di norma eseguite su provini ricavati da campioni “indisturbati” di terreno a grana fine, e la resistenza al taglio in condizione non drenate, cu, che si ricava dalle prove è dipendente, a parità di terreno, dalla pressione efficace di consolidazione in sito. Occorre tuttavia tenere presente che durante le operazioni di prelievo, trasporto, estrazione dalla fustella, formazione dei provini, il terreno subisce comunque un disturbo ineliminabile. In particolare, anche se il campione fosse prelevato con la massima cura, non è fisicamente possibile ripristinare in laboratorio contemporaneamente lo stato tensionale e deformativo del campione in sito. Si consideri infatti lo stato di tensione di un elemento di argilla satura in sito, le tensioni geostatiche, nelle solite ipotesi assialsimmetriche, sono:

σ v 0 = σ v' 0 + u 0

(Eq. 9.13)

σ h 0 = σ h' 0 + u 0 = K 0 ⋅ σ v' 0 + u 0

Dopo l'estrazione, a pressione atmosferica, le tensioni totali si annullano. Ciò equivale ad applicare incrementi di tensione totale eguali e contrari alle tensioni totali preesistenti, ovvero: ∆σ v = −(σ v' 0 + u 0 ) (Eq. 9.14) ∆σ h = −(σ h' 0 + u 0 ) = −( K 0 ⋅ σ v' 0 + u 0 ) La pressione interstiziale diviene negativa (ovvero inferiore alla pressione atmosferica), e assume il valore: u = u 0 + ∆u < 0

(Eq. 9.15) 142

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La variazione di pressione interstiziale ∆u può essere stimata con la relazione di Skempton (1954): ∆u = B ⋅ [∆σ h + A ⋅ (∆σ v − ∆σ h )]

(Eq. 9.16)

Se l'argilla è satura B = 1, dunque risulta: ∆u = ∆σ h + A ⋅ (∆σ v − ∆σ h ) = − K 0 ⋅ σ v' 0 + u0 + A ⋅ − σ v' 0 + u0 + K 0 ⋅ σ v' 0 + u0 =

(

)

[(

= −σ v' 0 ⋅ [K 0 ⋅ ( 1 − A ) + A] − u0 Dunque la pressione interstiziale u dopo l’estrazione vale: u = u 0 + ∆u = −σ v' 0 ⋅ [K 0 ⋅ (1 − A) + A] < 0

)]

) (

(Eq. 9.17)

(Eq. 9.18)

Il valore del parametro A (che varia con la deformazione) è quello che corrisponde al termine del processo di estrazione ed è differente dal valore a rottura Af. Dopo l'estrazione lo stato tensionale del campione è molto variato: - le pressioni totali sono nulle, - le pressioni efficaci sono isotrope e pari a:

σ v' = σ h' = −u = σ v' 0 ⋅ [K 0 ⋅ (1 − A) + A]

(Eq. 9.19)

Poiché la tensione geostatica efficace media vale:

σ m' = σ v' 0 ⋅

(1 + 2 ⋅ K 0 )

(Eq. 9.20)

3

eguagliando le equazioni (9.19) e (9.20) si verifica che la pressione isotropa efficace in prova TxUU corrisponde alla tensione geostatica efficace media in sito, e quindi che la resistenza al taglio non drenata di prova corrisponde con buona approssimazione alla resistenza al taglio non drenata in sito, per A = 1/3. Nel campione di argilla estruso la tensione interstiziale negativa (suzione) produce un gradiente idraulico dall'esterno verso il centro, e una filtrazione che altera il contenuto in acqua locale. La parte interna del campione può avere contenuto in acqua anche del 4% superiore alla parte più superficiale. In un terreno saturo contenuto in acqua e indice dei vuoti sono proporzionali, dunque non è fisicamente possibile ripristinare in laboratorio contemporaneamente lo stato tensionale e deformativo del campione in sito. Se i provini di terreno sono sottoposti a prova TxUU senza averli preventivamente saturati, l’applicazione della pressione di cella, anche se a drenaggi chiusi, determina un incremento delle pressioni efficaci (essendo B 0,5, coesione argille dall’indice di plasticità efficace c’ > 0. La curva tensioni-deformazioni presenta un massimo accentuato, corrispondente alla condizione di rottura, e un valore residuo, per grandi deformazioni. A parità di pressione efficace di confinamento la resistenza al taglio di picco dei terreni a grana fine cresce con il grado di sovraconsolidazione; a parità del grado di sovraconsolidazione e per lo stesso tipo di terreno, la resistenza al taglio di picco cresce al crescere della pressione efficace di confinamento, mentre il picco nella curva sforzi-deformazioni risulta sempre meno accentuato fino ad ottenere un andamento monotono, tipico di terreni normalconsolidati. L’angolo di resistenza al taglio residuo è indipendente dalla storia dello stato tensionale, e quindi dal grado di sovraconsolidazione, OCR.

148 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 10

TERRENI NON SATURI

CAPITOLO 10 TERRENI NON SATURI 10.1 Richiami Nel Capitolo 1 abbiamo visto che: - I terreni sono mezzi particellari costituiti da una fase solida (le particelle minerali), da una fase liquida (generalmente acqua, ma talvolta anche altri liquidi) e da una fase gassosa (generalmente aria e vapor d’acqua ma talvolta anche altri gas). - Le molecole d’acqua possono essere libere di muoversi nei vuoti interparticellari (acqua interstiziale) oppure essere aderenti alla superficie delle particelle solide di terreno a causa di legami elettrochimici (acqua adsorbita). - In un deposito di terreno naturale, sede di falda freatica, si riconoscono zone a differente grado di saturazione. In particolare, procedendo dal piano campagna verso il basso, si distingue la zona vadosa, sopra falda, che a sua volta si suddivide in zona di evapotraspirazione, zona di ritenzione e frangia capillare, e la zona sotto falda. Se i vuoti nel terreno sono fra loro comunicanti (come avviene quasi sempre), il terreno nella zona sotto falda è saturo d’acqua, mentre quello nella zona vadosa può essere saturo, parzialmente saturo o secco. - La pressione dell’acqua sotto la falda freatica è superiore alla pressione atmosferica, mentre sopra il livello di falda è inferiore alla pressione atmosferica.

10.2 Capillarità Se l’acqua nel terreno fosse soggetta alla sola forza di gravità, il terreno soprastante il livello di falda sarebbe completamente asciutto, salvo per l’acqua adsorbita e per l’acqua di percolazione delle precipitazioni atmosferiche, mentre in realtà esso è saturo fino ad una certa altezza al di sopra del livello di falda e parzialmente saturo nel tratto superiore. Per comprendere le cause di tale fenomeno è utile introdurre il concetto di capillarità. Se si immerge l’estremità di un tubo di vetro di piccolo diametro nell’acqua, si può osservare che l’acqua risale nel tubo fino ad un’altezza che dipende dal diametro del tubo, e che la superfi- Figura 10.1: Risalita capillare in un tubo di vetro cie di separazione fra l’acqua e l’aria nel tubo è concava (Figura 10.1).

149 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 10

TERRENI NON SATURI

La superficie di separazione aria-acqua, a causa di forze di attrazione molecolare, si comporta come una membrana elastica in uno stato uniforme di tensione, soggetta a differenti pressioni dalla parte del liquido e dalla parte del gas. La colonna d’acqua di altezza hc, detta altezza di risalita capillare, è come sostenuta dalla membrana (menisco) tesa sulla parete del tubo capillare. Indicando con T [FL-1] il valore della tensione superficiale della membrana, con α l’angolo di contatto del menisco con la parete verticale del tubo, e con r il raggio del tubo capillare, per l’equilibrio in direzione verticale, si ha: 2 ⋅T ⋅ cosα hc = (Eq. 10.1) r ⋅γ w La pressione dell’acqua nei punti 1 e 2 (Figura 10.1) è pari alla pressione atmosferica, convenzionalmente assunta pari a zero, mentre nel tubo capillare la pressione dell’acqua è negativa (ovvero inferiore alla pressione atmosferica), varia linearmente con l’altezza e nel punto 3 assume il valore minimo uw = hc γw. La forma concava del menisco, ovvero della superficie di separazione acqua-aria, è dovuta al fatto che la pressione atmosferica dell’aria, ua, è superiore alla pressione dell’acqua, uw, e quindi “gonfia” la membrana La componente verticale T cosα della tensione superficiale determina uno stato di compressione assiale nel tubo di vetro, la componente radiale T⋅senα determina uno stato di compressione circonferenziale (Figura 10.2). Con riferimento alla Figura 10.3 il caso (a) mostra la risalita capillare all’interno di un tubo di vetro pulito. L’altezza hc relativa al caso (a) può non essere raggiunta a causa della limiFigura 10.2: Compressione indotta dalla tensione tata altezza del tubo capillare, come mostrato nel caso (b). Se il tubo di vesuperficiale tro non ha diametro costante ma presenta delle sbulbature, l’altezza di risalita capillare è diversa a seconda che il processo sia di imbibizione o di essiccamento. Nel caso (c) si vede come la presenza di un bulbo di raggio maggiore di quello del tubo capillare (r1 > r) limiti l’altezza di risalita hc; al contrario nel caso (d) il processo di svuotamento è controllato dal raggio r del tubo e non da quello r1 del bulbo. 150 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 10

TERRENI NON SATURI

Essiccamento

Imbibizione

Figura 10.3 - Effetti dell’altezza e del raggio sulla risalita capillare

Nei terreni avviene un fenomeno analogo. I vuoti costituiscono un sistema continuo di canali tortuosi e a sezione variabile lungo i quali l’acqua risale dal livello di falda fino ad altezze diverse, cosicché il terreno risulta saturo fino ad una certa altezza e parzialmente saturo nel tratto superiore. La tortuosità, la rugosità e la dimensione delle pareti dei canali nel terreno dipendono dalla natura, dalla forma, dalle dimensioni, dalla distribuzione granulometrica e dallo stato di addensamento delle particelle solide di terreno. Questi stessi fattori, e in modo diverso a seconda che il processo sia di imbibizione o di essiccamento, determinano l’altezza di risalita capillare nel terreno. Il caso (e) di Figura 10.3 mostra le condizioni di un terreno imbibito per risalita capillare. Un’espressione empirica approssimata dell’altezza di risalita capillare hc (in cm) nei terreni è la seguente:

hc =

CS e ⋅ D10

(Eq. 10.2)

in cui e è l’indice dei vuoti, D10 è il diametro efficace (in cm) e CS è una costante empirica dipendente dalla forma dei grani e dalle impurità delle superfici, il cui valore è compreso tra 0.1 e 0.5 cm2. Valori indicativi dell’altezza di risalita capillare sono riportati in Tabella 10.1. Tabella 10.1: Valori indicativi dell’altezza di risalita capillare

Terreno Ghiaia Sabbia Limo Argilla

D10 (mm) 0,82 0,11 0,03 0,02 0,006 0,001

hc (m) 0,05 0,80 1,60 2,40 3,60 >10,0

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TERRENI NON SATURI

In un terreno parzialmente saturo sono possibili tre differenti condizioni di saturazione: a) condizione di saturazione a isole d’aria, caratteristica di gradi di saturazione elevati (Sr > 85%), in cui la fase gassosa non è continua ma è presente in forma di bolle d’aria; b) condizione di saturazione a pendolo, caratteristica di gradi di saturazione molto bassi, in cui la fase liquida non è continua ma è presente solo nei menischi in corrispondenza dei contatti interparticellari; in tale condizione l’acqua nelle zone di contatto fra i grani forma menischi in modo analogo a quanto avviene in un tubo capillare, producendo uno stato di compressione fra i grani (Figura 10.2). c) condizione di saturazione mista, caratteristica di gradi di saturazione intermedi, in cui coesistono, in zone diverse del terreno, le due condizioni di saturazione precedenti.

10.3 Suzione I mezzi fluidi, acqua e aria, essendo privi di resistenza al taglio, sono caratterizzati da uno stato di tensione sferico. Come già detto, in un terreno parzialmente saturo, a causa della tensione superficiale, la pressione dell’acqua nei pori (uw) risulta sempre inferiore alla pressione dell’aria nei pori (ua). La differenza tra la pressione dell’aria, che in condizioni naturali è pari alla pressione atmosferica, e la pressione dell’acqua nei pori è detta suzione di matrice: (Eq. 10.3) s = (ua – uw) dove: uw < ua < 0, da cui s > 0 e posto ua = 0, risulta s = uw Un terreno non saturo posto a contatto con acqua libera e pura a pressione atmosferica tende a richiamare acqua per effetto della suzione totale, ψ. La suzione totale, ψ, ha due componenti: la prima componente è la suzione di matrice, s, di cui si è già detto, associata al fenomeno della capillarità, la seconda componente è la suzione osmotica, π, dovuta alla presenza di sali disciolti nell’acqua interstiziale e quindi alla differenza di potenziale elettro-chimico tra l’acqua interstiziale e l’acqua libera: ψ = s +π (Eq. 10.4) In definitiva (Figura 10.4): - la suzione totale, ψ, è la pressione negativa (ovvero inferiore alla pressione atmosferica) cui deve essere soggetta l’acqua pura in modo da essere in equilibrio, attraverso una membrana semipermeabile (permeabile cioè alle sole molecole d’acqua ma non ai sali) con l’acqua interstiziale; - la suzione di matrice, s, è la pressione negativa cui deve essere soggetta una soluzione acquosa identica in composizione all’acqua interstiziale, in modo da essere in equilibrio, attraverso una membrana permeabile con l’acqua interstiziale; - la suzione osmotica, π, è la pressione negativa cui deve essere soggetta l’acqua pura in modo da essere in equilibrio, attraverso una membrana semipermeabile con una soluzione acquosa identica in composizione all’acqua interstiziale. 152 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 10

TERRENI NON SATURI

Flusso per suzione totale, Ψ

Flusso per suzione di matrice, S

Membrana semipermeabile

Acqua pura

Terreno insaturo, acqua con sali

Flusso per suzione osmotica, Π

Membrana semipermeabile

Acqua con sali

=

Membrana semipermeabile

+

Terreno insaturo, acqua con sali

Acqua pura

Acqua con sali

Figura 10.4 –Componenti della suzione totale

Suzione (kPa)

La suzione osmotica è presente sia nei terreni saturi che nei terreni parzialmente saturi, e varia con il contenuto salino dell’acqua, ad esempio come conseguenza di una contaminazione chimica, producendo effetti in termini di deformazioni volumetriche e di variazioni di resistenza al taglio Tuttavia la maggior parte dei proSuzione totale blemi di ingegneria geotecnica che Suzione di matrice Suzione osmotica coinvolgono terreni non saturi sono riferibili a variazioni della suzione Suzione di matrice + osmotica di matrice, come ad esempio gli effetti della pioggia sulla stabilità dei pendii o sui cedimenti delle fondazioni superficiali. In Figura 10.5 sono messe a confronto le variazioni di suzione totale, ψ, suzione di matrice, s, e suzione osmotica, π, con il contenuto in Contenuto d’acqua, w (%) acqua, w, di un’argilla: si osserva che π rimane pressoché costante al variare di w, e quindi per un asse- Figura 10.5 - Misure della suzione totale, osmotica e di gnata variazione di contenuto in ac- matrice su un argilla compatta qua ∆w si ha ∆ψ ≈ ∆s.

10.4 Misura della suzione Per la misura della suzione di matrice in sito si utilizzano i tensiometri. Il tensiometro è composto da un tubo avente ad una estremità una punta in materiale ceramico poroso, ed all’altra un serbatoio sigillato contenente acqua. La punta del tensiometro è infissa nel terreno (Figura 10.6). L’acqua contenuta nel tubo, per effetto della suzione, filtra attraverso la ceramica porosa e determina una depressione nel serbatoio dell’acqua, rilevabile con un manometro. La pressione di equilibrio del sistema corrisponde alla suzione nel terreno. 153 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

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TERRENI NON SATURI

Figura 10.6 – Modalità di installazione di un tensiometro: per profondità fino a 1.5 m (A) e maggiori di 1.5 m (B)

Il metodo è semplice, ma il campo di misura della suzione è limitato a circa 80-90 kPa dalla possibilità di cavitazione dell’acqua nel tensiometro. Esistono diverse tecniche di misura della pressione negativa dell’acqua (manometri acqua-mercurio, trasduttori elettrici di pressione, etc..), poiché in generale gli strumenti di maggiore sensibilità hanno tempi di risposta più lunghi.

10.5 Curve di ritenzione La curva di ritenzione idrica (SWRC = Soil Water Retention Curve) definisce la relazione fra la suzione di matrice e una misura della quantità di acqua presente nel terreno, che può essere opportunamente scelta fra: P - il contenuto d’acqua in peso: w(% ) = w ⋅ 100 Ps V - il contenuto d’acqua in volume: θ = w = S r ⋅ n V V - il grado di saturazione: S r (% ) = w ⋅ 100 Vv La curva di ritenzione idrica è generalmente rappresentata in un piano semilogaritmico, avente in ascissa il valore della suzione e in ordinata il valore della variabile di misura della quantità d’acqua nel terreno. La forma tipica di una SWRT è rappresentata in Figura 10.7. Al crescere della suzione si individuano tre differenti parti della curva. Nella prima parte (boundary effect zone), per i valori più bassi di suzione, il terreno è saturo e un aumento di suzione non produce diminuzioni significative del grado di saturazione. La prima parte ha termine per quel valore della suzione che corrisponde alla formazione delle prime bolle d’aria nei pori più grandi del terreno. Tale valore, detto “di entrata dell’aria” (air-entry value), è indicato con il simbolo (ua – uw)b, o anche ψb. Nella seconda parte, detta di transizione (transition zone), al crescere della suzione la quantità d’acqua nel terreno si riduce sensibilmente e la fase liquida diviene discontinua. Nella terza parte infine, detta residua di non saturazione (residual zone of unsaturation), a grandi incrementi di suzione corrispondono piccole riduzioni della quantità d’acqua nel 154 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 10

TERRENI NON SATURI

terreno. Il valore della suzione corrispondente al passaggio dalla seconda alla terza parte della curva, ovvero alla quantità d’acqua residua, è indicato con il simbolo ψr.

Aria

Grado di saturazione, Sr (%)

Valore di entrata dell’aria Particelle

Aria

Acqua

ψb

ψr

Suzione (kPa)

Figura 10.7 – Curva di ritenzione idrica e differenti fasi di desaturazione

Grado di saturazione, Sr (%)

È stato osservato che, indipendentemente dall’ampiezza delle tre zone, tutti i terreni tendono ad un grado di saturazione zero per valore di suzione pari a circa 106 kPa (Figura 10.8).

Suzione (kPa) Figura 10.8 – Curve di ritenzione idrica per 4 differenti tipi di terreno

155 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 10

TERRENI NON SATURI

La forma della curva di ritenzione dipende dalla dimensione dei pori e quindi dalla composizione granulometrica e dallo stato di addensamento del terreno. I terreni a grana grossa (sabbie e ghiaie), che hanno pori interconnessi e di grandi dimensioni, sono caratterizzati da bassi valori di ψb e ψr, e da una curva ripida nella zona di transizione. I terreni a grana fine (argille), le cui particelle hanno elevata superficie specifica e quindi forti legami elettro-chimici con le molecole d’acqua, sono caratterizzati da alti valore della suzione di entrata dell’aria, ψb, e da una minore pendenza della curva di ritenzione nella zona di transizione. Inoltre, per i terreni argillosi, spesso non è definibile la quantità d’acqua residua, e quindi il valore di ψr. Per la formulazione matematica delle curve di ritenzione idrica è spesso utilizzato il contenuto in acqua volumetrico normalizzato: θ −θr Θ= (Eq. 10.5) θs −θr in cui θs è il contenuto in acqua volumetrico corrispondente al terreno saturo, e θr è il contenuto in acqua volumetrico residuo. Se si assume θr = 0, risulta Θ = Sr. Fra le numerose equazioni proposte per la modellazione delle curve di ritenzione idrica, le due seguenti richiedono la definizione di un solo parametro: a) Equazione di Brooks e Corey (1964): −α ψ ⎛ψ ⎞ per ⎜ ⎟ Θ=⎜ ⎟ ≥1 ψb ⎝ψ b ⎠ (Eq. 10.6) ψ per Θ =1 0)

uw /γw ( < 0)

zA

hA

hB z =0

Figura 10.10 - Gradiente di carico in un terreno non saturo

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Capitolo 10

TERRENI NON SATURI

Nei terreni non saturi, come nei terreni saturi, vale la legge di Darcy, ma il coefficiente di permeabilità è fortemente dipendente dalla suzione: v = k (ψ ) ⋅ i (Eq. 10.9) k (ψ ) = k s ⋅ k r (ψ ) in cui: ks è il coefficiente di permeabilità (all’acqua) del terreno saturo, e kr(ψ) è la conducibilità idraulica relativa, adimensionale, con valori compresi tra 0 e 1. Alcune delle equazioni proposte per descrivere analiticamente la variazione della conducibilità idraulica relativa con la suzione o con il contenuto volumetrico in acqua sono le seguenti: a) modello esponenziale (Gardner, 1958) k r (ψ ) = exp(a ⋅ψ ) (Eq. 10.10)

in cui a è un coefficiente con valori compresi tra 0,002cm-1 (terreni a grana fine) e 0,05cm-1 (terreni a grana grossa); b) modello di Gardner (1958) k r (ψ ) =

1 n 1 + a ⋅ (− ψ )

(Eq. 10.11)

c) modello di Davidson et al. (1969) k r (ψ ) = exp[ β ⋅ (θ − θ s )]

(Eq. 10.12)

d) modello di Mualem (1976) e Van Genuchten (1978) k r (Θ ) = Θ

0, 5

1 m⎤ ⎡ ⎛ ⎞ m ⋅ ⎢1 − ⎜⎜1 − Θ ⎟⎟ ⎥ ⎢⎣ ⎝ ⎠ ⎥⎦

2

(Eq. 10.13)

Nelle Figure 10.11a e 10.11b sono rappresentate le curve sperimentali di variazione del contenuto volumetrico in acqua e del coefficiente di permeabilità con la suzione per tre differenti terreni. b) a)

Figura 10.11 - Curve sperimentali di variazione del contenuto volumetrico in acqua (a) e del coefficiente di permeabilità (b) con la suzione per tre differenti terreni.

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Capitolo 10

TERRENI NON SATURI

10.7 Resistenza al taglio di terreni non saturi Vi sono due differenti approcci per stimare la resistenza al taglio di un terreno non saturo. Il primo utilizza la definizione di tensione efficace per terreni non saturi, σ’, originariamente proposta da Bishop (1959): σ ' = (σ − ua ) + χ ⋅ (ua − u w ) (Eq. 10.14) in cui: pressione dell’aria nei pori, ua pressione dell’acqua nei pori, uw (ua – uw) suzione di matrice, χ parametro che assume il valore 1 per terreno saturo e il valore 0 per terreno secco. Secondo tale approccio, la resistenza al taglio di terreni non saturi può essere determinata, come per i terreni saturi, sulla base di due parametri di resistenza al taglio efficace, c’ e φ’, e di una unica variabile di tensione, σ’, nel modo seguente: τ f = c' +[( σ − u a ) + χ ⋅ (u a − u w )]⋅ tan φ' (Eq. 10.15) Il parametro χ è stimato con l’equazione (Khalili e Khabbaz, 1998): per (u a − u w ) ≤ (u a − u w )b χ =1 ⎡ (u − u w ) ⎤ χ =⎢ a ⎥ ⎣ (u a − u w )b ⎦

−0 , 55

per

(ua − u w ) > (ua − u w )b

(Eq. 10.16)

in cui (ua – uw)b corrisponde al valore della suzione di matrice per il quale si iniziano a formare bolle d’aria nel terreno (air entry value). Un diverso approccio è quello di Fredlund e Rahardjo (1993), secondo il quale la resistenza al taglio dei terreni non saturi è funzione di tre parametri di resistenza e di due variabili di tensione, nel modo seguente: τ f = c ' + (σ − u a ) ⋅ tan φ ' + (u a − u w ) ⋅ tan φ b (Eq. 10.17) in cui φb è l’angolo di resistenza al taglio per variazione di suzione di matrice, (ua – uw), inferiore all’angolo di resistenza al taglio, φ’, associato alla variazione di tensione normale netta (σ – ua). La resistenza la taglio non varia linearmente con la suzione, ovvero l’angolo φb non è costante ma decresce al crescere della suzione. La determinazione sperimentale dell’(Eq. 10.17) richiede l’esecuzione di prove di laboratorio sofisticate, costose, inusuali e molto lunghe, specie per terreni a grana fine il cui coefficiente di permeabilità è molto basso. Inoltre la variabilità di tanφb con la suzione richiede che le prove siano eseguite nel campo di tensione atteso in sito. Pertanto, per evitare la determinazione sperimentale diretta, sono state proposte relazioni empiriche per la stima indiretta di tanφb. Öberg e Sällfors proposero di stimare il valore di tanφb per limi e sabbie insature nel modo seguente: tan φ b = S r tan φ' (Eq. 10.18) Vanapalli et al. proposero di stimare il valore di tanφbcon la seguente relazione: tan φ b = tan φ' ⋅Θ (Eq. 10.19) L’equazione (10.17) rappresenta un piano tangente ai cerchi di Mohr a rottura (Figura 10.12). 159 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 10

TERRENI NON SATURI

φb φb

a

w

φ’

Su zio ne di ma tri

ce ,

(u

-u

)

τ

b

(ua -uw )f tgφ c’

φ’

c’

σ-ua

Figura 10.12 – Criterio di rottura di Mohr-Coulomb generalizzato per i terreni non saturi

L’intersezione del piano di inviluppo a rottura con il piano (ua – uw) – τ, è una curva rappresentata in Figura 10.13 (la curva e’ una retta se si assume tanφb = cost) e di equazione: c = c ' + (u a − u w ) ⋅ tan φ b (Eq. 10.20) τ

c = c’+ (ua -uw )f tgφ

φ

b

b

c3 c2 c1

b

(ua -uw )f 2 tgφ

c’

Suzione di matrice, (ua -uw )

(ua -uw )f 1 (ua -uw )f 2 (ua -uw )f 3

Figura 10.13 –Intersezione del piano di inviluppo a rottura con il piano (ua – uw) – τ

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Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

CAPITOLO 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO 11.1 Percorsi tensionali (stress paths) 11.1.1 Percorsi tensionali efficaci (ESP) e totali (TSP) nei piani s’-t e s-t Lo stato tensionale in un punto di un mezzo continuo solido in condizioni assialsimmetriche, come è stato mostrato nel Capitolo 9, è rappresentato nel piano di Mohr (σ, τ) da un cerchio avente il centro sull’asse delle ascisse (Figura 11.1a). Se si considera un sistema piano di assi cartesiani in cui l’asse delle ascisse è il parametro di tensione: s=

(σ 1 + σ 3 )

(Eq. 11.1)

2 e l’asse delle ordinate è il parametro di tensione: t=

(σ 1 − σ 3 )

(Eq. 11.2) 2 al cerchio nel piano di Mohr corrisponde biunivocamente un punto A nel nuovo sistema di riferimento (Figura 11.1b). Sovrapponendo i due sistemi di riferimento il punto A coincide con il vertice del cerchio di Mohr. Il vantaggio di tale rappresentazione consiste nel fatto che è possibile, mediante una linea continua nel piano s-t, rappresentare una successione continua di stati tensionali, ovvero un percorso tensionale. Il vertice del cerchio di Mohr sta al percorso tensionale come un fotogramma sta ad un filmato. Nel caso dei terreni i percorsi tensionali possono essere definiti con riferimento sia alle tensioni totali (TSP = Total Stess Path) sia alle tensioni efficaci (ESP = Effective Stress Path). Applicando il principio delle tensioni efficaci si ha: s = s’ + u; a)

(Eq. 11.3)

t = t’ b)

τ

t Percorso tensionale

A

A

(σ -σ )/2 1

3

O σ

σ

3

σ

1

(σ +σ )/2 1

O

s (σ +σ )/2

3

1

3

Figura 11.1: Corrispondenza fra i cerchi di Mohr e i punti nel piano s-t

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Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

P TS

Utilizzando i percorsi tensionali è possibile descrivere la successione continua nel tempo degli stati tensionali totali ed efficaci di un provino di terreno durante l’esecuzione delle prove geotecniche assialsimmetriche standard di laboratorio che sono state descritte nei capitoli precedenti. In particolare, nei piani t-s e t-s’ sovrapposti: a) I percorsi tensionali totale (TSP) t ed efficace (ESP) di compressione e consolidazione isotropa (prima fase delle prove triassiali TxCID e TxCIU) sono rappresentati da segmenti rettilinei sull’asse delle ascisse (t = 0). Per semplicità di esposizione si suppone che gli stati tensionali iniziali totale ed efficace, rispettivamente rappresentati s,s’ A A’ B’ B dai punti A e A’, siano isotropi e che la pressione interstiziale iniziaB.P. le sia zero, cosicché i punti A ed A’ risultano coincidenti. Nel piano Figura 11.2 – Percorsi tensionali nei piani s-t e s’-t delle tensioni totali il segmento per compressione isotropa AB è percorso in modo istantaneo all’atto di applicazione dell’incremento di pressione isotropa di cella (Figura 11.2). Nel piano delle tensioni efficaci il segmento A’B’ è percorso nel tempo Tc necessario affinché avvenga la consolidazione. Al tempo T = Tc la distanza BB’ indica il valore della contropressione interstiziale BP (Back Pressure). b) I percorsi tensiot nali efficace (ESP) e totale αk 0 = arctg[(1-K0 )/(1+K0 )] (TSP) di un provino di terreno B B’ (T = Tc ) normalmente conP ES solidato sottopo∆t = (1-k 0) ∆p 2 u(t) sto a prova di V V’ 45° A A’ compressione e TSP (T = 0) C (T = 0) consolidazione s,s’ edometrica a in(1-k )0 ∆p ∆ ∆s -∆s’ = ( 1+k ) p crementi di carico 0 ∆s’ = 0 2 2 sono mostrati in ∆s 0 = ∆p Figura 11.3. I punti A e A’, coincidenti, indicano gli stati ten- Figura 11.3 – Percorsi tensionali nei piani s-t e s’-t per compressione sionali, rispetti- edometrica vamente totale ed efficace, prima dell’applicazione dell’incremento di carico, ∆p. I punti B e B’, coincidenti, indicano gli stati tensionali, rispettivamente totale ed efficace, al termine del 162 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

processo di consolidazione. Sia i punti A e A’ che i punti B e B’ appartengono alla retta K0, passante per l’origine degli assi ed avente equazione: (1 − K 0 ) t= ⋅ s' (Eq. 11.4) (1 + K 0 ) Nel piano delle tensioni efficaci il segmento A’B’ è percorso nel tempo T = Tc necessario affinché avvenga la consolidazione. Nel piano delle tensioni totali il segmento AC è percorso istantaneamente all’atto dell’applicazione dell’incremento di carico (T = 0), mentre il segmento CB è percorso nel tempo T = Tc necessario affinché avvenga la consolidazione. Ad un generico istante di tempo durante il processo di consolidazione i punti rappresentativi dello stato tensionale efficace e totale sono rappresentati da due punti, V e V’, con la stessa ordinata, rispettivamente sul segmento A’B’ e CB, e la loro distanza rappresenta il valore della pressione interstiziale. c) I percorsi tensionali efficace (ESP) t e totale (TSP) di un provino di terC’ C reno nella fase di compressione di una prova triassiale consolidata isotropicamente e drenata (TxCID) soP no mostrati in Figura 11.4. Durante ES P TS la prova in condizioni drenate non insorgono sovrapressioni interstizia45° li e i percorsi ESP e TSP risultano s,s’ B’ B coincidenti (o traslati di una quantità pari alla contropressione interstiB.P. ziale applicata), rettilinei ed inclinati di 45° rispetto all’asse orizzontale Figura 11.4 – Percorsi tensionali nei piani s-t e s’-t per compressione drenata s’. d) I percorsi tensionali efficace (ESP) e totale (TSP) di un provino di terreno nella fase di compressione di una prova triassiale consolidata isotropicamente non drenata (TxCIU) sono mostrati in Figura 11.5. Durante la prova in condizioni non drenate insorgono sovrapressioni interstiziali positive o negative in dipendenza del rapporto di sovraconsolidazione e del livello di deformazione. Il percorso TSP è rettilineo e inclinato di 45° rispetto all’asse orizzontale s. Il percorso ESP è invece curvilineo. Nelle Figure 11.5a e b sono qualitativamente mostrati i percorsi tensionali TSP ed ESP per provini di argilla con differente rapporto di sovraconsolidazione. La distanza dei punti B e B’ corrispondenti agli stati di tensione isotropa iniziale rispettivamente totale ed efficace rappresenta la contropressione interstiziale BP. Per un provino normalmente consolidato (Figura 11.5a) la pressione interstiziale cresce durante la compressione ed il percorso ESP si allontana curvando progressivamente verso sinistra dal segmento rettilineo e inclinato a 45° parallelo al percorso TSP (sovrappressione interstiziale sempre positiva e crescente).

163 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

a)

b)

t

t C’

C’ C

C ∆u ESP

B.P.

∆u

ES P

P TS 45°

45° B’

B.P.

P TS

s,s’

B

B’

B

s,s’

Figura 11.5 – Percorsi tensionali nei piani s-t e s’-t per compressione non drenata: a) terreno normalmente consolidato; b) terreno fortemente sovraconsolidato.

Per un provino fortemente sovraconsolidato (Figura 11.5b) la pressione interstiziale durante la compressione inizialmente cresce e poi decresce, fino a valori inferiori a quello iniziale, il percorso ESP curvilineo si svolge inizialmente a sinistra e poi a destra del segmento rettilineo e inclinato a 45° parallelo al percorso TSP. 11.1.2 Percorsi tensionali efficaci (ESP) e totali (TSP) nei piani p’-q e p-q I percorsi tensionali che utilizzano i parametri di tensione s, s’ e t sopra introdotti hanno il vantaggio di essere immediatamente comprensibili, poiché è facile collegare ad un generico punto del percorso tensionale il corrispondente cerchio di Mohr e, anche mentalmente, visualizzarlo. Tuttavia i parametri s, s’ e t non hanno un preciso significato fisico. Esistono altri modi, meno intuitivi ma più corretti, per rappresentare i percorsi tensionali assialsimmetrici. In particolare nel seguito saranno utilizzati i parametri invarianti di tensione: σ + 2 ⋅σ 3 tensione media totale: p = 1 (Eq. 11.5) 3 σ ' + 2 ⋅ σ 3' (Eq. 11.6) tensione media efficace: p ' = 1 = p−u 3 tensione deviatorica: q = q' = σ 1 − σ 3 = σ 1' − σ 3' 1 (Eq. 11.7)

I parametri s, s’ e t ed i parametri p, p’ e q sono legati dalle seguenti relazioni biunivoche: t p=s− (Eq. 11.8) 3 t p' = s' − (Eq. 11.9) 3 q = 2⋅t (Eq. 11.10)

1

Per stati tensionali tridimensionali i parametri di tensione p, e q hanno la forma:

1 ⋅ (σ 1 + σ 2 + σ 3 ) 3 1 2 2 2 q= ⋅ (σ 1 − σ 2 ) + (σ 2 − σ 3 ) + (σ 3 − σ 1 ) 2 p=

[

]

0,5

164 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

q 6 q s' = p' + 6 q t= 2 s= p+

(Eq. 11.11) (Eq. 11.12) (Eq. 11.13)

per cui tutto quanto è stato detto con riferimento ai piani s-t ed s’-t può essere trasferito e tradotto nei corrispondenti piani p-q e p’-q. In generale (Figura 11.6) a incrementi delle tensioni principali maggiore e minore rispettivamente pari a ∆σ1 e a ∆σ2=∆σ3: τ, t nel piano s-t corrisponde un segmento ∆L s-t α s-t di percorso tensionale di lunghezza: ∆Ls −t =

∆σ 12 + ∆σ 32 2

e pendenza: ∆σ 1 − ∆σ 3 tan α s −t = ∆σ 1 + ∆σ 3

∆t

(Eq. 11.14) O

∆σ 3

σ, s

∆σ 1 ∆s

(Eq. 11.15)

Figura 11.6 – Percorsi tensionali nei piani s-t e σ-τ

mentre nel piano p-q corrisponde un segmento di percorso tensionale di lunghezza: 1 ∆L p −q = ⋅ 10 ⋅ ∆σ 12 + 13 ⋅ ∆σ 32 − 14 ⋅ ∆σ 1 ⋅ ∆σ 3 (Eq. 11.16) 3 e pendenza: 3 ⋅ (∆σ 1 − ∆σ 3 ) tan α p −q = (Eq. 11.17) ∆σ 1 + 2 ⋅ ∆σ 3 e quindi in particolare:

per compressione isotropa (∆σ1 = ∆σ3 = ∆σ): nel piano s - t : ∆Ls −t = ∆σ tanαs-t = 0 nel piano p - q :

∆L p −q = ∆σ

tanαp-q = 0

per compressione monoassiale (∆σ1 = ∆σ, ∆σ3 = 0): ∆σ ∆Ls −t = nel piano s - t : tanαs-t = 1 2 10 nel piano p - q : ∆L p − q = ⋅ ∆σ tanαp-q = 3 3

(Eq. 11.18) (Eq. 11.19)

(Eq. 11.20) (Eq. 11.21)

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Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

11.2 Stato critico 11.2.1 Introduzione Nei capitoli precedenti sono stati affrontati separatamente, con modelli semplici e schemi elementari diversi, i problemi relativi alla deformabilità ed alla resistenza dei terreni. In questo capitolo, dopo avere esposto la teoria dello Stato Critico come quadro interpretativo generale del comportamento dei terreni saturi, si introdurrà un modello matematico un poco più complesso ma più generale (il modello Cam Clay Modificato) per la previsione quantitativa di tale comportamento. I parametri di tale modello possono essere ricavati dai risultati delle prove geotecniche standard di laboratorio, già esposti e commentati nei capitoli precedenti. Tali risultati verranno pertanto richiamati ed inquadrati in un’ottica unitaria. Le prove geotecniche standard di laboratorio per la determinazione del comportamento meccanico dei terreni sono le prove triassiali e le prove di compressione edometrica, entrambe assialsimmetriche. Salvo indicazione contraria, nel seguito assumeremo che la tensione assiale σa corrisponda alla tensione principale maggiore σ1, e che la tensione radiale σr corrisponda alle tensioni principali intermedia e minore, eguali fra loro, σ2 = σ3. Nel seguito, per descrivere lo stato di tensione ed i percorsi tensionali si utilizzeranno i parametri p, p’ e q. Per descrivere lo stato di deformazione, di un provino cilindrico di altezza iniziale H0, diametro iniziale D0 e volume iniziale V0, si utilizzeranno i parametri: ∆H deformazione assiale: ε a = ε 1 = (Eq. 11.22) H0 ∆D deformazione radiale: ε r = ε 3 = (Eq. 11.23) D0 ∆V deformazione volumetrica: ε v = ε a + 2 ⋅ ε r = ε 1 + 2 ⋅ ε 3 = (Eq. 11.24) V0 2 2 deformazione deviatorica o distorsione: ε s = ⋅ (ε a −ε r ) = ⋅ (ε 1 − ε 3 ) (Eq. 11.25) 3 3

La deformazione deviatorica è definita nel modo sopra scritto affinché valga la relazione: σ 1' ⋅ dε 1 + σ 2' ⋅ dε 2 + σ 3' ⋅ dε 3 = p '⋅dε v + q ⋅ dε s (Eq. 11.26) Come parametro indicativo dello stato di addensamento del terreno verrà utilizzato il volume specifico, v, che è per definizione il rapporto tra il volume totale di un elemento di terreno, V, e il volume occupato dalle particelle solide, VS. Risulta pertanto per definizione: V v= = (1+ e ) (Eq. 11.27) VS e de dv dε v = − =− (Eq. 11.28) 1 + e0 v0 166 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Analizziamo i risultati delle prove geotecniche standard su provini di argilla ricostituiti in laboratorio, già esposti e commentati nel Capitolo 9, rappresentando i percorsi di carico in uno spazio tridimensionale definito dalla terna di assi cartesiani ortogonali p’-q-v. 11.2.2 Compressione isotropa drenata (prima fase delle prove triassiali standard), linea di consolidazione normale (NCL) e linee di scarico-ricarico (URL) q

Il percorso efficace di carico si svolge interamente sul piano p’-v (ovvero sul piano q = 0). La curva sperimentale, che potremmo ottenere per punti incrementando (o riducendo) gradualmente la pressione di cella e attendendo per ogni gradino di carico l’esaurirsi del processo di consolidazione isotropa, è qualitativamente indicata in Figura D B A C 11.7. La stessa curva, rappresentata in un piano p’ semilogaritmico (Figura 11.8a), può essere sche- v A matizzata con segmenti rettilinei (Figura 11.8b). La principale ipotesi semplificativa adottata nel C passaggio dalla curva sperimentale a quella B schematica consiste nell’avere sostituito al piccoD lo ciclo di isteresi sperimentale del percorso di scarico-ricarico il suo asse, ovvero nell’avere assunto un comportamento deformativo volumetrico elastico (variazioni di volume interamente rep’ versibili). Figura 11.7 - Percorso di carico di La retta ABD è detta linea di consolidazione nor- compressione (e decompressione) isotropa drenata nei piani p’-q e p’-v male (NCL), ed ha equazione: v = Ν − λ ⋅ ln( p' ) (Eq. 11.29) q=0 Il parametro Ν è il valore dell’ordinata (volume specifico) del punto sulla NCL che ha per ascissa p’=1 (e quindi ln(p’) = 0) e dipende dal sistema di unità di misura adottato. Il parametro λ è la pendenza della NCL ed è adimensionale. La retta BCB è una delle infinite, possibili linee di scarico e ricarico (URL), ed ha equazione: v = vκ − κ ⋅ ln( p' ) (Eq. 11.30) q=0 Il parametro vκ è il valore dell’ordinata (volume specifico) del punto su quella specifica linea di scarico-ricarico che ha per ascissa p’=1 (e quindi ln(p’) = 0), dipende dal sistema di unità di misura adottato ed è biunivocamente riferito all’ascissa del punto B (Figura 11.8b), definita pressione di consolidazione, p’c, dalle seguenti relazioni, ottenute imponendo l’appartenenza del punto B sia alla NCL che alla linea di scarico-ricarico: vκ = Ν − (λ − κ ) ⋅ ln ( p c' ) (Eq. 11.31) ⎡ Ν − vκ ⎤ p c' = exp ⎢ ⎥ ⎣ λ −κ ⎦ 167 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

a)

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

b)

v

v N

A

A C

-λ C -κ 1 1



B

B D

D

ln p’

1

p’c

p’ (ln)

Figura 11.8 - Curva sperimentale (a) e curva schematizzata (b) del percorso di carico di compressione (e decompressione) isotropa drenata nel piano semilogaritmico ln p’-v

Il parametro κ è la pendenza della linea di scarico-ricarico isotropo ed è adimensionale. Un provino, al cui stato tensionale, p’0, corrisponda un punto su una linea di scaricoricarico, è isotropicamente sovraconsolidato (OC). Il rapporto di sovraconsolidazione isotropa è: p' R0 = c' (Eq. 11.33) p0 R0 non è eguale al rapporto di sovraconsolidazione edometrica, OCR, ma è ad esso legato dalla relazione: 1 + 2 ⋅ K 0NC R0 = ⋅ OCR (Eq. 11.34) 1 + 2 ⋅ K 0OC v Il risultato sperimentale di un N percorso di carico isotropo in A condizioni drenate con più cicli C1 di scarico-ricarico a pressione di -λ v consolidazione crescente può es- κ 1 1 C2 B1 -κ sere schematicamente rappresen- v 1 κ 2 tato come in Figura 11.9: i segC3 B2 -κ menti corrispondenti a ciascun vκ 3 1 ciclo di scarico-ricarico, rettilinei nel piano semilogaritmico, hanno B3 -κ 1 la stessa pendenza –κ e, naturalmente, diversi valori di vκ e di p’c. In definitiva, rammentando gli schemi dei modelli reologici ep’(ln) 1 p’c 1 p’c 2 p’c 3 lementari presentati nel Capitolo 5, si può affermare che i risultati Figura 11.9 - Schematizzazione di un percorso di carico sperimentali sopra descritti pos- isotropo drenato con più cicli di scarico-ricarico a pressono essere ben riprodotti da un sione di consolidazione crescente modello elastico non lineare – 168 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

plastico a incrudimento positivo. Infatti: a) il comportamento deformativo è (quasi) elastico, ovvero il percorso è reversibile, lungo le linee di scarico-ricarico; b) lungo tali linee il comportamento è non lineare, in quanto il percorso è rettilineo nel piano semilogaritmico (e quindi curvilineo nel piano naturale); c) il comportamento è elasto-plastico lungo la linea di consolidazione normale (NCL); d) la pressione media efficace di consolidazione isotropa, p’c, è la soglia di tensione oltre la quale si manifestano deformazioni plastiche (irreversibili), ovvero è la tensione di snervamento; e) l’incrudimento è positivo poiché la deformazione plastica avviene a pressione di consolidazione crescente.

11.2.3 Pressione efficace media equivalente, p’e La pressione efficace media equivalente di un elemento di terreno A caratterizzato dai parametri p’A, qA e vA è la pressione p’eA del punto sulla linea di consolidazione normale (NCL) avente volume specifico vA (Figura 11.10). La pressione efficace media equivalente vale dunque:

⎛ N − vA ⎞ p 'eA = exp⎜ ⎟ ⎝ λ ⎠

(Eq. 11.35) b)

a) v

q

N

qA

A



vA

CL N

1 A

p’A p’A

p’(ln)

p’

eA

p’eA

p’

vA

v CL N

Figura 11.10 - Definizione di pressione efficace equivalente nel piano lnp’-v e nello spazio p’-v-q

La pressione efficace equivalente non varia nei percorsi tensionali non drenati, che avvengono a volume costante, mentre varia nei percorsi tensionali drenati, durante i quali si hanno deformazioni volumetriche.

11.2.4 Compressione con espansione laterale impedita (compressione edometrica), linea di consolidazione edometrica (linea K0) e linee di scarico-ricarico edometriche Dalle condizioni al contorno della prova edometrica (compressione assialsimmetrica con espansione laterale impedita) si desume: 169 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

ε 2 = ε 3 = 0; ε v = ε 1 σ '2 = σ 3' = K 0 ⋅ σ 1' p' =

σ 1' 3

(Eq. 11.36)

⋅ (1 + 2 ⋅ K 0 ); q = σ 1' ⋅ ( 1 − K 0 )

Se il terreno normalmente consolidato, K0 è costante e il percorso tensionale nel piano p’q è rettilineo, passa per l’origine degli assi, ed ha equazione, (linea K0) (Figura 11.11 a): 3 ⋅ (1 − K 0 ) q = p '⋅ (Eq. 11.37) (1 + 2 ⋅ K 0 ) In Figura 11.11 b è mostrato l’andamento della linea K0 al variare di K0 da cui si può osservare che non potendo essere K0 < 0 (altrimenti si avrebbe una tensione σ’3 < 0 e quindi di trazione), dalla Eq. 11.37 la retta che delimita gli stati tensionali possibili per il terreno sul piano p’-q ha equazione: q = 3 p’. aK

0

b)

q

q

K0 = 0

Li ne

a)

0 < K0 < 1 3

3 ⋅ (1 − K 0 ) (1 + 2 ⋅ K0 )

1

1

(Compressione isotropa)

K0 = 1

p’

p’ K0 > 1

Figura 11.11 - Traccia della linea K0 nel piano p’-q per un terreno normalmente consolidato

Nel piano p’-v il percorso tensionale è del tutto simile a quello della compressione isotropa e, analogamente ad esso, può essere schematizzato nel piano semilogaritmico con tratti rettilinei definiti dalle seguenti equazioni (Figura 11.12): per la linea di compressione edometrica vergine: v = N 0 − λ ⋅ ln p' (Eq. 11.38) per le linee di scarico-ricarico edometriche: v = v K 0 − κ ⋅ ln p' (Eq. 11.39) Si osserva che la proiezione della linea K0 sul piano ln p’-v è parallela alla linea di consolidazione isotropa normale (NCL), e che le proiezioni sul piano lnp’-v delle linee di scarico-ricarico in condizioni edometriche sono parallele alle linee di scarico-ricarico in condizioni di carico isotropo. 170 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

v

Il parametro vK0 è biunivocamente riferito alla pressione di consolidazione edometrica p’c,edo (ascissa del punto B di Figura 11.12), dalle seguenti relazioni ottenute imponendo l’appartenenza del punto B sia alla linea K0 che alla linea di scarico-ricarico in condizioni edometriche:

N N0 A -λ C -κ 1 1

vK0

B

1

CL aN K 0 ne e a n Li Li

D

(

v K 0 = Ν 0 − (λ − κ ) ⋅ ln p c' ,edo p’(ln)

p’

c,edo

Figura 11.12 - Traccia della linea K0 nel piano lnp’-v per un terreno N.C. e di una linea di scarico-ricarico in condizioni edometriche

)

⎡ Ν 0 − vK0 ⎤ p c' ,edo = exp ⎢ ⎥ ⎣ λ −κ ⎦

(Eq. 11.40) (Eq. 11.41)

Nel Capitolo 7 abbiamo visto come i risultati della prova edometrica siano abitualmente rappresentati nel piano log σ’v-e, e che in tale piano la pendenza della linea di compressione edometrica vergine sia l’indice di compressione Cc e la pendenza delle linee di scarico sia l’indice di rigonfiamento Cs. Valgono dunque le relazioni: C c = λ ⋅ ln 10 = 2,303 ⋅ λ (Eq. 11.42a) e (solo approssimativamente poiché durante lo scarico varia OCR e dunque varia K0): C s = κ ⋅ ln 10 = 2,303 ⋅ κ (Eq. 11.42b) A differenza della linea di consolidazione normale (NCL) che si sviluppa sul piano q = 0, la linea K0 si sviluppa nello spazio a tre dimensioni p’-q-v (Figura 11.13). q Linea K0

p’

1 3 ⋅ (1 − K 0 ) (1 + 2 ⋅ K 0 )

Linea NCL

v Figura 11.13 - Rappresentazione delle linee NCL e K0 nello spazio p’-q-v

171 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

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11.2.5 Compressione triassiale drenata di argilla N.C. (prova TxCID) e linea di stato critico (CSL) Il percorso tensionale efficace di un provino di argilla N.C. in una prova di compressione triassiale drenata standard consiste di due fasi: la prima di compressione isotropa lungo la linea NCL, fino alla pressione di consolidazione isotropa p’c, la seconda di compressione assiale in condizioni drenate a pressione di confinamento costante. In quest’ultima fase, al crescere della deformazione assiale εa (la prova è condotta a deformazione assiale controllata) la tensione deviatorica q cresce progressivamente fino ad un valore massimo qf poi si mantiene circa costante. La curva sperimentale εa – q è ben rappresentata da una relazione iperbolica del tipo: q=

εa

(Eq. 11.43)

a + b ⋅εa

Il volume decresce progressivamente fino ad un valore minimo, poi si mantiene circa costante (Figura 11.14). Il percorso tensionale corrispondente alla fase di compressione assiale, AB, ha come proiezione sul piano p’-q un segmento rettilineo con pendenza 3:1, dal punto A di coordinate (p’c - 0) al punto B, corrispondente alla condizione di rottura, di coordinate (p’f - qf), e nel piano p’-v ha origine nel punto A sulla linea NCL e termina nel punto B sottostante la linea NCL. Infatti durante la fase di compressione risulta che σ’3 = σ’r =σ’c = cost e quindi ∆q = ∆(σ’1 – σ’3) = ∆σ’1 e ∆p’ = ∆(σ’1 + 2σ’3)/3 = ∆σ’1/3 e quindi: ∆σ 1' ∆q = =3 (Eq. 11.44) ∆p' ∆σ 1' / 3

a) q

b) q B

B

qf

3

A 1 p’f p’c

εa

A

c)

p’

v

B

εv

A

B

p’ Figura 11.14 - Percorsi tensionali di compressione drenata su un provino di argilla N.C.

172 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Se tre provini della stessa argilla isotropicamente consolidati a pressioni diverse sono portati a rottura in condizioni drenate si ottengono i risultati mostrati in Figura 11.15. Si osserva in particolare che: o le tre curve εa – q hanno la stessa forma e, normalizzate rispetto alla pressione di consolidazione p’c, sono (quasi) coincidenti; o la deformazione volumetrica durante la compressione assiale varia in modo pressoché eguale per i tre provini, indipendentemente dalla pressione di consolidazione; o i punti B rappresentativi dello stato finale dei tre provini giacciono su una linea, detta di Stato Critico (CSL), la cui equazione è: q f = M ⋅ p 'f (Eq. 11.45) v f = Γ − λ ⋅ ln p 'f a) q qf 3 qf 2 qf 1

b) q

B3

L CS M 1

B3

B2

B2 B1

B1

A A2 A3 p’c 1 p’c 2 p’c 3

εa

A = A2 = A3 1

p’

1

c)

v

B1 = B = B3

NC CS L L

2

εv

A

1

A2 vf 1 vf 2 vf 3

A3

B1 B2 p’f 1

B3

p’f 2 p’f 3

p’

Figura 11.15 - Risultati di prove TxCID su provini della stessa argilla N.C. consolidati a pressioni diverse

La relazione q f = M ⋅ p 'f equivale al criterio di rottura di Mohr-Coulomb per terreni N.C. che, nel Capitolo 8, avevamo scritto nella forma: τ f = σ n' ⋅ tan φ '

(Eq. 11.46)

L’angolo di resistenza al taglio da considerare è quello che corrisponde alla condizione di stato critico, φ’cs, ovvero alla condizione in cui, al crescere della deformazione assiale rimangono costanti tensione deviatorica, qf, e deformazione volumetrica, εv. 173 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Il parametro M è funzione dell’angolo di resistenza al taglio allo stato critico, φ’cs, e delle modalità di prova. Infatti se il provino è portato a rottura per compressione assiale a tensione efficace di confinamento costante, ovvero con le modalità standard descritte nel Capitolo 8, la tensione principale maggiore è la tensione assiale, mentre le tensioni principali intermedia e minore coincidono entrambe con la tensione radiale: σ 1' = σ a' (Eq. 11.47) σ 3' = σ 2' = σ r' quindi: q f = σ 1' − σ 3' f = σ 'a − σ 'r f

(

) (

)

' ⎛ σ ' + 2 ⋅ σ 3' ⎞ ⎛ ' ⎟ = ⎜ σ a + 2 ⋅σ r p'f = ⎜ 1 ⎜ ⎟ ⎜ 3 3 ⎝ ⎠f ⎝ e ricordando che è: ⎛ σ 1' ⎞ 1 + senφ cs' ⎜⎜ ' ⎟⎟ = ' ⎝ σ 3 ⎠ f 1 − senφ cs

⎞ ⎟ ⎟ ⎠f

(Eq. 11.48)

(Eq. 11.49)

si ha: M = Mc =

(

qf 3⋅ σ − σ = ' p 'f σ a + 2 ⋅σ

(

' a

) )

' r f ' r f

=

(

)

3⋅ σ /σ −1 f



' a

' a

' r

/σ + 2 ' r

3 ⋅ (1 + senφcs' − 1 + senφcs' ) 6 ⋅ senφcs' = (1 + senφcs' + 2 − 2senφcs' )f = 3 − senφcs' 3⋅ M c senφ cs' = 6+ Mc

)

f

⎡⎛ 1 + senφ cs ⎞ ⎤ ⎟⎟ − 1⎥ 3 ⋅ ⎢⎜⎜ ⎢⎝ 1 − senφ cs ⎠ ⎦⎥ ⎣ = = ⎡⎛ 1 + senφ cs ⎞ ⎤ ⎟⎟ + 2⎥ ⎢⎜⎜ ⎢⎣⎝ 1 − senφ cs ⎠ ⎥⎦

(Eq. 11.50)

(Eq. 11.51)

Se invece il provino è portato a rottura per estensione assiale, ovvero aumentando la tensione efficace di confinamento a tensione efficace assiale costante, la tensione principale minore è la tensione assiale e le tensioni principali intermedia e maggiore, coincidenti, sono la tensione radiale: σ 1' = σ 2' = σ r' (Eq. 11.52) σ 3' = σ a' quindi: q f = (σ 1' − σ 3' ) f = (σ r' − σ a' ) f ⎛ 2 ⋅ σ r' + σ a' ⎛ 2 ⋅ σ 1' + σ 3' ⎞ ⎟ =⎜ p 'f = ⎜⎜ ⎜ ⎟ 3 3 ⎝ ⎠f ⎝

M = Me =

qf p 'f

=

(

3 ⋅ σ r' − σ a'



' a

+ 2 ⋅ σ r'

) )

f f

⎞ ⎟ ⎟ ⎠f

(Eq. 11.53)

6 ⋅ senφ cs' = 3 + senφ cs'

(Eq. 11.54)

174 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

3⋅ Me (Eq. 11.55) 6 − Me Una conseguenza importante è che, SL (a) C q mentre l’angolo di resistenza al taglio allo stato critico φ’cs è lo stesso per comMc pressione e per estensione, la pendenza 1 M della linea di stato critico nel piano p’-q non è la stessa. In particolare, poiché Me < Mc, per lo stesso terreno e a parità di pressione efficace media, la tensione deviatorica a rottura in estenp’ sione è minore che in compressione (Figura 11.16). 1 I punti B corrispondenti alla condizione Me di stato critico giacciono su una linea la CS L cui proiezione sul piano p’-v è una curva che, rappresentata nel piano semiloga(b) ritmico, diviene una retta parallela alla linea NCL. Figura 11.16 – Linea di stato critico nel piano p’In Figura 11.17 sono rappresentate le li- q in caso di rottura per compressione assiale e di nee NCL e CSL. rottura per estensione assiale senφ cs' =

q CSL

p’

1 M

NCL

v Figura 11.17 – Rappresentazione delle linee NCL e CSL (indicata convenzionalmente con una doppia linea) nello spazio p’-q-v

175 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Il percorso tensionale nello spazio p’-q-v durante la fase di compressione drenata si svolge su un piano, detto piano drenato, rappresentato in Figura 11.18.

q CSL B’ Piano drenato B

p’

1 3

A’

A NCL

v Figura 11.18 - Piano drenato e percorso tensionale efficace di una prova TxCID nello spazio p’-q-v

11.2.6 Compressione triassiale non drenata di argilla N.C. (prova TxCIU) e superficie di Roscoe La prova di compressione triassiale consolidata non drenata standard consiste di due fasi: la prima di compressione e di consolidazione isotropa, la seconda di compressione assiale in condizioni non drenate a pressione di confinamento costante. In quest’ultima fase, al crescere della deformazione assiale εa (la prova è condotta a deformazione assiale controllata) il volume del provino (saturo) non varia, la tensione deviatorica q e la pressione interstiziale crescono progressivamente fino alla condizione di stato critico. In Figura 11.19 sono rappresentati i risultati di una prova TxCIU su un provino di argilla satura N.C. portato a rottura in presenza di una contro pressione interstiziale iniziale (BP = u0). In Figura 11.20 sono mostrati i risultati che si possono ottenere da una serie di tre prove TxCIU su provini della stessa argilla satura N.C. consolidati a pressioni diverse. 176 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

uf

a) q

∆uf

b) q B

u0 B

B’

TSP

ESP

qf

εa

A

3 1 A pc pf

A’ p’f p’ c

c)

p,p’

u0

v B

∆u

NCL

A’

B’

p’

Figura 11.19 - Percorsi tensionali di compressione non drenata su un provino di argilla satura N.C. CS

b) q

qf 2

B2

qf 1

B1

∆uf 3

B’3 ∆uf 2

B’2 B’1

∆uf 1

B1

∆uf 2 ∆uf 3

B2 B3

c)

B1 A2

A’3

A3

p,p’

v

v0 1

∆u

B2

∆uf 1 A’1 A1 A’2

εa

A1 = A2 = A3

B3

3

B3

1

ESP 3

qf 3

L M

TSP

a) q

v0 2 v0 3

A’1

B’1

A’2

B’2

A’3

NC L

B’3

C SL p’f 1

p’f 2

p’f 3

p’

Figura 11.20 - Risultati di prove TxCIU su provini della stessa argilla satura N.C. consolidati a pressioni diverse

177 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dall’esame delle Figure 11.19 e 11.20 si desume che: o la tensione deviatorica q cresce progressivamente con la deformazione assiale εa fino ad un valore massimo qf e poi si mantiene circa costante, o la deformazione avviene a volume costante (εv = 0) e con progressivo incremento della pressione interstiziale (∆u) fino ad un valore massimo, ∆uf, crescente con la pressione di consolidazione, o i percorsi tensionali totali (TSP) sono rettilinei ed hanno pendenza 3:1, o i percorsi tensionali efficaci (ESP) sono curvilinei ed hanno la stessa forma, o la distanza tra ESP e TSP rappresenta la pressione interstiziale u, o i punti rappresentativi dello stato tensionale efficace iniziale (A’) sono sulla linea di consolidazione normale (NCL), o i punti rappresentativi della condizione di rottura (B’) sono sulla linea di stato critico (CSL). Il percorso tensionale nello spazio p’-q-v durante la fase di compressione non drenata si svolge su un piano parallelo al piano p’-q, detto piano non drenato, rappresentato in Figura 11.21.

q

B’ Piano non drenato

CSL

ESP

p’

B

A’

A NCL

v Figura 11.21 - Piano non drenato e percorso tensionale efficace di una prova TxCIU

In una prova triassiale non drenata su un provino saturo non si hanno variazioni di volume. Pertanto il volume specifico iniziale v0 è anche il volume specifico a rottura: v0 = v f = Γ − λ ⋅ ln p'f (Eq. 11.56) ovvero: ⎛ Γ − v0 ⎞ p 'f = exp⎜ ⎟ (Eq. 11.57) ⎝ λ ⎠ 178 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

e ⎛ Γ − v0 ⎞ q f = Μ ⋅ p 'f = Μ ⋅ exp⎜ ⎟ ⎝ λ ⎠

(Eq. 11.58)

La resistenza al taglio in condizioni non drenate dei terreni a grana fine, cu, che, come abbiamo visto nel Capitolo 9, viene utilizzata per le verifiche di stabilità in termini di tensioni totali è pari alla metà della tensione deviatorica a rottura, dunque: qf Μ ⎛ Γ − v0 ⎞ = ⋅ exp⎜ cu = ⎟ (Eq. 11.59) 2 2 ⎝ λ ⎠ Per un dato terreno i parametri Μ, Γ e λ sono costanti, quindi cu dipende soltanto dal volume specifico v0. Per un terreno saturo è: v = 1 + e = 1 + Gs ⋅ w (Eq. 11.60) dunque la resistenza al taglio in condizioni non drenate, cu, di una stessa argilla satura dipende unicamente dal suo contenuto in acqua w. Tutti i percorsi tensionali efficaci, di prove drenate e non drenate, che dalla linea di consolidazione normale (NCL) pervengono alla linea di stato critico (CSL) giacciono su una superficie nello spazio p’-q-v, detta Superficie di Roscoe, che limita il dominio degli stati tensionali possibili (Figura 11.22).

q Superficie di Roscoe

CSL

p’

NCL

v Figura 11.22 - Superficie di Roscoe

179 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Tale affermazione può essere visualizzata normalizzando i percorsi tensionali drenati e non drenati dalla NCL alla CSL di provini saturi normalconsolidati rispetto alla pressione efficace equivalente, che rimane costante nei percorsi non drenati, ed è invece variabile in quelli drenati. In tal modo nel piano p’/p’e-q/p’e tutti i percorsi coincidono in un’unica curva che rappresenta la Superficie di Roscoe normalizzata (Figura 11.23).

q/p’e CSL Superficie di Roscoe normalizzata

NCL

p/p’e Figura 11.23 - Superficie di Roscoe normalizzata

11.2.7 Compressione triassiale drenata di argilla O.C. (prova TxCID) e condizione di rottura Se un provino di argilla satura è isotropicamente consolidato, ad una pressione efficace p’c, e poi isotropicamente decompresso in condizioni drenate, fino ad una pressione efficace p’0 in modo da divenire fortemente sovraconsolidato, ed è infine sottoposto a compressione drenata, esso mostra un comportamento tensionale e deformativo durante la fase di compressione del tipo di quello descritto in Figura 11.24. Si può osservare che la condizione di rottura non coincide con la condizione di stato critico. Infatti la curva εa-q presenta un massimo (qf) a rottura (punto B), poi decresce fino a stabilizzarsi su un valore minore (qcs) che corrisponde allo stato critico (punto C). Il volume del provino prima diminuisce, poi aumenta, supera il valore iniziale e infine tende a stabilizzarsi. ⎛ dε ⎞ La curva εa-εv presenta tangente orizzontale ⎜⎜ v = 0 ⎟⎟ nei punti C e D che corrispondo⎝ dε a ⎠ ⎛ dε ⎞ no al valore q = qcs, e un flesso ⎜⎜ v ⎟⎟ nel punto B che corrisponde a q = qf. ⎝ dε a ⎠ max La proiezione del percorso tensionale efficace (ABC) nel piano p’-q ha pendenza 3:1. Nel tratto AB fino alla rottura il percorso è ascendente, nel tratto BC è discendente. 180 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

b)

a) q

q B

qf

qc s

D

qf

qc s

C

ESP B

C=D 3 A 1 p’0

εa

A

c)

d)

p’

p’f

v

C B A

εa D vC vB v vDA

C A

p’0

εv

D

B

p’f

p’c

p’

Figura 11.24 - Comportamento di un provino di argilla satura fortemente sovraconsolidato in prova TxCID

Nel piano p’-v il punto A rappresentativo dello stato iniziale si trova su una curva di scarico-ricarico. La proiezione del percorso tensionale efficace (ABC) nel piano p’-v ha tangente orizzontale nei punti C e D. Se tre provini della stessa argilla satura con differenti rapporti di sovraconsolidazione isotropa sono portati a rottura in condizioni drenate si ottengono i risultati mostrati in Figura 11.25. Si osserva in particolare che: o se il punto rappresentativo dello stato iniziale del provino nel piano p'-v è sotto la CSL (punto A1), esso è fortemente sovraconsolidato (provino n. 1), o un provino fortemente sovraconsolidato ha un deviatore a rottura (qf) molto maggiore del deviatore allo stato critico (qcs), e manifesta un comportamento dilatante (aumento di volume), o se il punto rappresentativo dello stato iniziale del provino nel piano p'-v è sotto la NCL ma sopra la CSL, esso è debolmente sovraconsolidato (provino n. 2), o un provino debolmente sovraconsolidato ha un deviatore a rottura (qf) poco maggiore o eguale al deviatore allo stato critico (qcs), e manifesta un comportamento contraente (diminuzione di volume), o se il punto rappresentativo dello stato iniziale del provino nel piano p'-v è sulla NCL, esso è normalmente consolidato (provino n. 3), o un provino normalmente consolidato ha un deviatore a rottura (qf) eguale al deviatore allo stato critico (qcs), e manifesta un comportamento contraente (diminuzione di volume), 181 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

i punti rappresentativi delle condizioni di rottura (B) di provini con eguale pressione di preconsolidazione (punti A sulla stessa linea di scaricoricarico) giacciono su una retta (linea inviluppo a rottura) distinta dalla CSL relativamente ai provini sovraconsolidati (punti B1 e B2), e sulla CSL per il provino normalconsolidato (punto B3), i punti rappresentativi delle condizioni ultime (C) giacciono sulla CSL,

o

o

a) q

B3

L CS M 1

Linea di inviluppo a rottura

B

2

B1 1 q

C1 A1

b)

m

D1 A2

p’

A3

v

La linea inviluppo a rottura, per i terreni sovraconsolidati, ha equazione: qf = q + m⋅ pf ' (Eq. 11.61)

C1 B A1 D 1 1 A 2

URL

A

3 Tale retta, che rappresenta il luogo NC C L dei punti di rottura per le argille soB2 SL vraconsolidate, corrisponde nello B3 spazio p’-q-v ad una superficie piap’ na detta Superficie di Hvorslev. p’0 1 p’0 2 p’c Nel Capitolo 9 abbiamo visto che l’inviluppo a rottura in termini di Figura 11.25 - Risultati di prove TxCID su provini deltensioni efficaci per un’argilla so- la stessa argilla con differenti rapporti di sovraconsolidazione isotropa e linee di inviluppo a rottura vraconsolidata ha equazione:

τ f = c' +σ n' ⋅ tan φ'

(Eq. 11.62)

che può essere scritta anche nella forma:

(

1 ⋅ σ 1' − σ 3' 2

)

(

f

⎡ σ 1' + σ 3' =⎢ 2 ⎢⎣

)

f

⎤ + c' ⋅ cot gφ' ⎥ ⋅ senφ' ⎥⎦

(Eq. 11.63) τ inviluppo di rottura

essendo (Figura 11.26): OO' = O' C ⋅ tgφ' = ( OO' +OC ) ⋅ tgφ' ed: OO' = c' ⋅ cot gφ' ed OC =



' 1

+ σ 3' ) f 2

R c’ O’

φ’

c’ ctg φ’

O

σ’3

C

σ’1

σ’

(σ1’ +σ3’ )/2

Figura 11.26 – Criterio di rottura di Mohr-Coulomb

182 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dalla Eq. 11.61, essendo qf = (σ’1 – σ’3)f e p’f = (σ’1 + 2σ’3)f/3, si ottiene sostituendo:



' 1

−σ

)

' 3 f

= q + m⋅



' 1

+ 2σ 3'

)

f

3 da cui, svolgendo i calcoli, si ottiene: 3 + 2m 3q + σ 1' f = σ 3' f 3−m 3−m

(Eq. 11.63a)

Dalla Eq.11.63 invece si ricava:



' 1

− σ 3'

) = (σ f

e quindi:

σ 1' f = σ 3' f

' 1

+ σ 3'

)

f

⋅ senφ' +2c' ⋅ cos φ' ⋅

1 + sin φ' cos φ' + 2c' 1 − sin φ' 1 − sin φ'

(Eq. 11.63b)

Eguagliando la (11.63a) e la (11.63b) si ottiene: 3 + 2 m 1 + sin φ' = 3 − m 1 − sin φ' e 3q 2c' cos φ' = 3 − m 1 − sin φ' Dalla (11.63c) si può ricavare m: 6 sin φ' m= 3 − sin φ' ed andando a sostituire nella (11.63d) si ricava q: 6 c' cos φ' q= 3 − sin φ' da cui si ottengono le corrispondenze: 6 ⋅ c' ⋅ cos φ' q= 3 − senφ' 6 ⋅ senφ' m= 3 − senφ'

(Eq. 11.63c)

(Eq. 11.63d)

(Eq. 11.63e)

(Eq. 11.63f)

(Eq. 11.64)

(

)

Imponendo la condizione che i terreni non possano sostenere tensioni di trazione σ 3' ≥ 0 si ha che per σ’3 = 0, q = σ’1 – σ’3 = σ’1 e p = (σ’1 + 2σ’3)/3 = σ’1/3, cioè q = 3 p’. Si deduce che la linea inviluppo a rottura, come mostrato anche in Figura 11.11 b, è limitata a sinistra dalla retta di equazione: q = 3 ⋅ p' (Eq. 11.65) 183 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

11.2.8 Compressione triassiale non drenata di argilla O.C. (prova TxCIU) e superficie di Hvorslev Se un provino di argilla satura è isotropicamente consolidato, poi isotropicamente decompresso in condizioni drenate in modo da divenire fortemente sovraconsolidato, e infine sottoposto a compressione non drenata, mostra un comportamento tensionale e deformativo durante la fase di compressione del tipo di quello descritto in Figura 11.27. Si osserva che la curva εa-q è monotona (non presenta un picco), l’incremento di pressione interstiziale ∆u è inizialmente positivo, poi diviene negativo (comportamento duale della curva εa-εv della prova TxCID).

a) q

b) q

qc s

qc s

u0

∆uf

B’ B

-

TSP

∆u ESP

εa

A

c)

uf

+

A’ p’0

d)

u0 u 3 1 A p0

p,p’

v

+

NC L

εa

ESP v0

∆u

B URL

A

p’0

p’f

p’c

p’

Figura 11.27 - Comportamento di un provino di argilla satura fortemente sovraconsolidato in prova TxCIU

Se tre provini della stessa argilla satura con differenti rapporti di sovraconsolidazione isotropa sono portati a rottura in condizioni non drenate si ottengono i risultati mostrati in Figura 11.28. In Figura 11.29 sono messi a confronto i percorsi tensionali efficaci di due provini della stessa argilla egualmente sovraconsolidati e sottoposti a rottura in condizioni drenate e non drenate. Si può osservare che la tensione deviatorica a rottura per il provino non drenato è nettamente maggiore. In Figura 11.30 sono invece messi a confronto i percorsi tensionali efficaci di tre provini della stessa argilla con differente rapporto di sovra consolidazione isotropa ed eguale volume specifico iniziale portati a rottura in condizioni non drenate. Si può osservare che i percorsi si svolgono sullo stesso piano v = cost e pervengono allo stesso punto della linea di stato critico. 184 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

a)

q

Linea di inviluppo a rottura

B B2 3

1

L CS M

B1 m

1

q A1

A2

p,p’

A3

b)

v CL L N CS URL

A1

B1 B2

OCR1 = p’c /p’0 1 = 6

A2

A3

B3

OCR2 = p’c /p’0 2 = 1.5 OCR3 = 1

p’0 1

p’0 2

p’

p’c

Figura 11.28 - Risultati di prove TxCIU su provini della stessa argilla con differenti rapporti di sovraconsolidazione isotropa e linee di inviluppo a rottura b) a) q q L CS

M qc s u qf u q qcf s A

1 F

E

E B

B C

m

D

εa

F

1 C D A p’0

c)

p,p’

v

C v0

D B A C

p’0

E

F

URL NCL CSL p’c

p’

Figura 11.29 - Confronto fra i percorsi tensionali efficaci di due provini della stessa argilla egualmente sovraconsolidati e sottoposti a rottura in condizioni drenate (TxCID) e non drenate (TxCIU)

185 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

a) q

1

B

L CS M

C

A1

b)

A2

A3

p’

v CL N CSL A2 A1 C B

A3

p’

Figura 11.30 - Percorsi tensionali efficaci di tre provini della stessa argilla con differente rapporto di sovra consolidazione isotropa ed eguale volume specifico iniziale portati a rottura in condizioni non drenate

In Figura 11.31a sono rappresentate nello spazio p’-q-v le tre superfici (di Roscoe, di Hvorslev e il piano limite di rottura per trazione) che assieme formano la Superficie di Stato, la quale delimita il volume degli stati di tensione possibili. Anche per la superficie di Hvorslev e per il piano limite di trazione, come per la superficie di Roscoe, si può dare una rappresentazione normalizzata nel piano p’/p’e-q/p’e (Figura 11.31b). In particolare la superficie di Hvorslev normalizzata è una retta di equazione: ⎛ p' ⎞ q = g + h ⋅ ⎜⎜ ' ⎟⎟ (Eq. 11.66) ' pe ⎝ pe ⎠ ovvero: q = g ⋅ p e' + h ⋅ p' (Eq. 11.67) Essendo, per definizione: ⎛ N −v⎞ p e' = exp⎜ ⎟ (Eq. 11.68) ⎝ λ ⎠ ed imponendo la condizione di appartenenza della CSL alla superficie di Hvorslev: q = M ⋅ p' CSL (Eq. 11.69) v = Γ − λ ⋅ ln p' si ottiene, per sostituzione, il valore della costante g: ⎛Γ− N ⎞ g = (M − h ) ⋅ exp⎜ ⎟ (Eq. 11.70) ⎝ λ ⎠ e quindi l’espressione analitica della superficie di Hvorslev: ⎛Γ−v⎞ q = (M − h ) ⋅ exp⎜ ⎟ + h ⋅ p' (Eq. 11.71) ⎝ λ ⎠ 186 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

q CSL

Superficie di Roscoe

p’ Superficie di Hvorslev

Piano limite di trazione NCL

v b) q/p’e CSL Superficie di Hvorslev

Superficie di Roscoe

h 1

NCL

Piano limite di trazione g

p/p’e

Figura 11.31 - Rappresentazione assonometria (a) e normalizzata (b) della Superficie di Stato

Dall’esame dell’Eq. (11.71) si desume che la resistenza al taglio di un’argilla sovraconsolidata satura è somma di due termini i quali, oltre ad essere funzione delle costanti materiali (Μ, h, Γ, λ) sono: o il termine, h ⋅ p ' , proporzionale alla pressione efficace media e corrispondente alla resistenza per attrito; ⎛Γ−v⎞ o il termine, (M − h ) ⋅ exp⎜ ⎟ , dipendente dal volume specifico (ovvero dall’indice ⎝ λ ⎠ dei vuoti, ovvero dal contenuto in acqua) e corrispondente alla resistenza per coesione. 187 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

11.3 MODELLO CAM CLAY MODIFICATO (CCM) 11.3.1 Parete elastica (o Dominio elastico) Si definisce parete elastica (o dominio elastico) nello spazio p’-q-v una superficie cilindrica avente come direttrice una linea di scarico-ricarico e come generatrice una retta parallela all'asse q, limitata dalla superficie di stato (Figura 11.32). Un punto appartenente ad una parete elastica può muoversi liberamente su di essa provocando solo deformazioni elastiche. Un punto appartenente ad una parete elastica può spostarsi su un'altra parete elastica solo raggiungendo prima la superficie limite e muovendosi anche su di essa. Nel percorso sulla superficie limite si producono deformazioni plastiche (Figura 11.33). q q CSL CSL

Superficie di Roscoe

Superficie di Hvorslev

p’

p’ C B

Parete elastica B’ A

C’

URL NCL

NCL

v

Figura 11.32 - Parete elastica

v Figura 11.33 - Percorso da una parete elastica ad un’altra parete elastica

Alla luce di quanto detto, tenuto conto che il percorso tensionale efficace (ESP) di una prova di compressione triassiale non drenata (TxCIU) si svolge interamente sul piano non drenato (v = cost), nel caso di provino isotropicamente sovraconsolidato, il cui punto rappresentativo iniziale è quindi situato su una linea di scarico-ricarico appartenente ad una parete elastica, la parte iniziale (elastica) del percorso è il segmento intersezione fra il piano non drenato e la parete elastica (Figura 11.34). Tale segmento nel piano p’-q è verticale, e quindi, non variando p’, non variano i parametri elastici (K, G) ed il comportamento è elastico lineare. Analogamente, tenuto conto che il percorso tensionale efficace (ESP) di una prova di compressione triassiale drenata (TxCID) si svolge interamente sul piano drenato ∆q = 3 ), nel caso di provino isotropicamente sovraconsolidato, il cui punto rappresenta( ∆p' tivo iniziale è quindi situato su una linea di scarico-ricarico appartenente ad una parete e188 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

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lastica, la parte iniziale (elastica) del percorso è il segmento intersezione fra il piano drenato e la parete elastica (Figura 11.35). Tale segmento nel piano p’-q ha pendenza 3:1, e quindi, variando p’ variano i parametri elastici (K, G) ed il comportamento è elastico non lineare. q q CSL

Piano non drenato

CSL

Piano drenato C

p’

1

p’

3 B

B

C

A A

Parete elastica Parete elastica

NCL

NCL URL

v

v URL Figura 11.34 - Percorso tensionale efficace in Figura 11.35 - Percorso tensionale efficace prova TxCIU di un provino di argilla isotropi- in prova TxCID di un provino di argilla isocamente sovraconsolidato (AB = percorso elasti- tropicamente sovraconsolidato (AB = percorco; BC = percorso elasto-plastico) so elastico; BC = percorso elasto-plastico)

11.3.2 Curva di plasticizzazione Nello spazio delle tensioni esiste una curva, detta di curva di plasticizzazione (yield curve), che separa gli stati di tensione che producono risposte elastiche dagli stati di tensione che producono risposte plastiche. Evidenze sperimentali indicano che per i terreni la forma della curva di plasticizzazione nello spazio delle tensioni p’-q è approssimativamente ellittica. Nel modello CCM tale curva è rap- q A - Stato di tensione elastico presentata da un’ellisse F di equaB - Inizio della plasticizzazione C - Stato elasto-plastico zione: 2 M q 2 F = ( p') − p'⋅ p c' + 2 = 0 M Curva di plasticizzazione espansa (Eq. 11.72) c

C

Curva di plasticizzazione iniziale

B

L’asse maggiore dell’ellisse corriA sponde alla pressione di preconsop’ p’ /2 p’ lidazione p’c, l’asse minore vale ' p Figura 11.36 - Curva di plasticizzazione iniziale e sua M ⋅ c (Figura 11.36). 2 espansione in un percorso di carico per compressione c

c

189 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

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Considereremo nel seguito la curva di plasticizzazione per compressione, e quindi M = Mc, ma analoghi concetti valgono anche per estensione, nel qual caso l’asse minore dell’ellisse è più piccolo (essendo Me < Mc). Se lo stato di tensione di un elemento di terreno è rappresentato da un punto interno alla curva di plasticizzazione iniziale (ad es. punto A di Figura 11.36) la risposta del terreno è elastica. Se lo stato di tensione è rappresentato da un punto sulla curva di plasticizzazione iniziale (ad es. punto B) ogni incremento di tensione che comporti un movimento verso l’esterno della curva è accompagnato da deformazioni elasto-plastiche e da un’espansione della superficie di plasticizzazione cosicché il punto rappresentativo dello stato di tensione permane sulla curva di plasticizzazione (punto C). Se il percorso dal punto C si muove verso l’interno vi saranno deformazioni elastiche, poiché la curva di plasticizzazione si è espansa e la regione elastica è divenuta più grande. Alla luce dei concetti espressi sul percorso tensionale efficace di un provino di argilla isotropicamente sovraconsolidato (che è inizialmente elastico e che quindi nel tratto iniziale si svolge sulla parete elastica associata alla pressione di preconsolidazione), nonché sulla forma ellittica della curva di plasticizzazione, tali percorsi nelle prove di compressione triassiale standard, secondo il modello Cam Clay Modificato (MCC), sono quelli schematicamente rappresentati nelle Figure 11.37, 11.38, 11.39 e 11.40. Se il punto di intersezione tra il percorso tensionale efficace e la curva di plasticizzazione iniziale ha ascissa maggiore di p’c/2 (ovvero è nella metà destra dell’ellisse) si ha, durante la fase di compressione assiale, un’espansione dell’ellisse, se invece il punto di intersezione ha ascissa minore di p’c/2 (ovvero è nella metà sinistra dell’ellisse) si ha una contrazione dell’ellisse. b) CSL a) q

q

qf

F

F

qf ESP

3 C 1

C B

B A

D

p’

E

c)

ε1

A

d) v

v NCL CSL A

A B

B

D

C

C

E F

vf p’0

p’c p’f

F

p’

ε1

Figura 11.37 - Risultati previsti dal modello CCM di una prova TxCID su un provino di argilla debolmente sovraconsolidato

190 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

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b)

CSL

a) q

q qf

TSP

F

qf

F

C B A

c)

u0

B 3 1 D

p’,p

E

C

ε1

A

d)

∆u

v NCL CSL

vA = vf

F

C

B

C A B D

F

E

p’

p’f p’ p’c 0

ε1

A

Figura 11.38 - Risultati previsti dal modello CCM di una prova TxCIU su un provino di argilla debolmente sovraconsolidato

b)

CSL

a) q

q

ESP qf

C

qc s

B F 3 1 A

C F

B

p’

D

c)

ε1

A

d)

εv

v NCL CSL F A B C

D B

p’0

p’c /2

p’c

p’

C

ε1

A F

Figura 11.39 - Risultati previsti dal modello CCM di una prova TxCID su un provino di argilla fortemente sovraconsolidato

191 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

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Con riferimento alla Figura 11.40, ovvero al comportamento previsto dal modello per una compressione non drenata di un provino di argilla satura fortemente sovraconsolidato, si osserva che il percorso tensionale efficace fino al raggiungimento della curva di plasticizzazione, ovvero fino al valore di picco qf della tensione deviatorica è verticale (elasticolineare). Dunque sostituendo nell’equazione di F a p’ il valore di pressione media efficace iniziale p’0 si ha:

(p )

' 2 0

q 2f

−p ⋅p + ' 0

' c

M2

=0

(Eq. 11.73)

e risolvendo per qf: q f = M ⋅ p '0 ⋅ R 0 − 1 = 2 ⋅ c u

a) q

per R 0 > 2

b)

CSL

q C

ESP q qcf s

C

A

c)

B F 3 1

(Eq. 11.74)

∆uf

B F

∆u c s

C

B F

TSP

p’,p

D

u0

ε1

A

d)

∆u

v NCL CSL

A C B

F D ∆uc s

p’0

p’c /2

p’c

p’

A ∆uf

C

ε1

B F

Figura 11.40 - Risultati previsti dal modello CCM di una prova TxCIU su un provino di argilla fortemente sovraconsolidato

192 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

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11.3.3 Il calcolo delle deformazioni Le deformazioni volumetriche L’incremento di deformazione volumetrica totale dεv può in generale essere scomposto in due parti: la prima elastica (reversibile) dεve e la seconda plastica (irreversibile) dεvp: dε v = dε ve + dε vp (Eq. 11.75) Consideriamo un provino di terreno isotropicamente consolidato in cella triassiale ad una pressione efficace media p’c e quindi decompresso isotropicamente fino alla pressione media efficace p’0, come rappresentato dal percorso tensionale ODA in Figura 11.41. Esso risulterà sovraconsolidato con rapporto di sovraconsolidazione isotropa:

R0 =

p c'

(Eq. 11.76)

p 0'

La curva di plasticizzazione iniziale è l’ellisse che ha per asse maggiore il segmento OD. Il provino venga poi sottoposto a compressione assiale drenata (TxCID). Il suo ESP inizia nel punto A ed a) è rettilineo con pendenza 3:1. q,ε s p dε p Fino a quando il percorso tendε s CSL F sionale non raggiunge il punto B, e quindi è interno alla curva C di plasticizzazione iniziale, il B p comportamento è elastico. Dal dε v ESP punto B il terreno inizia ad ave3 E re deformazioni elastoA 1 D p’,ε v O p’c p’0 plastiche. v NCL Consideriamo l’incremento di b) tensione corrispondente al tratto BC dell’ESP. Esso produce un’espansione della superficie CSL di plasticizzazione come moA strato nella Figura 11.41a. D

B C

La variazione (negativa) di voE F lume specifico totale del provip’ no per tale incremento di tensione vale, con riferimento alla Figura 11.41 - Determinazione delle deformazioni plastiche Figura 11.41b, vale: ∆v = ( vC − v B ) = ( vC − v E ) + ( v E − v D ) + ( vD − v B ) (Eq. 11.77) in cui

⎛ p' ⎞ vC − v E = κ ⋅ ln⎜ 'E ⎟ ⎜p ⎟ ⎝ C⎠

(Eq. 11.78)

193 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

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⎛ p' ⎞ v E − vD = λ ⋅ ln⎜ 'D ⎟ (Eq. 11.79) ⎜p ⎟ ⎝ E⎠ ⎛ p' ⎞ v D − v B = κ ⋅ ln⎜ 'B ⎟ (Eq. 11.80) ⎜p ⎟ ⎝ D⎠ La pressione p’E è la pressione efficace media di consolidazione della superficie di plasticizzazione espansa. Per passare dall’incremento di volume specifico all’incremento di deformazione volumetrica si utilizza la relazione: ∆εv = - ∆v/v0. L’incremento di deformazione volumetrica elastica può essere calcolato con la relazione: ∆p' dε ve = (Eq. 11.81) K' Poiché le costanti elastiche (modulo di deformazione cubica K’, modulo di Young, E’, e modulo di taglio, G) non sono costanti ma proporzionali alla pressione media efficace p’, il valore di K’ da utilizzare è quello che corrisponde al valore medio di p’ nell’intervallo ∆p’, ed è dato dall’equazione: p'm ⋅ v0 (Eq. 11.82) K' =

κ

La parte plastica dell’incremento di deformazione volumetrica si può infine ottenere per differenza: dε vp = dε v − dε ve (Eq. 11.83) In condizioni non drenate, essendo zero la deformazione volumetrica totale, risulterà: dε ve = −dε vp (Eq. 11.84)

Le deformazioni deviatoriche Per determinare le deformazioni deviatoriche si fa l’ipotesi che, per un generico incremento di tensione (dp’, dq), l’incremento di deformazione plastica dε p sia un vettore con direzione normale alla curva del potenziale plastico, e che quest’ultima coincida con la curva di plasticizzazione F (ipotesi di normalità – legge di flusso associata) (Figura 11.41). Per determinare la direzione normale alla curva di plasticizzazione si differenzia l’equazione della curva di plasticizzazione F (Eq. 11.72) rispetto alle variabili p’ e q: dq dF = 2 ⋅ p'⋅dp'− pc' ⋅ dp'+2 ⋅ q ⋅ 2 = 0 (Eq. 11.85) M da cui, si ricava la direzione tangente alla curva: dq ( p c' − 2 ⋅ p ') ⋅ M 2 = (Eq. 11.86) dp ' 2⋅q e quindi la direzione normale alla curva: 2⋅q dp' − = (Eq. 11.87) dq 2 ⋅ p'− p c' ⋅ M 2

(

)

L’incremento di deformazione plastica totale dε p ha due componenti: l’incremento di deformazione volumetrica plastica dε vp – di cui abbiamo detto come calcolare il valore, e 194 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 11

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l’incremento di deformazione deviatorica plastica dε sp . Il rapporto fra la componente deviatorica e la componente volumetrica è la direzione del vettore incremento di deformazione plastica totale, ovvero la direzione normale alla curva di plasticizzazione, dunque: dp' dε Sp 2⋅q − = p = 2 dq dε v M ⋅ (2p'−p 'c ) da cui 2⋅q dε sp = 2 ⋅ dε vp (Eq. 11.88) ' M ⋅ 2 p'− p c La componente elastica dell’incremento di deformazione deviatorica può essere calcolata con la teoria dell’elasticità: dq dε se = (Eq. 11.89) 3⋅G Per quanto già detto il valore di G da utilizzare è quello che corrisponde al valore medio di p’ ed è dato dall’equazione: 3 ⋅ p m' ⋅ v0 ⋅ (1 − 2 ⋅ν ) G= (Eq. 11.90) 2 ⋅ κ ⋅ (1 + ν )

(

)

195 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 12

INDAGINI IN SITO

CAPITOLO 12 INDAGINI IN SITO 12.1 Programmazione delle indagini Ogni opera di ingegneria civile interagisce con una parte del sottosuolo, detta volume significativo. Il comportamento dell’opera dipende, oltre che dai carichi applicati, dalla geometria e dalle proprietà fisico-meccaniche dell’opera e dalle caratteristiche del sottosuolo all’interno del volume significativo. La geometria e le proprietà fisico meccaniche dell’opera sono generalmente dati del problema, noti con buona approssimazione e modificabili in fase di progetto. Ad esempio si può variare lo spessore di un solaio, o la classe di un calcestruzzo, o la pendenza dei fianchi di un rilevato. Le caratteristiche del volume significativo di sottosuolo sono invece quasi sempre immodificabili e sono tutte da determinare. Lo scopo delle indagini in sito è identificare le condizioni stratigrafiche e di falda all’interno del volume significativo di sottosuolo, e di caratterizzare, congiuntamente con le indagini di laboratorio, il comportamento meccanico delle diverse formazioni presenti. Nella programmazione e interpretazione delle indagini in sito sono di valido aiuto le conoscenze di geologia, ma ancora più importanti, anzi essenziali, sono le conoscenze ingegneristiche dell’opera da realizzare. Infatti la progettazione geotecnica passa attraverso la definizione di un modello geotecnico, ovvero di uno schema semplificato della realtà fisica, che concili quanto più possibile variabilità e complessità naturale con procedure e metodi di calcolo che conducano ad una soluzione quantitativa affidabile, anche se non esatta, del problema ingegneristico. Le indagini geotecniche in sito e di laboratorio hanno vantaggi e limiti opposti, e non sono pertanto alternative ma complementari. Le indagini in sito sono insostituibili per il riconoscimento stratigrafico, interessano volumi di terreno molto maggiori, molte di esse consentono di determinare profili pressoché continui con la profondità delle grandezze misurate, sono più rapide ed economiche, sono quasi l’unico mezzo per caratterizzare dal punto di vista meccanico i terreni incoerenti, il cui campionamento “indisturbato” è molto difficile ed economicamente oneroso. Di contro le condizioni al contorno sono difficilmente individuabili e incerte, la modellazione della prova è spesso incerta e schematica per cui l’interpretazione è talvolta affidata a relazioni empiriche o semi-empiriche. Per ottenere dai valori delle grandezze misurate con prove in sito i valori numerici dei parametri geotecnici utili nella progettazione, si utilizzano correlazioni, che a seconda della prova possono essere: - correlazioni primarie, con cui il parametro geotecnico è ottenuto dal risultato della prova utilizzando una solida base teorica con poche ipotesi da verificare (ad es. la stima di G0 da misure di VS); - correlazioni secondarie, con cui il parametro geotecnico è ottenuto dal risultato della prova utilizzando una base teorica, ma con approssimazioni e ipotesi sostanziali, e in genere con parametri intermedi (ad es. la stima di cu da qc); - correlazioni empiriche, con cui il parametro geotecnico è ottenuto dal risultato della prova senza giustificazione teorica (ad es. la stima di qlim di fondazioni su sabbia da NSPT). 196 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 12

INDAGINI IN SITO

Al contrario le prove di laboratorio hanno condizioni al contorno (di carico, di vincolo, di drenaggio), ben definite e controllabili, ed i risultati possono essere interpretati con modelli matematici appropriati, ma i campioni possono non essere rappresentativi delle reali condizioni in sito, sia a causa della variabilità intrinseca del terreno naturale, sia per l’inevitabile disturbo di campionamento. Le indagini geotecniche vanno condotte su quella parte di sottosuolo che verrà influenzata dalla costruzione dell’opera o che ne influenzerà il comportamento (ovvero sul volume significativo). A titolo indicativo, nella Figura 12.1, tratta dalle “Raccomandazioni sulla programmazione ed esecuzione delle indagini geotecniche” dell’Associazione Geotecnica Italiana (AGI, 1977), è rappresentata l’estensione del volume significativo per le più frequenti opere geotecniche nel caso di terreno omogeneo. Il grado di approfondimento dell’indagine geotecnica nel volume significativo del sottosuolo dipende dalla fase di progettazione (di fattibilità, definitiva o esecutiva), dalla complessità delle condizioni stratigrafiche e geotecniche, e dall’importanza dell’opera. Secondo l’Eurocodice per l’ingegneria geotecnica (EC7) le opere da realizzare possono essere classificate in tre categorie geotecniche (GC) di importanza crescente (Tabella 12.1), cui ovviamente corrispondono gradi di approfondimento crescenti dell’indagine geotecnica. Tabella 12.1 - Categorie geotecniche secondo l’Eurocodice EC7

GC1

GC2

GC3

Strutture semplici caratterizzate da rischi molto limitati Esempi: - fabbricati di piccole dimensioni con carichi massimi alla base dei pilastri di 25,5kN o distribuiti alla base di murature di 10kN/m, - muri di sostegno o scavi sbatacchiati di altezza non superiore a 2m, scavi di piccole dimensioni per drenaggi o posa di fognature, etc.. Tutti i tipi di strutture e fondazioni convenzionali che non presentano particolari rischi. Esempi: - fondazioni superficiali, - fondazioni a platea, - pali, - opere di sostegno delle terre o delle acque, - scavi, - pile di ponti, - rilevati e opere in terra, - ancoraggi e sistemi di tiranti, - gallerie in rocce dure, non fratturate e non soggette a carichi idraulici elevati Strutture di grandi dimensioni, strutture che presentano rischi elevati, strutture che interessano terreni difficili o soggette a particolari condizioni di carico, strutture in zone altamente sismiche

Per le opere di categoria GC1 che ricadono in zone note, con terreni di fondazione relativamente omogenei e di buone caratteristiche geotecniche, ove già esistono strutture analoghe che hanno dato buona prova di sé, etc.., l’indagine può essere limitata alla raccolta delle informazioni esistenti, e la relazione geotecnica (sempre necessaria) può giustificare le scelte progettuali su base comparativa, per esperienza e similitudine. Al contrario per opere di categoria GC3 occorre un piano di indagine molto approfondito e dettagliato, curato da specialisti del settore, che si estenda nel tempo (prima, durante e 197 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 12

INDAGINI IN SITO

dopo la realizzazione dell’opera), comprendente prove speciali, da affidare a ditte o enti altamente qualificati, mirate all’analisi dei problemi specifici e particolari dell’opera in progetto.

Figura 12.1 - Indicazioni sul volume significativo del sottosuolo a seconda del tipo e delle dimensioni del manufatto, nel caso di terreno omogeneo

In questa sede ci limitiamo a considerare le indagini geotecniche per opere di categoria GC2. Per identificare le condizioni stratigrafiche del sottosuolo all’interno del volume significativo, possono essere eseguite prove geofisiche (la cui trattazione è argomento di altri cor198 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 12

INDAGINI IN SITO

Costi

si), scavi, trincee, sondaggi e prove continue (o quasi) lungo verticali di esplorazione (ad esempio prove CPT, DMT etc..). Scavi e trincee di esplorazione hanno il vantaggio di mettere in luce ampie sezioni verticali del sottosuolo, e quindi consentono una descrizione di dettaglio della successione stratigrafica ed il prelievo di campioni anche di grandi dimensioni con minimo disturbo. Il loro maggiore limite consiste nella modesta profondità di indagine. I sondaggi stratigrafici e geotecnici consentono di verificare direttamente la successione stratigrafica lungo una verticale di esplorazione, di prelevare campioni per le analisi di laboratorio, e di eseguire prove meccaniche e idrauliche a fondo foro, durante la perforazione. Le prove continue (o quasi) lungo verticali di esplorazione consentono di identificare la successione stratigrafica e di stimare alcune proprietà geotecniche in modo indiretto mediante correlazioni con le grandezze misurate. Dunque, nella maggior parte dei casi, le informazioni raccolte con le indagini geotecniche sulla successione stratigrafica e sulle proprietà meccaniche e idrauliche dei terreni presenti nel sottosuolo si riferiscono a verticali di esplorazione. Poiché lo scopo delle indagini è definire le caratteristiche del sottosuolo all’interno del volume significativo, il numero, la profondità, e la disposizione planimetrica delle verticali di esplorazione devono essere stabiliti in base alla forma e all’estensione del volume significativo, ed al grado di dettaglio richiesto.Ad esempio, se l’indagine è finalizzata alla costruzione di un edificio con dimensioni in pianta paragonabili, lo spessore e la profondità degli strati nel volume significativo possono essere stimati con un minimo di tre verticali di esplorazione, facendo l’ipotesi che le superfici di separazione fra gli strati siano piane e contengano i punti di separazione individuati nelle tre verticali. Almeno una delle tre verticali di esplorazione dovrebbe essere un sondaggio. La densità e la qualità dell’indagine devono tener conto, oltre che della categoria geotecnica dell’opera in progetto, della complessità e variabilità del terreno di fondazione e del rapporto costi/benefici. Un’indagine estesa e approfondita, che consenta di definire un modello geotecnico affidabile, può giustificare scelte di progetto più “coraggiose” ed economiche. Costo dell'indagine Viceversa se i dati di progetto Costo di costruzione sono poco affidabili o incerti, Costo totale anche le soluzioni tendono ad essere più “prudenti” e conMinimo costo servative, e quindi più costototale se. Il concetto di livello di approfondimento ottimo della indagine geotecnica è schematicamente illustrato in Figura 12.2. Livello di approfondimento ottimo In Tabella 12.2 sono orientativamente indicati numero Approfondimento dell'indagine minimo e distanza fra verticageotecnica li di esplorazione per differenti tipologie di opere. Figura 12.2 - Scelta del livello di approfondimento dell’indagine geotecnica su base economica

199 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 12

INDAGINI IN SITO

Tabella 12.2 - Ampiezza orientativa dell’indagine geotecnica Tipo di opera Edificio di 1÷2 piani Edificio a molti piani Pile e spalle di ponti, torri Strade Gallerie: progetto di massima progetto esecutivo

Distanza fra i sondaggi (m) Stratificazione Uniforme Media Caotica 60 30 15 45 30 15 30 12 300 150 30 500 100

300 50

-

Numero minimo di verticali di esplorazione 3 4 1÷2 per ciascuna fondazione -

I mezzi di indagine in sito per la caratterizzazione del volume significativo di sottosuolo, sono molti e di diversa complessità. In questa sede illustreremo soltanto i mezzi di indagine più diffusi in Italia, comunemente impiegati per la progettazione di opere di categoria GC2. Essi sono: − le perforazioni di sondaggio, − le prove SPT (Standard Penetration Test), − le prove penetrometriche statiche (CPT), − le prove con piezocono (CPTU), − le prove dilatometriche (DMT).

12.2 Perforazioni di sondaggio Per sondaggio stratigrafico si intende una perforazione del terreno, in genere in direzione verticale, che consente di riconoscere la successione stratigrafica, mediante l’esame visivo e l’esecuzione di alcune prove di riconoscimento sul materiale estratto. Se la perforazione permette, oltre al riconoscimento stratigrafico, anche il prelievo di campioni “indisturbati” di terreno e l’esecuzione di prove in foro per la determinazione delle proprietà geotecniche dei terreni in sede, il sondaggio è detto geotecnico. Durante la perforazione è possibile installare apparecchi di misura quali piezometri, assestimetri, inclinometri, etc.. Con le perforazioni di sondaggio è possibile attraversare qualunque tipo di terreno, anche a grande profondità e sotto falda, ed eseguire indagini anche sotto il fondo di fiumi o del mare. Esistono diverse tecniche di perforazione: − a percussione, − a rotazione, − con trivelle ad elica. Le caratteristiche dell’attrezzatura e il campo ottimale di applicazione per ciascuna tecnica sono riassunte nella Tabella 12.3. Se lo scopo della perforazione è solo quello di raggiungere una data profondità, ad esempio per installare uno strumento di misura, e non interessa il riconoscimento stratigrafico o il prelievo di campioni rappresentativi, il sondaggio è detto a distruzione. 200 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 12

INDAGINI IN SITO

Tabella 12.3 - Tecniche di perforazione

Metodo di perforazione

Utensile di perforazione

Diametro usuale (mm)

Profondità usuale (m)

Idoneità per tipo di terreno

Sonda a valvola

150-600

60

Ghiaia, sabbia, limo

Scalpello

150-600

60

Tutti i terreni fino a rocce di media resistenza

Manuale 50-150

Manuale 10

Meccanica 100-300

Meccanica 40

Tubo carotiere semplice

75-100

50-150

Tubo carotiere doppio

75-150

50-150

Percussione

Trivella

Spirale a vite senza fine

Tutti i terreni escluse terre a grana grossa

Rotazione Scalpelli a distruzione, triconi, etc.. attrezzatura rotary

Sopra falda: da coesivi a poco coesivi Sotto falda: coesivi

60-300

Praticamente illimitata

Qualità dei campioni otteClasse di Non idoneinibili direttaqualità cortà per tipo mente con gli rispondente di terreno usuali attrezzi di perforazione Terre coesive tenere o Disturbati, Q1 (Q2) dilavati molto consistenti Rocce con Fortemente resistenza disturbati, Q1 alta o molto dilavati e alta frantumati Terre a grana grossa, roccia

Disturbati, a volte dilavati sotto falda

Generalmente discreta Generalmente Terre a grabuona na grossa Non si ottengo(ghiaie, ciotno campioni ma toli, etc..) piccoli frammenti di materiale

201 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Q1 (Q2-Q3)

A secco Q2 (Q3) Con circolazione di acqua o fango Q1 (Q2) Q2 (Q3-Q4)

Capitolo 12

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Se invece si vuole identificare in dettaglio la successione stratigrafica occorre eseguire una perforazione di sondaggio a carotaggio continuo (Figura 12.3). Le carote estratte nel corso del sondaggio sono sistemate in apposite cassette catalogatrici (in legno, metallo o plastica), munite di scomparti divisori e coperchio apribile a cerniera. Le cassette devono essere conservate, per tutto il tempo necessario, al riparo dagli agenti atmosferici. La tecnica di perforazione attualmente più utilizzata per i sondaggi a carotaggio continuo è a rotazione. Il terreno è perforato da un utensile spinto e fatto ruotare mediante una batteria di aste. L’utensile di perforazione è un tubo d’acciaio (carotiere) munito all’estremità di una corona tagliente Figura 12.3 – Sondaggio a carotaggio continuo di materiale adeguato. Per evitare che il terreno campionato venga a contatto con la parte rotante e sia almeno parzialmente protetto dal dilavamento del fluido di circolazione, il cui impiego si rende talvolta necessario per l’esecuzione del foro, possono utilizzarsi carotieri a parete doppia, di cui solo quella esterna ruota. Il diametro dei fori di sondaggio è in genere compreso tra 75 e 150mm. Per assicurare la stabilità della parete e del fondo del foro, ove necessario, si utilizza una batteria di tubi di rivestimento oppure un fluido costituito in genere da una miscela di acqua con una percentuale del 3÷5% di bentonite (fango bentonitico). La bentonite è un’argilla di origine vulcanica molto plastica (IP = 50÷100). Il fango bentonitico è caratterizzato da un peso di volume di poco superiore a quello dell’acqua e da tixotropia, ovvero da una viscosità molto elevata in stato di quiete e molto minore in stato di moto. Tali caratteristiche rendono il fango bentonitico particolarmente adatto non solo a sostenere le pareti e il fondo degli scavi durante l’esecuzione, ad esempio, di pali trivellati e di diaframmi ma anche a svolgere una funzione di trasporto del materiale scavato. Mantenendo il livello del fango superiore a quello della falda si impedisce l’entrata dell’acqua nel foro e se ne assicura la stabilità. Tuttavia sulla superficie del foro viene a formarsi una pellicola impermeabile che non consente l’esecuzione di prove di permeabilità e di misure piezometriche. I risultati di una perforazione di sondaggio vengono riportati in una scheda stratigrafica ove, oltre ai dati generali relativi al cantiere e alle attrezzature impiegate, è rappresentata graficamente la successione degli strati con la descrizione di ciascuno di essi, la profondità della falda, la profondità dei campioni estratti, la profondità ed i risultati delle prove eseguite nel corso della perforazione, etc.. Un esempio di scheda stratigrafica è riportato in Figura 12.4. 202 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 12

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Figura 12.4 - Esempio di scheda stratigrafica

203 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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I campioni estratti durante la perforazione possono avere diverso grado di disturbo in funzione sia della tecnica e degli strumenti utilizzati per il prelievo, sia della natura del terreno stesso. In particolare con gli usuali mezzi e tecniche di prelievo non è possibile estrarre campioni “indisturbati” di terreno incoerente. Le principali cause di disturbo derivano dall’esecuzione del sondaggio (disturbo prodotto dalla sonda o dall’attrezzo di perforazione)1, dall’infissione ed estrazione del campionatore, e dalla variazione dello stato tensionale. Nei provini sottoposti a prove di laboratorio, ulteriori cause di disturbo derivano dal trasporto e dalla non perfetta conservazione del campione, dalle operazioni di estrusione del campione dalla fustella, dalla cavitazione e ridistribuzione del contenuto in acqua, dalle operazioni di formazione del provino (ad esempio al tornio) e dal montaggio nell’apparecchiatura di prova. Per i campioni di terreno si distinguono 5 classi di qualità, crescente da Q1 a Q5 (Tabella 12.4), ottenibili con campionatori e terreni di tipo diverso (Tabella 12.5). I campioni rimaneggiati (di qualità Q1 e Q2) sono ottenibili con i normali utensili di perforazione. I campioni a disturbo limitato o indisturbati (Q4 e Q5) sono ottenibili con utensili appropriati, scelti in relazione alle esigenze del problema ed alle caratteristiche del terreno. Tabella 12.4: Classi di qualità dei campioni Caratteristiche geotecniche Grado di qualità determinabili Q1 Q2 Q3 Q4 a) profilo stratigrafico X X X X b) composizione granulometrica X X X c) contenuto d’acqua naturale X X d) peso di volume X e) caratteristiche meccaniche (resistenza, deformabilità, etc..) campioni disturbati disturbo o rimaneggiati limitato

Q5 X X X X X indisturbati

Tabella 12.5: Classi di qualità dei campioni ottenibili con campionatori di tipo diverso A) B) C) D) E)

Campionatore pesante infisso a percussione Campionatore a parete sottile infisso a percussione Campionatore a parete sottile infisso a pressione Campionatore a pistone infisso a pressione Campionatore a rotazione a doppia parete con scarpa avanzata

Tipo di terreno

A

a) coesivi poco consistenti b) coesivi moderatamente consistenti o consistenti c) coesivi molto consistenti d) sabbie fini al di sopra della falda e) sabbie fini in falda

Q3 (4) Q2 (3) Q2 Q1

Tipo di campionatore B C D Q3 Q4 Q5 Q4 Q5 Q5 Q3 (4) Q5 Q3 Q3 Q3 (4) Q2 Q2 Q2 (3)

E

Q5

N.B. Si indicano tra parentesi le classi di qualità Q raggiungibili con campionamento molto accurato.

1

Per tale motivo i campioni prelevati da fronti di scavo possono presentare un minore grado di disturbo

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I campionatori più utilizzati per il prelievo di campioni di buona qualità sono i campionatori a parete sottile e a pistone infissi a pressione e il campionatore a rotazione a doppia parete con scarpa avanzata. Il tubo infisso nel terreno per il prelievo, ha lunghezza minima di 600mm e diametro minimo 100mm, è impiegato anche come contenitore e pertanto deve essere di acciaio di buona qualità, inossidabile oppure zincato, o cadmiato o termoplastificato.

12.3 Prova penetrometrica dinamica S.P.T. La prova penetrometrica dinamica S.P.T. (Standard Penetration Test), ideata negli Stati uniti nel 1927, è la prova in sito più diffusa ed utilizzata in tutto il mondo, sia per la semplicità operativa e il basso costo, sia per la vasta letteratura tecnica esistente sull’interpretazione dei risultati. La prova consente di determinare la resistenza che un terreno offre alla penetrazione dinamica di un campionatore infisso a partire dal fondo di un foro di sondaggio o di un foro appositamente eseguito con diametro compreso tra 60 e 200mm2, e subordinatamente di prelevare piccoli campioni disturbati del terreno stesso (utilizzati ad esempio per prove di classificazione). La prova S.P.T. consiste nel far cadere ripetutamente un maglio, del peso di 63,5 kgf, da un’altezza di 760 mm, su una testa di battuta fissata alla sommità di una batteria di aste alla cui estremità inferiore è avvitato un campionatore di dimensioni standardizzate (Figure 12.5 e 12.6), registrando durante la penetrazione: - il numero di colpi di maglio N1 necessario a produrre l’infissione per i primi 15cm (tratto di avviamento) inclusa l’eventuale penetrazione quasi statica per gravità, - il numero di colpi di maglio N2 necessario a produrre l’infissione per altri 15cm, - il numero di colpi di maglio N3 necessario a produrre l’infissione per ulteriori 15cm.

Figura 12.5: Schema della prova S.P.T.

Complessivamente, durante la prova, il campionatore sarà infisso di 15+15+15=45cm.

2

Il diametro del foro dovrebbe essere preferibilmente compreso tra 65 e 115mm. Per diametri maggiori è opportuno moltiplicare il valore misurato dell’indice NSPT per un fattore di correzione pari a 1,05 per diametro di perforazione di 150mm e pari a 1,15 per diametro di perforazione di 200mm.

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Si assume quale resistenza alla penetrazione il parametro: NSPT = N2 + N3

(Eq. 12.1)

Se con N1=50 l’avanzamento è minore di 15cm l’infissione è sospesa e la prova è conclusa annotando la relativa penetrazione (ad es. N1=50/13cm). Se con N2 + N3=100 non si raggiunge l’avanzamento di 30cm l’infissione è sospesa e la prova è conclusa annotando la relativa penetrazione.

Figura 12.6: Campionatore per la prova S.P.T. (ASTM D1586-84)

Se la prova è eseguita in terreni molto compatti o ghiaiosi, la scarpa del campionatore SPT può essere sostituita con una punta conica (diametro esterno 51mm, apertura 60°). Se la prove è eseguita sotto falda, il livello di acqua o di fango nel foro deve essere mantenuto più alto di quello della falda freatica nel terreno per evitare un flusso d’acqua dall’esterno verso l’interno del foro. I risultati della prova S.P.T. sono utilizzati soprattutto per la stima indiretta, mediante correlazioni empiriche, della densità relativa e della resistenza al taglio delle sabbie. Meno significative e più incerte sono le correlazioni per la stima della resistenza al taglio non drenata dei terreni a grana fine3. Dato il carattere empirico dei metodi di interpretazione dei risultati della prova S.P.T. è assolutamente necessario seguire in modo scrupoloso la procedura di riferimento per l’esecuzione della prova emessa dall’Associazione Internazionale di Ingegneria Geotecnica (ISSMFE, 1988). I risultati della prova sono infatti influenzati dalle caratteristiche del campionatore, dalle dimensioni delle aste, dal sistema di battitura, dalla tecnica di perforazione e dalle dimensioni del foro. 12.3.1 Terreni sabbiosi Stima della densità relativa I metodi di stima della densità relativa attualmente più utilizzati sono: 3

Un importante campo di impiego della prova S.P.T. è la stima della resistenza alla liquefazione dei depositi di terreno incoerente sotto falda in condizioni sismiche. L’argomento è trattato nel corso di Ingegneria geotecnica sismica.

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-

la correlazione di Gibbs e Holtz (1957), valida per sabbie quarzose NC non cementate, graficamente rappresentata in Figura 12.7, che corrisponde all’equazione: ⎛ σ' ⎞ N SPT = ⎜⎜17 + 24 ⋅ v 0 ⎟⎟ ⋅ D 2R (Eq. 12.2) pa ⎠ ⎝ in cui pa è la pressione atmosferica (pa=100 se σ’v0 è espresso in kPa, pa=1 se σ’v0 è espresso in kgf/cm2), - la correlazione di Bazaara (1967), più adatta a sabbie sovraconsolidate o costipate in cantiere, graficamente rappresentata in Figura 12.8, che corrisponde all’equazione: σ 'v 0 ⎛ σ 'v 0 ⎞ 2 ⎜ ⎟ ≤ 0,732 N SPT = 20 ⋅ ⎜1 + 4,1 ⋅ per ⎟ ⋅ DR p p a a ⎠ ⎝ (Eq. 12.3) σ 'v 0 ⎛ σ 'v 0 ⎞ 2 > 0,732 ⎟ ⋅ DR N SPT = 20 ⋅ ⎜⎜ 3,24 + 1,024 ⋅ per pa p a ⎟⎠ ⎝

{

Figura 12.7 - Stima di DR da NSPT secondo Gibbs e Figura 12.8 - Stima di DR da NSPT secondo Holtz (1957) Bazaara (1967)

-

la correlazione di Marcuson e Bieganousky (1977): 0,5

⎡ ⎤ ⎛ σ' ⎞ (Eq. 12.4) D R (%) = 12,2 + 0,75 ⋅ ⎢222 ⋅ N SPT + 1600 − 711 ⋅ OCR − 754 ⋅ ⎜⎜ v 0 ⎟⎟ − 50 ⋅ U 2 ⎥ ⎢⎣ ⎥⎦ ⎝ pa ⎠ in cui OCR è il grado di sovraconsolidazione e U è il coefficiente di uniformità della sabbia - la correlazione di Skempton (1986):

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N cor 60 N cor = C N ⋅ N SPT per sabbie fini 2 CN = ' σ (Eq. 12.5) 1 + v0 pa per sabbie grosse 3 CN = ' σ 2 + v0 pa in cui Ncor è il valore corretto dell’indice NSPT per tener conto della pressione litostatica efficace. D 2R =

Stima dell’angolo di resistenza al taglio L’angolo di resistenza al taglio di picco può essere stimato a partire dal valore della densità relativa con le correlazioni proposte da Schmertmann (1977) per differenti granulometrie, graficamente rappresentate in Figura 12.9. Correlazioni dirette tra φ’ e NSPT, che evitano le approssimazioni dovute al doppio passaggio, sono (fra le tante): -

la correlazione di Peck, Hanson e Thornburn (1974), approssimabile con la seguente equazione (Wolff, 1989):

Figura 12.9 - Stima di φ’ da DR per differenti granulometrie secondo Schmertmann (1978)

2 ϕ ' (°) = 27,1 + 0,3 ⋅ N cor − 0,00054 ⋅ N cor

-

(Eq. 12.6)

la correlazione di Schmertmann (1975) graficamente rappresentata in Figura 12.10, che corrisponde all’equazione (Kulhawy e Mayne, 1980): 0 , 34

-

⎡ ⎤ ⎢ ⎥ N SPT ⎢ ⎥ ϕ' = arctan (Eq. 12.7) ' ⎢ ⎛ σ v0 ⎞ ⎥ ⎟⎥ ⎢12,2 + 20,3 ⋅ ⎜⎜ ⎟ ⎝ p a ⎠ ⎦⎥ ⎣⎢ la correlazione di Hatanaka e Uchida (1996) graficamente rappresentata in Figura 12.11, che corrisponde all’equazione: (Eq. 12.8) ϕ ' (°) = 20 ⋅ N cor + 20

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L’esistenza stessa di molte correlazioni è un chiaro segno delle incertezze e delle approssimazioni insite nelle procedure empiriche di stima, evidenziate nel grafico di Figura 12.11. Per tale motivo può essere opportuno confrontare i valori stimati con le diverse correlazioni, ed utilizzare come valore di progetto dell’angolo di resistenza al taglio di picco di uno strato di sabbia, la media delle stime, escludendo eventuali valori anomali. Si tenga presente che, poiché il terreno non è omogeneo, i valori di NSPT ottenuti nella stessa formazione possono essere anche sensibilmente diversi fra loro, e che la presenza di ciottoli e ghiaia può determinare valori di NSPT erratici e inaffidabili.

Tensione geostatica efficace, σ’vo (kPa)

NSPT

Figura 12.10 - Stima di φ’ da NSPT secondo Schmertmann (1975)

Figura 12.11 - Stima di φ’ da NSPT secondo Hatanaka e Uchida (1996)

12.3.2 Terreni a grana fine

Stima della resistenza al taglio non drenata La resistenza al taglio non drenata di un’argilla non sensitiva può essere approssimativamente stimata dai risultati di prove S.P.T. con la correlazione di Stroud (1974): (Eq. 12.9) c u = f 1 ⋅ N SPT in cui f1 è un coefficiente funzione dell’indice di plasticità. f1 ha valori compresi tra 3,5 e 6,5 kPa, e mediamente vale 4,4 kPa, come mostrato in Figura 12.12, dove è possibile rilevare la dispersione dei dati sperimentali su cui si basa la correlazione. Figura 12.12: Correlazione fra NSPT e cu per Un’altra correlazione per la stima di cu da argille non sensitive secondo Stroud (1974) NSPT è la seguente (Hara et al., 1971): 209 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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0 , 72 c u (kPa ) = 29 ⋅ N SPT

(Eq. 12.10)

È stata anche proposta una correlazione per la stima del grado di sovraconsolidazione dell’argilla da prova S.P.T. (Mayne e Kemper, 1988): 0 , 689

⎛N ⎞ ⎟ OCR = 0,193 ⋅ ⎜⎜ SPT ' ⎟ ⎝ σ v0 ⎠ con σ’v0 espresso in MPa.

(Eq. 12.11)

12.4 Prova penetrometrica statica C.P.T. La prova penetrometrica statica C.P.T. (Cone Penetration Test) è un mezzo di indagine molto diffuso in Italia poiché, ad un costo modesto, permette l’identificazione della successione stratigrafica lungo una verticale, e la stima di molti parametri geotecnici sia in terreni a grana fine che in terreni a grana grossa (ghiaie escluse). La prova è autoperforante, ovvero non richiede l’esecuzione di un foro di sondaggio, e consiste nell’infissione a pressione nel terreno, a partire dal p.c. ed alla velocità costante di 20 mm/sec (con una tolleranza di ±5mm/sec), di una punta conica avente diametro 35,7 mm e angolo di apertura 60°, collegata al dispositivo di spinta mediante una batteria di tubi. Il contrasto necessario ad infiggere il penetrometro è di norma ottenuto col peso dell’autocarro, Figura 12.13: Penetrometro statico installato su camion eventualmente zavorrato, su cui è installata l’attrezzatura (Figura 12.13)4. Il penetrometro statico, ideato in Svezia nel 1917 (anche se comunemente chiamato penetrometro olandese), ha subito nel tempo modifiche e miglioramenti. Attualmente ne esistono due tipi, con caratteristiche geometriche e procedure di prova normate a livello internazionale (ISSMFE, 1989): a) il penetrometro meccanico con manicotto d’attrito, e b) il penetrometro elettrico. Nei penetrometri meccanici con manicotto d’attrito la punta conica è solidale con una batteria di aste coassiali ad una tubazione di rivestimento. La parte finale, ovvero più prossima alla punta, della tubazione di rivestimento è mobile, e costituisce il manicotto di attrito. 4

Talvolta il contrasto è realizzato con un telaio ancorato al terreno con delle grosse viti.

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Figura 12.14: Punta di un penetrometro meccanico con manicotto d’attrito (punta Begemann) (a) e posizioni assunte durante l’infissione (b)

In Figura 12.14 sono rappresentate la punta di un penetrometro meccanico con manicotto d’attrito e le posizioni che assume durante l’infissione. 1) Inizialmente, esercitando una forza F1 sulle aste interne collegate alla punta, si fa avanzare a velocità costante la sola punta per una lunghezza di 40 mm. L’area della punta è: Ap = (π 3,57 2)/4 = 10 cm2 e la pressione media alla punta durante l’avanzamento (resistenza di punta) vale: qc = F1/Ap. 2) Al termine della corsa di 40mm, viene agganciato il manicotto d’attrito, che ha una superficie laterale: As = 150 cm2 e si continua a far avanzare la punta a velocità costante per altri 40 mm (che nella penetrazione si trascina dietro il manicotto). Se si indica con F2 la forza necessaria a fare avanzare il penetrometro in questa seconda fase, e se si fa l’ipotesi che la resistenza di punta non sia variata rispetto al tratto precedente, è possibile calcolare la tensione tangenziale media lungo la superficie del manicotto (resistenza laterale locale) con la relazione: fs = (F2-F1)/As. 3) In una terza fase la spinta viene applicata alle aste esterne che, a punta ferma, raggiungono prima il manicotto e poi la punta, e infine fanno avanzare l’intero sistema. 211 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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Le operazioni sopradescritte sono ripetute ogni 20cm. I risultati della prova sono rappresentati in grafici (e tabelle) aventi in ordinata la profondità e in ascissa le misure di qc e di fs ogni 20cm (Figura 12.15). Il penetrometro meccanico è uno strumento semplice e robusto, che può operare in un campo di terreni che va dalle argille alle sabbie grosse, fino a profondità dell’ordine di 40m e oltre. I suoi principali limiti derivano dal fatto che le resistenze alla Figura 12.15: Esempio di rappresentazione dei risultati penetrazione sono dedotte da di una prova CPT misure di forza eseguite in superficie, e quindi sono affette da errori dovuti al peso proprio e alla deformabilità delle aste, ed agli attriti tra le varie parti dell’attrezzatura. Inoltre la profondità delle misure è desunta dalla lunghezza delle aste e quindi soggetta ad errori derivanti dalla deviazione dalla verticale (Figura 12.16). Infine le misure di resistenza alla punta, qc, e di attrito laterale locale, fs, non sono indipendenti fra loro e si riferiscono a profondità leggermente diverse, per cui la presenza di terreni fittamente stratificati può condurre a errori di stima. Il penetrometro elettrico è la naturale evoluzione del penetrometro meccanico (Figura 12.17).

Figura 12.16: Effetto della deviazione dalla Figura 12.17: Punta del penetrometro elettrico verticale sul profilo della resistenza di punta di un penetrometro meccanico

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Nel penetrometro elettrico le misure di pressione alla punta e di tensione laterale locale sono eseguite localmente ed in modo fra loro indipendente con trasduttori elettrici che inviano un segnale alla centralina posta in superficie. Un inclinometro alloggiato nelle aste permette di misurare la deviazione dalla verticale e di correggerne gli errori conseguenti. La frequenza delle misure può essere anche molto ridotta, tipicamente ogni 2-5cm, e i dati sono direttamente acquisiti in forma numerica e rappresentati graficamente anche durante l’esecuzione della prova. I limiti del penetrometro a punta elettrica risiedono nel maggiore costo dello strumento, e negli errori derivanti dalle componenti elettroniche (non linearità e isteresi delle celle di pressione, sensibilità alle variazioni di temperatura, calibrazione).

12.5 Interpretazione dei risultati di prove C.P.T L’analisi dei risultati di prove C.P.T. consente in primo luogo il riconoscimento litologico dei terreni attraversati e la ricostruzione della successione stratigrafica. Questa prima fase interpretativa è essenziale e necessaria per ogni ulteriore interpretazione geotecnica. Infatti durante la prova vengono misurate le resistenze di punta e di attrito laterale opposte dal terreno nelle condizioni di rottura determinate dalla penetrazione dello strumento con una velocità imposta e costante di 2 cm/sec. A seconda della permeabilità del terreno attraversato la rottura avviene in condizioni drenate o non drenate. Pertanto il modello interpretativo del fenomeno della rottura è condizionato dal tipo di terreno cui si riferiscono i dati di resistenza misurati. 12.5.1 Riconoscimento stratigrafico

La resistenza penetrometrica di punta offerta da un terreno sabbioso è, di norma, nettamente superiore alla resistenza offerta da terreni argillosi di media e bassa consistenza. Pertanto molte volte il solo esame del profilo di qc può dare una prima idea della successione stratigrafica5. Tuttavia le migliori correlazioni proposte per l’individuazione della natura del terreno attraversato fanno uso, oltre che della resistenza di punta, qc, anche della resistenza d’attrito laterale, fs. In particolare la carta di classificazione più accreditata per il penetrometro statico meccanico è quella di Schmertmann (1978), rappresentata in Figura 12.18, che ha in ascissa il rapporto adimensionale: fs ⋅ 100 (Eq. 12.12) qc detto rapporto d’attrito o di frizione o delle resistenze, in scala naturale, ed in ordinata la resistenza di punta qc [FL-2] in scala logaritmica Rf =

Per il penetrometro elettrico si può fare riferimento alla carta di Robertson (1990), rappresentata in Figura 12.19, che ha in ascissa il rapporto d’attrito normalizzato: fs F= ⋅ 100 (Eq. 12.13) q c − σ v0 5

In effetti i penetrometri statici di prima generazione, ormai non più in uso, non avevano il manicotto d’attrito e veniva misurata solo la resistenza di punta.

213 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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e in ordinata la resistenza di punta normalizzata: q −σ Q = c ' v0

σ v0 entrambe le variabili in scala logaritmica.

(Eq. 12.14)

Figura 12.18: Carta di classificazione per il penetrometro statico meccanico (Schmertmann, 1978)

I campi in cui è diviso il grafico di Figura 12.19 sono contraddistinti da numeri cui corrispondono i seguenti tipi di terreno: 1. Terreno sensitivo a grana fine. 2. Terreno organico, torba. 3. Argille. Da argille ad argille limose. 4. Limi. Da limi argillosi a argille limose. 5. Sabbie. Da sabbie limose a limi sabbiosi. 6. Sabbie. Da sabbie pulite a sabbie limose. 7. Da sabbie ghiaiose a sabbie. 8. Da sabbie molto dense a sabbie argillose fortemente sovraconsolidate o cementate. 9. Materiali fini granulari molto duri, fortemente sovraconsolidati o cementati. È opportuno che l’interpretazione stratigrafica delle prove CPT sia avvalorata dal confronto con profili stratigrafici direttamente ottenuti mediante sondaggi eseguiti nell’area di indagine. 214 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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Figura 12.19: Carta di classificazione per il penetrometro statico elettrico (Robertson, 1990)

12.5.2 Interpretazione di prove CPT in terreni sabbiosi

L’avanzamento del penetrometro statico in terreni sabbiosi avviene generalmente6 in condizioni drenate, ed è quindi possibile interpretarne i risultati in termini di tensioni efficaci. Per la stima dei parametri geotecnici dei terreni sabbiosi si utilizza comunemente la densità relativa, come parametro intermedio, sebbene sia stato dimostrato che anche la compressibilità della sabbia (che dipende dalla mineralogia) e lo stato di tensione in sito (che dipende dalla profondità, dal rapporto di sovraconsolidazione e dall’età del deposito) siano fattori molto influenti sulla resistenza penetrometrica di punta. Le correlazioni fra resistenza penetrometrica e densità relativa dei terreni sabbiosi sono state studiate con prove di laboratorio in camera di calibrazione7. Una delle correlazioni più note e utilizzate, valida per sabbie silicee, non cementate, di recente deposizione, normalmente consolidate, è la seguente: ⎡ q ⎤ c Dr = −98 + 66 ⋅ log ⎢ ⎥ ' 0,5 ⎣⎢ σ v 0 ⎦⎥

( )

(Eq. 12.15)

6

In sabbie fini e/o limose molto addensate possono talora crearsi sovrapressioni interstiziali negative per effetto della dilatanza 7 La camera di calibrazione è un’apparecchiatura di laboratorio molto costosa e sofisticata che consiste in una cella triassiale di grandi dimensioni, in cui è possibile eseguire prove geotecniche in sito di vario tipo, con strumenti in vera grandezza e in condizioni al contorno controllate.

215 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

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con qc e σ’v0 espressi in t/m2 (1 t/m2 ≅ 10 kPa). L’equazione 12.15 (Jamiolkowski et al., 1985) è rappresentata in Figura 12.20, ove è evidenziata l’influenza della compressibilità, che può condurre ad un errore di +/-12% sulla stima della densità relativa. Un’altra correlazione, più generale, è la seguente (Baldi et al., 1986): Dr =

⎡ qc 1 ⋅ ln ⎢ C2 ⎢⎣ C 0 ⋅ σ '

( )

C1

⎤ ⎥ ⎥⎦

(Eq. 12.16)

in cui C0, C1 e C2 sono costanti, qc è la resistenza penetrometrica di punta (espressa in kPa), e σ’ (espressa anch’essa in kPa) è la tensione efficace (verticale o media) alla profondità della misura. In particolare per sabbie silicee moderataFigura 12.20 - Stima della densità relativa con mente compressibili, normalmente consolil’Eq. 12.14 date, di recente deposizione e non cementate, per le quali di assume K0=0,45, le costanti valgono: C1=0,55 C2=2,41 C0=157 e la tensione efficace di riferimento è quella verticale (σ’ = σ’v0). Per sabbie sovraconsolidate, per le quali occorre stimare preventivamente K0, le costanti valgono: C0=181 C1=0,55 C2=2,61 e la tensione efficace di riferimento è quella media (σ’ = σ’m = (σ’v0 + 2 σ’h0)/3). Le due relazioni derivate dall’Eq. 12.16 sono graficamente rappresentate nelle Figure 12.21 e 12.22.

Figura 12.21 - Stima della densità relativa con Figura 12.22 - Stima della densità relativa con l’Eq. 12.16 (terreni NC) l’Eq. 12.16 (terreni OC)

216 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 12

INDAGINI IN SITO

Una correlazione diretta tra qc, σ’v0 e l’angolo di resistenza al taglio di picco, φ’, valida per sabbie quarzose non cementate è mostrata in Figura 12.23 (Robertson e Campanella, 1983), ed è ben rappresentata dall’equazione: ⎡

⎛ q c ⎞⎤ ⎟ ' ⎟⎥ σ ⎝ v 0 ⎠⎦⎥ (Eq. 12.17)

ϕ ' = arctan ⎢0,1 + 0,38 ⋅ log⎜⎜ ⎣⎢

Resistenza alla punta, qc (MPa)

Tensione geostatica efficace, σ’vo (kPa)

Dopo avere stimato la densità relativa della sabbia, Dr, l’angolo di resistenza al taglio di picco, φ’, può essere stimato con le correlazioni proposte da Schmertmann (1977) per differenti granulometrie, graficamente rappresentate in Figura 12.7.

Poiché la prova CPT misura la resistenza a rottura del terreno, le correlazioni per la stima della rigidezza del terreno a bassi livelli Figura 12.23 - Correlazione diretta tra qc, σ’v0 e φ’ (Rodi deformazione dai risultati di bertson e Campanella, 1983) tale tipo di prova hanno necessariamente carattere empirico. Una semplice correlazione fra la resistenza penetrometrica di punta, qc, ed il modulo di Young secante, drenato, per un livello di sforzo mobilitato pari al 25% di quello a rottura, ovvero per condizioni di esercizio con coefficiente di sicurezza rispetto alla rottura pari a 4, valida per sabbie quarzose NC non cementate, è la seguente (Robertson e Campanella, 1983): (Eq. 12.18) E 25 = 2 ⋅ q c 12.5.3 Interpretazione di prove CPT in terreni a grana fine L’avanzamento del penetrometro statico in terreni a grana fine saturi avviene in condizioni non drenate. Una stima della resistenza al taglio non drenata, cu, della pressione di consolidazione, σ’c, e del grado di sovraconsolidazione, OCR, di terreni argillosi può essere eseguita con le seguenti equazioni (Mayne e Kemper, 1988): q − σ v0 cu = c (Eq. 12.19) NK NK= 15 per penetrometro elettrico NK = 20 per penetrometro meccanico in cui σv0 è la tensione geostatica verticale totale alla profondità della misura di qc.

217 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 12

INDAGINI IN SITO

σ c' = 0,243 ⋅ (qc )0,96

(Eq. 12.20)

in cui σ’c e qc sono espressi in MPa. 1, 01

⎛ q −σ ⎞ (Eq. 12.21) OCR = 0,37 ⋅ ⎜⎜ c ' v 0 ⎟⎟ ⎝ σ v0 ⎠ in cui σ'v0 è la tensione geostatica verticale efficace alla profondità della misura di qc.

Il modulo edometrico, M, ovvero il modulo di deformazione in condizioni di espansione laterale impedita, può essere approssimativamente stimato con la relazione (Sanglerat, 1972): (Eq. 12.22) M = α ⋅ qc in cui α è un coefficiente i cui valori sono indicati in Tabella 12.6 Tabella 12.6: Stima del modulo edometrico di terreni a grana fine da prova CPT

M =

2,3 ⋅ (1 + e) ⋅ σ v' 1 = = α ⋅ qc mv Cc

Argille di bassa plasticità (CL) Limi di bassa plasticità (ML) Argille e limi di elevata plasticità (CH, MH) Limi organici (OL) Torbe e argille organiche (Pt, OH)

qc < 0,7 MPa 0,7 < qc < 2,0 MPa qc > 2,0 MPa qc < 2,0 MPa qc > 2,0 MPa

3 d1 si determina il valore di ϕ equivalente da utilizzare nel calcolo di qlim come: d 1 ⋅ ϕ1 + (H − d 1 ) ⋅ ϕ 2 H con ϕ2 angolo di resistenza al taglio relativo allo strato inferiore; − in modo analogo si ricava c equivalente. ϕ=

15.5 Dal carico limite al carico ammissibile Il carico ammissibile qamm è calcolato dividendo il carico limite qlim per un coefficiente maggiore di 1, chiamato fattore di sicurezza FS, che viene introdotto per tener conto della variabilità del terreno, dell’affidabilità dei dati e delle incertezze insite nel modello adottato e nella stima dei carichi. Generalmente il coefficiente di sicurezza viene applicato solo alla pressione limite netta, ossia al carico che va ad aggiungersi a quello già presente alla quota del piano di fondazione. In pratica: q −q q amm = lim +q (Eq. 15.10) FS Il valore così ottenuto deve risultare maggiore del carico di esercizio qes. In alternativa, se è noto il carico di esercizio qes trasmesso dalla fondazione al terreno, il coefficiente di sicurezza può essere calcolato mediante la relazione: q −q FS = lim (Eq. 15.11) q es − q e questo valore deve risultare maggiore del limite imposto dalla normativa. 285 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 15

CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Nel caso di fondazioni con carico eccentrico, per il calcolo strutturale dell’elemento di fondazione, si fa in genere l’ipotesi semplificativa che, in condizioni di esercizio e quindi per carico molto minore della capacità portante, la pressione di contatto struttura di fondazione-terreno sia lineare, e che il terreno non abbia resistenza a trazione. Ne consegue che il diagramma delle tensioni di contatto viene calcolato con le formule della presso flessione per sezioni non reagenti a trazione. Ad esempio, se per semplicità di esposizione si considera una fondazione continua di larghezza B soggetta ad un carico verticale N per unità di lunghezza con eccentricità e (Figura 15.8): - se la risultante ricade all’interno del nocciolo d’inerzia, ovvero se risulta e < B/6, il σ N ⎛ 6⋅e⎞ diagramma è trapezio e le tensioni alle estremità valgono: max = ⋅ ⎜1 ± ⎟ σ min B ⎝ B ⎠ - se invece la risultante è esterna al nocciolo d’inerzia, ovvero se risulta e > B/6, la se⎛B ⎞ zione è parzializzata e il diagramma è triangolare, con base B* = 3 ⋅ ⎜ − e ⎟ e tensione ⎝2 ⎠ 4 N . massima, all’estremità compressa σ max = ⋅ 3 (B − 2 ⋅ e )

N

N e

e

B σmax

B σmin

σmax B*

e < B/6

e > B/6

Figura 15.8: Schema delle pressioni di contatto in condizioni di esercizio per fondazioni con carico eccentrico.

Il coefficiente di sicurezza per la verifica di capacità portante, trascurando il carico già presente alla quota del piano di fondazione, sarà il rapporto fra la forza verticale massima con eccentricità e, al limite dell’ equilibrio: Qlim = qlim (B – 2e) e la forza verticale di eserQ cizio, con pari eccentricità N: FS = lim N È buona norma tuttavia progettare le fondazioni superficiali in modo che la sezione sia interamente compressa, almeno per i carichi di lunga durata. 286 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 15

CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

La scelta del coefficiente di sicurezza rispetto alla rottura di fondazioni superficiali (che potremmo anche definire coefficiente di ignoranza), come sempre per le opere geotecniche, è operazione delicata e complessa, poiché sono molte e di diversa origine le incertezze con cui viene determinato il valore di riferimento. Vi sono incertezze nella definizione del modello geotecnico (stratigrafia, spessore e geometria degli strati, variabilità delle caratteristiche geotecniche, affidabilità delle indagini geotecniche eseguite, etc..), incertezze legate al metodo di calcolo (leggi costitutive, ipotesi sul meccanismo di collasso, utilizzo di relazioni empiriche, etc..), incertezze legate ai carichi applicati, alla loro probabilità di evenienza e alla persistenza nel tempo, etc). In attesa dell’entrata in vigore di una nuova normativa basata sul metodo semiprobabilistico e sui coefficienti parziali di carico e di resistenza (Eurocodice 7), occorre comunque rispettare la normativa italiana vigente (D.M. 11.3.1988), la quale fissa, come limite inferiore del coefficiente di sicurezza globale rispetto alla rottura di fondazioni superficiali, un valore pari a 3 per le fondazioni di manufatti in generale, e pari a 2 per le fondazioni delle opere di sostegno.

287 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

Capitolo 16

CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

CAPITOLO 16 CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI 16.1 Introduzione I cedimenti delle fondazioni superficiali sono gli spostamenti verticali del piano di posa, e sono il risultato (l’integrale) delle deformazioni verticali del terreno sottostante la fondazione. Tali deformazioni sono la conseguenza di un’alterazione dello stato di tensione, che in generale può essere prodotta dal carico trasmesso dalla fondazione stessa o da altre fondazioni vicine, o anche da una variazione delle pressioni interstiziali, ad esempio per un abbassamento del livello di falda. Limitandoci al caso dei carico trasmesso dalla fondazione, la stima dei cedimenti attesi è necessaria per valutarne l’ammissibilità in condizioni di esercizio, e quindi per valori del carico e delle tensioni indotte molto inferiori a quelli che producono la rottura del terreno. Per stimare i cedimenti è necessario conoscere, fino alla profondità alla quale l’alterazione dello stato di tensione diviene trascurabile, ovvero nel volume significativo del sottosuolo: 1. le condizioni stratigrafiche, 2. lo stato tensionale iniziale e finale, 3. le leggi costitutive tensioni-deformazioni-tempo per ciascuno dei terreni presenti. Come per molti altri problemi di ingegneria geotecnica, troppo complessi per essere affrontati e risolti in modo rigoroso e unitario, anche la stima dei cedimenti di fondazione viene di norma affrontata “per parti” e “a cascata”, applicando a ciascuna di esse modelli e schemi incompleti e parziali, talvolta empirici o semi-empirici, ma sufficientemente accurati per dare una risposta quantitativa affidabile ad ogni passo del procedimento. Naturalmente è essenziale avere percezione della complessità del problema fisico e consapevolezza dei limiti dei modelli e schemi adottati. Il calcolo dei cedimenti di fondazioni superficiali si articola nelle seguenti fasi: 1. calcolo delle tensioni litostatiche e degli incrementi di tensione indotti nel sottosuolo; 2. scelta delle leggi tensioni-deformazioni-tempo e determinazione sperimentale dei parametri rappresentativi per ciascuno degli strati presenti nel volume significativo; 3. calcolo delle deformazioni verticali e loro integrazione; 4. calcolo del decorso dei cedimenti nel tempo.

16.2 Cedimenti di fondazioni superficiali su terreno coesivo saturo Il cedimento di una fondazione superficiale su terreno coesivo saturo si compone di tre parti: cedimento immediato, Si, cedimento di consolidazione, Sc, e cedimento viscoso, Ss. S = Si + Sc + Ss

(Eq. 16.1)

A causa della bassa permeabilità del terreno coesivo e con le abituali ipotesi di scheletro solido ed acqua incompressibili, all’istante di applicazione del carico la deformazione avviene in condizioni non drenate, ovvero la deformazione volumetrica è zero ed il cedi288 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 16

CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

mento consegue solo a deformazioni di taglio. Se l’area di carico è limitata il cedimento immediato della fondazione è necessariamente accompagnato da un sollevamento del terreno circostante. Ne consegue che in condizioni edometriche il cedimento immediato è zero, poiché non sono possibili rigonfiamenti laterali. Le tensioni indotte dal carico applicato generano sovrapressioni interstiziali nel terreno di fondazione che innescano un processo di consolidazione. In condizioni edometriche la consolidazione è monodimensionale, per carico distribuito su una striscia la consolidazione è piana, per carico agente su un’area di ampiezza limitata la consolidazione è tridimensionale. Durante il processo di consolidazione si riducono i vuoti nel terreno, si hanno quindi deformazioni volumetriche e cedimenti che si accrescono nel tempo fino alla completa dissipazione delle sovrapressioni interstiziali. A processo di consolidazione terminato e quindi a tensioni efficaci costanti, si possono avere ulteriori deformazioni e quindi cedimenti per viscosità dello scheletro solido (creep). Per i terreni a grana fine il cedimento di consolidazione rappresenta in genere l’aliquota dominante del cedimento totale. Il cedimento secondario o viscoso, salvo casi particolari (torbe o argille organiche) è piccolo e viene trascurato. 16.2.1 Cedimento immediato, Si Il cedimento immediato si manifesta via via che viene applicato il carico durante la costruzione dell’opera geotecnica, e pertanto spesso è poco temibile, sia perché può essere recuperato riportando in quota la struttura, sia perché normalmente precede la messa in opera delle parti più vulnerabili (pavimentazioni, rivestimenti, finiture). Il cedimento immediato di fondazioni superficiali su terreni a grana fine saturi viene di norma calcolato in termini di tensioni totali e in condizioni non drenate con la teoria dell’elasticità, la cui applicazione può essere in parte giustificata dal basso valore delle tensioni (e quindi delle deformazioni) indotte dal carico di esercizio. La principale fonte di incertezza è comunque derivante dalla scelta dei valori più appropriati dei parametri elastici. Per quanto riguarda il coefficiente di Poisson, le condizioni non drenate per un terreno saturo implicano l’assenza di deformazioni volumetriche e quindi ν = νu = 0,51. Per quanto riguarda invece il modulo di deformazione in condizioni non drenate, Eu, spesso si fa riferimento al valore del modulo secante per deformazioni assiali pari a un mezzo o ad un terzo della deformazione assiale di rottura εaf, determinato con prove di compressione semplice e/o con prove triassiali non drenate (questa scelta deriva dal fatto che il fattore di sicurezza, FS, in condizioni di esercizio è spesso compreso tra 2 e 3). Tuttavia i valori di Eu così stimati sono in generale troppo cautelativi e costituiscono tuttalpiù il limite inferiore dei valori reali, sia perché le curve σ−ε di laboratorio si riferiscono a provi-

1 ⋅ [σ1 − ν ⋅ (σ 2 + σ 3 )] e analoghe. In condizioni non drenate per E (1 − 2 ⋅ ν ) ⋅ (σ + σ + σ ) = 0 da cui: ν = 0,5 . un terreno saturo è: ε v = ε1 + ε 2 + ε 3 = 1 2 3 E 289

1

Infatti per la legge di Hooke è: ε1 =

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Capitolo 16

CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

ni di terreno almeno in parte disturbato e sono affette da errori di varia natura che comportano tutti una sottostima della rigidezza, sia perché nel volume significativo la deformazione media in condizioni di esercizio è molto inferiore al valore εaf/FS. Pertanto, o si dispone di misure sperimentali di laboratorio eseguite con apparecchiature di grande precisione2 su campioni a minimo disturbo, oppure è preferibile utilizzare valori di Eu ottenuti mediante correlazioni empiriche da prove in sito e/o da misure di cedimenti di opere in vera grandezza. Ad esempio in Tabella 16.1 sono presentati i valori orientativi del rapporto fra il modulo Eu, stimato mediante back analyses di strutture realizzate su terreni coesivi diversi, e la resistenza al taglio non drenata, cu, ottenuta con prove triassiali non drenata su campioni “indisturbati” di terreno. Tabella 16.1: Stima del modulo di deformazione non drenato per terreni a grana fine

OCR 5

Eu/cu 30 < IP < 50 400 300 200

IP < 30 800 500 300

IP > 50 200 150 100

Come abbiamo visto nel Capitolo 6 (“Pressioni di contatto e diffusione delle pressioni in un semispazio elastico”), una pressione verticale uniforme agente su una fondazione di dimensioni finite determina una pressione di contatto e un cedimento che dipendono dal terreno e dalla rigidezza della struttura di fondazione. In particolare su un terreno coesivo saturo in condizioni non drenate se la fondazione è rigida il cedimento è uniforme e la pressione di contatto è massima al bordo e minima al centro dell’area fondazione B x L di carico, viceversa se la fondazione p p D è flessibile la pressione di contatto è uniforme e il cedimento è massimo al centro e minimo al bordo. Per il calcolo del cedimento immediato di una fondazione rettangolare H di dimensioni BxL si può fare riferimento allo schema di Figura 16.1, in cui p è la pressione netta trasmesMezzo elastico (E, ν) sa in fondazione, E e ν sono i parametri elastici del terreno, D è la profondità del piano di posa e H è lo Mezzo rigido spessore dello strato deformabile dal piano di fondazione. Nel caso particolare di fondazione Figura 16.1 - Schema per il calcolo dei cedimenti flessibile, D = 0 e H = ∞, il cedimento s in corrispondenza di uno elastici di una fondazione superficiale 2

Apparecchiature di laboratorio in grado di misurare con precisione la rigidezza dei terreni per bassi livelli di deformazione sono l’apparecchio triassiale con misura delle deformazioni interne, l’apparecchio di colonna risonante e l’apparecchio di taglio torsionale ciclico.

290 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 16

CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

spigolo dell’area di carico è dato dalla seguente equazione: p ⋅ B ⋅ (1 − ν 2 ) s= ⋅ Is E L ξ= B ⎛ 1 + 1 + ξ 2 ⎞⎤ 1 ⎡ ⎟⎥ I s = ⋅ ⎢ln ξ + 1 + ξ 2 + ξ ⋅ ln⎜ ⎜ ⎟⎥ π ⎢ ξ ⎝ ⎠⎦ ⎣

(

)

(Eq. 16.2)

Applicando il principio di sovrapposizione degli effetti, in modo analogo a quanto già visto per il calcolo delle tensioni indotte da una superficie di carico rettangolare, l’Eq. 16.2 permette di determinare il cedimento di qualunque punto della superficie, sia interno che esterno all’area di carico. In particolare il cedimento massimo corrisponde al centro dell’area di carico. Se la fondazione è rigida il cedimento può essere assunto in prima approssimazione pari all’80% del cedimento massimo della fondazione flessibile. Più in generale il cedimento immediato medio3 di una fondazione rettangolare flessibile su argilla satura (ν = 0,5) può essere stimato con la seguente equazione (Jambu, 1956; Christian e Carrier, 1978): p⋅B Si = µ 0 ⋅ µ1 ⋅ (Eq. 16.3) Eu In cui µ0 e µ1 sono fattori dipendenti rispettivamente dalla profondità del piano di fondazione e dallo spessore dello strato compressibile (Figura 16.2). Per il calcolo dei cedimenti immediati di fondazioni su terreno stratificato e dei cedimenti di strutture sotterranee come le tubazioni si può ricorrere ancora all’Eq. 16.3 con un artificio. In particolare il cedimento immediato di una fondazione su un terreno costituito da due strati, A e B, caratterizzati da due differenti valori del modulo elastico non drenato, Eu,A e Eu,B, (Figura 16.3) può essere ottenuto sommando i contributi al cedimento dovuti alla deformazione dello strato A e dello strato B: Si = Si,A + Si,B

(Eq. 16.4)

Il termine Si,A è il cedimento calcolato assumendo H=HA e Eu=Eu,A. Il termine Si,B è la differenza fra il cedimento calcolato assumendo H=HB e Eu=Eu,B e il cedimento calcolato assumendo H=HA e Eu=Eu,B. Analogamente e con riferimento allo schema di Figura 16.4, il cedimento della tubazione posta alla profondità H1, può essere calcolato come differenza tra il cedimento calcolato assumendo H=H2 e il cedimento calcolato assumendo H=H1.

3

Spesso si assume che il cedimento medio di una fondazione flessibile sia eguale al cedimento della fondazione rigida

291 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 16

CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Figura 16.2 - Fattori µ0 e µ1 per il calcolo del cedimento immediato di fondazioni su argilla satura

fondazione B x L

fondazione B x L p

A

p

Eu

HA

H1

Eu,A

H2 HB B Eu,B

Figura 16.3 - Schema per il calcolo dei cedimenti immediati di una fondazione superficiale su terre-292 no coesivo saturo stratificato

Figura 16.4 - Schema per il calcolo dei cedimenti immediati di una tubazione dovuti ad una fondazione su terreno coesivo saturo

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Capitolo 16

CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

16.2.2 Cedimento di consolidazione, Sc

Nel Capitolo 7 (Compressibilità e consolidazione edometrica), abbiamo visto come si possono calcolare i cedimenti di consolidazione in condizioni edometriche, ovvero in condizioni di espansione laterale impedita, con filtrazione e deformazioni solo in direzione verticale. Abbiamo anche visto che in tali condizioni, se il terreno è saturo, il cedimento istantaneo è zero e l’incremento di pressione interstiziale ∆u è pari all’incremento di tensione verticale totale applicato in superficie ∆σ. Inoltre all’istante iniziale, ovvero in condizioni non drenate, le tensioni efficaci non variano e quindi le tensioni principali totali hanno pari incremento: ∆σ1 = ∆σ3 = ∆u = ∆σ. Nel Capitolo 8 (“Ancora sulla consolidazione”), abbiamo visto che se la pressione non è uniforme, o se gli strati non sono orizzontali, o se l’area di carico non è infinitamente estesa, la consolidazione non è monodimensionale. Nel Capitolo 6 (“Pressioni di contatto e diffusione delle tensioni in un semispazio elastico”), abbiamo visto che carichi applicati in superficie producono in generale incrementi delle tensioni principali maggiore e minore differenti fra loro, ∆σ1 ≠ ∆σ3. Infine nel Capitolo 9 (“Resistenza al taglio”), abbiamo visto che l’incremento di pressione interstiziale ∆u in condizioni non drenate prodotto da un incremento ∆σ1 della tensione della tensione principale minore è: principale maggiore e ∆σ3 ∆u = B ⋅ [∆σ 3 + A ⋅ (∆σ1 − ∆σ 3 )] , con A e B parametri di Skempton (se il terreno è saturo B = 1). Tutto ciò premesso e richiamato, è evidente che il cedimento di consolidazione di una fondazione superficiale su argilla satura dovrebbe essere calcolato tenendo conto delle effettive condizioni al contorno, che in generale non corrispondono alle condizioni edometriche. Tuttavia per motivi di semplicità la stima del cedimento di consolidazione di fondazioni superficiali su terreni a grana fine è abitualmente ottenuta con un metodo di calcolo semplificato (metodo di Terzaghi) che si basa sulle ipotesi di consolidazione edometrica, modificando eventualmente il risultato ottenuto con un fattore correttivo empirico per tenere conto delle approssimazioni introdotte. Metodo di Terzaghi Il metodo si basa sulle seguenti ipotesi semplificative, verificate con approssimazione tanto migliore quanto più è piccolo il rapporto H/B tra lo spessore H dello strato compressibile e la dimensione caratteristica B in pianta dell’area caricata: -

le deformazioni avvengono solo in direzione verticale, senza contrazioni o espansioni orizzontali; la sovra pressione dei pori iniziale ∆u è pari all’incremento di tensione verticale totale ∆σv indotta dai carichi.

Con riferimento allo schema di Figura 16.5, i passi necessari per applicare il metodo sono i seguenti: 1. Si definisce il modello geotecnico, ovvero lo schema a strati orizzontali di riferimento, per ciascuno dei quali si stimano, in funzione della profondità o come valore medio, il 293 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 16

CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

peso di volume, γ, l’indice dei vuoti, e0, gli indici di compressione, Cc, e di ricompressione-rigonfiamento, Cs, nonché la profondità della falda. q p = q -γ D

γ D

B

σ'v q

D

D ZW

H1

H1

H2

H2

H3

H3

HA H4

H4 σ'v 0 + ∆σv

H5 H

HB

H5

H6

H6

H7

H7

H8

H8

H9

H9 σ'v 0

σ'c

Figura 16.5 - Metodo edometrico per la stima dei cedimenti di consolidazione di fondazioni superficiali

2. Si determina e si traccia il profilo della tensione verticale efficace geostatica, σ’v0, in asse alla fondazione. 3. Si determina e si traccia il profilo della pressione di consolidazione, σ’c. Per terreni NC i profili di σ’v0 e di σ’c coincidono. 4. Si determina la pressione verticale media netta trasmessa dalla fondazione, p = q - γD, in cui q è la pressione media totale trasmessa dalla fondazione e γD è la tensione verticale totale geostatica alla profondità del piano di fondazione. 5. Si determina e si traccia il profilo dell’incremento di tensione verticale ∆σv prodotto dalla pressione p agente sull’area di carico, in asse alla fondazione, utilizzando la teoria dell’elasticità, fino alla profondità Z oltre la quale non sono presenti strati compressibili o fino alla profondità Z alla quale si ha ∆σv = 0,1 σ’v0. 6. Si assume che il cedimento di consolidazione sia dovuto alle deformazioni verticali del terreno fra le profondità D e Z, e quindi che lo spessore di terreno compressibile sia H = Z – D. 7. Si suddivide lo spessore H in strati coincidenti con gli strati orizzontali del modello geotecnico oppure, qualora vi siano strati di grande spessore, suddividendoli ulte294 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 16

CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

riormente in sottostrati. Poiché il metodo di calcolo del cedimento sostituisce all’integrale delle deformazioni verticali nello spessore H la sommatoria dei cedimenti dei singoli strati e sottostrati, l’approssimazione sarà tanto migliore quanto minore sarà il loro spessore. Spesso si considerano strati e sottostrati di eguale spessore, ma poiché il cedimento di quelli più superficiali, a parità di rigidezza, contribuisce maggiormente al cedimento totale sarebbe buona norma eseguire una suddivisione tale che gli strati o sottostrati più superficiali siano di minore spessore. Indicando con Hi lo spessore dell’ i-esimo strato o sottostrato, sarà H = ΣHi. 8. In corrispondenza del punto medio di ciascuno strato o sottostrato di spessore Hi si determinano i valori di: σ’v0, σ’c, ∆σv, e0, Cc, Cs. 9. Si stima il cedimento di ogni strato o sottostrato i-esimo nel modo seguente: a) se σ’c = σ’v0 (terreno N.C.): ⎛ σ ' + ∆σ v ⎞ Hi ⎟ ∆H i = ⋅ C c ⋅ log⎜⎜ v 0 ' (Eq. 16.5) ⎟ (1 + e 0 ) σ v0 ⎝ ⎠ b) se σ’c > (σ’v0 + ∆σv): ∆H i =

⎛ σ ' + ∆σ v ⎞ Hi ⎟ ⋅ C s ⋅ log⎜⎜ v 0 ' ⎟ (1 + e 0 ) σ v0 ⎝ ⎠

c) se (σ’v0 + ∆σv) >σ’c > σ’v0: ⎡ ⎛ σ' ⎞ ⎛ σ ' + ∆σ ⎞⎤ Hi ∆H i = ⋅ ⎢C s ⋅ log⎜⎜ ' c ⎟⎟ + C c ⋅ log⎜⎜ v 0 ' v ⎟⎟⎥ (1 + e 0 ) ⎣⎢ σc ⎝ σ v0 ⎠ ⎝ ⎠⎦⎥

(Eq. 16.6)

(Eq. 16.7)

10. Si stima il cedimento di consolidazione edometrico di tutto lo strato compressibile H: (Eq. 16.8) Sed = Σ∆Hi Alternativamente il cedimento di consolidazione edometrico può essere calcolato utilizzando i moduli edometrici, M, (o i coefficienti di compressibilità mv) invece degli indici di compressione, Cc, e di ricompressione-rigonfiamento, Cs. In tal caso il contributo al cedimento totale di ogni i-esimo strato sarà calcolato con l’equazione: ∆H i = H i ⋅

∆σ v = H i ⋅ m v ⋅ ∆σ v M

(Eq. 16.9)

in cui i valori di M (o di mv) devono riferirsi alla tensione verticale litostatica efficace, σ’v0, nel punto medio dello strato i-esimo. Correzione di Skempton-Bjerrum Il metodo di Terzaghi si basa sulle ipotesi di consolidazione monodimensionale (εr = 0, ∆u = ∆σ). Poiché il terreno sottostante la fondazione non è confinato lateralmente, l’incremento di pressione interstiziale all’istante di applicazione del carico, in condizioni non drenate, è diverso e in genere inferiore all’incremento di tensione verticale totale (∆u < ∆σ). Poiché le deformazioni per consolidazione sono dovute alla riduzione di volume derivante dal dissiparsi delle sovrapressioni interstiziali, ne consegue che le deformazioni reali di consolidazione sono inferiori a quelle calcolate con il metodo di Terzaghi. 295 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 16

CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Skempton e Bjerrum (1957) suggerirono di stimare il cedimento di consolidazione con la seguente equazione semi-empirica: S c = µ ⋅ S ed

(Eq. 16.10)

in cui µ (Figura 16.6) è un coefficiente semi-empirico, ottenuto da prove triassiali e quindi in condizioni di carico assialsimmetriche, funzione del coefficiente di pressione dei pori A, che a sua volta è funzione del grado di sovraconsolidazione e del livello di mobilitazione della resistenza (vedi Capitolo 9 “Resistenza al taglio”), e della forma dell’area di carico.

Figura 16.6 - Valori del coefficiente di correzione µ per la stima del cedimento di consolidazione di fondazioni superficiali

Per fondazioni quadrate o rettangolari non molto allungate di area A ci si può riferite al caso della fondazione circolare con diametro

A . Come si può osservare dal grafico di Figura 16.6, i valori di µ sono π inferiori ad 1, salvo che per argille sensibili, e sono generalmente compresi tra 0,7 e 1 per le argille normalmente consolidate, tra 0,5 e 0,7 per le argille mediamente sovraconsolidate, e tra 0,2 e 0,5 per le argille fortemente sovra-consolidate.

equivalente D =

Da quanto finora detto risulta che il cedimento totale di una fondazione superficiale su terreno a grana fine può essere stimato con la relazione: S = Si + S c = Si + µ ⋅ S ed (Eq. 16.11) È stato osservato (Burland et al., 1978) che per fondazioni superficiali su: - argille normalmente consolidate il cedimento immediato Si è piccolo rispetto al cedimento totale S (Si/S ≅ 0,1) e che il cedimento per consolidazione Sc non è molto inferiore al cedimento calcolato con il metodo edometrico (Sc/Sed = µ = 0,7÷1). Pertanto per semplicità e tenuto conto delle numerose fonti di incertezza, ci si può limitare al calcolo del cedimento edometrico e assumere: Si = 0,1 Sed

Sc = Sed

S = 1,1 Sed 296

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Capitolo 16

-

CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

argille sovra consolidate il cedimento immediato Si costituisce un’aliquota importante del cedimento totale S (Si/S ≅ 0,6) e che pertanto, limitandoci al calcolo del cedimento edometrico, si può assumere: Si = 0,6 Sed

Sc = 0,4 Sed

S = Sed.

16.3 Cedimenti di fondazioni superficiali su sabbia A causa della natura granulare delle sabbie è più probabile che si verifichino sensibili cedimenti assoluti e differenziali a causa delle vibrazioni, prodotte da macchinari, dal traffico o da terremoti, che non a causa della pressione trasmessa dalle fondazioni. Comunque sono stati proposti molti metodi per la stima dei cedimenti di fondazioni superficiali su sabbia, la maggior parte dei quali empirici o semi-empirici, basati cioè sull’osservazione di un certo numero di casi reali. L’esistenza di molti metodi è un chiaro indice del fatto che nessuno di essi può considerarsi accurato e affidabile. Tuttavia una stima accurata dei cedimenti di fondazioni su sabbia non è in generale molto importante, sia perché tali cedimenti sono di modesta entità (raramente superiore a 4cm), sia perché sono immediati (le condizioni di carico sono drenate) e si esauriscono durante la costruzione, salvo quando il carico accidentale non sia molto superiore al carico permanente. Poiché inoltre è molto difficile ottenere campioni indisturbati di sabbia su cui eseguire prove di laboratorio atte alla caratterizzazione meccanica del terreno in sito, i più diffusi metodi di calcolo del cedimento di fondazioni superficiali su sabbia sono basati sui risultati di prove in sito. I metodi attualmente più accreditati sono il metodo di Schmertmann (1970-1978) che utilizza i risultati di prove penetrometriche statiche, CPT, e il metodo di Burland e Burbridge (1985) che utilizza i risultati di prove penetrometriche dinamiche, SPT. 16.3.1 Metodo di Schmertmann

Il metodo di Schmertmann consente di stimare il cedimento di fondazioni superficiali su sabbia utilizzando il profilo di resistenza penetrometrica di punta, qc, di una prova CPT. Con riferimento allo schema di Figura 16.7, il cedimento della fondazione è stimato con l’equazione: S=

z2 C1 ⋅ C 2 I ⋅ ∆z ⋅ ∆p ⋅ ∑ z C3 qc 0

in cui: ∆p = p – p’0 p p’0 z2 ∆z qc

Eq. (16.12)

è la pressione media netta applicata dalla fondazione, è la pressione trasmessa dalla fondazione, è la pressione efficace alla profondità del piano di fondazione, è la profondità significativa, ovvero la profondità massima dal piano di fondazione del terreno che contribuisce al cedimento, è il generico strato in cui si è suddiviso lo spessore z2 di terreno, che al limite può coincidere con l’intervallo di campionamento della prova, è la resistenza di punta media dello strato ∆z, 297

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Capitolo 16

CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Iz

è un fattore di influenza della deformazione verticale media, la cui variazione con la profondità è rappresentata in Figura 16.7, è un fattore che dipende dalla profondità del piano di fondazione, è un fattore di viscosità, è un fattore che dipende dalla forma dell’area di carico.

C1 C2 C3

B p

Izmax Iz0

D

p'0

Iz

z1/B

z2/B

I z = I z 0 + (I z ,max − I z 0 ) ⋅ Iz =

I z ,max z 2 − z1

z z1

⋅ (z 2 − z )

per

z z1 ≤ B B

per

z1 z z 2 ≤ ≤ B B B

z/B Figura 16.7 - Metodo di Schmertmann per la stima del cedimento di fondazioni superficiali su sabbia

I fattori e le variabili che compaiono nell’Eq. 16.12 sono calcolati con riferimento alle seguenti formule e ai valori riportati in Tabella 16.2: p '0 ≥ 0,5 ∆p C 2 = 1 + 0 ,2 ⋅ log 10 10t essendo t il tempo dalla fine della costruzione espresso in anni; C1 = 1 − 0,5 ⋅

Eq. (16.13) Eq. (16.14)

0,5

⎛ ∆p ⎞ I z ,max = 0,5 + 0,1 ⋅ ⎜⎜ ' ⎟⎟ ⎝ σv ⎠ essendo σ’v la tensione verticale efficace alla profondità z1.

Eq. (16.15)

16.3.2 Metodo di Burland e Burbridge

Il metodo di Burland e Burbridge per la stima del cedimento di fondazioni su sabbie normalmente consolidate (NC) e sovra consolidate (OC) dai risultati di prove SPT si basa su un’analisi statistica di un grande numero casi osservati. 298 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 16

CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Tabella 16.2 – Valori dei parametri z1, z2 e C3 che compaiono nell’equazione 16.12 al variare della forma della fondazione

Forma dell’area di carico Striscia (B/L = 0) Quadrato (B/L = 1) Rettangolo (0 φ’ per effetto di capillarità, leggera cementazione, radici, altezza limitata del pendio. 18.3.2 Pendio indefinito di terreno incoerente totalmente immerso in acqua in quiete

Si consideri l’equilibrio del concio di Livello d’acqua terreno omogeneo, incoerente e totalmente immerso in acqua in quiete indicato in Figura 18.9. In questo caso oltre alle forze presenti β nel caso di terreno incoerente asciutto a (Paragrafo 13.3.1), agisce sul concio una spinta dell’acqua, risultante delle pressioni idrostatiche agenti sulle d pareti, che risulta verticale e diretta verso l’alto, pari al peso specifico dell’acqua per il volume del concio. Per l’equilibrio è pertanto sufficiente fare riferimento al peso immerso (o efficace) del concio, che vale: Figura 18.9 - Schema di pendio indefinito immerso in W ' = γ '⋅a ⋅ d acqua in quiete essendo γ ' = γ sat − γ w il peso di volume immerso del terreno e avendo assunto uno spessore unitario del concio nella direzione ortogonale al piano del disegno. Poiché per un pendio indefinito il peso del concio è ininfluente sul valore del fattore di sicurezza, anche nel caso di pendio totalmente immerso in acqua in quiete il fattore di sicurezza vale: tan ϕ' FS = (Eq. 18.3) tan β come per il caso di pendio asciutto. 18.3.3 Pendio indefinito di terreno omogeneo con filtrazione parallela al pendio

Lo schema di pendio indefinito con filtrazione parallela al pendio (Figura 18.10) è spesso utilizzato per verificare la stabilità di una coltre di terreno, relativamente permeabile e di spessore quasi costante, su un substrato roccioso o comunque di terreno non alterato, poco 335 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 18

STABILITÀ DEI PENDII

permeabile e stabile, allorché in seguito a prolungate piogge diviene sede di un moto di filtrazione parallelo al pendio. L’altezza della falda viene messa in relazione alla durata e all’intensità della pioggia, ed al coefficiente di assorbimento del terreno. La resistenza al taglio del terreno vale: τ f = c'+ σ'⋅ tan φ' , τ ed il fattore di sicurezza è: FS = f τ Facendo riferimento alla Figura 18.10 e indicando con γ il peso di volume medio del terreno sopra falda e con γsat il peso di volume del terreno saturo (sotto falda), la componente del peso normale alla base del concio è: N = W ⋅ cos β = [(1 − m ) ⋅ γ + m ⋅ γ sat ] ⋅ z ⋅ cos β 1 , la lunghezza della base del concio è: l = cos β dunque la tensione normale alla base del concio vale:

σ = [(1 − m ) ⋅ γ + m ⋅ γ sat ] ⋅ z ⋅ cos 2 β La componente del peso parallela alla base del concio è: T = W ⋅ sin β = [(1 − m ) ⋅ γ + m ⋅ γ sat ] ⋅ z ⋅ sin β dunque la tensione di taglio alla base del concio vale:

τ = [(1 − m ) ⋅ γ + m ⋅ γ sat ] ⋅ z ⋅ sin β ⋅ cos β .

β

m

Figura 18.10 - Schema di pendio indefinito con filtrazione parallela al pendio

336 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 18

STABILITÀ DEI PENDII

In questo caso è inoltre possibile osservare che la risultante delle pressioni interstiziali agenti sulle due facce verticali del concio è uguale ed opposta e che lungo la base inferiore la distribuzione delle pressioni interstiziali è uniforme e la pressione interstiziale vale: u = γ w ⋅ hw = m ⋅ z ⋅ γ w ⋅ cos 2 β

Quindi l’espressione generale per il fattore di sicurezza risulta: FS =

c' +( σ − u ) ⋅ tan φ'

τ

c' +[(1 − m ) ⋅ γ + m ⋅ γ ' ] ⋅ z ⋅ cos 2 β ⋅ tan φ' [(1 − m ) ⋅ γ + m ⋅ γ sat ] ⋅ z ⋅ sin β ⋅ cos β

=

(Eq. 18.4)

Se si assume, come ipotesi semplificativa e cautelativa, oltreché molto spesso realistica, c' = 0 , risulta: FS =

[(1 − m) ⋅ γ + m ⋅ γ ']

[(1 − m) ⋅ γ + m ⋅ γ sat ]



tan φ' tan β

(Eq. 18.5)

se poi, per semplicità e senza grave errore, si assume γ = γsat (anche perché molto spesso il terreno sopra falda è saturo per risalita capillare e per infiltrazione dell’acqua piovana), risulta: FS =

(γ sat − m ⋅ γ w ) γ sat



tan φ' tan β

(Eq. 18.6)

Nel caso particolare di m = 1 (falda coincidente con il piano campagna) si ottiene: FS =

γ ' tan φ' ⋅ γ sat tan β

(Eq. 18.7)

γ' è circa pari a 0,5, ne consegue che la presenza di un moto di filγ sat trazione parallelo al pendio con livello di falda coincidente con il piano campagna riduce il coefficiente di sicurezza ad un valore che è circa la metà del coefficiente di sicurezza del pendio asciutto o immerso in acqua in quiete.

Poiché il rapporto

18.4 Pendii di altezza limitata Per le verifiche di stabilità di pendii di altezza limitata con metodi all’equilibrio limite, si considera l’equilibrio di una massa di terreno delimitata da una superficie di slittamento di forma nota (molto spesso circolare o a forma di spirale logaritmica). La resistenza al taglio disponibile, C, e quella mobilitata, D, sono calcolate impiegando solo le equazioni di equilibrio statico ed il criterio di rottura di Mohr-Coulomb. Il coefficiente di sicurezza è definito come il rapporto C/D ed è assunto costante lungo tutta la superficie di scorrimento potenziale. 337 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 18

STABILITÀ DEI PENDII

I metodi di calcolo della stabilità possono essere utilizzati in modo diretto o inverso, ovvero: - per stimare il coefficiente di sicurezza di un pendio stabile, si fissa la geometria superficiale e profonda, si attribuiscono valori di progetto ai parametri geotecnici, si ipotizza l’entità e la distribuzione delle pressioni interstiziali, e si determinano per tentativi il coefficiente di sicurezza e la superficie di scorrimento critica (ricordando che per quest’ultima si intende la superficie cui è associato il minimo valore del rapporto fra resistenza disponibile e resistenza mobilitata); - se invece la frana è in atto o è avvenuta, la superficie di scorrimento è nota o sperimentalmente determinabile, e le equazioni di equilibrio consentono di determinare, posto FS = 1, la resistenza al taglio media in condizioni di rottura lungo la superficie di scorrimento.

18.5 Pendii artificiali Come già è stato detto, i pendii artificiali, ovvero realizzati dall’uomo con la costruzione di un’opera in terra o con scavi, sono caratterizzati in genere da una morfologia elementare e, nel caso di opere in terra, da terreni omogenei. Inoltre l’ipotesi di bidimensionalità del problema è molto spesso ben verificata, poiché la lunghezza del rilevato o dello scavo è di norma molto maggiore dell’altezza, e quest’ultima è costante o varia gradualmente. Pertanto i metodi all’equilibrio limite per la verifica della stabilità di pendii artificiali considerano un blocco unico di terreno omogeneo, geometricamente definito dalla superficie topografica e dalla superficie di scorrimento potenziale. Una volta fissata la forma della superficie di scorrimento, tali metodi si prestano a soluzioni adimensionali. Nell’ambito dei pendii artificiali, occorre tuttavia distinguere tra pendii di rilevato e pendii di scavo. Nel primo caso si ha di norma una differenza tra il terreno naturale di fondazione e il terreno artificiale di costruzione del rilevato. La messa in opera del rilevato, determina nel terreno di fondazione un incremento delle tensioni totali e induce un processo di consolidazione, più o meno rapido a seconda della permeabilità del terreno. Pertanto occorre associare alla verifica di stabilità del pendio anche la verifica di capacità portante a breve e a lungo termine del terreno di fondazione. Nel corpo dei rilevati stradali le pressioni interstiziali sono, di norma, nulle (o negative) e la verifica di stabilità del pendio può essere svolta in termini di tensioni efficaci. Nel corpo dei rilevati arginali e delle dighe in terra le pressioni interstiziali variano con le condizioni di carico idraulico nello spazio e nel tempo. In condizioni di moto di filtrazione assente o stazionario è possibile misurare o calcolare la distribuzione delle pressioni interstiziali e svolgere l’analisi di stabilità in termini di tensioni efficaci. In condizioni di moto di filtrazione transitorio, ad esempio dopo uno svaso rapido, se il terreno è poco permeabile, la distribuzione delle pressioni interstiziali è difficilmente determinabile e l’analisi di stabilità viene svolta in termini di tensioni totali, con riferimento alla resistenza al taglio non drenata relativa alla pressione di consolidazione iniziale. Tale condizione è la più critica, poiché viene a mancare la pressione dell’acqua che sostiene il pendio (e quindi aumenta la domanda di resistenza), mentre si assume invariata la capacità di resistenza. Nel tempo, col dissiparsi delle sovrapressioni interstiziali, la resistenza al taglio, e quindi il coefficiente di sicurezza tenderanno a crescere. 338 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 18

STABILITÀ DEI PENDII

Nel caso di pendii di scavo, l’analisi di stabilità presenta in genere maggiori incertezze a causa della variabilità del terreno naturale che costituisce il pendio. Per scavi sotto falda si determina un moto di filtrazione ascendente e sono pertanto necessarie le verifiche al sifonamento e di stabilità del fondo scavo. Se si esegue uno scavo in un terreno sotto falda, ad esempio per realizzare le fondazioni di un fabbricato, e si mantiene asciutto il fondo dello scavo per permettere le lavorazioni, si produce un’alterazione dello stato tensionale del terreno circostante. In particolare le tensioni totali si riducono via via che procede lo scavo, mentre le pressioni interstiziali e le pressioni efficaci variano con tempi che dipendono dalla permeabilità del terreno. Pertanto il fattore di sicurezza del pendio, ovvero il rapporto tra capacità e domanda di resistenza, FS = C/D, varia nel tempo, ed il periodo durante il quale possono prodursi franamenti dopo la realizzazione di uno scavo sotto falda, ovvero il momento critico di minimo valore di F, dipende dalla natura del terreno. Nei terreni granulari molto permeabili (sabbie e ghiaie) la falda assume la posizione di equilibrio via via che procede lo scavo (fasi 1, 2, 3 di Figura 18.11), ovvero non solo le pressioni totali, ma anche le pressioni interstiziali ed efficaci variano in tempo reale, e il moto di filtrazione è, istante per istante, in regime stazionario. Pertanto le condizioni di stabilità sono indipendenti dal tempo (condizioni drenate) e le verifiche di stabilità possono e devono essere eseguite in termini di tensioni efficaci, previa valutazione del reticolo idrodinamico. Piano di campagna

Livello di falda iniziale SCAVO Fase 1 Fase 2 Fase 3

Figura 18.11 - Fasi di uno scavo

Invece, nei terreni a grana fine poco permeabili (limi e argille), durante lo scavo a causa della variata distribuzione delle tensioni nascono sovrapressioni interstiziali che non possono dissiparsi rapidamente. Le condizioni di stabilità sono dipendenti dal tempo, e poiché difficilmente si conosce l’evoluzione delle pressioni interstiziali in regime di filtrazione transitorio, le verifiche di stabilità devono essere eseguite sia per condizioni non drenate a breve termine (in tensioni totali), sia per condizioni drenate a lungo termine (in tensioni efficaci). In linea generale, la condizione più critica per la stabilità è a lungo termine. Infatti a causa dello scarico tensionale prodotto dallo scavo si ha una diminuzione istantanea della domanda di resistenza, mentre le tensioni efficaci, e quindi la capacità di resistenza, si riducono lentamente con il dissiparsi delle sovrapressioni interstiziali negative. Pertanto il coefficiente di sicurezza diminuisce gradualmente, ed un fronte di scavo, 339 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 18

STABILITÀ DEI PENDII

inizialmente stabile, può collassare dopo un certo tempo. Le verifiche di stabilità a breve termine sono di norma eseguite per scavi solo temporaneamente non sostenuti. 18.5.1 Analisi di stabilità di un pendio omogeneo nell’ipotesi di superficie di scorrimento piana (metodo di Culmann)

Il metodo di Culmann per l’analisi di stabilità di un pendio omogeneo di altezza limitata considera le condizioni di equilibrio di un cuneo di terreno delimitato da una superficie di scorrimento piana (in analogia al metodo di Coulomb per la determinazione della spinta delle terre). Evidenze sperimentali e analisi teoriche dimostrano che, salvo casi particolari, l’ipotesi di superficie di scorrimento piana non è realistica né cautelativa, tuttavia consente una trattazione semplice del problema, utile a comprendere lo spirito dei metodi all’equilibrio limite globale. Si consideri il pendio indicato in Figura 18.12, avente altezza H, angolo di pendio β rispetto all’orizzontale, e costituito da un terreno omogeneo con peso di volume γ e resistenza al taglio espressa dall’equazione di Mohr-Coulomb: τf = c + σ tanφ. Assumiamo come potenziale superficie di scorrimento il piano AC, inclinato di un angolo θ sull’orizzontale, che individua il cuneo ABC. Il peso del cuneo ABC, vale: B C 1 1 W = ⋅ γ ⋅ H ⋅ BC = ⋅ γ ⋅ H 2 ⋅ (cot θ − cot β) = 2 2 1 sen (β − θ) = ⋅ γ ⋅ H2 ⋅ H 2 senβ ⋅ senθ

A

β

θ

Figura 18.12 - Cuneo di Culmann

Le componenti normale, N, e tangenziale, T, di W rispetto al piano AC, valgono: 1 sen (β − θ) N = W ⋅ cos θ = ⋅ γ ⋅ H 2 ⋅ ⋅ cos θ 2 senβ ⋅ senθ 1 sen (β − θ ) T = W ⋅ senθ = ⋅ γ ⋅ H 2 ⋅ 2 senβ

La tensione normale media, σ, e la tensione tangenziale media, τ, sul piano AC valgono: N N 1 sen (β − θ) = ⋅γ⋅H⋅ ⋅ cos θ = senβ AC ⎛ H ⎞ 2 ⎜ ⎟ ⎝ senθ ⎠ T T 1 sen (β − θ) = ⋅γ⋅H⋅ ⋅ senθ τ= = senβ AC ⎛ H ⎞ 2 ⎜ ⎟ ⎝ senθ ⎠

σ=

Indicando con FS il coefficiente di sicurezza del pendio con riferimento alla superficie di scorrimento potenziale AC, la resistenza al taglio mobilitata è: 340 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 18

τm =

τf FS

STABILITÀ DEI PENDII

=

c + σ ⋅ tan φ c tan φ = +σ ⋅ FS FS FS

(Eq. 18.8)

c tan φ e con tan φ m = i contributi alla resistenza al taglio FS FS mobilitata rispettivamente della coesione e dell’attrito, si può scrivere:

Se si definiscono con c m =

τ m = c m + σ ⋅ tan φ m = c m +

1 sen (β − θ) ⋅γ⋅H⋅ ⋅ cos θ ⋅ tan φ m 2 senβ

(Eq. 18.9)

Eguagliando la tensione tangenziale media necessaria per l’equilibrio, τ, alla tensione tangenziale mobilitata, τm, si ha: 1 sen (β − θ) 1 sen (β − θ) ⋅γ⋅H⋅ ⋅ senθ = c m + ⋅ γ ⋅ H ⋅ ⋅ cos θ ⋅ tan φ m 2 senβ 2 senβ ovvero: 1 sen (β − θ) cm = ⋅ γ ⋅ H ⋅ ⋅ (senθ − cos θ ⋅ tan φ m ) 2 senβ

(Eq. 18.10)

Il valore di θ che corrisponde alla superficie critica per l’equilibrio, è quello per il quale cm assume il valore massimo, e può essere determinato imponendo la condizione: ∂c m =0 ∂θ Si ottiene: β + φm θ cr = 2

(Eq. 18.11)

e quindi: γ ⋅ H ⎡1 − cos(β − φ m ) ⎤ cm = ⋅⎢ ⎥ 4 ⎣ senβ ⋅ cos φ m ⎦

(Eq. 18.12)

L’altezza critica, Hcr, ovvero la massima altezza del pendio compatibile con l’equilibrio, si ottiene imponendo FS = 1, ovvero sostituendo c a cm e tanφ a tanφm:

H cr =

4 ⋅ c ⎡ senβ ⋅ cos φ ⎤ ⋅ γ ⎢⎣1 − cos(β − φ) ⎥⎦

(Eq. 18.13)

Se l’analisi è svolta in termini di tensioni totali ed il terreno è saturo, la resistenza al taglio vale τ f = c u , per cui l’altezza critica di uno scavo in argilla a breve termine, in condizioni non drenate, risulta: 341 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 18

STABILITÀ DEI PENDII

H cr =

4 ⋅ cu senβ ⋅ (1 − cos β) γ e il piano di scorrimento è inclinato di:

(Eq. 18.14)

θcr = β/2

(Eq. 18.15)

e, nel caso particolare di scavo in parete verticale (β = 90°), si ottiene: 4 ⋅ cu H cr = θcr = 45° γ

(Eq. 18.16)

Allo stesso valore di altezza critica e di inclinazione del piano di scorrimento si perviene anche applicando la teoria della spinta delle terre di Rankine (vedi Capitolo 11) con riferimento ad un mezzo puramente coesivo. Infatti, nel piano di Mohr delle tensioni totali, l’inviluppo a rottura di un mezzo puramente coesivo è una retta orizzontale di equazione τ = cu. In un deposito omogeneo, avente peso di volume γ, delimitato da una superficie piana orizzontale, le tensioni verticale ed orizzontali sono per simmetria tensioni principali. La tensione verticale (totale) varia linearmente con la profondità e vale σv = γ⋅z. La tensione orizzontale (totale) minima per l’equilibrio, varia anch’essa linearmente con la profondità, e vale: σhA = σv – 2 cu = γz – 2cu. Il diagramma delle tensioni orizzontali totali è intrecciato e la profondità alla quale, in condizioni di equilibrio limite inferiore, la tensione orizzontale è zero, vale: zcr = 2 cu/γ. L’altezza critica di scavo, per la quale l’area del diagramma di spinta è zero, e quindi la parete ideale di Rankine non deve sostenere alcuna spinta è dunque teoricamente pari a: 4 ⋅ cu H cr = 2 ⋅ z cr = (Eq. 18.17) γ Le superfici di scorrimento sono inclinate di 45° rispetto all’orizzontale. Il metodo di Culmann (come il metodo di Coulomb per la spinta delle terre) si presta a soluzioni grafiche basate sulla costruzione del poligono delle forze, e può essere utilizzato anche per geometrie del pendio più complesse e irregolari, e in presenza di carichi concentrati o distribuiti sulla superficie.

τ Fratture di trazione per coesione Il criterio di rottura di Mohrϕ’ Coulomb: τ = c + σ tanφ implica resistenza a trazione per i materiali con c≠0. In particolare, per σ1 < 2c tan(45° + φ/2) si ha Caso limite: σ3 < 0 (Figura 18.13). Poiché i σ’1 = 2c tan(45° + φ/2) c σ’3 = 0 terreni non hanno resistenza a trazione, in una fascia σ’1 σ’3 superficiale in cui le tensioni litostatiche sono basse, si Figura 18.13 – Criterio di rottura di Mohr.-Coulomb formano fratture di trazione, come già visto nel Paragrafo 13.1.3. 342 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

σ’

Capitolo 18

STABILITÀ DEI PENDII

Il terreno compreso in tale fascia superficiale non contribuisce alla resistenza allo scorrimento del cuneo sulla superficie di rottura potenziale. Inoltre le fessure possono riempirsi di acqua meteorica, che esercita una spinta 2d/3 Sw idrostatica.La profondità delle fessure, d, non W è nota, e può essere stimata per tentativi, o H con la formula semi-empirica: d=

2 ⋅ cm

γ

φ ⎞ ⎛ ⋅ tan⎜ 45° + m ⎟ 2 ⎠ ⎝

θ

(Eq. 18.18)

In Figura 18.14 è rappresentato lo schema di Figura 18.14 – Schema di calcolo di stabilità calcolo per l’analisi di stabilità di un pendio di un pendio interessato da fratture di traziointeressato da fratture di trazione piene ne d’acqua. 18.5.2 Metodo del cuneo con due piani di scorrimento

Abbastanza frequentemente le condizioni stratigrafiche e geotecniche di un pendio possono suggerire una superficie di scorrimento potenziale critica composta da due piani che delimitano un cuneo di terreno. In tal caso l’analisi di stabilità del pendio può essere condotta secondo lo schema rappresentato in Figura 18.15. W1 W2

L1

α

β L2

θ

W2

P2

T1

W1 P1

θ

T=

c’ L 1 N’1 tanφ + F F

T=

c’ L2 N’2 tanφ + F F

1

2

N’1

T2 N’2 N’2 tanφ F

P1 N’1 tanφ

P2

F W2 N’ 2

R1

R2

W1 P2 - P1

N’1

x x

c’ L 2 F

c’ L 1 F

x

x

F

Figura 18.15 - Metodo dei due cunei

La massa in frana potenziale può essere verticalmente suddivisa in due cunei, che si trasmettono mutuamente una forza P. L’intensità della forza P è incognita, ma può essere determinata con un poligono delle forze se si assegna un valore alla sua inclinazione θ rispetto all’orizzontale. Il valore del coefficiente di sicurezza FS è sensibilmente influenzato dal valore di θ. Una ragionevole ipotesi per assegnare il valore a θ è assumere che esso sia pari all’angolo di resistenza al taglio mobilitato, φm, ovvero: 343 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 18

STABILITÀ DEI PENDII

tan φ . Poiché FS non è noto a priori, è necessario fissare un valore iniFS ziale di tentativo e procedere iterativamente fino a convergenza. Con riferimento alla Figura 18.15, ciascuno dei due cunei è considerato separatamente. Il poligono delle forze per il cuneo 1 può essere disegnato (o calcolato). Esso è costituito: a) dalla forza peso W1, ottenuta moltiplicando l’area del cuneo per il peso di volume del terreno, di cui sono note intensità e direzione, b) dalla componente dovuta alla coesione della forza di taglio T1 alla base del concio, c’ L1/FS, di cui sono note intensità e direzione, c) dalla forza normale N1’ alla base del concio, di cui è nota la direzione, d) dalla componente dovuta all’attrito della forza di taglio T1 alla base del concio, N1’ tanφ/FS, di cui è nota la direzione, e) dalla forza P1, di cui è nota la direzione. La direzione della risultante R1 fra le forza N1’ e N1’ tanφ/FS forma un angolo φm con la direzione della forza N1’. Analogamente si procede per il cuneo 2, disegnandone (o calcolandone) il poligono delle forze e ottenendone il valore di P2. Se risulta P2 = P1, il valore di tentativo prescelto per FS è corretto, altrimenti si ripete il calcolo fino a convergenza. In pratica conviene disegnare un grafico in cui si riportano, per ogni tentativo, i valori della differenza (P2 – P1) in funzione del coefficiente di sicurezza FS. L’intersezione della curva che collega i punti calcolati con l’asse delle ordinate indica il valore corretto di FS. tan θ = tan φ m =

18.5.3 Carte di stabilità di un pendio omogeneo nell’ipotesi di superficie di scorrimento circolare

Per l’analisi di stabilità di un pendio omogeneo con metodi all’equilibrio limite globale si ricorre in genere alla più realistica ipotesi di superficie di scorrimento circolare. Con riferimento agli schemi di Figura 18.16, se la superficie di scorrimento critica interseca il pendio al piede o lungo la scarpata, la rottura è detta di pendio (slope failure), e si possono avere i casi di cerchio di piede (toe circle) e di cerchio di pendio (slope circle). Se invece il punto di intersezione è ad una certa distanza dal piede del pendio, la rottura è detta di base (base failure) ed il corrispondente cerchio è detto medio (midpoint circle). Taylor (1937) ha affrontato analiticamente il problema della stabilità di un pendio omogeneo, con geometria regolare e di altezza limitata, fornendo soluzioni adimensionali e carte di stabilità di impiego semplice e immediato. Il terreno ha peso di volume γ, e resistenza al taglio τ = c + σ tanφ. Il caso di pendio costituito da materiale puramente coesivo (γ = γsat, φu = 0, τ = cu) è applicabile per la verifica a breve termine di pendii di argilla omogenea satura non fessurata in condizioni non drenate. Il caso di pendio costituito da materiale dotato di coesione e attrito è applicabile alle verifiche a breve termine di terreno argilloso non saturo (γ < γsat, φu > 0, τ = cu + σ tanφu), e a lungo termine di terreni coesivi sovraconsolidati in assenza di pressione interstiziale (φ' > 0, u = 0, τ = c’ + σ tanφ’). Altri Autori hanno considerato casi più complessi che mettono in conto gli effetti sulla stabilità di un sovraccarico uniformemente distribuito sulla sommità del pendio, della resistenza al taglio variabile con la profondità, dell’inclinazione della superficie a monte, della filtrazione e della sommergenza, delle fessure di trazione, di superfici di scorrimento a forma di spirale logaritmica, etc., ma tali soluzioni richiedono numerose tabelle e/o grafici, ed è allora preferibile utilizzare i metodi delle strisce che, con la diffusione dei programmi di calcolo automatico, non hanno più lo svantaggio del lungo tempo di calcolo. 344 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 18

STABILITÀ DEI PENDII

A) ROTTURA DI PENDIO

CERCHIO DI PIEDE

CERCHIO DI PENDIO

B) ROTTURA DI BASE

Figura 18.16 - Schemi di rottura di un pendio omogeneo di altezza limitata con superficie di scorrimento circolare

Stabilità a breve termine di pendii in argilla omogenea satura Per la verifica di stabilità a breve termine, in condizioni non drenate, di un pendio omogeneo, con geometria regolare e di altezza limitata, costituito da argilla satura avente peso di volume γ e resistenza al taglio costante con la profondità, τf = cu, si utilizza la soluzione di Taylor (1937). Lo schema geometrico di riferimento è indicato in Figura 18.17, ove a solo titolo di esempio, è rappresentata una rottura di base ed il corrispondente cerchio medio. Il tipo di rottura e la posizione del cerchio critico dipendono, come è possibile desumere dalla Figura 18.18, dall’inclinazione β del pendio e dal fattore di profondità nd, che è il rapporto adimensionale fra la profondità H1 di un eventuale strato rigido di base e l’altezza H del pendio.

345 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

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Figura 18.17 - Schema geometrico di riferi- Figura 18.18 - Carta di stabilità di Taylor per mento per la soluzione di Taylor pendii di terreno dotato di sola coesione

In condizioni di equilibrio limite l’altezza critica del pendio vale: c Hc = Ns ⋅ u (Eq. 18.19) γ Il fattore di stabilità, Ns, adimensionale, dipende dalla geometria del problema ed è determinabile con il grafico di Figura 18.18, ove è indicato anche il tipo di rottura che si determina. In condizioni di equilibrio stabile, il coefficiente di sicurezza FS, vale: c H FS = c = N s ⋅ u (Eq. 18.20) H γ⋅H Dall’osservazione del grafico di Taylor, si desume che: ƒ per un pendio a parete verticale (β = 90°) il fattore di stabilità vale 3,85, ovvero c l’altezza critica è H c = 3,85 ⋅ u , inferiore al valore che si è ottenuto con l’ipotesi di γ c ⎞ ⎛ superficie di scorrimento piana ⎜⎜ H c = 4 ⋅ u ⎟⎟ ; γ ⎠ ⎝ ƒ per angolo di pendio β > 53° il cerchio critico è sempre di piede; ƒ per angolo di pendio β < 53° il cerchio critico può essere di piede, medio o di pendio a seconda della profondità dello strato rigido di base; ƒ in assenza di uno strato compatto di base, ovvero per nd = ∞, vi è un’altezza critica c ⎞ ⎛ ⎜⎜ H c = 5,52 ⋅ u ⎟⎟ che comunque non può essere superata, indipendentemente dal γ ⎠ ⎝ valore di β. Stabilità di un pendio di terreno omogeneo dotato di coesione e attrito La soluzione di Taylor per un pendio di terreno omogeneo dotato di coesione e attrito è basata sul metodo del cerchio d’attrito, schematicamente illustrato in Figura 18.19. Il raggio della superficie di scorrimento potenziale è indicato con R. Il cerchio d’attrito è 346 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

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concentrico alla superficie circolare di scorrimento ed ha raggio R senφ. Ogni linea tangente al cerchio d’attrito che interseca la superficie di scorrimento, forma con la normale ad essa un angolo φ. Pertanto in ogni punto della superficie di scorrimento, la direzione della tensione mutua (somma dello sforzo normale e della tensione tangenziale dovuta all’attrito), in condizioni di equilibrio limite, forma un angolo φ con la normale alla superficie ed è tangente al cerchio d’attrito. Per un assegnato valore di φ l’altezza critica del pendio è data dall’equazione: c Hc = Ns ⋅ (Eq. 18.21) γ Il valore del fattore di stabilità Ns è funzione degli angoli β e φ (Figura 18.20). β

p

S

c

Fattore di stabilità, N = γ H /c

Cerchio di attrito

Superficie di scorrimento circolare

W = peso del terreno c = coesione risultante P = forza risultante φ = angolo di resistenza al taglio β = inclinazione del pendio

Inclinazione del pendio, β (°)

Figura 18.19 - Schema del metodo del cerchio Figura 18.20 - Carta di stabilità di Taylor per d’attrito pendii di terreno dotato di coesione eattrito

18.6 Pendii naturali – Metodi delle strisce Per le verifiche di stabilità dei pendii naturali, spesso caratterizzati da una complessa e irregolare morfologia superficiale e profonda, e da una forte variabilità delle condizioni stratigrafiche e geotecniche, si ricorre, nell’ambito dei metodi all’equilibrio limite, ai cosiddetti metodi delle strisce. Dopo avere scelto e disegnato una o più sezioni longitudinali del pendio in base alla massima pendenza e/o ad altre condizioni critiche come la presenza di strutture o infrastrutture, di discontinuità morfologiche o geologiche, o anche dei segni che indicano un movimento avvenuto, come fratture e rigonfiamenti, si ipotizza una superficie cilindrica di scorrimento potenziale, S, e si suddivide idealmente la porzione di terreno delimitato da S e dalla superficie topografica in n conci mediante n-1 tagli verticali (Figura 18.21), non

347 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

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1

Livello dell’acqua 3

2

i n-1

1

Terreno tipo 1 Terreno tipo 2

n

Superficie S

Figura 18.21 - Schema di suddivisione di un pendio in strisce

normale e tangenziale della forza mutua tra i conci, bi è la quota di applicazione di E’i rispetto alla superficie di scorrimento. Ui è la risultante delle pressioni interstiziali sulla superficie di separazione fra i conci i ed (i+1). N’i e Ti sono le componenti normale e tangenziale della reazione di appoggio del concio sulla superficie di scorrimento, ai è la distanza del punto di applicazione di N’i dallo spigolo anteriore, e Ub,i è la risultante delle pressioni interstiziali alla base del concio.

necessariamente di eguale larghezza, ma tali che l’arco di cerchio alla base di ciascuno di essi ricada interamente in un unico tipo di terreno. Immaginiamo di estrarre il concio i-esimo e di rappresentare le forze che agiscono su di esso in condizioni di equilibrio (Figura 18.22). Il concio ha larghezza ∆xi, e peso Wi. La corda dell’arco di cerchio alla base è inclinata di un angolo αi sull’orizzontale. E’i e Xi, sono le componenti i-1

i ∆xi

E’i-1

Xi

Ui-1 E’i Ui

Wi

Xi-1

bi Ti

Le ipotesi generalmente ammesse da N’i quasi tutti i metodi delle strisce sono: ai αi 1. stato di deformazione piano (ovvero Ub,i superficie cilindrica e trascurabilità degli effetti tridimensionali), 2. arco della superficie di scorrimento Figura 18.22 - Geometria del concio i-esimo e foralla base del concio approssimabile ze agenti su di esso con la relativa corda, 3. comportamento del terreno rigido-perfettamente plastico e criterio di rottura di MohrCoulomb, 4. coefficiente di sicurezza FS eguale per la componente di coesione e per quella di attrito, e unico per tutti i conci, ovvero: T fi 1 (Eq. 18.22) Ti = = ⋅ (c' i ⋅∆li + N i' ⋅ tan ϕ i' ) FS FS ∆x i essendo ∆l i = . cos α i 348 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

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Analizzando le forze agenti sul concio (Figura 18.22) si osserva che: − il peso Wi del concio e le risultanti Ui e Ubi delle pressioni interstiziali sono determinabili, essendo nota la geometria del concio (αi, ∆xi e quindi ∆li) e le caratteristiche geometrice e geotecniche del pendio − la forza di taglio Ti è determinabile, nota la forza normale N’i, dalla Equazione (18.22). e quindi, il bilancio del numero di incognite e di equazioni di equilibrio del sistema è quello indicato in Tabella 18.1. Tabella 18.1 - Numero delle incognite e delle equazioni di equilibrio nel metodo delle strisce Incognite 1 n

' i ' i ' i

N E X

n-1 n-1 n n-1 5n-2

n. tot.

Equazioni di equilibrio FS

n n

ΣV = 0 ΣH = 0

n

ΣM = 0

ai bi 3n

Poiché il numero delle incognite, (5n – 2), è superiore al numero delle equazioni di equilibrio, pari a 3n, il sistema è indeterminato. Per ridurre il numero delle incognite e rendere il sistema determinato, è necessario introdurre alcune ipotesi semplificative. I diversi metodi delle strisce differiscono sulle ipotesi semplificative assunte. I due più semplici e più diffusi metodi delle strisce sono il metodo di Fellenius ed il metodo di Bishop semplificato. Un’ipotesi comune a molti metodi, fra cui i metodi di Fellenius e di Bishop descritti nei paragrafi successivi, ma non a tutti, è l’ipotesi di superficie di scorrimento circolare, sufficientemente ben verificata quando non vi siano condizioni stratigrafiche e geotecniche particolari. Se si accetta tale ipotesi, il coefficiente di sicurezza risulta pari al rapporto fra momento stabilizzante e momento ribaltante rispetto al centro della circonferenza.

∑ FS = ∑

n

i =1 n

T fi T

i =1 i

=

MS MR

(Eq. 18.23)

in cui: n

n

i =1 n

1 n

i =1

1

[

M S = r ⋅ ∑ T fi = r ⋅ ∑ c' ⋅∆li + N i' ⋅ tan ϕ i'

]

(Eq. 18.24)

M R = r ⋅ ∑ Ti = r ⋅ ∑ Wi ⋅ senα i

(Eq. 18.25)

e pertanto:

349 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

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∑ [c'⋅∆l n

M FS = S = MR

i

+ N i' ⋅ tan ϕ i'

]

1

(Eq. 18.26)

n

∑ W ⋅ senα i

i

1

F4 Direzione normale alla superficie di scorrimento αi

Le forze interne Xi e Ei non intervengono perché costituiscono un sistema equilibrato. Consideriamo il poligono delle forze che agiscono sul concio i-esimo (Figura 18.23): F1 = Wi + (X i − X i −1 ) F2 = (E i − E i −1 ) + ( U i − U i −1 ) F3 = Ti F4 = N i' + U bi

F3 F1 F2

Figura 18.23 - Poligono delle forze agenti sul concio i-esimo

18.6.1 Metodo di Fellenius

Il più antico e più semplice metodo delle strisce è il metodo di Fellenius, detto anche metodo svedese o ordinario, che è caratterizzato dalla seguente ulteriore ipotesi semplificativa: per ogni concio la risultante delle componenti nella direzione normale alla superficie di scorrimento delle forze agenti sulle facce laterali è nulla. Con riferimento al poligono delle forze di Figura 18.23, l’equazione di equilibrio nella direzione normale alla superficie di scorrimento è: F1 ⋅ cos α i + F2 ⋅ senα i = F4

[Wi + (X i − X i−1 )] ⋅ cos α i + [(E i − E i−1 ) + (U i − U i−1 )] ⋅ senα i

= N i' + U bi

per l’ipotesi del metodo di Fellenius è:

(Xi − Xi −1 ) ⋅ cos αi + [(Ei − Ei −1 ) + ( Ui − Ui −1 )]⋅ senαi = 0 ne risulta: Wi ⋅ cos α i = N i' + U bi

(Eq. 18.27) 350

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da cui: N i' = Wi ⋅ cos α i − U bi = Wi ⋅ cos α i − u bi ⋅ ∆l i

(Eq. 18.28) avendo ipotizzato una distribuzione uniforme, ubi, delle pressioni interstiziali alla base del concio. L’espressione del momento stabilizzante diventa: n

[

]

n

[

M S = r ⋅ ∑ c'⋅∆l i + N i' ⋅ tan ϕ i' = r ⋅ ∑ c'⋅∆l i + ( Wi ⋅ cos α i − u bi ⋅ ∆l i ) ⋅ tan ϕ i' 1

]

(Eq. 18.29)

1

e quindi il coefficiente di sicurezza è:

∑ [c'⋅∆l n

M FS = S = MR

i

+ ( Wi ⋅ cos α i − u bi ⋅ ∆l i ) ⋅ tan ϕ i'

1

(Eq. 18.30)

n

∑ W ⋅ senα i

]

i

1

Il coefficiente di sicurezza calcolato è relativo alla superficie di scorrimento potenziale considerata. Il valore minimo di FS corrisponde alla superficie di scorrimento potenziale critica e deve essere determinato per tentativi, come vedremo nel seguito. Il metodo di Fellenius è in genere conservativo, poiché porta ad una sottostima del coefficiente di sicurezza rispetto ai valori stimati con altri metodi più accurati. 18.6.2 Metodo di Bishop semplificato

Il metodo di Bishop semplificato è attualmente il più diffuso ed utilizzato fra i metodi delle strisce. Esso è caratterizzato dalla seguente ulteriore ipotesi semplificativa: per ogni concio la risultante delle componenti nella direzione verticale delle forze agenti sulle facce laterali è nulla. Con riferimento al poligono delle forze di Figura 18.23, l’equazione di equilibrio nella direzione verticale è: F1 − F3 ⋅ senα i = F4 ⋅ cos α i Wi + (X i − X i −1 ) − Ti ⋅ senα i = ( N i' + U bi ) ⋅ cos α i per l’ipotesi del metodo di Bishop semplificato è: (X i − X i −1 ) = 0

ne risulta: Wi − Ti ⋅ senαi = ( N i' + U bi ) ⋅ cos α i ed essendo:

351 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

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(

1 ⋅ ci' ⋅ ∆li + Ni' ⋅ tan ϕi' FS ∆x i ∆li = cos αi

Ti =

)

U bi = u i ⋅ ∆li ne segue: ⎛ ⎞ ∆x i ⎞ 1 ⎛ ' ∆x i ⎟ ⋅ cos α i ⋅ ⎜⎜ c i ⋅ + N i' ⋅ tan ϕ i' ⎟⎟ ⋅ senα i = ⎜⎜ N i' + u i ⋅ FS ⎝ cos α i cos α i ⎟⎠ ⎝ ⎠

Wi −

e sviluppando: N i' =

1 ' ⋅ c i ⋅ ∆x i ⋅ tan α i FS ⎛ tan ϕ i' ⋅ tan α i ⎞ ⎟⎟ cos α i ⋅ ⎜⎜1 + FS ⎝ ⎠

Wi − u i ⋅ ∆x i −

n

MS = ∑ 1

(Eq. 18.31)

⎡ ⎤ ⎢ ⎥ 1 ' ' ⎢ ⎥ c i ⋅ ∆x i + ( Wi − u i ⋅ ∆x i ) ⋅ tan ϕ i ⋅ ' ⎥ ⎢ ⎛ tan α i ⋅ tan ϕ i ⎞ ⎟⎟ ⎥ ⎢ cos α i ⋅ ⎜⎜1 + FS ⎝ ⎠ ⎦⎥ ⎣⎢

[

]

(Eq. 18.32)

La soluzione è ricercata per via iterativa fissando un primo valore di tentativo per FS. Il coefficiente di sicurezza calcolato è relativo alla superficie di scorrimento potenziale considerata. Il valore minimo di FS corrisponde alla superficie di scorrimento potenziale critica e deve essere determinato per tentativi.

18.6.3 Ricerca della superficie circolare di scorrimento potenziale critica Quando si studiano le condizioni di stabilità di un pendio naturale che non ha avuto movimenti significativi, e che quindi non presenta tracce di intersezione tra la superficie di scorrimento e la superficie topografica, la superficie di scorrimento critica, ovvero la superficie cui è associato il minimo valore del coefficiente di sicurezza, deve essere determinata per tentativi. Se, tenuto conto delle condizioni stratigrafiche e geotecniche del pendio, si ritiene plausibile l’ipotesi di superficie di scorrimento circolare, la circonferenza critica è determinata quando se ne conoscano la posizione del centro ed il raggio. Se il calcolo è svolto a mano, il numero di superfici che possono essere analizzate è necessariamente ridotto, ed inoltre si preferirà utilizzare il metodo di Fellenius rispetto al metodo di Bishop semplificato, poiché il calcolo del coefficiente di sicurezza con quest’ultimo metodo richiede un procedimento iterativo per ogni superficie considerata. Tuttavia molto spesso le condizioni morfologiche, stratigrafiche e geotecniche del pendio sono tali che, con un minimo di buon senso e di esperienza, anche con un numero ridotto di tentativi si riesce ad individuare la superficie di scorrimento critica.

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Attualmente la diffusione dei programmi di calcolo automatico ha eliminato il problema della lunghezza e della laboriosità del calcolo numerico, sebbene siano sempre necessari esperienza e buon senso per definire i confini del campo di ricerca. La procedura di ricerca della superficie circolare critica e del relativo (a) Centro della superficie coefficiente di sicurezdi scorrimento Cerchio critico (b) za è illustrata in Figura 18.24. Eseguendo l’analisi di stabilità per un certo numero di cerchi aventi lo stesso cen(c) tro e diverso raggio, e diagrammando i coefficienti di sicurezza otte(d) nuti in funzione del raggio si ottengono dei Terreno di riempimento punti che appartengono sabbioso Argilla soffice ad una linea che presenta un minimo. Tale va- Figura 18.24 - Procedura per la determinazione della superficie lore è il coefficiente di circolare di scorrimento critica e del coefficiente di sicurezza sicurezza minimo associato al centro comune dei cerchi considerati. Ripetendo la procedura per diversi centri di cerchi disposti ai nodi di un reticolo a maglia rettangolare o quadrata, si otterrà un piano quotato, di cui si potranno tracciare le linee di livello che descrivono una porzione di superficie tridimensionale. Se tale superficie presenta un minimo, il punto corrispondente al minimo avrà come coordinate planimetriche le coordinate del centro della superficie circolare critica e come quota il coefficiente di sicurezza del pendio. Se la superficie presenta più minimi relativi significa che esistono più superfici critiche di scorrimento potenziale.

18.6.4 Effetti tridimensionali La maggior parte dei metodi di verifica della stabilità dei pendii considerano il problema piano, ovvero assumono una geometria cilindrica trascurando gli effetti tridimensionali. Tale ipotesi è generalmente ben verificata per i pendii artificiali ma non per i pendii naturali. Se si esegue la verifica di stabilità per la sezione più critica, corrispondente in genere alla sezione longitudinale in asse alla frana, il coefficiente di sicurezza ottenuto è una sottostima del valore reale. Un metodo approssimato per tenere conto degli effetti tridimensionali, è il seguente: Si considerano n sezioni longitudinali parallele equidistanti, e per ciascuna di esse si calcola il coefficiente di sicurezza minimo FSi, che risulta associato ad un’area Ai di terreno in frana potenziale. Il coefficiente di sicurezza globale del pendio è stimato con l’equazione: ∑ FSi ⋅ A i FS = (Eq. 18.34) ∑ FSi 353 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

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18.7 Scelta del coefficiente di sicurezza La scelta del valore del coefficiente di sicurezza da utilizzare nelle verifiche di stabilità dei pendii richiede un giudizio critico da parte dell’ingegnere geotecnico, poiché sono molti i fattori di cui tenere conto. Occorre infatti considerare: - l’affidabilità del modello geotecnico, ovvero dello schema stratigrafico di riferimento e della caratterizzazione meccanica dei terreni, - i limiti del metodo di calcolo, ovvero delle ipotesi semplificative ad esso associate, - le conseguenze di un’eventuale rottura, - la vulnerabilità delle strutture e delle infrastrutture, la cui funzionalità potrebbe essere compromessa anche da movimenti che hanno luogo con coefficienti di sicurezza superiori ad 1 (stato limite di servizio), - il tempo, ovvero se la stabilità del pendio deve essere assicurata per un breve oppure per un lungo periodo di tempo. La Normativa Italiana attualmente in vigore (D.M. LL.PP. 11/03/88) prescrive che: “Nel caso di terreni omogenei e nei quali le pressioni interstiziali siano note con sufficiente attendibilità, il coefficiente di sicurezza non deve essere minore di 1,3. Nelle altre situazioni il valore del coefficiente di sicurezza da adottare deve essere scelto caso per caso, tenuto conto principalmente della complessità strutturale del sottosuolo, delle conoscenze del regime delle pressioni interstiziali e delle conseguenze di un eventuale fenomeno di rottura.” A titolo indicativo, se la conoscenza delle condizioni stratigrafiche e geotecniche è buona, e le conseguenze di una eventuale rottura non sono particolarmente drammatiche, per le verifiche di stabilità di scavi o di pendii naturali “a priori”, ovvero se non si è manifestata la frana, si può adottare un coefficiente di sicurezza compreso tra 1,3 e 1,4 in relazione al metodo di calcolo impiegato, mentre per le verifiche di stabilità “a posteriori”, ovvero dopo che si è manifestata la frana, e quindi si conosce la superficie di scorrimento e si utilizza la resistenza al taglio residua del terreno, potranno essere adottati coefficienti di sicurezza minimi compresi tra 1,2 e 1,3. Valori maggiori dei coefficienti di sicurezza devono essere utilizzati per opere quali le dighe in terra, che comunque dovranno essere costantemente monitorate durante le varie fasi di esercizio.

18.8 Criteri di intervento per la stabilizzazione delle frane Per stabilizzare una frana in atto, o comunque per aumentare il coefficiente di sicurezza di un pendio, FS, che, come è stato detto, è il rapporto tra la capacità di resistenza lungo la superficie di scorrimento potenziale critica, C, e la domanda di resistenza, ovvero la resistenza necessaria per l’equilibrio, D, occorrono interventi volti a produrre un aumento di C, o una diminuzione di D, oppure entrambe le cose. Sebbene qualunque intervento richieda un’analisi del fenomeno in atto, o temuto, sia dal punto di vista tipologico, sia dal punto di vista morfologico e plano-altimetrico, sia per ciò che riguarda i litotipi coinvolti e le loro caratteristiche geotecniche, sia per quanto riguarda le condizioni idrogeologiche, è innanzitutto necessario distinguere tra interventi d’urgenza e interventi definitivi. 354 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 18

STABILITÀ DEI PENDII

Se è richiesto un intervento di urgenza, perché la frana è in atto e costituisce minaccia incombente a persone o a beni, fatta salva la necessità di richiedere l’evacuazione della zona a rischio, occorre raccogliere il maggior numero di informazioni esistenti o disponibili in breve tempo, e predisporre quelle misure rapide ed economiche che, pur non essendo risolutive, portano ad una riduzione del rischio, o comunque non lo accrescono. Ad esempio, non rimuovere l’accumulo al piede che, col proprio peso, produce un momento stabilizzante, eliminare le zone di ristagno dell’acqua piovana facilitandone invece il ruscellamento, ripristinare l’efficienza di canalette e fossi di guardia, sigillare le fratture per limitare le infiltrazioni di acqua piovana, etc.. Per progettare un intervento di sistemazione definitivo è necessario svolgere tutte le indagini, geologiche, geofisiche, geotecniche, topografiche, e mettere in opera tutti gli strumenti (piezometri, inclinometri, estensimetri, basi topografiche), necessari per chiarire l’estensione e la cinematica del fenomeno. Poiché in genere il costo delle indagini rappresenta una parte piccola rispetto al costo complessivo dell’intervento di stabilizzazione di una frana, e poiché in assenza di dati affidabili il progettista tende ad assumere ipotesi molto cautelative che comportano un sovradimensionamento delle opere da realizzare, non è conveniente risparmiare sulle indagini (naturalmente purché siano ben programmate ed eseguite). È inoltre sempre opportuno prevedere indagini e controlli durante e dopo la realizzazione delle opere, compresa la messa in opera di strumentazione adeguata, per verificare le ipotesi di progetto, l’efficacia dell’intervento eseguito e controllare il decorso dei movimenti nel tempo, prolungando il monitoraggio per almeno un intero ciclo stagionale dopo il termine dei lavori. Dopo avere raccolto tutte le informazioni necessarie, si definisce il modello geotecnico, ovvero lo schema fisico meccanico interpretativo del fenomeno, e si procede alla verifica di stabilità del pendio, nelle condizioni precedenti l’intervento di stabilizzazione, con i metodi della geotecnica (fra cui, ma non solo, quelli all’equilibrio limite visti ai paragrafi precedenti). Se la frana è avvenuta si può eseguire un’analisi a ritroso (back analysis), ovvero si impone che per la superficie di scorrimento reale (se individuata) e nelle condizioni idrogeologiche esistenti al momento della frana, risulti FS = 1, si ricava il valore medio della resistenza al taglio a rottura, e lo si confronta con il valore desunto dalle prove di laboratorio. La prima fase della progettazione è finalizzata ad individuare i fattori che maggiormente influenzano la stabilità del pendio, ed alla selezione, scelta e verifica dell’efficacia dei possibili interventi di stabilizzazione. In Tabella 18.2 sono elencati i criteri di scelta e i principi fisici dei provvedimenti possibili. Essi possono essere suddivisi in due grandi categorie generali: i provvedimenti volti a ridurre la domanda di resistenza, D, e quelli volti ad aumentare la capacità di resistenza, C. Limitandoci ad una sommaria disamina dei provvedimenti per la stabilizzazione di movimenti franosi in terreni sciolti, nella prima categoria sono compresi: - la riprofilatura del pendio, ovvero la modifica della superficie topografica con riduzione della pendenza, alleggerimento della sommità e/o appesantimento del piede del pendio. Interventi di questo tipo hanno efficacia per movimenti franosi di tipo rotazionale non molto profondi; - l’inserimento di opere di sostegno passive, quali muri, terra armata, paratie, pali, reticoli di micropali e pozzi, al piede della frana, con lo scopo di trasferire la spinta dell’ammasso a strati più profondi e stabili. Possono essere impiegati solo per frane di spessore modesto. 355 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

Capitolo 18

STABILITÀ DEI PENDII

Tabella 18.2 - Principi e metodi di stabilizzazione dei pendii e delle scarpate (da Jappelli, Manuale di Ingegneria Civile) CRITERIO

PRINCIPIO FISICO

PROVVEDIMENTO

NOTE

Non sempre fattibile per il costo elevato, per l’esistenza di manufatti, per pendii molto lunghi Molto costosi e non Muri di sostegno sempre adeguati Sistemi di pali Non sempre efficaci Devono essere progetAncoraggi pesanti tati con criteri cautelativi specialmente quanParatie e palancolate con do previsti con funzioo senza ancoraggio ne di sostegno permanente Si applicano prevalenChiodi temente a pendii in roccia Applicazioni di elementi strutturali con tiranti pretesi Applicazioni di rinfianchi o placcaggi al piede del pendio Allontanamento delle acque superficiali Spesso applicabili Drenaggio: a) dreni orizzontali b) pozzi c) dreni verticali d) gallerie drenanti e) trincee drenanti Elettroosmosi Generalmente di costo Addensamento elevato ed applicabili Iniezioni solo in terreni o rocce Congelamento particolari Cottura

Scavo di alleggerimento Riduzione degli sforzi sulla sommità del pendio tangenziali lungo la superficie di scivolamen- Abbattimento della scarto pata

Riduzione delle forze che tendono a provocare la rottura

Trasferimento degli sforzi tangenziali ad elementi strutturali fondati o ancorati ad una formazione sottostante non interessata dal dissesto

Aumento degli sforzi normali totali lungo la superficie di scivolamento

Aumento delle forze Riduzioni delle pressioni interstiziali in resistenti punti interni o lungo il contorno

Miglioramento della resistenza al taglio del materiale

Nella seconda categoria rientrano: - le opere per la disciplina delle acque superficiali, come fossi e cunette di guardia, fascinate, inerbimenti e rimboschimenti, che hanno lo scopo di ridurre le infiltrazioni di acqua dalla superficie e quindi le pressioni interstiziali, e di aumentare la resistenza al taglio del terreno più superficiale, anche per mezzo delle “armature” costituite dall’apparato radicale delle piante. Tali interventi hanno efficacia solo per stabilizzare la coltre più superficiale di terreno; 356 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

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- le opere di drenaggio superficiali e profonde (trincee drenanti, pozzi drenanti, dreni suborizzontali, cunicoli e gallerie drenanti, elettroosmosi) hanno lo scopo di ridurre le pressioni interstiziali e quindi accrescere le pressioni efficaci e la resistenza al taglio del terreno. Sono i provvedimenti più diffusi ed efficaci per la stabilizzazione della maggior parte dei movimenti franosi profondi. In zone urbanizzate occorre verificare l’entità e gli effetti dei cedimenti di consolidazione indotti dall’abbassamento del livello di falda; - piastre e travi che, per mezzo di tiranti di ancoraggio pretesi, comprimono il terreno aumentando le tensioni normali, e quindi la resistenza al taglio, lungo la superficie di scorrimento; - altri interventi finalizzati al miglioramento delle caratteristiche meccaniche del terreno, quali iniezioni di miscele chimiche o cementizie, trattamenti termici come congelamento o cottura, etc.., i quali sono utilizzabili solo in casi particolari.

357 Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)