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NEFROLOGIA
Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
NOSOGRAFIA DELLE NEFROPATIE E SEMEIOTICA NEFROLOGICA
ANATOMIA
L'apparato escretore è composto da reni, calici, pelvi, ureteri, vescica e uretra. I reni sono organi pari situati in posizione retroperitoneale contornati da un abbondante strato di tessuto adiposo nella loggia renale che si trova sotto alle ultime arcate costali. Possiede una capsula periferica sotto la quale si trova la regione corticale formata da glomeruli, vasi e tubuli, sotto a questa c'è la regione midollare costituita prevalentemente da tubuli e organizzata in piramidi che sfociano in papille che confluiscono all'interno di calici minori e maggiori dai quali l'urina si riversa nella pelvi o bacinetto renale che è la prima tappa della via di trasporto dell'urina, continuando con ureteri, vescica e uretra. L'unità morfofunzionale del rene è il nefrone costituito da una parte glomerulare e una parte tubulare. Il glomerulo è un intricato sistema capillare deputato alla filtrazione grazie alla porosità del suo epitelio e il sistema tubulare ha funzione di trasporto, riassorbimento delle sostanze utili nell'ultrafiltrato e secrezione di sostanze. Il nefrone è fatto da glomerulo, capsula di Bowman che raccoglie l'ultrafiltrato, tubulo contorto prossimale dove viene riassorbita acqua e la maggior parte dei soluti, ansa di Henle discendente e ascendente, tubulo contorto distale in cui avviene secrezione e riassorbimento e tubulo collettore in cui si riversa la pre-urina che viene ulteriormente privata di acqua attraverso un riassorbimento mediato da ADH e aldosterone.
La vascolarizzazione renale si basa sull'arteria renale che deriva direttamente dall'aorta addominale. La renale poi si divide in un tronco anteriore e uno posteriore che si dividono ulteriormente in vari rami che entrano all'interno Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
della midollare e risalgono lungo i margini delle piramidi come arterie interlobari, poi arrivati alla base della piramide diventano arterie arcuate dalle quali sfioccano parallele le arteriole interlobulari dalle quali originano le arteriole afferenti che proseguono nel glomerulo, escono nell'arteriola afferente che nei nefroni corticali prosegue verso l'alto nella rete capillare interstiziale sottocapsulare e torna indietro come vene stellate, nei nefroni iuxtamidollari scende lungo la midollare per irrorare i tubuli e poi risale e riconfluisce nelle vene arcuate che diventano vene interlobari e vene renali che risalgono nella cava inferiore. Nei nefroni iuxtamidollari l'arteriola efferente oltre a dare origine ai capillari peritubulari dà origine anche ai vasa recta che si approfondano nell'interstizio e sono fondamentali per creare un gradiente osmolare utilizzato nei processi di riassorbimento ed escrezione. I capillari glomerulari sono rivestiti da cell epiteliali chiamate podociti che formano il foglietto viscerale della capsula di Bowman. L'endotelio dei capillari glomerulari possiede una membrana basale che insieme ai pedicelli dei podociti determina la barriera di filtrazione che è arricchita dai diaframmi di filtrazione che si creano tra i pedicelli formati da podocalicina. Il complesso di filtrazione possiede proteine che hanno una carica intrinseca globale negativa per cui per un certo diametro delle particelle, quelle cariche + saranno facilitate nel loro passaggio. L'endotelio possiede pori di filtrazione che lasciano passare le molecole più piccole come acqua, glucosio, sodio e urea ma non le proteine. L'apparato juxtaglomerulare è un complesso formato da una porzione della parete dell'arteriola afferente che contiene granuli che secernono renina, da una porzione del tubulo contorto distale che risale e si incontra con l'arteriola afferente che viene detto macula densa e contiene chemocettori e le cellule del mesangio intraglomerulare che hanno una funzione difensiva e fagocitaria. FISIOLOGIA
Il rene ha diverse funzioni essenziali per la vita: 1. Escretoria: vengono eliminati prodotti del catabolismo endogeno e prodotti estranei (urea, tossine, farmaci...) 2. Controllo dell'osmolarità e del volume dei liquidi corporei 3. Omeostasi dell'equilibrio elettrolitico 4. Omeostasi dell'equilibrio acido-base 5. Ormonale: produzione di diversi ormoni come l'eritropoietina, la renina, le prostaglandine e il calcitriolo (vitamina D3 attivata). 6. Metabolica 1) La funzione ESCRETORIA è diretta al mantenimento dell'omeostasi dei fluidi organici di cui regola volume, concentrazione e composizione nei settori intra ed extracellulari. È permessa da: Filtrazione glomerulare: concetto di clearance (volume di plasma completamente depurato da una sostanza nell'unità di tempo e come tale reimmesso in circolo mentre la sostanza è stata eliminata con le urine). La clearance di una sostanza si misura in questo modo:
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Pz x C = Uz x V dove Pz è la concentrazione della sostanza z nel plasma e Uz nelle urine mentre V è il flusso urinario al minuto. La clearance infatti si specializza nella funzione escretrice del rene. Il flusso plasmatico renale (FPR) che è il 20% della GC entra nel rene e in parte entra nel glomerulo, in parte lo evita ma comunque la quantità che entra con l'arteria renale è uguale alla quantità che esce attraverso l'urina + la quantità che esce attraverso la vena renale. La VFG è la velocità di filtrazione glomerulare che può essere determinata attraverso il calcolo della clearance per certe sostanze che quando vengono assorbite vengono anche tutte espulse nelle urine e non vengono né metabolizzate, né riassorbite, né secrete. Ad esempio l'inulina o la creatinina (+ usata perchè è endogena). La VFG viene mantenuta costante grazie a diversi meccanismi di autoregolazione e in genere sta intorno ai 125 ml/min. La frazione di plasma filtrata dai glomeruli è la frazione di filtrazione cioè VFG/FPR ed è tra 0,15 e 0,20. Funzioni tubulari: sono il riassorbimento di glucosio, di urea, di acqua, eliminazione di Na, K, acqua e protoni. Ogni segmento tubulare ha la sua specialità. La funzione escretoria viene effettuata attraverso 3 processi: - Filtrazione: avviene attraverso un gradiente di pressione oncotica e idrostatica tra il capillare glomerulare e la capsula di Bowman secondo le forze di Starling. VFG = (Pidr cap + Ponc Bow) – (Pidr Bow + Ponc cap) x indice di filtrazione. Il 20% della componente acquosa del plasma viene filtrata dal glomerulo, le proteine non passano, le sostanze di peso di alcune migliaia di Dalton possono passare. Si genera così l'ultrafiltrato. - Riassorbimento: attivo, passivo (semplice o facilitato con associato sempre il passaggio di acqua), pinocitosi (per le proteine). - Secrezione: attiva o passiva, importante la secrezione di protoni e K per scambio selettivo con Na o altri elementi. 2) La funzione ORMONALE comprende produzione di Renina: ormone prodotto dalle cellule granulari della parete dell'arteriola afferente e permette la conversione dell'angiotensinogeno prodotto dal fegato in Ang I, la quale poi viene trasformata in Angiotensina II dall'enzima endoteliale ACE. L'Ang II ha funzione vasocostrittrice e stimola il riassorbimento di Na e acqua aumentando la pressione arteriosa. Inoltre stimola la secrezione di aldosterone e di ADH. Eritropoietina: ormone secreto dall'interstizio della corticale renale a funzione di fattore di crescita. Entra in circolo e stimola la proliferazione dei globuli rossi. Calcitriolo: derivato attivo della vitamina D3 che regola il metabolismo del calcio e del fosfato. Callicreina, Prostaglandine. 3) La funzione METABOLICA comprende: Gluconeogenesi Ammoniogenesi Sintesi di AA Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
Metabolismo di ormoni extrarenali
In un soggetto normale il flusso ematico renale è 1,5 L /min che corrisponde circa a 25% della GC e rimane costante a fronte dei cambiamenti grazie all'autoregolazione che si basa su 2 principi: Meccanismo miogeno: quando la P arteriosa aumenta l'arteriola afferente tende a contrarsi in modo da rendere costante il flusso. Feedback tubulo-glomerulare: la macula densa rileva con i suoi chemocettori la concentrazione salina dell'ultrafiltrato e se questa è eccessiva invia impulsi vasocostrittori all'arteriola afferente in modo che venga limitata VFG e forse anche stimoli dilatatori che agiscono sull'arteriola efferente in modo da diminuire la pressione nel glomerulo. I fattori che regolano il FER e la VFG sono diversi e sono in grado di alterare l'autoregolazione renale fisiologica: Nervi simpatici: attraverso la liberazione di catecolamine causano una vasocostrizione dell'arteriola afferente e riducono FER e VFG. AngiotensinaII: costringe sia l'arteriola afferente che efferente e riduce pertanto FER e VFG. Prostaglandine, NO, Bradichinina, Dopamina: aumentano VFG e FER Endotelina, Istamina, Adenosina: riduzione VFG e FER. GENERALITA' NEFROPATIE E SEMEIOTICA
Per valutare la presenza o l'assenza di nefropatia l'esame chiave è l'esame delle urine; per vedere la natura della nefropatia è necessaria la biopsia renale, mentre per vedere l'entità del disordine fisiologico è necessaria la clearance della creatinina. Le nefropatie si possono classificare in base a: Criteri eziologici: la maggior parte dei quali sono però ancora ignoti. Criteri patogenetici: con o senza danno immunologico Criteri funzionali: con o senza scompenso Criteri cronologici: acute, croniche o subacute Criteri clinici: sindrome nefrosica o nefritica Criteri morfologici: restano sempre i più rilevanti nel suddividere le nefropatie. Le nefropatie sono di 4 tipi in base a quale dei 4 settori del rene è coinvolto: Glomerulo, Tubulo, Vasi, Interstizio. La modalità di presentazione di una nefropatia può essere di 4 tipi: 1. Paziente asintomatico che non si accorge della patologia 2. Paziente asintomatico che arriva dal medico a seguito di riscontri laboratoristici o clinici casuali 3. Paziente che lamenta sintomi renali 4. Paziente con patologia sistemica che può avere implicazioni renali. I principali sintomi riferibili a patologia renale sono Dolore (dolore lombare o colica renale), ricordando che il dolore può
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essere renale puro, da colica reno ureterale o minzionale. Il dolore da colica è evocato dalla dilatazione delle vie d'escrezione dalla pelvi al termine degli ureteri, infatti palpando qualsiasi zona del percorso delle vie escretrici si evoca dolore in caso di colica renale. L'ostruzione acuta è molto dolorosa mentre la cronica può passare inosservata. Si irradia anche anteriormente fino ai genitali e lungo la parte interna della coscia. Il dolore può essere anche a livello parenchimale e il metodo più usato per verificarlo è la manovra di Giordano; in più è localizzato a livello delle vertebre lombari, delle coste e della punta della scapola. Disturbi minzionali (stranguria, tenesmo..) Disturbi sistemici (gastrointestinali o neurologici) I principali segni clinici obiettivi sono: Alterazioni urinarie (del ritmo, del volume o della composizione) Alterazioni renali locali (masse o soffi) Segni nefrologici (edema, ipertensione, ematuria..) Segni indicativi di malattia sistemica (porpora, artropatie..) Anomalie della minzione e della diuresi: Disuria: difficoltà all'emissione dell'urina per ostruzione a livello prostatico, vescicale o uretrale. Pollachiuria: minzioni frequenti con quantità ridotte di urina Stranguria: minzione dolorosa Tenesmo: sensazione di dover urinare subito dopo aver urinato Oliguria: produzione di urina giornaliera minore di 500 cc Anuria: produzione di meno di 50 cc di urina nelle 24 ore Poliuria: produzione di una quantità esagerata di urina fino a 1,5-2 l al giorno, può essere di tipo idrico, osmotico o misto. Nicturia: necessità di doversi alzare la notte per lo stimolo ad urinare. Si manifesta quando il 70% della massa renale risulta insufficiente. Bisogna distinguerla dalla nicturia cardiaca dovuta ad un aumento del sangue in posizione addominale durante ortostatismo che aumenta la diuresi. Enuresi: emissione involontaria di urine di solito di notte, senza dolore, tenesmo e in perfette condizioni vescicali durante la veglia Incontinenza urinaria: perdita involontaria di urine conseguente a disfunzione del detrusore e dello sfintere uretrale esterno. Ritenzione urinaria: graduale accumulo di urine in vescica che non riescono ad essere eliminate. Aumento del residuo post-minzionale. ESAME URINE E' l'esame più semplice per valutare la funzionalità renale. Viene effettuato in genere prelevando le urine del mattino cercando di togliere la prima parte dopo un'accurata pulizia dei genitali esterni, l'esame deve essere effettuato subito per evitare alterazioni del pH o proliferazione della flora batterica. 1. Esame fisico ◦ Aspetto: limpido ◦ Odore: sui generis, maleodorante in corso di infezione Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
◦ Colore: giallo paglierino. Possono esistere colorazioni Rosse (ematuria, mioglobinuria, alimenti...), Arancione (bilirubinuria), Verde (itteri intensi e farmaci), Nero (emoglobinuria), Blu (coloranti), Bianco (piuria e chiluria). 2. Esame chimico ◦ pH: oscilla tra 5-6 è acido ◦ Peso specifico: 1015-1025 si parla di ipostenuria sotto i 1015 e iperstenuria sopra i 1025. Dimostra la capacità di concentrazione delle urine ◦ Glicosuria: presenza di glucosio nelle urine deve essere assente! Se c'è indica diabete mellito o alterazione tubulare. ◦ Proteinuria: non deve essere oltre 20 mg/dL. Si distingue in selettiva (se passa un solo tipo di proteina come albuminuria) o non selettiva (caso + grave perchè passano proteine anche più grosse). ◦ Ematuria: deve essere assente! Se presente può essere micro o macroscopica. In genere la macroematuria che proviene dal rene è rosso scuro, dalle basse vie urinarie è rosso vivo. ◦ Pigmenturia: presenza di pigmenti che cambiano il colore all'urina, i più frequenti sono miglobina, emoglobina e bilirubina. ◦ Piuria: urina con pus che sta ad indicare un'infezione in atto. 3. Esame microbiologico 4. Esame del sedimento: devono essere valutati cellule, cilindri, cristalli, batteri, miceti e parassiti. Per valutare l'eventuale presenza di masse renali si effettua la manovra di Guyton per cui si pone una mano sotto le ultime coste del paziente e si spinge verso l'alto mentre con l'altra mano si palpa l'addome in sede ipocondrica. Questo è generalmente effettuato negli adulti, in quanto le masse renali nei bambini si possono facilmente vedere. Parametri laboratoristici di funzionalità renale: Creatinina plasmatica: 0,6-1,2 mg/dL Azotemia plasmatica: 0,15-0,50 g/l Clearance creatinina: 125 ml/min Semeiotica morfologica: Rx addome Ecografia Doppler Urografia endovenosa Pielografia ascendente Cistouretrografia Arteriografia renale Scintigrafia renale TC RMN Biopsia (morfologia microscopica) ◦ Ottica ◦ Immunofluorescenza Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
◦ Elettronica
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INSUFFICIENZA RENALE ACUTA
GENERALITA'
Condizione in cui il rene non è in grado di espletare la sua funziona non riuscendo a controllare il volume dei liquidi e l'osmolarità e non permettendo l'eliminazione delle sostanze di rifiuto. Questo processo avviene nel giro di ore o giorni. Si tratta di una condizione che se trattata precocemente è reversibile a differenza dell'insufficienza renale cronica. L'IRA è responsabile dell'1-3% dei ricoveri in ospedale e si pensa che si manifesti nel 5% dei pz ricoverati peggiorando la prognosi essendo una causa intrinseca di morbilità e mortalità. Si divide in 3 forme: 7. IRA pre-renale: dovuta ad una scarsa perfusione ematica del rene dovuta a problemi a monte che innescano una riduzione della pressione o una riduzione del volume. 8. IRA post-renale: condizione riferibile ad un'ostruzione delle vie urinaria che non permette la fuoriuscita dell'urina che si accumula e può retrocedere dando lesioni al parenchima renale. 9. IRA renale o organica: condizione in cui c'è un danno parenchimale che riguarda: ◦ Glomeruli ◦ Tubuli ◦ Interstizio ◦ Vasi
IRA PRE-RENALE
EZIOLOGIA
Rappresenta il 70-80% delle IRA. Riduzione della P arteriosa: ◦ Infarto miocardico ◦ Shock ◦ Sepsi ◦ Embolia Riduzione del volume circolante ◦ Emorragia ◦ Disidratazione (vomito, sudorazione profusa, diarrea) ◦ Perdita di plasma (ustioni, traumi estesi) ◦ Sequestro in 3° luogo (edema, cirrosi)
PATOGENESI
Si tratta di una condizione fisiologica o parafisiologica in cui il rene risponde a una riduzione dell'afflusso ematico attraverso dei meccanismi intrinseci che gli permettono di mantenere costante la filtrazione favorendo però in casi
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gravi la perfusione ai parenchimi nobili. Infatti il rene ipoperfuso va incontro ad un'autoregolazione per mantenere costante nei limiti del possibile la VFG e il FPR attraverso: Meccanismo miogeno Feedback tubulo-glomerulare In questo modo la VFG e il FPR restano costanti a seguito di vasocostrizione dell'arteriola afferente. Tuttavia il rene è in grado di fare ciò in un range di pressione che va dai 70 mmHg ai 180 mmHg. Sotto ai 70 c'è un calo drastico sia di VFG che di FPR per vasocostrizione massiccia dell'arteriola afferente in modo da evitare che il paziente con ridotta pressione e ridotta volemia perda ulteriori liquidi attraverso una filtrazione non necessaria. Pertanto si verifica una vasocostrizione generale della corticale renale e di conseguenza ci sarà un'OLIGURIA (500 cc di urine al giorno) che viene favorita anche dal conseguente iperafflusso midollare che favorisce un riassorbimento massivo di acqua e sodio. Tutto ciò si associa ad aumento dello stimolo simpatico e liberazione di renina, aldosterone e ADH che favoriscono l'ulteriore riassorbimento tubulare. Così le urine saranno poche e molto concentrate con una ridotta quantità di sodio e acqua e costituite quasi esclusivamente da prodotti di scarto. CLINICA DIAGNOSI
Il quadro clinico è variabile e correlato alla malattia di base. Il paziente è oligurico e non anurico.
Anamnesi Esame obiettivo (clinica) Laboratorio: essenziale l'esame delle urine e del sangue. ◦ Sangue: ▪ Creatinina: oltre 1,4 mg/dL ▪ Urea: molto maggiore del valore normale di 30 mg/dL ▪ Squilibri elettrolitici variabili ◦ Urina: ▪ Peso specifico: iperstenuria (maggiore di 1013) ▪ Osmolarità: maggiore di 500 ▪ Na urinario: molto basso
TERAPIA
Ripristinare una volemia ed una pressione adeguata attraverso restituzione di acqua e sangue.
PROGNOSI
Se il paziente viene trattato subito la condizione è reversibile e c'è guarigione, se il paziente non viene curato subito o non può essere trattato si va incontro a IRA organica che può sia risolversi che evolvere in IRC irreversibile.
IRA POST-RENALE
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EZIOLOGIA
Comprende il 10-20% dei casi di IRA ed è maggiormente di pertinenza urologica. Occlusione delle vie urinarie superiori intrinseca: ◦ Calcolo ◦ Coagulo ◦ Necrosi papillare ◦ K a cell transizionali ◦ Reflusso vescico-ureterale Occlusione delle vie urinarie superiori estrinseca: ◦ Fibrosi retroperitoneale ◦ Compressione (es. aneurisma aorta addominale) ◦ Neoplasia 5. Ostruzione delle vie urinarie inferiori: 1. Iperplasia prostatica benigna 2. K prostatico 3. K vescicale 4. Coaguli 5. Palla fungina 6. Vescica neurogena (non si riesce a svuotare) 7. Catetere mal posizionato.
PATOGENESI
In questa situazione il paziente diventa sintomatico solo se l'ostruzione è bilaterale o se l'ostruzione è monolaterale in un paziente monorene, altrimenti la funzione renale è preservata dal rene funzionante. L'ostruzione improvvisa totale blocca completamente l'escrezione urinaria con aumento della pressione ureterale a monte dell'ostruzione. Questa pressione può permettere all'urina di risalire fino alla pelvi dilatandola e in casi gravi risalire nei tubuli collettori riducendo drasticamente la filtrazione. Se l'ostruzione non è completa ed è cronica il paziente non è subito anurico ma ha una certa dilatazione della pelvi che se non viene trattata può andare incontro ad un meccanismo compensatorio per cui il rene non produce più urina e la P si bilancia, ma il danno organico diventa massimo e c'è blocco di perfusione fino alla distruzione renale.
CLINICA
La clinica è variabile e correlata alla malattia scatenante. La diuresi è indicativa e diagnostica in quanto il paziente è ANURICO cioè non libera urine (meno di 50 cc nelle 24 ore). Ci possono essere casi in cui l'ostruzione non è completa e quindi il paziente è oligurico oppure oligurico associato ad una fase seguente di poliuria conseguente ad un danno tubulo-interstiziale.
DIAGNOSI
Anamnesi Esame obiettivo (clinica) Laboratorio: ◦ Sangue: ▪ Urea e creatinina aumentate ◦ Urina: ▪ Quadro variabile Ecografia: mezzo fondamentale per rilevare la dilatazione della pelvi e delle vie escretrici a seguito dell'ostruzione. Rx diretto addome
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Urografia Pielografia ascendente TC
TERAPIA
Rimozione dell'ostacolo
PROGNOSI
Guarigione o IRC conseguente a danno funzionale organico.
IRA ORGANICA O RENALE
1) Necrosi tubulare acuta
EZIOLOGIA
La NTA è la prima causa di IRA organica che ricopre circa il 70% dei casi. Viene suddivisa in 2 forme: Ischemica: si tratta di un peggioramento delle condizioni di un'IRA pre-renale che non viene trattata e sfocia progressivamente in un'ischemia delle cellule più sensibili alla carenza di O2 cioè le cell tubulari, la cui vascolarizzazione dipende strettamente da quella glomerulare. Pertanto le cause ischemiche di NTA sono riduzione di P arteriosa e riduzione del volume circolante. Tossica: si tratta del danno provocato dall'assunzione di sostanze esogene o dall'iperproduzione di sostanze endogene dannose per il rene: 1. Sostanze esogene: Antibiotici, Antiblastici, Mezzo di contrasto radiologico, Anestetici, Solventi organici, Veleni, Metalli pesanti, Eroina, Amfetamine e sostanze stupefacenti. 2. Sostanze endogene: Emoglobina (in caso di emolisi), Bilirubina (in caso di epatite o ittero ostruttivo), Mioglobina (in caso di tetano o traumi).
PATOGENESI
Il danno ischemico provoca una riduzione progressiva della perfusione tubulare e il tubulo prossimale che è il più sensibile all'ischemia insieme alla branca ascendente dell'ansa di Henle va incontro a necrosi ischemica con rottura delle connessioni intercellulari e le cell del tubulo si staccano dalla membrana basale e si gettano nel lume. L'accumulo progressivo di cellule nel lume causa un'ostruzione al passaggio della pre-urina e il paziente diventa OLIGURICO-ANURICO. Quindi l'oli-anuria si forma a seguito della riduzione della perfusione midollare e della retrodiffusione dell'ultrafiltrato nell'interstizio visto che l'epitelio è distrutto. Nella forme prerenale la vasocostrizione compensatoria dell'arteriola afferente provoca una riduzione della VFG, ma la dilatazione dell'arteriola efferente serve per preservare il flusso midollare in modo da mantenere in vita i tubuli x cui il flusso midollare aumenta; ma con il progredire della situazione inevitabilmente anche la midollare risente dell'ipoperfusione e i
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tubuli sono i primi a risentirne. Il danno tossico ha lo stesso meccanismo patogenetico dell'ischemia in quanto la maggior parte dei farmaci provoca vasocostrizione renale e anche peritubulare e in più c'è il danno diretto tossico sull'epitelio tubulare. Il tubulo prossimale è il più interessato x il fatto che accoglie per primo l'ultrafiltrato e ha funzioni massimamente riassorbitive. Il risultato è comunque un'OLIGO-ANURIA. CLINICA
Si suddivide clinicamente in 4 fasi: Fase oligurica: fase iniziale che può durare da 7 a 30 giorni ed è caratterizzata da una produzione di urine molto ridotta a seguito di ostruzione luminale e retrodiffusione + ridotta VFG. C'è ritenzione idrica, ritenzione di cataboliti azotati, ritenzione di K e acidità ematica crescente. Sono molto frequenti complicanze: ◦ Cardiache (iperpotassiemia causa fibrillazione ventricolare) ◦ Neurologiche (accumulo di sostanze azotate e urea) ◦ Infezioni ◦ Gastrointestinali ◦ Ematologiche (per iperazotemia) Alla presentazione del paziente si fa ECG per vedere condizione cardiaca, analisi del sangue e potassiemia, presenza di edema polmonare e in seguito il paziente va inviato d'urgenza in dialisi per ristabilire l'equilibrio ematico. È importante attraverso gli esami di laboratorio differenziare la forma funzionale dalla forma organica, la prima in genere ha un PS urinario sotto i 1013 e un osmolarità urinaria sotto i 350 a differenza della funzionale con 500 mOsm/KgH2O. Questo basso valore di osmolarità e di PS riflette una significativa incapacità di riassorbimento tubulare e incapacità di concentrazione delle urine. Fase diuretica precoce: dopo 7-10 giorni di ostruzione il tubulo si disostruisce progressivamente e si ha una fase di diuresi che può arrivare a 1-2 L di urine al giorno. Il tubulo inizia a rigenerarsi ma non ha capacità riassorbitiva e l'urina è praticamente quasi tutta acqua. È necessario mantenere il trattamento dialitico perchè i prodotti di rifiuto non sono ancora eliminati visto che il rene è ancora in ipoperfusione e la creatinina e l'urea aumentano. La VFG è ancora molto bassa e pertanto la diuresi deriva semplicemente dalla disostruzione che libera la quantità di ultrafiltrato ritenuta nel tubulo. Fase diuretica tardiva: le cellule tubulari si riorganizzano e formano un tubulo che però non riesce ancora a concentrare le urine e la diuresi è imponente a causa dell'aumento di VFG e POLIURIA conseguente ad accumulo di osmoliti che si trascinano l'acqua. Si può arrivare fino a 4-5 L di urina al giorno. La situazione è pericolosa in quanto c'è il rischio di disidratazione e perdita di elettroliti a seguito dell'incapacità ancora di riassorbimento tubulare + diuresi osmotica. L'iponatriemia causa ipotensione, l'ipokaliemia determina alterazioni all'ECG e la disidratazione calo ponderale e sete. Il paziente è ancora da seguire col rene artificiale per ristabilire i liquidi che perde in modo isoelettrolitico. Fase di convalescenza: fase finale dopo settimane o mesi in cui
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ricomincia la funziona tubulare ma restano segni di problemi tubulari come inefficacia nella concentrazione delle urine e nella regolazione del pH. La funzione renale globale risulta in genere diminuita del 20%. La ripresa della funziona tubulare è data in generale da: Ripristino flusso = aumento VFG = Ripresa diuresi. Rigenerazione epitelio tubulare = disostruzione + stop retrodiffusione = Ripresa diuresi. DIAGNOSI
TERAPIA
Conservativa: ma rischio molto elevato di infezioni Sostitutiva: ◦ Emodialisi ◦ Dialisi peritoneale Le indicazioni assolute alla dialisi sono: ◦ Iperidratazione ◦ Iperkaliemia ( > 6 mEq/L) ◦ Urea ( > 200 mg/dL) ◦ Uremia clinica
PROGNOSI
È strettamente associata alla tempestività della diagnosi e della terapia.
IRA CRESCENTE
Ci sono 3 eziologie responsabili della NTA che insorgono con una certa frequenza e sono dovute a : 1. Mezzo di contrasto: importante causa di IRA nei pazienti con creatininemia sopra a 2 mg/dL (20%) e sopra a 5 mg/dL (50%). I pazienti diabetici, con malattie cardiovascolari, in età avanzata o con patologie renali pre-esistenti sono molto + a rischio. Il mdc provoca un'ipoperfusione midollare (per aumento di endotelina e adenosina rispetto a NO e PG), un danno diretto a causa dell'elevata osmolarità e della ionicità e la precipitazione di cristalli di acido urico. O non si fa l'esame o si usa poco mdc, o si usa un mdc non ionico o si tiene il paziente ben idratato prima dell'esame o si usano farmaci protettivi come l'acetilcisteina. 2. Farmaci nefrotossici: è da evitare l'abuso di qualsiasi farmaco! 3. Rabdomiolisi: situazione di danno renale conseguente alla necrosi muscolare con liberazione in circolo di agenti nefrotossici in particolare la mioglobina. Il muscolo va in necrosi per trauma, stress, sostanze tossiche e farmaci. Libera in circolo non solo mioglobina ma anche altre sostanze come CPK, LDH che risultano nefrotossiche. In più richiama a sé grandi quantità di liquido e provoca un edema che compromette la perfusione renale. Oltre a ciò si verifica iperpotassiemia per necrosi miocitaria e ipocalcemia poiché il calcio tende a depositarsi sul muscolo necrotico. I sintomi sono un dolore molto intenso del muscolo e impotenza funzionale. Richiede re-idratazione immediata, dialisi intensiva ed eventualmente alcalinizzazione delle urine.
Anamnesi Esame obiettivo (clinica e diuresi) Laboratorio: sangue e urine
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2) Necrosi corticale acuta (Danno glomerulare e vascolare)
EZIOLOGIA
Si tratta di una forma di IRA organica che coinvolge le strutture della corticale renale quindi glomeruli e vasi. Patologie gravidiche: aborto settico, distacco di placenta, emorragia post-partum Infezioni (sepsi da gram -) Pancreatiti Gastroenteriti acute in età pediatrica Crisi emolitiche, sindrome emolitico-uremica Rigetto iperacuto nel trapianto renale
PATOGENESI
La messa in circolo di grandi quantità di agenti ipercoagulanti e trombogeni causa un'attivazione intrarenale del sistema coagulativo con esito di CID intrarenale che si manifesta sistemicamente con piastrinopenia, riduzione di fibrinogeno e di fattori della coagulazione e di ATIII. L'ischemia arteriolare provoca la necrosi massiva di tutte le strutture corticali
CLINICA
È improvvisa e si manifesta con Oliguria marcata o anuria CID (complicanze emorragiche per consumo) Sindrome uremica acuta a rapida insorgenza Complicanze cardiache Complicanze neurologiche Complicanze gastrointestinali Complicanze ematologiche Infezioni
DIAGNOSI
1. Clinica: è una situazione d'emergenza ed improvvisa, i segni clinici obiettivi devono subito far pensare a questa eventualità.
TERAPIA
PROGNOSI
Sostitutiva (dialisi immediata) Medica specifica
La ripresa parziale della funzionalità renale avviene solo nel 15% dei casi (con dialisi). IRC nell'80% dei casi (con dialisi). Il 90% dei casi muoiono prima di andare in dialisi.
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GENERALITA' SULLE GLOMERULONEFRITI
DEFINIZIONE
Le nefropatie glomerulari sono un complesso di malattie in cui viene interessato principalmente il glomerulo. Esistono in 2 forme: 10. Primitive: colpiscono 23 persone su 1000 11. Secondarie: colpiscono 6 persone su 1000. La nefropatia glomerulare è la terza causa di IRC terminale dopo diabete e ipertensione. 1/3 dei pazienti che vanno in dialisi è perchè hanno avuto una glomerulonefrite. La struttura del glomerulo è peculiare per la sua funzione filtrante. Infatti possiede un endotelio a contatto con il sangue che possiede fenestrature di 700-900 A dalle quali possono passare le molecole più piccole. Oltre l'endotelio c'è la membrana basale che è una complessa struttura formata da: Lamina densa: composta principalmente da collagene IV Lamina rara interna: composta da fibronectina, laminina ed eparan solfato. I proteoglicani conferiscono una carica negativa generale per cui le molecole cationiche passano più facilmente. Lamina rara esterna: stessa struttura dell'interna. La membrana basale ha fenestrature verso l'epitelio di 200-400 A. Oltre la m basale ci sono i pedicelli dei podociti che formano tra loro degli ulteriori pori che sono limitati da una barriera di filtrazione di cui fa parte la podocina e la nefrina. Poi si trova lo spazio di Bowman.
CLASSIFICAZIONE Esistono 3 modalità di suddivisione delle glomerulonefriti:
Eziologica: ◦ Primitive: se partono primariamente dal rene (ad eziologia nota o idiopatiche) ▪ G. proliferativa diffusa ▪ G. a depositi di IgA ▪ G. a lesioni minime ▪ G. segmentaria e focale ▪ G. membranosa ▪ G. membranoproliferativa ▪ G. rapidamente evolutiva ◦ Secondarie: in corso di malattia sistemica ▪ Nefrite lupica ▪ Nefropatia diabetica
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▪ ▪ ▪ ▪ ▪ ▪
Nefropatia ipertensiva N. in corso di mieloma N. crioglobulinemica N. amiloidea N. gravidica N. di Schonlein Henoch
◦ Ereditarie o congenite ▪ Sindrome di Alport ▪ N. a membrane sottili ▪ Sclerosi mesangiale ▪ Malattia di Fabry
Patogenetica: ◦ Immunologica ▪ Da IC: l'immunocomplesso è fatto da uno o più antigeni legati ad uno o più anticorpi Circolanti: in circolo si formano immunocomplessi che si depositano nel glomerulo a causa di un fattore di grandezza, di carica, di composizione o di PM. Possono essere in sede sottoendoteliale, sottoepiteliale o mesangiale. Di solito questi complessi tendono a richiamare i fattori del complemento e della coagulazione che sono i principali responsabili del danno cellulare. Inoltre gli IC sono facilitati a depositarsi nel rene a causa del flusso cospicuo, del complesso sistema fagocitario-monocitario a livello glomerulare, della saturabilità e dell'interazione con il recettore del C3b a livello eritrocitario. I complessi che si depositano appartengono alle classi I e II in cui la formazione avviene per eccesso di Ag o in equità tra Ag ed Ab ma le dimensioni sono tali da poter attraversare la membrana glomerulare. Gli IC di classe 3 sono troppo grandi per attraversare il glomerulo e vengono fagocitati dal sistema reticolo-endoteliale non provocando danni al rene. In situ: anticorpi che si legano direttamente ad un antigene locale espresso dal glomerulo o ad un Ag che si è collocato nel glomerulo a provenienza virale, batterica o neoplastica o di altra natura. In genere il mesangio in queste situazioni risulta alterato con una maggiore avidità per le macromolecole sistemiche. ▪ Da Ab anti MBG: si tratta di una forma meno frequente in cui esistono anticorpi diretti contro un componente non collagenico della membrana basale glomerulare che permette l'associazione delle molecole di collagene IV e funge da antigene strutturalmente analogo ad antigeni presenti sull'endotelio polmonare, sulla placenta e sul plesso coroideo. Gli anticorpi si dispongono in maniera
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ordinata lungo la MBG a formare una sorta di nastro o definiti a fumo di sigaretta. ▪ Da ipersensibilità cell mediata: conseguente ad attivazione dei linfociti T che reagiscono a seguito della produzione di una linfochina. Si determina in tal modo un aumento di permeabilità della membrana glomerulare con riorganizzazione della cariche anioniche che determinano disfunzione dei pedicelli che si fondono tra loro. ◦ Non immunologica ▪ Diabetica ▪ Amiloidea ▪ Gravidica ◦ Ereditaria A livello glomerulare una volta depositato l'immunocomplesso avvengono delle reazioni che gli comportano la tossicità: Attivazione del complemento: il complemento viene richiamato dalla porzione attivata Fc delle IgG che formano l'IC. I fattori solubili del complemento vengono clivati e molti di questi vengono liberati in circolo e sono causa di infiammazione in quanto fattori chemiotattici (C3a, C5a, C3b...) Attivazione della cascata coagulativa: gli IC attivano il fattore XII di Hagemann e si attiva perciò la via estrinseca della coagulazione con deposizione di fibrina. In seguito la reazione infiammatoria libera citochine tra cui PAF e PDGF che attivano le piastrine e le richiamano attivando di nuovo in un circolo vizioso anche la cascata coagulativa. Produzione di ROS: i radicali liberi dell'ossigeno sono specie altamente reattive prodotte dalle cellule dell'infiammazione soprattutto neutrofili e monociti-macrofagi e causano danno attraverso la perossidazione delle membrane.
DIAGNOSI
Clinica: ◦ Sindrome nefritica ◦ Sindrome nefrosica ◦ Sindrome nefritica a rapida evoluzione ◦ Reperti urinari isolati ◦ Sindrome glomerulare cronica
Clinica: la presentazione clinica non è affidabile per fare diagnosi visto che diverse nefropatie possono manifestarsi con le stesse caratteristiche Laboratoristica: importante fare sempre l'esame delle urine e del sangue che ci può dare indicazioni anche diagnostiche. Bioptica: per fare una diagnosi definitiva serve comunque sempre la biopsia renale. La biopsia renale consiste in: ◦ Ottica
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◦ Immunofluorescenza ◦ Elettronica ◦ Isto-immunologia ◦ Biologia molecolare Permette innanzitutto di vedere l'estensione della lesione: ◦ Diffusa: che interessa tutti i glomeruli ◦ Focale: che interessa solo alcuni glomeruli ◦ Globale: nell'ambito del singolo glomerulo è tutto interessato ◦ Segmentale: solo alcuni tratti del glomerulo sono colpiti La biopsia renale è un esame invasivo che va eseguito con il paziente prono con un cuscino sottostante all'area renale per spingere i reni posteriormente. La procedura è eco-guidata e si infila un ago facendo attenzione a prelevare un frustolo che contenga frammenti di corticale. Le controindicazioni alla biopsia sono: ◦ Ipertensione severa: perchè facilmente si va ad incidere un vasellino arterioso e se la pressione è molto elevata si può sviluppare un'emorragia difficile da fermare ◦ Diatesi emorragiche ◦ Rene unico: perchè la probabilità di evocare un'emorragia c'è e nel caso questa si verifichi bisogna asportare il rene. ◦ Neoplasia (renale) ◦ Uremia terminale: in quanto la corticale è quasi tutta necrotica e il rischio di perforare l'arteria arciforme è molto elevato proprio per l'assenza della corticale ◦ Rene policistico: perchè c'è il rischio di perforare una cisti ◦ Non collaborazione del paziente.
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SINDROME NEFRITICA
DEFINIZIONE
Insieme di patologie glomerulari caratterizzate da una sindrome clinica ad andamento acuto o insidioso che nelle manifestazioni prevede: 12. Ematuria 13. Proteinuria 14. Insufficienza renale 15. Ipertensione arteriosa 16. Edema
PATOGENESI
La lesione glomerulare provoca in primis una ematuria e una proteinuria (sotto i 3 g /24 ore) dovute al fatto che la barriera glomerulare non è più integra e lascia passare le proteine anche più grandi e i globuli rossi che derivano dal flusso glomerulare. Si riduce drasticamente la VFG per ostruzione necrotica e infiammatoria e pertanto si manifesteranno clinicamente i segni dell'IR cioè aumento della creatininemia e dell'urea nel sangue ed oliguria con iperstenuria e alta osmolarità. Il carico di Na al tubulo distale è nettamente ridotto e la sua concentrazione ematica aumenta visto che non viene eliminato favorendo la comparsa di ipervolemia che determina edema nefritico (modesto perimalleolare e peritibiale), ipertensione arteriosa e sovraccarico cardiaco.
GLOMERULONEFRITE POST-STREPTOCOCCICA
DEFINIZIONE
Si tratta di una nefropatia glomerulare che insorge a distanza di qualche settimana da un episodio infettivo acuto che ha coinvolto le alte vie respiratorie (tonsillite) o la cute (piodermite).
EZIOLOGIA
L'agente responsabile di questa patologia è nella maggioranza dei casi lo Streptococco beta-emolitico di gruppo A tipo 12. In genere insorge 2 settimane dopo una tonsillite e 3-4 settimane dopo una piodermite, entrambe scatenate da questo batterio Gram +.
EPIDEMIOLOG
Oggi non è così frequente come un tempo grazie alle misure preventive antibiotiche prolungate nel caso di infezione da streptococco. Tuttavia nei paesi sottosviluppati è ancora molto frequente. Colpisce in età pediatrica come bersaglio principale ma anche gli adulti. Può essere sporadica o endemica.
PATOGENESI
Vengono prodotti degli anticorpi diretti contro il batterio in un periodo di
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latenza clinica al termine dell'infezione primaria e vengono progressivamente depositati a livello glomerulare (sottoepitaliale detti humps) oppure si formano direttamente in situ a seguito di cross-reazione di antigeni glomerulari con antigeni batterici oppure specifici antigeni batterici che si sono depositati a livello glomerulare. Nei depositi sono stati identificati diversi antigeni batterici come la proteina M, la streptolisina e l'esotossina B. CLINICA
DIAGNOSI
Il quadro clinico può essere diverso in base all'età colpita. In linea generale la clinica prevede: Ematuria macroscopica con urine rosso scuro (lavatura di carne, coca-cola, fondo di caffè...) Oligo-Anuria Edema (sottopalpebrale, al volto e alle mani) Ipertensione arteriosa Nei bambini sono frequenti le manifestazioni di ipertensione come edema cerebrale, ipertensione endocranica con convulsioni.
Anamnesi Esame obiettivo (clinica) Laboratorio: importante la valutazione della composizione ematica perchè ci sono i segni di IR visto che la creatinina è elevata, l'urea è elevata (azotemia), c'è microematuria, proteinuria in range non nefrosico, cilindri ematici nel sedimento urinario, riduzione della clearance della Cr. In più si trovano IC circolanti, ipocomplementemia in quanto i fattori del complemento vengono consumati nel rene, a volte crioglobuline e antigeni streptococcici. Biopsia: esame fondamentale ◦ Microscopio ottico: glomerulo aumentato di volume con ipercellularità costituita soprattutto da cellule infiammatorie richiamate dagli IC. Queste cellule occludono il glomerulo e pertanto la VFG è ridotta. Può essere associato un edema dell'interstizio. ◦ Immunofluorescenza: 3 tipici aspetti in base alla disposizione degli IC e del C3: ▪ A cielo stellato (nella parete dei capillari e nel mesangio) ▪ A ghirlanda (in sede periferica) ▪ Mesangiale ◦ Microscopio elettronico: presenza degli humps sub-epiteliali ma talvolta i depositi possono essere anche nel mesangio o in sede sottoendoteliali. Le membrane basali sono normali.
TERAPIA
La terapia si basa inizialmente sull'eradicazione dell'infezione con antibiotici, che in realtà dovrebbero esser dati per uso profilattico per alcuni giorni anche dopo la risoluzione dell'infezione primaria. In seguito si cerca di non peggiorare le condizioni pressorie con dieta a basso contenuto di sale, controllare l'azoteima con basso introito proteico e controllo costante del regime pressorio. In casi gravi che non rispondono alle prime 2 soluzioni si somministra cortisone ad azione antinfiammatoria.
PROGNOSI
Nei bambini solitamente la prognosi è molto buone e il 90% di questi guarisce senza reliquati.
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Negli adulti la prognosi è meno favorevole soprattutto se ci sono ipertensione severa, scompenso cardiaco e se la patologia si è già evoluta in sindrome nefrosica e IRC.
NEFROPATIA DA IgA (DI BERGER)
DEFINIZIONE
Nefropatia glomerulare caratterizzata da depositi mesangiali di IgA, macroematuria saltuaria alternata a microematuria persistente con più o meno proteinuria.
EZIOLOGIA
L'eziologia è ignota, la maggior parte dei casi insorge in forma sporadica, ma non sono state trovate alterazioni geniche specifiche a differenza delle forme familiari che ci sono ma sono meno frequenti e presentano disordini sul cromosoma 6.
EPIDEMIOLOG
È la nefropatia glomerulare più frequente in Italia, colpisce prevalentemente i maschi tra la seconda e terza decade. Gli individui di etnie asiatiche sembrano più colpiti.
PATOGENESI
Il meccanismo prevede un'alterazione nella produzione di IgA sia a livello mucoso che a livello midollare. Queste IgA si depositano a livello renale in particolare in sede mesangiale. Le IgA1 e 2 sono prodotte preferenzialmente dalle mucose e le IgAm dalle plasmacellule midollari ma hanno significato incerto e sono demolite dal fegato. I meccanismi di accumulo potrebbero essere eccesso di produzione o riduzione di clearance epatica e quindi deposizione renale. Questa è una forma primitiva di riscontro di IgA, tuttavia esistono anche nefropatie secondarie in cui c'è deposito di IgA (porpora di S-H, patologie epatiche e intestinali).
CLINICA
Macroematuria ricorrente scatenata principalmente da episodi infettivi delle vie aeree superiori e dallo stress IRA e suoi sintomi (oliguria, ipertensione, edema, qualche volta presenti IRC soprattutto in età avanzata
Anamnesi Esame obiettivo
DIAGNOSI
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Laboratorio: macroematuria, microematuria che si alterna alla macro, proteinuria che può talvolta esserci associata all'ematuria ma mai isolata. Livelli sierici di IgA elevati nel 30-50% dei pazienti. I fattori del complemento possono trovarsi nelle lesioni ma in circolo sono normali. Il sedimento urinario è ricco di eritrociti e leucociti e cilindri eritrocitari. Biopsia: ◦ Microscopio ottico: si possono rilevare ispessimenti della matrice mesangiale associata a proliferazione delle cell del mesangio stesse. Talvolta possono associarsi le semilune (crescent) in casi progressivi e gravi. Possono esserci anche lesioni interstiziali e zone di sclerosi. ◦ Immunofluorescenza: depositi diagnostici di IgA in sede mesangiale associati talvolta a C3 e IgG e IgM rilevabili con immunofluorescenza e immunoperossidasi. ◦ Microscopio elettronico: depositi elettrondensi a livello mesangiale e paramesangiale con infiltrazioni talora anche subepiteliali e subendoteliali. La lamina basale può esser danneggiata nei casi più gravi o slaminata o reduplicata.
TERAPIA
Non ci sono accordi specifici sul trattamento a parte il controllo delle condizioni ipertensive con ACE-I. Nei casi gravi è consigliato il trattamento steroideo.
PROGNOSI
Dopo la diagnosi gli episodi di ematuria macroscopica si fanno meno frequenti, tuttavia ha un percorso abbastanza insidioso e circa il 25-30% dei pazienti richiede a 20 anni un trattamento sostitutivo. Meno del 10% ha risoluzione e guarigione delle alterazioni urinarie. La nefropatia può recidivare nel rene trapiantato (50%).
GLOMERULONEFRITE RAPIDAMENTE PROGRESSIVA
DEFINIZIONE
Sindrome clinica caratterizzata dalla rapida perdita della funzionalità renale (IRA) che in breve tempo evolve in una insufficienza renale terminale per cui è necessario il trattamento intensivo precoce. È accompagnata da oliguria o anuria e un tipico quadro istopatologico con crescents o semilune formate dalla proliferazione delle cellule della capsula di Bowman che progressivamente si ingrandiscono e schiacciano il glomerulo.
EZIOLOGIA
Questa patologia può manifestarsi in diverse condizioni e anche le precedenti nefropatie glomerulari che danno sindrome nefritica se non tempestivamente trattate possono evolvere in GNMP. 6. Malattie da anticorpi contro la MBG (10%) 7. Malattie da IC (primitive e secondarie):
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◦ Nefropatia di Berger ◦ GN post-streptococcica (molto raramente) ◦ GN membranoproliferativa ◦ LES ◦ Crioglobulinemia ◦ Sindrome S-H ◦ Reazione a farmaci 8. Malattie da anticorpi ANCA (vasculiti associate ad ANCA) EPIDEMIOLOG
1) La malattia da anticorpi anti MBG è il 10-20% delle GNMP. Colpisce equamente entrambi i sessi ed ha 2 picchi di età (seconda e terza decade, sesta e settima decade). C'è una predisposizione genetica associata a HLA-DR2. I fattori di rischio ambientali sono l'esposizione lavorativa a polveri e idrocarburi, fumo e infezioni delle alte vie respiratorie. 2) La GNRP da IC rappresenta il 20-30% di tutte le forme progressive
PATOGENESI
Per tutte e 3 le forme la patogenesi prevede una serie di fattori scatenanti come infezioni, esposizione a solventi organici e farmaci che innescano una reazione immunologica che porta al passaggio di linfociti T all'interno della capsula di Bowman richiamati da agenti chemiotattici. Pertanto la membrana glomerulare si danneggia e questi linfociti richiamano in situ monociti e macrofagi che stimolano con le loro citochine il danno diretto e il danno mediato dalla deposizione di fibrina per innesco di cascata coagulativa. Per contrastare questa aggressione si attiva un'iperproliferazione di cellule della membrana glomerulare, della capsula di Bowman e del mesangio tanto da formare le cosiddette semilune o crescents che schiacciano il glomerulo insieme a deposizione di collagene e matrice connettivale. Se sopragiunge anche la rottura della capsula di Bowman si va incontro a fibrosi e sclerosi glomerulare con compromissione definitiva della filtrazione.
CLINICA
1) La sindrome da anticorpi anti MBG si manifesta con una clinica molto rapida. Il paziente arriva con oliguria o anuria e con i sintomi e segni tipici della IRA glomerulare (ipertensione, edema, proteinuria, ematuria, creatinina ed urea elevate, sedimento urinario con cilindri ematici). In pochi giorni la situazione può evolvere in IR terminale con uremia. Nel 70% dei casi la sindrome è associata ad anticorpi diretti anche contro la membrana basale degli endoteli polmonari e si manifesta con emorragie polmonari (sindrome di Goodpasture). A volte si manifesta con un quadro insolito insidioso che si manifesta già quando c'è disfunzione terminale ed è preceduta da sintomi muscolari come crampi, mialgie e artralgie. 2) Stesso quadro per la GNRP da IC e da anticorpi ANCA.
DIAGNOSI
1) La sindrome da anticorpi anti MBG si diagnostica in questo modo: Anamnesi Esame obiettivo (clinica) Laboratorio: presenza in circolo di immunoglobuline (in genere IgG) dirette contro la MBG e in specifico contro la catena alfa3 del frammento non collagenico del collagene IV. Incremento di
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creatinina, micro e macroematuria, proteinuria talvolta anche nel range nefrosico e sedimento con cilindri ematici. Biopsia: ◦ Microscopio ottico: presenza costante di semilune che riguardano più del 50% dei glomeruli. Queste semilune sono inizialmente cellulari, poi nelle fasi tardive diventano spiccatamente fibrotiche con segni di interessamento sclerotico tubulo-interstiziale. C'è necrosi fibrinoide. ◦ Immunofluorescenza: depositi lineari di IgG e C3 sulla MBG ◦ Microscopio elettronico: collasso anse capillari, proliferazione cellulare, presenza di leucociti nello spazio di Bowman, fibrosi glomerulare.
2) Stesso quadro diagnostico per le altre 2 forme di GNRP con l'unica differenza che nella forma da IC questi sono situati non attorno alla MBG ma in sede mesangiale e parietale della capsula di Bowman. TERAPIA
La terapia della GNMP prevede una fase iniziale di induzione della remissione clinica per bloccare il processo distruttivo immunologico con steroidi, plasmaferesi e agenti citotossici immunosoppressori come ciclofosfamide e azatioprina. La seconda fase riguarda il mantenimento della remissione attraverso una terapia più limitata.
PROGNOSI
Rapido deterioramento della funzione renale se non si interviene prontamente con una terapia immunosoppressiva. I fattori prognostici negativi sono la presenza di semilune circonferenziali, l'estesa fibrosi, la presenza di infiltrati tubulo-interstiziali e l'oligo-anuria.
GLOMERULONEFRITE MEMBRANOPROLIFERATIVA
DEFINIZIONE
Nefropatia glomerulare caratterizzata da proliferazione mesangiale ed epiteliale con riscontri bioptici di proliferazione del mesangio fino a rendere duplicata la membrana basale glomerulare.
EZIOLOGIA
Il danno è sempre immunomediato: 5. Tipo I: associata a persistenti infezioni da HCV, forme autoimmunitarie come il LES e la crioglobulinemia o a malattie neoplastiche. Esiste sempre anche la forma del tutto idiopatica. 6. Tipo II: quasi sempre idiopatica, tranne nei casi in cui si presenti il fattore nefritico 3 e / o una lipodistrofia parziale. 7. Tipo III: idiopatica o concomitante ad un deficit del recettore del complemento.
CLINICA
Tipica sindrome nefritica con ematuria, proteinuria, edemi ed ipertensione nelle forme severe, oligo-anuria.
DIAGNOSI
Anamnesi Esame obiettivo (clinica)
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Biopsia: ◦ Tipo I: molta proliferazione mesangiale che si introduce all'interno della membrana basale glomerulare e forma il doppio strato. ◦ Tipo II: proliferazione minore ma con ispessimento maggiore della membrana basale glomerulare. ◦ Tipo III: proliferazione meno comune e più rara. Quasi mai presente l'interposizione mesangiale Laboratorio: ◦ Tipo I: oltre ad avere le tipiche presentazioni di IR, alterazioni urinarie ed ematiche si presenta anche una complementemia normale. ◦ Tipo II: la complementemia risulta ridotta ◦ Tipo III
TERAPIA
ACE-inibitori, steroidi nelle forme primitive e trattamento delle cause scatenanti nelle forme secondarie.
PROGNOSI
Se trattata in tempo si va incontro a guarigione, tuttavia può evolvere a GNMP e anche i pazienti con rene trapiantato possono ripresentare la patologia con una certa frequenza.
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SINDROME NEFROSICA
DEFINIZIONE
Sindrome clinica associata a nefropatia glomerulare che si manifesta con 17. Proteinuria massiva (>3,5 g/die per gli adulti e >40 mg/h x m2 nei bambini) 18. Ipodisprotidemia 19. Edema 20. Iperdislipidemia 21. Lipiduria 22. Trombofilia
CARATTERISTI La sindrome nefrosica deriva da un'alterata permeabilità della membrana glomerulare che permette il passaggio nell'ultrafiltrato di proteine CHE (principalmente albumina). La sindrome nefritica invece deriva da un danno mediato da un processo infiammatorio. Mentre la sindrome nefritica presenta una VFG ridotta (perchè il glomerulo è ostruito dalla flogosi), un'ipertensione (perchè la filtrazione è ridotta) e un'ipervolemia che produce edemi (visto che c'è ritenzione di liquidi e Na); la sindrome nefrosica presenta un VFG normale perchè la filtrazione è mantenuta, una pressione normale o leggermente bassa (a causa della perdita di proteine che attraverso la loro forza oncotica si trascinano dietro acqua) e una conseguente riduzione del volume circolante. Tuttavia in alcuni casi queste due sindromi possono sovrapporsi per formare il quadro della sindrome nefroso-nefritica, le forme totalmente pure sono abbastanza rare. La PROTEINURIA è un fenomeno complesso che si instaura nella sindrome nefrosica a seguito dell'alterazione della permeabilità del glomerulo per cui la porosità diventa maggiore e le proteine possono passare. Principalmente è l'albumina quella che esce maggiormente. Tuttavia anche il fegato è implicato in questo processo in quanto la sua produzione proteica è alterata e inoltre il tubulo stesso inizia a secernere attivamente proteine nel lume. Questo causa inevitabilmente IPODISPROTIDEMIA con carenza proteica globale e riduzione della pressione oncotica capillare con rottura dell'equilibrio di Starling e conseguente fuoriuscita di liquido nell'interstizio determinando il tipico edema nefrosico (non da ipervolemia ma da ridotta P oncotica). Per supplire alla mancanza di proteine il fegato viene stimolato a produrre lipoproteine e di conseguenza anche i processi di lipogenesi si attivano aumentando con il tempo il rischio aterosclerotico. Questo provoca la IPERDISLIPIDEMIA caratterizzata da un aumento di sintesi epatica ma ridotto catabolismo e a seguito di questo se la grandezza lo consente le lipoproteine vengono anche filtrate dalla membrana glomerulare danneggiata e vengono escrete (LIPIDURIA). L'accumulo lipidico a seguito della produzione di lipoproteine causa un aumento dei depositi soprattutto di colesterolo che sono visibili come Xantelasmi cutanei. La sindrome nefrosica è caratterizzata anche da un'aumentata Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
TROMBOFILIA dovuta a perdita urinaria di fattori anticoagulativi come ATIII o anche di fattori della coagulazione come XI e IX, aumento in circolo dei livelli di V e VIII e di fibrinogeno che favoriscono la cascata coagulativa, in più aumenta l'attivazione piastrinica a seguito della proteinuria che stimola i processi di secrezione citochinica tra cui c'è il PAF e il PDGF e il fibrinogeno epatico e il rischio tromboembolico aumenta con il rischio di avere sovrapposte anche malattie cardiovascolari. PATOGENESI
L'alterata permeabilità glomerulare provoca una perdita proteica che determina una ipoalbuminemia e conseguente riduzione della P oncotica che il fegato cerca di normalizzare attraverso la produzione di lipoproteine. La perdita di proteine si trascina dietro liquidi e la conseguenza è una ipovolemia generalizzata che determina un'attivazione dei barocettori aortici e carotidei per cui aumenta la secrezione di ADH e di Renina in modo da aumentare il riassorbimento di liquidi dai tubuli renali. Tuttavia questo aumento volemico compensatorio è sempre associato ad una ridotta pressione oncotica per cui i liquidi tendono a passare nell'interstizio per alterazione dell'equilibrio di Starling e causano edema. Questa viene definita teoria dell'UNDERFILL per spiegare la genesi dell'edema nella sindrome nefrosica. Esiste però anche un'altra teoria dell'OVERFILL che afferma che il tubulo nefrosico non riesce ad eliminare il Na a seguito di un esagerato riassorbimento dovuto ad alterazioni dei canali del Na ENAC e di quelli con scambio protonico associato. Pertanto il sistema si trova un sovraccarico di sodio che determina una trattenuta di liquidi e un conseguente edema per aumentato volume plasmatico.
COMPLICANZE Il paziente può rimanere per anni asintomatico, però questa sindrome mette a rischio il paziente per le complicanze: Tromboemoliche: arteria e vena renale, embolia polmonare.. Infettive: riduzione dei fattori del complemento e delle IgG che vengono secrete con le urine e in più stato edemigeno delle mucose con stasi che predispone a infezioni Alterazioni ormonali: perdita urinaria di proteine leganti tiroxina, ormoni sessuali, corticosteroidi, vit D... Sindrome da malnutrizione: per perdita cospicua di proteine e accumulo di trigliceridi e colesterolo. Aumento rischio cardiovascolare: per citochine infiammatorie, lipidemia, alterazioni renali progressive. TRATTAMENTO Questa sindrome non può essere curata in quanto il danno alla membrana glomerulare non può essere riparato e pertanto la terapia dovrà mirare alla conservazione dello stato fisiologico globale combattendo gli effetti della sindrome: Ripristino volume plasmatico circolante Riduzione edema Riduzione proteinuria Prevenire il danno renale Le terapie indicate sono Diuretici e albumina per ridurre l'edema (anche se l'albumina va data in grosse dosi perchè una certa quantità viene persa subito) Dieta iposodica e restrizione idrica ACE-I e antagonisti del recettore dell'angiotensina II Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
Statine (per ridurre l'ipercolesterolemia) Profilassi anticoagulante Profilassi antibiotica
GLOMERULONEFRITE A LESIONI MINIME
DEFINIZIONE
Glomerulonefrite caratterizzata da sindrome nefrosica con perdita proteica ingente ma selettiva (solo albumina) le cui lesioni non sono visibili al microscopio ottico, ma solo all'elettronico.
EZIOLOGIA
È immunomediata, da probabile alterazione dell'immunità cellulare.
EPIDEMIOLOG
È la forma di sindrome nefrosica più frequente nei bambini (80%) con picco in età di 2-6 anni. È relativamente benigna spesso con risoluzione spontanea. È spesso associata a disturbi respiratori.
PATOGENESI
Si ritiene che l'alterazione immunitaria provochi una secrezione da parte dei linfociti T di molecole permeabilizzanti che alterano le cariche superficiali della membrana basale e inducono alterazioni proteiche della cellula endoteliale. In più si pensa sia associata anche un'alterazione della proteina nefrina che forma i diaframmi di filtrazione con la podocina tra i pedicelli.
CLINICA
La proteinuria è consistente (4-20 g/die) ma selettiva perchè costituita quasi esclusivamente da albumina. Spesso è associata a farmaci, neoplasie, allergeni, alterazioni genetiche e infezioni.
DIAGNOSI
Anamnesi Esame obiettivo (clinica) Laboratorio: esame urine per vedere osmolarità e composizione. La VFG è normale per cui la creatinina e l'urea ematiche saranno normali. Biopsia: importante solo il microscopio elettronico che permette di vedere perdita degli spazi sub-pedicillari.
TERAPIA
Steroidi e controllo della volemia e della pressione.
PROGNOSI
Di frequente è altamente responsiva agli steroidi (90%), tuttavia esistono anche pazienti non responder. Le recidive sono frequenti ma la prognosi a lungo termine è buona. La progressione verso l'insufficienza renale è molto rara. I fattori prognostici sono la risposta ai farmaci, l'età, il numero di recidive e la durata del periodo di remissione.
GLOMERULOSCLEROSI SEGMENTALE E FOCALE
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DEFINIZIONE
EZIOLOGIA
Sindrome caratterizzata da elevata proteinuria non selettiva, ipertensione arteriosa, scarsa risposta agli steroidi, manifestazioni precoci di insufficienza renale e progressione ad IRC terminale a 10 anni. Le lesioni sono glomerulari e si presentano focali e segmentarie che interessano i glomeruli della zona iuxta-glomerulare del rene specialmente alla giunzione cortico-midollare.
Forma primitiva: idiopatica sporadica o famigliare. Nelle forme sporadiche sono implicati meccanismi immunologici per cui i linfociti producono sostanze che aumentano la permeabilità della membrana glomerulare. Nelle forme famigliari sono implicate mutazioni nei geni per la nefrina e per la podocina. Forma secondaria: forma che si sviluppa a seguito di patologie sistemiche come HIV, eroina, anemia falciforme, obesità oppure come evoluzione di altre glomerulonefriti che danno sindrome nefritica oppure nel caso di incapacità di compenso alla perdita di tessuto renale.
EPIDEMIOLOG
Incidenza aumentata soprattutto negli adulti (ispanici e afroamericani). Nei bambini ha una prognosi nettamente migliore.
PATOGENESI
La forma primitiva è caratterizzata da una patogenesi immunologica che progredisce alterando la membrana o nelle forme famigliari presenta già un'alterazione di membrana in quanto il diaframma di filtrazione è inefficiente per anomalie di nefrina e podocina. La forma secondaria si sviluppa a seguito di: Riduzione del parenchima renale: una parte di massa renale viene persa per altri motivi e i glomeruli rimanenti sono sovraesposti al flusso ematico per cercare di lavorare di più compensando i glomeruli persi, tuttavia il persistente insulto emodinamico provoca una progressiva sclerosi adattativa con deposizione di matrice e conseguente inefficacia di filtrazione. Chiaramente l'ipertensione peggiora sempre di più e anche l'edema e le alterazioni escretorie, si manifesta IR progressiva. Attività infiammatoria prolungata: a seguito di nefrite lupica, Berger e vasculiti viene continuamente prodotto TGF-beta che favorisce la sclerosi e la deposizione di connettivo.
CLINICA
DIAGNOSI
L'esordio è con Sindrome nefrosica nel 70% dei casi con presenza di proteinuria non selettiva. L'evoluzione è rapida verso l'insufficienza renale cronica entro 10 anni nel 50% dei casi. Il 30% dei pazienti presenta ipertensione arteriosa agli esordi. 9. Anamnesi 10. Esame obiettivo (clinica e segni di scompenso renale) 11. Laboratorio: esame urine e sangue 12. Biopsia: ◦ Microscopio ottico: i glomeruli della giunzione corticomidollare vedono un aumento segmentario della matrice mesangiale, un collasso delle anse capillari e un accumulo di materiale ialino subendoteliale. ◦ Immunofluorescenza: depositi di IgM e C3 nelle zone di sclerosi.
Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
◦ Microscopio elettronico: scomparsa dei pedicelli, obliterazione dei capillari, degenerazione dei podociti e distacco della MBG, presenza di accumuli lipidici, matrice. TERAPIA
PROGNOSI
Prednisone Ciclofosfamide Ciclosporina: efficace nei pz con sindrome nefrosica marcata, funzione renale preservata e assenza di IT. Riduce la proteinuria e rallenta la progressione verso IRC. La percentuale di recidive tuttavia è piuttosto elevata.
Evoluzione progressiva alla IRC a 10 anni nel 50% dei casi. I fattori sfavorevoli sono ipertensione arteriosa alla diagnosi, IR alla diagnosi, proteinuria nefrosica, non risposta agli steroidi e lesioni tubulo-interstiziali alla biopsia. Caratteristica è la recidiva frequente della GSSF al trapianto di rene.
GLOMERULONEFRITE MEMBRANOSA
DEFINIZIONE
EZIOLOGIA
Nefropatia glomerulare caratterizzata dal riscontro di depositi di IgG e complemento (C5b-9) a livello subepiteliale con conseguente ispessimento della parete glomerulare.
Idiopatica (80%) Secondaria: 1. Forme comuni: LES, diabete, farmaci (oro, FANS), epatite B e tumori. 2. Forme rare: sclerodermia, Sjogren, Hashimoto, AR, epatite C, sarcoidosi. Ereditaria: in genere associata ad anomalie del complesso HLA (HLA-DR3, B8, B18)
EPIDEMIOLOG
È la forma di sindrome nefrosica più frequente negli adulti (25-30%) con picco di incidenza tra 40 e 60 anni.
PATOGENESI
Le ipotesi patogenetiche comprendono il possibile deposito di antigeni a livello della barriera glomerulare carichi positivamente, oppure antigeni endogeni che vengono interpretati come estranei e sono il bersaglio di immunità umorale. Gli IC possono formarsi sull'endotelio glomerulare per poi dissociarsi e attraversare la membrana fino in sede subepiteliale dove si riformano.
CLINICA
Tipica manifestazione di una sindrome nefrosica con proteinuria.
DIAGNOSI
Anamnesi ed esame obiettivo Laboratorio (anche se molto spesso la funzione renale è conservata) Biopsia: ◦ Immunofluorescenza: depositi parietali granulari diffusi di IgG
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◦ Microscopio elettronico: presenza di depositi granulari in sede subepiteliale. TERAPIA
PROGNOSI
Basso rischio: dieta ipoproteica, controllo della pressione, ACE-I e monitoraggio della proteinuria. Medio rischio: osservazione per 6 mesi, poi se la proteinuria persiste trattamento steroideo con ciclofosfamide. Alto rischio: ciclofosfamide, ciclosporina, steroidi.
Nel bambino la risoluzione spontanea a 5 anni è del 50% e a 10 anni il 90% non ha funzione renale compromessa. Nell'adulto 1/3 ha remissione spontanea, 1/3 ha proteinuria persistente e 1/3 progressivo declino della funzione renale. Chiaramente la prognosi peggiora per i pazienti con proteinuria consistente (fino a 8g/die) continua e con ridotta funzionalità renale. Parametri negativi sono anche l'età avanzata, il sesso maschile, la presenza di ipertensione, IR all'esordio e eliminazione urinaria di IgG, beta2-microglobulina e complemento.
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GLOMERULONEFRITI SECONDARIE
DEFINIZIONE
CLASSIFICAZIO NE
Affezioni renali che derivano da patologie sistemiche che interessano secondariamente o primariamente il rene. In alcuni casi il sintomo renale può essere la spia d'allarme per la presenza di malattia sistemica, in altri casi invece rappresenta la forma terminale della patologia sistemica. 23. Malattie sistemiche: LES, porpora di S-H, vasculiti necrotizzanti, sindrome di Goodpasture 24. Disprotidemia: crioglobulinemia, mieloma, amiloidosi, Waldestrom, gammopatia monoclonale 25. Malattie infettive: endocardite, sepsi 26. Malattie epatiche: epatite 27. Neoplasie: apparato respiratorio e digerente, linfomi e leucemie 28. Malattie ereditarie e metaboliche: diabete, Alport, lipodistrofia 29. Farmaci
LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO (LES)
DEFINIZIONE
EZIOLOGIA
Il LES è una malattia autoimmune sistemica determinata dall'aumento in circolo di immunocomplessi, complemento e autoanticorpi responsabili primariamente del danno. In più vengono coinvolte anche le cellule immunitaria e soprattutto linfociti T e B.
PATOGENESI
Fattori genetici: sembra siano interessati diversi polimorfismi del sistema HLA (DR2, DR3) e del sistema del complemento Fattori ambientali: esposizione ai raggi UV, sesso (le femmine sono molto più colpite dei maschi per il fatto che gli estrogeni sono coinvolti nell'abbassamento della soglia di reattività immunitaria), infezioni. Fattori immunologici: sembra anche che possano esserci delle disfunzioni a carico dei linfociti che reagiscono ad uno stimolo a cui normalmente non reagiscono per abbassamento della soglia di reattività e concomitante inefficacia delle cellule T regolatorie ad eliminare i cloni autoreattivi.
La patogenesi è complessa e comprende un aumento della produzione di autoanticorpi, disfunzione delle cell T regolatorie, abbassamento della soglia di attivazione immunitaria e ridotta clearance dei corpi apoptotici e degli IC. Questo provoca aumento in circolo di autoanticorpi e cellule infiammatorie
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che secernono citochine pro-flogistiche responsabili dei danni d'organo. I principali autoanticorpi prodotti sono: Ab anti-nucleo (ANA): sono altamente sensibili, ma non altrettanto specifici, per cui servono per “screening” quando c'è un sospetto. Se gli ANA sono negativi è improbabile che ci sia il lupus, se sono positivi è molto probabile che ci sia il lupus, ma necessita di altri esami come gli anti DNA. Ab anti-dsDNA: altamente specifici per il lupus e vanno monitorati perchè indicano anche un possibile interessamento renale e vasculitico. Ab anti-SM (spliceosoma): anche questi sono abbastanza specifici Ab anti-antigeni nucleari estraibili (ENA) Ab anti-PL: contro il complesso fosfolipide/beta2 glicoproteina. Sono associati al fenomeno del lupus coagulante e sono responsabili di gran parte dei fenomeni sistemici peggiorando la prognosi. Ab anti-C1q: indicativi di danno renale. CLINICA
- Cute: rash malare e a farfalla, rash discoide, ulcerazioni, fotosensibilità, alopecia se viene colpito il cuoio capelluto, ulcere orali, livedo reticularis (se avviene ostruzione da aPL e i circoli venosi collaterali sono visibili), fenomeno di Raynaud. - Muscoli e Ossa: astenia, artralgia, dolore muscolare. - Cuore: versamento pericardico, pericardite, endocardite fibrinosa, infarto miocardico nel caso di lupus coagulante. Frequente negli organi coinvolti si verifica una necrosi fibrinoide per presenza contemporanea di complemento e anticorpi. - Polmone: emorragia polmonare, fibrosi, pleurite, IT polmonare - Sangue: anemia (per Ab contro i GR e nefropatia con ridotta eritropoietina), leucopenia e trombocitopenia. - SNC: forme neurologiche e psichiatriche per vasculiti del microcircolo. Nel LES coagulante sono frequenti TIA - Occhio: vasculite retinica e neurite ottica - Tratto gastro-enterico: nausea, vomito e diarrea - Vasi: aumentata probabilità di ischemie occlusive per presenza di aPL - RENE: vedi oltre
NEFRITE LUPICA
È la forma più frequente di nefropatia secondaria (51%) ed è una delle manifestazioni più frequenti e più gravi del LES. Il 90% dei pazienti con lupus presentano alterazioni alla biopsia renale anche se non hanno patologie renali ancora manifeste. Il quadro clinico è molto vario sia tra un individuo e l'altro sia nello stesso individuo in cui si possono alternare diverse situazioni che danno diverse manifestazioni. Il sedimento urinario viene definito telescopico per il fatto che può presentare tutte le caratteristiche possibili quindi ematuria, proteinuria, cilindruria, granulosi, leucociti, cellule... Dal punto di vista clinico c'è la possibilità di una sindrome nefritica acuta, sindrome nefrosica, IRA che si fa rapidamente progressiva e sfocia in terminale fino alle sole alterazioni urinarie o ipertensione. Tutte le componenti renali sono colpite anche se il glomerulo è il bersaglio preferenziale per la deposizione di IC.
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Morfologicamente esistono: Lesioni attive: che sono reversibili con terapia adeguata Lesioni croniche: irreversibili e sono i processi fibrotici, sclerotici e atrofici a carico del glomerulo. Per definire l'entità delle nefropatie è stata fatta una classificazione che prevede 6 classi di danno progressivo al rene: Classe I: non ci sono lesioni renali evidenti Classe II: nefropatia mesangiale con anomalie urinarie isolate, si può manifestare con sindrome nefritica acuta Classe III: nefrite lupica focale che colpisce un 50% dei glomeruli in modo segmentale o globale. Ci sono alterazioni urinarie isolate e può corrispondere ad una sindrome nefroso-nefritica. Classe IV: nefrite lupica diffusa che interessa quasi tutti i glomeruli e si manifesta con ematuria, proteinuria e insufficienza renale con IT Classe V: nefrite lupica membranosa in cui ci sono alterazioni di membrana glomerulare e pertanto si manifesta con sindrome nefrosica ad alta proteinuria. Rara l'IR Classe VI: glomerulonefrite cronica con sclerosi glomerulare globale del 90% dei glomeruli. Inevitabilmente la clinica è un'IRC. DIAGNOSI
TERAPIA
Anamnesi Esame obiettivo: dal punto di vista clinico la diagnosi è quasi certa se sono presenti 4 di questi elementi: ◦ Eritema a farfalla e rash malare ◦ Rash discoide ◦ Fotosensibilità ◦ Ulcere orali ◦ Artrite ◦ Sierosite ◦ Alterazioni renali ◦ Alterazioni neurologiche ◦ Alterazioni ematologiche e immunologiche Laboratorio: essenziale per vedere la presenza di autoanticorpi nel sangue: 1. ANA: se presenti sono probabili di LES, ma devono essere approfonditi con altri esami 2. Ab anti-dsDNA: molto specifici 3. Ab anti-sm 4. VES elevata 5. Riduzione in circolo di C3 e C4 per consumo locale 6. Immunocomplessi circolanti 7. Anemia e ipergammaglobulinemia con crioglobulinemia... Per diagnosticare una nefrite lupica oltre all'esame degli anticorpi e dell'ipocomplementemia si guarda se il sedimento è telescopico e se ci sono le alterazioni ematiche di uno scompenso renale.
Specifica: steroidi, ciclofosfamide, azatioprina, micofenolato mofetile (usato a seguito del trapianto per immunosoppressione) Di supporto: in base al quadro clinico generale e in più con dialisi dove c'è necessità
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PROGNOSI
La prognosi di LES globale è buona con 95% a 5 anni. Tuttavia peggiora molto se associata a ipertensione, creatininemia elevata, sindrome nefrosica, anemia, ipoalbuminemia, aPL, sesso maschile e appartenenza a etnie africane e asiatiche. Naturalmente l'evoluzione è progressiva e verso un danno sempre maggiore. Riacutizzazione: aumento di creatinina del 30% rispetto ai valori precedenti, raddoppio proteinuria, alterazioni sedimento e markers specifici.
NEFROPATIA DIABETICA
DEFINIZIONE
Nefropatia caratterizzata dal riscontro di proteinuria maggiore di 300 mg/die in almeno 2 determinazioni a distanza di 3-6 mesi in un paziente diabetico in assenza di altre nefropatie, infezioni delle vie urinarie o insufficienza cardiaca. In generale si manifesta dopo molti anni dalla comparsa del diabete manifesto (25-40 anni) anche se in un paziente che resta in compenso diabetologico senza segni di albuminuria o proteinuria la nefropatia può anche non presentarsi mai. Questo processo viene innescato sia dal diabete 1 che dal diabete 2.
EZIOLOGIA
Diabete mellito
PATOGENESI
Il diabete provoca diverse alterazioni che coinvolgono anche il parenchima renale: Processo di glicosilazione non enzimatica delle proteine circolanti che vengono depositate nel glomerulo e richiamano un processo flogistico e una riduzione progressiva del flusso con processi di sclerosi Fattori metabolici tra cui iperlipidemia, e aumento del colesterolo Problemi emodinamici conseguenti all'ipertensione che evoca una maggior VFG nel glomerulo che a lungo andare è dannosa e lo porta a sclerosi.
CLINICA
1° FASE = Ipertrofia / Iperfunzione Non ci sono alterazioni renali evidenti e non c'è nefropatia, tuttavia ci sono segnali indicativi di un'iperfunzionalità renale cioè creatininemia bassa (0,60,8) che indica un rene iperfiltrante a seguito della glicosuria continua che si trascina l'acqua (VFG molto aumentata). Per compenso le pareti del glomerulo tendono ad ipertrofizzarsi progressivamente. C'è anche un aumento di volume del glomerulo e del rene stesso. Queste modificazioni scompaiono a seguito del trattamento insulinico (nel diab 1). 2° FASE = Nefropatia clinicamente silente Comincia mediamente 2 anni dopo il diabete e si manifesta con microalbuminuria che va ricercata tra 30-300 mg/die. La microalbuminuria compare però solo dopo sforzo e alla biopsia si notano una più evidente ipertrofia glomerulare e ispessimento della MBG. Alterazioni reversibili con il controllo della glicemia. 3° FASE = Nefropatia diabetica incipiente Inizia circa 6-15 anni dopo il diabete e si manifesta con una microalbuminuria persistente che non viene rimediata con il controllo glicemico. Si sviluppa anche aumento di Pa (ma anche normale), VFG
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normale o aumentato. C'è aumento della matrice mesangiale e ispessimento delle membrane basali. 4° FASE = Nefropatia clinica Proteinuria sempre più elevata che denota una sindrome nefrosica. La VFG inizia a diminuire progressivamente e la Pa ad aumentare, segni di insufficienza renale. Si presenta poi glomerulosclerosi diabetica e anche arteriolosclerosi. 5° FASE = IRC Riduzione costante della VFG, ipertensione arteriosa notevole e uremia terminale che si manifesta dopo 3-20 anni dalla nefropatia clinica evidenziata. In media dalla comparsa della nefropatia alla fine del rene passano 3-5 anni. DIAGNOSI
TERAPIA
8. Anamnesi 9. Esame obiettivo 10. Laboratorio: esami sangue e urine 11. Biopsia: ◦ Glomerulosclerosi diffusa: accumulo di materiale glicato nel mesangio, nelle pareti capillari e nella capsula di Bowman ◦ Glomerulosclerosi nodulare: accumuli tondeggianti di materiale ialino dentro al glomerulo ◦ Lesioni essudative (fibrin cap): accumulo di materiale eosinofilo tra membrana basale ed endotelio ◦ Gocce capsulari: accumuli tra membrana basale e podociti. ◦ All'immunofluorescenza si evidenziano depositi omogenei di IgG lungo le pareti capillari e membrane tubulari “nastriformi” analoghi a quelli sulla sindrome da Ab anti-MBG. ◦ Alterazioni tubulari, arteriolari e interstiziali caratterizzate da sclerosi, fibrosi, atrofia e degenerazione vacuolare. Nelle fasi iniziali si controlla la glicemia per riportarla in condizioni normali. Nelle fasi avanzate si controlla la Pa, la dislipidemia e la dieta in modo tale da prevenire le complicanze e la progressione del diabete. In euglicemia la microalbuminuria è nettamente ridotta rispetto ad un iperglicemico.
NEFROPATIA AMILOIDE
DEFINIZIONE e L'amiloidosi è una patologia che colpisce diversi organi ed è dovuta CARATTERISTI all'accumulo di sostanze proteiche che hanno in comune la caratteristica di un CHE GENERALI folding alterato in genere da una conformazione normale secondaria ad alfaelica si trasformano in beta-foglietti e su un nucleo centrale di proteine Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
modificate avviene l'assemblaggio di ulteriori proteine che si organizzano in fibrille che si depositano a livello extracellulare danneggiando i tessuti. L'amiloide contiene fibre che sono tenute insieme da un componente comune sierico che è la SAP (serum amyloid protein), la quale insieme ai glicosaminoglicani permettono la resistenza di queste proteine alla proteolisi. Le forme più frequenti di amiloidosi sono: AA: amiloidosi derivata dall'accumulo della proteina SAA prodotta dal fegato come fattore di fase acuta perciò durante un fenomeno flogistico. Deriva da processi infiammatori sistemici come fenomeni reumatici, infezioni sistemiche, neoplasie oppure febbre familiare mediterranea. AL: amiloidosi che deriva dall'accumulo di catene leggere che formano gli anticorpi, è caratteristica dell'amiloidosi sistemica idiopatica o dell'amiloidosi associata a mieloma. È molto rara la forma di amiloidosi AH con catene pesanti. ATTR: accumulo di transtiretina durante l'amiloidosi sistemica senile e la polineuropatia familiare. Ab2m: derivata dall'accumulo di beta 2 microglobulina, questa si manifesta nei pazienti in dialisi da molto tempo in quanto è una proteina che non riesce ad essere eliminata durante il trattamento dialitico. Questi complessi multiproteici una volta formati sono stabilizzati ulteriormente e stimolati ad aumentare dalla produzione di un fattore che è l'amyloid enhancing factor da parte della milza e delle sedi in cui è presente accumulo di amiloide. Il risultato finale è che questi accumuli sono nocivi per la cellula e per l'ambiente extracellulare ed in più non sono degradabili. EPIDEMIOLOG
La nefropatia amiloide si verifica soprattutto nelle forme AA e AL e raramente nelle altre forme. In Europa la frequenza delle amiloidosi alla biopsia renale è dell'1-5% con prevalenza soprattutto nei paesi nord europei dove è molto alta l'incidenza delle malattie reumatiche. Per la forma AL è molto più colpita l'età avanzata e il maschio in quanto si associa quasi sempre al mieloma.
EZIOLOGIA e PATOGENESI
Accumulo improprio di proteine modificate amiloidogeniche che attirano a sé altre proteine che vengono indotte a cambiare conformazione e si assemblano insieme a formare delle lunghe fibrille visibili al microscopio elettronico che sono tenute insieme da SAP e glicosaminoglicani. Il deposito di queste sostanze in sede mesangiale, glomerulare e vascolare provoca le tipiche alterazioni renali. Nel caso dell'amiloidosi AA il processo deriva da un'infiammazione sistemica che (Amiloidosi sistemica secondaria) fa seguito a malattie reumatiche infiammatorie croniche, infiammazioni gravi e neoplasie. Oppure deriva dalla Febbre familiare mediterranea che è una patologia autosomica recessiva con febbre ricorrente, dolori addominali e artralgie. Nel caso di amiloidosi AL il processo nefropatico deriva da Amiloidosi primitiva o pazienti con Mieloma multiplo (30%). In entrambi i casi il riscontro è la presenza di proteinuria di Bence-Jones.
Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
CLINICA
Il rene è colpito con una sindrome nefrosica per alterazione della permeabilità della parete glomerulare. La conseguenza è una severa proteinuria, un'ingrandimento delle dimensioni del rene per iperafflusso e aumento di VFG, ipertensione arteriosa nel 20-50% dei casi e insufficienza renale progressiva. Una tipica complicanza renale dell'amiloidosi è la trombosi della vena renale a causa dell'accumulo di proteine, della conseguente stasi ematica e del danno endoteliale oltre che all'aumento in circolo di citochine flogistiche. Le dimensioni del rene sono in un episodio acuto aumentate, ma in una forma cronica il rene è sofferente e c'è stata nel tempo una significativa perdita di massa renale con conseguente riduzione del volume. Le manifestazioni extrarenali colpiscono vari organi in base alla tipologia di accumulo e in generale danno astenia, dimagrimento, epatosplenomegalia, malassorbimento, macroglossia, cardiopatia, neuropatia periferica, porpore, placche e papule.
DIAGNOSI
TERAPIA
Anamnesi Esame obiettivo Laboratorio: valutazione della presenza di proteinuria e di che tipo, presenza di PRC aumentata ed indici di flogosi elevati. Biopsia: si diagnosticano accumuli di amiloide quando la colorazione del preparato al rosso congo determina un colore birifrangente verde e positività alla colorazione col cristal-violetto. Alla microscopia ottica si vedono accumuli amorfi che inizialmente sono nel mesangio e poi si espandono. All'elettronica si vedono le tipiche fibrille ad andamento irregolare prima mesangiali, poi sotto l'endotelio e in seguito penetrano la membrana basale e formano strisce perpendicolari ad essa verso i pedicelli.
In caso di amiloidosi AA bisogna effettuare: ◦ Terapia patogenetica: tale da eradicare il problema che ha scatenato la flogosi sistemica ◦ Terapia modulante la formazione di amiloide che modula la formazione e il riassorbimento dei depositi bloccando selettivamente l'amyloid enhancing factor con colchicina e ciclofosfamide ◦ Terapia sintomatica e/o sostitutiva per adempiere alle funzionalità renali qualora queste fossero compromesse. L'amiloidosi AL essendo molto frequente in pazienti con mieloma bisogna valutare se la persona può sostenere una chemioterapia ed un trapianto autologo, tuttavia l'età avanzata è sfavorevole e peggiora la prognosi. In tal caso si va incontro ad una terapia sperimentale con antinfiammatori cortisonici + immunoterapia specifica con retuximab.
NEFROPATIA CRIOGLOBULINEMICA Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
DEFINIZIONE
È una patologia in cui si trovano in circolo delle crioglobuline associata a sintomi sistemici come porpora cutanea, artralgia, compromissione polmonare, dolori addominale, epatosplenomegalia, neuropatia periferica. La crioglobulina è una proteina (in genere una IgG) che precipita a basse temperature sugli endoteli vascolari. Può essere: 4. Primitiva: crioglobulinemia mista essenziale 5. Secondaria: in corso di connettiviti, infezioni, epatopatie, problemi ematologici e immunologici (anche mieloma). Esistono 3 tipi di crioglobulinemie: il secondo tipo (Mista) è quello che più interessa il rene e può dare una nefropatie crioglobulinemica. Questo tipo è caratterizzato da IgG policlonali che a basse temperature precipitano con un aggregazione di IgM (fattore reumatoide). Può essere primitiva o più frequentemente associata a epatite C, neoplasie linfoidi.
EZIOLOGIA e PATOGENESI
Si tratta di una proteina immunitaria (IgG) con problemi anomali che riguardano principalmente l'acido sialico che determina una precipitazione della proteina a temperature basse. In più si verifica anche la disfunzione del linfociti B che producono abnormi quantità di IgMk (fattore reumatoide) diretto contro le IgG anomale e così precipitano degli IC soprattutto a livello renale. Questi IC restano per molto tempo in circolo perchè sono poco solubili e perchè risulta poco efficiente anche il sistema reticolo-macrofagico.
EPIDEMIOLOG
È una patologia con incidenza tra 8-58% con maggior frequenza nel sesso femminile. È più frequente nella quarta-quinta decade e nei paesi del bacino Mediterraneo.
CLINICA
La precipitazione degli IC nel rene determina diversi quadri che possono andare da sindrome nefritica acuta, sindrome nefrosica, segni di insufficienza renale che rapidamente evolvono in forme più gravi, è quasi sempre presente ipertensione e in un ridotto numero di casi si presenta una IRA. Chiaramente tutti questi processi sono mediati dalla deposizione di IC e attivazione della risposta infiammatoria e immunitaria con danni renali. Le manifestazioni sistemiche fanno sempre riferimento all'accumulo intravasale delle crioglobuline: Porpora cutanea, non pruriginosa più frequente nelle estremità inferiori, iperpigmentazione e ulcere cutanee. Artralgie intermittenti Coliche addominali a seguito di una vasculite intestinale Compromissione polmonare Epatosplenomegalia persistente e non dolente Neuropatia periferica
DIAGNOSI
Anamnesi
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Esame obiettivo (clinica) Laboratorio: valutazione ematica della presenza di fattore reumatoide molto alto, IgG-IgMk, HCV (presente nel 90% dei casi associato a crioglobulinemia), ipocomplementemia soprattutto per C4, proteinuria di Bence-Jones. Biopsia: 1. Microscopio ottico: il quadro bioptico presenta una GN membranoproliferativa di tipo 1 con evidenti proliferazioni della parete glomerulare a partire dal mesangio con duplicazione della membrana basale con monociti e plasmacellule. Poi ci sono trombi capillari, segni di vasculite e nei casi gravi si possono anche vedere crescent segmentarie che indicano l'evoluzione verso una GN rapidamente progressiva. 2. Immunofluorescenza: depositi visibili di IgG, IgM, C3, C4, fibrinogeno all'interno dei lumi capillari e nelle membrane basali. 3. Microscopio elettronico: presenza di monociti che ostruiscono il lume dei capillari, depositi glomerulari amorfi, granulari e subendoteliali. PROGNOSI
TERAPIA
La malattia renale compare qualche mese dopo la crioglobulinemia e raramente è il primo segno. Durante il decorso clinico la nefrite alterna momenti di proteinuria moderata a momenti di proteinuria massiva a seguito di stimoli che inducono una riacutizzazione per aumento massivo di sintesi di crioglobuline. Può esserci l'evoluzione verso la sindrome nefrosica, indice di una prognosi cattiva. Però nel 30% dei casi si presentano solo microematuria e proteinuria non elevata e la condizione rimane costante senza sfociare in IRC. Nel 10% dei casi la nefropatia evolve in IRC terminale.
Terapia della fase acuta: cortisonici, ciclofosfamide e plasmaferesi per cercare di diluire il sangue ed estrarre la maggior parte delle crioglobuline. Vengono anche usati gli ACE-I per il trattamento della ipertensione arteriosa. Terapia di mantenimento: steroidi a basso dosaggio, eradicare l'infezione concomitante da HCV, trattamenti non convenzionali con ribavirina, micofenolato mofetile (potente immunodepressivo) e il retuximab che consiste in anticorpi monoclonali anti CD20.
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NEFROPATIE ISCHEMICHE
DEFINIZIONE
Molteplici quadri di nefropatia associati ad un ridotto apporto di O2 al rene a causa di un restringimento progressivo o acuto di un'arteria renale. Pertanto si tratta di quelle nefropatie in cui l'alterazione è a carico dei vasi. Esistono 4 tipi più comuni di nefropatie ischemiche: 30. Nefroangiosclerosi ipertensiva (55%): lesione determinata da una grave IT sistemica che coinvolge molti distretti tra cui il rene e soprattutto le arteriole della corticale che per sostenere il flusso aumentato e la pressione vanno incontro ad ipertrofia parietale con compromissione progressiva della perfusione del parenchima. 31. Ipertensione reno-vascolare (25%): ostruzione dell'arteria renale che determina una ridotta quantità di sangue che arriva al rene e per questo viene provocata una ipertensione sistemica per attivazione impropria dell'asse RAA 32. Sindromi cardio-renali (15%) 33. Ateroembolia colesterinica (5%): malattia in cui c'è la formazione di emboli a partire quasi sempre da trombi parietali o placche ateromasiche complicate che entrano in circolo e si depositano dove i vasi sono più piccoli e il microcircolo renale è uno dei bersagli maggiori per catturare gli emboli insieme al sistema retinico.
NEFROPATIA ATEROEMBOLICA
DEFINIZIONE
Sindrome renale caratterizzata da formazione in circolo e deposizione nelle arteriole renali di emboli ateromasici.
EZIOLOGIA
Rilascio ateroembolico dopo manipolazione di placca, spesso a seguito di manovre mediche come manipolazione dell'aorta addominale o delle coronarie per eseguire gli esami invasivi di analisi del lume vasale (arteriografia) Terapia anticoagulante che causa una modificazione della placca con immissione in circolo di frammenti ateromasici Traumi che provocano il distacco di frammenti di placca Modificazioni spontanee della placca che rilasciano in circolo emboli. In generale i fattori di rischio sono tutti quelli della sindrome metabolica.
PATOGENESI
L'ateroma spontaneamente o in modo provocato viene alterato nella sua struttura e rilascia in circolo emboli di colesterolo che vengono catturati nella
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“trappola” renale e compromettono il flusso arteriolare e quindi la perfusione in quanto si depositano sull'endotelio e vengono riconosciute come estranee per cui si attivano i processi flogistici e sono richiamate le cell macrofagiche che le inglobano e danno il via ad un altro processo ateromasico che termina con proliferazione miointimale e fibrosi parietale che ostacolano la perfusione.
CLINICA
DIAGNOSI
Le manifestazioni renali dell'ateroembolismo colesterinico sono: IRA (rapido decremento delle funzioni renali con aumento di Cr ed Urea plasmatiche per riduzione della filtrazione) IR rapidamente progressiva IRC associata a lesioni glomerulari: si tratta della forma terminale che di solito se non viene trattata evolve spontaneamente dalla forma di IRA a quest'ultima forma. Le lesioni renali causano una progressiva distruzione glomerulare che innesca nei glomeruli restanti una glomerulosclerosi focale e segmentale (GSSF) e anche a seguito dell'infiammazione. La clinica vede un repentino deterioramento della condizione renale dopo manipolazione aortica, lesioni ischemiche periferiche sempre associate all'embolizzazione, deficit visivi per intrappolamento degli emboli a livello dei vasi retinici e lieve rialzo pressorio per attivazione del sistema RAA per riduzione della perfusione dell'arteriola afferente dove ci sono barocettori. Le manifestazioni extrarenali sono: Cute: livedo reticularis (ischemia blocca la perfusione dei vasi precapillari che si vedono dalla cute con stasi ematica scuri), cianosi, gangrena, ulcere... Sistema nervoso: TIA, ictus, amaurosi fugax Addome: dolore, nausea, sanguinamenti, infarto intestinale, infarto splenico, pancreatite... Muscolo: mialgie Polmone: emoftoe, dispnea Sintomi generali: febbre e calo ponderale. Dal punto di vista renale il paziente è oligo-anurico.
Anamnesi Esame obiettivo Laboratorio: nel sangue si rilevano VES elevata nel 100% dei casi, leucocitosi e aumento PCR a seguito della flogosi sistemica. Le urine saranno concentrate, iperstenuriche ed iperosmolari con ridotto contenuto di Na come previsto dalla IRA. Biopsia: le arteriole piccole e medie del rene sono occupate da emboli ateromasici contenenti cristalli di colesterolo, materiale ialino e acellulare. Intorno c'è una tipica reazione da corpo estraneo con leucocitosi, proliferazione intimale, fibrosi e restringimento del lume vascolare.
Importante la diagnosi differenziale con altre forme che possono dare stesse manifestazioni tipo vasculiti, nefrite interstiziale allergica, ipertensione maligna, tossicità da mdc, endocardite, nefroangiosclerosi ipertensiva, Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
patologia nefrovascolare. TERAPIA
PROGNOSI
Prostaciclina, dobutamina, dopamina: per ripristinare il microcircolo Statine: per bloccare la eccessiva sintesi di colesterolo LDL-aferesi: rimozione intensiva di lipidi ma ha senso solo se l'azione è tempestiva. Corticosteroidi: per cercare di ridurre lo stato globale di flogosi.
Si tratta di un fenomeno irreversibile che una volta iniziato non può arrestarsi, tuttavia ha il vantaggio di essere abbastanza circoscritto e non si espande. L'importante è riuscire ad intervenire subito per evitare la progressione ed ulteriori danni. Solitamente evolve con il tempo in IRC e richiede trattamento dialitico che spesso è cronico. A lungo termine si vedono miglioramenti delle condizioni anche se solo parziali visto che la funzionalità renale non tornerà mai come prima (creatinina tra 0,8 a 1,2).
IPERTENSIONE NEFROVASCOLARE
DEFINIZIONE
EZIOLOGIA
Ipertensione arteriosa determinata dalla riduzione del flusso ematico al rene a causa di una stenosi dell'arteria renale o di un suo collaterale maggiore. Comprende il 5% di tutte le forme ipertensive ed è causata dal basso flusso renale che scatena l'attivazione dei barocettori sull'arteriola afferente che aumentano la secrezione di renina e in seguito angiotensina II e aldosterone che determinano un aumento di ritenzione di liquidi. È importante che la stenosi per essere sintomatologica sia superiore all'80%.
PATOGENESI
Stenosi ateromasica: soprattutto nei maschi, rapidamente progressiva e si verifica principalmente nel passaggio da flusso laminare a turbolento perciò negli osti. Fibrodisplasia muscolare: forma meno frequente ma che determina la maggior parte di queste ipertensioni nelle donne. Avviene in sede diversa dall'ostio perchè è un processo naturale non dipendente dall'emodinamica. Aneurisma dell'arteria renale Compressione ad estrinseco (ad es in caso di feocromocitoma) Subocclusione embolica dell'arteria renale Occlusioni in caso di trombofilia marcata Fistola artero-venosa Subocclusione segmentaria traumatica
La perfusione renale diminuisce e di conseguenza si attiva la produzione di renina che determina un aumento in circolo dell'AngII. Questa provoca una vasocostrizione compensatoria dell'arteriola efferente (mentre l'endotelina la
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provoca nell'afferente) in modo tale da cercare di mantenere costante VFG. In più l'AngII ha anche diverse azioni che stimolano il riassorbimento di sodio e acqua nel tubulo distale, aiutata in questo anche dall'aumentata secrezione di aldosterone che determina riassorbimento di sodio ed eliminazione di potassio. Il risultato è una marcata ritenzione di liquidi con ipokaliemia determinata dall'eccesso di aldosterone. L'ipertensione sistemica che ne deriva va a danneggiare il rene funzionante esponendolo ad un flusso continuo ed elevato che può con il tempo portare a nefrangiosclerosi ipertensiva e riduzione della massa renale del rene sano. L'ipertensione nefro-vascolare si suddivide in 3 tappe: 13. Fase I: renino-dipendente: è una situazione di eccesso di renina ed è reversibile. Nel modello di Goldblatt “1 clip 2 kidneys” togliendo la clip è stato visto che la pressione torna normale anche se per un attimo resta alta. 14. Fase II: angiotensino-dipendente: determinata dalla presenza marcata di angiotensina II che oltre a determinare ritenzione idrica e vasocostrizione inizia ad espletare una funzione proliferativa nei confronti della parete vasale, si verifica pertanto una ipercellularità vasale che peggiora la perfusione. Nel modello di Goldblatt se si toglie la clip la pressione resta alta per un po' ma poi scende visto che la situazione è ancora reversibile. 15. Fase III: IT da nefrangiosclerosi: è dovuta ad un danno progressivo del rene controlaterale che va in nefrangiosclerosi ipertensiva e pertanto togliendo la clip la pressione resta elevata e si ha un danno renale non indifferente. CLINICA
DIAGNOSI
I principali segni clinici ed anamnestici che ci possono far sospettare la IRV sono: Ipertensione costante non responsiva ai farmaci e soprattutto agli ACE-I. Si è visto inoltre che dando ACE-I il paziente peggiora e questo deriva dal fatto che riducendo la conversione della renina in AngII viene a ridursi lo stimolo compensatorio sulla arteriola afferente ed efferente e così la VFG diminuisce. Ipokaliemia normo-natriemica dovuta ad eccesso di aldosterone Ricorrenza di edema polmonare acuto per ritenzione idrica Comparsa di IT a meno di 30 anni o sopra i 50 anni. Ipertensione in pz con sindrome metabolica.
Anamnesi Esame obiettivo Eco-color Doppler: dell'arteria renale per vedere la presenza e il grado della stenosi, anche se non è molto precisa nell'indicare la quantità di stenosi. Angio RM: per conferma diagnostica ulteriore. Non si usa l'angio-TC in quanto si tratta di un paziente ischemico e si cerca di evitare il mdc. Laboratorio: dosaggio della renina plasmatica e nelle vene renali Scintigrafia con captocril TAC spirale.
PTCA
TERAPIA
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Stent endovascolari Sempre attraverso la arteriografia.
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NEFROPATIE INTERSTIZIALI
DEFINIZIONE
Nefropatie a diversa eziologia caratterizzate dal fatto che viene colpito l'interstizio renale con una più o meno grave compromissione dei tubuli vista la stretta continuità tra le due strutture. La patologia dell'interstizio renale si è visto che può determinare il 20-30% delle nefropatie. L'interstizio è formato da elementi cellulari, matrice extracellulare e vasi linfatici, è quella porzione che si trova interposta tra le membrane dei tubuli e dei vasi sanguigni che risulta poco visibile nel rene normale. Nella corticale l'interstizio è formato da 34. Cell tipo 1: producono eritropoietina 35. Cell tipo 2: funzionano come APC (cellule presentanti l'antigene) Nella midollare esistono 3 tipi di cell: Cell tipo 1: producono prostaglandine Cell tipo 2: simil-linfociti Cell tipo 3: localizzate vicino ai vasi con una funzione simil-pericitica La sostanza intercellulare è formata da proteoglicani, glicoproteine di connessione e fluido interstiziale. Fondamentale la presenza del collagene per sostegno e supporto. I vasi linfatici sono situati soprattutto sulla corticale. Pertanto le funzioni generali dell'interstizio sono: Sostegno e supporto Produzione ormonale (EPO, vit D3, PG) Le nefropatie interstiziali si distinguono in Acute: sono caratterizzate da aumento del volume renale conseguente ad edema interstiziale per infiltrazione di cellule infiammatorie (polimorfonucleati, monociti e linfociti). La sintomatologia è evidente a causa della dilatazione delle pareti e inoltre è presente anche un certo grado di necrosi tubulare. Croniche: forme esattamente opposte alle acute visto che sono molto subdole e si instaurano col tempo non dando sintomi specifici fino a quando non arriva una compromissione del parenchima renale. Sono caratterizzate da infiltrato plasmacellulare e linfocitario e le strutture interessate sono fibrotiche o atrofiche e di conseguenza le dimensioni del rene sono ridotte.
CLASSIFICAZIO NE
Forme acute: ◦ Infettive ◦ Da farmaci ◦ In corso di malattie immunologiche Forme croniche: ◦ Infettive ◦ Da reflusso VU
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◦ Ostruttive ◦ Altre (cause tossiche, farmaci, radiazioni, metalli, alteraz metab.)
PIELONEFRITE ACUTA (NEFROPATIA INTERSTIZIALE BATTERICA)
DEFINIZIONE
EZIOLOGIA
Processo infettivo a carico dell'interstizio renale o dei bacinetti e della pelvi da parte di batteri. Molto frequente nelle donne e negli uomini oltre i 40 anni.
Infezione urinaria: favorita da ◦ Stasi urinaria e conseguente risalita dell'urina infetta verso il rene Sepsi e disseminazione ematogena al rene
Condizioni predisponenti: Meccaniche: ostruzione delle vie escretrici, vescica neurogena, reflussi, manovre strumentali. Metaboliche: diabete, gotta, ipokaliemia, iperparatiroidismo. Fisiologiche: gravidanza, età. Iatrogene: lassativi, FANS, steroidi. INFEZIONE DELLE VIE URINARIE:
PATOGENESI
E' una delle infezioni più frequenti in assoluto. Deriva principalmente da un passaggio di germi dalla normale flora batterica intestinale verso l'uretra e da qui risalgono fino alla vescica. Nelle urine è normalmente presenta una certa quantità di batteri, ma la diagnosi di infezione urinaria si pone quando i batteri trovati superano i 100000 per ml e in più c'è il ritrovamento urinario di leucociti. La sintomatologia è abbastanza rilevante con stranguria, tenesmo e pollachiuria con eventualmente episodi di ematuria moderata che indicano quasi certamente una cistite. Non c'è sempre una correlazione tra entità dell'infezione e sintomatologia. Il 90% dei germi responsabili proviene dall'intestino (Proteus, E.Coli, Klebsiella, Pseudomonas) in piccola parte anche Enterococchi, Stafilococchi, Clamidia e Candida. Le infezioni urinarie sono nettamente più frequenti nelle donne a causa della lunghezza ristretta dell'uretra che è molto + a contatto con la vescica rispetto all'uretra maschile. Le donne hanno un picco in età prescolare, in gravidanza e nel periodo “luna di miele”, gli uomini sono più preservati fino ai 60 anni dopodichè la presenza di IPB aumenta il rischio di infezioni urinarie a seguito di stasi. L'infezione urinaria si può verificare a seguito di infezioni ascendenti per cui Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
i batteri colonizzano la regione uretrale e risalgono colonizzando le varie porzioni dell'uretra fino ad arrivare alla vescica. Per instaurarsi una cistite devono esserci condizioni vescicali predisponenti come ostacolo allo svuotamento e incapacità quindi di eliminazione dei batteri residui, alterazione della parete vescicale e delle sue proprietà antibatteriche e assenza nelle urine di sostanza batteriostatiche come gli acidi organici attivi a pH basso; se le urine si fanno alcaline i batteri possono instaurarsi più facilmente. La midollare del rene è un ambiente favorevole alla colonizzazione batterica vista la scarsa perfusione e apporto di O2, concentraz osmotica elevata, pH basso e produzione locale di ammoniaca. PIELONEFRITE ACUTA: Episodio infettivo che si instaura nell'interstizio renale per via retrograda o per via ematica in caso di sepsi. CLINICA
DIAGNOSI
La clinica è eclatante: 16. Febbre elevata settica con brividi che si alterna a periodi di defervescenza 17. Dolore lombare per distensione della capsula renale a seguito dell'espansione del volume parenchimale 18. Disturbi minzionali (stranguria, pollachiuria, tenesmo...) 19. Urine torbide perchè contengono batteri e pus (batteriuria e piuria) 20. Nausea e vomito a seguito della distensione della capsula che causa un aumento dei riflessi vagali.
TERAPIA
Anamnesi Esame obiettivo Laboratorio: esame delle urine in cui si rileva batteriuria (> 100000 batteri al ml), piuria, leucocituria, cilindri leucocitari al sedimento e all'analisi microbiologica c'è urinocoltura positiva. Nel sangue c'è leucocitosi neutrofila Funzione renale: di solito è normale e preservata, anche se nei soggetti anziani può insorgere una necrosi papillare acuta che interviene peggiorando il quadro verso un'IRA. Biopsia: infiltrato interstiziale e tubulare, emorragia, edema, necrosi, presenza di granulociti dentro ai tubuli a seguito dell'eliminazione di pus, glomeruli ed arteriole indenni.
Terapia antibiotica massiva mirata ad eradicare l'infezione con ciclosporine di terza generazione ad ampio spettro ma dopo aver fatto urinocoltura e antibiogramma. L'antibiotico va fato a cicli ripetuti di 15 giorni, finito un ciclo si rivaluta la condizione del paziente nell'eventualità di un nuovo ciclo antibiotico. Bisogna anche valutare che l'antibiotico sia adeguato e sopportabile per le funzioni renali visto che è in gran parte nefrotossico. Inoltre bisogna correggere le eventuali anomalie che hanno causato la patologia come l'ostruzione o il reflusso.
PIELONEFRITE CRONICA Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
DEFINIZIONE
Processo infettivo a carico dell'interstizio che procede in tempi molto lunghi e in modo paucisintomatico dovuto a processi infettivi sommati ad alterazioni strutturali e meccaniche.
EZIOLOGIA
Infezione + Ostruzione meccanica + Reflusso vescico-ureterale.
PATOGENESI
Il reflusso vescico ureterale è una condizione in cui durante la minziona la pressione vescicale aumentata causa un reflusso di urina verso gli ureteri a causa dell'incontinenza delle valvole vescicoureterali. Esistono 5 gradi di reflusso: il primo risale fino al terzo distale dell'uretere, il secondo arriva alla pelvi e la dilata con dilatazione anche a valle di tutto l'uretere e fino al 5 c'è una progressiva invasione di urina nel bacinetto e nei calici fino ad arrivare ai tubuli collettori causando al quinto tipo una dilatazione abnorme delle vie escretrici a partire dalla pelvi fino alla vescica. Nefropatia ostruttiva: ostacolo al normale svuotamento renale per presenza di un blocco dovuto in gran parte a calcoli, ipertrofia prostatica, neoplasia, vescica neurogena, stenosi...
CLINICA
Il 30 % dei pazienti resta asintomatico fino allo sviluppo di un'insufficienza renale. In un altro 30% invece si mostrano segni clinici aspecifici come: Poliuria Nicturia Anemia precoce (a causa della riduzione di EPO) Ipertensione arteriosa
DIAGNOSI
12. Anamnesi 13. Esame obiettivo 14. Ecografia renale: per vedere la dilatazione eventuale delle vie escretrici 15. Rx addome 16. Urografia 17. Laboratorio: valutazione di ◦ Leucocituria ◦ Proteinuria (minore di 1g/die) ◦ Microematuria (non sempre presente) ◦ Urinocoltura positiva ◦ Analisi della funzionalità renale: perdita di capacità di concentrazione urinaria e urine ipostenuriche e con ridotta osmolarità, ridotta capacità di acidificazione e urine alcaline, acidosi metabolica, perdita obbligata di sodio, glicosuria normoglicemica associata a aminoaciduria e fosfaturia. Queste condizioni sono tutte riferibili ad un'alterazione della funzionalità tubulare a causa della stretta vicinanza dei tubuli all'interstizio e per ridotta funzionalità dell'interstizio stesso come generatore del gradiente osmotico utile per concentrare le urine. 18. Biopsia: macroscopicamente i reni sono ridotti di volume e hanno superfici e contorni irregolari che simboleggiano aree cicatriziali. Microscopicamente si notano infiltrazioni di cellule immunitarie (plasmacellule e linfociti), fibrosi interstiziale e glomerulare, ispessimento
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delle arteriole per sclerosi intimale, dilatazione dei tubuli, anomalie della parete tubulare, cilindri intraluminali di materiale amorfo simil-tiroideo. Le lesioni sono distribuite irregolarmente. TERAPIA
Trattamento antibatterico a cicli ripetuti a seguito di antibiogramma e correzione dei fattori causali come reflusso e ostruzione.
NEFROPATIA INTERSTIALE ACUTA DA FARMACI
DEFINIZIONE EZIOLOGIA
Nefrite acuta tubulo-interstiziale immuno-allergica mediata principalmente da farmaci.
Antibiotici (penicilline, cefalosporine) Diuretici (furosemide) Antinfiammatori non steroidei (FANS) Anticonvulsivanti Altri (allopurinolo, azatioprina, omeprazolo...)
PATOGENESI
La patogenesi è strettamente immunologica mediata da deposizione di anticorpi anti membrana basale tubulare o infiltrazione di cellule immunitarie (linfociti T, monociti ed eosinofili che sono diagnostici). La reazione interstiziale acuta è sempre associata ad un danno tubulare anche se le cellule stesse del tubulo non sono solo bersaglio passivo ma intervengono anche attivamente nell'amplificare la risposta infiammatoria attraverso l'espressione di fattori chemiotattici per linfociti e monociti.
CLINICA
Spesso la clinica non prevede un episodio nefritico di danno renale, ma si tratta solo di una forma immuno-allergica e non tossica che regredisce alla sospensione del farmaco. Non esiste un rapporto determinato tra farmaco e malattia. Insorge dopo giorni o settimane dall'assunzione del farmaco. Segni renali: ◦ Ematuria ◦ Leucocituria ◦ Proteinuria ◦ Compromissione funzionale (anche se è rara perchè normalmente
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DIAGNOSI
TERAPIA
la diuresi è conservata) ◦ Segni di compromissione tubulare: acidosi tubulare, glicosuria, aminoaciduria, fosfaturia, perdita di Na, ritenzione di K, alterata acidificazione dell'urina. Sintomi generali: ◦ Rash cutaneo ◦ Febbre ◦ Eosinofilia ◦ Artralgie ◦ Dolore lombare ◦ Linfadenopatie Anamnesi Esame obiettivo Laboratorio: valutazione delle caratteristiche urinarie ed ematiche Biopsia: edema interstiziale, infiltrati di linfociti, plasmacellule ed eosinofili! Ci sono aspetti di tubulite con presenza di leucociti da entrambi i lati della membrana basale tubulare, segni di alterazione della parete tubulare con segni di rottura della membrana.
Identificazione e rimozione dell'agente implicato, corticosteroidi e in caso di IRA intervenire con un trattamento dialitico. La prognosi dipende dall'entità del danno. Guarigione nell'80% dei casi e progressione verso IRC nel 20%.
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NEFROPATIE EREDITARIE
DEFINIZIONE CLASSIFICAZIO NE
Patologie renali che vengono ereditate e si manifestano quindi a seguito dell'alterazione di uno o più geni che servono per il funzionamento renale. 36. Nefropatie Glomerulari: possono presentarsi come glomerulopatie o glomerulonefriti. 1. Sindrome di Alport 2. Nefropatia a membrane sottili 3. Nefropatia glomerulo-cistica 4. Glomerulosclerosi focale familiare 5. Nefropatia a depositi di IgA familiare 37. Nefropatie Tubulo-Interstiziali: 1. Nefropatie cistiche 1. Malattie policistiche 2. Disfunzioni tubulari 1. Nefronoftisi 2. Malattia midollare cistica 3. Tubulopatie da difetto singolo 4. Tubulopatie da difetto multiplo (Fanconi)
SINDROME DI ALPORT
DEFINIZIONE
Patologia caratterizzata da una progressiva perdita della funzione renale associata spesso a deficit uditivi e in casi minori a deficit visivi.
EZIOLOGIA
É una malattia genetica che può essere ereditata in diverse modalità in base al gene alterato che viene trasmesso: X-linked: forma più frequente (80%) in cui viene trasmesso il gene COL4A5 che codifica per la catena alfa5 del collagene IV. In alcuni casi si ritrova anche una mutazione del COL4A6 anche se da sola non è in grado di sostenere i processi patologici. Chiaramente colpisce molto di più i maschi e le femmine risultano portatrici anche se possono manifestare qualche alterazione a causa della diversa penetranza. Autosomica recessiva: copre il 15% dei casi e riguarda un alterazione in COL4A3 e COL4A4 che non risulta situato sul cromosoma X ma sul cromosoma 2 e pertanto ha trasmissione AR Autosomica dominante: copre solo il 5% delle forme di nefropatie ereditarie ed è molto rara. COL4A3 e COL4A4 modificati.
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PATOGENESI
CLINICA
DIAGNOSI
Il collagene IV che si trova in gran parte nelle membrane basali è formato 6 catene alfa-isomeriche che possono essere assemblate in 3 modi diversi a formare 3 diversi trimeri che costituiscono il collagene IV. Le catene alfa1 e alfa2 sono presenti in quasi tutti gli organi e loro mutazioni sono incompatibili con la vita per cui danno morte embrionale. Le catene alfa3 e alfa4 sono tipiche delle MBG ma anche della coclea, dell'organo del Corti, della retina e del cristallino. Le catene alfa5 e alfa6 sono presenti negli stessi luoghi delle 2 precedenti e in più si trovano anche nell'epidermide. I 3 trimeri principali che costituiscono il collagene IV sono: alfa1-alfa1-alfa2 alfa3-alfa4-alfa5 alfa5-alfa5-alfa6 Il primo tipo è quello espresso nelle prime fasi di vita per cui se una persona ha una mutazione di COL4A5 di sicuro alla nascita non la manifesta, ma la manifesterà nel momento in cui il trimero iniziale viene sostituito per far fronte all'aumento della filtrazione correlato all'incremento della statura e del peso che espone il glomerulo ad un aumentato rischio emodinamico. Infatti la catena di tipo 2 ha una resistenza maggiore poiché è stabilizzata da ponti disolfuro. Così al momento dello switch lo scambio non avviene correttamente perchè la catena che deve sostituire la precedente è tronca o malformata (mutazione missense) o assente del tutto (delezione) e pertanto sul piano morfologico si avranno dei tratti di glomerulo in cui la MBG sarà assente oppure tratti in cui verrà precocemente degradata a causa della ridotta resistenza.
Ematuria ricorrente con microematuria persistente. Spesso la macroematuria si verifica a seguito di infezioni delle vie aeree superiori nelle prime 2 decadi di vita. Proteinuria che compare non nei primi anni di vita ma più tardi e può evolvere in una forma nefrosica con peggioramento di prognosi. Ipertensione che aumenta in incidenza e severità con il progredire dell'età. IRC che si manifesta nel tempo con velocità diversa ma presente nel 90% dei pazienti con 40 anni di età. Deficit uditivi: sono presenti ma non tutti i pazienti raggiungono la sordità, di solito il range di frequenze che bilateralmente non viene percepito è tra 2000 e 8000 Hz. Compare di solito nella tarda infanzia o adolescenza. È dovuta a danni alle cellule capellute dell'organo del Corti e alla stria vascolare. Deficit visivi: compaiono nel 15-40% dei soggetti e coinvolgono il cristallino formando un lenticono anteriore ossia una protrusione conica della lente verso la camera anteriore dell'occhio che mette in difficoltà il processo di accomodazione. Talvolta è possibile anche osservare un lenticono posteriore o una sferofachia (sfericità del cristallino). Altre alterazioni possono essere chiazze retiniche perifoveolari che non causano però difetti visivi.
Anamnesi (studio di linkage) anche se risulta difficoltoso perchè sono presenti 3 geni diversi, le mutazioni riscontrate possono essere più di
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300 e si tratta di esoni molto lunghi da analizzare. Esame obiettivo (renale, uditivo e visivo) Laboratorio: esame delle urine Biopsia: al microscopio ottico si possono vedere alterazioni della membrana basale glomerulare associata a proliferazione del mesangio. In più si nota sclerosi glomerulare, atrofia tubulare e fibrosi interstiziale. All'immunofluorescenza si possono studiare le anomalie delle catene alfa del collagene 4 che possono essere diagnostiche. All'elettronica si notano ispessimenti, assottigliamenti e lamellazione della lamina densa nel complesso della MBG.
TERAPIA
Controllo primario dell'ipertensione con ACE-inibitori.
MALATTIA POLICISTICA
DEFINIZIONE
Si tratta di una patologia abbastanza frequente che si caratterizza per la presenza multipla di cisti renali associate ad un aumento di dimensioni del rene con una associata diminuzione della resa funzionale. Si stima che l'8-10% delle persone in uremia terminale con trattamento dialitico siano conseguenti a malattia policistica. Si presenta in 2 forme: Malattia policistica autosomica dominante (ADPKD) Malattia policistica autosomica recessiva (ARPKD)
EZIOLOGIA
- Nel caso della ADPKD il gene in questione è il gene PKD1 contenuto nel cromosoma 16p che codifica per la policistina 1 e anche in misura minore e con minori effetti dannosi il gene PKD2 che codifica per la policistina 2 situato nel cromosoma 4q. Viene detta dell'adulto perchè si manifesta con maggior frequenza negli adulti. - Nella forma ARPKD il gene in questione è della PKHD che codifica per la fibrocistina e si manifesta principalmente nell'infanzia con sintomi e segni più benigni.
PATOGENESI
La policistina 1 è una proteina che è situata in diverse zone dell'organismo, principalmente si trova sul tubulo renale ma anche nei dotti epatici biliari e nel dotto pancreatico. Essa è una proteina transmembrana che attraversa 11 volte la membrana ed ha il residuo aminoterminale all'esterno mentre il carbossiterminale in sede citoplasmatica come una configurazione di un tipico recettore. Si pensa che la sua alterazione nella forma dominante sia più un'alterazione a doppio hit piuttosto che una forma totalmente dominante. La funzione della policistina 1 è una funzione strutturale e comunicativa oltre che informazionale, infatti media il rapporto cell-cell e cell-matrice formando un complesso multiproteico che può avere funzione di canale per il calcio e quindi anche informazionale. La policistina 2 è una proteina anch'essa transmembrana che presenta i 2
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domini terminali entrambi in sede citoplasmatica e il COOH sembra che si associ al COOH della PKD1 a formare così un unico complesso multiproteico. Vengono colpiti solo il 5% dei nefroni di un rene e alcune persone la manifestano in modo molto grave, altre in forme più lievi. Questo dipende dalla penetranza completa della patologia ma espressività altamente variabile. L'alterazione principale e fondamentale per l'evoluzione della patologia è un'inversione della polarità della cellula tubulare colpita che anziché riassorbire si mette a secernere acqua e altre sostanze perchè ha perso l'orientamento corretto. Pertanto il tubulo in questione inizia a dilatarsi per eccesso di secrezione fino a formare delle protuberanze nella parete che sono piccole cisti (cisti endotubulari) che progressivamente si ingrandiscono con l'aumentare della produzione alterata di urina. Con il passare del tempo le cisti acquisiscono autonomia dal tubulo che le ha generate e si staccano da esso andando a comprimere le strutture circostanti. Questi processi avvengono non solo nel rene ma anche negli altri organi che contengono questa proteina e quindi in pancreas, fegato, e vasi oltre a diverticoli ed ernie. Il sistema vasale è l'alterazione più pericolosa perchè causa aneurismi intracranici, anomalie delle valvole cardiache e ipertensione. Gli aneurismi intracranici sono la principale causa di morte improvvisa nei pazienti policistici. CLINICA
DIAGNOSI
TERAPIA
Dolore al fianco per dilatazione della capsula Microematuria intermittente Macroematuria sporadica Ipertensione Cisti infette per stasi di liquido che facilmente può sovrainfettarsi. IRC L'ipertensione è una complicanza abbastanza frequente che si sviluppa a seguito della compressione delle strutture circostanti alle cisti con conseguente incapacità di liberazione della pre-urina e anche a seguito della compressione delle arteriole e dei piccoli vasi interstiziali che scatenano un aumento della secrezione di renina con stimolo dell'asse RAA. 21. Anamnesi (ed esame linkage) 22. Esame obiettivo 23. Ecografia renale: risulta positiva con riscontro di 2 o + cisti in un rene e almeno 1 cisti nel rene controlaterale in un giovane o 4 o + cisti nei pazienti con oltre 60 anni (a causa dell'aumento della frequenza delle cisti semplici benigne) 24. Laboratorio: esame urine Trattamento di supporto per controllare l'ipertensione attraverso ACE-I. Gli antibiotici liposolubili hanno la miglior efficacia per rene infetto e cisti epatiche. La terapia del dolore prevede il drenaggio delle cisti. Inoltre si usano ultimamente degli antagonisti del recettore V2 per l'angiotensina che sopprimono la crescita delle cisti.
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NEFRONOFTISI E MALATTIA CISTICA MIDOLLARE
DEFINIZIONE
Si tratta di una serie di patologie caratterizzate dall'insorgenza di cisti che vanno da un diametro di 1 cm fino a 10 cm e sono geneticamente determinate. Vanno a dare una compromissione cistica della midollare con comparsa terminale di uremia.
EZIOLOGIA e PATOGENESI
Alterazioni genetiche a carico delle proteine che formano il complesso di giunzione con altre cellule e con la matrice. La nefrocistina sembra rivestire un ruolo importante in questa malattia in quanto interagisce con le integrine, le caderine, la p130cas, e le proteine tirosin-chinasi. Se viene alterato tutto questo complesso inevitabilmente verranno colpite le funzioni di adesione e legame con le cellule circostanti. La nefronoftisi deriva da alterazioni dei geni NPHP2 che correla con una malattia infantile che evolve verso IRC e uremia entro i 5 anni di vita; NPHP3 che si associa ad una forma giovanile associata talvolta anche a fibrosi epatica e degenerazione retinica. È stato scoperto anche un nuovo gene coinvolto che è NPHP4. Nella MCKD si trovano alterazioni di 2 geni MCKD1 e 2 che danno le stesse alterazioni con la differenza che la 2 è molto più precoce e si associa a gotta. Può essere implicata anche un'alterazione della uromodulina.
CLINICA
Uremia (spesso a seguito di una condizione di IRC terminale) Fibrosi epatica congenita Anemia Ipertensione arteriosa Nefropatia glomerulare e tubulare Poliuria Retinite pigmentosa
DIAGNOSI
Anamnesi (linkage) Esame obiettivo Laboratorio Ecografia renale
TERAPIA
Controllo dei valori pressori e delle complicanze. In caso di IRC o uremia è necessario iniziare immediatamente un trattamento dialitico.
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RENE E GRAVIDANZA
CARATTERISTI La gravidanza è un processo complesso in cui si mettono in atto diverse modificazioni dal punto di vista: CHE DELLA 38. Anatomico: il rene in gravidanza aumenta notevolmente le sue GRAVIDANZA dimensioni oltre ad un allungamento del tubulo contorto prossimale e ad una dilatazione delle vie escretrici. In più a livello sistemico ci sarà una neoangiogenesi aumentata, una neocitogenesi e un'aumento di produzione di GR. 39. Fisiologico cardiaco: il cuore in gravidanza aumenta la GC per far fronte alle esigenze nutrizionali del feto ma si riduce la pressione arteriosa mentre il volume ematico circolante è incrementato. L'aumento di GC e la diminuzione pressoria sono 2 condizioni in antitesi, tuttavia si spiegano con la presenza di uno shunt placentare per cui una volta che l'arteria ombelicale si è formata, essa sottrae alla circolazione nelle resistenze periferiche una parte del sangue (20%) che viene dirottato verso la placenta e progressivamente la madre perde il controllo sulla vasocostrizione di questa quota ematica. 40. Fisiologico renale: in gravidanza il rene risulta più efficace in quanto aumenta la VFG e la creatininemia si riduce fino a 0,5-0,6-0,7 mg/dL. Inoltre aumenta il FPR e viene modificata la funzionalità del tubulo, aumenta la secrezione delle PG e dei trombossani (che hanno effetto opposto) e anche il sistema RAA risulta iperattivato. 41. Ormonale: si verifica in gravidanza un incremento dei valori di relaxina che è secreto dalle cell del corpo luteo e determina un rimodellamento dei genitali interni e in più una vasodilatazione renale per incremento di NO. In più c'è anche l'ipersecrezione di insulina. Inoltre aumenta la ritenzione di Na, di acqua e si riduce l'osmolarità plasmatica del sangue della madre a causa dell'incremento di liquido grazie anche al riassorbimento renale da parte dell'aldosterone e ADH oltre alla riduzione delle resistenze periferiche. CLASSIFICAZIO NE DELLE PATOLOGIE RENALI GRAVIDICHE
Reperti isolati (proteinuria, glicosuria...) Uropatia ostruttiva Cistiti e pielonefriti Nefropatia pre-renale da iperemesi gravidica NTA da aborto spontaneo Necrosi corticale acuta da distacco di placenta o placenta previa Ipertensione in gravidanza Sindrome emolitico-uremica post-partum
L'ipertensione in gravidanza può essere di 4 tipi: Ipertensione primitiva / secondaria: può essere essenziale o secondaria ad altre situazioni come ipertiroidismo, IT nefrovascolare, iperaldosteronismo...) Ipertensione gestazionale: indotta dalla gravidanza associata però a Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
obesità, multiparità e familiarità per IT. Non si manifesta mai proteinuria, compare nell'ultima parte della gravidanza e scompare dopo il parto. Pre-eclampsia (gestosi gravidica): incremento di pressione dopo la 20esima settimana di gestazione in donne precedentemente normotese associato a proteinuria (> 0,3 mg/L in un campione delle 24 ore). Questa forma può poi evolvere in eclampsia quando oltre ai sintomi precedenti insorgono problemi neurologici e crisi convulsive o in HELLP (emolisi, aumento dell'indice degli enzimi epatici e piastrinopenia) Pre-eclampsia su malattia cronica: sindrome che nasce su IT essenziale, diabete mellito, LES, Nefropatia glomerulare primitiva, dialisi e trapianto renale, endometriosi e mola idatiforme. PATOGENESI PREECLAMPSIA
Le arterie uterine (spiraliformi) sono altamente regolate dal meccanismo miogeno e dal sistema autonomo simpatico che intervengono su contrazione della muscolatura liscia delle arterie che permette di calibrare il flusso di sangue verso la parete uterina. Nelle prime fasi della gravidanza la parete uterina verso il lume si trasforma nella decidua mentre l'embrione impiantato sviluppa le cellule del citotrofoblasto che sviluppano i villi coriali e le cellule del sinsiziotrofoblasto che insieme formano il corion e si insinuano nella decidua materna. L'unione tra la decidua e il corion dà origine alla placenta che è il luogo in cui avvengono gli scambi tra feto e madre e infatti è costituita da un insieme di tessuti fetali e materni con cellule del feto che entrano anche in circolo. Questo primo incontro tra cell materne e fetali evoca una risposta atipica materna che vede nelle cell fetali un sistema HLA diverso e per questo dà il via ad un processo di rimpiazzamento delle cellule proprie che costituiscono i vasi arteriosi uterini (decidua). Questa operazione avviene attraverso il reclutamento di cellule NK che riconoscono antigeni self e sviluppano una risposta anomala contro di essi mandando in apoptosi le cellule. In questo modo le cellule della muscolatura liscia delle arterie spirali viene a mancare e viene sostituita dalle cell del sinciziotrofoblasto che si insinuano nelle pareti arteriose. La conseguenza di ciò è l'assenza di un meccanismo di regolazione materna al flusso fetale ed è come se il feto si autoproteggesse da un'eventuale riduzione dell'apporto ematico a seguito di vasocostrizione. Questo contribuisce alla diminuzione delle resistenze e quindi alla riduzione della pressione arteriosa materna. Nella pre-eclampsia il processo di rimpiazzamento non è completo o è anomalo e pertanto non si viene a creare quel letto vascolare a bassa resistenza che permette l'approvvigionamento incondizionato di sostanze al feto che va in parziale ipossia così come la placenta che risulta ipoperfusa. L'ischemia placentare e fetale determina uno stato generalizzato di flogosi per cui si instaura una aumentata produzione di ROS e di tromboplastina che sono gli intermediari del danno endoteliale che viene predisposto anche a seguito di aumento di Tx e riduzione di PG e NO oltre che ad un'aumentata trombofilia endoteliale. Questi fattori provocano una proteinuria, un'ipertensione massiva e un edema persistente a causa dell'ipovolemia che scatena l'asse RAA e la ritenzione di liquidi.
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EZIOLOGIA PREECLAMPSIA
EPIDEMIOLOGI A PREECLAMPSIA
CLINICA PREECLAMPSIA
Si pensa che a questa condizione contribuisca una predisposizione genetica dovuta ad un'anomalia del gene AGT235 che è coinvolto nella formazione definitiva della placente e inoltre si è visto che anche mutazioni del fattore V di Leiden possono predisporre alla pre-eclampsia oltre ad aborto spontaneo, distacco di placenta e TVP. Inoltre anche la variante protrombina sembra essere interessata nella patogenesi della patologia. Anche le anomalie a carico della metil-tetraidrofolato-reduttasi (MTHFR) sono considerate predisponenti a questo quadro visto che l'inefficienza di questo enzima causa aumento in circolo di omocisteina, la quale risulta un fattore di rischio per trombosi e fenomeni vascolari. Chiaramente i pazienti con un sistema immunitario deficitario non saranno in grado di sostenere il processo del rimpiazzamento e anche soggetti con diabete, LES e patologie croniche debilitanti. I fattori di rischio principali della patologia sono: Classi socio-economiche basse Feti multipli e cisti idatidea Diabete mellito Nefropatia Storia familiare di gestosi gravidica Età avanzata della gestante Ovaio policistico Endometriosi Asma Obesità Malattie autoimmuni
Prima gravidanza a 25 e 34 anni Gravidanza gemellare Possibilità di recidiva nella seconda gravidanza del 20% Insorgenza dopo la 20esima settimana Totale incidenza sulle gravidanze 6-8% (in USA) Totale incidenza della eclampsia è 0,05-0,2% (in USA)
I principali sintomi della pre-eclampsia sono: Oliguria Edema Cefalea Disturbi visivi Neuropatia Ansia Dolore addominale Asintomatico I principali segni obiettivi sono: Ipertensione (P diastolica > 110 mmHg, P sistolica > 140 e > 180 mmHg) comunque già sopra ai 90 la sistolica è da considerare alta
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DIAGNOSI
visto il regime pressorio diminuito della gravidanza. Proteinuria > 1g/die Tachicardia e tachipnea Rantoli e disturbi all'auscultazione polmonare Iperreflessia Petecchie, emorragie cerebrali Feto iposomico, utero ridotto di dimensioni, aumento ponderale materno. Iperuricemia Trombocitopenia Indici epatici elevati Microangiopatia Pancreatopatia
25. Anamnesi 26. Esame obiettivo (valutare attentamente la Pressione e la presenza di Edemi) 27. Laboratorio: esami ematici e delle urine per vedere la proteinuria, i livelli ematici di piastrine e globuli rossi, la creatinina, l'urea... 28. TC cerebrale: per vedere una eventuale compromissione del parenchima 29. Ecografia fetale 30. Biopsia placentare: aumento del numero e della lunghezza dei villi con edema. Assottigliamento delle membrane trofoblastiche, presenza di ispessimento delle pareti delle arterie con necrosi fibrinoide e processi ateromasici in atto con infiltrato di linfociti. 31. Biopsia renale: glomeruli aumentati di volume ma non ipercellulati, incremento del volume delle cellule mesangiali e endoteliali che provocano una endoteliosi glomerulare cioè una riduzione del flusso ematico glomerulare. In più si trovano depositi di fibrina in sede mesangiale e a livello della membrana basale e microtrombi endoluminali.
La prognosi varia in base all'entità del danno e la mortalità/morbilità materna DECORSO E COMPLICANZE è tra 8-36% soprattutto correlata alla gravità degli edemi. La morbilità/mortalità fetale è del 13-30% correlata soprattutto alla precocità del parto. Le possibili complicanze possono essere rischio di danni neurologici permanenti, insufficienza renale, aumento del rischio di pre-eclampsia ad una nuova gravidanze, aumento del rischio di IT essenziale e morte. Eclampsia: patologia che si presenta con i sintomi e segni della preeclampsia con in più manifestazioni neuronali che partono da una cefalea e un'oscillopsia, crampi gastrici correlati ad aumento dell'edema, crisi convulsive seguite da perdita di coscienza che possono però anche manifestarsi come un coma profondo senza convulsioni. HELLP: sindrome “ipertensione, enzimi epatici elevati, piastrinopenia”. Deriva da una pre-eclampsia non diagnosticata che evolve in una sindrome pre-eclamptica con peggioramento della Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
situazione dovuto a piastrinopenia, disturbi della coagulazione, alterazioni epatiche, stato astenico su base neurologica. Questo accade a seguito della liberazione di tromboplastina e ROS e citochine che promuovono il danno endoteliale con trombofilia placentare e deposizione di aggregati piastrino-fibrinici sulle superfici endoteliali soprattutto dei vasi placentari con conseguente sindrome da consumo nella periferia ed è per questo che tendono a verificarsi fenomeni di emorragia e petecchie periferiche. Laboratorio della HELLP: indici di danno epatico (bilirubina e SGOT aumentati, indici di emolisi, LDH aumentata e piastrinopenia)
TERAPIA
Cercare di salvaguardare la madre ed il feto: Ospedalizzazione Rallentamento dell'evoluzione Monitoraggio dei parametri “spia” Innanzitutto è necessario il controllo della pressione arteriosa per os attraverso metildopa, calcio antagonisti e beta-bloccanti. In casi gravi anche per via endovenosa. Antiaggrerganti piastrinici importanti per evitare il peggioramento della perfusione placentare e il danno renale. Plasma fresco (plasmaferesi).
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INSUFFICIENZA RENALE CRONICA
DEFINIZIONE
Si definisce come la perdita progressiva delle funzioni escretorie ed ormonali del rene a seguito della riduzione delle strutture renali funzionanti. Pertanto l'IRC si associa ad una diminuzione marcata del volume renale per carenza di parenchima e quindi non è diversa da una sindrome nefrosica in cui si vedono alterazioni strutturali del parenchima renale. Esistono 5 stadi della malattia renale cronica e vengono basati sul livello di creatininemia e VFG. Il termine di malattia renale terminale si riferisce ad una situazione in cui le tossine che dovrebbero essere escrete e invece vengono ritenute si accumulano in circolo e danno un quadro grave di sindrome uremica che mette a rischio la vita del paziente se non si interviene subito con un trattamento sostitutivo.
EZIOLOGIA
42. Nefropatie glomerulari (16%) 43. Nefropatie tubulo-interstiziali (13%) 44. Nefropatie vascolari (principalmente IT trascurata)(20%) 45. Diabete (31%) 46. Malattia policistica renale 47. Malattie renali ereditarie 48. Altre... Le eziologia scatenanti precedenti si sommano poi a fattori predisponenti come Iperlipidemia, Iperfosforiemia, Aumentato apporto proteico dietetico visto che sforzano il rene che è portato a filtrare di più, Infezioni e condizioni come la Disidratazione.
PATOGENESI
La patogenesi della IRC prevede 2 condizioni: Fattore eziologico di base che scatena la patologia renale come un problema glomerulare o tubulo-interstiziale o vascolare che riducono la funzionalità renale e progressivamente mandano in necrosi il parenchima renale. Iperattivazione compensatoria dei nefroni rimanenti che devono sostenere un flusso aumentato visto che gli altri nefroni sono scomparsi e con il tempo vanno in ipertrofia, sclerosi (dovuta ad alterazione della parete a seguito dell'incremento pressorio che favorisce microtrombi ed aneurismi) e in fine necrosi peggiorando ulteriormente la sclerosi dovuta al processo scatenante e si arriva ad una situazione in cui il rene è clinicamente morto. La progressione del danno è monitorabile attraverso il rapporto tra aumento della creatinina plasmatica con riduzione della VFG. Infatti semplicemente guardando i valori ematici di Cr si possono rilevare i valori di VFG e quindi di funzionalità renale in quanto i 2 fattori sono inversamente proporzionali. Cr = 1 VFG = 100% Compenso funzionale Cr = 2 VFG = 50% Scompenso funzionale Cr = 7 VFG = 10% Uremia
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Cr = 15 VFG = 0% Tuttavia affinchè la creatinina si alzi anche di poco serve un abbassamento notevole della VFG perchè nei valori di VFG compresi tra 150 ml/min e 30 ml/min la creatininemia resta più o meno costante o con lievi alterazioni a causa del compenso fisiologico. Al di sotto di 30 la Cr cresce in modo esponenziale.
L'inefficienza funzionale del rene provoca la ritenzione di sostanze dannose e lesive che derivano in gran parte dal catabolismo cellulare: Urea (dal normale ciclo cellulare) Acido urico (prodotto dal catabolismo degli acidi nucleici) Paratormone Beta2-microglobulina Creatinina (che però deve essere rapportata alla massa muscolare) Altri (composti aromatici, derivati guanidinici, amine alifatiche, poliamine, derivati dei carboidrati, polipeptidi e proteine, altri derivati dal catabolismo degli acidi nucleici come cAMP...) Patogenesi delle alterazioni
Alterazioni elettrolitiche: ◦ Sodio e Acqua: nelle forme di IRC compensata la filtrazione renale è normale e pertanto il riassorbimento e l'escrezione del sodio saranno mantenuti. Tuttavia l'equilibrio è precario e se con la dieta c'è un eccesso di Na la clearance di questo elettrolita non riesce a superare la sua assunzione e questo si accumula perifericamente associandosi a ritenzione idrica e causando ipertensione ed edemi. ◦ Potassio: il K può aumentare nei casi di aumento di assunzione con la dieta, emolisi, catabolismo proteico, emorragia... altrimenti c'è sempre il compenso attraverso cui agisce l'aldosterone che ne
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coordina l'eliminazione. Alterazioni acido-base: di solito il paziente è ancora in grado di acidificare le urine in un primo momento ma poi si riduce la produzione di ammoniaca e questo comporta un'impossibilità di eliminare più di una certa dose di H+. Però nella maggioranza dei casi l'acidosi metabolica è lieve può essere curata con somministrazione orale di HCO3 Alterazioni del metabolismo del Ca e del P: la VFG è ridotta e il P è ritenuto così si scatena la produzione di PTH dalle paratiroidi, le quali si ingrandiscono di volume e vanno in iperplasia. La crescita delle paratiroidi è stimolata anche dalla carenza di calcio correlata ad una riduzione della vitamina D attiva. Poi però la calcemia aumenta a seguito dell'effetto del PTH sull'osso dove causa osteite fibrosa cistica e tipiche formazioni cistiche dette tumori bruni. I livelli di PTH diventano esagerati in certi casi, mentre in altri sono bassi a causa del trattamento sostitutivo con vitamina D esogena e si va incontro a osteomalacia da basso turnover osseo. In più l'eccesso di PTH risulta tossico e causa debolezza muscolare e fibrosi del miocardio. Alterazioni cardiovascolari: restano la prima causa di morte a seguito di insufficienza renale cronica. Sono riferibili sia ad un'aumentata possibilità di calcificazioni intravascolari per eccesso di P e di Ca e ipertensione, ipervolemia, iperuricemia, dislipidemia e ipertono simpatico. In più il quadro è peggiorato dalla presenza di molte citochine proflogistiche in circolo in grado di richiamare il sistema del complemento e della coagulazione. In seguito poi si verifica anche scompenso cardiaco per ipertensione progressiva che causa dilatazione del ventr sx. L'iperkaliemia può dare disturbi di ritmo con alterazioni evidenti all'ECG che possono perfino dare fibrillazione ventricolare. Alterazioni ematologiche: anemia per ridotta produzione renale di EPO e anche stato infiammatorio cronico che riduce la disponibilità di ferro oltre all'aumentata clearance dell'elemento. In più si verificano anche anomalie coagulative sia in senso emorragico che in senso trombotico (nel caso in cui ci sia proteinuria ed eliminazione di fattori anticoagulanti. Alterazioni neuromuscolari: frequenti in corso di uremia per eccesso in circolo di tossine che danno neuropatie sensitive e motorie periferiche e a livello centrale danno perdita di memoria, disturbi del sonno e irritabilità neuromuscolare che si manifesta all'inizio con singhiozzo, fascicolazioni, crampi e poi progredisce in asterixis, crisi epilettiche e coma. Alterazioni gastrointestinali e nutrizionali: l'eccesso di uremia determina un alito uremico caratteristico per trasformazione di urea in ammoniaca. Frequenti gastrite, ulcere gastriche che danno vomito e sanguinamento. La ritenzione di tossine uremiche può contribuire al vomito e alla nausea. Alterazioni endocrino-metaboliche: la ridotta clearance dell'insulina che in condizioni fisiologiche viene effettuata dal rene implica un lieve incremento dei suoi livelli, tuttavia il metabolismo del glucosio è ridotto, ma comunque la glicemia a digiuno è nella norma.
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CLINICA
Alterazioni dermatologiche: tendenza ad un colorito brunastro-cereo conseguente alla deposizione di sostanze pigmentate. Inoltre ci può essere un ispessimento notevole della cute (dermopatia nefrogena fibrosante).
L'IRC si stabilisce progressivamente in modo abbastanza subdolo spesso senza che il paziente se ne accorga, generalmente i sintomi e segni obiettivi comprendono una poliuria da incapacità di riassorbimento tubulare con nicturia. In più si può avere ipertensione ed edemi. Ai sintomi è frequente l'inappetenza, vomito, astenia, malessere, vertigini, male alle gambe e irrequietezza. Tipici sintomi e segni clinici dell'uremia: Cute: facies uremica Cardiovascolare: ipertensione, SC, pericardite (fibrinoso-emorragica) Ematologici: anemia, alterazioni coagulative, alterazioni leucocitarie Polmone: edema polmonare acuto a seguito di iperidratazione Gastrointestinale: gastriti uremiche Nervoso: encefalopatia uremica che compare però dopo molto tempo, neuropatia periferica. Osseo: osteodistrofia uremica per eccesso di PTH Metabolico: disordini del met glucidico (aumento insulina e glucagone), lipidico (aumento TG, LDL e riduzione HDL) e proteico (riduzione AA essenziali) Endocrino: riduzione funzionalità tiroidea e gonadica, aumento volume e funzionalità delle paratiroidi.
DIAGNOSI
TERAPIA
32. Anamnesi 33. Esame obiettivo generale 34. Laboratorio: uremia elevata, creatininemia elevata, emoglobina ridotta. 35. Ecografia renale Biopsia renale sconsigliata per la grandezza relativa dei reni che in caso di IRC risultano molto piccoli, atrofici e sclerotici.
Conservativa: terapia dietetica che si fonda su restrizione proteica privilegiando i cibi ricchi di aminoacidi essenziali, incremento dell'apporto calorico e ottimizzazione del bilancio di sali ed acqua in base allo stato idro-elettrolitico del paziente. Sostitutiva artificiale: dialisi Sostitutiva naturale: trapianto.
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DIALISI
DEFINIZIONE
Processo terapeutico che permette la purificazione artificiale del sangue attraverso il passaggio all'interno di membrane semipermeabili e mediante l'utilizzo di soluzioni apposite, sostituendo quasi interamente le funzioni renali di 49. escrezione di prodotti tossici 50. regolazione del volume di liquidi ed elettroliti 51. regolazione dell'equilibrio acido-base Esistono 2 tipi di trattamento dialitico: Emodialisi Dialisi peritoneale
INDICAZIONI
Le indicazioni assolute al trattamento dialitico sono: Pazienti con VFG minore di 20-25 ml/min e in più: ◦ Sintomi dell'uremia (nausea, vomito, encefalopatia uremica, pedicardite, diatesi emorragica) ◦ Iperpotassiemia incontrollabile ◦ Sovraccarico idrico ◦ Severa acidosi metabolica associata ad oligo-anuria. Riguarda i pazienti con nefropatie acute.
Pazienti che hanno un peggioramento ingravescente delle condizioni renali che però sono compromesse in modo cronico e arrivano a situazioni di clearance di Cr < 15-20 ml/min e azotemia > 1 g/L. Riguarda i pazienti con nefropatie croniche. Dal punto di vista dell'utilità, la dialisi permette il salvataggio della vita attraverso la riduzione della potassiemia e dei liquidi corporei oltre che delle tossine uremiche circolanti. Indicazioni meno comuni alla dialisi sono: intossicazione da farmaci, ipercalcemia, iperuricemia, alcalosi metabolica e ipotermia. MECCANISMO
Con l'EMODIALISI il sangue del paziente viene fatto passare in un sistema di tubi extracorporei che sono diretti verso il “filtro” costituito da un insieme di sottilissimi tubi che possiedono una membrana semipermeabile e sono immersi all'interno di un liquido che è detto “dialisato” che è puro e possiede una concentrazione molto bassa di certe sostanze che devono essere eliminate dal sangue e passano quindi per la legge di Fick della diffusione dal sangue al dialisato. Inoltre viene mantenuta una pressione molto bassa in modo tale da attrarre l'acqua contenuta nel sangue verso il dialisato in modo da sottrarre i liquidi in eccesso. Il filtro complessivamente è esteso perchè ha una membrana di 1,5 m2. All'interno delle microfibre è necessario che sia presente eparina per evitare la coagulazione. La legge di Fick afferma che: J = - D x A (delta c / delta x) dove J è il flusso
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di soluto da un compartimento all'altro, D è il coefficiente di diffusibilità, A è l'area disponibile alla filtrazione, delta c è la differenza delle concentrazioni di soluto tra i 2 compartimenti e delta x è lo spessore della membrana. Pertanto maggiore è la diff di conc e maggiore sarà la diffusione dal sangue al dialisato, così come l'area disponibile. Invece lo spessore è inv proporzionale alla quantità di filtrazione. Nel dialisato si mantiene una pressione di circa 60 mmHg minore della pressione sistemica in modo da aspirare l'acqua dal sangue al dialisato e ridurre la volemia. Infatti durante la dialisi c'è una riduzione del peso corporeo di 600-800 g all'ora corrispondente all'uscita di acqua. Le membrane del filtro hanno pori di dimensioni tali da non far passare le molecole oltre i 60000 Da e quindi dal'albumina in su. Il dialisato viene costruito in base alle esigenze del paziente ed in base ai suoi valori ematici. In generale nel dialisato la creatinina, l'urea e l'acido urico sono assenti in modo tale da permettere un passaggio maggiore di queste sostanze dal sangue, il K è in base alla kaliemia. Ad es. se il paz ha kaliemia di 6 mEq//L nel dialisato ce ne saranno 2 in modo da farlo arrivare a 4 mEq/L. Il sodio viene mantenuto costante. Il calcio, il cloro e il magnesio vengono anch'essi tenuti abbastanza bassi visto che a fine dialisi il paziente tende ad avere una lieve ipercalcemia. Si agisce invece con un supplemento nel dialisato di HCO3- in modo che questo passi all'interno del sangue per far fronte all'acidosi metabolica. L'accesso al sistema vascolare durante l'emodialisi viene effettuato In urgenza: attraverso un catetere venoso centrale posizionato a livello della vena giugulare e meno di frequente femorale e succlavia. Il catetere tuttavia risulta non tunnelizzato e quindi sempre considerato come corpo estraneo. Cronicamente: si effettua ◦ Fistola artero-venosa: comunicazione tra un'arteria ed una vena che può essere sia naturale ossia un'anastomosi tra un'arteria ed una vena superficiale oppure attraverso l'interposizione di una protesi sintetica. La fistola serve per permettere un passaggio di sangue più velocemente rispetto al limitato flusso venoso e inoltre evita di dover pungere l'arteria che è più profonda e con parete più esposta alla formazione di trombi. Permette quindi di pungere la vena in 2 punti diversi, soprattutto la modalità con protesi sintetica. Inoltre la vena può essere tamponata quando viene tolto l'ago e non c'è rischio di emorragia. ◦ Catetere centrale tunnelizzato: ciò significa che il catetere è rimasto in sede talmente tanto da rendere possibile una fibrotizzazione del tubo e così non viene più considerato come corpo estraneo. L'emodialisi viene effettuata 3 volte a settimana per 3-4 ore a seduta ed è completamente assistita. Le possibili complicanze dell'emodialisi possono essere: Ipotensione transitoria durante il processo Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
Disordini elettrolitici. Ad esempio se il paziente è sudato bisogna aumentare il K e il Na nel dialisato altrimenti rischia di andare in iponatriemia e ipokaliemia.
Emolisi: dovuta a contatto tra GR e tubuli sintetici (allergicità ai materiali anche se è estremamente rara) Embolia gassosa Reazione da ipersensibilità Reazioni febbrili Diatesi emorragiche (le ultime sono tutte create da reazioni anomale al contatto del sangue con le membrane) Sindrome da disequilibrio (?) osmolarità del plasma diminuisce e il liquido contenuto nei vasi tende ad uscire nell'interstizio.
Con la DIALISI PERITONEALE il meccanismo fisico della diffusione è lo stesso con la differenza però che la membrana semipermeabile anziché essere quella del filtro sintetico è costituita dal mesotelio che forma il peritoneo viscerale. Il dialisato viene introdotto attraverso un accesso esterno e immesso nella cavità peritoneale. Progressivamente il gradiente di diffusione inizia a far passare le sostanze in eccesso dal sangue al dialisato. Infatti il peritoneo è altamente vascolarizzato e permette il passaggio di liquidi e sostanze nella cavità peritoneale. La tecnica per assorbire l'acqua in ecesso a differenza dell'emodialisi è l'immissione di un liquido dialisato con una concentrazione osmotica estremamente bassa in modo tale da attirare l'acqua verso di sé, è un processo però molto più lento rispetto alla differenza pressoria. Questa procedura va effettuata tutti i giorni e il paziente si gestisce il materiale e l'intervento completamente da solo, mentre nell'emodialisi c'è l'assistenza continua. Chiaramente per l'accesso è necessario un tunnel sottocutaneo che attraversi la muscolatura addominale ed arrivi in cavità peritoneale. Oggi viene effettuato di notte tramite un macchinario automatizzato. Le eventuali complicanze della dialisi peritoneale sono la peritonite, il rischio di infezione del tunnel sottocutaneo, il malposizionamento e spostamento del catetere, fuoriuscite ematiche nel fluido peritoneale. SCELTA DELLA TERAPIA
Le due opzioni sono del tutto equivalenti dal punto di vista funzionale e anche delle complicanze visto che nessuna è esente. Si sceglie volta per volta in base alle circostanze tenendo in considerazione che nell'emodialisi il paziente è totalmente assistito dal personale mentre in dialisi peritoneale no, il bambino in acuto è meglio se trattato con dialisi peritoneale, l'adulto invece ha una rimozione in acuto di liquidi più velocemente con l'emodialisi. Nel paziente cronico è del tutto equivalente, a meno che il paziente non sia in grado di eseguire l'operazione da solo e in tal caso si opta per l'emodialisi.
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TRAPIANTO RENALE
DEFINIZIONE
Il trapianto renale è una terapia chirurgica che permette la sostituzione di uno o 2 reni non funzionanti con altrettanti reni funzionanti che espletano tutte le funzioni fisiologiche del rene a differenza della dialisi che è un trattamento sostitutivo ma parziale perchè il paziente convive con la tossicità da uremia.
INDICAZIONI
Il trapianto viene preso in considerazione in casi di IRC o stati terminali del rene che non gli permettono più di eseguire la sua funzione. La scelta del donatore può essere di 2 tipi: 52. Vivente: (anche se in Italia è sempre meno praticato rispetto a quello da non vivente) 1. Consanguineo 2. Non consanguineo, legalmente apparentato 3. Non consanguineo, non apparentato 53. Non vivente (da cadavere): in questo caso si possono scegliere diverse opzioni: 1. Prelievo di 1 rene 2. Prelievo di 2 reni nel caso in cui le condizioni del donatore non siano al massimo delle potenzialità 3. Multiorgano: rene + pancreas, fegato, cuore. Il donatore però deve essere valutato come idoneo attraverso criteri di esclusione che comprendono: Età maggiore di 75 anni: dipende da che cosa è morto, un tempo venivano accettati solo i casi di morte cerebrale, oggi anche certi casi di arresto cardiaco che non abbia però avuto il tempo di dare danni renali Biopsia renale patologica Malattie croniche avanzate Neoplasie maligne Malattie sistemiche Infezioni attive resistenti a terapia Malattia renale Alterazioni urologiche Presenza di test positivi per HIV 1,2 HbsAg + HDV... Malattia da prioni accertata I criteri di esclusione per il ricevente sono: Età minore di 5 anni e maggiore di 70 Infezioni e Neoplasie Epatopatia cronica scompensata (in tal caso si opta per la possibilità di trapianto combinato di fegato e rene) Patologa cardiovascolare severa Psicosi incontrollata Abuso di farmaci
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Poi si passa alla valutazione della COMPATIBILITA' del ricevente che si basa sull'esame di: Sistema AB0 Sistema HLA Presenza di anticorpi preformati Il sistema AB0 è la prima tappa di scelta di compatibilità se prima tutte le condizioni del donatore sono rispettate (informazioni che devono essere ottenute nel giro di 2 ore!). Il gruppo sanguigno deve essere lo stesso, mentre l'Rh non ha importanza, eccezionalmente il gruppo può essere compatibile e non identico. Il sistema HLA è importante perchè è la principale causa del rigetto del trapianto. Esistono 6 locus genetici che danno origine ad una molecola HLA di tipo I o II. La molecola HLA I può essere A, B o C mentre la molecola HLA II può essere DR, DP, DQ. I loci genici sono tutti presenti sul braccio corto del cromosoma 6. Pertanto va fatta un'indagine genetica e si ritiene possibile un trapianto con almeno 4 locus HLA uguali tra donatore e ricevente. Per vedere l'eventuale presenza di anticorpi circolanti attivi nel ricevente contro gli HLA del donatore si fa un cross-match in cui si mette a contatto il siero del ricevente con i linfociti del donatore che espongono in superficie il sistema HLA sia I che II analogo alle cellule del rene da trapiantare. Se si verifica agglutinazione vuol dire che gli Ab hanno reagito contro i linfo e il trapianto non si può fare. MECCANISMO
Il rene va estratto dal donatore e lavato a freddo in un liquido in cui rimane e viene inserito in 2 sacche e mantenuto a 4° C per un massimo di 24 ore, il rischio è la formazione di una necrosi tubulare acuta. Il rene nel ricevente si impianta nella fossa iliaca dx o sx a livello retroperitoneale togliendo quindi tutti i visceri e incidendo il peritoneo viscerale. Poi viene anastomizzata l'arteria renale residua all'arteria iliaca comune o esterna e stessa cosa con la vena. In seguito si effettua una ureterocistotomia per connettere l'uretere del donatore alla vescica oppure all'uretere residuo del ricevente in modo da escludere il rene non funzionante che si lascia in sito. Il paziente che riceve il rene va poi trattato con antiimmunitari per tutta la vita.
COMPLICANZE Possibili complicanze del trapianto renale sono: Chirurgiche: ◦ Problemi vascolari: ▪ Trombosi arteria renale ▪ Trombosi vena renale ▪ Stenosi arteria renale ◦ Problemi linfatici: ▪ Raccolte linfatiche ▪ Linfocele (più frequente) Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
◦ Problemi urinari: ▪ Fistola urinosa ▪ Stenosi o ostruzione Immunologiche: ◦ Rigetto: condizione in cui il ricevente non accetta l'organo trapiantato e lo considera come materiale estraneo e in tal modo viene distrutto attraverso una reazione immuno-mediata da anticorpi o da cellule immunitarie. Nel caso di Ab preesistenti l'accumulo di questi causa un problema immediato di attivazione del complemento e coagulazione con trombosi del vaso. Le reazioni cellulari evocano un processo più lento che porta ad apoptosi il rene. ▪ Rigetto iperacuto: avviene dopo minuti o ore ed è provocato dalla presenza in circolo di anticorpi attivi contro il sistema HLA del donatore che causano una trombosi immediata dell'arteria renale. Chiaramente c'è stato un problema al crossmatch che avrebbe dovuto rilevare la presenza di questi Ab. ▪ Rigetto acuto: è la complicanza più frequente e deriva dall'attivazione dei linfociti T che causa un danno dopo pochi giorni o settimane. Spesso viene scatenato da un evento innescante. ▪ Rigetto cronico: principale causa di fallimento perchè l'organo trapiantato viene progressivamente distrutto dall'immunità cellulo-mediata che manda in apoptosi il rene e lo riduce ad un ammasso fibrotico che richiede un nuovo trattamento sostitutivo.
Cliniche: 1. Legate a immunosoppressione: 1. Infezioni: quelle precoci sono prevalentemente batteriche e insorgono nella sede dell'intervento, nelle vie urinarie o nelle vie respiratorie. Compaiono entro il primo mese e sono predisposte da IRC, malnutrizione e malattia di base. Le infezioni opportunistiche compaiono dal secondo al sesto mese e sono prevalentemente virali e seguenti ad un'eccessiva immunosoppressione. HSV, EBV, HBV, HCV e CMV sono i principali virus coinvolti, CMV è estremamente dannoso perchè può scatenare un rigetto. 2. Tumori: sono complicanze che si manifestano a seguito della immunosoppressione continuativa e possono essere insorti de novo, possono essere tumori che erano guariti o latenti e in casi rari tumori trasmessi dal donatore. Uno di questi è il sarcoma di Kaposi. 2. Recidiva della nefropatia di base.
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VASCULITI E MICROANGIOPATIE
VASCULITI
DEFINIZIONE
La vasculite è un quadro patologico sistemico e multiorgano che comprende fenomeni flogistici e necrotici che interessano le pareti dei vasi e il distretto perivascolare.
EZIOLOGIA e PATOGENESI
L'eziopatogenesi delle sindromi vasculitiche non è ancora ben chiaro anche se si possono dividere in 3 gruppi: 54. Vasculiti da IC: la deposizione di IC circolanti che si formano a seguito dell'esposizione a specifici antigeni provoca una serie di reazioni tipiche con richiamo del complemento, infiammazione locale, richiamo dei neutrofili e monociti, secrezione di mediatori lesivi, necrosi e fibrosi, richiamo di cellule dell'immunità specifica (flogosi cronica) e progressivo restringimento del lume del vaso. Es: porpora di Schonlein-Henoch, vasculiti associate a malattie del connettivo, crioglobulinemia mista essenziale associata a epatite C, poliarterite nodosa associata a epatite B. Gli IC si depositano a livello vasale, ma non sempre, devono infatti essere soddisfatte certe condizioni che riguardano sia le caratteristiche degli IC (dimensione, carica, concentrazione, tipologia dell'antigene e capacità di attivare il complemento) sia dalle proprietà del paziente (capacità di eliminare gli IC circolanti, aumentata esposizione ad antigeni circolanti, aumentata permeabilità vasale che favorisce il sequestro dell'Ag o l'immunodeposizione). Gli antigeni contro i quali si sviluppa la reazione sono 1. Esogeni: batterici, virali, proteine eterologhe, allergeni e farmaci 2. Endogeni: antigeni nucleari, IgG (fattore reumatoide)... 55. Vasculiti da risposta immunitaria cellulo-mediata: provocata da un'ipersensibilità ritardata o danno diretto cellulo-mediato. Il quadro tipico è la vasculite granulomatosa. Bisogna considerare però che anche le sindromi da IC possono scatenare una risposta cellulare. Si verifica un'attivazione dell'endotelio in senso pro-adesivo nei confronti delle cellule immuni. 56. Vasculiti da anticorpi ANCA (anti-citoplasma dei neutrofili) (forme pauci-immuni): si tratta di sindromi caratterizzate dalla presenza in circolo di anticorpi diretti contro antigeni dei neutrofili. 1. c-ANCA: anticorpi contro proteine citoplasmatiche come la proteinasi-3 2. p-ANCA: anticorpi diretti in sede perinucleare o nucleare, l'antigene più colpito è la mieloperossidasi. Il meccanismo patogenetico forse è relativo all'esposizione sulla membrana a seguito dell'attivazione dei neutrofili e dei monociti causata dal TNF-alfa e
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dall'IL-1 mentre normalmente queste proteine sono relegate all'interno dei lisosomi. A seguito dell'esposizione reagiscono con eventuali anticorpi circolanti ANCA. CLINICA
DIAGNOSI
In generale il paziente con vasculite ha Sintomi generali: perdita di peso, astenia, malessere, febbre Interessamento multisistemico: porpore cutanee, petecchie, dolori articolari Sintomi d'organo specifici: IRA (GN necrotizzante), insufficienza respiratoria acuta (alveolite necrotizzante), manifestazioni neurologiche (mononeuriti), manifestazioni gastro-enteriche (coliti ischemiche), manifestazioni cardiologiche (sindromi coronariche).
CLASSIFICAZIO NE
Anamnesi Esame obiettivo (sindrome sistemica non altrimenti spiegata + porpore palpabili, infiltrati polmonari, microematuria, sinusite cronica, mononeurite multipla, eventi ischemici non spiegati, glomerulonefrite con evidenza di effetti sistemici) Laboratorio Biopsia: diagnosi definitiva della patologia esaminando il tessuto coinvolto. È preferibile attuare la biopsia quando si ha il sospetto elevato che sia coinvolto quell'organo. Angiografia: nel caso di sospetto di PAN, Takayasu o vasculite del SNC, ma non negli altri casi. Vasculiti dei grandi vasi (aorta e diramazioni): ◦ Arterite a cellule giganti (temporale) ◦ Arterite di Takayasu Vasculiti dei vasi medi: ◦ Poliarterite nodosa ◦ Malattia di Kawasaki ◦ Vasculite granulomatosa primaria del SNC Vasculiti dei piccoli vasi pauci immune o ANCA-associata: ◦ Granulomatosi di Wegener ◦ Sindrome di Churg-Strauss ◦ Poliangite microscopica ◦ Vasculite ANCA-associata da farmaci Vasculiti dei piccoli vasi da IC: ◦ Porpora di Schonlein-Henoch ◦ Vasculite crioglobulinemica essenziale ◦ Vasculite leucocitoclastica ◦ Vasculiti associate a connettiviti ◦ Sindrome di Goodpasture ◦ Malattia di Behçet ◦ Malattia da siero ◦ Vasculite da IC indotta da farmaci o da agenti infettivi ◦ Vasculite paraneoplastica a piccoli vasi
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POLIARTERITE NODOSA
DEFINIZIONE
Vasculite che interessa le arterie muscolari di medio e piccolo calibro della cute e degli organi interni, soprattutto interessate le arterie renali e viscerali. Si caratterizza per la formazione di micro-aneurismi
EZIOLOGIA e PATOGENESI
Immuno-mediata, si ritrovano in circoli IC, antigeni dell'epatite B nel 10-30% dei casi. Si può associare a tumori (come la leucemia, linfomi e mixoma atriale).
CLINICA
Sintomi generali di malessere, astenia e perdita di peso, febbre. Possono esserci gangrena, noduli cutanei, mialgia ed artralgie, mononeuriti, livedo reticularis, dolore testicolare e l'evoluzione più grave è nei confronti del rene e si manifesta con IT (P diast > 90 mmHg), e sintomi dell'IRA.
DIAGNOSI
TERAPIA
Anamnesi Esame obiettivo (almeno 3 reperti clinici per fare la diagnosi) Biopsia: esame istologico di un'arteria in cui si vedono infiltrati polimorfonucleati lungo tutta la parete del vaso Angiografia
Corticosteroidi associati eventualmente a ciclofosfamide. In presenza di infezioni virali si usa vidarabina, interferone e plasmaferesi.
GRANULOMATOSI DI WEGENER
DEFINIZIONE
Vasculite dei piccoli vasi che può interessare dalle piccole arterie fino alle vene. Si caratterizza dalla presenza di granulomi lungo la parete vasale delle vie respiratorie e del rene.
EZIOLOGIA e PATOGENESI
Non c'è evidenza di depositi di IC e pertanto si tratta di una patogenesi mediata dalla risposta immunitaria cellulare. Forse si associa ad un'ipersensibilità ad antigeni esogeni vista la frequenza della vasculite nell'apparato respiratorio superiore.
CLINICA
Manifestazioni generali: febbre, astenia, dolori articolari, porpora
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cutanea, dimagrimento. Manifestazioni respiratorie: ulcere nasali, sinusiti croniche con secrezione abbondante purulenta ed emorragica, perforazione del setto, stenosi sub-glottica. Il polmone presenta noduli, cavità e necrosi alveolare e si manifesta con dolore toracico, tosse ed emoftoe. Manifestazioni oculari Manifestazioni cutanee Manifestazioni renali: le più importanti in quanto dominano la sintomatologia clinica, si verifica una glomerulite focale e segmentaria che evolve in GN rapidamente progressiva con formazione di semilune. All'inizio si può avere anche solo una lieve proteinuria ed ematuria ma poi può evolvere in grave IR.
DIAGNOSI
Anamnesi Esame obiettivo (clinica) Laboratorio: importante vedere l'eventuale presenza di anticorpi cANCA diretti contro la proteinasi-3, presenti nel 90% dei pazienti con malattia attiva Biopsia tissutale: la sede più efficace per la diagnosi sono le vie aeree superiori che rivela infiammazione granulomatosa con necrosi. Anche la biopsia renale è utile e può rivelare una GN pauci-immune.
TERAPIA
Ciclofosfamide + Glucocorticoidi. È una formula che salva il paziente perchè fino a qualche anno fa era una patologia che portava a morte il paziente entro qualche mese dalla comparsa dei sintomi renali.
SINDROME DI CHURG-STRAUSS
DEFINIZIONE
Si tratta di una vasculite che colpisce i medi e piccoli vasi arteriosi, i capillari, vene e venule. È detta anche angioite granulomatosa allergica per il fatto che presenta granulomi evidenti nelle pareti delle arterie o negli organi coinvolti ed è associata ad una marcata eosinofilia periferica e tissutale che sta a simboleggiare un processo immunopatologico aberrante.
EZIOLOGIA e PATOGENESI
Processo immunomediato con coinvolgimento vascolare e tissutale a seguito di un processo aberrante immunitario atopico.
CLINICA
36. Manifestazioni polmonari: asma, eosinofilia, infiltrati polmonari migranti, rinite allergica, sinusite. 37. Manifestazioni neurologiche: mono o polineuropatie 38. Manifestazioni renali: meno importanti e meno comuni che nella granulomatosi di Wegener e poliangioite microscopica. 39. Manifestazioni cutanee: porpore, noduli cutanei.
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40. Manifestazioni cardiologiche 41. Manifestazioni generali: febbre, malessere, anoressia e perdita di peso. In generale evolve attraverso 3 fasi: Fase prodromica: rinite e asma che perdurano per molto tempo Fase di eosinofilia ematica e tissutale Fase di vasculite necrotizzante che colpisce polmoni, rene, cute, cuore e nervi periferici. DIAGNOSI
TERAPIA
Anamnesi Esame obiettivo (asma + clinica vasculitica) Laboratorio: riscontro di eosinofilia e di anticorpi circolanti e tissutali p-ANCA contro la mieloperossidasi. Biopsia: infiltrato cellulare in sede parietale e tissutale con eosinofilia.
Corticosteroidi. Altrimenti ciclofosfamide + prednisone. Senza trattamento la prognosi è infausta.
POLIANGITE MICROSCOPICA
DEFINIZIONE
Vasculite che interessa i piccoli vasi (arteriole, venule e capillari). Ha un quadro istologico molto simile a quello della PAN. Non è presente infiammazione granulomatosa che la differenza dalla granulomatosi di Wegener.
EZIOLOGIA e PATOGENESI
Non è causata da depositi di IC a differenza della PAN. Il ruolo degli anticorpi p-ANCA contro la mieloperossidasi può essere cruciale nel determinare la malattia.
CLINICA
DIAGNOSI
Febbre, perdita di peso, malessere, dolore muscoloscheletrico. Glomerulonefrite che si osserva nel 79% dei pazienti risulta molto pericolosa in quanto evolve frequentemente nelle forme rapidamente progressiva con formazione di crescents che danno una IR. Emottisi indica emorragia alveolare Mononeurite multipla Vasculiti intestinali e cutanee
19. Anamnesi 20. Esame obiettivo 21. Laboratorio: riscontro di p-ANCA nel 75% dei casi 22. Biopsia: glomerulonefrite o vasculite pauci immuni.
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TERAPIA
Approccio terapeutico simile a quello per la granulomatosi di Wegener. I pazienti in pericolo di vita vanno trattati con prednisone + ciclofosfamide.
VASCULITE LEUCOCITOCLASTICA
DEFINIZIONE
Vasculite che insorge a seguito dell'assunzione di un farmaco
EZIOLOGIA e PATOGENESI
L'insorgenza della vasculite fa pensare ad una reazione di ipersensibilità al farmaco o genesi in circolo di IC contro antigeni farmaco-specifici che si vanno a depositare nei vasi e nei parenchimi. I farmaci maggiormente implicati sono penicillina, sulfamidici, allopurinolo, chinoloni.
CLINICA
DIAGNOSI
TERAPIA
Porpora palpabile che non sparisce alla pressione e non legata a trombocitopenia Eruzione maculo-papulare: la cute è la regione più interessata dalla vasculite da farmaci. Forma con interessamento sistemico: cuore, occhi, gastrointestinale, sistema nervoso, polmone e rene. Anamnesi Esame obiettivo Laboratorio Biopsia
Blocco dell'assunzione del farmaco.
PORPORA DI SCHONLEIN-HENOCH
DEFINIZIONE
Vasculite dei piccoli vasi definita anche porpora anafilattoide. È caratterizzata da porpora palpabile localizzata preferenzialmente ai glutei e agli arti inferiori, artralgia in assenza di una artrite, segni gastrointestinali e renali.
EZIOLOGIA e PATOGENESI
Viene considerata come una vasculite determinata da deposizione di IC circolanti. È più frequente nei bambini anche se si può verificare anche negli adulti ma con decorso più insidioso soprattutto a livello renale.
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La causa di formazione di IC può risiedere nelle infezioni delle prime vie respiratorie, farmaci, immunizzazioni o punture di insetto. CLINICA
DIAGNOSI
TERAPIA
Porpora palpabile: si rileva in tutti i pazienti Coinvolgimento articolare: soprattutto le grosse articolazioni Coinvolgimento GI: coliche addominali per vasculite locale + nausea, vomito, diarrea, feci mucosanguinolente e raramente si può verificare un'intussuscezione. Rene: colpisce il 10-15% dei pazienti e nei bambini ha un andamento autolimitante. Si caratterizza con una modesta GN che causa ematuria micro-macroscopica, proteinuria e cilindri ematici. Si risolve spontaneamente anche se negli adulti è + insidiosa. Molto raramente può andare incontro a GN rapidamente progressiva. Anamnesi Esame obiettivo Laboratorio: riscontro di leucocitosi, normale numero di piastrine ed occasionalmente eosinofilia. Nella metà dei pazienti si riscontra un eccesso di IgA mentre la complementemia è normale. Biopsia: cutanea. La renale è meno necessaria per la diagnosi ma utile per la prognosi.
In molti casi non si ricorre al trattamento steroideo visto che la patologia ha un andamento autolimitante. Nei casi gravi si dà prednisone.
MICROANGIOPATIE
DEFINIZIONE
La microangiopatia è una patologia sistemica e multiorgano che colpisce gli endoteli causando flogosi, anemia e piastrinopenia da consumo che evolve in insufficienza multiorgano Le principali forme sono: Sindrome emolitico-uremica (SEU): indica principalmente le forme adolescenziali) Porpora trombotica trombocitopenica (PTT): indica i casi che si verificano in età adulta e con sintomi principalmente renali e neurologici.
EZIOLOGIA e PATOGENESI
La SEU/PTT sono evocate da eventi esterni che scatenano risposte immunitarie come tossine batteriche (soprattutto E.Coli), assunzione di farmaci (in particolare estroprogestinici) e casi di familiarità imputabili a cause genetiche. La patogenesi riguarda la presenza di multimeri “ultralarge” di vWF prodotti dalle cell endoteliali che vengono degradati in modo anomalo per inattività dell'enzima vWF-metalloproteinasi da deficit enzimatico o anticorpi anti enzima. La risultante è un'aumentata aggregazione piastrinica responsabile della
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sintomatologia ischemica arteriolare. Infatti un danno endoteliale che causa l'esposizione del vWF sull'endotelio diventa progressivamente un processo sistemico a causa del fatto che il processo non ha “freni” visto che il fattore H che inibisce la C3bBb convertasi è poco efficiente e in più non è efficiente il meccanismo che degrada i complessi del vWF, perciò si sviluppano molteplici microtrombosi. CLINICA
La PTT viene descritta con la presenza di 5 reperti clinici: 6. Anemia emolitica microangiopatica 7. Trombocitopenia 8. IR 9. Manifestazioni neurologiche e febbre Sembra essere più comune nelle donne rispetto agli uomini. La SEU ha le stesse caratteristiche ma è molto più comune nei bambini e adolescenti.
DIAGNOSI
TERAPIA
Anamnesi Esame obiettivo Laboratorio: piastrinopenia e in caso di anemia emolitica microangiopatica si vedono aumento di LDH, bilirubina indiretta, riduzione di aptoglobina e presenza all'analisi microscopica ematica di schistociti.
La PTT è una patologia devastante se non viene correttamente diagnosticata subito e curata. È importante la plasmaferesi e anche i glucocorticoidi ma in associazione con la plasmaferesi. Per la SEU il trattamento è di solito di supporto e in alcuni casi è necessaria anche una terapia dialitica temporanea per ristabilire le funzioni renali compromesse.
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UROLOGIA
Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
LE GRANDI SINDROMI UROLOGICHE DEFINIZIONE
Si utilizza il termine “sindrome’ in quanto nella pratica clinica i seguenti sintomi si manifestano frequentemente in combinazione tra loro in almeno due o più malattie: - Disturbi minzionali - Ematuria - Anuria - Ritenzione urinaria - Colica renale
DISTURBI MINZIONALI
DEFINIZIONE e FISIOLOGIA
La minzione è l’emissione, volontaria o involontaria, dell’urina per via naturale (per uretram). Le vie urinarie inferiori svolgono come funzione primaria la raccolta e l’emissione di urina al momento opportuno. La vescica funziona come un serbatoio, riceve urina con una variazione di P intravescicale minima o nulla. In condizioni fisiologiche la continenza è garantita dall’azione delle strutture sfinteriali cervico-uretrali, che permettono una perfetta tenuta nonostante le ampie variazioni di P endovescicale che si verificano durante l’attività fisica. Durante il riempimento vescicale la P uretrale si mantiene più alta di quella vescicale e ciò impedisce la fuoriuscita di urina almeno fino a quando non si verifica una contrazione del muscolo detrusore; dunque la fase di riempimento è caratterizzata da un aumento del volume vescicale fino a circa 200-300cc (equivalente a pressione endovescicale di circa 18 cmH2O) al quale la minzione può essere volontariamente impedita. Lo svuotamento vescicale è determinato dall’attivazione del riflesso minzionale, un evento neuromuscolare caratterizzato in sequenza da: a) rilassamento completo dello sfintere striato uretrale b) riduzione della P uretrale c) aumento della P detrursoriale d) apertura del collo vescicale
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e) svuotamento vescicale
CLASSIFICAZIO Sono classificati in irritativi e ostruttivi NE e - I disturbi irritativi sono classificati in disuria, stanguria, pollachiuria, nicturia e EZIOLOGIA urgenza minzionale; conseguono generalmente a alterazioni della fase di riempimento vescicale che possono essere secondarie a diverse cause; le più frequenti sono:
Infiammatorie, in seguito a infezioni urinarie, chemioterapia endovescicale, radioterapia pelvica, calcoli endovescicali Neurologiche, quali instabilità e/o iperattività del detrusore secondarie a pato del SNC e del SNP, prolasso vescicale Ostruttive cervico-uretrali quali IPB, stenosi dell’uretra, malattia del collo vescicale quando tali patologie causano danni secondari alla vescica e/o alla sua innervazione
- I disturbi ostruttivi comprendono ritardo minzionale, ipovalidità del mitto, “gocciolamento” terminale; conseguono generalmente a alterazioni della fase di svuotamento vescicale, che possono essere di natura:
57. Ostruttiva cervico-uretrale, quali IPB, stenosi dell’uretra, malattia del collo vescicale 58. Tumore della vescica 59. Neurologica (areflessia o ipocontrattilità del detrusore conseguente a patologie del SNC e del SNP) CLINICA
Disuria (irritativo) Indica difficoltà alla minzione, caratterizzata da senso di fastidio o dolore (stranguria), in genere determinata da un processo infiammatorio a carico della vescica, della prostata o dell’uretra; in genere il pz riferisce “bruciore minzionale” lungo l’uretra nella donna o all’apice del pene nell’uomo, inoltre in caso di flogosi vescicale è riferito dolore sovrapubico al termine della minzione. La disuria è spesso associata a sensazione di spasmo vescicale definita tenesmo vescicale.
Pollachiuria (irritativo) Indica un aumento della frequenza delle minzioni non in rapporto alla quantità di urina e va distinta dalla poliuria, che invece indica un aumento della produzione giornaliera di urina. Consegue ad una riduzione della capacità funzionale vescicale (circa 400 ml); ciò può dipendere da un aumento del residuo post-minzionale (ad es nell’ostruzione cervico-uretrale), o in caso di flogosi vescicale (cistiti, corpi estranei, calcoli), a causa dell’edema infiammatorio che riduce la distensibilità e la compliance vescicale, o di fibrosi vescicale, conseguente a cistite post-attinica, interstiziale e TBC urinaria. Nei casi più gravi il desiderio di urinare è costante, con emissione di poche gocce di urina.
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Pollachiuria notturna (nicturia) (irritativo) Indica minzione notturna; tale sintomo assume significato nei soggetti che normalmente non si alzano per urinare durante la notte o laddove aumenta la frequenza abituale. Le cause sono le stesse di quella diurna; la nicturia però può comparire anche in assenza di patologie urologiche come in seguito a abbondante assunzione serale di liquidi, caffè, alcolici e nei soggetti diabetici o con insufficienza cardiaca congestizia.
Urgenza minzionale (irrtitativo) Indica un desiderio minzionale violento e improvviso associato a sensazione di imminente fuoriuscita di urina; in certi casi si verifica una perdita involontaria di urina (urge incontinence). Consegue a iperattività e irritabilità vescicale conseguente a flogosi vescicale, ostruzione cervico-uretrale e a disturbi su base neurologica.
Ritardo minzionale (ostruttivo) E’ uno dei sintomi più precoci di ostruzione cervico-uretrale; tali pz notano che il getto urinario parte con un certo ritardo nonostante lo stimolo minzionale; a causa dell’ostruzione il detrusore impiega più tempo prima di raggiungere una P tale da superare quella cervico-uretrale.
Ipovalidità del mitto (ostruttivo) E’ uno dei sintomi più caratteristici dei pz con ostruzione cervico-uretrale (IPB) nei quali il mitto urinario appare progressivamente più debole e ridotto di calibro.
Gocciolamento terminale (ostruttivo) Indica un’incontrollabile perdita di gocce di urina al termine della minzione nei pz con patologia ostruttiva cervico-uretrale; il flusso urinario può perdurare alcuni secondi al termine della minzione a causa di una progressiva riduzione della forza di contrazione del detrusore.
DIAGNOSI
◦ ◦ ◦ ◦ ◦ ◦
Anamnesi Diagnostica di laboratorio Esame delle urine Citologia urinaria Urinocoltura Diagnostica per immagini Ecografia reno-vescicale con valutazione del RPM Ecografia transrettale Ecografia sovra pubica che permette lo studio della vescica (pareti ispessite,
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polipi, calcoli), la visualizzazione dell’eventuale presenza lobo medio prostatico in vescica e la valutazione del residuo post-minzionale. Diagnostica funzionale ◦ Uroflussimetria
EMATURIA
DEFINIZIONE
Indica la presenza di sangue nelle urine. 42. Si definisce macroematuria una ematuria macroscopicamente evidente (talora associata a coaguli) 43. Si definisce microematuria la presenza di globuli rossi presenti nel sedimento urinario rilevabili solo all’esame microscopico (almeno 5 emazie per campo di ingrandimento di 400x) L’ematuria è un segno, di cui occorre sempre verificare la causa !!!
EZIOLOGIA
L’ematuria caratterizza numerose affezioni di pertinenza urologica; in particolare rappresenta la prima manifestazione clinica nel 70% delle neoplasie genito-urinarie (37% dei tumori renali, 67% tumori delle alte vie escretrici e 84% dei tumori vescicali). Per tale motivo la comparsa di ematuria, specie se asintomatica, andrebbe considerata di natura neoplastica fino a prova contraria.
Nell’89% dei casi l’ematuria ha origine dalle basse vie urinarie (dalla vescica in giù); le cause più frequenti sono: - infezioni urinarie (58%) - IPB (20%) - ca. vescicale (10%) - flogosi (5%)
Nell’11% dei casi l’ematuria ha origine dalle alte vie urinarie (dalla vescica in su, vescica esclusa); le cause più frequenti sono:
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- litiasi urinaria (42%) - nefropatie mediche (28%) - ca. rene (10%) - ca. vie escretrici (8%)
L’ematuria deve essere distinta dall’uretrorragia, ovvero una perdita di sangue dall’uretra indipendentemente dall’atto minzionale (IPB, Ca. prostatico, Traumi, cateterismo), dalla emospermia che indica una fuoriuscita di sangue insieme allo sperma e denota una patologia prostatica e dalla pseudoematuria, ovvero l’emissione di urine scure o rossastre conseguente all’assunzione di alimenti (barbabietole, mirtilli, fave), farmaci (metronidazolo, rifampicina, dicumarolici), alcune malattie congenite del metabolismo (favismo, alcaptonuria) o la pigmenturia (porfirinurie, emoglobinuria, mioglobinuria).
DIAGNOSI
Anamnesi: esame fondamentale di primo livello. ◦ Un’ematuria iniziale è in genere di origine prostatica o uretrale anteriore ◦ Un’ematuria terminale è di probabile natura trigonale o uretrale posteriore ◦ Un’ematuria totale suggerisce una patologia vescicale, ureterale o renale. Può inoltre associarsi all’eliminazione di coaguli ematici che risultano lunghi e sottili (a spaghetto) se provenienti dalle alte vie urinarie, o tozzi de di origine vescicale o prostatica. E’ inoltre importante rilevare la presenza di sintomi associati (sintomatologia irritativa, colica renale), mentre un’ematuria neoplastica è in genere asintomatica. Devono inoltre emergere eventuali patologie associate o pregresse (neoplasie, trattamento radioterapico, litiasi urinaria, diabete mellito) o l’assunzione di farmaci quali antibiotici (nefropatia interstiziale), analgesici (necrosi papillare) o anticoagulanti.
Esame obiettivo: si possono rilevare masse addominali o pelviche, segni clinici riferibili a nefropatia (ipertensione arteriosa), alterazioni della morfologia e del volume prostatico o una patologia uretrale. Esami di laboratorio: ◦ Esame urine ◦ Urinocoltura ◦ Presenza di cilindri ematici e proteinuria (che fa pensare ad una malattia glomerulare) ◦ Esame citologico: in 3 campioni, utile per i tumori uroteliali. Ecografia addomino-pelvica: consente di riconoscere la presenza di masse renali (solide o cistiche) calcoli o lesioni endovescicali; tuttavia essa mostra una scarsa sensibilità nel valutare il tratto uretrale e non offre informazioni di carattere funzionale. È l'esame di primo livello più importante e dal quale parte l'iter diagnostico strumentale. Uro-TC: esame sempre di primo livello che si effettua quando l'ecografia rivela lesioni della vascica o vie escretrici oppure risulta negativa. Urografia: offre una panoramica completa delle vie urinarie e consente di
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individuare lesioni sia proliferative che di altra natura (litiasi, uropatia ostruttiva, necrosi papillare, rene policistico) a qualsiasi livello del tratto urinario. È il gold standard e viene effettuata in alternativa all'uro-TC. Uretro-cistoscopia: esame sempre di primo livello nel caso in cui si sospetti un sanguinamento vescicale o prostatico. RMN: esame di secondo livello Pielografia ascendente: esame di secondo livello Uretero-renoscopia: esame di secondo livello Se le indagini strumentali risultano negative è consigliabile seguire il paziente con un follow up e fare l'esame citologico delle urine ogni 3-6 mesi, mentre gli esami radiologici andrebbero ripetuti ogni anno. Questo perchè la lesione neoplastica potrebbe essere ancora talmente piccola da risultare non evidente alle analisi.
TERAPIA
E’ mirata a risolvere la causa - infezioni
→ antibioticoterapia
- litiasi
→ terapia medica o asportazione del calcolo
- neoplasia vescicale → resezione endoscopica o intervento chirurgico - neoplasia renale
→ intervento chirurgico
EMATURIA NEL - Medica (più frequente): dovuta a glumerulonefrite (postinfettive, berger, Alport) e malattie sistemiche (LES, AR, coagolopatie) BAMBINO - Urologica (meno frequente): malformazioni neoplasie (Wilms), traumi, infezioni. - Sine causa.
ANURIA
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DEFINIZIONE
E’ una produzione di urina inferiore a 100 ml\24h. Nella pratica urologica si intende come assenza di urina in vescica. Nell’arco delle 24 h vengono normalmente prodotti, in base alle condizioni fisiologiche e alle abitudini di vita circa 900-1800 ml di urina Si parla di oliguria invece quando la produzione giornaliera di urina è inferiore a 500 ml ed è in genere secondaria a IRA.
EZIOLOGIA
L’anuria secretoria consegue a insufficienza renale e può essere a) pre-renale, conseguente a riduzione della perfusione glomerulare (shock, ipovolemia) b) renale o organica, conseguente a lesioni del parenchima renale (danno glomerulare, necrosi tubulare) Si tratta di condizioni che richiedono un immediato trattamento medico.
L’anuria escretoria (o ostruttiva) consegue sempre ad un ostacolo alla progressione di urina in vescica lungo il decorso della via escretrice bilateralmente (o monolateralmente in caso di mono-rene); il persistere della causa ostruente determina una dilatazione della via escretrice a monte dell’ostruzione (idronefrosi) e conduce, se non viene rapidamente risolto, a danni irreversibili sul parenchima renale. È comunque abbastanza rara a causa della presenza fisiologica di 2 vie escretrici. Le cause di anuria ostruttiva possono essere - Cause intrinseche Litiasi urinaria ostruente bilaterale Neoplasie ureterali Stenosi ureterali post-flogistiche (TBC) - Cause estrinseche
DIAGNOSI
Fibrosi retro peritoneale Neoplasie primitive o secondarie retro peritoneali Iatrogene
23. Anamnesi 24. Esame obiettivo 25. Ecografia vescicale: analisi strumentale primaria che permette di differenziare una ANURIA da una RITENZIONE URINARIA che si distingue per la presenza di urina in vescica ma che non riesce ad essere escreta a causa di ostruzioni uretro-cervicali. Una volta esclusa l'ipotesi di ritenzione (che si vede per presenza di globo vescicale e stenosi della via uretrale) si diagnostica un'anuria e si prosegue per vedere la causa. 26. Ecografia renale: esame di primo livello per valutare la causa. Se c'è idronefrosi bilaterale di grado variabile si diagnostica una anuria escretoria che è di pertinenza urologica e per verificarne la sede e l'entità vanno fatte: 27. Urografia
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28. Pielografia ascendente o discendente Nel caso in cui all'eco renale non ci sia idronefrosi si diagnostica un'anuria di tipo secretorio che indica un'IR di pertinenza nefrologica.
TERAPIA
L’anuria escretoria è di pertinenza urologica e impone un trattamento immediato; se non risulta possibile rimuovere la causa ostruente occorrerà una derivazione delle urine allo scopo di risolvere la stasi e evitare un progressivo scadimento della funzione renale. La derivazione urinaria può essere: - esterna: nefrostomia percutanea, ureterocutaneostomia - interna: tutori ureterali o stent La scelta del trattamento è imposta dalla natura e sede dell’ostruzione e dalle condizioni generali del pz. In genere viene effettuata una nefrostomia percutanea sotto controllo ecografico in quanto procedura rapida, attuabile sotto anestesia locale e a bassa morbilità.
RITENZIONE URINARIA
DEFINIZIONE
E’ definita come l’impossibilità a mingere da parte del paziente. Tuttavia a differenza dell'anuria l'urina è presente in vescica ma non riesce ad essere escreta.
EZIOLOGIA
Si parla di ritenzione acuta (completa) in caso di patologia ostruttiva cervicouretrale (IPB, ca. prostatico, stenosi uretrale), impegno di un calcolo nel collo vescicale o in uretra o traumi uretrali. E’ un evento improvviso caratterizzato da dolore ipogastrico, desiderio minzionale impellente e doloroso (talora stato collassiale); si ha inoltre distensione vescicale (globo vescicale).
Si parla di ritenzione cronica (incompleta) in caso di ostruzione cervico-uretrale di lunga durata o vescica neurologica (ad es da neuropatia diabetica) Presenta un evoluzione graduale con frequente iscuria paradossa (incontinenza da rigurgito).
DIAGNOSI
TERAPIA
Anamnesi: sintomi di ostruzione cervico-uretrale, farmaci Esame obiettivo: globo vescicale, ottusità sovrapubica Ecografia sovrapubica: marcata distensione vescicale
Si tratta di un’emergenza urologica che impone rapidamente il posizionamento di un
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catetere vescicale; laddove ciò risulta impossibile si ricorre al posizionamento di un catetere sovrapubico (puntura vescicale per via sovrapubica). Per ridurre il rischio di crisi vagali lo svuotamento vescicale non deve essere eseguito rapidamente ma in maniera frazionata. In altri casi, specie nei pz più anziani con IPB da lungo tempo o nei pz affetti da vescica neurologica, il progressivo scadimento vescicale conduce lentamente ad una distensione vescicale ma senza la sintomatologia tipica della forma acuta; anche in tali casi si impone il posizionamento di un catetere uretrale o sovrapubico.
COLICA RENALE
DEFINIZIONE
Costituisce circa un terzo delle urgenze urologiche: spesso, infatti, l’entità del dolore è tale da richiedere un intervento medico urgente o il ricovero ospedaliero. La colica renale è un complesso di sintomi conseguente a un’improvvisa distensione della via escretrice, secondaria ad ostruzione acuta, parziale o completa, delle alte vie urinarie.
EZIOLOGIA
Nel 70-95% dei casi consegue all’impegno di un calcolo lungo il decorso della via escretrice; le sedi in cui avviene più frequentemente l’arresto del calcolo corrispondono ai siti anatomici di minor diametro:
La giunzione pielo-ureterale. Il punto di passaggio tra uretere lombare e pelvico (dove l’uretere incrocia anteriormente i vasi iliaci). La giunzione uretero-vescicale. Può anche essere conseguente ad un coagulo ematico (specie nei pz con grave ematuria delle vie escretrici). Una compressione ureterale ab estrinseco (masse retro peritoneali, fibrosi retro peritoneale) si realizza in maniera lenta e progressiva, non provoca un quadro acuto di colica renale ma determina più spesso una dolenzia lombare o è addirittura silente. Possono essere altre cause anche malformazioni congenite o neoplasie dentro la via escretrice.
PATOGENESI
La brusca dilatazione determina un rapido aumento della P endopielica e un improvvisa secrezione di prostaglandine; queste, oltre a svolgere un effetto algogeno diretto, conseguente a edema e flogosi locale, provocano un aumento del flusso renale, della filtrazione glomerulare e quindi della P all’interno della via escretrice.
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CLINICA
La colica renale insorge bruscamente, specie di notte, ed è caratterizzata da dolore acuto di tipo spastico, con parossismi, per cui il pz si presenta agitato e alla disperata ricerca di una posizione antalgica. Il dolore è riferito alla regione lombare e si irradia all’addome lungo il decorso dell’uretere fino alla regione inguino-scrotale, con iperestesia del testicolo ipsilaterale o delle grandi labbra e alla faccia antero-mediale della coscia. Tale tipica distribuzione del dolore consegue alla presenza di connessioni a livello midollare tra le fibre afferenti dal rene e dall’uretere e le fibre sensitive provenienti dalle aree cutanee innervate dai nervi ileo-ipogastrico, ileo-inguinale e genitofemorale. Durante la colica sono presenti disturbi generali quali sudorazione, tachicardia e ipotensione conseguenti al dolore e all’agitazione; altri sintomi associati possono essere nausea, vomito o ileo paralitico. Se il calcolo raggiunge la regione uretero-vescicale o passa in vescica compaiono disturbi disurici su base irritativa quali pollachiuria, stranguria e urgenza minzionale. E’ quasi sempre presente microematuria, mentre nel 30-40% dei casi si ha macroematuria.
DIAGNOSI
Anamnesi: storia familiare e personale di litiasi urinaria Esame obiettivo: manovra di Giordano positiva e segni di masse addominali Ecografia addominale: indagine di primo livello. Si possono rilevare la presenza di idronefrosi, calcoli di qualsiasi natura (immagine iperecogena con caratteristico cono d’ombra) e valutare anche gli altri organi intraddominali possibili sedi di altre patologie responsabili di dolore lombare acuto; la sensibilità però non è molto alta, in quanto sono difficilmente esplorabili i tratti ureterali iliaco e pelvico. Rx diretta dell'addome: indagine di I livello e presenta un elevata sensibilità per la calcolosi, in quanto il 90% dei calcoli è radio-opaco; però non consente di porre d.d. con fleboliti dello scavo pelvico, non visualizza i calcoli radio-trasparenti e non identifica la presenza di idronefrosi. Urografia: indagine di II livello e viene riservata solo ai pz in cui gli esami di I livello risultino dubbi e laddove sia necessaria una maggiore definizione diagnostica ai fini della strategia terapeutica.
Diagnosi differenziale con: - cause cardiovascolari: aneurisma dell’aorta addominale - cause diaframmatiche: versamento pleurico, ascesso subfrenico o perirenale - cause gastrointestinali: colica biliare (dx) appendicite acuta (dx) diverticolite sigma (sx) intestino irritabile - cause ginecologiche: gravidanza ectopica, torsione ovarica - cause retroperitoneali: pancreatite acuta, ca. pancreatico, ascessi o ematomi
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retroperitoneali.
TERAPIA
Medica: ◦ Riposo assoluto ◦ FANS ◦ Antibiotici ◦ Oppiacei ◦ Antispastici ◦ Alfa-litici ◦ Per la prevenzione delle recidive: terapia idropinica, dieta, terapia farmacologica Chirurgica: rimozione del calcolo.
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INCONTINENZA URINARIA DEFINIZIONE
E’ definita come la perdita di urina dall’uretra, obiettivamente dimostrabile e di entità tale da costituire un problema igienico - sociale. E’ un problema stressante, a volte invalidante, diffuso soprattutto nella popolazione anziana, di grande impatto sia sociale che economico.
EPIDEMIOLOGI L’incidenza è maggiore nel sesso femminile, con un rapporto F:M 4-5:1; si aggira intorno al 2,5-5% nella popolazione maschile e tra il 10-25% in quella femminile. A L’incidenza aumenta all’aumentare dell’età. In Italia il problema riguarda almeno 3 milioni di persone. (Il numero di pz incontinenti “sconosciuti” al sistema socio-sanitario è largamente maggiore al num. di pz “conosciuti”)
CLASSIFICAZIO Sulla base clinica vengono distinti sette tipi di incontinenza: NE 1) Incontinenza da sforzo: consegue ad aumenti repentini della P addominale senza che vi sia contrazione detrusoriale; colpisce più frequentemente donne in cui si è instaurato un deficit della muscolatura pelviperineale (in relazione a età, parti e interventi chirurgici) che determina una modificazione della statica vescicosfinteriale. Si verifica a seguito di sforzo o durante tosse e starnuti. .
2) Incontinenza da urgenza: perdita involontaria di urina, associata a un intenso stimolo minzionale (urgenza). Si distinguono una variante motoria (secondaria a una iperattività detrusoriale) e una sensitiva (in presenza di patologie urologiche di tipo irritativo come infezioni, calcoli, neoplasie) o può essere espressione di particolari stati patologici, come l’ansia.
3) Incontinenza da rigurgito (iscuria paradossa): perdita involontaria di urine associata a sovradistensione vescicale, in cui il volume del ristagno supera la capacità vescicale massima; si verifica in genere in situazioni di ostruzione delle basse vie urinarie in fase avanzata, come ipertrofia prostatica in fase di scompenso detrusoriale.
4) Incontinenza riflessa: è la perdita involontaria di urine (riscontrabile in malattie neurogene) secondaria a iperriflessia detrusoriale e/o rilasciamento involontario dell’uretra, in assenza delle usuali sensazioni associate al desiderio di mingere.
5) Incontinenza mista: perdita involontaria di urina associata a urgenza ma anche durante sforzo, starnutendo o tossendo.
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6) Pseudoincontinenza: perdita costante di urina dalla vagina in corso di fistola vescico-vaginale o uretro-vaginale
7) Incontinenza urinaria continua
EZIOLOGIA e PATOGENESI
L’incontinenza urinaria può essere secondaria a cause vescicali, uretrali o a cause miste.
- Le alterazioni vescicali che possono determinare incontinenza sono rappresentate dall’iperattività detrusoriale e dalla bassa compliance vescicale.
L’iperattività detrusoriale indica le contrazioni detrusoriali involontarie e non volontariamente sopprimibili, di ampiezza tale da superare le resistenze uretrali e provocare perdite di urine: quando tali contrazioni derivano da una causa neurologica si parla di iperriflessia detrusoriale, in caso contrario si parla di instabilità detrusoriale. La bassa compliance vescicale può essere causata da cambiamenti delle proprietà elastiche e vescicoelastiche della vescica e/o da cambiamenti del tono muscolare detrusoriale come nella cistite TBC, interstiziale ecc..; tra le cause neurologiche si hanno mielodisplasia, le lesioni spinali toracolombari, spina bifida; vi devono essere comunque concomitanti anomalie sfinteriche.
- Le condizioni uretrali potenzialmente responsabili di incontinenza sono l’ipermobilità dell’uretra e la deficienza sfinterica intrinseca.
Nell’ipermobilità uretrale l’alterazione di base è la debolezza del supporto del pavimento pelvico, che determina un difetto di trasmissione della pressione addominale all’uretra; quindi in situazioni con bruschi aumenti di P addominale (sforzi, stranuti, tosse), il gradiente pressorio tra uretra e vescica si negativizza e si ha perdita di urina. La deficienza sfinterica intrinseca, situazione in cui vi è una notevole riduzione della P di chiusura uretrale; di solito è la conseguenza di pregressi interventi chirurgici per incontinenza, o sulla prostata, o di una lesione neurologica a carico del midollo toracolombare.
Alcuni tra i principali fattori di rischio sono: età, sesso, gravidanze, isterectomia, menopausa, diabete mellito, precedenti interventi chirurgici, farmaci (diuretici), rischi occupazionali, problemi neurologici.
CLINICA DIAGNOSI
Perdita urinaria incontrollata durante sforzi o preceduta da urgenza.
Anamnesi: E’ fondamentale ottenere una descrizione dettagliata della
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sintomatologia, valutare se le perdite sono legate a uno sforzo o no e se, in quest’ultimo caso, è preceduta da bisogno incontrollabile di urinare. E’ importante valutare con quali frequenza si presentano tali perdite e in quali circostanze si verificano (giorno, notte, decubito supino o stazione eretta) e se hanno ripercussioni sulla vita quotidiana. Bisogna cercare eventuali fattori scatenanti o indagare sull’uso di farmaci che possono influenzare l’attività vescico-sfinteriale. Inoltre bisogna sempre informarsi sull’esistenza di condizioni non urologiche che possono influire sulla funzione vescicale e sfinterica, come la presenza di sclerosi multipla, traumi midollari, diabete, ictus e morbo di Parkinson. Si richiede al pz inoltre di tenere un diario minzionale, che deve essere compilato per più giorni (almeno tre) e che fornisce un quadro esatto della frequenza diurna e notturna e del volume emesso in ogni minzione; va precisata l’entità delle perdite, quantità di liquidi assunti ed eventuale terapia in atto.
Esame obiettivo uro-ginecologico: Il primo intento è quello di rilevare la presenza di deficit di statica pelvica, che possono esprimersi come difetto anteriore (uretro-cistocele) come difetto mediano (isterocele) o come difetto posteriore (rettocele). E’ importante anche la ricerca di vaginiti atrofiche o di globo vescicale, soprattutto nei casi di iscuria paradossa. In presenza di stress incontinence nella donna, una manovra da effettuare è quella di Bonney che, se positiva, conferma l’incontinenza urinaria da sforzo : si chiede alla pz, in posizione ginecologica, di tossire a vescica piena (caugh test); se compare perdita urinaria si ripete il test sollevando il fornice vaginale anteriore con due dita posizionate da una parte e dall’altra della vagina; se la perdita non si ha più la manovra è considerata positiva e un intervento di sospensione dovrebbe essere efficace. Al fine di quantificare in grammi la perdita di urina si può infine eseguire il Pad Test (test del pannolino)
Esame obiettivo neurologico: Valuta l’integrità funzionale motoria e sensitiva della zona compresa tra S2 e S4, uno dei fulcri del riflesso minzionale. La funzione motoria può essere valutata facendo eseguire al paziente alcuni movimenti, come la flessione e l’estensione della coscia e della gamba, o la rotazione interna ed esterna del piede. La sensibilità viene valutata con la percezione del dolore nel pavimento pelvico e nell’adiacente regione glutea, dopo stimolazione con agenti aguzzi. L’attività riflessa nel midollo sacrale viene valutata attraverso il riflesso anale e bulbo-cavernoso, sfregando la cute perianale, o mediante compressione del glande e del clitoride, con contrazione della muscolatura pelvica; la conservazione del riflesso prova l’integrità dell’innervazione vescicale e pelvica. Infine, l’esplorazione rettale, oltre che informare sul tono sfinteriale a riposo e sulla capacità di controllo volontario dello sfintere, ci informa anche sull’eventuale presenza di fecalomi e nell’uomo, sullo stato della prostata. 44. Ecografia vescicale: capacità di svuotamento della vescica e morfologia delle strutture contigue grazie all'inserimento di sonde 45. Cistouretrografia minzionale: per valutare il grado di beanza e la mobilità
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del collo vescicale e dell'uretra. 46. Uroflussimetria: Si basa sulla misurazione del flusso, che corrisponde alla quantità di urina emessa dall’uretra nell’unità di tempo e viene espressa in ml/sec. I parametri di riferimento sono: - Tempo di flusso: tempo, in secondi, durante il quale avviene la minzione - Flusso massimo (Qmax): valore max di flusso misurato in ml/sec, normalmente >15 ml/sec - Tempo di flusso massimo: è un indice della funzionalità del collo vescicale. - Flusso medio: rapporto tra volume della minzione e tempo minzionale - Volume minzionale - Morfologia del tracciato: flusso continuo o intermittente. La curva di tracciato di aspetto normale è a campana, con flusso max raggiunto entro 3-5 sec. Un flusso basso indica ostruzione cervico-uretrale, ipoattività detrusoriale o vescica areflessica Un flusso massimo molto elevato è tipico delle donne affette da deficit sfinterico intrinseco. 47. Cistomanonetria: Valuta l’attività del detrusore, la sensibilità e la compliance vescicale. L’attività del detrusore può essere stabile o instabile; quest’ultimo si riferisce alla presenza sul tracciato di contrazioni detrursoriali involontarie, spontanee o provocate. Per la valutazione della sensibilità, nel corso del riempimento (che avviene attraverso un catetere con acqua distillata a un flusso costante di 30-50 ml/min) si annota il volume al quale compare la prima sensazione di replezione vescicale (B1), la sensazione del normale bisogno di urinare (B2) e infine il volume associato a un bisogno imperioso che precede la minzione (B3); tale sensibilità può essere descritta come normale, assente, superiore o inferiore al normale. La compliance vescicale è definita come ΔV/ΔP; normalmente la P intravescicale aumenta di poco durante il riempimento e resta di circa 10cmH2O per una capacità di 300-500 cm3. 48. Profilometria statica e dinamica: L’esame statico studia le variazioni di P lungo il decorso dell’uretra, attraverso un catetere che viene ritirato a progressivamente a velocità costante dalla vescica fino al meato uretrale; vengono valutati lunghezza uretrale max, la P uretrale massimale (Pumax), la massima P di chiusura uretrale, data da Pumax-Pvescicale. L’esame dinamico consiste nella misurazione della P di chiusura lungo tutti i segmenti uretrali durante colpi di tosse cadenzati: in tal modo si può ottenere il grado di trasmissione della P addominale all’uretra in condizioni di sforzo.
TERAPIA
a) Terapia conservativa Consiste in una serie di programmi riabilitativi della muscolatura pelvica e delle strutture deputate alla continenza, rappresentati dalla ginnastica del pavimento
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pelvico (esercizi di Kegel) e dalla rieducazione vescicale (biofeedback ed elettrostimolazione). - Gli esercizi di Kegel sono una serie di esercizi fisici che mirano a rinforzare la muscolatura del pavimento pelvico in modo da garantire un aumento della P di chiusura uretrale e a mantenere una buona tonicità del pavimento pelvico, impedendo il dislocamento di uretra e vescica. - Il biofeedback rappresenta una metodica terapeutica basata sull’utilizzo di apparecchiature che permettono di registrare, amplificare e trasformare un fenomeno fisiologico in un segnale percettibile; in quello vescicale le contrazioni involontarie del detrusore vengono riconosciute dal pz per mezzo di un segnale acustico o visivo, in modo da poterle prevenire e inibire mediante contrazioni perineali e sfinteriche. - La stimolazione elettrica del perineo permette, oltre a una stimolazione del piano perineale, una contemporanea inibizione della contrazione detrusoriale. Gli scopi di tale trattamento sono: - apprendimento della contrazione muscolare perineale - inibizione per via riflessa dell’attività contrattile del detrusore - aumento del trofismo muscolare sfintero-perineale
b) Terapia farmacologica I farmaci attivi sull’incontinenza sono quelli deputati a ridurre gli effetti sull’urgenza minzionale e l’incontinenza a essi correlata. Nelle sindromi d’urgenza è importante distinguere tra urgenza sensitiva e urgenza motoria. Nella prima risulta utile la terapia con le benzodiazepine, nella seconda con gli anticolinergici.
c) Terapia chirurgica E’ distinta a seconda del tipo di incontinenza - Stress incontinence da deficit sfinterico → iniezioni periuretrali → protesi → sling - Stress incontinence da ipermobilità uretrale: → approccio addominale → approccio vaginale
Nella stress incontinence di tipo anatomico l’intervento chirurgico ha lo scopo di
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ricollocare l’unità sfinterica nella sua corretta sede anatomica - Procedure retropubiche (MMK, Burch) eseguibili con approccio addominale o laparoscopico - Sospensione retropubica con ago (Raz, Stamey, Pereira, Vesica Kit) - Colporraffia anteriore con cistopessi (Kelly) - Tecniche “tension-free” (sparc sling system,TVT,TOT)
Tecniche retropubiche Il principio di questi interventi è quello di posizionare la regione cervico uretrale in sede retropubica ripristinando anche attraverso la reazione fibrotica il supporto dei legamenti pubo-uretrali e uretro - pelvici . L’evidenza clinica indica che le sospensioni retropubiche sono le tecniche più efficaci per il trattamento della incontinenza urinaria da sforzo e mista.
Sospensione ad ago Le sospensioni con ago consentono una sospensione verticale della regione cervicouretrale in presenza di ipermobilità dell’uretra. Contemporanea riparazione di cistocele, anzi in presenza di tale patologia, l’intervento di sospensione da solo è controindicato.
Tecniche tension free - Sling e TVT Descritto da Von Giordano nel 1908, è stato usato nei pz affetti da incontinenza urinaria da deficit intrinseco dell’uretra. Tale tecnica è stata recentemente adottata anche nell’incontinenza secondaria a ipermobilità dell’uretra con o senza deficit sfinterico. Esistono varie tecniche chirurgiche che differiscono per : a) Sede di accesso (sovrapubico , trans-vaginale, otturatorio). b) Sede di fissaggio delle due estremità dello sling (osseo, fasciale, legamentoso). c) Tipo di materiale usato La riuscita di qualsiasi intervento di Sling dipende da due variabili fondamentali: 60. Adeguata selezione delle pazienti 61. Forza di tensione da applicare sullo sling L’obiettivo è di restaurare una sufficiente resistenza dell’uretra, atta a evitare le perdite urinarie , ma . . . . SENZA però provocare ostruzione uretrale
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Nella stress incontinence da incompetenza sfinterica in assenza di prolasso genitale l’obiettivo è quello di comprimere/coattare l’uretra: - fionde (sling) uretrali (fascia mm. retti, fascia lata cadaverica, reti) - sfintere artificiale (AMS 800) - infiltrazione periuretrale di agenti espansori (teflon, collagene, silicone, tessuto adiposo autologo)
Infiltrazioni periuretrale Il termine iniettabili, o “Bulking agents” nell’accezione anglosassone, comprende tutta una categoria di sostanze sintetiche o derivate da componenti organici che si iniettano o posizionano attorno al lume uretrale per coaptarlo, ossia chiuderlo aumentando la forza compressiva attorno ad esso Il razionale dell’iniezione di espansori: - aumentare la coaptazione dell’uretra agendo a livello dello strato sottomucoso - aumentare la forza compressiva a livello dello sfintere senza creare un’ostruzione significativa Gli agenti espansori iniettabili sono indicati - trattamento antecedente la chirurgia - età avanzata del paziente - pazienti che rifiutano la chirurgia o che non possono essere sottoposti a intervento chirurgico - pazienti obesi
Sfintere artificiale (AMS 800) Il suo uso è rimasto limitato sia per le numerose alternative disponibili che per l’elevato numero di complicanze . In pazienti adeguatamente selezionate può offrire vantaggi superiori a quelle di tutte le altre tecniche
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LA LITIASI URINARIA DEFINIZIONE
Formazione di calcoli all'interno delle vie urinarie che determinano un ostacolo al flusso dell'urina verso l'esterno
EPIDEMIOLOGI Rappresenta il 15-20% delle affezioni di interesse urologico. - Nel 96% dei casi è di origine renale e ureterale (disendocrina, dismetabolica, da A infezione, da stasi urinaria) - Nel 4% dei casi è di origine vescicale (quasi sempre secondaria a stasi urinaria ed infezione) La sua incidenza è dell’1-12% La prevalenza in Italia è del 4-20% Il tasso di ospedalizzazione annuo è dello 0,03-0,1%.
1) I calcoli di calcio mostrano incidenza sovrapponibile nei due sessi prima della pubertà e dopo i 55-60 anni mentre in età giovane adulta sono più frequenti nel maschio; ciò è dovuto a un effetto protettivo degli estrogeni, che riducono la mobilizzazione di calcio dalle ossa e favoriscono l’escrezione urinaria di citrati (inibitori della cristallizzazione). 2) La calcolosi uratica è più frequente nel maschio, specie dopo i 50 anni. 3) La calcolosi da infezione è più frequente nelle donne.
EZIOLOGIA
a) Fattori estrinseci Comprendono fattori climatici, occupazionali e dietetici e riflettono la differente distribuzione geografica della malattia; questa risulta più frequente nelle aree calde e mesi estivi in quanto l’elevata sudorazione determina un aumento della concentrazione urinaria, o nei soggetti che svolgono attività lavorative in presenza di elevate temperature o abitudini dietetiche ricche di calcio, ossalati, proteine animali e scarso apporto giornaliero di liquidi.
b) Fattori intrinseci Sono rappresentati da età, sesso e ereditarietà; in genere il primo episodio si verifica nella terza decade, con rischio di recidiva a 5 anni del 50%; la massima incidenza si verifica tra 30 e 50 anni e risulta più colpito il sesso maschile (M:F 2:1).
CLASSIFICAZIO NE
62. Calcolosi calcica (70-75%) Possono essere composti da: - Ossalato di calcio (30%) → monoidrato: molto duri, moriformi e di colorito brunorossastro → didrato: meno duri e costituti da aggregati aghiformi di colorito bianco-giallastro. Si tratta in ogni caso di calcoli radiopachi. - Fosfato di calcio (6%): sferoidali, friabili e fortemente radiopachi. - Misti (35%): costituti da ossalato e fosfato
Calcolosi da infezione (15-20%) Si tratta di calcoli composti da trifosfato di calcio - ammonio - magnesio (struvite), spesso associato a ossalato di calcio o carbonato apatite; crescono rapidamente fino a occupare
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interamente le cavità calico-pieliche, assumendo un aspetto coralliforme o “a stampo”. Sono di colorito giallastro, friabili e mediamente radiopachi
PATOGENESI
Calcolosi uratica (10-15%) I calcoli di acido urico sono tondeggianti, lisci, di colorito rossastro, duri e tipicamente radiotrasparenti. Tipica è l’emissione di renella, ovvero microliti di colorito rossatro.
Calcolosi cistinica (1-3%) I calcoli di cistina sono tondeggianti, lisci, giallo-verdastri, di dimensioni e morfologia variabile; sono estremamente duri, anche se mostrano una certa elasticità in virtù della loro composizione proteica. Risultano tenuamente radiopachi.
Calcolosi rare (1%) Comprendono rare forme di litiasi: xantina, acido orotico, matrice ...
I meccanismi alla base della formazione e crescita dei calcoli sono molteplici e complessi. Il fattore principale è rappresentato dal grado di saturazione delle urine nei confronti dei soluti in essa contenuti, dipendenti sia dalla concentrazione urinaria delle diverse sostanze (ossalati, sali di Ca2+, urati) sia dal volume urinario; quindi tutte le condizioni che determinano un aumento della concentrazione dei soluti urinari o riduzione del volume urinario possono favorire la litogenesi. Aumento conc soluti
Riduzione V urinario
Sovrasaturazione
Cristallizzazione
Nucleazione
Crescita Tuttavia non è ancora ben chiaro come avvenga la nucleazione dei cristalli e come si verifichi la crescita del calcolo. - Una prima ipotesi considera la sovra saturazione quale unico primum movens e ammette che il nucleo sia costituito solo da cristalli della stessa natura (teoria della nucleazione omogenea). - Secondo la teoria delle nucleazione eterogenea la precipitazione dei cristalli avviene su substrato di altra natura (non cristallina) costituito da materiale proteico, elementi cellulari epiteliali, batteri; l’accrescimento del calcolo avviene successivamente per deposizione di cristalli identici (crescita omogenea) o di natura diversa (crescita eterogenea o epitassiale).
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Il grado di saturazione urinario dipende anche dal pH delle urine, che influisce in maniera significativa sul grado di solubilità delle diverse sostanze presenti: infatti, in ambiente acido si riduce la solubilità delle diverse sostanze presente: infatti in ambiente acido si riduce la solubilità dell’acido urico e della cistina, mentre in presenza di pH elevato è favorito dalla precipitazione del fosfato e dello ione ammonio.
Un ruolo fondamentale è svolto dagli inibitori della cristallizzazione, sostanze in grado di inibire la formazione e la crescita di calcoli anche in presenza di sovrasaturazione. Sono oggi note numerose sostanze in grado di inibire la formazione dei calcoli ossalato di calcio: citrati, GAG-S; glicoproteine, pirofosfati, zinco e magnesio. Infine la formazione di calcoli può essere favorita da alcuni fattori “locali” come la presenza di infezioni urinarie e di stasi urinaria sia di natura congenita (malformazioni del giunto pielo-ureterale, ureterocele) che acquista.
a) Calcolosi calcica Il disordine metabolico più frequente è rappresentato dalla ipercalciuria, ovvero un escrezione urinaria di calcio superiore a 250 mg/die (30-60% dei casi). Si distinguono te forme di ipercalciuria: - ipercalciuria assorbitiva che è la forma più frequente e consegue a un eccessivo assorbimento intestinale di calcio, conseguente in genere a una aumentata sensibilità intestinale alla vitamina D. - ipercalciuria riassorbitiva conseguente a un eccessiva mobilizzazione di calcio dalle ossa, per cui si associa a ipercalcemia; è in genere secondaria a iperparatirodismo primitivo. .
- ipercalciuria renale conseguente a un deficit del riassorbimento tubulare renale di calcio, che determina ipocalcemia e quindi aumento del PTH e vitamina D. La calcolosi da ossalato di calcio consegue generalmente a iperossaluria, ovvero una escrezione urinaria di ossalati superiore a 60 mg/die; circa l’80-90% dell’ossalato è di natura endogena (sintesi epatica), mentre il rimanente viene introdotto con la dieta (spinaci, barbabietole, cacao, agrumi, vitamina C). L’iperossaluria viene distinta in: - primitiva si tratta di una rara affezione congenita associata a ossalosi (deposizione di ossalato soprattutto a livello renale, cardiaco e articolare e alla rapida comparsa di insufficienza renale. - secondaria a disordini intestinali o per aumentata permeabilità all’ossalato (nella sd da malassorbimento i sali biliari non vengono riassorbiti e si legano al Ca2+) o ridotta disponibilità intestinale di calcio che normalmente lega l’ossalato impedendone l’assorbimento. - idiopatica si tratta della forma più frequente e mostra una certa familiarità. .
La litiasi calcica può essere condizionata anche da altri fattori come pH urinario e ridotta disponibilità di inibitori della cristallizzazione, specie i citrati. Anche l’iperuricuria si associa a litiasi calcica nel 15-20% dei casi; infatti i cristalli di acido urico possono agire da nucleo per la precipitazione di sali di calcio e riducono la disponibilità di citrati.
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b) Calcolosi da infezione E’ determinata da alcune specie batteriche che producono l’enzima ureasi (Proteus, Klebsiella, Serratia e Staphilococcus aureus); E.Coli invece è spesso responsabile di infezione secondarie alla litiasi. La scissione dell’urea conduce alla produzione di un’elevata concentrazione di bicarbonati e ioni ammonio che determinano una vigorosa alcalinizzazione dell’urina; in ambiente alcalino (pH>7,5) si raggiunge un elevata concentrazione di ioni ammonio e fosfati che precipitano sottoforma di struvite. Inoltre, i prodotti finali dell’ureolisi danneggiano lo strato di GAG-S che riveste la mucosa uroteliale, favorendo così l’adesione batterica, lo sviluppo di una risposta infiammatoria e la produzione di matrice organica (detriti epiteliali e batterici, fibrina) essenziale per la nucleazione e la crescita del calcolo. Colpisce più spesso il sesso femminile e si realizza generalmente in presenza di situazioni “locali” che favoriscono lo sviluppo di infezione urinarie croniche: stasi urinaria, corpi estranei in vescica, cateterismo a dimora, reflusso vescico-ureterale, vescica neurogena.
c) Calcosi uratica I calcoli di acido urico sono più frequenti nei maschi, soprattutto sopra ai 40 anni. I principali fattori patogenetici sono: iperuricosuria, restrizione del volume urinario e la presenza di in pH persistentemente acido. Si possono distinguere 4 categorie eziopatogenetiche: I) idiopatica (50%): si tratta di pz che producono urine costantemente acide, forse a causa di un deficit tubulare dell’ammoniogenesi II) Iperuricosuria secondaria a iperuricemia (25%): l’iperuricemia può essere primitiva, dovuta a deficit enzimatici congeniti del metabolismo purinico o secondaria a stati ipercatabolici acquisiti (malattie mielo- o linfoproliferative, anemia emolitica, chemioterapia) III) Iperuricosuria senza iperuricemia consegue all’assunzione di farmaci che riducono l’assorbimento tubulare dell’acido urico (tiazidici) o all’assunzione eccessiva di purine con la dieta (proteine animali). IV) Da disidratazione, come si verifica in caso di sindromi da malassorbimento nelle quali si realizza la perdita di liquidi e bicarbonati con conseguente produzione di urine concentrate acide.
d) Calcolosi cistinica Si tratta di una rara forma che insorge in genere sotto i 30 anni e consegue a deficit congenito, trasmesso come carattere autosomico a penetranza variabile, del riassorbimento tubulare degli amminoacidi cistina, ornitina, lisina e arginina. L’unica manifestazione clinica dell’aminoaciduria è dovuta all’ipercistinuria (>100 mg/die), che può portare alla formazione di calcoli di cistina. La gravità dipende dall’espressività del genotipo (penetranza variabile). La probabilità di formare calcoli di cistina risulta maggiore in presenza di urine acide.
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CLINICA
Il sintomo più frequente è il dolore, la cui entità e localizzazione dipendono dalle dimensioni e dalla sede del calcolo. In genere i calcoli urinari determinano un’ostruzione della via escretrice, con conseguente distensione; se si verifica in maniera lenta e progressiva la sintomatologia può essere silente o caratterizzato da lombalgia, senso di peso al fianco, specie in seguito a sforzi fisici, invece se avviene in maniera improvvisa si ha il caratteristico quadro della colica renale. La dilatazione determina un brusco aumento della pressione endopielica e un improvvisa secrezione di prostaglandine; queste oltre a svolgere un effetto algogeno diretto, conseguente a edema e flogosi locale, provocano un aumento del flusso renale, della filtrazione glomerulare e quindi della pressione all’interno della via escretrice. Le sedi corrispondono ai siti anatomici di minor calibro: la giunzione pieloureterale, il punto di passaggio tra uretere lombare e pelvico, laddove i l’uretere incrocia anteriormente i vasi iliaci e la giunzione uretero-vescicale.
In genere la colica renale insorge bruscamente, specie di notte, ed è caratterizzata da dolore acuto di tipo spastico, riferito alla regione lombare e che si irradia all’addome lungo il decorso dell’uretere fino alla regione inguino – scrotale e alla faccia anteromediale della coscia. Tale tipica distribuzione del dolore consegue alla presenza di connessioni a livello midollare tra le fibre afferenti del rene e dell’uretere e le fibre sensitive provenienti dalle aree cutanee innervate dai nervi ileo-ipogastrico, ileo-inguinale e genitofemorale. Alla colica si associano sudorazione, tachicardia e ipotensione conseguenti al dolore e all’agitazione. La microematuria è quasi sempre presente; nel 30-40% dei casi si ha macroematuria, che in genere si manifesta durante o immediatamente dopo un episodio di colica renale. Se il calcolo raggiunge le regione uretero - vescicale o passa in vescica compaiono disturbi disurici su base irritativi come pollachiuria, stranguria e urgenza minzionale. Le principali complicanze della litiasi sono le infezioni urinarie, che possono determinare danni irreversibilie lo sviluppo di uropatia ostruttiva che conduce a una progressiva atrofia del parenchima renale fino all’esclusione funzionale del rene stesso.
DIAGNOSI
Anamnesi: informazioni utili dal punto di vista dell'età, familiarità, precedenti eventi litogenetici, insorgenza in età infantile (indice di una probabile malformazione urinaria o anomalia del metabolismo) Esame obiettivo Ecografia: indagine di prima istanza; i calcoli appaiono come immagini iperecogene con il caratteristico cono d’ombra posteriore e risultano facilmente distinguibili da altre lesioni come coaguli o neoplasie. Risulta però difficile l’identificazione di calcoli di diametro inferiore a 5 mm,
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soprattutto se localizzati lungo il decorso dell’uretere e inoltre fornisce scarse informazioni di tipo funzionale, limitate alla presenza e al grado di idronefrosi e allo spessore del parenchima renale.
Rx diretto addome: consente di evidenziare i calcoli radiopachi e ha una sensibilità del 90%. Può però risultare difficile la d.d. con altre strutture calcifiche quali calcoli della colecisti, calcificazioni vascolari e fleboliti pelvici. I calcoli di calcio sono sempre radiopachi, specie quelli di fosfato, i calcoli di struvite risultano variabilmente radiopachi mentre i calcoli di cistina sono debolmente radiopachi e hanno un caratteristico aspetto a vetro smerigliato; sono invece tipicamente radiotrasparenti i calcoli di acido urico e di xantina.
TERAPIA
Urografia: gold standard, permette di identificare tutti i calcoli, la loro entità e la loro posizione. In casi ambigui in cui l'urografia non è in grado di fare la dd tra lesioni molto piccole può essere utile una TC. Scintigrafia renale: valuta la funzionalità del rene residua in caso di uropatia ostruttiva cronica Esame completo urine: il laboratorio può dare info utili sulla composizione delle urine, pH, microematuria, infezioni, caratteristiche dei cristalli. Studio metabolico
Il trattamento consiste principalmente nella rimozione del calcolo. I calcoli di diametro pari o inferiore a 4-5 mm vengono eliminati spontaneamente in più dell’80% dei casi; tale probabilità si riduce al 20% se il diametro supera i 6-7 mm.
1) TERAPIA FARMACOLOGICA-COMPORTAMENTALE: In caso di colica urinaria l’approccio terapeutico è esclusivamente medico e la terapia di elezione rappresentata dalla somministrazione i.m. o i.v di FANS, che svolgono un’azione analgesica e antinfiammatoria riducendo la sintesi delle prostaglandine coinvolte nella patogenesi del dolore. I farmaci a azione antispastica come gli anticolinergici, che provocano un rilassamento della muscolatura liscia, attenuano il dolore ma impediscono la progressione del calcolo lungo la via escretrice; inoltre andrebbero evitati gli analgesici oppiacei, che possono determinare uno spasmo della muscolatura liscia ureterale. In caso di febbre è indicata la somministrazione di antibiotici. La terapia medica litolitica ha il principale vantaggio di prevenire la formazione di recidive. Oltre ad una dieta specifica, la terapia idropinica (assunzioni di notevoli quantità di acqua) è il mezzo più semplice e efficace per la prevenzione delle recidive nonché per favorire la formazione di renella o piccoli calcoli. L’assunzione di liquidi preferibilmente acque oligominerali, non dovrebbe essere inferiori ai 2-3 l/die e dovrebbe essere frazionata durante l’arco delle 24 h.
a) Terapia medica della calcolosi uratica La terapia consente di prevenire la recidiva e può determinare la dissoluzione di
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piccoli calcoli non complicati; oltre a una vigorosa terapia idropinica, deve essere limitata l’assunzione di alimenti ricchi di urati (carni animali, cacciagione, pesce). E’ fondamentale il controllo del pH urinario, che deve essere mantenuto a valori compresi tra 6,0 e 6,5; l’alcalinizzazione delle urine si ottiene con il bicarbonato di Na+ e citrati. Nei casi di marcata iperuricuria è indicato l’allupurinolo la cui azione inibente la sintesi dell’acido urico è in grado di ridurre la crescita del calcolo e talora la sua dissoluzione.
b) Terapia medica della calcolosi calcica Un corretto regime dietetico è in grado di ridurre il rischio di recidiva nel 60% dei casi. In tali pz una dieta iposodica riduce la calciuria e aumenta la produzione di citrati (che antagonizzano la litiasi); inoltre andrebbe limitata l’assunzione di proteine animali, che aumentano l’escrezione di urati e calcio e riducono sia il pH urinario sia la produzione di citrati. La dieta ipocalcica andrebbe riserveta solo ai pz con ipercalciuria assorbitiva; negli altri casi si può verificare una grave deplezione della calcemia, con conseguente sviluppo di osteoporosi, tetania e turbe della conduzione cardiaca. Nelle ipercalciurie assorbitive è indicata l’assunzione di sostanze che riducono l’assorbimento intestinale di calcio come i cereali o il fosfato di cellulosa. I derivati tiazidici sono indicati nelle ipercalciurie assorbitive e renali; infatti agiscono a livello del tubulo renale, ove favoriscono il riassorbimento di calcio di calcio e l’escrezione di pirofosfati, zinco e magnesio e a livello intestinale, ove limitano il riassorbimento del calcio e ossalati. Gli ortofosfati aumentano l’escrezione di pirofosfati e riducono l’assorbimento intestinale di calcio, anche se causano frequentemente diarrea. Largamente impiegati sono anche i citrati, che inibendo l’aggregazione dei cristalli, riducono il rischio di recidiva in oltre l’80% dei casi. In caso di iperossaluria è indicata una dieta priva di ossalati mentre non deve ridotta l’assunzione di calcio: infatti una ridotta disponibilità intestinale di calcio aumenta la quota di ossalato libero, più facilmente assorbibile.
c) Terapia medica della calcolosi infetta e cistinica Il punto completo del trattamento è rappresentato dall’eradicazione completa dell’infezione; putroppo la sola terapia antibioticoterapia è spesso inefficace: infatti i germi si annidano all’interno dei calcoli, laddove non è possibile ottenere concentrazioni terapeutiche ottimali, che sono fonte perpetua di infezione. Dunque è fondamentale la rimozione definitiva di tutti i frammenti litiasici mediante trattamento. Anche i calcoli di cistina, se piccoli, possono essere trattati con successo con la terapia medica; sono sempre indicate sia la terapia idropinica che una vigorosa
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alcanizzazione delle urine, a valori di pH non inferiori a 7,2 con bicarbonato di sodio o citrati; possono essere impiegate anche sostanze chelanti la cistina e che ne aumentano la solubilità.
2) TERAPIA MEDICA STRUMENTALE:
a) Litotrissia extracorporea ad onde d’urto (ESWL) Circa il 90% delle calcolosi urinarie viene trattato mediante ESWL; questa si avvale di onde d’urto (onde acustiche) cioè onde di pressione generate esternamente al corpo e focalizzate opportunamente sul calcolo che, sottoposto a elevati regimi pressori, viene frantumato. Le onde d’urto si propagano nell’acqua e quindi sono in grado di attraversare, senza provocare danno, i tessuti corporei che, a eccezione dell’osso, hanno impedenza acustica analoga a quell’acqua. In corrispondenza dell’interfaccia tra tessuto e calcolo, laddove si verifica una brusca variazione di compressione, si frantuma il calcolo, i cui frammenti vengono poi eliminati per via naturale. L’indicazione ideale è rappresentata da calcoli inferiori o uguali a 2,5 cm; la percentuale di successo è in relazione alle dimensioni del calcolo. Rispondono bene al trattamento i calcoli di ossalato di calcio, di struvite e acido urico; difficilmente trattabili sono i calcoli di fosfato di calcio monoidrato, per la loro durezza, mentre risultano intrattabili i calcoli di cistina. Risultano generalmente più agevoli da trattare i calcoli localizzati in sede calico – pielica, con l’eccezione dei calcoli indovati nei calici inferiori. Anche i calcoli dell’uretere prossimale e distale vengono trattati agevolmente, mentre quelli dell’uretere pelvico risultano più complessi a causa di strutture ossee che possono frantumarsi o deviare le onde stesse. Controindicazioni alla ESWL sono la gravidanza e la presenza di malformazioni delle vie escretrici o altre affezioni a valle del calcolo che impediscono il passaggio di frammenti. Quasi sempre dopo il trattamento si ha macroematuria. La complicanza più frequente è rappresentata dalla formazione di una vera e propria scia di frammenti (steinstrasse strada di pietra) che possono ostruire la via escretrice; in genere ciò consegue al trattamento di calcoli voluminosi e richiede un ulteriore trattamento, per via endoscopica o chirurgica.
b) Trattamento percutaneo La litotrissia percutanea prevede l’impiego di un nefoscopio, introdotto a livello calico-pielico, più spesso in corrispondenza dei calici infero-posteriori, attraverso un canale nefrostomico creato per via percutanea con opportuni dilatatori progressivi; in questo modo il calcolo viene visualizzato direttamente e, attraverso la camicia del nefoscopio, può essere rimosso con pinze meccaniche o frantumato medianti speciali
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sonde a ultrasuoni. Le principali indicazioni al trattamento sono: - calcoli >2,5 cm - calcoli del calice inferiore >1,5 cm - calcoli di struvite e cistina o fosfato di calcio monoidrato - presenza di ostruzione urinarie che impediscono il trattamento ESWL - insuccesso ESWL Le complicanze sono legate alla creazione del canale nefrostomico (perforazioni pleuriche o intestinali, emorragie, fistole urinose)
c) Ureteroscopia operativa Consiste nell’esplorazione dell’uretere e della pelvi condotta sotto visione diretta grazie a appositi strumenti a fibre ottiche, sia flessibili che rigidi, introdotti per via retrograda; inoltre l’ausilio contemporaneo della fluoroscopia consente di precisare il livello di risalita, la sede del calcolo e la morfologia ureterale. Attraverso la camicia dell’ureteroscopio è possibile eseguire manovre di estrazione mediante apposite pinze e frantumazione mediante sonde a ultrasuoni, elettroidrauliche o laser. Le principali complicanze sono rappresentate da sanguinamento, fistole ureterali e dall’avulsione dell’uretere.
TERAPIA CHIRURGICA: Chirurgia a cielo aperto Si effettua solo nel 2% dei casi, cioè in caso di voluminosi calcoli a stampo, di struvite o cistina, che richiederebbero altrimenti ripetuti trattamenti ESWL e/o percutanei aventi sul rene effetti negativi più severi di un intervento chirurgico. E’ inoltre riservata a pz con malformazioni delle vie urinarie che richiedano un trattamento correttivo o nei casi in cui si necessaria l’asportazione del rene quale conseguenza della malattia litiasica.
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UROPATIA OSTRUTTIVA DEFINIZIONE
E’ il quadro clinico caratterizzato da una serie di modificazioni anatomiche e funzionali a carico dei segmenti dell’apparato urinario conseguente all’ostacolato deflusso di urina che culmina con il deterioramento progressivo della funzionalità renale, dovuto all’atrofia del parenchima renale che risente negativamente dell’aumento pressorio, della stasi urinaria e della eventuale insorgenza di fenomeni infettivi. L’ostruzione si può riscontrare in tutte le fasce di età; nei bambini in genere si riscontrano alterazioni anatomiche congenite, nei giovani adulti calcolosi, negli adulti lesioni neoplastiche e disfunzioni neuromuscolari.
CLASSIFICAZIO L’entità del danno renale è in relazione al grado (parziale/completa), alla durata, all’estensione (monolaterale/bilaterale) e alla modalità di insorgenza NE (acuta/cronica) dell’ostruzione.
Oltre al parenchima renale anche altre strutture possono andare incontro a alterazioni (uretere, vescica). Nelle fasi iniziali si ha uno stadio compensatorio in cui la muscolatura parietale (liscia), craniale rispetto all’ostacolo, aumenta le contrazioni peristaltiche e si ipertrofizza al fine di controbilanciare l’aumentata resistenza; nel tempo il meccanismo di compenso può divenire insufficiente con una fase di scompenso caratterizzata da dilatazione, atonia parietale, stasi, atrofia parenchimale. Vi sono casi in cui responsabile dell’ostruzione può essere un deficit funzionale con adinamia di tratti dell’uretere, disfunzioni delle strutture neuro-muscolari o iatrogena da farmaci. In ogni caso, se la lesione persiste il progressivo deterioramento della funzione renale porta a insufficienza renale con uremia, sovraccarico idrico, squilibri elettrolitici, disordini dell’equilibrio acido-base e alterazioni coinvolgenti gli apparati gastro-intestinale, nervoso, cardio-respiratorio, emopoietico e immunitario.
FISIOLOGIA
Il deflusso di urina dai reni alla vescica si realizza mediante movimenti peristaltici pieloureterali la cui origine è da attribuire all’attività elettrica di cellule peace-maker localizzate a livello della porzione prossimale dei sistemi collettori caliceali. Fattori quali la P endoluminale, il volume della diuresi, il fattore idrostatico, gli ormoni e l’innervazione para/ortosimpatica svolgono un’azione prevalentemente modulante sull’attività peristaltica, la cui natura è essenzialmente miogena. Condizione necessaria alla progressione dell’urina è la formazione di un gradiente pressorio tra pelvi e uretere che si realizza mediante una maggior frequenza di contrazioni pieliche rispetto a quelle ureterali; il flusso retrogrado è impedito dalla contrazione del giunto pieloureterale che protegge il rene dalle alte P ureterali che sospingono l’urina fino alla giunzione ureterovescicale: a tale livello è presente un altro meccanismo antireflusso da attribuire a un sistema “valvolare” garantito sia dal decorso obliquo dell’uretere intramurale (componente passiva), sia dalla contrazione
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detrursoriale che ostruisce il tratto di uretere intraparietale (componente attiva). A livello vescicale l’urina viene accumulata grazie al meccanismo sfinterico uretrale che rimane chiuso e grazie alla progressiva distensione del detrusore che garantisce un modestissimo incremento pressorio. Nella fase minzionale alla contrazione del detrusore si accompagnano l’apertura del collo vescicale e il rilasciamento dello sfintere striato; sia durante il riempimento, sia nella minzione il reflusso vescico-ureterale è impedito dalla giunzione ureterovescicale.
EZIOLOGIA
In base all’eziologia le uropatie ostruttive possono essere classificate in: - congenite - acquisite Le cause di ostruzione congenita sono: 63. Displasia giuntale cioè un anomalia di sviluppo della giunzione pieloureterale 64. Uretere ectopico con conseguente reflusso vescico-ureterale 65. Ureterocele cioè dilatazione cistica del tratto terminale dell’uretere a livello del passaggio in vescica 66. Vescica neurologica conseguente a spina bifida o mielomeningocele che causano lesioni midollari a livello di S2-S4 67. Reflusso vescico-ureterale cioè la temporanea o permamente incompetenza della giunzione uretero- vescicale, dovuta a malformazione della giunzione uretero-vescicale Le cause di ostruzione acquisita sono più numerose e possono essere raggruppate in intrinseche e estrinseche.
Le intrinseche sono: ◦ Litiasi renale, ureterale o vescicale che può determinare edema e infiammazione della mucosa del viscere con ulteriore riduzione del lume ◦ Neoplasie transizionali ureterali, vescicali con interessamento del meato ureterale, collo vescicale o meato ureterale interno ◦ Carcinoma prostatico che dà ostruzione cervico-ureterale ◦ Ipertrofia prostatica ostruzione cervico-uretrale con ritenzione cronica di urina ◦ Coaguli ematici, papille necrotiche ◦ Vescica neurologica secondaria a traumi e degenerazioni, con quadro di iperreflessia, areflessia, dissinergia sfintere-detrusore ◦ Sclerosi del collo vescicale secondaria a interventi endoscopici o a cielo aperto sulla prostata e sulla regione cervicouretrale ◦ Malattia del collo vescicale secondaria a infezione, ostruzione croniche della regione cervico-uretrale e uretrale, vescica instabile o iperreflessica.
Le estrinseche sono: ◦ Fibrosi retroperitoneale che consiste in una proliferazione fibrosa che
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PATOGENESI
occupa il retro peritoneo inglobando nel suo contesto gli ureteri Neoplasie gastrointestinali, linfomi retro peritoneali Aneurisma dell’aorta addominale che può dislocare gli ureteri o comprimerli nel contesto dei fenomeni flogistici e fibrotici perianeurismatici Gravidanza compressione diretta da parte dell’utero Morbo di Crohn per estensione della flogosi, delle fistolizzazioni e ascessualizzazioni.
In un’ostruzione completa acuta l’ostacolato flusso urinario determina un aumento della P endoluminale a monte dell’ostacolo (rimbalzo pressorio), secondario al continuo rifornimento di urina (per filtrazione glomerulare) e ad una accentuazione della peristalsi pieloureterale che ha lo scopo di far comunque progredire l’urina lungo la via escretrice. L’incremento pressorio porta a valori intraluminali pari a quelli della P di filtrazione glomerulare (50 cmH2O) in parallelo viene incrementata anche la P di filtrazione glomerulare, fino a raggiungere un equilibrio circa intorno a 80-100 cmH2O. A questo punto il perdurare di elevati valori pressori si riflette negativamente sia sull’apparato glomerulare, sia sulla parete muscolare pielo-ureterale che vanno incontro ad atrofia: i glomeruli non sono più in grado di produrre urina mentre le vie escretrici non sono più in grado di generare onde peristaltiche. L’ostruzione non trattata entro 4-7 gg esita in una variabile ma concreta perdita della funzione renale; tale deficit è aggravato se coesistono infezione e ischemia. Anche dopo la risoluzione dell’ostruzione, la funzionalità renale può restare depressa per giorni; più protratta e grave è l’ostruzione, tanto più grave sarà il danno del rene che presenta una riduzione della capacità di concentrare (la prima delle alterazioni) e acidificare le urine.
CLINICA
E’ varia e in relazione alla modalità di insorgenza dell’ostruzione (acuta/cronica), alla causa, alla localizzazione mono o bilaterale e alla concomitante presenza di processi infettivi.
- Se l’ostacolo al flusso urinario si instaura lentamente nel tempo e unilateralmente la sintomatologia può essere anche assente e quando presente, è rappresentata da una sensazione di peso localizzata al fianco. Nelle ostruzioni bilaterali croniche i sintomi di tipo algico possono essere assenti e il quadro clinico esordisce con la comparsa dell’uremia, legata alla condizione di insufficienza renale.
- Nel caso di ostruzione acuta l’occlusione si instaura rapidamente e la dilatazione è più marcata (come si verifica nell’incuneamento di una formazione litiasica renale nel lume ureterale); pertanto in caso di intensa sintomatologia dolorosa il quadro clinica che si presenta è quello della colica in cui è infatti predominante il dolore intenso, localizzato alla regione lombare e ai quadranti addominali inferiori, irradiato all’inguine e ai genitali esterni. Inoltre quando l’ostruzione è bassa (uretrale, cervico-uretrale) i sintomi sono
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tipicamente assimilabili a quelli dell’ipertrofia prostatica: pollachiuria, nicturia, mitto ipovalido, sensazione di incompleto svuotamento vescicale, residuo postminzionale, esitazione iniziale, bruciori minzionali, ematuria. Per le ostruzioni alte (a monte della giunzione uretero-vescicale) la sintomatologia è sostanzialmente quella della colica renale: dolore al fianco irradiato, ematuria, febbre, nausea, vomito e urine torbide.
DIAGNOSI
TERAPIA
Anamnesi Esame obiettivo (comprendente studio della lesione + studio della funzionalità renale) Ecografia: esame essenziale per studiare le caratteristiche della lesione ostruttiva, tuttavia la funzionalità renale non viene rilevata e ci possono essere falsi positivi nel caso in cui ci sia una dilatazione non ostruttiva come pelvi extrarenale, megacalici congeniti, reflusso vescico-ureterale... Ecodoppler: per evidenziare l'aumento delle resistenze delle arteriole renali che indica uno stato ostruttivo responsabile in gran parte del danno renale. Rx-urografia: per visualizzare il flusso urinario a seguito dell'immissione di mdc che entra lentamente nei calici e si ferma per un tempo proporzionale all'ostruzione, poi si concentra per riassorbimento di acqua e sodio e giunge al giunto pielo-ureterale e qui va con una velocità proporzionale all'ostruzione. Pielografia retrograda TC: è molto sensibile ed evidenzia litiasi senza mdc, con mdc evidenzia nefrogrammi persistenti e ritardati con assottigliamento parenchimale. Per completare la diagnosi: Scintigrafia, Whitaker test (valuta la relazione tra pressione e flusso), Flussometria.
Ha lo scopo primario di ripristinare il flusso urinario, quando ancora presente, per impedire l’ulteriore deterioramento funzionale e il recupero della funzione renale che dipende da entità del danno, dalla durata e estensione (mono o bilaterale) e dalla concomitante presenza di fenomeni flogistico-infettivi. E’ impossibile stabilire, prima di intervenire, se il rene potrà recuperare la sua funzionalità: in caso negativo il chirurgo dovrà eseguire la nefrectomia. Per la valutazione della funzione renale residua vengono utilizzate la scintigrafia renale e la valutazione della diuresi dopo posizionamento di nefrotomia che ha il vantaggio di offrire una valutazione funzionale e la possibilità di risolvere l’ostruzione, derivando temporaneamente l’urina.
Nefrostomia percutanea consiste nel posizionamento percutaneo, sotto controllo ecografico o radiologico, di un drenaggio nella pelvi renale con conseguente derivazione di urine all’esterno.
Posizionamento endoscopico di catetere ureterale prevede l’accesso al meato uretrale per via endoscopica mediante uretrocistoscopio, l’esecuzione di una pielografia ascendente, il posizionamento di un filo-guida lungo l’uretere fino alla pelvi renale e infine il posizionamento dello stent sul filo guida, che successivamente viene rimosso. Gli stents ureterali più utilizzati sono dotati di un ricciolo alle due estremità (pig tail o doppio J) la cui funzione è quella di impedire una migrazione dello stesso in alto
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nella pelvi renale e in basso nella vescica. Il passaggio delle urine avviene, nei primi giorni dopo il posizionamento, all’interno dell’endoprotesi e, nei giorni successivi, principalmente all’esterno del catetere, tra questo e la parete ureterale.
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TUMORI DEL RENE DEFINIZIONE
Proliferazioni neoplastiche che riguardano le cellule che compongono il parenchima renale. La maggior parte delle lesioni parte dai tubuli. Si suddividono in base alla loro benignità o malignità e in base al tipo di tessuto proliferante: epiteliale o connettivale.
Tumori Benigni: ◦ Epiteliali: ▪ Adenoma ▪ Oncocitoma: è il 3% di tutti i tumori renali. Quasi sempre monolaterale. È clinicamente benigno anche se nelle forme ad alto grado possono verificarsi delle metastasi. Diagnosticato con ecografia, TC (area stellata al centro) Terapia chirurgica radicale o conservativa. ◦ Connettivali: ▪ Fibroma ▪ Mioma ▪ Lipoma ▪ Angioma ▪ Angiomiolipoma: amartoma renale, tumore benigno, 2-6% di tutti i tumori renali. 60% dei casi è sintomatico. Esiste sia in forma isolata sia associato alla sclerosi tuberosa. Diagnosi con ecografia che evidenzia aree iperecogene e TC aree ipodense. Terapia con follow up o chirurgica.
Tumori Maligni: ◦ Epiteliali: ▪ Carcinoma ◦ Connettivali: ▪ Sarcoma Questi sono i tipici tumori a cellule renali, tuttavia il rene può essere colpito anche da altri tumori come
Carcinomi a cell transizionali della pelvi (da differenziare facilmente per l'origine uroteliale di questi ultimi) Linfomi Tumore di Wilms Metastasi (tumori secondari)
EPIDEMIOLOGI Rappresentano il 3-6% dei tumori maligni dell’uomo; di questi l’85-90% è costituito dall’adenocarcinoma renale o tumore di Grawitz. A Dal ’75 si è registrato un incremento globale del 49% del tasso di incidenza del carcinoma renale. In Italia dà il 6% delle neoplasie e 5000 nuovi casi annui.
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La classificazione distingue le lesioni uroteliali da quelle parenchimali, suddividendo queste in base all’origine epiteliale o connettivale. Il tumore di Wilms (neuroblastoma) è un’entità a sé stante.
EZIOLOGIA
Sporadico: i fattori di rischio riconosciuti sono il fumo (non solo di sigaretta), esposizione a cadmio, piombo, radiazioni ionizzanti e asbesto, obesità e dieta ricca di grassi animali e proteine, ipertensione, terapia estrogenica, dialisi di lunga durata, presenza di rene policistico ed uso protratto di analgesici. Familiare (4%): 1. Sindrome di Von Hippel-Lindau: autosomica dominante a elevata penetranza e variabilità fenotipica. È associata all'alterazione del gene pVHL situato nel cromosoma 3. Determina un'aumentata insorgenza di tumori renali multipli bilaterali o monolaterali associati a tumori cerebellari e del midollo spinale, emangioblastomi retinici, feocromocitoma e tumori endocrini del pancreas. L'alterazione di VHL determina la progressione neoplastica a causa del fatto che fisiologicamente VHL codifica per un fattore oncosoppressore che regola la trascrizione di VEGF e PDGF e altre proteine inducibili dall'ipossia. Se viene a mancare questi geni vengono espressi incontrollatamente e promuovono angiogenesi e crescita tumorale. 2. Neoplasie ereditarie ad istologia papillare: determinate dall'alterazione di MET proto-oncogene che attiva così in modo illimitato la trascrizione di HGF il quale innesca proliferazione e invasione della matrice stromale. È autosomica dominante a penetranza incompleta. Tipicamente dà origine a tumori bilaterali e multifocali. Il tipo 1 è meno aggressivo. 3. Oncocitoma renale familiare 4. Sindrome di Birt-Hogg-Dubé: autosomica dominante, si associa al carcinoma cromofobo. È caratterizzata da fibrofolliculomi benigni, carcinoma midollare della tiroide, polipi del colon, cisti polmonari multifocali. Si associa a carcinomi renali multipli o singoli con elevata capacità di metastatizzare al fegato.
CLASSIFICAZIO 1) Carcinoma renale a cellule chiare: 70-80% dei tumori renali, origina dalle cell del tubulo prossimale ed è caratterizzato da cellule a citoplasma chiaro o granulare. NE e MORFOLOGIA È nel 95% dei casi sporadico, ma può essere familiare ( in VHL o isolato). Nel 98% dei casi si ha comunque una lesione del cromosoma 3 (del 3p o traslocazione cromosomica di 3 con 6,8,11) con perdita di materiale genico, nel quale si trova il gene VHL. Il secondo allele VHL nelle lesioni ha mutazione somatica o è ipermetilato. La perdita di VHL ( una proteina che fa parte di un complesso ubiquitina-ligasi) porta a aumento dei livelli di IGF-1 e HIF-1 (fattore indotto dall’ipossia), con conseguente trascri crescita cellulare ed angiogenesi; su 3p vi sono almeno altri 2 oncosoppressori.
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2) Carcinoma papillare: 10-15% dei tumori renali; si presenta in forma sporadica o familiare. Origina dall'epitelio del tubulo prossimale e si caratterizza per crescita papillare e frequentemente multifocale all’origine. Le anomalie citogenetiche più comuni sono le trisomie di 7(MET), 16, 17, la perdita di Y nelle forme sporadiche, la trisomia 7 nelle forme sporadiche. Sul 7 si trova gene MET (recettore tirosin-chinasi per HGF, ossia il fattore di crescita per epatociti o scatter factor), che in molti casi di carcinoma papillare sporadico è mutato, con conseguente alterazione di crescita, mobilità cellulare , differenziazione e capacità invasiva. Un secondo gene è implicato spesso nell’oncogenesi delle forme sporadiche: PRCC prodotto di fusione PRCC-TFE-3 sull’X, in grado di sovvertire i checkpoint mitotici, con aberrante segregazione dei cromosomi.
3) Carcinoma renale cromofobo: 5% dei carcinomi a cellule renali, ha cellule con evidenti membrane basali e citoplasma debolmente eosinofilo, in genere con alone perinucleare. Presenta perdite cromosomiche multiple e grave ipodiploidia. Probabilmente origina dalle cellule intercalari dei dotti collettori corticali ed ha una prognosi eccellente.
4) Carcinoma del dotto collettore (dotto di Bellini): T1. Per l’accesso si hanno diverse possibilità (anteriore sottocostale, l’incisione a lembo epigastrico, il taglio a “chevron”, l’incisione toraco-addominale e il taglio mediano), ma la nefrectomia radicale deve essere sempre eseguita previo controllo del peduncolo vascolare a loggia renale intatta e dopo ischemizzazione della massa renale, ai fini dell’asepsi neoplastica.
- La nefrectomia parziale (chirurgia conservativa) è definita come la resezione
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locale completa di un tumore renale con preservazione della maggiore quantità di parenchima funzionante. In passato eseguita per necessità (pazienti monoreni o con lesione bilaterale), oggi per via della diagnosi precoce ed incidentale viene sempre più spesso impiegata con eccellenti risultati (sopravvivenza cancro-specifica a 10 anni che raggiunge il 96100% nephron sparing sono molteplici: 68. enucleazione semplice o tumorectomia: solo per carcinomi con pseudocapsula di tessuto fibroso e solo per pazienti monoreni con scarsa aspettativa di vita e con lesioni piccole e multiple 69. enucleoresezione: asportazione del tumore con margine di parenchima sano di 1-2 cm 70. nefrectomia polare segmentale: per lesioni localizzate ad un polo; resezione completa del segmento polare interessato n.b.: la nefrectomia polare o l’enucleoresezione associata all’asportazione del grasso perirenale circostante, con valutazione estemporanea dei margini di resezione, sembra essere la tecnica che garantisce la maggiore radicalità chirurgica.
nefrectomia parziale mesorenale o grande resezione trasversale: per il trattamento di neoplasie che interessano massivamente uno dei 2 poli (si esegue con ipotermia di superficie previo clampaggio dell’arteria renale) nefrectomia parziale extracorporea: per il trattamento di neoplasie molto estese, precedentemente considerate inoperabili; prevede l’asportazione del rene, del peduncolo vascolare e dell’uretere come avviene in corso di una nefrectomia da donatore (consente > chiarezza di visione, campo operatorio esangue, insomma un intervento più mirato)
Linfadenectomia L’incidenza di invasione linfonodale varia dal 12.5% (T1-T2) al 35% (T3-T4). I linfonodi locoregionali potenzialmente interessati nella diffusione precoce del ca. renale sono: - per il rene destro: ilari, paracavali ed interaortocavali - per il rene sinistro: ilari, para aortici ed interaortocavali Vengono generalmente asportanti durante una nefrectomia per neoplasia e successivamente analizzati per una corretta stadiazione (patologica) della diffusione loco regionale (micro-metastasi). La linfadenectomia migliora anche la prognosi: la sopravvivenza passa da 11-21% a 35%; inoltre bisogne rimarcarne il ruolo terapeutico in presenza di micro metastasi.
Interessamento vascolare Il tropismo del carcinoma renale per le strutture vascolari adiacenti porta a trombosi della vena renale (10%) e della cava inferiore (4-10%), raggiungendo talvolta anche
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l’atrio destro. Il trombo neoplastico cavale può arrivare alle vene sovra-epatiche (estensione sottodiaframmatica) o fino all’atrio destro (estensione sovra-diaframmatica). Questo secondo caso complica l’intervento di rimozione del trombo in corso di nefrectomia radicale. Una volta eseguito l’intervento di rimozione del trombo la sopravvivenza correla con la presenza di metastasi linfonodali e a distanza (35 % in assenza di metastasi per coinvolgimento della cava inferiore). I pazienti con coinvolgimento atriale hanno un’aspettativa di vita molto peggiore. Le complicanze chirurgiche più comuni sono: embolia post-operatoria, insufficienza renale, pneumotorace, emorragia (se è stata richiesta eparinizzazione intraoperatoria).
Immunoterapia Il carcinoma renale è una delle poche neoplasie che rispondono chiaramente ai modificatori della risposta biologica. I protocolli prevedono: 49. IL-2, attiva i linfociti periferici in cellule LAK (lymphokine activated killer), capaci di lisare cellule tumorali; protocollo solo IL-2 risposta obiettiva nel 15% dei casi, IL-2 + LAK 18% 50. IL-2 + IFNα abbatte gli effetti tossici della citochina e aumenta la lisi delle cellule tumorali Oggi la IL-2, somministrata con altri BRM o chemioterapici, è il cardine della terapia nei casi metastatizzati, con risposta obiettiva nel 20% dei casi e duratura, completa o parziale, nel 5-12% (la risposta dura in media 23 mesi).
Chemioterapia È usata solo a scopi palliativi per la forma già metastatica, che è resistente ai citotossici tradizionali. Si usano perlopiù vinblastina, da sola o in associazione con lomustina (risposte obiettive complessive del 10-15% e con frequente sviluppo di resistenza alla vinblastina) e infusione circadiana di FUDR (remissione obiettiva intorno al 15% secondo alcuni). La radioterapia è unicamente usata per scopi palliativi, ad esempio per metastasi ossee.
TUMORE DI WILMS Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
DEFINIZIONE
Tumore primitivo che colpisce il rene. È il tumore renale più frequente nella prima infanzia. Di solito coinvolge entrambi i reni in modo sincrono o metacrono (a distanza di un certo periodo)
EPIDEMIOLOGI Si verifica in 10 bambini per milione sotto i 10 anni di età. Il picco di diagnosi è tra 2 e 5 anni. A EZIOLOGIA e PATOGENESI
MORFOLOGIA
10. Sindrome WAGR: pazienti con aniridia, anomalie genitali e ritardo mentale. Sono coinvolti i geni WT1 e PAX6 entrambi presenti sul cromosoma 11. 11. Sindrome di Denys-Drash: caratterizzata da disgenesia gonadica e nefropatia a esordio precoce che si manifesta con sclerosi mesangiale diffusa. 12. Sindrome di Beckwith-Wiedmann: organomegalia, macroglossia, omfalocele e cellule aumentate di volume della corticale del surrene. Generalmente si presenta come una massa grande ed uniforme in uno o in entrambi i reni. È soffice, omogeneo e al taglio presenta focolai emorragici, formazioni cistiche e necrosi. Microscopicamente le cellule sono piccole, bianche sia stromali che epiteliali.
CLINICA
La maggior parte dei bambini si presenta alla diagnosi con una grande massa addominale a livello del fianco oppure anche al centro se la massa è talmente grande da aver superato la linea mediana. In alcuni casi questo è l'unico segno, mentre in altri casi si accompagna a ipertensione, dolore addominale dopo un minimo insulto, ematuria e ostruzione intestinale. Frequente è il riscontro alla diagnosi di metastasi polmonari.
PROGNOSI
Prognosi ottima a seguito della terapia anche se il tumore è a stadio avanzato. Sopravvivenza a 2 anni del 90%.
TERAPIA
Viene trattato con nefrectomia + chemioterapia.
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TUMORI DELLA VESCICA DEFINIZIONE
Proliferazioni neoplastiche a carico della vescica che possono sia essere di origine epiteliale (in tal caso uroteliale), sia di origine connettivale.
EPIDEMIOLOGI I tumori della vescica rappresentano il 40% delle neoplasie urologiche nella fascia di età compresa tra 50 e 70 anni. A Il rapporto M/F 3:1. Nel maschio è la IV neoplasia per frequenza (6% delle neoplasie). L’incidenza è raddoppiata negli ultimi 40 anni, mentre la mortalità si è ridotta del 33% (diagnosi precoce e nuovi protocolli terapeutici). Tale neoplasia è più diffusa nelle aree industrializzate, suggerendo l’importanza di fattori ambientali e lavorativi.
EZIOLOGIA
Esistono diversi fattori di rischio ambientali comprovati: - esposizione lavorativa alle amine aromatiche (arilamine), tra cui l’anilina - fumo di sigaretta ( nitrosamina, 2-naftilamina, 2-amino-7-naftolo); il rischio nel fumatore è quadruplicato, dipendendo comunque da numero di sigarette, durata del vizio, inalazione - litiasi vescicale e cateterismo a dimora - infezione da Schistosoma hematobium, soprattutto nelle aree endemiche (Egitto, Sudan, Medioriente), associato allo sviluppo del carcinoma squamo cellulare - uso prolungato di analgesici - radioterapia pelvica - esposizione prolungata all’acroleina (metabolita urinario della ciclofosfamide)
Sono stati inoltre riscontrate diverse alterazioni genetiche ricorrenti: - alterazioni del cromosoma 9: le uniche frequentemente presenti sia nelle forme papillari superficiali che nelle forme in situ: -
sore p16INK4α
- monosomia 9 -
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p53 (anche semplici mutazioni), nelle forme invasive e in situ
non inv. -
RB, presente anche nelle forme invasive
- delezioni 11p - delezioni papillari)
Riassumendo: oncogeni: c-Myc, H-ras, C-erB oncosoppressori: p53, p15, p16 Sono perciò stati proposti 2 modelli di cancerogenesi vescicale: - perdita di oncosoppressori in 9p e
-
CLASSIFICAZIO Le neoplasie vescicali sono nel 95% di derivazione epiteliale e per il resto di derivazione mesenchimale. NE e MORFOLOGIA Le forme epiteliali si ripartiscono in tal modo: 71. 72. 73. 74.
92% tumori uroteliali (a cellule di transizione) 3-7% carcinomi squamo cellulari 1% adenocarcinomi 1% anaplastico
1. TUMORI UROTELIALI (CARCINOMI A CELLULE TRANSIZIONALI) Spesso multifocali all’esordio, possono interessare qls sede ove sia presente urotelio (dalla pelvi alla porzione distale dell’uretra). La forma invasiva riconosce almeno 2 precursori più comuni: il carcinoma papillare non invasivo e il carcinoma piatto non invasivo
▪ La forma papillare presenta una maggiore variabilità citologica, difatti si identificano: Papillomi: sono lesioni tipicamente benigne; 1 % dei tumori vescicali; possono essere esofitici ( papille digitiformi di 0.5 – 2cm con nucleo centrale di tessuto lasso fibrovascolare rivestito da epitelio uroteliale istologicamente normale) o endofitici ( cordoni di cellule uroteliali normali anastomizzati tra loro che si approfondano verso la lamina propria), detti anche papillomi invertiti; recidive rare
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Neoplasie uroteliali a basso potenziale di malignità: neoplasie uroteliali a basso potenziale di malignità (PUNLMP, papillary urothelial neoplasms of low malignant potential): istologia simile ai precedenti, con epitelio più ispessito e diffuso ingrandimento nucleare, rare figure mitotiche; non associate ad invasione; recidive raramente invasive e/o ad alto grado; Carcinomi papillari a basso grado: aspetto architettonico e citologico ordinato, cioè le cellule conservano polarità e coesione; minima ma netta evidenza di atipia nucleare con sparsi nuclei ipercromatici e figure mitotiche poco frequenti (specie verso la base) e modesta variabilità di forme e dimensioni nucleari; possono recidivare e, anche se di rado, possono essere invasivi (10%) Carcinomi papillari uroteliali a alto grado: le cellule hanno perso la coesione e la polarità (disordine), alcune mostrano una evidente anaplasia; le figure mitotiche sono frequenti e spesso atipiche; incidenza alta di invasione (85%), maggior rischio di progressione e notevole potenziale metastatico.
▪ Il carcinoma piatto in situ vede la presenza di cellule maligne all’interno di un urotelio piatto, con elementi maligni sparsi (diffusione pagetoide) o atipia citologica a tutto spessore. Anche qui perdita di coesione e sfaldamento delle cellule neoplastiche che compaiono nelle urine. Macroscopicamente appare come un’area di mucosa arrossata, granulosa o ispessita. È generalmente multifocale e può interessare la maggior parte della superficie vescicale, estendendosi anche ad ureteri e all’uretra. In genere è associata ad altri quadri di carcinoma a cellule transazionali, ma nel 15% dei casi è isolato ( avendo in tal caso minor probabilità di progredire)
Il carcinoma uroteliale invasivo scoperto precocemente può interessare la lamina propria ed essere associato con il carcinoma uroteliale papillare, spesso ad alto grado, o con il CIS. L’estensione alla diagnosi ha significato prognostico. In generale i tumori aggressivi non solo si estendono alla parete vescicale, ma invadono progressivamente prostata, vescicole seminali, ureteri e retroperitoneo; alcuni danno fistole comunicanti con la vagina ed il retto; il 40 % di questi tumori metastatizza ai linfonodi regionali, mentre la diffusione ematogena a distanza (fegato, polmoni e midollo osseo) è appannaggio delle forme fortemente anaplastiche. Esistono infine forme rare di cancro uroteliale, le quali comprendono la variante a nido con aspetti istologici simili al linfoepitelioma e il cancro a piccole cellule.
2. CARCINOMI SQUAMOCELLULARI Incidenza che sale oltre il 7% nei pazienti ove è endemico lo Schistosoma haematobium (Egitto 75% dei tumori vescicali); in altre zone tale neoplasia si associa a processi infiammatori cronici. Macroscopicamente è una massa biancogrigiastra, nodulare, vegetante o infiltrante, con necrosi ed ulcerazione; la
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mucosa circostante può mostrare leucoplachia. Microscopicamente è variabile il grado di differenziazione: da lesioni ben differenziate ricche di perle cornee a quadri anaplastici gigantocellulari. Più frequenti dei quadri squamo cellulari puri sono i carcinomi uroteliali misti che presentano aree di carcinoma epidermoidale. La maggior parte di questi tumori è già infiltrante alla diagnosi.
3. ADENOCARCINOMI Sono rari (2%) ed istologicamente identici alla controparte gastrointestinale. Generalmente sono monolocali, estesi, con superficie spessa e gelatinosa e fortemente invasivi. Possono derivare da residui dell’uraco o essere associati ad estese metaplasie intestinali. Nel primo caso originano nella cupola e nella parete anteriore, all’interno della parete, e si estendono al di fuori della vescica verso l’ombelico; inoltre sono correlati ad irritazione o infiammazione cronica (è la forma più frequente in caso di estrofia vescicale). Nel secondo caso ricordiamo che la metapla uroteliali - nidi di Brunn- si approfondano verso la lamina propria e vanno incontro a modificazione ghiandolare o cistica; nel primo caso si ha differenziamento in epitelio cubico o colonnare, con eventuali cellule caliciformi – metaplasia intestinale- nel secondo invece cellule cuboidi o uroteliali circoscrivono uno spazio di 0.1-1 cm colmo di liquido chiaro).
4. TUMORI MESENCHIMALI Diversi sono i tumori benigni, anche se rari. I leiomiomi tendono a crescere come masse isolate, intramurali, capsulate, ovali o sferiche e di dimensioni variabili. Lipomi, emangiomi, neurofibromi. I sarcomi vescicali sono estremamente rari ed entrano in DD con pseudo tumori infiammatori e noduli a cellule fusiformi postoperatori. Tendono a produrre grandi masse che protrudono nel lume vescicale, hanno aspetto soffice, carnoso e biancogrigiastro. Il più comune nell’adulto è il leiomiosarcoma, nei bambini è il rabdomiosarcoma embrionale. Talvolta sono masse polipoidi a grappolo (sarcoma botrioide).
5. CARCINOMA ANAPLASTICO
CLINICA
L’esordio nell’ 85% è caratterizzato da ematuria, macro o microscopica,
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classicamente indolore ed intermittente. Nel 10-15% dei casi si ha inoltre un quadro irritativo con urgenza minzionale, pollachiuria e disuria (più frequente nei CIS). Si possono poi avere dolore sovrapubico o lombare se è presente ostruzione ureterale. Raramente all’esordio si presenta la sintomatologia da tumore avanzato (dolore addominale o osseo, edema agli arti inferiori e massa pelvica palpabile.)
DIAGNOSI
51. Anamnesi 52. Esame obiettivo 3. Citologia urinaria: necessari 3 campioni; ricerca nel sedimento urinario di elementi tumorali (atipie nucleari e citologiche); elevata specificità ma ridotta sensibilità specie per le forme di basso grado.
4. Ricerca di marcatori urinari: proteina umana del complemento correlata al fattore H, telomerasi, prodotti di degradazione del fibrinogeno e della fibrina, mucine, CEA, acido ialuronico, ialuronidasi, proteine della matrice nucleare,contenuto in DNA; bassa specificità
5. Ecografia: esame di prima istanza; può evidenziare lesioni aggettanti nel lume vescicale o che alterino i profili parietali e idronefrosi da infiltrazione dei meati ureterali; però bassa specificità e sensibilità.
6. Cistoscopia: indagine + attendibile; offre possibilità di eseguire anche altre manovre diagnostiche (biopsia e prelievo selettivo di urine) o terapeutiche (resezione); le neoformazioni vengono valutate per sede, numero, dimensioni, aspetto (piatto, sessile, papillare, nodulare) e base di impianto (larga o piccola). Per chiarire una diagnosi altrimenti dubbia o a fini di stadiazione si esegue una biopsia negativa). La TURV è manovra diagnostica e terapeutica. Resezione in due campioni (prima parte superficiale, poi profonda con parte del muscolo per valutare l’infiltrazione)
7. Urografia: nei pazienti con sintomi e segni suggestivi di neoplasia vescicale; ha scarsa sensibilità per lesioni di piccole dimensioni, ma è necessaria per valutazione delle vie urinarie superiori (neoplasie alte o idroureteronefrosi); inoltre in fase cistografica la lesione vescicale appare come difetto di riempimento; nel caso di lesioni a carattere infiltrante è presente rigidità della parete vescicale.
8. TC e RM: valutano estensione ed eventuale presenza di metastasi; accurate nel valutare interessamento del grasso perivescicale e di organi a distanza, meno
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precise nella valutazione linfonodale (cmq > 1cm sono considerati sospetti) ove si possono avere falsi positivi (iperplastici o flogistici) e negativi (micrometastasi)
9. Rx torace: necessario per escludere metastasi al polmone (lesioni sopra 1cm e non calcifiche spesso localizzazioni secondarie del tumore).
Diagnosticato il cancro vescicale si procede alla stadiazione e al grading.
La stadiazione si basa sul sistema TNM: - Neoplasie non infiltranti: Tis: carcinoma in situ non invasivo Ta: papillare non invasivo T1: limitato alla lamina propria - Neoplasie infiltranti:
T2a: invasione della muscolare propria superficiale T2b: invasione della muscolare propria profonda T3a: invasione extravescicale (grasso perivescicale) microscopica T3b: invasione extravescicale (grasso perivescicale) macroscopica T4a: infiltrazione di prostata, utero, vagina T4b: infiltrazione di parete pelvica e/o addominale
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Il grading secondo Mostofi si basa sul gradi di anaplasia e prevede questo raggruppamento: ◦ G1: ben differenziato ◦ G2: moderatamente differenziato ◦ G3: scarsamente differenziato Vi è spesso forte correlazione tra grado e stadio: quasi sempre i ben differenziati si presentano come lesioni superficiali, papillari, esofitiche e grigio rosee, mentre gli scarsamente differenziati tendono ad essere invasivi e appaiono morfologicamente come lesioni sessili, a larga base d’impianto, con zone necrotiche e ulcerate.
PROGNOSI
I fattori prognostici si possono suddividere in clinico-patologici e molecolari.
I fattori clinico-patologici sono: - stadio e grado: neoplasie di basso grado e basso stadio (Ta, G1/G2) hanno una bassa probabilità di progredire verso forme invasive (2-6%), mentre forme a più alto stadio e grado (T1, G2/G3) hanno probabilità maggiori (21-48%)
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- dimensioni, multifocalità hanno significato sfavorevole in termini di progressione - CIS non è sempre sinonimo di aggressività, ma generalmente in T1 è ad alto rischio - per le forme infiltranti, sopravvivenza e metastatizzazione linfonodale sono correlate allo stadio, al grado e alle dimensioni della lesione
I fattori molecolari sono: - flussocitometria: contenuto in DNA delle cellule; i tumori diploidi sono generalmente di basso grado, quelli aneuploidi presentano più frequentemente un grado elevato e si correlano ad una prognosi peggiore di malattia - Ki-67: aumento di espressione nei tumori di alto grado e stadio; può essere correlato alla progressione - p53: mutazioni che coinvolgono questo gene sembrano correlarsi a >rischio di progressione
TERAPIA
Per i tumori superficiali sono previsti sia l’approccio medico che chirurgico.
1. Il trattamento di scelta per Ta, T1, CIS è rappresentato dal TURB (transurethral resection of the bladder): si asporta con il resettore (dotato di ottica e di ansa diatermica) sia la parte esofitica, ma anche la base di impianto muscolare. Questo consente rimozione completa e dà informazioni sul grado e sulla profondità di infiltrazione.
2. Per lesioni neoplastiche endovescicali piccole ( 7 sono ad alto grado.
Una descrizione a parte merita il PIN (neoplasia prostatica intraepiteliale). Da un punto di vista istopatologico il PIN a basso grado si caratterizza per la presenza di affollamento e stratificazione di cellule epiteliali con spaziatura irregolare, nuclei ampi con variazioni dimensionali. Nel PIN a alto grado si assiste a una esasperazione di tali alterazioni, cui si aggiungono alterazioni dei nucleoli, cromatina e interruzione della membrana basale. Il PIN a alto grado inoltre è considerato l’unica lesione premaligna del ca. prostatico; è documentabile solo attraverso biopsia, poiché non provoca né rialzo del
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PSA né alterazioni ecotomografiche. La diagnosi impone una rivalutazione bioptica per l’elevata incidenza di neoplasia sincrona o per la possibile evoluzione in carcinoma invasivo.
CLINICA
Il ca. prostatico è una neoplasia dalla storia naturale difficilmente prevedibile; il tumore può sia rimanere silente per anni dopo la diagnosi sia conoscere una progressione talmente drammatica da portare all’exitus a meno di un anno dalla diagnosi. - Per ca. manifesto si intende una neoplasia obiettiva bile sia clinicamente (sintomatica) che semeiologicamente (esplorazione rettale positiva) - Per ca. incidentale si intende una neoplasia diagnosticata dopo intervento di adenomectomia prostatica o in seguito a biopsia prostatica eseguita per aumento dei livelli sierici di PSA - Per ca. latente si intende quel tumore prostatico che viene diagnosticato incidentalmente in corso di autopsia e la sua incidenza è decisamente maggiore rispetto alla forma clinicamente manifesta - Per ca. occulto si intende quel ca. prostatico che da segno di sé per la presenza di metastasi a distanza in assenza di obiettività prostatica
DIAGNOSI
77. Anamnesi: la sintomatologia del k prostatico emerge solo a stadi avanzati e sempre con sintomi aspecifici come pollachiuria, dolore sovrapubico, urgenza urinaria, nicturia, ipovalidità del mitto e disuria. Talvolta il paziente può riferire dolori ossei che sono riferibili ad uno stadio molto avanzato di malattia in cui ci sono metastasi ossee. 78. Esame obiettivo 79. PSA: Si reperta in circolo prevalentemente legato a inibitori enzimatici (60-90% è legato all’α1-antichimotripsina (PSA-ACT), mentre una quota non dosabile è legata all’ α2 macroglobulina (PSA-MG)). Una forma molecole importante ai fini della diagnosi di ca. prostatico è il PSA libero, che rappresenta la quota (10-40%) non complessata a ACT o MG. I pz con IPB presentano più alte concentrazioni di PSA nella forma libera rispetto ai pz con ca. prostatico.
I livelli sierici normali di PSA oscillano da 0 a 4 ng/ml; tuttavia il PSA, seppur organo specifico non è anche tumore specifico in quanto anche prostate interessate da processi flogistici possono essere causa di ipersecrezione di PSA, come anche manovre diagnostico-strumentali. I limiti del PSA sono una scarsa specificità che si manifesta con una frequenza abbastanza alta di falsi negativi. Allo scopo di aumentare la sensibilità e specificità del PSA nella diagnosi precoce del ca. prostatico sono stati introdotti alcuni rapporti definiti “PSA derivati”, utili quando i valori dell’antigene sono compresi tra 4 e 10 ng/ml (cosiddetta “fascia
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grigia”) e l’eco prostatica e l’esplorazione rettale sono negative. - Un rapporto PSA free/PSA totale < del 15% può essere indicativo di una neoplasia - La PSA density è data dal rapporto PSA/volume prostatico e esclude neoplasie per valori minori del 20% poiché un aumento volumetrico benigno della prostata più determinare un aumento dei valori di PSA anche in assenza di tumore. - La PSA velocity è data dal rapporto incremento PSA/anno; un aumento del PSA >0,75 ng/ml suggerisce la presenza di una neoplasia
Esplorazione rettale: Rappresenta il principale strumento diagnostico a disposizione dell’urologo per la valutazione preliminare dei soggetti che si sottopongono a controlli per ca. prostatico. Ha come finalità innanzitutto la valutazione delle dimensioni dell’organo e di una eventuale asimmetria volumetrica tra i lobi, di variazioni di consistenza (aumentata nel tumore, duro-lignea) e la presenza di formazioni nodulari.I limiti di questa procedura sono rappresentati da una considerevole sottostadiazione dell’estensione locale del tumore e dalla variabilità dei risultati dipendente dalla soggettività della metodica.
Ecografia prostatica: La TRUS (ecografia prostatica transrettale) è la metodica d’immagine più utilizzata e aumenta sensibilmente il tasso diagnostico del ca. prostatico se associata all’esplorazione rettale e al PSA. Circa il 70-75% dei carcinomi prostatici si presentano sotto forma di noduli ipoecogeni, mentre i casi restanti si presentano come formazioni isoecogene rispetto al parenchima sano. Il 60-70% dei ca. sono ipervascolarizzati e dunque l’associazione del color-doppler aumenta la sensibilità dell’eco-transrettale. La TRUS è importante anche ai fini della stadiazione della malattia (poiché può evidenziare una diffusione periprostatica o un coinvolgimento delle vescicole seminali) e nel follow-up (permette la visualizzazione e la caratterizzazione mediante biopsia di una recidiva locale). Non è più consigliabile effettuare la ecografia sovrapubica!
Biopsia prostatica: Un’alterazione del PSA sierico, il rilievo di irregolarità all’esplorazione rettale e all’eco trans rettale devono far nascere il sospetto di una neoplasia prostatica e conseguentemente è indicata l’esecuzione della biopsia. Il valore predittivo positivo di ciascuna di queste indagini è basso, ma la positività contemporanea di due o più di esse suggerisce fortemente la presenza di neoplasia. La biopsia prostatica può essere eseguita per via trans rettale o trans perineale, sotto controllo scintigrafico o digitale; l’agobiopsia prostatica eco guidata trans rettale rappresenta l’approccio maggiormente utilizzato per la rapidità di esecuzione, la precisione con morbilità pressoché sovrapponibile all’approccio transperineale. L’agobiopsia prostatica ecoguidata transperineale è una metodica che ha maggior
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precisione nel biopsiare le regioni più anteriori della ghiandola e presenta, in soggetti immunocompremessi, un minor rischio di infezioni. E’ infine importante l’anamnesi generale e farmacologica per la ricerca di patologie che possono esporre ad un rischio maggiore di sanguinamento e infezione (immunodeficienza, diabete, terapia con anticoagulanti). La biopsia viene fatta prelevando una serie di “carotine” non casualmente ma seguendo un pattern preciso in base alla struttura prostatica per cercare di rilevare in modo più preciso possibile lesioni cancerose.
PSA tot < 2ng/mL + ER/TRUS negative = Follow up PSA tot compreso tra 2 e 10 ng/mL = ecografia, PSA density, velocity, PSA libero/PSA tot, familiarità, precedente riscontro di biopsie con elementi preneoplastici = follow up + BIOPSIA PSA tot > 10 ng/mL = BIOPSIA ER/TRUS positive = BIOPSIA
In caso di biopsia negativa può essere che la porzione tumorale sia ancora talmente ristretta da non averla prelevata, pertanto si tiene controllato il paziente con follow up e prelievi di PSA. In caso di biopsia positiva si fa diagnosi di adenocarcinoma e si passa al GRADING e STAGING. Il grading si fa in base allo score di Gleason in base alla differenziazione dei tessuti prostatici neoplastici. Lo staging si effettua tramite il sistema TNM:
T1
Tumore clinicamente non apprezzabile
T1a < 5% del tessuto resecato T1b > 5% del tessuto resecato T1c tumore identificato mediante biopsia (aumento del PSA) T2a limitato a un lobo T2b coinvolge entrambi i lobi T3a estensione extracapsulare T3b estensione alle vescichette seminali T4 Tumore fisso o infiltrante gli organi adiacenti, muscolo elevatore dell’ano, retto, vescica N1
Mestasi linfonodali regionali
M1
Metastasi a distanza (ossa, polmoni).
- Gli stadi T1a e T1b sono i tumori scoperti incidentalmente su tessuto asportato durante intervento chirurgico per ipertrofia prostatica (TURP-ATV); originano
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spesso dalla zona di transizione, hanno piccole dimensioni e sono generalmente intracapsulari. - I tumori in stadio T1c sono i tumori identificati mediante biopsia prostatica eseguita per la persistenza di elevati livelli sierici di PSA in assenza di altri segni clinici. - Lo stadio T2 corrisponde a una malattia localizzata all’organo, in particolare con T2a si intende un tumore che interessa un solo lobo e con T2b un tumore che interessa entrambi i lobi, ma senza interessamento della capsula: tali tumori sono potenzialmente curabili con la sola chirurgia o radioterapia. - Con T3 si intende una malattia localmente avanzata che ha superato la capsula prostatica da un lato o entrambi (T3a) oppure che infiltra le vescicole seminali (T3b). - Come per gli altri tumori, con T4 si intende una malattia avanzata in cui il tumore invade gli organi contigui: retto, vescica, muscolo elevatore dell’ano..); l’invasione del retto avviene solo tardivamente in quanto protetto dalla fascia di Denonvilliers. Il tumore presenta un elevato tropismo per il sistema linfatico ed il coinvolgimento dei linfonodi pelvici (otturatori ed iliaci) che avviene per permeazione , in genere precede di 12-36 mesi l’interessamento scheletrico,e si può presentare anche nei tumori organo confinati(2-3%). Le metastasi ematogene sono in circa l’80% scheletriche (ultime vertebre lombaribacino), spesso multiple ed in genere di tipo osteoblastico o misto (osteoblastico e osteolitico); rare e tardive sono le metastasi viscerali al polmone e al fegato.
TERAPIA
TC completa: per vedere l'eventuale presenza di metastasi linfonodali e determinare quindi l'indice N Scintigrafia ossea totale: per determinare le metastasi ematogene al sistema scheletrico e quindi l'indice M TC + Rx torace: per evidenziare le eventuali metastasi polmonari che contribuiscono al rilevamento dell'indice M. PET
Nella scelta della migliore terapia possibile è indispensabile valutare attentamente : - spettanza di vita ( >= 10 anni) , condizioni generali del paziente (assenza di malattie associate importanti) - parametri biologici della neoplasia importanti ai fini prognostici ( PSA e Gleason score ). - probabilità di effetti collaterali e complicanze attesi in base al tipo di trattamento proposto. In presenza di un tumore incidentale ben differenziato appare giustificata una vigile attesa rimandando il trattamento radicale nel caso in cui venga dimostrata la persistenza del tumore nei controlli successivi.
1. Terapia chirurgica
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La prostatectomia radicale rappresenta il trattamento ideale per il tumore prostatico localizzato a cui indirizzare quei pazienti che hanno una attesa di vita di almeno dieci anni in assenza di patologie associate importanti; nella stessa categoria di pazienti la radioterapia rappresenta una valida alternativa alla chirurgia. La terapia ormonale trova la sua applicazione elettiva nelle forme localmente avanzate e metastatiche e in tutti i casi non sia possibile effettuare l’intervento chirurgico (controindicazioni , aspettanza di vita , rifiuto del paziente).
La selezione dei pazienti da sottoporre a chirurgia radicale tiene conto delle caratteristiche legate alla neoplasia, che deve essere di basso grado con Gleason Controverso è il ruolo della prostatectomia radicale nei tumori localmente avanzati (T3); sicuramente l’obiettivo primario in questi casi è il controllo locale della malattia, inoltre la chirurgia riesce ad identificare quella percentuale, benché piccola, di tumori clinicamente stadiati come T3, ma che all’esame anatomo-patologico definitivo risultano dei T2 e che quindi possono giovare di un trattamento radicale e potenzialmente curativo. Da un punto di vista teorico e storico, i candidati ideali per un intervento chirurgico radicale sono pazienti in buone condizioni generali, con un’età < 70 anni e con una aspettativa di vita di almeno 10 anni. Oggi, grazie al miglioramento della tecnica chirurgica con la riduzione delle complicanze ad essa correlate e con l’aumentare dell’età media della popolazione, la selezione dei pazienti candidati alla prostatectomia radicale deve tener conto dell’età fisiologica del paziente piuttosto che di quella anagrafica, in quanto un paziente con età > 70 anni, ma con un buon performance status, ha un’alta probabilità di sopravvivenza a 10 anni.
La chirurgia radicale consiste nella prostatovesciculectomia che rappresenta la migliore scelta terapeutica nei casi di malattia localizzata; la prostatectomia radicale riconosce alcuni punti fissi che sono l’accurato controllo del plesso venoso di Santorini, l’attenta sezione dell’uretra, la asportazione della prostata e delle vescicole seminali, la ricostruzione del collo vescicale e l’anastomosi vescicouretrale. Le complicanze intraoperatorie (emorragie, lesioni del nervo otturatorio e del retto) sono rare; a distanza di alcuni giorni dall’intervento esiste un rischio del 2-5% del verificarsi di fenomeni tromboembolici ma grande importanza rivestono, tra le complicanze a lungo termine, l’impotenza l’incontinenza urinaria per l’impatto che esse hanno sulla qualità di vita. Nei primi mesi successivi all’intervento una stress-incontinence è presente in quasi tutti i pz, ma è transitoria e in genere scompare spontaneamente nei primi 3-6 mesi.
Una nuova tecnica di prostatectomia radicale è quella nerve-sparing cioè di conservazione dei fasci neuro vascolari; tale tecnica ha permesso di ridurre le sequele della prostatectomia radicale, soprattutto l'impotenza e l'incontinenza urinaria. Per ciò che riguarda la conservazione della continenza urinaria, la prostatectomia
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nerve-sparing permette una più accurata dissezione dell'apice prostatico e quindi la conservazione dello sfintere esterno. Le critiche rivolte a tale tecnica riguardano la effettiva radicalità oncologica, in quanto i dati finora disponibili indicano un alto rischio di margini chirurgici infiltrati e da una relativa alta incidenza di recidive locali. Si può comunque affermare che la prostatectomia radicale nerve-sparing ottiene i risultati migliori dal punto di vista oncologico quando viene riservata esclusivamente alle neoplasie con stadio clinico intracapsulare e basso grado.
2. Radioterapia Oggi, grazie alla possibilità di identificare con maggiore precisione lo stadio tumorale e grazie all'introduzione di sistemi che permettono di somministrare dosi elevate di radiazioni (acceleratori lineari) con il massimo risparmio dei tessuti sani circostanti, la radioterapia riveste un ruolo importante nel trattamento del cancro prostatico, avendo applicazione in tutte le forme della malattia. Le tecniche con cui questa viene oggi eseguita sono essenzialmente due, esterna e interstiziale. - La radioterapia esterna viene condotta utilizzando fasci di fotoni ad elevata energia prodotti da un acceleratore lineare, con campi multipli che permettono di ottimizzare la distribuzione della dose a livello della loggia prostatica (3D). - La brachiterapia o radioterapia interstiziale, usava in passato semi di I 125 impiantati chirurgicamente per via retropubica nella prostata con numerose complicanze e scarsi risultati; pertanto il suo uso è rimasto limitato fino a quando tecniche di imaging (TRUS, TC), non hanno permesso di valutare precisamente il bersaglio e di guidare l'inserimento dei semi radioattivi nella ghiandola prostatica per via percutanea; ad aumentare l'interesse per questa tecnica hanno contribuito anche l'introduzione di nuovi radioisotopi, dotati di una emivita più lunga e una quantità di energia più elevata, e la possibilità di calcolare la dose al computer. Come già detto le complicanze legate alla terapia radiante sono nettamente diminuite grazie alla possibilità di limitare il campo da irradiare; le maggiori complicanze riguardano comunque il tratto intestinale e in genere limitate al tratto più distale (proctiti). L’entità di tali disturbi è variabile in relazione a caratteristiche individuali e al tipo di tecnica utilizzata, ma spesso sono transitori e tendono a scomparire dopo poche settimane dal termine della terapia. La sopravvivenza globale dei pz sottoposti a radioterapia esterna con tumore clinicamente localizzato (T2) va dal 75-90% a 5 anni al 46-70% a 10 anni di followup.
3. Terapia ormonale Le modalità con cui ottenere una soppressione androgenica sono essenzialmente di due tipi: chirurgica, mediante orchiectomia bilaterale, o farmacologica, ottenuta inizialmente con l'utilizzo degli estrogeni, e successivamente degli antiandrogeni e degli LH-RH analoghi.
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Sicuramente l'orchiectomia rappresenta la terapia a lungo termine meno costosa e presenta il vantaggio di una compliance completa e di poter essere eseguita in maniera semplice con minima morbidità; tuttavia, a differenza delle terapie farmacologiche, è irreversibile e psicologicamente traumatica, annullando definitivamente libido e potenza. I composti farmacologici attualmente utilizzati nel cancro della prostata sono gli antiandrogeni, distinti in non steroidei o puri e steroidei, così denominati per la loro struttura chimica, e gli analoghi dell'LH-RH.
Fra gli antiandrogeni non steroidei, la prima molecola che è stata utilizzata è la Flutamide, scoperta nel 1970 e caratterizzata da una breve emivita plasmatica ( 5-6 ore), successivamente è stata introdotta la Nilutamide, con emivita di 43 ore, e più di recente la Bicalutamide, scoperta nel 1982, e dotata di una emivita plasmatica di circa 6 giorni che consente la monosomministrazione giornaliera. Alla classe degli antiandrogeni steroidei appartiene il Ciproterone acetato, scoperto nel 1962, e dotato di azione progestinica e anti-gonadotropa, oltre che antiandrogena. Gli analoghi dell'LH-RH sono stati introdotti agli inizi degli anni '80, sono composti di sintesi, di natura polipeptidica e come tali vengono digeriti nel tratto gastrointestinale, per cui non possono essere somministrati per os.
I farmaci antiandrogeni si legano in maniera competitiva ai recettori per gli androgeni; in condizioni fisiologiche il testosterone è prodotto per il 90-95% dalle cellule del Leydig del testicolo sotto il controllo del LH e per il 5-10% dalle ghiandole surrenali, sotto il controllo dell’ACTH; nella prostata il testosterone viene convertito, ad opera della 5α-reduttasi, in diidrotestosterone (forma attiva) che si lega ai recettori androginici intracellulari ivi presenti stimolando la trascrizione di geni che regolano sintesi proteica e crescita cellulare. Gli antiandrogeni puri impediscono agli androgeni, per competizione, di legarsi ai propri recettori, creando una situazione di relativo deficit androginico che comporta un aumento della liberazione di LHRH con aumento della sintesi di gonadotropine e testosterone; un aumento di testosterone si traduce in un aumento della sua aromatizzazione e quindi in un aumento della concentrazione plasmatica di estradiolo. Gli antiandrogeni steroidei, oltre all’effetto antiandrogenico, sono caratterizzati da attività progestinica e antigonadotropinica; queste azioni si integrano a vicenda, determinando una riduzione della concentrazione di androgeni mediante inibizione della secrezione di gonadotropine e inibendo l’azione degli ormoni sessuali sugli organi bersaglio: in teoria tale meccanismo permetterebbe un blocco completo degli androgeni e essere adatto come ionoterapia. Fra gli effetti collaterali degli antidrogeni i più comuni sono la ginecomastia, dovuta a un aumento dei livelli sierici di estradiolo, alterazioni dell’apparato gastrointestinale con diarrea, nausea e vomito e alterazioni della funzionalità epatica. L’incremento dei livelli di testosterone indotto dagli antiandrogeni puri è responsabile di una certa conservazione della potenza e della libido. Gli antiandrogeni steroidei invece si differenziano dagli antiandrogeni puri per
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l’azione progestinica e antigonadotropa; ciò si traduce in una riduzione del testosterone, dell’LH e FSH a livelli di castrazione con soppressione della libido, dell’erezione e della spermio genesi.
Gli analoghi dell’LH-RH sono agonisti con struttura simile all’LH-RH prodotto fisiologicamente dall’ipotalamo; la sua funzione è quella di stimolare l’ipofisi a produrre FSH e LH. Gli analoghi dell’LH-RH occupano i recettori dell’LH-RH determinando la loro desensibilizzazione, e in circa 15-20 gg inibiscono la secrezione di gonadotropine e bloccano la produzione di ormoni sessuali. Tali farmaci vengono somministrati per via sottocutanea o i.m. ogni 28 gg o 3 mesi. Nei primi 15-20 gg si verifica un aumento marcato di LH e FSH, per il loro effetto agonista: ciò causa un aumento marcato di testosterone che può determinare un aggravamento o la comparsa di sintomi urinari o da metastasi: pertanto in questo periodo è opportuno sopprimere l’azione del testosterone, di solito con antiandrogeni. Un altro effetto collaterale sono le vampate di calore, la cui causa risiede in un aumento delle catecolamine; per ridurre tale effetto si utilizzano farmaci con azione progestinica che aumentano la liberazione di oppioidi. Inevitabile è la perdita di libido e impotenza, legati alla castrazione farmacologica.
Le modalità con cui a tutt’oggi può essere eseguita l’ormonosoppressione del tumore prostatico sono rappresentate da: - monoterapia utilizzando un unico farmaco in grado di inibire la maggior quota di testosterone - blocco androgenico totale associando farmaci a azione antiandrogena periferica - terapia intermittente alternando periodi di terapia a periodi di sospensione terapeutica
L’ormonoterapia può essere utilizzata come primaria e unica terapia o può essere utilizzata come terapia d’ausilio, durante o dopo un trattamento eseguito a scopo radicale. Una terapia ormonale neoadiuvante ad un trattamento chirurgico o radioterapico si basa sulla ricerca di migliorare il controllo locale della terapia. Un terapia ormonale adiuvante è una terapia aggiuntiva dopo un primo trattamento eseguito a scopo radicale; le indicazioni a tale terapia sono rappresentate dalla malattia localmente avanzata, dove le sole prostatectomia radicale o radioterapia non garantiscono una completa eradicazione della malattia.
4. Chemioterapia E' quasi del tutto inefficace e viene fatta nella terapia di terza linea quando sia la
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chirurgia, sia la terapia ormonale, sia la radioterapia non possono essere fatte o non hanno avuto effetto. Tuttavia ha soltanto un effetto palliativo.
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TUMORI DEL TESTICOLO DEFINIZIONE
I tumori del testicolo sono la causa più frequente di massa testicolare non dolente. Sono divisi in diversi istotipi che condizionano anche la clinica, la terapia e la prognosi. Si dividono in 2 grandi gruppi: 80. tumori delle cellule germinali 81. tumori non germinali. I primi ricoprono circa il 95% e sono tendenzialmente maligni, mentre quelli non germinali sono quasi sempre benigni.
A) TUMORI A CELLULE GERMINALI EZIOLOGIA, PATOGENESI e CLASSIFICAZIO - Sono divisibili in 2 sottogruppi: seminomatosi e non seminomatosi. NE
E' importante differenziare questi 2 sottogruppi in quanto presentano una terapia e una prognosi nettamente diversa. colpiscono frequentemente dai 15 ai 35 anni. sono caratteristici anche perchè possono avere origine in sede extragonadica ad esempio lungo la linea mediana del corpo (mediastino).
- Classificazione e istogenesi: i tumori a cell germinali sono diversi e possono essere puri se presentano solo quell'istotipo cellulare oppure misti che sono + frequenti (60%). si pensa che tutti i tumori germinali tranne il seminoma spermatocitico e il teratoma derivino da un precursore comune detto neoplasia intratubulare a cell germinali (ITGCN). questo può essere considerato come un carcinoma in situ che evolve verso un carcinoma invasivo. una diagnosi di ITGCN richiede subito una terapia radiante per neutralizzare le cell germinali ma risparmiando le cell di Leydig così da mantenere la funzione androgenica. l'ITGCN si riscontra in casi di criptorchidismo, tumore germinale primitivo, storia familiare di tumore testicolare, sindrome da insensibilità agli androgeni e disgenesia gonadica. le cell tumorali possono differenziarsi tutte verso la linea germinale diventando un seminoma, oppure possono restare indifferenziate dando tumori non seminomatosi. se restano del tutto indiff si crea il carcinoma embrionario, se invece prendono linee differenziative extraembrionarie si verificano i tumori del sacco vitellino e i coriocarcinomi. i teratomi derivano da differenziazione delle cell embrionarie lungo i 3 foglietti embrionali. i seminomi a volte vengono considerati come precursori di altri tipi istologici di tumore a causa della netta somiglianza tra essi e l'ITGCN.
- Patogenesi: i fattori di rischio associati ai tumori testicolari sono: a) criptorchidismo b) disgenesia testicolare (una qualsiasi anomalia dello sviluppo) c) fattori genetici (è stato riscontrato un TF dal gene DAD-R implicato, che fa parte
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della regione 12p. questa regione è abnormemente alterata in tutti i tumori germinali).
1) SEMINOMA - il tipo comune è detto classico. è rarissimo nell'infanzia, si presenta di solito intorno alla terza decade. è il tumore germinale + comune. nell'ovaio il tumore associato è il disgerminoma. - morfologia: il testicolo si espande anche di molto ed è formato da una massa omogenea, bianco-grigiastra, lobulata e senza aree emorragiche o necrotiche. la tonaca albuginea di solito nn è interessata anche se a volte il tumore può espandersi all'epididimo e alla cute scrotale. le cellule sono omogenee, citoplasma chiaro e nuclei densi. non contengono alfafetoproteina (AFP) o gonadotropina corionica umana (HCG). lo stroma è variabile, i setti tra i lobuli non sono ben evidenti e tra i setti è frequente un infiltrato linfocitario. il 15% dei seminomi presenta differenziazioni di cellule germinali in sinciziotrofoblasti e quindi il tumore produce HCG. la variante seminoma anaplastico prevede un'imponente cellularità omogenea con alta frequenza di mitosi e cell giganti, tuttavia dal pdv clinico e terapeutico è analogo al seminoma classico.
2) SEMINOMA SPERMATOCITICO - tumore raro che colpisce in genere gli ultrasessantacinquenni. è di dimensioni più grandi del seminoma normale, non dà quasi mai metastasi e la prognosi è eccellente. è l'unico tumore germinale insieme al teratoma a non derivare dal ITGCN. - morfologia: macroscop si presenta grande e al taglio risulta grigio-pallido di sonsistenza soffice. istologicamente si presentano 3 tipi di cellule: piccole cellule linfocito-simili, cellule medie con la cromatina spiraliforme tipica degli spermatociti in meiosi (da qui il nome) e cellule giganti.
3) CARCINOMA EMBRIONARIO - è un tumore che insorge tra i 20 e i 30 anni. è più aggressivo rispetto ai seminomi e si evidenzia una precoce diffusione metastatica. - morfologia: si tratta di una massa più piccola dei seminomi con margini scarsamente demarcati e forte area di emorragia e necrosi (fattore differenziale fondamentale). ci sono cellule disposte a formare ghiandole alveolari e tubulari con aspetti papillari. molte lesioni anaplastiche possono presentare cordoni cellulari. aspetto epitelioide delle cell con margini demarcati. presenza di cell giganti e mitosi.
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frequente riscontro di livelli elevati di HCG e AFP. è spesso un componente dei tumori a istotipo misto.
3) TUMORE DEL SACCO VITELLINO - tumore germinale più frequente nei bambini di età inferiore ai 3 anni. in questi il tumore è puro ed ha una buona prognosi. negli adulti invece la forma pura è molto rara e si sviluppa + frequentemente in forme miste insieme al carcinoma embrionario. infatti viene definito anche carcinoma embrionario infantile. - morfologia: massa non capsulata omogenea di colore bianco-giallastro e aspetto mucinoso. struttura cellulare simil-reticolare. ci sono anche delle formazioni tipiche dette Corpi di Schiller-Duval che assomigliano ai glomeruli primitivi e sono costituiti da un capillare centrale su cui sn disposti 2 strati di cellule epiteliali. sono tentativi abortivi del tumore di formare sacchi vitellini. presenza costante di elevati livelli di AFP.
4) CORIOCARCINOMA - tumore molto aggressivo che si presenta spesso in forma mista. la forma pura ha una prognosi infausta anche con terapia. si presenta non tanto come massa testicolare che aumenta il volume della ghiandola ma piuttosto come serie di noduli multipli e molto spesso risulta ulcerato e non viene percepito, l'unica evidenza in tali casi sono le metastasi a distanza. ci sono cellule del sinciziotrofoblasto con citoplasma eosinofilo e plurinucleate e cellule del citotrofoblasto più regolari e con aspetto poligonale. frequenti le aree di necrosi ed emorragia. in alcuni casi queste cellule possono disporsi a formare dei processi simil-villi coriali.
5) TERATOMA - sono tumori che presentano cellule differenziate in tutti e 3 i foglietti embrionali con una commistione di diversi e svariati tessuti uniti in uno stroma mixoide. i teratomi puri sono frequenti nei bambini sotto i 3 anni e sono secondi solo al tumore del sacco vitellino. negli adulti la forma pura è rarissima ed è molto + frequente trovarli associati ad altri tumori (misti). - morfologia: si tratta di tumori di tipo altamente variabile. in genere sono voluminosi e l'aspetto è fortemente eterogeneo, si ritrovano fasci muscolari, cartilagine, tessuto nervoso, ghiandole, epitelio squamoso, epitelio bronchiale e focolai di parete intestinale tutto immerso in una matrice fibrosa mixoide. possono essere maturi o immaturi. in alcuni casi rari dal teratoma possono insorgere tumori non germinali come adenocarcinomi, carcinomi squamosi e sarcomi. queste forme sono rare ma devono essere diagnosticate precocemente a causa
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dell'elevatissimo potenziale di metastatizzare. - clinica: nell'adulto sn quasi tutti maligni, nel bambino i teratomi maturi differenziati si comportano come tumori benigni.
6) TUMORI MISTI - le combinazioni più frequenti sono: a) teratoma+carcinoma embrionario b) seminoma+carcinoma embrionario c) teratoma+carcinoma embrionario+tumore del sacco vitellino
B) TUMORI DEI CORDONI SESSUALI E DELLO STROMA GONADICO
1) TUMORE A CELLULE DEL LEYDIG - tumore interstiziale che deriva da proliferazione delle cell di Leydig. si presenta negli uomini da 20 a 60 anni e secerne androgeni, ma anche estrogeni e corticosteroidi. nel bambino si vede per uno sviluppo sessuale precoce. - morfologia: aspetto cell uguale a quello dell cell di leydig normali. formano noduli circoscritti omogenei di colore bruno-dorato. il citoplasma contiene frequentemente granuli lipidici, vacuoli o pigmenti di lipofuscina.
2) TUMORI A CELLULE DEL SERTOLI - detto androblastoma. causa secrezione sia di androgeni che di estrogeni e si manifesta con mascolinizzazione precoce o femminilizzazione. si presentano come tumori esclusivi a cell del Sertoli o anche con cell simili a cell della granulosa. - morfologia: noduli di colore bianco-grigiastro che formano trabecole cordoniformi simili a tubuli seminieri immaturi. quasi tutte benigne.
C) GONADOBLASTOMA - spesso insorge in gonadi disgeniche con commistione di componenti stromali e germinali
D) LINFOMA DEL TESTICOLO
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- è la causa principale di tumore del testicolo negli uomini oltre i 60 anni. si manifesta come aumento di volume testicolare. tipo + frequente è il linfoma diffuso a grandi cellule. ha prognosi infausta e alla diagnosi ha già metastasi.
CLINICA
Il tumore germinale viene diviso clinicamente in seminomatoso e non seminomatoso. Il tipo non seminomatoso è considerato + aggressivo dal pdv clinico e richiede anche un trattamento diverso vista la sua radio-resistenza. il seminoma invece è un tumore che ha una prognosi ottima trattato con radioterapia. i sintomi clinici principali sono l'aumento del volume testicolare o la comparsa di masse testicolari. per togliere una massa testicolare è necessario rimuovere del tutto la massa e anche parte della cute scrotale in quanto è frequente l'invasione locale.
La disseminazione a distanza è di tipo linfatico per il seminoma prima ai linfonodi paraortici, retroperitoneali e pi ai mediastinici e sovraclaveari. per i non seminomatosi è molto frequente la disseminazione ematogena diretta a polmoni, ossa, fegato ed encefalo. la metastasi può essere di un istotipo diverso dal tumore principale a causa del fatto che la maggioranza dei tumori germinali sono misti e quindi le cell che metastatizzano sn in genere quelle + resistenti alla terapia che sono le meno rappresentate per cui possono disseminare con + facilità. I seminomi sono quasi sempre confinati al testicolo mentre i nn seminomatosi tendono a propagarsi da subito nel torrente ematico. esistono 3 stadi:
stadio1 con lesioni all'epididimo e al limite al funicolo, stadio2 con metastasi ai linfonodi retroperitoneali ma sempre sottodiaframmatici, stadio3 con diffusione sopradiaframmatica. ormoni o enzimi reperibili utili x la diagnosi sono HCG, AFP (aumentati enormemente rispettivamente nel coriocarcinoma e nel tumore del sacco vitellino), LDH e ormone lattogeno placentare.
DIAGNOSI
TERAPIA e PROGNOSI
Anamnesi Esame obiettivo (palpazione di masse o ingrossamenti testicolari) Ecografia: gold standard per diagnosticare il tumore testicolare Esame di laboratorio: livelli ematici di alfa-fetoproteina e hGC (gonadotropina corionica) che vengono prodotti dal tumore. L'alfafetoproteina aumenta solo nei non seminomatosi, mentre la hGC può aumentare in entrambi i casi. Gli elevati livelli ematici indicano la presenza di metastasi.
La terapia e la prognosi dipendono dallo stadio e dal sottotipo istologico: In ogni caso, al rilevamento ecografico di una massa testicolare si procede all'orchiectomia inguinale radicale seguita da:
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- radioterapia per i seminomi ed hanno ottima prognosi anche a stadi oltre il primo. - chemioterapia intensa per i non seminomatosi che possono essere negli stadi II anche adiuvati da una dissezione dei linfonodi retroperitoneali completa a causa del drenaggio linfatico a partire dal testicolo. l'unico con prognosi infausta anche dopo terapia è il coriocarcinoma.
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MALATTIE VARIE UROLOGICHE CARCINOMA DEL PENE
CARATTERISTI 1) CONDILOMA ACUMINATO CHE GENERALI
- tumore associato all'infezione da HPV, papillomavirus umano di tipo 6 e meno frequentemente di tipo 11. è a trasmissione sessuale. la lesione proliferante si manifesta come nodulo acuminato che si stacca dai genitali esterni o anche dalla regione perineale costituito da una struttura interna con stroma villoso e papillare rivestito da un epitelio squamoso iperproliferante disposto su vari strati. i condilomi non evolvono mai in carcinomi invasivi.
2) CARCINOMA IN SITU - tumore che si sviluppa da proliferazione squamosa focale e limitata ad un distretto senza dare invasione o metastasi. è associato all'infezione da HPV in genere di tipo16. si manifesta con 2 forme: a) malattie di Bowen: nella regione genitale di maschi e femmine oltre i 35 anni. si manifesta nei maschi alla base del pene come placca grigio-biancastra con ulcerazioni superficiali e croste. la membrana basale è intatta. tuttavia può evolvere a carcinoma invasivo nel 10% dei pazienti. b) papulosi bowenoide: stessa caratteristica della malattia di Bowen con l'unica differenza che questa forma non evolve mai a carcinoma invasivo. è presente nei soggetti sessualmente attivi e si manifesta con papule pigmentate multiple.
3) CARCINOMA INVASIVO - è un tumore raro che colpisce più certe popolazioni asiatiche e africane. si pensa che la circoncisione possa essere un fattore protettivo per l'inevitabile igiene aumentata e prevenzione della deposizione di smegma e della conseguente infezione da HPV.
Eziologia: sono implicati i papillomavirus di tipo 16 e 18.
Morfologia: il tumore si presenta di solito nel glande o nella corona o sulla
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superficie interna del prepuzio. ha 2 varianti di crescita: piatto e papillare. la variante papillare può essere confusa con un condiloma acuminato e forma masse esofitiche a cavolfiore, la variante piatta appare come aree di cell epiteliali ispessite sbiadite e a volte fissurate. sono lesioni squamocellulari a vario grado di differenziazione. poi ci sono le varianti verrucosa (non metastatizzano ma sono localmente invasivi), basaloide e papillare.
Clinica: è una crescita lenta e localmente invasiva. all'inizio la disseminazione a distanza non c'è fino ad arrivare alle lesioni avanzate. la disseminazione avviene a stadi avanzati ai linfonodi iliaci e inguinali rendendo più infausta la prognosi. il paziente va dal medico di solito quando la lesione è già presente da un anno e in questo periodo non è dolorifica, lo diventa quando iniziano a verificarsi le ulcerazioni. sopravvivenza a 5 anni senza disseminazione del 66%, con metastasi ai linfonodi scende al 27%.
ANOMALIE CONGENITE DEL PENE CARATTERISTI 1) IPOSPADIA ED EPISPADIA: lesione congenita che rispecchia un'inadeguata CHE GENERALI chiusura dell'uretra, la quale si apre sulla superficie dorsale (epispadia) o ventrale (ipospadia) all'esterno. spesso queste aperture risultano stenotiche e il rischio di occlusione e reflusso urinario aumenta la probabilità di infezioni delle vie urinarie. inoltre se le aperture si verificano alla base del pene causa anche sterilità.
2) FIMOSI: lesione caratterizzata da incapacità del prepuzio di retrarsi facendo uscire il glande, così questo resta sempre coperto dal prepuzio e si accumulano residui epiteliali morti, sudore e altre secrezioni che contribuiscono a formare lo smegma che infiamma il glande. a lungo andare si possono verificare infezioni ricorrenti e anche neoplasie. la retrazione forzata eccessiva causa un'incapacità di ritorno alla posizione precedente (parafimosi), con dolore intenso e restringimento uretrale.
3) BALANOPOSTITE: infiammazione aspecifica dovuta a infezione da candida, batteri anaerobi, gardnerella e batteri piogeni associata alla scarsa igiene e all'accumulo di smegma. causa di cicatrici fimotiche e neoplasie.
ANOMALIE CONGENITE E INFIAMMAZIONI DEL TESTICOLO Riassunti CPN - Luca Croci - 2009
CARATTERISTI CHE GENERALI
ANOMALIE CONGENITE
1) CRIPTORCHIDISMO - è una situazioni in cui c'è un'alterazione del processo di discesa dei testicoli dalla cavità peritoneale allo scroto. questa anomalia si manifesta nell'1% dei bambini ad 1 anno di età. l'interessamento è di solito monolaterale anche se nel 25% è bilaterale. i testicoli restano spesso nel canale inguinale piuttosto che in cavità peritoneale. molto spesso i testicoli entro 1 anno riescono a scendere, se ciò non avviene è necessario intervenire chirurgicamente con l'orchidopessia. - morfologia: il testicolo criptorchideo inizia a subire alterazioni istologiche dal secondo anno. inizia a rimpicciolirsi per arresto dello sviluppo delle cellule germinali, associato ad un ispessimento della membrana basale di tubuli e a deposizione di sostanza ialina che porta il testicolo ad essere + rigido e duro. i tubuli appaiono come dense corde di tessuto connettivo circondate da una prominente membrana basale. le cell di Leydig sembrano aumentate di numero a seguito della fibrosi dei tubuli. spesso anche il testicolo controlaterale è interessato da alcune di queste forme a giustificazione della natura ormonale della patologia. - clinica: asintomatico. tuttavia il testicolo interessato è soggetto a infertilità e per questo se nn è ancora disceso bisogna interevenire chirurgicamente dal secondo anno. in più il testicolo ha anche un rischio aumentato di sviluppare carcinoma e anche il testicolo vicino normale. l'orchidopessia prima dei 10 anni protegge dallo sviluppo del carcinoma testicolare. 2) ATROFIA: riduzione della dimensione testicolare che se è bilaterale porta a infertilità le cause dell'atrofia sono: ridotto apporto ematico aterosclerotico, criptorchidismo, ipopituitarismo, sindrome da consumo, eccessiva somministrazione di ormoni femminili, stadio finale di un'orchite infiammatoria, irradiazione, malnutrizione o cachessia generalizzata. in alcuni casi l'atrofia è associata a problemi genetici come la sindrome di Klinefelter.
3) RIDOTTA FERTILITA': ipospermatogenesi, arresto di maturazione e ostruzione del dotto deferente. se viene rimossa la causa prima di arrivare all'atrofia si può prevenire l'infertilità.
INFIAMMAZIONI - queste riguardano principalmente l'epididimo, mentre il testicolo è meno
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facilmente infiammato.
1) ORCHITI ED EPIDIDIMITI ASPECIFICHE - l'orchite è l'infiammazione del testicolo. la maggior parte delle orchiti deriva da una precedente epididimite che si è diffusa al testicolo vicino. le principali cause di epididimite sono le infezioni trasmesse per via retrograda dalle infezioni delle basse vie urinarie che entrano negli orifizi dei condotti eiaculatori e proseguono nella prostata e nel deferente x arrivare all'epididimo. possono anche arrivare dai vasi linfatici del funicolo spermatico. nei bambini l'epididimite è associata a anomalie genito-urinarie o a infezioni da gram-; negli adolescenti e giovani sessualmente attivi l'infezione da neisserie gonorrea e chlamydia trachomatis sono le più frequenti; negli adulti l'escherichia coli e pseudomonas causano + facilmente epididimite. - morfologia: l'epididimo mostra un'infiammazione acuta aspecifica con neutrofili, macrofagi e linfociti in un'area di congestione ed edema. se inizia coinvolgendo solo lo stroma poi si espande ai tubuli formando un ascesso o necrosi suppurativa dell'intero epididimo. poi si può diffondere al testicolo dove dà una reazione infiammatoria simile. nel testicolo si sviluppa poi una cicatrice fibrosa.
2) ORCHITE GRANULOMATOSA - forma simile ai tubercoli ma che interessa solo i tubuli ed è distribuita lungo tutto il testicolo. si presenta come massa soffice unilaterale associata a febbre non dolente e possibilmente scambiabile con un tumore.
3) INFIAMMAZIONI SPECIFICHE a) Gonorrea: infezione non curata bene che dall'uretra entra nel dotto deferente e raggiunge l'epididimo e da questo può proseguire nel testicolo formando ascessi purulenti b) Parotite: il virus colpisce molto spesso i bambini ma in questi casi la disseminazione al testicolo è molto rara, + frequente in età puberale dopo circa 1 settimana dall'ingrossamento della parotide. c) Tubercolosi: infezione grave che si manifesta con i tipici granulomi caseosi di TBC secondaria. è associata a prostatite e vescicolite seminale e si pensa che forse l'interessamento dell'epididimo derivi da queste 2 sedi. colpito sempre prima l'epididimo e poi il testicolo d) Sifilide: unico caso in cui è colpito prima il testicolo e il passaggio all'epididimo non si verifica quasi mai. si verifica o la produzione di gomma o la flogosi interstiziale. tipica l'endoarterite obliterante con infiltrati leucocitari perivascolari.
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DISTURBI VASCOLARI
1) TORSIONE - il testicolo può subire una torsione su se stesso del funicolo spermatico tale da bloccare il drenaggio venoso e provocare infarto venoso. in poco tempo la torsione può risultare fatale per il testicolo. esiste una torsione neonatale che si verifica in sede intrauterina o poco dopo la nascita e una torsione giovanile-adulta che si caratterizza per una eccessiva mobilità del testicolo nello scroto che lo porta a torcersi. si interviene chirurgicamente, se entro 6 ore si risolve il testicolo resta vitale altrimenti muore e va in infarto emorragico con contenuto necrotico interno soffice e nero. per evitare che anche l'altro testicolo sia intaccato si fissa allo scroto (orchiopessia). si manifesta clinicamente con dolore acuto.
ANOMALIE CONGENITE RENO-VESCICALI
CARATTERISTI CHE GENERALI
82. RENE A SPUGNA MIDOLLARE: presenza di uno o entrambi i reni con un'ectasia dei dotti collettori papillari. La ritenzione di urina in queste formazioni dilatate tende a formare calcoli. È una forma generalmente asintomatica e del tutto benigna, solo in alcuni casi può dare coliche renali o infezioni ricorrenti delle vie urinarie. Nei bambini dà ematuria e nefrolitiasi. 83. RENE A FERRO DI CAVALLO: fusione dei poli superiori o dei poli inferiori sulla linea mediana al davanti dei grossi vasi. è un'anomalia abbastanza frequente. 84. ECTOPIA RENALE: rene che si sviluppa in sedi anomale come nella piccola pelvi o ai confini. i reni sono normali tuttavia un'eventuale curvatura degli ureteri può portare a ostruzione urinaria e predisposizione a infezioni batteriche
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ANDROLOGIA
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DISFUNZIONE ERETTILE DEFINIZIONE
La disfunzione erettile è stata definita come la ricorrente o persistente (almeno 6 mesi) incapacità di ottenere e/o mantenere un'erezione tale da consentire rapporti sessuali soddisfacenti.
EPIDEMIOLOGI La prevalenza negli USA è attorno al 52% dei maschi tra 40 - 70 anni. A La prevalenza di DE è dunque significativamente associata all’età. L’incidenza: 26 nuovi casi per 1000/anno. In Italia la prevalenza di DE passa dal 4,8% a 40 anni al 48,3% per uomini di età superiore ai 70 anni.
FISIOLOGIA
L’erezione è il risultato finale di una complessa interazione tra sistema vascolare, endocrino e neurologico; si tratta di un fenomeno essenzialmente di natura vascolare, in cui il grado di erezione dipende da un equilibrio tra afflusso arterioso e deflusso venoso: gli eventi vascolari sono controllati da meccanismi neuronali e umorali. A pene flaccido prevale l’attività del SNS, che determina una vasocostrizione a livello delle arteriole della muscolatura liscia dei corpi cavernosi, per cui l’afflusso arterioso è ridotto (fase flaccida). L’erezione inizia quando una serie di stimolo sessuali di natura tattile, olfattiva, uditiva, visiva o pensieri erotici giungono a livello centrale (nucleo preottico mediale, nucleo paraventricolare dell’ipotalamo, lobo frontale medio) e successivamente vengono inviati alla periferia e quindi ai corpi cavernosi; da tali aree originano infatti impulsi nervosi “pro-erettivi” che giungono a livello toracolombare (T11-L2, centro simpatico da cui originano i nervi ipogastrici) e sacrale (S2-S4, centro parasimpatico da cui originano i nervi erigendi). L’attivazione del parasimpatico determina la liberazione di diversi fattori a livello locale, tra cui Ach, NO, VIP e le prostaglandine che, determinando la liberazione di AMPc e GMPc, causano una caduta della concentrazione di calcio intracitoplasmatico e inducono così il rilassamento delle cellule muscolari lisce trabecolari e delle arteriole. Il risultato finale è un marcato incremento del flusso arterioso all’interno del pene e la comparsa di erezione.
- Fase flaccida: in condizioni di riposo prevale il tono adrenergico, per cui le cellule muscolari lisce delle trabecole e arteriolari sono contratte. - Fase di riempimento: iniziale aumento del tono parasimpatico → dilatazione arteriolare e rilassamento delle trabecole → iniziale aumento del flusso arterioso - Fase di tumescenza: incremento ulteriore del flusso arterioso, aumento della P intracavernosa e iniziale compressione venosa
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- Fase di erezione completa: aumento della P intracavernosa fino a raggiungere il 90% della P sistolica, compressione dei plessi venosi sottotunicali, riduzione del deflusso venoso. - Fase di erezione rigida: contrazione del muscolo ischiocavernoso, aumento ulteriore della P intracavernosa e della rigidità; la P intracavernosa aumenta fino a superare quella sistolica → blocco del flusso arterioso e del deflusso venoso (meccanico)
- Fase di detumescenza: dopo l’orgasmo e l’eiaculazione si verifica un recupero del tono adrenergico e si ripristinano le condizioni emodinamiche tipiche della flaccidità.
N.B. PDE 5 è l’enzima responsabile della degradazione del secondo messaggero intracellulare dell’ossido di azoto guanosin monifosfato ciclico (cGMP) nella muscolatura liscia dei corpi cavernosi. L’inibitore della PDE5 aumenta la concentrazione del cGMP e promuove il rilasciamento della muscolatura liscia e l’erezione in risposta a stimoli sessuali.
EZIOLOGIA e PATOGENESI
Le condizioni che portano alla comparsa di un deficit erettivo sono essenzialmente tre:
Psicogena (30-40%): Si ritiene che i meccanismi responsabili siano o un’iperattività del SNS che determina un aumento del tono della muscolatura liscia cavernosa e quindi il mantenimento dello stato di flaccidità del pene, o un aumento dell’inibizione centrale sul centro spinale dell’erezione. I pz che soffrono di DE di tipo psicogeno sono frequentemente soggetti giovani (70% ha un età < di 35 aa), il cui disturbo è insorto in maniera acuta, correlato a un evento specifico (conflitti familiari, infedeltà, lutto, ansia da prestazione, depressione, ansia); tali pz inoltre riferiscono di avere un deficit erettile di tipo situazionale (cioè che si verifica solo in situazioni particolari).
Organica (60-70%): - Vasculopatie: Tutte le condizioni che determinano una diminuzione dell’afflusso di sangue al pene possono causare DE. Le stenosi arteriose dei grossi vasi (aorta o vasi iliaci), della pudenda e delle sue diramazioni (in genere dovute a aterosclerosi e meno frequentemente a patologie arteriose occlusive secondarie a traumi) possono essere responsabili di un ipoafflusso arterioso, che determinerebbe anche un’ischemia relativa dei corpi cavernosi; l’erezione in tali pz è più difficile da raggiungere, è meno “rigida” e di durata più breve. La perdita del meccanismo veno-occlusivo può essere dovuta all’esistenza di un canale venoso anomalo (shunt cavernoso-spongioso) che provoca una fuga di sangue dal pene; altre condizioni che si associano alla perdita del meccanismo venoocclusivo sono diabete, ipercolesterolemia, ischemia dei corpi cavernosi. - Neurogena: Le cause più frequenti sono lesioni degenerative del SNC (sclerosi multipla, Parkinson, Alzheimer), traumi del midollo spinale, malattie cerebro
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vascolari e tumori; tra le lesioni dei nervi periferici la causa più frequente è la neuropatia diabetica. Lesioni nervose a carico del plesso pelvico o nervi cavernosi possono essere secondarie a traumi del bacino, interventi chirurgici quali resezioni anteriore del retto, la prostatectomia o cistectomia radicale. - Alterazioni anatomiche del pene: La più frequente è la malattia di Peyronie o Induratio Penis Plastica, caratterizzata dalla comparsa di un processo flogistico, localizzato in uno o più punti della tonaca albuginea, la cui evoluzione, per lo più lenta ma costante, è verso la formazione di placche fibrotiche che determinano il caratteristico incurvamento del pene in erezione; l’esito finale è la “recurvatio peniena”, che rende impossibile la penetrazione nei casi più gravi. - Alterazione endocrina: Non sono molto frequenti e in genere la causa è da ricercare negli ipogonadismi, nell’iperprolattinemia (secondaria a adenomi ipofisari) e nelle tireopatie. Gli ipogonadismi, primitivi o secondari, determinano bassi livelli sierici di androgeni essenziali per il mantenimento della libido, poiché agiscono a livello del midollo spinale sacrale parasimpatico, dell’ipotalamo e sistema limbico, influenzando e regolando l’erezione L’iperprolattinemia porta a DE attraverso la diminuzione delle secrezione di GnRH da parte dell’ipotalamo, con conseguente caduta dei livelli di testosterone circolante; i sintomi includono DE, perdita della libido, galattorrea, ginecomastia e infertilità. L’ipertiroidismo può portare a un calo del desiderio sessuale, come conseguenza di un aumento dei livello di estrogeni circolanti, mentre in corso di ipotiroidismo la causa è da ricercare in un aumento dei livelli circolanti di prolattina. - Dismetabolico (diabete): Il 50% dei pz diabetici manifesta un deficit erettivo legato alle complicanze vascolari (a carico sia dei grandi vasi che del microcircolo) e neurologiche. - Malattie croniche: L’IRC, le epatopatie croniche severe, l’obesità, le dislipidemie e tutte le malattie sistemiche croniche possono portare a deficit erettivo. - Iatrogena: Gli analoghi dell’LHRH, gli antiandrogeni agiscono a livello del’asse ipotalamo-ipofisi-gonade modificando la produzione di testosterone. Anche anti-depressivi triciclici, ansiolitici, diuretici tiazidici, β-bloccanti possono causare DE.
DIAGNOSI
Mista
Anamnesi: La valutazione del paziente con deficit erettivo deve comprendere in primo luogo una accurata anamnesi: - Anamnesi “sessuale” 85. 86. 87. 88. 89.
modalità di insorgenza del problema (acuta o graduale) frequenza, qualità e durata delle erezioni assenza o presenza di erezioni notturne o mattutine assenza o presenza di un calo del desiderio sessuale Questionario IIEF-5
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- Anamnesi clinica
disturbi vascolari (ipertensione, fumo, alterazioni vascolari periferiche) disturbi endocrini disturbi neurologici pregressi interventi assunzione di farmaci
N.B. Tramite il questionario IIEF-5 (International Index of erectile dysfunction), tramite cui si ricolgono domande inerenti la funzione erettile, la funzione orgasmica, desiderio sessuale, la soddisfazione durante il rapporto e soddisfazione totale.
Esame obiettivo: La visita deve essere completata con un accurato E.O. sia generale che specialistico - Esame obiettivo generale → struttura corporea → distribuzione dei peli → distribuzione tessuto adiposo → massa muscolare - Cardiovascolare → pressione arteriosa → polsi periferici - Neurologico → sensibilità degli arti inferiori → valutazione del riflesso bulbo cavernoso (integrità arco riflesso spinale sacrale) - Apparato uro-genitale → dimensioni e forma del pene (ricerca di eventuali placche fibrocalcifiche) → dimensioni e consistenza dei testicoli →dimensioni e consistenza della prostata
Esami di laboratorio: Dosaggio plasmatico di: - testosterone - prolattina
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- glicemia - trigliceridi - colesterolo - PSA plasmatico totale e libero (nei pazienti di età superiore ai 50 anni)
Vi è dunque una prima valutazione ormonale, con determinazione dei valori sierici di testosterone totale e libero, prolattina, FSH e LH, soprattutto in quei pz che si presentino con segni clinici di ipogonadismo o che riferiscano un calo del desiderio sessuale; possono essere anche dosati anche TSH, T3 e T4 per ecludere patologie tiroidee. A questa si aggiunge una valutazione metabolica con determinazione della glicemia come esame di screening per il diabete mellito e dell’assetto lipidico per eventuali displidemie.
FIC test: (farmaco iniezione intracavernosa) è il primo test che viene eseguito quando si sospetti un disordine di natura vascolare e consiste nell’iniezione di farmaci vasoattivi, quali la PGE1, la papaverina o la fentolamina, che determinano un rilassamento della muscolatura liscia e quindi vasodilatazione. Una risposta incompleta può indicare la presenza sia di un ipoafflusso arterioso, sia di una disfunzione veno-occlusiva.
Eco-color Doppler penieno dinamico: consente lo studio completo della vascolarizzazione peniena e di ottenere una valutazione “real-time” della velocità di flusso delle arterie cavernose; l’esame viene condotto dopo iniezione intracavernosa di un agente vasodilatatore. Ci dice se ci sono alterazioni strutturali dei corpi cavernosi (fibrosi, placche), se c’è un’alterazione dell’afflusso arterioso penieno o se c’è un’alterazione del meccanismo veno-occlusivo penieno.
NPT-test: (nocturnal penile tumescence test) consiste nella registrazione delle erezioni spontanee notturne che fisiologicamente si verificano durante la fase REM del sonno per almeno due notti consecutive. Consente di distinguere la DE di natura organica, in cui non si osservano erezioni notturne, da quelle psicogene, anche se forme di depressione grave possono dare origine a falsi positivi.
Cavernosometria e Cavernosografia: sono esami di secondo livello e vengono eseguiti quando si sospetti una disfunzione veno-occlusiva, in quanto adatti a individuare entità e sede dell’eventuale “fuga venosa”. Sono eseguiti in centri di alta specializzazione e indicati in casi selezionati.
Arteriografia digitale selettiva ipogastrico-cavernosa: consente di visualizzare, previa somministrazione endoarteriosa di mdc, una anatomia
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dettagliata della vascolarizzazione arteriosa del pene. E’ un esame di III livello.
TERAPIA
TERAPIA MEDICA
a) Terapia sostitutiva La terapia con testosterone è indicata nei pz con ipogonadismo primario. In caso di ipogonadismo secondario si somministra gonadotropina corionica umana.
b) Farmaci orali
- Il sildenafil (viagra) è un inibitore selettivo della 5-fosfodiesterasi; blocca la conversione del GMPc (prodotto da GTP in seguito alla liberazione di NO) in GMP con conseguente rilassamento della muscolatura liscia; si è dimostrato efficace sia nelle DE organiche che non organiche. Gli effetti collaterali sono dose-dipendenti e sono dati da cefalea, congestione nasale, dispepsia, vampate e disturbi transitori della visione dei colori (visione colorata blu). E’ controindicato nei pz che assumono nitrati. Farmaci analoghi sono rappresentati dal tadalafil (cialis) e dal vardenafil (levitra)
- L’apomorfina è un agonista dei recettori dopaminergici e agisce a livello centrale stimolando i recettori della dopamina presenti nel nucleo paraventricolare dell’ipotalamo che danno origine a una serie di impulsi diretti verso il centro sacrale dell’erezione e da qui ai corpi cavernosi, dando così origine ad una erezione.
c) Farmacoterapia intracavernosa L’iniezione di sostanze vasoattive viene utilizzata anche a scopi terapeutici e risulta indicata nella DE di tipo vascolare, neurogeno e psicogeno; i farmaci più utilizzati sono PGE1, papaverina e fentolamina. La PGE1 agisce innalzando le concentrazioni intracellulari di AMPc tramite un’attivazione, a livello della membrana delle cellule muscolari lisce, dell’adenilato ciclasi, con diminuzione della concentrazione plasmatica di calcio rilassamento della muscolatura liscia. I Pz candidati alla terapia iniettiva sono pz o che non rispondono alla terapia orale o che non possono usare la terapia orale ma anche pz con esiti di chirurgia radicale della pelvi (prostata, colon-retto…)
d) Farmaci per uso topico L’applicazione di farmaci direttamente sulla cute del pene o del glande può determinare erezione
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e) Vacuum device Il sistema vacuum è formato da un cilindro trasparente che viene posizionato sul pene flaccido; connesso a questo vi è una pompa che una volta attivata è in grado di creare all’interno il vuoto; la P negativa così ottenuta determina un rilassamento della muscolatura dei corpi cavernosi che si riempiono di sangue; il sangue viene quindi “intrappolato” nel pene tramite l’applicazione di un anello costrittivo alla base dell’asta, in modo da mantenere l’erezione: tale anello impedisce sia il deflusso venoso ma anche l’afflusso arterioso, per cui si viene a creare una stasi venosa che non dovrebbe durare più di 30 minuti.
f) Terapia psico-sessuologica I problemi sessuali possono essere la causa o il risultato di relazioni disfunzionali o insoddisfacenti; è importante valutare la disponibilità del paziente a far intervenire anche il partner al trattamento ed integrare i colloqui individuali con quelli di coppia.
TERAPIA CHIRURGICA
a) Protesi peniene I candidati all’innesto di protesi sono pz affetti da DE di natura organica o psicogena in cui tutti gli altri trattamenti siano falliti; la protesi si rende necessaria anche in caso di fibrosi massiva dei corpi cavernosi, come avviene nella malattia di La Peyronie in fase avanzata o in caso di fibrosi post-iniettiva. L’intervento prevede l’inserimento all’interno dei corpi cavernosi di due cilindri che potrebbero avere consistenza fissa (protesi semirigide) o variabile (protesi idrauliche); tali protesi sono costituite da due cilindri, da una pompa e da un sebatoio; una volta attivata la pompa il liquido contenuto nel serbatoio passa nei cilindri, determinando in tal modo l’erezione.
b) Interventi di chirurgia vascolare In presenza di ipoafflusso arterioso possono essere effettuati interventi di rivascolarizzazione, di cui il più comune è l’anastomosi tra arteria epigastrica inferiore e arteria dorsale del pene; in presenza di un difetto del meccanismo venoocclusivo si può ricorrere alla legatura della vena dorsale profonda. L’indicazione all’esecuzione di tali interventi è accettata solo per quelle forme che conseguono a traumi penieni.
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INFERTILITA' MASCHILE DEFINIZIONE
Per infertilità si intende l’incapacità a procreare da parte di una coppia che abbia rapporti sessuali, senza misure contraccettive, per almeno un anno; l’infertilità è di origine maschile quando l’uomo presenti alterazioni all’analisi del seme e/o funzione sessuale anormale.
EPIDEMIOLOGI Si ritiene che negli USA una percentuale variabile tra l’8% e il 15% delle coppie in età riproduttiva sia infertile. A - nel 40% delle coppie infertili la causa è esclusivamente di origine maschile - nel 30% delle coppie infertili la causa è di origine femminile - nel 20% dei casi la causa è riconducibile a entrambi i partner - un problema di fertilità maschile viene riscontrato in più del 50% delle coppie infertili.
EZIOLOGIA e PATOGENESI
Le cause pre-testicolari includono tutte le malattie dell’ipotalamo e dell’ipofisi - Ipogonadismo ipogonadotropo: un deficit congenito di GnRH ipotalamico comporterà un deficit della produzione di FSH e LH; questo si realizza nella sindrome di Kallmann (ritardo nello sviluppo puberale che si associa a anosmia parziale, daltonismo, palatoschisi, sordità), nella sindrome di Prader-Willi (obesità, ipotono muscolare, ritardo mentale, ipogonadismo) e nella sindrome di LawrenceMoon-Biedl (obesità, retinite pigmentosa, ritardo mentale, malformazioni cardiache e renali). Il deficit può anche essere acquisito (infezioni, traumi o tumori a livello ipotalamoipofisario); in tal caso si verifica però un panipopituitarismo. - Deficit isolato di FSH: è una patologia molto rara, nella quale il pz presenta normale virilizzazione con normali livelli di LH e testosterone ma si evidenzia spesso una oligospermia grave o una azospermia. - Deficit isolato di LH (sd dell’eunuco fertile): i pz si presentano con costituzione eunucoidea, grado variabile di virilizzazione e ginecomastia; il livello sierico di FSH è nella norma, mentre le concentrazioni ematiche di LH e testosterone sono ridotte - Iperprolattinemia: la causa più frequente di iperproduzione di PRL è rappresentata dall’adenoma ipofisario; tale aumento determina infertilità, galattorrea, ginecomastia e deficit erettivo.
Le cause testicolari comprendono patologie genetiche - Sindrome di Klinefelter: è causa di ipogonadismo ipergonadotropo ed è caratterizzato da un cariotipo 47 XXY; fenotipicamente si presentano testicoli piccoli e duri, ginecomastia e
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aspetto eunucoide. - Microdelezioni del cromosoma Y : causano anomalie dello sviluppo sessuale e spermatogenesi - Sindrome di Noonan: cariotipo 46, XY e caratterizzato da bassa statura, pterigio del collo, basso impianto delle orecchie, anomalie cardiovascolari, criptorchidismo e atrofia testicolare - Sindrome del maschio XX: è dovuta a una traslocazione tra le sex determing region del cromosoma Y, el cromosoma X paterno: tali pz presentano testicoli piccoli e duri, ginecomastia e azoospermia. - Sindrome delle cellule del Sertoli: i soggetti si presentano con caratteri sessuali secondari normali, testicoli normali (a volte piccoli) e azoospermia; la biopsia testicolare rivela la presenza di aplasia dell’epitelio germinativo e i tubuli seminiferi sono composti da cellule del Sertoli
53. patologie varie come: - Criptorchidismo: consiste nella mancata discesa del testicolo nella sua sede naturale; Il testicolo è infatti situato al di fuori della borsa scrotale, in sede addominale od inguinale, per un arresto lungo la fisiologica via di migrazione fetale: si ritiene che il testicolo criptorchide venga danneggiato dall’esposizione a temperature più alte di quelle dello scroto. Aumenta il rischio di degenerazione maligna del testicolo ritenuto e di quello contro laterale.
-Varicocele: è un alterazione del drenaggio venoso del testicolo con conseguente comparsa di varici del plesso pampiniforme; può comportare alterazioni del trofismo, dello sviluppo e delle dimensioni del testicolo omolaterale al varicocele, infertilità o sub-fertilità e, più raramente, dolore gravativo al testicolo. Il danno è dovuto all’aumento della temperatura scrotale causata dal rallentamento del circolo venoso. E’ più frequente a sx che a dx (a sx la vena spermatica sbocca ad angolo retto nella vena renale, mentre a dx lo sbocco avviene direttamente in vena cava).
- Orchiti: le orchiti, sia virali (virus della parotite) che batteriche (E.coli, Proteus, Neisseria, gonorrheae, Clamydia Trachomatis) possono danneggiare gravemente l’epitelio dei tubuli seminiferi, come esito della flogosi, una atrofia testicolare; il quadro è in genere più grave se l’infezione si è sviluppata in età pre-pubere.
- Orchiepididimiti: lesione infiammatoria che deriva generalmente dalla diffusione duttale di un’infezione a carico della vescica, dell’uretra o della prostata, si estende prima all’epididimo e poi al didimo . Allo spermiogramma: leucospermia, oligozoospermia, spesso transitoria, ed astenozoospermia.
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All’ecografia l’epididimo appare slargato, il quadro testicolare appare alterato con iperemia testicolare e piccolo idrocele.
- Flogosi prostato-vescicolari: si ha riscontro nello sperma di leucociti perossidasipositivi in concentrazione ≥ 10^6 /mL (leucospermia) ; la spermiocoltura è positiva per concentrazioni batteriche ≥ di 10^3 cfu/mL. I microorganismi implicati sono E. Coli, Klebsiella spp., Proteus mirabilis, Enterococcus fecalis, Pseudomonas aeruginosa, Ureaplasma Urealiticum, Chlamydia trachomatis (può portare alla formazione di autoanticorpi antispermatozoo e a una infertilità su base autoimmune).
- Agenti tossici: diversi agenti esogeni come farmaci antiblastici, radiazioni ionizzanti, metalli pesanti, fumo di sigaretta e abuso di alcool possono influenzare in maniera negativa la fertilità, in quanto hanno un effetto tossico negativo sull’epitelio germinativo.
Le cause post-testicolari sono forme genetiche: - Sindrome di Kartagener: è causa di infertilità poco frequente caratterizzata da uno sviluppo somatico e sessuale normale ma da una totale immobilità degli spermatozoi secondaria a alterazioni del flagello e da sterilità assoluta: si associa a “situs inversus”, sinusiti e bronchiectasie.
- Agenesia o atresia dei deferenti, delle vescichette seminali o dei dotti eiaculatori: tra tali forme la più comune è l’agenesia bilaterale dei deferenti nei pz affetti da fibrosi cistica.
O forme acquisite - Ostruzioni acquisite delle vie seminali: possono essere acquisite in seguito a eventi flogistico-infettivi o a traumi, anche di natura iatrogena; l’ostruzione può verificarsi a qualsiasi livello e può essere mono o bilat. completa o incompleta. Le infezioni delle vie seminali (epipidimiti, prostato-vescicoliti) determinano agglutinazione tra gli spermatozoi, impedendone così il movimento e causano modificazioni delle caratteristiche fisico-chimiche del liquido animale che possono influenzare negativamente la funzionalità spermatica.
- Eiaculazione retrograda: è la presenza di un anomalo flusso retrogrado di sperma in vescica durante l’eiaculazione, ad eziologia anatomica (prostatectomia o chirurgia del collo vescicale), neurogenica (lesioni del midollo spinale, interventi chirurgici sul retro peritoneo, diabete mellito) farmacologica (neurolettici e α-litici per il trattamento dell’ipertrofia prostatica) o idiopatica. La diagnosi viene posta quando si osservano spermatozoi nell’urina post-
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eiaculatoria.
- Infertilità autoimmune: Ab anti-spermatozoi (ASA) possono essere rinvenuti nel siero e/o nel seme; la formazione di ASA nello sperma è in genere conseguente a flogosi delle vie urinarie, traumi testicolari, danno testicolare indotto da calore o ostruzione delle vie seminali. La presenza di ASA deve essere sospettata tutte le volte che allo spermiogramma vi sia agglutinazione degli spermatozoi o diminuzione della loro motilità.
Disordini dell'eiaculazione: - Aneiaculazione (assenza di eiaculazione): può dipendere da disfunzioni del SNC e periferico, farmaci, lesioni neurogene chirurgiche. - Eiaculazione precoce (difficoltà o incapacità nell'esercitare il controllo volontario sull'eiaculazione); è il disturbo sessuale maschile più diffuso (25%-40% degli uomini), se ante portam causa di infertilità. Le cause sono varie: ansietà, iperattività, serotonina, prostatite cronica, ipertiroidismo. - Eiaculazione retrograda (difetto di chiusura dello sfintere uretrale); può essere determinato da patologie neurologiche, iatrogene mediche (alfa-1-litici), chirurgiche.
29. Azoospermie ostruttive: Assenza di spermatozooi nel liquido seminale e nelle urine raccolte dopo eiaculazione, a causa di un’ostruzione bilaterale della via seminale Costituisce il 15-20 % dei casi di azoospermia L’ostruzione può essere a livello: - dei tubuli epididimari (la più comune, frequentemente post-flogistica) - dei dotti deferenti (da vasectomia, congenita o iatrogena post- chirurgica) - dei dotti eiaculatori (post- flogistica o da esiti di chirurgia del collo vescicale)
DIAGNOSI
Anamnesi: Il medico deve raccogliere informazioni su: - età in cui è avvenuta la maturazione sessuale e eventuali disturbi dello sviluppo puberale - pregresse infezioni o esposizione ad agenti tossici - storia di criptorchidismo - pregressi interventi chirurgici o trattamenti chemioterapici
Esame obiettivo: - Generale (caratteri sessuali secondari, ginecomastia, distribuzione tessuto adiposo) - Apparato genitale: 90. testicoli (sede e dimensione)
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91. epididimi (dimensione e dolorabilità) 92. deferenti (dimensione, assenza o presenza dei deferenti, ricerca di varicocele) 93. prostata (dimensioni, consistenza, dolorabilità) pene
Spermiogramma:L’esame dello sperma è il primo test che viene effettuato nel partner maschile di una coppia infertile; l’analisi va condotta dopo un periodo di astinenza sessuale definito (48-72 h) e il campione, ottenuto mediante masturbazione, va raccolto in un contenitore sterile e consegnato al laboratorio entro un periodo massimo di 1 ora. Si valutano: - volume: il riscontro costante di valori inferiori a 1,5 ml può essere espressione di ostruzione delle vie seminali (acquisite o congenite), eiaculazione retrograda o ipogonadismo. - pH: variazioni di pH possono essere espressione di flogosi (>8) o ostruzione delle vie seminali (20 milioni/ml; in presenza di valori inferiori si parla di oligospermia, l’assenza totale di spermatozoi nell’eiaculato viene definita azoospermia. - numero totale di spermatozoi per eiaculato: v.n.>40 milioni per eiaculato - motilità: si esprime tramite una scala che va da motilità progressiva rapida a progressiva lenta, a non progressiva fino a immobilità; i v.n. si hanno in presenza di più del 50% degli spermatozoi con motilità normale; in caso di valori inferiori si parla di astenospermia. - morfologia: è un indicatore della qualità della spermatogenesi; i criteri sono:
testa ovale con acrosoma ben delimitato assenza di anomalie a carico del corpo assenza di difetti a carico del tratto intermedio o della coda degli spermatozoi assenza di residui citoplasmatici più grandi di un terzo della testa Uno spermiogramma normale deve avere almeno il 30% delle forme normali; in caso di alterazioni morfologiche maggiori si parla di teratospermia - Oligo-astenospermia: riduzione del numero e della motilità degli spermatozoi - Oligo-asteno-teratospermia: riduzione del numero e della motilità degli spermatozoi e alterazioni della loro morfologia
Valutazione ormonale Ecografia transrettale: consente di visualizzare prostata, vescichette seminali, ampolle deferenziali e dotti eiaculatori: risulta indicato nei pz azospermici, nei quali si sospetti un’alterazione a carico delle vescichette seminali o un’ostruzione dei dotti eiaculatori, fortemente sospetta quando vi sia una dilatazione cistica delle vescichette seminali con d maggiore di 1,5 cm. EcocolorDoppler scrotale: permette di studiare in modo accurato il didimo e
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TERAPIA
epididimo e riconoscere anomalie di forma e dimensioni a loro carico: consente una corretta valutazione vascolare, utile soprattutto nei pz in cui si sospetti un varicocele. Vescicolo-deferentografia: consiste nell’iniezione di un mdc nel deferente e nella successiva visualizzazione delle vie seminali: è indicata nei pz con azospermia, normale volume testicolare, FSH normale e spermatogenesi conservata alla biopsia testicolare nei casi in cui si sospetti un’ostruzione mono o bilaterale delle vie seminali. Ricerca di Ab anti-spermatozoo, biopsia testicolare e valutazione genetica in casi particolari.
TERAPIA MEDICA Può essere aspecifica o specifica
a) Aspecifica Si basa sull’osservazione che alcuni composti possono influenzare in modo positivo la spermatogenesi; si tratta di composti multivitaminici (vitamina A e E), arginina, selenio, che sembrano in grado di incrementare la motilità degli spermatozoi e la quota morfologicamente normale. Inoltre anche lo zinco (secreto normalmente dalla prostata) sembra in grado di migliorare numero, motilità e morfologia degli spermatozoi in pz con oligo.astenospermia. Vi può essere una terapia ormonale empirica con clomifene citrato o tamoxifene per 4-6 mesi che incrementano la secrezione endogena di LH e FSH bloccando il feedback negativo degli steroidi endogeni sull’ipotalamo e ipofisi, aumentando in questo modo a livello testicolare la concentrazione di testosterone e favorendo la spermatogenesi.
b) Specifica Comprende terapie mirate nei confronti di patologie ben identificate. - In caso di ipogonadismo ipogonadotropico è necessaria una terapia sostitutiva con gonadotropine (HCG) - In caso di iperprolattinemia da adenoma ipofisario si può eseguire una terapia medica con bromocriptina o terapia chirurgica con asportazione dell’adenoma
- In caso di flogosi delle vie seminali è indicato intraprendere una terapia antibiotica mirata, per almeno 4-6 settimane. - La presenza di Ab antispermatozoo, nel siero o seme, depone per un’infertilità di origine immunologica; la terapia corticosteroidea determina diversi effetti collaterali che ne limitano l’impiego: tali pz sono in genere candidati per andare incontro a tecniche di fecondazione assistita.
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TERAPIA CHIRURGICA - La correzione chirurgica del varicocele (varicelectomia) è in grado di migliorare lo spermiogramma in quasi il 70% dei pz e di aumentare il “tasso di gravidanza” dal 30 al 50% a distanza di 4-12 mesi dall’intervento. Viene effettuata attraverso legatura chirurgica della vena spermatica interna o scleroembolizzazione retrograda. - La epididimo-vasostomia o la vaso-vasostomia sono tecniche di microchirurgia utilizzate in pz con ostruzione, congenita o acquisita, del deferente o dell’epididimo.
Fecondazione assistita
a) Inseminazione intrauterina Consiste nel posizionamento, tramite un piccolo catetere, di spermatozoi direttamente all’interno della cavità uterina; tale tecnica è indicata in caso di sterilità da impotenza, da anomali anatomiche che possono interferire con la deposizione dello sperma (eiaculazione retrograda) o da anomalie del muco cervicale. Il tasso di gravidanze che si può ottenere con tale tecnica è variabile tra il 7 e il 55%.
b) Fecondazione in vitro Gli ovociti, raccolti con aspirazione eco guidata, vengono incubati in vitro con gli spermatozoi prelevati dal pz; qualora si ottenga la fecondazione, l’embrione in via di sviluppo viene collocato direttamente nella cavità uterina: con tale tecnica la percentuale di gravidanze media è del 33%. Sono state sviluppate tecniche tramite cui lo spermatozoo viene introdotto direttamente all’interno dell’ovocita; ciò permette di ottenere gravidanze in coppie nelle quali vi sia un’infertilità da grave fattore maschile. Lo sviluppo di tali tecniche è andato di pari grado con lo sviluppo di nuove metodiche che consentono di prelevare gli spermatozoi in alcune forme di azoospermia. Le più utilizzate sono: - MESA (microsurgical epididymal sperm aspiration); tale tecnica consente di prelevare gli spermatozoi dall’epididimo dei pz nei quali vi sia un’ostruzione delle vie seminali - PESA (percutaneous epididymal sperm aspiration); in tali casi non si ricorre a un incisione scrotale ma gli spermatozoi vengono prelevati per via percutanea. - TESE (testicular sperm extraction): gli spermatozoi possono essere prelevati direttamente dal testicolo sia con tecniche a cielo aperto che con l’aspirazione - TESA (testicular sperm aspiration)
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DISTURBI DELL'IDENTITA' DI GENERE: TRANSESSUALISMO ANDRO-GINOIDE
DEFINIZIONE
Incongruenza tra il sesso ufficialmente assegnato alla nascita sulla base dei genitali esterni (sesso anatomico), avvertito come disturbante ed errato, e l’identità di genere, cioè il sesso al quale il soggetto sente psichicamente di appartenere.
TERAPIA
Tecnica chirurgica
- Fase demolitiva:
Orchiectomia Asportazione del pene e dei corpi cavernosi Preparazione del moncone uretrale per l’uretrostomia
- Fase Ricostruttiva:
Creazione spazio tra retto e prostata per la neovagina Creazione neoclitoride Uretrostomia Sospensione neovagina Plastica cutanea
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BIBLIOGRAFIA
-
Longo, Fauci, Kasper, Hauser, Jameson, Loscalzo. Harrison’s principi di medicina interna. 17esima edizione Martorana G. I quaderni di urologia. CLUEB Materiale didattico utilizzato dai professori a lezione e disponibile per gli studenti di medicina e chirurgia Appunti di lezione
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