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LJÓÐA EDDA
GRÍMNISMÁL IL DISCORSO DI GRÍMNIR ► LJÓĐA EDDA
Ljóða Edda. Edda poetica o antica
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Vǫluspá. La profezia della Veggente Hávamál. Il discorso di Hár Vafþrúðnismál. Il discorso di Vafþrúðnir ► Grímnismál. Il discorso di Grímnir Skírnismál. Il discorso di Skírnir Hymiskviða.Il carme di Hymir Baldrs draumar. I sogni di Baldr Grottasǫngr. La canzone del Grotti Svipdagsmál. Il discorso di Svipdagr
Schema
GRÍMNISMÁL - Saggio GRÍMNISMÁL - Testo
Note Bibliografia
▼
Titolo
Grímnismál, «Discorso di Grímnir»
Genere
Poema gnomico-sapienziale
Voci
Monologo
Lingua
Norreno
Epoca
Composizione: X secolo Redazione: XIII secolo
Manoscritti
[R] Reykjavík, Stofnun Árna Magnússonar. Codex Regius, ms. GKS 2365 4to [A] Reykjavík, Stofnun Árna Magnússonar. Codex Arnamagnæanus, ms. AM 748 4to
LJÓÐA EDDA
GRÍMNISMÁL IL DISCORSO DI GRÍMNIR Il poema Struttura ed età del poema Le redazioni Genere e metrica Edizioni italiane
Il poema Il Grímnismál, o «Discorso di Grímnir» è la quarta composizione della Ljóða Edda. Come il precedente,
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anche questo è un poema gnomico, ma mentre il Vafþrúðnismál era un dialogo, in cui due voci si alternavano a dimostrare la loro sapienza, il Grímnismál consiste in un monologo, col quale Óðinn, celato sotto il nome di Grímnir, svela a re Geirrøðr i misteri del mondo divino. La nuda esposizione della sapienza mitologica viene anche qui inserita nella cornice di una vicenda. L'infido Geirrøðr, divenuto re dopo aver ucciso il fratello maggiore, rivela una natura assai poco generosa maltrattando coloro che giungono alla sua dimora chiedendo ospitalità. È il caso di un misterioso viandante di nome Grímnir, che il re lega tra due fuochi divampanti per indurlo a confessare chi sia. Dopo otto giorni di ostinato silenzio, il Grímnir torturato da re Geirrøðr (✍ 1882) prigioniero prende la parola e, in un lungo Illustrazione di autore non identificato (Wägner 1882). monologo, rivela al re e al giovane figlio di questi, Annarr, tutto quanto vi sia da sapere sull'universo e sugli dèi, culminando con l'elenco dei nomi con i quali Grímnir si è fatto conoscere nel corso dei suoi viaggi, alla fine del quale si scoprirà che il viandante è lo stesso Óðinn, di cui il re aveva fino ad allora goduto il favore. Terrificato dall'apparizione, Geirrøðr balza in avanti per liberare il dio ma cade sulla sua spada e muore. Il figlio Annarr, di animo giusto e generoso, gli succede.
Struttura ed età del poema Il testo del poema comprende unicamente il monologo di Óðinn, ov vero le parole pronunciate dal dio della sapienza a re Geirrøðr. Il contesto della vicenda viene chiarito invece da due passi in prosa, un prologo in cui si narrano i fatti per i quali Geirrøðr era divenuto re e per quali ragioni aveva deciso di torturare così crudelmente il suo ospite Grímnir, e un brevissimo epilogo nel quale la narrazione si chiude con la morte del re. Evidenze ling uistiche ci mostrano che le parti in prosa risalgono al XII o XIII secolo. Cioè di due o tre secoli posteriori al poema stesso, che risalirebbe al X secolo. I passi in prosa furono presumibilmente scritti dal compilatore medievale del manoscritto della Ljóða Edda, che sentì la necessità di palesare il contesto del monologo di Óðinn, in questo fornendoci un aiuto inestimabile per l'interpretazione del testo. È possibile che il monologo facesse parte in origine di una lunga narrazione in cui si alternassero parti poetiche e in prosa, ma con il decadere dell'età scaldica e con la progressiva perdita del materiale orale tradizionale, si rese a un certo punto necessario raccontare, a chi non ne avesse familiarità, l'intera vicenda di re Geirrøðr e del suo misterioso ospite.
Le redazioni Il Grímnismál ci è per venuto in due redazioni: dal Codex Regius e dal Codex Arnamagnæanus. Entrambe le versioni sono complete e le variazioni tra l'uno e l'altro testo minime. Si pensa tuttavia che diverse strofe siano state interpolate da altri poemi e in effetti ci sono dei passi che paiono inseriti casualmente nel testo, talvolta interrompendo il flusso del discorso. Si ha l'impressione che alcune di queste strofe provengano da una versione del Vafþrúðnismál (è il caso per esempio della strofa [40]). Ma tutto questo interessa soltanto il filologo e non inficia il valore mitologico né la bellezza del poema. Snorri, nella sua Prose Edda, cita circa venti strofe dal Grímnismál e in altri punti della sua opera fa delle attenti parafrasi di altri passi del poema. Molte strofe non sono però citate integralmente: ad esempio la lista degli epiteti di Óðinn è riportata da Snorri nella pura sequenza dei nomi, senza le brevi inserzioni esplicative presenti in realtà nel testo originale (Gylfaginning [20]). Per diverse ragioni si pensa che Snorri disponesse di una versione del Grímnismál più antica e meno corrotta di quella a noi tramandata.
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Genere e metrica Il Grímnismál è un poema gnomico-sapienziale. Allo stesso genere appartengono anche il Vafþrúðnismál e la Vǫluspá. Tuttavia, al contrario degli altri due poemi, che sembrano occuparsi soprattutto del principio e della fine dell'universo, il Grímnismál si occupa essenzialmente del presente: la sua esposizione rig uarda cose come le dimore degli dèi, i loro destrieri, il loro cibo, i nomi delle valchirie, i fiumi cosmici, le creature che abitano il frassino Yggdrasill, fino alla lunga sequela dei nomi di Óðinn. Le spiegazioni sono minime: il Grímnismál è essenzialmente un'esibizione mnemonica. Buona parte del testo consiste in lunghe liste di nomi propri. Nel monologo del misterioso ospite, crudelmente torturato da re Geirrøðr, traspare un'immensa sapienza sulle cose antiche e sacre del mondo. Dal punto di vista narrativo, è vero che il lungo discorso di Grímnir introduce in realtà alla sua ultima esibizione di sapienza, quella che, attraverso il terribile elenco degli epiteti di Óðinn, arriverà a svelare la vera identità di colui che il re ha appeso tra due fuochi. Ma vi è anche un sottile monito diretto alle limitazioni dello spirito umano, alla sua impossibilità di comprendere appieno i segreti del mondo divino: “Molto io ti ho detto | e tu poco ricordi...” [52]. Così dice Óðinn a re Geirrøðr, prima di predirne l'immediata rovina. Il metro del Grímnismál è il cosiddetto ljóðaháttr o «metro strofico», che, come abbiamo detto, è legato alla poesia sentenziosa, ai testi dai contenuti magico-formulari o proverbiali. Nella sua forma canonica il «metro strofico» è formato da quattro versi, in cui due «lunghi», costituiti ciascuno da due semiversi, si alternano a due versi «pieni», formati di un solo semiverso. Tuttavia, il Grímnismál presenta, oltre a strofe dal metro regolare, molte varianti delle stesse, spesso formate da un numero di versi superiore a quattro e senza una regolare successione di «versi lunghi» e «pieni». Questo allungamento delle strofe è giustificato dal fatto che il testo del Grímnismál è formato essenzialmente di liste di nomi proprie il cui novero esce dai limiti stabiliti dal metro e, poiché nella poesia nordica sono quasi sempre i distici delle semistrofe [helming] a mantenere una sorta di unità sintattica, si rende necessario dilatare la semistrofa con l'aggiunta di versi e semiversi. In questa pagina, per ragioni grafiche, i due semiversi che compongono i «versi lunghi» sono stati spezzati e disposti su due righe. Così le strofe risultano organizzate su un numero di righe diverso da quelle originali. Ecco, per confronto, la versificazione della strofa [3]: Heill skaltu, Agnarr, allz þik heilan biðr Veratýr vera; eins drykkjar þú skalt aldregi betri gjǫld geta.
Edizioni italiane Escludendo le strofe scorporate presenti nelle antologie, o quelle citate da Snorri e presenti nelle traduzioni della Prose Edda, la prima traduzione integrale del Grímnismál è quella presente nel libro I canti dell'Edda, a cura di Olga Gogala di Leesthal, pubblicato nella collana «I grandi scrittori stranieri» dalla UTET (Torino 1939). Intitolata Grimnesmal, è una traduzione metrica in quartine (o sestine) di endecasillabi alternati a settenari. Sebbene non possa essere considerata una traduzione letterale, è sorretta da un buon corredo di note. Sei calda, o vampa! e troppo alta sali, indietro da me, fiamma! la pelliccia sollevo eppur s'abbrucia; il mantello mi arde.
Seg ue la traduzione di Alberto Mastrelli, nel libro L'Edda. Carmi norreni, nella collana «Classici della religione», edita da Sansoni (Firenze 1951, 1982). Intitolata Grimnismal. Il carme di Grimnir, è in versi liberi, con le coppie di semiversi «cucite» in versi interi. Abbastanza libera, ma rigorosa, fittamente annotata. Caldo tu sei, o fuoco, e troppo ardente, allontanati da me, o fiamma! Arde la mia pelliccia, sebben la tenga sollevata, e brucia il mio mantello.
Un'altra traduzione, con il titolo tradotto in Canzone di Grimnir, è quella fornita da Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli, nell'antologia Il canzoniere eddico, edito da Garzanti (Milano 1982). Di nuovo versi liberi, sebbene i semiversi siano finalmente evidenziati, presenta un corredo di note ridotto al minimo e non giustifica molte scelte, non sempre felici, nella traduzione. Caldo sei, o «incalzante», e dav vero troppo grande, via da me, fuoco! Il mio panno è attaccato alla fiamma; sebbene lo tenga sollevato,
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mi brucia il mantello.
LJÓÐA EDDA
GRÍMNISMÁL IL DISCORSO DI GRÍMNIR Prologo Grímnir inizia a parlare (1-3) Descrizione delle dimore divine (4-17) La Valhǫll (9-10) La cucina della Valhǫll (18) Lupi e cor vi (19-20) Ancora sulla Valhǫll (21-26) I fiumi dell'universo (27-29) I destrieri degli dèi (30) Il frassino Yggdrasill (31-35) Le valchirie (36) Il sole e la luna (37-39) Il sacrificio di Ymir (40-42) Le cose migliori (43-44) I nomi di Óðinn (45-50) Si rivela Óðinn (51-54) Epilogo Note
Prologo
GRÍMNISMÁL
IL DISCORSO DI GRÍMNIR
Hrauðungr konungr átti tvá sono; hét annarr Agnarr, en annarr Geirrøðr. Agnarr var x. vetra, en Geirrøðr viii. vetra. Þeir rero tveir á báti með dorgar sínar at smáfiski. Vindr rak þá í haf út. Í náttmyrkri bruto þeir við land ok gengo upp, fundo kotbónda einn. Þar vóro þeir um vetrinn. Kerling fóstraði Agnar, en karl Geirrøð. At vári fekk karl þeim skip. En er þau kerling leiddo þá til strandar, þá mælti karl einmæli við Geirrøð.
Re Hrauðungr aveva due figli: l'uno si chiamava Agnarr, l'altro Geirrøðr. Agnarr era di dieci inverni, Geirrøðr di otto inverni. I due remavano in una barca, con lenze per piccoli pesci. Il vento li spinse al largo. Nell'oscurità della notte toccarono terra; scesero e trovarono una masseria. Là trascorsero l'inverno. La padrona della masseria si prese cura di Agnarr, il padrone di Geirrøðr. Giunta la primavera, l'uomo procurò loro un battello. Mentre la donna li g uidava alle spiagge, l'uomo si fermò a parlare da solo con Geirrøðr.
Þeir fengo byr ok kvómo til stǫðva fǫðurs síns. Geirrøðr var fram í skipi; hann hljóp upp á land, en hratt út skipino ok mælti: “Farðu þar er smyl hafi þik!” Skipit rak út, en Geirrøðr gekk upp til bæjar. Hánom var vel fagnat; þá var faðir hans andaðr. Var þá Geirrøðr til konungs tekinn ok varð maðr ágætr.
[I due fratelli] ebbero un vento favorevole e raggiunsero la casa del padre loro. Geirrøðr stava a prua; balzò sulla riva e spinse via la barca dicendo: “Vattene dove ti piglino gli spiriti maligni!” Il battello fu trascinato al largo mentre Geirrøðr saliva verso le case. Vi venne ben accolto, ché suo padre era morto. Geirrøðr venne fatto re e si fece gran fama tra gli uomini.
Óðinn ok Frigg sáto í Hliðskjálfo ok sá um heim alla. Óðinn mælti: “Sér þu Agnar fóstra þinn, hvar hann elr bǫrn við gýgi í hellinom? En Geirrøðr fóstri minn er konungr ok sitr nú at landi”.
Óðinn e Frigg sedevano in Hliðskjálfr e da là scrutavano tutto il mondo. Óðinn disse: “Guarda Agnarr, il tuo figliastro, che genera mostri con una gigantessa in quella caverna. Invece il mio figliastro Geirrøðr è ora un sovrano e regna sulla terra”.
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Grímnir inizia a parlare
Descrizione delle dimore divine
Frigg segir: “Hann er matníðingr sá, at hann kvelr gesti sína ef hánom þikkja of margir koma”. Óðinn segir at þat er in mesta lygi. Þau veðja um þetta mál.
Frigg disse: “[Geirrøðr] è così avaro che al banchetto maltratta gli ospiti, se gli sembra che vengano in troppi”. Óðinn disse che questa era una menzogna e i due dèi fecero una scommessa.
Frigg sendi eskismey sína, Fullo, til Geirrøðar. Hón bað konung varaz at eigi fyrirgerði hánom fjǫllkunnigr maðr, sá er þar var kominn í land, og sagði þat mark á, at engi hundr var svá ólmr at á hann myndi hlaupa.
Frigg inviò la sua damigella Fulla da Geirrøðr. Ella invitò il re a diffidare di un uomo esperto in incantesimi, giunto nelle sue terre. E aggiunse che aveva un segno riconoscimento: nessun cane, per quanto aggressivo, gli si sarebbe av ventato.
En þat var inn mesti hégómi at Geirrøðr væri eigi matgóðr. Ok þó lætr hann handtaka þann mann er eigi vildo hundar á ráða. Sá var í feldi blám ok nefndiz Grímnir, ok sagði ekki fleira frá sér, þótt hann væri at spurðr. Konungr lét hann pína til sagna ok setja milli elda tveggja, ok sat hann þar viii. nætr.
La calunnia più grande era che Geirrøðr non fosse ospitale. Il re fece dunque catturare l'uomo che i cani non vollero aggredire. Av volto in un mantello azzurro, questi disse di chiamarsi Grímnir e non disse altro, sebbene venisse duramente interrogato. Il re lo fece torturare affinché parlasse, facendolo sedere tra due fuochi e lì egli rimase seduto per otto notti.
Geirrøðr konungr átti son x. vetra gamlan, ok hét Agnarr eptir bróður hans. Agnarr gekk at Grímni ok gaf hánom horn fult at drekka, sagði at konungr gørði illa er hann lét pína hann saklausan. Grímnir drakk af. Þá var eldrinn svá kominn at feldrdinn brann af Grímni.
Re Geirrøðr aveva un figlio di dieci inverni, che si chiamava Agnarr, come suo fratello. Agnarr andò da Grímnir e gli porse un corno ricolmo da bere. Disse che il re sbagliava a torturare un innocente. Grímnir bev ve. Le fiamme si erano av vicinate così tanto che il mantello di Grímnir prese fuoco.
Hann kvað:
Egli disse:
1
Heitr ertu, hripuðr, ok heldr til mikill; gǫngomk firr, funi! loði sviðnar, þótt ek á lopt berak, brennomk feldr fyrir.
Sei caldo, o tu che m'incalzi, e dav vero troppo grande! Vattene da me, o fuoco! La stoffa si è incendiata nonostante io la scosti, mi si brucia il mantello!
2
Átta nætr sat ek milli elda hér, svá at mér mangi mat ne bauð, nema einn Ágnarr er einn skal ráða, Geirrøðar sonr, gotna lande.
Otto notti seduto tra i fuochi, e nessuno mi ha portato cibo. Tranne uno, Agnarr, che unico regnerà, il figlio di Geirrøðr, sulla terra dei Goti.
3
Heill skaltu, Agnarr, allz þik heilan biðr Veratýr vera; eins drykkjar þú skalt aldregi betri gjǫld geta.
Salute a te, Agnarr! Ché per te salute Verat ýr invoca. Per una sola bevuta mai riceverai miglior ricompensa!
4
Land er heilagt er ek liggja sé ásom ok álfom nær; en í Þrúðheimi skal Þórr vera, unz um rjúfaz regin.
Sacra è la terra ch'io stendersi vedo agli Æsir e agli Álfar vicina. In Þrúðheimr vi sarà Þórr finché non le potenze divine crolleranno.
5
Ýdalir heita, þar er Ullr hefir sér um gǫrva sali. Álfheim Frey gáfo i árdaga tívar at tannfé.
Ýdalir si chiama il luogo dove Ullr ha costruito per sé una corte. Álfheimr a Freyr donarono in principio gli dèi per il suo primo dente.
6
Bær er sá inn þriði, er blið regin
Altra dimora è la terza che gli dèi soavi
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La Valhǫll
silfri þǫkðo sali; Valaskjálfr heitir, er vélti ser áss i árdaga.
con argento ricoprirono a farne una corte. Valaskjálf si chiama quel [palazzo] che costruì per sé l'áss al principio dei tempi.
7
Søkkvabekr heitir enn fjórði, en þar svalar knego unnir yfir glymja; þar þau Óðinn ok Sága drekka um alla daga glǫð or gullnom kerom.
Søkkvabekkr si chiama la quarta, là dove possono gelide onde sopra scrosciare. Là Óðinn e Sága bevono tutti i giorni, lieti, in coppe d'oro.
8
Glaðsheimr heitir enn fimti, þars en gullbjarta Valhǫll við of þrumir; en þar Hroptr kýss hverjan dag vápndauða vera.
Glaðsheimr si chiama la quinta in cui splendente d'oro la vasta Valhǫll si trova; e là Hroptr sceglie ogni giorno gli uomini caduti nella mischia.
9
Mjǫk er auðkent þeim er til Óðins koma salkynni at sjá: skǫptom er rann rept, skjǫldom er salr þakiðr, brynjom un bekki strát.
È assai riconoscibile per quelli che vengono a Óðinn, l'aspetto del salone: da lance il tetto è sorretto, da scudi il salone è coperto, da corazze le panche son tratte.
10
Mjǫk er auðkent þeim er til Óðins koma salkynni at sjá: vargr hangir fyr vestan dyrr ok drúpir ǫrn yfir.
È assai riconoscibile per quelli che vengono a Óðinn, l'aspetto del salone: un lupo è appeso dinanzi all'ingresso occidentale e si leva l'aquila sopra.
11
Þrymheimr heitir enn sétti, er Þjazi bjó, sá inn ámátki jǫtunn; en nú Skaði byggvir, skír brúðr goða, fornar tóptir fǫður.
Þr ymheimr si chiama la sesta dove Þjazi abitava, quel tremendo jǫtunn. Ma ora Skaði vi dimora, pura sposa degli dèi, nell'antica dimora del padre.
12
Breiðablik ero in sjundo, en þar Baldr hefir sér um gerva sali, á því landi er ek liggja veit fæsta feiknstafi.
Breiðablik è la settima là dove Baldr ha per sé innalzato una corte. In quella terra dove io so che si trovano poche rune funeste.
13
Himinbjǫrg ero en átto, en þar Heimdall kveða valda véom; þar vǫrðr goða drekkr í væro ranni glaðr inn góða mjǫð.
Himinbjǫrg è l'ottava là dove Heimdallr dicono governi i templi. Là il divino custode beve nella comoda dimora, felice, il buon mjǫðr.
14
Fólkvangr er inn níundi, en þar Freyja ræðr sessa kostom i sal; halfan val hon kýss hverjan dag en hálfan Óðinn á.
Fólkvangr è la nona, là dove ordina Freyja i seggi al banchetto. Lei metà dei caduti sceglie ogni giorno, e metà prende Óðinn.
15
Glitnir er inn tíundi, hann er gulli studdr ok silfri þakðr it sama; en þar Forseti byggir flestan dag
Glitnir è la decima, incolonnata d'oro e ricoperta d'argento Proprio là Forseti abita l'intero giorno
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ok svæfer allar sakir.
e appiana ogni contesa.
16
Nóatún ero en ellipto, en þar Njǫrðr hefir sér um gǫrva sali, manna þengill enn meins vani hátimbroðonm hǫrgi ræðr.
Nóatún è l'undicesima là dove Njǫrðr ha per sé innalzato una corte. Degli uomini sovrano il vanr immacolato su imponenti templi regna.
17
Hrísi vex ok há grasi Víðars land viði; en þar mǫgr of læzk af mars baki frækn at hefna fǫður.
Cespugli crescono ed erba alta nella boscosa terra di Víðarr. Là si farà il ragazzo in groppa ai destrieri abile a vendicare il padre.
La cucina della Valhǫll
18
Andhrímnir lætri í Eldhrímne Sæhrímne soðinn, fleska bezt; en þat fáir vito við hvat einherjar alaz.
Andhrímnir fa in Eldhrímnir Sæhrímnir bollire, la carne migliore. Pochi però sanno, di cosa gli Einherjar si nutrano.
Lupi e corvi
19
Gera ok Freka seðr gunntamiðr, hróðigr Herjafǫðr; en við vín eitt vápngǫfugr Óðinn æ lifir.
Geri e Freki li sazia, av vezzo alla g uerra, Herjafǫðr glorioso. Ma di solo vino in armi splendente, Óðinn vive per sempre.
20
Huginn ok Muninn fljúga hverjan dag jǫrmungrund yfir; óumk ek of Hugin at hann aptr ne komit, þó sjámk meirr um Munin.
Huginn e Muninn volano ogni giorno sopra la vasta terra. Paura ho che Huginn indietro non ritorni, sebbene ancor più tema per Muninn
21
Þýtr þund, unir þjóðvitnis fiskr flóði í; árstraumr þikkir ofmikill valglaui at vaða.
Il Þund rumoreggia, nuota di «Þjóðvitnir il pesce» nell'onda. Il vortice si mostra periglioso al g uado della Valhǫll.
22
Valgrind heitir, er stendr velli á heilǫg fyr helgom durom; forn er sú grind, en þat fáir vito, hvé hón er i lás lokin.
Valgrind si chiama quel che s'erge sul campo, sacro dinanzi alle sacre porte; antico è quel cancello: e in pochi sanno come funzioni il chiavistello.
23
Fimm hundruð gólfa ok um fjórom tøgom, svá hýgg ek Bilskirnni með bugom; ranna þeira er ek rept vita míns veit ek mest magar.
Cinquecento stanze e ancora quaranta credo vi siano in Bilskírnir, ricca d'archi. Fra quelle case che io so avere un tetto quella di mio figlio è la più grande.
24
Fimm húndruð dura ok um fjórom tøgom, svá hygg ek at Vallhǫllo vera; átta hundruð einherja ganga senn ór einom durom, þá er þeir fara at vitni at vega.
Cinquecento porte e ancora quaranta credo vi siano nella Valhǫll. Ottocento Einherjar da ciascuna porta usciranno insieme quando andranno a battersi col lupo.
25
Heiðrún heitir geit, er stendr hǫllo á [Herjafǫðrs]
Heiðrún si chiama la capra che si erge sulla sala [di Herjafǫðr]
Ancora sulla Valhǫll
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ok bítr af læraðs limom; skapker fylla hón skal ins skíra mjaðar, knáat sú veig vanaz.
e bruca le fronde del Læraðr. Il calderone riempirà lei di quel chiaro idromele, un liquore che non può mancare.
26
Eikþyrnir heitir hjǫrtr, er stendr á hǫllo Herjafǫðrs ok bítr af Læraðs limom; en af hans hornom drýpr i Hvergelmi, þaðan eigo vǫtn ǫll vega.
Eikþyrnir si chiama il cer vo che si erge sulla sala di Herjafǫðr e bruca le fronde del Læraðr. Dalle sue corna cadono gocce in Hvergelmir, da cui prendono le acque ogni via.
27
Síð ok Víð, Sækin ok Ækin, Svǫl ok Gunnþró, Fjǫrm ok Fimbulþul, Rín ok Rennandi, Gipul ok Gǫpul, Gǫmul ok Geirvimul, þær hverfa um hodd goða, Þyn ok Vin, Þǫll ok Hǫll, Gráð ok Gunnþorin.
Síð e Víð, Sekin ed Ekin, Svǫl e Gunnþrá, Fjǫrm e Fimbulþul, Rín e Rennandi, Gipul e Gǫpul, Gǫmul e Geir vimul, questi scorrono accanto ai tesori divini. Þyn e Vin, Þǫll e Hǫll, Gráð e Gunnþráin.
28
Vína heitir enn, ǫnnor Vegsvinn, þriðja Þjóðnuma, Nyt ok Nǫt, Nǫnn ok Hrǫnn, Slíð ok Hrið, Sylgr ok Ylgr, Víð ok Ván, Vǫnd ok Strǫnd, Gjǫll ok Leiptr, þær falla gumnom nær, en falla til heilar heðan.
Vína si chiama l'uno, il secondo Vegsvinn, il terzo Þjóðnuma, Nýt e Nǫt, Nǫnn e Hrǫnn, Slíðr e Hríð, Sylgr e Ylgr, Víð e Ván, Vǫnd e Strǫnd, Gjǫll e Leiptr, questi scendono presso gli uomini e precipitano poi nel regno dei morti.
29
Kǫrmt ok Ǫrmt ok Kerlaugar tvær, þær skal Þórr vaða hverjan dag er hann dæma ferr at aski Yggdrasils, þvíat Ásbrú brenn ǫll loga, heilǫg vǫtn hlóa.
Kǫrmt e Ǫrmt e i due Kerlaugar, questi deve Þórr g uadare ogni giorno quando in consiglio si reca al frassino Yggdrasill, poiché Ásbrú arde tutto di fiamme, ribollono le sacre acque.
I destrieri degli dèi
30
Glaðr ok Gyllir, Gler ok Skeiðbrimir, Silfrintoppr ok Sinir, Gísl ok Falhófnir, Gulltoppr ok Léttfeti, þeim ríða æsir jóm dag hvernn, er þeir dæma fara at aski Yggdrasils.
Glaðr e Gyllir, Gler e Skeiðbrimir, Silfrintoppr e Sinir, Gísl e Falhófnir, Gulltoppr e Léttfeti, su questi destrieri cavalcano gli Æsir ogni giorno quando si recano al consiglio presso il frassino Yggdrasill.
Il frassino Yggdrasill
31
Þrjár rætr standa á þrjá vega undan aski Yggdrasils; Hel býr undir einni, annarri hrímþursar, þriðjo mennzkir menn.
Tre radici si estendono in tre direzioni sotto il frassino Yggdrasill; Hel sotto l'una dimora, sotto l'altra i giganti di brina, sotto la terza gli esseri umani.
32
Ratatoskr heitir íkorni, er renna skal
Ratatoskr si chiama lo scoiattolo che correrà
I fiumi dell'universo
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at aski Yggrdrasils; arnar orð hann skal ofan bera ok segja Níðhǫggvi niðr.
sul frassino Yggdrasill; dell'aquila le parole dall'alto porterà e le riferirà a Níðhǫggr in basso.
33
Hirtir ero ok fjórir, þeirs af hæfingar á gaghálsir gnaga: Dáinn ok Dvalinn, Dúneyrr ok Duraþrór.
Ci sono poi i cer vi, quattro che i più alti ramoscelli (?) tendendo il collo brucano. Dáinn e Dvalinn, Dúneyrr e Duraþrór.
34
Ormar fleiri liggja under aski Yggdrasils en þat uf hyggi hverr ósviðra apa: Góinn ok Móinn, þeir ero Grafvitnis synir, Grábakr ok Grafvǫlluðr, Ofnir ok Svafnir hygg ek at æ skyli meiðs kvisto má.
Più serpenti stanno sotto il frassino Yggdrasill, di quanto credino le insavie scimmie; Góinn e Móinn (sono figli di Graf vitnir), Grábakr e Graf vǫlluðr, Ofnir e Svafnir io credo che per sempre ne roderanno le fronde.
35
Askr Yggdrasils drýgir erfiði meira enn menn viti: hjǫrtr bitr ofan, en á hliðo fúnar, skerðer Níðhǫggr neðan.
Il frassino di Yggdrasill deve patire più di quanto gli uomini sappiano: il cer vo lo bruca in alto, da un lato marcisce lo rode Níðhǫggr da sotto.
Le valchirie
36
Hrist ok Mist vil ek at mér horn beri, Skeggjǫld ok Skǫgul, Hildi ok Þrúði, Hlǫkk ok Herfjǫtur, Gǫll ok Geirǫlul, Randgríð ok Ráðgríð ok Reginleif; þær bera einherjom ǫl.
Hrist e Mist voglio che mi portino il corno, Skeggjǫld e Skǫg ul, Hildi e Þrúði, Hlǫkk e Herfjǫtur, Gǫll e Geirǫlul, Randgríð e Ráðgríð e Reginleif, agli Einherjar portano birra.
Il sole e la luna
37
Árvakr ok Alsviðr, þeir skolo upp heðan svangir sól draga; en und þeira bógóm fálo blíð regin æsir, ísarnkol.
Ár vakr e Alsviðr, da qui devono trascinare faticosamente il sole; ma sotto i loro petti nascosero gli dèi Æsir, un riparo di ferro.
38
Svalinn heitir, hann stendr sólo fyrir, skjǫldr, skínanda goði; bjǫrg ok brim ek veit at brenna skolo ef hann fellr í frá.
Svalinn si chiama quel che si staglia davanti al sole, scudo, dinanzi alla divinità splendente; monti e mari lo so che brucerebbero se da lì cadesse.
39
Skǫll heitir úlfr, er fylgir eno skirleita goði til varna viðar; en annarr Hati, hann er Hróðvitnis sonr, sá skal fyr heiða brúði himins.
Skoll si chiama il lupo che inseg ue la divinità lucente al riparo tra i boschi; ma un secondo, Hati; (lui è di Hróðvitnir il figlio) precederà la chiara sposa del cielo.
40
Ór Ymis holdi var jǫrð um skǫpuð, en ór sveita sær, bjǫrg ór beinom, haðmr ór hári, en ór hausi himinn.
Dalla carne di Ymir fu la terra formata, dal sang ue i mari, montagne dalle ossa, alberi dai capelli e dal cranio il cielo.
Il sacrificio di Ymir
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Le cose migliori
I nomi di Óðinn
41
En ór hans brám gerðo blið regin miðgarð manna sonom; en ór hans heila vóro þau in harðmóðgo ský ǫll um skǫpuð.
Con le sue ciglia fecero gli dèi gentili Miðgarðr per i figli degli uomini; e dal suo cer vello furono le impetuose nuvole tutte create.
42
Ullar hylli hefr ok allra goða hverr er tekr fyrstr á funa; þvíat opnir heimar verða um ása sonum, þá er hefja af hvera.
Di Ullr ha il favore e di tutti gli dèi chi tocca per primo il fuoco; poiché visibili si fanno le case dei figli degli Æsir, una volta tolti i calderoni.
43
Ívalda synir gengo í árdaga skíðblaðni at skapa, skipa bezt, skírom Frey, nýtom Njarðar bur.
I figli di Ívaldi andarono al principio a forgiare Skíðblaðnir, nave propizia per il luminoso Freyr, il benedetto figlio di Njǫrðr.
44
Askr Yggdrasils, hann er æztr viða, en Skíðblaðnir skipa, Óðinn ása, en jóa Sleipnir, Bilrǫst brúa, en Bragi skálda, Hábrók hauka, en hunda Garmr.
Il frassino Yggdrasill è il migliore degli alberi e Skíðblaðnir delle navi, Óðinn degli Æsir, e dei cavalli Sleipnir, Bilrǫst dei ponti e Bragi degli scaldi, Hábrók dei falchi, e dei cani Garmr.
45
Svipom hefi ek nú ypt fyr sigtíva sonom, við þat skal vilbjǫrg vaka; ǫllom ásom þat skal inn koma Ægis bekki á, Ægis drekko at.
Il volto ho innalzato dinanzi ai figli degli dèi vittoriosi, con ciò si desterà la sospirata salvezza; per tutti gli Æsir, e questo verrà sulla panca di Ægir, nella taverna di Ægir.
46
Hétomk Grímr, hétomk Gangleri, Herjan ok Hjálmberi, Þekkr ok Þriði, Þuðr ok Uðr, Helblindi ok Hár;
Fui chiamato Grímr, fui chiamato Gangleri, Herjan e Hjálmberi, Þekkr e Þriði, Þuðr e Uðr, Helblindi e Hár;
47
Saðr ok Svipall ok Sanngetall, Herteitr ok Hnikarr, Bileygr, Báleygr Bǫlverkr, Fjǫlnir, Grímr ok Grímnir, Glapsviðr ok Fjǫlsviðr;
Saðr e Svipall e Sanngetall, Herteitr e Hnikarr, Bileygr, Báleygr Bǫlverkr, Fjǫlnir, Grímr e Grímnir, Glapsviðr e Fjǫlsviðr;
48
Síðhǫttr, Síðskeggr, Sigfǫðr, Hnikuðr, Alfǫðr, Valfǫðr, Atríðr ok Farmatýr; eino nafni hétomk aldregi, síz ek með fólkom fór.
Síðhǫttr, Síðskeggr, Sigfǫðr, Hnikuðr, Allfǫðr, Valfǫðr, Atríðr e Farmat ýr; con un nome soltanto non mi chiamo mai quando io tra le genti viaggio.
49
Grímne mik héto at Geirrøðar, en Jálk at Ásmundar, enn þá Kjalar,
Grímnir son chiamato presso le genti di Geirrøðr, e Jálkr presso le genti di Ásmundr, e poi Kjalarr,
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Si rivela Óðinn
Epilogo
er ek kjálka dró; Þrór þingom at, Viðurr at vígom, Óski ok Ómi, Jafnhár ok Biflindi, Gǫndlir ok Hárbarðr með goðom;
perché tirai una slitta, Þrór nelle assemblee Viðurr nelle battaglie, Óski e Ómi, Jafnhár e Biflindi, Gǫndlir e Hárbarðr tra gli dèi;
50
Sviðurr ok Sviðrir er ek hét at Søkkmímis, ok dulða ek þann inn alda jǫtun, þá er ek Miðviðnis vark ins mæra burar orðinn einbani.
Sviðurr e Sviðrir sono chiamato presso Søkkmímir, e ingannai quell'antico jǫtunn quando io stesso divenni del prode figlio di Miðviðnir il solo uccisore.
51
Ǫlr ertu, Geirrøðr! hefr þú ofdrukkit; miklo ertu hnugginn, er þú ert míno gengi, ǫllom einherjom ok Óðins hylli.
Ubriaco sei tu, Geirrøðr! Troppo tu hai bevuto. Di una gran cosa ti sei privato se lo sei del mio aiuto; e del favore di Óðinn di tutti gli Einherjar.
52
Fjǫlð ek þér sagða, en þú fátt um mant; of þik véla vinir; mæki liggja ek sé míns vinar alklan í dreyra drifinn.
Molto io ti ho detto e tu poco ricordi; ti ingannano gli amici; la spada giacere io vedo del mio amico tutta sporca di sang ue.
53
Eggmóðan val nú mun Yggr hafa; þitt veit ek líf um liðit; úfar ro dísir, nú knáttu Óðin sjá, nálgaztu mik ef þú megir!
Un cadavere ucciso di spada ora questo avrà Yggr. So che la tua vita è trascorsa. Av verse ti sono le dísir: Ora puoi tu Óðinn vedere, av vicìnati a me, se ne hai forza!
54
Óðinn ek nú heiti, Yggr ek áðan hét, hétomk Þundr fyrir þat, Vakr ok Skilfingr, Váfuðr ok Hroptatýr, Gautr ok Jálkr með goðom, Ofnir ok Svafnir, er ek hygg at orðnir sé allir af einom mér.
Óðinn ora io chiamo, Yggr un tempo avevo nome; chiamato Þundr ancor prima, Vakr e Skilfingr, Váfuðr e Hroptat ýr, Gautr e Jálkr tra gli dèi, Ófnir e Sváfnir, i cui pensieri vengono tutti da me soltanto!
Geirrøðr konungr sat ok hafði sverð um kné sér, ok brugðit til miðs. En er hann heyrði at Óðinn var þar kominn, stóð hann upp ok vildi taka Óðin frá eldinom. Sverðit slapp ór hendi hánom, visso hjǫltin niðr. Konungr drap fæti ok steyptiz áfram, en sverðit stóð í gǫgnom hann, ok fekk hann bana. Óðinn hvarf þá. En Agnarr var þar konungr lengi síðan.
Re Geirrøðr sedeva con la spada sulle sue ginocchia, sg uainata a metà. Quando egli udì che era venuto Óðinn, si alzò con l'intenzione di togliere Óðinn dal centro dei fuochi. La spada gli cadde di mano, l'elsa verso il basso. Il re mise un piede in fallo e cadde in avanti, la spada lo trafisse ed egli morì. Óðinn allora scompar ve. E Agnarr fu re per lungo tempo.
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NOTE Prologo — Mentre il testo del Grímnismál - che consiste nel monologo di Óðinn - è in poesia, il prologo e l'epilogo sono in prosa (si tratta di interpolazioni più tarde di due o tre secoli rispetto alla datazione del testo, il quale risale al X secolo). — Il padrone e la padrona della masseria nel testo originale sono indicati con le parole karl e kerling: i termini indicano due appartenenti alla classe degli uomini liberi, per quanto non di stirpe nobile (cfr. medio inglese carle «persona comune»). 2 — (g) Difficile è localizzare questa «terra dei Goti» [Gotna lande]. Il Gǫtland è principalmente una regione della Svezia occidentale, toponimo che presuppone la forma antica Gautar come designazione del popolo che la abitava. Da essi si sarebbero mossi, intorno al I secolo, genti destinate a formare il popolo germanico orientale dei Goti, distinto in Ostrogoti e Visigoti (Manganella 1979), a cui il testo potrebbe ancora riferirsi. Senza dimenticare che con «Goti» si intendeva spesso, in maniera generica, il complesso meridionale dei popoli germanici. 3 — (c) Verat ýr «Dio degli uomini» è epiteto di Óðinn. 4 — (d) Þrúðheimr «casa della forza» è il nome del territorio celeste posseduto da Þórr. Nella Prose Edda, il suo nome, tuttavia, è Þrúðvangar «campi della forza» (Gylfaginning [21 | 47] | Skáldskaparmál [25]). Vi sorge la dimora del dio, Bilskírnir, descritta alla strofa [24]. 5 — (d-f) Era usanza degli antichi Scandinavi di fare un dono al bambino quando metteva il suo primo dente, usanza che sembra si sia conser vata in Islanda fino a tempi molto recenti. Per il suo primo dente, Freyr avrebbe ricevuto in dono l'intero mondo degli elfi [Álfheimr], dettaglio che non ha riferimenti in altri testi. 6 — (d-f) Valaskjálfr è la reggia di Óðinn. L' áss che la «costruì per sé» all'inizio dei tempi è dunque lo stesso Óðinn. 8 — Hroptr, epiteto di Óðinn. 10 — Perché la formula d'apertura di questa strofa è identica a quella della strofa precedente, entrambi i manoscritti (sia il Codex Regius che il Codex Arnamagnæanus) la scrivono qui in forma abbreviata. 11 — Questa strofa è citata da Snorri (Gylfaginning [23 {33}]). 12 — Questa strofa è citata da Snorri (Gylfaginning [22 {32}]). 13 — Questa strofa è citata da Snorri (Gylfaginning [27 {37}]). 15 — Questa strofa è citata da Snorri (Gylfaginning [32 {39}]). 17 — (b) Seg uendo la lezione dei migliori interpreti del testo, abbiamo tradotto Víðars land viði con «nella boscosa terra di Víðarr», dal norreno viðr «bosco» (cfr. inglese wood). Alcuni studiosi ritengono tuttavia che la parola viði vada intesa come nome proprio: «in Viði, terra di Víðarr» (Bellows 1936). La difficoltà di tale interpretazione sta nel fatto che questo toponimo non compare in altre fonti mitologiche. 18 — Questa strofa è citata da Snorri (Gylfaginning [38 {44}]). 19 — Questa strofa è citata da Snorri (Gylfaginning [38 {45}]). — (c) Herjafǫðr «Padre degli eserciti», è epiteto di Óðinn. 20 — Questa strofa è citata da Snorri (Gylfaginning [38 {46}]). 21 — Questa strofa è tra le più difficili da interpretare di tutto il poema, sulla quale sono stati versati i proverbiali fiumi d'inchiostro. Letta in progressione con le strofe successive (essendo la [23] un'interpolazione), sembra narrare la difficile ascesa in cielo degli Einherjar [21], che quindi attraversano i cancelli di Valgrind [22] e quindi accedono nella Valhǫll [24]. — (c) Il Þund «tonante» è probabilmente un fiume che rende difficoltoso l'accesso alla Valhǫll. — (b-c) Il nome Þjóðvitnir «lupo del popolo» è un hápax legómen, non comparendo in nessun altro testo conosciuto; gli studiosi tendono a interpretarlo come un appellativo di Fenrir, ma questo non spiega la kenning «pesce di Þjóðvitnir», della quale non si comprende il significato. Secondo l'elegante ipotesi di Eysteinn Björnsson, il nome Þjóðvitnir sarebbe invece un epiteto di Heimdallr. Il termine vitnir, infatti, prima di specializzarsi nel senso di «lupo», significava letteralmente «[colui che ha] i sensi ag uzzi» (da vit «sensi»). Analogamente þjóð-, come prefisso nei nomi maschili, può fungere da accrescitivo. Interpretato in questo modo, il nome Þjóðvitnir può adattarsi perfettamente a Heimdallr, del quale appunto si diceva fosse in grado di scorgere qualsiasi cosa fino a cento leghe di distanza, e di percepire il rumore dell'erba che cresce sulla terra o quello della lana sul dorso delle pecore. In quanto al «pesce di Þjóðvitnir», secondo Eysteinn, sarebbe appunto il ponte Bifrǫst, alla cui estremità Heimdallr sta eternamente di vedetta. Per giustificare la sua asserzione, lo studioso nota che in norreno (ma anche in islandese moderno) la coda del pesce e la testa del ponte sono indicate con la medesima parola, sporðr (cfr. brúar sporði «l'estremità del ponte», in Sigrdrífumál [16]). L'intera strofa descriverebbe l'ascesa degli Einherjar lungo il ponte arcobaleno, il quale permette loro di scavalcare i fiumi cosmici che scorrono in cielo, di cui il Þund – forse ipostasi dell'atmosfera percorsa dai venti e vibrante del rombo del tuoni – è evidentemente uno dei più difficili da g uadare. [SAGGIO] (Björnsson 2000) 23 — La presenza di questa strofa [23] sulla sala Bílskirnir di Þrúðheimr, nel bel mezzo di una sezione di strofe incentrate
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sulla Valhǫll [21-26], fa pensare a un'interpolazione. Né basta a giustificarla il parallelismo nel numero delle porte e delle stanze tra la sala di Bílskirnir (23) e la sala di Valhǫll descritta nella strofa successiva [24]. È interessante che Snorri, pur citando entrambe le strofe, lo fa in contesti diversi: cita la [23] nel capitolo in cui tratta di Þórr (Gylfaginning [21]) ma la [24] molto più avanti, quando racconta del Ragnarøkr (Gylfaginning [40]). 24 — La difficoltà del calcolo è che húndruð in norreno significava originariamente «centoventi» e solo in seg uito questa parola venne usata per «cento». Dunque, se si intende l'húndruð di «centoventi», seicentoquaranta sono le porte della Valhǫll e novecentosessanta gli Einherjar che usciranno da ciascuna di esse (640 x 960 = 614 ˙ 400); se si intende l'húndruð di «cento», cinquecentoquaranta sono le porte di Valhǫll e ottocento gli Einherjar che usciranno da ciascuna di esse (540 x 800 = 432˙000). Considerazioni legate alla durata del ciclo della precessione degli equinozi indicherebbero nel secondo calcolo le cifre corrette (De Santillana ~ Von Dechend 1969), anche se i filologi preferiscono in genere attenersi al valore tradizionale di húndruð come «centoventi». 25 e 26 — (b) «Casa di Herjafǫðr» è presumibilmente una kenning per indicare la Valhǫll. 27-28 — Il novero dei fiumi cosmici è abbastanza confuso, l'ortografia dei nomi varia nei manoscritti del Grímnismál. Oltretutto nella sua opera Snorri riprende alcuni di questi nomi di fiumi, dandone due elenchi tra loro assai differenti (Gylfaginning [4 | 39]). Per un approfondimento sui fiumi cosmici, si veda il capitolo apposito [MITI]. — Secondo Sophus Bugge, le strofe [27-30] sarebbero in blocco un'interpolazione (Bugge 1867); altri editori che pure hanno accettato il passaggio, hanno invece espunto dei versi. 29 — (g) L'ásbrú «Ponte degli Æsir» è ov viamente il ponte Bilrǫst (secondo Snorri, Bifrǫst), l'arcobaleno che unisce la terra al cielo. Questa strofa è citata da Snorri (Gylfaginning [15 {22}]). — (h) Non si capisce perché il ponte vada a fuoco se vi transiti Þórr: forse vi è un riferimento a un mito che non conosciamo [MITI]. 33 — Alcuni studiosi, tra cui Sophus Bugge, pensano che questa strofa possa essere interpolata. Snorri, che pure riporta integralmente le due strofe successive [34-35], di questa fa soltanto una parafrasi (Gylfaginning [16]) ma senza aggiungere nulla di nuovo. — (b) «I più alti ramoscelli», che i cer vi brucherebbero, sono soltanto una traduzione ipotetica (Bellows 1936): nel manoscritto originale il testo non è molto chiaro. 34-35 — Queste strofe sono citate da Snorri (Gylfaginning [16 {15-16}]), anche se in senso inverso rispetto al loro ordine nel Grímnismál. L'ordine Snorri appare essere più logico, rispetto a quello tramandato dal poema. 36 — Questa strofa è citata da Snorri (Gylfaginning [36 {42}]). 37-41 — Secondo Müllenhoff queste strofe sarebbero state interpolate ed Edzardi sospetta che esse possano venire addirittura da una versione più antica del Vafþrúðnismál (si confronti Grímnismál [40] con Vafþrúðnismál [21]). Snorri parafrasa le strofe 37-39 (Gylfaginning [11]) e cita direttamente le strofe 40-41 (Gylfaginning [8 {11-12}]). 39 — (e) Hróðvitnir è un appellativo di Fenrir. — (c) In alcune traduzione il semiverso til varna viðar «al riparo tra i boschi» viene emendato in til Jarnviðar «al bosco di ferro», con riferimento alla località mitica di Jarnviðr, il bosco dagli alberi di ferro dove dimorano le streghe. — (f) «Chiara sposa del cielo» [heiða brúði himins] è una kenning per indicare il sole. In norreno, sól è femminile. 40-41 — Come detto, queste due strofe sono citate da Snorri (Gylfaginning [8 {11-12}]). 42 — Il senso di questa strofa non è affatto chiaro. 44 — Questa strofa è citata da Snorri (Gylfaginning [41 {49}]). 45 — Ora Grímnir cessa la sua esibizione di sapienza e torna, d'un tratto, alla realtà immediata. Legato tra i fuochi, egli alza il capo a rivelare chi sia. La sequela di nomi che enumera, oltre a continuare in qualche modo il contenuto gnomico-sapienziale del poema, prelude alla rivelazione finale, chi sia dav vero il viandante che Geirrøðr, in spregio alle sacre regole dell'ospitalità, sta torturando. I nomi che egli elenca in una serie di fittissime strofe sono infatti gli heiti di Óðinn. 46-49 — Il canone degli heiti di Óðinn viene citato da Snorri in una lunga sequenza (Gylfaginning [20 {30}]), privata delle parti discorsive che nel poema interrompono l'enumerazione dei nomi. La maggior parte di questi epiteti si riferiscono evidentemente a miti che non conosciamo, di cui anzi qua e là si fa qualche oscuro accenno (ad esempio deve essere esistito un mito dove Óðinn, sotto il nome di Jálkr, si recò presso le genti di un certo Ásmundr; oppure di quando, sotto il nome di Kjalarr, fu costretto a tirare una slitta). Per approfondire gli epiteti di Óðinn, si veda [SAGGIO]►. Epilogo — Dopo che Óðinn ha cessato di parlare e il suo lungo discorso si è chiuso, una piccola, tragica chiusa in prosa, conclude il poema.
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BIBLIOGRAFIA ►
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