Viscerale Totale [PDF]

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Zitiervorschau

Anno 3 sem 1 Menichelli PRESENTAZIONE DELL’ OSTEOPATIA VISCERALE E IL PERITONEO [ANDARE A RIVEDERE L’ANATOMIA E LA FISIOLOGIA VISCERALE] Per capire per quale motivo si debba parlare di osteopatia in ambito viscerale e perchè sia importante valutare e trattare un viscere si può ricordare di quello che ci disse il prof Audouard a proposito del cranio: si tratta di una struttura come un’altra e in osteopatia i visceri fanno parte della globalità. Si pensa spesso che la parte viscerale non sia stata integrata nell’osteopatia classica del Dr A. Still perchè partiva dalla struttura però per ogni organo che studieremo durante questo corso, verrà citato cosa diceva Still a proposito perchè in realtà egli si occupava dell’osteopatia viscerale pur non avendo le nostre competenze odierne di anatomia e fisiologia: per esempio sui reni diceva che pur non sapendo a cosa servissero queste strutture ipotizzava che potessero avere il compito di filtrare l’aria o quant’altro.. anche senza capire precisamente le funzioni rifletteva moltissimo su dissenteria, su tutte le malattie legate ai polmoni, al cuore e all’apparato digerente; è dunque un falso storico pensare che il viscerale non faccia parte dell’osteopatia classica. I visceri inoltre si muovono: come tutta la parte osteopatica vista finora se è vero che i visceri si muovono, ci interessano perchè noi lavoriamo sulla mobilità delle strutture. Lavorare i visceri per noi è assolutamente un concetto che si sposa benissimo con i principi osteopatici, anche per la parte viscerale infatti si applicano perfettamente le regole dell’osteopatia generale di Still: • globalità: se ci fosse una restrizione di mobilità a livello viscerale pensiamo bene che ciò potrebbe avere un impatto su tutto l’organismo, così come se ci fosse un blocco dell’astragalo; • per ogni organo vedremo che> la struttura governa la funzione e poi in realtà ribalteremo il concetto cioè “la funzione governa la struttura”, sono concetti interdipendenti; • il ruolo dell’arteria è supremo: parleremo tantissimo del concetto di riorganizzare la vascolarizzazione dell’addome e non solo, quando si parla di vascolarizzazione si intende anche l’innervazione; • la vita è movimento: vedremo quanti movimenti hanno i visceri e rispetto a quante cose si muovono. Un cenno veloce sull’embriologia del tubo digerente: in realtà è un argomento molto interessante (vedremo al VI anno) e si parla tanto del sistema gastro-intestinale in relazione all’embriologia. È una parte che non faremo perchè abbiamo impostato un metodo che va in un’altra direzione, sarebbe comunque meglio darle un’occhiata perchè l’embriologia spiega il posizionamento anatomico del viscere nell’addome, sono le rotazioni embriologiche che motivano la localizzazione dei visceri e alcuni tipi di movimento che vedremo. Abbiamo i tre foglietti embriologici: endoderma, ectoderma e mesoderma. Dall’endoderma si sviluppa > il tubo digerente, le sue ghiandole mucose e il parenchima degli organi; dal disco laterale del mesoderma abbiamo > la pleura e il peritoneo. Abbiamo detto che gli organi si muovono, nel libretto del CERDO per spiegare per quale ragione ci interessiamo delle patologie funzionali viscerali è riportato l’esempio del rene che ha un movimento di circa 3 cm nella sua loggia renale. MOTORI dei visceri I visceri si muovono e lo fanno rispetto a tantissime cose: 1. sistema nervoso somatico: se si cammina, si fa ginnastica, gli addominali.. i visceri avranno un movimento passivo rispetto a quello scheletrico, è impossibile che si faccia una flessione del busto e i visceri non si adattino comunque a questo movimento somatico. È un movimento chiaramente del tutto passivo motivato dal sistema muscolo-scheletrico. 2. Sistema nervoso autonomo: è un movimento, se vogliamo, un po’ meno passivo. É il diaframma che durante l’inspirazione e l’espirazione si muove in alto e in basso e determina con questo movimento anche quello viscerale; è quello di cui ci occuperemo prevalentemente nei prossimi 3 anni. 3. Abbiamo un movimento dei visceri rispetto al cuore, ossia rispetto alla circolazione: la sistole provoca un impulso vascolare che arriva non solo ai polsi radiale, femorale o carotideo che solitamente palpiamo ma anche a livello viscerale. Ci sono dei centri vascolari molto importanti che partono dall’aorta (li vedremo) e i 1

visceri risentono di tali movimenti vascolari. 4. La peristalsi: un movimento autonomo dei visceri che serve prevalentemente al rimescolamento e alla propulsione del bolo (cibo) verso l’evacuazione (per quanto riguarda l’apparato digerente, in realtà qualcosa di simile avviene anche a livello bronchiale con movimenti non peristaltici ma comunque di contrazione e rilassamento..) 5. Infine rispetto all’impulso ritmico craniale (IRC): così come riusciamo a sentirlo sulla periferia, allo stesso modo i visceri hanno un movimento rispetto all’IRC. Ogni motore darà un movimento: quello di un viscere rispetto al diaframma potrebbe essere (o anche no) uguale a quello che compie rispetto alla peristalsi, potrebbe essere identico rispetto a quello dell’IRC o differenziarsi. Ciò che sicuramente si differenzia tra un motore e l’altro è la frequenza, il ritmo e l’ampiezza. Significa che si possono fare dei test e delle valutazioni di questi diversi movimenti basandosi sulle loro frequenze: se trovo una determinata frequenza (da tot a tot) saprò di essere per esempio sulla respirazione toracica; se invece tale frequenza sarà di 6-12 atti/min sono sull’IRC.. discriminando in ascolto di quale motore ci si trova di volta in volta. C’è un problema di denominazione di questi movimenti rispetto ai motori, delle variazioni nei diversi autori (per esempio Barral usa una denominazione diversa rispetto a quella che adottiamo al CERDO, tuttavia si modifica solo il modo di chiamare le cose). Terminologia Al CERDO definiamo: Mobilità: il movimento dei visceri rispetto al diaframma. Il ritmo (frequenza) è di 14-18 cicli/min. Perciò quando andrò a testare un’altra struttura (tutto ciò che NON sia un movimento del viscere rispetto al diaframma) per non creare confusione terminologica non utilizzerò il termine “mobilità” (anche se di fatto sto facendo quello che in osteopatia generale definiamo un test di mobilità), per esempio su un legamento (viscerale) utilizzerò i termini: “test di allungamento”, “test di tensione” o “test di densità” ma tra osteopati quando si parla di test di mobilità viscerale si intende solo il movimento del viscere rispetto al diaframma (ripetita iuvant). Motilità: il movimento del viscere rispetto all’IRC. Il ritmo è di 8-12 cicli/min. Non si è più in ascolto del movimento diaframmatico ma si va alla ricerca della frequenza corrispondente all’IRC. Motricità: è il movimento rispetto alla peristalsi (o rispetto al SN neurovegetativo), è sono movimenti intrinseci del viscere. Barral (al CERDO gli diamo attenzione) parla di motilità (che per noi è sull’IRC) intendendo un movimento di cui non ha ancora definitivamente individuato l’origine: probabilmente ipotizza essere in relazione con la memoria embrionale del viscere che è completamente avulso da qualunque altra frequenza (non corrisponde all’IRC, al diaframma, al cuore..), lo definisce bifasico (andata/ritorno, come tutte le altre frequenze), ha una frequenza di 7-8 cicli/min. Specifica chiaramente che non corrisponde minimamente a quella che noi definiamo motricità (peristalsi) e parla di “inspiro” e “espiro” per distinguerlo da “inspirazione” e “espirazione” (la mobilità rispetto al diaframma). Quando andremo ad approfondire la materia sui testi di Barral ricordiamo che con i termini “motilità, inspiro ed espiro” egli si riferisce a un movimento che probabilmente (non è riuscito a fare lo studio su tutti gli organi) è in relazione alla memoria embrionale corrispondente ai movimenti e alle rotazioni di localizzazione dei visceri nella cavità addominale durante l’ontogenesi. Nonostante la difficoltà iniziale nella pratica, le frequenze sono abbastanza diverse da permettere agevolmente di stabilire su che livello di ascolto ci si trova. Ogni viscere e ogni organo si muove secondo assi e direzioni che vedremo di volta in volta, viscere per viscere. I cambiamenti di tale movimenti o comunque delle restrizioni di mobilità possono influenzare la mobilità, la motilità ma anche la motricità di un organo e questo può comportare: 1. prima di tutto delle patologie locali con relativi sintomi, per esempio una restrizione di mobilità di stomaco col tempo può provocare una patologia. 2. Patologie locali asintomatiche se trovo una disfunzione osteopatica ma il paziente ancora non ha sintomi perchè questi arriveranno col tempo: lavoreremo anche in questo ambito sulla prevenzione sintomatologica. 2

3. Possiamo trovare una disfunzione su postumi di patologia: per esempio dopo interventi chirurgici, importanti malattie d’organo (anche in fase di guarigione.) 4. Patologie a distanza: quelle che finora abbiamo visto essere fondamentali per le nostre cliniche e le nostre riflessioni osteopatiche. I visceri si articolano tra loro e sulle pareti strutturali (vedremo come) e hanno delle relazioni vascolari, fasciali e neurovegetative a distanza (concetto di globalità), ciò significa che una patologia/disfunzione vertebrale o craniale per esempio avrà per forza delle ripercussioni a livello viscerale e viceversa. IL PERITONEO Il peritoneo rappresenta il legame tra tutte le strutture viscerali addominali: possiamo pensare che agisca come nel cranio fanno le membrane di tensione reciproca, perchè è la connessione tra tutti i visceri e tra i visceri e la struttura. Significa che una restrizione di mobilità in qualunque punto di questo peritoneo non può che portare una difficoltà in tutte le parti in cui esso si trova, così come a livello vertebrale una disfunzione/blocco cervicale potrebbe modificare completamente il funzionamento della catena meccanica, allo stesso modo se il peritoneo è uno, un qualunque punto di fissazione modifica il funzionamento di tutto. Si potrebbero fare: test di mobilità, test di motricità, test di motilità, test emodinamici vascolari, test di pressione e test delle articolazioni viscerali (i legami di peritoneo tra i vari visceri). In realtà purtroppo non vedremo tutto e nei prossimi tre anni faremo prevalentemente dei test di mobilità (la motricità invece sarà argomento di studio nel corso di neurovegetativo), sulla motilità accenneremo qualcosa ma non rientra prettamente nel programma didattico, così pure i test emodinamici che comunque verranno accennati in quanto interessanti e per capire la globalità. Il peritoneo è una membrana sierosa a doppio foglietto di circa 2m² e riveste quasi completamente tutta la cavità addominale e parzialmente quella pelvica, lo si può immaginare come un sacco chiuso che aderisce alla parete addomino-pelvica che poi si sdoppia per andare a rivestire anche i visceri uno per uno. Parleremo di divisione in peritoneo parietale e peritoneo viscerale ma in realtà non esiste soluzione di continuità, è composto infatti da due foglietti: una lamina parietale che è quella che si accolla alle pareti e una lamina viscerale che riveste gli organi. Questi due foglietti sono in continuità tra loro tramite delle strutture (sempre di peritoneo) che prendono il nome di: meso, epiploon, legamenti e omenti che collegano i visceri tra loro e alle pareti. Come prima suddivisione del peritoneo parietale individuiamo: - il p. diaframmatico che è proprio accollato sotto le cupole freniche - il p. addominale o parietale ant, dietro la muscolatura addominale con interposta la fascia trasversalis (andando in senso A/P alla dissezione troviamo: cute, sottocute, muscolatura addominale, fascia trasversalis, peritoneo parietale, peritoneo viscerale e viscere) - il p. parietale post, anteriormente alla parete addominale posteriore, accollato alla fascia iliaca e alla fascia del quadrato dei lombi. Da notare subito che il diaframma divide le cavità addominale e toracica e che le cupole diaframmatiche si proiettano anteriormente sulla parete toracica abbastanza in alto: in condizioni di media inspirazione a dx arriva fino al IV spazio intercostale e a sin fino al V spazio intercostale. Da questo livello in giù corrisponde la cavità addominale, ossia ci sono dei visceri addominali sottocostali: per es il fegato, lo stomaco e la milza lateralmente hanno un contatto parietale con la parete costale (mediato dal diaframma). Anche se banale questo dovrebbe colpirci perchè solitamente siamo portati a immaginare il torace completamente riempito dai polmoni che in realtà hanno una conformazione tale per cui arrivano a K6 ma la cupola diaframmatica è molto alta. I meso, gli epiploon, i legamenti e gli omenti sono delle pliche peritoneali di collegamento, costituite dall’accollamento di due lamine peritoneali che si sdoppiano per avvolgere la parete e gli organi singolarmente, è comunque un unico foglietto sieroso.

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Questa parte di peritoneo che funge da collegamento è quella che si fa chiamare articolazione viscerale che unisce la parete al viscere (come nell’immagine) oppure il viscere con un altro viscere (anche il peritoneo viscerale si sdoppia e passa da un organo a un altro compiendo delle rotazioni, dei cambi di direzione..). Sono i collegamenti su cui lavoreremo perchè oltre a guidare la mobilità meccanica, portano vasi e nervi: cercheremo la liberartà di queste articolazioni viscerali anche la libertà del sistema vascolare e nervoso. Definiamo: Meso: è la formazione peritoneale tesa tra parete e viscere (un collegamento tra l’una e l’altro). Accoglie nel suo spessore vasi e nervi, con presenza di abbondante tessuto connettivo Epiploon (o legamento o omento): è sempre una struttura bilamellare peritoneale che collega stavolta un viscere con un altro viscere (collegano due o più visceri). Il termine legamento è più spesso riservato agli epiploon ma può accomunare anche i meso, è più un termine osteopatico perchè rende bene il concetto della relazione funzionale molta stretta tra i visceri (articolazione viscerale), in anatomia classica viene utilizzato sempre meno. fegato

stomaco pancreas colon discendente

cieco lacuna dei vasi vescica urinaria

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colon iliaco lacuna dei muscoli

diaframma

fegato aorta piccolo omento foro di Winslow pancreas duodeno mesentere colon trasverso

stomaco piccolo sacco

grande omento piccolo intestino

colon pelvico

utero vescica

retto

diaframma fascia diaframmatica leg falciforme del fegato peritoneo (margini di sezione) fascia trasversale e suo margine di sezione linea arcuata o semicircolare (del Douglas) m. retto dell’addome vasi epigastrici inf triangolo inguinale (di Hesselbach) fascia trasversale (sezionata) leg interfoveolare vasi circonflessi iliaci profondi anello inguinale addominale (o profondo) arteria cremasterica (o spermatica est) ramo retropubico dell’arteria epigastrica inf vasi iliaci est cordone spermatico anello femorale guaina femorale leg lacunare (del Gimbernat) leg pettineo (del Cooper) falce inguinale e tendine congiunto arteria ombelicale (obliterata oltre questo punto) vasi e nervo otturatore canale otturatorio uretere (sezionato) arteria vescicale superiore condotto deferente

TRE spazi La disposizione del peritoneo consente di individuare: 1. uno spazio PERItoneale che contiene tutti gli organi peritoneali (quelli rivestiti da peritoneo e dentro la cavità) 2. uno spazio RETROperitoneale: ci sono dei visceri che non vengono ricoperti completamente dal peritoneo (alcuni solo parzialmente, altri per niente), questo spazio è posto tra il foglietto parietale posteriore e la parete 3. uno spazio SOTTOperitoneale che si localizza al di sotto del foglietto inferiore del sacco peritoneale che lascia fuori così delle strutture: utero, vescica, ultima parte degli ureteri, tube e ovaie, prostata una parte del sigma-retto [possiamo considerare come limite inferiore dell’addome rispetto alla pelvi il foglietto inferiore del peritoneo, ma anatomicamente classicamente si fa riferimento allo stretto superiore del bacino]. pleura leg rotondo del fegato e vene paraombelicali ombelico peritoneo fascia trasversale mm. obliqui esterno e int dell’addome m. trasverso dell’addome leg ombelicale laterale di sin (arteria ombelicale di sin obliterata) piega ombelicale laterale di dx leg ombelicale medio (uraco obliterato) e vene paraombelicali nella piega ombelicale media fascia prevescicale piega contenente i vasi epigastrici inf n. femorale fascia iliaca m. ileo-psoas vasi iliaci esterni piega pubo-vescicale piega vescicale trasversa arco tendineo del m. elevatore dell’ano m. otturatore int diaframma (o trigono) uro-vescicale vescichetta seminale prostata vescica urinaria

Peritoneo parietale ANT É sito dietro alla fascia trasversalis e corrisponde alla faccia ant dei visceri. Lungo la linea mediana si solleva in una piega che si fa sempre un po’ più profonda andando verso l’alto, è importante perchè costituisce il legamento falciforme del fegato: nel feto dava passaggio nel suo margine libero alla vena ombelicale che collegava il feto alla mamma, dopo la nascita si oblitera e diventa legamento rotondo (del fegato). Le lamine che formano il legamento falciforme poi andranno a rivestire il fegato e formeranno la lamina superiore del legamento coronario (che collega l’organo al diaframma). Sotto l’ombelico il peritoneo forma diverse pieghe: una media e le due pieghe ombelicali laterali. La prima forma il legamento ombelicale medio (residuo dell’uraco obliterato) su cui faremo un lavoro; i due legamenti ombelicali laterali di dx e sin (residui delle arterie ombelicali fetali obliterate) si portano ai margini laterali della vescica. Tutto questo, anche senza saper né leggere né scrivere, ci fa capire il collegamento osteopatico tra: diaframma-linea mediana del corpo - fegato - legamento rotondo - ombelico- vescica! Ossia un collegamento meccanico diretto, una vera articolazione viscerale su cui lavora l’osteopatia: si spiega come una disfunzione di fegato può condizionare una vescica.

leg. falciforme del fegato

lobo sin del fegato

leg. rotondo del fegato lobo dx del fegato

flessura sin del colon

cistifellea

grande omento (grande epiploon)

colon ascendente

mm. obliquo esterno e int dell’addome, m. trasverso dell’addome

tenia del colon

ileo piega ombelicale lat (piega epigastrica con a. e v. epigastriche inf)

m. retto dell’addome

piega ombelicale mediale (con leg ombelicale lat) linea arcuata

piega ombelicale media (con residuo dell’uraco)

Peritoneo parietale POST É la parte posteriore del sacchetto, si porta verso il basso e riveste la parete post dell’addome lasciando fuori dalla copertura alcuni organi e altri li copre parzialmente. Per es. il duodeno nella sua porzione sup è completamente rivestito dal peritoneo viscerale mentre il resto è coperto solo nella sua parete ant, è retroperitoneale; anche i reni e gli ureteri sono retroperitoneali; il pancreas lo è tranne che per alcune sue piccole parti 6

(quindi il peritoneo parietale post ricopre parzialmente il duodeno e non ricopre pancreas, reni, uretere). I visceri intraperitoneali sono agganciati alla parete tramite i meso che vi lasciano un’impronta (come quelle del mesocolon trasverso, del mesentere e del mesocolon sigmoideo). Procedendo con una stratificazione della cavità e del contenuto addominale troviamo (da dietro in avanti): - gli organi retroperitoneali: reni, pancreas, ureteri, parte del duodeno, milza, grossi vasi - il peritoneo parietale post e colon ascendente e discendente che sono parzialmente (e incostantemente) retroperitoneali - gli organi intraperitoneali: le anse del tenue, stomaco, fegato, colon trasverso.. - il peritoneo parietale ant - la parete ant dell’addome [non ci sono meso ad attacco anteriore] [VEDERE SLIDES PRESENTAZIONE]

vv. epatiche diaframma, in rapporto v. cava con area nuda del fegato inferiore peritoneo parietale ghiandola surrenale dx leg. epatoduodenale (con v. porta, a. epatica propria e dotto coledoco) reno dx duodeno, parte sup.

duodeno, parte discend. pancreas (testa) duodeno, parte orizz. duodeno, parte ascend. a. addominale radice del mesentere a. e v. iliache comuni di dx sede del colon ascendente mesoappendice uretere dx retto m. retto dell’addome piega ombelicale media (con residuo dell’uraco)

ghiandola surrenale sin leg. gastrolienale a. e v. lienali pancreas (corpo e coda) mesocolon trasverso (radice) a. e v. coliche di sin sede del colon discend. a. e v. mesenteriche superiori a. mesenterica inferiore mm. obliquo esterno e int dell’addome, m. trasverso dell’addome recessi paracolici peritoneo parietale post mesocolon sigmoideo uretere sin a. iliaca esterna piega ombelicale lat (piega epigastrica con a. e v. epigastriche inf) piega ombelicale mediale (con leg ombelicale lat)

Peritoneo PELVICO È il foglietto più basso che si appoggia sopra gli organi del piccolo bacino (extraperitoneali, anche se alcuni ne sono ricoperti): vescica, utero, ovaio, retto, rene, uretra e prostata. Il peritoneo globalmente finisce sulla proiezione vertebrale a livello di S3, ricordando che la proiezione vertebrale non è un aggancio anatomico: quando faremo i nostri test, trovare delle zone vertebrali avrà un significato preciso ma diverso è trovare un attacco anatomico come può essere quello del diaframma su L1. Gli epiploon (legamenti) più importanti sono i seguenti: gastro-colico (da stomaco a colon trasverso) 7

gastro-splenico (da stomaco a milza) gastro-epatico detto anche piccolo epiploon o piccolo omento (da stomaco a fegato) pancreatico-splenico (da pancreas a milza) gastro-frenico (un attacco dello stomaco al diaframma) grande epiploon o grande omento che in realtà è una piega peritoneale (libera) che dallo stomaco passa sopra il colon trasverso a ponte e va a tappezzare anteriormente l’addome; è una plica sierosa che scende a volte fino al pube, altre rimane più corta. È come un grembiule ed è pieno di grasso e linfatici, ha quindi un grande interesse termico e immunitario. I meso più importanti sono i seguenti: mesocolon trasverso: è importante perchè divide l’addome in una porzione sovramesocolica e una sottomesocolica (ergo dividiamo gli organi in sovra- e sottomesocolici). meso sigmoideo meso dell’intestino tenue o mesentere che è l’aggancio (trasversale sulla parete posteriore) per tutte le anse dell’intestino tenue Tra questi notiamo non esserci i mesocolon ascendente e discendente perchè sono incostanti e ci sarà una relazione diretta tra queste porzioni del crasso e gli organi retroperitoneali (per esempio il rapporto con il rene viene mediato solo dalla fascia prerenale, senza interposizione di peritoneo). Ogni organo è tenuto in sede da: peritoneo (ossia legamenti e pliche) effetto turgor depressione sottodiaframmatica: le relazioni pressorie tra le cavità toracica, addominale e piccolo bacino sono quelle creano un buon equilibrio nell’addome, tant’è vero che degli squilibri pressori creano sempre delle patologie. liquido peritoneale nel sistema a doppio foglietto elasticità propria di ogni organo (sia che sia pieno o cavo) contenuto sistema di aggancio vascolare [in generale denominiamo ORGANI gli organi pieni e VISCERI gli organi cavi, ma nella pratica quotidiana si può prestare poca attenzione a questo. Il tenue è un viscere lo stomaco è un organo]. Vascolarizzazione ARTERIOSA del tubo digerente Esistono dei riferimenti (reperi) vascolari da conoscere, tutta la vascolarizzazione dei visceri addominali è a carico di rami dell’arteria aorta addominale (che a livello di L4 si biforca nelle due aa. iliache comuni). Dopo aver perforato il diaframma l’aorta addominale emette diversi rami di cui tre sono da ricordare: - il tripode celiaco: è uno dei primi tronchi in alto che si situa a livello della proiezione vertebrale di D12, è responsabile della vascolarizzazione della zona sovramesocolica, si divide infatti in arteria gastrica sin, arteria epatica comune e arteria splenica (o lienale). - l’a. mesenterica sup: emessa a livello di L1, irrora: tutte le anse del tenue, il cieco, il colon ascendente, l’angolo colico destro o ang epatico e la metà dx del colon trasverso. - l’a. mesenterica inf: origina a livello di L3 (ombelicale), irrora la metà sin del colon trasverso, l’angolo colico sin, il colon discendente, colon sigmoideo e parte del retto (di cui la restante parte è pertinenza dell’arteria emorroidale).

D12 tripode celiaco

L3

a. mesenterica inf

L1

L4

biforcazione

a. mesenterica sup

Il drenaggio VENOSO È formato da due sistemi: quello della vena cava e quello della vena porta. La vena porta porta al fegato 8

tutto il sangue refluo dal s. digerente tramite la vena splenica e le due vene mesenteriche (sup e inf) per tante ragioni che vedremo: funzione antibatterica e funzione metabolica in primis. Il sistema della vena porta non è il drenaggio proprio del fegato che avviene per le vene epatiche. Innervazione del tubo digerente È duplice, ossia a carico delle due componenti del sistema neurovegetativo, che per convenzione viene diviso anatomicamente in 2 porzioni: il s. ortosimpatico e parasimpatico. In realtà si ricordi sempre che su un piano funzionale collaborano strettamente, l’uno necessita e non è inibitore dell’altro, sono insieme regolatori. Il S. ORTOSIMPATICO parte dalle catene latero-vertebrali, i GANGLI interessati per quanto riguarda il sistema gastrointestinale sono quelli compresi tra D1 e D12, situati con precisione davanti alle teste delle coste da K1 a K12 (già questo dato è interessante: quando facciamo una dog dorsale non è solo un lavoro articolare ma agiamo anche a livello neurovegetativo viscerale). Dell’ortosimpatico ci interessano il n. grande splancnico (gangli da D6 a D9) e il n. piccolo splancnico (gangli da D9 a D12). I due sistemi si organizzano in plessi che sono delle stazioni in cui orto e para si incontrano, quelli che ci interessano sono i plessi addomino-pelvici. Aumenta: la funzione cardiaca (tachicardia) la funzione respiratoria (bronco dilatatore) la funzione linfatica Diminuisce: la funzione digestiva (disgregazione dell’alimento soprattuttoa livello di stomaco e fegato) funzione di assorbimento intestinale funzione biliare funzione di evacuazione colica (peristalsi) la fnzione urinaria Il S. PARAsimpatico che ci interessa è quello craniale che forma il n. vago (dx e sin) ed è fondamentale per il controllo viscerale (trattando il cranio perciò posso ottenere un effetto sui visceri); abbiamo poi il parasimpatico sacrale che parte dal sacro, raggiunge il plesso ipogastrico e innerva soprattutto: colon discendente, sigma e retto. Aggiungiamo poi i Plessi Mienterici (ne riparleremo quando passeremo al lavoro pratico) ossia il plesso di Auerbach e il plesso sottomucosale che secondo degli studi attuali hanno un peso maggiore di quello assegnatoli in passato, si è visto che non fanno proprio parte del sistema nervoso neurovegetativo classico ma sono inseriti come un sistema proprio e strutturato con una importanza molto maggiore di quella riconosciuta finora. Aumenta la peristalsi e apre gli sfinteri. Quello ortosimpatico è un sistema diurno e di fuga: aumento della frequenza respiratoria e cardiaca, del diametro della pupilla, tutto il sangue va ai muscoli.. sono reazioni di allerta e questo scatena tutta una serie di funzioni che aiutano il metabolismo in questa direzione ossia si blocca il sistema parasimpatico, gli sfinteri saranno chiusi e l’attività digerente si ferma. È un sistema di relazione, attivo quando si interagisce. Il s. parasimpatico è il sistema notturno di recupero a funzione digestiva, aiuta l’assorbimento e la funzione biliare; la peristalsi, l’evacuazione e la funzione urinaria. A tale classificazione didattica in realtà corrisponde un’azione molto più complessa e coordinata di modulazione dei due sistemi. [segue carrellata di slides sull’anatomia addominale] DOMANDE varie ed eventuali: La peristalsi: non esiste un ritmo e una frequenza fissa. Ci sono diverse onde: una peristaltica massiva di progressione del contenuto gastroenterico e delle onde minori di rimescolamento. Barral sta studiando se 9

esista una frequenza standard, probabilmente esiste ma è comunque molta variabile in base allo stato neurovegetativo e agli stimoli esterni (per esempio ingestione del cibo e riflesso di evacuazione). Sul viscere andremo a valutare prevalentemente la sua mobilità rispetto al diaframma. Statisticamente fino all’80 % delle lombalgie hanno un’origine viscerale, oppure pensate alle conseguenze di una gravidanza. Cicatrici e aderenze post-chirurgiche sono rilevanti sul piano meccanico ma anche dal punto di vista biochimico (certe sostanze perdurano per decenni intorno alle cicatrici), oppure Pz con vertigini tossiche da chemio dopo 20 anni.. Cenni sulla storia dell’osteopatia viscerale: Still faceva già tanti collegamenti ma è a tutt’oggi una materia poco strutturabile e sistematizzata (primo Barral) per la diversità e la personalizzazione degli approcci. Per sua natura è un sistema “volubile”, mobile e influenzabile (anche dallo stato emotivo). I VASI sono retroperitoneali Divisione dell’addome in 9 quadranti Linee verticali da metà clavicola fino a SIAS Linee orizzontali una passa per k8, l’altra passa per le SIAS 2. epigastrio stomaco (antro pilorico) piloro parte alta duodeno parte del lobo sin del fegato parte del colon trasverso 1. ipocondrio dx fegato cistifellea ang colico dx prima parte del trasverso

3. ipocondrio sin stomaco milza ang colico sin un pezzo di fegato parte del trasverso

4. fianco dx colon ascendente anse intestinali

6. fianco sin colon discendente anse intestinali

7. fossa iliaca dx cieco appendice ovaio dx uretere

9. fossa iliaca sin sigma ovaio sin anse intestinali uretere

Punti di repere Milza Rene Tronco celiaco A. mesenterica sup A. mesenterica inf 10

5. mesogastrio anse intestinali tenue testa del pancreas colon trasverso quadro duodenale

8. ipogastrio vescica prostata vescicole seminali anse intestinali utero sigma retto (il sigma diventa retto a livello di S3)

K8 K11 (nell’ipocondrio sin a metà dell’ascella tra K8 e K11) D11 L3 D12 L1 L3

Ombelico Biforcazione aa. iliache Piloro valvola ileocecale

L3 L4 (aorta che si divide nelle due iliache) nella zona (non è un punto) delimitata dalla linea transpilorica tra le 2 cartilagini di K8 e la metà della linea verticale che unisce il processo xifoideo all’ombelico > si trova sulla linea mediana o spostato leggermente a dx a metà della linea che unisce l’ombelico alla SIAS di dx

Osservazione Cicatrici Macchie, brufoli, capillari Colore della pelle Respiro del Pz: - frequenza respiratoria - tipo di respirazione - quando il Pz ventila ci sono delle zone dell’addome che si muovono meno? Queste zone sono interessanti perché indicative di problematiche, infatti una zona addominale che respira bene general. è una zona sana. Temperatura valutata in maniera globale (un addome caldo è un addome sano; fanno eccezione gli stati patologi infiammatori gravi. Le zone fredde sono di interesse osteopatico perché indicano qualcosa che non va). Cercheremo delle “densità” perché un addome sano è caldo, morbido e mobile.

Pratica

NB: generalmente si lavora alla dx del Pz. 1. Esercizio per la visualizzazione dei vari organi: Mentalmente e con la mano si percorre tutta la distribuzione del tubo digerente. 1. Bocca, esofago che entra nel diaframma, dove poi inizia lo stomaco, che arriva sino al piloro. 2. Dal piloro parte il 1° duodeno verso il fegato, il 2° duodeno fino all’ombelico, il 3° duodeno va a cavallo dell’ombelico ed il 4° duodeno che risale (si ferma circa ai lati dell’ombelico). 3. Dal 4° duodeno partono tutte le anse intestinali, che coprono tutti i visceri sino ad arrivare in fossa iliaca dx, dove si trova il cieco. 4. Dal cieco si diparte il colon ascendente, che arriva alto in ipocondrio dx (quindi sopra le coste), segue poi l’angolo colico dx, il colon trasverso che passa a ponte sopra l’ombelico, per arrivare con l’altra parte del colon trasverso sin sino all’ipocondrio sin (angolo colico sin). Da qui parte il colon discendente poi il colon iliaco, il sigma (che a livello di S3 diventa retto facendosi retroperitoneale) ed infine il retto, che va dietro la sinfisi pubica. Se si vuole durante il percorso si possono denominare i vari organi che ci sono tenendo in considerazione che ci sono più organi nello stesso punto.

stomaco

IV duodeno

I e II duodeno

ang. colico dx

III duodeno

colon trasverso

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ang. colico sin 2. Esercizi di osservazione dell’addome Pz supino. Osservazione. Si osserva l’addome del Pz al fine di rilevare la presenza di eventuali cicatrici, angiomi, macchie varie, piercing, capillari rotti sull’addome, nei molto evidenti. Si valuta il colore, cioè se ci sono delle zone cromatiche diverse in addome e dell’addome rispetto ad altre zone corporee. Si osserva la ventilazione del Pz. Ricordiamo che un addome globalmente sano dà l’idea di una fase inspiratoria ed espiratoria libere ed omogenee. Si valuta la frequenza e l’ampiezza della respirazione e se ci sono zone dell’addome che ventilano meno bene di altre. Si procede alla valutazione della temperatura ponendosi con la mano a poca distanza dal tessuto e procedendo lungo i vari quadranti addominali nell’ordine che si preferisce (non si deve poggiare la mano sull’addome perché arriverebbero altri tipi di informazioni. Si cercherà di percepire se ci sono zone fredde, dove per freddo si intende che c’è una irrorazione meno funzionale rispetto alla norma. Questo tipo di esercizio richiede un approccio che non sia corticale, bisogna fare affidamento sulle proprie sensazioni. 3. Test di valutazione dell’addome Lavorando sempre con la stessa mano si effettua un test di pressione sui 9 quadranti dell’addome. Nel testare gli ipocondri dx e sin si effettuerà una pressione con tenar ed ipotenar (non con le dita) spingendo in alto e verso la spalla (perché fegato e stomaco sono sottocostali). Per tutti i rimanenti quadranti la “spinta” sarà verso dietro in modo da non andare a mobilizzare il peritoneo durante il test di pressione altrimenti si avrebbero delle informazioni sbagliate. Nella valutazione dei vari quadranti si può procedere nell’ordine che si preferisce.

test su ipocondrio dx e sin, spinta in alto e verso la spalla con tenar ed ipotenar

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epigastrio

mesogastrio

fossa iliaca dx

fianco dx

fianco sin

ipogastrio A questo punto avendo trovato per es. due quadranti più densi, “duri” rispetto agli altri su questi si esegue un test di bilanciamento per stabilire quale tra i due è più denso e quindi si trova in disfunzione. Qualora siano tre i quadranti maggiormente “duri”, se ne comparano prima due e poi quello che viene fuori dal test di bilanciamento viene paragonato con il terzo quadrante individuato, sino a trovarne uno più denso. Trovato il quadrante in disfunzione si ragiona sugli organi che in esso si trovano.

fossa iliaca sin La pressione da applicare sui quadranti è propria di ogni osteopata. L’osteopata deve posizionarsi in maniera comoda, ben piantato sulle gambe; il braccio e la mano che non effettuano il test si trovano lungo il corpo e non si appoggiano al lettino (cosa che peraltro neanche l’osteopata deve fare). Anche questo test non prevede un approccio corticale, bisogna solo fare affidamento sulle proprie sensazioni per la valutazione della densità. DIAFRAMMA Premesse È il motore, il muscolo principale della respirazione, agisce sulla mobilità costale, ed è come un distributore

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di forze ascendenti e discendenti per le catene fasciali. Osteopaticamente è un muscolo di entrata per il viscerale. Per garantire equilibrio e confort questa struttura è in attività costante in modo da poter fornire, attraverso la corretta alternanza delle fasi di inspirazione ed espirazione, un corretto apporto di ossigeno ai tessuti ed un controllo del ph a livello ematologico. Il diaframma è al centro di un setto o asse aponevrotico centrale, che divide il corpo in due metà: superiormente c’è il torace e inferiormente l’addome. Osteopaticamente per la posizione centrale che occupa viene considerato come la vittima di disfunzioni create da altre strutture muscolari, fasciali e viscerali. Pertanto le disfunzioni del diaframma sono generalmente secondarie ad es. a disfunzioni del cranio (ricordando che il tubercolo faringeo ha sede a livello dell’apofisi basilare dell’occipite). Ogni volta che si tratta un Pz quindi sarà sempre necessario indagare e trattare il diaframma in quanto collegato non solo con la colonna vertebrale tramite i pilastri, ma anche indirettamente attraverso le fasce, la vascolarizzazione ed il SN vegetativo. Anatomia Il diaframma ha la forma di un ombrello ed è costituito da 2 cupole, destra e sinistra, con la centro una inserzione tendinea corrispondente al centro frenico.

fegato

Posteriormente è collegato alla colonna tramite i pilastri da D12-L4 (questo è l’unico attacco diretto del diaframma alla colonna). Anteriormente le due cupole diaframmatpleura iche sono formate da una inserzione carnosa che dalla xifoide si diparte lateralmente per collegarsi all’inserzione di costole e muscoli intercostali fino a k1-k2, dove si inseriscono i cuore muscoli scaleni. Le persone con respirazione toracica, cioè alta, con il tempo soffriranno di cervicalgia per le tensioni che si sviluppano a livello degli scaleni che si inseriscono a k1-k2. dia fram Dal processo xifoideo dello sterno si diparma tono i muscoli digastrici, i principali costituenti del centro frenico, che dal centro frenico costeggiando K10-K12 arrivano posteriorspazio mente ad L1 (si trovano sotto il margine di libero costale a partire dalla xifoide). Traube La cupola dx si trova a livello del 4° spazio intercostale (stiamo parlando di proiezioni). milza La cupola sin si inserisce a livello del 5° spazio intercostale (sempre proiettivamente).

Pilastri del diaframma I pilastri sono in numero di 2 e sono posteriori. Sono dei tendini che partono dai muscoli digastrici. L1-L4 Il pilastro dx parte dalla faccia anteriore del corpo vertebrale di L1 ed arriva alla faccia anteriore del corpo vertebrale di L4. Esso è maggiore del sx perché per una questione di ancoraggio deve coprire la voluminosa massa del fegato, più pesante degli organi di sinistra. L1-L3 Il pilastro di sin parte dalla faccia anteriore del corpo vertebrale di L1 ed arriva alla faccia anteriore del corpo vertebrale di L3.

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V.C.I n. frenico dx

I pilastri principali si suddividono in una porzione interna, media ed esterna (da entrambi i lati). I segmenti interni sono i più grandi, essi si dirigono in alto e vanno a formare 2 orifizio del n. frenico sin fori: esofago

n. grande splancnico ramo int della vena azygos n. piccolo splancnico catena simpatica

D8-D10 > orifizi esofageo e della vena cava inf D12-L1 > orifizio aortico

D8-D10 proiezione sulla colonna dell’Orifizio esofageo, più anteriore.

Vi decorrono al suo interno: - esofago - nervo vago di dx e sin D12-L1 proiezione sulla colonna dell’Orifizio aortico, più posteriore. Vi decorrono al suo interno: - aorta - dotto toracico portatore di vasi linfatici

D6-D9 > n. grande splancnico D9-D12 > n. piccolo splancnico

Si comprende pertanto come in presenza di una disfunzione del diaframma, primaria o secondaria, oppure una disfunzione vertebrale ci possano essere dei problemi di tipo linfatico, vascolare (con problemi ad arti inferiori e superiori) e nervoso fascio sezionato (con problemi a livello del vago. Essi dell’arcata partono dalla loggia viscerale del collo e dello psoas si dirigono in basso nell’addome; il dx nel passaggio dorsolombare si fa posteriore ed arriva nella zona intestinale; il sx si ferma un poco prima a livello della parte superficiale dello stomaco. pilastri Il loro compito è quello di dare un’innervazione dx e sin parasimpatica). L’ORTOsimpatico dalla catena latero-vertebrale si organizza in un grande splancnico (D6-D9) e piccolo splancnico (D9-D12). Il PARAsimpatico è di pertinenza del nervo vago. I pilastri medi ed esterni formano fra di loro 3 arcate e prendono rapporto con il muscolo psoas e con il muscolo quadrato dei lombi. Nelle insenature formate da queste arcate decorrono i nervi piccolo e grande splancnico e le vene azigos (queste ultime dirette a tutto il sistema toracico). È a livello di queste arcate che si testano i pilastri posteriori.

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1. L’Arcata dello Psoas

pilastro dx del diaframma

va dalla parte laterale del arcata dello psoas corpo di L2 all’apofisi trasarcata del quadrato versa di L1 (una contratdei lombi tura a questo livello può dare ripercussioni a livello I arcata di Senac del diaframma, del rene, dell’anca e del piede).

tronco celiaco arteria diafram.inf sin arteria surrenale sin arteria mesenterica sup

2. L’Arcata del Quadrato dei

lombi, detta anche Legamento Arcuato del diaframma, va dall’apice della trasversa di L1 a K12.

arteria renale dx arterie lombari

3. L’Arcata del Trasverso, detta

pilastro dx del diafram anche Arcata di Senac, va dall’apice di K12 all’apice di K11 arteria mesenterica inf (zona in cui si potrà reperire il pilastro; essi si sentono esclusivamente posteriorm, anche se si effettuerà un test anteriorm).

Anteriormente il diaframma presenta il centro frenico, ha la forma di un trifoglio e si divide in tre fogliole. Fogliola Anteriore Fogliola Dx Fogliola Sin Le fogliole incrociandosi tra di loro vanno a costituire delle benderelle, che a loro volta si dividono in: Obliqua-superiore: va dalla fogliola anteriore a quella di destra. Obliqua inferiore o Arciforme: va dalla fogliola destra a quella sinistra. Le due benderelle si incontrano e vanno a contornare l’orifizio della vena cava inferiore. fogliola anteriore orifizio esofageo

scissura di Larrey benderella semicircolare INF orifizio VCI

fogliola sin orifizio aortico

benderella semicircolare SUP fogliola dx 1. scissura circoscritta dai pilastri int e medio. È attraversata dal n. grande splancnico e dal ramo int della azygos

1 2 3 16

iato costo-lombare di Henle 2. scissura circoscritta dai pilastri medio e int. È attraversata dal n. piccolo splancnico e dalla catena latero-vertebrale ortosimpatica 3. orifizio delimitato dall’arcata dello psoas. Dà passaggio alla vena lombare ascendente e al fascio più alto dello psoas.

pilastri dx e sin ramo int della vena grande azygos n. grande splancnico

ramo int della vena grande azygos iato costolombare arcata dello psoas

vene lombari ascendenti fogliola ant orifizio della VCI fogliola sin bendelletta semicirc sup parte costale fogliola dx

arcata dello psoas arcata del quadrato dei lombi pilastri dx sin m. quadrato dei lombi m. psoas

D8-D10 proiezione sulla colonna dell’Orifizio della vena cava inf e dà passaggio

alla vena cava inferiore ed al n. frenico dx (la vena cava inf drena il sangue dagli AAII, pertanto quando sono presenti edemi agli AAII vuol dire che sono presenti delle disfunzioni. Andando a lavorare le bendercatena simpatica elle si lavorerà indirettamente sulla vena cava e si favorirà il n. piccolo drenaggio venoso degli AAII. splancnico Inoltre andando a lavorare anche a livello intestinale, dove arriva l’innervazione del n. frenico, si migliorerà l’edema a livello degli AAII. Anche un lavoro sull’ OTS migliorerà la vascolarizzazione del diaframma poiché le aa. succlavie sono deputate a D8-D10 = esofago vascolarizzare il diaframma. orifizio esofageo bendelletta semicirc INF Ricapitolando: iniziando un lavoro dall’alto sullo orifizio stretto toracico sup, aortico proseguendo con il diaiato costolombare framma toracico e poi con il diaframma addominale si miglioreranno condizioni di edema degli AAII).

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I rapporti anatomici sono con:

fogliole

Superiormente: - cuore: il pericardio aderisce intimamente alla fogliola anteriore mediante il leg. freno-pericardico. - polmoni: il legamento polmonare inferiore è connesso con il diaframma. Pertanto patologie importanti a livello del polmone possono causare perturbazioni a livello del diaframma e viceversa. - aorta, esofago e vena cava INF: per i passaggio attraverso gli orifizi corrispondenti. INF bendelletta SUP semicirc INF

sin dx ant

• Inferiormente a dx: -fegato -angolo colico dx -rene e surrene Inferiormente a sin: - stomaco, esofago, milza (post-lat), angolo colico sin, rene e surrene. Pancreas e duodeno sono organi retroperitoneali e sono maggiormente influenzati dalla dinamica vascolare e nervosa del diaframma.

n. piccolo splancnico iato costolombare n. grande splancnico fascio costale di Weber arcata del quadrato dei lombi vena lombare ascend arcata di Senac arcata di Senac arcata del quadrato dei lombi arcata dello psoas catena simpatica

m. quadrato dei lombi

arcata dello psoas m. psoas

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Questi sono i rapporti più prossimi che il diaframma contrae con i vari organi, ma grazie alle correlazioni fasciali esso entra in relazione anche con altri organi della catena ascendente e discendente.

XII pacchetto vascolonervoso intercostale XII costa recesso pleurale sin (lunga) costo-diafram inf

Innervazione XI costa leg lombo-costale L’innervazione è assicurata da: XII costa di Henle - n. frenico dx e sin: partono da C3-C4dx (corta) fascio fascio C5 sup inf - nn. intercostali (che agiscono in un tempo inspiratorio dopo avere ricevuto informazioni dai centri bulbari siti a livello del tronco encefalico-IV ventricolo. Si dovrà tenere conto di ciò quando si andranno ad eseguire delle manovre sul IV ventricolo perché si andrà ad agire anche a livello dei nervi intercostali). I Pz con tetraparesi hanno una respirazione di tipo paradosso perché non funzionando i nervi intercostali il diaframma non lavorerà in inspirazione, ma avrà solo una dinamica di espirazione, che è una dinamica passiva di ritorno. Pz con respirazione alta tendono a mettere in funzione molto la componente muscolare degli scaleni e aponeurosi del trasverso dello stretto toracico superiore, che ne condizioneranno anche la postura.

Vascolarizzazione La vascolarizzazione del diaframma è di competenza delle seguenti arterie: - a. mediastinica post per i pilastri (di provenienza dall’aorta toracica) - a. diaframmatica sup (proveniente dall’a. mammaria interna a sua volta originatasi dalla succlavia. L’arteria e la vena mammaria interna passano a livello della scissura di Larrey, dietro alla xifoide da dove partono i muscoli digastrici; quando si va a liberare la zona delle cupole diaframmatiche e delle coste, si assicura un migliore drenaggio a livello mammario.

a. mammaria int a. diaframmatica sup n. frenico dx

n. frenico sin

a. mammaria int a. muscolo frenica

a. capsulare sup

Pertanto se c’è una restrizione di mobilità a questa zona non c’è un buon apporto vascolare e questa condizione a lungo andare può essere una base allo sviluppo di una neoplasia mammaria, soprattutto nei soggetti familiarmente predisposti. La mammaria int contrae rapporti con l’arteria ipogastrica ed a livello del bacino con l’arteria femorale, pertanto anche questo può giustificare la presenza di edema degli arti inferiori a partenza da disfunzioni superiori) - a. diaframmatica inf (proveniente dall’aorta addominale).

ganglio semilunare Fisiologia Il movimento del diaframma, vista la disposizione dei muscoli digastrici e dei pilastri, è di tipo elicoidale verso il basso-avanti, ma non uniforme. 19

L’atto respiratorio si compone di una fase inspiratoria ed una fase espiratoria. Fase INsp Si articola in tre tempi: 1. Precontrazione dei muscoli digastrici (sono il diaframma, che dalla xifoide va a K10-K11-K12 anteriormente e poi arrivano a livello di L1 posteriormente per continuarsi nei pilastri). 2. La contrazione dei muscoli digastrici determina l’abbassamento del centro frenico. In questo secondo tempo inspiratorio si contraggono e si mettono in azione anche i pilastri. 3. L’appoggio del diaframma sui visceri (creando una pressione positiva in addome ed una pressione negativa nel torace) permette l’apertura trasversale del diaframma. I nervi frenici dai centri bulbari inviano l’impulso ai nervi frenici affinchè il centro frenico termini la sua discesa ed i muscoli intercostali si attivino determinando l’apertura della gabbia toracica (gli intercostali bassi aumentano il diametro trasversale mentre quelli alti determinano un aumento del diametro verticale). Si avrà pertanto l’aumento dei diametri: verticale: per abbassamento del centro frenico; antero-posteriore: per attivazione dei muscoli intercostali alti; trasversale: per attivazione dei muscoli intercostali bassi; Fase Esp È un movimento puramente passivo, che è permesso dall’elasticità della cintura muscolare addominale e dal pavimento pelvico, oltre che dalla forza accumulata a livello dei polmoni. Conclusioni Il diaframma partecipa a: Fonazione Respirazione Deglutizione Esso è in relazione con il sistema gastrointestinale, circolatorio ed urogenitale. Ha grande importanza per la gestazione ed il parto. Riveste grande interesse psicoemozionale per la sua relazione con le emozioni. DISFUNZIONI OSTEOPATICHE DEL DIAFRAMMA Si definiscono solo disfunzioni in inspirazione (non si parlerà mai di disfunzioni in espirazione). Si parlerà di due tipi di disfunzioni: 1. Inspirazione: - alta (sempre legate alla cupola) - bassa (sempre legate alla cupola) - alta e bassa Questo tipo di disfunzioni richiederà dei test sulle cupole diaframmatiche. 2. Pilastri: disfunzioni a carico dei pilastri richiederanno dei test sui digastrici e sul centro frenico. Lo stato di tensione è assimilabile con il tempo attivo respiratorio. Disfunzioni in inspirazione bassa Il diaframma mantiene una posizione relativamente bassa rispetto al punto neutro e riduce l’escursione espiratoria. Il segno clinico evidente è che le coste basse rimangono aperte nella fase espiratoria (perché c’è qualcosa che ne ostacola la chiusura in espirazione). Dopo avere effettuato un test di pressione per valutare quale delle due cupole diaframmatiche è più densa si pongono i pollici sotto l’arcata costale e si fa respirare il Pz. Nella discesa quando il Pz inspira si percepirà che una cupola scende prima rispetto all’altra. Generalmente le disfunzioni diaframmatiche sono unilaterali, ma occasionalmente possono essere bilaterali. Dal momento che sono quasi tutte unilaterali sarà necessario fare un test di pressione per discriminare quale cupola è in probabile disfunzione. Una disfunzione in inspirazione bassa può dipendere da: 20

qualcosa in basso che mantiene il centro frenico in basso con apertura delle coste; oppure può esserci qualcosa in alto che non lo fa risalire (per es. una disfunzione di OM con ripercussioni a livello del tubercolo faringeo, dove ha inserzione l’aponeurosi cervicale profonda). Disfunzioni in inspirazione alta Il diaframma mantiene una posizione relativamente alta rispetto al punto neutro e la cupola diaframmatica riduce l’escursione inspiratoria. Pertanto la griglia costale rimarrà chiusa. Una disfunzione in inspirazione alta può dipendere da: qualcosa che mantiene il centro frenico in alto; oppure da qualcosa dal basso che è in disfunzione e che non fa scendere il centro frenico (es. un parto, un fegato od uno stomaco in disfunzione). A queste disfunzioni saranno associati dei segni e dei sintomi quali: dolore a fascia o a cintura (es. un dolore lombare alto a cintura per l’inserzione dei pilastri in questa zona oppure un dolore dorsale o costale basso), dolore cervicale per lo stretto toracico superiore (scaleni) e per il n. frenico (che parte da C3-C4-C5), pertanto sarà opportuno controllare le vertebre cervicali. Per es. una tensione molto forte sul n. frenico è spesso causa di un singhiozzo in modo particolare nel bambino, dolori toracici alti per la presenza dello stretto toracico, lombalgie per l’inserzione dei pilastri, edemi, gonfiori, parestesie (per il passaggio della vena cava inferiore), cefalee e dizzines (confusioni e vertigini) per un problema vascolare e per l’inserzione del centro frenico a livello del tubercolo faringeo (collegamento fasciale). Pratica osteopatica Nella valutazione osteopatica verranno eseguiti: Test dei mm. digastrici Test di densità delle cupole, del centro frenico, dei pilastri Test di mobilità (è riferito alla mobilità di un organo rispetto al diaframma) Nel trattamento si agirà su: Muscoli digastrici Pilastri Benderelle Trattamento delle disfunzioni di mobilità 2 sem Ripasso Il diaframma rappresenta il motore viscerale per eccellenza, ma non l’unico. Per mobilità si intende effettuare dei test di mobilità dei visceri in rapporto al diaframma. È un setto orizzontale che divide la cavità toracica da quella addominale, mettendo in relazione queste due strutture e riequilibrandone le pressioni al loro interno. Per questo motivo è spesso oggetto di disfunzioni sia primarie che secondarie: in realtà esso è più spesso una vittima di disfunzioni originatesi in altre sedi. Anatomicamente è una struttura muscolare che si aggancia su componenti ossee. Esso si compone di tre strutture: le cupole diaframmatiche, i pilastri ed il centro tendineo. Mentre i pilastri hanno un aggancio molto forte a livello strutturale attraverso le vertebre da L1-L4 a dx e da L1-L3 a sin, le cupole diaframmatiche invece presentano una relazione più viscerale (per la presenza di organi sopra e sottodiaframmatici), il centro frenico invece è in relazione con l’asse aponeurotico centrale-asse cranio sacrale. Pertanto il diaframma presenta relazioni con tutti i sistemi. Il diaframma presenta vari iati per il passaggio di strutture importanti con le quali poter mettere in relazione i sintomi che si presentano in corso di disfunzioni; si tratta degli orifizi: 1. esofageo: tra D8-D10 per il passaggio dell’esofago e dei nervi vaghi dx e sx. 2. aortico: tra D10-D12 per il passaggio dell’aorta e del dotto toracico. 21

3. vena cava inferiore: D8-D10 per il passaggio della vena cava inferiore e nervo frenico dx. 4. grande splancnico (D6-D9) e piccolo splancnico (D9-D12): tra il pilastro interno e quello medio. 5. vene lombari ascendenti: tra il pilastro medio e quello esterno. L’innervazione avviene ad opera del n. frenico e dei nn. intercostali. La vascolarizzazione avviene ad opera dell’a. diaframmatica superiore ed inferiore e delle aa. mediastiniche. Il drenaggio venoso avviene a livello della vena cava inferiore. Disfunzioni diaframmatiche La conoscenza dell’anatomia del diaframma ci permette di mettere in relazione i sintomi del Pz con una disfunzione del diaframma. I sintomi di una disfunzione di questo tipo possono essere rappresentati da: 1. Edemi e gonfiori degli arti inferiori: per le relazioni di tipo emodinamico. 2. Lombalgie: possono essere sia di origine meccanica (per la relazione che i pilastri hanno con i corpi vertebrali, questo giustificherà la presenza di disfunzioni in NSR lombari con dolori lombari) che vascolare (per la presenza della vena lombare ascendente). 3. Cefalee: sia da un punto di vista emodinamico (per il ritorno venoso) che meccanico (attraverso l’asse aponeurotico centrale e la sua inserzione a livello del tubercolo faringeo giustificate da disfunzioni del cranio). 4. Cervicalgie: per l’innervazione del nervo frenico (a partenza da C3-C5). Disfunzioni diaframmatiche: pratica L’Osteopata deve porsi alla dx del Pz. Si procede all’osservazione del torace e dell’addome del Pz per mettere in evidenza cicatrici, nei, macchie (cose grosse), colorito, eventuali capillari rotti. Successivamente si valuta come ventila il Pz, dove respira maggiormente e come si espande e si retrae la parte costale bassa del diaframma durante l’inspirazione e l’espirazione perché sono queste ad essere maggiormente visibili. Es il Pz in esame presenta una maggiore escursione respiratoria a livello della zona centrale dell’addome mentre le coste si aprono poco. A questo punto si può procedere ad un test di pressione sui digastrici, mediante una digitazione a livello delle inserzioni sulle coste alla ricerca di zone più dense, più dure. Prendendo un credito di pelle si procede con la digitazione ponendosi tra il viscere sottostante e le coste in modo da testare le inserzioni muscolari a livello sottocostale (si arriva sino a K10 poiché a livello delle coste fluttuanti si trovano le inserzioni delle arcate dello psoas, del trasverso e di Senac). L’appoggio non è puntiforme, ma avviene utilizzando la lunghezza di tutto il polpastrello. Si procede in maniera comparativa sui due emitoraci. NB: questo test in realtà rappresenta un lavoro preparatorio di valutazione e di trattamento di un diaframma in disfunzione.

test di pressione sui digastrici

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Test di pressione sulle cupole: si prende un appoggio con l’eminenza tenar ed ipotenar a livello dell’ipocondrio in esame e superando un poco il viscere, si prende contatto con la parete costale (rimanendo sempre in addome e non appoggiandosi sulle coste) e mettendosi in direzione della spalla corrispondente si cerca di superare il viscere per arrivare come “spinta” a livello della proiezione sullo spazio intercostale. È fondamentale che la mano che testa sia in direzione della cupola diaframmatica in esame.

Test di pressione sulla cupola diaframmatica sin: direzione di spinta verso la spalla

V spazio IV spazio

Test di pressione sulla cupola diafram sin: zona di arrivo della spinta (V spazio intercostale).

Test delle cupole_VARIANTE

Test di pressione sulla cupola diaframmatica dx: zona di arrivo della spinta (IV spazio intercostale).

Qualora non si riesca oppure non si voglia effettuare il test di pressione sulle cupole diaframmatiche ci si può posizionare con i pollici sotto le cupole diaframmatiche, mentre con le altre dita si è sopra la griglia costale. Test per la individuazione della cupola diaframmatica in disfunzione attraverso la valutazione di quale scende per prima venendo in contatto con il pollice. Mentre il Pz respira la cupola con la quale i pollici vengono a contatto prima è in disfunzione. Appurato questo si valuta la mobilità della griglia costale per definire se la disfunzione è in inspirazione alta oppure bassa. Test per la individuazione della cupola diaframmatica in disfunzione attraverso la valutazione di quale scende per prima venendo in contatto con il pollice (CORRETTA posizione delle dita) Test di pressione sul centro frenico: con la mano posta in epigastrio ed una inclinazione di 45°, dopo avere preso un poco di credito di pelle, si effettua una “spinta” in direzione di C7-D1. 23

Test di pressione sul centro frenico: inclinazione dell’avambraccio e direzione di spinta.

Test di pressione sul centro frenico: zona di arrivo della spinta (a livello C7-D1)

Test di pressione ANTERIORE sui pilastri: mantenendo l’appoggio utilizzato per il test di pressione del centro frenico si effettua una “spinta” verticale con direzione dietro-alto. Con la spinta si dovranno superare i vari piani sino ad arrivare a percepire il “duro “ dei corpi vertebrali a livello dei quali si inseriscono i pilastri.

Test di pressione anteriore sui pilastri: direzione della spinta dietro e poco in alto Test di pressione POSTERIORE sui pilastri: i pilastri possono essere testati anche posteriormente ponendosi con le mani molto aperte sui muscoli paravertebrali tra D12-L4. Anche in questo caso la pressione che deve essere posta deve superare i vari piani cutanei, muscolari, ma senza effettuare macromovimenti; la spinta deve Test di pressione posteriore sui pilastri: Test di pressione posteriore sui pilastri: posizionamento delle mani direzione di spinta da dietro in avanti fermarsi ai pilastri e non andare oltre. La spinta è da dietro in avanti. Questo tipo di test rispetto a quello anteriore permette di discriminare quale dei due pilastri è eventualmente in disfunzione. Conclusioni: al termine dei vari test di pressione è possibile stabilire quale struttura tra muscoli digastrici, cupole diaframmatiche, pilastri e centro frenico si trova in disfunzione. In caso di due zone sospette si può effettuare un test di bilanciamento ed una volta individuata la zona più densa su questa si andrà ad effettuare il test di mobilità.

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Tipi di disfunzioni diaframmatiche

Le disfunzioni del diaframma sono di due tipi: 1. INsp alta: è un diaframma che esegue le fasi di inspirazione ed espirazione, ma da una posizione alta. In sostanza nella fase inspiratoria non si apre né si abbassa, mentre nella fase espiratoria si chiude e rimane alto; quindi riduce la sua escursione inspiratoria. 2. INsp bassa: è un diaframma che fa sia la fase di espiro che inspiro, ma da una posizione bassa riducendo l’escursione espiratoria verso l’alto. In sostanza nella fase inspiratoria il diaframma si apre e si abbassa, ma nella fase espiratoria rimane basso ed aperto (non si chiude né risale).

Test per valutare l’apertura e la chiusura della griglia costale e definire il tipo di disfunzione

NB: i fattori che possono determinare questo tipo di disfunzione sono vari e possono agire a livello strutturale, viscerale, cranio-sacrale (come precedentemente descritto). Inoltre questi due tipi di disfunzione possono essere ulteriormente suddivisi in: 3. Bilaterali: hanno generalmente una base emotiva di fondo. 4.Unilaterale: sono le più diffuse. Dopo avere effettuato il test di pressione si è riusciti ad individuare la zona in disfunzione, su di essa si va ad effettuare un test per valutare se la disfunzione è di inspirazione alta oppure bassa. Per fare ciò si pongono le mani sulla griglia costale e si valuta come essa lavora: 1. se si apre ed abbassa in inspirazione, ma rimane aperta in espirazione si è di fronte ad una disfunzione in inspirazione bassa della cupola diaframmatica, 2. se non si apre ed abbassa in inspirazione, ma si chiude e sale in espirazione si è di fronte ad una disfunzione in inspirazione alta. Premesse del trattamento viscerale Il recoil è una tecnica di correzione diretta perché va contro la barriera tissutale; al contrario il rebaund è una tecnica di correzione diretta che va all’esterno del tessuto. Nel viscerale si utilizzerà soprattutto il recoil, mentre su strutture più consistenti come coste e sterno si utilizzerà il rebaund in quanto queste strutture hanno la tendenza ad avere disfunzioni anche in retrazione: facendo il rebound l’energia viene portata fuori dal tessuto. Eseguire una tecnica diretta in ambito viscerale vuol dire attuare una correzione della disfunzione senza l’ausilio della respirazione del diaframma, mentre con le tecniche funzionali si utilizza la respirazione durante la correzione.

Valutazione osteopatica pre trattamento

Si procede valutando la tipologia della respirazione del Pz (addominale, toracica bassa o alta), apprezzando l’ampiezza e la frequenza della ventilazione e la mobilità delle costole basse, medie, alte durante i tempi inspiratori ed espiratori.

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Trattamento dei muscoli digastrici

Generalmente il trattamento delle disfunzioni dei muscoli digastrici prevede l’impiego di tecniche MECCANICHE DIRETTE. Innanzitutto per correggere una disfunzione dei mm. digastrici è necessario ricercare la barriera tissutale attraverso l’impilamento di tutte le componenti che rendono il tessuto duro. Pertanto con i pollici si vanno ad impilare le posizioni in cui il tessuto diventa duro, per es. si ricerca sul piano frontale la zona di maggior densità e la si mantiene sotto i pollici. Poi si passa al piano di flesso-estensione e, una volta trovata la maggior durezza, la si somma alla precedente. Infine si cerca la zona di maggiore durezza in inclinazione e la si somma alle due precedenti.

Impilamento dei tessuti per esecuzione del recoil (tecnica diretta) per la correzione della disfunzione dei mm. digastrici Dopodiché, mantenendo le direzioni di durezza individuate precedentemente si chiede al Pz di prendere aria e di buttarla fuori e si valuta in quale delle due fasi si percepisce una maggiore durezza. Sulla base di questa ultima informazione si effettuerà il recoil all’inizio della fase dove si era percepita una maggiore densità (es. nel video in esame è la fase inspiratoria). Questo tipo di tecnica è veloce ed efficace da eseguire e questo è importante in osteopatia. Sui muscoli digastrici si può però lavorare anche con altre tecniche quali: 1. Ponsage 2. Siderazioni 3. Tagli connettivali (in genere 3) effettuati con il margine laterale del dito 4. Rimanere sulla zona densa del digastrico e lavorarla fino a che non cede consentendo al pollice di entrare nel tessuto come fosse burro.

Trattamento dei pilastri

Dopo aver individuato un pilastro in disfunzione mediante i test di pressione da davanti e da dietro (in quest’ultimo caso si riesce a discriminare quale lato è in disfunzione) si può procedere al trattamento della disfunzione. Il Pz è seduto sul lettino con le gambe fuori, mentre l’Osteopata gli si pone di fianco. Questa posizione è dettata dal fatto che i pilastri vengono lavorati indirettamente attraverso un lavoro sui muscoli paravertebrali (che sono sinergici con i pilastri); infatti i pilastri sono posizionati sul margine anteriore dei corpi vertebrali e ciò li rende difficili da raggiungere mediante un approccio anteriore pertanto è meglio lavorarli da dietro. La zona del muscolo paravertebrale, che è in relazione con il pilastro si estende da D12 ad L4. 1. Innanzitutto si prende il muscolo paravertebrale e lo si mobilizza verso l’int e verso l’est così da valutarne la mobilità e individuare la direzione della disfunzione e di conseguenza quella in cui va effettuata la siderazione (nel caso in esame il paravertebrale si mobilizza bene verso l’interno e male verso l’esterno, pertanto la siderazione verrà effettuata con direzione fuori). Per siderare si utilizza la interfalangea. La cosa più difficile da fare, ma fondamentale è riuscire ad entrare nella zona da trattare; per fare questo si possono sfruttare le inclinazioni del tronco del Mobilizzaz dei mm. paraver- Siderazione del pilastro in Pz facendo attenzione a non oltrepassare la zona tebrali per valutare la mobildisfunzione mediante in disfunzione. ità e il lato della disfunzione interfalangea

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2. Si può anche agire nell’ang

costo-vertebrale, cioè tra L1-K12 (reperibile ricercando k12 e l’angolo a livello della trasversa di L1). Da qui si può effettuare un ponsage in direzione avanti-dentro (perché bisogna immaginare di proiettarsi sul margine anteriore del corpo vertebrale). Ponsage per correzione di una disfunzione dei pilastri entrando attraverso l’angolo costo-vertebrale

3. Sui Pz che hanno molto dolore in questa zona si può fare una tecnica

indiretta restando fermi con il pollice sulla zona densa e mobilizzare il busto del Pz a mò di srotolamento. Nelle tecniche indirette in cui si mette in confort il Pz accade il contrario di ciò che si verifica nelle tecniche dirette e cioè invece di cercare la zona più densa e dura si ricerca dove la zona tende ad ammorbidirsi. In sostanza si prende punto fisso sull’angolo costo-vertebrale e si cerca di rendere morbida la zona avviando uno srotolamento del busto. La tecnica termina quando il dito dell’osteopata entra nel burro, cioè c’è un grado di soddisfazione tissutale, anche se non si è raggiunto il 100% della soddisfazione nel trattamento. NB: l’ang costo-vertebr. è un punto diretto di accesso e di lavoro sul pilastro. Ponsage con inclinazione del tronco del Pz per correggere una disfunzione di un pilastro

4. Alla fine del trattamento si esegue nuovamente il test per valutare se la disfunzione è stata corretta. Trattamento delle cupole diaframmatiche

Dopo avere effettuato un test di pressione ed avere individuato una disfunzione si procede con il test di mobilità per definire il tipo di disfunzione (inspirazione alta o bassa). A questo punto si può procedere con la riduzione della disfunzione (ricordando che sul diaframma si utilizzano delle tecniche funzionali perché è lo stesso diaframma a muoversi. All’interno delle tecniche funzionali si potrà scegliere se effettuarne una di tipo diretto od indiretto). NB: su tutti i visceri, diaframma compreso, eccezion fatta per il recoil, si preferisce utilizzare delle tecniche funzionali indirette perché l’addome è dolorabile e non si danno in questo modo stimoli nocicettivi come accade per le tecniche dirette. Infatti il dolore inibisce la tecnica. 1. Correzione di una disfunzione in INsp BASSA (cioè il griglia costale si apre durante l’inspirazione, ma rimane aperta durante l’espirazione, mentre il diaframma è basso). - L’Osteopata si posiziona con la mano craniale sulla griglia costale, mentre la mano caudale da una reinformazione tra stomaco e diaframma.

Posizione iniziale delle mani

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In vari tempi INspiratori si apre sempre di più la griglia costale mentre in espirazione la si mantiene aperta. In questo modo si apre ancora di più la griglia costale e si stira ancora di più il diaframma, che si abbassa ulteriormente (il tutto con la mano craniale. La mano caudale invece sta lì ferma e reinforma). Tutto ciò si esegue fino a che non si percepisce un rilassamento del tessuto oppure si è aggravato talmente tanto che non si riesce ad andare oltre. Mano craniale che apre la griglia costale durante la fase di inspirazione In Esp l’Osteopata porta in alto il diaframma con la mano caudale reinformandolo ulteriormente.

Sull’ultima Esp si chiude il diaframma sia con la mano caudale (che già spinge verso l’alto) sia con quella craniale (che spinge verso il basso).

Mano caudale durante la fase inspiratoria

Posizione finale delle mani (entrambe in chiusura)

Al termine della correzione si esegue un riequilibrio ascoltando la fase di apertura e di chiusura del diaframma sia stando lì con entrambe le mani oppure dando con le mani una riarmonizzazione. Non è detto che la tecnica di riarmonizzazione sia necessaria da eseguire alla fine del trattamento; si potrà anche andare a rifare subito il test di mobilità delle cupole diaframmatiche. Ciò dipende da quelle che sono le nostre sensazioni all’ascolto, che diventa una fase cruciale, fondamentale del trattamento. 2. Correzione di una disfunzione in INsp ALTA (cioè durante l’inspirazione la griglia costale non si apre, ma rimane chiusa, mentre durante l’espirazione il diaframma e la griglia costale si chiudono. Quindi il diaframma esegue gli atti respiratori in una posizione relativamente alta riducendo la sua escursione durante l’inspirazione). In Esp si chiude la griglia costale e si porta il diaframma ancora più in alto con entrambe le mani (posizionate come nella correzione dell’inspirazione bassa), mentre in fase inspiratoria si mantiene. Quando si percepisce di essere arrivati perché l’aggravamento ha raggiunto il culmine in inspirazione, si va ad aprire con la mano craniale, mentre la mano caudale sta li per informare il diaframma che lì c’è il fegato (si può fare elevare il braccio al Pz dal lato della griglia costale interessata dalla disfunzione). In espirazione invece si mantiene. A questo punto anche in questo caso, se lo si ritiene necessario si potrà effettuare una fase di riarmonizzazione. NB: poiché quasi sempre il diaframma è una vittima, prima di ogni eventuale approccio specifico al diaframma, è opportuno valutare e trattare sempre le cause primarie che hanno generato e mantenuto queste disfunzioni diaframmatiche, traumatiche, viscerali (sopra o sottostanti) o psico-emozionali che siano. Bonetti Premesse Mentre nell’effettuare i test di mobilità ci si deve posizionare alla dx del Pz, nell’eseguire le correzioni ci si può posizionare indifferentemente da un lato oppure dall’altro. Tutte le volte che si hanno dei dubbi sul posizionamento delle mani nelle tecniche di correzione delle disfunzioni del diaframma mettersi nella posizione del test di mobilità. Il movimento delle mani durante l’esecuzione della correzione della disfunzione deve essere fluido ed in simbiosi con la respirazione del Pz. Valutazione osteopatica pre trattamento 28

Si procede valutando la tipologia della respirazione del Pz (addominale, toracica bassa o alta), apprezzando l’ampiezza e la frequenza della ventilazione e la mobilità delle costole basse, medie, alte durante i tempi inspiratori ed espiratori. Test di pressione su muscoli digastrici Con i pollici e tutta la falange, dopo avere acquisito un credito di pelle, si deve entrare bene dentro la griglia costale in considerazione del fatto che i digastrici hanno una inserzione posteriore (se si rimane troppo anteriori si percepisce la tensione dei retti dell’addome e degli obliqui). Il pollice deve fare un movimento a “C” entrando dietro e dentro. Test su mm. digastrici: il movimento deve essere a “C”, cioè diretto in dietro-dentro in modo da reperire l’inserzione sulla parete interna delle coste

Trattamento dei muscoli digastrici Si può procedere mediante diverse tecniche correttive quali: 1. Ponsage

Trattamento dei digastrici mediante ponsage

2. Mantenere un punto fisso sulla zona dove c’è tensione e: - rimanere lì fino a che non si sente il tessuto cedere ed il dito affondare come “nel burro”.

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- Sentire che parte un movimento verso una determinata direzione e seguirlo penetrando all’interno fino a che questo non si ferma e si ha la sensazione che il dito penetri dentro il burro oppure il movimento riparte in un’altra direzione. Visivamente non si percepisce nulla, mentre sia l’Osteopata che il Pz sentono tale movimento.

Trattam. dei digastrici mantenendo un punto fisso sino a che non si ha la sensazione che il tessuto voglia andare in una direzione diversa. Visivamente non si percepisce nulla, ma sia l’osteopata che il Pz avvertono questa sensazione

Trattamento dei digastrici: riproduzione del movimento che eseguono i pollici nel seguire il movimento del tessuto

- Trattamento connettivale approcciando il connettivo e lavorandolo in una direzione come se si volesse tagliare il tessuto. - Recoil

Trattamento dei digastrici mediante tagli connettivali

Test di pressione e di mobilità sui pilastri

Approccio ANTeriore La direzione di spinta è verso dietro. In considerazione del fatto che la colonna vertebrale si trova a metà del tronco del Pz (valutandone lo spessore) sarà necessario esercitare una pressione tale da ammortizzare tutti i tessuti sino ad arrivare alla colonna vertebrale; pertanto tale pressione non sarà eccessiva. Nel caso si percepisca l’aorta pulsare si dovrà procedere a testare i pilastri posteriormente.

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Test di pressione ANT sui pilastri Test di pressione POST sui pilastri Approccio POSTeriore La direzione di spinta è verso avanti. Anche in questo caso la pressione della spinta dovrà essere tale da arrivare sui pilastri e non oltre. Ciò è possibile tramite una spinta lenta e progressiva che consenta di percepire prima la pelle, poi la componente muscolare quindi l’osso del corpo vertebrale a livello del quale si inseriscono i pilastri. Quindi il ventre del Pz non deve muoversi.

Test di pressione sui pilastri: livello che si deve raggiungere nella “depressione” dei tessuti per arrivare a testare i pilastri

Test di pressione sui pilastri: approccio posteriore. Movimento che effettuano le mani nel testare i pilastri Test di pressione sui pilastri: approccio posteriore

Trattamento dei pilastri

Dopo aver individuato un pilastro in disfunzione mediante i test di pressione da davanti e da dietro si può procedere al trattamento della disfunzione. Il Pz è seduto sul lettino con le gambe fuori, mentre l’osteopata gli si pone di fianco. Questa posizione è dettata dal fatto che i pilastri vengono lavorati indirettamente attraverso un lavoro sui muscoli paravertebrali (che sono sinergici con i pilastri); infatti i pilastri sono posizionati sul margine anteriore dei corpi vertebrali e ciò li rende difficili da raggiungere mediante un approccio anteriore pertanto è meglio lavorarli da dietro. La zona del muscolo paravertebrale, che è in relazione con il pilastro si estende da D12 ad L4. 1. Innanzitutto si prende il muscolo paravertebrale e lo si mobilizza verso l’interno e verso l’esterno così da valutarne la mobilità in modo da avere la direzione della disfunzione. Una volta individuato il livello di mag-

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giore tensione del muscolo paravertebrale-pilastro si dovrà entrare con il dito flesso tra la parete laterale della spinosa della vertebra e la parete interna del muscolo paravertebrale con direzione avanti ed in profondità. A questo punto ci si aggancia bene e si sidera. Ci si può aiutare con l’inclinazione del tronco considerando che il movimento non deve superare la zona di densità sulla quale si intende effettuare la siderazione. (La siderazione va effettuata con la direzione degli arti superiori sempre verso l’interno dell’Osteopata, naturalmente cambiando mano a seconda del lato da trattare).

Test di mobilizzazione verso l’interno e l’esterno del muscolo paravertebrale per valutarne la mobilità ed a che livello si localizza la disfunzione

Siderazione con il dito flesso tra la parete laterale della spinosa della vertebra e la parete interna del muscolo paravertebrale con direzione avanti ed in profondità

Nell’effettuare la siderazione ci si può aiutare con l’inclinazione del tronco del paziente facendo attenzione a non oltrepassare la zona in disfunzione. Questa manovra è errata! 2. Si può anche agire nell’angolo costo-vertebrale, cioè tra L1-K12 (reperibile ricercando k12 e l’angolo a livello della trasversa di L1). Il Pz è sempre seduto sul lettino, mentre l’osteopata si pone lateralmente. Egli prende contatto con un dito con l’angolo costo vertebrale posizionato lateralmente alla trasversa della vertebra al di sotto della costola ed inizia ad entrare dentro con direzione avanti-dentro a contattare il pilastro. Anche in questo caso si possono effettuare diverse tecniche quali: - Ponsage - Vibrazioni - Mantenimento della tensione su di un punto fisso sino a che la tensione non molla ed il dito affonda come nel burro - Mantenendo la tensione su di un punto fisso si può effettuare una inclinazione del tronco in modo da realizzare uno srotolamento fasciale. Il fulcro dello srotolamento deve rimanere a livello della zona più densa.

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Tecnica di riduzione della disfunzione prendendo come repere l’angolo costo-vertebrale a livello del quale si può agire mediante ponsage, vibrazioni, mantenimento di un punto fisso (con o senza inclinazione del tronco) e srotolamento fasciale.

Test di pressione sulle cupole diaframmatiche

Questo test si divide in due fasi: I Fase: è quella relativa al test di pressione vero e proprio effettuato per discriminare la cupola in disfunzione. Qualora non si utilizzi il test di pressione si può valutare quale cupola scende prima (variante) con la respirazione, questa sarà in disfunzione. L’”ascolto” viene effettuato tramite il pollice che non deve stare troppo sotto l’arco costale perché altrimenti si è in contatto con i muscoli digastrici. I pollici devono in realtà esercitare una leggera pressione in modo da compattare i tessuti verso la cupola così che quando la cupola scende la si sente subito arrivare sul tessuto compattato. Test di pressione sulle cupole diaframmatiche: I° fase. Posizione dei pollici nell’individuare quale cupola scende per prima (che corrisponderà a quella in disfunzione).

Test di pressione sulle cupole diaframmatiche: I° fase. Compattamento dei tessuti che si deve raggiungere per poter percepire la cupola diaframmatica durante il test di pressione

II Fase: serve per valutare il tipo di disfunzione della cupola, cioè se è in disfunzione in inspirazione bassa oppure in inspirazione alta.

Trattamento delle cupole diaframmatiche

Dopo avere effettuato un test di pressione ed avere individuato una disfunzione si procede con il test di mobilità per definire il tipo di disfunzione (inspirazione alta o bassa). 1. Correzione di una disfunzione in INsp BASSA (cioè il griglia costale si apre durante l’INsp, ma rimane aperta durante l’espirazione, mentre il diaframma è basso). Per questo tipo di disfunzione si procede con una tecnica funzionale in aggravamento seguita da una tec-

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nica diretta. L’Osteopata si posiziona con la mano craniale bene a contatto con la griglia costale. La mano caudale mediante l’eminenza tenar è in contatto con l’ipocondrio in modo da ammassare i tessuti verso la cupola diaframmatica. In INsp la griglia costale si apre e l’Osteopata ne favorisce l’ulteriore apertura; contemporaneamente la cupola diaframmatica scende e l’osteopata fornisce un appoggio al diaframma. In Esp l’Osteopata mantiene la griglia costale aperta facendo una trazione verso l’alto, mentre con la mano caudale può seguire la cupola che sale. In sostanza è come se l’osteopata guadagnasse un poco verso l’alto. Questo procedimento viene effettuato per più fasi respiratorie sino a che il tessuto non vuole più e pertanto si procede verso la correzione: in espirazione la mano craniale aiuta a chiudere la griglia costale mentre la mano caudale mantiene la cupola verso l’alto. È come se si effettuasse un lavoro a coppia. In inspirazione la griglia costale si vuole aprire ma la si mantiene chiusa.

Tecnica di riduzione di una disfunzione in INsp BASSA: fase di aggravamento. La mano craniale è posizionata sulla griglia costale

La mano caudale mediante In insp la griglia costale si apre e l’eminenza tenar è in contatto con l’Osteopata ne favorisce l’ulteriore l’ipocondrio in modo da ammas- apertura sare i tessuti verso la cupola diaframmatica

Questo procedimento viene effetIn inspirazione la cupola diatuato per più fasi respiratorie sino a frammatica scende e l’Osteopata fornisce un appoggio al diaframma che il tessuto non vuole più e pertanto si procede verso la correzione

Fase di correzione con tecnica diretta: in Esp la mano craniale aiuta a chiudere la griglia costale mentre la mano caudale mantiene la cupola verso l’alto. È come se si effettuasse un lavoro a coppia. In insp la griglia costale si vuole aprire ma la si mantiene chiusa

2. Correzione di una disfunzione in INsp ALTA (cioè durante l’inspirazione la griglia costale non si apre, ma rimane chiusa, mentre durante l’espirazione il diaframma e la griglia costale si chiudono. Quindi il diaframma esegue gli atti respiratori in una posizione relativamente alta riducendo la sua escursione durante l’inspirazione). In inspirazione la griglia tende ad aprirsi, ma l’Osteopata la mantiene chiusa con la mano craniale, mentre la mano caudale posta sull’ipocondrio mantiene l’appoggio. In espirazione si aggrava la chiusura della griglia costale. Questo procedimento si ripete per diversi cicli respiratori dopo di che si attua la correzione: in inspirazione la griglia costale si apre e l’osteopata va ad aprirla con la mano craniale; indirettamente si apre anche la cupola 34

diaframmatica anche solo aprendo la griglia costale. Alla fine della correzione si ripete il test per valutare se qualcosa è cambiato.

Tecnica di correzione di una In inspirazione la griglia tende disfunzione in INsp ALTA: po- ad aprirsi, ma l’Osteopata la sizione delle mani (la craniale è mantiene chiusa con la mano sulla griglia costale, la caudale è craniale, mentre la mano caudale solo di appoggio-informazione). posta sull’ipocondrio mantiene l’appoggio

Tecnica di riduzione di una disfunzione di INsp ALTA: fase diretta. In inspirazione la griglia costale si apre e l’Osteopata va ad aprirla con la mano craniale; indirettamente si apre anche la cupola diaframmatica anche solo aprendo la griglia costale

In espirazione si aggrava la chiusura della griglia costale. Questo procedimento si ripete per diversi cicli respiratori dopo di che si attua la correzione.

Tecnica di riduzione di una disfunzione di insp alta: fase diretta. La mano caudale da un appoggio a livello della cupola diaframmatica.

NB: poiché quasi sempre il diaframma è una vittima, prima di ogni eventuale approccio specifico al diaframma, è opportuno valutare e trattare sempre le cause primarie che hanno generato e mantenuto queste disfunzioni diaframmatiche, traumatiche, viscerali (sopra o sottostanti) o psico-emozionali che siano.

Tecnica di riequilibrio diaframmatico

È una tecnica che viene utilizzata al termine del trattamento sul diaframma per riequilibrare le tensioni. Sfrutta la respirazione del Pz e l’induzione dell’osteopata. Bisogna innanzitutto seguire le fasi respiratorie del Pz oppure chiedergli di effettuare una respirazione leggermente più profonda (non troppo perché altrimenti il diaframma non ha escursione per poter lavorare). Il Pz è supino sul lettino mentre l’osteopata effettua la presa del test con l’appoggio degli indici leggermente sotto l’arco costale. Nell’inspirazione l’osteopata lavora in apertura avanti-fuori su di un emitorace, mentre sull’altro emitorace lavora in chiusura e dietro (come a dover passare la tensione sull’altra mano che sta aprendo). Nell’espirazione la mano che era sull’emitorace in apertura lo chiude con una spinta diretta dietro-dentro in modo da passare il “testimone” all’altra mano che nell’inspirazione successiva va ad aprire l’emitorace, mentre l’altra mano va a chiudere l’emitorace. La traiettoria che si disegna è quella di un “8” sul piano orizzontale, avendo come riferimento il centro frenico. 35

L’Osteopata effettua la presa del test con l’appoggio degli indici leggermente sotto l’arco costale

Sull’altro emitorace lavora in chiusura Nell’inspirazione l’osteopata lavora in apertura avanti-fuori su e dietro (come a dover passare la tensione sull’altra mano che sta aprendo) di un emitorace Nell’espirazione la mano che era sull’emitorace in apertura lo chiude con una spinta diretta dietro-dentro in modo da passare il “testimone” all’altra mano

Nell’espirazione la mano che era sull’emitorace in apertura lo chiude con una spinta diretta dietro-dentro in modo da passare il “testimone” all’altra mano che nell’inspirazione successiva va ad aprire l’emitorace, mentre l’altra mano va a chiudere l’emitorace

Test di pressione sul centro frenico

La direzione di spinta è verso D8, avendo cura di inclinare l’avambraccio.

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La traiettoria che si disegna è quella di un “8” sul piano orizzontale, avendo come riferimento il centro frenico

Dragonetti LO STOMACO Lo stomaco è un organo piuttosto importante da un punto di vista anatomico, funzionale e pratico/clinico. Esso occupa il quadrante dell’epigastrio (in parte) e dell’ipocondrio sin. Quindi dal punto di vista osteopatico lo stomaco ci interessa molto per l’aspetto biomeccanico perché è un organo completamente intraperitoneale, pertanto è totalmente avvolto da peritoneo, che è un tessuto connettivo sieroso (quindi lo stomaco lo dobbiamo immaginare come avvolto da una grande fascia). Lo stomaco, dunque, ha sia rapporti anatomici con strutture come i legamenti, sia rapporti anatomici con organi adiacenti; per cui se ci sono restrizioni di mobilità a livello dello stomaco, tali restrizioni si possono creare anche a distanza, e a lungo andare le disfunzioni mantenute a livello di questo organo, anche se non interessano l’organo in senso stretto, di per sé nel tempo possono dare delle ripercussioni a livello della sua funzionalità organica intrinseca. Questo aspetto lo andremo a valutare, testare e trattare soprattutto a livello dei legamenti che tengono in sede lo stomaco. Tra l’altro è opportuno dire che lo stomaco ci interessa anche per un discorso biochimico: infatti, nello stomaco avviene una II digestione, mentre la I digestione avviene a livello della bocca. Il bolo alimentare dalla bocca scende, arriva nello stomaco e lì hanno inizio le prime scissioni. Se lo stomaco è in condizioni di normalità non c’è problema; mentre se ci sono condizioni afferenti ed efferenti che vanno ad alterare quella che è la sua struttura, a lungo andare si può alterare anche la funzionalità dell’organo e negli anni si possono avere problemi biomeccanici oltre che di tipo emodinamico (riguardo quello che è la fisiologia interna, la vascolarizzazione e l’innervazione). Nella visione frontale, la prima struttura che si può vedere e testare (frontalmente) è il piloro, che è uno sfintere dello stomaco e rappresenta il I punto fisso che generalmente non cambia. Sotto il piloro inizia il duodeno. Lo stomaco è ricoperto quasi interamente dal lobo sin del fegato. Poiché il fegato è un organo pieno molto più grande, nell’organizzazione embriologica mesodermica, il lobo sx del fegato si è sviluppato spingendo tutto lo stomaco verso l’ipocondrio sin, ecco perché troviamo quest’ultimo ad occupare oltre che

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l’epigastrio anche l’ipocondrio sin. Inoltre lo stomaco è una sacca che si è organizzata girandosi su se stessa per mancanza di spazio e successivamente non ha preso mesocolon attacchi sulla parete posteriore come è trasverso successo per altri organi, ma è andata a fossetta sopracreare dietro a livello dell’epigastrio una duodenale zona importantissima detta RETROCAVITA’ DEGLI EPIPLOON: questa rappresenta fossetta duodenale SUP funzionalmente un piano di scivolamento dove l’organo può muoversi soprattutto fossetta duode- quando gli arriva cibo senza sbattere conno- digiunale tro la parete posteriore addominale. Infatti vena dobbiamo, come già detto, immaginare lo mesenterica inf stomaco come una sacca. A digiuno tale sacca è ristretta, ma nel momento in cui arriva il bolo alimentare, si riempie e si dilata. fossetta duodenale INF Per potersi dilatare e restringere, senza urtare contro le pareti addominali posteriori, ha bisogno di uno spazio che 1) aumenti le superfici di scorrimento e 2) funga al contempo da ammortizzatore meccanico. Tale superficie è individuabile appunto nella

grande epiploon

retrocavità degli epiploon, localizzata nello specifico posteriormente a livello del piccolo epiploon o piccolo omento, che è un leg. gastroepatico che parte dallo stomaco e arriva al fegato. alto foglietto dell’epiploon gastro-splenico leg. gastrosinistra stomaco frenico milza foglietto dell’epiploon pacreatico-splenico stomaco

peritoneo gastrico (foglietto ant) arteria gastroepiploica

pancreas mesocolon trasverso basso 38

destra obliterazione del sacco epiploico

obliterazione del sacco epiploico

A livello inoltre di questa retrocavità dietro davanti degli epiploon passano i PEDUNCOLI VASCULO-NERVOSI; stomaco posteriormente alla parete dell’epiploon, proprio a contatto con la parete posterisezione dell’ ore dell’addome e davanti alle vertebre, immagine passa l’aorta con le sue diramazioni e lì adiacente la vena cava inferiore. peritoneo gastrico ant

leg. gastro-frenico peritoneo parietale post parete post dell’a.c.e. borsa retrogastrica dell’a.c.e. a. splenica

peritoneo gastrico post parete ant dell’a.c.e

pancreas

a. gastroepiploica dx leg gastro-colico

mesocolon trasverso

grande epiplon

arcata di Riolan

grande tuberosità cardia

grande curvatura

2 cm

piccola curvatura 1,5

piloro

corpo

ANATOMIA DELLO STOMACO In condizioni di normalità se vogliamo darne una proiezione topografica sulla colonna vertebrale, lo stomaco si proietta e si estende tra D10 e L2. Tuttavia, lo stomaco cambia da soggetto a soggetto sia per quanto riguarda la forma sia per quanto riguarda la disposizione; quindi diciamo che orientativamente lo stomaco si estende con una proiezione vertebrale da D10 a L2; è lungo circa 20-25 cm, largo 10-15 cm, ma non è sempre così.

piccola tuberosità

La proiezione di un organo sulla colonna è molto importante da un punto di vista osteopatico, proprio perché l’osteopatia trattando la globalità lavora sulle proiezioni: con le nostre mani andremo a testare l’organo e arriveremo su di esso, spesso con la nostra intenzione, perché comunque essendo lo stomaco un viscere, dobbiamo prima attraversare dei piani incontrando dapprima la pelle, il grasso, gli strati muscolari, la fascia trasversalis, il peritoneo; quindi con la nostra intenzione sappiamo di stare sul fegato, sullo stomaco rispettando delle proiezioni. Non è sempre così: infatti se ad es. ci troviamo di fronte un soggetto longilineo,

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non troveremo più uno stomaco alto e largo, ma lo troveremo più allungato. Quindi nel momento in cui faremo una palpazione e palperemo i punti di repere sapremo teoricamente che questa sacca si troverà sull’ipocondrio sin e subito al di sotto delle coste; tuttavia in condizioni patologiche, quando lo stomaco stesso perde i contatti con il diaframma, e quindi siamo in una condizione di ptosi, possiamo trovare il nostro stomaco anche sceso a livello intestinale: è il caso questo del classico STOMACO ATONICO (stomaco completamente patologico). In una persona brachilinea, invece, lo stomaco sarà molto più largo e sporgerà poco dalla griglia costale; poi sarà ovviamente solo la palpazione e la percussione che ci darà una indicazione un pò più precisa.

Lo stomaco ha 2 facce: anteriore posteriore. Ha 2 punti fissi: 1. Il cardias, che mette in comunicazione lo stomaco con l’esofago. Esso si trova a livello di K7 (7 cartilagine condrosternale anteriormente). A livello del cardias, abbiamo una linea detta linea Z che delimita il confine tra l’esofago (tubo che parte dall’osso ioide e arriva al cardias) e lo stomaco. Siamo sulla proiezione vertebrale di D9-D10. La linea Z è una linea importante che viene utilizzata dal gastroenterologo per valutare il reflusso gastro-esofageo, attraverso il cambiamento del colore della mucosa: questo limite, infatti, rappresenta un passaggio dalla mucosa dell’esofago alla mucosa dello stomaco. Questa zona, inoltre, è quella più soggetta alle trasformazioni neoplastiche in presenza di reflusso di HCL. 2. L’altro punto fisso è il piloro, che si trova in proiezione di L1 e delimita il passaggio della fine dello stomaco all’inizio del duodeno. In conclusione quindi cardias e piloro sono 2 punti fissi essenziali che tengono in sede lo stomaco. Lo stomaco presenta poi una grossa o grande tuberosità che è una GRANDE CURVA CONVESSA e orientata a sin detta anche FONDO DELLO STOMACO. Il fondo dello stomaco è importante perché ne faremo un reperimento a livello del V spazio intercostale (K5): esso segue il limite tra il diaframma e l’inizio dello stomaco. Mediante la percussione a questo livello è possibile sentire un cambio di tono: Suono più chiaro: significa che siamo ancora a livello della pleura e del diaframma. Suono più cupo: cambia spesso; significa che siamo sulla grande tuberosità dello stomaco. Poi abbiamo una PICCOLA CURVA, concava verso dx.

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La parte centrale è rappresentata dal CORPO DELLO STOMACO che finisce poi con l’antro pilorico (connette il piloro al corpo dello stomaco), con il restringimento del piloro e poi con il piloro (che connette lo stomaco al duodeno). Lo stomaco presenta davanti una struttura connettivale gialla, detta GRANDE OMENTO, struttura ricca di grasso che ricopre anteriormente l’addome, con funzione di protezione degli organi e funzione termica, oltre che immunitaria. GRANDE OMENTO: è un grembiule giallo, che avvolge gli organi definiti intraperitoneali. Esso parte dalla grande curvatura dello stomaco, mediante il legamento gastrocolico, ed arriva anteriormente al colon tras-

verso e da lì va a formare tutta una sorta di grembiule, che avvolge gli organi con funzione di protezione. Poi ci sono organi definiti invece retroperitoneali, i quali non sono avvolti interamente dal peritoneo, ma saranno ricoperti solo nella loro parete anteriore. RAPPORTI ANATOMICI DELLO STOMACO CON ALTRI ORGANI Parte SUP: a livello della grande tuberosità o fondo dello stomaco, attraverso il legamento gastro-frenico (legamento teso tra stomaco e diaframma) contrae rapporti con diaframma. Lo stomaco inoltre contrae rapporti con il pericardio, con la pleura e con i polmoni. Sempre per un discorso fasciale e neurovegetativo si possono fare dei collegamenti clinici con il cranio. Poi attraverso il piccolo epiploon o secondo legamento dello stomaco, che unisce l’ilo del fegato alla piccola curva dello stomaco, lo stomaco entra in contatto, a livello dell’epigastrio, con il lobo sin del fegato. angolo di His

leg. gastrofrenico

piccola curvatura

grande curvatura

piccolo epiploon prolungamento dx dell’a.c.e.

epiploon gastrosplenico

arcata gastroepiploica arcata di Riolan

mesocolon trasverso

ganglio semilunare sin

surrene sin a. renale sin testa del pancreas

grande epiploon

Parte INF: anteriormente nella parte inf, dove arriva il corpo dello stomaco e poi il piloro dello stomaco, lo stomaco, come organo, contrae rapporti con il colon trasverso, le anse del tenue e con parte del duodeno.

sustentaculum Posteriormente: lo stomaco è in lienico rapporto con la testa del panprolungamento creas, tronchi vasculo-nervosi, sin dell’a.c.e. la milza (postero-lateralmente a legamento sin), con il mesocolon trasverso, gastroaltro legamento o meglio meso, e colico anche con ghiandola surrenale e il rene sinistri.

Ricorda: epiploon sono i legamenti che uniscono 2 organi tra loro, rene dx faccia gastri- meso sono i legamenti che ca della milza uniscono un organo alla parete peduncolo retrostante splenico coda del pancreas Parlando dello stomaco è fondamentale descrivere e parlare mesocolon di un particolare spazio che lo trasverso caratterizza detto SPAZIO DEL TRAUBE. arcata di Riolan

angolo duodenodigiuno

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Spazio del TRAUBE Esso è uno spazio triangolare che serve essenzialmente per delimitare la regione tra K5-K9, dove si effettua la percussione; tutta questa regione tra K5-K9 anteriormente e lateralmente ha un interesse semeiologico, nel senso che corrisponde ad una regione occupata dal gas, poiché all’interno dello stomaco c’è aria, gas, in quanto lo stomaco è un organo cavo, rispetto invece al fegato che è un organo parenchimatoso pieno. Questo spazio sarà sede di percussione e auscultazione, perché è proprio lì che si possono riscontrare poi delle problematiche disfunzionali o patologiche, relative allo stomaco. Quando infatti, andremo a palpare lo stomaco, così come gli altri visceri, dobbiamo far caso se ci si presentano sotto le mani delle densità. Infatti, si dice che un viscere è in disfunzione se è duro/denso: ed è lì che faremo auscultazione e palpazione, facendo in tal caso attenzione al cambiamento di suono. Se alla palpazione ci si presenta un viscere morbido e mobile, significa che quel viscere non ha alcuna problematica. Naturalmente, cosa molto importante da considerare a livello pratico, è l’orario in cui si fa il trattam, poiché: a digiuno lo stomaco è vuoto per cui alla palpazione e percussione noi non sentiremo nulla a stomaco pieno o a metà della fase digestiva, si può alterare la dinamica: quindi si può andare a fare un test e si può trovare una disfunzione, perché non rientra più in una mobilità normale; oppure magari si può fare un test, e se si sente una densità non si deve pensare subito che ci può essere una disfunzione a livello dello stomaco. È opportuno chiedere al Pz se ha mangiato da poco, quante ore sono trascorse, e nel momento in cui vengono degradate queste molecole: i liquidi dallo stomaco al duodeno passano velocemente; i grassi impiegano quasi 5 h, così come le proteine impiegano 2-3 h; i carboidrati 1-2 h. LEGAMENTI DELLO STOMACO I legamenti dello stomaco sono fondamentalmente 4: leg. gastro-FRENICO leg. gastro-COLICO leg. gastro-SPLENICO leg. gastro-EPATICO o piccolo epiploon Tutti e 4 i legamenti stabilizzano e tengono in sede lo stomaco. Quindi, quando c’è una lassità legamentosa, c’è la compromissione di tutti i legamenti, e lo stomaco scende andando in ptosi. È tuttavia importante sapere che questa lassità capsulo-legamentosa può non essere data direttamente da quei legamenti. Quando un organo è in disfunzione, occorre capire se tale disfunzione è data da catene ascendenti, organi che stanno al di sotto dello stomaco, quindi organi, strutture, un utero basso o prolasso uterino, un parto cesareo, una ptosi vescicale, una distorsione di ginocchio non trattata: tutte queste cause possono compromettere tutta la mobilità dello stomaco e quindi dei suoi 4 legamenti, creando disfunzioni. Se troviamo dei legamenti in disfunzione non è detto che la motivazione sia per forza una causa strutturale o un problema locale. Quindi, posso avere una ptosi dello stomaco dovuta ad una compromissione dei legamenti, ma occorre prima di tutto CAPIRE LA/E CAUSE: soprattutto se sono cause ascendenti o cause discendenti. 1 ) leg. gastro-FRENICO: mette in rapporto il diafr con lo stomaco, a livello del V spazio intercostale (K5). 2) leg. gastro-SPLENICO: si estende dalla grande curva dello stomaco all’ilo della milza. 3) leg. gastro-COLICO: dalla grande curva dello stomaco parte questo ventaglio, che arriva sul colon trasverso e va poi a formare il grande omento, il quale ricopre poi tutto l’addome come un grembiule. 4) PICCOLO EPIPLOON: legamento che si trova tra fegato e stomaco. Esso è costituito da 2 fasci: FASCIO ORIZZONTALE: che va dallo stomaco al fegato. Quando noi lo testiamo, dovremo porci al di sotto della xifoide, mettendoci con una mano sul fegato e una sullo stomaco. 42

FASCIO VERTICALE: è il punto da cui partono tutte le strutture vascolari; è un fascio che parte dall’ilo del fegato e arriva al duodeno. Questo legamento è chiamato in tre modi: 1. fascio verticale del piccolo epiploon 2. leg. epato-duodenale 3. leg. cistico-duodenale È possibile, dunque, tramite tale legam comprendere i rapporti anatomici tra fegato, stomaco e duodeno. Se c’è un’alterazione della struttura o della dinamica funzionale e organica di uno di questi organi, ci possono essere compromissioni e ripercussioni anche su uno degli altri due. A livello del piccolo epiploon o legamento epatoduodenale o legamento cistico-duodenale, c’è un passaggio vascolare importante: VENA PORTA, ARTERIA EPATICA e DOTTO COLEDOCO (queste 3 strutture passano posteriormente al piccolo epiploon e passano a livello dell’ilo epatico). Quindi, lavorando osteopaticamente queste zone, è possibile fare una liberazione da questo punto di vista, e lì miglioreremo sicuramente l’apporto vascolare su tutti e tre gli organi, facendo un lavoro vascolare sulla emodinamica. Quindi abbiamo l’ilo della milza, ilo del fegato, i quali sono attraversati dai vasi ematici. Guardando la cavità addominale anteriormente, troveremo lo stomaco a cui si lega un foglietto detto leg. GASTROSPLENICO (perché parte dalla grande curvatura dello stomaco e si inserisce sulla milza posteriormente; in questi piani c’è la cosiddetta RETROCAVITA’ DEGLI EPIPLOON). C’è il grande epiploon o grande omento e vicino c’è il mesocolon trasverso, che appunto come già detto va dalla parete anteriore dello stomaco e si inserisce sul colon trasverso. Leg. GASTRO-COLICO: legamento che parte dalla grande curvatura dello stomaco e si inserisce anteriormente a coprire il mesocolon trasverso. A livello del mesocolon trasverso, esso diventa un grembiule, un lenzuolo che avvolge il tutto. Quindi questo è sinonimo di GRANDE EPIPLOON. Mezzi di fissità I mezzi di fissità dello stomaco sono: 1. I 4 legamenti che mantengono appunto in sede lo stomaco; 2. Effetto turgor (cioè il gonfiore intrinseco dell’organo che a volte può essere dato dalla pressione del sangue, che fa mantenere lo stomaco in sede, così come il fegato e altri organi parenchimatosi). 3. Pressione intragravitaria dell’organo stesso, la quale aumenta la fissità dell’organo. 4. Differenza di pressione tra cavità toracica e cavità addominale: la pressione addominale è positiva (P+), mentre la pressione intratoracica è negativa (P-) ; si crea un gradiente pressorio DP in grado a sua volta di determinare una stabilizzazione da parte degli organi. 5. Tono della muscolatura parietale Se anche solo uno di questi parametri è alterato, senza dubbio si creano dei disequilibri degli organi, quindi delle disfunzioni. Esistono diversi tipi di stomaco, con diverse forme: Stomaco ipertonico: in genere molto sviluppato in lunghezza, questo è uno stomaco che si trova nelle persone molto depresse, con una grossa componente psicologica. Si può dire che è uno stomaco emozionale. Atonico: completamente patologico. Ipotonico: che ha perso tonicità. Ortotonico: provocato da una iperstimolazione del sistema ortosimpatico. Verticale ad uncino: fa parte di un normotipo. Più largo e più corto: tipico di un soggetto brachilineo. Allungato a sifone longitipo: tipico di un soggetto longilineo. 43

Obliquo o a corno di torello: tipico di un brachilineo. ISTOLOGIA dello stomaco Lo stomaco presenta le seguenti tonache: Sierosa Sottosierosa Muscolare Esterna a fibre Longitudinali Muscolare Interna a fibre Circolari Mucosa Sottomucosa: questa ultima è importante perché è in essa che ci sono diversi tipi di cellule. Tra queste abbiamo le cellule caliciformi mucipare, che producono muco e sono importanti in quanto devono proteggere la mucosa dello stomaco. All’interno dello stomaco c’è l‘HCL, quindi se c’è una eccessiva produzione di questo e aumento di succhi gastrici, si può andare incontro a problemi di gastrite e ulcera gastrica. Quindi una parte dello stomaco contiene le cellule mucipare che servono da protezione per la mucosa. Osservando internamente lo stomaco, è possibile valutare la presenza delle fossette gastriche, soprattutto quando lo stomaco è in funzione, contenenti le cellule G. La mucosa dello stomaco, in una fase produttiva, quando contiene il cibo diventa di colore più rosso, mentre di solito è più rosa. Ricordiamo pure che la mucosa dell’esofago è diversa nel colore dalla mucosa dello stomaco, e il passaggio dall’una all’altra è delimitato dalla linea Z. La tonaca mucosa comprende diversi citotipi: le cellule principali che poi si suddividono in CELLULE G, cellule queste ultime che poi danno origine alla GASTRINA. Lo stomaco ha diverse funzioni; quando arriva questo bolo alimentare, a livello gastrico, si attivano determinati enzimi, uno di questi è appunto la gastrina prodotta dalle cellule G. Questo cibo deve essere infatti degradato, per cui il bolo sarà scisso in componenti di minor peso molecolare come proteine, amminoacidi, Fe e Fosforo. La GASTRINA secreta aumenta la produzione di HCL e ciò determina una scissione: per far si che avvenga una scissione molecolare ci deve essere un alto contenuto di HCL. Quindi da un punto di vista funzionale possiamo dividere lo stomaco in 2 parti: 1. Parte ALTA: formata dalla grossa tuberosità viene definita la parte acida dove avvengono questi processi digestivi; 2. Parte BASSA: formata dal tratto che va verso il piloro viene definita parte alcalina dello stomaco. Infatti, la presenza di HCL in medio/alto contenuto è importante per una corretta scissione molecolare; tuttavia è necessaria la presenza di un altro ormone, che dall’altro lato limita la eccessiva produzione di HCL. La parte bassa, che dunque è responsabile del trasporto delle molecole verso il duodeno, ha la funzione di alzare il Ph e quindi è un importante sistema tampone. Infatti tutto ciò che deve arrivare nel duodeno per assimilazione, se arriva con alto contenuto di acidità e rimane un grosso contenuto di HCL nello stomaco, porta alla corrosione della mucosa. Dunque le cellule caliciformi mucipare sono importanti al fine di creare con la produzione di uno strato di muco, un ambiente alcalino-basico nella porzione inferiore dello stomaco. Nella parte bassa dello stomaco, o parte alcalina, avviene la produzione di BICARBONATO DI SODIO (NAHCO3). Il bicarbonato, infatti, con funzione tamponante, aumenta il PH facendolo avvicinare al valore di neutralità. Quindi ricapitolando: cellule principali >>>cellule G >>>GASTRINA >>>attiva >>>>HCL >>degradazione di molecole più complesse in molecole più semplici >>>aumento della concentrazione di Ph (ph alcalino) nella zona della piccola tuberosità determinato da 2 ormoni prodotti dal duodeno. La GASTRINA ha 2 funzioni: 1 è un attivatore di HCL. 2 mantiene il tono sfinteriale del cardias, quindi serve per mantenere una muscolatura tonica; infatti se 44

questa muscolatura non fosse tonica, parte del cibo ritornerebbe indietro nell’esofago procurando il REFLUSSO GASTRO-ESOFAGEO. L’HCL attiva la PEPSINA responsabile della trasformazione delle proteine in amminoacidi e dei polisaccaridi in glucosio, l ’assorbimento di CA2+, Fe2+. Tutto questo è regolato dalla forte acidità presente nello stomaco e dalle onde peristaltiche. Le cellule sono protette da uno strato di muco denso e alcalino prodotto dalle stesse. Inoltre la tonaca sottomucosa gastrica contiene le CELLULE ENDOCRINE che immettono nel sangue la propria secrezione ormonale. Tutto ciò è gestito dal Sistema Autonomo Parasimpatico, rappresentato dal n. vago. INNERVAZIONE dello stomaco L’innervazione dello stomaco è data dal n. vago dx e vago sin; quindi se abbiamo alterazione di questo decorso, abbiamo una compromissione fisiologica dello stomaco, anche se non ci sono delle grosse patologie. In presenza di una OM bloccata o di una disfunzione cranica importante, possiamo avere compromissioni in tutto questo decorso e viceversa, una problematica gastrica può avere ripercussioni fino al cranio. Tutto ciò è dovuto a MOTIVAZIONE NEUROVEGETATIVA ma ANCHE A MOTIVAZIONE FASCIALE. I nervi vaghi aumentano la peristalsi intestinale, e ci sono dei centri che ci danno degli stimoli, uno di questi è l’ipotalamo e il 4 ventricolo. I centri della fame e della sete sono tutti governati dal sistema autonomo. Sistema PARAsimpatico > Vigile di NOTTE Sistema ORTOsimpatico > Vigile di GIORNO Del sistema ortosimpatico fanno parte per lo stomaco, il n. Grande Splancnico (D6-D9) facente parte della catena latero-vertebrale. Quindi, se la zona D6-D9 è in disfunzione, tale disfunzione blocca ancora di più l’orto. Se queste vertebre sono in blocco ma non di tipo strutturale, gli sfinteri vanno in spasmo e sono mantenuti dall’orto. Una normalizzazione di questo tratto vertebrale inibisce l’orto e stimola il para. È opportuno definire anche se una lesione è più viscerale o somatica. Se noi stiamo palpando e valutando lo stomaco, e abbiamo un sintomo correlato, dobbiamo definire se si tratta di un problema di origine strutturale o organico, e sarà proprio la diagnosi differenziale che ci farà decidere da dove iniziare il trattamento. FUNZIONI dello stomaco 1. Biochimica (digestione degli alimenti) 2. Di deposito 3. Rimescolamento dei materiali ingeriti 4. Svuotamento dell’intestino attraverso il piloro (i liquidi restano solo pochi minuti nello stomaco, essi infatti hanno un transito veloce e dunque un passaggio piuttosto immediato). Carboidrati > 1-2 ore Proteine > 2-3 ORE Lipidi > 5 ORE Il cibo che arriva allo stomaco dà un aumento della produzione di HCL, di ormoni e di enzimi: - GASTRINA - FATTORE INTRINSECO: ha proprietà di legare e quindi di facilitare l’assorbimento della vitamina B12. Ciò è interessante da un punto di vista osteopatico. Questo legame tra fattore intrinseco e vitamina B12 consente poi l’assorbimento a livello dell’ilo, ultimo tratto intestinale; la vitamina B12 forma l’eme (ferro) e dunque agisce a livello dei globuli rossi del sangue. Quindi: lavoro lo stomaco osteopaticamente prima di consigliare la vitamina B12. Perché? Infatti le persone carenti di vitamina B12 non è detto che abbiano un problema organico, ma spesso è funzionale, quindi si creano situazioni a livello dell’organismo che poi si possono normalizzare da sole. È opportuno fare trattamenti osteopatici per ridare funzionalità a tutto e garantire il miglioramento 45

dell’assimilabilità delle sostanze piuttosto che attraverso la somministrazione orale. Ottimo è dunque il lavoro viscerale; la stessa cosa nei pz con artrite reumatoide o anche negli ipotiroidei. È stato visto infatti con studi sperimentali che trattando i Pz con Eutirox, se il Pz ha l’elicobacter pilori, questo farmaco non è efficace, quindi è preferibile un trattamento osteopatico funzionale globale, prima d’urto poi dilazionato e di mantenimento nel tempo. Importante è anche la QDVita del Pz e la sua dinamica. L’intestino è il 2 cervello: ha un plesso autonomo di AUERBACH mienterico; è stato visto infatti che anche nei Pz colpiti da ictus l’intestino continua a funzionare. In tutte le varie patologie è implicato il s. immunitario, che spesso è alla base delle intolleranze >>> quindi è opportuno controllare anche questo. Es. è il caso tipico della celiachia: di base l’enzima che scioglie il glutine l’abbiamo tutti, ma sicuramente in condizioni di stress o in condizioni psicologiche particolari o ancora in caso di abbassamento delle difese immunitarie, può essere alterato il metabolismo di questo; stessa cosa accade nelle patologie reumatiche come l’artrite reumatoide; dunque facendo un lavoro viscerale su polmone, fegato, rene, milza >>>che sono per lo più anche organi immunitari, si ottengono dei buoni risultati. È opportuno valutare anche l’alimentazione, il glutine, i latticini. Un’attenzione particolare per ciò che concerne la dieta va prestata ai Pz fibromialgici nei quali è più alta la concentrazione del colesterolo ematico. C’è una relazione biochimica tra stomaco e cieco per il riflesso gastro-colico: tale riflesso viene attivato dal vago ed è un riflesso che apre il piloro e rilascia la valvola ileocecale e quindi facilita l’assorbimento della vitamina B12. VASCOLARIZZAZIONE ARTERIOSA dello stomaco Lo stomaco è vascolarizzato dal tronco celiaco (proiezione D12): se noi liberiamo quella zona dorsale, significa che stiamo lavorando indirettamente sul tripode o tronco celiaco (a. gastrica, a. splenica, a. epatica). L’arteria gastrica a sua volta dà rami per il fondo dello stomaco e per la piccola curvatura. Dietro il tronco celiaco ci sarà il tronco della vena cava superiore e inferiore. L’a. splenica vascolarizza il tratto dallo stomaco alla milza. Dà origine alla arteria gastroepiploica, che dà dei rami per il corpo e per la parte alta ed esterna della grande curvatura dello stomaco. L’a. epatica: essa arriva dal fegato e va verso lo stomaco. Vascolarizza la parte bassa della grande curvatura, il piloro e la piccola curva, insieme con la arteria gastroepiploica sin. L’a. gastrica, che vascolarizza la piccola curva dello stomaco è detta anche CORONARIA STOMACICA. L’a. gastroepiploica dx si anastomizza con la sin e va alla parte inferiore dello stomaco.

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DRENAGGIO VENOSO dello stomaco v. emiazygos inf Lo stomaco è drenato dal v. grande (sistema azygos sistema portale. La vena reticolo cava sup) esofageo splenica è quella principale, v. cava sup (sistema porta) v. della grossa quindi tutto il sangue provetuberosità niente dagli organi finisce poi v. diaframmatica inf nella vena porta, che arriva v. coronaria poi al fegato e alla vena cava. stomacica Quindi si crea una anastomosi v. sottoepatica tra vena porta e vena cava: v. cava inf una problematica a livello della vena cava può portare a v. porta problematiche venose a livello degli arti inferiori. Infatti, la v. splenica vena cava inferiore, attraverso v. gastroepiploica sin le vene iliache e le vene ipogastriche, è in grado di tronco gastrodrenare gli arti inferiori. colico di Henle Quindi se abbiamo grossi v. pancreaticoedemi in periferia, significa duodenale ant e inf v. colico che c’è una grossa alterazione v. gastro-epiploica dx sup dx a livello del SISTEMA v. mesenterica sup PORTA-CAVA. Inoltre, una alterazione di questo sistema, può comportare problematiche retto-emorroidali, diretta espressione di ciò. FISIOLOGIA OSTEOPATICA dello stomaco In condizioni di normalità, un organo può essere trattato sulla mobilità, quindi rispetto alla respirazione, si valuta la sua mobilità rispetto al diaframma. Se lo trattiamo sul piano cranio/sacrale, lo trattiamo secondo la motilità. Se lo trattiamo attraverso il sistema neurovegetativo, lo trattiamo sulla motricità. A livello dello stomaco, in condizioni di normalità fisiologica, durante un atto INsp, lo stomaco stesso globalmente fa una rotazione oraria- scende-quindi si abbassa e avanza (al contrario del fegato che farà una rotazione antioraria). La grande tuberosità scende, avanza e si esteriorizza (rotazione oraria), rispetto alla parte inferiore dello stomaco. Sul piano orizzontale lo stomaco compie una rotazione dx; sul piano frontale compie una rotazione oraria, attorno ad un asse antero-posteriore. Nella fase espiratoria o durante un atto ESp, lo stomaco compie dei movimenti in senso opposto, ritornando dunque al suo punto neutro. Quindi risale verso l’alto-si posteriorizza e fa una rotazione antioraria. Disfunzione di INsp dello stomaco Se in un tempo inspiratorio, lo stomaco fa una rotazione oraria, scende e avanza, mentre nella fase espiratoria non torna indietro, ma rimane basso significa che: lo stomaco si trova in disfunzione di inspirazione.

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Cause: Può essere dovuta ai soli legamenti o ad uno di questi (problematiche strutturale e legamentose) Problematica fasciale Rapporti anatomici con altri organi (problematica organica) Problematica alta (può essere la causa di disfunzione di inspirazione dello stomaco, poiché mantiene lo stomaco basso e non lo fa risalire in inspirazione) Problematica bassa (addominale) o ad un arto che può trattenere lo stomaco in basso, e quindi lo stomaco rimane in disfunzione di inspirazione Disfunzione di Esp dello stomaco Durante un tempo espiratorio, in cui lo stomaco dovrebbe fare una rotazione antioraria, posteriorizzarsi e salire, se si blocca nei movimenti opposti per gli stessi motivi visti poco prima, si ha una disfunzione di Esp ALTA (discorso vagale). Nella pratica possiamo trovare: A) Disfunzioni di globalità dello stomaco in Esp e in INsp; B) Disfunzioni singole riguardanti ogni singolo legamento: li andremo a reperire, a testare e a valutare se c’è elasticità o meno e poi a trattarli. Quindi il trattamento in genere sui legamenti viene fatto con dei RECOIL, ma ciò non esclude che possa anche essere fatto mediante tecniche funzionali. Quando si parla di disfunzione di un organo si deve considerare se c’è una disfunzione meccanica di struttura legamentosa o propria dell’organo. Nel viscerale si preferisce lavorare di più mediante una tecnica funzionale, basata appunto sulla respirazione, soprattutto se dobbiamo lavorare sulla GLOBALITA’ dell’organo; però ciò non esclude che uno stomaco o un fegato possano essere trattati con tecnica meccanica diretta, non agendo sulla respirazione. Per usare il recoill (tecnica meccanica diretta, ci devono essere delle condizioni: - il Pz lo deve permettere, poiché è una tecnica forte diretta. - il legamento deve essere in disfunzione meccanica e di struttura NB: il recoill NON VA FATTO in caso di Pz neurovegetativo, spasmato, vagotonico. Nella tecnica funzionale si utilizza la respirazione, si seguono prettamente le fasce, aggravando la disfunzione, fino a quando si raggiunge il cosiddetto punto neutro; dopodiché si riaccompagna fino a quando ci sarà un riequilibrio inspiratorio ed espiratorio. Quindi lo stomaco potrà essere trattato o da un punto di vista meccanico (mediante recoill) o funzionale; lo stesso vale per i legamenti. Poi andremo a valutare i 2 punti fissi dello stomaco (cardias > K7; 7 cartilagine condrosternale; piloro > lo troviamo in una linea passante tra K9/K9, xifoide–ombelico, circa a metà centro dx). Questi 2 sfinteri possono essere trattati con dei recoill o delle tecniche funzionali. Sintomi riferiti o diretti di una problematica funzionale legata allo stomaco 1. livello dorsale: D6/D9 (medio dorsale) >> n. grande splancnico ortosimpatico 2. cervicalgia o cervicobrachialgia sin (dolore alla spalla sin) > collegam. con ipocondrio sin e aorta D4 D5 Attenzione: dobbiamo escludere un problema neurologico, quindi chiedere al Pz se ha avuto traumi, se ha torcicollo o altro. La conferma o smentita ci sarà data dalla palpazione o percussione, dal test di mobilità dello stomaco e dal test di inibizione tra stomaco e parte interessata (per diagnosi differenziale). Dobbiamo fare anche diagnosi differenziale tra un problema cardiaco e un problema di reflusso. 3. dolore costale basso (k7/k9). 4. OM in disfunzione 5. dolori epigastrici associati al dolore all’ipocondrio sin 6. colorito visus nel passaggio da supino a in piedi 7. diaframma 48

SEGNI CLINICI ASSOCIATI SPECIFICI DELL’ORGANO 1. acidità e reflusso 2. pesantezza e dispepsia (alterazione della digestione) 3. pirosi 4. grosse eruttazioni e aerofagia 5. ipersalivazione e scialorrea 6. gonfiori post prandiali 7. disfagia 8. fame d’aria 9. rigurgiti 10. nausea>>>> per collegamento con vago 11. senso di pienezza 12. emicrania,vertigine, dizzines 13.sensazione caldo-freddo (sudorazioni fredde) 14. sintomi pseudo-anginosi

3 sem Pratica Stomaco Lo stomaco è un viscere che si localizza a livello dell’epigastrio e dell’ipocondrio sin con proiezione della porzione superiore dell’organo a livello del V spazio intercostale, dove c’è il limite tra la grande tuberosità dello stomaco e la cupola diaframmatica sin. NB! Quando si chiede il repere teorico di un organo questo repere è per così dire matematico, mentre il repere pratico è diverso per ciascun Pz in relazione 1. alla sua costituzione, 2. al grado di riempimento dell’organo, 3. alle disfunzioni globali che l’organo può presentare (es. ptosi dello stomaco).

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Quindi il repere teorico può non corrispondere al repere pratico. Reperimento dello stomaco Poiché nella zona toraco-addominale abbiamo diversi organi con struttura interna diversa (es. polmoni contenenti aria, diaframma a struttura muscolare e stomaco vuoto) per il reperimento dello stomaco si procede mediante percussione. Mediante questa metodica infatti sarà possibile, a seconda del suono percepito, stabilire con quale viscere si è in relazione; es. il polmone darà il tipico “suono chiaro polmonare”. NB: poiché vicino a questi organi ci sono altre strutture che verranno prese in considerazione nei prossimi anni, come la pleura, per ora è importante apprezzare le differenze grossolane. Reperimento margine superiore dello stomaco 1. Per effettuare le percussione si parte da una zona in cui penso possa esserci la struttura che sto cercando: perciò individuo il repere teorico dello stomaco. Per reperire il margine superiore dell’organo ci si posiziona a livello della clavicola e scendendo verso il basso si procede al reperimento del V spazio intercostale (zona in cui teoricamente si trova la proiezione dello stomaco). Nella maggior parte dei Pz il V spazio intercostale corrisponde all’altezza del capezzolo. 2. Con l’articolazione interfalangea intermedia del dito medio della mano craniale ci si pone a livello del V spazio intercostale (avendo cura di aderire bene al torace e di non rimanere superficiali a livello della cute), mentre con il 2 dito della mano caudale (eventualmente rinforzato dal 3 dito) si procede alla percussione avendo cura di non partire da troppo in alto perché il dito deve essere rigido venendo usato a mo’ di martello). La percussione va effettuata sulla interfalangea intermedia, perché sulla distale o prossimale siamo meno solidi. Quindi andrò a percuotere a livello del V spazio intercostale. 3. In questo modo ho individuato il limite superiore dello stomaco in quel Pz. Distingueremo dall’alto verso il basso il polmone (suono chiaro polmonare), il diaframma e poi lo stomaco (suono vuoto)

Repere margine sup dello stomaco mediante percussione sull’interfalangea media con II - III dito 4. Si può procedere con la percussione anche sui margini laterale e mediale in modo da definire correttamente la posizione dello stomaco rispetto alla milza ed al fegato.

Repere margine laterale dello stomaco rispetto alla milza

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Reperimento margine inferiore dello stomaco Per reperire il margine inferiore dello stomaco (cioè la grande curvatura dell’organo), che confina con il colon trasverso, si può procedere in due modi: 1. Con la mano caudale disposta a taglio si procede dalla fossa iliaca verso l’alto sino ad imbattersi in uno scalino: questo è il limite tra colon trasverso e stomaco.

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2. Ci si pone con la mano caudale a livello ombelicale, mentre con la mano craniale posta sulla griglia costale si danno come degli shock sul torace in modo da spingere i liquidi ed i gas presenti nel fondo dello stomaco verso la mano caudale (onda idroaerea). Con la mano caudale sul margine inferiore dello stomaco si percepirà l’arrivo di questa onda idroaerea, in caso contrario si dovrà salire con la mano caudale un poco più in alto sino a raggiungere il margine inf dello stomaco.

2

Test di pressione

NB 1: è un tipo di test che deve essere eseguito su tutti i visceri che si intende esaminare al fine di ricercare una sensazione manuale di densità (termine non proprio corretto dal punto di vista fisico). NB 2: nei test di densità non ci sono modificazioni legate alla respirazione. Se la disfunzione è vera non cambierà mai, indifferentemente se si sarà a stomaco vuoto o pieno, seduto o disteso ecc… Dopo avere effettuato il test di pressione sui 9 quadranti dell’addome (con eventuali test di bilanciamento) supponiamo di avere trovato una maggiore densità in ipocondrio sinistro. Qui sono presenti diversi organi quali parte del fegato, stomaco, milza, angolo colico sin. Cosa è che mi fa discriminare il viscere che mi interessa? Il test di pressione selettivo su quel viscere. Il test di pressione sullo stomaco pur essendo molto simile al test di pressione sul diaframma ha una intenzionalità ed una proiezione diverse. Il test di pressione sullo stomaco può essere effettuato in due modi; più che in due modi in due tempi, quindi si fanno entrambi (es: se fosse il fondo a essere più “denso” penserei più a un legamento gastro-frenico; se fosse più la parte bassa penserei magari alla relazione col colon ecc):

1.Test di pressione addominale_ 2 TEMPI

Ci si posiziona nello stesso modo del test di pressione per la cupola diaframmatica sin, con la differenza che la mano non è a livello sottocostale, ma maggiormente in zona addominale e la proiezione di spinta non arriva al V spazio intercostale, ma è proprio la sensazione del viscere che si ha sotto la mano, quindi non si deve superare nulla (es. il diaframma) Test di press Test di pressione addominale 2.Test di pressione sopracostale sopracostale Si pone la mano sulla griglia costale, si superano le coste e si va a sentire se sotto si percepisce il duro.

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mano > test sul diaframma

mano (più bassa) > test sullo stomaco

Repere e test di cardias e piloro Sono rispettivamente punto di partenza e di arrivo dello stomaco. (attenzione: a livello di K4, V spazio intercostale, è dove c’è il limite tra il diaframma e la grossa tuberosità dello stomaco, o fondo dello stomaco) Il punto teorico del cardias si localizza sulla 7° cartilagine condrosternale sin, più o meno 2 dita dal margine lat dello sterno. (Dragonetti parla di 6° cartilagine per reperire cardias)

La VII cartilagine è quella che dalla xifoide sentiamo più orizzontale. Se non riusciamo a distinguerla così le contiamo. Il cardias non è una porzione palpabile per cui andrò a posizionarmi col pisiforme nella zona di repere teorica e comincerò a cercare in una direzione dietro-fuori una densificazione del tessuto (il cardias è uno sfintere quindi sicuramente sento qualcosa che è più densificato rispetto al resto dello stomaco). Ora che l’ho reperito lo testo. Effettuo un test di pressione andando verso dietro-fuori: valuto se è duro o morbido. Cardias e piloro sono sempre duri, infatti li troviamo perché sono zone densificate. Come stabilisco se è in disfunzione con il test di pressione se già di se è più duro del resto? Solo con la pratica, dove imparerò qual è la durezza fisiologica e riuscirò a distinguere quella disfunzionale, la durezza più dura del normale. Per fare il trattamento sul cardias effettuerò un recoil. Cercherò sui vari piani dello spazio dove si accumula più tensione, e inoltre valuteremo se la tensione aumenta in inspiro o in espiro. Il recoil averrà secondo l’accumulo di questa maggiore tensione (simile al trattamento dei muscoli digastrici) (vedi meglio spiegazione recoil più avanti). La tensione che accumulo in un piano la mantengo sempre nei piani successivi, finendo con una tensione per ogni piano più la tensione respiratoria; e poi farò il recoil su questa tensione.

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direzione recoil per cardias

K8

K8

(è a dx)

Stesso discorso per il piloro: devo trovare una zona densificata, e la sua disfunzione sarà una durezza più dura della sua durezza normale. Per reperire il piloro (l’abbiamo già visto le prime lezioni) individuo xifoide e ombelico, e poi individuo la metà di una linea tesa tra questi due punti. Reperisco poi K8, traccio tra K8-K8 la linea transpilorica: la zona tra questa linea e la metà della linea tesa tra xifoide e ombelico è la zona pilorica. In questa zona pilorica vado a fare una palpazione. La prof lo fa col dito medio o con l’indice, rinforzato con l’altra mano.

Vado a fare una palpazione secondo l’orientamento del piloro. Il piloro è su un piano para-frontale: nell’andare a palparlo sentiremo come una moneta (perchè siamo su un piano quasi frontale); quindi andiamo a cercare una monetina più dura. Questa è comunque la zona teorica del piloro, che dovrò andare a ricercare a partire da qui. 53

Quando è molto spasmato è più facile da sentire e palpare, anche perché il Pz ha dolore. Una volta reperito vado a fare un test di pressione nello stesso modo: vado più in profondità e sento se è duro o morbido. Se ci è difficile perché l’addome è molto teso possiamo far piegare le gambe al Pz (se sento battere l’aorta faccio il test velocemente per non infastidire il Pz). Se è molto spasmato possiamo procedere in vari modi: 1. o restiamo in appoggio aspettando anche che il Pz rilasci la tensione preventiva al dolore, e piano piano cerchiamo di entrare (anche se su tanti Pz non riusciremo ad entrare perché si creeranno una protezione elevata) 2. se non si riesce ad entrare andremo a verificare la zona D6-D8, che è zona di innervazione del piloro, per cui andrei a controllare quelle vertebre e se sono in disfunzione agirei prima su queste. Il n. grande splancnico (D4-D8) è la catena latero-vertebrale, per cui mi porta il piloro in ortosimpatico, per cui molto spasmato; vado allora a controllare quelle vertebre. Giusto a scopo informativo- posso utilizzare anche delle tecniche inibitorie: tengo una mano sul piloro e con l’altra vado sulle vertebre D6-D8 e vedo se il piloro si rilassa. Se lavoro in funzionale, faccio accentuare la respirazione al Pz, e vado ad aggravare la disfunzione (in espirazione o inspirazione: se la tensione aumenta in espirazione, io andrò ad aggravare in espirazione e in inspirazione mantengo) fino ad arrivare ad un punto neutro dove non sentirò quasi più nulla. Là aspetterò che la fascia riparta in correzione e quando avremmo questa sensazione la accompagneremo fino alla correzione. Dopodiché ritestiamo e vediamo se la tensione si è attenuata. Utilizzando il recoil, come già detto, vado a ricercare la maggior tensione nei tre piani dello spazio (senza interessarmi della respirazione) e mantengo queste tensioni. Da ultimo faccio respirare il Pz e sento in quale delle due fasi si accumula ancora più tensione, e dove sentirò più tensione andrò ad effettuare il recoil, ossia o in inspirazione o in espirazione. Test di mobilità dello stomaco Ricorda che in: fase INsp lo stomaco va avanti e soprattutto scende facendo una rotazione in senso orario accartocciandosi un poco su se stesso perché la grande tuberosità avanza mentre la parte bassa viene trattenuta un poco indietro dal piloro e da tutte le strutture vascolari. fase Esp lo stomaco sale, si posteriorizza e fa una rotazione antioraria. Per effettuare il test di mobilità dello stomaco ci si posiziona con le mani nella stessa posizione del test di pressione e cioè con la mano craniale sopracostale e con la mano caudale a livello della porzione addominale dello stomaco. Ci si mette in ascolto di inspiro ed espiro per conoscere i tempi di induzione del Pz nei quali si andrà ad effettuare il test. Quindi: in un tempo INsp si porta verso il basso e si effettua una rotazione in senso orario dell’organo; nel tempo espiratorio successivo si aspetta il ritorno del viscere, in un tempo Esp si porta lo stomaco in alto in direzione antioraria per poi ritornare nella posizione di partenza. A questo punto si valuta se c’è un parametro dei due che è in restrizione di mobilità e lo si denomina nel senso della maggiore ampiezza. Es.1: uno stomaco che scende ed avanza bene in un tempo inspiratorio e che non sale in un tempo espiratorio è uno stomaco in disfunzione di inspirazione. Es.2: uno stomaco che sale ed indietreggia in un tempo espiratorio e che non scende ed avanza in un tempo inspiratorio è uno stomaco in disfunzione di espirazione. In questi test testiamo lo stomaco nella globalità, ma possiamo anche testare i singoli parametri in maniera meccanica, ossia torsione, scivolamenti sul piano omentale, apertura e chiusura della grande e piccola curva. La posizione è sempre la stessa del test classico e non spostiamo mai le mani durante questi singoli test.

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Faremo: torsione oraria e antioraria (scorrimento dei fasci longitudinali dello stomaco)

scivolamento interno ed est (in questo modo testeremo indirettamente anche rispettivamente il legamento gastro-splenico e il legamento piccolo epiplon) apertura della grande curva

apertura della piccola curva

scivolamento inferiore (testo indirettamente il gastro-frenico) scivolamento superiore (testo indirettamente il gastro-colico) accartocciamenti:

Questi test ci danno un’ idea del blocco peritoneale che abbiamo e perciò ci aiutano nella valutazione e nel trattamento. Se sento ad esempio delle restrizioni nella apertura della piccola curva, magari mi vado a testare il piccolo epiplon; se sento delle restrizioni nell’apertura della grande curva penso più al gastro-splenico, al gastrocolico (a una catena che scende non a una catena che sale). Se ho teso il gastro-frenico penso a qualcosa che si è organizzato verso l’alto. Questi sono principi che vedremo nella clinica. Correzione delle disfunzioni dello stomaco Le disfunzioni dello stomaco possono essere di due tipi: 1. Disfunzioni in INspirazione 2. Disfunzioni in Espirazione 55

1. Correzione delle disfunzioni di stomaco in INsp (tecnica funzionale INDIRETTA) Le mani sono posizionate come nel test di mobilità. Lavorando su più atti respiratori si procede in aggravamento portando in: INsp lo stomaco in basso, avanti ed in rotazione oraria, Esp si mantiene. Si procede in questo modo fino a che non si può aggravare più, allora si aspetta la risposta tessutale ed in un tempo espiratorio si porta lo stomaco in alto, dietro ed in rotazione antioraria (la correzione può richiedere anche più atti espiratori e quindi in inspirazione si mantiene e pian piano si porta in correzione durante espirazione). Può anche darsi che abbiamo fatto talmente bene l’aggravamento o che il Pz ha una buona risposta tissutale che riusciamo a correggere in un solo tempo. Alla fine ci si mette di nuovo in ascolto e si effettua un nuovo test di mobilità per valutare se la correzione è andata a buon fine. 2. Correzione delle disfunzioni di stomaco in Esp (con tecnica funzionale INDIRETTA) Le mani sono posizionate come nel test di mobilità. Lavorando su più atti respiratori si procede in aggravamento portando in: - Esp lo stomaco alto, dietro ed in rotazione antioraria - INsp si mantiene. Si procede in questo modo fino a che non si riesce più ad aggravare, allora si aspetta la risposta tessutale ed in un tempo inspiratorio si porta lo stomaco in basso, avanti ed in rotazione oraria (la correzione può richiedere più atti respiratori e quindi in espirazione si mantiene). Alla fine ci si mette di nuovo in ascolto e si effettua un nuovo test di mobilità per valutare se la correzione è andata a buon fine.

Test sui legamenti dello stomaco

Attenzione: quando tratto i legamenti tratto comunque anche l’organo: i legamenti sono l’aggancio strutturale dell’organo; sull’organo lavoro la mobilità, e sono su un livello più profondo. Lavorando i legamenti comunque si potrà lavorare indirettamente sulla mobilità dell’organo e viceversa. Non è possibile che un Pz abbia una disfunzione di mobilità profonda senza avere una disfunzione dei legamenti, ma forse è possibile che abbia una disfunzione dei legamenti senza una disfunzione di mobilità, perché è più superficiale: il profondo è passato per il superficiale, ma il superficiale può non arrivare al profondo. I legamenti sono pliche di peritoneo che collegano lo stomaco a ciò che lo circonda; in particolare lo stomaco presenta 4 legamenti: gastro-frenico, gastro-splenico, gastro-colico e piccolo epiploon. I test che facciamo sui legamenti sono dei test di allungamento: vado a valutare se e come il legamento si lascia allungare: devo percepire quanto si lascia allungare, e se ci sono zone di restrizione (poca disponibilità al mio tentativo di allungamento). Test sul legamento GASTRO-FRENICO È un legamento che connette il margine superiore dello stomaco con la cupola diaframmatica sin. Innanzitutto si reperisce il diaframma ed il margine inferiore dello stomaco attraverso la percussione vista precedentemente. Con la mano craniale messa di taglio (bordo radiale) si fa punto fisso sul diaframma (perché è il punto che voglio fissare per poi mettere in allungamento il legamento), mentre con la mano caudale si avvolge lo stomaco sia nella zona addominale che in quella costale.

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Mano craniale, fa da punto fisso (X) sul diaframma Mano caudale, effettua un allungamento del leg avendo l’accortezza di superare la griglia costale per arrivare a contattare bene lo stomaco. L’importante è superare la griglia costale sia manualmente che intenzionalmente ed effettuare la trazione sul viscere così da allungare il leg. L’allungamento avviene in direzione basso (soprattutto) ed un poco indentro, con la mano caudale. Si dovrà sentire che l’allungamento del leg arriva fino alla mano craniale che funge da punto fisso. Il test è considerato valido, ben effettuato, quando l’allungamento arriva sulla mano craniale. È solo a questo punto che ci si potrà domandare: “come arriva questo allungamento sulla mano punto fisso? Si lascia allungare oppure presenta resistenze?” Test di allungamento sul legamento GASTRO-SPLENICO È un legamento che connette lo stomaco con la milza. Innanzitutto è necessario reperire la loggia splenica mediante la percussione (sentirò un suono pieno). Con la mano craniale si è sulla loggia splenica, mentre la mano caudale è sullo stomaco Mano craniale (milza), fa da punto fisso mano caudale, effettua il test di allungamento portando lo stomaco in direzione basso-dentro verso la linea mediana. Da notare l’orientamento della mano sullo stomaco com’è differente rispetto al test sul gastro-frenico, perché cambia orientamento Si sente come la trazione arriva sulla mano che fa punto fisso e si valuta. Test di allungamento sul legamento GASTRO-COLICO Abbiamo visto che c’è un limite tra il margine inferiore dello stomaco e il colon trasverso, tra i due c’è una plica peritoneale che li collega che poi diventa grande omento. Questa plica peritoneale ha una certa ampiezza, perché tutto il margine inferiore dello stomaco è collegato al colon trasverso. Poiché quindi il legamento ha una certa estensione in lunghezza lo si va a testare in più punti (latero-laterale) con le dita di entrambe le mani posizionate tra i due organi (la prof.ssa dice che si potrebbero usare anche le mani disposte a taglio, ma si è meno sensibili).

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Si entra all’interno del legamento con entrambe le mani, e si allontanano le mani. Oppure si apre la plica peritoneale in modo da testare l’allungamento facendo punto fisso sul versante colico e poi anche su quello dello stomaco per valutare in caso di restrizione, quale sia maggiormente in tensione

altro metodo ma alla prof non piace

Test di allungamento del PICCOLO EPIPLOON Questo legamento si estende dall’ilo epatico e dalla fossetta cistica allo stomaco, duodeno ed al piloro (avendo come proiezione K9-K10). Presenta due fasci: orizzontale e verticale (quello verticale anche detto cistico-duodenale così definito proprio perché si inserisce sull’ultimo tratto dello stomaco, sul piloro e sul I tratto del duodeno). È una struttura abbastanza profonda pertanto inizialmente si dispongono le mani una sullo stomaco e una sul fegato (come quando si testano i muscoli digastrici): la mano sul fegato dovrà essere in proiezione dell’ilo e della fossetta cistica Posizione di partenza Si entra con entrambe le mani: chiudo un pò le mani ed entro, cosi vado un po’ in profondità; da qui si aspetta che il Pz si rilassi e che i tessuti mollino e riesco ad arrivare ad una profondità sufficiente per testare il legamento. Dopodichè, avendo raggiunto una certa profondità si blocca il fegato e per il: fascio orizzontale si porta lo stomaco in fuori fascio verticale: si porta lo stomaco in basso-dentro. Si cerca di percepire la risposta tessutale sulla mano che funge da punto fisso (fegato). NB: in osteopatia si cerca sempre la restrizione di mobilità e poi la si denomina nel senso della maggiore ampiezza.

Correzione delle tensioni tessutali dei legamenti dello stomaco

Parliamo di tensioni tissutali non di disfunzioni (non mi interessa la lassità ma la restrizione) Quando si trattano i legamenti si sta trattando in maniera indiretta l’organo perché si lavora il peritoneo che è l’aggancio strutturale dell’organo: in sostanza si lavora l’organo su di un piano strutturale. Invece quando si tratta l’organo si lavora sulla mobilità, sul motore dell’organo stesso: ci si trova su di un piano più profondo rispetto a quello dei legamenti. È vero però che lavorando i legamenti si lavora indirettamente la mobilità e lavorando la mobilità si agisce anche sui legamenti. È possibile �������������������������������������������������������������������������������������������������������� che un individuo abbia una disfunzione di mobilità alla quale si assocerà sicuramente una tensione sui legamenti. Al contrario una tensione dei legamenti non necessariamente si associa ad una disfunzione di mobilità dell’organo, essendo questa più profonda rispetto al piano legamentoso che è più superficiale. NB. in ambito viscerale si utilizzano le stesse tecniche di correzione utilizzate nel cranio (tecniche funzionali 58

dirette ed indirette, tecniche meccaniche di allungamento) alle quali si deve aggiungere il recoil. All’atto pratico però verranno maggiormente utilizzati il recoil e le tecniche funzionali indirette; le altre metodiche precedentemente menzionate rappresentano una possibilità di trattamento in più per il Pz. Tecnica funzionale indiretta: è quella in cui in presenza di una disfunzione in eccesso di tensione di un legamento, con una mano si fa punto fisso mentre con l’altra si tendono ad avvicinare i capi del legamento andando nel senso dell’aggravamento della disfunzione; si attendono i tempi di risposta della struttura e quando si percepisce che il tessuto cede o mi spinge verso la correzione con la mano che fa punto fisso si mantiene, mentre con l’altra mano si allunga nel senso della correzione. In questo caso si utilizzano i tempi respiratori per lavorare sulla disfunzione. Lavorare quindi in respirazione, presuppone conoscere la fisiologia di quegli organi tra cui il legamento è teso per capire il movimento che effettua l’organo e quindi il tempo su cui lavorare. Tecnica funzionale diretta: prevede anch’essa un lavoro con l’ausilio della respirazione: quindi in un tempo inspiratorio una mano fa punto fisso mentre l’altra allunga il legamento. In un tempo espiratorio invece si mantiene con entrambe le mani l’allungamento raggiunto. Si procede così sino a che non si è raggiunto il massimo allungamento (punto neutro) e la struttura vuole ritornare, e io accompagnerò questo ritorno. Tecnica meccanica diretta in allungamento: si posizionano entrambe le mani sui capi del legamento in “disfunzione” e si “tira” nel senso che si provvede all’allungamento del legamento, si “molla” un poco, si valuta come il legamento risponde a queste mobilizzazioni ed eventualmente lo si lavora ulteriormente. Recoil: si ricercano dapprima tutte le possibilità in cui il tessuto diventa più duro mediante un “impilamento” delle densità. Successivamente si chiede un inspiro ed un respiro per valutare in quale delle due fasi dell’atto respiratorio la densità del tessuto aumenta, quindi si esegue la tecnica all’inizio del tempo respiratorio in cui il tessuto diventa ancora più duro. La direzione del recoil la dà la direzione dell’impilamento delle densità e la direzione anatomica della struttura.

Recoil

Cosa è un recoil? È������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� una tecnica diretta di tipo fasciale che va contro la barriera tessutale (infatti nel recoil si fa un test di densità, fasciale e non un test di mobilità come nel thrust). Poiché si tende ad andare contro il duro per liberarlo quando si esegue un recoil (su di un legamento o su di un punto specifico come uno sfintere) l’intenzione deve essere quella di andare contro la proiezione della struttura. Pertanto il recoil eseguito su di un legamento in allungamento sarà in allungamento, mentre quello eseguito su di uno sfintere sarà puntiforme. Nell’eseguire un recoil si cercheranno tutte le possibilità in cui il tessuto diventa più duro (è un impilamento delle densità del tessuto); una volta raggiunto il massimo punto di densità si chiede un inspiro ed un espiro per valutare in quale delle due fasi respiratorie aumenta la densità del tessuto e poi si esegue la tecnica all’inizio del tempo respiratorio in cui il tessuto diventa ancora più duro. Quando si esegue un recoil visivamente si ha l’impressione che nel togliere le mani l’energia venga spinta fuori, in realtà è diretta verso dentro contro la densità tessutale (la barriera tessutale). Es. cestino della carta del CERDO: eseguendo il recoil il cestino si apre perché la spinta dell’Osteopata è diretta dentro in quanto si va contro la barriera tessutale. Nel rebound invece il cestino non si apre perché la spinta va verso l’Osteopata, portando così l’energia fuori dal Pz. Il rebound nel viscerale lo useremo pochissimo. NB! Rispettando i limiti di esecuzione della tecnica ciascuno deve trovare un proprio modo di eseguire il recoil. La direzione del recoil ce la dà l’impilamento delle densità e la direzione dell’organo 1. Correzione tensioni a livello del leg gastro-frenico Ci si posiziona come nel test avendo una mano che fa punto fisso e l’altra mano che invece prepara il recoil. Da notare che mentre il test di allungamento si eseguiva solo con una mano, il recoil di correzione viene effettuato con entrambe le mani.

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La preparazione del recoil avviene impilando tutti i parametri affinchè il legamento diventi sempre più denso. Pertanto mettendo un leggero allungamento (perché il legamento diventi più denso) si cercano nei vari piani dello spazio le zone in cui il legamento presenta maggiore densità e le si impilano: rotazione oraria ed antioraria, flessione ed estensione, rotazione anteriore e posteriore. A questo punto avendo un tessuto molto denso sotto le mani si chiede al Pz una inspirazione ed una espirazione per valutare in quale delle due fasi respiratorie il tessuto si fa più denso. Valutati tutti i parametri disfunzionali, l’Osteopata effettua il recoil all’inizio della fase respiratoria in cui si era percepita una magdirezione recoil: giore densità tessutale. quella del leg Il recoil viene eseguito nella direzione anatomica del legamento con l’intento di andare all’interno del tessuto del Pz. La manovra deve essere di piccola ampiezza e ad alta velocità. 2. Correzione tensioni a livello del legamento gastro-splenico Si effettua un punto fisso con la mano che si trova localizzata a livello della loggia splenica (K8-K9). Successivamente, con la mano craniale sullo stomaco, si “carica” il recoil impilando tutti i parametri affinchè il legamento diventi più denso: si parte allungando leggermente il legamento e si cercano nei vari piani dello spazio le zone in cui esso presenta la maggiore densità e le si impilano: rotazione oraria ed antioraria, rotazione anteriore e posteriore, flessione ed estensione, inspirazione ed espirazione.

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A questo punto quando si ha una densità sotto le mani, all’inizio della fase respiratoria in cui aumenta la densità, si esegue il recoil a 2 mani e nella direzione anatomica del legamento.

Seconda la professoressa Dragonetti, nel recoil su gastro-frenico e gastro-splenico, tendenzialmente la 60

mano craniale è fissa, ma nulla toglie di farla con entrambe le mani (la Menichelli le utilizza entrambe); mentre nel gastro-colico e piccolo epiploon si può fare con entrambe le mani. 3. Correzione tensioni a livello del legamento gastro-colico: (secondo Dragonetti) Reperiamo la porzione inferiore dello stomaco (con onda idroaerea), e subito al di sotto ci sarà la parte superiore del colon trasverso. Ci posizioniamo con le 4 dita, mano craniale sul bordo inferiore stomaco e mano caudale sul bordo superiore colon. Se non riusciamo ad entrare bene facciamo flettere le gambe al Pz Posso valutare se la tensione è più verso la parte superiore del colon trasverso o se è più verso la parte inferiore dello stomaco. Se la tensione è più verso il colon trasverso, sarà la mano sullo stomaco a fare punto fisso, mentre la mano sul colon preparerà il recoil Ricerco il maggior accumulo di tensione nei tre piani dello spazio e poi con la respirazione, ed effettuo il recoil mantenendo questa tensione e nella fase respiratoria che crea più tensione. La Dragonetti dice che la direzione del recoil è in base alla maggior tensione, mentre la Menichelli lo fa in direzione del legamento In queste tecniche in genere la risposta è immediata, in caso non lo fosse, o la tecnica non è stata eseguita correttamente o la disfunzione è mantenuta da qualcos’altro. 4. Correzione tensioni a livello del leg piccolo epiploon (o piccolo omento o leg epato-duodenale) > secondo Dragonetti Il principio è sempre lo stesso con le mani disposte come nel test P.S. La Dragonetti parla del test e lo spiega (come sempre) in modo diverso dalla Menichelli. La Menichelli testa il fascio verticale portando stomaco basso dentro mentre la Dragonetti lo porta basso-fuori…mah!!!

Ptosi dello stomaco: test e correzione

La ptosi dello stomaco è una discesa dell’organo verso l’intestino a causa di una perdita dei suoi collegamenti a seguito di: 1. Iperlassità legamentosa con conseguente perdita di contatto con il diaframma; 2. Problematiche a livello del piccolo bacino che trazionano lo stomaco verso il basso; 3. Problematiche alte dal diaframma in sù, sino ad arrivare al cranio Si distinguono ptosi di vari gradi: I grado: l’organo mantiene ancora contatti con il diaframma pertanto un trattamento potrà sicuramente dare dei benefici. II grado: lo stomaco ha perso contatto con il diaframma e con gli organi vicini; a questo punto la finalità del trattamento sarà quella di rinformare i tessuti e di riorganizzare le fasce: sostanzialmente non si migliora l’organicità dell’organo ma se ne migliora la funzionalità. Prima di iniziare qualsiasi trattamento sarà necessario: 1. Aver valutato lo stato degli altri organi e delle strutture intorno allo stomaco e lo stomaco stesso. 2. Avere individuato l’organo mediante dei test di localizzazione e di pressione, che permetteranno di capire se ci si trova realmente di fronte ad una ptosi (in caso di ptosi i punti di repere non saranno più rispettati). 3. Gli elementi che faranno propendere per il fatto di essere di fronte ad una ptosi dello stomaco saranno lo stato dei legamenti, la mobilità dell’organo e la sintomatologia lamentata dal Pz (attenzione, ricordiamo che nel longilineo troverò uno stomaco allungato, che ci potrebbe erroneamente far pensare a ptosi). La finalità del trattamento sarà quella di rinformare i tessuti (e non quella di riportare l’organo nella corretta posizione, peraltro non attuabile in alcun modo). 61

1 2

Test di mobilità Può essere effettuato solo con il Pz in posizione seduta, mentre l’Osteopata sarà posizionato alle sue spalle con le mani poste a livello della griglia costale in modo da agganciare bene lo stomaco e di portarlo il più possibile verso l’alto. Posso farlo in due modi in base all’altezza del Pz. Si chiederà al Pz una inspirazione (durante la quale si manterranno organo e tessuti) ed alla fine della fase espiratoria si rilascerà velocemente l’organo in modo da dare una reazione peritoneale. In presenza di una condizione di ptosi importante il Pz lamenterà dolore. Il dolore sarà provocato dal fatto che si vuole riportare l’organo verso l’alto, mentre per la patologia da cui è affetto esso ha tendenza ad andare verso il basso. Questo test sarà fatto in ultima analisi dopo aver valutato tutte le componenti dello stomaco Trattamento della ptosi da supino Si reperisce lo stomaco mediante percussione. La mano craniale è posizionata sulla griglia costale in modo da mantenerla in apertura per vari atti respiratori, mentre la mano caudale partendo dal basso provvede ad agganciare bene lo stomaco. La mano caudale sarà quella attiva: nel tempo inspiratorio non compie nulla, mentre nella fase di apnea inspiratoria (circa 3 secondi) farà delle vibrazioni per rinformare il tessuto ed infine nella fase finale della espirazione cercherà di guadagnare un poco verso la correzione. Successivamente si aspetta che il tessuto riparta da solo (quindi in teoria ci sarebbe un apnea espiratoria del Pz), essendo questa una tecnica di rinformazione, per poi procedere di nuovo con la tecnica. L’efficacia del trattamento sarà valutabile nel tempo in base alle sensazioni sintomatologiche del Pz eseguendo prima dei trattamenti dei test di mobilità dell’organo. NB. il trattamento delle ptosi dello stomaco può essere effettuato anche in posizione seduta. 4 sem_Esofago. Anatomia L’esofago è un canale di transito con un calibro non uniforme visto che nel suo decorso presenta 3 restringimenti. Unisce l’ipofaringe al cardias: questo spiega perché nella valutazione osteopatica di quest’organo sarà necessario effettuare dei test sia sullo stomaco che sul pavimento della bocca, sulla faringe, sulla laringe e sul compartimento fasciale di questa zona. Ha una lunghezza di circa 25 cm, quindi attraversa la regione cervicale, il torace e l’addome. Ha la funzione di: 1. Trasportare il bolo alimentare allo stomaco; 2. Impedire che sostanze irritanti arrivino dallo stomaco (es. se si ingeriscono sostanze irritanti queste attraverso onde peristaltiche inverse vengono vomitate). 3. Impedire il reflusso di sostanze gastriche acidi dallo stomaco verso l’esofago; 4. Proteggere le vie aeree superiori dall’acidità gastrica. L’estremità superiore dell’esofago si trova nel collo all’altezza di C6. In realtà da un punto di vista funzionale l’esofago cervicale parte da C3 proprio per le relazioni fasciali che esistono. Esso discende nel torace, attraversa il diaframma passando attraverso lo iato esofageo e si porta in addome. Pertanto in relazione alle strutture che attraversa potrà essere distinto in:

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1.esofago cervicale 2. esofago toracico 3. esofago addominale Questa suddivisione è puramente anatomica perchè il condotto esofageo è unico, però ciò consente di effettuare delle relazioni anatomiche, vascolari, nervose, oltre alla possibilità di effettuare dei test. Nel suo decorso l’esofago presenta delle curvature sul: -piano sagittale (1) -piano frontale (2), più importanti Infatti all’inizio dell’esofago toracico a livello di C6 l’esofago scende addossato alla colonna di cui segue la concavità anteriore, poi si discosta dalla colonna descrivendo una curvatura a concavità anteriore sul piano sagittale per entrare in addome. Questo aspetto anatomico riveste interesse soprattutto per l’esecuzione dei test dato che sul piano frontale: - a livello di D4-D5 devia verso dx per la presenza del bronco di sin e dell’arco aortico;

restringimento cricoideo segmento cricoaortico

restringimento broncoaortico

segmento broncodiaframmatico

restringimento diaframmatico segmento sottodiaframmatico

C6

D4 D7 D10

Come detto nell’esofago sono presenti 3 restringimenti: 1. cricoideo (faringoesofageo): a livello del margine inferiore della cartilagine cricoide. Corrisponde all’inizio del tubo esofageo. Proiezione vertebrale C6 2. aortico: nella zona in cui entra in rapporto con l’arco aortico ed il bronco di sin g dove c’è una deviazione verso dx. Proiezione vertebrale D4-D5. 3. diaframmatico: il punto in cui l’esofago entra nell’orifizio esofageo del diaframma: proiezione vertebrale D10 g iato esofageo. NB: i restringimenti hanno, tra gli altri, la funzione di regolare la velocità di progressione del bolo alimentare (soprattutto il restringimento diaframmatico). I reperi delle 3 porzioni dell’esofago sono: 1. esofago cervicale (C3-C7): tra osso ioide e C6-C7g comprende tutta la loggia viscerale del collo. Lo ioide ha proiezione su C3 2. esofago toracico (C7-D9/D10): passa davanti al piano vascolare per arrivare a livello dello iato esofageo. NB: lo iato esofageo vertebrale è a livello di D10, mentre lo iato esofageo toracico è la cartilagine condrosternale di sin di K6 3. esofago addominale: tra D9-D10 ed il cardiasgquindi si estende dallo iato esofageo al cardiasgk6-K7. È lungo circa 2-3 cm.

NB: stiamo parlando di proiezioni in quanto l’esofago passa tra i pilastri e quindi si trova in profondità. Inoltre l’esofago tra D5-D10 è in stretto contatto con il pericardio: ciò giustifica il confondimento di alcuni sintomi (soprattutto quelli dell’ernia iatale) con quelli di origine cardiaca. 63

a. carotide comune m. scaleno anteriore n. frenico m. scaleno posteriore pl. brachiale a. succlavia tronco tiro-cervicale n. vago (X) 1° costa (sezion.) a. anonima (o tronco arterioso brachiocefalico) trachea arco dell’aorta v. azygos bronco primario dx bronco epiarteriale parte toracica dell’esofago plesso esofageo pleura medistinica (margine di sez.) tronco vagale ant. v. cava inf (sezionata) diaframma vv. epatiche (sezionate) v. cava inferiore pilastro dx del diaframma aa. freniche inferiori pilastro sin del diaframma a. celiaca aorta addominale

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m. lungo del collo parte cervicale dell’esofago nn. laringei ricorrenti condotto toracico v. giugulare int (sezionata) v. succlavia (sezionata) v. anonima (o tronco venoso brachio-cefalico) di sin (sez.) a. toracica int (o mammaria int) (sez.)n. frenico (sezionato) a. carotide comune a. succlavia n. vago (X) nn. laringeo ricorrente sin biforcazione della trachea pleura costale (margine di sez.) bronco primario sin

aorta toracica pleura mediastinica (margine di sez.) pericardio (margine di sez.) diaframma pleura diaframmatica parte addominale dell’esofago stomaco

denti incisivi

0

m. costrittore inf della faringe

orofaringe epiglottide

restringimento crico-faringeo

lunghezza media i cm

16

cartilagine tiroidea

recesso piriforme cartilagine cricoidea m. crico-faringeo cartilagine tiroidea (parte del m. costrittore inf della faringe) cartilagine cricoidea trachea m. crico-faringeo esofago aorta

restringimento aortico 23

trachea aorta bronco primario sin

sterno

cuore entro il pericardio

diaframma

sfintere esofageo 38 inferiore 40 parte cardiaca dello stomaco

diaframma

fondo dello stomaco

Esofago Cervicale Si trova davanti ai corpi vertebrali (è prevertebrale, pertanto è un viscere profondo avendo davanti a se le vie aeree), nella loggia viscerale del collo tra l’osso ioide e C7. NB: il collo presenta una loggia viscerale e due logge vascolari laterali. È in relazione con le vertebre tramite lo spazio retroviscerale di Hencke e con le cartilagini tiroidea e cricoidea: tale spazio consente lo scorrimento tra esofago e vertebre e di conseguenza la progressione del bolo alimentare all’interno dell’esofago. Ha una relazione diretta con: la lingua un piano fasciale medio e profondo fino alla base del cranio (poiché la faringe è in relazione con il tubercolo 65

faringeogcorrelazioni disfunzionali); il mediastino post faringe e laringe la trachea che tramite i fasci connettivali si unisce all’esofago e lo stabilizza la tiroide (sia la ghiandola che la cartilagine) Ha relazioni vascolari con: arterie carotidi comuni vene giugulari Ha relazioni nervose con: nn. vaghi (che sono satelliti dell’esofago scendendovi agganciati) nn. frenici (dx›sin)

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trompe

m. elevatore del velo m. costrittore SUP

m. costrittore MED

m. stilo glosso m. stilo faringeo

m. costrittore INF m. cricofaringeo

sillon amigdaloglosso vallecule pli. faringo epiglottica seno piriforme

m. palato glosso m. palato faringeo forame ceco base della lingua piano dei costrittori

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m. costrittore sup della faringe radice della lingua epiglottide m. costrittore medio della faringe m. palato-faringeo mm. longitudinali m. stilo-faringeo della faringe membrana tiro-joidea adito laringeo cartilagine tiroidea (corno sup) piega faringo-epiglottica ramo int del n. laringeo sup ed a. e v. laringee sup m. aritenoideo obliquo m. aritenoideo trasverso cartilagine tiroidea m. crico-aritenoideo post m. costrittore inf della faringe aponevrosi faringea (margine di sez) zona di muscolatura sparsa m. crico-faringeo (parte del m. costrittore inf della faringe) cartilagine cricoidea (faccia post) piano tendineo della muscolatura longitudinale dell’esofago muscolatura circolare dell’esofago tonaca mucosa e tela sottomucosa dell’esofago muscolatura circolare nell’area a V (del Laimer) n. laringeo ricorrente dx

vista posteriormente con la faringe aperta e la tonaca mucosa asportata

muscolatura longitudinale dell’esofago

finestra aperta nella muscolatura longitudinale che mostra lo strato di muscolatura circolare

68

69

Aponeurosi Cervicale Profonda

Esofago Toracico È la porzione di esofago che si estende tra C7-D10. Contrae rapporti con: 1. Trachea 2. Bronchi 3. Atrio destro 4. Pleura poiché passando nel mediastino posteriore non solo avrà relazioni con il pericardio, ma lateralmente anche con le pleure. Ha rapporti vascolari con: 1. Arco aortico 2. Aorta discendente 3. Dotto toracico 4. Vena azigos 5. Nervo laringeo ricorrente (questo rapporto va tenuto in considerazione quando si fa riferimento alla sintomatologia dell’esofago) 70

Esofago Addominale Si estende da D9-10 al cardias. È stabilizzato indietro da un mesoesofageo (cioè una stabilizzazione verso la parete post dell’addome). È un setto connettivale che dal peritoneo diaframmatico e dal peritoneo parietale post va all’esofago. NB: va ricordato che dal peritoneo parietale ant si passa al peritoneo diaframmatico e da questo al peritoneo parietale post. Dal peritoneo diaframmatico parte un setto connettivale (il meso) che si fissa all’esofagog è un aggancio peritoneale alla parete (in realtà non collega l’esofago ad un viscere, bensì l’esofago al peritoneo diaframmatico). Il mesoesofageo è la continuazione del legamento triangolare sin e continua verso il basso con il legamento gastrofrenico. Infatti dal peritoneo diaframmatico si formano il legamento gastrofrenico ed il legamento triangolare sin del fegato (dal lobo sin del fegato al diaframma): pertanto c’è una relazione fasciale tra tutti questi legamenti e l’esofago.

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a. intercost sin esofago

a. intercost dx trachea

vena polm dx V.C.I.

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mucosa esofagea tela mucosa

muscolatura longitudinale dell’esofago muscolatura circolare dell’esofago ispessimento graduale della muscolatura leg. freno-esofageo (foglietto ascendente o sup) fascia sopradiaframmatica

diaframma

diaframma fascia sottodiaframmatica (o trasversale) leg. freno-esofageo (foglietto discendente)

anello adiposo sottoiatale

peritoneo incisura cardiaca

linea a zigzag: giunzione delle mucose esofagea e gastrica

muscolatura longitudinale dell’esofago (sezionata) muscolatura circolare dell’esofago (mostrata qui come una spirale) incisura cardiaca fondo dello stomaco

cardia pieghe gastriche

collare di Helvezio strato muscolatura circolare, medio, dellostomaco strato muscolatura obliquo, interno, dello stomaco (che forma un bendaggio) strato muscolatura longitudinale, esterno, dello stomaco (sezionato)

Lo iato esofageo Ha una forma ovalare; è largo 3 cm e spesso 2 cm. Si trova in proiezione di D9-10. È formato dall’incrocio dei pilastri principali del diaframma. Gli sfinteri esofagei L’esofago presenta 2 sfinteri. In realtà non si tratta di sfinteri veri e propri bensì di un insieme di elementi che formano lo sfintere: - superiore detto “UES” (Upper Esophag Sfinter) 73

- inferiore detto LES (Lower Esophag Sfinter) 1. Sfintere esofageo superiore UES: è rappresentato anatomicamente dalle seguenti strutture: - muscolo cricofaringeo - m. costrittore inf della faringe - fibre muscolari circolari (leggermente densificate, cioè più presenti rispetto al resto del tubo). Questa conformazione giustifica il fatto che nell’andare ad effettuare un test sull’esofago si porta più in alto (C3). 2. Sfintere esofageo inferiore LES: è un’unità funzionale complessa formata da strutture muscolari e fasciali che concorrono alla sua funzione di sfintere. Ha una funzione di: - passaggio del bolo alimentare - impedire il reflusso gastroesofageo - permettere il vomito e l’eruttazioneg funzione di protezione dalle sostanze irritanti È sito ������������������������������������������������������������������������������������������������������������� in zona epigastrica con uno iato che collega la cavità toracica a quella addominale. È������������������ ������������������� una zona di pressioni importanti. È composto da un ispessimento di 2-3 cm di fibre muscolari dell’esofago dette da Laimere vestibolo esofageo. La zona sita al di sopra del vestibolo esofageo è detta ampolla epifrenica. Essa ha lo scopo di rallentare il passaggio del bolo alimentare, pertanto rallentando il passaggio del bolo dall’esofago allo stomaco può essere considerata a tutti gli effetti uno sfintere. NB: il piloro assolve alla stessa funzione, infatti lo sfintere deve: - consentire il passaggio del bolo - impedire il reflusso gastroesofageo del bolo - regolare il transito del bolo, infatti se lo stomaco è pieno ne ritarda il passaggio. I legamenti frenoesofagei sup ed inf sono strutture fibroconnettivali dette anche membrane di Laimere e di Bertelli; si tratta di strutture che fissano l’esofago all’orifizio iatale. La denominazione superiore ed inferiore è riferita all’ancoraggio dello iato esofageo al di sopra ed al di sotto del diaframma. I muscoli di Juvara (dal diaframma verso l’alto) e di Rouget (dal diaframma verso il basso) sono formazioni muscolari che si estendono dall’esofago al diaframma e che stabilizzano l’esofago allo iato esofageo attraverso un ancoraggio meno stabile rispetto ai legamenti frenoesofagei superiore e d inferiore. L’angolo di His è posizionato tra l’esofago e la grande tuberosità dello stomaco. Per essere efficace deve rispettare certi limiti. Laccio di Allison: è una espansione muscolare del pilastro di destra del diaframma che va ad agganciare circondandolo il giunto gastroesofageo (cioè il complesso esofago-cardias ed inizio dello stomaco). Valvola di Gubaroff: non è una vera e propria valvola bensì un ispessimento della mucosa a livello del giunto. L’alta pressione a livello del giunto. La giusta pressione addominale rispetto a quella toracica: nel torace c’è una pressione di - 5 cm H2O, mentre in addome la pressione è pari a +5-10 cm H2O. Questa differenza di pressione insieme alla componente di aspirazione-compressione del diaframma consente all’intero complesso di funzionare in maniera adeguata. Pertanto in presenza di patologie polmonari, pericardiche, di interventi chirurgici addominali si ha una alterazione dei normali valori pressori che porta ad uno squilibrio dei sistemi di contenzione con conseguenteg squilibrio degli sfinteri, ptosi. NB: la differenza di pressione tra addome e torace è quella che permette di mantenere in sede tutto il sistema gastrointestinale e non solo.

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Innervazione Data la sua lunghezza l’esofago presenterà una innervazione a livello cervicale, toracico ed addominale. In particolare: 1. Parasimpatico: innerva tramite i nervi vaghi dx e sin. 2. Ortosimpatico: innerva a livello: - cervicale: tramite i gangli cervicali - dorsale: tramite i nervi grande e piccolo splancnico D4-8 (in realtà il piccolo splancnico arriva a D12: da D4-8 è la componente che si riferisce all’esofago) Oltre alla pratica nel viscerale è fondamentale conoscere i sintomi per poterne avere giovamento con l’anamnesi. Bisogna conoscere alla perfezione innervazione e vascolarizzazione per poter fare i collegamenti somatoviscerali e viscerosomatici. In questo senso è utile realizzare delle tabelle con i sintomi, l’innervazione e la vascolarizzazione. 75

variazioni

tronco vagale ant singolo che si divide appena sopra il diaframma

tronchi vagali anteriori multipli

costituzione alta di un tronco vagale singolo

costituzione bassa di un tronco vagale singolo

muscolatura longitudinale tessuto collageno ed elastico intermuscolare muscolatura circolare plesso mioenterico (del Auerbach) plesso sottomucoso (del Meissner) tela sottomucosa

innervazione intrinseca (schema)

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tronchi vagali posteriori multipli

visti anteriormente esofago nn. laringei ricorrenti n. laringeo ricorrente dx ansa succlavia

3° nervo intercostale rami comunicanti grigio e bianco 3° ganglio toracico del tronco del simpatico parte toracica del tronco del simpatico n. grande splancnico toracico dx fibre simpatiche lungo l’a. frenica inferiore di sin r. del tronco vagale post per il pl. celiaco n. grandi splancnici toracici fibre simpatiche lungo il ramo dell’a. gastrica sin (o coronaria dello stomaco) pl. e gangli celiaci

ganglio superiore (o giugulare) del n. vago ganglio cervicale sup del tronco del simpatico ganglio inferiore (o nodoso) del n. vago ramo faringeo del n. vago n. vago (X) n. laringeo superiore parte cervicale del tronco del simpatico ganglio cervicale medio del tronco del simpatico nn. cardiaci cervicali del simpatico e del n. vago ganglio vertebrale della parte cervicale del tronco del simpatico ansa succlavia ramo per l’esofago e n. ricorrente del ganglio cervico-toracico (o stellato) ganglio cervico-toracico (o stellato) n. laringeo visti ricorrente sin posteriormente nn. cardiaci toracici del n. vago e del simpatico pl.cardiaco plessi polmonari plesso esofageo ant r. del tronco del simpatico, del n. grande splancnico toracico e del pl. aortico per il pl. esofageo n. grande splancnico toracico sin tronco vagale ant r. vagale per il plesso epatico tramite il piccolo omento r. vagale ant principale per la piccola curvatura dello stomaco r. vagale per il fondo e il corpo dello stomaco

r. vagale per la per la parte cardiaca ed il fondo dello stomaco

plesso esofageo post

tronco vagale post r. vagale per il plesso celiaco r. vagale post per la piccola curvatura dello stomaco

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Vascolarizzazione Arteriosa Così come per l’innervazione, anche la vascolarizzazione dell’esofago sarà diversa a seconda del tratto che si considera. Pertanto procedendo dall’alto verso il basso si avrà: Esofago cervicale: aa. tiroidee inferiori gloggia vascolare. Esofago toracico: aa. brachiale, intercostali e collaterali dell’aorta toracica. Esofago addominale: aa. freniche inferiore e gastrica sin r. esofageo dell’a. tiroidea inf a. carotide comune a. succlavia

r. esofageo dell’a. tiroidea inf tronco tiro-cervicale a. succlavia a. vertebrale a. toracica int (o mammaria int) a. carotide comune a. anonima (o tronco arterioso brachio-cefalico) trachea arco dell’aorta 3° arteria intercostale post dx a. bronchiale dx a. bronchiale sup sin r. esofageo dell’ a. bronchiale dx a. bronchiale inf sin e suo r. esofageo aorta toracica aa. aortiche dell’esofago

parte toracica dell’esofago diaframma

a. freniche inf a. epatica comune (sezionata)

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variazioni frequenti: rr. esofagei possono originare dall’a. frenica stomaco inf sin e/o dall’a. celiaca. Rr. per la parte addominale possono r. esofageo a. gastrica sin (o coronaria anche venire dall’a. lienale (o splenica) o dalle aa. gastriche dello stomaco) a. celiaca brevi a. lienale (o splenica) (sezionata)

Vascolarizzazione Venosa L’esofago cervicale e toracico è drenato dal plesso periesofageo, che è tributario della v. cava superiore attraverso le vv. tiroidee inferiori, le vv. freniche, le vv. brachiali, le vv. pericardiche e la v. azigos. L’esofago addominale è drenato dalla v. gastrica sin tributaria della v. porta (come tutto il sistema digerente). v. tiroidea inf v. tiroidea inf v. giugulare int

v. giugulare int

v. giugulare est v. succlavia v. vertebrale v. anonima (o tronco venoso brachio-cefalico) dx v. cava sup v. intercostale suprema dx esofago 6° v. intercostale dx v. azygos congiunzione delle vv. emiazygos e azygos v. cava inf (sezionata) diaframma

condotto toracico v. succlavia v. anonima (o tronco venoso brachiocefalico) sin v. intercostale suprema sin plesso periesofageo vena emiazygos accessoria vv. satelliti del n. vago

vena emiazygos pl. venoso sottomucoso v. frenica inf sin vv. gastriche brevi

fegato vv. epatiche

v. cava inf v. porta

v. renale dx v. gastrica sin (o coronaria delo stomaco) v. gastrica dx (o pilorica) rr. esofagei della v. gastrica sin (o coronaria delo stomaco)

v. lienale (o splenica) v. surrenale sin v. renale sin

v. gastro-epiploica (o gastro-omentale) sin v. mesenterica inf v. mesenterica sup v. gastro-epiploica (o gastro-omentale) dx

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linfonodi cervicali laterali profondi (o giugulari interni) condotto toracico

linfonodi tracheali (o paratracheali)

linfonodi tracheo-bronchiali

linfonodi mediastinici post linfonodi intercostali

linfonodi parietali post

linfonodi diaframmatici

linfonodi gastrici di sin (o cardiaci dello stomaco)

linfonodi retrocardiaci e sottocardiaci linfonodi celiaci

Sintomatologia Alcuni sintomi si sovrappongono a quelli dello stomaco e dell’ernia iatale. Ciò giustifica il fatto di dover fare delle domande più specifiche per stabilire quale sia il sistema/organo interessato. I sintomi più comuni di patologie esofagee sono rappresentati da: Dolore retrosternale Dolore mediodorsale per l’innervazione ortosimpatica (chiedi a Franci) Dolore epigastrico per la localizzazione anatomica e le proiezioni della porzione addominale dell’esofago Rigurgito, disfagia, odinofagia (dolore all’ingestione di cibo), reflusso, pirosi (bruciore epigastrico e retrosternale quando è associato a reflusso) Tosse secca e stizzosa per l’irritazione della mucosa a seguito di RGE vista la contiguità anatomica esistente tra la mucosa delle vie digerenti e quella delle vie aeree. 80

Otiti, riniti e sinusiti croniche Disfonia ed afonia legate all’innervazione da parte del n. laringeo ricorrente. Esofago ed emozioni L’esofago rappresenta la nostra capacità di accogliere il bolo alimentare, pertanto avere problemi a livello di quest’organo è indicativo della difficoltà che si ha ad accettare o recepire le situazioni difficili che la vita propone. Sensazione di avere qualcosa bloccato all’entrata dell’esofago: si ha difficoltà a ricevere il cibo che portiamo alla bocca e da questo tutte le cose buone che la vita ci offre, di ciò che ci fa bene. Ad es. Pz anoressiche spesso hanno problematiche esofagee. Ricordiamo infatti che la nutrizione, l’assorbimento e l’evacuazione (=sistema gastrointestinale) sono strettamente connessi alle condizioni emotive. Dolore all’esofago: può essere legato ad una situazione che si ritiene ingiusta e che non si riesce ad accettare oppure ad una situazione in cui ci si sente presi per il collo. Es. l’esofagite è espressione di una situazione che si ritiene ingiusta e che non si è riusciti a mandare giù. Es. cancro dello stomaco: è espressione del fatto che ci si sente presi per il collo e non si intravede una via di uscita. Quando si cerca un’emozione legata ad un organo bisogna cercare la funzione di quel distretto: es. lo stomaco è una sacca in cui si rumina gnon ho ancora ben chiare le mie emozioni; es. arti inferiori g deambulazione=progredire, es. arti superiori= lavoro. Disfunzioni osteopatiche Note a margine: 1. Normalmente l’esofago è fisso ed è lo iato diaframmatico che si mobilizza intorno all’esofagog ciò vuol dire che non si eseguiranno dei test di mobilità, ma di densità e di tensione. La difficoltà risiede nel valutare il grado di profondità, le giuste proiezioni e la direzione corretta 2. La progressione del bolo alimentare è data da un meccanismo volontario ed involontario. 3. L’onda peristaltica è stimolata dal passaggio del cibo (=stimolo meccanico), ma anche dalla vista, dal gusto, dall’olfatto (così come accade per lo stomaco). Reperi dell’esofago cervicale Sono rappresentati da: 1. osso ioide: si trova subito al di sotto della branca orizzontale della mandibola. Pertanto lo si riesce a palpare ed a testare tenendo in conto che le corna dello ioide si trovano a livello di gonion: da qui con due dita si ricerca una consistenza di tipo osseo. A questo punto si fa deglutire il Pz e ciò che sfugge al di sotto delle dita è proprio l’osso ioide. Oppure quando si fa il test delle cartilagini del collo ci si pone con le dita oltre che sulle cartilagini cricoidea e tiroidea anche sull’osso ioide; a questo punto spostandosi un poco di lato si riesce a repere tutto l’osso e non solo il corpo. 2. Proiezione di C6-C7 subito al di sopra della fossetta sternale. Reperita la fossetta ci si mette lateralmente alle vie aeree e medialmente rispetto agli SCOM. Reperi dell’esofago toracico Sono rappresentati da: 1. Manubrio sternale 2. Iato esofageo: posto a livello della 6° cartilagine condrosternale sinistra a 2 dita dal margine laterale dello sterno. Si può effettuare una percussione per capire la variazione di suono. Reperi dell’esofago addominale Sono rappresentati da: 1. Iato esofageo 2. Cardias: posto a livello della 7° cartilagine condrosternale di sin Premesse Ci sono disfunzioni dell’esofago che coinvolgono i singoli tratti di quest’organo. Possono essere provocate da: 81

1. Primarie: infiammazioni locali, accollamenti fasciali 2. Secondarie: disfunzioni vertebrali, costali e/o craniche che stimolano il sistema neurovegetativo.

Test e trattamento delle disfunzioni dell’esofago Test di Rebound (per la loggia mediastinica) Non è un test specifico per lo sterno pur venendo eseguito sull’esofago, è un test della loggia mediastinica. Consente di avere 2 informazioni relativamente alla disfunzione e cioè se c’è una prevalenza: - strutturale - viscerale Ci si posiziona con le mani sovrapposte oppure no sullo sterno a seconda delle dimensioni del Pz. Si procede in due tempi: 1. Si comprime lo sterno verso dietro (cioè verso il lettino). Si può così apprezzare se c’è una resistenza iniziale alla compressione indicativa del fatto che si è difronte ad una problematica di tipo strutturaleg si procederà quindi a testare lo sterno, le coste, le cartilagini costali, le vertebre dorsali. 2. Quando si è nella fase di rilascio se si percepisce che c’è una difficoltà, una resistenza da parte del tessuto a tornare indietro (a seguire il ritorno)g si penserà ad una componemte a responsabilità viscerale che trattiene verso l’interno. NB: come detto non è un test selettivo per l’esofago perché una positività alla componente viscerale sta ad indicare che potrebbe esserci il coinvolgimento di uno qualunque dei visceri sia del mediastino anteriore che posteriore, cioè cuore, polmoni, bronchi, trachea od esofago toracico. Rappresenta un buon punto di partenza per approcciare il torace. Attenzione: il test di Rebaund è diverso dalla correzione con tecnica Rebaund. Test della loggia viscerale e vascolare NB: anche questo non è un test specifico perché si testa tutto il complesso viscerale del collo e cioè pavimento della bocca, lingua, cartilagini cricoidee, cartilagine tiroidea, osso ioide, esofago, ghiandola tiroide. Pertanto con le conoscenze acquisite fino aI III anno di osteopatia in presenza di una loggia viscerale del collo positiva si è in grado di discriminare a che livello può essere il problema: esofago cervicale, osso ioide, pavimento della bocca, lingua, cartilagini cricoidea e tiroidea, etc.

A. Test della loggia viscerale

È un test meccanico di allungamento che prevede la capacità di sapere testare in allungamento la loggia viscerale, comprensiva delle fasce media e profonda per riuscire a percepire come queste strutture si lasciano allungare. L’ Osteopata si trova alla testa del Pz, seduto o in piedi. Con una mano prende contatto a livello della “V mentoniera”, mentre con l’altra si posiziona a livello dello sterno. È fondamentale che l’osteopata con la mano posta sullo sterno prenda contatto con le strutture, inglobando bene le fasce media e profonda in una sorta di ingaggio di queste strutture, evitando così di rimanere superficiale. Con la mano posta sullo sterno deprime un poco i tessuti sino a che non sente arrivare la trazione sulla mano posta sulla “V” mentoniera (NB: se necessario si può estendere un poco il capo del Pz): a questo punto si procede con il test di allungamento come a portare lo sterno verso i piedi del Pz. In questo modo si percepisce quanto le fasce si lascino allungare.

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Trattamento della loggia viscerale Stessa posizione del test. Si procede mediante tecnica meccanica diretta in allungamento mettendosi sempre e comunque in ascolto dei tessuti del Pz. Quando si percepisce il cedimento dei tessuti si allunga ulteriormente su più tempi sino a che il tessuto non vuole più allungarsi ed anzi torna in una condizione di neutralità.

B. Test delle logge vascolari

Queste strutture si trovano lateralmente alla loggia viscerale. Il test viene eseguito bilateralmente senza comunque ricercare un confronto tra le due strutture. Si fa ruotare leggermente il capo del Pz prendendo punto fisso con le dita di una mano a livello di gonion lungo tutta la branca orizzontale della mandibola. L’altra mano viene posta a livello della spalla corrispondente al lato in esame con il pollice posizionato a livello della spina della scapola, l’indice a livello della clavicola ed il medio a livello di K1. Un tale posizionamento è giustificato dal fatto che questa è la zona inserzionale della fascia. Facendo punto fisso sulla mandibola si procede ad effettuare un test di allungamento sulla loggia vascolare del collo portando la spalla verso il basso. In questo modo si valuta se la zona si lascia allungare e la qualità di questo allungamento. NB: questi test di approccio generale e specifico sull’esofago vanno integrati con quelli fasciali sulla bocca. Trattamento delle logge vascolari Nella stessa posizione del test si procede mediante tecnica meccanica diretta in allungamento mettendosi sempre e comunque in ascolto dei tessuti del Pz. Quando si percepisce il cedimento dei tessuti si allunga ulteriormente su più tempi sino a che il tessuto non vuole più allungarsi ed anzi torna in una condizione di neutralità. Attenzione: sui 3 tratti dell’esofago il trattamento delle disfunzioni avviene mediante recoil (tecnica meccanica diretta contro la barriera tessutale in tutte le direzioni dello spazio e nelle fasi respiratorie dove questa densificazione aumenta. Infine si esegue il recoil nel tempo respiratorio in cui si è avvertita una maggiore densificazione). Le posizioni in cui si esegue il recoil sono le stesse di quelle del test.

C. Test di allungamento dell’esofago cervicale

È un test di allungamento tessutale specifico. La difficoltà di questo test è nel reperimento della struttura e nell’immaginare di trovarsi su questa zona almeno con l’intenzione. Con la mano craniale ci si pone in contatto con l’osso ioide al di sotto di gonion. Reperita la consistenza dell’osso si invita il Pz a deglutire: ciò che si sente sfuggire al di sotto delle mani è l’osso ioide, pertanto lo si blocca e lo si utilizza come punto fisso. Con l’altra mano ci si posiziona più in basso a livello della fossetta giugulare, internamente agli SCOM e later alle vie aeree (che si trovano centralmente).

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È necessario entrare andando indietro quanto possibile ed aprire le dita per non comprimere troppo le vie aeree. Poi si deve superare un poco con le mani, un poco con l’intenzione le vie aeree per arrivare ad una struttura che sia prevertebrale quale è appunto l’esofago. A questo punto contattato l’esofago si fa punto fisso sull’osso ioide e con l’altra mano si allunga in direzione dell’asse longitudinale dell’esofago. La trazione deve essere percepita sull’osso ioide: questa è la condizione indispensabile per essere certi di trovarsi sull’esofago cervicale. NB: la trachea è molto più fissa rispetto all’esofago nello spazio retro faringeo. Trattamento delle disfunzioni dell’esofago cervicale Le mani posizionate come nel test. Mentre la mano craniale fa punto fisso sull’osso ioide quella caudale effettua prima un allungamento lungo l’asse dell’esofago ed impila il tessuto nelle direzioni dello spazio (flessione-estensione, R dxsin, inclinazione dx-sin) e negli atti respiratori (inspirazione ed espirazione) mantenendo il parametro in cui il tessuto diventa duro. Una volta impilati tutti i parametri si chiede un atto respiratorio e si va ad eseguire il recoil a 2 mani nell’atto respiratorio dove il tessuto offriva più resistenza lungo l’asse longitudinale dell’esofago. NB: i test e la preparazione del recoil sono con una mano punto fisso ed una punto mobile, mentre l’esecuzione del recoil è a 2 mani. Questa è la tecnica di recoil più difficile per la presenza della mandibola.

D. Test di allungamento dell’esofago toracico

Anche in questo caso si tratta di un test tessutale. L’esofago toracico si estende dal manubrio sternale (C5-C6) allo iato esofageo (cartilagine condrosternale sinistra di K6). Per avere conferma di trovarsi sull’estremità inferiore di questa struttura si potrà anche percuotere con relativo cambio di suono rispetto alla cupola diaframmatica. La mano craniale, che funge da punto fisso, si posiziona a livello del manubrio sternale, mentre la mano caudale si trova a livello dello iato esofageo. La cosa difficile sarà il raggiungimento del livello vista la collocazione dell’esofago nel mediastino posteriore. Con le mani in posizione e l’osteopata posto lateralmente al Pz si effettua una depressione dei tessuti per superare le coste e la porzione cardiaca in modo da riuscire ad entrare in contatto con l’esofago. L’operatore ricercherà una congruenza tra la mano craniale e quella caudale così da essere certo di trovarsi lungo l’asse dell’esofago toracico. A questo punto l’osteopata si sposta leggermente con il corpo ed i piedi in modo da effettuare un allungamento dell’esofago verso il piede sin del Pz, cioè lungo l’asse dell’esofago. Questo allungamento verrà percepito a livello della mano craniale che funge da punto fisso.

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repere dell’esofago toracico: mani

osteopata posizionato in direzione dell’asse dell’esofago toracico

test di allungam

Trattamento dell’esofago toracico Valgono le stesse cose dette per l’esofago cervicale, ma qui la direzione del recoil è lungo l’asse dell’esofago toracico (cioè piede sinistro del Pz). Ricerca delle zone di densificazione del tessuto e loro impilamento sui piani dello spazio

recoil per una disfunzione dell’esofago toracico

E. Test di allungamento dell’esofago addominale

Si tratta sempre di un allungamento tessutale. La difficoltà, anche in questo caso, sarà quella di riuscire a reperire la struttura da testare visto il suo posizionamento. L’Osteopata si pone con i pollici della mano craniale e caudale rispettivamente sulle cartilagini condrasternali sinistre di K6 (iato esofageo) e K7 (zona del processo xifoideo-cardias). L’Osteopata cerca di entrare nei tessuti sotto le coste e sotto la xifoide indirizzandosi verso la spalla sin del Pz. Se si avverte un poco di tensione si può chiedere al Pz di piegare le ginocchia ed eventualmente si può “trazionare medialmente” la gabbia toracica. Quando si percepisce di essere arrivati in una zona più dura, orientata verso la spalla del Pz, si blocca il pollice della mano craniale e si allunga con quello della mano caudale verso il basso lungo l’asse dell’esofago. NB: quello che si sta testando è la risposta tessutale dell’esofago addominale all’allungamento (nella proiezione della struttura dell’esofago).

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Posizionamento delle mani per eseguire il test di allungamento dell’esofago addominale

Test di allungamento dell’esofago addominale: punto fisso con il pollice della mano sin, punto mobile con il pollice della mano destra.

Trattamento dell’esofago addominale Valgono le stesse cose dette per l’esofago cervicale e toracico, ma la direzione del recoil è lungo l’asse dell’esofago addominale e cioè in apertura. Ricerca delle zone di densificazione del tessuto e loro impilamento sui piani dello spazio.

Ernia iatale

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Trattamento della disfunzione dell’esofago addominale mediante recoil.

Si definisce con questo termine una patologia caratterizzata dal passaggio intermittente o permanente di parte dell’esofago addominale o del fondo dello stomaco nella cavità toracica. La “linea Z”, visibile all’esame endoscopico, rappresenta il limite di riferimento per stabilire se ci si trova in presenza di un’ernia iatale: infatti quando il fondo dello stomaco risale di circa 1 cm al di sopra di questa linea si è in presenza di un’ernia iatale. Una ulteriore evidenza di presenza di ernia iatale è rappresentata dalla differenza di mucosa: mentre quella dell’esofago è argentea quella dello stomaco è più rossa per la maggiore vascolarizzazione di questo organo. A livello dello iato esofageo è presente il LES, che risulta essere formato dai pilastri principali e rinforzato da muscoli (Juvara superiore e Roger inferiore) e da legamenti (Laimer e Bertelli). La sua funzione è quella di consentire il transito del bolo alimentare dall’esofago nello stomaco mediante chiusura ed apertura in modo da evitare il reflusso dei succhi gastrici in esofago. Se il LES non è integro si indebolisce e favorisce l’insorgenza dell’ernia iatale. Esistono due tipi di ernia iatale: 1. ernia da scivolamento: nella quale solo una parte dell’esofago addominale risale in cavità toracica. È quella più frequente, maggiormente nei soggetti obesi. È������������������������������������������������ ������������������������������������������������� dovuta al fatto che la pressione addominale supera quella diaframmatica e lo stomaco tende ad essere spinto verso l’alto, nel mediastino, attraverso lo iato diaframmatico. Non è necessariamente una condizione permanente poiché parte dello stomaco interessato si sposta spesso su e giù in base alla pressione esistente in addome: uno sforzo, un colpo di tosse, il sollevamento delle gambe in posizione sdraiata o qualunque contrazione dei muscoli addominali possono facilitare il fenomeno, che quindi, in certi casi, può essere reversibile (questo avviene più facilmente in persone che congenitamente hanno i tessuti collagenosi più deboli, e pertanto oppongono una minore resistenza.

In questi soggetti sono più frequenti emorroidi, ernia inguinale e ptosi renale). La risalita rispetto alla linea “Z” è di circa 1 cm. Questo tipo di ernia può essere trattato osteopaticamente. 2. Ernia da rotolamento o paraesofagea: consiste in una rotazione dello stomaco lungo la grande curvatura, in modo tale che la parte superiore della stessa erni attraverso lo iato esofageo. È meno frequente di quella da scivolamento, ma è più temibile perché la giunzione gastro-esofagea rimane nella sua posizione naturale e l’erniazione del fondo dello stomaco porta alla sua compressione tra la parte dello iato e l’esofago. Può talvolta derivare da un’ intervento chirurgico correttivo di un’ernia iatale da scivolamento. La risalita del fondo dello stomaco rispetto alla linea “Z” è di circa 2 cm. NB: l’ernia in entrambi i casi, può creare uno strozzamento della mucosa, un’iperemia (infiammazione locale) reattiva e la sclerosi dei tessuti (perché la mucosa diventa più fragile). Una diminuzione della vascolarizzazione e la successiva fragilità della mucosa gastrica, locale e generalizzata, può evolvere in un’alterazione del circolo con possibilità di varici esofagee oppure varici interne all’ernia stessa. Da un punto di vista funzionale, la tasca formatosi diminuisce il transito alimentare. Le cause responsabili di un indebolimento del LES sono di tipo: 1. Meccanico: cioè dovute a disfunzioni a carico del diaframma o di altre strutture limitrofe al LES, quindi si parla di strutture e fasce. 2. Disturbo neurovegetativo: spesso i neonati presentano RGE per problematiche del nervo vago di dx e di sin. Una disfunzione a livello della OM (per parto cesareo, posizioni in utero etc.) può essere responsabile di questo sfiancamento del LESg vanno controllati OM, diaframma, etc. 3. Aumento della pressione intraddominale: donne in gravidanza, obesità, alimentazione incongrua in Pz predisposti. Infatti un’ alimentazione ricca di grassi aumenta la pressione intraddominale, mentre sostanze irritanti quali droghe, alcool, caffè, cioccolata, fumo, spezie e cibi piccanti contribuiscono all’insorgenza della sintomatologia. 4. Problemi ormonali: soprattutto in donne in gravidanza (progesterone), specialmente negli ultimi mesi (per la notevole presenza del sistema parasimpatico, cioè del nervo vago), problemi tiroidei, stress emotivi (perché a livello del cardias è presente il plesso solare che risente molto della componente emotiva). 5. Interventi chirurgici che trazionano verso il basso le strutture del LES. 6. Problematiche che trazionano verso l’alto le strutture che compongono il LES (es. diaframma, asse aponeurotico centrale, etc.) Sintomi dell’ernia iatale 1. Reflusso gastrico con risalita di cibo in gola 2. Sensazione di acidità 3. Tosse secca perché il nervo vago si divide in nervo laringeo ricorrente, che se stimolato dà problemi sulla deglutizione e sull’apparato respiratorio. Attenzione a non confondere i sintomi dell’ernia iatale con quelli cardiaci (una differenza eclatante è che il cambiamento di posizione in paziente con reflusso permette di migliorare la sintomatologia; nel Pz infartuato questo non accade anzi è presente pallore in volto). 4. Riniti, sinusiti per la risalita del cibo acido 5. Dolore in zona epigastrica 6. Dolore retrosternale 7. Dolore mediodorsale con irradiazione al braccio sinistro 8. Eruttazione 9. Singhiozzo per stimolazione del nervo Complicanze dell’ernia iatale 1. Varici esofagee: a causa della rottura della mucosa, che diventa fragile. 2. Problematiche cardiache: aritmie cardiache se l’ernia non è stata trattata. 3. Problematiche tiroidee: legate alla vascolarizzazione Test di valutazione dell’ernia iatale Oltre ai sintomi per essere sicuri di trovarsi in presenza di un’ernia iatale si può far bere dell’acqua al Pz; questa dovrebbe arrivare nello stomaco in 7-8 secondi, se impiega più tempo c’è il sospetto di trovarsi difronte ad un Pz con ernia iatale. 87

Trattamento osteopatico

1. Valutazione della xifoide

Si effettua per valutare se questa struttura è dolente oppure no, se è densa oppure no, se si è spostata oppure no. Qualora si abbia difficoltà ad entrare con i pollici a livello del processo xifoideo sarà opportuno trattare i muscoli digastrici (mediante recoil, ponsage, allungamento oppure allontanamento delle cupole), il diaframma etc. Si può provare ad agganciarla con le dita e a mobilizzarla. Se la xifoide è molto tesa la si può trattare con delle mobilizzazioni. Se è spostata si può provare a trazionarla per riportarla nella posizione corretta.

test di reperimento del processo xifoideo (1° modalità)

test di valutazione del grado di densità del processo xifoideo

Test di reperimento del processo xifoideo (2° modalità)

trattamento di una disfunzione del processo xifoideo

2. Test del legamento gastroesofageo

La mano craniale fa punto fisso a livello di K5, mentre la mano caudale (mobile) si trova con il pollice al di sotto della griglia costale nella zona dell’esofago addominale. Si effettuerà con la mano caudale una trazione verso basso-fuori in direzione del piede sin del Pz per apprezzare il grado di allungamento del legamento. Se il legamento è teso si può provare a normalizzarlo facendo punto fisso con la mano craniale, mentre con la mano caudale si vanno ad impilare le tensioni nei vari piani dello spazio (flessione-estensione, rotazione dx-sin, inclinazione dx-sin) e con gli atti respiratori (inspirazione-espirazione) per poi effettuare il recoil nella fase respiratoria dove era presente maggiore tensione, sempre lungo la direzione del legamento.

test di allungamento del ricerca delle zone di densificazione legamento gastro-esofageo del legamento gastroesofageo e loro impilamento sui piani dello spazio 88

recoil di una disfunzione del legamento gastroesofageo

3. Trattamento dell’ernia iatale

Si tratta di tecniche di reinformazione tissutale che devono essere precedute dal trattamento degli organi limitrofi (es. stomaco, diaframma, pleure, legamenti, etc. in particolare si potrà evidenziare un maggior coinvolgimento a livello dei pilastri e della cupola diaframmatica di sinistra a causa della localizzazione dell’organo coinvolto). Al termine del trattamento si dovrà ritestare lo stomaco per valutare se esso si trova in sede oppure no. Il trattamento può essere effettuato in posizione supina oppure in posizione seduta (in quest’ultimo caso si è maggiormente facilitati dalla presenza della pressione addominale). 1. Posizione supina Essendo una tecnica di reinformazione tissutale è opportuno ragionare sulla fisiologia dello stomaco e sui suoi movimenti durante gli atti respiratori. Ci si posiziona con la mano craniale a livello di C3 (sede di partenza dell’esofago cervicale) sostenendo tutto il capo del paziente. Se questo è troppo grande si può prendere contatto con C3 mediante pollice ed indice. La mano caudale è con il pollice a livello dell’esofago sotto la griglia costale, mentre con le altre dita è sopra la griglia costale. NB qualora ci si trovi in difficoltà con il pollice, si può posizionare il tallone della mano, l’importante è rimanere al giusto livello. Dopo avere ricercato con la mano craniale il giusto livello (=barriera tissutale) in più tempi inspiratori si guadagna con una spinta verso il basso della mano caudale e contemporaneamente si porta in flessione il capo e quindi l’esofago cervicale a livello del quale arriva la trazione dovuta alla spinta verso il basso. Nei tempi espiratori si mantiene con entrambe le mani. Il procedimento viene ripetuto più volte sino a che non si percepisce che non si riesce a guadagnare oltre con nessuna delle due mani. A questo punto in un tempo inspiratorio, mantenendo a “mò di punto fisso” con la mano caudale, si riporta in estensione l’esofago cervicale per poi fare ruotare il capo verso dx nella fase espiratoria. In questo modo si è mantenuto lo stomaco nella corretta posizione, mentre il diaframma risale.

posizione di partenza per il trattain più tempi inspiratori si guaposizione finale del trattamento mento dell’ernia iatale (si dà al capo dagna verso il basso nella zona dell’ernia iatale (fase espiratoria) una leggera flessione in modo da dello stomaco, mentre si porta in poter meglio reperire C3) accorciamento l’esofago mediante la flessione del capo 2. Posizione seduta L’Osteopata si posiziona alle spalle del Pz, che si trova seduto con i piedi fuori dal lettino, e ne aggancia lo stomaco o passando con entrambe le mani sotto il cavo ascellare del Pz oppure passandovi con una mano soltanto mentre l’altra passa sopra la spalla del Pz per arrivare in zona stomaco. Su più tempi inspiratori si chiede al Pz una leggera flessione del tronco in avanti e lo si accompagna in questa posizione, mentre con le mani si traziona lo stomaco verso il basso e fuori. Nei tempi espiratori si mantiene la posizione. Quando ci si rende conto che non ci sono più margini di guadagno in un successivo tempo inspiratorio si chiede al Pz di raddrizzare il tronco, mentre con le mani si mantiene lo stomaco in posizione, e nella fase espiratoria si chiede una rotazione del capo verso dx. La posizione iniziale delle mani dell’osteopata facilita la trazione dello stomaco verso basso-fuori in quanto egli ha già agganciato tutto l’organo.

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posizione iniziale del trattamento dell’ernia iatale (1° modalità)

durante più fasi inspiratorie si fa flettere il tronco al Pz e contemporaneamente si guadagna trazionando lo stomaco basso-fuori

Stomaco ipertonico

posizione iniziale del trattamento dell’ernia iatale (2° modalità)

posizione di raddrizzamento del tronco del Pz nel trattamento dell’ernia iatale (fase inspiratoria)

posizione finale nel trattamento dell’ernia iatale (fase espiratoria)

Si definisce stomaco ipertonico una condizione patologica in cui lo stomaco di piccole dimensione è rimasto posizionato sotto la cupola diaframmatica sin. In genere è presente in Pz con disturbi neurovegetativi o che presentano disturbi psico-emozionali (es. depressione, etc.). Il trattamento osteopatico è sempre di tipo reinformazionale, pertanto viene eseguito con tecnica fasciale solo dopo avere reinformato le strutture limitrofe. L’Osteoapata è seduto al fianco del Pz e posiziona una mano posteriormente a livello del fegato (in modo da agire sul legamento gastroepatico-piccolo epiploon), mentre con l’altra mano si posiziona a livello dello stomaco (in modo da agire sul legamento gastro-frenico che è quello maggiormente coinvolto in caso di stomaco ipertonico perché è trazionato verso l’alto). Essendo una tecnica fasciale ci si mette in ascolto delle fasce e si spinge ancora di più lo stomaco verso la cupola diaframmatica di sin fino a che si percepisce che la fascia non è più in grado di andare in questa direzione, ma anzi vuole tornare verso il basso ed allora la si accompagna. Volendo lavorare con la respirazione in più tempi espiratori si andrà ad impattare ancora di più lo stomaco verso il diaframma sino a che non si riesce più ad andare e quindi nei successivi tempi inspiratori si aiuta lo stomaco a scendere (rimanendo fermi durante gli atti espiratori). La mano posizionata posteriormente nella fase di correzione inspiratoria è come se fosse posizionata sulla loggia epatica e trazionasse il fegato verso l’alto, mentre lo stomaco va verso il basso, avanti e dentro. La tecnica termina quando si percepisce un certo equilibrio sia in fase INsp che Esp. Attenzione: se si lavora con la respirazione ci si può aiutare con le mani, mentre quanto si decide di lavorare con il ritmo cranio sacrale le mani non si muoveranno. La scelta di una tecnica rispetto ad un’altra dipende dalla concentrazione dell’Osteopata, dal Pz, dalle problematiche riscontrate e dal tempo che si ha a disposizione. In quest’ultimo caso è chiaro che la tecnica basata sul ritmo cranio sacrale richiede più tempo (anche 15 minuti). NB: la tecnica scolastica prevede il posizionamento delle mani su fegato post e stomaco ant, in realtà le mani potrebbero anche essere posizionate entrambe anteriormente, una sullo stomaco e l’altra in apertura sulla cupola diaframmatica (e di conseguenza in questa posizione sarà anche sul leg. piccolo epiploon).

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Fase espiratoria: si va ad aggravare l’impattamento dello stomaco verso il diaframma

posizione di uno stomaco ipertonico (piccolo e risalito verso l’alto)

posizione di partenza nel trattamento di uno stomaco ipertonico

Fase inspiratoria: si porta lo stomaco verso basso-avanti-dentro

Altra modalità di approccio al trattamento dello stomaco ipertonico.

Anno 4 sem 1 Il Fegato Premesse: quando comprendiamo il senso di una struttura, la sua funzione, è impossibile dimenticarne l’anatomia. È necessario dare un senso pratico alle nostre conoscenze.

Anatomia

Il fegato è un organo molto importante dal punto di vista meccanico per l’organismo in quanto ha un peso variabile da 1,5 a 2,5 kg quando è carico di sangue (vi passa all’incirca 1-1,5 litri di sangue al minuto): quindi il peso del fegato, tramite le relazioni fasciali, ha un impatto notevole sull’organismo. Infatti seppur stabilizzato dai ripiegamenti peritoneali, incide sugli stessi e sugli organi adiacenti come lo stomaco, l’esofago, il quadrato colico e naturalmente il diaframma. Influenza inoltre il sistema parietale, vertebre e costole e, in maniera importante, la SSB alla quale è collegato tramite la catena fasciale cervicotoracica che arriva al diaframma. È una grande ghiandola di origine endodermica lunga 28 cm., larga 12 cm. ed alta tra i 5-12 cm. Volume e peso dipendono dalle sue condizioni circolatorie, infatti lo stato di replezione epatica è fondamentale per mantenere una corretta pressione intracavitaria (uno dei fattori di mantenimento della sua posizione). È posizionato a livello dell’ipocondrio dx, dell’epigastrio e di parte dell’ipocondrio sin, più o meno a livello della linea emiclaveare a livello della 6° cartilagine condrosternale di sin. Il margine anteriore è sottocostale e sottodiaframmatico e normalmente non deborda dalla griglia costale (quindi è completamente sottocostale), se non a livello xifoideo. Ciò nonostante il suo parenchima è palpabile a livello del suo margine antero-inferiore (Il prof. Manzo dice che nel sospetto di una condizione di “situs inversus” il fegato è dirimente proprio perché è palpabile). La porzione epigastrica del fegato che deborda dalla griglia costale si trova nello spazio di Labbè: un triangolo che unisce la 10° costa di dx all’8° costa di sin.

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piano medioinguinale

piano transpilorico

diaframma fegato coperto dal diaframma, dalla pleura e dal polmone (suono non ottuso alla percussione) fegato coperto dal diaframma e dalla pleura (suono ottuso alla percussione) fegato coperto dal diaframma (suono ottuso alla percussione o risonanza intestinale)

diaframma

fegato coperto dal diaframma, dalla pleura e dal polmone (suono non ottuso alla percussione) fegato coperto dal diaframma e dalla pleura (suono ottuso alla percussione)

cistifellea fegato fegato coperto dal diaframma, dalla pleura e dal polmone (suono non diaframma ottuso alla percussione)

fegato coperto dal diaframma e dalla pleura (suono ottuso alla percussione)

cistifellea margine inf del fegato

Il fegato, per le sue competenze funzionali, può essere considerato una ghiandola a secrezione esocrina perché produce bile, che si riversa nel duodeno. Ma è anche una ghiandola endocrina a secrezione interna non perché secerne ormoni, ma perché riversa nel sangue numerosi elaborati (glucosio, proteine, lipoproteine). Infatti le sostanze assorbite ed immesse nel sangue a livello del tratto intestinale giungono al fegato attraverso la vena porta; questa via circolatoria, che dall’intestino conduce al fegato, costituisce la circolazione enteroepatica mediante la quale i glucidi, i lipidi, i protidi e molte altre sostanze sono elaborate, assorbite, accumulate o trasformate dal fegato stesso. In sostanza l’organo ha una funzione metabolica, vascolare e secretoria (= endocrina ed esocrina). Si divide in 4 lobi anatomici: lobo dx, lobo sin, lobo caudato (posteriore) e lobo quadrato (anteriore, dove è alloggiata la vescicola biliare). La suddivisione in lobi è data dai solchi. Funzionalmente è suddiviso in 8 lobi, ciascuno dei quali è servito da ramificazioni di a. epatica, v. porta e dotto biliare; il tutto è avvolto in un tessuto connettivo di supporto. Sono pertanto un’unità funzionale. 92

Al di sotto del rivestimento peritoneale viscerale il fegato è ricoperto da uno strato di connettivo collagene con qualche fibra elastica detto capsula di Petrequin. In esso decorrono vasi, linfatici e nervi. La capsula di Petrequin è fibrosa e strettamente connessa al parenchima sottostante nel quale si addentra con setti robusti detti colonne di Glisson. La capsula fibrosa e le placche di Glisson sono innervate dal n. frenico (C3-C5). a. epatica propria, margine dell’incisione aorta ramo sin del piccolo omento addominale a. epatica propria, a. gastrica v. cava ramo dx sin inferiore stomaco fegato milza

cistifellea a. cistica margine dell’incisione del leg. epatoduodenale a. epatica propria v. porta tronco celiaco a. epatica comune dotto coledoco a. gastrica dx a. pancreaticoduodenale superiore posteriore a. gastroduodenale flessura colica dx

a. gastroa. gastroa. lienale epiploica sin epiploica dx grande pancreas a. pancreaticoduodenale omento superiore-anteriore

duodeno

Rapporti anatomici

Sono importanti per la sua funzione. Faccia diaframmatica È limitata anteriormente ed in basso dal margine antero-posteriore della riflessione del peritoneo che forma il foglietto superiore del legamento coronario. Su tale faccia si trova il solco sagittale superiore: è qui che le lamine del peritoneo si sdoppiano e vanno a rivestire il fegato da un lato e dall’altro. Questa è la zona di inserzione del leg. falciforme, che poi si sdoppia e va a formare il leg. coronario del fegato. La faccia diaframmatica di sin è meno estesa di quella di dx, così come il lobo sin è meno esteso del dx. Presenta la depressione cardiaca, cioè una zona dove poggia il centro frenico e dove quindi si trova il pericardio: ciò spiega la relazione diretta che esiste tra tendine centrale e fegato. 93

Faccia viscerale È percorsa da 2 solchi: sagittale dx e sinistro e da un solco trasverso che corrisponde all’ilo. Questi solchi dividono il fegato nei 4 lobi anatomici. L’ilo è sito tra il lobo quadrato e caudato: è il punto di ingresso e di uscita dei vasi e dei dotti. Inoltre a tale livello si inserisce il leg. epatogastrico. Il solco sagittale dx è suddiviso in due zone: ant e post. Quella ant accoglie la fossetta cistica, in cui riposano la vescicola biliare ed il dotto cistico, mentre quella posteriore accoglie la vena cava inferiore. Queste due zone sono divise dal tubercolo caudato. Il solco trasverso, cioè l’ilo del fegato, è più vicino al margine posteriore ed accoglie il peduncolo epatico costituito da: rami di divisione della vena porta, dell’arteria epatica ed i dotti epatici di destra e sinistra (che formeranno il dotto coledoco), vasi linfatici, rami nervosi del plesso epatico e del plesso biliare (=neurovegetativo). Presenta numerose impronte create dai visceri con cui viene in rapporto: stomaco a sin (di cui ricopre a sinistra la piccola curvatura), esofago addominale, rene e surrene, colon. Faccia posteriore Concava in senso trasversale, larga e stretta, sottile a sinistra fino a diventare un vero e proprio margine, è ricoperta solo da peritoneo. Si trova sotto l’arcata costale (K9-K12) e si appoggia alla zona vertebrale D9-D12. È in rapporto con il diaframma tramite il quale comunica con gli organi che si trovano nella cavità toracica: - a dx con la base del polmone ed il seno costodiaframmatico posteriore; - a sin con la pleura, parte del polmone di sinistra, con il pericardio e con l’apice del cuore. Leggermente a sin, nella parte mediana, presenta una profonda incisura perché tramite l’interposizione di strutture prenderà contatto con le vertebre da D9 a D11 (adattandosi alla forma vertebrale di questa zona). In questo tratto la faccia posteriore del fegato entra in contatto con le formazioni che attraversano il diaframma: vena cava inferiore, aorta, esofago e nervi vaghi. Margine anteroinferiore È palpabile, sottile e tagliente. Presenta due incisure. È sede del legamento falciforme, dal cui margine libero origina il legamento rotondo che, a sua volta, inserendosi sulla parte posteriore della linea alba, giunge fino all’ombelico. Da qui un setto connettivale denominato uraco si spinge fino alla faccia superiore della vescica. Esiste così una relazione fasciale, seppur debole, tra fegato e vescica. NB: il leg. rotondo origina da una obliterazione della vena ombelicale alla nascita. Il margine anteriore è in rapporto con K8-K9 sulla linea emiclaveare, attraversa l’epigastrio ed arriva a K6-K7 a sinistra. Margine posterosuperiore A dx della vena cava inferiore presenta l’impronta surrenalica. A sin è formato dall’estremità posteriore del lobo caudato.

Mezzi di fissità

Il fegato mantiene la posizione nella sua loggia sottodiaframmatica grazie ai legamenti formati dalla riflessione del peritoneo parietale e viscerale, che lo relazionano alla parete e ad altri visceri (es. colon ed angolo colico, stomaco tramite il piccolo epiploon). Inoltre è fissato alla parete posteriore dell’addome dalle sue connessioni vascolari con la vena cava e da un tessuto connettivo disposto tra fegato e diaframma. I legamenti che in osteopatia si vanno a trattare sono: coronale, triangolare destro e sinistro, falciforme, rotondo, uraco e piccolo epiploon. Pertanto per es. andando a trattare il fascio verticale del piccolo epiploon si avranno ripercussioni sulle strutture in esso contenute: arteria epatica, vena porta e dotto coledoco. Esistono però anche altri legamenti: epatosurrenale, epatorenale, epatocolico. Essi però non assumono un grande interesse nella mobilità dell’organo (=movimento dell’organo rispetto al diaframma). Legamento coronario È il vero legamento sospensore dell’organo. Si trova a livello della faccia posterosuperiore dell’organo e consente la bascula dell’organo. È costituito da due foglietti: superiore ed inferiore. Il superiore è suddiviso in due parti e presenta un margine 94

libero a destra, la cosiddetta zona libera, estesa 4-5 cm, dove l’organo è privo di qualsiasi rivestimento legamentoso. Legamenti triangolari In numero di due, dx e sin, derivano dall’accollamento dei 2 foglietti, che compongono il leg. coronario, in corrispondenza delle estremità dx e sin. Entrambi connettono il fegato al diaframma. Inoltre il sin si continua con il mesoesofago e con il leg. gastrofrenico. Pertanto il fegato e lo stomaco possono influire sulla competenza del LES e sulla fisiologia dell’esofago e del diaframma, generando una sintomatologia riflessa di tipo gastrico. Tra le due lamine che costituiscono i legamento sono alloggiati vasi linfatici e vene epatiche accessorie (> interesse osteopatico). Limitano i movimenti di inclinazione su di un piano frontale del lobo dx e sin (bascula laterale). Legamento falciforme Disposto sagittalmente limita la bascula anteriore del fegato. Legamento rotondo Mette in relazione il fegato con la linea alba e, tramite l’uraco, il fegato con la faccia superiore della vescica. Piccolo epiploon Si compone di due fasci: - epatogastrico: si estende dalla piccola curvatura dello stomaco all’ilo epatico. Contiene al suo interno vasi linfatici e nervosi, tra cui il n. gastroepatico (ramo del vago anteriore) - epatoduodenale: va dall’ilo epatico all’antro pilorico, al piloro ed al 1° duodeno. Al suo interno decorrono arteria epatica, vena porta e dotto coledoco. Vena cava inferiore È intimamente legata al fegato, passando nella sua faccia posteriore attraverso il solco omonimo, e sicuramente è uno dei più importanti mezzi di sospensione e di stabilizzazione del fegato. È fissata dalle aderenze peritoneali, dal suo orifizio diaframmatico e dalle vene epatiche che sboccano al suo interno.

Vascolarizzazione

Il sangue raggiunge il fegato attraverso 2 correnti ematiche (a. epatica e vena porta) e lo lascia seguendo un’unica corrente (vene epatiche). Arteria epatica: origina dal tronco celiaco a livello di D12 e forma le collaterali arteria gastrica di dx ed arteria epatoduodenale. Poi in prossimità dell’ilo emetterà le arterie epatiche dx e sin che si distribuiranno alla porzione dx e sin del parenchima epatico. Ciascuna di queste suddivisioni dà origine ad esili rami destinati all’irrorazione dei vasi maggiori stessi, ma anche all’irrorazione delle vie biliari e della capsula. Ma soprattutto continuano nelle arteriole interlobulari che decorrono negli spazi portali e poi si gettano nei sinusoidi epatici (=sono i capillari del fegato). Vena porta: origina posteriormente alla testa del pancreas dall’incontro della vena mesenterica superiore e della vena lienale (che a sua volta riceve la vena mesenterica inferiore). In prossimità dell’ilo si divide in un tronco destro ed uno sinistro, da cui poi si formeranno i rami interlobulari e perilobulari. Nota bene: esistono delle vene accessorie con lo stesso significato della vena porta; esse affluiscono direttamente al fegato senza unirsi al tronco principale portale (es. vene cistiche, vene del legamento falciforme, vene paraombelicali e vene del piccolo epiploon). Vene epatiche: l’unità funzionale presenta una vena centrolobulare, che è centrale rispetto all’unità funzionale del parenchima epatico. Le vene centrolobulari formano le vene sottolobulari, che a loro volta vanno a formare le vene epatiche dx e sin, che si gettano poi nella vena cava inferiore. NB: il sistema portale ed il sistema della vena cava inferiore hanno delle anastomosi e questo rappresenta un importante collegamento da tenere presente quando si è in presenza di ipertensione portale perché si possono avere sintomi specifici quali: 1. Varici esofagee per le anastomosi tra sistema portale e vene esofagee. 2. Caput medusae (=capillari periombelicali) per le anastomosi del sistema portale con le vene della parete 95

addominale. 3. Emorroidi per le anastomosi a livello rettale superiore.

Sistema linfatico

I vasi linfatici non si rinvengono all’interno dei lobuli, bensì più avanti negli spazi portali. Essi seguono il decorso dei vasi sanguiferi e delle vie biliari per scaricarsi nei vari linfonodi oppure seguire il decorso delle vene epatiche per superare il diaframma e giungere ai linfonodi sovradiaframmatici.

Innervazione

I nervi del fegato formano un plesso anteriore ed un plesso posteriore. Il plesso epatico ant è costituito dal nervo gastroepatico (proveniente dal nervo vago di sin), che circonda l’arteria epatica comune. Successivamente dà dei tronchi che seguono il decorso dell’arteria epatica. Il plesso epatico post è costituito dai rami del n. vago di dx e dai tronchi che originano dal plesso celiaco e dal ganglio semilunare. In conclusione: - parasimpatico: vago destro e sinistro - ortosimpatico: catena laterovertebrale D7-D9 - capsula di Petrequin e colonne di Glisson: nervo frenico C3-C5. FISIOLOGIA del Fegato Il fegato svolge un ruolo molto importante nel metabolismo di molte sostanze ed ha anche funzioni biosintetiche. In questo è favorito dal posizionamento anatomico (infatti è il primo organo che riceve il sangue refluo del sistema portale arricchito di tutti i principi nutritivi quali aminoacidi, acidi grassi, monosaccaridi, che vengono dal sistema intestinale) oltre che dalla sua struttura architettonica. Si discute ancora quale sia l’unità funzionale del fegato; due sono le ipotesi al vaglio: 1. Lobulo epatico: esagonale con al centro la vena centrolobulare, mentre ai lati dell’esagono si trova una struttura costituita dall’unione di un vaso portale terminale, una arteria epatica terminale ed un dotto biliare terminale. Vena portale ed arteria epatica terminale drenano entrambe verso la vena centrolobulare (che diventerà poi vena epatica). 2. Acino epatico: è una unità funzionale di forma ovale presente all’interno del lobulo epatico. Alle estremità dell’acino ci sono le vene epatiche terminali, mentre i poli presentano una unità funzionale costituita dalla vena portale terminale, dall’arteria epatica terminale e da un canalicolo biliare terminale. All’interno dell’acino ci sono zone più vicine e zone più lontane rispetto al centro portale: la distanza di una zona rispetto all’altra condiziona la funzione di diverse zone dell’acino. Al contrario il lobulo da una funzione più globale del parenchima epatico. Nel fegato i principi nutritivi son captati, metabolizzati e poi ridistribuiti attraverso il sistema delle vene epatiche. Svolge anche un ruolo nela detossificazione ed escrezione di sostanze che gli arrivano tramite la vena porta o l’arteria epatica (es. dalla cute e dal sistema respiratorio arrivano al fegato farmaci, coloranti, conservanti e pesticidi. Sintetizza proteine plasmatiche ed attraverso la bile provvede all’escrezione di sostanze come colesterolo, pigmenti biliari e farmaci. Quindi ha un ruolo anche di escrezione. Il fegato è costituito da 4 tipi di cellule: 1. Epatocita: ha funzione biosintetica e metabolica. Infatti il compito fondamentale del fegato è quello di garantire in ogni momento un ottimale rifornimento di materiale energetico a tutti gli organi. Questo tipo di funzione è principalmente sotto il controllo endocrino di ormoni pancreatici, surrenalici e tiroidei. 2. Cellule endoteliali: rivestono i capillari che ricevono il sangue sia dall’arteria epatica sia dalla vena porta (=sinusoidi). 3. Cellule di Kupffer: presenti a livello delle pareti dei sinusoidi. Sono dei macrofagi, pertanto sono deputate alla captazione ed alla distruzione di materiale corpuscolare (batteri, virus, eritrociti lesionati). 4. Cellule stellate: si localizzano nello strato subendoteliale (che separa l’epatocita dai sinusoidi). Hanno funzione di deposito di grasso, lipidi e vitamina A.

Metabolismo dei carboidrati fonte di energia

Il fegato garantisce la biodisponibilità di glucosio e pertanto regola i valori della glicemia perché ha la capac96

ità di accumulare carboidrati sotto forma di glicogeno. È inoltre in grado di sintetizzare il glucosio ex novo partendo da tutti i prodotti del metabolismo ossidativo provenienti dal tenue (es. le proteine degradate in aminoacidi che vengono utilizzati per sintetizzare il glucosio). Questo avviene nei sg. che sono a digiuno prolungato o durante l’esercizio fisico prolungato quando le riserve di glucosio sono state bruciate. Metabolismo proteico Il fegato ha la capacità di sintesi proteica a partire da aminoacidi in parte di origine intestinale tramite il sitema portale ed in parte dal metabolismo intraepatico attraverso la transaminazione. Tutto ciò si realizza grazie al fatto che nel fegato avvengono reazioni mediate da enzimi (le transaminasi), che oltre che degradare aminoacidi servono anche per la biosintesi intraepatica. È responsabile della sintesi di molte proteine plasmatiche tra cui la transferrina, che è coinvolta nel trasporto del ferro. Il fegato sintetizza anche molti elementi proteici che fanno parte della catena della coagulazione. I macrofagi sono deputati alla captazione, inattivazione e degradazione dei fattori proteici presenti nel plasma. Metabolismo dei lipidi Acidi grassi e lipoproteine sono presenti nel plasma e captate dagli epatociti. 1. Acidi grassi: rappresentano una fonte di energia per il fegato e per tutto l’organismo in generale, questo perché a livello mitocondriale l’ossidazione degli acidi grassi ad H2O ed anidride carbonica garantisce la produzione di adenosintrifosfato ATP (che verrà utilizzato come fonte di energia). Inoltre il glucosio in eccesso può essere convertito in acidi grassi ed accumulato nel tessuto adiposo. 2. Lipoproteine: sono presenti in 5 classi sulla base della loro densità: VLDL (bassa densità), LDL (intermedia), IDL (lipoproteine), HDL (alta). Le LDL ed HDL sono deputate al trasporto del colesterolo dal fegato agli altri organi. Quindi appare evidente il ruolo epatico nella regolazione della colesterolemia. Funzione di deposito Il fegato è sede di deposito di: - Ferro sotto forma di ferritina - Vitamine liposolubili (es. A) e di alcune idrosolubili (es. B12 utilizzata per il trasporto del ferro) - Vitamina D è invece trasformata nel fegato in una struttura più utilizzabile e convertita poi ulteriormente a livello renale. NB: il fatto che un organo come il fegato sia sede di deposito di così tante sostanze vuol dire che quando si prende in cura un Pz ci si occupa delle carenze delle sostanze, ma anche del loro accumulo (es Pz macrobiotico, mangiatore di frullati di carote morto per cirrosi epatica). Funzione endocrina Nel feto le cellule di Kupffer sono le principali responsabili della produzione di eritropoietina (EPO), che favorisce la produzione di globuli rossi. Nell’adulto questo ruolo è svolto dal rene, ma il fegato mantiene il 10% di questa funzione. Il fegato potenzia la produzione di ormoni (per es. nel fegato il T4 viene trasformato in T3, cioè nella forma più attiva). Assieme al rene il fegato provvede alla rimozione dal circolo degli ormoni peptidici ed al loro catabolismo. Emopoiesi Nel feto il fegato partecipa alla produzione degli elementi corpuscolati del sangue. Da adulto ciò non accade, ma è essenziale che ci sia una buona funzionalità epatica per assicurare il giusto apporto di ferro, acido folico e vitamina B12, i quali vengono forniti al midollo osseo per la produzione di globuli rossi. La bile Gli epatociti producono dai 6 agli 800 ml di bile giornalieri. La bile è composta da acqua, sali biliari, bilirubina, colesterolo, acidi grassi, lecitina ed elettroliti. I sali biliari sono sintetizzati nel fegato. La bile prodotta dal fegato entra nei canalicoli biliari, arriva ai dotti biliari terminali per poi confluire nei dotti 97

maggiori sino ad arrivare ai 2 dotti epatici: il dotto epatico comune ed il dotto cistico, che si uniscono a formare il coledoco. Il coledoco si svuota nella papilla duodenale maggiore, sfintere di Oddi e 2° duodeno. La bile viene secreta continuamente in funzione di stimoli NVG e biochimici. La secrezione è indotta dalla stimolazione vagale, ma esistono anche sostanze che ne stimolano la produzione oltre a sostanze che inducono la contrazione della cistifellea. Ruolo della bile è quello di emulsionare i lipidi, cioè li trasforma in goccioline piccole facilitando così la digestione dei grassi. RIEPILOGO 1. Metabolismo proteico: - Deaminazione degli aminoacidi; - Formazione di proteine plasmatiche (albumina, globulina, protrombina); - Fattori della coagulazione; 2. Metabolismo lipidico: - Ossidazione degli acidi grassi; - Sintesi di trigliceridi e di fosfolipidi - Sintesi di colesterolo e di sali biliari 3. Metabolismo glucidico: - Gluconeogenesi; - Glicogenolisi; - Conversione di fruttosio e galattosio in glucosio NB: questi processi contribuiscono al corretto mantenimento della glicemia. Conclusioni: Still afferma che “il fegato sembra essere un laboratorio chimico della natura, che riceve le opportune quantità e qualità, le rielabora dando vita a sostanze dure e molli, le quali andranno a costruire qualsiasi organo, ghiandola, muscolo, vena, arteria, cellula e nervo…”.

Approccio osteopatico al fegato Ispezione Con il Pz in statica eretta si provvede alla valutazione visiva della zona dove è alloggiato il fegato alla ricerca di reticoli venosi, cicatrici eritemi. Inoltre si valuta il colorito delle mucose del Pz (Pz itterici hanno colorito giallognolo), l’alito ed eventuale cattivo odore (tipico quest’ultimo delle grosse patologie del fegato). Si ispezionerà la zona dell’ipocondrio dx, epigastrio, ipocondrio sin e la regione posterolaterale dx (l’organo si estende da D9-D12 gK12). Ricordiamo che: - il lobo dx si estende dal 4° spazio intercostale sino alla fine della griglia costale, con il margine antero-inferiore che generalmente non deborda (lo può fare in caso di ptosi dell’organo o di sua congestione perché in questo caso pieno di sangue; pertanto all’atto della percussione sarà opportuno iniziare a ricercare l’organo a partire da K3).

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- il lobo sin si estende dalla cartilagine condrosternale di K6 sino poco al di sotto del processo xifoideo (è più piccolo del dx e va a coprire la piccola curvatura dello stomaco).

veduta laterale

veduta post

Percussione Viene eseguita con il Pz in decubito supino. Il fegato darà un suono pieno poiché il suo parenchima è pieno di sangue (al contrario del polmone che da un suono chiaro). L’Osteopata si pone con le mani a piatto sul torace del Pz e tramite i pollici di entrambe le mani inizia a scendere alla ricerca del 4° spazio intercostale. A questo punto inizia la percussione alla ricerca dei limiti del bordo superiore del lobo dx. Poi sempre rimanendo in contatto con le dita si sposta alla ricerca del limite del bordo superiore del lobo sin a livello di k6 (sulla linea emiclaveare). Il margine posterolaterale dell’organo va ricercato a livello della linea emiascellare di dx o con il Pz supino e la mano dx posta dietro la schiena oppure con il Pz posto in decubito laterale sin. Il margine antero-inferiore del fegato può essere valutato mediante la palpazione con le dita di entrambe le mani: ciò che si ricerca è la consistenza dura o molle del parenchima epatico. Generalmente non deborda dalla griglia costale.

lobo dx

lobo sin epigastrio

margine post-laterale

margine laterale

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Test di valutazione del margine antero inferiore del fegato nella sua lunghezza

NB: il test qualitativo di Glenard viene utilizzato per valutare qualitativamente il margine antero-inferiore del fegato. Il Pz si trova in decubito supino con la mano dx dietro la schiena. L’Osteopata si pone con la mano craniale sulla griglia costale avendo il pollice sotto di essa. Con la mano caudale invece si posiziona al di sotto dell’ombelico. Durante l’INsp del Pz l’osteopata con la mano caudale va a compattare il pacchetto intestinale in direzione dell’ilo epatico. In questo modo il fegato andrà ad effettuare una bascula anteriore, una inclinazione destra ed una rotazione antioraria verso sinistra: così facendo il margine antero-inferiore dell’organo andrà a “cadere” proprio sul pollice della mano craniale dell’osteopata, che potrà valutarne la forma e la consistenza (dura=patologia infettiva, assottigliato=epatomegalia, molle=steatosi, bozzoluto=cirrotico). Qualora l’osteopata abbia qualche difficoltà può fare effettuare al Pz una apnea INsp durante la quale il margine antero-inferiore sarà ben apprezzabile. Test di Glenard per la valutazione del margine antero-inferiore del fegato durante la fase inspiratoria

Test di resistenza o di pressione

Può essere eseguito con due modalità: 1. Costale: con la mano dx o sin che prende appoggio sulla griglia costale. 2. Addominale/sottocostale: con la mano dx in appoggio come per il test di pressione della cupola dx. L’intenzione, una volta depressi i tessuti, è quella di arrivare sino al 4° spazio intercostale. La finalità del test è quella di valutare la consistenza dell’organo: duro o morbido. NB: per sapere se si sta testando la cupola dx oppure il fegato ciò che è importante è l’intenzione.

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Test Costale

con mano sin

Test Costale

Test Sottocostale 4° spazio

mano dx

Test costale di pressione o resistenza del fegato: variante con la mano dx

Test sottocostale di pressione o resistenza del fegato: importante sono l’intenzione di testare il fegato e l’inclinazione del braccio in direzione del 4° spazio intercostale

Test di mobilità e tecniche correttive per disfunzioni in inspiro ed espiro

Dopo avere reperito il fegato si prende contatto, tramite le mani, con l’organo in modo da materializzarlo il più possibile. Pertanto la mano dx prenderà contatto con il margine antero-inferiore (o con la sua proiezione in modo da sentirne bene la discesa) e con il lobo sin. Con la mano sin invece prenderà contatto in modo da materializzare il lobo dx. NB: esiste un’altra posizione delle mani per effettuare il test di mobilità, la cosa fondamentale anche in questo caso sarà quella di riuscire a materializzare la forma dell’organo. Tenendo conto che in inspiro il fegato scende effettuando una bascula ant, oltre che un’inclinazione a dxed una rotazione antioraria a sin, l’Osteopata indurrà il movimento fisiologico dell’organo portandolo in basso, in bascula anteriore, in inclinazione dx ed in rotazione antioraria a sin per poi ritornare alla posizione di partenza. In una successiva fase espiratoria l’osteopata effettuerà una rotazione oraria ed una bascula posteriore valutando quanto l’organo si lascia riportare nella posizione di risalita. Alla fine si valuterà se esiste una netta restrizione di mobilità denominando la disfunzione nel senso della maggiore ampiezza. NB: 1. La difficoltà del test risiede nel superare il piano costale duro e mettersi in contatto con il tessuto molle del fegato. 2. I test possono essere eseguiti meccanicamente seguendo il tessuto oppure seguendo i tempi respiratori diaframmatici.

Test di mobilità del fegato: 1° possibilità di esecuzione

Test di mobilità del fegato: 2° modalità di esecuzione

Riduzione di una disfunzione in INspiro Ci si dispone con le mani nella stessa posizione di esecuzione del test. A questo punto si può procedere in due modi. - Tecnica funzionale INdiretta: su più tempi inspiratori si va ad aggravare la disfunzione portando l’organo in basso, in bascula ant, in inclinazione dx ed in rotazione antioraria a sin fino a che il tessuto si rilassa e si fa correggere! (grazie ad una informazione corticale di rilassamento). - Tecnica funzionale DIRETTA: su più tempi Esp si va a portare il fegato in rotazione oraria ed in bascula post. 101

Riduzione di una disfunzione in Espiro Ci si pone con le mani nella stessa posizione di esecuzione del test. A questo punto si può procedere in due modi: 1. Tecnica funzionale INdiretta: su più tempi espiratori si va a portare il fegato in rotazione oraria ed in bascula posteriore fino a che il tessuto si rilassa e si fa correggere! (grazie ad una informazione corticale di rilassamento). 2. Tecnica funzionale DIRETTA: su più tempi inspiratori si va a portare il fegato in basso, in bascula anteriore, inclinazione dx ed in rotazione antioraria sin. Test sui legamenti epatici e tecniche correttive Il fegato è avvolto e tenuto in sede da un unico fascio che origina posteriormente dal peritoneo e dal quale ha origine il legamento coronario. Da questo poi originano in sequenza i legamenti triangolari dx e sin, il leg falciforme, il leg rotondo e l’uraco. C’è poi il piccolo epiploon con i suoi fasci orizzontale e verticale.

1. Legamento coronario

Test la mano craniale fa punto fisso su K4 (a livello del 4° spazio intercostale) mentre la mano caudale si di-

spone, perpendicolarmente alla mano craniale, in appoggio sul lobo dx e nella direzione del legamento. La mano caudale effettua una trazione nella direzione del legamento così da allungarlo (si percepirà l’allungamento a livello della mano craniale): se non si ha subito una risposta vuol dire che non ci sono disfunzioni, se invece si percepisce una resistenza immediata ci sono disfunzioni. Il ruolo del legamento coronario è quello di: - consentire la bascula anteriore dell’organo - fungere da asse di mobilità dell’organo Per la correzione dopo avere localizzato il margine superiore del fegato, con la mano craniale si va a materializzare il legamento e la sua direzione e con la mano caudale ci si dispone perpendicolarmente molto vicino alla zona inserzionale del legamento, così da riuscire a trattarlo al meglio. Si possono utilizzare due tecniche: diretta e recoil. 1. Tecnica diretta di allungamento: dove la mano craniale fa punto fisso e quella caudale allunga il legamento. Si attende che il legamento ceda e si procede ad allungare in maniera progressiva.

Test di allungamento e di correzione diretta sul legamento coronario: 1° e 2° modalità di posizionamento

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2. Tecnica con recoil: superato il margine costale si allunga un poco il legamento per poi caricare il recoil in tutte le direzioni dello spazio. Si valuta se c’è maggior tensione in fase inspiratoria od espiratoria, dopo di che sulla fase respiratoria dove c’è maggior tensione si effettua il recoil lungo la direzione del legamento.

Tecnica correttiva con recoil sul legamento coronale

2. Legamento triangolare sin

Test > con il bordo cubitale della mano sin si fa punto fisso a livello di K6-linea emiascellare e si effettua un allungamento nella direzione del legamento (avendo la mano dx a contatto con il lobo dx). Per la correzione si può utilizzare una tecnica diretta di allungamento nella direzione dello stesso oppure una tecnica mediante recoil. La posizione delle mani sarà la stessa utilizzata per il test.

Test di allungamento e di correzione diretta sul legamento triangolare sin

Tecnica di correzione con recoil del leg. triangolare sin

3. Legamento triangolare dx

Questo legamento ha una proiezione posterolaterale a livello di K4. Test > si pone la mano sin (con una presa police-indice oppure con il bordo cubitale) a livello di K4 sul margine posterolaterale, mentre la mano dx è a contatto con il lobo dx. Con la mano caudale si effettua un allungamento in direzione basso e verso sin. Per la correzione si può utilizzare una tecnica diretta di allungamento nella direzione dello stesso oppure una tecnica mediante recoil. La posizione delle mani sarà la stessa utilizzata per il test.

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Test di allungamento e tecnica correttiva diretta sul legamento triangolare dx (3 modalità di presa)

4. Legamento falciforme

Il compito di questo legamento è di tenere la bascula posteriore, pertanto se si percepisce una maggiore tensione nella parte inferiore è ipotizzabile una disfunzione di bascula anteriore. Test > ci si pone con la mano destra a circa 2 dita dallo sterno e si esegue un test a tampone con il bordo cubitale. Ci si può aiutare anche con l’altra mano per rinforzare l’appoggio. Si valuta il legamento in tutta la sua lunghezza: porzione superiore ed inferiore. Per la correzione si può utilizzare una tecnica diretta di allungamento nella direzione dello stesso oppure una tecnica mediante recoil . La posizione delle mani sarà la stessa utilizzata per il test.

5. Legamento rotondo

Test > il pollice della mano craniale prende punto fisso a livello dell’ilo epatico sotto il margine costale, mentre con il pollice della mano caudale si effettua un allungamento in direzione dell’ombelico. NB. Testando con i pollici si è più selettivi sulla struttura, altrimenti ci si può mettere con le dita della mano craniale a livello dell’ilo epatico, mentre con l’eminenza tenar ed ipotenar della mano caudale ci si dispone sull’inserzione distale. Per la correzione si può utilizzare una tecnica diretta di allungamento nella direzione dello stesso oppure una tecnica mediante recoil. La posizione delle mani sarà la stessa utilizzata per il test.

Test di allungamento e tecnica correttiva diretta sul legamento rotondo (3 modalità di presa)

6. Uraco

Questo legamento si estende dall’ombelico (a livello di L3) sino al di sopra della sinfisi pubica, in prossimità del margine superiore della vescica (2° fossetta). Test > si fa punto fisso con il pollice della mano craniale mentre con il pollice della mano caudale si effettua un allungamento verso il basso. In realtà l’allungamento può anche essere fatto a coppia con entrambi i pollici oppure si può agire in accorciamento. Se è presente una disfunzione di questo legamento si può ipotizzare 104

una problematica a livello del fegato e/o della vescica. Per la correzione si può utilizzare una tecnica diretta di allungamento nella direzione dello stesso oppure una tecnica mediante recoil. La posizione delle mani sarà la stessa utilizzata per il test.

Test di allungamento e di correzione sull’uraco

Test di accorciamento sull’uraco

Test e tecniche di correzione delle bascule Il test delle bascule può essere eseguito meccanicamente oppure mediante l’ausilio della respirazione diaframmatica. Test > viene eseguito con il Pz in posizione seduta con l’Osteopata posto alle sue spalle con le mani disposte ad agganciare il fegato: per essere sicuri di avere agganciato l’organo si fa flettere il tronco al Pz e poi lo si fa riportare in posizione di neutralità. In questo modo si tiene bene agganciato l’organo con le dita di entrambe le mani. A. Meccanicamente bascula ANT: avendo agganciato bene il fegato l’Osteopata porta con le mani meccanicamente in avanti il fegato e nel contempo con il petto fa flettere il tronco al Pz, per poi tornare nella posizione di neutralità. Si agisce sul legamento coronario. È la bascula più fisiologica. bascula POST: avendo agganciato bene il fegato fa estendere leggermente il tronco del Pz e nel contempo con le mani porta meccanicamente indietro l’organo per poi tornare ad un punto neutro. Si agisce sul legamento falciforme. È una disfunzione che si verifica a seguito di traumi sull’organo. bascula LAT dx: avendo agganciato bene il fegato fa inclinare il Pz verso dx e porta meccanicamente con le mani l’organo a dx per poi ritornare al punto neutro. Si agisce sui legamenti coronario e triangolare sin. bascula LAT sin: avendo agganciato bene il fegato fa inclinare il Pz verso sin e porta con le mani meccanicamente il fegato verso sin per poi ritornare al punto neutro. Si agisce sui legamenti coronario e triangolare dx. B. Con ausilio della respirazione INspiro: si testano la bascula anteriore e laterale dx. Espiro: si testano la bascula posteriore e laterale sin. Per le correzioni delle disfunzioni di bascula: il Pz è in posizione seduta e l’Osteopata è alle sue spalle e tiene nella mano dx il lobo dx e nella mano sin il lobo sin del fegato. La correzione può essere effettuata con due modalità: Tecnica funzionale indiretta Bascule ANT e LAT dx: si aggrava la disfunzione in più tempi INsp fino a che non si percepisce che il tessuto si rilascia e si corregge in Esp. Bascule POST e LAT sin: invece si aggrava la disfunzione in più tempi Esp fino a che non si percepisce che il tessuto si rilascia e si corregge in INsp. Tecnica funzionale diretta Bascule ANT e LAT dx: su più tempi Esp si porta l’organo in posteriorità; Bascule POST e LAT sin: su più tempi INsp si porta l’organo in anteriorità.

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Test di bascula ant del fegato

Test di bascula post del fegato ATTENZIONE! Si ricorda che per il trattamento delle disfunzioni di inspiro ed espiro, così come per quello delle bascule (anteriore, posteriore, laterale destra e sinistra) si potrà lavorare seguendo la respirazione diaframmatica oppure il ritmo intrinseco dei tessuti.

Test di bascula lat dx del fegato

Test di bascula lat sin del fegato

sem 2_Approccio emodinamico al fegato Quali sono le situazioni in cui il fegato può essere congestionato? 1. Steatosi epatica (le varici infatti sono una conseguenza di congestione epatica e non una causa). 2. Stasi portale ad origine da qualsiasi organo sottodiaframmatico. 3. Disfunzioni del diaframma (anche se a dire il vero esso è più spesso una vittima). 4. Patologie cardiache (es. cardiopatie) o cuore osteopatico, cioè disfunzionale: esse drenando in atrio destro creano problematiche di rallentamento nel drenaggio venoso. 5. Patologie polmonari e disfunzioni polmonari. 6. Sistema gastrointestinale tramite drenaggio per mezzo della vena porta. 7. Abitudini alimentari (es. grassi, alcool). 8. Patologie epatiche. 9. Disfunzioni di organo di origine psicoemozionale (che non si risolvono con il trattamento classico osteopatico). 10. In generale tutte le patologie degli organi emuntori possono creare una stasi a livello epatico. NB: tutte queste condizioni elencate rappresentano delle controindicazioni relative al protocollo emodinamico del fegato. Sono invece controindicazioni assolute: patologie epatiche, cardiache (+++) compresa l’ipertensione, polmonari ed autoimmuni. Protocollo Quando è opportuno applicare questo tipo di protocollo? Dipende essenzialmente da due fattori: 1. la necessità di dare un rilancio energetico al Pz 2. l’esperienza dell’operatore Infatti quando si sono trattate le disfunzioni degli organi emuntori (benderelle del diaframma, fegato, milza, pancreas, apparato gastroenterico), compresa la componente legamentosa, si è già effettuato un rilancio emodinamico. Inoltre il Pz non sempre riesce a tollerare questo tipo di trattamento, così come invece tollera la correzione delle disfunzioni osteopatiche. Questo accade perché si tratta di un lavoro che mette in fatica, sotto sforzo 106

l’organismo. Pertanto i Pz che hanno problemi di circolazione sono già energeticamente affaticati, soprattutto a livello epatico perché il fegato è un viscere che funzionalmente assolve a compiti molto impegnativi (es. distribuisce macromolecole di glucosio a tutte le cellule). Di fronte a Pz di questo tipo è piuttosto opportuno: 1. risolvere le disfunzioni 2. mettere il Pz a dieta nel senso di ridurre l’apporto calorico, senza andare ad eliminare completamente i grassi perché altrimenti si peggiorerebbe la situazione 3. fare bere molto il Pz, consigliargli di fare passeggiate all’aria aperta, fare bagni turchi per iniziare ad eliminare in maniera graduale 4. al termine di queste fasi, se il Pz è pronto si può applicare il protocollo. NB: si tratta di un tipo di lavoro che nuoce a chi è fisicamente in forma. Modalità di esecuzione del protocollo emodinamico sul fegato La finalità del circuito emodinamico è quella di eliminare il sangue “sporco” dal fegato e richiamare sangue “pulito” (entrambi vanno a finire in atrio dx). In questo modo si rilancerà tutto il sistema venoso e di conseguenza anche il sistema linfatico. Prima di iniziare il protocollo è necessario: 1. testare e trattare, se è presente una disfunzione, il piccolo epiploon, in particolare il fascio verticale al cui interno si trovano arteria epatica, vena porta e dotto coledoco. In questo modo si libererà la circolazione del fegato e si agirà sulla produzione della bile 2. testare e trattare, se è presente una disfunzione, lo sfintere di Oddi in modo da migliorare l’evacuazione biliare 3. testare e trattare, se è presente una disfunzione, le benderelle diaframmatiche (si procede superando con l’appoggio anteriore di una mano il piano costale in modo da ricercare ed entrare in contatto con la struttura che si intende testare, la benderella appunto, ricercando la risposta del repere anatomico sull’altra mano. Solo a questo punto si effettuerà un test con direzione alto-fuori per la benderella arciforme ed in fuori per la benderella obliqua). Ora che si sono liberate le vie di fuga (arteria epatica e vena porta) si può preparare il mediastino, in particolare l’atrio dx, a ricevere il sangue. Il circuito emodinamico inizia con una tecnica che si chiama Thoracic Pump (nel neurovegetativo essa viene utilizzata per preparare alcuni drenaggi linfatici). 1. Pz supino con le mani agganciate alla cintura dell’osteopata o ad un asciugamano che questo tiene intorno alla vita. L’osteopata si sbilancia leggermente indietro così da pretensionare il torace del Pz con i suoi glutei. 2. L’Osteopata prende appoggio sullo sterno del Pz con entrambe le mani ed in INsp blocca la salita dello sterno, mentre in Esp porta lo sterno verso il basso ed effettua delle vibrazioni. La manovra viene ripetuta diverse volte e di quando in quando si può effettuare un richiamo del torace e, di conseguenza, di sangue in atrio dx all’inizio dell’INsp senza staccare le mani da esso (a mò di rebound). Il numero di ripetizioni di questa fase del protocollo varia a seconda del Pz che si ha difronte: per un Pz giovane si può ripetere spesso, mentre per un Pz anziano si deve fare attenzione. 3. Ora che l’atrio dx è pronto a ricevere il sangue si può effettuare una tecnica di svuotamento epatico per rimuovere il sangue “sporco” dal fegato. Pertanto ci si posiziona con entrambe le mani sul fegato con una presa uguale a quella utilizzata per effettuare il test di mobilità. In questo modo l’organo va a “spremersi come una spugna” tra le mani dell’osteopata ed il diaframma. Durante l’INsp si blocca l’espansione della griglia costale e si blocca la discesa del fegato; in questo modo il diaframma scendendo schiaccia il fegato (che è impossibilitato a scendere perché si trova tra le mani dell’osteopata). Durante l’Esp l’Osteopata aumenta ancora di più la pressione sul fegato e va a chiudere la griglia costale. La sequenza viene ripetuta più volte in relazione a quanto si intende essere potenti con questa tecnica. 4. Si ripete nuovamente la fase di thoracic Pump. 5. A questo punto si deve effettuare una tecnica di riempimento del fegato mediante una iniziale pressione e poi una depressione per far si che il sangue venga richiamato nell’organo. Pertanto con le mani poste come nel test di mobilità del fegato durante l’ispirazione si blocca la discesa dell’organo e si tiene chiusa la griglia costale. In espiro si richiama con entrambe le mani senza che queste si distacchino dalla superficie toraco- addominale (=rebound di contatto). 107

6. Si effettua di nuovo una thoracic Pump così da essere sicuri che il sangue torni al cuore. E’ fondamentale che il protocollo termini con questo tipo di manovra. Per assicurare un adeguato ritorno di sangue al cuore. 7. Da ultimo per effettuare un rilancio globale dell’organismo si può effettuare la tecnica sul 4° ventricolo per rilanciare i liquidi sul piano globale. NB: durante l’esecuzione del protocollo è necessario tenere sempre sotto controllo il polso del Pz e se ciò non è possibile si valuta il riflesso giugulare in modo da evitare complicanze quali reazioni vagali.

posizione di partenza per esecuzione del protocollo del circuito emodinamico del fegato: pretenzionamento del torace.

thoracic pump

posizione per effettuare sia la manovra di “spremitura del fegato” che quella di riempimento del viscere.

Sfintere di Oddi: repere e trattamento Lo sfintere di Oddi si localizza nella parete mediale-posteriore della seconda porzione del quadrato duodenale, molto vicino alla testa del pancreas, pertanto in una zona retroperitoneale. Per reperirlo ci si pone con due dita al lato dx dell’ombelico e due dita in alto, esternamente al retto dell’addome e medialmente rispetto al colon ascendente (le dita devono essere proporzionate a quelle del Pz pertanto nel caso non sia così si utilizzano quelle del Pz inoltre se l’indice dovesse essere più corto del medio va equiparato a quest’ultimo così da avere un corretto reperaggio). A questo punto si procede “entrando” perpendicolarmente in addome, scansando le anse intestinali del tenue, che hanno consistenza molle, sino ad arrivare in retroperitoneo, dove la struttura diventa più dura. Ci si orienta a 45° in direzione della parete mediale della seconda porzione del duodeno alla ricerca di una zona più densa perché si tratta di una sfintere. NB: nel penetrare all’interno dell’addome con una mano può risultare utile posizionare l’altra mano dietro la colonna in modo da avere un punto di riferimento. Inoltre se il Pz offre un poco di resistenza gli si può chiedere di piegare le gambe a 90°. Una volta reperito lo sfintere si può procedere a testarlo ed eventualmente a trattarlo mediante recoil, ponsagè o vibrazioni se si ritiene che sia in disfunzione. È importante ricordare che il repere ed il test sullo sfintere vanno effettuati in due tempi distinti. NB1. Quando si è testato lo sfintere di Oddi bisogna chiedersi se la sua maggiore consistenza sia dovuta ad una condizione fisiologica della struttura (che in quanto sfintere è sempre più consistente) oppure si è realmente di fronte ad una problematica di tipo osteopatico. La pratica ci aiuterà a discernere tra le due situazioni. NB2. Quando si cerca di reperire, testare e trattare una struttura bisogna sempre visualizzarla mentalmente.

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repere dello sfintere di Oddi sem 3_La colecisti Premesse La colecisti e le vie biliari sono molto importanti per l’emulsione e la digestione dei grassi. Inoltre per il corretto funzionamento delle vie biliari è necessario che ci sia un corretto funzionamento nella motricità di varie strutture: infatti tutte le attivazioni enzimatiche, tutti i riflessi, tutto il rilassamento degli sfinteri, tutta l’attivazione della muscolatura liscia sono in relazione con una corretta motricità ed una coordinazione di questi organi. Quindi quello che crea una disfunzione di questo sistema è spesso una cattiva coordinazione della funzione. Questo, in conclusione, vuol dire che ci deve essere una corretta coordinazione della motricità tra fegato, stomaco, duodeno, tenue, vescicola biliare e pancreas perché tutto funzioni in maniera adeguata alla digestione. Pertanto se nella pratica clinica si è relativamente veloci tecnicamente, in realtà è necessaria una valutazione accurata del Pz. Anatomia La vescicola biliare (vb) è un organo cavo, piriforme, lungo circa 10 cm. È addossata alla faccia inferiore del fegato ed è stabilizzata dal peritoneo in modo da essere alloggiata in zona detta “fossetta cistica” Il repere della colecisti è a livello dell’estremità anteriore della cartilagine costale dx di K9-K10, mentre la proiezione vertebrale è a livello delle trasverse di L2-L4: questo è in relazione a dove viene reperito il fegato ed a quanto questo deborda dalla griglia costale (anche quando il Pz è sdraiato il fondo della colecisti è reperibile tra la 9° e10° cartilagine costale, comunque sarà la palpazione a dirci in modo più preciso dove l’organo è ubicato). Il suo grande asse si dirige in basso-avanti-fuori: ciò vuol dire che le vie biliari si trovano indietro rispetto al fondo della colecisti (l’asse è importante nell’esecuzione dei test di pressione e delle tecniche sul fondo, sul corpo e sulle vie biliari: sarà fondamentale ricordare l’orientamento di queste strutture).

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Dal basso verso l’alto si distinguono tre strutture: 1. fondo 2. corpo 3. collo: è il punto dove la colecisti inizia a divenire più stretta diminuendo il suo volume perché poi diventa dotto cistico. 4. dotto cistico: unendosi al dotto epatico diventa dotto coledoco. NB: nella realtà anatomica esistono tante variazioni di conformazioni del dotto coledoco. Questo può interessarci relativamente perché quale che sia l’aspetto anatomico per trattare osteopaticamente il coledoco si andrà a lavorare sempre il fascio verticale del piccolo epiploon.

Il piccolo epiploon viene anche denominato cistico-duodenale perché dal piloro, stomaco e 1° duodeno (Du 1) va verso l’ilo epatico proprio a livello della fossetta cistica: pertanto il coledoco dalla vescicola biliare arriva direttamente in duodeno. Il coledoco attraversa la tonaca muscolare di Du 2 e sbocca in un piccolo serbatoio, l’ampolla di Vater. L’ampolla va a formare sulla superficie interna del duodeno (cioè all’interno della mucosa) una sporgenza detta papilla duodenale maggiore. A questo livello ci troviamo sul margine posteromediale di Du 2, ma in realtà il repere dello sfintere di Oddi viene effettuato dal margine lat di Du 2. Infatti sul margine mediale c’è la testa del pancreas ed a questo livello il repere sarebbe troppo complesso. Invece passando lateralmente ai retti dell’addome (2 dita di lato e 2 dita sopra ombelico), scendendo perpendicolarmente e poi portandosi a 45° verso l’interno è possibile reperire lo sfintere di Oddi.

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Du 2

pancreas

percorso delle dita (dietro Du 2) per raggiungere lo sfintere di Oddi A livello della papilla di Vater si ha un ispessimento sia della tonaca muscolare del duodeno che delle fibre muscolari circolari dei dotti: si forma così lo sfintere di Oddi. Nel medesimo punto di arrivo del coledoco sbocca anche il dotto pancreatico principale detto dotto di Wirsung. L’altro dotto pancreatico accessorio, detto dotto di Santorini, arriva sempre sul margine post-mediale del 2° duodeno, ma un poco più in alto aprendosi nello papilla duodenale minore. NB: anche a livello dei dotti possono essere presenti delle variazioni anatomiche, ma a livello pratico ciò che ci interessa è la localizzazione dello sfintere di Oddi (e quindi del 2° duodeno), che verrà acquisito come punto di riferimento. Rapporti anatomici Variano in funzione degli spostamenti della colecisti e del suo grado di riempimento oltre che dal volume del fegato. Il fondo corrisponde alla faccia ant-inf del fegato e poggia sopra la massa intestinale. Il corpo della colecisti è sito nella fossetta cistica o direttamente adeso al fegato o tramite interposizione del mesocolecistico: quindi c’è un qualcosa che la stabilizza al fegato. La vescicola biliare inoltre è in rapporto con il Du 1 e con il colon trasverso. In conclusione la colecisti contrae rapporti anatomici con fegato, Du 1 e colon trasverso. Come detto precedentemente il collo della colecisti continua con il dotto cistico, che unendosi al dotto epatico comune forma il dotto coledoco. Il coledoco scende verso il basso e l’interno passando dietro la Du 1 e la testa del pancreas davanti alla fascia di Treitz. La fascia di Treitz è un tessuto fasciale che passa dietro il quadro pancreatico e davanti vi passa il peritoneo parietale posteriore: quindi rappresenta in sostanza la fascia prepancreatica. A questo livello il coledoco passa sotto il pancreas creando una doccia e raggiunge la parte post-int di Du 2. Legamenti sospensori Sono rappresentati da: 1. peritoneo viscerale del fegato: che si solleva e fissa anteriormente la cistifellea alla fossetta cistica del fegato. Pertanto la mobilità della cistifellea è strettamente connessa a quella del fegato 2. mesocolecisti: fissa la cistifellea al fegato 3. piccolo epiploon Innervazione È data da: 1. ortoS: mediante il n. grande splancnico D7-D9. 2. paraS: mediante il n. vago di sin (es. disfunzioni di clavicola sin possono determinare disfunzioni a questo livello).

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3. n. frenico di dx: rappresenta il sistema propriocettivo della colecisti. La relazione della colecisti con C3C5 giustifica cervicalgie dx e sin e cervicobrachialgia dx. Vascolarizzazione La vescicola biliare e le vie biliari sono irrorate dall’arteria cistica, ramo dell’a. epatica, quindi è a carico del tronco celiaco. Il drenaggio venoso è ad opera delle vene cistiche, che sono tributarie della vena porta (così come tutto il sistema gastrointestinale) per poi tornare al fegato.

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vv. aorta peritoneo v. cava parietale inferiore epatiche esofago addominale diaframma

milza

lobo dx del fegato dotto epatico sin dotto epatico dx dotto epatico comune dotto cistico a. epatica propria cistifellea dotto coledoco flessura dx del colon dotto coledoco, sbocco a livello della papilla duodenale maggiore colon ascendente

ghiandola surrenale sin tronco celiaco a. lienale a. epatica comune coda del pancreas flessura colica sin corpo del pancreas rene sin digiuno colon discendente dotto duodeno, testa del duodeno, a. e v. mesenteriche parte pancreatico pancreas parte superiori ascendente principale discendente

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Fisiologia La bile secreta dagli epatociti è convogliata nei dotti interlobulari, nelle due radici del dotto epatico e da questo nel coledoco. Da qui defluisce in Du 2. Lo scorrere della bile verso il duodeno è data da un perfetto sincronismo sfinteriale: quando lo sfintere è chiuso la bile va nella cistifellea e si accumula. Pertanto la vescicola biliare assolve a due funzioni: 1. Serbatoio della bile: infatti quando lo sfintere è chiuso la bile, sotto precisi stimoli, viene secreta dagli epatociti e si accumula nella cistifellea. Quest’ultima ha una capacità di contenere bile pari a circa 60 ml (per un totale di circa 600-800 ml al giorno). Il suo riempimento avviene grazie alle differenze di pressione ed al rilassamento delle fibre muscolari: questo perché se lo sfintere di Oddi è chiuso l’evacuazione biliare da parte del fegato trova una pressione, dovuta appunto a questa chiusura, che la convoglia verso la colecisti. Questo presuppone anche la coordinazione con le fibre muscolari lisce della vescicola biliare. Infatti esse devono essere rilassate per poter portare bile all’interno del serbatoio. 2. Concentrare la bile: tale concentrazione è di circa 10 volte ed avviene mediante l’assorbimento di acqua ed elettroliti. NB: si vive bene anche senza vescicola biliare perché la bile arriva comunque in Du 2, ma è molto diluita. Pertanto l’efficacia della digestione sarà molto ridotta soprattutto a carico dei lipidi. La presenza di grasso nell’intestino provoca la secrezione enterica di colecistochinina (CCK), che entrata nel circolo stimola la secrezione epatica di bile e la contrazione della cistifellea (es. se si mangia un panetto di burro una volta che questo dallo stomaco arriva in Du 2 stimola la secrezione di CCK, che da una parte induce gli epatociti a secernere bile, mentre dall’altra stimola la vescicola biliare a contrarsi con conseguente peristalsi duodenale e rilasciamento dello sfintere di Oddi, che si apre facendo defluire la bile in duodeno. Contemporaneamente a ciò si ha un rilasciamento degli enzimi pancreatici. La bile in eccesso viene poi riassorbita a livello intestinale ed in parte viene riportata nel fegato tramite il sistema portale, mentre tutti i prodotti di escrezione biliare vengono eliminati in parte attraverso le feci ed in parte tramite le urine. Questo è avvalorato dal fatto che i cataboliti della bilirubina danno il colore alle feci. In presenza di un problema biliare infatti le feci cambiano colore. Vescicola biliare ed emozioni I disturbi delle vie biliari riguardano le inquietudini (=divenire biliosi). Collera mista a rancore: la colecisti è un serbatoio e concentra, non è rabbia estemporanea. Es. essere verde dalla rabbia. Collera e colecisti hanno la stessa origini semantica. I calcoli biliari nascono da giudizi troppo duri su se stessi o su chi ci sta intorno o sulla vita. Fisiologia osteopatica La colecisti è fissata alla faccia inferiore del fegato e quindi non ha una mobilità propria. Questo fa si che dal punto di vista osteopatico si debbano escludere i test di mobilità. Al contrario sarà possibile eseguire: test di pressione in relazione all’asse della vescicola biliare test tissutali in relazione al coledoco (piccolo epiploon) valutazione di disfunzioni di tipo coordinatorio Disfunzioni osteopatiche Sono legate prevalentemente a turbe NVG, ormonali (legate al corretto rilascio degli ormoni locali) e psicomotori, che provocano: discinesia: problemi di evacuazione della bile legati ad attività della muscolatura liscia (NVG). distonia: problematiche di tipo sfinteriale e dei dotti. dissinergia: mancata coordinazione tra vescicola biliare, sfintere di Oddi e dotto coledoco. Sintomatologia e segni clinici 1. Dolore in ipocondrio dx ed in epigastrio: il dolore locale è dato soprattutto dall’irritazione, flogosi o spasmo della colecisti e dei dotti. 2. Dolore dorsale D7-D9 e costale basso K7-K12 prevalentemente a dx: il dolore viscerale viaggia attraverso il nervo grande splancnico gcatena laterovertebrale tra D6-D8. 3. Cervicalgia (C3-C5) dx e sin e cervicobrachialgia (nn. frenico e vago): il dolore somatico derivante dal perito114

neo anteriore che ricopre le vie biliari, il fegato e la colecisti viaggia attraverso il n. frenico di dx. 4. Dolore alla spalla dx (punto di Schmidt, angolare della scapola): il peritoneo post manda informazioni dolorifiche attraverso i nn. intercostali di dx da D7 a D12. 5. Segni gastrointestinali quali diarrea, gonfiori, nausea bocca amara e digestione lenta NB: in presenta di sintomi vanno testati tutti i 9 quadranti perché un sintomo è espressione di una possibile disfunzione di tutti gli organi che condizionano quella funzione. Pratica sulla cistifellea Palpazione della VB. L’Osteopata si pone alla dx del Pz, che si trova in posizione supina. Il reperimento viene effettuato a livello delle cartilagini costale di K9-K10, o a partire dalla xifoide sternale (ricordando che K7 è la 1° costa orizzontale) oppure dalle costole fluttuanti. NB: chi ha una certa esperienza può anche reperire la VB con la mano di taglio che dalla xifoide arriva a fermarsi proprio a livello della cartilagine costale di K9-K10. Una volta reperita la vescicola biliare l’Osteopata può provvedere alla sua palpazione in 2 modi: 1. Stando di fronte al Pz con i pollici in appoggio va a ricercare una piccola formazione sferica (simile ad una testa d’uovo). Se il Pz non permette all’Osteopata di entrare, quest’ultimo può chiudere un poco la griglia costale per arrivare a palpare la colecisti. 2. Dando le spalle al Pz l’Osteopata si pone con le dita delle mani a livello di K9-K10 ed inizia a palpare entrando sotto la griglia costale alla ricerca di una formazione ovalare simile ad una testa d’uovo. NB: in entrambi i casi si può chiedere al Pz un accenno di inspirazione quel tanto che serve per anteriorizzarla e riuscire a palparla meglio. Non si deve eccedere nella inspirazione perché altrimenti il fegato scende troppo e si impatta tutto il tessuto. Quello che si percepisce è una rotondità, soprattutto se la cistifellea è vuota. In una palpazione non si cerca la densità, ma si studia la localizzazione dell’organo e soprattutto la forma per capire se c’è fisiologicità della struttura oppure si può essere di fronte a qualcosa di patologico. Conclusioni: la palpazione in osteopatia consiste nell’approccio alla struttura e nella ricerca del repere per poter eventualmente fare diagnosi di esclusione. Repere della colecisti a livello delle cartilagini costali di K9-K10 Repere della colecisti con mano a “taglio” sul bordo costale

K9-K10 Sede di localizzazione della colecisti a livello della cartilagine costale di K9-K10

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Palpazione della colecisti 2° modalità

Palpazione della colecisti 1° modalità

Punti riflessi vescicolari Non sono punti diagnostici per l’Osteopata in quanto la decisione di trattare la vescicola biliare viene effettuata sulla base del test di pressione. Possono però essere importanti quando c’è una anamnesi che orienta verso problematiche di vescicola biliare e quando i test vescicolari sono positivi. La positività dei punti riflessi è data da: - dolorabilità - la diversa qualità tessutale 1. Punto di Schmidt: corrisponde all’angolare della scapola dx (spesso il Pz viene a visita indicando questo come punto doloroso). 2. Punto di Bud: corrisponde al margine inferiore della scapola dx. 3. Punto vescicolare: è posto a livello della cartilagine costale di K8. 4. Punto di Binet: è sito a livello della estremità della cartilagine costale di K9. 5. Test di Murphy: è un test medico e non osteopatico, quindi può essere considerato come un test di esclusione. Serve a stabilire se a livello della VB è già presente una irritazione del peritoneo. La positività a questo test è data da un dolore acuto trafittivo, essendo già presente una irritazione peritoneale locale. Viene eseguito in relazione alla presenza di sintomi ed alla positività della vescicola biliare. Può essere eseguito in due modi. 1. Il Pz è in posizione supina e l’osteopata gli dà le spalle. Ponendo le dita a livello della cartilagine costale di K9-K10 (repere della VB) effettua una pressione mentre il Pz effettua una inspirazione lieve ed alza il capo. 2. Il Pz è supino e l’osteopata è di fronte a lui. Prendendo appoggio con il pisiforme della mano destra a livello della VB effettua una pressione in questa zona mentre il Pz inspira ed alza il capo. Questa modalità di esecuzione del test è più pratica dal punto di vista osteopatico rispetto alla precedente perché ci si trova già in posizione per eseguire il test di pressione. NB: in INsp il diaframma scende e con la compressione esercitata dall’Osteopata la vescicola biliare viene schiacciata tra il diaframma e la mano, pertanto se il Pz ha un’irritazione vescicolare egli percepisce un dolore acuto trafittivo.

Schmidt Bud 116

Punto vescicolare Binet Punto vescicolare a livello della cartilagine costale di K8

Punto di Binet a livello dell’estremità della cartilagine di K9

Murphy 1

2

Test di Murphy: 1° modalità con Test di Murphy: 2° modalità con INsp INsp e sollevamento del capo e sollevamento del capo Test di pressione Premesse: si andrà ad effettuare un test di pressione sulla VB dopo avere effettuato un test sui 9 quadranti ed avere riscontrato una positività in ipocondrio dx. A questo punto si testerà il fegato e poi la VB. Il test di pressione sul fegato verrà effettuato con le eminenze tenar ed ipotenar della mano dx. Prendendo appoggio con il pisiforme della mano dx si effettuerà un test di pressione sulla VB in direzione del fondo della colecisti con direzione alto-dietro-dentro. La scelta di un appoggio solo con il pisiforme è dato dal fatto che si cerca di essere il più selettivi possibile. Test di pressione sulla VB in direzione del fondo dell’organo mediante il pisiforme per essere selettivi In presenza di un test di pressione e di un test di Murphy positivi si andrà ad effettuare un trattamento, ma con accortezza proprio perché il Murphy è indicativo del fatto che è presente una irritazione della v.b. (questa regola vale per qualsiasi approccio di tipo osteopatico). Test di risalita È un test tissutale, più qualitativo che quantitativo, della loggia vescicolare. È positivo tutte le volte che c’è un Murphy positivo, perché è espressione di una irritazione della VB, maggiormente con problematiche a livello del fondo e con stasi vescicolare.

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Ci si posiziona con il pisiforme della mano dx sulla loggia vescicolare proprio sotto il margine costale, senza prendere un credito di pelle. La modalità di esecuzione è la stessa del test di pressione, ciò che cambia è l’intenzione, la finalità (circoscrive uno spazio percettivo). La spinta viene effettuata esclusivamente verso l’alto. Test di risalita della VB con direzione verso l’alto: è identico al test di pressione, ciò che cambia è l’intenzione

Test di chiusura dell’angolo mediante pronazione (ulnarizzazione) della mano.

Test di chiusura dell’angolo È indicativo della chiusura dell’angolo e quindi della “qualità” di quella zona. Un angolo è importante perché la sua disfunzione tissutale locale altera i processi di evacuazione con conseguente stasi biliare. Una volta posta la mano a livello della VB, per chiudere l’angolo, si prona la mano e si fa una ulnarizzazione della stessa. NB: la manovra viene eseguita direttamente dopo avere effettuato il test di risalita, ma prima è necessario “mollare un poco la presa”.

Test di stiramento dei dotti È indicativo della qualità tissutale della zona dei dotti, che hanno un percorso verso il basso in direzione del 2° duodeno. Lo si fa direttamente dopo avere eseguito il test di chiusura dell’angolo, però prima è necessario mollare un poco la presa. Si deve apprezzare lo stiramento dei tessuti. NB: la positività di un test rispetto ad un altro andrà ad indirizzare il tipo di trattam osteopatico. Es1gcon un test di risalita positivo si è in presenza di una stasi quindi sarà bene effettuare uno svuotamento. Es 2 gun test di chiusura dell’angolo positivo richiederà l’apertura dello stesso. Es 3 gin presenza di un test di stiramento positivo si lavorerà sulla qualità del percorso dei dotti biliari. Conclusioni: in Osteopatia i test indirizzano sul tipo di trattamento da eseguire.

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Tecniche di riduzione delle disfunzioni vescicolari 1. Tecnica diretta di svuotamento della VB. Si esegue in caso di positività al test di risalita del fondo. Questa tecnica non va eseguita in caso di test di Murphy positivo perché si rischierebbe di aggravare lo stato dell’infiammazione. La si fa in presenza di una dolenzia al test di Murphy quando si ipotizza la presenza di sabbia nella VB e si vuole far fare una colica al Pz per eliminarla. Tutto ciò però richiede una notevole consapevolezza osteopatica. Il Pz è seduto mentre l’osteopata è alle sue spalle e si va a reperire la VB. L’appoggio delle dita è sottocostale, ma non così ampio come nel fegato. Come detto, le dita sono in appoggio sul fondo della VB: si procede ad un lavoro di svuotamento con direzione alto-dietrodentro. La sensazione che si deve percepire è quella di svuotare prima il fondo, poi il corpo ed infine il collo in modo da favorire l’evacuazione biliare dal fondo ai dotti. Quando si ritiene di avere terminato si rilascia delicatamente la presa sottocostale. NB: l’intensità dello svuotamento dipende da quello che si intende fare, è tutto in relazione all’ascolto tessutale. 2. Tecnica di apertura dell’angolo Si esegue in presenza di un test di chiusura dell’angolo positivo. Con una mano si farà punto fisso sull’Oddi per creare una apertura dell’angolo, mentre l’altra mano sarà posizionata a livello della VB. La finalità è quella di sfruttare la risalita della VB e l’inclinazione del tronco del Pz per aprire l’angolo. Innanzitutto si procede al repere dello sfintere di Oddi passando attraverso i retti dell’addome e le anse del tenue, facendo rilassare il Pz perché si deve scendere in profondità. Dopo di che andando a 45° in dentro si va alla ricerca della parete mediale di Du 2, dove si trova l’Oddi. Questa manovra viene eseguita a Pz seduto con l’Osteopata che si trova alle sue spalle e va a reperire l’Oddi o con la mano dx o con quella sin, a seconda di come si trova più comodo. L’altra mano prende appoggio sulla VB. A questo punto in un tempo Esp (perchè è necessario che il diaframma salga) l’Osteopata va in alto con la mano posta sulla VB per favorirne la risalita e chiede al Pz una inclinazione del tronco a sin, in modo da aprire l’angolo. Nell’eseguire questa tecnica la mano che si trova sull’Oddi rimane a fissarlo. Tecnica di apertura dell’angolo: Tecnica di apertura dell’angolo: 1° modalità 2° modalità 3. Tecnica di stiramento Si esegue in presenza di una positività al test di stiramento dei dotti. La si può eseguire con due modalità. 1. Avendo la medesima posizione utilizzata per la tecnica di apertura dell’angolo con una mano sull’Oddi ed una sulla VB, in un tempo Esp l’osteopata porterà in alto la VB e contemporaneamente con l’altra stirerà il dotto. In questo caso però non si chiede al Pz una inclinazione del tronco. 2. Pz supino, l’Osteopata reperisce l’Oddi con la mano dx, mentre con la mano sin sostiene la VB. In un tempo Esp, facendo punto fisso sull’Oddi si fa risalire con l’altra mano la colecisti. NB: la prof.ssa Menichelli preferisce eseguire la tecnica di riduzione da supino perché (lei) stabilisce una migliore empatia con il Pz, tuttavia la manovra da seduto permette di lavorare in condizioni di gravità naturali. 119

Tecnica di stiramento dei dotti: Tecnica di stiramento dei dotti: 2° modalità con Pz supino 1° modalità sem 4_Il duodeno Premesse Il quadro duodenale è la 1° porzione dell’intestino tenue. È una struttura ben protetta e nascosta in profondità nell’addome perché ha un grande interesse biochimico ed emodinamico. Dallo stomaco, passando attraverso il piloro, arrivano nel duodeno il chimo e le macromolecole: tutte queste sostanze vengono trasformate in micromolecole a livello di Du 2 ad opera della bile e dei succhi pancreatici. In questo modo queste sostanze possono essere digerite ed assorbite. La sosta ed il transito delle sostanze all’interno di tutto il tubo gastrointestinale devono avvenire in tempi precisi. Questi variano in relazione al volume ed alla composizione delle sostanze ingerite: es. una mela richiede minor transito rispetto a sostanze più voluminose. Intolleranze ed allergie possono essere ricondotte a disfunzioni del duodeno oltre che dello stomaco, fegato, vescicola biliare e pancreas. Generalmente viene studiato separatamente dall’intestino mesenteriale (digiuno ed ileo) perché: 1. è una parte molto fissa del tenue, al contrario del digiuno e dell’ileo che sono parti mobili 2. ha una funzione di digestione, mentre il tenue svolge soprattutto funzioni di assorbimento. Anatomia Il duodeno si estende dal piloro all’angolo duodenodigiunale per una lunghezza di circa 30 cm ed un calibro di circa 47 mm. Ha come proiezioni vertebrali: - la trasversa dx di L1 (repere per il piloro); - angolo duodenodigiunale a livello della trasversa sin di L2. Ha la forma di un anello aperto a sin. È applicato alla parete post dell’addome tramite il peritoneo parietale post detto fascia prepancreatica (faccia ant del duodeno). Dietro al quadrato duodenopancreatico invece c’è la fascia di Treitz. Pertanto è come se il duodeno si trovasse dentro ad un sacchetto. È posto in profondità. Riceve lo sbocco dei dotti biliari e pancreatici stabilendo così una relazione molto forte con fegato, vescicola biliare e pancreas.

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Viene diviso in 4 porzioni anatomiche: Du 1: è breve e mobile. È diretto alto-dietro -fuori verso la trasversa dx di D12 arrivando sotto il lobo quadrato del fegato, dove lascia la sua impronta. Du 2: procede in basso a dx della colonna vertebrale fino ad L2-L3 contornando la testa del pancreas. NB: per l’esame il repere di riferimento è L3. Du 3: decorre trasversalmente da dx a sin passando a ponte a livello dell’ombelico, incrociando la vena cava inferiore e l’aorta. Du 4: sale obliquamente sul lato sin della colonna vertebrale fino alla trasversa sin di L2 per continuarsi con l’intestino mesenteriale (= digiuno+ileo). Il colon trasverso “taglia” in due porzioni il duodeno ed il pancreas pertanto si potranno individuare per questi organi una porzione sovramesocolica ed una porzione sotto mesocolica. Questa suddivisione è importante soprattutto a livello di innervazione. La radice del mesentere origina a livello dell’angolo duodenodigiunale, attraversa il duodeno ed arriva alla valvola ileocecale. Pertanto sul quadrato duodenale saranno presenti due impronte: il mesocolon trasverso e la radice del mesentere. La superficie mediale, interna, del duodeno presenta una zona detta papilla duodenale maggiore (di Vater): si tratta di un rilievo conico della mucosa, sede dello sbocco del coledoco e del dotto pancreatico maggiore di Wirsung.

La localizzazione della superficie interna di Du 2 a livello della papilla di Vater, e quindi dello sfintere di Oddi, giustifica il fatto che nel reperire questo sfintere sia necessario scansare le anse intestinali e poi andare a 45° alla ricerca dello sfintere (siamo in una zona profonda retroperitoneale). Nella papilla duodenale minore sbocca invece il dotto pancreatico minore (dotto accessorio di Santorini): essa si trova posizionata più in alto e più dietro rispetto alla papilla di Vater. 121

Il dotto di Wirsung origina a livello della coda del pancreas e, giunto a livello della testa, emette 2 dotti, il principale e l’accessorio. NB: possono esistere diverse varianti anatomiche dei dotti pancreatici, ma questo dal punto di vista osteopatico ha poca importanza. Inoltre palpare e sentire l’organo sono due cose diverse. Infatti dire che si sta palpando un organo non è corretto: è meglio dire che si è sulle proiezioni anatomiche dell’organo che si sta esaminando. testa del pancreas vena porta ghiandola surrenale sin rene sin a. e v. mesenteriche sup a. epatica propria mesocolon trasverso e a. celiaca condotto coledoco suoi margini di sezione a. lienale colon trasverso (sez) margine libero dx del piccolo (o splenica) flessura sin omento (leg. epatoduodenale) (o splenica) del colon fegato (sezionato) ghiandola surrenale dx piloro rene dx mesocolon trasverso e suoi margini di sezione flessura dx (o epatica) del colon colon trasverso (sezionato)

colon ascendente m. grande psoas

colon discendente

parte sup (o 1°) duodeno

parte discend (o 2°) parte orizz (o 3°) parte ascend (o 4°)

radice del mesentere (margini di sezione)

piega e fossa duodenali inf flessura duodeno-digiunale e digiuno (sezionati) a. mesenterica inf aorta addominale

v. cava inferiore

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v. porta condotto coledoco margine libero dx del piccolo omento (leg. epatoduodenale)

a. epatica propria a. gastro-duodenale a. gastrica di dx (o pilorica) a. epatica comune orifizio pilorico

flessura superiore

condotto coledoco condotto pancreatico accessorio (del Santorini) condotto pancreatico principale (del Wirsung)

parte superiore (o 1°) (o ampolla, o bulbo duodenale) (tonaca mucosa liscia) flessura discendente (2°) papilla duodenale minore (incostante)

flessura duodeno-digiunale digiuno

pieghe circolari (del Kerchring) papilla duodenale maggiore (del Vater) piega longitudinale testa del pancreas flessura inferiore

parte ascendente (o 4°) a. e v. mesenteriche superiori

parte orizzontale (o 3°)

strato muscolare longitudinale, esterno (con aperta una finestra) strato muscolare longitudinale, interno (con aperta una finestra) tela sottomucosa con le ghiandole duodenali (del Brunner)

strati della parete duodenale

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Rapporti anatomici Du 1 è in rapporto con il lobo quadrato del fegato, con vescicola biliare, testa del pancreas, arteria epatica e vena porta. Du 2 è in rapporto con la testa del pancreas, anse intestinali del tenue, rene-surrene ed inizio di uretere destri. Du 3 è in rapporto con le anse del tenue, con la porzione inferiore del rene sin (poiché arriva a livello della trasversa sin di L2). La testa del pancreas è contenuta nel quadro duodenale. La porzione terminale della coda è in relazione con lo stomaco grazie alla retrocavità degli epiploon (che gli si applica sopra). La coda del pancreas è in rapporto con l’ilo della milza. Qui esiste una plica peritoneale detta leg pancreaticolienale che li solidarizza. Ciò sta a significare che quando si va a reperire il pancreas è necessario essere molto precisi nei punti di repere teorici del pancreas, piloro, sfintere di Oddi e della milza (quest’ultima indica dove arriva il duodeno e come si orienta, generalmente obliquo a 30°).

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Flessura/angolo duodenodigiunale È un angolo che si forma tra l’ultima porzione del duodeno e l’inizio del digiuno. Si trova a 3-4 cm a sin della linea mediana a livello della trasversa sin di L2. In termini di repere anatomico è il corrispettivo dell’Oddi, infatti si trova a 2 dita all’esterno e 2 dita in alto all’ombelico. È applicato alla parete post dell’addome tramite il peritoneo parietale post (fascia prepancreatica) ed è fissato al diaframma tramite il muscolo di Treitz.

Muscolo di Treitz Può anche assumere la denominazione di legamento anche se è raro. È composto da 2 ventri muscolari: 1. il principale prende origine dai pilastri del diaframma e dall’orifizio aortico 2. il fascio accessorio origina dal margine dx dell’orifizio esofageo del diaframma. I due fasci muscolari si uniscono in un unico tendine che va sul margine sup della flessura/angolo duodenodigiunale. In base a quando sinora detto l’angolo duodenodigiunale è una struttura stabile grazie al peritoneo parietale post (che lo applica alla parete) e al m. di Treitz (che lo stabilizza al diaframma ed agli orifizi diaframmatici).

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sacchetto

Mezzi di fissità Il duodeno è una zona molto fissa che viene mantenuta in posizione da vari elementi, quali: 1. pressione intracavitaria (toracica, addominale e pelvica; esse devono essere tra loro in equilibrio). 2. piloro (dove si aggancia il legamento cisticoduodenale). 3. Oddi (dove arriva lo sbocco dei dotti). 4. angolo duodenodigiunale. 5. mesocolon trasverso e radice del mesentere. 6. leg colicoduodenale (= fascio verticale del piccolo epiploon) e m. di Treitz. 7. vasi e nervi. 8. peritoneo (con la fascia prepancreatica avanti ed il muscolo di Treitz dietro a formare un sacchetto). 9. dotto coledoco.

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Vascolarizzazione arteriosa È ad opera delle: 1. A. pancreaticoduodenale superiore (ant e post): provengono dall’a. gastroduodenale pertanto sono dei collaterali dell’a. epatica gtronco celiaco. 2. A. pancreaticoduodenale inferiore (ant e post): sono rami dell’a. mesenterica superiore. In conclusione: la vascolarizzazione arteriosa è ad opera delle aa. epatica e mesenterica sup.

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Vascolarizzazione venosa La vascolarizzazione venosa è ad opera delle: 1. v. pancreaticoduodenale dx: sbocca direttamente nella v. porta. 2. v. pancreaticoduodenale inferiore dx: sbocca nella v. mesenterica sup gv. porta. In conclusione: tutto drena nel sistema portale (in maniera diretta od indiretta).

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aa. freniche inferiori di dx e sin (che originano da un tronco comune) a. celiaca a. epatica comune a. gastrica di dx (o pilorica) a. epatica propria a. sopraduodenale a. gastro-epiploica (o gastro-omentale) dx

a. gastrica sin (o coronaria dello stomaco) ramo esofageo dell’a. gastrica sin (o coronaria dello stomaco) a. lienale (o splenica) ramo ricorrente dell’a. frenica inferiore di sin per l’esofago a. gastro-epiploica (o gastro-omentale) sin a. gastriche brevi

a. gastroduodenale a. pancreaticoduodenale supero-anteriore a. pancreaticoduodenale superoposteriore a. gastro-epiploica (o gastro-omentale) di sin a. della coda del pancreas (in parte in trasparenza)

a. pancreaticoduodenale supero-anteriore a. pancreaticoduodenale infero-posteriore (in trasparenza) a. pancreatico-duodenale infero-anteriore a. pancreatico-duodenale inferiore (o comune)

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a. grande pancreatica a. pancreatica inferiore (o trasversa) (in trasparenza) a. pancreatica dorsale (o superiore) a. colica media (sezionata) a. mesenterica superiore

viste con lo stomaco ribaltato verso l ‘alto

a. epatica intermedia a. epatica propria a. epatica di dx a. cistica cistifellea

a. epatica di sin v. porta a. epatica comune a. gastrica sinistra (o coronaria dello stomaco)

aa. freniche inferiori di dx e sin (qui originate da un tronco comune) a. celiaca a. addominale a. gastriche brevi

tringolo cistico (del Calot) condotto cistico condotto epatico condotto coledoco a. gastrica di dx (o pilorica) a. gastro-epiploica (o gastro-omentale) di sin

a. sopraduodenale

a. della coda del pancreas

a. gastroduodenale

a. grande pancreatica a. lienale (o splenica) a. pancreatica dorsale (o superiore) a. pancreatica inferiore (o trasversa) ramo anastomotico

a. pancreaticoduodenale supero-posteriore (in trasparenza) a. pancreatico-duodenale supero-anteriore a. gastro-epiploica (o gastro-omentale) di dx

a. colica media (sezionata) a. mesenterica sup a. pancreatico-duodenale inferiore (o comune) a. pancreatico-duodenale infero-posteriore a. pancreatico-duodenale infero-anteriore

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duodeno e testa del pancreas ribaltati a sin condotto coledoco a. gastro-duodenale a. pancreatico-duodenale supero-posteriore a. pancreatico-duodenale supero-anteriore (in trasparenza) a. mesenterica sup a. pancreatico-duodenale inferiore (o comune) a. pancreatico-duodenale infero-posteriore a. pancreatico-duodenale infero-anteriore (parzialmente in trasparenza)

a. celiaca a. lienale (o splenica)

a. grande pancreatica a. pancreatica inferiore (o trasversa) a. pancreatica dorsale (o superiore) a. mesenterica sup a. pancreatico-duodenale inferiore (o comune)

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a. epatica propria a. epatica comune a. sopraduodenale a. gastro-duodenale (parz in trasparenza) a. pancreatico-duodenale supero-posteriore condotto coledoco a. gastro-epiploica (o gastro-omentale) di dx (in trasparenza, sezionata) a. pancreatico-duodenale supero-anteriore (in trasparenza) ramo anastomotico a. pancreatico-duodenale infero-posteriore a. pancreatico-duodenale infero-anteriore (in trasparenza) viste posteriormente

vv. epatiche v. porta v. pancreaticoduodenale superoposteriore v. gastrica di dx (o pilorica) v. prepilorica v. pancreaticoduodenale superoanteriore v. gastroepiploica (o gastroomentale) di dx

v. cava inferiore a. gastrica sinistra (o coronaria dello stomaco) e v. tributaria esofagea vv. gastriche brevi

a. gastroepiploica (o gastroomentale) di sin

v. pancreaticoduodenale inferoposteriore v. pancreaticoduodenale inferoanteriore v. colica media (sezionata) v. mesenterica sup v. porta

a. gastrica sinistra (o coronaria dello stomaco) v. lienale (o splenica) vv. gastriche brevi

v. gastrica di dx (o pilorica) v. pancreatico-duodenale supero-posteriore v. mesenterica sup v. gastro-epiploica (o gastro-omentale) di dx v. pancreatico-duodenale supero-anteriore v. tributaria del colon trasverso v. pancreatico-duodenale infero-anteriore v. pancreatico-duodenale infero-posteriore

v. della coda del pancreas v. gastro-epiploica (o gastro-omentale) di sin v. grande pancreatica v. mesenterica inf v. colica media (sezionata)

Innervazione C’è una doppia componente: 1. ORTOsimpatico: - porzione sovramesocolica è innervata dal grande splancnico D6-D9. - porzione sottomesocolica è innervata dal piccolo splancnico D9-D12. 2. PARAsimpatico: - vago dx e sin gparacraniale.

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aa. e plessi frenici inferiori di dx e sin foglietti anteriori e post del piccolo omento ramo del plesso epatico per il cardia tramite il piccolo omento n. grande splancnico toracico di dx

ramo epatico del tronco vagale ant tronco vagale ant ramo celiaco del tronco vagale post ramo celiaco del tronco vagale ant a. e plesso gastrici di sin (o coronari dello stomaco)

ramo vagale dal plesso epatico al piloro plesso epatico a. e plesso gastrici di dx ramo gastrico ant principale del tronco vagale ant n. grande splancnico toracico di sin n. piccolo splancnico toracico di sin a. e plesso lienali (o splenici) gangli e plesso celiaci plesso sulle aa. gastroepiploiche (o gastro-omentali) a. e plesso mesenterici sup plesso sull’a. pancreatico-duodenale inferiore plesso sulla prima a. digiunale plesso sulle aa. pancreaticoduodenali supero-ant ed infero-ant (il plesso sulle aa. pancreatico-duodenali post non è qui visibile)

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plesso sulle aa. gastroepiploiche (o gastro-omentali) plesso epatico a. e plesso gastrici di dx (o pilorici)

ramo gastrico post principale del tronco vagale post ramo epatico del tronco vagale ant che segue il piccolo omento ramo del plesso epatico che segue il piccolo omento a. e plesso frenici inferiori di dx tronco vagale post ramo celiaco del tronco vagale post ramo celiaco del tronco vagale ant a. e plesso gastrici di sin (o coronari dello stomaco) a. e plesso frenici inferiori di sin gangli e plesso celiaci nn. splancnici toracici grande, piccolo e minimo ganglio reno-aortici a. e plesso frenici (o splenici)

nn. splancnici toracici di dx grande, piccolo, minimo visti con lo stomaco ribaltato verso l’alto plesso sulle aa. pancreaticoduodenali supero-ant ed infero-ant

nn. splancnici plesso sulle aa. gastro-duodenale toracici grande, piccolo, plesso sulle aa. pancreaticominimo duodenali supero-post gangli celiaci ed infero-post ganglio renoganglio e plesso mesenterici sup aortico di dx ganglio e plesso mesenterici sup

n. frenico di dx ganglio frenico ramo del plesso frenico inf di dx per il cardia dello stomaco a. e plesso frenici inferiori di dx e sin tronco vagale ant tronco vagale post

ramo celiaci dei tronchi vagali ant e post a. e plesso gastrici di sin (o coronari dello stomaco) nn. splancnici toracici di sin ganglio renoaortico di sin

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6����������������� ° ganglio toracico del tronco del simpatico di dx 7° n. intercostale di dx rami comunicanti grigio bianco ganglio spinale, radice ant del n. spinale n. grande splancnico toracico di dx n. piccolo splancnico toracico di dx gangli celiaci n. splancnico toracico minimo (incostante) aa. epatiche comune, propria ganglio mesenterico sup gangli reno-aortici a. gastrica di dx (o pilorica) a. renale di dx a. gastro-duodenale aa. pancreaticoduodenali supero-posteriore e supero-anteriore a. mesenterica superiore aa. pancreaticoduodenali inferoposteriore e infero-anteriore

6° ganglio toracico del tronco del simpatico di sin plesso esofageo n. grande splancnico toracico di sin plesso aortico 9° ganglio toracico del tronco del simpatico di sin tronco vagale post e ramo celiaco tronco vagale ant e suo ramo celiaco a. gastrica sinistra (o coronaria dello stomaco) a. celiaca a. lienale (o splenica) aa. gastriche brevi

aa. gastroepiploiche (o gastroomentali) di sin e dx

fibre ortosimpatiche pregangliari postgangliari fibre parasimpatiche pregangliari postgangliari fibre afferenti

Fisiologia L’acido cloridrico e le sostanze contenute nel chimo stimolano la secrezione di secretina e colecistochinina (CCK) da parte del duodeno (sono ormoni locali). Questi ormoni a loro volta stimolano la secrezione di: - bicarbonato (per tamponare l’acidità) - enzimi pancreatici La CCK: - stimola la secrezione di enzimi per la digestione dei grassi e delle proteine; - inibisce la secrezione e la motilità dello stomaco facendo si che il contenuto intestinale abbia il tempo di essere digerito ed assorbito. Il bicarbonato prodotto dal duodeno eleva il ph per assicurare il funzionamento degli enzimi pancreatici e tamponare l’acidità gastrica. 138

Gli enzimi pancreatici agiscono sulle grosse molecole con azione proteolitica, amidolitica e lipolitica. La presenza di chimo duodenale stimola la secrezione enterica di pancreozimina, che arriva per via ematica al pancreas e ciò provoca la liberazione di enzimi digestivi (amilasi, lipasi, tripsina, peptidasi e nucleasi). In genere gli enzimi pancreatici sono prodotti in forma inattiva e vengono attivati nel duodeno da altri enzimi (es. il tripsinogeno, tramite l’enzima enterochinasi, diventa tripsina). La gastrina stimola fortemente la produzione di acido cloridrico e la secrezione pancreatica di bicarbonato, di CCK, di secretina ed enterochinasi. Inoltre aumenta il tono del LES. Quindi già quando lo stomaco inizia a produrre acido cloridrico attiva la gastrina, stimola la produzione di enzimi pancreatici per la stimolazione del pancreas. Inoltre la presenza di grasso nel chimo duodenale farà rilasciare lo sfintere di Oddi e contrarre la colecisti in modo tale che la bile si riversi nel duodeno. La bile emulsionando i grassi in goccioline facilita la digestione a livello dell’intestino. In conclusione stomaco, duodeno, pancreas e complesso epatico vescicolare sono uniti fortemente da un punto di vista funzionale oltre che anatomico. Il tutto però necessita di un corretto apporto artero-venoso e di un corretto funzionamento del NVG tra gli organi. Infatti tutte le discinesie sfinteriali o le disfunzioni duodenali, pancreatiche e della vescicola biliare sono alla base di quadri come i malassorbimenti, le allergie e le intolleranze alimentari. Fisiologia osteopatica Arteria e vena mesenterica sup passano dentro il quadro duodenopancreatico e sotto la testa del pancreas. Pertanto rappresentano l’asse di mobilità del duodeno durante le fasi di INsp ed Esp del diaframma. duodeno scende ruota in senso antiorario in INsp si inclina a dx In sostanza compie gli stessi movimenti del fegato in INsp. Inoltre globalmente la “C” duodenale si chiude intorno al peduncolo artero-venoso scendendo e ruotando intorno all’arteria ed alla vena mesenterica sup. NB: il peduncolo artero-venoso della mesenterica sup diventa asse di rotazione per il quadrato duodenale e per l’intestino mesenteriale, ma i due sistemi durante il movimento del diaframma invertono i movimenti. Questo permette la tutela dall’eccessivo stiramento vascolare ed enfatizza la dinamica vascolare.

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Sintomatologia e segni clinici Dolore epigastrico Dolore dorsale medio e dorsolombare per l’innervazione orto da D6-D12 Gonfiori epigastrici Duodeniti (in questo caso si è difronte ad una disfunzione che è divenuta patologia quindi non si è più in ambito osteopatico. Ulcere duodenali Intolleranze alimentari Cattiva gestione degli zuccheri e dei grassi Duodeno emozionale Il duodeno è la prima parte del tenue e rappresenta la nostra capacità di digerire ed assorbire e poi di lasciare andare le emozioni. Le emozioni legate al tenue riguardano ciò che non riusciamo ad accettare, a cui ci ribelliamo, che ci “rodono” dentro. Es ulcere duodenali rappresentano una situazione inaccettabile che continuiamo a dover vivere. Sono emozioni profonde, più fisse, esistenziali. La funzione che si è andata ad alterare dà il binario emozionale del Pz. Pratica sul duodeno (Anno 5 sem 1) Premesse: quando si testa e si tratta una struttura è sempre necessario prima reperirla e poi testarla, anche se le mani rimangono nella stessa posizione (cioè non si spostano). Test Per testare il quadro duodenodigiunale è necessario reperirlo. I punti di repere sono rappresentati da: piloro, 139

sfintere di Oddi ed angolo duodenodigiunale. 1. Piloro: è una zona compresa tra la metà della linea xifo-ombelicale ed una linea passante per le cartilagini di K8 (=linea transpilorica). Corrisponde all’incirca ad L1. Può essere leggermente spostato verso dx.

2. Sfintere di Oddi: si reperisce (non si può fare un test senza aver primo reperito la struttura) ponendo 2 dita fuori e 2 dita in alto rispetto all’ombelico. La mano craniale è post e non supera le spinose del tratto vertebrale interessato (D12-L3): essa serve a compattare le strutture. La mano caudale si posiziona con 2 dita nella zona individuata e si spinge posteriormente sino ad arrivare alla zona retroperitoneale. A questo punto si orienta a 45° in direzione dietro-dentro alla ricerca di un “duro anatomico” (e non osteopatico) proprio dello sfintere. Infatti si tratta di una palpazione, di un reperaggio e NON di un test. Per eseguire il test (dopo aver fatto il repere) si procede a palpare lo sfintere nello stesso modo e si giudica se è duro (resistenza tessutale) oppure no, cioè se c’è una disfunzione oppure no. Le mani sono posizionate sul margine laterale del 2° duodeno. NB: per aiutarci nella valutazione quando si fa il repere si potrebbe parlare di “duro anatomico”, mentre quando si fa il test si può parlare di “resistenza tessutale”, come il test di pressione. Una volta individuata una disfunzione la si può trattare con: recoil, vibrazioni, ponsage ed induzioni fasciali. NB: sugli sfinteri e sulle zone strutturali puntiformi i recoil si eseguono con i pollici sovrapposti. Nelle zone dove si vanno ad effettuare degli allungamenti il recoil viene effettuato a 2 mani: es. anche sul cranio si effettuano dei test di pressione.

Repere anatomico dello sfintere di Oddi

Test di pressione sullo sfintere di Oddi

Posizionamento delle mani sul margine laterale del 2° duodeno

3. Angolo duodenodigiunale: repere > ci si posiziona al lato dell’ombelico (sul margine sin dell’addome) con due dita in fuori e due dita in alto con orientamento a 45° verso l’interno (cioè verso la colonna vertebrale). Attenzione a non sentire i mm. retti dell’addome: infatti è necessario andare oltre la parete muscolare, scendere e sentire un “duro organico” perché si tratta di un angolo. A livello dell’angolo duodenodigiunale c’è la radice del mesentere ed il muscolo di Treitz. Test > una volta reperito l’angolo duodenodigiunale lo si testa alla ricerca di una “resistenza tessutale”. In presenza di una disfunzione la si può trattare con ponsage, vibrazioni o recoil con i 2 pollici (perché è un angolo, quindi una zona puntiforme e non un leg) in direzione del repere anatomico e caricando tutti i parametri nello spazio. Il recoil non ha l’obbiettivo di allungare l’angolo ma un’azione di rilasciamento puntiforme. 140

Repere anatomico dell’angolo duodenodigiunale

Test di pressione sull’angolo duodenodigiunale

Trattamento delll’angolo duodenodigiunale mediante recoil

4. Muscolo di Treitz: ha una proiezione postero-anteriore con una componente verso l’esterno. Ha 2 ventri muscolari che partono dallo iato aortico ed esofageo (con delle espansioni sui pilastri del diaframma) per unirsi in un unico tendine che si inserisce a livello dell’angolo duodenodigiunale. Lo si può reperire, testare e trattare Test Mano caudale, ha 4 dita posizionate a livello dell’angolo duodenodigiunale Mano craniale, il pollice è a livello della proiezione dello iato esofageo, e cioè a livello della cartilagine condrosternale di K6. Il repere viene fatto con due mani, non in termini di allungamento per testare, ma per capire quando le due mani si ritrovano. Una volta trovato, tramite la congruenza delle mani nella direzione della struttura, lo si va a testare andando ad allungarlo. Trattamento In caso si trovi una disfunzione si può utilizzare per correggerla la tecnica meccanica diretta in allungamento > mano craniale, fa punto fisso (usando l’organo più pesante); mano caudale, fa punto mobile (per l’organo più leggero). Si allunga in direzione basso-fuori-dietro. In realtà quando si acquisisce praticità si potranno usare entrambe le mani come punto mobile.Per la correzione va bene anche il recoil, no il ponsage. Repere del muscolo di Treitz

Proiezione dello iato esofageo nel test sul m. di Treitz

Trattamento in allungamento del m. di Treitz

Test di pressione sul duodeno Deve essere effettuato in presenza di una positività dei 9 quadranti a livello del mesogastrio: tale positività non deve presentarsi all’inizio del test (a questo livello superficiale il tenue/mesentere è morbido), ma andando più in profondità, a livello del quadrato duodenale appunto. A questo punto si può testare sia pancreas che duodeno e decidere quale delle due strutture è più interessante da testare. Il test sul duodeno deve materializzare il quadro duodenale pertanto la mano sarà tra piloro, Oddi, ang duodenodigiunale: piloro (Du1): eminenza tenar; sfintere di Oddi (Du 2): eminenza tenar ed ipotenar; linea ombelicale (Du 3): mignolo, cioè con il bordo ulnare della mano. ang duodenodigiunale (Du 4): sotto le artic interfalangee

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NB: se sono duodeno sono quadro pertanto bisogna stare sia a livello che in direzione (mano parallela ad una linea che passa per le creste iliache; se la mano testasse il pancreas sarebbe inclinata di 30° verso la coda del pancreas/milza); la mano craniale è sita post senza superare le spinose. In presenza di una positività tessutale sul duodeno, così come si è fatto per il pancreas, si può fare un test a tampone sulle singole porzioni. In questo modo si è facilitati nella progressione dei test: infatti in presenza di un Du 2 positivo si andrà a testare duodeno l’Oddi e non l’angolo duodenodigiunale. NB: nei neonati non si esegue il test dei 9 Qu

Test dei 9 quadranti. Positività in mesogastrio

Test di pressione globale sul duodeno

pancreas

Test di pressione sul 1° duodeno

Test di pressione sul 4° duodeno

Test di pressione sul 2° duodeno

Test di pressione sul 3° duodeno Test di allungamento delle singole porzioni del quadro duodenale Trovandosi su delle proiezioni bisogna valutare ciò che si percepisce a livello di quella sezione con il test di allungamento. Du1: può essere la porzione più difficile perché dal piloro si proietta in dietro-alto verso il fegato a livello della trasversa dx di D12. I punti di riferimento saranno l’ilo epatico ed il piloro (è simile alla 2° modalità per testare il fascio verticale del piccolo epiploon, ma è diverso perché nel 1° caso si cerca l’allungamento di un legamento, in questo 2° caso si cerca l’allungamento di un tubo, pertanto la sensazione manuale sarà diversa). Con le mani si deve percepire la congruità tra le mani con direzione basso-dietro-dentro.

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Du 2: si estende dalla fine di Du 1 (trasversa dx di D12) all’ombelico. È necessario scendere più in profondità rispetto a Du1 perché è necessario essere retroperitoneali. Si procederà ad un allungamento tessutale verticale di tutto il tubo e si valuterà come questa zona risponderà all’allungamento. In conclusione: prima si scende a livello e poi si procede all’allungamento.

Du 3: ci si pone alla fine di Du 2 ed ai lati dell’ombelico (perché di fatto Du 3 lo scavalca). Poi si scende in profondità per raggiungere il livello e quindi si allunga con entrambi i pollici.

Du 4: ci si posiziona con il dito medio della mano caudale su Du3, mentre con le dita della mano craniale si è sull’angolo duodenodigiunale. Una volta raggiunto il livello si procede all’allungamento di Du 4.

NB: in presenza di una disfunzione in allungamento su uno dei 4 tratti si procede con tecnica meccanica diretta di allungamento, recoil, etc. Le tecniche sono relativamente semplici, ma è importante reperire la struttura. Test di apertura degli angoli Gli angoli sono delle zone dove più facilmente si può creare una disfunzione. L’angolo più difficile è quello tra Du 1-Du 2. 1. Angolo tra D1-D2: avendo trovato in precedenza Du 1 e Du 2 ci si pone con le dita internamente e si scende in profondità ponendosi così sulla proiezione. Si va a cercare qualcosa che si faccia aprire con entrambe le mani.

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2. Angolo tra Du 2-Du 3: trovati Du 2 e Du 3 ci si dispone con le dita internamente sul margine interno. Poi si scende in profondità e si va ad aprire.

3. Angolo tra Du 3-Du 4: ci si dispone con i pollici sul margine interno tra Du 3 e Du 4 e si va a testare la possibilità dell’angolo di aprirsi. L’Osteopata è alla dx del Pz. Un’altra possibilità è quella di mettersi ai piedi del Pz e stando con le dita sul margine interno di Du 3 e Du 4 si va ad aprire l’angolo. Apertura di angolo tra Du 3 e Apertura di angolo tra Du 3 e Du 4 (1° possibilità) Du 4 (2° possibilità)

NB: se non si apre l’angolo duodenodigiunale, si fanno altre cose come per es lavorare sul m. di Treitz. Nel caso in cui ci sia un angolo in disfunzione che non si lascia aprire si può effettuare una tecnica meccanica diretta di apertura dell’angolo. Test di mobilità del duodeno Ci si pone come nel test di pressione sul duodeno e cioè con: - la mano caudale a materializzare il quadro duodenodigiunale - la mano craniale a livello di D12-L3 per poter raggiungere il livello In un tempo INsp il duodeno avanza-rotazione antioraria-si chiude un poco, strizzando il peduncolo vascolare. In un tempo Esp il duodeno indietreggia-rotazione oraria-si apre un poco. In un tempo INsp ci si mette in ascolto e si induce un movimento inspiratorio e si valuta quanto l’organo si faccia portare. In un tempo Esp ci si mette in ascolto e si induce un movimento espiratorio e si valuta quanto l’organo si lascia portare.

144

Alla fine si valutano i due parametri e se c’è una disfunzione la si denomina nel senso della maggiore ampiezza. Es. disfunzione in inspiro: mi metto in ascolto e su più tempi di inspiro aggravo la disfunzione, mentre nei tempi di espiro mantengo sino a che non si percepisce che i tessuti cedono, si ammorbidiscono. A questo punto: 1. se accompagno verso la correzione si tratta di una tecnica combinata (indiretta in un primo tempo e poi diretta verso la correzione) 2. se seguo senza fare niente e ritorno; quindi ci si rimette in ascolto per capire se le due fasi si sono riequilibrate ed eventualmente ritesto, si tratta di una tecnica funzionale di esagerazione. La prof.ssa Menichelli preferisce utilizzare le tecniche di esagerazione. NB: si possono utilizzare entrambe le tecniche a patto che se ne conosca la differenza. Utilizzare una tecnica correttiva piuttosto che un’altra dipende dal tipo di tessuto sul quale si lavora Es. il recoil può essere utilizzato perché ci sono dei recettori di Pacini o paciniformi, che rispondono alle vibrazione, ai campi pressori. Possiamo fare una tecnica funzionale di esagerazione perché è a questo livello che sulle disfunzioni globali c’è un riequilibrio sottocorticale che manda un’informazione di un certo tipo. Ricapitolando: i termini funzionale o meccanico definiscono se si va ad agire sul motore (come nella funzionale) oppure no (come nella meccanica). I termini diretta ed indiretta stanno a significare che si va nel senso della correzione (come nella diretta) oppure verso la disfunzione (come la indiretta). Il termine combinata mette insieme prima la indiretta e poi la diretta. L’esagerazione è una tecnica funzionale indiretta. La tecnica funzionale diretta va nel senso della correzione. Legamento epatoduodenale Test sul fascio verticale Oltre che con il metodo classico lo si può reperire e testare anche del leg epatoduodenale in un altro modo e cioè in una modalità più selettiva con il pollice della mano craniale a livello dell’ilo epatico e con le 4 dita della mano caudale a livello del piloro, dove il legamento si inserisce. A questo punto si effettua un allungamento meccanico diretto e si valuta la risposta del tessuto. NB: scegliere una modalità piuttosto che un’ altra dipende da ciò che si sta facendo e da come ci si trova meglio in un posizionamento piuttosto che in un altro. Ricordiamo che il fascio verticale va dall’antro pilorico al piloro e a Du1. Pratica duodeno_Dragonetti Test di inibizione sul duodeno È una metodica che ci permette di discriminare, dopo avere eseguito i test ed avere trovato delle disfunzioni, se tali disfunzioni sono maggiormente a carico di: a) colonna vertebrale tra D12-L3 (anche L4 se c’è iniziale ptosi dell’organo); b) grande e piccolo splancnico (D6-D9 e D9-D12); c) viscere duodenale; In conclusione questo test ci permette di discriminare se la disfunzione è più di origine meccanicovertebrale o viscerale. 145

Esecuzione del test Mano craniale > si posizionano i polpastrelli a livello delle spinose delle vertebre interessate, mano caudale > si risale dal pacchetto intestinale sino al duodeno. Se è difficile inglobare nella mano caudale tutto l’addome del Pz si possono fare piegare le gambe. Se prima del test si era in presenza di una densità/resistenza su una delle vertebre interessate (D12-L3) e, inibendo il duodeno, la resistenza sotto i polpastrelli si modifica, il viscere è responsabile della densità sulle vertebre. Lo stesso procedimento può essere utilizzato in presenza di una disfunzione del quadro duodenale/disfunzione del neurovegetativo (D6-D12): in questo caso la vertebra interessata non è una sola, sono di più. 1. Pz sul bordo del lettino ed Osteopata alla sua dx. 2. L’Osteopata è con la mano craniale a livello delle spinose tra D12-L3, mentre con la mano caudale va ad inglobare, “scivolando”, il pacchetto intestinale sino a poco al di sotto dell’ombelico. 3. A questo punto a livello duodenale si esercita una spinta verso l’alto con la mano caudale (la spinta mano caudale > la prof deve arrivare fino a raggiungere il livello vertebrale usa due mani per far mano craniale > interessato), mentre con la mano craniale si valuta ciò vedere meglio quello polpastrelli sulle che si deve fare vertebre che accade a livello vertebrale. Nel caso in esame, Pz Fabio, l’Osteopata non avvertiva nulla a livello vertebrale, ma una volta indotta l’inibizione a livello duodenale è aumentata la resistenza vertebrale: pertanto il problema è meccanico/strutturale. Conclusioni: Test di inibizione sul duodeno da seduto a) se la resistenza vertebrale si modifica spingendo sul pacchetto intestino-duodenale la priorità è sul duodeno. b) se la resistenza non si modifica dopo una spinta sul duodeno la priorità è sulla colonna vertebrale. NB: il test può essere eseguito: anche con il Pz seduto anche su una singola porzione duodenale.

Il pancreas _Premesse

Definito dai vecchi anatomisti come la grande ghiandola salivare dell’addome. Il quadro duodenopancreatico è una struttura nascosta, profonda e quindi molto protetta; ciò avvalora la sua importanza biochimca, enzimatica, endocrina ed immunitaria. Anatomia È lungo circa 16-20 cm., alto 3-4 cm. e spesso 2-3 cm. Pesa circa 50-130 grammi: questa ampia variabilità è data da sesso, età e peso del Pz; infatti nell’uomo il volume del pancreas è maggiore rispetto a quello della donna. Dai 50 anni in poi tende a diminuire poiché va incontro ad atrofia senile, tanto è vero che con il trascorrere dell’età è più facile l’insorgenza del diabete senile. È una ghiandola tubulo acinosa a secrezione sierosa. Il tessuto ghiandolare è costituito per il 99% da secrezioni esocrine e per l’1% da secrezioni endocrine. È posto trasversalmente rispetto al piano dell’orizzontale di circa 30%, pertanto per trovare l’inclinazione teorica del pancreas sarà necessario reperire la loggia splenica in quanto la coda dell’organo arriva lì. Passa a ponte nella zona compresa tra D12-L3. Per reperire l’organo sarà necessario individuare il quadro duodenopancreatico tra piloro, sfintere di Oddi ed 146

angolo duodeno digiunale: queste 3 strutture accolgono la testa del pancreas. Mentre orientandosi in alto a sin si individuerà l’asse dell’organo (poiché la coda arriva lì). Anatomicamente si distinguono 4 porzioni: 1. testa: è accolta nel quadro duodenale. Presenta una faccia ant (che guarda la fascia prepancreatica), una faccia post (che guarda la fascia di Treitz) ed una faccia lat dx (che aderisce al duodeno). 2. istmo: posto tra testa e corpo. 3. corpo: si trova a livello L1-L2. Davanti è in rapporto con la retrocavità degli epiploon, essendo ricoperto dallo stomaco. Dietro ci sono l’aorta, l’arteria e la vena mesenterica sup. 4. coda: si mette in rapporto con l’ilo della milza. È completamente extraperitoneale pertanto è ricoperta da peritoneo parietale post. Dietro c’è il rene sin.

147

v. cava inferiore v. porta a. epatica propria condotto coledoco margine libero dx del piccolo omento ghiandola surrenale

aorta

a. celiaca

a. lienale (o splenica) stomaco (sezionato) milza

duodeno rene dx (retroperitoneale) impianto del mesocolon trasverso

flessura dx (o splenica) del colon

flessura dx (o epatica) del colon

colon trasverso (sezionato)

a. e v. coliche medie a. e v. mesenteriche sup processo uncinato (o lingula) del pancreas

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colon trasverso (sezionato)

rene sin (retroperitoneale) impianto del mesocolon trasverso v. mesenterica inf (retroperitoneale) digiuno (sezionato) flessura duodeno-digiunale radice del mesentere

condotto pancreatico accessorio (del Santorini) doppio

doppio incrociamento dei condotti

tortuosità dei condotti

anastomosi fra i condotti

incrociamento dei condotti

nessuna comunicazione fra i condotti

condotto pancreatico principale (del Wirsung) doppio

assenza del condotto pancreatico accessorio (del Santorini)

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Mezzi di fissità

Assieme al quadro duodenale, il pancreas è uno degli organi più fissi della cavità addominale. Il peritoneo parietale posteriore lo ricopre anteriormente mantenendolo aderente alla parete posteriore. La testa dell’organo aderisce all’interno del quadro duodenale ed è fissata al 2° duodeno tramite i dotti escretori (Wirsung e coledoco). La porzione più mobile dell’organo è pertanto la coda, anche se è fissata alla milza tramite il leg. pancreatico lienale. Dotti escretori I condotti interlobari sboccano nel dotto di Wirsung, che attraversa tutto il pancreas e sbocca nel 2° duodeno a livello dell’ampolla di Vater assieme al coledoco. Il dotto accessorio di Santorini sbocca, attraverso la papilla duodenale minore, sempre nel 2° duodeno poco più in alto dell’ampolla di Vater. NB. 1. il coledoco passa dietro tra il pancreas e la fascia di Treitz, fa una doccia nel pancreas e poi sbuca in Du 2; 2. lo sfintere di Oddi si forma dalle fibre muscolari della parete di Du 2 e dalle fibre muscolari della parete dei dotti. Vascolarizzazione arteriosa epatica lienale È data dalle arterie mesenterica sup

}

Questa triplice vascolarizzazione è dovuta al fatto che c’è una porzione sovramesocolica di pancreas che viene irrorata da due arterie (epatica e lienale), mentre la porzione sottomesocolica è irrorata da un’arteria (la mesenterica sup). Inoltre questa ricca vascolarizzazione è indicativa del fatto che si tratta di un organo con funzioni molto importanti. NB: 1. dall’a. epatica deriva l’a. gastroduodenale e da questa l’a. pancreatico duodenale sup. 2. dall’a. mesenterica sup derivano i rami dell’a. pancreaticoduodenale inf. 150

Vascolarizzazione venosa Avviene per mezzo della v. pancreaticoduodenale sup, nei suoi rami dorsale e ventrale, tributari della v. porta.

Innervazione Ortosimpatica: - nervo piccolo splancnico D8-D10 - plesso celiaco Parasimpatico: - n. vago dx (in prevalenza). Fisiologia La fisiologia del pancreas è in relazione con quella di altri organi impegnati nella digestione quali fegato, stomaco, vescicola biliare, duodeno ed ileo (digiuno e mesentere). L’essere umano secerne nelle 24 ore circa 1000-1500 ml di succo pancreatico, costituito come detto per il 98% da H2O e per il rimanente 2% da elettroliti ed enzimi. 1. Pancreas esocrino: Le secrezioni esocrine sono sotto il controllo del n. vago e di 3 ormoni: secretina, gastrina e CCK (colecistochinina). La distensione dello stomaco ad opera del chimo acido, che poi arriva nel duodeno, stimola la secrezione di ormoni locali che arrivano al pancreas per via ematica e stimolano a loro volta la produzione enzimatica. Gli enzimi prodotti dal pancreas esocrino sono: g glicolitici - lipolitici 151

- protolitici (prodotti sempre in forma inattiva es. tripsinogeno viene attivato a tripsina nel duodeno) g per la scissione degli acidi nucleici (desossiribonucleasi, ribonucleasi) Per gli amidi il pancreas secerne amilasi Per i lipidi il pancreas secerne lipasi (scinde i trigliceridi in 1 monogliceridi e 2 acidi grassi) Per le proteine il pancreas secerne tripsina (a partire dal tripsinogeno), chimotripsina (a partire dal chimotripsinogeno) e carbossipeptidasi (dalla procarbossipeptidasi). Inoltre negli acini del pancreas è prodotto un inibitore della tripsina in modo da impedirne l’autodigestione.

2. Pancreas endocrino È costituito dalle isole di Langerhans, piccole formazioni che si trovano all’interno dei lobuli pancreatici. Esse si distinguono in 4 tipi di cellule epiteliali: - cellule α: producono glucagone che: 1. promuove nel fegato la glicogenesi aumentando così la glicemia ematica 2. stimola la neoglucogenesi dagli aminoacidi 3. aumenta la produzione di urea - cellule β: secernono insulina, che ha un effetto ipoglicemizzante e quindi abbassa la glicemia - cellule δ: secernono somatostatina, un ormone che inibisce la secrezione di insulina e glucagone da parte del pancreas - cellule pp: secernono l’ormone pp (peptide pancreatico). 152

vista anteriormente linfonodi gastrici di sin

linfonodi epatici

linfonodi pilorici

linfonodi lienali (o splenici) linfonodi pancreatici sup linfonodi celiaci linfonodi mesenterici sup

linfonodi pancreatico-duodenali linfonodo cistico (del Calot)

linfonodi celiaci

v. porta

vista posteriormente linfonodi pancreatici sup

linfonodi epatici lungo il condotto coledoco e l’a. epatica propria

v. lienale (o splenica) v. mesenterica inf a. e v. mesenteriche superiori

linfonodi pancreaticoduodenali

linfonodi mesenterici sup

Sintomatologia Il dolore pancreatico può essere causato da una distensione della capsula ghiandolare indotta da: edema, distensione dei dotti, lesione della rete vascolare e nervosa, irritazione del plesso celiaco. Pertanto quando si manifestano i sintomi si è già in patologia organica, ciò fa affermare che “il pancreas è un organo subdolo”. Il dolore pancreatico è localizzato in epigastrio ed in ipocondrio sinistro (quest’ultimo sede della coda). Il dolore può irradiarsi a livello di D8-L2 (si parla di “dolore a sbarra”) ed a volte anche alla scapola sinistra. Segni clinici 153

Diabete e steatosi epatica (per alterazioni del metabolismo glucidico e lipidico). Steatorrea (feci chiare, ipocromiche, argillose). Turbe endocrine (per diminuita sintesi di ormoni ipofisari e tiroidei). Prurito per il rilascio di sostanze tossiche e per la relazione con la vescicola biliare che provoca intasamento di sostanze biliari. Urine ipercromiche (gialle). Disturbi del transito intestinale e difetto della digestione degli alimenti. Aree di dolore pancreatico in presenza di patologia sono: epigastrio con sconfinamento in mesogastrio (zona sopra ombelicale). dolore a sbarra dorsolombare.

}

Patologie organiche conclamate del pancreas

1. Esocrino

malformazioni congenite cisti fibrosi cistica pancreatiti neoplasie

2. Endocrino

}

diabete mellito tipo I-II sindrome ipoglicemica neoplasie

Fisiologia osteopatica L’asse di mobilità del pancreas è rappresentato da arteria e vena mesenterica superiore (che passano dietro il quadro duodenopancreatico sotto la testa del pancreas). NB. È lo stesso asse di mobilità del duodeno, così come eguale è la vascolarizzazione tra i due organi. Il pancreas nelle fasi di inspiro ed espiro subisce i movimenti degli organi adiacenti. Quindi la testa avrà influenze diverse rispetto alla coda che è in relazione con la milza. In INsp la testa > avanza-scende-va a sin (viene globalmente in avanti). la coda > scende-movimento di torsione verso dietro (va post perché è trattenuta indietro dalla milza mediante il leg pancreatico lienale). In conclusione il movimento effettuato dal pancreas è di torsione funzionale sull’asse longitudinale. Forse questo movimento, assieme alla chiusura della “C duodenale” è funzionalmente importante per le funzioni esocrine ed endocrine. Fondamentalmente il pancreas “si strizza” sul piano longitudinale per favorire la secrezione esocrina ed endocrina. Pancreas emozionale Il pancreas è un organo profondo anatomicamente e quindi anche emotivamente: è legato al nostro valore, alla nostra gioia di vivere (è diverso dallo stomaco che è un organo che saggia la capacità di relazionarsi con gli altri es. manager). È l’organo dello zucchero senza il quale la cellula muore: quindi il pancreas “gestisce” le relazioni affettive. È espressione della solitudine in una relazione affettiva che non nutre. Es. nel diabete c’è tanto zucchero in corpo, ma la cellula non lo prende. Paura nell’accogliere la gioia, il successo o di perderli. Credere di non valere, svilire se stessi sono emozioni profonde, esprimono un valore umano. NB. Se si pensa ad un organo ed al suo significato emozionale si riesce a comprendere bene sia il Pz che l’organo. Pratica osteopatica Punti di repere: Nell’approccio all’addome del Pz è necessario prima prendere contatto con la zona pancreatica (epigastrio, mesogastrio ed ipocondrio sin). Se si avverte una resistenza potrebbe trattarsi di aria intestinale quindi è bene rimanere un poco sulla zona, ma senza forzare, per non peggiorare la situazione, ma anzi far rilassare il Pz. Per reperire la testa del pancreas occorre individuare il quadro duodenale attraverso 3 punti: 1. Piloro: posto a livello di L1, si trova in quella che viene identificata come zona pilorica. Questa è posta 154

all’intersezione tra una linea che va dalla xifoide all’ombelico ed una linea passante per K8-K8. La zona pilorica è postata leggermente a destra. 2. Sfintere di Oddi: 2 dita di lato e 2 dita sopra all’ombelico a destra. 3. Angolo duodenodigiunale: 2 dita di lato e 2 dita sopra all’ombelico a sinistra sul lato opposto rispetto allo sfintere di Oddi. Per il reperaggio è necessario porsi di fronte al Pz con le dita flesse in appoggio sulla zona di repere. Si procede superando le anse intestinali di consistenza molle per arrivare ad individuare una zona dura, di consistenza aumentata. Per reperire la coda del pancreas è necessario individuare la loggia splenica. Una volta reperite testa e coda del pancreas ci si pone con una mano in proiezione della testa e con l’altra a livello della loggia splenica. Così facendo è possibile visualizzare l’orientamento dell’organo. A questo punto è possibile eseguire il test di pressione.

piloro

pancreas (mano sin sulla loggia splenica

sfintere di Oddi

angolo duodeno digiunale

orientamento del pancreas

Test di pressione globale ed a tampone Una mano è posizionata posteriormente tra D12-L2 senza debordare oltre le spinose. Essa servirà a “compattare” la zona durante l’esecuzione del test. L’altra mano viene posta in proiezione dell’organo con le dita unite in modo da “diventare” pancreas essa stessa. Qualora la mano debordi sulla griglia costale si potrà procedere in due modi: 1. Inglobare le coste nel test come se fossero un altro strato. 2. Palpare il margine sottocostale sin fino a percepire una zona di accesso per la milza, così da arrivare a livello della coda del pancreas. Nell’eseguire il test globale di pressione sulla proiezione del pancreas sarà necessario superare le anse intestinali ed arrivare al peritoneo parietale posteriore così da percepire una zona di consistenza diversa rispetto alle precedenti, più dura.

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Se la zona attira l’interesse dell’osteopata si potrà cercare di capire se questa sensazione varia a livello della testa, del corpo oppure della coda (“test di pressione a tampone”). Questa modalità di esecuzione del test permetterà di velocizzare i test successivi (se si è individuata una zona piuttosto che un’altra). Le difficoltà nell’esecuzione del test sono rappresentate da: 1. posizionarsi correttamente in proiezione dell’organo 2. andare in profondità per raggiungere la proiezione dell’organo. NB: il testare un organo non ha alcun tipo di controindicazione. test di pressione a tampone sul pancreas: test della TESTA

Test di pressione globale sul pancreas

test di pressione a tampone sul pancreas: test del CORPO

test di pressione a tampone sul pancreas: test del CODA

scorretto posizionamento della mano sul pancreas durante l’esecuzione dei test

Test della testa del pancreas Con questo test si va a testare la zona dei dotti coledoco e pancreatico maggiore. È un test tissutale pertanto si vuole capire come la zona che si sta trattando risponde all’allungamento tissutale. Si reperisce lo sfintere di Oddi (nel farlo mettere una mano dietro la schiena del Pz per compattare i tessuti) e lo si fissa come punto fermo. Con l’altra mano ci si posiziona sulla proiezione del pancreas. Ora facendo punto fisso sullo sfintere di Oddi si porta il pancreas verso la loggia splenica lungo la direzione dell’asse pancreatico. La finalità del test sta nel percepire quello che avviene tra le mani dell’osteopata, quindi: - se non si apprezza alcuna resistenza tessutale va tutto bene. - se si fa fatica ad allungare il tessuto c’è qualcosa che andrà indagato. In presenza di un test positivo si potrà effettuare la correzione mediante: 156

1. Tecnica funzionale indiretta (in aggravamento): avvicinando le mani tra loro si avvicinerà anche la zona tessutale in disfunzione sino a che si percepisce che la fascia si rilascia ed a questo punto si procede ad allungare. 2. Tecnica funzionale diretta: si allunga la zona tissutale in restrizione sino a che non si percepisce che il tessuto cede. 3. Recoil: la modalità di esecuzione della tecnica è quella utilizzata per lo sfintere di Oddi, quello che cambia è la profondità perché la testa del pancreas è più profonda rispetto al 2° duodeno. Pertanto si impilano i parametri nei vari piani dello spazio, si valuta se c’è maggior resistenza in inspiro od in espiro e nella fase respiratoria di maggior resistenza si effettua la tecnica correttiva. 4. Tecnica di Johns: nella zona in disfunzione si ricercano i punti che fanno meno male, più liberi, li si impilano e mantengono per 90 secondi, poi si rilasciano. 5. Tecnica di Chaitow: si può andare indifferentemente verso la disfunzione o verso la correzione e si valuta dove il tessuto si rilassa.

Test della testa del pancreas

Test della testa del pancreas: direzione del test

Test sul legamento pancreatico lienale È una struttura che relaziona la coda del pancreas all’ilo della milza. Una mano va a reperire la milza, l’altra la coda del pancreas (qualora la mano dell’Osteopata fosse piccola la si può posizionare su tutto il pancreas, eventualmente andando anche a sconfinare oltre la testa, l’importante è che si sia sulla coda). NB n° 1: la prof.ssa Dragonetti afferma che è indifferente posizionare la mano dx o sin a livello della loggia splenica e del pancreas, quello che è fondamentale è che esse si trovino sull’asse di mobilità dell’organo. Lei dispone il palmo della mano in appoggio sulla zona della coda del pancreas e non su tutto l’organo come la Menichelli. Inoltre dalla posizione del test la mano che è posizionata sulla milza (con il pollice posto sulla griglia costale) può dare dei piccoli “colpetti” a livello del pilastro sin in direzione avanti, cioè verso l’ombelico, in modo da fare avanzare la milza e saggiare se si è in presenza di una resistenza. Da questa posizione poi con il tallone dell’altra mano posizionato a livello della coda del pancreas si cerca di allungare il legamento. NB n°2: l’appoggio sulla coda del pancreas può essere effettuato anche con le dita della mano poste sotto K10, dove c’è una zona di accesso per l’ilo della milza.

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Una volta reperita la coda (andando in profondità sulla sua proiezione) si fa punto fisso con la mano che è sulla milza, mentre con quella che è sulla coda si testa andando in basso a dx, verso la linea mediana rispettando l’asse dell’organo. La finalità del test è quella di valutare quanto questa zona si faccia allungare.

test sul legamento pancreatico lienale: direzione verso dietro (dx e verso la linea mediana) La correzione può essere effettuata mediante: 1. Tecnica funzionale indiretta (in aggravamento): avvicinando le mani tra loro si avvicinerà anche la zona tessutale in disfunzione sino a che si percepisce che la fascia si lascia allungare ed a questo punto si procede ad allungare. 2. Tecnica funzionale diretta: si allunga la zona tissutale in restrizione sino a che non si percepisce un ritorno da parte del tessuto. 3. Recoil: si impilano i parametri disfunzionali nei tre piani dello spazio. Si valuta la fase respiratoria in cui c’è maggiore resistenza e poi in quella fase respiratoria si effettua la tecnica allontanando le mani su di un piano orizzontale. Test di mobilità È un test che permette di valutare il movimento del viscere rispetto a quello del diaframma. Ricordiamo che sull’asse dell’arteria e della vena mesenterica superiore il viscere effettua un movimento in: 1. Insp: la testa va in basso, avanza ed inclina a sin, la coda scende ed effettua una torsione post. 2. Esp: la testa sale, indietreggia ed inclina a dx e la coda sale ed effettua una torsione ant. La reale difficoltà del test risiede nella capacità di andare a reperire l’organo (la sua proiezione). Una volta fatto ciò, con una mano posta posteriormente tra D12-L2 senza superare la linea delle spinose e con l’altra sulla proiezione del pancreas, in un tempo di inspiro si induce il movimento che l’organo esegue in inspiro e si valuta quanto si lasci portare in quella direzione. Successivamente in un tempo di espiro si induce il movimento che l’organo compie in espiro e si valuta quanto il viscere si lasci condurre in quella direzione. NB n°1: nell’ascolto dell’organo, per essere sicuri di trovarsi nella giusta posizione, una volta che si è raggiunto il supposto livello di profondità si possono dare dei colpetti con la mano posta dietro la colonna. NB n°2: poiché, soprattutto all’inizio, può risultare difficile riuscire ad indurre il movimento dell’organo con una sola mano potrà essere utile fare un test di mobilità prevalentemente solo sull’ascolto. Man mano che si memorizza ciò che avviene si può provare ad indurre il movimento dato che a quel punto la mano va da sola, nel senso che induce ciò che sente. Test di mobilità del pancreas Pratica sul pancreas: prof.ssa Dragonetti Nella pratica osteopatica sul pancreas ciò che risulta essere difficoltoso è riuscire a reperire l’organo ed apprezzarne la mobilità; quando si è in ascolto quello che si percepisce durante l’ascolto è la mobilità tissutale. L’allenamento nella pratica viene effettuato nel riuscire a percepire e ad attraversare i vari piani anatomici. Se si è ben concentrati si riesce in questo intento. Se ci dovessero essere delle problematiche relative all’organo, queste verrebbero apprezzate come una variazione di consistenza tissutale. 158

Il pancreas va valutato di più dal punto di vista dei dolori riferiti e della sintomatologia piuttosto che della mobilità. Es un Pz con un tumore del pancreas si presenterà con un dolore a “sbarra” medio dorsale a sin in regione epigastrica (e costale sin) senza irradiazione e con una sensazione di respiro mozzato. La zona presenterà una restrizione di mobilità. Ricordiamo che a livello del quadro duodeno pancreatico la testa del pancreas si trova più profonda rispetto al 2° duodeno. Nella valutazione e nel trattamento di un organo è necessario tenere sempre presente l’importanza dell’innervazione (ortosimpatica e parasimpatica) e della vascolarizzazione, soprattutto quella a monte del viscere. Inoltre viste le relazioni esistenti tra stomaco, duodeno, fegato, vescicola biliare e pancreas si potranno avere, in presenza di una disfunzione del viscere, degli effetti positivi di tipo indiretto sul pancreas andando a lavorare gli altri organi. Il test di pressione a tampone permette innanzitutto di prendere contatto con l’addome del Pz e poi di valutare le varie sezioni del quadro duodeno pancreatico. Il test di mobilità viene effettuato quando, bypassando anche la respirazione del Pz, si è raggiunta la profondità della zona. Nell’eseguire sia i test che soprattutto le tecniche sarà necessario prestare molta attenzione ad eventuali reazioni di tipo vagale presentate dal Pz. Revisione fegato Percussione Inizio la percussione a partire dal 4° spazio intercostale di dx mettendo la mano nella direzione dell’orientamento delle coste, nello spazio intercostale, percuotendo andiamo alla ricerca del perimetro del fegato che come sappiamo può variare da soggetto a soggetto, e lo percepiamo attraverso il cambio di suono, cerchiamo i margini superiori dx (4° spazio intercostale) e sin (a livello della linea emiclavicolare a livello del 5° spazio intercostale), verificando quindi dove il lobo sin del fegato arriva in ipocondrio, poi vado alla ricerca del margine antero-inferiore, sentendo se deborda oltre la griglia costale in basso (normalmente non deborda la gabbia toracica se non a livello epigastrico). Test di Glenard È un ulteriore modo di palpare il margine antero-inferiore del fegato. A differenza del test di Murphy che è positivo quando c’è dolore il test di Glenard non è positivo né negativo, serve solo a palpare il fegato, poi se nella palpazione il Pz sente dolore ne teniamo conto ma non cerchiamo il dolore, non è positivo al dolore, perché potrebbe non avere dolore ed avere un problema al fegato, la mano dx del Pz va sotto la griglia costale perché questo ci permette di palpare ancora meglio perchè così il fegato si anteriorizza, poi in una inspirazione non forzata chiediamo una fase di apnea di qualche secondo così abbiamo tempo per palpare meglio, non facciamo sollevare la testa come nel Murphy altrimenti mettiamo tensione sull’addome e non ci aiuta nella palpazione, al contrario dovremmo far rilassare l’addome. Test globali sul fegato Test di pressione Può essere considerato come quello d’ingresso, e non dobbiamo definirlo né costale né sottocostale o addominale, ma unificando un linguaggio comune a tutti gli osteopati che sia comprensibile a tutti lo chiamiamo semplicemente test di pressione sul fegato, che poi lo eseguiamo in due fasi una sopracostale (mano nella direzione in cui si è reperito il lobo sin del fegato, che non necessariamente è verso la spalla sin) e una addominale (mano sul margine ant-inf con direzione in alto e un pò a dx verso la spalla dx) pressandoci sopra per sentire e cercare le resistenze questo è un altro discorso, ma lo definiamo solo di pressione. Test di mobilità Posiziono la mano sin costale e la dx addominale, il fegato durante l’INsp scende, fa una bascula ant e una rotazione antioraria, mentre durante l’Esp compie una risalita, una bascula post e una rotazione in senso orario, quindi per fare il test di mobilità posiziono le mani e mi metto in ascolto (senza comprimere), successivamente nel tempo di inspiro induco nei suoi parametri poi aspetto l’espiro in cui ritorno, aspetto così la seconda fase in cui inspira e aspetto, e poi in espiro induco nei suoi parametri, e successivamente valuto se 159

esiste una delle due fasi in cui è presente una restrizione tessutale in una delle due direzioni e definisco la disfunzione nel senso della maggiore ampiezza. Le disfunzioni possono essere in inspiro o espiro, posso usare tecniche di correzione funzionale (in cui si usa la respirazione) d’aggravamento, anche se ora hanno cambiato la definizione e si usa dire di esagerazione. Ad es in una tecnica in inspiro, parto dall’ascolto e poi durante un tempo di inspiro induco, accentuo l’escursione inspiratoria del fegato, aggravo la disfunzione fino a quando il tessuto molla e torna verso la correzione perché la finalità di una tecnica di aggravamento a livello neurologico è di mandare un’informazione sottocorticale di rilassamento e quindi il tessuto molla, e poi si segue il ritorno, si conclude con l’ascolto e test per verificare se la tecnica ha avuto un’efficacia, qualora percepisco che ci sia bisogno di altro, su un ascolto tessutale posso fare un rilancio ma non è una cosa standard. Come regola teorica è preferibile correggere sui visceri con tecniche indirette perché la dirette sui visceri possono essere dolorose per gli stimoli nocicettivi. Nelle disfunzioni del peritoneo, quindi legamenti, meso, invece si possono usare le tecniche dirette perché ci sono i corpuscoli di Pacini che rispondono bene alle vibrazioni e ai cambi di pressioni meccaniche, e quindi sul peritoneo funzione bene il recoil, tecniche dirette in allungamento, sulla mobilità di un viscere è molto simile al cranio, quando si è liberata la periferia e si ha una disfunzione di mobilità e quindi si vuole ridare un’informazione neurologica in quella direzione nella maggior parte dei casi si è visto che funziona meglio una tecnica indiretta, come sul cranio. Non è detto che non si possano fare tecniche dirette, però per il tipo di informazione neurologica che si vuol dare funzionano meglio le indirette, sulla mobilità cioè su una disfunzione globale, mentre sulla periferia, sul peritoneo funzionano meglio le dirette, perché vai a dare delle stimolazioni vibratorie e dei cambi pressori, e vai a stimolare questi recettori che sono molto presenti in peritoneo, pleura, pericardio, (le tre sierose del nostro organismo). Test e trattamento sui legamenti Ad es sul legamento coronale, eseguo un test in allungamento meccanico diretto perché non usiamo la respirazione per testare e si fa un allungamento diretto, mano craniale a livello del 4° spazio intercostale facendo punto fisso e l’altra sulla linea emiclaveare, 1° modalità) vado in allungamento testando la risposta del legamento, oppure metto la mano caudale sulla griglia costale entrando in contatto con l’organo bypassando le costole e l’altra fa sempre punto fisso sul 4° spazio intercostale e si testa sempre in direzione del legamento, se trovo una disfunzione eseguo una tecnica meccanica diretta, quindi senza ascoltare la respirazione produco l’allungamento del legamento fin quando non molla, rispettando i tessuti, avrò alla fine una qualità tessutale migliore, oppure effettuo un recoil, impilando tutte le resistenze tessutali nei vari piani dello spazio, e siccome il recoil è una tecnica fasciale su una barriera tessutale e il parametro fondamentale è la resistenza, significa che mentre effettuiamo la tecnica non dobbiamo chiederci dove và o dove non và, ma dobbiamo chiederci solo dove è più duro e dove è più morbido, poi se le cose coincidono è una cosa sul piano teorico ma su quello pratico non dobbiamo proprio pensarci, la resistenza tessutale che è una saturazione di energia la percepisco come duro, la caratteristiche di un recoil fatto bene sono piccola ampiezza alta velocità. Test e trattamento delle bascule Durante la fase di inspiro testo con la mano una bascula anteriore durante l’espiro una bascula posteriore posso aiutarmi con la flessione del tronco nel 1° caso o l’estensione nel 2° ma sono sempre le mani che testano, poi in inspiro testo la bascula laterale dx in espiro una bascula laterale sin, le posso testare anche meccanicamente senza respirazione, le riduciamo se siamo sul respiro facendo una tecnica funzionale di aggravamento o esagerazione, ad esempio bascula laterale dx in tecnica funzionale d’esagerazione, in inspiro esagero la disfunzione, in espiro mantengo, esagero fino a quando arrivo ad un punto in cui non riesco più a farlo ed aspetto il rilassamento tessutale che porta verso la correzione, e nel tempo espiratorio accompagno verso la correzione, oppure la si può ridurre con delle tecniche meccaniche dirette o indirette.

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sem 5

La milza è un organo di origine mesodermica molto vascolarizzato, che riceve sangue dall’arteria lienale (diramazione del tronco celiaco) e scarica sangue venoso nel circolo portale tramite la vena lienale. Il repere anatomico è localizzato al margine più esterno dell’ipocondrio sinistro (quindi nel test dei 9 quadranti si avrà interesse a testare la milza quando si riscontrerà una positività in ipocondrio sin) con proiezione costale K8/K9-K12 a livello della linea ascellare. La proiezione vertebrale è a livello D10-D12. Pesa tra i 100-200 gr., ha un volume di 250 ml, è larga 6-8 cm., è lunga 10-12 cm ed è spessa 3-4 cm. ha forma ovoidale, colore rosso scuro e consistenza molle (essendo molle, sottocostale e postero-esterna è poco palpabile: quando lo diviene questo è indice di patogenicità). L’asse della milza è orientato in basso-avanti-fuori e materializza l’asse di mobilità della 10° costa. Le sue dimensioni ed il suo peso variano in funzione della quantità di sangue che l’organo contiene: infatti uno dei suoi ruoli è quello di gestire il quantitativo di sangue presente in quel momento (fa da deposito ematico). È contornata da una capsula fibrosa di tessuto connettivo compatto (un pò come la capsula di Glisson del fegato) che si insinua nel parenchima (la milza è un organo parenchimale come fegato e reni, non cavo) con setti che seguono il decorso dei vasi. Poiché la milza è un organo intraperitoneale, al di sopra della capsula connettivale si trova il peritoneo viscerale (o sieroso). La milza presenta all’interno del suo parenchima 2 sezioni molto specializzate: la polpa rossa e la polpa bianca, differenziabili sul piano anatomico e funzionale. La polpa rossa può essere considerata come una sezione ad alta capacità discriminativa per le cellule ematiche circolanti: in sostanza la milza è in grado di riconoscere soprattutto a livello degli eritrociti tutte le cellule danneggiate, vecchie, anormali e di eliminarle. La polpa bianca è organizzata in ammassi linfocitari organizzati intorno alle diramazioni dell’arteria lienale, pertanto svolge una funzione immunitaria. È un organo molto protetto dal punto di vista anatomico e ciò aiuta anche dal punto di vista funzionale. Relazioni anatomiche È un organo che stabilisce contatti con: - coste - diaframma, tramite l’interposizione del peritoneo, essendo un organo sottodiaframmatico. Inoltre tramite un legamento c’è una relazione tra milza e diaframma. - stomaco, in particolare con la grande curvatura. - pancreas, anche tramite il collegamento con il legamento pancreatico lienale 161

- angolo colico sin - mesocolon trasverso - rene sin, in particolare con il polo superiore e quindi anche con il surrene sin.

Riassumendo: - sopra e di lato gcoste ed emidiaframma sin - all’interno gstomaco e pancreas - dietro e sotto grene e surrene sin - sotto gangolo colico sin

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Presenta due facce, tre margini e due estremità. Faccia diaframmatica > convessa, si modella sul diaframma attraverso l’interposizione di peritoneo tra milza e parete costale, seno costo-frenico (alla percussione dà un rumore differente tra milza e polmone), cavità pleurica e polmone. Da ricordare, soprattutto durante la percussione, che sopra il diaframma c’è il polmone e che la pleura non si ferma al V spazio itercostale (repere della cupola diaframmatica sin) ma si espande insieme al diaframma arrivando fino a K11-K 12. Dobbiamo ricordarlo quando percuotiamo, perché possiamo sentire delle “stranezze di timbro”. Capitava la stessa cosa con la percussione sul fegato: si poteva sentire, in pieno fegato, un punto tutto vuoto. 163

Che cos’è? L’angolo colico dx, la pleura che scende oltre il IV spazio intercostale. Faccia viscerale > concava, è divisa dal margine interno in due facce: 1. faccia anteriore o gastrica In rapporto con la parte post e verticale dello stomaco, guarda avanti-dentro. L’ilo della milza la divide in varie parti: una parte retroilare > in rapporto con la borsa omentale tramite l’interposizione del leg pancreaticolienale, e in una parte preilare > in rapporto in alto con il fondo dello stomaco e in basso-fuori con l’angolo colico sin (soprattutto con stomaco vuoto o colon pieno) 2. faccia post o renale In rapporto intimo, separata da un doppio foglietto peritoneale, con la parte sup della faccia anteriore di rene e surrene sin (organi extraperitoneali). Estremità post > è l’apice della milza, diretto alto-dentro. Estremità ant > è rivolta basso-avanti-fuori, riposa su coda del pancreas e angolo colico sin tramite la faccia colica, che è la parte inf della faccia ant.

Margini 1. Superiore: è dentellato per l’impronta lasciata dalle coste. 2. Inferiore: è liscio e separa la faccia diaframmatica dalla faccia renale. 3. Interno: collega l’estremità posteriore ed anteriore separando la faccia viscerale in una porzione gastrica ed in una porzione renale NB: tra il margine interno e la faccia gastrica c’è l’ilo della milza.

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Legamenti sospensori I più importanti sono 4: freno-lienale, gastrolienale, pancreaticolienale e lieno-mesocolico, ma c’è anche un leg tra il rene e la milza (non lo faremo nel programma, come non abbiamo fatto il leg epato-renale). 1. Frenolienale: collega la faccia superiore della milza al peritoneo parietale diaframmatico. 2. Gastrolienale: va dall’ilo della milza alla grande curva dello stomaco. 3. Pancreaticolienale: va dalla coda del pancreas all’ilo della milza.

4. Lienomesocolico: è una plica peritoneale che collega l’estremità inferiore della milza al mesocolon trasverso. È anche denominato come leg. colico splenico.

5. Substentaculum lienis: la milza è adagiata su di un’amaca fibrosa costituita da una espansione del leg frenocolico sin, che si estende dalla cupola diaframmatica sin all’angolo colico sin (K8-K9).

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Vascolarizzazione 1. Arteriosa: dal tronco celiaco origina l’a. lienale, che passa dietro stomaco e pancreas, nella borsa omentale (proiezione vertebrale D12-L1). 2. Venosa: è assicurata dalla v. lienale, che si getta nella v. porta. Questo è uno dei motivi per cui la milza viene inserita nel circuito emodinamico del fegato. NB: esiste un collegamento anastomotico tra vena lienale e vena renale sin. Ma poiché sulla v. renale sin confluiscono la v. spermatica sin e la v. ovarica sin, quando si ha una condizione di ipertensione portale si potranno avere dei sintomi come emorroidi, varici esofagee, circolo periombelicale ed anche problematiche sulla v. renale sin e quindi sulla v. spermatica od ovarica di sin. Il che significa che in presenza di una ipertensione portale si potrà avere anche un varicocele od una cisti ovarica sin (per le relazioni vascolari esistenti). Innervazione 1. Ortosimpatico: plesso celiaco D7-D9. Pertanto in presenza di una disfunzione vertebrale dorsale è possibile fare dei test di inibizione per valutare l’origine della problematica (viscerale o strutturale). 2. Parasimpatico: n. vago sin.

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a. epatica propria, ramo dx

a. epatica propria, a. gastrica ramo sin sin aorta a. epatica addominale tronco comune celiaco a. lienale a. gastrica post a. gastriche brevi

a. epatica propria

a. gastroepiploica sin a. sopraduodenale (incostante) a. pancreaticoduodenale sup post a. pancreaticoduodenale sup ant r. duodenale

a. della coda del pancreas rr. pancreatici a. grande pancreatica a. pancreatica inf

radice del a. pancreatica a. pancreaticomesocolon a. mesentev. mesentedorsale duodenale inf, trasverso rica sup rica sup ramo post a. pancreatico- a. pancreatico- a. pancreatica inf duodenale inf, duodenale inf ramo ant

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a. epatica comune a. gastroduodenale a. pancreaticoduodenale superiore post a. pancreaticoduodenale superiore ant a. pancreaticoduodenale inferiore, ramo ant

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a. gastrica sin

a. a. grande pancreatica gastrica int a. della coda del pancreas a. grande pancreatica a. pancreatica inferiore a. pancreatica a. pancreatica inferiore dorsale a. pancreatica a. mesenterica dorsale sup

a. epatica propria a. gastroduodenale

a. pancreaticoduodenale sup post a. pancreaticoduodenale sup ant a. pancreatico- a. pancreaticoduodenale inferiore, duodenale inferiore, ramo ant ramo post

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Fisiologia della milza La milza è un organo che ha funzioni ematologiche, circolatorie ed immunitarie. Quindi conoscendone la funzione si potranno comprendere gli effetti del lavoro osteopatico su questo organo. All’interno della milza sono presenti i fagociti che inglobano e demoliscono i globuli rossi scartati, danneggiati ed anormali, causando la liberazione di emoglobina. I fagociti della milza inoltre filtrano e rimuovono batteri ed altre sostanze estranee che entrano nel circolo ematico g Reazione immunitaria immediata. I fagociti splenici in realtà poi interagiscono con i linfociti dando inizio ad una vera e propria risposta immunitaria. La milza serve da deposito per il sangue e soprattutto per le piastrine. Fisiologia osteopatica In INsp la milza scende, avanza e si orizzontalizza sul suo asse diretto basso-avanti-fuori. In Esp la milza sale, indietreggia e si verticalizza sul suo asse diretto basso-avanti-fuori. La mobilità della milza in termini quantitativi dipende dagli organi attigui, in particolare dallo stomaco. Infatti 171

per es. dopo un pranzo di matrimonio lo stomaco è stracolmo e ciò riduce la mobilità della milza. La stessa cosa accade in presenza di un angolo colico sin gonfio. In conclusioni il grado di mobilità della milza dipende sia dalla sua replezione che da quello degli organi attigui. Lavoro osteopatico sulla milza Possiamo trattare la milza in due modi: 1. Meccanicistico: si valuteranno tutti gli aspetti di relazione con gli organi contigui, quali Angolo colico sin, colon trasverso, stomaco, diaframma, coste e rene sin. 2. Emodinamico: si valuteranno tutte le zone che hanno relazione vascolare con la milza e cioè cuore, zona mediastinica, diaframma, fegato, v. cava, complesso duodeno-pancreatico, piccolo epiploon. Questo tipo di approccio (meccanico-emodinamico) non lo si stabilisce a priori, a tavolino, bensì se andando a testare si trovano delle disfunzioni a livello del mediastino, cuore, benderelle diaframmatiche, milza, piccolo epiploon si può ipotizzare una compromissione di tipo emodinamico. Invece se si trovano disfunzioni a livello dei legamenti pancreaticolienale e freno-lienale si può ipotizzare una compromissione di tipo meccanico. Quindi l’approccio lavorativo osteopatico all’organo dipende dal tipo di disfunzione che si trova nel test. Comunque le due cose non si escludono a vicenda nel senso che se per es. si trattano i legamenti è chiaro che si avranno ripercussioni anche a livello emodinamico. Disfunzioni osteopatiche Disfunzione dei legamenti sospensori e stabilizzatori. Sintomatologia e segni clinici Dolore al fianco sin (sfumato). Segni clinici generali legati al sistema immunitario, emodinamico e vascolare (es. quando si corre può far male la milza perché è coinvolto il sistema sospensore dell’organo piuttosto che la milza in sé e per sé). In seguito ad un trauma si può avere un’emorragia ed una fissurazione. I segni clinici saranno: pallore, astenia, ipotensione, tachicardia, dolore e contratture addominali. Però in presenza di una fissurazione, di un’emorragia lenta che dura ore o giorni i sintomi saranno sfumati g è importante da ricordare in Pz che hanno subito traumatismi e di cui non si riescono a specificare i sintomi. Patologia della milza 1. Splenomegalia: cioè ingrossamento dell’organo, che da un punto di vista della diagnosi differenziale è sempre qualcosa che va indagato (è opportuno fare una consulenza medica). 2. Malattie della polpa bianca: danno sintomi specifici quali iperplasia follicolare reattiva, linfomi maligni, leucemia linfatica cronica e prolinfocitica. 3. Malattie della polpa rossa: danno sintomi specifici quali leucemia, cisti, amartomi, infezioni, congestioni, neoplasie vascolari primitive. 4. Tumori metastatici Valutazione emozionale La milza è l’organo che rappresenta il nostro fallimento o la nostra vittoria nei rapporti con gli altri. È un organo profondo, immunitario, quindi il rapporto con gli altri è molto profondo a differenza di quella che accadeva con lo stomaco. Si tratta di rapporti significativi e non superficiali, familiari, di amore etc. È un organo energetico g è un organo di accumulo di sangue, di investimento di energie in un progetto, in una relazione, in un ruolo in cui non si è avuto successo (es. il bimbo che sente la mamma dire che avrebbe voluto una femminuccia). Valutazione osteopatica Prevede: -repere anatomico -palpazione sottocostale ed addominale -percussione -test di densità -test dei legamenti 172

Non c’è un vero e proprio test di mobilità della milza, ma può essere utile eseguirlo come esercitazione pratica. gangli celiaci a cui fanno capo i plessi secondari del plesso celiaco: - pl. epatico fegato, cistifellea stomaco - pl. gastrico sin milza - pl. lienale pancreas, duodeno - pl. pancreatico ganglio mesenterico sup a cui fa capo: - pl. mesenterico sup (parte del pl. celiaco)

plesso intermesenterico

pancreas (solo testa), duodeno, digiuno, ileo, cieco, colon fino alla flessura sin del colon, ovaio

ganglio renoaortiaco a cui fanno capo: - pl. surrenale (parte del pl. celiaco) ghiandola surrenale - pl. renale (parte del pl. celiaco) rene, uretere (porzione vicina al rene) pl. uteroovarico/spermatico ovaio, testicolo (parte del pl. celiaco) ganglio mesenterico inf a cui fa capo: colon (distale rispetto alla flessura - pl. mesenterico inf sin del colon), retto (piano sup) (parte del pl. celiaco) pl. ipogastrico sup (parte del pl. ipogastrico) - rami diretti a uretere e uretere, epididimo, testicolo, organi genitali ovaio pl. ipogastrico inf (pelvico) (parte del pl. ipogastrico) con gangli pelvici a cui fanno capo: retto (piano centrale e inf) - plessi emorroidali medio e inf - pl. prostatico prostata, vescichetta seminale e bulbouretrale, dotto eiaculatore, pene, uretra - pl. deferenziale dotto deferente, epididimo utero, tuba uterina, vagina, ovaio - pl. uterovaginale - pl. vescicale vescica urinaria - pl. ureterico uretere

Pratica osteopatica g Percussione Va effettuata con il dito iperesteso e che sia bene in contatto con la zona da percuotere altrimenti non si percepisce nulla. Ci si posiziona a livello della loggia splenica (linea emiascel- Modalità di percussione con dito iperesteso e bene a contatto con la superficie lare K8/K11) da esaminare

Percussione della milza lungo la linea emiascellare (K8/K11) 173

e si procede alla percessione apprezzando le differenze con le strutture vicine, quali polmone e stomaco. Se si ha difficoltà perché l’organo del Pz è posto posteriormente alla linea emiascellare si può far posizionare il Pz di fianco. Palpazione g Una volta individuata la loggia splenica si procede alla palpazione con la speranza di non sentirla perché altrimenti ci si trova difronte ad una condizione patologica, per la quale bisogna inviare il Pz dal medico. Percorrendo il margine sottocostale ad un certo punto si sente un vuoto: a questo livello posizionando entrambi i pollici in direzione di dove si è individuata la loggia splenica, si può provare a palparla. Nel caso non si riesca ad entrare si può far flettere le gambe al Pz oppure chiudere la griglia costale. NB: in caso di difficoltà con la palpazione della milza si può cambiare lato e procedere come si è fatto per il fegato e per la Palpazione della milza in direzione di dove vescicola biliare ponendo le dita sotto il margine costale. si è reperito l’organo Test di pressione costale della milza

Attenzione perché se non si supera il piano costale si testano le coste!

Test di pressione addom della milza: appoggio puntiforme con il pisiforme

Test di pressione Si dispone la mano dx a livello della loggia splenica, dove si è reperita la milza. A questo punto, dopo avere inglobato le coste si può procedere con il test di pressione della milza con direzione dentro.

NB: il test di pressione può essere fatto anche a livello addominale. Pertanto ci si posiziona a livello addominale nella zona di palpazione della milza (che è la zona di accesso alla loggia splenica) e si indirizza il test di pressione in direzione di dove si è reperita la loggia splenica con la percussione. L’appoggio sulla milza non avverrà a mano piena, ma con il pisiforme per essere il più selettivi possibile. Conclusioni: così come per gli altri organi che abbiamo visto anche per la milza si effettua un test di pressione addominale ed un test di pressione sottocostale. Test dei legamenti 1. Legamento Gastrolienale La mano sin fa punto fisso sulla milza mentre la mano dx va a prendere lo stomaco inglobando anche il piano costale, materializzando la direzione del legamento. Prima del test bisogna fare una ricerca del legamento comprimendo e muovendosi sui vari piani dello spazio.

Test del legamento gastro-lienale: Test sul legamento gastro-lienale: 1° modalità agganciando 2° modalità agganciando “solo” la tutto lo stomaco grande curva dello stomaco NB: un altro modo per testare il legamento gastrolienale può essere quello di agganciare la grande curva dello stomaco invece che tutto l’organo.

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2. Legamento Pancreatico-lienale Non è necessario reperire tutto il pancreas, può essere sufficiente reperire anche solo la coda del pancreas. Pertanto con la mano sin si è sulla loggia splenica mentre con la mano dx si entra nello spazio dove si è fatta la palpazione (dove c’è un accesso per la loggia splenica). La mano è indirizzata verso la loggia splenica: scendendo a livello il più possibile si va alla ricerca della coda del pancreas, per cui trazionando si sente la trazione sulla mano che fa punto fisso sulla loggia splenica.

3. Legamento freno-lienale Si procede a reperire il diaframma e lo si blocca con la mano sin avendo cura di superare il livello costale. Con la mano dx si è a livello della loggia splenica, anche qui avendo cura di superare il livello costale. A questo punto facendo punto fisso sul diaframma si porta la milza in basso-fuori (è questa la vera difficoltà del test) e si apprezza l’allungamento del legamento a livello della mano posta sul diaframma, che funge da punto fisso.

4. Legamento lieno-mesocolico Il leg. è posto sull’angolo colico e su tutto il mesocolon. Una mano è posta sulla loggia splenica, mentre l’altra è sul colon discendente. In realtà non si riesce a contattare direttamente il mesocolon perché il trova molto internamente a livello di K8/k9: pertanto indirettamente si prenderà l’angolo colico per portarlo in giù. Con la mano craniale si è sulla milza, mentre con la mano caudale si reperisce il colon andando a “scansare” opportunamente le anse intestinali. Facendo punto fisso sulla loggia splenica si va a trazionare con l’altra mano il colon verso il basso. NB: la cosa fondamentale nell’eseguire tutti questi test sarà quella di andare a reperire il legamento in maniera corretta, ricercandolo sui vari piano dello spazio. Il test poi sarà facile da eseguire. Circuito emodinamico della milza e del fegato Il lavoro sul circuito emodinamico del fegato e della milza deve essere preceduto da un lavoro su piccolo epiploon, benderelle del diaframma, sfintere di Oddi (perché svuotando la bile si va a rilanciare anche il sistema biliare) a patto che nel testare queste strutture si sia trovato qualcosa di disfunzionale a loro carico, altrimenti si va ad eseguire direttamente il lavoro sul fegato e sulla milza. NB: si inizia e si chiude il circuito con la thoracic pump in modo da preparare il cuore a ricevere il flusso di sangue proveniente da fegato e milza così che il cuore poi possa rilanciare tutto il sistema. 1. Thoracic pump: si deve liberare il sangue dal mediastino per essere sicuri che il cuore sia in grado di ricevere il sangue che si vuole fargli arrivare. Quindi l’Osteopata si pone alle spalle del Pz, le cui mani agganciano i fianchi dell’operatore. L’Osteopata è con una gamba in avanti e con una gambe indietro, mentre con le mani è in appoggio sul torace del Pz e lo pretensiona. In inspirazione blocca lo sterno, mentre in espiro vibra e scende (affonda nel torace del Pz): si ripete la sequenza ed ogni tanto quando il Pz inspira l’Osteopata richiama con le mani che sono in appoggio sullo sterno. Questo tipo di lavoro può essere fatto in maniera più o meno energica a seconda del Pz che si ha di fronte. 2. Svuotamento del fegato 175

3. Thoracic pump 4. Svuotamento della milza: durante l’inspiro l’Osteopata con la mano caudale blocca la discesa dell’organo mentre con la mano craniale ostacola l’apertura della griglia costale. In questo modo il diaframma scende e la milza viene schiacciata tra la mano caudale, le coste ed il diaframma. In fase espiratoria si mantiene. Il tutto viene eseguito fino a che non si è soddisfatti dello svuotamento del tessuto. In sostanza lo svuotamento della milza avviene perché l’organo si auto svuota tra la mano dell’Osteopata ed il diaframma. 5. Thoracic pump 6. Riempimento del fegato 7. Thoracic pump 8. Riempimento della milza: in fase di inspiro si deve creare una iperpressione, mentre in espiro si sfrutta la risalita del diaframma per rilasciare le mani e creare una depressione che richiami sangue nell’organo. Si può “richiamare” ad ogni espiro oppure dopo qualche atto respiratorio in relazione a come si sente che il tessuto risponde. 9.Thoracic Pump Conclusioni: come detto il circuito emodinamico inizia e finisce con la thoracic pump. Nel caso in cui si stia trattando un Pz che non presenti problematiche particolari oppure non si abbia molto tempo a disposizione si può procedere con questa sequenza: 1. Thoracic pump 2. Svuotamento fegato 3. Svuotamento milza 4. Thoracic pump 5. Riempimento fegato 6. Riempimento milza 7. Thoracic pump Recoil Il recoil è una tecnica diretta che va contro la barriera tessutale e che sfrutta: 1. La variazione rapida di pressione 2. La vibrazione a livello tessutale In questo modo è possibile attivare: 1. corpuscoli di PACINI e paciniformi (sono quei recettori che registrano e rispondono rapidamente alle variazioni rapide di pressione ed alle vibrazioni. Pertanto sono stimolati in tutte quelle situazioni che sfruttano questa condizione es. thrust, infatti questa tecnica presenta caratteristiche simili al recoil). Sono presenti nel fuso tendineo delle giunzioni muscolo-tendinee, nelle capsule articolari, nei legamenti spinali, nei fasci muscolari e soprattutto nel peritoneo, nel pericardio e nella pleura. Per questo motivo trovano valida applicazione in ambito viscerale. 2. terminazioni libere Fasi della tecnica 1. Appoggio: deve essere molto preciso. 2. Ricerca dei parametri: cioè delle caratteristiche del tessuto, la resistenza, la direzione, il livello anatomico. 3. Barriera tessutale: quello che si cerca è la barriera tessutale sia con l’intenzione che con l’attenzione, ovvero la barriera dove il tessuto diventa più duro. In questo caso è un ovvio che la barriera tessutale corrisponda alla barriera motoria. Ovvero quando cerco dove è più duro, sarà dove non va: le due cose corrispondono. Però per una pulizia tecnica quando si fa un recoil non si sente dove va e dove non va, ma sento dove è più duro e dove è più morbido. In sostanza quando si effettua un recoil si va alla ricerca della barriera tessutale e non di quella motrice anche se le due cose corrispondono. 4. Impulso veloce e piccola ampiezza: così come avviene nel thrust. 5. Direzione precisissima: è paragonabile ad una tecnica chirurgica, infatti se non è preciso è vuoto. Per questo le direzioni sono importanti. 6. Rilascio veloce: nell’ambito dei parametri ricercati che crea la vibrazione a livello tessutale, andando ad attivare i corpuscoli di Pacini. Il recoil può essere applicato a tutte le zone di saturazione di energia (=densità, ossia ciò che viene percepito come il duro del tessuto, quindi corrisponde ad una disfunzione osteopatica), quali ossa, visceri, fasce (= lega176

menti etc.), vasi, muscoli, nervi. Inoltre ha anche una azione sull’ultrastruttura (livello atomico e subatomico). Livelli del recoil Pur studiandone i primi 3 livelli in realtà il recoil può essere eseguito su 6 livelli diversi. 1. Resistenza tessutale: cioè si trova una zona dura e li si fa il recoil (es. ho mal di testa in un punto e li eseguo il recoil). 2. Resistenza tessutale: nelle tre direzioni dello spazio attraverso l’impilamento delle resistenze. 3. Fase di inspirazione del Pz (aumento della resistenza=il Pz ha trattenuto e deve eliminare). Fase anabolica. Fase di espirazione del Pz (aumento della resistenza= il Pz ha eliminato e deve immettere). Fase catabolica. Si sceglierà il tempo respiratorio che aumenta ulteriormente la resistenza: pertanto ha una valenza metabolica. 4. Apnea: si sceglierà il tempo di apnea inspiratoria od espiratoria in cui la resistenza va ad aumentare, sempre mantenendo i livelli di resistenza acquisiti in precedenza. 5. Apnea + si richiede al Pz di visualizzare un’esperienza negativa: si va di più sul somatoemozionale. 6. Verbalizzazione di un’esperienza negativa. NB: Chauffour dice che il 1°-2° livello hanno una valenza strutturale, il 3°- 4° livello hanno una valenza metabolica, mentre il 5°- 6° livello hanno una valenza somatoemozionale. Attenzione: La disfunzione va ricercata, coccolata e vanno trovati tutti i modi per trattarla. La tecnica è solo la teoria: all’interno della teoria ricerco la strada. È necessario molto allenamento. Anno 5 sem 1 Intestino Tenue Mesenteriale_Generalità Esso segue il duodeno, porzione più o meno fissa dell’intestino tenue mesenteriale; è formato da digiuno e ileo. È lungo circa 2,75 metri nel vivo; mentre circa 6 nel cadavere. Presenta un diametro di circa 4 cm. S’ inserisce sul peritoneo parietale post mediante la radice del mesentere (che è un meso). La velocità di svuotamento del tenue è tra le 2 e le 4 h, ovvero un tempo di svuotamento intermedio tra stomaco e crasso. Lo stomaco ha una velocità di svuotamento maggiore, mentre l’intestino crasso ha una velocità di svuotamento minore (a livello intermedio c’è il tempo di svuotamento dell’intestino tenue mesenteriale). L’intestino tenue crea una grande quantità di anse, all’incirca 15-16, con tutte le possibilità di variazione da individuo ad individuo. Queste sono disposte più orizzontalmente nel digiuno (dove quindi il transito del bolo è più orizzontale), e più verticalmente nell’ileo (dove il transito del bolo è più verticale e va secondo la forza peso dall’alto in basso). Il digiuno e l’ileo sono molto mobili e come detto prima sono fissati al peritoneo parietale post mediante la radice del mesentere. Proprio per l’orientamento della radice del mesentere, tutte queste anse sono situate a mò di matassa più sul lato sin dell’addome. Il cieco e il colon ascendente sono non sempre coperti dalle anse intestinali, mentre il colon sigmoideo e il colon discendente sono quasi sempre coperti dalle anse del tenue: quindi la massa del tenue è così situata in misura maggiore sul lato sin dell’addome e della pelvi, questo perché, come dice la “teoria per cui l’organismo non ama il vuoto”, le anse tendono a riempire e ad occupare lo spazio lasciato libero dagli altri visceri meglio fissati alla parete addominale. Non esiste una netta delimitazione anatomica tra digiuno e ileo: si intende all’incirca per digiuno il 40% prossimale e per ileo il 60% distale. Il tenue continua nell’intestino crasso a livello della valvola ileo cecale. Questa parte dell’intestino tenue si dice mesenteriale perché è compresa nello spessore del margine libero di una plica peritoneale (è una plica che raggiunge tutte le anse intestinali e le ingloba), che si distacca dalla parete post dell’addome raggiungendo con il suo margine anteriore il canale intestinale.

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La radice del mesentere è molto lassa, e quindi la stabilizzazione di tutto l’intestino dipende: - dal quadro colico - dal diaframma toraco-addominale - dal diaframma pelvico e - dai muscoli addominali - nonché dalla pressione addominale. In caso di pleuriti, enfisema polmonare, asma … si può avere un problema pressorio con le altre cavità. Normalmente il transito intestinale duodeno-digiunale dura circa 3 h e ½. Generalmente i tempi di percorrenza sono più funzionali rispetto a quello che deve avvenire, cioè alla giusta tempistica in cui le cose vanno assorbite, assimilate ed elaborate. Qualunque organo può subire dei cambiamenti in relazione all’assorbimento. Uno dei fattori che può portare ad un rallentamento del transito intestinale o ad una sua accelerazione può essere dato da: aderenze tissutali tra anse ed esiti di processi infiammatori, chirurgici, ipertono e/o ipotono a livello delle singole anse (disfunzioni di tipo neurovegetativo) con alterazione della digestione e dell’assorbimento. RAPPORTI ANATOMICI dell’intestino tenue 1. A sin copre il colon discendente quasi interamente 178

2. A dx lascia libero il colon ascendente e il cieco (solo a volte li ricopre) Posteriormente è in relazione con: 1. Parete addominale post 2. Quadro duodeno pancreatico 3. Aorta addominale 4. Vena cava inf 5. Organi retro peritoneali (reni e ureteri) 6. Organi sottoperitoneali (organi del piccolo bacino) Anteriormente È coperto dal grande omento, che dalla grande curva dello stomaco copre tutto lo stomaco, va sul trasverso e copre tutto l’addome, arrivando a livello della sinfisi pubica. Superiormente 1. Colon trasverso 2. Mesocolon trasverso 3. Angoli colici Inferiormente Si mette in rapporto con gli organi del piccolo bacino che normalmente ricevono però solo in parte il peso del tenue che si scarica a livello delle fosse iliache (anche se in realtà non dovrebbero ricevere forze pressorie). Nell’uomo le anse possono colmare gli spazi tra colon pelvico e retto posteriormente; e la vescica urinaria anteriormente. Nella donna spesso le anse scendono fino al punto più declive della cavità pelvica, cioè nel cul de sac di Douglas, tra la parete post uterina e vaginale, e la parete anteriore del retto. In caso di ptosi del tenue, la discesa di alcune anse in questi recessi peritoneali può provocare disfunzioni, dolore locale e riferito, o segni clinici a livello urogenitale. La Parete intestinale Tutto il tubo digerente, parete intestinale del tenue inclusa, presenta 4 TONACHE: Mucosa Sottomucosa Muscolare Sierosa TONACA MUCOSA: presenta 3 caratteristiche formazioni Ricchissima di pliche trasversali all’asse maggiore del tenue (sono le pieghe circolari o valvole conniventi di Kerkring) Piena di sporgenze digitiformi dette villi intestinali: i villi sono estroflessioni digitiformi della mucosa e sede della mucosa dove avverrà l’assorbimento; essi aumentano la superficie di contatto con gli alimenti ampliando appunto la superficie assorbente degli enterociti intestinali (60-80 mq). Il villo è occupato all’interno da una fitta rete capillare artero-venosa e linfatica rappresentata da una arteriola e da una venula, che assicura l’apporto arterioso ed il drenaggio dei liquidi assorbiti Al centro l’asse dei villi è occupato da un vaso linfatico detto vaso chilifero centrale o vaso latteo, che fa capo ad una rete capillare linfatica, deputata al drenaggio dei grassi alimentari, emulsionati dagli acidi biliari. 179

Alla base dei villi sboccano numerose ghiandole intestinali (cripte di Liebekuhn), incaricate di secernere enzimi proteolitici e antibatterici. I microvilli dell’apice del villo contengono molti enzimi per la digestione degli alimenti La tonaca mucosa del tenue presenta anche dei noduli linfatici sparsi nel digiuno e aggregati nell’ileo a formare le placche di Peyer: formazione di aggregati linfatici che conferiscono all’intestino una forte funzione e componente di tipo immunitario. TONACA SOTTOMUCOSA Contiene vasi e noduli linfatici Contiene il plesso nervoso sottomucoso di Meissner TONACA MUSCOLARE Presenta uno strato muscolare esterno longitudinale Inoltre uno strato muscolare interno circolare Tra i 2 strati muscolari si trova il plesso nervoso mioenterico di Auerbach Tutta la regolazione della motricità è assicurata da questo sistema autonomo e le modificazioni avvengono attraverso il sistema ortosimpatico e parasimpatico, sotto influenze umorali e ormonali locali e sistemiche. TONACA SIEROSA Mesentere o Tonaca Mesenteriale: è lamina sierosa che si inserisce sull’intestino tenue

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Il Mesentere e la sua radice Il mesentere è una lamina sierosa che si presenta come un ampio ventaglio ripiegato che si inserisce sull’intestino tenue, lungo una linea detta margine mesenteriale dell’intestino. La radice del mesentere collega il mesentere alla parete post dell’addome (struttura a ventaglio) La radice del mesentere si estende avendo una proiezione post dall’angolo duodeno-digiunale alla valvola ileo cecale (dopo aver percorso un pezzetto su Du 4 e un pezzetto su Du 3): all’incirca la sua proiezione va dalla trasversa sin di L2 (corrisponde alla proiezione dell’angolo duodeno-digiunale) alla trasversa dx di L5 estendendosi spesso sopra l’articolazione sacroiliaca dx, con una lunghezza variabile da 15 a 20 cm. Si appoggia sulla 4 porzione duodenale (Du 4), passando sopra l’aorta addominale, la vena cava e i vasi linfatici primitivi. Dentro la radice del mesentere passano: - aa. e vv. mesenteriche superiori - le componenti parasimpatiche e ortosimpatiche intestinali - pacchetto linfonodale deputato all’assorbimento intestinale di linfa

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Grande Epiploon È una plica peritoneale a doppio foglietto che parte dalla grande curvatura dello stomaco e scende più o meno in basso, nella cavità addominale, adagiandosi sul colon trasverso e formando il leg gastrocolico. Ha la forma di un grande grembiule e si espande sopra il pacchetto intestinale raggiungendo talvolta la sinfisi pubica. Nel grande omento dell’adulto si accumula grasso che ha una grande importanza nella difesa del peritoneo contro le infezioni linfonodali e in qualità di protezione termica dell’intestino tenue. Quindi è ricco di linfonodi e grasso. È ricco inoltre di granulazioni che ci danno l’idea, spesso, di uno stato tossico del Pz.

Vascolarizzazione e Drenaggio Venoso L’intestino tenue mesenteriale riceve sangue dall’arteria mesenterica sup da cui si hanno le aa. digiunali ed ileali. Esse decorrono nel mesentere e all’interno delle pliche peritoneali per poi passare attraverso le anse. Tutte le vene si drenano nella vena mesenterica sup (che rappresenta una delle radici della VENA PORTA). Tale vena è importante per il drenaggio dell’intestino tenue, e dunque anche del fegato, ed entra a far parte del circuito emodinamico. Una cosa interessante da un punto di vista clinico è vedere come una ptosi intestinale possa avere ripercussioni a livello renale. All’interno della radice del mesentere passa, infatti, l’a. mesenterica sup che a sua volta scorre sopra la vena renale sin. In caso di ptosi e quindi di conseguente stiramento dell’a. 182

mesenterica sup si può creare un deficit di drenaggio della vena renale con ripercussioni sulla emodinamica locale e a distanza, a livello dell’ovaio sin o del testicolo sin. Ricorda: dietro il piccolo epiploon passano: arteria epatica, vena porta e dotto coledoco. Il drenaggio avviene a livello sottodiaframmatico, anche se solo in parte.

Innervazione OrtoS: plesso mesenterico superiore (n. piccolo splancnico) D9-D12 I nn. splancnici entrati nella parete intestinale formano il plesso sottomucoso di Meissner ed il plesso nervoso mioenterico di Auerbach. ParaS: n. vago sin (dal colon discendente parliamo di paraS parasacrale). Motilità dell’intestino TENUE Quando si osserva l’intestino tenue con mezzi radioscopici, si vede il contenuto andare avanti e indietro, senza che si noti una vera progressione verso il colon (movimenti di andata e di ritorno). Questi sono i movimenti di segmentazione a carico del SNV. Questi movimenti dividono, rimescolano e portano a contatto il chimo con il lume intestinale. Motricità osteopatica = Motilità Medica (PERISTALSI) Quello che fa procedere il chimo verso il colon è la differenza di frequenza delle segmentazioni. Nel duodeno abbiamo una frequenza di 12 contrazioni /minuto; nella parte terminale dell’ileo abbiamo una 183

frequenza di 9 contrazioni al minuto. Questo fa progredire anche se lentamente il chimo verso il colon. Nell’uomo l’attività contrattile del tenue è regolata anche dai seguenti riflessi, detti riflessi entero-enterici che regolano, normalmente, la motricità intestinale: Gastroileale > lo svuotamento gastrico aumenta l’attività del tenue Ileogastrico > la distensione dell’ileo rallenta lo svuotamento gastrico Entero-enterico > una dilatazione o irritazione o lesione di un segmento intestinale blocca l’attività intestinale Tutti questi riflessi sembrano mediati dalla innervazione esterna del viscere. RX intestino tenue FISIOLOGIA biochimica I processi di digestione e di assorbimento del cibo e dell’acqua si svolgono pressoché quasi interamente nell’intestino tenue, che degrada le macromolecole complesse in molecole più semplici, che vengono facilmente assorbite. Nel corso di una giornata, il soggetto adulto medio ingerisce circa 800 gr di cibo solido e circa 1200 ml di acqua, ma ciò rappresenta una parte del complessivo materiale che quotidianamente giunge nel tratto gastrointestinale. Ai circa 2000 ml di cibo e bevande ingeriti vanno aggiunti circa 7000 ml di liquido proveniente dalle ghiandole salivari, dallo stomaco, dal pancreas, dal fegato e dal tratto intestinale. Di questo volume, che complessivamente ammonta a 9000 ml, solo circa 500 ml raggiungono l’intestino crasso nel corso di una giornata, in quanto il 90 % di esso viene assorbito attraverso le pareti dell’intestino tenue. L’intestino tenue mesenteriale secreta enzimi quali:

Lattasi - Lipasi - Maltasi - Peptidasi - Sucrasi

assicurando l’assimilazione di glucidi, lipidi, proteine, vitam A, B2, B5, B12, C, D, E, H, K, calcio, ferro, potassio, sodio, e folati. L’assorbimento si effettua a livello delle villosità e, normalmente la maggior parte del contenuto dell’intestino tenue viene assorbita al momento in cui il chimo raggiunge la porzione intermedia del digiuno. I prodotti assorbiti attraversano la via sanguigna del sistema portale arrivando al fegato o, attraverso il sistema linfatico, entrano direttamente in circolo. La mucosa intestinale è in contatto diretto e continuo con gli elementi provenienti dall’esterno. La sua protezione è data dall’epitelio stesso che si rinnova velocemente, dalla flora intestinale, dalla motricità intestinale, dalle secrezioni intestinali e dal muco prodotto. L’intestino è il maggior organo linfoide dell’organismo. Produce linfociti, plasmociti e IgA, limitando così la proliferazione microbica e impedendo il passaggio di antigeni specifici, germi e batteri, verso altri sistemi. Esistono a tale scopo degli ammassi di cellule linfonodali chiamati placche di Peyer e dei follicoli linfonodali dove avviene il riconoscimento degli antigeni e la conseguente risposta immunitaria. La motricità intestinale permette il rimescolamento e la propulsione del contenuto intestinale tramite movimenti ritmici di segmentazione e peristaltismo. L’attività peristaltica dell’intestino tenue consente il rimescolamento e la propulsione del contenuto verso l’estremità distale, prevenendo l’eccessiva crescita delle specie batteriche normalmente presenti e l’eventuale impianto di germi patogeni che riescono ad oltrepassare il “ filtro” gastrico.

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Fisiologia osteopatica _Mobilità intestinale La mobilità intestinale mesenteriale dipende dal diaframma, ma incidono sulla sua fisiologia: la tonicità della muscolatura addominale e perineale il quadro colico che lo circonda Durante l’INsp globalmente l’intestino tenue: scende-avanza-si espande allargandosi verso l’esterno; Effettua una rotazione esterna delle sue anse che come detto prima tendono a riempire e a collocarsi in ogni spazio lasciato libero. L’asse di movimento del tenue può essere materializzato dall’a. mesenterica sup. Durante l’Esp avviene l’esatto contrario. Le disfunzioni osteopatiche possono essere globali, come la ptosi intestinale e la stasi circolatoria secondaria, o possiamo avere la presenza di spasmi o gonfiori locali a causa di una ipertonia, una dilatazione o un accollamento a livello delle singole anse. Nella ptosi si possono formare aderenze tra l’intestino tenue, il peritoneo parietale post, le porzioni attigue del quadro colico e gli organi del piccolo bacino come il retto, la vescica o l’utero. La nostra azione sarà quella di ripristinare il corretto feedback tra le varie porzioni dell’apparato gastrointestinale agendo direttamente sull’ileo, sul digiuno o sulle strutture anatomiche (anse intestinali) a loro funzionalmente correlate come lo stomaco ed il piloro. Sintomatologia Dolore lombare L2/L4 Dolore dorsale basso D9/D12 dovuto a disfunzione ortosimpatica Dolore addominale e sotto ombelicale per localizzazione anatomica, poiché la maggior parte delle anse si localizza lì: - nevralgia crurale e genito-crurale - cefalea (emodinamica e neurogena) - stasi (aa. inferiori e piccolo bacino) a causa di uno squilibrio pressorio - distensione addominale (gas): attenzione alla iperproduzione di gas e la velocità a livello del viscere - coliche addominali - perdita di peso (poiché il tenue serve alla assimilazione; è dovuta a malassorbimento) - anemia per deficit di assorbimento, o segni tetanici per ipocalcemia (caratterizzati da spasmi della muscolatura striata) - edemi o dolori ossei e crampiformi per un malassorbimento proteico e del calcio - ulcere, ippocratismo digitale, leuconichia (patologia che colpisce le unghie, rendendole a chiazze biancastre per carenza vitaminica), eruzioni cutanee, dermatite. Emozioni legate al TENUE L’intestino rappresenta la nostra capacità di assorbire e di lasciarsi andare Le emozioni legate al tenue riguardano situazioni che non accettiamo, rifiutiamo, che ci circondano dentro. È uno dei bersagli emozionali per eccellenza È connesso al cervello in modo molto forte e sottile Le corrispondenze emotive accompagnano gli eccessi (costipazione e diarrea) La sensibilità emotiva dell’intestino è in genere più forte nella donna, anche se negli ultimi anni si è modificata. La “persona intestino“ presenta: parametri di costipazione emotiva e diarrea emotiva forte bisogno di sicurezza e protezione grande bisogno di parlare per essere approvati grande fedeltà molto pulizia e molto ordine sia personale che oggettivo metodico 185

rigido ipocondriaco generoso ostinato Dice A.T STILL “……….. i fluidi scorrono naturalmente nell’intestino ….. senza la cui provvidenziale concezione, il Dio della natura si sarebbe dimostrato incompetente nel predisporre l’organismo ad affrontare la battaglia della vita” PRATICA_Valutazione osteopatica Repere anatomico del punto di McBurney, della valvola ileocecale e della radice del mesentere Osteopata alla dx del Pz. Tra l’ombelico e la SIAS di dx si reperisce una linea retta obliqua. Alla sua metà si reperisce la proiezione della valvola ileocecale, più precisamente nel suo terzo esterno si reperisce la proiezione della appendice vermiforme e dei linfonodi iliaci, denominato anche punto diagnostico di McBurney. Una sua dolorabilità al rimbalzo nel segno di Blumberg può far pensare ad una appendicite o ad una infiammazione del peritoneo parietale o cecale. La radice del mesentere si dispone, in proiezione, tra l’angolo duodenodigiunale (proiezione della trasversa sin di L2) e la valvola ileocecale (proiezione della trasversa dx di L5). TEST della valvola ileocecale È un ������������������������������������������������������������������������������������������������������������ test che permette di valutare se vi è un accollamento tra intestino tenue e ceco, oppure una invaginazione della valvola ileo-cecale. La valvola è una fessura orizzontale posta nella parte postero-mediale del ceco. È costituita da plicature della mucosa e da fibre muscolari circolari che, normalmente, si chiudono dopo il passaggio dell’onda peristaltica. Ha una notevole importanza in quanto impedisce il rigurgito di contenuto cecale, prevenendo la contaminazione dell’ileo da parte della flora batterica del crasso. Se però rimane beante, significa che parte del contenuto cecale può refluire a livello intestinale, creando fenomeni di sensibilizzazione della mucosa e spasmi locali. Se parte del cibo o parte della flora batterica intestinale risalgono si può creare il fenomeno delle coliche appendicolari. Nel reperimento della valvola ileocecale abbiamo 2 possibilità: 1 possibilità: è opportuno scendere con i polpastrelli delle dita da avanti verso dietro, e percepire in profondità il margine interno del cieco; dopo aver apprezzato tale margine, è opportuno cercare con i polpastrelli delle dita una struttura che abbia delle caratteristiche anatomiche di una valvolina e sicuramente si apprezzerà una parte cecale un po’ più dura. 2 possibilità: Osteopata alla dx del Pz mano sin: posizionata punto fisso sul punto teorico della valvola ileocecale, mediante i polpastrelli delle dita, andando a percepire se sono sul margine interno del cieco, lo faccio scendendo con entrambe le mani; mano dx: posizionata sul tenue con tenar/ipotenar aperta (leggermente sotto l’ombelico); azione: la mano dx effettua un distacco tra cieco e tenue con trazione globale in direzione dietro-fuori (verso sin) rispetto alla linea mediana. Poiché la valvola ileocecale è un’invaginazione del tenue all’interno del cieco, se vado a scollare il tratto tra tenue e cieco, sentirò un punto in cui l’ileo si scolla meno dal cieco, poiché lì entra. Se effettuando una trazione, si stacca meno, significa che lì su quel punto sono sulla valvola ileocecale. La palpazione è fondamentale: mi metto poi sul margine interno del cieco con mano punto fisso e poi con l’altra mano sul tenue cercando di fare un distacco tra cieco e tenue, valutando se le anse si lasciano spostare o meno. Si porta con la mano dx (mobile) l’intestino verso l’ ombelico e si deve sentire il punto in cui il cieco si invagina 186

nella valvola ileocecale. Segue poi una palpazione della pancia; la prof.ssa Menichelli fa vedere come si effettua una palpazione della pancia, di tutte le anse intestinali, a 2 mani sovrapposte: durante la palpazione ci si deve domandare se a sin le anse coprono completamente il colon discendente e il colon sigmoideo; palpare e vedere se c’è qualche ansa più dura; poi sentire il cieco e il colon ascendente e palpiamo cercando di sentire la forma, se presenta spasmi o meno: è così che si sente se c’ è disfunzione o meno. PRATICA_Intestino mesenteriale Premesse Si procede innanzitutto ad una palpazione globale dell’intestino mesenteriale a 2 mani alla ricerca di eventuali zone aderenziali. Repere dell’angolo duodenodigiunale Ci si pone con due dita lateralmente a sin dell’ombelico e due dita al di sopra dello stesso. A questo punto si procede in profondità con orientamento obliquo a 45° in direzione alto-dietro-dentro. Repere della valvola ileocecale Si può procedere in vari modi: 1. ci si pone a metà della linea che unisce ombelico e SIAS 2. ci si posiziona sul margine interno del colon ascendente arrivando li dove il tenue si invagina nel cieco (cioè a metà tra ombelico e SIAS) Repere della valvola ileocecale: 1° e 2° modalità

3. ci si posiziona sul margine interno del cieco, al suo inizio, e facendo punto fisso a questo livello con la mano sin, si può procedere a staccare con la mano dx l’ileo dal cieco. È molto probabile che si sia sulla zona ileocecale quando si percepisce una maggiore resistenza a “distaccare” nell’atto della trazione: ciò vuol dire che a questo livello c’è una maggiore aderenza tra le strutture.

3° modalità

Repere della radice del mesentere Sapendo dove si trovano l’angolo duodenodigiunale e la valvola ileocecale si conoscono inizio e fine della radice del mesentere. Il suo orientamento è obliquo da sin-alto verso dx-basso. Per reperirla e testarla ci si dispone con le due mani (pollici) a livello dei due punti di repere sopra descritti e si andrà in profondità (infatti la radice del mesentere corrisponde all’aggancio di tutte le anse del tenue al peritoneo parietale post, pertanto è un meso). Si può entrare con i pollici o con i medi oppure con il pollice della mano sin sull’angolo duodenodigiunale e con il pollice della mano dx sulla valvola ileocecale. Una volta superata la zona molle del peritoneo ed arrivati su di una zona più dura si cerca tra i suddetti 2 punti una corrispondenza tra le due dita: cioè se si esercita una trazione con una mano si deve trovare una corrispondenza sull’altra mano.

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Repere della radice del mesentere: 1° modalità

2° modalità

Test di allungamento ed accorciamento Una volta trovata la radice del mesentere può iniziare il test in allungamento e ritorno e poi un test di accorciamento e ritorno (Menichelli usa la posizione della 2° modalità). Test analitico delle anse Cioè quello che si è fatto con il test di “ingresso” globale sulle anse del tenue può essere eseguito in maniera più analitica per capire se per es. tra un’ansa e l’altra ci sono degli accollamenti, se le anse sono spasmate oppure dilatate. Quindi si sta effettuando una valutazione analitica del viscere in relazione alle connessioni con i plessi e con le risposte locali che quel viscere può dare.

Test di invaginamento della valvola ileocecale La modalità di esecuzione del test è la stessa utilizzata per testare la valvola e cioè: mano sin > è con le dita sul margine interno del cieco a livello della valvola ileocecale (dove l’ileo si invagina nel cieco) mano dx > con il pollice va a prendere l’ileo e cioè il pacchetto mesenteriale. A questo punto lì dove c’è più adesione si provvede a staccare l’ileo dal cieco (quest’ultimo è un punto fisso). NB: quello che cambia rispetto al test è il pensiero, cioè si valuta “qualitativamente” come una struttura si relaziona con l’altra, cioè come queste due strutture si lasciano allontanare (in maniera qualitativamente sufficiente oppure insufficiente). Se l’allontanamento è qualitativamente insufficiente c’è una disfunzione e quindi si applicherà la tecnica correttiva. Test di mobilità Si sta facendo una valutazione globale del quadro mesenteriale (al contrario di quanto accadeva nel test analitico): volendo fare un paragone è come fare un test della base del cranio: all’interno di questo test globale si può avere l’impressione che tutto il tenue sia in restrizione di mobilità in una direzione, ma si può anche avere l’impressione che sia solo un punto ad essere in disfunzione e che questo va a condizionare la mobilità dell’organo.

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In INsp il mesentere scende-avanza-effettua una RE delle anse-si espande verso l’esterno. In Esp avviene il movimento inverso. L’esecuzione del test si articola in più fasi. Innanzitutto il quadro colico deve rimanere all’esterno delle mani dell’Osteopata. Le mani dell’osteopata sono parallele all’interno del quadro colico ed in appoggio sul tenue.

Test di mobilità: si lascia “fuori” il quadro colico

1. Ci si mette in ascolto (infatti l’ascolto ci dice dove dobbiamo andare e l’ampiezza del movimento del viscere in quel momento) per capire quanto la struttura si lascia portare in una certa direzione, come lo fa e la qualità del movimento. Per es: ci si mette in ascolto ed in un tempo di INsp si induce il movimento di INsp (cioè si accompagna la struttura in basso-avanti-RE-fuori e si valuta quanto il mesentere si lascia portare in quella direzione). 2. Ci si rimette di nuovo in ascolto ed in un tempo di Esp si induce il movimento di Esp (cioè si accompagna la struttura in alto-dietro RI-dentro e si valuta quanto il mesentere si lascia portare in quella direzione). 3. Si comparano le due fasi e si denomina una eventuale disfunzione nel senso della maggiore ampiezza. NB: la prof.ssa dice di “fregarsene” della disfunzione nel senso della maggiore ampiezza poiché quello che si deve ricercare è la restrizione di mobilità. Ed inoltre quello che si percepisce durante un ascolto ci dà la tecnica ovvero ci indica la strada da seguire per la correzione. Tecniche correttive di disfunzioni del mesentere Conoscendo i test sarà relativamente semplice effettuare le tecniche correttive delle varie disfunzioni. 1. Correzione di disfunzione in INsp: può essere ridotta sia in tecnica funzionale (diretta od indiretta) che in tecnica meccanica (diretta od indiretta). Es. funzionale indiretta: in più tempi inspiratori si aggrava la disfunzione sino a che il tessuto si rilassa e lo si segue verso la correzione. 2. Correzione di disfunzione di invaginazione della valvola ileocecale: può essere trattata mediante tecnica in allungamento meccanico diretto oppure mediante recoil.

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3. Trattamento analitico delle anse: Es: un Pz può presentarsi con un’ansa piccola, spasmata, che risulta accollata rispetto alle anse vicine. In questo caso si procede mediante un allungamento meccanico diretto: si apre, si aspetta, si cerca di sentire dove la resistenza è più forte. Ci si ferma su quel punto e si aspetta il cedimento del tessuto. A questo punto, quando il tessuto “molla” si allunga ancora un poco. Se l’accollamento tende a spostarsi lo si segue e lo si allunga nuovamente sino a che non si è sufficientemente soddisfatti del risultato tessutale ottenuto, cioè il tessuto si deve essere ammorbidito. Qualora si trovi un punto specifico si può effettuare un ponsage od un recoil. Nel caso in cui l’ansa non si fosse fatta allungare, la si può trattare con tecnica di allungamento meccanico diretto. Se invece l’ansa non si è fatta accorciare la si può accorciare con tecnica di accorciamento meccanico diretto. NB: quello che le mani vanno a fare in termini di trattamento dipenderà dall’ascolto tessutale e dai test che si effettuano. Quindi se i test sono fatti bene si comprende cosa si deve fare nel trattamento. Es.: se al test di mobilità del tenue si trova una disfunzione in inspiro non si eseguirà un recoil, ma un trattamento con tecnica funzionale o meccanica. 4. Trattamento della valvola ileocecale Essendo la valvola ileocecale uno sfintere una sua disfunzione potrà essere trattata con ponsage, recoil, vibrazioni oppure se il test di invaginazione è positivo si potrà effettuare un allungamento. NB 1: neurovegetativo e viscerale vanno sempre integrati. NB 2: il recoil di 3° grado si esegue con i pollici posti sulla valvola, poi si ricercano le zone di resistenza sui vari piani dello spazio e quindi si valuta se la disfunzione si aggrava di più in fase di INsp oppure di Esp. Infine si effettua il recoil nella fase respiratoria che ha presentato una maggiore resistenza, sempre e comunque nella direzione della valvola ileocecale. NB 3: i diverticoli possono presentarsi come zone di resistenza, zone infiammatorie con segno di peritonite. In questi casi, in linea generale, il recoil può essere effettuato, non è controindicato. Manovra dinamogenica sul tenue Va ad agire su tutto il pacchetto del tenue. La si può utilizzare inserendola nel circuito dinamogenico per es. per rilanciare l’emodinamica: chiaramente prima di eseguirla sarà necessario lavorare le benderelle, lo sfintere di Oddi, il piccolo epiploon, il fegato, la milza. Oppure può essere utilizzata anche per reinformare tutto il tenue, ad es dopo avere lavorato sulle ptosi del tenue o su quelle degli organi del piccolo bacino. NB: nell’eseguire la manovra dinamogenica su fegato, milza ed intestino tenue se si ha poco tempo per lavorare si può anche eliminare la thoracic pump. Il Pz è in posizione supina con le gambe flesse perchè in questo modo si riesce a sentire meglio il limite inf del tenue.

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l’Osteopata si dispone di lato e cranialmente al una volta agganciato il margine inferiore del Pz e con una mano va a reperire tutto il pacchettenue l’Osteopata entra in profondità cercando to intestinale per poi agganciarlo con entrambe di arrivare il più posteriormente possibile con le le mani. mani. A questo punto si può procedere in vari modi: 1. se si vuole reinformare il tenue verso l’alto durante l’INsp si mantiene, mentre durante l’Esp, quando il tenue risale verso l’alto, lo si porta verso l’alto. In sostanza si va ad eseguire una manovra di reinformazione verso l’alto. 2. se invece si è percepito che si è di fronte ad un accollamento, dalla stessa posizione si può entrare più in profondità ed avviare una manovra di scollamento rispetto al piano post, arrivando sino alla radice del mesentere, verso la quale naturalmente è necessario orientarsi. 3. se invece si vuole effettuare una vera e propria manovra dinamogenica con l’Osteopata disposto di lato e cranialmente al Pz durante l’Esp si porta il tenue verso l’alto mentre durante l’INsp lo si molla. In questo modo si lavora sulla dinamica perchè la finalità dell’Osteopata è quella di rilanciare i fluidi e non di scollare. sem 2_Colon È compreso tra lo sfintere ileocecale e quello anale. È lungo circa 2 metri, quindi occuperà più quadranti addominali (cieco in fossa iliaca dx, colon ascendente in fianco dx, angolo colico dx in ipocondrio dx, colon trasverso in mesogastrio vicino all’ombelico, angolo colico sin in ipocondrio sin, colon discendente in fianco sin, colon iliaco in fossa iliaca sin, colon sigmoideo e retto in ipogastrio). Questo da un lato è negativo perché, essendo una struttura variamente distribuita, se ne perde il quadro di insieme; dall’altro lato è un vantaggio perché se al test dei 9 Qu si trova una positività di colon si saprà quale distretto è interessato sulla base del quadrante positivo. Es 1: la positività di fossa iliaca dx ci dirà che è interessata la porzione cecale. Es 2: quando si trova una positività di ipogastrio bisognerà pensare al retto senza però escludere un eventuale interessamento di vescica, utero o prostata, infatti in osteopatia i programmi vanno integrati. Premesso che l’addome è occupato per la maggior parte dalle anse del tenue, in esso il cieco ed il colon ascendente rappresentano le porzioni più libere: infatti le anse del tenue coprono il colon discendente, il

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colon iliaco e quello sigmoideo. Il retto invece è post e scende sotto il piccolo bacino quindi sotto il peritoneo inf. Quindi in sostanza la porzione di colon palpabile è rappresentata dal cieco e dal colon ascendente: è da queste zone che si inizia la pratica con la palpazione poiché in questo modo si può avere anche un termine di paragone. NB Le anse del tenue si trovano generalmente sotto il colon trasverso. Il lume del colon ha un diametro variabile dagli 8 cm della porzione ascendente ai 3 cm del sigma e del retto. Esternamente presenta delle gibbosità date dalla presenza di 3 benderelle fibrose dette tenie del colon: ciò può essere interessante dal punto di vista palpatorio per distinguere se si è sul colon oppure sul tenue. Come tutto il tubo gastrointestinale presenta 4 tuniche: mucosa con funzione di assorbimento, sottomucosa, muscolare e sierosa. Da ricordare che la sottomucosa e la muscolare presentano al loro interno i plessi neurovegetativi di Meissner ed Auerbach. Cieco È la porzione iniziale del colon, lungo circa 6-7 cm, si trova in fossa iliaca dx. È sulla proiezione di S2-S4 e ciò è da tenere presente in relazione alla sintomatologia. In fossa iliaca dx è necessario distinguere tra disfunzioni di tenue e di cieco mediante test di inibizione. È diretto basso-avantidentro: ciò è importante quando si effettuano i test (es. test di allungamento, che andrà effettuato lungo l’asse della struttura). Anteriormente è in relazione con la parete addominale ed a volte anche con le anse del tenue, se queste si insinuano.

Posteriormente è in relazione con la fascia iliaca, lo psoas ed il tenue (che occupa gli spazi vuoti). L’interesse della relazione tra psoas e cieco può essere utile in caso di Pz con condizioni di attivazione dello psoas (es. shift laterale, anca in RE, iliaco post) in cui la positività non è di bacino bensì di cieco. Pertanto se non si elimina la disfunzione del cieco è inutile trattare lo psoas. 192

Il cieco è fissato alla parete post grazie al meso del colon ascendente (fascia di Toldt) ed è stabilizzato da pliche peritoneali: quando è presente la fascia di Toldt il cieco è a contatto con i reni, pertanto esiste un legame stretto tra cieco e rene. Legamenti del cieco Sono rappresentati da: 1. leg parietociecale esterno: va dalla faccia esterna del cieco alla fascia iliaca fino alla SIAS. Pertanto rappresenta un legame anatomico diretto dell’organo con la struttura 2. leg parietociecale interno: va dall’appendice verso il leg largo e l’ovaio. Questo suo orientamento può dare una spiegazione riguardo al fatto che alcune sintomatologie ovariche sono confuse con problemi appendicolari e viceversa. NB: l’ovaio in fossa iliaca si trova a metà del leg inguinale. Appendice vermiforme È un’appendice cilindrica di 8-10 cm ed è collegata al peritoneo parietale post da un mesoappendicolare, pertanto la sua posizione dipenderà dall’inserzione del mesentere. Ecco perché ci possono essere varie localizzazioni dell’appendicite in base alla sua organizzazione embrionale. NB: i passaggi vascolari sono delle zone di repere stabili.

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Colon ascendente Lungo circa 12-15 cm. È localizzato nel fianco dx estendendosi dalla fossa iliaca dx all’angolo colico dx. Si relaziona: anteriormente con la parete addominale o con il tenue. posteriormente con il m. iliaco, il quadrato dei lombi, il rene dx ed il surrene (con quest’ultimo si possono creare relazioni ormonali disfunzionali). In conclusione contratture dello psoas e/o del quadrato dei lombi possono dare una positività di colon ascendente, ma è vero anche il contrario. Nella maggior parte dei casi colon ascendente e discendente sono applicati alla parete post senza mediazioni del peritoneo. Quando invece c’è la fascia di Toldt si parla di mesocolon ascendente e discendente. Angolo colico dx Arriva sotto il fegato dove lascia anche un’impronta: è proprio la presenza del fegato a posizionarlo più superficialmente e più in basso del sin, oltre che più avanti. Si trova all’estremità esterna dell’ipocondrio dx. Il repere dell’angolo colico dx è l’estremità anteriore di K10-K11, mentre per l’angolo colico sin, che è più post, ci si posiziona sulla linea emiascellare ed un poco più in alto ed indietro (K8-K9). 194

È sospeso al diaframma da una plica peritoneale detta leg frenocolico dx. Esiste anche un leg epatocolico dx che collega il fegato all’angolo colico dx (ma non lo si testa). Colon trasverso Si estende dall’angolo colico dx al sin passando per l’ombelico, cioè a livello di L3: infatti da dx va basso e dentro fino a livello ombelicale L3 per risalire fino all’angolo colico sin. È lungo circa 50 cm. È stabilizzato dal mesocolon trasverso, il quale si inserisce sulla fascia prepancreatica (la taglia in due parti) davanti al quadro duodeno pancreatico. Divide la regione sottodiaframmatica in sovra e sotto mesocolica: non si tratta solo di una divisione anatomica, ma anche di una divisione funzionale, infatti tutta la regione sovramesocolica è tutta tronco celiaco, quella sottomesocolica è di pertinenza delle mesenteriche). Nel testare il leg gastrocolico ci si posiziona tra lo stomaco ed il margine superiore del colon trasverso: pertanto ci si dovrà posizionare sulla fossetta sup presente a questo livello perché quella inf corrisponde al margine interno del colon trasverso (che sarà a contatto con le anse intestinali). Mesocolon trasverso che taglia la fascia prepancreatica e stabilizza il colon trasverso Angolo colico sin È posto profondamente nell’ipocondrio sin, sotto stomaco e milza. Pertanto andrà cercato sulla linea emiascellare a livello di K8-K9. È sospeso al diaframma dal leg colicofrenico sin. Legamento colicofrenico sin (linea emiascellare)

Colon discendente Dall’angolo colico sin scende sul fianco sin verso la cresta iliaca. È ricoperto dalle anse del digiuno. Come il colon ascendente o è applicato direttamente alla parete post oppure c’è la fascia di Toldt. Colon ileopelvico Si estende dalla parte finale del colon discendente, percorre la fossa iliaca sin poi va verso la linea mediana, dove ruotando in alto-dietro a livello di S3 diventa colon retto. Pertanto il retto inizia a livello di S3. Misura circa 35-40 cm. Si divide in due porzioni: - colon iliaco che occupa la fossa iliaca sin. - colon pelvico che occupa il piccolo bacino (ipogastrio). è stabilizzato dal mesocolon sigmoideo che consta di due radici: 1. primitiva: va dalla biforcazione aortica L4 (margine inferiore dell’ombelico) ad S3 2. secondaria: va dalla biforcazione aortica L3 al margine interno dello psoas. NB: entrambe le radici sono l’aggancio del peritoneo ileopelvico al peritoneo parietale post. Le radici sono importanti perché danno passaggio all’ a. mesenterica inf: quindi quando si trattano queste strutture bisogna tenerne conto. Il termine radice vuol dire che è l’impianto della struttura sul peritoneo. Es.: se si rimuove un albero rimane l’impronta delle radici. Legamenti del colon ileopelvico Sono rappresentati da:

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1. leg colico pelvico o parietocolico esterno: collega il margine esterno del colon iliaco alla fascia iliaca sino alla SIAS. NB: non c’è un leg parietocolico interno perché ci sono le radici primitiva e secondaria che fissano e fanno arrivare i vasi.

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Radice primitiva e secondaria del mesocolon sigmoideo

Retto Rappresenta la parte terminale dell’intestino crasso. Va da S3 allo sfintere anale. È verticale e mediano. È lungo circa 15 cm. È situato nella regione post del piccolo bacino in posizione sottoperitoneale. NB: nel maschio il test si effettua nel 2° spazio, cioè quello tra la vescica ed il retto, mentre il 1° spazio è quello tra sinfisi pubica e vescica. Nella femmina il test si effettua nel 3° spazio, cioè quello compreso tra utero, vagina e retto, mentre il 1° spazio è quello tra sinfisi pubica e vescica ed il 2° spazio è quello tra vescica ed utero. È in rapporto: anteriormente con la vescica e la prostata nell’uomo, utero e vagina nella donna. posteriormente con l’ultimo ganglio simpatico sacrale, il tronco simpatico coccigeo e con il IV e V nervo sacrale.

Localizzazione per il test sul retto nell’uomo e nella donna 197

Innervazione Ortosimpatico: Cieco, colon ascendente ed emitrasverso dx Emitrasverso sin, colon discendente, sigma sono innervati dai nervi: e retto sono innervati dai nervi: 1. grande splancnico D6-D11 1. piccolo splancnico 2. plesso celiaco 2. plesso celiaco 3. plesso mesenterico sup. Quindi l’innervazione segue la vascolarizzazione infatti: il 1° tratto, quello della mesenterica sup è correlato con il n. grande splancnico, mentre il 2° tratto, quello della mesenterica inf, è correlato con il n. piccolo splancnico. Parasimpatico È composta da: 1. N. vago dx. 2. Parasacrale (S2-S4 nervi erettori di Eckart). I centri della defecazione sono situati a livello lombare L2-L4 ed a livello sacrale S2-S3.

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Vascolarizzazione Arteriosa È ad opera di: 1. mesenterica sup: per cieco, colon ascendente ed emicolon trasverso dx 2. mesenterica inf: per emicolon trasverso sin, colon discendente, colon ileopelvico e retto. Venosa Globalmente il colon è drenato dalle vene mesenteriche sup ed inf. Il retto è drenato dal plesso emorroidale diviso in ascendente (tributario del sistema portale) e trasversale (tributario della vena iliaca e della vena cava inf ). Quindi un sovraccarico portale può dare una sintomatologia di tipo emorroidale. Fisiologia L’intestino crasso non ha prettamente una funzione digestiva. Il suo ruolo è principalmente quello di: assorbire l’acqua (ma anche i farmaci) nella metà prossimale deposito di feci nella metà distale produzione di muco, potassio e ione bicarbonato Il crasso contiene al suo interno un’importante flora batterica (macrobioti umani) che serve come: 1. effetto barriera agli agenti patogeni. 2. fermentazione di glucidi e cellulosa con emissione di gas 3. putrefazione di residui proteici

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4. sintetizzare proteine quali k, B1, B2, B12 (queste proteine vengono prodotte anche in altre zone. Es.1: la vitamina B12, prodotta a livello di stomaco, duodeno e tenue, va ad incidere sull’ematocrito, sulle anemie. Quindi le anemie possono essere messe in relazione con tanti organi quali stomaco, duodeno, tenue e cieco. Es. 2: la vitamina K è presente a livello di fegato, tenue, crasso: pertanto c’è una interrelazione che porta alla sua funzione. NB: nella stitichezza cronica c’è una proliferazione batterica con aumento dei processi di fermentazione e putrefazione, che giustificano la comparsa di gonfiore e meteorismo addominale. Il colon presenta movimenti peristaltici non propulsivi (per il rimescolamento delle sostanze e per il riassorbimento efficace dell’acqua) e movimenti propulsivi (per consentire al materiale di essere eliminato). Il retto è normalmente vuoto ed il suo riempimento e dilatazione danno inizio alla defecazione. Fisiologia osteopatica Il quadro colico subisce nei suoi vari tratti, in maniera diversa, l’influenza del diaframma. I due angoli colici dipendono dal diaframma mentre la parte inf è influenzata dal pavimento pelvico (assieme ad utero, vescica e prostata). Poiché ogni sezione del colon si muoverà in relazione alle strutture che ha vicino si distingueranno: INsp Gli angoli colici scendono-avanzano-si avvicinano tra loro verso la linea mediana, solo durante una inspirazione forzata hanno la tendenza ad allontanarsi perché le coste si allargano e c’è il legamento frenocolico che li traziona e li porta fuori. Il colon trasverso scende-avanza-si sposta un poco verso sin poiché il legamento frenocolico è più indietro e più in alto. Il colon ascendente e discendente scendono-avanzano e, tirati indietro dalla fascia di Toldt, compiono una RE: quindi la loro faccia anteriore guarda verso l’esterno. Così facendo tendono ad essere attirati verso l’interno. In conclusione globalmente mentre il mesentere (=tenue) si espande, il quadro colico si chiude un poco: il tutto assicura un riequilibrio di pressioni ed aiuta la funzione del sistema vascolare. Il cieco scende-avanza-si inclina a dx (per la sua posizione anatomica in fossa iliaca) e compie una rotazione interna. Il sigma scende. Il retto scende-si verticalizza (tanto è vero che quando si è in difficoltà per andare in bagno si prende aria e si spinge in apnea INsp così il retto si verticalizza facilitando l’evacuazione).

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Quindi in conclusione globalmente il quadro colico scende-avanza-si inclina un poco a sin-si chiude verso la linea mediana facendo una rotazione oraria. Gli assi d movimento (i punti fulcro) del quadro colico sono: 1. valvola ileocecale 2. arteria mesenterica sup 3. arteria mesenterica inf Disfunzioni osteopatiche Sono classificate in: 1. legamentose 2. segmentarie 3. di mobilità: si eseguono i test di mobilità sui vari segmenti. Il test di mobilità sul retto è difficile poiché questa struttura è lontana dal diaframma: quello che si percepisce sarebbe una relazione con il diaframma pelvico. Pertanto nel caso del retto si fa più che altro un test tessutale. Le disfunzioni legamentose possono essere dovute ad aderenze o fibrotizzazioni delle pliche peritoneali o infiammazioni locali o esiti di chirurgia addominale (es. esiti di appendicectomia). Per questo motivo le disfunzioni si localizzano con maggiore facilità dove c’è un’alterazione della motricità intestinale ed una stasi con proliferazione di microrganismi della flora intestinale. Sintomatologia e segni clinici 1. Dolori diretti Cieco: - dolori in fossa iliaca dx, piega inguinale, sacroiliaca dx (proiezione S3) ed anca dx per contrattura del m. psoas di dx. - segno di Blumberg positivo nel punto di Mc Burney è già indicativo di una irritazione notevole, pertanto quando è presente è un segno di emergenza. - dolori testicolari o alle grandi labbra (n. genitocrurale) o dolore all’interno del ginocchio (n. otturatorio) o dolore alla faccia ant della coscia (n. crurale/femorale). Colon ascendente e discendente: - dolore al fianco dx e sin - dolore a barra sottodiaframmatico (in caso di interessamento del colon trasverso) - contrattura del quadrato dei lombi - dolore dorsale e costale basso in innervazione neurovegetativa Colon ileopelvico e retto (sintomi come per il cieco): - dolore in fossa iliaca sin, zona sovrapubica, piega inguinale sin, sacroiliaca sin ed anca sin per contrattura dello psoas di sin - dolore parte interna di coscia e di ginocchio NB: il dolore è inteso anche come bruciore, dolore puntiforme, fitte che vanno e vengono. Per quanto riguarda il plesso lombare possono aversi anche nevralgie legate al territorio di innervazione. 2. Sintomi clinici a distanza - distensione e dolore addominale > per fermentazione e putrefazione. - meteorismo >per fermentazione e putrefazione - stipsi o diarrea e disidratazione > perché il colon gestisce il riassorbimento dell’acqua - disidratazione, pelle secca labbra screpolate > perché il colon gestisce il riassorbimento dell’acqua - edemi > perché il colon gestisce il riassorbimento dell’acqua - colite - cistite per il passaggio transmurale di batteri - riniti, sinusiti croniche perché la mucosa è unica, pertanto la mucosa del naso è deputata ad espellere ciò che non viene fatto altrove - lombalgie - malessere generale perché non si riescono ad eliminare le sostanze tossiche - tenesmo (cioè spasmo con mancata evacuazione) - sensazione di cattivo svuotamento 200

Colon emozionale Quale è il binario emotivo che può dare una disfunzione di colon? Come per gli altri organi studiati sarà necessario pensare alla funzione. 1. Stipsi: è il tenersi aggrappati a convinzioni che ci danno sicurezza, è il non riuscire ad eliminare le cose che non ci servono. Es.: molti Pz “colon” affermano che la loro vita è una “merda”, di essere nella “merda”. È anche collegata al trattenersi ed al chiedere a se stessi di essere perfetti per la paura di non essere accettati, amati o di essere abbandonati. 2. Diarrea: è la capacità di andare di più, è una emozione che entra, ma che si manda via perché non la si vuole tenere. È il rifiuto troppo rapido di un’idea o di una situazione in cui ci sentiamo prigionieri. È il rifiuto di un ruolo. È anche il rifiuto doloroso di un ricordo che scatena la diarrea quando entriamo in risonanza con esso. (l’effetto di risonanza è una condizione molto studiata in problematiche quali quella dell’asma dove per es. un bimbo di 2 anni si sente dire dalla mamma alcune cose spiacevoli. A questo punto parte un neurotrasmettitore che attiva un recettore cui si lega. Dopodichè il neurotrasmettitore viene eliminato, ma il recettore rimane “nascosto”, però non a livello corticale. Un giorno a 44 anni quel bimbo oramai adulto entra in una pasticceria, sente un odore particolare che riattiva il neurotrasmettitore che si lega a quel famoso recettore ed alla persona viene una allergia. 3. Appendicite: è una difesa dall’autorità > è tipica degli adolescenti. È una forma di contrasto dall’autorità. 4. Coliche: sono legate ad una condizione di stress e tormento. Es.: i bimbi si rilassano dopo un periodo di coliche perché le mamme anche” prendono le misure” con questa nuova realtà che le responsabilizza. Valutazione osteopatica 1. Test di densità 2. Test di allungamento delle singole porzioni 3. Test di apertura degli angoli 4. Test dei legamenti 5. Test di mobilità sem 3_Colon È composto da varie sezioni: 1. cieco in fossa iliaca dx 2. colon ascendente in fianco dx 3. angolo colico dx sotto il fegato e dietro al margine anteriore di K10. 4. colon trasverso passa a livello dell’ombelico 5. angolo colico sin, è più alto e più posteriore del dx pertanto ci troviamo a livello di K8-K9. 6. colon discendente in fianco sin 7. colon iliaco in fossa iliaca sin 8. colon sigmoideo, risale, fa una curva, va verso dietro ed a livello di S3, dove c’è il peritoneo posteriore diventa sotto peritoneale ed a livello di S3 diventa colon retto. Per reperire il colon si procede come segue: 1. si palpa l’addome, perchè la palpazione assieme alla sintomatologia ed agli esami strumentali, permette di formulare una diagnosi differenziale (es. pulsazioni anomale, masse etc.).

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repere del margine interno del cieco

repere del margine interno del colon ascendente

repere del margine superiore del colon trasverso

2. si palpa con due mani alla ricerca del margine interno del cieco e del colon ascendente.

3. per il colon trasverso il margine superiore dovrebbe essere li dove si è effettuato il test per il leg gastro-colico, e cioè a livello ombelicale. NB: se il trasverso è molto gonfio lo si reperisce meglio.

4. gli angoli colici non sono palpabili pertanto se ne fa il repere andando nella loro proiezione. 202

5. per il colon discendente si procede alla palpazione disponendo i pollici sul margine interno, mentre le altre dita sono sul margine esterno.

6. per il colon iliaco ci si dispone in fossa iliaca sin e dal margine esterno si procede alla palpazione del margine interno.

NB: durante la palpazione si valuta anche la forma e l’orientamento della struttura. Per avere il giusto repere di dove inizia il colon è necessario reperire la valvola ileocecale che segna la fine del tenue e l’inizio del colon con il cieco. Pertanto ci si pone a metà della linea tra ombelico e SIAS di dx e si ricerca la zona di resistenza. Infatti si tratta di una valvola, cioè di una invaginazione dell’ileo nel cieco. Poi ci si pone sul margine interno del cieco e quindi si procede a “sentire” con le mani dove si avverte una maggiore aderenza e li si procede a staccare le due strutture. Un altro modo per ricercare la valvola ileocecale è quello di ricercare il margine interno del colon ascendente andando da sin a dx; quindi dall’angolo colico dx si scende verso il basso lungo il margine interno del colon ascendente. Qui si cade in un punto che corrisponde alla valvola ileocecale (si può fare una controprova rifacendo la palpazione oppure il repere della valvola ileocecale). Avendo il margine interno del cieco e del colon ascendente e risalendo verso l’alto si arriva ad un punto che è la proiezione dell’angolo colico dx. Naturalmente prima è meglio contare le coste partendo dal processo xifoideo ed arrivare a K10.

repere della proiezione dell’angolo colico dx

Per l’angolo colico sin, sapendo che il colon discendente non è perfettamente diritto, ma scende un poco obliquo, si andrà alla ricerca del margine interno sia del colon iliaco che del colon discendente. A questo punto si risale arrivando in un punto che corrisponde alla proiezione dell’angolo colico di sin. Anche in questo caso sarà necessario procedere al reperimento della struttura partendo dal processo xifoideo per arrivare a K8-K9.

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repere della proiezione dell’angolo colico sin Poi dal basso si procede a reperire il solco dell’ombelico ed il solco del leg gastrocolico (al di sotto di quest’ultimo passa il colon trasverso).

Per reperire il colon trasverso si hanno come riferimento i due angoli colici, dx e sin.

repere del colon trasverso

Per avere una maggiore sicurezza di essere sul colon trasverso e sul colon in generale si può procedere alla percussione di fegato (=pieno), tenue (=vuoto) e colon (=vuoto, ma diverso rispetto al tenue) e stomaco (=vuoto ancora diverso).

fegato

tenue

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colon

Per il repere del colon retto nelle donne ci si posiziona nello spazio sopra la sinfisi pubica. In realtà sopra la sinfisi pubica si trovano due solchi, il secondo è quello per arrivare a palpare e testare il retto (il 1° è quello tra vescica ed utero). Nel maschio c’è un unico solco sovrapubico dove il trova il retto.

1° fossetta Test di pressione del colon Non si approccia mai un viscere con il test di pressione, bensì con la palpazione e con il repere perchè si deve essere sicuri che l’organo, di cui ci si vuole occupare, sia posizionato lì.

2° fossetta

test di pressione del cieco

test di pressione del colon ascendente

Si testano i vari tratti del colon nei vari quadranti anatomici nei quali li si è recepiti ricordando che: 1. per il trasverso si testa l’emitrasverso di dx e di sin.

test di pressione dell’emitrasverso di dx

test di pressione dell’emitrasverso di sin

2. il retto è positivo quando lo è l’ipogastrio, ma qui la positività può dipendere anche da altri organi del piccolo bacino (il livello e la direzione della resistenza tessutale danno già una indicazione se si tratta di colon o di altro). NB: in questo modo con il test di pressione selettivo sulle varie zone del colon si avrà anche una maggiore rapidità di esecuzione dei test e dei trattamenti della zona individuata.

test di pressione del colon discendente

test di pressione del colon iliaco

test di pressione del colon retto 205

Test di allungamento delle varie porzioni del colon È possibile eseguire degli allungamenti meccanici sulle singole porzioni ed in caso di disfunzioni trattarle con una tecnica di allungamento meccanico diretto. Si può fare anche un recoil invece di un allungamento meccanico diretto quando il Pz manifesta fastidio (anche perchè il colon è spesso dolente).

test di allungamento dell’emitrasverso dx

test di allungamento del colon iliaco

test di allungamento del colon retto

test di allungamento del cieco

test di allungamento dell’emitrasverso sin

test di allungamento del colon ascendente

test di allungamento del colon discendente

test di allungamento del colon retto

Per il test sul retto il Pz è supino con le gambe flesse mentre l’Osteopata si dispone con le dita delle mani come nel test del leg gastrocolico e

va in profondità sino ad arrivare in una zona di maggiore resistenza (qualora si senta il battito dei vasi ci si sposta leggermente). A questo punto ci si orienta a 45° verso la faccia anteriore del sacro per andare in direzione del retto e, mentre con la mano caudale si bloccano gli organi del piccolo bacino, con la mano craniale si esegue un allungamento meccanico diretto verso dietro e si valuta se si fa allungare. In caso di restrizione di mobilità si procede verso la correzione con una tecnica di allungamento meccanico diretto o con un recoil.

Test di apertura degli angoli Dal punto di vista osteopatico gli angoli hanno molta importanza perchè una problematica a questo livello avrà ripercussioni sulle zone limitrofe.

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Ci si pone con i pollici delle mani in proiezione degli angoli (in realtà si può lavorare sia con entrambe le mani che singolarmente) e durante un tempo di Esp, quando il diaframma sale, si possono aprire entrambi gli test di apertura degli test di apertura degli angoli, inoltre in questo angoli colici (globale) angoli (singolarmente) modo si va a tirare su anche il trasverso. Però è necessario fare attenzione perchè il trasverso è dotato di un mesocolon, quindi se lo si vuole tirare su ci si posiziona con i pollici sotto il trasverso e si chiede al Pz di prendere aria ed in una fase di Esp lo si porta su in più fasi respiratorie. Meglio ancora test di risalita del se l’Osteopata si dispone trasverso: 1° modalità 2° modalità cranialmente al Pz. Questa metodica può essere utile come trattamento finale nelle ptosi del piccolo bacino, nel trattamento delle quali è utile anche “tirare su” il tenue oltre che il trasverso. Oppure la si può utilizzare nello scollamento del mesocolon trasverso. NB: nel test di apertura degli angoli è necessario tenere conto dell’orientamento degli angoli. In Esp per aprire l’angolo colico dx si esegue una leggera supinazione con la mano dx. Stessa cosa per l’angolo colico sin, tenendo conto dell’orientamento dell’angolo. In presenza di una disfunzione si esegue subito il trattamento di riduzione. Test dei legamenti Per poter procedere con il test dei legamenti si dovrà passare per i reperi del colon e cioè: 1. margine interno, esterno, superiore ed inferiore del cieco; 2. margine interno ed esterno del colon ascendente; 3. angolo colico dx e sin; 4. margine interno ed esterno del colon discendente; 5. margine interno ed esterno del colon iliaco; 6. la 2° fossetta a livello pubico (la 1° nell’uomo) è sede del colon retto; si conferma quanto trovato mediante la percussione. In questo modo sarà più facile effettuare il test di pressione. 1. Legamento parieto cecale ESTERNO Per reperirlo è necessario individuare il margine esterno del cieco e la fossa iliaca. Mano craniale è sulla cresta iliaca e fa punto fisso mano caudale fa da punto mobile sul cieco (in realtà si può fare con entrambe le mani). Ci si pone con le mani alla ricerca della congruenza tra di esse e si testa se c’è una resistenza tessutale. Nel caso in esame è presente una resistenza tessutale pertanto avendo utilizzato un test in allungamento meccanico diretto si potrà procedere con una tecnica correttiva in allungamento meccanico diretto oppure con un recoil. 207

2. Legamento parieto cecale INTERNO Pz supino ed osteopata al suo fianco dx. Mano esterna ci si pone sul margine interno del cieco mano interna si è in proiezione dell’angolo duodenodigiunale e cioè verso la radice del mesentere. Si procede con il test di allungamento meccanico diretto ricercando la congruenza tra le mani: in presenza di una resistenza si procede con l’allungamento meccanico diretto (ad una o due mani) oppure si esegue un recoil nella direzione del legamento.

3. Legamento appendico-ovarico NB: da alcuni è descritto come un legamento, da altri invece è considerato come un accollamento del peritoneo verso il peritoneo ed il leg ovarico. Che sia un legamento od un accollamento non importa: si procede testando se è presente una resistenza ed in caso di positività la si tratta. Tra queste due strutture esiste una relazione sintomatologica.

repere dell’ovaio

margine inferiore del cieco

È necessario reperire la proiezione dell’ovaio pertanto si reperiscono il tubercolo pubico e la SIAS: a metà di questa linea c’è la proiezione dell’ovaio. In più si può andare a palpare l’osso iliaco dove è presente una cresta, la “linea innominata”, quando si sente la cresta in profondità c’è la proiezione dell’ovaio (se si sente l’arteria ci si sposta più lateralmente): in sostanza si è a metà del leg inguinale, ma si entra da sopra. Una volta reperita la proiezione dell’ovaio con la mano craniale si va a reperire il margine inf del cieco (dove c’è l’appendice).

leg. appendico-ovarico (test di allungamento)

leg. appendico-ovarico: trattamento con recoil

Per testare il legamento si procede ad un allungamento meccanico diretto. Poiché nel caso in esame si reperisce una resistenza si può procedere con un recoil ed in un secondo momento con una tecnica correttiva di allungamento meccanico diretto. 4. Legamento frenico-colico dx La proiezione teorica è il margine inferiore di k10 (perchè questo legamento è subito sotto il fegato e poi prende rapporto con il diaframma). 208

punto di relazione diafr. angolo colico dx

leg frenico-colico dx

L’altro punto di repere è la proiezione dell’angolo colico di dx, che si andrà a reperire risalendo lungo il margine interno del colon ascendente. Con l’eminenza tenar ed ipotenar della mano esterna ci si pone a livello della relazione tra diaframma ed angolo colico. Con l’eminenza tenar ed ipotenar della mano interna si aggancia tutto il colon ascendente avendo cura di scostare le anse intestinali. A questo punto si cerca di sentire dove arriva la trazione sulla mano esterna che funge da punto fisso. Quando si percepisce di essere sul legamento si effettua un test in allungamento meccanico diretto e se si sente una resistenza si effettua una tecnica correttiva in modalità di allungamento meccanico diretto o mediante recoil nella direzione del legamento. NB: è necessario essere ben posizionati perchè se si è scomodi non si è in grado di sentire. 5. Legamento colico frenico di sin L’angolo colico sin è più alto e più post rispetto al dx, quindi è conveniente reperire la milza. NB: l’angolo colico sin è sotto la milza. Mano craniale, ci si posiziona sulla proiezione della milza mano caudale, si aggancia il colon discendente e l’emicolon trasverso di sin. Bloccando con la mano craniale diaframma e milza si traziona con la mano caudale verso il basso ricercando la congruenza del legamento tra le mani (soprattutto sulla mano craniale). In presenza di una retrazione di mobilità si effettua una tecnica di allungamento meccanico diretto oppure un recoil nella leg colico frenico sin: milza, Test di allungamento direzione del colon disc. e trasverso. e trattamento legamento. 6. Legamento parieto-colico esterno È il corrispettivo del parieto-cecale esterno.

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Mano craniale, si blocca la fossa iliaca; mano caudale, si prende il margine interno del colon iliaco. A questo punto, tenendo blocblocco della repere del colon test di allungamento del cata la fossa fossa iliaca iliaco interno leg. parieto colico esterno iliaca si testa in allungamento meccanico diretto il 7. Mesocolon legamento ed in caso sigmoideo di resistenza lo si tratHa due direziMesocolon ta con la medesima oni di inserzisigmoideo: tecnica o mediante one: porzione recoil nella direzione 1. orizzontale orizzontale del legamento. che va verso il La presa può essere margine int del effettuata in vari colon iliaco. modo l’importante 2. verticale è essere nella giusta del mesocolon variante direzione. iliaco. Mano caudale, si prende il margine interno del colon iliaco e lo si fissa, mano craniale, ci si pone a livello dell’ombelico (=punto di repere), come posizione è più o meno dove l’aorta si biforca nelle arterie iliache. A questo punto andando in profondità ci si sposta piano piano con entrambe alla ricerca repere margine int mano craniale a livello delle fibre che si possono andare colon iliaco dell’ombelico ad allungare prima percorrendo tutta la porzione orizzontale del mesocolon iliaco e poi la porzione verticale, arrivando nel solco del retto come proiezione: è proprio in questo punto che si scende e si procede ad allungare. NB: è un test che ricorda test di allungamento ricerca delle porzioni quello dell’uraco, ma è del mesocolon orizzontale e verticale più profondo perchè si sigmoideo devono superare le anse intestinali e mentre per l’uraco si andava sul pube, qui si va sulla fossetta del retto perchè è necessario contattare il colon quando esso diventa sigmoideo. NB: il test di allungamento può essere eseguito tutto insieme o un pezzetto per volta. Inoltre, ai fini dell’esecuzione del test, è molto importante eseguire i test a vuoto per poi capire quando si percepisce una sensazione di “pieno” ed allora si è veramente sulla struttura che si vuole testare. 210

porzione verticale Test di mobilità È un test che viene eseguito dopo la palpazione e/o dopo un test di pressione pertanto già si conosce quale può essere la zona che ci interessa. È un test che viene eseguito sulle singole porzioni: 1. Cieco: una volta reperito ci si mette in test di mobilità del cieco ascolto ed in un tempo di Insp si induce il movimento fisiologico di discesa, RI e di inclinazione da dx verso sin. Quindi in un tempo di Esp si induce il movimento fisiologico opposto cioè, salita, RE ed inclinazione da sin verso dx. Alla fine si valuta quanto il cieco si lascia trasportare qualitativamente nelle due direzioni.

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NB: la medesima cosa può essere effettuata contemporaneamente sul cieco e sul colon iliaco (perchè entrambi effettuano gli stessi movimenti nelle fasi di INsp ed Esp andando solo ad invertire le inclinazioni).

test di mobilità del cieco e del colon iliaco

2. Colon ascendente e discendente: si reperisce il margine interno del colon ascendente e discendente lasciando fuori il tenue. Ci si mette in ascolto ed in un tempo di Insp entrambe le strutture scendono verso il basso, effettuano una RE e si avvicinano alla linea mediana. Successivamente si valuta quanto si lasciano portare in quella direzione. Poi in un tempo di Esp le due strutture effettuano un movimento opposto e si valuta quanto si lasciano portare in quella direzione. Alla fine si test di mobilità colon ascendente e discendente: paragonano i 1° e 2° modalità due movimenti e si valuta se si è in presenza di una disfunzione (che poi verrà trattata).

3. Colon trasverso: conosciuta la posizione del colon trasverso dalla palpazione e dal test di prestest di mobilità colon trasverso sione si posizionano le mani nelle proiezioni degli emitrasversi di dx e di sin e ci si mette in ascolto. Durante un tempo di Insp il colon trasverso scende, si anteriorizza e va un poco verso sin. Quindi si valuta quanto si fa trasportare in quella direzione. Durante un tempo di Esp il colon trasverso sale, si posteriorizza e va un poco verso dx. Quindi si valuta quanto si lascia trasportare in quella direzione. Alla fine si paragonano le due situazioni ed eventualmente, se c’è, si denomina una disfunzione nel senso della maggiore ampiezza e la si tratta. 4. Colon retto: il test di mobilità non viene eseguito; infatti in un tempo di Insp il colon retto si verticalizza e scende un poco eseguendo un movimento che è più in relazione con il pavimento pelvico. Pertanto sul retto si ha più interesse ad eseguire un test tessutale. Es per Pz con emorroidi si lavora non solo sul retto, ma anche sul fegato (se c’è una restrizione anche secondaria sul retto si tratta in allungamento). NB: per tutti i tratti del colon in presenza di una disfunzione la si può ridurre con 1. tecnica funzionale (in relazione al tipo di Pz che si ha di fronte) 2. tecnica meccanica (in relazione al tipo di Pz che si ha di fronte) Oppure si possono trattare prima i legamenti e poi ridurre la disfunzione. 212

Scollamenti Sono diversi dalle aderenze. Possono essere eseguiti sia sul colon che sul tenue. 1. Colon: a livello del colon le zone più soggette ad essere scollate sono quelle del colon ascendente e discendente perchè sono le più stabili. Nell’eseguire il test di mobilità non si percepisce per es. un vero e proprio blocco, ma una cattiva qualità del movimento, si ha un accollamento globale nei confronti del quale sarebbe più efficacie uno scollamento piuttosto che una tecnica funzionale indiretta per restituirgli una libertà meccanica. La tecnica si esegue con il Pz in decubito laterale opposto rispetto al lato da trattare. Si individua il margine interno del colon ascendente, si aggancia la porzione di colon e si entra in profondità sganciandolo dalla fascia di Toldt in tutte le direzioni (es. rotazione interna, esterna, etc) oppure lo si può scollare rispetto al tenue, al cieco. Pertanto in questi ultimi due casi si spostano le mani. Dove si percepisce un accollamento si può eseguire anche un recoil. NB: per aiutarsi ad entrare si possono anche far piegare le gambe. La fascia di Toldt, fatta per stabilizzare, è più facile che vada ad accollarsi piuttosto che rilasciarsi. La funzione, quindi, (=nel caso specifico il tenere) può diventare patologia (=accollamento).

repere margine int del colon ascendente

scollamento colon ascendente

scollamento del colon ascendente

scollamento colon ascendente rispetto al tenue

scollamento del colon rispetto al tenue e trattamento mediante recoil

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scollamento del colon ascendente rispetto alla parete posteriore ed alla fascia di Toldt 2. Tenue: Pz supino con l’Osteopata alle sue spalle. La presa è molto simile alla manovra dinamogenica: si aggancia il tenue con entrambe le mani e si entra in profondità entrando in tutte le direzioni. Si può lavorare anche con il Pz in decubito laterale: nel caso in cui si lavori sul fianco sin si può arrivare fino alla radice del mesentere (pertanto questo può essere un lavoro di approccio alla radice del mesentere). Controindicazioni: dolore e patologie.

scollamento del tenue anche .........

......rispetto al colon (varie modalità) scollamento el tenue: tecnica da NON eseguire agli esami

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Nota a margine della prof.ssa Menichelli: come si lavora in osteopatia? È necessario studiare in maniera metodica, ma bisogna avere un approccio più legato alle esigenze del Pz e del tessuto.

sem 5_Apparato urinario L’apparato urinario svolge nel suo complesso una funzione emuntoria essendo deputato ad allontanare dal circolo sanguigno e riversare all’esterno prodotti del metabolismo, in particolare, i prodotti azotati dati dalla degradazione delle sostanze proteiche. Inoltre rappresenta la via di eliminazione di molti ioni (sodio, potassio, fosfati) e dell’acqua. Pertanto è un organo che interviene nella regolazione del Ph, dell’equilibrio idrosalino e della pressione sanguigna. L’apparato urinario è formato da 2 reni a cui fanno seguito le vie urinarie. I reni sono: deputati alla formazione dell’urina hanno una funzione endocrina (secernendo renina, eritropoietina e prostaglandine): quindi entrano in relazione con altri organi. Anatomia I reni sono organi extraperitoneali circondati da una capsula adiposa e posti ai lati della colonna vertebrale, a livello della cerniera dorso-lombare e delle fosse lombari, dietro al peritoneo parietale post; per questo motivo non sono inseriti nel test dei 9 quadranti, ma in un test specifico (si apprezza bene in proiezione sagittale). Hanno quindi una relazione molto importante con la colonna vertebrale, le coste e le creste iliache. Il rene può essere palpato sia per via anteriore che per via posteriore. Mentre in passato si prediligeva la via post perché il tragitto è più breve (ma le masse muscolari sono più marcate), oggi si preferisce un approccio per via ant dove, pur essendo il tragitto più ampio le strutture da attraversare (anse intestinali) sono più mobili. Il rene è palpabile solo quando è ingrandito: esso appare come una massa liscia. Rispetto al rachide la zona renale si estende dal margine inferiore di D11 al margine superiore di L3. il rene dx è più basso del sin di circa 2 cm per il rapporto che contrae con il fegato. In termini di repere ci troviamo a livello della zona ombelicale, ma ponendosi leggermente più in basso per la palpazione del rene dx. Anteriormente la cartilagine di K9 è un buon punto di riferimento per la palpazione dei poli superiori. L1 è un buon riferimento per il bacinetto renale e per la pelvi renale perché i vasi renali, in particolare l’a. renale, esce dall’aorta subito sotto l’a. mesenterica sup. Quindi a livello di L1 si trovano bacinetto, pelvi, arteria e vena renale (=ilo). È un organo difficile da reperire e da trattare, ma di notevole importanza da un punto di vista strutturale per la sua relazione con il sistema parietale. È importante per l’alta frequenza di disfunzioni cui va incontro. Infine è molto importante anche da un punto di vista emodinamico perché al suo interno passa circa il 21% della gittata cardiaca: quindi svolge un lavoro energetico molto importante nella filtrazione del sangue, oltre a gestire la buona circolazione dei liquidi corporei. Ha la forma di un fagiolo lungo circa 12 cm, largo 6 cm e spesso 3 cm, di un colore rosso bruno e con un peso di circa 150 gr. Presenta una faccia ant convessa, una faccia post, un polo superiore (11° spazio intercostale a dx e K11 a sin) ed un polo inferiore (a livello di L3), un margine laterale convesso ed un margine mediale concavo a livello del quale si trova l’ilo renale (con arteria, vena ed uretere andando dall’alto verso il basso e dal davanti verso dietro). L’asse del rene è obliquo basso-avanti-fuori quindi “sposa” il decorso del m. psoas che funge da binario nei movimenti fisiologici durante la respirazione (per es. alcuni fanno reperire il rene partendo dal reperaggio dello psoas). Ciascun rene è avvolto da una capsula adiposa ed è contenuto in una loggia fibrosa detta “loggia renale” delimitata da una fascia connettivale. Quest’ultima rappresenta una differenziazione del tessuto connettivo retro peritoneale: la fascia trasversalis, che in vicinanza del rene costituisce la fascia renale (quindi è una continuazione della fascia trasversalis). In corrispondenza del margine laterale del rene la fascia renale si sdoppia in due foglietti: 1. ant o prerenale: è assai più sottile di quella post ed è quasi interamente coperta dal peritoneo parietale post (=fascia di Told; infatti la fascia di Told, che fissa il colon alla parete parietale post, va a rinforzare la fascia prerenale: quindi in sostanza contribuisce alla stabilizzazione del rene) e prosegue congiungendosi al davanti della colonna e dei grossi vasi prevertebrali con il foglietto controlaterale. In conclusione i due foglietti anteriori dei due reni sono in continuità tra di loro. 215

2. post o postrenale: è più spesso e resistente di quello ant. Passa dietro al rene aderendo parzialmente alla fascia dei mm. quadrato dei lombi e psoas e va a fissarsi alla superficie laterale dei corpi vertebrali e dei dischi intersomatici corrispondenti. Anche in questo caso i due foglietti posteriori dei due reni sono in connessione tra loro andandosi a fissare ai lati delle vertebre: pertanto c’è una relazione strutturale diretta molto importante tra rene e colonna vertebrale. NB: superiormente i due foglietti ant e post si riuniscono al di sopra della ghiandola surrenale e si fissano al diaframma attraverso un legamento (si tratta di un legame connettivale molto forte). In basso, invece, i due foglietti rimangono distinti: quindi ogni loggia renale è chiusa lateralmente e superiormente, invece è aperta inferiormente e comunica con la controlaterale medialmente. NB 2: a prescindere dall’anatomia comunque clinicamente il rene ha una facilità ad andare verso il basso. Oltre alla fascia renale il rene è mantenuto in sede dal peduncolo vascolare (questo però da un punto di vista medico e non osteopatico), dalla positività della pressione addominale e dalle connessioni con gli altri organi vicini. NB: un rene basso che ha una buona mobilità è meno problematico di un rene normoposizionato, ma che ha perso la sua mobilità. Rapporti anatomici I rapporti anatomici del rene, mediati dalla capsula adiposa e dalla fascia renale, sono uguali per entrambi i lati posteriormente, mentre sono diversi tra dx e sin anteriormente. sin 1. anteriormente: dx lobo dx del fegato (dove c’è un impronta faccia viscerale della milza (con relativa del rene), impronta renale), angolo colico dx, coda del pancreas, Du 2 ed anse intestinali borsa omentale (che divide il rene dallo stomaco) angolo duodenodigiunale 1. posteriormente: colonna vertebrale da D12 a L2 (D11-L3 a dx) K11-K12: il rapporto con K11 è più forte a sin perché il rene dx è più basso. Ciò nonostante c’è l’impronta della costa anche sul rene dx diaframma m. psoas, fascia iliaca e m. quadrato dei lombi NB: posteriormente la palpazione del rene è resa più difficile dalla presenza delle masse muscolari. Fa eccezione l’angolo costo-vertebrale, che rappresenta un punto di debolezza del m. trasverso dell’addome e del m. quadrato dei lombi. Questa condizione rende un poco più facile l’accesso al polo sup del rene. L’angolo costo-vertebrale è un punto riflesso di dolorabilità del rene ed è a questo livello che si esegue la manovra di Giordano. 3. internamente: c’è il passaggio della catena laterovertebrale. c’è il passaggio di: 1. esternamente: XII n. intercostale n. ileoipogastrico giustificano quadri patologici in Pz con problemi renali n. femorocutaneo n. genitocrurale

}

Il polo sup di ciascun rene è ricoperto dalla rispettiva ghiandola surrenale che si spinge anche sul margine mediale e sulla faccia anteriore. Questo rapporto anatomico molto stretto giustifica anche le disfunzioni renali legate allo stress. Il polo inf dista dalla cresta iliaca rispettivamente 3 cm a dx (circa 2 dita e mezzo) e 5 cm a sin (circa 3 dita). Conformazione interna Il rene è rivestito da una capsula fibrosa data da una membrana connettivale dalla cui superficie interna si dipartono esili tralci (in cui passano vasi e nervi), che si addentrano brevemente nel parenchima renale (similitudine con il fegato). All’esame in sezione frontale si distinguono due zone: 1. corticale: di colorito giallastro, rappresenta la superficie dell’organo, ma si spinge anche tra le piramidi 216

con le colonne del Bertin 2. midollare: di colorito rossastro e di aspetto striato è organizzata in 8-18 formazioni coniche dette piramidi renali di Malpighi, che con la loro base periferica continuano nella sostanza corticale, mentre con il loro apice sporgono con le papille renali nel seno renale. L’estremità libera delle papille (=area cribrosa) presenta 15-30 forellini (forami papillari) che corrispondono allo sbocco dei dotti papillari. Il rene è formato da un parenchima e da uno stroma, entrambi importanti. Il parenchima è costituito da un insieme di unità funzionali: i nefroni. Lo stroma è di natura connettivale e contiene vasi sanguigni, linfatici e le terminazioni nervose. Il parenchima è costituito dai nefroni ai quali è legata la funzione uropoietica (=produrre urina) e da un sistema di dotti escretori che convogliano l’urina verso l’apice delle piramidi renali e quindi nei calici. I nefroni sono in numero di circa 1 milione per ogni rene. Il nefrone è costituito da un corpuscolo renale (di Malpighi) e da un tubulo renale. Inoltre si distinguono nefroni corticali (85%) e nefroni iuxtamidollari, situati vicino alla midollare. I tubuli renali lunghi iniziano a fondo cieco e dopo un decorso complicato terminano nel sistema dei dotti escretori. L’estremità distale dei tubuli si dispone come un calice intorno ad un gomitolo di capillari. Il calice prende il nome di capsula di Bowmann, mentre il gomitolo vascolare prende il nome di glomerulo. Capsula e glomerulo formano insieme il corpuscolo renale. Il tubulo presenta una prima parte detta tubulo convoluto prossimale poi una parte ad ansa detta ansa di Henle e poi una porzione detta tubulo convoluto distale ed infine assume un andamento rettilineo diventando dotto collettore. I sottili dotti collettori si uniscono tra loro a formare dotti più ampi ed infine sboccano in una ampia cavità centrale della pelvi renale, situata alla base di ciascun rene (sull’ilo). La pelvi renale continua con l’uretere, che sbocca nella vescica. Il glomerulo Il sangue entra nel rene con l’a. renale (che nasce subito al di sotto dell’a. mesenterica sup a livello di L1) che, penetrando nel parenchima renale dell’organo si suddivide in rami sempre più piccoli. Ciascuna piccola arteria emette una arteriola afferente che forma un batuffolo di capillari: il glomerulo è avvolto dalla parete epiteliale che forma la capsula di Bowmann. I capillari glomerulari riescono a formare capillari venosi, si ricostituiscono a formare una arteriola efferente, che formerà una serie di capillari peritubulari intorno al tubulo restando intimamente in connessione con questo. Infine si riuniscono a formare i capillari venosi con cui il sangue lascia il rene. L’intimo rapporto esistente tra il tubulo ed i capillari peritubulari permette il passaggio di materiali tra il plasma ed il sangue nelle due direzioni. In conclusione: dal tubulo ai capillari avviene il riassorbimento dai capillari al tubulo avviene la secrezione Innervazione È sia ortosimpatica che parasimpatica. 1. Ortosimpatico: tramite i nn. grande e piccolo splancnico: D10-L1 rene, D8-D11 surrene 2. Parasimpatico: tramite il n. vago dx dopo avere fatto sinapsi con il plesso celiaco ed il mesenterico sup. NB: secondo alcuni testi il rene non ha una innervazione vagale. Vascolarizzazione Le aa. renali dx e sin sono rami dell’aorta addominale che nascono subito sotto all’a. mesenterica sup, cioè a livello di L1. Le vene renali drenano in vena cava inf. NB: una particolarità è che mentre le vene testicolari, spermatica ed ovarica di dx drenano direttamente in vena cava inf, quelle di sin drenano nella vena renale sin: ne consegue che se c’è una difficoltà di drenaggio a livello della vena renale sin si avranno probabilmente delle problematiche a livello della sfera sessuale es. varicocele, dolore alle grandi labbra, impotenze. La vena renale sin è attraversata sopra a ponte dall’a. mesenterica sup, pertanto in caso di ptosi di utero o di tenue si avrà una trazione dell’a. mesenterica sup con conseguente problematica della vena renale sin ed a seguire problematiche della sfera sessuale.

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Fisiologia La formazione di urina inizia con la filtrazione del sangue che, quasi completamente privato della sua componente proteica, attraversa le pareti dei capillari per entrare nella capsula di Bowmann. L’urina iniziale e quella finale sono molto diverse tra loro a causa o per merito della filtrazione. Infatti l’urina è profondamente diversa dal filtrato glomerulare perché questo, mano a mano che scorre nel tubulo viene modificato nella sua composizione: tale modificazione avviene ad opera del riassorbimento e della filtrazione. NB: la permeabilità delle ultime porzioni dei tubuli è sotto il controllo fisiologico dell’ormone ADH (vasopressina o antidiuretico) prodotto a livello dell’ipotalamo. In assenza di questo ormone la permeabilità dei tubuli all’acqua è assai bassa e questo fa si che l’acqua diventi incapace di seguire il sodio e resti nel tubulo per essere escreta: ne consegue la formazione di notevoli quantità di urina. La corteccia surrenale produce un ormone, l’aldosterone, che stimola in modo specifico il riassorbimento del sodio da parte dei tubuli distali (ed indirettamente dell’acqua). La secrezione dell’aldosterone è controllata da riflessi che coinvolgono i reni. Infatti: 1. le cellule specializzate della tunica intima delle arteriole interrenali sintetizzano e secernono nel sangue una proteina detta renina, che fa si che dall’angiotensinogeno si distacchi un piccolo polipeptide, l’angiotensina. 2. l’angiotensina è un potente stimolatore della secrezione di aldosterone surrenale. 3. l’angiotensinogeno è sintetizzato dal fegato, ma si trova sempre nel circolo ematico. In conclusione c’è una stretta relazione tra ipotalamo, ipofisi, rene e surrene. Cosa fa la renina? è uno stimolatore dei nervi simpatici renali diminuisce il volume del liquido extracellulare riduce la quota di sodio corporeo Nell’uomo il volume medio di liquido filtrato nella capsula di Bowmann è di circa 180 litri al giorno. Se nell’uomo somo presenti circa 3 litri di plasma, questo vuol dire che tale volume viene filtrato dai reni circa 60 volte al giorno. Questa capacità di trattare il plasma spiega le funzioni di escrezione fondamentale di questo organo: quindi c’è un grande lavoro svolto da questo organo e quindi un grande dispendio energetico. La secrezione di ADH e PTH L’ADH viene prodotto da una serie di neuroni ipotalamici che con i loro assoni terminano nell’ipofisi post e da qui viene liberato nel sangue (asse ipotalamo-ipofisi). Le cellule ipotalamiche per poter secernere l’ADH ricevono input da numerosi barocettori vascolari, in particolare da un gruppo di questi localizzati a livello dell’atrio sin (infatti l’atrio sin detiene il polso della situazione della pressione sanguigna). Quindi in caso di: 1. aumento di pressione atriale i recettori venendo stimolati inducono, tramite le vie ascendenti all’ipotalamo, una inibizione della produzione di ADH. 2. diminuzione della pressione atriale i recettori inviano segnali all’ipotalamo per incrementare la sintesi e la liberazione di ADH. In conclusione c’è una stretta relazione tra cuore e rene. Ma quando nell’anamnesi si trovano sintomi renali è necessario pensare anche alle relazione con cuore, fegato, milza, duodeno, colon, fascia di Told, colonna vertebrale, tenue, organi genitali ed asse ormonale. Inoltre il PTH (ormone ipercalcemizzante), secreto dalle paratiroidi e sotto il controllo diretto della concentrazione di calcio nel liquido extracellulare che bagna le cellule di queste ghiandole, aumenta il riassorbimento tubulare di calcio e ne diminuisce l’escrezione urinaria. Quindi questa relazione può spiegare anche la sintomatologia di tipo crampiforme. Sintomatologia Dolore dorsale ed intercostale basso: per il SNV, il 12° n. intercostale e le relazioni con le coste. Dolore lombare per l’aggancio della fascia retro renale sulla colonna lombare. Dolore cervicale basso per la relazione embriologica e fasciale diretta. Nevralgia del 12° n. intercostale, n. addomino-genitale, n. genito-crurale, n. femoro-cutaneo, n. crurale 218

e n. otturatorio. Ne consegue irradiazione ai genitali esterni, alla faccia laterale della coscia, alla faccia ant della coscia ed alla regione mediale del ginocchio. Contrattura bilaterale dei mm. psoas e/o quadrato dei lombi. Prurito agli arti per accumulo di tossine provenienti dalla degradazione dei prodotti azotati (> arti inferiori: caviglie). Edema e gonfiore a mani ed AAII e sottopalpebrale perché c’è una cattiva gestione dei liquidi. Sete ed oliguria per cattiva gestione dei liquidi. Infezioni genitali per la vicinanza con intestino o per il ristagno vescicale. Congestione pelvica. Astenia perché la filtrazione richiede molta energia. Ipertensione arteriosa perché è legato alla regolazione della pressione arteriosa assieme al cuore. Fisiologia osteopatica Mobilità renale: il rene si muove attorno ad un asse obliquo diretto basso-avanti-fuori seguendo il binario del m. psoas. In INsp il rene scende di 2-3 cm, si allontana dalla linea mediana, si anteriorizza e realizza una RE (la faccia anteriore guarda verso l’esterno). A fine Insp fa una piccola RI per allungamento del peduncolo vascolare. Questo è interessante perché nelle ptosi mediche patologiche il rene va in RI indotta dal peduncolo vascolare. Da un punto di vista osteopatico il rene dx è più in relazione con il fegato, il quadro colico ed il duodeno, quindi ha un interesse più metabolico-digestivo. Il rene sin invece, ha più relazione con la sfera urogenitale grazie alle sue relazioni vascolari con milza, ovaio ed organi genitali (per le sue relazioni vascolari). Palpazione Per palpare il rene ci sono due vie di accesso: 1. via anteriore: la più utilizzata. Si devono attraversare circa 1,5 cm di parete muscolare e 10 cm di organi molli. 2. via posteriore: attraverso la parete muscolo-scheletrica spessa circa 8 cm mediante la via di accesso fornita dall’angolo costo vertebrale a livello di L1. Ptosi renale È una patologia molto frequente, soprattutto tra le donne. Infatti secondo Barral il 25% delle donne dopo i 50 anni ha una ptosi renale e con maggiore frequenza a carico del rene dx. Ptosi renali gravi a volte danno meno sintomi di quelle lievi (un po’ come le disfunzioni di caviglia). Le ptosi osteopatiche sono disfunzioni osteopatiche e possono non corrispondere alle ptosi di tipo medico. Forse solo la ptosi di 3° grado corrisponde ad una ptosi medica. Come accennato le ptosi più frequenti sono quelle a carico del rene dx: questo accade a causa della relazione che esso ha con fegato, cieco e colon ascendente. Una appendicectomia può causare un’aderenza al peritoneo parietale post e laterale. Anche il colon ascendente perde la sua mobilità. Il rene è strettamente collegato alla fascia di Told: questo fa si che ci sia una sua trazione verso il basso. Inoltre il rene dx è in relazione con il fegato. Il fegato dipende per sostegno e mobilità dal diaframma. Il diaframma per funzionare bene ha bisogno di una adeguata plasticità pleurale. Disturbi polmonari fanno perdere al diaframma il suo normale tono e così il fegato va in disfunzione ed il rene viene spinto dall’alto verso il basso con conseguente ptosi. Per es con una di disfunzione di costa la possibilità di espansione della cavità pleurica è limitata e questa condiziona la mobilità del diaframma. Anche una isterectomia può far si che il tenue ed il colon si spostino verso il basso per prendere il posto dell’utero: questo comporta una trazione meccanica del rene verso il basso. Il rene sin è collegato al dx dalla fascia renale, ma non va in ptosi velocemente, infatti può scendere in basso nel corso degli anni. Inoltre le cicatrici del colon sono meno frequenti.

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Confronto tra rene dx e sin dx È più “digestivo”, cioè è più legato alle funzioni metaboliche vista la relazione con fegato, duodeno e colon. La ptosi del rene dx è maggiormente correlata al fegato ed al colon ed aumenterà i sintomi intestinali a causa degli spasmi riflessi e delle irritazioni meccaniche dirette. Il Pz potrà lamentare dolore al cieco simile a quello dell’appendice.

sin È più legato a alle funzioni urogenitali. Non si relaziona al sistema digerente se non per uno spasmo della flessura duodenodigiunale che il Pz riferisce come un mal di stomaco. Può dare problemi all’ovaio ed al testicolo. È connesso alle disfunzioni della sfera sessuale (forse in relazione al sistema circolatorio). Ha una forte componente emotiva pertanto si può trovare una disfunzione di rene sin in presenza di notevoli condizioni di stress, ma più che una disfunzione è espressione di un adattamento fisiologico.

Valutazione emozionale Cosa è il rene sul piano emotivo in relazione a ciò che si è detto dal punto di vista anatomo-fisiologico? 1. eliminazione-emunzione. 2. è un organo profondo retroperitoneale quindi recherà con sé emozioni profonde 3. è un organo che richiede un grande dispendio energetico (filtra circa 180 litri di sangue al giorno); l’energia profonda, quella di riserva che ci aiuta ad uscire dalle grandi difficoltà fisiche ed emotive 4. è legato anatomicamente alle ghiandole surrenali e quindi allo stress: si libera adrenalina in condizioni di allarme, di fuga, di sopravvivenza 5. è legato ad emozioni profonde, vitali ed a tutto ciò che mette in pericolo la sopravvivenza: traumi gravi, dimagrimenti rapidi, paura esistenziale profonda ed ancestrale della morte 6. paura reattiva che viene provocata da un evento vissuto con connotazione negativa 7. forte insicurezza, la persona non si sente mai al sicuro 8. paura dell’abbandono, rabbia profonda nascosta dentro ciascuno di noi: è un organo legato ai legami familiari profondi 9. bisogno di superare se stessi 10. pessimismo e stanchezza come slancio e brio a seconda che si sia in aumentata o ridotta attività renale 11. alcune forme depressive possono essere correlate a problemi renali 12. ci sono poi differenze emozionali tra il rene dx e quello sin: il dx è legato alla rabbia per le connessioni con il fegato e la colecisti, ma è una rabbia profonda, covata all’interno. Il sin è legato alla sfera urogenitale quindi è legato alla genitorialità ed al rapporto genitori-figli. Pratica I reperi teorici della zona renale sono: 1. D11-D12/L3 posteriormente 2. K9 anteriormente (dove si trova il polo superiore) 3. pelvi renale a livello di L1 4. polo inferiore a livello di L3 (zona ombelicale) 5. il rene dx è più basso del sin che si trova a livello dell’angolo duodenodigiunale.

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Palpazione Ci si posiziona leggermente al di sotto dell’ombelico, tra il margine laterale di Du 2 ed il colon ascendente come zona di proiezione. La mano sin è posta posteriormente tra la 12° costa, la cresta iliaca e la colonna lombare in modo da anteriorizzare il rene quando si va ad effettuare la palpazione così da avere un migliore accesso al polo inf. Con la mano dx si inizia ad entrare in profondità superando il piano peritoneale ed orientandosi sul binario dello psoas per poi risalire leggermente, mentre contemporaneamente con la mano post si cerca di anteriorizzare. Si scende in profondità per palpare, ma a meno che non ci sia una problematica il rene difficilmente sarà facilmente palpabile. Si dovrà ricercare una consistenza liscia ed una forma che ricordi il polo inf di uno “pseudo fagiolo”.

mano sin

mano dx

Per il rene sin ci si pone a sin e si reperisce l’angolo duodenodigiunale con direzione dentro-dietro (verso il margine mediale dell’addome). Poi ci si dispone leggermente di lato rispetto all’angolo duodenodigiunale (pertanto si è più alti rispetto a quanto fatto per il rene dx) e con la mano dx disposta posteriormente tra la 12° costa, la cresta iliaca e la colonna vertebrale lombare si anteriorizza il rene in modo da facilitarne la palpazione anteriormente. NB: la palpazione della loggia renale deve essere preceduta da una palpazione più grossolana dell’addome in modo da escludere masse e quanto altro non sia fisiologico.

la prof cambia mano perché ha iniziato

repere dell’angolo duodeno digiunale

direzione dentro-dietro

mani corrette

il test a dx del Pz

Test di pressione Mano disposta anteriormente come visto per il reperimento con tenar ed ipotenar a livello del polo inf del rene. Si va a sentire la resistenza tessutale della loggia renale nella direzione del rene dx e sin.

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rene sin

La difficoltà del test di pressione è il suo inserimento nell’ambito del test dei 9 quadranti, infatti si possono avere varie zone renali. Es 1: se si sta testando ipocondrio sin e non è stomaco, né milza, né angolo colico, si deve pensare che a livello di tenar-ipotenar molto posteriormente c’è una parte del polo sup del rene. Quindi a questo punto vale la pena inserire un test sul rene. Es 2: se si ha positivo un fianco sin alla palpazione dell’addome, ma la sensazione di resistenza è maggiore a livello mediale, in zona tenar allora vale la pena inserire un test sul rene. Es 3: se al test di pressione dei 9 quadranti ho un mesogastrio positivo che non è superficiale, non è duodeno, né pancreas allora si deve valutare se possa essere rene. Es 4: se al test di pressione dei 9 quadranti si ha una fossa iliaca positiva e testando i vari visceri non si percepisce nulla allora ci si può mettere nella posizione del rene. NB: se si è nella giusta direzione del rene si ha una sensazione di pieno. Il test di pressione dei 9 quadranti precede la palpazione perché in questo modo vado a valutare solo ciò che ha attirato l’attenzione della mano dell’osteopata. 222

Test di mobilità Si parla di mobilità del rene in termini di ptosi. In realtà non c’è concordanza tra ptosi medica ed osteopatica. Infatti per i medici la ptosi vuol dire perdita della posizione del rene mentre per l’osteopata è una perdita di movimento. La ptosi di 3° grado è in realtà già una ptosi di posizione, infatti nel repere si può trovare un rene più basso rispetto a quello che ci si sarebbe aspettato.

INsp > scende, si allontana dalla linea mediana, si anteriorizza e fa una RE

Esp > sale, si avvicina alla linea mediana, si posteriorizza e fa una RI

Ptosi di 1°: se si inizia con un test di pressione come ingresso il problema non si pone perché avendo già testato e bilanciato si è sicuri che il problema sia proprio lì. Allora ci si pone sul livello della mobilità e si sente che in Insp il rene scende un poco di più rispetto a quanto dovrebbe fare un rene normale, ma comunque risale anche. Ptosi di 2°: è un rene che in INsp scende, si allontana dalla linea mediana e si anteriorizza. Durante l’espiro ha una netta disfunzione di mobilità in quella direzione di risalita verso la linea mediana. Ptosi di 3°: è un rene che in INsp scende oltre la capacità del peduncolo vascolare che, a questo punto, lo traziona all’interno facendo fare una RI e perdendo il binario dello psoas. Pertanto al test di pressione il rene è già più basso. Al test di motilità in INsp scende, ma fa una RI e va verso la linea mediana; in Esp ha una netta restrizione a tornare verso la posizione iniziale. NB: pertanto al test di mobilità l’unico dubbio può essere con la ptosi di 1°, gli altri due tipi di ptosi danno informazioni molto chiare. Manovra di Giordano È una manovra medica, diagnostica. È una percussione sull’angolo costo-vertebrale, mettendo una mano come interposizione per attutire il colpo, in modo da creare una vibrazione. Il test è positivo al dolore: pertanto si può considerare già la presenza di una componente di irritazione delle fasce e quindi il trattamento richiederà cautela, oppure in presenza di altri sintomi, sarà bene inviare il Pz dal medico per gli appositi approfondimenti del caso.

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Angolo costo-vertebrale o “punto di Guyon” È un punto riflesso del rene (che abbiamo già visto per i pilastri del diaframma e per il riflesso vescicolare). Ci si posiziona con il pollice e si effettua una compressione con direzione avanti-dentro verso il polo sup del rene (con i pilastri si andava più verso la vertebra, mentre con la vescicola biliare si va più in avanti ed un poco in alto). È positivo al dolore, ma per essere indicativo di problematica renale devono esserci altri elementi positivi: es test di pressione, test di mobilità. È un punto di accesso della fascia retrorenale.

Lavoro sulle fasce Fascia postrenale 1° modalità: Pz in decubito laterale con le gambe flesse. Si posiziona il pollice della mano caudale a livello dell’angolo costo-vertebrale ed il gomito sul gluteo, mentre con l’altra mano si prende il Pz.

L’intento è quello di andare a lavorare nell’angolo costo-vertebrale ed andare a creare un rilassamento a questo livello. Si può lavorare o prima con la leva sup e poi quella inf, o viceversa, o con entrambe andando a cercare gli srotolamenti che consentono di entrare più facilmente nell’angolo costo-vertebrale e creare un rilassamento tessutale.

mano craniale_presa 1

mano craniale__presa 2 Si può agire con la vibrazione, con lo srotolamento, in dondolio con il Pz. Importante è entrare in risonanza” con il Pz il più possibile in modo da riuscire ad “ammorbidire” il tessuto.

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mano craniale__presa 1

gambe__simil chiusura in chiave

mano craniale__presa 2

f è riduttivo lavorare solo con il dito invece che con tutto il corpo del Pz

2° modalità: Pz in decubito prono. L’Osteopata è con il pollice della mano esterna sull’angolo costovertebrale, mentre con l’altra mano prende l’AI corrispondente del Pz, ed effettua una compressione fino all’angolo costo-vertebrale. Ora ci sono varie possibilità: a. srotolamento fasciale dell’AI mantenendo il punto fisso sull’angolo costo-vertebrale, b. vibrazione utilizzando l’AI mantenendo il punto fisso sull’angolo costo vertebrale. NB: bisogna entrare in risonanza con il Pz per poter scegliere la vibrazione a lui più idonea (lat-lat oppure alto-basso). Quando è corretta si deve sentire solo fluidità senza resistenza.

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3° modalità: Pz in decubito supino con il pugno della mano posizionato a livello dell’angolo costovertebrale del lato corrispondente.

L’Osteopata prende l’AI del Pz, flette il ginocchio, esegue una RE dell’anca e riporta l’arto in basso fuori dal lettino oppure disteso sul lettino.

NB: in questo modo si effettua una specie di srotolamento dell’angolo costo-vertebrale (o meglio della fascia renale). 4° modalità: il Pz è seduto e la tecnica da eseguire è la stessa di quella utilizzata per lo srotolamento dei muscoli paravertebrali (= pilastri) con direzione avanti-alto-dentro. presa 1 presa 2

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Fascia Prerenale Il Pz è in decubito supino. L’Osteopata si posiziona con la mano esterna sul rene, mentre con la mano interna aggancia l’AI da sotto il ginocchio. Dopo avere effettuato una compressione dell’AI fino al rene si può procedere in due modi: 1° modalità: srotolamento dell’AI 2° modalità: vibrazione. È importante trovare la direzione e la frequenza di vibrazione.

Riduzione delle disfunzioni renali Ptosi di 1° grado È una condizione in cui il rene scende un poco di più del normale, ma comunque risale. Si può procedere con una tecnica: 1. diretta basata sulla respirazione per re-informare il rene verso alto-dentro e RI. L’Osteopata si posiziona sul rene così come farebbe per un test di mobilità o di pressione. Quindi si mette in ascolto e quando il Pz INsp non fa scendere il rene, mentre quando il Pz Esp lo porta verso alto-dentro e RI sull’asse del rene. Si ripete fino a che si percepisce che il tessuto ha avuto una soddisfacente re-informazione tessutale 2. recoil: eseguito sul polo inf (tecnica descritta sul libro di Pagliaro, ma non chiesta agli esami). Ptosi di 2° grado È una condizione in cui il rene ha una netta discesa, RE ed allontanamento dalla linea mediana. Si può procedere alla correzione di questa disfunzione anche in questo caso con una tecnica: diretta basata sulla respirazione (=inspiro ed espiro): per re-informare il rene verso alto-dentro e RI. L’Osteopata si posiziona come per il test di pressione o di mobilità. Poi si mette in ascolto ed in INsp non fa 227

scendere il rene, mentre in Esp con una certa “intenzionalità” porta il rene alto-dentro-RI, il tutto eseguito in più tempi respiratori. Ptosi di 3° grado È una condizione più difficile nella quale si deve re-informare il rene a tornare verso alto-dentro-RI verso la linea mediana. In realtà il rene è già andato in ptosi di 3° grado in RI. Quindi all’inizio l’Osteopata deve dare l’informazione di RE ed allontanamento dalla linea mediana re-informando il contatto tra il rene ed il suo binario: rimettendoli in sintonia. Si procede così: all’inizio si è già reperito il rene più in basso e più vicino alla linea mediana. A questo punto si fa l’ascolto mettendo la mano più in basso rispetto alle ptosi di 1° e 2° grado e si procede come segue: 1. si esteriorizza meccanicamente il rene portandolo in RE e si mantiene questa posizione per tutta la durata della manovra 2. si chiede al Pz una lieve contrazione isometrica dell’anca contro il braccio dell’Osteopata, mentre quest’ultimo mantiene il rene in RE 3. si chiede poi al Pz di INsp e l’Osteopata non fa scendere il rene. Nell’Esp invece l’Osteopata porta il rene in alto. Si può aggiungere durante un’apnea INsp una vibrazione per informare ulteriormente contrazione isometrica in Esp dell’anca conl’Osteopata tro il braccio in INsp porta il rene dell’Osteopata l’Osteopata non in alto fa scendere rene in RE ed alil rene lontanamento dalla linea mediana

4. si può terminare la manovra di re-informazione distendendo l’AI e sollevando il capo così la parte ant dell’addome aiuta a riposizionare e mantenere il distensione dell’AI rene nella posizione corretta.

Uretere

attivazione dell’addome alzando la testa

È un condotto muscolo-membranoso retro peritoneale lungo circa 27-30 cm, che dal bacinetto renale (L1) scendendo antero-lateralmente alla colonna vertebrale (L3-L5) con decorso obliquo in basso-dentro (davanti alle ali sacrali) ed arriva a livello della porzione post-sup della vescica. Presenta 3 restringimenti anatomici, che si formano quando l’uretere entra in relazione con le strutture limitrofe. Sono detti punti ureterali e sono profondi perché l’uretere è retroperitoneale: superiore: a livello del bacinetto renale medio inferiore Sono strutture retro peritoneali che riposano sulla fascia iliaca e dello psoas, incrociando in alto il n. genito-femorale ed il n. femoro-cutaneo. 228

L’uretere dx è in relazione con Du 2 le anse intestinali l’ileo terminale l’a. iliaca esterna i vasi ovarici e testicolari.

L’uretere sin è in relazione con l’angolo duodenodigiunale le anse del tenue il colon iliaco la vena cava inf l’a. iliaca primitiva i vasi spermatici ed ovarici di sin.

Relazioni Uomo: è in relazione con l’a. otturatoria, il m. otturatore int e l’elevatore dell’ano. Donna: è in relazione con l’ovaio, che lo ricopre ed aderisce al leg largo prima di giungere a livello viscerale. In basso entra in relazione con i nn. genito-crurali ed otturatorio. NB: in entrambi i lati l’uretere è in contatto con il retto. La progressione dell’urina, dall’uretere verso la vescica, avviene non in maniera passiva, ma attiva, attraverso la contrazione della muscolatura spiraliforme dell’uretere che favorisce una progressione a getto dell’urina verso la vescica. Vascolarizzazione Gli ureteri sono vascolarizzati da: rami dell’a. renale a. iliaca primitiva a. ovarica/testicolare a. utero-ovarica sistema venoso ipogastrico Innervazione Ortosimpatica: D10-D12 Parasimpatica: craniale con n. vago (dx >sin) attraverso il plesso celiaco e renale sacrale Sintomi Sono caratterizzati da dolori: ant > sulla parete addominale post > a livello dei mm. psoas, quadrato dei lombi e zona lombo-sacrale pube e testicoli, piega inguinale gn. genito-crurale anca e ginocchio gn. otturatorio Reperi Si parte dalla proiezione del bacinetto renale (L1) fino all’arrivo dell’uretere sul margine post-sup della vescica (sovrapubico), antero-lateralmente rispetto alle vertebre. Osteopaticamente la valutazione dell’uretere viene fatta analizzando, come in medicina, i punti ureterali (che in medicina sono diagnostici). 1. Sup: a circa 7 cm dall’ilo renale. Si trova a livello ombelicale lateralmente al margine esterno dei mm. retti dell’addome.

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2. Inf: sovrapubico. Si è a livello dei tubercoli pubici, un poco lateralmente.

3. Med: si trova a metà strada tra il punto ureterale sup ed inf. Test di pressione Pz supino. L’Osteopata è sul lato dx e posiziona i 2 pollici lat ai retti dell’addome andando molto post (verso il lettino) al fine di percepire un’eventuale resistenza tessutale a livello dei punti ureterali sup e medio. Per il punto ureterale inf si scende anche un po’ meno.

direzione_verso dietro punto ureterale sup_test di pressione

punto ureterale inf_test di pressione_verso dietro ma meno che gli altri due punto ureterale med_ test di pressione_ verso dietro

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In caso di riscontro di più punti positivi si fa un test di bilanciamento. Se le positività sono vicine tra loro per es. superiore e medio di dx si può fare un test di allungamento meccanico diretto.

punto ureterale sup

punto ureterale inf

punto ureterale med

punto ureterale inf

Trattamento Si può procedere in vari modi: 1. se la positività è di un solo punto si può fare: recoil srotolamento dell’AI: avendo un punto fisso sul punto ureterale di interesse con la presa a pinza e mantenendo la compressione

srotolamento dell’AI

recoil

tecnica di allungamento meccanico diretto

vibrazioni ponsage 2. se la positività è di due punti consecutivi sullo stesso lato, dopo aver fatto un test di allungamento meccanico diretto, si procede con una tecnica di allungamento meccanico diretto. Controindicazioni: in linea di massima la prof.ssa dice che lei comunque tratta, però cambia la modalità di approccio, rispettando la mobilità tessutale.

Anno 6 sem 1 Il cuore_ Richiami di embriologia il sistema cardiovascolare è di origine mesodermica ed è il primo apparato funzionante; il primitivo tubo cardiaco presenta onde di contrazione peristaltiche a partire dal 22° giorno dopo la 4 settimana, circa, di vita intrauterina. Il sangue circola nell’embrione e viene inviato alla placenta e al sacco vitellino. All’inizio è un ammasso di cellule embrionali speciali che va a costituire la parte toracica, ed in cui si differen-

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zieranno 2 tubi cardiaci primitivi che si arrotolano tra loro e vanno ad occupare la parte centrale mediastinica, strizzandosi tra loro; questo perché devono formare tessuto specifico e non specifico costituendo la parte interna del cuore con atrii e ventricoli. È così che si predispongono al centro del mediastino. Durante la 4°-5° settimana di vita intrauterina: il tubo cardiaco si strizza e si divide nelle 4 camere con il circolo sistemico a sin e quello polmonare a dx, facendo partire l’impulso alla contrazione. La circolazione polmonare è molto ridotta in ragione degli scambi gassosi a livello della placenta mentre le vie aeree sono occupate dal fluido amniotico. Ad ogni sistole segue una diastole. La circolazione si divide in piccola e grande circolazione: tramite il sistema delle vene cave il sangue viene portato in atrio dx, da qui passa nel ventricolo dx, poi tramite la arteria polmonare si dirige nei polmoni, per andare ad ossigenarsi (piccola circolazione). Dai polmoni tramite il sistema delle 4 vene polmonari il sangue ossigenato torna all’atrio sin del cuore e da qui si porta poi al ventricolo sin. Dal ventricolo sin tramite l’aorta viene inviato in circolo (grande circolazione). Il sangue bypassa i polmoni non funzionanti attraverso due deviazioni temporanee: la prima è situata tra i due atrii (forame ovale) la seconda è situata tra il tronco polmonare e l’arco aortico (dotto arterioso). Il sistema circolatorio fetale si trasforma in adulto con il primo atto respiratorio. Nella vita intrauterina le camere atriali comunicano tra loro tramite il foro di Botallo, foro che in teoria si dovrebbe obliterare alla nascita del soggetto. In caso di mancata obliterazione siamo di fronte ad una patologia del forame ovale o ad un soffio cardiaco, presente spesso nel 1 anno di vita, ma non si esclude che sia presente anche dopo. Ha inizio così la 1 circolazione polmonare e la 1 circolazione sistemica dove in condizioni normali fisiologiche non c’è più comunicazione tra atrio sin e atrio dx. Tra atrio dx e ventricolo dx, tra atrio sin e ventricolo sin, così come tra ventricolo dx e arteria polmonare, e tra ventricolo sin ed aorta ci sono le valvole: esse servono a mantenere il flusso ematico unidirezionale. Il cuore è l’organo centrale dell’apparato circolatorio. È situato nella cavità toracica tra i due polmoni in uno spazio denominato MEDIASTINO. È alloggiato nella depressione del polmone sin detta fossa cardiaca. Ha forma di cono tronco. La base è rivolta in alto-dietro-dx: essa comunica con i grandi vasi cioè la vena cava superiore, il tronco polmonare e l’aorta disposta al centro. L’apice è diretto in avanti-basso-sin. Il suo asse maggiore è obliquo in avanti-basso-sin poiché il peduncolo vascolare è più spostato verso dietro rispetto all’apice cardiaco. Lo racchiude in avanti la parete ant del torace (sterno e cartilagini costali dalla 3° alla 6°). Riposa con la sua faccia post-inf sul diaframma che lo separa dai visceri addominali. Superiormente continua con i grossi vasi che formano il peduncolo del cuore e sono da dx a sin: vena cava superiore, aorta e tronco polmonare. Il cuore è contenuto in un sacco fibrosieroso il pericardio (foglietto di tessuto connett fibroso che avvolge il cuore e che lo fissa al diaframma isolandolo al contempo dagli organi vicini) che ha un’azione protettiva. Il pericardio in alto si estende a rivestire il primo tratto dei grossi vasi. Ha un foglietto parietale e uno viscerale: tra i 2 foglietti c’è la presenza del liquido pericardico Attenzione alle pericarditi da streptococco (esami clinici da fare: TAS (titolo antistreptolisinico); VES; PCR; globuli bianchi). Pesa tra i 280 e 340 gr nel maschio e tra i 230 e i 280 gr nella femmina. Il volume del cuore varia in relazione al sesso, età, attività sportiva praticata, conformazione fisica del Pz. È paragonabile al pugno del Pz 232

Rapporti anatomici Faccia ant o sternale: è in rapporto con la superficie posteriore del corpo dello sterno e con le cartilagini dalla 3° alla 6° Il margine ottuso è in rapporto tramite la pleura mediastinica con la faccia mediale del polmone sin che lo accoglie in una depressione detta FOSSA CARDIACA Nella faccia sup del cuore si ha lo sbocco dei vasi Nella faccia inf abbiamo il rapporto con il diaframma. Essa riposa, infatti, sul centro tendineo del diaframma tramite il quale ha rapporti con: lobo sin del fegato in avanti e con il fondo dello stomaco a sin. La faccia post è in rapporto con: trachea, stomaco, vene azygos, polmone dx, esofago, aorta e nn. vaghi, colonna vertebrale. La base ha rapporti, a dx, tramite la pleura mediastinica con la faccia mediale del polmone dx; a sin contrae rapporti con l’esofago e il vago di sin L’apice del cuore si volge avanti-sin: ha rapporti con la parete ant del torace mediato dal margine ant del polmone sin. Sul torace l’apice del cuore corrisponde al 5° spazio intercostale a sin a circa 6 cm dalla linea mediosternale ovvero 1 cm all’interno della linea emiclaveare sin. Aia cardiaca Sul torace l’aia cardiaca ha una forma quadrilatera. Margine dx: linea che parte dal margine superiore della 3° cartilagine costale dx 1-2 cm dal margine dello sterno e giunge fino alla 6° cartilagine costale dx La valvola aortica e la tricuspide la andremo a sentire rispettivamente tra il 2° e il 5° spazio intercostale dx (o 6 cartilagine costale dx); le valvole le troviamo abbastanza mediali, quindi seguono le proiezioni dei vasi; poi dipende molto dalla corporatura del soggetto. Le valvole polmonari le testiamo a livello della 2 cartilagine costale sin laddove c’è anche lo sbocco dei grandi vasi; a livello del 5° spazio intercostale sin ausculteremo la mitralica e l’itto della punta (capacità dell’apice del cuore di sbattere contro la gabbia toracica). Il margine inf dell’aia cardiaca è dato da una linea che unisce l’estremità del margine dx di K6 all’apice del cuore situato in proiezione del 5° spazio intercostale sin. Questa linea passa per l’articolazione xifo-sternale. Il margine sin: è rappresentato da una linea che partendo dall’apice del cuore si porta in alto e medialmente raggiunge un punto situato al 2° spazio intercostale sin situato ad 1 o 2 cm dal margine dello sterno. Struttura del cuore Le pareti del cuore sono formate per la maggior parte da tessuto muscolare striato detto miocardio comune. 233

Nelle compagini del miocardio comune si trovano formazioni muscolari specializzate che formano il sistema di conduzione del cuore e sono dette miocardio specifico. Il miocardio comune si dispone in fasci che si inseriscono su uno scheletro fibroso detto scheletro del cuore. A questo stesso si attaccano i lembi valvolari. Le pareti del cuore sono rivestite esternamente dal foglietto viscerale del pericardio detto epicardio, Internamente le pareti sono rivestite da endocardio. Configurazione esterna il solco atrio-ventricolare o coronario a decorso trasversale divide la porzione atriale da quella ventricolare. Questo solco è visibile in tutta la sua estensione sulla faccia post-inf mentre sulla faccia ant è nascosto in parte dalle origini del tronco polmonare e dall’aorta. Solco interatriale: a decorso longitudinale si estende dal solco coronario alla cupola atriale e separa l’atrio destro da quello sin. 2 solchi longitudinali ant e post (o solchi interventricolari) si estendono dal solco coronario all’apice del cuore e dividono i 2 ventricoli. Configurazione interna Il cuore è un organo cavo suddiviso in due metà indipendenti. Ogni metà comprende due cavità: quella sup è detta atrio e quella inf è il ventricolo. Ciascun atrio comunica con il ventricolo sottostante attraverso l’orifizio atrioventricolare. Invece i due atri e i due ventricoli sono separati da sepimenti di differente spessore e costituzione, i sopracitati setti interatriale ed interventricolare. I 2 orifizi atrio-ventricolari dx e sin sono provvisti di valvole cuspidali che permettono il passaggio del sangue dall’atrio al ventricolo e si oppongono al reflusso (valvole unidirezionali). La base del cuore presenta inoltre l’origine delle rispettive arterie (aorta e tronco polmonare) con le quali comunicano attraverso due orifizi muniti di valvole semilunari. Queste permettono il passaggio del sangue dai ventricoli verso i due tronchi arteriosi e ne impediscono il reflusso. Atrio dx Sbocchi vene cave: vena cava inf: valvola di Eustachio Sbocco del seno coronario: valvola di Tebesio Orifizio atrioventricolare: valvola tricuspide Ventricolo dx Orifizio polmonare: ha contorno circolare e apparato valvolare costituito da tre valvole semilunari (anteriore, dx e sin). Le valvole semilunari sono pieghe membranose a forma di nido di rondine Atrio sin Minor volume e maggior spessori delle pareti rispetto all’atrio dx. 4 vene polmonari (2 per lato) si aprono nella parete post-sup dell’atrio. I 4 orifizi sono privi di valvole. Orifizio atrioventricolare: valvola bicuspide o mitrale Ventricolo sin Capacità di circa 180 ml Orifizio atrioventricolare sin o mitralico: con la valvola mitrale o bicuspide Orifizio aortico con valvole semilunari aortiche Le superfici interne dei ventricoli presentano dei rilievi muscolari detti trabecole carnee, che sporgono nelle cavità ventricolari Le trabecole carnee sono di 3 ordini Quelle di 3° ordine aderiscono completamente alla parete del ventricolo Quelle di 2° ordine sono fissate alla parete solo con le loro estremità Quelle di 3° ordine sono i muscoli papillari e dalla loro sommità originano le corde tendinee che si fissano al 234

margine libero delle cuspidi valvolari

Atrio dx orifizio atrioventricolare dx > valvola tricuspide orifizio per la vena cava inf > valvola di Eustachio orifizio per il seno coronario > valvola di Tebesio

Atrio sin orifizio atrioventricolare sin o mitralico > valvola mitrale o bicuspide 4 orifizi per le vene polmonari > privi di valvole

Ventricolo dx Orifizio polmonare > 3 valvole semilunari

Ventricolo sin orifizio aortico > valvole semilunari aortiche

Pericardio È un sacco fibrosieroso che contiene il cuore ed il tratto iniziale dei grossi vasi Vi si considera: parte esterna o p. fibroso e parte interna o p. sieroso Il pericardio fibroso si presenta come una lamina di connettivo denso che in basso aderisce al diaframma e si estende a formare tratti fibrosi che lo uniscono agli organi vicini. Questi tratti costituiscono i legamenti del pericardio Il pericardio è in relazione funzionale con: ipocondrio; leg gastro-frenico; leg triangolare di sin del fegato (possibilità di fare una relazione con la catena fasciale crociata che si porta sulla zona dx del Pz); leg freno-colico sin; milza; angolo colico sin. Legamenti del pericardio 1) sterno-pericardici 2) vertebro-pericardici 3) freno-pericardici

Leg sterno-pericardici

Sono quelli che andremo a testare: si estendono dallo sterno al pericardio Leg sup: si estende dalla parte ant e sup del pericardio alla faccia post del manubrio sternale (quindi il pericardio ha un grosso prolungamento verso l’alto formando il leg sternopericardico sup). Esso ha un grosso contatto con i grandi vasi Leg inf detto anche xifo-pericardico: si estende dalla porzione ant-inf del pericardio alla base del processo xifoideo. Clinica: se troviamo in tensione i leg sterno-pericardici dobbiamo pensare che oltre ad esserci una problematica cardiaca interna, c’è di sicuro anche una problematica disfunzionale legata ad una scorretta fisiologia del cuore. Pensiamo alla lamina tiro-pericardica quando abbiamo un Pz che lamenta dolore allo ioide, alla mandibola, mm. sottoioidei. Spesso un dolore al rachide cervicale può essere causato da una tensione al pavimento della bocca, una problematica disfunzionale della loggia viscerale del collo e delle strutture in essa contenute, ATM. Se troviamo una disfunzione sui leg sterno-pericardici e freno-pericardici, attenzione, poiché ci potrebbe essere una disfunzione di struttura oltre che una disfunzione cardiaca. Pensiamo inoltre al massiccio facciale, alla loggia viscerale del collo e alla loggia vascolare. Se troviamo tensione sulla lamina tiro-pericardica, e sui leg sterno-pericardici sicuramente da un punto di vista osteopatico li andiamo a testare, ed oltre a pensare che ci può essere dietro ciò una problematica di tipo cardiaco (che in tal caso si manifesta con dolore allo ioide e alla mandibola e sottoioidei), sicuramente ci può essere anche una problematica di tipo disfunzionale e quindi di interesse osteopatico. Se troviamo disfunzioni legamentose più sui leg sterno-pericardici e sui freno-pericardici ci può essere una disfunzione a livello cardiaco e di struttura su questi legamenti. Se in una clinica trovo positivo al test il leg sterno-pericardico sup con la loggia viscerale del collo, posso eseguire il test di inibizione e discriminare la causa della problematica se è alta o bassa. Tenere sempre presente tutto il discorso fatto riguardo l’aponeurosi media e superficiale. Sempre a livello clinico bisogna tenere presente che ci può essere un Pz che viene con dei sintomi che si discostano da quelli tipici di un infarto: es dolore che sale e si irradia fino al ramo mandibolare e magari non presenta dolore toracico; questo avviene per una continuità fasciale. 235

Il leg freno-pericardico lo metteremo in relazione con l’ipocondrio sin, quindi con stomaco, esofago; ma c’è una relazione importante anche con il leg triangolare di sin del fegato . mandibola mm. sottoioidei ioide leg sterno-pericardici > leg sterno-pericardici + lamina tiro-pericardica > leg sterno-pericardici + freno-pericardici >

leg freno-pericardici > dolore al rachide cervicale>

lamina tiro-pericardica problema cardiaco, ioide, mandibola e mm. sottoioidei disf cardiaca disf di struttura > massiccio facciale, loggia viscerale e vascolare del collo ipocondrio sin, stomaco, esofago, leg triangolare sin del fegato pavimento della bocca, loggia viscerale del collo + visceri ATM Leg vertebropericardici Dalla fascia cervicale profonda fino a D4 D5 vanno ad inserirsi nel pericardio lateralmente ai grossi vasi, sulla faccia anteriore dei corpi vertebrali in rapporto con il legamento longitudinale anteriore. Ciò è importante poiché ci indica il rapporto con il tubercolo faringeo a livello dell’apofisi basilare dell’occipite. 1) Porzione superficiale (legamenti vertebropericardici superficiali): origine più verticale da C6-C7 arriva alla parte superiore e posteriore del pericardio; essi sospendono verticalmente il cuore. 2) Porzione profonda (leg vertebropericardici profondi) più orizzontale va da C7 /D 1 fino a D4 e

prende rapporto con trachea, esofago fino ai peduncoli polmonari. Se troviamo una tensione di questi legamenti a che cosa pensiamo? Ai leg vertebro-pericardici profondi. Infatti, i leg vertebro-pericardici profondi per continuità fasciale entrano in contatto con cuore ma anche con il cranio, tramite il rapporto con il tubercolo faringeo (asse aponeurotico centrale): se ad es abbiamo un cranio in disfunzione di estensione potremo trovare tensione su questi legamenti. Quindi in collegamento a ciò pensiamo alle varie disfunzioni di volume. È opportuno controllare i mm. pterigoidei e il velo palatino per quanto concerne il rapporto con i leg verte236

bropericardici superficiali Leg freno-pericardici Sono brevi tratti fibrosi che rafforzano l’aderenza del pericardio fibroso al diaframma Si distinguono in: Anteriore Laterale dx e sin Vanno dal diaframma (5° spazio intercostale) al margine inf del pericardio (cuore) Clinica: quando troviamo i freno pericardici tesi possiamo pensare o ad una disfunzione osteopatica o problematica di fegato, di stomaco o dei mm. intercostali. Richiami generali Nell’apparato circolatorio si considerano due sezioni: Grande circolazione o circolazione generale Piccola circolazione o circolazione polmonare GRANDE circolazione: Ventricolo sin-aorta-vasi capillari-venule-sistema delle vene cave-atrio dx–ventricolo dx PICCOLA circolazione: Ventricolo dx-tronco polmonare-arterie polmonari-polmoni-4 vene polmonari-atrio sin-ventricolo sin. Fisiologia: attività elettrica La contrazione del muscolo cardiaco come ogni altro muscolo è scatenata dalla depolarizzazione delle sue cellule tramite il pacemaker detto NSA, Nodo Seno Atriale, (localizzato a livello dell’atrio dx del cuore) Le masse ventricolari devono contrarsi simultaneamente affinchè l’azione di pompaggio risulti efficiente Inoltre serve coordinazione tra contrazione degli atri e del rispettivo ventricolo Tale coordinazione è resa possibile da due fattori: 1) le giunzioni discontinue che permettono il propagarsi dell’impulso da una fibra all’altra e cosi da un punto a tutto il cuore 2) il sistema di conduzione del cuore Alcune aree del cuore possiedono autoritmicità ovvero hanno la capacità di eccitarsi spontaneamente in modo ritmico. La zona dotata di ritmicità intrinseca a più alta frequenza è data da un ammasso di cellule miocardiche specializzate presenti nella parete dell’atrio destro in prossimità dello sbocco della vena cava sup. Questo ammasso è chiamato nodo senoatriale (NSA): le cellule del nodo seno atriale prendono contatto con le fibre miocardiche dell’atrio dx così l’ onda di eccitamento si diffonde a tutto l’atrio e tramite le fibre specializzate anche all’atrio sin quasi simultaneamente, così la contrazione dei 2 atrii risulta praticamente simultanea. Alla base dell’atrio dx assai vicino al setto interventricolare l’onda di eccitamento incontra un altro ammasso cellulare specializzato: il nodo atrio ventricolare (NAV) l’impulso viaggia rapidamente lungo le fibre miocardiche specializzate che scendono in basso lungo il setto interventricolare (fascio di His con le sue due branche) Da qui si sparpagliano in mezzo alla maggior parte del miocardio ventricolare dx e sin costituendo la rete di Purkinje Infine prendono contatto con le fibre miocardiche comuni attraverso le quali l’impulso si diffonde da cellula a cellula nel restante miocardio Tutto questo permette una perfetta coordinazione Si ricordi che in qualunque membrana eccitabile il potenziale di azione è seguito da un periodo durante il quale la membrana resta completamente insensibile ad uno stimolo (periodo refrattario assoluto) Nel muscolo cardiaco questo periodo refrattario dura quasi quanto la contrazione (250 msec) per cui non può essere eccitato in tempo valido per produrre una sommazione di contrazioni. Questo permette di evitare una prolungata contrazione del muscolo cardiaco che farebbe cessare il pompaggio con conseguente morte dell’individuo. 237

Attività meccanica del cuore Un fluido scorre sempre da una zona di maggior pressione ad una di minore La pressione che fa scorrere il sangue è generata dalla contrazione cardiaca Le valvole indirizzano il flusso ematico Sistole è il nome che viene dato per indicare la fase di contrazione ventricolare Diastole significa rilasciamento ventricolare Partiamo per capire la meccanica dalla fase finale della diastole Per comodità parliamo della parte sin del cuore tenendo presente che ciò che avviene a dx è qualitativamente identico L’atrio e il ventricolo sin sono rilasciati (la pres. atriale è solo leggermente più alta di quella ventricolare perché il sangue sta iniziando a defluire nell’atrio dalle vene polmonari). Le valvole AV sono aperte ed il sangue sta passando dall’atrio al ventricolo (il ventricolo riceve sangue dall’atrio durante tutta la diastole e non solo quando l’atrio si contrae) La valvola aortica è chiusa perché la pres. aortica è maggiore di quella ventricolare Lentamente la pressione aortica scende perché il sangue sta lasciando le arterie. La pressione ventricolare aumenta perché il sangue sta ancora entrando dall’atrio Nell’ultimo istante della diastole in NSA emette il suo impulso e l’atrio si depolarizza, si contrae e aggiunge un ultimo quantitativo di sangue al ventricolo Il sangue contenuto nel ventricolo poco prima della sistole è detto volume telediastolico L’onda di depolarizzazione investe il ventricolo e ne scatena la contrazione Il ventricolo comprime il sangue in lui contenuto e la press aumenta bruscamente Quasi subito supera la press atriale e fa chiudere la valvola AV. Per un breve periodo la pres aortica continua ad essere maggiore di quella ventricolare poi la press ventricolare la supera, allora la valvola aortica si apre ed ha luogo l’eiezione ventricolare. Al termine della contrazione il muscolo ventricolare si rilassa rapidamente quindi la pres.ventricolare scende subito sotto quella aortica e la valvola semilunare si chiude tuttavia la pres.ventricolare rimane più alta di quella atriale e la valvola AV resta chiusa ancora per un po’. La pres.ventricolare scende al di sotto dell’atriale, la valvola AV si apre ed inizia il riempimento ventricolare Volume di sangue pompato da ciascun ventricolo in un minuto: gettata cardiaca (5 litri minuto fino ai 20\25 litri in esercizio fisico) Sangue eiettato da ciascun ventricolo durante ciascun battito: volume di scarica Numero di battiti al minuto: frequenza cardiaca Toni cardiaci I fenomeni meccanici che avvengono nel cuore si accompagnano a vibrazioni meccaniche che si possono ascoltare sul torace Se ne distinguono 4 ma in condizioni normali solo 2 sono udibili Il loro ascolto permette di accertare la normalità di parametri funzionali Primo tono Inizio sistole ventricolare Chiusura e messa in tensione delle valvole mitrale e tricuspide Apertura delle valvole semilunari polmonare e aortica con rumore del sangue che batte sulle pareti delle arterie Secondo tono Fine dell’eiezione sistolica con chiusura delle valvole semilunari aortica e polmonare Terzo tono Diastole ventricolare nella quale il ventricolo si riempie di sangue in condizioni fisiologiche non è ascoltabile

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Quarto tono Sistole atriale che completa il riempimento ventricolare In condizioni fisiologiche non è ascoltabile Proiezione sul torace delle valvole Orifizio polmonare: margine sup 3° cart costale sin Orifizio aortico: al di sotto e un po’ a dx rispetto a quello polmonare Orifizio AV dx o tricuspidale: 5° spazio intercostale di dx Orifizio AV sin o mitralico: si proietta sul 3° spazio intercostale a sin ma l’ascoltazione si fa sull’apice del cuore La scarica ritmica del NSA si produce spontaneamente senza nessun influsso nervoso ed ormonale Tuttavia essa è sottoposta all’influenza costante di ormoni e nervi Numerose fibre sia para che ortosimpatiche terminano nel NSA e in altre sedi del sistema di conduzione Innervazione Le fibre paraS sono contenute nei nn. vaghi. La loro attività rallenta la frequenza cardiaca Le fibre ortoS (sono rappresentate dai nn. cardiaci): n. cardiaco sup dal ganglio cervicale sup n. cardiaco medio dal ganglio cervicale medio n.cardiaco inferiore dal ganglio stellato nn. toracici cardiaci (C6-C7-T1 e da T2 –T5 cioè dal 2° al 5° ganglio toracico) Tutti i nn. cardiaci del vago e dell’orto si portano al plesso cardiaco Questo è situato in corrispondenza della base del cuore davanti alla biforcazione tracheale sotto e dietro l’arco aortico Sistema di conduzione cardiaco: NSA pacemaker situato sull’atrio dx del cuore > NAV > fascio di His > fibre del Purkinij Vascolarizzazione Le arterie che si distribuiscono al cuore sono le coronarie (coronaria sin e coronaria dx): unici rami dell’aorta ascendente Le vene cardiache sono tributarie del seno coronario che sbocca direttamente in atrio dx Sintomi riferiti: Dispnea da sforzo Edema periferico (soprattutto agli arti inferiori e alle mani) Dolore addominale (per distensione epatica) Nicturia Perdita di peso Pallore Sudorazione, extrasistole, ortopnea, tosse, vertigini, palpitazioni, sincope, rumori cardiaci Segni e dolori riferiti (collegamenti medico -osteopatici in anamnesi): Dolore toracico Dolore retrosternale con senso di oppressione che non migliora a riposo, ma migliora leggermente in posizione seduta e in avanti Cervicalgia in C4-C5-C6 con irradiazione alla mascella e mandibola bilaterale e braccio sin Dorsalgie medie D1-D4 Dolore intercostale (K2-K5 sin) Psicosomatica La capacità di esprimere ed articolare le parole dipende dal cuore Emozione, gioia, se il cuore è sano abbiamo uno spirito sereno e gioioso (le fissazioni sul pericardio si fissano dopo una certa età, con la maturità) 239

Visione pessimistica della vita e sovraccarico Gioia in modo esagerato e sovraccarico Origine del sentimento maturo, pieno, radiante, cioè gioia che sfocia in senso di ansia e insonnia Amore non contraccambiato che può diventare patologia cardiaca Tristezza Approccio osteopatico al cuore Auscultazione Punti di repere dell’aia cardiaca Test di resistenza: grande asse materializzato dal setto interatriale e interventricolare Tests sui legamenti (frenopericardici, sternopericardici, vertebropericardici) Test di mobilità in relazione alla sistole Trattamento Fisiologia osteopatica Il cuore intorno al suo asse di mobilità (diretto basso-sin e leggermente avanti poiché il peduncolo vascolare si trova leggermente più post rispetto all’apice), durante la sistole, effettua una rotazione verso sin, si inclina a dx e si orizzontalizza. Durante la diastole: effettua una rotazione verso dx, si inclina a sin e si verticalizza. NB. Non è un test di mobilità in relazione al diaframma, per come è inteso in osteopatia in ambito viscerale, ma è un test sul cuore in relazione al movimento di sistole cardiaca. Non facciamo un test di mobilità sul cuore, ma faremo un test sull’amplificazione del battito e un test sul movimento sistolico cardiaco.

Pratica

Ricerca dei parametri anatomici Il margine sup del cuore con i grossi peduncoli vascolari, ricoperti da pericardio, si trovano dietro il manubrio sternale. La presenza del peduncolo vascolare e del pericardio vanno tenute presenti durante la percussione che pertanto può arrivare sino al 1° spazio intercostale. Il margine dx va dal margine superiore della 3° cartilagine costale sino alla 6° cartilagine costale. Il margine inf va dalla 6° cartilagine costale di dx al 5° spazio intercostale di sin. Il margine sin va dal 5° al 2° spazio intercostale di sin. Pertanto partendo dal margine interno della clavicola si 6° cartilagine ricercano i seguenti punti: 5° spazio 3° spazio intercostale a dx 2° spazio intercostale a sin 3° spazio 6° cartilagine condrosternale a dx e 5° spazio intercostale a sin.

2° spazio

240

percussione a

amm iafr

Al di sotto dell’aia cardiaca si trova il diaframma con il centro frenico.

d

Durante la percussione è necessario tener conto che ci sono delle zone di sovrapposizione tra aia cardiaca e pleura, soprattutto sul margine sin del cuore, essendo quest’ultimo alloggiato in una depressione del polmone sin detta fossa cardiaca. Quindi durante la percussione sentiremo dei cambiamenti di tono. Il margine dx e sin del cuore hanno un orientamento obliquo: pertanto l’asse cardiaco sarà diretto basso-avanti (avanti perché il peduncolo vascolare è posto più indietro rispetto all’asse del cuore). L’asse cardiaco è quello che determinerà tutto il lavoro sul cuore (test, mobilità, trattamento etc).

NB: il cuore corrisponde al pugno sin del Pz.

D e te r m i n a z i one dell’asse cardiaco Per determinare l’asse cardiaco ci si può posizionare ai piedi o di fianco al Pz,

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ma la posizione scolastica di ricerca dell’asse cardiaco prevede il posizionamento dell’Osteopata alla testa del Pz. All’interno del cuore ci sono dei sepimenti che dividono l’organo in 4 camere e che hanno una consistenza diversa dal muscolo cardiaco. Pertanto la sensazione che si dovrà percepire è quella di un setto sul piano sagittale che va a determinare l’asse cardiaco: in sostanza si stanno ricercando i setti interatriale ed interventricolare. Ci si posiziona con la mano dx chiusa sull’aia cardiaca e si inizia a ricercare l’asse cardiaco rammentando che si potranno trovare dei cuori più orizzontali o verticali in relazione a tutta una serie di fattori quali costituzione, restrizioni fasciali che hanno determinato quel tipo di orientamento. La ricerca avviene da davanti verso dietro, cioè verso il lettino dove giace il Pz e non si va in basso. Una volta trovato sull’asse si va ad effettuare un test di pressione. NB 1. Ai fini osteopatici se al test di rebound c’è stata una positività viscerale si procede con il test di pressione sull’esofago e sul cuore e poi si fa il bilanciamento per capire quale dei 2 organi è in disfunzione. Successivamente si inseriranno anche polmoni, bronchi, trachea. Alla fine verrà fuori una situazione simile a quella dei 9 quadranti dell’addome

test di rebaund

test di pressione sull’esofago

test di pressione sul cuore

NB 2. non ci si posiziona proprio sul manubrio sternale, ma leggermente più in basso perché l’aia cardiaca è un poco più in basso. L’importante è provare più e più volte. Test di pressione sul cuore È un test delicato perché per arrivare al cuore è sufficiente passare la regione costale (al contrario dell’esofago che è più profondo): infatti superato il piano costale si viene a contatto con il piano viscerale e solo allora si può andare a ricercare l’asse cardiaco. È errato fare È errato una traziomettersi ne verso il con le mani basso (piedi sul manudel Pz) brio sternale

Ascolto del cuore Può essere eseguito una volta reperito l’asse cardiaco in quella stessa posizione. Sappiamo infatti che l’itto della punta può essere percepito a livello del 5° spazio intercostale sin. Se invece il battito cardiaco viene percepito su tutta la mano si possono ipotizzare delle restrizioni fasciali a livello del mediastino, che quindi potrebbero riguardare il cuore. Quindi si può avere un’idea di quello che avviene durante il movimento di sistole, ma che non va considerato come un test di mobilità in senso osteopatico. Ci da solo l’idea di ciò che 242

avviene nel cuore durante la sistole. In sostanza si può fare un ascolto sia per ciò che riguarda la forza della frequenza cardiaca e della risultante che in condizioni normali dovrebbe essere a livello del 5° spazio intercostale di sin, sia del suo movimento di inclinazione dx e rotazione sin (orizzontalizzandosi) e quindi valutare la libertà con la quale questo movimento si realizza. NON è un test di mobilità osteopatico del cuore rispetto al diaframma. Legamenti del cuore

1. Freno pericardico mano caudale prende contatto con il diaframma dopo averlo reperito con la percussione,

mano craniale si posiziona sull’asse cardiaco, entra, supera il piano costale e ricerca il legamento tramite la congruenza tra le mani.

Quando lo si trova si effettua un test in allungamento meccanico diretto e si valuta se si lascia allungare oppure no (come si lascia allungare e non quanto si lascia allungare). Avendo provato tante volte si riesce a capire anche quale porzione del legamento è coinvolta. La tecnica di correzione si farà su quella porzione. Questo legamento si relaziona meccanicamente con l’ipocondrio sin tramite il leg gastro-frenico, con il colon, milza, il leg triangolare sin del fegato e quindi la possibilità di fare una relazione eventualm con una catena fasciale che si porta sulla zona dx del Pz (incrocio).

2. Sternopericardico sup S’inserisce sul margine post del manubrio sternale per andare fino alla porzione ant-sup del sacco pericardico. Mano craniale, il dito medio si posiziona all’interno della fossetta giugulare, mentre il dito indice è sul manubrio dello sterno (ma ricorda che l’inserzione del leg è sul margine post del manubrio sternale).

Mano caudale, si posiziona a livello dell’asse cardiaco. Una volta superato il piano costale ed arrivato al livello del viscere si cerca la congruenza tra le mani e si testa in allungamento meccanico diretto in direzione dell’asse cardiaco (cioè basso–sin).

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3. Sternopericardico inf S’inserisce sul margine post della xifoide per arrivare alla porzione …….. Mano caudale, il dito indice (o medio) si posiziona all’interno della xifoide in appoggio, in ascolto senza agganciarla con l’intenzione di prenderla. Il pollice si posiziona sulla xifoide (ricordando che l’inserzione è sul margine posteriore della xifoide).

È errato mettersi davanti alla xifoide

Mano craniale, è a livello dell’asse cardiaco. Una volta superato il piano costale ed essere arrivati a livello del viscere si cerca la congruenza tra le mani e si testa in allungamento meccanico diretto in direzione alto-dx, ma sempre facendo attenzione che ci sia congruenza tra le mani. NB: per l’esecuzione dei test una mano fa punto fisso ed una mano fa punto mobile (quando si è acquisita una certa manualità si possono effettuare i test anche con entrambe le mani). Es di collegamenti: - sternopericardico infgmesogastriogipocondrio dx e sin. - sternopericardico supgloggia visceraleglamina tiropericardicagpavimento bocca e ioidegmassiccio facciale. 4. Vertebropericardico superficiale Va da C6-C7 sino alla porzione post-sup del sacco pericardico. Il Pz è con la testa fuori dal lettino sostenuta dall’Osteopata, che si può aiutare con il torace e la spalla sin a stabilizzarla.

L’’Osteopata posiziona indice e medio della mano sin sulle trasverse di C6-C7 (quindi la spinosa rimane compresa tra le dita), mentre con l’avambraccio sostiene il capo del Pz e con il bicipite lo stabilizza ancora di più. In questo modo si deve fare attenzione a non mandare il capo del Pz in flessione, pertanto se necessario.......

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non flettere il capo del Pz

la testa del Pz può sporgere un poco di più fuori dal lettino. L’altra mano è sull’asse cardiaco.

A questo punto avendo raggiunto il piano profondo l’Osteopata effettua un allungamento meccanico diretto verso basso-sin. Il raggiungimento della congruenza tra le mani dell’osteopata si tradurrà in un incassamento della testa del Pz e non in una sua estensione.

NB: all’inizio del test l’Osteopata deve rettilineizzare un poco la testa del Pz per togliere una parte della lordosi cervicale.

5. Vertebro-pericardici piano profondo S’inseriscono sulla faccia anteriore dei corpi vertebrali. La mano dell’osteopata ha la stessa posizione di quando si eseguono le DOG, cioè con la spinosa al centro e le trasverse sulle interfalangee tra C4-C7. L’altra mano, dopo avere passato il piano costale si posiziona a livello dell’asse cardiaco.

A questo punto, ricordando che i legamenti si trovano sospesi su di un piano verticale, ma anche sagittale, si tiene ferma la mano che è sull’asse cardiaco, mentre l’altra mano effettua delle rotazioni.

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In caso di libertà dei legamenti nel ruotare le vertebre anche il cuore segue il movimento. In caso contrario c’è una restrizione tessutale del vertebro pericardico a livello del piano profondo.

La testa del Pz può stare a. sul lettino (in tal caso l’Osteopata deve orientare diversamente il polso) oppure b. sull’avambraccio dell’Osteopata come nel test dei leg vertebro-pericard superf

presa come nel test dei leg vertebro-pericard superf

orientamento del polso funzionale a

g

testa del Pz sul lettino

All’inizio è importante compattare entrambe le mani per mettere in comunicazione le vertebre e la zona cardiaca: si percepisce che si è raggiunto lo scopo perché le mani tra di loro “comunicano”. Attenzione a non comprimere troppo altrimenti si rischia di accorciare il leg.

Nell’immagine sotto Menichelli fa vedere il macromovimento di quello che si dovrebbe indurre e percepire con le mani.

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Test delle 4 camere Dopo avere eseguito il test di pressione globale sul cuore si può effettuare un test delle 4 camere (è un test che assomiglia molto a quello eseguito sul duodeno o sul pancreas per discriminare se una eventuale disfunzione è più a carico della testa, del corpo o della coda). Non si tratta di un test di bilanciamento. Questo test ci permette di sapere se: c’è una relazione più con la porzione legamentosa superiore od inferiore del pericardio e quindi si potrà andare a testare un legamento piuttosto che un altro. In questo modo si velocizzano i test. In una clinica il riscontro di una disfunzione di fegato e di una positività di cuore dx ci può indirizzare su una certa idea clinicag per giustificare i sintomi. Trattamento delle disfunzioni legamentose Le disfunzioni dei legamenti possono essere trattate con: 1. allungamento meccanico diretto 2. recoil nella direzione del legamento

recoil sul leg sterno-pericardico inf

recoil su leg vertebropericardici superficiali

NB: per i legamenti vertebro-pericardici superficiali si mollano le dita di entrambe le mani. La mano sulle cervicali tiene salda la testa e lascia solo la presa sulle vertebre

recoil su leg vertebro-pericardici profondi

I leg vertebropericardici profondi si trattano con tecnica di allungamento meccanico diretto associandovi delle rotazioni, oppure si può aggravare la dis-

funzione (perché si lavora su di un piano profondo). NB: la potenza del recoil è direttamente proporzionale a quanto questo è leggero.

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sem 3 Polmoni e trachea_Introduzione La maggior parte delle cellule del corpo umano ricavano la più grande quota di energia da reazioni chimiche, che comportano l’uso di ossigeno. Inoltre le cellule devono poter eliminare il principale prodotto terminale di queste ossidazioni: l’anidride carbonica. Nell’uomo i sistemi specializzati deputati agli scambi gassosi sono i polmoni. La gabbia toracica ha una apparente rigidità datale dalle strutture ossee che la compongono (sterno, coste, vertebre), ma di contro c’è una grande capacità articolare datale dalle cartilagini condrosternali e condrocostali. Da questa capacità di flessibilità e di adattamento articolare dipende la maggior parte del buon funzionamento della gabbia toracica stessa (andare a valutare sterno, angolo di Louis, cartilagini condrosternali e condroacostali, tubercoli, coste e vertebre cervicali e dorsali). Pertanto migliorando la mobilità articolare delle strutture che la compongono automaticamente si sta dando ai visceri della cavità toracica la possibilità di espletare il loro lavoro in modo efficace: in questa ottica cambia anche l’approccio alla tecnica strutturale. Embriologia Il parenchima polmonare ha un’origine ectodermica. Le vie aeree hanno origine mesodermica. NB: in osteopatia esiste un approccio embriologico ai visceri, ma la Menichelli ha detto che non verrà affrontato. Trachea e bronchi La trachea è un canale impari e mediano che fa seguito alla laringe e nel torace si biforca in un bronco dx e sin a livello della 4°-5° vertebra toracica. Questo repere è importante perché a questo livello, che corrisponde all’angolo di Louis viene eseguito un test sulla biforcazione bronchiale. Dai bronchi principali derivano i: bronchi secondari bronchi segmentari bronchi lobulari bronchioli terminali bronchioli respiratori (acini) Queste strutture vanno degradando come calibro perché servono tratti sempre più piccoli di parenchima polmonare. Anatomia I polmoni sono gli organi dove avvengono gli scambi gassosi tra aria e sangue. In numero di due sono contenuti nella cavità toracica nelle logge pleuropolmonari. Quindi sono rivestiti da una membrana sierosa. Sono separati da una spazio mediano che è delimitato dalla colonna vertebrale e dallo sterno. Questo spazio è detto mediastino. Le logge pleuropolmonari sono delimitate lateralmente > dalle coste e da mm. intercostali, medialmente > dal mediastino inferiormente > dal diaframma superiormente > dai vasi succlavi, dal plesso brachiale e dallo scaleno ant. Nell’adulto medio il diametro verticale max è di 25/26 cm, il diametro sagittale alla base è di 16 cm ed il diametro trasverso è di 10/11 cm. il peso è molto variabile in relazione a sesso, età etc. per es. nel maschio è di circa 620/680 gr. Il polmone ha forma conica, una base a faccia diaframmatica, un apice che guarda lo stretto toracico superiore ed una faccia laterale o costo vertebrale. 1. Base: è in rapporto con le coste e gli spazi intercostali e indietro con le parti laterali dei corpi delle vertebre toraciche. La porzione avvolta dalla pleura è in contatto con la fascia endotoracica per mezzo di uno strato sottosieroso lasso. 248

2. Faccia mediale: corrisponde al mediastino. Nel mezzo circa della sua altezza presenta un’area infossata, l’ilo. Qui penetrano i bronchi ed i nervi ed entrano ed escono i vasi. A livello dell’ilo ha luogo la riflessione della pleura viscerale in quella parietale (come il peritoneo). Al di sotto dell’ilo i due foglietti sierosi che corrispondono al passaggio tra pleura mediastinica e viscerale si prolungano inferiormente verso il diaframma formando i leg triangolari del polmone: pertanto questi rappresentano uno sdoppiamento della pleura parietale e viscerale (non si effettuano test su questi legamenti). 3. Apice: è tutta la parte che si trova sopra il margine sup della 2° costa (in Pz con patologie polmonari l’apice diventa palpabile). Entra in rapporto con a. succlavia, a. toracica interna, ganglio cervicale inf (o stellato) e radice inf del plesso brachiale. I rapporti che contrae l’apice condizionano anche una serie di sintomatologie di tipo vascolare o neurovegetativo, neurologico (es. cervicobrachialgie in relazione con disfunzioni della cupola pleurica). La superficie del polmone è percorsa da scissure che si approfondano fino all’ilo dividendo l’organo in lobi e consentendo lo scivolamento dei lobi l’uno sull’altro. Quindi è molto importante che queste scissure siano libere. Es in caso di scissuriti e di processi infiammatori polmonari ci sono spesso esiti come restrizioni a livello delle scissure (un po’ quello che accade a livello del cranio con le suture). E poi a livello delle scissure la pleura è doppia (di un lobo e dell’altro): pertanto a questo livello c’è un quantitativo di sierosa maggiore rispetto al singolo lobo. A dx le scissure sono 2 perché il polmone è diviso in 3 lobi. A sinistra la scissura è 1 perché il polmone è diviso in 2 lobi. NB: i polmoni hanno poi delle divisioni funzionali in relazione al servizio dei bronchi. Questo però a livello osteopatico non interessa. Polmone dx: è diviso in 3 lobi: superiore, medio ed inferiore. La scissura principale od obliqua: origina dalla parte superiore dell’ilo e si porta in basso-avanti per raggiungere la base. Comincia in alto e dietro a livello della 3° articolazione costo-vertebrale, passa sulla linea emiascellare, sulla 5° costa e termina in avanti a livello della 6° articolazione condro-sternale. In conclusione si estende dall’alto in basso e da dietro in avanti. La scissura secondaria od orizzontale si stacca da quella principale sulla faccia laterale a livello della 4° costa e termina all’ilo. Si stacca dalla scissura obliqua a livello della 4° costa lateralmente ed arriva avanti a livello della 3° articolazione condrosternale. In conclusione si estende dal basso in alto e da dietro in avanti. Polmone sin: è presente una sola scissura, corrispondente alla scissura obliqua del polmone dx, che divide il polmone sin in due lobi: superiore ed inferiore. Tale scissura è molto obliqua e va sempre dall’alto verso il basso e da dietro in avanti, dalla 4° articolazione costo vertebrale alla 6° articolazione condrosternale incrociando la 5° costa (quindi segue lo stesso percorso della dx). Vascolarizzazione 1. Polmone Nel polmone esistono due sistemi vascolari: a) sistema funzionale costituito dai vasi polmonari (della piccola circolazione) e b) sistema nutritizio, quello dei vasi bronchiali, che fanno parte della grande circolazione. Tra i due sistemi esistono delle anastomosi. I 2 rami dell’arteria polmonare (dx e sin) entrano nel polmone a livello dell’ilo e si ramificano fino a dare una rete capillare contenuta negli alveoli. Dalla rete capillare perialveolare si costituiscono le venule e man mano le vene polmonari (2 per ciascun polmone). Queste escono dall’ilo per portarsi nell’atrio sin del cuore (=inizio della grande circolazione). 2. Bronchi Le arterie bronchiali originano dall’aorta toracica in numero di 3 rami, di cui 2 per il polmone sin ed 1 per il polmone dx. Le arterie bronchiali si ramificano sino ad arrivare ai lobuli e formare una rete capillare in comunicazione con 249

il sistema dell’arteria polmonare (connessa con l’aorta toracica). I capillare del sistema bronchiale si riuniscono in vene. Le vene che provengono dai bronchi più sottili sfociano nelle vene polmonari. Le vene che invece provengono dai bronchi più grossi si aprono nelle vene bronchiali. Le vene bronchiali si riuniscono in 1 o 2 tronchi che uscendo dall’ilo in genere si immettono nell’azigos e nell’emiazigos. Innervazione L’innervazione ortosimpatica e parasimpatica è soprattutto di tipo bronchiale. ParaS: tramite i nervi vaghi. Ha azione broncocostrittrice e vasodilatatrice. OrtoS: tramite i primi 5 gangli toracici per il polmone. Ha azione broncodilatatrice e vasocostrittrice. Organizzazione interna Il polmone è diviso in lobi. Ciascun lobo comprende centinaia di unità indipendenti che sono i lobuli, individuati da sottili linee corrispondenti al connettivo interstiziale che individua aree poligonali. Ogni loblo è formato da 10/15 unità dette acini cui fanno capo le ramificazioni dei bronchi intrapolmonari. Per riassumere: i lobi sono forniti da bronchi principali e le varie zone dai lobi secondari i lobuli sono forniti dai bronchi lobulari i bronchioli terminali provvedono alla ventilazione degli acini in ogni acino il bronchiolo terminale dà origine a due bronchioli respiratori che presentano nel loro decorso delle estroflessiooni emisferiche dette alveoli l’epitelio alveolare è semplice ed appiattito gli alveoli polmonari sono la sede degli scambi gassosi. Pleure Sono membrane sierose che avvolgono separatamente ciascun polmone. Vi si distinguono un foglietto viscerale ed uno parietale. Le pleure di dx e sin pur trovandosi in contatto tra loro dietro lo sterno sono indipendenti l’una dall’altra. 1. parietale: è disteso sulle pareti delle logge pleuropolmonari. È in continuità con la fascia endotoracica. Può essere suddivisa in: costale, diaframmatica e mediastinica. Tale distinzione è correlata ai rapporti anatomici. Pleura costale: è quella che giustifica il trattamento strutturale perché c’è un rapporto strutturale diretto. Infatti si estende dalla faccia post dello sterno fino alla faccia laterale dei corpi vertebrali. Si applica alle coste tramite la fascia endotoracica. In alto ricopre l’apice del polmone (è detta anche cupola pleurica). Prende rapporto con i vasi succlavi, scaleno anteriore, ganglio cervicale inferiore. In conclusione si evince che se c’è un rapporto così stretto della pleura costale alla componente strutturale è ovvio che in presenza per esempio di una disfunzione costale o vertebrale anche la pleura subisce questa restrizione. È ovvio anche il contrario e cioè che in presenza di un processo infiammatorio con la presenza già di problematiche pleuriche che possono già avere una componente biochimica (quindi con una modificazione del tessuto) oppure in presenza di una disfunzione osteopatica senza modificazioni biochimiche del tessuto si troveranno sia problematiche pleuriche che strutturali. Quindi il problema sarà decidere quale tra la pleura e la struttura è prioritaria. La cupola pleurica risale 2 o 3 cm al di sopra della 1° costa giungendo con la sua parte più alta circa a metà del corpo di C7 quindi l’apice del polmone rimane a livello della 2° costa, ma tutta la componente pleurica risale a metà di C7. È rinforzata e fissata allo scheletro da fasci fibrosi e muscolari che formano il sistema sospensore della cupola. Questo sistema è costituito dai seguenti legamenti: a) leg vertebro pleurici: vanno dal margine ant del corpo vertebrale di C6-C7-D1 alla parte mediale della cupola pleurica. Fanno parte della fascia cervicale profonda. b) leg costo pleurici: si estendono tra il collo di K1 e la parete laterale della cupola. c) leg trasverso pleurici: si estendono dal tubercolo ant della trasversa di C7 alla cupola pleurica mandando espansioni al margine mediale di K1, vicino all’inserzione dello scaleno ant (ha una forte relazione con gli 250

scaleni anteriori). Pleura mediastinica: è una membrana sottile e trasparente tesa tra lo sterno e la colonna vertebrale delimita il mediastino a livello del peduncolo polmonare le pareti ant e post della lamina si incontrano formando una piega: il leg polmonare è intimamente unita al pericardio per mezzo di connettivo denso prende rapporto con l’arco aortico e posteriormente con l’esofago continuando nella pleura costale da origine al seno costo-mediastinico. Pleura diaframmatica: si estende sulla faccia superiore delle pareti laterali del diaframma aderendo intimamente ad esso medialmente continua nella pleura mediastinica e lateralmente in quella costo-vertebrale continuando nella pleura costale a livello dell’angolo tra diaframma e parete da origine ad uno spazio virtuale che il polmone occupa parzialmente quando aumenta il volume nell’INsp: il seno costo diaframmatico le proiezioni sono: avanti 6° cartilagine costale basso-fuori 7° spazio intercostale linea emiascellare dietro margine superiore di D12.

2. viscerale: riveste la superficie dell’organo, continua a livello dell’ilo nel foglietto parietale e pertanto il

polmone viene ad essere circondato da uno spazio chiuso detto cavità pleurale (=come la cavità peritoneale). È una membrana sottile e trasparente che riveste intimamente il polmone e si porta profondamente nelle scissure interlobari fino alla vicinanza dell’ilo. All’ilo la pleura riveste per un breve tratto il peduncolo polmonare e continua nella parete mediastinica della pleura parietale (=come nel cuore). Fisiologia Per respirazione si intendono 2 cose: 1. reazione metabolica dell’ossigeno con i carboidrati e con le altre molecole organiche. 2. scambio di gas tra le cellule dell’organismo e l’ambiente esterno ed è il concetto che interessa quando parliamo di polmone. Gli acini costituiscono la vera sede in cui avvengono gli scambi gassosi all’interno dei polmoni. Tra i tubi contenenti aria e i vasi sanguigni dei polmoni sono interposti grandi quantitativi di tessuto connettivo elastico che svolge un ruolo importante nel respiro. I polmoni però sono privi di muscolatura quindi sono da considerare dei contenitori elastici passivi e l’espansione è data dai vari fattori in primis il diaframma. Gli alveoli sono minute cavità sacculari, le cui parti sono costituite da una vasta rete di fibre elastiche tappezzate da un sottile strato di epitelio. Il sangue che si trova in un capillare polmonare è separato dall’aria contenuta nell’alveolo solo da una barriera estremamente sottile. La vastità dell’area e la sottigliezza della barriera permettono il rapido scambio di O2 e di CO2. 1. Processo respiratorio Scambio di aria tra atmosfera ed alveoli: l’aria entra ed esce dai polmoni continuamente. L’intera fase è detta ventilazione e si effettua per il flusso massimo. Scambio di ossigeno ed anidride carbonica tra alveoli e capillari polmonari: avviene per diffusione. Trasporto di ossigeno ed anidride carbonica del sangue. 2. Pressione intrapleurica Normalmente i polmoni sono distesi all’interno del torace intatto e la responsabilità di tale distensione è di una forza data dalla pressione subatmosferica vigente nel liquido pleurico (subatmosferica significa inferiore alla pressione dell’aria atmosferica). Se si perfora la parete toracica l’aria atmosferica si precipita nello spazio intrapleurico così la differenza di pressione viene annullata e il polmone collassa. La presenza di aria nello spazio intrapleurico è detta pneumotorace. 251

3. Inspirazione Alla fine dell’Esp i mm. respiratori sono rilassati e non vi è flusso di aria. La pressione intrapleurica è subatmosferica. La pressione intraalveolare è uguale a quella atmosferica perché l’alveolo è collegato all’ambiente esterno. L’inspiro ha inizio per contrazione del diaframma e degli intercostali: queste strutture sono lo starter dell’inspiro. NB: il diaframma è l’equilibratore delle pressioni della cavità perciò se ho una disfunzione di utero che cambia la pressione dell’ipogastrio e quindi della zona pelvica ne consegue che cambia anche la pressione diaframmatica ed il diaframma si adatterà a questi cambiamenti. Pertanto ne conseguiranno problemi in cavità toracica. In conclusione: si avrà sempre una disfunzione pelvica, addominale e toracica su quasi tutti i Pz. Il problema è da dove partire: questo è possibile tramite i test. Es: un Pz ha da un mese grossi problemi polmonari, ma i test danno positività pelvica. Se non si risolve prima il problema pelvico quello polmonare tornerà sempre. Quindi devo cercare quale è la disfunzione che ha determinato il disequilibrio tra i diaframmi e trattarla. La contrazione del diaframma e degli intercostali aumenta i volumi della gabbia toracica. Questo aumento di volume della parete fa diventare ancora più sub atmosferica la pressione intrapleurica. Questa fa aumentare la differenza di pressione tra spazio intraalveolare ed intrapleurico: questo fa espandere il polmone. Quando il polmone si espande fa aumentare anche il volume degli alveoli e per questo la pressione vigente all’interno di questi scende velocemente ad un valore inferiore a quella atmosferica il che provoca un flusso massivo dell’aria all’interno degli alveoli. L’aria viene letteralmente succhiata dai polmoni quando si espandono. Lo starter del processo inspiratorio sono diaframma, intercostali e la modificazione della gabbia toracica. Questo ci fa capire ancora di più quanto sia importante che al suo interno non ci siano restrizioni di altri parametri: es un’articolare bloccata se non compensata da un adeguato adattamento della gabbia toracica andrà a ridurre la capacità di inspiro dei polmoni. 4. Espirazione Allorchè cessa la contrazione dei muscoli inspiratori, i tessuti riacquistano la loro primitiva dimensione perché non esiste più la forza che li mantiene in stiramento. L’area alveolare viene compressa e così la sua pressione supera quella atmosferica e per questo defluisce dagli alveoli. L’espirazione quindi è un fenomeno passivo che dipende in massima parte dalla cessazione dell’attività dei muscoli. Il volume d’aria che entra ed esce dai polmoni in un singolo respiro è detto volume corrente ed è dell’ordine di 500 ml. 5. Controllo del respiro Il controllo della muscolatura respiratoria avviene ad opera delle seguenti strutture: n. frenico nn. intercostali 5 gangli toracici n. vago. Questo è da tenere in considerazione in presenza di problemi cervicali C3-C5 e costali. Il controllo centrale è ad opera dei neuroni i cui corpi cellulari si trovano nel bulbo e questo fa si che gli impulsi diretti ai muscoli respiratori aumentino e diminuiscano alternativamente in base alle esigenze. Polmone ed osteopatia 1. Mobilità del polmone Durante l’inspiro il polmone effettua una RE del parenchima su: un asse verticale > per i lobi sup un asse obliquo > per i lobi inf il lobo medio del polmone dx è insieme agli inf da notare che l’espansione polmonare è massima in avanti per i lobi sup e lateralmente per quelli inf. L’asse obliquo materializza l’orientamento dei bronchi principali. Bisogna tenere conto che il bronco sin è meno obliquo del dx (attenzione domanda di esame!!!) in realtà dipende dal punto di riferimento. 252

Tutto questo movimento rispetto all’asse è fatto in modo che il mediastino non si muova per mantenere il cuore fisso nella sua sede poiché è un punto di stabilizzazione. 2. Polmone ed emotività I polmoni sono legati alla vita, al bisogno di spazio e di libertà (dammi aria, mi stai opprimendo), ma anche al bisogno di scambio in maniera profonda. Malattie come polmoniti e broncopolmoniti sono legate ad uno scoraggiamento profondo in cui non si ha più voglia di vivere o si ha paura di perdere la vita. Quindi il polmone è profondamente legato alla vita (senza polmoni non si vive), al bisogno di sopravvivenza. Per scoraggiamento profondo si intende che il Pz polmone esprime, tramite dei binari di patologia polmonare, tutta una serie di problematiche che riguardano la parte depressiva che non è contingente, ma è legato alla sopravvivenza (in stati depressivi veri ci sono problemi di polmone; le metastasi più frequenti sono quelle al polmone > paura di morire). NB: il torace è la sede di più alta produzione di dopamina; e come sappiamo dopamina e serotonina sono coinvolte nella depressione. I bronchi sono legati alla capacità di prendere spazio vitale, ma in modalità più superficiale. Es: l’asma è una patologia più bronchiale. Il polmone è un organo legato allo sviluppo di energia perciò o va in eccesso oppure in forte difetto. Anche il rene è un organo della depressione perché prima resiste e poi si esaurisce. Con il surrene è un organo legato allo stress. Pratica La pleura è in stretta relazione con la fascia endotoracica, le articolazioni condrosternali e condrocostali, le vertebre cervicali e dorsali, l’angolo di Louis, le coste, i muscoli intercostali, lo sterno, le clavicole, l’articolazione sternocostoclaveare. La pleura arriva ad interessare tutte le vertebre e le coste perché scende molto. Per questo motivo è necessario andare a rivedere tutte le tecniche strutturali sul torace e le tecniche fasciali che in maniera indiretta vanno a lavorare sulla parte alta del torace (cavo ascellare, sottoscapolare, piccolo e grande pettorale, succlavio, legamenti conoide, trapezoide ed acromion clavicolare): infatti liberano bene le parti alte della pleura. 1. Reperi e test_Test sulla cupola pleurica La cupola pleurica si trova in corrispondenza del triangolo sup; è una porzione abbastanza centrale, non troppo anteriore, infatti, provando a mettere le mani nella zona ant vicino al collo si riesce a percepire il battitio: questa non è sicuramente zona di cupola proprio perché si sente il passaggio dei vasi. Quindi, la cupola, da un punto di vista anatomico, sia trova un po’ più in alto e un po’ più indietro rispetto alla zona dove si percepisce il battito dei vasi. Quindi, per fare un test sulla cupola ci si posiziona con le 2 mani parallele tra loro a piatto nella zona del triangolo sup, un po’ in alto e un po’ indietro, e ci si mette non sul muscolo, ma nella zona molle subito davanti al m. trapezio, lontano dal pacchetto vasculo-nervoso, laddove c’è il foro. In questa posizione si effettua un test di pressione dall’alto in basso (solo con l’appoggio di 2°-3°- 4° e 5° dito, mentre il pollice si trova ai lati del collo). Repere dell’asse dei lobi sup del polmone I lobi polmonari terminano dove si è reperito il diaframma e cioè a livello del 5° spazio intercostale sin. Attenzione poiché in questa zona c’è l’incisura cardiaca, che si è in grado di reperire, è opportuno dunque fare una percussione per distinguere il cuore dai polmoni. Pertanto i test sul polmone verranno effettuati tutti a livello del 5° spazio intercostale, al di sopra del diaframma. Questo repere ci permette di fare il test di pressione dei lobi sup e inf. 253

Per fare un test sui lobi sup devo reperire l’ asse sup: lo si reperisce più o meno a livello della linea emiclaveare. Si mettono entrambe le mani sulla linea emiclaveare, parallele allo sterno ed il test di pressione lo si esegue facendo pressione da davanti a dietro, in direzione appunto ant-post (verso il lettino).

Repere dell’asse dei lobi inf del polmone Per fare un test sui lobi inf del polmone, si deve prima reperire l’asse bronchiale. Repere dell’asse bronchiale: con indice/medio della mano sin, partendo dalla incisura giugulare, si scivola verso il basso e si finisce a livello dell’angolo di Louis. Sapendo che il lobo sin è meno obliquo del lobo dx, ci si posiziona con il bordo cubitale delle mani alla ricerca dei bronchi stando 3 dita a sin 2 dita a dx dallo sterno. Si percepisce una sensazione di “duro” all’interno del parenchima polmonare.

ricerca dell’asse dei lobi inf

test sui lobi inf

Dopo aver reperito l’asse bronchiale si sostituisce il bordo cubitale delle mani con le mani stesse disposte obliquamente mediante bordo ulnare in direzione dell’asse a livello dell’angolo di Louis e con i tenar verso l’esterno. In questa posizione, rimanendo sempre al di sopra del diaframma, si effettua un test di pressione dei lobi inf con direzione da avanti a dietro (verso il lettino) alla ricerca di una sensazione di “duro”, che corrisponde appunto all’asse bronchiale. All’interno del parenchima all’inizio non si sente niente, finchè ad un certo punto se ci si proietta bene, si finisce a livello dei bronchi. NB: si può utilizzare, partendo dal repere dell’angolo di Louis, la tecnica dello sfioramento ed arrivare a reperire i bronchi (personalmente ve la sconsiglio perché Manzo mi ci ha bocciato all’esame di tecniche di viscerale). Quindi riassumendo si deve procedere in questo modo: test di pressione sulle cupole test di pressione sui lobi superiori test di pressione sull’asse bronchiale In una clinica può capitare di: fare il test dei 9 quadranti > selezionare 1 quadrante o più di 1 quadrante test di rebound sullo sterno e vedere se è positivo al viscerale o meno test sull’esofago test sul cuore e pericardio test sul polmone discriminare e trattare NB. La prof Menichelli ha spiegato anche i bronchioli che non sono in programma, ma molto gentilmente ci ha fatto vedere i tests di approccio per agevolarci alle cliniche. 254

Trachea È suddivisa in un tratto cervicale ed un tratto toracico. 1. Tratto cervicale Mano craniale: con presa pollice-indice ci si posiziona a livello della cartilagine cricoidea della laringe, in proiezione di C5-C6 (la si reperisce con lo sfioramento pollice-indice partendo dall’osso ioide, cartilagine tiroidea e cricoidea dall’alto verso il basso). Mano caudale: indice-medio con i polpastrelli ci si posiziona a livello della incisura giugulare, e si esegue un test in allungamento meccanico diretto dall’alto verso il basso. La mano caudale appunto esegue un test in allungamento meccanico diretto ed in presenza di una disfunzione >������������������������������������������������������� �������������������������������������������������������� tecnica in allungamento meccanico diretto o eventualmente un recoil. 2. Tratto toracico Mano craniale: fa presa con indice/medio sulla incisura giugulare (bordo sup). Mano caudale: si pone sull’angolo di Louis proiezione post D4-D5. La stessa cosa si può fare cambiando presa, mettendo le mani con il bordo ulnare nelle stesse posizioni. Si procede con un test in allungamento meccanico diretto ed in presenza di una disfunzione > tecnica in allungamento meccanico diretto o eventualmente un recoil. Bronchi Ci si posiziona in proiezione corrispondente all’asse bronchiale e con il bordo cubitale della mano ad una distanza di 3 dita a sin e 2 dita a dx rispetto allo sterno si esegue un test dall’avanti all’indietro, in direzione ant-post per entrambi i bronchi. Una volta selezionato quello positivo, si esegue un test di allungamento meccanico diretto ed in presenza di una disfunzione si effettua una tecnica in allungamento meccanico diretto o eventualmente un recoil. Premesse Arriviamo a fare un test sulla trachea nel momento in cui troviamo positiva la loggia viscerale del collo. Dobbiamo testare come visceri, in modo selettivo: trachea, esofago, cartilagini laringee, ioide etc. Arrivo anche a testare la porzione toracica e i bronchi principali quando ho un rebound positivo per il viscere e devo distinguere tra esofago toracico, cuore, polmone, trachea toracica e bronchi. Osteopata solitamente alla dx del Pz (anche se per il torace test e trattamento_ si può stare tranquillamente alla sin del Pz). trachea cervicale Test della trachea_porzione cervicale: mano craniale: si posiziona in proiezione della cartilagine cricoidea della laringe mano caudale: si posiziona in proiezione della incisura giugulare Eseguo così un test in allungamento meccanico diretto della trachea porzione cervicale, e come trattamento un trattamento in allungamento meccanico diretto o un recoil.

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test e trattamento_ trachea toracica

test di pressione sui bronchi

Test della trachea_porzione toracica: mano caudale: reperisce l’angolo di Louis e ci si posiziona con indice e medio mano craniale: reperisce l’angolo superiore dello sterno e ci si posiziona con indice e medio. Supera il piano dello sterno strutturale, entra sulla porzione dello sterno ed esercita un test in allungamento meccanico diretto ed eventualmente un trattamento in allungamento meccanico diretto o un recoil.

Repere e test bronchi: Si reperisce l’asse bronchiale sotto l’angolo di Louis e ci si proietta o mettendo le mani con i bordi ulnari obliqui tra loro oppure il repere del bronco può essere fatto mediante un test con le mani pollice mano dx e polpastrelli mano sin perpendicolari tra loro. Per posizionarci correttamente nel repere del bronco, bisogna tenere conto che, a partire dallo sterno, dobbiamo considerare tre dita a sin dello sterno stesso ed un paio di dita a dx. Quindi mi raccomando mani vicine tra loro durante il test. Azione: tecnica in allungamento meccanico diretto o recoil sempre nella direzione del bronco. test di allungamento e trattamento dei bronchi

trattamento dei bronchi mediante recoil

Test di pressione sul polmone 1. Test di pressione sulla porzione apicale: mani direttamente poste bilateralmente a piatto sullo stretto toracico superiore con le interfalangee poste sui bordi delle clavicole. 2. Test dei lobi sup: test sulla emiclaveare in direzione ant-post 3. Test dei lobi inf: si posizionano le mani a piatto e in obliquo tra loro a livello di K4-K6, a livello dell’asse bronchiale. È possibile anche debordare con le mani. Posso anche spingermi in direzione dell’aia cardiaca con le mie mani, ma il cuore non lo sento se sono proiettata bene. NB: qualora trovassi una o più zone positive ai miei test, posso bilanciarle facendo dei test di bilanciamento.

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test di mobilità_ lobi sup del polmone (1° tecnica)

test di mobilità_ lobo sup dx del polmone (2° tecnica)

Test di mobilità dei lobi SUP Se per es. nel bilanciamento esce fuori un lobo superiore del polmone dx, posso fare il test di mobilità in contemporanea a sin e a dx sapendo tuttavia che la disfunzione è sul lato dx. Pertanto mi metto sull’asse, faccio un test di mobilità del polmone sull’asse, mi metto in ascolto della frequenza e della ampiezza e all’interno di questa frequenza e di questa ampiezza comincio ad indurre e a valutare l’espansione in RE del polmone in INsp, ed in Esp la retrazione e la RI del polmone. Utilizzo quindi i tempi respiratori che mi occorrono per effettuare questa valutazione. Nella eventualità che io percepisca una netta restrizione di mobilità in una direzione o di INsp o di Esp, definisco la disfunzione sempre nel senso della maggiore ampiezza. Posso anche effettuare un test solo da un lato, naturalmente dal lato che mi interessa con entrambe le mani una ant e una post.

Test di mobilità dei lobi INF Osteopata alla dx del Pz si posiziona in direzione dell’asse bronchiale con le due mani in obliquo tra loro. Si mette in ascolto: durante l’INsp percepisce sull’asse la rotazione esterna dei lobi inferiori, viceversa durante l’Esp valuta quanto e come questi lobi si lasciano portare in RI e se sente una restrizione di mobilità denomina questa nel senso della maggiore ampiezza.

Test dei lobi INF_donna basta spostare la mammella

Supponiamo che alla valutazione l’Osteopata trovi un lobo che ha difficoltà alla RI, quindi è una disfunzione di RE, posso applicare come tecniche di riduzione: una tecnica diretta, una tecnica indiretta, una tecnica funzionale diretta e una indiretta (in INsp ed in Esp). Es: disfunzione del lobo sup del polmone dx in INsp: mi metto con una mano post ed una ant in direzione dell’asse (entrambe dallo stesso lato) e con una tecnica funz indiretta durante un tempo di INsp esagero il movimento di RE e mantengo la RE, mentre durante la fase di Esp mantengo tale rotazione. Faccio questo su più atti respiratori e, quando il tessuto cede posso andare a seguire la correzione spontanea del tessuto o 257

viceversa fare una tecnica combinata ed indurre il viscere aiutando la correzione in RI.

in INsp esagero la RE

quando i tessuti mollano oppure vado in RI anche con in Esp vado in RI l’aiuto della spalla

Altra modalità più efficace: posso utilizzare il braccio del Pz, prendendolo con la mano esterna (nel caso del nostro es la mano sin), e mantenendo la mano interna (mano dx) come punto fisso in proiezione del lobo superiore del polmone, sia per indurre una RE sia per indurre una RI. Faccio ciò sia quando voglio andare contro restrizione che secondo restrizione.

in INsp aggravo la RE

alla fine in Esp correggo in RI

Es: voglio fare una tecnica diretta di un polmone in RE e lo voglio portare in RI; su più tempi di Esp me lo porto in RI, mantenendo le mani come detto sopra e portando il braccio in Add. Tecnica di riduzione di una RE mediante uso del braccio del Pz

Con le mani viceversa posso usare la rotazione dell’arto superiore sia per l’esagerazione, portandolo appunto in RE e sia per la correzione portandolo in Add. La cosa importante è di non fare semplicemente la RE e la RI, ma vado tramite l’arto a percepire il grado di abd 258

e Add, e vedo le varie possibilità di aiuto dell’arto superiore con la mano esterna, mentre mantengo fissa la mano interna in prossimità dei lobi sup. Per un polmone in disfunzione di RE: in INsp porto il polmone in RE, aiutandomi con il braccio in RE e abd, in Esp mantengo (così su più INsp) Fin quando sento che il tessuto molla, fuori aria, ed è qui che aumento la RI, correggo e add il braccio del Pz. Quindi l’arto non è sempre mosso a caso, ma è fondamentale la ricerca delle componenti che mi permettono di esagerare o di correggere quello che ho deciso su questo lobo. NB: La correzione la posso fare o in un unico tempo o su più tempi respiratori sempre sull’asse bronchiale. Per ridurre una disfunzione del lobo inf: mi posiziono con la mano interna a livello del lobo inf in direzione dell’asse bronchiale, mentre la mano esterna prende l’arto e lo muove o in add/RI o in abd/RE a seconda della disfunzione considerata. NB: se devo lavorare per correggere una disf del polmone di sin, posso mettermi alla sin del Pz Approccio al trattamento del lobo INF in una donna L’unica differenza è che prima di prendere appoggio con la mano interna sul torace, si sposta la mammella verso l’esterno, si supera il piano costale e si prende appoggio sul polmone in proiezione di questo. Procedimento metodologico di approccio al viscere: Repere Test di press Legamenti Mobilità Quando ho positivo al bilanciamento l’apice del polmone, posso testare la cupola pleurica ed i legamenti. Cupola pleurica Dobbiamo sentire quale legamento della cupola pleurica è maggiormente responsabile di tale positività. Si fa un trattamento per i legamenti che mira a defibrotizzare questi ultimi, e che, proprio perché è una tecnica diretta ha molte controindicazioni, poiché mette il Pz in posizioni simili al trattam per le cervicali (data la relazione molto forte tra cupole e struttura). 1. Possibilità di approccio globale alla cupola pleurica È una tecnica indiretta, non è contro la resistenza, ma sfrutta la possibilità di appoggio verso la resistenza tissutale e va invece verso l’ammorbidimento della zona che voglio trattare. Pz su un fianco, opposto a quello da trattare, in decubito laterale. Il braccio superiore del Pz è in appoggio sul lettino con il polso flesso, perché la zona dello stretto toracico superiore rimanga morbida e rilassata. Mano caudale, è in proiezione della cupola pleurica; è la mano che fa punto fisso a livello dello stretto toracico sup; mano craniale, la metto a livello della scapola ed è quella attiva che va ad ammorbidire: quindi la scapola è il timone della mia tecnica, muovendo la scapola io seguirò i movimenti che mi permettono di ammorbidire la zona della cupola pleurica, non vado verso il duro, ma verso la zona più morbida. Con la mano caudale mi posiziono non direttamente nel pacchetto vasculo-nervoso dello stretto toracico superiore, ma nella zona dove abbiamo fatto il test di pressione un po’ più indietro e un po’ più in dentro rispetto ad esso, muovo la scapola e muovendola sarà quest’ultima che mi dice la direzione che devo seguire e le direzioni in cui posso ammorbidire. Questo è il trattamento globale della cupola pleurica ed è un ausilio per essa; cerco il morbido. Riassumendo: punto fisso sulla cupola (dove la mano non si muove!!!) ed è la mano della scapola che orienta il movimento; vado alla ricerca del morbido. La tecnica finisce quando ho un sufficiente grado di soddisfazione di ammorbidimento tissutale rispetto alla condizione da cui sono partita. 259

Test dei legamenti NB: intanto bisogna dire che se ho fatto il test di pressione, so già che ho sicuramente un apice di competenza. Nel nostro Pz in esame, facciamo conto che ho trovato positivo un apice, quindi ho già il lato Test di INsp ed Esp della cupola pleurica, es: cu- delle cupole per valutare pola sin. disfunzioni presenti Faccio una valutazione in INsp ed in Esp: chiedo al Pz di prendere aria e buttare fuori aria; la disfunzione trovata è in INsp cioè va bene in INsp e non torna in Esp.

A questo punto voglio inibire il leg trasverso–pleurico, quindi lo devo accorciare e per far ciò devo far fare al Pz una inclinazione dove ingaggio C7. Pz seduto Osteopata dietro Pz Mano caudale blocca C7 Mano craniale inclina la testa del Pz dallo stesso lato del leg in questione per accorciarlo; eseguo il test facendo dapprima prendere aria al Pz e buttare fuori. Migliora un po’ e quindi dico che il leg trasverso pleurico è coinvolto nel mantenimento della disfunz Voglio inibire il leg vertebro–pleurico Pz seduto Osteopata dietro Pz Mano caudale in corrispondenza del tratto C6-C7-D1, quindi è necessario ingaggiare fino a D1. Pertanto: mano caudale fa presa su C6-C7-D1 Mano craniale inclina il capo dallo stesso lato e ruoto omolateralmente al legamento interessato e lo accorcio; a questo punto richiedo al Pz INsp ed Esp e valuto così se c’è un cambiamento o un miglioramento rispetto al mio test di partenza.

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Se voglio inibire il leg costo-pleurico Pz seduto Osteopata dietro Pz Mano caudale posizionata su D1 Mano craniale si posiziona su capo del Pz: bisogna arrivare ad ingaggiare D1 e interiorizzare il collo della K1, quindi inclina capo dallo stesso lato ma ruota capo dal lato opposto (controlateralmente) si chiede al Pz di prendere aria e di espirare e valuto il miglioramento o meno rispetto al test iniziale. Quindi facendo un test di inibizione capisco dove è la priorità. Tecniche sui legamenti Le tecniche mirano a defibrotizzare i legament, i visti come strutture elastiche; sono tecniche dirette. Devo mettere in tensione i legamenti e quindi faccio sicuramente i movimenti opposti a quelli che causano l’inibizione. Per lavorare sul leg trasverso pleurico sin: Pz supino Osteopata alla testa del Pz mano dx caudale va in appoggio di C7 posta orizzontalmente contattando bene la spinosa contattata con la metacarpofalangea mano sin craniale prende il capo del Pz e lo inclina a dx; l’Osteopata con la sua mano dx fa la sua tecnica di defibrotizzazione dando informazioni toniche, e con la mano sin posta sul capo mantiene la tensione e non molleggia. trattamento leg trasverso pleurico

modalità di presa o contatto

Per lavorare il leg costo-pleurico sin: (come detto prima è l’unico che ha una R controlaterale). Mano dx scende di un livello su D1, fa punto fisso su D1, dove si posiziona come prima con mano a piatto per orizzontale. Mano sin prende il capo del Pz inclina a dx e ruota a sin. Mano dx fa tecnica di defibrotizzazione dando informazioni toniche, mentre mano sin mette in tensione il capo.

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Per trattare il leg vertebro-pleurico: Mano caudale dx fa una presa un po’ ampia tra C6 e D1 a livello vertebrale. Mano sin, posizionata sul capo, inclina a dx e ruota a dx (quindi dallo stesso lato), finchè non ingaggio tutta la zona. Mano dx defibrotizza senza molleggiare in modo molto diretto, mentre la mano sin mantiene la messa in tensione.

Durata delle tecniche Faccio le tecniche di defibrotizzazione finchè non sento che il tessuto è come se mollasse e la tecnica termina. Infatti in Pz con problemi all‘inizio c’è una resistenza forte, poi man mano sentirò che i miei tessuti mollano e la capacità elastica di questa zona aumenta e si termina quando si è sufficientemente contenti di quello che si sente, cioè della percezione che si ha sotto le mani. Si possono anche associare le varie tecniche se c’è l’esigenza e se il Pz lo permette. Spesso si fanno più tecniche in una zona quando si trovano più elementi disfunzionali. sem 4

Le scissure polmonari

Cosa sono le scissure polmonari? Ve ne sono 2 a dx (piccola scissura orizzontale e grande scissura obliqua) ed 1 a sin (grande scissura obliqua). Sono zone di separazione tra i lobi polmonari, dove c’è un’invaginazione del connettivo pleurico viscerale che riveste i polmoni. Hanno una valenza osteopatica perché possono essere sede di restrizione di mobilità a seguito di processi infiammatori del polmone (es. pleuriti, polmoniti, etc.). in questi casi è possibile che rimangano degli esiti nonostante il processo principale sia guarito. In questo caso a livello della scissura si avrà una scissurite (infiammazione della scissura) con possibile presenza di liquido (evidente all’esame radiografico come una linea radioopaca). Questa condizione giustificherà la possibilità di disfunzioni a livello delle scissure, ma anche una riduzione della capacità vitale del polmone e soprattutto è possibile che una pleurite od una polmonite si rendano manifeste solo tramite una scissurite. Quindi il lavoro osteopatico svolge un ruolo importate a fronte di una sintomatologia protratta nel tempo e sfumata (es. segni di infiammazione, febbricola, tosse, dolore: questo può essere presente sulla zona della scissura oppure a livello costale, dove passa la scissura o dolori riferiti di origine fasciale (cervicobrachialgia, problematiche di arto superiore come epicondilite ed epitrocleite, dorsalgie in corrispondenza dei polmoni, sterno da K1-K6). Lo scorrimento della pleura che riveste i polmoni e le scissure consente l’espansione dei polmoni. Decorso delle scissure: partono anteriormente dall’ilo polmonare a livello dello spazio condrocostale di k6-k7 e si dirigono lateralmente. 1. La grande scissura obliqua di dx e sin dallo spazio intercostale di K5-K6 si porta post su K5 fino ad arrivare a D3. 2. La piccola scissura orizzontale di dx ant-lateralmente si protende a livello di K4, mentre post anch’essa si porta a livello di D3.

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Pratica sulle scissure Le scissure possono essere valutate sia con il Pz in decubito seduto che laterale. Pz seduto Per la piccola scissura orizzontale di dx si può partire post a livello di D3 oppure ant a livello dello spazio intercostale K3-K4. Si segue tutto il decorso della 4° costa sino ad arrivare a livello del cavo ascellare. Quindi ap4° spazio poggiandosi con la metacarpofalangea del 2° dito si effettua un test con intercostale direzione verso basso (cioè a livello del 4° spazio intercostale) cercando di superare i piani tessutali sino a sentire la resistenza offerta dalla scissura. L’altra mano è poggiata sulla spalla omolaterale, mentre il gomito è sulla spalla controlaterale. Entrambe hanno funzione di stabilizzare. Attenzione alla resistenza offerta dal piano costale durante il test di pressione. Test di pressione sulla piccola scissura orizzontale di dx Per la grande scissura obliqua di sin e di dx ci si dispone a livello della 5° costa e più precisamente a livello del 5° spazio intercostale. Le mani sono disposte più obliquamente in direzione dell’ilo polmonare. Come descritto per la scissura orizzontale, si deprimono i tessuti e superata una prima resistenza offerta dalla costa si va alla ricerca di una densità scissurale. La 5° spazio mano ed il gomito controlaterali fanno da stabilizzatori rispettivamente a intercostale livello della spalla omolaterale e di quella controlaterale. Test sulla grande scissura obliqua di dx

Pz in decubito laterale Si possono utilizzare 3 approcci: 1. L’osteopata si pone con le mani a ponte sulla scissura: per essere sicuri di essere a livello si blocca il lobo medio del polmone destro e quando il Pz respira l’altro lobo dovrebbe espandersi (test meccanico).

2. Sempre con

le mani nella medesima posizione si può effettuare un test di compressione con la mano craniale (test pressorio).

3. Sempre con le mani

nella medesima posizione in un tempo di INsp si effettua una pressione con la mano craniale in direzione avanti-dentro. Nell’Esp se c’è dolore e il movimento si blocca vuol dire che la scissura è interessata. La mano caudale fa da punto fisso sul lobo inf.

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Trattamento Può avvenire in varie modalità: 1. Meccanica: con le mani a ponte sulla scissura l’Osteopata effettua meccanicamente senza l’ausilio della respirazione una sorta di avvitamento e svitamento. Lo si fa varie volte in un senso e poi nell’altro oppure se si sente una resistenza si rimane lì e quando il tessuto si ammorbidisce si va nel senso opposto.

2. Respiratoria: è una tecnica funzionale indiretta, pertanto con le mani sempre nella stessa posizione in un tempo espiratorio la mano craniale aggrava in direzione avanti-dentro, mentre la mano caudale fa punto fisso. In un tempo di INsp si mantiene. Il tutto viene ripetuto alcune volte sino a che non si percepisce un ammorbidimento dei tessuti ed a questo punto si esegue un recoil. NB: per la scissura orizzontale si procede nello stesso modo, ciò che varia è la posizione orizzontale a ponte sulla scissura.

3. Tecnica di Jones: l’Osteopata è seduto di fianco al Pz. Con le mani si pone a ponte sulla scissura. Si chiede al Pz di piegare le gambe e di muoverle a dx ed a sin e si valuta in quale posizione la scissura si ammorbidisce e si rimane in quella posizione per 90 secondi. In questo modo si mette in confort il tessuto (è simile al lavoro che si esegue sui pilastri). NB: la scelta di una tecnica piuttosto che un’altra dipende dal Pz, dal suo momento fisiologico etc. Generalmente le tecniche meccaniche sono molto efficaci nel trattamento delle scissure. Devono essere precedute da un lavoro di liberazione delle strutture limitrofe.

Lavoro sulle relazioni viscerali

Diaframma

Inserzione periferica sulle coste basse faccia interna e cartilagini costali dalla 7° Faccia post-inf della xifoide e parte bassa sterno (qui formano scissure di Larrey per il passaggio dell’a. mammaria interna, che è un ramo della succlavia) I pilastri interni hanno fibre che si confondono con il leg vertebrale comune ant (cranio_coccige) Pilastro dx > faccia ant corpi vertebrali L2-L4 e dischi Pilastro sin > faccia ant corpi vertebrali L2-L3 (influenza di trazioni asimmetriche sulle vertebre creano NSR e tramite il legamento longitudinale fino al sacro) Creano orifizi aortico e esofageo > aorta, esofago, vena cava I pilastri esterni creano arcate: 1. arcata psoas parte lat corpo di L2–trasversa di L1 2. arcata quadrato dei lombi trasversa di L1-apice di K12 3. arcata del trasverso o Sennac apice K12 faccia inf di K11 Centro frenico coste e sterno per l’inserzione dei digastrici leg freno-pericardici > relazione con il cuore e con la pleura leg coronale, leg falciforme e leg triangolari > fegato leg freno-colico > angoli colici 264

leg gastro-frenico > stomaco leg freno-lienale > milza mesoesofageo > esofago addominale muscolo di Treitz > duodeno e tenue leg freno-surrenalico > rene Relazioni dirette di innervazione C3-C5 > n. frenico dx e sin > n. frenico dx e orifizio della vena cava, n. frenico sin e fogliola sin) i nn. frenici innervano pleura costale e pericardio grande vena azygos dotto toracico ghiandola surrenale vena cava e peritoneo diaframmatico capsula di Petrequin e Glisson passaggio del vago nn. grande e piccolo splancnico

m. costrittore inf della faringe

Esofago_D4-D8_vaghi

aponeurosi muscolare > ioide diaframma spazio di Hencke > relazione con le vertebre cervicali sistema fasciale medio e profondo > relazione con la base del cranio (occipite) tubercolo faringeo esofago_tratto toracico > relazione con la trachea fino a D4, pericardio, faccia post del cuore e pleura loggia vascolare: carotide, giugulare arterie tiroidee > tiroide e paratiroide stomaco rapporti vascolari con aorta e dotto toracico rapporto con i vaghi n. frenico n. laringeo ricorrente ci sono fibre muscolari e connettivo che media queste relazioni mesoesofageo (esofago_addominale) > relazione con il diaframma mesoesofageo + peritoneo diaframmatico > leg triangolare sin del fegato mm. cricofaringeo e costrittore inf (formano il UES) > relazione con la faringe i leg freno-esofagei inf prolungano il leg gastrofrenico e il triangolare di sin relazioni neurovegetative con i vaghi (decorso del vago) gangli cervicali sup e inf (vertebre) D4-D8 (vertebre e coste)

cartilagine tiroidea cartilagine cricoidea m. crico-faringeo (parte del m. costrittore inf della faringe) trachea esofago aorta sterno

cuore entro il pericardio

diaframma

265

Stomaco_D4-D8_vaghi

pancreas (dietro) Relazione con il diaframma e quindi le ultime 6 coste rene e surrene Tramite il diaframma > cuore e pleura innervazione D4 D8 > relazione con vertebre e esofago coste corrispondenti fegato cardias D4 D5 duodeno piloro D6 D8 colon trasverso milza a. epatica propria, margine dell’incisione aorta ramo sin del piccolo omento addominale a. epatica propria, a. gastrica v. cava ramo dx sin inferiore stomaco fegato milza

cistifellea a. cistica margine dell’incisione del leg. epatoduodenale a. epatica propria v. porta tronco celiaco a. epatica comune dotto coledoco a. gastrica dx a. pancreaticoduodenale superiore posteriore a. gastroduodenale flessura colica dx

a. gastroa. gastroa. lienale epiploica sin epiploica dx grande pancreas a. pancreaticoduodenale omento superiore-anteriore

duodeno

Fegato_D7-D9_vaghi

rapporti con le coste da K9 a K12 vertebre si appoggia tra D9 e D12 diaframma Tramite il diaframma polmone pleura e il lobo sinistro con cuore pericardio leg rotondo > relaz con il peritoneo anteriore linea mediana e uraco > relazione con la vescica esofago (impronta esofagea) 266

piccolo epiplon > stomaco flessura colica di dx impronta renale (surrene) ricordare leg epato-renale, epato-surrenale e epato-colico (non studiati) rapporto con la vena cava fissata da aderenze peritoneali relazione emodinamica con gli organi del sistema portale (milza, tenue, cuore?) vescicola biliare C3 C5 > n. frenico, che dona filuzzi per i mm. succlavio, ipoglosso, accessorio relazioni biochimiche

Vescicola biliare (VB)_ D7-D9_vago sin mesocolecisti > fegato duodeno colon trasverso il leg cistico-duodenocolico va dalla faccia inf della VB al duodeno, flessura colica di dx.

dotto coledoco > relazione con duodeno nella parte inf del collo della VB arriva il piccolo epiploon n. frenico, cervicali coste K9 K10

Duodeno_D6-D12_vaghi

leg cistico-duodenale > fegato e vescicola biliare mesocolon trasverso > relazione con la borsa omentale stomaco leg duodeno-renale > relazione con faccia ant rene dx, testa del pancreas Du2 colon trasverso e anse del tenue leg epato-duodenale continua il fascio orizz del piccolo rene dx, surrene epiploon, quindi relazione con lo stomaco muscolo di Treitz > diaframma radice del mesentere radice del mesocolon trasverso vv. aorta peritoneo v. cava parietale inferiore epatiche esofago addominale diaframma

milza

lobo dx del fegato dotto epatico sin dotto epatico dx dotto epatico comune dotto cistico a. epatica propria cistifellea dotto coledoco flessura dx del colon dotto coledoco, sbocco a livello della papilla duodenale maggiore colon ascendente

ghiandola surrenale sin tronco celiaco a. lienale a. epatica comune coda del pancreas flessura colica sin corpo del pancreas rene sin digiuno colon discendente dotto duodeno, testa del duodeno, a. e v. mesenteriche parte pancreatico pancreas parte superiori ascendente principale discendente

267

Pancreas_D8-D10_vago dx

duodeno davanti > inserzione parietale del mesocolon trasverso (una tensione del trasverso può dare una trazione su pancreas, duodeno e tramite il coledoco sulla VB) dietro > impronta del coledoco dietro > piano vascolare delle aa. mesent fascia di Treitz > rapporti con la vena cava, il corpo di L2 L3, diaframma retrocavità degli epiploon > stomaco a sin > relazione con il rene sin e surrene leg pancreatico-lienale > milza

Milza_ D7-D9_vago sin

F di Treitz L pancr-lienale >v. cava, >milza corpo L2-L3, aa. mesenteriche diafr Du

olon mesoc

coledoco rene+sur sin erso trasv R degli epiploon > stomaco

coste dal K8 a K12 leg freno-lienale > diaframma a sin pancreas stomaco angolo colico relazione con il sistema portale (ricordare la relazione vascolare con il rene sin per anastomosi tra vena lienale e vena renale sin)

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Intestino mesenteriale _ D9-D12_vago sin

con il colon ascendente e discendente dietro > con il peritoneo post sopra > relazione con il trasverso Inferiormente grande relazione con gli organi del piccolo bacino Relazione meccanica diretta tra angolo duodeno-digiunale (diaframma) e valvola ileocecale (ricordiamo che il ceco è fissato alla fascia iliaca con il leg parieto-cecale esterno) Ricordiamo che l’a. mesenterica sup passa a ponte sull’a. renale sin relazione meccanica sul peduncolo vascolare in caso di trazione sulla radice) riflesso gastro-ileale > relazione riflessa con lo stomaco (attivazione della peristalsi dello stomaco stimola l’ileo e l’apertura della vic riflesso digiuno-gastrico > la distensione di un segmento intestinale inibisce la peristalsi dei segmenti addiacenti

Quadro colico_D6-D11 (dx)_D9-L2 (sin)_vago dx e para sacrale

anse intestinali leg parieto-cecale est > relazione con l’ala iliaca a dx leg parieto-colico est >in relazione con l’ala iliaca sin leg parieto colico int > il ceco è in continuità con la radice del mesentere leg appendico-ovarico > relazione con l’ovaio dx colon ascendente > relazione forte con la faccia ant del rene leg epato colico > relazione tra angolo colico dx e il fegato milza leg freno-colico dx e sin > diaframma leg freno-colico sin > continuità fasciale diretta in alto con il gastro-colico, dietro con il mesocolon trasverso e in basso diventa fascia di Toldt leg tubo-colico sin > tra mesocolon pelvico e tuba uterina retto (uomo) > tramite l’aponeurosi prostato-peritoneale è in rapporto con la vescica e la prostata retto (donna) > utero e vagina lateralmente > è in rapporto con colon, vescichette seminali, uretere para sacrale S2 S4 + nn. erettori d’Eckard centri defecazione L2-L4 e S2-S3

Rene_D10-L1 (surrene D8-D11) _vago dx

tramite connettivo > surrene colonna D12 L2 la lamina posteriore della fascia renale raggiunge il corpo vertebrale lateralmente e dischi Aderisce alle fasce del quadrato dei lombi e psoas K11 K12 leg frenico-surrenale > lo sospende al diaframma leg epato-renale dx davanti > quadro duodeno pancreatico uretere > vescica bacino > tramite la fascia iliaca m. psoas > relazione con anca e arto inferiore stomaco > relazione indiretta fascia di Toldt > relazione++ con il colon a dx e a sin, o senza il foglietto ant aderisce intimamente al questa vago

Uretere_D10-12_vago dx (plesso celiaco e renale) e para sacrale sotto il peritoneo riposano sulla fascia iliaca e sullo psoas a dx > Du2, anse a sin > con angolo duodeno digiunale e anse nella donna > in relazione con l’ovaio, aderisce al leg largo prima di giungere in vescica

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retto vago dx, plesso celiaco e renale, sacrale. mm. otturatore interno e elevatore dell’ano

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