Storia Del Teatro Antico Domande Aperte [PDF]

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Zitiervorschau

Storia del teatro antico domande aperte

 Quale caratteristica hanno le fonti iconografiche Le fonti iconografiche cui si può soprattutto far riferimento sono i manufatti di ceramica (vasi, piatti, crateri, anfore etc.), la pittura e la scultura antiche che costituiscono testimonianze molto importanti per conoscere non solo la cultura greca (con i suoi miti e le sue credenze), ma anche la sua organizzazione sociale o le sue usanze. Non necessariamente si tratta di fonti connesse alle rappresentazioni teatrali, ma nella trattazione del mito rivelano come operasse l’immaginario nelle diverse modalità di espressione collegate a specifiche coordinate spazio-temporali. Ad esempio Dioniso, dio del teatro, viene rappresentato secondo iconografie che possono cambiare sia dal punto di vista geografico (ad es. Grecia vs Etruria) o temporale (prima o dopo la metà del V sec.). Uno strumento fondamentale per lo studio dell’iconografia antica è il Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae (LIMC): un’enciclopedia in cui sono ordinati alfabeticamente figure mitiche, divinità, eroi, demoni o personificazioni della mitologia greca, latina ed etrusca. Per ogni voce vengono riportate: le fonti letterarie, una bibliografia selezionata di saggi e contributi sull’argomento ed infine il cosiddetto “Katalog”, cioè l’elenco delle immagini (pubblicate) relative alla voce di riferimento con una breve didascalia esplicativa.  Trattare le fonti epigrafiche Fra gli strumenti utili alla comprensione del teatro antico,esistono anche le epigrafi, cioè le iscrizioni, per lo più su marmo, che tramandano dati e contesti festivi relativi alle

rappresentazioni antiche. E' ben probabile che sin dai tempi più remoti di istituzione delle gare agonali ateniesi (=> lezione 4), siano stati depositati negli archivi di Stato della città di Atene dei documenti, delle liste ufficiali di drammi (tragedie, drammi satireschi e commedie) e rappresentazioni corali (come i ditirambi) rappresentate in città durante l'anno. La maggior parte di queste informazioni deriva da frammenti marmorei iscritti, rinvenuti sulla pendice meridionale dell'acropoli di Atene. Dell'opera di Aristotele, Didascalie, che raccoglieva le liste delle rappresentazioni dalle origini ai suoi giorni (4° s. a.C.), non è rimasto pressoché nulla e pertanto è inutilizzabile, se non come testimonianza di un precoce interesse per l'indagine archivistica sul teatro, percepito dunque come arte di Stato da conservare. Le iscrizioni marmoree non sono ovviamente integre: pertanto non è possibile ricavare l'intera successione dei poeti che hanno messo in scena delle opere teatrali ad Atene. Ciò nonostante, attraverso il materiale superstite si riesce a ricostruire un ampio spaccato della storia teatrale e spettacolare ateniese dal punto di vista organizzativo. Le epigrafi superstiti mostrano un'organizzazione di questa natura: 1. due liste separate per commedie e tragedie; 2. nome dell'arconte eponimo, cioè nome di colui che in quell'anno rivestiva la carica di arconte (attraverso questi nomi ricaviamo l'anno esatto);

3. nome dei poeti che avevano riportato il premio; 4. titolo dell'opera;
5. nome dell'attore protagonista di ciascun dramma; 6. nome dell'attore vittorioso. Anche a Roma, non sono mancate liste di Didascalie, ma sono perdute, in quanto erano opere erudite scritte e non documenti ufficiali, a segno di un interesse solo ludico e non politico da parte del mondo romano per il proprio teatro. Perché questi elenchi si chiamano Didascalie? Perché in greco il verbo didàsko significa, oltre a «insegnare», anche «istruire un coro», dunque «rappresentare». Parimenti didàskalos è il «maestro», ma anche il «regista».  Cosa s’intende per tradizione indiretta? L’insieme delle citazioni (eventualmente delle parafrasi) di brani di un testo antico con le quali possiamo confrontare i dati della tradizione diretta. Supponendo che un passo di Aristotele figuri, oltre che nelle raccolte delle sue opere, anche in una antologia come quella di Stobeo, in un testo di Cicerone o Plutarco, o in alcuni papiri egizi, varrà la pena di confrontare queste altre attestazioni con i dati della tradizione diretta perché esse ci sono pervenute per altre vie e quindi costituiscono un termine di paragone indipendente. Ciò serve dunque allo scopo di articolare ulteriormente lo stemma codicum, e in ogni caso allo scopo di tener conto delle varianti in maniera più sistematica, cercando ad es. di capire come un certo autore veniva letto in determinati ambienti e come ciò può aver influito sulla interpretazione del suo pensiero. Nel caso dei testi frammentari (es. nel caso dei presocratici), la stragrande maggioranza delle unità testuali ci è pervenuta solo per tradizione indiretta. Nessun codice e nessun papiro, per esempio, contiene un testo di Parmenide come tale, ma solo testi di Sesto Empirico, di Simplicio e di altri autori, i quali a loro volta includono delle citazioni da Parmenide. È pertanto comprensibile lo scalpore che sta suscitando la scoperta (nei nostri anni Novanta) di ampi spezzoni dei Physiká di Empedocle in un gruppo di papiri depositati a Strasburgo.

 Quali sono le principali fonti per lo studio del teatro antico? Le opere drammatiche del periodo classico sono note solo da ciò che è conservato dalla tradizione manoscritta fonti letterarie e storiche (testi di storici, oratori, filosofi, geografi etc.). Un esempio su tutti è l’enciclopedica opera di Ateneo di Naucrati, letterato vissuto tra il II-III sec. d.C. I suoi Deipnosofisti (Sofisti a banchetto), originariamente in 15 libri (di cui ne possediamo 12, dal III al XV, mentre i primi due sopravvivono solo in una forma riassunta) costituiscono un vastissimo e variegato repertorio grammaticale, linguistico, letterario, antiquario. L’autore cita, ad esempio, non solo i nomi di molti autori antichi, ma anche titoli di opere e una parte consistente della produzione frammentaria. Basti pensare alla conoscenza della commedia di mezzo di cui l’antico erudito è il principale testimone. Fonti epigrafiche e fonti iconografiche  Cosa sono le grandi dionisie? Dionisie urbane, Grandi Dionisie, ovvero Dionisie erano chiamate le feste che si tenevano ad Atene in primavera dal decimo al tredicesimo giorno del mese di Elafebolione (circa marzo/aprile), quando la stagione si faceva più mite e riprendevano gli scambi anche via mare tra le varie zone della Grecia. Il dio celebrato era Dioniso Eleutereo, il cui simulacro era stato (in un tempo passato non specificato) portato da Eleutere (città della Grecia) ad Atene. Secondo la leggenda gli Ateniesi non accolsero con il dovuto rispetto reverenziale l’immagine del dio, che si vendicò contro di loro attraverso un

morbo, dal quale potevano liberarsi solo costruendo dei “falli” in suo onore. L’importanza di queste feste, a cui partecipava tutta la cittadinanza, era rilevante per gli Ateniesi non solo dal punto di vista religioso, ma anche culturale e politico. Le Dionisie, aperte a tutto il mondo greco, erano feste a cui prendevano parte genti provenienti da tutta la penisola Ellenica, che naturalmente assistevano anche alle importanti rappresentazioni drammatiche messe in scena in quei giorni. Erano l’occasione di conferimento per molti cittadini e stranieri di onorificenze per meriti acquisiti; vi si svolgevano missioni diplomatiche e riti religiosi (come la rievocazione dell’arrivo della statua del dio ad Atene, il sacrificio di un toro e le processioni con i “falli”).  Delineare cosa s’intende nel teatro, specialmente in quello greco con la definizione “spazio extrascenico”

Se la nozione di scena circoscrive l’orchestra e il logheion, cioè lo spazio ben visibile dagli spettatori, quello di spazio extrascenico individua i luoghi da cui gli attori provengono o con cui stabiliscono relazioni durante la loro assenza dalla scena. A far da tramite tra le due aree sono le esodoi (spazio mimetico il primo, spazio diegetico il secondo). Una sorta di intersezione è costituito dall’edificio della skené, che raffigura per lo più un palazzo o un tempio. Un uso sapiente degli spazi può contribuire non poco a determinare la configurazione di una tragedia e a metterne in risalto particolari linee di significato.

Per spazio extrascenico si intende lo spazio (anche molto lontano) che sta “oltre” l’edificio teatrale e che viene solo evocato in un processo di visualizzazione che di esso viene creata dal racconto dei personaggi.  Cos’e’ il coro? Derivava il suo nome da chorós (“danza” e “luogo in cui si danza”) ed era composto da un gruppo di attori che, nelle rappresentazioni (non solo drammatiche), si esibiva guidato da un corifeo in performances di canto e danza. Ebbe un ruolo fondamentale nel teatro greco, soprattutto di V secolo, dal momento che simboleggiava sulla scena la comunità. Il pubblico dei cittadini, dunque, si rispecchiava nella componente corale. Va inoltre ricordato che (come si avrà modo di osservare più dettagliatamente) la rilevanza della sua funzione all'interno dello spettacolo è di derivazione rituale. Secondo Aristotele (Poetica 1449a) i due generi teatrali di commedia e tragedia sarebbero derivati originariamente da manifestazioni corali inerenti a feste dionisiache diverse: la commedia dai canti delle falloforie (processioni in cui veniva portato in processione il fallo a fini propiziatori), la tragedia dal ditirambo, canto corale originario in onore di Dioniso. Tuttavia va ribadito che la funzione del Coro sulla scena del teatro ateniese ha subito nel tempo modificazioni legate al contesto storico-politico di riferimento e alle conseguenti strategie dei drammaturghi. Inalterato rimane invece il suo “statuto ambiguo” di “attore e spettatore insieme: spettatore, sia perché istituzionalmente proveniente dalle file del pubblico, almeno nei

primi tempi in cui venivano arruolati a cantare semplici cittadini, sia perché prevalentemente estraneo alla vicenda ‘drammatica’ vera e propria” (Andrisano 1990). La sua natura attoriale non ha bisogno di commento: basti pensare alla costruzione dello spazio che avviene attraverso danza e canto, come abbiamo già detto (cf. l’unità relativa allo Spazio scenico).

 Come si delinea e in che misura lo spazio extrascenico nell’edipo a colono? Spazio extrascenico: nell’Edipo a Colono di Sofocle il Nunzio descrive agli spettatori il luogo in cui Edipo era stato “assunto” in cielo (vv. 1590-1602): “Quando raggiunse la soglia scoscesa che si sprofonda con gradini di bronzo negli abissi della terra, a uno dei molti sentieri che da lì si diramano, vicino a quella conca ove son custoditi i patti eterni sanciti un giorno fra Teseo e Piritoo, allora, stando a mezza via fra la cavità e la pietra di Torico, fra il pero selvatico e la tomba di marmo, si pose a sedere [...] e gridò alle figlie di recargli acque correnti e libami [...]. Esse andarono al colle antistante di Demetra virente ed eseguirono con celerità gli ordini del padre [...]” (trad. di F. Ferrari). Le due sezioni drammatiche deputate generalmente alla costruzione dello spazio sono il Prologo (la prima sezione che precede l’entrata del Coro) e la Parodo. Di solito è soprattutto la parodo, con l’entrata in scena del Coro e l’occupazione dell’orchestra, che riveste questa funzione, ma, anche il Prologo, si presta ad analoga funzione, per lo meno a designare le coordinate spazio temporali entro cui avrà

luogo la performance. Proprio nel prologo dell'Edipo a Colono si scorge un esempio di tutto ciò attraverso le parole di Antigone che accompagna il vecchio e cieco Edipo (vv. 14-18): «Edipo, padre mio infelice, di lontano, per quanto vedo, torri cingono una città: questo luogo è sacro, è evidente, rigoglioso di allori, ulivi, viti: fitti, nel profondo, risuonano gli usignoli». In pochi versi, si staglia qui un esempio molto evidente di parola scenica, che non solo evoca spazi prossimi (il bosco) e lontani (la città di Atene), ma li riempie di suoni, conferisce al bosco tridimensionalità nel momento in cui si richiama il profondo del bosco stesso.  Che ruolo ha Cassandra nell’agamennone in relazione allo spazio? Spazio retroscenico: nell’Agamennone di Eschilo, ai vv. 956s., Agamennone commenta il proprio ingresso nella dimora regale, ignaro del fatto che di lì a poco la moglie Clitemnestra lo avrebbe ucciso: “E poiché ho deciso di accondiscendere alle tue richieste, entro nella reggia su queste purpuree stoffe”. Com'è noto, l'interno dell'edificio non c'è: esiste invece, forse, un fondale che segnala l'ingresso nella reggia che la parola pronunciata sulla scena, per un istante, apre evocando l'idea dell'edificio vero e proprio. Lo stesso edificio, in qualche modo è richiamato dai deliri profetici ed esiziali di Cassandra (vv. ): «Guardate questi ragazzini seduti presso la reggia, simili a immagini di sogno, come figli uccisi dai parenti, le mani grondanti di carni, pasti familiari, con le milze mescolate alle

budella, pietoso peso, che il padre ha mangiato». L'evocazione delle immagini fantasmatiche dei figli di Tieste, fantasmi che solo Cassandra vede e che il pubblico materializza nella propria mente, hanno però una collocazione precisa: siedono presso le porte della reggia e in qualche modo annunciano il destino di morte che attende il re Agamennone e la stessa Cassandra, come Cassandra stessa, più avanti, profetizzerà.  Descrivere l’elemento originariocorale nel teatro greco