Problem Solving Tesina Monografica [PDF]

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Zitiervorschau

S.I.I.P.E. Scuola Italiana di Ipnosi Ericksoniana A. A. 2010

IPNOSI E PROBLEM SOLVING TESI MONOGRAFICA 2° anno

Relatore: Professor Camillo Valerio Candidato: Maurizio Ruffino

«Una palude corre lungo il monte, ed ammorbando va coi suoi miasmi tutto che, qui, fu mia conquista dura. Toglier di mezzo il putrido pantano, ora sarebbe, alfine, l'ultima mia vittoria: e la suprema! […] Dell'umana saggezza, ecco l'estremo senso: ‹Merita libertà, merita vita, solamente colui che, in ogni giorno, con aspra lotta, conquistar la deve›. Proprio così, contro il tenace assedio dei pericoli, al bambino all'adulto ed al vegliardo, scorrerà qui, fecondo, il ciclo della vita». (Goethe, Faust, Atto V)

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INTRODUZIONE: Come testimoniano le parole del grande poeta tedesco, il “problem solving”, o l'arte di risolvere i problemi (con i quali, per lungo tempo, siamo, spesso, costretti a convivere), è connaturato nella condizione e nella natura umana. I due termini “condizione” e “natura” vogliono, in questo contesto, designare l'ambivalenza di questa attività, di problem solving, che oscilla tra necessità, dovuta alla condizione di limite e relativa debolezza che caratterizza la nostra specie, ed intenzionalità, tesa al superamento degli ostacoli e all'organizzazione di una vita migliore. Faust, prima di morire, riconosce, infatti, come essenziale, per la vita e la libertà, il lottare contro i problemi, e rivendica, come ultima sua aspirazione, la vittoria che otterrebbe bonificando una palude che si trova sui suoi terreni. Questa ambivalenza costituzionale caratteristica del problem solving, che, in definitiva, vuole cercare di colmare il divario tra realtà insoddisfacente ed aspirazione al meglio, si può rintracciare anche negli innumerevoli testi che trattano dell'argomento. I primi esempi di studi sul problem solving (cfr. Legrenzi, 1980, 105 ss.), in Psicologia, possono essere riferiti alla Gestalt da una parte ed al Comportamentismo dall'altra e sono correlati alla discussione sul fatto se l'apprendimento avvenga per insight (Gestalt), o per tentativi ed errori (Comportamentismo). In particolare la Gestalt ha preferito concentrare la sua attenzione sul problem solving più che sull'apprendimento. Un problem solving inteso come processo “intelligente” che non si limita ad una sedimentazione delle conoscenze, ma riesce a cogliere i nessi chiave di una situazione problematica al fine di risolverla. I concetti gestaltici chiave per il problem solving sono l'intenzionalità degli atti umani (ereditata dalla filosofia di Brentano), l'isomorfismo tra mente e mondo esterno, che possono e devono essere studiati secondo un procedimento fenomenico e analogico, la soluzione per insight come capacità umana di ristrutturazione del campo cognitivo o in modo totale o per successive e progressive ristrutturazioni (cfr. Legrenzi, 1980, 123-124), l'insistenza su un tipo di conoscenza acquistato in modo “galileiano” nel quale l'attenzione non sia sulle caratteristiche dell'oggetto, ma sulle caratteristiche funzionali, sul procedimento più che sule tappe. Un interessante esempio di insight, applicato al problem solving, è quello riportato da Paul Watzlawick in “Strategie e stratagemmi della psicoterapia” (Loriedo et al., 2002, 22): «È il racconto orientale del padre che lascia i suoi beni terreni, che consistono in 17 cammelli, ai suoi 3 figli con l’istruzione che la metà vada al figlio maggiore, un terzo al secondo ed un nono al terzo. Per quanto i figli si sforzino di dividere i cammelli, l’operazione risulta impossibile, come lo sarebbe per tutti se ci si limitasse a tentare una divisione fondata sulla logica tradizionale. Ma la storia racconta che, per caso, si trovò a passare diii un mullah con il suo cammello e che i tre fratelli

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gli chiesero aiuto. “E molto semplice — disse il mullah — io aggiungo il mio cammello ai vostri che così, da diciassette diventano diciotto. Tu, che sei il figlio maggiore, hai diritto ad averne la metà, quindi ne avrai nove. Il secondo figlio, ha diritto ad averne un terzo e, quindi ne può prendere sei. A te, il figlio minore, spetta un nono del totale, quindi due cammelli. In totale abbiamo potuto assegnare diciassette cammelli: quindi, ne rimane soltanto uno, cioè il mio”. Così, completata la spiegazione, il mullah sale in sella al suo cammello e se ne va». Il Mullah, al di là della precisione del calcolo, ha avuto un insight, che gli ha permesso di vedere l'unità da dividere al di sopra della semplice somma dei cammelli (1/2+1/3+1/9=17/18). L'unità era composta da diciotto parti e, quindi, egli ha aggiunto il suo per permettere un'equa divisione e la risoluzione del problema dei 3 fratelli. Tra i tanti testi, che parlano dell'argomento “problem solving”, ne ho scelto alcuni che, esplicitamente, individuano una metodologia specifica per questo tipo di procedimento, ed altri che tentano di elaborarne il metodo, cambiandone il nome. sotto forma di counselling motivazionale, modello di relazione d'aiuto o terapia breve. Ho cercato di individuare in essi soprattutto la peculiarità dell'approccio al problem solving stesso e l'eventuale apertura verso una prassi ed un significato ipnotico che, invece ho provato più concretamente ad individuare nel libro di Milton Erickson (a cura di Rossi e Ryan) “La ristrutturazione della vita con l'ipnosi”, soprattutto riguardo alla prima parte del libro stesso, intitolata: “Utilizzazione dell'esperienza naturale della vita ai fini di un problem solving creativo”.

Per comodità elencherò numericamente i testi di seguito seguendo, come criterio gerarchico, nell'elenco, l'anno di pubblicazione della prima edizione, con il relativo mio commento, lasciando il testo di Erickson per ultimo: CAPITOLO 1°: GLI ANNI '70

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In “Change”, di Watzlawick, Weakland e Fisch (edito nel 1974), gli autori identificano il

buon funzionamento di un sistema e di un individuo con la sua flessibilità e capacità autonoma di rinnovarsi e cambiare. Invece di ricercare inutilmente cause in un passato che è impossibile cambiare riflettono sull'attuale situazione problematica del paziente e sul sistema di effetti che si sono generati. Concludono, quindi, che ogni cambiamento ha quattro caratteristiche peculiari (cfr p. 92): 1) Il cambiamento deve essere effettuato proprio cambiando la soluzione ordinariamente adottata dal soggetto per produrre il cambiamento che è (questa stessa pseudo soluzione), invece, la chiave di volta del problema. 2) Il normale cambiamento perseguito è basato sul senso comune, mentre di solito il cambiamento stesso è inatteso e caratterizzato da un elemento paradossale, sconcertante, innovativo.

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3) Le regole del cambiamento, le tecniche e le soluzioni riguardano il “qui ed ora”, gli effetti e non le presunte cause. 4) Le tecniche per cambiare fanno uscire dalla trappola del problema per collocare la situazione in un quadro diverso. Le caratteristiche di innovazione, confusione ed inserimento in un quadro diverso, che è la ristrutturazione del sintomo, e del problema stesso, sono, per gli autori (cfr p. 110), peculiarità dell'ipnosi ericksoniana, nella quale ogni cosa che il soggetto fa può venire ristrutturata dall'ipnotista stesso per risolvere il problema del soggetto. Tali caratteristiche si estrinsecano e risolvono nei quattro gradini del procedimento di problem solving che sono, in fondo anche definizioni di un punto di vista che potremmo definire “ipnotico”, perché basato su un modo di intendere il problema che esce dal turbinio immediato della catena stimolo-risposta per guardare in modo immaginativo al problema stesso ed alla sua soluzione. I quattro gradini sono: 1.

una chiara definizione del problema in termini concreti;

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un'analisi accurata della soluzione disfunzionale sinora tentata;

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una chiara definizione del cambiamento concreto da effettuare;

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la formulazione e la messa in atto di un piano per provocare tale cambiamento.

Gradini che potrebbero essere benissimo indicati come procedura di massima per le indicazioni di un problem solving ipnotico durante la trance del soggetto grazie al parallelo tra la visione concreta necessaria per un corretto problem solving e la concretezza caratteristica della modalità di pensiero durante la trance.

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Michael Mahoney, in “Cambiare se stessi” (1979) da cognitivista identifica l'attività di

problem solving come applicazione dei principi scientifici alla vita personale ed alla percezione più o meno distorta. Le fasi comuni e caratteristiche del procedimento sono (p. 39): 1) Individuazione dell'ambito generale del problema 2) Raccolta di informazioni 3) Identificazione delle possibili cause. 4) Esame delle possibili soluzioni 5) Soluzione e sperimentazione in campo ristretto 6) Confronto dei progressi compiuti 7) Estensione, riformulazione o sostituzione della soluzione. Rispetto però al comportamentismo che riduce il problem solving ad un semplice esercizio di intervento sul meccanismo di stimolo-risposta, Mahoney pone l'accento, quasi in modo opposto, ma speculare, ad Erickson, sulla presa di coscienza delle sensazioni negative, rispetto all'ambito del

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problema, e sulla circoscrizione dell'ambito, nel quale il problema opera i suoi influssi negativi attraverso una severa auto analisi (diario quotidiano), nella convinzione che gli ostacoli, se osservati da vicino perdono gran parte della loro capacità di incutere paura perché “quando ci si mette a osservare da vicino una cosa, spesso questa inizierà a cambiare” (p. 62). La convinzione è che i problemi siano provocati da cause sempre attuali, suddivise in tre categorie: 1) la situazione stessa, 2) i nostri schemi di comportamento e 3) i nostri modelli di pensiero. Queste cause sono sempre attuali (e qui il suo pensiero coincide con quello ericksoniano) tanto che è meglio chiedersi più che perché si producono i modelli disfunzionali, quando essi operano, generando il problema. Alla varietà di cause corrisponde, per Mahoney, una ancora più nutrita varietà di soluzioni tutte razionali che vanno dall'incentivazione della motivazione ad un vero e proprio contratto dettagliato stipulato con se stessi, passando però per esercizi di rilassamento e mentali che spesso sono vicini alle tecniche ipnotiche (p. 75 e ss.). L'individuo che vuol risolvere il problema deve scegliere, con l'aiuto del terapeuta , quella che sembra più adatta e “immaginarla” con la possibile riuscita ed i possibili ostacoli, prima di intraprenderla fattualmente. CAPITOLO 2°: GLI ANNI '80

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Haley, nel suo libro “La terapia del problem solving” (del 1987), affronta l'argomento dal

punto di vista sistemico relazionale e da l'indicazione preferenziale di un intervento volto, più che al singolo individuo, alla famiglia ed alla comunità, che egli considera via privilegiata per il trattamento del problema, anche nelle occasioni in cui questo è portato dal singolo, perché “sappiamo che la diagnosi migliore, per la terapia, è quella che permette al gruppo sociale di rispondere quando viene sollecitato ad effettuare un cambiamento” (p. 31). L'autore non vuole indicare un modello di problem solving, ma indica la necessità che il terapeuta proceda, attento anche al proprio ruolo e pensando in modo sistemico, senza voler ottenere tutto e subito, per stadi successivi, nei quali dividere i tre passaggi essenziali (cfr p. 134): 1) determinare quale tipo di sequenza relazionale e comportamentale stia mantenendo il problema; 2) specificare un obiettivo; 3) inserire nella sequenza un'idea nuova che può essere un diverso tipo di “anormalità” come tappa verso la “normalità”. Questi principi fondamentali devono permeare tutto l'intervento terapeutico che si articola, esemplarmente, già durante il primo colloquio, nelle seguenti fasi (p. 34 ss.): 1.una prima fase “sociale” di accoglienza, nella quale è importante mettere a proprio agio l'intera famiglia;

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2.la fase nella quale si indaga sul problema, stimolando il più possibile le persone a parlare con particolare attenzione alla struttura sociale (chi è coinvolto ed in che modo) del problema stesso; 3.la fase dell'interazione nella quale è opportuno che il terapeuta permetta ai membri della famiglia di interagire tra loro, nel modo più “plurale” possibile, per osservare e comprendere meglio le dinamiche familiari; 4.la definizione degli obiettivi desiderati ed auspicabili secondo la diversità situazionale e psicopatologica.

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In “Migliorare l'autostima, un approccio psicopedagogico per bambini e adolescenti” (1988),

Pope, McHale e Craighead, propongono un modello interpersonale di problem solving dedicato al periodo scolastico, articolato sui sette passi di Mahoney, ai quali, però gli autori danno un taglio interpretativo diverso con intenti educativi (p. 60): 1) Il primo passo consiste nel riconoscere che il problema esiste. Ciò implica la capacità di rendersi pienamente consapevoli dei propri sentimenti per individuare rabbia, preoccupazione, tristezza ed altri malesseri. Gli stati d'animo negativi possono essere un segnale per dare l'avvio al problem solving. 2) Appena il problema è stato individuato, fermatevi a pensare. Uscite per un momento dalla situazione (fisicamente e mentalmente) e stabilite in cosa consiste il problema. 3) Allorché il problema è stato identificato con chiarezza, è tempo di prefiggersi un obiettivo. Qual'è il risultato più desiderabile in questa situazione? 4) Ora, pensate a molte diverse soluzioni possibili. In questa fase non valutate; limitatevi a generare delle possibilità, non importa quanto inverosimili o strane. Siate creativi. 5) Poi, pensate alle conseguenze che probabilmente deriverebbero da ciascuna di questa soluzioni. 6) Adesso alcune soluzioni appariranno migliori delle altre. Scegliete una soluzione, o una combinazione di soluzioni, basandovi sulla facilità o difficoltà di realizzazione e sull'auspicabilità delle conseguenze. 7) Infine, architettate un piano per attuare la soluzione prescelta. Ogni passo dovrebbe essere pensato prima di essere realizzato. In questi passi, ovviamente, la capacità immaginativa e di riconoscimento è fondamentale e un training ipnotico potrebbe essere di grande aiuto ai minori stessi. CAPITOLO 3°: GLI ANNI 90

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Pio Scilligo nella sua breve, ma utile, opera, intitolata: “La Relazione di aiuto Fondata

sull'Azione” (1994), propone “un modello di colloquio orientato alla soluzione dei problemi” (p. 9) che sviluppa in tre stadi, a loro volta divisi, ciascuno, in tre passi (p. 10):

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1) Lo stadio dell'analisi della situazione attuale ▪Il racconto o narrazione ▪I punti ciechi ▪I punti di appoggio 2) Lo stadio dell'analisi della situazione desiderata ▪I desideri possibili ▪Il fare ragionevole ▪La scelta ed il coinvolgimento 3) Lo stadio delle strategie da adottare per arrivare alla situazione desiderata ▪La scoperta degli strumenti d'azione ▪L'azione migliore ▪Il piano d'azione Questo modello, che integra alcuni aspetti del cognitivismo con l'analisi della struttura del pensiero rappresentazionale, espresso anche linguisticamente, condotta da Bandler e Grinder ne “la struttura della magia” (1975), manca di quella capacità di utilizzare la resistenza ed i processi immaginativi del paziente, caratteristica di Erickson, ma punta, comunque, ad una ricognizione e mobilitazione delle risorse della persona che può integrare utilmente l'intervento di problem solving ipnotico.

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Kate Keenan in “Risolvere i problemi” (1996) elabora un modello di problem solving per il

manager, che per la sua chiarezza e semplicità può essere utilizzato autonomamente dal soggetto interessato, anche in altri ambiti. All'interno dei sette passi ormai classici, Kate Keenan, dedica cinque di questi al vero e proprio problem solving e inserisce, nel sesto, una particolare attenzione alla promozione dell'assertività, intesa come attitudine alla risoluzione dei problemi, prima di un settimo riservato alla creazione di una lista di controllo. L'autrice divide il processo di problem solving in: 1) Affrontare i problemi, che contempla l'interrogarsi sui seguenti aspetti problematici, di fronte ai quali la Keenan invita a pensare, rilassarsi e porsi domande significative per, infine, decidersi ad agire (pp. 6-11): ▪Non riconoscere i problemi ▪Non affrontare i problemi ▪Vivere con i problemi ▪Gettarsi troppo precipitosamente nell'azione ▪Aver paura di prendere decisioni 2) Definire il problema, descrivendolo e specificandolo nel dettaglio, grazie alla risposta alle domande (pp. 13-20):

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▪Che cosa sta accadendo? (Devo intraprendere un'azione immediata o posso prendere tempo? Devo chiedere consiglio? Devo scoprire altro del problema?). ▪Com'è accaduto? (quali sono le cause che hanno dato origine al problema?). ▪Dove voglio arrivare? Prevedendo, nel contempo, i possibili danni che possono derivare dalla mancata risoluzione del problema stesso. 3) Cercare una soluzione (pp. 21-33), senza fermarsi alla prima trovata, per quanto possa sembrare attraente, attraverso le seguenti tappe: ▪Elaborare le possibili opzioni tramite: 1.Raccolta, il più possibile completa, di informazioni, al fine di “aver il polso” della situazione. 2.Produrre idee, affrontando il problema con obiettività e confrontandovi con altri (manca qui, nell'autrice, un input alla creatività). 3.Elenco, senza pre-giudizi, delle idee applicabili. ▪Valutazione delle scelte in base a: 1.Le limitazioni (costo, anche in termine di energie impiegate, disponibilità delle soluzioni scelte, tempo necessario e disponibile)

2.“I pro ed i contro” ▪Panoramica finale ed elaborazione delle opzioni, facendo un passo indietro per ri-guardare ancora una volta il problema, e chiedersi, alla luce della conoscenza acquisita: 1.Devo trovare una soluzione definitiva o è sufficiente una temporanea? 2.Devo risolvere il problema seduta stante, o posso conviverci ed attendere gli sviluppi della situazione? 3.Devo veramente risolvere il problema? 4) Prendere una decisione (pp. 34-44), perché, per risolvere un problema le decisioni sono indispensabili. Cioè bisogna: ▪Decidere il il da farsi, in modo logico o intuitivo, a seconda del fatto che sulle opzioni possibili si possiedano o meno tutte le informazioni necessarie e una decisione sia chiaramente migliore delle altre o ce ne siano diverse ugualmente percorribili (e, qui, aggiungo io, lasciar dire una parola all'inconscio può essere estremamente utile). ▪Riflettere e consultarsi (dormendoci sopra, consultando altri, sperimentando altre soluzioni). ▪Soppesare i rischi.

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▪Riesaminare la decisione, chiedendosi, in particolar modo, se la decisione risolverà immediatamente il problema e impedirà, al problema stesso, di ripresentarsi. Se la risposta è sì, si può procedere. 5) Passare all'azione (pp. 45-51): ▪Facendo un piano operativo che elenchi gli obiettivi da raggiungere, localizzi i possibili ostacoli e stabilisca dei compiti concreti. ▪Comunicando a coloro che sono coinvolti la propria decisione. ▪Mettendo in pratica la soluzione. ▪Tenendo sotto controllo i progressi fatti. 6) Incoraggiare ed incrementare la propria attitudine alla risoluzione dei problemi (pp. 52-56) che contempla: ▪La volontà di affrontare i problemi che, se determinata, permette di essere: 1.positivi di fronte alle avversità; 2.disposti a considerare i problemi come opportunità piuttosto che come ostacoli; 3.elettrizzati dalla prospettiva di trovare una soluzione. ▪Essere determinati, obbligandosi ad essere obiettivi (immaginando che il problema appartenga ad altri per guardarlo spassionatamente), tutti d'un pezzo (non lasciandosi sviare) e coraggiosi, rifiutando la sconfitta e la paura delle difficoltà. ▪Far tesoro dell'esperienza acquisita nelle fasi precedenti. ▪Essere convinti di farcela. 7) Elaborare una lista di controllo (pp. 57-58) che possa servire a verificare, di fronte a qualche eventuale difficoltà, se è stato trascurato qualcosa nel definire il problema, trovare le soluzioni, prendere le decisioni o passare all'azione. L'itinerario del problem solving illustrato dalla Keenan è lungo, elaborato e pieno di verifiche, ma secondo l'autrice è atto ad apportare oltre al beneficio derivato dalla risoluzione dei problemi, quello di rendere più capaci e (p. 59): •imparare ad affrontare i problemi •prevenirli con più facilità •riuscire a sfornare idee con maggiore prontezza •diventare più abili nel trovare soluzioni •aumentare la fiducia nelle proprie capacità decisionali •smettere di pensare soltanto e passare all'azione.

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Un po' tutti gli esercizi mentali e pratici, che preparano, attraverso un metodo di problem solving, ad affrontare, in modo costruttivo, le difficoltà della vita, non solo quelli riportati della Keenan, dovrebbero favorire l'acquisizione di tali capacità, anche se, certamente, il metodo dell'autrice, che insiste sulla ripetizione di verifiche e sperimentazioni, può permetterne un apprendimento più sedimentato e duraturo.

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La “Terapia breve e completa. L'approccio multimodale” (1997) di Arnold A. Lazarus,

inserisce nel processo di problem solving un elemento di sistematicità nell'acquisizione dei fattori problematici. Le aree diagnostiche, nelle quali tali fattori possono essere rintracciati, dall'autore, vengono utilmente divise in funzione descrittiva rispetto all'universo umano e personale. Le aree personali sono elencate ed analizzate in modo settoriale secondo unità d'insieme contraddistinte dall'acronimo BASIC ID, formato dalle iniziali delle parole: Comportamento (Behavior), Affettività, Sensazione, Immaginazione, Cognizione, Interpersonale con l'aggiunta della D per designare l'aspetto fisico da curare con i necessari farmaci (Drug Therapy).

La base è biologica mentre l'apice è interpersonale, proprio per indicare una modalità di indagine che partendo dal fisico esplora tutti gli aspetti della vita per individuarne gli eventuali fattori problematici. Per ciascuno di tali aspetti l'autore elabora degli strumenti di esplorazione ed auto esplorazione e di intervista, in modo che sia il terapeuta sia il cliente (si sente l'approccio rogersiano) siano in grado di elaborare un quadro chiaro dei possibili aspetti critici nelle diverse aree.

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CAPITOLO 4°: DAL 2000 AD OGGI

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Allen E. Ivey e Mary Bradford Ivey, affermano che: “I teorici della consulenza decisionale

sostengono che tutte le teorie sul counselling e sulla terapia – comportamentale, centrata sul cliente e persino psicanalitica – hanno a che fare col problem solving e col prendere decisioni. ▪Il processo del counselling comportamentale mira ad insegnare ai clienti come prendere decisioni per un'azione assertiva o per il controllo del comportamento. ▪I counsellor che adottano la teoria centrata sul cliente cercano di permettere ai clienti di prendere decisioni per loro stessi attraverso l'analisi di sé e l'autoriflessione. ▪Lo psicoanalista è alla ricerca dei fattori sottostanti che portano alle decisioni” (Ivey e Ivey, 2004, 432). Essi propongono, ne “Il colloquio intenzionale e il counselling” (scritto nel 2003) un modello di colloquio intenzionale e decisionale articolato in cinque stadi, incentrati sulla ricerca delle risorse positive del soggetto che chiede aiuto. Tali stadi sono: 1) Costruzione e strutturazione del rapporto, nell'inizio di seduta, tramite l'ascolto attivo e l'osservazione, che si esprime fin dalla simmetria e complementarietà dei movimenti tra cliente e consulente. 2) Raccogliere informazioni – estrapolare le storie, i problemi, le preoccupazioni e le questioni principali (Qual'è la tua preoccupazione?”, “Quali sono le tue risorse?”), cercando di capire il mondo del cliente. 3) Determinazione degli obiettivi (prima ancora di definire il problema). 4) Co scrivere una nuova storia, tenendo a mente la sequenza base per la risoluzione dei problemi che gli autori identificano con: ▪Definire la preoccupazione, tenendo a mente l'obiettivo o il risultato desiderato; ▪Produrre alternative; ▪Decidere l'azione. 5) Generalizzare e creare nuove storie (“Lo farai?”) Gli autori suggeriscono numerose tecniche, per lo più comportamentali, per permettere la stabilizzazione della decisione positiva ed evidenziano il parallelismo tra le fasi operative del loro tipo di counselling, derivato dal colloquio decisionale, sulle quali si basa il metodo descritto nel testo, e la teoria del problem solving. Le similitudini e le differenze tra il counselling intenzionale ed il problem solving tradizionale sono, da loro, illustrate attraverso lo schema seguente (Ivey e Ivey, 2004, 434):

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Anche Lorna Smith Benjamin propone cinque fasi nella sua “Terapia ricostruttiva

interpersonale” (TRI) (2003), una sorta di problem solving che vuole promuovere il cambiamento in soggetti resistenti. La TRI è basata sulla teoria “dell'apprendimento e degli effetti che hanno caratterizzato lo sviluppo (DLL, Developmental Learning and Loving)” (p. 27) che ipotizza la presenza in ciascuno di un modello copiato (Alleato Regressivo – Rosso) dalle figure che per noi sono e sono state importanti e dalle loro rappresentazioni interiorizzate (IPIR) e di un'istanza tesa alla crescita ed al cambiamento (Alleato alla Crescita – Verde). Le fantasie ed i desideri del Rosso devono essere abbandonati ed il lutto verso le IPIR deve essere elaborato (cfr. p. 51). In questo senso la TRI è un tipo di problem solving che non cerca di risolvere direttamente il problema portato dal cliente, ma vede tale problema come effetto di una relazione disfunzionale pregressa che è stata interiorizzata “attraverso uno o più di tre processi di copia: 1) “Sii come lei/lui”; 2) “Agisci come se lei/lui fosse ancora qui e avesse il controllo”; 3) Tratta te stesso come lo faceva lei/lui”. Una figura chiave è definita tautologicamente: se una persona può essere direttamente associata ai problemi presentati attraverso uno dei tre processi di copia, allora è una

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figura chiave” (p. 51). In una prospettiva evolutiva la TRI vuole fornire gli strumenti per correggere le deviazioni che tali relazioni hanno causato nello sviluppo individuale. Le cinque fasi della TRI sono: 1) Collaborare per massimizzare il Verde e minimizzare il Rosso, attraverso la presa di coscienza e scoperta del sé e delle attività che contraddistinguono la gestione del sé. 2) Apprendere i propri modi di fare, da dove provengono e a che cosa servono (insight, inteso come riconoscimento). 3) Bloccare i modi di fare disfunzionale, alleandosi con la parte sana del paziente. 4) Promuovere la volontà di cambiare, attraverso lo sviluppo della motivazione e l'uso di tecniche comportamentali. 5) Apprendere nuovi modi di fare. Gli interventi specifici possono, nella TRI, provenire da qualsiasi scuola terapeutica, ma devono essere scelti e vagliati secondo un caratteristico “Algoritmo di base” (p. 41-43 e 360-361), composto da 6 linee guida che devono caratterizzare ogni intervento: •Lavorare con un atteggiamento di base di empatia accurata. •Sostenere l'Alleato alla Crescita (Verde) più dell'Alleato Regressivo (Rosso). •Collegare ogni intervento alla formulazione del caso (alle caratteristiche del paziente e della patologia affrontata). •Cercare dettagli illustrativi e concreti su input, risposta e impatto sul sé […] Bisogna discutere gli episodi importanti finché paziente e terapeuta non hanno una comprensione comune di cosa li ha scatenati, di come ha reagito il paziente e di come ciò ha influito sul concetto di sé del paziente stesso. •Esplorare gli ABC (Affetti – Affect, Comportamenti – Behavior, Pensieri – Cognition). •Collegare l'intervento scelto ad una o più delle fasi della TRI. In definitiva la Terapia Ricostruttiva Interpersonale cerca di unire le caratteristiche della terapia tradizionale con la ricerca di risultati tipica del problem solving. Ha, senza dubbio, un accento importante di richiamo al mondo interno del paziente ed alla sua partecipazione motivata e volontaria, anche se, forse, si affida troppo, a mio parere alla capacità di insight/riconoscimento come base per qualsiasi possibile miglioramento. (3)

In “La promozione delle capacità personali” (2004) Mario Becciu e Anna Rita Colasanti,

dedicano l'undicesima unità del loro training formativo ad “Affrontare i problemi e assumere decisioni” (pp. 277-297). Lo scopo dei due autori, entrambi Psicologi della Salute e della Prevenzione, è quello di insegnare a ragazzi e giovani il problem solving, e, in relazione a ciò prevedono tre incontri di circa due ore ciascuno.

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1) Nel primo incontro vogliono: ▪Dare una definizione di problema. ▪Far conoscere le fasi del problem solving e del decision making. ▪Definire operativamente un problema. ▪Utilizzare la tecnica del brainstorming per produrre alternative di soluzione 2) Nel secondo: ▪Far conoscere le abilità del pensiero creativo ed intuitivo. ▪Risolvere problemi che richiedono l'uso di tali abilità 3) Infine nel terzo: ▪Far conoscere le procedure che possono facilitare la presa di decisione. ▪Applicare una strategia di decision making ad una situazione concreta. Tutti gli incontri sono condotti in modo da permettere ai ragazzi di attraversare le seguenti fasi: •Si parte dall'esperienza concreta. •Osservazione riflessiva. •Concettualizzazione astratta. •Sperimentazione attiva. •Conclusione Le fasi del problem solving sono quelle “canoniche” (percepire il problema, definire il problema, generare soluzioni, valutare le conseguenze di ogni soluzione, decidere quale soluzione attuare, implementare la soluzione scelta) e la creatività è vista solo attraverso le abilità di codificazione selettiva (distinguere le informazioni irrilevanti da quelle rilevanti), di combinazione selettiva (combinare le informazioni isolate rilevanti in un insieme unitario utile alla risoluzione del problema), e di confronto selettivo (porre a confronto vecchie e nuove informazioni). Più interessante è, a mio parere, la strategia di decision making, che gli autori riportano da Carkhuff, nota come “productive problem solving” (p. 295), che aggiunge un parametro di valutazione degli aspetti più importanti che il cliente vuole tutelare, rispetto alle soluzioni trovate. “Essa consiste in otto passi: 1.definire il problema; 2.produrre alternative di soluzione; 3.stabilire gli aspetti importanti che la soluzione deve tutelare; 4.valutare, utilizzando una scala da -2 a +2, in che misura ogni aspetto è tutelato da ciascuna soluzione 5.attribuire un valore da 1 a 5 agli aspetti da tutelare in base alla loro importanza;

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6.moltiplicare il valore assegnato a ciascun aspetto da tutelare per il numero (da -2 a +2) precedentemente attribuito alle diverse soluzioni; 7.sommare verticalmente i valori così ottenuti per ogni soluzione; 8.la soluzione con il punteggio più alto risulta sempre la migliore”. Tale calcolo definito da Benjamin Franklin “algebra morale” (cit. in Meazzini, 2000) trasforma la scelta qualitativa in indice quantitativo e può essere un utile strumento di auto valutazione. (4)

Giovanna Boda e Silvia Landi, in “Life Skills: il problem solving” (2005), in base alla

Convenzione dei diritti dell'infanzia del 1989 ed al successivo pronunciamento del WHO (World Health Organization = OMS) nel 1993, rivendicano la necessità dell'insegnamento delle competenze psicosociali (life skills) ai bambini. L'Organizzazione Mondiale della Sanità annovera il problem solving tra le suddette competenze che “è necessario apprendere per mettersi in relazione con gli altri e per affrontare i problemi, le pressioni e gli stress della vita quotidiana (p. 13). Il loro modello di problem solving segue quello canonico, ma, oltre che produrre un notevole sforzo di contestualizzazione, nell'ambito dell'apprendimento, con schede ed esempi, si differenziano dai modelli sopra descritti perché inseriscono, come primo punto del processo: “L'atteggiamento generale della persona: perché la persona deve essere in grado di riconoscere che è normale incontrare situazioni problematiche; deve credere che queste situazioni problematiche possono essere affrontate (locus of control, autoefficacia percepita ecc.); deve essere in grado di riconoscere una situazione problematica al suo insorgere; deve essere in grado di non agire impulsivamente, ad esempio fuggendo dalla situazione o mettendo in atto comportamenti di emergenza” (p. 59). Inoltre, le autrici, grazie anche all'esperienza maturata in ambito scolastico con i bambini piccoli, riconoscono l'importanza della “visualizzazione creativa”, cara all'ipnosi, sia nella visualizzazione del problema sia in quella della soluzione. La visualizzazione creativa è, infatti, per loro, “il ricorso al pensiero visivo (immaginare mentalmente di svolgere un compito, di mettere in atto particolari strategie ecc.) per affrontare e superare difficoltà di vario genere, cognitive, emotive, relazionali e comportamentali” e, inoltre, permette di sviluppare “la capacità e l'abitudine a far uso della visualizzazione per scoprire modi alternativi ed efficaci con cui far fronte a situazioni di disagio (p. 80). (5)

Più orientato verso una dimensione generale del problem solving, anche se indirizzata in

senso metodologico, è Adriano Pennati in “Risolvere problemi, dentro e fuori delle organizzazioni” (2005), che sdrammatizza la “problematicità” del problema stesso definendolo come “uno scostamento, capace di generare effetti negativi, tra un dato reale e un dato di riferimento” (p. 20) e, quindi riportando il problem solving alla dimensione quotidiana e universale che gli compete. La formulazione corretta del problema avviene, per lui, attraverso la segmentazione, che divide

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l'esperienza problematica nelle sue componenti e la precisazione, attraverso le “domande del giornalista: Chi? Cosa? Come? Quanto? Dove? Quando?” (p.22) e l'individuazione delle priorità che sono determinate attraverso tre coordinate: 1) urgenza 2) frequenza e 3) gravità. Pennati individua tre tipi di approccio al problem solving: 1) L'approccio esperienziale, che (p. 48) “funziona così: ▪riconosciamo ciò che ci si presenta come un problema che già appartiene alla nostra mappa del mondo, perché l'abbiamo già affrontato in passato; ▪rintracciamo la soluzione che avevamo applicato con successo in passato e la riproponiamo a noi stessi come valida; ▪passiamo ad applicarla certi che funzioni.” La nostra esperienza ci aiuta a risolvere presto la maggior parte dei problemi, ma non ci mette al riparo dall'insuccesso di fronte a situazioni nuove o impreviste, che rischiamo di ignorare volutamente perché la nostra passata esperienza non venga, da tali situazioni, disconfermata.

2) L'approccio innovativo che “consiste quindi nel saper 'cambiar gioco', pur non sapendo con certezza se al nuovo gioco si vincerà” (p. 53). Segna una radicale discontinuità rispetto al passato ed è l'unico approccio utilizzabile quando occorre ripartire da zero su basi radicalmente nuove. 3) L'approccio metodologico che, a detta dell'autore, utilizza l'esperienza, vagliandola logicamente, e la creatività, all'interno però del gioco in atto. Il primo passo dell'approccio metodologico consiste nella “diagnosi” (p.60), e cioè nell'analizzare le cause del problema, evitando di prendere per “vero” ciò che è solo probabile, ma ipotizzare tutte le cause possibili, impiegando sia un diagramma causa-effetto (Ishikawa), come quello seguente (p. 68):

nel quale vengano elencate tutte le possibili cause e ognuna delle voci di primo livello possa essere, a sua volta, analizzata in ulteriori livelli, sia ricorrendo all'esperienza, all'aiuto di un

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esperto o alle molteplici idee generate da un brainstorming. Le cause ipotizzate devono poi essere “filtrate” secondo due parametri, in risposta alle seguenti domande:

▪“Se questa causa fosse vera, che cos'altro dovrebbe essere vero? E ancora: lo è o non lo è?” (p. 73).

▪“Se questa causa fosse l'unica vera, che cos'altro dovrebbe non essere vero? E ancora: lo è o non lo è?” (p. 75)

(p. 128) Assicurandosi, in onore del principio di falsificabilità di Popper, che le cause stesse siano formulate in maniera concreta, in modo da poterne dimostrare la verità o falsità.

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Lo stesso ragionamento avviene con gli obiettivi, per i quali deve essere specificata concretezza, vincoli, preferenze, e valutazione dei rischi, fino ad arrivare ad uno schema decisionale secondo lo schema, su riportato, che precede l'attuazione vera e propria e la periodica verifica della soluzione adottata in modo da rendere il problem solving stesso uno strumento di miglioramento e formazione continua. Durante la verifica delle soluzioni bisogna, inoltre, prestare particolare attenzione alle criticità “potenziali” tenendo presente che, secondo la trasformazione della “legge di Murphy” nella nostra lingua e la sua generalizzazione: “Tutte le principali criticità presenti in un piano diventeranno reali problemi esattamente nel momento in cui si verificheranno le condizioni perché ciò accada” (Pennati, 2005, 136). Murphy, ingegnere aeronautico, inventò i controlli preventivi sui veicoli aerei, prevedendo statisticamente il tempo di durata media, a causa dell'usura, delle parti meccaniche, secondo il principio, teso alla salvaguardia della vita dei passeggeri, che: “Tutto ciò che, a bordo di un aereo, è nella condizione di guastarsi, a suo tempo lo farà e lo farà nel momento peggiore” (in volo) (Pennati, 2005, 31 e 136). Così, secondo l'autore, è meglio “prevenire che curare”, cercando di prevedere le eventuali criticità che potrebbero impedire la risoluzione dei problemi, valutando i potenziali problemi di scostamento del piano rispetto alle nostre intenzioni, le conseguenze e le contromisure con relativi tempi di attuazione e controllo (cfr. Pennati, 2005, 137). La possibilità che insorgano ulteriori criticità è, quindi, sempre attuale, ma, tali criticità, si innestano nel processo di miglioramento continuo diventando, anzi uno stimolo ulteriore per lo stesso. Ultimo aspetto, degno, secondo me, di nota della proposta di problem solving, fatta da Pennati, è il suo invito a “liberare l'intelligenza collettiva” (p. 155), per mettere insieme le nostre risorse con quelle degli altri (e, nell'ipnosi, ciò può essere indicato nel “rapport”) e per farlo bisogna (p. 184): costruire le condizioni per un “contratto sociale”per la soluzione del problema: ▪legittimare il ricorso all'intelligenza collettiva su elementi di realtà ▪raccogliere il necessario grado di consenso sociale esplicitando: 1.le conseguenze per gli individui del problema, se non risolto 2.i vantaggi per gli individui, in caso di soluzione 3.i ruoli degli individui nel processo di soluzione ▪abbassare le barriere all'intelligenza collettiva: 1.costruire una committenza reale 2.ascoltare 3.far parlare. In definitiva il problem solving metodologico, prospettato dall'autore rieccheggia molti aspetti

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terapeutici, integrandoli a metodologie sulle quali bisognerebbe riflettere per rendere ogni intervento più produttivo.

(2)

Giorgio Nardone in “Problem Solving strategico da tasca” prospetta un tipo di

problem solving “integrativo” che suggerisce i seguenti passi (Nardone, 2009, 61):

Sono interessanti, nel libro di Nardone, l'applicazione, al problem solving, “dell'arte dello stratagemma, cioè l'analisi sistematica degli espedienti logici i quali, violando la mera razionalità e la comune ragionevolezza, conducono alla scoperta di soluzioni alternative a problemi irrisolvibili con le procedure ordinarie” (p. 67), ed altre tre tecniche che risentono fortemente di una visione immaginativa di derivazione ipnotica, che sono:

1) “La tecnica del come peggiorare” (pp. 38-41) che utilizza il paradosso, nel quale Erickson era maestro, di indirizzare l'attenzione del cliente verso tutto ciò che può far peggiorare la sua situazione, portandolo alla trappola paradossale di rendere volontario ciò che prima era impulsivo e stimola l'avversione facendo rilevare alla persona i suoi aspetti fallimentari e rendendola protagonista sia del “problema”, sia della possibilità di cambiamento.

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2) “La tecnica dello scenario oltre il problema” (pp. 44-46), che liberando l'immaginazione e facendole rappresentare “tutte le caratteristiche della situazione ideale, dopo aver realizzato il cambiamento, sembra un vero e proprio esercizio di ipnosi indiretta. E

3) “la tecnica dello scalatore” (pp. 55-56) che parte “dall'obiettivo da raggiungere” per immaginare “lo stadio subito precedente, poi lo stadio precedente ancora, sino a giungere al punto di partenza” (p. 55) in una dinamica che attraverso la proiezione nel futuro, aggiri le inevitabili resistenze presenti.

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“Risolvi i tuoi problemi!” (2010) è l'invito di Alessandro Amadori, che sottotitola il suo libro

“Come superare con la creatività le sfide sul lavoro e nella vita”, per proporre un metodo di problem solving che dia un posto importante alla capacità creativa delle persone. L'autore considera tale capacità non un fatto innato, ma suscettibile di apprendimento come “pensiero divergente” capace di esplorare possibilità alternative. Ma cos'è la creatività? Per descriverla Amadori ricorre ad un delizioso episodio tratto dal libro cinese di divinazione, intitolato “I King”, che voglio riportare per intero (pp. 25-26): “A un uomo, da anni alla ricerca del segreto della vita, fu detto che un pozzo possedeva la risposta che egli così intensamente cercava. Trovato il pozzo, l’uomo pose la domanda, e dalle profondità del pozzo stesso giunse la risposta: “Vai al crocicchio del villaggio: là troverai ciò che cerchi”. Pieno di speranza, l’uomo obbedì, ma nel luogo indicato egli trovò soltanto tre botteghe: una vendeva fili metallici, un’altra legno, la terza pezzi di metallo. Niente e nessuno nei paraggi sembrava avere davvero a che fare con la rivelazione del segreto della vita. Deluso, l’uomo ritornò al pozzo e chiese una spiegazione. il pozzo gli rispose: “Capirai in futuro”. L’uomo allora protestò, ma l’eco delle sue grida fu la sola risposta che ottenne. Indignato per l’inganno che gli pareva di aver subito, l’uomo abbandonò il pozzo e riprese le sue peregrinazioni. Con il passare del tempo il ricordo di quella esperienza svanì, finché una notte, mentre stava camminando alla luce della luna, l’attenzione dell’uomo fu attratta dal suono del sitar, l’antico strumento musicale orientale. Era una musica molto bella, suonata con ispirazione e maestria. Affascinato, l’uomo si diresse verso il suonatore: ne vide le mani che suonavano abilmente, vide il sitar, e dopo un attimo di riflessione gridò forte di gioia, perché finalmente aveva capito. Il sitar infatti era composto da fili metallici e pezzi di metallo e di legno, come quelli che molto tempo prima aveva visto nelle tre botteghe (e aveva giudicato, allora, privi di particolare significato). Ora invece l’indicazione del pozzo era chiara: noi abbiamo già tutti gli elementi necessari, ma nessuno di essi ha veramente valore finché lo percepiamo come un frammento a sé stante. Quando i vari elementi sono uniti in una sintesi, allora emerge una nuova realtà, la cui struttura ci era impossibile vedere esaminando separatamente i vari frammenti”.

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La creatività è, dunque, saper fondere in modo nuovo ed originale elementi conosciuti e che, abitualmente, hanno tutt'altro impiego. Per impiegare in modo fruttuoso la creatività, l'autore propone il Creative Problem Solving (CPS), secondo un modello elaborato da Scott Isaksen e Donald Treffinger, due ricercatori della scuola di Buffalo. Il CPS è articolato in sei stadi (pp. 101-107):

1) Mess finding: trovare una “sfida” intesa come opportunità o situazione problematica che invita ad una risposta da parte del singolo.

2) Data finding: cercare le notizie e le informazioni, fare un inventario di tutto ciò che si sa, e decidere ciò che è significativo ed importante.

3) Problem finding: elaborare il maggior numero di domande-problema tratte dalle sfide ritenute importanti, espressioni diverse dei problemi, per capirne meglio il nocciolo.

4) Idea finding: elaborare il maggior numero possibile di risposte e spunti creativi (in modo che la quantità dia una maggiore probabilità di soluzione), usando quelle che Amadori chiama “tecniche creative” (p. 83) divise in: TECNICHE RAZIONALI

TECNICHE EXTRA-RAZIONALI

Brainstorming e derivati (lista di attributi, matrice morfologica, associazioni forzate)

Visualizzazione creativa e meditazione

Metodi analogici

Sogno

Pensiero laterale (p. 90)

Ipnosi

Come si può vedere l'ipnosi è accessoria al metodo e descritta come: “Una forma di suggestione, o auto suggestione, nel corso della quale possono essere impresse nella mente immagini a elevato contenuto emotivo. Come nel sogno, queste immagini possono agire positivamente sulla fase di incubazione del processo creativo, e favorire l'insorgenza di soluzioni improvvise e innovative ai problemi su cui stiamo lavorando” (p. 100).

5) Solution finding: consiste nello stabilire un ampio complesso di criteri per valutare le idee precedentemente trovate. I criteri dovranno, poi, essere selezionati in base all'importanza ed in base a quelli, tra loro, che sono stati scelti, da tale selezione, e si determina quali idee siano più adatte a risolvere il problema.

6) Acceptance finding: individuare le possibilità e le ipotesi di risoluzione del problema, ciò che può ostacolarne o aiutarne il superamento, decidere i passi più importanti per realizzare la soluzione scelta articolando un dettagliato piano di azione da seguire passo passo. In definitiva il metodo creativo sembra teso a fondere metodologia ed innovazione, ma è ancora

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legato ad una concezione tradizionale e parcellizzata del problem solving, utile sicuramente come esercizio mentale, anche se forse poco flessibile nell'incontro con gli stessi problemi che vuole risolvere. CAPITOLO 5°: MILTON H. ERICKSON

(4)

Infine, anche se è da lì che sono partito, ho provato a individuare nel testo di Milton H.

Erickson, “la ristrutturazione della vita con l'ipnosi” (1985) alcuni punti che possono servire di spunto ad un percorso di problem solving ericksoniano. Certo Erickson non segue un procedimento standardizzato con passi o fasi, ma la costante attenzione della prima parte del libro alla risoluzione dei problemi, può, a mio avviso, suggerire alcune indicazioni che possono senz'altro illuminare e “sveltire” processi che, a volte, sembrano troppo macchinosi. Sono suggerimenti pratici e terapeutici che probabilmente qualsiasi problem solver dovrebbe seguire, specie se intende superare il problema per arrivare alla persona che sta dietro. I passi che ho individuato sono i seguenti, anche se, bisogna tener presente che, ogni intervento di Erickson era fatto e pensato per risolvere i problemi delle persone che chiedevano il suo aiuto e, quindi, il vero metodo del problem solving ipnotico non può limitarsi a questi punti, ma abbraccia l'intera ipnosi ericksoniana: 11 Utilizzazione delle esperienze di vita anche negative come diritto del paziente a conservare il proprio bagaglio di esperienza, anche dolorosa. Trattandole però anche

nei termini delle

prospettive e possibilità future (cfr. p. 14-15). 11 Non contraddire ne falsificare l'esperienza del paziente,, anzi fare in modo che il paziente si renda conto che siete d'accordo con le sue affermazioni, perché credete al suo provare sofferenza, angoscia e paura (cfr. p. 17-20). 11 Aggirare il problema dando al paziente qualche idea da prendere in considerazione o alla quale reagire, presentandogli altre esperienze che annullino, contraddicano e mantengano la sua attenzione (nuove strutture di riferimento) in modo da distrarlo da ciò che lo fa star male (cfr. p. 19). 11 Non insistere sull'obiettivo, ma citarlo solo di sfuggita permettendo alla mente inconscia di capire ed operare liberamente e con velocità di apprendimento diversa i individuale (specificando che la modalità e la velocità di apprendimento variano per ciascuno) (cfr. p. 24). 11 Accettare ed utilizzare, indirizzandovi l'attenzione ed accentuandola, qualsiasi cosa il paziente vi porti attraverso il comportamento e le emozioni (cfr. p. 29).

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11 Accettazione e ristrutturazione attraverso interpretazione positiva del comportamento e della stessa realtà fisica (p. 183 e 256). 11 Anestesia tramite spostamento dell'iperestesia. Spostare il problema per permetterne il controllo (cfr. pp. 40-41) 11 Storicizzare, spiegare la distorsione temporale, ricordare sensazioni positive da utilizzare (cfr. p. 37). 11 Dissociare per conservare sia l'aspetto della positività nell'esperienza pregressa, sia la realtà della convinzione dell'esperienza attuale (p. 37-38) 111

Riappropriazione ed utilizzazione del tempo, riorientamento nel tempo per risolvere i

problemi personali (nel futuro per “sperimentare” soluzioni scelte) (p. 174). 111

Analisi, frammentazione e riappropriazione ristrutturante del sintomo (cfr. pp. 43-

44). 111

Reinterpretare in senso positivo le cattive abitudini trasformandole in risorse del

carattere, rendendole però, all'interno dell'esperienza soggettiva, scomode e spiacevoli, esaltazione della comodità e piacevolezza dei dati positivi (cfr. p 46-47). 111

Trance come aiuto al ricordo ed all'apprendimento inconscio (cfr. pp. 51 e 112).

111

Seguire ogni associazione venga in mente per utilizzare l'inconscio (cfr. p. 53).

111

Conversione delle difese e resistenze inconsce (rilevate osservando il comportamento

ed evidenziate), in cooperazione conscia (preferiresti), scelta di dissociazione e creazione del rapport (pp. 71-73 e 83-88). 111

Autoipnosi e trance come richiesta di soluzione dei problemi e come momento

inconscio di problem solving (p. 56-58). 111

Approfondimento della trance tramite moltiplicazione del numero delle risposte,

senza mai rispondere direttamente alle domande, progressione aritmetica e levitazione della mano (pp. 62-63). 111

Rinforzo tramite apprezzamento e invito a godersi la trance, suggestioni post-

ipnotiche indirette, introduzione di elementi nuovi nella trance (p. 75). 111

Indicazione di doppio legame terapeutico (mangiare di più per dimagrire) (p.168).

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111

Suggestioni post-ipnotiche elaborate non come indicazione diretta, ma come

aspettativa sia di essere capiti da se stessi “meglio di quanto ti sia mai reso conto; meglio da noi di quanto ti possa aspettare” (Erickson, 1987, 262), sia di un risultato d'apprendimento (Erickson, 1987, 75), sia di un “tempo” nel quale raggiungere gli obiettivi prefissati (Erickson, 1987, 115) ecc.. In definitiva i venti punti sopra elencati possono venire condensati, per dare l'idea del processo seguito dall'autore in questo schema: Accettazione piena della persona e del problema.

Utilizzazione dei comportamenti, delle emozioni, delle sensazioni positive, delle resistenze e del problema stesso, reinterpretazione, ristrutturazione

Ricerca delle soluzioni tramite trance, distorsione temporale, dissociazione, ecc.

Approfondimento della trance, rinforzo, introduzione di elementi nuovi, invito al godimento della trance stessa.

Suggestioni post-ipnotiche come aspettativa di comprensione, risultati, “tempo”. Uso del doppio legame

Congedo con richiesta di fare qualcosa che sarà possibile solo dopo la risoluzione del problema

Il terzo e quarto passo, che entrano nel vivo del procedimento ipnotico, non sono considerati, da Erickson, come una semplice tecnica per accrescere la capacità creativa del singolo, come abbiamo visto nella proposta di Amadori e neppure semplice esercizio immaginativo, come in Nardone, ma

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costituiscono un vero e proprio “lavoro” nel quale la fiducia di Erickson nella capacità dell'inconscio di risolvere i problemi si uniscono alle motivazioni consce ed alle risorse individuali per generare soluzioni secondo lo schema riportato a pagina 151 del libro:

Dove le frecce bidirezionali indicano l'interdipendenza di tutte le componenti che, nella trance stessa, intervengono. CONCLUSIONE Ciò che distingue il problem solving ipnotico da gli altri modelli che ho presentato è, a prima vista, solo la semplicità, ma se guardiamo, invece, nel complesso gli aspetti che ho cercato di evidenziare, emergono, a mio parere soprattutto tre aspetti che ne differenziano, oltre alla normale peculiarità della terapia ipnotica, le caratteristiche originali. 1)La focalizzazione sulla persona e la sua sofferenza, più che sul problema. 2)Il superamento, attraverso le tecniche ipnotiche e la trance, del dualismo tra compito e creatività. 3)L'orientamento costante verso il futuro in tutte le fasi del problem solving stesso. In una logica di integrazione ed arricchimento tra i vari metodi, sicuramente queste caratteristiche potrebbero utilmente essere inserite in altri percorsi metodologici per dar loro un respiro più “umano” e terapeutico, meno meccanicistico e farraginoso, ma anche alcune tecniche dei sistemi citati potrebbero integrare, anch'essi, il problem solving ipnotico, per costruire insieme al cliente un lavoro condiviso e duraturo. Per esempio, l'analisi multimodale, di Lazarus, potrebbe essere utile nella raccolta degli elementi biografici, il brain strorming e il diagramma di Ishikawa (magari “rovesciandolo”, ponendo, cioè, come punto di arrivo. la soluzione, più che il problema) potrebbero essere usati per facilitare il lavoro di trance, per la parte immaginativa e di distorsione temporale che li contraddistingue, mentre sia la massimizzazione del Verde della Benjamin sia la tecnica dello “scenario oltre il problema” di Nardone sono già ampiamente situati, in modo, meno razionalistico, più “vivo” e produttivo, nella tecnica ipnotica.

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BIBLIOGRAFIA Nella bibliografia, indicherò tra parentesi, subito dopo il titolo dell'opera, l'anno della prima pubblicazione, mentre metterò in fondo, dopo la casa editrice, l'anno nel quale è stata pubblicata la copia in mio possesso e dalla quale sono tratte le eventuali citazioni o i riferimenti: Amadori A., Risolvi i tuoi problemi! Come superare con la creatività le sfide della vita, San Bonico (PC): Mind, 2010. Becciu M. - Colasanti M. R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, Milano: FrancoAngeli, 2004. Benjamin L. S., Terapia ricostruttiva interpersonale. Promuovere il cambiamento in coloro che non reagiscono (2003), Roma: LAS, 2004. Boda G. - Landi S., Life skills: il problem solving (2005), Roma: Carocci, 2008. Erickson M. H., La ristrutturazione della vita con l'Ipnosi (1985), Roma: Astrolabio – Ubaldini, 1987. Haley J., La terapia del problem solving (1987), Milano: Franco Angeli, 2010. Ivey A. E. - Ivey Bradford M., Il colloquio intenzionale e il counselling (2003), Roma: LAS, 2004. Keenan K., Risolvere i problemi (1996), Legnano (MI): EdiCart, 2005. Lazarus A. A., Terapia breve e completa. L'approccio multimodale (1997), Roma: LAS, 2003. Legrenzi P. (a cura di), Storia della psicologia, Bologna: il Mulino, 1980. Loriedo C. - Nardone G. - Watzlawick p. - Zeig J. K., Strategie e stratagemmi in psicoterapia. Tecniche ipnotiche e non ipnotiche per la soluzione, in tempi brevi, di problemi complessi, Milano: FrancoAngeli, 2002. Mahoney M. J., Cambiare se Stessi(1979), Roma: Astrolabio – Ubaldini, 1985. Nardone G., Problem Solving strategico da tasca (2009), Milano: Adriano Salani, 2010. Pennati A., Risolvere i problemi, dentro e fuori le organizzazioni; una guida al problem solving metodologico, Milano: FrancoAngeli, 2005. Pope A. - McHale S. - Craighead E., Migliorare l'autostima. Un approccio psicopedagogico per bambini e adolescenti (1988), Trento: Erickson, 1993. Scilligo P., La Relazione di Aiuto Fondata sull'Azione, Roma: IFREP, 1994. Watzlawick P. - Weakland J. H. - Fish R., Change, sulla formazione e la soluzione dei problemi, Roma: Astrolabio – Ubaldini, 1974.

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INDICE INTRODUZIONE CAPITOLO 1°

CAPITOLO 2°

CAPITOLO 3°

CAPITOLO 4°

CAPITOLO 5°

2 GLI ANNI '70

3

1)“Change”

3

2)“Cambiare se stessi”

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GLI ANNI '80

5

3)“La terapia del problem solving”

5

4)“Migliorare l'autostima”

6

GLI ANNI '90

6

5)“La Relazione d'Aiuto Fondata sull'Azione”

6

6)“Risolvere i problemi”

7

DAL 2000 AD OGGI

10

7)“Terapia breve e completa”

10

8)“Il colloquio intenzionale e il counselling”

10

9)“Terapia ricostruttiva interpersonale”

12

10)“La promozione delle capacità personali”

13

11)“Life Skills: il problem solving”

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12)“Risolvere problemi, dentro e fuori le organizzazioni”

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13)“Problem Solving strategico da tasca”

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14)“Risolvi i tuoi problemi!”

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MILTON H, ERICKSON

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15)“La ristrutturazione della vita con l'ipnosi”

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BIBLIOGRAFIA

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INDICE

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