Organica Biochimica [PDF]

  • 0 0 0
  • Gefällt Ihnen dieses papier und der download? Sie können Ihre eigene PDF-Datei in wenigen Minuten kostenlos online veröffentlichen! Anmelden
Datei wird geladen, bitte warten...
Zitiervorschau

genetica di virus e batteri capside proteico

LA GENETICA DEI VIRUS

Materiale

genetico

( DNAORNA )

I virus sono entità non cellulari (non hanno né membrana né citoplasma) e non appartengono a nessuno dei regni esistenti. Sono costituiti da un involucro proteico chiamato capside, che contiene un acido nucleico che può essere DNA o RNA. Il capside protegge l’acido nucleico dalla degradazione nelle fasi in cui il virus è libero nell’ambiente. In alcune specie è rivestito da una membrana detta envelope, che aiuta i virus a non essere riconosciuti dal sistema immunitario. I virus sono incapaci di replicarsi in modo autonomo: per questo sono parassiti intracellulari obbligati, che per riprodursi usano l’apparato biosintetico della cellula infettata. Qualunque tipo di cellula è esposta all’infezione virale: in particolare, i virus che infettano i procarioti sono detti batteriofagi o fagi. In alcuni virus le informazioni genetiche passano dalle molecole di RNA a quelle di DNA.; quindi possiamo distinguerli in: virus a DNA = responsabili nell’uomo di vari tipi di herpes e della varicella; in essi è presente un cromosoma costituito da una corta molecola di DNA lineare a doppia elica (in alcuni può essere presente una molecola a singolo filamento oppure a doppio filamento circolare) virus a RNA = il genoma è una molecola di RNA a singolo filamento (raramente a doppio filamento); a seconda del tipo di virus, una volta che l’RNA è entrato nella cellula viene usato per la sintesi di proteine virali oppure viene trascritto in mRNA che viene poi tradotto. In alcuni, detti retrovirus, le molecole di RNA virale sono retrotrascritte a DNA grazie ad enzimi che usano l’RNA come stampo (trascrittasi inverse o retrotrascrittasi). A seguito dell’infezione della cellula, i virus possono presentar due diversi cicli Envelope vitali, a seconda che il genoma virale si integri o meno in quello della cellula ospite. capside Nei virus che seguono un ciclo litico, la cellula infettata è usata immediatamente proteiche per replicare le particelle virali, ma il DNA virale non viene mai integrato nel genoma batterico: il DNA virale viene trascritto per produrre nuovi virioni, che Glicoproteina capside vengono liberati nell’ambiente extracellulare con la lisi della membrana plasmatica Involucro esterno

Glicoproteine

RNA

DNA

Fibre

DNA

RNA

Nel ciclo lisogeno l’acido nucleico virale si integra nel genoma dell’ospite, dove può rimanere quiescente per poi riattivarsi a seguito di precisi segnali molecolari. Una volta riattivatosi, il DNA virale viene usato per dirigere la sintesi delle particelle virali e portare a lisi la cellula infettata, liberando i virioni. Questi virus in grado di rimanere quiescenti prima di iniziare un ciclo litico vengono chiamati fagi temperati: il loro DNA può integrarsi in siti specifici del cromosoma ospite e duplicarsi con esso. I batteriofagi integrati sono noti come profagi e i batteri che li ospitano sono detti batteri lisogeni. Quando il profago si attiva, si stacca dal cromosoma batterico ed inizia un ciclo litico.

LA GENETICA DEI batteri I batteri sono organismi procariotici unicellulari che fanno parte del dominio dei Bacteria; la classificazione più comune si basa sulla forma delle cellule. Cocchi = batteri con forma sferica; in base al piano di divisione della cellula, si possono formare diversi tipi di aggregati cellulari. I diplococchi sono coppie di cocchi, gli streptococchi sono formati da catenelle, gli stafilococchi formano dei grappoli. Bacilli = batteri a forma di bastoncello Spirilli e spirochete = batteri con forma a spirale Vibrioni = batteri a forma di virgola Altre classificazioni si basano sul metabolismo dei batteri, in particolare su due aspetti: la loro capacità di formare spore (sporigeni o asporigeni) o di vivere in presenza di ossigeno (aerobi o anaerobi). Le spore sono forme cellulari resistenti in cui il metabolismo è quiescente in condizioni sfavorevoli. Tra gli anaerobi possiamo distinguere quelli obbligati, ovvero che vivono esclusivamente in ambienti privi di ossigeno, e quelli facoltativi. Quasi tutti i batteri possiedono una parete cellulare spessa e rigida, che protegge la cellula e ne determina la forma: questa parete contiene il peptidoglicano nel caso dei batteri, mentre negli archei non lo contiene. Anche i lipidi che compongono la membrana si differenziano nei due regni. In base alla diversa composizione chimica della parete è possibile distinguere i batteri grazie ad una tecnica di colorazione: la colorazione di Gram prevede l’uso di un colorante violetto, una decolorazione con alcol e una successiva colorazione con un colorante rosso. I batteri Gram positivi, la cui parete è ricca di peptidoglicano, assorbono e trattengono il colorante; i batteri Gram negativi, la cui parete è formata da uno strato sottile di peptidoglicano e da una membrana esterna di natura lipidica, non assorbono il colorane violetto ma solo quello rosso. I batteri Gram negativi sono più resistenti agli antibiotici, che agiscono impedendo la sintesi del peptidoglicano. I batteri non hanno membrane interne (non possiedono un nucleo) e sono caratterizzati da dei pili, responsabili del movimento e della sessualità batterica. Il materiale genetico dei batteri presenta un solo cromosoma, formato da una molecola di DNA circolare a doppio filamento: la replicazione del DNA batterico avviene a partire da un solo punto d’origine, che funziona da sito d’inizio per l’ancoraggio delle proteine necessarie alla replicazione. Oltre al cromosoma, sono presenti anche piccole molecole circolari di DNA a doppio filamento chiamate plasmidi: sono molto più piccoli del cromosoma batterico e posseggono dai 2 ai 10 geni; trasportano geni non essenziali per la vita della cellula (possono al massimo modificare il suo ciclo di vita o il suo metabolismo). Anche i plasmidi sono autoreplicanti perché posseggono un loro punto di origine della replicazione. Pilo

citoplasma

cromosoma

Membrana esterna

capsula

parete

cellulare

Membrana µ.mu,

g Plasmide

Di

La replicazione, in un plasmide, ha inizio nell’origine di replicazione (sito ori). I filamenti si separano e si verifica replicazione in entrambe le direzioni: alla fine si ottengono due molecole di DNA.

espressione genica L’espressione genica è il processo grazie al quale le informazioni ereditarie codificate nei geni sono trascritte, decodificate e convertite in macromolecole funzionali. A seconda del ruolo che svolgono, i geni possono distinguersi in: strutturali = sequenze di DNA che codificano una proteina o un RNA che partecipa alla costruzione della struttura della cellula o al suo funzionamento. Il controllo di un gene strutturale può avvenire a livello della trascrizione, prima e dopo la traduzione regolatori = controllano l’espressione di altri geni, codificando particolari proteine che possono agire come repressori o attivatori della trascrizione.. Nei batteri i geni strutturali sono raggruppati in unità di trascrizione chiamate operoni: i geni che fanno parte di un operone si trovano in serie e sono controllati da un unico promotore. Il promotore è la sequenza alla quale si lega l’RNA polimerasi prima di cominciare ad aprire la doppia elica e dare inizio alla sintesi dell’mRNA. Fra il promotore ed il primo gene strutturale si trova una sequenza detta operatore, riconosciuta e legata da specifici repressori e attivatori. Ogni operone si chiude con un terminatore, la cui funzione è determinare la fine della trascrizione. I repressori e gli attivatori che si legano all’operatore sono codificati da geni regolatori che non fanno parte dell’operone. Un attivatore si lega all’operatore e promuove la trascrizione, mentre un repressore occupa l’operatore e impedisce lo scorrimento dell’RNA polimerasi sul DNA. La capacità del repressore di legarsi all’operatore dipende da un’altra molecola che lo attiva (corepressore) o disattiva (induttore). L’amminoacido triptofano agisce da corepressore per il repressore dell’operatore dell’operone trp, portando alla mancata trascrizione dei geni coinvolti nella sintesi dello stesso amminoacido. L’allolattosio, invece, è uno zucchero prodotto in seguito al metabolismo del lattosio e si comporta da induttore, legandosi al repressore e rendendolo inattivo, staccandolo così dall’operone lac: in presenza di allolattosio, quindi, l’RNA polimerasi si sposta lungo la molecola di DNA e trascrive i geni. Entrambi agiscono modificando la configurazione tridimensionale della molecola del repressore. L’operone lac è inducibile (tipico delle vie cataboliche), mentre l’operone trp è reprimibile (tipico delle vie anaboliche). Gli operoni permettono di rispondere in modo veloce agli stimoli ambientali. colture batteriche in laboratorio I biologi impiegano i batteri in laboratorio perché sono facili da coltivare e crescono rapidamente. Il terreno minimo è quello che permette la crescita di batteri che presentano un genotipo selvatico (quello più comune in natura) e solitamente contiene una fonte di carbonio, nutrienti come azoto e fosforo, vitamine e ioni. I ceppi mutanti di batteri possono crescere solamente su terreni arricchiti: infatti questi ceppi mancano di enzimi necessari per la sintesi di una o più biomolecole essenziali. Questi ceppi sono detti mutanti nutrizionali. Per far crescere contemporaneamente più colonie con esigenze metaboliche non definite si usano terreni complessi. Le colture batteriche in laboratorio possono crescere in provette che contengono un terreno di coltura liquido e sterile, dove i batteri vengono inseriti in scarse quantità per poi moltiplicarsi finché l’ambiente lo permette su piastre di Petri che contengono un terreno reso solido dall’aggiunta di agar; in questo caso la soluzione diluita di batteri viene distribuita sulla superficie della piastra, dove si formeranno colonie batteriche formate da cellule geneticamente identiche, permettendo così di isolare i vari ceppi. Per i solare i ceppi batterici mutanti, i microbiologi si basano sulle loro esigenze nutrizionali. ESEMPIO >> studiare i mutanti leula coltura originaria contenente sia leu+ che leu- viene sparsa su un terreno arricchito contenente leucina, dove entrambi i ceppi si moltiplicano piastratura delle repliche = alcune cellule di ciascuna colonia vengono sparse su due piastre, una contenente un terreno arricchito, l’atra con un terreno minimo le colonie che crescono in entrambe le piastre avranno genotipo leu+ (selvatico), mentre quelle che crescono solo sul terreno arricchito avranno genotipo leu-

il trasferimento genico nei batteri Nei batteri esistono tre processi con cui le cellule possono scambiarsi materiale genetico: coniugazione = trasferimento diretto di DNA da un batterio all’altro attraverso specifiche strutture trasformazione = un batterio incorpora DNA presente nel terreno di coltura trasduzione = un batteriofago trasporta materiale genetico da una cellula batterica all’altra coniugazione Ha inizio quando tra due cellule vicine si forma un ponte citoplasmatico, attraverso il quale una parte del cromosoma batterico o un plasmide si trasferisce da una cellula donatrice a una cellula ricevente. La coniugazione dipende da un plasmide, detto fattore di fertilità o fattore F, che è presente nelle cellule donatrici: le cellule che lo possiedono sono chiamate F+ mentre quelle che non lo possiedono sono dette F-. Questo plasmide possiede un’origine di replicazione e circa 25 geni, di cui alcuni controllano la sintesi dei pili, sottili estroflessioni della membrana plasmatica che entrano in contatto con specifici recettori presenti sulla membrana delle cellule F-.

In questo modo si forma il ponte citoplasmatico, attraverso cui un singolo filamento del fattore F passa dalla cellula donatrice a quella ricevente. Il trasferimento ha inizio quando uno dei filamenti di DNA del fattore F si interrompe presso l’origine di replicazione: il filamento interrotto passa nella cellula ricevente, mentre sull’altro inizia una replicazione che ripristina il plasmide. I fattori F possono integrarsi nel cromosoma batterico: in questo caso la cellula è chiamata cellula Hfr (high frequency recombination cell). È un evento piuttosto raro, ma quando avviene può comportare il trasferimento di una porzione del cromosoma batterico da una cellula all’altra attraverso la coniugazione (il tempo in cui i batteri rimangono uniti non è però sufficiente affinché l’intero cromosoma batterico venga trasferito). A questo punto, tra il cromosoma della cellula ricevente e le parti del cromosoma della cellula donatrice può avvenire una ricombinazione: il nuovo materiale genetico va a sostituire quello già esistente e il DNA in eccesso viene degradato. In altri casi il fattore F può staccarsi dal cromosoma della cellula Hfr e formare un plasmide. Gli studi sulla coniugazione vennero condotti attraverso esperimenti su due ceppi di E. coli: coltivando separatamente due ceppi (Y10 e Y24) su terreni minimi, i batteri non crescevano. Mescolandoli, gli studiosi si resero conto che le colonie che si sviluppavano erano in grado di sintetizzare tutti gli amminoacidi: era quindi ovvio che tra i batteri dei due ceppi fosse avvenuto uno scambio genetico. Una conseguenza della coniugazione è osservabile nel fenomeno dell’antibiotico-resistenza: essa è infatti il risultato dell’azione dei geni localizzati sui plasmidi R, che si trasferiscono per coniugazione da una cellula all’altra. trasformazione Gli studi di Frederick Griffith sul batterio Streptococcus pneumoniae portarono alla scoperta del fattore trasformante. La trasformazione richiede l’acquisizione di frammenti di DNA dal terreno di coltura e la sua incorporazione nel cromosoma batterico o in un plasmide. Si può verificare spontaneamente quando i batteri morti si degradano, rilasciando il proprio DNA nell’ambiente. La capacità di compiere questo processo dipende dallo stadio di crescita, dalle condizioni ambientali e dalla concentrazione del DNA nell’ambiente, nonché dalla specie batterica. Questo processo è alla base del clonaggio genico. trasduzione Ne esistono di due tipi: trasduzione generalizzata = permette di trasferire qualsiasi tipo di gene trasduzione specializzata = si possono trasferire solo alcuni geni che si trovano in punti specifici del cromosoma batterico La trasduzione generalizzata si basa sul fatto che, durante il ciclo litico di riproduzione del fago, il cromosoma batterico si frammenta in modo casuale e durante l’assemblaggio delle nuove particelle virali, può capitare che all’interno del capside resti imprigionato un tratto di cromosoma batterico. Queste particelle vengono chiamate fagi trasducenti e, quando infettano una cellula, rilasciano il DNA batterico introducendo nuovi geni che possono integrarsi per crossing over nel cromosoma. La trasduzione specializzata richiede la presenza di batteriofagi lisogeni e si verifica quando il profago si stacca in modo imperfetto dal cromosoma batterico, portando con sé tratti di DNA adiacenti al proprio sito di inserzione.

gli elementi trasponibili I cromosomi dei procarioti e degli eucarioti contengono elementi genetici mobili, detti trasposoni o geni mobili, che sono capaci di spostarsi da soli in siti diversi dello stesso cromosoma oppure in cromosomi differenti. Un tempo venivano chiamati “DNA egoista” perché, apparentemente, non svolgono alcuna funzione utile per la cellula che li ospita. I trasposoni costituiscono circa il 45% del genoma umano. Sono in grado di inserirsi in molti siti e grazie al loro spostamento (trasposizione) sono spesso causa di mutazioni, perché si inseriscono in un gene interrompendone la sequenza codificante o perché provocano riarrangiamenti del DNA (delezioni, duplicazioni, inversioni). Esistono molti tipi di elementi trasponibili, che però si muovono in modo simile: nel DNA bersaglio vengono praticati dei tagli sfalsati dall’enzima trasposasi (codificato dal trasposone stesso) l’elemento trasponibile si lega alle estremità a singolo filamento del DNA bersaglio, sempre grazie alla trasposasi le interruzioni a filamento singolo sono riempite dalla DNA polimerasi, che ripristina il doppio filamento integrando stabilmente il trasposone I trasposoni contengono alle loro estremità delle ripetizioni terminali invertite, riconosciute dalla trasposasi stessa e necessarie perché la trasposizione abbia luogo. Quando il trasposone si inserisce nel DNA, si generano ripetizioni lunghe da 3 a 12 paia di basi che non fanno parte del trasposone. Sequenze di inserzione (IS) = sono il tipo più semplice di trasposone e trasportano solo l’informazione genetica necessaria al proprio spostamento, cioè il gene per la trasposasi. Sono lunghe da 800 a 2000 paia di basi. Trasposoni composti = formati da una parte centrale, che può contenere diversi geni, fiancheggiata da due sequenze di inserzione. Il DNA posto tra le IS non è necessario per lo spostamento, ma contiene informazioni aggiuntive. Sia IS che trasposoni composti sono trasposoni a DNA e possono spostarsi in due modi diversi: trasposizione replicativa (copia-incolla) = una nuova copia dell’elemento trasponibile si inserisce nel nuovo sito mentre la vecchia copia rimane nel sito originario; ad ogni spostamento, quindi, il numero di copie aumenta di un’unità 2

3

trasposizione non replicativa (taglia-incolla) = l’elemento trasponibile viene asportato dal sito originario e inserito nel nuovo sito. Esistono altri elementi trasponibili, detti retrotrasposoni, che richiedono la sintesi di un intermedio a RNA che, giunto a destinazione, viene ricopiato in DNA dall’enzima trascrittasi inversa. Sono originati dai retrovirus e sono presenti solo negli eucarioti. Usano la trasposizione replicativa.

genetica degli eucarioti il genoma eucariotico e la sua regolazione Il differenziamento cellulare è il processo attraverso cui i vari tipi cellulari si diversificano e deriva dall’espressione di geni diversi in tipi cellulari diversi. Questo è possibile perché a monte di ogni gene sono presenti porzioni di DNA che indicano come, quando e dove deve essere utilizzato ciascun tratto di DNA. Anche durante lo sviluppo embrionale è la regolazione dell’espressione genica a guidare i diversi stadi d sviluppo, in modo che organi e tessuti si dispongano correttamente. Il genoma eucariotico è più ricco di geni di quello procariotico e non è organizzato in unità funzionali come gli operoni: ogni gene possiede una propria regolazione e può intervenire in processi molto diversificati. Una cellula deve poter attivare e disattivare geni specifici in base agli stimoli che riceve: un gene comprende una sequenza codificante e due sequenze regolatrici promotore = fornisce informazioni riguardanti il punto e la direzione in cui iniziare la trascrizione terminatore = definisce dove deve arrestarsi la sintesi del trascritto primario. I promotori eucariotici, a differenza di quelli procariotici che legano direttamente l’RNA polimerasi, necessitano di specifici fattori di trascrizione, proteine che agiscono come attivatori perché guidano le RNA polimerasi sul sito di inizio della trascrizione. Enhancer

sequenza

sito di inizio

di arresto

della trascrizione

5

'

3

'

DNA

Esone

Introne

Esone

Promotore

sequenza

Introne

Esone

da trascrivere

Le sequenze regolatrici (enhancer) legano gli stessi attivatori che agiscono sul promotore, generando un cambiamento strutturale della cromatina, che si ripiega e porta ad un contatto tra l’enhancer e il promotore, con i fattori di trascrizione che fanno da ponte e stabilizzano il ripiegamento. Inoltre, negli eucarioti sono presenti tre diverse RNA polimerasi: RNA polimerasi I = trascrive geni per la sintesi di RNA ribosomiali RNA polimerasi II = trascrive geni per la sintesi di mRNA RNA polimerasi III = sintetizza tRNA e miRNA In questo modo si regola al meglio sia la produzione di molecole coinvolte nel processo sia la sintesi del prodotto (mRNA). Sulla base delle informazioni presenti nei promotori e negli enhancer, ciascun gene è soggetto ad uno specifico controllo trascrizionale. Possiamo distinguere: geni housekeeping o costitutivi = sono trascritti in tutte le cellule in ogni momento (es. geni che codificano istoni, DNA e RNA polimerasi) geni tessuto-specifici = guidano le cellule nella specializzazione verso i diversi tipi cellulari, quindi sono espressi solo in alcuni tessuti geni inducibili = la loro espressione genica è regolata in modo da attivarsi solo in seguito a determinati stimoli (es. geni che codificano heat shock protein)

l’epigenetica e l’interazione tra il dna E L’AMBIENTE i

1

/

I segnali epigenetici sono modificazioni che influenzano l’espressione di un gene senza alterarne la sequenza nucleotidica. Sono studiati dall’epigenetica. Essi comprendono: metilazione del DNA rimodellamento della cromatina Entrambi i processi sono reversibili, ma spesso sono stabili e persistono nel corso delle divisioni cellulari. Molte modificazioni epigenetiche sono influenzate da stimoli ambientali. metilazione Consiste nell’aggiunta di gruppi metile alle basi nucleotdiche. Negli eucarioti prevale la metilazione della 5-metilcitosina, che si verifica spesso sulle citosine adiacenti alle guanine (dinucleotidi CpG, dove p rappresenta il gruppo fosfato che unisce C e G). Le regioni di DNA che presentano un’elevata densità di dinucleotidi CpG vengono chiamate isole CpG: nelle cellule dei mammiferi si trovano spesso in corrispondenza dei promotori dei geni. Quando i geni sono trascritti, le isole CpG non sono metilate; la metilazione di isole CpG vicino ad un gene porta alla repressione della sua trascrizione.

La repressione avviene in due modi: la presenza del gruppo metile impedisce il legame con i fattori di trascrizione la metilcitosina attrae proteine che agiscono come repressori Le cellule, quindi, reprimono o attivano i propri geni attraverso metilazione e demetilazione delle basi di C: le due reazioni sono catalizzate dagli enzimi della famiglia delle DNA metiltransferasi e delle demetilasi. La metilazione delle isole CpG può essere trasmessa da una cellula alla sua progenie: il modello di metilazione del DNA viene così mantenuto e rappresenta la memoria epigenetica. rimodellamento della cromatina Nel nucleo, il DNA si trova strettamente avvolto attorno agli istoni, formando i nucleosomi (unità ripetute di base della cromatina). Il legame tra promotori e fattori di trascrizione non può avvenire se il DNA è fortemente compattato nei nucleosomi: prima della trascrizione la struttura della cromatina si modifica e passa dalla forma chiusa a quella aperta, in modo da rendere il DNA accessibile al complesso di trascrizione (rimodellamento della cromatina). La cellula può variare il grado di condensazione della cromatina in diversi modi: uno di questi è agire sugli istoni, che sono formati da due regioni, una globulare e una coda carica positivamente. Le code possono essere modificate dall’aggiunta di gruppi acetile o metile che rendono la cromatina più o meno accessibile ai fattori di trascrizione. Acetilazione degli istoni = consiste nell’aggiunta di gruppi acetile e stimola la trascrizione indebolendo il legame delle code con il DNA e ponendo la cromatina in una forma aperta. I gruppi acetile sono aggiunti dagli enzimi acetiltransferasi e vengono rimossi dalle istone deacetilasi. Metilazione degli istoni = reprime la trascrizione aumentando il grado di condensazione della cromatina. I gruppi metile vengono aggiunti dalle metiltransferasi e tolti dalle istone demetilasi. memoria epigenetica Esistono due tipi di ereditarietà: quella tra generazioni di cellule e quella tra generazioni di individui pluricellulari. Anche i segnali epigenetici sono essenziali nel definire il programma di differenziamento di una cellula e trasmetterlo alle cellule figlie. Quando la cellula si divide, la DNA metiltransferasi 1 riproduce sul nuovo filamento lo stato di metilazione del DNA stampo: il profilo di metilazione viene ereditato dalla cellula figlia. Questi profili possono essere piuttosto labili: nei mammiferi, subito dopo la fecondazione il genoma dello zigote è attraversato da un’ondata di demetilazione che, attraverso le demetilasi, rimuove la maggior parte dei gruppi metile. Con lo sviluppo dello zigote, nuovi siti di metilazione vengono etichettati dalle metiltransferasi de novo, enzimi che aggiungono gruppi metile anche in assenza di uno stampo. L’epigenoma è l’insieme di tutti i segnali epigenomici posseduti da un singolo organismo. Cellule diverse, pur avendo lo stesso genoma, attivano e disattivano geni diversi ricorrendo all’epigenoma, ovvero a modificazioni epigenetiche diverse in geni diversi. Ad esempio, i gemelli monozigoti sono geneticamente identici ma spesso differiscono un po’ per l’aspetto, la salute o il comportamento: alcune di queste differenze sono dovute a cambiamenti dell’epigenoma; infatti nei primi anni di vita la metilazione del DNA e l’acetilazione istonica sono simili, ma col passare degli anni le differenze aumentano. Questi cambiamenti nell’epigenoma dipendono anche dall’ambiente e dallo stile di vita.

i virus e i trasposoni eucariotici virus influenzale Il virus dell’influenza penetra nella cellula ospite per endocitosi, all’interno di una vescicola rivestita di membrana. La fusione della membrana virale con quella della vescicola porta alla liberazione del virione nella cellula. Oltre al proprio materiale genetico, il virus contiene l’enzima necessario per la duplicazione del RNA: si tratta di una RNA polimerasi che usa l’RNA come stampo. In questo modo il filamento di RNA virale che viene sintetizzato serve sia da mRNA per la sintesi di proteine virali, sia da stampo per la produzione di nuove copie del genoma virale. Ciclo vitale del virus dell’influenza: Le glicoproteine virali si legano a recettori sulla membrana plasmatica della cellula ospite e il virus penetra nella cellula mediante endocitosi La membrana del virus e quella della vescivola endocitotica si fondono, il capside degenra e l’RNA virale si libera L’RNA virale funge da stampo per la produzione di mRNA a opera di una RNA polimerasi virale RNA dipendente L’mRNA virale viene tradotto in proteine virali L’RNA virale produce nuovi genomi virali a RNA grazie all’azione di due eventi successivi di RNA polimerasi Il virione viene assemblato Il rivestimento glicoproteino viene prodotto a livello del reticolo endoplasmatico della cellula ospite e trasportato alla membrana plasmatica, passando per l’apparato di Golgi L’assemblaggio di nuove particelle virali avviene mediante gemmazione, con conseguente liberazione dei virus L’influenza è una malattia respiratoria che colpisce in media l’8% della popolazione italiana ogni anno. Quando nuovi ceppi del virus influenzale si diffondono, possono verificarsi pandemie. I virus dell’influenza possono essere di tipo A, B e C. La maggior parte dei casi di comune influenza sono causati dai virus di tipo A e B. I virus di tipo A sono ulteriormente suddivisi in sottotipi sulla base di due proteine, l’emoagglutinina (HA) e la neuroaminidasi (NA): della prima esistono 16 tipi e della seconda 9, che possono combinarsi in modi diversi. Uno dei maggiori pericoli del virus influenzale è che evolve rapidamente, dando luogo alla comparsa di nuovi ceppi. 1

2

3

4

5

6

7

8

La sua evoluzione può avvenire in due modi: mutazione dell’RNA = avviene all’interno di un ceppo a causa dell’enzima che copia l’RNA, che è particolarmente propenso a commettere errori, causando continue mutazioni nel genoma virale. In questo caso si verifica la deriva antigenica (antigenic drift) unione di due o più ceppi = il materiale genetico proveniente da ceppi diversi si mescola in un process chiamato riassortimento. Affinché questo avvenga, un ospite deve essere infettato simultaneamente da due ceppi dversi: in questo modo gli RNA di entrambi i ceppi si replicano e i loro frammenti vengono inclusi nella stessa particella virale. In questo caso si parla di spostamento antigenico (antigeni shift) ed è il fenomeno colpevole di molte pandemie, in quanto nessuno possiede un’immunità adatta retrovirus Sono particolari virus a RNA il cui genoma è capace di integrarsi nel genoma della cellula ospite: dato che il genoma virale è costituito da RNA, mentre quello dell’ospite da DNA, questi virus devono produrre la trascrittasi inversa, l’enzima che sintetizza DNA complementare (cDNA) da uno stampo di RNA. I retrovirus usano questo enzima per copiare il loro genoma, costituito da una molecola di RNA. a singolo filamento, in una molecola di DNA a singolo filamento e successivamente a doppio filamento; la copia di DNA si integra poi nel cromosoma ospite, sottoforma di provirus. In questo modo, quando il cromosoma si duplica, anche il provirus viene replicato. In presenza di condizioni adatte, il provirus si attiva e produce numerose copie del genoma virale originale a RNA: questo serve a codificare le proteine virali e fa da materiale genetico per nuove particelle virali. Quando queste escono dalla cellula, raccolgono lembi di membrana plasmatica utilizzandoli come envelope. Tutti i genomi retrovirali hanno tre geni in comune: gag, pol e env. Gene gag = codifica le proteine che costituiscono il rvestimento del virus Gene pol = codifica la trascrittasi inversa e un enzima, integrasi, che inserisce il DNA virale nel cromosoma ospite Gene env = codifica le glicoproteine che si trovano sulla superficie del virus Alcuni retrovirus contengono oncogèni che stimolano la divisione cellulare, causando i tumori. trasposoni eucariotici Possono essere divisi in due gruppi: quelli con struttura simile a quella dei trasposoni batterici, che terminano con brevi ripetizioni invertite e si traspongono mediante un intermedio a DNA (es. elementi P e elementi Ac e Ds) retrotrasposoni = utilizzano una modalità di trasposizione diversa, tramite un intermedio a RNA Questi elementi trasponibili, spostandosi, causano le mutazioni.

dna ricombinante gli strumenti dell’ingegneria genetica 1

Biotecnologie = moderne tecniche di manipolazione del DNA. Già nell’antichità l’uomo sfruttava le biotecnologie classiche per produrre pane, yogurt, bevande alcoliche e altri prodotti fermentati. Ingegneria genetica = branca della biologia applicata che condivide con l’ingegneria l’idea di progettare qualcosa di nuovo e utile, agendo però sul patrimonio genetico di un organismo vivente. Tale innovazione è stata resa possibile dalla scoperta di enzimi che ci permettono di tagliare il DNA in frammenti (enzimi di restrizione) e successivamente di incollarli (ligasi), includendo al loro interno porzioni di DNA di varia provenienza. Complessivamente questi strumenti sono noti come tecnologie del DNA ricombinante. Gli scienziati, a seguito di questa scoperta, compresero i pericoli derivanti dal DNA ricombinante e si autoimposero un codice di comportamento durante l’incontro di Asilomar (California, USA). Per analizzare il DNA è necessario ricorrere ad una serie di passaggi. Estrazione dal campione Il campione può essere un tessuto, una coltura cellulare, un liquido biologico. Si inizia con la lisi del campione per mezzo di detergenti. Una volta liberato il DNA dalle cellule, si procede alla sua purificazione eliminando le altre molecole presenti nel campione: si può fare con enzimi (proteasi, RNasi) o con membrane e resine in grado di legare solo il DNA. Dopodiché il DNA viene sciolto in acqua e usato per le analisi molecolari. Enzimi di restrizione Sono enzimi, usati dai batteri, in grado di degradare il DNA virale: i batteri frammentano il genoma virale rompendo i legami tra il gruppo OH all’estremità 3’ di un nucleotide e il gruppo fosfato all’estremità 5’ del nucleotide successivo, in corrispondenza di specifiche sequenze di nucleotidi dette siti di restrizione. La maggior parte degli enzimi di restrizione agisce riconoscendo sequenze palindrome e operando un taglio sfalsato nel filamento di DNA. Le sequenze palindrome sono sequenze che risultano uguali sui due filamenti in cui, però, decorrono in direzione opposta. La presenza di estremità sfalsate (coesive) è fondamentale: i frammenti di restrizione possono in seguito unirsi fra loro grazie alla formazione di legai ad H tra le basi delle code sfalsate (per ottenere il DNA ricombinante). PREPARAZIONE DEL CAMPIONE

v

LI 51 CELLULARE

v

RIMOZIONE DEI FOSFOLIPIDI

v

DENATURAZIONE E RIMOZIONE DELLE PROTEINE

N

RIMOZIONE DELL' RNA

N

PURIFICAZIONE DEL DNA

Gli enzimi di restrizione agiscono solo sul DNA estraneo e non tagliano il DNA batterico: infatti il batterio protegge il proprio DNA attraverso la metilazione. Gli enzimi di restrizione possono essere isolati ed estratti dalle cellule batteriche che li producono ed essere usati in laboratorio come se fossero “forbici molecolari”. Ogni enzima ha una propria sequenza bersaglio quindi non tutte le endonucleasi sono in grado di effettuare gli stessi tagli: per i genomi batterici e i plasmidi esistono delle mappe che indicano la posizione dei vari siti di restrizione. Elettroforesi su gel Dopo la digestione enzimatica, si usa l’elettroforesi su gel per isolare i vari frammenti estratti. Un gel di agarosio viene posto in un contenitore munito di elettrodi (cella elettroforetica): ad una delle estremità del gel sono presenti dei pozzetti in cui vengono inseriti i campioni. Viene poi applicato un campo elettrico, con il polo negativo posizionato vicino ai pozzetti: i frammenti di DNA (carichi negativamente per la presenza dei gruppi fosfato) sono attratti verso il polo positivo. Il gel funziona come un “setaccio molecolare” attraverso cui le molecole piccole migrano più velocemente di quelle grandi. Per determinare le dimensioni dei frammenti si pone in un pozzetto un marcatore costituito da DNA di dimensioni note (marker). Ligasi Le estremità sfalsate dei frammenti di restrizione favoriscono la ricombinazione di frammenti di DNA, ma per saldarli servono enzimi in grado di catalizzare la riformazione di legami 3’,5’-fosfodiesterici: questi enzimi sono le ligasi. Per funzionare, le ligasi richiedono ATP e determinate temperature. Grazie a questa tecnica è possibile ricombinare frammenti di DNA provenienti da specie diverse e creare organismi geneticamente modificati (OGM). diagnosi di malattie genetiche Spesso per diagnosticare una malattia genetica è necessario sequenziare il DNA, ma a volte bastano altri strumenti. Se una mutazione altera la sequenza del sito di restrizione, l’enzima non pratica il taglio, generando frammenti più lunghi che vengono individuati con l’elettroforesi. Differenze dovute a mutazioni sono alla base dei polimorfismi di lunghezza dei frammenti di restrizione (RFLP).

CLONARE IL DNA Clonaggio genico = integrazione di un gene in un sistema batterico Clonazione = produzione di piante o animali geneticamente identici Grazie alla tecnica del clonaggio genico è possibile ottenere batteri geneticamente modificati da usare come biofabbriche per la produzione di molecole di interesse medico o industriale. Esistono due modi per effettuare il clonaggio: integrare il gene in un plasmide che viene poi inserito, tramite trasformazione, nel batterio integrare il gene nel cromosoma batterico clonaggio tramite plasmide Per integrare un gene in un plasmide servono: enzimi di restrizione per tagliare il DNA una ligasi in grado di unire i due frammenti un plasmide da usare come vettore di clonaggio Un vettore di clonaggio ideale deve possedere tre caratteristiche: 1 - un’origine di replicazione che assicuri che il vettore venga replicato all’interno della cellula 2 - geni marcatori = geni che consentano a qualsiasi cellula che contiene il vettore di essere identificata (es. gene per la resistenza ad un antibiotico o per una proteina fluorescente) 3 - uno o più siti unici di restrizione nei quali possa essere inserito il frammento di DNA da clonare; è importante che siano unici perché, se il plasmide viene tagliato contemporaneamente a livello di più siti, si generano tanti frammenti di DNA che saranno difficili da risistemare. Fase di preparazione del DNA Il tratto di DNA che vogliamo clonare viene isolato digerendolo con un enzima di restrizione. Lo stesso enzima viene usato per digerire anche il plasmide che verrà usato come vettore. Ligazione Si usa una DNA ligasi per unire il DNA da clonare a quello del plasmide. Trasformazione Il vettore di clonaggio viene inserito nella cellula batterica attraverso la trasformazione: si pone in una provetta il plasmide ricombinante, insieme a cellule rese competenti (ovvero trattate per facilitare l’acquisizione del DNA esogeno). La trasformazione viene favorita attraverso uno shock termico a 42 °C. Coltura Le cellule trasformate vengono seminate in un terreno nutritivo. A questo punto bisogna distinguere le cellule che hanno incorporato il plasmide da quelle che non lo hanno incorporato: per farlo si aggiunge al terreno un antibiotico, in modo che solo i batteri che contengono il plasmide ricombinante possano crescere; essi possiedono infatti il gene per la resistenza all’antibiotico presente nel vettore di clonaggio.

Questo gene agisce come marcatore di resistenza. Nella coltura potrebbero essere presenti cellule in cui il plasmide non ha incorporato il gene da clonare: queste cellule possiedono il plasmide, quindi sono resistenti all’antibiotico, ma non contengono il gene. Per distinguerle si ricorre al marcatore di selezione, costituito dal gene lacZ, che serve per la sintesi di beta-galattosidasi. Quando viene costruito il vettore, il frammento da clonare viene inserito a livello del sito di clonaggio multiplo presente nel gene lacZ: se il DNA esogeno è assente, la cellula può sintetizzare beta-galattosidasi, mentre se è presente no. Si aggiunge quindi al terreno di coltura il composto X-gal (galattosio + indolo), che produce una sostanza blu quando viene degradato: le cellule con il plasmide originale intatto hanno il gene lacZ funzionale, quindi sintetizzano beta-galattosidasi, che scinde l’X-gal e colora di blu le colonie; le cellule che hanno il plasmide ricombinante, invece, non sintetizzano la molecola e non scindono l’X-gal, rimanendo bianche. Il clonaggio ci consente anche di produrre molecole di nostro interesse, ma è importante scegliere un vettore plasmidico che contenga le sequenze regolatrici opportune per la regolazione del gene inserito: oltre al gene, quindi, si inseriscono nel plasmide anche un promotore e un terminatore. I plasmidi che si ottengono in questo modo vengono detti vettori di espressione. clonaggio tramite cromosoma I plasmidi presentano un problema: possono andare perduti e con essi anche la copia del gene inserito. Se il gene fosse integrato nel cromosoma, invece, il problema non si porrebbe: un batterio non può perdere il suo cromosoma. Il cromosoma batterico è però difficile da trattare: per farlo, si può ricorrere ai trasposoni in grado di muoversi autonomamente dai plasmidi al cromosoma batterico. Un altro problema dei plasmidi è che non possono ospitare frammenti più grandi di 15 000 nucleotidi. Si usano altri vettori, come: DNA fagico = contenuto nella testa del fago, dove viene impacchettato grazie alle sequenze cos; i fagi sono in grado di ospitare frammenti tra gli 8000 e i 20 000 nucleotidi Cromosomi artificiali = vettori codificati in modo da poter ospitare grandi frammenti di DNA. Il cromosoma batterico artificiale (BAC) deriva dal fattore F presente in E. coli. I cromosomi artificiali di lievito (YAC) possiedono tre caratteristiche comuni a tutti i cromosomi eucariotici: telomeri, centromeri e una o più origini di replicazione. Inoltre contengono uno o più siti di restrizione grazie ai quali si può inserire DNA esogeno. Sono i vettori in grado di contenere gli nserti più grandi di DNA. Cosmidi = plasmidi al cui interno sono state inserite le sequenze di impacchettamento cos; possiedono un’origine di replicazione autonoma e geni che possono fare da marcatori di selezione, nonché siti unici di taglio. Ospitano frammenti tra i 32 000 e i 50 000 paia d basi. librerie genomiche Una libreria genomica, o genoteca, è una collezione di frammenti di DNA, ciascuno clonato in un vettore di clonaggio. Per costruire una libreria: si estrae il DNA si taglia il DNA con enzimi di restrizione si effettua la clonazione attraversi vettori (cosmidi o BAC) Si procede poi con l’identificazione del clone: si analizzano i singoli cloni (screening della libreria) per individuare quello che contiene il gene che serve. Si piastrano i cloni in modo che ogni batterio si sviluppi in una colonia distinta, dopodiché usando membrane di nylon si fanno delle repliche delle colonie e si procede all’ibridazione del DNA usando sonde di DNA corrispondenti al gene scelto. Le sonde sono marcate attraverso l’incorporazione di nucleotidi che contengono l’isotopo radioattivo del fosforo 32P. La rilevazione del segnale della sonda conduce all’identificazione delle colonie a cui si è legata. Le librerie possono essere realizzate anche partendo da frammenti di DNA provenienti dai geni trascritti; questi frammenti sono chiamati cDNA o DNA complementari. I passaggi necessari sono: estrazione di mRNA sintesi di DNA a partire da mRNA grazie alla trascrittasi inversa. La libreria di cDNA consente di fissare nel tempo lo schema di trascrizione della cellula e dare un’immagine del trascrittoma, ovvero dell’insieme degli mRNA trascritti da un certo tipo di cellule in un dato momento.

replicare dna in provetta Reazione a catena della polimerasi (PCR) = metodo che consente di replicare il DNA in provetta per mezzo di una polimerasi, ottenendo numerose copie di una specifica sequenza. Richiede due componenti essenziali: un DNA stampo due primer (inneschi) con un gruppo -OH libero all’estremità 3’ ai quali aggiungere nuovi nucleotidi

Fase di denaturazione = separazione delle catene complementari mediante riscaldamento a temperature attorno ai 90 °C Fase di annealing = i primer (ognuno complementare a un’estremità della sequenza bersaglio) si legano al DNA e agiscono da inneschi per la DNA polimerasi Fase di sintesi = la sequenza stampo viene copiata e il DNA si replica I primer sono brevi frammenti di DNA (15-30 nucleotidi), costruiti in modo da evitare gli appaiamenti reciproci (self annealing) o la formazione di ripiegamenti. Nei vari cicli della PCR si separano le molecole sia di DNA originale sia delle copie appena sintetizzate: il ciclo può essere ripetuto 20-30 volte e alla fine il numero di copie sarà 2 (n è il numero di copie) Due scoperte hanno reso più semplice la PCR: la scoperta della Taq polimerasi (dal batterio Thermus aquaticus), resistente alle alte temperature lo sviluppo di termociclatori automatizzati, in grado di produrre le rapide variazioni di temperatura in modo autonomo La PCR è una tecnica semplice, veloce, duttile ed estremamente sensibile (bastano campioni minimi) ed è usata in molteplici campi, tra cui quello della genetica forense, dove viene usata per riconoscere le impronte genetiche. La PCR può essere usata per amplificare sequenze corrispondenti a segmenti di RNA: in questo caso si inizia con la trasformazione di RNA in cDNA grazie alla trascrittasi inversa. In questo caso si parla di PCR a trascrizione inversa (RT-PCR). dna fingerprinting La PCR è alla base delle analisi di DNA fingerprinting, ovvero alla definizione di impronte molecolari da utilizzare per indagini forensi. Queste analisi sono condotte analizzando i microsatelliti o brevi sequenze ripetute in tandem (STR), ovvero tratti di DNA che si ripetono uno di seguito all’altro. Queste sequenze sono molto diffuse nel genoma umano e il numero di copie di queste sequenze possedute in ogni locus varia da individuo a individuo. In questo caso si individuano le STR con la PCR, usando primer che si appaiano molto vicino alle ripetizioni: in questo modo vengono amplificati i singoli microsatelliti, che differiscono tra individui per il numero di volte che la sequenza è ripetuta. Il DNA in un individuo con molte ripetizioni produrrà un segmento amplificato più lungo. Per molto tempo questi prodotti di amplificazione venivano separati mediante elettroforesi su gel di poliacrilammide, perché soltanto questa matrice consente di evidenziare polimorfismi di pochi nucleotidi. Oggi si usano primer a cui è stato attaccato un marcatore fluorescente che consente di individuare frammenti di DNA con un laser: i primer dei diversi loci sono marcati con colori diversi in modo che il laser possa calcolarne le dimensioni quando vi transitano vicino durante l’elettroforesi.

sequenziare il dna metodo sanger Sequenziare un frammento di DNA significa determinare l’ordine esatto nel quale si trovano i nucleotidi che lo costtuiscono. Sanger sviluppò un metodo basato sull’allungamento del DNA da parte della DNA polimerasi, che prevedeva l’interruzione della sintesi ad opera di didesossinucleotidi: si inizia con la sintesi di DNA in provetta, dove verrano inseriti il campione da sequenziare, quattro deossinucleotidi trifosfato e quattro dideossinucleotidi trifosfato (ddNTP), coniugati ciascuno con un colorante fluorescente (fluorocromo) di diverso colore dopo la denaturazione del DNA, il primer si lega e attiva la DNA polimerasi, che aggiunge all’estremità 3’ libera del primer i nucleotidi complementari al filamento stampo; quando aggiunge un ddNTP invece di un dNTP la sintesi si interrompe si ottengono filamenti di varia lunghezza che vengono poi separati attraverso una corsa elettroforetica all’interno di sequenziatori automatici, in grado di leggere la successione dei colori dei ddNTP che passano davanti al laser e di tradurla in sequenza di nucleotidi dopo aver ordinato i frammenti secondo lunghezza crescente prevenzione malattie genetiche La possibilità di usare primer specifici per isolare un gene specifico ha reso più semplice la ricerca di mutazioni implicate nell’insorgenza di malattie genetiche: grazie alla PCR e al sequenziamento di geni coinvolti nelle malattie genetiche è possibile sottoporre a programmi di prevenzione le persone che presentano geni mutati. genoma umano Il primo abbozzo del genoma umano è stato presentato nel 2001. Oltre a sequenziare il genoma, sono stati sequenziati anche i tumori utilizzando librerie genomiche i cui inserti sono stati sequenziati con il metodo Sanger: si sequenziano piccoli frammenti (500-700 nucleotidi) e si confrontano le sequenze ottenute in modo da identificare tratti di DNA che hanno sequenze contigue. Il metodo più gettonato è detto shotgun e prevede l’uso di programmi di bioinformatica che assemblano le sequenze.

biotecnologie Gli scienziati hanno impiegato le tecnologie del DNA ricombinante per produrre beni e servizi: sono così nate le moderne biotecnologie. Le biotecnologie vengono applicate in molti campi: Green biotech = settore agroalimentare Red biotech = settore farmaceutico White biotech = settore industriale Con il termine biotecnologie classiche ci si riferisce invece alle pratiche già usate nell’antichità, come ad esempio l’uso di lieviti o la produzione di formaggi e yogurt (fermentazioni).

green biotech Grazie alle biotecnologie è stato possibile ottenere varietà vegetali più resistenti ad agenti patogeni e a condizioni ambientali avverse. La resistenza ai parassiti e alle infezioni virali è stata ottenuta grazie all’introduzione nel genoma di un gene che codifica una tossina letale per gli insetti, isolato dal batterio Bacillus thuringiensis (gene Bt). In modo analogo, sono state ottenute varietà resistenti agli erbicidi introducendo un gene isolato da un batterio che vive nel suolo. Questo tipo di piante sono definite organismi geneticamente modificati di prima generazione. OGM di prima generazione = creati con lo scopo di aumentare l’efficienza e la produttività agricola OGM di seconda generazione = progettati per ottenere alimenti con caratteristiche aggiuntive. OGM di terza generazione = creati per far produrre alle piante vaccini o farmaci. Le coltivazioni di papaya nelle Hawaii sono state modificate in modo da esser resistenti ad un virus: gli scienziati hanno identificato e clonato la sequenza di una delle proteine di cui è composta la capsula esterna del virus e hanno così ottenuto una varietà GM di papaya “vaccinata”. Il Golden Rice è un OGM di seconda generazione progettato per accumulare beta-carotene, il precursore della vitamina A, assente nel riso: la sua carenza è infatti causa di cecità e morte nelle popolazione che si nutrono prevalentemente di quello. Il Golden Rice contiene tre geni (due dal narciso e uno da un batterio del suolo) che costituiscono la via di sintesi del beta-carotene. Le biotecnologie agroalimentari permettono di ottenere raccolti più abbondanti e di qualità maggiore. Non ci sono prove che costituiscano un pericolo per gli esseri umani o gli animali che se ne cibano, ma esiste un dibattito sulla loro sicurezza come fonte di materie prime. metodi Per produrre una pianta GM bisogna introdurre nel nucleo della cellula vegetale i frammenti di DNA contenenti i geni che ci interessano. Il trasferimento è però ostacolato dalla presenza della spessa parete delle cellule vegetali: per ovviare a questo problema si possono usare due metodi. Plasmide Ti I ricercatori hanno fatto ricorso a organismi in grado di rompere la parete vegetale, come il batterio Agrobacterium tumefaciens, responsabile della formazione di tumori in molte piante: questo batterio riesce a danneggiare le piante inserendo nel genoma della pianta un frammento di DNA conosciuto come fattore Ti. Questo fattore Ti è stato isolato e modificato per rimuovere i geni che provocano il tumore e introdurre un tratto di DNA a nostra scelta: è stato così creato il plasmide Ti, usato per creare piante GM con le stesse tecniche di clonaggio già viste. Metodo biobalistico A. tumefaciens non è in grado di infettare le piante monocotiledoni (il cui embrione possiede una sola foglia), quindi si ricorre al metodo biobalistico, che consiste nel bombardamento di cellule vegetali con particelle d’oro o di tungsteno rivestite di frammenti di DNA. Queste particelle riescono a penetrare sia la parete che la membrana della cellula grazie all’elevata velocità: i frammenti di DNA vengono liberati nel citoplasma e nel nucleo ed integrati nel genoma. piante gm di terza generazione Queste piante vengono usate come biofabbriche per produrre farmaci e vaccini: in questo modo i biofarmaci potrebbero essere prodotti in grandi quantità e in modo economico, inoltre usando piante edibili anche la somministrazione sarebbe più facile. Infinie si ovvierebbe al problema del trasporto.

white biotech Hanno applicazioni legate all’ambiente. Biorisanamento = sono stati creati in laboratorio batteri capaci di degradare e accumulare metalli pesanti o altri composti tossici. Utilizzando batteri GM sarà possibile velocizzare lo smaltimento di prodotti di rifiuto.

Biocombustibili = sono un’alternativa rinnovabile ai combustibili fossili e possono essere usati sia nell’industria che nei trasporti. Ad esempio, il biodiesel ed il bioetanolo sfruttano l’energia chimica di composti ottenibili da materiali vegetali rinnovabili in tempi rapidi. I vantaggi sono: 1 - essendo di origine vegetale, quando bruciano immettono nell’atmosfera una quantità di diossido di carbonio uguale a quella assimilata durante la fotosintesi delle piante da cui provengono (non emettono gas serra) 2 - sono privi di zolfo 3 - non liberano gas incombusti 4 - sono totalmente biodegradabili Il biodiesel viene ricavato attraverso un processo chimico da fonti rinnovabili come oli vegetali e grassi animali Il bioetanolo si ricava mediante un processo di fermentazione di prodotti agricoli ricchi di carboidrati e dai residui di lavorazioni agricole e agroalimentari, nonché da rifiuti urbani. Lo svantaggio sta nei costi energetici di produzione.

red biotech animali transgenici Le tecniche di trasferimento genico per produrre animali transgenici sono: integrazione di vettori retrovirali contenenti il gene esogeno in embrioni in via di sviluppo microiniezioni del DNA in uova fecondate incorporazione di cellule staminali embrionali (anche GM) in embrioni Queste tecniche hanno permesso di ottenere topi GM che, oltre ad esprimere il prodotto del gene integrato, sono anche in grado di trasmetterlo. Lo scopo è produrre animali con determinate caratteristiche zootecniche e sfruttare questi organismi per creare proteine ricombinanti. Oltre a produrre animali da usare in medicina, sono stati prodotti animali con particolari caratteristiche, come il salmone AquAdvantage, ottenuto aggiungendo al genoma del salmone atlantico un gene isolato dal salmone reale che codifica l’ormone della crescita: questo salmone richiede meno cibo e cresce più in fretta. Oltre a rappresentare un vantaggio per i produttori, ha un impatto minore sull’ambiente xenotrapianti Il problema dei trapianti i organi è la scarsa disponibilità di organi compatibili, nonché la possibilità di rigetto da parte del paziente. Il riconoscimento da parte dell’organismo di un organo trapiantato e il rigetto sono dovuti ad un gruppo di geni che costituiscono il Complesso Maggiore di Istocompatibilità, che codificano per la sintesi di molecole presenti sulla superficie di ogni cellula del nostro corpo. Questo complesso è caratteristico per ogni individuo ed è coinvolto anche nella risposta immunitaria. Per ovviare a questo problema si sta ricorrendo alla ricerca sugli xenotrapianti, ovvero trapianti tra specie diverse: è infatti possibile modificare il genoma di animali in modo da rendere gli organi compatibili con l’uomo ed evitare il rigetto. Le difficioltà di questa pratica sono dovute alla possibilità di trasmissione di agenti infettivi: è stato scelto il maiale perché convive con l’uomo da migliaia di anni e i casi di agenti patogeni che hanno compiuto il salto d specie sono pochissimi, ma nel genoma suino sono presenti retrovirus (PERV) in grado di produrre particelle virali che potrebbero infettare l’uomo. Alcuni studiosi sono riusciti a disattivare le sequenze PERV e altri hanno individuato nel genoma del maiale un gruppo di geni che, una volta spento, renderebbe l’organo invisibile al sistema immunitario. clonazione Con questo termine si indica la produzione in molte copie identiche di un organismo. L’idea venne a Hans Spemann, quando pensò di asportare il nucleo da una cellula uovo e sostituirlo con quello di una cellula somatica (diploide) per ottenere una sorta di cellula uovo fecondata da far sviluppare per giungere a un adulto geneticamente identico a quello da cui era stato preso il nucleo. Dopo una serie di esperimenti sulle rane, nel 1996 si riuscì a clonare una pecora a partire da una cellula adulta e non embrionale: la vera novità stava non tanto nella clonazione ma nell’essere partiti dal nucleo di una cellula adulta. Si pensava che le cellule differenziate avessero subito modifiche irreversibili (terminalmente differenziate), ma questo esperimentò mostrò che le cellule di un individuo adulto potevano essere riprogrammate. La clonazione non viene sfruttata a fini commerciali in UE e altre parti del mondo; inoltre la clonazione applicata alla riproduzione umana è severamente vietata in molti Stati. cellule staminali Rimpiazzare tessuti ed organi danneggiati con quelli provenienti dai donatori porta a scontrarsi con il problema della disponibilità e della compatibilità. Questo problema potrebbe essere risolto con l’utilizzo di cellule staminali, ovvero cellule non differenziate in grado di dividersi all’infinito e dare origine a qualsiasi altro tipo di cellula del corpo. Inoltre presentano il vantaggio di poter essere fatte crescere in vitro in laboratorio, dove possono essere anche geneticamente manipolate per correggere eventuali mutazioni.

CELLULE STAMINALI TOTIPOTENTI

TUTTO

L' ORGANISMO

PLURIPOTENTI

TUTTI / TIPI

CELLULARI

MULTI POTENTI

ALCUNI TIPI CELLULARI

UN / POTENTI

UNSOLOTIPO

CELLULARE

Staminali embrionali (ESC) Staminali pluripotenti prelevate dall’embrione allo stadio di blastocisti. Il loro impiego ha acceso un forte dibattito etico perché, per ottenerle, è necessaria la distruzione di una blastocisti, una struttura che potenzialmente potrebbe portare allo sviluppo di un essere umano. Inoltre sono state riscontrate alcune difficoltà: non si sa se le cellule coltivate e differenziate in laboratorio abbiano le stesse caratteristiche di quelle differenziate in vivo; potrebbero poi accumulare difetti dovuti a mutazioni e crescere in modo incontrollato. Staminali somatiche (SSC) Sono già presenti nell’organismo adulto. Sono multipotenti, quindi hanno un potenziale di sviluppo minore, ma offrono il vantaggio di poter essere prelevate senza danneggiare la persona. La loro distribuzione varia da tessuto a tessuto: sono abbondanti nei tessuti soggetti a frequente rinnovamento cellulare ma scarse in altri. Inoltre, non sono riconducibili ad un’unica categoria, quindi le loro proprietà variano a seconda della cellula somatica di partenza. Staminali pluripotenti indotte (iPSC) Sono cellule già differenziate riconvertite in staminali. Questa idea ha portato alla nascita del campo di ricerca della medicina rigenerativa. Staminali autologhe Sono cellule provenienti dal paziente stesso. Un esempio è quello della rigenerazione completa della cornea: in seguito a lesioni chimiche o ustioni essa viene danneggiata, ma effettuando una biopsia nel limbus (tra cornea e congiuntiva) si può ricostruire un epitelio, che viene poi posizionato su un supporto proteico di fibrina. La fibrina agisce da colla. Grazie alle cellule staminali si è arrivati alla definizione dei farmaci cellulari.

nuove frontiere delle biotecnologie La genomica è la branca della biologia molecolare che studia la struttura del genoma, le informazioni in esso contenute, il modo in cui le sue diverse parti interagiscono e la sua evoluzione. Si divide in: genomica funzionale = determina le funzioni dei geni genomica comparata = confronta i genomi delle specie La genomica ha permesso di creare un organismo artificiale dotato di un genoma costruito interamente in laboratorio. Il Progetto Genoma Umano è iniziato negli anni Novanta ed è stato ufficialmente completato nel 2003: il suo obiettivo era quello di ottenere la sequenza completa del corredo cromosomico aploide di un essere umano. Questo progetto ha permesso di scoprire che il genoma di un essere umano comprende oltre 3 miliardi di nucleotidi, per una quantità di geni che va dai 24 000 ai 25 000. Si è inoltre scoperto che più del 95% del DNA umano è costituito da sequenze che non vengono mai tradotte in polipeptidi: per anni ci si è riferiti a questo DNA con il termine junk DNA, ma in realtà in esso sono presenti sequenze che servono per controllare il funzionamento dei geni che codificano proteine, per svolgere ruoli strutturali e per codificate frammenti di RNA importanti per la regolazione dell’espressione genica. Il modo migliore per capire la funzione di un gene è disattivarlo e vedere cosa succede: a questo servono gli animali knock-out. Una volta si andava ad inattivare il gene in cellule staminali embrionali per poi iniettarle in una blastocisti che a sua volta veniva impiantata nell’utero di una femmina: dalla sua progenie si facevano accoppiare due eterozigoti per ottenere un omozigote per il difetto cercato. Ora, con CRISPR-Cas9, lo stesso risultato si ottiene iniettando nell’embrione l’RNA guida e l’enzima Cas-9.