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La vita Montale è un poeta ligure (Genova, 1896). Il paesaggio della sua infanzia, roccioso e marino nello stesso tempo, avrà grosso peso nella sua poesia. Inizia presto a frequentare i nomi più importanti della cultura del suo tempo. Scopre l’opera di Svevo e la fa conoscere. Si trasferisce a Firenze e partecipa all’intensa attività culturale della città. Durante gli anni del fascismo assume un atteggiamento di opposizione liberale. Nel dopoguerra diventa firma prestigiosa del «Corriere della Sera». E’ insignito del Nobel nel 1975 e nominato senatore a vita. Si spegne nel 1981. Montale rifiuta tanto lo spirito delle avanguardie che il ritorno all’ordine dei rondisti. Dal punto di vista politico il suo è un liberalismo disilluso, che aspira ad un Italia europea, non provinciale. La sua poesia si fa voce di una cultura laica e razionale, disposta ad attraversare anche gli aspetti più inquietanti del presente. Critica e poetica di Montale Montale fu un eccezionale critico letterario e, anche rispetto alla propria poesia, mostrò grande capacità di comprensione. La sua scelta non è per una poesia “pura” ma per un poesia “metafisica”, che nasce dallo scontro della ragione contro qualcosa che non è ragione. Essa deve far parlare gli oggetti, per rivelare il fondo irrazionale della realtà. Questa concezione approda ad una “poetica dell’oggetto”, che parte dall’occasione interna, esprimendola non direttamente ma attraverso oggetti intensi ed essenziali. Montale si avvicina ad Eliot e alla sua poetica del correlativo oggettivo. Ossi di seppia Prima raccolta poetica di Montale, il titolo allude agli ossi dei molluschi che indicano aridità, secchezza, ma che servono anche ad affinare il becco degli uccelli. Montale sceglie un linguaggio essenziale, utilizzando elementi metrici tradizionali (l’endecasillabo) in una struttura colloquiale. Il lessico utilizza tanto forme preziose che parole concrete e puntuali. Rifuggendo da ogni celebrazione, Montale alterna meditazione esistenziale sul “male di vivere” e definizione del paesaggio. Su tutto domina il paesaggio marino e solare della Liguria: un mondo arido, scarnificato, battuto dal vento. L’io che agisce in questo paesaggio è sospeso tra l’immobilità e una pericolosa mobilità, nell’attesa di un “prodigio”, di un miracolo che possa dare un senso nuovo alla vita. Nell’entrare a contatto con gli oggetti, frana nell’io l’illusione su cui si regge la quotidianità, si rompe lo schermo di apparenza che nasconde la realtà. Il poeta insegue tutti i modi per aprire un “varco” nella maglia che imprigiona l’uomo.
Letteratura italiana – Eugenio Montale
Spesso guarda ad un’infanzia e ad un’adolescenza in cui io e natura apparivano in equilibrio. Il poeta ha una saggezza che vorrebbe trasmettere, perciò spesso si rivolge ad un “tu”. Un senso positivo si respira solo quando appare la possibilità di immergersi nella forza del paesaggio. Questo tentativo fallisce, però, e accresce la solitudine dell’io. Alla fine il libro appare, dunque, dominato da una radicale negatività. Le occasioni Nella seconda raccolta di Montale la poesia si concentra sugli oggetti e sulle situazioni. Il discorso poetico si fa complesso e addirittura impenetrabile, per il riferimento ad “occasioni” private. A differenza degli ermetici e di Ungaretti, però, Montale non crede nell’uso dell’analogia: egli vuole cercare ciò che è al di là della ragione usando i mezzi della ragione. Ci sono momento in cui assistiamo a delle “rivelazioni”, che però risultano inquietanti, minacciose. L’altro diventa un “tu” femminile perduto o irraggiungibile, in particolare nella sezione “I mottetti”, dove il poeta cerca gli oggetti cerca negli oggetti il “pegno” avuto in grazia dalla donna. Altro tema è quello dei ricordo impossibile: dal passato emergono situazioni e rapporti che sembrano come cancellarsi nel tentativo stesso di ricordarli (come ne La casa dei doganieri) e il paesaggio si carica di sinistri barlumi. Nella quarta parte del libro la figura femminile tende spesso a presentarsi come misteriosa forza salvatrice, figura mitologica la cui presenza inafferrabile e divina riscatta il poeta non tanto dall’assurdità e dall’inautenticità del vivere, quanto dalla volgarità e dalla mediocrità del presente e dal rovinoso precipitare del tempo storico verso la catastrofe. Clizia è tale donna: un’americana-ebrea amata dal poeta e chiamata con un nome simbolico che evoca il girasole. La bufera e altro Il titolo allude alla bufera della guerra, che porta un totale sconvolgimento nella vita del poeta: il mutamento più vistoso riguarda il forzato incontro con i destini generali, quelli degli uomini e delle donne distrutti dalla guerra, ancora una volta guardati con un misto di disprezzo e, soprattutto, pietà. Dunque, dopo il sogno di una salvezza individuale ottenuta attraverso gli amuleti e il potere salvifico di Clizia nelle Occasioni, ora nasce talvolta la speranza di una «salvezza per tutti», ancora una volta operata da Clizia, non più come detentrice di un potere animistico in antitesi alla religione tradizionale, ma in accordo con lo «sposo» Cristo. Clizia diventa allora la cristofora, che nel sangue redimerà il mondo distrutto dalla guerra. Anche questa speranza dura poco. La triste realtà del dopo-guerra, il tradimento delle speranze resistenziali, l’avvento della Guerra fredda e dell’era tecnologica spingono Montale ad un cupo letteratura italiana
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pessimismo sulle sorti dell’umanità. Ancora una volta la salvezza si caratterizza come salvezza individuale, non più proveniente da una donna-angelica, ma da una donna legata alla terra, agli istinti, alla corporeità, ai sensi: Volpe (a cui sono dedicati i “Madrigali privati”). Anche a Volpe vengono concessi attributi angelici talvolta, ma quasi in maniera blasfema. Lo stesso linguaggio ha un forte abbassamento, non tende più al sublime. Le allusioni alla sfera dell’eros si fanno più numerose ed evidenti. Alla fine del libro la sensazione è di fallimento. La poesia, che si era sperata amuleto salvifico, diventa solo un baluginare nell’oscurità del mondo. Il poeta è destinato alla prigionia o al tradimento dei valori che testimoniava. Vuoto della parola e negatività del mondo: la miscela di Satura Negli anni Sessanta la poesia di Montale cambia radicalmente. Prima di tutto le forme appaiono semplificate, anche se piene di ambiguità. Questa poesia sembra reagire alla banalizzazione della parola nella civiltà di massa e nell’epoca della comunicazione. Montale usa l’arma di una vitalità ironica e disincantata. Il poeta si presenta come uno snob conservatore, impegnato a difendere le proprie abitudini contro un mondo in cui non si riconosce più, e di cui denuncia la volgarità. Il poeta non può più essere un’aquila ma solo un topo, nel mondo ricoperto dalla palta, dai contorni infernali. Unico momento positivo è il ricordo della moglie, Mosca, negli Xenia I. Montale mette in guardia contro le illusioni delle ideologie che negli anni Sessanta dominavano la scena. Tornano oggetti, situazioni e figure del passato, a fare da contrasto al presente vuoto. Tornano anche le figure angeliche ma oramai prive di ali. Le “illuminazioni” ricercare si risolvono nel bagliore dell’accendino. Montale mostra che la “morte di Dio” di cui parla la cultura contemporanea non si risolve nella liberazione dell’uomo ma nello svuotamento di ogni valore. La società tecnologica e amministrativa appare ai suoi occhi come una divinità infernale che sfugge al controllo dell’uomo. Ma non ci sarà alcuna apocalisse a porre fine a questo scempio. La poesia dell’ultimo Montale Le ultime raccolte di Montale (Diario del ’71 e del ’72, Quaderno di quattro anni, Altri versi) svolgono misure e temi di Satura. Montale sceglie la forma del diario, dai toni bassi, smorzati, ironici, aggressivi. Il poeta mette alla berlina le figure dominanti degli anni Settanta, gli intellettuali votati al compromesso. A chi lo accusa di mettersi fuori dal mondo, risponde che ciò nasce dal rifiuto di essere manipolato da un perverso meccanismo. La poesia oramai non ha un potere salvifico.
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