Macroeconomia Blanchard [PDF]

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Macroeconomia

Macroeconomia (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia)

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Blanchard, "Macroeconomia" La macroeconomia studia il funzionamento generale del sistema economico, in particolare: •

Crescita di reddito e ricchezza



Il cambiamento nel livello dei prezzi



La sottoccupazione delle risorse

Quindi i macroeconomisti cercano di capire l funzionamento dell'economia e di proporre politiche economiche per migliorarlo. Utilizzano diversi modelli per studiare diversi problemi. I modelli partono da variabili esogene, iniziali per arrivare a variabili endogene. Temi più dibattuti: infazione, persistenza della disoccupazione e politiche per ridurla, crescita economica e sue determinanti. Ci sono diverse scuole di pensiero che possiamo aggregare in 2 floni 1. Neoclassici, monetaristi: idea di lasciare liberi i mercati 2. Keynesiani (Blanchard): l'intervento dello Stato è importante per mantenere l'equilibrio.

capitolo 2 INTRODUZIONE ALLA MACROECONOMIA 1. La produzione aggregata 1.1. Cos'è il PIL Il PIL, prodotto interno lordo, è la misura della produzione aggregata nella contabilità nazionale. ➢ Dal lato della produzione.. 1) Il PIL è il valore di mercato dei beni fnali, nuovi, prodotti all'interno dell'economia in un dato periodo di tempo. Quindi sono i beni e servizi fnali prodotti all'interno dei confni nazionali (anche se la ditta è straniera) in un dato periodo. Es. Beni usati: no Scorte di magazzino: sì Beni intermedi: no I beni scambiati nell'economia illegale? La transazione economica non viene contabilizzata e sfugge al sistema di contabilità nazionale. Dal Settembre 2014 su indicazione Eurostat vengono contabilizzate alcune forme di economia criminale (traffco di sostanze stupefacenti, prostituzione, contrabbando di sigarette e alcohol). Questa contabilizzazione incide per lo 0,9% sul nuovo calcolo del PIL 2011. 1

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Il PNL, prodotto nazionale lordo, sono i beni e servizi prodotti da fattori di produzione nazionali. pertanto può essere calcolato come PIL+redditi esteri dei residenti-redditi interni dei non residenti 2) Il PIL è la somma del valore aggiunto nell'economia in un dato periodo di tempo. Il valore aggiunto è un valore aggiunto da uno stadio produttivo alla produzione fnale, pertanto è pari al valore del prodotto fnale meno il valore dei beni intermedi utilizzati per produrlo. ➢ Dal lato del reddito.. 3) Il PIL è la somma dei redditi dell'economia in un dato periodo di tempo. 1.2. PIL nominale e PIL reale Il PIL nominale, o a prezzi correnti, è il valore totale dei beni e servizi fnali prodotti nell'anno t valutati al loro prezzo corrente (all'interno dei confni nazionali). €Yt La variazione del PIL nominale può essere dovuta sia alla variazione delle quantità prodotte di beni e servizi, sia alla variazione dei prezzi. Ciò crea un pò di confusione in quanto non si capisce se la variazione è dovuta alla variazione della quantità o dei prezzi. Se il nostro obiettivo è misurare la produzione e le sue variazioni nel tempo, dobbiamo eliminare l'effetto dell'aumento dei prezzi (infazione) dalla nostra misura del PIL. A questo scopo si utilizza il PIL reale. Il PIL reale, o a prezzi costanti, è il valore totale dei beni e servizi fnali prodotti nell'anno t valutati a prezzi costanti (invece che correnti). Defnito anche PIL a prezzi dell'anno base o aggiustato per l'infazione o in termini di beni. Yt Pertanto per il calcolo utilizzo i prezzi di un anno di riferimento, detto anno base. ⇨ Sommatoria dei prodotti moltiplicati per il prezzo dell'anno base. Siccome i prezzi relativi cambiano nel tempo, l'anno base dovrebbe essere cambiato periodicamente. Si defnisce così il PIL reale a catena in cui per il suo calcolo la base è cambiata anno per anno (nel 2016 ai prezzi del 2015, nel 2015 ai prezzi del 2014). Questo mi aiuta ad avere prezzi di beni aggiornati. Se mi riferisco anni a dietro potrei oggi avere prodotti che non erano neanche in commercio o tecnologicamente molto più avanzati. Pertanto è un metodo più accurato per misurare la crescita. 1.3. Crescita del PIL reale Per valutare l'andamento di un'economia da un anno all'altro, gli economisti considerano il tasso di crescita del PIL reale, chiamato semplicemente crescita del PIL.

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Yt – Yt-1 Yt-1 I periodi di crescita positiva sono chiamati espansioni (PIL>0), i periodi di crescita negativa sono detti recessioni (PIL 0 siamo in avanzo di bilancio, se RP < 0 siamo in disavanzo di bilancio. RP = T - G

Abbiamo detto che l'equazione di equilibrio nel mercato dei beni è: Y=C+I+G Y-T=C+I+G–T Y-T-C=I+G–T S=I+G-T Ovvero: I = S + (T - G) Investimento = Risparmio aggregato Questo spiega il perchè la condizione di equilibrio nel mercato dei beni è chiamata curva IS, che sta per "Investimento = Risparmio (Saving)". Ora possiamo descrivere l'equilibrio usando la nuova equazione. Sapendo che l'equazione di comportamento al consumo è: C = c0 + c1 ( Y - T), cerchiamo di scrivere l'equazione di comportamento al risparmio: S = Y - T - c0 + c1 ( Y – T) S = - c0 + (1 - c1) (Y - T) c1 → propensione marginale al consumo (1 - c1) → propensione marginale al risparmio, ci dice quanta parte di un incremento unitario del reddito viene risparmiata. 0 < (1 - c1) < 1 quindi i consumatori non possono risparmiare più di quanto percepiscono come reddito. Quindi tornando all'equazione di equilibrio: I = - c0 + (1 - c1) (Y - T) + (T – G) che equivale a dire: Y = 1/(1 - c1) (c0 + Ī + G - c1T) Esattamente uguale all'equazione che abbiamo visto a pag. 19.

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Il paradosso del risparmio Cosa succede al risparmio aggregato se i singoli consumatori decidono di risparmia di più? In altre parole i consumatori a parità di reddito riducono c0 aumentando in tal modo il risparmio. Diminuisce quindi la produzione Y, ovvero il reddito, e ciò diminuisce il risparmio!! Torniamo all'equazione secondo cui investimento deve essere uguale al risparmio e ipotizziamo che l'investimento sia una variabile esogena: Ī = S + (T - G) Neppure T e G cambiano. Pertanto neanche il risparmio privato S può cambiare. Anche se gli individui vogliono risparmiare di più, dato un certo reddito, quest'ultimo si riduce in misura tale da lasciare il risparmio invariato. Ciò signifca che il tentativo di risparmiare di più si traduce in una riduzione del prodotto e in un risparmio invariato. Lo stesso risultato si ottiene guardando il risparmio pubblico. I risultati di questo modello hanno grande rilevanza nel breve periodo. Invece politiche economiche che incoraggiano il risparmio potrebbero essere positive per l'economia nel medio e lungo periodo, ma potrebbero condurre ad una riduzione della domanda e della produzione, e persino ad una recessione, nel breve periodo.

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capitolo 4 I MERCATI FINANZIARI 1. La domanda di moneta La ricchezza fnanziaria si può allocare in moneta o in titoli: •

La moneta può essere usata nelle transazioni, ma non paga interessi. Esistono due tipi di moneta: quella circolante, cioè la moneta metallica e cartacea, e i depositi di conto corrente;



I titoli pagano un interesse positivo, i, ma non possono essere usati per le transazioni.

Quale è preferibile? Da un lato, detenere tutta la ricchezza sotto forma di moneta è molto comodo ma signifca anche non percepire alcun interesse sulla ricchezza. D'altra parte, detenere tutta la ricchezza in titoli frutta interessi, ma costringe a rivolgersi all'intermediario di frequente. Quindi, è utile detenere sia moneta che titoli. Ma in quali proporzioni? La decisione dipende da due variabili fondamentali: 1. Il livello delle transazioni: ovvero a seconda di quanto pensiamo di spendere al mese; 2. Il tasso di interesse offerto dai titoli: l'unica ragione per detenere parte della ricchezza in titoli è che questi pagano un interesse. Derivazione della domanda di moneta. La domanda di moneta di un'economia nel suo insieme, Md, dipende quindi dal livello totale delle transazioni nell'economia e dal tasso di interesse che pagano i titoli. Il livello totale delle transazioni è diffcile da misurare, ma possiamo assumere che sia più o meno proporzionale al reddito nominale. Possiamo quindi scrivere la relazione tra domanda di moneta, reddito nominale e tasso di interesse come: Md = €Y L(i)(-) L(i) indica una funzione decrescente del tasso di interesse i. Il segno meno sotto i indica che il tasso di interesse ha un effetto negativo sulla domanda di moneta: un aumento del tasso di interesse riduce la domanda di moneta. Quindi riassumendo, la domanda di moneta: - aumenta proporzionalmente al reddito nominale; - dipende negativamente dal tasso di interesse.

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La curva Md è inclinata negativamente: minore è il tasso di interesse, maggiore sarà la quantità di moneta che le persone vogliono detenere. Fissato un certo tasso di interesse, un aumento del reddito nominale fa aumentare la domanda di moneta. Ovvero, un aumento del reddito nominale (variabile esogena) sposta la domanda di moneta verso destra.

2. La determinazione del tasso di interesse (I) 2.1. Domanda di moneta, offerta di moneta e tasso di interesse di equilibrio Supponiamo che la sola moneta presenta nell'economia assuma la forma di moneta circolante, e che la banca centrale decida di offrire un ammontare di moneta uguale a M, cosicchè: Ms = M quindi la banca centrale controlla perfettamente l'offerta di moneta Ms. L'equilibrio nei mercati fnanziari richiede che Ms = Md. Pertanto la condizione di equilibrio LM è: M = €Y L(i) LM ci dice il valore di i che induce gli individui a tenere una quantità di moneta pari all'offerta di moneta, M, dato il loro reddito nominale €Y.

L'offerta di moneta è una retta verticale perchè non dipende dal tasso di interesse. Possiamo ora considerare gli effetti di variazione del reddito nominale o dell'offerta di moneta sul tasso di interesse di equilibrio: •

Un incremento del reddito nominale fa aumentare il livello di transazione e quindi la domanda di moneta, la cui curva si sposta verso destra. L'equilibrio di sposta e il tasso di interesse aumenta. Perchè? In corrispondenza del tasso di interesse iniziale, la domanda di moneta eccede l'offerta di moneta. Per indurre gli individui a tenere una quantità inferiore di moneta, e ristabilire l'equilibrio, è necessario che il tasso di interesse aumenti.

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↑€Y ⇨↑Md ⇨ Md > Ms ↑i ⇨↓Md ⇨ Md = Ms



Un aumento dell'offerta di moneta sposta verso destra la curva di offerta: l'equilibrio si sposta e il tasso di interesse diminuisce. La riduzione del tasso di interesse fa aumentare la domanda di moneta in modo da eguagliare la nuova, maggiore, offerta di moneta.

↑M ⇨↑Ms ⇨ Md < Ms ↓i ⇨↑Md ⇨ Md = Ms

2.2. Politica monetaria e operazioni di mercato aperto Nelle economie moderne, la banca centrale normalmente modifca l'offerta di moneta attraverso l'acquisto e la vendita di titoli nel mercato obbligazionario. Se desidera aumentare la quantità di moneta, compra titoli e li paga immettendo nuova moneta nel sistema (OMO+, operazione espansiva di mercato aperto). Se, invece, vuole diminuire la quantità di moneta, vende titoli e rimuove dalla circolazione la moneta che riceve in pagamento (OMO-, operazione restrittiva di mercato aperto). Pertanto le attività della banca centrale sono costituite dai titoli che tiene in portafoglio, mentre le passività sono costituite dallo stock di moneta presente nell'economia. Prezzo e rendimento dei titoli. Nel mercato dei titoli si determina non il tasso di interesse, ma il prezzo dei titoli. Queste due variabili sono direttamente collegate:

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Supponiamo che i titoli nella nostra economia garantiscano il rimborso di 100€ dopo un anno e che il loro prezzo oggi sia di €PT. Se compriamo il titolo oggi e lo teniamo per un anno, il rendimento del titolo detenuto fno a scadenza (ovvero il tasso di interesse) sarà uguale a: i = €100 - €PT €PT Se €PT = 95€, i = 5,3% Se €PT = 90€, i = 11,1% ecc.. Pertanto, quanto più elevato è il prezzo del titolo, tanto minore sarà il tasso di interesse pagato dal titolo stesso ⇨ Se quanto si ottiene dal titolo tra un anno è fsso, più lo pago oggi e meno interesse percepisco al momento del rimborso.



Se conosciamo il tasso di interesse, possiamo risalire al prezzo del titolo riordinando la formula: €PT = €100 1+i Quindi, quanto maggiore è il tasso di interesse, tanto minore sarà il prezzo del titolo oggi ⇨ Per percepire un interesse maggiore, dato che il rimborso è fsso, devo pagare meno il titolo oggi.

Operazioni di mercato aperto. OMO+ → La banca centrale acquista titoli e li paga emettendo nuova moneta. Aumenta la domanda di titoli e, di conseguenza, ne fa aumentare il prezzo. Quindi, il tasso di interesse sui titoli scende. OMO- → La banca centrale vende titoli e riduce l'offerta di moneta. Questo provoca un aumento dell'offerta di titoli e, quindi, una riduzione del loro prezzo, che equivale ad un aumento del tasso di interesse Riassumendo: •

Il tasso di interesse è determinato dall'uguaglianza tra offerta e domanda di moneta.



Variando l'offerta di moneta, la banca centrale può infuenzare il tasso di interesse.



La banca centrale modifca l'offerta di moneta attraverso le operazioni di mercato aperto: aumenta l'offerta acquistando titoli, di conseguenza aumenta il prezzo dei titoli e quindi si riduce il tasso di interesse, diminuisce l'offerta vendendo titoli, di conseguenza diminuisce il prezzo e quindi aumenta il tasso di interesse.

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3. La determinazione del tasso di interesse (II) 3.1. Il ruolo delle banche Le banche rappresentano una specifca tipologia di intermediari fnanziari. Ciò che le caratterizza è che le loro passività sono moneta. •

Le banche ricevono fondi da individui e imprese che in qualsiasi momento possono emettere assegni o prelevare fno all'ammontare del loro saldo di conto corrente. Quindi, le passività delle banche sono pari al valore totale dei depositi di conto corrente.



Le banche detengono parte dei fondi ricevuti sotto forma di riserve. Si tratta di riserve di moneta detenute in parte in contanti e in parte su un conto che le banche hanno presso la banca centrale e dal quale possono prelevare in caso di bisogno. Quindi, le attività delle banche sono costituite da riserve e titoli (anche dai prestiti, ma per adesso li ignoriamo).

3.2. Offerta e domanda di moneta della banca centrale

La domanda di moneta è la conseguenza di due decisioni: 1. Gli individui devono decidere quanta moneta detenere. Come sappiamo la domanda di moneta è espressa dall'equazione: Md = €Y L(i) 2. Gli individui devono decidere quanta parte di questo ammontare detenere in forma circolante e quanta parte in forma di depositi di conto corrente. Assumiamo che gli individui tengano una percentuale fssa della loro moneta in forma di circolante (c) e, di conseguenza, una percentuale fssa (1 - c) in forma di depositi di conto corrente. 28

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CId = cMd Dd = (1 - c)Md La domanda di depositi genera una domanda di riserve da parte delle banche. Tra riserve e depositi esiste la seguente relazione: R = θD, riserve in euro = coeffciente di riserva x depositi in euro. Il coeffciente di riserva è l'ammontare di riserve che le banche decidono di detenere per ogni euro di depositi di conto corrente. Allora la domanda di riserva da parte delle banche è data da: Rd = θ (1 - c) Md La domanda di moneta della banca centrale, come sappiamo è uguale a: Hd = CId + Rd Hd = cMd + θ (1 - c) Md = [c + θ (1 - c)] Md infne Hd = [c + θ (1 - c)] €Y L(i) Se c < 1 ⇨ Hd < Md = €Y L(i) La condizione di equilibrio è che l'offerta di moneta della BC sia uguale alla domanda di moneta della BC: H = Hd ovvero: H = [c + θ (1 - c)] €Y L(i) (High power money) Se c = 1 (gli individui tengono solo circolante) → H = €Y L(i) Se c = 0 (gli individui tengono solo depositi) → H = θ €Y L(i) [c + θ (1 - c)] → fattore di proporzionalità

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Un più elevato tasso d'interesse implica una minore domanda di moneta della BC poichè la domanda per i depositi di conto corrente, e quindi la domanda di riserve da parte delle banche, diminuisce quando i tasso d'interesse sono maggiori (con offerta fssa). Mentre se aumenta l'offerta di moneta della BC diminuisce il tasso di interesse, se diminuisce l'offerta aumenta il tasso di interesse. Il moltiplicatore della moneta (m) Riordinando l'equazione si ottiene €Y L(i) =

Quando ↑θ ⇨ ↓m ⇨ ↓M

1 xH [c + θ (1 – c)]

➡ la moneta si riduce quando ↑θ o↑c

Quando ↑c , se θ < 1 ⇨ ↓m ⇨ ↓M se [c + θ (1 – c)] < 1 ⇨ m > 1 se θ = 100% = 1 ⇨ m = 1 se 0 < θ < 1 e c = 0 ⇨ m = 1/θ > 1

Il processo di creazione della moneta •

BC acquista titoli per 100€ (OMO+) dal venditore 1 che riceve 100€



Il venditore 1 (per ipotesi c = 0) deposita i 100€ in un c/c della banca A



La banca A alimenta le riserve di 10€ R = θD = 0,10(100€) = 10€



La banca A con i rimanenti 90€ acquista titoli dal venditore 2



Il venditore 2 deposita i 90€ in un c/c della banca B



La banca B alimenta le riserve di 9€



La banca B con i rimanenti 81€ acquista titoli dal venditore 3



ecc.. ∆M = 100€ + (1 - θ) 100€ + (1 - θ)(1 - θ) 100€ + … = 100€ [1 + (1 – θ) + (1 - θ2) + …] = 100€

1 [c + θ (1 – c)]

= 100€ (1/θ) 30

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4. La trappola della liquidità Possiamo concludere che la BC, scegliendo opportunamente l'offerta di moneta delle BC, è sempre in grado di scegliere il tasso di interesse desiderato. Tuttavia c'è un'eccezione: il tasso di interesse non può scendere sotto lo zero, limite conosciuto come zero lower bound, sviluppato da Keynes. Quando il tasso di interesse è sceso a zero, la politica monetaria non è in grado di ridurlo ulteriormente. La politica monetaria non funziona più, e l'economia viene considerata in una trappola della liquidità.

Quando le persone hanno abbastanza moneta per effettuare le transazioni, sono indifferenti tra tenere il resto della loro ricchezza fnanziaria in titoli o in moneta. La ragione della loro indifferenza è che sia i titoli che la moneta pagano lo stesso tasso di interesse, pari a zero. Così la domanda di moneta diventa come quella rappresentata nella fgura: •

Al diminuire del tasso di interesse, gli individui vogliono tenere più moneta (e meno titoli): la domanda di moneta aumenta.



Quando il tasso di interesse diventa uguale a 0, vogliono detenere una quantità di moneta pari a OB, ma sono disposti a tenere una quantità anche maggiore, poichè sono indifferenti tra titoli e moneta (aumenta la liquidità). Quindi oltre a B, la domanda di moneta diventa orizzontale.

5. Flussi e Stock Un'immagine che ci rappresenta i fussi e gli stock potrebbe essere una vasca: il rubinetto (fusso) alimenta la vasca, andando a creare un fondo (stock). L'attività fnanziaria e la moneta sono stock, il reddito e i risparmi sono un fusso che si produce in un periodo di tempo.

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capitolo 5 IL MODELLO IS-LM 1. Il mercato dei beni e la curva IS Nel capitolo precedente, per semplifcazione, avevamo ipotizzato che il tasso di interesse non infuenzasse la domanda di beni. In questo capitolo introdurremo il tasso di interesse nel modello di determinazione dell'equilibrio nel mercato dei beni. 1.1. Investimento, vendite e tasso di interesse L'investimento, che avevamo considerato costante, è tutt'altro che costante e dipende da 2 fattori: 1. Il livello delle vendite → un'impresa che vuole aumentare le vendite e deve aumentare la produzione dovrà investire e acquistare nuovi macchinari. 2. Il tasso di interesse → un'impresa deve decidere se acquistare un nuovo macchinario, prendendo a prestito del denaro, o non acquistarlo. Quanto più alto è il tasso di interesse, tanto meno conveniente sarà la prospettiva di indebitarsi per realizzare il nuovo investimento in quanto i proftti addizionali non basteranno a coprire il pagamento degli interessi sul prestito (mi conviene comprare titoli). L'equazione dell'investimento sarà quindi: I = I(Y, i) (+, –)

L'investimento I dipende: positivamente dalla produzione Y, e negativamente dal tasso di interesse i. Cd. teoria dell'acceleratore: un aumento delle vendite (e quindi della produzione) provoca un aumento di I, un aumento del tasso di interesse provoca una riduzione di I. 1.2. La determinazione della produzione La condizione di equilibrio nel mercato dei beni diventa: Y = C(Y – T) + I(Y, i) + G

→ relazione IS estesa

Per un dato valore del tasso di interesse la domanda è una funzione crescente della produzione. La produzione è invece una funzione decrescente del tasso di interesse. 1.3. La curva IS Cosa succede alla curva ZZ quando il tasso di interesse cambia? Un aumento del tasso di interesse riduce l'investimento e la domanda, pertanto la curva di domanda ZZ si sposta verso il basso in ZZ'. Tuttavia la riduzione totale della produzione in equilibrio è maggiore dell'iniziale riduzione di I. 32

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Questo perchè la riduzione di I fa diminuire la produzione che a sua volta riduce ulteriormente il consumo e I attraverso l'effetto del moltiplicatore. L'equilibrio nel mercato dei beni implica che ad un aumento del tasso di interesse corrisponde una riduzione del livello di produzione. Questa relazione è rappresentata dalla curva IS negativamente inclinata della fgura (b).

1.4. Spostamenti della curva IS Variazioni di T e G comportano uno spostamento della curva IS nel piano. (politica fscale restrittiva: ↓G o↑T , oppure agisco sulla spesa autonoma↓I o↓c0) Per un dato tasso di interesse, ad esempio, un aumento delle imposte provoca una riduzione del livello di produzione (↓C, ↓Z, ↓Y) e la curva IS si sposta verso sinistra e la curva ZZ si sposta verso il basso. Lo stesso vale per la riduzione di G o del grado di fducia dei consumatori, ovvero di c0. IN CONLUSIONE: •

L'equilibrio del mercato dei beni richiede che un aumento del tasso di interesse sia associato a una riduzione della produzione. Questa relazione è rappresentata dalla curva IS.



Fissato il tasso di interesse, ogni fattore che RIDUCE il livello di equilibrio della produzione fa spostare la curva IS verso SINISTRA. Fissato il tasso di interesse, ogni fattore che AUMENTA il livello di equilibrio della produzione fa spostare la curva IS verso DESTRA.

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2. I mercati fnanziari e la curva LM Nel capitolo 4 abbiamo visto che il tasso di interesse è determinato dall'eguaglianza tra offerta M (determinata dalla BC) e domanda di moneta: M = €Y L(i) 2.1. Moneta reale, reddito reale e tasso di interesse È conveniente riscrivere la relazione considerando la moneta reale (moneta in termini di beni che possono essere acquistati), reddito reale (reddito in termini dei beni che possono essere acquistati) e tasso di interesse. Il reddito reale è uguale al reddito nominale diviso il livello dei prezzi, pertanto dividiamo entrambi i lati per il livello dei prezzi P, otteniamo l'equazione LM: M/P = Y L(i) offerta reale di moneta = domanda reale di moneta È conveniente perchè, quando ci riferiamo all'equilibrio del mercato dei beni parliamo di reddito reale Y, che è uguale alla produzione reale. 2.2. La curva LM Come derivare la curva LM? L'equazione LM appena vista ci dice che, per esempio, fssata l'offerta di moneta, un aumento del reddito porta automaticamente ad un aumento del tasso di interesse. ↑Y ⇨↑Md ⇨ Md > Ms ⇨↑i ⇨↓Md Oggi le BC scelgono un tasso di interesse, chiamandolo ī, e aggiustano l'offerta di moneta in modo tale da raggiungerlo. Pertanto la curva LM sarà rappresentata da una RETTA ORIZZONTALE disegnate in corrispondenza del valore del tasso di interesse ī scelto dalla BC (obiettivo che si raggiunge movimentando Ms)

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3. Il modello IS-LM La curva IS deriva dall'equilibrio nel mercato dei beni. La curva LM deriva dall'equilibrio nei mercati fnanziari. Quindi, per raggiungere equilibrio nella nostra economia, sia la IS sia la LM devono VALERE SIMULTANEAMENTE. Relazione IS: Y = C(Y – T) + I(Y, i) + G Relazione LM: i = ī Congiuntamente, queste due relazioni determinano la produzione. Il punto A corrisponde all'equilibrio generale, il punto in cui si ha equilibrio sia nel mercato dei beni sia nei mercati fnanziari. 3.1. Politica fscale Supponiamo che il governo decida di ridurre il disavanzo di bilancio attraverso un aumento delle imposte, mantenendo invariata la spesa pubblica. consolidamento fscale o contrazione fscale: ↑T o↓G espansione fscale: ↑G o↓T In che modo si muove la curva IS e la curva LM? Curva IS: dato un tasso di interesse, un aumento delle imposte riduce la produzione e la curva IS si sposta verso sinistra (verso destra se si parla di espansione fscale, in quanto, ad esempio, un aumento della spesa pubblica aumenta la produzione in quanto aumenta la domanda: Z = C+I+G) Curva LM: poiché stiamo guardando ad un cambiamento della politica fscale, la BC non modifca il tasso di interesse. Quindi, la curva LM rimane invariata e non subisce spostamenti. Descriviamo gli effetti a parole: L'incremento delle imposte provoca una riduzione del reddito disponibile, che a sua volta induce gli individui a consumare di meno. Il risultato, attraverso l'effetto del moltiplicatore, corrisponde ad una diminuzione della produzione e del reddito. Consideriamo la composizione della produzione: La riduzione del reddito e l'aumento delle tasse contribuiscono entrambi ad una riduzione del reddito disponibile e, quindi, ad una diminuzione del consumo. La riduzione della produzione porta ad un calo dell'investimento. Così, sia il consumo che l'investimento si riducono. 35

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STUDIO DI CASO: Kennedy e la teoria dell'economia keynesiana Nel 1964 Kennedy decise di attuare una PF+ riducendo le imposte: ↓T ⇨↑Z ⇨↑Y ↓T(imprese) ⇨↑I ⇨↑Y ↓T ⇨↑offerta di lavoro

ΔPil reale

T. disoccupazione

1964

+5,3%

5,2%

1965

+6%

4,5%

Un giornalista chiese a Kennedy la ragione del taglio delle imposte, Kennedy rispose: "per stimolare l'economia. Non ho frequentato il corso di base di economia?" 3.2. Politica monetaria Supponiamo che la BC riduca il tasso di interesse attuando una politica di espansione monetaria. espansione monetaria: compra titoli ⇨ ↑H ⇨ ↓i contrazione monetaria : vende titoli ⇨ ↓H ⇨↑i In che modo si muove la curva IS e la curva LM? Curva IS: il cambiamento del tasso di interesse non altera la relazione tra produzione e tasso di interesse pertanto la curva IS non si sposta. Curva LM: al contrario la curva LM si sposta verso il basso in corrispondenza del nuovo tasso di interesse (↑H o ↓m ⇨ ↓θ sapendo che: M = H(1/c+θ(1-c) ). (Si sposta verso l'alto se si parla di contrazione monetaria: ↓H o ↑m ⇨ ↑θ ). Descriviamo gli effetti a parole: La riduzione del tasso di interesse stimola l'investimento e, quindi, fa aumentare la domanda e la produzione. Consideriamo la composizione della produzione: l'aumento della produzione e la riduzione del tasso di interesse contribuiscono entrambe ad un aumento dell'investimento. L'aumento del reddito conduce ad un aumento del reddito disponibile e, in questo modo, del consumo. Quindi, sia il consumo che l'investimento aumentano. ↑M ⇨↓ī ⇨↑I ⇨↑Y Y = C+I+G → I (Y, i) (+, –)

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4. Mix di politica economica Nella pratica la politica monetaria e politica fscale vengono utilizzate insieme. Perché? Una ragione sta nel fatto che nè la politica fscale nè quella monetaria funzionano perfettamente (una riduzione delle imposte potrebbe non aver successo nell'aumentare il consumo). Così, nell'evenienza che una politica economica non funzioni come sperato, è preferibile ricorrere ad entrambe. ➢ A volte il giusto mix richiede che le due politiche vadano nella STESSA DIREZIONE. Sì immagini, per esempio, che l'economia sia in recessione e la produzione troppo bassa. In questo caso, sia la politica fscale che quella monetaria possono essere usate per aumentare la produzione: PF+, ad esempio attraverso una riduzione delle imposte, spostando la curva IS verso destra, e PM+, spostando la curva LM verso il basso. Un maggior reddito e minori imposte implicano che il consumo sia maggiore. Una maggior produzione e un minor tasso di interesse implicano che anche l'investimento sia maggiore. STUDIO DI CASO. Una tale combinazione di politica fscale monetaria e tipicamente usata per contrastare le recessioni, come fu, per esempio, il caso durante la recessione statunitense del 2001: PM+ = a partire dall'inizio del 2001, la Fed, sospettando un rallentamento dell'economia, cominciò a diminuire aggressivamente il federal funds rate. Il tasso di interesse statunitense, che era pari al 6,5% a gennaio, fu ridotto fno a meno del 2% entro la fne dell'anno; PF+ = Durante la campagna presidenziale del 2000, l'allora candidato George Bush fece della riduzione delle imposte il cavallo di battaglia della sua candidatura. La sua proposta era che, poiché il bilancio federale si trovava in avanzo, c'era spazio di manovra per ridurre le aliquote d'imposta mantenendo il pareggio di bilancio. Quando il presidente Bush cominciò il suo mandato nel 2001 e divenne chiaro che l'economia stava rallentando, egli si ritrovò con un'ulteriore ragione per tagliare le aliquote: una riduzione delle imposte era necessaria per sostenere la domanda e contrastare la recessione. Dal lato delle uscite, invece, gli eventi dell'11 settembre 2001 portarono ad un aumento della spesa pubblica, principalmente per la difesa la sicurezza nazionale. La fgura tre mostra l'evoluzione delle entrate di (gettito fscale) e dell'uscita (spesa pubblica) nel periodo dal 1990-I al 2002-IV, Entrambe espresse come percentuale del Pil. Si noti la drastica riduzione dell'entrata a partire dal terzo trimestre del 2001. Tasso di crescita statunitense

Entrate e uscite del governo (in %Pil)

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➢ A volte un corretto mix consiste nell'utilizzare la politica monetaria e quella fscale in DIREZIONI OPPOSTE. Supponiamo, ad esempio, che il governo si ritrovi con un grande disavanzo di bilancio e vorrebbe ridurre, senza però dare il via ad una recessione. Se il governo riduce il disavanzo di bilancio con una PF –, aumentando T e/o riducendo G, la curva IS si sposterà a sinistra in corrispondenza di un livello di produzione inferiore. Dato il tasso di interesse, maggiori imposte o minor spesa pubblica ridurranno la domanda e, attraverso il moltiplicatore, la produzione. Così, la riduzione del disavanzo di bilancio condurrà ad una recessione. Tuttavia, la recessione può essere evitata se viene utilizzata anche una PM+. Se la BC riduce il tasso di interesse, l'equilibrio torna in corrispondenza di un livello di produzione uguale a quello di partenza. STUDIO DI CASO. Questa combinazione fu adottata negli Stati Uniti nei primi anni 90. Quando Bill Clinton fu eletto presidente nel 1992, una delle sue priorità era ridurre il disavanzo di bilancio usando una combinazione di tagli alla spesa e aumenti delle imposte. Tuttavia, Clinton temeva che, da sola, una tale stretta fscale riducesse la domanda e causasse un'altra recessione. La strategia più corretta prevedeva la combinazione di una PF – (per ridurre il disavanzo) e di una PM+ (per accertarsi che la domanda e la produzione si mantenessero elevate). Il risultato di questa strategia fu una riduzione stabile del disavanzo di bilancio e un aumento stabile della produzione nel resto del decennio.

5. Il modello IS-LM e la realtà Fino adesso abbiamo immaginato che l'economia si muovesse istantaneamente da un punto di equilibrio all'altro. Tutto ciò non è realistico poiché l'aggiustamento della produzione richiede tempo. Per tenere conto di ciò dobbiamo reintrodurre la dinamica: 1. Ai consumatori servirà del tempo per aggiustare il loro consumo in seguito a una variazione del reddito disponibile; 2. Alle imprese servirà del tempo per aggiustare la spesa per investimento in seguito a una variazione delle vendite/tasso di interesse; 3. Alle imprese servirà del tempo per aggiustare la produzione in seguito a una variazione della domanda. Di conseguenza, in seguito a un aumento delle imposte, ci vuole del tempo prima che la spesa per consumi risponda alla riduzione del reddito disponibile, altro tempo prima che la produzione diminuisca in seguito alla riduzione del consumo e altro tempo ancora prima che il consumo diminuisca in seguito alla riduzione del reddito, è così via. In seguito ad una riduzione del tasso di interesse, ci vuole tempo prima che la spesa per investimento reagisca alla riduzione del tasso di 38

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interesse, altro tempo prima che la produzione aumenti in seguito all'aumento della domanda, altro tempo ancora prima che il consumo e l'investimento aumentino in seguito alla variazione indotta dal reddito, e così via.

La fgura confronta gli effetti di un aumento del tasso di interesse nell'Eurozona e negli Stati Uniti. La linea nera al centro dell'intervallo rappresenta la miglior stima dell'effetto della variazione del tasso di interesse sulla variabile considerata in quel riquadro. Le due linee rosse tratteggiate e lo spazio tra queste ultime rappresentano un intervallo di confdenza. •

Produzione: l'aumento del tasso di interesse porta a una riduzione della produzione. Nell'Eurozona, il miglior calo della produzione è raggiunto nel secondo e nel terzo trimestre dopo l'aumento del tasso di interesse, mentre gli Stati Uniti dopo cinque trimestri.



Prezzi: una delle ipotesi del modello IS-LM è che il livello dei prezzi sia dato, e quindi non cambia al variare della domanda. Questo è vero nel breve periodo, ma nel medio periodo il livello dei prezzi comincia a diminuire.

Sia il livello dei prezzi che la produzione reagiscono in misura maggiore negli Stati Uniti, anche se l'intensità delle risposte alla è fne la stessa. Possiamo concludere che il modello IS-LM è compatibile con l'andamento dell'economia nella realtà nel breve periodo. 39

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capitolo 6 IL MODELLO IS-LM ESTESO 1. Tasso di interesse nominale e reale Il tasso di interesse nominale it è il tasso di interesse espresso in termini di EURO. Il tasso di interesse reale rt è il tasso di interesse espresso in termini di BENI. Come è possibile passare dal tasso di interesse nominale a quello reale? Dobbiamo correggere il tasso di interesse nominale per l'infazione attesa. Es. Secondo la defnizione di tasso di interesse a nominale, se prendiamo in prestito 1€ quest'anno pagheremo (1+ it) il prossimo anno. Tuttavia vogliamo sapere quanto pane potremo acquistare:

1. Supponiamo di voler mangiare 1 kg di pane quest'anno, se il prezzo del pane quest'anno è P t euro dovremmo farci prestare Pt euro. 2. Sapendo che it è il tasso di interesse nominale in un anno, se ci facciamo prestare Pt euro dovremo ripagare (1 + it) P euro il prossimo anno. 3. Ora bisogna convertire gli euro nella quantità di pane acquistabile in un anno. Indichiamo con Pet+1 il prezzo del pane atteso l'anno prossimo. Quello che dovremo restituire il prossimo anno in termini di chili di pane equivale a (1 + it) Pt/Pet+1. Mettendo insieme la parte superiore e la parte inferiore della fgura, ne deriva che il tasso di interesse reale a un anno è dato da: 1 + rt = (1 + it) (Pt /Pet+1) Cerchiamo di riscriverla in modo più intuitivo. L'infazione attesa tra t e t +1 è pari a: πet+1 = (Pet+1 – Pt) / Pt Aggiungendo 1 a entrambi i lati dell'equazione e prendendo l'inverso si ottiene: 1/(1+πet+1)=Pt/ Pet+1 Sostituiamo nell'equazione di partenza (1 + rt) = (1 + it) / (1 + πet+1)

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(1 + x)/(1 + y) = 1 + x – y (1 + it)/(1 + πet+1) = 1 + it – πet+1 Per it e πet+1 piccoli (meno del 20% per anno) si può approssimare a: 1 + rt ≈ 1 + it – πet+1 rt ≈ it – πet+1 Quest'ultima equazione porta con sé alcune implicazioni: •

se πet+1 = 0



rt = i t



se πet+1 > 0 ⇨

rt < i t



dato it , ↑πet+1 ⇨↓rt 1.1. Zero lower bound e defazione

Sebbene la BC scelga il tasso di interesse nominale, essa si concentra sul tasso reale perché è questo che importa agli individui e alle imprese. Per raggiungere il tasso reale desiderato, la BC deve tenere in considerazione le aspettative sull'infazione. Se, per esempio, vuole raggiungere un tasso di interesse pari a r, deve scegliere un tasso di interesse nominale i tale che, fssate le aspettative sull'infazione, πe, il tasso di interesse reale, r = i – πe, sia pari al livello desiderato. Inoltre, come abbiamo già visto, lo zero lower bound implica che il tasso nominale non può essere negativo (altrimenti gli individui non vorranno detenere titoli). Questo implica, a sua volta, che il tasso reale non può essere minore del negativo dell'infazione. Ad esempio, se l'infazione attesa è pari al 2% il tasso di interesse reale minimo può essere 0% – 2% = –2%. Fintanto che l'infazione attesa è positiva è possibile raggiungere tassi reali negativi. Ma se l'infazione attesa diventa negativa, cioè se gli individui si aspettano defazione, allora il valore minimo raggiungibile dal tasso reale è positivo e può persino essere un valore elevato.

2. Rischio e premio per il rischio Chiunque presta denaro corre il rischio di non vedere rimborsato quanto dato a prestito. Per assumersi tale rischio, coloro che comprano titoli (cioè coloro che prestano denaro) richiedono un premio per il rischio, x. Cosa determina il premio per il rischio? ⇢ PROBABILITÀ di FALLIMENTO del DEBITORE. i = tasso di interesse su titolo privo di rischio (i+x) = tasso di interesse su titolo rischioso, con probabilità p di fallimento (1 + i) = (1 – p)(1 + i + x) + (p)(0) rendita titolo privo di rischio = rendita titolo rischioso 41

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Con probabilità p il debitore fallisce e il titolo non pagherà nulla, p(0)=0. Con probabilità (1 – p) il debitore non fallirà e il titolo pagherà (1 + i + x). Riorganizzando i termini otteniamo l'espressione del rendimento atteso del titolo rischioso: x = (1 + i)p / (1 – p) A parità di i: ↑p ⇨ ↑x ⇢ GRADO di AVVERSIONE al RISCHIO dei CREDITORI ↑avversione ⇨ ↑x La scala di valutazione della rischiosità varia AAA (praticamente prive di rischio), a BBB, fno a C (titoli con un'elevata rischiosità). Il tasso di interesse sulle obbligazioni societarie più rischiose (BBB) è maggiore del tasso sulle obbligazioni più sicure (AAA)

La fgura mostra i rendimenti dei titoli di Stato decennali di quattro paesi. Notiamo che: ▪ Fino al 2008 i rendimenti dei titoli di Stato di questi paesi erano allineati: questo signifca che nessuno di questi era percepito come più ho meno rischioso degli altri. ▪ Quando è iniziata la crisi fnanziaria americana, seguita a ruota da quella europea, alcuni paesi, come Italia e Grecia, hanno iniziato ad essere percepiti come più rischiosi; altri (Germania e Stati Uniti), come meno rischiosi. I rendimenti dei primi due si sono inpennati, mentre quelli degli ultimi due sono diminuiti.

3. Il ruolo degli intermediari fnanziari Finanziamento diretto → il debitore prendo a prestito direttamente dal creditore Finanziamento indiretto → intermediari fnanziari (istituzioni fnanziarie) ricevono fondi dai risparmiatori o dagli investitori e puoi prestarli ad altri. Tra queste istituazioni ci sono le banche. Analizziamo un bilancio molto semplifcato di una banca: Attivo

100

Passivo Capitale

80 20

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Si può quindi pensare che gli azionisti della banca abbiano investito 20 di tasca propria, che abbiano poi preso a prestito altri 80 da vari investitori e che abbiano comprato attività per un valore di 100. Nel capitolo 4 abbiamo ignorato il capitale, ma ora diventa importante considerarlo; cerchiamo di capire il perchè. La scelta della leva fnanziaria QUOTA di CAPITALE sugli IMPIEGHI (capital ratio) = capitale / attivo LEVA FINANZIARIA (leverage ratio) = attivo / capitale Per la banca riportata: quota = 20%, leva = 5 Nel decidere quale leva fnanziaria adottare, la banca deve valutare due fattori: 1. Maggiore leva fnanziaria implica un più elevato tasso di proftto atteso (diminuisce il capitale investito dagli azionisti) 2. Maggiore leva fnanziaria implica un maggior rischio di fallimento. Aumenta, infatti, il rischio che il valore delle attività diventi minori di quello delle passività che, a sua volta, implica un maggiore rischio di insolvenza da parte della banca (una banca è solvente se il valore delle sue attività eccede il valore delle sue passività, ovvero, se ha abbastanza attività per ripagare le passività esistenti). Non è infatti detto che tra le attività ci siano attività facilmente liquidabili. La banca deve quindi scegliere una leva fnanziaria che bilanci questi due fattori. ⇨ Tutto ciò si ricollega alla macroeconomia perché un evento avverso nel sistema fnanziario riduce il valore attivo delle banche: alcune banche falliscono, le altre riducono i prestiti, e tale riduzione nella concessione di prestiti avrà effetti sull'economia reale. Liquidità Consideriamo ora il caso in cui gli investitori abbiano dubbi sul valore dell'attivo di una banca e credano, a torto o a ragione, che il valore dell'attivo sia diminuito. La cosa più sicura da fare per loro e riappropriarsi dei fondi che avevano investito nella banca. La banca deve trovare fondi suffcienti per rimborsare questi investitori ed è quindi costretta a vendere le proprie attività (prestiti concessi). Vendere queste attività ad un'altra banca è altrettanto diffcile, perché l'altra banca fatica a valutare il valore esatto. La banca e quindi costretta a venderle a un prezzo di svendita, cioè a prezzi molto inferiori al valore di tali attività. Tuttavia, ciò peggiora solo la situazione, in quanto con la diminuzione del valore dell'attivo, è possibile che la banca diventi insolvente e vado in bancarotta. Possiamo riassumere che minore è la liquidità delle attività (ovvero, maggiore la diffcoltà nel venderle), maggiore è il rischio di svendita e quindi che la banca diventi insolvente e fnisca in bancarotta. Lo stesso accade quando maggiore è la liquidità delle passività (ovvero, maggiore è la facilità con cui gli investitori possono prelevare i loro fondi senza o con poco preavviso). 43

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4. Il modello IS-LM esteso Il modello IS-LM che abbiamo introdotto nel cap.5 aveva un solo tasso di interesse, stabilito dalla BC. Dobbiamo ora estendere il modello di partenza, prima di tutto, distinguendo tra il tasso nominale e quello reale, e successivamente, distinguendo tra il tasso di interesse stabilito dalla BC e i tassi a cui i debitori possono prendere a prestito che dipendono, come abbiamo visto, dal rischio associato ai singoli debitori e dallo stato di salute degli intermediari fnanziari. Introduciamo queste due considerazioni riscrivendo il modello IS-LM nel seguente modo: Relazione IS: Y = C (Y – T) + I (Y, i – πe + x) + G Relazione LM: i = ī •

L'infazione attesa, πe, rifette il fatto che le decisioni di spesa dipendono dal tasso di interesse reale, r = i – πe, piuttosto che da quello nominale.



Il premio per il rischio, x, rifette tutti i fattori discussi in precedenza.

Il tasso di interesse che entra nella relazione LM, i, non è più lo stesso che entra nella relazione IS, r + x. Il tasso nella relazione LM è chiamato tasso di policy (poichè stabilito dai policy-maker), mentre il tasso nella relazione IS è chiamato tasso sui prestiti (poichè è il tasso a cui gli individui e le imprese possono prendere a prestito). Ipotesi semplifcatrice: la BC stabilisce il tasso di policy reale, r. Tuttavia è il tasso reale sui prestiti, r + x, che determina le decisioni di spesa. Quindi possiamo riscrivere le relazioni: Relazione IS: Y = C (Y – T) + I (Y, r + x) + G Relazione LM: r = r → r = i – πe r = i – πe + x La curva IS ha pendenza negativa: un aumento del tasso di policy reale riduce la spesa e, a sua volta, la produzione. La curva LM è semplicemente una retta orizzontale in corrispondenza del tasso di policy.

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Shock fnanziari e politica economica. Supponiamo che x aumenti. Può accadere quando aumenta la probabilità di fallimento del debitore, gli investitori sono diventati più avversi al rischio, oppure, quando gli investitori hanno cominciato a dubitare della solvibilità delle banche, dando il via ad una corsa agli sportelli e obbligando le altre banche a ridurre i prestiti concessi. ↑x quando: ↑p (probabilità fallimento debitori) ↑avversione al rischio ↓prestiti concessi ⇨ La curva IS si sposta verso sinistra: fssato il tasso di policy, r, il tasso sui prestiti, r + x, aumenta, provocando una contrazione della domanda e una riduzione della produzione (→recessione). Una PF+ può spostare la curva IS verso destra e aumentare la produzione, tuttavia potrebbe portare a un disavanzo di bilancio. La soluzione migliore sembra essere una PM+ : infatti una riduzione del tasso di policy può portare la produzione al suo livello iniziale. ⇨ in risposta ad un aumento di x, la BC deve ridurre r in modo tale da lasciare r + x, il tasso di interesse rilevante per le decisioni di spesa, invariato.

Se x è molto alto, il tasso di policy suffciente per stimolare la crescita potrebbe essere negativo. Questo solleva un problema: dato lo zero lower bound sul tasso di interesse nominale, il minor tasso di interesse reale che la BC può raggiungere è dato da r = i – πe = 0 – πe = – πe, ovvero l'opposto dell'infazione attesa. Quindi se l'infazione attesa è suffcientemente elevata allora un tasso nominale nullo implica un tasso reale pari al suo opposto, che appare suffciente per controbilanciare l'aumento di x. Ma, se l'infazione attesa è bassa o persino negativa, allora il minor tasso di interesse reale che la BC può assumere potrebbe non essere suffciente a riportare l'economia alla sua produzione di equilibrio iniziale (proprio come è accaduto durante la crisi recente → grande aumento di x e bassa infazione, sia corrente che attesa, limitarono capacità della PM di controbilancia l'aumento di x).

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5. Da una crisi immobiliare a una crisi fnanziaria 5.1. Prezzi immobiliari e mutui ipotecari "subprime" Evoluzione dei prezzi immobiliari statunitensi dal 2000 in poi

Dal 2000 l'indice aumentò fno a 226 a metà del 2006, per poi cominciare a ridursi. Entro la fne del 2008 era sceso a 162. Raggiunse un minimo di 146 all'inizio del 2012 ed allora ha ricominciato a crescere. Il rapido aumento dei prezzi dal 2000 al 2006 era giustifcato da due fattori: •

Gli anni 2000 furono un periodo di tassi di interesse sui mutui ipotecari molto bassi, che stimolarono la domanda di abitazioni e spinsero così i prezzi verso l'alto.



Vennero concessi numerosi mutui ipotecari "subprime", ovvero prestiti molto rischiosi, poiché si pensava che i prezzi delle case avrebbero continuato la loro ascesa, così che il valore del mutuo ipotecario in termini del prezzo dell'abitazione acquistata sarebbe diminuito nel tempo. Successe invece il contrario, e i prezzi delle case cominciarono a diminuire cogliendo gli economisti di sorpresa. Molti debitori si ritrovarono a dover ripagare mutui ipotecari il cui valore eccedeva quello delle loro case. Così, come molti debitori fallirono, i creditori si ritrovarono a fronteggiare gigantesche perdite. 5.2. Il ruolo degli intermediari fnanziari

L'effetto del crollo del mercato immobiliare si trasmise al sistema fnanziario attraverso una serie di fattori: 1. Le banche erano caratterizzate da un'elevata leva fnanziaria (attivo/capitale) dovuta a un'elevata attività a fronte di basso patrimonio netto. Inoltre tra le attività molte erano illiquide e ciò aumentò il rischio di insolvenza della banca: come abbiamo visto, vennero infatti accesi mutui per il valore di una casa che ora non c'è più, portando al crollo del valore degli attivi bancari. 2. Ci fu di conseguenza una crescita della cartolarizzazione, ovvero la creazione di attività fnanziarie sulla base di un insieme di altre attività, come per esempio un insieme di prestiti o un insieme di mutui ipotecari. Tuttavia porta a una opacità dei bilanci bancari (e di conseguenza perdita di fducia) e all'incapacità di valutare correttamente il grado di rischio delle attività fnanziarie. 46

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3. Diffusione del fnanziamento all'ingrosso da parte delle banche che consisteva nell'affdarsi ad altre fonti di fnanziamento, come altre banche e altri investitori, che però non benefciavano di alcuna assicurazione sui loro investimenti, incentivando le corse agli sportelli. Il fnanziamento all'ingrosso sembrava una buona idea poichè conferiva alle banche maggiore fessibilità nell'ottenere i fondi necessari per concedere prestiti o comprare attività. Ma quando questi investitori iniziavano a vedere preoccupazioni relativamente al valore delle attività detenute dalle banche, iniziarono a prelevare i propri fondi (le banche avevano passività liquide, molto più liquide delle loro attività). Il risultato di questa COMBINAZIONE fu una crisi fnanziaria: quando i prezzi immobiliari iniziarono a scendere e alcuni mutui ipotecari a diventare inesigibili, un'elevata leva fnanziaria implicò una riduzione relativa del capitale di banche. Questo, a sua volta, li costrinse a vendere parte delle attività di bilancio. Tuttavia, poiché era spesso diffcile stabilire il valore corretto di tali attività, furono costretti a venderle a prezzi di svendita. A sua volta, questo portò ad una riduzione del valore di attività simili ancora presenti nel loro bilancio, o nel bilancio di altri intermediari fnanziari, portando ad un ulteriore riduzione del rapporto di capitale sugli impieghi e costringendoli ad ulteriori svendite di attività e, così, ad ulteriore riduzione dei prezzi di queste. La complessità degli strumenti fnanziari detenuti da banche rese diffcile valutare la loro solvibilità. Gli investitori divennero riluttanti a prestar loro fondi, il fnanziamento all'ingrosso si fermò e questo forzò ulteriori vendite di attività e riduzione dei prezzi. Persino le banche divennero riluttanti a prestarsi fondi tra loro, e smisero anche di prestarli a chiunque altro. 5.3. Implicazioni macroeconomiche Gli effetti della crisi fnanziaria sull'economia aggregata furono: → aumento dei tassi di interesse a cui le imprese e gli individui potevano prendere a prestito → crollo delle aspettative economiche a causa del timore di un'altra Grande Depressione Il risultato fu un crollo del consumo. 5.4. Il contagio internazionale Il contagio avviene attraverso tre canali: 1. Alcune banche europee erano direttamente esposte al mercato immobiliare statunitense, poiché avevano comprato a. fnan. che avevano mutui ipotecari americani. 2. Il commercio internazionale si ridusse, sia perché la domanda si ridusse a causa del crollo delle aspettative economiche, sia perché le banche ridussero l'offerta di credito per il commercio internazionale. 3. L'aumento dei tassi di interesse statunitense si rifette anche sui tassi di interesse europei, rendendo diffcile prendere a prestito anche alle imprese europee. Il risultato fu una riduzione della produzione mondiale. 47

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Prezzi immobiliari in 8 economie avanzate

Contrazione del commercio internazionale

Crollo della produzione industriale mondiale

5.5. Le risposte di politica economica L'elevato costo dei prestiti, la riduzione dei prezzi azionari e immobiliari e le peggiori aspettative economiche portarono ad una diminuzione della domanda per i beni. In termini del modello ISLM, ci fu un drastico spostamento della curva IS verso sinistra. Le risposte di politica economica furono diverse tra Stati Uniti ed Europa.

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La risposta negli Stati Uniti Politiche fnanziarie. Le misure più urgenti furono adottate per rinforzare il sistema fnanziario: •

Per scongiurare il pericolo di corsa agli sportelli, l'ASSICURAZIONE FEDERALE sui DEPOSITI fu AUMENTATA e inoltre il governo offrì un PROGRAMMA di GARANZIA per il nuovo debito emesso dalle banche.



Per diminuire il rischio di fallimento delle banche la Fed istituì una serie di PROGRAMMI di OFFERTA di LIQUIDITÀ che resero semplice prendere a prestito dalla Fed stessa evitando la svendita delle attività fnanziarie delle banche quando gli investitori vogliono prelevare dalle banche i loro fondi



Il governo introdusse un programma, chiamato TROUBLE ASSET RELIEF PROGRAM (Tarp), con lo scopo di rimuovere complesse attività fnanziarie dai bilanci delle banche, riducendo così l'incertezza, rassicurando gli investitori e rendendo più semplice valutare lo stato di salute di ciascuna banca per diminuire il rischio di fallimento. Successivamente l'obiettivo divenne quello di aumentare la capitalizzazione delle banche tramite l'acquisto da parte del governo di azioni per fornire fondi alle banche. Aumentando la quota di capitale sugli impieghi, e diminuendo in questo modo la leva fnanziaria, l'obiettivo di questo programma era permettere alle banche di evitare il fallimento.

Politica monetaria. A partire dall'estate del 2007 la Fed aveva avviato una PM+ DIMINUENDO il TASSO di POLICY. Dicembre 2008, il tasso di interesse è stato abbassato fno allo zero, e avendo raggiunto lo zero lower bound, non poteva essere ridotto ulteriormente. La Fed adottò così quella che prende il nome di POLITICA MONETARIA NON CONVENZIONALE, che consiste nell'acquisto di attività fnanziarie private e titoli di stato al fne di infuenzare direttamente i tassi di interesse a cui debitori possono prendere a prestito (↓tasso sui prestiti).

Politica fscale. Successivamente il governo fece ricorso a una PF+ dando inizio nel 2009 a un programma chiamato "AMERICAN RECOVERY and REINVESTMENT ACT" che prevedeva una riduzione delle imposte e aumenti di spesa. Il disavanzo di bilancio statunitense passo dall'1,7% del Pil nel 2007 ad un picco del 9% nel 2010.

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NEL MODELLO IS-LM... La crisi fnanziaria portò ad un signifcativo spostamento della curva IS verso sinistra, da IS a IS'. Le politiche fnanziarie e fscali controbilanciarono parte dello spostamento così che, invece che spostarsi a IS', l'economia si spostò a IS''. La politica monetaria condusse a uno spostamento della curva LM verso il basso, da LM a LM', così che l'equilibrio risultante fu A'. In quel momento, lo zero lower bound sul tasso di policy nominale implicò che il tasso di policy reale non potesse diminuire ulteriormente. Il risultato fu una diminuzione della produzione. Lo shock iniziale all'economia statunitense fu così grande che la combinazione di politiche fnanziarie, fscali e monetarie non fu suffciente ad evitare una signifcativa riduzione della produzione.

La risposta in Europa Politiche fnanziarie. In Europa il REGNO UNITO fu lo stato più pronto all'adozione di programmi di riordino dei bilanci bancari. Adottò un programma simile al Tarp e cominciò a immettere nuovo capitale. Altri paesi, invece, tardarono ad adottare tali politiche. In ITALIA, gli istituti bancari sono ancora paralizzati da sofferenze bancarie (detti anche crediti deteriorati) per un valore che corrisponde circa il 2% del Pil italiano. Politica monetaria. Anche in termini di politica monetaria, il REGNO UNITO rispose tempestivamente rispetto gli altri paesi europei: quando il tasso di policy britannico raggiunsero lo zero lower bound, la Banca d'Inghilterra, esattamente come la Fed, adottò politiche monetarie non convenzionali comprando attività fnanziarie private e titoli di Stato. La BCE implementò tali politiche nel 2015, circa due anni e mezzo dopo il raggiungimento dello zero lower bound. Tuttavia, la BCE, a differenza della Fed, spinse AL DI SOTTO dello ZERO il tasso di interesse. Questo signifca che ogni volta che le banche depositano riserve presso la BC, invece che ricevere interessi, devono pagare un interesse sul deposito. L'obiettivo è quello di disincentivare le banche a depositare riserve presso la BC e, di conseguenza, incentivare a concedere credito a imprese e individui. Politica fscale. Le politiche fscali furono molto ETEROGENEE a causa dei limiti dovuti alla diversa esposizione debitoria dei paesi europei. I paesi in cui, allo scoppio della crisi, il livello del debito pubblico era molto elevato ebbero poco spazio per aumentarlo ulteriormente e si ritrovarono costretti ad adottare uno stimolo fscale molto limitato. 50

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DAL BREVE → AL MEDIO PERIODO capitolo 7 IL MERCATO DEL LAVORO 1. Un viaggio nel mercato del lavoro Popolazione attiva → 15-64 anni Forze di lavoro ( L )→ occupati ( N ) + disoccupati ( U ) Inattivi → popolazione attiva – forze lavoro ( L ), nè occupati nè in cerca di lavoro Tasso di attività (65%) → forza lavoro ( L ) / popolazione attiva Tasso di occupazione (57%) → occupati / popolazione attiva Tasso di disoccupazione ( u ) (12,5%) → disoccupati / popolazione attiva Lavoratori scoraggiati → pur non essendo attivamente alla ricerca di un lavoro, lo accetterebbero nel caso se ne presentasse l'occasione. Ricordiamo che per essere classifcato come disoccupato bisogna: a) non avere un impiego; b) essere alla ricerca di un impiego e la domanda deve essere stata presentata entro le 4 settimane prima dell'intervista. 1.1. I fussi di lavoratori Un certo tasso di disoccupazione può rifettere DUE REALTÀ completamente diverse: 1. Mercato del lavoro attivo, con frequenti interruzioni dei rapporti di lavoro e nuove assunzioni e quindi con molti lavoratori in entra e in uscita dalla disoccupazione; 2. Mercato del lavoro dove raramente nascono nuovi rapporti di lavoro o cessano quelli preesistenti e la disoccupazione è di lungo periodo (disoccupato da almeno 12 mesi) Per scoprire quale realtà si nasconda dietro ad un tasso di disoccupazione è necessario disporre di informazioni circa i fussi di lavoratori. In Italia nel 2014 i fussi medi trimestrali sono stati:

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La fgura mostra 3 importanti caratteristiche dei fussi di lavoratori: •

In media in ogni trimestre ci sono stati 21,2 milioni cambi di lavoro (movimenti interni), 606 mila lavoratori sono usciti dall'occupazione e diventati inattivi e 366 mila sono passati dallo stato di occupati a quello di disoccupati → totale 22,2 milioni di interruzioni dei rapporti di lavoro: come mai? 21,2 milioni di queste interruzione è rappresentata da dimissioni (lasciare posto di lavoro per occupazione migliore) e il restante milione riguarda invece licenziamenti che possono aver luogo per effetto di una redistribuzione dei livelli di occupazione migliore.



Il fusso medio trimestrale di uscita dalla disoccupazione è pari a 1,6 milioni di individui: 417 mila persone trovano un lavoro, mentre 1,2 milioni smettono di cercarne uno ed escono dalle forze lavoro. La quota di disoccupati che abbandona la disoccupazione è pari a 1,6/3,2 = 50% ogni trimestre. Gli individui che vanno verso l'inattività sono pari a 1,2/1,6 = 75% (CRITICITÀ). La durata media della disoccupazione è pari a 1/50% = 2 trimestri.



Anche i fussi in entrata e uscita dalle forze di lavoro sono elevati: 1,8 milioni di lavoratori sono usciti e circa 1,9 vi sono entrati. Da una parte ci sono coloro che terminano gli studi ed entrano nelle forze lavoro per la prima volta e, dall'altro, i lavoratori che vanno in pensione. Tuttavia in questi fussi sono compresi anche i lavoratori scoraggiati, fuori dalla forza lavoro ma desiderosi di lavorare, equiparabili ai disoccupati.

2. Movimenti all'interno della disoccupazione Movimenti nel tasso di disoccupazione negli Stati Uniti

Le fasce grigie corrispondono ai cicli economici negativi → aumento disoccupazione

Costi della disoccupazione La disoccupazione produce gravi danni sia in termini economici che sociali: •

Perdita di produzione



Perdita di reddito prodotto dalla imprese e dai lavoratori dipendenti → minor gettito fscale



Riduzione livello di vita a causa della perdita di salari



Danni psicologici e povertà 52

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Cattiva salute e mortalità



Perdita motivazione per lavoro futuro



Disuguaglianze



Indebolimento valori sociali

Reazione delle imprese In seguito a cali della domanda le imprese possono ridurre il numero dei loro occupati: a) RIDUCENDO le ASSUNZIONI → i lavoratori avranno meno probabilità di trovare un nuovo lavoro b) LICENZIANDO → i lavoratori occupati sono maggiormente esposti al rischio di perdere il lavoro. Altri indicatori della disoccupazione Forze lavoro potenziali (scoraggiati): non cercano lavoro ma sono disposti a lavorare o cercano lavoro ma non sono immediatamente disposto a lavorare. Sottoccupati part-time: le imprese possono reagire riducendo le ore di lavoro perchè il licenziamento ha un costo. In Italia è maggiore la percentuale del primo gruppo.

⇨ INOLTRE tenere in considerazione che se si diventa disoccupati si è MENO coperti dal SUSSIDIO, che è inferiore rispetto a prima della crisi.

3. La determinazione dei salari I salari possono essere fssati in molti modi: 1. dalle contrattazioni collettive a livello aziendale, industriale o nazionale. 2. dai datori di lavoro 3. dalle contrattazioni bilaterali tra datore di lavoro e lavoratore. 53

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Tuttavia esistono elementi comuni ed è possibile costruire una sorta di TEORIA GENERALE della DETERMINAZIONE dei SALARI. → I lavoratori percepiscono un salario effettivo MAGGIORE al loro salario di riserva, cioè il salario che li rende indifferenti tra lavorare ed essere disoccupati. → I salari dipendono anche dalle condizioni prevalenti nel mercato del lavoro: quanto più basso è il tasso di disoccupazione, tanto maggiori sono i salari. Analizziamo il motivo di queste elementi. 3.1. Contrattazione del salario La forza contrattuale di un lavoratore dipende da due fattori: a) COSTO di SOSTITUZIONE (avvicendamento) per l'impresa del lavoratore in caso di dimissioni; b) DIFFICOLTÀ che egli incontrerebbe nel TROVARE un altro LAVORO. Tanto maggiore è il costo di sostituzione per l'impresa e quanto più facile è per quest'ultimo trovare un altro lavoro, tanto maggiore sarà la sua forza contrattuale, e di conseguenza maggiore sarà il salario effettivo rispetto al salario di riserva. Due sono le conseguenze: •

La forza contrattuale di un lavoratore dipende dalla NATURA del LAVORO: sostituire un lavoratore del McDonald's non è molto costoso perchè le competenze necessarie possono essere apprese velocemente; al contrario, un lavoratore altamente qualifcato, piuttosto abile nel suo lavoro può essere molto diffcile da rimpiazzare. Ciò gli conferisce una maggiore forza contrattuale.



La forza contrattuale di un lavoratore dipende dalle CONDIZIONI del MERCATO del LAVORO: quando il tasso di disoccupazione è basso, l'impresa avrà diffcoltà a trovare validi sostituiti e allo stesso tempo per i lavoratori è più facile cambiare lavoro (maggiore forza contrattuale); al contrario, in un mercato con un alto livello di disoccupazione, trovare validi sostituti è molto facile, e i lavoratori occupati hanno meno forza contrattuale e potrebbero essere costretti ad accettare salari più bassi. 3.2. Salari di effcienza

La maggior parte delle imprese vuole che i propri lavoratori siano ben disposti verso il lavoro e verso l'impresa. Sentirsi bene incentiva a lavorare bene, il che a sua volta da aumentare la produttività. Pagare un salario elevato è quindi uno strumento per raggiungere questi obiettivi. Le teorie che legano la produttività al salario sono chiamate TEORIE dei SALARI di EFFICIENZA. 1. Modello dello scansafatiche → esiste un'asimmetria informativa del datore di lavoro che non sempre riesce a controllare la produttività del lavoratore. Tuttavia aumentando il salario, aumenta il costo di licenziamento per il lavoratore che sarà pertanto indotto a comportarsi meno da scansafatiche. 54

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2. Costi di avvicendamento del lavoro → se aumento il salario, il lavoratore sarà indotto a rimanere nell'impresa e minore sarà il costo di avvicendamento. 3. Selezione avversa → se aumento il salario, i lavoratori competenti saranno più attratti in quanto maggiori sono le loro abilità, maggiore sarà il loro salario di riserva. ⇨ Il SALARIO diventa un MECCANISMO SELETTIVO della REDDITIVITÀ dei lavoratori Come le teorie basate sulla contrattazione, le teorie dei salari di effcienza suggeriscono che: •

I salari dipendono dalla NATURA del LAVORO: le imprese che considerano essenziale il morale e l'impegno dei lavoratori per la qualità del lavoro, pagheranno di più delle imprese in cui i lavoratori scolgono attività di routine.



I salari dipendono dalle CONDIZIONI del MERCATO del LAVORO: un'impresa che voglia evitare un aumento delle dimissioni da parte dei suoi dipendenti, dovrà aumentare i salari man mano che il tasso di disoccupazione scende. Al contrario se aumenta la disoccupazione, aumenta il costo di lasciare l'impresa per il lavoratore (più diffcile trovare lavoro), diminuisce quindi il turnover (tasso di avvicendamento) e il salario effettivo. STUDIO DI CASO: Henry Ford e i salari di effcienza

Nel 1914, Henry Ford decise di aumentare lo stipendio da 2,30 dollari per una giornata lavorativa di 9 ore, a 5 dollari per una giornata lavorativa di 8 ore, che rappresentava circa la metà dei proftti totali della società!! La ragione principale era la diffcoltà a mantenere i lavoratori alle sue dipendenze: il tasso di turnover era particolarmente alto così come l'insoddisfazione tra i lavoratori. I RISULTATI furono SORPRENDENTI... 1913

1914

1915

Tasso di turnover

370%

54%

16%

Tasso di licenziamento

62%

7%

0,1%

I tassi sono espressi come percentuale dei lavoratori totali della Ford

Nonostante gli elevati salari, anche i proftti furono più elevati nel 1914 rispetto all'anno precedente. Ma quanto questo aumento fosse dovuto a variazioni del comportamento e quanto al crescente successo del modello T è diffcile da stabilire. Ma Henry Ford probabilmente aveva anche altri obiettivi, come tenere lontani i sindacati dalla sua società - cosa che riuscì a ottenere - e come fare pubblicità a se stesso e alle sue automobili - cosa in cui riuscì ancor meglio.

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3.3. Equazione dei salari W = P e F (u, z) (–, +)

Il salario nominale aggregato, W, dipende da tre fattori: 1. il livello atteso dei prezzi, P e 2. il tasso di disoccupazione, u 3. altre variabili rappresentate da z Pe Perchè il livello dei prezzi infuenza i salari nominali? Perchè i lavoratori e le imprese sono interessati ai SALARI REALI, non a quelli nominali: •

I lavoratori sono interessati al salario in termini di beni, W/P, o salario reale. Se i lavoratori si aspettassero che il livello futuro dei prezzi raddoppiasse, richiederebbero un salario nominale doppio.



Le imprese sono interessate al salario in termini del prezzo della produzione venduta, W/P. Se le imprese si aspettassero che il livello dei prezzi raddoppiasse, sarebbero disposte a raddoppiare i salari nominali.

Pertanto un aumento del livello atteso dei prezzi provocherà un AUMENTO dei salari nominali in misura proporzionale, mantenendo costante il salario reale: ↑P e ⇨↑W u Un aumento del tasso di disoccupazione RIDUCE i salari. Se pensiamo ai salari come al risultato di una contrattazione: ↑u ⇨↓potere contrattuale ⇨↓W Se pensiamo ai salari come risultato delle teorie dell'effcienza: ↑u ⇨↑costo di lasciare l'impresa ⇨↓turnover e ↓W senza rinunciare all'effcienza dei lavoratori z Un aumento di z provoca un AUMENTO dei salari. Comprende: • Sussidi di disoccupazione: la prospettiva di percepire un'indennità in caso di disoccupazione fa aumentare i salari a parità di tasso di disoccupazione. • Salario minimo: un aumento del salario minimo aumenta anche i salari al di sopra di esso, producendo un aumento del salario medio W, fssato il tasso di disoccupazione. • Protezione dei lavoratori: una maggiore protezione da parte dello Stato rende più costoso il licenziamento dei lavoratori da parte dell'impresa, aumenta il potere contrattuale dei lavoratori facendo aumentare il salari per un dato tasso di disoccupazione. 56

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4. La determinazione dei prezzi I prezzi fssati dalle imprese dipendono dai costi. A loro volta i costi dipendono: 1) dalla FUNZIONE di PRODUZIONE, cioè la relazione tra i fattori produttivi (input) e la quantità di output; 2) dai PREZZI degli INPUT. Ipotesi semplifcatrice: l'unico fattore produttivo è il lavoro, e la funzione di produzione è Y = AN Ulteriore semplifcazione: la produttività del lavoro (A) è costante e pari a 1. La funzione di produzione diventa: Y=N Pertanto il costo marginale di produzione è uguale al costo di impiegare un lavoratore in più e, quindi, è uguale al salario, W. In un mercato di concorrenza perfetta P = W, ma molti mercati non sono concorrenziali e le imprese caricano un prezzo superiore al costo marginale, ovvero fssano i prezzi in base a un markup sul costo di produzione (nel nostro caso, sul costo del lavoro): P = (1 + m) W

5. Il tasso naturale di disoccupazione Quali sono gli effetti della determinazione dei prezzi e dei salari sulla disoccupazione? 5.1. L'equazione dei salari Ipotesi semplifcatrice: i salari dipendono dai prezzi effettivi ( P ) invece che dai prezzi attesi ( P e ). W = P F (u, z) W/P = F (u, z) L'equazione dei salari rappresenta la relazione tra salario reale e tasso di disoccupazione: quanto maggiore è il tasso di disoccupazione, tanto minore sarà il salario reale. È rappresentata da una curva decrescente chiamata WS (Wage Setting). 5.2. L'equazione dei prezzi P = (1 + m) W P/W = 1 + m W/P = 1/(1 + m) L'equazione dei prezzi ci dice che il salario reale fssato dalle imprese è una funzione delle decisioni di prezzo: un aumento del markup fa aumentare i prezzi a parità di salari, facendo in tal modo diminuire il salario reale. È rappresentata da una retta orizzontale PS (Price Setting). Il salario reale derivante dalla determinazione dei prezzi è 1/(1 + m) che NON dipende dal tasso di disoccupazione. 57

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5.3. Salari reali di equilibrio e disoccupazione L'equilibrio nel mercato del lavoro richiede che il salario reale risultante dalla determinazione dei salari sia uguale al salario reale derivante dalla determinazione dei prezzi. F (un , z) = 1/(1 + m) ⇨ Il tasso di disoccupazione di equilibrio è chiamato tasso naturale di disoccupazione ( un ) e corrisponde al punto di equilibrio tra PS e WS. L'aggettivo "naturale" suggerisce che sia una costante di natura, non soggetta alle istituzioni e alla politica economica. Tuttavia dipende sia da z sia da m. •

Aumento dei sussidi di disoccupazione (variazione di un fattore z). L'aumento dei sussidi rende meno dolorosa la prospettiva di restare disoccupati, pertanto fa aumentare il salario reale scelto nelle contrattazioni a parità di tasso di disoccupazione. La curva WS si sposta verso l'ALTO, provocando un aumento del tasso naturale di disoccupazione per ristabilire l'equilibrio tra salario reale dell'equazione dei salari (maggiore) e il salario reale dell'equazione dei prezzi (invariato).

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Una legislazione antitrust meno restrittiva. Ciò consente alle imprese di colludere più facilmente e aumentare il proprio potere di mercato, tale legislazione fa aumentare il markup, provocando una riduzione del salario reale e di conseguenza lo spostamento verso il BASSO della curva PS. È necessaria una disoccupazione più alta per costringere i lavoratori ad accettare questo minor salario reale e questo fa aumentare il tasso naturale di disoccupazione.

6. Il tasso naturale di occupazione Livello naturale di occupazione = livello di occupazione in corrispondenza del quale il tasso di disoccupazione è al suo livello naturale ( u = un ) u = U/L U=L–N (L – N) / L = 1 – (N/L) L • u = 1 – (N/L) • L Lu = L – N N = L – Lu N = L (1 – u) ⇨ Nn = L (1 – un) Livello naturale di produzione = livello di produzione in corrispondenza del quale il tasso di occupazione è al suo livello naturale F (un , z) = 1/(1 + m) un = 1 – (Nn/L) sapendo che Y = N (poichè A=1) un = 1 – (Yn/L) ⇨ F (1 – (Yn/L), z) = 1/(1 + m) Dato L, all'aumentare dell'occupazione i salari aumentano. 59

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capitolo 8 CURVA DI PHILLIPS, TASSO NATURA DI DISOCCUPAZIONE e INFLAZIONE 1. Infazione, infazione attesa e disoccupazione W = Pe F(u, z) P = (1 + m)W

Equazione per la determinazione dei salari: Equazione per la determinazione dei prezzi:

Nel cap. 7 avevamo ipotizzato Pe = P. Cosa accade quando rimuoviamo questa ipotesi? P = Pe(1 + m) F(u, z) Philipps trovò una relazione tra t. disoccupazione e salari nominali: •↑u ⇨↓W ⇩↓P •↑Pe ⇨↑W ⇨↑P Esprimiamo in forma esplicita (prima considerata f.implicita) la funzione F: F(u, z) = 1 – αu + z ⇨ quanto maggiore è u tanto minore è W, quanto maggiore è z tanto maggiore è W. α → ampiezza dell'effetto di disoccupazione sul salario. relazione tra P, P e e u:

P = Pe(1 + m) ( 1 – αu + z)

relazione tra π, πe e u:

π = πe + (m + z) – αu

Effetti descritti dall'equazione: •

Un aumento dell'infazione attesa πe porta a un aumento dell'infazione effettiva π. (parliamo di livello dei prezzi atteso perchè siamo interessati al prezzo reale) Un aumento del livello atteso dei prezzi Pe porta a un aumento uno a uno del livello effettivo dei prezzi P: se chi fssa i salari si aspetta un maggior livello dei prezzi, richiederà un maggior salario nominale determinando, di conseguenza, un aumento del livello effettivo dei prezzi.



Data l'infazione attesa πe un aumento del markup m scelto dalle imprese, o un aumento dei fattori che infuiscono sulla determinazione dei salari z porta a un aumento dell'infazione π. Dato il livello atteso dei prezzi Pe un aumento di m direttamente (si sposta PS verso il basso) o di z attraverso un aumento dei salari (si sposta WS verso l'alto) provoca un aumento del livello dei prezzi P.



Data l'infazione attesa πe un aumento del tasso di disoccupazione u porta a una riduzione dell'infazione π. Dato il livello atteso dei prezzi Pe un aumento del tasso di disoccupazione u porta a un minor salario nominale, che a sua volta determina un minor livello dei prezzi P.

Riassumendo: aumento di πe → aumento di π aumento di m o z → aumento di π aumento di u → riduzione di π 60

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È utile usare degli indici temporali per riferirci a variabili in un dato anno. Pertanto riscriviamo l'equazione (m e z possono variare nel tempo, ma lo fanno molto lentamente, perciò le possiamo considerare variabili esogene, fattori istituzionali sul mercato dei beni e del lavoro): πt = πet + (m + z) – αut

2. La curva di Phillips e le sue riformulazioni 2.1. La prima formulazione Phillips rilevò nel Regno Unito (Solow e Samuelson negli Stati Uniti) che esiste una relazione negativa tra disoccupazione e infazione, cd. curva di Phillips: una riduzione della disoccupazione genera infazione. Spirale dei prezzi: con disoccupazione più bassa ⇨↑W ⇨↑P ⇨↑W ⇨↑P ulteriormente, e i lavoratori chiedono salari ancora maggiori, e così via.. Allora: ↓ut ⇨↑Wt ⇨↑Pt ⇨↑(Pt–Pt–1)Pt–1 ⇨↑πt

Ipotizziamo che l'infazione futtui di anno in anno intorno a un certo valore che chiamiamo π, e che l'infazione non sia persistente: πet = π. Quindi qualunque fosse l'infazione lo scorso anno, quest'anno è uguale a π. Allora: πt = π + (m + z) – αut Gli unici valori che cambiano (inversamente) sono πt e αut 2.2. L'apparente trade-off e la sua scomparsa Negli Stati Uniti negli anni 61-69 il tasso di disoccupazione è diminuito e il tasso di infazione è costantemente aumentato → l'economia statunitense si è spostata lungo la curva di Phillips. Sembrò proprio che, se i policy-maker fossero stati disposti ad accettare maggiore infazione, avrebbero potuto ridurre sensibilmente la disoccupazione.

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Stati Uniti 48-69 1° formulazione Curva Phillips originaria

Dal 70 in poi la relazione tra tasso di infazione e tasso di disoccupazione venne meno ⇨ FALLIMENTO EMPIRICO della PC Stati Uniti 70-2014 2° formulazione Curva Phillips modifcata

Le nuove teorie nascono solitamente da fallimenti empirici delle teorie precedenti. Perchè la PC è fallita? 1. La crisi petrolifera degli anni 60 provocò ↑costi di produzione, ↑prezzi, ↑m, ↑infazione data la disoccupazione, cd. infazione da costi: risulta da shock di offerta. 2. Nuovo modo di formulare le aspettative sull'infazione da parte delle imprese e lavoratori tenendo in considerazione un'infazione persistente: se l'infazione è persistente non guardo più l'infazione di oggi π ma quella di ieri. → si modifca la natura stessa della relazione tra disoccupazione e infazione. ⇨ ASPETTATIVE ADATTIVE: gli individui formano le loro aspettative sull'infazione futura basandosi in parte sull'osservazione dell'infazione passata. Supponiamo che le aspettative si formino sulla base della seguente relazione: πet = (1 – θ) π + θ πt–1 L'infazione attesa quest'anno dipende: • in parte da un valore costante π, con peso (1 – θ), • e in parte dall'infazione effettiva dello scorso anno πt–1, con peso θ. 62

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θ descrive l'effetto del tasso di infazione del periodo precedente sul tasso di infazione atteso per il periodo corrente. ↑θ ⇨↑peso infazione periodo precedente su infazione attesa πet ➢ Fintanto che l'infazione è ridotta e non persistente è ragionevole che gli individui assumano un livello costante dell'infazione → θ = 0 e πe = π → PC originaria , relazione negativa tra tasso di infazione e tasso di disoccupazione: ut ↑⇨ πt ↓ πt = π + (m + z) – αut ➢ Quando l'infazione diventa più persistente gli individui iniziano ad assumere che, se l'infazione era risultata elevate nell'anno precedente, sarebbe stata tale anche nell'anno corrente → θ = 1 e πe = πt–1 → PC modifcata , il tasso di disoccupazione non infuenza il tasso di infazione, ma piuttosto la sua variazione. L'equazione ci dice anche quale sia la nuova relazione rilevante, quella tra la disoccupazione e la variazione dell'infazione: ut ↑⇨ (πt – πt–1)↓ πt = πt–1 + (m + z) – αut πt – πt–1 = (m + z) – αut Sono presenti particolari ASPETTATIVE ADATTIVE cd. STATICHE. ➢ Quando semplicemente θ > 0 , il tasso di infazione dipende negativamente dal tasso di disoccupazione, e positivamente dal tasso di infazione dell'anno precedente: πt = (1 – θ) π + θ πt–1 + (m + z) – αut

Stati Uniti 70-2014 Sono cambiate le aspettative: • ↑θ • infazione più persistente • elevata infazione ieri associata a elevata infazione oggi: θ → 1

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3. La curva di Phillips e il tasso naturale di disoccupazione Friedman e Phelps sostenevano che, se il governo avesse tentato di sostenere un'occupazione elevata, accettando una maggiore infazione, il trade-off tra disoccupazione e infazione alla fne sarebbe scomparso e il tasso di disoccupazione non sarebbe sceso al di sotto di un certo livello, detto tasso naturale di disoccupazione un: è quel tasso in corrispondenza del quale P = Pe o in modo equivalente πt = πet (è il valore che riporta in equilibrio P e Pe) → intersezione tra PS e WS. Imponendo la condizione πt = πet nell'equazione della curva di Phillips otteniamo: 0 = (m + z) – αun risolvendo per un: un = (m + z) / α un dipende da: • m → markup • z → fattori che infuiscono sulla determinazione dei salari • α → quanto varia l'infazione a seguito di una variazione della disoccupazione se ↑z ⇨↑un la WS si sposta verso l'alto se ↑m ⇨↑un la PS si sposta verso il basso αun = (m + z) πt = πet + (m + z) – αut πt = πet + αun – αut πt = πet – α (ut – un) se πet = πt–1 allora: πt – πt–1 = – α (ut – un) ➢ La variazione dell'infazione dipende dalla differenza tra tasso effettivo e tasso naturale di disoccupazione. Quando: ut < un ⇨ l'infazione aumenta πt > πt–1 ut > un ⇨ l'infazione diminuisce πt < πt–1 ut = un ⇨ non c'è variazione di infazione πt = πt–1 siamo in corrispondenza di un (disoccupazione ciclica: scostamento ut) ➢ Il tasso naturale di disoccupazione è il tasso di disoccupazione che mantiene COSTANTE l'infazione. Per questo il tasso naturale è anche chiamato tasso di disoccupazione non infazionistico, o Nairu.

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4. Un riassunto e numerosi avvertimenti La relazione tra infazione e disoccupazione varia tra paesi e negli anni. 4.1. Variazione del tasso naturale di disoccupazione tra paesi Che cosa spiega la disoccupazione in Europa? Quando si parla di "rigidità del mercato del lavoro" che affiggono l'Europa, che cosa intendono gli economisti esattamente? •

Un generoso sistema di sussidi di disoccupazione → potrebbero determinare una crescita della disoccupazione: disincentivano a cercare lavoro e possono provocare un aumento dei salari al fne di motivare e trattenere i lavoratori.



Un elevato livello di tutela del lavoro → provvedimenti con fne di scoraggiare il licenziamento: aumenta costo del lavoro e riduce le assunzioni.



Il salario minimo → aumenta tasso di disoccupazione per i lavoratori meno qualifcati.



Regole di contrattazione → un più forte potere contrattuale detenuto dai sindacati può tradursi in una più elevata disoccupazione necessaria per riequilibrare la domanda dei lavoratori.

Queste caratteristiche del mercato del lavoro sono davvero in grado di spiegare la disoccupazione in Europa? Possiamo, quindi, considerare il caso chiuso? Probabilmente NO. A tal proposito, proviamo a riconsiderare due fatti. Fatto 1. Il tasso di disoccupazione europeo non è sempre stato elevato: è aumentato tra il 70 - 90. Quali possono essere le cause di tale incremento? Interrelazioni esistenti tra politiche passive e politiche attive. Alcune caratteristiche del mercato del lavoro possono rivelarsi vantaggiose in determinati contesti e molto costose in altri. Si consideri, per esempio, la protezione dei lavoratori: se le regole di protezione non cambiassero, una maggiore concorrenza tra imprese genererebbe un più alto livello di disoccupazione naturale. Fatto 2. Molti paesi europei registrano un basso livello di disoccupazione come nel caso di Danimarca, Irlanda e Paesi Bassi nonostante abbiano un elevato grado di protezione sociale, in particolare per quanto riguarda i sussidi di disoccupazione e la forte infuenza esercitata dai sindacati. Conclusione: misure di protezione sociale particolarmente generose possono coesistere con un ridotto livello di disoccupazione purché siano fornite in modo effciente. Per esempio, i sussidi di disoccupazione possono essere generosi, a patto che contemporaneamente i disoccupati siano costretti ad accettare un nuovo impiego non appena questo risulti disponibile. Alcune forme di tutela, per esempio, pagamenti della indennità di licenziamento, comportano un basso tasso di disoccupazione solamente se le imprese stesse non devono far fronte a lunghe e complicate procedure di licenziamento dei propri lavoratori.

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4.2. Variazione del tasso naturale di disoccupazione nel tempo Cambiamenti negli Stati Uniti dal 1990 Il tasso naturale di disoccupazione è diminuito passando da circa il 7-8% negli anni 80 fno a circa il 5% in tempi recenti. Spiegazioni: 1. La globalizzazione e una maggior competizione tra le imprese statunitensi e quelle straniere potrebbero aver ridotto il potere di monopolio delle prime e, quindi, il markup. 2. L'invecchiamento della popolazione risultato della fne del boom delle nascite del dopoguerra. Per i lavoratori giovani è più frequente trovarsi disoccupati. Quindi, una riduzione della percentuale di giovani lavoratori porta una diminuzione del tasso di disoccupazione totale. ↓giovani (con u↑) ⇨↓u 3. Un aumento del tasso di incarcerazione (dovuta dalla presenza di tanti neri). Nel 1980, lo 0,3% della popolazione statunitense in età lavorativa era in prigione. Oggigiorno la percentuale si attesta all'1%. Dato che molti degli individui incarcerati sarebbero probabilmente disoccupati se fossero in stato di libertà, questo ha probabilmente contribuito a ridurre il tasso di disoccupazione di circa lo 0,2%. 4. La natura stessa del mercato del lavoro è cambiata: A) maggiore occupazione fornita dalle agenzie di lavoro interinale: permettono ai lavoratori di cercare un'occupazione mentre ne possiedono una, diminuendo così la disoccupazione di circa lo 0,3%. B) aumento di lavoratori che ricevono un sussidio di disabilità, che è passato dal 2,2% della pop in età lavorativa nel 1984 al 4,3% di oggi: questi individui sarebbero stati disoccupati se non ci fossero state modifche nei criteri di eleggibilità. 5. Un aumento della produttività delle imprese, grazie alle nuove tecnologie: si riducono i costi e le imprese sono disposte a ridurre il prezzo a parità di markup.

Anni 60:

PF+ ⇨↓u ⇨↑π PM+

Fine anni 80: ↓u ⇨↑π 1989: u = 5,2% < un = 6%

(infazione da domanda)

Anni 70:

↑Poil ⇨↑m ⇨ π > π–1

(crisi petrolifera)

(infazione da costi)

Anni 80:

PM – ⇨↑u ⇨↓π (riduzione infazione da domanda)

↓Poil ⇨↓m ⇨↓π (riduzione infazione da costi)

(infazione da domanda)

Inizio anni 90: 90' u = 5,1% ↑u ⇨↓π

92' u = 7,7%

Fine anni 90: ↓un • bassa disoccupazione • tasso di infazione stabile ⇨ un è diminuito? stime: 7,3% → 80' 5,7% → 90' 5% → 2015

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4.3. Indicizzazione e curva di Phillips Quando il tasso di infazione diventa elevato, l'infazione tende anche a risultare più variabile. Di conseguenza, i lavoratori e le imprese sono più riluttanti a frmare contratti di lavoro che fssano i salari nominali per un lungo periodo di tempo (maggiore incertezza): con infazione più alta del previsto i salari reali scenderebbero e i lavoratori perderebbero potere d'acquisto; con infazione più bassa del previsto i salari reali aumenterebbero e le imprese potrebbero non essere in grado di pagare i lavoratori e rischierebbero di fallire → le condizioni delle contrattazioni salariali cambiano al variare del livello di infazione. Pertanto: 1. I salari nominali vengono fssati per periodi di tempo più brevi (1 anno o un mese) 2. Condizione imprescindibile è l'indicizzazione dei salari, meccanismo che adegua automaticamente i salari all'infazione. Economia con due tipi di contratti: • una proporzione λ di contratti è indicizzata: i salari nominali si muovono nella stessa misura del livello effettivo dei prezzi, ovvero π t ; • una proporzione (1 – λ) di contratti NON è indicizzata: i salari nominali sono fssati sulla base dell'infazione attesa πet πt = [ λπt + (1 – λ)πet ] – α (ut – un)

con 0 < λ < 1

Sono presenti ASPETTATIVE ADATTIVE STATICHE. Se πet = πt–1 : πt = [ λπt + (1 – λ) πt–1 ] – α (ut – un) Quando λ = 0, tutti i salari sono fssati sulla base dell'infazione attesa πet = πt–1 : πt – πt–1 = – α (ut – un) Quando λ > 0, una proporzione λ dei salari è fssata sulla base dell'infazione effettiva πt : πt – πt–1 = [– α/(1 – λ)] (ut – un) Allora se ↑P ⇨↑W durante il contratto ⇨ amplifca l'effetto u su π. Infatti, l'indicizzazione dei salari aumenta l'effetto della disoccupazione sull'infazione: quanto maggiore è λ (è in segno negativo), tanto maggiore sarà l'effetto del tasso di disoccupazione sulla variazione dell'infazione - ossia, quanto maggiore è il coeffciente α/(1 – λ). Quando λ = 1, cioè quando la maggior parte dei contratti di lavoro prevede l'indicizzazione salariale, allora anche piccole variazioni della disoccupazione possono portare a variazioni molto ampia dell'infazione. In altre parole, possono verifcarsi ampie variazioni dell'infazione associate a variazioni quasi nulla della disoccupazione. È quello che succede in paesi dove l'infazione è molto alta.

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4.4. Defazione e curva di Phillips Cosa succede invece quando l'infazione è bassa, cioè quando c'è defazione?

La curva di Phillips sembra indebolirsi: alta disoccupazione ⇨ defazione limitata

I punti corrispondenti agli anni 30 della Grande Depressione (indicati da triangoli), giacciono a destra degli altri, pertanto dato l'elevato tasso di disoccupazione, anche il tasso di infazione è sorprendentemente alto (ci saremmo aspettati una forte defazione)⇨ la curva di Phillips non funzionava. Due possibili spiegazioni: 1. La grande depressione provocò un aumento non solo del tasso effettivo di disoccupazione, ma anche del tasso naturale di disoccupazione. Questa spiegazione però NON è CONVINCENTE. Infatti la depressione è il risultato di un forte calo della domanda aggregata che ha causato un aumento del tasso effettivo di disoccupazione al di sopra del suo livello naturale e non, invece, un aumento di quest'ultimo. 2. Quando un'economia è in defazione, la curva di Phillips non vale più: i lavoratori non sono disponibili ad accettare riduzioni dei propri salari nominali. È possibile che i lavoratori siano disposti ad accettare, anche se inconsapevolmente, riduzioni dei propri salari reali dovute a un aumento più veloce dell'infazione rispetto all'aumento dei salari nominali. Tuttavia, sarà più diffcile che accettino riduzioni del salario reale dovute a forti riduzioni del salario nominale. Distribuzione delle variazioni nei salari in Portogallo. Quando l'infazione è bassa la variazione dei salari è prossima allo zero.

Perchè, in questi anni di crisi, non si osserva una riduzione dei prezzi (una defazione così ampia) giustifcata dalla PC, ma si osserva una persistenza di disoccupazione? Non c'è ↓salari nominali: • minimi salariali; • se i lavoratori possono accettare una riduzione dei salari reali indotta da un aumento dei prezzi diffcilmente accettano riduzioni di salari nominali; • se diminuisce in modo eccessivo, tale che W I ⇨ avanzo commerciale se E < I ⇨ disavanzo commerciale Misure grado di apertura di un'economia: •

Volume degli scambi = E o I /Pil



Proporzione di beni commerciali presenti nell'economia (= beni che competono con quelli esteri sia sul mercato interno sia sui mercati stranieri).

La proporzione di beni commerciali è un indicatore migliore in quanto molte imprese sono esposte alla concorrenza estera senza che questo generi un aumento delle importazioni: tenendo i prezzi bassi per reggere la concorrenza, queste imprese riescono a mantenere la loro quota di mercato e limitare le importazioni dall'estero. Negli Stati Uniti i beni commerciali rappresentano il 60% della produzione. Le differenze esportazioni/Pil tra i paesi dipende dalla geografa e dalla dimensione. Per esempio, in Giappone è basso perchè è isolato dagli altri mercati, mentre l'Olanda, paese piccolo, non può permettersi di produrre tutti i beni necessari a un'economia pertanto dovrà importarli.

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1.2. La scelta tra beni nazionali e beni esteri In economia chiusa i consumatori fronteggiano una decisione: risparmiare o consumare. In economia aperta, i consumatori fronteggiano due decisioni: risparmiare o consumare, comprare beni nazionali o beni esteri. La variabile cruciare in questa seconda scelta è il prezzo dei beni nazionali in termini di beni esteri, cd. tasso di cambio reale. 1.3. Tassi di cambio nominali I tassi di cambio nominali tra due valute possono essere espressi in uno dei due seguenti modi: a. Come il prezzo della valuta nazionale in termini di valuta estera. b. Come il prezzo della valuta estera in termini della valuta nazionale. Noi adottiamo la prima defnizione: il tasso di cambio nominale E è il prezzo della moneta nazione in termini di moneta estera. Es. il tasso di cambio tra Eurozona e Regno Unito indica il prezzo di un euro in termini di sterline. Le variazioni del tasso di cambio nel tempo sono chiamate apprezzamenti nominali o deprezzamenti nominali: • un apprezzamento della moneta nazionale ↔ aumento del prezzo della moneta nazionale in termini di moneta estera ↔ aumento del tasso di cambio ↑E = più dollari per 1€ • un deprezzamento della moneta nazionale ↔ riduzione del prezzo della moneta nazionale in termini di moneta estera ↔ riduzione del tasso di cambio ↓E = meno dollari per 1€ % = Et – Et–1 / Et–1 Regime di cambi fssi: sistema nel quale due o più paesi mantengono un tasso di cambio costante tra le proprie valute. In questo sistema, gli aumenti del tasso di cambio sono chiamati rivalutazioni e le riduzioni sono chiamate svalutazioni. 1.4. Dai tassi di cambio nominale ai tassi di cambio reale – Il prezzo dei beni dell'Eurozona in euro è P. Moltiplicandolo per il tasso di cambio nominale E otteniamo il prezzo dei beni europei in sterline, EP. – Il prezzo dei beni britannici in sterline è P*. Il tasso di cambio reale è: � = EP / P* se >1 è più competitivo il bene all'estero Le variazioni del tasso di cambio reale sono chiamate apprezzamenti reali e deprezzamenti reali: • apprezzamento reale ↔ aumento dei prezzi dei beni nazionali in termini di beni esteri ↔ aumento del tasso di cambio reale → più competitivo il bene estero;

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• deprezzamento reale ↔ riduzione dei prezzi dei beni nazionali in termini di beni esteri ↔ diminuzione del tasso di cambio reale → più competitivo il bene nazionale.

Dall'inizio degli anni 90, i tassi di cambio nominale e reale sono stati molto simili, e ciò è dovuto dal fatto che l'infazione è simile nei due contesti (Eurozona e Regno Unito). 1.5. Dai tassi di cambio bilaterali ai tassi di cambio multilaterali Il tasso di cambio multilaterale rappresenta il prezzo medio dei beni di una nazione rispetto a quello di tutti i suoi partner commerciali.

La fgura mostra l'evoluzione del tasso di cambio multilaterale (o effettivo) dei beni dell'Eurozona rispetto ai beni esteri, dal 1999. È possibile constatare la tendenza all'apprezzamento reale dell'euro dal 1999, seguita poi da un rapido deprezzamento a partire dal 2008. Nel 2015 il prezzo dei beni dell'Eurozona in termini di beni esteri è tornato a livelli simili a quelli osservati nel 1999.

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2. I mercati fnanziari in economia aperta 2.1. La bilancia dei pagamenti Le transazioni di un paese con il resto del mondo, siano esse fussi commerciali o fnanziari, sono riassunte in una serie di conti chiamati bilancia dei pagamenti. La tabella rappresenta la bilancia dei pagamenti dell'UE nel 2015. Si compone di due sezioni separate da una linea; le transazioni si dicono sopra la linea o sotto la linea.

Il conto corrente. Le transazioni sopra la linea registrano tutti i pagamenti da e verso il resto del mondo: sono chiamate transazioni di conto corrente: • esportazioni e importazioni di beni e servizi; • redditi da investimento: da capitale, da lavoro. • trasferimenti: cancellazioni del debito, trasferimenti dovuti a brevetti, a diritti d'autore e a marchi di fabbrica, e donazioni internazionali. Trasferimenti netti ricevuti = valore netto degli aiuti dati e ricevuti dall'estero. La somma dei pagamenti netti da e verso il resto del mondo prende il nome di saldo di conto corrente. Se i pagamenti sono positivi si registra un avanzo di conto corrente, se invece sono negativi si registra un disavanzo di conto corrente. Il conto capitale. Le transazioni sotto la linea registrano i fussi fnanziari da e verso il resto del mondo: sono chiamate transazioni di conto capitale. I fussi netti di capitale positivi sono chiamati avanzo di conto capitale; fussi netti di capitale negativi sono detti disavanzo di conto capitale. Dalla loro differenza si ottiene il saldo di conto capitale. Le cifre relative alle transazioni sopra la linea (conto corrente) e sotto la linea (conto capitale) hanno origine da fonti diverse. Benchè debbano fornire lo stesso risultato, di solito ciò non avviene. La differenza tra le due è detta discrepanza statistica.

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Registrazioni Voci +

Voci –

Richiedono un pagamento da parte di stranieri a Richiedono un pagamento da parte di italiani vs italiani → DOMANDA di € contro domanda di estero → OFFERTA di € contro domanda di valuta estera valuta estera comportano un affusso di fondi dall'estero all'Italia

comportano un defusso di fondi dall'Italia all'estero

Es. Impresa A in Italia vende una partita di agrumi in Svizzera ⇨ esportazioni di merci +conto corrente Una banca milanese incassa interessi su fnanziamenti consessi al Brasile ⇨ ↑redditi dall'estero +conto corrente Il signor Rossi residente in Italia acquista T-Bond (titoli di Stato americani) ⇨ ↑importazioni di attività fnanziarie – conto capitale 2.2. La scelta tra attività fnanziarie nazionali ed estere A prima vista sembra che ci siano due nuove decisioni da affrontare: la scelta tra moneta nazionale ed estera e la scelta tra attività fnanziarie fruttifere nazionali ed estere. Tuttavia detenere titoli esteri è senza dubbio più conveniente che tenere moneta estera, in quanto essi pagano un tasso di interesse positivo. Quindi, l'unica nuova scelta che è necessario considerare è quella tra attività fnanziarie fruttifere nazionali ed estere. Consideriamo la scelta tra titoli annuali italiani e titoli annuali britannici. • Decido di detenere titoli italiani. Per ogni euro investito in titoli italiani, ottengo (1 + it ) € l'anno prossimo (it = tasso di interesse nominale a un anno). • Decido di detenere titoli britannici. Bisogna innanzitutto comprare sterline. Per ogni euro ottengo Et £ (Et = tasso di cambio nominale tra euro e sterlina). Sia it* il tasso di interesse nominale a un anno sui titoli britannici (in £) nell'anno t. L'anno prossimo avrò Et(1 + it*) £. A questo punto dovrò convertire le sterline in euro: otterrò Et(1 + it*)(1/Eet+1) € per ogni euro investito.

Affnché sia conveniente tenere titoli sia italiani sia britannici, essi devono avere lo stesso tasso di rendimento atteso, cioè deve valere la seguente condizione di arbitraggio: (1 + it) = Et (1 + it*) (1/Eet+1) 79

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2.3. Tassi di interesse e tassi di cambio Per capire meglio che cosa comporta la condizione di parità dei tassi di interesse, riscriviamo Et/Eet+1 come 1/[1 + (Eet+1 – Et)/Et] (1 + it) = (1 + it*) / [1 + (Eet+1 – Et)/Et] Se i tassi di interesse, it e it*, e il tasso di apprezzamento atteso, (Eet+1 – Et), non sono troppo elevati – ad esempio sotto il 20% – una buona approssimazione di questa equazione è data da: it ≈ it* – (Eet+1 – Et)/Et L'arbitraggio fa sì che il tasso di interesse interno sia (approssimativamente) uguale al tasso di interesse estero meno il tasso di apprezzamento atteso (variazione attesa) della moneta interna.

Ricorda: gli asterischi indicano le variabili macroeconomiche dell'economia aperta

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capitolo 18 il MERCATO dei BENI in ECONOMIA APERTA Come uno shock nell'economia possa propagandarsi nell'economia globale?

1. La curva IS in economia aperta "Domanda nazionale di beni" e "domanda di beni nazionali", in economia aperta, non sono la stessa cosa: → La domanda nazionale di beni è la domanda di beni espressa dai residenti, domanda che può essere rivolta a beni nazionali o esteri. → La domanda di beni nazionali in parte proviene dall'estero. 1.1. La domanda di beni nazionali In un'economia aperta, la domanda di beni nazionali è data da: Z = C + I + G + X – IM/� C + I + G = domanda nazionale di beni, nazionali o esteri. Se l'economia fosse chiusa sarebbe anche la domanda di beni nazionali. In economia aperta dobbiamo: • sottrarre le importazioni in termini di beni nazionali (1/� è il prezzo dei beni esteri i termini di beni nazionali) • aggiungere le esportazioni, X. 1.2. Le determinanti di C, I e G Possiamo usare la descrizione di consumo, investimento e spesa pubblica che abbiamo presentato nei capitoli precedenti. Domanda interna:

C + I + G = C(Y – T) + I(Y, r) + G (+)

(+, –)

1.3. Le determinanti delle importazioni Da che cosa dipende la quantità di importazioni? Principalmente, dal livello aggregato del reddito nazionale: quanto maggiore è il reddito nazionale, tanto più elevata sarà la domanda di tutti i beni, sia nazionali sia esteri. Le importazioni dipendono anche dal tasso di cambio reale, il prezzo dei beni nazionali in termini di beni esteri. Un aumento del tasso di cambio reale è associato a maggiori importazioni, poichè i beni esteri ora costano meno in termini reali. Quindi: IM = IM(Y, �) +

+

→ Un aumento del reddito nazionale Y provoca un aumento delle importazioni → Un aumento del tasso di cambio reale � provoca un aumento delle importazioni 81

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1.4. Le determinanti delle esportazioni Da che cosa dipende la quantità di esportazioni? Esse dipendono dal reddito estero: un maggiore reddito estero è associato a una maggiore domanda estera per tutti i beni, sia nazioni che stranieri. Le esportazioni dipendono anche dal tasso di cambio reale: quanto maggiore è il prezzo dei beni nazionali rispetto ai beni esteri, tanto minore sarà la domanda estera di beni nazionali. Se indichiamo con Y* il reddito (o la produzione) del resto del mondo, possiamo scrivere: X = X(Y*, �) +



→ Un aumento del reddito estero, Y*, provoca un aumento delle esportazioni → Un aumento del tasso di cambio reale � provoca una riduzione delle esportazioni. 1.5. Uniamo tutte le determinanti della domanda di beni nazionali

La fgura mostra le varie componenti della domanda di beni nazionali in funzione della produzione, mantenendo costanti tutte le altre variabili che infuenzano la domanda. Nella fgura a la retta DD rappresenta la domanda nazionale, C + I + G, come funzione della produzione Y (vedi capitolo 3). Per ottenere la domanda di beni nazionali, dobbiamo innanzitutto sottrarre le importazioni → nella fgura b la retta AA rappresenta la domanda nazionale di beni nazionali: la distanza tra la DD e la AA è uguale al valore delle importazioni IM/�. Poiché la quantità di importazioni aumenta col reddito, la distanza tra le due rette aumenta anch'essa al crescere del reddito. Due caratteristiche della curva AA: – la AA è più piatta della DD: all'aumentare del reddito, la domanda interna di beni nazionali aumenta meno della domanda interna totale. – la AA è inclinata positivamente: un incremento del reddito fa aumentare la domanda interna di beni nazionali. 82

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Infne dobbiamo aggiungere le esportazioni → nella fgura c la retta ZZ rappresenta la domanda di beni nazionali, e che giace sopra la AA. La distanza tra la ZZ e la AA corrisponde alle esportazioni. Poichè queste ultime non dipendono dal reddito interno (ma da quell'esterno), la distanza tra ZZ e AA è costante e, quindi, le due rette sono parallele. Le esportazioni sono date dalla distanza AC e le importazioni dalla distanza AB, per cui le esportazioni nette sono rappresentate dalla distanza BC. Nella fgura d la relazione tra esportazioni nette e produzione è rappresentata dalla retta indicata con NX: all'aumentare della produzione nazionale, le importazioni aumentano e le esportazioni rimangono invariate, per cui le esportazioni nette diminuiscono. YTB (Trade Balance, bilancia commerciale) rappresenta il livello di produzione nazionale in corrispondenza del quale le importazioni sono uguali alle esportazioni (AB = BC), per cui le esportazioni nette sono pari a zero. Per livelli di produzione nazionale > YTB , le importazioni sono più elevate e il paese registra un disavanzo commerciale. Per livelli di produzione nazionale < YTB , le importazioni sono più basse il paese registro avanzo commerciale.

2. Produzione di equilibrio e bilancia commerciale Il mercato dei beni è in equilibrio quando la produzione nazionale è uguale alla domanda – sia nazionale che estera – di beni nazionali, cioè quando: Y=Z Y = C(Y – T) + I(Y, r) + G – IM(Y, �) + X(Y*, �) � Nella fgura si osserva che il livello di equilibrio della produzione nazionale Y, è diverso dal livello che pareggia la bilancia commerciale YTB. Infatti il livello di equilibrio della produzione è dato dalla condizione Y = Z. Il livello di produzione in corrispondenza del quale si ha equilibrio della bilancia commerciale è dato dalla condizione X = IM/� ⇨ NX = X – IM/� = 0

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3. Aumenti della domanda: interna o esterna Come cambia la produzione in seguito a variazioni della domanda in un'economia aperta? 3.1. Un aumento della domanda interna Supponiamo che la bilancia commerciale sia in pareggio (NX = 0), così che Y = YTB. Cosa succede se il governo aumenta la spesa pubblica di ΔG? ↑Y, ↑C, ↑I, ↑IM (poichè c'è un - da pareggiare a disavanzo), X non varia ⇨↓NX = X – ↑IM/� < 0 L'incremento della produzione è chiaramente maggiore dell'aumento della spesa pubblica, per effetto del moltiplicatore. Pertanto, a differenza dell'economia chiusa in cui aumenta solo la domanda e la produzione: • ora c'è un effetto sulla bilancia commerciale. L'incremento di prodotto da Y a Y' genera quindi un disavanzo commerciale pari a BC (la retta NX non si sposta perchè la spesa pubblica non rientra nell'equazione). Le importazioni aumentano mentre le esportazioni rimangono invariate. • inoltre l'effetto della spesa pubblica sulla produzione nazionale è inferiore rispetto a quello registrato in economia chiusa → in economia aperta il moltiplicatore ha un valore inferiore. RICORDA: quanto è minore l'inclinazione della curva di domanda, tanto inferiore è il valore del moltiplicatore → la curva di domanda ZZ è più piatta della curva di domanda in economia chiusa DD. Causa dei due effetti: l'aumento della domanda interna ricade sia sui beni nazionali sia sui beni esteri. Di conseguenza, quando la produzione aumenta, l'effetto sulla domanda di beni nazionali è più piccolo di quello che si avrebbe in economia chiusa, e il valore del moltiplicatore è inferiore. Inoltre, poiché parte dell'incremento della domanda è rivolto alle importazioni – e le esportazioni sono invariate – ne risulta un disavanzo commerciale.

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Il moltiplicatore nell'economia aperta C = c0 + c1(Y – T) I = d0 + d1Y – d2i ipotesi: � = 1 IM = q1Y X = x1Y* Y = C + I + G – IM + X Y = c0 + c1(Y – T) + d0 + d1Y – d2r + G – q1Y + x1Y* Y = [1/1 – (c1 + d1 – q1)] (c0 – c1T + d0 – d2r + G + x1Y* 1/1 – (c1 + d1 – q1) < 1/1 – (c1 + d1) q1 = propensione a importare Variazione del reddito al variare di G ΔY = [1/1 – (c1 + d1 – q1)] ΔG Variazione di NX al variare di G ΔNX = – q1ΔY = [– q1 / 1 – (c1 + d1 – q1)] ΔG

Es. c1 + d1 = 0,6 q1 = 0,4

Es. c1 + d1 = 0,6 q1 = 0,1

q1/c1 + d1 = 4/6 → impatto aumento domanda su importazioni

q1/c1 + d1 = 1/6

ΔY = 1,25ΔG ΔNX = 0,5ΔG

ΔY = 2ΔG → aumenta impatto su reddito ΔNX = – 0,2ΔG

⇨ Le economie piccole hanno propensione maggiore a importare perchè q1/c1 + d1 è maggiore rispetto ai paesi grandi.

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3.2. Un aumento della domanda estera Supponiamo che la bilancia commerciale sia in pareggio (NX = 0), così che Y = YTB. Ciò avviene in corrispondenza del punto in cui la retta ZZ (domanda di beni nazionali) e la retta DD (domanda nazionale di beni) si intersecano. Quali sono gli effetti di un aumento della produzione estera Y* (non è nota la causa) sulla produzione nazionale? ↑Y* ⇨↑X(Y*, �) ⇨↑domanda beni nazionali ⇨↑Y ⇨↑IM(Y, �) (inferiore a ↑X) ⇨↑NX Un maggior livello di produzione estera si traduce in una maggiore domanda estera che riguarda anche i beni nazionali. • Aumentano le nostre esportazioni di ΔX pertanto la ZZ si sposta verso l'alto. • Dato il livello di produzione nazionale, all'aumentare delle esportazioni di ΔX la retta NX che rappresenta le esportazioni nette in funzione della produzione si sposta anch'essa verso l'alto in misura pari a ΔX. ⇨ Un maggior livello di produzione estera genera maggiori esportazioni di beni nazionali, che a loro volta fanno aumentare la produzione interna e la domanda nazionale di beni attraverso il moltiplicatore. Cosa succede alla bilancia commerciale? ⇨ La bilancia commerciale deve migliorare!! Perchè? Un aumento di Y* fa spostare la ZZ verso l'alto ma la retta DD non si muove perchè Y* non infuenza il consumo, l'investimento o la spesa pubblica. Domanda interna = DC, domanda di beni nazionali = DA'. In quanto la DD è necessariamente al di sotto della ZZ', le esportazioni nette (CA') sono necessariamente positive. Quindi, le importazioni aumentano, ma non in misura tale da compensare l'incremento delle esportazioni, per cui la bilancia commerciale migliora. 3.3. Politica fscale: una rivisitazione Finora abbiamo derivato due risultati. → Un aumento della domanda nazionale provoca un incremento della produzione nazionale, ma anche un peggioramento del saldo commerciale. → Un aumento della domanda estera provoca un aumento della produzione nazionale e un miglioramento del saldo commerciale. 86

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Due implicazioni: 1. Gli shock alla domanda in un paese hanno effetti anche in tutti gli altri paesi. 2. I paesi prediligono aumenti della domanda estera (che provoca un miglioramento della bilancia commerciale) piuttosto che incrementi della domanda nazionale (che provocano un deterioramento della bilancia commerciale). Si consideri un gruppo di paesi all'interno del quale vi siano ampi fussi commerciali, e supponiamo che questi paesi siano tutti in recessione e che ognuno di essi abbia una bilancia commerciale più o meno in pareggio. Ciascuno aspetterà prima di adottare misure che stimolino la domanda interna, aspettando che sia un altro paese ad adottarle. Ma se tutti aspettano, non accadrà nulla e la recessione persisterà. Soluzione: coordinamento della politica economica. Se tutti i paesi coordinassero le loro politiche macroeconomiche in modo da aumentare la domanda interna simultaneamente, potrebbero aumentare la produzione senza generare maggiori disavanzi commerciali tra loro: l'aumento coordinato della domanda genererebbe aumenti sia delle importazioni sia delle esportazioni di ogni paese. Tuttavia, il coordinamento della politica economica non è così facile da realizzare: potrebbe richiedere ad alcuni paesi di intervenire più di alti, e non è detto che essi siano disposti a farlo. Inoltre, i paesi hanno un forte incentivo a promettere di aderire al coordinamento, per poi rinnegare la loro promessa allo scopo di benefciare dell'aumento della domanda estera per ottenere un miglioramento della loro bilancia commerciale.

4. Deprezzamento, bilancia commerciale e produzione 4.1. Deprezzamento e bilancia commerciale: la condizione di Marshall-Lerner Defnizione di esportazioni nette è NX = X – IM/�: NX = X(Y*, �) – IM(Y, �)/� Pertanto il deprezzamento reale (una riduzione di �) infuenza la bilancia commerciale attraverso tre canali: •

Le esportazioni, X, aumentano. Il deprezzamento reale, che rende i beni nazionali relativamente meno costosi all'estero, provoca un aumento della domanda estera di beni nazionali e quindi un incremento delle esportazioni nazionali.



Le importazioni, IM, diminuiscono. Il deprezzamento reale, che rende i beni esteri relativamente più costosi nell'economia nazionale, provoca un aumento della domanda interna di beni nazionali e quindi una riduzione delle importazioni.



Il prezzo relativo dei beni esteri in termini di beni nazionali, 1/�, aumenta. Questo tende ad aumentare il valore delle importazioni, IM/�. La stessa quantità di importazioni, infatti, adesso costa di più.

Condizione di Marshall-Lerner: se X e IM sono suffcientemente sensibili a ΔƐ⇨↓� ⇨↑NX La condizione è soddisfatta se X + IM > 1. 87

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4.2. Gli effetti di un deprezzamento reale Il deprezzamento provoca una variazione della domanda, sia estera sia interna, a favore dei beni nazionali che risultano relativamente meno costosi. Questo genera a sua volta un aumento della produzione interna e un miglioramento della bilancia commerciale. ↓� ⇨↑X ⇨↓IM ⇨↑IM/� ⇨↑NX Partiamo da un pareggio di bilancio commerciale NX = 0. Un deprezzamento reale provoca aumento delle esportazioni e aumento del valore delle importazioni, IM/�, e per la condizione ML aumenta il reddito. 4.3. La combinazione di politiche fscali e politiche del tasso di cambio Supponiamo che il governo voglia ridurre il disavanzo commerciale senza modifcare il reddito (il livello di produzione aggregata). Cosa deve fare? Deprezzamento → riduce defcit commerciale, ma aumenta livello produzione Stretta fscale → riduce disavanzo commerciale, ma diminuisce produzione. Risposta: combinazione di deprezzamento e stretta fscale. 1. Deve generare un deprezzamento suffciente a eliminare il disavanzo commerciale al livello iniziale di produzione. Il deprezzamento deve quindi essere tale da spostare la curva delle esportazioni nette da NX a NX'. Il problema è che un tale deprezzamento, con l'aumento associato delle esportazioni nette, sposta la curva di domanda da ZZ a ZZ' e la produzione aumenta.

2. Per evitare questo effetto espansivo, il governo deve ridurre la spesa pubblica in modo da riportare ZZ' in ZZ. Questa combinazione di deprezzamento e stretta fscale alla fne lascia invariato il livello di reddito e migliora la bilancia commerciale. Altre possibili combinazioni:

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Esempio in alto a destra: la produzione iniziale è troppo bassa e l'economia registra un disavanzo commerciale. Un deprezzamento avrà effetti benefci sia sulla produzione sia sulla bilancia commerciale. In base alla situazione iniziale e agli effetti relativi del deprezzamento sulla produzione e sulla bilancia commerciale, il governo potrebbe aver bisogno di accompagnare il deprezzamento con un aumento o una diminuzione della spesa pubblica: a questa ambiguità si riferisce il punto di domanda nella tabella.

5. Uno sguardo alla dinamica: la curva J Abbiamo detto che è un deprezzamento genera un aumento delle esportazioni e una riduzione delle importazioni. Ma questi effetti non avvengono di certo in un batter d'occhio! 1. Nei primi mesi, l'effetto probabilmente si rifetterà sui prezzi: il prezzo delle importazioni europea aumenta, mentre il prezzo delle esportazioni diminuisce. 2. La quantità di esportazioni ed importazioni si aggiusterà lentamente: ci vuole un po' di tempo prima che i consumatori si rendono conto che i prezzi relativi sono cambiati, prima che le imprese si rivolgono a fornitori che praticano prezzi più convenienti, e così via. È quindi possibile che un deprezzamento causi un peggioramento iniziale della bilancia commerciale; � diminuisce, ma nè X nè IM si aggiustano in misura signifcativa, generando così una riduzione delle esportazioni nette, X – IM/�. Quando gli effetti sui prezzi relativi si rafforzano, ovvero quando i beni europei diventano meno costosi, i consumatori imprese nell'eurozona ridurranno la propria domanda di beni stranieri, e quando invece i beni europei diventano meno costosi all'estero, i consumatori e le imprese straniere ne aumenteranno la domanda. Le esportazioni aumentano, le importazioni diminuiscono. Se la condizione di Marshall-Lerner alla fne è soddisfatta, la variazione delle esportazioni e delle importazioni diventa più forte dell'effetto negativo sui prezzi, e l'effetto fnale del deprezzamento sarà un miglioramento della bilancia commerciale. Risposta del saldo commerciale al tasso di cambio reale: all'inizio: (X, IM) invariate �↓⇨(X – IM/�)↓ alla fne: (X↑, IM↓, �↓) ⇨ (X – IM/�)↑ Gli economisti si riferiscono a questo processo di aggiustamento come alla curva J perché la curva nella fgura assomiglia una J.

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La fgura sotto mostra la bilancia commerciale per l'Italia insieme all'evoluzione del tasso di cambio reale multilaterale. Dal punto di vista della bilancia commerciale, espressa in rapporto al Pil, due fatti sono evidenti: 1. Le variazioni del tasso di cambio reale si sono effettivamente rifesse in movimenti paralleli del saldo della bilancia commerciale. 2. Tuttavia, si osservano ritardi nella risposta della bilancia commerciale a variazioni del tasso di cambio reale: deprezzamento anni 90 → il miglioramento della bilancia commerciale raggiunge il suo culmine solo un paio di anni dopo. La curva J è particolarmente evidente in questo periodo.

6. Risparmio, investimento e saldo commerciale Scriviamo la condizione di equilibrio nel mercato dei beni come condizione di uguaglianza tra investimento e risparmio, pubblico e privato in un contesto di economia aperta (come in cap 3). Partiamo dalla condizione di equilibrio: Y = C + I + G – IM/� + X Il risparmio privato è dato da S = Y – C – T S = I + G – T – IM/� + X Defnizione di esportazioni nette NX = X – IM/� NX = S + (T – G) – I Quindi, un avanzo commerciale corrisponde a un eccesso di risparmio sull'investimento. Un disavanzo commerciale corrisponde invece a un eccesso di investimento sul risparmio. (bilancio commerciale ed esportazioni nette sono sinonimi) NX > 0 ⇨ S + T – G > I NX < 0 ⇨ S + T – G < I 90

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capitolo 19 PRODUZIONE, TASSO di INTERESSE e TASSO di CAMBIO 1. L'equilibrio nel mercato dei beni Affnchè il mercato sia in equilibrio, la produzione nazionale deve essere uguale alla domanda di beni nazionali: Y = C(Y – T) + I(Y, r) + G – IM(Y, �)/� + X(Y*, �) (+)

(+, –)

(+ , +)

(+ , –)

Y = C(Y – T) + I(Y, r) + G + NX(Y, Y*, �) (+)

(+ , –)

( – , + , –)

Prima semplifcazione: P = P* ⇨ E = � Seconda semplifcazione: πe = 0 ⇨ r = i Y = C(Y – T) + I(Y, i) + G + NX(Y, Y*, E) (+)

(+ , –)

( – , + , –)

L'equilibrio del mercato dei beni implica che la produzione dipenda negativamente sia dal tasso di interesse nominale che dal tasso di cambio nominale.

2. L'equilibrio nei mercati fnanziari 2.1. La scelta tra titoli nazionali e titoli esteri Affnché in equilibrio gli individui detengano sia i titoli nazionali che esteri, essi devono avere lo stesso tasso di rendimento atteso; altrimenti, gli investitori sarebbero disposti a detenere gli uni o gli altri, ma non entrambi, e questo non corrisponde ad una condizione di equilibrio. Come abbiamo visto nel capitolo 17 deve essere soddisfatta la seguente condizione di arbitraggio – la parità dei tassi di interesse: (1 + it) = (1 + it*) / (Et / Eet+1) Se Eet+1 > Et → apprezzamento atteso: acquisto titoli nazionali dato che a scadenza in cambio di 1€ riceverò più dollari. Moltiplicando entrambi i lati per Eet+1 e riorganizzando i termini si ottiene: Et = [(1 + it) / (1 + it*)] Eet+1 Ipotesi: tasso di cambio futuro atteso è dato E = [(1 + it) / (1 + it*)] Ee Questa relazione ci dice che il tasso di cambio corrente dipende dal tasso di interesse nazionale, dal tasso di interesse estero e dal tasso di cambio atteso: •

un aumento del tasso di interesse interno provoca un aumento del tasso di cambio (perché più persone dall'estero acquisteranno nostri titoli) 91

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un aumento del tasso di interesse estero provoca una riduzione del tasso di cambio



un aumento del tasso di cambio atteso porta a un aumento del tasso di cambio corrente.

3. Un'analisi congiunta del mercato dei beni e dei mercati fnanziari L'equilibrio nel mercato dei beni richiede che la produzione dipenda, tra gli altri fattori, anche dal tasso di interesse del tasso di cambio: Y = C(Y – T) + I(Y, i) + G + NX(Y, Y*, E) Pensiamo al tasso di interesse come al tasso di policy stabilito dalla banca centrale: i=ῑ La parità dei tassi di interesse fa sì che vi sia una relazione positiva fra il tasso di interesse interno e il tasso di cambio: E = [(1 + it) / (1 + it*)] Ee Insieme, queste tre relazioni determinano la produzione, il tasso di interesse e il tasso di cambio. Semplifcazione: utilizzando la parità dei tassi di interesse eliminiamo il tasso di cambio dalla condizione di equilibrio nel mercato dei beni. ⇨ Versione delle curve IS e LM in un contesto di economia aperta: IS:

Y = C(Y – T) + I(Y, i) + G + NX(Y, Y*, [(1 + it) / (1 + it*)] Ee)

LM:

i=ῑ

Un aumento del tasso di interesse ha due effetti: 1. (già presente nel contesto di un'economia chiusa) effetto diretto sull'investimento: un tasso di interesse più elevato provoca una riduzione dell'investimento e quindi una diminuzione della domanda di beni nazionali e della produzione. 2. (presente soltanto nel contesto di un'economia aperta) effetto che opera attraverso il tasso di cambio: un aumento del tasso di interesse interno genera un apprezzamento. Quest'ultimo, che rende i beni nazionali relativamente più costoso, provoca a sua volta una riduzione delle esportazioni nette e, quindi, una riduzione della domanda di beni nazionali e della produzione. Entrambi gli effetti operano nella stessa direzione: un aumento del tasso di interesse riduce la domanda direttamente e indirettamente, attraverso il tasso di cambio. → La curva IS è inclinata negativamente: un aumento del tasso di interesse porta direttamente e indirettamente (attraverso il tasso di cambio) a una riduzione della domanda e della produzione (come economia chiusa ma la relazione è più complessa). → La curva LM (come economia chiusa) è una retta orizzontale in corrispondenza del tasso di interesse ῑ stabilito dalla banca centrale. 92

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La produzione e il tasso di interesse di equilibrio sono dati dall'intersezione delle curve IS e LM. Dato il tasso di interesse estero e il tasso di cambio atteso, il tasso di interesse di equilibrio determina il tasso di cambio di equilibrio.

4. Gli effetti della politica economica in economia aperta 4.1. Gli effetti della politica monetaria in economia aperta In economia aperta la politica monetaria opera attraverso due canali: •

il primo, come in economia chiusa, è attraverso l'effetto del tasso di interesse sulla spesa;



il secondo è attraverso l'effetto del tasso di interesse sul tasso di cambio e, quindi, attraverso l'effetto del tasso di cambio su esportazioni importazioni.

Entrambi gli effetti vanno nella stessa direzione. Nel caso di una contrazione monetaria, un maggior tasso di interesse e un apprezzamento del tasso di cambio riduco entrambi la domanda e la produzione. 4.2. Gli effetti della politica fscale in economia aperta Supponiamo che, partendo da un bilancio in pareggio, il governo decida di aumentare la spesa pubblica senza aumentare le tasse e di sopportare il disavanzo di bilancio che ne deriva. Ipotesi: Y < Yn → la banca centrale mantiene il tasso di interesse invariato. Un aumento della spesa pubblica fa aumentare la produzione a parità di tasso di interesse e quindi sposta la curva IS verso destra. Dato che la banca centrale non modifca il tasso di policy, la curva LM non si sposta. ⇨ Un aumento della spesa pubblica, quando la banca centrale lascia il tasso di interesse invariato, provoca un aumento della produzione, senza alcuna variazione del tasso di cambio. •

Il consumo (a causa dell'incremento del reddito) e la spesa pubblica (per ipotesi) aumentano.



Anche l'investimento aumenta dato che dipende sia dalla produzione che dal tasso di interesse I = I(Y, i). La produzione aumenta, mentre il tasso di interesse rimane costante. Così, l'investimento aumenta. 93

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Cosa accade alle esportazioni nette? Ricordiamo che le esportazioni nette dipendono dalla produzione estera, dalla produzione nazionale e dal tasso di cambio: NX = NX(Y, Y*, E). La produzione estera è invariata, poiché abbiamo ipotizzato che il resto del mondo non risponda all'aumento della spesa pubblica nazionale. Il tasso di cambio rimane anch'esso invariato poiché il tasso di interesse non cambia. La produzione nazionale invece aumenta: dato che fa aumentare le importazioni, fssato il tasso di cambio, le esportazioni nette diminuiscono.

⇨ Il disavanzo di bilancio provoca a un peggioramento della bilancia commerciale.

Ipotesi: Y = Yn → la banca centrale reagisce aumentando il tasso di interesse. Lasciando invariato il tasso di interesse, la produzione aumenterebbe da Yn a Y' e il tasso di cambio non cambierebbe. Ma se la banca centrale rispondere all'aumento della spesa pubblica con un aumento del tasso di interesse, la produzione aumenterà meno, da Yn a Y'', e il tasso di cambio si apprezzerà, da E a E''. •

Come nel caso precedente, il consumo (a causa dell'incremento del reddito) e la spesa pubblica (per ipotesi) aumentano.



Ciò che accade all'investimento è ora ambiguo. I = I(Y, i): da un lato, la produzione aumenta, inducendo un incremento dell'investimento. Tuttavia, anche il tasso di interesse aumenta, riducendo la spesa per investimenti.



Le esportazioni nette diminuiscono sia per effetto dell'apprezzamento sia a causa dell'aumento della produzione: l'apprezzamento riduce le esportazioni e aumenta le importazioni, e l'incremento della produzione fa aumentare ulteriormente le importazioni.

⇨ Il disavanzo di bilancio provoca un peggioramento della bilancia commerciale. Tuttavia, non è chiaro se il disavanzo commerciale sia maggiore di quanto non sarebbe lasciando il tasso di policy costante.

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5. Tassi di cambio fssi Le banche centrali usano la politica monetaria per raggiungere determinati obiettivi in termini di tassi di cambio. Da un lato vi sono paesi, come gli Stati Uniti, regno unito, il Giappone il Canada, con tassi di cambio fessibili. Essi non hanno obiettivi specifci in termini di tasso di cambio e le banche centrali si mostrano disposte a consentire ampie futtuazioni dello stesso. All'estremo opposto, ci sono i paesi che operano in regime di tassi di cambio fssi, mantengono cioè una parità tra il valore nominale della valuta nazionale e quello di qualche valuta estera. Alcuni ancorano la loro moneta al dollaro. 5.2. Politica monetaria in un sistema di cambi fssi Con o senza cambio fsso, il tasso di cambio e il tasso di interesse nominale devono soddisfare la parità dei tassi di interesse: (1 + it) = (1 + it*) / (Et / Eet+1) Supponiamo ora che il paese ancori il suo tasso di cambio a un qualche livello, diciamo E, per cui Et = E. Allora anche Eet+1 = E, e la parità dei tassi di interesse sarà: (1 + it) = (1 + it*) → it = it* ⇨ Con un tasso di cambio fsso, il tasso di interesse interno deve essere uguale al tasso di interesse estero. Pertanto: in un sistema di cambi fssi, la banca centrale italiana cede la possibilità di fssare il tasso di interesse alla BCE, rinuncia alla politica monetaria come strumento di politica economica. 5.3. Politica fscale in un sistema di cambi fssi Gli effetti di un aumento della spesa pubblica quando la banca centrale adotta un tasso di cambio fsso sono identici a quelli che abbiamo visto nella fgura:

In un sistema di cambi fessibili la banca centrale potrebbe reagire all'aumento della spesa pubblica aumentando il tasso di interesse. Questa opzione non è disponibile in un sistema di cambi fssi, poiché il tasso di interesse nazionale deve essere uguale al tasso di interesse estero. 95

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Perché mai un paese dovrebbe scegliere di fssare il proprio tasso di cambio? Contro: ⇢ Fissando il tasso di cambio, si rinuncia a uno strumento effcace nella correzione degli squilibri commerciali e nel controllo del livello di produzione aggregata. ⇢ Ancorandosi a un dato tasso di cambio fsso, un paese rinuncia anche al controllo del suo tasso di interesse. Inoltre, deve seguire l'andamento del tasso di interesse estero, correndo il rischio di effetti indesiderati sulla sua attività economica. ⇢ Nonostante il paese mantenga una piena disponibilità della politica fscale, un solo strumento di politica economica non è sempre suffciente (come abbiamo visto nel capitolo 18). Per capire cosa spinge alcuni paesi ad ancorare il tasso di cambio dobbiamo vedere che cosa succede non solo nel breve periodo – che è quanto abbiamo fatto in questo capitolo – ma anche nel medio periodo, quando livello dei prezzi si può aggiustare. Dobbiamo considerare anche la natura delle crisi del tasso di cambio.

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