Grafologia Forense [PDF]

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Zitiervorschau

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DE L’AQUILA FACOLTA’ DI PSICOLOGIA A.A. 2006/2007

Corso di Laurea specialistica in Psicologia Applicata, Clinica e della Salute

STORIA DELLA GRAFOLOGIA FORENSE

Dr. R. Camposano

“Il foglio di carta è il campo di battaglia; il pennello: le lance e le spade; l’inchiostro: la mente; il comandante in campo: l’abilità; la destrezza: i luogotenenti; la composizione: la strategia. Impugnando il pennello si decide il destino di una battaglia: i colpi, i tratti sono gli ordini dei comandanti; le curve e i ritorni sono i colpi mortali”…. “Nella scrittura ogni tratto orizzontale è una massa di nubi in formazione di guerra, ogni gancio un arco teso da una forza rara, ogni punto una roccia cadente da una sommità elevata, ogni prolungamento di linea una tralcio venerabile e ogni tratto slegato, un corridore pronto a slanciarsi” Wang Xi Zhi (321-397) calligrafo cinese

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Definizione Il termine Grafologica deriva dal greco grafè (scrittura) e lògos (studio). E’ una scienza umana, sperimentale e, al tempo stesso, simbolica, affine alla psicologia (e soprattutto alla psicologia del profondo), che studia le caratteristiche psicologiche di un individuo, attraverso l'esame della sua grafia (grafoanalisi)(1). Si basa sulla ricerca e sulla sperimentazione; ha principi metodologici(2) e tecniche proprie; è trasmissibile ed è valida per quanto riguarda la ripetibilità del risultato. La metodologia d'indagine parte dal presupposto che la scrittura riflette l’uomo. Superate le fasi dell'apprendimento, essa diventa un processo automatico (grafismo), risultato delle risposte motorie ai neuroni. Tali risposte comportamentali non possono essere che uniche, come esclusive sono le esperienze emozionali degli individui(3). Da queste premesse deriva la possibilità d’interpretazione della scrittura per la descrizione della personalità umana(4). La studiosa Anie Teillard (1889-1978), coniugando la grafologia con il pensiero junghiano, ritiene che quasi tutti i segni grafologici abbiano un valore e una giustificazione simbolica: il nesso fra segno grafico e il suo senso psicologico è il simbolo. La scrittura è essenzialmente simbolica (il termine “simbolo” deriva dal greco synballein = mettere insieme e si riferisce all’uso di ricongiungere duo o più pezzi di uno stesso oggetto”) Nell’analisi della scrittura, come nell’analisi del profondo, il contenuto manifesto di un comportamento rimanda necessariamente al rispettivo significato latente ed inconscio. Il confronto di analisi grafologiche con i risultati di consolidate indagini sulla personalità, quali il test di Rorschach, condotto sui medesimi soggetti, conferma la validità interpretativa della scrittura(5). Le applicazioni pratiche della grafologia sono moltissime: oltre a quello individuale (una valutazione obiettiva delle proprie potenzialità, ma anche dei propri limiti, permette all'individuo di evitare compiti frustanti, generatori di depressione e di aggressività), i campi di elezione per l’utilizzazione della grafologia sono: familiare (in particolare per esaminare le dinamiche di coppia e la relazione figlio-genitore di sesso opposto), pedagogico, clinico, legale, aziendale. Psicologi e psicoterapeuti utilizzano l’analisi grafologica come test proiettivo in grado di mettere in luce nodi nevrotici, psicosi, meccanismi di difesa, ansie ed aggressività.

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Le aziende, al fine della scelta, gestione, promozione, spostamento delle risorse umane, trovano nell’analisi grafologica del candidato quegli elementi che il curriculum e lo stesso colloquio spesso non rivelano: grado di dinamismo, potenzialità, senso dell’autorità, facoltà di adattamento, tipo di intelligenza. La Grafologia, inoltre, trova applicazione per l'orientamento scolastico e professionale, per individuare le inclinazioni le aspirazioni e l'auto-realizzazione del soggetto. La Grafologia giudiziaria, infine, è a disposizione di magistrati, avvocati e della Polizia Giudiziaria per valutare scientificamente l’autenticità o meno di testamenti, firme su assegni, lettere anonime, documenti di controversa attribuzione. (1)

Trattandosi di scienza che studia il gesto scrittorio, come espressione dell'unità psicofisica, essa non si occupa della calligrafia (dal greco bella scrittura), ma soltanto del tracciato grafico.

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Le coordinate generali entro cui va ricercato il significato del segno grafico sono: la fisiologia del movimento (il principio di espressione); l’immagine direttrice o Leitbuild (principio di rappresentazione) (Klages); il simbolismo (Pulver, Gauthier, Crépy)

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Nel romanzo Diary, Chuck Palahniuk scrive: "Secondo i grafologi, se ripercorri con il dito indice la scrittura di un'altra persona, o magari prendi un cucchiaio di legno o un bastoncino del ristorante cinese e ricalchi le sue parole, puoi provare la stessa identica sensazione sperimentata dallo scrittore durante la scrittura."

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Questa percezione si riferisce all'attimo specifico in cui si è steso il tracciato grafico) estendendola alle qualità morali dell'individuo. Inoltre, fatto psicologicamente importante, il grafoanalista vede solo il risultato del vissuto dello scrivente, ma non può capirne le motivazioni.

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Il metodo di rilevazione impiegato in grafologia non è soltanto affidabile ma più rapido e completo dei tradizionali strumenti costituiti dai vari tipi di test. Il test rivela un piccolo tratto del carattere o dell'intelligenza; l'analisi della scrittura apre, invece, ampi spiragli sui vari aspetti della persona non esclusa la dimensione psicosomatica e dinamica.

• Origini della Grafologia e dell’indagine grafica L’interesse per l’aspetto non verbale della scrittura ha origini antichissime. I Cinesi conoscevano già il legame esistente tra grafia e temperamento, da essi ricercato ed analizzato attraverso i significati simbolici dei dipinti e delle scritture. In Occidente, nel IV sec. a.C., fu Aristotele ad essere attratto, per primo, dall'espressività del segno grafico, intendendolo come rivelazione della concezione "dell’anima e del discorso", ossia come sintesi dell'elaborazione mentale e verbale. Ancora nella Grecia classica, Autori come Demetrio di Falero (360 a.C), il commediografo Menandro (343 a.C.) e Dionisio di Alicarnasso (60 a.C) rivolsero la loro attenzione al simbolismo delle lettere presenti nelle pitture (calligrafia)(1), riuscendo ad intuire il possibile nesso esistente tra linguaggio e comportamento umano senza, tuttavia, arrivare a conclusioni significative in termini grafologici (V. Mastronardi Grafologia Giudiziaria pag. 443).

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L’origine della grafologia, intesa come studio della produzione ed interpretazione del segno grafico (cioè come parte della semiotica) può essere, comunque, fatta risalire alla Scuola stoica, a cui si deve per prima la distinzione tra segno, referente e significante. In epoca romana lo storico Svetonio, autore della "Vite dei dodici Cesari", si soffermò a considerare la grafia dell’Imperatore Ottaviano Augusto, descrivendone alcune caratteristiche, quasi a sottolineare la sua originalità in sintonia alla complessa e particolare personalità dell'imperatore(2). In epoca medioevale l’interpretazione della persona umana, a partire dalla sua grafia, non fu un’arte divinatoria(3) praticata solo da maghi o da streghe bensì anche dai monaci, naturalmente al riparo dai possibili inquisitori, sempre in agguato. Gli alchimisti rinascimentali la includevano tra le pratiche esoteriche o vi ricorrevano, sovente, per intrattenere i sovrani e gli aristocratici, loro benefattori (anche Goethe, collezionista di autografi come Poe, non disdegnò di praticarla nei salotti colti di illuministi e di romantici, a cui sovente veniva invitato). Trattandosi di una disciplina che ha come oggetto specifico la scrittura, la Grafologia ha ricevuto influssi significativi anche dal misticismo e dalla cabala(4) di origini ebraiche. Per il primo, infatti, la lettera dell’alfabeto non era solo un segno convenzionale ma manifestazione della natura divina e una concentrazione di energia; mentre per la seconda a ogni lettera dell’alfabeto era collegato un significato per la meditazione (P. Urbani, Manuale di grafologia Tascabili Newton, Roma 1997 Roma, pag. 10). Nel periodo rinascimentale non mancarono prese di posizione di autori illustri sulle tematiche grafologiche. Il sommo poeta, Petrarca, così come ci riporta il Petrucci nei suoi studi, prendendo le distanze dalla scriptura antiqua, caratterizzata da caratteri minuscoli e ammucchiati, che sovente ingannavano la vista, auspicava una scrittura che fosse non rappresentazione di un’immagine bensì espressione di un pensiero(Paola Urbani in op. cit. pag. 11). (1)

Calligrafia (dal greco κάλλος callos "bellezza" e γραφία graphia "scrittura") era l'arte della scrittura ornamentale. Proprio per questo motivo, nell'antichità, è sempre stata sviluppata nei cenacoli di attinenza religiosa, laddove era possibile indulgere all'Arte come forma di comunicazione.

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All’impossibilità per una qualsiasi persona, fosse anche un abile falsario, di scrivere una lettera usando il tratto grafico di un’altra persona fa allusione anche William Skakespeare nell’opera "Dodicesima Notte" nella quale il protagonista Malvolio afferma: “Per la mia vita! Questa è la calligrafia della mia signora. Queste sono proprio le sue C, le sue U, le sue T, ed è così che ella scrive le sue P maiuscole. Senza discussione, è la sua scrittura!”. Quest’ultimo, tuttavia, si sbaglia perché quella lettera era stata scritta non da Olivia ma dalla sua ancella Maria che, infine, confessa: “So scrivere in modo molto somigliante a quello della mia signora.”

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La Grafologia rientrava nelle arti divinatorie perché determinando il carattere di una persona attraverso le forme grafiche rendeva possibile prevedere il destino di un individuo.

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E’ la dottrina segreta degli Ebrei trasmessa nei secoli dai grandi maestri ai propri discepoli prediletti sotto il giuramento solenne di mantenere il segreto. Dalla Cabala sono derivate le dottrine dei Rosacroce e di altre sette più o meno segrete, cosicché si può

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affermare che la Cabala sia la madre di tutti gli insegnamenti e le sette occultistiche. Fonti di insegnamento della Cabala l'alfabeto ebraico e i numeri. Cabala e la Numerologia sono, dunque, strettamente connesse tra loro e con tutto ciò che concerne il più puro esoterismo.

• Grafologia moderna Nel corso del ‘600 vari autori italiani si interessarono ad alcuni aspetti della grafologia. Abbiamo testimonianza di uno scritto di Prospero Aldorisio, intitolato Idengraphia (1611) o arte di leggere le abilità manuali dalla scrittura, che venne giudicato futile. Nicola Spadoni nel 1675 nel suo Studio di curiosità osservò, in maniera piuttosto marchiana ed intuitiva, che in un principiante o in un individuo poco avvezzo allo scrivere potesse meglio rivelarsi il carattere. Il primo grafologo, che si ricordi, fu Camillo Baldi (1547-1634)(1), docente professore di Logica e Metafisica all’Università di Bologna, autore nel 1622 del Trattato come da una lettera missiva si conoscano la natura e la qualità dello scrittore in cui si affermava chiaramente il presupposto della nuova disciplina: l’inimitabilità delle scritture individuali e la stretta corrispondenza tra modo di scrivere di un individuo (in particolare si concentrò sullo stile, sul contenuto, sul fraseggio degli scritti, considerando solo marginalmente il significato del gesto e del simbolo grafico) e i suoi particolari psicofisici. “E’ evidente, scrive egli, che tutti gli uomini scrivono in una speciale maniera e che ciascuno imprime nella forma delle proprie lettere una tale caratteristica che da nessun altro può essere imitata. Se la scrittura è lenta e formata con forte pressione delle penna, è segno probabile che lo scrivente ha la mano dura, pesante pigra, e allora è conforme al buon senso che egli non sia molto intelligente né molto pronto…Se la scrittura è rapida, e le lettere ineguali, le une fine e le altre grosse, e che certo consti non dipendere ciò dalla penna, ma dall’abitudine, si potrà concludere che egli è ineguale nelle sue azioni…D’altra parte chi ha una scrittura rapida, eguale, elegante, tale che vi senta il piacere dello scrivere materialmente, non sarà certo uno scienziato né un genio, perché raramente chi accarezza tanto la sua calligrafia brilla per intelligenza e prudenza.” (C. Lombroso Grafologia pag. 1 e 2) Secondo Baldi per “divinare bene l’indole d’una persona dalla calligrafia (dal greco bella grafia), bisogna avere nelle mani la sua scrittura vera (non l’artificiale), specie quella delle lettere intime, e accertarsi che sia stata scritta in condizioni normali”. Per quanto curiose e belle, le teorie di Baldi risultarono, tuttavia, alquanto astratte anche ai suoi contemporanei più vivaci intellettualmente.

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Eloquenti in proposito risultano le parole scritte dal medico Moretti nella sua pubblicazione “Considerazioni sulla pittura”, datata 1622: “della proprietà dello scrivere è stato trattato da quel nobile spirito il quale, nel suo libretto che va per le mani dell’huomini, ha cercato di dimostrare et dir le cause di questa proprietà, anzi che, dal modo dello scrivere, ha cercato di dar precetti della temperatura et costumi di colui che ha scritto, cosa curiosa e bella, ma un poco troppo astretta (astratta)”. In quello stesso periodo non mancarono, altresì, orientamenti diversi sul valore da attribuire alla carattere della scrittura. Il medico napoletano Marco Aurelio Severino in una sua pubblicazione incompiuta (l’autore, infatti, morirà di peste prima di ultimarla): Vaticinator, sive Tractatus de divinatione literalia, ne sottolineò la valenza divinatoria, confermando, in tal modo, una tradizione vecchia di secoli. Concorde nel riconoscere un legame tra scrittura e temperamento individuale fu anche il filosofo, matematico e storico tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) per il quale “la scrittura esprime quasi sempre in uno o in altro modo l’indole nostra, ammeno che non sia opera di un calligrafo”. Alla fine del ‘700, in un passo della sua Storia pittorica, dedicato ai metodi dei conoscitori, l’abate Lanzi, ritornando sul concetto dell’inimitabilità delle scritture individuali, affermò che essa era stata voluta dalla natura per la “sicurezza della società civile”(borghese) (C. Gizburg Miti emblemi e spie, pag. 186) La Grafologia si caratterizzò inizialmente come branca della fisiognomica (un po’ scienza per le sue basi naturali e osservabili e un po’ come arte divinatoria), che riteneva di poter dedurre il carattere dai tratti somatici dell’individuo. Nel XVIII il teologo, filosofo e poeta svizzero Johann Caspar Lavater (1741-1801)(2), su incoraggiamento dell’amico Goethe, dedicò un capitolo dell’opera Physiognomishe Fragmente zur Beforderung der Menschenkenntnis und Menschenliebe (Frammenti di fisionomia, 1774) a osservazioni di tipo grafonomico ed in particolare allo studio dei rapporti tra fisionomia e carattere. Similmente al medico Moretti vissuto un secolo prima, sfruttò il parallelismo calzante tra pitture e scrittura: “La caratteristica di un pittore, egli dice, se si rivela bene nei suoi quadri, non può non intravedersi nella calligrafia”. Rispondendo all’obiezione fattagli che l’uomo potesse variare all’infinito la sua calligrafia, ebbe a rispondere nel modo seguente: “E questo variare delle scrittura d’una

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medesima persona non fa che confermare la mia tesi, perché mostra come la nostra disposizione di spirito influisca anche sulla scrittura”. (C. Lombroso Grafologia pag. 4) In particolare egli restò affascinato dall’analogia esistente tra linguaggio, scrittura e modi di camminare, senza, tuttavia, svilupparla in termini convincenti. Sostenne, inoltre, l’esistenza di scritture nazionali così come aveva teorizzato le fisionomie nazionali. Nella settecentesca Encyclopédie la perizia grafica veniva ancora considerata come “arte fallace”. (1)

Tra le molte altre opre che il Baldi scrisse vu fu anche un commento alla Physiognomica di Aristotele. Con molta probabilità a Baldi si riferiva il medico Moretti, a lui coevo, quando, citando Ippocrate, osservava che era possibile risalire dalla operazioni alle impressioni dell’anima, che a loro volta hanno radice nelle proprietà dei singoli corpi: “per la quale e con la quale suppasitione, come io credo, alcuni belli ingegni di questo nostro secolo hanno scritto e volsuto dar regola di riconoscer l’intelletto e l’ingegno altrui col il modo di scrivere e della scrittura di quest’o quell’altro huomo” (C. Gizburg Miti emblemi e spie, pag. 175).

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Lavater è considerato uno dei fondatori della fisionomica di cui G.B. Della Porta è considerato l’antesignano. Nei Fragmente egli riprende l’antica ricerca di un’unica radice occulta degli aspetti fisici e psichici dell’uomo. All’interno di questa opera (in particolare nel capitolo sui crani) sono evidenti i contributi da lui ricevuti da Goethe in relazione allo studio delle relazioni con le forme animali .

• Grafologia contemporanea Nel 1812 uscì a Parigi una pubblicazione anonima, completamente dedicata allo studio delle relazioni tra scrittura e carattere col titolo L’art de juger de l’esprit et du caractère des hommes te des femmes sur ler écriture, attribuita a E. Hocquart (1787-1870), in cui lo studio grafonomico veniva affrontato, per la prima volta, su basi sperimentali. In Germania, pochi decenni dopo, si affermò la scuola di Adolf Henze(1), a cui si deve il merito di aver affrontato seppure in una prospettiva intuitiva alcune problematiche significative in campo grafologico: variazione esistenti tra grafie, caratteri ed abitudini dello scrivente… Più che di studio grafologico le risposte che egli dava a coloro che lo consultavano sapevano di epigrammi fantasiosi anche se, a tratti, ingegnosi. (1)

A. Henze fu autore della pubblicazione La Chirogrammatomancie (1862) e curatore di una rubrica di grafologia su un giornale dell’epoca.

La Scuola francese Di grafologia si occupò anche il pittore Delestre nella sua opera La physionomie (Parigi, 1866) dedicando un intero capitolo alla calligrafia. (C. Lombroso Grafologia pag. 6) in cui esaminava la scrittura nei suoi rapporti con l’età, il sesso, il carattere, il talento, il genio e la nazionalità. 8

Nel 1870 l’abate francese Jean Hippolyte Michon (1806-1881) nella sua pubicazione sistematica Le mysteres de l’ecriture, scritta in collaborazione con A. Desbarrolles(1), trattò la materia con criteri più scientifici, nella quale, tuttavia, non mancavano allusioni “esoteriche”, a riprova di quanto tenace ancora si palesasse il legame tra grafologia e astrologia, esistente da secoli(2). Comprese che il sistema nervoso giocasse un ruolo primario nella vita psichica e fisica, e considerò indispensabile la sua influenza sulla grafia. Michon, oltre a pubblicare due importanti opere: Système de graphologie (1875) in cui sulla base di una classificazione psicologica ispirata a quella di Linneo per la storia naturale, distingueva otto classi principali di scritture, ciascuna divisa in ordini o famiglie, a loro volta, composta di generi o gruppi e Méthode pratique de graphologie (1878), fu anche fondatore della Société de Graphologie e della Rivista “La Graphologie”, che permise la diffusione del suo metodo, basato sulla teoria dei segni fissi o segni–tipo(in numero massimo di quattro), per cui a un solo segno grafico corrispondeva un particolare aspetto del carattere. Altre caratteristiche essenziali per la definizione del carattere risultavano dall’interazione tra più segni-tipo, originante il cd. segno complesso. Consapevole dei limiti della sua classificazione, ritenuta dai critici astratta e approssimativa, Michon intuì il valore di una verifica sperimentale dell’interpretazione da avviare con metodo storico e mediante l’autorivelazione, (confrontando, cioè, i dati desunti dall’analisi grafologica e i dati biografici dell’autore dello scritto). Il suo allievo, l’orologiaio poi dentista, J. Crépieux-Jamin, originario di Ginevra, (1859-1940)(3), seppe dare alla materia una struttura più organica e rispondente ai dettami della psicologia. Fu autore del Traité pratique de graphologie-Etude du caractére de homme d’après son écriture (1885). Diversamente da Michon, sostenne che per risalire dal testo grafico alle motivazioni psicologiche e fisiche ad esso sottese, non era più sufficiente un sol segno ma un complesso di segni, desunti dallo studio della sua scrittura spontanea. Con J. Crépieux-Jamin la grafologia divenne una scienza razionale, basata sull’osservazione empirica, regolata da leggi precise e suscettibile di verifica sperimentale. In relazione al caso Dreyfus, J. Crépieux-Jamin non esitò a schierarsi (non senza suscitare clamore all’epoca) a favore dell’ufficiale ebreo accusato di alto tradimento, sostenendo recisamente la non autenticità del documento (bordereau) di cui gli si voleva attribuire la paternità. 9

Ancora di più forte rilevanza fu il contributo portato da Maurice Perito, docente di fisiologia neuromuscolare, che pose solide basi per la neurofisiologia del gesto grafico. Un trattato di grafologia fu scritto pure Arséne Aruss mentre si devono al filosofo Arreat alcuni articoli sulla Revue Philosophie (1893) sulla Filosofia della scrittura, che segnano il passaggio della grafologia da arte fallace a scienza(4). La scuola francese traeva origine dalle teorie filosofiche di W. Preyer (1841-19897), che a sua volta aveva ripreso e sviluppato le teorie grafologiche di W. Langenbuch e Hans Busse e dagli studi del filosofo Ludwig Klages (1872-1956)(5). (1)

Adrien Adolphe Desbarolles (1801-1886) nelle sue molteplici opere diede importanza allo studio simbolico della mano piuttosto che concentrarsi, così come aveva fatto il suo connazionale D'Arpentigny, sulla valutazione sobria della forma e della struttura della essa.

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L’ambiguità d’intenti che ancora accompagnava la grafologia anche in epoca contemporanea è testimoniata dal fatto che l’introduzione all’opera di Micron fu curata dal celebre chiromante e frenologo, Desbarrolles che, addirittura, si arrogò la primogenitura di questa nuova scienza..

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A suo dire, la scrittura umana era il frutto di un apprendimento lento e costante (condizionato oltre che dall’ambiente socio–culturale, soprattutto dalla personalità dello scrivente) ed i caratteri essenziali della grafia individuale restavano fondamentalmente costanti per tutta la vita.

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Diversi lavori furono dedicati all’applicazione delle grafologia allo studio delle malattie mentali, soprattutto in ambito neuropatologico. In proposito si ricordano quelli pubblicati da Binet sulla scrittura eseguita con la penna elettrica, di Erb, di Charchot di Varinard sui centri psichici della scrittura, del Dott. Erlenmayer. In Italia analoghi studi furono eseguiti da Ottolenghi e da Carrara (Sulla penna elettrica negli stati emotivi), da Raggi (Gli scritti dei pazzi). Riferimenti ai caratteri speciali della scrittura nei monomani, mattoidi, epilettici, pazzi morali e ipnotizzati si trovano sparsi in alcune sue opere maggiori: Uomo di genio e Uomo delinquente.

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Fu psicologo e filosofo. Laureatosi in chimica, si appassionò, poi, agli studi di psicologia e di caratterologia, intesa in senso assai lato, che trascende la psicologia per assurgere ad una vera e propria speculazione filosofica. Buona parte delle sue opere sulla grafologia le scrisse in Svizzera ove emigrò per sfuggire alle persecuzioni naziste.

La Scuola tedesca Fu W. Preyer a dimostrare, in maniera sperimentale, nella sua Zur Psychologie des Schreibens (La Psicologia della scrittura) che le variazioni della scrittura non dipendevano dal movimento della mano bensì erano il prodotto dell’attività e dello sviluppo cerebrale(1). Il chimico L. Klages, invece, asseriva che il ritmo della scrittura era la risultante di due forze opposte all’interno dell’uomo“anima (Seele) e spirito (Geist)”, responsabili nel loro combinarsi del suo ordine e disordine, della regolarità o irregolarità, etc.. Da questa lotta scaturisce il Grundrhythmus che si identifica con la forza vitale stessa, col respiro della scrittura in quanto in essa c’è vita. Egli consigliava, per valutare una grafia, di “lasciarsi penetrare dal sentimento”, di considerare il formniveau “livello delle forma” inteso non come equilibrio delle parti ma all’intensità all’autenticità di una scrittura, al suo livello vitale, e soprattutto al suo ritmo.

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Per comprendere se una scrittura possedesse o meno autenticità (Eigenart), Klages invitava a considerarla un’opera d’arte. Potendosi pervenire alla conoscenza delle potenzialità psichiche del soggetto mediante l’analisi grafologica, secondo detto Autore, era possibile scoprire attitudini particolari ed indagare sulle peculiarità individuali dei soggetti sia in ambito dell’analisi del carattere e della personalità che in tema di compatibilità matrimoniali e di scelte professionali. Il lavoro del grafologo poteva, altresì, rivelarsi utile anche in Criminologia per l’accertamento di potenzialità criminose che avrebbero potuto attualizzarsi con il concorso di situazioni contingenti di natura socio–culturale o socio ambientale (V. Mastronardi op. cit. pag. 451). Tra gli allievi di Klages si distinse la grafologa R. Wieser. Fu lei a stabilire una necessaria correlazione tra il ritmo di base Grundrhythmus e una “forza d’amore, da lei chiamata amore agape, tale da dirigere il pensiero e l’energia verso scopi non egoistici. In dissenso con Klages fu, invece, il neurofisiologo R. Pophalche condusse studi sul tratto grafico, superati per gli aspetti scientifici. (1)

Preyer osservò che, fissando la penna nel piede o nella bocca si conservavano i caratteri fondamentali della scrittura come quando si scrive con la penna nelle mani (C. Lombroso Grafologia pag. 17)

La Scuola svizzera Alla Grafologia arrivarono anche contributi dalla psicanalisi di Freud e di altri psicologi come Jung e Adler, grazie allo svizzero Max Pulver (1899-1952), psicologo e grafologo del Tribunale di Zurigo, che comprese l’importanza degli impulsi istintivi nell’espressione calligrafica e le tendenze inconsce alla base di un segno grafico. Fu il primo ad affermare che, nell’atto dello scrivere, la mano risponde ad impulsi che partono dalla corteccia cerebrale e li fissa in un campo grafico rappresentato dal foglio, ambiente in cui l’Io-penna si muove. Cogliere per intuizione il complesso di segni in quanto forma un tutto superiore alle parti, è per Pulver l’atto essenziale che precede l’analisi. L’intento di Pulver fu quello di ristrutturare, integrandolo con in contenuti della fenomenologia e della psicanalisi, il metodo grafologico della Scuola tedesca. (V. Mastronardi Grafologia Giudiziaria pag. 452).

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Egli non prese in considerazione solo i singoli segni grafici, ma soprattutto la distribuzione dello scritto nello spazio, perché tale distribuzione fu la manifestazione della natura umana oscillante tra i due poli della ragione e dell'istinto. A lui si deve la seguente affermazione: "L'uomo scrivendo descrive se stesso". Fu la sua collaboratrice, Ania Teillard (1889-1978) ad apprendere da Jung la psicologia del profondo e a saldarla alla grafologia.

La Scuola inglese Robert Saudek, nato in Cecoslovacchia, si stabilì in Inghilterra ove avviò i sui studi di grafologia. Il suo lavoro di scrittore e giornalista lo porterà a condurre ricerche in tale campo, utilizzando strumenti di indagine originali per l’epoca, come le tecniche di ripresa cinematografica. Molto significativi furono i suoi esperimenti sulle scritture dei gemelli monozigoti.

La Scuola italiana In Italia la Grafologia ebbe la sua più autorevole espressione in Cesare Lombroso, autore dell’opera Grafologia in cui venivano indicati gli elementi per individuare, attraverso le scritture, le caratteristiche psichiche dei criminali e degli alienati(1). Egli scrive: “L’uomo, quando scrive, è tutto intero nella sua penna, e quindi nella mano che n’è strumento intermediario; così che, se la parola è la manifestazione istantanea del pensiero, la scrittura ne è una traduzione altrettanto immediata se non più rapida”. (C. Lombroso Grafologia pag. 12). Al religioso francescano Girolamo Moretti (1879-1963) si deve, invece, la fondazione della nuova Scuola grafologica italiana con sede ad Urbino(2). Moretti pubblicò, sotto lo pseudonimo di Umberto Kock, il Manuale di grafologia (attualmente arrivato alla X edizione col titolo di Trattato di grafologia. Intelligenza e sentimento). Per questo Autore la grafologia andava considerata come una scienza sperimentale che consentiva di risalire alla predisposizioni psichiche di un individuo attraverso l’analisi di un suo scritto. In un primo tempo, anche Moretti si lasciò tentare dalla grafologia somatica di Lombroso, incorrendo in non pochi errori ed imprecisioni, dovuti anche al fatto che la scrittura veniva ancora intesa come un automatismo fisiologico e non come un atto finalizzato ed 12

autonomo dell’intelligenza e della volontà dell’uomo, una scelta culturale non riconducibile al fisico o alla “natura” (P. Urbani, op. cit. pag. 10). Moretti, che considerò la scrittura come campo preferenziale in cui si manifesta tutta l'individualità di ognuno di noi. La grafia, come espressione privilegiata dei sistemi che interagiscono nella personalità, ne è lo specchio e come tale riflette sia la realtà immediata dello scrivente, sia ogni mutamento che avvenga nel suo intimo. Da questa concezione dinamica di fondo Moretti creò un metodo grafologico, attento a captare i dinamismi individuali attraverso i "segni" grafologici. Alla base del suo metodo vi era la classificazione in specie e sottospecie dei segni grafonomici sulla base della loro intensità e la successiva combinazione delle tendenze psicologiche da essi rilevate senza ignorare, tuttavia, la complessità e la globalità della personalità umana(3). Altro esponente della Scuola italiana è lo psicologo Marco Marchesan (1899-1991)(4), secondo il quale la scrittura, nata dall’esigenza di focalizzare in modo durevole il pensiero, sarebbe l’unica espressione umana che manifesti l’Io nei suoi aspetti: il conscio, l’inconscio e il subconscio. La grafologia di Marchesan studia tre ordini di fenomeni: la dinamica psichica, le leggi di proiezione e il sistema segnino (V. Mastronardi Grafologia Giudiziaria pag. 457). In una pubblicazione intitolata “Moralità e sessualità”, l’Autore ha raggruppato i segni relativi a particolari tendenze devianti ed inerenti la sessualità, pervenendo a conclusioni interessanti in campo criminologico. (1)

La grafologia somatica ricalcava in effetti la fisiognomica lombrosiana, che ricollegava la criminalità ad alterazioni somatiche. Lombroso basò i suoi studi grafologici su 520 scritti autografi di altrettanti criminali (fornitigli da Alfred Maury, direttore degli Archivi di Francia, dal Muoni , dal Beltrami Scalia), riuscendo ad individuare le caratteristiche grafiche, più salienti, in termini statistici. in due gruppi criminali: quello degli omicidi, grassatori, briganti e quello dei ladri. Il primo presentava un allungamento delle lettere, una facilità a quello che i tecnici chiamano gladiolamenti;, in molti di essi la sbarra delle t spiccata o prolungata, così come si trova nei militari, e nelle persone energiche; in pochi altri le lettere fanno coi loro filetti degli angoli acuti. In tutti poi la firma ha una serie straordinaria di filettature e di arabeschi da farla distinguere immediatamente da tutte le altre. Nel secondo, invece, si evidenziava, oltre alla mancanza di gladiolamento, la presenza di lettere svasate, molli, con poca spaccature o quasi nessun geroglifico nella firma, con un carattere, insomma, che si avvicina al femmine, ed anzi all’usuale. Lombroso criticò duramente le conclusioni di Henze e di Desborolles, tacciandole di avventatezza e di scarsa scientificità perché carenti proprio sul piano della comparazione e sperimentazione dei dati raccolti.

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Girolamo Moretti nacque a Recanati nel 1879 e morì ad Ancona nel 1963 dopo essersi interessato di Grafologia per oltre cinquant'anni. Ha esposto il suo pensiero in diversi settori d'applicazione della Grafologia: Il Corpo Umano dalla Scrittura (rapporto tra scrittura e particolarità somatiche) Scompensi - Anomalie della psiche e Grafologia. (implicazioni di carattere neuropatico)Grafologia Pedagogica, Grafologia e Pedagogia nella scuola dell'obbligo, Facoltà Intellettive e Attitudini Professionali dalla Grafologia, Grafologia sui Vizi, Perizie Grafiche su base grafologica, Grafologia Differenziale (Passione Predominante) ovvero la sintesi personale della psiche in relazione alla sua istintività, alla passionalità e agli interessi.

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Evi Crotti, psicologa e studiosa delle scienze umane, allieva di G. Moretti. ha fondato a Milano la prima Scuola di Grafologia Morettina. Insieme ad Alberto Magni ha scritto “Grafologia e salute” dove l’analisi della scrittura si mette al servizio della Medicina. La tradizione di studi morettina viene oggi incarnata dall’Istituto di Grafologia; mentre il suo metodo viene insegnato alla Scuola Superiore di Studi grafologici dell’Università di Urbino.

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Marco Marchesan e il figlio, Rolando hanno fondato a Milano l’Istituto di Psicologia della scrittura

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Storia e analisi grafologica In un interessantissimo studio di Pacifico Cristofanelli della Facoltà di Scienze della Formazione - Scienze dell’Educazione della Libera Università degli Studi Maria SS. Assunta(LUMSA) di Roma (A.A. 1999/00) sono stati presi in esame la vicenda umana di cinque noti gerarchi fascisti: Galeazzo Ciano, Dino Grandi, Italo Balbo, Achille Starace ed Alessandro Pavolini, al fine di tratteggiarne la personalità, attraverso l’analisi grafologica dei loro scritti, Il ricercatore si è proposto, peraltro, di verificare “se i risultati raggiunti con l’anali grafologica corrispondessero o meno ai giudizi già emessi su tali “personaggi”, come sono stati tramandati dalla storia”. Per ognuno di essi è stata compilata una breve monografia, strutturata in tre paragrafi:a) la vita; b) il personaggio: studi e testimonianze; c) l’analisi longitudinale della grafia. Dal punto di vista storico è stato più ampiamente trattato il gerarca Galeazzo Ciano, grazie alla maggiore documentazione disponibile, in particolare i sui Diari. In particolare, nel paragrafo dedicato all’esame grafologico, Cristofanelli ha considerato alcuni scritti autografi dei cinque gerarchi ed effettuato l’analisi di personalità, secondo la metodologia di Girolamo Moretti. Per lo studio grafologico di ogni gerarca sono state effettuate – per quando è stato possibile – analisi longitudinali delle scritture, per poter esprimere la valutazione più oggettiva dei soggetti in esame. Dopo l’analisi delle scritture sono state espresse alcune brevi considerazioni sui risultati grafologici raggiunti e se questi presentavano coincidenze o differenze con il personaggio. Mentre per Grandi, Balbo, Storace e Pavolini i risultati ottenuti coincidono abbastanza con le testimonianze, per Galeazzo Ciano l’analisi di personalità ha evidenziato sia punti di contatto, sia elementi contrastanti con i giudizi emessi sul suo conto. Dall’analisi di personalità di Galeazzo Ciano è emerso, infatti, che il gerarca – pur possedendo spirito di ambizione – era un uomo dall’intelligenza brillante ed equilibrata e non un superficiale, come è stato riportato da buona parte degli storici. Dino Grandi è apparso intelligente, astuto e abile diplomatico, coerentemente all’immagine presentaci dalla Storia. 14

Italo Balbo – che tra i cinque gerarchi presenta la grafia più variabile – è risultato un uomo portato all’azione e dall’intelligenza vivace e, nonostante il leggero nervosismo che pervade il suo pensiero, capace di controllo e di organizzazione. Il contesto grafico del gerarca Achille Starace ha evidenziato, invece, una personalità basata sull’autostima, ma poco profonda e carente, (conforme al giudizio storico), pur non disconoscendogli, tuttavia, capacità organizzative, spirito di abnegazione e coraggio (se non altro, di quest’ultima qualità ne è testimonianza la sua morte eroica!).

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II PARTE

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All’origine del falso Col progredire della scrittura e col diffondersi dei “documenti” (mezzi per rappresentare e tramandare il pensiero), si rese necessaria la loro tutela giuridica dalle “falsificazioni”. Un richiamo ai falsi in scrittura è presente già nella Bibbia (cfr. I Re, 21, 8-16; Ester 3,715) e da qui s’intuisce che, anche a quei tempi, una qualche forma di accertamento e di verifica dovesse essere già stata elaborata per scongiurarli. Da un punto di vista normativo una prima disciplina normativa sanzionatoria del falso testamentario e monetario è presente nella Lex Cornelia de falsis (81 a.C), promulgata da Lucio Cornelio Silla. Il reato di falso relativo ai testamenti, originariamente legato alla sola falsificazione dei sigilli o suggelli (signa), fu esteso, poi, alla falsificazione della mano-scrittura (chirografum) ed in particolare alla sottoscrizione di documenti (prima di carattere pubblico ed in seguito anche privati). La Legge Cornelia, oltre alla sostituzione, rimozione dei suggelli, all’apposizione di suggelli falsi, prevedeva numerose altre fattispecie dolose di falsificazione quali la sottrazione, occultamento, furto, cancellazione di testamento, formazione oppure falsificazione con la cancellazione di alcune parole in esso contenute, la lettura fraudolenta, etc. Le pene previste, comminate a seconda della posizione sociale rivestita, spaziavano dalla condanna all’esilio con la confisca dei beni alla deportazione, dal lavoro nelle miniere al supplizio della croce. Un caso famoso di falsificazione di testamento ci viene offerto da Cicerone nella sua celebre orazione De officiis in cui viene biasimata la condotta di Marco Grasso e di Quinto Ortensio, (due tra gli uomini più illustri e ricchi del tempo) che, pur consapevoli della falsità dell’atto, avevano beneficiato tacitamente dei vantaggi economici, seppure modesti, in esso previsti. L’importanza della comparazione delle scritture (collatio scripturarum), accanto al superiore valore probatorio dell’escussione dei testi, venne riconosciuta in un rescritto dell’Imperatore Costantino ad Maximum Prefectum Urbis (25 marzo 320 d.C.). Più esplicite indicazioni sulla verificazione delle scritture si trovano nel periodo giustinianeo nel Rescritto a Giuliano, datato 530 d.C. e nelle Novellae 49 e 73, rispettivamente del 537 e 538 d.C..

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In particolare nella Novellae 73 vengono enunciate considerazioni (che ancora oggi mantengono valore di attualità) in relazione alle cause che possono comportare cambiamenti nella scrittura di un individuo: età, malattia, inchiostro, mezzo impiegato per scrivere. Solo in mancanza di notaio e di testimoni detta legislazione prevedeva il ricorso alla collatio o comparatio scritturarum di un perito che avesse già prestato giuramento per evitare i possibili condizionamenti delle parti in causa. Era vietata, altresì, la ritrattazione di comparazioni già espletate. Citazioni su casi di indagine grafica si trovano pure nel Digesto (anno 539, notiziario n. 73). All’epoca di Teodorico fu emanato un editto (tra il 500 e il 526 d.C) che comminava la pena capitale per una casistica abbastanza nutrita di falsificazioni. Coi Franchi, invece, veniva autorizzata la verificazione delle scritture ed in particolare di quelle redatte dai notai. In caso di morte del notaio e dei testimoni, disposizioni emanante dall’Imperatore Ludovico il Pio consentivano la verificazione della scrittura impugnata mediante il confronto (cartarum callatione) con altre due scritture autentiche. Sotto l’Imperatore di Germania Ottone I, come mezzo processuale per la verifica della veridicità di un atto fu ammesso anche il duello. Lo sviluppo delle attività commerciali portarono ad attribuire sempre più importanza alle scritture private e alla sottoscrizioni. Giuridicamente fu necessario, però, distinguere tra il procedimento rivolto alla verificazione di scritture private e quello di accertamento di falso in atto pubblico. Nel Canto XXX dell’Inferno, Dante Alighieri ci riporta un caso di sostituzione di persona che riguarda tale Gianni Schicchi della famiglia dei Cavalcanti, da lui collocato tra i falsari per essersi sostituito a Buoso Donati nel dettare un falso testamento. Disposizioni sul riconoscimento della scrittura privata sono presenti anche negli Ordinamenti comunali tardo-medioevali. Fino ad allora, l’accertamento dell’autenticità di scritture (una disciplina che si affermerà in Italia nel Cinquecento, grazie anche alla diffusione della stampa a caratteri mobili e all’alfabetizzazione di più ampi strati della popolazione) era stata svolta da copisti e calligrafi

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che si limitavano, per lo più, a comparare le singole lettere per stabilire se due scritture provenivano dalla stessa mano. Basandosi su detta tecnica, Lorenzo Valla riuscì a smascherare, nel 1440, quello che è certamente il più famoso falso della Storia: la cosiddetta "Donazione di Costantino", un documento dell’VIII secolo "inventato" con molta probabilità nel monastero francese di SaintDenis, con il quale l’imperatore Costantino avrebbe messo nelle mani della Chiesa di Roma il potere dell’Impero romano. Per l’individualismo proprio del Rinascimento la scrittura tende in questo periodo storico a divenire, attraverso l’elaborazione stilistica delle forme tradizionali, creazione personale, trasformandosi in calligrafia. Nei trattati di modelli calligrafici, prodotti in quegli anni, si ha modo di cogliere la scrittura non come oggetto ma nel suo farsi. Essi forniscono notizie quanto mai interessanti intorno ai materiali scrittorii, alla loro scelta e preparazione, agli inchiostri, agli strumenti dello scrittore. Nel Seicento i reati di scrittura aumentarono sensibilmente rispetto al secolo precedente, in cui le perizie erano risultate troppo sintetiche e generiche. Nel XVII sec., in ambito processuale, venne posta particolare attenzione agli aspetti materiali della scrittura connessi con la tenuta e la temperatura della penna, l’inchiostro e la carta. Nell’esame delle scritture si cominciò a tener conto anche degli “accidenti”, cioè delle modificazioni originate da cause sia esterne che interne all’autore dello scritto. Vennero anche precisati i vari tipi di falsificazione che si potevano presentare nella prassi: per delucidazione, per imitazione e per spolvero. La categoria degli esperti per la verificazione di scritti e documenti nacque formalmente in Francia con l’ordinanza emessa nel 1570 a Saint German de Prés, al fine di stabilire i requisiti di ammissione alle corporazioni dei maitres-écrivains-jurés e dei maitrés-écrivansexperts-jurés. Un primo trattato sulla perizia grafica fu scritto da Francois Demelle nel 1609 seguito da quello di Jacques Raveneau (1666) recante il titolo Traité des inscriptions en faux et reconnaissances d’écritures et signatures par comparation et autrement. Nel 1727 Re Luigi XV fondò l’Accademia reale di scrittura per rafforzare la corporazione dei maestri scrivani e arginare il discredito in cui era precipitata. La trascuratezza della scrittura e la decadenza morale dei maestri scrivani aveva trasformato, infatti, molti di essi in abili falsari senza scrupoli. 19

L’Accademia fu soppressa nel 1776 da Turgot e ricostruita in seguito per essere abolita definitivamente nel 1791, unitamente alle altre corporazioni. Il XIX secolo fu ricco di sviluppi e di avvenimenti destinati ad influire sulla pratica delle perizie su scritture: l’esame minuzioso dei documenti poteva avvalersi, infatti, dei vantaggi offerti dalla fotografia e dal microscopio; i fisiologi cercavano di scoprire le leggi della scrittura, i medici erano interessati agli eventuali stati morbosi che potevano ripercuotersi su di essa, i grafologi erano sempre più propensi ad affermare la scientificità dei loro metodi per rivendicare il loro diritto d’intervenire in ambito forense. A fronte di questi indubbi fermenti, si registrano, tuttavia, dei risultati piuttosto deludenti sul piano pratico, destinati ad alimentare scetticismo e diffidenze sul grado di affidabilità raggiunto da questa importante attività forense. Per tutti si ricordano in Francia il caso del testamento La Boussinière (1891) e l’affaire Dreyfus (1894). Nel 1871, con Jean–Hippolityte Michon nacque la “nuova scienza” della grafologia, destinata a rivoluzionare le modalità di svolgimento delle perizie grafiche. A Michon faceva buon gioco mettere in evidenza la situazione precaria in cui versava la perizia grafica per accreditare la nuova grafologia. Venne da lui messo in discussione il vecchio metodo della comparazione, basato sulla somiglianza o differenza di lettere, applicato fino alla scoperta dell’anatomia grafica che dimostrava la variabilità della scrittura in funzione dell’attività cerebrale . Si inaugurò, pertanto, un nuovo procedimento che amava definirsi, fin da subito, sperimentale, semplice, razionale, obiettivo perché basato su leggi e non più su congetture, intuizioni vaghe. Per il grafologista era necessario che la scrittura corrispondesse allo stato intellettivo e morale rilevato dallo studio abituale della persona alla quale lo si attribuiva. Veniva data importanza agli “idiotismi”grafici, cioè a certe forme speciali personali (gli elementi intimi più microscopici), che non venivano adottate da tutti ma che costituivano, nel loro insieme, la vera scrittura naturale, abituale dell’autore dello scritto, rivelandone l’identità psichica e morale.

Un falso tira l’altro “Il falso più grossolano di tutti i tempi” si verificò nel 1929, quando un sedicente trafugatore di tombe riuscì a vendere ad ingenuo turista austriaco una moneta romana sulla quale si stagliava la data “76 a.C.”.

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Nel secondo dopoguerra agguerriti grafologi smascherarono uno dopo l’altro falsi "diari" venduti a peso d’oro a riviste e giornali: A) "diari di Mussolini" I presunti Diari di Benito Mussolini furono rinvenuti, per la prima volta, nel 1957. Trattavasi, però, di falsi, costruiti molto abilmente da Amalia e Rosa Panvini e venduti alla Mondadori. Nel 1967, altri diari attribuiti al Duce, annotati su agende della Croce Rossa, furono venduti da emissari londinesi ad Angelo Rizzoli e al giornale londinese, Sunday Times per duecentocinquantamila sterline. Anch’essi risultarono un clamoroso bidone! Infine, è di qualche mese fa la scoperta annunciata dal sen. di FI Marcello dell’Utri del ritrovamento di altri Diari di Mussolini, relativi agli anni 1935-1939, scritti sempre su agende della Croce Rossa e depositati dal figlio di un partigiano presso un notaio di Bellinzona, in Svizzera. Saranno autentici, stavolta? Stando al proverbio “non c’è due senza tre!” ci sarebbe da diffidare! B) "diari di Hitler". A scoprirli fu il giornalista Gerd Heidemann, che li aveva acquistati per la cifra di quasi 10 milioni di marchi dal pittore Konrad Kujau. Secondo la testimonianza di quest'ultimo, i preziosi diari facevano parte di un gruppo di documenti recuperati dalla carcassa di un aeroplano precipitato poco prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, nell'aprile 1945, a Börnersdorf, presso Dresda, che allora, nel 1983, faceva parte dell'ex D.D.R. I 62 volumi dei diari coprivano gli anni dal 1932 al 1945. Gerd Heidemann affermò di averli sottoposti al giudizio di alcuni dei maggiori studiosi del periodo, tra cui gli storici Hugh Trevor-Roper (all'epoca direttore del gruppo Times Newspapers), Eberhard Jäckel e Gerhard Weinberg. Nell’aprile del 1983 Stern acquistò da Ruper Murdoch, proprietario del giornale londinese, il Sunday Times i diritti mondiali di pubblicazione in lingua inglese di detti diari per tre milioni e settecentocinquantamila dollari. Per due settimane il giornale tedesco pubblicò estratti di quei noiosissimi documenti attribuiti al Fhurer, fino a quando non si scoprì che trattavasi di un falso colossale. La verità venne a galla il 5 maggio dello stesso anno, quando vennero resi noti i risultati delle analisi di due istituti federali tedeschi, che avevano analizzato il materiale con cui erano stati redatti i diari. 21

L'analisi chimica dell'inchiostro e della carta usati provò che essi risalivano sicuramente a molto dopo l'epoca della guerra (vi erano fibre di nylon e un sostanza chimica usata come sbiancante commercializzata solo dopo gli anni ’50). Inoltre, un più accurato esame portò alla luce svariate inesattezze storiche, mentre lo stile stesso della scrittura corrispondeva solo superficialmente a quello di Hitler. Uno dei dettagli più grotteschi era che persino il monogramma sulla copertina dei diari era sbagliato, essendo FH invece che AH, le giuste iniziali del nome. Si scoprì che Kujau aveva guadagnato in passato parecchi soldi realizzando copie di quadri di Hitler ed era diventato abilissimo nell'imitarne la calligrafia. Il contenuto dei "diari" era stato in larga parte copiato dai testi dei discorsi pubblici del Führer, con l'aggiunta di commenti "personali". Perfino Ordway Milton, il numero uno dei periti degli Stati Uniti si era dichiarato disposto a giurare che i diari fossero autentici. Stralci dei Diari falsi di Hitler furono pubblicati anche su “Newsweek” di New York. Travolti dallo scandalo, i capi redattori di Stern Peter Koch e Felix Schmidt si dimisero. Heidemann e Kujau vennero arrestati, processati per frode e condannati. L'ultimo volume dei falsi diari di Hitler è stato acquistato ad un'asta a Berlino il 23 aprile 2004 da un anonimo compratore per la cifra di 6.500 euro.

L’indagine grafica L’indagine grafica rientra nel più vasto campo delle indagini documentali, rivolte all’accertamento di irregolarità, alterazioni, contraffazioni di atti, documenti e scritture ed ha lo scopo di accertare se due distinte scritture provengono o meno da una medesima persona. Si basa su due assiomi: • non esistono più persone che abbiano la medesima grafia; • non esistono due scritti, pur provenienti da due persone, che siano perfettamente identici, tanto da essere sovrapponibili. Il gesto grafico è sotto l’influenza diretta ed immediata del nostro cervello e la forma della scrittura non è modificabile senza lasciare segni che evidenziano l’alterazione della propria grafia. L’individuo, quindi, nell’atto dello scrivere opera in modo automatico, adoperandosi inconsciamente a variare la propria intensità di applicazione, a seconda della maggiore o minore sforzo da fare.

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Si differenzia dall’automatismo grafico (il modo in cui formiamo le lettere) che risente dell’apprendimento scolastico e della capacità grafica (attitudine a fare uso di un mezzo scrittorio manuale) acquisiti nel tempo. Gli accertamenti dei periti grafici si basano principalmente sul metodo analiticocomparativo, Detto metodo fu introdotto nel campo delle investigazioni scientifiche da Alphonse Bertillon che applicandovi gli stessi principi che presiedono all’accertamento dell’identità, divenne, ben presto, uno strumento d’indagine autonomo. Sulla base di questi elementi fondamentali, Salvatore Ottolenghi introdusse il metodo grafonomico nelle attività tecniche di Polizia Scientifica, basato su principi scientifici desunti dalla neurofisiologia. Applicando detto metodo, indagine grafica si articola in due fasi l’ispezione ed il confronto. Le operazioni connesse alla fase di ispezioni possono essere compiute con l’ausilio di tecniche e strumentazioni idonee: lenti d’ingrandimento, illuminazione radente, per trasparenza, luce ultravioletta ed infrarossa. Tali accertamenti possono essere supportati da analisi di laboratorio di tipo merceologico, in particolare per quanto riguarda l’esame di documenti o di atti pubblici di cui si sospetta la falsificazione. Al fine di documentare le varie fasi di analisi si ricorre ad attrezzature per la macro e microfotografia, utilizzando apparecchiature come i microscopi ottici o microscopi a scansione elettronica (SEM). Le scritture da periziare vengono prima sottoposte, dunque, ad un accurato esame segnaletico-desrittivo e successivamente confrontate tra di esse. L’esame analitico mira a rilevare tutte le caratteristiche delle scritture oggetto di esame ed, in particolare, a distinguere gli elementi grafici specifici della grafia dai segni ininfluenti (ossia da quei segni comuni a tutte le scritture; quello comparativo pone a confronto le caratteristiche rilevate di ciascun gruppo di scrittura da periziare. Il metodo analitico comparativo su base grafonomica ammette contributi anche di altri metodi di indagine(1): di tipo grafologico, grafometrico e calligrafico o morfologico che, se considerati singolarmente, sono insufficienti a raggiungere un giudizio, anche di sola probabilità, sull’identità grafica di due o più scritture. Purtroppo, i numerosi metodi grafici non sempre conducono ai medesimi risultati anche perché l’interpretazione dei “segni”, effettuata da esperti diversi, non sempre è la stessa. 23

E’ questo, senza dubbio, un limite delle indagini grafiche., dovuto alla mancanza di collegamento pressoché assoluto tra scuole ed esperti. La grafia, d’altra parte, è mutevole e non risponde a leggi fisiche. Nel corso della vita dell’individuo sia la forma che la struttura dei segni grafici possono modificarsi od alterarsi in conseguenza di stati patologi (soprattutto di natura psichica) o del degrado della personalità. I segni grafici vanno esaminati nella forma e nella struttura. Per forma s’intende l’aspetto esteriore del segno che prescinde dai movimenti necessari alla costituzione del segno stesso. La struttura, invece, si riferisce a tutti i movimenti della mano di chi scrive, necessari per costruire quello specifico segno grafico. L’esame della grafia deve tenere conto di quanto emerge dalla stessa. In particolare l’esame dei caratteri generali (motricità, continuità, modulazione, velocità , calibro, livello, impostazione, stile della grafica, sviluppo curvilineo, andamento del tracciato, proporzioni tra segni, direzione, dimensione, pendenza assiale delle lettere, allineamento di base, limitante superiore, spaziatura tra le parole, distanza tra le righe, pressione grafica) deve sempre precedere quello relativo ai caratteri di dettaglio (forma o struttura dei segni, gli ovali delle lettere, forma di alcuni elementi costitutivi delle lettere più elaborate, taglio delle “T”, allunghi sottorigo, contrassegni, presenza di xenismi, cioè di lettere formate in maniera del tutto diversa da quella normale, posizione dei punti, apostrofi accenti,le sedi delle interruzioni interletterali in parole o in gruppi di lettere omografi (con qualsiasi segno uguale ad un altro). (1)

A proposito dei vari metodi d’indagine grafica ed in particolare di quello calligrafico è illuminante quanto riportato in una Sentenza della Corte di Cassazione dalla quale si evince che la perizia grafica eseguita in applicazione del metodo calligrafico non è attendibile perché priva di scientificità (Sez. 5 – Sent. 15852 del 29/1190 – Riv. 185897 Pres. Biliardo. - Rel. Nicastro G. – Imp. Nagae

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III PARTE

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Il caso Dreyfus Durò dal 1894 al 1906 (12 anni) e passò attraverso una serie di processi, di revisioni, di processi dentro i processi (Zola, Picquart), di perizie, di controperizie, di chiarimenti e di superperizie, di avvenimenti politici e di avvicendamenti burocratici. Schematicamente esso può essere suddiviso in quattro fasi: •

Prima fase: La scoperta del bordereau – il primo processo – la teoria dell’autofalsificazione di A. Bertillon (1894-1895);



Seconda Fase (cd. intermedia): La famiglia Dreyfus contrattacca - l’inchiesta pubblica su Paul Esterhazy (1896-98);



Terza fase: Il processo di revisione di Rennes (1899-1900);



Quarta fase: L’assoluzione e la reintegrazione (1904-1906).

I fatti Tutto cominciò il 26 settembre 1894 quando la domestica dell’ambasciata tedesca a Parigi, madame Bastian nello svuotare il cestino della carta straccia dell'addetto militare, colonnello Von Schwartzkopfen trovò una foglio anonimo, alquanto strano. La donna, già da tempo sul libro paga dei servizi segreti francesi per 250 franchi al mese, non avvezza ai segreti militari, pensò bene di trasmettere quello strano “cartoccio” ai suoi munifici foraggiatori Il bordereau (trattavasi di un lettera di accompagnamento, scritta su carta velina non firmata, non datata, in cui si annunciava l’invio di cinque documenti riferiti ad un nuovo freno idraulico,

alle

modifiche

apportate

dallo

Stato

Maggiore

dell’Esercito

francese

all'organizzazione delle truppe di copertura, e ad una nota sul Madagascar) finì sul tavolo del comandante Henry del controspionaggio francese, abile confezionatore di falsi, dal comportamento viscido e rancoroso, che subito si mise sulle tracce della presunta talpa. L’incarico di scoprire l’autore del bordereau fu affidato dal Ministero della Guerra a due grafologi dilettanti: Du Paty De Clam e il colonnello D'Aboville, che pressati dallo Stato Maggiore credettero di averlo individuato nel capitano di artiglieria Alfred Dreyfus, già inviso alle gerarchie militari per il suo pessimo carattere ma, soprattutto, perché ebreo. Il primo processo si svolse a “doppie porte chiuse” e , per ragioni di opportunità, fu chiuso in tutta fretta dai sette giudici del Consiglio di Guerra di Parigi. La colpevolezza dell’imputato fu ufficialmente basata su numerose perizie grafiche di dubbio valore scientifico e per nulla obiettive; ma in realtà la sentenza venne condizionata da 26

un dossier segreto, contenente documenti falsificati ad arte sfavorevoli a Dreyfus, consegnato alla Corte, col placet Ministro della Guerra, prima dell’inizio del processo, all’insaputa della Difesa. Per ben dodici anni l’affaire Dreyfus infiammò l’opinione pubblica, spaccandola tra innocentisti e colpevolisti. Falsità, orgoglio personale, gelosie professionali, pregiudizi razziali, prevalsero sul diritto dell’accusato ad un processo giusto ed equo. Non solo i familiari di Dreyfus ma anche politici, scrittori, giornalisti e periti si batterono per la verità contro le macchinazioni e i giochi sporchi della politica e della ragion di stato Molti di essi subirono persecuzioni e intimidazioni non di poco conto. Nel 1900 Alfred Dreyfus ottenne la grazia dal Presidente della Repubblica, Emile Loubet e fu scarcerato dall’Isola del Diavolo nella Guyana francese dove la pena gli era stata commutata da deportazione a vita in fortezza a dieci anni di detenzione. Poco tempo dopo, beneficiò anche dell’amnistia per la pena inflittagli. Per la riabilitazione completa dovette aspettare il 1906, allorquando fu scagionato finalmente dall’accusa infamante di alto tradimento, grazie ad una super perizia “statisticografologica”, affidata all’illustre matematico Henri Poincaré. Reintegrato, infine, col grado di maggiore nell'Esercito fu insignito della massima onorificenza francese: Croce di Cavaliere della Legion d'Onore. Colui che aveva scritto la lettera - un ufficiale squattrinato, tale Paul Walsin Esterhazy – nonostante fosse reo confesso non pagò mai le sue colpe e neppure le gerarchie militari che avevano orchestrato la campagna diffamatoria contro il capitano. L’affaire Dreyfus è stata certamente una delle pagine più nere della storia giudiziaria, ma, almeno, servì a gettare le basi scientifiche della Grafologia giudiziaria. Fino ad allora, infatti, l’accertamento dell’autenticità di scritture, una disciplina nata in Italia nel Cinquecento, era stata svolta da copisti e calligrafi che si limitavano, per lo più, a comparare le singole lettere.

Errori commessi Quali e quanti furono gli errori che caratterizzarono l’affaire Dreyfus? Gli errori che portarono ad un sì clamoroso caso di errore giudiziario furono diversi di natura sia tecnica (prettamente attinenti al profilo grafologico) che giudiziaria (conduzione delle indagini e del processo propriamente detto).

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a) Cause estragrafiche Perché proprio il capitano A. Dreyfus? Alla base della sua individuazione come colpevole giocarono svariati fattori. Principalmente perché trattatavasi di un soggetto che per estrazione sociale, provenienza (alsaziano) e origini (ebraiche) non era riconducibile al cliché dell’ufficiale di “razza” dell’esercito francese. Il suo carattere era stato etichettato come spocchioso, arrogante, permaloso; ma in realtà ciò che si temeva in lui era l’intelligenza e l’intraprendenza (forse troppa!). Fu uno scherzo per il comandante Henry confezionare sul suo profilo l’abito della spia senza scrupoli, disposta a passare al nemico informazioni di vitale importanza. Malafede, presunzioni e preconcetti dello Stato Maggiore non fecero altro che ingigantire ed avallare le falsità preconfezionate dal controspionaggio francese. Se si fossero tenuto in debito conto le conclusioni di Gobert, perito della Banca di Francia, i sospetti su Dreyfus avrebbero potuto essere facilmente archiviati già nella fase delle indagini. Si preferì invece, nell’ottica di un piano ben preordinato, avallare le conclusioni di due grafologi principianti (du Paty De Clam e il Colonnello D'Aboville), facendole poi ratificare da un personaggio a quei tempi autorevole e apparentemente al di sopra delle parti: Alphonse Bertillon, Direttore del Servizio Identificazioni Giudiziarie della Prefettura di Polizia di Parigi, che con energia e zelo encomiabili si cimentò in un campo in cui non era assolutamente ferrato ed esperto, pervenendo a conclusioni aberranti e fantasiose: il bordereau era opera di A. Dreyfus ma da questi era stato artatamente falsificato per dissimularne la paternità. Il primo processo, gestito da una giuria di militare, nacque, pertanto, già viziato per chiudersi, poi, in tutta fretta, in maniera, a dir poco, scandalosa. Prima dell’apertura dei lavori, in evidente dispregio di tutti i principi etici e di legge, era stato fatto pervenire ai Giudici, all’insaputa della difesa, un dossier falsificato ad arte dai servizi segreti sfavorevole, naturalmente, all’imputato. Quello che avvenne nelle udienze pubbliche, dunque, era destinato a rivestire un’importanza relativa in confronto alle menzogne già propinate in segreto ai Giudici. In merito poi alla perizia del bordereau, due dei tre presunti esperti (Charavay e c Theyssonieres), chiamati in causa, confermarono la teoria di Bertillon.

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Era evidente, quindi, che altrove qualcuno molto in alto aveva già deciso le sorti del processo, che, si noti bene, era stato fatto precedere da una sapiente campagna di stampa al vetriolo contro il traditore ebreo Dreyfus. In questo clima sì pesantemente compromesso, per la difesa non ci fu storia alcuna; anche perché la sua conduzione fu tenuta in maniera arrendevole, se non addirittura rinunciataria. b) Cause grafiche Scelta di periti inesperti Prima del processo a Dreyfus, Bertillon non aveva mai eseguito una perizia grafica. Il perito Charavay, all’epoca, era solo un commerciante di autografi; mentre l’altro suo collega, Teyssonnieres, era solo un incisore. Tre su cinque (gli altri due erano: Pelletier e Gobert per i quali la missiva anonima non era attribuibile all’imputato) non erano, dunque, qualificati. L'esame del bordereau fu condotto su una fotocopia La riproduzione fotografica che fu utilizzata dagli esperti durante il processo riproduceva su un'unica facciata il recto e verso del bordereau. In tal modo sia la trasparenza della carta che le tracce dei frammenti ricomposti non venivano evidenziati. Fu anche questa la ragione per la quale alcuni periti cedettero di trovarsi di fronte ad uno scritto artefatto. L'idolatria per l’"ispezione" e il mito della scrittura artificiosa. A. Bertillon era così polarizzato sull'ispezione del bordereau e così distolto dal confronto, che quando gli fu portata la scrittura di Walsin Esterhazy, una volta che fu di dominio pubblico, rifiutò di guardarla. Quanto poi all'ipotesi da lui sostenuta della dissimulazione da parte di Dreyfus attraverso l'autofabbricazione, c’è da dire che essa era di per sé assurda ed infantile. Infatti, se Dreyfus avesse voluto veramente dissimularsi non lo avrebbe fatto così poco e così male. L'ostinazione fanatica del Bertillon Malato di protagonismo e di vanagloria, A. Bertillon volle fare più di quanto potesse fare e di quanto era preparato a fare. Presunzione, ambizione, megalomania lo porteranno in un vicolo cieco da cui non seppe o volle uscire, ammettendo i propri sbagli.

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Si racconta che gli fu offerta la possibilità di scegliere tra un suo mea culpa sul caso Dreyfus e il conferimento della Legion d’Onore, massima decorazione a cui ambiva da tempo. Non si piegò neppure di fronte ad una lusinga così allettante per la sua vanità!

Commenti Crépieux Jamin nel 1935, di fronte a questa “pouissante leqon des choises” scrisse : “Nessun affaire si presta meglio dell’affaire Dreyfus a giudicare lo stato attuale della perizia su scritture.Vi si vede commettere tutti gli errori, produrre tuttel le eccentricità e manifestarsi i più grandi delitti”. Nel 1901, in Italia si tenne il Congresso nazionale dei periti calligrafi come reazione allo scandaloso comportamento tenuto dai molti colleghi francesi nel corso del processo a Dreyfus. Il Prof. Salvatore Ottolenghi, fondatore della Scuola di Polizia Scientifica dichiarò che: “il gravissimo errore che commosse non solo la Francia tutto il mondo forse si sarebbe potuto evitare se si fosse fatto ricorso, sulla base di criteri extragrafici e cioè antropopsicologici allo studio e al confronto delel due personalità del sospettato falsario (Dreyfus) e del falsario (Esterhazy)”. Aurelio Valletta (Presidente della Società Italiana di Grafologia autore del libro Le famigerate Perizie Calligrafiche del Processo Dreyfus (1982) così si espresse:“Dopo quell’infame serie di processi indiziari e per evitare in futuro la possibilità di errori che ne furono la base, si sviluppò òa scienza comparatistica delle scritture, o “grafisitca” moderna, i cui più grandi esponenti furono Edmond Locare proprio in Francia e poi Albert Osborn negli USA”.

Il diario di Jack the Ripper Nel 1993 un altro sconvolgente documento: il diario di Jack lo Squartatore attira l’attenzione dell’opinione pubblica e degli addetti ai lavori. Esso è di proprietà di Michael Barret, operaio di Liverpool, portabandiera dell’organizzazione di ex militari British Legion: apparentemente un personaggio estraneo a qualsiasi tipo di operazione truffaldina. È stato scritto o no nel 1888 da James Maybrick, un commerciante di cotone scozzese che avrebbe commesso i delitti sotto l’influsso di droghe, o è il più sofisticato falso mai realizzato?

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Ancora oggi, periti grafologici, storici, esperti in inchiostri hanno pareri discordi sulla sua autenticità.

I pro • Stando alle dichiarazioni rilasciate da Michael Barret, gli fu regalato da un suo amico,Tony Devereux nel 1991, poco tempo prima che morisse per un attacco di cuore. A quanto sembra quest’ultimo, che svolgeva l’attività di elettricista, aveva eseguito agli inizi degli anni ‘90, per conto della sua ditta, alcuni lavori di adeguamento proprio all’interno della casa abitata da James Maybrick. • Lo psichiatra Dott. David Forshaw, Senior Registrar del Maudsley Hospital di Londra, con una vastissima competenza sulla psicopatologia degli assassini seriali, richiesto di pronunziarsi sul tipo di profilo del presunto autore del diario, non ha avuto difficoltà ad ammettere che esso avrebbe potuto essere scritto da Jack lo Squartatore. Soprattutto nelle pagine finali di esso emergerebbe “violentemente in superficie il profondo senso di inadeguatezza che era stato il vero ispiratore sia del suo modo di scrivere così provocatorio e vanaglorioso, sia dei delitti in sé. Mary Jane Kelly, con i suoi capelli rossi, prese il posto di Florie “la madre puttana” e, forse, di tutte le madri” (Shirley Harrison Il Diario di Jack lo Squartatore pag. 101). Nel diario il Dott. Forshaw non ha riscontrato elementi tali da indurlo a pensare che Jack lo Squartatore fosse stato affetto da una patologia mentale: “Non aveva allucinazioni. Il James Maybrick del diario era mentalmente disturbato, ma che lo squilibrio fosse sufficiente a diminuire il suo senso di responsabilità sociale è opinabile. Era pazzo o era cattivo?” • Le analisi condotte sui pigmenti di inchiostro (con microscopio elettronico e microsonda protonica) e sul tipo di carta del diario non hanno escluso la possibilità che entrambi potessero essere di epoca vittoriana. Il dott. Nicholas Eastaugh, scienziato specializzato nell’autenticazione di dipinti e di prodotti artistici ad inchiostro, che ha condotto gli esami anzidetti, è pervenuto anche ad un’altra significativa scoperta: la polvere nera trovata ai margini interni del diario sarebbe carbone animale purificato, meglio conosciuto nel XIX sec. come carbone di ossa. Secondo lo Squires Companion to the British Pharmacopoeia (1886), detta sostanza“ ha proprietà di antagonista contro gli effetti velenosi di morfina, stricnina, aconito..Questi alcaloidi si possono ingerire senza danno se mescolati nella dovuta proporzione con carbone animale purificato..” .

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James Maybrick morirà nel 1889 per sospetto avvelenamento di arsenico ad opera di suo moglie Florence (Florie) Chandler. Da quanto è stato possibile ricostruire della sua vita, egli aveva cominciato a fare uso di arsenico e stricnina nel 1874, all’età di 36 anni quando era a Norfolk, in Virginia, per curare la malaria, dopo aver il fallimento delle terapie a base di chinino. • Esaminando il caso sotto il profilo criminologico, James Maybrick aveva, senza dubbio, il movente (sapeva del tradimento della moglie col broker del cotone, Alfred Brierley), l’occasione (gli omicidi avvennero tutti nei fine settimana) e la copertura (a Londra Maybrick si recava per affari e per fare visita al fratello) giusti per compiere i quattro delitti di Whitechapel. Inoltre, conosceva bene il territorio visto che una sua vecchia amante, Sarah Robertson, abitava per l’appunto a Whitechapel. • Lo sconosciuto autore del diario sapeva che ad una delle vittime (Mary Jane Kelly) era stato asportato il cuore. In più pagine al suo nome vengono associate le parole “senza cuore, senza cuore”. Detto particolare è venuto alla luce solo nel 1987, quando venne pubblicato il rapporto dell’indagine di polizia condotta su quell’omicidio. All’epoca dei fatti non era noto a nessuno, tranne che agli inquirenti. • Nel diario si fa sovente riferimento ad una scatoletta di latta di fiammiferi vuota, ritrovata sul luogo in cui venne uccisa Catherine Eddowes, una delle vittime di Jack di Ripper. Questo particolare è indicato unicamente nell’inventario della polizia, contenuto nel fascicolo del medico legale che eseguì i rilevi del caso. Da allora e fino al 1987 (data di pubblicazione ufficiale del rapporto di polizia), non risulta che detto dettaglio sia mai comparso su pubblicazioni o articoli di giornale. • Su tre dei cinque luoghi su cui Jack the Ripper agì fu lasciata la lettera “M” (tale lettera appariva su un frammento di busta lasciato accanto al corpo della seconda vittima, Annie Chapman; era incisa sulle guance della quarta donna uccisa, Catherine Eddowes; infine, era scarabocchiata sul muro, probabilmente con il sangue, vicino a una F, nella stanza di Mary Jane Kelly, la quinta vittima di Jack lo Squartatore (si tratta dell’iniziale di Maybrick?). In due di questi casi la Polizia Metropolitana non le notò o rilevò, pur risultando evidenti. • Sulla cassa di un orologio d’oro da tasca (attualmente di proprietà di due fratelli di Liverpool) furono trovate incise la firma di J. Maybrick, le iniziali delle cinque prostitute uccise e la confessione: “Io sono Jack”. 32

• Tra gli oggetti abbandonati nel Charing Cross Hotel del West End di Londra nel mese di giugno del 1888 la Polizia rinvenne e sequestrò una borsa di un certo S.E. Mibrac contenente “svariati documenti, indumenti, libretti di assegni, pubblicazioni oscene, lettere”. La notizia fu riportata dal Globe il 10 ottobre di quello stesso anno. A quanto sembra vi erano contenuti altri indizi che facevano supporre che il proprietario compisse sovente viaggi in America (era J. Maybrick?)

I contro • L’interesse dei grafologi per stabilire l’autenticità del diario si è appuntato su due scritti: il testamento di Maybrick e la lettera detta “Dear Boss” datata 25 settembre 1888, firmata “Jack the Ripper” (in cui ci sono delle analogie linguistiche col diario: “roba rossa”, “divertenti giochetti” e il provocatorio “ah-ah”) i cui caratteri, a loro avviso, non sarebbero compatibili con quelli del diario. E’ bene però sottolineare in merito che gli studi condotti da Shirley Harrison portano ad ipotizzare che il testamento di che trattasi sarebbe apocrifo e lo scritto “Dear Boss” potrebbe essere stato autofalsificato dall’autore perché diretto alla polizia o alla pubblicazione sui giornali o addirittura scritto da un mitomane o addirittura da un favoreggiatore di Jack di Ripper (Gorge Davidson conoscente e confidente di J. Maybrick morì in circostanze sospette, ufficialmente suicida per annegamento, tre anni dopo la morte del presunto Jack lo Squartatore).

Gli altri sospettati Nel memorandum di sir Melville Macnaghten (di cui, per quanto si sappia, esistono tre versioni), divenuto nel 1890 vice capo dell’Ufficio investigativo criminale di Scotland Yard, si apprende che nel 1888 la Polizia aveva dei sospetti su tre individui: • Montagne John Druitt, figlio di un chirurgo, era un ex avvocato che svolgeva l’attività d’insegnante. Fu trovato morto nel Tamigi nel dicembre 1888 con le tasche piene di pietre. La morte risaliva a circa un mese prima. A dire dei suoi parenti, era una persona “sessualmente malata”. Gli inquirenti misero il suo suicidio in connessione con la morte dell’ultima prostituta Kelly. • Aaron Kominski. Era un misogino con tendenze omicide, il cui equilibrio mentale era stato minato da anni di “vizi solitari”. Nel 1891 era stato internato nell’Ospedale Pscichiatrico di Colney Hatch. 33

• Michael Ostrog. Ladro e truffatore. Era risaputa la sua crudeltà verso le donne. Soleva portare in tasca nei suoi vagabondaggi per le strade di Whitechapel strumenti chirurgici. La Polizia non riuscì mai a dimostrare il suo coinvolgimento nei delitti attribuiti a Jack di Ripper. Fu rinchiuso in manicomio tra il 1889 e il 1893. • Il principe Albert Victor, duca di Clarence, nipote della Regina Vittoria. La voce del suo coinvolgimento nei delitti di Jack the Ripper risale al 1970. In articolo apparso sul The Criminologist nel novembre di quell’anno l’autore, Dott. Thomas Stowell dichiarava di basare le sue conclusioni sui documenti del medico della Regina, sir William Gull (mai sottoposti a perizia e per giunta scomparsi), che asseriva di aver curato il principe malato di sifilide, morto poi per encefalomalacia. Da fonti ufficiali si sa solo che il principe all’epoca dei cinque delitti di prostitute del West End londinese era nel ritiro reale di Sandringham, a Norfolk in Scozia.

Il parere dei grafologi L’indagine grafologica sul diario di James Maybrick è stata affidata agli inizi degli anni ’90 alla Dott.ssa Anna Koren, direttrice del Centro Grafologico di Haifa (Israele), nonché perito legale del Ministero della Giustizia e dei servizi di assistenza sociale israeliani. Sulla personalità dell’autore del diario, quale risulta dalla scrittura, la Dott.ssa Koren ha vergato una relazione in cui vengono evidenziati: personalità instabile caratterizzata da senso di inferiorità; tendenza all’ipocondria e all’uso di droghe ed alcool, disturbi di natura psicotica e dell’identità con confusione riguardo alla sua identità sessuale; turbe psicologiche produttive di comportamenti illogici, ossessivi, distruttivi e aggressivi. Circa la lettera “Dear Boss”, datata 25 settembre1888, firmata Jack lo Squartatore al Daily News, il grafologo canadese C.M. Macleod in un articolo apparso sul Criminologist ha dichiarato quanto segue: “Se esistesse un solo autentico Jack lo Squartatore punterei sull’autore (della lettera “Dear Boss”. Dimostra una tremenda energia nella feroce inclinazione in avanti delle sua scrittura e grande furbizia nel celare le caratteristiche del suo segno.. Direi che ha abbastanza cervello e controllo di sé da sapersi mantenere un posto di lavoro fisso come copertura per i suoi crimini”. Alla polizia londinese arrivarono almeno duemila lettere con la firma Jack the Ripper, i cui autori erano senza dubbio mitomani o persone interessate (forse giornalisti) a tenere vivo l’interesse dell’opinione pubblica sul caso.

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Tra gli scritti che più verosimilmente sarebbero attribuibili a Jack lo Squartatore (oltre alla lettera “Dear Boss”) i periti calligrafici hanno concentrato l’attenzione su una cartolina scritta in pastello rosso, con timbro postale del 1^ ottobre 1888, diretta alla Central News (Agency) di Londra, in cui si faceva riferimento alle due prostitute uccise a meno di un’ora di distanza a Whitechapel nella notte tra il 29 e 30 settembre precedenti (cd. cartolina “Saucy Jacky”) ed un ritaglio di giornale su cui era stato vergato un messaggio di poche righe diretto al dottor William Sedgwick Saunders, patologo legale della City. Su entrambi, tuttavia, molti di essi hanno manifestato seri dubbi di autenticità. Il medico Thomas Dutton, che all’epoca dei cinque omicidi di prostitute abitava a Whitechapel, in tre libri di osservazioni manoscritte intitolato Chronicles of Crime eseguì centoventotto riproduzioni microfotografiche di campioni di scrittura di Jack lo Squartatore, concludendo che almeno trentaquattro di esse potevano essere state scritte dalla stessa mano, tra cui una curiosa filastrocca con strani assonanze con le annotazioni presenti nel presunto diario di Maybrick.

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BIBLIOGRAFIA •

Cesare Lombroso Grafologia Editore Enrico Hoepli Milano 1895;



Salvatore Ottolenghi Trattato di Polizia Scientifica Società Editrice Libraria Roma 1910 e 1931 - 2 voll.;



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N. Halasz, II capitano Dreyfus, Club degli editori, Milano 1974;



Matheis Dreyfus Dreyfus mio fratello Editori Riuniti Biografie, Roma, 1980;



Bruno Vettorazzo Grafologia Giudiziaria e perizia grafica Giuffrè Editore, Milano 1987;



Pacifico Cristofanelli Grafologia - dalla scrittura alla personalità Ed. Calderoni Bologna 1989;



Renato Perrella A cento anni dall'affaire: la vera storia del caso Dreyfus e deduzioni peritali pubblicato sul n. 84/1989 della rivista “Scrittura”;



Vincenzo Mastronardi Grafologia giudiziaria Giuffrè Editore, Milano 1990;



Shirley Harrison Il Diario di Jack lo Squartatore Sperling & Kupfer Editori Milano, 1994;



Paola Urbani Manuale di grafologia Tascabili Newton Roma, 1997;



Carlo Ginzburg Miti emblemi spie Piccola Biblioteca Einaudi Storia, Vicenza 2005.



Paolo Aricò Origini storiche ed evoluzione della perizia grafica – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dottorato di ricerca in Scienze Forensi - XX Ciclo 2006.

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INDICE I PARTE • Definizione

pag. 3

• Origini della Grafologia

pag. 4

• Grafologia moderna

pag. 6

• Grafologia contemporanea

pag. 8

a) Scuola francese

pag. 8

b) Scuola tedesca

pag. 10

c) Scuola svizzera

pag. 11

d) Scuola inglese

pag. 12

e) Scuola italiana

pag. 12

• Storia e analisi grafologica

pag. 14

II PARTE • All’origine del falso

pag. 17

• Un falso tira l’altro

pag. 20

a) diari di Mussolini

pag. 21

b) diari di Hitler

pag. 21

• L’indagine grafica

pag. 22

III PARTE • Il caso Dreyfus

pag. 26

a) I fatti

pag. 26

b) Errori commessi

pag. 27

c) Commenti

pag. 30

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• Il diario di Jack lo Squartatore

pag. 30

a) I pro

pag. 31

b) I contro

pag. 33

c) Gli altri sospettati

pag. 33

d) Il parere dei grafologi

pag. 34

• Bibliografia

pag. 36

• Indice

pag. 37

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