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Italian Pages 437 Year 2002
Biblioteca Adelphi 433 Tommaso Landolfi
GOGOL' A ROMA
Basta leggere che i versi giovanili di R i m b a u d s o n o minati da «negligenza e g o f f a g g i n e » ; che per penetrare la grandezza di Tolstoj bisogna p r o c e d e r e oltre «quella cocciutaggine nel voler salvare la propria a n i m a e se n e avanza l'altrui»; che VInnominabile d\ Beckett, se p u ò sembrare eccezionale ai profani, rischia di far «sorridere familiarmente lo psichiatra»; bastano ins o m m a queste p o c h e sequenze di apparente irriverenza blasfema per capire che n o n siamo di f r o n t e a u n critico di routine o a un cauto professore. Ci troviamo, infatti, in quella particolare r e g i o n e della geografia letteraria c o m p o s t a dagli articoli di T o m m a s o Landolfi: quella regione, cioè, in cui lo scrittore più elusivo e idiosincratico del nostro N o v e c e n t o rivela l'altra faccia del p r o p r i o understatementnella radicalità tipica di chi si ostina a credere, dietro la maschera dell'ironia, «che la letteratura sia una cosa seria». E in n o m e di una acuta tensione conoscitiva e n o n solo p e r p u r o spirito di provocazione che questi veri microsaggi p r o c e d o n o spesso c o n t r o m a n o rispetto alle quiete certezze della vulgata. M a L a n d o l f i è illum i n a n t e a n c h e laddove la sua analisi n o n p r o d u c a ribaltamenti eversivi: c o m e nei casi di V a n G o g h , di Proust o del G o g o l ' a Rom a c h e dà il titolo alla raccolta, « p e r e n n e forestiero» la cui estraneità di viaggiatore allude a u n a più vasta estraneità esistenziale. O c o m e q u a n d o si c o n c e d e f u l m i n e i scarti dai massimi sistemi - regalandoci così riflessioni spregiudicate e antiaccademiche sulla filologia di u n ' e d i z i o n e , sulla traduzione, sui limiti di o g n i teoria della letteratura - e aperture a temi extraletterari quali la metafisica della roulette e il caos deterministico, la civiltà cibernetica e l'intelligenza degli animali.
«Non siamo del parere che tutto sin ani missibile in letteratura, e che questa possa essere il campo dei più capotici espei i menti; al contrario, ci sembra che alcune cose siano alla letteratura peculiari quanto necessarie, per non dir altro l'espressione, e non già appena (seppure) l'esigenza di essa. La letteratura, per esempio, non può avere la funzione di acquaio delle angosce, vere o false; le quali se mai (persin ci vergognamo di doversi riferire a una nozione tanto elementare) hanno da essere perfettamente dominate prima di passare sulla pagina. E, per dirla in breve, noi ci ostiniamo a credere, magari a ritroso degli anni e dei fati, che la letteratura sia una cosa seria».
Le opere e le traduzioni di Tommaso Landolfì sono in corso di pubblicazione presso Adelphi; nel 2001 sono apparsi la versione di Poemi e liriche di Puskin, Le più belle pagine scelte da Italo Calvino e La spada. Pubblicato per la prima volta nel 1971, Gogol' a Roma raduna testi usciti sul «Mondo» fra il novembre 1953 e il marzo 1958.
In copertina: Vladimir Vasil'evic Lebedev, Vetturino (1925 ca). Collezione privata. © V L A D I M I R V A S I L ' E V I C LEBEDEV b y SIAE 2002
BIBLIOTECA
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ADELPHI
DELLO STESSO A U T O R E :
Cancroregina Dialogo dei massimi sistemi Il Mar delle Blatte e altre storie LA BIERE DU PECHEUR
La pietra lunare La spada Le due zittelle Le labrene iù belle pagine scelte da Italo Calvino Ombre Ottavio di Saint-Vincent Racconto d'autunno Rien va Tre racconti Un amore del nostro tempo
Tommaso Landolfi
GOGOL' A ROMA
A D E L P H I EDIZIONI
© 2 0 0 2 A D E L P H I E D I Z I O N I S.P.A. M I L A N O WWW.ADELPHI.IT ISBN 88-459-1735-5
INDICE
Il caso Beckett Journal di Tat'jana Storia di un amore Un ritratto di Puskin Il Marchese malfamato Fiabe russe Il Diavolo di Papini I giochi del caso Un Russo in Europa II traduttore errante Un antico canto epico La dolcezza di Van Gogh Il segreto del grand'uomo Mallarmé sotterraneo Il sedentario Giulio Verne Biografia di Olimpio Tre dilemmi di Solov'ev L'inquieto Camus
13 18 23 28 32 37 42 47 52 57 62 66 71 76 81 87 92 98
La poesia involontaria Gli ultimi anni L'amore per Lidia La civiltà dei robot Vienna, Venezia e Sahalin Breviario tolstoiano Intelligenza degli animali Perfezione e viltà La lezione di Proust Più forte del «Milione» Un'orgia di realtà Le fiabe di Andersen Il Parnaso russo Strategia di Proust Il confessionale dijulien Green Il mistero di Cechov I Goncourt senza follia La Saffo lionese II caparbio Tolstoj L'impaziente Rimbaud I cento anni di Nerval II carteggio Gide-Valéry Novantatré lettere Dissezione di Balzac Un letterato in tribunale Le donne di Dostoevskij La farfallina di Baudelaire La trinità di Claudel Un invito a Dumas Il sottosuolo di Léautaud I verdi paradisi L'altra stella di Poe
103 108 117 129 134 144 149 154 159 164 169 174 179 184 189 194 199 204 209 214 219 225 230 235 240 245 250 255 260 265 270 275
Gli amori di Oriente De Vigny poeta e zelatore Le poesie di Minou Ehrenburg e Nekrasov La seconda Sagan Il lunatico di Bergerac Carnet veneziano Saturno e il Sole Una chiave per Stendhal La caduta di Camus Gli amanti di Venezia Un matrimonio calunniato Una vita di d'Annunzio Stendhal in diligenza Gli amici di Montmartre La difesa degli elefanti Briganti cinesi Il soldato Tamura L'inquisitore biografico Il nulla di Mallarmé Le briciole di Goethe Il poeta in fuga Gogol* a Roma La ventenne disperata Pasternak col batticuore Tra scirocco e libeccio Il romanzo di Pasternak L'alacre presidente Commento alla Fedra
280 285 290 295 300 305 310 315 320 325 330 335 340 345 350 355 360 365 370 375 380 385 390 395 400 405 410 415 420
Indice dei nomi e delle opere
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Cronologia delle opere di Tommaso Landolfi
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GOGOL' A ROMA
IL CASO BECKETT
Ci sono libri noiosi, illeggibili, svagati, farneticanti, incresciosi, massacranti, e ciascuno, specie col vento che tira, ne ha qualche esperienza: confessiamo di non esserci fin qui imbattuti in uno come questo di cui si vorrebbe ora parlare; uno che ponga a più dura prova la buona volontà, la resistenza al tedio, l'equilibrio nervoso, o qualsivoglia altra qualità del recensore onesto. Osserviamo peraltro che qualcosa di turpe deve essere contenuto nel mestiere stesso di costui, se da certe letture non altro senso si cava che quello di una propria turpitudine, se insomma ci si vergogna di averle fatte. Dal qual preambolo il lettore resti a buon conto avvertito che questa non è una recensione vera e propria: il nostro discorso riguarderà se mai la morale letteraria, d o p o aver toccato di psicologia, o meglio ancora di patologia. Udendo, dunque, lodare Samuel Beckett da molti sopracciò della critica francese, abbiamo voluto mettere il naso nella sua ultima fatica, per titolo L'Innommable (Parigi, Editions de Minuit). Ed ecco che cosa abbiamo trovato in apertura: 13
« Où maintenant? Quand maintenant? Qui maintenant? Sans me le demander. Dire je. Sans le penser. Appeler ça des questions, des hypothèses. Aller de l'avant, appeler ça aller, appeler ça de l'avant. Se peut-il qu'un jour, premier pas va, j ' y sois simplement resté, où, au lieu de sortir, selon une vieille habitude, passer j o u r et nuit aussi loin que possible de chez moi, ce n'était pas loin». Ottimo attacco, se si vuole: profondato in una tenebra condillacchiana, l'Autore par voglia fare attorno a sé la terra bruciata, per poi costruirvi, sia pur faticosamente, il suo mondo, eccetera eccetera. Ma il vero fatto è che, con vaghe coloriture kafkiane, joyciane (e non so quale altro nome abbiano pertinentemente prodotto i nominati sopracciò), egli tira avanti a questa e medesima maniera per duecentosessantadue pagine, non dando un respiro, nonché al lettore, neppure al tipografo; duecentosessantadue pagine, si dice, di scrittura pinata e senza un solo a capo - fatto che di per sé potrebbe dimostrare qualcosa, e ad ogni m o d o basta a disgustare il lettore più attempato, o più snob. Tira avanti fino alle ultime pagine, ove è sistemato un tal period o che volentieri citeremmo per intero, non fosse per le sue dimensioni addirittura cusaniane (ma senza altro, ahimè, di questo grande filosofo), del quale però vale la pena di citare almeno un'infinitesima parte: « ...Je ne fais qu'entendre, sans comprendre, sans pouvoir profiter de ce que j'entends, pour m'en aller, pour n'avoir plus à entendre, j e n'entends pas tout, ça doit être ça, les choses importantes j e ne les entends pas, ce n'est pas mon tour, les indications topographiques et anatomiques notamment ne parviennent pas jusqu'à moi, si, j'entends tout, j'ai du entendre tout, qu'est que ça peut faire, du moment que ce n'est pas mon tour, mon tour de comprendre, mon tour de vivre, mon tour de vie, elle appel14
le ça vivre, l'espace du chemin d'ici la porte, tout est là, dans ce que j'entends, quelque part, si tout est dit, depuis le temps, tout doit être dit, mais ce n'est pas mon tour de savoir quoi, de savoir qui j e suis, où j e suis, et comment faire pour ne plus l'être, ne plus y être, ça se tient, pour être un autre, non, le même, j e ne sais pas, m'en aller en vie, faire le chemin, trouver la porte, trouver la hache, c'est peut-être une corde, pour le cou, pour la gorge, pour les cordes, où des doigts, j'aurai des yeux, j e verrai des doigts, ce sera le silence, c'est peut-être une chute, trouver la porte, ouvrir la porte, tomber, dans le silence, ce ne sera pas moi, j e resterai ici, ou là, plutôt là, ce ne sera jamais moi...». Questo singhiozzo potrebbe continuare a volontà. E qui parliamoci chiaramente. Il caso del Beckett, abbiamo detto, è unico più che raro, anche se alcune tendenze della letteratura contemporanea avevano già di lunga mano preparato la generazione di un tal mostriciattolo (così, non è difficile riconoscere nella scrittura la tecnica, follemente esasperata, del m o n o l o g o interiore). Di che cosa invero l'Autore blateri, o soltanto in che termini blateri di siffatto suo nulla, a noi almeno non è stato concesso intendere; invano abbiamo cercato tra tante migliaia di parole qualcosa che ci illuminasse, se non sulle sue intenzioni, sul suo argomento medesimo. Constatazione che sembra dar di naso contro un'impossibilità materiale: è dunque possibile allinear parole a non finire senza dir positivamente nulla? Il Beckett vuol convincersi che è possibile. Ma forse una spiegazione c'è, e magari la più semplice: ciò che a noi profani pare eccezionale farebbe forse sorridere familiarmente lo psichiatra. E infatti ben vero che molti scritti di pazzi si mostrano, appetto a questa proprio innominabile roba, di gran lunga più stringati; ma è anche vero che una particolar sorte di mentecatti riesce talvolta a realizzare 15
quanto a chiunque abbia un p o ' di sale in zucca sembra appunto un'assurdità. Epperò i termini di cui i francesi, tra i quali, già fin troppo disposti a simili estremità, il Beckett è venuto ad acclimatare la propria nordica e gloriosa testa, i termini di cui i francesi largamente dispongono per designare le medesime, come sarebbero radotage o verbiage o non so quale altro, si rivelano ancora leggeri, e bisognerà ricorrere a quello inequivocabile di « verbigerazione». In favore di una tale interpretazione patologica starebbe il fatto che da questo scritto, comunque lo si voglia definire, traspare (né sapremmo davvero dire in qual misterioso m o d o ) una certa forza, almeno potenziale, di scrittore, nonché un'adeguata preparazione. Ma ciò daccapo aggrava le cose. E, infine, eccoci al nostro vero discorso. Sarà una facile domanda, e una facile vendetta, ma come mai, se egli stesso afferma con tanto accanimento e tanta apparente sincerità che non è ancora il suo turno di capire e di vivere, il Beckett non ha taciuto del tutto, o non lo hanno fatto almeno i suoi editori, o alle brutte i suoi critici? Dio mio, s'intende (e lo abbiamo già accennato) che di questo libro non sarebbe impossibile, con molta industria e fatica, ponendolo in relazione coi due o tre precedenti del Nostro, inserendolo in taluna delle ultime e lotolente correnti, combinare una spiegazione propriamente letteraria. Ma, a parte che la forza e la pazienza non ci basterebbero, per conto nostro ci rifiutiamo di farlo. E perché poi calunniarci? Non la forza o la pazienza ci farebbero difetto, sibbene la malafede. Non siamo del parere che tutto sia ammissibile in letteratura, e che questa possa essere il campo dei più capotici esperimenti; al contrario, ci sembra che alcune cose siano alla letteratura peculiari quanto necessarie, per non dir altro l'espressione, e non già appena (seppure) l'esigenza di essa. 16
La letteratura, per esempio, non può avere la funzione di acquaio delle angosce, vere o false; le quali se mai (persin ci vergognamo di doversi riferire a una nozione tanto elementare) hanno da essere perfettamente dominate prima di passare sulla pagina. E, per dirla in breve, noi ci ostiniamo a credere, magari a ritroso degli anni e dei fati, che la letteratura sia una cosa seria. 10 novembre 1953
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JOURNAL DI TATJANA
Verso il 1880 Tolstoj, rinnegata in certo senso la sua trascorsa attività letteraria, aveva ormai maturato quel complesso di concepimenti, di idee, o (come forse troppo pomposamente furon chiamate) di dottrine, morali, etiche, sociali, che vanno sotto il nome di tolstoismo e di cui sarebbe davvero superfluo dar qui notizia partita. Religione addirittura, per alcuni, per altri letteratura e magari ipocrisia, la verità è che esse contenevano nondimeno, al pari di tutto quanto deriva da una profonda rivoluzione interiore o si dica da un progresso morale, qualcosa di velleitario; ad ogni m o d o il loro consolidamento, e la loro affermazione, non andavano scompagnati da fiere doglie di coscienza, e non solo di coscienza. Sicché, se a quei primi lo scrittore apparve in tale periodo nel pieno possesso e nel pieno splendore del suo genio, se a quei secondi offuscato da preoccupazioni al suo genio non connaturali, resta, fatta oggi giustizia delle calunnie e resane alla sua sincerità, che non mai la sua figura si mostrò più viva né la sua opera più feconda di insegnamenti, anche letterari. 18
Il diario della prima figlia di Tolstoj, Tat'jana, che ora esce in francese (Journal, Plon, Parigi, 1953, con prefazione di André Maurois) copre appunto gli ultimi trent'anni della vita dello Scrittore. Ma, diciamolo subito, il lettore il quale vi cercasse quanto si suole cercare in libri del genere, non potrebbe che restare deluso: questo diario non fornisce notizie o curiosità inedite, né tanto meno nuove dimensioni per l'interpretazione dell'opera tolstoiana. E bensì vero che neppure si propone un tale scopo; anzi, tutti i dati di fatto vi son presupposti, tantoché chi non abbia una certa dimestichezza colla biografia di Tolstoj rischierà in molti casi di non capir nulla - e basti in proposito citare la seguente breve notazione: «(Il 7 novembre 1910 [calendario gregoriano] papà è morto ad Astaporo)». (La Tat'jana, che fra parentesi visse lungamente tra noi, ha però scritto altrove sulla morte di suo padre). In sostanza, l'Autrice redasse un diario strettamente personale, cominciato sui suoi quattordici anni e seguitato con vaste lacune fino al 1919, e non vi parla che di se stessa. In che senso dunque questo può riuscire, quale è, lettura non solo in sé interessante, ma utile al tolstoista? Nel senso più remoto e indiretto, evidentemente, eppure al tempo stesso più fertile, secondo cercheremo di determinare. E proprio attraverso un tale abbandono e una tale assenza di appigli cronachistici, che l'Autrice giunge a trasmetterci una rappresentazione comunque valida del suo grande padre. Se questi è qui veduto assai di scancio, la sua presenza calda e vivificante non cessa di informare la menoma riflessione della giovinetta, prima (da quando, rapidamente esaurita la naturai frivolezza, è arrivata all'età della ragione), della donna fatta poi, e la stessa vita esteriore di lei. Giacché l'influenza esercitata da Tolstoj sulla maggior parte almeno dei suoi tredici figli, sebbene non ottenuta con atti di imperio, fu senza 19
dubbio profonda e benefica; ecco quanto scrive per conto suo la Tat'jana diciannovenne: « Come mai ci si diverte sempre con papà, mentre non abbiamo contatti diretti con lui? Rimpiango infinitamente di parlare con lui così poco, poiché, quando ciò avviene, tutto si illumina e io so allora con certezza quello che è buono o cattivo, quello che è importante o insignificante nella vita » - e si troveranno altrove altre, coscienti e calorose, dichiarazioni di un amore assai più che filiale. Ora, questo diario, e ciò soprattutto gli attribuisce pregio, è addirittura come l'immagine speculare delle varie preoccupazioni o, si diceva, doglie di coscienza che agitavano Tolstoj in quegli anni, dove da specchio fanno una sensibile anima e un'intelligenza di donna, sempre volte al proprio miglioramento. Una tal sorta di trasposizione in chiave femminile è anzi, sovente, più precisa di quanto non si possa credere, e sovente rispetta fin la dialettica interiore di quei dissidi (e pratici contrasti). Si veda ad esempio questa bella nota, illuminante anche di una certa situazione più o men consapevole di Tolstoj: «... In questi sogni si confond o n o e si o p p o n g o n o due desideri: vivere per me stessa e vivere per gli altri. Devo dire che quest'ultim o desiderio è tutto intellettuale, e io conto sull'abitudine per stabilirlo profondamente in m e » . O, più modestamente (e, di nuovo, con possibile riferimento anche a difficoltà familiari di Tolstoj): «Cercherò daccapo di diventare vegetariana. H o cominciato tre giorni fa, ma cercando di nasconderlo alla mamma che si arrabbierebbe, tanto più che, ancora una volta, forse, non lo sopporterò, che rischio di cadere ammalata e che dovrò ricominciare a mangiar carne». Così come, per restare a codeste relazioni tra Tolstoj e sua moglie, il seguente passaggio è probabile rispecchi fedelmente i sentimenti e il giudizio di lui: « Quale strana unione formano questi due esseri! Si possono trovare due persone tanto 20
dissimili e tuttavia tanto fortemente legate l'una all'altra? Nei suoi migliori momenti, quando vuol seguire papà e si sforza di rendere i suoi pensieri e le sue opinioni, la mamma mi stupisce; come lo capisce male, come l'idea che si fa delle convinzioni di papà è lontana dal vero! Nelle mie ore di cattiveria, mi sdegno con lei; ma è assurdo e crudele». Del resto corrispondenze ancor più letterali si divertirà a ricercare il lettore. Nel diario passano, è vero, anche parole originali di Tolstoj, che seppure abbiano prima o poi acquistato nella sua opera più ferma risonanza, serbano qui l'immediatezza e l'emozione dei detti colti sul momento. Quali questa letterina: « H o voglia di scriverti, Tanja, che scioccamente ti inquieti. Quando la disposizione d'animo è buona, tutto nel m o n d o è buono. Ebbene, cerchiamo di arrivarci. Per me, mi ci applico: fa' la stessa cosa. E tutto andrà bene. Bacio teneramente i tuoi capelli grigi - L.T. ». O l'altra a Il'ja che si appresta a sposarsi; la quale comincia coli'affermare che «un matrimonio contratto nella speranza di menare una vita più piacevole è votato al fallimento», per riuscire a questa formulazione veramente definitiva e universale: « N o n basta capire, bisogna anche applicare questa verità nella vita, poiché fino a quando non si agisca secondo le proprie credenze non si sa nemmeno se si creda davvero». (E ben p o c o importa che Tolstoj medesimo abbia, come tutti sanno, seguito tanto incertamente il suo detto). Si potrà inoltre trovare qui qualche giudizio su personaggi della corte tolstoiana che non mancherà di interessare il biografo; come quello assai reciso sul prepotente Certkov, discepolo ed esecutore letterario di Tolstoj d o p o la sua morte. Peraltro, vorremmo a proposito di questo diario richiamarci da ultimo al possibile valore indipendente di libri siffatti, che cioè si pongano sotto l'ala 21
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di un i w i i r i « nompj valore c h e »e è necensariamenIc dc