Kierkegaard e Pascal
 8842524468, 9788842524465 [PDF]

  • 0 0 0
  • Gefällt Ihnen dieses papier und der download? Sie können Ihre eigene PDF-Datei in wenigen Minuten kostenlos online veröffentlichen! Anmelden
Datei wird geladen, bitte warten...
Zitiervorschau

Luigi Pareyson

KIERKEGAARD E PASCAL

MURS A

Tre i testi qui raccolti: Lletica di Kierkegaard nella prima fase del suo pensiero (1965), Llelica di Kierkegaard nella «Postilla» e Lfetica di Pascal (1966). Si tratta di dispense universitarie, non più ristampate. Per quanto il loro carattere sia prevalentemente espositivo, in esse Pareyson delinea un'originale interpretazione di Kierkegaard e di Pascal. I quali ven-

gono presentati come i pensatori che hanno proposto in tutta la sua persistente attualita il problema filosofico del cristianesimo. Ossia il problema che, sullo sfondo della dissoluzione del razionalismo metafi-

sico, ha riportato in primo piano i contenuti del messaggio cristiano costringendo a una presa di posizione chiunque voglia accogliere criticamente la sfida che ne deriva per l'uomo contemporaneo. Con questo volume, perciò, non si e inteso ricostruire artificialmente un libro postumo che l'autore non

aveva progettato. Piuttosto, la scelta è stata quella di riunire sul piano editoriale opere originariamente concepite come saldamente legate fra loro sul piano speculativo.

Luigi Pareyson OPERE COMPLETE

a cura del Centro Studi Filosofico-religiosi Luigi Pareyson jaspers Studi sull 'esistenzialismo

Iniziativa e liberta Esistenza e persona Ficbte

9°.\'0\E“:*>“.-EVE-`

9. 10 11 12

13 14 15

16

Estetica Estetica dell `idealismo tedesco I Estetica dell ”ia'ealismo tedesco II Estetica dell 'idealismo tedesco III Problemi dell 'estetica I Problemi dell 'estetica II Problemi delllestetica III Kierkegaard e Pascal Interpretazione e storia Verita e interpretazione Prospettive difilosofia contemporanea I Prospettive difilosofia contemporanea II Dostoevskij'

17 18 19 Essere liberta ambiguità 20. Ontologia della liberta

LUIGI PAREYSON

OPERE COMPLETE Comitato edz't0ríale.' Giuseppe Ríconda, Gz'oz1annz'Ferrettz; Claudio Ciancio e Francesco Tomatzk

CENTRO STUDI FILOSOFICO-RELIGIOSI LUIGI PAREYSON

Luigi Pareyson

KIERKEGAARD E PASCAL a cum dz' Sergio Givone

MURSIA

Il nostro indirizzo Internet è: http://www.mursia.com © Copyright 1998 Gruppo Ugo Mursia Editore S.p.A. Proprietà letteraria riservata - Printed in Italy 4921/AC - Gruppo Ugo Mursia Editore S.p.A. - Via Tadino, 29 - Milano Stampato dal Consorzio Artigiano «L.V.G.›› - Azzate (Varese)

Anno 01009998

Ristampa 1234

AVVERTENZA

I tre testi raccolti' in questo volume sono apparsi in anni diversi. Nel 1965 L'etica di Kierkegaard nella prima fase del suo pensiero, nel 1966 L'etica di Pascal e nel 1971 L'etica di Kierkegaard nella «Postilla››. Preparati come sussidi didattici per gli studenti; essi nondimeno presentano un'interpretazione originale degliautori presi in esame. E poiché questa interpretazione, come si è cercato di indicare nelle Premesse, implica e suggerisce c/ae Pascal e Kierkegaard, secondo quello c/ae del resto era un punto fermo della storiografia esistenziali'stica, non solo si richiamano idealmente ma possono e anzi devono essere letti insieme, abbiamo ritenuto di riunire in un unico tomo sia i due scritti kierkegaardiani sia quello pascaliano. Nessuna intenzione, quindi; di ricostruire artificialmente un libro postumo c/oe l'aut0re non aveva progettato in questa forma. Semplicemente, questa vuol essere una ponderata decisione editoriale c/Je tien conto di una doppia opportunità: quella di accostare opere profondamente simili e quella di evidenziare una precisa intenzione ermeneutica dell'autore In ogni caso i tre testi vengono presentati nella loro autonomia, cosi come a suo tempo licenziati per la stampa.

SERGIO GIVONE

5

KIERKEGAARD

PREMESSA

A Kierkegaard Luigi Pareyson dedicò due corsi universitari, nel 1964-65 e nel 1970-71, rispettivamente intitolati L'etica di Kierkegaard nella prima fase del suo pensiero e L'etz'ca di Kierkegaard nella «Postilla». Erano corsi di Filosofia morale, disciplina da lui tenuta per incarico dopo essere succeduto ad Augusto Guzzo sulla cattedra di filosofia teoretica della torinese Facoltà di Lettere nel 1964, e quindi, come allora usava nell'ambito della «morale» a differenza che della . Ecco insomma qual è il risultato: «se nelle avversità esteriori l'amore può conservarsi intatto, e lo può, allora anche il carattere estetico viene conservato, perché ciò che v'è di estetico nel matrimonio è l`amore stesso››. Tutte le altre difficoltà, cioè le difficoltà interiori, sono facilmente superabili, perché le altre obiezioni contro il matrimonio derivano da qualche malinteso sull'importanza del tempo e sulla storicità del matrimonio. Si allega per esempio, come obiezione contro il matrimonio, ch'esso è un'abitudine e un dovere; ma è appunto su questo punto che si addensano gli equivoci che non tengono conto della storicità del matrimonio. Si dice anzitutto che il matrimonio è logorato dall'abitudine. Si dipinge la vita coniugale come insidiata dall'inevitabile abitudine, dalla orribile monotonia, dall'eterna routine, dalla noia, da quell'inquietante natura morta, che non è più la sana e vigorosa natura, ma una seconda natura. Si descrive con avvincente calore e con tenera melanconia il felice periodo delle scoperte, delle sorprese e della rivelazione reciproca, e si descrive con angoscia e spavento il periodo in cui tutto ciò è finito, e subentra la monotonia coniugale, che non avrebbe rispondenza in natura, perché, come dice Leibniz, nella natura non c'è nulla di uniforme, e la monotonia non è riservata che alle creature ragionevoli, come prodotto o della loro sonnolenza o del loro pedantismo. Kierkegaard non discute la bellezza del primo periodo di inquiete scoperte, di inebrianti rivelazioni e di struggenti sorprese quali sogliono accadere nell'amore nascente, e che ne costituiscono l'insostituibile e eternamente indimenticabile fascino; e anzi ne fa una descrizione quanto mai delicata e suggestiva, quale soltanto la sua penna, così esperta nelle più sottili finezze psicologiche, sa offrire con tanta ricchezza e con tanta efficacia. Ma egli soggiunge che per quanto bello e indimenticabile sia quel periodo, «ciò non significa per nulla che quanto seguirà non sarà altrettanto bello››: anche la vita coniugale è bella come il tenero e felice periodo dell'amore nascente. Kierkegaard fa anzitutto tre osservazioni preliminari che dovrebbero sgom39

KIERKEGAARD E PASCAL

brare il campo dagli elementi inessenziali: in primo luogo abitudine in senso deteriore c'è soltanto nel male, perché dove c`è il bene c'è libertà: «non si può fare il bene senza libertà, né si può permanere nel bene senza libertà, ed è per questo che non si può mai parlare di abitudine là dove si tratta del bene››, come nel matrimonio; in secondo luogo la monotonia non è di per sé antiestetica, perché «ciò ch'è monotono potrebbe benissimo essere l'espressione di qualcosa di bello»; in terzo luogo se davvero nella vita coniugale c'è monotonia nel senso deteriore del termine, è chiaro che il compito è appunto di vincerla, traendone i mezzi dalle inesauribili risorse dell'amore. Ma l'errore consiste nel giudicare troppo astrattamente. Si considera da un lato l'estrema concentrazione dell'amore infinito in un istante e dall'altro la lunga durata del matrimonio, e si trova una discordanza inquietante: ciò è dovuto all'assenza di considerazione storica, cioè all'incomprensione della storicità del matrimonio: si dimentica «il significato del tempo, e che la sorte dell`umanità è di vivere nel tempo». Con ciò la questione è risolta e la risposta è data: è chiaro che quello del gaudente ironista che compiange la noia in cui vivono gli sposi è un equivoco, perché egli scambia per abitudine, noia, monotonia, routine, aridità, quella che invece è durata, continuità, perseveranza, sviluppo, storia, cioè sintesi di tempo e di eternità, svolgimento dell'eternità nel tempo, immersione dell'intemporale nel temporale, persistenza dell'infinito nel finito. Ma Kierkegaard non si ferma qui, e analizza più a fondo la questione. La differenza fra il primo amore che si conclude in sé e l'amore che si conclude e continua nel matrimonio è la differenza fra il conquistare e il possedere. Ora conquistare è facile, ciò che è difficile è possedere, tant'è vero che ci sono molte più nature conquistanti che nature possidenti. «La vera arte è quella che prende in genere il cammino opposto a quello della natura senza perciò distruggere la natura stessa: ecco perché la vera arte si manifesta per la sua capacità di possedere, non di conquistare; perché il possesso è una sorta di conquista all'indietro». Se ben si guarda, è solo colui che possiede quello che conquista veramente. Non bisogna pensare a un possesso esteriore: ci vuole il processo dell'appropriazione e dell'assimilazione, e questo è vero e proprio possesso, cioè più che conquista. «Se per esempio un conquistatore sottomette regni e paesi, egli possiede sì queste province sottomesse, avrebbe dei grandi possessi, ma questo principe bisognerebbe chiamarlo conquistatore, non veramente possessore. E solo governando con saggezza quei paesi in vista del loro bene ch'egli li possederebbe››. Diverse sono le virtù del conquistatore dalle virtù del possessore: le virtù del conquistatore sono la fierezza e l'orgoglio, la forza e la violenza, l'avidità e il desiderio di conquista, mentre le virtù del possessore sono l”umiltà e la dedizione, la pazienza e llumanità, il consenso ch”egli sa destare intorno a sé e sul suo operato. Alle nature conquistanti manca l'umiltà, il senso religioso, la vera umanità che sono necessarie per possedere; ed è soprattutto l”elemento religioso che, tanto nel governo dei paesi quanto nel matrimonio, detronizza il conquistatore e fa comparire il possessore. Ora, ciò che importa notare è che il matrimonio mira al possesso eterno, e che il pos40

IL MATRIMONIO COME SIMBOLO DELLA VITA ETICA

sesso è più grande e più completo della conquista. La conquista è incompleta, monca, illogica se non si conclude nel possesso, ed è il possesso che detiene la vera grandezza. «La vera grandezza non si trova nella conquista, ma nel possesso... E non solamente il possesso è più grande della conquista, ma solo il possesso è logico, non la conquista: il possesso è insieme premessa e conclusione, mentre invece la conquista è solo premessa››. Inoltre non bisogna confondere nell'esteticità la rappresentazione e la vita. Può essere più bella, sulla scena, la rappresentazione dell'amore romantico; ma certo è più bello in sé, nella vita, liamore coniugale. Nella vita individuale ci sono due specie di storia: la storia esterna e la storia interna: la storia esterna è quella della conquista, che finisce col possesso, mentre la storia interna è quella del possesso, che comincia col possesso stesso. Nella prima l'individuo non ha ciò a cui aspira, e lotta per conquistarlo: la storia è appunto la storia di questa lotta. Nella seconda l'individuo possiede, e la storia è la riconferma quotidiana e costante di questo possesso. Di qui appare che il conquistatore è fuori di sé stesso, perché ha fuori di sé ciò a cui aspira e per cui combatte, mentre il possessore è in sé stesso, perché ha già il suo proprio possesso: ed è per questo che il primo ha una storia esterna mentre il secondo ha una storia interna. Nel primo caso l”individualità è ancora chiusa in sé stessa, non è ancora aperta; mentre invece nel secondo caso l'individualità è già nata, è dischiusa, è aperta. Ora la storia esterna è concentrabile artisticamente e poeticamente nell'intensità dell'istante, ed è per questo che sulla scena può esser più bella la rappresentazione della conquista; invece la storia interna è un divenire continuo, che dura nella successione perseverante degli istanti, ed è per questo che nella vita è più estetica la storia interna, che si scandisce proprio col ritmo della vita quotidiana. La storia esterna si affretta verso il possesso: in essa tutta la successione storica ha meno importanza, perché ciò che massimamente importa è il momento culminante della conquista. Deriva di qui la maggiore concentrabilità artistica e poetica della storia esterna. «Il cammino della storia è, come quello della giustizia, lungo e penoso. L'arte e la poesia intervengono, ed accorciano il cammino per noi, e ci rallegrano nel momento del compimento: esse concentrano ciò che è estensivo in ciò che è intensivo››. Ma nella storia interna ogni menomo istante ha un'importanza suprema: infatti soltanto la storia interna è la vera storia, ma la vera storia lotta con quello Chlè il principio di vita nella storia, cioè lotta col tempo, e quando si lotta col tempo, il temporale e ogni piccolo istante hanno, proprio per questo, la loro realtà consistente e un'importanza decisiva. La storia interna non si lascia dunque concentrare facilmente nell'istante: la sua estensione non si presta a una concentrazione intensiva. «Dato che la storia esterna si lascia sempre concentrare senza danno, è naturale che l'arte e la poesia la preferiscono, e che quindi scelgano la rappresentazione della personalità non ancora aperta, e tutto quanto le appartiene». Invece è difficile rappresentare artisticamente la successione nell”istante, il divenire continuo, la persistenza nella storia, la quotidianità nella vita che continua. Per esempio la 41

KIERKEGAARD E PASCAL

fierezza si lascia rappresentare benissimo, «perché l'essenziale della fierezza non è la successione nell'istante, ma l”intensità nell'istante». Invece liumiltà si lascia difficilmente rappresentare, proprio perché essa è una successione. «Mentre nel caso della fierezza l'osservatore la vuol vedere nel suo stato culminante, invece nel caso dell'umiltà chiede infondo ciò che né la poesia né l”arte possono dare, cioè chiede di vederla nel suo divenire continuo, perché appartiene essenzialmente all'umiltà di continuare a divenire; e se gliela si mostra nel suo istante ideale, tuttavia ci manca qualcosa, perché l'osservatore sente che la vera idealità dell'umiltà consiste non nel fatto ch'essa sia ideale nel.l'istante, ma nel fatto ch'essa è continua››. Parimenti il caso dell”amore romantico e dell'amore coniugale; solo il primo è rappresentabile artisticamente, perché è per eccellenza concentrabile nell'istante; mentre invece il secondo si manifesta proprio nella vita quotidiana, costante e perseverante, e quindi si trova in uno stato difficilmente rappresentabile dall'ai-te: «uno sposo idealizzato non è uno che lo è stato una volta nella vita, ma uno che lo è tutti i giorni». «Un eroe che muore si lascia ,magnificamente rappresentare nell”istante, ma il fatto di morire tutti i giorni non si presta a questo trattamento, perché l'essenziale è che ciò accade tutti i giorni. Il coraggio si lascia magnificamente concentrare nell`istante, ma non la pazienza, precisamente perché la pazienza lotta contro il tempo». Insomma, non bisogna confondere l'estetico con ciò che si lascia rappresentare esteticamente nella poesia: noi diremmo che non bisogna confondere l'estetico con l'artistico. L'estetico ha luogo nella vita, l”artistico ha luogo nell'arte. Se la concentrazione artistica è bella d”una bellezza artistica, non si potrà dire che non è bella o estetica la successione temporale, la durata, la continuità, la storia. Il culmine dell`esteticità è ciò che supera la stessa possibilità dell'arte, è la storia interna, è l'eternità nel tempo. E bella la concentrazione artistica della storia nell'istante, ciò che accade nella storia estema; ma è più bella la presenza delleternità nel tempo, ciò che accade nella storia interna.