Fisica Solare (UNITEXT   Collana di Fisica e Astronomia) [1 ed.]
 8847006775, 9788847006775 [PDF]

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Collana di Fisica e Astronomia

A cura di: Michele Cini Stefano Forte Massimo Inguscio Guido Montagna Oreste Nicrosini Franco Pacini Luca Peliti Alberto Rotondi

A Nadine e Vanessa

Egidio Landi Degl’Innocenti

Fisica solare

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EGIDIO LANDI DEGLI’INNOCENTI Dipartimento di Astronomia e Scienza dello Spazio Università degli Studi di Firenze

Springer-Verlag fa parte di Springer Science+Business Media springer.com © Springer-Verlag Italia, Milano 2008 ISBN 978-88-470-0677-5 Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla ristampa, all’uso di figure e tabelle, alla citazione orale, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla riproduzione su microfilm o in database, alla diversa riproduzione in qualsiasi altra forma (stampa o elettronica) rimangono riservati anche nel caso di utilizzo parziale. Una riproduzione di quest’opera, oppure di parte di questa, è anche nel caso specifica solo ammessa nei limiti stabiliti dalla legge sul diritto d’autore, ed è soggetta all’autorizzazione dell’Editore. La violazione delle norme comporta sanzioni previste dalla legge. L’utilizzo di denominazioni generiche, nomi commerciali, marchi registrati ecc., in quest’opera, anche in assenza di particolare indicazione, non consente di considerare tali denominazioni o marchi liberamente utilizzabili da chiunque ai sensi della legge sul marchio. Riprodotto da copia camera-ready fornita dall’Autore Progetto grafico della copertina: Simona Colombo, Milano Stampa: Grafiche Porpora, Segrate, Milano Stampato in Italia Springer-Verlag Italia s.r.l., Via Decembrio, 28 - 20137 Milano

Prefazione

Uno dei capitoli della moderna astrofisica e` certamente lo studio della u ` vicina, il Sole. Nato circa 4 miliardi di anni fa per contrazione di una stella a noi piu nube di gas, esso e` un laboratorio dove si possono studiare in modo dettagliato fenomeni fisici che, per la loro scala, non sono in genere accessibili alla sperimentazione terrestre e non possono essere investigati su astri lontani. Proprio per questo lo studio del Sole ha contribuito e continua a contribuire enormemente al progresso generale dell’astronomia. La nascita della moderna astrofisica ha coinciso con lo studio della stella Sole, con una varieta` di tematiche che sono evolute nel tempo e che vanno dalla nascita della spettroscopia astronomica, alla teoria delle reazioni nucleari, alla nascita e sviluppo della fisica dei plasmi e cosi` via. Non e` un caso che uno dei Premi Nobel per la Fisica negli ultimi anni sia stato attribuito a ricercatori che hanno potuto misurare i neutrini prodotti dalle reazioni nucleari al centro del Sole, raggiungendo importanti conclusioni non solo sull’interno del Sole ma anche sulla natura della particella elementare “neutrino”. Lo studio del Sole ha in Italia fortissime tradizioni, specialmente a Roma (Padre Angelo Secchi(, Catania (Annibale Ricco`( e a Firenze (Giorgio Abbetti e discepoli( e si basa su una varieta` di metodi sperimentali e teorici di alta complessita` e interesse. Sbagliato sarebbe quindi un atteggiamento culturale che vedesse la fisica solare come ´ Al contrario, essa costituisce un’ importante base utile anche per un capitolo a se. affrontare, su scale diverse, altri temi dell’astrofisica. E’ quindi auspicabile che essa venga a far parte del curriculum di base nella formazione dei giovani astrofisici. Il lucido volume scritto dal collega Egidio Landi, uno dei leaders internazionali nello ` certamente favorire questo processo. studio del Sole, potra

Arcetri, luglio 2007

Franco Pacini Ordinario di Astrofisica ` di Firenze Universita

Indice

` 1. GENERALITA 1.1. Introduzione storica 1.2. Peculiarit` a della fisica solare dal punto di vista osservativo 1.3. Strumentazione post-focus

1 10 16

2. LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE 2.1. Lo spettro solare 2.2. L’equazione del trasporto 2.3. Soluzione formale dell’equazione del trasporto 2.4. Trasporto radiativo nelle atmosfere stellari 2.5. Il modello di atmosfera grigia 2.6. Modelli realistici di atmosfere stellari 2.7. Lo spettro continuo 2.8. La teoria dell’elettrone di Lorentz 2.9. Righe spettrali in equilibrio termodinamico locale 2.10. Righe spettrali in condizioni di non equilibrio

29 33 34 37 41 47 49 54 64 67

3. PROCESSI DINAMICI NELL’ATMOSFERA SOLARE 3.1. L’effetto Doppler 3.2. L’effetto Doppler in fisica solare 3.3. Misure spettroscopiche di effetto Doppler e Dopplergrammi 3.4. Propriet` a convettive della fotosfera 3.5. Oscillazioni solari

71 75 78 82 87

4. IL MAGNETISMO SOLARE 4.1. Generalit` a 4.2. Macchie, pori, regioni attive 4.3. Il ciclo di attivit` a 4.4. L’effetto Zeeman 4.5. La spettropolarimetria 4.6. Il polarimetro prototipo 4.7. Misure dei parametri di Stokes 4.8. Trasporto radiativo per radiazione polarizzata 4.9. Formazione di riga in campo magnetico 4.10. Equazioni del trasporto per i parametri di Stokes 4.11. Soluzioni dell’equazione del trasporto

99 107 110 114 122 127 129 133 137 143 146

x

INDICE

4.12. Magnetografi e magnetogrammi 4.13. Misure di campi magnetici nelle macchie

150 156

` ESTERNI DELL’ATMOSFERA SOLARE 5. GLI STRATI PIU 5.1. La cromosfera 159 5.2. La regione di transizione 168 5.3. La corona ottica 176 5.4. Le protuberanze 179 5.5. La corona X 183 5.6. Campi magnetici coronali 185 5.7. Il vento solare 188 5.8. Modelli teorici della corona 190 5.9. La teoria di Parker del vento solare 194 5.10. Il riscaldamento della cromosfera e della corona 199 5.11. Flares 206 6. L’INTERNO DEL SOLE 6.1. Equazioni fondamentali 6.2. L’equazione di Lane-Emden 6.3. L’equazione di stato 6.4. La produzione di energia negli interni stellari 6.5. L’opacit` a e la media di Rosseland 6.6. Il criterio di Schwarzschild 6.7. La termodinamica del gas Idrogeno ionizzato 6.8. La teoria della mixing length 6.9. La composizione chimica dell’interno del Sole e la sua evoluzione 6.10. Il modello solare standard 6.11. I neutrini solari 6.12. Teoria delle oscillazioni solari 6.13. Risultati approssimati per i modi p e g

213 220 225 229 238 245 248 251 254 256 259 267 274

COSTANTI FISICHE E ASTRONOMICHE

281

INDICE ANALITICO

283

Capitolo 1

Generalit` a A causa della sua vicinanza il Sole `e la stella che conosciamo meglio e l’unica che pu` o essere osservata in grande dettaglio. Lo studio del Sole ha contribuito in maniera determinante alla comprensione del nostro Universo e delle leggi fisiche che lo regolano. Questo capitolo costituisce un’introduzione generale alla fisica solare. Esso `e dedicato a illustrare i contributi fondamentali di questa disciplina nell’ambito dell’astrofisica e a descriverne le peculiarit` a dal punto di vista delle tecniche osservative e della strumentazione utilizzata.

1.1 Introduzione storica La Fisica Solare ha portato numerosi e importantissimi contributi all’astrofisica. Questo `e dovuto al fatto che il Sole si trova a una distanza da Terra estremamente pi` u piccola delle stelle e di tutti gli altri oggetti astronomici, con l’ovvia esclusione della Luna e di alcuni corpi del Sistema Solare. La vicinanza del Sole rende possibile l’osservazione di numerosissimi fenomeni fisici a un livello di dettaglio e di risoluzione molto elevato tantoch´e, non a caso, la Fisica Solare `e a buon diritto considerata la Stele di Rosetta dell’intera Astrofisica. Per renderci conto in maniera pi` u quantitativa di quanto detto, facciamo riferimento a un’ipotetica stella uguale al Sole la quale si trovi alla distanza standard di 10 parsec. Se si suppone di osservare i due oggetti con lo stesso strumento, il numero di fotoni raccolti nei due casi, in uno stesso intervallo spettrale e nello stesso intervallo temporale, `e legato, con simboli evidenti, dall’equazione  N = N

d d

2 .

D’altra parte, se indichiamo con N il numero di secondi d’arco contenuti in un radiante, ovvero N =

180 × 60 × 60 = 206264.8 , π

si ha, indicando con a l’Unit` a Astronomica (UA)1 1

In questo volume utilizzeremo comunemente il sistema di unit` a c.g.s., anche per le unit` a di misura delle grandezze elettromagnetiche.

2

CAPITOLO 1

d  a  1.50 × 1013 cm ,

d = 10 parsec = 10 · N a  3.09 × 1019 cm ,

per cui N  2.4 × 10−13 N . La differenza fra osservazioni solari e osservazioni stellari `e contenuta in questo enorme fattore numerico, dell’ordine di 1013 , che non richiede ulteriori commenti. La stessa cosa pu`o essere vista in maniera alternativa andando a chiedersi quale siano le dimensioni di un quadrato di superficie solare capace di far cadere su uno strumento assegnato tanti fotoni quanti l’ipotetica stella Sole a 10 parsec. Il valore di tale dimensione, x, si determina risolvendo l’equazione √ 2 πR π R 2  0.6 km , → x= x = (10 N )2 10 N dove R `e il raggio solare ( 7 × 105 km). Come abbiamo detto, la Fisica Solare ha portato notevolissimi contributi all’astrofisica. Un elenco non esaustivo delle principali informazioni che sono state tratte dall’osservazione del Sole e del suo ambiente, e delle pi` u rilevanti scoperte, `e dettagliato nel seguito. In alcuni casi la scoperta `e accompagnata dal nome della persona che ha contribuito alla scoperta stessa oppure alla sua divulgazione presso la comunit`a scientifica. - Determinazione precisa dei parametri stellari: Grazie alla sua vicinanza, i parametri della stella Sole sono conosciuti con buona precisione. Introducendo simboli evidenti, oggi sappiamo che la massa, il raggio e la luminosit` a solari sono dati da M = (1.9891 ± 0.0012) × 1033 g , R = (6.9626 ± 0.0007) × 1010 cm , L = (3.845 ± 0.006) × 1033 erg s−1 . Dall’ultimo parametro si ottiene poi, ricordando la definizione di temperatura efficace e indicando con σ la costante di Stefan-Boltzmann (σ = 5.6704 × 10−5 erg s−1 cm−2 K−4 ).  (Teff ) =

L 2 4πσR

1/4 = 5776 K .

Questi parametri sono utilizzati per la calibrazione di gran parte delle misure astrofisiche. Evidenze geologiche portano anche a stabilire, sebbene con precisione inferiore, l’et`a del Sole, per la quale si ha

` GENERALITA

3

Fig 1.1. Un’immagine in luce bianca del Sole che mostra la presenza di numerose macchie di dimensioni diverse. Nell’immagine `e anche evidente il fenomeno dell’oscuramento al bordo.

t = (4.57 ± 0.11) × 109 a  1.44 × 1017 s . - Scoperta delle macchie solari (Galileo, 1610 ca.): attraverso l’uso del telescopio Galileo osserva la presenza di zone scure sulla superficie solare, di forma spesso arrotondata e aventi raggi tipici dell’ordine di qualche centesimo di raggio solare, che vengono da lui chiamate macchie (maculae). Effettivamente, le macchie pi` u grosse sono anche visibili a occhio nudo e, come tali, erano gi` a note fin dall’antichit` a (gli astronomi della corte imperiale cinese le utilizzavano per effettuare presagi). Oggi sappiamo che il fenomeno delle macchie non `e circoscritto al Sole ma `e presente anche su altre stelle. La Fig. 1.1 mostra un’immagine in luce bianca del Sole con alcune macchie. - Scoperta della rotazione differenziale (R.C. Carrington, 1850 ca.): Utilizzando le macchie solari come traccianti, si scopre che il Sole non ruota come un corpo rigido, ma che la velocit` a angolare di rotazione all’equatore `e maggiore di circa il 20% della velocit`a angolare di rotazione ai poli. Questo fenomeno non `e ancora ben compreso e si pensa che esso sia dovuto all’interazione della rotazione con la convezione. Oggi sappiamo infatti, in base a modelli teorici dell’interno del Sole, che la convezione interessa tutta una zona che si trova a una distanza dal centro compresa fra circa 0.72 raggi solari e la base dello strato superficiale visibile da Terra (fotosfera). Il fenomeno della rotazione differenziale `e presente anche su altre stelle.

4

CAPITOLO 1

Fig 1.2. Un’immagine della granulazione osservata in banda G (cfr. Tab. 2.1). Le dimensioni tipiche dei granuli sono dell’ordine di 2000 km. Un’immagine pi` u dettagliata della granulazione ` e mostrata nell’inserto.

- Scoperta della granulazione (W. Herschel, 1801): Osservando telescopicamente il Sole da un sito di buona qualit` a, appare distintamente una struttura di tipo “a chicchi di riso” illustrata nella Fig. 1.2 e chiamata “granulazione”. Il fenomeno `e connesso con l’esistenza di moti convettivi nell’atmosfera solare e pu` o essere considerato l’analogo (ovviamente su scala molto maggiore) dei moti ascensionali e discensionali che si verificano in un liquido in ebollizione. La scoperta della granulazione fu fondamentale nel mettere in rilievo l’importanza dei moti convettivi nelle stelle. Oggi sappiamo che l’atmosfera visibile del Sole (la fotosfera) `e in effetti stabile dal punto di vista convettivo e che la granulazione delinea in maniera attenuata la presenza di moti convettivi molto pi` u intensi che si verificano a livelli pi` u profondi (overshoot convettivo). - Scoperta delle righe di assorbimento nello spettro solare (J. Fraunhofer, 1817): Le righe spettrali sono state scoperte per la prima volta sul Sole. Solo pi` u tardi lo stesso fenomeno `e stato osservato in lampade di laboratorio e, ovviamente, in altri oggetti astronomici (stelle, galassie, etc.). La scoperta delle righe spettrali e la loro interpretazione (che ha dovuto attendere l’avvento della meccanica quantistica per essere posta su basi rigorose) hanno portato all’evoluzione dell’astronomia tradizionale nell’astrofisica moderna. Probabilmente si tratta della scoperta pi` u importante di tutta l’astronomia dopo quelle di Galileo e di Newton.

` GENERALITA

5

- Scoperta della presenza del ciclo di attivit` a (H. Schwabe, 1830 ca.): Le macchie solari non si presentano sempre con la stessa frequenza sulla superficie del Sole. Studiando la variazione del loro numero al passare del tempo, `e stato trovato che esse presentano un ciclo il cui periodo `e dell’ordine di 11 anni. Tale ciclo `e oggi noto come “ciclo di attivit` a solare” e coinvolge non soltanto le mac` oggi noto che cicli di attivit` chie solari ma anche numerosi altri fenomeni. E a simili a quello solare sono presenti su numerose stelle. - Interpretazione del fenomeno dell’oscuramento al bordo per mezzo della teoria del trasporto radiativo (E.A. Milne, A. Eddington, 1920 ca.): Osservando il Sole in maniera quantitativa, risulta apparente il fenomeno dell’oscuramento al bordo per il quale l’intensit` a della radiazione solare diminuisce in maniera notevole mano a mano che ci si sposta dal centro verso il lembo (si veda la Fig. 1.1). In luce integrata (o, come si dice, in luce bianca) l’intensit` a del bordo solare `e circa due quinti di quella del centro. Questo fenomeno, ovviamente osservabile solo sul Sole, `e stato il primo a essere interpretato attraverso la teoria del trasporto radiativo che si `e poi notevolmente evoluta ed `e oggi alla base dell’interpretazione degli spettri astronomici. - Scoperta della presenza di campi magnetici (G.E. Hale, 1908): Registrando lo spettro della radiazione proveniente da una macchia solare in due opposte direzioni di polarizzazione circolare (destra e sinistra) si osserva che le righe spettrali risultano leggermente spostate in lunghezza d’onda nei due spettri. Questo fenomeno, noto in laboratorio come effetto Zeeman, permette di accertare la presenza nelle macchie di intensi campi magnetici (circa mille volte pi` u intensi del campo magnetico terrestre). La scoperta di Hale `e fondamentale perch´e, da un lato, fornisce per la prima volta l’evidenza dell’esistenza di campi magnetici in oggetti astronomici, e, dall’altra, apre una nuova tecnica ` oggi ben noto osservativa, conosciuta sotto il nome di spettropolarimetria. E che il ruolo fondamentale svolto dal campo magnetico in tutta l’astrofisica pu` o difficilmente essere sottovalutato. - Scoperta dell’esistenza di cromosfera e corona: Osservando il Sole in eclisse risulta evidente, come mostrato nella Fig. 1.3, che l’atmosfera solare si estende ben oltre il bordo netto che appare all’osservazione usuale. A questo tenue inviluppo gassoso, che oggi sappiamo essere estremamente caldo (T  10 6 K) e che si estende fino a Terra e oltre, si d` a il nome di “corona solare”. Sempre durante le eclissi, ma solo in corrispondenza dell’immersione e dell’emersione del Sole dietro la Luna, si osserva, all’estremo bordo del Sole, un’intensa radiazione di colore rossastro. Tale radiazione `e dovuta a numerose righe di emissione, fra le quali la pi` u importante `e la riga Hα dell’Idrogeno neutro a 6563 ˚ A, ovvero nella regione rossa dello spettro visibile. Essa `e emessa da parte di una sottile zona superficiale del Sole alla quale viene dato il nome di “cromosfera”. Oggi sappiamo che la propriet` a di possedere cromosfera e corona non `e ristretta solamente al Sole ma che `e condivisa da un gran numero di stelle (in pratica

6

CAPITOLO 1

Fig 1.3. Immagine della corona solare registrata durante l’eclisse del 26 Febbraio 1998. Per gentile concessione dello High Altitude Observatory, Boulder, Colorado.

tutte le stelle di tipo spettrale pi` u avanzato di F). - Induzione della presenza di reazioni termonucleari nell’interno del Sole (H. Bethe, 1930 ca.): Evidenze geologiche e paleontologiche mostrano che il Sole si trova nella sua condizione attuale da circa 4.6 × 109 anni, un intervallo di tempo pari alla cosiddetta et` a del sole, t . Assumendo che per tutto questo tempo la sua luminosit`a sia rimasta praticamente costante (il che `e consistente con le evidenze di cui sopra), se ne deduce che il Sole deve aver irradiato nel corso della sua vita un’energia Etot pari a Etot = t × L  1.44 × 1017 · 3.8 × 1033 erg  5.5 × 1050 erg . Questa quantit` a di energia `e molto maggiore sia dell’energia gravitazionale, che dell’energia termica, che di un qualsiasi tipo di energia chimica che il Sole possa possedere. Per quanto riguarda l’energia gravitazionale e l’energia termica, che sono sostanzialmente uguali in base al teorema del viriale, si ha infatti che esse valgono, come ordine di grandezza Egrav  Eterm 

2 1 GM , 2 R

a c.g.s.. Si ha dove G `e la costante della gravitazione che vale 6.674 ×10 −8 unit` quindi

` GENERALITA

7

Egrav  Eterm  1.9 × 1048 erg , ovvero una quantit` a di energia circa trecento volte minore di Etot . Per quanto riguarda l’energia chimica, anche ammettendo che il Sole sia composto (come si pensava nell’800) per met` a di Carbonio e per met` a di Ossigeno e che tali elementi combinino per formare CO con una rendita energetica, ECO , di circa 10 eV per reazione, si ottiene Echim 

1 M ECO , 2 14 mH

dove mH `e l’unit` a di massa atomica e il fattore 14 `e il peso molecolare medio di Carbonio e Ossigeno. Sostituendo i valori numerici delle diverse quantit` a si ottiene Echim  6.8 × 1044 erg , ovvero un’energia addirittura sei ordini di grandezza pi` u piccola di Etot . In base a queste considerazioni cominci`o a risultare chiaro ai fisici, a partire dagli anni 1930, che l’energia responsabile della luminosit` a del Sole e delle stelle andasse identificata nell’energia nucleare. Per l’energia nucleare a disposizione del Sole si ha infatti Enucl = γM c2 , dove γ `e la frazione della massa solare che pu` o convertirsi in energia raggiante. Assumendo che il Sole fosse composto al momento della sua nascita di puro Idrogeno e osservando che la conversione di 4 nuclei di Idrogeno in un nucleo di Elio implica un valore di γ pari a γ  0.007 , si ottiene potenzialmente per il Sole un’energia nucleare pari a 1.3 × 10 52 erg, un valore che `e circa 25 volte pi` u grande di Etot . Si ritiene oggi che una stella come il Sole possa convertire in Elio solo circa un decimo della sua massa iniziale di Idrogeno, e se ne deduce quindi che il Sole `e arrivato, per cos`ı dire, quasi alla mezza et`a. Le considerazioni qui svolte possono oggi sembrare banali, ma non lo erano sicuramente all’inizio degli anni 1930. Il contributo fondamentale di Bethe fu quello di riuscire a immaginare una serie di reazioni nucleari che potessero funzionare nell’interno del Sole e che riuscissero a convertire 4 nuclei di Idrogeno in un nucleo di Elio (ciclo protone-protone). Oggi sappiamo che il ciclo protone-protone `e alla base delle reazioni nucleari che si svolgono in tutte le stelle di massa confrontabile con, o minore della massa solare. Nelle stelle pi` u massicce il ciclo di reazioni fondamentale `e invece il ciclo CNO (si veda il Par. 6.4).

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CAPITOLO 1

- Scoperta dell’esistenza del vento solare (E. Parker, 1950 ca.): Le prime indicazioni dell’esistenza del vento solare sono emerse dallo studio delle code delle comete, o meglio dallo studio di una delle due componenti in cui si divide la coda di una cometa quando si avvicina al Sole. Mentre una delle due componenti (la coda di polvere) segue un’orbita strettamente Kepleriana, l’altra componente (la coda di ioni) segue un’orbita leggermente diversa, il che porta alla deduzione che sulle particelle che la compongono agiscono forze di natura non gravitazionale. Tali forze sono in parte dovute alla pressione di radiazione, ` ma questo contributo non `e sufficiente per spiegare l’anomalia delle orbite. E quindi necessario ipotizzare che esista un flusso di materia radiale proveniente dal Sole. L’esistenza del vento solare `e stata confermata da misure “in situ” rese possibili dall’avvento dei satelliti artificiali e delle sonde spaziali. Grazie a strumenti montati a bordo di tali oggetti, oggi si conoscono con buona precisione molte propriet` a del vento solare. Alla distanza di una Unit` a Astronomica dal Sole, ovvero in corrispondenza dell’orbita della Terra, il vento solare ha una densit` a tipica di circa 10 protoni per cm3 e una velocit`a tipica di circa 500 km −1 s . Questo porta a una perdita di massa da parte del Sole di circa 2 × 10 12 g ` noto oggi che il fenomeno s−1 , ovvero di circa 4×10−14 masse solari per anno. E della perdita di massa da parte di stelle `e molto comune nell’Universo (venti stellari) e che esso pu`o comportare flussi di materia ben pi` u elevati di quello solare. - Scoperta di emissione X strutturata da parte della corona (1970 ca.): Le prime osservazioni del cielo in raggi X, avvenute per mezzo di razzi sonda verso la fine degli anni 1960, hanno dimostrato l’esistenza, del tutto inaspettata, di numerose sorgenti di radiazione X galattiche ed extra-galattiche. L’indagine delle sorgenti X `e stata successivamente affinata mediante l’impiego di strumenti montati a bordo di satelliti artificiali ed `e stata estesa al Sole attraverso il lancio del satellite Skylab. Le osservazioni di Skylab hanno mostrato che la corona solare emette raggi X, e che tale emissione `e notevolmente strutturata e variabile con il ciclo di attivit` a. Le strutture tipiche della corona X solare sono gli archi (loops) che delineano le linee di forza del campo magnetico e i buchi coronali (coronal holes). Sebbene fosse gi` a noto da osservazioni da Terra che nella corona solare sono presenti temperature dell’ordine di 10 6 K, e fosse quindi logico attendersi emissione nella regione intorno a 100 ˚ A (si ricordi la relazione kB T = hν = hc/λ), l’estrema strutturazione dell’emissione X, che `e stata in seguito confermata con maggior drammaticit` a dalle osservazioni delle sonde Yohkoh e Trace (si veda la Fig. 1.4), costituisce a tutt’oggi uno degli argomenti meno compresi e ovviamente pi` u dibattuti della Fisica Solare. - Scoperta delle oscillazioni solari (1960, ca.): Questa importantissima scoperta si `e verificata verso gli inizi degli anni 1960 e ha aperto un nuovo filone di ricerca, l’eliosismologia, che ha poi a sua volta dato il via a un analogo filone rivolto all’osservazione degli stessi fenomeni in ambito stellare (astrosismologia). Inizialmente furono osservate soltanto le oscillazioni pi` u intense, con un

` GENERALITA

9

Fig 1.4. Un’immagine della corona solare nei raggi X eseguita dal satellite Trace (Transition Region Coronal Explorer). L’immagine `e ottenuta in un intervallo spettrale centrato intorno a 170 ˚ A. Si noti la struttura fine degli archi coronali che delineano le linee di forza del campo magnetico (si veda anche l’inserto a colori). Per gentile concessione dello Stanford-Lockheed Insitute for Space Research.

periodo dell’ordine di 300 s (oscillazioni a 5 minuti). Poi, con l’aumentare della sensibilit` a dei metodi di osservazione, `e emersa chiaramente l’esistenza di uno spettro molto strutturato di oscillazioni con periodi tipici che vanno dalle ore fino alle poche decine di secondi. Il fatto pi` u importante connesso con questa scoperta `e che la contemporanea misura del periodo T e della lunghezza d’onda λ delle oscillazioni fornisce una relazione di dispersione del tipo λ = f (T ) che permette di risalire con buona precisione all’andamento dei parametri fisici (sostanzialmente la velocit`a del suono) nell’interno del Sole. Particolarmente importanti sono le oscillazioni a bassa frequenza che permettono di sondare le zone pi` u interne del Sole. - Origine dell’astrofisica dei neutrini (R. Davis, 1960 ca.): L’astrofisica dei neutrini nasce in una miniera del South Dakota dove Raymond Davis, che doveva essere pi` u tardi insignito del Premo Nobel, realizza e mette a punto uno strumento per la rivelazione del flusso dei neutrini provenienti dal Sole. L’esperimento `e ambizioso in quanto si tratta di rilevare, entro un serbatoio

10

CAPITOLO 1

contenente circa 1031 atomi di Cloro, una decina di atomi di Argon radioattivo che vengono prodotti settimanalmente dai neutrini solari nella loro interazione col Cloro del serbatoio. Malgrado le notevoli difficolt` a, l’esperimento riesce e mostra che il flusso di neutrini solari `e inferiore di circa un fattore 3 di quanto ci si attende in base ai modelli teorici dell’interno del Sole. I risultati sono inizialmente accolti con un certo scetticismo, ma sono in seguito ampiamente confermati da altri esperimenti pi` u sofisticati. Oggi si ritiene che la discrepanza fra il flusso di neutrini osservato e quello teorico non sia dovuta a una descrizione teorica incompleta, o al limite errata, dell’interno del Sole (cosa che obbligherebbe a rivedere tutta la teoria degli interni stellari e dell’evoluzione stellare) ma che essa provenga dal fatto che il neutrino non `e una particella stabile e che decade durante il suo tempo di volo (di circa 8 minuti) dal Sole alla Terra. Nel terminare queste note introduttive, `e interessante osservare che in questo ultimo mezzo secolo abbiamo assistito in astrofisica a una notevolissima fase di scoperte che pu`o a buon diritto essere chiamata fase di “serendipit`a”, dove, con quest’ultimo vocabolo, si intende la possibilit` a di compiere importanti scoperte sostanzialmente per “colpi di fortuna”. Esempi caratteristici ed eclatanti sono le scoperte della radiazione di fondo a 3 K, delle pulsar, delle sorgenti a raggi X, dei jet extragalattici, dei buchi neri, dei burst di raggi γ, etc.. Tale fase di scoperte `e coincisa con l’apertura di nuove “finestre” dello spettro elettromagnetico che erano rimaste, per cos`ı dire, oscurate prima di allora. Bisogna per` o riflettere sul fatto che non esistono pi` u nuove finestre da aprire ed `e quindi abbastanza logico aspettarsi che, nel futuro, possa avvenire una sorta di “ripiegamento” verso la Fisica Solare proprio perch´e i meccanismi fisici che sono alla base di gran parte della fenomenologia osservata (dalle instabilit` a dinamiche e magneto-idrodinamiche ai meccanismi di accelerazione di particelle, alla conversione di energia magnetica o dinamica in energia raggiante) possono essere studiati sulla stella Sole con maggior dettaglio e precisione.

1.2 Peculiarit` a della fisica solare dal punto di vista osservativo Visto da Terra, il Sole appare come un disco quasi perfetto avente un diametro angolare, β , dato, in prima approssimazione, da β =

2R , a

dove a `e l’Unit`a Astronomica. Sostituendo i valori di R e di a, si trova β  32 arcmin, ovvero circa mezzo grado. Il diametro angolare sotto il quale si vede il Sole non `e per` o costante, ma varia nel tempo a causa dell’eccentricit` a

` GENERALITA

11

dell’orbita terrestre. In effetti la distanza Terra-Sole, r, varia lungo l’orbita secondo la ben nota equazione di Keplero r=

a (1 − e2 ) , 1 + e cos φ

dove φ `e l’anomalia misurata dal perielio e dove e `e l’eccentricit` a dell’orbita terrestre che vale 0.0167. Fra il perielio e l’afelio, si ha per la distanza una differenza relativa data da ∆r  2e  3.3% . r In fisica solare `e invalso l’uso di misurare le dimensioni sulla superficie del Sole per mezzo di aperture angolari. Ad esempio, si dice spesso che un granulo ha dimensioni tipiche dell’ordine di 2-3 arcsec, una macchia solare ha un diametro tipico di 1 arcmin, etc.. Per riportare tali misure angolari in unit` a standard di lunghezza, basta osservare che la distanza angolare di 1 arcsec corrisponde sul Sole a una distanza effettiva, x, data, in prima approssimazione, da x=

a  725 km . N

Un’altro parametro che `e spesso utilizzato in Fisica Solare `e poi la cosiddetta “costante solare”, indicata tradizionalmente con il simbolo C, e definita come il flusso quale rivelato a Terra (al di fuori dell’atmosfera) dell’energia raggiante totale emessa dal Sole. Se si indica con L la luminosit`a solare, si ha, in prima approssimazione C=

L  1.37 × 106 erg cm−2 s−1 = 1.37 kW m−2 . 4πa2

Ovviamente la costante solare `e una costante per modo di dire. A parte variazioni intrinseche della luminosit` a solare, che oggi sappiamo essere dell’ordine dell’un permille fra massimo e minimo di attivit`a, esistono le variazioni stagionali dovute all’eccentricit` a dell’orbita terrestre. Fra perielio e afelio si ha infatti una variazione relativa data da ∆C  4e = 6.7% . C L’estrema vicinanza del Sole potrebbe indurre a ritenere che fosse superfluo dover disporre di un grosso telescopio per la sua osservazione. In effetti le cose non stanno cos`ı perch´e le esigenze di ricerca della fisica solare moderna richiedono osservazioni a risoluzione spaziale, spettrale e temporale sempre pi` u elevata. Per renderci conto meglio di queste esigenze supponiamo di disporre di un telescopio avente apertura D e chiediamoci quale sia il numero di fotoni aventi lunghezza d’onda compresa fra λ e λ+∆λ che, provenendo da una regione

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CAPITOLO 1

quadrata della superficie solare avente lato ∆x, vengono raccolti dal telescopio in un intervallo di tempo ∆t. Supponiamo che la trasparenza totale del telescopio sia T e pensiamo di assimilare lo spettro solare, in una prima grossolana approssimazione, con lo spettro di un corpo nero avente la temperatura pari a T  5800 K. Indicando con Nfot il numero di fotoni che arrivano nel piano focale del telescopio, ricordando che l’intensit` a specifica della radiazione emessa da un corpo nero di temperatura T `e data da (legge di Planck) 2hc2 Iλ = 5 λ



 exp

hc λkB T



−1 −1

,

e ricordando che ogni fotone trasporta l’energia hc/λ, si ottiene Nfot =

λ πD2 Iλ ∆λ ∆t 4 hc



∆x a

2 T ,

dove a `e la distanza Terra-Sole. In casi tipici di un’osservazione ad alta risoluzione, si desideri avere una risoluzione spaziale ∆x/a = 0.2 arcsec, una risoluzione spettrale ∆λ = 10 m˚ A, e una risoluzione temporale ∆t = 1 s. Assumendo T = 1%, che `e un valore ragionevole per la trasparenza di un telescopio solare a causa dell’elevato numero di ottiche, supponendo di osservare alla lunghezza d’onda λ = 5000 ˚ A, ed esprimendo l’apertura D in metri, si ottiene numericamente Nfot  5 × 105 D2 . Assumendo infine che l’errore sulla misura sia solamente dovuto al rumore fotonico (statistica di Poisson), si ottiene per l’errore relativo 1 1 ∆Nfot . = √  1.4 × 10−3 Nfot D Nfot Questa formula mostra che per ottenere delle precisioni di misura sufficientemente elevate (dell’ordine dell’un permille, ad esempio) `e necessario disporre, anche in Fisica Solare, di telescopi di grande apertura. Esiste al momento attuale un ambizioso progetto per la costruzione del cosiddetto ATST (Advanced Technology Solar Telescope), un telescopio solare dell’apertura di 4 m. Una caratteristica fondamentale dei telescopi solari `e, ovviamente, quella di essere operativi durante il giorno invece che di notte. Questo solleva un problema supplementare, assente nei telescopi notturni, dovuto al fatto che la radiazione solare che si intende osservare contribuisce anche a scaldare il suolo circostante, provocando cos`ı dei moti ascensionali dell’aria che degradano le osservazioni. A questo problema si ovvia attraverso diverse soluzioni. La pi` u moderna `e quella di disporre il telescopio in cima a una torre di altezza sufficientemente elevata (25-30 m) di modo che il telescopio si trovi “nel vento” e non sia quindi perturbato dai movimenti dell’aria dovuti al riscaldamento del

` GENERALITA

13

´ Fig 1.5. Il telescopio franco-italiano THEMIS, situato presso l’Osservatorio del Teide (Instituto de Astrof´ısica de Canarias, Tenerife). Il telescopio vero e proprio si trova all’interno della cupola a un’altezza di circa 25 m rispetto al suolo.

´ suolo. Un esempio `e costituito dal telescopio franco-italiano THEMIS illustrato nella Fig. 1.5. La soluzione pi` u classica, utilizzata nelle torri solari pi` u famose, `e simile e consiste nel disporre in cima alla torre un sistema di specchi detto “celostata”. Il celostata `e generalmente costituito da due specchi mobili che vengono orientati in modo tale che la radiazione solare venga riflessa verso il basso lungo l’asse della torre e venga concentrata nel piano focale a livello del suolo. Nelle torri solari pi` u sofisticate, il cammino del raggio luminoso avviene all’interno di un tubo nel quale viene praticato il vuoto. Infine, un’altra soluzione `e quella di costruire il telescopio su una piattaforma situata in mezzo a un lago. Malgrado queste precauzioni utilizzate nei telescopi solari, l’effetto di perturbazione dell’atmosfera terrestre sulle immagini, comunemente indicato col nome di “seeing”, rimane un grosso problema al quale i fisici solari hanno sempre dedicato notevole attenzione per cercare di migliorare al massimo la qualit` a delle osservazioni. Il seeing `e un fenomeno notevolmente complesso del quale possono essere identificati tre diversi aspetti (si veda la Fig. 1.6): la perdita di fuoco (blurring in lingua inglese), il movimento dell’immagine (image motion) e la distorsione dell’immagine (image distortion). Il primo fenomeno `e

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CAPITOLO 1

immagine ideale

immagine traslata

immagine defocheggiata

immagine distorta

Fig 1.6. Illustrazione schematica degli effetti introdotti dal seeing su un’immagine ideale.

un effetto di defocheggiamento dell’immagine dovuto al passaggio in quota di grandi masse d’aria aventi indice di rifrazione diverso da quello dell’atmosfera media. L’immagine per qualche secondo si annebbia e perde di contrasto. Questo fenomeno `e inevitabile ma diminuisce d’intensit` a se il telescopio `e situato in siti appropriati. Ricerche in questo senso hanno portato alla conclusione che il sito migliore per le osservazioni solari si trova in montagna, a quote dell’ordine o superiori ai 2500 m (in maniera tale che il telescopio si trovi al di sopra dello strato di inversione dell’atmosfera terrestre), e, possibilmente, su un’isola oceanica battuta da venti di direzione costante (del tipo degli Alisei). In questo modo il sito risulta investito da masse d’aria omogenee e stabili. Il secondo fenomeno consiste nel fatto che l’immagine, pur restando netta, si muove, o, per cos`ı dire, “balla” in maniera caotica su tempi scala molto brevi, il cui spettro di frequenza `e compreso fra 1 e 1000 Hz. Si riesce parzialmente a ovviare a questo inconveniente per mezzo delle cosiddette “ottiche attive”. Il prototipo dell’ottica attiva `e uno specchio piano mobile, molto leggero, comunemente detto “tip tilt”, che viene interposto lungo il cammino ottico del telescopio e la cui inclinazione viene controllata per mezzo di un servomeccanismo in maniera da rendere stabile l’immagine del Sole sul piano focale. Tale servomeccanismo `e in genere realizzato per mezzo di un sensore di tipo CCD che raccoglie parte dell’immagine solare (ad esempio il lembo del Sole)

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` GENERALITA

e da un calcolatore che elabora in tempo reale l’immagine stessa in maniera tale da fornire allo specchio mobile le istruzioni per muoversi nella direzione appropriata. Infine, il terzo fenomeno consiste nel fatto che l’immagine viene distorta, ovvero ingrandita in certi punti del piano focale e rimpiccolita in altri. Questo fenomeno `e dovuto al fatto che l’onda elettromagnetica che arriva sull’apertura del telescopio non `e pi` u un’onda piana, ma `e stata distorta a causa di piccole fluttuazioni dell’indice di rifrazione dell’aria rispetto al suo valore medio. Recentemente `e stata sviluppata una tecnologia appropriata, detta “ottica adattiva”, per rimediare a questo inconveniente. L’ottica adattiva si basa sull’uso di specchi che possono essere deformati per mezzo di opportuni attuatori. Naturalmente, anche in questo caso gli attuatori devono essere comandati per mezzo di servomeccanismi che sfruttano un segnale elaborato in tempo reale da un calcolatore. Il seeing (e l’effetto delle ottiche del telescopio) possono essere caratterizzati in maniera quantitativa dando la cosiddetta “Funzione di Sparpagliamento Puntuale” (Point Spread Function) che `e cos`ı definita: siano x e y le coordinate sul piano focale dello strumento, e siano I(x, y) e I0 (x, y) rispettivamente l’intensit` a effettivamente osservata e l’intensit` a quale si avrebbe nel caso ideale. Le due intensit` a sono legate fra loro dalla convoluzione espressa nella formula seguente, che definisce implicitamente la Point Spread Function (PSF)   I(x, y) = dξ dη I0 (ξ, η) PSF(x, y; ξ, η) . Nella maggior parte dei casi la PSF `e funzione solo della distanza fra il punto di coordinate (x, y) e quello di coordinate (ξ, η), ovvero si ha

PSF(x, y; ξ, η) = PSF(ρ) ,

dove

ρ=

 (x − ξ)2 + (y − η)2 .

L’effetto combinato della diffrazione, delle aberrazioni ottiche del telescopio, e del seeing, quando mediato su intervalli di tempo di uno o pi` u secondi, `e generalmente descritto da una PSF di tipo gaussiano PSF(r) =

1 −ρ2 /(2s20 ) e . 2πs20

o servire in maniera adeguata a caratterizzare quantitativaIl parametro s0 pu` mente il seeing e le sue variazioni giornaliere e stagionali. o essere anche descritto da un parametro di tipo pi` u In luogo di s0 , il seeing pu` empirico, detto “parametro di Fried”. Per definire questo parametro bisogna ricordare che la risoluzione angolare teorica, R, di un telescopio di apertura D `e data da R = 1.22

λ , D

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CAPITOLO 1

dove λ `e la lunghezza d’onda alla quale si osserva. Ad esempio, osservando a 5000 ˚ A ed esprimendo la risoluzione in secondi d’arco e l’apertura in metri si ha, numericamente R=

0.126 . D

Il parametro di Fried del seeing `e definito come l’apertura D0 di un telescopio la cui risoluzione teorica `e uguale alla risoluzione effettiva che si ha nelle osservazioni. Per fissare le idee, supponiamo di essere in un sito (o in un periodo meteorologico) particolarmente cattivo dal punto di vista del seeing, tanto che la risoluzione angolare sia dell’ordine di 4 arcsec. In base alla formula precedente, il parametro di Fried risulta D0 = 3.2 cm. Invece, in condizioni ottime di seeing e in particolari momenti della giornata, la risoluzione pu`o raggiungere anche il valore di 0.3 arcsec. In questi casi si ha D0 = 42 cm. A proposito dei telescopi solari `e infine necessario aggiungere che tali telescopi hanno generalmente una notevole distanza focale. Questo `e dovuto alla necessit` a di effettuare osservazioni ad alta risoluzione spaziale. Per rendersi conto di questo fatto, indichiamo con le dimensioni di un pixel nel piano focale. Se si desidera fare un’osservazione (seeing permettendo) con la risoluzione spaziale di 0.3 arcsec, `e opportuno che sul pixel vada a cadere la radiazione proveniente da un angolo di apertura 12 × 0.3 arcsec, pari a 0.73 × 10−6 radianti. Per la distanza focale equivalente del telescopio, f , si deve quindi avere = 0.73 × 10−6 . f Se si assume come dimensione tipica del pixel  15 µm, si ottiene f  20 m. Il valore che abbiamo dedotto `e tipico dei telescopi solari, i quali sono quindi caratterizzati da valori F = f /D molto elevati (F  30 − 50). Questo li differenzia in maniera netta dai telescopi per osservazione notturna che sono invece caratterizzati da valori di F piuttosto bassi (F ≤ 10). Bisogna osservare infine che la difficolt` a di puntamento di un telescopio aumenta con la distanza focale e che quindi i telescopi solari richiedono dei dispositivi di puntamento pi` u sofisticati degli ordinari telescopi stellari.

1.3 Strumentazione post-focus Sempre a causa della notevole vicinanza del Sole e della conseguente “abbondanza”, per cos`ı dire, di fotoni disponibili, sono stati sviluppati dai fisici solari degli ingegnosi strumenti speciali per lo studio di particolari caratteristiche, spettrali o morfologiche, del Sole. Soprattutto per la loro importanza storica, descriveremo nel seguito lo spettroeliografo, il filtro birifrangente, il filtro in-

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` GENERALITA

lastra (CCD)

immagine del Sole fenditura coniugata

fenditura

banco ottico

spettro

reticolo Fig 1.7. Illustrazione schematica dello spettroeliografo. L’immagine del Sole rimane fissa mentre il banco ottico viene fatto traslare in maniera solidale col reticolo. Cos`ı facendo si ottiene sulla lastra un’immagine monocromatica di una “striscia” di Sole.

terferenziale, e il coronografo. Altri strumenti specifici, come ad esempio il magnetografo, saranno descritti in seguito (si veda il Par. 4.12). Lo spettroeliografo `e un dispositivo ottico che permette di ottenere delle immagini monocromatiche dell’intero Sole (o di una sua parte). Sviluppato agli inizi del 1900 alla torre solare di Mount Wilson (presso Los Angeles), esso `e basato sull’utilizzazione di un reticolo di diffrazione, mobile rigidamente insieme a un banco ottico situato nel piano focale del telescopio. Lo schema `e illustrato nella Fig. 1.7. La luce proviene dall’alto e penetra, attraverso una sottile fenditura aperta nel banco ottico, nell’ambiente sottostante. Qui si trova un reticolo di diffrazione di potere risolutivo molto elevato che disperde la luce nelle varie lunghezze d’onda, rinviandola verso il banco ottico. Se si apre nel banco ottico un’altra sottile fenditura (la fenditura coniugata) in corrispondenza di una particolare lunghezza d’onda, da tale fenditura emerge radiazione monocromatica che corrisponde alla particolare regione solare coperta dalla fenditura primaria. Questa radiazione viene inviata su una lastra fotografica (oggi un CCD). Se a questo punto si fa muovere rigidamente, mediante un sistema di motorizzazione, il complesso costituito dal banco ottico e dal reticolo di diffrazione, si ottiene, alla fine del processo, un’immagine monocromatica di

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CAPITOLO 1

Fig 1.8. Spettroeliogramma del Sole in Hα. Nell’immagine appaiono le tipiche strutture visibili in questa riga: i cosiddetti “filamenti”, scuri e di forma allungata, e le cosiddette “plages” (o “facole”), regioni pi` u chiare, di forma varia, che delineano le regioni attive. Per gentile concessione dell’Observatoire de Paris-Meudon.

una “striscia” di Sole. Spostando poi longitudinalmente la posizione iniziale della fenditura si pu` o realizzare l’immagine di una seconda “striscia”, e cos`ı via fino a coprire l’intero Sole. Attraverso uno spettroeliografo si realizza un cosiddetto “spettroeliogramma” e, regolando opportunamente la posizione della fenditura coniugata, si pu` o in principio ottenere uno spettroeliogramma a qualsiasi lunghezza d’onda. I pi` u utilizzati sono quelli nella riga Hα e nelle righe H e K del Calcio ionizzato. Uno spettroeliogramma in Hα `e mostrato nella Fig. 1.8 e uno, nella riga K del Calcio ionizzato, nella Fig. 1.9. Lo spettroeliografo `e sostanzialmente un dispositivo che permette di trasformare un usuale spettroscopio a reticolo di diffrazione in un filtro a banda stretta. Esistono tuttavia ulteriori sistemi, altrettanto ingegnosi, per realizzare tali tipi di filtri. Un tipico esempio `e il cosiddetto filtro birifrangente o filtro di Lyot2 Il filtro di Lyot `e costituito da una serie di cristalli di calcite (un tipico ma2

Il fisico solare francese Bernard Lyot (1897-1952) ha portato importanti contributi allo sviluppo della strumentazione solare. Oltre che per il filtro birifrangente, Lyot `e anche ricordato per l’invenzione del coronografo.

` GENERALITA

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Fig 1.9. Spettroeliogramma del Sole nella riga K del Calcio ionizzato. Nell’immagine sono visibili delle regioni brillanti di dimensioni estese (plages o facole) e, sempre in chiaro, la cosiddetta “rete cromosferica” (network) che delinea i limiti delle celle di supergranulazione. Questo spettroeliogramma `e quasi simultaneo a quello della figura precedente, essendo stato realizzato dopo circa tre minuti. Si noti la buona correlazione delle plages in K con quelle in Hα e come i filamenti appaiano in maniera molto meno marcata. Per gentile concessione dell’Observatoire de Paris-Meudon.

teriale birifrangente), ciascuno avente dimensioni lineari doppie del precdente, separati fra loro da filtri polarizzanti. Uno schema del filtro `e illustrato nella Fig. 1.10. Per comprenderne il funzionamento, osserviamo preliminarmente che un filtro polarizzante `e un dispositivo che, dal punto di vista ideale, `e completamente trasparente alla radiazione il cui campo elettrico vibra lungo una particolare direzione, detta direzione di accettazione del filtro, ed `e completamente opaco alla radiazione il cui campo elettrico vibra lungo la direzione perpendicolare. Osserviamo poi che un cristallo birifrangente, quando tagliato in maniera tale che le due facce di entrata e di uscita siano parallele alla direzione dell’asse ottico, si comporta come una lamina di ritardo. In questa configurazione i due raggi, ordinario e straordinario, si propagano lungo l’asse del cristallo (perpendicolare all’asse ottico) senza subire deviazioni ma presentando indici di rifrazione diversi, no e ns , rispettivamente. Per la calcite si ha no > ns , per cui il raggio ordinario, avente indice di rifrazione maggiore, si

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CAPITOLO 1

Calcite

Polarizzatore

Fig 1.10. Illustrazione schematica del filtro di Lyot.

propaga nel cristallo con velocit` a minore del raggio straordinario. Tali raggi presentano inoltre propriet`a di polarizzazione diverse: il raggio ordinario `e caratterizzato da polarizzazione rettilinea diretta lungo un asse che viene detto asse lento, e il raggio straordinario `e caratterizzato da polarizzazione rettilinea diretta lungo un asse, detto asse veloce, perpendicolare al precedente3 . Consideriamo allora un raggio di luce di lunghezza d’onda (nel vuoto) λ che penetra nel cristallo e scomponiamo il vettore campo elettrico a esso associato nelle due componenti dirette, rispettivamente, lungo l’asse lento e l’asse veloce. Questo `e equivalente a scomporre il raggio entrante in raggio ordinario e raggio straordinario. Il primo si propaga all’interno del cristallo con indice di rifrazione no e la sua lunghezza d’onda risulta λ/no . Se il cristallo `e lungo L, il numero di lunghezze d’onda contenute entro il cristallo `e Lno /λ. Analogamente, il numero di lunghezze d’onda del raggio straordinario contenute entro il cristallo `e Lns /λ. Da questo consegue che il cristallo si comporta come una lamina che introduce un ritardo di fase δ dato da δ=

2πL(no − ns ) . λ

Consideriamo adesso l’azione di un singolo elemento del filtro di Lyot, ovvero consideriamo la combinazione di un filtro polarizzante, un cristallo di calcite di lunghezza L e un altro filtro polarizzante. I tre elementi sono disposti in modo tale che la direzione di accettazione dei due polarizzatori `e la stessa e coincide con la bisettrice dell’angolo (di 90◦ ) compreso fra gli assi lento e veloce del cristallo di calcite. Dopo il passaggio dal primo polarizzatore sopravvive solo la componente del campo elettrico lungo la direzione di accettazione. Se indichiamo con E l’ampiezza (complessa) di tale campo, all’ingresso del cristallo le componenti del campo elettrico lungo gli assi lento e veloce, indicate rispettivamente con i simboli E e Ev , sono date da 3

In un cristallo di calcite tagliato parallelamente all’asse ottico, l’asse veloce coincide con l’asse ottico stesso.

` GENERALITA

21

1 E = E v = √ E . 2 All’uscita del cristallo, a parte un inessenziale fattore di fase, si ha 1 E = √ E eiδ , 2

1 Ev = √ E . 2

La componente del vettore campo elettrico lungo la direzione di accettazione del secondo polarizzatore `e quindi 1 1 E  = √ (E + Ev ) = (1 + eiδ ) E . 2 2 Questa componente viene trasmessa dal secondo polarizzatore, per cui, considerando il modulo quadro del campo elettrico, si ottiene E ∗ E  =

1 (1 + cos δ) E ∗ E = cos2 (δ/2) E ∗ E . 2

Questa formula mostra che l’effetto della combinazione dei due filtri polarizzanti e del cristallo di calcite, orientati nel modo sopra esposto, `e quello di modulare l’intensit` a della radiazione incidente (proporzionale a E ∗ E) col fattore di trasmissione, t(L), dato da   2 2 πL ∆n , t(L) = cos (δ/2) = cos λ dove ∆n = no − ns . Tenendo conto di questo fatto, si ottiene per un filtro di Lyot costituito da k cristalli di calcite, aventi lunghezze L, 2L, 4L, . . ., 2k−1 L, rispettivamente T = t(L) · t(2L) · t(4L) · · · t(2k−1 L) . Supponiamo ad esempio di voler costruire un filtro di Lyot per la riga Hα A. Poich´e a quella lunghezza d’onda si ha alla lunghezza d’onda λ0 = 6563 ˚ ∆n = 0.171, la lunghezza del primo cristallo deve essere un multiplo intero della quantit` a L0 definita da L0 =

λ0 = 3.84 µm . ∆n

Se quindi poniamo L = mL0 , con m intero, si ha che alla lunghezza d’onda λ0 , t(L) = 1, t(2L) = 1, etc.., e quindi T = 1. Per trovare la banda passante

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CAPITOLO 1

Fig 1.11. Trasmissione di un filtro di Lyot per la riga Hα realizzato con 6 cristalli di calcite.

del filtro, si pu` o osservare che essa `e sostanzialmente determinata dall’ultimo elemento del filtro, per la cui trasmissione si ha  t(2

k−1

L) = cos

2

π 2k−1 mL0 ∆n λ



 2

= cos

π 2k−1 mλ0 λ

 .

Indicando la banda passante con ∆λ, essa si ottiene imponendo che 2k−1 mλ0 = 2k−1 m − 1 , λ0 + ∆λ ovvero, mediante uno sviluppo in serie ∆λ 1 = k−1 . λ0 2 m Come esempio possiamo considerare un filtro di Lyot realizzato con 6 cristalli di calcite e assumendo per m il valore 34 (col che la lunghezza del primo cristallo risulta L = 0.13 mm e quella dell’ultimo 4.2 mm). La trasmissione di tale filtro `e riportata in grafico nella Fig. 1.11. La banda passante risulta

` GENERALITA

23

∆λ  6 ˚ A e l’intervallo libero spettrale (free spectral range)4 , ovvero l’intervallo in lunghezza d’onda al quale si trova un secondo massimo della trasmissione A. L’esistenza di tali massimi del filtro, risulta pari a λ0 /m, ovvero circa 200 ˚ indesiderati `e tipica di tutti i filtri interferenziali. A tale inconveniente si pu` o semplicemente ovviare disponendo di altri filtri a banda molto pi` u larga che sono facilmente reperibili in commercio. Ovviamente, la banda passante di un filtro di Lyot pu` o essere sempre diminuita di un fattore 2 semplicemente aggiungendo un ulteriore cristallo di calcite di lunghezza doppia (e un polarizzatore) al treno preesistente. Tale procedura non pu` o per` o essere proseguita ad libitum perch´e, da un lato, il filtro diventa sempre pi` u lungo (con la difficolt` a connessa di poter reperire i relativi cristalli di calcite) e, dall’altro, la trasparenza del filtro diminuisce a causa delle riflessioni (da noi trascurate nella semplice teoria sviluppata sopra) su un numero sempre maggiore di ottiche. Un tipico filtro di Lyot per osservazioni solari `e realizzato con 9 cristalli di calcite e ha una banda passante dell’ordine di 0.25 ˚ A. Sebbene il filtro di Lyot abbia rivestito un ruolo di grande importanza per la fisica solare, non c’`e alcun dubbio che si tratti di uno strumento limitato, nel senso che esso presenta una banda passante piuttosto larga ed `e capace di lavorare a un’unica lunghezza d’onda, quella per la quale `e stato costruito. D’altra parte, con l’andare del tempo, `e divenuta sempre pi` u stringente in fisica solare la necessit`a di disporre di un filtro sintonizzabile, ovvero adattabile all’osservazione a lunghezze d’onda diverse. Per questa ragione `e stata ideata negli anni 1970 una “generalizzazione” del filtro di Lyot, il cosiddetto Filtro Birifrangente Universale (UBF, Universal Birifringent Filter). La generalizzazione `e realizzata aggiungendo, davanti a ciascun polarizzatore di uscita dei singoli elementi di un filtro di Lyot standard, una lamina di ritardo acromatica a quarto d’onda5 e ruotando mediante servomeccanismi uno o pi` u degli elementi (polarizzatori, cristalli e lamine). Scegliendo in maniera appropriata gli angoli di rotazione, `e possibile sintonizzare il filtro a una lunghezza d’onda arbitrariamente scelta entro l’intervallo di lavoro. Di tale filtro sono stati costruiti solo tre esemplari, uno dei quali `e in dotazione all’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri6 . Per rispondere alle sempre crescenti esigenze della fisica solare nei riguardi della risoluzione spaziale, spettrale e temporale, negli ultimi anni sono stati progettati e messi in operazione dei filtri di tipo diverso che presentano, rispetto al Filtro di Lyot o all’UBF, trasmissione e potere risolutivo spettrale pi` u elevati, uniti a una migliore rapidit` a e precisione nella sintonizzazione. L’elemento di base che costituisce tali filtri `e il cosiddetto interferometro di Fabry-Perot, uno 4

L’intervallo libero spettrale corrisponde alla distanza fra due massimi successivi del profilo di trasmissione del primo elemento.

5 6

Una lamina a quarto d’onda introduce un ritardo δ = π/4.

L’UBF di Arcetri ` e parte integrante del Monocromatore Panoramico Italiano, uno stru´ mento presentemente installato al Telescopio Franco-Italiano TH EMIS.

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CAPITOLO 1

B A θ

d Fig 1.12. Illustrazione schematica dell’interferometro di Fabry-Perot. La radiazione subisce una serie di riflessioni multiple fra due lamine separate della distanza d. Tipicamente, per applicazioni di fisica solare, le lamine sono realizzate in vetro (rivestito di materiale riflettente) e disposte in aria. Per operare in maniera corretta, l’interferometro necessita di essere termostatizzato e isolato baricamente dall’ambiente esterno per evitare la variazione dell’indice di rifrazione dell’aria con la temperatura e la pressione.

strumento ottico che sfrutta l’interferenza multipla fra due lamine semiriflettenti, il cui principio di funzionamento `e illustrato nella Fig. 1.12. Con semplici considerazioni geometriche si pu` o esprimere la differenza di fase, δ, fra due raggi contigui trasmessi. Si ha δ=

2π , λ

dove `e il cammino ottico fra i punti A e B della Fig. 1.12 e λ `e la lunghezza d’onda della radiazione incidente. Esprimendo si ottiene   2π na 2d 4π d na cos θ δ= − 2 d tan θ sin θ = , λ cos θ λ dove na `e l’indice di rifrazione del mezzo interposto fra le lamine. Ovviamente, quando δ `e un multiplo intero di 2π tutti i raggi trasmessi sono in fase fra loro e la trasmissione del filtro risulta massima. Il calcolo del rapporto fra le intensit` a del fascio trasmesso e quella del fascio incidente `e pi` u complicato. Qui ci limitiamo a enunciarne il risultato senza dimostrarlo7 . Trascurando l’assorbimento e indicando con T ed R, rispettivamente, il coefficiente di trasmissione e quello di riflessione per il passaggio della radiazione dal mezzo interposto alla lamina (con T + R = 1), il rapporto fra intensit` a trasmessa e intensit` a incidente, che indichiamo con R, `e dato dalla formula di Airy 7

Per la dimostrazione si veda ad esempio M. Born & E. Wolf, Principle of Optics, Pergamon Press, Oxford, 5th Edit., 1975.

` GENERALITA

R=

25

T2 . (1 − R)2 + 4 R sin2 (δ/2)

Introducendo il cosiddetto “coefficiente di finesse”, Q, definito da Q=

4R 4R = 2 , (1 − R)2 T

la stessa formula pu` o anche essere posta nella forma R=

1 . 1 + Q sin2 (δ/2)

Questa espressione permette di determinare la banda passante dell’interferometro. Consideriamo il caso in cui l’interferometro lavori all’ordine N . Supponiamo cio`e che sia δ = 2π N . Per tale valore di δ si ha R = 1. Diamo adesso una piccola variazione a δ e chiediamoci per quale valore di ∆δ si ottiene R = 12 . Dalla formula precedente, supponendo ∆δ  1, si ottiene 2 ∆δ = √ . Q Il valore della banda passante, definito come larghezza a mezza altezza del profilo di trasmissione, si ottiene quindi mediante l’equazione    dλ  2λ λ . ∆λ = 2   ∆δ = 2 ∆δ = √ dδ δ π QN Questo valore della banda passante va confrontato con l’intervallo libero spet√ trale, che risulta pari a λ/N (ovvero maggiore di un fattore dell’ordine di Q rispetto alla banda passante, da cui l’importanza di avere un fattore di finesse elevato). Un interferometro di Fabry-Perot utilizzato per spettroscopia solare `e costituito da due lamine di vetro rivestite internamente di materiale altamente riflettente (un valore tipico della riflettivit` a essendo √ R = 0.93, corrispondente a un coefficiente di finesse Q = 760 e a un valore di Q circa uguale a 28) disposte in aria a una distanza dell’ordine del millimetro. L’interferometro lavora in trasmissione normale (θ = 0) a ordini N molto elevati (N  4, 000). Dalle formule precedenti si ottiene, per λ = 5000 ˚ A, una banda passante dell’ordine di 30 m˚ A e un intervallo libero spettrale dell’ordine di 1 ˚ A. La trasmissione del filtro in funzione della lunghezza d’onda pu` o quindi essere schematizzata, in prima approssimazione, come un “pettine” di funzioni del tipo “delta di Dirac” equidistanziate. Il filtro pu` o poi essere sintonizzato agendo sulla distanza delle lamine, cosa che viene comunemente realizzata mediante attuatori piezoelettrici controllati per mezzo di sensori di capacit`a.

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CAPITOLO 1

Disco occultante

Lente Obbiettivo

Stop di Lyot

Lente di campo

Piano Focale

Lente Obbiettivo

Fig 1.13. Schema del coronografo di Lyot.

Ovviamente, l’inconveniente maggiore di un singolo interferometro `e il piccolo valore dell’intervallo libero spettrale. Per questa ragione vengono utilizzati due interferometri di Fabry-Perot con caratteristiche diverse e funzionanti in serie. Le distanze fra le lamine dei singoli interferometri sono fissate in maniera tale che i due profili di trasmissione si sovrappongano in corrispondenza di uno dei loro “denti”. Cos`ı facendo, essendo gli intervalli liberi spettrali diversi fra loro, la coppia di interferometri si comporta, in prima approssimazione, come un singolo interferometro avente banda passante pari alla minore fra quelle dei due interferometri e un intervallo libero spettrale molto pi´ u grande. Su questo principio `e stato realizzato presso l’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri uno strumento di alta qualit` a detto IBIS (Interferometric Bidimensional Spectrometer) che si trova attualmente installato presso il National Solar Observatory nel sito di Sacramento Peak (New Mexico, Stati Uniti). L’ultimo strumento che intendiamo descrivere `e il coronografo, illustrato schematicamente nella Fig. 1.13. Tale strumento `e stato sviluppato per poter osservare la corona solare anche in situazioni normali, ovvero senza dover attendere un evento raro come quello di un’eclisse totale di Sole. A causa della debolissima brillanza della corona (tipicamente minore di un fattore dell’ordine di 106 rispetto alla brillanza del disco solare), l’ovvia e banale idea di osservare la corona semplicemente occultando il disco solare per mezzo di uno schermo opaco `e destinata a fallire se non vengono prese delle opportune precauzioni costruttive e logistiche. La prima precauzione consiste nell’utilizzare per tutte le ottiche, e in particolare per la prima lente obbiettivo, un vetro il pi` u puro possibile (privo di centri diffusori). Per quanto pura, la lente obbiettivo d` a luogo per` o a un inevitabile fenomeno di diffrazione che si produce sul suo bordo. L’intensit` a della radiazione diffratta dal bordo della lente `e infatti pi` u che sufficiente a mascherare completamente l’intensit`a della radiazione proveniente dalla corona. Per ovviare a questo inconveniente, nel piano focale della prima lente obbiettivo si dispone, oltre che il disco occultante, una lente di campo.

` GENERALITA

27

Tale lente va a formare un’immagine del bordo della lente obbiettivo su un diaframma avente forma di una corona circolare detto “stop di Lyot”. Affinch´e questo si verifichi `e ovviamente necessario che lo stop di Lyot si trovi nel punto coniugato della prima lente obbiettivo rispetto alla lente di campo. La seconda lente obbiettivo fa poi convergere l’immagine del disco occultante e della corona nel piano focale dello strumento dove si trova il rivelatore. Infine, una corretta utilizzazione del coronografo richiede anche la scelta di un sito opportuno, in modo tale da minimizzare i fenomeni di diffusione dovuti all’atmosfera terrestre. I siti pi` u adatti si trovano in montagna ad altezze tipiche dell’ordine di 3000 m e a notevole distanza da sorgenti di inquinamento antropico di tipo urbano o industriale. Notevole importanza per l’osservazione della corona hanno avuto, dal punto di vista storico, l’Osservatorio di Pic du Midi nei Pirenei francesi, la stazione di Climax dello High Altitude Observatory in Colorado, l’Osservatorio di Sacramento Peak, gi` a precedentemente citato, e gli Osservatori di Mauna Loa e Mauna Kea nelle Isole Hawaii.

Capitolo 2

Lo spettro solare e la sua interpretazione L’analisi spettroscopica della radiazione solare fornisce uno strumento diagnostico di fondamentale importanza per la determinazione dei parametri fisici dell’atmosfera del Sole e della sua composizione chimica. La radiazione, fluendo attraverso l’atmosefra solare, `e soggetta a continui processi di emissione e di assorbimento che ne modificano l’intensit` a e la distribuzione spettrale. Una volta raggiunti gli strati pi` u esterni, la radiazione pu` o infine propagarsi nello spazio vuoto senza subire ulteriori modifiche e portando con s´e, codificata nello spettro, un’enorme quantit` a di informazioni. Questo capitolo fornisce gli strumenti di base per l’interpretazione dello spettro solare illustrando in maniera dettagliata i meccanismi di trasporto della radiazione e i meccanismi di interazione fra la radiazione e il mezzo materiale in cui si propaga.

2.1 Lo spettro solare Parlando di spettro solare `e necessario premettere alcune considerazioni di carattere generale per precisarne meglio la definizione. Poich´e il Sole pu` o essere osservato ad alta risoluzione spaziale, `e ovvio che non esiste un singolo spettro solare, ma esistono tanti spettri diversi che dipendono dal punto su cui `e puntato il telescopio. Si pu` o quindi distinguere fra lo spettro di un granulo, lo spettro di una zona intergranulare, lo spettro dell’ombra di una macchia, etc.. Per di pi` u, esiste nello spettro solare un fenomeno di variazione con l’angolo eliocentrico per il quale uno spettro ottenuto al centro del Sole differisce, anche se in maniera non molto pronunciata, da uno spettro ottenuto al lembo. Esistono in effetti due possibilit`a di definire lo spettro solare “standard”. La prima `e quella di osservare il centro del Sole, facendo attenzione che non sia ivi presente una macchia al momento dell’osservazione, e sfuocando l’immagine in modo da ottenere una media fra regioni granulari e intergranulari. La seconda possibilit` a `e quella di rinunciare totalmente alla risoluzione spaziale e ottenere uno spettro del Sole come stella. Nel seguito di questo paragrafo ci riferiremo per le nostre considerazioni a quest’ultimo spettro. All’osservazione moderna lo spettro solare si presenta come uno spettro continuo solcato da un numero elevatissimo di righe spettrali (si veda la Fig. 2.1). Da un punto di vista pi` u generale, ovvero dal punto di vista della classificazione di Harvard degli spettri stellari, lo spettro del Sole `e tipico di una stella di tipo

30

CAPITOLO 2

Fig. 2.1. Lo spettro solare nel visibile. L’immagine composita `e ottenuta sovrapponendo singoli tratti di spettro di ampiezza dell’ordine di 100 ˚ A. La lunghezza d’onda diminuisce dall’alto verso il basso e da sinsitra a destra. Si noti la presenza di alcune righe particolarmente prominenti e l’aumento della densit` a di righe procedendo verso lunghezze d’onda minori. L’immagine `e anche riprodotta nell’inserto a colori.

spettrale G2. In tale spettro, le righe dell’Idrogeno risultano molto attenuate rispetto a quelle osservate nel tipo spettrale anteriore (F), esiste una grande abbondanza di righe atomiche, e cominciano ad apparire alcune bande molecolari. Dal punto di vista dello spettro continuo, lo spettro solare si adatta abbastanza fedelmente allo spettro di un corpo nero di temperatura T = 5776 K, sebbene la concordanza sia migliore nell’infrarosso che nel visibile o nell’UV. Se ci si limita a considerare lunghezze d’onda superiori a 2500 ˚ A, la differenza fra lo spettro solare e quello del corpo nero di riferimento risulta, in valore assoluto, sempre inferiore o dell’ordine del 10%. Come negli spettri di moltissime stelle, appare poi evidente la cosiddetta discontinuit` a di Balmer che consiste in una brusca diminuzione dell’intensit` a spettrale (andando dal rosso verso il violetto) in corrispondenza della lunghezza d’onda di 3646 ˚ A, la lunghezza d’onda di soglia per fotoionizzazione dell’Idrogeno a partire dal livello eccitato n = 2. Dal punto di vista della ripartizione nelle diverse finestre, la radiazione solare (prima di subire l’assorbimento dell’atmosfera terrestre) consta per il 7% di radiazione ultravioletta (λ < 3800 ˚ A), per il 40% di radiazione visibile (3800 ˚ A ˚ < λ < 7000 A) e per il 53% di radiazione infrarossa (λ > 7000 ˚ A). Per lo studio dello spettro di righe, `e consuetudine riportare in grafico lo spettro solare su intervalli spettrali di ampiezza limitata (tipicamente qualche decina fino a un centinaio di ˚ A), come illustrato per tre diversi intervalli spettrali nella Fig. 2.2. In tale rappresentazione le righe, quando isolate, appaiono come schematicamente illustrato nella Fig. 2.3 e vengono caratterizzate da tre parametri: la lunghezza d’onda centrale, λ0 , la depressione centrale, d0 (con 0 ≤ d0 ≤ 1), e la larghezza equivalente, Wλ . Queste due ultime quantit`a sono definite da

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE

31

Fig. 2.2. Lo spettro del “Sole come stella” in corrispondenza di tre diversi intervalli di lunghezza d’onda (espressa in ˚ A). Sull’asse verticale `e riportata l’intensit` a specifica, I(λ), normalizzata all’intensit` a del continuo. Si noti, nel pannello in alto, l’elevata densit` a di righe nella regione violetta dello spettro e l’impressionante larghezza delle righe H e K del Calcio ionizzato, le pi` u intense dello spettro solare. Nel pannello intermedio sono visibili le righe D del Sodio neutro e, nel pannello in basso, la riga Hα dell’Idrogeno.

Ic − I(λ0 ) d0 = , Ic

 Wλ = riga

Ic − I(λ) dλ , Ic

dove Ic `e l’intensit` a del continuo adiacente la riga. Mentre d0 `e una quantit` a adimensionale, la larghezza equivalente ha le dimensioni di una lunghezza e viene solitamente espressa in m˚ A1 . Dal punto di vista geometrico, la larghezza equivalente `e uguale all’area della regione compresa fra la retta di equazione I/Ic = 1 e la curva della funzione I(λ)/Ic . Le righe visibili pi` u importanti dello spettro solare, ovvero quelle che hanno maggiore larghezza equivalente, sono riportate nella Tab. 2.1. Alcune di queste 1 A questa unit` a di misura si d` a anche il nome di “Fraunhofer” anche se tale denominazione ` e oggi caduta in disuso.

32

CAPITOLO 2

I / Ic 1

d0

0 λ0

λ

Fig 2.3. Andamento schematico dell’intensit` a in funzione della lunghezza d’onda nelle adiacenze di una tipica riga spettrale isolata.

Elemento o molecola Ca II Ca II HI Ca I CH HI HI Mg I Mg I Mg I Fe I Na I Na I HI

λ0 (˚ A)

Wλ (m˚ A)

3934 3968 4102 4227  4300 4340 4861 5167 5173 5183 5270 5890 5896 6563

20253 15467 3133 1476 2855 3680 935 1259 1584 478 752 564 4020

Denominazione moderna K H Hδ h Banda G Hγ Hβ b3 b2 b1 E D2 D1 Hα

Denominazione di Fraunhofer K H G F E D D C

Tab 2.1. Principali righe dello spettro solare.

righe sono quelle “originali” osservate da Fraunhofer e da esso individuate per mezzo di una lettera dell’alfabeto, da A a K, in ordine di lunghezza d’onda decrescente. Oggi sappiamo che le righe A e B di Fraunhofer, vicine a 7000 ˚ A, sono in effetti delle cosiddette “righe telluriche” dovute alla molecola di Ossigeno (O2 ). Esse non hanno niente a che vedere col Sole ma sono formate per assorbimento della radiazione solare nell’atmosfera terrestre.

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE

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Per l’interpretazione dello spettro solare, sia quello continuo che quello di righe, si fa oggi ricorso alla teoria del trasporto radiativo. Sviluppata all’inizio degli anni 1920 con il contributo fondamentale di famosissimi astronomi quali E.A. Milne e A. Eddington (che estesero lavori precedenti di A. Sch¨ uster e K. Schwarzschild), essa `e divenuta, con l’andare del tempo, una disciplina di grande sofisticazione nella quale si sono cimentati e hanno portato notevoli contributi famosissimi astrofisici quali V. Kourganoff e S. Chandrasekhar. Essa ha subito una fase di evoluzione negli anni 1950, periodo in cui, con l’avvento degli elaboratori elettronici, `e stato possibile risolvere numericamente le tipiche equazioni accoppiate che si incontrano comunemente in tale teoria2 . I paragrafi successivi sono dedicati a sviluppare questo argomento nel contesto della fisica solare.

2.2 L’equazione del trasporto Consideriamo un pennello di radiazione che si propaga lungo una particolare  in un punto P di un mezzo arbitrario. Se si indica con dE la direzione Ω quantit` a infinitesima di energia raggiante, con frequenza compresa fra ν e ν +  che dν e direzione contenuta in un angolo solido dΩ centrato intorno a Ω, attraversa, nell’intervallo di tempo dt, un elemento di superficie dS disposto  tale quantit` perpendicolarmente a Ω, a `e ovviamente proporzionale a dS, a dt, a dν e a dΩ, ovvero  t) dS dt dν dΩ . dE = Iν (P, Ω, Il coefficiente di proporzionalit` a, che dipende dalla frequenza ν, dal punto P,  e dal tempo t, definisce la cosiddetta intensit`a specifica (del dalla direzione Ω campo di radiazione). Se il campo di radiazione non `e funzione di t si dice  si dice isotropo, e se non `e funzione di P si stazionario, se non `e funzione di Ω dice omogeneo. Un caso ideale in cui il campo di radiazione `e stazionario, isotropo e omogeneo `e quello della radiazione di corpo nero. In tale caso l’intensit` a specifica `e data dalla funzione di Planck    −1 2hν 3 hν , Iν = Bν (T ) = 2 exp −1 c kB T dove h `e la costante di Planck, c la velocit`a della luce, kB la costante di Boltzmann, e T la temperatura assoluta del corpo nero. Quando la radiazione si propaga in un mezzo materiale essa subisce vari fenomeni di trasporto che contribuiscono a modificarla. Tali fenomeni pos2

Si veda, ad esempio, D. Mihalas, Stellar Atmospheres, 2nd Ed., W.H. Freeman, San Francisco, 1978.

34

CAPITOLO 2

sono essere descritti attraverso l’introduzione di due coefficienti, detti rispettivamente coefficiente di assorbimento e coefficiente di emissione che vengono tradizionalmente indicati, rispettivamente, con i simboli kν e ν . Entrambi questi coefficienti possono essere definiti in maniera euristica. Per definire il coefficiente di assorbimento si parte dalla relazione empirica dIν = −kν ds , Iν che esprime la diminuzione relativa dell’intensit` a che si verifica quando la radiazione attraversa un elemento infinitesimo di lunghezza ds del mezzo. Per il coefficiente di emissione si fa invece riferimento all’energia dE emessa da un elemento di volume dV nell’intervallo di tempo dt, nell’intervallo di frequenza  Il coeffi(ν, ν + dν), e nell’angolo solido dΩ centrato intorno alla direzione Ω. ciente di emissione, ν , `e implicitamente definito dall’equazione dE = ν dV dt dν dΩ . Con queste definizioni, l’equazione del trasporto per l’intensit` a specifica del campo di radiazione si scrive nella forma3 d Iν = −kν Iν + ν , ds dove s `e la coordinata misurata lungo il raggio. Questa equazione costituisce la base teorica per l’interpretazione dello spettro solare e di tutti gli spettri astrofisici.

2.3 Soluzione formale dell’equazione del trasporto Per affrontare il problema della sua soluzione, l’equazione del trasporto viene spesso espressa in una forma equivalente. Definendo la funzione sorgente, Sν , attraverso l’equazione Sν = 3

ν , kν

Per una deduzione formale dell’equazione del trasporto dai principi dell’elettrodinamica quantistica si veda E. Landi Degl’Innocenti & M. Landolfi Polarization in Spectral Lines, Kluwer Acad. Publ., Dordrecht, 2004. Tale deduzione fornisce anche l’espressione di k ν e ν in funzione delle propriet` a del mezzo e mostra che kν consta in effetti di due contributi: (a) (s) (a) (s) e il coefficiente di assorbimento vero e proprio e kν ` e il coeffikν = kν − kν , dove kν ` ciente di emissione stimolata (o di assorbimento negativo). Quella qui presentata non `e una vera e propria deduzione dell’equazione del trasporto in quanto i coefficienti k ν e ν sono implicitamente definiti dall’equazione stessa.

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE

35

l’equazione del trasporto pu` o essere posta nella forma d Iν = −kν (Iν − Sν ) . ds In generale, kν e Sν sono funzioni del punto, ovvero della coordinata s. Se si suppone che tali funzioni siano note, l’equazione pu` o essere facilmente risolta. A questo scopo introduciamo, in luogo della coordinata geometrica s, la cosiddetta profondit` a ottica specifica (funzione di ν), attraverso l’equazione dτν = −kν ds . Come si vede da questa equazione, la profondit`a ottica `e definita in direzione opposta a quella di propagazione della radiazione, il che riflette il punto di vista di un osservatore che riceve la radiazione nel proprio strumento. Considerando il plasma contenuto entro uno spessore geometrico fissato, ad esempio fra s1 e s2 (con s1 < s2 ), lo spessore ottico fra i due punti risulta, per semplice integrazione dell’equazione precedente  s2 ∆τν (s1 , s2 ) = τν (s1 ) − τν (s2 ) = kν (s) ds . s1

Lo spessore ottico dipende dalla frequenza e uno spessore geometrico fissato si definisce “otticamente sottile” quando ∆τν  1 oppure “otticamente spesso” quando ∆τν  1. In termini fisici, un mezzo `e otticamente sottile alla frequenza ν quando un fotone di quella frequenza ha una probabilit` a trascurabile di essere assorbito nell’attraversarlo. Viceversa, se il mezzo `e otticamente spesso, il fotone ha una probabilit` a praticamente pari a uno di essere assorbito nel mezzo stesso. Dividendo l’equazione del trasporto per kν e cambiando di segno, si ha dIν = Iν − Sν . dτν Per risolvere questa equazione moltiplichiamo ambo i membri per il fattore e−τν . Si ottiene e−τν

dIν = e−τν Iν − e−τν Sν , dτν

ovvero d  −τν e Iν = − e−τν Sν . dτν Con riferimento alla Fig. 2.4, integriamo questa equazione fra i punti P 1 e P2 del cammino percorso dal raggio ai quali corrispondono le coordinate s1 e s2 (1) (2) (1) (2) (con s2 < s1 ) e le profondit` a ottiche τν e τν (con τν < τν ). Si ottiene

36

CAPITOLO 2

τν(1) τν τν(2)

O

P2

s2

P

P1

A

s s1 Fig 2.4. La radiazione si propaga nella direzione che va dal punto P 2 al punto P1 . La coordinata spaziale `e misurata a partire dal punto O mentre la profondit` a ottica ` e misurata nella direzione contraria alla propagazione a partire dal punto A.

e

−τν(1)



Iν τν(1)



−e

−τν(2)

 Iν τν(2) =



τν(2) (1)

Sν (τν ) e−τν dτν ,

τν

ovvero   (2) (1)  + Iν τν(1) = Iν τν(2) e− τν −τν



τν(2) (1)

Sν (τν ) e−



τν −τν(1)

dτν .

τν

Questa formula si interpreta facilmente osservando che l’intensit`a nel punto P 1 `e data dall’intensit` a presente nel punto P2 (la condizione al contorno) moltiplicata per il fattore di attenuazione dovuto all’assorbimento fra i punti P 2 e P1 , alla quale si aggiunge il contributo dovuto all’emissione nell’intervallo compreso fra i due punti. Il contributo relativo all’intervallo infinitesimo dτν , situato nel punto generico P, `e moltiplicato per il relativo fattore di attenuazione dovuto all’assorbimento fra i punti P e P1 . In particolare, se si considera la radiazione (1) emergente da un plasma e si pone quindi τν = 0, l’equazione precedente risulta Iν (0) = Iν (τν ) e

−τν

 + 0

τν



Sν (τν ) e−τν dτν .

In molti casi, soprattutto in astrofisica, si ha a che fare con plasmi che risultano praticamente infiniti in una direzione (si pensi ad esempio a un’atmosfera stellare della quale interessi esprimere l’intensit` a emergente in funzione delle propriet` a locali dell’atmosfera stessa). In tali casi, si deve considerare il limite dell’equazione precedente per τν → ∞, e, supponendo matematicamente che si abbia

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE

37

lim Iν (τν ) e−τν = 0 ,

τν →∞

si ottiene  Iν (0) =



Sν (τν ) e−τν dτν .

0

Il limite matematico di cui sopra `e sempre soddisfatto in pratica, per cui questa equazione esprime in tutta generalit` a l’intensit` a emergente da un’atmosfera stellare.

2.4 Trasporto radiativo nelle atmosfere stellari Per determinare l’intensit` a specifica del campo di radiazione emesso da un’atmosfera stellare vengono spesso introdotte un certo numero di approssimazioni che servono a semplificare il problema e a renderlo trattabile dal punto di vista matematico in modo da ottenere alcuni risultati analitici validi come approssimazione di ordine zero. La prima di tali approssimazioni `e quella detta dell’atmosfera piana che consiste nel trascurare la curvatura degli strati superficiali della stella dovuta alla forma sferica della stella stessa. Tale approssimazione `e in generale ben giustificata in quanto lo spessore dell’atmosfera (definita come lo strato superficiale dal quale proviene la radiazione osservata) `e molto minore del raggio della stella. Per il Sole, ad esempio, lo spessore H `e dell’ordine di un migliaio di Km, per cui si ha 103 H   1.4 × 10−3 . R 7 × 105 Si suppone poi che le propriet` a fisiche dell’atmosfera dipendano soltanto dalla quota z (misurata da un’origine che non `e necessario per il momento specificare) e non anche dalle altre due coordinate x e y. Il campo di radiazione, che in situazioni stazionarie dipende, oltre che dalla frequenza, dal punto P e dalla  viene cos`ı a dipendere unicamente dalla quota z e dall’angolo θ direzione Ω, (detto angolo eliocentrico nel caso del Sole), definito come in Fig. 2.5. Quando si introduce questa ulteriore approssimazione si dice che si ha a che fare con un’atmosfera piano-parallela. Indicando con Iν (z, µ) l’intensit` a specifica della radiazione che si propaga nella direzione individuata dall’angolo θ (con µ = cos θ), l’equazione del trasporto risulta µ

d Iν (z, µ) = −kν [Iν (z, µ) − Sν ] , dz

38

CAPITOLO 2

z



θ

Fig 2.5. Schematizzazione di un’atmosfera piano-parallela nella quale le propriet` a fisiche dipendono solo dalla quota z e il campo di radiazione solo da z e dall’angolo eliocentrico θ.

e, se si suppone valida l’ipotesi dell’Equilibrio Termodinamico Locale (ETL)4 , d Iν (z, µ) = −kν [Iν (z, µ) − Bν ] , dz dove Bν `e la funzione di Planck che dipende solo dalla temperatura locale. L’equazione del trasporto pu`o essere formalmente risolta introducendo la proa fondit` a ottica specifica, tν , misurata lungo la verticale nel senso delle profondit` crescenti (si noti che questa quantit` a differisce da quella definita col simbolo τν nel paragrafo precedente e che si riferisce alla profondit` a ottica misurata lungo un raggio generico). µ

dtν = −kν dz . Utilizzando i risultati del paragrafo precedente si ha, per l’intensit` a emergente  ∞ dtν . Bν e−tν /µ Iν (0, µ) = µ 0 Questa espressione pu`o essere convenientemente approssimata al fine di dedurre alcuni risultati di tipo qualitativo. Se si suppone ad esempio che la funzione di Planck abbia un andamento lineare con tν , ovvero che valga un’espressione del tipo 4

Tale ipotesi consiste nell’assumere che il mezzo materiale con cui interagisce il campo di radiazione si trovi all’equilibrio termodinamico. In tale caso, in base al principio di Kirchhoff e la funzione di Planck. si ha Sν = ν /kν = Bν , dove Bν `

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE

39

Bν (τν ) = aν + bν tν , si ottiene, con facili passaggi Iν (0, µ) = aν + bν µ = Bν (tν = µ) . La cosiddetta approssimazione di Eddington-Barbier consiste nel supporre che questa identit` a, rigorosamente valida nel caso di una funzione di Planck lineare con tν , sia valida in generale. Si ha quindi, in questa approssimazione Iν (0, µ)  Bν (tν = µ) . Se si pensa che la temperatura nell’atmosfera stellare sia un’assegnata funzione della quota geometrica z (T = T (z)), per determinare l’intensit` a emergente attraverso l’approssimazione di Eddington-Barbier `e sufficiente calcolare la quota z˜ alla quale si ha tν = µ e si ottiene Iν (0, µ)  Bν [T (˜ z)] . Poich´e in generale la temperatura decresce con z, ci si devono attendere due fenomeni diversi: a) Fissata la frequenza, l’intensit` a emessa dalla stella `e maggiore al centro (µ = 1) che non al bordo (µ → 0). Questo fenomeno, che prende il nome di “oscuramento al bordo”, `e osservabile soltanto sul Sole (in quanto `e impossibile con le tecnologie attuali risolvere spazialmente la radiazione proveniente dalle stelle). In ultima analisi, tale fenomeno `e dovuto al fatto che, osservando al centro del Sole, si riesce a penetrare pi` u in profondit` a entro l’atmosfera solare. Osservando al bordo, invece, si vedono gli strati pi` u superficiali che sono anche pi` u freddi (e quindi meno luminosi). b) Fissato µ, poich`e il coefficiente di assorbimento `e funzione della frequenza, si ottiene un’intensit` a minore a quelle frequenze per le quali il coefficiente di assorbimento `e pi` u elevato e un’intensit`a maggiore alle frequenze per le quali il coefficiente di assorbimento `e pi` u basso. Ovviamente, “minore” e “maggiore” vanno qui intesi in senso relativo, ovvero rispetto a una funzione di Planck “media” non meglio specificata. In altre parole, si pu` o pensare che uno spettro stellare sia costituito da una funzione di Planck “modulata” con una tendenza all’aumento alle frequenze dove il coefficiente di assorbimento `e basso e una tendenza alla diminuzione dove il coefficiente di assorbimento `e alto. In questo modo si spiegano facilmente le discontinuit` a del continuo che si osservano ai limiti delle serie (tipica l’improvvisa diminuzione del continuo a lunghezze d’onda minori di 3646 ˚ A, la cosiddetta discontinuit` a di Balmer). Analogamente, se si considera un intervallo di frequenza centrato intorno a una riga spettrale, il coefficiente di assorbimento ha qui una variazione rapida, passando da un valore

40

CAPITOLO 2

θ R*

all’osservatore

θ

Fig 2.6. La radiazione emessa dall’elemento di superficie stellare individuato dall’angolo al centro θ ` e inclinata dello stesso angolo rispetto alla verticale.

molto elevato al centro della riga a un valore molto minore nelle ali della riga stessa. Questo spiega, qualitativamente, la presenza di righe di assorbimento negli spettri stellari e induce a ritenere che, nei casi in cui si osservino righe di emissione, la temperatura debba invece avere un andamento crescente con la quota (cromosfere stellari). Per quanto riguarda le stelle, come abbiamo detto, non `e possibile effettuare osservazioni dell’andamento dell’intensit` a in funzione di µ. Quello che si osserva `e invece l’intensit` a media della radiazione sul disco stellare, I¯ν definita da (si veda la Fig. 2.6).  π R∗2 I¯ν





=

π/2

dφ 0

0

dθ Iν (0, θ) R∗2 cos θ sin θ ,

ovvero  I¯ν (0) = 2

1

Iν (0, µ) µ dµ . 0

Sostituendo in questa equazione la soluzione formale trovata precedentemente, e invertendo l’ordine delle integrazioni, si ottiene  I¯ν (0) = 2





dtν Bν (T ) 0

1

e−tν /µ dµ .

0

L’integrale in dµ pu` o essere trasformato in termini di funzioni note. Attraverso la sostituzione w = 1/µ si ha

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE



1

e

−tν /µ

 dµ =

0



e−wtν

1

41

1 dw , w2

e introducendo la funzione integro-esponenziale di ordine n, definita dall’equazione  ∞ −wx e dw , (n ≥ 1) , En (x) = wn 1 si ottiene 

1

e−tν /µ dµ = E2 (tν ) ,

0

per cui  I¯ν = 2



Bν (tν ) E2 (tν ) dtν . 0

L’analogo dell’approssimazione di Eddington-Barbier si ottiene supponendo che Bν sia una funzione lineare di tν . In questo caso, tenendo conto che  ∞  ∞ 1 1 , , En (x) dx = x En (x) dx = n n + 1 0 0 si ottiene I¯ν = Bν (tν = 23 ) . L’approssimazione di Eddington-Barbier risulta quindi I¯ν  Bν (tν = 23 ) .

2.5 Il modello di atmosfera grigia Consideriamo un’atmosfera piano-parallela in equilibrio termodinamico locale. Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, l’intensit` a emergente pu`o essere espressa attraverso un integrale che implica la conoscenza della funzione di Planck (ovvero della temperatura) alle diverse profondit`a ottiche. Quando si conosce l’andamento con la profondit` a della temperatura e, eventualmente, delle altre grandezze fisiche (quali ad esempio la pressione), si dice che si dispone di un “modello di atmosfera”. Si possono costruire modelli di atmosfera pi` u o meno sofisticati, a seconda della quantit` a di informazioni fisiche che si introducono nella descrizione dell’atmosfera stessa. Il pi` u semplice di tali modelli, e anche il primo dal punto di

42

CAPITOLO 2

vista storico, `e il cosiddetto “modello dell’atmosfera grigia”. In tale modello si considera, come punto di partenza, un’atmosfera piano-parallela in equilibrio termodinamico locale e in equilibrio radiativo. Riguardo a quest’ultimo concetto bisogna osservare che l’energia pu`o fluire attraverso un’atmosfera stellare per mezzo di tre meccanismi fisici distinti: irraggiamento, convezione, e conduzione. Un’atmosfera stellare si dice in equilibrio radiativo quando l’energia fluisce solamente per irraggiamento. Consideriamo una assegnata quota z nell’atmosfera stellare. L’energia netta di frequenza ν che fluisce, per unit` a di tempo, attraverso l’unit` a di superficie `e data da  Fν (z) = 2π

1

−1

µ Iν (z, µ) dµ .

La quantit` a Fν (z) viene detta flusso monocromatico. Ad essa contribuisce la radiazione proveniente dall’interno col segno positivo (µ > 0) e quella proveniente dall’esterno col segno negativo (µ < 0). In particolare, il flusso monocromatico alla superficie `e connesso alla quantit` a I¯ν , introdotta precedentemente, dalla relazione Fν (0) = π I¯ν . La condizione dell’equilibrio radiativo implica che l’integrale del flusso monocromatico su tutte le frequenze sia costante, cio`e indipendente da z. In formule, definendo il flusso totale F attraverso l’equazione 





Fν dν = 2π

F = 0





1

dν 0

−1

µ Iν (z, µ) dµ ,

l’ipotesi dell’equilibrio radiativo implica dF =0 . dz Il valore di F viene in genere parametrizzato attraverso la temperatura efficace, Teff , definita dalla relazione 4 , F = σ Teff

(dove σ `e la costante di Stefan-Boltzmann) e che ovviamente rappresenta la temperatura che dovrebbe avere un corpo nero per irradiare lo stesso flusso della stella. Il flusso totale `e anche connesso alla luminosit`a L∗ e al raggio R∗ della stella attraverso la relazione F =

L∗ . 4πR∗2

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE

43

L’ulteriore ipotesi che viene introdotta nel modello dell’atmosfera grigia (che ne giustifica il nome) `e quella di assumere il coefficiente di assorbimento kν indipendente dalla frequenza. Questa ipotesi semplifica notevolmente il problema dal punto di vista matematico ma non `e affatto realistica dal punto di vista fisico. Ovviamente il modello che cos`ı si ottiene deve essere considerato come una sorta di modello di ordine zero per una vera e propria atmosfera stellare. Nell’atmosfera grigia si pu` o definire, in luogo della profondit` a ottica monocromatica tν , una profondit` a ottica “universale” t e l’equazione del trasporto si scrive µ

d Iν (t, µ) = Iν (t, µ) − Bν (t) . dt

Integrando l’equazione del trasporto in dν e definendo  ∞  ∞ I(t, µ) = Iν (t, µ) dν , B(t) = Bν (t) dν , 0

0

si ottiene µ

d I(t, µ) = I(t, µ) − B(t) . dt

Come si vede, l’ipotesi del coefficiente di assorbimento indipendente dalla frequenza permette di scrivere un’unica equazione del trasporto per le quantit` a integrate in frequenza. Questa `e la semplificazione fondamentale dell’atmosfera grigia. A partire dalla I(t, µ) si possono definire i relativi momenti integrando sulle direzioni. Il momento di ordine n, Mn (t) `e definito da Mn (t) =

1 4π



1 2

µn I(t, µ) dΩ =



1

µn I(t, µ) dµ . −1

Il momento di ordine zero `e l’intensit` a media (sulle direzioni) del campo di radiazione ed `e indicato col simbolo J(t) 1 J(t) = M0 (t) = 2



1

I(t, µ) dµ . −1

Il momento di ordine uno `e proporzionale al flusso totale di energia raggiante. Infatti si ha  F (t) = 4πM1 (t) = 2π

1

µ I(t, µ) dµ . −1

Infine il momento di ordine due `e proporzionale alla pressione di radiazione ed `e indicato col simbolo K(t)

44

CAPITOLO 2

1 K(t) = M2 (t) = 2



1

µ2 I(t, µ) dµ . −1

Integrando l’equazione del trasporto in dµ si ottiene 1 dF (t) = J(t) − B(t) , 4π dt e sfruttando l’ipotesi dell’equilibrio radiativo (F = cost) si ha J(t) = B(t) . Moltiplicando poi l’equazione del trasporto per µ e integrando in dµ si ottiene F dK(t) = , dt 4π che risolta d` a Ft +C , 4π dove C `e una costante da determinare attraverso le condizioni al contorno. Osserviamo che per t → ∞, ovvero alla base dell’atmosfera, dobbiamo aspettarci che il campo di radiazione tenda a divenire isotropo. Sotto questa ipotesi, e anche sotto l’ipotesi meno restrittiva che la dipendenza da µ dell’intensit` a possa essere rappresentata da una funzione lineare del tipo K(t) =

I(t, µ) = a(t) + b(t)µ , con a(t) e b(t) indipendenti da µ, le quantit` a J e K possono essere collegare fra loro, e si ha K(t) =

1 3

J(t) .

Se si suppone che questa relazione sia valida per qualsiasi valore di t (e non solo per t → ∞) si adotta la cosiddetta “approssimazione di Eddington” con la quale il problema dell’atmosfera grigia pu` o essere risolto analiticamente. Infatti, attraverso le relazioni trovate precedentemente si ha B(t) = J(t) = 3K(t) =

3 F t + C , 4π

con C  = 3C. Per determinare la costante C  sfruttiamo le condizioni al contorno relative alla superficie della stella (t = 0). Se la stella `e isolata (cio`e non appartiene a un sistema doppio o multiplo), il flusso alla superficie si pu` o calcolare attraverso l’equazione (ottenuta per mezzo della soluzione formale dell’equazione del trasporto)

45

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE

Fig 2.7. Confronto fra la legge dell’oscuramento al bordo relativa all’atmosfera grigia (linea continua) e i valori solari osservati (punti).





1

F = 2π 0



1

µ I(0, µ) dµ = 2π

dµ µ 0



B(t) e−t/µ

0

dt . µ

Sostituendo l’espressione per B(t) e svolgendo il calcolo si ottiene facilmente C =

F , 2π

dimodoch´e si ha per B(t) B(t) =

3F  t + 23 . 4π

Ricordando infine che B(t) =

σ 4 T (t) , π

4 F = σ Teff ,

si ottiene l’andamento della temperatura con t per l’atmosfera grigia (nell’approssimazione di Eddington)  T (t) = Teff 4 34 t + 23 . In particolare si vede che alla superficie dell’atmosfera si ha T (0) = 0.841 Teff ,

46

CAPITOLO 2

Fig 2.8. Andamento della temperatura in funzione di t in un’atmosfera grigia. La linea continua ` e la soluzione esatta mentre la linea punteggiata `e la soluzione ottenuta per mezzo dell’approssimazione di Eddington.

e che, per t = 32 , si ottiene T = Teff . Dall’espressione di B(t) si pu` o anche determinare l’andamento centro-lembo dell’intensit` a emergente dalla stella. Si ha infatti  ∞ 3F  3F  dt I(0, µ) = t + 23 e−t/µ = µ + 23 . 4π µ 4π 0 Definendo il rapporto di oscuramento al lembo, r(µ), attraverso l’equazione r(µ) =

I(0, µ) , I(0, 1)

si ottiene 3µ + 2 . 5 Questa legge di oscuramento al bordo pu` o essere confrontata coi risultati osservativi disponibili per il Sole. La differenza fra il valore di r(µ) teorico e quello osservato si mantiene sempre al di sotto del 5% (si veda la Fig. 2.7). ` necessario infine sottolineare che il problema dell’atmosfera grigia pu` E o essere risolto esattamente dal punto di vista matematico5 . Il risultato finale pu` o essere condensato nelle equazioni r(µ) =

5

Si veda ad es. S. Chandrasekhar, Radiative Transfer, Oxford, At the Clarendon Press, 1950

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE

47

3F [t + q(t)] , T (t) = Teff 4 34 [t + q(t)] , 4π dove q(t) `e un’opportuna funzione, detta funzione di Hopf, che cresce in maniera monotona dal valore 0.577 per t = 0 fino al valore 0.710 per t → ∞. Essa differisce molto poco dal valore approssimato, pari a 23 , ottenuto attraverso l’approssimazione di Eddington. L’andamento della temperatura in funzione di t `e illustrato nella Fig. 2.8 (curva continua) insieme alla funzione ottenuta nell’approssimazione di Eddington (curva tratteggiata). La variazione percentuale massima fra le due curve `e pari al 3.5% a t = 0. B(t) =

2.6 Modelli realistici di atmosfere stellari Il modello dell’atmosfera grigia che abbiamo sviluppato nel paragrafo precedente costituisce un’approssimazione grossolana delle atmosfere stellari in quanto il coefficiente di assorbimento `e una funzione variabile della frequenza e, in realt` a, pu` o essere supposto costante soltanto in intervalli di frequenza estremamente ridotti. Il vantaggio del modello dell’atmosfera grigia `e unicamente quello di fornire un’approssimazione analitica (o semi-analitica) della struttura fisica dell’atmosfera. Da questo punto di vista esso pu`o essere paragonato ai modelli politropici degli interni stellari. Con l’avvento dei moderni elaboratori elettronici `e stato possibile, a partire dalla fine degli anni 1950, costruire dei modelli pi` u realistici delle atmosfere stellari. Tali modelli implicano la soluzione autoconsistente di un insieme di equazioni differenziali e sono basati, in generale, sulla solita approssimazione dell’atmosfera piano-parallela in equilibrio termodinamico locale. Accanto all’equazione del trasporto radiativo per l’intensit` a specifica d Iν (z, µ) = −kν [Iν (z, µ) − Bν (z)] , dz si considerano l’equazione dell’equilibrio radiativo, l’equazione dell’equilibrio idrostatico e l’equazione di stato dei gas perfetti, ovvero µ

d dF = dz dz







1

dν 2π 0

dP = −ρ g , dz

−1

µ Iν (z, µ) dµ = 0 ,

P =

ρ kB T . µ ¯ mH

In queste equazioni, P `e la pressione del gas atmosferico, ρ `e la densit` a, g `e la gravit` a alla superficie della stella, µ ¯ `e il peso molecolare medio e mH `e l’unit` a di peso atomico. Considerando P e T come variabili indipendenti, e supponendo

48

CAPITOLO 2

di conoscere le relazioni che collegano kν e µ ¯ a P e T (si veda il paragrafo successivo per l’espressione di kν in funzione di queste due variabili), le equazioni possono essere risolte numericamente tenendo conto delle opportune condizioni al contorno. Tali condizioni sono le seguenti 4 F = σ Teff ,

che fissa l’entit` a del flusso radiativo; Iν (0, µ < 0) = 0 , che traduce il fatto che la stella `e isolata e quindi non illuminata dall’esterno. Dalla soluzione delle equazioni si ricava il modello teorico dell’atmosfera stellare, ovvero una tabella di numeri che danno l’andamento delle due funzioni P (z) e T (z). Il modello viene a dipendere esplicitamente da tre soli parametri, a superficiale g e da un inovvero dalla temperatura efficace Teff , dalla gravit` sieme di numeri {Ai } che stabiliscono le abbondanze relative dei vari elementi. La dipendenza da quest’ultimo parametro `e contenuta nelle funzioni kν (P, T ) eµ ¯(P, T ). Nel caso del Sole, data la notevole vicinanza e la possibilit` a di osservarne lo spettro in maniera molto dettagliata, `e anche possibile ottenere dei “modelli empirici” dell’atmosfera solare. Un modello teorico, infatti, `e basato sull’ipotesi dell’equilibrio radiativo e porta necessariamente a un andamento decrescente della temperatura con la quota. Nel caso solare, sappiamo invece che esiste una deposizione di energia (probabilmente dovuta a onde meccaniche o magnetoidrodinamiche) negli strati fotosferici pi` u elevati. Questa deposizione di energia fa s`ı che, procedendo dagli strati fotosferici pi` u profondi verso l’alto, la temperatura inizialmente diminuisca, passi per un minimo (il cosiddetto “minimo di temperatura”) a circa 4000 K, e poi risalga per raggiungere valori dell’ordine di 10,000 K nella cromosfera. Questo andamento della temperatura pu` o essere dedotto utilizzando l’enorme quantit` a di informazioni contenuta nello spettro, in modo che `e possibile ottenere dei modelli empirici dell’atmosfera solare, sempre basati sull’ipotesi dell’equilibrio idrostatico, che danno l’andamento delle varie quantit` a termodinamiche in funzione della quota. I pi` u noti di tali modelli sono il modello HSRA (Harvard Smithsonian Reference Atmosphere) e i modelli VAL (dalle iniziali dei ricercatori, J.E. Vernazza, E.H. Avrett e R. Loeser, che li hanno proposti). Nei modelli empirici dell’atmosfera solare, la scala di profondit` a `e data sia in km, sia in funzione della profondit` a ottica misurata a una lunghezza d’onda di riferimento (generalmente τ5000 , la profondit` a ottica alla lunghezza d’onda di 5000 ˚ A)6 . Per convenzione si suppone poi di misurare la quota a partire dal livello in cui si ha τ5000 = 1. Un esempio dell’andamento 6

Il simbolo comunemente usato nei modelli per la profondit` a ottica misurata lungo la verticale ` e τ e non t. Per essere consistenti con le nostre notazioni dovremmo scrivere piuttosto t5000 .

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE

49

Fig 2.9. Andamento della temperatura con la profondit` a ottica a 5000 ˚ A per i due modelli VAL-A e VAL-C. Il primo descrive l’atmosfera solare media mentre il secondo descrive una tipica regione attiva (plage).

della temperatura in funzione di τ5000 per due modelli empirici `e rappresentato nella Fig. 2.9

2.7 Lo spettro continuo Per l’analisi dello spettro solare, `e spesso necessario calcolare, in funzione della frequenza, il valore dell’intensit` a specifica che emerge dall’atmosfera, descritta da un adeguato modello teorico o empirico. Assegnate le funzioni P (z) e T (z) si tratta quindi di valutare un integrale della forma (si vedano le equazioni del Par. 2.4)  ∞ dtν , Bν (tν ) e−tν /µ Iν (0, µ) = µ 0 La difficolt` a maggiore del calcolo consiste nell’esprimere la relazione esistente fra tν e la quota, ovvero nel trovare la funzione tν = tν (z) . Poich´e, d’altra parte, questa relazione deriva dall’integrazione dell’equazione differenziale dtν = −kν (z) dz ,

50

CAPITOLO 2

il problema `e ricondotto, in ultima analisi, a trovare l’espressione del coefficiente di assorbimento kν per una quota z assegnata. Nelle zone di spettro nelle quali non sono presenti righe spettrali, il coeffia”7) `e dovuto ai ciente di assorbimento kν (detto anche, in astrofisica, “opacit` soli processi fisici del tipo legato-libero e libero-libero. Fra tali processi, quelli che contribuiscono maggiormente al coefficiente di assorbimento nelle atmosfere stellari sono i seguenti: a) fotoionizzazione dell’atomo di Idrogeno; un atomo di Idrogeno che si trova in un livello legato assorbe un fotone e viene cos`ı ionizzato. Un tale processo pu` o essere schematizzato come una “reazione” del tipo H + hν → H+ + e− ; b) transizioni libero-libero fra stati a energia positiva dell’atomo di Idrogeno (o processi di bremsstrahlung inversa): H+ + e− + hν → H+ + e− ; c) fotoionizzazione dello ione negativo di Idrogeno: H− + hν → H + e− ; d) processi di tipo a) e b) per atomi di Elio e altri elementi relativamente abbondanti nelle atmosfere stellari (O, C, N, Si, Mg, Ne, Fe, etc.); e) diffusione Thomson su elettroni e diffusione Rayleigh su atomi o ioni. Il contributo al coefficiente di assorbimento relativo a ciascun processo pu`o essere calcolato attraverso dei metodi generali, basati sull’elettrodinamica classica e quantistica, sui quali non possiamo per` o addentrarci in questa sede (ulteriori approfondimenti su questo argomento sono contenuti nel Par. 6.5). In molti casi, `e per` o sufficiente utilizzare un metodo classico relativamente semplice basato sulla teoria dell’elettrone di Lorentz che `e presentata nel paragrafo seguente. Senza analizzare in dettaglio tutti i processi elencati, ci limitiamo qui a considerare il contributo al coefficiente di assorbimento dovuto allo ione H− che risulta il pi` u importante nel caso dell’atmosfera del Sole per le lunghezze d’onda del visibile e del vicino infrarosso. Un atomo di Idrogeno e un elettrone libero possono, per cos`ı dire, “combinare” per dare uno ione negativo stabile avente un’energia di legame dell’ordine di 0.75 eV. Lo stato che ne deriva, in analogia allo stato fondamentale a di questo ione fu prevista dell’Elio, `e uno stato del tipo 1s2 1S0 . La stabilit` teoricamente da H. Bethe nel 1929 mediante un calcolo variazionale. Il valore attualmente accettato per l’energia di legame dello ione H− `e pari a 0.75416 eV. Un fotone avente lunghezza d’onda inferiore al valore di soglia di 1.6438 µm `e in grado di ionizzare lo ione H− e il relativo coefficiente di assorbimento `e dato dall’equazione kν(a) = NH− σν , a degli ioni H− espressa in numero di particelle per unit`a dove NH− `e la densit` 7

Sebbene questa distinzione non sia universalmente accettata, in questo volume preferiamo riservare il nome di coefficiente di opacit` a alla quantit` a κ ν definita come il rapporto kν /ρ, e anche talvolta denominato “coefficiente di assorbimento massico”. con ρ densit` a. κν `

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE

51

Fig 2.10. Sezione d’urto per fotoionizzazione dello ione negativo dell’atomo di Idrogeno. La sezione d’urto `e in unit` a di a20 , mentre la lunghezza d’onda `e espressa in µm.

di volume, e σν `e la sezione d’urto del processo. Il calcolo teorico della sezione d’urto implica la valutazione dell’elemento di matrice di dipolo fra gli stati iniziali e finali della transizione e questo, a sua volta, implica la conoscenza delle autofunzioni dello stato legato e degli stati liberi dello ione H− . I calcoli dettagliati, eseguiti da S. Chandrasekhar e altri autori negli anni 1950, danno per σν i valori riportati nella Fig 2.10. La sezione d’urto presenta un massimo intorno a 8500 ˚ A (dove vale circa 1.4 a20 , essendo a0 il raggio della prima orbita di Bohr) e risulta di poco inferiore a tale valore in tutta la regione dello spettro visibile (la regione dove l’intensit` a del campo di radiazione `e massima per stelle di tipo solare). Noto σν , il problema di trovare il valore del coefficiente di assorbimento si riconduce al problema di determinare la densit` a degli ioni H− in un punto dell’atmosfera caratterizzato da valori di P e di T dati dal modello. Questo `e, a sua volta, un problema molto generale che, come vedremo, coinvolge l’equilibrio di ionizzazione di tutti gli elementi presenti nell’atmosfera stessa. Il calcolo dettagliato, sviluppato nel seguito, pu` o essere considerato come un esempio caratteristico di calcoli analoghi che devono essere effettuati per determinare le densit` a di tutte le specie chimiche presenti in un’atmosfera stellare. Supponiamo di conoscere le abbondanze relative di tutti gli elementi rispetto all’Idrogeno e indichiamo tali abbondanze con il simbolo AHe per l’Elio, e con AMi per il generico elemento caratterizzato dall’indice i. Se si suppone per semplicit` a che nell’atmosfera il grado di ionizzazione massimo dell’Elio e di tutti gli altri elementi sia 1 e si trascura il contributo delle “specie minori” (quali le

52

CAPITOLO 2

molecole e lo ione H− stesso, il che costituisce una buona approssimazione nel caso solare), si ha, per la legge di Dalton P = Pe + (PH + PH+ ) + (PHe + PHe+ ) +



(PMi + PM+ ) , i

i

dove Pe `e la pressione elettronica, PH la pressione dovuta agli atomi di Idrogeno neutri, PH+ la pressione dovuta agli atomi di Idrogeno ionizzati, etc.. D’altra parte, affinch´e sia soddisfatta la condizione di neutralit` a del plasma, si deve anche avere Pe = PH+ + PHe+ +



PM+ . i

i

Introduciamo adesso i rapporti di ionizzazione per le singole specie x=

PH+ , PH + PH+

PHe+ , PHe + PHe+

y=

zi =

PM+ i

PMi + PM+

,

i

che, in base all’equazione di Saha8 , sono funzioni note di T e Pe . Sostituendo nelle equazioni precedenti e introducendo le abbondanze relative all’Idrogeno si ha

 AMi , P = Pe + (PH + PH+ ) 1 + AHe + i

Pe = (PH + PH+ )

x + yAHe +



 zi AMi

,

i

dalle quali si ottiene  P = Pe 1 +

  1 + AHe + i AMi  . x + yAHe + i zi AMi

A proposito di questa equazione si pu`o osservare che, essendo tutte le abbondanze AMi praticamente trascurabili rispetto alle abbondanze dell’Idrogeno e dell’Elio, al numeratore della frazione la somma su i pu` o essere omessa. Al denominatore per` o la somma non si pu` o omettere in quanto, dato il basso potenziale di ionizzazione dei metalli, in molti casi si pu` o avere che alcuni degli a mentre x e y sono praticamente nulli. In questo zi siano molto vicini all’unit` senso P risulta una funzione di Pe molto sensibile alle abbondanze AMi , cosa 8

L’equazione di Saha esprime il rapporto fra atomi di una specie che si trovano in un determinato stato di ionizzazione e atomi della stessa specie che si trovano nello stato di ionizzazione inferiore. La sua espressione esplicita `e data nel Par. 5.2.

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE

53

che `e del resto intuitiva dal punto di vista fisico. Ritornando all’equazione di sopra, e ricordando che x, y e zi sono funzioni di T e Pe , si ha P = P (T, Pe ) . Questa equazione pu` o essere invertita mediante calcoli numerici cos`ı da ottenere Pe = Pe (T, P ) . Nota Pe , le pressioni parziali delle singole specie possono essere facilmente ottenute. Ad esempio, per la pressione parziale dell’Idrogeno neutro si ha PH = (1 − x) (PH + PH+ ) = (1 − x)

P − Pe  . 1 + AHe + i AMi

Infine si pu` o determinare, sempre attraverso l’equazione di Saha, il rapporto r fra la pressione parziale dello ione H− e la pressione parziale dell’Idrogeno neutro, e si ottiene N H− =

rPH r (1 − x) P − Pe PH−  = = . kB T kB T kB T 1 + AHe + i AMi

A proposito di questo risultato bisogna osservare che esso `e stato ottenuto supponendo che la densit`a degli ioni di Idrogeno negativo sia molto minore delle densit` a degli atomi di Idrogeno neutri o ionizzati (altrimenti il contributo esplicito della pressione parziale degli H− avrebbe dovuto essere incluso nelle equazioni di partenza per P e Pe ). Questa approssimazione `e del tutto giustificata per l’atmosfera solare nella quale l’Idrogeno si trova nella forma di ione negativo per una frazione trascurabile dell’Idrogeno totale (il rapporto NH− /NH varia sostanzialmente fra 10−9 e 10−7 a seconda della quota). Il problema della determinazione del contributo al coefficiente di assorbimento kν dovuto allo ione H− `e cos`ı risolto. In effetti bisogna tener conto anche del (a) fatto che il coefficiente di assorbimento che abbiamo calcolato `e kν e non (a) (s) kν = kν − kν . Tuttavia, quando vale l’equilibrio termodinamico locale, si ha semplicemente   kν = kν(a) 1 − e−hν/(kB T ) , per cui la correzione dovuta all’emissione stimolata `e facilmente introdotta. Per mezzo di calcoli analoghi si possono poi ottenere tutti gli altri contributi a kν e il coefficiente di assorbimento risulta determinato in funzione di T e P , ovvero in funzione della quota z. Questo permette di risolvere l’equazione del trasporto e di determinare lo spettro continuo della radiazione emessa dal Sole o dalla stella.

54

CAPITOLO 2

2.8 La teoria dell’elettrone di Lorentz Prima dell’avvento della meccanica quantistica, i fenomeni di irraggiamento delle cariche elettriche avevano ricevuto un’adeguata interpretazione nell’ambito di una teoria relativamente semplice alla quale avevano contribuito diversi autori e, in particolare, il fisico olandese H.A. Lorentz. Sebbene tale teoria sia oggi sorpassata dall’elettrodinamica quantistica, essa permette di ottenere con semplicit` a dei risultati importanti e sostanzialmente corretti, validi per` o entro l’ambito ristretto della fisica classica. In molti casi, tuttavia, tali risultati possono essere convenientemente estesi in maniera fenomenologica per tener conto delle correzioni introdotte dalla meccanica quantistica. Nel seguito illustreremo alcuni delle applicazioni pi` u importanti della teoria classica dell’elettrone (o teoria di Lorentz). A) L’elettrone libero: diffusione Thomson. Consideriamo un elettrone libero investito da un’onda elettromagnetica monocromatica il cui vettore campo elettrico `e descritto, in notazioni complesse, dall’equazione   0 e−i (ωt−ϕ) , E(t) =E  0 `e l’ampiezza dell’onda, ω `e la frequenza angolare e ϕ `e un fattore di dove E fase. L’equazione di moto dell’elettrone risulta  0 e−i (ωt−ϕ) , m a = −e0 E dove m e e0 sono, rispettivamente, la massa e la carica dell’elettrone (quest’ultima espressa in valore assoluto). L’accelerazione dell’elettrone `e quindi data da a = −

e0  −i (ωt−ϕ) E0 e . m

Come `e noto, una carica q in moto accelerato irradia, in approssimazione nonrelativistica, secondo la formula seguente (detta equazione di Larmor) W =

2 q 2 a2 , 3 c3

dove W `e la potenza dell’emissione, ovvero l’energia emessa in tutto l’angolo solido per unit` a di tempo e dove c `e la velocit` a della luce. Applicando questa equazione al nostro caso particolare, e tenendo presente il carattere sinusoidale dell’accelerazione, la potenza media emessa dall’elettrone su un periodo dell’onda `e data da Wmed =

e40 E02 . 3 m 2 c3

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE

55

D’altra parte, l’elettrone risulta investito da un flusso di energia elettromagnetica dato da F =

1 (E 2 + B 2 ) c . 8π

Per la nostra onda, essendo E = B e mediando su un periodo, si ha Fmed =

1 2 E c . 8π 0

Si pu` o quindi definire la sezione d’urto di diffusione dell’elettrone mediante l’equazione Wmed = σFmed . Nel nostro caso dell’elettrone libero, la sezione d’urto del processo di diffusione `e detta sezione d’urto Thomson ed `e indicata col simbolo σT . Essa vale σT =

8π e40 , 3 m 2 c4

ovvero, numericamente σT = 6.653 × 10−25 cm2 . Introducendo la quantit` a rc , detta “raggio classico dell’elettrone”, definita dall’equazione rc =

e20 = 2.818 × 10−13 cm , m c2

la sezione d’urto Thomson pu` o essere anche espressa nella forma σT =

8π 2 r . 3 c

B) L’elettrone legato: diffusione Rayleigh. Si consideri adesso il caso di un elettrone legato in un atomo o in una molecola. Seguendo il modello atomico di Lorentz, si assume che le forze che tengono legato l’elettrone all’atomo possano essere schematizzate con un’unica forza di richiamo elastica del tipo F = −kx, dove x `e il vettore che individua la posizione dell’elettrone rispetto al nucleo atomico (al centro di massa delle cariche elettriche positive nel modello originario di Lorentz). In assenza di termini forzanti, il modello di Lorentz fornisce per l’elettrone l’equazione differenziale m

d2 x = −kx , dt2

56

CAPITOLO 2

la quale, risolta, d` a per x una soluzione di carattere oscillatorio caratterizzata dalla frequenza angolare ω0 definita da  k ω0 = . m Nella vecchia teoria atomica classica, la frequenza ω0 veniva assunta come un parametro. Tale parametro era fissato fenomenologicamente facendolo coincidere con la frequenza angolare della riga di risonanza dell’atomo stesso. Ad esempio, nel caso dell’atomo di Sodio, la riga di risonanza (che `e in verit` a un doppietto) cade alla lunghezza d’onda λ0 pari a 5890 ˚ A. In termini di ω0 si ha ω0 = 2π

c = 3.20 × 1015 s−1 . λ0

Tenendo conto di questa forza di richiamo elastica, l’equazione di moto dell’elettrone soggetto all’azione perturbatrice dell’onda elettromagnetica risulta e0  −i (ωt−ϕ) d2 x E0 e = −ω02 x − . dt2 m Questa equazione differenziale si risolve cercando una soluzione del tipo x = x0 e−i (ωt−ϕ) . Con facili passaggi si ottiene x0 = −

1 e0 0 . E m ω02 − ω 2

L’accelerazione dell’elettrone `e quindi data da a =

e0 ω 2 d2 x 2  0 e−i (ωt−ϕ) . E = −ω  x = dt2 m ω02 − ω 2

A questo punto si possono ripetere gli stessi ragionamenti fatti a proposito dell’elettrone libero e si ottiene, per l’elettrone legato, una nuova sezione d’urto, detta sezione d’urto Rayleigh, data da σR =

ω4 e40 8π , 2 3 (ω0 − ω 2 )2 m2 c4

che pu` o anche essere scritta nella forma σR =

ω4 σT . (ω02 − ω 2 )2

Si noti che, nel caso limite ω0  ω, che rappresenta il caso di un elettrone libero, si ritrova

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE

57

σR = σT , mentre nel caso opposto, ω0  ω, si ottiene σR =

ω4 σT . ω04

Questa dipendenza della sezione d’urto Rayleigh dalla quarta potenza della frequenza (ovvero dalla potenza −4 della lunghezza d’onda) `e tipica di un gran numero di sostanze, almeno quando ci si limita a considerare la radiazione dello spettro visibile. Questo `e dovuto al fatto che le righe di risonanza di tali sostanze cadono nella regione ultravioletta dello spettro. Il colore azzurro del cielo e, il fenomeno, ad esso correlato, della colorazione rossa del Sole (o della Luna) all’alba e al tramonto, sono due esplicite manifestazioni dell’andamento della sezione d’urto Rayleigh con la frequenza secondo la formula data sopra. C) Righe spettrali. La formula della sezione d’urto Rayleigh trovata precedentemente presenta una o essere rimossa divergenza alla frequenza di risonanza ω0 . Tale divergenza pu` introducendo nell’equazione di moto dell’elettrone un termine di smorzamento. L’esistenza di uno smorzamento `e d’altra parte ovvia dal punto di vista fisico in quanto l’elettrone irradia e deve quindi subire un fenomeno che tende a sottrargli energia meccanica. Per descrivere quantitativamente tale smorzamento, si pu` o seguire il seguente ragionamento. Innanzitutto si osserva che, poich´e  2 2   d x d3 x dx d d2 x dx + · , = 3 · dt dt2 dt dt dt dt2 per un moto periodico, integrando lungo un periodo e dividendo per il periodo stesso, si ottiene, per le quantit`a medie 

d3 x dx · dt3 dt



 =− med

d2 x dt2

2  . med

Se si ricorda adesso la formula di Larmor, per la conservazione dell’energia si deve avere che sull’elettrone agisce una forza di smorzamento, Fsmorz , tale che 2e2 dx Fsmorz · = −W = − 30 dt 3c



d2 x dt2

2 ,

dove W `e la potenza irradiata dall’elettrone. Confrontando le due equazioni precedenti, se ne deduce che la forza di smorzamento `e data, in media, dall’espressione

58

CAPITOLO 2

2 e20 d3 x Fsmorz = . 3 c3 dt3 Si riscrive adesso l’equazione di moto dell’elettrone tenendo conto anche della forza di smorzamento. L’equazione risulta 2 e20 d3 x e0  −i (ωt−ϕ) d2 x E0 e = −ω02 x + − . 2 dt 3 m c3 dt3 m Al solito, si cerca una soluzione di questa equazione del tipo x = x0 e−i (ωt−ϕ) , e si trova, con facili passaggi x0 = −

1 e0 0 , E 2 m ω0 − ω 2 − iγω

dove si `e posto γ=

2 e20 2 ω . 3 m c3

Passando all’accelerazione, si trova infine a =

ω2 e0 d2 x 2  0 e−i (ωt−ϕ) . E = −ω  x = 2 dt2 m ω0 − ω 2 − iγω

A questo punto si possono di nuovo ripetere gli stessi ragionamenti fatti precedentemente (con la differenza che adesso il vettore a `e complesso e dobbiamo quindi considerarne il modulo quadro). Per l’elettrone legato in presenza di smorzamento si ottiene una nuova sezione d’urto, che indichiamo con σA (sezione d’urto atomica), data da σA =

ω4 σT . (ω02 − ω 2 )2 + γ 2 ω 2

Osserviamo adesso che il termine in γ 2 al denominatore pu` o essere trascurato a meno che non ci si trovi in vicinanza della risonanza. Questo `e dovuto al fatto che il rapporto γ0 /ω0 (dove γ0 `e il valore di γ per ω = ω0 ) `e molto minore di 1. Si ha infatti, per frequenze tipiche dello spettro visibile (ω0  3 × 1015 s−1 ) 2 e20 γ0 = ω0  2 × 10−8 . ω0 3 m c3 Quando si trascura tale termine si ritrova ovviamente l’espressione della sezione d’urto di Rayleigh. Altrimenti, in vicinanza della risonanza, γ pu` o essere identificato con γ0 , e ponendo

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE

59

ω02 − ω 2 = (ω0 + ω)(ω0 − ω)  2 ω0 (ω0 − ω) , si ottiene, essendo ω  ω0 ω02 σT . 4 (ω0 − ω)2 + (γ0 /2)2

σA =

` interessante osservare che alla risonanza, ovvero per ω = ω 0 , la sezione d’urto E atomica assume il valore (σA )ω=ω0 = σT

ω02 , γ02

ovvero, sostituendo il valore di γ0 trovato precedentemente, σA =

3 2 λ , 2π 0

dove λ0 = 2πc/ω0 `e la lunghezza d’onda della riga. Questa espressione mostra che il picco di risonanza della sezione d’urto atomica `e estremamente elevato. In altre parole, la sezione d’urto per diffusione di un elettrone legato `e, alla risonanza, circa 1015 volte maggiore della corrispondente sezione d’urto di un elettrone libero. L’espressione per σA che abbiamo trovato `e tradizionalmente scritta in maniera diversa. Ricordando le espressioni di σT e di γ0 , si ha infatti σA =

γ0 π e20 . m c (ω0 − ω)2 + (γ0 /2)2

Inoltre, introducendo la frequenza ciclica (o frequenza tout court) in luogo della frequenza angolare, ovvero sostituendo ω = 2πν ,

ω0 = 2πν0 ,

si ha σA =

Γn π e20 1 , m c π (ν0 − ν)2 + Γ2n

dove la cosiddetta “larghezza naturale della riga”, Γn , `e data da Γn =

2π e20 ν02 γ0 = . 4π 3 m c3

60

CAPITOLO 2

Fig 2.11. Andamento del profilo Lorentziano in funzione della frequenza ridotta v = (ν − ν0 )/Γn . Il massimo del profilo vale 1/(πΓn ).

Se adesso si osserva che 



−∞

Γn 1 dν = 1 , π (ν0 − ν)2 + Γ2n

(come si pu` o facilmente mostrare eseguendo nell’integrale il cambiamento di variabile x = (ν − ν0 )/Γn ), si ottiene  ∞ π e20 . σA dν = mc −∞ In definitiva, la sezione d’urto atomica pu` o essere posta nella forma π e20 φ(ν − ν0 ) , mc dove il profilo φ(ν − ν0 ), normalizzato all’unit`a in frequenza, `e dato da σA =

φ(ν − ν0 ) =

Γn 1 . π (ν0 − ν)2 + Γ2n

Un simile profilo `e detto Lorentziano. Esso `e riportato in grafico nella Fig. 2.11. Si tratta di un profilo molto stretto che si riduce di un fattore 12 a una distanza ∆ν dalla frequenza centrale pari a Γn . Per una tipica riga del visibile (a λ0 = 5000 ˚ A), si ha ∆ν = Γn  7.1 × 106 s−1 .

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE

61

In lunghezza d’onda la larghezza del profilo risulta ∆λ =

2π λ20 Γn 2π e20 = A . = rc  0.06 m˚ c 3 m c2 3

D) Correzioni dovute alla meccanica quantistica. Il modello classico di Lorentz `e ovviamente valido in un ambito molto ristretto. Esso porta alla seguente espressione per il coefficiente di assorbimento dovuto a una riga spettrale πe20 φ(ν − ν0 ) , mc dove NA `e la densit` a numerica degli atomi. Passando alla meccanica quantistica, bisogna ricordare che ogni riga spettrale si origina dalla transizione tra due livelli, un livello inferiore (o livello basso, contrassegnato dall’indice b) e un livello superiore (o livello alto, contrassegnato dall’indice a). La formula di Lorentz si generalizza semplicemente al caso quantistico dove assume la forma kν = NA σA = NA

π e20 fba φ(ν − ν0 ) , mc a numerica degli atomi che si trovano nel livello b, e dove dove Nb `e la densit` fba `e la cosiddetta “forza di oscillatore” della riga, ovvero il numero equivalente di oscillatori classici che bisogna pensare essere presenti nell’atomo in modo da poter applicare la formula classica del coefficiente di assorbimento. L’elettrodinamica quantistica fornisce l’espressione della forza di oscillatore in termini dell’elemento di matrice di dipolo fra le autofunzioni atomiche dei livelli a e b. In notazione di Dirac si ha kν = Nb

8π 2 m ν0 | b| r |a |2 . 3 h La forza di oscillatore `e un numero puro. Essa pu` o essere posta in una forma equivalente ricordando la definizione della lunghezza d’onda Compton dell’elettrone, λC = h/(mc). Esprimendo l’elemento di matrice di dipolo in termini ¯ 2 /(me20 ), ovvero ponendo del raggio della prima orbita di Bohr, a0 = h fba =

| b| r |a |2 = ξ a20 , dove ξ `e un numero adimensionale, si ottiene fba =

a20 8π 2 ξ . 3 λ0 λC

Per una riga a 5000 ˚ A, si ha ad esempio fba  0.0608 ξ .

62

CAPITOLO 2

E) Correzioni del profilo dovute alle collisioni e ai moti termici. Per quanto riguarda il profilo, bisogna tener conto di vari fenomeni che contribuiscono al suo allargamento. Oltre all’allargamento naturale, descritto classicamente dalla quantit` a Γn del punto C), si ha anche un allargamento collisionale e un allargamento dovuto all’effetto Doppler. L’allargamento collisionale produce ancora un profilo del tipo Lorentziano della forma9 φ(ν − ν0 ) =

Γ 1 , π (ν − ν0 )2 + Γ2

dove Γ = Γn + Γc , Γn essendo la costante definita precedentemente e Γc , il contributo collisionale alla costante di smorzamento, essendo dato da Γc =

f , 2π

con f frequenza delle collisioni. Riguardo all’allargamento prodotto dall’effetto Doppler, bisogna considerare il fatto che gli atomi che assorbono la radiazione hanno una distribuzione di velocit`a che supponiamo essere una Maxwelliana caratterizzata dalla temperatura T . Indichiamo con P (w) dw la probabilit` a che la componente della velocit` a dell’atomo lungo la direzione della radiazione assorbita sia compresa fra w e w + dw. La funzione di distribuzione normalizzata, P (w), `e data da 2 1 e−(w/wT ) , P (w) = √ π wT

dove la velocit` a termica, wT , `e connessa alla temperatura e alla massa M dell’atomo dall’equazione  2 kB T . wT = M Un atomo che si muova con velocit` a w presenta (all’ordine pi` u basso della teoria della relativit` a) un profilo di assorbimento centrato intorno alla frequenza ν0 data da  w . ν0 = ν0 1 + c Il profilo di assorbimento dovuto all’insieme degli atomi `e quindi dato da 9

Per una dimostrazione semiclassica di questa equazione si veda ad es. G.B. Rybicki & A.P. Lightman Radiative Processes in Astrophysics, John Wyley & Sons, New York etc., 1979.

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE

63

Fig 2.12. Grafico della funzione di Voigt H(v, a) per a = 0 (linea continua), a = 0.2 (linea punteggiata) e a = 1 (linea tratteggiata).

 ϕ(ν − ν0 ) =



−∞

φ(ν − ν0 ) P (w) dw ,

ovvero, ricordando l’espressione della funzione P (w)  ∞ 2 Γ 1 1 √ ϕ(ν − ν0 ) = e−(w/wT ) dw .  2 w 2 π wT −∞ π ν − ν0 − ν0 c +Γ Questa espressione viene comunemente semplificata introducendo le quantit` a ∆νD = ν0

wT , c

a=

Γ , ∆νD

v=

ν − ν0 , ∆νD

che rappresentano, rispettivamente, la larghezza Doppler del coefficiente di assorbimento (in unit` a di frequenza), la costante di smorzamento ridotta, e la distanza in frequenza dal centro della riga normalizzata alla larghezza Doppler. Attraverso il cambiamento di variabile y = w/wT , l’integrale precedente pu` o essere posto nella forma 1 ϕ(ν − ν0 ) = √ H(v, a) , π ∆νD dove la funzione H(v, a), detta funzione di Voigt, `e definita da H(v, a) =

a π





−∞

2

e−y dy . (v − y)2 + a2

64

CAPITOLO 2

La funzione di Voigt gode di alcune propriet` a che possono essere dedotte dalla sua espressione generale, ovvero  ∞ √ 2 H(v, a) dv = π , lim H(v, a) = e−v , a→0

−∞

a 1 . lim H(v, a) = √ 2 a→∞ π v + a2 La prima propriet` a permette di dimostrare con facili trasformazioni che il profilo ϕ(ν − ν0 ) `e normalizzato a 1 in frequenza  ∞ ϕ(ν − ν0 ) dν = 1 . −∞

Le altre due propriet` a mostrano che, nel caso limite di smorzamento trascurabile, la funzione di Voigt assume la forma gaussiana, mentre, nel caso limite opposto in cui l’allargamento termico `e trascurabile la funzione di Voigt degenera in una Lorentziana. In generale, la funzione di Voigt presenta un andamento gaussiano intorno a v = 0 e un andamento Lorentziano nelle ali. Casi tipici sono illustrati nella Fig. 2.12.

2.9 Righe spettrali in equilibrio termodinamico locale Nell’intorno di una riga spettrale in equilibrio termodinamico locale, l’equazione del trasporto assume la forma µ

dIν (z, µ) = −[kν + kR ϕ(ν − ν0 )] [Iν (z, µ) − Bν ] , dz

dove kR `e il coefficiente di assorbimento della riga integrato in frequenza, dato da kR = Nb

π e20 fba , mc

e dove ϕ(ν − ν0 ) `e il profilo (normalizzato a 1 in frequenza) dato da 1 H(v, a) . ϕ(ν − ν0 ) = √ π∆νD Il coefficiente di assorbimento del continuo, kν , `e praticamente costante nell’intorno della riga (la larghezza di una riga spettrale `e, tipicamente, dell’ordine della frazione di ˚ A mentre kν varia su scale dell’ordine del centinaio di ˚ A).

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE

65

a ottica nel continuo, tc , con Poniamo quindi kν = kc e definiamo la profondit` l’equazione dtc = −kc dz . Con questa definizione l’equazione del trasporto assume la forma µ

dIν (z, µ) = [1 + η0 H(v, a)] [Iν (z, µ) − Bν ] , dtc

dove abbiamo posto η0 =

kc

k √R . π ∆νD

Assegnato un modello atmosferico, questa equazione pu` o essere risolta numericamente. Il calcolo della quantit` a η0 pu` o essere impostato in maniera del tutto analoga a quanto fatto nel paragrafo precedente per il calcolo del coefficiente di assorbimento del continuo. Basta per questo andarsi a calcolare la densit`a degli atomi assorbenti (atomi di Ferro ionizzato, ad esempio, per il caso di una riga appartenente allo spettro del FeII) e dedurre, attraverso l’equazione di Boltzmann10 , la frazione di tali atomi presenti nel livello inferiore della transizione. La conoscenza di tale quantit`a, unita a quella della forza di oscillatore per la transizione considerata, alla conoscenza di kc e a quella di ∆νD , permette di ricavare η0 a tutte le quote. Per quanto riguarda il profilo di Voigt, `e poi necessario conoscere il valore della costante di smorzamento ridotta, a, e il valore della larghezza Doppler ∆νD . In generale anche queste quantit`a variano con z in quanto variano la pressione (e quindi la frequenza delle collisioni) e la temperatura. Anche il profilo di Voigt `e quindi funzione di z e ci` o deve essere tenuto in dovuto conto nel calcolo numerico. Sebbene l’analisi quantitativa dei profili di righe richieda, in molti casi, una soluzione numerica dell’equazione del trasporto, `e possibile trovare una soluzione analitica introducendo una serie di ipotesi semplificatrici. Tali ipotesi, pur non essendo strettamente verificate nelle atmosfere stellari, riescono comunque a dare un’idea qualitativa dei meccanismi che contribuiscono a caratterizzare la forma dei profili di riga osservati negli spettri stellari. Supponiamo quindi che: a) il rapporto η0 fra il coefficiente di assorbimento della riga e il coefficiente di assorbimento del continuo sia costante con tc ; b) il profilo di Voigt H(v, a) sia costante con tc ; 10

L’equazione di Boltzmann esprime il rapporto fra le popolazioni di due livelli atomici all’equilibrio termodinamico. Indicando con Na la popolazione del livello a, con Ea la sua energia e con ga il suo peso statistico, e introducendo simboli analoghi per il livello b, si ha Na /Nb = (ga /gb ) exp[−(Ea − Eb )/(kB T )].

66

CAPITOLO 2

c) la funzione di Planck, Bν , sia esprimibile linearmente in funzione della profondit` a ottica tc Bν = B0 (1 + β tc ) , con B0 e β costanti. Quando si introducono queste ipotesi si dice che si ha a che fare con un’atmosfera di Milne-Eddington. Sostituendo l’espressione di Bν nella soluzione formale dell’equazione del trasporto si ottiene per l’intensit` a emergente   βµ Iν (0, µ) = B0 1 + . 1 + η0 H(v, a) Osserviamo che, se siamo molto lontani dal centro della riga (H(v, a) → 0), l’intensit` a tende a un valore costante, che rappresenta l’intensit`a del continuo adiacente la riga, dato da Ic = B0 (1 + β µ) . Viceversa, se si considera il limite di una riga molto intensa (η0 → ∞), l’intensit` a tende a un valore di saturazione (al di sotto della quale non pu` o mai spingersi) dato da Is = B0 . Si pu` o quindi definire una sorta di “profilo universale”, rν , sottraendo dall’intensit` a il valore di saturazione e normalizzando poi all’intensit` a del continuo. Si ottiene rν =

1 Iν (0, µ) − Is βµ . = Ic 1 + β µ 1 + η0 H(v, a)

Il fattore βµ/(1+βµ) `e connesso alle caratteristiche termodinamiche dell’atmosfera (attraverso β) e al valore dell’angolo eliocentrico (attraverso µ). Il fattore restante d` a invece la forma del profilo di riga. Esso dipende dalla frequenza solo attraverso il parametro v (si ricordi che v = (ν − ν0 )/∆νD ). Indicando tale fattore con p(v), ovvero ponendo p(v) =

1 , 1 + η0 H(v, a)

possiamo osservare che: a) per righe deboli (η0  1) si ottiene, sviluppando in serie p(v) = 1 − η0 H(v, a) .

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE

67

Fig 2.13. Grafico del profilo p(v) in funzione della lunghezza d’onda ridotta, v, per vari valori e ottenuto per un valore della costante di smorzamento della forza della riga η0 . Il grafico ` ridotta a = 0.1.

In questo caso siamo lontani dalla saturazione e il profilo di riga risulta proporzionale al profilo del coefficiente di assorbimento. b) per righe forti (η0  1), si ottiene che p(v) tende a zero per tutto un intervallo di valori di v tali che η0 H(v, a)  1 . Qui siamo in una situazione di saturazione estrema. Il profilo della riga risulta molto diverso da quello di assorbimento presentando una zona praticamente piatta al centro (nel cosiddetto “core” della riga) e ali molto estese (dipendenti in forte misura dal valore della costante di smorzamento ridotta a). La Fig. 2.13 mostra la forma del profilo p(v) per diversi valori di η0 e per a = 0.1.

2.10 Righe spettrali in condizioni di non equilibrio L’ipotesi dell’equilibrio termodinamico locale permette di determinare con una certa semplicit`a i profili delle righe che si originano in un’atmosfera stellare di cui si conosca il modello. Tale ipotesi non `e tuttavia sempre verificata perch´e le righe pi` u intense si formano negli strati pi` u alti dell’atmosfera stellare laddove la densit` a `e pi` u bassa e le collisioni con gli elettroni del plasma non

68

CAPITOLO 2

sono sufficienti a termalizzare le popolazioni atomiche. Nel caso dell’atmosfera solare, ad esempio, l’ipotesi dell’equilibrio termodinamico locale non pu` o essere applicata per il calcolo dei profili delle righe H e K del CaII, delle righe dello spettro dell’Idrogeno (quali ad esempio la Hα), delle righe D del NaI, e di diverse altre righe dello spettro visibile e ultravioletto. In questi casi l’equazione del trasporto `e la stessa di quella scritta nel paragrafo precedente con la differenza che, in luogo della funzione di Planck Bν si deve considerare la funzione sorgente o dimostrare che la funzione Sν . Per un atomo a due livelli, ad esempio, si pu` sorgente `e data dall’espressione Sν =

Jν + εBν (T ) , 1+ε

dove Jν `e il valor medio sull’angolo solido del campo di radiazione

1  dΩ , Jν = Iν (Ω) 4π e dove ε `e un coefficiente che pesa l’efficienza delle collisioni nel popolare (e depopolare) il livello superiore dell’atomo. Si ha infatti, con buona approssimazione ε=

Cab , Aab

dove Cab e Aab sono, rispettivamente, le probabilit` a che ha l’atomo di decadere dal livello a (alto) al livello b (basso) per transizioni collisionali o per transizioni radiative. Come si vede facilmente, se le transizioni collisionali sono molto pi` u importanti di quelle radiative (ε  1), la funzione sorgente `e uguale alla funzione di Planck, e si ritrova il caso dell’ETL. Viceversa, se le collisioni sono trascurabili (ε  1), la funzione sorgente non ha pi` u niente a che vedere con la funzione di Planck, essendo Sν = Jν . In questi casi il profilo della riga che emerge dall’atmosfera pu` o essere calcolato ricorrendo alla cosiddetta teoria del “non-ETL”. Esemplificando al massimo le cose, il problema pu`o essere affrontato nel modo seguente. Supponiamo di conoscere un approssimazione di ordine zero per le popolazioni, in funzione della quota z, dei livelli di una determinata specie atomica (ad esempio le popolazioni dei livelli dell’atomo di Calcio ionizzato, se interessa calcolare i profili delle righe H e K). Come approssimazione di ordine zero si pu`o considerare, ad esempio, quella data dall’equazione di Boltzmann utilizzando i valori di P e T dati dal modello di atmosfera. Note le popolazioni, si possono calcolare localmente i coefficienti che compaiono nell’equazione del trasporto radiativo (scritta per ciascuna direzione nell’atmosfera stellare). Risolvendo con metodi numerici l’equazione del trasporto si pu` o cos`ı determinare (in funzione della frequenza e della direzione) il campo di radiazione presente in un punto qualsiasi dell’atmosfera. A questo punto si considerano le equazioni dell’equilibrio

LO SPETTRO SOLARE E LA SUA INTERPRETAZIONE

69

Collisioni

si scrivono

Equazioni dell’equilibrio statistico

Intensita‘ del campo di radiazione

si risolvono

auto− consistenza

Equazioni del trasporto radiativo

si risolvono

Popolazioni atomiche

si scrivono

Fig 2.14. Per risolvere le equazioni accoppiate dell’equilibrio statistico e del trasporto radiativo si segue il “loop” di autoconsistenza qui schematizzato.

statistico per le popolazioni atomiche tenendo conto sia dei processi radiativi che di quelli collisionali. Queste equazioni formano, per ogni quota z, un sistema a coefficienti noti (in quanto il campo di radiazione `e noto) e il sistema pu` o essere risolto attraverso opportuni metodi numerici. Si ottiene quindi un’approssimazione di ordine 1 per le popolazioni e si ripete il procedimento finch´e si arriva alla convergenza della soluzione come esemplificato nella Fig. 2.14. La soluzione per il campo di radiazione alla superficie dell’atmosfera fornisce i profili delle righe che ci interessavano calcolare. Sebbene il metodo sia, in linea di principio, semplice e diretto, esso richiede la conoscenza di un certo numero di tecniche numeriche sulle quali non possiamo qui addentrarci. Tali tecniche sono state sviluppate a partire dagli anni 1950 e sono tuttora in fase di evoluzione.

Capitolo 3

Processi dinamici nell’atmosfera solare L’estrema vicinanza della stella Sole permette di mettere in evidenza una grande variet` a di fenomeni fisici che si svolgono incessantemente sulla sua superficie. Tali fenomeni avvengono praticamente su tutte le scale, da quelle pi` u piccole, dell’ordine del centinaio di km, che sono al limite del potere risolutivo dei telescopi pi` u potenti e dotati delle tecnologie pi` u moderne e sofisticate, a quelle pi` u grandi, dell’ordine dello stesso raggio solare. Essi coinvolgono processi di tipo dinamico e di tipo magnetico, spesso legati fra loro in maniera estremamente complessa, che rendono la superficie solare un laboratorio ideale per lo studio della fisica del plasma, dell’idrodinamica e della magnetoidrodinamica su scale aventi dimensioni ovviamente irrealizzabili nei laboratori terrestri. In questo capitolo sono illustrati processi dinamici pi` u importanti e le tecniche osservative che vengono comunemente utilizzate per il loro studio.

3.1 L’effetto Doppler Per lo studio e l’interpretazione dei fenomeni dinamici che avvengono negli strati superficiali dell’atmosfera solare risulta di fondamentale importanza la diagnostica basata sull’effetto Doppler. Questo fenomeno permette di ottenere la velocit`a con cui un oggetto (quale ad esempio, un elemento di volume di plasma solare) si allontana o si avvicina rispetto all’osservatore purch´e sia possibile misurarne le caratteristiche spettrali in un intervallo di lunghezza d’onda, eventualmente di ampiezza limitata, ma contenente almeno una riga spettrale. Data l’importanza fondamentale che l’effetto Doppler riveste nella fisica solare, riteniamo importante dare nel seguito una trattazione approfondita di questo fenomeno osservando preliminarmente che, in primo luogo, l’effetto Doppler non `e ristretto alle sole onde elettromagnetiche ma `e un fenomeno molto pi` u generale di tipo relazionale fra sistemi di riferimento diversi, mobili uno rispetto all’altro, e che, in secondo luogo, esso pu`o essere trattato sia dal punto di vista non relativistico (o classico) che da quello relativistico. Nel caso classico, l’effetto Doppler dipende dal moto della sorgente e da quello dell’osservatore rispetto al mezzo in cui si propagano i segnali. Indichiamo con c la velocit`a di propagazione di tali segnali e, facendo riferimento alla Fig. 3.1, siano, rispettivamente, r (t) e r  (t) le equazioni orarie che descrivono la posizione della sorgente e dell’osservatore rispetto a un sistema di riferimento

72

CAPITOLO 3

z

sorgente

r(t) osservatore r’(t) y

x Fig. 3.1. All’istante t, la sorgente e l’osservatore si trovano rispettivamente nei punti individuati dai vettori r (t) e r  (t).

fisso nel mezzo. Se la sorgente emette un segnale all’istante t, tale segnale sar` a ricevuto dall’osservatore all’istante t , soluzione, se esiste, dell’equazione | r(t) − r  (t ) | = c (t − t) . Diamo adesso una piccola variazione, δt, all’istante di emissione t; a essa corrisponde una variazione, δt , dell’istante di ricezione t . Sviluppando in serie e indicando con v e v  le velocit`a della sorgente e dell’osservatore, definite, rispettivamente, da v (t) =

dr(t) , dt

v  (t) =

dr  (t) , dt

si ha | r(t) + v (t)δt − r  (t ) − v  (t )δt | = c (t + δt − t − δt) . Teniamo adesso presente che, per un vettore a arbitrario, se |δa|  |a|, si ha | a + δa | = | a | + δa · vers[ a ] , dove

PROCESSI DINAMICI NELL’ATMOSFERA SOLARE

vers[ a ] =

73

a . | a |

Introducendo allora le quantit` a v = v (t) · vers[ r(t) − r  (t )] ,

v = v  (t ) · vers[ r(t) − r  (t )] ,

si ottiene la seguente relazione fra δt e δt v δt − v δt = c (δt − δt) , ovvero (c + v ) δt = (c + v ) δt . Introducendo le “velocit` a ridotte”, β e β , definite da β =

v , c

β =

v c

,

si ha 1 + β δt = . δt 1 + β Da questa formula, nel caso che i segnali siano dovuti a un fenomeno periodico di frequenza assegnata, si ottiene la seguente espressione, che `e la formula generale dell’effetto Doppler per moti arbitrari della sorgente e dell’osservatore rispetto al mezzo 1 + β ν δt = , =  ν δt 1 + β dove le quantit` a con apice si riferiscono all’osservatore e quelle senza apice alla sorgente (si noti comunque la perfetta simmetria dell’equazione fra quantit` a senza apice e quantit` a con apice). Consideriamo adesso il caso particolare in cui le velocit`a siano collineari con la direzione che va dalla sorgente all’osservatore. Se si assumono per definizione positive le velocit` a quando sono dirette lungo la direzione che va dall’osservatore alla sorgente (convenzione astrofisica), la formula precedente d`a semplicemente 1+β ν = . ν 1 + β A proposito di questa formula si pu`o osservare che se β  1 e β   1 si ottiene

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CAPITOLO 3

ν  1 + β − β , ν il che significa che l’effetto Doppler dipende solo dalla velocit` a relativa sorgenteosservatore, ovvero β − β  . Quando per` o le velocit` a β diventano confrontabili con l’unit` a (o anche maggiori dell’unit`a, cosa che `e del tutto legittima, ad esempio nel caso delle onde sonore) questa propriet`a cessa di valere e si hanno formule diverse, a seconda che sia la sorgente o l’osservatore a essere mobile rispetto al mezzo. Ad esempio, se l’osservatore `e fisso e la sorgente si allontana con velocit` a β si ottiene ν =1+β , ν viceversa, se la sorgente `e fissa e l’osservatore si allontana con la stessa velocit` a β, si ottiene (si ricordi che secondo le nostre convenzioni adesso `e β  = −β) ν 1 . = ν 1−β Nel caso relativistico, ovvero nel caso in cui i segnali di cui si parla siano segnali luminosi, e riferendosi ancora per semplicit` a al caso collineare (velocit`a dirette lungo la congiungente sorgente-osservatore), la formula 1+β δt = δt 1 + β `e ancora valida (adesso, ovviamente, c `e la velocit` a della luce). Per` o bisogna tener conto del fatto che gli intervalli temporali δt e δt sono quelli misurati nel sistema fisso. Se si vuole esprimere la relazione che intercorre fra gli intervalli misurati dall’osservatore e “dalla sorgente”, bisogna passare ai tempi propri e i relativi intervalli sono dati dalle equazioni   δτ  = 1 − β 2 δt . δτ = 1 − β 2 δt , La formula dell’effetto Doppler relativistico risulta quindi   1 − β 2 δt 1 − β 2 1 + β δτ  ν =  =  = ,  ν δτ 1 − β 2 δt 1 − β2 1 + β ovvero  (1 − β  )(1 + β) ν = . ν (1 + β  )(1 − β) Si pu` o osservare che questa formula pu`o anche essere scritta nella forma  1 + βr ν = ,  ν 1 − βr

PROCESSI DINAMICI NELL’ATMOSFERA SOLARE

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a relativa relativistica, `e data da dove βr , la velocit` βr =

β − β . 1 − ββ 

Nella grande maggioranza dei casi questa formula viene applicata supponendo l’osservatore fisso (cosa del tutto legittima in relativit` a speciale) e riferendosi piuttosto alla lunghezza d’onda della radiazione invece che alla frequenza. In questo caso β  = 0 e βr coincide con β, per cui si ha λ ν =  = λ ν

 1+β , 1−β

col limite non-relativistico (β  1) ν λ =  =1+β . λ ν Nel caso della fisica solare, le velocit`a sono tipicamente non relativistiche, per cui, in definitiva questa `e la formula che viene comunemente utilizzata. Inoltre, la convenzione che abbiamo utilizzato coincide con la cosiddetta convenzione astrofisica secondo la quale la velocit`a della sorgente `e definita positiva quando essa si allontana dall’osservatore.

3.2 L’effetto Doppler in fisica solare I moti di velocit` a presenti nell’atmosfera solare vengono tradizionalmente studiati attraverso l’effetto Doppler indotto nelle righe dello spettro di Fraunhofer dai moti stessi. Nell’ambito di tali studi, `e per` o necessario tener conto di un certo numero di effetti di carattere sistematico, o di natura diurna oppure stagionale che influenzano le osservazioni. In questo paragrafo andiamo ad analizzare in dettaglio tali effetti. - Effetto della rotazione terrestre Supponiamo di osservare il Sole da un sito terrestre avente latitudine φ e siano rispettivamente t e δ l’angolo orario e la declinazione del Sole al momento dell’osservazione. Risolvendo il triangolo sferico della Fig. 3.2 e tenendo presente che l’apice del moto di rotazione terrestre `e il punto Est, si trova che la componente della velocit`a dovuta alla rotazione terrestre lungo la direzione Terra-Sole, vrot , definita secondo la convenzione astrofisica (ovvero positiva se l’osservatore si allontana dalla sorgente) `e espressa dall’equazione vrot = veq cos φ cos α = veq cos φ cos δ sin t ,

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CAPITOLO 3

Polo celeste 0

t +90 



90 − δ 0

0



90

α

Sole

Punto Est Fig. 3.2. Triangolo sferico tracciato sulla sfera celeste i cui vertici sono individuati dal Sole, dal polo celeste e dal punto Est. Per mezzo di una formula fondamentale della trigonometria sferica si ricava cos α = cos δ sin t .

dove veq , la velocit` a di rotazione della terra all’equatore, `e data da 1 veq =

2πRT , TT

RT essendo il raggio terrestre e TT il periodo di rotazione terrestre (giorno siderale) . Numericamente si ha veq  0.46 km s−1 . - Effetto della rivoluzione terrestre Nel suo moto intorno al Sole, la Terra si muove lungo un’orbita Kepleriana descritta dall’equazione r=

a(1 − e2 ) , 1 + e cos ϕ

dove r `e la distanza Terra-Sole, a `e l’unit` a astronomica, e `e l’eccentricit` a dell’orbita e ϕ `e l’anomalia misurata a partire dal perielio. La velocit` a di allontanamento della Terra dal Sole, vriv , si ottiene semplicemente derivando questa espressione rispetto al tempo. Si ottiene vriv = 1

a(1 − e2 ) dr dϕ = . e sin ϕ dt (1 + e cos ϕ)2 dt

Si noti che i valori massimo e minimo di vrot si ottengono per δ = 0, t = ±π/2, ovvero all’alba e al tramonto dei giorni corrispondenti all’equinozio di primavera e all’equinozio di autunno.

PROCESSI DINAMICI NELL’ATMOSFERA SOLARE

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D’altra parte, in base alla seconda legge di Keplero, si ha πab 1 2 dϕ r = , 2 dt T dove b `e il semiasse minore dell’orbita terrestre e T `e il periodo di rivoluzione della Terra intorno al Sole (anno). Sostituendo nell’equazione precedente, √ riesprimendo la distanza r in funzione di ϕ, e ricordando che b = a 1 − e2 , si ottiene vriv = v0 sin ϕ , dove v0 =

e 2πa √ . T 1 − e2

Tenendo conto che l’eccentricit`a dell’orbita terrestre vale 0.0167, si ottiene numericamente v0  0.50 km s−1 . - Effetto della rotazione solare Il sole ruota intorno al proprio asse con una velocit` a angolare che non `e costante ma dipende dalla latitudine (rotazione differenziale). Il periodo di rotazione2 `e di circa 25 giorni all’equatore, di circa 28 giorni alla latitudine di 45 ◦ , e di circa 31 giorni alla latitudine di 75◦ . Trascurando la piccola inclinazione dell’asse di rotazione del Sole rispetto all’eclittica ( 7◦ ), e indicando con e con λ, rispettivamente, la latitudine e la longitudine solare (quest’ultima essendo definita a partire dal centro del Sole come visto da Terra), la velocit` a di allontanamento dalla Terra di un punto del Sole di coordinate e λ `e data da v = Ω( ) R cos sin λ , dove Ω( ) `e la velocit` a angolare del Sole alla latitudine . Per un punto all’equatore solare ( = 0) e per λ = π/2, si ha numericamente, essendo Ω(0) = 2.90 µHz v  2.02 km s−1 . 2

Il periodo cui si fa qui riferimento `e ovviamente il periodo siderale e non quello sinodico. Inoltre, ` e necessario anche specificare che il periodo di rotazione solare dipende dal “tracciante” col quale esso viene misurato. Si hanno periodi di rotazione diversi a seconda che i traccianti siano le macchie, oppure le facole, oppure varie strutture coronali (protuberanze, buchi coronali, etc.), il che implica che la velocit` a di rotazione del plasma solare dipende anche dalla quota nell’atmosfera oltre che dalla latitudine. I valori dati nel testo per il periodo si riferiscono a misure di effetto Doppler di righe fotosferiche.

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CAPITOLO 3

- Redshift gravitazionale Nel suo tragitto dalla superficie del Sole alla Terra, la radiazione elettromagnetica subisce il fenomeno dell’arrossamento gravitazionale. Sebbene la trattazione rigorosa di tale fenomeno implichi l’utilizzo della teoria della gravitazione universale, si pu` o descrivere il fenomeno mediante una teoria meno rigorosa che d` a comunque il risultato corretto. Consideriamo un fotone di frequenza ν emesso dalla superficie solare. Tale fotone ha energia hν e si pu` o pensare di associargli una massa fittizia, mf , data da mf =

hν . c2

Per uscire dal campo gravitazionale del Sole, il fotone deve spendere la quantit` a di energia, , data da =

G h ν M G mf M  = , R c2 R

G essendo la costante della gravitazione. Una volta uscito dalla buca di potenziale, il fotone avr` a quindi una frequenza ν  data da   G M hν  = hν −  = hν 1 − 2 . c R L’effetto gravitazionale `e quindi del tutto equivalente a una velocit` a di allontanamento, vgrav , data da vgrav =

G M , c R

ovvero, numericamente vgrav  0.64 km s−1 . Come si vede, i quattro effetti qui considerati danno tutti una velocit` a dell’ordine del km s−1 . Per uno strano accidente del mondo naturale, anche le tipiche velocit` a del plasma dell’atmosfera solare hanno lo stesso ordine di grandezza.

3.3 Misure spettroscopiche di effetto Doppler e Dopplergrammi Per studiare i campi di velocit` a presenti nell’atmosfera solare, si utilizza come strumento diagnostico di base l’effetto Doppler. Ad esempio, per lo

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Fig. 3.3. Osservazioni di effetto Doppler nell’atmosfera solare. Pannello di sinistra: Immagine slit-jaw della granulazione solare (la fenditura dello spettroscopio appare come una striscia verticale nera). Pannello di destra: corrispondente spettro solare nella regione compresa fra 6301 e 6303 ˚ A. Due righe spettrali del Ferro appaiono “segmentate” con spostamenti verso il blu (cio` e verso sinistra) in corrispondenza dei granuli (che, essendo pi` u luminosi, delineano nello spettro strisce orizzontali chiare) e verso il rosso in corrispondenza delle zone intergranulari (strisce orizzontali scure). L’intervallo spettrale contiene anche due righe ”telluriche” dell’O2 , ovvero righe che si formano per assorbimento nell’atmosfera terrestre e che appaiono pi` u sottili e diritte. Tali righe possono essere utilizzate come riferimento per la misura dell’effetto Doppler e quindi della velocit` a.

studio della granulazione si pu` o utilizzare una tecnica molto semplice illustrata nella Fig. 3.3. Tale tecnica consiste nel disporre la fenditura dello spettroscopio nel piano focale del telescopio dove si forma l’immagine del Sole, nell’utilizzare la radiazione riflessa dal supporto metallico della fenditura per ottenere un’immagine (detta immagine slit-jaw) del campo osservato (nel quale la fenditura appare come una striscia oscura) e nell’osservare in corrispondenza lo spettro. Le righe spettrali risultano “segmentate”, e mostrano tipicamente uno spostamento verso il blu in corrispondenza dei granuli e uno spostamento verso il rosso in corrispondenza delle regioni intergranulari. Dai valori di tali spostamenti, ∆λ, `e poi facile risalire alla misura quantitativa della velocit` a attraverso la banale formula v=c

∆λ , λ0

dove λ0 `e la lunghezza d’onda della riga. Con questa tecnica si riesce tuttavia a trovare il campo di velocit`a simultaneamente soltanto lungo una striscia sottile della superficie solare (quella coperta dalla fenditura dello spettroscopio). Per ottenere la stessa informazione su un’area bidimensionale, e, al limite, su tutta la superficie solare visibile, si pu`o far ricorso a un filtro a banda molto stretta (quale un filtro di Lyot o un filtro interferenziale) realizzato in modo tale che la sua lunghezza d’onda centrale coincida con la lunghezza d’onda dell’ala di una riga particolarmente “pulita”

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CAPITOLO 3

Fig. 3.4. Il grafico illustra un segmento di spettro solare centrato intorno alla riga alla lunghezza d’onda λ0 . La scala delle ascisse d` a la lunghezza d’onda a partire dal centro della riga espressa in unit` a di larghezza della riga stessa (∆λR ). La linea punteggiata `e il profilo di trasparenza del filtro espresso in unit` a arbitrarie.

(ovvero ben isolata e non contaminata da blends con righe vicine) dello spettro solare. Ad esempio, in uno strumento moderno, il cosiddetto MDI (Michelson Doppler Interferometer, operante a bordo della missione SOHO) si ha un filtro interferenziale che opera sulla riga del Nichel neutro a 6767.8 ˚ A. Il filtro ha una banda passante di 94 m˚ A ed `e sintonizzabile a passi di 8 m˚ A3 . La situazione che si realizza dal punto di vista spettrale `e descritta nella Fig. 3.4. La radiazione filtrata viene focalizzata su una camera CCD che, per ogni pixel, fornisce un segnale, SD , dato da  SD = K I(λ) p(λ) dλ , dove K `e una costante, I(λ) `e l’intensit` a dello spettro solare proveniente dalla regione solare focalizzata sul pixel, e p(λ) `e il profilo di trasparenza del filtro. Supponiamo adesso che in prima approssimazione sia il profilo della riga che quello del filtro siano descritti da funzioni gaussiane della forma   2  λ − λ0 1 − d0 exp − , ∆λR

 I(λ) = Ic 3

  2  λ − λF p(λ) = p0 exp − , ∆λF

˚ corrisponde in questa riga a una velocit` Un ∆λ di 1 mA a di 44 m s −1 . La sintonizzazione ` e necessaria per poter compensare l’effetto Doppler introdotto dal moto del satellite relativo al Sole, oltre che per potersi “spostare” entro la riga.

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PROCESSI DINAMICI NELL’ATMOSFERA SOLARE

a del continuo, d0 depressione centrale della riga, λ0 lunghezza con Ic intensit` d’onda centrale della riga, ∆λR larghezza della riga, λF lunghezza d’onda su cui `e centrato il filtro e ∆λF larghezza del filtro. L’integrale pu` o essere facilmente valutato tenendo conto dei seguenti risultati di integrazione elementare   2   ∞ √ x−a exp − dx = π α , α −∞     2  2   ∞ x−a x−b exp − exp − dx = α β −∞ ⎡ 2 ⎤ √ αβ a − b ⎦ . = π exp ⎣−  α2 + β 2 α2 + β 2 Si ottiene  SD = S 0

∆λR



1 − d0  2 ∆λR + ∆λ2F

(λ0 − λF )2 exp − ∆λ2R + ∆λ2F

 ,

dove la quantit` a S0 , data da S0 = K Ic p0

√ π ∆λF ,

rappresenta il segnale che si ottiene centrando il filtro sul continuo adiacente la riga. Fissata la posizione del filtro sulla superficie solare, ed eseguendo due misure, una col filtro centrato alla lunghezza d’onda λF , e l’altra col filtro centrato nel continuo, dal rapporto dei due segnali si ottiene un “segnale normalizzato”, SD = SD /S0 , che risulta funzione4 di λ0 . Questa quantit` a dipende dal punto osservato sulla superficie solare a causa dell’effetto Doppler. Se si indica con v la componente della velocit`a del plasma solare lungo la direzione Terra-Sole (corretta per tutti gli effetti sistematici di cui al paragrafo precedente, eccetto per la rotazione solare), si ha  v , λ0 = λ0 1 + c dove λ0 `e la lunghezza d’onda della riga mediata su tutta la superficie del Sole. Sostituendo questa espressione in SD , e considerando uno sviluppo in serie rispetto a λ0 arrestato al primo ordine, si ottiene che l’ampiezza del segnale normalizzato relativo al singolo pixel risulta proporzionale alla corrispondente velocit` a del plasma solare secondo un’espressione del tipo 4

Effettivamente si ha anche una dipendenza da d0 , la depressione centrale della riga. Questa dipendenza ` e piccola e pu` o essere trascurata in questa trattazione semplificata.

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CAPITOLO 3

SD = SD /S0 = A + Bv , dove   ∆λR ( λ0 − λF )2 exp − A = 1 − d0  2 , ∆λ2R + ∆λ2F ∆λR + ∆λ2F   ∆λR λ0 − λF ( λ0 − λF )2 d0 λ0

 exp − . B=2 c ∆λ2R + ∆λ2F ∆λ2R + ∆λ2F ∆λ2R + ∆λ2F Quest’ultima espressione risulta utile per poter determinare la miglior posizione nella quale disporre il filtro rispetto alla riga spettrale. Tale posizione si trova cercando il massimo del valore assoluto della quantit`a B al variare di λF . Con semplici passaggi si trova che il valore migliore di λF , che indichiamo con (λF )opt , risulta  ∆λ2R + ∆λ2F (λF )opt = λ0 ± . 2 Se si visualizza infine il segnale normalizzato utilizzando una scala di grigi (o una scala di falsi colori), si ottiene un’immagine della superficie solare che prende il nome di Dopplergramma. La Fig. 3.5 illustra due Dopplergrammi ottenuti dallo strumento MDI nell’ambito del programma SOI (Solar Oscillation Investigation).

3.4 Propriet` a convettive della fotosfera La granulazione `e un fenomeno di tipo convettivo che interessa gli strati pi` u superficiali del Sole. Venne osservata per la prima volta da Herschel e poi, in maniera pi` u sistematica, da J. Nasmyth e da Padre A. Secchi. La prima foto della granulazione `e del 1877 ed `e dovuta all’astronomo francese J. Janssen. Le propriet`a della granulazione sono state ampiamente studiate per mezzo di misure basate sull’effetto Doppler (del tipo di quelle illustrate nella Fig. 3.3) e di osservazioni di tipo pi` u convenzionale riguardo alle dimensioni e all’evoluzione temporale dei granuli. Oggi sappiamo che nei granuli (che appaiono pi` u luminosi nelle immagini in luce bianca) la materia `e pi` u calda ed `e dotata di un moto ascensionale, mentre nelle cosiddette regioni intergranulari (che appaiono meno luminose) la materia `e pi` u fredda e discende verso l’interno del Sole. Le dimensioni caratteristiche dei granuli sono dell’ordine di 1500-2000 km (2-3 arcsec), la loro vita media `e dell’ordine di 10 minuti mentre le velocit` a tipiche, sia dei moti ascensionali che di quelli discensionali, sono dell’ordine di 1 km s−1 .

PROCESSI DINAMICI NELL’ATMOSFERA SOLARE

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Fig. 3.5. Il Dopplergramma di destra `e corretto per la rotazione solare e mostra chiaramente i moti dovuti alla supergranulazione. Le oscillazioni non sono visibili in quanto l’immagine `e la media di varie immagini ottenute in un intervallo di tempo di circa 50 minuti. Per gentile concessione del Consorzio SOHO/MDI. SOHO `e un progetto di cooperazione internazionale fra le Agenzie NASA ed ESA.

Relativamente difficili sono le misure di contrasto fra l’intensit` a della radiazione emessa dai granuli e quella emessa dalle regioni intergranulari in quanto tale contrasto dipende criticamente dalla Point Spread Function che caratterizza il telescopio e il seeing al momento di osservazione. Il contrasto `e usualmente definito attraverso l’equazione    (I − I )2

δI = , I rms I

dove I `e l’intensit` a osservata punto per punto sulla superficie solare e dove il simbolo · · · indica la media della stessa quantit` a sull’area osservata. Misure recenti eseguite sulla granulazione del Sole quieto danno per tale contrasto il valore di 0.113 alla lunghezza d’onda di 5560 ˚ A e di 0.128 alla lunghezza d’onda di 6070 ˚ A. Dal valore del contrasto di intensit` a si pu` o anche dedurre quello del contrasto di temperatura. Supponendo che ogni punto della superficie solare emetta come un corpo nero di temperatura assegnata, e osservando che alle lunghezze d’onda di cui sopra si pu` o utilizzare la formula approssimata di Wien per la legge del corpo nero, si ha log I = C −

hc , λkB T

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CAPITOLO 3

Fig. 3.6. La radiazione proveniente dal granulo (linea punteggiata) `e pi` u intensa ed `e spostata verso il blu. Quella proveniente dalle zone intergranulari (linea tratteggiata) `e pi` u debole e spostata verso il rosso. Quando si considera la media dei due spettri, si ottiene una riga asimmetrica (linea continua) che `e leggermente spostata verso il blu.

dove C `e una quantit` a indipendente dalla temperatura. Differenziando questa espressione si ottiene     δI hc δT = . I rms λkB T T rms Dai valori del contrasto di intensit` a dati sopra, e assumendo per T il consueto valore di 5800 K, si ottiene   δT  0.03 , T rms che porta a concludere che, a livelli fotosferici, i granuli sono circa 150-200 K pi` u caldi dell’atmosfera solare media mentre l’opposto si verifica per le regioni intergranulari. Il fenomeno della granulazione ha importanti conseguenze dal punto di vista osservativo. Le pi` u caratteristiche riguardano le righe spettrali, e in particolare la loro lunghezza d’onda centrale e il loro tipico profilo quali risultano nelle osservazioni di atmosfera “media”, ovvero nelle osservazioni a bassa risoluzione spaziale. Effettivamente, anche se si tiene conto di tutti i fenomeni sistematici di cui abbiamo parlato nel Par. 3.2, restano delle piccole differenze fra le lunghezze d’onda delle righe osservate sul Sole “medio” e le corrispondenti lunghezze d’onda osservate in laboratorio. Tali differenze sono, in generale, dei leggeri spostamenti verso il blu delle righe spettrali solari, detti “blueshifts convettivi”,

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PROCESSI DINAMICI NELL’ATMOSFERA SOLARE

I/Ic &

&'



























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!



()

λ

Fig. 3.7. Illustrazione della definizione del bisettore di una riga spettrale. La convezione provoca una tipica forma del bisettore che viene detta “C-shape”.

che vengono interpretati tenendo conto del fatto che i granuli si muovono verso l’alto e sono pi` u caldi (e quindi emettono pi` u radiazione) contribuendo quindi maggiormente al profilo di riga di quanto non facciano le zone intergranulari. In altre parole, i blueshifts convettivi sono dovuti alla correlazione fra temperatura e velocit` a. Il fenomeno `e illustrato nella Fig. 3.6. Oltre a produrre il blueshift, la convezione provoca anche una tipica asimmetria delle righe spettrali per cui l’ala blu del profilo `e pi` u ripida di quella rossa. Tali asimmetrie si caratterizzano per mezzo del cosiddetto “bisettore”, definito come la curva che divide a met`a un segmento tracciato dall’ala blu verso l’ala rossa a intensit`a costante (si veda la Fig. 3.7). Tipicamente, il bisettore delle righe solari ha una forma del tipo della lettera “C”, forma che viene appunto detta C-shape. Lo studio del bisettore delle righe spettrali si `e rivelato un metodo molto importante per poter analizzare le propriet` a della convezione solare. La stessa tecnica del bisettore `e stata applicata anche allo studio della convezione stellare. In tempi relativamente recenti sono stati fatti notevoli passi avanti nello studio teorico della convezione solare per mezzo di simulazioni numeriche basate sulla soluzione delle equazioni dell’idrodinamica. Per mezzo di potentissimi elaboratori elettronici (supercomputers), si risolvono le equazioni della conservazione della massa (equazione di continuit`a), del momento (equazione di Navier-Stokes) e dell’energia, per il plasma solare contenuto in una “scatola” avente dimensioni dell’ordine di una decina di Mm. I valori dei parametri fisici (densit`a, pressione, temperatura, velocit` a, etc.) sono calcolati in funzione del u. I risultati tempo nei nodi di griglie tridimensionali contenenti 106 punti o pi` di tali simulazioni risultano in buon accordo, sia qualitativo che quantitativo, con le osservazioni e mostrano che la nostra comprensione della convezione solare `e soddisfacente.

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CAPITOLO 3

Fig. 3.8. In un supergranulo (schematizzato in forma di un esagono) si osservano dei moti di materia del tipo qui illustrato. Le dimensioni tipiche del supergranulo sono dell’ordine di 30,000 km.

Oltre alla granulazione si osserva sul Sole anche un altro sistema pi` u o meno ordinato di movimenti che prende il nome di “supergranulazione”. I moti supergranulari, che possono essere convenientemente studiati attraverso i Dopplergrammi, sono prevalentemente orizzontali, le velocit`a essendo dirette, grosso modo, dal centro del supergranulo verso la sua periferia. Inoltre, si hanno delle piccole componenti verticali di velocit`a, in senso uscente nella zona centrale del supergranulo e in senso entrante ai confini delle celle. La situazione `e schematizzata nella Fig. 3.8. Per quanto riguarda i parametri fisici, una cella supergranulare ha dimensioni tipiche dell’ordine di 30,000 km (dimodoch´e essa contiene, grosso modo, un centinaio di granuli). Le velocit` a orizzontali sono dell’ordine di 500 m s−1 mentre quelle verticali sono dell’ordine di 50 m s−1 (moti ascendenti) e di 100 m s−1 (moti discendenti). I tempi caratteristici di vita delle celle supergranulari sono molto pi` u lunghi rispetto a quelli dei granuli, essendo, in media, dell’ordine di 22 ore (circa un giorno), con una buona correlazione positiva con le dimensioni e le velocit` a. C’`e da notare anche che i confini delle celle supergranulari appaiono pi` u brillanti rispetto alla media della superficie solare quando osservati attraverso spettroeliogrammi (o filtrogrammi) eseguiti nella riga Hα e, in maniera pi` u cospicua, nelle righe H e K del CaII. Riguardo alla supergranulazione, non c’`e alcun dubbio che essa, come la granulazione, sia dovuta all’overshoot di moti convettivi che avvengono in profondit` a. Secondo un’ipotesi ancora non confermata, la granulazione sarebbe l’overshoot dei moti convettivi che si verificano nella zona di ionizzazione dell’Idrogeno, che si trova subito al di sotto della fotosfera, mentre la supergranulazione sarebbe l’overshoot degli analoghi moti che si verificano, molto pi` u in profondit` a, nella zona di ionizzazione dell’Elio (si veda il Par. 6.7 per la relazione fra convezione e ionizzazione). Poich´e si ritiene che le dimensioni delle celle di convezione siano dello stesso ordine della scala di altezza, e poich´e la scala di altezza aumenta con la profondit` a, questo spiegherebbe la differenza nelle dimensioni delle celle supergranulari rispetto a quelle granulari.

PROCESSI DINAMICI NELL’ATMOSFERA SOLARE

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3.5 Oscillazioni solari Le oscillazioni solari sono state scoperte nel 1960 da un gruppo di fisici solari dell’Osservatorio di Mount Wilson in California (R.B. Leighton, R.W. Noyes u e G.W. Simon) per mezzo di osservazioni spettroeliografiche5. In termini pi` moderni, supponiamo di osservare per un tempo sufficientemente lungo la velocit`a di un punto della superficie solare, ad esempio con uno strumento a filtro di quelli che abbiamo discusso precedentemente. Cos`ı facendo si ottiene o trovare numericamente lo spettro di Fourier un segnale SD (t) del quale si pu` attraverso la consueta espressione  t2 SD (t) e−2πiνt dt , F (ν) = t1

dove t1 e t2 sono gli istanti iniziale e finale dell’osservazione. Il modulo quadro di questa funzione, |F (ν)|2 , rappresenta la “potenza” delle oscillazioni (di velocit`a) nell’intervallo spettrale compreso fra6 ν e ν + dν. Le prime osservazioni, generalmente eseguite su intervalli temporali dell’ordine delle ore, rivelarono la presenza di uno spettro di tipo continuo con frequenze contenute nell’intervallo fra 1.5 e 5.5 mHz e con un massimo significativo alla frequenza di 3.3 mHz (corrispondente a un periodo di 5 minuti). Per un po’ di tempo le oscillazioni solari furono considerate alla stregua di uno dei tanti fenomeni, pi` u o meno importanti, che si verificano sulla superficie solare. Solo in seguito, quando le osservazioni furono effettuate su intervalli temporali pi` u lunghi (utilizzando ad esempio delle stazioni in Antartide, in modo da poter seguire il Sole ininterrottamente per periodi dell’ordine di una settimana) e, soprattutto, quando furono estese ad ampie zone della superficie solare, risult`o chiaro che lo spettro delle oscillazioni solari era in effetti uno spettro discreto (e non uno spettro continuo come si pensava inizialmente). Da un punto di vista pi` u attuale si pu` o pensare semplicemente che il Sole, come un qualsiasi corpo materiale di forma e composizione definita, abbia i 5

Lo strumento effettivamente utilizzato a Mount Wilson era uno spettroeliografo differenziale (detto spettroeliografo di Leighton) col quale venivano registrati simultaneamente su lastra due spettroeliogrammi, uno nell’ala rossa di una riga spettrale, e l’altro nell’ala blu. I due spettroeliogrammi venivano poi “sottratti fotograficamente” (aggiungendo il positivo di una lastra al negativo dell’altra) in maniera da ottenere uno “spettroeliogramma Doppler” nel quale erano direttamente visibili, in una scala di grigio, le velocit` a del plasma solare. Un tale strumento ha oggi solo importanza storica, essendo stato sostituito da strumenti a filtro. 6 E ` necessario sottolineare che per ottenere lo spettro di Fourier completo delle oscillazioni ` bisognerebbe eseguire un’osservazione su un intervallo di tempo in principio infinito. E e limitato, lo spettro resta indeterminato alle basse ovvio che, se l’intervallo di tempo (t1 , t2 ) ` frequenze, con un valore della frequenza di taglio dell’ordine di 1/(t2 −t1 ). La cadenza con cui vengono eseguite le osservazioni pone inoltre un limite superiore alle frequenze misurabili. Se l’intervallo fra una misura e quella successiva ` e ∆t, le alte frequenze sono tagliate alla cosiddetta frequenza di Nyquist, pari a π/∆t. Infine, esiste un effetto di risoluzione sempre legato alla limitatezza dell’intervallo temporale. La risoluzione in frequenza `e in effetti data da ∆ν = 1/(t2 − t1 ).

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CAPITOLO 3

suoi propri modi globali di oscillazione e che le velocit`a (di tipo oscillatorio) che si osservano in superficie riflettano, per cos`ı dire, l’eccitazione di tali modi. Questo fatto `e particolarmente importante perch´e le frequenze dei modi globali sono legate in maniera teoricamente prevedibile alle propriet` a termodinamiche dell’interno del Sole ed `e quindi possibile utilizzare le oscillazioni solari come un potente strumento diagnostico della fisica degli strati pi` u profondi della nostra stella. La situazione cos`ı delineata ricorda in maniera molto precisa quella della sismologia (terrestre). Cos`ı come dalle onde sismiche che vengono rivelate per mezzo dei sismografi si riesce a risalire non solo alle propriet` a degli eventi che le hanno generate (terremoti), ma anche alle propriet` a fisiche dell’interno della Terra, dalle oscillazioni solari si riesce a risalire alle propriet` a fisiche dell’interno del Sole. A causa di questa analogia, a quella branca della fisica solare che si interessa delle oscillazioni e della loro interpretazione `e stato dato il nome di eliosismologia. La teoria in base alla quale si riescono a prevedere teoricamente le frequenze dei modi di oscillazione solare (le cosiddette frequenze proprie o autofrequenze) `e relativamente complicata. Si tratta sostanzialmente di considerare le equazioni fondamentali che regolano l’andamento delle varie quantit` a fisiche con la distanza r dal centro nell’interno del Sole, nel sottoporre tali quantit` a a una perturbazione dinamica (funzione di r e del tempo) e nel linearizzare le equazioni stesse. Si cercano poi delle soluzioni periodiche di frequenza ν e si determinano, attraverso una soluzione numerica delle equazioni linearizzate, i possibili valori di ν per i quali sono soddisfatte le opportune condizioni al contorno. Il problema `e affrontato in tutta generalit` a nel Par. 6.11. Qui preferiamo riferirci a un paio di semplici esempi nell’intento di familiarizzare il lettore con questi tipi di problemi alle autofrequenze. Il primo esempio che consideriamo `e quello di una sbarra rigida omogenea di a (modulo densit` a ρ, sezione trasversale S, lunghezza L e modulo di elasticit` di Young) E, per la quale vogliamo determinare le autofrequenze dei modi di oscillazione longitudinale. Facendo riferimento alla Fig. 3.9, indichiamo con x la coordinata misurata lungo la sbarra e con ξ(x, t) lo spostamento longitudinale, all’istante t, della sezione della sbarra che a riposo occupa la posizione x. Applicando la seconda equazione della dinamica a un elemento infinitesimo di sbarra che a riposo `e compreso fra x e x + ∆x, si ha ρ S ∆x

∂2 ξ(x, t) = F (x) + F (x + ∆x) , ∂t2

dove F (x) `e la forza esercitata, sull’elemento di sbarra che stiamo considerando, dalla parte della sbarra che si trova a sinistra del punto x, e, analogamente, F (x + ∆x) `e la forza esercitata dalla parte della sbarra che si trova a destra del punto x+∆x. Consistentemente con le convenzioni adottate, F (x) e F (x+∆x) devono essere considerate positive se dirette da sinistra verso destra. Tali forze

PROCESSI DINAMICI NELL’ATMOSFERA SOLARE

ξ( x+ ∆ x)

ξ (x)

x

89

x+ ∆ x

Fig. 3.9. La sbarra ` e sede di oscillazioni longitudinali caratterizzate in ogni suo punto dalla “deformazione”, ξ(x, t), funzione del tempo. La figura mostra la situazione a un istante t assegnato.

possono essere connesse al valore locale dell’allungamento relativo. Tenendo conto della definizione del modulo di Young e delle convenzioni adottate, si ha     dξ dξ , F (x) = −SE , F (x + ∆x) = SE dx x+∆x dx x per cui, essendo ∆x infinitesimo F (x) + F (x + ∆x) = SE

∂2 ξ(x, t) ∆x . ∂x2

Sostituendo questo risultato nell’equazione della dinamica si ottiene per la funzione ξ(x, t) l’equazione delle onde, ovvero ∂2 ∂2 ξ(x, t) = c2s 2 ξ(x, t) , 2 ∂t ∂x a del suono (per onde longitudinali) all’interno della sbarra, dove cs `e la velocit` data da  E . cs = ρ Cerchiamo adesso una soluzione dell’equazione delle onde del tipo ξ(x, t) = f (x) e−iωt . Sostituendo, si ottiene per f (x) l’equazione differenziale d2 f (x) ω2 = − f (x) . dx2 c2s

90

CAPITOLO 3

Questa equazione ammette la soluzione pi` u generale f (x) = A cos(kx) + B sin(kx) , dove A e B sono due costanti di integrazione e dove k `e dato da ω . cs

k=

Imponiamo adesso le condizioni al contorno. Se la sbarra `e libera, alle sue estremit` a le forze devono essere nulle, per cui si deve avere     ∂ξ(x, t) ∂ξ(x, t) = =0 , ∂x ∂x x=0 x=L dalla quale consegue 

df (x) dx



 = x=0

df (x) dx

 =0 . x=L

Derivando l’espressione per f (x) si ottengono quindi le due equazioni B=0 ,

sin(kL) = 0 .

I valori possibili di k sono dati dall’espressione nπ , L con n intero. Le autofrequenze sono quindi della forma k=

ωn = n ω0 , 

dove π cs π ω0 = = L L

E . ρ

L’altro esempio che andiamo a considerare `e quello di una sfera omogenea di raggio R, per la quale supponiamo che il tensore degli sforzi sia diagonale (il che implica che il modulo di scorrimento G sia nullo). Questa approssimazione `e adeguata per trattare una sfera fluida piuttosto che una sfera solida. Nella sfera, a differenza del caso della sbarra che abbiamo trattato precedentemente,  x, t), piuttosto che da una quantit` la deformazione `e descritta da un vettore, ξ( a scalare. Generalizzando il ragionamento sviluppato prima, si ottiene che la deformazione obbedisce all’equazione delle onde tridimensionale (invece che all’analoga equazione unidimensionale). Si ha allora ∂2   t) , ξ(x, t) = c2s ∇2 ξ(x, ∂t2

PROCESSI DINAMICI NELL’ATMOSFERA SOLARE

91

dove ∇2 `e l’operatore Laplaciano. Sempre in analogia al caso precedente cerchiamo una soluzione del tipo  x, t) = f(x ) e−iωt . ξ(  x ) l’equazione alle derivate parziali Sostituendo si ottiene per f(  x ) = −k 2 f(x ) , ∇2 f( dove k=

ω . cs

Osserviamo poi che una funzione vettoriale fisica quale la f(x ) pu` o sempre essere espressa nella forma (teorema di Lens) f(x ) = grad[u(x )] + rot[v (x )] , dove u(x ) e v (x ) sono due potenziali (scalare il primo e vettoriale il secondo). Se si trascurano deformazioni di tipo torsionale, si pu` o supporre che sia v (x ) = 0, per cui si ha semplicemente  x ) = grad[u(x )] . f( Per il potenziale u(x ) si ha quindi l’equazione ∇2 grad[u(x) ] = −k 2 grad[u(x) ] , dalla quale si ottiene ∇2 u(x ) = −k 2 u(x ) + C , dove C `e una quantit` a indipendente da x. Tale costante pu` o essere reinglobata nella funzione u(x ) che, essendo un potenziale, `e sempre definita a meno di una costante. L’equazione per u(x ) `e quindi ∇2 u(x ) = −k 2 u(x ) . Per risolvere questa equazione, introduciamo un sistema di coordinate sferiche (r, θ, φ) e cerchiamo una soluzione della forma u(r, θ, φ) = f (r) Ym (θ, φ) , dove le funzioni Ym , con e m interi ( = 0, 1, 2, · · · ; m = − , · · · , ) sono le armoniche sferiche. Ricordando l’espressione del Laplaciano in coordinate sferiche, ovvero,

92

CAPITOLO 3

1 ∂ ∇ = 2 r ∂r 2



∂ r ∂r 2



1 ∂ + 2 r sin θ ∂θ

  ∂2 ∂ 1 , sin θ + 2 2 ∂θ r sin θ ∂φ2

e ricordando che le armoniche sferiche sono tali da soddisfare l’equazione 

1 ∂ sin θ ∂θ

   ∂ 1 ∂2 Ym (θ, φ) = − ( + 1)Ym (θ, φ) , sin θ + ∂θ sin2 θ ∂φ2

si ottiene per f (r) l’equazione differenziale   ( + 1) 1 d 2 df (r) f (r) = −k 2 f (r) . r − r2 dr dr r2 Questa equazione pu` o essere posta in forma adimensionale introducendo la variabile z = kr. Con semplici trasformazioni si ottiene   ( + 1) d2 f (z) 2 df (z) + =0 . + 1 − dz 2 z dz z2 L’equazione cos`ı ottenuta `e un’equazione ben nota della fisica-matematica. Essa ammette come soluzioni indipendenti le cosiddette “funzioni sferiche di Bessel”, ovvero le funzioni j (z) e y (z) dette, rispettivamente, funzione sferica di Bessel di prima e di seconda specie. La soluzione pi` u generale della nostra equazione `e quindi data da f (z) = c1 j (z) + c2 y (z) , con c1 e c2 costanti. Imponiamo adesso le condizioni al contorno. Innanzitutto si osserva che la funzione y (z) `e divergente, insieme alle sue derivate, nell’origine. Questo impone di porre la costante c2 uguale a zero perch´e altrimenti si otterrebbe una deformazione infinita al centro della sfera. Resta quindi f (z) = c1 j (z) . Imponiamo poi la condizione fisica che la sfera sia isolata, ovvero che le forze che si esercitano sulla sua superficie non possano avere componenti radiali. In termini del vettore deformazione questo implica che     r) n · grad ξ( =0 , r=R

dove n `e la normale esterna alla sfera. Traducendo questa espressione in termine del potenziale u(r, θ, φ) si ottiene ∂ 2 u(r, θ, φ) =0 , ∂r2

PROCESSI DINAMICI NELL’ATMOSFERA SOLARE

93

che implica 

 d2 j (kr) =0 .  dr2 r=R

I valori possibili di k sono quindi quelli per cui kR `e uno zero della derivata seconda della funzione sferica di Bessel di prima specie. Fissato , se si indicano ( ) ( ) ( ) tali zeri con z1 , z2 , . . ., zn , . . ., i valori possibili di k sono della forma ( )

k( , n) =

zn R

,

e quindi le autofrequenze sono date da ω( , n) =

cs ( ) z . R n

Come si vede, si ha un doppio spettro di autofrequenze caratterizzate dagli interi e n. Mentre `e in relazione con il numero di nodi dell’oscillazione sulla superficie della sfera, n `e in relazione con il numero di nodi dell’oscillazione lungo la coordinata radiale. In ogni caso, le autofrequenze risultano del tutto indipendenti dall’intero m, una stretta conseguenza della simmetria di rotazione del problema. Consideriamo il caso particolare = 0. Se si ricorda che l’armonica sferica Y00 (θ, φ) `e costante, questo significa che si vanno a considerare delle oscillazioni di tipo globale, in cui le bucce sferiche interne alla sfera si espandono o si contraggono radialmente senza modificare la loro forma. Poich´e si ha j0 (z) =

sin z , z

si ottiene, con facili passaggi cos z sin z sin z d2 j0 (z) −2 2 +2 3 , =− 2 dz z z z per cui gli zeri del primo membro si ottengono risolvendo l’equazione trascendente tan z =

2z . 2 − z2

La soluzione grafica di questa equazione `e data nella Fig. 3.10. I primi tre zeri risultano (0)

z1 = 2.08 ,

(0)

z2 = 5.94 ,

(0)

z3 = 9.21 .

94

CAPITOLO 3

Fig. 3.10. Soluzione grafica dell’equazione trascendente tan z = 2z/(2 − z 2 ). Le soluzioni sono date dalle ascisse dei punti di intersezione fra la funzione tan z (curva intera) e la funzione 2z/(2 − z 2 ) (curva tratteggiata).

L’approssimazione della sfera fluida omogenea, seppur illuminante per comprendere la fisica delle autofrequenze di un corpo materiale, non `e adeguata per descrivere correttamente il caso delle oscillazioni solari. In effetti, l’approssimazione pi` u brutale che abbiamo introdotto `e quella della omogeneit` a, la quale implica che la velocit`a del suono sia costante. Come `e noto, la velocit` a del suono in un gas `e data dall’espressione   ∂P , cs = ∂ρ S dove P `e la pressione, ρ la densit` a, e dove la derivata deve essere considerata a entropia costante. Nel caso di un gas perfetto, l’equazione precedente d` a  γ kB T , cs = µ mH dove γ `e il rapporto fra il calore specifico a pressione costante e quello a volume a di massa costante, T `e la temperatura, µ il peso molecolare medio e mH l’unit` atomica. Nel caso dell’interno solare (che qui supponiamo, per semplicit` a, composto di puro Idrogeno completamente ionizzato), γ vale 53 , e µ vale 12 , per cui si ottiene numericamente cs = 1.66 × 104

√ T cm s−1 ,

PROCESSI DINAMICI NELL’ATMOSFERA SOLARE

95

Fig. 3.11.  Il ˆgrafico 2mostra la potenza misurata alla frequenza ν nel modo , ovvero la quantit` a |C (ν)| . Il massimo della potenza `e contenuto fra 1 e 6 mHz. L’immagine m m ` e anche riprodotta nell’inserto a colori. Per gentile concessione del Consorzio SOHO/MDI. SOHO ` e un progetto di cooperazione internazionale fra le agenzie NASA ed ESA).

dove T `e espressa in K. Poich´e nell’interno del Sole la temperatura varia fra circa 15 × 106 K (temperatura del centro) a circa 6000 K (temperatura degli strati superficiali), se ne deduce che la velocit` a del suono varia fra il centro e la superficie di un fattore circa uguale a 50, passando da 6.4 × 10 7 cm s−1 a 1.3 × 106 cm s−1 . Inoltre, bisogna anche tener conto del fatto che il Sole `e una sfera di gas autogravitante e che la gravit` a `e stata completamente trascurata nel semplice modello della sfera elastica. Le autofrequenze delle oscillazioni solari, inclusa la loro dipendenza dal numero , possono essere messe in evidenza per mezzo di osservazioni Doppler, continuate nel tempo, di tutto l’emisfero solare, come ad esempio quelle della Fig. 3.5. Indicando con SD (θ, φ, t) il segnale Doppler osservato nel punto di coordinate (θ, φ) all’istante t7 , prima si esegue un’analisi in termini di armoniche 7

Il segnale deve essere opportunamente interpretato tenendo conto anche degli effetti prospettici. Attraverso l’effetto Doppler, infatti, si misura la velocit` a radiale al centro del disco e quella tangenziale al lembo. Per semplicit` a questi effetti sono trascurati nelle considerazioni svolte nel testo.

96

CAPITOLO 3

Fig. 3.12. Andamento delle autofrequenze ν(, n) in funzione di  per il modello di una sfera fluida omogenea avente raggio uguale al raggio solare e velocit` a del suono pari a 8. × 10 6 cm s−1 . Le autofrequenze sono calcolate per  compreso fra 10 e 300 e per n compreso fra 1 e 52.

sferiche scrivendo SD (θ, φ, t) =



Cm (t)Ym (θ, φ) ,

m

e poi si sviluppano i coefficienti Cm (t) in serie di Fourier, per mezzo dell’equazione  Cm (t) = Cˆm (ν) e−2πiνt dν . Le quantit` a |Cˆm (ν)|2 possono essere calcolate numericamente dal segnale osservato. Un risultato tipico per i modi corrispondenti a valori di intermedi e frequenze superiori a 0.5 mHz `e presentato nella Fig. 3.11. La Fig. 3.11, ottenuta per mezzo di osservazioni dello strumento MDI nell’ambito del programma SOI (Solar Oscillation Investigation), mostra chiaramente l’esistenza di diversi “rami” aventi un andamento incurvato, con la frequenza

PROCESSI DINAMICI NELL’ATMOSFERA SOLARE

97

che cresce meno che linearmente al crescere del numero . Come c’era da attendersi, il modello della sfera fluida omogenea `e del tutto inadeguato a descrivere lo spettro osservato. La Fig. 3.12 mostra il risultato che si ottiene considerando una sfera avente raggio pari al raggio solare, R , e assumendo per la velocit` a del suono il valore costante cs = 8. × 106 cm s−1 . I valori delle frequenze ν( , n), date da ()

ν( , n) =

cs z n ω( , n) , = 2π 2π R

hanno, per grandi , un andamento lineare con , in eclatante disaccordo con le osservazioni. Per ottenere un buon accordo con le osservazioni `e necessario tener conto che la velocit`a del suono `e variabile, diminuendo all’aumentare della distanza dal centro del Sole, e la teoria delle oscillazioni basata sul modello solare standard conferma con elevatissima precisione i risultati osservativi (si veda la Fig. 6.13). Nel terminare questo capitolo `e necessario sottolineare che l’eliosismologia ha portato importantissimi contributi alla fisica solare e, pi` u in generale, all’intera astrofisica. Essa ha infatti confermato la validit` a del cosiddetto modello standard dell’interno solare, ovvero il modello che si ottiene applicando le leggi fondamentali della struttura e dell’evoluzione stellare e che d` a l’andamento delle diverse quantit` a fisiche (pressione, temperatura, densit`a, etc.) con la distanza dal centro del Sole. Il grande successo dell’eliosismologia ha poi portato alla nascita, in tempi relativamente recenti, dell’astrosismologia, un campo di ricerca in fase di rapida crescita e che sta producendo interessanti risultati. Per ovvi problemi di risoluzione, i soli modi di oscillazione che possono essere osservati nelle stelle sono quelli globali, aventi bassi valori di ( = 0, 1, 2, ...). Esempi di stelle sulle quali sono state osservate oscillazioni sono η Bootis, con periodi dell’ordine di 20 minuti e α Centauris A, con periodi dell’ordine di 7 minuti.

Capitolo 4

Il magnetismo solare Il magnetismo `e uno dei principali aspetti della fisica del Sole e, non a caso, uno degli aspetti maggiormente studiati in quanto si ritiene che esso sia alla base della maggior parte dei fenomeni pi` u spettacolari e fisicamente pi` u interessanti che vengono osservati sul Sole. Se, ipoteticamente, non esistesse il campo magnetico, il Sole sarebbe sicuramente una stella molto meno degna di attenzione di quanto non lo sia in realt` a. Questo capitolo `e dedicato a illustrare le equazioni fondamentali della magneto-idrodinamica, a descrivere gli aspetti morfologici pi` u importanti delle strutture magnetiche fotosferiche e della loro evoluzione temporale, e le tecniche, osservative e teoriche, che vengono attualmente utilizzate per lo studio quantitativo del magnetimo solare.

4.1 Generalit` a Come abbiamo visto nel capitolo introduttivo, l’esistenza di campi magnetici sul Sole `e stata scoperta nel 1908 per mezzo di osservazioni di tipo spettropolarimetrico eseguite su macchie solari. Da allora, le propriet` a del magnetismo solare sono state oggetto di estese ricerche. Oggi sappiamo che sul Sole il magnetismo si manifesta praticamente su tutte le scale. Mentre le dimensioni delle pi` u piccole strutture magnetiche osservate sono al limite del potere risolutivo dei migliori telescopi, le manifestazioni globali del magnetismo coinvolgono interi emisferi. Oggi sappiamo anche che la cosiddetta attivit` a solare, caratterizzata da un ciclo undecennale, `e essenzialmente dovuta al campo magnetico. L’importanza del magnetismo nella fisica solare `e intimamente connessa col fatto che a qualsiasi distanza dal centro della stella, dalle zone centrali dove hanno luogo le reazioni nucleari fino alla fotosfera e alla corona, la materia solare, che si trova allo stato gassoso, `e in larga misura ionizzata. La ionizzazione provoca un elevato valore della conducibilit` a elettrica e questo `e l’aspetto fisico fondamentale che contraddistingue un gas ionizzato, ovvero un plasma, da un gas neutro, quale ad esempio il gas che costituisce l’atmosfera terrestre nella quale viviamo. In un plasma valgono le cosiddette equazioni della magneto-idrodinamica e, in particolare, la loro conseguenza forse pi` u importante, ovverosia il teorema di Alfv`en che si enuncia dicendo che “le linee di forza del campo magnetico sono congelate nel plasma”. Data la rilevanza che la magneto-idrodinamica riveste nella fisica solare, `e qui necessario ricordarne alcune delle equazioni pi` u significative.

100

CAPITOLO 4

Nel sistema c.g.s di unit`a di misura, le equazioni di Maxwell si scrivono nella forma

− rotB

 = 4π ρc , divE

 =0 , divB

 j 1 ∂E = 4π , c ∂t c

+ rotE

 1 ∂B =0 , c ∂t

 e B  sono, rispettivamente, il vettore campo elettrico e il vettore indove E duzione magnetica, c `e la velocit` a della luce, ρc `e la densit` a di carica e j la densit` a di corrente. Quando si vanno a considerare fenomeni sufficientemente “lenti”, ovvero che coinvolgono velocit` a molto minori della velocit`a della luce, le equazioni di Maxwell possono essere approssimate omettendo il termine che descrive la corrente di spostamento, dimodoch´e la terza equazione risulta  = 4π rotB

j , c

che non `e altro se non l’espressione differenziale della legge di Amp`ere. Consistentemente con questa approssimazione, l’equazione di continuit` a per la corrente risulta semplicemente divj = 0 . Aggiungiamo alle equazioni di Maxwell l’equazione di Ohm. Tenendo conto della forza di Lorentz e indicando con v la velocit`a del plasma, si ha   v   , j = σ E + × B c dove σ `e la conducibilit` a elettrica. Sostituendo questa espressione nell’equazione di Amp`ere, considerando il rotore dell’equazione risultante ed eliminando il campo elettrico, si ottiene la cosiddetta “equazione dell’induzione”  ∂B  − rot ( η rotB)  , = rot (v × B) ∂t dove la quantit` a η, detta “coefficiente della diffusione magnetica” 1 , `e data da η=

c2 . 4π σ

Nei plasmi, essendo la conducibilit` a molto elevata, si ha sempre un valore di η piccolo, dimodoch´e il secondo termine dell’equazione dell’induzione, nella 1

Il nome ` e dovuto al fatto che, se nel secondo membro dell’equazione fosse presente soltanto il termine contenente η, supponendo η costante l’equazione stessa risulterebbe ∂ B/∂t = η∇2 B, che ` e l’equazione tipica dei fenomeni diffusivi.

IL MAGNETISMO SOLARE

101

grande maggioranza dei casi, si pu`o trascurare rispetto al primo termine. Quando viene omesso il secondo termine, si dice che si adotta l’approssimazione della magneto-idrodinamica. Per vedere quando questo `e giustificato, indichiamo con L la scala tipica sulla quale varia il campo magnetico. L’ordine di grandezza del rapporto fra il primo e il secondo termine dell’equazione dell’induzione risulta vL . η

Rm 

Questo numero puro, detto “numero di Reynolds magnetico”, assume valori elevatissimi nei plasmi astrofisici. Per renderci conto di questo fatto, osserviamo che la conducibilit`a elettrica di un plasma `e dovuta in generale alle particelle pi` u mobili, ovvero agli elettroni e che, per tali particelle, il valore della conducibilit` a `e praticamente indipendente dalla densit` a ed `e dato, come ordine di grandezza, dall’espressione  1 (kB T )3 σ , 2 m Ze0 dove Z `e il numero di carica medio degli ioni del plasma, e0 `e la carica dell’elettrone (in valore assoluto), m la sua massa, kB la costante di Boltzmann, e T la temperatura cinetica degli elettroni. Questa formula pu` o essere a numerica giustificata mediante le seguenti considerazioni. Se ne `e la densit` degli elettroni, la densit` a di corrente da essi trasportata `e data da j = −e0 ne vd , dove vd `e la “velocit` a di drift” indotta sugli elettroni dalla presenza del campo o essere stimato pensando che gli elettroni sono elettrico. Il valore di vd pu` accelerati dal campo elettrico per un tempo τ pari al tempo libero medio che intercorre fra collisione e collisione. Dopo aver subito la collisione, la velocit` a degli elettroni viene alterata in maniera casuale e la velocit` a di drift viene, per cos`ı dire, riazzerata. Si ha quindi vdrift  −

e0  Eτ . m

Il valore di τ pu` o a sua volta essere stimato mediante l’equazione τ

, vt

dove `e il libero cammino medio e vt la velocit`a media (o termica) degli elettroni. Il libero cammino medio si pu` o poi esprimere nella forma 

1 , ni scoll

102

CAPITOLO 4

dove ni `e la densit` a numerica degli ioni e scoll `e la sezione d’urto per collisioni fra elettroni e ioni, mentre la velocit` a termica `e data, sempre come ordine di grandezza, da  kB T . vt  m Raccogliendo tutte queste equazioni, e ricordando la definizione di conducibilit` a elettrica, quest’ultima pu` o essere espressa in termini della sezione d’urto attraverso l’equazione σ  e20

1 ne √ . ni scoll m kB T

o pensare che Infine, si tratta di stimare la sezione d’urto scoll . Per questo, si pu` le collisioni efficaci degli elettroni siano soltanto quelle che hanno un parametro d’urto b minore del valore b0 , dove b0 `e definito dall’equazione che eguaglia l’energia cinetica dell’elettrone all’energia di interazione elettrica elettrone-ione, ovvero Z e20 1 m vt2  kB T = 2 b0

.

Da questa equazione si ricava, come ordine di grandezza  scoll  b20 =

Z e20 kB T

2 .

Sostituendo nell’espressione per σ e osservando che ne  Zni , si ottiene infine l’equazione per σ che avevamo anticipato2 . Dal punto di vista numerico, sostituendo le costanti atomiche fondamentali, ed esprimendo la temperatura in gradi K, si ottiene (per il caso del plasma solare in cui Z  1) σ  2.3 × 108 T 3/2 s−1 , e quindi η  3.1 × 1011 T −3/2 cm2 s−1 , e infine, esprimendo v e L in unit` a c.g.s. 2

Un’analisi pi` u approfondita dovuta a Spitzer (L. Spitzer, Physical Processes in the Interstellar Medium, Wiley, New York, 1978) porta all’equazione σ = σ0 25/2 γ/(π 3/2 ln Λ), dove σ0 ` e il valore di ordine di grandezza da noi calcolato, γ ` e una correzione che tiene conto delle a collisioni elettrone-elettrone che abbiamo trascurato (nel caso solare, in cui Z  1, Spitzer d` per γ il valore 0.58), e infine Λ `e un ulteriore fattore correttivo che dipende dalla temperatura e dalla pressione (nel caso solare si ha ln Λ  5 per l’interno,  10 per la fotosfera, e  20 per la corona).

103

IL MAGNETISMO SOLARE

n’

Σ’

Σ’’ Σ

n

v∆ t

C

−n’’ d

Fig. 4.1. Secondo il teorema di Alfv`en, il flusso del campo magnetico attraverso la superficie Σ, valutato all’istante t, ` e uguale al flusso del campo magnetico attraverso la superficie Σ  , valutato all’istante t = t + ∆t.

Rm = 3.2 × 10−12 L v T 3/2 . Assumendo come valore di L le dimensioni tipiche di una macchia (L  30, 000 km), ponendo v  1 km s−1 e T  6000 K, si ottiene per il numero di Reynolds magnetico un valore compreso fra 108 e 109 , il che giustifica ampiamente l’approssimazione della magneto-idrodinamica3. Ritorniamo all’equazione dell’induzione nell’approssimazione della magnetoidrodinamica  ∂B  . = rot (v × B) ∂t Da questa equazione consegue il teorema di Alfv`en, che abbiamo gi` a enunciato sopra in maniera semplificata e che, pi` u precisamente, si pu` o enunciare nella forma seguente: si consideri nel plasma, a un istante fissato, una superficie arbitraria che si appoggia su un circuito chiuso e si valuti il flusso del vettore campo magnetico attraverso tale superficie. Al passare del tempo la superficie si muove e si modifica, essendo trasportata dal moto del plasma. Il flusso del campo magnetico (che si modifica anch’esso al passare del tempo) attraverso tale superficie mobile rimane tuttavia costante. Per dimostrare il teorema di Alfv`en, riferiamoci alla Fig. 4.1. Se Σ `e la superficie all’istante t e Σ la superficie all’istante t + ∆t, vogliamo dimostrare che     + ∆t) · n dS  , B(t) · n dS = Φ = B(t Φ= Σ 3

Σ

Si noti che con le temperature e le velocit` a caratteristiche dell’atmosfera solare (T  6000 K; v  1 km s−1 ), bisognerebbe assumere una dimensione tipica L minore di 7 cm per avere un numero di Reynolds inferiore all’unit` a.

104

CAPITOLO 4

dove n `e la normale esterna alla superficie Σ e n `e la normale esterna alla  `e solenoidale, invece di valutare il flusso Φ superficie Σ . Poich´e il vettore B  sulla superficie Σ , possiamo valutare tale flusso (sempre all’istante t+∆t) sulla superficie a forma di “casseruola” risultante dall’addizione della superficie Σ e della superficie “laterale” Σ , spazzata dal contorno C di Σ nell’intervallo di tempo infinitesimo ∆t. Si ha allora, a meno di infinitesimi del secondo ordine in ∆t, Φ − Φ = ∆t



 ∂B · n dS + ∂t

Σ

 Σ

 · n dS  , B

dove n `e la normale esterna alla superficie laterale Σ (in Fig. 4.1 `e riportato per maggior chiarezza il versore −n ). L’ultimo integrale pu` o essere trasformato in un integrale sul contorno C osservando che n dS  = −d × v ∆t , dove d `e l’elemento di lunghezza del contorno C. Utilizzando inoltre il teorema di Stokes-Amp`ere, si ottiene     · n dS  = −∆t  · (d × v ) = −∆t (v × B)  · d = B B Σ

C

C



 · n dS , rot(v × B)

= −∆t Σ

per cui, raccogliendo     ∂B  · n dS . − rot(v × B) Φ − Φ = ∆t ∂t Σ 

Ma l’integrando `e nullo per l’equazione dell’induzione, per cui si ottiene Φ = Φ , che prova il teorema di Alfv`en. Il teorema di Alfv`en vale per una superficie arbitraria. Poich´e inoltre il flusso del vettore campo magnetico attraverso una superficie `e proporzionale al numero di linee di forza che attraversano la superficie stessa, si pu`o pensare che le linee di forze risultino, per cos`ı dire, rigidamente connesse al plasma in moto. In maniera pi` u rappresentativa si suole dire che le linee di forza del campo magnetico sono “congelate” nel plasma. Un’altra conseguenza importante delle equazioni della magneto-idrodinamica riguarda le strutture magnetiche isolate. Come abbiamo gi` a detto, le osservazioni mostrano che il campo magnetico del Sole `e estremamente strutturato su scale diverse. Il modello magneto-idrodinamico pi` u semplice di una struttura

105

IL MAGNETISMO SOLARE

R ∆R corrente elettrica

B0

circuito elementare

corrente elettrica

Fig. 4.2. Modello di una struttura magnetica isolata a forma di cilindro indefinito di raggio R (tubo di flusso). Il campo magnetico all’interno del tubo `e costante ed `e diretto lungo l’asse del tubo. Nello spessore ∆R nel quale il campo diminuisce (per annullarsi alla distanza R + ∆R dall’asse) sono presenti delle correnti elettriche, schematizzate nella figura con una linea a tratto pi` u marcato.

magnetica isolata `e quello di un fascio di linee di forza di campo immerso in un ambiente non magnetico, come quello illustrato nella Fig. 4.2, e viene naturale chiedersi come, e a quali condizioni, una struttura di tale genere, convenzionalmente chiamata “tubo di flusso”, possa trovarsi in equilibrio. Innanzitutto si pu` o osservare che alla “superficie” della struttura magnetica `e presente un gradiente di campo, il che implica la presenza di correnti elettriche. Se ipotizziamo che il tubo di flusso sia indefinito e di raggio R, che il campo magnetico sia costante e abbia intensit`a B0 nel suo interno, e che diminuisca linearmente o fino ad annullarsi entro uno strato superficiale avente spessore4 ∆R, si pu` facilmente calcolare la densit`a di corrente per mezzo dell’equazione j . c Considerando un circuito elementare di forma rettangolare come quello indicato  = 4π rotB

4

Quando si costruiscono dei modelli di campo magnetico, `e sempre necessario sincerarsi che, = 0 sia soddisfatta. come in questo caso, la condizione div B

106

CAPITOLO 4

nella Fig. 4.2, si ottiene una densit` a di corrente, distribuita uniformemente in tutto lo strato, che avvolge5 il tubo e che `e data, in modulo dall’espressione j=

c B0 . 4π ∆R

Il campo magnetico esercita su tale corrente una forza per unit` a di volume, f, data da 1  . f = j × B c Si tratta di una forza diretta verso l’esterno che tende a fare espandere il tubo se non `e opportunamente controbilanciata. Affinch´e si abbia equilibrio `e necessario che la pressione del plasma al di fuori del tubo sia maggiore della pressione del plasma all’interno del tubo di una quantit` a ∆P che pu` o essere calcolata mediante l’equazione fondamentale dell’idrostatica 

∆R

f dx ,

∆P = 0

dove x `e la coordinata misurata entro lo strato superficiale del tubo dall’interno verso l’esterno. Tenendo conto dei risultati precedenti, si ha  ∆P = 0

∆R

x  B2 B02  1− dx = 0 . 4π ∆R ∆R 8π

Questo risultato ha importanti conseguenze in quanto stabilisce un limite superiore, Bmax , per il valore del campo magnetico che pu` o realizzarsi entro una struttura isolata immersa in un plasma avente pressione P . Anche ammettendo che la zona interna della struttura sia completamente evacuata, il campo magnetico pu` o essere confinato dal plasma solo se B ≤ Bmax , dove Bmax =



8πP .

Gli strati pi` u profondi dell’atmosfera solare che possiamo osservare direttamente6 si trovano, tipicamente, a pressioni dell’ordine di 2 × 105 barie (circa un quinto della pressione atmosferica). Questo porta a un valore Bmax di 2200 G, che, entro un fattore poco maggiore dell’unit` a, coincide con il valore massimo di B che viene tipicamente osservato sul Sole (nelle macchie solari pi` u grandi si raggiungono campi dell’ordine di 3000 G o poco pi` u). Il fatto che il plasma solare dentro la macchia presenti, a un’altezza assegnata, una densit` a 5

Il senso della corrente `e tale da soddisfare la “regola della vite destra”, come illustrato nella Fig. 4.2.

6

Secondo i modelli dell’atmosfera solare, la pressione `e 1.2 × 105 barie a τ5000 = 1, e 2 × 105 barie a τ5000  10.

107

IL MAGNETISMO SOLARE 





 

 















































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































 

 













 















 















 















 















 















 

 











 

 











 





 





 

 















































































 

 



 

 



 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 





 

 





 

 

 





 

 

 





 

 

 





 

 



 

 



 

 



Fig. 4.3. Illustrazione dell’effetto Wilson. La zona di penombra della macchia che si trova dalla parte del lembo solare `e pi` u larga della zona che si trova dalla parte opposta. Se ne deduce una depressione della macchia rispetto alla fotosfera circostante. Per gentile concessione del Dutch Open-Air Telescope (DOT), Universit` a di Utrecht, Olanda.

minore rispetto a quella della fotosfera circostante `e direttamente osservabile nelle macchie che si trovano vicino al lembo solare. Tale fenomeno, conosciuto sotto il nome di effetto Wilson, `e illustrato nella Fig. 4.3. ` importante sottolineare che il ragionamento, che abbiamo sviluppato sopra E a proposito del tubo di flusso magnetico, non pu` o essere applicato al caso in cui si consideri un tubo orizzontale immerso in un plasma stratificato dalla gravit` a, quale l’atmosfera solare. Nel caso di un tubo orizzontale, infatti, il risultato che abbiamo ottenuto, che implica una differenza di pressione fra interno ed esterno, comporta un’instabilit` a al galleggiamento del tubo stesso. Poich´e non `e possibile pensare a un isolamento termico del tubo, la riduzione di pressione all’interno implica necessariamente una riduzione di densit` a e quindi una spinta di Archimede che agisce sul tubo stesso. Questo fenomeno `e chiamato “galleggiamento magnetico” (magnetic buoyancy).

4.2 Macchie, pori, regioni attive Le macchie costituiscono il fenomeno pi` u appariscente del magnetismo solare. La Fig. 4.4 `e una foto in luce bianca di una grossa macchia di forma piuttosto irregolare nella quale si distinguono, oltre all’ombra (umbra) e alla penombra (penumbra), due “ponti di luce” (light bridges) e, nella zona interna dell’ombra, diversi “punti brillanti” (bright dots). Nella maggior parte dei casi

108

CAPITOLO 4

Fig. 4.4. Immagine di una macchia solare in luce bianca. Si noti la presenza di due “ponti di luce” molto ben sviluppati. Per gentile concessione dello Swedish Solar Vacuum Telescope.

le macchie hanno una forma di tipo circolare o quasi circolare, con diametri tipici dell’ordine di 30,000 km. La vita media dipende dalle dimensioni ed `e dell’ordine delle settimane, con tendenza ad aumentare per le macchie pi` u grosse. L’ombra della macchia appare scura per contrasto con la fotosfera circostante. In effetti la temperatura tipica nell’ombra di una macchia `e dell’ordine di 4000 K (invece di 5800 K) e ne risulta un contrasto in luce bianca di circa un fattore 10. La penombra presenta una struttura pi` u complicata con “filamenti penombrali” diretti grosso modo in maniera radiale dal centro della macchia. Nelle foto ad alta risoluzione i filamenti appaiono costituiti da singole strutture di forma allungata chiamati “grani” (penumbral grains). I grani appaiono, dal punto di vista morfologico, come una specie di struttura intermedia fra i granuli della fotosfera e i punti brillanti dell’ombra. Nelle macchie solari sono presenti intensi campi magnetici che possono essere osservati attraverso l’effetto Zeeman. La Fig. 4.5 presenta un esempio particolarmente eclatante. Si ritiene oggi che sia proprio la presenza del campo magnetico a inibire la convezione negli strati pi` u profondi della macchia. La macchia risulta quindi pi` u fredda perch´e il trasporto di energia `e meno efficiente che nella fotosfera circostante. In parole povere, il plasma solare pervaso dal campo magnetico, inibendo il trasporto di energia, si comporta come un mezzo isolante. Altre strutture magnetiche direttamente individuabili sulla superficie solare sono i pori, una sorta di piccole macchie sprovviste di penombra, con vite

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Spettro









































































































































































































































































































































































Immagine ‘‘slit−jaw’’



























































Fig. 4.5. Immagine “slit-jaw” e corrispondente spettro di una macchia. La fenditura `e posta in corripondenza della penombra. Le tre righe mostrano chiaramente la separazione in componenti tipica dell’effetto Zeeman. La riga centrale `e la pi` u sensibile al campo magnetico e produce un allargamento maggiore. Per gentile concessione del National Solar Observatory.

medie dell’ordine del giorno, e i cosiddetti “nodi magnetici” (magnetic knots), strutture al limite del potere risolutivo, non direttamente individuabili con altre strutture nelle immagini in luce bianca, che sono messe in evidenza solo spettroscopicamente come zone in cui le righe sono indebolite e allargate per effetto Zeeman (line gap regions). Come vedremo in seguito quando discuteremo le osservazioni magnetografiche, il campo magnetico `e presente anche in zone pi` u vaste, eventualmente contenenti anche macchie, pori e nodi magnetici, dette genericamente regioni attive (active regions). In tali regioni, il campo risulta spesso concentrato nelle zone che delimitano le celle supergranulari. Le regioni attive appaiono pi` u brillanti sia nelle immagini in luce bianca (dove il contrasto `e per` o debole) che nelle immagini in Hα e, soprattutto, nelle immagini nelle righe del CaII (plages, facole). Infine, `e necessario sottolineare che le macchie e i pori sono spesso associati fra loro, all’interno delle regioni attive, in maniera complessa e di difficile classificazione. Tipica `e l’associazione di macchie in gruppi bipolari contenenti una macchia che precede (nel senso della rotazione solare), e una macchia che segue di polarit` a opposta. Le regioni attive sono monitorate in numerosi osservatori a livello mondiale. In Italia sono presenti stazioni di monitoraggio nell’ottico negli Osservatori di Roma-Monte Porzio, Napoli e Catania. L’agenzia americana NOAA (National Oceanographic and Atmospheric Agency) provvede a catalogare le regioni attive assegnando loro un numero d’ordine. La numerazione `e iniziata il 5 Gennaio 1972 e prosegue ininterrotamente da tale data, avendo raggiunto nel 2007 valori dell’ordine di 10,000 (in media quasi 300 regioni attive all’anno).

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CAPITOLO 4















 

 















 





 













 









 





 

 









 







 





 





 





 





 





 





 



























 





 





 





 





 





















 











 

















































































 

 





 

 

 







 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 





 

 



 

 

 

 



 

 







 

 







 

 





 

 





 

  





 

 











 







 

 







 

 

 



 

 





 

 

 





 

 

 





 

 





 

 





 

















 

















 

 





 

 





 

 





 

 





 









































 















 





 

 





 









 







































































































































































































































































 































































 



 

 

























 





 











 













 









 

 

 









 

 

 









 

 











 

















































































































 





 



 





















 

 





 

 

 

 





































 



 

 

 

 

 

 



 



Percentuale dell’emisfero visibile coperto da macchie



 



 

 



 



 

Latitudine dove si osservano le macchie 

 





 

 

 







 

 

 

























 





 

 

 

























 





 



























 





 

 







 

 

 



















 





 

 





















 





 





 

 

 





















 

























 





  





















 





 







 





















 

 





















 

 





















 

 































 





 

Latitudini preferenziali e numero di macchie nel ciclo 





 









 

 













 

 













 





 

 





 

 





 













 













 

 

 





 

 







 

 





 





 

 





 

 





 

 





 

 





 

 





 

 





 

 





 

 





 

 







 







 

 

 





 

 



 

 



 



 

 



 

 



 

 



 



 

 



 

 





 

 

 





 

 



 

 



 



 

 



 

 



 

 



 



 

 



 

 





 

 

 





 

 



 

 



 



 

 



 

 



 

 



 



 

 



 

 





 

 

 





 

 



 

 



 



 

 



 

 



 

 



 



 

 



 

 





 

 

 





 

 



 

 



 



 

 



 

 



 

 



 



 

 



 

 





 

 

 





 

 



 

 



 



 

 



 

 



 

 



 



 

 



 

 





 

 

 





 

 



 

 



 

 

 

 



 

 

 

 

 

 



 

 



 



 



 

 

 





 

 

 



 



 



 

 



 



 

 

 



 



 

 



 



 



 

 

 

 



 

 

 

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 





 

 

 

 

 

 



 

 



 

 

 

 

 

 



 

 



 

 

 

 

 

 





 

 

 

 

 

 



 

 







 

 







 



























































 



Fig. 4.6. Il pannello superiore illustra la distribuzione in latitudine delle macchie in funzione del tempo (diagramma a farfalla). Nel pannello inferiore `e riportata in grafico la percentuale di superficie dell’emisfero visibile coperta da macchie, sempre in funzione del tempo. Per gentile concessione della Colorado Research Associates (CoRA).

4.3 Il ciclo di attivit` a Il magnetismo solare presenta un ciclo grosso modo undecennale la cui manifestazione pi` u importante consiste nella variazione del numero di macchie che sono giornalmente visibili sulla superficie del Sole. Il ciclo solare pu` o essere illustrato in forma significativa attraverso dei grafici del tipo di quello mostrato nel pannello inferiore della Fig. 4.6. In tale grafico `e riportata l’area delle macchie, espressa come frazione dell’emisfero visibile, mediata su ciascuna rotazione solare. Il grafico mostra chiaramente un ciclo, di tipo semiregolare, avente un periodo di circa 11 anni. Durante i periodi di minimo le macchie sono praticamente assenti mentre nei periodi di massimo esse arrivano a coprire anche lo 0.5% dell’emisfero visibile. Inoltre, alcuni cicli, a differenza di altri, mostrano dei massimi di attivit` a particolarmente prominenti, come ad esempio il ciclo 19 il cui massimo si `e verificato nel 1958. Un’altra caratteristica del ciclo, illustrata nel pannello superiore della Fig. 4.6, `e la latitudine a cui si presentano le macchie. All’inizio del ciclo le macchie si formano a latitudine relativamente alta (circa 30◦ , in media), poi, mano a mano che il ciclo avanza, la latitudine delle macchie diminuisce per arrivare alla latitudine media di circa 10◦ alla fine del ciclo. Questa legge empirica prende il nome di “legge di Sporer”, mentre il diagramma illustrato nel pannello superiore della Fig. 4.6, nel quale si riporta la latitudine a cui appaiono le singole macchie in funzione del tempo, viene detto “diagramma di Maunder” oppure, per ovvie

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IL MAGNETISMO SOLARE

N













 

 



 

 

























































































 

 

 





















































































































































































































































































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f +−

S Fig. 4.7. Illustrazione della prima legge di Hale. In un sistema bipolare di macchie, si distingue una macchia che precede, individuata dalla lettera “p” e una macchia che segue (following), individuata dalla lettera “f”.

ragioni, “diagramma a farfalla” (butterfly diagram). Quando, a partire dal 1908, si cominciarono a misurare i campi magnetici, e in particolare le polarit` a delle macchie, emersero dei fatti nuovi sul magnetismo solare, racchiusi nelle cosiddette leggi di Hale. La prima legge di Hale, illustrata nella Fig. 4.7, si riferisce a sistemi bipolari di macchie e si enuncia dicendo che la macchia che precede ha polarit`a opposta rispetto alla macchia che segue e che, inoltre, la polarit` a della macchia che precede, in un sistema bipolare situato nell’emisfero Nord, ha polarit` a opposta rispetto alla macchia che precede in un sistema bipolare situato nell’emisfero Sud. La seconda legge di Hale si enuncia dicendo che la polarit` a delle macchie si inverte in cicli successivi. Ad esempio, se nel ciclo n-esimo la macchia che precede ha polarit`a positiva nell’emisfero Nord e negativa nell’emisfero Sud, nel ciclo (n + 1)-esimo la macchia che precede ha polarit` a positiva nell’emisfero Sud e negativa nell’emisfero Nord7 . Le leggi di Hale mettono in evidenza che, quando si tenga conto anche della polarit` a magnetica, il ciclo solare `e in effetti un ciclo di 22 anni e non di ` interessante osservare che inversioni di polarit`a si verificano anche 11 anni. E per il campo magnetico terrestre, come mostrano ricerche oceanografiche sulla magnetizzazione alternata delle rocce depositate su entrambi i lati delle dorsali oceaniche. Le inversioni del campo terrestre si verificano tuttavia con un periodo molto pi` u lungo, dell’ordine del milione di anni. La scoperta di questo fenomeno `e piuttosto recente essendo avvenuta verso la fine degli anni 1960, ovvero circa 40 anni dopo la scoperta dell’analogo fenomeno sul Sole (seconda legge di Hale). 7

Nei cicli di numero pari la macchia che precede ha polarit` a negativa nell’emisfero Nord.

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CAPITOLO 4

N

f

p

O

E f

p

S

Fig. 4.8. Nel modello di Babcock, le leggi di Hale vengono interpretate mediante un meccanismo di amplificazione del campo magnetico dovuto all’effetto della rotazione differenziale.

Le leggi di Hale trovano una spiegazione di tipo empirico nel cosiddetto modello di Babcock illustrato nella Fig. 4.8. In base a tale modello, si parte, all’inizio del ciclo, con un debole campo magnetico di tipo poloidale di polarit` a assegnata. Ad esempio, si supponga che il campo magnetico sia uscente dalla superficie solare nell’emisfero Nord ed entrante nell’emisfero Sud. A causa della rotazione differenziale, le linee di forza del campo magnetico, immerse nel plasma solare, cominciano ad avvolgersi e il campo si trasforma, al passare del tempo, da poloidale in toroidale. In questo processo, i tubi di flusso si “stirano” assottigliandosi e, in conseguenza del teorema di Alfv`en, il campo magnetico si amplifica. Quando si raggiunge un valore critico, il tubo di flusso `e innalzato verso la superficie per il fenomeno di galleggiamento magnetico di cui abbiamo parlato sopra, e infine emerge formando una regione bipolare con le due macchie disposte in modo tale da soddisfare la prima legge di Hale. C’`e anche da notare che questo processo di stiramento dei tubi di flusso non ha la stessa efficienza a tutte le latitudini. Se si indica con Ω(θ) la funzione che descrive l’andamento della velocit`a angolare del plasma solare con la latitudine θ, un punto della superficie a latitudine θ si sposta in longitudine, nel tempo t, di un angolo δ = Ω(θ) t. L’effetto di stiramento del tubo di flusso alla latitudine θ risulta quindi proporzionale alla quantit` a S = cos θ

d Ω(θ) . dθ

Le osservazioni della rotazione differenziale mostrano che la funzione Ω(θ) `e

IL MAGNETISMO SOLARE

113

ben descritta dalla legge empirica8 Ω(θ) = Ω0 − Ω1 sin2 θ . L’effetto di stiramento `e quindi dato, in valore assoluto, da |S| = 2 Ω1 sin θ cos2 θ , e tale effetto risulta massimo per l’angolo θ0 dato da

  2  35◦ . θ0 = arccos 3 Questo risultato rende conto del fatto che, all’inizio del ciclo, le prime macchie compaiono, grosso modo, a quella latitudine (legge di Sporer). Quando si `e formata la regione bipolare, le macchie di tipo p migrano lentamente verso l’equatore, mentre quelle di tipo f migrano verso i poli. Man mano che il ciclo procede, questo fenomeno ha l’effetto di annullare gradualmente il campo dipolare da cui eravamo partiti (cosa che avviene in corrispondenza del massimo del ciclo) e di portare a un ribaltamento del campo dipolare stesso durante la fase discendente del ciclo. All’inizio del nuovo ciclo, il campo dipolare `e quindi di segno opposto a quello del ciclo precedente e questo spiega, ripetendo il ragionamento di Babcock, la seconda legge di Hale. Il ciclo di attivit` a non si manifesta solamente attraverso il numero di macchie visibili sulla superficie solare. Esistono numerosi altri fenomeni che variano col ciclo e che sono quindi pi` u o meno strettamente correlati con la quantit` a che `e riportata in grafico nel pannello inferiore della Fig. 4.6. Senza essere completamente esaurienti, `e importante sottolineare che, all’aumentare del numero di macchie: a) aumenta la frazione di superficie solare coperta da facole cos`ı come osservata negli spettroeliogrammi (o filtrogrammi) eseguiti nella riga Hα o nelle righe H e K del calcio ionizzato; b) la forma della corona cambia drammaticamente: nei periodi di minimo la corona `e di estensione ridotta e pi` u allargata nella zona equatoriale; nei periodi di massimo essa diviene di forma pi` u irregolare, estendendosi a tutte le latitudini. Parallelamente, aumenta l’emissione di raggi X da parte della corona stessa; c) cambiano le propriet` a del vento solare e aumenta il numero di fenomeni a esso correlati che sono direttamente osservabili a Terra, quali le aurore polari, le tempeste geomagnetiche, le interferenze nelle radio-comunicazioni, etc.; d) aumenta in maniera drammatica il numero di eventi esplosivi9 quali brillamenti (flares) e bursts radio; e) aumenta, sebbene in maniera molto limitata, la costante solare, con variazioni tipiche dell’ordine del permille come illustrato nella Fig. 4.9. 8 9

I valori delle costanti sono i seguenti: Ω0 = 14◦ .38/giorno, Ω1 = 2◦ .77/giorno. Questi eventi sono descritti nel Par. 5.11.

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CAPITOLO 4 





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Fig. 4.9. Variazione percentuale della costante solare lungo tutto un ciclo. I valori riportati sono medie della costante solare su intervalli di tempo dell’ordine di 80 giorni. I massimi sono in corrispondenza dei massimi di attivit` a (cfr. Fig. 4.6). 















































































































































































































































































4.4 L’effetto Zeeman L’effetto Zeeman svolge, nello studio del magnetismo solare, lo stesso ruolo fondamentale che `e svolto dall’effetto Doppler nello studio dei fenomeni dinamici. Esso fu scoperto nel 1896 dal fisico olandese Pieter Zeeman il quale osserv` o che, in presenza di un campo magnetico relativamente intenso (dell’ordine del migliaio di G nelle esperienze originali), le righe spettrali di alcuni elementi si separano in varie componenti aventi particolari caratteristiche di polarizzazione. I risultati delle esperienze di Zeeman, relativamente ai casi pi` u semplici, possono essere cos`ı riassunti: a) Osservando la radiazione proveniente da una lampada di scarica immersa in un campo magnetico, una riga spettrale si separa in tre componenti. Indicando con ν0 la frequenza della riga imperturbata, le tre componenti si trovano alle frequenze ν0 − νL , ν0 , e ν0 + νL , dove νL `e la cosiddetta frequenza di Larmor data da νL =

e0 B = 1.3996 × 106 B s−1 , 4π m c

essendo B l’intensit` a del campo magnetico espressa in G. b) Osservando in direzione parallela al campo magnetico la componente centrale scompare mentre le altre due componenti risultano polarizzate circolarmente, una con polarizzazione destra, l’altra con polarizzazione sinistra. c) Osservando in direzione perpendicolare al campo magnetico, le tre componenti risultano polarizzate linearmente; quella centrale in direzione parallela al

115

IL MAGNETISMO SOLARE

campo magnetico (componente π) e quelle laterali in direzione perpendicolare al campo magnetico (componenti σ)10 . Le osservazioni di Zeeman furono rapidamente interpretate da Lorentz e dallo stesso Zeeman in base alla teoria classica dell’elettrone che abbiamo gi` a introdotto nel Par. 2.8. Indicando con x la coordinata dell’elettrone, trascurando il termine di smorzamento, e tenendo conto della forza di Lorentz dovuta al  l’equazione di moto per l’elettrone risulta campo magnetico B, d2 x e0 dx  . ×B = −4π 2 ν02 x − 2 dt m c dt Se si descrive il vettore x attraverso le sue componenti cartesiane, le equazioni differenziali che abbiamo ottenute risultano accoppiate. Per disaccoppiarle `e conveniente introdurre le componenti di x sui tre versori u−1 , u0 , e u1 definiti da 1 u−1 = √ (ı − i j ) , 2

u0 = k ,

1 u1 = √ (ı + i j ) , 2

dove (ı, j, k ) `e una terna cartesiana ortogonale con il versore k diretto lungo il campo magnetico e dove i `e l’unit` a immaginaria. Ponendo allora x = α xα uα , e osservando che  = B uα × u0 = i B α uα uα × B

(α = −1, 0, 1) ,

si ottengono per le componenti xα le seguenti equazioni disaccoppiate dxα d2 xα = −4π 2 ν02 xα − 4π i α νL . dt2 dt Cercando una soluzione di questa equazione della forma xα = Aα e−2πiνα t , si ottiene per να l’equazione di secondo grado να2 − 2α νL να − ν02 = 0 , e osservando infine che per campi magnetici inferiori a quelli tipici del plasma solare (B < 104 G) si ha νL  ν0 , si ottiene να = ν0 + α νL 10

(α = −1, 0, 1) .

I simboli π e σ stanno, rispettivamente, per “parallelo” e “perpendicolare” (senkrecht in lingua tedesca) Le componenti σ sono poi distinte in componenti σb , dove b sta per “blu” e σr , dove r sta per “rosso” (il colore indica il senso in cui esse si spostano in lunghezza d’onda per effetto del campo magnetico).

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CAPITOLO 4

Oscillatore lineare

Campo magnetico

Oscillatori circolari

Fig 4.10. Modello classico degli oscillatori. La frequenza `e ν 0 per l’oscillatore lineare e ν0 ± νL per gli oscillatori circolari.

Attraverso la teoria classica dell’elettrone si `e quindi ottenuto un risultato che spiega perfettamente le osservazioni di Zeeman: sotto l’azione di un campo magnetico si ottengono tre oscillatori distinti aventi frequenze ν0 − νL , ν0 , e ν0 + νL . L’oscillatore alla frequenza ν0 `e un oscillatore lineare diretto lungo il campo magnetico, mentre gli altri due sono oscillatori circolari perpendicolari al campo magnetico e di senso opposto, come illustrato nella Fig. 4.10. Attraverso tali oscillatori si spiegano facilmente le caratteristiche di frequenza e le propriet`a di polarizzazione delle varie componenti osservate nell’effetto Zeeman. Ulteriori osservazioni dell’effetto Zeeman, effettuate su un numero sempre crescente di righe spettrali e con apparati spettroscopici aventi potere risolutivo mano a mano pi` u elevato, mostrarono tuttavia l’esistenza di una fenomenologia pi` u complessa (dovuta in ultima analisi allo spin dell’elettrone) che non poteva essere interpretata attraverso la teoria classica. Per descrivere i casi pi` u complessi si inizi` o a parlare di “effetto Zeeman anomalo” per distinguerlo dall’“effetto Zeeman normale”, caratterizzato dai fatti sperimentali enunciati sopra e descrivibile mediante la teoria classica. Oggi, alla luce della moderna teoria quantistica, la distinzione fra effetto Zeeman normale e effetto Zeeman anomalo appare superata e l’interpretazione si effettua con la teoria quantistica capace di inglobare coerentemente i due casi. Dal punto di vista quantistico, l’effetto di un campo magnetico su un sistema atomico pu` o essere descritto aggiungendo all’Hamiltoniana “imperturbata”, H0 , un termine, HM , che descrive l’interazione fra il sistema stesso e il campo magnetico. Trascurando il cosiddetto termine diamagnetico, l’espressione della Hamiltoniana magnetica risulta  +2S )·B  , HM = µ0 (L dove si sono introdotte le notazioni standard della spettroscopia atomica in-

117

IL MAGNETISMO SOLARE

 il momento angolare orbitale totale degli elettroni, con S  lo dicando con L spin elettronico totale, e con µ0 il cosiddetto “magnetone di Bohr” dato da h ¯ e0 /(2mc). In un sistema di coordinate cartesiane con l’asse z diretto lungo la direzione del campo magnetico si ha HM = µ0 B (Jz + Sz ) ,  +S  `e il momento angolare totale degli elettroni. dove J = L L’effetto dell’Hamiltoniana magnetica sui livelli atomici pu` o essere valutato con semplicit` a quando si supponga che tale Hamiltoniana possa essere considerata una perturbazione rispetto all’Hamiltoniana H0 . In questo caso `e sufficiente calcolare gli elementi di matrice diagonali della HM sugli autostati della H0 , che indichiamo col simbolo |αJM αJM |HM |αJM

= µ0 B αJM |Jz + Sz |αJM

.

Applicando il teorema della proiezione si ottiene, per J = 0,  µ0 B αJM |Jz + Sz |αJM

= µ0 BM

 |αJM αJM |J · S 1+ J(J + 1)

 ,

e, per J = 0, µ0 B αJM |Jz + Sz |αJM

=0 .

Il livello (aJ) si separa quindi, per effetto dell’energia magnetica, in (2J + 1) sottolivelli distinti (detti sottolivelli magnetici o sottolivelli Zeeman), ciascuno caratterizzato dal numero quantico magnetico M e avente una energia supplementare (rispetto al caso non magnetico) data da ∆EM = µ0 B M g , dove g `e un numero puro che prende il nome di “fattore di Land´e” ed `e definito dall’espressione (indipendente da M ) g =1+

 |αJM αJM |J · S J(J + 1)

.

Il fattore di Land´e pu` o essere calcolato con facilit`a solo nel caso in cui valga lo schema di accoppiamento L-S. Infatti, in tale caso, scrivendo l’autovettore |αJM nella forma |αLSJM , e osservando che  = 1 [J 2 + S 2 − L2 ] , J · S 2 si ha

118

CAPITOLO 4

q 1

0

-1

M

M

Separazione

Forza

1

2

0

1

-1

0

− 56 − 76 − 96

6 10 3 10 1 10

1

1

0

0

2 6

0

-1

-1

− 26

3 10 4 10 3 10

1

0

0

-1

-1

-2

9 6 7 6 5 6

1 10 3 10 6 10

Tab. 4.1. Separazioni in frequenza (espresse in unit` a di Lorentz) e forze relative delle transizioni fra sottolivelli Zeeman appartenenti al livello superiore 3 P1 e al livello inferiore 3D . 2

 |αLSJM αLSJM |J · S

= 12 [J(J + 1) + S(S + 1) − L(L + 1)] ,

per cui

g(LS) = 1 +

J(J + 1) + S(S + 1) − L(L + 1) = 2 J(J + 1)

3 2

+

S(S + 1) − L(L + 1) . 2 J(J + 1)

Consideriamo adesso due livelli, un livello inferiore avente numeri quantici (αJ) e fattore di Land´e g e un livello superiore avente numeri quantici (α J  ) e fattore di Land´e g  . La riga spettrale originaria, avente frequenza ν0 in assenza di campo, si separa, sotto l’effetto del campo magnetico, in varie componenti, ciascuna caratterizzata dalla coppia di numeri quantici M e M  e avente frequenza ν(M, M  ) = ν0 + νL (g  M  − g M ) , dove abbiamo di nuovo introdotto la frequenza di Larmor (νL = µ0 B/h = e0 B/(4πmc)). Le componenti sono in numero ridotto (rispetto a quelle possibili a priori) in quanto vale la regola di selezione su M ∆M = M  − M = ±1, 0 , che ne riduce notevolmente il numero. Le componenti con ∆M = 1 sono dette componenti σb , quelle con ∆M = −1 componenti σr , e quelle con ∆M = 0

119

IL MAGNETISMO SOLARE

componenti π. Il particolare tipo della componente (σb , σr , o π) caratterizza le propriet` a di polarizzazione, in stretta analogia con quanto gi` a visto nel caso dell’effetto Zeeman classico. Ciascuna componente `e inoltre caratterizzata da una opportuna “forza” che `e data, in termini dei simboli 3-j di Wigner, dall’espressione Sq (M, M  ) = 3



J −M

J M

1 q

2 ,

dove q vale −1 per le componenti σb , 1 per le componenti σr , e 0 per le componenti π. il fattore 3 `e introdotto per fare in modo che le forze siano normalizzate all’unit` a. Infatti, per le propriet` a di completezza dei simboli 3-j si ha



Sq (M, M ) =

MM 

MM 

 3

J −M

J M

1 q

2 =1 .

Una volta note le forze e le separazioni in frequenza di tutte le componenti, si pu` o procedere a costruire un diagramma, detto “diagramma Zeeman” (Zeeman pattern), nel quale si riportano, in funzione della frequenza, tanti tratti verticali quante sono le componenti. Ogni tratto `e di lunghezza proporzionale alla forza della singola componente ed `e riportato alla frequenza che gli compete. Le a di Lorentz) e i tratti sono riportati frequenze sono espresse in unit`a di νL (unit` verso l’alto per le componenti π e verso il basso per le componenti σ. Si consideri ad esempio la transizione fra un livello inferiore 3 D2 e un livello superiore 3 P1 . Se i due livelli possono essere descritti nello schema di accoppiamento L-S, i corrispondenti fattori di Land´e sono dati da g(3 D2 ) =

7 6

,

g(3 P1 ) =

3 2

.

Le forze e le separazioni delle singole componenti sono riportate nella Tab. 4.1, mentre le possibili transizioni e il diagramma Zeeman risultante sono illustrati in Fig. 4.11. Se si considera in particolare un livello in accoppiamento L-S proveniente da un termine di singoletto, il fattore di Land´e `e uguale a 1, come si vede dall’espressione di g(LS) sostituendo S = 0 e L = J. Per una transizione fra due di tali livelli, le frequenze delle componenti sono date da ν(M, M  ) = ν0 + νL (M  − M ) , e si ottiene che tutte le componenti con q = M − M  = 1 si trovano alla frequenza ν0 − νL , tutte quelle con con q = 0 a ν0 , e tutte quelle con q = −1 a a ν0 + νL . D’altra parte, la somma delle forze delle componenti di ciascun tipo d` per risultato 1 (si veda l’equazione di normalizzazione delle forze scritta sopra), per cui si ottiene un diagramma Zeeman molto semplice come quello riportato in Fig. 4.11c. In questo caso semplice si parla di “effetto Zeeman normale”

120

CAPITOLO 4

3

1 0 −1

P1

M

−1

3

2 1 0 −1 −2

D2

1

M

b

a −1

1

c Fig 4.11. a) Transizioni fra sottolivelli Zeeman appartenenti al livello superiore 3 P1 e il livello inferiore 3 D2 ; b) “pattern” Zeeman risultante. Le componenti π sono riportate verso l’alto e quelle σ verso il basso; c) “pattern” relativo al caso dell’effetto Zeeman normale.

mentre altrimenti si parla di “effetto Zeeman anomalo”. Il caso dell’effetto Zeeman normale, che corrisponde ad assenza di spin, `e l’unico che possa essere trattato anche in termini classici. Una caratteristica importante di un assegnato diagramma Zeeman `e connessa con la posizione dei baricentri delle varie componenti σ e π. A causa della simmetria speculare del diagramma rispetto al centro della riga, il baricentro o poi dei componenti π cade sempre alla frequenza imperturbata ν0 . Si pu` dimostrare attraverso l’algebra di Racah che il baricentro delle componenti σb , definito da Xb = S−1 (M, M  ) ν(M, M  ) , M  −M=1

`e dato dall’espressione X b = ν0 + g ν L , dove g `e il cosiddetto “fattore di Land´e efficace” della transizione, che risulta

IL MAGNETISMO SOLARE

121

(si noti la simmetria dell’espressione rispetto all’inversione fra livello superiore e livello inferiore) g=

1 1 (g + g  ) + (g − g  ) [J(J + 1) − J  (J  + 1)] . 2 4

Sempre per ragioni di simmetria, il baricentro delle componenti σr , Xr , risulta X r = ν0 − g ν L . Per numerose applicazioni, una riga caratterizzata da un diagramma Zeeman anomalo pu` o essere schematizzata come una riga avente un diagramma Zeeman normale con fattore di Land´e g. Nel caso particolare che abbiamo analizzato sopra, ad esempio (si vedano la Fig. 4.11 e la Tab. 4.1), il fattore di Land´e efficace della transizione 3 D2 −3 P1 vale g = 1. Il valore di g `e una misura conveniente della cosiddetta sensibilit` a magnetica di una riga. Esistono righe con fattore di Land´e efficace relativamente elevato (fino a g = 3), righe con g negativo, e anche righe con g nullo. Le prime sono ovviamente le favorite per lo studio del magnetismo solare mentre le ultime, essendo praticamente insensibili al campo magnetico, sono spesso usate come righe di riferimento. Osserviamo infine che le separazioni in frequenza (o in lunghezza d’onda) introdotte dall’effetto Zeeman sono relativamente piccole e che sono necessari strumenti di potere risolutivo elevato per poter mettere in evidenza tale effetto anche per valori di campo magnetico dell’ordine del migliaio di G. Indicando con ∆ν la separazione in frequenza fra due componenti Zeeman, si ha, come ordine di grandezza ∆ν  νL , e assumendo un campo di 103 G si ottiene, per una riga a 5000 ˚ A (ν0 = 6 × 1014 s−1 ), ∆ν  2.3 × 10−6 . ν0 ` quindi necessario disporre di uno spettrometro avente un potere risolutivo E dell’ordine di 106 per poter osservare l’effetto Zeeman indotto da un campo di 1000 G su una riga dello spettro visibile. Inoltre bisogna osservare che le righe solari sono allargate per effetto Doppler e che tale allargamento `e in generale sufficiente a mascherare completamente l’effetto Zeeman. Consideriamo una riga spettrale di lunghezza d’onda λ e supponiamo che essa sia allargata per effetto di una velocit`a termica wT . La sua larghezza Doppler `e data, in lunghezza d’onda, dall’espressione ∆λD =

wT λ . c

122

CAPITOLO 4

La separazione tipica, sempre in lunghezza d’onda, fra due componenti Zeeman `e invece data da λ2 νL νL = . ν c Andando a considerare il rapporto fra queste due grandezze si ha quindi ∆λB = λ

λ νL ∆λB = , ∆λD wT e sostituendo i valori delle costanti atomiche fondamentali, esprimendo B in G, A, si ottiene numericamente wT in km s−1 , e λ in ˚ B(G) λ(˚ A) ∆λB = 7.00 × 10−4 . ∆λD 5000 wT (km s−1 ) Poich´e le velocit` a tipiche che contribuiscono ad allargare i profili delle righe sono dell’ordine di 2 km s−1 , `e necessario un campo magnetico dell’ordine di 3000 G per produrre una separazione Zeeman paragonabile alla larghezza Doppler per righe nel visibile. A questo proposito si pu` o osservare che le cose migliorano, oltre che utilizzando righe con fattori di Land´e elevati, anche osservando nella regione infrarossa dello spettro elettromagnetico. Ad esempio, per una lunghezza d’onda di 1.5 µm, basta un campo dell’ordine di 1000 G per avere ∆λB  ∆λD , mentre nell’infrarosso lontano, intorno a 12 µm, `e sufficiente allo scopo un campo relativamente debole pari a circa 120 G. Bisogna tuttavia tener conto del fatto che la risoluzione spaziale, e in molti casi anche la trasparenza delle ottiche dei telescopi, si degradano fortemente nell’infrarosso. In ogni caso, l’utilizzazione dell’effetto Zeeman in righe infrarosse come strumento diagnostico di campi magnetici solari costituisce un campo di ricerca di elevata potenzialit` a che si trova attualmente in fase di rapido sviluppo.

4.5 La spettropolarimetria I campi magnetici tipici che sono presenti nell’atmosfera solare sono troppo deboli per produrre delle separazioni Zeeman tali da poter essere direttamente ` per questa osservate per mezzo di strumentazione di tipo tradizionale11 . E ragione che da quasi un secolo la diagnostica dei campi magnetici solari viene effettuata ricorrendo al fondamentale ausilio della polarimetria andando a osservare non solo le caratteristiche spettrali ma anche quelle polarimetriche della radiazione solare. 11

Anche nell’osservazione presentata nella Fig. 4.5, sebbene si possa pensare di misurare l’intensit` a del campo magnetico direttamente dalla separazione dei componenti della riga pi` u sensibile, la misura risulta molto approssimata ed `e in ogni caso impossibile risalire alla direzione del campo senza l’ausilio della polarimetria.

IL MAGNETISMO SOLARE

123

Un fascio di radiazione che si propaga nel vuoto pu`o essere considerato come la sovrapposizione statistica di un insieme di onde elettromagnetiche piane. Ciascuna di tali onde si pu` o descrivere per mezzo dei vettori campo elettrico,  e induzione magnetica, B,  ad essa associati. Tali vettori obbediscono alle E, equazioni di Maxwell e sono diretti nel piano perpendicolare alla direzione di  in maniera tale che B  = Ω  × E,  dimodoch´e uno solo dei propagazione, Ω, due vettori, ad esempio il campo elettrico, `e sufficiente per descrivere l’onda.  e Indichiamo con e1 e e2 due versori appartenenti al piano perpendicolare a Ω  tali che e1 , e2 , e Ω formino, in quest’ordine, una terna destra. Il vettore campo elettrico di un’onda piana avente frequenza angolare ω pu` o essere scomposto lungo i due versori. In un punto assegnato, le due componenti, E1 (t) ed E2 (t) sono date, in notazioni complesse, da espressioni della forma E1 (t) = E1 e−i ωt = A1 e−i (ωt−φ1 ) ,

E2 (t) = E2 e−i ωt = A2 e−i (ωt−φ2 ) ,

dove E1 e E2 sono due costanti complesse che possono essere espresse in termini delle quattro costanti reali A1 , A2 , φ1 e φ2 . Si ha infatti E1 = A1 ei φ1 ,

E2 = A2 ei φ2 .

Assegnando valori opportuni a queste costanti `e possibile costruire un’onda avente caratteristiche di polarizzazione arbitrarie. Se, ad esempio, si assume φ1 − φ2 = 0, si ottiene un’onda avente polarizzazione lineare (o rettilinea) il cui piano di vibrazione dipende dai valori delle altre due quantit` a A1 e A2 .12 Se invece si assume φ1 − φ2 = ±π/2 e A1 = A2 , l’onda `e polarizzata circolarmente e l’estremo del vettore campo elettrico ruota percorrendo una circonferenza in senso orario (per un osservatore che vede avvicinarsi l’onda) nel caso φ1 − φ2 = u generale l’onda π/2 e in senso antiorario nel caso φ1 − φ2 = −π/2. Nel caso pi` `e polarizzata ellitticamente e l’estremo del vettore campo elettrico descrive, al passare del tempo, un’ellisse come quella della Fig. 4.12. I parametri dell’ellisse di polarizzazione possono essere messi in relazione con le due quantit` a complesse E1 e E2 , oppure, alternativamente, con le quattro quantit` a reali A1 , A2 , φ1 e φ2 . Definendo PI = E1∗ E1 + E2∗ E2 = A21 + A22 , PQ = E1∗ E1 − E2∗ E2 = A21 − A22 , PU = E1∗ E2 + E2∗ E1 = 2A1 A2 cos(φ1 − φ2 ) , 12

quando A = 0 e con Il piano di polarizzazione coincide con quello individuato da e1 e Ω 2 quando A = 0. In generale, quando le ampiezze A e A sono quello individuato da e2 e Ω 1 1 2 entrambe non nulle, il piano coincide con quello individuato dal vettore (A 1 e1 + A2 e2 ) e da Ω.

124

CAPITOLO 4

e2

E a b

χ e1

Fig 4.12. Al trascorrere del tempo il vettore campo elettrico ruota e il suo estremo descrive l’ellisse di polarizzazione. Il fascio di radiazione proviene da dietro il foglio.

PV = i (E1∗ E2 − E2∗ E1 ) = 2A1 A2 sin(φ1 − φ2 ) , e indicando con a e b i semiassi maggiore e minore dell’ellisse e con χ l’angolo o mostrare che l’asse maggiore forma con il versore e1 (si veda la Fig. 4.12) si pu` che valgono le seguenti relazioni

a=

  1  PI − PV + PI + PV , 2 tan(2χ) =

b=

  1  PI − PV − PI + PV , 2

PU , PQ

e si pu` o mostrare inoltre che il segno di b `e connesso con il senso di percorrenza dell’ellisse, tale senso essendo orario se b < 0 e antiorario se b > 0. Le propriet` a dell’ellisse di polarizzazione sono quindi tutte riconducibili, in ultima analisi, alle quattro quantit` a PI , PQ , PU , e PV , le quali sono a loro volta espresse da combinazioni lineari di quantit` a bilineari nelle ampiezze delle componenti del campo elettrico, ovvero di quantit` a della forma Ei∗ Ej = Ai Aj e−i (φi −φj ) ,

(i, j = 1, 2) .

125

IL MAGNETISMO SOLARE

Le quantit` a Ei∗ Ej sono le componenti di un tensore di rango 2 che viene chiamato tensore di polarizzazione. La definizione che ne abbiamo dato si riferisce al caso di un’onda puramente monocromatica. Nel caso invece che si abbia un’onda quasi-monocromatica ovvero un’onda per la quale le componenti del campo elettrico siano funzioni lentamente variabili13 del tempo, del tipo E1 (t) = E1 (t) e−i ωt = A1 (t) e−i [ωt−φ1 (t)] , E2 (t) = E2 (t) e−i ωt = A2 (t) e−i [ωt−φ2 (t)] , il tensore di polarizzazione si generalizza per mezzo di medie temporali della forma Ei∗ (t)Ej (t) = Ai (t)Aj (t) e−i [φi (t)−φj (t)] ,

(i, j = 1, 2) ,

e le quantit` a PI , PQ , PU , e PV si generalizzano a loro volta attraverso la definizione (che ovviamente, per il caso dell’onda puramente monocromatica, coincide con quella data precedentemente) PI = E1∗ E1 + E2∗ E2 = A21 + A22 , PQ = E1∗ E1 − E2∗ E2 = A21 − A22 , PU = E1∗ E2 + E2∗ E1 = 2A1 A2 cos(φ1 − φ2 ) , PV = i ( E1∗ E2 − E2∗ E1 ) = 2A1 A2 sin(φ1 − φ2 ) . Le quantit` a che abbiamo adesso introdotto sono, a parte una costante, i cosiddetti parametri di Stokes. Questi ultimi sono comunemente indicati coi simboli I, Q, U , e V e sono definiti dalle seguenti espressioni I = k PI = k ( E1∗ E1 + E2∗ E2 ) , Q = k PQ = k ( E1∗ E1 − E2∗ E2 ) , U = k PU = k ( E1∗ E2 + E2∗ E1 ) , V = k PV = k i ( E1∗ E2 − E2∗ E1 ) , dove k `e una costante dimensionale14 . 13

Lentamente variabile significa che le variazioni delle componenti del campo elettrico avvengono su tempi scala, τ , molto maggiori del periodo dell’onda, dato da 2π/ω. Un’onda del tipo ora introdotto ha uno spettro di Fourier centrato intorno alla frequenza ω e una larghezza spettrale dell’ordine di 1/τ . Per questo si parla di “onda quasi-monocromatica”.

14

Le dimensioni del tensore di polarizzazione sono quelle di un’energia per unit` a di volume, mentre le dimensioni dei parametri di Stokes sono quelle di un’energia per unit` a di superficie, di tempo, di angolo solido e di intervallo spettrale. Il valore della costante k dipende dalle caratteristiche statistiche del campo di radiazione e, in particolare, dal cosiddetto “tempo di coerenza”. Nella gran maggioranza dei casi non `e essenziale specificare il valore di k in quanto sia le misure polarimetriche che la loro interpretazione vengono effettuate in termini dei rapporti Q/I, U/I, e V /I i quali, ovviamente, non dipendono da k.

126

CAPITOLO 4

e1

e’1

α e2 e’2 Fig 4.13. Una rotazione della coppia di versori e1 e e2 implica una trasformazione dei parametri di Stokes Q e U . La radiazione proviene da dietro il foglio.

I parametri di Stokes costituiscono gli ingredienti base di tutta la spettropolarimetria. Essi godono di un certo numero di propriet` a fra le quali `e importante sottolineare le seguenti: a) fra i quadrati dei parametri di Stokes sussiste la disuguaglianza I 2 ≥ Q2 + U 2 + V 2 , che si pu` o memorizzare dicendo che la polarizzazione totale deve risultare sempre minore dell’intensit` a. Quando vale il segno di uguaglianza si dice che la radiazione `e completamente polarizzata. Come `e facile verificare, un’onda puramente monocromatica `e sempre completamente polarizzata. b) I parametri di Stokes Q e U (e solo essi) dipendono dalla scelta che viene effettuata per i versori di polarizzazione e1 e e2 . Tali versori sono infatti arbitrari, a parte il fatto che debbano essere perpendicolari alla direzione di propagazione,  una terna deperpendicolari fra loro, e tali da formare, nell’ordine (e1 , e2 , Ω), stra. Una volta fatta una scelta, i parametri di Stokes sono univocamente definiti. Quando per` o si passa a due nuovi versori di polarizzazione e 1 e e2 , ruotati rispetto ai precedenti di un angolo α (si veda la Fig. 4.13), i nuovi parametri di Stokes sono legati ai vecchi dalle relazioni I = I ,

Q = Q cos 2α + U sin 2α ,

U  = −Q sin 2α + U cos 2α ,

V =V .

Queste espressioni mostrano l’importanza di stabilire sempre chiaramente la direzione dei versori e1 e e2 quando si compiono (o si comunicano) delle osservazioni di parametri di Stokes. Nelle osservazioni astronomiche `e consuetudine allineare il versore e1 con la direzione del meridiano celeste passante per l’oggetto osservato.

IL MAGNETISMO SOLARE

127

4.6 Il polarimetro prototipo I parametri di Stokes di un pennello di radiazione possono essere misurati, in pratica, attraverso numerose tecniche e i vari strumenti che sono stati re` alizzati a questo scopo non sono facilmente classificabili in un unico schema. E comunque possibile, a scopo illustrativo, descrivere una sorta di “polarimetro prototipo” che riassume le caratteristiche fondamentali degli strumenti che vengono comunemente utilizzati per la misura dei parametri di Stokes della radiazione visibile e infrarossa. Un tale strumento, illustrato nella Fig. 4.14, `e composto da una lamina di ritardo ideale, avente ritardo δ, e da un polarizzatore ideale. La lamina e il polarizzatore sono disposti in modo tale che i loro assi fondamentali siano inclinati degli angoli α e β rispetto alla direzione del versore e1 che definisce i parametri di Stokes. Consideriamo adesso un pennello di radiazione che si propaga da sinistra verso destra lungo l’asse del polarimetro, e siano E1 e E2 le componenti complesse del vettore campo elettrico lungo i versori e1 e e2 all’ingresso del polarimetro stesso. Per descrivere l’azione della lamina di ritardo, `e conveniente andare a considerare le componenti del vettore campo elettrico lungo gli assi veloce e lento. Con semplici considerazioni geometriche, indicando con Ev e E tali componenti, si ha Ev = cos α E1 + sin α E2 ,

E = − sin α E1 + cos α E2 .

La lamina di ritardo introduce uno sfasamento δ sulla componente lenta. All’uscita della lamina si ha quindi, con notazioni evidenti Ev = Ev ,

E = E ei δ .

A questo punto, il raggio atraversa il polarizzatore e sopravvive, invariata, la sola componente del campo elettrico lungo la direzione di trasmissione del polarizzatore stesso. Di nuovo, attraverso semplici considerazioni geometriche, si trova che tale componente, Et , `e data da Et = cos(β − α) Ev + sin(β − α) E , ovvero, sostituendo Et = cos(β − α)(cos α E1 + sin α E2 ) + sin(β − α)(− sin α E1 + cos α E2 ) ei δ . Dopo aver traversato il polarizzatore, il fascio di radiazione viene infine inviato al rivelatore15. Un tipico rivelatore comunemente usato nella pratica astronomica (lastra fotografica, camera CCD, fotomoltiplicatore, ecc.) risponde 15

Effettivamente fra il polarimetro e il rivelatore vero e proprio sono spesso presenti, in pratica, altri elementi ottici, quali reticoli di diffrazione, lenti, ecc. Qui facciamo riferimento a una sorta di “esperimento pensato” ottenuto mediante un rivelatore “virtuale”.

128

CAPITOLO 4

lamina di ritardo

e1

asse veloce

polarizzatore

β

α

al rivelatore

e2

asse di trasmissione asse lento Fig 4.14. Schema del polarimetro prototipo. La lamina di sfasamento `e caratterizzata dal ritardo δ.

alla  radiazione che lo investe con un segnale che `e proporzionale alla quan2 tit` a i=1 Ei∗ Ei , dove Ei `e l’ampiezza complessa della componente i-esima del campo elettrico della radiazione stessa. Il segnale del nostro rivelatore sar`a quindi dato dall’espressione S(α, β, δ) = K Et∗ Et , dove K `e una costante che dipende dall’efficienza del rivelatore (e dalle unit`a in cui viene misurato il segnale) e dove abbiamo messo in evidenza che tale segnale dipende dagli angoli α e β che specificano l’orientazione della lamina e del polarizzatore e dal ritardo δ della lamina. Sostituendo nell’ultima equazione l’espressione per Et e sviluppando, si ottiene la relazione che collega il segnale al tensore di polarizzazione. Per trovare questa relazione `e conveniente porre Et nella forma Et = A E 1 + B E 2 , dove A = cos(β − α) cos α − sin(β − α) sin α ei δ , B = cos(β − α) sin α + sin(β − α) cos α ei δ . Si ottiene S(α, β, δ) = K (A∗ A E1∗ E1 + A∗ B E1∗ E2 + B ∗ A E2∗ E1 + B ∗ B E2∗ E2 ) . D’altra parte, invertendo la definizione dei parametri di Stokes, si ha

129

IL MAGNETISMO SOLARE

1 (I + Q) , 2k

E2∗ E2 =

1 (I − Q) , 2k

1 (U − i V ) , 2k

E2∗ E1 =

1 (U + i V ) , 2k

E1∗ E1 = E1∗ E2 = e, sostituendo

S(α, β, δ) =

K [(A∗ A + B ∗ B) I + (A∗ A − B ∗ B) Q + (A∗ B + B ∗ A) U + 2k − i (A∗ B − B ∗ A) V ] .

Infine, ricordando le espressioni di A e B, e ponendo C = K/k, si ottiene

S(α, β, γ) =

C I + cos[2(β − α)] (cos 2α Q + sin 2αU ) + 2 − sin[2(β − α)] cos δ (sin 2α Q − cos 2α U ) + sin[2(β − α)] sin δ V

! .

Questa espressione mostra che, giocando sui tre parametri liberi α (orientazione della lamina), β (orientazione del polarizzatore), e δ (ritardo della lamina), si presentano diverse possibilit`a pratiche di misurare i parametri di Stokes. Tali possibilit` a sono analizzate nel paragrafo seguente e implicano tecniche che fanno intervenire dispositivi ottici particolari quali separatori di fascio, lamine rotanti, etc. Le tecniche pi` u uitilizzate al giorno d’oggi nella spettropolarimetria solare sono quelle basate sulla modulazione spaziale e sulla modulazione temporale, o su entrambe.

4.7 Misure dei parametri di Stokes La tecnica pi` u semplice per misurare i parametri di Stokes `e quella di disporre gli elementi del polarimetro prototipo in corrispondenza di certi angoli fissati, di procedere ad alterare in sequenza temporale gli angoli medesimi e di ottenere infine i parametri di Stokes per mezzo di somme o differenze (o combinazioni lineari) dei segnali misurati. Consideriamo per primo il caso della misura della polarizzazione lineare. Per realizzare tale misura `e possibile sia estrarre la lamina (il che si ottiene formalmente ponendo δ = 0 nell’ultima equazione del paragrafo precedente), oppure allineando l’asse veloce della lamina con l’asse di trasmissione del polarizzaztore (α = β). In ogni caso si ottiene per il segnale

130

CAPITOLO 4

  C S1 (β) = I + cos 2β Q + sin 2β U , 2 e i due parametri di Stokes Q, e U , normalizzati al’intensit` a I, possono essere ottenuti andando a misurare sequenzialmente il segnale in corrispondenza delle quattro posizioni β = 0◦ , 45◦ , 90◦ e 135◦ , e poi considerandone i rapporti16 Q S1 (0◦ ) − S1 (90◦ ) = , I S1 (0◦ ) + S1 (90◦ )

U S1 (45◦ ) − S1 (135◦ ) = . I S1 (45◦ ) + S1 (135◦ )

Questo tipo di misure presenta tuttavia il notevole inconveniente di implicare la rotazione del polarizzatore di uscita, una procedura da evitare specialmente se l’analisi polarimetrica deve essere seguita dall’analisi spettrale realizzata, ad esempio, per mezzo di un reticolo di diffrazione. Bisogna tener conto infatti che un reticolo di diffrazione ha una risposta che dipende in maniera abbastanza sensibile dalla polarizzazione della radiazione incidente. Per ovviare a questo problema si pu` o misurare la polarizzazione lineare impiegando una lamina mezz’onda (δ = 180◦ ) e tenere il polarizzatore fisso a β = 0◦ . In questa configurazione, il segnale che cade sul rivelatore dipende soltanto dall’angolo α che individua l’asse veloce della lamina. Si ha   C S2 (α) = I + cos 4α Q + sin 4α U , 2 e i due parametri di Stokes Q, e U , normalizzati all’intensit` a I, possono essere ottenuti andando a misurare sequenzialmente il segnale in corrispondenza delle quattro posizioni α = 0◦ , 22◦ .5, 45◦ , e 67◦ .5, e poi considerando i rapporti S2 (0◦ ) − S2 (45◦ ) Q = , I S2 (0◦ ) + S2 (45◦ )

U S2 (22◦ .5) − S2 (67◦ .5) = . I S2 (22◦ .5) + S2 (67◦ .5)

Una configurazione del polarimetro del tutto simile pu` o essere utilizzata per la misura della polarizzazione circolare (ovvero del parametro di Stokes V ). In questo caso `e necessario utilizzare una lamina quarto d’onda (δ = 90 ◦ ) invece di una lamina mezz’onda. Sempre tenendo il polarizzatore fisso a β = 0◦ , il segnale `e dato, in questo caso, dall’espressione 16

Si noti che le quattro misure non sono indipendenti, in quanto [S1 (0◦ ) + S1 (90◦ )] = [S1 (45◦ ) + S1 (135◦ )]. In principio, sarebbe possibile limitarsi a tre sole misure, andando ad esempio a considerare il segnale in corrispondenza dei tre angoli β = 0◦ , 60◦ , e 120◦ , e applicando poi le relazioni 2S1 (0◦ ) − S1 (60◦ ) − S1 (120◦ ) Q = , I S1 (0◦ ) + S1 (60◦ ) + S1 (120◦ )

S1 (60◦ ) − S1 (120◦ ) U 1 = √ . ◦ I 3 S1 (0 ) + S1 (60◦ ) + S1 (120◦ )

IL MAGNETISMO SOLARE

131

  C 2 , I + cos 2α Q + sin 2α cos 2α U − sin 2α V S3 (α) = 2 e il rapporto V /I pu` o essere valutato misurando il segnale corrispondente agli angoli α = ±45◦ . Si ha V S3 (−45◦ ) − S3 (45◦ ) = . I S3 (−45◦ ) + S3 (45◦ ) I tipi di misura sequenziali che abbiamo adesso illustrato per la polarizzazione lineare (Q e U ) e per quella circolare (V ) implicano che le caratteristiche del fascio restino invariate durante l’intervallo temporale in cui si realizzano le rotazioni dell’angolo α che individua l’asse veloce della lamina (mezz’onda o quarto d’onda nei due casi). Tuttavia, nel caso delle osservazioni astronomiche, e pi` u in particolare nel caso delle osservazioni solari, le caratteristiche del fascio cambiano rapidamente col tempo a causa degli effetti perturbatori dovuti all’atmosfera terrestre. Senza prendere delle opportune precauzioni si rischia quindi di assumere per segnali polarimetrici delle semplici variazioni di intensit` a dovute a variazioni di trasparenza dell’atmosfera o dovute al fatto che il telescopio, a causa del “seeing”, risulta puntato su zone leggermente diverse della superficie solare. Per ovviare a questi inconvenienti si ricorre a misure che implicano tecniche di modulazione temporale o di modulazione spaziale. Un tipico polarimetro a modulazione temporale pu` o essere realizzato, in linea di principio, mediante una lamina quarto d’onda ruotante. Se l’angolo α della lamina ruota col tempo alla frequenza angolare ω (α = ωt), il segnale raccolto sul rivelatore cambia nel tempo secondo la legge   C Q Q U S(t) = I + + cos(4 ω t) + sin(4 ω t) − sin(2 ω t) V . 2 2 2 2 Se la frequenza ω `e sufficientemente elevata, ovvero maggiore delle pi` u alte frequenze contenute tipicamente nel seeing ( 1 kHz), i parametri di Stokes possono essere misurati estraendo dal segnale le componenti di Fourier alle frequenze 0, 2ω, e 4ω.17 Effettivamente, la realizzazione meccanica di una lamina di ritardo ruotante a frequenze cos`ı elevate `e al limite delle attuali possibilit` a tecnologiche. La modulazione temporale viene realizzata in pratica cambiando non la posizione dell’asse veloce della lamina bens`ı il suo ritardo. Questo si ottiene nella maggior parte dei casi per mezzo di dispositivi che vengono chiamati “modulatori piezo-elettrici a birifrangenza”. In tali dispositivi si induce birifrangenza comprimendo o distendendo lungo una direzione assegnata un materiale originariamente isotropo (come ad esempio un blocchetto di vetro). Una debole forza, quale quella che si pu`o applicare facendo pressione con le dita, 17

L’estrazione delle componenti di Fourier da un segnale periodico `e una procedura del tutto standard dell’elettronica.

132

CAPITOLO 4

a)

b)

Fig 4.15. Illustrazione schematica del prisma di Wollaston. Il prisma `e costituito da due cristalli di calcite, opportunamente tagliati e saldati con balsamo del Canad` a. I due raggi emergenti sono polarizzati linearmente in direzioni opposte. a) visione laterale; b) visione in pianta.

`e sufficiente a produrre una lamina quarto d’onda comprimendo un blocchetto di vetro delle dimensioni di una scatola di fiammiferi. L’altra tecnica oggi spesso utilizzata, ovvero quella della modulazione spaziale, implica la sostituzione del polarizzatore d’uscita del polarimetro prototipo con un separatore di fascio (beam splitter). I separatori di fascio pi` u noti sono il prisma di Rochon e il prisma di Wollaston. Essi sono costituiti da uno o pi` u cristalli birifrangenti, quali ad esempio la calcite, opportunamente tagliati e assemblati fra loro. La Fig. 4.15 illustra in maniera schematica il funzionamento del prisma di Wollaston. Il raggio entrante viene separato dal prisma in due raggi che presentano caratteristiche di polarizzazione lineare diverse. In pratica, un separatore di fascio si comporta come due polarizzatori distinti, ciascun polarizzatore selezionando una direzione di polarizzazione rettilinea e deviando il raggio lungo una direzione specifica. Riferendoci al polarimetro prototipo della Fig. 4.14, consideriamo il caso in cui la lamina di ritardo sia una lamina quarto d’onda (δ = 90◦ ) e pensiamo di sostituire il polarizzatore di uscita con un separatore di fascio orientato in maniera tale che il primo raggio sia polarizzato lungo la direzione β = 0 ◦ e il secondo lungo la direzione β = 90◦ . Disponendo di due rivelatori, uno per ciascun fascio, il primo rivelatore risponder`a con un segnale, S+ (α), dato da   C 2 , I + cos 2α Q + sin 2α cos 2α U − sin 2α V S+ (α) = 2 mentre il secondo rivelatore risponder` a con un segnale, S− (α), dato da   C 2 , S− (α) = I − cos 2α Q − sin 2α cos 2α U + sin 2α V 2

IL MAGNETISMO SOLARE

133

dove abbiamo introdotto la nuova costante C  solo nominalmente uguale a C.18 Trascurando la piccola differenza fra C e C  , il parametro di polarizzazione circolare V /I pu` o essere misurato mediante il rapporto V S− (45◦ ) − S+ (45◦ ) = , I S− (45◦ ) + S+ (45◦ ) oppure, alternativamente, mediante il rapporto V S+ (−45◦ ) − S− (−45◦ ) = . I S+ (−45◦ ) + S− (−45◦ ) Il vantaggio di questa tecnica di modulazione spaziale `e quello di ottenere due segnali simultanei e quindi non influenzati (o meglio influenzati nella stessa maniera) dal seeing. Lo svantaggio `e invece connesso con la differenza fra le sensibilit` a dei due rivelatori cui abbiamo accennato sopra. In ultima analisi, e senza entrare in eccessivi dettagli, sottolineiamo che la misura dei parametri di Stokes nella pratica astronomica `e un campo di ricerca avanzato che presenta notevoli difficolt` a di natura tecnica. I migliori polarimetri oggi disponibili sono basati sull’uso accoppiato delle tecniche di modulazione spaziale e temporale. In osservazioni solari a bassa risoluzione spaziale si `e oggi in grado di misurare la polarizzazione (lineare e circolare) con la sensibilit` a di una parte su 105 .

4.8 Trasporto radiativo per radiazione polarizzata Dopo aver descritto la strumentazione di base necessaria per misurare le propriet`a di polarizzazione di un pennello di radiazione, dobbiamo adesso passare a discutere come tali propriet` a di polarizzazione vengano fisicamente codificate nella radiazione che emerge dall’atmosfera solare. La teoria generale della generazione e del trasporto della radiazione polarizzata in un’atmosfera stellare `e notevolmente complessa e deve essere basata, in ultima analisi, su una descrizione quantistica del plasma che compone l’atmosfera, del campo di radiazione che in essa si propaga, e della loro interazione. Qui ci limitiamo a dare una derivazione classica dell’equazione del trasporto radiativo senza entrare nelle complicazioni inerenti alla teoria quantistica 19 . 18

Una piccola differenza fra le due costanti C e C  ` e inevitabile, anche se i rivelatori sono la copia gemella uno dell’altro. Nella pratica corrente, i due rivelatori possono essere costituiti da due parti diverse (ad esempio quella di sinistra e quella di destra) di una stessa camera CCD. Anche in questo caso esiste un’inevitabile differenza fra le loro risposte di cui bisogna tener conto quando si desideri fare della polarimetria di alta precisione.

19

Per una derivazione generale si veda E. Landi Degl’Innocenti & M. Landolfi, Polarization in Spectral Lines, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht, 2004.

134

CAPITOLO 4

Si consideri la propagazione di un’onda elettromagnetica piana in un’atmosfera stellare. Da un punto di vista classico, le propriet`a di propagazione di un’onda elettromagnetica in un mezzo materiale possono essere descritte per mezzo dell’indice di rifrazione, n, del mezzo stesso. Se il mezzo `e omogeneo e isotropo, il campo elettrico associato a un’onda di frequenza ω che si propaga  `e dato da un’espressione del tipo lungo la direzione Ω    − t) ,  r, t) = E  0 exp i ω (n r · Ω E( c  0 `e una costante. In generale, l’indice di rifrazione `e una quantit` a comdove E plessa e la sua parte immaginaria `e collegata all’assorbimento che l’onda subisce durante la propagazione. Derivando infatti l’espressione precedente rispetto  si ottiene alla coordinata s = r · Ω, ω  d  E(r, t) = i n E( r, t) , ds c dalla quale si vede che, nel caso di un indice di rifrazione puramente immaginario (n = i κ), si ha ωκ  d  E(r, t) = − E(r, t) . ds c Questa equazione descrive un processo di attenuazione caratterizzato da un coefficiente di assorbimento pari a ωκ/c. Consideriamo adesso un mezzo anisotropo, quale ad esempio un vapore atomico permeato da un campo magnetico. In tale mezzo, l’indice di rifrazione dipende dalla direzione di oscillazione del campo elettrico ed `e in molti casi possibile definire una terna di versori mutualmente ortogonali, vα (α = 1, 2, 3), in generale complessi, tali che la componente del campo elettrico lungo il versore vα `e caratterizzata dall’indice di rifrazione nα , essendo in generale a chiamata nel seguito la “terna intrinseca” n1 = n2 = n3 . Tale terna sar` del mezzo anisotropo. Per determinare le propriet`a di propagazione lungo la  di un onda elettromagnetica di frequenza ω `e necessario scomporre direzione Ω il campo elettrico ad essa associato sulla terna vα  r, t) = E(

3

Eα (r, t) vα .

α=1

Per tali componenti si ha un’equazione del tutto analoga a quella che abbiamo precedentemente determinato nel caso del mezzo isotropo, ovvero ω d Eα (r, t) = i nα Eα (r, t) , ds c  `e la coordinata misurata lungo la direzione di propagazione. dove s = r · Ω

135

IL MAGNETISMO SOLARE

Siamo adesso in grado di trovare l’equazione del trasporto per i parametri di Stokes. Ricordiamo che questi sono definiti in termini delle componenti del vettore campo elettrico lungo i due versori di polarizzazione e 1 e e2 ed `e necessario trovare le relazioni fra queste componenti e quelle relative alla terna vα . Scrivendo  = E

2

Ek ek =

3

Eα vα ,

α=1

k=1

si ottiene, moltiplicando scalarmente per ei 3

Ei =

Cαi Eα ,

α=1

dove Cαi = vα · ei . Analogamente, moltiplicando scalarmente la stessa equazione per vβ∗ e tenendo conto della propriet` a di ortonormalit` a vα · vβ∗ = δαβ , si ottiene Eβ =

2

∗ Cβk Ek .

k=1

Per il tensore di polarizzazione si ha inoltre d dEj dEi ∗ (E ∗ Ej ) = Ej + Ei∗ . ds i ds ds D’altra parte, 3 3 3 2 ω dEα ω dEj ∗ = =i Cαj nα Cαj Eα = i nα Cαj Cαk Ek . ds ds c c α=1 α=1 α=1 k=1

Definiamo adesso il tensore Gjk mediante l’equazione Gjk = −i Con questa posizione si ha

3 ω ∗ nα Cαj Cαk . c α=1

136

CAPITOLO 4

dEj =− Gjk Ek , ds 2

k=1

e prendendone il complesso e coniugato dEi∗ =− G∗ik Ek . ds 2

k=1

Tenendo conto di queste due ultime equazioni, si ottiene allora per il tensore di polarizzazione d (Ei∗ Ej ) = − (G∗ik Ek∗ Ej + Gjk Ei∗ Ek ) . ds 2

k=1

Il risultato ora ottenuto per il tensore di polarizzazione pu` o essere facilmente trasformato per ottenere l’equazione di propagazione per i parametri di Stokes. Per questo basta ricordare le equazioni dirette e inverse che collegano le varie quantit` a. Tenendo conto delle equazioni I = k ( E1∗ E1 + E2∗ E2 ) ,

Q = k ( E1∗ E1 − E2∗ E2 ) ,

U = k ( E1∗ E2 + E2∗ E1 ) ,

V = k i ( E1∗ E2 − E2∗ E1 ) ,

e delle equazioni inverse 1 (I + Q) , 2k 1 E1∗ E2 = (U − i V ) , 2k E1∗ E1 =

1 (I − Q) , 2k 1 E2∗ E1 = (U + i V ) , 2k

E2∗ E2 =

si ottiene per mezzo di una serie di passaggi algebrici ⎞ ⎛ I ηI d ⎜Q⎟ ⎜ ηQ ⎝ ⎠ = −⎝ ηU ds U V ηV ⎛

ηQ ηI −ρV ρU

ηU ρV ηI −ρU

⎞⎛ ⎞ ηV I −ρU ⎟ ⎜ Q ⎟ ⎠⎝ ⎠ , ρQ U ηI V

dove ηI = Re(G11 + G22 ) ηQ = Re(G11 − G22 )

ρQ = −Im(G11 − G22 )

ηU = Re(G12 + G21 )

ρU = −Im(G12 + G21 )

ηV = Im(G12 − G21 )

ρV = Re(G12 − G21 ) .

137

IL MAGNETISMO SOLARE

La matrice che appare nell’equazione di propagazione pu`o essere scritta come la somma di tre matrici distinte ⎛

ηI ⎜ 0 ⎝ 0 0

0 ηI 0 0

0 0 ηI 0

⎞ ⎛ 0 0 0 ⎟ ⎜ ηQ ⎠+⎝ 0 ηU ηI ηV

ηQ 0 0 0

⎞ ⎛ 0 ηV 0 ⎟ ⎜0 ⎠+⎝ 0 0 0 0

ηU 0 0 0

0 0 −ρV ρU

0 ρV 0 −ρQ

⎞ 0 −ρU ⎟ ⎠ . ρQ 0

La prima `e una matrice diagonale che generalizza al caso polarizzato l’usuale coefficiente di assorbimento, la seconda `e una matrice simmetrica che descrive i fenomeni di dicroismo, la terza `e una matrice antisimmetrica che descrive i fenomeni di dispersione anomala. Nel caso di un mezzo isotropo, `e facile mostrare che il tensore Gij degenera in un tensore diagonale con G11 = G22 e le ultime due matrici risultano nulle. L’equazione che abbiamo ottenuto `e molto generale e descrive come variano le caratteristiche di polarizzazione di un pennello di radiazione elettromagnetica durante la propagazione in un mezzo anisotropo. Nel paragrafo seguente vedremo la forma specifica che assumono i sette coefficienti indipendenti ηI , ηQ , ηU , ηV , ρQ , ρU , e ρV nel caso che si consideri un mezzo anisotropo costituito da un vapore atomico immerso in un campo magnetico.

4.9 Formazione di riga in campo magnetico Per descrivere gli atomi del vapore utilizziamo il modello classico di Lorentz gi` a introdotto nel Par. 2.8 e scriviamo l’equazione di moto per la coordinata x dell’elettrone soggetto alla forza di richiamo elastica da parte della carica positiva, alla forza di smorzamento, alla forza di Lorentz e alla forza dovuta al campo elettrico di un’onda elettromagnetica di frequenza angolare ω. d2 x e0 dx 2 e20 d3 x 2  0 e−i (ωt−ϕ) .  − e0 E = −ω  x + − ×B 0 2 3 3 dt 3 m c dt m c dt m Al solito, si cerca una soluzione di questa equazione del tipo  e−i (ωt−ϕ) , x = A  la seguente equazione e si ottiene per A −i (ω02 − ω 2 − iγ ω)A

e0  e0 ω   A×B =− E 0 , mc m

dove si `e posto (cfr. Par. 2.8) γ=

2 e20 2 ω . 3 m c3

138

CAPITOLO 4

 si introduce una terna ortogonale destrorsa Per risolvere questa equazione in A, (ux , uy , uz ), con uz diretto lungo il vettore campo magnetico, e a partire da questa terna si definiscono i versori (u−1 , u0 , u1 ) attraverso le equazioni 1 u−1 = √ (ux − i uy ) , 2

1 u1 = √ (ux + iuy ) . 2

u0 = uz ,

eE  0 sulla base (u−1 , u0 , u1 ) mediante le espressioni Sviluppando i vettori A = A

1

Aα uα ,

1

0 = E

α=−1

(E0 )α uα ,

α=−1

e tenendo conto dell’identit` a vettoriale uα × u0 = i α uα ,

(α = −1, 0, 1) ,

si ottiene Aα = χα (E0 )α , dove χα = −

e0 /m , ω02 − ω 2 + 2 α ωL ω − i γ ω

avendo definito la frequenza angolare di Larmor con l’equazione e0 B . 2mc a Come si vede, la quantit` a χα dipende dall’indice α, ed `e quindi una quantit` anisotropa. Vediamo adesso come questa anisotropia si riflette sull’indice di rifrazione. Per trovare l’indice di rifrazione, supponiamo che nel mezzo siano contenuti NA atomi per unit` a di volume. Il campo elettrico induce nel mezzo una densit` a di cariche di polarizzazione, P , data da ωL =

 e−i (ωt−ϕ) , P = −e0 NA A cosicch´e, introducendo le componenti di tale vettore sulla terna u α , si ha Pα = −e0 NA Aα e−i (ωt−ϕ) = −e0 NA χα (E0 )α e−i (ωt−ϕ) = −e0 NA χα Eα , ovvero, introducendo la costante dielettrica α Pα = α Eα , dove

IL MAGNETISMO SOLARE

139

α = −e0 NA χα . Ricordiamo adesso che, per un mezzo dielettrico isotropo, l’indice di rifrazione `e implicitamente definito dall’equazione  ,  = n2 E D  `e il vettore spostamento elettrico dato da E+4π  dove D P . Da queste definizioni si ottiene quindi  =E  + 4π P , n2 E  si ottiene e quando sia P = E, n2 = 1 + 4π . Nel nostro mezzo anisotropo, in cui si hanno tre distinte costanti dielettriche α , si ottengono tre indici di rifrazione dati da

n2α = 1 + 4π α = 1 − 4π e0 NA χα = 1 +

4π e20 NA /m . ω02 − ω 2 + 2 α ωL ω − i γ ω

Infine, per un mezzo rarefatto quale un vapore atomico, l’indice di rifrazione differisce molto poco dall’unit` a, per cui, si ha 1 2π e20 NA /m nα  1 + (n2α − 1) = 1 + 2 , 2 ω0 − ω 2 + 2 α ω L ω − i γ ω e limitandoci a considerare il valore di nα in prossimit`a della frequenza ω0 , ovvero ponendo ω02 − ω 2  2 ω (ω0 − ω) nα = 1 +

1 π e20 NA . m ω ω0 − ω + α ωL − i γ/2

I tre indici di rifrazione che abbiamo ottenuto differiscono solo per il fattore α ωL nel denominatore. Per campo magnetico nullo (ωL = 0), i tre indici di rifrazione tornano a coincidere, il che implica, ovviamente, che il mezzo `e isotropo. La formula precedente illustra anche che le espressioni per i tre indici di rifrazione differiscono unicamente per uno spostamento in frequenza. Questa `e un’altra manifestazione dell’effetto Zeeman. Per il nostro vapore atomico immerso in un campo magnetico abbiamo quindi determinato, oltre che i valori degli indici di rifrazione, anche la “terna intrinseca” dei versori vα (α = 1, 2, 3) che avevamo introdotto nel paragrafo precedente. Tale terna coincide con la terna uα (α = −1, 0, 1) e le due terne possono essere immedesimate. Possiamo quindi procedere al calcolo diretto dei

140

CAPITOLO 4

sette elementi, ηI , ηQ , ηU , ηV , ρQ , ρU , e ρV che compaiono nella matrice di propagazione. Questo implica il calcolo del tensore Gij introdotto nel paragrafo precedente, che qui riscriviamo 1 ω ∗ nα Cαi Cαj . Gij = −i c α=−1

Osserviamo preliminarmente che gli indici di rifrazione nα sono numeri complessi. Separando parte reale e parte immaginaria, si ha nα = 1 + δα + i kα , dove δα =

ω0 − ω + α ω L π e20 NA , m ω (ω0 − ω + α ωL )2 + γ 2 /4

kα =

γ/2 π e20 NA . m ω (ω0 − ω + α ωL )2 + γ 2 /4

o Osserviamo inoltre che l’addendo 1 che compare nell’espressione di nα pu` essere semplicemente omesso in quanto la sua presenza comporta un termine in Gij della forma [Gij ]0 = −i

ω δij , c

dove δij `e la delta di Kronecker. Questo termine non porta alcun contributo ai coefficienti della matrice di propagazione, come si pu`o verificare dalle espreso quindi essere sioni esplicite date nel paragrafo precedente. Il tensore Gij pu` posto nella forma Gij =

1  α=−1

−i

ω ω  ∗ δα + kα Cαi Cαj . c c

D’altra parte si ha π e20 NA γ/2 ω kα = , c m c (ω0 − ω + α ωL )2 + γ 2 /4 e passando dalle frequenze angolari alle frequenze “tout court”, l’espressione precedente pu`o essere posta nella forma 1 π e20 ω kα = NA φα , c 2 mc dove

IL MAGNETISMO SOLARE

φα =

141

Γn 1 . π (ν0 + α νL − ν)2 + Γ2n

Alcune delle quantit` a che compaiono in questa equazione sono gi` a state introdotte precedentemente. In particolare, Γn `e la costante di smorzamento del Par. 2.8 (Γn = γ/(4π)) e νL `e la frequenza di Larmor (νL = ωL /(2π) = a φα `e un profilo Lorentziano normalizzato a 1 in e0 B/(4πmc)). La quantit` frequenza, ossia tale che  φα dν = 1 . Se α = 1 il profilo `e centrato alla frequenza ν0 + νL , se α = 0 `e centrato a ν0 e se α = −1 `e centrato a ν0 − νL . Nella pratica, i tre profili vengono anche contrassegnati con i simboli φb , φp e φr , rispettivamente. Il profilo φ0 = φp coincide col profilo φ(ν − ν0 ) introdotto nel Par. 2.8. Eseguendo analoghe trasformazioni sulla parte reale dell’indice di rifrazione, si ottiene ω 1 π e20 δα = NA ψα , c 2 mc dove ψα =

ν0 + α νL − ν 1 . π (ν0 + α νL − ν)2 + Γ2n

Questi nuovi profili che abbiamo qui ottenuto sono i cosiddetti profili di dispersione anomala. Essi sono alternativamente indicati coi simboli ψb per α = 1, ψp per α = 0 e ψr per α = −1. o essere posto nella Utilizzando le notazioni ora introdotte, il tensore Gij pu` forma Gij =

1 1 π e20 ∗ NA (φα − i ψα ) Cαi Cαj , 2 mc α=−1

e si ottiene, per le combinazioni lineari dei Gij che interessa calcolare G11 + G22 =

1  1 π e20 (φα − i ψα ) |Cα1 |2 + |Cα2 |2 , NA 2 mc α=−1

G11 − G22 =

1  1 π e20 NA (φα − i ψα ) |Cα1 |2 − |Cα2 |2 , 2 mc α=−1

G12 + G21

1 1 π e20 ∗ = (φα − i ψα ) 2 Re (Cα1 Cα2 ) , NA 2 mc α=−1

142

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Fig 4.16. La direzione del vettore campo magnetico rispetto all direzione di propagazione ` e individuata attraverso gli angoli θ e χ. I versori e1 e e2 definiscono i parametri di Stokes, mentre ux e uy sono due versori perpendicolari fra loro e perpendicolari alla direzione del vettore campo magnetico. Attraverso di essi si costruiscono i versori u ±1 mediante le equazioni date nel testo. #

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G12 − G21 =

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1 1 π e20 ∗ NA (φα − i ψα ) 2 i Im (Cα1 Cα2 ) . 2 mc α=−1

Si tratta adesso di determinare i coefficienti Cαi , ovvero i coseni direttori che definiscono la relazione fra la terna (u−1 , u0 , u1 ) dei versori intrinseci e la coppia di versori (e1 , e2 ). Per far questo bisogna specificare la geometria del  campo magnetico, come in Fig. 4.16. I tre versori ux , uy e u0 (diretto come B)  Si ha possono essere facilmente espressi in termini dei versori e1 , e2 e Ω.  , ux = cos θ cos χ e1 + cos θ sin χ e2 − sin θ Ω uy = − sin χ e1 + cos χ e2 , da cui si ottiene  1   , u±1 = √ (cos θ cos χ ∓ i sin χ) e1 + (cos θ sin χ ± i cos χ) e2 − sin θ Ω 2 e inoltre  . u0 = sin θ cos χ e1 + sin θ sin χ e2 + cos θ Ω Da queste espressioni, con facili passaggi, si ottengono i risultati contenuti nella Tab. 4.2 che possono a loro volta essere sostituiti nelle equazioni precedenti per dare   1 π e20 φb + φr 2 2 ηI = NA φp sin θ + (1 + cos θ) , mc 2 2

143

IL MAGNETISMO SOLARE

α = −1 |Cα1 |2 + |Cα2 |2

1 2 (1

α=0

α=1

sin2 θ

+ cos2 θ)

1 2 (1

+ cos2 θ)

|Cα1 |2 − |Cα2 |2

− 12 sin2 θ cos 2χ

1 2

sin2 θ cos 2χ

− 12 sin2 θ cos 2χ

∗ 2 Re(Cα1 Cα2 )

− 21 sin2 θ sin 2χ

1 2

sin2 θ sin 2χ

− 21 sin2 θ sin 2χ

∗ 2 Im(Cα1 Cα2 )

cos θ

0

− cos θ

Tab. 4.2. Espressioni esplicite per le combinazioni dei prodotti di coseni direttori.

  1 π e20 φb + φr NA φp − sin2 θ cos 2χ mc 2 2   1 π e20 ψb + ψr NA ψp − sin2 θ cos 2χ ρQ = mc 2 2   1 π e20 φb + φr ηU = NA φp − sin2 θ sin 2χ mc 2 2   1 π e20 ψb + ψr NA ψp − sin2 θ sin 2χ ρU = mc 2 2 ηQ =

ηV =

1 π e20 NA [φr − φb ] cos θ , mc 2

ρV =

,

,

,

,

1 π e20 NA [ψr − ψb ] cos θ . mc 2

4.10 Equazioni del trasporto per i parametri di Stokes Le equazioni che abbiamo derivato nel paragrafo precedente possono essere generalizzate per tener conto di alcuni fenomeni che abbiamo fin qui trascurato. Alcuni di tali fenomeni sono tipici delle atmosfere stellari e devono essere presi in considerazione quando si desideri ottenere una trattazione teorica del trasporto radiativo per radiazione polarizzata che ci permetta di interpretare le osservazioni solari. La prima generalizzazione concerne la presenza nell’atmosfera di moti di tipo termico. Se gli atomi che assorbono la radiazione hanno una distribuzione Maxwelliana delle velocit`a, i profili di tipo Lorentziano che abbiamo introdotto nel paragrafo precedente, φb , φp , φr , ψb , ψp , e ψr , devono essere sostituiti da

144

CAPITOLO 4

delle convoluzioni. Abbiamo gi` a visto come questo possa essere realizzato, nel caso dei profili φ, nel Par. 2.8. Questa procedura porta alle espressioni 1 1 H(v − vB , a) , φb = √ π ∆νD

1 1 ψb = √ L(v − vB , a) , π ∆νD

1 1 H(v, a) , φp = √ π ∆νD

1 1 ψp = √ L(v, a) , π ∆νD

1 1 φr = √ H(v + vB , a) , π ∆νD

1 1 ψr = √ L(v + vB , a) . π ∆νD

In queste equazioni, H e L sono la funzione di Voigt e la sua associata funzione di dispersione definite da 



H(v, a) = −∞

e−y

2

1 dy , L(v, a) = (v − y)2 + a2





−∞

e−y

2

v−y dy . (v − y)2 + a2

Inoltre, tenendo anche conto delle notazioni introdotte nel Par. 4.4 v=

ν0 − ν λ − λ0 = , ∆νD ∆λD

a=

∆νD = ν0

Γn + Γ c λ20 = (Γn + Γc ) , ∆νD c ∆λD

wT , c vB =

∆λD = λ0

wT , c

νL ∆λB = . ∆νD ∆λD

Una seconda generalizzazione riguarda l’introduzione del termine di emissione. Nell’ipotesi dell’Equilibrio Termodinamico Locale (ETL), il principio di Kirchhoff permette di esprimere l’emissivit`a nei quattro parametri di Stokes I, Q, U , e V rispettivamente nella forma ηI Bν , ηQ Bν , ηU Bν , e ηV Bν , dove Bν `e la funzione di Planck. L’equazione del trasporto assume quindi la forma ⎛

⎞ ⎛ I ηI d ⎜Q⎟ ⎜ ηQ ⎝ ⎠ = −⎝ ηU ds U ηV V ⎛

ηQ ηI −ρV ρU

ηI η ⎜ = −⎝ Q ηU ηV

ηU ρV ηI −ρU

ηQ ηI −ρV ρU

⎛ ⎞ ⎞⎛ ⎞ ηI ηV I −ρU ⎟ ⎜ Q ⎟ ⎜ ηQ ⎟ ⎠= ⎠ ⎝ ⎠ + Bν ⎝ ηU ρQ U V ηV ηI

ηU ρV ηI −ρU

⎞ ⎞⎛ ηV I − Bν −ρU ⎟ ⎜ Q ⎟ ⎠ . ⎠⎝ ρQ U V ηI

Un’ulteriore generalizzazione riguarda il coefficiente di assorbimento del continuo, kc , che abbiamo trascurato nella precedente deduzione dell’equazione del trasporto. Poich´e tale coefficiente non viene alterato dalla presenza del campo

145

IL MAGNETISMO SOLARE

magnetico, esso pu` o essere semplicemente aggiunto al termine diagonale della matrice di propagazione. L’equazione del trasporto in ETL risulta quindi ⎛

⎞ ⎛ I kc + ηI d ⎜Q⎟ ⎜ ηQ ⎝ ⎠ = −⎝ ηU ds U ηV V

ηQ kc + ηI −ρV ρU

ηU ρV kc + ηI −ρU

⎞ ⎞⎛ I − Bν ηV −ρU ⎟ ⎜ Q ⎟ ⎠ . ⎠⎝ ρQ U kc + ηI V

Per le applicazioni alle atmosfere stellari `e poi conveniente introdurre la profondit`a ottica nel continuo, τc , definita da20 dτc = −kc ds . Dividendo l’equazione precedente per kc , e introducendo la quantit` a R, definita da21 R=

π e20 NA , m c kc

l’equazione del trasporto pu` o essere posta nella forma ⎞ ⎛ I 1 + hI d ⎜ Q ⎟ ⎜ hQ ⎝ ⎠=⎝ hU dτc U V hV ⎛

hQ 1 + hI −fV fU

hU fV 1 + hI −fU

⎞ ⎞⎛ hV I − Bν −fU ⎟ ⎜ Q ⎟ ⎠ , ⎠⎝ U fQ V 1 + hI

dove   1 φb + φr 2 2 (1 + cos θ) , hI = R φp sin θ + 2 2   1 φb + φr hQ = R φp − sin2 θ cos 2χ , 2 2   1 ψb + ψr fQ = R ψp − sin2 θ cos 2χ , 2 2   1 φb + φr hU = R φp − sin2 θ sin 2χ , 2 2   1 ψb + ψr fU = R ψp − sin2 θ sin 2χ , 2 2 20 Si noti che, conformemente alle notazioni introdotte nel Par. 2.3, questa profondit` a ottica ` e definita lungo la traiettoria del raggio e non lungo la verticale. 21

La quantit` a R rappresenta il rapporto fra il coefficiente di assorbimento della riga integrato in frequenza e il coefficiente di assorbimento nel continuo. √ Nel Par. 2.9 abbiamo introdotto la quantit` a η0 ad essa correlata. Si ha infatti η0 = R/( π∆νD ).

146

CAPITOLO 4

hV = R

1 [φr − φb ] cos θ , 2

fV = R

1 [ψr − ψb ] cos θ . 2

Queste equazioni costituiscono la base per l’interpretazione dei fenomeni magnetici nell’atmosfera solare (e pi` u in generale nelle atmosfere delle stelle magnetiche). Esse prendono il nome di “Equazioni di Unno-Rachkovsky”. Resta infine la generalizzazione dovuta alla meccanica quantistica. La prima `e banale e concerne la sostituzione della densit` a di atomi con la densit` a di “oscillatori equivalenti”. Come abbiamo gi` a visto nel Par. 2.8, questo implica la sostituzione formale NA → Nb fba , dove Nb `e il numero di atomi per unit` a di volume che si trovano nel livello inferiore (basso) che d` a origine alla transizione e dove fba `e la forza di oscillatore per la transizione dal livello inferiore al livello superiore. Questa sostituzione interviene soltanto nella definizione della quantit` a R. La seconda concerne invece i profili φb , φp , φr , ψb , ψp , e ψr , che, nel caso dell’effetto Zeeman anomalo, devono essere sostituiti da opportune combinazioni lineari di corrispondenti profili centrati alle lunghezze d’onda (frequenze) che competono ai singoli componenti Zeeman. Ad esempio, per i profili “blu”, si ha   1 1   √ S−1 (M, M ) H v − vB (M, M ), a , φb = π ∆νD  M −M=1

1 1 ψb = √ π ∆νD



   S−1 (M, M ) L v − vB (M, M ), a , 

M  −M=1

dove vB (M, M  ) =

(g  M  − gM ) νL . ∆νD

Formule analoghe valgono per i profili φp , φr , ψp , e ψr .

4.11 Soluzioni dell’equazione del trasporto Riferendoci al caso solare, le equazioni del trasporto per radiazione polarizzata possono essere risolte a vari livelli di sofisticazione per dare i profili dei parametri di Stokes emergenti. In questo paragrafo tratteremo due soluzioni analitiche di tali equazioni sottolineando che, in generale, la soluzione pu` o essere ottenuta soltanto per mezzo di tecniche numeriche. Consideriamo per prima il caso di un campo magnetico debole, supponendo che a qualsiasi profondit` a ottica la separazione Zeeman, ∆λB , indotta dal

147

IL MAGNETISMO SOLARE

campo magnetico su una riga spettrale sia molto minore della larghezza Doppler, ∆λD , dovuta al moto di agitazione termica. Indichiamo con φ0 e ψ0 i profili di assorbimento e di dispersione centrati alla lunghezza d’onda imperturbata della riga, ovvero 1 1 φ0 = √ H(v, a) , π ∆νD

1 1 ψ0 = √ L(v, a) , π ∆νD

dove v=

λ − λ0 , ∆λD

e sviluppiamo i profili fino al primo ordine in ∆λB . Nel caso generale dell’effetto Zeeman anomalo si ottiene ∂φ0 , ∂λ φp = φ0 ,

ψb = ψ0 + g ∆λB

φb = φ0 + g ∆λB

∂ψ0 , ∂λ

ψp = ψ0 ,

∂φ0 ∂ψ0 , ψr = ψ0 − g ∆λB , ∂λ ∂λ dove g `e il fattore di Land´e efficace introdotto nel Par. 4.4. Sostituendo queste espressioni nei coefficienti della matrice di propagazione si ottiene φr = φ0 − g ∆λB

hI = R φ0 ,

hQ = h U = f Q = f U = 0 ,

∂φ0 ∂ψ0 , fV = −R g ∆λB cos θ . ∂λ ∂λ Le equazioni del trasporto radiativo si disaccoppiano parzialmente e risultano hV = −R g ∆λB cos θ

dI = (1 + hI )(I − Bν ) + hV V , dτc dU = (1 + hI )U − fV Q , dτc

dQ = (1 + hI )Q + fV U , dτc

dV = (1 + hI )V + hV (I − Bν ) . dτc

Le equazioni per Q e U sono accoppiate ma non contengono termini sorgente. Poich´e per τc → ∞ la radiazione non `e polarizzata, se ne deduce che Q e U sono nulli a qualsiasi profondit` a ottica. Nel limite di campi deboli, la radiazione non contiene quindi polarizzazione lineare. Si pu` o poi osservare che il termine hV V nell’equazione per l’intensit` a `e un termine del secondo ordine nel campo magnetico e pu`o essere trascurato. Le equazioni precedenti possono quindi essere scritte nella forma dI = (1 + R φ0 )(I − Bν ) , dτc

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CAPITOLO 4

dV ∂φ0 = (1 + Rφ0 )V − R g ∆λB cos θ (I − Bν ) . dτc ∂λ L’equazione per l’intensit` a `e esattamente uguale all’equazione del trasporto “ordinaria”, ovvero l’equazione del trasporto che si ottiene trascurando la polarizzazione e l’effetto del campo magnetico. Se ne deduce quindi che, al primo ordine nel campo magnetico, l’intensit` a della radiazione non `e influenzata dal campo magnetico stesso. Resta da analizzare l’equazione per V . Per questo, consideriamo la derivata rispetto a λ dell’equazione per l’intensit` a. Si ottiene, invertendo i simboli di derivazione e tenendo conto che la funzione di Planck `e praticamente costante sul profilo della riga     dI dI dφ0 d (I − Bν ) . = (1 + R φ0 ) +R dτc dλ dλ dλ Moltiplichiamo adesso questa equazione per la quantit` a (−g∆λB cos θ) e supponiamo che essa sia costante con la profondit` a ottica (il che implica che la componente del campo magnetico lungo la direzione di propagazione sia costante). Si ottiene     dI dI d −g ∆λB cos θ = (1 + R φ0 ) −g ∆λB cos θ + dτc dλ dλ −R g ∆λB cos θ

dφ0 (I − Bν ) . dλ

Se adesso confrontiamo questa equazione con quella per V , si ottiene che le due quantit` a (−g ∆λB cos θdI/dλ) e V obbediscono alla stessa equazione differenziale. Poich´e tali quantit` a obbediscono anche alla stessa condizione al contorno per τc → ∞ lim V = lim

τc →∞

τc →∞

dI =0 , dλ

se ne conclude che, al primo ordine nel campo magnetico V = −g ∆λB cos θ

dI . dλ

Questa equazione `e la formula fondamentale che viene usata per la calibrazione dei magnetografi. L’altra soluzione che intendiamo presentare `e quella relativa a un’atmosfera di Milne-Eddington (l’analoga soluzione del caso “non polarizzato” `e stata data nel Par. 2.9). Per ottenere questa soluzione `e conveniente riscrivere l’equazione del trasporto sotto forma matriciale, ovvero nella forma dI = K (I − Bν U) , dτc

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dove ⎛

⎞ ⎛ ⎞ ⎛ I 1 1 + hI ⎜Q⎟ ⎜0⎟ ⎜ hQ I=⎝ ⎠ , U=⎝ ⎠ , K=⎝ hU U 0 hV V 0

hQ 1 + hI −fV fU

hU fV 1 + hI −fU

⎞ hV −fU ⎟ ⎠ , fQ 1 + hI

e supporre che: a) la matrice K sia costante con τc , il che implica che siano costanti tutte le quantit` a che entrano nella sua definizione, ovvero il campo magnetico (in intensit` a e direzione), la larghezza Doppler, la costante di smorzamento e il rapporto R fra il coefficiente di assorbimento della riga (integrato in frequenza) e quello del continuo; b) la funzione di Planck, Bν , sia esprimibile linearmente in funzione della profondit` a ottica τc Bν = B0 (1 + β τc ) , con β costante. Sotto queste ipotesi, cerchiamo una soluzione dell’equazione del tipo I = I0 + I1 τc . Sostituendo si ottiene I1 = K (I0 − B0 U + I1 τc − B0 β τc U) . La soluzione di questa equazione si ottiene uguagliano le diverse potenze di τc al primo e al secondo membro, il che porta I1 = B0 β U ,

 I0 = B0 U + β K−1 U .

Calcolando esplicitamente gli elementi della prima riga della matrice K−1 , l’inversa della matrice K, si ottengono i parametri di Stokes della radiazione uscente dall’atmosfera di Milne Eddington, ovvero gli elementi del vettore I0 . Esplicitamente si ha22 2 I = B0 + B0 β∆−1 {(1 + hI )[(1 + hI )2 + fQ + fU2 + fV2 ]} ,

Q = −B0 β∆−1 [(1+hI )2 hQ +(1+hI )(hV fU −hU fV )+fQ (hQ fQ +hU fU +hV fV )], U = −B0 β∆−1 [(1+hI )2 hU +(1+hI )(hQ fV −hV fQ )+fU (hQ fQ +hU fU +hV fV )], 22

Si noti che il fattore (hU fQ −hQ fU ) contenuto nell’espressione per V risulta identicamente nullo. Esso pu` o quindi essere omesso.

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V = −B0 β∆−1 [(1+hI )2 hV +(1+hI )(hU fQ −hQ fU )+fV (hQ fQ +hU fU +hV fV )], dove 2 +fU2 +fV2 −h2Q −h2U −h2V )−(hQ fQ +hU fU +hV fV )2 . ∆ = (1+hI )4 +(1+hI )2 (fQ

Questa soluzione analitica, che `e generalmente conosciuta sotto il nome di soluzione di Unno (o soluzione di Unno-Rachkovsky) d` a i profili di Stokes in funzione della lunghezza d’onda. La soluzione dipende da nove parametri indipendenti: B0 e β che controllano le caratteristiche termiche dell’atmosfera, B, θ, e χ, che danno l’intensit` a e la direzione del campo magnetico, R, ∆λD , e a che caratterizzano le propriet` a fisiche della riga. Un esempio di profili di parametri di Stokes ottenuti tramite le soluzioni di Unno `e presentato nella Fig. 4.17. Come si pu` o osservare dalla figura, i parametri di Stokes I, Q, e U presentano profili simmetrici rispetto al centro della riga, mentre il parametro di Stokes V presenta un profilo antisimmetrico. Questi caratteri di simmetria possono essere alterati dalla presenza di gradienti della velocit`a macroscopica del plasma e forniscono un valido strumento diagnostico per misurare la variazione con la quota dei campi di velocit` a.

4.12 Magnetografi e magnetogrammi Introdotto nella ricerca solare agli inizi degli anni 1950, il magnetografo `e uno strumento di fondamentale importanza per lo studio del magnetismo solare. Esso `e basato sull’analisi spettropolarimetrica della radiazione e fornisce tipicamente, per ogni elemento di risoluzione osservato, un segnale SZ dato dall’espressione ( V (λ) p(λ) dλ , SZ = ( I(λ) p(λ) dλ dove I(λ) e V (λ) sono i parametri di Stokes (intensit`a e polarizzazione circolare, rispettivamente), e dove p(λ) `e il profilo spettrale del magnetografo che viene generalmente centrato su una delle ali (la rossa o la blu) di una riga sensibile al campo magnetico. Il segnale, opportunamente codificato in una scala di grigi, produce una mappa della regione osservata (al limite del Sole intero) che viene detta “magnetogramma”. L’analisi spettrale pu`o essere eseguita sia con un filtro birifrangente (come ad esempio un filtro di Lyot) o con un filtro interferenziale. In questo caso, p(λ) `e il profilo spettrale del filtro stesso. Alternativamente, l’analisi spettrale pu` o essere eseguita mediante uno spettrometro tradizionale e p(λ) viene a rappresentare (nominalmente)

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Fig 4.17. La soluzione di Unno per i parametri di Stokes emergenti da un’atmosfera di MilneEddington. I parametri sono normalizzati all’intensit` a del continuo I c e sono riportati in funzione della lunghezza d’onda ridotta v = (λ−λ0 )/∆λD . Il grafico si riferisce a un tripletto Zeeman normale con la seguente combinazione di parametri: β = 5, vB = ∆λB /∆λD = 1.5, θ = 55◦ , χ = 0◦ , a = 0.1, R/∆νD = 10.

una funzione a gradino diversa da zero nell’intervallo spettrale corrispondente all’apertura della fenditura d’ingresso dello spettrometro. L’analisi polarimetrica, che precede nella maggior parte dei casi quella spettrale, `e eseguita attraverso una lamina di ritardo a quarto d’onda e un polarizzatore. Il segnale di polarizzazione circolare `e ottenuto utilizzando varie tecniche (si veda il Par. 4.7) sia per mezzo di due osservazioni sequenziali, con la lamina che viene disposta alternativamente con l’asse veloce a +45◦ e −45◦ rispetto all’asse del polarizzatore, sia per mezzo di modulazioni spaziali o temporali. Il magnetografo del Michelson Doppler Interferometer a bordo della missione SOHO, che abbiamo gi` a menzionato nel Par. 3.3 a proposito dei Dopplergrammi, opera con la prima tecnica. Tale strumento, essendo disposto su una navicella spaziale, non `e ovviamente affetto da problemi di seeing.

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Il segnale SZ pu` o essere connesso in maniera semplice alla componente longitudinale del campo magnetico presente nell’elemento di risoluzione osservato qualora si adotti l’approssimazione del campo debole. In questa approssimazione, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, il segnale di polarizzazione circolare `e dato dall’espressione V (λ) = −g ∆λB cos θ

dI(λ) . dλ

Poich´e V (λ) `e lineare nel prodotto B cos θ e poich´e allo stesso ordine di approssimazione il profilo della riga non `e influenzato dal campo magnetico, se ne deduce che SZ = CB , dove B = B cos θ e dove C, la costante di calibrazione del magnetografo, pu`o essere dedotta per mezzo di una procedura che implica la conoscenza del profilo del filtro p(λ) e della forma del profilo di riga I(λ). Per trovare l’espressione di C possiamo seguire una procedura simile a quella del Par. 3.3 supponendo, in prima approssimazione, che le due funzioni I(λ) e p(λ) siano date da  I(λ) = Ic

    2  2  λ − λ0 λ − λF 1 − d0 exp − , p(λ) = p0 exp − , ∆λR ∆λF

a del continuo, d0 la depressione centrale della riga, λ0 dove Ic `e l’intensit` la lunghezza d’onda centrale della riga, ∆λR la larghezza della riga, λF la lunghezza d’onda su cui `e centrato il filtro e ∆λF la larghezza del filtro. Eseguendo integrali elementari, il segnale SZ risulta SZ = −g ∆λB cos θ

X1 , X2

dove   (λF − λ0 )∆λR (λF − λ0 )2 exp − X1 = 2d0  , ∆λ2R + ∆λ2F (∆λ2R + ∆λ2F )3   ∆λF (λF − λ0 )2 exp − . X2 = 1 − d0  2 ∆λ2R + ∆λ2F ∆λR + ∆λ2F Se adesso ricordiamo l’espressione per ∆λB , ovvero ∆λB =

λ20 νL , c

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Fig 4.18. La figura illustra l’andamento della costante del magnetografo installato sul Michelson Doppler Interferometer, a bordo della missione SOHO, in funzione della distanza in lunghezza d’onda fra la posizione del filtro e il centro della riga. La sensibilit` a massima si ottiene per una distanza dell’ordine di 50 m ˚ A.

ed esprimiamo ∆λB in m˚ A, λ0 in ˚ A e B in G, si ottiene numericamente ∆λB = 4.67 × 10−10 λ20 B , per cui la costante del magnetografo, espressa in G−1 , risulta data dall’equazione C = −4.67 × 10−10 g λ20

X1 G−1 , X2

A e col rapporto X1 /X2 da esprimersi in m˚ A−1 . con λ0 da esprimersi in ˚ Consideriamo adesso un caso particolare. Come abbiamo gi` a detto nel Par. 3.3, lo strumento MDI lavora sulla riga del Nichel neutro a 6767.8 ˚ A, che, dal punto di vista magnetico, `e un tripletto Zeeman normale (g = 1). Un’indagine dello spettro solare mostra che tale riga presenta una depressione centrale d0 = 0.62 e un valore ∆λR = 69 m˚ A. Il filtro interferenziale dello strumento ha una banda passante di 94 m˚ A e possiamo assumere ∆λF = 47 m˚ A. Con questi dati possiamo calcolare l’andamento della costante del magnetografo in funzione della distanza ∆λ = λF − λ0 fra la lunghezza d’onda a cui `e posizionato il filtro e la lunghezza d’onda centrale della riga. Il risultato `e illustrato nella Fig. 4.18 e mostra che la sensibilit`a migliore dello strumento si ottiene posizionando il filtro a circa 50 m˚ A di distanza dal centro della riga. In tale posizione si ottiene (se il filtro `e nell’ala blu)

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Fig 4.19. Tipico magnetogramma solare ottenuto in un periodo di attivit` a pronunciata. I campi magnetici appaiono in colore bianco se di polarit` a positiva e in colore nero se di polarit` a negativa. Per gentile concessione del consorzio SOHO/MDI. SOHO `e un progetto di cooperazione fra le Agenzie NASA ed ESA.

C = 1.7 × 10−4 G−1 , la quale mostra che `e necessaria una sensibilit` a polarimetrica dell’ordine di una parte su 104 per poter misurare campi magnetici dell’ordine di 1 G. Un tipico magnetogramma del Sole intero ottenuto da MDI `e mostrato nella Fig. 4.19. La relazione lineare esistente fra il segnale magnetografico e la componente longitudinale del campo magnetico `e valida in verit` a solo nel limite di campo u debole debole. All’aumentare dell’intensit` a del campo, il segnale SZ risulta pi` di quanto ci si attenda in base alla relazione lineare e si dice che il magnetografo entra in “regime di saturazione”. Per questa ragione il magnetografo non `e adatto a misurare i campi magnetici pi` u intensi quali ad esempio quelli che si trovano nelle macchie solari. L’utilizzazione del magnetografo ha portato numerosi contributi alla comprensione del magnetismo solare. Un esempio tipico `e riportato nella Fig. 4.20, che presenta, come si dice, un “magnetogramma profondo”. La figura illustra chiaramente la concentrazione dei campi magnetici ai confini delle celle di supergranulazione. Con l’aumentare della risoluzione spaziale, sono state messe in evidenza ulteriori limitazioni del magnetografo, oltre a quella della saturazione cui abbiamo accennato sopra. La pi` u tipica consiste nel fatto che ci`o che effettivamente si

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Fig 4.20. Magnetogramma di una regione “quieta” dell’atmosfera solare. Si noti la presenza di campi magnetici di entrambe le polarit` a e l’elevata concentrazione dei campi in corrispondenza dei limiti delle celle supergranulari (linee chiare). La scala delle distanze `e in secondi d’arco. La dimensione orizzontale dell’immagine `e circa pari a un quarto del raggio solare. Per gentile concessione del Consorzio SOHO/MDI. SOHO `e un progetto di cooperazione internazionale fra le Agenzie NASA ed ESA.

misura attraverso un magnetografo non `e tanto la componente del campo magnetico quanto il flusso del campo attraverso la superficie coperta dall’elemento di risoluzione. In altre parole, se si pensa che il campo magnetico non sia uniforme sull’elemento di superficie osservata, il magnetografo risponde con un segnale SZ che `e dato da SZ = C B , dove 1 B = A

 B dΣ , Σ

A essendo l’area della superficie Σ coperta dall’elemento di risoluzione. Nel caso in cui i campi magnetici varino a piccola scala in maniera caotica, si comprende facilmente che il segnale magnetografico possa risultare nullo, anche se il campo non `e intrinsecamente nullo ma pesenta direzioni casuali. Analogamente, un valore basso del segnale magnetografico non implica necessariamente che il campo magnetico sia debole perch´e lo stesso segnale potrebbe essere dovuto

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a un campo intenso il quale per` o copre soltanto una frazione ridotta dell’area osservata. Lo studio del magnetismo solare a elevata risoluzione spaziale `e un argomento estremamente dibattuto della fisica solare moderna sul quale si concentra l’attenzione di numerosi gruppi di ricerca. Al momento attuale lo studio `e prevalentemente rivolto alla determinazione della funzione di distribuzione dei campi magnetici, la cosiddetta PDF (Probability Density Function). Nella letteratura sono state proposte diverse forme di tale funzione ma non sono ancora stati raggiunti risultati certi.

4.13 Misure di campi magnetici nelle macchie Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, il magnetografo non permette di ottenere misure attendibili di campi magnetici nelle macchie solari a causa del fenomeno della saturazione. Un altro metodo che pu`o essere utilizzato consiste nell’osservare i parametri di Stokes in una riga spettrale (o in pi` u righe spettrali) e di procedere poi all’interpretazione di tali profili mediante la teoria del trasporto radiativo per radiazione polarizzata. Per trattare grandi quantit` a di dati si ricorre all’algoritmo seguente. Facendo riferimento a un il parametro di punto osservato sulla superficie solare, indichiamo con (Sα )oss i Stokes α-esimo (α = 1, . . . , 4) misurato in corrispondenza dell’i-esimo punto spettrale, ovvero alla lunghezza d’onda λi , con i = 1, . . . , N . Indichiamo inoltre con (Sα )teo a calcolata per mezzo delle formule che i ({ζ}) l’analoga quantit` esprimono la soluzione di Unno delle equazioni del trasporto per radiazione polarizzata. Quest’ultima quantit` a dipende da un insieme di parametri, che abbiamo elencato nel Par. 4.11, e che indichiamo semplicemente col simbolo {ζ}. Definiamo poi una funzione di merito, M, attraverso l’equazione M=

4 N ) *2 teo (Sα )oss . i − (Sα )i ({ζ}) α=1 i=1

La funzione di merito dipende ovviamente dall’insieme dei parametri {ζ}, che si possono variare fino a trovare il minimo della M nell’iperspazio da essi sotteso. I valori dei parametri che corrispondono al minimo, e in particolare quelli relativi al campo magnetico (B, θ, φ), vengono assunti come la “misura” del campo magnetico nel punto della superficie solare. Ripetendo lo stesso algoritmo per tutti i punti osservati, `e possibile ottenere delle “mappe” di campo magnetico come quella riportata nella Fig. 4.21. I campi magnetici delle macchie, essendo i pi` u intensi e omogenei fra quanti osservati sulla superficie del Sole, sono quelli che sono stati pi` u ampiamente

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Gli studi sulle macchie solari hanno anche mostrato l’esistenza nella penombra di intensi campi di velocita orizzontali con valori fino a 5 km s 1 (effetto Evershed). Tali campi di velocita provocano profonde asimmetrie nei profili dei parametri di Stokes osservati e ne rendono piu difficile l’interpretazione.

Capitolo 5

Gli strati pi` u esterni dell’atmosfera solare Una delle caratteristiche pi` u importanti della stella Sole `e quella di presentare, al di sopra della superficie visibile, un esteso inviluppo gassoso ad alta temperatura che si estende nello spazio interplanetario fin ben oltre l’orbita terrestre. In tale inviluppo si distinguono, procedendo in ordine di altezza, la cromosfera, la regione di transizione e la corona, un tenue ambiente di gas ionizzato in cui si raggiungono temperature tipiche dell’ordine del milione di gradi e che, con l’aumentare della distanza dal Sole, viene ad assumere la forma di un flusso continuo di particelle veloci cui si d` a il nome di “vento solare”. Tutte queste strutture sono sede di processi fisici del tutto peculiari, osservabili in dettaglio solamente sulla nostra stella, e che, in gran parte, non sono ancora ben compresi, sebbene sembri oggi definitivamente accertato che il campo magnetico solare debba svolgere un ruolo fondamentale nel determinarne le propriet` a statiche e dinamiche. Questo capitolo `e dedicato a illustrarne gli aspetti fisici pi` u importanti e a mettere in rilievo quali siano i problemi ancora aperti riguardo alla comprensione dei complessi fenomeni fisici che hanno luogo in tali ambienti.

5.1 La cromosfera Dal punto di vista storico, si intende per cromosfera quella zona superficiale del Sole che `e visibile solo per pochi secondi in eclisse al momento dell’immersione o dell’emersione del Sole da dietro la Luna. L’osservazione spettroscopica della cromosfera rivela uno spettro costituito da una grande quantit` a di righe di emissione fra le quali prevale, per intensit` a, la riga Hα ` proprio questa riga a produrre il tipico colore dell’Idrogeno neutro a 6563 ˚ A. E rossastro della cromosfera, colore al quale `e dovuto il suo nome. Per comprendere come le righe dello spettro solare si trasformino da righe di assorbimento in fotosfera a righe di emissione in cromosfera, `e necessario premettere alcune considerazioni sulle scale d’altezza. Nell’atmosfera solare, in tutta analogia a quanto avviene nell’atmosfera di un qualsiasi oggetto astronomico, ivi compresa la Terra, la pressione e la densit` a del gas diminuiscono con la quota. In base all’equazione dell’equilibrio idrostatico si ha infatti dP = −ρ g , dz

160

CAPITOLO 5

dove P e ρ sono, rispettivamente, la pressione e la densit`a del plasma solare, 2 a alla superficie del Sole (g = GM /R  2.7 × 104 cm s−2 ), e g `e la gravit` z `e la quota. Sostituendo l’equazione dei gas perfetti P =

ρ kB T , µ mH

dove T `e la temperatura, µ il peso molecolare medio, e mH l’unit` a di massa atomica, si ottiene P dP =− , dz H dove abbiamo introdotto la cosiddetta “scala d’altezza”, H, definita da H=

kB T . µ mH g 

L’equazione dell’equilibrio idrostatico si risolve facilmente per separazione di variabili. Indicando con P0 la pressione in corrispondenza di un livello di riferimento z = 0, si ottiene   z  1  dz . P (z) = P0 exp −  0 H(z ) La scala di altezza cambia con la quota sia perch´e varia la temperatura sia perch´e varia il peso molecolare medio. Per calcoli di ordine di grandezza possiamo tuttavia trascurare questa dipendenza ponendo H = H , dove la costante H rappresenta una sorta di scala d’altezza “media” per la transizione fra fotosfera e cromosfera. Per il calcolo di H possiamo assumere una temperatura pari a 5000 K (intermedia fra la temperatura efficace del Sole, T  = 5776 K, e la temperatura minima dei modelli empirici, Tmin  4000 K) e un peso molecolare medio pari a 1. Con questi valori si ottiene H  150 km , e l’andamento della pressione con la quota risulta approssimato dall’equazione   z . P (z) = P0 exp − H Supponiamo adesso che il coefficiente di assorbimento del plasma solare sia proporzionale alla pressione totale. Supponiamo cio`e che sia   z , k = k0 exp − H con k0 costante. Per un punto P qualsiasi che si trovi alla quota z possiamo definire, facendo riferimento alla Fig. 5.1, una profondit` a ottica “verticale”,

161

` ESTERNI DELL’ATMOSFERA SOLARE GLI STRATI PIU

A τ ver B

τ tan

x

P 



z 





























































































R

C





Fig. 5.1. Confronto fra le profondit` a ottiche verticale e tangenziale relative a un punto P dell’atmosfera solare.

misurata lungo la direzione AP, che indichiamo τver , e una profondit` a ottica “tangenziale”, misurata lungo la direzione CB, che indichiamo con τtan . Per la prima si ha    ∞ z k0 exp − τver = dz  , H z ovvero τver

  z = k0 H exp − . H

Per la seconda si deve valutare un integrale pi` u complicato, ovvero

   ∞ (R + z)2 + x2 − R k0 exp − dx , τtan = H −∞ dove x `e la coordinata definita nella Fig. 5.1 L’argomento dell’esponenziale pu` o essere approssimato mediante uno sviluppo in serie. Ricordando che  1 1 1 + y  1 + y − y2 + · · · , 2 8

162

CAPITOLO 5

si ha  (R + z)2 + x2 − R = R



2z z 2 + x2 1+ + −1 2 R R

 z+

x2 , 2R

e sostituendo questo risultato nell’integrale si ottiene    ∞  z x2 exp − τtan = k0 exp − dx = H 2R H −∞    z . = k0 2πR H exp − H Confrontando i valori ottenuti per le due profondit` a ottiche si ottiene quindi  2πR τver  170 τver . τtan = H Le considerazioni di ordine di grandezza qui svolte permettono di dare una definizione approssimata della quota alla quale si ha la transizione fra la fotosfera e la cromosfera. Possiamo infatti definire tale livello come quello al quale la profondit` a ottica tangenziale misurata nel continuo `e dell’ordine dell’unit` a. Al di sopra di tale livello, infatti, l’atmosfera solare diventa otticamente sottile nel continuo (per osservazione tangenziale) mentre nelle righe, a causa del pi` u elevato coefficiente di assorbimento, `e ancora otticamente spessa. Questo fa s`ı che le righe risultino di emissione. La quota della transizione `e allora implicitamente definita dall’equazione (τtan )cont  1 . La base della fotosfera `e invece definita dall’equazione (τver )cont  1 , Se adesso teniamo conto della relazione che abbiamo trovato precedentemente fra le due profondit` a ottiche, e indichiamo con ∆z la differenza di quota fra la base della fotosfera e il limite della cromosfera, si ha    H ∆z , exp −  H 2π R dalla quale si ottiene ∆z 

1 2

ln(2π R /H ) H  5 H  750 km .

` ESTERNI DELL’ATMOSFERA SOLARE GLI STRATI PIU

163

Si pu` o quindi concludere, in base a queste considerazioni, che la base della cromosfera viene a trovarsi a circa 5 scale d’altezza al di sopra della base della fotosfera. La cromosfera pu` o essere osservata direttamente sul disco con la tecnica dello spettroeliografo o per mezzo di filtri. Le righe che sono pi` u comunemente utilizzate sono la Hα e le righe H e K del CaII. In queste osservazioni si sfrutta il fatto che nelle righe sopraddette il coefficiente di assorbimento `e molto pi` u elevato che nel continuo, il che ci permette di osservare direttamente le zone pi` u superficiali dell’atmosfera solare. Se si pensa ad esempio di avere una riga la quale ha un coefficiente di assorbimento K volte pi` u elevato del coefficiente di assorbimento del continuo, in tale riga si osserva uno strato che si trova a una quota pi` u elevata di un ∆z rispetto alla base della fotosfera, con ∆z dato da ∆z = H ln K . Valori rappresentativi di ∆z sono dell’ordine di 2000 km ( 13 scale d’altezza) per il centro della riga K e dell’ordine di 1500 km ( 10 scale d’altezza) per il centro della Hα. Poich´e il coefficiente di assorbimento di una riga presenta poi una variazione continua con la lunghezza d’onda, si capisce che, disponendo di un filtro sintonizzabile in lunghezza d’onda, si pu` o ottenere una sorta di tomografia della cromosfera. Quando il filtro `e centrato sull’ala lontana di una riga si osserva direttamente la fotosfera, e mano a mano che si sposta il filtro verso il centro riga, si vanno a osservare zone cromosferiche di altezza sempre pi` u elevata. Alcune osservazioni cromosferiche del disco solare intero sono mostrate nelle Fig. 1.8 e 1.9. In Hα appaiono in maniera prominente i cosiddetti filamenti, strutture di forma allungata di intensit` a minore rispetto alla cromosfera media e le plages, o facole, strutture pi` u luminose rispetto alla cromosfera media, di forma grosso modo rotondeggiante e generalmente associate alle regioni attive. Le immagini in riga K mostrano invece una sorta di “rete” brillante (chromospheric network) che delinea i confini delle celle di supergranulazione e altre zone brillanti comunemente chiamate facole. Tali facole sono associate alle regioni attive, e quindi alle facole oseervate in Hα, ma le forme dei due tipi di strutture risultano piuttosto diverse. Questo non deve stupire se si pensa che le altezze alle quali si osserva nelle due righe (Hα e K) sono considerevolmente diverse. u alta risoluzione `e invece mostrata nella Fig. 5.2. Un’immagine in Hα a pi` L’aspetto pi` u importante che caratterizza le immagini cromosferiche rispetto a quelle fotosferiche `e l’aumento della disomogeneit` a. Mentre le immagini fotosferiche mostrano un disco praticamente uniforme (con l’eccezione delle macchie e delle plages fotosferiche), le cose cambiano radicalmente in cromosfera, dove cominciano ad apparire varie strutture. Questo `e intimamente connesso con la presenza del campo magnetico la cui importanza nella fisica e nella dinamica

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CAPITOLO 5 































 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 





















































































































































 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



Fig. 5.2. Immagine in Hα di una regione circostante una macchia solare. Le strutture scure di forma allungata sono chiamate “mottles” e sono associate con i limiti delle celle supergranulari. L’immagine `e ottenuta per mezzo di un filtro centrato a circa 0.5 ˚ A di distanza dal centro riga.

del plasma solare aumenta rapidamente con la quota. Per renderci conto di questo fatto, andiamo a considerare il cosiddetto parametro “beta” del plasma solare, definito da β=

P 8π P = , Pmag B2

dove P `e la pressione gassosa e Pmag = B 2 /(8π) `e la pressione magnetica. Ovviamente, un plasma `e “dominato” da fenomeni termici quando si ha β  1, ed `e invece “dominato” da fenomeni magnetici quando si ha β  1. Come abbiamo visto, la pressione gassosa diminuisce con la quota secondo la legge   z . P  P0 exp − H Pi` u complessa `e la questione dell’andamento con la quota del campo magnetico. Consideriamo allora il caso pi` u semplice di un campo magnetico dovuto a un dipolo immerso a una certa profondit` a, d0 , al di sotto della fotosfera. Sotto tale ipotesi, ricordando che un campo di dipolo varia in funzione della distanza come r−3 , si ottiene che il campo magnetico ha, per z ≥ 0, un andamento con z del tipo  B  B0

d0 z + d0

3 ,

` ESTERNI DELL’ATMOSFERA SOLARE GLI STRATI PIU

165

Fig. 5.3. Andamento del parametro β con l’altezza normalizzata ζ, per ζ 0 = 10. Le curve si riferiscono ai valori β(0) = 1, 10, 100, e 1000, procedendo dal basso verso l’alto.

dove abbiamo indicato con B0 il valore del campo magnetico alla base della fotosfera (z = 0). Sotto queste approssimazioni si ottiene per β β(z) =

8πP0 B02



z + d0 d0

6

  z exp − , H

ovvero, introducendo le variabili adimensionali ζ=

z , H

ζ0 =

d0 , H

6  ζ e−ζ , β(ζ) = β0 1 + ζ0 dove β0 `e il valore di β alla base della fotosfera. Assumendo il valore tipico ζ0  10, si ottiene per β(ζ) l’andamento mostrato nella Fig. 5.3, dalla quale si deduce che, indipendentemente dal valore di β0 , β decresce rapidamente con l’altezza cos`ı da risultare minore dell’unit` a ad altezze relativamente basse. Ad a a 10 scale di altezza si ottiene β = 0.29, a 15 scale di esempio, per β0 = 100 gi` altezza β = 0.007, etc.. D’altra parte, quando β < 1 `e il plasma ad “adattarsi” alla struttura del campo magnetico e, poich´e questo `e molto inomogeneo, c’`e da aspettarsi che anche il plasma cromosferico lo sia. Altre importanti conseguenze scaturiscono dal teorema di Alfv`en. Poich´e esso `e valido per qualsiasi valore di β, se ne deduce che, mentre nella fotosfera le linee di forza del campo magnetico sono congelate nel plasma e sono quindi

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CAPITOLO 5





Riga K







0.03 0.3



















































0.02 0.2

























































0.01 0.1











































K1v



















K2r

K2v K

3



 

0 3930 







































3932 3932

K1r

























3934

 

3936 3936

A

Fig. 5.4. Profilo della riga K del CaII osservato al centro del Sole quieto (tratto continuo). I punti di stazionariet` a che si trovano in prossimit` a del centro della riga sono denotati coi simboli K1v , etc., come spiegato nel testo (gli altri massimi e minimi sono dovuti a blends con righe varie). Il profilo tratteggiato `e invece tipico di una facola.

trascinate dai moti convettivi, poche scale di altezza pi` u in alto `e invece il plasma a essere trascinato dal campo magnetico. In altre parole sono i moti convettivi del plasma fotosferico a provocare i moti che si osservano a livello cromosferico. Una caratteristica fondamentale della cromosfera, forse la pi` u importante, riguarda l’aumento di temperatura con la quota. Questo fatto `e abbastanza sorprendente in quanto, intuitivamente, si potrebbe pensare che la temperatura dovesse diminuire mano a mano che aumenta la distanza dalla base della fotosfera e quindi, in ultima analisi, dal centro del Sole. Sulle cause di questo fenomeno ritorneremo in seguito (si veda il Par. 5.10). Per il momento ci interessiamo soltanto a discuterne le basi empiriche. In effetti questo risultato `e stato ottenuto analizzando in dettaglio i profili di alcune righe cromosferiche, quali le righe H e K del CaII e le righe di risonanza h e k del MgII che cadono nell’ultravioletto a 2796 e 2803 ˚ A rispettivamente. Come mostra la Fig. 5.4, il profilo della riga K presenta vicino al centro un andamento caratterizzato da due picchi di emissione che gli conferiscono un aspetto particolare. Procedendo nel senso delle lunghezze d’onda crescenti si ha un primo minimo, indicato col simbolo K1v , un primo massimo, K2v , un secondo minimo, quello centrale, indicato con K3 , un secondo massimo, K2r , e infine un minimo, K1r . Questa forma del profilo `e condivisa anche dalla riga H del CaII e dalle righe h e k del MgII, ed `e dovuta alla risalita di temperatura in cromosfera. Per renderci conto di questo fatto `e necessario ricordare l’espressione della funzione sorgente che abbiamo dato nel Par. 2.10 e l’approssimazione di Eddington-Barbier. Secondo

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` ESTERNI DELL’ATMOSFERA SOLARE GLI STRATI PIU





τ3

τ2

τ1

τ 5000

Fig. 5.5. Andamento schematico della funzione sorgente della riga K in funzione della profondit` a ottica (linea a tratto continuo). Le profondit` a ottiche τ1 , τ2 , e τ3 individuano, rispettivamente, i punti in cui si formano le caratteristiche spettrali K 1 , K2 e K3 del profilo di Fig. 5.4. La linea punteggiata d` a l’andamento della funzione di Planck.

tale approssimazione, tenendo conto che la riga K `e una tipica riga in non-ETL, si ha, per un’osservazione al centro del Sole Iν  Sν (tν = 1) . Mano a mano che ci si sposta dalle ali verso il centro della riga, l’intensit` a decresce ma, ad un certo punto, l’intensit`a risale per formare i picchi K 2 e torna di nuovo a decrescere. Questo significa che la funzione sorgente deve avere, considerata come funzione dell’altezza, un andamento prima decrescente, poi crescente e poi di nuovo decrescente, come illustrato schematicamente nella Fig. 5.5. La risalita della funzione sorgente non pu` o essere ascritta ad altro se non a una risalita della temperatura, pensando che le collisioni siano sufficientemente efficienti da tenere la funzione sorgente “incollata” alla funzione di Planck in tutto l’intervallo fra τ2 e infinito. Al di sotto di τ2 le collisioni perdono di efficienza a causa della ridotta densit` a e la funzione sorgente diminuisce definitivamente. Come abbiamo gi` a sottolineato, l’intensit` a centrale della riga K varia notevolmente da punto a punto e aumenta in maniera considerevole in corrispondenza delle regioni attive. La linea tratteggiata della Fig. 5.4 illustra il tipico profilo ` stato dimostrato che l’eccesso di emissione nella riga osservato in una facola. E K, misurato dall’area della regione compresa fra la linea a tratto continuo e quella punteggiata, `e grosso modo proporzionale al flusso del campo magnetico. Questo fatto `e stato convenientemente utilizzato in fisica stellare per lo studio dell’attivit` a, sia dal punto di vista dei cicli stellari sia da quello della distribuzione delle regioni attive in stelle rotanti.

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CAPITOLO 5

5.2 La regione di transizione Per regione di transizione si intende quella zona della superficie esterna del Sole nella quale la temperatura sale dai circa 10,000 K della cromosfera alle tipiche temperature coronali dell’ordine del milione di gradi. Per quanto abbiamo gi` a visto nei paragrafi precedenti a proposito delle inomogeneit`a introdotte dal campo magnetico, la regione di transizione non pu` o eseere considerata come uno strato della superficie solare che si trova fra due livelli di quota assegnati, bens`ı come un volume di forma estremamente irregolare, seppure di spessore sottile. Quest’ultimo fatto riflette la rapidit`a con cui si ha la transizione fra temperature dell’ordine di 104 e 106 K. Dal punto di vista osservativo la regione di transizione `e caratterizzata da righe spettrali di emissione dovute a vari ioni degli elementi pi` u abbondanti nell’atmosfera solare. Tali righe cadono nella regione UV e X dello spettro elettromagnetico, e sono tali da dare una diagnostica della regione dell’atmosfera solare che si trova in un particolare intervallo di temperatura. Questo fatto `e intimamente connesso con l’equilibrio di ionizzazione delle varie specie atomiche, un argomento che andiamo qui a sviluppare in dettaglio. Si consideri uno ione di un particolare elemento e si indichi con N il numero a di tali ioni per unit` a di volume. Si indichi poi con N + il numero per unit` di volume degli ioni di ordine pi` u elevato. Ad esempio, potremmo indicare con N la densit` a degli ioni di Ferro ionizzati 4 volte e con N + la densit` a di atomi di Ferro ionizzati 5 volte. Ci domandiamo quale sia il rapporto N + /N in un punto qualsiasi dell’atmosfera solare esterna. Se le due specie di ioni si trovassero all’equilibrio termodinamico, la risposta all’interrogativo sarebbe banalmente data dalla formula di Saha. Indicando con r(T ) il rapporto fra le due specie all’equilibrio termodinamico alla temperatura T si avrebbe infatti   I 1 u+ (T ) 2(2π m kB T )3/2 exp − r(T ) = , Ne u(T ) h3 kB T dove u(T ) e u+ (T ) sono le funzioni di partizione dei due ioni, Ne `e la densit` a elettronica, e I `e il potenziale di ionizzazione. Tuttavia, nella regione di transizione e nella corona, a causa della bassa densit` a, non sono soddisfatte le condizioni dell’equilibrio termodinamico per cui il problema di trovare il rapporto N + /N diviene un tipico problema di non-equilibrio che deve essere risolto andando a considerare tutti i processi che contribuiscono alla ionizzazione e i processi inversi di ricombinazione. Tali processi sono di duplice natura, avendosi infatti processi radiativi e processi collisionali. Trattiamo prima i processi di ionizzazione. Si consideri quindi il nostro ione, che pensiamo costituito dal solo livello fondamentale, investito da un campo di radiazione avente intensit` a specifica media1 Jν . I fotoni aventi frequenza 1

La media cui ci si riferisce `e quella sull’angolo solido.

` ESTERNI DELL’ATMOSFERA SOLARE GLI STRATI PIU

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ν > ν0 , con hν0 = I , sono in grado di ionizzare lo ione per effetto fotoelettrico. Se si indica con α(ν) la sezione d’urto corrispondente a questo processo (sezione d’urto per fotoionizzazione), per il suo effetto il numero di ioni N + crescer`a nel tempo secondo l’equazione  ∞ dN + 4πJν =N dν . α(ν) dt hν ν0 Lo ione subisce anche un continuo bombardamento da parte degli elettroni. Supporremo che gli elettroni abbiano una distribuzione di velocit` a Maxwelliana caratterizzata dalla temperatura elettronica Te . Gli elettroni aventi una velocit`a maggiore di v0 , con 1 m v02 = I , 2 sono in grado di ionizzare collisionalmente gli ioni e, indicando con σ(v) la sezione d’urto di questo processo, per il suo effetto si ha  ∞ dN + σ(v) v f (v) dv , = N Ne dt v0 dove  f (v) = 4π

m 2π kB Te

3/2

  m v2 v exp − . 2 kB Te 2

Ciascuno di questi processi ora descritti ha il proprio processo inverso. Si hanno quindi ricombinazioni radiative e ricombinazioni collisionali. Per trovare i corrispondenti tassi si pu` o ragionare in base al principio del bilancio dettagliato e ottenere cos`ı le cosiddette relazioni di Milne-Einstein. Per quanto riguarda le ricombinazioni radiative, il tasso corrispondente pu` o essere ottenuto mediante il seguente ragionamento: si supponga di essere all’equilibrio termodinamico alla temperatura Te . Il tasso di fotoionizzazione `e dato da  ∞ dN + 4πBν (Te ) =N dν , α(ν) dt hν ν0 dove Bν (Te ) `e la funzione di Planck relativa alla temperatura Te . Se si indica con R il tasso di ricombinazione radiativa, si ha allora, per i soli processi radiativi  ∞ dN + 4πBν (Te ) =N dν − N + R , α(ν) dt hν ν0

170

CAPITOLO 5

e la soluzione stazionaria di questa equazione (dN + /dt = 0) deve portare per N + /N alla legge di Saha relativa alla temperatura Te . Si ottiene2 R=

1 r(Te )





α(ν) ν0

4π Bν (Te ) dν . hν

Resterebbe ancora da calcolare il tasso relativo al processo inverso della ionizzazione collisionale. Tuttavia questo non `e necessario per il nostro problema specifico in quanto tale tasso `e del tutto trascurabile rispetto a R, data la bassa densit` a della corona. Inoltre, a causa del fatto che la radiazione solare `e poco energetica, non `e necessario tener conto dei processi di ionizzazione radiativa, per cui, in definitiva, l’equazione cinetica per la densit` a degli ioni si scrive nella forma dN + = N Ne dt





σ(v) vf (v) dv − N + R ,

v0

che, risolta nel caso stazionario per il rapporto N + /N , d` a (∞ σ(v) v f (v) dv N+ = Ne r(Te ) ( v0 . 4πBν (Te ) ∞ N dν α(ν) ν0 hν Sostituiamo adesso in questa equazione l’espressione del fattore di Saha, r(Te ), l’espressione della funzione di Planck (nel limite di Wien), e la funzione di distribuzione di Maxwell. Inoltre, effettuiamo nell’integrale sulle velocit` a un cambiamento di variabile passando dalla variabile v alla variabile ν definita da hν = 12 mv 2 . Con una serie di passaggi si ottiene +

2 g0+

N = N g0

    ( ∞ σ(ν) ν exp − hν dν ν I mc 0  kB Te  exp − , ( ∞ h kB Te 2 exp − hν α(ν) ν dν ν0 kB Te 2

dove abbiamo sostituito le funzioni di partizione degli ioni con le degenerazioni dei rispettivi livelli fondamentali, g0+ e g0 , consistentemente con la nostra approssimazione di considerare gli ioni solo nel loro livello fondamentale. L’equazione che abbiamo ottenuto `e molto importante in quanto essa mostra che nelle condizioni tipiche della regione di transizione e della corona il rapa elettronica e dipende porto N + /N `e completamente indipendente dalla densit` unicamente dalla temperatura. L’equazione precedente pu`o essere scritta nella forma 2

Un’analisi pi` u approfondita che tenga conto anche dei fenomeni di emissione stimolata mostra che l’espressione per la funzione di Planck contenuta in questa equazione `e quella del limite di Wien, ovvero Bν (Te ) = (2hν 3 /c2 ) exp(−hν/kB Te ).

` ESTERNI DELL’ATMOSFERA SOLARE GLI STRATI PIU

171

  I N+ , = Γ(Te ) exp − N kB Te o essere determinata ione per ione dalla dove Γ(Te ) `e una funzione che pu` conoscenza dell’andamento con la frequenza della sezione d’urto per fotoionizzazione, α(ν), e della sezione d’urto per collisione elettronica, σ(ν). Ovviamente, i calcoli accurati di queste sezioni d’urto devono essere effettuati in base alla meccanica quantistica. Tuttavia, per valutazioni di ordine di grandezza, `e possibile ricorrere a delle stime basate su approssimazioni classiche o semiclassiche3 . Per quanto riguarda la sezione d’urto per fotoionizzazione si pu` o ricorrere alla cosiddetta approssimazione semiclassica idrogenica, secondo la quale si ha α(ν) =

πe20 2ν02 mc ν 3

(ν ≥ ν0 ) .

Per la sezione d’urto di ionizzazione collisionale si pu` o invece utilizzare la formula classica dovuta a J.J. Thomson, secondo la quale   πe40 1 1 − , ( ≥ I) , σ() =  I  dove  `e l’energia dell’elettrone prima della collisione. La formula di Thomson pu` o essere derivata con il ragionamento seguente. Si consideri un elettrone di energia  che urta con parametro d’urto b su un atomo descritto dal modello classico di Thomson. Supponendo che l’elettrone segua una traiettoria rettilinea, e facendo riferimento alla Fig. 5.6, l’elettrone collidente trasferisce all’elettrone ottico un impulso diretto lungo la perpendicolare alla traiettoria e dato in modulo dall’espressione  p=

e20 cos α dt . r2

L’integrale pu` o essere semplicemente valutato osservando che, indicando con t il tempo misurato dal punto di massima vicinanza fra gli elettroni e con v la velocit` a dell’elettrone collidente, si ha vt = b tan α , per cui, eseguendo il cambiamento di variabile da t ad α, e osservando che r = b/ cos α, si ottiene 3

In effetti, per determinare in maniera corretta l’equilibrio di ionizzazione `e anche necessario tener conto di un ulteriore fenomeno. Si tratta della cosiddetta “ricombinazione dielettronica” che deve essere aggiunta alla ordinaria ricombinazione radiativa ma che viene qui trascurata per motivi di semplicit` a.

172

CAPITOLO 5

nube di carica positiva elettrone atomico r α b

Impulso trasferito

traiettoria dell’elettrone collidente Fig. 5.6. Geometria della collisione elettrone-atomo secondo il modello classico di J.J. Thomson.

e2 p= 0 bv



π/2

cos α dα = −π/2

2 e20 . bv

Durante l’urto viene quindi trasferita dall’elettrone collidente all’elettrone atomico una quantit` a di energia, tras , data da 2 e4 e4 p2 = 2 20 = 20 . 2m b v m b  Come si vede, l’energia trasferita `e funzione del parametro d’urto b e tende all’infinito quando b → 0. Questo `e dovuto all’approssimazione della traiettoria rettilinea che naturalmente cessa di essere verificata quando i due elettroni vengono a trovarsi in stretto contatto. D’altra parte, la distanza minima alla quale possono venirsi a trovare i due elettroni, dmin , `e data, a causa della repulsione coulombiana, dall’espressione tras =

e20 = , dmin per cui il parametro d’urto “effettivo” non pu` o essere pi` u piccolo di dmin . La sezione d’urto per ionizzazione collisionale pu` o adesso essere valutata andando a considerare la superficie di una corona circolare nello spazio del parametro d’urto che si estende fra dmin e bmax , dove bmax `e il valore b per cui si ha un trasferimento di energia pari all’energia di ionizzazione I. Quindi,

` ESTERNI DELL’ATMOSFERA SOLARE GLI STRATI PIU

173

σ() = π (b2max − d2min ) , dove bmax `e dato da e40 2 bmax



=I ,

ovvero

b2max =

e40 . I

Si ottiene quindi, in definitiva π e40 σ() = 



1 1 − I 

 .

Possiamo adesso valutare la funzione Γ(Te ) nelle nostre approssimazioni semiclassiche. Sostituendo le espressioni per α(ν) e σ(), ricordando la sostituzione  = hν, si ottiene    (∞ 1 1 exp − hν dν − 2 3 2 + ν ν0 ν m c e0 g0 0 k B Te  . Γ(Te ) = ( 2 ∞ 1 h3 ν0 g0 dν exp − hν ν0 ν kB Te Gli integrali possono essere valutati mediante il cambiamento di variabile x = ν/ν0 . Ricordando la definizione della funzione integro-esponenziale E1 (si veda il Par.2.4),  ∞ −zx e E1 (z) = dx , x 1 e definendo e−z , z il rapporto fra i due integrali, che indichiamo col simbolo G, risulta E0 (z) =

G(z0 ) =

E0 (z0 ) − E1 (z0 ) , E1 (z0 )

dove z0 =

hν0 . kB Te

Abbiamo quindi ottenuto per la funzione Γ(Te ) l’espressione Γ(Te ) =

m2 c3 e20 g0+ G(z0 ) , h3 ν02 g0

la quale pu` o essere ulteriormente approssimata osservando che nel limite asintotico in cui z0 ≥ 1 si ha G(z0 )  1/z0 . Tenendo conto di questo fatto, ricordando

174

CAPITOLO 5

Fig. 5.7. La frazione di atomi di un elemento presenti nei vari stati di ionizzazione `e riportata in funzione del logaritmo in base 10 della temperatura per l’intervallo 10 4 < Te < 2 × 106 . I grafici si riferiscono ai quattro elementi Ossigeno, Ferro, Silicio e Carbonio. Alcune delle curve sono contrassegnate dallo stato di ionizzazione secondo l’usuale convenzione spettroscopica (p.e. IV significa che l’elemento `e 3 volte ionizzato).

che hν0 = I, ricordando la definizione di α0 , la costante della struttura fine (α0 = e20 /(¯ hc)), e introducendo l’energia di riposo dell’elettrone, Erip = mc2 , l’equazione per l’equilibrio di ionizzazione pu` o in definitiva essere posta nella forma   2 α0 g0+ kB Te Erip I N+ = exp − . N 2π g0 I3 kB Te In base a questa formula si pu` o facilmente calcolare in funzione della temperatura la frazione di atomi di un particolare elemento che si trovano in un assegnato grado di ionizzazione. La Fig. 5.7 mostra i risultati di tali calcoli 4 4

I grafici riportati nella Fig. 5.7 sono ottenuti assumendo che g 0+ /g0 = 1/2 (per tener conto

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He II λ304

Fe XII λ195

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Fe IX/X λ171

Fe XV λ284

Fig. 5.8. Immagini simultanee della regione di transizione ottenute da EIT in quattro righe dell’estremo UV. Le temperature caratteristiche delle righe sono, rispettivamente, 70,000 K (He II), 106 K (Fe IX/X), 1.5 × 106 K (Fe XII) e 2 × 106 K (Fe XV). L’immagine `e anche riprodotta in falsi colori nell’inserto. Per gentile concessione del Consorzio SOHO/EIT. SOHO ` e un progetto di cooperazione internazionale fra le Agenzie NASA ed ESA.

per quattro elementi diversi e illustra in maniera significativa come a ciascun grado di ionizzazione di un determinato elemento possa essere assegnato un particolare intervallo di temperatura relativamente stretto. Quattro tipiche immagini del Sole, ottenute dallo strumento EIT (Extreme Ultraviolet Imaging Telescope) a bordo della missione SOHO, sono mostrate nella Fig. 5.8. Le immagini sono ottenute in righe dell’estremo ultravioletto appartenenti ad elementi altamente ionizzati. La regione di transizione appare molto strutturata e mostra massimi di emissione in corrispondenza delle regioni attive. Nelle righe corrispondenti alle temperature pi` u elevate cominciano anche ad apparire i cosiddetti “buchi coronali” (si vedano i paragrafi 5.3 e 5.5). che nello stato ionizzato si ha un elettrone in meno). Questo `e ampiamente giustificato dalle altre approssimazioni introdotte e non altera in maniera sostanziale i risultati fisici.

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CAPITOLO 5

Fig. 5.9. Immagine della corona solare registrata durante l’eclisse dell’11 Agosto 1999 (si veda anche l’inserto a colori). Per gentile concessione del Dr. Serge Koutchmy, dello Institut d’Astrophysique de Paris.

5.3 La corona ottica La radiazione coronale nella regione visibile dello spettro elettromagnetico viene osservata durante le eclissi o attraverso degli strumenti appositi detti coronografi (si veda il Par. 1.3). L’aspetto della corona presenta variazioni sistematiche col ciclo solare alle quali si sovrappongono variazioni su tempi scala molto minori che possono essere anche inferiori all’ora. Nei periodi di minimo di attivit` a la corona ha un’estensione piuttosto ridotta e una forma semi-regolare, con pennacchi (streamers) che si estendono soprattutto alle basse latitudini (si veda la Fig. 1.3). Al contrario, durante i periodi di massimo di attivit` a, la corona ha una forma pi` u estesa ma, nello stesso tempo, anche pi` u irregolare, mostrando lunghi pennacchi (streamers) a tutte le latitudini (si veda la Fig. 5.9). Tradizionalmente, la radiazione ottica della corona viene suddivisa in tre componenti dette rispettivamente corona K, corona F e corona E. - La corona K (dalla parola tedesca Kontinuum), ovvero la corona “continua”, domina a piccole distanze dal lembo. Essa si distingue per le sue caratteristiche spettropolarimetriche in quanto il suo spettro `e piatto (nel senso che non

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177

presenta le righe di Fraunhofer) e, inoltre, presenta un’intensa polarizzazione lineare (che arriva fino a valori dell’ordine del 40%), il campo elettrico della radiazione osservata essendo diretto perpendicolarmente al raggio solare passante per il punto osservato. Queste caratteristiche la identificano come radiazione fotosferica diffusa per effetto Thomson dagli elettroni presenti in corona. Ammettendo infatti che il plasma coronale si trovi a temperature dell’ordine di a ter106 K, si ottiene immediatamente che gli elettroni coronali hanno velocit` miche, vt , molto elevate, dell’ordine di 5 × 103 km s−1 . Poich´e la diffusione Thomson `e coerente nel sistema di riferimento dell’elettrone, se ne deduce che lo spettro della radiazione diffusa `e una convoluzione di quello solare con un profilo avente una larghezza tipica ∆λ dell’ordine di ∆λ = λ

vt . c

˚, ∆λ  90 A ˚ e le righe di Col valore di vt dato prima si ottiene, a 5000 A Fraunhofer, aventi larghezze tipiche dell’ordine al massimo di 1 ˚ A, scompaiono nello spettro diffuso. Le caratteristiche di polarizzazione confermano questo scenario in quanto la diffusione Thomson `e fortemente polarizzata (addirittura al 100% nel caso di una diffusione a 90◦ ). Naturalmente, tali valori limite non vengono mai raggiunti nell’osservazione della corona in quanto, in primo luogo, la radiazione che illumina un singolo elettrone proviene da tutto un cono e non da un punto singolo e, inoltre, la corona `e estesa e non limitata al piano del cielo. Da osservazioni sistematiche della corona K `e possibile risalire alla densit` a elettronica nella corona. Studi di questo tipo sono stati eseguiti da vari ricercatori, soprattutto da H.C. Van de Hulst, verso la fine degli anni 1940. Considerando la media di varie osservazioni di eclisse, e assumendo la simmetria sferica (un’approssimazione estremamente brutale destinata a fornire solo stime di ordine di grandezza), si trova che la densit` a elettronica in corona, ne , decresce con la distanza dal centro solare, r, secondo una legge empirica del tipo   1.55 2.99 + 16 , ne (ρ) = C ρ6 ρ dove C = 108 cm−3 , e dove ρ=

r . R

Come ordine di grandezza si ha quindi che la densit`a elettronica (in unit`a di cm−3 ), `e dell’ordine di 5 × 108 alla base della corona, e diminuisce di due ordini di grandezza a una distanza dalla superficie pari a circa 1.8 raggi solari. - La corona F (da Fraunhofer) domina a distanze dal disco superiori a, grosso modo, 2 - 3 raggi solari ed `e concentrata soprattutto nel piano dell’eclittica (che praticamente coincide col piano equatoriale del Sole). Lo spettro mostra

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CAPITOLO 5

Riga

Lungh. d’onda

Ione

Configurazione

verde gialla rossa infrarossa

5302.9 ˚ A 5694.5 ˚ A 6374.5 ˚ A 10746.9 ˚ A

FeXIV CaXV FeX FeXIII

3s2 3p 2s2 2p2 3s2 3p5 3s2 3p2

Transizione 2

P3/2 3 P1 2 P1/2 3 P1

− − − −

2

P1/2 P0 2 P3/2 3 P0 3

Tab 5.1. Caratteristiche spettroscopiche delle pi` u importanti righe di emissione coronali a lunghezze d’onda ottiche e del vicino infrarosso. Storicamente, `e interessante osservare che la riga verde, la pi` u intensa, era rimasta per lungo tempo un mistero, tanto da essere attribuita a un ipotetico elemento chiamato “Coronio”. L’interpretazione corretta `e dovuta a B. Edl´ en (1936).

le usuali righe di Fraunhofer e la radiazione `e non polarizzata. Queste caratteristiche portano alla conclusione che la corona F sia dovuta alla diffusione (scattering) Mie della radiazione solare da parte di particelle di polvere. Ovviamente, le particelle di polvere hanno velocit`a molto minori di quelle degli elettroni (assumendo, ad esempio, che un grano di polvere abbia dimensioni dell’ordine di 1 µm e densit` a dell’ordine di 1 g cm−3 , la sua velocit` a termica 5 4 per una temperatura di 10 K `e dell’ordine di 1 cm s−1 ). Inoltre, la diffusione Mie `e molto meno “polarizzante” della diffusione Thomson. - La corona E (o corona di emissione) `e dovuta a un certo numero di righe di emissione che si possono osservare spettroscopicamente. Si tratta di righe di ioni di ordine elevato che si formano a temperature dell’ordine di 106 K. Le pi` u intense di tali righe sono dette rispettivamente la “riga verde”, la “riga gialla” e la “riga rossa”, alle quali bisogna aggiungere un’ulteriore riga del vicino infrarosso che possiamo chiamare “riga infrarossa”. Si tratta inoltre di righe proibite che violano la regola di selezione di Laporte originandosi da transizioni fra livelli energetici appartenenti alla medesima configurazione. Le loro caratteristiche spettroscopiche sono riassunte nella Tab 5.1. Tipicamente tali righe presentano una larghezza Doppler dell’ordine della frazione di 1 ˚ A che, tradotta in temperatura, porta a valori dell’ordine del milione di gradi. La corona pu` o essere osservata in tali righe mediante un coronografo e un filtro a banda stretta. Osservazioni ripetute su un ciclo completo di attivit` a hanno mostrato, gi` a a partire dagli anni 1950, l’esistenza di “buchi coronali”, ovvero di regioni al di sopra dei poli solari dalle quali non proviene emissione. L’esistenza dei buchi coronali `e stata confermata in seguito da osservazioni nei raggi X. 6 5

La temperatura della polvere `e molto minore di quella degli elettroni coronali, il che `e connesso col fatto che essa risulta, per cos`ı dire, “insensibile” ai meccanismi che provocano il riscaldamento coronale. In ogni caso, anche se si assumesse una temperatura di 10 6 K, la velocit` a termica sarebbe sempre trascurabile dal punto di vista dell’effetto Doppler indotto sullo spettro diffuso. 6 Effettivamente le osservazioni in raggi X hanno mostrato che i buchi coronali si vedono

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Fig. 5.10. Immagine di una protuberanza quiescente osservata in Hα il 15 Agosto 1980. Per gentile concessione dell’Observatoire Midi Pyr´ en´ ees, INSU, France.

L’interpretazione delle righe coronali richiede l’applicazione di concetti di nonequilibrio per determinare le abbondanze dei relativi ioni (FeXIV, CaXV, etc.).

5.4 Le protuberanze Le protuberanze sono strutture coronali che vengono tradizionalmente osservate sia in eclisse che per mezzo di coronografi, e che appaiono luminose sul fondo del cielo. Sebbene esse siano visibili anche in luce bianca, le migliori ` stato determinato ormai da osservazioni si ottengono mediante filtri in Hα. E lungo tempo che le protuberanze possono essere osservate anche sul disco solare mediante spettroeliogrammi o filtrogrammi. In tal caso esse si manifestano come filamenti e sono particolarmente appariscenti ancora in Hα. Dal punto di vista fisico non c’`e quindi alcuna differenza fra protuberanze e filamenti. Il fatto che esistano due nomi diversi per indicare lo stesso oggetto `e un retaggio storico che serve soltanto a sottolineare la modalit` a di osservazione. Una protuberanza particolarmente spettacolare `e mostrata nella Fig. 5.10. Osservazioni morfologiche delle protuberanze, succedutesi nel corso degli anni, hanno portato alla classificazione di tali oggetti in due gruppi distinti: le “protuberanze quiescenti” e le “protuberanze eruttive”. Le prime sono anche sul disco solare, non solo al di sopra dei poli.

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CAPITOLO 5

molto stabili e risultano visibili (eventualmente sotto la forma di filamenti) per lunghi periodi di tempo, anche dell’ordine di due o pi` u settimane, durante il quale alterano di poco la loro forma. Le altre invece sono caratterizzate da un’improvvisa scomparsa che avviene in un periodo di tempo dell’ordine di poche ore. L’analogo fenomeno, osservato sul disco, consiste in un’improvvisa scomparsa del filamento ed `e chiamato “disparition brusque”. Le protuberanze mostrano nella maggior parte dei casi una struttura grosso modo ad arco diretta generalmente lungo i paralleli solari. Le dimensioni tipiche sono dell’ordine di 200,000 km nel senso della lunghezza e 5,000 km nel senso trasversale. L’arco `e ancorato alla fotosfera ai suoi due estremi, detti “piedi” della protuberanza, e si innalza nella parte centrale ad altezze tipiche dell’ordine di 30,000 km (40 secondi d’arco). Analisi statistiche compiute sui filamenti mostrano che la protuberanza (il filamento) si forma lungo una cosiddetta “linea neutra fotosferica”, ovvero quella linea, osservabile per mezzo di magnetogrammi, che separa una zona della superficie solare dove il campo magnetico presenta una data polarit`a dalla zona con polarit` a opposta. Immaginando di porci a cavallo di una protuberanza guardando lungo l’arco, il campo magnetico fotosferico `e positivo a destra e negativo a sinistra, o viceversa. Gli spettri delle protuberanze contengono numerosissime righe spettrali in emissione fra le quali le pi` u prominenti sono la Hα, la Hβ, la riga detta7 D3 ˚ dell’Elio neutro a 5876 A e le righe D1 e D2 del Sodio neutro. Le righe si originano per diffusione di risonanza della radiazione solare e presentano in generale una debole quantit` a di polarizzazione lineare (dell’ordine della frazione del percento) che pu` o essere opportunamente utilizzata per misurare il campo magnetico per mezzo di analisi dettagliate basate sull’effetto Hanle8 . L’analisi spettroscopica mostra che il plasma presente nelle protuberanze `e relativamente freddo, con temperature cinetiche dell’ordine di 10,000 K, e relativamente denso (rispetto al plasma coronale circostante) con densit`a tipiche dell’ordine di 10 11 – 1012 particelle per cm3 . Il fenomeno delle protuberanze solleva ovviamente il problema della loro stabilit` a. L’interrogativo che ci si pone `e quello di comprendere come il plasma coronale possa rimanere per cos`ı dire “sospeso” nella corona senza precipitare sulla superficie del Sole. Schematizzando la sezione trasversale della protuberanza come una struttura avente un’altezza h dell’ordine di 104 km, al fine che tale struttura possa “galleggiare” nella corona sarebbe necessario che fra la base inferiore della protuberanza e quella superiore esistesse una variazione di pressione ∆P tale che ∆P  ρ g h , 7 8

La denominazione deriva dal fatto che nello spettro essa si trova vicina alle righe D del Na.

Per un approfondimento di questo argomento, si veda E. Landi Degl’Innocenti & M. Landolfi, Polarization in Spectral Lines, Kluwer, Dordrecht, 2004.

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a

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b

Fig. 5.11. Possibili realizzazioni delle linee di forza del campo magnetico capaci di equilibrare la forza di gravit` a che agisce sulla protuberanza (la cui sezione trasversale `e schematizzata come un’ellisse di densit` a omogenea). Nel caso (a) il campo `e orizzontale e di intensit` a decrescente con l’altezza. Nel caso (b) le linee di forza hanno una forma a cunetta.

dove ρ `e la densit` a della protuberanza. Tipicamente tale densit`a `e dell’ordine di 1011 mH , con mH massa dell’atomo di Idrogeno, il che porta a un valore dell’ordine di 1.7 × 10−13 g cm−3 . Ricordando il valore di g si ottiene allora ∆P  5 barie, un valore che `e quasi due ordini di grandezza maggiore della pressione che si ha in corona ai livelli delle protuberanze9 . La risposta all’equilibrio delle protuberanze va cercata nel campo magnetico, pensando che le protuberanze siano sede di intense correnti elettriche e che la forza di gravit` a sia compensata dalla forza di Lorentz che agisce su tali correnti. In formule, con simboli evidenti 1  j×B =0 , c e tenendo conto dell’equazione di Amp`ere ρ g +

1  ×B  =0 . rotB 4π Questa equazione permette di dare una stima di ordine di grandezza del valore del campo magnetico nelle protuberanze. Se si indica con HB la dimensione   tipica su cui varia il campo magnetico entro la protuberanza, si ha |rotB| B/HB , e si ottiene ρ g +

B 9

 4π ρ g HB .

Tale pressione pu` o essere stimata attraverso l’equazione P = nk B T , con n numero di particelle per unit` a di volume. Ricordando i risultati enunciati nel paragrafo precedente e assumendo n  2ne  109 cm−3 e T  106 K, si ottiene P  0.1 barie.

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CAPITOLO 5

Assumendo ρ = 1.7×10−13 g cm−3 e HB  10, 000 km, le dimensioni trasversali tipiche della protuberanza, si ottiene B  10 G. Da questo valore si pu` o poi risalire alla densit` a di corrente e da questa alla corrente totale, I, che fluisce nella protuberanza. Come ordine di grandezza si ottiene  3 ρ g  HB 1 2 c B HB  c , I  j HB  4π 4π ovvero, in termini numerici I  2 × 1019 u.e.s.  6 × 109 A . Ovviamente questa corrente deve produrre una forza di Lorentz diretta lungo la verticale, il che porta a delle strette implicazioni sulla geometria del campo magnetico. Introducendo un sistema di assi cartesiani con l’asse x diretto lungo la direzione trasversale della protuberanza, l’asse y lungo la direzione longitudinale, e l’asse z lungo la verticale, due possibili realizzazioni del campo magnetico nel volume occupato dalla protuberanza sono quelle descritte dalle  (2) (x ) date, in componenti, da10  (1) (x ) e B funzioni B  (1) (x ) = (A − Bz, 0, 0) , B

B (2) (x ) = (A , 0 , Bx) ,

con A e B costanti. Nel primo caso il campo magnetico `e orizzontale e decresce con l’altezza, mentre nel secondo caso le linee di forza delineano una forma “a cunetta” che resta invariata con l’altezza, come illustrato nella Fig. 5.11. La densit` a di corrente che corrisponde a tali campi `e facilmente ottenuta valutandone il rotore e risulta, in entrambi i casi j (x ) =

c (0, −B, 0) . 4π

La corrente `e quindi diretta lungo l’asse maggiore della protuberanza in maniera  k) formino, in quest’ordine, una terna destra. Andando infine a tale che (j, B, calcolare la forza di Lorentz per unit` a di volume, si ottiene un vettore che `e diretto lungo la verticale e che vale, in modulo (A − Bz)B/(4π) nel primo caso, e AB/(4π) nel secondo. Tale forza sostiene la protuberanza e le impedisce di cadere sulla superficie solare. I modelli di campo che abbiamo qui esposti devono essere semplicemente considerati come delle sorte di “schizzi” che delineano la fisica di base dell’equilibrio di una protuberanza11 . Essi mostrano, in ogni caso, l’importanza del ruolo ` anche ovvio che, poich´e svolto dal campo magnetico in questo contesto. E l’equilibrio della protuberanza dipende criticamente dalla geometria del campo 10 11

= 0. Si noti che entrambi i campi sono tali da sosddisfare la relazione div B

Si pu` o notare, fra l’altro, che le considerazioni sull’equilibrio esposte sopra non sono alte(1) (2) rate dall’aggiunta di componenti By o By arbitrarie ma costanti.

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183

Fig. 5.12. L’immagine mostra due protuberanze eruttive osservate nella riga dell’Elio ionizzato a 304 ˚ A (si veda anche l’inserto a colori). Per gentile concessione del Consorzio SOHO/EIT. SOHO ` e un progetto di cooperazione internazionale fra le Agenzie NASA ed ESA.

magnetico, esso possa essere destabilizzato, ad esempio, dall’emersione in superficie di una regione attiva in prossimit` a della protuberanza stessa. Fenomeni di questo tipo sono probabilmente alla base dell’eruzione delle protuberanze e degli associati eventi che si osservano in corona e che sono detti eruzioni di massa coronale (Coronal Mass Ejections, CME), di cui parleremo in seguito (si veda il Par. 5.11). La Fig. 5.12 mostra due protuberanze osservate dalla sonda SOHO durante la fase di eruzione. Bisogna infine sottolineare il fatto che le protuberanze sono tutt’altro che omogenee. Al contrario, esse presentano un’elevata struttura fine. Il materiale appare concentrato in una sorta di filamenti sottili lungo i quali vengono osservati dei movimenti discendenti che danno l’impressione di una “pioggia” o di un “tendaggio”. Una spettacolare immagine di una protuberanza osservata “di faccia” `e mostrata nella Fig. 5.13.

5.5 La corona X ` indubbio che un plasma che si trovi a temperature dell’ordine di 106 K E emetta radiazione molto energetica con lunghezze d’onda tipiche dell’ordine del centinaio di ˚ A e, in effetti, il fatto che esistesse emissione di raggi X e

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Fig. 5.13. Protuberanza osservata all’osservatorio di Big Bear (presso Los Angeles) il 27 Gennaio 1997. Si noti la struttura filamentare che ricorda un “tendaggio”. Per gentile concessione del Big Bear Solar Observatory.

di altre particelle energetiche da parte del Sole era noto indirettamente ancor prima dell’avvento di palloni sonda, razzi o satelliti capaci di superare gli strati pi` u elevati dell’atmosfera terrestre, strati nei quali i raggi X vengono assorbiti. Tali evidenze indirette erano soprattutto basate su osservazioni di raggi cosmici e sulla loro modulazione col ciclo solare. Bisogna tuttavia attendere gli inizi degli anni 1970 per avere delle conoscenze pi` u dettagliate dell’emissione X solare. Questo `e reso possibile non solo dall’avvento dei satelliti artificiali ma anche dallo sviluppo di un nuovo strumento caratteristico della fisica solare, ovvero il telescopio Wolter a raggi X. I telescopi Wolter sono del tipo a incidenza radente e questa caratteristica `e resa assolutamente necessaria nel caso dei raggi X in quanto tali raggi sono assorbiti da qualsiasi superficie, sia metallica che dielettrica, per angoli di incidenza superiori a un angolo critico di circa 1◦ . Attraverso un telescopio Wolter `e stato possibile ottenere immagini in raggi X della corona solare a partire dal 1973, anno del lancio della missione Skylab. Una di tali immagini `e mostrata nella Fig. 5.14, insieme a un’immagine pi` u recente, a miglior risoluzione, ottenuta dal satellite giapponese Yohkoh. Le immagini del Sole in raggi X rivelano l’esistenza di strutture brillanti a forma di arcate che delineano le linee di forza del campo magnetico. Le arcate sono in genere chiuse, ma esistono frequenti contro-esempi in cui esse sono aperte. Al contrario, esistono anche ampie regioni in cui non si ha praticamente

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Skylab

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Yohkoh

Fig. 5.14. Queste due immagini del Sole in raggi X molli (3-60 ˚ A) sono state ottenute dalle missioni Skylab e Yohkoh a distanza di quasi vent’anni (31 Maggio 1973 e 8 Maggio 1992, rispettivamente). In entrambe le immagini, riprodotte anche nell’inserto a colori, `e ben visibile la presenza di un buco coronale. Per gentile concessione della American Space and Engineering Inc. e dello Yohkoh Team.

emissione coronale. Queste regioni, che appaiono scure nelle immagini, sono chiamate “buchi coronali” (coronal holes) e si trovano prevalentemente sui poli del Sole, anche se in molti casi possono estendersi fino all’equatore. Analisi dettagliate delle immagini rivelano che non esistono grosse differenze di temperatura fra i due tipi di regioni ma che la differenza di emissione `e semplicemente dovuta alla densit`a. L’emissione di raggi X `e infatti sostanzialmente dovuta alla radiazione di frenamento (bremsstrahlung) la quale `e proporzionale al quadrato della densit` a. Un rapporto di densit` a dell’ordine di un fattore 10 porta a un contrasto di un fattore 100 nell’emissione. Tipicamente, a un’altezza di circa un raggio solare la densit` a elettronica `e dell’ordine di 3 × 10 6 cm−3 5 nelle regioni brillanti e di 2 × 10 cm−3 nei buchi coronali. L’analisi della corona in raggi X continua al giorno d’oggi con la messa in operazione di strumenti sempre pi` u sofisticati. Notevoli, da questo punto di vista, sono i risultati ottenuti dal satellite Trace, un esempio dei quali `e mostrato nella Fig. 1.4. Aumentando la risoluzione, gli archi coronali appaiono come strutture estremamente fini e sembra che essi risultino scaldati alla base della corona.

5.6 Campi magnetici coronali Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, il campo magnetico svolge un ruolo fondamentale nella fisica della corona. Tuttavia, la conoscenza che oggi abbiamo dei campi magnetici coronali `e molto ridotta. Ovviamente, le immagini della corona, ottenute sia nel visibile, che nell’ultravioletto, che in raggi X,

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sono capaci di dare delle informazioni qualitative sulla topologia a grande scala di tali campi. Ma l’assoluta mancanza di misure quantitative dell’intensit` a del campo magnetico costituisce tuttora un serio handicap per la comprensione dei meccanismi fisici coronali12 . Esiste tuttavia una tecnica indiretta per la determinazione dei campi magnetici coronali che consiste nell’estrapolazione alla corona dei campi magnetici fotosferici misurati attraverso i magnetografi. Tale tecnica `e illustrata nel seguito. In prima approssimazione, si pu` o supporre che in corona non si abbiano correnti elettriche, cosicch´e, essendo  =0 , rotB si pu` o porre  = −grad φ , B e il vettore campo magnetico, chiamato in questo caso “campo magnetico potenziale”, pu` o essere dedotto per mezzo di calcoli analoghi a quelli dell’elettrostatica elementare. Consideriamo un’area limitata della superficie solare avente dimensioni molto minori del raggio solare e che possa quindi essere trattata come piana, e supponiamo di avere un magnetogramma della regione stessa. Introducendo un sistema di riferimento (x, y, z) con l’asse z diretto lungo la verticale, il magnetogramma fornisce, in funzione di x e y, la componente Bz del campo magnetico alla quota, assunta come z = 0, alla quale si forma la riga magnetografica utilizzata (ad esempio, la riga a 6302.5 ˚ A del FeI). Al fine del calcolo del campo magnetico nella regione z > 0, tale componente pu` o essere messa in relazione con una densit`a superficiale fittizia di “monopoli magnetici”, σm , data dall’espressione σm =

1 Bz . 2π

In un punto arbitrario della corona avente coordinate r, il campo magnetico `e allora dato dall’equazione    Bz (r  )   r ) = −grad 1 dΣ B( , 2π |r − r  | dove r  `e la coordinata di un punto appartenente al piano z = 0, e dove l’integrale va esteso al piano stesso13 . Questa equazione rappresenta quindi 12

Una possibile tecnica per misurare i campi magnetici coronali consiste nell’osservazione della polarizzazione di risonanza delle righe della serie di Lyman e nella relativa interpretazione in termini di effetto Hanle. Missioni spaziali per osservazioni spettropolarimetriche solari nell’UV sono state proposte sia all’agenzia spaziale europea (ESA, European Space Agency) che a quella americana (NASA, National Aeronautic and Space Agency). 13 In pratica, l’integrale viene esteso alla superficie coperta dal magnetogramma.

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Fig. 5.15. Estrapolazione del campo magnetico coronale ottenuta per mezzo di osservazioni magnetografiche. Il campo magnetico in corona `e supposto potenziale (α = 0). La scala ` e in Mm.



























































una sorta di “ricetta” attraverso la quale si pu` o risalire dal campo fotosferico a quello coronale. L’approssimazione del campo potenziale `e comunque piuttosto restrittiva in quanto essa implica che non esistano correnti elettriche nella corona. Un’ipotesi migliore `e quella in cui si assume che le correnti possano fluire solo lungo le linee di forza del campo magnetico in maniera da non esercitare alcuna forza sul plasma coronale. In questo modo si ottiene un campo magnetico cosiddetto “force-free” caratterizzato da un’espressione della forma  = αB  , rotB dalla quale si ottiene, applicando l’operatore divergenza a entrambi i membri  · grad α = 0 . B Questa equazione implica che la quantit`a α `e costante lungo una qualsiasi linea di forza. Il campo magnetico force-free pu`o essere calcolato solo se, oltre a conoscere la componente Bz a z = 0, `e noto anche il valore di α in corrispondenza del “piede” di ciascuna linea di forza e, poich´e α `e costante lungo la linea di forza, si pu` o assegnare un valore indipendente solo a un estremo di una linea chiusa. D’altra parte, considerando la componente verticale dell’equazione che definisce α, si ha   1 ∂By ∂Bx α= − . Bz ∂x ∂y

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CAPITOLO 5

Il valore di α pu` o quindi essere ottenuto misurando sia Bz che le componenti orizzontali, Bx e By , del campo magnetico in funzione delle coordinate, e differenziando in seguito quest’ultime. La difficolt` a maggiore risiede non solo nella misura delle componenti trasversali del campo, ma anche nell’alta risoluzione necessaria per poter eseguire le operazioni di derivazione sulle quantit` a misurate. I tentativi di calcolare i campi coronali nell’approssimazione force-free sono perci`o basati su valori di α assunti, pi` u che misurati. In particolare, si ipotizza spesso che α sia costante su tutta la superficie osservata. Un esempio di estrapolazione `e mostrato nella Fig. 5.15. Le tecniche di estrapolazione dei campi magnetici fotosferici alla corona, sebbene molto interessanti, sono ben lontane dal dare una descrizione soddisfacente del campo coronale in quanto, soprattutto quando si vanno a considerare zone della corona che si trovano ad altezze paragonabili col raggio solare, solo in pochi casi si trova che le linee di forza dei campi estrapolati vengono a coincidere con quelle che sono delineate dalle srutture coronali visibili nelle immagini. Si ritiene oggi che questo sia prevalentemente dovuto alla mancanza di risoluzione spaziale dei magnetografi attualmente disponibili.

5.7 Il vento solare Come abbiamo gi` a sottolineato nel capitolo introduttivo, l’esistenza del vento solare era stata gi` a messa in evidenza attraverso lo studio delle code delle comete, ma bisogna attendere il 1962, anno del lancio della sonda 14 Mariner 2, per averne una conferma diretta attraverso misure in situ. I dati raccolti da tale sonda rivelano l’esistenza di un flusso continuo ma variabile di particelle di provenienza solare. I maggiori costituenti del vento sono elettroni e protoni, oltre a particelle α a livello di circa 3-4 % dei protoni. Il vento fluisce con a mostra velocit` a comprese fra 400 e 700 km s−1 e lo studio della sua variabilit` delle caratteristiche ricorrenze a intervalli di tempo dell’ordine di 27 giorni (periodo della rotazione solare). Da allora, le propriet` a del vento solare sono state ampiamente studiate da vari satelliti e sonde spaziali, soprattutto in prossimit` a della Terra, ovvero a distanze dal Sole dell’ordine di 1 UA. Alcune sonde15 si sono spinte a misurare le propriet` a del vento a circa 0.3 UA trovando un vento circa 10 volte pi` u denso ma sostanzialmente della stessa velocit`a. Infine, in tempi pi` u recenti, la sonda Ulysses si `e spinta a misurare le propriet` a del vento solare al di fuori del piano dell’eclittica e, in particolare, al di sopra dei poli del Sole, producendo risultati molto interessanti quali quelli sintetizzati nella Fig. 5.16. 14

In effetti la sonda Mariner 2 era destinata allo studio del pianeta Venere. I dati sul vento solare furono raccolti, per cos`ı dire, en passant durante il viaggio dalla Terra a Venere. 15 Si tratta delle sonde Helios 1 e Helios 2 lanciate rispettivamente nel 1974 e 1976.

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N

 

























































































































 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 











 



500 km/s

 

























































































 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 













 











 



S

 







































 



 

 

















 

















 



 

 



 



 

 

 

 

 



























































































































































 















































































































































































































































































































 



 

 



 







 

































































































































































 

























































































































































 

































































































































































 

 







 







 





Fig. 5.16. In questa illustrazione composita `e riportata, soto forma di diagramma polare, la velocit` a del vento solare, misurata dalla sonda Ulysses in un periodo di minimo, in funzione della latitudine solare. La velocit` a del vento ` e praticamente costante e dell’ordine di circa e pi` u bassa e molto pi` u variabile in 750 km s−1 ad alte latitudini solari (|φ| > 30◦ ) mentre ` corrispondenza delle basse latitudini. Al grafico della velocit` a ` e sovrapposta un’immagine della corona. 



























































































































































































































































































































Raccogliendo in un unico schema le varie propriet` a misurate nel corso degli anni, si distingue oggi il vento solare in “vento veloce” (high-speed wind) e “vento lento” (low-speed wind). Il vento veloce, che viaggia a circa 750 km s −1 a 1 UA, si origina dalle zone coronali che presentano una topologia magnetica con le linee di forza aperte, tipicamente le regioni ad alte latitudini e i buchi coronali. Il vento lento, con velocit`a tipiche dell’ordine di 400 km s−1 , si origina da zone coronali a bassa latitudine dove le linee di forza del campo magnetico sono chiuse. A Terra, trovandoci sul piano dell’eclittica e quindi a bassa latitudine, siamo prevalentemente investiti dal vento lento, anche se si pu` o occasionalmente sperimentare il vento veloce in corrispondenza del passaggio di un buco coronale di bassa latitudine lungo la direzione Sole-Terra16. Attraverso misure in situ `e anche possibile ottenere importanti informazioni su ulteriori propriet` a del vento solare, quali la composizione chimica, il campo magnetico e la temperatura. Rispetto a quest’ultimo parametro bisogna specificare che per temperatura si intende la temperatura cinetica, ovvero la temperatura quale dedotta dalla distribuzione delle velocit` a delle particelle intorno 16

Assumendo la velocit` a di 750 km s−1 , il tempo di percorrenza della distanza Sole-Terra ` e pari a 2 × 105 s, ovvero circa 2.3 giorni. Il vento veloce arriva quindi a Terra con questo ritardo rispetto al passaggio del buco coronale.

190

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alla velocit`a media (la quale definisce ovviamente la velocit`a del vento). Temperature tipiche del vento veloce sono dell’ordine di 2 × 105 K per i protoni a 1 UA e di 5 × 105 K sempre per i protoni a 0.3 UA. Uno dei risultati pi` u importanti delle analisi di composizione chimica del vento solare `e oggi noto sotto il nome di “effetto FIP” (FIP effect, dove FIP sta per First Ionization Potential, primo potenziale di ionizzazione). Tale effetto consiste nel fatto che gli ioni degli elementi aventi il primo potenziale di ionizzazione minore di 10 eV (elementi di basso FIP) hanno nel vento solare un’abbondanza relativamente all’Idrogeno pi` u alta di un fattore circa uguale a 4 rispetto all’abbondanza fotosferica. Tale anomalia non si riscontra invece per gli ioni degli elementi aventi primo potenziale di ionizzazione maggiore di 10 ` probabile che l’effetto FIP, le cui cause fisiche non eV (elementi di alto FIP). E sono ancora ben comprese, costituisca uno dei concetti chiave per comprendere il meccanismo responsabile della produzione del vento solare.

5.8 Modelli teorici della corona Come abbiamo visto, la corona solare `e un sistema estremamente complesso. Possiamo tuttavia tentare di darne una seppur grossolana descrizione attraverso un semplice modello fisico supponendo, in prima approssimazione, che la corona sia statica e a simmetria sferica. Questo implica che si trascura completamente il campo magnetico e che le quantit` a termodinamiche fondamentali, densit` a, pressione e temperatura dipendono soltanto dalla coordinata r misurata a partire dal centro del Sole. Sotto queste ipotesi, l’equilibrio meccanico della corona implica che deve essere soddisfatta l’equazione dell’equilibrio idrostatico, ovvero dP (r) GM ρ(r) + =0 , dr r2 dove P `e la pressione, ρ `e la densit` a, G la costante della gravitazione, e M  la massa del Sole. D’altra parte, la pressione e la densit`a possono essere collegate fra loro attraverso l’equazione di stato dei gas perfetti. Si ha ρ(r) kB T , µ mH dove kB `e la costante di Boltzmann, T `e la temperatura, µ `e il peso molecolare medio, e mH `e l’unit` a di peso atomico. Eliminando ρ fra le due equazioni si ottiene P (r) =

dP (r) G M µ mH P (r) =− . dr kB T r2 La combinazione di costanti che appare come primo fattore a secondo membro ha le dimensioni di una lunghezza. Poniamo allora

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G M  µ mH = rc . kB T Questa quantit` a rappresenta la distanza “critica” dal Sole alla quale una particella “media” del gas che compone la corona solare ha un’energia gravitazionale paragonabile all’energia termica. Con questa posizione, l’equazione differenziale per la pressione risulta rc dP (r) = − 2 P (r) , dr r e, per separazione di variabili, si ottiene dP (r) rc = − 2 dr . P (r) r Supponiamo in un primo momento che la quantit` a rc sia costante, il che implica, ricordandone la definizione, che il rapporto µ/T sia costante. D’altra parte, poich´e il plasma coronale `e in prima approssimazione un plasma di puro idrogeno completamente ionizzato, il peso molecolare medio `e effettivamente costante e circa uguale a 12 (o di poco superiore). Supporre che rc sia costante equivale quindi a supporre che la corona sia isoterma. Sotto questa ipotesi l’equazione differenziale per P (r) pu` o essere facilmente integrata per dare rc +C , r a alla dove C `e una costante di integrazione. Se indichiamo con P0 la densit` base della corona, si ottiene ln[P (r)] =

C = ln P0 −

rc , R

ovvero    rc rc − P (r) = P0 exp − . R r Da questa equazione si deduce che, per r → ∞, si ha   rc . P∞ = lim P (r) = P0 exp − r→∞ R Nel caso solare, assumendo T = 106 K, µ = 0.5, e sostituendo i valori di G, mH , e kB , si ottiene rc  8.0 × 1011 cm, ovvero rc  11.5 R . Applicando l’equazione per P∞ , si ottiene allora   rc P∞ = P0 exp −  10−5 P0 . R

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CAPITOLO 5

D’altra parte, poich´e P e ρ sono proporzionali (essendo T = cost.), per la densit` a vale un’equazione analoga, ovvero   rc  10−5 ρ0 . ρ∞ = ρ0 exp − R Ma questo valore di ρ∞ `e troppo grande per essere realistico. Assumendo che alla base della corona si abbia una densit` a numerica di particelle dell’ordine di 109 cm−3 , il che d` a ρ0  8×10−16 g cm−3 , si troverebbe una densit` a all’infinito dell’ordine di 10−20 g cm−3 che `e circa 4 ordini di grandezza maggiore della densit` a tipica del mezzo interstellare ( 10−24 g cm−3 ). Da queste considerazioni si deduce quindi l’impossibilit` a dell’esistenza di una corona statica isoterma. Le cose non risultano molto migliori qualora si abbandoni l’ipotesi della isotermicit`a e si supponga invece, cosa che `e sicuramente pi` u realistica, che la temperatura diminuisca nella corona con l’aumentare della distanza dal centro del Sole. Un modello particolarmente semplice per stimare l’andamento della funzione T (r) `e quello di supporre che il riscaldamento avvenga sostanzialmente alla base della corona e che la corona esterna sia mantenuta a temperature elevate dal trasporto di energia per conduzione termica. Nel Par. 4.1 abbiamo visto come sia possibile stimare la conducibilit` a elettrica del plasma solare. Argomenti simili possono essere ripetuti riguardo alla conducibilit` a termica, κt , che risulta, come ordine di grandezza  7T5 1 kB κt  , m Ze40 dove Z `e il valore medio del numero di carica degli ioni che compongono il plasma (Z  1 nel caso solare). Il flusso di energia termica nella corona `e allora dato dall’espressione F = −κt grad T , e il flusso totale attraverso la sfera di raggio r, che indichiamo con F, risulta dT . dr Se la deposizione di energia nella corona avviene alla base della corona stessa, F deve essere costante e, sostituendo l’espressione per κt si ottiene F = −4πr2 κt

dT = −C , dr dove C `e una costante positiva data da  Fe40 m C= 7 . 4π kB r2 T 5/2

` ESTERNI DELL’ATMOSFERA SOLARE GLI STRATI PIU

193

L’equazione differenziale per T pu` o essere facilmente integrata per separazione di variabili. Si ha   7 C 1 7/2 d = d T , 2 r che, integrata fra r e ∞ con l’ulteriore ragionevole ipotesi T (∞) = 0, porta alla soluzione  T (r) =

7C 2

2/7

r−2/7 .

La temperatura ha quindi un andamento lentamente decrescente con r. India stata cando con T0 la temperatura alla base della corona (dove l’energia `e gi` depositata), l’equazione precedente pu`o anche essere posta nella forma  T (r) = T0

R r

2/7 ,

e si ottiene la relazione fra il flusso di energia in corona e la temperatura T 0 attraverso la relazione  T0 =

7C 2 R

2/7

1 = kB



√ 2/7 7 F e40 m , 8π R

la quale, invertita, d` a 8π R F= 7 e40



(kB T0 )7 . m

Assumendo per T0 la temperatura di 106 K e sostituendo i valori delle varie costanti, si ottiene F  5 × 1027 erg s−1 , ovvero un flusso di energia pari a circa un milionesimo della luminosit` a solare17 . Riprendiamo adesso l’equazione differenziale per la densit` a in corona e teniamo conto del risultato ottenuto per l’andamento della temperatura con r. L’equazione differenziale per P (r) risulta dP (r) G M µ mH P (r) = −r0 =− dr kB T (r) r2 17



r R

2/7

P (r) , r2

Si noti che questa stima dipende fortemente dal valore assunto per T0 . Con T0 = 2 × 106 si ottiene F  6 × 1028 erg s−1 .

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CAPITOLO 5

dove abbiamo posto18 r0 =

G M  µ mH . kB T0

L’equazione differenziale pu`o di nuovo essere risolta per separazione di variabili. Si ottiene ln[P (r)] =

r0 7 +C , 2/7 5 R r5/7

con C costante di integrazione, e indicando al solito con P0 la pressione alla base della corona, si arriva all’espressione 

 7 r0 1 1 P (r) = P0 exp − − 5/7 . 2/7 5/7 5 R r R Come si vede, questa espressione d`a per P∞   7 r0 P∞ = P0 exp − , 5 R ovvero, numericamente P∞  10−7 P0 . Di nuovo, anche per la corona statica a temperatura variabile si ottiene un valore della pressione che non si annulla all’infinito. Fra l’altro, questo `e fisicamente inconsitente col fatto che la temperatura si annulla all’infinito e ne risulterebbe quindi, sempre all’infinito, una densit` a tendente a infinito. In base a queste considerazioni, l’ipotesi di una corona statica deve essere abbandonata e bisogna invece passare a teorie che coinvolgano un equilibrio dinamico della corona. Il problema teorico `e stato risolto brillantemente dal fisico americano E. Parker nel 1958. La sua teoria `e illustrata nel paragrafo seguente.

5.9 La teoria di Parker del vento solare Per ovviare alle contraddizioni insite nel modello della corona statica, si introduce una corona dinamica in equilibrio stazionario, sempre per` o mantenendo, per semplicit` a, le ipotesi della simmetria sferica, dell’isotermicit`a, e 18

Si noti che la quantit` a r0 qui introdotta coincide con la quantit` a rc , introdotta precedentemente, quando si assuma che la temperatura costante, T , nel modello della corona isoterma sia uguale a T0 , la temperatura alla base della corona nel modello della corona a T variabile.

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η

dη < 0 dξ

dη > 0 dξ

dη > 0 dξ

dη < 0 dξ

1

0 1

0

ξ

Fig. 5.17. Il segno della derivata dη/dξ ` e positivo nei due quadranti in alto a destra e in basso a sinistra. Il segno `e negativo negli altri due quadranti. Lungo la retta ξ = 1 la derivata ` e nulla, mentre lungo la retta η = 1 la derivata tende a infinito.

della costanza del peso molecolare medio. Indicando con v(r) la velocit`a del gas coronale alla distanza r, l’equazione dell’equilibrio idrostatico viene sostituita dall’equazione della dinamica ρ(r)v(r)

dP (r) GM ρ(r) dv(r) =− − , dr dr r2

alla quale si aggiunge l’equazione di continuit` a (o di conservazione della massa) * dFmat d ) 4πr2 ρ(r) v(r) = 0 , = dr dr dove Fmat `e il flusso di materia, costante con r. Le due equazioni possono essere combinate e unite alla solita equazione di stato dei gas perfetti per ottenere un’unica equazione per v(r). Con l’equazione dei gas perfetti si connettono P (r) e ρ(r) kB T dρ(r) dP (r) = . dr µ mH dr Dall’equazione di continuit` a si ha poi 2rρ(r)v(r) + r2 dalla quale si ottiene

dρ(r) dv(r) v(r) + r2 ρ(r) =0 , dr dr

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ρ(r) dv(r) 2 dρ(r) =− − ρ(r) . dr v(r) dr r Sostituendo poi nell’equazione della dinamica e dividendo per ρ(r) si ottiene infine   kB T 1 dv(r) 2 dv(r) GM = + . v(r) − dr µmH v(r) dr r r2 a al quadrato. A parte La quantit` a kB T /(µmH ) ha le dimensioni di una velocit` un fattore γ (= cp /cv ) essa rappresenta il quadrato della velocit`a del suono nella corona. Ponendo kB T = c2c , µmH e ricordando la definizione della distanza critica, rc , data precedentemente, l’equazione dinamica si scrive nella forma (equazione di Parker)     dv(r) rc c2c 2 2 = cc − 2 . v(r) − v(r) dr r r Questa equazione pu` o essere messa in forma adimensionale introducendo le variabili η=

v(r) , cc

ξ=

2r . rc

Con un po’ di algebra si ottiene     1 dη 1 1 . η− =2 − 2 η dξ ξ ξ Discutiamo adesso questa equazione osservando il comportamento della derivata η  = dη/dξ nel piano (ξ, η). Il segno di tale derivata `e rappresentato nella Fig. 5.17, dalla quale si evince che le curve η = η(ξ), soluzioni dell’equazione differenziale, sono della forma qualitativamente illustrata nella Fig. 5.18. Dal punto di vista fisico, si comprende che la sola soluzione accettabile `e quella contrassegnata dal tratto in neretto nella stessa figura, per la quale η = 1 quando ξ = 1, ovvero per la quale la velocit` a `e cc quando r = rc /2. L’espressione di tale soluzione si pu` o ricavare integrando per separazione di variabili l’equazione differenziale. Si ottiene 1 2 2 η − ln η = 2 ln ξ + + C , 2 ξ dove C `e una costante di integrazione il cui valore si ottiene imponendo che η(1) = 1. Questo d` a

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η

1

0 0

ξ

1

Fig. 5.18. Andamento schematico delle soluzioni dell’equazione differenziale. L’unica soluzione fisica `e quella disegnata in grassetto la quale rappresenta una velocit` a nulla nell’origine e non nulla all’infinito.

1 2 2 3 η − ln η = 2 ln ξ + − . 2 ξ 2 Dato ξ, il valore di η si ottiene risolvendo questa equazione trascendente. Si pu` o mostrare che, ponendo A = 4 ln ξ +

4 −3 , ξ

la soluzione `e data dalle espressioni ricorsive η=

 exp(−A + exp(−A + exp(−A + · · ·))) ,  se η = A + ln(A + ln(A + · · ·)) ,

se

ξ≤1 ,

ξ≥1 .

Il grafico della soluzione `e mostrato nella Fig. 5.19. Possiamo adesso valutare il valore di v(r) (che rappresenta la velocit`a del vento solare) alla distanza di un’unit` a astronomica, ovvero alla distanza della Terra dal Sole. Assumendo T = 106 K e µ = 0.5, si ha, come abbiamo visto precedentemente, rc = 8.0 × 1011 cm. Si ha inoltre, cc = 1.3 × 107 cm s−1 . La a del vento distanza Terra-Sole corrisponde a ξ0  37, e quindi, per la velocit` solare all’altezza della Terra, si ottiene vTerra  130 η(37) km s−1 .

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Fig. 5.19. Andamento della velocit` a del vento solare in coordinate ridotte. Il grafico di destra ` e un dettaglio di quello di sinistra.

Risolvendo l’equazione trascendente si ha η(37)  3.77 , per cui vTerra  490 km s−1 . Analogamente, se si fosse assunto T = 2 × 106 K, avremmo ottenuto rc  4.0 × 1011 cm ,

cc  1.8 × 107 cm s−1 ,

e quindi, essendo η(74)  4.14, vTerra  750 km s−1 . Malgrado la sua semplicit` a, la teoria di Parker fornisce una descrizione soddisfacente del vento solare ed `e fuor di dubbio che essa colga gli aspetti fisici fondamentali di questo complesso fenomeno. Ovviamente la teoria pu`o essere affinata introducendo ulteriori fenomeni nella descrizione teorica, quali la rotazione solare, l’equazione dell’energia (che noi abbiamo semplicemente sostituito con l’ipotesi dell’isotermicit` a), modelli a due o pi` u fluidi, etc. Anche con questi miglioramenti la teoria riesce tuttavia a descrivere con un certo successo soltanto il vento veloce, ovvero quello provienente dalle regioni ad alta latitudine o dai buchi coronali. Per il vento lento le cose sono molto pi` u complicate in quanto nella modellizzazione deve essere introdotto in maniera consistente anche il campo magnetico, il che fa intervenire notevoli difficolt` a.

` ESTERNI DELL’ATMOSFERA SOLARE GLI STRATI PIU

199

5.10 Il riscaldamento della cromosfera e della corona Il fatto che la cromosfera e la corona siano pi` u calde della fotosfera solare `e a prima vista sorprendente e indica che debbano esistere uno o pi` u meccanismi fisici capaci di depositare energia in questi strati dell’atmosfera solare. Prima di interessarci di tali meccanismi, `e per` o opportuno chiedersi quanta sia l’energia necessaria a mantenere calde tali strutture. Un plasma caldo pu` o perdere energia per radiazione, per conduzione, e per convezione e tutti e tre i meccanismi sono in effetti presenti nella cromosfera. Nella corona, invece, le perdite di energia per radiazione sono estremamente ridotte e le considerazioni svolte nei paragrafi precedenti sono sufficienti per poter tracciare un semplice bilancio energetico. Riguardo alla conduzione, abbiamo visto che il plasma coronale `e estremamente efficace nel trasportare energia. Nel Par. 5.8 abbiamo dato una stima del flusso totale conduttivo, F, che risulta compreso fra 5 × 1027 e 6 × 1028 erg s−1 , a seconda del valore assunto per T0 , la temperatura alla base della corona. Il flusso convettivo pu` o essere stimato dai dati del vento solare. Assumendo, alla distanza Sole-Terra, una densit` a numerica n di 4 protoni per cm3 e una −1 velocit` a v di 750 km s , il flusso totale convettivo, Fc , si valuta per mezzo dell’espressione 1 n mH v 3 4πa2 , 2 dove a `e l’Unit`a astronomica. Sostituendo i valori numerici si ottiene un valore Fc  4 × 1027 erg s−1 , che `e dell’ordine della stima pi` u restrittiva del flusso totale conduttivo. Sommando i due contributi, si arriva quindi a concludere che il fabbisogno energetico della corona `e dell’ordine di x × 1028 erg s−1 dove x `e un fattore numerico dell’ordine dell’unit` a19 . Calcoli pi` u complessi, eseguiti per la cromosfera danno per il fabbisogno energetico un valore circa 10 volte pi` u grande, ovvero dell’ordine di qualche unit` a per 1029 erg s−1 . Vari meccanismi fisici sono stati proposti per spiegare il riscaldamento della cromosfera e della corona. Una delle prime proposte `e stata quella delle onde acustiche. Se si considera un’onda acustica piana che partendo dalla fotosfera si propaga verso l’esterno, durante la propagazione deve rimanere costante la quantit` a w, il flusso di energia associata all’onda, dato da Fc =

2 , w = cs ρ vamp

a del suono, ρ `e la densit` a del mezzo in cui si propaga l’onda dove cs `e la velocit` e vamp `e la velocit` a di ampiezza dell’onda stessa. Salendo nella fotosfera, la densit` a diminuisce secondo la legge esponenziale 19

Le stime pi` u recenti danno per x un valore compreso fra 3 e 4. Questo implica che il a solare. fabbisogno energetico della corona `e dell’ordine di 10−5 volte la luminosit`

200

CAPITOLO 5

  z − z0 ρ = ρ0 exp − , H dove z0 `e una quota di riferimento alla quale si ha la pressione ρ0 e dove H `e la scala di altezza. D’altra parte, la velocit` a del suono, dipendendo dalla radice quadrata della temperatura, rimane praticamente costante, per cui la velocit` a di ampiezza cresce con z secondo la legge   z − z0 vamp = (vamp )0 exp . 2H a di ampiezza alla quota z0 . L’aumento esponenziale dove (vamp )0 `e la velocit` della velocit`a di ampiezza fa s`ı che, ad una certa quota, essa uguagli la velocit` a del suono, ovvero la velocit` a di propagazione dell’onda. L’onda si trasforma cos`ı da onda “ordinaria” in onda d’urto e deposita energia nel mezzo per effetti dissipativi dovuti alla viscosit` a del plasma. Si ritiene oggi che le onde acustiche svolgano un ruolo importante nel riscaldamento della cromosfera, ma non nel riscaldamento della corona, per il quale vengono invece invocate le onde di Alfv`en. A proposito di questo tipo di onde `e necessario aprire una parentesi per illustrarne le principali popriet` a fisiche. Consideriamo un plasma a riposo, indefinito e, per semplicit` a, incomprimibile, avente densit`a ρ. Il plasma sia permeato da un campo magnetico uni 0 , e sia descrivibile nell’approssimazione della magneto-idrodinamica. forme, B Le onde di Alfv`en sono delle oscillazioni del plasma che sono accompagnate da oscillazioni di campo magnetico. Le equazioni che regolano la dinamica del plasma sono le seguenti  ∂B ) , = rot (v × B ∂t   dv ∂v j  = 1 (rotB  )×B  . ρ =ρ + v · gradv = × B dt ∂t c 4π La prima equazione `e l’equazione dell’induzione nell’approssimazione della magneto-idrodinamica che abbiamo gi` a discusso nel Par. 4.1. La seconda equazione `e l’equazione di moto del plasma che, nella medesima approssimazione, considera come forza agente sul plasma solo la forza di Lorentz, con la densit`a di corrente, j, riespressa in termini del campo magnetico. A queste equazioni bisogna aggiungere la consueta equazione per il campo magnetico, ovvero  =0 . divB Cerchiamo una soluzione linearizzata ponendo  =B  0 + b , B

` ESTERNI DELL’ATMOSFERA SOLARE GLI STRATI PIU

201

a, essendo il plasma statico, cone supponiamo che sia b  B0 . Per la velocit` sideriamo v come una perturbazione del primo ordine. Le equazioni precedenti, linearizzate al primo ordine, risultano ∂b  0) , = rot(v × B ∂t ρ

∂v 1 0 , = (rot b ) × B ∂t 4π div b = 0 .

Le equazioni possono essere poste in una forma pi` u semplice introducendo le  e θ,  definite da due variabili adimensionali, β  = b , β B0

v θ = , vA

dove la velocit` a vA , detta velocit`a di Alfv`en, `e data da B0 vA = √ . 4π ρ  0 , ovvero ponendo Se si indica con u il versore della direzione del campo statico B  0 = B0 u , B si ottiene  1 ∂β = rot( θ × u ) , vA ∂t θ 1 ∂ = (rotβ ) × u , vA ∂t divβ = 0 . Cerchiamo adesso una soluzione di queste equazioni del tipo di onda piana, ovvero del tipo =β 0 ei (k·x−ωt) , β

  θ= θ0 ei (k·x−ωt) .

Sostituendo si ottiene ω vA ω vA

β = −k × ( θ × u ) ,  ) × u , θ = −(k × β

202

CAPITOLO 5

k · β = 0 . Sviluppando i prodotti misti contenuti nelle due equazioni si ha ω  β = −(k · u )  θ + (k ·  θ ) u , vA ω   + (u · β  ) k . θ = −(k · u ) β vA  ) e (u · θ ) sono entrambi nulli, le Tenendo conto che i prodotti scalari (k · β equazioni precedenti possono anche essere scritte nella forma ω  β = −(k · u ) θ +  θ × t , vA ω  −β  × t , θ = −(k · u ) β vA dove t = u × k . Moltiplicando scalarmente la prima equazione per β e la seconda scalarmente per  θ si ottiene β 2 = θ2 . Se invece si moltiplica la prima equazione vettorialmente per θ e la seconda vettorialmente per β si perviene all’equazione  × t ] , θ × [ θ × t ] = β × [β dalla quale, tenendo conto dell’equazione precedente, si ottiene  )β  . (t · θ ) θ = (t · β Questa equazione implica che i due vettori β e  θ sono paralleli fra loro e che quindi sono nulli anche i due prodotti scalari (k · θ ) e (u · β ). In definitiva, i due vettori sono uguali in modulo ed entrambi perpendicolari al piano individuato da u e k. Riprendendo le equazioni iniziali, si ha ω  β = −(k · u ) θ , vA ω  θ = −(k · u ) β . vA

203

` ESTERNI DELL’ATMOSFERA SOLARE GLI STRATI PIU

B0 b

k Fig. 5.20. Un’onda piana di Alfv`en si propaga lungo la direzione individuata dal vettore k . La perturbazione in un plasma incomprimibile permeato dal campo magnetico uniforme B 0 e k. La di campo magnetico, b, ` e perpendicolare al piano individuato dai due vettori B 0 velocit` a di oscillazione del plasma (non disegnata in figura) `e antiparallela a b. Tale velocit` a sarebbe parallela a b se si invertisse la direzione del campo magnetico.

Indicando con α l’angolo formato fra k e u, ovvero fra la direzione di propaga 0 , le equazioni precedenti possono essere zione e il campo magnetico statico B risolte solo se `e valida la relazione di dispersione 

ω vA

2 = k 2 cos2 α ,

ovvero ω = vA k | cos α | . Le onde di Alfv`en si propagano dunque con la velocit` a di fase v fase =

ω = vA | cos α | , k

e con la velocit`a di gruppo v gruppo =

∂ω = vA u . ∂k

Le oscillazioni di campo magnetico sono perpendicolari al piano individuato dai  0 e k. La velocit` a del plasma ha la stessa direzione dell’oscillazione vettori B di campo magnetico ed `e in controfase con essa se l’angolo formato dai due vettori `e minore di 90◦ , mentre `e in fase se tale angolo `e maggiore di 90◦ . La situazione geometrica `e schematizzata nella Fig. 5.20. Anche per le onde di Alfv`en si possono verificare fenomeni dissipativi simili a quelli descritti precedentemente per le onde acustiche. Tali onde sono quindi dei buoni candidati per il riscaldamento della corona anche se, fino ad ora, le osservazioni non sono riuscite a mettere in rilievo un flusso di onde di Alfv`en tale da poter giustificare il riscaldamento stesso.

204

CAPITOLO 5

Un altro meccanismo proposto per il riscaldamento della corona `e quello basato sul fenomeno della “riconnessione magnetica”. Per illustrare in maniera elementare tale fenomeno, riferiamoci all’equazione fondamentale della magneto-idrodinamica, la cosiddetta equazione dell’induzione che abbiamo introdotto nel Par. 4.1, e consideriamo il caso particolare di un plasma statico (v = 0) nel quale il coefficiente della diffusione magnetica, η = c2 /(4πσ), sia costante. Sotto queste ipotesi, l’equazione dell’induzione si riduce a un’equazione di pura diffusione  ∂B  . = η ∇2 B ∂t Se si suppone poi che il campo magnetico sia diretto lungo una direzione assegnata (diciamo lungo l’asse y) e che le sue propriet`a varino soltanto lungo la direzione x, si ottiene l’equazione ∂By ∂ 2 By =η . ∂t ∂x2 Considerando uno sviluppo di By in serie di Fourier con coefficienti dipendenti dal tempo, ovvero ponendo  ∞ By = bk (t) ei kx dk , −∞

`e facile verificare che i coefficienti bk (t) soddisfano l’equazione differenziale dbk = −η k 2 bk , dt il che significa che essi decadono esponenzialmente col tempo secondo la legge bk (t) = bk (0) e−t/τ , dove il tempo caratteristico, τ , `e dato da τ=

1 . η k2

Questa equazione mostra che le variazioni di campo magnetico che avvengono su scale spaziali dell’ordine di L decadono esponenzialmente con tempi caratteristici dell’ordine di L2 /η. D’altra parte in corona, essendo T  106 K, il valore di η risulta, come ordine di grandezza, η  3 × 102 cm2 s−1 e i tempi di rilassamento caratteristici risultano molto lunghi, dell’ordine di qualche anno, anche assumendo per L dei valori piccoli sulla scala delle dimensioni solari, come ad esempio L  1 km. La pura diffusione in un ambiente statico non `e quindi sufficiente a spiegare il fenomeno del riscaldamento coronale. Una spiegazione alternativa richiede

205

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vA

v

v

X

v

v

vA

















 



 



















 





 

 



 

 







 

(b) 

 



 

 

 



 

 







 

 







 

 







 

(a)



 

 



Fig. 5.21. Il pannello (a) illustra la situazione iniziale in cui due campi magnetici di polarit` a opposta vengono spinti l’uno contro l’altro con velocit` a v. Laddove la polarit` a si inverte ` e presente un sistema di correnti (una current sheet, indicata con una linea tratteggiata) che fluisce in direzione perpendicolare al piano del disegno. Al passare del tempo si realizza una situazione quale quella schematizzata nel pannello (b). Nella zona indicata con la lettera X ha luogo il fenomeno della riconnessione e il campo magnetico si trasforma dando luogo alla configurazione illustrata, col plasma che viene spinto lungo la direzione del campo magnetico alla velocit` a di Alfv` en vA . A tale configurazione corrisponde un’energia magnetica inferiore e si ha quindi una dissipazione di energia dovuta, in ultima analisi, all’effetto Joule.

invece la presenza di campi magnetici di polarit`a opposta che vengono portati a ”collidere” l’uno contro l’altro a una certa velocit` a v, come qualitativamente illustrato nella Fig. 5.21. L’analisi quantitativa del fenomeno della riconnessione magnetica `e complessa. Per di pi` u, nonostante la notevole mole di lavoro teorico dedicato a questo argomento, al momento attuale non `e ancora emerso un quadro di riferimento chiaro, capace di spiegare dettagliatamente vari aspetti del fenomeno nell’ambito della magneto-idrodinamica. Uno dei problemi pi` u importanti riguarda il fatto che nei casi in cui si pu`o osservare direttamente il fenomeno della riconnessione (come nel caso dei flares solari, di cui parleremo nel prossimo capitolo) tale fenomeno avviene su tempi scala pi` u rapidi di vari ordini di grandezza rispetto a quelli previsti dalle teorie magneto-idrodinamiche. Una delle spiegazioni che `e stata suggerita fa appello alla cosiddetta “turbolenza elettromagnetica” che potrebbe diminuire sostanzialmente la conducibilit` a del plasma. Una diminuzione di σ provoca un aumento del coefficiente di diffusione magnetica e quindi una diminuzione dei tempi scala sui quali si pu` o verificare la riconnessione. Nonostante queste difficolt` a di natura teorica, la riconnessione magnetica `e spesso invocata quale meccanismo per il riscaldamento della corona. Un modello per mezzo del quale `e possibile spiegare il riscaldamento coronale, dovuto a

206

CAPITOLO 5

Fig. 5.22. Modello di Parker per il riscaldamento coronale: le linee di forza del campo magnetico che connettono regioni attive di polarit` a opposta si ”intrecciano” in maniera caotica a causa del movimento del plasma in fotosfera. Nelle zone in cui campi aventi direzione diversa entrano in contatto fra loro si verifica il fenomeno della riconnessione magnetica che provoca la conversione di energia magnetica in energia termica.

Parker, `e illustrato nella Fig. 5.22. Al momento in cui emerge una nuova regione attiva, il campo magnetico in corona `e strutturato in arcate ”ben ordinate”. A causa dei moti convettivi presenti in fotosfera, i ”piedi” delle singole linee di forza vengono trasportati dal plasma in maniera caotica (si ricordi che in fotosfera β  1, dimodoch´e il campo magnetico `e congelato nel plasma e viene da esso trascinato). Si viene quindi a creare in corona una situazione magnetica complessa, con linee di forza ”intrecciate” che si riconnettono per dar luogo a configurazioni magnetiche di minore energia. L’energia, dissipata per effetto Joule, contribuisce al riscaldamento della corona. Il modello di Parker `e senza dubbio affascinante ed `e probabile che esso dia una rappresentazione sostanzialmente corretta della realt` a. Bisogna tuttavia sottolineare che non esiste ancora una prova certa della sua correttezza.

5.11 Flares Si d` a il nome flare20 a un complesso fenomeno di tipo esplosivo che si verifica nell’atmosfera solare e che costituisce una delle manifestazioni pi` u spettacolari dell’attivit` a solare. Il fenomeno fu osservato per la prima volta dall’astronomo inglese R.C. Carrington nel 1859 come un improvviso aumento di luminosit` a di una piccola parte del disco solare situata in prossimit`a di un gruppo di macchie. Oggi sappiamo che il fenomeno interessa tutte le regioni dello spettro elettromagnetico, dalle onde radio fino ai raggi γ, e che la sua manifestazione pi` u appariscente, se ci si limita a osservazioni da terra, `e l’aumento di luminosit`a osservata in spettroeliogrammi (o filtrogrammi) ottenuti nella riga Hα dell’Idrogeno neutro (si veda la Fig. 5.23). Sebbene le osservazioni ottiche di aumento di luminosit`a nel continuo o nella 20

Nella letteratura scientifica di lingua italiana il fenomeno `e anche conosciuto col nome di “brillamento”, anche se, con questo termine, ci si riferisce generalmente soltanto a una delle molteplici manifestazioni del flare, ovvero l’aumento di luminosit` a osservato nella regione visibile dello spettro.

` ESTERNI DELL’ATMOSFERA SOLARE GLI STRATI PIU

207

Fig. 5.23. Un tipico flare solare osservato con un filtro centrato sulla riga Hα dell’Idrogeno neutro. Si noti la caratteristica forma ”a due nastri” (two-ribbon flare) separati da un filamento.

riga Hα possano far pensare al flare come a un fenomeno che si verifica a livelli fotosferici o cromosferici, quando si vanno a organizzare temporalmente le osservazioni ottenute nelle diverse regioni dello spettro, risulta chiaramente che tale aumento di luminosit`a deve in realt` a essere considerato come un fatto secondario, conseguente a un fenomeno che si verifica a livelli coronali e che consiste nella rapida conversione di energia magnetica in calore e in energia cinetica di particelle. L’andamento col tempo dell’intensit` a osservata nelle varie regioni dello spettro `e schematicamente illustrato nella Fig. 5.24. Il flare inizia con una fase di precursore durante la quale il plasma coronale `e scaldato a temperature elevate ed emette per radiazione di frenamento (bremsstrahlung) nelle regioni spettrali dell’estremo ultravioletto e dei raggi X molli (l’emissione nelle microonde, nel visibile e nell’ultravioletto vicino non risalta rispetto al fondo del Sole quieto). Segue poi la fase impulsiva, che dura tipicamente un minuto, durante la quale si ha emissione di raggi γ, X e UV dovuti a radiazione di frenamento da elettroni accelerati a energie comprese fra 10 e 100 keV. Nello stesso tempo viene anche emessa radiazione a microonde, interpretata quale radiazione di sincrotrone dovuta agli stessi elettroni che si muovono su traiettorie a spirale intorno alle linee di forza del campo magnetico. Dopo la fase impulsiva, l’energia liberata si trasforma lentamente in energia termica che va a scaldare gli strati pi` u profondi dell’atmosfera (fotosfera e cromosfera) provocando il tipico aumento di intensit` a della radiazione continua nella regione visibile dello spettro e della radiazione nella riga Hα e in altre righe cromosferiche. Importanti contributi allo studio dei flare sono portati anche dalle osser-

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CAPITOLO 5

Intensità

Raggi X duri

Raggi X molli

UV lontano



Microonde Tempo Precursore Fase estesa Fase impulsiva Fig. 5.24. Illustrazione schematica dell’andamento col tempo dell’intensit` a della radiazione emessa in diversi intervalli spettrali per un tipico flare. Le intensit` a sono espresse in scala arbitraria. Nel caso di un grosso flare, la durata del precursore `e dell’ordine di 5-10 min, quella della fase impulsiva dell’ordine di 1-3 min e quella della fase estesa dell’ordine di un’ora.

vazioni radio, ovvero osservazioni a lunghezze d’onda comprese fra 1 cm e 100 m. Lo spettro radio del cosiddetto “Sole quieto” rappresenta la ovvia continuazione dello spettro visibile e infrarosso ed `e ben descritto da una legge di corpo nero (nel limite di Jeans) del tipo Iν =

2 ν 2 kB T 2 kB T = , 2 c λ2

nella quale per` o la temperatura T non `e costante ma dipende dalla lunghezza d’onda. Questo `e dovuto al fatto che la radiazione emessa dal Sole quieto nella regione radio `e radiazione di frenamento termica (bremsstrahlung termica) e, poich´e la sezione d’urto per tale processo aumenta con la lunghezza d’onda, mano a mano che λ aumenta la radiazione, proveniendo da strati sempre pi` u esterni del Sole, `e caratterizzata da valori di temperatura crescenti. Cos`ı, ad esempio, mentre a lunghezze d’onda minori di  2 cm il valore di T `e pari alla temperatura efficace del Sole, T , per lunghezze d’onda superiori a  2 m, il valore di T si assesta intorno a 106 K. Allo spettro radio del Sole

` ESTERNI DELL’ATMOSFERA SOLARE GLI STRATI PIU

209

quieto si sovrappone la cosiddetta ”componente lenta” (slow component, oppure component-s), che ha un’ampiezza circa uno o due ordini di grandezza minore della componente di Sole quieto e che `e strettamente correlata al ciclo solare. Infine, l’emissione radio del Sole `e caratterizzata da rapidi bursts di emissione di tipo non termico la cui durata `e tipicamente compresa fra qualche secondo e qualche giorno e la cui intensit` a pu` o superare quella del Sole quieto di diversi ordini di grandezza. I burst radio sono strettamente associati ai flare e sono stati classificati in cinque categorie (burst di Tipo I, di Tipo II, etc.). Fra questi, i pi` u importanti per il loro contenuto diagnostico sono quelli di Tipo II e III che presentano un caratteristico andamento della frequenza di emissione in funzione del tempo. Il flare solare `e un fenomeno che comporta l’emissione in tempi relativamente brevi di un’enorma quantit` a di energia. Per gli eventi pi` u energetici si possono raggiungere valori dell’ordine o di poco inferiori a 1033 erg. Poich´e, d’altra parte, la grande maggioranza degli eventi si verifica nelle regioni attive, ovvero in regioni in cui sono presenti campi magnetici d’intensit` a elevata, risulta ovvio pensare che la sorgente primaria dell’energia emessa in un flare vada cercata nell’energia magnetica posseduta dal campo coronale. Se si considera, ad esempio, un cubo di plasma coronale di 100,000 km di lato nel quale sia presente un campo magnetico di 100 G, l’energia magnetica in esso contenuta `e dell’ordine di 4 × 1032 erg e, in un ipotetico processo di dissipazione, `e pi` u che sufficiente, dal punto di vista energetico, a produrre un enorme flare. Naturalmente, esiste sempre il problema di comprendere come la dissipazione dell’energia magnetica possa avvenire in maniera cos`ı rapida. Per questo sono stati proposti dei modelli basati sul fenomeno della riconnessione magnetica, il pi` u famoso dei quali, dovuto a J. Heyvaerts e E. Priest, `e illustrato nella Fig. 5.25. I flare sono stati studiati sotto numerosissimi punti di vista e oggi `e disponibile un’enorme quantit` a di dati e di informazioni a loro proposito21 . Un risultato importante che `e emerso in tempi relativamente recenti riguarda la distribuzione in energia degli eventi osservati. Se si indica con N (E) dE il numero di flare di energia compresa fra E ed E + dE `e stato determinato che la funzione N (E) segue una legge di potenza del tipo N (E) = C E −α , dove C `e una costante e dove α  1.6. In pratica, esiste una distribuzione continua di energie e si passa, senza soluzione di continuit` a dai flare pi` u energetici 21

Bisogna anche ricordare che l’osservazione dei flare ha ricevuto particolari attenzioni (e finanziamenti) soprattutto durante il periodo della guerra fredda. Dopo circa due o tre giorni dalla manifestazione di un grosso flare si possono infatti verificare a terra alcuni tipici fenomeni quali aurore polari, tempeste geomagnetiche e interruzioni delle comunicazioni radio a grande distanza. Quest’ultimo fenomeno rivestiva un notevole interesse strategico per gli stati maggiori delle superpotenze in quanto non sarebbe stato possibile, per un certo periodo di tempo dell’ordine di un giorno, reagire a un eventuale attacco nucleare del nemico utilizzando come ritorsione le armi collocate sui sottomarini nucleari in navigazione.

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CAPITOLO 5

Regione attiva preesistente Regione attiva emergente

Aumento di luminosità in Hα Fig. 5.25. Illustrazione schematica di un modello di flare. L’emersione di una nuova regione magnetica fa entrare in contatto campi magnetici di polarit` a opposta. Nella regione tratteggiata avviene il fenomeno di riconnessione magnetica con produzione di energia e di fasci di particelle accelerate. Le particelle si muovono lungo le linee di forza del campo magnetico e precipitano sulla cromosfera dando cos`ı luogo a un aumento di luminosit` a che viene osservato in Hα come un flare a due nastri.

a flare sempre pi` u deboli, che prendono mano a mano il nome di sub-flares, micro-flares, e nano-flares. Questi ultimi, che non danno singolarmente evidenze osservative, sarebbero gli eventi, ipotizzati nel modello di Parker della Fig. 5.22, che contribuiscono globalmente al riscaldamento della corona. Per i flare sono state proposte diverse classificazioni. La prima (dal punto di vista storico) assume come indice quantitativo l’area della superficie solare interessata dal flare osservato nella riga Hα e attribuisce al flare una ”importanza” secondo la scala della Tab. 5.2. Pi` u recentemente `e stata introdotta una classificazione basata sul flusso massimo in raggi X (di lunghezza d’onda compresa fra 1 e 8 ˚ A) misurato al di fuori dell’atmosfera terrestre durante la fase impulsiva del flare. A seconda del flusso si attribuisce una lettera dell’alfabeto (A,B,C,M,X), eventualmente seguita da un numero, come illustrato nella Tab. 5.2. Un’importante caratteristica dei flare `e quella del loro verificarsi in regioni attive o in gruppi di regioni attive particolarmente complessi dal punto di vista della topologia magnetica. In qualche maniera, maggiore `e la complessit` a della struttura del campo, maggiore `e la probabilit` a che si verifichi un flare. Particolarmente “feconde” da questo punto di vista appaiono le configurazioni in cui il campo magnetico `e “stirato” (sheared) lungo una linea neutra che divide due regioni di polarit` a magnetica opposta. Ovviamente, poich´e i flare si originano nelle regioni attive, la loro frequenza `e strettamente correlata col ciclo solare. Fra le altre caratteristiche dei flare solari bisogna anche ricordare l’esistenza dei cosiddetti flare “omologhi” e di quelli “simpatetici”. I primi sono flare, di caratteristiche simili fra loro, che si ripetono nella stessa regione attiva a inter-

` ESTERNI DELL’ATMOSFERA SOLARE GLI STRATI PIU

Importanza

Superficie (gradi2 )

Classe

Potenza in X (W m−2 )

0 1 2 3 4

S < 2.0 2.1 ≤ S ≤ 5.1 5.2 ≤ S ≤ 12.4 12.5 ≤ S ≤ 24.7 S ≥ 24.8

A B C M X

P < 10−7 10−7 ≤ P < 10−6 10−6 ≤ P < 10−5 10−5 ≤ P < 10−4 P ≥ 10−4

211

Tab 2. Classificazione dei flare secondo osservazioni ottiche (a sinistra) e osservazioni X (a destra). La superficie S rappresenta l’area interessata dal flare in Hα, espressa in gradi e talvolta quadrati della superficie solare (1 grado  1.2 ×104 km). Il valore dell’importanza ` seguito da una lettera (F per debole, N per normale, B per brillante), ad esempio un flare pu` o essere classificato come 2B. La potenza P ` e quella osservata nei raggi X fra 1 e 8 ˚ A al di fuori dell’atmosfera terrestre. La classe `e generalmente seguita da un numero compreso fra 0 e 9. Ad esempio, un flare di classe M.5 corrisponde a P = 5. × 10−5 W m−2 . Per la classe X il numero pu` o essere > 9. Ad esempio, il flare pi` u energetico mai osservato `e stato classificato come X.28 (P = 28. × 10−4 W m−2 ). Nota bene: per un flare assegnato, i due tipi di classificazione non sono necessariamente in corrispondenza.

valli temporali che possono andare dalla frazione di ora a un giorno. Talvolta si assiste a una successione di diversi flare, anche 5 o pi` u, grosso modo uguali fra loro, come se si trattasse dello stesso evento che per qualche ragione viene eccitato a pi` u riprese. Il fenomeno ricorda, in certo qual modo, le scariche di fulmini nell’atmosfera terrestre. Un fulmine produce un canale di plasma ionizzato che pu` o essere per cos`ı dire “riutilizzato” da un fulmine successivo che ripercorre lo stesso canale. I flare simpatetici, invece, sono coppie di flare che avvengono quasi simultaneamente in regioni attive diverse, non per un semplice ` come se, per una qualche caso, ma per una reale connessione fisica fra di essi. E ragione ancora sconosciuta, l’esplosione di un flare potesse provocarne quasi simultaneamente un’altra in una regione attiva distante una buona frazione di raggio solare. Bisogna anche sottolineare che i flare sono spesso associati alle “disparitions brusques” dei filamenti (di cui abbiamo parlato nel Par. 5.4), alle eruzioni delle protuberanze, e alle cosiddette eruzioni (o eiezioni) di massa coronale (Coronal Mass Ejections, o CME, in lingua inglese). Tali fenomeni, tipicamente osservati con strumenti a bordo di sonde spaziali, sono altamente spettacolari (si veda la Fig. 5.26) e consistono nell’espulsione improvvisa di plasma coronale verso lo spazio interplanetario. Le associazioni fra i diversi fenomeni sono frequenti ma non biunivoche. Ad esempio, si pu` o avere una CME senza che si sia verificato un flare e, viceversa, il verificarsi di un flare, anche se intenso, non implica necessariamente una CME. La velocit` a del plasma associato a una eruzione di massa coronale pu` o variare fra circa 300 e circa 3000 km s −1 , con un valore medio, valutato su un gran numero di eventi, dell’ordine di 500 km s−1 . La massa che viene espulsa in un singolo evento `e dell’ordine di 10 16 g. La frequenza tipica delle eruzioni `e, come per i flare, fortemente correlata col

212

CAPITOLO 5

Fig 5.26. Una spettacolare eruzione di massa coronale avvenuta il 14 Aprile 1980 osservata col coronografo dello High Altitude Observatory a bordo della Solar Maximum Mission. Le ultime tre immagini si succedono a intervalli di circa un’ora. Per gentile concessione dello High Altitude Observatory.

ciclo solare. Si passa da un valore di circa un’eruzione ogni due giorni durante il minimo di attivit` a, a 5-6 eruzioni al giorno nei periodi di massimo. I flare solari e le associate eruzioni di massa coronale influenzano in maniera drammatica l’ambiente terrestre producendo fasci di particelle di alta energia nel vento solare e nella magnetosfera. Tali particelle possono rappresentare un serio pericolo per satelliti e navicelle spaziali, incluso il loro equipaggio. Il flusso di raggi X proveniente da flare di classe X aumenta la ionizzazione dell’alta atmosfera il che provoca interferenze nelle comunicazioni radio a onde corte e un aumento dell’attrito subito dai satelliti artificiali che orbitano a basse altezze. Le particelle energetiche presenti nell’atmosfera danno poi luogo agli spettacolari fenomeni delle aurore boreali e australi. Da alcuni anni `e nata all’interno della Fisica Solare una nuova disciplina, denominata Space Weather, che ha lo scopo di studiare le condizioni fisiche dell’ambiente spaziale circumterrestre e le sue possibili influenze sulla Terra e sui sistemi tecnologici umani.

Capitolo 6

L’interno del Sole Dopo aver analizzato nei capitoli precedenti la complessa fenomenologia fisica degli strati superficiali del Sole, dalla fotosfera, dove si forma lo spettro continuo, alla corona e al vento solare, in quest’ultimo capitolo volgiamo la nostra attenzione ai processi fisici che avvengono nell’interno della nostra stella. L’interno del Sole non pu` o essere osservato direttamente e, per questa ragione, gli unici strumenti che abbiamo a nostra disposizione per studiarne le propriet`a sono quelli della fisica teorica. In questo capitolo illustreremo come sia possibile che il Sole, questa enorme sfera materiale avente una massa pari a 2 × 1033 g, riesca ad autosostenersi senza collassare su se stessa; come avvenga il trasporto di energia nel suo interno e quale sia la sorgente primaria di energia che gli permette di splendere, in maniera praticamente costante, da pi` u di 4 ` proprio rispondendo a queste domande fondamentali che si miliardi di anni. E arriva a costruire un modello teorico della stella Sole capace di riprodurne in maniera autoconsistente le propriet` a fisiche fondamentali quali massa, raggio, luminosit`a, et` a, e temperatura superficiale. Il modello teorico pu` o essere messo alla prova dei fatti andando a confrontare i risultati da esso previsti con i dati di osservazione che si sono resi disponibili negli ultimi anni riguardo al flusso di neutrini e ai valori delle frequenze dei modi di oscillazione. I risultati del confronto portano alla conclusione che la nostra comprensione teorica dell’interno del Sole `e, al giorno d’oggi, pi` u che soddisfacente.

6.1 Equazioni fondamentali Sebbene all’osservazione diretta siano accessibili solo gli strati pi` u esterni della nostra stella, le conoscenze fisiche accumulatesi nel corso dei secoli hanno permesso, gi`a a partire dalla fine degli anni ’30 del secolo scorso, di dare una descrizione fisicamente coerente dell’interno del Sole. Basandosi sulle leggi della fisica classica e su alcuni risultati specifici della meccanica quantistica, relativi soprattutto alla fisica atomica e alla fisica nucleare, `e infatti possibile indurre, per via puramente teorica, l’andamento con la distanza dal centro del Sole dei parametri fisici fondamentali, quali pressione densit` a e temperatura, e produrre quindi un cosiddetto “modello fisico” quantitativo dell’interno del Sole. Bisogna dire che gi` a i primi modelli, sviluppati ancor prima dell’avvento dei calcolatori elettronici, sono stati in grado di spiegare quelle caratteristiche fisiche fondamentali della stella Sole direttamente accessibili alla misura e

214

CAPITOLO 6

all’osservazione. Tali successi della teoria, sempre pi` u corroborati col passare degli anni, hanno portato alla convinzione che la fisica dell’interno del Sole, e pi` u in generale degli interni stellari, sia ormai compresa in maniera soddisfacente. Le conseguenze che ne sono state dedotte riguardo ai parametri fisici osservabili delle stelle, nane e giganti, e riguardo all’evoluzione delle stelle nel diagramma H-R sono oggi tali e tante che si pu` o asserire, senza ombra di dubbio, che la teoria degli interni stellari costituisce un campo della fisica del tutto assodato nel quale non esiste pi` u spazio per profondi rivolgimenti. Un’ulteriore conferma di questa affermazione si `e avuta in tempi relativamente recenti grazie ai risultati osservativi ottenuti dall’eliosismologia che si sono dimostrati in ottimo accordo con i modelli teorici. Per sviluppare in maniera quantitativa un modello dell’interno del Sole, si inizia con l’introdurre una serie di semplificazioni appropriate a dare una descrizione approssimata, ma sostanzialmente corretta, dei processi fisici che operano nel suo interno. La prima approssimazione consiste nel supporre che il Sole sia una sfera e che tutte le propriet` a fisiche dipendano soltanto dalla distanza r, misurata a partire dal centro. L’approssimazione successiva riguarda invece le propriet`a fisiche della materia che compone l’interno del Sole, per la quale si assume che essa si comporti sostanzialmente come un fluido e che sia quindi caratterizzata, dal punto di vista delle propriet` a meccaniche, da una sola quantit` a scalare, la pressione P . La condizione di equilibrio meccanico `e espressa matematicamente attraverso l’equazione fondamentale dell’idrostatica dP = −ρ g , dr dove ρ `e la densit` a e g `e l’accelerazione di gravit`a che, tenendo conto della legge della gravitazione universale, `e data da g=G

Mr , r2

G essendo la costante della gravitazione e Mr la massa contenuta entro la sfera di raggio r, ovvero  r Mr = 4π r 2 ρ(r ) dr . 0

L’equilibrio meccanico della stella Sole pu` o quindi essere riassunto nelle due equazioni differenziali ρ Mr dP = −G 2 , dr r dMr = 4π r2 ρ , dr

215

L’INTERNO DEL SOLE

che si possono racchiudere nell’unica d 1 ρ=− 4π G r2 dr



r2 dP ρ dr

 .

Questa equazione differenziale contiene le due variabili fisiche pressione e densit` a, P e ρ, e non `e quindi sufficiente a risolvere il problema fisico del modello dell’interno solare. Solo ricorrendo a una relazione funzionale fra le due variabili, relazione che non pu` o che essere approssimata, si pu`o ottenere una soluzione del problema. Un esempio di questo modo di procedere `e costituito dalla cosiddetta soluzione di Lane-Emden che si ottiene ipotizzando una relazione, detta politropica, del tipo P = K ργ , con K e γ costanti. Al giorno d’oggi la soluzione di Lane-Emden `e ricordata soprattutto per il suo valore storico. Al suo approfondimento `e dedicato il Par. 6.2. Senza far ricorso all’approssimazione politropica, la relazione corretta fra pressione e densit`a `e stabilita dalla cosiddetta equazione di stato, che per`o fa intervenire un’altra variabile indipendente, la temperatura, e che dipende inoltre dalla composizione chimica del plasma che si sta considerando. In generale, si pu` o scrivere P = P (ρ, T, {Ai }) , dove T `e la temperatura assoluta e {Ai } `e un insieme di numeri che fissano la percentuale, o come si dice l’abbondanza, degli elementi chimici che compongono il plasma. In prima approssimazione si pu` o assumere che il plasma solare si comporti come un gas perfetto, dimodoch´e la pressione `e legata alla densit` a dalla relazione P =

ρ kB T , µ mH

dove µ `e il peso molecolare medio del plasma solare (dipendente dall’insieme {Ai }) che `e in generale funzione di r, mH `e l’unit` a di massa atomica e kB `e la costante di Boltzmann. In effetti, quando si desideri una precisione migliore, bisogna tener conto di alcune correzioni importanti che devono essere apportate a questa equazione. Nel caso del Sole tali correzioni sono piccole (dell’ordine di qualche percento o minori), ma bisogna tenere presente che la precisione oggi raggiunta nelle misure delle propriet` a solari, in particolare nelle misure di eliosismolgia, sono cos`ı elevate da richiedere di doverne tener conto 1 . Al problema della determinazione dell’equazione di stato `e dedicato il Par. 6.3. 1

Tali correzioni possono risultare molto pi` u importanti nel caso di stelle, sempre di sequenza principale, aventi massa maggiore di quella del Sole.

216

CAPITOLO 6

Avendo cos`ı introdotto un’ulteriore variabile, la temperatura, `e adesso necessario ricorrere a ulteriori propriet` a fisiche della stella per “chiudere” come si suol dire il problema. Sempre sfruttando la propriet` a di stazionariet` a della stella Sole, imponiamo che l’energia prodotta dalle reazioni nucleari nel suo interno fluisca verso la superficie senza accumularsi. In altre parole imponiamo che esista l’equilibrio energetico. Indichiamo allora con ε l’energia prodotta, per unit` a di tempo e per unit` a di massa, dalle reazioni nucleari alla distanza r dal centro del Sole. Questa quantit` a, avente le dimensioni di una potenza divisa per una massa, dipende ovviamente dalla temperatura, dalla densit` a, e dalle abbondanze locali, ovvero si ha ε = ε(ρ, T, {Ai }). Nel caso solare il contributo preponderante alla generazione di energia nucleare `e dovuto al cosiddetto ciclo protone-protone ed `e possibile dare un’espressione approssimata, basata sul modello di Gamow, per ε. Come mostrato nel Par. 6.4, nel quale vengono approfonditi questi concetti, si ha, con buona approssimazione

 3.37 4 2 −2/3 exp − 1/3 erg g−1 s−1 , ε = 2.53 × 10 ρ X T9 T9 dove ρ `e espressa in unit` a c.g.s (g cm−3 ), T9 `e la temperatura espressa in unit` a di 109 K, e X `e l’abbondanza relativa in massa dell’Idrogeno2 . Oltre a di alla quantit` a ε, introduciamo la portata di energia, Lr , ovvero la quantit` energia che fluisce per unit` a di tempo attraverso la sfera di raggio r centrata nel centro del Sole. Con queste notazioni, la condizione di equilibrio energetico risulta dLr = 4π r2 ρ ε . dr Ovviamente la portata di energia `e connessa al flusso di energia, F , dalla relazione F =

Lr , 4π r2

ed `e proprio questa quantit` a che regola l’andamento della temperatura con r. L’energia pu` o essere trasportata in un plasma attraverso tre diversi meccanismi: conduzione, convezione e irraggiamento. Nell’interno del Sole, il trasporto per conduzione `e del tutto trascurabile e si pu` o quindi scrivere, in generale F = Frad + Fconv , dove Frad e Fconv sono, rispettivamente, i flussi di energia trasportati per irrago essere connessa al gradiente giamento e per convezione. La quantit`a Frad pu` 2

In astrofisica l’abbondanza relativa in massa dell’Idrogeno `e indicata con X, quella dell’Elio con Y e quella di tutti gli altri elementi con Z. Ovviamente si deve avere X + Y + Z = 1.

L’INTERNO DEL SOLE

217

di temperatura mediante considerazioni basate sulla teoria del trasporto radiativo. Questo fa intervenire nel problema una nuova quantit` a fisica, la media di Rosseland dell’opacit`a del plasma, indicata con κR , che `e anch’essa funzione della densit` a, della temperatura e delle abbondanze chimiche, ovvero κR = κR (ρ, T, {Ai }) . La definizione della media di Rosseland dell’opacit`a `e data nel Par. 6.5. Nello stesso paragrafo si mostra che vale l’equazione 16 σ T 3 dT , 3 κR ρ dr dove σ `e la costante di Stefan-Boltzmann. Nel caso che il flusso convettivo sia nullo si ha ovviamente F = Frad , e il gradiente di temperatura che ne deriva, il cosiddetto gradiente radiativo, che indichiamo con (dT /dr)rad si ottiene combinando le equazioni precedenti che danno   3 Lr κR ρ dT =− . dr rad 64π σ r2 T 3 Riguardo al flusso convettivo, `e necessario precisare che l’interno del Sole (cos`ı come l’interno delle stelle) presenta un tipico fenomeno di instabilit` a nei confronti della convezione. Si tratta di un fenomeno di dinamica dei fluidi, ben noto anche nella vita pratica, che sta alla base di innumerevoli applicazioni tecniche. Se si considera infatti una bolla di fluido in un mezzo stratificato per gravit` a e si suppone che il fluido in essa contenuto abbia un eccesso di temperatura rispetto al mezzo circostante, la bolla tende a salire per la spinta di Archimede e si mette rapidamente in equilibrio meccanico con gli strati circostanti, aventi pressione minore. Il risultato netto `e che la bolla subisce un’espansione adiabatica e nel salire si raffredda. Se la diminuzione di temperatura subita dalla bolla `e minore di quella che `e presente nel mezzo ambiente circostante, la bolla rimane pi` u calda del mezzo e quindi continua a salire. Il mezzo `e quindi instabile per convezione. Precisando quantitativamente queste considerazioni, `e possibile ottenere un criterio fisico per la stabilit` a del plasma solare nei riguardi della convezione. Come `e mostrato nel Par. 6.6, tale criterio, che prende il nome di “criterio di Schwarzschild”, si traduce quantitativamente nell’affermazione che, ai fini della stabilit` a convettiva, deve essere verificata la seguente diseguaglianza     ∂T dT dT > = −ρ g , dr dr ad ∂P S dove abbiamo introdotto il concetto di “gradiente adiabatico” e dove la derivata parziale nell’ultimo membro deve essere eseguita a entropia (S) costante, ovvero lungo una trasformazione adiabatica. Frad (r) = −

218

CAPITOLO 6

(dd Tr )

ad

(dd Tr )

rad

0

stabilità convettiva Intensit dT dr

gradiente termico

(dd Tr )

rad

(dd Tr )

0

ad

stabilità convettiva

dT dr



Fig. 6.1. A seconda del valore dei gradienti termici adiabatico e radiativo, si possono verificare due casi distinti rispetto al trasporto di energia nell’interno del Sole. Nel caso illustrato in alto la convezione non `e presente e il gradiente termico `e uguale al gradiente radiativo. In quello illustrato in basso si ha convezione e il gradiente termico `e molto prossimo al gradiente adiabatico.

Premesse queste considerazioni, `e ovvio che a una determinata distanza r dal centro del Sole si possono verificare due situazioni fisiche diverse nei riguardi del trasporto di energia. Tali situazioni sono illustrate nella Fig. 6.1. Nel pannello in alto, il gradiente radiativo `e maggiore del gradiente adiabatico (minore in valore assoluto) e si colloca quindi nella regione di stabilit` a convettiva. In questo caso, la convezione `e assente e il gradiente di temperatura che effettivamente si stabilisce `e il gradiente radiativo:   dT dT . = dr dr rad Nel pannello in basso, invece, il gradiente radiativo `e minore di quello adiabatico (maggiore in valore assoluto) e cade nella regione di instabilit` a. In questo caso siamo in regime di instabilit` a convettiva ed entrambi i fenomeni, convezione e irraggiamento, contribuiscono al trasporto di energia. Tuttavia, poich´e la convezione risulta molto pi` u efficiente di quanto non lo sia l’irraggiamento, il gradiente di temperatura si assesta su un valore, detto “superadiabatico”, che risulta leggermente minore (maggiore in valore assoluto) del gradiente adiabatico, ovvero   dT dT −∆ . = dr dr ad Il valore di ∆, che `e in ogni caso una quantit` a positiva, pu` o essere determinato

219

L’INTERNO DEL SOLE

Nome Equilibrio idrostatico Conservazione della massa Conservazione dell’energia Trasporto dell’energia (caso radiativo) Trasporto dell’energia (caso convettivo)

Equazione dP = − ρ G Mr dr r2 dMr = 4π r2 ρ dr dLr = 4π r2 ρ ε dr dT = − 3 Lr κR ρ 64π σ r2 T 3 dr   dT = − ρ g ∂T −∆ dr ∂P S

Tab. 6.1. Riassunto delle equazioni di struttura dell’interno solare.

in base a considerazioni teoriche, sostanzialmente basate su stime di ordine di grandezza (teoria della scala di rimescolamento o teoria della mixing length, si veda il Par. 6.8). Per molte applicazioni il valore di ∆ pu` o anche essere posto uguale a 0, col che il gradiente di temperatura risulta essere uguale al maggiore (al minore in valore assoluto) fra il gradiente adiabatico e il gradiente radiativo. Si ha quindi, con buona approssimazione      dT dT dT = max , . dr dr rad dr ad Le equazioni fondamentali dell’interno solare che abbiamo dedotto in questo paragrafo sono raccolte nella Tab. 6.1. Aggiungendo le cosiddette “equazioni costitutive” che esprimono le quantit` a P , ε, κR , e ∆ in funzione di ρ, T e del set {Ai }, le equazioni possono essere convenientemente integrate tenendo conto delle condizioni al contorno. Al centro del Sole si deve infatti avere Mr = Lr = 0, mentre al “bordo” del Sole, ovvero per r = R , si deve avere a e temperatura Mr = M e Lr = L . Riguardo ai valori di pressione, densit` al bordo, si pu` o assumere con buona approssimazione che sia P che ρ tendano a zero, e che la temperatura sia uguale alla temperatura efficace T eff = 5776K. L’integrazione delle equazioni differenziali pu` o essere eseguita mediante una procedura numerica. Partendo ad esempio dal bordo del Sole si integra su r procedendo verso il centro e, se il modello `e corretto, si deve trovare al centro del Sole Mr = Lr = 0. In pratica, questo risultato si pu` o ottenere giocando su i parametri liberi, tali parametri essendo la composizione chimica (soprattutto l’abbondanza in massa dell’Elio) e un parametro di “efficienza” che interviene nella teoria della mixing length per il flusso convettivo (a tutt’oggi ancora basata su valutazioni di ordine di grandezza) e che influenza la quantit` a ∆. Mediante un processo iterativo `e cos`ı possibile ottenere un modello dell’interno del Sole. Come vedremo nel Par. 6.9, tale procedura `e utilizzata per ottenere il

220

CAPITOLO 6

cosiddetto “modello solare standard” che appare al giorno d’oggi ottimamente confortato dalle osservazioni di eliosismologia.

6.2 L’equazione di Lane-Emden Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, l’equazione dell’equilibrio idrostatico per un fluido autogravitante porta, nel caso di simmetria sferica, all’equazione  2  1 1 d r dP (r) ρ(r) = − . 4π G r2 dr ρ(r) dr Questa equazione differenziale contiene le due grandezze ρ e P e non `e possibile risolverla senza stabilire un legame fra di esse. Un’approssimazione che viene spesso utilizzata `e quella detta della politropica che consiste nel supporre che la pressione e la densit`a siano legate fra loro da un’equazione del tipo P = K ργ , con K e γ costanti (γ ≥ 1). Sostituendo nell’equazione precedente si ottiene  2  K 1 d r dρ(r)γ ρ(r) = − , 4π G r2 dr ρ(r) dr ovvero un’equazione differenziale non lineare nella variabile ρ. Per semplificarla, si introduce, invece della variabile ρ, la variabile θ definita da ρ = ρc θ n , a centrale della stella e dove l’esponente n, detto indice dove ρc `e la densit` della politropica, `e una quantit` a da determinare. Con questa posizione, che ovviamente implica θ(r = 0) = 1, si ottiene  2  K 1 d r n γ (nγ−1) dθ ρ nγ θ ρc θ = − . 4π G r2 dr ρc θn c dr Imponiamo adesso che sia nγ − 1 = n il che porta alla relazione n=

1 , γ−1

ovvero ,

γ =1+

1 . n

Con questa posizione (che implica n > 0), l’equazione risulta (1−n)/n

K (n + 1) ρc θ =− 4π G n

1 d r2 dr

  2 dθ r . dr

221

L’INTERNO DEL SOLE

Sempre nello spirito di semplificare l’equazione differenziale, eseguiamo il cambiamento di variabile r = a ξ, con a costante da determinare. Si ottiene   1 d 4π G a2 2 dθ θn . ξ = − (1−n)/n ξ 2 dξ dξ K (n + 1) ρc Se adesso si pone  (1−n)/n

a=

K (n + 1) ρc 4π G

,

si ottiene per θ la seguente equazione differenziale non lineare, detta “equazione di Lane-Emden”   1 d 2 dθ ξ = −θn . ξ 2 dξ dξ L’equazione va risolta con la condizione al contorno θ(0) = 1 e con l’ulteriore condizione   dθ = θ (0) = 0 , dξ ξ=0 facilmente deducibile dalla condizone che al centro della stella si abbia dP/dr = 0. Inoltre, dall’equazione di Lane-Emden si pu` o facilmente dedurre che per ξ > 0 la derivata di θ rispetto a ξ `e negativa. Partendo dal valore 1 per ξ = 0, la funzione θ decresce in maniera monotona fino ad arrivare a 0 per un dato valore di ξ che indichiamo con ξ1 . Il valore di ξ1 , cos`ı come il valore della derivata di θ rispetto a ξ nel punto ξ1 , sono particolarmente rilevanti per le applicazioni e possono essere ottenuti mediante risoluzione numerica dell’equazione di Lane-Emden. Osserviamo innanzitutto che la costante a `e legata al raggio R della stella dalla relazione a=

R . ξ1

Se si considera poi la massa totale della stella, si ha  M=

R

4π r2 ρ dr ,

0

e passando a variabili ridotte (r = a ξ , ρ = ρc θn )  3

M = 4π a ρc 0

ξ1

ξ 2 θn dξ .

222

CAPITOLO 6

Sostituendo nell’integrando l’espressione di θ n risultante dall’equazione di Lane-Emden si ottiene, per semplice integrazione   dθ 3 2 , M = −4π a ρc ξ1 dξ ξ1 ovvero, ricordando che R = a ξ1 e ponendo   dθ − = |θ (ξ1 )| , dξ ξ1 M = 4π R3 ρc

|θ (ξ1 )| . ξ1

Da questa equazione si vede che la densit`a centrale della stella, ρc , `e legata alla densit` a media, ρ , dalla relazione ρc =

M ξ1 ξ1 . ρ = 3|θ (ξ1 )| 4π |θ (ξ1 )| R3

o ottenere Per quanto riguarda la pressione centrale, Pc , il suo valore si pu` mediante le considerazioni seguenti. Dall’equazione che collega K con a si ottiene K=

4π G a2 (n−1)/n ρ . n+1 c (n+1)/n

D’altra parte, essendo Pc = Kργc = Kρc Pc =

, sostituendo si ottiene

4π G a2 2 ρ , n+1 c

e ricordando le espressioni per a e ρc , Pc =

G M2 1 . 4π(n + 1)[θ (ξ1 )]2 R4

Riassumendo, per una stella di massa M e raggio R, fissato il valore dell’indice della politropica, si determina la funzione θ(ξ) risolvendo l’equazione di LaneEmden e si determinano in particolare i valori di ξ1 e θ (ξ1 ). Attraverso le formule precedenti si possono cos`ı determinare i valori di ρc e di Pc . Per gli andamenti con r si ha poi ρ(r) = ρc [θ(ξ)]n ,

P (r) = Pc [θ(ξ)]n+1 ,

e, per quanto riguarda la massa contenuta entro la sfera di raggio r, si ottiene, con facili trasformazioni

223

L’INTERNO DEL SOLE

Fig. 6.2. Soluzione dell’equazione di Lane-Emden per vari valori dell’indice della politropica. Procedendo da sinistra verso destra le curve corrispondono ai valori n = 0, 1, 2, 3, 4, 5.

 M (r) =

ξ ξ1

2

θ (ξ) M . θ (ξ1 )

Infine, se si assume che il plasma costituente la stella si comporti come un gas perfetto di peso molecolare µ, si ottiene la seguente espressione per l’andamento della temperatura T col raggio della stella T (r) = Tc θ(ξ) , dove la temperatura centrale, Tc , `e data da Tc =

µ mH G M 1 , (n + 1) ξ1 |θ (ξ1 )| kB R

con kB costante di Boltzmann e mH unit` a di peso atomico. L’equazione di Lane-Emden pu` o essere risolta analiticamente soltanto per alcuni valori di n, ovvero per n = 0, 1, 5. Le rispettive soluzioni sono ξ2 , θ0 (ξ) = 1 − 6

sin(ξ) θ1 (ξ) = , ξ

 −1/2 ξ2 θ5 (ξ) = 1 + . 3

Per valori diversi di n la soluzione si pu` o ottenere numericamente. La Fig. 6.2 mostra il grafico della funzione θ(ξ) per vari valori dell’indice della politropica, mentre la Tab. 6.2 riassume i valori delle quantit` a ξ1 e |θ (ξ1 )| in funzione di n.

224

CAPITOLO 6

n

ξ1

|θ (ξ1 )|

n

ξ1

|θ (ξ1 )|

0.0

2.45

8.16 × 10−1

2.6

5.61

6.83 × 10−2

0.2 0.4

2.56 2.69

6.66 × 10−1 5.49 × 10−1

2.8 3.0

6.19 6.90

5.43 × 10−2 4.24 × 10−2

0.6 0.8

2.82 2.97

4.56 × 10−1 3.81 × 10−1

3.1 3.2

7.31 7.77

3.73 × 10−2 3.25 × 10−2

1.0

3.14

3.18 × 10−1

3.3

8.28

2.82 × 10−2

1.2 1.4

3.33 3.54

2.66 × 10−1 2.23 × 10−1

3.4 3.5

8.87 9.53

2.43 × 10−2 2.08 × 10−2

1.6 1.8

3.78 4.04

1.86 × 10−1 1.54 × 10−1

3.6 3.7

10.3 11.2

1.76 × 10−2 1.48 × 10−2

2.0 2.2

4.35 4.71

1.28 × 10−1 1.04 × 10−1

3.8 3.9

12.2 13.5

1.22 × 10−2 9.98 × 10−3

2.4

5.12

8.49 × 10−2

4.0

15.0

8.01 × 10−3

Tab. 6.2. Valori caratteristici della soluzione dell’equazione di Lane-Emden al variare dell’indice della politropica.

Applichiamo adesso queste considerazioni al caso del Sole, per il quale, dal confronto con modelli pi` u sofisticati dell’interno solare, si deduce che l’indice della politropica pi` u appropriato `e uguale a 3.3 (corrispondente a un valore di γ pari a 1.30). Sostituendo questo valore di n, e i corrispondenti valori di ξ1 e di |θ (ξ1 )| deducibili dalla Tab. 6.2, si trovano i seguenti valori

Pc = 23.3

2 GM = 2.61 × 1017 barie , 4 R

ρc = 23.4

M 2 −3 , 3 = 1.38 × 10 g cm R

dai quali, assumendo per µ il valore 0.61, corrispondente a un plasma completamente ionizzato avente composizione tipica di una stella di Popolazione I (si veda il paragrafo successivo), si ottiene Tc = 0.608

mH G M  = 1.39 × 107 K . kB R

L’andamento delle varie quantit` a fisiche in funzione della distanza dal centro del Sole `e riportato nella Fig. 6.3. Come vedremo nel Par. 6.10, il modello solare standard, ottenuto per integrazione numerica del set completo delle equazioni di struttura, porta a dei risultati che non differiscono molto da quelli ottenuti con la semplice teoria sviluppata in questo paragrafo (si veda la Fig. 6.9). Non

L’INTERNO DEL SOLE

225

Fig. 6.3. Andamento delle varie quantit` a fisiche in funzione del raggio per il modello politropico del Sole con indice della politropica n = 3.3.

bisogna per` o dimenticare che il valore n = 3.3, qui assunto per l’indice della politropica, `e proprio suggerito dal confronto col modello solare standard.

6.3 L’equazione di stato Come abbiamo detto nel paragrafo precedente, il plasma solare si comporta, in prima approssimazione, come un gas perfetto e obbedisce quindi all’equazione di stato Pg.p. =

ρ kB T , µ mH

a di massa atomica. Il peso dove µ `e il peso molecolare medio e mH `e l’unit` molecolare medio dipende dalla composizione chimica, oltre che dalla tempera-

226

CAPITOLO 6

tura e la sua determinazione richiede la conoscenza delle abbondanze relative degli elementi, specificate dal set di numeri {Ai }, e dal loro grado di ionizzazione. Se indichiamo con µi il peso atomico dell’i-esimo elemento e con xi,j la frazione di tale elemento che si trova nello stato di ionizzazione j (j = 0 essendo lo stato neutro), trascurando la massa dell’elettrone rispetto a quella del protone, si ha  Ai i µi . µ=  A (1 + i i j j xi,j ) Nella pratica astrofisica, si preferisce esprimere le abbondanze degli elementi come abbondanze in massa, invece che come abbondanze in numero. Indicando le abbondanze in massa con Xi , e supponendo che tali abbondanze siano normalizzate all’unit`a, si ha la ovvia relazione µi Ai , Xi =  k µk Ak e sostituendo nell’equazione precedente si ottiene 1 . µ=  Xi (1 +  j x ) i,j i µi j In generale, le quantit` a xi,j devono essere calcolate attraverso l’equazione di Saha e sono quindi funzione della temperatura e della densit` a elettronica, per cui il calcolo di µ risulta relativamente complesso. Solo nel caso in cui il plasma possa considerarsi completamente ionizzato, indicando rispettivamente con X, Y , e Z l’abbondanza in massa dell’Idrogeno, dell’Elio e di tutti gli altri elementi considerati insieme, e supponendo, con buona approssimazione, che tali elementi contribuiscano con un numero di elettroni pari a met`a del loro peso atomico, si ottiene la formula semplificata µ=

1 . 2X + 34 Y + 12 Z

Viceversa, nel caso di plasma neutro, si pu` o stimare che il peso molecolare medio di tutti gli elementi al di fuori di Idrogeno e Elio sia dell’ordine di 17, per cui si ottiene µ=

1 X+

1 4Y

+

1 17 Z

.

Assumendo per X, Y e Z i valori solari di 0.71, 0.27, e 0.019 si ottiene il valore di µ pari a 0.61 per il plasma completamente ionizzato e 1.28 per il plasma neutro. L’equazione dei gas perfetti costituisce per` o solo un’approssimazione di ordine zero all’equazione di stato del plasma dell’interno solare. Se si desidera

L’INTERNO DEL SOLE

227

un’approssimazione migliore `e necessario apportare sostanzialmente tre correzioni. La prima correzione `e dovuta alla radiazione, che contribuisce alla pressione con un termine supplementare, proporzionale alla quarta potenza della temperatura. L’espressione della pressione di radiazione pu` o essere facilmente ottenuta ricordando che per un gas di particelle relativistiche (in questo caso i fotoni) la pressione `e pari a 1/3 della densit` a di energia. Ricordando le leggi della radiazione di corpo nero, si ottiene 1 aT4 , 3 dove a `e la cosiddetta “costante della densit`a di radiazione” che `e legata alla costante di Stefan-Boltzmann dalla relazione a = 4σ/c (con c velocit` a della luce) e che vale 7.57 × 10−15 erg cm−3 T−4 . Ovviamente, la pressione di radiazione deve essere semplicemente aggiunta a quella del gas per ottenere la pressione totale. Nel caso dell’interno del Sole, questa correzione risulta sempre minore o dell’ordine di qualche percento3 . La seconda correzione all’equazione di stato proviene dal fatto che il plasma solare `e ionizzato e che, di conseguenza, si comporta solo approssimativamente come un gas perfetto. Intorno a uno ione si viene infatti a creare una zona in cui sono presenti cariche in eccesso di segno opposto. Tali cariche sono attratte dallo ione stesso, per cui il gas ionizzato si comporta, grosso modo, come un gas di Van der Waals. La pressione risulta minore di quella dovuta al gas perfetto nelle stesse condizioni di temperatura, densit`a e composizione chimica. Si pu` o mostrare che questo effetto porta a una pressione supplementare, Pelettr , che `e data, come ordine di grandezza, dall’espressione Prad =

e20 ne , D dove e0 `e la carica dell’elettrone (in valore assoluto), ne `e la densit` a elettronica, e D `e la cosiddetta lunghezza di Debye, ovvero la distanza caratteristica al di l` a della quale le perturbazioni elettriche presenti localmente in un plasma perdono di efficacia a causa dell’effetto di schermaggio dovuto alle cariche. La lunghezza di Debye `e data dall’espressione  kB T 1 , D = e0 4π ne per cui si ha  4π n3e . Pelettr  − e30 kB T Pelettr  −

3

La pressione di radiazione diviene importante per stelle luminose aventi masse dell’ordine di 10 o pi` u masse solari.

228

CAPITOLO 6

La correzione elettrostatica all’equazione di stato porta un contributo inferiore al percento in tutto l’interno del Sole. Fa eccezione uno strato di spessore ridotto che si trova a circa 1/100 di raggio solare al di sotto della superficie, dove la correzione pu`o arrivare a valori dell’ordine del 6%. Infine, la terza correzione `e dovuta al fatto che nel profondo interno del Sole gli elettroni vengono a trovarsi in una situazione di parziale degenerazione. La quantit` a fisica che permette di caratterizzare questo effetto `e il rapporto, che indichiamo con R, fra il numero di elettroni presenti in un determinato volume fisico e il numero di stati quantici a loro disposizione. Fino a che R risulta molto minore dell’unit` a, non si ha nessuna complicazione dovuta al principio di esclusione di Pauli. Viceversa, quando R cresce, `e necessario applicare la statistica di Fermi-Dirac col risultato che la pressione dovuta agli elettroni cresce rispetto a quella che risulterebbe dall’applicazione della statistica classica. Ricordando che alla temperatura T il volume V dello spazio degli impulsi a disposizione di una particella non relativistica di massa m `e dato da V = (2π m kB T )3/2 , e ricordando che un singolo stato quantico occupa un volume dello spazio delle fasi dato da h3 (con h costante di Planck), si ottiene R=

ne h3 , 2 (2π m kB T )3/2

dove il fattore 2 al denominatore `e stato introdotto per tener conto dello spin dell’elettrone. Nell’ interno del Sole, il plasma `e quasi completamente ionizzato, per cui si ha, con buona approssimazione4, ne =

ρ (1 + X) . 2 mH

Sostituendo nell’espressione di R i valori della densit` a e della temperatura al centro del Sole, quali dedotti dal modello politropico sviluppato nel paragrafo precedente (ρc = 1.38×102 g cm−3 , Tc = 1.39×107 K), e assumendo X = 0.71, si ottiene R = 0.28 , che mostra che gli effetti della degenerazione degli elettroni cominciano a divenire importanti in tali condizioni estreme di densit` a e temperatura. Indicando con ∆Pdeg la correzione che si deve apportare alla pressione, calcolata secondo l’equazione dei gas perfetti, per tener conto degli effetti di degenerazione, si trova che il rapporto ∆Pdeg /Pg.p. `e in effetti massimo al centro del Sole ma ivi non supera il valore del 2%. 4

Questa formula ` e dimostrata nel Par. 6.5.

L’INTERNO DEL SOLE

229

Come abbiamo visto, le correzioni all’equazione dei gas perfetti non sono molto importanti, portando dei contributi che sono al massimo dell’ordine di qualche percento. Questo giustifica l’utilizzazione di tale equazione quando non siano richieste precisioni molto elevate. Tuttavia, quando si desiderino costruire modelli per l’interpretazione di misure di precisione, quali quelle di eliosismologia, `e necessario utilizzare l’equazione di stato completa, ovvero P = Pg.p. + Prad + Pelettr + ∆Pdeg . I calcoli per la determinazione dell’equazione di stato sono complessi, ma fortunatamente, grazie allo sforzo congiunto di numerosi ricercatori, si pu` o oggi far ricorso a delle opportune tabelle, o programmi informatici, che sono stati sviluppati e vengono continuamente aggiornati in laboratori specializzati.

6.4 La produzione di energia negli interni stellari Come abbiamo visto nel Par. 6.1, la descrizione fisica dell’interno del Sole, e pi` u in generale degli interni stellari, richiede la conoscenza della quantit`a ε, ovvero dell’energia prodotta per reazioni nucleari dall’unit` a di massa del plasma stellare per unit`a di tempo. La determinazione di ε passa, ovviamente, per l’individuazione delle reazioni nucleari responsabili della produzione dell’energia e per la determinazione quantitativa della loro efficienza in funzione dei parametri fisici presenti localmente nell’interno della stella. Nel caso del Sole `e ormai noto da molto tempo che l’insieme di reazioni pi` u importante `e quello che prende il nome di “ciclo protone-protone”, spesso abbreviato in ciclo pp. Il risultato finale del ciclo `e la fusione di quattro protoni (e di due elettroni) in un nucleo di Elio (4 He) con la conseguente produzione di una quantit` a di energia data dalla ben nota equazione di Einstein E = ∆m c2 = (4mp + 2m − mα ) c2 , dove mp e mα sono rispettivamente le masse del protone e della particella α. Sostituendo i valori delle costanti si trova che ∆m/(4mp ) = 0.00712, e si ottiene E = 4.28 × 10−5 erg = 26.73 MeV. La prima reazione del ciclo pp consiste nella fusione di due nuclei di Idrogeno (due protoni) in un nucleo di Deuterio con la formazione di un positrone e di un neutrino e la produzione di 1.192 MeV di energia (disponibile per il bagno termico) e di 0.250 Mev di energia che sono “portati via”, per cos`ı dire, dal o scrineutrino5 . Utilizzando il formalismo standard delle reazioni nucleari si pu` 5

I neutrini interagiscono in maniera debolissima con la materia dimodoch´e un neutrino prodotto nell’interno della stella fuoriesce indisturbato dalla stella stessa portando con s´e tutta la sua energia.

230

CAPITOLO 6

vere, affiancando alla reazione la quantit` a di energia effettivamente depositata nel plasma, e indicando entro parentesi quella portata via dai neutrini 1

H +1H →2H + e+ + ν

1.192 MeV + (0.250 MeV) .

Questa prima reazione, essendo un processo dovuto all’interazione debole, `e molto rara. Si pu` o infatti stimare che nelle condizioni tipiche dell’interno del Sole un singolo protone debba “attendere” circa 200 anni prima di poter dar luogo a un nucleo di Deuterio nell’urto con un altro protone. Si noti che, oltre che con questa reazione, si pu`o produrre Deuterio anche attraverso una reazione ancora pi` u rara, detta pep, che influenza solo marginalmente il calcolo di ε (portando un piccolissimo contributo negativo) ma che riveste una certa importanza nel problema dei neutrini (si veda il Par. 6.11) 1

H + e− +1H →2H + ν

(1.442 Mev) .

Il Deuterio prodotto pu` o poi fondere con un altro protone per dar luogo a un nucleo di 3 He e a un raggio γ, ovvero 2

H +1H →3He + γ

5.494 MeV .

A partire da questo punto esistono tre possibilit`a di produrre il nucleo finale di 4 He. Le corrispondenti catene di reazioni sono chiamate rispettivamente ppI, ppII e ppIII. Nel ciclo ppI due nuclei di 3 He fondono per dare il nucleo di 4 He pi` u due protoni. Alternativamente, si possono sviluppare i cicli ppII e ppIII con una reazione in cui un nucleo di 3 He fonde con un nucleo di 4 He a per dar luogo a un nucleo di 7 Be. Infine per il 7 Be si aprono due possibilit` che distinguono il ciclo ppII dal ciclo ppIII, come dettagliato nelle equazioni seguenti (un asterisco posto a destra del simbolo di un elemento significa che il nucleo prodotto si trova in uno stato eccitato instabile).

• Ciclo ppI 3

He +3 He →4 He +1 H +1 H

12.860 MeV .

• Ciclo ppII 3 7 7

He +4 He →7 Be + γ Be + e− →7 Li + ν

1.588 MeV , 0.049 MeV + (0.813Mev) ,

Li +1 H →4 He +4 He

17.346 MeV .

• Ciclo ppIII 7 Be +1 H →8 B + γ 8 8



B → Be + e + ν Be∗ →4 He +4 He 8

+

0.137 MeV , 7.9 MeV + (7.2 MeV) , 2.995 MeV .

L’INTERNO DEL SOLE

231

I tre cicli hanno efficienza diversa a seconda della temperatura, della densit` a e delle abbondanze chimiche. Nel Sole il pi` u efficiente `e il ciclo ppI che contribuisce per una frazione dell’86%, seguito dal ciclo ppII (14 %) e dal ciclo ppIII (0.11%). Accanto al ciclo protone-protone esiste un altro ciclo di reazioni nucleari che ha comunque importanza limitata nel caso solare. Si tratta del cosiddetto ciclo CNO (Carbonio-Azoto-Ossigeno), detto anche “ciclo di Bethe-Weizs¨ acker”, che riveste invece importanza fondamentale nel caso di stelle pi` u calde del Sole. Nel ciclo CNO non si ha una effettiva fusione di questi elementi in elementi pi` u pesanti. Essi funzionano invece come veri e propri catalizzatori per portare a termine la solita trasformazione di quattro protoni in un nucleo di 4 He. Il ciclo CNO `e illustrato in dettaglio dalle sei reazioni nucleari riportate sotto. Oggi sappiamo che il ciclo CNO contribuisce alla produzione di energia del Sole solo per circa l’1%, l’altro 99% essendo dovuto al ciclo pp. • Ciclo CNO 12 13

C +1 H →13 N + γ N →13 C + e+ + ν

C +1 H →14 N + γ 14 N +1 H →15 O + γ 13

15 15

O →15 N + e+ + ν N +1 H →4 He +12 C

1.944 MeV , 1.510 MeV + (0.71 Mev) , 7.551 MeV , 7.298 MeV , 1.752 MeV + (1.00 Mev) , 4.966 MeV .

Il tasso (la rate) al quale si producono le reazioni nucleari dipende dalla velocit` a relativa dei reagenti, dalla loro distribuzione in velocit` a (e quindi dalla temperatura) e da un’opportuna sezione d’urto che `e proporzionale alla probabilit` a che la reazione stessa si produca al momento in cui i reagenti entrano in contatto urtandosi. Esiste una teoria semplificata, ma sostanzialmente corretta che permette di dare un’espressione per le rates, e quindi per la quantit` a ε. Questa teoria, che prende il nome di teoria di Gamow, `e illustrata qui di seguito. Consideriamo una reazione nucleare del tipo A + B → prodotti di reazione, e schematizziamo la reazione stessa mediante la seguente successione di eventi: a) le particelle A e B si avvicinano interagendo repulsivamente attraverso l’ordinaria forza Coulombiana; b) se la loro energia cinetica `e sufficientemente elevata, le particelle possono arrivare in cos`ı stretto contatto da far entrare in gioco le forze nucleari a corto range. A questo punto si forma un nucleo eccitato, C∗ , instabile; c) il nucleo eccitato C∗ decade con legge probabilistica secondo uno dei vari canali disponibili. Indicando con E l’energia cinetica del sistema delle due particelle, misurata nel riferimento del centro di massa, sia σ(E) la sezione d’urto della reazione. Essa

232

CAPITOLO 6

`e ovviamente funzione di E. Il numero di reazioni per unit` a di tempo e per unit` a di volume `e dato da N = nA nB vr σ(E) , dove nA e nB sono le densit` a numeriche delle particelle A e B, rispettivamente, a relativa e dove il simbolo · · · rappresenta una media della vr `e la loro velocit` quantit` a in parentesi sulla distribuzione delle velocit` a delle particelle. Se si suppone che tale distribuzione sia Maxwelliana, indicando con MA e MB le masse delle particelle, e introducendo la massa ridotta, Mr con la consueta equazione Mr =

MA MB , MA + MB

la formula precedente pu` o essere espressa nella forma     ∞ 8 E σ(E) E exp − dE , N = n A nB 3 T3 π Mr kB kB T 0 dove kB `e la costante di Boltzmann e T la temperatura assoluta. Per valutare σ(E) teniamo conto del modello di Gamow ponendo σ(E) = σc Pt C , a che venga dove σc `e la sezione d’urto per urto centrale, Pt `e la probabilit` superata la barriera coulombiana e C `e la probabilit` a che, una volta formatosi il nucleo eccitato C∗ , esso decada secondo il canale desiderato. Poich´e, con buona approssimazione, la probabilit` a C pu` o essere considerata indipendente da E, si pu` o scrivere     ∞ 8 E N = n A nB C σc Pt E exp − dE . 3 T3 π Mr kB kB T 0 o essere valutata nel modo seguente. Per avere un urto La sezione d’urto σc pu` centrale, il parametro d’urto, bu , deve essere il pi` u piccolo possibile, compatibilmente con le leggi della meccanica quantistica. Se l’impulso relativo delle particelle `e p, si deve quindi avere bu =

h ¯ , p

e quindi, in approssimazione non relativistica, σc = π b2u =

πh ¯2 πh ¯2 = . p2 2 Mr E

233

L’INTERNO DEL SOLE

V(r) E max

E

a

b

r

Fig. 6.4. La figura illustra schematicamente l’andamento con la distanza dell’energia potenziale della coppia di particelle che entrano in collisione. A grandi distanze l’energia potenziale ` e quella di repulsione Coulombiana, mentre a distanze  a, entrano in gioco le forze attrattive di tipo nucleare che producono una buca di potenziale. Anche se le particelle possiedono all’infinito un’energia E < Emax , ` e possibile che riescano a superare la barriera di potenziale per effetto tunnel.

Sostituendo e semplificando si ottiene √    ∞ 2π h ¯2 E Pt exp − N = n A nB C  dE . kB T (Mr kB T )3 0 Si tratta adesso di valutare la quantit` a Pt . Indicando con r la distanza relativa fra le due particelle, il potenziale V (r) entro il quale avviene il loro moto relativo `e quello schematizzato nella Fig. 6.4. Classicamente, per poter superare la barriera di potenziale, l’energia relativa delle particelle dovrebbe a non essere maggiore di Emax . Quantisticamente, si ha invece una probabilit` nulla anche se E < Emax . Questo fenomeno prende il nome di “effetto tunnel” e, per poterne dare una stima quantitativa, si pu` o utilizzare la cosiddetta approssimazione di Wentzel, Kramers e Brillouin (approssimazione WKB). In tale approssimazione, la funzione d’onda che descrive il moto relativo delle particelle pu` o essere scritta, nella zona compresa fra i punti r = a e r = b della Fig. 6.4, nella forma   r 1   2Mr [V (r ) − E] dr . ψ(r) = ψ(a) exp ¯ a h La funzione d’onda nel punto r = b `e quindi connessa a quella nel punto r = a

234

CAPITOLO 6

dalla relazione 

b

ψ(b) = ψ(a) exp a

1 2Mr [V (r) − E] dr h ¯

 .

La probabilit` a che si verifichi l’effetto tunnel `e quindi data da      ψ(a) 2 2   = exp − 2 Mr I , Pt =  ψ(b)  h ¯ dove l’integrale I `e dato da  I=

b

 V (r) − E dr .

a

Se ZA e ZB sono i numeri di carica delle due particelle, si ha, per r > a ZA ZB e20 , r

V (r) =

mentre la distanza b `e definita dall’equazione ZA ZB e20 =E . b L’integrale pu` o allora scriversi nella forma  b  1 1 − dr . I = ZA ZB e0 r b a Per risolvere l’integrale eseguiamo un cambiamento di variabile ponendo r = b sin2 θ . Con alcuni passaggi algebrici, ci si riconduce facilmente all’espressione I =2

  ZA ZB b e0

π/2

√

arcsin

a/b

2 cos θ dθ .

Poich´e a  b, con ottima approssimazione si pu` o estendere l’integrale fra 0 e π/2, e si ottiene π  I = e0 ZA ZB b , 2 da cui, ricordando la definizione di b, I=

π ZA ZB e20 √ . 2 E

235

L’INTERNO DEL SOLE

Sostituendo questa espressione in Pt , si `e cos`ı condotti all’espressione

  E0 , Pt = exp − E dove si `e posto E0 =

2 ZB2 e40 2π 2 Mr ZA . 2 h ¯

Riprendendo l’espressione per il numero di reazioni per unit` a di volume e per unit` a di tempo si ha √ 2π h ¯2 N = n A nB C  J , (Mr kB T )3 dove l’integrale J `e dato da 



J =

 exp −

0

E0 E



  E exp − dE . kB T

Per risolvere questo integrale, eseguiamo il cambiamento di variabile 1/3

E = E0

(kB T )2/3 y .

Si ottiene  1/3

J = E0



(kB T )2/3

   exp −α y −1/2 + y dy ,

0

dove  α=

E0 kB T

1/3 .

Calcoliamo adesso l’integrale in maniera approssimata osservando che l’integrando `e una funzione di y che tende a zero sia per y → 0 che per y → ∞. Sviluppiamo la quantit` a (y −1/2 + y) in serie di Taylor nell’intorno del suo minimo. Come `e facile verificare, tale minimo si trova nel punto y0 = 2−2/3  0.6300, e lo sviluppo al secondo ordine risulta −1/2

y −1/2 + y  y0 −1/2

ovvero, osservando che (y0

+ y0 +

3 −5/2 y (y − y0 )2 , 8 0 −5/2

+ y0 ) = 3y0 e che y0

= 8y02 ,

y −1/2 + y  3y0 [1 + y0 (y − y0 )2 ] .

236

CAPITOLO 6

Sostituendo questa espressione in J , estendendo l’integrale in dy fra −∞ e ∞ ed eseguendo l’integrale si ottiene √ π 1/3 2/3 , J = E0 (kB T ) exp(−3αy0 ) √ y0 3α ovvero, ricordando la definizione di α 1 J = y0



  1/3  E0 π 1/6 5/6 E (kB T ) exp −3y0 . 3 0 kB T

Infine, sostituendo nell’espressione per N ed esplicitando i fattori numerici si arriva all’espressione   1/3  1/6 2 E0 ¯ E0 h exp −1.89 . N = 4.07 nA nB C 3/2 kB T Mr (kB T )2/3 Come `e consuetudine nella fisica degli interni stellari, la produzione di energia si esprime attraverso il parametro ε definito come l’energia prodotta per unit`a di tempo e per unit` a di massa. Se indichiamo con Q l’energia prodotta per ciascuna reazione nucleare, la quantit`a ε `e connessa al numero di reazioni per unit` a di tempo e di volume, N , e alla densit` a ρ dalla relazione ε=

NQ . ρ

Inoltre, se indichiamo con XA e XB l’abbondanza in massa degli elementi A e B, rispettivamente, e con µA e µB i corrispondenti pesi atomici, si ha NA =

ρ XA , µA mH

NB =

ρ XB , µB mH

a di massa atomica. Si ottiene quindi dove mH `e l’unit`   1/3  1/6 XA XB C Q h E0 ¯ 2 E0 ε = 4.07 ρ exp −1.89 . 3/2 kB T µA µB Mr m2H (kB T )2/3 Attraverso questa espressione `e possibile dare una stima delle rates delle reazioni nucleari che avvengono negli interni stellari. Per quanto riguarda il ciclo protone-protone (ciclo pp), la rate viene stimata andando a considerare la reazione pi` u lenta che viene a costituire il cosiddetto “collo di bottiglia” (bottleneck) del ciclo completo. Tale reazione `e la seguente 1

H + 1 H →2 H + e + + ν .

La rendita in energia Q che va sostituita nella formula per ε `e quella relativa all’intero ciclo che vale (per il ppI) Qpp = 26.23 MeV = 4.20 × 10−5 erg. Nella

237

L’INTERNO DEL SOLE

formula, bisogna inoltre sostituire i seguenti valori (X `e il valore dell’abbondanza in massa dell’Idrogeno)6

XA = XB = X ,

Mr =

mH , 2

µA = µB = 1 ,

ZA = ZB = 1 ,

per cui si ottiene π 2 mH e40 = 7.84 × 10−7 erg . h ¯2 D’altra parte, esperimenti di laboratorio e calcoli teorici di fisica nucleare danno per la probabilit` a C il valore 1.58 × 10−25 . Osservando infine che per reazioni omonucleari (quali quella che stiamo considerando) `e necessario introdurre nella formula un fattore supplementare pari a 1/2, si ottiene, esprimendo ρ in g cm−3 e la temperatura attraverso il parametro T9 (T9 = T (K)/109),

 3.37 4 2 −2/3 exp − 1/3 erg g−1 s−1 . εpp = 2.53 × 10 ρ X (T9 ) T9 E0 =

Riguardo al ciclo CNO, la reazione “collo di bottiglia” `e la seguente 1

H +14 N →15O + γ .

I parametri rilevanti sono XA = X , µA = 1 ,

XB = XN , µB = 14 ,

Mr =

ZA = 1 ,

14 mH , 15 ZB = 7 ,

QCNO = 25.02 MeV = 4.01 × 10−5 erg , per cui, sostituendo 1372 π 2 mH e40 = 7.17 × 10−5 erg . 15 h ¯2 D’altra parte, esperimenti di laboratorio e calcoli teorici di fisica nucleare danno per la probabilit` a C il valore 4.54×10−3. Si ottiene quindi, nelle solite notazioni E0 =

εCNO = 8.44 × 10 6

25

−2/3

ρ X XN (T9 )

exp −

15.2 1/3 T9

 erg g−1 s−1 .

In effetti, il peso atomico dell’Idrogeno non `e 1 ma 1.0079, e la massa ridotta dovrebbe essere posta uguale a mp /2. Queste piccole differenze non sono qui considerate, dato il livello di approssimazione della formula per εpp .

238

CAPITOLO 6

Fig. 6.5. Andamento del rapporto ε/ρ (espresso in unit` a c.g.s.) in funzione della temperatura per il ciclo pp (linea punteggiata) e per il ciclo CNO (linea trattegiata). La linea continua d` a la somma dei due contributi. Il grafico `e stato ottenuto assumendo X = 0.71 e XN = 8.8 × 10−4 .

La Fig. 6.5 mostra l’andamento del rapporto ε/ρ in funzione della temperatura per le due reazioni. Come si vede, il ciclo pp prevale rispetto al ciclo CNO per temperature minori di circa 2 × 107 K. Le espressioni di ε che abbiamo determinato in questo paragrafo sono approssimate e possono essere utilizzate solo nel caso in cui non sia richiesta una precisione di calcolo molto elevata. Altrimenti bisogna far ricorso a espressioni pi` u complesse, basate anche su dati sperimentali relativi a sezioni d’urto misurate in laboratorio, che coinvolgono integrali da valutare per mezzo di metodi numerici. Anche per la determinazione di ε, cos`ı come per l’equazione di stato (si veda il paragrafo precedente), si pu` o oggi far ricorso a delle tabelle, o programmi informatici, che sono stati sviluppati e vengono continuamente aggiornati in laboratori specializzati.

6.5 L’opacit` a e la media di Rosseland Come abbiamo visto nel Par. 2.2, le propriet`a di trasporto della radiazione in un plasma sono determinate da due grandezze fisiche, il coefficiente di assorbimento, kν , e il coefficiente di emissione, ν , entrambi funzioni della frequenza ν. Per un mezzo che presenti simmetria cilindrica rispetto a un asse privilegiato (che assumiamo come asse z di un sistema di riferimeno cartesiano), l’equazione

L’INTERNO DEL SOLE

239

del trasporto per la radiazione, Iν (z, µ), che si propaga alla quota z lungo la direzione individuata dall’angolo θ (si veda la Fig. 2.5) `e data dalla seguente espressione d Iν (z, µ) = −kν [Iν (z, µ) − Sν ] , dz dove µ = cos θ e dove Sν = ν /kν `e la funzione sorgente. Negli interni stellari il campo di radiazione si trova in una situazione molto prossima a quella dell’equilibrio termodinamico dimodoch´e la funzione sorgente `e data dalla funzione di Planck (Sν = Bν ). Inoltre il coefficiente di assorbimento `e molto elevato per cui le propriet`a fisiche del mezzo variano poco su una scala dell’ordine del libero cammino medio dei fotoni  1/kν . Per la soluzione o supporre kν = dell’equazione del trasporto in un punto generico z = z0 si pu` cost. e si pu` o considerare uno sviluppo in serie della funzione sorgente arrestato al primo ordine: µ

Bν (z) = aν + bν (z − z0 ) , dove, indicando con T la temperatura alla quota z0 e con dT /dz il gradiente di temperatura relativo alla stessa quota, si ha dBν (T ) dT . dT dz L’equazione del trasporto pu`o essere facilmente risolta cercando una soluzione per Iν lineare in z. Per il valore di Iν nel punto z0 si ottiene aν = Bν (T ) ,

Iν (z0 , µ) = aν −

bν =

µ bν µ dBν (T ) dT = Bν (T ) − . kν kν dT dz

Come si vede da questa espressione, il campo di radiazione presenta una dipendenza da µ, ovvero dalla direzione. Questa anisotropia `e responsabile del trasporto di energia per radiazione lungo la direzione z. Per calcolare il flusso monocromatico di energia raggiante, Fν , bisogna valutare un integrale sull’angolo solido, ovvero

cos θ Iν (z0 , µ) dΩ , Fν = 4π

che, con la trasformazione µ = cos θ, risulta  1 µ Iν (z0 , µ) dµ . Fν = 2π −1

L’integrale si esegue banalmente e porta al risultato Fν = −

4π 1 dBν (T ) dT . 3 kν dT dz

240

CAPITOLO 6

` necessario osservare che nella teoria degli interni stellari si preferisce inE trodurre in luogo del coefficiente di assorbimento, kν , il coefficiente di assorbimento massico o coefficiente di opacit`a, κν , spesso abbreviato semplicemente con “opacit` a”, definito da κν =

kν , ρ

dove ρ `e la densit` a. Mentre il coefficiente di assorbimento ha le dimensioni del reciproco di una lunghezza, l’opacit`a vale dimensionalmente una superficie diviso una massa e si esprime quindi, nel sistema c.g.s., in cm2 g−1 . In termini di opacit` a, il flusso monocromatico `e dato da Fν = −

4π 1 dBν (T ) dT . 3 ρ κν dT dz

Se si desidera adesso il flusso radiativo totale, `e sufficiente integrare l’equazione precedente sulle frequenze. Definendo allora la media di Rosseland dell’opacit`a, κR , mediante l’espressione 1 = κR

( ∞ 1 dBν (T ) dν 0 κν dT , ( ∞ dBν (T ) dν 0 dT

e osservando che  ∞  ∞ d dBν (T ) d  σ 4  4σ 3 dν = T = T , Bν (T ) dν = dT dT 0 dT π π 0 il flusso radiativo pu` o essere espresso nella forma Frad = −

16 σ T 3 dT . 3 κR ρ dz

La media di Rosseland `e una media armonica dell’opacit`a, da valutarsi assumendo come peso la derivata della funzione di Planck rispetto alla temperatura. Ricordando l’espressione della funzione di Planck ed eseguendo il cambiamento di variabile x = hν/(kB T ) la media di Rosseland pu`o anche essere espressa attraverso l’integrale  ∞ 1 x4 ex 15 1 = dx , κR 4π 4 0 κν (ex − 1)2 e osservando che la funzione che pesa (1/κν ) assume il suo valore massimo per x = 3.83, un’approssimazione brutale della media di Rosseland pu`o essere ottenuta ponendo κR  κν ,

L’INTERNO DEL SOLE

241

dove ν  3.83 kB T /h. La valutazione dell’opacit`a, e del conseguente valore della media di Rosseland, in un interno stellare `e molto complicata e deve partire dall’individuazione di tutti i processi fisici che a essa contribuiscono. Tali processi sono sostanzialmente gli stessi di quelli che contribuiscono all’opacit`a nell’atmosfera solare 7, e sono gi` a stati elencati nel Par. 2.7. L’unico processo che permette una valutazione elementare `e quello della diffusione Thomson su elettroni che, come abbiamo visto nel Par. 2.8, presenta una sezione d’urto indipendente dalla frequenza data da 8πrc2 /3, dove rc `e il raggio classico dell’elettrone (rc = e20 /(mc2 ) = 2.818 × 10−13 cm). Si ha allora (κν )s.t. = (κR )s.t. =

8π rc2 ne , 3ρ

dove ne `e la densit` a elettronica. Se si ammette poi che il plasma sia completamente ionizzato, supponendo al solito che tutti gli elementi all’infuori dell’Idrogeno e dell’Elio contribuiscano alla densit` a elettronica con un numero di elettroni pari a circa met`a del peso atomico, la densit` a elettronica `e data da ne =

ρ  X + 21 Y + 21 Z , mH

per cui, tenendo conto che Y + Z = 1 − X, si ottiene ne =

ρ (1 + X) , 2 mH

e l’opacit`a risulta (κR )s.t. =

4π rc2 (1 + X) = 0.200 (1 + X) cm2 g−1 . 3 mH

Per quanto riguarda l’opacit` a dovuta alle transizioni libero-libero (o bremsstrahlung inversa) e alle transizioni legato-libero (o fotoionizzazione) `e possibile valutarne il contributo mediante una teoria basata sulla fisica classica che porta alle cosiddette equazioni di Kramers. Vediamo qui come si possa ottenere un valore di ordine di grandezza per la media di Rosseland dell’opacit`a dovuta alla bremsstrahlung inversa mediante un ragionamento semplificato. Facendo riferimento alla Fig. 6.6, e ricordando l’equazione di Larmor, la potenza istantanea in onde elettromagnetiche irradiata da un singolo elettrone `e data da W = 7

2 e20 a2 , 3 c3

La fotoionizzazione dello ione H− , di importanza fondamentale nell’atmosfera solare, pu` o invece essere trascurata nell’interno del Sole a causa dell’alta temperatura che impedisce la formazione di tale ione.

242

CAPITOLO 6

z

radiazione emessa y

nucleo b

traiettoria dell’elettrone

x

Fig. 6.6. Nel fenomeno della bremsstrahlung (radiazione di frenamento), un elettrone di velocit` a v passa in prossimit` a di un nucleo avente carica Ze 0 . Il moto dell’elettrone `e accelerato a causa dell’interazione Coulombiana e si ha emissione di radiazione. La distanza b` e detta parametro d’urto.

dove a `e l’accelerazione dell’elettrone. Supponendo che l’elettrone sia sufficientemente energetico da percorrere una traiettoria rettilinea, e indicando con t il tempo misurato a partire dall’istante in cui l’elettrone traversa il piano xy, l’accelerazione `e data da a=

Z e20 . m (b2 + v 2 t2 )

Sostituendo, ed eseguendo un integrale elementare in dt, si trova l’energia totale, Etot , emessa dall’elettrone durante l’urto con il nucleo Etot

2 Z 2 e60 = 3 m 2 c3



∞ −∞

1 π Z 2 e60 . dt = (b2 + v 2 t2 )2 3 m 2 c3 b 3 v

Si tratta adesso di considerare tutti i possibili parametri d’urto. Se ne `e la densit` a elettronica, il numero di urti per unit` a di tempo con parametro d’urto compreso fra b e b + db `e dato da ne v 2π b db, per cui la potenza dP emessa in onde elettromagnetiche in tali urti `e data da dP =

2π 2 ne Z 2 e60 1 db . 3 m 2 c3 b2

D’altra parte, l’elettrone avente parametro d’urto b interagisce con il nucleo o allora introdurre l’approssidurante un tempo caratteristico tc  b/v. Si pu` mazione che esso emetta radiazione monocromatica alla frequenza ν data da

L’INTERNO DEL SOLE

ν=

243

v 1 . = tc b

Differenziando questa equazione si ha dν =

v db , b2

per cui dP =

2π 2 ne Z 2 e60 dν . 3 m 2 c3 v

Abbiamo quindi ottenuto che la potenza monocromatica, Pν , `e indipendente dalla frequenza ed `e data da Pν =

2π 2 ne Z 2 e60 . 3 m 2 c3 v

Dall’espressione di Pν si pu` o poi determinare il valore del coefficiente di emissione moltiplicando tale espressione per la densit`a numerica dei nuclei presenti e dividendo per 4π (si ricordi che il coefficiente di emissione `e l’energia emessa dal plasma per unit` a di tempo, per unit` a di volume, per unit` a di banda di frequenza e per unit`a di angolo solido). In un plasma ionizzato, il numero di nuclei di Idrogeno per unit` a di volume `e dato da ρX/mH , quello dei nuclei di Elio da ρY /(4mH ). Inoltre, come abbiamo visto, la densit`a numerica degli elettroni `e data da ρ(1 + X)/(2mH ). Trascurando il contibuto degli altri elementi, e tenendo conto che per l’Elio Z 2 = 4, si ottiene ν =

πe60 ρ2 (X + Y ) (1 + X) . 12 m2 m2H c3 v

Dal coefficiente di emissione `e poi banale risalire al coefficiente di assorbimento mediante la formula di Kirchhoff (ν = kν Bν , dove Bν `e la funzione di Planck). Per le nostre considerazioni basate sulla fisica classica, la funzione di Planck deve essere considerata nel limite di Jeans, per cui si ha kν =

ν  ν c2 . = Bν 2 ν 2 kB T

Sostituendo l’espressione per ν , e passando all’opacit` a si ottiene κν =

πe60 ρ (X + Y ) (1 + X) . 24 m2 m2H c v ν 2 kB T

Si tratta adesso di eseguire la media sulle velocit`a e la media di Rosseland. La prima si ottiene sostituendo a v il valore medio della teoria cinetica, ovvero ponendo

244

CAPITOLO 6

 v=

3 kB T . m

Per la media di Rosseland, eseguiamo semplicemente la sostituzione ν→ν

3.83 kB T . h

Si ottiene cos`ı la formula approssimata (κR )f.f.  5.2 × 10−3

e60 h2 ρ (X + Y ) (1 + X) , c (kB T )7/2

m3/2 m2H

ovvero, sostituendo il valore delle costanti fondamentali8 (κR )f.f. = 4.0 × 1022

ρ (X + Y ) (1 + X) g f.f. cm2 g−1 , T 7/2

dove g f.f. `e un fattore correttivo, detto fattore di Gaunt per le transizioni liberolibero, che viene introdotto per tener conto di effetti quantistici. Una formula simile, che diamo senza dimostrazione, vale anche per l’opacit`a dovuta alle transizioni legato-libero (fotoionizzazione) alla quale contribuiscono sostanzialmente gli elementi pesanti. Si ha (κR )b.f. = 4.3 × 1025

ρ Z (1 + X) g b.f. cm2 g−1 , T 7/2

dove g b.f. `e il fattore di Gaunt per le transizioni legato-libero9. ` interessante osservare che entrambe le espressioni precedenti dipendono E a che la temdal rapporto ρ/T 7/2 . In un tipico interno stellare sia la densit` peratura diminuiscono procedendo dall’interno verso l’esterno, ma la densit` a diminuisce molto pi` u rapidamente della temperatura per cui detto rapporto finisce per essere quasi indipendente dalla distanza dal centro. Nel caso del modello politropico del Sole che abbiamo sviluppato nel Par. 6.2, ad esempio, abbiamo trovato che ρ  θ 3.3 , mentre T  θ (θ `e la funzione caratteristica soluzione dell’equazione di Lane-Emden). Si ha quindi ρ/T 7/2  θ−0.2 , il che significa che l’opacit`a aumenta piuttosto lentamente (rispetto alle variazioni degli altri parametri) nell’interno della stella. Inoltre, possiamo anche osservare che se si considera il rapporto fra le opacit` a legato-libero e libero-libero si ottiene 8

Calcoli pi` u approfonditi (si veda ad esempio G.S. Bisnovatyi-Kogan, Stellar Physics Vol.1, Springer, 2000) forniscono un valore leggermente diverso per la costante: 3.68 × 10 22 invece o anche trovare la deduzione dell’equazione del valore 4.0 × 1022 . Nello stesso volume si pu` per l’opacit` a (κR )b.f. data nel testo.

9

In prima approssimazione, entrambi i fattori di Gaunt (g f.f. e g b.f. ) possono essere assunti uguali a 1.

L’INTERNO DEL SOLE

245

(κR )b.f. Z .  1.1 × 103 (κR )f.f. X +Y Per il Sole, essendo Z  0.02, il contributo delle transizioni legato libero predomina per circa un ordine di grandezza su quelle libero-libero che possono, in prima approssimazione, essere trascurate. Riguardo al contributo relativo dovuto alla diffusione Thomson, esso dipende dai valori locali di densit` a e temperatura. Considerando ad esempio il solito modello politropico del Sole del Par. 6.2, al centro del Sole abbiamo ρc = 1.38 × 102 g cm−3 e Tc = 1.39 × 107 K, per cui si ottiene, con Z=0.02 e X=0.61, (κR )b.f.  18.6 cm2 g−1 . Questo valore va confrontato con il valore 0.32 che si ottiene per (κ R )s.t. nelle stesse condizioni. Infine, bisogna aggiungere che, come per la funzione di stato e per le rates delle reazioni nucleari, sono oggi disponibili delle tabelle o dei programmi informatici che permettono il calcolo dell’opacit`a in maniera diretta. Famoso fra questi il cosiddetto “OPAL Opacity Code” sviluppato presso il Lawrence Livermore National Laboratory.

6.6 Il criterio di Schwarzschild Consideriamo un mezzo astrofisico stratificato, come per esempio il plasma presente nell’interno di una stella, che si trovi in equilibrio idrostatico. Come abbiamo visto, in tale mezzo vale l’equazione dP = −ρ g , dz dove P `e la pressione, z la quota, ρ la densit` a del mezzo, e g il valore della gravit` a locale. Si consideri in tale mezzo, una bolla di gas che, alla quota z, si trovi a una temperatura leggermente superiore rispetto a quella dell’ambiente circostante. Per una propriet` a generale dei fluidi secondo la quale la densit`a diminuisce all’aumentare della temperatura, la bolla di gas inizia a salire in quanto la spinta di Archimede `e leggermente superiore al suo peso. Salendo, la bolla incontra strati aventi pressione minore, con i quali si mette in equilibrio meccanico in maniera quasi istantanea. La bolla si espande e, di conseguenza, si raffredda, in quanto gli scambi di calore con l’ambiente circostante avvengono su tempi scala molto lunghi (rispetto ai tempi sui quali si stabilisce l’equilibrio meccanico) e possono essere trascurati. La variazione di temperatura che la bolla subisce dopo essere salita di una quota ∆z pu` o essere valutata schematizzando la trasformazione subita dalla bolla di gas come una trasformazione adiabatica (ovvero a entropia S = costante). Si ha:

246

CAPITOLO 6

 (∆T )bolla =

∂T ∂P



 ∆P = −ρ g S

∂T ∂P

 ∆z . S

D’altra parte, se nell’atmosfera `e presente un gradiente di temperatura assegnato, dT /dz, il gas ambiente, alla quota z + dz, ha, rispetto al gas alla quota z, un eccesso di temperatura, (∆T )ambiente dato da dT ∆z . dz A questo punto si possono verificare due situazioni. La prima `e quella in cui (∆T )bolla < (∆T )ambiente . In questo caso la bolla `e pi` u fredda dell’ambiente circostante, la sua densit`a `e pi` u alta e la bolla arresta il proprio moto ascensionale. Viceversa, se (∆T )bolla > (∆T )ambiente , la bolla continua a salire, il che significa che il mezzo `e convettivamente instabile. Il criterio di stabilit`a, detto criterio di Schwarzschild, risulta quindi (∆T )ambiente =

(∆T )bolla < (∆T )ambiente , ovvero, sostituendo le equazioni precedenti,   ∂T dT > −ρ g . dz ∂P S La quantit` a che compare a secondo membro prende il nome di gradiente adiabatico ed `e comunemente indicata col simbolo (dT /dz)ad , per cui il criterio di stabilit` a di Schwarzschild pu` o anche essere scritto nella forma   dT dT > , dz dz ad dove 

dT dz



 = −ρ g ad

∂T ∂P

 . S

Nel caso in cui il mezzo possa essere schematizzato come un gas perfetto, ricordando l’equazione che regola l’andamento della pressione con la temperatura per una trasformazione adiabatica, ovvero T P (1−γ)/γ = cost. , dove γ `e il rapporto fra calore specifico a pressione costante e calore specifico a volume costante, si ottiene   γ −1 T ∂T = , ∂P S γ P

L’INTERNO DEL SOLE

247

per cui il criterio di Schwarzschild risulta γ−1 T dT > −ρ g , dz γ P e, ricordando l’equazione di stato dei gas perfetti dT γ − 1 µ mH , > −g dz γ kB a di peso atomico, e kB `e la costante dove µ `e il peso atomico medio, mH `e l’unit` di Boltzmann. ` interessante andare a esaminare pi` E u in dettaglio la condizione per l’instaurarsi della convezione nel caso solare. Per far questo, schematizziamo il plasma solare come un gas perfetto monoatomico. Essendo allora γ = 5/3, il criterio di Schwarzschild risulta dT 2 g µ mH . >− dz 5 kB Tuttavia, il plasma solare pu` o effettivamente essere schematizzato come un gas perfetto soltanto quando non sono presenti fenomeni di ionizzazione (o quando tali fenomeni possano essere trascurati). Altrimenti, la relazione precedente deve essere modificata e pu` o essere scritta nella forma dT 2 g µ mH , >− F dz 5 kB dove F `e una quantit` a adimensionale che risulta sempre essere minore dell’unit`a e la cui espressione pu`o essere determinata andando ad analizzare in dettaglio le propriet` a termodinamiche del plasma ionizzato. Ad esempio, se si considera un plasma di puro Idrogeno, si pu` o dimostrare (si veda il paragrafo successivo) che la quantit` a F `e data da 

 ⎤−1 ∂x 2 ∂T P  ⎦ , F = ⎣1 + 5 1 + x + T ∂x ∂T P ⎡

I kB

dove I `e il potenziale di ionizzazione dell’atomo di Idrogeno, e dove x `e la frazione di atomi di Idrogeno ionizzati (0 ≤ x ≤ 1). Poich´e la derivata ∂x/∂T `e sempre positiva, ne consegue che F ≤ 1. La ionizzazione porta quindi alla diminuzione del valore assoluto del gradiente adiabatico (ovvero al suo aumento, in termini di valore e segno). Questo fatto non `e sorprendente se si pensa che in un’espansione adiabatica il gas parzialmente ionizzato si raffredda meno del gas neutro (o del gas totalmente ionizzato) in quanto la usuale diminuzione di temperatura dovuta all’espansione viene parzialmente compensata dalla ricombinazione degli ioni. In conseguenza,

248

CAPITOLO 6

le zone degli interni stellari nei quali si verifica il fenomeno della ionizzazione risultano particolarmente appropriate per l’instarurarsi dell’instabilit` a convettiva. Il paragrafo seguente `e dedicato a chiarire questi concetti nel caso particolare di un gas di puro Idrogeno. La trattazione del caso generale `e ovviamente pi` u complicata ma non fa intervenire ulteriori concetti fisici.

6.7 La termodinamica del gas Idrogeno ionizzato Consideriamo un plasma di puro Idrogeno che si trovi in equilibrio termodinamico alla temperatura T e alla pressione P . Indicando con NH e con NH+ le densit` a di atomi di Idrogeno neutri e ionizzati, rispettivamente, il grado di ionizzazione x (con 0 ≤ x ≤ 1) `e definito dall’equazione x=

N H+ . N H + N H+

Dall’equazione di Saha si ha 2 x N H+ = e−I/(kB T ) = (2π m kB T )3/2 , NH 1−x u H ne h3 dove ne `e la densit` a elettronica, I `e il potenziale di ionizzazione dell’Idrogeno (13.59 eV), e uH `e la funzione di partizione dell’Idrogeno neutro (la funzione di partizione dell’Idrogeno ionizzato `e, per definizione, uguale a 1). La densit` a elettronica si pu` o esprimere attraverso la pressione P che, in condizioni di non degenerazione, `e data da P = kB T (NH + NH+ + ne ) = kB T (NH + 2ne ) = kB T ne

1+x . x

Risolvendo per ne si ottiene ne =

P x . 1 + x kB T

Sostituendo nell’equazione di Saha il valore cos`ı trovato si ottiene la seguente equazione di secondo grado in x x2 =C , 1 − x2 dove C=

(π m)3/2 (2 kB T )5/2 e−I/(kB T ) . u H h3 P

249

L’INTERNO DEL SOLE

Risolvendo l’equazione si trova  x=

C . 1+C

Sostituendo in C i valori numerici delle costanti e supponendo uH = 2 (un’ottima approssimazione per gli interni stellari), si ha numericamente C = 0.3334 T 5/2P −1 e−1.5771×10

5

/T

,

con T espressa in K e P in barie. Andiamo adesso a determinare le propriet` a termodinamiche del gas ionizzato. Per questo, considerando le grandezze termodinamiche del gas come funzioni di T e P , e utilizzando le notazioni standard della termodinamica, dimostriamo preliminarmente la seguente relazione   ∂V   T ∂T ∂T P   ,  = ∂U + P ∂V ∂P S ∂T P ∂T P dove V `e il volume del gas e U `e la sua energia interna. Ricordando il primo principio della termodinamica, si ha infatti per una trasformazione infinitesima dQ = dU + dL , dove dQ `e la quantit` a di calore fornita al sistema, dU `e la variazione di energia interna e dL = P dV `e il lavoro compiuto dal sistema stesso. Da questa equazione, considerando U come funzione di T e P , si ottiene

dS =

1 dQ = T T



∂U ∂T



 +P P

∂V ∂T

 dT + P

1 T



∂U ∂P



 +P T

∂V ∂P

 dP . T

Se si impone che dS sia un differenziale esatto (secondo principio della termodinamica), si ottiene, mediante il criterio di Schwartz       ∂V 1 ∂U ∂V =− +P . ∂T P T ∂P T ∂P T Sostituendo questo risultato, il dQ risulta       ∂V ∂V ∂U +P dP , dT − T dQ = ∂T P ∂T P ∂T P che permette di ricavare l’espressione anticipata considerando il caso di una trasformazione a S costante (dQ = 0). Per il gas di Idrogeno ionizzato, d’altra parte, l’energia interna `e data da

250

CAPITOLO 6

Fig. 6.7. Andamento della frazione di ionizzazione (x, linea continua) e del decremento del gradiente adiabatico (F , linea punteggiata) in funzione del logaritmo della temperatura per un gas di puro Idrogeno. Il grafico `e ottenuto per una pressione P = 107 barie. Si noti come l’intervallo di temperatura nel quale il gradiente adiabatico diminuisce coincida con l’intervallo in cui il gas passa dallo stato neutro a quello ionizzato.

U=

3 2

N kB T (1 + x) + N I x ,

dove N `e il numero totale di atomi di Idrogeno (ionizzati e non) presenti nel volume V . Analogamente, la pressione P `e data da P =

N kB T (1 + x) . V

Da questa equazione si ricava V =

N kB T (1 + x) , P

e si ottiene, per semplice derivazione      N kB ∂V ∂x = , 1+x+T ∂T P P ∂T P        ∂x ∂x ∂U = 32 N kB 1 + x + T . +N I ∂T P ∂T P ∂T P Sostituendo queste espressioni nella derivata parziale (∂T /∂P )S si arriva, con facili passaggi, all’espressione

251

L’INTERNO DEL SOLE



∂T ∂P

 = S

2 T F , 5 P

dove 

 ⎤−1 ∂x ∂T  P ⎦ . F = ⎣1 + 1 + x + T ∂x ∂T P ⎡

2 5

I kB

Questo `e il risultato che avevamo anticipato nel paragrafo precedente: essendo F ≤ 1, la ionizzazione diminuisce il valore della derivata (∂T /∂P )S e diminuisce proporzionalmente il valore assoluto del gradiente adiabatico. Per rendere pi` u quantitativa questa affermazione `e necessario valutare la quantit` a F. Ricordando le espressioni precedenti, si ha, con semplici operazioni di derivazione 

∂x ∂T

 P

1 1 =  2 C(1 + C)3



∂C ∂T

 P

 1 = 2T

C (1 + C)3



5 I + 2 kB T

 .

I risultati numerici per la frazione di ionizzazione, x, e per il fattore di diminuzione del gradiente adiabatico, F, sono riportati in grafico nella Fig. 6.7. Come si vede, l’effetto della ionizzazione porta a una riduzione cospicua del gradiente adiabatico in quell’intervallo di temperatura in cui il gas Idrogeno passa dalla neutralit` a alla ionizzazione completa. Negli intervalli in cui il gas `e neutro oppure `e completamente ionizzato, il gradiente adiabatico non `e alterato e pu` o essere valutato come se il gas stesso fosse un gas perfetto monoatomico.

6.8 La teoria della mixing length Nelle zone in cui il criterio di stabilit` a di Schwarzschild non `e soddisfatto si sviluppa in maniera del tutto naturale il fenomeno della convezione. Si tratta di un fenomeno estremamente complesso che, a causa della sua natura caotica e altamente non lineare, non risulta ancora trattabile in maniera soddisfacente dal punto di vista teorico. In mancanza di approcci teorici pi` u soddisfacenti, per descrivere la convezione negli interni stellari si ricorre a una trattazione approssimata basata sul cosiddetto modello della scala di rimescolamento o della mixing length. In questo modello si assume che le celle convettive, ovvero le bolle di materia che si muovono verso l’alto o verso il basso a seconda che la loro temperatura sia pi` u alta o pi` u bassa della temperatura media del mezzo circostante, percorrano una distanza caratteristica pari a , la mixing length, prima di dissolversi e mettersi in equilibrio termico con il mezzo stesso (si

252

CAPITOLO 6

Fig. 6.8. Illustrazione schematica del modello della mixing length. Una cella convettiva sale espandendosi nell’atmosfera solare. Dopo aver percorso un tratto di lunghezza  si dissolve e trasferisce calore al mezzo ambiente circostante.

veda la Fig. 6.8). Se si indica con (dT /dz)c il gradiente termico entro la cella convettiva e con dT /dz quello medio del mezzo circostante, dopo aver salito 10 uno spessore di lunghezza la cella avr` a un eccesso di temperatura ∆T rispetto al mezzo. Tale eccesso `e dato da.    dT dT − . ∆T = dz c dz Indicando con cP il calore specifico massico a pressione costante, le celle contribuiscono quindi a produrre nel mezzo un flusso di calore convettivo dato da    dT dT Fconv = − ρ cP v c , dz c dz dove v c `e la velocit` a media della cella convettiva nel suo percorso ascensionale. Per stimare questa quantit` a andiamo ad analizzarne il moto. Sulla cella agisce la spinta di Archimede che `e maggiore della forza peso a causa della sua minore densit` a rispetto al mezzo. Quando la cella ha percorso un tratto di lunghezza x, la differenza di densit` a fra il mezzo ambiente e la cella `e data da 10

Per fissare le idee sviluppiamo il nostro ragionamento per una cella convettiva in fase ascendente. Per una cella discendente il ragionamento sarebbe del tutto simmetrico e porterebbe agli stessi risultati.

253

L’INTERNO DEL SOLE

 ∆ρ = ρ − ρc = −

∂ρ ∂T

  P

dT dz



dT − dz c

 x ,

e la risultante delle forze che agisce sull’unit`a di volume risulta pari a g∆ρ, g essendo l’accelerazione di gravit`a locale. Possiamo adesso calcolare il lavoro compiuto da tale forza per sollevare la cella di una quantit` a d ed eguagliare tale lavoro all’energia cinetica posseduta dalla cella stessa a tale istante. Facendo riferimento all’unit` a di volume si ha       d ∂ρ 1 dT dT 1 2 ρv = g ∆ρ dx = − g − d2 , 2 c 2 ∂T P dz c dz 0 dalla quale si ottiene  vc = d

g − ρ



∂ρ ∂T

  P

dT dz



dT − dz c

 .

Dobbiamo adesso valutare la media di questa quantit` a sulla “vita” della cella. Per questo, tenendo conto che il “libero cammino medio” della cella `e , sembrerebbe naturale sostituire nell’equazione precedente il valore di d con /2. In effetti, si preferisce eseguire la sostituzione d = /4, per tener conto che la cella “trascorre pi` u tempo” a basse velocit`a. Si ottiene allora       g ∂ρ dT dT vc = − − , 4 ρ ∂T P dz c dz e il flusso convettivo risulta Fconv

2 = cP ρ 4



g − ρ



∂ρ ∂T

 1/2  P

dT dz



dT − dz c

3/2 .

Schematizzando inoltre il plasma come un gas perfetto, si ha   1 1 ∂ρ , = − ρ ∂T P T per cui Fconv

  3/2 2  g 1/2 dT dT = cP ρ − . 4 T dz c dz

Quando non sono presenti fenomeni di irraggiamento a complicare ulteriormente le cose, il gradiente di temperatura entro la cella coincide con il gradiente a in parentesi quadra coincide con la quantit` a adiabatico (dT /dz)ad . La quantit` ∆ che abbiamo introdotto nel Par. 6.1 (si veda la Fig. 6.1) e che pu` o quindi essere determinata mediante l’equazione

254

CAPITOLO 6

 ∆=

4 Fconv cP ρ 2

2/3  1/3 T . g

Nella pratica dei modelli stellari `e consuetudine parametrizzare la mixing length attraverso l’equazione = αH , dove α `e un parametro da determinare imponendo il criterio della massima consistenza del modello con i dati di osservazione e dove H `e la scala di altezza della pressione definita implicitamente dall’equazione P dP =− . dz H Nel caso dei modelli solari `e stato trovato che il valore di α che meglio riesce a riprodurre i dati osservativi `e pari a 2.1. In generale, per i modelli stellari, tale valore `e compeso fra 0.5 e 2.5. Per concludere osserviamo che la convezione `e molto efficiente nei riguardi del trasporto di energia. Ne consegue che il valore di ∆ risulta in generale molto piccolo, nel senso che      dT  ,  ∆ dz ad  e per molte applicazioni il valore di ∆ pu` o semplicemente essere assunto uguale a zero.

6.9 La composizione chimica dell’interno del Sole e la sua evoluzione La materia di cui `e composto il Sole `e una miscela di elementi chimici nella quale predominano l’Idrogeno e l’Elio. Volendo dare un’idea semplificata, si pu` o dire che, considerando il numero di particelle, il Sole `e composto per il 92% da Idrogeno, per l’8% da Elio e da “un pizzico” di altri elementi. Per quanto riguarda la composizione in massa, le percentuali sono le seguenti: 71% di Idrogeno, 27% di Elio e 1.9% di altri elementi. Pi` u quantitativamente, i valori delle abbondanze degli elementi pi` u importanti sono riportati nella Tab. 6.3. A proposito di questa tabella bisogna dire che i valori delle abbondanze sono dedotti a partire da indagini spettroscopiche dell’atmosfera solare (e da altri dati provenienti da analisi chimiche dei meteoriti) e che essi riflettono, presumibilmente, la composizione chimica della nube primordiale dalla quale si `e originato il sistema solare. Inoltre, alcune delle abbondanze riportate nella

255

L’INTERNO DEL SOLE

Elemento Idrogeno Elio Carbonio Azoto Ossigeno Neon Sodio Magnesio Alluminio Silicio Fosforo Zolfo Cloro Argon Potassio Calcio Cromo Manganese Ferro Nichel

Simbolo H He C N O Ne Na Mg Al Si P S Cl Ar K Ca Cr Mn Fe Ni

N.at. 1 2 6 7 8 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 24 25 26 28

Log ab. 12.00 10.99 8.56 8.05 8.93 8.09 6.33 7.58 6.47 7.55 5.45 7.21 5.50 6.56 5.12 6.36 5.67 5.39 7.54 6.25

Abb. (numero) −1

9.10 × 10 8.89 × 10−2 3.30 × 10−4 1.02 × 10−4 7.74 × 10−4 1.12 × 10−4 1.94 × 10−6 3.46 × 10−5 2.68 × 10−6 3.23 × 10−5 2.56 × 10−7 1.48 × 10−5 2.88 × 10−7 3.30 × 10−6 1.20 × 10−7 2.08 × 10−6 4.25 × 10−7 2.23 × 10−7 3.15 × 10−5 1.62 × 10−6

Abb. (massa) 7.07 × 10−1 2.74 × 10−1 3.05 × 10−3 1.10 × 10−3 9.54 × 10−3 1.74 × 10−3 3.44 × 10−5 6.48 × 10−4 5.57 × 10−5 6.99 × 10−4 6.11 × 10−6 3.66 × 10−4 7.87 × 10−6 1.02 × 10−4 3.62 × 10−6 6.42 × 10−5 1.70 × 10−5 9.44 × 10−6 1.36 × 10−3 7.33 × 10−5

Tab. 6.3. Abbondanze solari (primordiali) degli elementi. Per ogni elemento sono dati, oltre al simbolo chimico e al numero atomico, il logaritmo in base 10 dell’abbondanza in numero (espresso nella scala tradizionale che assegna il valore 12 all’Idrogeno), l’abbondanza in numero (normalizzata all’unit` a) e l’abbondanza in massa (sempre normalizzata all’unit` a). Tenendo conto anche delle incertezze, per le frazioni in massa dell’Idrogeno, dell’Elio e degli altri elementi si ha: X = 0.707 ± 0.018, Y = 0.274 ± 0.016, Z = 0.0189 ± 0.002.

tabella sono note a tutt’oggi con scarsa precisione. In particolare, l’abbondanza dell’Elio `e difficilemente deducibile dai dati spettroscopici perch´e le righe dell’Elio sono praticamente assenti nello spettro solare. Il valore riportato in tabella `e in effetti dedotto proprio dall’analisi del modello standard solare (si veda il paragrafo successivo). Nelle zone dell’interno del Sole dove hanno luogo le reazioni nucleari che convertono Idrogeno in Elio la composizione chimica evolve. Questo processo avviene su tempi scala lunghissimi, dell’ordine del miliardo di anni, e resta localizzato nelle zone interne in quanto non sono presenti processi di rimescolamento tali da portare in superficie la materia cos`ı processata 11. L’evoluzione chimica `e controllata da equazioni differenziali, dette equazioni cinetiche, che 11

Il rimescolamento di materia in un interno stellare pu` o avvenire solo nelle zone convettive. Nel caso del Sole, come vedremo nel paragrafo successivo, la zona convettiva non si sovrappone alla zona dove sono presenti le reazioni termonucleari.

256

CAPITOLO 6

possono essere dedotte facilmente in base ai risultati ottenuti nel Par. 6.4. Consideriamo ad esempio il ciclo pp. L’energia prodotta per unit` a di tempo dall’unit` a di massa di materiale stellare `e data dalla quantit` a εpp . Il numero di cicli pp che si compiono per unit` a di tempo e di massa `e quindi dato da εpp /Qpp. Poich´e in ogni ciclo pp quattro protoni vengono convertiti in un nucleo di Elio, per la quantit` a X, abbondanza in massa dell’Idrogeno, si ottiene l’equazione differenziale εpp dX = −4 mH . dt Qpp ` interessante analizzare l’evoluzione chimica nel centro del Sole, dove posE siamo assumere, in base al modello politropico sviluppato nel Par. 6.2, ρc = 1.38 × 102 g cm−3 e Tc = 1.39 × 107 K. La sostituzione di questi valori nella formula per εpp del Par. 6.4 porta al risultato εpp = 49.4 X 2 erg s−1 g−1 , dal quale, sostituendo il valore di mH e ricordando che Qpp = 4.20 × 10−5 erg, si ottiene 1 dX = − X2 , dt τ dove τ = 1.3 × 1017 s . Assumendo che le condizioni di densit`a e temperatura non cambino col tempo, τ `e una costante e l’equazione differenziale pu`o essere facilmente risolta per dare X0 τ , X0 t + τ dove X0 `e l’abbondanza in massa dell’Idrogeno all’istante iniziale. Come si vede, tale abbondanza decade nel tempo con un tempo di dimezzamento pari a τ /X0 , ovvero circa 6 × 109 anni. Poich´e questo `e anche l’ordine di grandezza della vita del Sole (cos`ı come dedotta da evidenze paleontologiche), se ne deduce che l’abbondanza dell’Idrogeno nelle zone centrali si `e circa dimezzata dal momento della nascita della nostra stella. X=

6.10 Il modello solare standard Le equazioni fondamentali della struttura stellare dedotte nel Par. 6.1 e l’analisi quantitativa dei vari processi fisici sviluppata nei paragrafi successivi

L’INTERNO DEL SOLE

257

sono alla base della costruzione del cosiddetto “modello solare standard”, uno dei risultati teorici di maggior successo dell’astronomia moderna. Partendo da una sfera di gas omogenea avente composizione chimica assegnata e massa pari alla massa solare (M = 1.989 × 1033 g), si costruisce un primo modello “a tempo 0” del Sole. Tale modello viene fatto “evolvere”, in base alle equazioni cinetiche illustrate nel paragrafo precedente, ipotizzando che si abbia rimescolamento di materia solo nelle zone convettivamente instabili e che invece, nelle zone in cui il trasporto di energia avviene per irraggiamento, le variazioni di composizione chimica restino localizzate nel punto in cui esse avvengono. Cos`ı facendo si viene a produrre un modello solare “funzione del tempo” e si va infine a confrontare con i dati osservativi il modello relativo al tempo t , l’et`a del Sole stimata in 4.6 × 109 anni. Tale confronto, che riguarda sostanzialmente i valori del raggio e della luminosit` a presentemente osservati (R = 6.963 × 1010 cm, L = 3.845 × 1033 erg s−1 ), permette di aggiustare mediante un processo iterativo i parametri liberi del modello, ovvero il valore dell’abbondanza primordiale dell’Elio e il valore del parametro α che interviene nella teoria della mixing length. Il risultato finale di questo processo `e il cosiddetto modello solare standard. ` necessario precisare che non esiste un unico “modello solare standard” in E quanto le tabelle e i programmi informatici utilizzati per valutare le quantit`a fisiche che intervengono nel modello (equazione di stato, rates nucleari, opacit`a, etc.) possono differire da laboratorio a laboratorio e vengono inoltre continuamente aggiornati in base, ad esempio, a nuove misure sperimentali di sezioni d’urto o a nuovi sviluppi teorici. Da questo punto di vista si pu` o affermare che il modello solare standard `e in uno stato di continua evoluzione anche se, da circa una ventina d’anni, sembra aver raggiunto una fase “di stabilit` a” che non risulta alterata in maniera significativa da ulteriori miglioramenti nelle conoscenze dei processi fisici. I principali aspetti del modello solare standard sono illustrati nel seguito. Dal punto di vista evolutivo il risultato pi` u importante riguarda la luminosit` a solare che, in base al modello, sarebbe aumentata in maniera sostanzialmente lineare dal valore iniziale (di 4.6 miliardi di anni fa) pari a circa 0.72 L  al valore attuale. Se una riduzione drastica della luminosit` a solare di un fattore 0.72 dovesse accadere oggi, ci` o provocherebbe un vero e proprio sconvolgimento climatico con un notevole raffreddamento della Terra e una conseguente estensione delle calotte polari su tutto il globo, comprese le zone equatoriali. Il fatto che non esista alcuna evidenza geologica che ci` o possa essersi verificato nel passato viene spiegato invocando fattori evolutivi nella composizione dell’atmosfera terrestre. Una maggior concentrazione di gas quali l’ammoniaca o l’anidride carbonica potrebbe infatti aver compensato, attraverso l’effetto serra, la ridotta luminosit` a solare. Il modello del Sole attuale `e illustrato nelle Fig 6.9 e 6.10. Sia la pressione che la densit` a diminuiscono rapidamente con la distanza dal centro, mentre

258

CAPITOLO 6

Fig. 6.9. Andamento delle quantit` a fisiche fondamentali in funzione del raggio per il modello solare standard (linea continua). La linea tratteggiata rappresenta il modello politropico di Fig. 6.3 (indice della politropica n = 3.3).

la temperatura presenta una diminuzione molto meno pronunciata. La massa solare `e molto concentrata nelle regioni centrali tanto che una sfera avente raggio 0.5 R gi` a contiene il 90% di tutta la massa. La regione centrale, inoltre, risulta profondamente modificata riguardo alla sua composizione chimica, con un’abbondanza in massa dell’Idrogeno al centro pari a circa met` a del suo valore originario. Riguardo al trasporto di energia, `e presente un’estesa zona convettiva che va da r  0.72 R (dove la temperatura `e dell’ordine di 2 × 106 K) fino a uno strato immediatamente al di sotto della fotosfera. Nell’interno, invece, il trasporto di energia avviene per irraggiamento. In tempi relativamente recenti `e stato possibile confrontare il modello solare standard con nuovi fatti osservativi, emersi in seguito allo sviluppo di sofisticate tecniche sperimentali. A questo confronto sono dedicati i tre paragrafi successivi.

L’INTERNO DEL SOLE

259

Fig. 6.10. Andamento della produzione di energia per reazioni nucleari, ε, della media di Rosseland dell’opacit` a, κR , della velocit` a del suono, cs , e del gradiente termico dT /dz in funzione del raggio per il modello solare standard. Nel pannelo in basso a destra sono riportati il gradiente di temperatura “vero” (linea continua), quello radiativo (linea punteggiata), e quello adiabatico (linea tratteggiata). Il gradiente vero in pratica coincide col maggiore dei due gradienti, quello radiativo o quello convettivo.

6.11 I neutrini solari Come abbiamo visto nel Par. 6.4, le reazioni nucleari che producono l’energia solare sono anche responsabili della produzione di neutrini, in numero di due di tali particelle per ogni ciclo pp (o ciclo CNO). Assumendo che la teoria degli interni stellari che abbiamo descritto in questo capitolo sia corretta, il numero di neutrini prodotti per unit` a di tempo nell’interno del Sole, Nν , si pu` o facilmente valutare mediante l’espressione12 12

Ricordiamo che il ciclo CNO `e praticamente inefficiente nell’interno del Sole. Nel caso opposto in cui fosse inefficiente il ciclo pp, la formula seguente dovrebbe contenere la quantit` a QCNO invece di Qpp , con una piccola differenza dell’ordine del 5%.

260

CAPITOLO 6

Nν =

2 L , Qpp

dove Qpp `e l’energia prodotta per ciclo pp, ovvero 26.23 Mev (4.20 ×10 −5 erg). D’altra parte, poich´e l’intero Sole `e praticamente trasparente nei riguardi dei neutrini, il nostro pianeta `e continuamente investito da un flusso di tali particelle, Φν , dato da Φν =

Nν L = , 4π a2 2π Qpp a2

dove a `e l’unit` a astronomica. Sostituendo i valori numerici delle diverse quantit` a, si ottiene Φν = 6.51 × 1010 cm−2 s−1 . Gli sviluppi tecnologici degli ultimi decenni hanno reso possibile, a partire dalla fine degli anni 1960, la misura del flusso di neutrini solari. Le prime ricerche in questo campo sono state portate avanti dal fisico statunitense Raymond Davis Jr. che `e stato per questo insignito del Premio Nobel per la Fisica nel 2002. Ovviamente tali misure sono di estrema importanza per il controllo del modello solare e, conseguentemente, della nostra conoscenza dei meccanismi fisici che sono alla base della struttura e dell’evoluzione stellare. Tuttavia, il grosso problema che si deve risolvere per la rivelazione dei neutrini `e la debolissima interazione che essi presentano nei riguardi della materia. Questo fa s`ı che le possibili reazioni di cattura di neutrini, che sono tipicamente della forma ν +n X →nX + e− , (dove X `e l’elemento che segue X nella tavola periodica) hanno sezioni d’urto estremamente piccole. Fra tali reazioni ne esistono comunque due che presentano, fortunatamente, delle sezioni d’urto relativamente elevate. Esse sono la cattura del neutrino da parte dell’isotopo 37 Cl (che produce l’isotopo 37 Ar) e la cattura da parte dell’isotopo 71 Ga (che produce l’isotopo 71 Ge), ovvero ν +37Cl →37Ar + e− ,

ν +71Ga →71Ge + e− .

Le sezioni d’urto di questi due processi sono funzioni dell’energia del neutrino, aumentando all’aumentare dell’energia stessa. In ogni caso, assumendo per i neutrini un’energia media di una frazione di Mev, la sezione d’urto per cattura da parte del 37 Cl risulta dell’ordine di 10−46 cm2 , per cui, tenendo conto del flusso di neutrini, la probabilit` a per unit` a di tempo che sulla terra un isotopo di 37 Cl si trasformi in 37Ar per cattura di un neutrino `e pari a circa 10−36 s−1 . A questa quantit` a, avente le dimensioni del reciproco di un tempo, `e stato

L’INTERNO DEL SOLE

261

dato il nome di snu (solar neutrino unit). Essa `e comunemente utilizzata per esprimere in maniera sintetica i risultati, sperimentali e teorici, relativi al flusso dei neutrini solari13 . Volendo rivelare i neutrini solari, a causa delle piccolissime sezioni d’urto per cattura neutrinica anche da parte dei materiali pi` u efficienti, `e inevitabile ricorrere a esperimenti che coinvolgano enormi quantit` a di materia. Nell’esperimento originale di Davis, ad esempio, viene utilizzato come “bersaglio” dei neutrini solari un enorme serbatoio della capacit` a di circa 400 m3 riempito di tetracloroetilene (C2 Cl4 , un liquido smacchiatore comunemente utilizzato in lavanderia). Il serbatoio `e posto alla profondit` a di circa 1500 m, in una miniera d’oro del South Dakota non pi` u utilizzata a fini estrattivi, in modo tale da essere opportunamente schermato dai raggi cosmici. Dato che la densit` a di questo fluido `e 1.62 g cm−3 e il suo peso molecolare `e 165.83, nel serbatoio risultano contenute circa 3.9 × 106 moli di C2 Cl4 e quindi, tenendo conto che l’abbondanza naturale dell’isotopo 37Cl `e pari al 24.2%, ne segue che nel serbatoio sono contenuti circa 2.3 × 1030 atomi di 37Cl, con una produzione stimata, per cattura neutrinica, di 1.4 atomi di 37Ar alla settimana per snu. Gli atomi di 37 Ar cos`ı prodotti vengono poi raccolti pompando nel serbatoio un gas nobile, l’Elio, che trascina con s´e l’Argon e lo fa depositare in una “trappola fredda” mantenuta alla temperatura dell’azoto liquido. L’Argon cos`ı raccolto viene poi disposto entro un contatore proporzionale e si attende che esso decada per il processo di cattura elettronica inverso di quello che lo ha prodotto Ar + e− →37 Cl + ν .

37

Questo processo di decadimento ha una vita media di 35.1 giorni e d` a luogo, per effetto Auger14 , a un elettrone di 2.8 keV che viene a costituire per cos`ı dire “la firma di presenza” dell’Argon 37. Inutile dire che, dato il numero estremamente basso di atomi di 37Ar prodotti in un tipico esperimento, tutto l’apparato sperimentale necessita di numerosi controlli periodici. Un tipico controllo viene effettuato immettendo artificialmente entro il serbatoio una quantit` a nota di un altro isotopo dell’Argon (36Ar, ad esempio) e verificando che il meccanismo di pompaggio dell’Elio `e effettivamente capace di recuperare tutto o quasi tutto l’isotopo immesso (il 95% in pratica). Il processo di accumulo dell’Argon 37 entro il serbatoio pu` o essere analizzato in maggior dettaglio. Indichiamo con φν (E) dE il flusso a terra di neutrini 13

Si noti che il reciproco della snu rappresenta il tempo che deve trascorrere affinch´e, in a dell’ordine di 1/2 di un laboratorio terrestre, un singolo isotopo 37 Cl abbia una probabilit` catturare un neutrino solare. Tale tempo risulta pari a circa 10 17 volte l’et` a dell’Universo!

14

L’effetto Auger, detto anche effetto fotoelettrico interno, `e un processo competitivo con l’emissione di radiazione X. L’elettrone catturato dal nucleo di 37Ar ` e un elettrone della zona K. La lacuna lasciata dall’elettrone viene colmata per mezzo della transizione di un elettrone appartenente a un’orbita pi` u esterna (tipicamente la zona L). Si pu` o pensare che il raggio X cos`ı prodotto venga assorbito da un elettrone esterno che fuoriesce dall’atomo con l’energia del raggio X (o leggermente inferiore). Un tale elettrone `e detto elettrone Auger.

262

CAPITOLO 6

aventi energia compresa fra E ed E + dE e con σ(E) la sezione d’urto per cattura neutrinica da parte di un atomo di 37Cl. Se il numero di tali atomi nel serbatoio `e NCl , l’andamento temporale del numero di atomi di Argon presenti, NAr , `e controllato dall’equazione differenziale dNAr NAr =− + NCl P¯ν , dt τ dove τ `e la vita media dell’Argon 37 e dove abbiamo introdotto la quantit` a a di cattura neutrinica per atomo di 37Cl e per unit` a di tempo, P¯ν , probabilit` definita da  ∞ P¯ν = φν (E) σν (E) dE . 0

La soluzione dell’equazione `e banale e, per il caso di un serbatoio “pulito” al tempo t = 0, porta al risultato   NAr = τ NCl P¯ν 1 − e−t/τ , che mostra l’esistenza di un valore di saturazione, raggiungibile su tempi scala di qualche mese, per il numero di atomi di 37Ar presenti nel serbatoio. Con i valori riportati precedentemente per τ e per NCl ed esprimendo P¯ν in snu, si ottiene (NAr )saturazione = τ NCl P¯ν = 7.0 P¯ν , che mostra in maniera eloquente l’effettiva difficolt` a dell’esperimento. L’esperimento di Davis ha raccolto dati dal 1968 al 1994 ottenendo il risultato  P¯ν osservato = 2.56 ± 0.16 snu , da confrontare col valore atteso in base al modello solare standard15  P¯ν terorico = 8.1 ± 1.3 snu . Questa discrepanza di circa un fattore 3 tra osservazioni e teoria ha sollevato un grosso dibattito entro la comunit` a scientifica. Gi`a a partire dal 1968, anno della prima pubblicazione dei risultati di Davis, si `e incominciato a parlare del “Problema dei neutrini solari” oppure, in termini pi` u coloriti, del “Mistero dei neutrini mancanti”. Per risolvere il problema sono stati proposti tre tipi diversi di possibili spiegazioni. La prima, di carattere teorico, consisteva nel sostenere che il numero calcolato di neutrini solari fosse, per qualche ragione, sbagliato per eccesso. La seconda spiegazione consisteva nel ritenere che, date le difficolt` a 15

Il valore qui riportato `e una media pesata dei valori ottenuti da tre gruppi diversi al momento della pubblicazione dell’articolo riassuntivo di tutti gli esperimenti di Davis (1998).

TAVOLE FUORI TESTO

Fig 1.4. Un’immagine della corona solare nei raggi X eseguita dal satellite Trace (Transition Region Coronal Explorer). L’immagine `e ottenuta in un intervallo spettrale centrato intorno a 170 ˚ A. Si noti la struttura fine degli archi coronali che delineano le linee di forza del campo magnetico. Per gentile concessione dello Stanford-Lockheed Insitute for Space Research.

TAVOLE FUORI TESTO

Fig. 2.1. Lo spettro solare nel visibile. L’immagine composita `e ottenuta sovrapponendo singoli tratti di spettro di ampiezza dell’ordine di 100 ˚ A. Si noti la presenza di alcune righe particolarmente prominenti e l’aumento della densit` a di righe procedendo dal rosso verso il violetto.

Fig. 3.11. Il grafico mostra la potenza delle oscillazioni solari misurata alla frequenza ν nel modo . Il massimo della potenza `e contenuto fra 1 e 6 mHz. Per gentile concessione del Consorzio SOHO/MDI (NASA ed ESA).

TAVOLE FUORI TESTO 





















































































































































































































































































































































































































































































Fig 4.21. Questa mappa mostra il vettore campo magnetico “misurato”, per mezzo dell’algoritmo descritto nel testo, su un’ampia area della superficie solare contenente una macchia. La componente longitudinale del campo `e codificata in falsi colori, rosso per campo uscente (positivo), verde per campo entrante (negativo). La componente trasversale `e rappresentata da delle barrette (disegnate in giallo) aventi lunghezza proporzionale al valore della componente stessa e aventi direzione a essa parallela. Alla mappa `e sovrapposta in trasparenza un’immagine in Hα nella quale ` e ben riconoscibile un filamento. Per gentile concessione della Dr.ssa V´eronique Bommier, Observatoire de Paris-Meudon. 

 















































































































 

























































































































































































































































































































































































































 















TAVOLE FUORI TESTO

He II λ304

Fe XII λ195

Fe IX/X

λ171

Fe XV λ284

Fig. 5.8. Immagini simultanee in falsi colori della regione di transizione ottenute da EIT in quattro righe dell’estremo UV. Le temperature caratteristiche degli ioni corrispondenti sono, rispettivamente, 70,000 K (He II), 106 K (Fe IX/X), 1.5 × 106 K (Fe XII) e 2 × 106 K (Fe XV). Per gentile concessione del Consorzio SOHO/EIT. SOHO `e un progetto di cooperazione internazionale fra le Agenzie NASA ed ESA.

TAVOLE FUORI TESTO

Fig. 5.9. Immagine composita della corona solare registrata durante l’eclisse dell’11 Agosto 1999. Per gentile concessione del Dr. Serge Koutchmy, Institut d’Astrophysique de Paris.

TAVOLE FUORI TESTO

Fig. 5.12. L’immagine mostra due protuberanze eruttive osservate nella riga dell’Elio ionizzato a 304 ˚ A. Per gentile concessione del Consorzio SOHO/EIT. SOHO `e un progetto di cooperazione internazionale fra le Agenzie NASA ed ESA.

TAVOLE FUORI TESTO

Skylab

Yohkoh Fig. 5.14. Queste due immagini del Sole in raggi X molli (3-60 ˚ A) sono state ottenute dalle missioni Skylab e Yohkoh a distanza di quasi vent’anni (31 Maggio 1973 e 8 Maggio 1992, rispettivamente). In entrambe le immagini `e ben visibile la presenza di un buco coronale. Per gentile concessione della American Space and Engineering Inc. e dello Yohkoh Team.

TAVOLE FUORI TESTO

Figura fuori testo. Una bellissima immagine della granulazione solare. La sbarretta copre una distanza di 10,000 km (la distanza fra il polo e l’equatore terrestre lungo un meridiano). Per gentile concessione del Dr. Jos´e Antonio Bonet, Instituto de Astrof´ısica de Canarias.

L’INTERNO DEL SOLE

263

dell’esperimento, i risultati ottenuto da Davis e collaboratori fossero sbagliati per difetto. La terza, infine, attribuiva la discrepanza al comportamento dei neutrini durante il loro tempo di volo dal Sole alla Terra. Nell’ambito del primo tipo di spiegazione sono stati proposti un certo numero di modelli solari, detti non-standard, nei quali si cercava di ottenere, mediante ipotesi ad-hoc, una riduzione della temperatura centrale del Sole in modo da sfavorire la catena ppIII rispetto alle altre. A questo proposito `e infatti necessario sottolineare che l’esperimento di Davis `e sensibile soltanto ai neutrini aventi energia superiore a un valore di soglia, dell’ordine di 0.8 MeV (si veda la Fig. 6.11), dimodoch´e, in pratica, tale esperimento misura soltanto il flusso di neutrini solari provenienti dal decadimento dell’isotopo 8 B del ciclo ppIII. Siccome, d’altra parte, la reazione che genera il 8 B a partire dal 7 Be `e molto sensibile alla temperatura (una riduzione di temperatura da 15.1 ×10 6 K a 15.0 ×106 K riduce la rate di tale reazione del 10%) `e abbastanza ovvio che siano stati effettuati tentativi in questa direzione. Fra i modelli solari non standard `e doveroso ricordare, soprattutto per la loro importanza storica, il modello a basso Z, in cui si ipotizza che l’abbondanza degli elementi diversi da Idrogeno e Elio sia dell’ordine di 0.001, molto minore del valore 0.019 generalmente utilizzato nel modello standard; il modello del nucleo rapidamente rotante, in cui si assume che l’interno del Sole ruoti con velocit`a angolare circa 500 volte maggiore di quella della superficie solare; il modello “magnetico” in cui si ipotizza l’esistenza nell’interno del Sole di campi magnetici dell’ordine di 109 G; il modello del Sole “rimescolato”, in cui si assume che siano presenti instabilit`a che contribuiscano a mescolare la materia in tutto il Sole e non solo nelle zone convettive; etc.. Sebbene questi modelli riescano a ridurre le discrepanze fra risultati teorici e sperimentali nei riguardi del flusso di neutrini, ciascuno di essi presenta altri tipi di problemi che fanno s`ı che essi non siano mai stati considerati come valide alternative al modello solare standard. Nell’ambito del secondo tipo di spiegazione, al fine di controllare il valore del flusso di neutrini misurato nell’esperienza di Davis sono stati allestiti nell’ultimo decennio del ventesimo secolo altri tre esperimenti che sono brevemente descritti qui sotto. Gli esperimenti sono stati condotti in Italia (Gallex/GNO), in Russia (SAGE) e in Giappone (Kamiokande). Il primo esperimento, risultato di una cooperazione franco-italo-tedesca, `e iniziato nel 1991 ed `e durato fino al 1997, per continuare poi la sua attivit` a sotto il nome di GNO (Gallium Neutrino Observatory). Si tratta di un esperimento simile a quello di Davis, con la differenza che il nucleo bersaglio `e l’isotopo 71 Ga (invece del 37 Cl) che presenta un’energia di soglia per cattura neutrinica di 0.233 MeV, il che rende possibile la rivelazione anche dei neutrini prodotti nel ciclo pp (si veda la Fig. 6.11). Il Gallio `e contenuto sotto forma di GaCl 3 (in soluzione acquosa, con aggiunta di HCl) entro un enorme serbatoio situato nel Laboratorio Nazionale del Gran Sasso. L’esperimento SAGE (Soviet-American Gallium Experiment) `e iniziato nel

264

CAPITOLO 6

φ (Ε) ν

Gallio

12

Acqua

Cloro

10

pp

7

Be

7

8

Be

pep

10

8

B

4

10

10

1

E (MeV)

Fig. 6.11. Il grafico mostra il flusso a terra dei neutrini solari in funzione dell’energia. I diversi flussi sono identificati dalla reazione che li ha prodotti e sono misurati in cm −2 s−1 Mev−1 per il caso degli spettri continui (pp, 8 B), oppure in cm−2 s−1 per il caso degli spettri discreti (7 Be, pep). In alto sono indicate le soglie per gli esperimenti di cattura di neutrini su 71 Ga e su 37Cl e per gli esperimenti di diffusione di neutrini in acqua.

1990 presso il Baksan Neutrino Observatory nelle montagne del Caucaso, in Russia. Si tratta di un esperimento molto simile al Gallex con la differenza che il Gallio `e contenuto nel serbatoio sotto forma di metallo liquido e non in soluzione. L’esperimento Kamiokande16 si basa su un diverso processo fisico per la rivelazione dei neutrini. Invece della cattura neutrinica da parte di particolari isotopi, si sfrutta la reazione di diffusione elastica di neutrini su elettroni, ovvero ν + e− → ν + e− . In pratica, il “bersaglio” `e costituito da un enorme cilindro pieno d’acqua (una profonda piscina) della capacit`a di 3000 m3 (poi aumentati a 32,000 m3 in una successiva estensione dell’esperimento stesso, detta Super-Kamiokande) situato alla profondit` a di 1000 m presso la citt`a di Kamioka nelle Alpi Giapponesi. Se il neutrino incidente ha energia sufficiente, l’elettrone acquista nell’urto una velocit`a superiore alla velocit` a della luce nell’acqua (che `e circa 3/4 della velocit`a 16

L’esperimento ` e stato portato avanti sotto la supervisione di Masatoshi Koshiba che `e stato anch’esso insignito del Premio Nobel per la Fisica del 2002.

L’INTERNO DEL SOLE

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ˇ della luce nel vuoto) ed emette radiazione luminosa per effetto Cerenkov, radiazione che `e poi raccolta da un grande matrice di fotomoltiplicatori. Questo metodo di rivelazione presenta due vantaggi: da un lato, i dati sono raccolti in tempo reale in quanto non `e necessario attendere i tempi di decadimento tipici dei metodi radiochimici; dall’altro, l’individuazione dei fotomoltiplicatori che hanno scintillato permette di risalire alla direzione del neutrino incidente e quindi di individuarne l’origine cosmica. Lo svantaggio `e invece dovuto al fatto che si possono rilevare soltanto i neutrini aventi energie superiori a circa 7.5 MeV (in pratica solo i neutrini del 8 B). I tre esperimenti sopra descritti hanno tutti portato alla conclusione che la prima esperienza di Davis era sostanzialmente corretta, in quanto continuava a persistere un rapporto compreso fra 1:2 e 1:3 fra neutrini rilevati a terra e neutrini previsti dal modello solare standard, indipendentemente dal metodo di rilevazione impiegato nell’esperimento e dall’energia di soglia. L’esperimento Kamiokande ha inoltre confermato la provenienza solare dei neutrini osservati, mettendo anche in rilievo una piccolissima asimmetria giorno-notte dovuta all’assorbimento dei neutrini nel loro viaggio attraverso la Terra. Bisogna anche dire che, sempre nello stesso decennio, erano andate accumulandosi prove convincenti, basate sullo studio delle oscillazioni solari, che il modello solare standard fosse corretto. Era stato infatti provato che la velocit` a del suono nell’interno del Sole, cos`ı come dedotta da osservazioni di eliosismologia, coincideva, a meno dello 0.1%, con quella prevista dal modello solare standard. Tale modello avrebbe quindi dovuto riprodurre anche il flusso di neutrini solari. Si arriva cos`ı a parlare dell’ultima possibilit` a di risolvere il problema dei neutrini solari, quella che riguarda pi` u direttamente la fisica di tali particelle. Oggi sappiamo che esistono tre tipi diversi di neutrini, indicati generalmente coi simboli νe , νµ e ντ , che differiscono fra loro per un numero quantico interno detto “sapore” (flavor). Il primo, detto neutrino elettronico, pu` o anche essere chiamato il neutrino “classico”, ed `e quello che viene prodotto nel decadimento ` questo stesso β e nelle reazioni nucleari che avvengono nell’interno del Sole. E tipo di neutrino che viene catturato dagli isotopi 37 Cl e 71 Ga nell’esperimento di Davis e negli esperimenti Gallex/GNO e SAGE. Gli altri due tipi di neutrino sono pi` u “esotici’ e sono associati, rispettivamente, alle particelle leptoniche µ (muone) e τ . L’esperimento Kamiokande, quello basato sulla diffusione di neutrini su elettroni, `e sensibile a tutti e tre i tipi di neutrini, anche se, in pratica, la sezione d’urto di diffusione dei neutrini νµ e ντ `e molto minore di quella dei neutrini elettronici. Al momento attuale non abbiamo alcuna spiegazione del perch´e i costituenti fondamentali della materia, quark e leptoni, abbiano le masse che hanno. In altre parole, non esiste nessuna teoria fisica che sia in grado di spiegare il valore di tali masse. In particolare, per quanto riguarda i neutrini, oggi abbiamo solo dei valori superiori per le loro masse ma non `e noto se tali masse siano effettivamente nulle, come si assume nel cosiddetto modello standard delle particelle

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CAPITOLO 6

elementari. Per il neutrino elettronico, ad esempio, esperienze di laboratorio condotte sul dedicamento β del Trizio portano a concludere che la sua massa `e inferiore a 2.2 eV. D’altra parte, la questione della massa del neutrino `e molto importante perch´e il fatto che tale massa sia non nulla ha conseguenze fondamentali sotto diversi aspetti. Uno di questi, particolarmente rilevante per l’astrofisica, `e il cosiddetto problema della massa mancante. Sarebbe sufficiente che il neutrino elettronico avesse una massa pari a 1 eV affinch´e i neutrini emessi dalle stelle e nelle esplosioni di supernovae dessero un contributo non trascurabile alla densit` a di energia dell’Universo. Un altro fenomeno connesso con la massa del neutrino `e quello detto del “neutrino-mixing” o delle “oscillazioni neutriniche”. Senza entrare nei dettagli, `e sufficiente dire che, se i neutrini hanno massa non nulla, si rendono possibili delle oscillazioni fra i tre diversi tipi di sapore, cosicch´e, ad esempio il neutrino o trasformarsi in un neutrino νµ o in un neutrino ντ . Questa ipotesi `e νe pu` stata avanzata per la prima volta dai fisici sovietici B. Pontecorvo e V. Gribov nel 1969, subito dopo che erano comparsi i primi risultati degli esperimenti di Davis. L’idea `e stata poi rafforzata dal lavoro successivo di tre scienziati, S.P. Mikheyev, A.Y. Smirnov e L. Wolfenstein, i quali hanno mostrato che nell’interno del Sole l’interazione debole fra neutrini ed elettroni `e capace di esaltare l’effetto di mixing aumentando di gran lunga la probabilit` a di trasformazione di un neutrino νe in un altro tipo di neutrino rispetto alla probabilit` a nel vuoto (effetto MSW). All’inizio, l’idea delle oscillazioni neutriniche non fu considerata con la dovuta attenzione ma si `e alla fine dimostrata quella corretta per risolvere il problema dei neutrini solari. Nel 1999 ha cominciato ad acquisire dati un nuovo esperimento per la misura dei neutrini solari, l’esperimento SNO (Sudbury Neutrino Observatory), frutto di una collaborazione fra vari laboratori canadesi, americani e inglesi17 . Il principio `e lo stesso del Kamiokande, con la differenza che “la piscina” contiene acqua pesante, invece di acqua. La presenza del Deuterio permette altre due reazioni oltre alla diffusione elastica di neutrini su elettrone, ovvero la cosiddetta interazione di corrente neutra ν +2 H → ν +1H + n , (dove n sta per neutrone) e la cosiddetta interazione di corrente carica ν +2 H →1 H +1H + e− . Mentre la diffusione di neutrini su elettroni e l’interazione di corrente neutra sono sensibili ai tre tipi di neutrini (νe , νµ e ντ ), l’interazione di corrente carica lo `e solo ai neutrini elettronici νe . Questo ha permesso di “contare” i neutrini di tipo diverso e, combinando i risultati dello SNO con quelli di 17

L’Osservatorio ` e situato in una miniera di Nichel presso Sudbury nello Stato di Ontario, Canada.

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Super-Kamiokande, `e stata raggiunta la conclusione che, se si contano soltanto i neutrini νe , si ottiene un numero pari a circa un terzo di quelli previsto dal modello solare standard, mentre se si contano tutte e tre le specie di neutrini (νe , νµ e ντ ), il numero coincide con quello previsto. I neutrini sono generati nell’interno del Sole nella forma di neutrini elettronici, ma quando arrivano a terra e interagiscono con i rivelatori dei nostri laboratori i 2/3 di essi non sono pi` u neutrini elettronici ma neutrini µ o neutrini τ . Per unanime avviso dei fisici solari, i risultati di SNO hanno posto la parola fine al problema dei neutrini mancanti. La causa della discrepanza non era da ricercare nel modello solare standard, bens`ı nel modello standard della fisica delle particelle elementari! Oggi possiamo essere sicuri di comprendere la fisica dell’interno del Sole con tanta precisione da poter prevedere anche il numero di neutrini prodotti. Questo implica, ad esempio, una conoscenza della temperatura centrale con un errore dell’ordine della frazione del percento.

6.12 Teoria delle oscillazioni solari Nel Par. 6.1 abbiamo ottenuto le equazioni fondamentali che descrivono i fenomeni fisici operanti nell’interno del Sole supponendo che la nostra stella si trovi in uno stato stazionario caratterizzato da equilibrio meccanico e radiativo. Abbiamo cos`ı ottenuto il cosiddetto modello solare standard nel quale gli unici fenomeni dinamici dei quali si tiene conto sono quelli evolutivi, relativi alle abbondanze degli elementi, che avvengono su scale temporali dell’ordine dei miliardi di anni. Adesso ci poniamo il problema di descrivere una fisica diversa chiedendoci cosa accada nell’interno del Sole (e sulla sua superficie) quando la situazione di equilibrio venga, per una qualche ragione perturbata. Il risultato di un tale processo `e la formazione e la propagazione di onde che, come abbiamo descritto nel Cap. 3, possono essere osservate da Terra mediante telescopi. Questo paragrafo `e dedicato allo studio teorico di tali onde. Iniziamo con l’introdurre alcune notazioni. In un punto qualsiasi dell’interno  r , t) lo spostamento, del Sole avente coordinata r, indichiamo col vettore ξ( all’istante t, dell’elemento di fluido locale rispetto alla posizione di equilibrio. Per effetto di questo spostamento tutte le quantit` a, quali pressione, densit` a, temperatura, etc., risultano alterate. Indichiamo con un apice la variazione subita dalle diverse quantit` a e con un indice “0” le quantit` a all’equilibrio. Per la pressione e la densit`a, ad esempio, scriviamo P (r , t) = P0 (r ) + P  (r , t) ,

ρ(r , t) = ρ0 (r ) + ρ (r , t) .

Ricordiamo adesso le equazioni fondamentali dell’idrodinamica, ovvero l’equazione di continuit` a e l’equazione di Navier-Stokes, la prima esprimente la conservazione della massa e la seconda la conservazione dell’impulso

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CAPITOLO 6

∂ρ + div(ρ v ) = 0 , ∂t  ρ

∂v + v · gradv ∂t

 = −gradP + ρ f + η ∇2v ,

dove v `e la velocit` a dell’elemento di fluido, f `e la forza che agisce sull’unit` a di massa e η `e il coefficiente di viscosit`a. Adattando quest’ultima equazione al caso dell’interno del Sole, teniamo conto che l’effetto della viscosit`a pu` o essere senz’altro trascurato e che la forza per unit`a di massa pu`o, in prima approssimazione, essere ristretta alla sola accelerazione di gravit`a 18, che scriviamo come il gradiente (cambiato di segno) del potenziale gravitazionale Φ. L’equazione di Navier-Stokes assume quindi la forma   ∂v ρ + v · gradv = −gradP − ρ gradΦ , ∂t dove ∇2 Φ = 4π G ρ . Andiamo adesso a “linearizzare” le equazioni precedenti assumendo che lo spostamento ξ sia piccolo (al limite infinitesimo) e tenendo conto che sotto  Teniamo tale limite, tutte le perturbazioni (ρ , P  , Φ , etc.) sono lineari in ξ. 19 anche conto che, trascurando la rotazione solare , si ha v0 = 0, per cui la perturbazione della velocit`a, v  , coincide con v ed `e data da v  = v =

∂ ξ . ∂t

Indichiamo inoltre con g0 il valore di equilibrio della gravit` a locale (g0 =  Le −gradΦ0 ), e trascuriamo tutti i termini di ordine superiore al primo in ξ. equazioni linearizzate risultano

 ∂ρ ∂ ξ + div ρ0 =0 , ∂t ∂t ρ0

∂ 2 ξ = −gradP  − ρ g0 − ρ0 gradΦ , ∂t2

18

Un’altra forza di cui si potrebbe tener conto `e la forza di Lorentz dovuta ai campi magnetici interni.

19

L’effetto della rotazione solare `e piccolo ma significativo. Volendo tenerne conto bisogne × r , dove Ω ` e la velocit` a angolare locale, funzione di r . rebbe porre v0 = Ω

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∇2 Φ = 4π G ρ . Abbiamo cos`ı ottenuto un sistema di cinque equazioni (un’equazione vetto riale e due equazioni scalari). Nel sistema compaiono per` o sei incognite (ξ, ρ , P  e Φ ) e dobbiamo, per prima cosa, trovare una relazione che colleghi in qualche modo queste quantit` a. In effetti, quello che ancora manca `e la legge di conservazione dell’energia, cosa che possiamo fare supponendo, con ottima approssimazione, che gli spostamenti degli elementi fluidi avvengano in condizione di adiabaticit` a. Consideriamo allora un elemento fluido che si trovi, a ρ0 . Quando all’equilibrio, in un punto in cui si abbia pressione P0 e densit`  le sue propriet` l’elemento si sposta della quantit`a ξ, a termodinamiche subiscono una variazione data da δP = P  + ξ · gradP0 ,

δρ = ρ + ξ · gradρ0 .

Introduciamo il cosiddetto “esponente adiabatico”, Γ, attraverso l’equazione   ∂ ln P . Γ= ∂ ln ρ ad Nel caso di un gas perfetto questa quantit` a coincide col rapporto fra calori specifici a pressione e volume costante e vale 5/3 se il gas perfetto `e monoatomico. Attraverso di essa possiamo mettere in relazione le quantit`a ρ e P  . Si ha infatti δP δρ =Γ , P0 ρ0 dalla quale si ottiene, tenendo anche conto che le quantit` a a riposo, P0 e ρ0 , variano soltanto lungo la direzione radiale   ρ0 dP0 dρ0   P + ξr − ξr , ρ = Γ P0 dr dr dove ξr `e la componente di ξ lungo la direzione radiale. Le cinque equazioni possono poi essere ridotte a tre eliminando le componenti trasversali del vettore spostamento. Indicando con ξt il componente del vettore ξ in direzione perpendicolare al raggio, e indicando col simbolo gradt l’operatore gradiente in direzione trasversale, dall’equazione di Navier-Stokes linearizzata si ottiene ∂ 2 ξt = −gradt P  − ρ0 gradt Φ . ∂t2 Possiamo adesso sostituire questo risultato nell’equazione di continuit` a linearizzata. Derivando tale equazione rispetto al tempo, e spezzando l’operatore divergenza nelle parti radiale e trasversale, si ottiene ρ0

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  ∂2 1 ∂ 2  ρ + 2 (r ρ0 ξr ) = ∇2t P  + ρ0 ∇2t Φ , ∂t2 r ∂r dove l’operatore ∇2t `e l’operatore Laplaciano che opera soltanto sulle variabili trasversali. Introduciamo adesso un sistema di coordinate sferiche (r, θ, φ) e ricordiamo che, in tali coordinate, l’operatore Laplaciano `e dato da   1 ∂ 2 2 ∂ ∇ = 2 r + ∇2t , r ∂r ∂r dove ∇2t =

1 r2



1 ∂ sin θ ∂θ

   ∂ 1 ∂2 sin θ + . ∂θ sin2 θ ∂ 2 φ

Cerchiamo poi delle soluzioni delle nostre equazioni che abbiano, riguardo al tempo, un andamento di tipo esponenziale e, riguardo alle coordinate, un andamento fattorizzabile come il prodotto di una funzione radiale per una funzione di θ e φ. Per ciascuna quantit` a, cerchiamo quindi una soluzione del tipo X(r, θ, φ) = X(r) Y (θ, φ) e−iωt , dove, per evitare di appesantire le notazioni, abbiamo utilizzato lo stesso simbolo per la funzione del punto e la funzione che esprime solo la dipendenza ` facile rendersi conto che, poich´e nelle equazioni compare l’operatore radiale. E 2 ∇t , la funzione Y (θ, φ) deve necessariamente essere un’autofunzione di tale operatore, ovvero deve essere un’armonica sferica, Ym (θ, φ), caratterizzata dai due numeri interi e m (con = 0, 1, 2, · · ·, e − ≤ m ≤ ). Per tali autofunzioni si ha ∇2t Ym (θ, φ) = −

( + 1) m Y (θ, φ) . r2

Tenendo conto di questo fatto, ed eliminando la variabile ρ , si ottengono con facili passaggi le equazioni delle oscillazioni adiabatiche dell’interno del Sole. Le equazioni sono espresse in maniera pi` u significativa introducendo la velocit` a del suono, cs e la frequenza di spinta idrostatica (buoyancy), detta anche frequenza di Brunt-V¨ ais¨ al¨ a, N , definite dalle equazioni20 . 20

Si noti che la frequenza di Brunt-V¨ ais¨ al¨ a pu` o essere reale o immaginaria a seconda che il suo quadrato (N 2 ) sia positivo oppure negativo. Nel caso reale, essa rappresenta la frequenza delle oscillazioni verticali (adiabatiche) che un elemento di fluido effettua sotto l’azione della gravit` a quando ` e spostato dalla sua posizione di equilibrio. Una frequenza immaginaria significa invece che si ha instabilit` a (il criterio di Schwarzschild pu` o anche essere espresso mediante la condizione N 2 < 0).

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c2s

Γ P0 = , ρ0

 2

N = g0

1 dP0 1 dρ0 − Γ P0 dr ρ0 dr

 .

Con queste notazioni, l’equazione di continuit` a risulta   g0 1 ( + 1) ( + 1)  1 d 2 1 ξ ) − ξ + − Φ =0 , P − (r r r 2 2 2 2 2 r dr cs ρ 0 cs ω r ω 2 r2 la componente radiale dell’equazione di Navier-Stokes risulta   g0 1 dΦ d + 2 P  + (N 2 − ω 2 ) ξr + =0 . ρ0 dr cs dr e infine l’equazione per il potenziale gravitazionale risulta    1 d ( + 1)  4π G  4π G ρ0 N 2 2 dΦ Φ − 2 P − ξr = 0 . r − r2 dr dr r2 cs g0 Queste equazioni devono essere risolte mediante delle opportune condizioni al contorno. Al centro del Sole si impone la condizione che tutte le perturbazioni rimangano finite per r tendente a 0. Negli strati pi` u esterni del Sole l’imposizione della condizione al contorno risulta pi` u complicata in quanto il Sole non presenta una superficie netta di separazione dal mezzo interstellare. Una condizione al contorno che viene spesso utilizzata consiste nel supporre che, per un certo valore di r, diciamo per r = R , la superficie perturbata si trovi a pressione nulla, per cui si deve avere, per tale valore di r δP = P  + ξ · gradP0 = 0 . Dato un modello solare che permetta di calcolare per ogni valore di r i vari coefficienti che compaiono nelle equazioni, la soluzione numerica delle equazioni stesse non presenta, almeno in linea di principio particolari difficolt` a. Le equazioni hanno soluzione soltanto per specifici valori della frequenza ω, che sono detti gli autovalori del problema. Ad ogni autovalore corrisponde un modo di oscillazione caratterizzato dalla relativa autofunzione. Gli autovalori (e le autofunzioni) dipendono dal numero azimutale ma non da m, una conseguenza del fatto che abbiamo trascurato la rotazione solare o altre cause di asimmetria (quali ad esempio il campo magnetico). Le autofunzioni sono determinate a meno di una costante moltiplicativa (in quanto le equazioni sono omogenee). Tale costante non pu` o essere ovviamente determinata dalla teoria lineare che prescinde totalmente dall’analizzare le cause che innescano le perturbazioni e i fenomeni fisici che contribuiscono al loro smorzamento. Le equazioni precedenti costituiscono la base dell’eliosismologia e non possono essere ulteriormente semplificate se si vogliono interpretare in maniera quantitativa le osservazioni delle oscillazioni solari. Tuttavia, se non sono richieste

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precisioni elevatissime, `e possibile considerarne una forma semplificata che consiste nel trascurare i termini che provengono dalla perturbazione del potenziale gravitazionale (approssimazione di Cowling). Nell’ambito di questa approssimazione, tali equazioni si riducono a due e risultano   g0 1 ( + 1) 1 1 d 2 (r ξr ) − 2 ξr + − P = 0 , r2 dr cs ρ0 c2s ω 2 r2   d g0 1 + 2 P  + (N 2 − ω 2 ) ξr = 0 . ρ0 dr cs Allo scopo di ottenere dei risultati analitici, rilevanti soprattutto a fini illustrativi, andiamo a considerare le equazioni precedenti a livello locale, supponendo a P0 e ρ0 abbiano un che le quantit` a cs , g0 e N 2 siano costanti, mentre le quantit` andamento esponenziale caratterizzato dalla stessa scala di altezza H. Una tale approssimazione pu`o essere considerata valida per l’interno del Sole quando le variazioni delle perturbazioni (ξr , e P  ) avvengono su scale piccole rispetto alle scale di variazione della temperatura e della gravit` a. Cerchiamo una soluzione locale delle equazioni precedenti del tipo ξr = A ei kr r ,

P  = B ei kr r ,

con A e B costanti. Sostituendo, e tenendo conto che in base alle nostre approssimazioni 2/r  kr , si ottiene il sistema     g0 1 1 ( + 1) B=0 , − i kr − 2 A + cs ρ0 c2s ω 2 r2   g0 1 i kr + 2 B + (N 2 − ω 2 ) A = 0 . ρ0 cs Il sistema ha soluzione solo se il suo discriminante `e nullo. Questo porta alla relazione di dispersione   1 g2 ( + 1) − −kr2 − 40 = (N 2 − ω 2 ) , cs c2s r2 ω 2 che pu` o essere messa nella forma kr2 =

ω 2 − ωc2 ( + 1) + 2 2 (N 2 − ω 2 ) . c2s r ω

In questa equazione abbiamo introdotto la cosiddetta frequenza di taglio acustica (acoustic cut-off frequency), ωc , definita da ωc2 =

g02 + N2 . c2s

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Fig. 6.12. Il diagramma illustra i tre diversi regimi dei moti ondosi nell’atmosfera solare. Il diagramma ` e ottenuto per N 2 = 0.4 ωc2 .

Ricordando le definizioni di cs e di N , osserviamo che sotto l’ipotesi che la pressione e la densit` a diminuiscano con r con la medesima scala di altezza H, si ha g0 g0 , = 2 cs ΓH

N2 =

(Γ − 1) g0 , ΓH

per cui ωc2 =

g0 . H

La relazione di dispersione che abbiamo trovato `e relativamente complicata. Una semplificazione formale pu`o essere eseguita mediante la posizione (comunemente utilizzata in eliosismologia) S2 =

( + 1) 2 cs . r2

Con tale posizione, la relazione di dispersione risulta c2s kr2 = ω 2 − ωc2 +

S2 (N 2 − ω 2 ) . ω2

Il segno del secondo membro di questa equazione `e di importanza fondamentale per discriminare fra due tipi diversi di regimi ondosi. Se il secondo membro `e positivo, ne risulta che kr `e reale e quindi si hanno delle vere e proprie

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oscillazioni. Se invece il secondo membro `e negativo, kr `e immaginario e le onde risultano evanescenti. L’analisi del segno del secondo membro `e banale e porta, fissato , al risultato che le onde sono evanescenti nell’intervallo ω1 < ω < ω2 , dove  1 2 1 (ωc + S2 ) − ω1 = (ωc2 + S2 )2 − 4 S2 N 2 , 2 2  1 2 1 (ωc + S2 ) + (ωc2 + S2 )2 − 4 S2 N 2 . ω2 = 2 2 Le onde con ω > ω2 sono onde di pressione (o onde acustiche) mentre le onde con ω < ω1 sono le cosiddette onde di gravit` a interne (da non confondere con le onde di gravit` a superficiali che si verificano sulla superficie di discontinuit`a fra due fluidi diversi, come ad esempio le onde del mare o di un lago). Nel gergo dell’eliosismologia ci si riferisce alle une o alle altre con la terminologia di modi p e modi g, rispettivamente (si veda la Fig. 6.12).

6.13 Risultati approssimati per i modi p e g La relazione di dispersione che abbiamo dedotto pu` o essere utilizzata per ottenere dei risultati approssimati per le autofrequenze dei modi p e g. Per i modi p, nel limite delle alte frequenze, la relazione di dispersione pu`o essere semplificata. Supponendo che sia ω  ωc e ω  N , si ha infatti kr2 =

ω2 ( + 1) ω 2 − S2 = − . 2 2 cs cs r2

Questa equazione permette di determinare le frequenze dei diversi modi mediante un ragionamento semplificato di questo tipo. Si osserva innanzitutto che la quantit` a a secondo membro tende a −∞ in vicinanza del centro del Sole mentre essa (per valori ragionevoli di ω e ) assume un valore positivo negli strati superficiali. Deve quindi esistere un valore della distanza dal centro, ra , in cui il secondo membro si annulla. Tale valore si pu` o determinare risolvendo l’equazione implicita  ( + 1) cs (ra ) ra = , ω a del suono in ra . Per r ≥ ra si hanno onde che si dove cs (ra ) `e la velocit` propagano, mentre per r < ra le onde sono evanescenti (essendo kr2 < 0). Nella zona in cui le onde si propagano (ra ≤ r ≤ R ), la fase dell’onda che si propaga cresce della quantit` a

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Fig. 6.13. Frequenze cicliche teoriche (ν = ω/(2π)) dei modi p per  ≥ 10. Ogni ramo `e caratterizzato dal valore n del numero di nodi radiali. Le frequenze sono espresse in mHz. Si noti che la scala adottata non permette di apprezzare che i valori ammessi per  sono numeri interi.



R

∆Φ =

kr dr . ra

Il modo di ordine n si ottiene imponendo che ∆Φ sia pari a n volte π. Si ottiene quindi l’equazione  R  2 ω ( + 1) nπ = − dr . 2 cs r2 ra Questa `e un’equazione integrale implicita che, conoscendo l’andamento della velocit` a del suono con r, ovvero conoscendo la funzione cs (r), permette di determinare lo spettro delle frequenze ω(n, ). La Fig. 6.13 mostra i risultati ottenuti assumendo per la velocit` a del suono i valori di Fig. 6.10, relativi al modello solare standard. Questi risultati vanno confrontati con i valori osservati, riportati nella Fig. 3.11, e con quelli teorici dedotti per un modello omogeneo del Sole, a velocit`a del suono costante (Fig. 3.12). L’andamento incurvato

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Fig. 6.14. Curva universale per i modi p dell’atmosfera solare. Il grafico mostra l’andamento della quantit` a y = n/ν(n, ) in funzione della quantit` a x = [( + 1)] 1/2/ν(n, ), con ν(n, ) espressa in mHz. La curva risulta da tutti i valori delle autofrequenze della Fig. 6.13.

dei differenti “rami” del diagramma `e dovuto al fatto che, all’aumentare di , il valore di ra si sposta sempre pi` u verso la superficie dimodoch´e il modo risulta “sensibile” alla velocit`a del suono in strati sempre pi` u superficiali. Dato che c s diminuisce all’aumentare di r il ramo si “incurva” e non segue pi` u l’andamento lineare tipico del modello omogeneo. C’`e da osservare che le frequenze dei modi p soddisfano una importante propriet`a di omologia che `e conosciuta sotto il nome di “legge di Duvall”. Se si riprende l’ultima equazione e si estrae ω dall’integrale, la stessa equazione pu` o essere espressa nella forma  R  n 1 1 ( + 1) = − dr . 2 ω π ra cs ω 2 r2 Assegnata la funzione cs (r), sia l’integrando che  l’estremo di integrazione (ra ) sono funzioni della combinazione di variabili ( + 1)/ω, per cui si deduce che anche l’integrale deve essere funzione della medesima combinazione. Si ha quindi 

 ( + 1) n , =F ω ω dove F `e una funzione “universale”.  Se si costruisce quindi un grafico in cui si riporta in ascissa la quantit` a ( + 1)/ω e in ordinata la quantit` a n/ω,

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Fig. 6.15. Andamento della frequenza ciclica di Brunt-V¨ ais¨ al¨ a, N/(2π), espressa in mHz, in funzione del raggio solare. A partire da r/R  0.72, dove inizia la zona convettiva, la frequenza ` e immaginaria e non `e riportata in grafico. Negli strati pi` u superficiali la frequenza ritorna ad essere reale.

si osserva che tutti i modi “collassano” in un’unica curva (la funzione F) che porta in s´e tutte le informazioni riguardo all’andamento della velocit` a del suono con la coordinata r. L’andamento teorico della funzione, dedotto a partire dal modello solare standard, `e rappresentato nella Fig. 6.14. Malgrado le approssimazioni introdotte, i valori osservati delle autofrequenze si adattano con ottima precisione alla curva teorica, il che mostra la validit` a del modello stesso. Per quanto riguarda i modi g, possiamo riprendere la relazione di dispersione generale e adattarla al caso delle basse frequenze. Supponendo che sia ω  S  e ωc  S , la relazione di dispersione risulta kr2 =

( + 1) r2



N2 −1 ω2

 .

L’andamento della frequenza di Brunt-V¨ ais¨ al¨ a nell’interno del Sole, cos`ı come dedotto dal modello solare standard, `e riportato nella Fig. 6.15. Escludendo un sottilissimo strato superficiale, il valore di N 2 `e positivo nella zona radiativa interna, mentre `e negativo nella zona convettiva, a partire da r  0.72 R . I modi g hanno quindi un carattere di onde evanescenti per tutta l’estensione della zona convettiva, cosa che rende problematica la loro osservazione in superficie21 . 21

Al momento attuale non esiste ancora la certezza che i modi g siano stati effettivamente ` osservati sul Sole, nonostante gli sforzi profusi a tale scopo da numerosi gruppi di ricerca. E

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Fig. 6.16. Frequenze cicliche teoriche (ν = ω/(2π)) dei modi g per  ≥ 10. Ogni ramo `e caratterizzato dal valore n del numero di nodi radiali. Le frequenze sono espresse in mHz. Si noti il “ginocchio” alla frequenza di 0.43 mHz che corrisponde al minimo relativo della frequenza di Brunt-V¨ ais¨ al¨ a intorno a 0.2 R .

Le autofrequenze dei modi g possono essere calcolate, a partire dal modello solare, seguendo una procedura analoga a quella utilizzata per i modi p. Imponendo che il numero di lunghezze d’onda contenute nella zona in cui si ha ω ≤ N (e quindi in cui kr2 `e positivo), le autofrequenze si determinano risolvendo l’equazione implicita    1 N2 − 1 dr . π n = ( + 1) ω2 ω≤N r Conoscendo l’andamento della frequenza di Brunt-V¨ ais¨ al¨ a con r, questa equazione permette di determinare lo spettro delle frequenze ω(n, ) per i modi g. La Fig. 6.16 mostra i risultati ottenuti assumendo per tale frequenza i valori di Fig. 6.15, relativi al modello solare standard. Le frequenze attese per i modi g indubbio che la misura delle autofrequenze di tali modi `e di fondamentale importanza per la diagnostica degli strati pi` u profondi del Sole.

L’INTERNO DEL SOLE

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sono inferiori a 0.5 mHz, il che implica periodi maggiori di circa 2000 s, ovvero 34 minuti. Per concludere, bisogna ancora sottolineare tre cose. La prima riguarda l’eccitazione dei modi. In effetti, non esiste ancora una teoria soddisfacente che riesca a spiegare in maniera dettagliata perch´e siano privilegiati dal punto di vista energetico i modi aventi periodi dell’ordine di 5 minuti (i pi` u facili da osservare a causa della loro maggior ampiezza). Intuitivamente si pu` o pensare che tali periodi coincidano con i tempi caratteristici di vita delle celle convettive subfotosferiche o con qualche altro tempo-scala tipico della convezione. La seconda cosa `e che gli studi di eliosismologia, sia osservativi che teorici, sono anche stati estesi alla determinazione della velocit`a di rotazione interna del Sole. Nella teoria che abbiamo sopra sviluppato l’effetto della rotazione `e stato completamente trascurato, ma, come abbiamo gi`a avuto occasione di notare, esso  × r pu` o essere inglobato introducendo una velocit`a di ordine zero, del tipo Ω nell’equazione di Navier-Stokes. Il risultato `e che le autofrequenze dei modi ` di oscillazione vengono a dipendere anche da un terzo numero quantico, m. E  proprio osservando le separazioni in frequenza del tipo ω(n, l, m) − ω(n, l, m ) che `e possibile risalire all’andamento della velocit`a angolare Ω nell’interno del Sole. Da questi studi `e emerso che la rotazione differenziale del Sole `e un fenomeno che risulta ristretto alla zona convettiva, mentre l’interno del Sole ruota sostanzialmente come un corpo rigido. Infine, la terza cosa `e che tutti i risultati che sono stati ottenuti fino ad oggi mediante lo studio delle oscillazioni solari si sono rivelati in accordo con le previsioni teoriche basate sul modello solare standard. La validazione del modello ha contribuito in maniera sostanziale a corroborare le conclusioni sulle oscillazioni dei neutrini solari che sono state illustrate nel Par. 6.11.

Costanti fisiche e astronomiche Le costanti sono espresse in unit` a del sistema c.g.s. con al pi` u sei cifre significative. Costante della gravitazione: G = 6.67428 × 10−8 cm3 g−1 s−2 Velocit` a della luce nel vuoto: c = 2.99792 × 1010 cm s−1 Costante di Planck: h = 6.62607 × 10−27 erg s Costante di Planck ridotta: h ¯ = h/(2π) = 1.05457 × 10 −27 erg s Costante di Boltzmann: kB = 1.38065 × 10−16 erg K−1 Carica dell’elettrone (in valore assoluto): e0 = 4.80320 × 10−10 u.e.s. Massa dell’elettrone: m = 9.10938 × 10−28 g Unit` a di massa atomica: mH = 1.66054 × 10−24 g Massa del protone: mp = 1.67262 × 10−24 g Massa della particella α: mα = 6.64466 × 10−24 g Numero di Avogadro: NA = 6.02214 × 1023 mol−1 Costante della struttura fine: α0 = e20 /(¯ hc) = 7.29735 × 10−3 Reciproco della costante della struttura fine: 1/α0 = h ¯ c/e20 = 137.036 2 2 Raggio classico dell’elettrone: rc = e0 /(mc ) = 2.81794 × 10−13 cm Lunghezza d’onda Compton dell’elettrone: λC = h/(mc) = 2.42631 × 10−10 cm Raggio della prima orbita di Bohr: a0 = h ¯ 2 /(me20 ) = 5.29177 × 10−9 cm Sezione d’urto Thomson: σT = 8πrc2 /3 = 6.65246 × 10−25 cm2 Costante di Stefan-Boltzmann1 : σ = 5.67040 × 10−5 erg cm−2 s−1 K−4 Costante della densit` a di radiazione1: a = 7.56577 × 10−15 erg cm−3 K−4 Unit` a Astronomica di distanza: 1 UA = 1.49598 × 1013 cm Parsec: 1 pc = 3.08568 × 1018 cm Massa solare: M = 1.9891 × 1033 g Raggio solare: R = 6.9626 × 1010 cm Luminosit`a solare: L = 3.845 × 1033 erg s−1 2 1/4 Temperatura efficace solare: T = [L /(4πσR )] = 5.776 × 103 K 2 Accelerazione di gravit`a solare: g = GM /R = 2.7385 × 104 cm s−2 6 −2 −1 Costante solare: C = 1.37 × 10 erg cm s Et` a del Sole: t = 1.44 × 1017 s 1

σ=

4 2π 5 kB 15 h3 c2

,

a=

4σ c

=

4 8π 5 kB 15 h3 c3

Indice analitico I numeri in grassetto si riferiscono alle tabelle. Quelli in corsivo alle citazioni bibliografiche. Abbondanza dell’Elio, 255, 257 Abbondanze: — in massa, 226, 254 — in numero, 48, 51, 215, 226, 254 — primordiali, 255 Accoppiamento L-S, 117 Acoustic cut-off frequency, 272 Active regions, 109 Allargamento collisionale, 62 Allargamento Doppler (termico), 62 Andamento centro-lembo, 46 Angolo eliocentrico, 37 Approssimazione: — di Cowling, 272 — di Eddington, 44 — di Eddington-Barbier, 39, 166 — magneto-idrodinamica, 101, 200 — semiclassica idrogenica, 171 — WKB, 233 Archi coronali, 8, 185, 206 Armoniche sferiche, 91, 270 Assi veloce e lento, 20 Astrofisica dei neutrini, 9, 261 Astrosismologia, 8, 97 Atmosfera: — di Milne-Eddington, 66, 148 — grigia, 41 — piana, 37 — piano-parallela, 37, 47 ATST, 12 Aumento di T con la quota, 166 Aurore polari, 113, 212 Autofrequenze: — modi g, 278 — modi p, 275 — oscillazioni solari, 88, 95, 274 Avrett, E.H., 48

Baksan Neutrino Obserbatory, 264 Banda passante (di un filtro), 21, 25 Bande molecolari, 30 Baricentro Zeeman, 120 Beam splitter, 132 Bethe, H., 6, 50 Bisettore, 85 Bisnovatyi-Kogan, G.S., 244 Blends, 80 Blueshift convettivo, 84 Blurring, 13 Bolla convettiva, 217, 245 Bommier, V., 157 Born, M., 24 Bottleneck (reazioni nucleari), 236 Brillamenti, 113, 206 Bremsstrahlung, 50, 185, 207, 208, 241 — inversa, 50, 241 — termica, 208 Bright dots, 107 Buchi coronali, 8, 175, 178, 184 Burst radio, 113, 208 Calcite (cristalli di), 18, 132 Calibrazione del magnetografo, 152 Calore specifico massico, 252 Campo magnetico: — coronale, 185 — debole (trasporto radiativo), 146 — dipolare, 164 — force-free, 187 — poloidale, 112 — potenziale, 186 — ribaltamento del, 113 — stirato (sheared), 210 — toroidale, 112 Carrington, R.C., 3, 206 Celle supergranulari, 19, 86, 154, 164

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INDICE ANALITICO

— propriet` a fisiche, 86 Celostata, 13 Chandrasekhar, S., 33, 46, 50 Chromospheric Network, 19, 163 Ciclo: — CNO, 7, 231 — di attivit` a solare, 5, 110 — di Bethe-Wizs¨ acker, 163 — protone-protone (pp), 7, 216, 229 — ppI, ppII, ppIII, pep, 230 CME, 183, 211 Coda di ioni e di polvere, 8, 188 Coefficiente: — della diffusione magnetica, 100 — di assorbimento, 34, 50, 238 — di assorbimento integrato, 64 — di assorbimento massico, 50, 240 — di assorbimento negativo, 34 — di emissione, 34, 238 — di emissione stimolata, 34 — di finesse, 25 — di opacit` a, 50, 240 — di riflessione, 24 — di trasmissione, 24 Colore azzurro del cielo, 57 Comete, 8, 188 Component-s (slow), 208 Componente lenta radio, 208 Componenti π e σ, 115, 119 Condizione di neutralit` a, 52 Conducibilit` a elettrica, 100, 206 Conducibilit` a termica, 192 Convezione, 3, 82 CoRA, 110 Corona solare: — brillanza, 26 — conducibilit` a termica, 192 — corona K, F, E, 176 — emissione X, 8, 113, 183 — flusso di energia termica, 192 — forma,113 — generalit` a, 5, 8, 26, 113, 190 — modelli dinamici, 194

— modelli statici, 190 Coronal holes, 8, 178, 184 Coronal mass ejections, 183 Coronografo, 26, 176 Corpo nero (legge del), 12 Corrente di spostamento, 100 Coseni direttori, 143 Costante: — della densit` a di radiazione, 227 — della gravitazione, 6, 214 — di smorzamento, 62 — di smorzamento ridotta, 63 — di Stefan-Boltzmann, 2 — solare, 11, 113 Cristallo birifrangente, 19 Criterio di Schwarzschild, 217, 245, 251 Cromosfera, 5, 159 Cromosfere stellari, 40 C-shape, 85 Current sheet, 204 Davis, R., 9, 260 Degenerazione: — dei livelli atomici, 170 — di un gas di elettroni, 228 Densit`a: — di carica elettrica, 100 — di cariche di polarizzazione, 138 — di corrente, 100 — elettronica, 168, 227, 241 — elettronica in corona, 177 Depressione centrale (di una riga), 30 Deuterio, 229 Diagramma a farfalla, 110 Diagramma Zeeman, 119 Dicroismo, 137 Difetto di massa, 229 Diffusione: — di risonanza, 180 — magnetica, 100 — Mie, 178 — Rayleigh, 50, 54 — Thomson, 50, 54, 177, 241

INDICE ANALITICO

Discontinuit` a di Balmer, 30, 39 Disomogeneit` a cromosferiche, 163 Disparition brusque, 180, 211 Dispersione anomala, 137 Distanza focale (telescopi solari), 16 Distribuzione: — in energia dei flares, 210 — Maxwelliana delle velocit`a, 62, 143 Dopplergrammi, 78 DOT, 107

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— termica del Sole, 6 Equazione: — del gas perfetto, 47, 215, 225, 228 — del magnetografo, 148, 151 — del trasporto, 33, 47, 134, 148, 239 — — per polarizzazione, 134, 148 — della diffusione, 100, 203 — delle onde unidimensionale, 89 — delle onde tridimensionale, 90 — dell’equilibrio idrostatico, 47, 214 — dell’equilibrio radiativo, 42, 47 Eccentricit` a (orbita terrestre), 10, 77 — dell’induzone, 100, 203 Eclisse solare, 26, 176 — di Amp`ere, 100, 181 Eddington, A., 5, 33 — di Boltzmann, 65 Edl´en, B., 178 — di continuit` a, 267 Effetto: — di Einstein, 229 — Auger, 261 — di Keplero, 11 ˇ — Cerenkov, 265 — di Lane-Emden, 220, 222, 224 — Doppler, 71 — di Larmor, 54, 241 — Doppler relativistico, 74 — di Navier-Stokes, 267 — Evershed, 157 — di Ohm, 100 — FIP, 190 — di Parker, 196 — di Saha, 52, 168, 226 — fotoelettrico, 50, 169, 241 — fotoelettrico interno, 261 — di stato, 47, 215, 225, 227 — Hanle, 180, 186 Equazioni: — Joule, 204, 206 — cinetiche (evoluzione chimica), 256 — MSW, 266 — della magneto-idrodinamica, 99 — serra, 257 — della struttura stellare, 219 — tunnel, 233 — delle oscillazioni adiabatiche, 270 — Wilson, 107 — dell’equilibrio statistico, 69 — Zeeman, 5, 108, 114 — di Kramers, 241 — Zeeman anomalo, 116 — di Maxwell, 100 EIT, 175, 183, 285 — di Unno-Rachkowsky, 145 Elemento di matrice di dipolo, 61 — linearizzate delle oscillazioni, 268 Elettrone Auger, 261 — — in appross. di Cowling, 272 Eliosismologia, 8, 87 Equilibrio: Ellisse di polarizzazione, 124 — di ionizzazione, 51, 168 Energia: — energetico (interno del Sole), 216 — chimica del Sole, 6 — termodinamico locale, 38, 47, 144 — di reazioni nucleari, 229, 236 Eruzioni di massa coronale, 183, 211 — di riposo dell’elettrone, 174 Esperimento di Davis, 9, 261 — gravitazionale del Sole, 6 Esponente adiabatico, 269 — nucleare del Sole, 7 Estrapolazione (campi magnetici), 186

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INDICE ANALITICO

Et` a del Sole, 2, 6, 256 Eventi esplosivi, 113, 206 Evoluzione chimica, 255 Fabry-Perot (interferometro), 23 Facole, 18, 109, 113, 163 Fattore: — di Gaunt, 244 — di Land´e, 117 — di Land´e efficace, 120, 147 — di trasmissione, 20 Fenditura coniugata, 17 Filamenti, 18, 163, 179 Filamenti penombrali, 108 Filtro: — birifrangente (di Lyot), 18, 151 — birifrangente universale, 23 — interferenziale, 23, 151 — polarizzante, 19, 127, 151 Flares: — a due nastri, 207 — classificazione, 210, 211 — distribuzione in energia, 209 a, 113, 206-212 — generalit` — omologhi, 210 — simpatetici, 210 Flavor (numero quantico), 265 Flusso: — conduttivo (corona), 192, 199 — convettivo (corona), 199 — convettivo (interno), 216, 252 — radiativo monocromatico, 42, 239 — radiativo (interno), 216 — radiativo totale, 42 Formazione di righe magnetiche, 137 Formula: — di Airy, 24 — di Thomson, 171 — di Wien, 83, 170 Forza: — dei componenti Zeeman, 118, 119 — di Lorentz, 100, 115, 181, 200 — di oscillatore, 61

— di smorzamento, 57 Forze non gravitazionali, 8 Fotoionizzazione, 50, 169, 241 Fotosfera, 3 Fraunhofer, J., 4 Fraunhofer (unit` a di misura), 31 Free spectral range, 23, 25 Frequenza: — delle collisioni, 62 — di Brunt-V¨ ais¨ al¨ a, 270, 277 — di Larmor, 114 — di Larmor angolare, 138 — di Nyquist, 87 — di spinta idrostatica, 270 — di taglio acustica, 272 Frequenze proprie (oscillazioni), 88, 95 Fulmine (analogia col flare), 211 Funzione: — di distribuzione di Maxwell, 62, 170 — di Hopf, 47 — di merito, 157 — di partizione, 170, 248 — di Planck, 12, 33, 39, 169 — — nel limite di Jeans, 207, 243 — — nel limite di Wien, 170 — di sparpagliamento puntuale, 15 — di Voigt, 63, 144 — integro-esponenziale, 41 — sferica di Bessel, 92 — sorgente, 34, 166 — — per un atomo a due livelli, 68 Galilei, G., 3, 4 Galleggiamento magnetico, 107, 112 Gallex/GNO, 263 Gas: — di Van der Waals, 227 — di Idrogeno ionizzato, 248 — ionizzato, 227, 248 — perfetto monoatomico, 247 Gradiente: — adiabatico, 217, 246, 251, 254 — radiativo, 217

INDICE ANALITICO

— superadiabatico, 218, 254 Grado di dionizzazione, 248 Grani penombrali, 108 Granulazione, 4, 79, 82 Granuli, 82 Gravit` a superficiale, 47 Gribov, V., 266 Hale, G.E., 5 Hamiltoniana magnetica, 116 Herschel, W., 4, 82 Heyvaerts, J., 209 High Altitude Observatory, 27 IBIS, 26 Image distortion, 13 Image motion, 13 Immagine slit-jaw, 79 Inclinazione (asse solare), 77 Indice della politropica, 220 Indice di rifrazione, 19, 24, 134 Inquinamento antropico, 27 Instabilit` a convettiva, 218 Intensit` a: — centrale della riga K, 167 — media (sull’angolo solido), 43 — specifica, 33 Interazione debole, 230 Interazioni di corrente, 266 Interferenze radio, 113, 212 Interferometro di Fabry-Perot, 23 Intervallo libero spettrale, 23, 25 Ione Idrogeno negativo, 50 Ionizzazione collisionale, 169 Janssen, J., 82 Kamiokande, 263 Koshiba, M., 264 Kourganoff, V., 33 Koutchmy, S., 176 Laboratorio del Gran Sasso, 263

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Lamina: — a mezz’onda, 130 — a quarto d’onda, 23, 130, 151 — — ruotante, 131 — di ritardo, 19, 127 Landi Degl’Innocenti, E., 34, 133, 180 Landolfi, M., 34, 133, 180 Laplaciano, 91, 168, 270 Larghezza Doppler, 63 Larghezza equivalente, 30 Larghezza naturale, 59 Lawrence Livermore Laboratory, 245 Legge: — di Amp`ere, 100 — di Dalton, 52 — di Duvall, 276 — di Hale (prima e seconda), 111 — di Keplero (seconda), 77 — di Planck, 12, 33 — di Sporer, 110, 113 Leighton, R.B., 87 Leptoni, 265 Libero cammino medio, 101 Light bridges, 107, 108 Lightman, A.P., 62 Line gap regions, 109 Linea neutra fotosferica, 180 Linee di forza congelate, 104 Livelli atomici, 61 Loeser, R., 48 Loops coronali, 8, 185, 206 Lorentz, H.A., 54, 115 Luminosit` a solare, 2, 257 — evoluzione, 257 Lunghezza di Debye, 227 Lunghezza d’onda Compton, 61 Lyot, B., 18 Lyot (filtro di), 18 Macchie solari, 3, 106, 107, 155 Magnetic buoyancy, 107 Magnetic knots, 108 Magnetografo, 151

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INDICE ANALITICO

Magnetogramma, 151 — profondo, 154 Magnetone di Bohr, 117 Magnetosfera (terrestre), 212 Mariner 2, 188 Massa: — del neutrino, 266 — ridotta, 232 — solare, 2 MDI, 80, 83, 95, 151, 154, 155 Media di Rosseland, 217, 240 Mezzo interstellare (densit` a), 192 Micro-flare, 210 Mihalas, D., 33 Mikheyev, S.P., 266 Milne, E.A., 5, 33 Minimo di temperatura, 48 Mistero dei neutrini mancanti, 262 Misure di campo magnetico, 155 Mixing length, 219, 251 Modelli: — dinamici della corona, 194 — empirici dell’atmosfera solare, 48 — realistici di atmosfere stellari, 47 — solari non-standard, 263 — statici della corona, 190 Modello: — dell’atmosfera grigia, 41 — delle particelle elementari, 265 — di Babcock, 112 — di Gamow, 216, 231 — di Heyvaerts e Priest, 209 — di Lorentz, 50, 54, 115, 137 — di Parker, 206 — HSRA, 48 — non-standard a basso Z, 263 — — del nucleo rotante, 263 — — del Sole “rimescolato”, 263 — — magnetico, 263 — solare standard, 97, 256 — VAL, 48 Modi g, 274 — autofrequenze, 278

Modi p, 274 — autofrequenze, 275 Modulatori piezo-elettrici, 131 Modulazione (polarimetria), 131 Modulo di elasticit` a (di Young), 88 Modulo di scorrimento, 90 Momenti (campo di radiazione), 43 Monocromatore Panoramico, 23 Monopoli magnetici, 186 Moto della Terra, 76 Mottles, 164 Nano-flare, 210 Nasmyth, J., 82 National Solar Observatory, 26, 109 Neutrini solari, 10, 259 — esperimenti, 261, 263 — flusso, 260 — problema, 262 Neutrino (particella), 229, 260, 265 — associato alle particelle µ e τ , 265 — massa, 266 — mixing, 266 — reazioni di cattura, 260 — sezioni d’urto per cattura, 260 Newton, I., 4 NOAA, 109 Nodi magnetici, 109 Noyes, R.W., 87 Nube primordiale, 254 Nucleo eccitato, 231 Numero di Reynolds magnetico, 101 Numero quantico magnetico, 117 Ombra (macchia solare), 107, 157 Onda quasi-monocromatica, 125 Onde: — acustiche, 199, 274 — di Alfv`en, 200 — di gravit` a interne, 274 — d’urto, 200 — evanescenti, 274 Opacit` a, 50, 240

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OPAL Opacity Code, 245 Operatore Laplaciano, 91, 268, 270 — trasversale, 270 Orbita Kepleriana, 76 Oscillazioni neutriniche, 266 Oscillazioni solari, 8, 87, 267 — approssimazione di Cowling, 272 — eccitazione dei modi, 279 — equazioni linearizzate, 268 — rotazione interna, 279 Oscillazioni stellari, 97 Oscuramento al bordo, 5, 39, 45 Osservatorio: — del Teide, 13 — di Arcetri (Firenze), 23, 26 — di Big Bear, 184 — di Catania, 109 — di Mauna Kea, 27 — di Mauna Loa, 27 — di Mount Wilson, 17, 86 — di Napoli, 109 — di Paris-Meudon, 18, 19 — di Pic du Midi, 27, 179 — di Roma-Monte Porzio, 109 — di Sacramento Peak, 26, 27 Ottica adattiva, 15 Ottica attiva, 14 Overshoot convettivo, 4

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Point Spread Function, 15, 83 Polarimetro prototipo, 127 Polarizzatore, 19, 127, 151 — ideale, 127 Polarizzazione, 5, 123, 130 Polarizzazione della corona K, 177 Politropica: — indice, 220 — relazione, 215, 220 Polvere (particelle di), 178 Pontecorvo, B., 266 Ponti di luce, 107, 108 Pori, 108 Portata di energia, 216 Positrone, 229 Potenziale di ionizzazione, 168, 247 Premio Nobel, 9, 260, 264 Pressione: — di radiazione, 8, 43, 227 — elettronica, 52 — magnetica, 164 — parziale, 53 Priest, E., 209 Principi della termodinamica, 249 Principio: — del bilancio dettagliato, 169 — di esclusione di Pauli, 228 — di Kirchhoff, 37, 144 Prisma di Rochon, 132 Parametri di Stokes, 125 Prisma di Wollaston, 132 Parametro: Problema dei neutrini solari, 262 — α (mixing length), 254, 257 Problema della massa mancante, 266 — β, 164 Processi: — di Fried, 16 — di rimescolamento, 255 — d’urto, 102, 171, 232, 242 — legato-libero, 50 Parker, E., 8, 194, 206 — libero-libero, 50 Pennacchi coronali, 176 Profili dei parametri di Stokes, 146 Penombra (macchia solare), 107, 157 — asimmetrie, 150 Penumbral grains, 108 Profilo: Perdita di massa, 8 — di assorbimento, 62 Peso molecolare medio, 47, 215, 225 — di dispersione anomala, 141 Piano dell’eclittica, 177 — di riga, 65 Plages, 18, 109, 163 — normalizzato, 64

290 — Lorentziano, 60 Profondit` a ottica, 35 — di riferimento, 48 — tangenziale, 161 — verticale, 161 Protuberanze, 179 — corrente elettrica, 182 — densit` a tipica, 180 — dimensioni, 180 — eruttive, 179, 211 — piedi, 180 — quiescenti, 179 — stabilit` a, 180 Punti brillanti, 107

INDICE ANALITICO

— onde di Alfv`en, 202 Relazioni di Milne-Einstein, 169 Repulsione Coulombiana, 172, 231 Rete cromosferica, 19, 163 Reticolo di diffrazione, 17, 130 Ricombinazione collisonale, 169 Ricombinazione radiativa, 169 Riconnessione magnetica, 203 Righe: — coronali, 178 — D del Sodio, 31, 68, 180 — D3 dell’Elio, 180 — di emissione, 40, 168 — Hα, 5, 18, 21, 31, 68, 159, 163, 180 — Hβ, 180 Quark, 265 — H e K, 18, 31, 68, 163, 166, 167 — h e k del MgII, 166 Radiazione: — spettrali (solari), 4, 29, 32 — a microonde, 207 — — asimmetrie, 85 — di corpo nero, 33 — — in ETL, 64 — di frenamento, 185, 207, 208 — — in non-ETL, 67, 166 — — termica, 208 — telluriche, 32 — di sincrotrone, 207 Riscaldamento della corona, 199 Radiobursts, 113 Riscaldamento della cromosfera, 199 Raggi cosmici, 184 Risoluzione angolare teorica, 15 Raggio: Ritardo di fase, 20 — classico dell’elettrone, 54 Rotazione differenziale, 3, 77, 102, 279 — della prima orbita di Bohr, 51, 61 — interno del sole, 279 — ordinario e straordinario, 19 — parametri, 102 — solare, 2 Rotazione rigida, 279 Rapporto fra calori specifici (γ), 246 Rotazione solare (effetto Doppler), 77 Reazione “collo di bottiglia”, 236 Rotazione terrestre (eff. Doopler), 75 Reazioni di cattura neutrinica, 260 Rybicki, G.B., 62 Reazioni termonucleari, 6, 229 — rates, 236 Sacramento Peak Observatory, 26, 27 Redshift gravitazionale, 78 SAGE, 263 Regione di transizione, 168 Sapore (numero quantico), 265 Regola di selezione di Laporte, 178 Saturazione (magnetografo), 153 Regola di selezione su M , 118 Sbarra rigida (oscillazioni), 88 Regioni attive, 109 Scala: Regioni intergranulari, 82 — della mixing length, 219, 251 Relazione di dispersione: — di altezza (atmosfera solare), 160 — oscillazioni solari, 9 — di altezza (interno del Sole), 254

INDICE ANALITICO

Sch¨ uster, A., 33 Schwabe, H., 5 Schwarzscild, K., 33 Secchi, A., 82 Seeing, 13 Separatore di fascio, 132 Separazione Zeeman, 118, 119, 122 Sezione d’urto: — atomica, 58 — per cattura neutrinica, 260 — per fotoionizzazione, 169 — per fotoionizzazione (H− ), 51 — per ionizzazione collisionale, 169 — Rayleigh, 56 — Thomson, 55 Sfera fluida (oscillazioni), 90 Simboli 3-j di Wigner, 119 Simon, G.W., 87 Simulazioni numeriche, 85 Sismologia, 88 Siti per osservazioni solari, 14 Skylab, 8, 184, 185 Slit-jaw (immagine), 79 Slow component, 208 Smirnov, A.Y., 266 SNO, 266 Snu (Solar neutrino unit), 261 SOHO, 80, 83, 95, 151, 154, 175, 183 SOI, 82, 96 Sole (visto da Terra), 10 Soluzione di Unno, 149, 156 Sorgenti X, 8 Sottolivelli magnetici, 117 Sottrazione fotografica, 87 Space Weather, 212 Spessore ottico, 35 Spettro: — continuo, 49 — cromosferico, 159 — di corpo nero, 30 — di Fourier, 87 — radio, 207 — solare, 12, 29

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Spettroeliografo, 17, 163 — differenziale, 87 Spettroeliogramma, 18 — Doppler, 87 — in Hα, 18, 86, 113 — nella riga K, 19, 86, 113 Spettropolarimetria, 5, 122 Spin dell’elettrone, 116 Spinta di Archimede, 217, 245 Spitzer, L., 102, 102 Statistica di Fermi-Dirac, 228 Statistica di Poisson, 12 Stazione di Climax (HAO), 27 Stella η Bootis, 97 Stella α Centauris A, 97 Stop di Lyot, 27 Streamers, 176 Sub-flare, 210 Supergranulazione, 19, 86 Super-Kamiokande, 264 Swedish Solar Vacuum Telesc., 108 Telescopi solari, 12 Telescopio: — ATST, 12 ´ — THEMIS, 13, 23 — Wolter, 184 Temperatura: — efficace, 42 — elettronica, 169 — solare efficace, 2 Tempeste geomagnetiche, 113 Tempo: — della riconnessione magnetica, 205 — libero medio collisionale, 101 Tensore di polarizzazione, 125 Teorema: — della proiezione, 117 — di Alfv`en, 99, 103, 165 — di Lens, 91 — di Stokes-Amp`ere, 104 Teoria: — dell’elettrone, 50, 54, 115, 137

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INDICE ANALITICO

— del trasporto, 5, 33, 133, 217 — — per radiazione polarizzata, 133 — della mixing length, 219, 251 — — (parametro α), 254, 257 — di Gamow, 216, 231 — di Parker, 194 Terna intrinseca, 34 Tetacloroetilene, 261 ´ THEMIS, 3 Thomson, J.J., 171 Tip tilt, 14 Tipo (radioburst), 209 Tomografia (della cromosfera), 163 Torre solare di Mount Wilson, 17 Torri solari, 13 TRACE, 8, 9, 185 Transizioni legato-libero, 50, 241 Transizioni libero-libero, 50, 241 Trappola fredda, 261 Trasporto radiativo, 5, 33, 133, 217 — per radiazione polarizzata, 133 Tubo di flusso, 105 Turbolenza elettromagnetica, 206 Two-ribbon flare, 207 UBF, 23 Ulysses, 188, 189 Unit` a: — astronomica, 1 — di Lorentz, 119

— di peso atomico, 47 — snu, 261 Van de Hulst, H.C., 177 Velocit` a: — angolare del Sole, 77 — del suono (in un solido), 89 — — (in un gas), 94 — — (interno), 259, 265, 270 — di Alfv`en, 201 — di drift, 101 — di fase (onde di Alfv`en), 203 — di gruppo (onde di Alfv`en), 203 — relativa, 75 — termica, 62, 122 Vernazza, J.E., 48 Vettore spostamento elettrico, 139 Venti stellari, 8 Vento solare, 8, 113, 188, 212 — lento e veloce, 188 Vita media, 262 Wolf, E., 24 Wolfenstein, L., 266 Yohkoh, 8, 184, 185 Zeeman, P., 114, 115 Zone di ionizzazione, 86 Zone elettroniche K, L, 261