Criminali di guerra in libertà
 9788843042838, 8843042831 [PDF]

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Zitiervorschau

Filippo Focardi

Criminali di guerra in libertà Un accordo segreto tra Italia e Germania federale, 1949Prefazione di Lutz Klinkhammer

C arocci editore

la edizione, aprile 2008 © copyright 2008 by Carocci editore S.p.A., Roma Finito di stampare nell’aprile 2008 per i tipi delle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino is b n

978-88-430-4283-8

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Siam o su Internet: http://www.carocci.it

Indice

Avvertenze

9

Prefazione. Dal perdono all’amnistia di Lutz Klinkhammer

Premessa

11

27

1.

La condanna del “ gruppo di Rodi” e i processi in Italia contro i cri­ minali di guerra tedeschi 31

2.

Salvezza per i «poveri connazionali»!

3.

Il ministero degli Affari Esteri italiano e la questione dei criminali di guerra tedeschi 67

4.

La missione Hòfler e la liberazione dei criminali tedeschi del “ gruppo di Rodi” 79

5.

Sviluppi successivi: il “ caso Wagener” in Germania (1951-55)

Conclusioni

107

Documenti

121

Indice dei nomi

165

51

99

Avvertenze

E len co delle abbreviazioni Abt.

Abteilung

ACS

Archivio centrale dello Stato

AN

Alleanza nazionale

AP

Affari politici

art.

articolo

A SM A E

Archivio storico del ministero degli Affari Esteri

b.

busta

BA

Bundesarchiv

CDU

Christlich Demokratische Union

CED

Comunità europea di difesa

CLN

Comitati di liberazione nazionale

CLN AI

Comitato di liberazione nazionale Alta Italia

CMM

Consiglio della magistratura militare

CP

Codice penale

CPM G

Codice penale militare di guerra

CSU

Christlich-Soziale Union

DC

Democrazia cristiana

DGAP

Direzione generale Affari politici

DS

Democratici di sinistra

fase.

fascicolo

h.c.

honoris causa

N ATO

North Atlantic Treaty Organisation

PA -A A

Politisches Archiv des Auswärtigen Amtes

PCM

Presidenza del Consiglio dei ministri

PRI

Partito repubblicano italiano

prot.

protocollo

9

CRIMINALI DI GUERRA IN LIBERTÀ

P SI

Partito socialista italiano

PSLI

Partito socialista dei lavoratori italiani

R SI

Repubblica sociale italiana

SA

Sturmabteilungen

sf.

sottofascicolo

SS

Schutzstaffel

TM T

Tribunale militare territoriale

UNW CC

United Nations War Crimes Commission

Nota sulle fonti Gli atti del processo del 1948 contro i criminali di guerra tedeschi del cosiddetto “ gruppo di Rodi” sono depositati presso il Tribunale militare territoriale di Roma: cfr.

tm t

,

Processo Wagener, n. 39179,

b.

711 e 712.

Sul caso giudiziario del generale Wagener e degli altri militari tedeschi condan­ nati a Roma e sull’accordo segreto fra Italia e Germania federale per la liberazione dei criminali di guerra germanici abbiamo utilizzato un’ampia documentazione rintracciata in archivi italiani e tedeschi. In Italia, la documentazione principale è depositata presso l’Archivio storico­ diplomatico del ministero degli Affari Esteri a Roma: cfr. tici

(a p )

Germania 1946-50, b. 1, fase. 2;

Visita deputato tedesco H. Höfler,

ap

ap

asm ae,

Serie Affari poli­

Germania 1950-56, b. 175, fase. 14, sf.

Germania 1950-56, b. 267;

ap

Germania

1950-56, b. 95, fase. Criminali di guerra tedeschi condannati da tribunali militari ita­

liani 1950-IP51-1952. Utile documentazione sul caso Wagener si trova anche presso lArchivio cen­ trale dello Stato a Roma, nelle carte della Presidenza del Consiglio dei ministri: cfr. a c s, pcm

1948-50,19.5 n. 79722 e 4.12 n. 77318.

In Germania, la documentazione relativa al caso Wagener e all’accordo italotedesco sui criminali di guerra è depositata presso il Bundesarchiv a Koblenz - Ar­ chivio federale di Coblenza: cfr. BA-Koblenz, fondo B 305, b. 403, e presso il Politi­ sches Archiv des Auswärtigen Amtes - Archivio politico del ministero degli Esteri di Berlino: cfr.

p a .a a ,

fondo B 10, b. 2196.

Prefazione Dal perdono alFamnistia di Lutz Klinkhammer

La guerra moderna ha trasformato anche la pace. La formula del “ per­ dono e oblio” è sparita e ha lasciato il posto, a guerra finita, alla punizio­ ne dei vinti e degli aggressori. Tematizzato già da Ugo Grozio nel suo trattato su guerra e pace \ un uso comune praticato per secoli aveva pre­ visto di concedere, nel momento dell’entrata in vigore di un trattato di pace, un vasto programma di amnistia per tutto ciò che era successo du­ rante il periodo bellico, in cambio di una pace sicura e duratura. Anche in questo campo la Grande Guerra costituì uno spartiacque. “ Punizioni e riparazioni” sostituirono la vecchia formula del “ perdono e oblio” . Invece di chiudere, con i trattati di pace del 1919, il contenzio­ so causato dalla “ catastrofe primordiale” della Prima guerra mondiale, successe il contrario: un enorme programma di punizione di aggressori e criminali di guerra veniva contemplato dal Trattato di Versailles, non soltanto con l’individuazione dei colpevoli per lo scoppio della guerra, ma anche con la legittimazione di un risarcimento economico per le di­ struzioni belliche. La definizione della colpa diventò una continua spina nel fianco dell’opinione pubblica dei paesi vinti e provocò una gigante­ sca mobilitazione politica, pubblica ed intellettuale in difesa dell’“ onore” nazionale. I vincitori chiesero la punizione dei responsabili per i cri­ mini di guerra tedeschi (ma anche per quelli commessi dall’impero ot­ tomano). Anche se il contemplato tribunale internazionale —con l’im­ peratore della Germania come imputato principale - alla fine non ven­ ne realizzato, i tribunali nazionali - in Germania come in Turchia - fu­ rono costretti obtorto collo ad occuparsi delle atrocità di guerra. Le «atro­ cità tedesche» 2 diventarono non soltanto un topos della propaganda 11

CRIMINALI DI GUERRA IN LIBERTÀ

contro la Germania e i suoi alleati, ma anche motivo di un agitato di­ battito sulla necessità di punirne i responsabili3. Anche se l’applicazione degli articoli riguardanti la punizione dei criminali di guerra venne rapidamente sospesa, l’oblio funzionale teo­ rizzato da Grozio lasciò il posto in Germania ad un clima avvelenato di proteste per il tentativo di voler giudicare e colpevolizzare i tedeschi per lo scoppio e la condotta della guerra. La sospensione delle clausole per la punizione dei crimini tedeschi, e la punizione giuridica così blanda rea­ lizzata attraverso i processi davanti al Tribunale tedesco di Lipsia, fecero invece nascere nei paesi vittime delle atrocità tedesche delle forti ama­ rezze: le popolazioni colpite percepirono questi processi e le lievi con­ danne comminate come un’evidente ingiustizia nei confronti del loro dolore. Le grandi potenze fecero tesoro di quest’esperienza: già durante la Seconda guerra mondiale venne esplicitamente previsto un ampio pro­ gramma di punizione dei criminali di guerra, poi eseguito con migliaia e migliaia di processi da parte dei paesi vincitori. Alla Conferenza di Mo­ sca, il 30 ottobre 1943, Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna avevano dichiarato espressamente che i criminali tedeschi sarebbero sta­ ti processati nei luoghi dei loro misfatti. A guerra finita, i due tribunali militari internazionali di Norimberga e di Tokyo furono soltanto la punta dell’iceberg del programma dei vincitori che riguardava anzitutto criminali tedeschi e giapponesi, ma includeva anche indiziati di altre nazioni belligeranti come l’Italia. In Europa, la punizione dei tedeschi fu la preoccupazione maggiore. Ma anche in Australia, in Cina, Corea, Indonesia, Hong Kong, Malaysia, India e Filippine si avviarono mi­ gliaia di processi contro imputati soprattutto giapponesi 4. I programmi nazionali di punizione si rivelarono molto più ampi di quelli internazionali, con importanti effetti sulla storia postbellica di ciascun paese coinvolto. I soli Stati Uniti effettuarono circa 1.000 pro­ cessi per crimini di guerra in Europa, in Asia e nel Pacifico. Ma anche la Gran Bretagna, la Francia, l’Unione Sovietica, i Paesi Bassi, la Norvegia ed altri Stati nazionali iniziarono processi per punire i crimini commes­ si. Nella sola Polonia furono condannati per crimini di guerra più di 1.670 tedeschi, estradati dalle forze di occupazione alleate in Germania tra il 1945 ed il 1949. Mitigare gli effetti e la memoria di queste condanne - una continua spina nel fianco di un paese aspirante alla “ normalizzazione” e alla rico­ struzione economica - fu una forte spinta per la politica estera della gio­ 12

PREFAZIONE

vane Repubblica federale tedesca, che non a caso dichiarò nella sua Leg­ ge fondamentale del 1949 che nessun tedesco potesse essere estradato verso un paese straniero. Mentre la classe dirigente di Bonn cercò di ri­ collocare la neonata Repubblica come attore sul piano internazionale, firmando trattati e ristabilendo accordi internazionali nonostante la li­ mitata autonomia, in quell’ambito gli uomini attorno al cancelliere Adenauer si preoccuparono in maniera particolare per la sorte dei crimi­ nali di guerra tedeschi condannati dai tribunali stranieri: non a caso si evitò di parlare di “ criminali di guerra” ; la politica e la diplomazia tede­ sche preferirono il termine più “ neutro” di “ condannati per la guerra” ed aspirarono, con l’inasprimento della Guerra fredda, ad un rapido ri­ lascio dei connazionali dalle carceri dei paesi occidentali. Un importante collaboratore di Adenauer come Theodor Kordt già alla fine del 1949 meditò su come si potesse influenzare in maniera favo­ revole l’atteggiamento dei paesi occidentali per la causa dei condanna­ ti s. Visto il programma generale di punizione, sarebbe stato azzardato aspettarsi in quel momento un’amnistia altrettanto generale. Perciò la strategia tedesca puntò su una revisione di singoli processi e di singole condanne laddove si potevano rilevare eventuali irregolarità giuridiche; inoltre, si sperava di arrivare ad un provvedimento di grazia non solo per detenuti di età elevata o sofferenti di gravi malattie, ma anche per chi era stato condannato a pene lievi. Quest’ultimo argomento in segui­ to si rivelò vincente. Inoltre, nell 'entourage di Adenauer si pensò di chie­ dere la sospensione dell’esecuzione della pena di morte e la libertà con la condizionale anche per i condannati di crimini di guerra. La questione non era di poco conto, visto che oltre ai connazionali già condannati, nei paesi della futura Comunità europea circa 1.000 indiziati tedeschi aspettavano in quel momento il loro processo - fra cui 160 in Belgio, 600 in Francia, 45 nel Lussemburgo e 200 in Olanda. In Italia, i responsabili politici furono ben consapevoli dell’entità e della delicatezza della questione. In una petizione al presidente della Re­ pubblica italiana, del giugno 1950, il numero dei militari tedeschi con­ dannati, o comunque ancora sotto pesanti accuse presso le autorità giu­ diziarie militari, fu stimato a 1.300 in Francia, 1.700 in Jugoslavia, 400 in Belgio, 300 in Olanda, 150 in Norvegia, 120 in Grecia e 50 in Dani­ marca 6. Quando il cancelliere Adenauer visitò l’Italia un anno più tardi, nel­ l’estate 1951, il numero dei tedeschi detenuti per crimini di guerra nelle carceri dei paesi occidentali, o nelle prigioni gestite dai vincitori in Ger­ 13

CRIMINALI DI GUERRA IN LIBERTÀ

mania, era sceso a 1.643. Non tutti i procedimenti erano conclusi; si trattava in parte di esecuzioni di condanne inflitte, ma anche di processi ancora pendenti davanti ai tribunali. Ricordiamo che due mesi prima il numero dei detenuti tedeschi assommava a 1.782. L’effetto della tenace diplomazia tedesca nei confronti dei connazionali condannati si fece man mano sentire. Nei paesi dell’Europa occidentale si manifestò la tendenza, secondo le osservazioni della diplomazia tedesco-federale, «a risolvere il problema dei criminali di guerra attraverso rilasci o provvedi­ menti di grazia individuale» 1 . I diplomatici tedeschi osservarono che il Belgio mostrava la prassi più generosa nel concedere la grazia, notarono che i paesi nordici tendevano a disfarsi dei detenuti consegnandoli alla Germania, mentre abbastanza rigida veniva considerata la posizione della Francia e dell’Inghilterra. Difficile anche la situazione degli 88 de­ tenuti tedeschi in Olanda, quasi tutti condannati in via definitiva. La Danimarca deteneva ancora 21 tedeschi, la Norvegia 30 (avendo già li­ berato tutti i tedeschi condannati a pene inferiori ai 12 anni di carcere), il Lussemburgo 22, di cui due condannati a morte. Più ci si avvicinò al progetto (poi fallito) di una Comunità europea di difesa, più forti diventarono le pressioni tedesco-occidentali in favore dei criminali tedeschi ancora detenuti all’estero. È vero che i crimini commessi dal regime nazista sono stati puniti dai vincitori: a Norimberga e nei numerosi processi successivi. Ma in una seconda fase, che inizia già con la sfida della guerra di Corea, i con­ dannati tedeschi vennero ampiamente condonati e in questa maniera quasi amnistiati8. La punizione ebbe perciò effetto quasi esclusivamen­ te nei paesi dell’Europa orientale e sudorientale. In quei paesi l’anda­ mento dei processi dipendeva dall’andamento degli arresti e delle estra­ dizioni degli indiziati tedeschi. Non sembra che si sia poi trattato solo di processi farsa: in Polonia, per esempio, dei 1.817 tedeschi estradati, ne vennero processati 1.670. Il numero dei condannati a morte fu di 193 persone. Ma 101 persone vennero assolte. Anche la gamma delle pene inflitte risulta molto varia: 775 i condannati ad una reclusione da 1 a 5 anni, 374 alla reclusione tra 5 e 10 anni, 135 tra 10 e 15 anni, 69 condan­ nati all’ergastolo. E non tutte le condanne a morte vennero eseguite 9. È in questo contesto internazionale che si situa l’accordo segreto fra l’Italia e la Repubblica federale tedesca per la scarcerazione dei criminali di guerra tedeschi del cosiddetto “ gruppo di Rodi ” , ricostruito detta­ gliatamente in questo volume. A prima vista sembra che l’Italia venisse incontro alle pressioni tedesco-federali e seguisse le stesse logiche della

14

PREFAZIONE

Guerra fredda, della normalizzazione, della riconciliazione, presenti in altri paesi occidentali. Ma ci fu anche una specifica componente italiana che bisogna delineare almeno sommariamente. Alla domanda quale fosse la posizione dell’Italia nei confronti dei criminali di guerra, e in particolare dei criminali tedeschi, credo si possa rispondere che l’atteggiamento dell’Italia fu piuttosto ambiguo 10. Pesò certamente la situazione internazionale dell’Italia, che era uscita dalla guerra come “ cobelligerante” a fianco della coalizione dei vincitori, ma che aveva dovuto poi subire un trattato di pace considerato dagli osser­ vatori italiani punitivo, poiché non aveva tenuto conto a sufficienza del contributo di sangue versato per la causa degli Alleati. Anche per ribadi­ re il ruolo del paese sulla scena internazionale, i governi di unità nazio­ nale avevano rivendicato sin dal 1944 il diritto di giudicare in Italia i re­ sponsabili tedeschi di crimini di guerra. L’Italia “ cobelligerante” riuscì a strappare agli Alleati il consenso di poter presentare anch’essa, come gli Stati vincitori, presso la United Nations War Crimes Commission ( u n w c c ) denunce contro appartenenti allo Stato nazista per crimini di guerra o crimini contro l’umanità. Le autorità alleate acconsentirono inoltre a che l’Italia giudicasse i criminali di guerra tedeschi, ad esclusio­ ne dei gradi superiori, dai generali di divisione in su. Sin dal 1945 un enorme numero di denunce venne quindi presentato ed accentrato presso la Procura generale militare a Roma. Ben presto però si profilò quella che potremmo chiamare una forte “ anomalia italiana” (rispetto alla politica degli altri paesi europei), pro­ babilmente legata al rapporto non risolto tra la società italiana e la guer­ ra fascista: il numero dei tedeschi detenuti e processati in Italia rimase assolutamente esiguo (per gli osservatori diplomatici tedeschi nel 1951 si trattava di solo 8 persone); ma d’altro canto, la Repubblica italiana dagli anni cinquanta in poi si dimostrò il paese occidentale con l’atteggia­ mento più duro nell’esecuzione della pena inflitta ai due criminali nazi­ sti condannati all’ergastolo per i loro crimini commessi sul suolo italia­ no, e cioè Herbert Kappler e Walter Reder. L’Italia rimase l’unico paese della nascente Comunità europea a non concedere, per tre decenni, e nonostante le insistenti richieste di Bonn, il rilascio di Kappler, l’unico criminale di guerra tedesco al mondo rimasto ancora in carcere —oltre al maggiore Reder, considerato ormai un cittadino austriaco e a prescinde­ re da Rudolf Hess, detenuto nel carcere di Berlino-Spandau sotto ge­ stione e giurisdizione alleata. Durante gli anni settanta, fino alla più che strana “ fuga” di Kappler dall’ospedale militare romano sul Celio, Hess, 15

CRIMINALI DI GUERRA IN LIBERTÀ

Kappler e Reder furono in effetti gli unici tedeschi ancora in carcere. Una forte anomalia, dunque, che rivela un atteggiamento tutt’altro che eccessivamente mite da parte italiana. L’altro lato della medaglia fu invece l’“ armadio della vergogna” e l’insabbiamento di centinaia di istruttorie per crimini “ nazifascisti” . Al febbraio 1946 le denunce erano già 1.914, la maggior parte delle quali necessitava ancora di una verifica. Secondo il registro generale della Pro­ cura generale militare si giunse infine all’apertura di 2.274 istruttorie. Le denunce non riguardavano solo militari tedeschi, ma anche centinaia di fascisti italiani collaborazionisti dei tedeschi. A questa montagna di in­ cartamenti seguì però un numero estremamente esiguo di procedimenti penali contro militari tedeschi. L’accentramento delle carte presso la Procura generale militare portò alla fine alla sottrazione di buona parte dei fascicoli al loro normale iter giudiziario. Perché? Certamente non fu irrilevante il fatto che l’Italia postbellica avesse un suo problema autoctono in materia di crimini commessi durante il fasci­ smo e durante la guerra a fianco della Germania nazionalsocialista. Un problema “ risolto” in buona parte, con l’amnistia del 22 giugno 1946. Il meccanismo più ampio, prodotto dal clima di quegli anni, è stato recen­ temente descritto da Mimmo Franzinelli in questi termini: «I gerarchi [fascisti] furono presto liberati, i tedeschi autori di eccidi rimasero indisturbati e sui nostri criminali di guerra calò un silenzio tombale, mentre centinaia di partigiani espatriarono per evitare l’arresto». Secondo l’auto­ re, «l’utilizzo estensivo dell’amnistia rientra nella più vasta partita che in quegli anni vide l’insabbiamento dei procedimenti per crimini di guerra nazifascisti (... con l’occultamento dei fascicoli nell’armadio della vergo­ gna), garantì l’impunità agli italiani colpevoli di crimini di guerra in Afri­ ca, Jugoslavia ecc., riesumò processi ai partigiani archiviati nel 1945-46» Alla fine degli anni quaranta si vide in Italia (analogamente ad altri Stati ex belligeranti della parte vinta) il tentativo di salvare i propri citta­ dini accusati soprattutto da alcuni paesi esteri (della coalizione vincitri­ ce) di aver compiuto dei crimini di guerra durante l’occupazione italia­ na (Francia, Albania, Jugoslavia, Grecia, Etiopia) o di aver maltrattato prigionieri di guerra alleati (Gran Bretagna e Stati Uniti). La politica di difesa degli italiani dai paesi stranieri ebbe indubbia­ mente un effetto particolare sulle indagini sui criminali di guerra tede­ schi. Infatti, parallelamente alla tattica dilatoria nei confronti degli im­ putati italiani, furono rallentati anche i processi contro i criminali tede­ schi. Con il riavvicinamento tra la Germania federale e l’Italia a partire 16

PREFAZIONE

dal 1949 vi fu un ulteriore motivo per mostrare particolare clemenza an­ che nei confronti dei criminali di guerra tedeschi. L’indulgenza nei con­ fronti degli indiziati e condannati tedeschi si trasformò, con il passare degli anni, nell’occultamento delle rispettive istruttorie. Un’amnistia di fatto, per occultamento. E in Germania occidentale, che cosa succedeva contemporanea­ mente? In breve possiamo dire che avvenne un processo per certi versi con effetto analogo: si cercò di evitare o di mitigare le condanne espresse da tribunali stranieri nei confronti di cittadini tedeschi, e di avocare a sé il diritto di giudicare i propri connazionali. Si creò poi un clima di com­ prensione piuttosto unilaterale nei confronti dei tedeschi accusati di aver commesso dei crimini all’estero e conseguentemente si produsse una valanga di archiviazioni delle istruttorie aperte. L’esito dei procedimenti aperti in Germania, paradossalmente, non fu molto differente da quello che si ebbe in Italia: nonostante un note­ vole numero di istruttorie aperte presso la Procura generale per le inda­ gini preliminari di Ludwigsburg e le varie procure locali, nessun milita­ re tedesco è stato condannato da un tribunale della Repubblica federale per crimini commessi in Italia durante l’occupazione tedesca. Questo fatto richiede una spiegazione. Il diritto penale tedesco nei confronti dei crimini di guerra deve essere visto in connessione con la complicata interpretazione giuridica, dopo il 1945, dei crimini del regi­ me nazionalsocialista, e in primis dell’Olocausto. Molto schematica­ mente questa interpretazione si può riassumere nei seguenti termini: alla base dell’impostazione giuridica tedesca postbellica vi fu l’afferma­ zione che lo sterminio degli ebrei era da considerare un crimine anche secondo il Codice penale tedesco dell’epoca, cioè secondo l’ordinamen­ to giuridico in vigore durante il nazismo; e quindi avrebbe dovuto esse­ re punito già dai giudici durante il regime nazista (i giuristi tedeschi si autogiustifìcarono dopo il 1945 sostenendo che giuridicamente avrebbe­ ro voluto punire, ma che politicamente era stato loro impedito di agire). Gli assassini vennero dunque accusati di aver leso il diritto dello Stato nazionalsocialista! Fu una soluzione pratica che evitò il problema del di­ vieto di retroattività della legge (il legislatore tedesco non voleva ripetere la scelta del Tribunale di Norimberga di introdurre una nuova figura di crimine con validità retroattiva, una scelta criticata dall’opinione pub­ blica tedesca durante e dopo il processo). Ma la scelta di limitarsi all’ap­ plicazione delle leggi dell’epoca fu una scelta problematica non sol­ tanto perché creò una continuità nel diritto tra Terzo Reich e Bundes17

CRIMINALI DI GUERRA IN LIBERTÀ

republik, e amnistiò di fatto tutti i giuristi del regime, ma anche perché impedì di affrontare il discorso sull’ingiustizia del “ diritto” nazista e in­ vitò a tacere sulla nazificazione del diritto 12. Attraverso questa interpretazione giuridica, come colpevoli maggio­ ri (Haupt-Täter) figurarono soltanto Hitler e i gerarchi a lui più vicini, praticamente gli unici ad essere ritenuti colpevoli di omicidio aggravato doloso ai sensi dell’art. 211 (nella versione del 1941). Accanto a questi (relativamente pochi) colpevoli, per la giustizia tedesca ci furono mi­ gliaia di “ complici” che avevano “ soltanto” eseguito gli ordini impartiti dai loro superiori. Solo chi aveva dimostrato uno zelo particolare, o era andato oltre gli ordini impartiti commettendo degli eccessi, fu conside­ rato “ autore” {Täter). Tutti gli altri furono considerati “ semplici esecu­ tori materiali” e perciò unicamente “ complici” , cioè colpevoli solo di una partecipazione secondaria [Gehilfen). Sia gli “ autori” sia i “ compli­ ci” avrebbero saputo di aver commesso durante il nazismo degli omicidi ai sensi dell’art. 211 del Codice penale del 1941 e si sarebbero perciò resi colpevoli anche di fronte al diritto nazionalsocialista. Con questa inter­ pretazione si rischiava di riabilitare in parte la “ legge tedesca” di allora come se lo sterminio fosse una devianza, e quindi un’eccezione, anziché una pratica sistematica messa in atto dal regime attraverso un complesso di ordini. Chi aveva eseguito degli ordini fu automaticamente considerato un complice: persino quegli imputati che avevano ucciso migliaia di perso­ ne con un colpo alla nuca o attraverso l’apertura dei tubi del gas nelle camere di sterminio. I “ complici” vennero spesso condannati a pene estremamente miti: per esempio 4 0 5 anni di reclusione. I veri compli­ ci, quelli che avevano ad esempio contribuito alla deportazione degli ebrei, non vennero neanche posti sotto accusa. Questo meccanismo interpretativo ha favorito la nascita di un mec­ canismo di giustificazione, ampiamente utilizzato nel secondo dopo­ guerra in Germania da parte di membri della Wehrmacht e della ss in occasione di processi o istruttorie per crimini di guerra: gli accusati o indiziati sostenevano di aver ricevuto un ordine dall’alto e di essere stati costretti ad eseguirlo, in quanto, in caso contrario, avrebbero subito una condanna a morte. Per tale meccanismo di discolpa si inventò allo­ ra un nuovo termine giuridico, Befehlsnotstand (“ impossibilità di disub­ bidire ad un ordine”). Che i principali fautori del nazismo venissero accusati di aver consa­ pevolmente leso il diritto in vigore all’epoca può sembrare strano. Ma 18

PREFAZIONE

ciò permise di dichiarare i giuristi tedeschi (che in buona parte rimasero in carica anche nel dopoguerra) “vittime” del regime, in quanto avreb­ bero avuto le “ mani legate” e perciò non avrebbero potuto accusare i colpevoli dei crimini commessi. Un altro fattore importante che contribuì all’archiviazione di quasi tutte le istruttorie per crimini commessi in Italia (ma non solo in Italia) furono le norme che regolavano la prescrizione dei reati. Mentre venne creata la sunnominata restrittiva interpretazione giuridica per l’omici­ dio doloso aggravato, tutti i delitti considerati “ omicidio doloso sempli­ ce” ( Totschlag, fra i quali vennero collocati quasi tutti i delitti di omici­ dio eseguiti su ordine di un superiore), cioè quegli omicidi non caratte­ rizzati dalle aggravanti particolari dell’art. 211 del Codice penale tede­ sco, sarebbero caduti in prescrizione dopo quindici anni qualora non fosse iniziata un’azione penale. Mentre il Parlamento tedesco, dopo vivaci dibattiti dell’opinione pubblica nazionale ed internazionale, prolungò i termini per la prescri­ zione di omicidio aggravato sia nel 1965 che nel 1969 (per dichiararlo poi imprescrittibile nel 1979) ‘3, si avviò contemporaneamente un’“ amnistia strisciante”, quando, nel 1969, fu rivista dal Parlamento la prescri­ zione per i cosiddetti “ complici di un reato” . Infatti, nel 1969 venne sta­ bilito che per quel tipo di reato, quindi anche per i complici di omicidio doloso aggravato, la prescrizione sarebbe già iniziata a partire dal i° gen­ naio i960. Tramite questa legge sulle norme di prescrizione, che aveva effetto retroattivo —varie istruttorie contro indiziati di omicidio aggra­ vato si conclusero con un’archiviazione per avvenuta prescrizione. Un’altra decisione procedurale importante stabilì che le istruttorie e i processi penali sarebbero stati celebrati nel luogo di residenza dell’im­ putato. Ciò impedì in genere la celebrazione di un grande processo cen­ tralizzato come quello che si tenne a Francoforte sul Meno contro alcu­ ni membri del personale di guardia del campo di sterminio di Ausch­ witz. Nel 1959 la Corte suprema federale aveva accolto la richiesta del procuratore generale per l’Assia, Fritz Bauer, di concentrare tutti i pro­ cedimenti per i crimini commessi ad Auschwitz presso la Corte d’assise di Francoforte. Con questa decisione fu posta la base per un unico pro­ cesso che catalizzò l’attenzione dell’opinione pubblica tedesca per tutta la sua durata, dal 20 dicembre 1963 al 19 agosto 1965, e che vide la parte­ cipazione di 359 testimoni provenienti da diciannove paesi. Qual era invece la prassi giuridica per i delitti commessi da militari e funzionari tedeschi su suolo italiano dal 1943 al 1945? Per i delitti com­ 19

CRIMINALI DI GUERRA IN LIBERTÀ

messi in Italia, la Zentrale Stelle der Landesjustizverwaltungen, creata a Ludwigsburg nel 1958 dai ministeri di Giustizia dei vari Länder tedeschi, svolse le indagini preliminari sui crimini segnalati per esempio dalle au­ torità italiane nel 1965; ma soprattutto si attivò sulla base di denunce presentate da altre persone o istituzioni (come neH’istruttoria contro Karl Wolff, che portò alla sua condanna davanti al Tribunale di Mona­ co, o nel caso di Cefalonia denunciato da Simon Wiesenthal e istruito dalla Procura di Dortmund a partire dal 1964). La Zentrale Stelle, ovve­ ro la Procura centrale delle amministrazioni federali di giustizia, era nata per svolgere le indagini preliminari sui crimini nazisti, cioè identi­ ficare gli indiziati, individuare eventuali testimoni, rintracciare il loro luogo di residenza e, infine, stabilire la procura (civile, essendo cessata una giustizia militare tedesca nel 1945) territorialmente competente. L’Ufficio giudiziario di Ludwigsburg svolgeva dunque una funzione si­ mile a quella attribuita sin dal 20 agosto 1945 alla Procura generale mili­ tare presso il Tribunale supremo militare in Italia. Il lavoro intenso di ricognizione e individuazione delle persone indiziate nonché di even­ tuali testimoni, svolto a Ludwigsburg, mostra quale avrebbe potuto es­ sere l’eventuale esito di ulteriori indagini su segnalazione dell’Italia. Ma dopo il provvedimento di “ archiviazione provvisoria” effettuato dal procuratore generale militare Enrico Santacroce in data 14 gennaio 1960, le segnalazioni dall’Italia arrivarono soltanto in casi molto parti­ colari. L’invio più cospicuo di notizie di reato arrivò, per delitti commessi in Italia, soltanto dopo il 1965, quando il ministero degli Esteri italiano inviò al governo tedesco, attraverso l’Ambasciata della Repubblica fede­ rale tedesca a Roma, i fascicoli ancora pendenti (secondo quanto affer­ mato dalle autorità governative italiane) e una selezione del materiale probatorio. Va sottolineato che il governo italiano inviò questo materiale sol­ tanto nel 1966 (quando il Parlamento tedesco aveva ormai deciso di prorogare la prescrizione fino al 1969), e non per un’autonoma decisio­ ne, ma soltanto dopo un’esplicita esortazione da parte del governo della Germania federale, che richiese di segnalare tutti i casi di crimini nazisti ancora pendenti. Prima del 1965 non c’era stata alcuna richiesta italiana al governo o alla giustizia tedesca di aprire delle istruttorie nei confronti di cittadini tedeschi per reati commessi in Italia. Nel caso di Bosshammer o per gli eccidi di Boves o di Cefalonia, ma anche nel caso del co­ mandante della ss in Italia, generale Karl Wolff, le indagini in Germa­ 20

PREFAZIONE

nia iniziarono senza una partecipazione delle autorità italiane. Neanche nel caso Wagener, l’azione penale italiana (il processo in Italia con suc­ cessiva condanna) fu decisiva per l’istruttoria in Germania; lo fu piutto­ sto l’attenzione dell’opinione pubblica tedesca. La Procura centrale di Ludwigsburg entrò maggiormente in azione, per i reati commessi in Italia, dopo l’invio dei fascicoli dall’Italia nell’esta­ te del 1966. Dopo aver svolto un’indagine preparatoria, Ludwigsburg in­ viò i fascicoli aperti alle procure territorialmente competenti. Quando la Procura generale militare inviò da Roma i suoi venti fascicoli nascose in questa circostanza di disporre di centinaia di altri fascicoli su delitti nazi­ fascisti non ancora perseguiti, e finse che i pochi casi trasmessi fossero tut­ to quello che era ancora pendente in Italia in materia di crimini nazisti non ancora perseguiti. L’unica istituzione che venne informata dell’esi­ stenza di molti altri casi pendenti presso la Procura generale militare fu il Gabinetto del ministro della Difesa. Si manifestò a Ludwigsburg un’altra particolarità della prassi giudi­ ziaria tedesca: la Zentrale Stelle di Ludwigsburg distinse, per effettuare le indagini preliminari, tra due gruppi di reati, cioè tra “ crimini nazisti” e “ crimini di guerra” . La Procura di Ludwigsburg aveva il compito di istruire solo i processi per i “ crimini nazisti” e di mandare poi il fascico­ lo istruttorio alla procura territorialmente competente. Per i “ crimini di guerra” invece la Zentrale Stelle si dichiarava non competente e si limi­ tava a identificare gli indiziati, individuare il loro luogo di residenza e stabilire con ciò la procura territorialmente competente. Ludwigsburg inviava, quindi, senza un lavoro ampio di istruttoria, le carte alla procu­ ra territoriale. Nei casi invece che venivano definiti “ crimini nazisti”, si conduceva un’istruttoria dettagliata e si trasmettevano poi queste carte alla procura territoriale. La distinzione tra crimini di guerra e crimini nazisti ha avuto un’im­ portanza notevole sulla prassi giudiziaria e sulle sentenze emanate succes­ sivamente. Perché con ciò si distinsero praticamente due categorie di cri­ mini: cioè una criminalità di regime, ideologicamente motivata, e una criminalità individuale, che si era sviluppata nelle circostanze della guer­ ra. La prima categoria era considerata applicabile soprattutto quando si trattava dello sterminio degli ebrei: per esempio l’istruttoria sulla depor­ tazione degli ebrei dall’Italia fu particolarmente dettagliata e portò ad in­ dagare tutto l’apparato della Polizia di sicurezza nazista in Italia. Non a caso, si arrivò alla condanna del responsabile tedesco per le deportazioni nei campi di sterminio, l’ufficiale della ss Bosshammer, che morì però 21

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prima della conferma della sentenza in appello. Le uccisioni di civili da parte delle forze armate della Wehrmacht entrarono invece in un’altra ca­ tegoria: qui secondo i giuristi tedeschi non bisognava indagare su un ap­ parato intero o su un intreccio ideologico; esse vennero piuttosto trattate come omicidio secondo la normativa del Codice penale tedesco (art. 211) e i casi inoltrati direttamente alle procure competenti. Per quanto riguarda la valutazione di questa seconda categoria tro­ viamo un atteggiamento analogo nei giudici militari italiani e nella ge­ rarchia militare italiana. Sono evidenti le somiglianze di una cultura giuridica impregnata di quella cultura militare che considerava legittima la “ guerra ai civili” all’interno di una lotta spietata contro i movimenti partigiani. Nonostante tante istruttorie e fascicoli aperti, l’esito fu sempre ne­ gativo; non solo nel caso dell’Italia ma anche per crimini commessi da parte tedesca in altri paesi occupati dalla Wehrmacht. La magistratura tedesca arrivò nei confronti di tutti i casi riguardanti i reati comunicati dall’Italia nel 1965 alla conclusione di un “ non luogo a procedere”. No­ nostante le difficoltà di accesso agli atti giudiziari completi (sia negli ar­ chivi giudiziari sia negli archivi di Stato locali), si può ipotizzare che queste decisioni di arrivare ad un “ non luogo a procedere” non dipesero soltanto dal giudizio individuale di un singolo magistrato (che sempre si muove in un ambito professionale collegiale), ma da un contesto dal quale non si discostarono neanche i vertici delle varie procure. Certo, in alcuni casi, le notizie sui reati erano risultate lacunose, i nomi degli indi­ ziati storpiati ecc. Solo una ricerca incrociata, basata sulla cooperazione fra magistrati tedeschi ed italiani, sarebbe potuta arrivare ad un’indivi­ duazione giuridicamente più chiara dei responsabili di tanti massacri di innocenti. Una cooperazione che sembra possibile solo da alcuni anni, ma che ancora oggi stenta ad avviarsi. È vero, i procuratori tedeschi non nascosero i fascicoli dei reati: so­ prattutto negli anni sessanta, istruirono i casi, viaggiarono per tutto il territorio della Germania federale per sentire migliaia di testimoni e di indiziati, per arrivare poi però all’archiviazione perché nessun indiziato veniva mai ritenuto abbastanza colpevole per poterlo rinviare a giudizio. Una storiografia critica tedesca (Christoph Schminck-Gustavus, Ger­ hard Schreiber) ha denunciato la “ complicità” dei giuristi per la manca­ ta punizione dei crimini. L’effetto è stato in definitiva quello di una so­ stanziale impunità per tutti gli “ indiziati” . Un caso emblematico è sicu­ ramente rappresentato dall’istruttoria tedesca per i fatti di Boves. Du­ 22

PREFAZIONE

rante l’istruttoria contro gli ufficiali della WafFen-ss Peiper, Dinse e Guhrs, vennero sentiti 127 ex appartenenti al battaglione ritenuto re­ sponsabile dell’eccidio. L ’istruttoria si concluse nel dicembre 1968 con una sentenza di archiviazione della Corte d’assise di Stoccarda; un ricor­ so rimase senza effetto. I procuratori incaricati dell’istruttoria non ave­ vano mai fatto un sopralluogo a Boves mostrandosi inclini ad accettare le interpretazioni autoassolutrici degli indiziati. Fu Enzo Chiorando che, per conto della Commissione Peiper istituita dal comune di Boves insieme alla provincia di Cuneo e al locale Istituto storico della Resi­ stenza, sentì negli anni sessanta 76 testimoni, facendo quel lavoro che giudice istruttore e pubblico ministero avrebbero dovuto fare. Solo at­ traverso i testimoni italiani, grazie ai quali Chiorando era stato in grado di stilare una dettagliatissima cronologia, minuto per minuto, della stra­ ge, si poteva riuscire a decifrare e a smentire le autoassoluzioni e auto­ giustificazioni dei carnefici. Nonostante che tutti i materiali raccolti da Chiorando fossero stati trasmessi alla procura tedesca, l’istruttoria fu ar­ chiviata lo stesso H. Quanto osservato trova conferma nelle carte delle istruttorie svolte a Ludwigsburg. Certo, spesso le istruttorie dovevano essere archiviate o a causa di errori nell’individuazione degli autori, o perché non era possi­ bile appurare il grado di partecipazione dei singoli individui al crimine esaminato con quella inequivocabilità e precisione giuridicamente ne­ cessarie. Fatto sta che i procuratori tedeschi fecero largo uso del princi­ pio giuridico fondamentale in dubio prò reo che ebbe un peso enorme, vista la mancanza, o la riduzione al minimo, di testimonianze da parte delle vittime. In nessun caso di stragi di civili italiani si arrivò in Germa­ nia ad un dibattimento (con l’eccezione di Caiazzo) e tanto meno ad una condanna davanti ad un tribunale tedesco. Dichiarare il “ non luo­ go a procedere” significava che il procedimento veniva chiuso in istrut­ toria per mancanza di prove a carico degli indiziati. Logicamente non si poteva arrivare ad un dibattimento che avrebbe visto la presenza di pro­ curatori e difensori, la partecipazione di un pubblico interessato e dei media. Per la parte civile mancò così ogni possibilità di partecipare al­ l’interrogatorio di imputati e testimoni: vittime e superstiti rimasero esclusi. In molti casi, invece, ostacoli di procedura penale e di diritto mate­ riale hanno determinato una sorta di legame fatale: attraverso determi­ nate attenuanti (ad esempio l’aver agito in base ad un “ ordine”), nell’ot­ tica dei giudici un delitto poteva assumere una qualità diversa dall’omi­

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cidio aggravato, vale a dire che per l’interpretazione giuridica la colpe­ volezza si tramutava in semplice complicità. E ciò, a sua volta, si rivelava determinante per far scattare il meccanismo della prescrizione del reato, contemplato dalla normativa tedesca. Sarebbe però sbagliato vedere l’amnistia di fatto concessa agli indi­ ziati e accusati di crimini nazisti soltanto sotto il punto di vista giuridi­ co. Il vero nodo da risolvere è l’intreccio tra politica e meccanismi giudi­ ziari. L’abbiamo già visto nel caso degli interventi da parte della diplo­ mazia tedesco-federale in favore dei condannati tedeschi all’estero. Lad­ dove gli espedienti giuridici non portarono né ad un’amnistia di fatto (come nel caso delle istruttorie tedesche), né ad un occultamento (come nel caso della politica delle istruttorie effettuata dalla Procura generale militare italiana), sarebbe intervenuta poi la politica. Potremmo dire che, laddove l’apparato giudiziario non arrivò a chiudere la vicenda, ma dove al contrario la giustizia era arrivata ad una condanna, fu la politica ad impegnarsi per smorzare gli effetti dell’azio­ ne giuridica. Una divisione dei lavori di questo genere la possiamo con­ templare in maniera esemplare nel caso della scarcerazione del gruppo di Rodi, dove la diplomazia e la politica di Stato arrivarono a vanificare l’azione penale. Quel che rimane delle istruttorie, dei processi, delle car­ te amministrative e diplomatiche è una massa di documenti preziosi per la ricostruzione storiografica che ci porta alla domanda irritante se il meccanismo qui descritto costituisce una specificità di un momento storico particolare o non piuttosto un meccanismo abitualmente ripetu­ to, e se lo Stato nazionale odierno sia veramente in grado di punire i suoi militari per i massacri compiuti durante le missioni di guerra.

Note 1 H. Grotius, De jure belli ac pacis libri tres, Paris 1625 (ed. ted. Drei Bücher vom Recht des Krieges und des Friedens, Tübingen 1950). 2 Su queste come fenomeno reale, ma anche sulla propaganda bellica in propo­ sito cfr. J. Horne, A. Kramer, German Atrocities 1914. A History ofDenial, LondonNew Haven 2001. Cfr. anche i contributi, fra cui uno di Alan Kramer, in B. Bian­ chi (a cura di), La violenza contro la popolazione civile nella Grande guerra, Milano 2006. 3 A. Kramer, Dynamic o f Destruction. Culture and Mass Killing in thè First World War, Oxford 2007, p. 46, nota 53.

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PREFAZIONE

La raccolta degli atti di questi processi è stata promossa ed effettuata dal Cen­ ter for War Crimes Documentation diretto dal prof. David Cohen all’Università della California a Berkeley. 5 Akten zur Auswärtigen Politik der Bundesrepublik Deutschland 1949/50, hrsg. von D. Kosthorst, M . Feldkamp, München 1997, doc. 13. 6 Cfr. la petizione di Giovanni von Planitz al presidente della Repubblica ita­ liana del 21 giugno 1950, in Archivio centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri, 1948/50, pos. 19/5, fase. 14601. 7 Akten zur Auswärtigen Politik der Bundesrepublik Deutschland 1951, hrsg. von M. Jaroch, München 1999, doc. 126: Promemoria del ministro plenipotenziario Dittmann, 10 luglio 1951. 8 Le logiche politiche e le pressioni dietro tanti rilasci si rivelano in un caso im­ portante per l’Italia, come quello del feldmaresciallo tedesco Albert Kesselring: K. von Lingen, Kesselrings letzte Schlacht. Kriegsverbrecherprozesse, Vergangenheitspoli­ tik und Wiederbewaffnung: Der Fall Kesselring, Paderborn 2004. 9 B. Musial, NS-Kriegsverbrecher vor polnischen Gerichten, in “ Vierteljahrshefte für Zeitgeschichte” , 47, 1999, pp. 47-8. Sul programma di punizione dei criminali nazisti in ciascun paese cfr. i contributi in Transnationale Vergangenheitspolitik. 4

Der Umgang mit deutschen Kriegsverbrechern in Europa nach dem Zweiten Welt­ krieg, hrsg. von N. Frei, Göttingen 2006. 10 Per la posizione dell’Italia cfr. F. Focardi, L. Klinkhammer, La difficile transi­ zione: l ’Italia e il peso delpassato, in Nazione, interdipendenza, integrazione. Le rela­ zioni intemazionali dell'Italia (1917-1989), a cura di F. Romero, A. Varsori, Roma 2005. 11 M. Franzinelli, L'Amnistia Togliatti. 22 giugno 1946. Colpo di spugna sui crimi­ nifascisti, Milano 2006, p. 4. 12 Per un’argomentazione più articolata cfr. G . Werle, Th. Wanders, Auschwitz vor Gericht. Völkermord und bundesdeutsche Straßustiz, München 1995. 13 Un’eccellente analisi del dibattito tedesco di allora si trova in M. von Miquel,

Ahnden oder amnestieren ? WestdeutscheJustiz und Vergangenheitspolitik in den sechziger Jahren , Göttingen 2004. 14 Cfr. i saggi relativi all’eccidio di Boves in Boves. Storie di guerre e di pace, a cura di M. Calandri, Cuneo 2002.

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Premessa

Nel 2003 pubblicavo sulla rivista “ Italia Contemporanea” un articolo relativo all’accordo sulla questione dei criminali di guerra tedeschi intercorso nel novembre 1950 fra Italia e Repubblica federale di Ger­ mania \ Quello stesso anno veniva istituita in Italia una Commissio­ ne parlamentare d’inchiesta per accertare le responsabilità dell’insab­ biamento delle indagini sui “ crimini nazifascisti” \ la cui vicenda era venuta alla luce alla metà degli anni novanta dopo il rinvenimento a Roma del cosiddetto “ armadio della vergogna” , con centinaia di fa­ scicoli d’inchiesta sulle stragi tedesche occultati illegalmente. Nel mio articolo avevo ricostruito, sulla base di una documentazione ita­ liana e tedesca molto dettagliata, la genesi, i contenuti e le conse­ guenze dell’accordo politico raggiunto fra Roma e Bonn attraverso la mediazione di un parlamentare della c d u tedesca, Heinrich Hòfler, inviato appositamente in missione in Italia dal cancelliere Adenauer per ottenere la scarcerazione dei criminali di guerra tedeschi condan­ nati in via definitiva dai tribunali italiani. La missione era stata coro­ nata da pieno successo. Pochi mesi dopo, infatti, attraverso decreti di grazia firmati dal presidente della Repubblica italiana Luigi Ei­ naudi e controfirmati dal ministro della Difesa Randolfo Pacciardi, furono scarcerati e rimpatriati tutti i criminali di guerra tedeschi condannati con sentenza definitiva. Attraverso un’operazione con­ dotta col massimo riserbo, tra il febbraio e il giugno 1951 lasciarono il paese i quattro ufficiali e soldati del cosiddetto “ gruppo di Rodi” , con in testa il generale Otto Wagener, condannati a Roma nel 1948 per l’uccisione sull’isola di Rodi di numerosi prigionieri di guerra italiani e di civili greci considerati di cittadinanza italiana. A com­ pletare il quadro, nel novembre 1951 potè fare ritorno in Germania anche il sottufficiale Franz Covi, condannato in prima istanza a T o ­ 27

CRIMINALI DI GUERRA IN LIBERTÀ

rino nel maggio 1950 a 14 anni di reclusione per l’uccisione di due partigiani. Nel febbraio 1951 il Tribunale supremo militare di Roma aveva annullato la sentenza. Condannato nell’ottobre successivo - in secondo grado - a 9 anni e quattro mesi, grazie ad un condono Covi era potuto uscire dal carcere pochi giorni dopo la pronuncia della sentenza. Dunque, non solo l’Italia aveva portato in giudizio un nu­ mero esiguo di criminali di guerra tedeschi, ma li aveva anche presto rimessi in libertà, imboccando del resto un percorso comune in quel periodo agli altri paesi dell’Europa occidentale. Restarono alla fine nelle prigioni italiane soltanto due criminali di guerra, esclusi dal­ l’accordo italo-tedesco: Herbert Kappler, il responsabile della strage delle Fosse Ardeatine, la cui sentenza non era ancora passata in giu­ dicato, e Walter Reder, cittadino austriaco, che nell’ottobre 1951 sa­ rebbe stato condannato all’ergastolo come responsabile della strage di Marzabotto. Nel febbraio 2006, dopo quasi tre anni di attività, la Commis­ sione parlamentare d’inchiesta sull’“ armadio della vergogna” ha ter­ minato i propri lavori senza giungere a conclusioni condivise. Ha prodotto infatti due relazioni con impostazioni molto diverse e ri­ sultati contrastanti. La Relazione fin ale, presentata dall’onorevole Enzo Raisi ( a n ) e votata dalla Commissione, non ha fatto alcuna menzione dell’accordo fra Italia e Germania del novembre 1950 e ha attribuito Ximpasse della giustizia italiana nei confronti dei criminali di guerra tedeschi unicamente alla “ negligenza” e alla “ superficiali­ tà” dimostrate a partire dagli anni cinquanta dai vertici della magi­ stratura militare. Ha così negato che la politica abbia rappresentato un fattore significativo di intromissione nella vicenda della punizio­ ne dei criminali di guerra tedeschi. Una conclusione di segno oppo­ sto ha fornito invece la Relazione d i minoranza presentata dall’ono­ revole Carlo Carli ( d s ), la quale - pur mancando di risalire a speci­ fiche responsabilità personali - ha messo al centro della propria ana­ lisi i nodi storicamente intercorsi fra le ragioni della politica e la (mancata) giustizia. I frutti discordanti della Commissione parlamentare d’inchiesta han­ no lasciato aperti in definitiva molti interrogativi su un tema assai dibat­ tuto da un’opinione pubblica sensibile e partecipe, interessata sia ai risul­ tati ottenuti dalla magistratura militare, che a cominciare dal processo Priebke ha ripreso un’azione lasciata in sospeso (salvo rare eccezioni) dal­ l’inizio degli anni cinquanta, sia ai reportages giornalistici e al lavoro degli 28

PREMESSA

storici, che negli ultimi anni hanno fortemente sviluppato le ricerche sul­ le stragi commesse dai tedeschi e dai fascisti e affrontato il tema della per­ secuzione giudiziaria dei loro responsabili. È in questo quadro, caratterizzato dai limiti inevitabili di una giusti­ zia tardiva e dalla mancanza di convincenti risposte da parte delle istitu­ zioni non sempre attente ai risultati della storiografia, che ho pensato di riproporre la vicenda dell’accordo italo-tedesco del 1950, aggiornando ed ampliando in modo consistente il testo già pubblicato nel 2003 alla luce delle nuove acquisizioni storiografiche sulla punizione dei criminali di guerra nazisti e degli esiti della Commissione parlamentare d’inchiesta. Un’ampia selezione documentaria completa il testo principale, il quale è preceduto da un saggio di Lutz Klinkhammer che tematizza la questione della punizione dei criminali di guerra del Terzo Reich nel contesto più generale del problema della punizione dei crimini di guerra dopo il primo conflitto mondiale. Il lavoro deve molto alla lunga collaborazione svolta su queste tema­ tiche con Lutz Klinkhammer, che ringrazio per il suo saggio introdutti­ vo e per i preziosi consigli. Un sincero riconoscimento va poi al perso­ nale dell’Archivio storico del ministero degli Affari Esteri e dell’Archivio centrale dello Stato a Roma, al personale dell’Archivio federale tede­ sco di Coblenza e a quello dell’Archivio politico del ministero degli Esteri tedesco a Berlino, che mi hanno assistito nello svolgimento delle ricerche. Ringrazio inoltre Susanne Wesely dell’istituto storico germa­ nico di Roma e il direttore di “ Italia Contemporanea” , Mario Giuseppe Rossi, che mi ha gentilmente concesso di utilizzare l’articolo già pubbli­ cato sulla sua rivista. Infine, un particolare ringraziamento lo devo ad Enzo Collotti e a Claudio Novelli che hanno letto con attenzione il te­ sto che qui presento.

Note ì Cfr. F. Focardi, Un accordo segreto tra Italia e r f t sui criminali di guerra. La liberazione del “gruppo di Rodi” 1948-1951, in “ Italia Contemporanea” , 232, settem­ bre 2003, pp. 401-37. Per un commento sulla stampa cfr. M . Franzinelli, La grazia segreta di Einaudi, in “ la Repubblica” , 31 marzo 2004. 2 La “ Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti” è stata istituita con la legge 15 maggio 2003, n. 107. 29

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Dedico il volume a tutte le vittime italiane dei crimini di guerra tedeschi e in parti­ colare a Bruno Masini, fucilato a Rodi nel febbraio 1945. Bruno era il più giovane dei fratelli di mia nonna Armida. L’ho conosciuto attraverso una vecchia fotografia che la nonna teneva sul comodino, prima di incontrarlo di nuovo nelle carte d’ar­ chivio accanto a molti altri giovani soldati italiani e civili greci segnati dallo stesso destino.

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La condanna del “ gruppo di Rodi” e i processi in Italia contro i criminali di guerra tedeschi

Dal 20 settembre al 16 ottobre 1948 si svolgeva presso il Tribunale mili­ tare territoriale di Roma il processo contro nove soldati tedeschi accusa­ ti di crimini commessi sull’isola di Rodi ai danni di militari italiani e di civili greci considerati di cittadinanza italiana \ Sugli stessi banchi sui quali pochi mesi prima avevano seduto Herbert Kappler e gli altri com­ militoni accusati per la strage delle Fosse Ardeatine 2, erano comparsi il generale Otto Wagener, comandante delle truppe tedesche sull’isola di Rodi e principale imputato al processo, il capitano Helmut Meeske, i maggiori Johann Koch e Herbert Nicklas, l’ufficiale medico Christian Korsukewitz, il tenente Paul Walter Mai, il sottotenente Willy Hansky, il caporale Johann Felten, l’interprete Georg Dallago. Il procedimento aveva preso avvio dopo le indicazioni fornite dalle autorità militari bri­ tanniche, che all’inizio del gennaio 1946 avevano segnalato all’Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo il caso dei militari tede­ schi responsabili di crimini di guerra contro soldati italiani internati a R o d i3. Richiesti dall’Italia alle autorità alleate nel novembre 1946 in base ad una denuncia della Procura generale militare presso il Tribunale supremo militare di Roma 4, i nove soldati germanici erano stati conse­ gnati nel 1947 alle autorità italiane e quindi chiamati in giudizio sotto due capi di imputazione: per «concorso in violenza con maltrattamenti ed omicidio contro privati cittadini italiani» e per «violenze commesse contro prigionieri di guerra» italiani5. I fatti loro imputati si riferivano al periodo compreso fra il luglio 1944 e la liberazione dell’isola di Rodi da parte degli Alleati nel maggio 1945. Secondo i capi d’imputazione, in questo periodo gli imputati avevano «usato violenza contro privati ita­ liani, non partecipanti alle operazioni militari, cagionando la morte di

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un numero imprecisato di essi per maltrattamenti, fame, fucilazioni per rappresaglia e per tentativi di fuga, mancanza di assistenza sanitaria». Un analogo comportamento, secondo l’accusa, era stato tenuto nei con­ fronti dei prigionieri di guerra italiani internati sull’isola, molti dei quali erano morti a seguito dei maltrattamenti subiti, delle pessime condizio­ ni alimentari, della mancanza di adeguate cure mediche, delle fucilazio­ ni condotte per rappresaglia a seguito di pur lievi infrazioni disciplinari e di tentativi di evasione. L’isola di Rodi, possedimento italiano dal 1912 6, aveva in effetti rappresentato uno dei tanti teatri di guerra in cui, dopo la proclamazio­ ne dell’armistizio dell’8 settembre 1943, le truppe tedesche si erano rese protagoniste di atti di sopraffazione violenta e di uccisioni indiscrimina­ te ai danni degli ex alleati, spinte dalla smania di vendetta del Fiihrer e dei suoi generali 7. Dopo un breve tentativo di resistenza, l’u settembre 1943 la guarnigione italiana si era arresa ai tedeschi. Dei 36.000 ufficiali, sottufficiali e soldati che avevano alfine alzato bandiera bianca, solo una minoranza - 3.780 uomini, pari a circa il 15 per cento - aveva deciso di schierarsi con la Repubblica sociale di Mussolini e di collaborare con le truppe germaniche. Fra quelli, invece, che si erano dati alla macchia per mettersi in salvo o per continuare in clandestinità la lotta contro gli oc­ cupanti, poco più di 1.200 erano riusciti successivamente a riparare con mezzi di fortuna nella vicina Turchia. Un numero esiguo di militari ita­ liani trovò poi soccorso e protezione fra la popolazione dell’isola. Tutti gli altri, la maggioranza, furono internati dai tedeschi in campi di con­ centramento e progressivamente trasferiti sul continente per via maritti­ ma ed aerea. Almeno cinquemila morirono tragicamente durante il tra­ sporto via mare su piroscafi affondati dagli Alleati o naufragati per cause diverse. Al i° maggio 1944 vi erano ancora sull’isola 1.800 internati mili­ tari italiani, che non poterono essere evacuati a causa del blocco aerona­ vale degli Alleati. Al momento della resa tedesca erano presenti a Rodi circa 5.000 italiani fra internati e aderenti alla r s i . Durante l’occupazione, le misure prese dai tedeschi per mantenere l’ordine furono molto severe. A partire dal 13 novembre 1943 un ordine del comando germanico aveva previsto che qualunque italiano fosse sta­ to trovato in possesso di armi sarebbe stato considerato un “ franco tira­ tore” e fucilato sul posto. Dalla documentazione italiana risultano ese­ guite dai tedeschi 50 fucilazioni a seguito di un processo e 40 senza al­ cun giudizio 8. 1 decessi accertati per malattia e deperimento furono 76, mentre 156 sarebbero stati i casi di morte dovuti a bombardamenti, inci32

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LA CONDANNA DEL “ GRUPPO DI RODI” E I PROCESSI IN ITALIA

denti o cause ignote. Un numero imprecisato di militari italiani fu co­ munque vittima di fucilazioni sommarie avvenute nel corso di rastrella­ menti e pattugliamenti, o trovò la morte nei campi di concentramento per malattia, deperimento, sevizie. Molti altri soldati inoltre furono uc­ cisi durante tentativi di fuga o giustiziati per infrazioni disciplinari 9. Principale responsabile di queste azioni ritenute contrarie alle leggi di guerra e al diritto internazionale era il generale Otto Wagener. Nato nel Baden nel 1888, ufficiale di carriera dell’esercito tedesco, Wagener aveva preso parte alla Prima guerra mondiale come capitano e aveva poi combattuto nei corpi franchi sul Baltico 10. Militante dell’estrema de­ stra tedesca, era stato arrestato e imprigionato dopo il fallito Putsch di Wolfgang Kapp che nel 1920 aveva tentato di abbattere la Repubblica democratica di Weimar. Dismessa la divisa e dedicatosi agli affari nel 1929 Wagener aveva aderito al partito nazionalsocialista stringendo un forte legame personale con Hitler. L’ex ufficiale fu una figura di rilievo negli anni dell’ascesa al potere del nazismo. Rivestì infatti la carica di capo di Stato maggiore della s a , le squadre paramilitari del partito nazi­ sta, e fu responsabile dell’Ufficio per l’economia del partito. Nell’aprile 1933 fu nominato Reichskommissar per l’economia nel governo nazista. Alla fine di luglio 1933 improvvisamente cadde in disgrazia presso il Führer (pare grazie alle manovre di Hermann Göring) e fu costretto ad abbandonare tutti gli incarichi. Fino al 1938 restò però nominalmente caposquadra della s a e membro del Reichstag. Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, Wagener fu richiamato in servizio nella Wehrmacht col grado di capitano. Nel luglio 1944 aveva preso il co­ mando, col grado di colonnello, della brigata di fanteria da fortezza te­ desca di stanza a Rodi e nel settembre 1944 era subentrato al generale Ulrich Kleemann come comandante dell’intera area dell’Egeo orientale, assumendo il comando della divisione tedesca acquartierata a Rodi e nelle isole vicine. Nel dicembre 1944 era stato promosso Generalmajor. In qualità di comandante dell’area dell’Egeo orientale, Wagener aveva ordinato la costruzione a Rodi di tre campi di internamento (Nord, Centro e Sud) e di un campo di punizione a Calitea. In questi campi avevano avuto luogo le già ricordate violenze contro la popolazione civi­ le e contro i soldati italiani internati dopo l’8 settembre. A Wagener era addebitata la responsabilità di aver emanato ordini draconiani che ave­ vano causato lutti e sofferenze, come l’accaparramento dei beni alimen­ tari della Croce rossa destinati alla popolazione e agli internati, la prati­ 33

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ca del prelevamento di ostaggi e della ritorsione sui civili, l’ordine di passare per le armi dieci prigionieri per ogni tedesco ucciso. Con la sentenza emanata il 16 ottobre 1948, il tribunale italiano re­ spingeva le accuse generiche di affamamento della popolazione e di maltrattamenti non meglio specificati, ma considerava fondate le prove re­ lative ad almeno quattro episodi che avevano portato alla fucilazione complessivamente di 29 internati. I fatti accertati riguardavano: la fuci­ lazione di cinque prigionieri nel Campo Nord, eseguita il 18 gennaio 1945, in base al regolamento che prevedeva la fucilazione di più prigio­ nieri nel caso di fuga di uno degli internati; la fucilazione, in data 8 feb­ braio 1945, di cinque prigionieri del Campo Nord e di cinque del Cam­ po Centro come punizione per l’uccisione di una sentinella tedesca du­ rante un tentativo di fuga; la fucilazione di tredici prigionieri del Cam­ po Nord, alla fine di aprile del 1945, in conseguenza di una sommossa e della fuga di alcuni reclusi; la fucilazione di un internato nel Campo Nord eseguita il 20 febbraio 1945, dopo che erano state trovate prove di una sua presunta relazione con i partigiani12. Unificando i due capi d’imputazione, il tribunale dichiarava Otto Wagener, Herbert Nicklas, Paul Walter Mai e Johann Felten colpevoli di «violenza con omicidio contro cittadini italiani». Riconosciute a tutti le circostanze attenuanti13, condannava il generale Wagener a 15 anni di reclusione, il maggiore Nicklas a 10 anni di reclusione, il tenente Mai comandante del famigerato Campo Nord —a 12 anni, il caporale Felten a 9 anni. Gli altri imputati venivano assolti '4. Considerate le cinque assoluzioni, la generosa concessione delle at­ tenuanti e le pene comminate, blande rispetto alle colpe commesse, la giustizia militare italiana si era dimostrata particolarmente clemente. Tra i vari fattori che possono spiegare la benevolenza del giudizio, tra­ spaiono dalle carte processuali i limiti culturali di giudici condizionati dal tabù dell’obbedienza agli ordini, vicini per formazione e valori di fondo agli imputati che dovevano giudicare 15. La medesima condivi­ sione di uno stesso universo di valori non aveva però impedito, ad esempio, alla giustizia militare britannica di comminare neH’immediato dopoguerra pene molto più severe per crimini dello stesso genere, e an­ che di minore gravità, come quelli imputati a militari italiani responsa­ bili di violenze o uccisioni a danno di prigionieri di guerra inglesi, san­ zionati in più occasioni con la pena di morte 16. La mite sentenza con­ tro il cosiddetto “ gruppo di Rodi” non risulta spiegabile in ultima istanza solo facendo ricorso alle strutture mentali e culturali dei giudici 34

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italiani. Essa rimanda ad altri elementi legati alla questione più generale dei processi ai criminali di guerra tedeschi in Italia, di cui Wagener e compagni avevano rappresentato il nucleo numericamente più consi­ stente 17. Fin dal 1944 sia i governi di unità nazionale sia organi antifascisti come il c l n a i avevano rivendicato il diritto di giudicare in Italia i re­ sponsabili tedeschi di crimini di guerra. La posizione dell’Italia era però ambigua. Da un lato, come nazione nemica sconfìtta, essa era infatti te­ nuta in base alle clausole dell’armistizio (e poi del trattato di pace) a consegnare agli Alleati i propri criminali di guerra; dall’altro, come po­ tenza “ cobelligerante” in lotta contro la Germania nazista, aveva chiesto viceversa il diritto di punire i militari tedeschi che si erano macchiati sul suo territorio di gravi delitti. Alla Conferenza di Mosca, il 30 ottobre 1943, le tre grandi potenze - Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovie­ tica - avevano affermato la volontà di punire i criminali di guerra dell’Asse, compresi i tedeschi responsabili di crimini commessi nella peni­ sola. Era rimasto tuttavia irrisolto a chi spettassero l’istruzione e la con­ duzione dei processi. Soprattutto Londra nutriva forti riserve circa l’op­ portunità che tale diritto fosse concesso ad uno Stato nemico come l’I­ talia, che doveva rendere conto a sua volta dei propri misfatti. La situa­ zione si chiarì solo alcuni mesi dopo la conclusione del conflitto allor­ ché le autorità alleate concessero infine all’Italia di giudicare i criminali di guerra tedeschi, esclusi però gli ufficiali superiori a partire dal grado di generale di divisione. Il loro giudizio era stato infatti riservato alla giustizia britannica. Inizialmente Londra aveva previsto l’istruzione di due grandi pro­ cessi: un processo contro i responsabili della strage delle Fosse Ardeatine e un processo contro gli ufficiali tedeschi di alto rango, comandanti di corpo d’armata, di armata e di divisione, considerati responsabili di «un piano generale volto a terrorizzare le popolazioni civili italiane attraver­ so rappresaglie» l8. Il primo dei due processi fu effettivamente svolto a Roma dal 18 al 30 novembre 1946 contro i generali Kurt Maltzer (co­ mandante della Piazza militare di Roma) e contro Eberhard von Mackensen (comandante della x iv armata) *9. Il secondo procedimento in­ vece non fu mai avviato 2°. Al suo posto, ebbe luogo comunque l’im­ portante processo condotto a Venezia dal febbraio al maggio 1947 con­ tro il feldmaresciallo Albert Kesselring, il responsabile principale della “ guerra ai civili” che aveva insanguinato le regioni italiane sotto occupa­ 35

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zione tedesca 21. A tutti e tre gli alti ufficiali tedeschi venne comminata una sentenza capitale, che fu però rapidamente commutata in una con­ danna all’ergastolo. Màltzer morì in carcere nel marzo del 1952, mentre von Mackensen e Kesselring furono graziati e liberati nell’ottobre dello stesso anno. Ai casi giudiziari più noti sopra menzionati vanno aggiunti altri tre processi che si tennero presso una corte militare britannica a Padova, fra l’aprile e il giugno 1947, a carico del generale di Polizia Willy Tensfeld, dell’ex comandante della xxv i divisione Panzer, generale Edward Crasemann, e del comandante della xv i divisione granatieri corazzati ss, generale Max Simon 22. Mentre Tensfeld fu assolto dall’accusa di aver ucciso partigiani e civili in Piemonte 23, Crasemann fu condannato a dieci anni di reclusione «per negligenza» come responsabile della strage del Padule di Fucecchio in Toscana dove erano state sterminate 175 per­ sone 24 e Simon fu condannato a morte come responsabile di numerose stragi di civili in Toscana e in Liguria 25. Anche la sentenza contro Si­ mon fu commutata in ergastolo e il generale tedesco, come Kesselring e von Mackensen, fu rimesso in libertà nei primi anni cinquanta. Per quanto riguarda la giustizia italiana, nel febbraio 1945 fu istituita un’apposita commissione col compito di gestire la raccolta delle notizie di reato riguardanti i crimini commessi «dai tedeschi e dai fascisti» 2 367-73. 8 Cfr. Juso, La Resistenza dei militari italiani all’estero, cit., p. 300. 9 Interrogato dagli Alleati, il tenente Mai, comandante di uno dei campi di concentramento tedeschi a Rodi, affermò che durante il suo servizio erano stati riacciuffati e fucilati 8 prigionieri italiani che avevano tentato la fuga, 5 o 6 di essi erano stati invece uccisi mentre tentavano di scappare dal campo, 2 erano stati fu­ cilati per infrazione al regolamento, 16 per rappresaglia in seguito alla fuga di altri prigionieri e, infine, 5 erano stati giustiziati per l’uccisione di una sentinella tede­ sca. Cfr. ivi, p. 315. 10 Per le notizie sulla vita di Otto Wagener si rimanda all’introduzione di H. A. Turner jr. al volume di memorie di Wagener, Hitler aus nächster Nähe. Aufzeich­ nungen eines Vertrauten 1929-1952, edito da Ullstein (Berlin) nel 1978. 11 Risulta che dapprima Wagener abbia lavorato a Karlsruhe nell’azienda pater­ na che fabbricava macchine per cucire, divenendo poi socio di un’impresa di com­

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mercio di legname. Egli prese parte attiva ad associazioni professionali e di pubbli­ ca utilità, impegnandosi anche in comitati elettorali locali. Nel 1924 l’Università di Wurzburg gli concesse la laurea honoris causa in Filosofia. Cfr. ivi, p. 11. 12 La sentenza fa riferimento ad un numero complessivo di 26 vittime: 13 prigio­ nieri fucilati per responsabilità del tenente Paul Walter Mai, comandante del Campo Nord, detto “ Casa dei Pini” ; 11 vittime imputate al maggiore Herbert Nicklas, comandante del settore Nord da cui dipendeva il tenente Mai; 2 vittime imputate al caporale Johann Felten, in forza al Campo Nord. Una disamina ap­ profondita dei fatti criminosi a carico del “ gruppo di Rodi” accertati dal processo in Italia si trova neH’istruttoria condotta in Germania nel 1955 a carico di Otto Wagener, su cui torneremo. Qui vengono indicati i quattro casi di fucilazione ri­ portati nel testo con un numero complessivo di 29 vittime. Cfr. Bundesarchiv (d’ora in avanti b a ) , B 305/403, Procedimento del procuratore di Stato di Krefeld contro Otto Wagener del 14 gennaio 1955, n. di prot. Js 551/52, pp. 10-1. 13 Oltre alle attenuanti generiche, a Wagener e Nicklas fu riconosciuta l’atte­ nuante di aver riportato «gravi lesioni personali in fatti d’arme»; a Mai e a Felten quella di aver agito «per eccesso di zelo nell’adempimento dei doveri militari». Cfr. copia del dispositivo della sentenza in a s m a e , a p Germania, 1950-56, b. 95, fase.

Criminali di guerra tedeschi condannati da tribunali militari italiani 1950-1951-1952. 14 Willy Hansky e Georg Dallago furono assolti per insufficienza di prove. Jo ­ hann Koch, Helmut Meeske e Christian Korsukewitz per non aver commesso il fat­ to. Ricordiamo che il sottotenente Hansky era stato accusato di aver comandato un plotone di esecuzione nel Campo Nord. Su Dallago, di origine sudtirolese, gravava invece sia l’accusa di una responsabilità generale per i crimini tedeschi in quanto in­ terprete della divisione Rhodos sia l’accusa di collaborazionismo, caduta per amni­ stia. Quanto agli altri, su Korsukewitz - ufficiale medico - gravava l’accusa di aver omesso volontariamente di prestare l’assistenza medica e alimentare agli internati, provocando il decesso di molti di essi. Sul capitano Meeske, del servizio informazio­ ni, pesava l’accusa di aver partecipato alla compilazione degli ordini relativi alla creazione dei campi di concentramento e al trattamento degli internati. Il maggiore Koch, infine, era stato chiamato in causa come capo di Stato maggiore del Coman­ do truppe tedesche dell’Egeo orientale e, in questa veste, come principale collabora­ tore del suo superiore, generale Wagener (in particolare era stato ritenuto corre­ sponsabile per la presunta sottrazione di viveri alla Croce rossa internazionale; cfr. Documento 2). 15 Gli effetti della contiguità culturale fra magistratura militare italiana e soldati tedeschi sotto giudizio per crimini di guerra sono stati sottolineati nelle considera­ zioni conclusive della Relazione di minoranza della Commissione parlamentare d’inchiesta chiamata a far luce sull’insabbiamento delle indagini sui crimini nazifa­ scisti. Cfr. Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi ai crimini nazifascisti, Relazione di minoranza, Roma 2006 (d’ora in avanti Relazione di minoranza), p. 422. 16 II caso più noto è quello del generale Nicola Bellomo, condannato nel luglio 1945 per l’uccisione di un prigioniero di guerra inglese avvenuta in un campo di in­

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ternamente) italiano in Puglia nel 1941 e giustiziato nel settembre successivo, nono­ stante fossero emersi molti dubbi sulla sentenza. Sulla base dei dati raccolti dall’Internationales Forschungs- und Dokumentationszentrum Kriegsverbrecherprozesse di Marburg gentilmente messi a disposizione da Wolfgang Form, risultano altre tre sentenze di morte eseguite contro criminali di guerra italiani da parte britanni­ ca. Manca ancora uno studio complessivo sulla vicenda dei processi condotti in Italia da corti alleate, britanniche e statunitensi, contro militari italiani accusati di crimini di guerra. Sul caso Bellomo cfr. O. Bovio, II generale Nicola Bellomo, in “ Studi storico militari” , 1987, pp. 363-428. Indicazioni sui criminali di guerra ita­ liani condannati da tribunali britannici in F. Focardi, I mancati processi ai crimina­ li di guerra italiani, in L. Baldissara, P. Pezzino (a cura di), Giudicare e punire. I processi per crimini di guerra fra diritto e politica, Napoli 2005, pp. 211-2. 17 Sulla punizione dei criminali di guerra tedeschi in Italia sono usciti negli ulti­ mi anni numerosi contributi, in gran parte dedicati alla questione dell’insabbia­ mento delle indagini, rivelata dalla vicenda del cosiddetto “ armadio della vergo­ gna” . Manca ancora una ricostruzione complessiva e definitiva dell’opera svolta dalla giustizia italiana e britannica. Fra i lavori pubblicati cfr. S. Ascione, Settembre 194}: Napoli tra stragismo e rivolta, in G . Gribaudi (a cura di), Terra bruciata. Le stragi naziste sulfronte meridionale, Napoli 2003, pp. 105-77; L. Baldissara, Giudizio

e castigo. La brutalizzazione della guerra e le contraddizioni della “giustizia politica ”, in Baldissara, Pezzino (a cura di), Giudicare e punire, cit., pp. 5-73; M. Battini, Pec­ cati di memoria. La mancata Norimberga italiana, Roma-Bari 2003; L. Brunelli, G. Pellegrini, Una strage archiviata. Gubbio 22 giugno 1944, Bologna 2005; F. Focardi, La questione della punizione dei criminali di guerra in Italia dopo la fine del secondo conflitto mondiale, in “ Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken” , 80, 2000, pp. 543-624; Id., La questione dei processi ai criminali di guerra tedeschi in Italia: fra punizione frenata, insabbiamento di Stato, giustizia tar­ diva (1945-2005), in “Annali della Fondazione Ugo La M alfa” , x x, 2005, pp. 179-212; Id., Das Kalkül des “Bumerangs”. Politik und Rechtsfragen im Umgang mit deutschen Kriegsverbrechen in Italien, in N. Frei (hrsg.), Transnationale Vergangen­ heitspolitik. Der Umgang mit Kriegsverbrechen in Europa nach dem Zweiten Welt­ krieg, Göttingen 2006, pp. 536-66; M. Franzinelli, Le stragi nascoste. L ’armadio del­ la vergogna: impunità e rimozione dei crimini di guerra nazifascisti 1945-2001, Mila­ no 2002; F. Giustolisi, G li scheletri dell’armadio, in “ MicroMega” , 1, 2000, pp. 345-56; Id., L ’armadio della vergogna, Roma 2004; M. Palla (a cura di), Tra storia e memoria. 12 agosto 1944: la strage di Sant'Anna di Stazzema, Roma 2003; L. Klinkhammer, La punizione dei crimini di guerra tedeschi in Italia dopo il 1945, in G . E. Rusconi, H. Woller (a cura di), Italia e Germania 1945-2000. La costruzione dell’E u­ ropa, Bologna 2005, pp. 75-90; K. von Lingen, Kesselrings letzte Schlacht. Kriegsver­ brecherprozesse, Vergangenheitspolitik und Wiederbewaffnung: der Fall Kesselring, Schöningh 2004; P. Pezzino, Punire i colpevoli? Riflessioni in margine ai processi ai criminali di guerra, in “ Storia e memoria” , v i i , 2,1998, pp. 249-58; Id., Sui mancati processi in Italia ai criminali di guerra tedeschi, in “ Storia e memoria”, x, 1, 2001, pp. 9-72; Id., Guerra ai civili. Le stragi tra storia e memoria, in L. Baldissara, P. Pez-

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zino (a cura di), Crimini e memorie di guerra. Violenze contro le popolazioni e politi­ che del ricordo, Napoli 2004, pp. 5-58; R. Ricci, Processo alle stragi naziste? I l caso li­ gure. Ifascicoli occultati e le illegittime archiviazioni, in “ Storia e memoria” , v i i , 2, 1998, pp. 119-64; P. P. Rivello, Quale giustizia per Le vittime dei crimini nazisti? L ’eccidio della Benedicta e la strage del Turchino tra storia e diritto, Torino 2002; J. Staron, Fosse Ardeatine e Marzabotto. Storia e memoria di due stragi tedesche, Bolo­ gna 2007 (ed. or. 2002); I. Tognarini, Kesselring e le stragi nazifasciste. 1944: estate di sangue in Toscana, Roma 2002. Utili indicazioni anche in G. Schreiber, La vendetta tedesca 1943-1945. Le rappresaglie naziste in Italia, Milano 2000 (ed. or. 1996), pas­ sim. Cfr. poi i risultati dell’inchiesta interna condotta dal Consiglio della magistra­ tura militare per accertare le responsabilità dell’insabbiamento di centinaia di fasci­ coli d’indagine sulle stragi naziste in Italia. Il testo della relazione conclusiva intito­ lata Relazione approvata dal Consiglio della Magistratura Militare, c m m , in data 23 marzo 1999, in “ Storia e memoria” , v i i , 2,1998, pp. 165-78. Importanti sono anche i risultati dell’indagine conoscitiva svolta dalla Commissione Giustizia della Camera approvata il 6 marzo 2001, il cui testo è riportato in Palla (a cura di), Tra storia e memoria, cit., pp. 219-27. Vanno infine menzionate le due relazioni che nel febbraio 2006 hanno chiuso i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi ai crimini nazifascisti. M i riferisco alla Relazione finale presentata dall’onorevole Enzo Raisi di Alleanza nazionale e alla Relazione di minoranza presentata dall’onorevole Carlo Carli dei Democratici di sinistra. Quest’ultima rappresenta la ricostruzione più dettagliata oggi disponi­ bile sulla vicenda della punizione dei criminali di guerra tedeschi in Italia. 18 II proposito di tenere due grandi processi era stato espresso nell’agosto 1945 nel rapporto steso dalle autorità inglesi a conclusione delle loro indagini sui crimi­ ni commessi dai tedeschi in Italia. Copia del rapporto, intitolato Report on German Reprisalsfar Partisan Activity in Italy, in Pezzino, Sui mancati processi in Italia, cit., pp. 38-43, da cui è tratta la citazione. 19 Cfr. Staron, Fosse Ardeatine e Marzabotto, cit., pp. 120-37. H processo si svolse comunque in forma ridotta rispetto ai propositi iniziali, secondo cui - insieme a Mältzer e von Mackensen - avrebbero dovuto comparire sul banco degli accusati anche il feldmaresciallo Kesselring (che fu processato a parte), 1’ Obersturmbann­ führer Herbert Kappler (consegnato agli italiani) e il generale di brigata di Polizia, nonché ufficiale della ss Wilhelm Harster (cfr. Pezzino, Sui mancati processi in Ita­ lia, cit., p. 38). 20 Michele Battini ha ipotizzato che le ragioni del mancato svolgimento del grande processo ai generali tedeschi siano da rintracciare in una considerazione di inopportunità politica: in vista delle elezioni italiane del 2 giugno 1946, associate al referendum istituzionale per la scelta fra monarchia e repubblica, un simile proces­ so con le sue prevedibili ripercussioni sull’opinione pubblica avrebbe favorito le forze antifasciste della sinistra contrarie alla scelta monarchica auspicata da Londra (Cfr. Battini, Peccati di memoria, cit. pp. 62-3). La spiegazione è plausibile ma non esaustiva, dal momento che gli inglesi non esitarono comunque a condurre due im­ portanti processi, quello contro Mältzer e von Mackensen e quello contro Kessel-

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ring. Pezzino ha rilevato «il significato simbolico essenziale» del processo a Kesselring, ma ha anche sottolineato il suo minore impatto «rispetto ad un grande pro­ cesso che avesse visto sul banco degli imputati una decina o più di alti ufficiali» (Cfr. Pezzino, Sui mancati processi in Italia, cit., pp. 18-9). Allo stato attuale delle conoscenze, resta ancora inesplicata la ragione di fondo per cui il progettato proces­ so non venne celebrato. Probabilmente, fra i vari motivi che concorsero alla scelta delle autorità inglesi, oltre al diminuito interesse politico per una punizione esem­ plare, c’era anche la complessità dell’organizzazione di un simile procedimento giu­ diziario, per il quale era previsto l’intervento di almeno 50 avvocati difensori. 21 Sul processo Kesselring cfr. Battini, Peccati di memoria, cit., pp. 73-88; von Lingen, Kesselrings letzte Schlacht, cit.; Staron, Fosse Ardeatine e Marzabotto, cit., pp. 137-58; Tognarini, Kesselring e le stragi, cit. 22 Per un quadro di sintesi sui processi britannici in Italia contro i criminali di guerra tedeschi cfr. Focardi, La questione dei processi ai criminali di guerra tedeschi, cit., pp. 186-91. 23 II generale Tensfeld fu processato dal 14 al 18 aprile 1947 per l’uccisione di 17 partigiani (fra cui un soldato inglese) vicino a Torino e di 11 civili a Borgo Ticino, nelle vicinanze di Novara. Cfr. Pezzino, Sui mancati processi in Italia, cit., p. 25. 24 Cfr. ivi, p. 20. 25 Cfr. Staron, Fosse Ardeatine e Marzabotto, cit., pp. 184-8. 26 Denominata ufficialmente Commissione centrale per l’accertamento delle atrocità commesse dai tedeschi e dai fascisti dopo il 25 luglio 1943, la commissione fu istituita presso il ministero dell’ Italia occupata con decreto del 26 febbraio 1945 e nominata il 26 aprile successivo. Dopo lo scioglimento del suddetto ministero (luglio 1945), essa passò direttamente sotto il controllo della Presidenza del Consi­ glio dei ministri, alle dipendenze del sottosegretario Giorgio Amendola. Oltre al presidente, il liberale Aldobrando Medici-Tornaquinci, la commissione era com­ posta da: Saverio Brigante, presidente di sezione della Cassazione; Concetto Mar­ chesi, rettore dell’Università di Padova; Antonio Cottafavi, primo segretario di le­ gazione del ministero degli Esteri; Francesco Ferrante, consigliere di seconda classe del ministero deH’Interno, il tenente colonnello Luigi Sormanti del ministero della Guerra; l’avvocato Arturo Della Scala in rappresentanza del Comitato centrale di liberazione nazionale; Attilio Ascarelli, direttore della Scuola di Polizia scientifica; il giornalista Claudio Mattini e Piero Beretta, giudice di tribunale, facente funzio­ ni di segretario. La commissione fu poi integrata da funzionari del ministero della Giustizia e dell’Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo ed ebbe un’organizzazione anche a livello provinciale, basata su piccole commissioni di tre membri. Cfr. Focardi, La questione della punizione dei criminali di guerra in Italia, cit., pp. 547-8 e Pezzino, Sui mancati processi in Italia, cit., p. 12. 27 Cfr. Focardi, La questione della punizione dei criminali di guerra in Italia, cit., p. 548.

28 II Registro dei crimini di guerra nazifascisti rinvenuto nel maggio 1994 presso la sede della Procura generale militare di Roma contiene per l’esattezza 2.274 noti­

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zie di reato. Una parte consistente di queste (circa 360) si riferisce a crimini impu­ tati a militari della Repubblica sociale italiana, commessi con o senza il concorso tedesco. I nominativi di militari tedeschi coinvolti nelle indagini sono oltre 500 e i fascicoli relativi 415. Copia del registro in Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi ai crimini nazifascisti, Relazionef i­ nale, Roma 2006 (d’ora in avanti Relazionefinale), pp. 125-217. 29 Alla fine del 1946 erano 105 i tedeschi accusati di crimini di guerra richiesti dalle autorità italiane. Non si hanno dati certi su richieste successive. L ’elenco no­ minativo dei 105 tedeschi si trova allegato ad un foglio della Procura generale mili­ tare presso il Tribunale supremo militare firmato dal procuratore generale Umber­ to Borsari, inviato in data 20 gennaio 1947 al ministero degli Affari Esteri e per co­ noscenza al ministero della Guerra. Cfr. a s m a e , a p Germania 1950-56, b. 175, fase. 12, sf. Richiesta criminali di guerra tedeschi da parte Procura generale militare. 30 I tedeschi furono giudicati sulla base degli articoli 185 e 211 del Codice penale militare di guerra, che sanzionavano le violenze e le uccisioni commesse da militari italiani contro civili o prigionieri di guerra nemici. Sulla base dell’art. 13, queste di­ sposizioni del codice militare risultavano estensibili anche ai reati analoghi com­ messi da soldati nemici ai danni degli italiani e dunque applicabili ai militari tede­ schi. Cfr. Franzinelli, Le stragi nascoste, cit., p. 139. 31 La mancanza sia degli elenchi completi dei criminali di guerra tedeschi richie­ sti dall’Italia, sia degli elenchi dei criminali consegnati e processati è stata lamenta­ ta nella Relazione di minoranza della Commissione parlamentare d’inchiesta chia­ mata ad indagare sulle cause dell’occultamento delle indagini sui crimini nazifasci­ sti. Cfr. Relazione di minoranza, cit., p. 142. 32 Cfr. Relazionefinale, cit., pp. 59-61 e Relazione di minoranza, cit., pp. 149-51. 33 Cfr. Relazionefinale, cit., pp. 61-3 e Relazione di minoranza, cit., pp. 151-3. Le due relazioni conclusive della Commissione parlamentare d’inchiesta riprendono i dati forniti nel 1999 dall’indagine interna condotta dal Consiglio della magistratu­ ra militare che indicava un totale, al 1965, di 13 processi con 25 imputati (cfr. Rela­

zione approvata dal Consiglio della Magistratura Militare, c m m , in data 25 marzo 1999, cit., p. 174). Come primo della serie viene indicato il processo tenuto presso il Tribunale militare territoriale di Verona contro Ambrogio Webhofer, condannato nel settembre 1946 a 10 anni, 8 mesi e 20 giorni di reclusione per maltrattamenti nei confronti di ufficiali e soldati italiani internati nel campo di concentramento di Doblin Ireno e di Oberlangen. Si tratta in realtà di un altoatesino, il cui caso non può essere annoverato a nostro avviso fra i procedimenti contro i criminali di guer­ ra tedeschi. Ne è prova il fatto che le autorità competenti italiane considerarono come primo processo della serie non quello contro Webhofer, bensì il processo te­ nuto a Firenze nel giugno 1947 contro due tedeschi appartenenti all’organizzazione Todt. Solo allora infatti fu diramato un apposito comunicato stampa che spiegava la posizione italiana nei confronti dei processi ai criminali di guerra tedeschi. 34 Estradato in Italia dall’Argentina nel 1995, l’ex ufficiale della ss Erich Priebke fu processato una prima volta a Roma per la strage delle Fosse Ardeatine nel 1996. 46

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Prosciolto in prima istanza, Priebke è stato poi processato nuovamente nel 1997 e condannato a 15 anni di reclusione. Un terzo grado di giudizio, pronunciato dalla Corte militare di appello, lo ha infine condannato all’ergastolo. Nel corso delle in­ dagini preliminari sul caso Priebke, il procuratore militare Antonino Intelisano ha scoperto a Roma il cosiddetto “ armadio della vergogna” , ovvero centinaia di fasci­ coli contenenti gli atti delle inchieste sulle stragi nazifasciste in Italia che, come ve­ dremo più avanti, erano stati nascosti nel i960, impedendo il corso della giustizia. Sul processo Priebke cfr. C . Dal Maso, S. Micheli (a cura di), Processo Priebke. Le testimonianze, il memoriale, Roma 1996; Tribunale militare di Roma, Processo Priebke: la sentenza, Roma 1996; R. Katz, Dossier Priebke: anatomia di un processo, Trezzano sul Naviglio 1997; L ’Unità/iRSiFAR, Priebke e il massacro delle Ardeatine, Roma 1996 (contributi di W. Settimelli, A. Rossi-Doria, C . Pavone, C. Galante Garrone, M. Battini, A. Portelli); W. Leszl, Il processo Priebke e il nazismo, Roma 1997; Staron, Fosse Ardeatine e Marzabotto, cit., pp. 330-64. 35 Nell’aprile 1976 la Corte d’assise di Trieste condannò all’ergastolo in contu­ macia XObersturmfìihrer Joseph Oberhauser per gli omicidi compiuti, soprattutto contro ebrei e partigiani, nel Lager della Risiera di San Sabba. Il comandante del campo, August Allers, anch’egli imputato, era morto poco dopo l’inizio del proces­ so. Nel luglio 1979 la Corte d’assise di Bologna condannò all’ergastolo il capitano Alois Schintelholzer e il maggiore della ss Erwin Fritz colpevoli di aver trucidato nel 1944 33 civili italiani. In appello, a Schintelholzer fu confermato l’ergastolo in contumacia, mentre Fritz fu assolto. Cfr. T . Matta, Risiera di San Sabba, in E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, voi. 11, Luoghi, formazioni, protagonisti, Torino 2001, pp. 432-7; Rivello, Quale giustizia per le vitti­ me, cit., pp. 171-3; A. Scalpelli (a cura di), San Sabba. Istruttoria e processo per il lager della Risiera, Milano 1995. 36 II 24 ottobre 1994 il tribunale ha riconosciuto colpevole per la strage di 22 ci­ vili il sottotenente Richard H. W. Lehnigk-Emden, condannandolo all’ergastolo in contumacia. Contro Lehnigk-Emden era stato avviato nel 1992 un procedimen­ to anche in Germania, che fu però sospeso nel gennaio 1994 per prescrizione del reato. Cfr. G . Schreiber, L ’eccidio di Caiazzo e le miserie della giustizia tedesca, in “ Italia Contemporanea” , 201, dicembre 1995, pp. 661-85. 37 Fra il 23 e il 24 agosto 1944 vi furono uccisi 175 civili, fra cui donne e bambini. Cfr. Schreiber, La vendetta tedesca, cit., pp. 199-201. 38 L ’altro imputato, il colonnello Rudolf Fenn, era stato invece condannato ad un anno di reclusione per omicidio colposo, ma la pena gli era stata interamente condonata (cfr. a s m a e , a p Germania 1950-56, b. 175, fase. 12, sf. Richieste diretta-

mente presentate dalla Procura generale militare). 39 La sentenza in G. Lastraioli, Dossier Strauch, Empoli 1994. 40 Con la motivazione di aver agito per ordini superiori, il capitano Krumhaar fu invece assolto sia dall’accusa di aver incendiato il paese, sia dall’accusa di violen­ za contro privati nemici (aveva ordinato la fucilazione di 13 cittadini italiani). Per la sentenza cfr. a s m a e , a p Germania 1950-56, b. 21, fase. 4.

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Per la sentenza cfr.

asm a e, ap

Germania 1950-56, b. 175, fase. Criminali di

guerra tedeschi —Pratiche nominative. 42 Informazioni sul caso Covi si trovano nella comunicazione inviata in data 17 novembre 1950 dalla Zentrale Rechtsschutzstelle all’Ufficio per gli Affari esteri del­ la Cancelleria federale, n. di prot. E 367/49, firmata Gawlik, in BA-Koblenz, B 305/403. 43 Cfr. Relazione di minoranza, cit., p. 153. 44 Per la sentenza cfr. a s m a e , a p Germania 1950-56, b. 175, fase. Criminali di guerra tedeschi —Pratiche nominative. 45 II processo contro Schmalz si svolse a Roma dal 26 giugno al 12 luglio 1950. 46 Cfr. Relazione finale, cit., p. 63 e Relazione di minoranza, cit., p. 153. 47 Le cifre più attendibili finora disponibili sono quelle fornite dallo storico te­ desco Gerhard Schreiber, che ha contato 6.800 militari italiani passati per le armi dai tedeschi nel settembre-ottobre 1943 tra Balcani, Grecia ed Egeo; 22.720 parti­ giani «uccisi spesso nel disprezzo delle disposizioni internazionali» e 9.180 civili sterminati (cfr. Schreiber, La vendetta tedesca, cit., p. 4). Alla luce dei risultati delle sistematiche ricerche condotte nel quadro del progetto Guerra ai civili. Per un atlante delle stragi naziste in Italia, coordinato da Paolo Pezzino, la cifra delle vitti­ me civili italiane fornita da Schreiber risulterebbe approssimata per difetto. Il pro­ getto, che riguarda quattro regioni, Emilia-Romagna, Toscana, Campania e Pu­ glia, ha censito 3.702 vittime in Toscana, 1.586 in Campania, 334 nella provincia di Frosinone, circa 200 fra Puglia e Basilicata, 1.100-1.200 circa in Emilia-Romagna. Dunque, oltre 7.000 morti, cui vanno aggiunte le vittime delle altre aree regionali escluse dal progetto. Cfr. G. Fulvetti, Le guerre ai civili in Toscana, in G. Fulvetti, F. Pelini (a cura di), La politica del massacro: per un atlante delle stragi naziste in To­ scana, Napoli 2006, p. 385, nota 226. 48 Occorre ricordare che la legge italiana non consentiva la condanna a morte dei criminali di guerra tedeschi. Sul dibattito intervenuto su questo punto fra le autorità competenti si rimanda a Focardi, La questione dei processi ai criminali di guerra tedeschi in Italia, cit., pp. 203-5. 49 Cfr. K. Ch. Lammers, Späte Prozesse und milde Strafen. Die Kriegsverbrecher­ prozesse gegen Deutsche in Dänemark, in Frei (hrsg.), Transnationale Vergangen­ heitspolitik, cit., p. 360. 50 Cfr. P. Lagrou, Eine Frage der moralischen Überlegenheit? Die Ahndung deut­ scher Kriegsverbrechen in Belgien, ivi, pp. 339-43. Dei 91 criminali di guerra proces­ sati, 83 erano tedeschi, 4 austriaci, 2 polacchi, 1 rumeno e 1 lussemburghese. 51 Cfr. D. de Mildt, J. Meihuizen, “ Unser Land muß tief gesunken sein... Die Aburteilung deutscher Kriegsverbrecher in den Niederlanden, ivi, pp. 310-3. 52 Sono stati calcolati 2.345 procedimenti in Francia (di cui 1.314 in contuma­ cia), cui ne vanno aggiunti altri 780 nella zona di occupazione francese in Germa­ nia. Fra 47 e 54 le pene di morte eseguite a seconda delle fonti. Cfr. C. Moisel, Les procès pour crimes de guerre allemands en France après la Seconde guerre mondiale, in “ Bulletin de l’Institut d’Histoire du Temps Présent” , dossier sur “ Usages politiques du droit et de la justice” , 2002, pp. 90-101 e Id., Résistance und Repressalien. 48

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Die Kriegsverbrecherprozesse in der französischen Zone und in Frankreich, in Frei (hrsg.), Transnationale Vergangenheitspolitik, eit., pp. 247-82. 53 Cfr. Focardi, La questione della punizione dei criminali di guerra in Italia , cit., pp. 553 ss. 54 Sul legame fra questione della punizione dei criminali di guerra italiani e cri­ minali di guerra tedeschi cfr. ivi, e, inoltre, F. Focardi, L. Klinkhammer (a cura di), La questione dei “criminali di guerra ” italiani e una Commissione di inchiesta di­ menticata, in “ Contemporanea” , iv, 3, luglio 2001, pp. 497-528. Sulle rivendicazio­ ni jugoslave, cfr. C . Di Sante, Italiani senza onore. I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951), Verona 2005. 55 Cfr. Focardi, La questione della punizione dei criminali di guerra in Italia, cit., pp. 575-6. 56 Fu prevista la possibilità di accogliere richieste dopo la data indicata solo in caso di «circostanze eccezionali». Tali non furono considerate né la strage di San­ t’Anna di Stazzema né quella di Cefalonia. Fu anche fissato il termine del 31 di­ cembre 1947 per la consegna della documentazione necessaria alle domande di estradizione. Le nuove disposizioni furono comunicate al governo italiano il 5 ago­ sto 1947 (cfr. a s m a e , a p Germania 1950-56, b. 175, fase. 12, sf. Richieste di traduzio­

ne nelle carceri italiane per il giudizio). 57 Cfr. a s m a e , a p Germania 1950-56, b. 176, f. 8. 58 L’ultimo processo condotto in Italia dalla giustizia britannica contro crimina­ li di guerra tedeschi fu quello di Padova a carico del generale Max Simon, conclu­ sosi nel giugno 1947. Il 10 dicembre 1947 Londra decise l’interruzione dell’azione penale contro i tedeschi responsabili di “ crimini di guerra commessi contro vittime italiane” (cfr. Pezzino, Sui mancati processi in Italia, cit., pp. 20-1). 59 Oltre 750 furono i criminali di guerra italiani richiesti dalla Jugoslavia attra­ verso la Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra e in parte attra­ verso note diplomatiche rivolte direttamente al governo di Roma; 142 quelli richie­ sti dall’Albania; 30 dalla Francia; 12 dall’Unione Sovietica; 10 dall’Etiopia, poi ri­ dotti a 2 (Pietro Badoglio e Rodolfo Graziani); mentre 111 risultavano gli italiani incriminati dalla Grecia inclusi nelle liste delle Nazioni Unite, cui si aggiunsero 74 richieste rivolte da Atene all’Italia per via diplomatica diretta. Cfr. Focardi, Klink­ hammer (a cura di), La questione dei “criminali di guerra” italiani, cit., pp. 526-7. 60 Cfr. Focardi, La questione della punizione dei criminali di guerra in Italia, cit., pp. 558-9. 61 Con la rottura dei rapporti fra Tito e Stalin, il principale accusatore dell’Italia, la Jugoslavia, perse infatti l’appoggio dell’unica potenza su cui poteva contare per sostenere le proprie rivendicazioni. Di fatto, Belgrado evitò da allora in poi di reclamare l’estradizione dei criminali di guerra italiani. Gli sviluppi della Guerra fredda con la contrapposizione fra i blocchi indussero nello stesso periodo anche Stati come la Gran Bretagna, la Francia e la Grecia a ritirare le loro pretese nei con­ fronti dei criminali di guerra italiani. Le richieste dell’Albania caddero insieme a quelle della Jugoslavia, dei cui canali diplomatici il governo di Tirana allora si av­

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valeva. L ’Unione Sovietica, dal canto suo, aveva richiesto solo pochi criminali di guerra italiani e non aveva invero mai esercitato forti pressioni su Roma per la loro consegna. Infine, l’Etiopia fece un vano tentativo nel 1949 per ottenere l’estradizio­ ne di Badoglio e di Graziani. Fu la Gran Bretagna a dissuadere Addis Abeba dal persistere nelle sue rivendicazioni. Cfr. Focardi, I mancati processi ai criminali di guerra italiani, cit., pp. 207 ss. 62 Non costituisce prova contraria la condanna all’ergastolo inflitta nel 1951 a Walter Reder, che risultava allora cittadino austriaco e non tedesco.

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Salvezza per i «poveri connazionali»!

Rinchiusi insieme a Kappler nella prigione militare di Forte Boccea a Roma, Otto Wagener, Paul Walter Mai, Herbert Nicklas e Johann Felten trovarono conforto spirituale e assistenza concreta in Alois Hudal, ve­ scovo austriaco rettore del Collegio teutonico presso la Chiesa di Santa Maria dell’Anima a Roma, il più alto prelato di lingua tedesca nella città santa '. Indagini giornalistiche e storiografiche come quelle di Ernst Klee 2, Uki G o n i3 e Matteo Sanfilippo 4 hanno ricostruito il profilo di Hudal portandone alla luce il ruolo cruciale svolto a partire dal 1945 sia nell’assistenza ai prigionieri di guerra e ai profughi austriaci e tedeschi in Italia sia ai criminali di guerra nazisti ricercati dalla polizia o reclusi, come Wagener e compagni, nelle carceri italiane. Lo stesso Hudal, in un libro di memorie pubblicato postumo nel 1976, ha riconosciuto di aver consacrato dopo la fine della guerra la sua «intera attività caritatevole» ai «cosiddetti “ criminali di guerra” perseguitati dai comunisti e dai demo­ cratici “cristiani”», vantandosi di averne «strappati non pochi ai loro per­ secutori con documenti falsi e con la fuga in paesi più fortunati» 5. Hu­ dal, che negli anni trenta aveva dimostrato fervida ammirazione per Hi­ tler e per il nazionalsocialismo 6, fu in effetti al centro sia della rete uffi­ ciale di assistenza ai prigionieri di guerra e ai profughi di lingua tedesca in Italia sia della rete clandestina che aiutò molti criminali nazisti ad emi­ grare all’estero, specialmente in Sudamerica. Fra i nazisti aiutati e protetti dal vescovo di Santa Maria dell’Anima si annoverano figure di spicco come Otto Wachter, il responsabile dell’uccisione del cancelliere austria­ co Engelbert Dollfuss e di gravi crimini antisemiti in Polonia 7, come il pluridecorato eroe della Luftwaffe Hans-Ulrich Rudel8, o come Franz Stangl, il famigerato comandante del campo di sterminio di Treblinka 9. E non mancano indizi di un coinvolgimento del sacerdote nella fuga in Argentina di un personaggio del calibro di Adolf Eichmann 10, come noto, uno dei maggiori responsabili dello sterminio degli ebrei u. Il rettore del Collegio teutonico operò instancabilmente anche a fa­ 51

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vore dei rifugiati tedeschi e dei criminali di guerra incarcerati in Italia. Nel settembre 1946, alla vigilia del processo britannico contro Mältzer e von Mackensen, Hudal aveva preso le difese del generale Mältzer van­ tandone la presunta benevolenza nei confronti degli italiani12. Come direttore del Comitato austriaco della Pontificia commissione assisten­ za, egli prestò particolare attenzione al problema degli internati austriaci e tedeschi raccolti nei campi di Fraschette presso Alatri e di Farfa Sabi­ na. Nell’agosto 1947, ad esempio, scrisse al ministro dell’interno Mario Sceiba per condannare le condizioni in cui si trovavano gli internati13 e nell’ottobre successivo si rivolse ai propri superiori in Vaticano per pe­ rorare il rimpatrio dei prigionieri dai due campi '4. Nel 1948 cercò di in­ tercedere presso le autorità britanniche a favore del feldmaresciallo Kesselring, condannato l’anno precedente *5. Nell’estate 1948 fu Hudal a procurare un passaporto della Croce rossa ad uno dei responsabili della strage delle Fosse Ardeatine, il capitano della ss Erich Priebke, consen­ tendone così la fuga in Argentina 16. Nel marzo 1949 Hudal aiutò con denaro un altro tedesco implicato nella strage, l’ss-Sturmbannfìibrer Borante Domizlaff, processato e assolto nel luglio 1948 nel processo Kappler, e internato poi a Fraschette 17. Il 12 maggio 1949 il vescovo in­ dirizzò una lettera al segretario di Stato, monsignor Montini, il futuro papa Paolo v i, sollecitando la Santa Sede a chiedere una sanatoria per i prigionieri di guerra tedeschi condannati in Italia l8. Nella risposta data­ ta 15 ottobre 1949, Montini segnalava a Hudal che il Santo Padre era a favore di un’«ampia amnistia». L’attività sempre più aperta in favore de­ gli ex nazisti finì per alienare al vescovo austriaco molte delle simpatie e degli appoggi di cui aveva goduto all’interno delle gerarchie vaticane ‘9, tanto che nel 1952 Hudal fu costretto a dimettersi dalla carica di rettore del Collegio teutonico 2°. Tuttavia, il prelato continuò ad interessarsi fino alla morte, avvenuta nel 1963, alla causa della liberazione dei crimi­ nali di guerra tedeschi. Proprio nel periodo immediatamente successivo alla lettera indiriz­ zata da Hudal a Montini si colloca la prima iniziativa documentabile del Vaticano a favore dei militari tedeschi del “ gruppo di Rodi” . Con telespresso datato 8 luglio 1949, l’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede comunicava al ministero degli Affari Esteri quanto segue: La Segreteria di Stato ha fatto qui presente che la signora Wendula Wagener si è ri­ volta al Santo Padre chiedendo un interessamento per ottenere un provvedimento di grazia in favore di suo marito, il generale Otto Wagener e di altri quattro tede-

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schi, condannati da un Tribunale militare italiano a pene ammontanti da 9 a 15 anni di detenzione. Ha fatto presente che i condannati hanno tutti figli in minore età e sono ansiosamente aspettati dalle proprie famiglie, delle quali essi sono l’uni­ co sostegno 21.

Dopo aver riportato i nomi dei detenuti tedeschi (i quattro del “gruppo di Rodi” , più Alois Schuler 2Z), nel messaggio si chiedevano a Palazzo Chigi, allora sede del ministero degli Esteri, elementi utili per fornire una risposta alla segreteria di Stato. In data 28 luglio 1949 il ministero degli Affari Esteri inoltrava la comunicazione ricevuta dalla propria am­ basciata alla Procura generale militare e alla Direzione generale degli Af­ fari penali del ministero di Grazia e Giustizia 23. Quest’ultima risponde­ va il 6 agosto facendo notare come la competenza per un eventuale provvedimento di clemenza spettasse al ministero della Difesa 24. Dieci giorni più tardi, il 16 agosto, il procuratore generale militare, Umberto Borsari, informava il ministero degli Esteri che la sentenza del Tribuna­ le militare di Roma contro il generale Wagener non era ancora passata in giudicato in quanto sia gli imputati sia il pubblico ministero avevano interposto ricorso per annullamento 25. Un’eventuale domanda di gra­ zia non poteva pertanto essere presa in considerazione fino all’esame del ricorso. II 26 agosto Palazzo Chigi trasmetteva la risposta di Borsari alla propria ambasciata presso la Santa Sede 2é. Si chiudeva così con un nul­ la di fatto la prima iniziativa, sostenuta dal Vaticano, per la richiesta di provvedimenti di grazia a favore del “ gruppo di Rodi” . L’azione risultò invero solo sospesa. Essa riprese appena un mese più tardi per iniziativa diretta del vescovo Alois Hudal. La strada pre­ scelta passava questa volta per Bonn. Con una lettera datata 24 settem­ bre 1949 Hudal si rivolse personalmente al cancelliere Konrad Adenauer, da poco entrato in carica al vertice del primo governo tedesco del dopoguerra 2?. Il vescovo menzionava la propria opera d’assistenza pre­ stata nel carcere militare di Forte Boccea a quattro «ufficiali del Reich tedesco», fra cui il generale Wagener, e perorava un intervento del nuo­ vo governo tedesco in favore dei «poveri connazionali». Il prelato ricor­ dava che «il Vaticano ha già intrapreso qualcosa», ma sottolineava come fosse opportuno che, in vista dell’attesa amnistia per l’Anno Santo, le autorità di Bonn intervenissero direttamente presso il presidente della Repubblica italiana Luigi Einaudi, per chiedere la scarcerazione dei mi­ litari. «Sarei sinceramente lieto - concludeva Hudal - se i miei cari ami­ ci avessero la fortuna di rivedere dopo quattro anni la loro patria e la 53

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loro famiglia». Alla lettera di Hudal era acclusa una missiva del generale Wagener ad Adenauer, scritta dal carcere il 14 settembre, nella quale era illustrata la vicenda del “ gruppo di Rodi” e sollecitato un intervento del neocancelliere z8. Il vescovo austriaco di Santa Maria dell’Anima aveva fatto da tramite per l’istanza di Wagener, sostenendola con particolare premura. Le autorità tedesche valutarono con attenzione il da farsi, prenden­ do in considerazione varie ipotesi Z9. Il responsabile dell’ufficio della Cancelleria federale (Bundeskanzleramt) Herbert Blankenhorn, futuro ambasciatore in Italia 3°, espresse l’avviso che, vista l’autorità e il presti­ gio del vescovo Hudal, fosse consigliabile una risposta personale del cancelliere. Il 12 ottobre 1949 Adenauer inviava dunque una lettera al rettore del Collegio teutonico in cui comunicava di aver «preso cono­ scenza con interesse» della questione del generale Wagener e degli altri commilitoni reclusi in Italia e di aver chiesto all’avvocato difensore di Wagener, Hans Laternser, informazioni più circostanziate sulla vicen­ da 31. Il cancelliere si riservava di far sapere a Hudal gli eventuali passi che sarebbero stati intrapresi presso il governo italiano. Lo stesso gior­ no, il 12 ottobre, Blankenhorn chiedeva all’avvocato Laternser una «bre­ ve descrizione» delle circostanze che avevano condotto alla condanna di Wagener e degli altri militari tedeschi}z. Il quarantunenne avvocato di Wiesbaden, ex membro del partito nazionalsocialista, era già allora un personaggio molto conosciuto 33. Hans Laternser era infatti considerato uno dei più valenti difensori dei criminali di guerra tedeschi. Nel 1945-46 aveva partecipato al processo internazionale di Norimberga difendendo con successo lo Stato mag­ giore e il Comando supremo della Wehrmacht34. Aveva quindi avuto un ruolo di primo piano anche nella difesa di alcuni importanti generali tedeschi nei successivi processi tenuti dagli americani a Norimberga, i cosiddetti Nachfolgeprozessen 3S. In Italia Laternser aveva guidato il col­ legio difensivo nel processo di Venezia contro Albert Kesselring, prima di svolgere la stessa funzione nel processo di Roma contro il “ gruppo di Rodi”. L’avvocato tedesco si era quindi impegnato anche a favore di Màltzer e von Mackensen, i due generali condannati dagli inglesi in Ita­ lia per la strage delle Fosse Ardeatine. Nel marzo 1949 aveva rivolto un’istanza alle competenti autorità di Londra chiedendo, senza succes­ so, la loro liberazione e quella di Kesselring 36. Nel 1949 aveva infine as­ sunto in Germania la difesa del feldmaresciallo Erich von Manstein sot­ 54

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to processo ad Amburgo presso una corte britannica per crimini di guerra. Dunque, dopo essere stato sollecitato in novembre dall’ufficio della Cancelleria 37, Laternser, il 6 dicembre 1949, inviava a Bonn copia del­ l’arringa difensiva tenuta al processo di Roma contro Wagener e gli altri imputati3iì. Nella lettera di accompagnamento l’avvocato esprimeva il parere che le autorità italiane fossero «ben disposte» nei confronti della Germania. Un passo ufficiale del cancelliere Adenauer non sarebbe ri­ masto pertanto «senza effetto». L ’atteggiamento italiano non era stato mal giudicato dall’avvocato tedesco. Di lì a pochi giorni, infatti, con de­ creto presidenziale n. 930 del 23 dicembre 1949 veniva concesso ai crimi­ nali di guerra tedeschi un condono della pena di tre anni. Il primo a be­ neficiare di questa misura fu il maggiore Josef Strauch, rimesso in liber­ tà il 29 gennaio 1950 39. Intanto, l’ufficio della Cancelleria accelerava il lavoro e affidava la cura della questione dei criminali di guerra tedeschi reclusi in Italia al responsabile dell’ufficio di collegamento con l’Alta commissione alleata, von Triitzschler. Il 21 dicembre 1949 questi si rivolgeva di nuovo all’av­ vocato Laternser per avere informazioni sulla condanna inflitta ai mili­ tari tedeschi e sulla durata della pena ancora da scontare 4°. Il 2 gennaio 1950 Laternser rispondeva di non avere a disposizione la sentenza del processo Wagener, in possesso degli avvocati difensori italiani 41. Egli ri­ cordava, in ogni caso, che il generale Wagener era stato condannato a 15 anni di reclusione, mentre gli altri coimputati a pene inferiori. Sottoli­ neava poi che contro la sentenza di primo grado era stato interposto un ricorso, di cui era prevista la discussione in febbraio. Avvertiva però che i tempi avrebbero potuto slittare. Infine, rendeva noto che in Italia era stata annunciata una vasta amnistia, di cui avrebbero potuto beneficiare anche i condannati tedeschi. L’amnistia non sarebbe stata tuttavia ap­ plicabile fino al pronunciamento di un giudizio definitivo. Cinque giorni dopo, il 7 gennaio, Laternser scriveva nuovamente al Bundeskanzleramt per comunicare informazioni più dettagliate, che gli erano state fornite dal generale Wagener e dagli altri suoi assistiti in Ita­ lia 42. Egli riferiva che la discussione del ricorso era stata fissata presso il Tribunale supremo militare di Roma per il 17 febbraio 1950. Il papa Pio x i i , il vescovo Hudal e il responsabile della giustizia dell’Ordine di Mal­ ta si erano già attivati in vista di questo appuntamento, inviando lettere alle autorità italiane competenti. Sarebbe stato quindi «di decisiva im­ portanza che il cancelliere federale Adenauer, in occasione della sua at­ 55

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tesa visita a Roma, esprimesse il suo interesse per il caso giudiziario in un colloquio col presidente del consiglio italiano De Gasperi». Ciò avrebbe avuto un’influenza determinante sul riesame del processo. Du­ rante la visita del cancelliere gli avvocati italiani di Wagener avrebbero provato ad entrare in contatto con Adenauer o con un suo incaricato per fornire un breve resoconto della situazione processuale. Laternser osservava che sui condannati non pesavano accuse infamanti e che essi non avevano mai commesso abusi nell’esercizio delle proprie funzioni né oltrepassato i limiti della legge tedesca e del diritto internazionale. Meritavano pertanto ogni appoggio da parte delle autorità tedesche. L’avvocato invitava il Bundeskanzleramt a tener conto dei suggerimenti espressi e a intervenire per la loro liberazione. Nel frattempo, il generale Wagener si era rivolto direttamente al re­ sponsabile dell’ufficio della Cancelleria federale, Herbert Blankenhorn 43. Con una lettera datata 21 dicembre 1949, Wagener aveva illu­ strato e sollecitato la proposta di incontro con Adenauer o con un suo emissario richiamata da Laternser, e segnalato a questo scopo l’indirizzo e il numero di telefono dell’awocato italiano Ermanno Belardinelli, uno dei membri del collegio della difesa, perfettamente in grado di par­ lare tedesco. Il 18 gennaio 1950 von Triitzschler rispondeva alle due let­ tere di Laternser del 2 e del 7 gennaio 44. Al difensore di Wagener veni­ va comunicato che per il momento non era prevista alcuna visita di Adenauer a Roma e che pertanto la possibilità di un suo intervento per­ sonale sul governo italiano era da escludersi. Finché pendeva il ricorso, era analogamente da escludere qualsiasi passo del governo tedesco pres­ so l’Alta commissione alleata, ritenuto poco produttivo e a rischio di of­ fendere la suscettibilità delle autorità italiane. Von Triitzschler, comun­ que, assicurava che l’intera faccenda era seguita con attenzione dalla Cancelleria. E aggiungeva che, dopo la prossima apertura della rappre­ sentanza diplomatica italiana a Bonn 45, sarebbe stata valutata l’oppor­ tunità di esercitare un’«influenza informale» sugli inviati diplomatici italiani. Laternser era pregato di informare il generale Wagener del con­ tenuto della lettera. Dalla documentazione del Bundeskanzleramt non risultano altri passi da parte tedesca fino al maggio 1950. Nel frattempo nella vicenda giudiziaria del “ gruppo di Rodi” si erano prodotti sviluppi significativi. Il 13 marzo 1950 il Tribunale supremo militare aveva rigettato i ricorsi dei condannati 46. Il giorno stesso, pertanto, la sentenza era diventata esecutiva. Sul piano legale, era seguita una risposta immediata: il 15 mar­ 56

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zo Wagener e gli altri tre militari tedeschi avevano interposto ricorso straordinario presso la Cassazione. Pendente ancora il giudizio della Cassazione, l’il aprile 1950 tutti e quattro i criminali di guerra tedeschi avevano beneficiato, al pari del già ricordato Josef Strauch e di Alois Schmidt, di un condono della pena pari a tre anni. La Cancelleria federale fu informata dell’esecutività della sentenza da una lettera inviata da Roma al cancelliere Adenauer, in data i° aprile 1950, da una cittadina tedesca, Margarete Kriiger Appelius 47. La donna segnalava che, dopo il fallimento del ricorso, Wagener e compagni era­ no stati trasferiti nel carcere di Gaeta e caldeggiava un intervento del go­ verno tedesco a loro favore. La lettera giunse a Bonn alla metà di apri­ le 48. Circa due settimane dopo, il 4 maggio 1950 von Triitzschler si ri­ volgeva di nuovo all’avvocato Laternser per chiedere dettagli sulla boc­ ciatura del ricorso 49. Egli chiese anche informazioni sul passo compiu­ to dai legali italiani presso la Cassazione. Per von Triitzschler era neces­ sario che Bonn avesse «la migliore conoscenza possibile dello stato delle cose» per poter esaminare «se e in quale momento risultasse opportuno intraprendere delle iniziative per ottenere la grazia o la sospensione della pena per il Maggiore-generale Wagener». Di lì a poco, in effetti, il governo tedesco compiva i primi passi pres­ so le autorità italiane. In mancanza ancora di una regolare rappresentan­ za diplomatica a Roma 5°, il canale prescelto fu quello di incaricare una persona di fiducia in Italia. La persona prescelta fu il conte Giovanni von Planitz, che nel maggio 1950 fu accreditato presso i ministeri italiani dell’interno e della Difesa come «Incaricato speciale del Governo tede­ sco federale», responsabile della cura degli interessi degli internati tede­ schi in Italia 5I. Avvocato di origini tedesche, ma ufficiale in congedo dell’esercito italiano, in possesso della doppia cittadinanza italiana e te­ desca, von Planitz all’inizio del 1950 aveva iniziato a operare, in accordo con il ministero tedesco per i Rifugiati e con quello della Giustizia, a fa­ vore del rimpatrio dei cittadini germanici internati a Fraschette e a Farfa Sabina. A partire dal 1947 aveva lavorato come interprete e coadiutore giudiziario nel procedimento contro Wagener e compagni, continuan­ do poi, di propria iniziativa, a prestare aiuto legale ai tedeschi condan­ nati per crimini di guerra reclusi nelle carceri italiane. Oltre a buoni rapporti col ministero della Giustizia italiano e con quello della Difesa, von Planitz si vantava di avere solide relazioni con De Gasperi e con il suo capo di Gabinetto 52. 57

CRIMINALI DI GUERRA IN LIBERTÀ

Il 28 maggio 1950 von Planitz indirizzò al presidente della Repubbli­ ca, Luigi Einaudi, una prima petizione in favore della liberazione di Wagener e degli altri criminali di guerra tedeschi, i quali - come egli scriveva —«se incorsero nei rigori della legge, ciò fu sempre ed unica­ mente per un così alto senso di disciplina che ebbe ad animarli da co­ stringerli ad azioni che comunque esse vogliansi valutare, rappresenta­ vano per loro una necessità indeclinabile dei loro doveri» 53. L’obbe­ dienza agli ordini superiori, Leitmotiv di tutte le difese opposte alle ac­ cuse di crimini di guerra, veniva utilizzata come argomento a discolpa anche nella seconda lettera inviata da von Planitz al presidente Einaudi il 21 giugno 1950: «se rei - notava von Planitz - , non per altro lo sono stati che per obbedienza agli ordini dei capi e rispetto alle leggi della loro patria» 54. Per convincere il proprio interlocutore, l’incaricato spe­ ciale del governo tedesco faceva notare come il numero dei militari ger­ manici condannati o sotto giudizio per crimini di guerra fosse in Italia «assolutamente esiguo» in rapporto agli altri paesi europei. In Italia era­ no infatti coinvolte non più di 10 persone, a fronte di 1.300 in Francia, 1.700 in Jugoslavia, 400 in Belgio, 300 in Olanda, 150 in Norvegia, 120 in Grecia, 50 in Danimarca. Ricordando il valore di perdono dell’Anno Santo, von Planitz sollecitava la suprema carica dello Stato italiano a compiere «un atto di clemenza», che, per il suo valore d’esempio, sareb­ be servito «a rendere più intime e cordiali le relazioni fra i popoli comu­ nemente inspirati a sentimenti di cristiana pietà». L’estate passava senza che alle domande di grazia fosse data alcuna risposta 55. Solo quattro mesi dopo la sua ultima lettera ad Einaudi, il 17 ottobre 1950, von Planitz si rivolgeva all’Ufficio per gli Affari esteri pres­ so la Cancelleria federale per comunicare nuovi sviluppi5

Krüger Appelius M ., 57, 64

149-53

Krumhaar W ., 37, 47

Holleben von, consolé, 102

Kunisch, canc., 148

H orne J., 24 Hösterey K ., 104, 106 Hudal A ., 51-5, 60-3, 65, 91, 9 7 ,11 4 ,13 1 ,

134- 5.1 6 1

Lagrou P., 48, 65 Lammers K. C h ., 48 Langer H ., 119 Lastraioli G ., 47, 63

Intelisano A ., 47

Laternser H ., 54-7, 63-4,132-6 Leeb R . von, 63 Legnani M ., 118

Jacini S., 76

Lehmann, dott., 7 1,14 0

Jacom oni F., 77

Lehnigk-Em den R. H. W ., 47

Jannelli P., 72, 96

Leiber R ., 69, 81

Jaroch M ., 25 Jurow sky J. W ., 9 9 ,10 1-3 ,

Leszl W ., 47

105

Lingen K. von, 25, 43, 45, 62-3

Juso P., 41

List W ., 63

Kaas L., 69

M agagnoli R ., 93

Kapp W ., 33

M aguire P., 94

16 7

C R I M I N A L I D I G U E R R A IN L I B E R T À

M ai P. W ., 31, 34, 41-2, 51, 60, 71-2, 74, 88-90, 102, 110, 123-4, 1*7-30, 135, 14 3 - 4 , 147 ,

Oberhäuser J., 47 O liva G ., 118

152> 154,156 -6 0

M air E ., 38 M alfatti F. M ., 68, 76 Maltzer K „ 35-6, 44, 52, 54

Pacciardi R ., 27, 58, 85, 87, 89, 95, 107,

155

M ammarella G ., 92

Pacelli E., 61

Manstein E. von, 54

Palla M ., 4 3 -4 ,117 Paolo v i (papa, G . B. M ontini), 52, 62

Mantelli B., 118

Parri F., 76

Marchesi C ., 45 M artino G ., 111- 2 ,114 , 1 1 7 ,1 1 9

Pastore G ., 76 Pavone C ., 47

M asala C ., 76 M asini (Masino) B., 30 ,128

Peiper J ., 23 Pelini F., 48

M atta T ., 47

Pellegrini G ., 43

M attini C ., 45

Pezzino P., 43-5, 48-9, 94

M cC lo y J., 94 M edici-Tornaquinci A ., 45 Meeske H ., 31, 4 2 ,12 3 - 4 ,12 6 ,1 2 9 Meihuizen J., 48

Piccioni A ., 76 Pieracci C ., 127 Pio x ii (papa, E. Pacelli), 55, 61, 69, 81,

135

Merzagora C ., 76

Planitz G . von, 25, 57-60, 64-5, 72-3,

Micheletti B., 118

78, 81, 91, 9 7 ,13 8 ,14 7 -9 ,15 3 ,16 1-2

M iquel M . von, 25

Pleven R ., 68, 82, 93

M offat J., 10 1,10 2 ,10 5

Poggio P. P., 118

M oisel C ., 48

Polito, questore di Rom a, 90, 9 6 ,159

M iiller J., 69, 76

Portelli A ., 47

M usial B., 25

Pota P., 96

M ussolini B., 32, 39, 7 7 ,118

Priebke E ., 28, 36, 46, 47, 52 Pulinas L., 127

N enni P., 83, 93 Nicklas (Niklas, Micklas) H ., 31, 34,

Q uapp J „ 41

42, 51, 60, 71-2, 74, 86, 89-91, 102, 1 10 ,12 3 - 4 , 12-7 - 30 , 15 2 ,15 4 ,15 7

133, 135, 143-4 , 147, Rainero R. H ., 93

Niedermayer W ., 38

Raisi E ., 28, 4 4 ,111- 2 ,114 - 5

N iglia F., 76

Ravalli G ., 10 7 ,115 -6

N ovelli C ., 29

Reder W ., 15-6, 28, 37-8, 40, 50, 72, 74,

Niitzenadel A ., 118 16 8

84, 92, 9 9 ,115 ,14 3 - 4 ,14 9

IN D IC E DEI NOMI

Reiter H ., 9 5 ,113

Settimelli W ., 41, 47

Ricci R , 4 4 ,128

Sforza C ., 79, 82-3, 9 3,15 1

Ricciardi, soldato, 128

Silone I., 76

Rivello P. P., 44, 4 7 ,119

Sim on M ., 20, 36, 49

Rodogno D ., 4 1,118

M eli Lupi di Soragna, 130

Romero F., 25

Sormanti L., 45

Rosini E., 10 9 ,16 3-4

Spadafina, cap. magg., 128

Rossi M . G ., 29

Spilotro D ., 95

Rossi-Doria A ., 47

Stalin (J. V . Dzugasvili), 49

Rotberg E ., 91, 9 7 ,16 1-2

Stangl F., 51, 61

Rothenberger C ., 140

Staron J „ 44-5, 47, 63, 7 8 ,119

Rudel H .-U ., 51

Strauch J „ 37, 47, 55, 57, 63

Ruini M ., 76 Rusconi G . E ., 43, 76 Taviani P. E ., 69, 7 6 ,111- 2 , 1 1 4 ,1 1 7 Tecchi B., 76 Saevecke T ., 119

Tensfeld W ., 36, 45

Sala T ., 118

Tiberi, 89-90, 9 4 -6 ,157

Sandri R ., 47

T ito (J. Broz), 4 9 ,113

Sanfilippo M „ 51, 61-2, 65, 77, 91, 97

Tognarini I., 44-5

Santacroce E ., 2 0 ,110 -2 ,118

Tosatti Q ., 76

Saragat G ., 76

Tribuni, soldato, 128

Scalpelli A ., 47

Triitzschler H . von, 55-7, 59-60, 63-5,

Sceiba M ., 52, 80, 9 5 ,14 6

72, 75, 78, 83, 88, 92, 94, 96, 99-102,

Schintelholzer A ., 47

10 5 ,14 8 ,15 2

Schmalz W ., 37, 40, 48

Turner jr. H . A ., 41

Schmidt A ., 37, 57, 59, 71-2, 74, 85-6, 89,143-4 Schm inck-Gustavus C ., 22

Vaccarino G ., 118

Schreiber G ., 22, 41, 44, 47-8

Varsori A ., 25, 78, 93

Schüler A ., 37, 40, 53, 62

Viazzi L., 118

Schuman R., 68

Vigezzi B., 93

Schutze K ., 41

Vordem ann C h ., 76, 97

Scotti G ., 118 Sebesta L ., 93 Seifert M ., 119

Wächter O ., 51, 61

Sereny G ., 61

W agener O ., 10, 27, 31, 33-5, 38, 41-2,

Sessi F., 47 16 9

53-60, 63-4, 7 1, 73-4, 80-1, 84, 89-90,

C R IM IN A L I DI G U E R R A IN L IB E R T À

92, 95-6, 99-IO4, 107, 109-U, 114-5, 123-6, 128-35,

143-4 , 147- 8 , 150,

154-8, 163-4

152,

W iedner K ., 41 Wiesenthal S., 20 W olf, console, 148-9

W agener W ., 52,130

W olfTK ., 20, 33, 4 3 ,118

Wanders T h ., 25

W oller H „ 43

W ebhofer A., 46 Wedel G ., 100, 105 Werle G ., 25 Wesely S., 29

170

Zoppi V ., 40, 72-5, 77-81, 83-6, 94, 102, 10 7 ,115 ,14 6 - 8 ,15 0 ,15 3