Crescita e declino. Studi di storia dell'economia romana
 9788882655624 [PDF]

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CRESCITA E DECLINO Studi di storia dell'economia romana Elio Lo Cascio «L'ERMA» di BRETSCHNEIDER

I saggi compresi in questo volume intendono delineare i caratteri e le linee di sviluppo dell' economia romana dall'età repubblicana al tardo antico, proponendo un quadro basato su alcune idee forti: la drastica differenza delle economie del passato rispetto a quelle che hanno accompagnato e seguito la rivoluzione industriale; la loro comparabilità; il carattere comunque dinamico delle economie premoderne e di quella romana in particolare, senza che questo implichi l'esistenza di un percorso rettilineo e necessario. I diversi aspetti dell'economia romana considerati nelle varie parti del libro sono l'agricoltura, il rapporto tra popolazione e risorse, i mercati e i prezzi. Un'ultima sezione, sull'interpretazione weberiana dell'economia romana, è motivata dal fatto, innegabile se si guarda alla letteratura antichistica soprattutto degli ultimi trent'anni, che la lczione weberiana ha suscitato un interesse che va ben al di là di quello meramente storiografico. ELIO LO CASCIO (Palermo, 1948) è professore ordinario di Storia romana presso l'Università di Roma "La Sapienza". La sua produzione scientifica si può considerare incentrata attorno a quattro nuclei tematici: la storia amministrativa dell'età del principato e del tardo impero; la storia istituzionale di età repubblicana; la storia economica e sociale del mondo romano; infine la storia della popolazione, nei suoi riflessi sulla vicenda economica e sociale del mondo antico. Tra le sue pubblicazioni: Il princeps e il suo Impero, Bari 2000; e i volumi a sua cura Roma imperiale. Una metropoli antica, Roma 2000; Mercati permanenti e mercati periodici nel mondo romano, Bari 2000; Production and public powers in classical antiquity (con D.W. Rathbone), Cambridge 2000; Credito e moneta nel mondo romano, Bari 2003; Innovazione tecnica e progresso economico nel mondo romano, Bari 2006.

In sovracopertina: Affresco raffigurante una città portuale. (Stabiae, I sec. a.C., IV Stile). Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

CENTRO RICERCHE E DOCUMENTAZIONE SULL' ANTICHITÀ CLASSICA MONOGRAFIE ---------------32---------------

ELIO

Lo

CASCIO

CRESCITA E DECLINO STUDI DI STORIA DELL'ECONOMIA ROMANA

«L'ERMA» di BRETSCHNEIDER

ELIO Lo CASCIO Crescita e declino Studi di storia dell'economia

Copyright

2009 «L'ERMA» Via Cassiodoro,

romana

di BRETSCHNElDER 19 - Roma

Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione di testi e illustrazioni senza il permesso scritto dell'Editore.

Lo Cascio, Elio Crescita e declino: studi di storia dell' economia romana / Elio Lo Cascio. - Roma: «L'ERMA» di BRETSCHNEIDER, 2009. - 380 p. ; 17x24 cm. (Centro ricerche e documentazione sull'antichità classica. Monografie; 32) ISBN 978-88-8265-562-4 CDD 21. 330.937 1. Roma antica - Economia I. Lo Cascio, Elio

Volume pubblicato

con il contributo

del MIUR

SOMMARIO

Premessa.

. . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . .. . . . . . . . . .

1

INTRODUZIONE CRESCITA E DECLINO: L'ECONOMIA

ROMANA IN PROSPETTIVA STO-

RICA. . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

5

L'AGRICOLTURA ROMANA TRA AUTOCONSUMO, RENDITA E PROFITTO I.

LA PROPRIETÀ DELLA TERRA, I PERCETTORI DEI PRODOTTI E DELLA RENDITA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

19

La proprietà della terra in Roma arcaica, 20 - L'emergere della piccola proprietà contadina, 23 - Dalle fattorie alle villae, dall' autoconsumo al mercato, 26 - Le conquiste transmarine, l'afflusso di ricchezza in Italia e i problemi sociali del II secolo a.C., 35 - Affittuari e salariati, 43 - L'Italia e le sue produzioni agricole nell'età de II' imperialismo, 48 - Il nuovo assetto politico-amministrativo dell'impero c i suoi effetti sull'economia agraria della penisola, 55 - L'evoluzione della proprietà e le opzioni dei proprietari nel nuovo scenario, 58 - La "crisi" e gli sviluppi di età tardoantica, 66 II.

OBAERARII

(OBAERATl):

LA NOZIONE

DELLA DIPENDENZA

71

IN VARRONE III.

CONSIDERAZIONI

SULLA

STRUTTURA

E SULLA

DELL' AFFITTO AGRARIO IN ETÀ IMPERIALE.

DINAMICA

. . . . . . . . . . . . .

91

Premessa, 91 - La varietà delle affittanze e degli affittuari, 92 - Modello africano e modello pliniano, 97 - Dinamica dell' affitto agrario e dinamica della popolazione, 108 IV.

L'ECONOMIA DI PLINIO.

DELL'ITALlA

ROMANA NELLA TESTIMONIANZA

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

115

VI

CRESCITA E DECLINO

POPOLAZIONE I.

POPOLAZIONE

E RISORSE

E RISORSE NEL MONDO ANTICO. . . . . . . . . . . .

139

La natura della documentazione antica, 139 - Documentazione comparativa, modelli demografici e struttura per età e per sesso delle popolazioni antiche, 144 - I numeri assoluti, 150 - La dinamica delle popolazioni antiche, 157 Il.

IL RAPPORTO UOMINI-TERRA

NEL PAESAGGIO DELL'ITALIA

ROMANA. . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . .. III.

MOVIMENTI

DEMOGRAFICI E TRASFORMAZIONI

PRINCIPATO E TARDOANTICO: LO DI SCHIAVITÙ FINLEY.

ANTICA

SOCIALI TRA

A PROPOSITO DEL IV CAPITO-

E IDHOLOGIE

MODERNE

DI MOSES

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . .. . . . . .. . . . . .

MERCI,

165

MERCATI

179

E PREZZI

E GLI SCAMBI INTERMEDlTERRANEI

195

Il.

LA VITA ECONOMICA E SOCIALE A POMPEI. . . . . . . . . . . . . . .

211

III.

PREZZI IN ORO E PREZZI IN UNITÀ DI CONTO TRA IL III E IV

I.

IL DENARIUS

SEC. D.C. IV.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

CONSIDERAZIONI

SU CIRCOLAZIONE

MONETARIA, PREZZI

E

259

FISCALITÀ NEL QUARTO SECOLO V.

MERCATO LIBERO E "COMMERCIO AMMINISTRATO" IN ETÀ TAROOANTICA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

VI.

L'APPROVVIGIONAMENTO

DELL'ESERCITO

WEBER

TI.

E

L'ECONOMIA

WEBER E IL "CAPITALISMO ANTICO"

273

ROMANO: MERCA-

TO LIBERO O "COMMERCIO AMMINISTRATO"?

L

235

. . . . . . . . . . . .

287

ROMANA . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

299

L'IMPERO PATRIMONIALE E LA «MORTE LENTA DEL CAPITALISMO ANTICO»:

L'INTERPRETAZIONE

WEBERIANA DEL PAS. . . . . . . . . . . .

317

Bibliografia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

337

Indice delle fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

369

Indice analitico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

377

SAGGIO DALLA REPUBBLICA

AL PRINCIPATO.

PREMESSA

I saggi ricompresi in questo volume sono stati pubblicati in un lungo arco di tempo, a partire dai primi anni '80 del secolo scorso, anche se la maggior parte è stata edita negli ultimi quindici anni. Ho ritenuto opportuno riprendere anche qualche vecchio lavoro, dal momento che mi sembrava che bene si integrasse nel disegno complessivo dei caratteri fondamentali e delle fondamentali linee di sviluppo dell'economia romana che queste pagine vorrebbero presentare. I saggi sono stati rivisti e corretti tacitamente, in talune occasioni in misura più consistente, soprattutto nel caso di qualche significativo mutamento di opinione o per eliminare fastidiose ripetizioni. In parte è stato anche aggiornato (se non aggiunto ex-novoy l'apparato erudito, per tenere conto, entro limiti ovviamente molto modesti, del dibattito successivo alla loro prima uscita. Ma non è stata modificata la loro struttura e forma, anche dipendente dalla sede dell'originaria pubblicazione: dunque si troveranno nel libro saggi concepiti per volumi indirizzati (come si dice) a un pubblico colto e saggi più specificamente rivolti a un pubblico di specialisti. L'ambizione è quella di proporre un quadro certo non sistematico dell'economia romana nel suo divenire, ma che vorrebbe avere una sua coerenza di fondo: un quadro basato su alcune idee forti - la drastica differenza delle economie che precedono la rivoluzione industriale e la transizione energetica rispetto a quelle successive, ma perciò anche la loro comparabilità sui piani più diversi; il carattere comunque dinamico delle economie del passato e di quella romana in particolare, ma senza che questo possa significare il rinvenimento di un percorso rettilineo e necessario. Quel che si vuol proporre è dunque non un modello complessivo e totalizzante, ma un' analisi nei limiti del possibile rigorosamente basata su alcune prese di posizione teoriche di fondo. I diversi aspetti dell'economia romana presi in considerazione nelle varie partizioni del libro sono l'agricoltura, il rapporto tra popolazione e risorse, i mercati e i prezzi, senza nessuna pretesa, com' è ovvio, né di esaustività, né di sistematicità. L'aggiunta di un' ultima sezione, sull' interpretazione weberiana dell'economia romana, è motivata dal fatto, innegabile se si guarda alla storiografia antichistica soprattutto degli ultimi trent'anni, che la lezione weberiana ha suscitato un interesse che va ben

CRESCITA E DECLINO

2

al di là di quello meramente storiografico: mi è sembrato perciò che l'inserimento di questa sezione fosse pienamente giustificato in un volume sui caratteri e sull'evoluzione dell'economia romana. Weber continua a essere ancor oggi un interlocutore di rilievo, ed è stato comunque l'ispiratore di alcune fra le più fortunate teorie sulla natura delle economie antiche e sul loro funzionamento, che hanno dominato il dibattito scientifico. Il saggio introduttivo, che porta lo stesso titolo del libro, vuol essere una sorta di giustificazione non tanto o non solo di questo stesso titolo, quanto dell' approccio complessivo. Tringraziamenti vanno anzitutto a Giuseppe Zecchini per avermi proposto di raccogliere in volume alcuni dei miei saggi sull'economia romana e per avere voluto accogliere il volume nella serie del Cerdac, e a Marco Maiuro, a Giovanna Merola e a Gianluca Soricelli, che mi hanno aiutato nella revisione dei testi originari, suggerendomi opportune integrazioni all'apparato delle note a piè di pagina e alla bibliografia. Vanna Merola ha anche curato gli indici. Devo poi sentitamente manifestare la mia riconoscenza, com' è ovvio, a tutti gli amici, troppo numerosi per citarli qui, che nel corso di molti anni hanno discusso con me e molte volte hanno manifestato il loro dissenso sulle mie opinioni spesso eterodosse, a partire da quelli che negli anni '70 a Cambridge attorno alla figura carismatica di Sir Moses Finley e forti della sua impareggiabile lezione si formavano assieme a me come studiosi delle economie e delle società del mondo antico. Ma soprattutto ho un debito di riconoscenza nei confronti di molti dei miei allievi delle università nelle quali ho insegnato, dalla cui intelligente autonomia di giudizio ho tratto continua ispirazione. romana in prospettiva storica è apparso nella «Rivista di Storia Economica» n.s., XXTII, 2007, 269-82, e in «Scienze umanistiche» 2, 2006, 29-41; La proprietà della terra, i percettori dei prodotti e della rendita in G. Forni e A. Marcone (a c. di), Storia dell'agricoltura italiana. J. L'età antica. 2. Italia romana, Firenze, Accademia dei Georgofili, 2002, 259-313; Obaerarii (obaerati): la nozione della dipendenza in Varrone in «Index» Il, 1982, 265-84; Considerazioni sulla struttura e sulla dinamica dell'affitto agrario in età imperiale, in H. Sancisi-Weerdenburg, R.I. Van der Spek, H.C. Teitler, H.T. Wallinga (eds.), De agricultura. In memoriam P.W de Neeve, Amsterdam, Gieben, 1993, 296-316; L'economia dell'Italia romana nella testimonianza di Plinio, in Plinius der Jiingere und seine Zeit, hg. v. L. Castagna u. E. Lefèvre, Munchen-Leipzig, Saur, 2003, 281-30 l; Popolazione e risorse nel mondo antico, in V. Castronovo (a c. di), Storia dell'economia mondiale, J. Dall'antichità al medioevo, Roma-Bari, Laterza, 1996,275-99; Il rapporto uomini-terra nel paesaggio dell'Italia romana, in «Indcx» 32,2004,

Crescita e declino: l'economia

107-21; Movimenti

demografici e trasformazioni

sociali tra Principato

e tar-

PREMESSA

3

doantico: a proposito del IV capitolo di Schiavitù Antica e Ideologie Moderne di Moses Finley, in «Opus» J, 1982, 147-59 (col titolo A proposito del IV capitolo di Ancient Slavery and Modern Ideology: movimenti demografici e trasformazioni sociali tra Principato e Basso Impero); Il dcnarius e gli scambi intermediterranei, in G. Urso (a c. di), Moneta mercanti banchieri. l precedenti greci e romani dell'Euro, Pisa, ETS, 2003, 147-65; La vita economica e sociale a Pompei, in F. Zevi (a c. di), Pompei, II, Napoli, Banco di Napoli, 1992, 113-31 (col titolo La vita economica e sociale); Prezzi in oro e prezzi in unità di conto tra il //1 e IV sec. d. c., in Prix et formation des prix dans les économies antiques, textes rassemblés par Jean Andreau, Pierre Briant, Raymond Descat, Entretiens d'Archeologie et d'Histoire, S. Bertrand-de-Comminges, musée archéologique départemental 1997, 161-82; Considerazioni su circolazione monetaria, prezzi e fiscalità nel quarto secolo, in Finanza e attività bancaria tra pubblico e privato nella tarda antichità: definizioni, normazione e prassi, Atti del XII Conv. Internazionale dell' Accademia Romanistica Costantiniana (Perugia-Spello, 11-14 ottobre 1995), Napoli 1998, 121-36; Mercato libero e commercio amministrato in età tardoantica, in C. Zaccagnini (a c. di), Mercanti e politica nel mondo antico, Roma, «L'ERMA» di Bretschneider, 2003, 307-25; L'approvvigionamento dell'esercito romano: mercato libero o 'commercio amministrato'?, in L. de Blois & E. Lo Cascio (eds.), The Impact ofthe Roman Army (200 BC-AD 476). Economie, Social, Political, Religious and Cultural Aspects, Leiden-Boston, Brill, 2007, 195-206; Weber e il «capitalismo antico», in M. Losito - P. Schiera (a c. di), Max Weber e le scienze sociali del suo tempo, Bologna, Il Mulino, 1988, 401-22; L'impero patrimoniale e la «morte lenta del capitalismo antico»: l'interpretazione weberiana del passaggio dalla Repubblica al Principato, in A. Storchi Marino (a c. di), L'incidenza dell' antico. Studi in memoria di Ettore Lepore, I, Napoli, Luciano, 1995,261-79.

INTRODUZIONE

CRESCITA E DECLINO: L'ECONOMIA ROMANA IN PROSPETTIVA STORICA

Le analisi effettuate di recente della composizione degli strati della calotta polare artica e dei sedimenti di bacini lacustri in Svezia, Svizzera e Spagna hanno rivelato che il grado della polluzione da piombo e da rame dell'atmosfera dell'emisfero settentrionale, in conseguenza delle operazioni di trasformazione del minerale estratto dalle miniere di argento e di rame, in un certo periodo del mondo antico, e cioè i quattro secoli a cavallo degl'inizi dell'era cristiana, è stato tale da essere eguagliato solo in un' epoca successiva all'avvio della rivoluzione industriale l. Il dato in sé è assai significativo, giacché mostra non soltanto che l'attività economica nel Mediterraneo unificato da Roma deve essere stata assai intensa, ma più specificamente che assai elevato deve essere stato il grado di monetarizzazione dell'economia: la polluzione da piombo è, infatti, un indicatore dell'entità della produzione dell'argento, e dunque della moneta argentea, mentre la polluzione da rame indica che anche la produzione di moneta enea deve avere avuto dimensioni assai ragguardevoli. In ultima analisi il dato suggerisce che gli scambi commerciali, "lubrificati", per dir così, da un' enorme quantità di moneta, integrata da strumenti creditizi peculiari e notevolmente sofisticati di cui siamo venuti a conoscenza da recenti e meno recenti scoperte epigrafiche e papiracee, devono essere stati assai vivaci 2. Lo stesso quadro è peraltro quello che emerge dallo studio dei relitti dei naufragi delle navi onerarie rinvenuti lungo le coste del Mediterraneo: il numero dei relitti risalenti a questi stessi quattro secoli è molto più elevato del numero di quelli risalenti a epoca precedente e successiva, ciò che suggerisce che il volume del traffico commerciale si deve essere attestato in questi secoli su livelli mai più raggiunti in seguito. Scambi così intensi testimoniano a loro volta una produzione globale molto elevata, spia di elevata popolazione e presumibilrnente spia di elevata produtti-

l

Riferimenti

infra, 195.

'In/io, 195 sgg.; m: CALLATAY

2005.

6

CRESCITA E DECLINO

vità: testimoniano, vale a dire, l'esistenza di un'economia in grado di produrre un elevato surplus 3. Quanto al livello del popolamento delle regioni del Mediterraneo, e segnatamente dell'Italia, si può a mio avviso sostenere che l'ipotesi più aderente al quadro documentario a nostra disposizione parrebbe suggerire che la popolazione in età augustea e nei primi tempi dell'età imperiale deve avere raggiunto livelli poi raggiunti nuovamente solo assai più tardi: per l'Italia solo nel diciottesimo secolo". Ci si può chiedere se, a questa elevatezza della produzione globale e della popolazione rispetto alle età precedenti e alle età successive, abbia corrisposto un livello parimenti elevato del prodotto pro capite, il segnale più eloquente, in definitiva, della individuale prosperità. Che sappiamo del tenore di vita di cui godevano nella multiforme realtà dell'impero sovranazionale e plurietnico di Roma i suoi abitanti? Dobbiamo pensare che la popolazione elevata dell'impero, fosse, proprio per il fatto di essere così elevata, anche malnutrita, sottoalimentata? O viceversa potremo individuare in essa una popolazione che vive ben al di sopra della sussistenza? Due altri "segnali" sono stati individuati di recente attraverso, ancora una volta, l'ausilio offerto dalle scienze della natura: l'entità, variabile nel tempo, del consumo di carne di maiale come lo si può stimare dai resti organici delle ossa degli animali; e i dati antropometrici sulla statura media della popolazione, ricavati dalla documentazione degli scheletri. Si tratta di dati che mostrano una coerenza di fondo e che non sono falsificabili con le normali procedure della ricerca storica. Un saggio recente di Wim Jongman ha raccolto la documentazione sino ad oggi pubblicata e proveniente da un cospicuo numero di siti romani, una documentazione ovviamente parziale dalla quale non può dedursi nulla più che degli ordini di grandezza, e tuttavia abbastanza significativi 5. Il consumo di carne di maiale sembra incrementarsi, nel complesso del mondo romano, ben più di quanto si incrementi la popolazione. Per quanto riguarda i dati antropometrici gli studi in questi ultimi trent' anni di antropometria storica o auxologia hanno conosciuto un rinnovato sviluppo. Nei dati in questione, raccolti soprattutto in occasione del reclutamento militare, si riconosce un'indicazione significativa del livello nutrizionale, della salute e della generale qualità della vita, nonché del grado di "social equality": i dati rivelano, in effetti, nel mondo

3

PARKER

4

Lo

1992; MEIJER 2002; DE CALLATAY & MALANIMA 2005 e rif. ivi.

CASCIO

'JONGMAN

2006.

2005.

INTRODUZIONE

7

contemporaneo, quanto una marcata diseguaglianza sociale possa essere riflessa sulla differenza di statura. Se confrontati con quelli ricavabili dai resti scheletrici rinvenuti nelle necropoli del mondo antico, essi ci danno un'informazione del tutto inattesa: c'è una netta differenza tra il livello medio di statura degli abitanti del mondo mediterraneo in età greca e romana e quello degli abitanti delle medesime regioni nel diciottesimo e diciannovesimo secolo (senza che si possano ascrivere le differenze a fattori genetici). Bisogna per di più tenere conto del fatto che il campione antico non riguarda solo giovani reclute, ma individui adulti e sappiamo che la statura nell'età adulta diminuisce gradualmente. Ora, si è notato che la statura media dei coscritti in Italia nel 1854 era di 162,64 cm, vale a dire oltre 5 centimetri inferiore rispetto a quella - di 168,3 cm - che è stato possibile calcolare su un campione di 927 scheletri di maschi adulti rinvenuti in tutta l'Italia e relativi a un arco cronologico che va dal 500 a.c. al 500 d.C. Il livello di statura antico sarebbe stato eguagliato, in base ai dati relativi alle reclute dell' esercito italiano, solo nel 1956, dunque con la coorte dei nati nel 19366. Che cosa siamo autorizzati a dedurre da dati del genere? Apparentemente una conclusione che parrebbe paradossale: che l'Italia e più in generale il mondo mediterraneo nel suo complesso, e quali che ne fossero le differenziazioni regionali, risultava in età romana, non solo più affollato di gente e, nel suo complesso, più produttivo, ma anche con un tenore di vita più elevato di quanto non sia stato in molti periodi della sua storia successiva, e ancora in epoche assai recenti. Ne dedurremo altresì che c'è stato - e ancora una volta quali che siano le differenziazioni regionali e quale che sia l'arco temporale nel quale va collocato nelle diverse aree - un "declino": un declino demografico e produttivo, e presumibilmente anche un declino nel tenore di vita, un declino da associare evidentemente, in ultima analisi, con il declino del mondo antico sino alla dissoluzione di una organizzazione politica unitaria in occidente. Ma ne dovremo dedurre, altresì, che c'è stata anche "crescita" (e tanto "estensiva", vale a dire crescita di quel che possiamo definire il Prodotto Interno Lordo dell' Impero, determinata dal mero incremento della popolazione, quanto "intensiva", l'autentica crescita economica, la crescita del prodotto pro capite). Dobbiamo, vale a dire, ritenere che il mondo mediterraneo non solo nell'ottavo secolo a.c. o nel quinto, ma ancora nel terzo secolo a.c., quando Roma avviava le sue conquiste transmarine, non era né altrettanto popolato, né altrettanto "ricco" di tre o quattro &

KRON

2005.

8

CRESCITA E DECLINO

secoli più tardi, nell'epoca del gibboniano "apogeo". Ne dedurremo più in generale che quella dell'età romana è un'economia tutt'altro che immobile. È questa una conclusione che assevera, quant' altre mai, mi sembra, la crisi del paradigma finleyano - a buon diritto definito ancora negli anni ottanta la "nuova ortodossia": un paradigma che ha dominato negli anni settanta e ottanta la discussione sulla natura e sulle "performances" delle economie antiche soprattutto, ma non solo, nel mondo anglosassone. TI libro di Sir Moses Finley, The Ancient Economy, apparso in Inghilterra e negli Stati Uniti nel 1973 e subito tradotto in molte lingue (la traduzione italiana fu una delle prime se non la prima in assoluto a comparire), ha avuto un'influenza decisiva nell'orientare il dibattito scientifico, non solo perché proponeva un quadro di grande coerenza e in termini perentori, per nulla sfumati, ma perché mirava a integrare la rapida presentazione dei caratteri di quella che il Finley definiva unitariamente appunto l'economia antica nel più ampio quadro delle economie preindustriali. Interlocutori di Finley erano dunque, e dichiaratamente, non solo quegli antichisti di cui pure egli non mancava di sottolineare lo scarso spessore teorico, ma economisti e storici delle economie più tarde. Converrà rapidamente delineare gli elementi del paradigma finleyano 7. Finley partiva dalla constatazione se si vuole banale della distanza che avrebbe separato l'economia antica dalle economie capitalistiche: mutuando la caratterizzazione di questa distanza e dei suoi tratti salienti da Max Weber, da Karl Polanyi, e in definitiva anche dalle varie "teorie degli stadi" in voga nella letteratura della scuola storica dell' economia, di cui una versione ovviamente del tutto peculiare era lo stesso materialismo storico marxiano. Questa radicale distanza portava, prima di tutto, a ritenere sostanzialmente inutilizzabili per intendere il funzionamento dell'economia antica e i comportamenti e le motivazioni degli attori economici privati e "pubblici", le categorie della scienza economica classica e soprattutto neoclassica, in quanto nata col nascere del capitalismo industriale moderno. Finley seguiva sostanzialmente Polanyi nel postulare una netta contrapposizione tra il mondo precapitalistico e il mondo capitalistico, per il fatto che nel primo l'economico sarebbe stato "embedded", "incastrato", nel sociale e nel politico, laddove il mondo capitalistico avrebbe visto la sua autonomizzazione. (Incidentalmente va detto che si può riconoscere nell'insistenza su questa contrapposizione anche un sotterraneo orientamento sostanzialmente critico nei confronti de Il'ideologia 7

Per quel che segue Lo

CASCIO

1991 a.

INTRODUZIONE

9

liberale e per certi versi anche di quella marxista H). Per un altro verso si evidenziavano le differenze con l'economia capitalistica in modo netto: si sottolineava il rilievo fondamentale che avrebbe avuto la produzione primaria e dunque veniva considerato del tutto limitato il ruolo del commercio e della manifattura, sicché la città antica veniva considerata come città consumatrice (e non c'è bisogno di soffermarsi sulle ascendenze sombartiano-weberiane di questo concetto); si insisteva su un supposto mancato coinvolgimento nel commercio e nella manifattura delle élites dei proprietari terrieri, che avrebbero mantenuto un'ideologia da rentier (sarebbe mancata, quanto meno nell'élite, una mentalità imprenditoriale); si metteva in rilievo l'assenza di un'integrazione economica tra le varie aree e di conseguenza l'assenza di una specializzazione produttiva; veniva negata, infine, qualsiasi possibilità di crescita che non fosse legata alla conquista e all' impero, ma che fosse il prodotto per esempio dell'innovazione tecnica e della sua diffusione. Per quel che riguarda gli attori economici pubblici Finley negava che si potesse parlare di una "politica economica" consapevolmente perseguita da un'organizzazione politica antica e contestava gli storici modernizzanti (soprattutto quelli attivi fra le due guerre) che volevano contrapporre politiche "liberali" o "Iiberiste" a politiche "dirigiste". In sostanza si individuavano tutta una serie di contrapposizioni tra l'antichità greca e romana e una modernità definita tradizionalmente come l'occidente grosso modo successivo alla rivoluzione industriale, ma senza attribuire evidentemente alle trasformazioni radicali venute in conseguenza di quest'ultima un valore di discrimine decisivo, se weberianamente i prodromi, per non dire il primo emergere, del capitalismo venivano collocati pur sempre assai prima, e senza in definitiva - mi sembra - riconoscere il salto che separa, in termini qualitativi non meno che in termini quantitativi, la crescita possibile di una "advanced organie eeonomy" (per definirla nei termini felici in cui la definisce Tony Wrigley)? e la crescita venuta in connessione con la rivoluzione industriale e con la rivoluzione energetica, con l'avvento dei combustibili fossili. L'economia antica veniva caratterizzata come quella che si basava su tutta una serie di assenze e su una presenza. La presenza era ovviamente quella della schiavitù, anche se veniva messa in discussione l'utilità euristica del ricorso a categorie come quelle di "modo di produzione" e di "formazione economico-sociale", e anche se opportunamente ne veniva messa in rilievo la centralità, rispetto al ruolo che la schiavitù B Si 9

vd. illihro recente di NAFISSI Si vd. ora WRIGLEY 2004.

2005.

CRESCITA E DECLINO

lO

avrebbe assunto nelle autentiche società schiavistiche del Nuovo Mondo, società marginali e periferiche di un mondo assai diverso, ormai avviato verso il capitalismo "'. Le assenze erano quelle di una produzione di massa e di un mercato del lavoro libero nella forma del lavoro salariato; l'assenza di un orientamento verso il profitto degli attori economici e l'assenza di un calcolo razionale e sinanco della stessa possibilità di un calcolo razionale da parte di questi stessi attori; l'assenza di un'accumulazione diversa da quella appunto consentita dalla guerra c dalla conquista imperiale; l'assenza di un'integrazione economica, che vuoI dire assenza di mercati integrati (e semmai presenza di quel che Finley seguendo Polanyi definiva "commercio amministrato"); infine l'assenza di una crescita nel senso dell' incremento della produttività e del reddito pro capite, per esempio determinata dall'utilizzazione economica di innovazioni tecnologiche. L'economia del mondo antico si caratterizzava dunque come un'economia immobile. Infine c'è un ulteriore aspetto dello scenario delineato da Finley su cui mi sembra opportuno insistere. Veniva negata da Finley qualsiasi possibilità di effettiva quantificazione, data l'inesistenza di statistiche antiche (quella che Hugo Jones definiva l"'ignominiosa verità") Il e dato il carattere stesso della documentazione antica: scarsa, episodica, inaffidabile. Né Finley mostrava un grande interesse per le quantificazioni effettuate dagli studiosi della cultura materiale, che sarebbero pervenuti, su queste basi, a conclusioni spesso definitive. E tuttavia l'asserita impossibilità di quantificazione diveniva inevitabilmente, ma illegittimamente, un vigoroso argomento a favore dell' ipotizzato immobilismo delle economie antiche, nella loro struttura di fondo: dell' assenza di dinamicità. Si faceva equivalere in questo modo, e implicitamente, la pretesa impossibilità di misurare un fenomeno con l'assenza o con la scarsa rilevanza del fenomeno stesso. La reazione nei confronti del quadro costruito dal Finley è cominciata ad emergere nettamente già nei primi anni '80 e fra i suoi critici più penetranti vanno annoverati alcuni degli studiosi a lui più vicini. Ricorderò, tra gli altri, il compianto Keith Hopkins (lo studioso che per primo ha appunto parlato, e non per caso, di "nuova ortodossia" finleyana) 12, il quale ha inteso correggere il quadro di Finley su aspetti molto rilevanti, che toccano alcuni temi di fondo, anche di carattere metodologico.

IIIVd. Il

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pure FINLEY 1980a.

JONES 1948, 3. HUPKINS 1983, IX-XXV;

si vd. in particolare

HOPKIN~ 1978 e HOPKINS 1980; HOPKINS 1995/6.

INTRODUZIONE

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Tipico il caso dell'impossibilità di quantificazione (quell'impossibilità - detto tra parentesi - che consentiva a Finley di ignorare totalmente nella costruzione del suo modello interpretativo la dinamica demografica). Attraverso un'astuta considerazione di ciò che è quantificabile nella documentazione materiale e il ricorso a quel che viene definito il "parametric modelling", Hopkins ha recuperato, nello studio di aspetti rilevanti dell'economia romana, quella dimensione diacronica sostanzialmente assente in Finley. Questa stessa dimensione è, peraltro, quella che emerge con maggiore nettezza nelle posizioni dell'antichistica italiana soprattutto di orientamento marxista, che si sono espresse nei lavori, di significato epocale, del gruppo di antichistica dell'Istituto Gramsci: dai volumi su Società romana e produzione schiavistica a quelli su Società romana e impero tardoanuco's.Yi modello finleyano è stato messo in discussione in modo radicale soprattutto da Andrea Carandini e dalla sua scuola 14. Va tuttavia osservata una parziale adesione da parte degli studiosi italiani del Gramsci ad alcuni elementi del paradigma finleyano e a uno in particolare: l'idea secondo la quale solo con l'avvento del capitalismo moderno si sarebbe avuta l'''autonomizzazione'' dell'economico dal sociale e dal politico (di qui l'accusa di economicismo a quei critici di Finley che svalutano la significatività di questa contrapposizione o che non aderiscono all'idea di Polanyi, e dei critici dell'economia di mercato, della "grande trasformazione"); o ancora il rilievo attribuito alla presenza e anzi alla centralità della schiavitù nel determinare l'ideologia dei ceti dominanti e le "risposte" dei ceti subalterni nel mondo antico. Oggi le posizioni critiche nei confronti del modello finleyano si sono moltiplicate, come tra l'altro emerge, per un verso, da numerose opere collettive su aspetti specifici - sui commerci e i mercanti, sui "mercati" e sul loro funzionamento, sul ruolo della moneta e del credito, sull'influenza esercitata dall'azione delle autorità pubbliche su produzione e commercio, sul ruolo economico delle città, sull'innovazione tecnica e sul suo rapporto con la crescita 15 - e per un altro verso da un'altra opera collettiva appena uscita, la nuova Cambridge Economie History oJ the Greco-Roman World, che tuttavia si pone come finalità quella di superare l'opposizione giudicata sterile tra finleyani e antifinleyani,

GIARIJINAe SCHIAVONE(a c. di) 1981; GIARDINA (a c. di) 1986. Si vd. tra i suoi vari contributi quelli raccolti in CARANDINI 1999b. "PARKINS & SMITH (eds.) 1998; Lo CASCIO (a c. di) 2000b; Lo CASCJO(a c. di) 2003; Lo CASCIO & RATHBONE (eds.) 2000; MATTlNGLY & SALMON (eds.) 2001; PARKINS (ed.) 1997; Lo CASCIO (a c. di) 2006; vd. pure alcuni dei saggi ricompresi in de BLOIS & RICH (eds.) 2002; SCHEIDEL & VONREDEN (eds.) 2002; BANG, IKEGUCHI,ZICHE (eds.) 2006. 13 14

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tentando di costruire un nuovo e più sofisticato apparato concettuale per interpretare le caratteristiche peculiari delle economie antiche "'. Le posizioni critiche ed anche quest'ultima impresa si riconducono in larga misura a una presa di posizione metodologica di fondo: l'affermazione non solo della legittimità, ma dell'utilità euristica di una considerazione comparativa dell'economia ellenistico-romana (più che di quella greca) e di altre economie preindustriali, tanto dell'Occidente europeo, quanto dell 'Oriente asiatico. La finalità fondamentale, se posso dir così, del libro di Finley, in parte dipendente anche dal suo carattere di libro rivolto anzitutto a un pubblico, come si è già avuto occasione di notare, di non antichisti, era di spiegare, di fronte al "modernismo" volgare e facile, dominante negli studi sull'economia antica al suo tempo, la natura della radicale differenza tra economie contemporanee ed econome antiche. Ma, paradossalmente, in questo esercizio, Finley seguiva Weber nello svalutare di fatto il carattere epocale delle trasformazioni poste in essere dalla rivoluzione industriale e dalla rivoluzione energetica, e dal venir meno delle economie agricole tradizionali. Finley, in sostanza, seguendo Weber, allontanava troppo l'economia imperiale romana dalle economie più sviluppate dell'Occidente europeo, come quella dell'Olanda e dell'Inghilterra prima della Rivoluzione industriale, perché avvicinava troppo queste ultime alle economie nate dalla Rivoluzione industriale stessa 17: economie radicalmente diverse per la brusca accelerazione che ne è derivata del tasso di crescita del prodotto pro capite, per la drastica riduzione del settore primario, per la moltiplicazione della quantità di energia a disposizione. La revisione oggi in atto nello studio delle economie antiche e segnatamente di quella imperiale romana parte dunque dal presupposto di una similarità nella struttura di fondo delle "economie organiche" del passato e dunque di una loro comparabilità. Ma inevitabilmente parte anche dal presupposto che il mondo preindustriale nel suo complesso è stato tutt' altro che immobile: ha conosciuto importanti episodi di crescita, come per esempio quello che ha caratterizzato l'Inghilterra tra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo, e sino al 1760, vale a dire prima dell' avvio della Rivoluzione industriale stessa. Oggi si parla, come recita il titolo di un libro divenuto familiare anche agli studiosi dell' economia del mondo antico (dell'economista e storico economico Eric Jones) di una "Growth recurring" 18: una crescita, come si è detto, attestata anche

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SCHEIDEL, MORRIS,

Si vd. quanto osserva i x E.L. JONES 2000.

17

SALLER

(cds.) 2007. 1990,27 s.

PLEKET

INTRODUZIONE

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prima della Rivoluzione industriale e in regioni estranee all'Occidente europeo le cui origini, caratteristiche e modalità per certi versi sarebbero addirittura comparabili a quelle che hanno caratterizzato, certo con infinitamente maggiore velocità, la crescita delle nazioni europee a partire dal diciannovesimo secolo. Un altro storico dell'economia, studioso della Cina, Kenneth Pomeranz, si è chiesto, in un suo libro anch'esso divenuto familiare agli studiosi delle economie antiche, che cosa abbia determinato la "great divergence" tra l'Europa nordoccidentale e l'Asia orientale al momento dell'avvio di una crescita industriale sostenuta, nonostante la presenza di sorprendenti similarità tra Europa e Asia, ancora visibili alla metà del diciottesimo secolo; e ha riconosciuto nella disponibilità e nell'uso del carbone fossile, per un verso, nel commercio col Nuovo Mondo, per un altro verso, le ragioni del decollo 19. In questa sede non interessa ovviamente entrare nel merito di un simile problema. Interessa piuttosto ribadire ancora una volta che il cammino più fruttuoso da seguire nello studio dell' economia romana è, per un verso, quello che passa per un programmatico ricorso al materiale comparativo, per un altro verso, quello che consiste nell'inventare nuovi modi di analizzare la documentazione soprattutto materiale, alla ricerca di quei segnali che indichino il cambiamento tanto nella direzione della crescita, quanto nella direzione del declino. Quest'ultimo è un punto decisivo, a me sembra. Il dibattito che si è svolto a partire dalla pubblicazione del libro di Finley ha ripreso i termini della vecchia controversia che oppose Karl Biicher a Eduard Meyer, la cosiddetta controversia primitivisti-modemisti, in un aspetto essenziale: si sono continuate ad affrontare due maniere diverse di concepire l'evoluzione economica complessiva dell'occidente: in chiave lineare e in chiave ciclica. La teoria biicheriana di una successione di stadi, di Stufen, dall"'economia domestica chiusa", tipica dell'antichità e dell' Alto Medioevo, alI"'economia cittadina", tipica del Basso Medioevo, all'''economia nazionale", tipica del mondo moderno, differenziantisi fra di loro in base al numero di passaggi attraverso i quali ogni prodotto perveniva dal produttore al consumatore, era una delle tante teorie degli stadi elaborate dalla scuola storica dell'economia?', Una simile teoria, come le altre teorie degli stadi, concepiva l'evoluzione economica dell'occidente come lineare o linearmente progressiva. Per Meyer viceversa quella che egli definiva "l'evoluzione storica universale" aveva carattere ciclico. Non casualmente Meyer insisteva sulle analogie che, a suo avviso, la storia del

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POMERANZ

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