Anno III n°8 
Una pittoresca metafora umana:I miti dell'asino [PDF]

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Zitiervorschau

la Biblioteca di via Senato mensile, anno iii

Milano

n.8 – settembre/ottobre 2011

LETTERE/2 Una pittoresca metafora umana: i miti dell’asino di annette popel pozzo

CARTEGGI/2 “Aria d’Italia” tra Malaparte e Daria Guarnati di laura mariani conti e matteo noja

BUONGOVERNO Amor di utopia nei Dialogi del Brucioli di gianluca montinaro

SAPERE La Naturalis Historia di Caio Plinio Secondo di valentina conti

MEDIOLANUM L’archivio arcivescovile e San Carlo di beatrice porchera

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la Biblioteca di via Senato - Milano MENSILE DI BIBLIOFILIA – ANNO III – N.8/26 – MILANO, SETTEMBRE/OTTOBRE 2011

Sommario 4 Utopia: prìncipi e princìpi I DIALOGI DEL “DOTTO” ANTONIO BRUCIOLI di Gianluca Montinaro 10 BvS: dal Fondo Antico IL MORSO DELL’ASINO DISEGNA LA MODERNITÀ di Annette Popel Pozzo 18 BvS: dall’Archivio Malaparte/2 CURZIO - DARIA GUARNATI, UN INTENSO CARTEGGIO di Matteo Noja 27 BvS: il Teatro di Verdura UN’ESTATE DI SPETTACOLI “A TUTTA PAGINA” di Matteo Tosi 29 IN SEDICESIMO - Le rubriche IL LIBRO D’ARTE, CATALOGHI, SPIGOLATURE, L’INTERVISTA D’AUTORE, RECENSIONI, MOSTRE, ASTE 46 BvS: il libro ritrovato SAN CARLO NELLE CARTE DELL’ARCHIVIO ARCIVESCOVILE di Beatrice Porchera

51 BvS: un editore dell’Ottocento BARTOLOMEO GAMBA E LA TIPOGRAFIA DI ALVISOPOLI di Arianna Calò 56 BvS: dal Fondo Impresa NON SOLO MODA: I CENTO ANNI DELLA “CASA DEL LEVRIERO” di Giacomo Corvaglia 59 BvS: rarità per bibliofili LA NATURALIS HISTORIA DI GAIO PLINIO SECONDO di Valentina Conti 64 BvS: dal Fondo Antico CULTURA DEI LUMI ED EDITORIA NELLA TOSCANA DEL SETTECENTO di Paola Maria Farina 70 BvS: nuove schede RECENTI ACQUISIZIONI DELLA BIBLIOTECA DI VIA SENATO

Consiglio di amministrazione della Fondazione Biblioteca di via Senato Marcello Dell’Utri (presidente) Giuliano Adreani, Carlo Carena, Fedele Confalonieri, Maurizio Costa, Ennio Doris, Fabio Pierotti Cei, Fulvio Pravadelli, Miranda Ratti, Carlo Tognoli Segretario Generale Angelo De Tomasi Collegio dei Revisori dei conti Achille Frattini (presidente) Gianfranco Polerani, Francesco Antonio Giampaolo Fondazione Biblioteca di via Senato Elena Bellini segreteria mostre Arianna Calò sala consultazione Valentina Conti studio bibliografico Sonia Corain segreteria teatro Giacomo Corvaglia sala consultazione Margherita Dell’Utri sala consultazione Paola Maria Farina studio bibliografico Claudio Ferri direttore Luciano Ghirelli servizi generali Laura Mariani Conti archivio Malaparte Matteo Noja responsabile dell’archivio e del fondo moderno Donatella Oggioni responsabile teatro e ufficio stampa Annette Popel Pozzo responsabile del fondo antico Beatrice Porchera sala Campanella Gaudio Saracino servizi generali

Stampato in Italia © 2011 – Biblioteca di via Senato Edizioni – Tutti i diritti riservati

Direttore responsabile Angelo Crespi Ufficio di redazione Matteo Tosi Progetto grafico e impaginazione Elena Buffa Coordinamento pubblicità Margherita Savarese

Direzione e redazione Via Senato, 14 – 20121 Milano Tel. 02 76215318 Fax 02 782387 [email protected] www.bibliotecadiviasenato.it Bollettino mensile della Biblioteca di via Senato Milano distribuito gratuitamente

Fotolito e stampa Galli Thierry, Milano Referenze fotografiche Saporetti Immagini d’Arte Snc, Milano L’editore si dichiara disponibile a regolare eventuali diritti per immagini o testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte Immagine in copertina: Frontespizio del Libro quinto dei Dialogi (Venezia 1538) recante la marca tipografia “Putto con ramo di olivo nella mano” di Bartolomeo Zannetti Organizzazione Mostra del Libro Antico e del Salone del Libro Usato Ines Lattuada Margherita Savarese Ufficio Stampa Ex Libris Comunicazione

Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana

Reg. Trib. di Milano n. 104 del 11/03/2009

Editoriale

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olorosa è la notizia della chiusura dei battenti della Fondazione Arnaldo Pomodoro a Milano. Proprio di recente vi avevamo ammirato la raffinata mostra Rauschenberg - Dalì e il parallelismo sull’Inferno di Dante. Avevamo potuto anche visitare la ricca biblioteca d’arte. Sono state tante le iniziative della Fondazione in questi dieci anni di vita e tutte improntate a sostenere e a diffondere la cultura, non solo artistica. Non sappiamo quali siano le cause che hanno determinato la crisi delle attività, ma possiamo immaginare che siano state principalmente di carattere economico. Vorremmo fare un appello alle Autorità pubbliche (a chi? al Comune, alla Regione, forse alla Provincia?) perché evitino un fatto così spiacevole e si facciano promotori (anche incoraggiando i privati) perché Milano possa conservare un patrimonio d’arte e di cultura così singolare. Per non dimenticare il tema, da parte nostra,

in uno dei prossimi numeri di questo “bollettino”, presenteremo un omaggio ad Arnaldo Pomodoro attraverso i libri da lui illustrati, parte dei quali si possono ammirare nella nostra biblioteca, e che già furono oggetto di una bella mostra nel 2001 alla quale Pomodoro dedicò personalmente molta attenzione. In questo numero Annette Poppel Pozzo conclude l’excursus sulla figura dell’asino alla quale si potrebbero dedicare altri studi e arricchirne così la bibliografia; Gianluca Montinaro prosegue sulla ricerca dei testi utopici mettendo in rilievo un autore, Antonio Brucioli, vittima dell’Inquisizione e del suo fatale occuparsi di religione mista a politica. Matteo Noja, continuando a studiare il fondo Curzio Malaparte, ci presenta un intenso carteggio con Daria Guarnati, la sua editrice, da cui traspare un grande amore per i libri. Ed è quello che a noi, che siamo una biblioteca, piace più sottolineare.

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L’Utopia: prìncipi e princìpi



I DIALOGI DEL “DOTTO” ANTONIO BRUCIOLI L’opera filosofica di un enigmatico pensatore del Rinascimento GIANLUCA MONTINARO

ella ricognizione del Fondo Antico della Biblioteca di via Senato, alla ricerca di testi dell’Utopia, ovvero di quelle opere che si possono ritenere formanti il canone utopico, ci si può imbattere in una curiosa edizione in 4to impressa, fra il 1544 e il 1545, dalla stamperia “Alessandro Brucioli e fratelli”. Guardandola con attenzione si noterà come l’autore, tal Antonio, porti il medesimo cognome dello stampatore, Brucioli. Non è un curioso caso di omonimia: Antonio Brucioli era infatti uno dei due fratelli di Alessandro. Il volume, intitolato Dialogi, diviso in quattro parti (Della morale philosophia; Della naturale philosophia humana; Della metaphisicale philosophia; Della naturale philosophia), per un totale di 340 carte, è l’opera più significativa, dal punto di vista speculativo, di uno fra i personaggi più discussi ed enigmatici del Rinascimento. Passato alla storia per la sua immensa cultura e per le numerose traduzioni e curatele (fra cui il De sphaera dell’astrologo Giovanni Sacrobosco e il Decamerone) di testi classici latini e greci (Rethorica ad Herennium; Historia naturale, Retorica, Del cielo e del mondo, ecc.) e religiosi (i libri della Bibbia), Brucioli riveste un ruolo di primo piano anche nelle vicende del pensiero civile e della Riforma in Italia.

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Le notizie biografiche su Antonio Brucioli mancano di continuità e ciò ha spesso costretto i pochi studiosi che ne hanno affrontato la figura a congetture che potes-

A sinistra: illustrazione del Tabernacolo posto dentro al Cortile

sero colmare le numerose lacune. Nacque nel 1498 a Firenze da famiglia benestante. Dopo la restaurazione medicea del 1512, frequentò i giardini di Palazzo Ruccellai, i celebri Orti Oricellari, ove si incontravano poeti, aristocratici e intellettuali (fra cui anche Niccolò Machiavelli) guidati da Francesco Cattani da Diacceto. Il clima esoterico e anti-mediceo di tendenze repubblicane sicuramente influenzò il giovane Brucioli. Fu poi lo stesso Cattani da Diacceto, grande filosofo neoplatonico e allievo di Marsilio Ficino, a indirizzarlo verso lo studio del greco e del latino e quindi dell’ebraico, lingua che Brucioli arrivò a padroneggiare con notevole scioltezza tanto da meritarsi le lodi di Pietro Aretino, suo amico e sodale. Nel 1522 Brucioli venne coinvolto, anche se solo tangenzialmente, in una congiura contro il cardinale Giuliano de’ Medici. I mandanti furono individuati nei Francesi e nella fazione repubblicana della cerchia oricellaria. Iacopo da Diacceto e Luigi di Tommaso Alamanni, furono processati e passati per le armi. Altri, tra cui Luigi Alamanni e Antonio Brucioli, dovettero trovare scampo a Venezia. Da lì Brucioli passò a Lione ove, fermandosi per oltre due anni, entrò in contatto con alcuni luterani. Furono proprio queste amicizie (e la vasta presenza di liberi stampatori) a suggerire a Brucioli di intraprendere il progetto di tradurre in lingua italiana la Bibbia così come i protestanti stavano facendo in francese e in tedesco. In seguito al sacco di Roma del 1527 e alla caduta dei Medici in Toscana, Brucioli tornò, da amnistiato, a Firenze. Lì entrò subito in contrasto con il governo repubblicano (dominato da vecchi sostenitori di Savonarola) che, con l’accusa di pubblica professione di luteranesimo, lo fece

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A sinistra: frontespizio del Libro quinto dei Dialogi (Venezia 1538) recante la marca tipografia “Putto con ramo di olivo nella mano” di Bartolomeo Zannetti

arrestare nel giugno del 1529. Bandito nuovamente dalla città, si stabilì a Venezia e, presso Lucantonio Giunti, pubblicò la sua traduzione della Bibbia (1532). Nel clima libero della città, ove numerosi erano gli editori, per Brucioli seguirono anni di intenso lavoro. Curò nuove edizioni del Decamerone di Boccaccio (Venezia 1538, 1542, 1543) e delle Rime e Trionfi di Petrarca (Venezia 1548, 1557; Lione 1550, 1551). Mentre tra le traduzioni, per lo più di ambito religioso, vale la pena ricordare un’edizione dei Salmi (Venezia, 1531), una selezione di Epistole, lettioni et evangelii che si legono in tutto l’anno (Venezia 1532; 1539, s.l. s.d.; Venezia 1543) e un Compendio di tutte l’orazioni de’ santi padri, profeti et apostoli, raccolte da sacri libri del Vecchio e Nuovo Testamento (Venezia 1534; Brescia 1538, col titolo Orazioni et preci de’ santi padri; identificata nel 1970 da Carlo Ginzburg come la sola versione italiana dell’opera del luterano nicodemista Otto Brunfels, le Precationes biblicae sanctorum patrum, illustrium virorum et mulierum utriusque Testamenti, 1528).

Nel 1540 presso Bartolomeo Zanetti stampò il suo Commento al Vecchio Testamento seguito poi dal Commento al Nuovo Testamento, impresso dai fratelli Francesco e Alessandro. Ma la tempesta si andava addensando su Brucioli: il suo luteranesimo e il sostegno dato al nicodemismo (almeno fino alla condanna di questa teoria da parte di Calvino) gli avevano attirato non solo l’attenzione dell’Inquisizione ma anche delle magistrature della Serenissima (che, nella sua tolleranza, non aveva comunque piacere che circolassero libri potenzialmente pericolosi entro i propri confini). I commenti alle Sacre scritture vennero posti all’Indice. Nel 1548 il Tribunale dei Savi lo accusò di aver pubblicato insieme ai due fratelli una delle opere che maggiormente avevano contribuito a diffondere la Riforma in Italia: la Tragedia del libero arbitrio di Francesco Negri (1547). Brucioli venne condannato al pagamento di una multa di 50 ducati e messo al bando dalla città. Riparò a Ferrara, presso la duchessa Renata di Francia. L’Inquisizione, grazie anche alla denuncia di un sacerdote con un passato da anabattista, prese ad analizzare le sue opere, arrivando a formulare ben trenta accuse di eresia. Nel 1555 si aprì il processo. Brucioli fu costretto ad abiurare e ad astenersi da ogni futura disputa intorno ai testi della religione. Tutti i suoi libri e manoscritti che trattavano questioni di fede vennero pubblicamente bruciati. Ormai ridotto in miseria dovette subire un altro processo, nel 1558, questa volta con l’accusa specifica di aver sostenuto che Cristo aveva istituito solo i sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia. Condannato al carcere, la pena venne poi ridotta in domicilio coatto. Chiuso in casa e ridotto quasi alla fame, attese la morte come una liberazione: si spense il 5 dicembre 1566.



Il pensiero di Brucioli si muove su due direttrici parallele: la religione e la politica. Entrambe sono strettamente legate: non ci possono essere virtù civiche senza devozione cristiana. Ma la gestione della cosa pubblica non deve essere demandata direttamente agli uomini di Dio. Dovrebbero essere i buoni cittadini a guidare lo Stato, secondo le regole della morale.

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A destra: frontespizio dell’opera Dialogi della morale philosophia di Antonio Brucioli nell’edizione del 1544 per Alessandro e Francesco Brucioli

La posizione di Brucioli, intrisa di Umanesimo civile, non ha nulla a che vedere con la teocrazia apocalittica dei seguaci di Savonarola (con i quali si trovò in contrasto) né con le posizioni dell’ala rigorista del cardinale Carafa (poi papa Paolo IV). Emblematico è il pensiero che Brucioli esprime sui frati il cui compito dovrebbe essere quello di badare «a dir degli ufizi, e non impacciarsi degli Stati». Benedetto Varchi, che riporta queste parole, aggiunge anche che Brucioli «non sapeva, a che servissero tanti vari abiti e tante diversità di regole, ché tutti arebbono ad andar vestiti a un modo, sotto una regola medesima; la peste delle città e le rovine delle repubbliche essere più d’altri i frati, e allegava l’esempio di fra’ Girolamo, che aveva diviso e malcondotto Firenze; diceva ancora, che dove anticamente ne’ testamenti si facevano de’ lasci alle repubbliche, o per fortificazione o per ornamenti delle città o per riparamento de’ fiumi o per rassettamento delle strade, oggidì si lasciano a frati, perché ridendosi eglino di cotali sciocchi, si stiano non a lavorare, ma a trionfare e poltroneggiare ne’ conventi».2 Nella sostanza, da una parte Brucioli rifiuta il governo mercantile dei Medici, dall’altra condanna l’ingerenza clericale in politica, portatrice di tanti mali (come aveva dimostrato l’esperienza di Savonarola) e incompatibile con la missione ecclesiastica di insegnare il vangelo e così migliorare la moralità civica.



L’esposizione compiuta del pensiero politico di Brucioli si trova nei Dialogi. Il testo fu abbozzato dopo la fuga da Firenze del 1522. Nel 1526, grazie all’intervento di Massimiliano Sforza, duca di Milano, Brucioli ne diede alle stampe, presso l’editore veneziano Gregorio de’ Gregori, una prima versione. Si trattava di trenta dialoghi, e i nomi degli interlocutori erano celati dietro pseudonimi classici. Negli anni successivi, fra il 1528 e il 1529, videro la luce, presso i fratelli Nicolini da Sabbio, le altre tre parti (rispettivamente di 25, 20 e 25 dialoghi). In seguito tutta l’opera fu rieditata dalla tipografia Zanetti fra il 1537 e il 1538. Brucioli intervenne sul materiale, modificandone la prima parte. Inoltre ai nomi classici sostituì nomi di suoi amici e, togliendo tre dialoghi, ne inserì al-

trettanti: Dell’offizio della moglie; Dell’amore e Della bellezza e gratia. Ugualmente altri due inediti dialoghi entrarono nella seconda e terza parte dell’opera. I dialoghi espunti formarono una quinta parte, molto breve, intitolata Dialogi faceti. Praticamente senza variazioni apparve l’edizione impressa nella tipografia di famiglia (15441545), tranne che solo le prime quattro parti videro la luce mentre dei Dialogi faceti si persero le tracce (non di rado, come anche nel caso delle raccolte della BvS, è l’edizione Zanetti del 1538 a valere come quinta parte). Nei Dialogi (soprattutto nel primo libro) Brucioli integra l’ideale neoplatonico dello Stato perfetto con la nozione aristotelica della corruttibilità di tutte le cose umane. Mosso ancora da una umanistica fiducia verso l’uomo, ammette, in ambito politico, posizioni di realismo secondo l’idea che le istituzioni umane più che perfette sono perfettibili. Soprattutto nei tre dialoghi, Della repubblica, Delle leggi della repubblica e Del giusto principe, si trova esposto il pensiero brucioliano.

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Nella pagina accanto: frontespizio della Bibia, stampata nel 1562 a Ginevra. Si tratta della revisione della traduzione di Antonio Brucioli ad opera di Filippo Rustici, eseguita per i protestanti di Ginevra. A destra: dedica ad Alfonso d’Este nel Libro quinto dei Dialogi

Finti non negli Orti Oricellari (come la maggior parte degli altri) ma nella villa pesarese dell’Imperiale, residenza di campagna dei duchi della Rovere, questi raffinati conversari vedono protagonisti Gian Giorgio Trissino, Bernardo Salviati, il conte Gian Giacomo Leonardi e Niccolò Machiavelli. La discussione prende l’avvio dal confronto fra l’immagine di serenità del ducato di Urbino e le guerre intestine di Firenze. Trissino (Brucioli stesso) ricorda come decadenza e morte siano il naturale destino di tutti quegli Stati che si allontanano dall’aristotelico principio dell’aurea mediocritas. Il concetto di giusto mezzo, ovvero il buon senso individuale unito alla tolleranza, è l’unica ricetta per far prosperare la repubblica, ovvero «una società et compagnia, la quale ha in sé il fine di tutta la sufficentia, constituita per causa di vivere bene e rettamente». Verso il comunismo dei beni Brucioli è sferzante: portando a esempio «l’esperientia, la quale bene spesso è madre della scienza» lo bolla come assurdo e immorale perché alcuno si sentirà in obbligo di lavorare e produrre la ricchezza necessaria alla vita dello Stato. Imbevuto dell’ideale umanistico che aveva respirato a palazzo Ruccellai, anche nella gestione della cosa pubblica Brucioli sostiene il principio della “mediocrità”: a ricoprire posti di potere non siano chiamati i troppo poveri (il popolo) né i troppo ricchi (che per Brucioli si identificano con i Medici). Richiamando alla memoria la storia di Roma, Brucioli ricorda come la Città Eterna sia decaduta quando crebbe in potenza la classe equestre. Per Brucioli non esiste però una regola universale né tantomeno un ordinamento perfetto che garantisca l’esi-

NOTE 1 Cfr. G. Spini, Tra rinascimento e riforma. Antonio Brucioli, Firenze, La Nuova Italia, 1940. 2 B. Varchi, Storia fiorentina, 1803, p. 281. 3 A. Brucioli, Dialoghi, Venezia, Alessandro Brucioli e fratelli, 1544, c. 26 v. 4 passim.

stenza perpetua a uno Stato. La politica è l’arte della gestione del quotidiano e del mutamento: giusto le leggi (a patto che siano frutto di un legislatore guidato dal buon senso) possono frenare la naturale deriva verso il caos. E’ interessante notare come nella revisione del 1538, Brucioli tenda a sfumare le posizioni più platoneggianti espresse nella prima edizione del 1526. Gli influssi platonici, assorbiti durante la frequentazione degli Orti Oricellari, cedono il passo all’aristotelismo dell’aurea mediocritas. Le proprie esperienze di vita nonché l’imbarbarimento della situazione fiorentina (e italiana in generale) conducono Brucioli su posizioni più realistiche e ciniche, decisamente affini ai Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio dell’amico e sodale Machiavelli. Dialogi di Antonio Brucioli. Impresso in Venetia per Francesco Brucioli, & i frategli nel 1544. Dialogi di Antonio Brucioli libro quinto. In Venetia per Bartholomeo Zanetti da Brescia. 1538.

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BvS: dal Fondo Antico



IL MORSO DELL’ASINO DISEGNA LA MODERNITÀ L’animale in letteratura, da Pinocchio a Guerrazzi e Rata-Langa ANNETTE POPEL POZZO

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on questa, è la terza volta che parliamo di asini nel Bollettino della Biblioteca di via Senato e ci siamo certamente affezionati alla figura di questo animale, fedele accompagnatore dell’uomo nei secoli, dalla favola classica greca e latina fino ai più recenti esempi nei cartoni animati — basti pensare al disneyano Ih-Oh, l’asinello di peluche amico di Winnie the Pooh, o a Ciuchino, l’asino parlante di Shrek, entrambi amatissimi dai bambini di tutto il mondo. E quale bambino (e quale adulto) non conosce Lucignolo, l’amico di Pinocchio nell’opera di Carlo Collodi (1826-1890), pubblicata per la prima volta in forma di libro nel 1883, che viene interpretata immediatamente da numerosi artisti – con le illustrazioni per la prima edizione in volume dovute a Enrico Mazzanti (18501910). Anche la storia di Pinocchio raggiunge fama internazionale grazie a una pellicola Disney, del 1940, e si conferma uno dei libri più tra-

Nella pagina accanto a sinistra: “Bepi estivo”, ripreso dall’asino protagonista. A destra: antiporta raffigurante Francesco Domenico Guerrazzi e il frontespizio contenente una vignetta dell’asino della prima edizione di L’Asino, Sogno, Torino, 1857

dotti e venduti della storia della letteratura italiana.



“Lucignolo”, il cui vero nome è Romeo, deve il soprannome al “suo personalino asciutto, secco e allampanato, tale e quale come il lucignolo nuovo di un lumino da notte”. Compare la prima volta nel trentesimo capitolo de Le avventure di Pinocchio, quando convince il burattino ad accompagnarlo nel Paese dei balocchi, dove “non vi sono scuole: lì non vi sono maestri: lì non vi sono libri. In quel paese benedetto non si studia mai”. Divertendosi senza freni, i due scolari fuggia-

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schi si ritrovano gradualmente trasformati in asini, per essere infine venduti, in quanto asini, nella piazza del mercato. Mentre Pinocchio ha la possibilità di ritrasformarsi in burattino e alla fine in ragazzo umano, Lucignolo rimarrà per sua sventura asino, fino alla miseranda fine, “rifinito dalla fame e dal troppo lavoro”. Sono molti i paralleli tra Le avventure di Pinocchio e L’Asino d’oro di Lucio Apuleio, a cominciare proprio dal nome di Lucignolo, che oltre alla spiegazione riportata sopra, di essere cioè secco e allampanato come il lucignolo di un lumino, ha un chiaro riferimento all’asino Lucio, il protagonista delle Metamorfosi.



Per quel che riguarda Pinocchio, invece, vediamo che nel circo, mantenendo raziocinio umano pur nella sua asinità, il burattino, come Lucio prima di lui, rifiuta il fieno e chiede pane e salame. La trasformazione in asino e la seguente ritrasformazione – sempre sul mo-

dello apuleiano – indica una liberazione attraverso un travaglio: l’asino stupido dell’inizio si trasforma nell’asino saggio del finale. Sulla somiglianza tra Lucio di Apuleio e Pinocchio di Collodi nota Franco Cardini che “anch’egli ignorante ed ostinato e anch’egli salvato dalla sua Iside materna, ma anche ctonia e terribile - la fata dai capelli turchini - dopo una serie agghiacciante di discese agli Inferi (dal Paese dei Balocchi al ventre del pescecane)”.1 La “bambinata” di Pinocchio nelle parole dell’Autore è metafora con valore morale e pedagogico, dovuta alle esperienze di Collodi come autore di testi scolastici, come scrittore satirico e come bozzettista alla ricerca di una lingua non letteraria, che trova piena realizzazione nel toscano vivo nel quale viene narrata la celebre fiaba.2



Ritroviamo la figura dell’asino inoltre in due importanti pubblicazioni italiane della seconda metà del-

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Nella pagina accanto da sinistra: “Gli eroi che restano a casa”, caricatura per il numero del 2 giugno 1912; immagine satirico anticlericale con l’asino spettatore dall’alto. A destra: altra immagine satirica di Rata-Langa intitolata “L’estremo duello”

l’Ottocento d’ispirazione partigiana e democratica. Il livornese Francesco Domenico Guerrazzi (18041873) pubblica nel 1857 il romanzo L’asino,3 narrato nella forma di un sogno fantastico, fra apocalittico e burlesco, che l’Autore finge di aver fatto “nella notte millesima sesta della mia quarta prigionia”.4 Migliaia di anni sono trascorsi dalla fine del mondo, e gli uomini e gli animali estinti sono chiamati al giudizio universale. In attesa del giudizio degli uomini (rimandato a quarantamila secoli dopo), gli angeli scelgono Salomone come giudice degli animali che subito dichiara di volersi liberare dal pregiudizio e di ritenere le bestie in nulla inferiori all’uomo. Le bestie scelgono l’asino per avvocato, al quale spetta enunciare un’apologia in favore degli animali, che contrappone i meriti degli animali ai vizi degli uomini. L’agognata sentenza da parte di Salomone non ha però luogo, poiché gli animali, rimasti entusiasti dell’apologia del loro avvocato, gettatisi sull’asino per abbracciarlo e congratularsi, finiscono per uccidere proprio lui. Del resto, il sogno del protagonista si interrompe in quel momento fatale: “Quale poi rendesse sentenza re Salomone io non posso referire, conciossiaché in quel punto mi venisse rotto il sonno nella testa da un osanna di ragli di Asini i quali mi visitavano settimanalmente nel carcere delle Murate per certa opera pia” (p. 532).



Quello di Guerrazzi è un romanzo morale di chiara impronta satirica-politica, che non è privo di un aspetto comico. Benché aspro e di tendenza pessimista, contiene numerose citazioni letterarie, includendo molte celebri asinerie, che spaziano dal De incertitudine et vanitate scientiarum di Heinrich Agrippa von Nettesheim, a L’asino di Niccolò Machiavelli fino alla Laus Asini di Daniel Heinsius e diverse altre, tutte riportate dallo stesso asino protagonista: “Gessner, comecchè tedesco, che dettò il libro: De antiqua honestate Asino-

rum, […] Il Tischebein (notate bene la venerazione dei tedeschi per l’Asino), che fu direttore insigne della reale Accademia di Napoli, disegnò immagini stupende rappresentanti la nascita, le avventure e la morte dell’Asino […] L’Heinsio (sempre tedesco) si onorò onorandomi col panegirico De laude Asini. Cornelio Agrippa conclude la declamazione de Vanitate Scientiarum coll’Encomium Asini. Il Paolino scrisse un trattato de Onographia, Plinio il Vecchio nella Storia naturale, Aristotile ed Eliano nelle Storie degli animali, l’Aldrovando nel trattato de Quadrupedibus solidis, di me parlarono sparsamente cose dotte quanto leggiadre. L’Egadio, il Pierio nei Geroglifici, l’Haseo nella Diatriba, Giovanni Maggiore e Francesco Widebran spesero con grato animo, ed utile non mediocre le forze dello ingegno intorno alle facende dell’Asino. Apuleio, l’autore della Luceide, il Firenzuola e Niccolò Macchiavello accrebbero lustro alla propria fama scrivendo dell’Asino e per di più di oro. Il Shakespeare, divivo raggio di mente, non

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istette né anche un minuto in forse di darmi per innamorata Titania, la venustissima fra tutte le fate, nel Sogno della notte estiva […] Il maggiore Comico latino cavò da me il titolo della sua commedia Asinaria, ed io la lasciai fare […] Lorenzo Sterne nel Viaggio sentimentale versò sopra i nostri non meritati martirii le lacrime più caritative, che mai abbiano pianto occhi mortali” (p. 286-287). A Guerrazzi si deve anche la metafora “come il popolo è l’asino: utile, paziente e bastonato”, che in forma di motto fa da sottotitolo al settimanale politico-satirico L’Asino, fondato a Roma nel novembre del 1892 e diretto da Guido Podrecca e Gabriele Galantara (in arte prevalentemente Rata-Langa, ma firmando

anche con A.A. Lagrant, Blitz e Grottesco),5 un periodico caratterizzato da forte critica sociale e da acceso anticlericalismo.



Un bell’asino con pipa in bocca e pimpante fazzoletto rosso al collo, si rivolge con arguta espressione – con riferimento a qualche verso del sonetto di Giosuè Carducci (1835-1907) L’asino, o vero dell’ideale6 – direttamente ai fratelli d’Italia nella prima locandina pubblicitaria disegnata da Rata-Langa: “Il mondo è diviso in due categorie di miei Simili. I primi portano la farina; i secondi se la mangiano! … I primi stanno nei campi, i secondi alla greppia! … I primi hanno il basto; i secondi

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Nella pagina accanto: disegno originale di Roberto Sgrilli (1897-1985): “Pinocchio ubbidiente piegò subito i due ginocchi davanti, e rimase inginocchiato”. A destra: disegno originale di Roberto Sgrilli per la sua interpretazione di Pinocchio: “i ciuchini galoppavano, il carro correva, i ragazzi dentro al carro dormivano”

il bastone! … Ecco l’iniquità! Vengo al mondo tra gli asini da soma sprangando calci a destra e a sinistra! Io vengo al mondo e getto il grido della ribellione! Buttate all’aria il basto e frantumate il bastone … Per l’uguaglianza terrena alziamo l’inno di rivolta di tutti gli asini da soma contro gli asini d’oro’’. Il motivo viene ripreso nell’articolo di fondo del primo numero Prendendo il trotto: “Oh, vivaddio … basta! … è ora di finirla; e col primo vagito mando un raglio di ribellione: Compagni di fatica! Sprangate calci a destra, a sinistra … e al centro! Buttate il basto! E frantumate il bastone! Non è giusto, perdio! Che molti asini da soma facciano una vita … da cani! E che pochi asini d’oro facciano una vita … da porci!’’



I temi affrontati, riportati e rinforzati con graffiante tratto di caricatura non risparmiano nessuno, dal Papa ai politici. L’Asino ottiene subito uno straordinario successo di pubblico, considerando che le 30.000 copie del primo numero vanno a ruba, e “con il nuovo

NOTE L’asino, in Abstracta 11 (1987), p. 48. Collodi prima di Pinocchio aveva già pubblicato nei Racconti delle fate la storia La pelle d’asino che rappresenta una rielaborazione del testo di Charles Perrault. 3 Francesco Domenico Guerrazzi, L’asino. Sogno, Torino, Tip. Scolastica di Sebastiano Franco e Figli e Comp., 1857. 4 Come è noto Guerrazzi subì per motivi politici più di un processo, fu imprigionato 1 2

secolo la tiratura passò a 60.000 copie e piú. Segno che la polemica anticlericale riscuoteva successo, era sentita, era, in una parola, popolare”.7 La coerenza politica del foglio resta grosso modo costante per l’intera lunga e travagliata esistenza,8 dal 1892 al 1925, anno della sua chiusura, mantenendo “la caratteristica fondamentale della satira politica” che “è piuttosto la lotta a volte vincente, a volte soccombente contro la propria ambiguità: insomma l’ambiguità stessa”9 – un’immagine molto nota e familiare alla nostra figura dell’asino.

nel carcere delle Murate e condannato all’esilio in Corsica. 5 Cfr. Oreste Del Buono, Poco da ridere. Storia privata della satira politica dall’”Asino” a “Linus”, Bari, De Donato Editore, 1976, p. 9-52, e Guido Davide Neri, Galantara. Il morso dell’Asino, Milano, Feltrinelli, 1980; Guido Podrecca e Gabriele Galantara, L’Asino (1892-1925), Presentazione di Giorgio Candeloro, Scelta e note di Edio Vallini, Milano, Feltrinelli, 1973. 6 Carducci nell’ode Davanti san Guido,

(fine terza e ultima parte)

contenuta nella raccolta poetica Rime nuove, descrive “Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo | Rosso e turchino, non si scomodò: |Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo | E a brucar serio e lento seguitò” che è simbolo dell’indifferenza e ottusità di una società conservatrice di fronte al progresso. 7 Oreste Del Buono, p. 19. 8 Va ricordata qualche parentesi come la guerra di Libia, vista in modo favorevole da Podrecca ma avversata da Galantara. 9 Oreste Del Buono, p. 21.

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BvS: dall’Archivio Malaparte/2



CURZIO - DARIA GUARNATI UN INTENSO CARTEGGIO L’amicizia e l’affetto con la sua editrice. E il loro amore per i libri LAURA MARIANI CONTI E MATTEO NOJA

(seconda parte)

I

I primi libri in programma sono Inni e satire (o Panfollia, che Bompiani aveva rifutato di pubblicare criticandone stile e contenuti, e che poi avrà come titolo Battibecco. Inni satire epigrammi) e Storia di domani che esce a puntate su “Tempo” di Arturo Tofanelli. Per questi libri, Federico Pallavicini studierà una sovraccoperta adatta. Sul frontespizio, in basso, appena sopra la dicitura “Aria d’Italia Milano-Roma”, campeggia stilizzata la donna che Gio Ponti aveva disegnato per la copertina del primo fascicolo della rivista omonima, figura che ora è riportata anche al dorso (compreso quello della sovraccoperta) dei libri.

l 27 gennaio 1949, finalmente, dopo molti ritardi dovuti alla correzione delle bozze, a incomprensioni tra i due, agli impegni teatrali di Malaparte, esce la prima copia della “edizione definitiva” (in realtà si tratta della quarta edizione) di Kaputt. Daria lo annuncia trionfalmente in un biglietto scritto mentre è a Parigi, alla vigilia del debutto di Das Kapital. Il 1º febbraio, sempre in un biglietto da Parigi, la Guarnati curiosamente fa cenno alla proposta di Malaparte di una “specie di società Nella pagina a sinistra, Malaparte a per le sue opere”. E gli scrive: «Ma Parigi ritratto da Robert Doisneau. mi aiuti in principio più che può: apSopra una prima stesura de La pelle, pena potrò le renderò quello che ancora con il titolo La peste avrà anticipato anche per me». Il 18 febbraio, Daria poi gli In un primo momento Daria scrive: «Tutto bene con i soci! W Aria d’Italia!». Nanon vorrebbe usare la sigla Aria d’Italia per le opere sce così la casa editrice che ha come scopo esclusivo dell’amico scrittore, perché pensa di poterla usare per quello di pubblicare tutte le opere di Malaparte. È difpubblicare dei quaderni d’arte, non tanto per sentirsi ficile capire, dalla corrispondenza tra i due, quanto lo dire “bello, bello, bello”, ma, una volta tanto per guadascrittore abbia all’inizio anche un ruolo economico gnare22; dopo poco, il 4 maggio, scrive: «Usciamo come come socio. Sembra, da quanto dice la Guarnati, che Aria d’Italia, senz’altro»; evidentemente Malaparte lo scrittore, attraverso i diritti d’autore di Kaputt, fiche aveva già scelto il nome della casa editrice non volenanzi la nuova casa editrice (Edizioni Aria d’Italia, va cambiare. Milano-Roma): ogni volta Olivotto, l’amministratore Le lettere si succedono in modo serrato, ma sono della piccola società, lo avrebbe prontamente inforper lo più di contenuto editoriale, sulle correzioni dei temato dei movimenti di denaro. sti, appunti per copertine, sovraccoperte, fascette, sulle



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Storia di domani, breve romanzo di fantapolitica, uscito prima a puntate sul settimanale "Tempo"

spese tipografiche, sui conti dei diritti. Malaparte ha comprato della carta d’occasione a Roma e Daria Guarnati propone di usarne un po’ di quella «gialla (anzi “verde Patou”)» per fare le cento copie speciali, di cui «25 numerate da A a Z fuori commercio (a lei vanno bene 10 copie?) e 75 numerate da 1 a 75, firmate dall’autore (?). Rilegate su ordinazione perché molti amatori vogliono far rilegare a modo loro. Molto care in tutti i casi»23. Alle numerose richieste della sua editrice, Malaparte tarda a rispondere e i problemi si sommano ai problemi: il tipografo minaccia di mandare all’aria la composizione della ristampa di Kaputt se non vengono apportate le correzioni entro una certa data; chi aveva comprato metà della tiratura del libro, trovandosi finanziariamente in cattive acque (non dice il nome, ma solo che, in società con Treccani, ha comperato una libreria antiquaria nel centro di Milano e conseguentemente acquistato molti libri che non ha ancora smaltito) non riesce a fare fronte alle promesse, e così via.

Davanti alle insistenze della sua “socia”, alle petulanti ripetizioni – peraltro ben giustificate dai suoi ritardi e dalle sue assenze – Malaparte scrive alcune lettere piene di «insolenze, esagerazioni, calunnie, bugie» cui Daria ribatte con molta pazienza e dolce precisione, punto per punto. Ma nonostante tutto, la programmazione delle opere complete dello scrittore va avanti, tanto che la Guarnati ha già comprato i diritti della Tecnica del colpo di Stato; dulcis in fundo, gli annuncia il tanto sognato viaggio in America, che si accinge a fare perché invitata a collaborare alla realizzazione e al lancio di una nuova rivista. Daria Guarnati presenta a Malaparte un giovane critico d’arte molto promettente, amico di Bardi, che curerà l’uscita delle sue opere, Ettore Camesasca24 (alcune sue lettere, incentrate su problemi legati ai libri malapartiani di Aria d’Italia, sono presenti nell’Archivio): sarà lui a sostituire Daria mentre sarà negli Stati Uniti per tutto ciò che riguarda stampa e tipografia.

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Palmiro Togliatti, indispettito dal tono anticomunista del romanzo, si scaglia contro Malaparte

Durante il soggiorno americano, la Guarnati, che lavora per Fleur Cowles e per la sua rivista “Flair”, incontra più volte Prezzolini, con il quale parla del comune amico, ma soprattutto della trasposizione cinematografica di Kaputt: nelle lettere esorta, prega, supplica l’amico scrittore di mandarle quelle benedette pagine con il trattamento per la sceneggiatura, preghiere che, come sempre, non saranno ascoltate.



La fine del ’49 non coincide con un periodo favorevole allo scrittore: la morte della madre lo addolora fortemente e, subito dopo, una malattia ai nervi lo costringe a letto a Firenze, impedendogli di lavorare come vorrebbe e di scrivere agli amici. Tornata dall’America, Daria si ferma a Parigi fino agli inizi del 1950. Quando viene a sapere il motivo del lungo silenzio di Malaparte, gli invia alcune commoventi lettere in cui lo incoraggia e lo sostiene. È uscita La pelle ed è subito un grande successo. I

conti della casa editrice tornano in pareggio e quindi può cominciare a pagare i diritti allo scrittore. Alla fine di gennaio, alla notizia della guarigione, Daria, avendo saputo dei suoi nuovi progetti – Malaparte sta pensando seriamente a fare un film, Il Cristo proibito –, gli scrive un biglietto scherzoso: «Sento di un film. Non dimentichi il nostro, se no dovrò farle una causa per danni!». Le vendite della Pelle sono clamorose: dopo l’esaurimento delle prime, Daria dispone per una ristampa di altrettante 10.000 copie; in un anno saranno 60.000. Gli chiede il permesso di pubblicare una fascetta con riportata la frase: «Un gran libro, un libro terribile che rinnova il trionfo di Kaputt»; ed evita di rispondere alle sue provocazioni: «Lei non creda che le sue frasi non mi raggiungano. Ma come polemizzare, anche quando non si ha torto del tutto (!), con il principe dei polemizzatori???». Gli invia dei soldi, due assegni, scrivendo: «Lei sa che è più facile vendere che incassare soldi dai librai. Na-

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Alcune reazioni alla Pelle, libro che ebbe un grandissimo successo, ma fu molto discusso e condannato. Nella pagina accanto: Anche Il Volga nasce in Europa ottiene un grande successo e viene tradotto in molte lingue

turalmente ho poi un mucchio di cose da pagare specie per carta e tipografo. Ma farò di tutto per inviarle assegni più spesso che sia possibile».



In febbraio gli scrive: «Pallucchini – che è un prepotente e che è “pazzo” per la La Pelle – vorrebbe che mettessimo [sulla fascetta, n.d.r.]: “Il libro del quale “L’Unità” ha chiesto il sequestro”» e in fine alla lettera25, nel caso si fosse dimenticato dell’impegno cinematogra-

fico preso con lei tanto tempo prima, lo incalza: «Mi dica che film sta facendo e con chi???». A questo punto una lettera, quella del 24 febbraio 1950, chiarisce i rapporti che intercorrono tra i due, non sempre facili e amichevoli come sembrerebbe, e vale la pena di citarla quasi per intero: «[…] Come lei me lo consiglia affettuosamente (“non se l’abbia a male cara Daria”) non me ne ho male di tutto questo. Ormai conosco troppo il suo magnifico carattere, tutto imbottito di tremende burrasche che scop-

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piano all’improvviso, per potermene avere a male. Credo che il suo e il mio avvocato si divertirebbero molto a leggere le sue imprecazioni alternate con le sue espressioni di affetto e ammirazione per la mia onestà, il mio gusto, ecc. ecc. Constaterebbero anche le mie innumerevoli preghiere, solleciti, affettuose proteste per cercare di ottenere da lei, molto spesso invano, risposte urgenti, pareri, bozze, correzioni, ecc. ecc. Noterebbero tante cose sorprendenti, ad esempio che lei ancora alla metà di gennaio mi chiede quando uscirà il libro [La pelle, n.d.r.] (senza fare accenni ad alcun dispiacere) mentre (non essendo io stata informata da un famigliare qualsiasi del suo lutto, della sua malattia, della sua permanenza a Firenze) una copia le era già stata spedita a Capri e il libro era già in vendita!… proprio non è il mio carattere lagnarmi, rimproverare, discutere, assillare. È mio carattere lavorare con serietà onesta e devozione come lo sanno tutti quelli: autori, editori od altri con i quali ho lavorato per 11 anni. Lei conosceva benissimo le lacune per le quali oggi mi rimprovera quand vous m’avez “choisie entre toutes” (o tutti), ma sapeva che c’erano con me altri innegabili vantaggi che presso altri non avrebbe mai trovato riuniti (a me non ha mai dato però la soddisfazione di dire che i suoi libri erano curati e stampati bene. L’ho saputo per caso da amici suoi ai quali lo ha detto e ripetuto). […] Lei ora mi fa colpa di aver lasciato il libro esaurito per qualche giorno (sa benissimo che quando si tratta di un libro di grande valore questo fatto serve ancora ad accrescere la voglia e il desiderio di comprarlo!) mentre altri suoi libri celeberrimi e richiestissimi rimasero esauriti per mesi e mesi senza che lei chiamasse in aiuto l’avvocato. Lei è un caro amico, Curzio! A chi ha pensato di affidare Kaputt quando chi lo aveva pubblicato non era in grado di ristamparlo, e gli altri editori in linea volevano togliere varie pagine della prima edizione? A chi ha affidato Il Battibecco quando un altro editore desiderava farvi dei tagli? A chi ha affidato Storia di domani, votato in partenza all’indifferenza del lettore italiano che non compera opere già uscite a puntate

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anche se non ne ha, a suo tempo, letto una riga? […] Caro, carissimo Curzio non sia, come diceva quell’altro, “burrascoso”! Lavori ad altre bellissime cose e lasci lavorare anche me che mi son messa a questa febbrile attività perché la sua fiduciosa amicizia me lo ha comandato. Purtroppo autori e editori sono spesso in baruffa, come i cani e i gatti, le nuore e le suocere. Malgré tout, caro Malaparte, le voglio molto bene e le mando tanti cari saluti. Daria. P.S. Mi dica quanti soldi vuole e glieli manderò».



Dopo questa lettera, per qualche mese Daria smette di scrivere direttamente a Malaparte, indirizzando ogni comunicazione all’avvocato Carnaroli, legale e amico dello scrittore. Ritornerà a scrivergli dopo che “Malapà”, come aveva cominciato amichevolmente a chiamarlo, le invierà un cenno affettuoso. E tornerà a scrivergli alla stessa maniera di prima, elencando alla sinistra del foglio gli argomenti e sviluppandoli puntualmente a destra. E tornerà a chiedergli amicizia, complicità e favori: «Ed ora una preghiera! Ho assolutamente bisogno di riprendere una macchina. Vorrei la 1.400. Sono stata l’altro giorno alla Fiat e l’ing. Ferrari che mi ha ricevuta e fatto provare le macchine tutte in una volta si è messo a dire che recentemente aveva incontrato Gianni Agnelli che aveva parlato di lei Curzio in termini ditirambici. […] Mi aiuti perché fino all’estate si consegnano soltanto macchine ai raccomandatissimi […]. Mi mandi due righe per Gianni Agnelli ed io me la sbrigo a Torino in un momento. Me le mandi per piacere subito subito!»26. Una decina di giorni dopo lo informa: «Avuto il suo espresso sono corsa a Torino da dove le ho telegrafato. Assente Gianni Agnelli sapevo che mi conveniva cercare dell’avv. Buratti il quale è stato molto gentile e mi ha lasciato sperare in una consegna di favore. Ho fatto il contratto e cercherò di essere paziente. Grazie ancora. E grazie degli auguri per la Packard e il visone! (La sua lettera era tutto un fuoco d’artificio. Un giorno

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pubblicheremo anche qualche sua lettera)»27. Daria riceve la sua auto, grazie alla raccomandazione di Malaparte, ai primi di agosto.



Alla fine del 1951, Daria pensa di riprendere le pubblicazioni di “Prospettive”, anche perché l’editore Görlich di Milano vorrebbe metter in commercio una rivista di architettura e arredamento con lo stesso titolo (la rivista uscirà ugualmente fino al 1963). Allarmata per questo fatto, sapendo quanto Malaparte tenesse alla sua rivista, cerca in tutti i modi di bloccare l’uscita della rivista omonima. Prepara in pochissimo tempo tutti i documenti, li registra in Prefettura, e in men che non si dica prepara il fascicolo di dicembre. Nove anni dopo la chiusura esce così, con data “1º dicembre 1951-1º gennaio 1952”, il numero 40-41 di “Prospettve”. Il titolo è Guerra e sciopero: oltre al polemico testo di Malaparte (con lo stesso titolo del fascicolo) che è la nuova prefazione alla riedizione di Il Volga nasce in Euro-

pa, il fascicolo pubblica un “epistolario militare” indirizzato a Henri Lapauze (padre di Daria che ai tempi della prima guerra mondiale dirigeva la rivista “La Reanissance”), che contiene lettere di D’Annunzio, Apollinaire, Guynemer, Barbusse, Carco, e il saggio di De Pisis Venezia o la consolazione della pietra. Il fascicolo riporta il catalogo delle Edizioni Aria d’Italia e delle Edizioni Daria Guarnati, l’elenco completo dei fascicoli di “Prospettive” e quello di tutti i collaboratori della rivista. La turbolenta amicizia e la stretta collaborazione dei due continueranno sino al 1957, anno della morte dello scrittore. Le lettere si susseguiranno regolarmente numerose e scandiranno la loro attività, i comuni progetti, la loro vita: i telegrammi incalzeranno i reciproci ritardi, i pagamenti allo scrittore seguiranno il flusso dei conti, i biglietti invocheranno la spedizione delle bozze corrette, delle copie, delle copertine vistate. Ancora Daria sognerà di fare del cinema con l’amico scrittore e già cineasta: cercherà in tutti i modi di produrre, in società con altri, quella Lotta con l’angelo di cui

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A nove anni dalla chiusura ufficiale, esce il n. 40-41 di "Prospettive", per opera di Daria Guarnati. A destra, uno delle molte trame e sceneggiature che il grande scrittore lascia incompiute, Lotta con l'angelo, storia ispirata a un fatto di cronaca Nella pagina a sinistra: Malaparte convalescente dopo la morte della madre [1950]

resta una completa sceneggiatura curata da Malaparte. Ancora una volta dovrà arrendersi all’indolenza dell’amico e alla malafede di molti che gli gravitano intorno. Instancabile, Daria nel 1954 aprirà una galleria a Milano, la Galleria del Sole in via Sant’Andrea 5, che però chiuderà solo l’anno dopo, quando subentrerà Beatrice Monti28 – giovane amica di Malaparte inviata in aiuto alla Guarnati – che la ribattezzerà Galleria dell’Ariete. Le edizioni Daria Guarnati e Aria d’Italia chiuderanno “per motivi di salute e d’età” nel 1962; Daria morirà nel 1965.



Le contumelie alternate ai reciproci complimenti,

fanno di queste carte un documento vivo, che spiega meglio di voluminosi saggi il carattere, le intenzioni, i progetti dello scrittore e della sua volenterosa editrice. Dallo studio di questo epistolario, che qui abbiamo solo “assaggiato”, può uscire una storia inedita non solo della vicenda editoriale di Daria Guarnati e delle sue edizioni malapartiane con Aria d’Italia, ma del mondo intellettuale di allora, di un’epoca non certo “preistorica”, ma che pure, per come viviamo oggi, pare molto lontana. E per i più giovani, difficile da capire.



Elenco delle Opere di Curzio Malaparte edite da Aria d’Italia (volumi in brossura con sovraccoperta, 20 cm)

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Malaparte al montaggio e sulla lavorazione del film Il Cristo proibito

• I Il battibecco [1949], 206 p. • II Storia di domani [1949], 179 p. • III La pelle [1949, rist.: 1951, 1955, 1956, 1957], 416 p. • IV Kaputt [1950, rist.: 1951, 1954, 1956, 1957], XII, 479 p. • V Das Kapital [1951], 357 p. • VI Il Volga nasce in Europa [1951, rist.: 1952], XVI, 321 p. • VII Don Camaleo [1953], 275 p. • VIII Anche le donne hanno perso la guerra [1954], 195 p.

NOTE 22 Lettera del 13 aprile 1949. 23 Lettera del 26 maggio 1949. 24 Ettore Camesasca (1922-1995), personalità poliedrica, è noto soprattutto per la curatela dei Classici dell’Arte Rizzoli, per aver organizzato varie mostre anche internazionali, per la collaborazione con P.M. Bardi nell’allestimento del Museo d’Arte di San Paolo del

• • • • • • •

IX X XI XII XIII XIV XV

Fughe in prigione [1954], 278 p. Sangue [1954], 227 p. Tecnica del colpo di stato [1955], 207 p. Maledetti toscani [1956], 261 p. Due anni di battibecco [1956], 395 p. Il sole è cieco [1957], XV, 178 p. I custodi del disordine [1957], 64 p.

Nel 1948 è stata pubblicata la quarta edizione, rivista e corretta, di Kaputt con la sigla Edizioni Daria Guarnati, che in un anno viene ristampata 6 volte. (fine seconda e ultima parte)

Brasile, per ricercati studi – sia monografici, sia riedizioni di classici – su figure artistiche, in particolare rinascimentali. La sua biblioteca è stata depositata dagli eredi a Milano presso la Fondazione Boschi Di Stefano. 25 16 febbraio 1950. 26 Lettera del 5 maggio 1950. 27 Lettera del 16 maggio 1950. 28 Beatrice Monti della Corte (n. 1930) con

la Galleria dell’Ariete promuoverà l’arte contemporanea italiana e straniera, facendosi conoscere in tutto il mondo. Sposerà lo scrittore austriaco Gregor von Rezzori (1914-1998) e con lui fonderà il Ritiro Santa Maddalena, sopra Pontassieve, nelle terre dei Guicciardini. In questa tenuta, ogni anno ospita ancora oggi scrittori da tutto il mondo e organizza un importante Festival di letteratura.

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BvS: il Teatro di Verdura



UN’ESTATE DI SPETTACOLI “A TUTTA PAGINA” Un bilancio dei nostri più caldi appuntamenti con i libri in scena MATTEO TOSI

C

on la metà di settembre si è conclusa anche questa XIV edizione del nostro Teatro di Verdura e, come di consueto, sono stati gli spettacoli e gli adattamenti scenici pensati per i ragazzi (ma non solo) a chiudere la programmazione, che si era aperta il 14 giugno con “Gli impressionisti e la trasgressione dello sguardo”, una conferenza della critica d’arte Alberta Gnugnoli che prendeva le mosse da due grandi esposizioni sul tema, ospitate una al Mart di Rovereto e l’altra a Milano, nelle stanze di Palazzo Reale. Tornando ai giorni nostri, comunque, e quindi alle ultime puntate del cartellone 2011, i due spettacoli che hanno segnato la fine dei lavori del Teatro di Verdura hanno ulteriormente rinsaldato il rapporto di collaborazione e fiducia che la Fondazione Biblioteca di via Senato ha stretto negli anni con le scuole (milanesi e lombarde tutte) di ogni ordine e grado. Come da tradizione, infatti, gli adattamenti studiati per bambini e ragazzi prendono spunto da testi letterari che consentono, però, di approfondire tematiche di stretta attualità o risvolti di alcune epoche storiche a noi vicine. Que-

Biblioteca di via Senato F O N DA Z I O N E

Teatro XIV Stagione

diVerdura Libri in scena giugno – settembre 2011

st’anno, anche in virtù del riacuirsi del conflitto in Medio Oriente e di un rinnovato antisemitismo internazionale, è stata la volta di Se questo è un uomo di Primo Levi, rivisto da Gianni Bissaca nello spettacolo “Sul fondo”, andato in scena il 14 e il 15 settembre. In occasione del centocinquantesimo anniversario dell’Italia unita, invece, l’altro spettacolo, “Parlo italiano” che, giunto ormai al sesto anno di repliche in tutto lo Stivale, racconta “1000 anni di storia letteraria italiana in 90 minuti”, come recita il sottotitolo. Il testo scritto da Germana Erba e Irene Mesturino (rappresentato la sera del 13 settembre per la regia di Guido Ruffa) è, infatti, una sorta di bignami dell’epopea delle nostre lettere, riassunta senza paludati compiacimenti, per lasciare spazio a una teoria di stimoli linguistico-culturali di immediato interesse. Se il rapporto con scuole e istituzioni è ormai una consuetudine, la stagione 2011 del Teatro di Verdura è stata invece la prima a poter vantare un’intensa collaborazione con la “Milanesiana” di Elisabetta Sgarbi, che insieme a noi (e con la supervisione di Armando Torno) ha ideato le cinque serate all’insegna della fi-

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losofia racchiuse sotto il titolo “L’urlo e il silenzio”, una sorta di cartellone nel cartellone, che dall’8 al 12 luglio hanno fatto registrare il tutto esaurito portando in scena le pagine di Sant’Agostino, Nietzche, Giovanni della Croce, Karl Marx e Teresa D’Avila attraverso le voci di Anna Bonaiuto, Andrea Renzi, Enrico Ianniello, Galatea Ranzi e Sabrina Colle. Un altro importante “filone” che ha attraversato la nostra estate di “libri in scena” è stato senza dubbio quello legato alle pagine immortali del Sommo Poeta, da “Dante per i manager” (andato in scena giovedì 23 giugno con la voce del manager e formatore Enrico Cerni) alle quattro serate agostane dedicate a Dante e la poesia e curate da uno splendido Franco Loi: “Lo specchio della Divina

Commedia”, “Cos’è la poesia e com’è utile all’uomo”,“Della lingua e dei dialetti” e “Della Fede”. Parlando di poesia, allora, non si possono non ricordare il duetto tra Tiziana Bagatella e Davide Rondoni su “il senso religioso della poesia”, la serata che Antonio Zanoletti ha dedicato a “Ibn Hamdis e altri poeti arabi di Sicilia”, quella che ancora Davide Rondoni e Paolo Lagazzi hanno voluto intitolare “2011 – la poesia futura” e quella, ancora con Antonio Zanoletti, dedicata a “Kavafis”. A partire dalla serata del 21 luglio, anche la nostra mostra bibliografica sulla magnificenza della Milano dell’Arcimboldo ha vissuto due approfondimenti scenici: la conferenza “San Carlo Borromeo, modello di vescovo e padre dei poveri”, curata da Monsignor Bruno Maria Bosatra, direttore dell’Archivio Diocesano, e la serata “Milano, fucina del Made in Italy dal Cinquecento”, con l’eclettico Philippe Daverio, che l’8 settembre è tornato con “Dalla parrucca alla ghigliottina”, una sorta di storia di barba, baffi e capelli in epoca recente. Particolarmente avvincenti, poi, il “Lucrezio” portato in scena da Zanoletti, così come i due spettacoli “letterari” più scenici della stagione: “Nati due volte” (dall’omonimo romanzo di Giuseppe Pontiggia, con Andrea Carabelli e Giorgio Sciumé) e “Mercurio”, prodotto da Teatri Possibili con la regia di Corrado d’Elia, tratto dal lavoro di Amélie Nothomb. Divertente, infine, ma non per questo meno denso di significato il reading “Corrierino di Giovannino ed Enrico”, in cui Enrico Beruschi ha letto e raccontato una selezione di pagine dal Corrierino delle Famiglie di Giovannino Guareschi.

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inSEDICESIMO A RT E L I B R O – C ATA L O G H I – S P I G O L AT U R E – L’ I N T E RV I S TA D’AUTORE – RECENSIONI – MOSTRE – ASTE

L’ARCHEOLOGIA AL CENTRO DELLL’OTTAVA EDIZIONE DI ARTELIBRO, CHE LANCIA LA PRIMA ARCHEOPOLIS L’intera Bologna coinvolta tra convegni, esposizioni, mostre-mercato di matteo tosi

on solo centocinquantesimo anniversario dell’Italia unita, il 2011 a Bologna è davvero un anno da ricordare. La città, infatti, festeggia i 2.200 dalla propria fondazione, ma anche i 130 del Museo civico Archeologico, una delle più significative realtà culturali all’ombra delle due torri. Due ricorrenze talmente significative per le radici del capoluogo emiliano da non poter essere snobbate nemmeno da quello che forse è diventato l’evento più raffinato e “di nicchia” della pur ricca programmazione cittadina, “Artelibro”, l’ormai tradizionale “festival del Libro d’arte” che per questa ottava edizione si è scelto il tema “Archeologia / Archeologie”, ospitando al proprio interno i lavori della prima edizione di “Archeopolis. I 2200 anni di Bononia” e arricchendo ulteriormente, in collaborazione con il Museo Archeologico, la propria tradizionale offerta di appuntamenti, incontri, workshop, mostre, visite guidate e seminari correlati alla manifestazione. Dal 23 al 25 settembre, infatti, la quasi totalità delle istituzioni culturali cittadine si è trovata coinvolta nello studio e nell’approfondimento di questa

N

affascinante disciplina, per proporre al grande pubblico l’interpretazione più ampia possibile del termine Archeologia e coglierne l’attualità, come dimostrano i rimandi continui che il festival è riuscito a tessere tra gli antichi tesori e il mondo del libro d’arte e d’artista contemporaneo.

UNA CITTÀ DA SFOGLIARE, DI MOSTRA IN MOSTRA Grazie alla perfetta fusione tra i due eventi, allora, l’intera Bologna si è trasformata in una “biblioteca d’arte diffusa”, offrendo il meglio del proprio

straordinario patrimonio librario attraverso Biblioteche e Musei, con filo conduttore la ricostruzione della storia attraverso particolarissimi “reperti archeologici”: libri, stampe e documenti. La Biblioteca Salaborsa ha ospitato l’allestimento “didattico” degli scavi romani sottostanti la Piazza coperta, mentre il Museo del Patrimonio Industriale ha allestito un percorso guidato lungo i sostegni del Canale Navile e l’Accademia Nazionale di Agricoltura uno per ripercorrere la storia degli Orti botanici e degli orti agrari cittadini.

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ARTELIBRO - FESTIVAL DEL LIBRO D’ARTE (VIII) ARCHEOPOLIS I 2200 ANNI DI BONONIA BOLOGNA, PALAZZO RE ENZO E DEL PODESTÀ, MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO E ALTRE SEDI CITTADINE INFO: WWW.ARTELIBRO.IT WWW.ARCHEOPOLIS.NET

Ancora più avvincenti le mostre studiate dal Museo Civico archeologico, dal Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna e dalla Biblioteca d’ateneo. Il Museo ha ospitato “Una giornata alle terme”, omaggio a una delle più antiche e frequentate pratiche romane, mentre una vasta selezione di libri tematici di case editrici specializzate invitava i visitatori ad approfondire il tema di “Archeopolis”. “L’eredità stampata. Libri antichi e rari dalla biblioteca del

Dipartimento di Archeologia”, invece, mostrava con fotografie e documenti in cosa consiste e come si svolge uno dei più affascinanti mestieri del mondo, mentre la Biblioteca Universitaria si è dedicata ad “Antiquitates. Libri di antiquaria dal Cinquecento al Settecento”, con preziose e rare immagini tra epigrafia e gemmologia. Nello stesso segno anche “Quell’amor d’antico” alla Biblioteca dell’Archiginnasio, la selezione di libri sul

tema “Donne soggetto e oggetto dell’archeologia” presentate dalla Biblioteca e Centro di documentazione delle donne, o ancora l’esposizione di antichi volumi dal fondo storico della Biblioteca Dore (ospitata nella suggestiva Sala del Consiglio della Facoltà di Ingegneria) sulle origini dell’archeologia come disciplina di studio, e la mostra-laboratorio “Archeologi del 6000. Reperti dalla contemporaneità”, ideata dal MAMbo Museo d’Arte Moderna di Bologna in collaborazione con gli studenti della locale Accademia di Belle Arti. Non sono mancati nemmeno i contributi dei Musei Civici d’Arte Antica (“Tra Corrado Ricci e Francesco Malaguzzi: pagine da Emporium e dalla Divina Commedia”), del Museo civico d’Arte industriale e Galleria Davia Bargellini, del Museo civico Medioevale. Più di un evento, anzi vero fulcro di Archeopolis, il grande accampamento romano posizionato in piazza Maggiore, dove si sono giocate, immaginate, scoperte e vissute storie curiose e nuove di un’antica città, facendosi trasportare da legionari con tende, ospedale da campo e macchine da assedio alla metà del I secolo d.C., ai tempi dell’imperatore Nerone.

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ARTELIBRO, L’EVENTO TRA MOSTRE E MERCATO Il fulcro della manifestazione resta comunque il “Festival del libro d’arte” con i suoi consueti sviluppi. Durante il weekend, infatti, le sale di Palazzo Re Enzo e del Podestà hanno ospitato librai antiquari, editori di pregio, libri d’artista, facsimilari e riviste specializzate, mentre gli editori d’arte erano riuniti in una grande Libreria dell’Arte in Piazza Nettuno, di fronte al palazzo stesso, già dal 10 settembre. Numerosi anche le mostre e gli eventi correlati in diversi spazi pubblici della città, dedicati al libro d’artista, appuntamenti con cui Artelibro ha continuato la propria valorizzazione di questa elitaria produzione, concentrandosi in particolare sugli Anni sessanta e settanta. Nell’Aula Magna della Biblioteca Universitaria ecco “Libro / Opera. Viaggio nelle pagine d’artista. 1958 - 2011”, che ha portato in mostra oltre duecento tra libri ed edizioni d’artista della collezione di Danilo Montanari pubblicati in Italia negli ultimi cinquant’anni da artisti come Giulio Paolini, Luciano Bartolini, Lucio Fontana, Maurizio Cattelan fino a Joseph Beuys e Sol Lewitt, mentre all’interno del Museo della Musica è andata in scena “ControCorrente. Riviste, dischi e libri d’artista delle case editrici della poesia visiva italiana” (in collaborazione con la Fondazione Berardelli e il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato), con opere di artisti come Emilio Isgrò, Franco Vaccari, Eugenio Miccini, Luciano Ori, Lucia Marcucci. Nel cuore della manifestazione, invece, a Palazzo Re Enzo e del Podestà, si sono fatti ammirare alcuni libri d’artista a tema archeologico di Franco Guerzoni, le pubblicazioni storiche dell’Officina d'Arte Grafica Lucini,

il progetto Carta giallina tenacissima di Maurizio Bottarelli. E ancora, nella Cappella dei Carcerati hanno trovato spazio un albumdiario di Maurizio Bottarelli e la mostra “Come conservare la cultura italiana: dizionari sottolio” di Benedetto Marcucci. Nella Piazza coperta di Salaborsa, infine, i 150 anni dell’Unità d’Italia hanno ricevuto l’omaggio di un’installazione di Lorenzo Perrone a cura di Eli Sassoli de Bianchi, mentre rari libri di Pirro Cuniberti sono stati esposti nell’affascinante Lapidario del Museo Civico Medievale. Per concludere, i ricchi cicli

di workshop e conferenze, con la partecipazione di grandi personalità del mondo dell’arte e dell’archeologia: difficile dire quale appuntamento sia stato il più interessante o anche, semplicemente, il più apprezzato dal pubblico, ma di certo si sono segnalati “Il sogno dell’archeologo” a cura di Marco Carminati e “La forza del mito” a cura di Stefano Zuffi. Numerose anche le attività “didattiche” dedicate ai ragazzi, tra cui le tavole di un “Archeogame” organizzato al Museo Archeologico all’insegna del gioco e dell’archeologia.

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IL CATALOGO DEGLI ANTICHI Libri da leggere per comprare libri di annette popel pozzo

20 CHICCHE PER LA MOSTRA “ALAI” A BOLOGNA Libreria antiquaria Alberto Govi di Fabrizio Govi Sas Listino 3-2011 Venti opere che saranno presentate dal 23 al 25 settembre presso la Sala del Podestà di Palazzo Re Enzo a Bologna in occasione della Mostra del Libro Antico dell’ALAI. Segnaliamo la rara prima edizione in italiano, uscita contemporaneamente all’edizione latina, dell’opera Libro del modo di dividere le superficie attribuito à Machometo Bagdedino, dedicata a Francesco Maria II della Rovere, a cura di Federico Commandino, e stampata nel 1570 a Pesaro da Girolamo Concordia. “L’intenzione di raggiungere non solo gli studiosi, ma anche i geometri che non conoscevano il latino, spiega forse la scelta del Commandino di far uscire l’opera in versione italiana; i metodi per

dividere le superficie avevano infatti una forte valenza pratica, com’è facilmente immaginabile” (legatura in pergamena coeva floscia, €2.800). Non facile da trovare in asta o sul mercato antiquario la prima edizione di Progymnasmata physica di Tommaso Cornelio (1614-1684), stampata a Venezia da Francesco Baba nel 1663 (copia fresca e marginosa in pergamena semirigida, €2.500). “Leggendo i Progymnasmata physica come testimonianza di un clima intellettuale destinato a proiettarsi nei successivi decenni e come filosofia di un ceto di tendenza riformatrice, si può comprendere una delle ragioni del loro successo […] Il dialogo iniziale tra Stelliola, Trusiano e Bruno è una presa di posizione nettissima a favore dei moderni contro la medicina galenica, la scolastica e l’organizzazione medica ufficiale” (DBI 29, p. 139). L’opera conosce varie riedizioni ancora nel ’600. Libreria antiquaria Alberto Govi Via dei Bononcini 24 – 41124 Modena http://www.libreriagovi.com/uploads/new s/Listino3-2011.pdf

UN MARE DI DOTTE RARITÀ PER I 40 ANNI DELLA “CASA” Jonathan A. Hill Catalogue 200 - Science, Medicine, Natural History, Bibliography, & Much More Un catalogo molto speciale, ricco di

edizioni ed esemplari singolari, edito in occasione dei quarant’anni di attività libraria di Jonathan Hill che ricorda nella premessa i più di 35.000 libri e manoscritti passati per le sue mani, citando anche una sua copia, venduta nel 2003, della famosa edizione latina della lettera di Cristoforo Colombo del 1493. Imponente la prima sezione contenente prime rarissime edizioni che hanno cambiato il nostro modo di pensare, tra Leonhart Fuchs, De Historia Stirpium Commentarii insignes (1542, copia appartenuta a Jacques-Auguste De Thou), Nicolaus Copernicus, De Revolutionibus Orbium Coelestium (1543, contenente l’erratacorrige, quasi sempre mancante), Andreas Vesalius, De Humani Corporis Fabrica Libri Septem (1543), Isaac Newton, Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687 nella seconda tiratura considerata più rara rispetto alla prima), Jacob Bernoulli, Ars Conjectandi, Opus Posthumum (1713) e Charles Darwin, On the Origin of Species by Means of Natural (1859, copia appartenuta a Ian Fleming). Il catalogo contiene inoltre una bella sezione di libri scientifici con prime edizioni di Galileo Galilei (Difesa di Galileo Galilei …contro alle Calunnie & imposture di Baldessar Capra Milanese, 1607, con dedica manoscritta di Galileo “All’ Illtre S. Cipriano Saracinelli, l’Autore”), di Luca Pacioli (Divina Proportione, 1509) e di Johannes Regiomontanus (Epytoma … in Almagestum Ptolomei, 1496). Il catalogo, che contiene inoltre una ricchissima sezione di cataloghi storici di aste e raccolte private, è consultabile on-line. Jonathan A. Hill, Bookseller, Inc. 325 West End Avenue, Apt. 10B New York City, 10023-8145 www.jonathanahill.com

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IL CATALOGO DEI MODERNI Libri da leggere per comprare libri di matteo noja

UNA LIBRERIA PARIGINA CON CURIOSE PROPOSTE Librairie Vignes La naturale penuria di cataloghi estivi e un’altrettanto naturale pigrizia nel cercare quei pochi in uscita, ci hanno permesso di scoprire un’eccezionale libreria parigina specializzata in testi del ’900, non solo francesi. Si tratta della Librairie Vignes, di rue Saint Jacques, nel Quartiere Latino. Una libreria dedicata alla letteratura e alle scienze umane, che cura le edizioni originali, gli autografi e le fotografie di quel secolo, il Novecento, forse breve, ma senza dubbio interessante, pieno di sfaccettature e allusioni, la cui complessità occuperà molto tempo prima di essere sviscerata e conosciuta. Nell’ultimo catalogo dedicato alla letteratura “generica” troviamo alcuni testi riguardanti Jean Cocteau, tra cui una copia della bella rivista “Les Feuilles libres”, n° 40 [Paris, Stock, 1925; €300] in cui si trovano, oltre a 4 rayografie e 6 disegni di Man, testi di Cendrars, Hugnet, Drieu La Rochelle, RibemontDessaignes, e L’ange Heurtebise, di Cocteau, impreziosito da un invio autografo, probabilmente all’amico Maurice Sachs “A mon cher Maurice, neige chaude, Jean”. Dell’ultracattolico Léon Bloy, viene offerta la prima edizione di Le Mendiant ingrat (Journal de l’auteur: 1892-1895) con una bella lettera (1913) indirizzata all’allora segretario delle edizioni Mercure

de France, Paul Léauteaud [Bruxelles, Librairie Deman, 1898; 447 p., €750,00]. Di Emmanuel Bove, scrittore più per nascondersi che per farsi notare, Vignes propone due titoli: Bécon-les-Bruyères [Paris, Emile-Paul, coll.“Portrait de la France”, 1927; 62 p., €250,00] e Une fugue [Paris, Aux Editions de la Belle Page, coll. “Le Livre Neuf”, 1928; 107 p., €150,00]. Un altro catalogo, interamente dedicato alle Éditions de Minuit, si ricollega a una pubblicazione curata dalla Libreria, la Bibliographie des Éditions de Minuit. Du Silence de la mer à L’AntiŒdipe (20 février 1942 – 18 février 1972) [in collaborazione con le Éditions des Cendres; 416 p., ill.; €42,00]. Catalogo e bibliografia raccontano come una casa editrice “clandestina”, in trent’anni, si sia trasformata in una delle migliori del Paese, conservando sempre e con caparbietà la propria indipendenza. Dal Silence de la mer di Vercors a L’Anti-Œdipe di Deleuze e Guattari, 639 titoli testimoniano i momenti chiave del marchio, che coincidono con quelli della Francia. La lista degli autori è impressionante: Vercors, Aragon, Éluard, Jean Paulhan, Bataille, Maurice Blanchot, Samuel Beckett, Alain Robbe-Grillet, Michel Butor, Claude Simon, Marguerite Duras, Deleuze, Derrida… e la famosa copertina stellata allinea sugli scaffali quelli che ormai sono considerati classici. H. Vignes propone un altro lavoro bibliografico notevole, elencando i cento

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titoli NRF, pubblicati come emanazione diretta della rivista dal 1911 al 1919, per volontà di André Gide, Jacques Rivière, Jean Schlumberger et Jacques Copeau; tra gli autori Proust, Claudel, Valéry, Suarès, Fargue, Larbaud, Saint-John Perse e Drieu la Rochelle [Bibliographie des Éditions de la Nouvelle Revue française (26 mai 1911 - 15 juillet 1919). Paris, Librairie Henri Vignes – Éditions des Cendres, 2011; 106 pages, €25,00]. In occasione del centenario, Vignes collabora con altre due librai all’edizione di un catalogo di vendita interamente dedicato alla casa editrice Gallimard. Nella presentazione, Antoine Gallimard scrive: «Saluto l’iniziativa di questi tre librai che hanno deciso, per una volta andando contro le normali abitudini, di unire i propri fondi per offrire un colpo d’occhio eccezionale su questa avventura editoriale dalle mille sfaccettature. La loro conoscenza della Maison è ben nota: Jacques Desse, dei Libraires associés, ha organizzato due anni fa un’emozionante mostra sui libri per bambini di Gallimard, corredata da un catalogo che ha ricevuto il premio per la bibliografia del 2009; Jean-Étienne Huret ha redatto una bibliografia dei cartonati NRF che fa ormai testo per chi li voglia studiare e ha pubblicato una preziosa monografia sul Club du meilleur livre; Henri Vignes è da molto tempo il bibliografo attento dei primi tempi della NRF (1911-1919)… Questi librai, i cui cataloghi ci riservano sempre delle belle sorprese, si sono così associati nello sviluppare i loro lavori sulla Maison, mettendo a disposizione la loro profonda conoscenza del catalogo per suggerire, quasi prevenire, le proposte degli storici di professione…»» Librairie Vignes 57, rue Saint Jacques 75005 Paris, tel. (+01)43.253259

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ET AB HIC ET AB HOC L’autunno dei premi letterari: rifiuti e discrediti non solo di oggi di laura mariani conti e matteo noja



«Sono qui da due giorni a sentire solo sciocchezze: io questo premio non lo voglio. Tenetevelo, me ne vado». Così ha reagito sdegnato Alberto Arbasino alla cerimonia di consegna del premio Boccaccio 2011 a Certaldo. Sono quasi duemila i premi letterari in Italia, a testimonianza che siamo sì un popolo di santi e navigatori, ma soprattutto… di scrittori. Alcuni allori prestigiosi e credibilissimi, molti altri però che seguono solo il motto “scrivi, paga e vinci”.



Un altro scrittore di fama, Andrea Camilleri, quest’anno premiato alla carriera con il Campiello, ha risposto a chi gli chiedeva se non fossero troppi i premi letterari: « Sì, sono tantissimi, qualcuno anche a pagamento. È come i libri: se ne pubblicano tantissimi, ma quelli buoni sono pochi». Oggi inattuale, riecheggia nella memoria il telegramma di Calvino in risposta alla giuria del premio Viareggio che lo proclamava vincitore con Ti con zero [Torino, Einaudi, 1968; 164 p., 22 cm]: «Ritenendo definitivamente conclusa epoca premi letterari rinuncio al premio perché non mi sento di continuare ad avallare con il mio consenso istituzioni ormai svuotate di significato».



Il periodo tra le due guerre segna la nascita e l’affermazione dei premi letterari. L’imperativo di instaurare nuovi modelli sociali, quindi anche letterari, l’impegno di favorire la letteratura e l’editoria nazionale in tutte le sue manifestazioni, fece scaturire in quegli

anni una serie di manifestazioni che intendevano suggerire e diffondere i migliori libri in circolazione. Bagutta e Viareggio sono tra i capostipiti.

 Ancora vivo e vegeto, il milanesissimo Bagutta nacque tra i tavoli del celebre ristorante toscano, dietro piazza San Babila, per l’abitudine di undici amici di riunirvisi periodicamente. Attorno a Riccardo Bacchelli, il più noto, v’erano Paolo Monelli, Orio Vergani, Adolfo Franci, Mario Vellani Marchi, Gino Scarpa, Ottavio Steffenini, Luigi Bonelli, Mario Alessandrini, Antonio Veretti e Antonio Niccodemi (come ricorderà poi Monelli: «due giornalisti, due pittori, un avvocato, un commediografo, tre letterati e un dandy»). L’amicizia imponeva loro di ritrovarsi sempre, a ogni occasione stabilita, a ogni costo: ogni assenza aveva come pegno il versamento di una certa cifra al sodalizio. Gli undici ritennero giusto premiare, con gli introiti di tali multe, un’opera letteraria e l’11 novembre del 1926, firmarono tutti una carta (la cosiddetta “carta gialla”) con la quale regolavano il premio, stabilendo di assegnarlo l’11 gennaio di ogni anno a venire. Il primo vincitore fu Giovanni Battista Angioletti con Il giorno del giudizio. Miti e fantasie [Torino, Fratelli Ribet, 1927; 188 p., 19 cm].

 I gourmets che, tra un calice

di Chianti e un bicchiere di grappa, discettavano di letteratura al Bagutta erano tutti vicini alla “Fiera Letteraria”, rivista fondata da Umberto Fracchia

nel ’25. Ne era prova il fatto che primo a essere premiato fosse quell’Angioletti che sarebbe stato per alcuni anni il direttore, associato al “nostro” Curzio Malaparte, della rivista. Nel 1928 i due traslocarono la redazione da Milano a Roma, e nel ’29 cambiarono la testata in “Italia Letteraria”. Istituirono il premio della rivista che, nello stesso 1929, avrebbe dovuto essere assegnato a Corrado Alvaro con i racconti di L’amata alla finestra [Torino, Fratelli Buratti ed., 1929; 159 p., 19 cm]: Mussolini ottenne che non venisse premiato. Rimasero allora in ballottaggio Antonio Baldini e il giovane Piero Gadda Conti: la spuntò quest’ultimo perché esordiente.

 Alvaro rimase oltremodo deluso

dalla mancata premiazione; lo espresse con garbo in una lettera a Malaparte del 29 gennaio 1930: «come avrai sentito, il premio non è andato a me. Io stesso, per la verità, non ci contavo, dacché avevo veduto Fracchia agitarsi e discutere con Cecchi che mi sosteneva. L’andamento della votazione, del resto, è più istruttivo di ogni altra delucidazione… Ma se ho perduto questa prospettiva […] ho guadagnato una cosa: aver misurato a che punto arrivi […] la tua indipendenza di fronte ai pregiudizi e alle comode convenzioni». Il pratese gli rispose: «Io ho fatto semplicemente ciò che sentivo di dover fare. Sono amareggiato, ma non vuol dire nulla: tra giorni leggerai una lunga notizia nella “Stampa”. Altro che premio! In ogni modo, gloria a Gadda e non pensiamoci più…». In realtà Curzio si sentirà in dovere di risarcire l’amico e istituirà un premio intitolato al quotidiano torinese: il suo licenziamento non impedirà ad Alvaro di ricevere il premio. All’uscita di Gente in Aspromonte [Firenze, Le Monnier, 1930; 250 p., 19 cm], anche Mussolini cambierà radicalmente opinione sullo scrittore.

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L’intervista d’autore

GLI SCAFFALI TUTTI PROVVIDENZA E CAOS DI PHILIPPE DAVERIO unambolo della parola e acrobata della cultura, Philippe Daverio considera i libri i suoi giocattoli preferiti. Intellettuale saltimbanco – gallerista e libraio, giornalista e conferenziere, critico e mercante d’arte, dandy e conduttore televisivo – usa tutto ciò che trova nella sua caotica e rapsodica biblioteca come un artigiano i propri strumenti: per creare. Nel suo caso, idee. Devoto sostenitore della teoria secondo la quale la Provvidenza si manifesta attraverso i libri, Daverio è un fervente praticante della “lettura casuale”. Ossia: prendere il primo volume che capita sottomano in uno qualsiasi degli scaffali che tappezzano la labirintica biblioteca che attraversa tutti i locali della sua abitazionestudio nell’attico di Palazzo Ravizza, affacciato sulla centralissima piazza Bertarelli a Milano, e aprirlo a caso. Dentro ci sarà uno spunto, una citazione, un argomento, un’illuminazione che – senza averci minimamente pensato – farà esattamente al caso vostro, in quel momento. “Come la volta che stavo preparando una conferenza sul Manifesto del Partito comunista di Karl Marx, e non sapevo da che parte girarmi, mi mancava l’incipit... Quel giorno mia moglie, per proteggere le piante di bambù del salotto dall’assalto del cane, spostò alcune sedie, mettendoci sopra dei libri. Passando, ne presi uno.

F

di luigi mascheroni

Era l’edizione originale - un cimelio assoluto – de Le peuple di Jules Michelet, uscito nel 1846, due anni prima del Manifesto. Lo lessi e partii da lì per arrivare a Marx, e il mio intervento fu un successone… O quando, durante una lettura pubblica in un’afosa serata estiva milanese tormentata dalle zanzare, aprii a caso il Faust di Goethe e mi imbattei nel “Coro degli insetti”, Chor der Insekten: “Benvenuto! Benvenuto,/ caro vecchio padrone!/ Volteggiando e ronzando/ ti abbiam riconosciuto…”. Niente di meglio! Per dire che sfogliando i libri a caso si scoprono più cose che catalogandoli”. È il motivo per cui la sua biblioteca non segue alcun ordine logico-razionale: saggi di architettura sopra lo scaffale dedicato alla storia di Milano, il design insieme a Jacques Le Goff, i cataloghi di fotografia in anticamera e le poesie di Carlo Porta in cucina…

Io ci provo, ma sembra che la mia libreria resista a ogni tentativo di sistematizzazione. Ma ho imparato che è meglio così: mai tenere i libri in ordine sugli scaffali, il loro elemento naturale è il caos. Gli autori e gli argomenti, come le idee, devono contaminarsi. E poi chi cerca, cerca qualcosa che già ha, non esce dalla propria visione preconcetta. Chi invece si lascia cercare, si ritrova in mano l’inaspettato. Si ricordi cosa diceva Picasso: “Io non cerco, trovo”. E cosa “si trova” di preciso nella sua biblioteca? Non lo so neanche io. Avrò 15-20mila libri, in cinque lingue diverse, quelle che parlo: italiano, francese, tedesco, inglese e spagnolo. Insomma, qui dentro c’è tutto e niente. Dalla prima edizione di Histoire d’un crime di Victor Hugo, un testo per me fondamentale, ai fumetti di Tintin di Hergé, fino a molti inutili testi di critica… Conoscendo il suo lavoro e la sua passione, l’arte sarà comunque predominante. Per nulla. La maggior parte dei cataloghi delle mostre li tengo a Roma, dove li uso per la mia trasmissione Passepartout. E comunque, i quadri è meglio vederli nei musei che sui libri… No, nella mia biblioteca ho molta saggistica, storica soprattutto. Poi classici, soprattutto francesi e tedeschi. Sa, io sono un “francocrucco”: nato in Alsazia da padre italiano

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e madre alsaziana. E gli italiani? Se non sono classici non li tengo neppure… Vede, faccio fatica a leggere i romanzi che mi inviano in qualità di giurato dello Strega e del Campiello, libri che poi regalo alle biblioteche di quartiere… Ma secondo lei, mi scusi, che senso ha leggere Saviano quando devo ancora finire le opere di Stefan Zweig? Sarebbe un crimine contro il sapere! C’è un libro a cui tiene particolarmente, o un “pezzo” raro a cui dà la caccia? Ma no, assolutamente. Io non sono un bibliofilo, non colleziono libri. Li uso e basta. Io sono solo “l’utilizzatore finale”. Non considero importante il possesso del libro, ma la lettura del testo. Se mi serve qualcosa, ormai trovo tutto su Internet. Solo sui siti delle biblioteche nazionali o su google-books ho a disposizione una libreria ordinatissima

di 300mila volumi, in dieci lingue diverse. La mia vera biblioteca, a conti fatti, ce l’ho nel portatile. Però al libro di carta non rinuncerebbe mai. No, ovviamente. La lettura fisica è impagabile: l’odore, il toccare…. E poi ciò che leggo su Internet evapora subito mentre quello che leggo sulla carta mi torna in mente con le associazioni di idee più inaspettate. Però, è indubbio che se mi serve qualcosa per lavoro, di solito lo trovo con un clic. Ma ci sarà qualche libro particolare che vorrebbe possedere? Sta scherzando? Nella mia vita, privilegio del mio lavoro, ho potuto avere tra le mani e sfogliare, unico essere vivente dopo il Papa, la Bibbia di Borso d’Este nella Biblioteca Estense di Modena, o i fogli leonardeschi della Biblioteca Ambrosiana di Milano, o il Virgilio annotato dal Petrarca col

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frontespizio miniato da Simone Martini, e le pergamene di Ottone III conservate a Lucca… Sarebbe ridicolo desiderare di possedere qualcosa di paragonabile, non crede? Però ci sarà una sezione della sua biblioteca di cui è orgoglioso… Beh sì, una piccola collezione di testi rari di cucina dell’Otto-Novecento… Acquista molti libri? Sì, sempre e ovunque. Secondo lo stesso principio della casualità: non cerco, prendo quello che mi incuriosisce. Compro sulle bancarelle, ai mercatini, nelle librerie antiquarie. Però, a parte un paio di posti a Napoli, non in Italia, dove c’è poco e a caro prezzo. Ma in Francia e in Germania, dove si trovano parecchie cose interessanti spendendo davvero poco. L’ultima volta, a Monaco, ho trovato questo: il primo libretto della Valchiria. A 70 euro. Quello sì che è un Paese civile…

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PAGINE CHE PARLANO DI LIBRI Un’inedita rilettura del Manzoni (e la storia di tante altre) e un’eco di fantastiche interviste di matteo noja e matteo tosi

I “PROMESSI SPOSI” RILETTI E RIVISTI SENZA SCRUPOLI Dallo “scapigliato” Cletto Arrighi, che scrisse Gli sposi non promessi. Perifrasi a contrapposti dei “Promessi Sposi” nel 1863, alle varie continuazioni del romanzo come quelle di Antonio Balbiani [Lasco il bandito della Valsassina sessant’anni dopo i “Promesi Sposi”, 1871, e I figli di Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, seguito ai “Promessi Sposi”, 1872-73, alla parodia scritta nel 1929 da Guido da Verona, il “d’Annunzio delle dattilografe” che considerava Manzoni estremamente dannoso per le patrie lettere e per l’educazione dei giovini e delle giovinette, gli scempi perpetrati ai danni del capolavoro manzoniano nel corso del secolo scorso sono stati moltissimi. Ce ne parla in modo divertito, quasi strizzandoci l’occhio, Paolo Albani nella postfazione

del libro a cura di Aldo Merce, Alessandro Manzoni, I PROMESSI SPOSI riletto senza se e senza ma, [Edizioni Il Monogramma, Ravenna, 2011]. Nel 1965 esce Rifacimento dei Promessi Sposi. L’autore si chiama Carlo Cetti, poligrafo nato nel 1884, fautore della teoria del «brevismo», da lui esposta ne La lingua si perfeziona e progredisce tendendo a brevità (Teoria del brevismo). Appendice: Dell'arte narrativa (1946). In 196 pagine ha riscritto, semplificandola, la storia di Renzo e Lucia. Secondo Cetti, la prima preoccupazione nello scrivere e nel parlare deve essere la brevità, «la parsimonia sillabica, quindi, in ogni caso, alle parole, o locuzioni lunghe, si dovran preferir le brevi». E prosegue: «È solo coll'usar, pur col debito riguardo a chiarezza, il minor numero possibile di sillabe, che si può conseguir la perfezion dello stile». Quale ne sia il risultato, ancora non sappiamo. Nel 1973, ci ricorda Albani, sulla rivista Il Caffè diretta dal “patafisico” Giambattista Vicari, vi fu una commemorazione dissacratoria del “gran lombardo” che fu preso metaforicamente a sberle da vari intellettuali, in vari modi. Tra questi un tale Cesare Landrini applicò una teoria degli scrittori che partecipano all’Oplipo, chiamata s ± 1 dove ogni parola scritta da don Lisander viene sostituita da quella subito prima o immediatamente successiva nel vocabolario. Da qui una serie di frasi senza senso ma molto divertenti, con l’unico intento di

devastare il lettore e farlo vacillare nella lettura. Divertente è anche la versione di Giuseppe Varaldo di alcuni paragrafi degli “Sposi” – l’Albani si lascia scappare «soltanto alcuni paragrafi, grazie al cielo» che la dice lunga – utilizzando solo due consonanti. Ne riportiamo qui un breve brano: «Il loco è l’aulica Licia… “Cala!”… è la Cilicia, coi lecci e le acacie… “Cala, cala!”… è cala eolica, coi cuculi e i luì, e uccelli colle alucce… “Cala!” Il loco è Lecco. “Ecco!” […]». Albani ci ricorda inoltre il divertimento di Umberto Eco, che prova il lipogramma con il testo manzoniano, e cioè lo trascrive contraendolo senza usare una certa lettera, in questo caso la “u”. E via con altri esempi di giochi linguistici che utilizzano parole con una o due iniziali, oppure parole immesse in rigoroso ordine alfabetico. Ma l’autore più citato da Albani è quell’Ermanno Cavazzoni che ci ha lasciato, di suo, Il poema dei lunatici [Torino, Bollati Boringhieri, 1987; 299 p., 22 cm]. Dal 1992, anno in cui scrive Le promesse spugne [rifacimento etilico della vicenda di Renzo e Lucia], Cavazzoni si è comportato con il romanzo di Manzoni come un entomologo si comporta con una malcapitata farfalla:

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l’ha crocifisso, sezionato, messo in formalina. Nel 2001, infatti, si è inventato lo slittamento proverbiale, complicato procedimento per cui da Promessi Sposi si passa a Morti fortunati. Nel 2006, mostrando nei confronti del grande Poeta un accanimento veramente insolito, si è cimentato con una formula chiamata Chimere, dove è riuscito a miscelare l’inizio dei Promessi Sposi, alcuni versi della Divina Commedia e alcuni versi di Giovanni Pascoli. Tale miscela è appunto detta per la sua complessa mostruosità, chimera. Nel 2007 Cavazzoni si cimenta con una dislocaizone toponomastica per cui il romanzo ambientato a Lecco diventa Savo e Luciella, poi I promessi sposi. Storia napoletana del XVII secolo, con evidenti testa-coda di senso che il film Giù al Nord, che nel remake italiano diventa Benvenuti al Sud, è acqua fresca. Albani termina il suo excursus, con queste parole: «L'atroce dubbio su scrivere o non scrivere I Promessi Sposi è motivo fecondo di riflessione critica e fa venire in mente lo scrittore Giorgio Pavoni, citato da Achille Campanile in Agosto, moglie mia non ti conosco, che per molti anni fu impegnato nella stesura di un’opera monumentale intitolata: Se Manzoni avesse vissuto altri dieci anni, avrebbe per avventura rifatto ancora una volta i “Promessi Sposi”?». Il libro a cui Albani scrive la postfazione può essere considerato come appartenente alla categoria dei rifacimenti, seri o faceti, del romanzo manzoniano. In questa versione, Aldo Merce – sempre che esista, o, visto che la copertina è ideata da Aldo Spinelli, noto esperto di giochi linguistici, enigmistici e no, non ne sia lo pseudonimo – toglie tutti i se e tutti i ma sostituendoli con i classici puntini sospensivi. Il procedimento dà luogo a una versione molto poco innocente e più decisa, dove

si procede “adelante” ma senza “juicio”. Aldo Merce (a cura di), “Alessandro Manzoni, I PROMESSI SPOSI riletto senza se e senza ma”, Edizioni Il Monogramma, Ravenna, 2011; pp.254, cm.29; stampato in 25 esemplari con numeri arabi da 1 a 25 e altri 25 esemplari fuori commercio con lettere dell'alfabeto dalla A alla Z, per collaboratori e sottoscrittori; copertina di Aldo Spinelli. Senza indicazioni di prezzo.

DAL RICCO EPULONE A DIO: LE INTERVISTE IMPOSSIBILI Ucronie, magie e fantasie varie fanno da sempre parte di quelle invenzioni che hanno regalato alla letteratura un’inedita capacità di farsi metafora della vita e del mondo, interprete delle istanze e dei sentimenti di molti, se non di tutti. Ma all’idea di fiction, comunemente, corrisponde quella di romanzo, di novella o di racconto, se non addirittura di poema e non certo quella di intervista, pratica poco letteraria e semmai giornalistica, quindi vissuta come reale se non oggettiva. Ma i vip, le star, gli artisti, gli eroi o i politici di oggi fanno sempre più fatica a stimolare la nostra curiosità intellettuale, anche perché di loro si sa praticamente ormai tutto, e così gli animi più inquieti e curiosi magari sognano l’occasione di poter fare almeno un paio di domanda a chissà quale figura del passato, della mitologia della letteratura o dei testi sacri. Ecco quello che aveva già chiesto una volta Einaudi a un pugno di “suoi” scrittori ed ecco quello che ha chiesto ancora: delle interviste impossibili. Delle surreali ma verosimili chiacchierate in cui un manipolo di creativi della scrittura indagano

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In diretta” la figura di qualche grande del passato o della fantasia. Che ci vengono a cercare forse per indicarci una nuova via per questo mondo. Ed ecco che Domenico Starnone si confronta con il Ricco epulone, Corrado Augias con John Stuart Mill, Giuseppe Montesano con Re Ferdinando, Antonio Moresco con Stephen Hawking, Lorenzo Pavolini con Joseph Conrad, Giancarlo De Cataldo con Giuseppe Mazzini, Gianfranco Fiore con la Principessa Cristina di Belgiojoso, Carola Susani con Carlo Lorenzini, Diego De Silva con Pornostardust, Gaetano Savatteri con Don Mariano Arena e Andrea Camilleri con Galileo Galilei. E se questa è la lista dei “guerrieri”, ecco anche quella degli “amanti”: Letizia muratori chiede a Lady Godiva, Lisa Ginzburg ad Anita Garibaldi, Paola Mastrocola a ll’Ippogrifo, Marco Ponti a Salvador Dalì, Silvia Ballestra a Janis Joplin, Tiziano Scarpa a Lesbia, Giorgio Vasta a King Kong, Melania G. Mazzucco alla Monaca di Monza e Simonetta Agnello Hornby a Penelope. Poi spazio ai “supereroi” con le accoppiate David Riondino - Batterio; Davide Longo - Gruppo sanguigno 0; Roberto Piumini - Dante Alighieri, Antonio Pascale - La bufala, Dario Voltolini - Silver Surfer, Elena Stancanelli - Lisa Simpson, Tito Faraci - Diabolik; Mario Desiati - George Best; Giorgio Falco - Signor Rossi; Matteo B. Bianchi Andy Warhol e Marcello Fois - Milite Ignoto. Due “personaggi”, infine, se così possiamo chiamarli, si sono meritati i tre epiteti insieme, guerrieri, amanti e supereroi. E sono nientemeno che Dio e Allah, intervistati rispettivamente da Ilaria Bernardini e Hamid Ziarati. Valentina Alferj e Barbara Frandino (a cura di), “Ti vengo a cercare. Interviste impossibili”, Einaudi, Torino 2011, pagg. 562, €21,00

L’impegno di Med 6.000 spot gr

iaset per il sociale atuiti all’anno 6.000 i passaggi tv che Mediaset, in collaborazione con Publitalia’80, dedica ogni anno a campagne di carattere sociale. Gli spot sono assegnati gratuitamente ad associazioni ed enti no profit che necessitano di visibilità per le proprie attività.

250 i soggetti interessati nel 2008 da questa iniziativa. Inoltre la Direzione Creativa Mediaset produce ogni anno, utilizzando le proprie risorse, campagne per sensibilizzare l'opinione pubblica su temi di carattere civile e sociale.

3 società - RTI SpA, Mondadori SpA e Medusa SpA costituite nella Onlus Mediafriends per svolgere attività di ideazione, realizzazione e promozione di eventi per la raccolta fondi da destinare a progetti di interesse collettivo.

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ANDANDO PER MOSTRE L’Italia guardata ad arte, l’oro della Milano che fu, i sogni di Gastel e una rivista che va di matteo tosi

L’IMMAGINE DELL’ITALIA ATTRAVERSO LE SUE ARTI n occasione delle celebrazioni per il 150° dell’Unità d’Italia, la Gamec di Bergamo racconta l’immagine dell’Italia nel mondo, nella molteplicità delle sue espressioni visive, dal cinema all’arte, dalla letteratura al Made in Italy, dalla cultura d’élite a quella popolare, ma anche di “cose e fatti” dall’Ottocento

I

IL BELPAESE DELL’ARTE. ETICHE ED ESTETICHE DELLA NAZIONE BERGAMO, GAMEC, DAL 28 SETTEMBRE 2011 AL 19 FEBBRAIO 2012 INFO: TEL. 035.270272 WWW.GAMEC.IT

Qui sopra: Giovanni Rizzoli, Donatella, 2010, fusione in alluminio. A sinistra: Emilio Isgrò, Viva il Re, 2010, acrilico su tela su legno. Sotto: Alice Guareschi, Mappamondo, 2009, legno e poliestere

ai nostri giorni, attraverso la mostra “Il Belpaese dell’Arte. Etiche ed Estetiche della Nazione”. Attraverso 200 opere di artisti italiani e internazionali, Giacinto Di Pietrantonio e Maria Cristina Rodeschini si propongono di dimostrare come la creazione artistica abbia influenzato l’organizzazione pratica della vita sociale italiana, specialmente in questo 150 anni di unità. A differenza degli altri stati europei, infatti, l’Italia ha avuto come principale elemento culturale unificante proprio l’arte, una sorta

di continuità di gusto estetico peculiare. Per dimostrare la loro tesi, i due curatori dividono il percorso espositivo suddiviso in otto sezioni: la prima, “Fratelli d’Italia”, presentare sei fraterne coppie - Giorgio de Chirico e Alberto Savinio, Tano Festa e Francesco Lo Savio, Alessandro e Francesco Mendini, Gianni e Joe Colombo, Gianluca e Massimiliano De Serio, Paola e Rita Levi Montalcini che hanno espresso valori artistici tra loro simili e diversi, come unitaria e differente è l’Italia stessa.

Chiude l’esposizione “Fatto in Italia / All’italiana”, in cui l’avventura del nostro Paese nel mondo è vissuta attraverso i miti del Made in Italy, con opere di nomi come Gino Severini, Michelangelo Pistoletto, Felix Gonzales-Torres, Tobias Rehberger, Antonio Visentini e Canaletto. In mezzo, altri 200 capolavori racchiusi in “Mappamondo Italia”, “Per grazia ricevuta Italia”, “Cartoline d’Italia”, “Bar Sport Italia”, “A futura memoria d’Italia” e “Politica Italia”.

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LA MILANO DI VISCONTI E SFORZA, UNA CITTÀ DORATA

DALLE RIVISTE AGLI SCATTI D’ARTISTA, GIOVANNI GASTEL NELLA SUA MILANO

malti e oreficeria nel Ducato di Milano” recita l’esplicito sottotitolo della grande esposizione che il Museo Diocesano di Milano dedica alle eccellenze orafe meneghine a cavallo tra XIV e XV secolo. Ma accanto agli smalti, alle coppe e ad altri capolavori di oreficeria sia sacra sia profana compaiono anche

una sorta di portolano dell’anima, un intimo diario di viaggio lungo un’intera vita, la piccola ma sofisticata mostra che Giovanni Gastel ha approntato per lo Studio Giangaleazzo Visconti di Mi-

“S

È

lano (“Cose viste”, fino al 22 dicembre, info: www.studiovisconti.net - tel. 02.795251). Il cinquantacinquenne fotografo milanese, infatti, uno tra i più noti e apprezzati nell’ambito della moda e

un pugno di pregiatissimi codici miniati (in foglia d’oro, naturalmente, ma non solo) e una serie di “tarocchi” in grado di calamitare l’attenzione anche dei bibliofili più raffinati. Il percorso espositivo (“ORO dai Visconti agli Sforza”, fino al 29 gennaio 2012, info: www.museodiocesano.it tel. 02.89420019) si snoda attraverso oltre 60 capolavori provenienti dalle più prestigiose collezioni pubbliche e private italiane e internazionali (tra cui la cattedrale tedesca di Essen, il Louvre di Parigi, Musée Massena di Nizza e la National Gallery di Washington),

della pubblicità, rinuncia al glamour dei suoi scatti “professionali” per abbandonarsi a dolci ed effimeri ricordi di paesaggi e oggetti a lui cari.

molti dei quali così delicati e preziosi da non aver mai lasciato la relativa sede “ospitante” prima di questo inedito appuntamento. La curatrice Paola Venturelli pone l’accento sul mecenatismo dei Visconti proprio a partire dai libri: nel 1360, infatti, Galeazzo II fece erigere il castello di Pavia, trasformandolo presto in uno scrigno di codici miniati dai più famosi maestri del tempo, come Giovannino de’ Grassi e Michelino da Besozzo, pittore e miniatore, qui rappresentato dall’Elogio funebre di Gian Galeazzo Visconti, proveniente dalla Bibliothèque

“CIVICO 103”, IL MAGAZINE DELLA GALLERIA CIVICA DI MODENA È DISTRIBUITO DA SILVANA EDITORIALE. E C’È ANCHE PER IPAD a grande grande retrospettiva di Josef Albers (artista concettuale tra i più “spinti” e originali) che la Galleria Civica di Modena inaugura a partire dall’8 ottobre in entrambe le proprie sedi non sarebbe esattamente una mostra per bibliofili ed estimatori dei lapis e della carta. Ma paradossalmente lo diventa perché è la prima occasione vera e

L

propria per avvicinarsi al quarto numero di “Civico 103”, l’interessante magazine della Galleria, che esce a un anno esatto dal

primo e incassa un importante successo: d’ora in poi, infatti, la versione cartacea sarà edita da Silvana Editoriale, che ha scelto di pubblicarla e di distribuirla nei bookshop dei principali musei e centri d’arte italiani. Un altro bel passo verso una distribuzione capillare, dopo il buon successo (anche internazionale) ottenuto con la versione per iPad.

Nationale di Parigi, e dal foglio miniato Dama con falcone del Louvre di Parigi. La centralità artistica di Milano è testimoniata anche durante il dominio degli Sforza, con epicentro sotto il ducato di Ludovico il Moro, che costituì un tesoro tale da conquistare una collezionista come Isabella d’Este.

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ASTE, FIERE E MOSTRE-MERCATO Da Firenze agli States e dalla Germania a Parigi, l’autunno si fa subito caldo di annette popel pozzo

 IL 30 SETTEMBRE, COLONIA

Asta – Auktion 120: Bücher, Graphik, Autographen www.venator-hanstein.de L’asta con più di 1.200 lotti comprende libri antichi del Quattro e Cinquecento, manoscritti e autografi, materiale topografico, fotografico, grafico e libri di pregio del XX secolo. Segnaliamo una bella sezione dedicata alla “danse macabre” con volumi rari dal Cinque al Novecento, dall’edizione di Icones mortis del 1554 (Lione, contenente 53 xilografie su disegno di Hans Holbein, lotto 209, stima €1.800) fino a Les Morts parlent del 1917 (Ginevra, contenente 7 xilografie di Frans Masereel, edizione limitata, no. 2/50, lotto 282, stima €900).

 IL 6 OTTOBRE, PARIGI

Asta - Vente Bibliothèque Pierre-Jean Rémy, Littérature Française - Italie www.alde.fr Trecento lotti che comprendono in gran parte libri di letteratura francese ottocentesca, ma anche volumi d’interesse Italica con prime edizioni di Stendhal che passò qui gran parte della sua vita ricoprendo il ruolo di Console di Francia e collezionando una biblioteca (il fondo Stendhaliano-Bucci) conservata oggi a Milano presso Palazzo Sormani: Histoire de la peinture en Italie (1817, legatura coeva, lotto 81, stima €600-800), Rome, Naples, et Florence, en 1817 (1817, bella legatura coeva, lotto 85, stima €500-600), Rome, Naples et Florence (1826, edizione definitiva in parte originale, legatura di “Semet et Plumelle”, lotto 87, stima €800-1.000).

 IL 9 OTTOBRE, MILANO

Mostra mercato – Vecchi libri in piazza, Piazza Diaz www.piazzadiaz.com La manifestazione nata nel 1995 conta circa cento espositori accreditati provenienti da tutta Italia, con l’occasionale presenza di alcuni librai francesi e di un libraio olandese.

 IL 10 OTTOBRE, PARIGI

Asta – Affiches de tourisme www.camardetassocies.com 240 lotti esclusivamente dedicati a manifesti pubblicitari turistici francesi, con progetti firmati da Matisse, Vilemont e Broders.

 DAL 12 AL 16 OTTOBRE,

FRANCOFORTE SUL MENO

Mostra mercato - 7. Frankfurter Antiquariatsmesse in der Frankfurter Buchmesse www.buchmesse.de - www.abooks.de Dal 2005 la Mostra del libro antico affianca la Fiera del libro di Francoforte che, con espositori provenienti da più di 100 paesi e un numero di visitatori che supera i 300.000, è la più grande e importante manifestazione del libro al mondo.

 IL 15 OTTOBRE, FIRENZE

Asta – Umberto Brunelleschi www.gonnelli.it 142 lotti dedicati al pittore, illustratore e costumista toscano Umberto Brunelleschi (1879-1949), che, trasferitosi nel 1901 a Parigi, occupò una posizione di rilievo nell’ambiente artistico della capitale francese: fu amico di Modigliani,

Soutine, Picasso, Van Dongen, Derain, e il suo studio era frequentato, tra gli altri, da Boldini e D’Annunzio. Collaboratore dell’Illustrazione italiana, della Lettura e di Vogue, l’artista illustrò moltissimi volumi per editori francesi e belgi. Per Guillot Paul et Virginie di B. de Saint Pierre (1931) e Songe d’une nuit d’été di Shakespeare (1931); per Gibert di Parigi illustrò tra gli altri Candide e L’ingénue di Voltaire (1932); un album di Masques italiennes (1932); il Decamerone di Boccaccio (con il titolo Contes, 2 vol., 1933); Contes di Perrault (1934); Mémoires di Casanova (1934), e Madame Bovary di Flaubert (1935).

 IL 16 OTTOBRE, FIRENZE

Asta – Disegni e Stampe www.gonnelli.it 419 lotti tra stampe e disegni con temi e soggetti tra i più diversi, il tutto dal XVI al XX secolo.

 IL 20 OTTOBRE, NEW YORK

Asta – The Library of an English Bibliophile, part II www.sothebys.com “The second highlights sale from the Library of an English Bibliophile features first editions of some of the greatest works of English and American Literature from the seventeenth to the twentieth centuries, often in exceptionally fine condition. This includes the First Folio and third folio editions of Shakespeare (1623 and 1664), a spectacular association copy of James Joyce’s Ulysses (with an annotated leaf from the typescript).”

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BvS: il libro ritrovato



San Carlo nelle carte dell’Archivio Arcivescovile Due importanti repertori bio-bibliografici curati da Aristide Sala BEATRICE PORCHERA

Sala Aristide (1825-1893). Documenti circa la vita e le gesta di s. Carlo Borromeo pubblicati per cura del canonico Aristide Sala archivista della Curia Arcivescovile di Milano. Volume I.o [-III.o]. [Segue] Fascicolo conclusionale dell’opera circa s. Carlo Borromeo pubblicata per cura del canonico Aristide Sala già archivista arcivescovile di Milano. Milano, Pinerolo, Tip. Boniardi-Pogliani di Ermenegildo Besozzi, Giuseppe Chiantore, 1857-1862 [ma 1863]. 4 volumi in 3 tomi. Sala, Antonio; Sala, Aristide (a cura di; 1825-1893). Biografia di san Carlo Borromeo scritta dal professore Antonio Sala edita dal canonico Aristide Sala con corredo di dissertazioni e note illustrative. Volume unico. Milano, Tip. BoniardiPogliani di Ermenegildo Besozzi, 1858.

«Q

uesta è una strombazzata! Ma che mai? Quelli che non la vorrebbero l’hanno resa necessa-

ria!!».1 Sono le parole che il sacerdote Aristide Sala (1825-1893) pose a chiusura del testo da lui scritto in difesa del lavoro che lo aveva appassionato e impegnato per anni, sfociato nella pubblicazione della Biografia di san Carlo Borromeo scritta dal professoNella pagina accanto: tavola raffigurante un abito ecclesiastico cinquecentesco, colorata da mano coeva (Documenti, vol. I) Sopra: antiporta della Biografia con ritratto di san Carlo nel giorno del solenne ingresso in Milano

re Antonio Sala, suo padre, da lui curata, e dei tre volumi dei Documenti circa la vita e le gesta di s. Carlo Borromeo, seguiti da un Fascicolo conclusionale dell’opera. Sala nacque a Milano, parrocchiano di Sant’Alessandro, il 26 agosto 1825, figlio di Antonio, professore di ginnasio, e di Giulia Bonazzola. Compiuti gli studi ginnasiali presso il liceo di Sant’Alessandro, nel 1843 entrò nel seminario di Monza, dove, il 2 giugno 1849, venne ordinato sacerdote. Negli anni che seguirono ottenne le nomine di “aggiunto alla segreteria della Curia arcivescovile” (1850), “caudatario ed elemosiniere” dell’arcivescovo (1851) e, infine, nel 1854, canonico minore del Duomo. Occupandosi della segreteria arcivescovile, ebbe modo di notare quale stato di disordine regnasse all’interno degli archivi e decise di risolvere il problema in prima persona. Nell’ottobre del 1853 chiese e ottenne l’incarico di archivista. In funzione del riordino adottò una serie di provvedimenti: creò un organico formato dall’archivista stesso, un aggiunto e un usciere laico; aprì alcuni capitoli di spesa; concentrò i diversi archivi e li fece collocare in ambienti idonei, facilmente

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accessibili anche al pubblico. Egli voleva far sì che i documenti lì conservati fossero messi a disposizione degli studiosi e dei ricercatori, oltre che dell’ente; concetto che ritroviamo espresso nel Regolamento per gli archivi arcivescovili datato 19 maggio 1857, da lui curato. In otto anni, grazie alla sua preparazione culturale e professionale e all’impiego di criteri e metodi validi ancora oggi, Sala riorganizzò completamente l’archivio.2 Fu durante questo lasso di tempo che elaborò l’idea di dare alle stampe una vita di San Carlo scritta dal padre Antonio e alcuni volumi contenenti documenti inediti custoditi presso l’Archivio Arcivescovile, riguardanti il santo tanto amato dai milanesi. I pensieri che lo indussero a dar vita a un progetto di tale portata li espose lui stesso nel cap. VI del vol.

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I dei Documenti, uscito dai torchi della tipografia meneghina BoniardiPogliani di Ermenegildo Besozzi nel 1857:3 «Attendevasi con impazienza la Genealogia della chiarissima famiglia Borromeo di Milano, di cui il conte Pompeo Litta nelle sue Famiglie celebri annunciava imminente la pubblicazione. La immatura morte d’illustre autore ne tolse ogni speranza; fu dunque persuaso all’operosissimo mio genitore, l’emerito professore ginnasiale Antonio Sala, che si assumesse quest’opera, in maniera che potesse dirsi una continuazione di quell’ingente lavoro. Giunto al glorioso san Carlo, giudicò di non poterne convenientemente compendiare le gesta senza prima studiar bene il grand’uomo di cui doveva in brevi parole esibire il ritratto. E si fece a raccogliere quanto ne fu scritto nelle diverse vite note, e documenti

che già si hanno stampati intorno a lui. Viddi questo studio dell’ottimo padre mio, e mi parve che con pochi tocchi dati all’uopo dall’autore medesimo, poteva per sé solo essere ultimamente stampato, siccome lavoro che contiene in una facile, forbita e sobria narrazione continuata, oltre il risultato delle speciali ricerche fatte dall’autore; tutto quanto di s. Carlo hanno scritto il Bescapè, il Giussani, l’Oltrocchi, e gli altri che, più o meno completamente, parlarono delle illustri azioni e della edificante vita dell’immortale nostro patrono. Aderendo papà ad adattare il suo scritto a questa mia vista, mi persuasi che la pubblicazione d’una nuova vita di s. Carlo presentava anche occasione propizia di mettere fuori tutto che di più importante si trovasse negli archivi arcivescovili circa il santo ristoratore della diocesi, e che per tal

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modo molta parte dei documenti meritevoli di veder la luce avrebbero potuto uscire con sufficiente interesse e dilucidazione».4 Il vol. I dei Documenti, dedicato a mons. Bartolomeo Romilli, conteneva: un’ampia introduzione, una “serie prima” riguardante consultazioni teologiche in materie conciliari, una “serie seconda” costituita da pergamene, una “serie terza” di statuti capitolari, numerose pagine di note e un indice. Il vol. II, dedicato al cardinale Costantino Patrizi, venne strutturato come segue: “serie quarta” con atti e scritture circa le controversie in fatto di giurisdizione e immunità ecclesiastica, “serie quinta” con consultazioni teologiche in materie liturgiche, “serie sesta” composta da lettere, e, infine, note e indice. In più punti del tomo Sala sottolineò come a causa della gran quantità di documenti si fosse dovuta effettuare una selezione dei più significativi riguardanti le diverse serie. Inoltre segnalò la necessità di dare alle stampe un terzo volume, non preventivato. Ma prima di quest’ultimo, nel

1858, i devoti poterono stringere tra le mani la Biografia di san Carlo Borromeo scritta dal professore Antonio Sala edita dal canonico Aristide Sala con corredo di dissertazioni e note illustrative. L’opera fu stampata in un unico volume dalla tipografia di Ermenegildo Besozzi. La vita di san Carlo occupa in realtà le prime 228 pagine del tomo; nella restante parte Aristide Sala raccolse otto “dissertazioni” riguardanti differenti argomenti

legati all’uomo di Arona. Cito solo la “dissertazione quinta” che tratta del rito ambrosiano, perché qui si manifesta in modo palpabile l’attaccamento di Sala alla sua città e alla sua Chiesa: «Fra la moltitudine grande delle liturgie occidentali diverse dalla romana, quasi sola la milanese, ben conosciuta soltanto da chi ne studia l’indole e la storia, ancor sopravvive: quasi sola, come un’augusta basilica del secolo quarto in un deserto sparso di ruine, sta ancora salda ed alta, tutta bella dell’antica sua gloria. Il rito patriarcale di Aquileja, già esteso nell’alta Italia orientale e nell’Illirico, i riti siciliani, i riti delle Chiese di Capua, di Ravenna, di Vercelli e di più altre Chiese d’Italia, i riti diversi di più Chiese di Germania, delle Gallie e delle Spagne, scomparvero, rimastine d’alcuni i ricordi e l’uso in pochissimi luoghi: l’ambrosiano solo ha resistito fin qui all’urto degli uomini ed alla potenza dei tempi. È nostro debito dunque studiarlo, conoscerlo e conservarlo intemerato, per tramandarlo, come un sacro deposito affidato all’amore ed onor nostro e come reliquia dell’antica grandezza milanese, ai posteri, quale dai maggiori lo abbiam ricevuto. Così han fatto i passati per lunga serie di secoli: così abbiamo a far noi».5

NOTE 1 A. SALA, Fascicolo conclusionale […], Pinerolo, Giuseppe Chiantore, 1862 [ma 1863], p. 132. 2 Cfr. G. FIGINI, Sala Aristide, in Dizionario della Chiesa ambrosiana, a cura di L. Majo, vol. V, Milano, NED, 1992, pp. 3155-3156. 3 Tra il 1857 e il 1861 un’edizione parallela dei Documenti venne stampata a Milano

coi tipi di Zaccaria Brasca. 4 A. SALA, Documenti […], vol. I, Milano, Tip. Boniardi-Pogliani di Ermenegildo Besozzi, 1857, p. XCII. 5 A. SALA, Biografia […], Milano, Tip. Boniardi-Pogliani di Ermenegildo Besozzi, 1858, p. 174. 6 A. SALA, Documenti […], vol. III, Milano,

Tip. Boniardi-Pogliani di Ermenegildo Besozzi, 1861, quartultima p. n.n. 7 ID., Fascicolo conclusionale […], p. 135. 8 F. GIANCOTTI, Per ragioni di salute. San Carlo Borromeo nel quarto centenario della canonizzazione 1610-2010. Con 62 opere d’arte inedite, Milano, Il Club di Milano e Spirali, 2010, p. 239.

Nella pagina accanto: tavola contenuta nella Biografia con edifici milanesi eretti o fondati da san Carlo A destra: antiporta del vol. II dei Documenti con ritratto di san Carlo a tredici anni

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Da sinistra: antiporta del vol. III dei Documenti con ritratto di san Carlo cardinale arcivescovo di Milano; tavola raffigurante un abito ecclesiastico cinquecentesco, colorata da mano coeva (Documenti, vol. I)

Il vol. III dei Documenti comparve presso le botteghe dei librai nel 1861. Esso conteneva: alcune avvertenze, la continuazione della “serie sesta” costituita da lettere, la “serie settima” con le memorie delle abazie di Nonantola e della Follina, la “serie ottava” composta da atti cancellereschi e notarili, un avviso e un indice. Quando il libro uscì il sacerdote ambrosiano aveva già lasciato la sua città natale per dirigersi alla volta di Pinerolo, dove svolse gli incarichi di professore di letteratura italiana e cappellano presso la scuola militare di cavalleria.

Il 15 luglio 1861 gli era infatti stato tolto, con suo grande rammarico, il lavoro di archivista arcivescovile a causa di incomprensioni nate all’interno della Curia. L’Avviso posto in calce al vol. III e datato “Pinerolo, 10 settembre 1861” recita: «Quest’ultimo volume ha già oltrepassato di molto il promesso numero di pagine. Perciò l’appendice, le note, le rettificazioni ed aggiunte, la risposta alle osservazioni, verranno col discorso conclusionale pubblicate il più presto possibile in un fascicolo a parte; il quale […] comprenderà pure indici cronologici ed alfabetici di tutta l’opera,

più un elenco bibliografico delle opere in cui si contengono documenti e notizie circa s. Carlo».6 La stampa del Fascicolo conclusionale dell’opera circa s. Carlo Borromeo venne portata a termine a Pinerolo da Giuseppe Chiantore nel 1863. Dedicatosi per più di sette anni alla completa realizzazione di un lavoro tanto ingente «da mille vicende e difficoltà contrastato»,7 Aristide Sala diede «prova di grande generosità pubblicando raccolte e documenti di straordinaria importanza» che ancora oggi costituiscono un’indispensabile risorsa bio-bibliografica.8

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BvS: un editore dell’Ottocento



Bartolomeo Gamba e la Tipografia di Alvisopoli Da sogno utopico a stamperia ufficiale della Restaurazione ARIANNA CALÒ

“Oh anime cortesi! O mia benigna Fortuna! Qua qua: fa loro cuore, guidali a sant’Apollinare, calle larga della Malvasia laddove troveranno in bianco scritto sul nero: Tipografia di Alvisopoli. Veh! Che altrove non mi si sperdano. E’ se ne dee far gran conto” Gazzetta di Venezia, Prose scelte di Tommaso Locatelli, vol. IV, Venezia, Co’ tipi del Gondoliere, 1838.

L

a Tipografia di Alvisopoli nacque per volontà del nobile veneziano Alvise I Francesco Mocenigo. Ritiratosi dopo la caduta della Repubblica di Venezia nei suoi terreni attorno a Portogruaro, il nobile illuminato e definito dai suoi contemporanei “gran partigiano degli enciclopedisti”, già nell’anno 1800 maturò l’idea di fondare una nuova città che, secondo l’antico costume greco e romano, prese dal suo il nome di Alvisopoli. Per quanto fosse sin da subito abbandonato il primo progetto urbanistico, considerato dispendioso e specchio più che altro di un sogno utopico, le costruzioni presero tuttavia forma, e tra le altre trovò immediata collocazione la stamperia, voluta come necessario

mezzo di diffusione di cultura. Il 2 aprile 1810 si inaugurava ufficialmente la Tipografia di Alvisopoli: Mocenigo chiamò alla direzione Nicolò Bettoni, colui che nel 1807 aveva stampato la prima edizione dei Sepolcri di Foscolo. Ma la collaborazione tra lo stampatore di Portogruaro e il mecenate durò solo pochi anni: il 4 settembre 1814 la direzione dello stabilimento tipografico fu affidata infatti a Bartolomeo Gamba, e sul finire dell’anno lo stabilimento trasferito a Venezia. Nato a Bassano del Grappa nel 1776 da una famiglia modesta, Gamba iniziò sin dall’infanzia a lavorare per i Remondini, scalando ben presto tutte le posizioni all’interno della tipografia, sino a dirigerla e a diventare uomo di fiducia del conte Giuseppe, per il quale curò l’arricchimento della biblioteca personale,

Da sopra: uno dei soli 6 esemplari della Lettera XXXI di Seneca tradotta da Annibal Caro, stampata per Alvisopoli nel 1821. Frontespizio del Prospetto biografico delle donne italiane, accorata risposta di Ginevra Fachini alle accuse avanzate alle letterate italiane da Lady Morgan

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Sopra: frontespizio e antiporta de La Circe di Giovambatista Gelli, 1825, volume della “Collezione delle operette di istruzione e piacere”.

scegliendo e selezionando testi da mercanti e collezionisti. Autodidatta nell’accezione più estensiva del termine, negli anni di questa sua formazione “concreta” Gamba aveva saputo ricercare un continuo contatto con il libro e con la discussione culturale, e una quotidiana consuetudine di critica e di aggiornamento; l’incontro con Alvise Mocenigo e il progetto condiviso della nuova tipografia costituirono un ulteriore avanzamento, offrendogli la possibilità di operare in piena indipendenza: «È non alieno dal mio piacere poter finalmente stampare a modo mio».1 Nell’esperienza di Alvisopoli Gamba dimostrò sin da subito di saper ammaestrare e ricondurre a profitto quei segni di cambiamento di cui allora si iniziavano ad avvertire i primi sentori. Terrà conto infatti del mutato clima editoriale del Veneto – con la caduta della Repubblica i tipografi artigiani si erano visti spogliati dei privilegi di stampa e dunque, costretti a chiudere – e dell’altrettanto

mutato clima politico: rimasta la principale stamperia dopo la lezione dei Remondini, la Tipografia di Alvisopoli «sarebbe stata la stamperia della Restaurazione, sgombra di ogni indulgenza per i nuovi fermenti di vita e di pensiero che […] cominciavano a farsi sentire con sempre maggiore insistenza».2 Forte della parallela attività presso l’Ufficio di Censura, strumento e arbitro dell’editoria veneziana al quale era stato appuntato nel 1815, Gamba dettò la linea editoriale della Tipografia, della quale le edizioni conservate presso la Biblioteca di via Senato offrono un particolare saggio, tra rarità ed esemplari sconosciuti alle bibliografie. Le pubblicazioni per varie occasioni rientrano sin da subito nel novero delle tipologie alvisopolitane, con attenzione alla qualità del contenuto che invece troppo spesso nei decenni precedenti era andato scadendo a vantaggio della ricchezza tipografica e della pompa della pre-

sentazione. Alvisopoli stampa nuptialia ricercando testi d’interesse letterario, storico e culturale anche veneziano, desunti da antiche rare pubblicazioni o inediti: è il caso della Storia del reame degli orsi scritta da Gasparo Gozzi il di 17 settembre 1768 e che non si legge nella raccolta delle sue opere e Della forma di onesta vita scritta nel VI secolo da Martino vescovo dumense e bracarense. Tre antichi volgarizzamenti italiani, entrambi del 1830. Queste due edizioni riflettono il suo proposito di selezionare il meglio della produzione linguistica e letteraria dei vari secoli, dai volgarizzamenti trecenteschi agli scritti devozionali, dalla narrativa del Cinquecento ai testi illuministici, in base al criterio della piacevolezza della lettura – in osservanza dell’utile dulci ripreso come motto nella marca tipografica. Nel 1816 vedeva la luce la prima edizione delle Novelle di Giovanni Sercambi lucchese ora per la prima volta pubblicate, tratte da un manoscritto redatto intorno al 1374 e in precedenza ingiustamente considerate rozze, oscene e prive di qualità, giudizio che rese il novelliere orfano di un’edizione integrale, anche a causa della straordinaria pudicizia con la quale fu custodito l’unico esemplare manoscritto superstite (ora conservato nella Biblioteca Trivulziana di Milano), a lungo di proprietà della nobile famiglia dei marchesi Trivulzio. Furono dati nuovamente alle stampe testi di genere descrittivo, «istruttivi “per la varietà degli argomenti”, ricreativi dell’animo, “per la loro scelta e vaghezza e per così dire di guida sì nell’accoppiamento giudizioso dei pensieri, che nella nettezza e nel candore dello stile e della lo-

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cuzione”. Suggerimenti del buon vivere civile “atti ad instillare in ogni animo principi di virtù”».3 L’edizione del 1825 de La Circe di Giovambatista Gelli accademico fiorentino è uno degli esempi della ricerca d’erudizione e precisione formale dei testi; Gamba era solito eseguire un’accurata recensio delle edizioni e un’attenta analisi dei criteri informatori delle stampe, come dimostra la nota Ai Leggitori all’inizio del volume: «Impresso frequentemente nel secolo XVI non lo fu a’ nostri dì che una sola volta nel 1804 in Milano con altre opere del Gelli; ed io penso di fare cosa di pubblico giovamento dandolo alla luce con nuove cure, con riordinata interpunzione, e colla diligenza dovuta ad un libro classico per nitida e forbita favella». La stessa cura ripone nella riedizione di opere di autori classici: tra gli scaffali della nostra biblioteca è custodito un rarissimo esemplare della Lettera XXXI di Seneca tradotta da Annibal Caro, sconosciuta agli annali alvisopolitani, stampata per correggere una precedente versione «alquanto guasta e poco corrispondente all’originale».4 La copia appartenne a Giulio Bernardino Tomitano di Oderzo (1761-1828), bibliofilo e possessore del manoscritto originale della traduzione, che non mancò di annotare alla carta bianca di legatura dell’esemplare a stampa che: «Di questa Lettera di Seneca volgarizzata da Annibal Caro sei soli esemplari furono impressi nella Stamp. di Alvisopoli per opera del Sig.r Gamba in quest’anno 1821; e di due e’ à voluto essermi liberale. Rarissima perciò.» Grande diffusione ed eco anche in ambito nazionale ebbe la Collezione di operette di istruzione e piacere

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Frontespizio delle Fantasie e bizzarrie di artisti narrate da Giorgio Vasari, un altro titolo della “Collezione delle operette di istruzione e piacere” di Alvisopoli

scritte in prosa da celebri italiani antichi e moderni, la più cospicua e impegnata opera associativa della Tipografia di Alvisopoli. Gamba conosceva bene il progresso che nel resto d’Italia stavano guadagnando le collane e le imprese editoriali per associazione – i lavori di Sonzogno, di Silvestri, di Stella – e intese per questo dare un’impronta specifica alla propria impresa: diversamente dalle altre, avrebbe scelto per la propria collana opere d’istruzione sì, ma da raccomandarsi per scrupolosa morale; nessuna opera in versi, nessuna di quelle in vendita a Milano. Non una collezione di classici, dunque, ma una collezione di testi di lingua, secondo il gusto per il dettato e il frammento. Così è per la già citata Circe, così per le Fantasie e bizzarrie di artisti narrate da Giorgio Vasari e tratte dalle sue vite de’ pittori, scultori ed architetti: avulsi dalla contestualizzazione storica del periodo, tolti dal vivo della cultura che li aveva prodotti, i testi si allineano come modelli di

lindura stilistica. Dal lavoro preparatorio per questa raccolta Gamba avrebbe tratto il materiale per la stesura della Serie de’ testi di lingua, tuttora fondamentale strumento bibliografico della nostra letteratura. Dai torchi della Tipografia di Alvisopoli uscirono anche opere essenziali per l’erudizione e la cultura del primo Ottocento: biografie, opere letterarie, storiche, erudite, di vasta divulgazione scientifica (per quest’ultimo aspetto è da segnalare il testo di Raffaello Politi, Osservazioni critiche sul vaso fittile esistente in Girgenti nello archivio del Duomo, 1828, non riportato negli annali di Vianello e neppure nei principali repertori bibliografici sull’Ottocento). In particolare, il gusto della biografia è uno dei capisaldi dell’attività editoriale alvisopolitana, declinato anche alla volontà di divulgare al pubblico le “patrie glorie”: la Galleria dei letterati ed artisti illustri delle Provincie Veneziane nel secolo decimottavo, stampata in due volumi nel

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Da sinistra: marca tipografica della Tipografia di Alvisopoli, un’ape laboriosa e il motto utile dulci, vocazione all’opera di piacevole erudizione; frontespizio delle Osservazioni critiche sul vaso fittile esistente in Girgenti, opera sconosciuta agli annali alvisopolitani, stampata nel 1828; frontespizio delle Novelle di Gianni Sercambi lucchese ora per la prima volta pubblicate, importante pubblicazione di Alvisopoli del 1816 da un codice trecentesco inedito

1824, presenta centocinquanta brevi biografie ridotte allo spazio di una facciata, accompagnate da altrettanti ritratti incisi, sì da offrire «una più particolare cognizione delle cose vicine»,5 cioè venete. Allo stesso tempo, nel 1824 Ginevra Canonici Fachini stampa per Alvisopoli il suo Prospetto biografico delle donne italiane rinomate in letteratura dal secolo decimo quarto […], libello polemico in risposta alle accuse d’immoralità perpetrate da lady Morgan (Sydney Owenson) alle donne italiane nel suo Italy stampato nel 1821. Se dunque Alvisopoli insisteva nella sua accorata difesa delle patrie glorie dei secoli passati, come dimostra il testo di Ginevra Fachini, allo stesso modo operava per diffondere i primati contemporanei delle lettere in rapporto ai secoli precedenti e alla culture d’oltralpe, per dimostrare che «an-

che l’età a noi più vicina non è stata meno gloriosa di ogni altra antecedente»6 e per porre «sempre più forte argine alle ingrate sentenze degli stranieri che per lo più ci giudicano senza conoscerci».7 La morte colse Bartolomeo Gamba nel 1841. Dopo alterne vicende e successivi passaggi di consegne, la Tipografia di Alvisopoli cessò la sua attività; terminava dunque l’opera di pacata ricerca d’erudizione

che, estranea a ogni innovazione e lontana dalla discussione sugli aspetti della realtà contemporanea, aveva goduto dell’avallo del regime austriaco. Sostenitrice di una linea culturale “vigile, documentaria, retrospettiva e, insomma, sostenitrice di quella cultura necessariamente erudita”,8 Alvisopoli nulla potè contro la nuova ventata liberale che, anche dal punto di vista editoriale, cancellò un mondo politicamente già sconfitto.

NOTE 1 Lettera di Bartolomeo Gamba a Francesco Testa, 15 gennaio 1816, citata in Una vita tra i libri. Bartolomeo Gamba, a cura di Infelise, Ericani, Berti, Milano, Franco Angeli, 2008. 2 N. Vianello, La Tipografia di Alvisopoli e gli annali delle sue pubblicazioni, Firenze, Olschki, 1967, p. 13. 3 Citato in Vianello, pp. 32-33.

L’edizione poco corretta a cui si fa riferimento è quella pubblicata a Treviso dalla Tipografia Trento per le nozze Albrizzi-Pola nel 1820. 5 Dedicatoria Alle Società letterarie delle Provincie Austro-Venete. 6 Ibidem. 7 Ibidem. 8 Vianello, p. 86. 4

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BvS: il Fondo Impresa



Non solo moda: i cento anni della “casa del levriero” Dai guanti all’arte contemporanea, tutto nel segno della bellezza GIACOMO CORVAGLIA

T

russardi compie 100 anni. Fondata a Bergamo da Dante Trussardi, nell’ormai lontano 1911, la celebre casa di moda celebra quest’anno il primo secolo di attività. Nata come laboratorio per la produzione e la distribuzione di guanti di lusso, l’azienda si distinse per la qualità delle materie prime utilizzate e per la costante ricerca nella lavorazione della pelle. L’eleganza della maison conquistò ben presto la Casa Reale Inglese, tanto da diventarne il fornitore ufficiale. Ma la svolta avviene nel 1970, quando alla direzione dell’azienda subentra Nicola Trussardi, nipote di Dante, che lancia una nuova serie di accessori moda come valige, borse e giacche di pelle. Nel 1973 Trussardi è la prima maison di moda ad adottare un simbolo che identifica tutti i suoi prodotti, il Levriero. Nel 1983 viene introdotta la prima linea di abbigliamento prêt-à-porter che ottiene un enorme successo. Dal 1986 il marchio Trussardi comincia a essere utilizzato al di fuori dell’ambito della moda. Vengono infatti disegnati gli interni di auto e dei DC9 Alitalia, ma anche le divise degli atleti italiani che partecipavano ai Giochi della XXIV

Volume celebrativo per gli ottant’anni di casa Trussardi. Nella pagina accanto: calco originale del “levriero Trussardi”

Olimpiade nel 1988. Dal 2002, l’amministrazione dell’azienda è in mano a Beatrice Trussardi.



Nel 1985 viene pubblicato Il mondo di Trussardi, volume commemorativo che attraverso le immagini

di Giovanni Gastel celebra l’attività del gruppo e tutto il suo mondo: Trussardi collezione donna, Trussardi collezione uomo, Trussardi collezione junior, Trussardi action, Trussardi accessori, Trussardi inside e Trussardi Design. In occasione degli ottant’anni dell’azienda, nel 1991, Nicola Trussardi fa pubblicare da Franco Maria Ricci Trussardi: Memorie e documenti per servire alla storia della Casa Trussardi. Il volume, attraverso gli scritti di Francesco Alberoni e Carlo Castellaneta, ripercorre la storia della “casa” partendo dalle origini sino all’evoluzione e al successo ottenuto sotto la guida di Nicola Trussardi. Così lo stilista scrive nell’introduzione al volume: “Ottant’anni di lavoro sono tanti, e abbracciano gli entusiasmi, le energie, le passioni di più di una generazione , le speranze e i sogni di un’intera famiglia la cui vita ha coinciso con la vita di un’azienda. Questo libro è stato concepito per celebrare l’anniversario della Trussardi, ma si occupa in particolare dell’ultimo periodo, da quando cioè, l’azienda si è evoluta sotto la mia guida. Ho chiesto a Franco Maria Ricci di realizzarlo insieme; a lui, a Francesco Alberoni e Carlo Castellaneta devo

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un caloroso ringraziamento, per l’impegno e la maestria con cui hanno presentato la storia della nostra azienda e la sua collocazione storica e socio culturale. Oltre a scandire un anniversario, questo volume intende offrire un segno di riconoscimento a coloro che mi sono stati accanto nel lavoro, nelle idee, nei successi e nelle fatiche di tutti questi anni. […] Grazie a loro si è creato all’interno della Trussardi uno spirito peculiare, un senso di appartenenza che io vivo come una comunità ideale. E in fine questo libro è dedicato a una cerchia ben più vasta di amici, cittadini del mondo. […] La loro stima è per me stimolo costante per continuare a credere nel mio lavoro.”



Purtroppo Nicola Trussardi muore in un incidente stradale il 13 aprile 1999. Tragica sorte toccata anche al figlio Francesco che perderà la vita quattro anni dopo, all’età di 29 anni. In memoria dello stilista la Fondazione Nicola Trussardi pubblica Nicola Trussardi: Unexpected, un volume in 2.000 esemplari numerati, piatto superiore in metallo, piatto inferiore in cuoio, come a sottolineare la tradizione attraverso il cuoio e l’innovazione attraverso il metallo tenuti insieme da una spirale quale simbolo di continuità. Il volume è un omaggio a Nicola Trussardi attraverso la testimonianza di numerose personalità del mondo dell’impresa, della moda, dello spettacolo, della cultura e della politica. A tale proposito citiamo la testimonianza di Franco Maria Ricci, che racconta il suo incontro con Nicola Trussardi in occasione della pubblicazione del

giubilare per gli ottant’anni della casa: “Volevo bene a Trussardi perché vedevo in lui un po’ me stesso, il suo modo di lavorare era molto simile al mio. Ricerca della qualità senza perdere d’occhio la funzionalità, il buon senso, i costi. Nel 1991, quando mi chiese di ‘confezionare’ il libro sulla avventura di Casa Trussardi dal nonno guantaio all’oggi, le idee, i modi di organizzare tipograficamente testi e immagini ci vedevano sempre in accordo. Quando Trussar-

di riconosceva una capacità professionale cercava sempre di favorirla senza contraddirla o peggio umiliarla in nome del marketing e del gusto di massa, cosa che avviene spesso nelle grosse aziende, ove l’ignoranza del manager si veste sempre di presunzione e arroganza per dimostrare che è lui il vero artista e soprattutto il capo. Con Nicola era tutto più semplice e gradevole, anche certe sue furbizie per risparmiare, intelligenti e sempre condite di ironia. La morte se l’è preso evitandogli l’umiliazione

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della città come i bambini impiccati in Piazza XXIV Maggio di Maurizio Cattelan e l’uomo gigante sospeso su parco Sempione di Pawel Althamer.

Sopra da sinistra: il volume Marino alla Scala; Scala e Marino alla Scala; Nicola Trussardi: unexpectet. Volume edito dalla Fondazione Nicola Trussardi per la sua commemorazione

della vecchiaia, del degrado, della perdita dell’eleganza, lasciandoci così intatta l’immagine del levriero, che poi era lui.” Nel 1996 viene inaugurato Palazzo Trussardi Marino alla Scala, la nuova struttura architettonica che raccoglie tutto l’universo Trussardi in un unico spazio. Il progetto architettonico è di Pierluigi Cerri, l’allestimento è di Ben Van Os e Reiner Van Brummelen. Per celebrare l’evento la Fondazione Nicola Trussardi pubblica nel 1997 il volume Trussardi: Marino alla Scala nel quale si racconta la storia del palazzo attraverso i secoli e attraverso immagini la sua definitiva trasformazione.



Nata nel 1996, la Fondazione Nicola Trussardi è un’istituzione non profit per la promozione della cultura e dell’arte contemporanea. Un museo nomade che porta l’arte



contemporanea negli spazi monumentali e storici della città di Milano: la sua attività prevede due grandi eventi espositivi l’anno, accompagnati da altri progetti come pubblicazioni o eventi. Riscoprendo e facendo riscoprire al grande pubblico attraverso le sue mostre, alcuni tra i palazzi storici più importanti del centro di Milano, tra cui Palazzo Dugnani, Palazzo Litta, la Palazzina Appiani dell’Arena Civica, gli exMagazzini della Stazione di Porta Genova, l’Istituto dei Ciechi, Palazzo della Ragione e l’Ottagono di Galleria Vittorio Emanuele. La Fondazione ha presentato progetti ambiziosi che sono rimasti impressi nella memoria collettiva

In occasione del centenario, la Fondazione Nicola Trussardi ha presentato ‘8 1/2’, un’esposizione a cura di Massimiliano Gioni. Mostra collettiva organizzata dalla Fondazione che ha riunito, dal 13 gennaio al 6 febbraio, negli spazi monumentali della Stazione Leopolda di Firenze, 13 opere di altrettanti artisti. Per la prima volta insieme le opere di Darren Almond, Pawel Althamer, John Bock, Maurizio Cattelan, Martin Creed, Tacita Dean, Michael Elmgreen & Ingar Dragset, Urs Fischer, Peter Fischli e David Weiss, Paul McCarthy, Paola Pivi, Anri Sala e Tino Sehgal, artisti che nell’ultimo decennio si sono imposti come i più interessanti e significativi del panorama internazionale. Tutte opere di artisti che hanno collaborato con la Fondazione Nicola Trussardi nei vari anni e che hanno fatto da “cornice” all’anteprima in Italia di una nuova opera di Maurizio Cattelan.

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BvS: rarità per bibliofili



La Naturalis Historia di Gaio Plinio Secondo Un’antica enciclopedia impreziosita da uno zelante lettore VALENTINA CONTI

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llustre personaggio di origine comasca, Gaio Plinio Secondo detto il Vecchio (23 d.C. – 79 d.C.), comandante della flotta navale romana, scrittore e filosofo naturalista, nel 77 d.C. preparò i primi dieci libri del suo lavoro più importante, la Naturalis Historia, un’opera enciclopedica unica nel suo genere e la sola dell’autore a noi pervenuta integra. Si tratta di una vasta raccolta a carattere scientifico divisa in 37 libri (i 27 mancanti nella prima edizione furono resi pubblici solo postumi da Plinio il Giovane, nipote dell’autore), che Plinio il Vecchio scrisse riportando e arricchendo ventimila fatti desunti da duemila volumi di altri cento autori latini e greci. Gli argomenti sono trattati secondo una precisa ripartizione tematica che segue la divisione dei libri: il primo contiene la prefazione dedicata all’imperatore Tito Vespasiano, l’indice e la bibliografia, il secondo riporta notizie di astronomia e meteorologia, seguono 4 libri che trattano di geografia, 1 di antropologia e psicologia umana, 4 di zoologia, 12 di botanica, 8 di medicina, 1 di introduzione alla magia e 5 di mineralogia. È un’opera vicina allo spirito delle enciclopedie moderne (perché

Il testo pliniano ebbe tanto successo che dopo la princeps quattrocentesca fu riprodotto in più di quindici edizioni nello stesso secolo.



Frontespizio della Historia Mundi di Plinio conservata presso la Biblioteca di via Senato con marca tipografica di Hieronimus Froben. Essa si differenzia da quella del padre che nella scritta riportava “Joan Frob”

ogni informazione è considerata soprattutto per il rapporto che l’oggetto descritto intrattiene con l’uomo), e rappresenta una delle più ricche fonti sui costumi e le abitudini degli antichi romani.

La Biblioteca di via Senato possiede un esemplare della Naturalis Historia pubblicato nel 1530 a Basilea dalla tipografia di Hieronymus Froben (1501-1563) nota per le sue produzioni accurate. L’edizione è intitolata C. Plinii Secundi Historia Mundi,1 una variante del titolo molto diffusa, e la caratteristica che rende prezioso l’esemplare è la presenza di numerose postille manoscritte in forma di annotazioni e disegni ai margini bianchi realizzate con inchiostro nero. Il fatto che alla c. A2r nella dedica al principe Stanislao, il nome di Erasmo da Rotterdam sia censurato, fa pensare che si tratti di un postillatore non proveniente da Paesi della Riforma poiché il nome del filosofo olandese fu inserito nell’Index librorum prohibitorum nel 1559. L’abitudine di postillare i libri ha un’origine antica, che risale alla nascita del libro in forma di codice. Nonostante Gaetano Volpi (16891761) religioso, editore e scrittore

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Nella pagina accanto: Maniculae disegnate con dovizia di particolari per pura volontà artistica del postillatore. Questi simboli, solitamente stilizzati, aiutavano a evidenziare le parti del testo considerate più importanti. Sopra: Marginalia raffiguranti castagne, foglie di lauro e pistacchi. I frutti e le piante erano spesso considerati per le loro proprietà curative

padovano sostenesse che “Soleano alcuni saccenti […] nel leggere i Libri, oltre al segnarli del continuo con tratti di penna interlineari, notar ne’ margini i nomi proprj che incontravan ne’ testi […] ma esser ciò cosa inutile e dannosa” tanto che “utilissima è una tal’Acqua per le Librerie, mentre con essa si lavano le inutili scritture che spesso deformano i libri”,2 le annotazioni manoscritte sono generalmente ritenute un elemento di pregio perché, come riassume Luigi Balsamo, suggeriscono la “condizione estrema in positivo” del libro attestandone “un’esistenza attiva”, e “denotano un forte coin-

volgimento del lettore impegnato nella comprensione del testo”.3 Nel Rinascimento l’utilizzo di marginalia diventò tanto importante che nel 1537 a Venezia il Consiglio dei Dieci emanò una norma per imporre ai tipografi l’utilizzo di carta di buona qualità, affinché le note manoscritte non sbiadissero nel tempo e l’inchiostro non sbavasse. Nacquero anche dei veri e propri manuali per rendere proficuo l’uso delle postille: Erasmo nel 1511 scrisse nel De ratione studii ac legendi interpretandique auctore: “Non solo, infatti, bisogna usare una varietà di segni, ma segni appropriati, che in-

dichino immediatamente il loro intento”, suggerimento condiviso da Vincent Plack (1642-1699) che nel 1689 riassunse nel suo De arte excerpendi i modi corretti e sbagliati per segnalare i passi più importanti. Tra le cattive maniere annoverava i segni con l’unghia e le piegature, da condannare perché compromettevano la conservazione del volume, e i polizzini inseriti nel libro, facili da perdere. Al contrario considerava buoni metodi l’utilizzo di segni apposti a margine, sia costituiti da lettere sia da simboli, parole intere o abbreviazioni, segni puramente visivi come le linee e le maniculae o il

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Ritratto di donna eseguito per puro abbellimento decorativo nel margine inferiore della pagina.

disegno dell’oggetto stesso a cui il testo fa riferimento.4



Lo zelante postillatore dell’esemplare dell’Historia mundi utilizza tutti i tipi di annotazioni ora citati per segnalare nel testo le indicazioni che riteneva più importanti. Il libro II dedicato all’astronomia destava il suo interesse, perché è ricco di marginalia dove riassume in una o due parole l’argomento trattato, inoltre in ogni paragrafo dove è citata la luna compare a margine il simbolo di un quarto di luna con le punte rivolte verso l’alto. L’utilizzo di disegni raffigu-

ranti l’oggetto discusso è presente fin dai primi libri (arco caelesti, Larium lacum), ma è dal libro VIII con la rappresentazione di due serpenti che le illustrazioni diventano più particolareggiate e piacevoli. Le doti artistiche dell’antico lettore sono ben evidenti nel ritratto di donna eseguito nel margine inferiore del capitolo I del libro IX, ripetuto di profilo al capitolo XXXIII, o nelle mani disegnate con dovizia di particolari nei margini del proemio del X capitolo. Questi disegni non hanno attinenza con l’argomento nel testo, limitandosi ad essere dei riempitivi artistici. I libri dedicati alla botanica e

alla zoologia, invece, sono quelli con illustrazioni manoscritte più interessanti, infatti, l’anonimo disegna serpenti, un merlo bianco (merul candida), una gabbia utilizzata per gli uccelli (aviaria), un pipistrello, un topo (mus), una lucertola e molte piante e ortaggi, tra cui un salice (frugiperda salix), un ramo d’abete, grappoli d’uva, spighe di grano, un porro, una cipolla, un cavolo e una pianta simile alla senape. Ogni raffigurazione è accompagnata da sottolineature nel testo che evidenziano le caratteristiche più importanti del vegetale e i suoi possibili utilizzi, per esempio, l’asparago è definito un “utilissimo stomacho cibus aspara-

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Dall’alto: disegno di due boa: “Certe serpi che in Italia son chiamate Boa le quali vengono in tanta grandezza che al tempo di Claudio imperatore ne fu morta una sul Monte Vaticano, nel cui ventre si trovò un fanciullo intero”. Disegni a margine raffiguranti una spiga di frumento e un grappolo d’uva. L’Historia Naturalis è una preziosa fonte di informazioni per recuperare le nozioni in possesso degli antichi Romani sulla vendemmia e la mietitura

gi, ut traditur. […] Asparago trito cum oleo perunctum pungi ab apibus negant”. Oltre a quest’ultima citazione, nel testo di Plinio compaiono molte altre informazioni riguardanti una primitiva forma di farmacologia e le numerose annotazioni a margine corrispondenti a questi passaggi potrebbero suggerire l’utilizzo del testo come prontuario di uso comune. Queste annotazioni creano un valore aggiunto al libro perché sono una fonte sicura e prioritaria per ampliare la storia globale dell’esemplare e rappresentano tracce concrete lasciate dal lettore.5 Negli ultimi anni l’interesse nei confronti dei libri postillati ha preso piede, inducendo alcuni studiosi a riunirsi per definire i modi più adatti a catalogare le note manoscritte nell’ambito dell’esemplare. Anche i librai antiquari e mercanti d’asta, prendendo coscienza di questa tendenza, hanno cominciato a menzionare la presenza di postille tra i tratti che rendono un volume appetibile, piuttosto che tra i difetti. Nel caso specifico della Naturalis Historia le illustrazioni del po-

stillatore, con le relative sottolineature, fungono da guida per facilitare la lettura, evidenziando le informazioni che risultavano più curiose e interessanti per l’anonimo lettore del Cinquecento. Le postille manoscritte ai margini aiutano anche un

lettore odierno a orientarsi nella vastissima quantità di informazioni offerta da Plinio, e rappresentano una sorta di testimone lasciato dall’antico proprietario ai futuri lettori, creando un silenzioso legame tra tutti i beneficiari dell’esemplare.

NOTE 1 Hieronymus Frobenius amico lectori s.d. C. Plinii Secundi Historia mundi, […] Adiunctus est index copiosissimus, Basileae, in officina Frobeniana anno 1530. Mense martio. In folio, 37,5 cm, [36], 671, [1] pagine, con legatura coeva in mezza pergamena e titoli manoscritti sul dorso e al taglio inferiore, composta da due volumi rilegati in unico tomo, di cui il secondo è un indice dei nomi. 2 GAETANO VOLPI, Del furore d’aver libri, Pa-

lermo, Sellerio, 1988, p. 11; 53. 3 LUIGI BALSAMO, Intonso/postillato. Dilemma fra i libro intatto e il libro vissuto, in “L’Erasmo”, Milano, Biblioteca di via Senato, 2002, n.8. 4 VINCENTIUS PLACCIUS, De arte excerpendi, Stockholm – Hamburg, G. Liebezeit, 1689, p.5. 5 GIUSEPPE FRASSO, Nel mondo delle postille, a cura di Edoardo Barbieri, Milano, Edizioni CUSL, 2002, p. VII.

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BvS: il Fondo Antico



Cultura dei lumi ed editoria nella Toscana del Settecento L’edizione livornese dell’Encyclopédie, merito di Giuseppe Aubert PAOLA MARIA FARINA

L’

editoria livornese ha conosciuto la sua massima espansione nel Settecento e, in particolare, nella seconda metà del secolo, quando le stamperie cittadine, beneficiando del clima di libertà che si respirava in città, sono state protagoniste di imprese editoriali assai ambiziose, tra le quali spicca innegabilmente la stampa dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert, di cui la Biblioteca di via Senato conserva una copia.1 I fattori che hanno reso la città luogo adatto a ospitare un simile progetto sono piuttosto vari. Nel corso del XVIII secolo il Granducato di Toscana visse una stagione di grandi cambiamenti sotto il profilo politico, sociale, economico e culturale, grazie al governo illuminato del Granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo, il quale promosse una serie di riforme con l’intento di contribuire alla costituzione di uno Stato che, rispetto alle altre realtà italiche, fosse caratterizzato da una notevole dose di libertà e modernità. La Livorno settecentesca si presentava come un vivace centro di scambi culturali oltre che di traffici internazionali2 e il suo tessuto socia-

Nella pagina accanto: il frontespizio del tomo I dell’edizione livornese dell’Encyclopédie con incisione raffigurante un vasto paesaggio con rupi, alberi, un ruscello e il dio Mercurio. Sopra: incisione a piena pagina che precede la dedicatoria con ritratto dell’arciduca di Toscana Pietro Leopoldo, raffigurato entro medaglione

le era estremamente eterogeneo per l’insediamento in città di numerose comunità straniere (prima fra tutte

quella ebraica), le quali erano dotate di un singolare piglio imprenditoriale. Si può parlare, dunque, per quegli anni, di un’autentica fusione di genti e culture diverse e, insieme, di una pacifica convivenza tra differenti confessioni religiose, che facevano della città toscana un eccezionale punto di incontro e di scambio, a livello sia culturale sia economico. Lo scalo portuale labronico, infatti, era ben attrezzato e, sia in virtù della propria neutralità (ottenuta nel 1646) sia grazie allo status di porto franco (riconosciuto in forma ufficiale nel 1676), si configurava come polo ideale per la circolazione di merci in transito verso altri centri della penisola e d’oltremare.3 L’intera vita livornese gravitava intorno al porto, che per tutto il secolo giocò un ruolo di primissimo piano, essendo l’unico sbocco sul mare del Granducato e uno dei più importanti scali dell’intero Mediterraneo. Inevitabilmente, la presenza di una popolazione così diversificata portò a uno scambio culturale di grande vivacità, tutelato e, anzi, promosso, dallo stesso governo cittadino, che, ispirato alla politica illuminata d’oltralpe, avviò un processo di svecchiamento e rinnova-

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mento, incoraggiando lo sviluppo di strumenti adatti alla diffusione delle correnti di pensiero più avanzate provenienti dall’estero.4 Tra le attività che poterono trarre vantaggio dalla politica illuminata messa in atto nel Granducato figura l’arte della stampa, che venne favorita, nello specifico, da due riforme. La prima risale al 1743, quando fu promulgata una legge che riservava alle sole autorità governative la censura preventiva, limitando così i poteri ecclesiastici in merito alle nuove pubblicazioni nello stato. Obiettivo di questo provvedimento, come dichiarato nel preambolo allo stesso, era proteggere l’attività tipografica e incoraggiare la circolazione dei libri, non esclusi quelli editi all’estero,5 in modo da diffondere un sapere libero e moderno. La seconda riforma che segnò un nuovo sviluppo della tipografia livornese fu quella del 1765, che prevedeva la liberalizzazione dell’arte della stampa in città, legge che «recepì, nel gioco alterno di libertà e controlli […], gli stimoli culturali e le esigenze di uno sviluppo cittadino di almeno un precedente ventennio».6 Questo clima di libertà concedeva a tipografi ed editori un ampio spazio per esercitare le proprie attività, oltre alla possibilità di destreggiarsi con una certa disinvoltura anche in campi più spinosi, come quello dei libri proibiti dalla Chiesa: «gli operatori finirono sempre più con l’interpretare la legge con una certa ‘elasticità’ e, nonostante i limiti che essa imponeva, dimostrarono tutta la loro abilità dell’aggirare ostacoli, protetti per così dire da una certa ‘compiacenza’ delle autorità governati-

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ve».7 Livorno, dopo Lucca, divenne, per tutti i suddetti motivi, il maggior centro toscano di diffusione delle idee illuministiche e fertile terreno di apertura, accoglienza e diffusione delle novità dei Lumi, rappresentate compiutamente dall’Encyclopédie.8



L’edizione livornese della monumentale enciclopedia di Diderot e D’Alembert si deve alla tenacia di Giuseppe Aubert, editore illuminato e direttore della stamperia Coltellini, il quale convinse il poeta Pietro Gaetano Bicchierai, l’abate Michelangelo Serafini (fondatore della Biblioteca pubblica di S. Sebastiano a Livorno) e l’avvocato Filippo Ma-

Sotto: Tavola dell’Encyclopédie rappresentante una modalità di decorazione della carta. Dal tomo IV dei volumi di tavole: Marbreur de Papier – Pl. II [216]

ria Gonnella a costituire un’apposita società editoriale che si occupasse della ristampa e della distribuzione, in Italia e all’estero, dell’opera. Fu così fondata nel 1767 la “Stamperia dell’Enciclopedia”, che godette della protezione dello stesso Granduca Pietro Leopoldo, il quale, in risposta ad una serie di suppliche inviategli tra il 1767 e il 1768, decise di finanziare in parte l’impresa, accettando anche che l’opera gli fosse dedicata e addirittura concedendo gratuitamente i locali per ospitare i torchi per tutto il tempo della tiratura dell’opera.9 Come sovente avveniva per opere di tal genere, si cercò sin dall’inizio di creare una rete di distribuzione quanto più estesa e capillare possibile, in modo da garantire la massima circolazione del testo: furono proposte condizioni d’acquisto vantaggiose per coloro che avessero aderito alla sottoscrizione dell’impresa editoriale e furono riconosciute abbondanti provvigioni agli associati. Non fu un’impresa semplice, dal momento che si trattava di volumi che, benché venissero presentati a un buon prezzo, restavano tuttavia piuttosto costosi e il rischio che molti esemplari rimanessero invenduti in deposito era sensibilmente alto.10 Si ha notizia, grazie a una fitta corrispondenza con il nipote Tommaso Masi, del fatto che lo stesso editore Marco Coltellini, durante un viaggio a Vienna, si impegnò a trovare associati e lo stesso fece Pietro Verri a Milano; i risultati furono discretamente soddisfacenti, raggiungendo le 500 adesioni nel corso del 1768.11 Nel contempo si approntavano tutti i materiali necessari alla stampa e si assumevano le mae-

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Da sinistra: rappresentazione di alcune tecniche di pesca in mare e di lavorazione delle sardine. Dal VII tomo di tavole: Pesches de Mer. Maniere de Saler les Sardines. Lavage des Sardines. Encagage des Sardines – Pl. XII [117]; immagine tratta dalla sezione dedicata all’equitazione. Dal VI tomo di tavole: Manege, Le Galop uni à droite, et le Galop faux à droite – Pl. II [26]

stranze da impiegare nell’impresa: fu ordinata una grande quantità di caratteri da Londra, si provvide alla fornitura della carta e furono assunti abili incisori per la realizzazione delle tavole illustrate. Si arrivò, in questo modo, al 1770 e il 22 febbraio di quell’anno venne distribuito il programma esecutivo della pubblicazione, seguito a breve dal primo volume; il testo fu ben accolto sul mercato e riscosse un successo tale che in poco tempo

le adesioni salirono a 1500.



L’edizione completa dell’Encyclopédie di Livorno fu realizzata tra il 1770 e il 1779, mentre erano in fase di completamento sia la stampa della prima edizione di Parigi - Neuchâtel (1751-1772) sia la stampa dell’edizione lucchese (1758-1776). L’enciclopedia stampata a Livorno, ultima delle ristampe in-folio, si compone di 33 volumi, così strutturati: 17 vo-

lumi di testo, datati 1770-1775; 11 volumi di tavole, datati 1771-1778; 4 volumi di supplemento al testo, con data 1778-1779; e 1 volume di supplemento alle tavole del 1779. Rispetto all’altra edizione toscana, quella livornese si distingue per la migliore qualità delle tavole, la sobria eleganza dei caratteri (tipo elzeviro), la nitidezza e la correttezza del testo; inoltre, per quanto concerne la consistenza dell’opera, l’enciclopedia composta a Livorno com-

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prende anche i 5 volumi di supplementi, assenti, invece, nella ristampa lucchese, da cui peraltro i livornesi hanno accolto alcune delle note al

testo scritte da Ottaviano Diodati. Al primo volume, tra il frontespizio e la dedica, si può ammirare una pregevole tavola a piena pagina,

incisa in rame, con un’illustrazione allegorica in cui è ritratto il Granduca Pietro Leopoldo; l’incisione è del fiorentino Carlo Faucci su disegno di Filippo Bracci. È questa l’immagine che inaugura il ricchissimo apparato illustrativo dell’Encyclopédie livornese, che si compone di più di 3100 tavole incise in gran parte da Antonio Baratti, le quali, in linea con il progetto enciclopedico originario, rappresentano un eccezionale documento delle conoscenze scientifiche e tecnologiche (dalla storia naturale alla medicina, dall’astronomia alla matematica), delle arti liberali e meccaniche, delle usanze e dei costumi del Settecento illuminista. Nel complesso, le illustrazioni si segnalano per la correttezza del disegno, l’eleganza nella distribuzione degli elementi decorativi e la precisione delle figure, aspetti che, insieme all’accuratezza nella cura del testo, inseriscono a pieno titolo la ristampa livornese tra le edizioni più interessanti conservate presso la Biblioteca di via Senato.

NOTE 1 Arte tipografica ed editoriale a Livorno tra il 1644 e il 1799. Biblioteca Labronica “F.D. Guerrazzi”, Villa Fabbricotti, Livorno 17-21 maggio 2005, Livorno, Comune di Livorno, 2005 (Quaderni della Labronica, 83. Supplemento a “CN – Comune Notizie” n. 50), p. 8. 2 Catalogo della Mostra BibliograficaDocumetaria sull’Editoria e le Riforme a Pisa, Livorno e Lucca nel ’700, Lucca, Maria Pacini Fazzi, 1979, p. 9. 3 SUSANNA CORRIERI, Il torchio fra «palco» e «tromba». Uomini e libri a Livorno nel Settecento, Modena, Mucchi Editore, 2000 (Il vaglio. Studi e documenti di storia della cultura italiana, 43), pp. 41-43.

Non a caso fu proprio grazie alle donazioni dei nobili cittadini, sostenitori dell’Illuminismo riformista del secolo XVIII, che fu inaugurata nel 1765 la prima biblioteca pubblica a Livorno e aperte numerose accademie. 5 S. CORRIERI, Il torchio fra «palco» e «tromba», Modena, Mucchi Editore, 2000, p. 27. 6 Catalogo della Mostra BibliograficaDocumetaria sull’Editoria e le Riforme a Pisa, Livorno e Lucca nel ’700, Lucca, Maria Pacini Fazzi, 1979, p. 11; corsivo mio. 7 S. C ORRIERI , Il torchio fra «palco» e «tromba», Modena, Mucchi Editore, 2000, p. 30. 8 Vedi anche FRANCO VENTURI, Le origini

dell’enciclopedia, Torino, 19773 (1946) (Piccola Biblioteca Einaudi – Geografia. Storia, 26). 9 LUIGI SERVOLINI, L’edizione livornese della celebre enciclopedia di Diderot e D’Alembert, in “Accademie e biblioteche d’Italia”, XV (1941), n. 5, p. 397. 10 In ROBERT DARNTON, Il Grande Affare dei Lumi. Storia editoriale dell’Encyclopédie. 1775-1800, Milano, Sylvestre Bonnard, 1998 (Il sapere del libro), p. 36, l’autore riporta un costo pari a 574 livres, senza il Supplément. 11 ALFREDO CIONI, Aubert, Giuseppe, in Dizionario Bibliografico degli Italiani, vol.IV, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1962, p. 569.

Tavola tratta dalla sezione dedicata all’Histoire Naturelle, e in particolare al regno minerale, con raffigurazione di una miniera. Dal V tomo di tavole: Histoire Naturelle Coupe et Vue Générale d’une Mine – Pl. VI [161-162]

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Milano Questo “bollettino” mensile è distribuito gratuitamente presso la sede della Biblioteca in via Senato 14 a Milano. Chi volesse riceverlo al proprio domicilio, può farne richiesta rimborsando solamente le spese postali di 20 euro per l’invio dei 10 numeri MODALITÀ DI PAGAMENTO:

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BvS: nuove schede



Recenti acquisizioni della Biblioteca di via Senato Cataloghi bibliografici, trattati e ristampe in tiratura limitata Arianna Calò, Valentina Conti, Giacomo Corvaglia, Margherita Dell’Utri, Paola Maria Farina, Annette Popel Pozzo e Beatrice Porchera Alighieri, Dante (1265-1321); Mazzucchi, Andrea (a cura di). Dante historiato da Federico Zuccaro. L’anno 1570. 1593. Roma, Salerno editrice, 2004. Edizione a tiratura limitata a 699 esemplari numerati in cifre arabe e 55 distinti in cifre romane (nostro esemplare n. XXIII) con la riproduzione integrale in fac-simile dell’omonimo volume manoscritto posseduto dal Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi di Firenze, dono di Anna Luisa di Toscana. Edizione realizzata come serie speciale dell’Edizione nazionale dei commenti danteschi, stampata su carta speciale delle cartiere Magnani di Pescia, si completa con il tomo di commento Dante historiato da Federigo Zuccaro. Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi. Commentario all’edizione in fac-simile. Roma, Salerno editrice, 2005. (A.C.)



Ambrogio, Livio; Concina, Chiara; Malato, Enrico; Mazzucchi, Andrea (a cura di). Dante poeta e italiano. Legato con amore in un volume. Mostra di mano-

scritti e stampe antiche della raccolta di Livio Ambrogio. Roma, Salerno editrice, 2011. Catalogo della mostra omonima che si è tenuta dal 21 giugno al 31 luglio 2011 presso il Palazzo Incontro a Roma. Il volume è diviso in due parti: la prima contiene 225 schede bibliografiche di manoscritti e stampe dantesche; la seconda 125 tavole con riproduzioni fotografiche di libri e cimeli appartenenti alla raccolta dantesca di Livio Ambrogio. (V.C.)



Bertolotti, Alessandro. Nudo. I libri fotografici dal 1895 ad oggi. Roma, Contrasto Due, 2007. L’opera propone più di 180 volumi che hanno rappresentato momenti importanti della storia della fotografia del nudo, dalle immagini di uomini, donne e bambini, soli o in gruppo, definite accademie (fine ’800 – inizio ’900), alle avanguardie più recenti; i contenuti sono suddivisi secondo dodici tematiche differenti, storicamente contestualizzate, per ciascuna delle quali i singoli libri sono presentati in ordine cronologico.

Ogni testo, poi, è accompagnato dalla riproduzione della propria copertina e da esempi di pagine interne, per un totale di quasi cinquecento immagini. (P.M.F.)



Cibrario, Luigi (a cura di; 1802-1870). Descrizione storica degli ordini religiosi compilata sulle opere di Bonanni, D’Helyot, Dell’Ab. Tiron ed altre sì edite che inedite per cura del cav. Luigi Cibrario. 2 volumi. Torino, Stabilimento tipografico Fontana, 1845. Prima edizione (ornata da 87 litografie a piena pagina, colorate da mano coeva) di questo celebre figurato ottocentesco. Il testo tratta della storia, delle caratteristiche e dei personaggi illustri dei diversi ordini religiosi, mostrando in maniera concreta i loro differenti abiti. L’opera si trova ordinariamente con un numero di tavole che varia da un esemplare all’altro. (B.P.)



Firpo, Luigi; Borasi, Vincenzo; Doglio, Maria Luisa; Peyrot, Ada; Ricci, Isabella.

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Theatrum Sabaudiae. Teatro degli Stati del Duca di Savoia. Torino, Archivio storico della città di Torino, 2000 (Collana blu). Nuova edizione in 2 volumi dell’opera Theatrum Statuum Regiae Celsitudinis Sabaudiae Ducis, Pedemontii Principis, Cypri Regis, progetto editoriale intrapreso dal duca Carlo Emanuele II di Savoia negli anni Sessanta del ’600, perseguito sino al compimento negli anni Ottanta dalla duchessa reggente Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours e realizzato ad Amsterdam presso la stamperia di Blaeu nel 1862. L’edizione è divisa in 2 volumi: il primo tomo riporta gli interventi di Luigi Firpo, Vincenzo Borasi, Maria Luisa Doglio, Ada Peyrot, Isabella Ricci e Rosanna Roccia, seguiti dalle trascrizioni integrali delle relazioni originali; nel secondo sono raccolte immagini relative a Torino e alle terre di Casa Savoia. (V.C.)



Flores, Marcello; Levis Sullam, Simon; Matard-Bonucci, Marie-Anne; Traverso, Enzo (a cura di). Storia della Shoah in Italia: vicende, memorie, rappresentazioni. 2 volumi. Torino, UTET, 2010. Edizione riccamente illustrata con foto in bianco e nero. Il primo volume comprende Le premesse, le persecuzioni, lo sterminio; Sotto gli occhi di tutti: la società italiana di fronte alla Shoah e Trieste, speranza di salvezza. Il secondo volume Memorie, rappresentazioni, eredità e La banalizzazione della shoah. (G.C.)



Gresset, Jean Baptiste Louis (1709-1777). Œuvres de Gresset, de l’Académie Françoise. Nouvelle édition. 2 volumi.

Londra [Parigi?], Edouard Kelmarneck, 1782; 1779. Rara edizione citata dal repertorio Brissart-Binet fra le contraffazioni delle opere di Cazin, con riferimento a quella del 1780, con Londra come luogo di stampa. Dall’originale citato è ripreso il soggetto in antiporta (disegnato da Marillier e inciso da De Launay) a sua volta tratto dall’opera Vert-Vert contenuta nel volume; in basso all’incisione si legge: “Par la corbleu! que le nonnes sont folles...”. Tuttavia, a differenza dell’edizione originale, la presente manca delle “Plusieurs épreuves des gravures [...] avant la lettre; on lit, sur d’autres: édition de Cazin”. Il secondo volume reca al frontespizio il 1779 quale anno di stampa. Brissart-Binet, pp. 81, 101, 194. (A.C.)



Luigini, Federico (fl. 1554). Il libro della bella donna, composto da messer Federico Luigini da Udine. Venezia, Plinio Pietrasanta, 1554. Prima edizione a cura di Girolamo Ruscelli (ca. 1500-1566). “Sulla struttura formale del dialogo il trattato innesta quella della visione onirica; l’autore immagina infatti di avere sognato che alcuni gentiluomini friulani (Giacomo Codroipo, Pietro Arigone, il dottor Della Fornace, un Vinciguerra e un Ladislao), riunitisi nella villa del Codroipo a San Martino per dedicarsi alla caccia, trascorrano le loro serate discutendo di come ‘formare una donna tale, quale forse non si vide giamai, cioè bella a perfezione, e che manchi d’ogni opposizione che le si potrebbe fare’, ispirandosi, nei particolari, alle donne più belle da loro conosciute […] Nel complesso l’ideale estetico del L. si avvicina al modello

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bembiano, di cui riproduce le concezioni dominanti’’. (A.P.P.)



Marigliani, Clemente (a cura di). Le Piante di Roma delle collezioni private dal XV al XX secolo. Roma, Provincia di Roma, 2007. L’opera costituisce il catalogo della mostra tenutasi a Roma a Palazzo Incontro nel 2007 e raccoglie circa duecento mappe provenienti da collezioni private. Attraverso le carte geografiche è possibile ricostruire la storia e lo sviluppo urbanistico della città e del suo territorio tra il XV e il XX secolo e comprendere le varie fasi attraverso le quali la Capitale ha assunto l’attuale impianto. L’interesse storico-documentaristico si coniuga con il valore artistico delle tavole; si segnala, inoltre, la presenza della prima aerofotografia della città scattata dal tenente Umberto Nistri nel 1919. (P.M.F.)



Maroncelli, Piero (17951846). Addizioni di Piero Maroncelli alle mie prigioni di Silvio Pellico. Italia, [s.n.],1833. Edizione stampata probabilmente in Svizzera (cfr. Parenti, Dizionario dei luoghi di stampa, p. 220), variante dell’edizione datata anch’essa “Italia, 1833”, con la stessa paginazione, ma impressa usando differenti caratteri. (M.D.U.)



Moraldi, Luigi (a cura di; 1915-2001). Biblia Sacra vulgatæ editionis Sixti V pont. max. iussu recognita et Clementis VIII auctoritate edita imaginibus Salvatoris Dalí exornata. 5 volumi. Milano, Rizzoli, 1967. Edizione ornata da 105 tavole con riproduzioni in litografia a colo-

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ri delle illustrazioni realizzate da Salvador Dalì (1904-1989) per la Sacra Bibbia. Esemplare ad personam facente parte di una tiratura limitata a 99 esemplari «singulis accedente tabula originali Salvatoris Dalí, quæ impressa sunt in charta ex meris pannis ‘ab alveo’ manu fabricata, perlucidis figuris intexta, et contecta atque compacta viridi aluta, quam vulgo ‘marochinum’ dicunt, aureis ornamentis decorata et ad instar musivi operis in dorso picta» (colophon). (B.P.)



Nordmann, Monique; Adert, Laurent (a cura di). Eros invaincu. La bibliothèque Gérard Nordmann. Ginevra, Fondation Martin Bodmer-Editions Cercle d’Art, 2004. Catalogo della mostra allestita a Ginevra nel 2005 presso la Fondazione Martin Bodmer. La biblioteca di Gérard Nordmann (1930-1999), grande collezionista di libri erotici, comprende oltre mille documenti tra prime edizioni, libri rari, manoscritti, lettere, diari (tra cui numerosi inediti), disegni e fotografie a tiratura limitata. Il volume presenta 137 opere di autori famosi, come Apollinaire, Voltaire, Aretino, Dalì, La Fontaine, Maupassant, de Sade, Rimbaud e Verlaine, commentate con accuratezza e accompagnate da svariate illustrazioni. (P.M.F.)



Pellico, Silvio (1789-1854). Le mie prigioni, memorie di Silvio Pellico da Saluzzo. Italia, [s.n.], 1832. Edizione composta da 303 pp. contente soltanto il testo de Le mie prigioni, a differenza di un’altra edizione con la stessa mise en page, datata “Italia 1832”, che, costituita da 312 pp., contiene alle pp. 305-312 la poe-

sia La morte del prigioniero nel carcere di Spielberg. (M.D.U.)



Piazza, Arianna (a cura di). Nivea: 100 anni per la pelle per la vita. Milano, Electa, 2011. Volume pubblicato in occasione del centenario del marchio (19112011). Il racconto dei 100 anni della crema si snoda attraverso prodottodesign, ingredienti e ricerca, comunicazione e pubblicità, punti vendita e Nivea nel mondo. Il volume presenta, infine, una ricca cronologia illustrata con le tappe significative della storia di Nivea, che si intrecciano con momenti storici, culturali e di costume che hanno contrassegnato questi ultimi cento anni. (G.C.)



Rauschenberg, Robert (19252008); Ashton, Dore (1928-). 34 tavole per l’Inferno di Dante. Milano, Edgardo Macorini, 1965. Edizione limitata a 250 esemplari numerati, firmati da Robert Rauschenberg. L’opera comprende, oltre al testo di Dore Ashton tradotto da Franco De Poli, le riproduzioni in facsimile delle 34 tavole di Robert Rauschenberg per l’Inferno di Dante delle stesse dimensioni degli originali eseguiti dall’artista tra il 1959 e il 1960, impiegando sia tecniche non convenzionali, quali la trasposizione fotografica e il collage, sia tecniche illustrative convenzionali, quali la tempera e l’acquerello, il pastello e le matite colorate. La serie completa appartiene al Museum of Modern Art di New York. (B.P.)



Tonci, Salvatore [i.e. pseud. per Gigli, Girolamo] (1660-1722). Del Collegio Petroniano delle balie latine e del solenne suo aprimento in quest’anno 1719. In Siena per dote, e istituto del cardinale Riccardo Petroni a

benefizio di tutta la nazione italiana. Siena, Francesco Quinza & Pagliarini, 1719. Due tavole incise raffiguranti le balie latine petroniane e ripiegata la ‘’Facciata del Collegio Petroniano Architettura di Baldasar da Siena’’. Seconda edizione di questa curiosa opera che rappresenta una specie di pesce d’aprile da parte del professore Girolamo Gigli, pubblicando un libro che descrive la solenne apertura a Siena di un collegio che avrebbe accettato soltanto i bambini che fossero stati allattati dalle “balie latine”, cioè donne dotte che parlassero solo latino. L’idea venne fatta risalire già al ’300, ma, nota Gigli “qualche stella contraria per lunghissimo tempo si frappose in Cielo a questa fondazione”. Il piano prevedeva di accettare non soltanto bambini italiani ma anche quelli transalpini, che cresciuti e tornati ai loro paesi potessero diffondere la lingua romana dappertutto. “Impareranno i Libri de’ Proverbi di Salomone co’ Libri di Danielle, e i primi elementi della Lingua Greca nella Grammatica di Alessandro Scotto; e per la Latina spiegheranno le Lettere famigliari, e gli Offici di Cicerone per la buona creanza, Cornelio Nipote degli Uomini illustri, e Giustino Istorico; ed oltre ai soliti esercizi dell’antica Ginnastica, impareranno i puerili giuochi Troiani, dei quali fa menzione Virgilio nel Libro quinto per la celebrità di Anchise”. Probabilmente fu proprio l’effetto di verosimiglianza creato dallo stile così dettagliato di questa descrizione, corredata dalla piantina dell’edificio e dall’illustrazione del costume (sempre romano) delle Balie, che spinse molti genitori a mandare lettere a Siena chiedendo di prendere i propri bambini nel Collegio Petroniano. Gamba 2260. (A.P.P.)