Studenti e composizione di classe [PDF]

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Zitiervorschau

STUDENTI E COMPOSIZIONE DI CLASSE

a cura di Roberta Tomassini

© Copyright 1977 Edizioni aut aut Via Curti 8, 20136 Milano Grafica di Enzo Mari I edizione settembre 1977

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strumenti per la produzione editoriale

Finito di stampare nel mese di settembre 1977 Arti Poligrafiche Europee Via Casella 16 Milano -

INDICE

Premessa, p. 7

Romano Alquati Università, formazione della forza lavoro in­ tellettuale, terziarizzazione, p . 1 2

Michele Fabbri, Sergio Golinelli, Claudio Greppi (Plus ) lavoro studentesco a Ferrara: un'inda­ gine in scala 1 : 1 , p. 77

Giovanni Bossi Le 150 ore : laboratorio sperimentale di di­ verse ideologie sindacali, p. 108

Roberta Tomassini Crisi dell'ideologia della qualificazione e au­ tovalorizzazione della forza lavoro, p. 131

Premessa

Ritengo che questo libro possa costltUlre un utile strumento per cominciare ad analizzare, sia sul piano strutturale sia a livello soggettivo, la trasformazione del­ la composizione di classe degli studenti dal '68 ad oggi. L'importanza e l'urgenza teorico-politica di tale indagine è stata direttamente posta, nel corso del '77, dalla radi­ calizzazione dell'autonomia dell'iniziativa studentesca nelle principali università italiane proprio nella fase di avvio della riforma. Ma non solo: l'analisi delle nuove dinamiche di formazione e di qualificazione della forza lavoro, cioè della nuova strategia della divisione del la­ voro, unitamente ai livelli di rigidità e di insubordina­ zione emergenti, assume una propria centralità teorico­ politica per comprendere la ristrutturazione produttiva attualmente in corso in Italia; le nuove caratteristiche cioè della socializzazione del lavoro produttivo, della estorsione di plusvalore, di ricomposizione del comando di impresa. Su questo terreno è infatti possibile vermca­ -re l'intersecazione dialettica fra le nuove dinamiche di capitale e i comportamenti di insubordinazione e di rigi­ dità in cui consistenti strati di forza lavoro giovanile hanno espresso dagli anni sessanta sino ad oggi, secondo modalità continuamente rinnovate, una storia soggettiva 7

di rifiuto della condizione operaia e proletaria, di rifiuto del rapporto di capitale. Prima dell'esplosione delle lotte e degli scontri del '77, occorre dire che solo sporadiche ed isolate iniziative di inchiesta e di ricerca si erano mosse in tale direzione; mentre la cultura del marxismo « ufficiale », anche di nuova sinistra, ha continuato a muoversi nell'ideologia di categorie superate, che assumeva come proprio statico interlocutore lo studente del '68. Anche se nei livelli teorici più avanzati erano state individuate le tendenze strutturali interne al mercato del lavoro, s'ingigantiva l'ignoranza delle forze soggettive che si venivano forman­ do nelle masse studentesche e giovanili in genere. I nuo­ vi comportamenti di insubordinazione, i nuovi bisogni di conoscenza e di trasformazione della realtà economi­ co-politica erano perciò colti e sviluppati unicamente dai « fogli » di movimento, dove andava maturando una autorappresentazione interna ai comportamenti immedia­ ti solitamente ignorata dalla cultura del marxismo « uffi­ ciale » o interpretata come una sorta di ghettizzazione « giovanilistica » . Così, dopo il « giovedì nero » di Lama, quando è esploso il nuovo '68 il movimento degli « strani » studenti -, la cultura marxista ha misurato ancora una volta i propri ritardi teorici e gli ingorghi ideologici di un vocabolario non attrezzato. La riforma dell'istruzione, l'analisi strutturale delle contraddizioni del mercato del lavoro, l'urgenza dell'uso proletario delle strutture formative, la qualificazione del­ la forza lavoro come ambito di incontro fra studenti e operai per la creazione del nuovo modello di sviluppo, in sintesi tutta la coscienza strutturale oggettiva che si sa­ rebbe voluta consegnare alla massa studentesca e giova­ nile, era stata per così dire già sussunta a un movimento che l'aveva significata in un suo proprio codice. Il codice della cultura del marxismo ufficiale si è trovato improv­ visamente invecchiato. 0, più precisamente, si è scoper­ to un vuoto di analisi difficile da colmare. Non è restato -

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che l'approccio empirico, giornalistico agli ,� indiani me­ tropolitani », oppure il moralismo - grave e serio sulla disperazione e la miseria della violenza irrazionali­ stica e cieca di un movimento giovanile che, contraria­ mente a quello del '68, è avaro di ideologie e parla solo con l'immediatismo della pratica. Ma anche questa volta la « nottola di Minerva », la coscienza teorico-politica del post-'68 che avrebbe vo­ luto dare agli studenti la coscienza reale delle loro con­ traddizioni, al di sopra dell'ideologia della coscienza im­ mediata, ha avuto torto e deve tornare a mescolarsi con i livelli soggettivi dati e tentarne la comprensione in una logica marxiana. Analisi dei livelli di capitale, analisi dei livelli soggettivi di movimento che producono rigidità ed insubordinazione : in altre parole, la rappresentazione marxista dei rapP9rti di forza fra capitale e lavoro per lo sviluppo del potere proletario non può prescindere dall' acquisizione, in termini teorici e pratici, delle poten­ zialità di insubordinazione che si sono formate dentro la storia di capitale, contro il regime di capitale per la co­ struzione della nuova società. La teoria marxista è teo­ ria dello scontro di classe per l'affermazione della società comunista non in una sorta di guerra manovrata dall'alto che assume in termini «meccanicistici» , desoggettivizzati, la realtà della insubordinazione esistente; è proprio al­ l'interno della insubordinazione esistente, della critica materialmente esistente che emergono le nuove poten­ zialità, le nuove energie intellettuali, i nuovi bisogni, le nuove modalità di riproduzione dell'esistenza sociale. E la sola possibilità di criticare le deviazioni o le degene­ razioni della pratica immediata sta in una funzione or­ ganizzativa realmente capace di rispondere (senza repri­ merle) alle giuste istanze soggettive di lotta contro il po­ . tere del capitale. I contributi di analisi qui proposti hanno, a mio av­ viso, il merito anche metodologico, pur nella varietà dei temi affrontati e nella specificità di diverse articolazioni, di considerare la nuova composizione di classe degli stu9

denti proprio assumendo quelle fondamentali variabili che riattivano la logica dell'intelligenza marxiana della realtà sociale. Si tratta di percorsi critici assai .differenti rispetto alla semplice considerazione - alla luce delle attuali esigenze dello sviluppo economico - dei compiti delle istituzioni formative e della condizione studente­ sca, intesa come condizione astratta-uguale, nell'ideologia di una realtà capitalistica posta come « reale regno della necessità », indefinitamente « democratizzabile », per­ ciò idealmente privata di quella contrapposizione di esi­ genze, di bisogni in cui si configura lo scontro di classe . . Il saggio di Romano Alquati, già apparso su « aut aut » ( 154, 1976 ),è qui ripubblicato per intero, esclusa l'introduzione. Il testo è stato redatto nel giugno del 1976 e comprende una serie di note,di grande interesse teorico, che hanno preso spunto da un'inchiesta condotta dall'Istituto di Sociologia sugli studenti della Facoltà di Scienze Politiche di Torino, avviata nell'estate del '74 (una sintesi dei più significativi· materiali dell'inchiesta è stata pubblicata nel n . 154 di « aut aut » ) . Le riflessioni di Alquati alla luce dell'attuale ripresa delle lotte degli studenti non sono affatto invecchiate, anzi assumono una portata teorico-politica generale. Alquati, a partire dalla centralità della figura dello studente-lavoratore, analizza le nuove caratteristiche della formazione della forza lavo­ ro intellettuale nei processi di ristrutturazione e di ter­ ziarizzazzione della organizzazione del comando di im­ presa. Claudio Greppi che è stato promotore e direttore di una ,ricerca sul lavoro nero degli studenti medi condotta a Ferrara, a partire dal 1 975, dall'Istituto di discipline storiche e geografiche della facoltà di Magistero, (i mate­ riali della ricerca sono stati pubblicati dalle Edizioni SEUSI nel marzo del '77), insieme a Sergio Golinelli e Michele Fabbri propone qui una sintesi dei più signifi­ cativi dati della ricerca e ne presenta l'interpretazione teorico-politica. A partire. dalla rilevazione degli studenti medi in quanto « risorsa » di erogazione di lavoro oc10

culto, ne deriva la conclusione che nella strategia dell'at­ tuale ristrutturazione la scuola media superiore non è so­ lo luogo di formazione della forza lavoro, ma luogo di ri­ produzione di fonti di produttività occulta. Tale nuovo ruolo strutturale della scuola induce una conflittualità studentesca nuova, ed una serie di significative implica­ zioni. Giovanni Bossi analizza la crisi delle 1 50 ore che, nelle prospettive sindacali, avrebbero dovuto costituire invece il laboratorio ideale per l'incontro delle esigenze di rinnovamento dello studente del '68 e dell'operaio del '69 ; tale crisi è imputabile al fatto che le 1 50 ore più che articolarsi sulla nuova composizione di classe degli studenti, che sono per lo più studenti-lavoratori, si so­ no ridotte semplicemente a funzionare come laborato­ rio delle ideologie sindacali sulla nuova professionalità astratta dai comportamenti e dalle pratiche dei soggetti reali. Nel mio contributo, a partire dai comportamenti ope­ rai e proletari che hanno determinato la crisi dell'ideo­ logia della qualificazione della pianificazione degli anni sessanta, analizzo l'attuale ristrutturazione dei processi di qualificazione e i livelli di rigidità e di conflittualità che vi si determinano. Alla nuova strategia della qualifi­ cazione capitalistica si contrappone la valorizzazione del­ la forza lavoro rispetto al capitale; e rilevo come in Marx, la valorizzazione della forza lavoro sia possibile unicamente in una strategia di soppressione del rapporto di capitale contro ogni ideologia che identifica la valoriz­ zazione della forza lavoro nello sviluppo delle forze pro­ duttive. (R. T.) 'giugno 1 977

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Romano Alquati

UNIVERSITA', FORMAZIONE DELLA FORZA LAVORO INTELLETTUALE, TERZIARIZZAZIONE

Il problema della formazione. La « formazione », e in particolare la cosiddetta « alta formazione », è l'argomen­

to tutt'altro che ben definito di una ricerca ancora da fare e che vorremmo fosse finalmente iniziata ed avviata. È il problema da studiare teoricamente ed empiricamente e sul quale dovranno essere presto attuate le prime ricer­ che esplorative, in modo articolato, a livelli diversi, con fonti e risorse diversificate e con pluralità di strumenti. È già assai problematico realizzare una prima concettua­ lizzazione di massima ed anche una prima classificazione di variabili in qualche modo pertinenti per articolare un primo modello descrittivo dal quale prendere le mosse. E ci sono grandi difficoltà: più di ordine teorico che pra­ tico. Per noi la formazione è uno spazio vuoto, definito più che altro in negativo; una dimensione prevalente­ mente intuitiva di cui si intravvedono soprattutto a valle le importantissime conseguenze su tutta una serie di nodi anche strutturali del rapporto capitalistico e della lotta di classe; e a monte si colgono le intenzioni di gestirla, controllarla, determinarla, definirla oper ativamente, da parte soprattutto dei capitalisti industriali, sempre più 12

esasperati e frustrati, però, perché di tutto quello che dovrebbero ottenere non conseguono quasi nulla. Non è allora uno spazio vuoto solo per noi. Si tratta quindi innanzitutto di cogliere almeno ciò in funzione di cui la si rivendica o si desidera il suo rilancio, o, al contrario, ciò per cui il movimento operaio ritiene di doversene stare fermo ancora a lungo ignorandola ed evitando di porsene il problema (ed anche ostacolando chi si propone di andare a guardarci dentro). E per questo, il primo passo d'avvio della ricerca è una discesa sul campo per chiedere agli interlocutori, ancora prima di dirci come secondo loro è fatta la forma­ zione e cos'è e a che cosa serva, di spiegarci come e per­ ché si pone o non si pone a loro oggi il problema della formazione: cioè cosa per loro è in rapporto a questa pa­ rola che da alcuni mesi abbiamo contribuito ad agitare in giro, muovendo i vari soggetti politici loro malgrado. Tuttavia, sebbene appunto in negativo, vogliamo avviare anche una prima concettualizzazione del problema noi stessi, qui. Noi ci poniamo questo problema soprattutto per un motivo che non possiamo certo giudicare contingente: siamo in primo luogo « professionalmente » e « istitu­ zionalmente » dei formatori, degli addetti all'alta forma­ zione: ed è già assai significativo constatare all'interno dell'istituzione universitaria che coloro che devono for­ mare sono i primi a non avere una idea, a volte neppure . confusa, di cosa oggi è la formazione stessa. Come ve­ dremo, il momento ancora quasi esclusivamente « forma­ tivo » nell'Università è la didattica: la ricerca quando c'è o non riguarda gli studenti, o è fasulla poiché copre distribuzione di rendita, o è un rapporto di sfruttamen­ to. Anche se sempre più cresce la domanda studentesca di essere formati alla ricerca e anche se quello della ca­ pacità di fare ricerca potrebbe essere il requisito profes­ sionale prevalente, la docenza non considera questo co­ me uno scopo importante e qualificante dell'istituzione formativa e riproduttiva che dà loro lavoro. La separazio13

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ne fra didattica e ricerca rimane netta e forte. La didattica in cosa consiste? È ancora assai raro che un docente si ponga problemi pedagogici. La m(;to­ dologia dell'apprendimento e dell'insegnamento non lo interessa: anche quando parla di insegnare ad esercitare e sviluppare le capacità critiche, in realtà il suo intert!'sse si focalizza sui contenuti. Cosa insegna? Due prime gran­ di categorie si possono discriminare. Coloro che essendo a loro volta in genere dei ripetitori rovescian(,l sugli stu­ denti un loro « discorso» (è la parola giusta perché la didattica è qui pura oratoria), più o meno fisso. che si ri­ pete con poche variazioni di anno in anno, intendendo la didattica come volgarizzazione di un patrimonio già acquisito; e coloro che invece sono costretti dalle carat­ teristiche intrinseche della loro stessa disciplina ad ag­ giornarlo continuamente e lo associano in qualche modo ad una ricerca che comunque essi conducono, se non altro come aggiornamento del docente su fonti letterarie: ed è questo comunque un tipo di ripetizione divulgativa e volgarizzativa che ha implicazioni didattiche più ricche e ' complesse. Solo avanguardie sperimentali fanno altro e quindi fanno anche diversamente. Anche per questo si vede la formazione quasi esclusivamente racchiusa nei contenuti, ovvero nel patrimonio « culturale» che si tramanda. I contenuti definiscono le Facoltà e le discipli­ ne e su di essi oggi si regge soprattutto l'articolazione di un sistema corporativo. Non intendo qui classificarli, ma mi limito a dividerli in tre grandi categorie che vanno confrontate con la discriminazione proposta qui sopra. Quelli che si tramandano come patrimonio della cultura borghese separata, in sé non solo separatrice ma separa­ ta e contrapposta perfino ad una funzione professionaliz­ zante dell'alta formazione. Poi i contenuti che invece so­ no istituzionalmente definiti come « professionalizzan­ ti », e che vedremo dipendere dall'articolazione paleoca­ pitalistica del sistema produttivo e riproduttivo secondo il « lavoro concreto ». Questo secondo ambito è più con­ dizionato dal cambiamento sociale e quindi pone proble14

mi di aggiornamento. Questi due ambiti sono distinti, separati e fino a ieri contrapposti fra loro artificiosamen­ te nel regno della cultura umanistica ed in quello della cultura tecnico-scientifica. Il problema della formazione veniva posto fino a ieri come formazione politica del cit­ tadino-dirigente. Però negli ultimi dieci anni questo assetto comples­ sivo è crollato quasi ovunque, e il crollo ha posto sotto accusa anche i tre momenti separati della formazione tra­ dizionale: quella culturale-umanistica, quella scientifico­ tecnica legata al lavoro concreto settoriale e settorializ­ zante, quella politico-istituzionale basata sul diritto. Ma malgrado il crollo, ciascun docente se ne sta chiuso den­ tro il bunker dei suoi contenuti disciplinari senza inter­ rogarsi sul suo rapporto con il resto del mondo, che pro­ voca il crollo graduale dei bunkers già incrinati, e con chi lo mantiene; se non per committenze mercantili che in realtà sono a loro volta più momenti di formazione di sistemi politico-clientelari che altro. Tutta�ia finalmente qualcuno di fronte al crollo si chiede: «cos'è allora que­ sta: formazione? ». Ed è chiaro che si danno risposte molto diverse. Se passiamo sul versante delle imprese notiamo subi­ to che anche gli imprenditori rispondono in modi molto diversi. I termini formazione professionale, professiona­ lità, qualificazione, preparazione, addestramento, ecc. ecc., sono usati piuttosto come sinonimi. A me pare sia opportuno invece cercare di chiamare con essi, all'interno di una teoria del problema che orien­ ti una ricerca esplorativa sul campo, processi fenomeno­ logici diversi. Faccio una prima, provvisoria classifica­ zione di variabili su cui ricercare. In una prima appros­ simazione la Formazione (senza aggettivi) può essere in­ tesa in senso molto ampio come una dimensione all'inter­ no della quale le variabili precedenti possono essere in­ serite secondo un'articolazione che abbia un suo senso e un suo riscontro nella realtà. Infatti sembra che gli im­ prenditori chiamino «formazione» un'attività politica 15

per loro importantissima (e che per decenni è stata loro assicurata dal sistema scolastico e non si sa bene poi per­ ché esso non la svolga più), consistente genericamente e soprattutto nell'integrare e sviluppare la funzione di una serie di istituzioni riproduttive, [funzioni che la so­ cietà borghese esercitava prima a sua volta egregiamente ed ora, non si sa perché a loro volta non svolgono più (soprattutto la famiglia)], di manipolare in vari modi la soggettività dei lavoratori affinché essi fossero disponibi­ li a dare alle imprese direttamente .ed indirettamente (come lavoratori e come cittadini) tutto ciò che le im­ prese richiedevano loro ai fini dell'accumulazione capita­ listica. È questa funzione politica che �ssi vorrebbero ri­ lanciare, riprodurre e:anche rifondare. Ed essa è una fun­ zione co1l1plessa, fàtta di più componenti. Prima di con­ siderarne in breve alcune, dirò subito che la funzione for­ mativa così intesa coincideva quasi completamente con la visione che ne avevano i docenti e che ho più sopra schematicamente riferito (formazione culturale, formazio­ ne professionale e formazione politica). Cioè: fino a ieri la separatezza non escludeva che non solo si incontrasse­ ro i punti di vista di docenti e imprenditori ma che l'Università e l'intero sistema scolastico fossero funzio­ nali all'accumulazione capitalistica: anzi lo erano pro­ prio grazie alla separat- ezza. Intendo in particolare far presente che la separazione fra il processo di produzione della forza-lavoro e quello del suo consumo veniva me­ diata dal mercato del lavoro in una sostanziale continui­ tà. Proviamo ora a guardare un poco più addentro. Si intende in genere per addestramento l'insegna­ mento di compiti lavorativi molto determinati e si è qua­ si tutti d'accordo che esso non sia di competenza del si­ stema scolastico di stato; eppure talvolta glielo si chiede: questa è forse la categoria concettuale meno problemati­ ca. Si può intendere per preparazione l'insegnamento di ciò che l'impresa o l'ente richiede alla forza-lavoro occu­ pata o da occupare per i suoi fini particolari e comunque in rapporto alle caratteristiche del suo lavoro concreto 16

aziendale: ed è questa una categoria assai meno chiara ed ovvia. Ma quando oggi ci si chiede cosa è la qualificazio­ ne si supera un'ulteriore soglia di problematicità: si esce dal ruolo lavorativo qui ed ora, o dall'esigenza data di un'impresa data e si ha a che fàre con qualcosa che l'indi­ viduo lavoratore possiede come propria «merce» e che può già vendere sul mercato del lavoro; e proprio per questo dobbiamo f�re i conti col processo di cambiamen­ to e trasformazione della domanda e dell'offerta e della crisi del mercato: io chiamo qualificazione il processo, storicamente mutevole, attraverso cui si conferisce al singolo lavoratore una capacità lavorativa vendibile come merce sul mercato del lavoro. Allora la professionalità cos'è? Qui entriamo �n un terreno minato, dominato dall'ideologia: tradizionalmente, si chiamava formazione professionale in generale l'insegnamento dei mestieri e si intendeva per professionalità del lavoratore singolo qualcosa di simile al mestiere, in un'accezione più gene­ rale per cui mentre il mestiere era proprio della divisione merceologica del lavoro concreto dei lavoratori manuali, la professionalità invece riguardava tutti i lavoratori; era la capacità di svolgere o no integralmente un intero in­ sieme di operazioni attinenti un'intera delle varie cate­ gorie di lavoro utile. Attualmente però così definita la professionalità anche nel lavoro intellettuale tende a scomparire: e allora la professionalizzazione o è qualco­ sa che in realtà è solo illusorio o va ridefinita su nuove basi. E all'inizio degli anni '70 lo si è tentato: in termini di lavoro collettivo e non più individuale, ma lo si è reso sinonimo del valore della forza-lavoro. lo invece aderirei in parte allo sforzo di qualcuno di indicare con la parola ambigua « riprofessionalizzazione » la tendenza attuale al lavoro astratto complesso: una categoria ambivalente che mal si attaglia al lavoratore singolo. Un'altra cate­ goria importante, un'altra componente del processo di riproduzione della merce peculiare « forza-lavoro », è la « valorizzazione »: questa categoria, ambivalente per definizione, appare anche la più generale: è la sintesi di 17

tutti i processi che in qualche modo contribuiscono a Cleare iI valore della forza-lavoro: d'uso e di scambio. E la « formazione» in senso più stretto? lo chiamerei « formazione» in senso stretto quella parte centrale del­ la valorizzazione in cui essa appare il risultato peculiare dell'incorporamento nel lavoro vivo, nella capacità lavo­ rativa vivente, dd sapere sociale. Ciò è proprio del si­ stema scolastico ma non ne è esclusivo. Sottolineo le sue conseguenze sulla « qualità» della forza-lavoro com­ plessiva. Di chi è questa concettualizzazione rozza? Questa pri­ ma classificazione tipologica imprecisa? È mia. A che ser­ ve? Ad incominciare a discutere e a procedere oltre verso livelli teorici più soddisfacenti e dotati di maggiore ca­ pacità esplicativa. È indubbiamente necessaria una messa a punto teori­ ca, ma va condotta storicizzando i problemi, fino allo sta­ dio attuale dell'accumulazione capitalistica e della lotta di classe. La vastità di questo campo rende l'elaborazio­ ne assai gravosa. Bisogna sottolinearne le implicazioni e la portata politica: anche perché questo è l'aspetto attua­ le della formazione che tende a prevalere rispetto a ieri sugli altri. E in particolare l'alta formazione tende ad es­ sere sempre più direttamente una formazione politica. Non a caso, seppur è vero che avviatasi sulla via della massificazione l'Università non è più esclusivamente il luogo della riproduzione della classe dirigente, possiamo ancora dire che in questa fase di transizione 1'« Universi­ tà di ceto medio» sembra caratterizzarsi per lo sforzo di selezionare una nuova aristocrazia di lavoratori in buona parte definibile in termini politici come lavoro che si scambia col capitalista in quanto soggetto politico, come forza-lavoro improduttiva che lavora al servizio del pa­ drone in funzioni che si caratterizzano sempre di più (al­ l'interno della trasformazione delle imprese e delle isti­ tuzioni riproduttive e di governo della forza-lavoro com- plessiva, cioè in conseguenza della ristrutturazione) come funzioni direttamente e scopertamente « politiche», cioè 18

di potere, di comando capitalistico. E si noti che questa tendenza oggi coinvolge tutta l'Università: anche le fa­ coltà « tecnico-scientifiche»: basti vedere il senso che ha l'esplodere al loro interno del problema del rapporto col territorio in quanto governo del territorio . Certo, si deve tener conto di quest'altra ipotesi, che come fì.no a ieri si sono chiamati, man mano, « tecnici» privilegian­ doli e separandoli dagli altri lavoratori che venivano a trovarsi in nodi particolarmente delicati della valorizza­ zione, così questa può essere ancora la funzione discrimi­ nante, all'interno della forza-lavoro, dell'Università. Ma non bisogna dimenticare le contraddizioni di questo co­ me di altri importanti aspetti del progetto capitalistico che coinvolge l'Università stessa. Da un lato le contraddizioni della separatezza e del si­ stema delle separatezze cui fino a ieri la classe capitali­ stica è ricorsa per salvare il suo dominio, e dall'altro le contraddizioni dovute ai processi integrativi che hanno messo in crisi ma non liquidato ancora queste separazio­ ni. È peculiare la separatezza della cultura da un lato e della scienza dall'altro e della scienza sociale dall'altro an­ cora, tutte separate nei confronti del lavoro: questo or­ dinamento che è condannato all'apparenza è contraddit­ torio: e tuttavia lo stesso pubblico studentesco e la forza­ lavoro più in generale ne è vittima. Nondimeno" la con­ traddittorietà di questo sistema del sapere agisce e oggi le sue contraddizioni sono evidenti; lo stesso pubblico .studentesco nella sua peculiarità di soggetto politico so­ ciale e lavorativo contribuisce a metterle in crisi e a porre la questione della conoscenza come strumento di trasfor­ mazione, e quindi della cultura come conoscenza finaliz­ zata alla trasformazione politica e sociale. Allora la caratteristica più rilevante della formazione, come di tutte le forze produttive, in quanto peculiarmen­ te associata all'incorporamento nel lavoro vivo della scienza e del sapere sociale generale, è ambivalente: per­ ché se da un lato, giustamente, la classe capitalistica ve­ de nel problema della formazione, da trarre dalla crisi che 19

non sa spiegarsi, la necessità di rilanciare la sua funzione di creare la disponibilità politica del lavoratore collettivo allo sfruttamento e al dominio capitalistico; dall'altro la­ to essa può e deve essere strumento con cui la classe ope­ raia valorizza se stessa come soggetto politico autonomo e intenzionalmente alternativo. E su questo versante, se­ condo questa unilateralità antagonistica, quello che pau­ rosamente manca è il ruolo organizzato. Ed è poi proprio su questo terreno politico che scontiamo il ruolo di retro­ guardie ideologiche delle sedicenti « avanguardie ». Mai le forze soggettive erano restate tanto indietro rispetto alla forza e alla qualità del movimento di classe: 16 sface­ lo dell'intellettualità di sinistra rende la situazione politi­ ca assai difficile. Le istituzioni politiche e il comando del­ le istituzioni riproduttive stanno burocratizzando tutta l'intellettualità, e manca l'elaborazione politica. E questo castra le capacità di direzione politica del movimento operaio, tutto quanto! . Certo, non si passa senza mediazioni dalla crisi del­ l'intellighenzia rossa, che ha radici anche nella crisi della borghesia nella metà degli anni '60 (in seguito alla sua sussunzione reale ed alla sussunzione reale della società borghese), alla terziarizzazione e quindi alla intellettualiz­ zazione della forza-lavoro complessiva nella nostra regio­ ne (il territorio della nostra Universit�). Ma il « potere operaio» ha possibilità di evitare una sconfitta strategica di dimensioni storiche solo se assume in qualche modo come sua risorsa privilegiata questa intelligenza, questa memoria, questa soggettività, questa intellettualità tutta da definire che è e si esprime nel movimento della lotta di classe operaia. E in questo sforzo di individuarla, ag­ ganciarla, organizzarla, c'è ancora uno spazio (si spera l'ultimo) degli intellettuali organici sulla via della loro giusta estinzione. L'Università oggi è tutta dentro questi processi ambivalenti: per riuscire a scioglierne l'ambiva­ lenza nel senso dell'unilateralità degli interessi storici della classe operaia bisognerà convincere questo Movi­ mento Operaio Piemontese, col suo operaismo ottocente20

scO appena corretto dalla tardiva e ideologica scoperta dell'operaio massa, ad occuparsi della forza-lavoro intel­ lettuale e della sua formazione. Intanto bisogna scoprire e organizzare sul territorio forze ed organizzazioni intermedie disponibili a porsi questo problema e procedere con loro.

L'impresa e la forza lavoro intellettuale. La ricerca «cen­

simento degli studenti» della facoltà di Scienze politiche ha confermato che la composizione del nostro pubblico studentesco si accorda notevolmente con uno spettro del­ la forza lavoro intellettuale in Piemonte, in particolare per quanto concerne le imprese. L'analisi dei dati relati­ vi alla popolazione studentesca della nostra Facoltà da un lato rinviava ad una necessaria analisi di tutta una serie di nodi peculiari del cambiamento che in questi anni sta rivoluzionando il mondo delle imprese piemontesi; ma dall'altro offriva già indicazioni per ipotesi sia sulla dina­ mica del sistema industriale, sia sui nuovi rapporti col si­ stema sociale ed in particolare con i servizi, i quali a loro' volta hanno subìto la pressione ambivalente delle impre­ se (dovuta sia alla classe capitalista, che ne ha accelerato l'industrializzazione, che in diverso modo alla classe ope­ raia); tutto ciò poi ha favorito la crisi del sistema politi­ co istituzionale precedente, imponendo la ricerca di cam­ 'biamenti anche nell'ambito delle competenze dello stato. All'interno dell'ipotesi di lavoro di un nuovo rappor­ to fra Università e territorio abbiamo ritenuto che in una regione come quella piemontese, caratterizzata dalla mas­ siccia presenza delle imprese manifatturiere del settore secondario, in corso di trasformazione anche in quanto momenti « motori» dello sviluppo nazionale e soprattut­ to dell'accumulazione nazionale, e quindi anche come centri determinanti del potere nel nostro Paese, fosse in­ dispensabile approfondire l'analisi di questo nodo com­ plesso ed enorme: per noi due o tre volte centrale. Ci è 21

sembrato non fosse possibile comprendere le dinamiche del territorio che coinvolgono con maggiore intensità l'ateneo piemontese senza approfondire l'analisi del cam­ biamento in corso nel sistema industriale della regione. Nelle imprese lavora già la grande maggioranza dei nostri studenti; e continueranno in grandissima parte a lavo­ rarvi anche dopo la laurea. C'è una situazione paradossa­ le; e quasi nessuno nel territorio considera cosa essa imo' plichi: una facoltà « Umanistica» (come è ritenuta la no­ stra) ha con l'impresa un rapporto tanto stretto, mentre ad esempio il Politecnico, ritenuto quasi esclusivamente collegato in modo profondo e immediato al sistema indu­ striale, in realtà destina più del 60 % dei suoi laureati al­ l'insegnamento: cioè ai servizi! Ma d'altro lato la presenza di un pubblico studente­ sco fatto in prevalenza di lavoratori dipendenti stabil­ mente occupati vuoI dire che l'impresa non conta solo come « sbocco» dei laureati: ma è soprattutto rilevante perché i suoi cambiamenti sono all'origine della decisio­ ne degli impiegati di iscriversi all'università, e per più della metà di proseguire oltre il primo anno. Il nostro pubblico studentesco è un pubblico di « impiegati »: la prima esplorazione del1e altre facoltà ci conferma che i la­ voratori sono presenti, in forma più o meno massiccia, o talvolta solo modesta quantitativamente, in quanto « impiegati», in quanto « ceto medio impiegatizio»j gli operai si affacciìmo: ma la loro presenza non è ancora . qualificante, neppure in seguito alle 1 50 ore. In questa situazione di « transizione» si può esten­ dere la denominazione di « facoltà di ceto medio» all'in­ tera università o quasi: ma questo poi significa che si tratta di impiegati: cioè si tratta di forza-lavoro «intellet­ tuale», che si tratta per noi di capire e gestire innanzitut­ to un rapporto fra impresa e forza-lavoro impiegatizia, « intellettuale» secondo questa vecchia accezione: com­ prendere che il problema che abbiamo chiamato della for­ mazione di forza lavoro occupata nell'impresa, resta al­ l'impresa o va all'impresa, è però problema di formazione 22

di forza lavoro intellettuale, e per di più delle fasce più alte della forza lavoro intellettuale. Infatti dal momento che la scolarità diviene il parametro prevalente secondo il quale si gerarchizza la forza lavoro, nella struttura occu­ pazionale ma anche nella stratificazione sociale complessi­ va dei lavoratori, noi ci dovremo occupare più a fondo dei lavoratori che hanno il diploma di scuola media supe­ riore e che vengono negli atenei ad acquisire la laurea. Orbene, proprio per questo, nell'intreccio complesso fra valore di uso e valore di scambio della forza lavoro complessiva, riteniamo che lo studio delle trasformazioni della forza lavoro intellettuale nell'impresa, nella loro in­ terazione importante con la fruizione universitaria, vada condotto come momento di una ricerca più vasta sulla formazione della forza lavoro nel suo complesso in que­ sto momento di rivoluzionamento e del sistema indu­ striale e del suo rapporto con la società e col sistema po­ litico. Questa ricerca è da promuovere battendo ritardi, diffidenze, paure, reticenze e rinunce del movimento ope­ raio al riguardo. Tuttavia sarà compito nostro pressoché esclusivo l'approfondimento della parte relativa alle fa­ sce più alte della forza lavoro stratificata e gerarchizzata: la forza lavoro «intellettuale», che appare occupata an­ che nell'impresa soprattutto in funzioni «terziarie» e che sembra, anche attraverso la fruizione universitaria, «muoversi» verso il cosiddetto «terziario superiore», che poi è anche il più strettamente correlato al profitto ed allo sviluppo. Esiste inoltre una cerniera particolare fra forza-lavo­ ro intellettuale e forza-lavoro complessiva che qualifica ormai una grossa fetta della funzione dell'università nel sistema attuale e di cui i docenti universitari si sono fino­ ra occupati troppo poco e per di più limitandosi solo a recriminazioni invece di valorizzare le componenti posi­ tive di questa funzione crescente: la funzione di sede di formazione degli insegnanti, cioè la formazione dei for­ matori, anche se ormai questa loro funzione da un lato è strettamente precaria, dall' altro non esclusiva ma ormai 23

diffusa fuori dell'Università. Questa funzione poi corÌ:mn­ que non è esclusiva delle facoltà di lettere e magistero, ma si realizza in tutte le facoltà di tutta l'università. For­ mazione dei formatori della forza-lavoro complessiva: è una funzione che l'Università assolve senza che noi mai ci siamo posti la questione della sua portata politica. Ciò pone appunto il problema del rapporto fra l'in­ tellettualizzazione complessiva della forza lavoro dentro la sua astrattizzazione (terziarizzazione in senso stretto I) e formazione delle fasce più alte della forza-lavoro intel­ lettuale, consapevoli che essa è destinata in gran parte a sua volta alla formazione: e che su questo non c'è solo da piangere. E infine voglio ricordare qui un'altra dimensione già operante dell'università nel suo rapporto con la forza-la­ voro intellettuale che si esprime con forza particolare proprio fra i dipendenti delle imprese. Il ruolo già di fat­ to assai diffuso di formazione permanente, anche nel sen­ so tutto da valorizzare di rapporto permanente post-lau­ rea, di cui la riqualificazione permanente è un aspetto che conta ma non è detto sia quello più importante. E ci in­ teressa partire anche da qui oltre che dal ruolo di forma­ zione al primo impiego della forza-lavoro intellettuale potenziale: studiare le enormi implicazioni politiche po­ sitive di questo processo che avviene prima della laurea e interessa tutta la scuola, a tutti i livelli.

Ristrutturazione e domanda di forza-lavoro intellettuale.

La teoria sul nodo problematico della « formazione » è cosÌ arretrata e il nodo cosÌ complesso che malgrado il suo rapido movimento sarà necessaria una ricerca che mo­ biliti per anni numerose forze soggettive in un'analisi ed in un'elaborazione sistematica in rapporto al soggetto po­ litico in movimento, e per la quale quasi tutto, a partire dalle metodologie, dovrà essere inventato. Tuttavia biso­ gna cominciare ad esplorare il campo con una ricerca daI

1974.

24

Cfr. R. Alquati, Sindacato

e

partito, Editori Stampatori, Torino,

tata, cercando di anticipare al minimo certi eventi perlo­ meno nel periodo breve. E nel periodo breve (ed anche breve-medio) la realtà che le forze soggettive del movi­ mento operaio ed in particolare quelle che vogliono ag­ gredire il nodo della formazione anche dall'interno del­ l'università si trovano di fronte, non solo davanti ma con!' tro, è la « ristrutturazione » del sistema industriale e del suo rapporto con la società: quel rivoluzionamento, in corso dall'inizio degli anni '70, della struttura produttiva nel suo rapporto con le funzioni riproduttive con cui la classe capitalistica ha tentato e tenta di rispondere alla lotta degli anni '60, ed espressasi per la prima volta a li­ velli insopportabili dal sistema nel '69. La ristrutturazione va però ulteriormente definita. Ormai da parte di molti si distingue la riconversione dal­ la ristrutturazione: si intende per riconversione il passag­ gio alla produzione di nuovi prodotti al posto di prodotti attuali, la sostituzione di settori merceologici con nuovi settori merceologici: vedremo che malgrado le aspettati­ ve di alcuni anni fa, allorché si è ricominciato a parlare di « nuovo modello di sviluppo », la riconversione non ha assolutamente avuto luogo e non ha luogo; perlomeno nel senso che appunto il movimento operaio si attendeva. La ristrutturazione invece ci colpisce a fondo, ed è la ra­ zionalizzazione del sistema industriale al fine di restaura­ re il comando e rilanciare il profitto all'interno di un qua­ .dro merceologico immutato; ma in realtà essa oggi pro­ cede nell'ulteriore restringimento e specializzazione della base produttiva: come sta avvenendo in Italia e in Pie­ monte. Pertanto oggi in Piemonte e in Italia non assistia­ mo a nessuna ulteriore diversificazione ma piuttosto al contrario: e si usa il termine diversificazione in modo mistificato per denominare meri processi di commercia­ lizzazione che avvengono dentro la vecchia struttura mer- . ceologica del sistema industriale. Un'ipotesi importante è che la ristrutturazione, av­ viata fin dal '64 e '65 ma rilanciata, dopo molteplici as­ saggi, solo negli anni '70, in risposta all'offensiva opera25

ia del ciclo precedente, sia diretta e trainata dalle multi­ nazionali italiane in stretto rapporto con le imprese a par­ tecipazione statale, con un legame ambivalente con la classe capitalistica mondiale, al fine innanzitutto di rom­ pere e mutare la ricomposizione di classe attuata negli anni '60 in Italia, cominciando a colpirla attraverso una modifica della combinazione e articolazione della forza­ lavoro in una struttura rinnovata della « cooperazione ». Anche le modifiche dei prodotti e la razionalizzazione capitalistica dei settori merceologici trasformati in hold­ ings, comandate da superholdings polisettoriali e perfino conglomerate, dentro una mutata divisione internaziona­ le del lavoro che avviene simultaneamente su scala mon­ diale, persegue l'obiettivo della disarticolazione e scardi­ namento della vecchia ricomposizione sociale di classe in una serie di paesi: fra cui innanzitutto l'Italia. Il nostro paese contiene una minaccia al capitale mondiale per la forza qui raggiunta dalla classe operaia. La ristrutturazio­ ne è il tentativo difficile di imporre in alcuni paesi e so­ prattutto in Italia una combinazione della forza-lavoro che riduca e modifichi le risorse-che quella degli anni '60 offriva ai movimenti della classe operaia. Ed è bene sotto­ lineare che questa razionalizzazione che vuoI ristabilire potere e profitto non si limita alla produzione del plusva­ lore ed alla sua gestione ma aggredisce anche il rapporto fra produzione e riproduzione, e quindi passa innanzitut­ to per l'innovazione in quanto nuovo modo di collegare la fabbrica e la società. Si tratta di trasformazioni pro­ fonde; benché contenute dalla capacità, che la classe ope­ raia ha serbato e difeso, di riprodurre la propria forza an­ che nella nuova forma del rapporto produttivo e ripro­ duttivo; ma che tuttavia ha consentito alle multinazio­ nali di sganciare in parte il ciclo della valorizzazione in­ ternazionale del capitale imponendo un'articolazione del­ la struttura nuova del capitale che non può essere seria­ mente minacciata dal potere operaio in un solo paese. Pertanto, malgrado la gigantesca crisi politica del ca­ pitalismo italiano, la ristrutturazione appare come un'ini26

ziativa politica diretta della classe capitalistica nei con­ fronti della classe operaia; potendosi valere poco e male del suo stato in crisi la classe capitalistica tende a colpire la classe- con una trasformazione diretta della struttura del capitale attraverso la rete nuova della cooperazione complessiva: attraverso una nuova divisione del lavoro. Dunque: la ristrutturazione è un processo politico che agisce innanzitutto modificando la base strutturale dello scambio fra lavoro vivo e lavoro morto nella valo­ rizzazione e nell'innovazione, che oggi passa necessaria­ mente dentro la fabbrica senza per questo rinunciare a prendere anche dalla società borghese in crisi di crescen­ za, di sussunzione reale al capitale, tutto il contributo al rilancio del potere (che è il grande inghippo alla strate­ gia padronale) e del profitto che, malgrado la crisi del si­ stema politico, la società come luogo funzionale della ri­ produzione capitalistica può dare, grazie alla prevalente valenza capitalistica di eventuali razionalizzazioni del si­ stema riproduttivo. Il momento prevalente della ristrutturazione ci sem­ bra possa essere ipotizzato nella « innovazione organiz­ zativa». Ad essa è finalizzata anche l'innovazione del prodotto, più che il contrario: e ciò - come vedremo - implica che l'organizzazione dei rapporti « sociali» dentro !'impresa conta oggi più della meccanizzazione del lavoro, nel senso che quest'ultima è subalterna alla prima; (come diceva Marx) l'organizzazione appare anco. ra più che mai « la via regia» dell'innovazione tecnolo­ gica; ed in modo peculiare in seguito alla cibernetizzazio­ ne ed all'uso integrativo dell'elaboratore, macchina poli­ tica perché macchina immediatamente organizzativa. E (vedremo che) l'emergere al centro della ristrutturazione di questa dimensione portante dell'organizzazione, come funzione di comando di un sistema complesso peculiare, che estende la sua complessità in una nuova articolazione internazionale, mondiale, viene a spiazzare quasi intera­ mente la vecchia struttura per facoltà, e per di più « mer­ ceologiche», della università italiana e si trova assai vi27

cina alla radice della crisi dell'università. La ristrutturazione si muove attraverso soprattutto l'innovazione organizzativa e cerca nella fabbrica e nella società margini nuovi di stabilizzazione del potere-profit­ to che molto sovente colpisce gli impiegati: dentro e fuo­ ri della fabbrica, oggi con la nuova organizzazione si ag­ gredisce la forza-lavoro intellettuale, il ceto medio, met­ tendo necessariamente in crisi un vecchio, secolare, siste­ ma di alleanze della classe capitalistica: prima al :fine di resistere alla stretta operaia e poi, battuta quella, di re­ cuperare nuovamente, dopo, eventualmente, i nuovi ceti medi, a spese degli operai sconfitti. Questo attacco alla forza-lavoro intellettuale favorisce però oggi nei ceti me­ di la crisi di consenso; e li induce ad una domanda politi­ ca nuova che si rivolge anche nei confronti dell'Univer­ sità: gli studenti-lavoratori domandano una formazione culturale e politica nuova che va vista come l'altra faccia di un unico processo che ha provocato anche l'obsole­ scenza della « professionalità» tradizionale della forza­ lavoro intellettuale. D'altronde, di contro, il movimento operaio, il potere operaio, può porsi realisticamente l'obiettivo di una diversificazione e riconversione del si­ stema produttivo che realizzi una vera valorizzazione dell'egemonia politica della classe operaia. Ma so­ lo . se sa raccogliere questa duplice domanda politi­ ca che viene da questa forza-lavoro in espansione: emer­ gente non solo come nuovo alleato privilegiato, ma come componente determinante dei movimenti di lotta della classe operaia stessa. Solo mobilitando ed organizzando direttamente la forza-lavoro intellettuale. Non si potrà vincere senza di loro. E la lotta implica la loro formazio­ ne; come implica oggi la funzione e l'assetto di questa importante istituzione politica che si chiama Università: nel suo ruolo di cerniera fra la fabbrica, la società e lo stato.

28

Alcuni punti particolari, in via preliminare. Per porre sui

binari una ricerca sulla forza-lavoro intellettuale dentro i cambiamenti nell'articolazione della forza-lavoro com­ plessiva mi pare opportuno liberare il campo da una con­ cettualizzazione inadeguata e poi dall'uso inadeguato dei concetti risultanti, relativi alla sempre più intricata (non per caso) questione di come assumere il « settore», da un lato, ed il livello « tecnologico» di una data tecnolo­ gia, dall'altro. Si va infatti diffondendo una tendenza rischiosa a ve­ dere i settori solo in quanto «merceologici»: ritornando indietro rispetto alle definizioni e sussunzioni di « setto­ re tecnologico» elaborate negli anni '60, invece di anda­ re oltre. Pertanto si tende anche a considerare solo la « teCnologia di prodotto», e ad assumere assurdamente come indicatore del livello tecnologico di un settore mer­ ceologico: o la complicatezza materiale del prodotto-mer­ ce come oggetto che ne esce; o la destinazione d'uso del prodotto merce, in base ad una gerarchia ideologica degli usi, ovvero dei relativi consumi. Noi invece riteniamo che rispetto a questa impostazione, giacché essa finisce sempre col sopravvalutare il lavoro concreto, sia assai più opportuno per il movimento operaio considerare l'artico­ lazione « verticale» della forza-lavoro all'interno del pro­ cesso storico capitalistico che la « astrattizza». Pertanto tendiamo ii ricondurre l'assunzione dei « livelli tecnolo­ gici» non più al ciclo complessivo globale dei prodotti . " destinati al consumo delle famiglie, ma al livello tecnolo­ gico dei vari segmenti e sub-cicli produttivi, assumendo piuttosto come indicatore il rapporto della tecnologia di prodotto con la tecnologia incorporata "nei mezzi di pro­ duzione, e quindi ci sforziamo di adottare come indicato­ �e privilegiato la quantità di forza-lavoro per unità di prodotto incorporata a monte della fabbricazione diretta del bene di consumo, incorporata cioè nei mezzi di pro­ duzione « industriale» del prodotto-merce. Quindi di­ stinguiamo il livello tecnologico di un intero ciclo di va­ lorizzazione dal livello tecnologico delle sue fasi, ci rife29

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riamo a queste ultime divenute dei cicli autonomi con un loro mercato: poiché fra l'altro la ristrutturazione auto­ nomizza le fasi, le scorpora, e ne fa dei settori merceolo­ gici nuovi commercializzandole, e poi sollecita la loro concentrazione orizzontale, parallela, e quindi ridimen­ siona la verticalizzazione integrale dei cicli che caratteriz­ zava gli anni '50-'60. E tendendo anche ad organizzarle a livello mondiale, con una specializzazione per fasi autonomizzate del ciclo di aree geografiche determinate, sottraendole anche alla bronzea legge dei rapporti proporzionali come si determi­ navano nell'integrazione verticale di un unico ciclo den­ tro un'unica impresa, ieri riferita ad un bene di consumo di massa. Vedremo che sottolineando con assunzioni come que­ sta la tendenza storica del capitale a fare apparire anche immediamente appariscente in molte fenomenologie at­ tuali la progressiva prevalenza del lavoro astratto sul la­ voro concreto si comprende meglio il rapporto università­ impresa oggi. Non solo però: si può porre in modo poli­ ticamente più efficace (ad esempio) la questione del bloc­ co politico della classe operaia e della sua composizione. La differenza dei livelli tecnologici nella cooperazione ri­ mane centrale per le sue conseguenze sulla forza-lavoro combinata, anche là dove la divisione tecnica del lavoro tende a coincidere con quella sociale e con quella interna­ zionale. E d'altronde, come vedremo, l'automazione del lavoro diretto e la terziarizzazione del lavoro in generale (anche indiretto) sono fra gli obiettivi più ambiziosi del­ la ristrutturazione e non un processo residuale, o una sua conseguenza secondaria. Quindi va anche sottolineata la tendenza a ridurre nel nostro paese il peso materiale del­ l'operaio massa con la macchinizzazione, col decentra­ mento, con l'espulsione nel terzo mondo, del lavoro di­ retto delle fasi finali dei cicli più legate allo scambio fina­ le col mercato dei beni di consumo, soprattutto di consu­ mo durevole; e quindi va enfatizzata la tendenza imposta ad accrescere di contro la terziarizzazione della forza-la30



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voro anche espandendo nel nostro paese le fasi a monte e a·valle immediatamente della fabbricazione « manifat­ turiera » di questi beni di consumo, autonomizzandole e commercializzandole. Il Piemonte non deve più essere considerato patria della produzione di massa! È ormai acquisita la specializzazione del Piemonte nella fabbriea­ zione e riprogettazione riadattativa dei beni strumentali da un lato: e nella loro commercializzazione dall'altro sul mercato mondiale. Il processo molteplice di terziarizzazione della forza­ lavoro italiana si coglie nella sua portata politica con una assunzione dei settori che non continui a sopravvalutare il lavoro concreto rispetto ai processi che svuotando la capacità lavorativa vivente della professionalità indivi­ duale tradizionale legata al lavoro concreto, utile, pongo­ no sul tappeto la questione del lavoro complesso non so­ lo come lavoro collettivo ma del lavoro complesso come lavoro astratto. La nuova divisione internazionale del lavo�o malgra­ do la forte concorrenza internazionale fra le imprese mul­ tinazionali, si viene realizzando con un ulteriore restingi­ mento della base produttiva. E ciò sembra escludere, per ora, malgrado le intenzionalità contrarie del movimento operaio italiano, o soltanto di quello della nostra regione, una reale possibilità di convertire il sistema produttivo del nostro paese alle « alte tecnologie »: nel periodo bre­ ve o anche nel periodo medio. In realtà ne è conseguita, al contrario, l'ulteriore specializzazione del sistema pro­ duttivo (ed indirettamente anche di molti servizi e fun­ zioni riproduttive della società compresa in Piemonte) nelle produzioni di livello tecnologico « medio ». Questa concentrazione, specializzazione sul livello medio, ha si­ gnificato un ulteriore restringimento! Quindi ha operato perfino un'eliminazione di momenti produttivi e ripro­ duttivi di tecnologia medio-alta anche, oltre che di alcuni dei rari picchi nostrani di « alta tecnologia », che ieri c'erano ed ora non ci sono più, anche se spontaneamente se ne è formato qualche altro. Il restringimento è avve31

nuto dopo che per un anno in Piemonte si è gridato al vento che bisognava puntare ad una riconversione com­ plessiva dell'intero apparato produttivo della regione, o quasi, alle tecnologie più alte: respingendo e cambiando radicalmente, senza proprio sapere come, la divisione in­ ternazionale del lavoro a Torino ... La debolezza su questo terreno nella realtà è cosl gra­ ve che il capitale ha avuto buon gioco di queste grida im­ potenti e velleitarie comprimendo ancor di più il sistema industriale nel livello medio. Il che però sul versante op­ posto, che è quello decisivo, vuoI dire innanzitutto anche innalzamento dei livelli più bassi: il che signiuca conte­ nimento e terziarizzazione dell'operaio massa. Lo ripe­ tiamo perché è un punto centrale del discorso : è la classe capitalistica che in Piemonte deve utilizzare l'automazio­ ne al une di ridimensionare l'operaio massa! Questo inte­ ressa oggi direttamente il problema della formazione del­ la forza-lavoro in Piemonte, e questo interessa noi come docenti universitari. Approfondendo l'analisi della nuova combinazione della forza-lavoro è utile cercare di comprendere più a fondo la sua qualità complessiva, come essa è combinata all'interno di questa medietà del livello tecnologico com­ plessivo del sistema industriale piemontese. È necessario capire la « qualità » di questo lavoro astratto complesso con cui, raccogliendo la suda operaia ad una prima limi­ tata ricomposizione delle mansioni, (ma aggirandola col decentramento flessibilizzante, con l'automazione, con il trasferimento nei paesi terzi e nelle regioni meno svilup­ pate) il capitale sembra talora volere fare un suo uso del­ lo scioglimento del legame storico fra il processo secolare di sempliucazione e quello di astrattizzazione del lavoro e della capacità lavorativa che la grande lotta offensiva degli operai-massa negli anni '60, ora estesasi agli impie­ gati-massa, sia dell'industria, sia dei servizi industrializ­ zati, gli ha imposto. Infatti la flessibilizzazione della vecchia struttura or­ ganizzativa del ciclo della grande impresa, rigido e massi32

ficato, procede in parallelo con la determinazione di una nuova qualità della forza-lavoro combinata, ora in modi relativamente flessibili, al livello tecnologico « medio ». L'egemonia del « vecchio » operaio massa, che già si era collegato e saldato all'inizio degli anni '60 ai professiona­ li, e che poi si è collegato spontaneamente alle avanguar­ die emergenti dei « terziari », alle giovani forze terziarie, già nel vecchio ciclo della lotta questa egemonia-ripeto - non è caduta, ma ha cambiato valenza. Malgrado una riproduzione anche quantitativamente allargata degli operai professionali in senso tradizionale, trasferiti però ad altri punti del ciclo; e malgrado lo sviluppo di lavoro precario, attualmente, in questi anni '70, l'egemonia del­ l 'operaio-massa si riproduce in un nuovo rapporto, anco­ ra una volta spontaneamente, realizzato innanzitutto con il nuovo proletariato « terziario » e « quaternario » del­ l 'industria e dei servizi, nonché con certe avanguardie fi­ nanco della pubblica amministrazione: questa nuova composizione di classe a mio avviso si realizza tenden­ zialmente dando luogo ad una nuova fase storica che so­ stituisce ormai all'operaio-massa 1'« operaio sociale » (co­ me lo chiamo io), oggi embrionale. Questa potenziale, in­ tenzionale, ricomposizione di classe ha come base ogget­ tiva la nuova qualità della forza-lavoro astratta com­ plessa. La nuova qualità della forza-lavoro in questa sua rin­ novata articolazione e combinazione è tuttora una realtà . troppo poco conosciuta. E ancora meno considerato è il suo rapporto importante con la crisi della professionalità e con la domanda di formazione politico-culturale, anche nei termini di una nuova produttività sociale di una cul­ tura peculiarmente riprodotta contro il dualismo : la cul­ tura di élite separata, e (di contro ad essa) cultura di mas­ sa a sua volta ghettizzata. Eppure la ristrutturazione vo­ leva proprio modificare questa combinazione e quindi so­ prattutto questa qualità della forza-lavoro degli anni '60, al fine di colpire mediante e attraverso questo cambia­ mento la sottostante ben più profonda composizione di 33

classe. La nuova qualità del lavoro è un terreno assai am­ bivalente. Anche perché implica una dimensione sogget­ tiva irriducibile essa può e deve essere letta e capita nel­ la sua funzionalità al progetto di stabilizzazione e rilancio capitalistico e nelle contraddizioni di nudvo tipo e livello che vi introduce ; come di contro deve essere valorizzata e organizzata, politicamente, nelle sue potenzialità auto­ nome e nelle sue intenzionalità alternative dal punto di vista della classe operaia : ma di quella degli anni '70-'80 . E se è vero che ancora una volta (come avvenne nel '58-'62 per l'operaio massa) il movimento di classe prece­ de il movimento operaio istituzionale (quello storico, ma ancor di più quello ex-extrapàrlamentare che è il più ideologico e immutabile) fermo su quanto rimane della vecchia combinazione e qualità della forza-lavoro, e « spontaneamente » (in modo relativo, rispetto alle diri­ genze di tali organizzazioni istituzionali anche di medio livello ed anche rispetto ai « delegati » moltissime- vol­ te ... ) si muove per la crescita dell'embrione di nuova composizione di classe nella nuova forma di soggetto po­ litico che ho chiamato « operaio sociale », allora noi per primi, nell'Università, non possiamo ignorare questa in­ tenzionalità ricompositiva dell'operaio-massa attaccato e colpito e ridimensionato dal padrone, giacché esso cerca di unir/lcarsi in un nuovo blocco di classe con la nuova forza intellettuale emergente, in un processo di intenzio­ nale unificazione politica che superi le differenze della forza-lavoro divisa ma socializzata, sperequata ma livella­ ta dalla dinamica dei processi accumulativi, meccanizzata ma terziarizzata nello scambio col lavoro morto comples­ sivo e il suo potere dispotico che tende a ristabilire il suo dominio su tutta quanta la forza-lavoro, giocando proprio sulle differenze interne, di forma e di posizione. Certo, lo sappiamo, questa unificazione politica della classe al livello dell' operaio sociale è oggi compito di un partito e questo potrà avvenire ormai solo su scala inter­ nazionale. Ma l'Università è tuttavia un nodo centrale di queste dinamiche, nella loro ambivalenza : il segno della 34

valorizzazione della forza-lavoro nella sua nuova qualità è anche compito nostro costruirlo. Ripeto, non si tratta di inventare diversivi del tipo della « nuova classe opera­ ia », o di reinventare l'antico mito dei tecnici. . . , si tratta di contribuire in Italia e in Europa, a ridefinire, a riqua­ lificare, l'egemonia che l'operaio massa aveva saputo con­ quistare negli anni '60 sulla base oggettiva della vecchia combinazione della forza-lavoro. E questo operaio massa che ha saputo difendersi e tenere e perfino contrattaccare dall'interno della ristrut­ turazione ha già saputo unificarsi nella lotta con altri mo­ menti della forza-lavoro precaria da un lato e terziaria emergente dall'altro (oltre ai vecchi operai delle vecchie professioni e mestieri) : ricercando già nelle lotte conver­ genze e unità con il proletariato terziario e quaternario che molte volte ha risposto positivamente. Perché questo proletariato « terziario » che nella stratifÌcazione sociale sta al di sopra dell'operaio massa, tuttavia ormai è a sua volta massificato, dequalificato, concentrato, subalterno ad un lavoro morto come macchinario computerizzato, con ritmi alti e lavoro svuotato e ripetitivo e parcellizza­ to, anche nel terziario superiore o « quaternario » . . . Il nuovo ceto medio proletarizzato è in realtà il nuovo pro­ letariato. Certo allora non è più il vecchio. Queste due grandi variabili, « terziarizzazione » e « proletarizzazio­ ne », fino agli anni '60 in Italia potevano essere contrap­ poste; negli anni '70 non più, neppure fuori" del proces­ so lavorativo; esse tendono a combinarsi; ma nel farlo si trasformano. Oggi abbiamo un proletariato al di so­ pra degli operai di fabbrica, mentre fino a ieri l'avevamo solo al di sotto : è inutile stupirsi e scandalizzarsi: è un fatto, un fatto peculiare, un fatto « specifico » che ha gigantesche valenze politiche positive per la classe . operaia, e che coinvolgono il ruolo dell'Università; già oggi : il suo ruolo di fatto, svolto magari malgrado il suo assetto, anzi, come contraddizione, ormai incontrollabile dai baroni, di questo assetto. E noi dobbiamo comprendere meglio quali sono i 35

processi oggettivi di proletarizzazione, industrializzazio­ ne, operaizzazione, dequalificazione, massificazione, ecc. ecc. che nello scambio indiretto o diretto che tale proleta­ riato ha con questa struttura del lavoro tecnologicamen­ te di livello « medio », oggi lo inducono a muoversi o a mobilitarsi con segno classista, e non corporativo. E vedendo in questo movimento sia l'oggetto che il limite maggiore della ristrutturazione; nel senso che essa tuttavia non ha ridotto la conflittualità, l'ha solo trasferita: ma aumentandone ulteriormente la portata, aumentandone il livello ed estendendone la forza di mo­ vimento sulla scala dell'intero nodo produzione-riprodu­ zione così come si va industrializzando, addensato sulla linea portante di questa tecnologia mediana. La ricerca tecnologica e scientifica si scorpora e si au­ tonomizza: ma si fa all'estero. Oggi il sistema industria­ le del Piemonte vede un'ulteriore riduzione della ricerca tecnologica di lungo termine e l'acquisto crescente di know-how e licenze; mentre cresce solo la ricerca tecno­ logica più immediata legata all'adattamento e alla revisio­ ne delle macchine utensili e dei beni strumentali. Queste produzioni, però, a loro volta sono articolate per costel­ lazioni di imprese che decentrano a cascata la fabbricazio­ ne alla piccola industria e al lavoro a domicilio e si limi­ tano al montaggio finale e alla commercializzazione in un'area mondiale di macchinari e impianti la cui parte meccanica, meno tecnologicatnente elevata, è fabbricata in Italia, ma quella più importante e di più elevata tec­ nologia (elettronica) è importata spesso già fatta dal­ l'estero e solo montata sull'impianto. La progettazione si scorpora e si autonomizza: quella che però rimane localizzata in Piemonte a sua volta è applicata all'adat­ tamento di know·how importati, che poi, sovente, ven­ gono rivenduti al terzo mondo. Nondimeno, la progetta­ zione che rimane nella nostra regione oggi è fortemente industrializzata, meccanizzata, automatizzata, con espul­ sione di forza-lavoro impiegatizia trasferita altrove. Per­ tanto cresce da noi la commercializzazione in senso stretto 36

di macchinari e impianti o di capacità progettativa indu­ strializzata. La vendita nei paesi terzi in parte crescente di impianti e sistemi in gran parte « inventati » all'estero assorbe e promuove giovani operai professionali, che così si terziarizzano. Le produzioni manifatturiere tradiziona­ li, come l'auto, l'elettrodomestico, o quelle tessili e ali­ mentari, si meccanizzano e automatizzano ulteriormen­ te; e soprattutto decentrano e trasferiscono fuori lavo­ razioni irriducibilmente ad alta intensità di lavoro che ancora strozzano la meccanizzazione del lavoro diretto ed anche indiretto : fenomeni come la robotizzazione so­ no importanti perché eliminano lavoro semplice, elimina­ no la manifattura ch'e sopravviveva nella fabbrica e ridi­ mensionano l'operaio massa. In realtà gli unici embrioni di diversificazione sono proprio da vedere dietro ai fantomatici progetti specia­ li. . . Cioè nella produzione di macchinari per ufficio; e poi, appunto, macchinari per l'industrializzazione e ope­ raizzazione del lavoro impiegatizio anche e soprattutto nei servizi. Infatti andrebbero prese più sul serio dal mo­ vimento operaio le aperture, non meramente propagandi­ stiche, delle multinazionali nella produzione di infra­ strutture e soprattutto di macchinari e impianti per i servizi. A partire dalle nuove potenzialità di progetta­ zione di ingegneria civile, a partire dalla casa e sistemi residenziali, sistemi di trasporto pubblico, sistemi sani­ tari ecc. ecc., le imprese italiane come la FIAT, la Mon. tedison, ecc. hanno cominciato a produrre in serie per l'Italia e soprattutto per il mercato dei paesi che entrano nel benessere, trasferendo qui nella progettazione i pro­ fitti conseguiti con l'auto o con i medicinali. È questo l'unico ambito che le multinazionali pie­ �ontesi e italiane possono ritagliarsi per ora fuori dallo stretto spazio lasciato dal capitale internazionale, che a sua volta però ha cominciato a muoversi in questa dire­ zione e domani potrebbe imporre i suoi prodotti, proget­ ti, impianti e sistemi, ai settori che producono servizi per il consumo pubblico : altro che attendere l'ente locale! Il 37

problema è controllare questi investimenti di industria­ lizzazione e diversificazione riferita soprattutto ai biso­ gni degli utilizzatori e a quelli dei lavoratori come utenti, secondo una strategia del movimento operaio; ma pro­ muoverli. In questo spazio ristretto, che rischia di restringersi ancora per l'espulsione della ricerca e l'ulteriòre specia­ lizzazione produttiva, stanno anche le potenzialità di cre­ scita della forza-lavoro intellettuale, di terziarizzazione e quaternizzazione della forza-lavoro complessiva in Pie­ monte ed a questo quadro deve riferirsi oggi realistica­ mente il rapporto Università-territorio e in particolare Università-impresa. Dunque, nell'ipotesi - ovvia - che la ristruttura­ zione voglia rompere il blocco politico della classe opera­ ia, e in quella - meno ovvia - che invece, di contro, la classe operaia continui a tenere e a rimuovere la propria forza, utilizzando anche la nuova combinazione « spon­ taneamente » per una « nuova » unità di questo embrio­ nale « operaio sociale » e quindi alzando il livello delle contraddizioni e riaprendole sui nuovi terreni che l'inizia­ tiva capitalistica va realizzando ancora difficoltosamente per la forza di questa tenuta operaia, in questa ipotesi portante - dicevo - sul significato politico della selie di scorporamenti e autonomizzazione, flessibilizzazione e nuovi controlli, decentramenti e trasferimenti ed espul­ sioni, meccanizzazioni e cibernetizzazioni, ulteriori so­ cializzazioni e nuove articolazioni, va sottolineata la com­ binazione nuova, e la nuova qualità nella cooperazione. Nulla infatti di tutto ciò avviene senza comportare un cambiamento della qualità della forza-lavoro e della sua combinazione: ma si verifica proprio per questo. Se tutto ciò è vero possiamo noi pensare che in que­ sta dialettica costituente il terreno della lotta di classe in questi anni '70 non giochi un ruolo importante la produ­ zione e la riproduzione della forza-lavoro stessa? Della forza-lavoro vivente e della sua capacità lavorativa come nuova base della sua capacità di lotta? Produzione e ri38

produzione della sua qualità e quantità? E in tutto ciò non ha un ruolo, uno spazio politico, la formazione? Sul terreno di nuove unità che rovesciano la terziariz­ zazione e la industrializzazione di terziari in un più am­ pio schieramento anticapitalistico, la ristrutturazione ci appare fatta, anche molto, di formazione. Non è un caso che l'iniziativa (sebbene con un ridicolo bluff politico) su questo terreno l'abbia presa De Benedetti, riuscendo co­ munque a prendere in contropiede il movimento operaio e scoprendo questo suo tallone d'Achille. Nondimeno a sua volta il leader padronale non è uscito dall'ambito del­ le vecchie professionalità operaie individuali, e in termini molto ristretti, tattici, di mero accaparramento di fondi magari per difendere ancora un vecchio sistema di rap­ porti clientelari del blocco capitalistico imperniato sul­ la D.C. Ma il problema della formazione non si può certo li­ mitare al proposito del giusto smantellamento della rete di clientele che le scuole professionali rappresentano; co­ me d'altra parte anche la scuola di stato : canale di distri­ buzione di rendite? Certo, e da più punti di vista. Ma là formazione come momento della valorizzazione della for­ za-lavoro, della produzione e riproduzione della forza-la­ voro, ha ben altra valenza negli interessi della classe òpe­ raia, e non si può continuare ad ignorarla, sperando nei miracoli dei movimenti spontanei. . Oggi le reticenze del movimento operaio su questo nodo problematico sono dovute da un lato ad imprepa­ . razione, dall'altro al sopravvivere di tradizioni ideologi­ che alimentate soprattutto dagli intellettuali di estrazione più « borghese ». Le forze soggettive del movimento ope­ raio hanno ignorato per anni le nuove potenzialità di va­ lorizzazione autonoma limitandosi al riguardo a sopravvi­ vere di rendita nel loto ruolo di retroguardia: di trasfor­ matori delle vecchie risorse obsolete e delle vecchie con­ quiste superate della classe operaia in ideologia. Eppure i ritardi di elaborazione si possono ancora superare mo­ bilitando le forze disponibili a portare avanti la ricerca, 39

la riflessione, lo studio, con sistematicità « scientifica » dal punto di vista della classe operaia. Non certo con la committenza mercantile a baroni o a loro istituti privati di ricerca; ma riferendosi alle forze soggettive e colletti­ ve che si muovono su questo terreno nella scuola e nel­ l'Università e nello stesso movimento della lotta sociale, quasi interamente ignorate dal movimento operaio isti­ tuzionale. Certo, quel che conta è innanzitutto la lotta operaia contro la ristrutturazione e l'uso politico che se ne propo­ ne il padronato e la classe capitalistica : ma è proprio al­ l'interno di questa lotta che la formazione conta. Non è un diversivo cercare di capire come strategicamente, tat­ ticamente, organizzativamente da parte operaia può por­ si il nodo della formazione della forza-lavoro perché essa sia valorizzazione autonoma della capacità politica di lot­ ta della classe operaia. Ed è poi su questa base che si po­ ne il problema della trasformazione ed adeguamento di istituzioni politiche come quelle formative separate ma la cui separatezza è in crisi: la scuola e l'Università : sono in crisi queste istituzioni separate e la loro funzione di riproduttrici di separatezza !

Il processo separato di produzione e riproduzione della forza lavoro. Ripeto, una delle caratteristiche storiche

del sistema capitalistico è la separatezza del processo di produzione della forza-lavoro come merce specifica ri­ spetto al processo del suo consumo, cioè rispetto alla valorizzazione del capitale delle imprese. Questa separa­ tezza non si presenta ovunque negli stessi termini e si modifica molto nella storia. Tuttavia anche quando sem­ bra venir meno essa rimane; cambiano solo le forme del mercato che collega la merce forza-lavoro al suo con­ sumo. La separatezza del processo di produzione della mer­ ce forza-lavoro è una caratteristica assai ambivalente: nei 40

momenti in cui la classe operaia raggiunge una posizione di egemonia si avverte che in questo processo separato è presente un aspetto di potenziale valorizzazzione della classe operaia come soggetto politico, della classe operaia per se stessa. E d'altra parte nel momento presente, in Piemonte, la possibilità di soluzione unilaterale di que­ st' ambivalenza del processo separato di produzione e riproduzione della forza-lavoro pone il processo stesso come un vincolo assai pesante nei confronti degli obiet­ tivi capitalistici nella ristrutturazione del sistema indu­ striale. E ciò avviene con tanta più forza quanto più la forza-lavoro si spoglia storicamente delle sue forme deri­ vanti dalle vecchie segmentazioni ed articolazioni del lavoro concreto ed il lavoro diventa sempre più astratto anche nelle sue forme fenomeniche, con la sua nuova complessità collettiva interrelata piuttosto alla scienza incorporata anche nel lavoro vivo e al sapere sociale generale incorporato anche nella forza-lavoro vivente. Nell'area metropolitana la forza-lavoro si « intellettua­ lizza » proprio in quanto forza-lavoro sociale comples­ siva; autonomizzandosi, in seguito alla sua attuale lenta terziarizzazione e quaternarizzazione, da un adattamento rigido ed immediato al macchinario ; cui viene subordi­ nata oggi in modo da un lato più indiretto, mediato, e dall'altro più complessivo, esteso, sociale. Anche per questo è andata crescendo negli anni presenti l'impor­ tanza politica di questa sfera separata, che tende ad as­ ' sumere nei pensieri della classe capitalistica un posto privilegiato; poiché è venuto meno gran parte del con­ trollo di essa e delle sue funzioni politiche stabilizzanti, mentre il movimento operaio non ne ha comprese le potenzialità.

Il processo complessivo di produzione e riproduzione della forza-lavoro. Un primo punto su cui è d'uopo insi­ stere è la complessità di questo processo separato di pro41

duzione della capacità lavorativa vivente : una grande quantità di aspetti importanti che mutano storicamente e si differenziano all'interno poiché la forza-lavoro stes­ sa, proprio in ragione di una tendenza storica strutturale all'omogeneizzazione quale conseguenza storica della sua astrattizzazzione nel lungo periodo, viene poi, allora, ne­ cessariamente differenziata, frantumata, segmentata, stra­ tificata, gerarchizzata, fino alla sua individualizzazione di rapporto e di scambio col lavoro morto in quanto capi­ tale : e questi sono a loro volta aspetti che divengono struttura, sono politiche che si realizzano strutturalmen­ te. Allorché la classe operaia realizza la propria ricom­ posizione, la ricomposizione dei propri movimenti, è più facile vedere al di là delle differenze indotte l'unità po­ tenziale degli interessi storici delle singole parti e cercare e trovare la via dell'unificazione politica dentro questo mare di differenze strutturali; e si possono aggredire le differenze : purché le si veda, purché le si colga e le si attacchi come differenze. Un altro tema importante di ricerca ed elaborazione si apre dalla constatazione che il processo di produzione e riproduzione della forza-lavoro non è certo riducibile al momento della formazione istituzionalizzata e legal­ mente riconosciuta, cioè alla scuola. La scuola rimane fondamentale per il valore d'uso ed ancor più per il valore di scambio, anche se oggi il valor d'uso « nuovo » ha con la scolarità un rapporto crescente. Epperò la pro­ duzione e la riproduzione della forza-lavoro, specie nel suo valor d'uso che sappiamo essere oggi assai sfasato con quello di scambio, avvengono anche al di fuori della scuola; ciò è sempre avvenuto nella storia, ma oggi ciò si pone in un modo storicamente « nuovo » . I l processo « separato » avviene innanzitutto anche in altri momenti della società : essa è definibile non a caso come luogo funzionale della riproduzione; negli anni '70 anche nel nostro paese la società borghese ten­ de sempre di più ad essere letta come luogo della riproduzione della forza-lavoro stessa. E tuttavia la 42

caratteristica dei paesi di più elevata maturità, ovvero di più elevata accumulazione capitalistica, (come ormai mal­ grado il regresso tecnologico relativo recente è anche il nostro), la separatezza storica della produzione del plus­ valore dalla società borghese come sfera della riprodu­ zione viene elidendosi talora in modo assai forte: tanto che in molti momenti, come ad esempio abbiamo già visto a proposito del processo di innovazione, si realizza una forte integrazione fra fabbrica e società; e molte fun­ zioni riproduttive industrializzate a loro volta si fabbri­ chizzano e si integrano con le tradizionali attività del set­ tore secondario. Molti sono i nodi anche istituzionali che crescono a cavallo dell'interscambio fra fabbrica e società. Ora va detto e precisato che la formazione della forza-lavoro, storicamente, da sempre, come produzione e riproduzione, come sua valorizzazione, è avvenuta an­ che assai all'interno del luogo stesso di lavoro: ed in questi anni '70 la fabbrica stessa può essere letta in mo­ do ribaltato recuperandola dentro il processo di produ­ zione della forza-lavoro; nondimeno - sembra un para­ dosso - il processo di riproduzione della forza-lavoro rimane un processo « separato » da quello della produ­ zione immediata del plusvalore, anche se in modo assai relativo: e questa relatività è sempre variata storicamen­ te. Inoltre avviene oggi anche un processo di integrazio­ ne della scuola con la fabbrica; proprio come conseguen­ za della crisi delle vecchie professionalità ed in misura . in cui la fabbrica stessa si socializza essa vede una sua integrazione con la scuola, che però è ambivalente : e si potrebbe scoprire che è funzionale più nel senso del­ l'autonomia che in quello dello sfruttamento. Inoltre bisogna riconoscere che la produzione della forza-lavoro avviene anche dentro un'altra sfera « sepa­ rata » storicamente dall'uso dei lavoratori stessi. . . il che sta a significare che questa altra separatezza a sua volta è incrinata in più punti : anche la sfera politico-istituzio­ nale oggi diviene momento di formazione della forza-la­ voro, se è vero che in molte attività riproduttive ed an43

che produttive quella che ormai si suole chiamare la « professionalità politica » appare come una componente sempre più importante della formazione professionale stessa: voglio dire che anche dal punto di vista del si­ stema capitalistico la professionalizzazione ed ancor di più la formazione diventano necessariamente più « poli­ tiche » : a maggior ragione questa dinamica sociale pecu­ liare andrebbe studiata e valorizzata dal punto di vista della classe operaia. Potrebbe essere sottoposto ad analisi il processo che tende a por fine a separazioni storiche che però sono state condizione primaria di sopravvivenza del­ la classe capitalistica stessa èome classe dominante e la tendenza della società come riproduzione ad essere sem­ pre più stretta e ridotta dalla espansione da un lato della fabbrica e dall'altro del sistema politico : tanto che le fun­ zioni riproduttive sembrano ormai in parte assorbite sem­ pre più dalla fabbrica da un lato e dal sistema politico­ statuale dall'altro . In temini più concreti e ravvicinati il processo di pro­ duzione e riproduzione nella sua interezza deve essere messo in rapporto, in interazione, con la ristrutturazione del sistema industriale e del rapporto fabbrica-società in Piemonte al fine di ricollocare dentro questo rapporto dialettico anche il ruolo peculiare che vi svolge la scuola. Ed inoltre dovendo poi approfondire l'elaborazione e la analisi relativa alle fasce più alte della forza-lavoro intel­ lettuale in questo sistema che sembra intellettualizzare un poco di più l'intera forza-lavoro. E quindi ponendoci il problema della funzione dell'Università.

Il sistema scolastico complessivo. La parte ancora cospi­ cua della Formazione che continua ad essere compito del­ l'istituzione riproduttiva « scuola » ovviamente non è li­ mitata all'Università. Tuttavia l'Università in quanto se­ de più esclusiva ( relativamente) dell'alta formazione de­ ve anche essere sempre collocata all'interno del sistema 44

complessivo di formazione della forza-lavoro, la quale si intellettualizza complessivamente. Infatti, oltre al lega­ me più tradizionale per cui l'Università, in quanto acca­ demia, era il più alto punto istituzionale di riproduzione e divulgazione della cultura borghese separata, legame c..l1e oggi si è fatto assai tenue e discontinuo, se ne aggiun­ gono altri due. Il primo, di cui si è già detto : è la funzio­ ne di tutta quanta l'Università nella formazione degli in­ segnanti per i sistemi scolastici di grado inferiore, che do­ vrebbe èostringere i docenti universitari nei loro bunkers a tenere conto degli altri momenti, più importanti della formazione della forza-lavoro che vengono così in qualche modo a dipendere dall'intera Università, e non solo da Lettere, Matematica e Scienze. . Il secondo processo è più complicato, indefinito, sconosciuto ma anche più importante nelle sue differenze in­ terne: è quell'aspetto dell'avviata massificazione della Università come luogo di riqu.alificazione, ma soprattut­ to come luogo di formazione permanente, come sede per­ manente di formazione, anche di un pubblico che non possiede il diploma di scuola media superiore (dalle 150 ore ad altre forme di apertura della fruizione universita­ ria) e che ritiene di fruire immediatamente di quello che esso ingenuamente, erroneamente, ritiene sia un « servi­ zio » mentre in realtà, purtroppo, ancora non è tale: ci viene, resta frustrato e talvolta se ne va indignato, ma . ci viene e spesso continua a venirci. L'Università come . « servizio » è ancora un lontano obiettivo già per la for­ mazione normale figuriamoci per la formazione perma­ nente! Tuttavia anche nella contraddittorietà di questo scambio con un pubblico diverso dal tradizionale, che apre contraddizioni grosse e importanti nell'uno e nell'al­ tra, si ripropone un ruolo formativo crescente nei con­ fronti della forza-lavoro complessiva: e ciò è tanto più importante in quanto i lavoratori « subalterni » comin­ ciano a fottersi dei livelli di scolarità in quanto gerarchiz­ zazione della forza-lavoro e vengono direttamente al li­ vello più àlto, e cosi scoprono e verificano l'imbroglio 45

dell'intera gerarchia degli studi in quanto strumento di gerarchizzazione sociale, di riproduzione della stratinca­ zione sociale come sistema di disuguaglianze. Consegue a tutto ciò che i docenti universitari (e quindi innanzitutto noi) difficilmente potranno capire molto del ruolo nuovo dell'Università se non si porranno il problema dell'intero sistema scolastico come sistema di formazione della forza-lavoro, se non partiranno di Il, se non cominceranno a porsi il problema della crisi della formazione tradizionale a partire di Il; dove la crisi è fra l'altro più scoperta perché più profonda. Nella ricerca, già dalle prime fasi esplorative, dovremo partire anche dagli altri livelli della scuola.

Il ruolo dell'Università. Dietro il paravento della

« cul­ tura separata » l'Università nel suo complesso ha avuto sempre un rapporto piuttosto stretto con l'industria : questo rapporto era più sentito in alcune Facoltà e più in­ diretto in altre, ma era operante più o meno in tutte. At­ tualmente, come già si è detto, questo rapporto è entra­ to in crisi dappertutto, anche e ancor di più là dove si è convinti che abbia tenuto meglio; e questa crisi non è ri­ solvibile lungo le vie intraprese dalle singole Facoltà : perché? Perché rispetto alla domanda territoriale, e so­ prattutto di fronte alla domanda indeterminata dell'indu­ stria, ormai si comincia a capire che ciò che non funzio­ na è proprio la separazione dell'istituzione universita­ ria per Facoltà e per discipline proliferanti e sempre più specialistiche che continua a caratterizzarla. Questo ordi­ namento non sembra essere messo seriamente in questio­ ne dall'orientamento che va prevalendo sul nodo di rifor­ ma istituzionale che sta dietro i progetti dipartimentali. La situazione di sperimentazione in cui ci si muove, Ien­ tissimamente, è destinata a continuare a lungo e a passa­ re per ulteriori fasi prima di pervenire ad una sistemazio­ ne istituzionale duratura. Ma la questione del rapporto

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con l'industria, col sistema industriale, rimarrà per molti anni ancora in Piemonte al centro del problema, anche se nascosta dietro schermi e paraventi. La crisi del rap­ porto università-industria pertanto non è di natura « isti­ tuzionale »: lo sfasamento fra queste due istituzioni ha la stessa matrice della crisi di ciascuna, rispettivamente: le difficoltà e il travaglio della produzione della forza-la­ voro hanno la stessa origine delle contraddizioni in cui malgrado tutto procede il processo di consumo della for­ za-lavoro : l'interazione, lo scambio fra i due processi non è asfittico o disfunzionale tanto per la loro separatezza, quanto perché l'intreccio fra crisi politica capitalistica e autonomia dei movimenti della classe operaia rispetto alle esigenze del sistema capitalistico impedisce che la « separatezza » ancora funzioni come per un buon seco­ lo era avvenuto, contro il proletariato. La separazione necessaria comincia a diventare contraddittoria e ingover­ nabile soprattutto per la classe capitalistica: è una con­ seguenza della crisi generale del comando capitalistico e dell'egemonia in questa contingenza, in questa congiun­ tura politica, della lotta di classe operaia. Quando e come il dominio potrà tornare al capitalista collettivo, entro quali cambiamenti generali: questo è il problema che le imprese si pongono ponendo il problema del ruolo del­ l'Università; non quello della qualificazione professiona­ le per professioni che non esistono più, e nessuno sa con cosa saranno sostituite DOPO. Non è questa la sede per una storia dell'Università in Piemonte, e del suo rapporto con l'industria: mi limi­ to ad un accenno alla situazione alla fine del vecchio ciclo. L'assetto che essa aveva al momento della « ribellione de­ gli studenti », nel '67-'68, corrispondeva ancora ad una fase di sviluppo dell'impresa e del sistema industriale av­ viata 40 anni prima e in cui erano appena state introdot­ te le professionalità dei quadri laureati, sia di tipo tecni­ co che amministrativo, caratterizzata però da forme im­ mediate di lavoro intellettuale ancora precapitalistiche, con numerosi privilegi normativi, malgrado l'inizio della 47

« organizzazione scientifica del lavoro » operaio diretto. Allora le necessità più generali della formazione « pro­ fessionale » dei quadri da un lato erano fortemente vin­ colate da una complessità delle prestazioni individuali an­ cora assai legate al « lavoro concreto » , e dall'altro la for­ mazione tendeva a garantire il consenso passando per «valori » in cui ancora influiva, nella vita sociale, l'estra­ zione dei quadri stessi da uha borghesia ahcora radicata appunto nella « società borghese » : non ancora dilacera­ ta dalla sussuniione reale. Ed anche la forza-lavoro com­ plessiva da comandare, controllare, sfruttare e formare era più condizionabile al consenso : più facilmente ricat­ tabile ed escludibile. L'Università «di élite » dei rampol­ li della borghesia ( che oggi ahcora chi parla di dequalifi­ cazione rimpiange ), era articolata per Facoltà innanzitut­ to secondo un ruolo delle specializzazioni professionali indotto dal « lavoro concreto » , dal valore d'uso dei pro­ dotti-merce nelle loro differenze appunto merceologiche: l'ordinamento stesso dell'Università era soprattutto (ed è tuttora . . . ) di tipo merceologico : in primo luogo le Fa­ coltà corrispondevano ai grandi settori merceologici. In secondo luogo residuavano alcune Facoltà più determina­ te dall'organizzazione funzionale dell'impresa, e che for­ mavano per funzioni organiche separate. Infine residua­ vano alcune Facoltà legate ai primi « servizi », di cui pe­ culiare il ruolo delle Facoltà umanistiche adibite alla « formazione culturale » del popolo lavoratore. E tutto ciò per una quarantina d'anni almeno ha corrisposto ai bisogni dell'industria . In questo vecchio assetto la forza-lavoro intellettua­ le ancora originaria della borghesia piemontese (che indi­ rizzava prevalentemente i suoi figli alle funzioni tecniche ed avendo l'alta borghesia stessa il mito dell'« ingegne­ re » a differenza di ciò che avveniva in quasi tutte le al­ tre regioni del paese) per alcuni decenni aveva beneficia­ to della laurea, sia per il suo valore di scambio che per il suo valore d'uso. Essa conferiva a questi strati più elevati della forza-lavoro una professionalità che consentiva loro 48

un inserimento coerente e pertinente nell'attività lavora­ tiva in quanto già istituzionalmente ritagliata sulla di­ mensione del lavoro concreto presente nella regione. Ciò garantiva loro di fruire di una serie di privilegi economi­ ci e normativi sul luogo di lavoro in cui rendita e profitto si intrecciavano allegramente a spese dell'altrui salario; e soprattutto poi forniva loro una cultura differenziale ovviamente separata dal mondo del lavoro, dimostrativa, molto importante nel sistema delle relazioni sociali extra­ lavorative alle quali tenevano moltissimo e che assicura­ va loro il riconoscimento di appartenenza ad un rango piuttosto elevato nella stratificazione sociale ; ed infine forniva loro le ideologie e le conoscenze e le opportuni­ tà più elementari per valorizzare e proseguire quella so­ cializzazione politica del consenso che avrebbe permesso loro di svolgere anche un ruolo nella dirigenza politico­ amministrativa nelle varie forme. Ritroviamo in questa triplice composizione della fun­ zione formativa i tre ambiti separati del sistema capitali­ stico stesso : ed è da notare che ad una posizione nella « classe dirigente », ovvero ad una posizione elevata nel· la fabbrica, nella società e nello stato , formavano già le stesse facoltà « tecniche » come tali. Esse stesse nei loro programmi contenevano già la cultura differenziale e di· mostrativa e la professionalizzazione politica, contenute proprio dentro ad un'impostazione ideologicamente ba· sata sulla neutralità della tecnica e della scienza separata. Tutto ciò ha retto fin quando le trasformazioni della fab· brica non hanno indotto e trascinato successivamente, at­ tualmente, in una nuova fase dell'accumulazione, modi­ ficazioni nella società e nella riproduzione, nonché nel si­ stema politico istituzionale che la governa. Da un lato preme l'integrazione di questi tre momenti, che rende or­ mai precaria questa tripartizione del sistema capitalistico; e dall'altro dentro l'assetto istituzionale separato la tra­ sformazione dissolve le forme rispettive insieme ai con­ tenuti particolari della formazione separata: ed è crolla­ to tutto questo o quasi, senza che un'iniziativa capitalisti49

ca di respiro strategico abbia saputo prevedere, proget­ iare, o solo pensare in qualche modo la sostituzione di alcunché di organico. In questo vuoto di iniziativa stra­ tegica in cui le misure tampone hanno dato quasi tutto quel che potevano dare e che ormai la classe capitalistica vu01e · colmare, l'iniziativa spontanea ha aperto qualche piceolo varco, ma il movimento operaio organizzato non ha saputo finora inserirsi se non a sua volta con deluden­ ti iniziative di retroguardia, anche perché non ha nemme­ no saputo comprendere l'importanza crescente di questo grosso nodo istituzionale e politico : una cerniera di mo. menti portanti. Non era stata raccolta e capita dal movimento ope­ raio italiano l'occasione offerta dalla ribellione degli stu­ denti che già avvertivano come la sussunzione reale di larghi strati della borghesia e quella di larghi momenti fino allora autonomi della società civile avvenivano sen­ za la riproduzione di una capacità formativa che consen­ tisse a questi strati di mantenere le posizioni evitando la sottomissione o addirittura la proletarizzazione dei livel­ li più bassi. Ed alla contestazione studentesca divenuta « globale » il governo ha replicato con la liberalizzazione. La liberalizzazione è stata un passo (ma solo un pas­ so) verso l'Università di massa. Da un lato la massificazio­ ne ha aggravato l'aspetto quantitativo della crisi che era già in corso da un decennio e che tuttavia costituisce an­ che oggi l'aspetto minore, benché sia stato per anni l'uni­ co preso in considerazione dal movimento operaio nelle sue impotenti e reticenti denunce della cosiddetta « de­ qualificazione » degli atenei. Ma dall'altro ha dato luogo appunto a quella situazione di transizione attuale che chiamiamo di « ceto medio » ; però : Università di ceto medio in crisi di mediazione! E su questo ci fermiamo un attimo a considerare qualche aspetto dell'intera univer­ sità piemontese, anche se a partire da Scienze Politiche. La liberalizzazione non ha avuto ovunque le stesse conseguenze, ma in modo più o meno marcato ha provo­ cato ovunque un cambiamento del pubblico studentesco 50

con !'immissione di un nuovo ceto medio impiegatizio costituito in larga parte da impiegati diplomati che lavo­ rano già da anni in modo stabile e dipendente. Ci sono Facoltà dove questo nuovo pubblico ha raggiunto una maggioranza schiacciante (es. Architettura e Scienze po­ litiche), altre dove c'è un maggior equilibrio con gli stu­ d�nti che non lavorano stabilmente (Medicina o Lettere), ed altre in cui barriere particolari che obbligano alla fre­ quenza distribuita su un elevato numero di ore per molti giorni, con tutta una serie di sbarramenti continui, han­ no limitato i lavoratori diplomati ad una minoranza (In­ gegneria). Tuttavia perfino in questa ultima Facoltà limi­ te (che in realtà è la più in crisi di tutte), anche se sono una minoranza, gli studenti lavoratori stabilmente dipen­ denti sono tendenzialmente il riferimento degli altri e quindi tendono ad una egemonia sugli altri che si qualifi­ cano non più come « studenti », in quanto ceto sociale peculiare, ma in quanto « lavoratori mancati ». Se si tie­ ne conto anche dei lavori saltuari, diffusi in facoltà dove quelli stabili non prevalgono, gli studenti attuali in Pie­ monte lavorano quasi tutti; anche se oggi la crisi ha in­ dubbiamente prodotto una disoccupazione intellettuale frizionale e strutturale, di tipo nuovo. Infine la situazio­ ne atipica di Ingegneria ci dice che anche i residui stu­ denti a tempo pieno hanno molto spesso un'estrazione sociale proletaria e vengono da famiglie che pensano di fare un buon investimento dedicando i risparmi a mante. nere il figlio a frequentare a tempo pieno : e sono in gran parte immigrati da altre regioni, specie del centro-sud (e poi tornano al paese dove faranno tutto meno che l'inge­ gnere). Quel che conta, dunque, non è la pur frequente maggioranza quantitativa; ma la egemonia che deriva ai lavoratori diplomati, agli impiegati stabili, in ragione del­ la loro posizione qualitativa nel quadro della composi­ zione complessiva della forza-lavoro nel nostro paese, giacché i giovani senza lavoro vedono in loro il proprio destino futuro. Il ceto medio impiegatizio, il nuovo ceto medio pro51

letarizzato di estrazione proletaria, è una scoperta recen­ tissima degli studiosi italiani dei processi economico-so­ ciali, e se ne parla con accenti di denuncia come se si trat­ tasse di un fenomeno recentissimo e parassitario. In real­ tà nelle imprese multinazionali piemontesi e nei servizi ad esse più direttamente legati (specie banche e assicura­ zioni ) l'incremento massiccio dei lavoratori « terziari » è iniziato -una ventina di anni fa ed è proseguito per anni gonfiato come un'operazione di ricerca di un nuovo allea­ to per il blocco capitalistico, con l'immissione in questi ruoli tecno-burocratici di grosse quote di rendita, prodot­ te dalla torchiatura scientifica sull'intensità dello sfrutta­ mento operaio, in seguito alle innovazioni tecnologiche parallele nel lavoro diretto, realizzate a cominciare dalla metà degli anni '50. Ma oggi, cioè da quando si strilla contro i terziari, in realtà è in corso da tempo a sua volta la loro torchiatura, e la ristrutturazione la sta spingendo a fondo, giacché colpisce spesso più gli impiegati che gli operai : lo slogan padronale alla FIAT è « torchiare il lavoro indiretto per poter fare concessioni all'operaio massa », inteso come lavoro diretto nelle aziende trasfor­ matrici e manifatturiere più meccanizzate. Questo è un problema che negli ultimi anni abbiamo sollevato molte volte, e dovremo farlo ancora purtroppo, perché non se ne comprende l'importanza . Ripeto ancora che le trasformazioni tecnologiche e sociali, economiche e politiche ( tanto per ossequiare le discipline . . . ) che hanno costituito la storia dell'ultimo de­ cennio sfociato nella « ristrutturazione », hanno radical­ mente modificato la forza-lavoro intellettuale nel quadro della trasformazione della forza-lavoro complessiva. Co­ me ho già detto, da un lato è stato moltiplicato un nuovo ceto medio impiegatizio di estrazione proletaria con la speranza di potergli affidare le funzioni mediatrici e sta­ bilizzanti storiche e strutturali, riproponendolo nella fab­ brica e nella società come nuovo baluardo contro la classe operaia. Ma dall'altro la tenuta continua e le continue e sempre più avanzate risposte della solita classe operaia 52

hanno poi contraddittoriamente costretto la classe domi­ nante ad aggredire i privilegi dei suoi alleati, sottoponen­ doli a loro volta a torchiatura per risparmiare capitale e rendita: fino al punto che molti di questi strati proleta­ ri di tipo terziario hanno cessato di stabilizzare ed anche mediare e si sono messi nel blocco politico della classe operaia. CosÌ è entrato in crisi il ceto « mediatore » e la sua funzione storica, strutturale, insostituibile e decisiva di stabilizzazione economica e politica. Ma proprio in rapporto a questo processo, parallelo, è giunta l'apertura dell'Ufiiversità a QUESTO ceto medio non più mediato­ re. Questo è il nodo che ci fa dare una valutazione assai positiva dell'Università di transizione e di ceto medio, contro le vecchie litanie mistificatrici della « dequalifica­ zione » : perché ne deriva un nuovo ruolo latente ma at­ tuale dell'Università che presenta invece un miglioramen­ to qualitativo rispetto alla vecchia Università di élite dei rampolli borghesi. In questa parte del discorso sarò ancora più schemati­ co poiché questi sono i temi che abbiamo discusso già a lungo nel gruppo che ha lavorato al «censimento degli studenti » . I n cosa soprattutto consiste il miglioramento della Università di transizione o di « ceto medio » ? Nella do­ manda di questo pubblico e nelle risorse che esso stesso offre per lo studio e la conoscenza anche storica delle grandi trasformazioni sociali del nostro paese : è una ri­ sorsa peculiare per l'Università che si occupa delle scienze sociali, ma - come si vedrà - tutte le Facoltà attual­ mente si vanno orientando a sviluppare dentro ciascuna di esse - in quanto « facoltà » - l 'insegnamento più o meno camuffato delle scienze sociali ; e vedremo che questa è una contraddizione del tutto peculiare del vec­ ' chio ordinamento dell'Università. Le risorse consistono sostanzialmente nella grande esperienza delle trasformazioni lavorative di un pubblico studentesco fatto di lavoratori che viene all'Università proprio in seguito ai rivoluzionamenti che interessano og53

gi il sistema occupazionale e lavorativo e produttivo ita­ liano; consistono poi nella grande esperienza della pecu� liarità delle trasformazioni sociali di un pubblico studen­ tesco fatto di individui adulti (e spesso padri di famiglia) che hanno responsabilità nei nodi della società che è inte­ ressata a sua volta da notevoli rivoluzionamenti in quan­ to luogo funzionale della riproduzione; consistono infine nella grande esperienza politica di un pubblico studente­ sco con una sindacalizzazione ed una politicizzazione so­ pra la media che spesso è all'interno di nodi politico-isti­ tuzionali finalmente investiti a loro volta dalla pressione per il cambiamento. La domanda implicita ed esplicita dei lavoratori stu­ denti rimanda a bisogni e motivazioni collegate in mo­ do complesso col lavoro, la vita sociale e la pratica politi­ ca. La parola « domanda » è entrata nell'uso corrente e la uso anch'io, ma è alquanto inadeguata: crea una serie di equivoci . Innanzitutto quella più importante è una do­ manda latente, potenziale, che bisogna far venire fuori, che è compito del docente portare alla luce; e questo è possibile solo se si scava criticamente a fondo nella do­ manda più esplicita che si esprime immediatamente come adesione spesso assai conformistica alle forme borghesi della cultura separata e separante, in quanto « apparen­ za », in quanto ideologia dell'apparente che non coglie e non vuoI cogliere le leggi profonde del movimento socia­ le e del suo rapporto con la natura ecc. ecc. Bisogna pri­ ma aggredire criticamente nella conricerca la tendenza diffusa a cercare facili compensazioni alla crisi in consumi culturali dimostrativi, vi sono bisogni indotti magari dal vecchio uso della cultura dimostrativa e di massa (che è in realtà un vecchio consumo dimostrativo) con cui nel passato si gratificava il ceto medio. Questi bisogni indot­ ti, e le motivazioni ad un'illusoria ricerca di nuovi consu­ mi differenziali che però non differenziano più, e di pro­ fessionalità obsolete che non servono più, e di colloca­ zioni corporative e clientelari che in realtà a loro volta non reggono più, mettono presto a nudo la disperata il54

ludopera » con relativi investimenti. Ci troviamo al contrario di fronte ad un tipico meccanismo di riappropriazione gra­ tuita da parte della struttura produttiva di quello che appare come puro e semplice requisito del territorio, ...

8 Cfr. A. Ginzburg, Le ragioni di un successo editoriale, in « In­ chiesta » marzo 1977.

81

cioè il livello di scolarizzazione. Per la stessa ragione, cioè per far emergere il nuovo tipo di assunzione dentro il rapporto sociale di produ­ lione di preesistenti forme ( orre limiti minimi di età (in genere 18 anni) che tendono a limitare la partecipazione degli studenti medi (generalmen­ te più giovani). Il fabbisogno di manodopera è comunque abbondan­ temente coperto dagli studenti universitari. 21 Si ricorda che l'indagine è stata condotta tra gli studenti che frequentano le scuole medie superiori del comune di Ferrara.

93

assistenziali il terziario è il settore in cui si riscontra la situazione peggiore per chi ci lavora (in questo settore il 60% si dichiara « non in regola » contro il 26,6 % del­ l'industria e il 5 3 , 1 % dell'agricoltura).

A questo punto proviamo a fissare alcune conclusio­ ni. Sia la quantità di ore lavorate dagh s Ludenti delle scuole superiori, sia le caratteristiche specifiche secondo cui tale lavoro viene erogato, dimostrano il ruolo che que­ sta forza-lavoro ha nell'assetto produttivo della provin­ cia: non si tratta certamente, anzitutto, di forza-lavoro « ai margini », utilizzata solo in particolari circostanze congiunturali. Essa infatti è usata in modo massiccio nei principali settori dell'economia provinciale e ricopre fun­ zioni vitali (si potrebbe dire, paradossalmente, centrali) per lo svolgimento dell'attività produttiva. Che si tratti di produttività occulta è ancor più rilevante, dal momen­ to che la crisi-riconversione degli anni '70 passa proprio attraverso il recupero del settore sommerso della combi­ nazione sociale delle forze produttive, dentro quello che abbiamo chiamato processo di territorializzazione. La di­ scontinuità dell'erogazione di lavoro studentesco non è in­ dice di marginalità, conseguenza di una scarsa produttivi­ tà che ne limita l'impiego, è al contrario caratteristica precipua cui il capitale si riferisce ampiamente in termini di recupero della produttività; è soprattutto possibilità di riprodurre flessibilità nell'utilizzazione del fattore lavoro. Questa forza-lavoro costituisce per il capitale un rile­ vante stock di ore lavorative che è possibile utilizzare nell'intervallo di un anno nei modi e nelle forme necessa­ ri al processo di valorizzazione . La stagionalità dei cicli produttivi dell'agricoltura (e di quelli ad essa collegati), che appare giustificazione «naturale» della flessibilità con cui la forza-lavoro viene impiegata, è in realtà la conse­ guenza della particolare struttura del capitale fisso di questi settori, organizzati in modo tale da far apparire 94

come dati oggettivi il minimo di continuità nell'impiego della forza-lavoro e il massimo del suo sfruttamento nel periodo di utilizzazione. Si tratta dunque del risultato di una scelta di coman­ do e di controllo sulla forza-lavoro in settori ad elevata composizione del capitale e fortemente integrati nel mercato capitalistico, e non di residui di arcaici rap­ porti lavorativi, di sacche di arretratezza. Si tratta quindi di allargamento della base produttiva, intimamente con­ nesso al processo apparente di restringimento delle basi occupazionali e di riduzione dei saggi di attività. Nel settore dell'assistenza questa scelta è trasparen­ te. Questo settore utilizza in modo massiccio forza-lavo­ ro studentesca sia nel periodo estivo (colonie, campi so­ lari, soggiorni per anziani, ecc.) sia per periodi definiti durante l'intero anno scolastico (contratti di quattro mesi per insegnanti e assistenti di scuola materna che sono s tipulati spesso con studenti universitari). Così mentre è chiara la continuità nel tempo della gran parte dei biso­ gni che tali servizi vanno a coprire, è altrettanto chiaro che gli studenti medi diventano forza-lavoro disponibile solo in estate, e che gli studenti universitari possono in­ vece dislocare con una certa « indifferenza » quote di la­ voro in tutti i periodi dell'anno (poiché riprendono ad essere « studenti » alla fine del lavoro, indipendentemen­ te da quando è stato svolto) e che, in definitiva, l'eroga­ zione di questi servizi è in buona parte legata all'esisten­ za di una forza lavoro disponibile ad essere utilizzata saltuariamente. Due elementi emersi dalla ricerca confermano ancora quanto detto sulla « centralità » del lavoro precario stu­ dentesco : . il livello dei salari e la presenza di altre quote di forza lavoro dalle caratteristiche simili a quelle degli studenti. Il livello salariale che abbiamo rilevato indica infatti che il ricorso alla forza-lavoro studentesca non è determinato tanto dalla possibilità di abbassare per que­ sta via il monte salari complessivamente erogato; così un saggio di partecipazione (50 % ) molto elevato delle 95

madri degli studenti (ufficialmente casalinghe per circa 1'80 % ) mette in evidenza quanto sia vasto il ricorso a queste quote di forza-lavoro con particolari caratteristi­ che di flessibilità. La figura dello studente assume quindi una prima generale connotazione: per una certa parte dell'anno esi­ ste socialmente in quanto forza-lavoro direttamente im­ piegata nell'attività produttiva, quota del capitale varia­ bile intimamente legata ai processi di riconversione. Parlare degli studenti oggi - per lo meno in certe aree - significa allora anche parlare direttamente di forza-lavoro in atto e non solo potenziale come fanno intendere le formulazioni più rozze della scuola-area-di­ parcheggio . E con ciò si ridimensiona anche il discorso sul parassitismo delle strutture scolastiche « gonfiate » dopo la spinta del '68-'69. Il fatto di essere collocati in modo strategico nelle strutture produttive comporta per gli studenti una pri­ ma conseguenza rilevante : un potere contrattuale poten­ zialmente elevato, che se non si esprime in livelli retri­ butivi o condizioni di lavoro migliori è solo a causa del­ !'isolamento, della mancanza di organizzazione, della scar­ sa circolazione delle esperienze di lotta . . . Ma più che dal livello retributivo il reddito dello studente è caratterizzato dalla discontinuità: per cui la figura sociale dello studente-lavoratore è condizionata dal legame con le strutture familiari. Il reddito studentesco non garantisce la sussistenza altro che dentro un bilan­ cio e un apparato domestico di tipo familiare (e d'altro canto in molti casi il bilancio familiare non può fare a meno del reddito supplementare portato dai figli stu­ denti). Anche qui, la funzionalità capitalistica di questo rapporto è subito evidente : la sopravvivenza della fa­ miglia, rispetto alla generalizzazione del lavoro astratto, significa recupero di valori d'uso gratuiti, riduzione dei costi di riproduzione della forza-lavoro, ecc. Nella famiglia si sommano redditi e si producono be­ ni e servizi (tramite lavoro domestico e per autoconsu96

mo) che, complessivamente, rappresentano la concreta possibilità per tutte le quote di forza-lavoro di �ssere ri­ prodotte indipendentemente dalla continuità con cui si scambiano con un salario. Da un esame della struttura familiare che tenga conto di tutte le quote di lavoro (re­ munerate e non) e delle altre fonti di reddito che entrano nella famiglia 22 si ricava proprio l'immagine della fun­ zionalità della famiglia nel rendere possibile l'offrirsi delle diverse quote di forza-lavoro nei modi e nelle quan­ tità richiesti dall'attività produttiva. Un lavoro stabile e sicuro, solitamente svolto dal capofamiglia (generalmente maschio adulto) garantisce assistenza e mutua per tutti i membri, una quantità di lavori svolti con discontinuità da altri membri ( solitamente donne, giovani, anziani) contribuisce alla formazione del reddito complessivo e una parte rilevante di lavoro domestico (erogato massic" ciamente dalle donne) contribuisce - anche se normal­ mente non viene conteggiato - a definire il pacchetto di beni e servizi realmente necessari alla riproduzione della forza-lavoro. Dunque l'offerta di forza-lavoro studentesca è anche strettamente correlata alla famiglia che, come struttura di cooperazione sociale, è deputata ad assicurare la ripro­ duzione di tutti i suoi membri. Ma non solo la famiglia rende possibile l'offerta di tutti i suoi membri, essa con­ diziona anche le modalità di tale offerta: ciò è particolar­ mente chiaro nel caso della forza-lavoro femminile, la cui attività « di mercato » è fortemente condizionata dalla necessità di erogare lavoro domestico. La dipendenza dal bilancio familiare costituisce d'al­ tra parte per lo studente un vero e proprio ricatto, che condiziona pesantemente le possibilità di esprimere i pro­ ·pri bisogni. Le possibilità di uscire dal ricatto familiare sono legate anche in questo caso alla forza contrattuale 22 Cfr. M. Fabbri, A. Picchio Del Mercato, C. ZanelIa, La struttu­ ra dei redditi e dei lavori presenti all'interno delle famiglie degli stu­ denti, in AA.W., Disoccupazione giovanile o piena sottoccupazione, cito

97

che lo studente può esprimere, sia in termini quantitativi in virtù della centralità del proprio reddito, sia come ef­ fetto delle spinte che possono provenire dall'esterno per una autonoma utilizzazione del reddito. Rimane da considerare il terzo polo del triangolo : la scuola. Anche qui consideriamo prima di tutto la fun­ zionalità capitalistica di questo tipo di infrastruttura quando viene utilizzata per la fornitura di forza-lavoro dotata di particolari caratteristiche. Lo studente è defini­ to dentro la duplice condizione di essere lavoro vivo im­ mediatamente sussunto al capitale e forza lavoro che, nel tempo trascorso nelle strutture formative, media il suo rapporto con il capitale attraverso i processi di cir­ colazione del sapere. Rispetto a un' analisi del pluslavoro studentesco è l'inscindibilità di questi due aspetti dello studente ciò che va rilevato: in quanto forza-lavoro che vive un rapporto di scambio complesso con il capitale essa risulta determinata solo dall'insieme dei suoi rap­ porti con il capitale e ognuno di tali rapporti è spiegabi­ le solo in funzione dell' altro. Da questo punto di vista non è particolarmente si­ gnificativo analizzare se la struttura formativa sia ancora legata in qualche misura ai processi di valorizzazione del­ la forza-lavoro, né scoprire se i processi di produzione - e quindi di riappropriazione capitalistica del sapere sociale - si siano definitivamente trasferiti fuori della scuola così come fuori della fabbrica. In questo caso è piuttosto il rovescio della scuola, il tempo lasciato libero dallo studio, che ne determina la funzionalità . Mentre infatti il rapporto degli studenti con i settori produttivi e quello con la famiglia rappresenta­ no condizioni strutturali, quello con la scuola appare in questo contesto di natura diversa. Mentre si può parlare di una specifica programmazione del capitale fisso in fun­ zione della utilizzazione della forza-lavoro studentesca e anche, in senso lato, di una « programmazione » del re­ cupero delle strutture familiari ( se non altro come conse­ guenza indiretta dell'attacco al salario reale, dell'aumen98

to dei costi di residenza, ecc.), nel caso della scuola la funzionalità non è programmabile, è solo frutto di un'as­ senza di programma. Il capitale in questo caso si serve

della crisi della scuola più che della scuola stessa : per cui qualsiasi tentativo di razionalizzazione dello studio ai fini di una maggiore efficienza della forma­ zionè rischia di modificare le condizioni di offerta degli studenti come forza-lavoro in atto . Noi ci fermiamo qui, rilevando nella scuola il punto debole del triangolo, quello dove da un lato gli studenti hanno maggiori margini di autonomia (come effetto del­ la socializzazione) e di recupero di tempo in funzione dei propri bisogni, e dove dall'altro lato i programmi capita­ listici e riformistici hanno maggiori possibilità di fallire. Il quadro che noi abbiamo tracciato non è quello di una tensione di classe in atto, che si esprime in un movi­ mento. È un quadro (o meglio un triangolo) di forze che si combinano e si annullano in tensioni superficiali. Non è tuttavia una situazione rigidamente predeterminata, im­ modificabile, dettata solo dalla passiva subordinazione al comando capitalistico. Alla base vi sono delle scelte: il rifiuto del lavoro di fabbrica si esprime nella scolarizza­ zione, nella disponibilità a qualsiasi lavoro purché non sia definitivo e permanente, nella permanenza in fami­ glia vissuta come male minore .

è evidente che

. maggio 1 977

99

TAB. 1 : Ore lavorate e studenti che hanno lavorato per settore e tipo di lavoro ( % ) Agricoltura %

Industria %

Terziario %

Nell'azienda familiare

59,0

10,5

30,4

Alle dipedenze di altri

34,2

32,4

33,4

Nell'azienda familiare

59,9

13,9

26,2

Alle dipendenze di altri

46,2

24,6

29,2

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TAB. 2: Studenti che hanno lavorato nell'azienda familiare per settore e orario medio settimanale (scostamenti in + e in - dalla media). Agricoltura %

Industria %

Altre

attività %

Totale %

Fino a 12 ore

- 23,1

+

8,1

+ 15,0

O

Da 12 a 22

- 10,6

+

1,8

+

8,8

O

Da 22 a 32

+

5,7

2,2

O

6,9

4,9

O

7,1

2,7

4,4

O

60,6

13,8

25,6

100

Da 32 a 40 Oltre 40 Totale

7,9 2

+

+

TAB. 3: Ore lavorate in media per studente alle dipendenze di altri per settore

Ore lavorate

Agricoltura

Industria

Terziario

Totale

269

476

414

362

TAB. 4: Studenti che hanno lavorato alle dipendenze di altri, fuori casa, per settore e mesi di lavoro Agricoltura

Industria

Altre attività

Totale

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Ass.

%

Ass.

%

Ass.

%

Ass.

%

1

213.

65.7

29.

16.8

58.

28.3

300.

42.7

2

69.

21..3

73.

42.2

64.

31.2

206.

29.3

3

31.

9.6

45.

26.0

51.

24.9

127.

18.1

4

9.

2.8

16.

9.2

lO.

4.9

35.

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12

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4.

2.3

8.

3.9

12.

1.7

324.

100.0

173.

100.0

205.

100.0

702.

100.0

Mesi

Totale

TAB. 5 : Studenti che hanno lavorato alle dipendenze di altri, fuori casa, per settore e orario medio settimanale

Agricoltura

Industria

Altre attività

Totale

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Ass.

%

Ass.

%

Ass.

%

Ass.

%

Fino a 12 ore

3.

0.9

3.

1.7

18.

8.8

24.

3.4

da 12 a 22

3.

0.9

3.

1.7

16.

7.8

22.

3.1

da 22 a 32

24.

7.4

7.

4.0

14.

6.8

45.

6.4

da 32 a 40

78.

23.9

54.

31.0

33.

16.1

165.

23.4

oltre 40

218.

66.9

107.

61.5

124.

60.5

449.

63.7

Totale

326.

100.0

174.

100.0

205.

100.0

705.

100.0

l

TAB. 6: Studenti che hanno lavorato alle dipendenze di altri, fuori casa, nell'industria, per ramo di attività e mesi di' lavoro Industria Industria Industria Industria Altre Industria Totale industrie edile tessile meccanica trasf. saccarifera abbigliamo alimentare Val. Val. Val. Val. Val. Val. Val. Val. Val. Val. Val. Val. Val. Val. % Ass. Ass. % % % Ass. % Ass. Mesi Ass. Ass. % % Ass. 1

5.

7.0

3,

42.9

5.

13.5

6.

25.0

3.

50.0

7.

25.9

29.

16.9

2

43.

60.6

3.

42.9

14.

37.8

7.

29.2

1.

16.7

5.

10.9

13.

17.5

3

18.

25.4

1.

14.3

lO.

17.9

5.

20.7

1.

16.7

9.

33.3

44.

25.6

4

4.

5.6

O.

0.0

5.

13.5

3.

12.5

O.

0.0

4.

14.8

16.

9.3

5

O.

0.0

o.

0.0

o.

0.0

o.

0.0

o.

0.0

1.

3.7

1.

0.6

6

O.

0.0

o.

0.0

1.

2.7

1.

4.2

O.

0.0

O.

0.0

2.

1.2

7

O.

0.0

O.

0.0

O.

0.0

1.

4.2

O.

0.0

o.

0.0

1.

0.6

8

O.

0.0

O.

0.0

O.

0.0

O.

0.0

O.

0.0

O.

0.0

O.

0.0

9

O.

0.0

o.

0.0

O.

0.0

O.

0.0

O.

0.0

O.

0.0

O.

0.0

lO

1.

1.4

O.

0.0

1.

2.7

O.

0.0

O.

0.0

O.

0.0

2.

1.2

11

O.

0.0

O.

0.0

O.

0.0

O.

0.0

O.

0.0

O.

0.0

O.

0.0

12

O.

0.0

O.

0.0

1.

2.7

1.

4.2

1.

16.7

1.

3.7

4.

2.3

71.

100.0

7.

100.0

37.

100.0

24.

100.0

6.

100.0

27.

100.0

172.

100.0

Totale

TAB. 7: Industria alimentare: produzione e lavoro 340

310

t

/



270

260

250

I

180

1 70

160

1 50

140

1 30

_

120

PRODli7!O!\F.

- _

OCCl!P,-\Z IO:-iE

- • _

.\10 ....

TE ORE

1 10

100

90

80

70

'73 1

'73 / 1

'73 1 1 1

'73 I V

'74 1

'74 [ 1

'74 1 1 1

'H I V

'75 1

'75 1 1

'75 1 1 1

'l, I V

'76 1

'76 1 1

'76 1 1 1

ERVET, « Note economiche semestrali » , gennaio '77, p . 78.

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TAB. 8: Studenti che hanno lavorato alle dipendenze di altri, fuori casa, nell'industria, per ramo di attività e orario medio settimanale Industria saccarifera

Industria trasf. alimentare

Industria meccanica

Industria edile

Industria tessile abbigliamo

Totale

Altre industrie

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Ass.

%

Ass.

%

Ass.

%

Ass.

%

As�.

%

Ass.

%

Ass.

%

Fino a 12 ore

o.

0.0

o.

0.0

o.

0.0

2.

8.3

o.

0.0

o.

0.0

2.

1.2

da 12 a 22

o.

0.0

o.

0.0

o.

0.0

o.

0.0

2.

33.3

1.

3.7

3.

1.7

da 22 a 32

1.

1 .4

1.

14.3

2.

5.4

2.

8.3

o.

0.0

1.

3.7

7.

4.1

da 32 a 40

3.

4.2

3.

42.9

18.

48.6

12.

50.0

2.

33.3

16.

59.3

54.

31.4

67.

94.4

3.

42.9

17.

45.9

8.

33.3

2.

33.3

9.

33.3

106.

61.6

oltre 40

Totale

71.

100.0

7.

100.0

37.

10.0

24.

100.0

6.

100.0

27.

100.

172-

100.0

TAB. 9: Studenti che hanno lavorato alle dipendenze di al tri, fuori casa, nel terziario per ramo di attività e orario medio settimanale Elettricità gas acqua

Commercio

Val.

Val.

Val.

Ass.

%

Ass.

Alberghi pubblici esercizi

Val. Val. %

Ass.

Trasporti e

Credito assicuraz.

Assistenza

Pubblica amministraz.

Altre attività

comunicaz.

Val.

Val.

%

Ass.

Val. Val. %

Ass.

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

Val.

%

Ass.

%

Ass.

%

Ass.

%

Totale

Val.

Val.

Ass.

%

Fino a 12 ore

1.

14.3

3.

7.5

2.

2.8

O.

0.0

1.

33.3

O.

0.0

1.

11.1

9.

29.0

17.

8.4

da 12 a 22

O.

0.0

3.

7.5

2.

2.8

1.

16.7

1.

33.3

2.

5.7

1.

11 .1

5.

16.1

15.

7.4

da 22

a

32

1.

14.3

3.

7.5

3.

4.2

O.

0.0

O.

0.0

1.

2.9

O.

0.0

6.

19.4

14.

6.9

da 32

a

40

4.

57.1

lO.

25.0

8.

11.1

3.

50.0

O.

0.0

1.

2.9

4.

44.4

3.

9.7

33.

16.3

oltre 40

1.

14 .3

21.

52.5

57.

79.2

2.

33.3

1.

33.3

31.

88.6

3.

33.3

,g.

25.8

124.

61.1

Totale

7.

100.0

40.

100.0

100.0

6.

100.0

3.

100.0

35.

100.0

9.

100.0

31.

100.0

203.

100.0

72.

-