Sotto la città [PDF]


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ARNALDUR INDRIDASON

SOTTO LA CITTÀ Traduzione di Silvia Cosimini Titolo originale Myrin 2005

Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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1 † Il messaggio era stato scritto a matita su un foglio appoggiato sopra il corpo. Tre parole, incomprensibili per Erlendur. Si trattava del cadavere di un uomo sui settant'anni. Era disteso a terra sul fianco destro, adagiato contro il divano in un piccolo soggiorno, e indossava una camicia blu e un paio di pantaloni di velluto a coste marrone chiaro. Aveva anche un paio di pantofole. I capelli, un po radi, erano quasi completamente grigi. Erano macchiati di sangue uscito da una profonda ferita sulla testa. Sul pavimento, non lontano dal corpo, c'era un grosso portacenere in vetro, sfaccettato e con le estremità aguzze. Anche quello presentava tracce di sangue. Il tavolino era stato rovesciato. L'appartamento era un seminterrato in una casa a due piani nel quartiere di Nordurmyri, [Nordurmyri significa letteralmente "palude settentrionale" ed è un quartiere del centro di Reykjavik. (N.d.T.)] che aveva anche un piccolo giardino circondato su tre lati da un muro di pietra. Gli alberi avevano perso le foglie, che formavano uno spesso strato e coprivano il giardino rendendo impossibile distinguere il terreno; i rami nodosi degli alberi si protendevano verso il buio notturno. Un vialetto di ghiaia conduceva al garage. Gli agenti della squadra investigativa di Reykjavik erano appena arrivati sulla scena del crimine e si aggiravano senza fretta come spettri in una vecchia dimora. Stavano aspettando il medico legale che avrebbe dovuto firmare il certificato di morte. La notifica del ritrovamento del cadavere risaliva a circa quindici minuti prima. Erlendur era stato uno dei primi ad arrivare sul posto e aspettava Sigurdur Oli, che lo avrebbe raggiunto da un momento all'altro. Il crepuscolo di ottobre si stendeva sulla città e la pioggia cadeva sferzante nel vento autunnale. Qualcuno aveva acceso la lampada che c'era sul tavolo del soggiorno: adesso proiettava una luce lugubre sull'ambiente. Per il resto, sulla scena non era stato toccato nulla. Gli agenti della scientifica stavano sistemando su un treppiedi alcune forti lampade al neon, che illuminarono l'appartamento. Erlendur osservò la libreria e i divani consunti, il tavolino, una vecchia scrivania in un angolo, il tappeto sul pavimento, il sangue sul tappeto. Dal soggiorno si accedeva alla cucina, un'altra porta dava sull'ingresso e su un piccolo corridoio su cui si affacciavano due camere da letto e un bagno. Era stato l'inquilino del piano di sopra ad avvertire la polizia. Era tornato nel tardo pomeriggio dopo essere andato a prendere i due figli a scuola e gli era sembrato insolito che la porta del seminterrato fosse spalancata. Si era affacciato nell'appartamento del vicino e l'aveva chiamato per accertarsi che fosse in casa, ma non aveva ricevuto risposta. Aveva dato un'occhiata in giro dalla soglia e l'aveva chiamato ancora, ma senza risultato. NonoArnaldur Indridason - Sotto la Città

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stante lui e la sua famiglia vivessero al piano di sopra da molti anni, non conoscevano bene quell'uomo di mezz'età che abitava nel seminterrato. Il figlio maggiore, nove anni, non era stato discreto quanto suo padre e, prima che l'uomo se ne fosse reso conto, era entrato nel soggiorno del vicino. Un attimo dopo il bambino era uscito dicendo che c'era un uomo morto nell'appartamento, senza sembrarne affatto turbato. "Tu guardi troppi film" gli aveva detto il padre entrando cautamente in casa, e poi aveva riconosciuto il vicino disteso in una pozza di sangue sul pavimento del soggiorno. Erlendur conosceva il nome del defunto. Era scritto sul campanello. Ma per non correre il rischio di rendersi ridicolo infilò un paio di sottili guanti di lattice ed estrasse il portafogli dell'uomo dalla giacca appesa a un gancio nell'ingresso. Trovò una sua foto: si chiamava Holberg e aveva sessantanove anni. Deceduto in casa sua. Presumibilmente assassinato. Erlendur girò per l'appartamento riflettendo sulle questioni più elementari. Era il suo mestiere. Investigare sull'evidenza. Gli uomini della scientifica si occupavano dei misteri. Non trovò alcun segno di effrazione, né alle finestre né alla porta. A una prima analisi sembrava che la vittima avesse fatto entrare in casa il proprio aggressore. Camminando con le scarpe bagnate i vicini avevano lasciato delle impronte nell'ingresso e sul tappeto del soggiorno, per cui l'aggressore doveva aver fatto altrettanto. A meno che non si fosse tolto le scarpe prima di entrare. Erlendur rifletté che chi ha fretta non toglie le scarpe. Gli uomini della scientifica avevano portato degli aspiratori per raccogliere ogni minimo frammento o granello di polvere che potesse produrre qualche indizio. Cercavano impronte digitali e tracce di terra lasciate da calzature estranee a quella casa. Cercavano qualcuno che provenisse dall'esterno. Qualcuno che aveva lasciato dietro di sé la distruzione. Per quanto ne capiva Erlendur, l'uomo non aveva riservato all'ospite un'accoglienza particolarmente cordiale. Non gli aveva offerto nemmeno un caffè. La caffettiera non sembrava essere stata utilizzata nelle ultime ore. Non c'era traccia che avesse preparato del tè e nessuna tazza era stata spostata dalle mensole. I bicchieri erano tutti al loro posto. Il defunto era una persona molto precisa. Tutto perfettamente in ordine, a casa sua. Forse non conosceva molto bene l'aggressore. Forse l'ospite l'aveva aggredito all'improvviso, mentre lui gli apriva la porta. Senza togliersi le scarpe. È possibile uccidere scalzi? Erlendur si guardò intorno e pensò che avrebbe dovuto organizzare meglio i suoi pensieri. In ogni caso, l'ospite aveva fretta. Non si era nemmeno preoccupato di chiudere la porta una volta uscito. L'aggressione stessa mostrava segni di urgenza, come se fosse stata perpetrata dal nulla e senza preavviso. Non c'erano segni di colluttazione nell'appartamento. L'uomo sembrava essere caduto immediatamente a terra e aver urtato il tavolino del soggiorno, rovesciandolo. Tutto il resto era intatto, a una prima occhiata. Tutte le ante Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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erano scrupolosamente chiuse, i cassetti anche, un modello recente di computer e un vecchio stereo erano al loro posto, il portafogli dell'uomo nella giacca appesa al gancio nell'ingresso, con dentro una banconota da duemila corone e due tessere magnetiche, un bancomat e una carta di credito. Era come se l'aggressore avesse afferrato la prima cosa che gli era capitata a tiro e l'avesse sbattuta sulla testa dell'uomo. Il portacenere era di vetro verde piuttosto spesso e pesava almeno un chilo e mezzo, pensò Erlendur. Un'arma letale a disposizione di chiunque volesse utilizzarla. Era impensabile che l'aggressore se lo fosse portato dietro per lasciarlo insanguinato sul tappeto del soggiorno. Questi gli indizi evidenti: l'uomo aveva aperto la porta e aveva invitato l'ospite a entrare, o per lo meno erano entrati insieme in soggiorno. Probabilmente lo conosceva, ma non era detto. Poi era stato aggredito con il portacenere, un colpo violento, e l'aggressore era fuggito in tutta fretta lasciando aperta la porta dell'appartamento. Niente di più semplice. Tranne il messaggio. Era stato scritto su un foglio a righe formato A4 strappato da un quaderno a spirale ed era l'unico indizio che lasciasse pensare a un omicidio premeditato; suggeriva che il colpevole fosse entrato espressamente per uccidere il padrone di casa. La persona in questione non era stata presa da un raptus omicida improvviso mentre si trovava in quella stanza. Era entrata in casa con l'intenzione di commettere un delitto. Aveva scritto un messaggio. Tre parole che per Erlendur non avevano alcun senso. Che le avesse scritte prima di entrare in casa? Una domanda ovvia che necessitava di una risposta. Erlendur si avvicinò alla scrivania nell'angolo del soggiorno. Sopra, un caos di documenti, conti, buste, fogli. In cima al mucchio c'era un quaderno a spirale. Cercò una matita, ma non la trovò sul piano del tavolo. Diede un'occhiata sotto la scrivania e la vide. Non spostò niente. Osservò soltanto, pensando. "Non ti pare il tipico omicidio islandese?" buttò lì Sigurdur Oli, che era entrato nell'appartamento senza che Erlendur l'avesse notato ed era in piedi accanto al cadavere. "Che?" fece Erlendur assorto. "Sciatto, inutile e commesso senza alcun tentativo di occultarlo, manipolare le tracce o nascondere le prove." "Sì" convenne Erlendur. "Un patetico omicidio islandese." "A meno che non sia caduto da solo e abbia picchiato la testa contro il portacenere" disse Sigurdur Oli. Elinborg lo seguiva. Erlendur aveva cercato di limitare i movimenti della squadra investigativa, della scientifica e del personale paramedico mentre girava curvo per l'appartamento, col cappello in testa. "E ha scritto un messaggio incomprensibile mentre cadeva?" chiese Erlendur. "Poteva averlo già in mano." "Ti dice qualcosa, quel messaggio?" "Forse è Dio" rispose Sigurdur Oli. "Forse l'assassino, non lo so. L'enfasi sull'ultima parola Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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è piuttosto interessante. lui in lettere maiuscole." "A me non sembra affatto una grafia frettolosa. L'ultima parola è in stampatello, mentre le altre due sono in corsivo. L'assassino si è preso tutto il tempo per scriverlo. Però non ha chiuso la porta quando è uscito. Che cosa significa? Aggredisce quest'uomo e scappa, ma scrive delle parole incomprensibili su un foglio e ha cura di enfatizzare l'ultima scrivendola in maiuscolo." "Dev'essere riferito a lui" disse Sigurdur Oli. "Alla vittima, voglio dire. Non può essere riferito a nessun altro." "Non lo so" disse Erlendur. "Che senso ha scrivere un messaggio del genere e lasciarlo sopra il cadavere? Chi fa una cosa così? Che cosa sta cercando di dire, con questo? Ci sta dicendo qualcosa? L'assassino sta parlando a se stesso? O sta parlando al cadavere?" "Un pazzo con parecchi disturbi" commentò Elinborg e fece per chinarsi a prendere il foglio. Erlendur la fermò. "Forse erano più di uno" azzardò Sigurdur Oli. "Ad aggredirlo." "Ricordati i guanti, cara Elinborg" disse Erlendur con il tono di chi sta parlando a un bambino. "Non contaminare le prove. Il messaggio è stato scritto su quella scrivania" aggiunse indicando l'angolo. "Il foglio è stato strappato da un quaderno della vittima." "Forse erano più di uno" ripete Sigurdur Oli, che riteneva di aver colto un punto interessante. "Sì, sì" disse Erlendur. "Forse." "Decisamente senza scrupoli" continuò Sigurdur Oli. "Prima ammazzi un vecchio e poi ti siedi a scrivere. Non ci vogliono dei nervi d'acciaio? Non sono solo i criminali incalliti, a comportarsi così?" "O i presuntuosi" disse Elinborg. "O qualcuno con un complesso di onnipotenza" aggiunse Erlendur. Si piegò per prendere il messaggio e lo lesse in silenzio. "Un gran bel complesso di onnipotenza" pensò.

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2 † Quella sera Erlendur tornò nel proprio appartamento verso le dieci e infilò nel forno a microonde qualcosa di preconfezionato. Rimase di fronte al forno a osservare il piatto che ruotava dietro il vetro, riflettendo che in televisione spesso si vedeva di peggio. Fuori il vento autunnale gemeva carico di pioggia e di buio. Pensò alle persone che lasciavano messaggi e sparivano. Cosa avrebbe scritto lui, su un biglietto? A chi avrebbe dovuto lasciare un messaggio? Gli venne in mente Eva Lind, sua figlia. Era una tossicodipendente e certo avrebbe voluto sapere se le aveva lasciato del denaro. Era diventata sempre più insistente al riguardo. Suo figlio, Sindri Snaer, aveva appena concluso il terzo ciclo di disintossicazione dall'alcol. Il messaggio per lui sarebbe stato semplice: mai più Hiroshima. Erlendur accennò un sorriso, mentre il forno a microonde emetteva tre bip. Non che a Erlendur fosse mai passato per la testa di sparire una volta per tutte. Lui e Sigurdur Oli avevano parlato con il vicino di casa, quello che aveva trovato il corpo. La moglie era tornata e aveva espresso l'intenzione di allontanare i ragazzi da quella casa e portarli da sua madre. Il vicino, che si chiamava Olafur, aveva spiegato che lui e il resto della famiglia, la moglie e i due figli, uscivano ogni mattina alle otto per andare a scuola e al lavoro, e nessuno tornava a casa prima delle quattro del pomeriggio; toccava a lui andare a prendere i ragazzi a scuola. Non avevano notato niente di insolito quando erano usciti di casa quella mattina, la porta dell'appartamento era chiusa. La notte prima avevano dormito profondamente, non avevano sentito nulla. Non erano in rapporti stretti con il vicino. Poteva dire di non conoscerlo affatto, anche se si erano trasferiti nell'appartamento al piano di sopra da parecchi anni. Il medico legale non aveva ancora stabilito l'ora esatta del decesso, ma Erlendur pensava che l'omicidio fosse stato commesso verso mezzogiorno. Nell'ora di punta, come si dice. "Chi ha il tempo per una cosa del genere al giorno d'oggi?" rifletté. Ai mezzi di informazione era stata comunicata la notizia che un uomo sui settant'anni era stato trovato morto in casa nel quartiere di Nordurmyri e che probabilmente si trattava di omicidio. Chiunque nelle ultime ventiquattr'ore avesse notato dei movimenti sospetti intorno o dentro la casa di Holberg era pregato di mettersi in contatto con la polizia di Reykjavik. Erlendur era sulla cinquantina, divorziato da molti anni, padre di due figli. Non aveva mai lasciato trapelare che non sopportava i loro nomi. La sua ex moglie, alla quale rivolgeva a malapena la parola da oltre due decenni, all'epoca li aveva trovati graziosi. Il divorzio era stato difficile ed Erlendur aveva interrotto quasi del tutto i contatti con i figli quando erano ancora Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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piccoli. Erano stati loro a cercarlo, una volta cresciuti, e lui li aveva accolti a braccia aperte, commiserandoli per la sorte toccata loro. In particolare si dispiaceva per il destino di Eva Lind. Sindri Snser se la cavava meglio. Di poco, però. Tolse la cena dal forno a microonde e si sedette al tavolo in cucina. Il suo appartamento era un bilocale stracolmo di libri sistemati in ogni angolo possibile. Alle pareti erano appese vecchie foto dei parenti dei Fiordi orientali, la regione d'origine della famiglia di Erlendur. Non aveva nemmeno una foto sua o dei suoi figli. Un televisore Nordmende decrepito era appoggiato contro una parete e una poltrona ancora più decrepita era sistemata di fronte. Erlendur teneva l'appartamento in maniera decente impegnandosi al minimo nelle pulizie. Non sapeva esattamente cosa stesse mangiando. Le scritte sulla confezione promettevano una delizia orientale, ma il cibo, che si presentava come una specie di rotolo di pasta, sapeva di pan bagnato inacidito. Erlendur lo mise da parte. Valutò la possibilità che ci fosse ancora del pane di segale comprato alcuni giorni prima, e magari del paté di pecora. Nel frattempo suonarono alla porta. Eva Lind aveva deciso di fare un salto da lui. Erlendur trovava irritante il modo in cui parlava la ragazza. "Wazzup?" disse lei, mentre sfrecciava oltre la porta e si lanciava diritta sul divano in soggiorno. "Che?" esclamò Erlendur chiudendo la porta. "Non dire stronzate, con me." "Credevo fossi orgoglioso di sentirmi parlare in modo forbito" commentò Eva Lind, che si era sorbita non poche lezioni da suo padre riguardo alla corretta maniera di esprimersi. "E allora di qualcosa di sensato." Era molto difficile capire chi fosse la ragazza quella volta. Eva Lind era la miglior attrice che avesse mai conosciuto, anche se la cosa in sé non voleva dire molto, perché Erlendur non andava mai a teatro né al cinema e guardava la televisione solo se era certo che trasmettessero un programma educativo. La farsa di Eva Lind generalmente era un dramma famigliare in uno o anche tre atti, incentrato su come ottenere denaro da Erlendur nel miglior modo possibile. Cosa che non succedeva spesso, comunque, perché Eva Lind aveva i suoi metodi per procurarsi i soldi ed Erlendur voleva saperne il meno possibile. Ma qualche volta capitava che non avesse nemmeno un fuching cent, come diceva, e allora si rivolgeva a lui. A volte era ancora la sua bambina, gli si accoccolava vicino e faceva le fusa come un gatto. A volte era sull'orlo della disperazione, girava per l'appartamento completamente fuori di sé e gli si accaniva contro accusandolo di aver abbandonato lei e Sindri Snasr quando erano piccoli. In quei casi riusciva a essere volgare, perfida e maligna. Altre volte, invece, gli sembrava che fosse com'era in realtà, quasi normale, se esisteva qualcosa che potesse definirsi normale, ed Erlendur sentiva di poterle parlare come a un esArnaldur Indridason - Sotto la Città

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sere umano. Indossava un paio di jeans lisi e un giubbotto di pelle nero che le arrivava alla vita, aveva i capelli tagliati corti di un nero corvino, due piercing al sopracciglio destro e una croce d'argento pendente da un lobo. Un tempo aveva avuto dei bellissimi denti bianchi, ma ormai le si erano rovinati; gliene mancavano due nell'arcata superiore e lo si notava quando sorrideva. Era molto magra e il viso era segnato da cerchi scuri sotto gli occhi. A Erlendur ogni tanto sembrava di riconoscere l'espressione di sua moglie in quel viso. Malediceva il destino di Eva Lind e si accusava di negligenza per quello che le era accaduto. "Ho parlato con la mamma oggi, o meglio, lei mi ha parlato, voleva sapere se ti parlo. Che meraviglia essere figlia di divorziati." "Tua madre vuole qualcosa da me?" chiese Erlendur sorpreso. Quella donna lo odiava ancora dopo vent'anni. L'aveva intravista in una sola occasione, in tutto quel tempo, e il rancore sul viso di lei era stato inequivocabile. Si erano parlati per telefono una volta riguardo a Sindri Snasr, ma Erlendur stava ancora cercando di dimenticare quella conversazione. "È una stronza snob." "Non parlare così di tua madre." "La figlia di una coppia di suoi amici di Gardabaer, ricchi schifosi, si è sposata nel fine settimana, ma è sparita durante la cerimonia. Un imbarazzo totale. E successo sabato scorso e non si è ancora fatta viva. La mamma era al matrimonio ed è fuori di testa per lo scandalo. Io dovrei chiederti se puoi parlare con quei tipi. Non vogliono far pubblicare nessun annuncio sul giornale, quegli snob di merda, ma sanno che sei della polizia investigativa e credono di poter fare tutto di nascosto. Io dovrei chiederti di parlare con quella gente! Non la mamma. Capito? Ma se lo scorda!" "Tu li conosci?" "Non sono stata nemmeno invitata a quel bel matrimonio che la bambolina ha mandato a puttane." "E la ragazza?" "La conosco appena." "E dove è andata a cacciarsi?" "Non lo so." Erlendur alzò le spalle. "Prima stavo proprio pensando a te" le disse. "Nais" fece Eva Lind. "Stavo giusto chiedendomi se..." "Non ho soldi" le anticipò Erlendur sedendosi di fronte a lei in poltrona. "Hai fame?" Eva Lind raddrizzò la schiena. "Perché non si può parlare con te senza che cominci a tirare in ballo i soldi?" disse, ed Erlendur trovò che gli avesse rubato la battuta. "E perché non si può parlare con te, punto?" "Oh, fakkiu." "Perché parli così? Cosa vuol dire? Fakkiu! Wazzup! Che linguaggio è questo?" "Gù'sus" sospirò Eva Lind. "Chi sei adesso? Con chi sto parlando? Dove sei tu, dentro a tutto questo schifo di cui ti circondi?" "Non ricominciare con questa lagna. Chi sei?" fece, scimmiottandolo. "Dove sei? Sono qui. Sono seduta davanti a te. Sono io!" "Eva." "Diecimila" disse. "Che sarà mai? Non sai raggranellare diecimila corone? Ne hai a sufficienza, dei tuoi soldi di merda." Erlendur guardò la figlia. C'era qualcosa in lei che aveva notato appena era entrata. Aveva il respiro corto e gocce di sudore le imperlavano la fronte, mentre si agitava sul divano. Come se si sentisse poco bene. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"Stai male?" le chiese. "Sto bene. Ho solo bisogno di un po di soldi. Plus, non fare lo stronzo." "Stai male?" "Plus." Erlendur continuava a guardare sua figlia. "Stai cercando di smettere?" "Pliis, diecimila. Non sono niente. Niente, per te. Non tornerò mai più a chiederti dei soldi." "Sì, appunto. Quand'è stata l'ultima volta che..." Erlendur non sapeva con esattezza come formulare la domanda, "hai preso quella roba?" "Non importa. Ho smesso. Ho smesso di smettere di smettere di smettere di smettere!" Eva Lind si alzò in piedi. "Dammi diecimila corone. Pliis. Cinque. Dammi cinquemila corone. Ce le hai in tasca? Cinque! Sono una stupidata per te." "Perché stai cercando di smettere proprio ora?" Eva Lind guardò suo padre. "Non rompere. Non sto smettendo niente. Smettere cosa? Cosa dovrei smettere? Smettila tu con questi discorsi!" "Che succede? Perché sei così agitata? Stai male?" "Sì, sto di merda. Mi puoi prestare diecimila corone? È un prestito, te le restituisco, davvero. Spilorcio." "Spilorcio è una parola dignitosa" commentò Erlendur. "Stai male, Eva?" "Ma perché me lo chiedi?" disse lei agitandosi ancora di più. "Hai la febbre?" "Dammi i soldi. Duemila! Non sono un cazzo! Non capisci, vecchio rimbambito!" Anche lui si era alzato in piedi. La ragazza gli si avvicinò come se volesse scagliarglisi contro. Erlendur non era mai stato capace di prevedere questa sua violenza improvvisa. La osservò attentamente dall'alto in basso. "Che hai da guardare?" gli urlò in faccia lei. "Hai voglia? Eh? Il vecchio paparino ha voglia!" Erlendur le allungò uno schiaffo, ma con poca convinzione. "Ti è piaciuto?" fece lei. La schiaffeggiò di nuovo, questa volta più forte. "Ce l'hai duro?" disse, ed Erlendur si allontanò. Non gli aveva mai parlato in quel modo. In un attimo si era trasformata in una bestia selvaggia. Non l'aveva mai vista così, prima. Restò lì confuso e alla rabbia subentrò a poco a poco la commiserazione. "Perché stai cercando di smettere adesso?" ripetè lui. "Non sto cercando di smettere!" gridò la ragazza. "Ma che hai, eh? Non riesci a capire quello che dico? Chi sta parlando di smettere?" "Cosa c'è che non va, Eva?" "Ma finiscila, con quel 'cosa c'è che non va Eva! Puoi procurarmi cinquemila corone?" Forse si era resa conto di aver esagerato. Non aveva mai parlato così a suo padre. "Perché adesso?" chiese ancora Erlendur. "Mi dai diecimila corone se te lo dico?" "Cos'è successo?" "Cinquemila." Erlendur fissò la figlia. "Sei incinta?" Eva Lind guardò suo padre e sorrise, arrendevole. "Bingo" disse. "Ma come?" sospirò Erlendur. "In che senso, come? Vuoi che te lo spieghi?" "Basta con le stronzate! Avrai pur usato qualche protezione, no? Preservativi? La pillola?" "Non so cos'è successo. È capitato e basta." "E vuoi smettere con Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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quella roba?" "No. Non posso. Adesso ti ho detto tutto. Tutto! Mi devi diecimila corone." "Per drogare anche il tuo bambino." "Non è un bambino, coglione! Non è niente. È un granello di sabbia. Non posso smettere subito. Smetto domani. Te lo prometto. Solo non adesso. Duemila. Cosa sarà mai?" Erlendur le si avvicinò di nuovo. "Ma ci hai provato. Tu vuoi smettere. Ti aiuterò io." "Non posso!" urlò Eva Lind. Il sudore le rigava la faccia, lei cercava di nascondere il tremito che la scuoteva in tutto il corpo. "E per questo che sei venuta da me" disse Erlendur. "Saresti potuta andare da qualche altra parte a procurarti il denaro. L'hai fatto fino a oggi. Ma sei venuta da me perché vuoi..." "Smettila con queste stronzate. Sono venuta perché me l'ha chiesto la mamma e perché tu hai i soldi. Non ci sono altri motivi. Se non me li dai, me li procuro da sola. Non c'è problema. Ci sono un sacco di uomini pronti a pagarmi." Erlendur non si lasciava turbare dalle uscite della ragazza. "Sei rimasta incinta altre volte?" "No" rispose Eva Lind e abbassò lo sguardo. "Chi è il padre?" Eva Lind ammutolì e fissò suo padre a occhi spalancati. "Buongiorno, eh!" urlò. "Ti sembro appena uscita dalla suite matrimoniale di quel cazzo di Hotel Saga?" E prima che Erlendur se ne fosse reso conto, lei l'aveva spinto via ed era corsa fuori dall'appartamento, giù lungo le scale e poi in strada, dove sparì nella fredda pioggia autunnale. Chiuse piano la porta dopo che la ragazza se ne fu andata e si chiese se avesse usato il metodo giusto. Era come se non riuscissero a parlare senza litigare e urlarsi contro, e lui era stanco di quella situazione. Gli era passata la fame; si sedette di nuovo in poltrona nel soggiorno, fissando pensoso un punto davanti a sé, preoccupato per quello che avrebbe potuto fare Eva Lind. Infine prese il libro che stava leggendo, rimasto aperto sul tavolo di fianco alla poltrona. Era un volume della sua serie preferita, storie di disastri e tragedie nelle brughiere desolate. Riprese la lettura dal punto in cui si era interrotto, in un racconto intitolato Morti nella brughiera della Mosfellsheidì, e si trovò ben presto bloccato in una tormenta di neve a causa della quale alcuni giovani morivano assiderati.

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3 † La pioggia cadeva a rovesci quando Erlendur e Sigurdur Oli scesero dall'auto, salirono di corsa i gradini del condominio sulla Stigahlid e suonarono il campanello. Avevano deciso di rimanere in macchina finché non avesse smesso di piovere, ma Erlendur si era stancato di aspettare ed era sceso. Sigurdur Oli non voleva aspettare da solo. In un attimo si ritrovarono bagnati fradici. Sigurdur Oli sentiva le gocce di pioggia che dai capelli gli scendevano giù per la schiena e lanciò un'occhiataccia a Erlendur mentre aspettavano che qualcuno aprisse la porta. Tutti gli agenti coinvolti nelle ricerche sul caso avevano vagliato varie possibilità durante la riunione tenutasi quella mattina. Una delle teorie era che Holberg fosse stato ucciso senza alcuna motivazione, e che l'aggressore avesse vagato nel quartiere per molte ore, per giorni, addirittura. Un ladro in cerca di un posto da derubare. Aveva bussato alla porta di Holberg per accertarsi che nessuno fosse in casa, e poi era stato colto dal panico quando il padrone di casa era andato ad aprire. Il messaggio che aveva lasciato voleva solo sviare le indagini. Non aveva nessun altro significato plausibile. Gli inquilini del condominio sulla Stigahlid avevano sporto denuncia, lo stesso giorno in cui Holberg era stato ucciso, contro un giovane in giaccone militare verde che aveva aggredito due donne anziane, sorelle gemelle. Era entrato nel vano scale, aveva bussato da loro, quelle gli avevano aperto e lui si era introdotto in casa, si era chiuso la porta alle spalle e aveva preteso del denaro. Quando le donne si erano rifiutate di consegnarglielo, l'uomo aveva dato un pugno in faccia a una e aveva spinto l'altra a terra, prendendola a calci prima di scappare via. Una voce rispose al citofono e Sigurdur Oli si presentò. Sentirono una porta cigolare e poi entrarono nell'atrio, che era mal illuminato e puzzava. Quando arrivarono al secondo piano, una delle due donne era già sulla porta e li stava aspettando. "L'avete preso?" chiese. "Purtroppo no" rispose Sigurdur Oli scuotendo la testa," ma volevamo parlare con lei a proposito..." "L'avete preso?" sentirono ripetere dall'interno dell'appartamento mentre sulla porta appariva la copia esatta della prima signora. Le due sorelle avevano circa settantanni, erano piuttosto rotondette e indossavano entrambe una gonna nera e una maglia rossa; avevano i capelli grigi e cotonati, il viso paffuto e un'evidente espressione di aspettativa. "No" disse Erlendur. "Non ancora." "Era un povero disgraziato" commentò la donna numero uno, che si chiamava Fjola. Li invitò a entrare. "Non devi aver compassione di lui" la riprese la donna numero due, di nome Birna, chiudendo la porta alle loro spalle. "Era un brutto mascalzone, quello Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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che ti ha dato un pugno in faccia. Davvero un disgraziato." Si accomodarono nel soggiorno delle due donne, guardandole a turno e poi guardandosi l'un l'altro. L'appartamento era piccolo. Sigurdur Oli notò due camere da letto contigue. Dal soggiorno riusciva a vedere la piccola cucina. "Abbiamo letto la vostra denuncia" disse Sigurdur Oli, che l'aveva sfogliata in auto per strada prima di arrivare dalle due gemelle. "Ci chiedevamo se potevate darci qualche informazione in più sull'uomo che vi ha aggredite." "Uomo" fece Fjola. "Direi piuttosto un ragazzo." "Abbastanza grande da aggredirci" aggiunse Birna. "Era abbastanza grande per questo. Mi ha spinto a terra e mi ha preso a calci." "Noi non abbiamo soldi" disse Fjola. "Non teniamo denaro qui in casa" confermò Birna. "Gliel'abbiamo detto." "Ma lui non ci ha creduto." "E ci ha aggredite." "Era furioso." "E maleducato. Ci ha chiamate in certi modi..." "Con quel terribile giaccone verde. Come un militare." "Aveva anche quegli stivali pesanti e neri che si allacciano fin sotto il ginocchio." "Però non ha rotto nulla." "No, è solo scappato." "Quindi non ha preso niente?" le interruppe Erlendur. "Era come se fosse fuori di sé" disse Fjola, che cercava di trovare una giustificazione al suo aggressore. "Non ha rotto niente e non ha preso niente. Ci ha aggredite quando ha capito che non avrebbe ricavato neanche un soldo da noi. Poveretto." "Completamente drogato" sentenziò Birna. "Quale poveretto?" E si voltò verso sua sorella. " A volte non hai mica tutte le rotelle a posto. Era completamente drogato. Si vedeva dagli occhi. Occhi fissi e lucidi. Ed era tutto sudato." "Sudato?" domandò Erlendur. "Gli scendeva sul viso. Il sudore." "Era la pioggia" disse Fjola. "No. E tremava tutto." "Colpa della pioggia" insistè Fjola e Birna le lanciò un'occhiataccia. "Ti ha dato un colpo in testa, cara Fjola. Non è mai un bene." "Ti fa ancora male dove ti ha tirato quel calcio?" chiese Fjola e guardò Erlendur con uno sguardo che, a quanto ne capì lui, sembrava brillare di soddisfazione. Era ancora mattina presto quando Erlendur e Sigurdur Oli arrivarono a Nordurmyri. Gli inquilini del primo e del secondo piano li stavano aspettando. La polizia aveva già raccolto la dichiarazione della coppia del piano di sotto, quella con i due bambini, ma Erlendur voleva parlare più approfonditamente con loro. Al piano di sopra viveva un pilota che disse di essere tornato da Boston a mezzogiorno del giorno in cui Holberg era stato ucciso, di essere andato a dormire nel pomeriggio e di non essersi ripreso dal cambiamento di fuso orario finché la polizia non gli aveva bussato alla porta. Cominciarono con il pilota. Era sulla quarantina, abitava da solo e il suo appartamento sembrava un cassonetto della spazzatura: indumenti sparsi ovunque, due valigie su un divano in pelle nuovo, buste di plastica del duty free sul pavimento, bottiglie di vino sul tavolo e lattine di birra aperte lasciaArnaldur Indridason - Sotto la Città

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te in ogni angolo possibile. Il pilota venne ad aprire la porta in canottiera e pantaloni corti, la barba lunga. Li guardò entrambi e rientrò nell'appartamento precedendoli, senza dire una parola, poi si accomodò in poltrona. I due agenti rimasero in piedi di fronte a lui. Non sapevano dove sedersi. Erlendur si guardò intorno e pensò che non avrebbe mai messo piede nemmeno in un simulatore di volo con quell'uomo. Per qualche motivo il pilota cominciò a parlare del divorzio che stava affrontando e si chiedeva se questo potesse essere utile alla polizia. La troia si era messa a fargli le corna. Lui era spesso in viaggio. Un giorno era tornato a casa da Oslo," che città deprimente" aggiunse e... I due non sapevano cos'era più deprimente, che sua moglie gli fosse infedele o che lui dovesse soggiornare a Oslo; era andata a letto con un suo vecchio compagno di scuola... "Siamo qui per l'omicidio che è stato commesso nell'appartamento seminterrato" disse Erlendur interrompendo il racconto sconclusionato del pilota. "Siete mai stati a Oslo?" chiese l'uomo di rimando. "No" rispose Erlendur. "E non abbiamo nemmeno intenzione di parlare di Oslo." Il pilota guardò lui e poi Sigurdur Oli e all'improvviso parve riaversi. "Non lo conoscevo per niente" disse. "Ho comprato questo buco quattro mesi fa e mi pare di aver capito che non ci abitava nessuno da tempo. Quel tipo l'ho incontrato qualche volta, proprio qui fuori. Mi sembrava a posto." "A posto?" domandò Erlendur. "Ci si parlava bene, voglio dire." "Di che cosa parlavate?" "Di volo. Per lo più. Gli interessava il volo." "In che senso gli interessava il volo?" "Gli aerei" precisò il pilota aprendosi una lattina di birra che aveva pescato da una busta di plastica. "Le città" continuò e bevve una sorsata di birra. "Le hostess" aggiunse alla fine e ruttò. "Mi chiedeva un sacco di cose sulle hostess. Sapete, no?" "No" rispose Erlendur. "Durante gli scali. All'estero." "Sì." "Cosa succedeva, se erano sempre su di giri. Cose del genere. Aveva sentito dire che le hostess ci danno dentro. Durante i voli internazionali." "Quando l'ha visto l'ultima volta?" chiese Sigurdur Oli. Il pilota ci pensò su. Non se lo ricordava. "È stato qualche giorno fa" rispose infine. "Ha notato se ha ricevuto visite, recentemente?" "No, non sono mai a casa per molto." "Ha notato qualcuno curiosare qui nei dintorni, come se stesse controllando qualcosa o anche solo gironzolando fra le case senza uno scopo?" "No." "Con un giaccone verde militare?" "No." "Un giovane con un paio di stivali militari?" "No. E stato lui? Sapete chi è stato?" "No" rispose Erlendur e rovesciò una lattina di birra mezza piena mentre si voltava per uscire dall'appartamento. La donna voleva portare i bambini da sua madre per qualche giorno ed era pronta per partire. Non voleva che rimanessero in quella casa dopo quanto era successo. IL marito annuì. Era la cosa migliore per loro. I genitori erano visibilmente scossi. Avevano acquistato l'appartamento quattro anni Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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prima e si trovavano bene lì a Nordurmyri. Un bel quartiere per vivere, anche con dei figli. I due bambini erano in piedi vicino alla madre. "È stato terribile trovarlo in quel modo" disse il padre abbassando la voce fino a ridurla a un sussurro. Osservò i figli. "Gli abbiamo detto che stava dormendo" aggiunse. "Ma..." "Noi lo sappiamo che era morto" disse il fratello maggiore. "Morto" gli fece eco il più piccolo. La coppia sorrise imbarazzata. "La stanno prendendo bene" commentò la donna accarezzando il figlio maggiore sulla guancia. "Non mi dispiaceva, Holberg" disse l'uomo. "A volte facevamo due chiacchiere, qui fuori. Abitava in questa casa da tanto tempo, parlavamo del giardino, della manutenzione e altro, le solite cose di cui si parla fra vicini." "Comunque non eravamo in rapporti stretti" disse la donna. "Penso sia meglio così. Non c'è bisogno di essere troppo intimi, secondo me. Per la privacy." Non avevano notato alcun via vai inusuale intorno alla casa e non avevano visto nessuno con un giaccone militare verde che vagasse lì nelle vicinanze. La donna era impaziente di portare via i bambini. "Riceveva ospiti, Holberg?" chiese Sigurdur Oli. "Non ho mai notato nessuno a casa sua" rispose la donna. "Sembrava piuttosto solitario" aggiunse suo marito. "C'era puzza in quella casa" disse il figlio maggiore. "Puzza" ripetè suo fratello. "C'è un po di umidità nel seminterrato" spiegò l'uomo quasi scusandosi. "Sale su, a volte" disse la moglie. "L'umidità." "Ne parlammo anche con lui" continuò l'uomo. "Disse di voler sistemare lui la cosa" fece la donna. "Sono passati due anni" disse il marito.

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4 † La coppia di Gardabaer guardava Erlendur con occhi pieni d'angoscia. La loro figlioletta era scomparsa e non avevano sue notizie da tre giorni. Dal giorno del matrimonio. Dissero che era scappata dalla festa. La figlioletta. Erlendur si era immaginato una mocciosa con i riccioli biondi, finché non seppe che aveva ventitré anni e studiava alla facoltà di Psicologia dell'Università d'Islanda. "Dalla festa?" domandò Erlendur guardandosi intorno nel soggiorno spazioso ed elegante, ampio come un intero piano del suo condominio. "Dalla festa per il suo matrimonio!" precisò l'uomo come se non riuscisse ancora a capire quello che era accaduto. "Mia figlia è scappata dalla festa del suo matrimonio!" La donna si portò al naso un fazzoletto spiegazzato. Era mezzogiorno. Erlendur aveva impiegato mezz'ora per arrivare a Gardabaer, a causa dei lavori in corso sulla strada da Reykjavik, e aveva individuato quella villa enorme solo dopo varie ricerche. La casa era quasi invisibile dalla strada, circondata da un vasto giardino dove crescevano alberi di ogni tipo, alti anche fino a sei metri. La coppia lo aveva ricevuto in un comprensibile stato d'angoscia. Erlendur sapeva che quella era una perdita di tempo e che altre questioni più urgenti lo stavano aspettando ma dato che la sua ex moglie gli aveva chiesto un favore, voleva accontentarla, malgrado si parlassero a malapena da vent'anni. La signora indossava un raffinato abito verde pallido, suo marito un completo nero: lui disse di essere sempre più in pena per la figlia. Era certo che prima o poi sarebbe tornata a casa e che era sana e salva, non riusciva a credere altrimenti, ma voleva consultarsi con la polizia, anche se non aveva ritenuto opportuno chiamare subito l'unità di ricerca e le squadre di soccorso e comunicare la notizia ai media. "È solo sparita" cercò di convincersi la moglie. Avevano la stessa età di Erlendur, erano sulla cinquantina; lavoravano entrambi nel commercio: importavano articoli per bambini e questo consentiva loro di vivere in un considerevole benessere. I nuovi ricchi. Il tempo li aveva trattati con i guanti. Erlendur aveva notato due automobili nuove di pacca fuori dal loro garage doppio. Tirate a lucido. La donna si fece coraggio e cominciò a raccontare tutta la storia per filo e per segno. Il fatto era successo sabato, quel giorno era martedì, mio Dio come passava in fretta il tempo, ed era stata una giornata così bella. Li aveva sposati quel pastore tanto stimato. "Penoso" commentò il marito. "È arrivato di corsa e ha biascicato qualcosa, poi è sparito di nuovo con la sua valigetta. Non capisco perché sia tanto stimato." Sua moglie non voleva che qualcosa rovinasse l'armonia della ceArnaldur Indridason - Sotto la Città

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rimonia. "Una giornata splendida! C'era il sole, era una bellissima giornata d'autunno, davvero. Almeno cento persone sono venute in chiesa. Ha così tanti amici. La conoscono tutti, la nostra bambina. Avevamo organizzato il ricevimento qui a Gardabasr. Come si chiama il locale? Me lo dimentico sempre." "Gardarholt" le suggerì il marito. "Un posto molto bello e accogliente" continuò lei," l'abbiamo riempito. Il locale, voglio dire. Così tanti regali. Poi quando... poi quando..." "dovevano aprire le danze" continuò l'uomo, mentre la moglie scoppiava a piangere," e quel povero ragazzo era lì in piedi sulla pista, abbiamo chiamato Disa Ros ma lei non si è più fatta viva. Siamo andati a cercarla, ma era come se la terra l'avesse inghiottita." "Disa Ros?" chiese Erlendur. "Poi si è scoperto che ha preso l'auto della cerimonia..." "L'auto della cerimonia?" "Ma sì, la berlina con i fiori e i nastri con cui erano arrivati dalla chiesa, ed è scappata dalla festa del suo matrimonio" chiarì l'uomo. "Senza preavviso! Senza una spiegazione!" "Dal suo matrimonio!" gridò la donna. "E non sapete per quale motivo?" "Evidentemente ha cambiato idea" rispose la donna. "Si sarà pentita di tutta la faccenda." "Ma perché?" chiese Erlendur. "Potrebbe trovarla per noi?" lo implorò l'uomo. "Non si è più fatta sentire, e come vede siamo sconvolti e preoccupati. La festa è stata un vero disastro. Il matrimonio rovinato. Non sappiamo assolutamente cosa fare. E la nostra figlioletta si è persa." "Ehm... l'auto della cerimonia. È stata trovata?" "In Gardastrasti" rispose il marito. "Perché proprio lì?" "Non lo so. Non conosce nessuno lì. I suoi vestiti erano in macchina. Gli abiti buoni." Erlendur esitò. "Gli abiti buoni erano in macchina?" chiese infine, e rifletté brevemente sulla piega che aveva preso quella conversazione, e se magari lui stesso non ne avesse un po di colpa. "Si è tolta l'abito da sposa e si è messa dei vestiti che a quanto pare aveva già messo in macchina" spiegò la donna. "Pensa di poterla rintracciare?" chiese il marito. "Ci siamo già messi in contatto con tutti quelli che la conoscono, ma nessuno ne sa niente. Non sappiamo più a chi rivolgerci. Ho una sua foto qui." Porse a Erlendur la fotografia di una bella ragazza con i capelli biondi nel giorno del suo diploma, una ragazza che adesso era sparita. Gli sorrideva dalla foto. "Non avete idea di cosa sia successo?" "Assolutamente no" rispose la madre. "Nessuna" le fece eco il padre. "E questi sono i regali?" Erlendur osservò l'enorme tavolo del soggiorno, carico di pacchetti multicolori, graziose decorazioni, cellofan e fiori. Si avvicinò mentre la coppia lo osservava. Non aveva mai visto tanti regali in vita sua e pensò a cosa potessero contenere quei pacchi. Servizi e batterie di pentole, immaginava. Che vita. "Ci sono anche delle piante, qui" disse e si chinò verso dei rami sistemati in Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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un grosso vaso a un'estremità del tavolo. Dai rami pendevano biglietti rossi a forma di cuore legati con dei nastri. "Quello è l'albero dei messaggi." "Che cos'è?" chiese Erlendur. Era stato a un solo matrimonio in vita sua ed era passato tanto tempo. Niente alberi dei messaggi, allora. "Agli ospiti viene consegnato un biglietto su cui possono scrivere i loro auguri alla coppia di sposi; poi tutti i messaggi vengono appesi all'albero. Ne hanno messi moltissimi quando Disa Ros è scomparsa" disse la donna e si portò di nuovo il fazzoletto al naso. Il cellulare nella tasca del soprabito di Erlendur squillò, e l'agente cercò di estrarlo, ma gli si incastrò, e invece di tirarlo fuori con calma, cosa che sarebbe stata molto semplice, Erlendur lo strattonò con forza finché la tasca del soprabito non cedette. Con la mano in cui teneva il cellulare urtò contro l'albero dei messaggi, che si ribaltò e finì per terra. Erlendur guardò la coppia con un'aria di scuse e rispose al telefono. "Vieni con noi a Nordurmyri?" chiese Sigurdur Oli senza preamboli. "A controllare meglio l'appartamento." "Sei già là?" domandò Erlendur a sua volta dopo essersi messo in disparte. "Mi fermo ad aspettarti" rispose Sigurdur Oli. "Dove cazzo sei?" Erlendur spense il cellulare. "Vedrò cosa posso fare" disse alla coppia. "Non credo che ci sia alcun pericolo, in giro. La ragazza si sarà persa d'animo e sarà andata a riprendersi da qualche amica. Non dovete preoccuparvi troppo. Chiamerà fra non molto." I due coniugi si chinarono a raccogliere i bigliettini caduti per terra dall'albero dei messaggi. Erlendur si accorse che ne stavano dimenticando alcuni finiti sotto una poltrona, e si piegò lui stesso a prenderli. Erano dei cartoncini rossi. Erlendur lesse gli auguri che c'erano scritti e guardò la coppia. "Avete visto anche questo?" chiese e porse loro un biglietto. Il marito lesse il messaggio e sul suo viso apparve un'espressione di meraviglia. Passò il biglietto alla moglie. Lei lo lesse più volte, ma non sembrò capirne il senso. Erlendur allungò la mano per riprenderlo e lo lesse. Il messaggio non era firmato. "È la grafia di vostra figlia?" chiese. "Direi di sì" rispose la donna. Erlendur si rigirò il biglietto fra le dita e lesse di nuovo il messaggio:" È un mostro che cosa ho fatto"

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5 † "Dove sei stato?" chiese Sigurdur Oli quando Erlendur tornò in ufficio, ma l'agente non gli rispose. "Per caso Eva Lind ha cercato di mettersi in contatto con me?" chiese. Sigurdur Oli rispose che non gli sembrava. Sapeva cos'era successo alla figlia di Erlendur, ma nessuno dei due ne faceva mai parola. Le questioni personali entravano raramente nelle loro conversazioni. "Niente di nuovo su Holberg?" chiese Erlendur ed entrò direttamente in ufficio. Sigurdur Oli lo seguì e chiuse la porta. Gli omicidi erano rari a Reykjavik e suscitavano enorme interesse le poche volte che venivano commessi. La polizia investigativa di regola non informava mai i media sullo stato delle indagini, a meno che non ci fosse qualche necessità inderogabile, ma non era questo il caso. "Sappiamo qualcosa in più su di lui" disse Sigurdur Oli e aprì una cartelletta che teneva in mano. "Era nato a Saudarkrókur e aveva sessantanove anni. Negli ultimi anni aveva lavorato come camionista per la Trasporti Islandesi. Ci lavorava ancora, occasionalmente." Sigurdur Oli fece una pausa. "Non dovremmo parlare con i suoi colleghi?" domandò sistemandosi la cravatta. Indossava un completo nuovo, era un ragazzo alto e di bell'aspetto, aveva studiato criminologia negli Stati Uniti. Era tutto quello che Erlendur non era, moderno e organizzato. "Non dovremmo tracciare un profilo di quest'uomo?" continuò. "Conoscerlo un po meglio?" "Un profilo?" disse Erlendur. "E cos'è? Un ritratto? Vuoi fare un ritratto di quest'uomo?" "Voglio raccogliere informazioni su di lui, che cosa altrimenti?" "Cosa ne pensano gli altri qui?" chiese Erlendur mentre giocherellava con un bottone allentato del suo cardigan, che alla fine gli cadde nel palmo della mano. Era tarchiato e robusto, con ciuffi di capelli rossicci; era uno dei detective più esperti della squadra. Di solito riusciva a condurre il gioco a modo suo. Sia i suoi superiori che i colleghi avevano rinunciato da tempo a competere con lui. La situazione si era evoluta in quel modo nel corso degli anni. A Erlendur non dispiaceva. "Probabilmente è stato uno squilibrato" disse Sigurdur Oli. "Le ricerche sono orientate verso un giaccone militare verde. Un ragazzo che forse voleva del denaro da Holberg e poi si è fatto prendere dal panico." "E sulla famiglia di Holberg si sa qualcosa? Aveva una famiglia?" "No. Per il resto, al momento non abbiamo molte informazioni. Stiamo mettendo insieme vari elementi, famiglia, amici, colleghi. Sai, il background. Il profilo." "A giudicare dall'appartamento mi sembra che fosse solo, e che lo fosse da tempo." "Tu lo sai bene, ovviamente" si lasciò scappare Sigurdur Oli, ma Erlendur finse di non aver sentito. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"Qualche notizia dal medico legale? Dalla scientifica?" "È arrivato il rapporto provvisorio. Niente che non sapessimo già. Holberg è morto in seguito a un violento colpo alla testa. Il colpo è stato inferto con mano pesante, ma determinante è stata in primo luogo la forma del portacenere, le sue estremità aguzze. Gli hanno fracassato il cranio e l'uomo è morto sul colpo, o subito dopo. Sembra aver urtato lo spigolo del tavolino cadendo. Aveva una brutta ferita sulla fronte, compatibile con quello spigolo. Le impronte digitali sul portacenere appartengono a Holberg, ma ce ne sono almeno altre due serie, una delle quali compare anche sulla matita." "Quindi sono le impronte dell'assassino." "Con ogni probabilità sono dell'assassino." "Ecco qua, il tipico, goffo omicidio islandese. E questo il problema." "Tipico. E su questo bisogna lavorare." Pioveva ancora. I fronti di bassa pressione, che in quel periodo dell'anno provengono dal profondo sud dell'oceano Atlantico, avevano investito tutto il paese portando vento, umidità e l'uggia di giornate sempre più corte. La squadra investigativa era ancora al lavoro nell'edificio di Nordurmyri. Il nastro giallo della polizia, teso intorno alla casa, ricordava a Erlendur l'Ente per l'Energia elettrica; un buco per strada, una tenda sudicia sopra il buco, un barlume di fiamma dentro la tenda, tutto impacchettato con un nastro giallo. Allo stesso modo la polizia aveva impacchettato la scena del crimine con un bel nastro di plastica gialla contrassegnato dalla sigla delle autorità. Erlendur e Sigurdur Oli trovarono sul posto Elinborg e altri agenti che avevano setacciato scrupolosamente l'appartamento durante tutta quella notte autunnale fino al mattino, e adesso stavano concludendo il loro lavoro. Furono interrogati anche gli abitanti delle case vicine, ma nessuno di loro si era accorto di movimenti di persone sospette intorno al luogo del delitto dalla mattina del lunedì fino al momento in cui il corpo era stato trovato. Ben presto nell'appartamento rimasero solo Erlendur e Sigurdur Oli, La chiazza di sangue sul tappeto era diventata nera. Il portacenere era stato prelevato come prova. E così la matita e il quaderno. Per il resto era come se niente fosse accaduto. Sigurdur Oli andò nello studiolo e da lì nel corridoio verso le camere, mentre Erlendur ispezionava il soggiorno. Indossavano entrambi un paio di guanti bianchi in lattice. Su una delle pareti erano appese alcune stampe che sembravano comprate da venditori porta a porta. Nella libreria c'erano gialli di autori stranieri, edizioni economiche di un qualche club del libro, alcuni letti e altri intonsi. Nessuna edizione rilegata di una certa importanza. Erlendur si chinò quasi fino a terra per leggere i titoli della parte bassa dello scaffale e ne riconobbe solo uno. Lolita di Nabokov. In edizione tascabile. Lo prese. Era in inglese ed era stato letto. Rimise il libro al suo posto e avanzò lentamente verso la scrivania. Era a forma di elle e occupava un angolo del soggiorno. Una comoda poltroncina in pelle di recente fattura stava davanti alla scrivania, e sotto c'era un tappetino di plastica rigida, come protezione. La scrivania sembrava molto più vecchia della sedia. C'erano dei cassetti su entrambi i lati del lungo piano Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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del tavolo, più uno grande in mezzo, nove in tutto. Sul lato più corto della scrivania era posizionato un monitor da diciassette pollici, mentre sotto il piano c'era una mensola per la tastiera. Il computer era appoggiato sul pavimento. I cassetti erano tutti chiusi a chiave. Sigurdur Oli esaminò il guardaroba in camera da letto. Regnava un ragionevole ordine nell'armadio: i calzini in un cassetto, la biancheria intima in un altro, pantaloni, maglie. Le camicie e tre completi erano appesi alle grucce. Il completo più vecchio risaliva ai tempi della disco, o almeno così sembrava a Sigurdur Oli; era marrone, a righe. Sul fondo dell'armadio c'erano alcune paia di scarpe. Le lenzuola erano sul ripiano più alto. L'uomo aveva rifatto il letto prima di ricevere il suo ospite. Una coperta bianca nascondeva cuscino e piumone. Era un letto singolo. Sul comodino c'erano una sveglia e due libri; uno era un'intervista a un famoso politico e l'altro un catalogo fotografico di camion svedesi Scania Vabis. Nel vano del comodino c'erano vari medicinali, alcol denaturato, pastiglie per dormire, dell'analgesico, un vasetto di vaselina, tutto unto. "Vedi delle chiavi da qualche parte?" chiese Erlendur che era apparso sulla porta. "Niente chiavi. Le chiavi di casa, vuoi dire?" "No, della scrivania." "No, nemmeno quelle." Erlendur entrò nello studiolo e da lì in cucina. Aprì i cassetti e le ante, ma non vide altro che posate e bicchieri, mestoli e piatti. Niente chiavi. Andò all'attaccapanni, tastò gli indumenti e trovò un sacchettino nero con dentro un mazzo di chiavi e alcune monetine. Due chiavettine pendevano dall'anello insieme alla chiave della porta esterna, a quella d'ingresso dell'appartamento e a quelle delle stanze, o così suppose Erlendur. Provò a infilarle nei cassetti della scrivania: la stessa chiave li apriva tutti. Per prima cosa aprì il cassetto più grande, quello centrale. C'erano per lo più bollette del telefono, della luce e del riscaldamento, ricevute di pagamenti effettuati con la carta di credito, l'abbonamento a un quotidiano. I due cassetti inferiori di sinistra erano vuoti, mentre il secondo dall'alto conteneva la documentazione relativa alla dichiarazione dei redditi e alcune buste paga. Nel primo cassetto c'era un album di fotografie. Erlendur lo sfogliò. Erano tutte vecchie foto in bianco e nero, scattate in epoche diverse, che ritraevano persone a volte vestite in maniera elegante; a Erlendur sembravano fatte nel soggiorno lì a Nordurmyri, altre fotografie invece erano state scattate durante delle scampagnate; vegetazione, Gullfoss e Geysir. Due delle foto potevano ritrarre la vittima da giovane, ma non ce n'era nessuna recente. Aprì i cassetti del lato destro. I primi due erano vuoti. Nel terzo c'erano un mazzo di carte, una scacchiera che si chiudeva in modo da contenere i pezzi, un vecchio calamaio. Trovò la fotografia nell'ultimo cassetto. Mentre lo chiudeva, Erlendur sentì un rumore che sembrava di carta struArnaldur Indridason - Sotto la Città

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sciata, dall'interno. Riaprì il cassetto, lo richiuse e ancora una volta sentì quel fruscio. Il cassetto nel chiudersi sfregava contro qualcosa. Sospirò e si accovacciò, lo aprì e guardò dentro, ma non vide niente. Quando lo richiuse, però, il rumore si produsse di nuovo. Si inginocchiò sul pavimento, estrasse completamente il cassetto, vide che c'era qualcosa incastrato e si allungò per prenderlo. Era una piccola fotografia in bianco e nero che ritraeva una tomba in un cimitero in inverno. Non riconobbe il cimitero. C'era una lapide sulla tomba e la scritta più grande era discretamente leggibile. Si trattava di un nome femminile. Audur. Niente cognome. Erlendur non riusciva a distinguere bene le date. Tastò la tasca del soprabito per cercare gli occhiali, li inforcò e avvicinò la foto al naso. 1964-1968. Distinse la scritta di un epitaffio, ma le lettere erano piccole e non riuscì a decifrarlo. Soffiò via cautamente la polvere dalla fotografia. La bambina aveva solo quattro anni quando era morta. Erlendur alzò la testa al fragore del vento. Era pieno giorno, ma il cielo era di un nero cupo e la pioggia d'autunno infuriava contro la casa.

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6 † Il grosso camion dondolava nella bufera come una creatura preistorica e la pioggia rimbombava sferzandolo. La polizia ci aveva messo un po a localizzarlo, perché non era nelle vicinanze della casa di Holberg a Nordurmyri, ma in un parcheggio a ovest della Snorrabraut, vicino alla Domus Medica, a qualche minuto a piedi dalla sua abitazione. Alla fine era stato necessario richiedere informazioni sul camion via radio. Alcuni agenti in perlustrazione lo avevano trovato nello stesso momento in cui Erlendur e Sigurdur Oli uscivano dalla casa di Holberg con la fotografia. Alcuni uomini della scientifica erano arrivati sul posto per setacciare il camion in cerca di indizi che potessero risultare di qualche utilità per l'indagine sull'omicidio. Il camion era un modello MAN con la cabina rossa. L'unica cosa che rinvennero dopo una prima, rapida analisi fu una pila di riviste porno scadenti. Stabilirono di portare il camion alla centrale di polizia per ulteriori indagini. Nel frattempo la scientifica stava lavorando anche sulla fotografia. Risultò essere stata stampata su carta Ilford, molto diffusa negli anni Sessanta, ma che non era più in produzione. Molto probabilmente era stata sviluppata dal fotografo stesso o da un amatore; sembrava un po sbiadita, come se il lavoro non fosse stato fatto con molta perizia. Non presentava nessuna scritta sul retro ed era difficile stabilire in quale cimitero fosse stata scattata. Avrebbe potuto essere quello di una qualsiasi cittadina islandese. Il fotografo doveva essersi messo a circa tre metri dalla lapide. La foto era stata scattata da una posizione frontale e l'autore aveva dovuto piegarsi sulle ginocchia, a meno che non fosse stato molto basso di statura. Perfino da una distanza del genere l'angolazione era molto ridotta. Non si distingueva alcun tipo di vegetazione. Il terreno era ricoperto di neve farinosa. Non si vedeva nessun'altra tomba. Dietro la lapide non c'era altro che una foschia bianca. Gli uomini della scientifica si concentrarono sull'epitaffio, molto sfocato a causa della distanza da cui la foto era stata scattata. Fecero numerose copie della fotografia e ingrandirono l'epitaffio finché non furono in grado di stampare ogni singola lettera su un foglio A5, poi le numerarono e le disposero secondo la sequenza che compariva sulla lapide. Le lettere erano molto sgranate, semplici punti bianchi e neri alternati che creavano sfumature di ombre e luci, ma una volta che le ebbero scannerizzate al computer, gli agenti riuscirono a lavorare sulle ombre e sulla risoluzione. Alcune lettere apparivano più nitide di altre e aiutarono gli uomini della scientifica a ricostruire quelle indecifrabili. Le lettere T, M e O si distinguevano chiaramente. Altre erano più problematiche. Verso l'ora di cena Erlendur telefonò a casa di uno dei capi ufficio dell'anaArnaldur Indridason - Sotto la Città

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grafe, che si lasciò convincere, seppure bestemmiando e imprecando, a incontrarlo alla sede dell'anagrafe in Skuggasund. Erlendur sapeva che in quegli uffici venivano conservati tutti i certificati di morte emessi a partire dal 1916. Non c'era in giro nemmeno un'anima nell'edificio, perché gli impiegati avevano finito di lavorare già da qualche ora. Il capoufficio parcheggiò davanti all'anagrafe una mezz'ora dopo e strinse bruscamente la mano a Erlendur. Inserì il codice del sistema di sicurezza e lo fece entrare con una speciale tessera magnetica. Erlendur gli descrisse il caso rivelandogli solo le informazioni essenziali. Controllarono tutti i certificati di morte emessi nel 1968. Trovarono due Audur. Una aveva quattro anni ed era morta in febbraio. Nell'albo nazionale trovarono il nome del medico che aveva firmato il certificato. Abitava a Reykjavik. Sul certificato compariva anche il nome della madre. La trovarono senza difficoltà. All'inizio degli anni Settanta abitava a Keflavik. Si chiamava Kolbrùn. Cercarono anche il suo fra i certificati di morte. Era deceduta nel 1971, tre anni dopo la figlia. La bambina era morta a causa di un tumore maligno al cervello. La madre si era suicidata.

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7 † Lo sposo ricevette Erlendur nel suo ufficio. Era il responsabile marketing e qualità in una ditta che importava cereali americani per la prima colazione. Erlendur, che non aveva mai mangiato cereali americani per colazione in tutta la sua vita, rifletté sul ruolo che poteva svolgere in realtà un responsabile marketing e qualità in una ditta di importazioni. Non aveva voglia di chiederglielo. L'uomo indossava una camicia bianca inamidata, con delle bretelle larghe, e aveva le maniche arrotolate come se il controllo qualità dipendesse da tutta la sua energia. Di media altezza, ben piazzato, aveva un anello di barba intorno alle labbra carnose. Si chiamava Viggó. "Non ho notizie di Disa" esordì Viggó brusco sedendosi di fronte a Erlendur. "È stato qualcosa che le ha detto, a..." "Lo pensano tutti" disse lo sposo. "Tutti pensano che sia colpa mia. È l'aspetto peggiore. Il peggiore di tutta la faccenda. Non lo sopporto." "Ha notato qualcosa di insolito nel suo comportamento prima che se ne andasse? Qualcosa potrebbe averla sconvolta?" "Si stavano divertendo tutti. Sa, era una festa di matrimonio, capisce cosa voglio dire." "No." "Sarà stato anche lei a un matrimonio, no?" "Una volta. Tanto tempo fa." "Dovevamo aprire le danze. I discorsi di rito erano finiti e le sue amiche avevano concluso lo spettacolino che avevano organizzato, il fisarmonicista era lì e dovevamo solo cominciare a ballare. Ero seduto al nostro tavolo, ci siamo messi tutti a cercarla, ma Disa era già scomparsa." "Dove l'ha vista per l'ultima volta?" "Era seduta vicino a me e mi ha detto che doveva andare alla toilette." "E lei le ha detto qualcosa che l'ha messa di cattivo umore?" "Assolutamente no! Le ho dato un bacio e le ho detto di fare in fretta." "Quanto tempo è passato da quando si è alzata a quando avete cominciato a cercarla?" "Uff, non lo so. Sono andato a sedermi vicino ai miei amici e poi sono uscito a fumare, tutti quelli che fumavano erano di fuori, ho parlato con qualcuno che era lì e con quelli che entravano e uscivano, poi mi sono seduto di nuovo e il fisarmonicista è venuto a dirmi due o tre cose riguardo al ballo e alla musica. Poi ho parlato con altri invitati, credo sia passata una mezz'ora, non lo so." "E non l'ha più vista in tutto quel tempo?" "No. È stato un disastro assoluto. Dopo mi fissavano tutti come se fosse stata colpa mia." "Cosa crede che le sia successo?" "L'ho cercata ovunque. Ho parlato con tutte le sue amiche, gli amici e i parenti, ma nessuno sa nulla, o per lo meno così dicono." "Pensa che qualcuno stia mentendo?" "Da qualche parte dovrà pur essere." "Sapeva che ha lasciato un messaggio?" "No. Che messaggio? Cosa vuol dire?" "Ha appeso un biglietto su quella specie di albero dei messaggi. C'era scritto: 'E un mostro che cosa ho fatto. Ha idea di cosa volesse dire?" "E un mostro" ripetè Viggó. "A chi si riferisce?" "Speravo fosse lei a dirmelo." "Io" disse Viggó e si agitò a disagio. "Non le ho fatto niente, proprio niente di male. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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Mai. Quello non sono io. Quello non posso essere io." "L'automobile con cui è fuggita è stata trovata in Gardastraeti. Le dice qualcosa...?" "Non conosce nessuno, lì. Vogliono denunciare la sua scomparsa?" "Credo che i suoi genitori vogliano darle il tempo di tornare a casa." "E se non succede?" "Vedremo poi." Erlendur esitava. "Credevo che si sarebbe messa in contatto con lei" disse infine. "Per farle sapere che era tutto a posto." "Anch'io ci speravo" disse il responsabile marketing e qualità. "Siamo marito e moglie, fino a prova contraria." Tacque. "Aspetti un attimo, sta insinuando che sia stata colpa mia e che non mi parli perché le ho fatto qualcosa? Dio, che schifo! Lei sa cos'è stato, dover tornare qui al lavoro il lunedì? Tutti i miei colleghi erano alla festa, il mio capo era alla festa! Crede che sia colpa mia? Cazzo! Tutti pensano che sia colpa mia." "Le donne" disse Erlendur alzandosi. "Difficile fare controlli qualità su di loro." Erlendur era appena arrivato in ufficio quando il telefono squillò. Riconobbe subito quella voce nonostante non la sentisse da molto tempo. Era ancora chiara, forte e decisa a dispetto dell'età. Erlendur conosceva Marion Briem da quasi trent'anni e non erano sempre state rose e fiori. "Sono appena tornata dalla mia casa in campagna" disse la voce," e sono stata messa al corrente solo al mio rientro in città, poco fa." "Stai parlando di Holberg?" domandò Erlendur. "Avete controllato la sua documentazione?" "So che Sigurdur Oli la stava vagliando al computer, ma non l'ho ancora sentito. Che documentazione?" "Mi chiedo se ci sia, nel computer. Magari è stata distrutta. Non esistono delle leggi sui reati caduti in prescrizione? Non vengono distrutti i documenti?" "Dove vuoi arrivare?" "Holberg non era un cittadino modello" fece Marion Briem. "In che senso?" "È molto probabile che fosse uno stupratore." "Molto probabile?" "Fu accusato di stupro, ma non venne mai processato. Accadde nel 1963. Dovreste controllare nei vostri archivi." "Chi lo accusò?" "Una donna di nome Kolbrun. Abitava a..." "Keflavik?" "Sì, ne sai qualcosa?" "Abbiamo trovato una fotografia in uno dei cassetti della scrivania di Holberg. Sembra che la foto fosse stata nascosta. Ritrae la tomba di una bambina che si chiamava Audur, in un cimitero che non sappiamo ancora dove si trovi. Ho svegliato i morti all'anagrafe e ho trovato il nome di Kolbrun tra i certificati di morte. Era la madre della bambina della lapide. La madre di Audur. È morta." Marion rimase in silenzio. "Marion?" fece Erlendur. "E cosa ti dice questo?" chiese la voce al telefono. Erlendur ci pensò su. "Immagino che se Holberg ha stuprato la madre fosse anche il padre della bambina, e per questo la fotografia era in quel cassetto. La bimba aveva quattro anni quando morì, era nata nel 1964." "Holberg non venne mai processato" ribadì Marion Briem. "Il caso fu archiviato per insufficienza di prove." "La donna si era inventata tutto?" "Mi sembra improbabile per quei tempi, ma non fu possibile provare nulla. Ovviamente, non è Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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mai stato facile per una donna denunciare violenze di questo genere. Puoi immaginarti cosa abbia dovuto passare quella Kolbrun, quasi quarantanni fa. È abbastanza difficile al giorno d'oggi che una donna si esponga e denunci una violenza carnale, ma a quei tempi la questione era ancora più delicata. Non l'avrà certo fatto per divertimento. La fotografia forse è una specie di attestazione di paternità. Perché Holberg avrebbe dovuto conservarla in un cassetto? Lo stupro avvenne nel 1963. Tu dici che Kolbrun diede alla luce Audur l'anno successivo. Muore quattro anni dopo. Kolbrun seppellisce sua figlia. Holberg è implicato in qualche modo nella faccenda. Forse scatta lui stesso la foto. Non so a quale scopo. Ma forse questo non è molto rilevante." "Sicuramente non avrà partecipato al funerale, ma potrebbe essere andato alla tomba e averle scattato quella foto. Intendi una cosa del genere?" "C'è anche un'altra possibilità." "Eh?" "Forse la foto l'ha scattata lei stessa e gliel'ha inviata." Erlendur ci pensò su un momento. "Ma perché? Se lui l'ha stuprata, perché mandargli quella fotografia?" "Questo è il problema." "Dal certificato di morte è possibile risalire alle cause del decesso di Audur?" chiese Marion Briem. "Com'è morta la bambina? E stato un incidente?" "C'era scritto che aveva un tumore al cervello. Credi che possa fare qualche differenza?" "Le hanno fatto un'autopsia?" "Certo. Il nome del medico compare sul certificato." "E la madre?" "Deceduta in casa sua." "Suicidio?" "Sì." "Non vieni più a trovarmi" disse Marion Briem dopo un breve silenzio. "Ho troppi impegni" si giustificò Erlendur. "Questi maledetti impegni, accidenti."

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8 † Pioveva quella mattina sulla strada per Keflavik, e l’acqua si raccoglieva nelle profonde tracce lasciate dai pneumatici dei camion, che le auto cercavano di evitare. La pioggia era così intensa che si riusciva a malapena a vedere oltre il parabrezza, costantemente velato da spruzzi d'acqua e vibrante in quella persistente burrasca da sud est. I tergicristalli non riuscivano a tenere pulito il vetro, ed Erlendur si aggrappava talmente forte al volante che le nocche gli erano diventate bianche. Vedeva brillare la luce rossa dei fanali posteriori della vettura che aveva davanti e cercava di seguirli come meglio poteva. Era da solo in macchina. Aveva pensato che fosse meglio così, dopo aver parlato al telefono con la sorella di Kolbrùn quella mattina stessa. Era citata come la sua parente più prossima sul certificato di morte, ma la donna non aveva intenzione di collaborare e si rifiutava di incontrarlo. L'aveva escluso in maniera categorica. I giornali avevano pubblicato una foto dell'uomo che era stato ucciso, insieme al nome. Erlendur le aveva chiesto se l'avesse vista e stava per domandarle anche se si ricordava di lui, ma la donna aveva riagganciato senza lasciargli finire la frase. Così aveva deciso di provare a vedere cosa avrebbe fatto se si fosse presentato alla sua porta. Avrebbe preferito non trovarsi costretto a portarla in centrale con la forza. Aveva dormito male quella notte. Era preoccupato per Eva Lind e temeva che potesse fare qualche cazzata. La ragazza aveva un cellulare, ma ogni volta che la chiamava gli rispondeva quella voce meccanica che diceva che l'utente non era al momento raggiungibile. Erlendur ricordava di rado i sogni che faceva, ma provava sempre un senso di inquietudine quando, appena sveglio, i brandelli dell'incubo che aveva avuto gli attraversavano la mente, prima di sparire del tutto dalla coscienza. Le informazioni che avevano su Kolbrùn erano penosamente scarse. Era nata nel 1934 e aveva denunciato Holberg per stupro il 23 novembre del 1963. Prima che Erlendur partisse per Keflavik, Sigurdur Oli gli aveva riferito a grandi linee il contenuto della denuncia per stupro, da cui emergeva una descrizione dei fatti, rinvenuta in un documento della polizia che Sigurdur Oli aveva trovato negli archivi su indicazione di Marion Briem. Kolbrùn aveva trent'anni al momento della nascita di sua figlia Audur. Lo stupro aveva avuto luogo nove mesi prima. Secondo la sua stessa testimonianza, Kolbrùn aveva incontrato Holberg a Kross, una balera fra Keflavik e Njardvik. Era un sabato sera. Non conosceva quell'uomo e non l'aveva mai visto prima. Lei era con un paio di amiche, anche Holberg e due suoi amici si trovavano in quel locale quella stessa sera. Alla fine della serata erano andati tutti a una festa da un'amica di Kolbrùn. A notte fonda Kolbrùn aveva deciso di tornare a casa. Holberg aveva detto di volerla accompagnare, Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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per sicurezza. Lei non si era opposta. Nessuno di loro era sotto l'effetto di alcolici. Kolbrùn dichiarò di aver bevuto due bicchierini di vodka misti a bevande analcoliche al ballo, ma nient'altro una volta andata via da lì. Holberg quella sera non aveva bevuto. Kolbrùn l'aveva sentito mentre diceva che si stava curando con la penicillina un'infezione all'orecchio. Il certificato medico accluso alla denuncia lo confermava. Holberg chiese se poteva chiamare un taxi. Disse che doveva andare a Reykjavik. La donna esitò un attimo, ma poi gli indicò dov'era il telefono. Lui entrò nel soggiorno, mentre lei si toglieva il cappotto nell'ingresso e andava in cucina a bere un bicchiere d'acqua. Non sentì quando l'uomo chiuse la conversazione telefonica, se mai ce ne fu una. Si accorse all'improvviso che le era arrivato alle spalle mentre lei si trovava di fronte al lavello. Si spaventò così tanto da lasciar cadere il bicchiere nel lavello, e l'acqua si sparse sul piano. Urlò quando sentì le mani di lui sui seni e, allontanandolo, indietreggiò in un angolo. "Che stai facendo?" "Perché non ci divertiamo un po insieme?" disse l'uomo e le si piazzò davanti, imponente e muscoloso, con le mani forti e le dita grosse. "Vattene" gli ordinò lei decisa. "Subito! Vuoi farmi il piacere di andartene?" "Perché non ci divertiamo un po insieme?" ripetè lui. Fece un passo verso di lei e la donna mise avanti le mani come per proteggersi. "Non ti avvicinare" urlò," o chiamo la polizia!" Tutto a un tratto Kolbrùn si rese conto di quanto fosse sola e indifesa davanti a quello sconosciuto che aveva fatto entrare in casa sua e che adesso le stava sopra, le teneva le braccia piegate dietro la schiena e cercava di baciarla. Si era ribellata, ma era stato inutile. Aveva cercato di parlargli. Parlargli per dissuaderlo, ma aveva solo sentito crescere la propria vulnerabilità. Erlendur si riscosse quando un camion enorme che gli strombazzava contro lo sorpassò con un boato spaventoso, e gli spruzzi d'acqua investirono la macchina. Strattonò il volante e la vettura sbandò per un po sull'asfalto bagnato. Le ruote posteriori slittarono e per un attimo Erlendur pensò che avrebbe perso il controllo e sarebbe finito nel campo di lava che fiancheggiava la strada. Rallentò notevolmente e riuscì a tenersi in carreggiata, insultando il conducente del camion ormai sparito dalla sua vista sotto gli scrosci di acqua piovana. Circa venti minuti dopo parcheggiava davanti a una piccola casa di legno rivestita di lamiera ondulata, nella zona più antica di Keflavik. Era verniciata di bianco ed era circondata da una recinzione bassa bianca anch'essa, e da un giardino tenuto con uno scrupolo quasi eccessivo. La sorella di Kolbrùn si chiamava Elin, era più vecchia di lei di qualche anno ed era in pensione. Stava in piedi nell'atrio con il cappotto addosso, sembrava sul punto di uscire, quando Erlendur suonò il campanello. Lei lo guardò stupita: era una donnina piccola e magra, con un'espressione dura sul viso, lo sguardo pungente, gli zigomi alti e le rughe intorno alla bocca. "Mi sembrava di averle detto al telefono che non volevo avere nulla a che Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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fare né con lei né con la polizia" disse irritata quando Erlendur si fu presentato. "Lo so" ribatté Erlendur," ma..." "Le chiedo di lasciarmi in pace" continuò la donna. "Non avrebbe dovuto prendersi il disturbo di venire fin qui." Uscì sulla soglia, si chiuse la porta alle spalle, scese i tre gradini che portavano alla casa e aprì il piccolo cancello della recinzione, come se volesse suggerire a Erlendur di andarsene. Non lo guardò in faccia. Erlendur era rimasto sui gradini e la seguiva con lo sguardo. "Lei sa che Holberg è morto" disse per richiamare la sua attenzione. La donna non gli rispose. "È stato ucciso in casa sua. Lo ha saputo, vero?" Erlendur era ai piedi dei gradini e la osservava. La donna aveva un ombrello nero, che aprì: la pioggia era martellante. Lui non aveva nient'altro che un cappello per ripararsi la testa. La donna si allontanò in fretta e l'agente la seguì di buona lena per raggiungerla. Non sapeva in che modo avrebbe potuto convincerla ad ascoltarlo. Non sapeva perché la donna avesse reagito così alla sua presenza. "Volevo chiederle di Audur" disse. La donna si fermò all'improvviso, si voltò e gli si avvicinò a passo svelto con un'espressione di disprezzo in faccia. "Brutto disgraziato di un poliziotto" sibilò a denti stretti. "Non le permetto di menzionare il suo nome. Come osa! Dopo tutto quello che le avete fatto. Se ne vada! Se ne vada da qui immediatamente! Disgraziato di un poliziotto!" Guardava Erlendur con uno sguardo carico d'odio e lui la fissava a sua volta. "Dopo tutto quello che le abbiamo fatto?" si stupì. "A chi?" "Se ne vada via" urlò, poi si voltò e lo lasciò lì dov'era. Lui rinunciò a seguirla e la guardò allontanarsi nella pioggia, lievemente curva nel suo cappotto verde e con gli stivaletti neri che le arrivavano sopra le caviglie. Si girò e tornò pensoso verso la casa e la sua macchina. Salì e si accese una sigaretta, abbassò un po il finestrino e avviò il motore. Uscì lentamente dal parcheggio in retromarcia, inserì la prima e oltrepassò la piccola casa. Inalò il fumo e sentì di nuovo quel dolore sordo in mezzo al petto. Non era la prima volta. Già da qualche anno la cosa lo metteva un po in apprensione. Un dolore sordo che lo salutava al mattino e di solito spariva di colpo dopo che si era alzato dal letto. Il materasso su cui dormiva non era di buona qualità. A volte gli faceva male dappertutto se rimaneva sdraiato troppo a lungo. Aspirò di nuovo il fumo. Sperò che fosse il materasso. Il cellulare nella tasca del soprabito squillò mentre stava spegnendo la sigaretta. Era il responsabile della squadra scientifica che voleva informarlo di essere riuscito a decifrare l'epitaffio sulla lapide, risultato poi una citazione dalla Bibbia. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"È un versetto del Salmo numero 64 di Davide" disse il responsabile. "Ah sì?" disse Erlendur. "Dal terrore dei nemici custodisci la mia vita." "Che?" "Sulla lapide c'è scritto: 'Dal terrore dei nemici custodisci la mia vita. È un salmo di Davide." "Dal terrore dei nemici custodisci la mia vita." "E di qualche aiuto?" "Non ne ho idea." "C'erano due serie di impronte digitali sulla fotografia." "Sì, me l'ha detto Sigurdur Oli." "Una serie appartiene al defunto, mentre l'altra non c'è nei nostri archivi. È piuttosto opaca. Sono impronte molto vecchie." "Siete riusciti a capire con quale macchina fotografica è stata scattata la foto?" chiese Erlendur. "È impossibile stabilirlo. Credo comunque che non fosse una macchina di buona qualità."

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9 † Sigurdur Oli parcheggiò la macchina sul piazzale della ditta Trasporti Islandesi sperando che non desse fastidio. I camion erano parcheggiati in fila. Alcuni erano appena stati caricati, altri erano in partenza, altri ancora erano rientrati nel deposito della ditta. La puzza di gasolio e il tanfo di gas di scarico saturavano l'aria e i motori facevano un rumore assordante. Impiegati e clienti erano affaccendati sul piazzale e dentro il deposito. I meteorologi avevano previsto ulteriori precipitazioni. Sigurdur Oli cercò di usare l'impermeabile per proteggersi dalla pioggia, se lo alzò sopra la testa e corse nel deposito. Gli indicarono il principale, seduto in un box di plexiglas a controllare alcuni documenti; sembrava molto impegnato. Il padrone, un uomo piuttosto rotondo con il mozzicone di un sigaro fra le dita e un giaccone blu che teneva chiuso con un solo bottone sulla pancia, aveva appreso della morte di Holberg e disse che lo conosceva molto bene. Lo descrisse come una persona affidabile, un autista instancabile che aveva portato i suoi camion in ogni angolo del paese per decenni e conosceva ogni dettaglio della rete stradale islandese. Disse che era un tipo riservato, che non parlava mai di sé, né di questioni personali, non aveva amici all'interno di quella ditta, ignorava cosa avesse fatto prima, supponeva che avesse fatto l'autista di camion per tutta la vita. Almeno così sembrava, stando a quello che raccontava. Celibe e senza figli, per quanto ne sapeva lui. Non parlava mai della sua famiglia. "Credo sia tutto" disse il principale come per chiudere la conversazione. Estrasse un piccolo accendino dalla tasca del giaccone e accese il mozzicone di sigaro. "Che cazzo" puff, puff," andarsene a quel modo" puff. "Chi frequentava qui sul lavoro?" chiese Sigurdur Oli e cercò di non inalare il fumo pestilenziale del sigaro. "Può parlare con Hilmar e Gauji, credo fossero loro quelli che lo conoscevano meglio. Hilmar è qui davanti. È di Reydarfjordur e a volte passava la notte da Holberg a Nordurmyri, quando aveva bisogno di riposare qui in città. Ci sono delle precise norme sul riposo che gli autisti sono tenuti a rispettare, per cui devono trovarsi un alloggio in città." "Sa per caso se ha passato la notte da lui, nel fine settimana?" "No, stava lavorando nella parte orientale del paese. Ma potrebbe essere stato da lui il fine settimana precedente." "Riesce a pensare a qualcuno che avrebbe voluto far del male a Holberg? Qualche divergenza qui sul lavoro, oppure..." "No, no, niente" puff "del genere" puff. L'uomo aveva qualche difficoltà a tenere acceso il sigaro. "Parli con" puff "Hilmar, caro mio. Lui magari la può aiutare." Sigurdur Oli trovò Hilmar seguendo le indicazioni del principale. Era vicino a uno degli ingressi del deposito e osservava un camion in fase di scarico. Era un omone grande e grosso, alto quasi due metri, muscoloso, rubizzo, barbuto, con le bracArnaldur Indridason - Sotto la Città

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cia villose che uscivano dalla maglietta a maniche corte. All'apparenza sulla cinquantina. Un paio di bretelle blu fuori moda sostenevano i jeans ormai logori. Stavano usando un piccolo muletto per scaricare il camion. Un altro mezzo stava entrando in retromarcia facendo un bel frastuono, mentre allo stesso tempo due autisti si strombazzavano contro sul piazzale, insultandosi a vicenda. Sigurdur Oli si avvicinò a Hilmar e gli batté lievemente due dita sulla spalla, ma l'autista non se ne accorse. Picchiò più forte e finalmente Hilmar si girò a guardarlo. Vedeva Sigurdur Oli che gli parlava, ma non riusciva a sentire quanto gli stava dicendo e lo osservava con sguardo spento. Sigurdur Oli alzò la voce, ma non servì a niente. Provò a urlare ancora di più e gli parve di distinguere un lampo di comprensione negli occhi di Hilmar, ma si era sbagliato. Hilmar scosse solo la testa indicandosi le orecchie. Sigurdur Oli allora inspirò a fondo, alzò la testa e si sollevò in punta di piedi, ma in quell'istante esatto si fece un silenzio assoluto e le sue parole riecheggiarono nell'enorme deposito e fuori sul piazzale, in tutta la loro potenza:" Hai passato la notte con Holberg?"

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10 † Stava rastrellando le foglie in giardino, quando Erlendur gli si avvicinò. Era rimasto a lungo a guardarlo lavorare, aveva osservato i suoi lenti movimenti di anziano, ma l'uomo non aveva ancora alzato lo sguardo. Si asciugò una goccia dalla punta del naso. Per lui non sembrava fare alcuna differenza se pioveva e le foglie erano appiccicate ed era difficile raccoglierle. Non faceva niente in maniera affrettata, agganciava le foglie con i rebbi del rastrello e cercava di formare dei mucchietti. Abitava ancora a Keflavik. Era nato e cresciuto lì. Erlendur aveva chiesto a Elinborg di raccogliere informazioni su di lui e la donna aveva riesumato gran parte di quello che esisteva su quell'anziano signore che si era dato al giardinaggio: la sua carriera in polizia, le numerose critiche che aveva ricevuto in tanti anni di servizio per la sua condotta e il suo metodo di lavoro, la conduzione del caso di Kolbrùn e le note negative che gli erano state assegnate per la gestione della faccenda. Elinborg gli aveva telefonato per riferirgli tutte queste informazioni mentre stava facendo una sosta a Keflavik per mangiare qualcosa. Erlendur era indeciso se rimandare la visita al giorno successivo o no, ma poi pensò che non aveva voglia di tornare di nuovo in macchina fin lì con quel tempaccio. L'uomo indossava un giaccone impermeabile verde e aveva un berretto da baseball in testa. Impugnava il manico del rastrello con le mani bianche e ossute. Era alto e probabilmente all'epoca era più robusto e d'aspetto più autorevole, ma adesso si era fatto vecchio e avvizzito, il naso gocciolante. Erlendur lo guardava muoversi cautamente sotto il peso di tutti i suoi anni, nel giardino sul retro della casa. L'uomo non alzò lo sguardo dalle foglie e non gli prestò alcuna attenzione. Così trascorsero vari minuti, finché Erlendur non decise di fare la prima mossa. "Perché la sorella non vuole parlarmi?" domandò e vide che il vecchio sussultava. "Cosa? Che vuol dire?" L'uomo distolse lo sguardo dal lavoro che stava facendo. "Chi è lei?" chiese. "Come avete accolto Kolbrùn quando è venuta a sporgere denuncia?" domandò Erlendur. L'anziano signore guardò lo sconosciuto che era entrato nel suo giardino e si asciugò la goccia dal naso con il dorso della mano. Squadrò Erlendur dalla testa ai piedi. "La conosco, io?" disse. "Di che cosa sta parlando? Chi è lei?" "Mi chiamo Erlendur. Sto investigando sull'omicidio di un uomo di nome Holberg, di Reykjavik. Venne denunciato per stupro quasi quarant'anni fa. Fu lei a condurre le indagini all'epoca. La donna che subì la violenza si chiamava Kolbrùn. È morta. Sua sorella non vuole parlare con la polizia per motivi che sto cerArnaldur Indridason - Sotto la Città

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cando di appurare. Mi ha detto: 'Dopo quello che le avete fatto. Vorrei che lei mi spiegasse cosa le abbiamo fatto." L'uomo guardò Erlendur senza dire una parola. Lo fissava negli occhi in silenzio. "Cosa le abbiamo fatto?" ripetè Erlendur. "Non ricordo... che diritto ha, lei? E poi che maleducazione è questa?" La voce gli tremava lievemente. "Se ne vada dal mio giardino, o chiamo la polizia." "No, guardi, Rùnar, che la polizia sono io. E non ho tempo per le stronzate." L'uomo ci pensò su. "E questo, il nuovo metodo? Aggredire la gente con insulti e offese?" "Mi fa piacere che abbia menzionato metodi e offese" commentò Erlendur. "Ha ricevuto otto note di demerito, una volta, per negligenza sul lavoro, violenze incluse. Non so che piedi abbia dovuto leccare, lei, per mantenere il suo posto, ma evidentemente l'ultima volta non si è impegnato a sufficienza, perché alla fine ha dovuto lasciare la polizia con disonore. Licenziato..." "Chiuda quella bocca" disse l'uomo e si guardò intorno. "Come osa..." "per ripetute e pesanti molestie sessuali." Le mani bianche e ossute si strinsero intorno al rastrello tanto che la pelle incolore si tirò lasciando sporgere le nocche. La bocca si atteggiò a una smorfia piena d'odio, lo sguardo si fece sempre meno profondo finché gli occhi non si chiusero per metà. Erlendur ci aveva pensato a lungo mentre andava da quell'uomo, mentre le informazioni di Elinborg gli frullavano per la testa come un elettroshock: era lecito biasimarlo per quello che aveva fatto in un'altra vita, quand'era un'altra persona, in altri tempi? Erlendur era in polizia da lungo tempo, abbastanza per ricordare le storie che circolavano su di lui, su tutti i problemi che aveva causato. Si ricordava di Rùnar. Lo aveva incontrato due o tre volte molti anni prima, ma adesso era diventato così vecchio e decrepito che Erlendur ci aveva messo un po a realizzare che si trattava della stessa persona, quando era entrato nel suo giardino. Le storie su Rùnar si sentivano raccontare ancora, in polizia. Erlendur aveva letto una volta che il passato era un altro paese, e in quel momento capì cosa significava. Capiva che i tempi cambiano e la gente anche. Ma non era pronto a cancellare il passato. Erano in giardino, uno di fronte all'altro. "Allora, che mi dice di Kolbrùn?" disse Erlendur. "Fuori di qui!" "Prima mi racconti di Kolbrùn." "Era una maledetta puttana!" disse l'uomo all'improvviso a denti stretti. "Si accontenti di questo e se ne vada! Quella donna ha detto solo bugie su di me. Non c'è stato nessuno stupro, cazzo. Ha sempre mentito!" Erlendur si immaginò Kolbrùn seduta di fronte a quell'uomo, tanti anni prima, quando aveva denunciato lo stupro. Immaginò che avesse dovuto farsi coraggio per non tacere più, provò a pensare a lei alla centrale di polizia, mentre raccontava quello che le era accaduto, al terrore che aveva provato e che, soprattutto, avrebbe voluto dimenticare, come se non fosse mai accaduto niente, come se si fosse trattato solamente di un incubo e al risveglio avesse potuto tornare pulita, coArnaldur Indridason - Sotto la Città

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me prima. Ma non si sarebbe mai svegliata pulita come prima. Era stata macchiata. Era stata aggredita ed era stata usurpata... "Si presentò tre giorni dopo l'incidente e accusò un uomo di stupro" disse il vecchio a Erlendur. "Non fu molto convincente." "E lei la cacciò via" aggiunse Erlendur. "Stava mentendo." "E rise di lei e la umiliò e le disse di dimenticare tutto quanto. Ma quella donna non lo dimenticò." Il vecchio guardò Erlendur con uno sguardo carico d'odio. "Andò a Reykjavik, vero?" soggiunse Erlendur. "Holberg non fu mai processato." "Grazie a chi, secondo lei?" Erlendur immaginò Kolbrùn che si confrontava con Rùnar in ufficio. Confrontarsi con lui! Con quell'uomo! Confrontarsi su quello che aveva dovuto passare. Cercare di convincerlo che stava dicendo la verità, come se lui fosse stato il giudice supremo del suo caso. Dovette raccogliere tutte le forze quando gli riferì gli eventi di quella notte, cercando di esporli in maniera coerente, ma era orribile. Non riusciva a descriverlo. Non riusciva a raccontare cose che erano indescrivibili, repellenti, mostruose. Ma in qualche modo concluse quel suo racconto sconnesso. Era un ghigno? Non capiva perché il poliziotto la stesse guardando con un ghigno di scherno. Le sembrava un ghigno, ma non poteva esserlo. Poi l'uomo cominciò a chiederle i dettagli. Mi dica esattamente come sono andate le cose. Lei lo guardò. Esitando ricominciò il suo resoconto. No, questo l'ho già sentito. Mi dica con esattezza che cosa è accaduto, Lei indossava le mutandine. In che modo le ha tolto le mutandine? Come le è entrato dentro? Stava parlando sul serio? Lei gli chiese se ci fossero donne impiegate in quella centrale. No... ma se ha intenzione di denunciare quell'uomo per stupro, deve per forza essere più precisa di così, capisce. Gli ha forse lasciato intendere qualcosa, per cui l'uomo ha avuto motivo di pensare che lei ci stava? Che ci stavo? Con un tono di voce talmente basso da risultare quasi impercettibile, gli disse che non aveva fatto niente del genere. Deve parlare a voce più alta. Come le ha tolto le mutandine? Era sicura che quello fosse un ghigno. La interrogava in maniera sgarbata, le contestava quello che diceva, era brusco, alcune domande erano pure e semplici villanie, indecenze, cercava di far apparire la faccenda come se fosse stata lei a spingerlo a commettere quella violenza, come se lei avesse voluto avere rapporti sessuali con lui, poi forse aveva cambiato idea, ma ormai era troppo tardi, capisce, troppo tardi per tirarsi indietro. Non ha senso, le disse. Alla fine piangeva silenziosamente quando aprì la borsetta ed estrasse una bustina di plastica, che gli consegnò. Aprì la bustina e tirò fuori le sue muArnaldur Indridason - Sotto la Città

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tande strappate... Rùnar lasciò andare il rastrello, stava per oltrepassare Erlendur e allontanarsi, ma lui gli bloccò la strada e lo spinse contro il muro della casa. Si guardarono negli occhi. "Le consegnò delle prove" disse Erlendur. "L'unica prova che aveva. Era sicura che Holberg avesse lasciato una traccia." "Non mi diede mai nulla" sbottò Rùnar. "Mi lasci in pace." "Le consegnò le sue mutande." "Mentiva." "Avrebbero dovuto licenziarti in tronco quella volta" disse Erlendur. "Disgraziato, sudicio animale che non sei altro." Indietreggiò lentamente con un'espressione di repulsione sul viso, allontanandosi da Rùnar che restò lì contro il muro, un vecchio decrepito. "Le ho solo voluto mostrare che cosa l'avrebbe aspettata se avesse insistito con la denuncia" gli gridò con voce stridula. "Le stavo facendo un favore. giudici ridono di casi del genere." Erlendur si voltò e se ne andò, pensando a come Dio, se ne esisteva uno, avesse mai potuto permettere a un uomo come Rùnar di raggiungere la vecchiaia e si fosse preso invece la vita di una bambina di quattro anni. Aveva intenzione di tornare dalla sorella di Kolbrùn, ma prima si fermò alla biblioteca di Keflavik. Girò fra gli scaffali lasciando scorrere lo sguardo sui dorsi dei libri, finché non trovò la Bibbia. Erlendur conosceva bene la parola di Dio. Aprì il volume dove c'erano i Salmi di Davide e cercò il numero 64. Trovò il versetto che compariva sulla lapide. Dal terrore dei nemici custodisci la mia vita. Se lo ricordava bene. L'epitaffio era il seguito del primo versetto del salmo. Erlendur lo rilesse più volte passando pensoso la mano sulle pagine delle Sacre Scritture, e recitò il versetto a mezza voce, lì fra gli scaffali della biblioteca. Il primo versetto del salmo era una supplica a Dio e a Erlendur sembrò di sentire il grido silenzioso della donna, che attraversava tutti quegli anni. Ascolta, o Dio, la mia voce mentre mi lamento.

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11 † Erlendur parcheggiò davanti alla piccola casa bianca di lamiera ondulata e spense il motore. Rimase seduto in macchina a finire la sigaretta. Stava cercando di smettere di fumare e aveva ridotto il numero di sigarette a cinque al giorno, se le cose andavano bene. Quella però era la numero otto, e non erano ancora le tre del pomeriggio. Scese dall'auto, salì i gradini che portavano alla casa e suonò il campanello. Attese a lungo senza che accadesse niente. Suonò di nuovo, ma senza alcun risultato. Guardò dentro dalla finestra e vide il cappotto verde, l'ombrello e gli stivali. Suonò per la terza volta e rimase sulla porta, cercando di ripararsi dalla pioggia. All'improvviso la porta si aprì ed Elin lo fissò. "Mi lasci in pace, ha capito? Se ne vada! Vada via!" Avrebbe voluto sbattergli la porta in faccia, ma Erlendur infilò un piede tra quella e lo stipite. "Non siamo tutti come Rùnar" le disse. "So che sua sorella non ricevette un trattamento corretto. Sono andato a parlare con quell'agente. Quello che fece a suo tempo rimane imperdonabile, ma ormai non si possono più cambiare le cose. È un vecchio disgraziato e non vedrà mai niente di sbagliato in quello che ha fatto." "Vuole lasciarmi in pace?" "Devo parlare con lei. Se non acconsente, dovrò farla prelevare e portare alla centrale per un interrogatorio. Vorrei evitare una cosa del genere. "Prese la fotografia della lapide dalla tasca dell'impermeabile e la fece passare fra lo stipite e la porta. "Ho trovato questa foto a casa di Holberg" disse. Elin non gli rispose. Passarono alcuni istanti. Erlendur continuava a tenere la fotografia oltre la soglia, ma non riusciva a vedere Elin, che premeva ancora contro la porta. A poco a poco sentì allentarsi la pressione sul piede ed Elin prese la fotografia. Un attimo dopo la porta si aprì. La donna tornò dentro con la fotografia in mano. Erlendur la seguì e chiuse cautamente la porta dietro di sé. Elin scomparve nel piccolo soggiorno e per un momento Erlendur si chiese se non avrebbe dovuto togliersi le scarpe bagnate fradice. Le asciugò scrupolosamente sullo zerbino e seguì Elin nel soggiorno, oltre la piccola cucina ordinata e lo studio. In soggiorno c'erano alcune fotografie appese al muro, quadri ricamati in cornici dorate e un piccolo organo elettrico in un angolo. "Riconosce questa fotografia?" chiese Erlendur con cautela. "Non l'ho mai vista prima" rispose la donna. "Sua sorella ha mai avuto contatti con Holberg dopo... l'incidente?" "Mai, per quanto ne so io. Mai. Si può ben immaginare." "Non fece mai gli esami del sangue per sapere se lui era il padre?" "A che scopo?" "Avrebbero avvalorato la dichiarazione di sua sorella. Che si era trattato di uno stupro." La donna guardò la fotografia e la fissò per un po, quindi disse:" Siete tutti Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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uguali, voi poliziotti. Non avete voglia di fare il vostro lavoro." "Ah, no?" "Non ha studiato la documentazione sul caso?" "L'ho letta a grandi linee." "Holberg non ha mai nascosto che avessero avuto rapporti sessuali. Era molto scaltro. Negò che si fosse trattato di stupro. Disse che mia sorella era consenziente. Disse che lo aveva provocato e che l'aveva invitato ad andare a casa con lei. Fu la sua strategia di difesa. Che Kolbrùn avesse avuto rapporti sessuali con lui decidendo di sua spontanea volontà. Recitò la parte dell'innocente. Recitò la parte dell'innocente, quell'animale." "Ma..." "L'unica cosa che mia sorella aveva erano delle mutande strappate" continuò Elin. "Non si vedeva molto, esteriormente. Non era forte, non riuscì a opporgli molta resistenza: mi disse che era rimasta quasi paralizzata dalla paura quando lui aveva cominciato a metterle le mani addosso in cucina. L'aveva costretta ad andare in camera da letto con lui e aveva fatto tutto quello che gli pareva. Due volte. L'aveva tenuta sotto di sé con la forza, toccandola dappertutto e dicendole un sacco di porcherie finché non era stato pronto a farlo di nuovo. Ci mise tre giorni a trovare il coraggio di andare alla polizia, e non servì a molto l'esame medico a cui venne sottoposta in seguito. Non riuscì mai a capire quale fosse stato il motivo per cui quell'uomo l'aveva aggredita. Incolpava se stessa per averlo provocato. Forse credeva di avergli fatto il filo a quella festa dov'erano andati dopo la chiusura della sala da ballo. Di avergli detto o lasciato intendere qualcosa che aveva suscitato il suo desiderio. Si sentiva in colpa. Credo sia una reazione comune." Elin tacque per un po. "Quando infine decise di reagire, incontrò Rùnar. L'avrei accompagnata io, ma lei si vergognava a tal punto che non raccontò a nessuno quello che le era successo, se non molto tempo dopo. Holberg l'aveva minacciata. Le aveva detto che se avesse parlato con qualcuno di quella storia sarebbe tornato e l'avrebbe torturata. Quando andò alla polizia credeva che avrebbe trovato un sostegno. Che sarebbe stata aiutata. Che si sarebbero presi cura di lei. Fu solo dopo che Rùnar l'ebbe rispedita a casa, dopo essersi divertito con lei e averle preso le mutande e averle detto di dimenticare l'intera faccenda, che venne a cercare me." "La biancheria di sua sorella non fu mai trovata" disse Erlendur. "Rùnar negò..." "Kolbrùn sosteneva di averla consegnata a lui, e non credo che mia sorella mentisse. Non so cosa fosse passato per la testa a quell'uomo. Ogni tanto lo vedo in giro qui in città, al supermercato o dal pescivendolo. Una volta gli ho urlato dietro. Non sono riuscita a trattenermi. Mi è sembrato che la cosa lo divertisse. Aveva un ghigno in faccia. Kolbrun mi parlò di questo suo ghigno. Lui però mi disse di non aver mai avuto in mano nessun paio di mutande e che la dichiarazione di Kolbrun era talmente confusa da far presumere che fosse sotto l'effetto di alcolici. Per questo motivo la rimandò a casa." "Alla fine comunque si prese una nota di demerito" disse Erlendur," ma la cosa non ebbe alcuna conseguenza. Rùnar riceveva note di continuo. Era notoriamente un boia, ma qualcuno gli teneva una mano sulla testa, finché Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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non fu più possibile proteggerlo e venne licenziato." "Non sembrava ci fossero motivi per un procedimento legale, ce la misero così. Era giusto quello che aveva detto Rùnar, Kolbrun doveva solo dimenticare tutta quella storia. Chiaramente si era decisa a fare qualcosa tardi, troppo tardi, e poi non era tanto smaliziata, per cui aveva pulito tutto l'appartamento da cima a fondo, e aveva anche lavato le lenzuola, aveva eliminato tutte le prove. Però aveva tenuto la biancheria. Nonostante tutto aveva cercato di conservare una prova. Come se pensasse che potesse bastare. Come se fosse sufficiente dire la verità. Voleva cancellare quell'incidente dalla sua vita. Non voleva vivere con quella cosa dentro. E come le ho già detto, il suo aspetto non rivelava molto. Aveva il labbro spaccato nel punto in cui lui le aveva premuto la mano sulla bocca, e un occhio appena iniettato di sangue." "Si riprese...?" "Mai. Era una donna estremamente sensibile, mia sorella. Un'anima pura, facile preda di chi voleva farle del male. Come Holberg. Come Rùnar. L'avevano capito, tutti e due. L'avevano aggredita, ognuno a modo suo. Si erano avventati sulla loro preda. "Abbassò lo sguardo sul pavimento. "Che bestie" disse. Erlendur lasciò passare un momento prima di continuare. "Come reagì quando si rese conto di essere in stato interessante?" "La prese con molta intelligenza, devo ammetterlo. Decise immediatamente di essere contenta per quella creatura, nonostante le circostanze, e amò Audur senza ipocrisia. Si volevano molto bene e mia sorella si prendeva cura di lei in maniera speciale. Faceva tutto quello che poteva per lei. Povera bambina mia." "Così Holberg sapeva di essere il padre della bimba?" "Certo che lo sapeva, ma giurava che non era sua. Lo negò categoricamente. Disse di non aver nulla a che vedere con lei. Accusò mia sorella di aver avuto più uomini." "Allora non ebbero più contatti, né per la figlia, né..." "Contatti? Mai. Come le viene in mente? Era impossibile una cosa del genere." "Non fu Kolbrun allora a mandargli la fotografia?" "No. No, non riesco a immaginarlo. È assolutamente fuori questione." "Allora deve averla fatta lui. Oppure l'avrà scattata qualcuno che era a conoscenza dei fatti e poi gliel'avrà mandata. Magari dopo aver letto gli annunci mortuari sui giornali. Furono scritti dei necrologi per Audur?" "Ne annunciammo la morte e io feci pubblicare un breve necrologio sul 'Morgunbladid' Potrebbe aver letto quello." "Audur è sepolta qui a Keflavik?" "No. Io e mia sorella siamo di Sandgerdi, e li vicino c'è un piccolo cimitero. Kolbrun volle seppellirla lì. Era pieno inverno. Sembrava non finissero mai di scavarla, quella fossa." "Il certificato di morte parla di un tumore al cervello." "Fu la spiegazione che diedero a mia sorella. Morì e basta. Ci morì fra le braccia, povera piccina, e non potemmo fare niente. Aveva quattro anni. "Elin alzò gli occhi dalla fotografia e guardò Erlendur. "Morì e basta." Era diventato buio pesto nella casa e le parole aleggiarono nel buio cariche di interrogativi e di dolore. Elin si alzò lentamente e accese la luce fioca di una lampada a stelo mentre passava dal corridoio in cucina. Erlendur la sentì aprire Il rubinetto, lasciar Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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scorrere l'acqua e poi riempire qualcosa; la donna tolse il coperchio da una scatola di latta e nell'aria si sparse l'aroma del caffè. Erlendur si alzò e osservò i quadri appesi alle pareti. C'erano disegni e dipinti. Un disegno a colori fatto da una mano infantile era stato incorniciato con una sottile cornice nera. Poi trovò quello che cercava. Erano due, scattate probabilmente a distanza di un paio di anni. Fotografie di Audur. La più vecchia era stata scattata in uno studio fotografico. Era in bianco e nero. La bambina non aveva più di un anno ed era seduta su un enorme cuscino: era molto graziosa con quel vestitino, un nastro nei capelli e un giocattolino in mano. Era girata di tre quarti verso il fotografo e sorrideva mostrando quattro dentini. La seconda immagine la ritraeva a circa tre anni. Erlendur immaginò che l'avesse scattata sua madre. Era una foto a colori. La bambina si trovava in mezzo al verde e il sole la illuminava tutta. Indossava un maglioncino rosso, pesante, e una gonnellina, le calzine bianche e un paio di scarpine nere con due belle fibbie. Guardava la macchina fotografica con sussiego, l'espressione corrucciata. Forse non voleva sorridere. "Kolbrun non si riprese mai" commentò Elin dalla porta del soggiorno. Erlendur si raddrizzò. "Probabilmente non c'è niente di peggio" disse e prese il caffè che gli veniva offerto. Elin si sedette di nuovo sul divano con la sua tazza ed Erlendur si accomodò di fronte a lei sorseggiando il caffè. "Se vuole fumare faccia pure" disse la donna. "Sto cercando di smettere" disse Erlendur tentando di non usare un tono di scusa, ma rabbuiandosi per il solito dolore al petto. Pescò un pacchetto sgualcito dalla tasca dell'impermeabile e prese una sigaretta. La nona della giornata. La donna gli avvicinò un portacenere. "No" convenne lei," probabilmente non c'è niente di peggio. L'agonia fu breve, grazie a Dio. Aveva cominciato a sentire dei dolori al capo. Come se avesse mal di testa: il dottore che la visitò parlò solo di emicranie infantili. Le diede qualche pastiglia che non funzionò per niente. Non era un buon medico. Kolbrùn mi disse che aveva l'alito che puzzava di alcol ed era preoccupata. Poi successe tutto in fretta. La bambina continuò a peggiorare. Si parlò di un tumore della pelle che doveva essere asportato. Di macchie. Quelli dell'ospedale le chiamavano macchie caffellatte. Erano per lo più sotto le braccia. Alla fine venne ricoverata all'ospedale qui a Keflavik e stabilirono che si trattava di un tumore delle cellule nervose, che poi si rivelò essere un tumore al cervello. Tutto questo andò avanti per circa sei mesi." Elin tacque. "Come le ho già detto, Kolbrun non fu più la stessa, dopo" disse con un sospiro. "Non credo sia facile riprendersi dopo una tragedia del genere." "Fu praticata l'autopsia sul corpo di Audur?" chiese Erlendur e si immaginò quel corpicino illuminato da luci al neon su un freddo tavolo di alluminio, con un'incisione a Y sul torace. "Kolbrun non avrebbe preso in considerazione neppure l'idea" rispose Elin," Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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ma non fu lei a decidere. Si infuriò quando scoprì che l'avevano aperta. Era impazzita dal dolore, comprensibilmente, dopo la morte della bambina, e non voleva sentire ragioni. Non riusciva nemmeno a immaginare che avessero tagliato la sua bambina. Era morta e niente avrebbe potuto cambiare la situazione. L'autopsia confermò la diagnosi. Le trovarono un tumore maligno al cervello." "E sua sorella?" "Kolbrùn si suicidò tre anni dopo. Era entrata in uno stato di profonda depressione ed era in cura dai medici. Per un certo periodo fu ricoverata all'ospedale psichiatrico di Reykjavik, ma poi tornò a casa, qui a Keflavik. Cercai di occuparmi di lei come meglio potevo, ma era come se l'avessero spenta. Non aveva più voglia di vivere. Audur aveva portato la felicità nella sua vita nonostante quelle circostanze terribili, ma lei se n'era andata. "Elin guardò Erlendur. "Probabilmente si starà chiedendo come si tolse la vita." Erlendur non le rispose. "Andò in bagno e si tagliò le vene di entrambi i polsi. Aveva comprato delle lamette per la prima volta in vita sua. "Elin tacque e la penombra della stanza li avvolse. "Sa a cosa penso, nella mia testa, quando mi viene in mente quel fatto? Non al sangue nella vasca. Non a mia sorella nell'acqua tinta di rosso. Né alle ferite. Penso a Kolbrun nel negozio che compra le lamette. Che allunga i soldi per pagare le lamette. Che conta le corone. "Elin tacque di nuovo. "Non trova sia strano, come funziona la mente umana?" chiese come rivolta a se stessa. Erlendur non sapeva cosa rispondere. "L'ho trovata io" continuò Elin. "Aveva fatto in modo che la trovassi io. Mi telefonò e mi chiese di andare da lei quella sera. Parlammo per qualche minuto. Ero sempre in guardia a causa della sua depressione, ma sembrava stesse migliorando, negli ultimi tempi. Come se la nebbia si stesse alzando. Sembrava che fosse capace di affrontare di nuovo la vita. Non percepii nulla nella sua voce, quella sera, che mi facesse sospettare che aveva intenzione di uccidersi. Parlavamo del futuro. Volevamo fare un viaggio insieme. Quando la trovai, sembrava circondata da un'aura di pace, come non l'avevo vista da molto tempo. Di pace e di serena rassegnazione. Eppure so bene che non si era affatto rassegnata e che non c'era pace nel suo cuore." "Devo chiederle ancora una cosa e poi abbiamo finito" disse Erlendur. "Ho bisogno di avere una risposta da lei." "Cosa deve chiedermi?" "Sa dirmi qualcosa riguardo alla morte di Holberg?" "Non so dirle niente." "Lei non ha avuto alcun ruolo, diretto o indiretto, nell'omicidio?" "No." "L'epitaffio che Kolbrun scelse per sua figlia parlava di nemici" disse Erlendur. " 'Dal terrore dei nemici custodisci la mia vita.' Era stata lei a sceglierlo, anche se non doveva comparire sulla lapide" ricordò Elin. Si alzò, si avvicinò a una bella vetrinetta, aprì un cassetto e prese una piccola scatola nera. La aprì con una chiave, sollevò alcune buste e tolse un foglietto. "Lo trovai sul tavolo della cucina la sera in cui morì, ma non sono sicura che lo volesse scritto sulla propria lapide. Ne dubito. Credo di non essermi mai resa conto di quanto avesse sofferto prima di leggere questo biglietto." Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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Porse il foglio a Erlendur, che riconobbe le prime tre parole del salmo che aveva letto in precedenza nella Bibbia:" Ascolta, o Dio"

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12 † Quando Erlendur tornò a casa quella sera, sua figlia Eva Lind era seduta contro la porta dell'appartamento e sembrava addormentata. La chiamò e cercò di svegliarla. La ragazza non reagì, così le prese le mani, la sollevò e la portò dentro. Non sapeva se stesse dormendo o se era fatta. La distese sul divano in soggiorno. Il respiro era regolare. Il polso sembrava a posto. La osservò a lungo mentre si chiedeva cosa fare. Soprattutto, avrebbe voluto farle fare un bagno. Puzzava, le mani erano sporche e i capelli unti. "Ma dove sei stata?" sospirò Erlendur. Si sedette di fianco a lei, ancora con il cappello in testa e l'impermeabile addosso, pensando alla situazione di sua figlia, finché non cadde in un sonno profondo. Non voleva svegliarsi quando Eva Lind lo scosse il mattino dopo. Cercò di aggrapparsi con forza agli stralci di quel sogno che gli aveva suscitato la stessa inquietudine della notte precedente. Sapeva che si trattava dello stesso sogno, ma non riusciva a fissarlo nella memoria, come la volta prima, non riusciva a tenerlo sotto controllo. Gli restavano soltanto l'inquietudine e la nausea che l'avevano accompagnato fino al risveglio. L'orologio non segnava ancora le otto e fuori era buio pesto. A Erlendur sembrava che la pioggia e i venti autunnali non si fossero ancora placati. Si meravigliò quando sentì l'aroma di caffè che proveniva dalla cucina e un odore di pulito, come se qualcuno avesse fatto il bagno. Notò che Eva Lind si era messa una sua camicia e dei vecchi jeans, stretti intorno alla vita sottile con una cintura. Era a piedi nudi e pulita. "Eri in gran forma ieri sera" commentò lui, ma se ne pentì immediatamente. Poi pensò che avrebbe dovuto smettere di parlarle con tatto molto tempo prima. "Ho preso una decisione" disse Eva Lind entrando in cucina. "Voglio farti diventare nonno. Nonno Erlendur." "Allora ieri sera ti sei sfogata per l'ultima volta?" "Ci sono problemi se resto qui per un po, finché non trovo una nuova sistemazione?" "Per me no. "Si sedette con lei al tavolo in cucina e bevve il caffè che gli aveva versato la ragazza. "E come sei arrivata a questa conclusione?" "Così." "Così?" "Posso stare qui da te?" "Finché vuoi. Lo sai." "Allora la smetterai di farmi domande? Finiscila con questo interrogatorio. E come se tu fossi sempre al lavoro." "Sono sempre al lavoro." "Hai trovato la tipa di Gardabser?" "No. Non è un caso urgente. Ho parlato con suo marito, ieri. Non ne sa nulla. La ragazza ha lasciato un messaggio dove dice che lui è un mostro, e poi si chiede: 'Cosa ho fatto?'" "Allora qualcuno l'ha fatta sclerare alla festa." "Sclerare? Che parola è?" "Cosa può spingere una sposa a filarsela durante la festa di nozze?" "Non lo so" rispose Erlendur con poco interesse. "Mi viene in mente solo che il ragazzo si sia messo a palpeggiare le Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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damigelle e lei se ne sia accorta. Sono felice che tu voglia tenere il bambino. Magari ti aiuta a uscire da questo circolo vizioso. Sarebbe anche l'ora. "Tacque per un attimo. "Strano come sei diventata di buon umore... Se penso allo stato in cui eri ieri sera" disse poi. Aveva cercato di esprimersi il più cautamente possibile, ma era consapevole che se le cose fossero andate come andavano nel mondo, Eva Lind non avrebbe dovuto essere splendente come un giorno d'estate, appena uscita dal bagno, né avrebbe dovuto essere lì a versarsi il caffè, come se non avesse fatto altro nella vita che occuparsi di suo padre. La ragazza lo guardò, lui si accorse che stava considerando cosa rispondergli e aspettò che gli dicesse qualcosa: pensava che sarebbe saltata in piedi e gli avrebbe impartito una lezione delle sue. Ma non lo fece. "Mi sono portata delle pillole" disse lei con estrema calma. "Non è una cosa che si fa automaticamente. E nemmeno tanto in fretta. Ci vuole un sacco di tempo, e si fa come dico io." "E il bambino?" "Non verrà danneggiato da quello che uso. Non voglio fargli del male. Voglio tenerlo." "Che ne sai tu di quale effetto può avere quella merda su un feto?" "Lo so." "Fai come vuoi. Prenditi qualcosa, fatti un trip o come diavolo si chiama, stai qui in casa, pensa solo a te stessa. Io posso..." "No" disse Eva Lind. "Tu non fai niente. Tu vai avanti con la tua vita e la smetti di impicciarti delle mie cose. Non devi pensare a quello che faccio io. Se non sono a casa quando rientri, non fa niente. Se torno a casa tardi o non torno del tutto, non ti devi intromettere. Vuol dire che non ci sono, e chiuso." "Quindi la cosa non deve riguardarmi." "Non ti ha mai riguardato" ribatté Eva Lind e sorseggiò il caffè. In quel momento squillò il telefono ed Erlendur si alzò per rispondere. Era Sigurdùr Oli, che chiamava da casa. "Non sono riuscito a contattarti ieri" esordì. Erlendur si ricordò di aver spento il cellulare mentre parlava con Elin a Keflavik e di non averlo più riacceso. "È successo qualcosa?" "Ho parlato con un tale di nome Hilmar. È anche lui un camionista, ogni tanto dormiva da Holberg a Nordurmyri. Per il turno di riposo, mi sembra che lo chiamino così. Mi ha detto che Holberg era una persona in gamba, lui non poteva lamentarsi di niente, e per quanto ne sapeva era il beniamino di tutti sul lavoro, disponibile e socievole, blablabla. Non riusciva a immaginare che avesse dei nemici e comunque ha precisato che non lo conosceva particolarmente bene. Dopo che sono stato ad ascoltare tutta questa manfrina, Hilmar ha detto che Holberg non era più lo stesso, le ultime volte che era stato da lui, cioè da circa dieci giorni. Si comportava in modo strano." "In che senso strano?" "Stando a quello che dice Hilmar era piuttosto intimorito a rispondere al telefono, come se avesse paura. Diceva che non poteva stare tranquillo per via di uno stronzo, come l'ha definito lui, che continuava a telefonargli. Hilmar dice di essere rimasto a dormire da lui la notte tra sabato e domenica: Holberg una volta gli ha chiesto di rispondere al suo posto. Hilmar l'ha fatto, ma quando la persona dall'altra parte si è accorta che non aveva risposto Holberg, ha riagganciaArnaldur Indridason - Sotto la Città

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to immediatamente." "Riusciamo a sapere chi ha chiamato Holberg negli ultimi tempi?" "Lo sto controllando. Ma c'è un'altra cosa. Ho appena avuto dalla compagnia telefonica l'elenco delle chiamate effettuate da Holberg, e ci sono delle cose interessanti." "Cosa?" "Ricordi il suo computer?" "Sì." "Non l'abbiamo mai acceso." "No. Tocca alla scientifica." "Hai notato se era collegato alla presa del telefono?" "No." "Molte delle chiamate di Holberg, quasi tutte a dire il vero, erano effettuate verso un provider internet. Stava in rete delle giornate intere." "Cosa vuol dire?" chiese Erlendur che era particolarmente disinformato sull'argomento. "Lo vedremo forse quando accenderemo il suo computer" rispose Sigurdur Oli. Arrivarono insieme a casa di Holberg a Nordurmyri. Il nastro giallo della polizia era sparito e non si vedeva più alcuna traccia evidente del delitto. Non c'erano luci accese ai piani superiori. A quanto pareva i vicini non erano in casa. Erlendur aveva la chiave dell'appartamento. Andarono direttamente al computer e lo accesero. La macchina cominciò a ronzare. "È un computer piuttosto potente" commentò Sigurdur Oli e per un attimo si chiese se fosse il caso di spiegare a Erlendur le sue caratteristiche, ma poi lasciò perdere. Dopo vari tentativi con il provider internet, Sigurdur Oli si era fatto dare la password di Holberg. "Okay" disse," credo sia meglio controllare se ha Netscape, che è la via di accesso a internet una volta che ci si è connessi telefonicamente con il provider da casa, poi bisogna andare su Start e da lì su Programmi, e qui abbiamo Netscape. Vediamo se aveva qualcosa nei preferiti: c'è un casino di roba, cazzo, guarda. I preferiti sono una scorciatoia per accedere ai siti che uno consulta con più frequenza. Vedi che la lista è lunga. Mi sembra che siano tutti siti porno, tedeschi, olandesi, svedesi, americani. Può essere che ne abbia scaricati alcuni sul disco fisso. Allora riduciamo a icona, torniamo su Start e in Programmi e da qui su Windows Explorer, poi lo apriamo. Ecco il materiale. Peeerò!" "Cosa?" domandò Erlendur. "Il disco fisso è pieno zeppo." "Che significa?" "Ci vuole un sacco di roba per riempire il disco fisso. Dentro ci devono essere anche dei filmati. Ecco una cosa che ha chiamato 'avideo3'. Vediamo di cosa si tratta?" "Certo." Sigurdur Oli aprì il file e comparve una piccola finestra con un filmato. Lo guardarono per un po. Era una breve clip di un filmino porno. "Era una capra, quella che le tenevano sopra?" chiese Erlendur incredulo. "I file chiamati 'avideo sono trecentododici" disse Sigurdur Oli. "Potrebbero essere clip come quella, oppure filmati interi." "Avideo?" disse Erlendur. "Non so cosa voglia dire" rispose Sigurdur Oli. "Forse video di animali. Eccone altri, 'gvideo. Guardiamo magari il 'gvideo88'? Clicchiamo due volte sul file, ingrandiamo l'immagine..." "Clicc..." cominciò Erlendur, ma si interruppe a metà quando quattro uomini impegnati in un rapporto sessuale comparvero a tutto schermo sul monitor da diciassette pollici. "Direi che i 'gvideo sono video gay" commentò Sigurdur Oli quando la scena si concluse. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"Quell'uomo era ossessionato da questa roba" aggiunse Erlendur. "Quanti video ci sono in tutto?" "I file sono più di mille, ma potrebbero essercene molti altri." Il cellulare di Erlendur squillò nella tasca dell'impermeabile. Era Elinborg. Aveva controllato se era possibile rintracciare i due uomini che erano insieme a Holberg nel locale di Keflavik la notte in cui Kolbrùn affermò di essere stata aggredita. Elinborg riferì a Erlendur che uno dei due, Gretar, era sparito molti anni prima. "Sparito?" domandò Erlendur. "Sì. Risulta nell'elenco delle persone scomparse." "E l'altro?" "L'altro è al fresco a Hraun" rispose Elinborg. "È sempre stato un elemento problematico. Gli resta un anno da scontare su una pena di quattro." "Per cosa?" "Ogni accusa possibile."

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13 † Raccomandarono a quelli della scientifica di lavorare sul computer. Avrebbero impiegato un bel po di tempo per controllare tutte le cartelle. Erlendur chiese loro di aprire ogni singolo file, classificarlo e fare un resoconto dettagliato del contenuto. Poi Erlendur e Sigurdur Oli partirono per LitlaHraun. Ci misero poco più di un'ora a raggiungere la prigione. La visibilità era scarsa e la strada era ghiacciata: la loro macchina aveva ancora i pneumatici estivi, per cui dovettero guidare con prudenza. La temperatura si alzò una volta superato il passo di Threngsli. Attraversarono il fiume Olfusà e in breve scorsero i due edifici della prigione che si ergevano sul greto compatto nella bruma grigia. L'edificio più vecchio era un blocco di cemento a tre piani, bianco, con gli abbaini. Per anni il tetto era stato rivestito di lamiera ondulata rossa, che da lontano gli conferiva l'aspetto di un'enorme e tipica fattoria islandese. Adesso il tetto era grigio, in tono con il nuovo edificio costruito a fianco del primo. Era rivestito in alluminio grigio blu, e c'era anche una torretta fortificata, abbastanza recente, non molto diversa da quella di un istituto di credito di Reykjavik. "Come cambiano i tempi" pensò Erlendur. Elinborg aveva avvertito le autorità carcerarie che i due agenti erano in arrivo, e aveva specificato con chi volevano parlare. Il direttore gli diede il benvenuto, e li accompagnò nel suo ufficio dove si sedettero insieme. Disse di voler fornire loro alcune informazioni sul detenuto prima che gli parlassero. Erano arrivati nel momento peggiore. L'uomo stava scontando un periodo di isolamento dopo aver aggredito insieme ad altri due un pedofilo appena arrivato in prigione, riducendolo quasi in fin di vita. Era riluttante a scendere nei particolari, ma voleva informare la polizia, tanto per essere chiari, che quella loro visita avrebbe interrotto l'isolamento: nel migliore dei casi avrebbero trovato il detenuto in condizioni instabili. Dopo questo breve colloquio furono accompagnati nella sala adibita alle visite, dove si sedettero in attesa del detenuto. L'uomo si chiamava Ellidi ed era un pluricondannato di cinquantasei anni. Erlendur lo conosceva, una volta l'aveva accompagnato personalmente lì a Hraun. Aveva trovato vari impieghi durante la sua vita miserabile, era stato in mare, sui pescherecci e sui mercantili, e aveva trafficato alcol e droga fino a guadagnarsi una condanna. Aveva poi tentato di frodare l'assicurazione cercando di affondare un'imbarcazione da venti tonnellate al largo della Reykjanestà dandole fuoco. Furono tre i" sopravvissuti" . Il quarto membro del gruppo era rimasto indietro per sbaglio, chiuso nella sala macchine, ed era andato a fondo insieme all'imbarcazione; il reato fu scoperto durante le immersioni per recuperare il relitto, quando venne alla luce che l'incendio era partito contemporaneamente da tre punti diversi. Ellidi fu Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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condannato a quattro anni per frode, omicidio colposo e altri crimini minori che gli vennero contestati nel frattempo e che si erano accumulati nell'ufficio del sostituto procuratore. Ellidi era famoso per le sue violente aggressioni fisiche, che nel peggiore dei casi potevano lasciare lesioni e invalidità permanenti. Erlendur ricordava un episodio in particolare, che aveva descritto a Sigurdur Oli mentre attraversavano la brughiera. Ellidi aveva dei conti da regolare con un ragazzo che abitava sulla Snorrabraut, e prima che la polizia fosse riuscita a intervenire, si era talmente accanito sul corpo di quell'uomo che il poveretto era rimasto quattro giorni fra la vita e la morte. L'aveva legato a una sedia e si era divertito a tagliuzzargli la faccia con una scheggia di vetro. Prima che fosse immobilizzato, Ellidi aveva stordito un agente e rotto un braccio a un altro. Si era beccato due anni per quel lavoretto e per qualche altro piccolo reato, come nelle altre occasioni. Aveva riso alla lettura del verdetto. La porta si aprì ed Ellidi fu condotto nella stanza, accompagnato da due agenti di custodia. Aveva ancora un fisico massiccio nonostante l'età, la testa rasata a zero, la pelle olivastra. Le orecchie e i lobi erano piccoli, ma nonostante questo era riuscito a forarne uno per infilarci una piccola svastica. Aveva una dentatura posticcia, che fischiava quando parlava. Indossava un paio di jeans lisi e una maglietta nera a maniche corte che lasciava scoperti i bicipiti poderosi e i tatuaggi su ambedue le braccia. Era alto quasi due metri. Notarono che aveva le manette. Un occhio era iniettato di sangue, aveva un'escoriazione sul viso e il labbro superiore gonfio. "Che sadico idiota" disse Eriendur fra sé a voce bassa. Le guardie si sistemarono davanti alla porta; Ellidi si avvicinò al tavolo e si sedette di fronte a Eriendur e Sigurdur Oli. Li misurò vagamente con i piccoli occhi grigi, completamente disinteressato. "Conosci un uomo di nome Holberg?" chiese Eriendur. Ellidi non mostrò alcuna reazione. Finse di non aver sentito la domanda. Guardava a turno Eriendur e Sigurdur Oli con lo stesso sguardo spento. Gli agenti di custodia parlavano fra loro a voce bassa sulla porta. Si udì un grido provenire da qualche parte dell'edificio. Una porta sbatté violentemente. Eriendur ripetè la domanda, ma le sue parole risuonarono nella sala vuota. "Holberg! Ti ricordi di lui?" Il detenuto non rispose, ma si mise a guardarsi intorno come se i due agenti nemmeno ci fossero. Seguirono alcuni istanti di silenzio. Eriendur e Sigurdur Oli si scambiarono un'occhiata; poi Eriendur ripetè di nuovo la domanda. Se aveva conosciuto Holberg e, se sì, in che rapporti erano stati. Sapeva che Holberg era morto? Che era stato ucciso? L'interesse di Ellidi si risvegliò quando sentì quell'ultima parola. Appoggiò le braccia massicce sul tavolo e le manette tintinnarono. Non riuscì a nascondere la sorpresa. Osservò Eriendur con aria interrogativa. "Holberg è stato ucciso in casa sua lo scorso fine settimana continuò Eriendur. "Stiamo parlando con chi lo conosceva o lo aveva conosciuto in precedenza, ed è emerso che tu sei fra questi." Ellidi stava fissando Sigurdur Oli, Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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che lo osservava a sua volta. Non rispose a Eriendur. "È una procedura di routine..." "Non parlo con voi in manette" disse Ellidi all'improvviso senza staccare lo sguardo da Sigurdur Oli. La voce era roca, rozza e arrogante. Eriendur rimase in dubbio per un attimo, poi si alzò e si avvicinò alle due guardie. Spiegò loro cosa voleva Ellidi e chiese se potevano togliergli le manette. I due esitarono, ma poi gli si avvicinarono, aprirono le manette e ritornarono davanti alla porta. "Cosa ci sai dire di Holberg?" chiese Eriendur. "Prima quelli se ne devono andare" disse Ellidi accennando con la testa ai due secondini. "È escluso" ribatté Eriendur. "Sei un frocio del cazzo?" chiese Ellidi a Sigurdur Oli. "Niente stronzate" disse Eriendur. Sigurdur Oli non rispose. I due continuarono a guardarsi negli occhi. "Escluso un cazzo" proseguì Ellidi. "Non mi venire a dire che è escluso." "Loro non escono" disse Eriendur. "Sei frocio?" chiese Ellidi di nuovo continuando a fissare Sigurdur Oli, che non mostrò alcuna reazione. Tacquero a lungo. Alla fine Eriendur si alzò, si avvicinò agli agenti di custodia e chiese se ci fosse la possibilità di rimanere da soli con il detenuto. Le guardie dissero che era impossibile, avevano ricevuto degli ordini precisi. Dopo aver discusso per un po, Eriendur ottenne di parlare al direttore del carcere con la ricetrasmittente. Gli disse che non faceva molta differenza da quale parte della porta stessero le guardie, erano venuti fin lì da Reykjavik, il detenuto sembrava disposto a collaborare ma solo a determinate condizioni. Il direttore del carcere parlò con i suoi uomini e disse che si sarebbe assunto personalmente la responsabilità per i due agenti di polizia. Le guardie uscirono ed Erlendur tornò a sedersi al tavolo. "Adesso puoi parlare con noi?" gli chiese. "Non sapevo che Holberg era stato ucciso" disse Ellicti. "Quei bastardi mi hanno messo in isolamento per una storia di merda con cui non c'entravo niente. Com'è stato ucciso?" Ellicti si concentrò di nuovo su Sigurdur Oli. "Non ti riguarda" rispose Erlendur. "Mio padre diceva sempre che ero la bestia più curiosa della terra. Me lo diceva sempre. Non ti riguarda. Non ti riguarda! È morto. Quel coglione. È stato pugnalato? Holberg, è stato pugnalato?" "Non ti riguarda." "Non mi riguarda!" ripetè Ellicti. "Allora vaffanculo." Erlendur ci pensò su. Nessuno tranne la polizia investigativa conosceva i dettagli del caso. Cominciava a seccarsi sul serio di doverle dare tutte vinte a quell'uomo. "È stato colpito alla testa. Gli hanno fracassato il cranio. È praticamente morto sul colpo." "Con un martello?" "Un portacenere." Ellicti spostò lentamente lo sguardo da Sigurdur Oli a Erlendur. "Chi è così coglione da usare un portacenere?" domandò. Erlendur notò Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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che sulla fronte di Sigurdur Oli si stavano formando piccole gocce di sudore. "Stiamo cercando di scoprirlo" rispose Erlendur. "Sei stato in contatto con Holberg di recente?" "Ha sofferto?" "No." "Merdaiolo." "Ti ricordi di Gretar?" chiese Erlendur. "Era con te e Holberg a Keflavik." "Gretar?" "Ti ricordi di lui?" "Perché mi chiedi di lui?" si stupì Ellicti. "Che c'entra lui?" "Mi sembra di aver capito che Gretar sia scomparso molti anni fa" disse Erlendur. "Ne sai qualcosa?" "Che cazzo dovrei saperne?" disse Ellidi. "Perché credi che io sappia qualcosa?" "Cosa stavate facendo voi tre, tu, Gretar e Holberg, a Keflavik quando..." "Gretar era uno sballato" lo interrupe Ellidi. "Cosa stavate facendo a Keflavik quando..." "Violentò quella troia?" Ellidi concluse la frase. "Come, scusa, cos'hai detto?" chiese Erlendur. "Siete venuti per quello? Per la troia di Keflavik?" "Ti ricordi di lei?" "Cosa c'entra lei in questa storia?" "Non ho mai detto che..." "Holberg si divertiva a parlarne, sbirro del cazzo. Si vantava. L'aveva fatta franca." "Che..." "Se la fece due volte, lo sapevate?" disse Ellicti senza mezzi termini, fissandoli a turno con quel suo sguardo inespressivo. "Stai parlando dello stupro di Keflavik?" "Che mutande hai addosso, tesoro?" domandò all'improvviso Ellicti a Sigurdur Oli e ricominciò a fissarlo. Erlendur guardò il suo collega che non distoglieva lo sguardo dal detenuto. "Niente insulti del cazzo" lo ammonì Erlendur. "Glielo chiese lui. Holberg. Le chiese delle mutande. Era più matto di me" gongolò Ellicti. "Ma poi sono finito io a Hraun." "A chi chiese delle mutande?" "A quella fica di Keflavik." "Te l'ha raccontato lui?" "Con tutti i dettagli" rispose Ellicti. "Ne parlava di continuo. Perché mi chiedete di Keflavik? Cosa c'entra Keflavik con questa storia? E perché mi chiedete di Gretar adesso? Che cazzo succede?" "È solo il nostro noioso lavoro" disse Erlendur. "Ecco, appunto, e io che ci guadagno?" "Hai avuto tutto quello che hai chiesto. Siamo qui seduti da soli e le manette sono sparite. Siamo costretti ad ascoltare quello schifo che ti esce dalla bocca. Non possiamo fare nient'altro per te. O rispondi alle domande adesso, o ce ne andiamo." Non riuscì a resistere alla tentazione, si sporse attraverso il tavolo, prese la faccia di Ellidi con le sue mani forti e la girò verso di sé. "Tuo padre non ti ha mai detto che è da maleducati fissare la gente?" disse. Sigurdur Oli guardò Erlendur. "Me la vedo io. Non c'è bisogno che mi aiuti" disse. Erlendur allentò la presa. "Conoscevi bene Holberg?" chiese. Ellidi si massaggiò la mascella. Sapeva di aver segnato una prima, piccola vittoria a suo favore. E non aveva ancora finito. "Non credere che non mi ricordi chi sei" disse a Erlendur. "Non credere che non sappia chi sei. Non credere che non conosca Eva." Erlendur fissò il detenuto come se l'avesse colpito un fulmine. Non era la prima volta che senArnaldur Indridason - Sotto la Città

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tiva una cosa del genere da un criminale, ma lo stesso si trovava sempre impreparato. Non sapeva esattamente che tipo di persone frequentasse Eva Lind, ma tra di loro c'erano malviventi, spacciatori di droga, rapinatori, prostitute, scippatori, teppisti. La lista era lunga. Lei stessa aveva avuto problemi con la giustizia. Una volta era stata arrestata, in seguito alla segnalazione di un genitore, mentre vendeva droga in una scuola. Poteva darsi benissimo che conoscesse uno come Ellidi. Uno come Ellidi poteva benissimo conoscerla. "Conoscevi bene Holberg?" ripetè Erlendur. "Eva è in gamba" commentò il detenuto. Erlendur avrebbe potuto interpretare quelle parole in un'infinità di modi. "Se la nomini un'altra volta, ce ne andiamo" disse. "Così non avrai più nessuno con cui divertirti." "Sigarette, televisione in cella, niente corvée e niente isolamento del cazzo. Chiedo troppo? Due super sbirri come voi non riescono a farmi avere quello che voglio? Sarebbe bello se potessi anche farmi una troia, tipo una volta al mese. La sua, per esempio" disse guardando Sigurdur Oli. Erlendur si alzò in piedi, imitato dal collega. Ellidi cominciò a ridere, una risata rauca che gli ribolliva dentro e si esaurì in gorgoglii rumorosi. Infine tossì scatarrando e sputò del muco giallognolo sul pavimento. I due agenti gli voltarono le spalle e si avviarono verso la porta. "Mi parlava spesso dello stupro di Keflavik" urlò Ellidi dietro di loro. "Mi raccontò tutto. Quella puttana strillava come un maiale: lui le sussurrava delle cose all'orecchio, mentre aspettava che gli venisse duro un'altra volta. Lo volete sapere? Volete sapere cosa le diceva? Brutti stronzi! Lo volete sapere?" Erlendur e Sigurdur Oli si fermarono. Si girarono e videro Ellidi che dimenava la testa schiumando dalla bocca e gli sbraitava contro insulti e bestemmie. Si era alzato, aveva appoggiato le mani sul tavolo e si era piegato in avanti, la grossa testa protesa verso di loro come un toro infuriato. La porta della sala si aprì e le due guardie entrarono. "Le diceva di quell'altra" urlò Ellidi. "Le diceva cosa aveva fatto a quell'altra troia che aveva violentato!"

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14 † Quando vide le due guardie, Ellidi perse la testa. Scavalcò il tavolo e si avventò urlando contro i quattro uomini. Finì sopra Erlendur e Sigurdur Oli, che caddero a terra senza nemmeno rendersene conto. Ellidi picchiò la testa contro la faccia di Sigurdur Oli, e tutti e due cominciarono a perdere sangue dal naso; poi alzò il pugno per colpire il viso scoperto di Erlendur, ma una delle guardie estrasse prontamente un piccolo aggeggio nero e gli diede una scarica elettrica a un fianco. La scarica placò Ellidi, ma non lo fermò del tutto. Alzò di nuovo il braccio. Solo dopo che anche l'altra guardia lo colpì con una seconda scarica, l'uomo si accasciò sul pavimento e cadde sopra Erlendur. I due agenti scivolarono fuori da sotto il corpo di Ellidi. Sigurdur Oli si portò un fazzoletto al naso e cercò di arrestare l'emorragia. Il detenuto si prese una terza scarica elettrica e non si mosse più. Le guardie lo ammanettarono e lo sollevarono con grande difficoltà. Volevano portarlo via, ma Erlendur chiese loro di aspettare un attimo. Si avvicinò a Ellidi. "Quale altra?" chiese. Ellicti non reagì. "Chi ha violentato?" ripete Erlendur. Ellidi tentò di sorridere, stordito dalle scariche elettriche, ma riuscì solo a fare una smorfia contorta. Il sangue dal naso gli era sceso in bocca così che i denti erano tutti insanguinati. Erlendur cercò di non lasciar trapelare la propria aspettativa dalla voce. Come se non gli importasse niente di quello che sapeva Ellidi. Cercò di non rendersi vulnerabile. Cercò di non mostrare alcun sentimento. Sapeva che la minima debolezza avrebbe fatto battere più forte il cuore di un tipo come Ellidi, lo avrebbe fatto sentire un uomo vero, avrebbe dato uno scopo a quella sua vita patetica. Bastava il minimo errore. Un tono sollecito nella voce, un cenno degli occhi, un movimento delle mani, un segno di impazienza. Ellidi era già riuscito a metterlo in crisi quando aveva nominato Eva Lind. Erlendur non voleva dargli la soddisfazione di strisciare davanti a lui. Si guardarono negli occhi. "Portatelo via" disse Erlendur alla fine e voltò la schiena a Ellidi. Le guardie fecero per portare via il detenuto, ma quello si irrigidì e non si mosse. Fissò Erlendur a lungo, come se stesse rimuginando qualcosa, ma alla fine cedette e la porta si chiuse dietro di loro. Sigurdur Oli stava ancora cercando di fermare l'emorragia. Aveva il naso gonfio e il fazzoletto era intriso di sangue. "È una brutta epistassi" commentò Erlendur esaminando il naso di Sigurdur Oli. "Non è niente di serio. Non sei ferito e il naso non è rotto. "Glielo strinse forte con due dita e Sigurdur Oli urlò dal dolore. "Forse però è rotto, in fondo non sono un medico" concluse Erlendur. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"Che stronzo bastardo" mugugnò Sigurdur Oli. "Che stronzo bastardo di merda." "Ci sta prendendo in giro o sa di altre donne?" disse Erlendur mentre apriva la porta e usciva dalla stanza con il collega. "Se c'è una seconda donna, allora è possibile che Holberg ne abbia stuprate altre che non hanno mai voluto denunciare il fatto alla polizia." "Non c'è modo di ragionare in maniera sensata con quell'uomo" disse Sigurdur Oli. "L'ha fatto per divertimento, per crearci dei casini. Ci stava prendendo in giro. Non c'è da fidarsi di quello che gli esce dalla bocca. Maledetto stronzo. Che stronzo bastardo." Entrarono nell'ufficio del direttore del carcere e gli fecero un breve resoconto di quanto era accaduto. Gli dissero che secondo loro Ellidi doveva essere rinchiuso in una cella con le pareti imbottite nel braccio psichiatrico. Il direttore convenne mestamente, ma disse che l'unica soluzione che avevano le autorità era di tenerlo lì a Hraun. Non era la prima volta che Ellidi veniva mandato in isolamento per atti violenti all'interno del carcere, e sicuramente non sarebbe stata l'ultima. Alla fine del colloquio gli agenti si congedarono e uscirono all'aria aperta. Mentre stavano per mettere in moto la macchina e per andare via di lì, mentre aspettavano che l'enorme cancello blu del parcheggio si aprisse, Sigurdur Oli notò una guardia che correva nella loro direzione facendo cenno di fermarsi. Attesero che arrivasse vicino all'auto. "Vuole parlare con lei" disse la guardia ansante dopo la corsa, quando Erlendur abbassò il finestrino. "Chi?" "Ellidi. Ellidi vuole parlare con lei." "Abbiamo già parlato con Ellidi" disse Erlendur. "Può riferirgli che per noi basta così." "Dice che vuole darle le informazioni che ha chiesto." "Sta mentendo." "Lui ha detto così." Erlendur guardò Sigurdur Oli, che alzò le spalle. Ci pensò su un momento. "Va bene, veniamo" disse infine. "Vuole solo lei, non lui" precisò la guardia e guardò Sigurdur Oli. Ellidi non fu portato fuori una seconda volta, quindi Erlendur dovette parlargli attraverso una fenditura nella porta della cella di isolamento. Si apriva facendo scorrere un piccolo sportello. Era buio nella cella, per cui Erlendur non riusciva a vedere il detenuto, sentiva solo la sua voce, roca e gorgogliante. La guardia aveva accompagnato Erlendur alla porta e l'aveva lasciato lì da solo. "Dov'è il frocio?" chiese Ellidi per prima cosa. Non era in piedi vicino allo sportello, ma stava all'interno della cella. Forse era sdraiato sulla branda. Forse era seduto con la schiena appoggiata al muro. A Erlendur sembrava che la voce provenisse dal buio profondo. Ellidi era ridiventato tranquillo. "Non mi sembra un invito a bere un caffè" rispose Erlendur. "Volevi parlare con me?" "Chi pensate abbia ucciso Holberg?" "Non lo sappiamo. Cosa vuoi da me? Che mi dici di Holberg?" "Si chiamava Kolbrun, la tipa che si fece a Keflavik. Ne parlava spesso. Diceva che ci era mancato poco che lo beccassero, quando quella stupida troia lo denunciò. Descriveva i minimi dettagli. Vuoi sapere cosa diceva?" "No" rispose Erlendur. "In che rapporti eri Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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con lui?" "Ci trovavamo a volte, non molto spesso. Gli vendevo la grappa e gli compravo i porno quando ero in mare. Ci siamo conosciuti quando lavoravamo insieme in una squadra della Capitaneria di porto. Prima che si mettesse a guidare i tir. Ci mandavano nei paesini. Ogni scopata lasciata è persa. È stata la prima cosa che mi ha insegnato. Sapeva parlare. Un gran paraculo. Era in gamba a convincere le donne. Un tipo di compagnia." "Facevate un giro in paese?" "Per quello eravamo a Keflavik. Stavamo verniciando il faro di Reykjanes. Un posto di merda, pieno di fantasmi. Ci sei mai stato? Gemono e ululano tutta la notte. Peggio che in questo cazzo di buco. Holberg non aveva paura dei fantasmi. Non aveva paura di niente." "E ti raccontò subito di aver violentato Kolbrun, anche se ti aveva appena conosciuto?" "Mi ammiccò con gli occhi quando la seguì dopo la festa. Sapevo cosa voleva dire. Sapeva essere un gran cavaliere. Trovava divertente averla fatta franca. Rise un casino dello sbirro che prese la denuncia della ragazza e la mandò a puttane." "Si conoscevano, Holberg e quest'agente?" "Non lo so." "Ti ha mai raccontato della figlia che Kolbrun ebbe dopo lo stupro?" "La figlia? No. L'aveva messa incinta?" "Sai di un'altra violenza carnale" continuò Erlendur senza rispondergli. "Una seconda donna stuprata da Holberg. Chi era?" "Non lo so." "Allora perché mi hai fatto chiamare?" "Non so chi era, ma so quando successe e dove abitava lei. A grandi linee. Ne so abbastanza per trovarla." "Dove? E quando?" "Sì, appunto, e io che ci guadagno?" "Tu?" "Cosa puoi fare per me?" "Non posso fare niente per te, e nemmeno lo voglio." "Certo che puoi. E dopo ti dirò quello che so." Erlendur rifletté. "Non posso promettere niente" gli disse. "Non sopporto più questo isolamento." "E per questo motivo che mi hai fatto chiamare?" "Non sai quello che ti fa. Sto diventando matto dentro questa cella. Non accendono mai la luce. Non so che giorno è. Ti tengono qui come un animale in gabbia. Ti trattano come una bestia." "Ma senti, e tu saresti il conte di Montecristo!" esclamò Erlendur sarcastico. "Sei un sadico, Ellidi. Un sadico idiota della peggior specie. Uno stupido cretino che si diverte a usare la violenza. Un omofobico e un razzista. Sei il peggiore pezzo di ritardato che conosca. Non me ne frega un cazzo se ti tengono qui fino alla fine dei tuoi giorni. Adesso vado di sopra e ne parlo con loro." "Ti dirò dove viveva se mi fai uscire di qui." "Non posso farti uscire di qui, deficiente. Non ho l'autorità e soprattutto non ho intenzione di farlo. Se vuoi abbreviare l'isolamento, non dovresti aggredire la gente." "Ma puoi trattare. Puoi dire che mi avete provocato voi. Puoi dire che ha cominciato il frocio. Che ero disponibile a collaborare, ma lui faceva dei commenti. E che vi ho aiutato con le indagini. Quelli ti ascoltano. Io lo so chi sei. Quelli ti ascoltano." "Holberg ha mai parlato di altre donne, oltre a queste due?" "Mi fai questo favore?" Erlendur ci pensò su. "Vedrò cosa posso fare. Ha mai parlato di altre donne?" "No. Mai. Io so solo Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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di queste due." "Stai mentendo?" "Non sto mentendo. L'altra non l'ha mai denunciato. Successe agli inizi degli anni Sessanta. Non tornò mai più in paese." "Che paese?" "Promettilo!" "Non posso promettere niente" disse Erlendur. "Parlerò con loro. Che paese?" "Husavik." "Quanti anni aveva?" "Più o meno come quella di Keflavik, solo che lui ci andò più pesante." "Più pesante?" "Vuoi sentire come andò?" chiese Ellidi senza mascherare lo zelo. "Vuoi sentire cosa le fece?" Ellidi non attese risposta. Erlendur percepiva la sua voce oltre l'apertura e fu costretto a rimanere vicino alla porta ad ascoltare quella barbarie. Sigurdur Oli lo aspettava in macchina; lasciarono insieme la prigione. Erlendur lo informò brevemente della sua conversazione con Ellidi, ma tacque sul monologo finale del detenuto. Stabilirono di controllare l'elenco dei residenti di Husavik negli anni intorno al 1960. Se la donna aveva più o meno la stessa età di Kolbrùn, come Ellidi aveva fatto intendere, c'era qualche possibilità di trovarla. "E per quanto riguarda Ellidi?" chiese Sigurdur Oli quando furono di nuovo sul passo di Threngsli di ritorno verso Reykjavik. "Ho chiesto se volevano scontargli il periodo di isolamento, ma loro hanno rifiutato. Altro non potevo fare." "Hai fatto del tuo meglio" disse Sigurdur Oli sorridendo. "Se Holberg effettivamente violentò quelle due donne, non potrebbero essercene altre?" "Potrebbero essercene altre" ripete Erlendur soprappensiero. "A cosa stai pensando adesso?" "Ci sono due cose che mi rodono" disse Erlendur. "C'è sempre qualcosa che ti rode" commentò Sigurdur OH. "Vorrei sapere esattamente di cosa morì la bambina" continuò Erlendur e sentì Sigurdur Oli fare un sospiro profondo. "E poi vorrei sapere se era davvero figlia di Holberg." "Cos'è che ti frulla per la testa?" "Ellidi mi ha detto che Holberg aveva una sorella." "Una sorella?" "Che morì giovane. Dobbiamo cercare la sua documentazione medica. Cercala negli ospedali. Vedi un po cosa trovi." "Di cosa morì la sorella di Holberg?" "Forse di qualcosa di simile a quello di cui morì Audur. Holberg gli accennò a una malattia che le colpì la testa. O così l'ha descritta Ellidi. Ho chiesto se poteva trattarsi di un tumore al cervello, ma lui non lo sapeva." "E cosa dovrebbe dirci questo?" chiese Sigurdur Oli. "Credo sia un caso di parentela" rispose Erlendur. "Parentela? Aspetta un momento, per via del messaggio che abbiamo trovato?" "Sì" disse Erlendur," per il messaggio. Forse è tutta una questione di parentela ed ereditarietà."

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15 † Il medico viveva in una piccola casa a schiera nel quartiere di Grafarvogur. Aveva smesso di esercitare. Fu lui a ricevere Erlendur sulla porta. Dall'ingresso lo fece entrare nella spaziosa stanza che usava come ufficio. Disse a Erlendur che di tanto in tanto faceva delle consulenze per alcuni avvocati, si occupava degli accertamenti di invalidità. L'ufficio era privo di sfarzo, ordinato, con una piccola scrivania e una macchina per scrivere. Il medico era basso, magro e agile nei movimenti, indossava una camicia e teneva due penne nel taschino. I tratti decisi, si chiamava Frank. Erlendur gli aveva telefonato poco prima. Era il pomeriggio dello stesso giorno, stava già cominciando a imbrunire. Sigurdur Oli e Elinborg erano impegnati a studiare una fotocopia dell'elenco dei residenti di Husavik risalente a quarant'anni prima. Gliel'avevano inviata per fax dall'ufficio anagrafe nord islandese. Il medico lo invitò ad accomodarsi. "Non sono tutti impostori, quelli che si rivolgono a lei?" chiese Erlendur e si guardò intorno nell'ufficio. "Impostori? Non direi" rispose il medico con riluttanza. "Alcuni senza dubbio. I danni cervicali sono i peggiori. Non c'è altro da fare che prendere sul serio chi lamenta danni cervicali dopo un incidente d'auto. Sono i casi più difficili da trattare. Alcuni effettivamente soffrono più di altri. Ma non credo che siano molti quelli che si divertono con cose del genere." "Quando le ho telefonato si è ricordato subito della bambina di Keflavik." "È difficile dimenticare un caso come quello. Difficile dimenticare la madre, Si chiamava Kolbrun, vero? Mi sembra di ricordare che si suicidò." "È stata una grande tragedia" disse Erlendur. Si chiese se doveva dire al medico del dolore che sentiva al petto ogni volta che si svegliava al mattino, ma decise di lasciar perdere. Il medico avrebbe senza dubbio scoperto che era in fin di vita, l'avrebbe fatto ricoverare a forza in un ospedale e lui avrebbe suonato l'arpa con gli angeli entro il fine settimana successivo. Erlendur cercava di evitare il più possibile le cattive notizie, se poteva, e sicuramente non si aspettava di sentire niente di buono sulla sua salute. "Mi diceva che quel caso sarebbe collegato con l'omicidio di Nordurmyri" disse il medico riportando Erlendur in quell'ufficio. "Holberg, l'uomo che è stato ucciso, era molto probabilmente il padre della bambina di Keflavik" spiegò Erlendur. "La madre ne era convinta. Holberg non ha mai confermato né smentito. Riconobbe di aver avuto rapporti sessuali con Kolbrun. Ma non fu possibile accertare se l'avesse effettivamente stuprata. Spesso non ci sono molte prove su cui basarsi in casi del genere. Stiamo indagando sul passato di quell'uomo. La bambina si ammalò e morì, a quattro anni. Che accadde?" "Non vedo come questo possa essere collegato con l'omicidio." "Lei non si preoccupi." Il medico guardò Erlendur a Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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lungo. "Probabilmente è meglio che glielo dica subito, Erlendur" disse infine, quasi facendosi animo. "Ero una persona diversa, in quegli anni." "Una persona diversa?" "E peggiore. Diversa e peggiore. Ho smesso di bere alcol da trent'anni. Le rivelo subito, così non avrà bisogno di darsi altra pena, che venni sospeso dall'esercizio della professione dal 1969 al 1972." "A causa della bambina?" "No, no, non per lei, anche se certo sarebbe stato un motivo più che sufficiente di per sé. Fu per abuso di alcol e negligenza sul lavoro. Non voglio entrare nei dettagli, a meno che non sia assolutamente necessario." Erlendur voleva lasciar perdere la questione, ma non riuscì a trattenersi. "Allora vuol dire che lei era sempre ubriaco in quegli anni?" "Più o meno." "Fu riabilitato, in seguito?" "Sì." "E non ha avuto più problemi da allora?" "No, nessun altro problema da allora" rispose il medico e scosse la testa. "Ma come le ho già detto, non ero in buone condizioni quando mi occupai della bambina di Kolbrun. Diceva che le faceva male la testa e io pensai che si trattasse di emicranie infantili. Aveva il vomito al mattino. Quando i dolori si acuirono, le somministrai medicinali più forti. È tutto molto confuso, per me. Ho deciso di dimenticare quanto più possibile quel periodo. Tutti commettono degli errori, medici compresi." "Quale fu la causa del decesso?" "Probabilmente non avrebbe fatto differenza se avessi reagito con maggiore prontezza e l'avessi mandata in ospedale" continuò il medico come rivolto a se stesso. "O per lo meno cerco di convincermi di questo. Non c'erano molti pediatri in quegli anni e non avevamo i bei macchinari che esistono adesso. Dovevamo affidarci molto di più alle sensazioni e all'esperienza e, ripeto, io non avevo molte altre sensazioni al di fuori dell'alcol, in quegli anni. Un brutto divorzio non aiutò a migliorare la situazione. Ma non sto cercando di giustificarmi" concluse, anche se stava facendo proprio quello, e guardò Erlendur. Erlendur annuì. "Cominciai a sospettare dopo circa due mesi, credo, che potesse trattarsi di qualcosa di più serio che emicranie infantili. La bambina non migliorava. Non c'erano segni di ripresa. Peggiorava e basta. Deperiva, era pelle e ossa. Potevano esserci varie possibilità. Mi venne in mente qualcosa tipo un'infezione tubercolare cerebrale. Una volta si parlava di congestione delle alte vie respiratorie, quando i medici non sapevano cosa diagnosticare. L'ipotesi successiva fu meningite, ma mancavano alcuni sintomi; e poi la meningite progredisce in maniera più veloce. La bambina presentava le cosiddette macchie caffellatte sulla pelle e alla fine cominciai a pensare a una neurofibromatosi." "Macchie caffellatte!" ripetè Erlendur e si ricordò di averne già sentito parlare. "Di solito accompagnano queste malattie di tipo oncogenico." "E quindi la fece ricoverare all'ospedale di Keflavik." "Morì là" disse Frank. "Ricordo che cosa significò per la madre, una perdita enorme. Era fuori di sé. Dovemmo farle un'iniezione di tranquillanti. Rifiutò categoricamente che alla bambina venisse praticata l'autopsia. Urlava di non farlo." "Ma le fu praticata, coArnaldur Indridason - Sotto la Città

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munque." Il medico esitò. "Non si potè evitarlo. Non ci fu modo." "E cosa emerse?" "Una neurofibromatosi, come le ho detto." "Cosa vuol dire 'neurofibromatosi?" "Un tumore al cervello" rispose il medico. "Fu un tumore al cervello a ucciderla." "Che tipo di tumore al cervello?" "Non lo so di preciso" disse il medico. "Non so se lo esaminarono a fondo. È probabile che lo fecero: mi ricordo che parlarono di una specie di patologia ereditaria." "Una patologia ereditaria!" esclamò Erlendur alzando la voce! "È un termine di gran moda, no? Ricerche genetiche. Ma cosa c'entra questo con l'assassinio di Holberg?" chiese il medico. Erlendur era immerso nei suoi pensieri e non sentì la domanda del medico. "Perché è venuto a chiedermi di quella bambina?" "Ho fatto un sogno" rispose Erlendur.

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16 † Eva Lind non c'era quando Erlendur rincasò quella sera. Cercò di seguire le sue direttive e di non pensare troppo a dove fosse andata o a dove si trovasse, se sarebbe tornata e in quali condizioni. Si era fermato a un fast food: aveva comprato bocconcini di pollo per tutti e due. Li appoggiò su una sedia e mentre si toglieva l'impermeabile sentì un aroma familiare di cibo. Non sentiva quel profumo nella sua cucina da molto tempo. Di solito mangiava bocconcini di pollo come quelli che c'erano sulla sedia, hamburger, piatti pronti della gastronomia Mùlakaffi, cibi precotti trovati sugli scaffali del supermercato, teste di pecora bollite e fredde, skyr in vasetti, anonime porzioni da forno a microonde. Non ricordava l'ultima volta che si era cucinato un pasto degno del nome. Non ricordava l'ultima volta che ne aveva sentito il desiderio. Erlendur entrò cautamente in cucina come se si aspettasse di trovare degli estranei e vide che la tavola era stata apparecchiata per due, con dei bei piatti che ricordava vagamente di possedere. Due alti calici da vino erano stati messi vicino ai piatti e i tovaglioli sopra; c'erano anche un paio di candele rosse in due porta candele spaiati che Erlendur non aveva mai visto prima. Si guardò in giro con circospezione e vide che qualcosa stava bollendo dentro una grossa pentola. Sollevò il coperchio e trovò uno stufato di carne dal profumo delizioso. Un sottile strato di grasso copriva rape, patate, pezzi di carne ed erbe aromatiche, e il tutto sprigionava un aroma di cibo vero che riempiva l'appartamento. Infilò il naso nella pentola e inspirò il profumo di carne cotta e di verdure. "Mi mancavano le carote" disse Eva Lind sulla porta della cucina. Erlendur non si era accorto che fosse entrata in casa. Indossava un suo soprabito e teneva in mano un sacchetto di carote. "Dove hai imparato a preparare lo stufato?" chiese Erlendur. "La mamma lo faceva sempre" rispose Eva Lind. "Una volta che non stava parlando malissimo di te mi ha detto che il suo stufato era il tuo piatto preferito. Poi ha aggiunto che eri uno stronzo bastardo." "Ha indovinato in entrambi i casi, la vecchia" commentò Erlendur. Osservò Eva Lind che tagliava le carote e le buttava in pentola insieme alle altre verdure. Gli si insinuò il dubbio che stesse sperimentando una vera vita famigliare e ne fu triste e felice allo stesso tempo. Non si concedeva il lusso di pensare che quella gioia potesse durare a lungo. "Hai trovato l'assassino?" chiese Eva Lind. "Ellidi ti manda i suoi saluti" rispose Erlendur; se l'era lasciato sfuggire di bocca prima di rendersi conto che una bestia come lui non doveva entrare in quella cucina. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"Ellidi. È a Lida Hraun. Sa chi sono?" "I delinquenti con cui parlo qualche volta fanno il tuo nome" disse Erlendur. "Credono di darmi una lezione, comportandosi così" aggiunse. "E te la danno?" "Qualcuno sì. Come Ellidi. Com'è che lo conosci?" chiese cauto Erlendur. "Ho sentito delle storie su di lui. Una volta l'ho incontrato, tanti anni fa. Si era appena fissato i denti finti con l'attaccatutto." "È proprio un idiota." Non parlarono più di Ellidi quella sera. Quando si sedettero a tavola, Eva Lind versò l'acqua nei bicchieri da vino ed Erlendur mangiò così tanto che a malapena riuscì a trascinarsi in soggiorno, dopo cena. Si addormentò vestito sul divano e dormì fino al mattino dopo, immerso in un sonno agitato. Questa volta si ricordò il sogno quasi per intero. Sapeva che era lo stesso sogno che gli aveva fatto visita le notti precedenti e che non era riuscito ad afferrare prima che il risveglio lo facesse svanire. EVA LIND GLI APPARVE COME NON L'AVEVA MAI VISTA PRIMA CIRCONDATA DA UN ALONE DI LUCE DI CUI IGNORAVA LA PROVENIENZA IN UN BELL'ABITO ESTIVO CHE LE ARRIVAVA FINO ALLE CAVIGLIE E I CAPELLI LUNGHI FINO ALLA VITA E LA VISIONE ERA PERFETTA PROFUMAVA QUASI D'ESTATE E LA RAGAZZA VENIVA VERSO DI LUI O FORSE LEVITAVA PERCHÉ GLI SEMBRAVA CHE NON TOCCASSE MAI TERRA NON RICONOSCEVA IL POSTO, L'UNICA COSA CHE DISTINGUEVA ERA QUEL CHIARORE LUMINOSO ED EVA LIND IN MEZZO ALLA LUCE CHE GLI SI AVVICINAVA CON UN BEL SORRISO E SI VIDE TENDERE LE BRACCIA VERSO DI LEI ASPETTANDO DI POTERLA ABBRACCIARE E PERCEPIVA LA PROPRIA IMPAZIENZA MA LEI INVECE DI FARSI ABBRACCIARE GLI PORSE UNA FOTOGRAFIA E LA LUCE SPARÌ E ANCHE EVA LIND SPARÌ E LUI SI RITROVÒ CON IN MANO LA FOTO CHE CONOSCEVA COSÌ BENE, ERA STATA SCATTATA AL CIMITERO E LA FOTOGRAFIA PRESE VITA E LUI ERA DENTRO E GUARDAVA IN ALTO VERSO IL CIELO NERO E SENTIVA LA PIOGGIA SFERZARGLI IL VISO E QUANDO ABBASSÒ LO SGUARDO VIDE CHE LA LAPIDE STAVA CADENDO E LA TOMBA SI APRIVA NEL BUIO FINCHÉ NON APPARVE LA CASSA E SI SCOPERCHIÒ E LUI VIDE LA BAMBINA NELLA BARA CON UN'INCISIONE IN MEZZO AL TORACE CHE SALIVA FINO ALLE SPALLE E ALL'IMPROVVISO LA BAMBINA APRÌ GLI OCCHI E LO FISSÒ E APRÌ LA BOCCA E LUI SENTÌ UN TREMENDO GEMITO DI ANGOSCIA USCIRE DALLA TOMBA

Si svegliò ansimando, gli occhi sbarrati mentre cercava di orientarsi. Chiamò Eva Lind, ma non ricevette risposta. Entrò nella stanza della ragazza, anche se, prima ancora di aprire la porta, aveva capito che era vuota. Sapeva che se n'era andata. Una volta esaminato l'elenco dei residenti di Husavik, Elinborg e Sigurdur Oli si trovarono in mano una lista di centosettantasei donne che potevano essere state stuprate da Holberg. L'unica base da cui partire erano le parole di Ellidi, il quale aveva affermato che la donna aveva più o meno la stessa età di quella di Keflavik, per cui presero come riferimento l'età di Kolbrùn, con uno scarto di dieci anni in meno e dieci in più. A una prima analisi emerse che la lista poteva essere suddivisa approssimativamente in tre gruppi: un quarto abitava ancora a Husavik, una metà circa si era trasferita a Reykjavik e il restante quarto era sparso per tutta l'Islanda. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"Un lavoro da pazzi" commentò Elinborg facendo scorrere lo sguardo fino in fondo all'elenco prima di passarlo a Erlendur. Notò che era più scarmigliato del solito. La barba di qualche giorno, i ciuffi di capelli bruno rossicci che sparavano in ogni direzione, l'abito liso e spiegazzato che aveva bisogno di un giro in lavanderia; Elinborg stava pensando se fosse il caso di offrirsi di sistemarglieli, ma l'espressione di Erlendur non invitava agli scherzi. "Come stai dormendo in questi giorni, caro Erlendur?" chiese con cautela. "Di merda" rispose Erlendur ; "Allora?" li riprese Sigurdur Oli. "Adesso dovremmo andare a cercare tutte queste donne e chiedere se sono state violentate una generazione fa? Non è una cosa un po... brutale?" "Non vedo come potremmo fare altrimenti. Cominciamo con quelle che si sono trasferite da Husavik e vediamo se nel frattempo riusciamo a ottenere ulteriori informazioni su questa donna. Se Ellidi non stava mentendo, stronzo coglione che non è altro, Holberg ne parlò con Kolbrùn. Potrebbe darsi che lei lo riferì a qualcun altro, a sua sorella, magari a Rùnar. Devo tornare di nuovo a Keflavik. "Erlendur sembrò riflettere un momento. "Forse potremmo ridurre un po il campo" aggiunse. "Ridurlo? Come?" domandò Elinborg. "Cos'hai in mente?" "Mi è venuta in mente una cosa." "Cosa?" Elinborg era impaziente. Si era presentata al lavoro con un vestito nuovo verde pallido, che nessuno sembrava degnare di attenzione. "Parentele, ereditarietà e malattie" rispose Erlendur. "Sì" fece Sigurdur Oli. "Supponiamo che Holberg fosse lo stupratore. Non abbiamo idea di quante donne abbia violentato. Per quanto ne sappiamo noi, sono due, ma in realtà siamo davvero certi soltanto di una. Anche se lui negò la cosa, tutto sta a indicare che violentò Kolbrùn. Era il padre di Audur, ma potrebbe anche darsi che abbia avuto un altro figlio dalla donna di Husavik." "Un altro figlio?" si stupì Elinborg. "Prima di Audur" disse Erlendur. "Non è piuttosto improbabile?" chiese Sigurdur Oli. Erlendur alzò le spalle. "Vuoi che restringiamo il campo alle donne che hanno avuto un figlio poco prima, quand'è stato, del 1964?" "Credo che non sarebbe una cattiva idea." "Allora potrebbe aver avuto altri figli chissà dove" commentò Elinborg. "Non deve aver commesso per forza un solo stupro" disse Erlendur. "Hai scoperto di cosa morì sua sorella?" "No, ci sto lavorando" rispose Sigurdur Oli. "Ho cercato delle informazioni sulla famiglia di Holberg, ma non ho trovato niente." "Io ho lavorato su Gretar" disse Elinborg. "Sparì all'improvviso come se la terra l'avesse inghiottito. Nessuno denunciò la sua scomparsa. Sua madre telefonò alla polizia dopo qualche tempo che non aveva sue notizie. Venne diffusa una sua foto dai giornali e dalla televisione, ma non si ottennero risultati. Successe nel 1974, l'anno delle celebrazioni per l'anniversario della repubblica. Durante l'estate. C'eravate anche voi a Thingvellir?" "Io sì" Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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rispose Erlendur. "Ma che c'entra Thingvellir? Credi che sia sparito lì?" "È tutto quello che so" disse Elinborg. "Venne avviata l'indagine di routine per le persone scomparse, e furono interrogati tutti coloro che sua madre pensava lo conoscessero, compresi Holberg ed Ellidi. Interrogarono anche altre tre persone, ma nessuno ne sapeva niente. Nessuno sentì la mancanza di Gretar, eccetto sua madre e sua sorella. Era nato a Reykjavik, non aveva né moglie né figli, niente fidanzata, nessun altro parente. Il caso rimase aperto per qualche mese e poi finì nel dimenticatoio. Aveva trentaquattro anni." "Se era simpatico come i suoi amici Ellidi e Holberg, non mi sorprende che nessuno abbia mai sentito la sua mancanza" commentò Sigurdur Oli. "Scomparvero tredici persone negli anni Settanta, quando Gretar sparì" disse Elinborg. "Dodici negli anni Ottanta, senza contare i dispersi in mare." "Tredici sparizioni" disse Sigurdur Oli," non sono un po tante? E nemmeno un caso risolto?" "Non necessariamente c'è un crimine dietro ogni sparizione" disse Elinborg. "La gente sparisce, si fa sparire, vuole sparire e sparisce." "Se ho ben capito" la interruppe Erlendur," la faccenda sta così: Ellidi, Holberg e Gretar vanno a divertirsi a un ballo a Kross durante un fine settimana nel 1963." Vide che Sigurdur Oli aveva un'espressione interrogativa dipinta sul viso. "Kross era un vecchio ospedale dell'esercito, che fu convertito in balera. Lì organizzavano delle feste, di quelle parecchio sfrenate." "Credo che il gruppo degli Hljomar abbia cominciato lì" si intromise Elinborg. "Incontrano alcune ragazze al ballo e una di loro dà una festa a casa sua, dopo" continuò Erlendur. "Dobbiamo cercare di scoprire chi erano queste donne. Holberg ne accompagna una, Kolbrùn, fino a casa e la stupra. Pare che non sia la prima volta che fa uno scherzetto del genere. Le sussurra cosa ha fatto a un'altra donna. Può darsi che questa donna abitasse a Husavik o magari no; con ogni probabilità non lo denunciò. Tre giorni dopo Kolbrùn trova finalmente il coraggio per denunciare lo stupro, ma incontra un poliziotto che ha poca simpatia per le donne che invitano gli uomini a casa dopo un ballo e poi gridano allo stupro. Kolbrùn dà alla luce una figlia. Holberg potrebbe aver saputo della bambina, vista la foto della lapide che abbiamo trovato nella sua scrivania. Chi l'ha scattata? Per quale motivo? La bambina muore a causa di un male incurabile e sua madre si suicida di lì a qualche anno. Uno dei compagni di Holberg sparisce tre anni dopo. Holberg viene ucciso qualche giorno fa e sul luogo del delitto viene lasciato un messaggio incomprensibile." Erlendur fece una breve pausa nel suo ragionamento. "Perché Holberg viene ucciso proprio adesso, alla sua età? L'aggressore è collegato in qualche modo al suo passato? E se sì, perché non ha agito prima? Perché aspettare così a lungo? Oppure l'omicidio non ha niente a che vedere con l'affermazione, se di affermazione si può parlare, che Holberg era uno stupratore?" "Credo che non si possa ignorare il fatto che l'omicidio non sembra essere stato premeditato" si intromise Sigurdur Oli. "CoArnaldur Indridason - Sotto la Città

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me ha detto Ellidi, chi è il coglione che usa un portacenere? È come se non ci fosse un lungo antefatto storico. Il messaggio è un tranello, una specie di rompicapo. L'omicidio di Holberg non riguarda affatto uno stupro. Tutto il dipartimento sta cercando un giovane con un giaccone militare verde." "Holberg non era un angelo" disse Elinborg. "Forse si tratta di un regolamento di conti, o di qualcosa del genere. Qualcuno che pensava che se lo meritasse." "L'unica persona che conosciamo che di sicuro odiava Holberg è Elin a Keflavik" commentò Erlendur. "Ma non riesco a immaginarmela mentre uccide un uomo con un portacenere." "Non potrebbe aver trovato qualcuno che lo facesse per lei?" domandò Sigurdur Oli. "Ma chi?" chiese di rimando Erlendur. "Non lo so. Comunque, sono propenso a credere che la faccenda stia così: qualcuno si è infiltrato nel quartiere e poi è entrato in qualche casa per rubare e magari fare dei danni, Holberg l'ha visto e si è beccato il portacenere in testa. Sarà stato qualche drogato che non sapeva nemmeno dov'era. Il passato non c'entra, è solo una questione che appartiene al presente. È la Reykjavik del giorno d'oggi." "Di sicuro però qualcuno ha pensato che fosse giusto far fuori Holberg" disse Elinborg. "Dobbiamo dare un significato al messaggio. Non è un tranello." Sigurdur Oli guardò pensoso Erlendur. "Quando hai detto che volevi sapere esattamente di cosa era morta la bambina, intendevi quello che credo tu intendessi?" gli chiese. "Ho paura di sì" rispose Erlendur.

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17 † Fu Rùnar in persona ad aprire la porta; guardò Erlendur a lungo senza riuscire a farsi venire in mente chi fosse. Erlendur era in piedi nell'atrio, fradicio per la pioggia dopo essere corso fino alla casa. Alla sua destra una rampa di scale portava al piano superiore. I gradini erano rivestiti di moquette, completamente consumata nei punti in cui aveva subito più frizione. Un forte odore di umidità aleggiava nell'aria ed Erlendur si chiese se in quella casa abitassero delle persone appassionate di cavalli. Chiese a Rùnar se si ricordava di lui: l'anziano signore non sembrava averlo dimenticato, perché cercò di chiudergli la porta in faccia, ma Erlendur fu più veloce. Era entrato nell'appartamento prima che Rùnar se ne fosse reso conto. "Accogliente, qui" commentò Erlendur e si guardò intorno nella penombra dell'appartamento. "Mi lasci in pace!" cercò di gridare Rùnar rivolto a Erlendur, ma la voce gli mancò e si fece stridula. "Stia attento alla pressione. Non ci tengo a rianimarla se le prende un colpo davanti a me. Ho bisogno di sapere ancora qualche dettaglio e poi me ne vado subito, così lei può continuare a morire qui dentro. Non ci vorrà molto. Non sembra ancora il Matusalemme dell'anno." "Esca da qui!" urlò Rùnar con la rabbia che l'età gli consentiva, si girò, entrò nel piccolo soggiorno e andò a sedersi sul divano. Erlendur lo seguì e si sedette su una sedia di fronte a lui. Rùnar non lo guardava. "Kolbrùn non le parlò di un altro stupro quando si rivolse a lei per denunciare Holberg?" Rùnar non gli rispose. "Prima mi risponde e prima si libera di me." Rùnar alzò gli occhi e fissò Erlendur. "Non parlò mai di un altro stupro. Adesso se ne vada." "Abbiamo motivo di ritenere che Holberg abbia violentato un'altra donna prima di Kolbrùn. Potrebbe averlo fatto anche dopo quell'episodio, non lo sappiamo con certezza. Kolbrùn fu l'unica a denunciarlo nonostante non ne sia seguito niente, grazie a lei." "Se ne vada!" "È sicuro che non fece cenno a un'altra donna? Presumibilmente Holberg si vantò di uno stupro precedente e lo raccontò a Kolbrùn." "A me non disse niente" rispose Rùnar e abbassò lo sguardo. "Holberg era in compagnia di due suoi amici quella sera. Uno era Ellidi, condannato più volte, che lei forse conosce. Si trova a Hraun e combatte contro i fantasmi in una piccola cella buia. L'altro era Gretar. Sparì dalla faccia della terra l'estate delle celebrazioni per l'anniversario della repubblica. Sa niente di questa cricca?" "No. Mi lasci in pace!" "Che cosa stavano facendo qui in città la sera che Kolbrùn fu stuprata?" "Non lo so." "Non parlò mai con nessuno di loro?" "No." "Chi si occupò delle indagini a Reykjavik?" Rùnar guardò negli occhi Erlendur per la prima volta. "Marion Briem." "Marion Briem?" "Quell'idiota incapace." Elin non era in casa quando Erlendur Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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bussò alla sua porta. Tornò in macchina, si accese una sigaretta e pensò se non fosse il caso di proseguire il suo giro fino a Sandgerdi. La pioggia tamburellava sull'automobile ed Erlendur, che non guardava le previsioni meteo, si chiese se quell'ondata di umidità avrebbe mai avuto fine. Forse era una versione ridotta del diluvio universale, pensò immerso nel fumo bluastro della sigaretta. Forse era necessario lavare via i peccati del genere umano, una volta ogni tanto. Erlendur era un po restio a incontrare Elin e fu quasi felice quando scoprì che non era in casa. Sapeva che avrebbe fatto delle difficoltà, e l'ultima cosa che voleva era farla tornare dell'umore di quando lo aveva chiamato" brutto disgraziato di un poliziotto" . Ma non poteva evitare questa visita. Se non la vedeva adesso, avrebbe dovuto vederla in seguito. Inspirò a fondo e lasciò bruciare la sigaretta finché non sentì il calore sui polpastrelli. Tenne dentro il fumo mentre spegneva il mozzicone e poi lo espirò poderosamente. In testa gli frullava la frase di una campagna di sensibilizzazione contro il fumo: serve solo una cellula per accendere un tumore. Aveva sentito il dolore al petto anche quella mattina, ma poi gli era passato. Erlendur stava per fare retromarcia quando Elin gli bussò al finestrino. "Voleva vedermi?" chiese da sotto l'ombrello quando lui abbassò il vetro. Erlendur accennò un sorriso forzato, una smorfia sul viso impossibile da decifrare, e annuì leggermente con la testa. Sapeva che gli altri erano già partiti per il cimitero. La donna gli aprì la porta di casa e lui si sentì un traditore. Si tolse il cappello e lo appese a un gancio, si tolse l'impermeabile e le scarpe ed entrò in soggiorno nel suo completo spiegazzato. Sotto la giacca indossava un gilè di lana marrone che aveva abbottonato storto, per cui l'ultima asola era rimasta spaiata. Sedette sulla stessa sedia su cui si era seduto la prima volta che era entrato in quella casa, e la donna gli si sedette di fronte quando tornò in soggiorno. Era andata in fretta in cucina, aveva messo su il caffè e l'aroma stava riempiendo la piccola abitazione. Il traditore si schiarì la gola. "Uno degli uomini che erano a divertirsi con Holberg la sera in cui Kolbrùn venne stuprata si chiama Ellidi e si trova in carcere a Lida Hraun. Da tempo ormai è quel che si dice 'una vecchia conoscenza della polizia. Il terzo uomo che era con loro si chiamava Gretar. Sparì dalla faccia della terra nel 1974. L'anno delle celebrazioni per l'anniversario della repubblica." "Io c'ero a Thingvellir" disse Elin. "Vidi Gudmundsson e Laxness." L'agente si schiarì la gola. "E ha parlato con quel tale Ellidi?" continuò Elin. "Una bestia particolarmente esasperante" rispose Erlendur. Elin si scusò, si alzò e tornò in cucina. Erlendur sentì il tintinnare delle tazze. Il cellulare squillò nella tasca della sua giacca e l'agente rispose con una smorfia. Aveva visto dal numero sul display che era Sigurdur Oli. "Noi siamo pronti" disse il suo collega ed Erlendur sentì il rumore della pioggia in sottofondo all'altro capo del telefono. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"Non fate niente finché non mi metto di nuovo in contatto con te" disse Erlendur. "Capito? Non ti muovere finché non ti richiamo oppure arrivo lì." "Hai parlato con la vecchia?" Erlendur non rispose e chiuse la conversazione; poi infilò di nuovo il telefono in tasca. Elin arrivò con il caffè, appoggiò le tazze sul tavolo e le riempì. Tutti e due lo prendevano nero, senza zucchero né latte. Posò la caffettiera e si sedette di nuovo davanti a Erlendur. Lui si schiarì la gola. "Ellidi ha detto che Holberg aveva violentato un'altra donna prima di Kolbrùn e che glielo raccontò" disse Erlendur e sul viso di Elin si dipinse un'espressione sorpresa. "Anche se Kolbrùn sapeva di un'altra, non me lo confidò mai" commentò e scrollò il capo pensosa. "Può essere che dica la verità?" "È un'ipotesi che dobbiamo prendere in considerazione" rispose Erlendur. "In realtà Ellicti è un tale balordo che potrebbe anche esserselo inventato. D'altra parte non abbiamo niente in mano per smentire le sue affermazioni." "Non parlavamo spesso dello stupro" ricordò Elin. "Credo fosse per via di Audur. E non solo. Kolbrùn era una persona molto riservata, timida e introversa, e si chiuse ancora di più dopo quello che accadde. E poi naturalmente le ributtava parlare di quell'orrore mentre portava in grembo la bambina, figuriamoci dopo che era venuta al mondo. Kolbrùn fece tutto il possibile per dimenticare che lo stupro era successo davvero. E per dimenticare tutto ciò che era legato con quella faccenda." "Immagino che se Kolbrùn avesse saputo di un'altra, l'avrebbe detto alla polizia, se non altro per avvalorare la sua deposizione. Ma non l'ha mai nominata nei rapporti che ho letto." "Forse volle risparmiarla" ipotizzò Elin. "Risparmiarla?" "Kolbrùn sapeva cosa voleva dire subire uno stupro. Sapeva cosa voleva dire denunciare uno stupro. Era stata molto indecisa e l'unica cosa che ottenne fu quell'umiliazione alla centrale di polizia in città. Se l'altra donna non volle mai farsi avanti, Kolbrùn potrebbe aver rispettato la sua decisione. Posso soltanto immaginarlo. Ma non so proprio nulla che riguardi ciò di cui sta parlando." "Non è detto che conoscesse i dettagli né il nome, magari aveva solo un vago sospetto. Se Holberg fece davvero qualche accenno." "Non mi parlò mai di una cosa del genere." "Quando parlavate dello stupro, in che termini lo facevate?" "Non parlavamo del fatto in sé" rispose Elin. Il cellulare squillò di nuovo nella tasca di Erlendur ed Elin tacque. Erlendur prese con foga il telefono e vide il numero che lo stava chiamando. Ancora Sigurdur Oli. Erlendur spense il cellulare e lo rimise via. "Mi perdoni" disse. "Sono insopportabili questi telefoni, vero?" "Assolutamente" rispose Erlendur. Il tempo a sua disposizione stava per scadere. "Mi diceva sempre quanto amasse sua figlia, la piccola Audur. C'era un legame davvero speciale fra loro, nonostante quelle circostanze terribili. Audur per lei era tutto. Certo è brutto dire una cosa del genere, ma credo che Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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non volesse perdersi niente di Audur. Capisce? Ho perfino l'impressione che considerasse Audur una sorta di ricompensa, se posso definirla così, per lo stupro. So che è un modo un po goffo di definire la cosa, ma era come se la bambina fosse una benedizione nella sfortuna. Non so dire cosa pensasse mia sorella, come si sentisse o quali sensazioni provasse, non lo so se non in modo molto limitato, e non ho intenzione di fare la sciocchezza di parlare per lei. Ma con il passare del tempo si attaccò sempre di più a quella piccina e non se ne separava mai. Mai. Il loro rapporto era stato plasmato in maniera profonda da quanto era accaduto, ma Kolbrùn non vedeva mai nella figlia la bestia che le aveva rovinato la vita. Vedeva soltanto la bella bambina che Audur era. Mia sorella la proteggeva eccessivamente, anche dopo la morte, come dimostra l'epitaffio. 'Dal terrore dei nemici custodisci la mia vita.'" "Sa cosa volesse dire esattamente sua sorella con quelle parole?" "Era una richiesta a Dio, come si capisce leggendo il salmo. E dietro a questa richiesta c'era la morte della bambina, naturalmente. Il modo in cui accadde e la tragedia che fu. Kolbrùn non riusciva nemmeno a pensare che Audur potesse essere sottoposta a un'autopsia. Non ci poteva nemmeno pensare." Erlendur abbassò lo sguardo e fece una smorfia. Elin non lo notò. "Si può ben immaginare" continuò Elin" che questi eventi terribili che colpirono Kolbrùn, lo stupro e la morte di sua figlia, ebbero un effetto devastante sulla sua salute mentale. Ebbe un esaurimento nervoso. Quando cominciarono a parlare di autopsia, la sua angoscia crebbe a dismisura, insieme al senso di protezione nei confronti di Audur. Aveva avuto una figlia in quelle circostanze terribili e l'aveva persa quasi subito. Lo considerava il volere di Dio. Mia sorella voleva solo che sua figlia fosse lasciata in pace." Erlendur rimase a lungo assorto nei suoi pensieri, prima di farsi avanti. "Credo di essere uno di quei nemici." Elin lo guardò senza capire quello che le stava dicendo. "Credo che sia necessario riesumare il corpo della piccola ed effettuare un'autopsia più accurata, se possibile." Erlendur lo disse nella maniera più discreta di cui era capace. Elin ci mise un po a comprendere le sue parole e a metterle insieme, e quando si fu resa conto del loro significato fissò Erlendur con sguardo stupito. "Che cosa sta dicendo, scusi?" "Può darsi che riusciamo a trovare una spiegazione al perché sia morta." "Spiegazione? Fu un tumore al cervello!" "Può darsi che..." "Di che cosa sta parlando? Riesumare la piccola? Non ci posso credere! Le ho appena detto..." "Abbiamo due motivi." "Due motivi?" "Per effettuare l'autopsia" continuò Erlendur. Elin si era alzata e camminava per la stanza come un'ossessa. Erlendur era seduto immobile, sprofondato ancora di più nella soffice poltrona. "Ho parlato con i medici dell'ospedale qui a Keflavik. Non hanno trovato nessun documento su Audur, se non un rapporto provvisorio del dottore che le fece l'autopsia. Quel dottore è morto. L'anno in cui Audur morì fu l'ultimo durante il quale esercitò come medico all'ospedale. Fece riferimento a un Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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tumore al cervello e stabilì che questa era stata l'unica causa del decesso. Voglio sapere di preciso che malattia fu a portare la bambina alla morte. Voglio sapere se poteva essere una malattia genetica." "Una malattia genetica? Non so nulla di malattie genetiche." "La stiamo ricercando in Holberg" continuò Erlendur. "L'altro motivo per cui vorremmo riesumarla è determinare con certezza che Audur fosse figlia di Holberg. Per questo dobbiamo effettuare il test del dna." "Dubitate che sia figlia sua?" "Non necessariamente, ma dobbiamo confermarlo." "Ma perché?" "Holberg negò sempre di aver avuto un figlio. Disse di aver avuto rapporti consensuali con Kolbrun, ma negò la paternità. Quando il caso venne archiviato, non si vide nessun motivo in particolare per provare la cosa. Sua sorella non insistette mai per appurare come stavano le cose. Di sicuro ne aveva avuto abbastanza e voleva che Holberg uscisse dalla sua vita." "Chi altri avrebbe potuto essere il padre?" "Abbiamo bisogno di una dichiarazione a causa dell'omicidio." "L'omicidio di Holberg?" "Sì." Elin era in piedi davanti a Erlendur e lo fissava. "Quel mostro riesce a tormentare la gente anche dall'oltretomba?" Erlendur stava per risponderle, ma la donna lo precedette. "Siete ancora convinti che mia sorella avesse mentito" disse Elin. "Non le crederete mai. Lei non è migliore di quel cretino di Rùnar. Nemmeno un briciolo. "Si chinò su di lui. "Disgraziato di un poliziotto" sibilò. "Non avrei mai dovuto farla entrare in casa mia."

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18 † Sigurdur Oli vide i fari della macchina avvicinarsi nella pioggia, sapeva che era Erlendur. L'escavatore rombò mentre si posizionava di fianco alla tomba, pronto a sollevare la benna non appena fosse stato dato il segnale. Era un mini escavatore che si era fatto largo fra le tombe con sussulti e sobbalzi. I cingoli scivolavano nella melma. Sputava una nuvola di fumo nero e saturava l'aria di un denso tanfo di gasolio. Sigurdur Oli ed Elinborg erano in piedi vicino alla tomba, insieme al medico legale mandato dal procuratore, un avvocato dello stesso ufficio, il pastore e il sagrestano, alcuni agenti della polizia di Keflavik e due operai comunali. Erano tutti lì sotto la pioggia e invidiavano Elinborg che era l'unica ad avere l'ombrello e permetteva a Sigurdur Oli di ripararsi per metà. Notarono che Erlendur era solo quando scese dalla macchina e si avviò verso di loro a passi lenti. Avevano i permessi delle autorità preposte che autorizzavano la riesumazione, ma non potevano cominciare finché Erlendur non dava loro il permesso. Erlendur si guardò intorno maledicendo in silenzio la distruzione, i danni, la profanazione. La lapide era stata rimossa e posta sul vialetto che conduceva alla tomba. La stessa sorte era toccata al vaso verde e un po allungato infilato nel terreno. Nel vaso c'era un piccolo mazzo di rose appassite, ed Erlendur pensò che forse ce l'aveva messo Elin. Si fermò, lesse l'epigrafe e scosse la testa. Lo steccato di legno bianco alto appena venti centimetri che delimitava la tomba era stato divelto e appoggiato di fianco alla lapide. Erlendur aveva già visto recinzioni simili a quella intorno alle tombe dei bambini e sospirò. Alzò gli occhi verso il cielo nero. La pioggia gli gocciolava sulle spalle dall'orlo del cappello e lui cercò di mettere a fuoco le gocce con lo sguardo. Osservò il gruppo di persone in piedi vicino alla tomba, infine guardò Sigurdur Oli e annuì. L'agente fece un cenno all'uomo sull'escavatore. La benna si alzò in aria e sprofondò nel terreno poroso. Erlendur osservò il mezzo meccanico riaprire una ferita vecchia di trent'anni. A ogni colpo sentiva una fitta di dolore. Il mucchio di terra cresceva in modo costante e più la fossa diventava profonda, più il buio si infittiva. Erlendur si tenne a una certa distanza osservando la macchina scavare sempre più giù in quella ferita. All'improvviso provò la sensazione di aver già vissuto quel momento, come se avesse visto tutto in sogno, e in un attimo la scena davanti a lui assunse un'atmosfera onirica; i suoi colleghi della polizia che osservavano la tomba, gli operai comunali nelle loro tute arancione chini sui badili, il pastore vestito con un pesante soprabito nero, la pioggia che si rovesciava nella buca e tornava su con i badili come se la fossa sanguinasse. Aveva sognato tutto proprio così? Poi la sensazione scomparve e, come sempre quando gli succedevano coArnaldur Indridason - Sotto la Città

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se del genere, non riuscì a capire da dove si fosse originata. Perché gli sembrava di rivivere eventi che non erano mai accaduti prima? Erlendur non credeva alle premonizioni, né alle visioni, né ai sogni, né alla reincarnazione, né al karma, non credeva nemmeno in Dio, nonostante avesse letto la Bibbia più volte, non credeva nella vita eterna o che il suo comportamento in questo mondo avrebbe determinato il suo andare in paradiso o all'inferno. Trovava che la vita stessa offrisse già di per sé una combinazione delle due cose. Eppure a volte provava questi déjà vu incomprensibili e straordinari, riviveva luoghi e momenti come se li avesse già visti, come se fosse al di fuori di sé: si trasformava improvvisamente in un osservatore della propria vita. Non riusciva in nessun modo a capire di cosa si trattasse e del perché accadesse, per quale motivo la sua mente gli giocasse tiri del genere. Erlendur tornò in sé quando il badile urtò il coperchio della cassa e si sentì un rumore vuoto provenire dalla tomba. Fece un passo avanti. L'acqua piovana scorreva nella fossa, ma riuscì a distinguere la forma della bara. "Attenzione!" gridò Erlendur all'operaio alzando le braccia. Con la coda dell'occhio vide i fari di una macchina che arrivava dalla strada. Tutti si voltarono a guardare in direzione delle luci e videro l'automobile avanzare nella pioggia e poi fermarsi accanto al cancello del cimitero. Notarono l'insegna luminosa del taxi sul tettuccio. Un'anziana donna con un cappotto verde scese dalla vettura. Era Elin. Il taxi se ne andò e lei corse verso la tomba. Quando fu abbastanza vicina a Erlendur perché la sentisse, cominciò a gridargli contro mostrando il pugno chiuso. "Profanatore!" sentì che gli urlava. "Profanatore! Sacrilego!" "Tenetela indietro" ordinò Erlendur con calma agli agenti che stavano andando incontro a Elin: la fermarono quando le mancavano pochi metri a raggiungere la tomba. La donna cercò di tenerli lontano nella sua rabbia furiosa, ma quelli la presero per le braccia e la tennero ferma. I due operai comunali si avvicinarono all'orlo della fossa con i badili, scavarono intorno alla bara e sistemarono delle corde alle estremità. Era quasi intatta. La pioggia rimbombava sul coperchio con un rumore sordo, ripulendolo dalla terra. Erlendur si immaginava che fosse bianca. Una piccola bara bianca con le maniglie di ottone sui fianchi e una piccola croce sul coperchio. Gli uomini assicurarono le corde al braccio dell'escavatore, che sollevò la cassa con estrema cautela fino al livello del suolo. Era ancora integra, ma sembrava molto fragile. Erlendur vide che Elin aveva smesso di agitarsi e di urlare. La donna cominciò a piangere quando la bara emerse del tutto e penzolò per un attimo sopra la fossa. Un furgoncino percorse lentamente in retromarcia il vialetto d'accesso e si fermò. La bara fu deposta per terra e liberata dalle corde. Il pastore si avvicinò, la benedisse con il segno della croce e mosse le labbra in preghiera. Gli operai infilarono la bara nel furgone e lo richiusero. Elinborg prese posto sul sedile anteriore vicino al conducente, che partì allontanandosi dal cimitero, oltre il cancello e sulla strada, Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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finché le luci di posizione rosse sparirono nella pioggia e nell'oscurità. Il pastore si avvicinò a Elin e disse ai poliziotti di lasciarla andare. Lo fecero immediatamente. Il pastore le chiese se c'era nulla che potesse fare per lei. Si conoscevano piuttosto bene e parlavano a mezza voce. Elin sembrava più calma. Erlendur e Sigurdur Oli si guardarono l'un l'altro e poi abbassarono gli occhi. L'acqua piovana aveva già cominciato a raccogliersi sul fondo della fossa. "Volevo cercare di fermare questo sacrilegio blasfemo, questa profanazione" Erlendur le sentì dire al pastore. Provò un senso di sollievo quando si accorse che Elin si era calmata. Si incamminò verso di lei e Sigurdur Oli lo seguì a pochi passi di distanza. "Questa non gliela perdonerò mai" disse Elin a Erlendur. Il pastore le stava al fianco. "Mai!" ribadì. "Tanto perché lei lo sappia." "La capisco" disse Erlendur," ma l'indagine ha la priorità." "L'indagine! Che vada a quel paese la sua indagine" sbottò Elin. "Dove sta portando il corpo?" "A Reykjavik." "E quando lo riporterà indietro?" "Fra due giorni." "Guardi cos'ha fatto alla sua tomba" sospirò Elin in un tono rassegnato e incredulo, come se non avesse ancora capito bene quel che era successo. Si allontanò da Erlendur per avvicinarsi alla lapide e allo steccato, al vaso con i fiori e alla fossa aperta. Erlendur decise di dirle del messaggio che era stato trovato nell'appartamento di Holberg. "Qualcuno ha lasciato un messaggio a casa di Holberg, l'abbiamo scoperto quando è stato rinvenuto il corpo" disse Erlendur seguendo Elin. "Ci abbiamo capito ben poco, finché non è stata chiamata in causa Audur e non abbiamo parlato con il suo vecchio medico. Gli assassini islandesi di solito non lasciano niente dietro di sé se non il caos, ma chi ha ucciso Holberg voleva lasciarci qualcosa su cui riflettere. Quando il medico ci ha detto che avrebbe anche potuto trattarsi di una malattia genetica, il messaggio ha assunto improvvisamente un significato ben preciso. Holberg non ha parenti ancora in vita. Aveva una sorella che è morta a nove anni. Sigurdur Oli" continuò Erlendur indicando il suo collega" ha cercato la sua documentazione medica, che ha confermato quanto ci ha detto Ellidi. Morì come Audur di un tumore al cervello. Molto probabilmente stiamo parlando della stessa malattia." "Cosa sta dicendo? Che messaggio era?" chiese Elin. Erlendur esitò. Guardò Sigurdur Oli, che a sua volta guardò Elin e poi di nuovo Erlendur. Si fissarono negli occhi per un istante. "Io sono lui" disse Erlendur. "Cosa vuol dire?" "Il messaggio diceva così: Io sono lui. L'ultima parola era scritta in maiuscolo, lui." "Io sono lui" ripetè Elin. "Cosa significa?" "È impossibile dirlo con certezza, ma mi chiedo se per caso non voglia indicare una sorta di parentela" rispose Erlendur. "Chi ha scritto 'io sono lui forse ritiene di avere qualcosa in comune con Holberg. Potrebbe trattarsi anche delle parole deliranti di un folle che non lo conosceva affatto. Una frase senza senso. Ma Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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non credo. Sono convinto che la malattia possa essere la chiave giusta. Dobbiamo scoprire esattamente di cosa si tratta." "Che tipo di parentela?" "Holberg non aveva figli, secondo le fonti ufficiali. Audur non venne riconosciuta. Fu registrata solo come Kolbrùnardottir. Ma se è vero quanto sostiene Ellidi, che Holberg stuprò altre donne oltre a Kolbrun e loro non lo rivelarono mai, potrebbe anche esserci la possibilità che abbia avuto altri figli. Che Kolbrun non fosse l'unica vittima ad aver messo al mondo un figlio suo. Abbiamo delimitato la ricerca di una possibile vittima di Husavik a tutte le donne che hanno partorito in un determinato periodo e speriamo di ricavarne qualcosa al più presto." "Husavik?" "Sembra che l'altra vittima di Holberg fosse di là." "E la malattia ereditaria?" domandò Elin. "Che malattia è? È la malattia che ha ucciso Audur?" "Dobbiamo ancora effettuare delle analisi su Holberg, accertare che fosse il padre di Audur e mettere insieme le cose. Ma se la teoria è giusta, è possibile che si tratti di una malattia rara che si trasmette geneticamente." "E Audur ce l'aveva?" "Può anche darsi che sia passato troppo tempo dalla sua morte perché sia possibile ottenere risultati soddisfacenti, ma dobbiamo provarci." Si erano avviati verso la chiesa, Elin al fianco di Erlendur e Sigurdur Oli che li seguiva. Era stata Elin a portarli lì. La chiesa era aperta, entrarono per ripararsi dalla pioggia e si fermarono nel vestibolo a osservare il buio di quel pomeriggio autunnale. "Sono convinto che Holberg fosse il padre di Audur" disse Erlendur. "In realtà non ho alcun motivo di dubitare delle sue parole e di quello che le disse sua sorella. Ma dobbiamo averne conferma. È necessario per le indagini della polizia. Se si tratta di una malattia genetica che la bambina aveva ereditato da Holberg, la cosa ci potrebbe portare oltre. È possibile che la malattia sia collegata all'omicidio di quell'uomo." Non notarono l'automobile che si era allontanata dal cimitero sulla vecchia strada sterrata, a fari spenti, quasi invisibile nell'oscurità. All'altezza di Sandgerdi accelerò, i fari si accesero e in breve tempo raggiunse il furgone che trasportava la bara. Sulla statale per Keflavik il conducente della vettura fece sempre attenzione ad avere due o tre auto fra sé e il furgone. In questo modo seguì la bara fino a Reykjavik. Quando il mezzo della polizia parcheggiò davanti all'obitorio sulla Baronsstigur, l'altra vettura si fermò a una certa distanza e il conducente rimase a guardare la bara che veniva portata dentro, finché le porte non si richiusero. Guardò ripartire il furgone e vide la donna che aveva accompagnato la cassa uscire dall'obitorio e salire su un taxi. Quando tutto fu di nuovo tranquillo, l'automobile si allontanò in silenzio.

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19 † Marion Briem gli venne incontro sulla porta. Erlendur non l'aveva avvertita della sua visita. Arrivava direttamente da Sandgerdi e aveva deciso di parlare con Marion prima di andare a casa. Erano le sei di sera e fuori era buio pesto. La donna lo invitò a entrare e si scusò per la confusione che regnava in casa sua. Era un appartamento piccolo, composto da soggiorno, camera da letto, bagno e cucina, e non diversamente da quello di Erlendur documentava il disordine di chi vive da solo. Giornali, riviste e libri erano sparsi in ogni angolo del soggiorno, la moquette era consunta e sudicia, le stoviglie si erano accumulate nel lavello in cucina. La luce di una lampada da tavolo illuminava debolmente la stanza in penombra. Marion disse a Erlendur di togliere i giornali da una delle sedie, appoggiarli sul pavimento e accomodarsi. "Non mi hai mai detto di essere stata coinvolta in questo caso a suo tempo" esordì Erlendur. "Non è stata una delle mie imprese migliori" disse Marion e si accese un sigarillo che aveva tolto da un piccolo astuccio con le mani minute e sottili, un'espressione di dolore sul viso, la testa troppo grande in confronto alla struttura esile del corpo. Erlendur declinò l'offerta. Sapeva che Marion continuava a seguire i casi che la interessavano, si procurava informazioni dai vecchi colleghi che lavoravano ancora nella polizia e dava loro qualche dritta se si presentava l'occasione. "Volevi sapere qualcosa di più su Holberg" disse Marion. "E i suoi amici" precisò Erlendur e si sedette dopo aver spostato di lato una pila di riviste. "E su Rùnar di Keflavik." "Già, Rùnar di Keflavik" ripetè Marion. "Una volta ha cercato di uccidermi." "Cosa improbabile ormai, vecchio com'è" commentò Erlendur. "Allora l'hai incontrato" fece Marion. "Ha un tumore, lo sapevi? Pare sia questione di settimane, neanche di mesi." "Non lo sapevo" disse Erlendur e richiamò alla mente il viso magro ed emaciato di Rùnar. La goccia che aveva al naso mentre rastrellava le foglie in giardino. "Aveva degli amici molto influenti al ministero. Per questo rimaneva lì. Io avevo proposto il suo licenziamento. Ma si prese solo una nota di demerito." "Ricordi niente riguardo a Kolbrùn?" "La vittima più disgraziata che abbia mai visto in vita mia" rispose Marion. "Non ebbi modo di conoscerla molto bene, ma di sicuro non era capace di mentire su niente. Sporse denuncia contro Holberg e si lamentò del trattamento ricevuto da Rùnar, come già sai. Era la sua parola contro quella dell'uomo, secondo Rùnar, ma la sua dichiarazione era convincente. Non avrebbe dovuto mandarla a casa, qualsiasi fosse la storia delle mutandine. Holberg la stuprò. Era inequivocabile. DiArnaldur Indridason - Sotto la Città

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sposi un confronto fra Kolbrùn e Holberg. E non ci furono dubbi." "Ordinasti un confronto?" "Fu un errore. Credevo potesse facilitare le cose. Povera donna." "Come?" "Lo feci sembrare un caso, una coincidenza. Non me ne resi conto... non dovrei raccontarti queste cose. Ero a un punto morto nelle indagini. Lei diceva una cosa, lui ne diceva un'altra. Li convocai entrambi alla stessa ora e feci in modo che si incontrassero." "Cosa accadde?" "Lei ebbe una crisi isterica, così chiamammo un medico. Non avevo mai visto niente del genere. E non mi è più capitato da quella volta." "E lui?" "Rimase lì sghignazzando." Erlendur tacque per un momento. "Credi che fosse il padre della bambina?" Marion alzò le spalle. "Kolbrun lo sostenne sempre." "Kolbrun ti parlò mai di un'altra donna che Holberg aveva violentato prima di lei?" "Ci fu un altro stupro?" Erlendur ripetè quello che aveva detto Ellidi e le descrisse in breve i punti principali dell'indagine. Marion Briem fumava il sigarillo e lo ascoltava. Fissava Erlendur con i suoi occhi piccoli, acuti e penetranti, che non si lasciavano sfuggire un solo dettaglio. Vedeva di fronte a sé un uomo di mezz'età, stanco, con due borse scure sotto gli occhi, la barba di qualche giorno sulle guance, le sopracciglia cespugliose e irte, i ciuffi di capelli rossicci sempre scarmigliati, denti forti che si scoprivano a volte sotto le labbra pallide, sul viso l'espressione sfiduciata di chi è stato testimone del peggio della razza umana. Nello sguardo di Marion Briem c'erano compassione e la triste certezza di stare osservando il proprio riflesso. Erlendur aveva iniziato il lavoro alla polizia investigativa sotto la guida di Marion Briem e tutto quello che aveva imparato durante i primi anni glielo aveva insegnato lei. Come lui, anche Marion non aveva mai rivestito le cariche più alte in polizia e aveva sempre lavorato alle indagini di routine accumulando un'enorme esperienza. Aveva una memoria infallibile che non si era affatto deteriorata con gli anni. Tutto quello che gli occhi e le orecchie percepivano veniva catalogato, registrato e conservato negli archivi infiniti del suo cervello, pronto a essere recuperato senza il minimo sforzo ogni volta che ce ne fosse bisogno. Marion riusciva a ricordare i vecchi casi nei minimi particolari, un oceano di saggezza che toccava qualsiasi aspetto della criminologia islandese. Le sue capacità deduttive erano acutissime, le argomentazioni rigidamente logiche. Come collega, Marion Briem era stata insopportabilmente pedante, esigente e intollerante, come aveva raccontato Erlendur a Eva Lind una volta che erano finiti a parlare di lei. Negli anni si erano create profonde divergenze fra lui e il suo vecchio mentore, al punto che arrivarono a non scambiarsi più nemmeno una parola. Erlendur pensava di aver deluso Marion per qualche ragione incomprensibile. Gli sembrava che Marion lo dimostrasse in maniera sempre più chiara, finché non andò in pensione, con un certo sollievo da parte di Erlendur. Dopo che Marion lasciò il lavoro, il loro rapporto a poco a poco migliorò. La tensione si allentò e il clima di competizione scomparve. "e per questo mi è venuto in mente di venire a trovarti per sapere se ricorArnaldur Indridason - Sotto la Città

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davi Holberg, Ellidi e Gretar" concluse Erlendur. "Non spererai di trovare Gretar dopo tutti questi anni?" domandò Marion senza celare un tono di sorpresa. Per un attimo Erlendur pensò di scorgere sul suo viso un'espressione preoccupata. "Fin dove arrivasti con il caso?" "Non arrivai a nulla, me l'avevano assegnato solo temporaneamente" rispose Marion. Erlendur si rallegrò per un attimo avendo colto nella sua affermazione un tono di scusa. "Gretar sparì probabilmente nel fine settimana in cui si tennero le celebrazioni per l'anniversario della repubblica a Thingvellir. Parlai con sua madre e i suoi amici, Ellidi e Holberg, e con i suoi colleghi. Gretar lavorava alla Eimskip, allo scarico merci, quando sparì. In generale tutti erano convinti che fosse caduto in mare. Dissero che l'avrebbero trovato sicuramente, se fosse caduto nelle stive." "Dov'erano Holberg ed Ellidi nel periodo in cui Gretar sparì? Te lo ricordi?" "Dichiararono entrambi di essere stati alle celebrazioni a Thingvellir e fu possibile confermarlo. Ma non siamo sicuri di quando scomparve esattamente Gretar. Nessuno lo vedeva più da qualche tempo, quando sua madre si mise in contatto con noi. A che stai pensando? E emerso qualcosa di nuovo su Gretar?" "No" rispose Erlendur. "E non lo sto cercando. Se non è ricomparso all'improvviso per ammazzare il suo vecchio amico Holberg a Nordurmiri, può anche essere sparito per sempre, per quel che me ne importa. Sto cercando di farmi un'idea di che cricca fossero i tre, Holberg, Ellidi e Gretar." "Erano dei delinquenti. Tutti. Ellidi lo conosci anche tu. Gretar non era meglio di lui. Forse ancora più disgraziato. Una volta ebbi a che fare con lui per una rapina e quello mi sembrò l'inizio di una patetica carriera nella microcriminalità. Lavoravano insieme alla Capitaneria di porto. Si conobbero là. Ellidi era stupido e sadico. Trovava sempre dei motivi per attaccar briga. Aggrediva i più deboli. Non è cambiato, a quanto ho sentito. Holberg era la mente all'interno del gruppo. Il più intelligente dei tre. Se la cavò facilmente contro Kolbrùn. Quando cominciai le mie indagini su di lui, a quei tempi, erano tutti riluttanti a parlare. Gretar era un disgraziato che dipendeva dagli altri due, sembrava debole e vigliacco, ma ebbi la sensazione che ci fosse di più oltre a quello che dava a vedere." "Si conoscevano, Rùnar e Holberg?" "Credo di no." "Non abbiamo ancora reso pubblico niente sul caso" disse Erlendur. "Ma abbiamo trovato un messaggio sul cadavere." "Un messaggio?" "L'assassino ha scritto 'Io sono lui su un foglio e l'ha lasciato sopra Holberg." "'Io sono lui?" "Non potrebbe rimandare a un legame di parentela?" "A meno che non si tratti di un complesso di onnipotenza. Un pazzo in preda al furore religioso." "Preferisco metterlo in relazione con un legame di parentela." "'Io sono lui? Che cosa vuol dire questa frase? Qual è il messaggio?" "Vorrei saperlo anch'io" disse Erlendur. Si alzò e si mise il cappello, disse di dover andare a casa. Marion chiese come stava Eva Lind, Erlendur rispose che stava affrontando i suoi problemi. Marion lo accompagnò alla porta e gliela aprì. Si scambiarono una caloroArnaldur Indridason - Sotto la Città

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sa stretta di mano. Quando Erlendur scese le scale, Marion lo chiamò di nuovo. "Erlendur! Aspetta un attimo, Erlendur." Erlendur si girò, guardò in su e vide Marion in piedi sulla soglia: la vecchiaia aveva lasciato il proprio marchio sulla sua aria di rispettabilità, le spalle curve rovinavano il suo aspetto dignitoso e le rughe sul viso testimoniavano un'esistenza difficile. Da tanto tempo non era più entrato in casa sua; aveva pensato a quello, mentre era seduto di fronte a Marion, a come il tempo gioca con la gente. "Non farti coinvolgere troppo da quello che scoprirai su Holberg" gli consigliò Marion Briem. "Non lasciargli uccidere quelle parti di te che non vuoi perdere. Non lasciarlo vincere. Nient'altro." Erlendur rimase fermo sotto la pioggia, incerto sul significato di quel consiglio. Marion Briem annuì rivolta verso di lui. "Che rapina era?" chiese Erlendur mentre la porta si chiudeva. "Rapina?" fece eco Marion e la porta si aprì di nuovo. "Quella di Gretar. Che cosa rapinò?" "Il negozio di un fotografo. Aveva una specie di fissazione per le fotografie" rispose Marion Briem. "Ne scattava di continuo." Due uomini, entrambi in giacca di pelle e stivali neri che arrivavano quasi alle ginocchia, bussarono alla porta disturbando Erlendur che stava sonnecchiando in poltrona, quella sera sul tardi. Era tornato a casa, aveva chiamato Eva Lind, ma lei non aveva risposto, e si era seduto sui bocconcini di pollo rimasti lì da quando ci aveva dormito sopra la notte precedente. I due uomini chiesero di Eva Lind. Erlendur non li aveva mai visti prima e non vedeva sua figlia da quando la ragazza gli aveva preparato quell'ottimo stufato di carne. Sembravano non avere scrupoli quando chiesero a Erlendur dove potevano trovarla: cercarono di guardare all'interno dell’appartamento, senza però spintonarlo per entrare. Erlendur domandò a sua volta per quale motivo cercassero sua figlia. Loro chiesero se la stesse nascondendo in casa, lo stronzo. Erlendur domandò se fossero taglieggiatori, loro gli risposero di non dire stronzate. Lui li mandò a fare in culo e quelli gli dissero di chiudere quella fogna di merda. Quando fece per sbattergli la porta in faccia, uno dei due infilò il ginocchio oltre lo stipite. "Tua figlia è una maledetta troia" gridò. Indossava un paio di pantaloni di pelle. Erlendur sospirò. Era stata una giornata lunga e stancante. Sentì il ginocchio dell'uomo che cedeva quando gli chiuse contro la porta con tale forza che si staccò dai cardini.

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20 † Sigurdur Oli si chiese come avrebbe dovuto formulare la domanda. Aveva in mano una lista con i nomi di dieci donne che abitavano a Husavik negli anni intorno al 1960 e che poi si erano trasferite a Reykjavik. Due erano morte. Due non avevano mai avuto figli. Sei erano madri e avevano partorito in un periodo compatibile con la data del presunto stupro. Sigurdur Oli era davanti all'abitazione della prima. La donna viveva in una casa sulla Barmahlid. Era divorziata e aveva tre figli adulti. Ma come avrebbe dovuto formulare la domanda a queste donne anziane? Mi perdoni, signora, sono della polizia e sono stato mandato per chiederle se per caso è mai stata violentata a Husavik quando abitava là. Ne aveva parlato con Elinborg, che aveva una lista di altri dieci nomi, ma lei non capiva dove stesse il problema. Sigurdur Oli riteneva che l'operazione avviata da Erlendur fosse priva di senso. Anche ponendo il caso che Ellidi avesse detto la verità, e il luogo e il periodo fossero esatti, e anche se dopo lunghe ricerche avessero finalmente trovato la donna che cercavano, quante probabilità avevano che raccontasse loro dello stupro? L'aveva tenuto nascosto per una vita. Perché avrebbe dovuto parlarne adesso? Quando Sigurdur Oli o un altro dei cinque detective che avevano in mano le liste avessero bussato alla sua porta, lei avrebbe potuto rispondere semplicemente di no e loro non avrebbero potuto far altro che dire" ci scusi per il disturbo". "È questione di prevedere le reazioni, usa la psicologia" aveva detto Erlendur quando Sigurdur Oli aveva cercato di spiegargli il problema. "Cerca di entrare in casa loro, siediti, accetta un caffè, chiacchiera, comportati come una vecchietta." "Psicologia!" esclamò Sigurdur Oli e sbuffò una volta sceso dalla macchina sulla BarmahM e il pensiero gli corse alla sua compagna, Bergthora. Non sapeva usare la" psicologia" nemmeno con lei. Si erano incontrati in circostanze piuttosto insolite qualche tempo prima: Bergthora era comparsa come testimone in un caso difficile e poco dopo l'inizio della loro storia, avevano deciso di cominciare la convivenza. Avevano scoperto di trovarsi benissimo insieme, avevano interessi simili ed entrambi ci tenevano molto ad arredare la propria casa accuratamente, con oggetti d'arte; erano due animi yuppie. Si davano sempre un bacio quando si rivedevano dopo una lunga giornata di lavoro. Si facevano piccoli regali. Magari stappavano una bottiglia di vino. A volte facevano subito l'amore quando rincasavano, ma con una frequenza notevolmente ridotta negli ultimi tempi. Tutto era cominciato dopo che lei gli aveva regalato un paio di banalissimi stivali di gomma finlandesi per il compleanno. Aveva cercato di farsi vedere contento, ma l'espressione di incredulità gli era rimasta troppo a lungo sul viso, e lei aveva capito che c'era qualcosa che non andava. Quando finalArnaldur Indridason - Sotto la Città

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mente aveva accennato un sorriso, questo era risultato palesemente falso. "Non ne avevi" aveva cercato di giustificarsi lei. "Non ho più avuto un paio di stivali di gomma da quando avevo... dieci anni" aveva detto lui. "Non sei contento?" gli aveva chiesto. "Li trovo eccezionali" aveva risposto Sigurdur Oli, sapendo che non era quella la risposta alla sua domanda. Anche lei lo sapeva. "No, sul serio" aveva aggiunto poi, consapevole che si stava scavando la fossa con le proprie mani. "Sono bellissimi." "Non sei contento di questo regalo" aveva detto lei mortificata. "Ma sì che sono contento" aveva replicato ancora assente perché non riusciva a smettere di pensare all'orologio da polso da trentamila corone che le aveva regalato per il suo compleanno. Ci aveva messo una settimana a sceglierlo, dopo estenuanti ricerche per tutta la città e discussioni con orologiai sulle varie marche, placcature in oro, meccanismi, cinturini, impermeabilizzazione, Svizzera e orologi a cucù. Aveva sfruttato tutte le sue capacità investigative per trovare il modello giusto, ma alla fine l'aveva trovato, e lei ne era rimasta entusiasta, aveva manifestato una gioia e un piacere assolutamente sinceri. E invece lui era rimasto lì con il sorriso congelato sulla faccia, cercando di dimostrarsi sinceramente felice, ma proprio non ce l'aveva fatta. "Psicologia!" disse Sigurdur Oli e sbuffò. Suonò il campanello quando arrivò sul pianerottolo dell'appartamento sulla Barmahlid e pose la domanda con tutta la profondità psicologica di cui era capace, ma fallì miseramente. Prima di rendersene conto chiese in maniera precipitosa alla donna, lì sulla porta di casa, se per caso fosse mai stata stuprata. "Che diavolo di assurdità è questa?" esclamò la signora, un'espressione battagliera dipinta sul viso, anelli di bigiotteria alle dita e uno sguardo feroce che non sembrava volersi placare. "Chi è lei? Che villania è questa? "No, mi scusi" disse Sigurdur Oli in un sussurro e in un attimo sparì di nuovo giù per le scale. A Elinborg era andata meglio, o per lo meno le andava più a genio l'incarico e non aveva timore di entrare in confidenza con la gente. Il suo argomento preferito era la cucina, le interessava moltissimo, era un'ottima cuoca e ne parlava volentieri durante una conversazione. Se le si presentava l'occasione, chiedeva che profumo delizioso fosse quello che veniva dalla cucina e tutti, anche quelli che avevano vissuto soltanto di popcorn per tutta la settimana, la accoglievano volentieri. Era seduta nel soggiorno di un seminterrato a Breidholt e aveva accettato una tazza di caffè da una vecchietta che in passato stava a Husavik, vedova da tanti anni e madre di due figli ormai adulti. Si chiamava Sigurlaug ed era l'ultimo nome della sua lista. Aveva trovato facile formulare quella domanda così intima e a tutte le donne con cui aveva parlato aveva chiesto Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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di mettersi in contatto con lei se gli fosse capitato di sentire qualcosa nel loro cerchio di conoscenze, anche dei pettegolezzi su Husavik, in mancanza di meglio. "ed ecco perché stiamo cercando una donna all'incirca della sua età che potrebbe aver conosciuto Holberg in quel periodo e perfino essere finita nei guai a causa sua." "Non ricordo nessuno di nome Holberg a Husavik" disse la donna. "Di che guai sta parlando?" "Holberg fu a Husavik solo di passaggio" spiegò Elinborg," quindi non è detto che se lo ricordi. Non abitò mai li. E si trattò di un'aggressione fisica. Sappiamo che aggredì una donna in paese qualche decennio fa e stiamo cercando di risalire a lei." "Il suo nome dovrebbe comparire nei vostri archivi." "L'aggressione non fu mai denunciata." "Che tipo di aggressione?" "Uno stupro." La donna si portò involontariamente la mano davanti alla bocca e spalancò gli occhi. "Oh Signore!" esclamò. "Io non ne so niente. Uno stupro! Mio Dio! Non ho mai sentito raccontare una cosa del genere." "No, sembra che la cosa sia stata tenuta segreta" disse Elinborg. Evitò con abilità le domande indiscrete della donna che voleva conoscere i dettagli della faccenda e le rivelò solo i preliminari dell'indagine e quelle informazioni che potevano essere diffuse. "Mi stavo chiedendo" continuò poi" se per caso conosce qualcuno che potrebbe sapere qualcosa su questa storia. "La donna fece i nomi di due sue amiche di Husavik, che a suo dire non si perdevano mai niente. Elinborg si annotò i loro nomi, rimase ancora qualche minuto per non essere scortese e poi se ne andò. Erlendur aveva un taglio sulla fronte che si era medicato da solo. Uno dei due ospiti della sera precedente era finito K.o. dopo che lui gli aveva sbattuto la porta sul ginocchio e l'aveva fatto cadere per terra urlante. L'altro energumeno aveva assistito alla scena sbigottito e si era reso conto troppo tardi che Erlendur gli si stava scagliando addosso sul pianerottolo e lo stava spingendo, senza un attimo di esitazione, giù per le scale. Era riuscito ad aggrapparsi al corrimano e a evitare di cadere sui gradini. Erlendur non gli era sembrato un avversario facile lì sul pianerottolo, con la fronte gonfia e sanguinante; aveva guardato per un attimo il suo compagno steso per terra che gemeva dal dolore, poi di nuovo Erlendur, e alla fine aveva deciso che gli conveniva sparire. Poteva avere vent'anni o poco più. Erlendur aveva chiamato un'ambulanza e mentre la aspettavano era riuscito a sapere che cosa volevano quei due da Eva Lind. L'uomo era restio all'inizio, ma quando Erlendur si era offerto di dare un'occhiata al suo ginocchio, era diventato immediatamente più disponibile a parlare. Eva Lind doveva denaro e roba a un tizio di cui Erlendur non aveva mai sentito parlare. Erlendur non spiegò il motivo del cerotto a nessuno, quando si presentò al lavoro il giorno successivo, e nessuno osò chiedergli niente. La porta l'aveva quasi fatto cadere quando aveva sbattuto contro la gamba di quel delinquente, e poi l'aveva colpito in testa. La fronte gli faceva ancora male, era seriamente preoccupato per Eva Lind e non era riuscito a dormire molto Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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quella notte, aveva fatto un pisolino di un'ora sulla poltrona sperando che sua figlia si facesse viva di nuovo prima di mettersi nei pasticci. Si fermò in ufficio il tempo necessario a scoprire che Gretar aveva una sorella e che sua madre era ancora viva, ospite della casa di riposo per anziani di Grund. Come aveva detto a Marion Briem, non stava cercando Gretar, non più della ragazza scomparsa di Gardabaer, ma pensava che non fosse male cercare di sapere qualcosa in più sul suo conto. Gretar era alla festa la notte in cui Kolbrun era stata violentata. Forse aveva raccontato qualcosa di quella notte, si era fatto sfuggire un dettaglio. Erlendur non si aspettava di trovare niente sulla sua scomparsa, Gretar poteva anche riposare in pace ovunque si trovasse, fosse dipeso da lui, ma lui si era interessato a lungo delle persone scomparse in Islanda. Ognuna di quelle storie racchiudeva un brivido d'orrore, ma c'era anche qualcosa di sorprendente, secondo lui, in quelle persone che la terra inghiottiva senza che nessuno sapesse perché. La madre di Gretar aveva novant'anni ed era cieca. Erlendur parlò brevemente alla direttrice della casa di riposo, che faceva fatica a non guardare la sua fronte, e venne a sapere che Theodora era una delle ospiti più anziane della casa, una di quelle che soggiornavano lì da più tempo, un modello in ogni senso, amata e coccolata dal personale e da tutti gli altri anziani. Erlendur venne accompagnato nella stanza di Theodora e le fu presentato. La donna era seduta su una sedia a rotelle, indossava una vestaglia e aveva una coperta di lana sulle ginocchia, i lunghi capelli grigi raccolti in una treccia che arrivava fino al bordo inferiore dello schienale, il corpo ricurvo, le mani ossute e il viso gentile. Gli oggetti personali erano ben pochi. Una fotografia di John F. Kennedy, il presidente americano, era incorniciata sopra il letto. Erlendur si sedette di fronte alla donna, la guardò negli occhi che non vedevano più e disse che voleva parlare di Gretar. L'udito sembrava ancora buono e la mente lucida. Non si mostrò sorpresa e andò dritta al sodo, come aveva sempre fatto. A Erlendur avevano detto che era originaria dello Skagafjordur. Parlava con un forte accento settentrionale. "Il mio Gretar non era certo un ragazzo modello" esordì. "Se devo proprio dirle la verità, era davvero un disgraziato. Non so da chi avesse preso. Un ladruncolo mediocre. Sempre insieme ad altri disgraziati e perdigiorno, tutti dei malandrini. L'avete mica trovato?" "No" rispose Erlendur. "Uno dei suoi amici è stato ucciso di recente. Holberg. Magari ne ha sentito parlare." "Non lo conosco. E stato tolto di mezzo, ha detto?" "In casa sua. Avevano lavorato insieme ai vecchi tempi, lui e suo figlio. Alla Capitaneria di porto." "L'ultima volta che vidi il mio Gretar, e allora avevo ancora una vista decente, fu quando tornò a casa da me l'estate delle celebrazioni per l'anniversario della repubblica e mi rubò i soldi che tenevo in un borsellino, e anche dell'argento. Me ne accorsi solo quando se ne andò di nuovo, a quel punto i soldi erano scomparsi. E poi anche Gretar sparì. Come se fosse stato rubato anche lui. Sa chi lo rubò?" "No" rispose Erlendur. "Lei sa che cosa stesse macchinando prima di sparire? Con chi fosse in contatto?" "Non lo so" disse la Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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vecchia. "Non ho mai saputo cosa macchinasse Gretar. Ve lo dissi all'epoca." "Sapeva che scattava fotografie?" "Sì. Scattava fotografie. Stava sempre dietro a quelle fotografie. Non so perché. Una volta mi disse che le foto erano lo specchio dei tempi, ma non so proprio cosa intendesse dire." "Non era una cosa un po altisonante, da dire, per uno come Gretar?" "Non l'avevo mai sentito parlare a quel modo." "L'ultimo suo indirizzo fu Bergstadastraeti, dove prese in affitto una camera. Cosa ne è stato dei suoi averi, della macchina fotografica e dei rullini, lo sa?" "Forse lo sa la mia Klara" rispose Theodora. "Mia figlia. Fu lei che ripulì la stanza. Credo abbia buttato tutto quel ciarpame." Erlendur si alzò e la donna seguì i suoi movimenti con la testa. La ringraziò per l'aiuto, le disse che era stata preziosa; voleva complimentarsi con lei per come si manteneva e per la lucidità mentale, ma non lo fece. Non voleva parlarle come si fa a un bambino. Alzò lo sguardo sulla parete sopra il suo letto verso la fotografia di Kennedy e non riuscì a trattenersi dal chiederglielo. "Perché ha una foto di Kennedy sopra il letto?" disse guardandola negli occhi vuoti. "Oh" sospirò Theodora," mi piaceva così tanto quand'era vivo."

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21 † I corpi giacevano l'uno di fianco all'altro sui freddi tavoli operatori dell'obitorio sulla Baronsstigur. Erlendur cercò di non pensare a come aveva riunito padre e figlia nella morte. Sul cadavere di Holberg erano già state praticate l'autopsia e tutte le analisi del caso, ma mancavano ancora gli esami che riguardavano in modo più specifico l'eventuale malattia genetica e la possibilità che l'uomo fosse imparentato con Audur. Erlendur notò che le sue dita erano nere. Gli avevano preso le impronte digitali da morto. Il corpo di Audur era avvolto in un telo di lino bianco ed era disteso sul tavolo di fianco a quello di Holberg. Non era stata ancora toccata. Erlendur non conosceva il patologo e non riusciva a distinguere molti particolari del suo aspetto. Era alto, aveva le mani grandi, inguaiate in sottili guanti di lattice, indossava un grembiule bianco sopra il camice verde allacciato sulla schiena e un paio di pantaloni verdi dello stesso materiale. Aveva una mascherina sulla bocca e una cuffia di plastica azzurra in testa. Portava un paio di scarpe da ginnastica bianche. Erlendur era già stato altre volte all'obitorio e si sentiva sempre male allo stesso modo. L'odore di morte gli riempiva i sensi e impregnava gli abiti, l'odore di formaldeide e degli agenti sterilizzanti e la puzza terribile di cadaveri aperti. Alcune potenti lampade al neon pendevano dal soffitto e gettavano una forte luce bianca nella sala priva di finestre. Il pavimento era rivestito di grandi piastrelle bianche, le stesse che coprivano per metà le pareti, tinteggiate nella parte superiore con una vernice plastificata. Appoggiati ai muri c'erano alcuni tavoli con microscopi e altri strumenti di analisi. Alle pareti erano appesi dei pensili, alcuni con le antine di vetro, Che mostravano oggetti e vasi che Erlendur non riusciva a identificare. Invece comprendeva bene la funzione dei bisturi, delle pinze e delle seghe disposti in file ordinate su un lungo tavolo di servizio. Erlendur notò un profumatore per ambienti appeso a una lampada sopra uno dei tavoli operatori. Raffigurava una ragazza in bikini rosso che correva su una spiaggia bianca. Un mangianastri era appoggiato su un tavolo accanto ad alcune cassette. Dall'apparecchio proveniva musica classica. Mahler, indovinò Erlendur. Il vassoio con il pranzo del medico era sul tavolo, vicino a uno dei microscopi. "Ha smesso di profumare molto tempo fa, la ragazza" disse il medico e guardò Erlendur che stava sulla porta come se esitasse a entrare in quella luminosissima stanza di morte e decomposizione. "Cosa?" chiese Erlendur senza riuscire a staccare gli occhi dal fagotto bianco. C'era un tono di felice aspettativa nella voce del medico, che Erlendur non capiva. "La ragazza in bikini, voglio dire" rispose il medico e fece un cenno con la teArnaldur Indridason - Sotto la Città

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sta verso il cartoncino profumato. "Devo procurarmene uno nuovo. Probabilmente non ci si abitua mai, a quest'odore. Entri pure. Non abbia paura. Sono solo avanzi di carne. "Sventolò il bisturi sopra il cadavere di Holberg. "Niente anima, niente vita, soltanto una carcassa di carne. Lei crede ai fantasmi?" "Eh?" fece di nuovo Erlendur. "Crede che le loro anime ci stiano guardando? Crede che stiano fluttuando in questa stanza oppure che siano entrate in un altro corpo? Reincarnate. Crede nella vita dopo la morte?" "No, non ci credo" rispose Erlendur. "Quest'uomo è morto a causa di un forte colpo alla testa, che ha prodotto una lacerazione della cute e ha sfondato la scatola cranica fino a ledere il cervello. Posso dire che chi ha sferrato il colpo si trovava di fronte a lui. È probabile che si stessero guardando negli occhi. Chi l'ha aggredito con ogni probabilità non è mancino, la ferita si trova sul lato sinistro. E si mantiene in ottima forma fisica, potrebbe trattarsi di un giovane oppure di un uomo di mezz'età, è improbabile che sia una donna, a meno che non abbia svolto del lavoro manuale. Il colpo ha causato una morte istantanea. Avrà visto il tunnel e una luce forte." "È molto più probabile che abbia preso un'altra strada" commentò Erlendur. "Comunque. L'intestino è quasi vuoto, ci sono resti di uova e caffè, il retto è pieno. Soffriva, se non è eccessivo esprimersi così in questo caso, di costipazione. Non è insolito a quell'età. Nessuno ha chiesto di riavere il cadavere, mi sembra di aver capito, così abbiamo richiesto un permesso per utilizzarlo a scopo di studio. Cosa ne pensa?" "Che sarà più utile da morto che da vivo." Il medico guardò Erlendur, si avvicinò a uno dei tavoli, prese quello che sembrava un pezzo di carne rossa da un vassoio di metallo e lo sollevò con una mano. "Non posso stabilire se una persona era buona o cattiva" disse. "Questo potrebbe anche essere il cuore di un santo. Quello che dobbiamo scoprire, se ho capito bene cosa mi ha chiesto, era se pompava del sangue cattivo." Erlendur guardò stupito il patologo che teneva in mano il cuore di Holberg e lo esaminava. Lo osservò maneggiare quel muscolo morto come se fosse la cosa più naturale del mondo. "E un cuore forte" continuò il medico. "Avrebbe potuto continuare a pompare per molti anni, avrebbe potuto rendere centenario il suo possessore. Non aveva nulla." Il medico ripose il cuore sul vassoio di metallo. "C'è qualcosa di interessante riguardo al nostro Holberg" disse," anche se, nello specifico, non l'ho esaminato con questo scopo. Probabilmente lei vorrebbe che lo facessi. Presenta vari sintomi che indicano una malattia particolare. Gli ho trovato un piccolo tumore cerebrale, un tumore benigno che gli ha procurato pochi fastidi, e ha delle macchie cutanee, in particolare qui sotto le braccia" . "Macchie di caffè?" "Caffelatte, si chiamano nei trattati. Sì, macchie di cafArnaldur Indridason - Sotto la Città

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fè. Ne sa qualcosa?" "Assolutamente niente." "Di sicuro troverò altri sintomi quando lo analizzerò meglio." "Si parlò di macchie di caffè anche per la bambina. Aveva un tumore al cervello. Maligno. Sa di che patologia si tratta?" "Non posso dire ancora niente." "Stiamo parlando di una malattia ereditaria?" "Non lo so. "Il medico si avvicinò al tavolo dove era distesa Audur. "Ha mai sentito la storia di Einstein?" chiese. "Einstein?" fece Erlendur. "Albert Einstein." "Che storia?" "Una storia curiosa. Vera. Thomas Harvey. Non l'ha mai sentito nominare? Era un patologo." "No." "Era di guardia quando morì Einstein" continuò il medico. "Un tipo curioso. Aprì il cadavere, ma proprio perché si trattava di Einstein non riuscì a trattenersi e gli aprì anche la testa, per osservare il cervello. E fece ben altro. Lo rubò." Erlendur tacque. Non riusciva a capire niente di quello che gli stava raccontando il medico. "Se lo portò a casa. Certa gente ha una strana attrazione per il collezionismo, soprattutto quando si tratta di personaggi famosi. Harvey perse il lavoro quando venne scoperto il furto, e negli anni divenne una figura misteriosa, quasi leggendaria. Cominciarono a circolare delle storie su di lui. Tenne sempre il suo cimelio in casa. Non so se la fece franca, ma i parenti di Einstein cercarono più volte di riprendersi il cervello, senza successo. Poi però con la vecchiaia si rappacificò con i famigliari e decise di restituire loro il cervello. Lo mise nel bagagliaio della macchina e attraversò tutti gli Stati Uniti per raggiungere il pronipote di Einstein in California." "E' la verità?" "Assolutamente sì." "Perché mi sta raccontando questa storia?" Il medico sollevò il lenzuolo che copriva il cadavere della bambina e guardò sotto. "Le manca il cervello" disse, e all'improvviso quell'espressione di indifferenza gli sparì dalla faccia. "Cosa?" sussurrò Erlendur. "Il cervello" ribadì il medico" non è al suo posto."

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22 † Erlendur non capiva quello che gli stava dicendo il patologo e lo guardò come se non avesse sentito. Non riusciva a realizzare il significato delle sue parole. Per un attimo abbassò lo sguardo sul cadavere, ma lo distolse in fretta quando distinse un osso della manina che usciva da sotto il lenzuolo. Non era sicuro di voler conservare nella memoria l'immagine di quello che c'era sotto la copertura. Non voleva sapere che aspetto avessero i resti terreni della bambina, non voleva che quell'immagine gli apparisse alla mente ogni volta che pensava a lei. "È stata già aperta in precedenza" disse il medico. "Il cervello non c'è?" chiese Erlendur in un sussurro. "All'epoca venne effettuata l'autopsia." "Sì, all'ospedale di Keflavik." "Quando morì?" "Nel 1968" rispose Erlendur. "E se ho capito bene Holberg sarebbe stato suo padre, ma i due genitori non stavano insieme?" "La bambina aveva solo sua madre." "Fu dato il consenso all'espianto di organi per fini scientifici?" domandò il medico. "Le risulta? La madre per caso diede il consenso?" "Non riesco a immaginare che l'abbia fatto" rispose Erlendur. "Potrebbe essere stato prelevato senza autorizzazione. Chi si prese cura di lei quando morì? Chi era il suo medico?" Erlendur fece il nome di Frank. Il medico assunse un'aria pensierosa. "Non posso dire di essere all'oscuro di fatti del genere. Ai parenti qualche volta viene chiesto se sia possibile asportare degli organi per fini di ricerca. Tutto in nome della scienza, naturalmente. Dobbiamo pensare sia così. E anche per l'insegnamento. So di casi in cui, se non ci sono parenti, alcuni organi vengono prelevati per la ricerca prima che il corpo sia sepolto. Ma conosco pochi casi in cui gli organi sono stati effettivamente rubati dopo che i parenti sono stati consultati." "Com'è possibile che le manchi il cervello?" chiese ancora Erlendur. "Il cranio è stato segato a metà e il cervello è stato rimosso in un solo pezzo." "No, voglio dire..." "Un lavoro accurato" continuò il medico. "Eseguito da un esperto. È stato tagliato il midollo spinale attraverso il collo qua dietro e il cervello è stato asportato." "So che il cervello venne analizzato per un tumore" disse Erlendur. "Sta dicendo che non è stato rimesso al suo posto?" "È una spiegazione plausibile" rispose il medico e coprì il corpo. "Se rimossero il cervello per analizzarlo, può darsi che non riuscirono a restituirlo in tempo per il funerale. Dev'essere fissato." "Fissato?" "Perché sia più facile lavorarci su. Diventa come formaggio. Ci vuole il suo tempo." "Non bastava prelevare solo dei campioni?" "Non saArnaldur Indridason - Sotto la Città

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prei" disse il medico. "L'unica cosa che so per certo è che il cervello non è al suo posto e la cosa rende difficile stabilire esattamente quale fu la causa della morte. Forse lo scopriremo con il test del dna sulle ossa. Chissà cosa ci rivelerà..." L'espressione di sorpresa sul viso di Frank era inequivocabile quando aprì la porta e vide Erlendur di nuovo in piedi sui gradini sotto una pioggia torrenziale. "Abbiamo riesumato la bambina" disse Erlendur senza preamboli," e le manca il cervello. Lei ne sa qualcosa?" "Riesumata? Il cervello?" si meravigliò il medico e invitò Erlendur a entrare nel suo ufficio. "Cosa vuol dire che le manca il cervello?" "Esattamente quello che ho detto. Il cervello venne asportato. Forse per delle analisi mirate a stabilire la causa della morte, ma comunque non fu rimesso al suo posto. Lei era il suo medico. Sa che cosa accadde? Sa niente di questa faccenda?" "Io ero il suo medico generico, come credo di averle spiegato l'ultima volta che è stato qui. La bambina era ricoverata all'ospedale di Keflavik, venne affidata ai medici di là." "La persona che praticò l'autopsia è morta. Abbiamo avuto una copia del certificato firmato dal medico legale, che è molto sintetico e parla solo di tumore al cervello. Anche se svolse ulteriori analisi al riguardo, non ce n'è traccia. Non bastava prelevare dei campioni? C'era bisogno di asportare il cervello per intero?" Il medico alzò le spalle. "Non lo so con sicurezza. "Esitò per un attimo. "Mancavano altri organi?" chiese poi. "Altri?" disse Erlendur. "Oltre al cervello. Era l'unico organo mancante?" "Cosa intende?" "Non è stato asportato nient'altro?" "Non credo. Il patologo non me l'ha detto. Asportato qualcos'altro? Dove vuole arrivare?" Frank osservò Erlendur pensoso. "Non credo che abbia mai sentito parlare della Città dei barattoli." "La Città dei barattoli?" "Sì." "Quale Città dei barattoli?" "Mi sembra sia stata chiusa, in realtà non da molto. La stanza si chiamava così. La Città dei barattoli." "La stanza?" "Sulla Baronsstigur. Dove conservavano gli organi." "Conservavano gli organi?" "Venivano conservati sotto formaldeide in barattoli di vetro. Qualunque tipo di organo prelevato dagli ospedali. Per l'insegnamento. Nella facoltà di medicina, scienze mediche, patologia clinica, o come si chiama adesso. Venivano conservati in una stanza che gli studenti chiamavano Città dei barattoli. Mettevano gli organi nei barattoli, sotto formaldeide. Intestini. Cuore, reni, membra. Anche cervelli." "Dagli ospedali?" "Le persone muoiono in ospedale. Lì vengono praticate le autopsie. Anche a fini didattici. Gli organi vengono analizzati. Non tutti vengono restituiti, alcuni sono conservati per l'insegnamento. In quel periodo gli organi venivano conservati nella Città dei barattoli." "Perché mi sta dicendo tutto questo?" "Non è detto che il cervello sia andato perduto per sempre." "Che cosa?" "Può darsi che si trovi in una qualche Città dei barattoli, I campioni che vengono conservati per scopi didattici sono tutti documentati e classificati, per esempio. Se ha bisogno di localizzare il cervello, è probabile che sia anArnaldur Indridason - Sotto la Città

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cora archiviato da qualche parte." "Non ne avevo mai sentito parlare. Gli organi sono prelevati senza consenso oppure si chiede il permesso dei parenti... come funziona?" Il medico alzò le spalle. "A dire la verità non lo so. Credo esistano varie possibilità. Gli organi sono estremamente importanti per l'insegnamento. Negli ospedali universitari di tutto il mondo ci sono grandi collezioni di organi. Ho perfino sentito dire di alcuni medici, ricercatori, che hanno la loro collezione privata, ma non glielo potrei giurare." "Collezionisti di organi?" "Esistono." "Collezionisti di organi?" "Sì." "Che ne è stato di questa... Città dei barattoli? Se esiste ancora." "Non lo so." "Pensa che il cervello possa essere finito lì? Che sia stato conservato nella formaldeide?" "Probabilmente. Avete riesumato il corpo della bambina?" "Forse è stato un errore" disse Erlendur e sospirò. "Forse tutta questa storia è un grande errore."

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23 † Elinborg era riuscita a rintracciare Klara, la sorella di Gretar. La sua ricerca della seconda vittima di Holberg, la donna di Husavik, come la chiamava Erlendur, non aveva dato alcun frutto. La reazione delle donne era stata sempre la stessa: enorme e verosimile sorpresa seguita da un sollecito interesse, tanto che Elinborg aveva dovuto ricorrere a ogni mezzo per non lasciarsi sfuggire anche il più piccolo dettaglio del caso. Sapeva che nonostante lei e gli altri agenti coinvolti nella ricerca della donna sottolineassero che la faccenda era delicata e che non se ne doveva parlare con nessuno, non potevano impedire che i pettegolezzi si facessero sempre più insistenti quando arrivava la sera. Klara viveva in un ordinato appartamento di un condominio nel quartiere delle Seljar, a Breidholt. Fu lei ad aprire la porta a Elinborg: era una donna magra, sulla cinquantina, dai capelli scuri, vestita con un paio di jeans e una maglia blu. Stava fumando una sigaretta. "Ha parlato con la mamma?" chiese dopo che Elinborg si fu presentata e lei l'ebbe fatta entrare, cortese e disponibile. "No, è stato Erlendur" rispose Elinborg," che lavora con me." "Ha detto che quell'uomo non si sentiva molto bene" disse Klara precedendo Elinborg in soggiorno e invitandola ad accomodarsi. "Ogni tanto se ne esce con certi commenti che non hanno né capo né coda." Elinborg non replicò. "Oggi è il mio giorno libero" continuò, come se volesse spiegare il motivo per cui si trovava a casa in pieno giorno. Disse di lavorare in un'agenzia di viaggi. Il marito era al lavoro, mentre i due figli ormai avevano lasciato il nido; la figlia studiava medicina, disse orgogliosa. Aveva appena spento la sigaretta, ma ne prese un'altra e se l'accese. Elinborg tossì cortesemente, ma Klara non notò l'allusione. "Ho letto di Holberg sui giornali" disse Klara quasi a roler frenare la propria loquacità. "Mia madre mi ha detto che il suo collega ha chiesto di Gretar. Eravamo fratellastri. Mamma si è dimenticata di dirglielo. Io e Gretar siamo figli della stessa madre; i nostri padri sono morti da tempo, tutti e due. " Non lo sapevamo" disse Elinborg. "Vuole vedere le cianfrusaglie che ho raccolto da Gréar?" "Sarebbe molto importante" rispose Elinborg. "Abitava in un buco schifoso. L'avete trovato?" Klara guardò Elinborg e inspirò con passione il fumo della sigaretta nei polmoni. "No, non l'abbiamo trovato" rispose Elinborg," e comunque non stiamo cercando lui in particolare. "Tossì di nuovo cortesemente. "È passato più di un quarto di secolo da quando scomparve, per cui..." "Non ho idea di cosa sia successo" la interruppe Klara aspirando una densa nube di fumo. "Non c'era Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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un gran rapporto fra noi due. Era più grande di me, egoista e noioso. Non si riusciva mai a cavargli una parola di bocca, insultava la mamma e rubava a tutte e due non appena poteva. Poi se ne ¦andò di casa." "Allora lei non conosceva Holberg?" chiese Elinborg. "No." "Nemmeno Ellicti?" aggiunse. "Ellicti chi?" "Non importa." "Non so chi bazzicasse Gretar. Quando sparì, una certa ¦Marion volle parlare con me e andammo insieme a casa sua. ¦Era un buco schifoso. C'era una puzza disgustosa nella stanza e il pavimento era coperto di spazzatura, teste di pecora mangiucchiate e purè di rapa ammuffito, campava di quello." "Marion?" domandò Elinborg. Non aveva lavorato in polizia abbastanza a lungo per ricordarsi quel nome. "Sì, si chiamava così." "Ricorda una macchina fotografica, in mezzo alle cose di suo fratello?" "Era l'unica cosa intatta in quell'appartamento. La presi, ma non l'ho mai usata. La polizia riteneva fosse stata rubata, e io non mi sento a mio agio con cose del genere. L'ho conservata giù in cantina. La vuole vedere? È venuta per la macchina fotografica?" "Sì, posso vederla?" chiese Elinborg. Klara si alzò. Disse a Elinborg di aspettare un attimo, andò in cucina e tornò con un portachiavi. Uscirono sul pianerottolo e scesero le scale. Klara aprì la porta che dava su un corridoio, accese la luce, si avvicinò a una delle porte delle cantine e la aprì. C'erano cianfrusaglie sparse, sedie a sdraio e sacchi a pelo, attrezzatura da sci e da campeggio. A Elinborg cadde subito lo sguardo su un apparecchio blu che serviva a massaggiare i piedi e su un aggeggio per rendere gasate le bevande, e fece un sospiro profondo. "La tenevo in una scatola, qui da qualche parte" disse Klara dopo essersi fatta strada in mezzo a tutto quel ciarpame dentro la cantina. Si piegò e sollevò una piccola scatola di cartone marrone. "Credo di aver messo qui tutta la sua roba. Non aveva niente, il tipo, tranne la macchina fotografica. "Aprì la scatola e fece per svuotarla, ma Elinborg la fermò. "Non tolga niente da lì" le ordinò e allungò le braccia per prendere la scatola. "Non posso ancora sapere che importanza abbia per noi il suo contenuto" spiegò poi. Klara le porse la scatola con un'espressione un po offesa ed Elinborg la aprì. C'erano tre gialli stropicciati in edizione economica, un coltello a serramanico, alcuni centesimi e una macchina fotografica, una Kodak Instamatic tascabile: Elinborg si ricordò che era stata un regalo popolare in occasione di Natali e cresime anni prima. Non era un oggetto di valore, per una persona con uno spiccato interesse per gli apparecchi fotografici, ma assolveva sicuramente la sua funzione. Non vide rullini nella scatola. Erlendur le aveva raccomandato di fare particolare attenzione a eventuali rullini lasciati da Gretar. Prese un fazzoletto e girò la macchina fotografica: vide che non c'erano rullini nemmeno lì. Nessuna foto nella scatola. "Poi ci sono vari tipi di vassoi e di liquidi qui" disse Klara e le indicò l'interno dello stanzino. "Credo che sviluppasse da solo le sue foto. C'è anche della Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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carta fotografica. Dev'essere andata ormai, no? Solo spazzatura." "È meglio che prenda anche questa" disse Elinborg e Klara si tuffò di nuovo nel ciarpame. "Sa se aveva dei rullini o magari ne ha visto qualcuno a casa sua?" chiese Elinborg. "No, non ne ho visti" rispose Klara con un sospiro, e poi si piegò ancora per prendere i vassoi. "Sa dove teneva i rullini?" "No." "Conosce i motivi delle fotografie?" "Be, si divertiva, credo" disse Klara. "Intendo quali erano i soggetti; ha mai visto le sue foto?" "No, non mi faceva mai vedere niente. Non ci vedevamo molto spesso, noi due, come le ho già detto. Non so che tipo di foto fossero, le sue. Gretar era un delinquente, un maledetto delinquente" disse, ripetendosi, e poi scrollò le spalle come se quel concetto non venisse mai ribadito abbastanza. "Le chiedo il permesso di portare via la scatola" disse Elinborg. "Spero che non le dispiaccia. Le verrà restituita al più presto." "Cosa sta succedendo?" chiese Klara, e per la prima volta sembrò interessata alla visita della polizia e alle domande su suo fratello. "Sapete dov'è Gretar?" "No" rispose Elinborg cercando di fugarle ogni dubbio. "Non è emerso niente di nuovo sul suo caso. Niente." I nomi delle due donne che erano con Kolbran la notte in cui Holberg la aggredì erano stati registrati nei dossier della polizia. Erlendur aveva fatto una ricerca delle due donne ed era emerso che entrambe erano di Keflavik, ma nessuna delle due abitava più lì. Una aveva sposato un militare della base americana poco dopo i fatti relativi all'indagine e abitava negli Stati Uniti, mentre l'altra si era trasferita da Keflavik a Stykkisholmur anni prima. Risultava ancora residente là. Erlendur era indeciso se sprecare una giornata per recarsi a Stykkisholmur, nell’ovest, oppure vedere se non fosse sufficiente telefonare alla donna. Erlendur parlava un pessimo inglese, quindi chiese a Sigurdur Oli di rintracciare la donna negli Stati Uniti. L'agente riuscì a parlare con suo marito ma risultò che la moglie era morta quindici anni prima. A causa di un tumore. Era sepolta in America. Erlendur telefonò a Stykkisholmur e riuscì a parlare con la donna senza alcuna difficoltà. Per prima cosa chiamò a casa, ma gli dissero che era al lavoro. Faceva l'infermiera all'ospedale locale. La donna ascoltò la richiesta di Erlendur, ma rispose che purtroppo non poteva aiutarlo. Non aveva potuto aiutare la polizia all'epoca e da allora niente era cambiato. "Holberg è stato assassinato" spiegò Erlendur," e pensiamo che la sua morte sia addirittura collegata a quei fatti." "L'ho letto sui giornali" disse la voce al telefono. La donna si chiamava Agnes ed Erlendur cercò di farsi un'idea del suo aspetto dalla voce. Prima si immaginò una donna sulla sessantina, energica e decisa, piuttosto grassa, perché aveva il respiro breve. Poi notò che aveva una brutta tosse da fumatrice e Agnes assunse un'altra immagiArnaldur Indridason - Sotto la Città

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ne nella sua mente, divenne magra, la pelle giallastra e rugosa. Tossiva pesantemente a intervalli regolari. "Ricorda quella sera a Keflavik?" chiese Erlendur. "Andai via prima di loro" rispose Agnes. "C'erano tre uomini con voi." "Tornai a casa con un uomo di nome Gretar. Lo dissi anche all'epoca. Mi risulta piuttosto spiacevole parlare di questa faccenda." "È un'informazione nuova, per me, che lei tornò a casa con Gretar" commentò Erlendur sfogliando i documenti che aveva davanti. "Lo dissi quando mi fecero la stessa domanda tanti anni fa. "Tossì e cercò di soffocare i rantoli. "Mi scusi. Non sono mai riuscita a smettere con queste maledette sigarette. Era un mezzo delinquente, quel disgraziato. Gretar. Non lo vidi più dopo quella volta." "Come vi eravate conosciute, lei e Kolbrùn?" "Lavoravamo insieme. Fu prima che andassi al corso per infermiere. Facevamo le commesse in un negozio di Keflavik che ha chiuso da tempo. Quella fu la prima e unica volta che uscimmo insieme. Comprensibilmente." "Lei credette a Kolbrùn quando raccontò dello stupro?" "Non ne sapevo niente; poi la polizia comparve a casa mia all'improvviso e cominciò a farmi domande su quella sera. Non riesco a immaginare che possa aver mentito su una cosa del genere. Kolbrùn aveva a cuore la propria reputazione. Era onestissima in tutto quello che faceva, ma era un po fragile. Piccola e malaticcia. Non aveva una personalità forte. Forse è brutto dire una cosa del genere, ma non era molto di compagnia, se capisce cosa voglio dire. C'era ben poco di divertente in quello che faceva." Agnes smise di parlare ed Erlendur attese che ricominciasse. "Non le interessava molto divertirsi, e in effetti quella sera dovetti trascinarla fuori con me e la mia amica, che si chiamava Helga. E morta in America, forse lo sapete già. Kolbrùn era così riservata, e in un certo senso sola, e io volevo fare qualcosa per lei. Aveva accettato di venire a ballare, poi era venuta con noi da Helga, ma volle tornare quasi subito a casa. Io, comunque, me ne andai via prima di lei, quindi non so esattamente cosa accadde là. Non venne al lavoro il lunedì; mi ricordo di averle telefonato, ma lei non aveva risposto. Qualche giorno dopo veniste voi della polizia a chiedermi di Kolbrùn. Non sapevo cosa pensare. Non avevo notato nulla di anormale tra lei e Holberg. Lui era un uomo piuttosto affascinante, se ricordo bene. Rimasi molto sorpresa, quando la polizia mi parlò di uno stupro." "Doveva avervi fatto una buona impressione" commentò Erlendur. "Mi sembra che lei l'abbia descritto come un seduttore." "Mi ricordo che venne in negozio." "Lui? Holberg?" "Sì, Holberg. Credo fu quello il motivo per cui si sedettero con noi quella sera. Disse di essere un ragioniere di Reykjavik, ma ovviamente era una bugia, no?" "Lavoravano tutti alla Capitaneria di porto. Che negozio era?" "Abbigliamento da donna. Anche intimo." "E lui venne in negozio?" "Sì. Il giorno prima. Il venerdì. Dovetti ripensare a tutta la sequenza dei fatti allora e me lo ricordo bene. Disse che stava cercando qualcosa per sua moglie. Lo servii io, e quando ci incontrammo al ballo si comportò Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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come se ci conoscessimo." "Ebbe qualche contatto con Kolbrùn dopo l'incidente? Le parlò di quanto era successo?" "Non tornò mai in negozio e, come le ho già detto, non seppi cos'era successo finché non cominciarono a interrogarmi. Non la conoscevo tanto bene. Cercai di chiamarla varie volte, quando non si fece più viva in negozio, e una volta andai anche a casa sua, ma non la trovai. Non volevo impicciarmi troppo. Lei era così. Ermetica. Poi sua sorella venne da me e mi disse che Kolbrùn aveva lasciato il lavoro. Seppi che era morta anni dopo. A quell'epoca mi ero già trasferita qui a Stykkisholmur. Ho sentito dire che si suicidò." "Comunque morì" disse Erlendur e ringraziò cortesemente Agnes per la conversazione. All'improvviso cominciò a pensare a un uomo di nome Sveinn, sul quale aveva letto qualcosa. Era sopravvissuto a una tormenta sulla Mosfellsheidi. Le sofferenze e la morte dei suoi compagni sembrarono non aver avuto effetto su Sveinn. Era quello meglio attrezzato del gruppo e l'unico che tornò sano e salvo nelle aree abitate; la prima cosa che fece una volta soccorso nella fattoria più vicina alla brughiera fu di mettersi i pattini e correre sul lago ghiacciato per divertirsi. Intanto i suoi compagni stavano morendo assiderati nella brughiera. Dopo quella volta fu chiamato sempre Sveinn Senz'anima.

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24 † La ricerca della donna di Husavik non aveva ancora dato esiti quando quella sera Sigurdur Oli e Elinborg si sedettero nell'ufficio di Erlendur per discutere il caso e prendere le dovute decisioni prima di tornare a casa. Sigurdur Oli disse di non essere sorpreso, non avrebbero mai trovato la donna in quel modo. Quando Erlendur chiese sgarbatamente se conoscesse un metodo migliore, lui scosse la testa. "Non mi sembra che stiamo cercando l'assassino di Holberg" disse Elinborg fissando Erlendur. "È come se fossimo alla ricerca di qualcuno di completamente diverso e io non sono molto sicura di sapere di chi si tratti. Hai fatto riesumare il corpo di una bambina e io, per esempio, non ho idea del perché. Hai cominciato a cercare un uomo scomparso una generazione fa e io non riesco a capire cosa abbia a che vedere con il caso. Credo che non ci stiamo ponendo la domanda più ovvia; o l'assassino è qualcuno vicino a Holberg oppure gli è del tutto estraneo: qualcuno che si è introdotto in casa sua per derubarlo. Personalmente penso che sia la spiegazione più plausibile. Ritengo che dovremmo cominciare a cercare meglio quella persona. Un tossicodipendente, forse. Con un giaccone verde militare. Effettivamente non abbiamo fatto molto in questo senso." "Può darsi che sia qualcuno che Holberg ha pagato per un servizietto" si intromise Sigurdur Oli. "A giudicare da tutto il materiale pornografico che c'era nel suo computer non è affatto improbabile che cercasse sesso a pagamento." Erlendur rimase zitto di fronte a tutte quelle critiche, sempre con lo sguardo basso. Sapeva che quanto diceva Elinborg era vero. Forse la sua capacità di giudizio si era alterata a causa delle preoccupazioni per Eva Lind. Non sapeva dove fosse finita, non sapeva in che situazione fosse andata a ficcarsi, era ricercata da gente che voleva farle del male e lui era impotente. Non disse della scoperta che aveva fatto dal medico legale né a Sigurdur Oli né a Elinborg. "Abbiamo il messaggio" disse alla fine. "Non è un caso che l'abbiamo trovato vicino al cadavere." La porta si aprì all'improvviso e si affacciò il responsabile della squadra scientifica. "Me ne vado" disse. "Volevo solo dirvi che stanno ancora esaminando la macchina fotografica e che vi chiameranno non appena avranno trovato qualcosa di rilevante." Chiuse di nuovo la porta senza salutare. "Forse non riusciamo a vedere l'evidenza" continuò Erlendur. "Forse c'è una soluzione semplicissima a tutta la faccenda. Forse è stato un balordo qualunque. Ma forse, e io sono convinto che sia così, l'omicidio ha radici molto più profonde di quanto riusciamo a immaginare. Forse non c'è niente di semplice in questo caso. Forse la spiegazione è da cercare nel tipo di uomo che era Holberg e in quello che faceva nella vita. "Erlendur tacque. "E il messaggio" aggiunse. "Io sono lui. Cosa vogliamo farne?" "Potrebbe essere Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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di qualche amico" rispose Sigurdur Oli e fece il segno delle virgolette con le dita. "O di un collega di lavoro. Ci siamo occupati poco di queste ipotesi. A dire la verità, non so dove ci possa portare la ricerca di tutte queste vecchiette. Non so come fare a chiedere se per caso sono state stuprate senza prendermi un vaso di fiori in testa." "E poi, non è la prima volta che Ellidi mente in vita sua su una cosa del genere" fece Elinborg. "Non è proprio questo che vuole, che ci copriamo di ridicolo? Hai considerato anche questa possibilità?" "Oh, avanti, cosa c'è?" esclamò Erlendur, come se non avesse più voglia di ascoltare quella lagna. "L'indagine ci ha portato su questa strada. Sarebbe stupido se non analizzassimo gli indizi che abbiamo, qualunque sia la loro provenienza. So che gli omicidi islandesi non sono mai complessi, ma in questo c'è qualcosa che non quadra, non lo si può classificare come una semplice fatalità. Ritengo che non sia un atto di violenza sconsiderata." Il telefono sulla scrivania di Erlendur squillò. L'agente rispose, ascoltò per un momento, annuì con la testa e ringraziò prima di riagganciare. I suoi sospetti erano stati confermati. "Era la scientifica" disse guardando Elinborg e Sigurdur Oli. "La macchina fotografica di Gretar venne utilizzata per scattare la foto alla tomba di Audur nel cimitero. Allo sviluppo sono emersi gli stessi graffi. Così adesso se non altro sappiamo che ci sono buone probabilità che Gretar abbia scattato la fotografia. È possibile che qualcun altro abbia usato la sua macchina, ma la prima alternativa è la più verosimile." "E questo cosa ci dice?" chiese Sigurdur Oli guardando l'orologio. Aveva invitato Bergthora fuori a cena quella sera, per cercare di farsi perdonare l'imbarazzo del giorno del suo compleanno. "Ci dice, per esempio, che Gretar sapeva che Audur era figlia di Holberg. C'erano pochissimi testimoni. E ci dice anche che Gretar aveva dei motivi, in primo luogo per rintracciare la tomba, e in secondo luogo per scattare una foto proprio a quella tomba. Lo fece perché gliel'aveva chiesto Holberg? Lo fece per provocarlo? La sparizione di Gretar è connessa alla fotografia? E se sì, in che modo? Cosa voleva ottenere Gretar con quella foto? Perché l'abbiamo trovata nascosta nella scrivania di Holberg? Che tipo di persona scatta delle foto alle tombe di bambini morti?" Elinborg e Sigurdur Oli osservavano Erlendur mentre si poneva tutte quelle domande. Notarono che la sua voce era diventata un mezzo sussurro e che non stava più parlando con loro, era sparito dentro se stesso, distratto e lontano. Si mise la mano sul petto quasi involontariamente e se lo massaggiò, in apparenza senza rendersi conto di quello che stava facendo. Si guardarono l'un l'altra senza osare chiedergli nulla. "Che tipo di persona scatta delle foto alle tombe di bambini morti?" sospirò di nuovo Erlendur. Più tardi quella sera Erlendur rintracciò l'uomo che aveva mandato i due scagnozzi in cerca di Eva Lind. Aveva avuto delle informazioni dalla narcotici, che aveva una documentazione piuttosto corposa sul suo conto, e Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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aveva scoperto che frequentava un bar del centro, il Napoleon. Erlendur ci andò e si sedette di fronte all'uomo. Si chiamava Eddi, era sulla cinquantina, pelato e gli rimanevano pochi denti ingialliti. "Pensavi che Eva avrebbe ricevuto un trattamento diverso perché sei uno sbirro?" chiese Eddi quando Erlendur si fu seduto con lui. Sembrò sapere già chi fosse Erlendur, nonostante non si fossero mai visti. Erlendur aveva la sensazione che lo stesse aspettando. "L'hai trovata?" domandò Erlendur a sua volta e si guardò intorno nella sala semibuia, osservando i pochi disgraziati seduti ai tavoli con un atteggiamento arrogante, che si notava dai gesti delle mani e dalle espressioni del viso. Improvvisamente il nome del bar assunse un significato preciso nella sua mente. "Lo capisci che sono suo amico?" disse Eddi. "Le faccio avere quello che vuole. A volte mi paga. Ma a volte passa troppo tempo. Quello del ginocchio ti manda i suoi saluti." "Ti ha fatto una soffiata." "È difficile trovare persone decenti" commentò Eddi e indicò la sala. "Quanto ti deve?" "Eva? Duecentomila. E non solo a me." "Ci possiamo accordare?" "Come vuoi." Erlendur prese le ventimila corone che aveva prelevato da un bancomat per strada e le depose sul tavolo. Eddi si allungò a prendere il denaro, lo contò scrupolosamente e lo mise in tasca. "Ti posso far avere qualcos'altro fra una settimana circa." "Bene. "Eddi osservò Erlendur con sguardo indagatore. Erano più o meno coetanei" Credevo volessi qualche soffiata" fece. "Su cosa?" chiese Erlendur. "So dov'è" rispose Eddi,"ma non riuscirai mai a salvare Eva." Erlendur rintracciò la casa. Era già stato in un posto del genere, per lo stesso motivo. Eva Lind era sdraiata su un materasso all'interno di quel buco, circondata da altra gente. Alcuni avevano la sua età, altri erano molto più vecchi. La casa era aperta e l'unico ostacolo era un ragazzo, che Erlendur valutò essere sulla ventina, che gli venne incontro sulla porta agitando le braccia. Erlendur lo sbatté contro la parete e poi lo buttò fuori. Una nuda lampadina pendeva dal soffitto di una delle stanze. Si chinò su Eva e cercò di svegliarla. Il suo respiro era regolare e naturale, il battito del cuore lievemente accelerato. La scrollò, la schiaffeggiò appena sulla guancia e poco dopo Eva aprì gli occhi. "Nonno" disse e richiuse gli occhi. Erlendur la sollevò e la portò fuori dalla stanza facendo attenzione a non calpestare quelli che giacevano per terra immobili. Non sapeva se fossero svegli o se dormissero. La ragazza aprì di nuovo gli occhi. "È qui" sussurrò, ma Erlendur non sapeva di chi stesse parlando e continuò a camminare con Eva in braccio verso la macchina. Prima la portava via di lì e meglio sarebbe stato. Le fece appoggiare i piedi a terra per aprire la portiera dell'auto e lei si appoggiò a lui. "L'hai trovata?" chiese la giovane. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"Ma chi? Di chi stai parlando?" L'aiutò a sistemarsi sul sedile anteriore, le legò la cintura di sicurezza, si sedette al volante e mise in moto. "È con noi?" chiese Eva Lind senza aprire gli occhi. "Ma chi, cazzo?" gridò Erlendur. "La sposa" rispose Eva Lind. "La ragazza di Gardabser. Ero sdraiata vicino a lei."

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25 † Lo squillo del telefono svegliò Erlendur. Gli risuonò in testa finché non fu costretto ad aprire gli occhi e a guardarsi intorno. Aveva dormito sulla poltrona in soggiorno. L'impermeabile e il cappello erano sul divano. L'appartamento era immerso nel buio. Erlendur si alzò lentamente in piedi e si chiese se avrebbe potuto indossare gli stessi vestiti per un altro giorno ancora. Non ricordava l'ultima volta che si era tolto quegli indumenti. Diede un'occhiata in camera prima di rispondere al telefono, e vide che le due ragazze erano nel suo letto, dove lui le aveva adagiate la sera precedente. Accostò la porta della stanza. "Le impronte sulla macchina fotografica corrispondono a quelle trovate sulla foto" disse Sigurdur Oli senza preamboli quando Erlendur finalmente rispose. Dovette ripetere la frase per far capire a Erlendur di che cosa stava parlando. "Vuoi dire le impronte di Gretar?" "Sì, di Gretar." "E sulla foto ci sono anche le impronte di Holberg?" chiese Elrendur. "Che cazzo stavano combinando?" "Bits mai bolls" disse Sigurdur Oli. "Che vuol dire?" domandò Erlendur. "Niente. Quindi possiamo presumere che fu Gretar a scattare la foto. Potrebbe averla mostrata a Holberg oppure fu Holberg a trovarla. Continuiamo la ricerca della vecchietta, oggi, giusto?" chiese Sigurdur Oli. "Non hai niente di nuovo?" "Sì" disse Erlendur. "E no." "Sto andando a Grafarvogur. Stiamo esaurendo la lista di quelle di Reykjavik. Dobbiamo mandare qualcuno a nord, quando finiamo con queste?" "Sì" rispose Erlendur e riagganciò. Eva Lind era entrata in cucina. Si era svegliata con lo squillo del telefono. Era ancora vestita, come la ragazza di Gardabser. Erlendur era tornato nella topaia, l'aveva recuperata e le aveva portate tutte e due a casa sua. Eva Lind sparì in bagno senza dire una parola, ed Erlendur la sentì vomitare con violenza. Entrò in cucina e si versò del caffè forte, l'unica soluzione che conosceva in situazioni del genere, si sedette al tavolo e attese che sua figlia uscisse dal bagno. Passò un po di tempo, si versò altre due tazze. Finalmente Eva Lind lo raggiunse. Si era lavata la faccia. Erlendur trovò che avesse un aspetto orribile. Il corpo gracile si teneva su a fatica. "Sapevo che si faceva ogni tanto" disse Eva Lind con voce roca non appena si sedette davanti a Erlendur," ma l'ho incontrata per puro caso." "E tu?" chiese Erlendur. Lei guardò suo padre. "Sto cercando di smettere" rispose," ma è difficile." "Sono venuti due ragazzi qui, che ti cercavano. Dei gran cafoni. Ho dato a un certo Eddi parte dei soldi che gli devi. Mi ha detto lui di quella topaia." "Eddi è a posto." "Vuoi provarci di nuovo?" "Non dovrei eliminarlo?" Eva Lind abbassò lo sguardo sul pavimento. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"Non lo so." "Ho tanta paura di avergli fatto del male." "Forse ci stai provando di proposito." Eva Lind guardò suo padre."Cazzo, se sei patetico" disse. "Io?" "Sì, tu!" "Uno cosa deve pensare? Dimmelo tu!" urlò Erlendur. "Una volta per tutte puoi farla finita con quest'autocommiserazione del cazzo? Che schifosa pezzente che sai essere. Ti trovi davvero così bene in compagnia della gente che frequenti, da non riuscire a pensare a niente di meglio? Che diritto hai tu di trattare così la tua vita? Che diritto hai di trattare così la vita che porti dentro? Credi davvero di essere tanto disperata? Credi di essere l'unica al mondo a stare così male? Sto indagando sulla morte di una bambina che non è arrivata a compiere nemmeno quattro anni. Si è ammalata ed è morta. Aveva dentro un male misterioso, che l'ha distrutta e uccisa. La sua bara era lunga meno di un metro. Hai sentito cos'ho detto? Che diritto hai tu di vivere? Dimmelo!" Erlendur aveva cominciato a urlare. Si era alzato in piedi e picchiava così forte sul tavolo che saltavano perfino le tazze; quando se ne accorse, ne prese una e la lanciò contro il muro dietro a Eva Lind. Gli montò la rabbia e in un attimo perse il controllo di sé. Rovesciò il tavolo, spaccò tutto quello che trovò, piatti, pentole e bicchieri caddero per terra e contro il muro. Eva Lind rimase ferma sulla sedia a guardare suo padre che perdeva la testa e gli occhi le si riempirono di lacrime. Alla fine Erlendur si calmò, si girò verso Eva Lind e vide che le spalle le tremavano e che si era nascosta il viso fra le mani. La guardò: aveva i capelli sporchi, le braccia magre, i polsi poco più larghi delle dita, il torace ossuto che sussultava. Era scalza e aveva dello sporco sotto le unghie. Le si avvicinò e cercò di spostarle le mani dal viso, ma lei non glielo permise. Voleva chiederle perdono. Voleva stringerla fra le braccia. Non fece né l'una né l'altra cosa. Invece si sedette sul pavimento vicino a lei. Il telefono squillò, ma lui non rispose. La ragazza in camera da letto non dava segni di vita. Il telefono smise di suonare e l'appartamento tornò a essere immerso nel silenzio. L'unico suono percepibile erano i singhiozzi di Eva Lind. Erlendur sapeva di non essere un padre modello: tutto quello che aveva detto poteva anche essere riferito a se stesso. Probabilmente aveva parlato per sé ed era arrabbiato più con se stesso che con Eva Lind. Uno psicologo avrebbe detto che stava proiettando la sua rabbia sulla figlia. Ma forse quanto aveva detto aveva prodotto un certo effetto. Non aveva mai visto piangere Eva Lind prima. Non da quando era una bambina. Se n'era andato quando lei aveva due anni. Finalmente Eva Lind scostò le mani dal viso, tirò su col naso e si asciugò la faccia. "È stato suo papà" disse. "Suo papà?" "Il mostro" continuò Eva Lind. "È lui il mostro. 'Che cosa ho fatto. Si riferiva a suo padre. Cominciò a toccarla quando le spuntarono i seni, e poi si è spinto sempre più in là. Non ha saputo lasciarla in pace nemmeno il Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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giorno del suo matrimonio. L'ha portata in un corridoio. Le ha detto che era tanto sexy con l'abito da sposa e non è riuscito a controllarsi. Non sopportava che lo lasciasse. Ha cominciato a metterle le mani addosso. E lei è andata fuori di testa." "Che razza di gente!" commentò Erlendur e sospirò. "Sapevo che a volte prendeva della roba. Mi aveva chiesto di procurargliela. È crollata completamente e se n'è andata, poi ha incontrato Eddi. È rimasta in quel buco da allora." Eva Lind tacque. "Credo che sua madre l'abbia sempre saputo" aggiunse poi. "Sempre. Non ha mai fatto niente. Avevano una casa troppo bella. E troppe macchine." "Non vuole denunciarlo?" "Wow!" "Cosa?" "Cazzo, dovrebbe farsi interrogare per ottenere una condanna a tre mesi con la condizionale, ammesso che qualcuno le creda? Come on!" "Allora cos'ha intenzione di fare?" "Tornerà dal tipo. Dal marito. Credo che gli voglia bene." "Si ritiene colpevole, allora, o cosa?" "Non sa cosa pensare." "Perché ha scritto 'Che cosa ho fatto? Dà la colpa a se stessa?" "C'era da aspettarselo che fosse un po sballata." "È sempre così, i pervertiti più schifosi che fanno queste cose sono anche i più felici. Sorridono a tutto il mondo come se niente gli rimordesse la coscienza, stronzi bastardi." "Non parlarmi più in quel modo" disse Eva Lind. "Non parlarmi più in quel modo." "Sei in debito con altri, oltre che con Eddi?" "Sì, con qualcun altro. Ma è Eddi il problema." Il telefono cominciò a squillare una seconda volta. La ragazza che era ancora a letto si mosse e si mise seduta, si guardò intorno e poi si alzò. Erlendur si chiese se doveva preoccuparsi di rispondere. Se doveva preoccuparsi di andare al lavoro. Oppure se non fosse meglio passare la giornata con Eva Lind. Farle compagnia, convincerla magari ad andare con lui dal medico e sottoporre a un controllo il bambino, se era possibile chiamarlo bambino. Sapere se era tutto a posto. Prendere una decisione insieme a lei. Il telefono però non voleva smettere di squillare. La ragazza si aggirava nell'ingresso guardandosi intorno disorientata. Chiamò per sapere se qualcuno era in casa. Eva Lind rispose che erano in cucina. Erlendur si alzò, andò incontro alla giovane sulla porta e le augurò il buongiorno. Nessuna risposta. Tutte e due le ragazze avevano dormito vestite, come Erlendur. La neo sposa osservò la cucina che Erlendur aveva devastato e gli lanciò uno sguardo furtivo. Finalmente Erlendur si decise a rispondere al telefono. "Che odore c'era nell'appartamento di Holberg?" Erlendur impiegò qualche secondo per rendersi conto che era la voce di Marion Briem. "Odore?" chiese Erlendur. "Che odore c'era nel suo appartamento?" ripete Marion Briem. "Era il solito cattivo odore da seminterrato" rispose Erlendur. "Odore di umido. Un tanfo. Non lo so. Come di cavallo." "No, non di cavallo" disse Marion Briem. "Stavo leggendo una cosa su Nordurmyri. Ho contattato un idraulico mio amico, il quale mi ha indicato un altro idraulico. Ho parlato con molti Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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idraulici." "Idraulici?" "Incredibilmente istruttiva, la cosa. Non mi avevi detto delle impronte sulla fotografia. "C'era un tono di accusa nella sua voce. "No, è vero" replicò Erlendur. "Ma non ci ho ancora lavorato." "Comunque la notizia mi è arrivata. Gretar e Holberg che complottavano qualcosa insieme. Gretar sapeva che la bambina era figlia di Holberg. Forse sapeva anche qualcos'altro." Erlendur rimase zitto. "Cosa vuoi dire?" disse poi. "Sai qual è la cosa più importante da sapere, su Nordurmyri?" chiese Marion Briem. "No" rispose Erlendur; aveva qualche difficoltà a seguire il filo dei pensieri della sua ex collega. "È talmente evidente che all'epoca mi era sfuggita." "Qual è?" Marion tacque per un attimo, come per dare ulteriore peso alle sue parole. "È una palude."

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26 † Sigurdur Oli rimase stupito del fatto che la donna sulla porta conoscesse il motivo della sua visita prima che lui glielo dicesse. Si trovava su un altro pianerottolo, questa volta in un condominio di tre piani a Grafarvogur. Non aveva fatto in tempo a presentarsi e a iniziare a spiegare il perché della sua presenza, che la donna lo invitò ad accomodarsi, dicendogli che lo stava aspettando. Era mattino presto. Fuori il cielo era coperto, veniva giù una pioggerella sottile e l'oscurità autunnale si annidava sopra la città, a conferma che presto sarebbe arrivato l'inverno, ancora più buio e più freddo. Alla radio avevano detto che dovevano passare molte decine di anni prima che ricorresse un periodo altrettanto piovoso. La donna si offrì di prendergli il soprabito. Sigurdur Oli se lo tolse e lei lo appese in un armadio. Un uomo, che poteva avere all'incirca la stessa età della donna, uscì dal cucinino e lo salutò con una stretta di mano. Erano entrambi sulla settantina, vestiti in una specie di tenuta sportiva, con i calzini bianchi come se stessero per uscire a fare jogging. L'agente li aveva interrotti mentre stavano facendo colazione. L'appartamento era molto piccolo, ma arredato in maniera funzionale: c'erano un piccolo bagno, un cucinino, un soggiorno e una spaziosa camera da letto. Faceva molto caldo, all'interno. Sigurdur Oli accettò il caffè e chiese anche un bicchiere d'acqua. La gola gli si era seccata immediatamente. Fecero qualche commento sul tempo, dopodiché Sigurdur Oli non riuscì più a trattenersi. "Ha detto che mi stava aspettando" disse e bevve un sorso di caffè. Era acquoso e aveva un sapore cattivo. "Be, non si parla d'altro che di questa povera donna che state cercando" disse. Sigurdur Oli la guardò senza capire. "Fra noi di Husavik" precisò la donna, come se non ci fosse bisogno di spiegare cose talmente ovvie per tutti. "Non abbiamo parlato d'altro da quando avete cominciato a cercare questa persona. Abbiamo una comunità di ex residenti molto forte e attiva, qui in città. Sono sicura che ognuno di noi sa che state cercando questa donna." "Non si parla d'altro?" le fece eco Sigurdur Oli. "Tre mie amiche che abitano qui a Reykjavik mi hanno chiamato ieri sera e questa mattina ho ricevuto una telefonata da Husavik. Se ne parla moltissimo." "E siete arrivate a qualche conclusione?" "In realtà no" rispose la donna e guardò suo marito. "Che cosa avrebbe fatto, questo Holberg, alla donna?" La signora non fece niente per celare la propria curiosità. Non cercò di dissimulare l'indiscrezione. Era tanto lo zelo che a Sigurdur Oli venne il voltastomaco e cercò di controllare le parole. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"È un caso di violenza" rispose. "Stiamo cercando la vittima, ma questo probabilmente lo sapete già." "Sì, sì. Ma perché? Che cosa le ha fatto? E perché adesso? Io penso, o meglio pensiamo" disse guardando suo marito, che era rimasto seduto in silenzio e seguiva la conversazione," che sia incredibile che il fatto abbia ancora rilevanza dopo tutti questi anni. Ho sentito che fu violentata. È vero?" "Mi dispiace, ma non posso rivelare i risultati delle indagini" disse Sigurdur Oli. "E forse non ha alcuna rilevanza. Credo che non dovreste ingigantire così la faccenda. Parlando con gli altri, intendo. Mi sa dire qualcosa che potrebbe esserci d'aiuto?" I due si guardarono. "Ingigantire la faccenda?" ripetè la donna e la sua sorpresa appariva sincera. "Non stiamo ingigantendo niente. Tu trovi, Eyvi, che stiamo ingigantendo la faccenda?" Guardò suo marito, che sembrava incerto. "Forza, rispondimi!" disse brusca e lui trasalì. "No, non direi, penso di no." Il cellulare di Sigurdur Oli cominciò a squillare. Non lo teneva nella tasca del soprabito come Erlendur, ma in un'elegante custodia assicurata alla cintura dei pantaloni perfettamente stirati. Sigurdur Oli chiese alla coppia di scusarlo, si alzò e rispose. Era Erlendur. "Puoi venire con me a casa di Holberg?" chiese. "Che succede?" disse Sigurdur Oli. "Altri scavi" rispose Erlendur e riagganciò. Quando Sigurdur Oli arrivò a Nordurmyri, Erlendur ed Elinborg erano già lì. Erlendur era in piedi sulla porta del seminterrato a fumarsi una sigaretta, mentre Elinborg si trovava all'interno dell'appartamento di Holberg. Per quanto ne capiva Sigurdur Oli, la donna stava fiutando l'aria, allungava il collo e tirava su con il naso, espirava e inalava di nuovo. Osservò Erlendur che alzò le spalle, gettò la sigaretta in giardino e insieme tornarono dentro l'appartamento. "Che odore pensi ci sia qui dentro?" chiese Erlendur a Sigurdur Oli, e anche lui come Elinborg si mise ad annusare l'aria. Passarono da una stanza all'altra sempre fiutando, tranne Erlendur che aveva un olfatto particolarmente debole essendo un accanito fumatore da molti anni. "Quando sono venuta qui la prima volta" disse Elinborg," ho pensato che abitassero degli appassionati di cavalli nel palazzo, o in questo appartamento. L'odore mi ricordava cavalli, stivali da fantino, selle o qualcosa del genere. Stallatico. Scuderie, in realtà. Era lo stesso odore che c'era nell'appartamento che comprai con il mio compagno, il mio primo appartamento. Ma nemmeno là vivevano persone appassionate di cavalli. Si trattava di sporcizia e umidità. Con gli anni il tanfo era penetrato dai radiatori fino nella moquette e nel parquet, e non era mai stato fatto niente. Poi era stato aperto un accesso allo scarico ed erano stati trovati dei ratti nell'appartamento. Una volta finito il lavoro, gli idraulici avevano infilato solo un po di paglia nel buco e l'avevano chiuso con un sottile strato di cemento. Per questo si sentiva sempre odore di fogna." "Che significa?" chiese Erlendur. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"Mi sembra che qui ci sia lo stesso odore, solo che è peggio. Umido e sporco e topi di fogna." "Ho incontrato Marion Briem" disse Erlendur, incerto se i due colleghi più giovani sapessero chi fosse. "Marion ovviamente ha letto tutto su Nordurmyri ed è arrivata alla conclusione che sia molto importante il fatto che un tempo questo terreno fosse una palude." Elinborg e Sigurdur Oli si scambiarono un'occhiata. "Nordurmyri, la palude settentrionale, era un po come un villaggio a sé stante qui nel centro di Reykjavik" continuò Erlendur. "Tutte queste abitazioni furono costruite durante e dopo la guerra. L'Islanda era appena diventata una repubblica; le strade furono intitolate agli eroi delle saghe antiche, Gunnarsbraut, Skeggjagata e così via. Qui si è raccolta la fauna più disparata della società, da persone rispettabili di un certo livello, perfino ricche, che vivevano in case lussuose, a spiantati che prendevano in affitto miseri appartamenti seminterrati, come questo. Ci sono molte villette singole a Nordurmyri, dove vivono persone anziane come Holberg, anche se magari hanno un animo più nobile; altri invece vivono proprio in seminterrati come questo. Tutte queste informazioni le ho avute da Marion." Erlendur fece una pausa prima di riprendere il discorso. "I seminterrati sono una delle caratteristiche che contraddistinguono Nordurmyri. Prima non c'erano appartamenti abitabili qui sotto: li convertirono i proprietari, installarono la cucina, alzarono pareti, allestirono camere da letto, insomma li resero agibili. Prima questi seminterrati erano luoghi di lavoro, come li ha chiamati Marion? Case 'auto contenute. Sapete di cosa si tratta?" Scossero entrambi la testa. "Certo che no, siete così giovani" fece Erlendur, ben sapendo che i due non sopportavano quando diceva così. "In seminterrati come questo c'erano le stanze delle ragazze. Erano le servette nelle case dei più benestanti. Le loro stanze erano praticamente dei buchi. Qui c'erano anche la lavanderia, la stanza dove veniva macellata la carne, per esempio, o dove venivano preparati altri cibi, i ripostigli, i bagni, di tutto un po." "Non è che dimentichi che era una palude?" chiese Sigurdur Oli sarcastico. "Stai cercando di dirci qualcosa di importante?" domandò Elinborg a sua volta. "Sotto questi seminterrati ci sono le fondamenta... " disse Erlendur. "Questa è bella" commentò Sigurdur Oli con Elinborg. "come sotto tutte le altre case" continuò Erlendur senza farsi scalfire dal tono di scherno di Sigurdur Oli. "Se aveste parlato con un idraulico, come ha fatto Marion Briem..." "Ma chi è questa cazzo di Marionbriem?" chiese Sigurdur Oli. "sapreste che ogni tanto qui a Nordurmyri c'è bisogno di un suo intervento per problemi che si presentano anche molti anni, decine di anni, dopo che la casa è stata edificata, se si trova su un terreno paludoso. In alcuni punti succede, in altri no. Si vede bene dove capita, dall'esterno di alcune case. Molte hanno un'intonacatura a grottesco, per cui si nota dove l'intonaco finisce e la nuda parete della casa emerge dal terreno. Una striscia che misuArnaldur Indridason - Sotto la Città

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ra dai cinquanta agli ottanta centimetri. Il fatto è che il terreno cede anche all'interno." Erlendur notò che i due colleghi avevano smesso di ridacchiare. "Nel mercato immobiliare questo fenomeno si chiama falla nascosta e i proprietari si trovano in grave difficoltà se devono sistemare problemi del genere. Quando il suolo sprofonda, aumenta la pressione e le tubature cedono sotto il pavimento. Prima che uno se ne renda conto, si trova a scaricare i propri escrementi direttamente nelle fondamenta. La cosa può andare avanti a lungo, perché l'odore non passa dall'impiantito. Si formano invece delle macchie di umidità sui pavimenti, perché in molte di queste vecchie case l'impianto dell'acqua calda passa attraverso le tubature delle acque nere; l'acqua cola nelle fondamenta quando i tubi si rompono, genera calore e il vapore raggiunge la superficie. Così il parquet si imbarca." Erlendur ormai aveva catturato la loro attenzione. "E Marion ti ha detto tutto questo?" domandò Sigurdur Oli. "Allora bisogna spaccare il pavimento" continuò Erlendur" e raggiungere le fondamenta per aggiustare le tubature. Gli idraulici hanno detto a Marion che a volte, quando perforavano la pavimentazione, trovavano il vuoto. In alcuni punti la soletta è molto sottile e sotto non c'è che aria. Il terreno è sprofondato per cinquanta centimetri, o addirittura un metro. Tutto a causa della palude." Sigurdur Oli e Elinborg si guardarono. "Allora c'è il vuoto sotto questo pavimento?" chiese Elinborg pestando un piede per terra. Erlendur sorrise. "Oltretutto Marion è riuscita anche a rintracciare un idraulico che fece dei lavori in questa casa l'anno delle celebrazioni per l'indipendenza. Per molti è stato un anno memorabile e quest'uomo ricorda benissimo di essere venuto qui per delle macchie di umido sul pavimento." "Che cosa stai cercando di dirci?" chiese Sigurdur Oli. "L'idraulico spaccò il pavimento. La soletta di calcestruzzo non è molto spessa. Sotto c'è un'ampia camera d'aria e l'uomo è ancora scocciato perché Holberg non gli permise di portare a termine il lavoro." "Come?" "L'idraulico fece un buco nel pavimento e riparò le tubature, ma poi Holberg lo cacciò di casa dicendo che voleva finire il lavoro da solo. E lo fece." Rimasero in silenzio finché Sigurdur Oli non potè più resistere. "Marion Briem?" disse. "Marion Briem!" Pronunciò il nome di seguito più volte, come se non lo capisse. Erlendur aveva ragione. Era troppo giovane per ricordarsi di quando Marion era nella polizia. Pronunciò il nome in toni diversi, come se per lui fosse una sciarada incomprensibile, poi improvvisamente tacque, si fece pensieroso e alla fine chiese:" Aspetta, Marion? Marion? Cos'è questo Marion? E che nome è? È un uomo o una donna?" Sigurdur Oli rivolse a Erlendur uno sguardo interrogativo. "A volte me lo chiedo anch'io" rispose Erlendur prendendo il cellulare.

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27 † La scientifica cominciò a rimuovere la pavimentazione in tutte le stanze dell'appartamento: in cucina, nel bagno, nel piccolo studiolo. C'era voluto un giorno intero per ottenere il permesso necessario per un'operazione del genere. Erlendur aveva presentato le proprie supposizioni nel corso di un incontro con il commissario capo, il quale si era convinto, in realtà con riluttanza, che gli indizi fossero sufficienti per sventrare il pavimento nell'appartamento di Holberg. La questione era diventata urgente a causa dell'omicidio che era stato commesso in quella casa. Erlendur aveva messo in relazione lo scavo con la ricerca dell'assassino di Holberg; aveva avanzato l'ipotesi che Gretar fosse ancora vivo e presumibilmente fosse anche l'assassino. La polizia avrebbe tratto un doppio beneficio dallo scavo. Se i sospetti di Marion Briem si fossero rivelati fondati, Gretar sarebbe stato scagionato dall'accusa di omicidio e sarebbe stato risolto il mistero di una scomparsa risalente a venticinque anni prima. Si procurarono un furgone piuttosto grande e ci caricarono tutta la mobilia di Holberg, tranne i pensili e tutto il loro contenuto. Era già buio quando il furgone parcheggiò davanti alla casa, e poco dopo entrò nel cortile un escavatore con un martello pneumatico agganciato al braccio idraulico. Alcuni tecnici della scientifica si riunirono fuori dalla casa e altri agenti investigativi si aggiunsero al gruppo. Non c'era alcuna traccia degli altri inquilini del palazzo. Aveva piovuto tutto il giorno, come i giorni precedenti, ma in quel momento scendeva solo una pioggerellina sottile, sferzante nella fredda brezza autunnale, che si depositava sul viso di Erlendur, il quale si teneva in disparte con una sigaretta fra le dita. Accanto a lui c'erano Sigurdur Oli ed Elinborg. Davanti alla casa si formò un gruppetto di curiosi, ma nessuno si azzardò ad avvicinarsi oltre. Nel gruppetto c'erano anche giornalisti e reporter, operatori televisivi e fotografi di vari quotidiani. Vetture, piccole e grandi, con le insegne delle varie emittenti erano parcheggiate ovunque nel quartiere ed Erlendur, che aveva proibito ogni contatto con i media, si chiese se non doveva farli allontanare. In breve tempo l'appartamento di Holberg rimase completamente vuoto. Il grande furgone era sempre nel cortile, mentre occorreva stabilire cosa fare degli effetti del deceduto. Alla fine Erlendur ordinò che venissero portati al deposito della polizia. Rimase a guardare mentre portavano fuori il linoleum e la moquette e li caricavano sul furgone, che poi sparì con un rombo lungo la strada. Il responsabile della squadra scientifica salutò Erlendur con una stretta di mano. Era sulla cinquantina, si chiamava Ragnar, era grassoccio e aveva una massa di capelli neri che non riusciva a tenere in ordine. Aveva studiato Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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in Inghilterra, leggeva solo gialli inglesi e aveva un interesse particolare per le serie di polizieschi britannici che trasmettevano in TV. "In che accidenti di ginepraio ci hai infilati questa volta?" chiese e guardò gli inviati dei media. Si intuiva una vena divertita nella voce. Trovava curioso che stessero smantellando un pavimento in cerca di un cadavere. "Com'è la situazione?" domandò Erlendur. "Il pavimento è completamente coperto da una specie di vernice per navi" rispose Ragnar. "È impossibile dire dove sia stato rifatto. Non si vede nessuna cementazione recente, né qualcosa che potrebbe indicare una riparazione. Stiamo provando a picchiare sul pavimento con i martelli, ma suona vuoto praticamente ovunque. Non saprei dire se si tratta di un cedimento del terreno o di qualcos'altro. La casa è in calcestruzzo, spesso e ben fatto. Niente stronzate alcaline. Ma ci sono chiazze di umidità in vari punti del pavimento. Quell'idraulico con cui eravate in contatto non potrebbe aiutarci?" "E in una casa di ricovero per anziani ad Akureyri e ha detto che non tornerà mai più qui a sud per il resto della sua vita. Ci ha fornito una descrizione piuttosto dettagliata del punto in cui ruppe il pavimento." "Stiamo anche inserendo un endoscopio nello scarico. Per ispezionare i collettori, controllare che siano a posto, vedere se individuiamo una vecchia riparazione." "Vi serve proprio quel martello?" chiese Erlendur e indicò l'escavatore con un cenno della testa. "Non ne ho idea. Abbiamo dei martelli pneumatici più piccoli, ma non bucherebbero nemmeno la merda bagnata. Abbiamo anche dei piccoli trapani: se troviamo una camera d'aria, possiamo fare un buco e calarci una telecamera endoscopica come quelle che usiamo per ispezionare le tubature." "Spero che basti. Il peggio sarebbe doverci entrare con tutto l'escavatore." "C'è una puzza del cazzo in quel buco seminterrato" commentò il capo e insieme si incamminarono verso l'appartamento. Tre agenti della scientifica, vestiti con delle tute di carta bianche e guanti di plastica, in mano dei comuni martelli Stanley, si aggiravano per l'appartamento, picchiando sul pavimento e segnando con dei pennarelli blu i punti in cui sembrava suonare a vuoto. "Secondo il catasto statale il seminterrato subì delle modifiche nel 1959, quando venne convertito in appartamento" disse Erlendur. "Holberg lo comprò nel '62 e probabilmente si trasferì subito qui. Ha sempre vissuto in questo posto da allora." Uno degli agenti della scientifica si avvicinò e salutò Erlendur. Aveva le planimetrie della casa, di ogni piano e del seminterrato. "I bagni si trovano al centro della casa. I tubi dello scarico scendono dai piani superiori fin nelle fondamenta, dove c'è la toilette del seminterrato. Si trovava nella stessa posizione anche prima delle modifiche ed è probabile che l'appartamento gli sia stato disegnato intorno. Il water è collegato allo scarico della vasca, poi la conduttura prosegue verso est e attraversa parte del soggiorno, passa sotto la camera da letto e da lì arriva in strada." "L'ispezione non deve limitarsi ai tubi dello scarico" commentò il responsabile della Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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scientifica. "Certo, infatti abbiamo posizionato un endoscopio nel canale di scolo. Mi stavano appunto dicendo che il tubo è rotto nel punto in cui entra in camera da letto, per cui abbiamo pensato di dare un'occhiata lì per prima cosa. È vicino al punto dove, a quanto ho capito, il pavimento venne bucato in precedenza." Ragnar annuì e guardò Erlendur, che alzò le spalle, come se ciò di cui si occupava la scientifica non lo riguardasse affatto. "Non si tratta di una crepa molto vecchia" disse il responsabile. "Il cattivo odore dovrebbe provenire da lì. Pensa che quell'uomo venne sepolto nelle fondamenta un quarto di secolo fa?" "Fu allora che scomparve, a quanto sembra" rispose Erlendur. Le loro parole si confondevano con il fracasso continuo dei colpi di martello che riecheggiavano tra il vuoto delle pareti. Uno degli uomini della scientifica prese delle cuffie antirumore da una borsa nera grande quanto una valigetta e se le mise, poi tolse un piccolo trapano elettrico e inserì la spina nella presa. Pigiò alcune volte il tasto dell'accensione per provarne il funzionamento, poi appoggiò la punta del trapano a terra e cominciò a rompere. IL rumore era infernale e anche gli altri uomini della scientifica misero i paraorecchie. Il trapano non fece molta strada. IL solido calcestruzzo si sbreccò appena. L'uomo rinunciò a continuare e scosse la testa. "Dobbiamo azionare l'escavatore" disse, il viso coperto da una sottile polvere di cemento. "Portate il martello pneumatico. E abbiamo bisogno di maschere protettive. Chi è lo stronzo idiota che ha avuto quest'idea brillante?" chiese e sputò per terra. "Holberg non avrà certo usato un martello pneumatico nel cuore della notte" commentò il responsabile della scientifica. "Non ha avuto bisogno di fare niente nel cuore della notte" disse Erlendur. "L'idraulico bucò il pavimento al suo posto." "Pensa che abbia messo l'uomo nel tubo di scarico?" "Vedremo. Forse ha dovuto solo fare delle modifiche alle fondamenta. Forse è tutto un malinteso." Erlendur uscì nel buio vespertino. Sigurdur Oli ed Elinborg erano saliti in macchina e stavano mangiando degli hot dog che il giovane era uscito a comprare al chiosco più vicino. Un hot dog aspettava Erlendur sul cruscotto. Lo divorò. "Se non troviamo il corpo di Gretar qui sotto, che cosa ne dobbiamo dedurre?" chiese Elinborg a Erlendur pulendosi la bocca. "Mi piacerebbe saperlo" rispose Erlendur pensoso. "Mi piacerebbe proprio saperlo." Un attimo dopo il loro superiore, il capo della squadra investigativa, si avvicinò in tutta fretta, picchiò al finestrino, aprì la portiera e disse a Erlendur di seguirlo. Anche Sigurdur Oli ed Elinborg scesero dalla macchina. IL capo della squadra si chiamava Hrolfur ed era in congedo per malattia quel giorno, ma in quel momento sembrava godere di ottima salute. Era piuttosto pingue e il modo in cui vestiva non lo mascherava per niente; aveva l'aria assonnata di chi contribuiva ben poco alle ricerche investigative. Era spesso assente per Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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malattia. "Perché non sono stato contattato per questa operazione?" "Sei in malattia" rispose Erlendur. "Cazzate" ribatté Hrolfur. "Non puoi gestire la squadra come ti pare e piace. Io sono il tuo superiore. Devi parlare con me di operazioni come questa prima di renderti ridicolo nella tua imbecillità!" "Senti, credevo che fossi in malattia" ripetè Erlendur fingendosi sorpreso. "E come ti è venuto in mente di trascinare fin qui il commissario capo?" sibilò Hrolfur. "Come ti è venuto in mente che ci possa essere un uomo qui sotto il pavimento? Non hai in mano niente. Niente, se non delle chiacchiere sulle fondamenta delle case e una puzza. Sei fuori di testa?" Sigurdur Oli si avvicinò esitante. "C'è una donna con cui credo dovresti parlare, Erlendur" disse, tenendo in mano il cellulare che l'agente aveva lasciato in macchina. "È personale. È piuttosto sconvolta." Hrolfur si voltò verso Sigurdur Oli e gli disse di andare a fare in culo e di lasciarli soli. Sigurdur Oli non cedette. "Dovresti parlarci adesso, Erlendur" insistette. "Che cazzo succede? Vi comportate come se io non esistessi!" urlò Hrolfur picchiando un piede a terra. "È una cospirazione, questa stronzata? Erlendur, se dovessimo far saltare in aria le fondamenta di tutte le case a causa di una puzza, faremmo solo quello. Sei completamente fuori di testa! È assurdo!" "È stata Marion Briem ad avere quest'idea interessante" disse Erlendur con la stessa calma di prima," e ho ritenuto che valesse la pena provare. Anche il commissario capo era d'accordo con me. Ti prego di scusarmi se non ti ho contattato, ma sono felice di vedere che sei di nuovo in piedi. E devo proprio dirtelo, Hrolfur, sei in forma smagliante. Adesso, però, ti prego di scusarmi." Erlendur superò Hrolfur che fissava alternativamente lui e Sigurdur Oli, pronto a dire qualcosa, ma non sapeva che cosa. "Mi è venuta in mente una cosa" disse Erlendur. "Avrei dovuto farla già da un po." "Che cosa?" domandò Sigurdur Oli. "Contatta la Capitaneria di porto e senti se sanno dirti se Holberg è stato a Husavik o nei dintorni negli anni verso il 1960." "D'accordo. Ecco, parla con questa donna." "Che donna?" chiese Erlendur prendendo il cellulare. "Non conosco nessuna donna." "L'hanno passata sul tuo cellulare. Ti aveva già cercato in ufficio. Le hanno detto che eri impegnato, ma lei non si è data per vinta." In quel momento partì il martello pneumatico. Dal seminterrato arrivò un frastuono insopportabile e i tre videro una densa nube di polvere uscire dalla porta. La polizia aveva oscurato tutte le finestre, così era impossibile vedere all'interno. Tranne l'operaio sull'escavatore tutti gli altri erano usciti e si tenevano a distanza, in attesa. Guardarono l'orologio, sembravano discutere di quanto si fosse fatto tardi. Sapevano di non poter continuare con quel rumore fino a tardi, essendo quello un quartiere residenziale. Avrebbero dovuto smettere a breve e continuare il mattino successivo, oppure tentare un'altra operazione. Erlendur corse in macchina con il suo cellulare, chiudendo il rumore all'eArnaldur Indridason - Sotto la Città

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sterno. Riconobbe immediatamente la voce. "E qui" esordì Elin non appena sentì che Erlendur era al telefono. Sembrava molto agitata. "Si calmi, Elin" disse Erlendur. "Di che cosa sta parlando?" "È qui in piedi davanti a casa mia, sotto la pioggia, e mi fissa. "La voce era diventata un sussurro. "Chi, Elin? È a casa? A Keflavik?" "Non so quando sia arrivato, non so da quanto tempo stia lì. L'ho notato solo poco fa. Non volevano mettermi in contatto con lei." "Non credo di aver capito. Di chi sta parlando, Elin?" "Ma dell'uomo, no? L'ho riconosciuto, è quella bestia." "Chi?" "Ma quel violento che aggredì Kolbrun!" "Kolbrùn? Ma di che cosa sta parlando?" "Lo so. Non è possibile, ma comunque è qui." "Non è un po confusa?" "Non dica che sono confusa. Non si permetta! So esattamente cosa sto dicendo." "Chi è l'uomo che aggredì Kolbrun?" "Come chi è? Che vuol dire?" "Di chi sta parlando?" "Ma insomma, di Holberg!" Invece di alzare la voce, Elin sibilò nella cornetta. "È qui in piedi davanti a casa mia!" Erlendur rimase in silenzio. "È ancora in ascolto?" sussurrò Elin. "Cosa ha intenzione di fare?" "Elin" disse Erlendur sottolineando ogni parola," non può essere Holberg. Holberg è morto. Dev'essere per forza qualcun altro." "Non mi parli come se fossi una bambina. È qui in piedi sotto la pioggia e mi fissa. L'animale."

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28 † La comunicazione si interruppe ed Erlendur avviò il motore. Sigurdur Oli ed Elinborg lo guardarono fare retromarcia in mezzo alla folla e lo videro sparire lungo la strada. Si scambiarono uno sguardo e alzarono le spalle, come se avessero rinunciato da tempo a capire cosa passasse per la mente del collega. Appena fu in strada Erlendur si mise in contatto con la polizia di Keflavik, chiedendo di mandare a casa di Elin degli agenti sulle tracce di un uomo vestito con un giaccone blu, un paio di jeans e scarpe da ginnastica bianche. Elin glielo aveva descritto con cura. Raccomandò a chi gli rispose di non accendere le sirene né i lampeggiatori, e di avvicinarsi invece il più silenziosamente possibile per non spaventare il soggetto ricercato. "Che stupida cazzata, sì è inventata la vecchia" pensò Erlendur spegnendo il cellulare. Guidò più in fretta che poteva, uscì da Reykjavik, attraversò Hafnarfjordur e imboccò la statale per Keflavik. IL traffico era piuttosto intenso e la visibilità scarsa, ma lui zigzagò fra le altre vetture e tagliò perfino un'isola spartitraffico per sorpassare un'auto. Ignorò tutti i semafori e riuscì ad arrivare a Keflavik in mezz'ora. Gli fu d'aiuto il fatto che gli uomini della squadra investigativa di recente avevano ottenuto il permesso di utilizzare il lampeggiatore blu in caso di necessità anche sulle auto civetta. Al momento ci aveva riso su. Si ricordava di aver visto una cosa del genere in un telefilm poliziesco alla tv e aveva pensato che fosse ridicolo usare un simile strumento ansiogeno a Reykjavik. Due vetture della polizia erano già di fronte alla casa di Elin quando Erlendur arrivò. Elin lo stava aspettando all'interno con tre poliziotti. Disse che l'uomo era sparito nel buio un attimo prima che le macchine parcheggiassero lì davanti. Aveva indicato agli agenti il punto in cui l'uomo si trovava e la direzione in cui era scappato, ma la polizia non era riuscita a trovarlo e non aveva notato niente di sospetto. Gli agenti erano rimasti perplessi di fronte a Elin che si rifiutava di dire loro chi fosse quell'uomo e perché era pericoloso; a quanto pareva non aveva fatto altro che stare in piedi sotto la pioggia. Quando si rivolsero a Erlendur, l'agente spiegò che quell'uomo era collegato a un'indagine per omicidio a Reykjavik. Si raccomandò che gli facessero sapere se trovavano qualcuno corrispondente alla descrizione fornita da Elin. Elin era visibilmente sconvolta ed Erlendur ritenne che la cosa migliore da fare fosse liberarla dalla polizia al più presto possibile. Ci riuscì senza troppi sforzi. I poliziotti dissero che avevano ben altro da fare che correre dietro ai ghiribizzi delle vecchiette, ma fecero attenzione che Elin non li sentisse. "Posso giurare che era lui, qui fuori" disse la donna a Erlendur quando rimaArnaldur Indridason - Sotto la Città

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sero soli in casa. "Non so come sia possibile, ma era lui!" Erlendur rimase ad ascoltare quanto aveva da dire: guardandola, si rese conto che era assolutamente convinta delle proprie affermazioni. Sapeva che la donna aveva passato dei brutti momenti nei giorni precedenti. "Non regge, Elin. Holberg è morto. L'ho visto all'obitorio. "Rifletté un attimo e poi aggiunse:" Gli ho visto il cuore" . Elin lo guardò. "Era nero?" chiese, e a Erlendur vennero in mente le parole del patologo, che gli aveva detto di non poter distinguere se fosse stato il cuore di una persona malvagia o buona. "Il medico ha detto che avrebbe potuto vivere fino a cent'anni" rispose invece Erlendur. "Lei crede che io sia confusa" continuò Elin. "Lei crede che io mi sia immaginata tutto. Che questo sia un modo per attirare l'attenzione perché..." "Holberg è morto" la interruppe Erlendur. "Che cosa devo pensare?" "Allora quello era la sua immagine fatta e finita" ribadì Elin. "Mi descriva meglio l'uomo che ha visto." Elin si alzò, si avvicinò alla finestra del soggiorno e indicò un punto fuori, nella pioggia. "Era lì, in piedi sul vialetto che arriva alla strada. Era immobile e guardava in questa direzione. Non so se mi abbia visto. Ho cercato di nascondermi. Stavo leggendo e mi sono alzata perché nella stanza era diventato buio e volevo accendere la luce, quando ho buttato un occhio alla finestra. Era a capo scoperto e sembrava non importargli niente che piovesse. Anche se era lì in piedi, sembrava molto più lontano, in un certo senso. "Elin rifletté per un attimo. "Aveva i capelli neri e mi pare che fosse sulla quarantina. Altezza media." "Elin" disse Erlendur. "Fuori è buio. Piove a dirotto. Si vede appena oltre il vetro. Il vialetto non è illuminato. Lei porta gli occhiali. Mi sta dicendo che..." "Aveva appena cominciato a far buio e io non sono corsa subito al telefono. Ho guardato bene quell'uomo sia da questa finestra che da quella della cucina. Ci ho messo un po a rendermi conto che era Holberg o qualcuno che gli assomigliava. Il vialetto non è illuminato, ma c'è parecchio traffico sulla strada, e ogni volta che passava una macchina lo illuminava con i fari, così l'ho visto bene in faccia." "Come fa a essere così sicura?" "Era Holberg da giovane" rispose Elin. "Non quel vecchietto della foto pubblicata dai giornali." "Lei ha visto Holberg da giovane?" "Sì, l'ho visto. Una volta Kolbrùn fu chiamata di punto in bianco alla centrale di polizia. Le dissero che c'era bisogno di una sua deposizione più dettagliata su un determinato particolare. Tutte maledette bugie. Era una certa Marion Briem a gestire il caso. Che razza di nome è? Marion Briem! Dissero a Kolbrùn di andare a Reykjavik. Lei mi chiese di accompagnarla e lo feci. Aveva appuntamento a un'ora stabilita, mi pare fosse di mattina. Entrammo e questa Marion ci venne incontro per accompagnarci in un'altra stanza. Eravamo lì sedute da un po, quando improvvisamente la porta si aprì e Holberg venne verso di noi. Marion gli stava alle spalle, sulla soglia." Elin fece una pausa. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"E cosa accadde?" chiese Erlendur. "Mia sorella ebbe un crollo nervoso. Holberg sorrideva, fece dei versi con la lingua verso mia sorella e lei si aggrappò a me come se stesse per annegare. Non riusciva a respirare. Holberg si mise a ridere e Kolbrùn ebbe un attacco di nervi. Rovesciò gli occhi, le venne la schiuma alla bocca, poi cadde a terra. Allora Marion fece uscire Holberg; fu così che vidi quella bestia per la prima e ultima volta, ma quel ceffo non lo dimenticherò mai." "E ha visto quel viso fuori dalla sua finestra questa sera?" Elin annuì. "Ho reagito molto male, lo ammetto, e sicuramente non si trattava di Holberg, ma quell'uomo era la sua copia perfetta." Erlendur si chiese se fosse il caso di raccontare a Elin che cosa aveva rimuginato negli ultimi tempi. Valutò quanto avrebbe potuto dirle e se quelle cose avessero un qualche fondamento nella realtà. Rimasero seduti in silenzio mentre lui pensava. Era sera, e a Erlendur venne in mente Eva Lind. Sentì una fitta al petto e si passò una mano sopra, come se in quel modo potesse farla passare. "Si sente poco bene?" chiese Elin. "C'è una cosa su cui stiamo lavorando ultimamente, ma non so ancora se ci farà arrivare da qualche parte" disse Erlendur. "Quanto è accaduto oggi avvalora la nostra teoria. Se esiste un'altra vittima di Holberg, se Holberg ha violentato un'altra donna, non è escluso che questa abbia avuto un figlio da lui, proprio come Kolbrùn. Mi sono interrogato su questa possibilità per via del messaggio che abbiamo trovato sopra il cadavere. È possibile che questa donna abbia avuto un figlio. Che oggi avrebbe una quarantina d'anni, posto che lo stupro ebbe luogo intorno al 1964. E quindi potrebbe essere lui la persona che era qui davanti a casa sua questa sera." Elin guardò Erlendur sbalordita. "Il figlio di Holberg? È possibile una cosa del genere?" "Ha detto che era la sua immagine fatta e finita." "Sì, ma..." "Sto considerando l'ipotesi. C'è un anello mancante in questo caso, e credo che possa trattarsi di quest'uomo." "Ma perché? Che cosa ci faceva qui?" "Non lo trova ovvio?" "Cos'è ovvio?" "Lei è la zia di sua sorella" rispose Erlendur e vide dipingersi un'espressione di sorpresa sul viso di Elin, mentre la donna si rendeva conto a poco a poco del significato delle sue parole. "Audur era sua sorella" disse in un sospiro. "Ma come può sapere di me? Come sa dove vivo? Come può mettere in relazione Holberg e me? Non hanno mai parlato del suo passato sui giornali, né dei suoi stupri o del fatto che avesse una figlia. Nessuno sapeva di Audur. Come fa quest'uomo a sapere chi sono?" "Magari ce lo dirà quando lo troveremo." "Crede sia lui l'assassino di Holberg?" "Adesso mi sta chiedendo se abbia ucciso suo padre" rispose Erlendur. Elin sembrò riflettere. "Oh Signore" disse poi e sospirò. "Non lo so" concluse Erlendur. "Se lo vede ancora qui fuori, mi chiami." Elin si era alzata; si avvicinò alla finestra che dava sul vialetto come se si aspettasse di vedere di nuovo quell'uomo. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"So di essere sembrata isterica quando l'ho chiamata e le ho detto di Holberg, ma per un attimo ho sentito che poteva essere lui. Ho reagito davvero male nel vederlo. Ma non ho avuto paura. Piuttosto ero molto arrabbiata; c'era qualcosa di strano in quell'uomo, il modo in cui stava in piedi, il modo in cui piegava la testa. C'era una certa tristezza in lui, sul suo viso, un certo dolore. Ho pensato che non si sentisse bene. Non poteva sentirsi bene. Era in contatto con suo padre? Lo sa?" "Non so nemmeno se quest'uomo esista davvero" rispose Erlendur. "Quello che lei ha visto avvalora una certa teoria. Ma non sappiamo niente su questa persona. Non ci sono fotografie della sua cresima a casa di Holberg, se è questo che intende. Sappiamo però che Holberg aveva ricevuto delle telefonate anonime poco prima di essere ucciso, e la cosa lo rendeva molto nervoso. Non abbiamo altri elementi." Erlendur aveva preso il suo cellulare e chiese a Elin di scusarlo un momento. "Qualche novità?" chiese avendo riconosciuto il numero di Sigurdur Oli. "In che cazzo di puttanaio ci hai ficcato!" urlò Sigurdur Oli senza mascherare la propria rabbia. "Hanno raggiunto il tubo di scarico, era pieno di scarafaggi schifosi, milioni di piccoli sporchi scarafaggi sotto quel cazzo di pavimento. E uno schifo. Dove sei?" "A Keflavik. Qualche traccia di Gretar?" "No, nessuna cazzo di traccia di quel merdoso di Gretar" rispose Sigurdur Oli e riagganciò. "C'è un'altra cosa, Erlendur" disse Elin," me ne sono resa conto prima mentre parlava della parentela con Audur. Adesso capisco che avevo ragione. Non l'ho capito subito, ma c'era un'altra espressione sul viso di quell'uomo che credevo non avrei mai più rivisto. Era un'espressione di tanto tempo fa, che non ho mai dimenticato." "Quale espressione?" domandò Erlendur. "Per questo non ho avuto paura di lui." "Che espressione aveva?" "Non me ne sono resa conto subito. Mi ricordava anche Audur. C'era qualcosa in lui che me la ricordava."

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29 † Sigurdur Oli infilò il cellulare nella custodia agganciata alla cintura e si avvicinò di nuovo alla casa. Era dentro con altri agenti della polizia, quando il martello pneumatico aveva forato la pavimentazione e ne era uscito un tale tanfo che gli era venuto il voltastomaco. Si era precipitato alla porta come tutti quelli che si trovavano lì e pensava che avrebbe vomitato prima di uscire all'aria aperta. Quando erano rientrati, indossavano occhiali e maschere protettive, ma l'odore riusciva a penetrare comunque, ed era orribile. L'addetto al martello pneumatico aveva allargato il buco sopra la tubatura rotta. Era entrato con facilità una volta aperta una breccia nella pavimentazione. Sigurdur Oli non riusciva a immaginare da quanto tempo fosse rotta la tubatura. Sembrava che le acque nere si fossero raccolte in un'area molto vasta sotto il cemento. Un lieve miasma usciva dal foro. L'agente aveva illuminato il buco con una torcia tascabile e per quanto era riuscito a distinguere, aveva visto che il suolo era sprofondato di almeno mezzo metro rispetto al basamento. I tubi erano ricoperti da una crosta che sembrava animata, formata da piccoli scarafaggi neri. L'agente aveva fatto un passo indietro, quando aveva visto un animale indistinto sfrecciare davanti al raggio della torcia. "Attenti!" aveva urlato ed era uscito a grandi falcate dal seminterrato. "Ci sono dei ratti sotto quest'inferno. Chiudete il buco e chiamate la disinfestazione. Ci fermiamo qui. Bloccate tutto subito!" Nessuno aveva obiettato. Uno di loro aveva steso un telo sul foro nel pavimento e l'appartamento si era svuotato in un attimo. Sigurdur Oli si era strappato la maschera dal viso non appena era uscito dal seminterrato e aveva inspirato voracemente l'aria fresca. Tutti avevano fatto altrettanto. Erlendur apprese del progredire delle ricerche a Nordurmyri mentre tornava da Keflavik. La disinfestazione era stata chiamata sulla scena del crimine e la polizia non avrebbe intrapreso nessun'altra azione in quella casa fino al mattino dopo, quando ogni creatura viva nel sottosuolo fosse stata sterminata. Sigurdur Oli era tornato a casa e stava uscendo dalla doccia quando Erlendur lo chiamò per sapere le ultime novità. Anche Elinborg era andata a casa. Erano rimasti di guardia all'appartamento di Holberg mentre la disinfestazione faceva il proprio lavoro. Due volanti della polizia sarebbero rimaste davanti all'appartamento per tutta la notte. Eva Lind andò incontro a suo padre quando rincasò. Erano le nove passate. La sposa se n'era andata. Prima di andarsene aveva detto a Eva Lind che aveva intenzione di parlare a suo marito, sentire che tono aveva. Non era sicura di volergli raccontare il vero motivo per cui aveva abbandonato la festa del loro matrimonio. Eva Lind le aveva suggerito di farlo, le aveva detto che non avrebbe dovuto continuare a coprire quel bastardo di suo paArnaldur Indridason - Sotto la Città

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dre. Per niente al mondo avrebbe dovuto difenderlo. Andarono a sedersi in soggiorno. Erlendur descrisse per filo e per segno a Eva Lind le indagini sull'omicidio, dove l'avevano portato e cosa gli stava passando per la testa. Lo fece anche per cercare di trovare un senso a quella storia, per farsi un'idea più chiara di quello che era successo nei giorni appena trascorsi. Le raccontò quasi tutto, del ritrovamento del cadavere di Holberg nel seminterrato, dell'odore in casa sua, del messaggio, della vecchia foto nella scrivania, dei file pornografici nel computer, dell'epitaffio sulla lapide, di Kolbrùn e di sua sorella Elin, di Audur e della sua morte poco chiara, dei sogni che lo tormentavano, di Ellidi in prigione e della scomparsa di Gretar, di Marion Briem, della ricerca di un'altra vittima di Holberg e dell'uomo davanti a casa di Elin, presumibilmente il figlio di Holberg. Cercò di fare un resoconto sistematico, esponendo varie teorie e punti di vista, finché non riuscì più ad andare avanti e tacque. Non disse a Eva Lind che al cadavere della bambina mancava il cervello. Non aveva ancora capito come potesse essere accaduto. Eva Lind lo ascoltò senza interromperlo e notò che Erlendur si strofinava una mano sul petto mentre parlava. Riusciva a sentire l'effetto che aveva su di lui il caso di Holberg. Percepiva in lui una rassegnazione di cui non si era mai accorta prima. Sentiva la sua stanchezza, mentre parlava della bambina. Era come se si stesse chiudendo in sé, la voce scendeva di tono e lui si faceva più lontano. "Audur è la bambina a cui ti riferivi quando mi hai urlato contro stamattina?" chiese Eva Lind. "Era, non so come dire, un dono di Dio per sua madre" rispose Erlendur. "Amata oltre la morte. Scusami se sono stato duro con te. Non volevo, ma quando vedo come vivi, quando vedo quanto ti trascuri e la mancanza di rispetto che hai per te stessa, quando vedo la distruzione, tutto quello che ti fai e poi mi rivedo davanti la piccola bara che esce dal terreno, allora non capisco più niente di niente. Non capisco cosa stia succedendo e mi viene voglia... " Erlendur tacque. "Di picchiarmi a sangue" Eva Lind finì la frase. Erlendur alzò le spalle. "Non so cosa mi viene voglia di fare. Forse sarebbe meglio non fare niente. Forse sarebbe meglio lasciare che la vita faccia il suo corso. Dimenticare tutto. Mettersi a fare qualcosa che abbia un senso. Perché uno dovrebbe volersi immischiare in tutto questo? In questo schifo? Parlare a gente come Ellidi. Accordarsi con uno stronzo come Eddi. Vedere con cosa si diverte la gente come Holberg. Leggere le denunce di stupro. Scavare nelle fondamenta di case piene di piattole e merda. Riesumare piccole bare." Erlendur si accarezzò il petto ancora più intensamente. "Uno è convinto che tutte queste cose non gli facciano effetto. Uno si ritiene abbastanza forte da sopportare questa roba. Uno pensa di essersi fatto una corazza con gli anni e di essere in grado di osservare tutto quello schifo da una certa distanza, come se non lo riguardasse affatto, e di essere capace Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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di mantenere un certo equilibrio. Ma non ci sono distanze. E non c'è alcuna corazza. Nessuno è così forte. La repulsione ti perseguita come uno spirito maligno, ti si annida in testa e non ti lascia in pace finché non senti che lo schifo è la vita stessa, perché hai dimenticato come vive la gente normale. Questo caso è così. E come uno spirito maligno che si diverte a saccheggiarti la mente e alla fine ti fa sentire un miserabile." Erlendur fece un sospiro profondo. "È tutto un gran pantano." Tacque ed Eva Lind rimase dov'era in silenzio. Così passarono alcuni minuti, finché la ragazza si alzò, andò a sedersi vicino a suo padre, lo abbracciò e si strinse forte a lui. Sentiva il suo cuore che batteva ritmicamente come un orologio rassicurante e infine si addormentò, con un leggero sorriso sul viso.

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30 † Verso le nove del giorno successivo la squadra investigativa e gli uomini della scientifica si trovarono di nuovo a casa di Holberg. Non era ancora diventato chiaro, sebbene fosse mattina inoltrata, il cielo era cupo e continuava a piovere. Alla radio avevano detto che il livello delle precipitazioni nel mese di ottobre a Reykjavik stava per raggiungere il massimo storico dal 1926. I tubi di scarico erano stati ripuliti e nessuna creatura viva si aggirava nel sottosuolo. IL buco nel pavimento era stato allargato in modo che potessero scendere due uomini contemporaneamente. I proprietari degli altri appartamenti si erano riuniti fuori dalla porta del seminterrato. Avevano trovato un idraulico disposto a riparare le tubature e l'avrebbero chiamato non appena la polizia avesse dato loro il permesso. Ben presto fu chiaro che la camera d'aria intorno a quel tubo di scarico era relativamente piccola. Misurava circa tre metri cubi ed era chiusa, perché il suolo era sprofondato solo in alcuni punti sotto il basamento. Il tubo si era rotto nello stesso punto della volta precedente. La vecchia riparazione era ben visibile e sotto il tubo si notava della ghiaia diversa da quella che c'era intorno. I tecnici della scientifica stavano decidendo se allargare ancora di più il buco e togliere la ghiaia dalle fondamenta in modo da svuotarle per vedere bene sotto la pavimentazione. Dopo qualche discussione stabilirono che il piano avrebbe potuto cedere se avessero rimosso tutto quello che ci stava sotto, e optarono per un metodo più sicuro e più tecnico: praticare dei fori qua e là nella soletta e calare una piccola telecamera endoscopica nelle fondamenta. Sigurdur Oli rimase a osservare i tecnici mentre cominciavano a perforare il piano sotto il pavimento e poi posizionavano due piccoli monitor collegati alle due telecamere che la scientifica aveva a disposizione. Le telecamere erano poco più grandi di due tubicini e avevano un dispositivo per l'illuminazione a una delle estremità: calandole attraverso i fori, potevano essere manovrate con un telecomando. Il sottofondo in calcestruzzo era stato bucato dove si pensava ci fosse il vuoto. Vennero calate le telecamere e i due monitor si accesero. L'immagine che apparve era in bianco e nero e anche piuttosto confusa, a giudizio di Sigurdur Oli, che aveva un televisore di marca tedesca da mezzo milione di corone. Erlendur arrivò nel seminterrato proprio mentre stavano cominciando a collaudare le telecamere, e poco dopo anche Elinborg si presentò sulla scena. Sigurdur Oli notò che Erlendur si era fatto la barba e indossava degli abiti diversi, puliti, che sembravano addirittura essere stati stirati. "È successo qualcosa?" chiese Erlendur accendendosi una sigaretta, per il fastidio di Sigurdur Oli. "Stanno tentando con le telecamere" rispose il collega più giovane. "PosArnaldur Indridason - Sotto la Città

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siamo seguire tutto sullo schermo." "Niente nello scarico?" domandò Erlendur inspirando il fumo. "Scarafaggi e topi, nient'altro." "C'è un tanfo tremendo qui" disse Elinborg e prese dalla borsa un fazzoletto profumato. Erlendur le offrì una sigaretta, ma lei la rifiutò. "Holberg potrebbe aver usato il buco fatto dall'idraulico per infilare Gretar sotto il pavimento" disse Erlendur. "Ha visto la camera d'aria che si era formata sotto il basamento e poi ha spostato la ghiaia una volta sistemato Gretar dove voleva." Si raccolsero intorno allo schermo, ma non riuscirono a capire molto di quanto vedevano. Un fugace lampo di luce si spostava avanti e indietro, in alto e in basso e sui lati. A volte sembrava di distinguere il sottofondo, altre volte si vedeva solo la ghiaia. Il suolo aveva ceduto in maniera non uniforme, in alcuni punti raggiungeva il piano sotto il pavimento, mentre in altri c'era uno scarto anche di ottanta centimetri fino alla ghiaia. Rimasero un bel po di tempo a osservare le telecamere. C'era un gran fracasso nel seminterrato, perché venivano praticati continuamente nuovi fori, e in breve Erlendur perse la pazienza e uscì. Elinborg lo seguì poco dopo e infine anche Sigurdur Oli fece lo stesso. Salirono tutti in macchina con Erlendur. La sera precedente aveva spiegato il motivo per cui aveva lasciato la scena del crimine così all'improvviso per andare a Keflavik, ma non avevano ancora avuto il tempo per discuterne più a fondo. "Certo, questo coinciderebbe perfettamente con il messaggio lasciato a Nordurmyri. E se l'uomo che Elin ha visto a Keflavik assomiglia così tanto a Holberg, torna anche con la teoria di un secondo figlio." "Ma non è così scontato che Holberg abbia avuto un figlio dopo lo stupro" commentò Sigurdur Oli. "Non abbiamo niente di concreto che possa provarlo, solo il fatto che Ellidi sa di un'altra donna. Tutto qui. E comunque Ellidi è un idiota." "Nessuna delle persone con cui abbiamo parlato e che conosceva Holberg ha accennato al fatto che avesse un figlio" aggiunse Elinborg. "Nessuna delle persone con cui abbiamo parlato conosceva Holberg, innanzi tutto" precisò Sigurdur Oli. "Ecco il punto. Era un solitario, socializzava solo con alcuni colleghi, collezionava materiale pornografico scaricato da internet, frequentava degli stupidi come Ellidi e Gretar. Nessuno sa niente di lui." "Dovremmo diramare un avviso di ricerca per l'uomo misterioso?" chiese Elinborg con un lampo di malizia negli occhi. "Usare una foto di Holberg quand'era giovane, preparare una stamina in creta e inviarla ai media?" "Quello che mi stavo chiedendo" disse Erlendur senza ascoltare le battute di Elinborg" è questo: se il figlio di Holberg esiste, come sa di Elin, la zia di Audur? Allora deve sapere anche di Audur, che era sua sorella? Se sa di Elin, presumo sappia anche di Kolbrun e dello stupro, ma non riesco a capire come ne sia venuto a conoscenza. I media non hanno parlato dei dettagli delle ricerche. Da dove ha preso queste informazioni?" "Non l'avrà saputo da Holberg prima di farlo fuori?" disse Sigurdur Oli. "Non è possibile?" "Forse Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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gliel'ha estorto con la tortura" buttò lì Elinborg. "Prima di tutto non sappiamo se quest'uomo esiste" continuò Erlendur. "Elin era davvero sconvolta. Non sappiamo se abbia fatto fuori Holberg. Non sappiamo nemmeno se sapeva dell'esistenza di suo padre, se è venuto al mondo in seguito a uno stupro. Ellidi dice che c'è stata un'altra donna prima di Kolbrun, che ricevette lo stesso trattamento, se non di peggio. Se poi nacque anche un bambino, dubito che la madre fosse disposta a parlargli del padre. Non denunciò nemmeno alla polizia quanto era successo. Non risulta niente riguardo ad altre violenze sessuali a carico di Holberg nei nostri archivi. Dobbiamo ancora trovare questa donna, ammesso che esista..." "E stiamo trivellando le fondamenta di una casa alla ricerca di un uomo che probabilmente non ha nulla a che vedere con questo caso" commentò Sigurdur Oli. "Che cazzo di umorismo è questo, tutto a un tratto?" disse Erlendur alzando la voce. "C'è un modo per tirarvi fuori una cazzo di frase che non sia una battuta?" "Forse Gretar non è qui sotto, nelle fondamenta" disse Elinborg. "Come?" fece Erlendur. "Vuoi dire che potrebbe essere ancora vivo?" chiese Sigurdur Oli. "Immagino che sapesse tutto di Holberg" continuò Elinborg. "Sapeva della figlia, altrimenti non avrebbe scattato una foto della lapide. Sapeva sicuramente com'era venuta al mondo. Se Holberg aveva un altro figlio, un maschio, avrà saputo anche di lui." Erlendur e Sigurdur Oli la guardarono con interesse crescente. "Forse Gretar è ancora fra noi" continuò" ed è in contatto con il figlio. È l'unica spiegazione al fatto che il figlio sappia di Elin e Audur" . "Ma Gretar è scomparso qualche decina d'anni fa e non si è più fatto vivo da allora" obiettò Sigurdur Oli. "Solo perché è scomparso non vuol dire che sia per forza morto" puntualizzò Elinborg. "Quindi..." cominciò Erlendur, ma Elinborg lo interruppe. "Credo che non dovremmo escludere questa ipotesi. Perché non prendere in considerazione la possibilità che Gretar sia ancora vivo? Il cadavere non è mai stato trovato. Potrebbe aver lasciato il paese. Gli bastava trasferirsi fuori città. Nessuno si occupa di lui. Nessuno sente la sua mancanza." "Non mi ricordo niente del genere" disse Erlendur. "Che cosa?" chiese Sigurdur Oli. "Una persona scomparsa che ricompare una generazione dopo. Chi scompare qui in Islanda lo fa in maniera definitiva. Nessuno ritorna dopo così tanto tempo. Mai."

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31 † Erlendur lasciò i suoi colleghi a Nordurimiri e andò in Baronsstigur per incontrare il medico legale. Il medico aveva completato l'autopsia su Holberg e stava coprendo il cadavere quando Erlendur entrò. Non c'era alcuna traccia dei resti terreni di Audur. "Ha trovato il cervello della bambina?" chiese il patologo senza preamboli mentre l'agente gli si avvicinava. "No" rispose Erlendur. "Ho parlato con una professoressa, una mia vecchia amica dell'università, e le ho spiegato la faccenda, spero che non le dispiaccia, e lei non era affatto sorpresa della nostra piccola scoperta. Quel racconto di Halldor Laxness... l'ha letto?" "Quello su Nabucodonosor? Mi è tornato in mente negli ultimi giorni" disse Erlendur. "Non s'intitola Liljaì. L'ho letto molto tempo fa, parla di alcuni studenti di medicina che trafugano un cadavere e al suo posto mettono delle pietre nella bara: in maniera semplificata è quello che è successo qui. Prima nessuno seguiva un criterio in queste cose, proprio come si racconta nella storia. A tutti quelli che morivano in ospedale veniva praticata l'autopsia, a meno che il permesso fosse stato negato per qualche motivo, e i risultati venivano utilizzati a scopi didattici. A volte venivano prelevati dei campioni, di qualsiasi tipo a dire il vero, da organi interi a piccole parti di tessuto. Poi rimpacchettavano tutto e alla persona in questione veniva data degna sepoltura. Oggi le cose sono molto diverse. L'autopsia si pratica solo se i parenti danno il loro consenso, e gli organi non vengono rimossi per fini didattici o di ricerca, a meno che non si verifichino condizioni particolari. Credo che non venga rubato più niente." "È sicuro?" Il medico legale alzò le spalle. "Non stiamo parlando di espianto di organi, vero?" domandò Erlendur. "È una questione completamente diversa. La gente di solito è pronta ad aiutare gli altri, se c'è in ballo la vita." "E la banca degli organi dov'è?" "Ci sono migliaia di campioni in quest'edificio" rispose il medico legale. "Qui in Baronsstigur. La sezione più corposa è la cosiddetta Collezione Dungal, la banca di campioni biologici più grande d'Islanda." "Me la potrebbe mostrare?" chiese Erlendur. "Ha uno schedario della provenienza dei campioni?" "È tutto documentato con scrupolo. Mi sono permesso di controllare il nostro caso, ma non l'ho trovato." "Allora dov'è?" "Dovrebbe parlare con la professoressa e sentire cos'ha da dirle. Credo che ci siano dei registri all'università." "Perché non me l'ha detto subito?" chiese Erlendur. "Quando ha scoperto che il cervello era stato prelevato? Lo sapeva?" "Le parli, e poi ci rivedremo. Probabilmente le ho detto anche troppo." "Gli schedari della collezione sono all'università?" "Per quanto ne so io, sì" rispose il patologo; quindi diede a Erlendur il nome della professoressa e lo Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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pregò di lasciarlo in pace. "Quindi lei conosce la Città dei barattoli" disse Erlendur. "C'era una stanza, qui, che veniva chiamata Città dei barattoli" disse il medico. "È stata chiusa, ma non mi chieda che fine hanno fatto i barattoli, perché non ne ho idea." "La disturba parlare di questa faccenda?" "La smetta, per favore." "Ohe cosa?"" La smetta." La professoressa, responsabile della facoltà di Medicina dell'Università d'Islanda, si chiamava Hanna e fissava Erlendur al di là della sua scrivania come se fosse un'escrescenza tumorale da espellere al più presto dall'ufficio. Era di poco più giovane di Erlendur, estremamente decisa, parlava spedita, aveva sempre la risposta pronta e dava l'impressione di non sopportare chiacchiere né digressioni inutili. Chiese a Erlendur in maniera alquanto brusca di venire al punto, quando lui si avventurò in una lunga spiegazione del motivo per cui si trovava nel suo ufficio. Erlendur sorrise. La donna gli era piaciuta subito, ed era certo che si sarebbero accapigliati come cane e gatto prima che quell'incontro fosse giunto al termine. Lei indossava un completo scuro, era piuttosto imponente, senza trucco, aveva i capelli biondi tagliati corti, le mani curate in maniera essenziale, l'espressione seria e profonda. Erlendur avrebbe voluto vederla sorridere. Non gli fu concesso. L'aveva disturbata durante una lezione. Aveva bussato alla porta dell'aula come un cretino per chiedere di lei. La donna si era avvicinata e gli aveva chiesto cortesemente di aspettare la fine della lezione. Erlendur era rimasto in corridoio per un quarto d'ora, come uno scolaro in punizione, prima che la porta si aprisse di nuovo. Hanna marciò lungo il corridoio oltrepassando Erlendur e gli intimò di seguirlo. La cosa lo costrinse a fare uno sforzo notevole. La donna sembrava fare due passi per ognuno dei suoi. "Non riesco a capire cosa voglia da me la polizia" disse mentre camminava a grandi falcate, girando indietro la testa per assicurarsi che Erlendur tenesse il passo. "Lo scoprirà" ribatté Erlendur col fiatone. "È proprio quello che spero" disse Hanna facendolo entrare nel suo ufficio. Quando Erlendur le spiegò la questione per cui era lì, Hanna rimase a pensare a lungo. Erlendur riuscì a distrarla un attimo raccontandole di Audur, di sua madre e dell'autopsia, della diagnosi e del cervello che era stato rimosso. "Dove ha detto che venne ricoverata la bambina?" chiese infine. "All'ospedale di Keflavik. Come vi procurate gli organi per l'insegnamento?" Hanna fissò Erlendur. "Non capisco dove vuole arrivare." "Utilizzate organi umani per scopi didattici" continuò Erlendur. "Si chiamano campioni biologici, probabilmente, non sono un esperto, ma la questione è molto semplice: da dove li prendete?" "Non penso di doverle nessuna spiegazione al riguardo" rispose lei e si mise a sistemare dei fogli sulla scrivania, come se fosse troppo impegnata per prestare attenzione a Erlendur. "Per noi della polizia è molto importante" disse Erlendur" scoprire se il cervello Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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esiste ancora. Forse è stato catalogato nei vostri schedari. Venne studiato all'epoca, ma non fu rimesso al suo posto. Potrebbe esserci una ragione molto semplice. Ci volle del tempo per analizzare il tumore e il corpo doveva essere sepolto. L'università e gli ospedali sono i posti più adeguati per la conservazione degli organi. Se ne stia pure lì con la sua faccia accigliata, ma sappia che posso fare un paio di cose che causerebbero parecchi disagi a lei, all'università e all'ospedale. E davvero sorprendente quanto si possa trovare da raccontare alla stampa, più di quanto i giornalisti sanno essere fastidiosi." Hanna guardò a lungo Erlendur, che la fissava a sua volta. "O mangi questa minestra..." disse infine. "O salti questa finestra" Erlendur completò il proverbio. "C'era in effetti un'unica regola al riguardo, ma non posso parlarne, come lei può ben immaginare. Sono questioni molto delicate." "Non sto investigando su questo caso come se fosse un crimine" precisò Erlendur. "Non so nemmeno se stiamo parlando effettivamente di un furto di organi. Quello che fate ai morti non mi riguarda, finché resta nei limiti consentiti." L'espressione di Hanna si fece ancora più torva. "Se questo è quanto richiede la professione medica, potrà trovare sicuramente una giustificazione. Ho bisogno di identificare un organo specifico di una determinata persona, per analizzarlo di nuovo; se fosse possibile delinearne la storia da quando è stato prelevato fino a oggi, gliene sarei estremamente grato. Sono informazioni private, a mio uso esclusivo." "Che tipo di informazioni private?" "Non sono tenuto a fornirle ulteriori spiegazioni. Abbiamo bisogno di tornare in possesso dell'organo, se possibile. Mi chiedo se all'epoca non fosse sufficiente prelevare un campione, o se era davvero necessario asportare l'organo per intero." "Io di certo non so nulla del caso specifico di cui mi sta parlando, ma sulle autopsie esistono regole molto più rigide adesso rispetto al passato" disse Hanna dopo aver riflettuto un istante. "Se questo fatto risale agli anni Sessanta, non sono in grado di stabilire se possa essere successo davvero. Lei afferma che alla bambina venne praticata l'autopsia contro il volere di sua madre. Non è certo l'unico caso. Oggi ai parenti si chiede il consenso all'autopsia subito dopo il decesso della persona. Credo di poter affermare che le loro decisioni vengono rispettate anche se rifiutano di dare il consenso, tranne in casi assolutamente eccezionali. La morte di un bambino è la cosa più terribile da affrontare. Non ci sono parole per descrivere la tragedia che colpisce le persone che perdono un bambino e la richiesta di un'autopsia in tali circostanze può sembrare del tutto fuori luogo." Hanna fece una pausa. "Abbiamo qualche file nel computer" continuò," e il resto è nell'archivio che si trova qui, in questo edificio. La documentazione è piuttosto precisa. La maggior parte degli organi conservati dall'ospedale si trova in Baronsstigur. Si renderà conto che solo una minima parte dell'attività medica ha luogo qui in università. Il resto si svolge in ospedale. È da là che proviene la conoscenza." "Il medico legale non ha voluto mostrarmi la banArnaldur Indridason - Sotto la Città

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ca degli organi" disse Erlendur. "Ha voluto che parlassi con lei prima. È l'università che decide?" "Venga" disse Hanna senza rispondere alla sua domanda. "Vediamo cosa abbiamo nei computer." Si alzò ed Erlendur la seguì. La donna aprì la porta di un'ampia stanza con una chiave e digitò il codice sulla tastiera del sistema di sicurezza fissata alla parete di fianco alla porta. Si avvicinò a una scrivania e accese un computer, mentre Erlendur si guardava intorno. La stanza non aveva finestre e lungo i muri c'erano file di schedari. Hanna chiese il nome e la data di nascita della bambina e li inserì nel computer. "Non è qui" disse pensosa concentrandosi sullo schermo. "Gli archivi informatici risalgono fino al 1984. Stiamo digitalizzando tutte le informazioni da quando è stata fondata la facoltà di Medicina, ma al momento siamo fermi a quell'anno." "Quindi dev'essere negli schedari" disse Erlendur. "Non ho proprio tempo per questo" replicò Hanna guardando l'orologio. "Devo tornare in aula." Andò verso Erlendur e diede una rapida occhiata intorno, si infilò fra due file di schedari e lesse le etichette. Aprì un cassetto qua e uno là, e li richiuse in fretta subito dopo aver sfogliato i documenti. Erlendur aveva l'impressione che gli schedari fossero sistemati in ordine alfabetico, ma non aveva idea di cosa contenessero. "Tenete le cartelle mediche, qui?" Hanna sospirò. "Non mi dica che la manda l'autorità garante della privacy" disse scontrosa, chiudendo con forza un altro cassetto. "Ho solo chiesto" fece Erlendur. Hanna estrasse una cartella da un altro cassetto e la lesse. "Ecco qualcosa sui campioni biologici" disse. "1968. Ci sono vari nomi. Niente che la interessi. "Ripose la cartella nell'archivio, sbatté il cassetto e ne aprì un altro. "Qui ce ne sono altri. Aspetti. Ecco il nome della bambina, Audur, e quello di sua madre. Eccolo." Hanna continuò a leggere velocemente. "Prelevato un organo disse come fra sé. "Dall'ospedale di Keflavìk. Permesso del congiunto... niente. Non c'è scritto se l'organo sia stato distrutto. "Hanna chiuse la cartella. "Non esiste più." "Posso vederla?" chiese Erlendur senza nascondere l'entusiasmo. "Non ci troverà niente" replicò Hanna; ripose la cartella nello schedario e lo richiuse. "Le ho detto tutto quello che voleva sapere." "Che cosa c'è scritto? Cosa mi sta nascondendo?" "Niente" rispose Hanna. "Adesso devo tornare alla mia lezione." "Vorrà dire che mi farò dare un mandato e tornerò più tardi, e allora sarà meglio che quella cartella si trovi al suo posto" disse Erlendur dirigendosi verso la porta. La donna lo stava guardando. "Mi promette che le informazioni contenute qui non verranno divulgate?" chiese quando Erlendur aveva già aperto la porta ed era sul punto di uscire. "Gliel'ho detto. Sono informazioni private che terrò per me." "Allora dia un'occhiata" fece Hanna riaprendo l'archivio e consegnandogli la cartella. Erlendur chiuse la porta, si fece dare il documento e si immerse nella lettura. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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Hanna prese un pacchetto di sigarette e se ne accese una, mentre aspettava che Erlendur finisse di leggere. Non badò al cartello che proibiva di fumare in quella stanza, che ben presto si riempì di fumo. "Chi è Eydal?" "Uno degli scienziati più stimati della facoltà." "Che cosa c'è qui che non voleva mostrarmi? Non posso parlare con quest'uomo?" Hanna non rispose. "Che succede?" fece Erlendur. Hanna sospirò. "A quanto ho capito anche lui conserva qualche organo" disse infine. "Quest'uomo colleziona organi?" chiese Erlendur. "Conserva qualche organo, ha una piccola collezione." "Un collezionista di organi?" "È tutto quello che so" rispose Hanna. "È presumibile che il cervello sia a casa sua" disse Erlendur. "Qui si dice che ne prese un campione per analizzarlo. La cosa non rappresenta un problema, per lei?" "È uno dei nostri migliori scienziati" ripetè la donna a denti stretti. "Tiene il cervello di una bambina di quattro anni sulla mensola del caminetto" urlò Erlendur. "Non mi aspetto che lei capisca il lavoro di ricerca." "Che cosa c'è da capire in questo?" "Non avrei mai dovuto farla entrare" sbottò Hanna. "Questa l'ho già sentita" commentò Erlendur.

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32 † Elinborg trovò la donna di Husavik. Le rimaneva da controllare due nomi sulla lista, per cui lasciò Sigurdur Oli a Nordurmyri con gli uomini della scientifica. La prima donna reagì nel modo che a Elinborg era ormai familiare: espresse un'enorme sorpresa, ma in un certo senso scontata; aveva già sentito quella storia da un'altra fonte, anche più volte. La seconda donna, l'ultima sulla lista di Elinborg, si rifiutò di parlarle. Si rifiutò di farla entrare. Disse di non sapere di cosa stesse parlando e di non poterla aiutare. Tuttavia c'era una specie di irresolutezza, in lei. Sembrava che avesse avuto bisogno di raccogliere tutto il suo coraggio per dirle quello che le aveva detto ed Elinborg ebbe l'impressione che si fosse preparata una parte. Si comportava come se la stesse aspettando, ma a differenza delle altre non voleva sapere niente. Voleva liberarsi di lei immediatamente. Elinborg sentì di aver trovato la persona che stavano cercando. Diede un'altra occhiata alla sua documentazione. La donna si chiamava Katrin ed era una dei responsabili della biblioteca comunale di Reykjavik. Suo marito era il direttore di una grande agenzia pubblicitaria. Aveva sessantanni. Tre figli, tutti maschi, nati fra il 1958 e il 1962. Si era trasferita da Husavik dopo la nascita dell'ultimo figlio, e da allora aveva sempre vissuto a Reykjavik. Elinborg suonò una seconda volta il campanello. "Credo che dovremmo parlare" disse quando Katrin le aprì di nuovo la porta. La donna la guardò. "Non posso fare niente per aiutarla" replicò con un tono di voce stranamente tagliente. "So di che cosa si tratta. Ho ricevuto delle telefonate terribili. Ma non sono a conoscenza di nessuno stupro. Spero che si faccia bastare quello che le ho detto. Non mi disturbi più." Richiuse la porta. "Può darsi che a me basti, ma a un agente di nome Erlendur che sta investigando sull'omicidio di Holberg, magari ne ha sentito parlare, questo non basterà. La prossima volta che aprirà la porta, si troverà di fronte lui, e non se ne andrà tanto facilmente. Non si farà sbattere la porta in faccia. Potrebbe obbligarla a venire in centrale, se la situazione dovesse complicarsi." "Vuol fare il piacere di lasciarmi in pace?" disse Katrin da dietro la porta. "Davvero vorrei poterlo fare" pensò Elinborg. Prese il cellulare e chiamò Erlendur, che aveva appena lasciato gli edifici dell'università. Elinborg gli descrisse la situazione e lui disse che l'avrebbe raggiunta entro dieci minuti. Quando Erlendur arrivò sul posto, non vide Elinborg da nessuna parte, ma riconobbe la sua auto nel parcheggio. La casa di Katrin era una villetta a due piani nel quartiere delle Vogar, con un garage doppio. Suonò il campanello e con sua grande sorpresa fu Elinborg ad aprirgli. "Credo di aver trovato la nostra donna" disse a bassa voce mentre faceva Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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entrare Erlendur. "Prima è uscita e mi ha invitata a entrare, scusandosi per il suo comportamento. Preferisce parlare con noi qui piuttosto che alla centrale. Ha sentito delle storie sullo stupro e ci stava aspettando." Elinborg precedette Erlendur e andò nel soggiorno dove si trovava Katrin. La donna strinse la mano all'agente cercando di sorridergli, ma non le riuscì molto bene. Era vestita con gusto, indossava una gonna grigia e una camicetta bianca; i capelli folti e lisci le arrivavano sulle spalle, pettinati con una riga da parte. Era alta, aveva le gambe magre e le spalle piccole, un bel viso con un'espressione mite, ma angustiata. Erlendur si guardò intorno. Il soggiorno era pieno di libri sistemati su scaffali chiusi da ante di vetro. Di fianco a una delle librerie c'era un bellissimo scrittoio; al centro del locale c'erano un divano e delle poltrone di pelle, un po datati ma ben tenuti, e in un angolo un tavolino. Quadri alle pareti. Piccoli acquerelli con delle belle cornici, fotografie della famiglia. Erlendur le guardò meglio. Erano tutte vecchie. I tre ragazzi con i loro genitori. Le foto più recenti erano state scattate in occasione della cresima. Dalle foto nessuna testimonianza di diplomi o lauree, tantomeno di matrimoni. "Vogliamo trasferirci in un posto più piccolo" disse Katrin come per scusarsi, avendo notato che Erlendur si guardava in giro. "È diventata troppo spaziosa per noi, questa casa enorme." Erlendur annuì. "Suo marito è in casa?" "Albert tornerà molto tardi questa sera. È all'estero. Speravo che potessimo parlare di questa faccenda prima del suo ritorno." "Non potremmo sederci?" chiese Elinborg. Katrin si scusò per essere stata scortese e li invitò ad accomodarsi. Lei sedette sul divano, Erlendur ed Elinborg nelle due poltrone di pelle di fronte a lei. "Cosa volete esattamente da me?" domandò Katrin, guardandoli a turno. "Non capisco cosa c'entro io in tutto questo. L'uomo è morto. Non ha niente a che vedere con me." "Holberg era uno stupratore" disse Erlendur. "Ebbe una figlia da una donna di Keflavik dopo averla violentata. Quando abbiamo cominciato a indagare sulla faccenda, ci è stato detto che Holberg l'aveva già fatto prima, e che la vittima era una donna di Husavik, quasi coetanea della seconda. Holberg può aver commesso altri stupri, questo non lo sappiamo, ma abbiamo bisogno di identificare la sua vittima di Husavik. Holberg è stato assassinato in casa sua e abbiamo motivo di ritenere che la spiegazione sia da cercare nel suo passato, per quanto repellente sia." Sia Erlendur che Elinborg notarono che queste parole non sortirono alcun effetto su Katrin. Non reagì quando sentì dello stupro commesso da Holberg, né quando le dissero della figlia che concepì, e non fece ulteriori domande né sulla donna della Sudurnes né sulla bambina. "Non sembra scioccata dal nostro racconto" disse Erlendur. "No" ribadì Katrin," per quale motivo dovrei essere scioccata?" "Che cosa ci sa dire di Holberg?" chiese Erlendur dopo una pausa. "L'ho riconosciuto subito dalla foto pubblicata dai giornali" rispose Katrin, e fu come se l'ultima traccia di riluttanza le fosse sparita dalla voce. Le sue Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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parole divennero un sussurro. "Anche se era cambiato molto" aggiunse. "Era una foto d'archivio" le spiegò Elinborg. "L'abbiamo presa dalla patente che aveva rinnovato poco tempo fa. Era un camionista. Sempre in giro per tutto il paese." "All'epoca mi aveva detto di essere un avvocato di Reykjavik." "Probabilmente lavorava alla Capitaneria di porto" disse Erlendur. "Avevo vent'anni o poco più. Albert e io avevamo già due figli quando successe. Andammo a vivere insieme molto presto. Era via per mare, Albert. Non andava in trasferta molto spesso. Aveva una piccola attività, era l'agente di una compagnia di assicurazioni." "È a conoscenza di quello che accadde?" chiese Erlendur. Katrin esitò un momento. "No, non gliel'ho mai detto. E preferirei che la cosa rimanesse fra noi." I due fecero una pausa di silenzio. "Non raccontò a nessuno cos'era accaduto?" chiese Erlendur poi. "No, non lo raccontai mai a nessuno." E tacque. Erlendur ed Elinborg attesero. "Me ne faccio ancora una colpa. Mio Dio" disse con un sospiro. "Lo so che non è giusto. Lo so che non successe per causa mia. Sono passati quarant'anni e me ne addosso ancora la colpa, malgrado sappia che non dovrei. Quarant'anni." Attesero. "Non so quanto volete che scenda nei dettagli. Cosa sia importante per voi. Come ho detto, Albert era via per mare all'epoca. Ero uscita a divertirmi con le mie amiche e incontrammo questi uomini quando andammo a ballare." "Questi uomini?" si intromise Erlendur. "Holberg e un altro che era con lui. Non ho mai scoperto come si chiamasse. Mi mostrò una piccola macchina fotografica che aveva con sé. Parlai un po con lui di fotografia. Tornammo insieme a casa di una delle mie amiche e continuammo lì la serata. Eravamo uscite in quattro quella sera. Io e un'altra eravamo sposate. Dopo un po dissi che volevo andare a casa e lui si offrì di accompagnarmi." "Holberg?" chiese Elinborg. "Sì, Holberg. Declinai l'offerta, salutai le mie amiche e poi andai a casa da sola. Non abitavo lontano. Ma quando aprii la porta di casa, abitavamo in una villetta in una strada nuova di Husavik che stavano costruendo all'epoca, me lo ritrovai improvvisamente alle spalle. Disse qualcosa che non capii, poi mi spinse dentro e chiuse la porta. Mi prese del tutto alla sprovvista. Non sapevo se essere più spaventata o sorpresa. L'alcol mi aveva dato un po alla testa. Ovviamente non conoscevo affatto quell'uomo, non l'avevo mai visto prima." "E allora perché ritiene che sia colpa sua?" chiese Elinborg. "Avevo fatto un po la sciocca nel locale" rispose Katrin dopo un po. "L'avevo invitato a ballare. Non so perché lo feci. Avevo bevuto solo un po, ma non ho mai retto bene l'alcol. Mi stavo divertendo con le mie amiche e quindi mi ero lasciata un po andare. Irresponsabile. Ubriaca." "Ma non può ritenere che la colpa... " cominciò Elinborg. "Niente di quanto sta per dire potrà aiutarmi" la interruppe Katrin mestamenArnaldur Indridason - Sotto la Città

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te guardandola. "Quindi non mi dica cosa posso o non posso ritenere. Non serve." "Da quando lo invitai a ballare rimase sempre con noi" continuò dopo un attimo. "Certo non ci aveva fatto una brutta impressione. Era divertente e sapeva come far ridere noi ragazze. Faceva delle battute, ci coinvolgeva. Mi ricordai in seguito che mi aveva chiesto di Albert e aveva capito che ero sola in casa. Ma lo fece in modo tale che non sospettai affatto cosa avesse in mente." "A grandi linee è la stessa storia dell'aggressione alla donna di Keflavik" disse Erlendur. "Lei in effetti gli permise di accompagnarla a casa. Poi lui chiese di usare il telefono e la aggredì in cucina, la portò in camera da letto e lì abusò di lei." "In qualche modo quell'uomo si trasformò completamente. Schifoso. Le cose che diceva. Mi strappò il soprabito che avevo addosso, mi spinse continuando a insultarmi con parole orribili. Era molto eccitato. Cercai di parlare con lui, ma fu del tutto inutile, e quando provai a gridare aiuto mi saltò addosso e mi tappò la bocca. Poi mi trascinò in camera..." Raccolse tutto il coraggio che aveva e raccontò quello che le aveva fatto Holberg, in maniera sistematica e senza tralasciare niente. Non aveva dimenticato nulla di quanto era successo quella sera, tutt'altro, ricordava ogni minimo particolare. Il suo resoconto era completamente privo di sentimentalismi. Era come se stesse leggendo i fatti nudi e crudi. Non aveva mai parlato dell'incidente in quel modo, con quella precisione, prima d'allora, ma aveva creato una tale distanza dagli eventi che a Erlendur sembrava stesse descrivendo qualcosa che era accaduto a un'altra donna. Non a lei, ma a qualcun'altra. Da un'altra parte. In un altro momento. In un'altra vita. A un certo punto del racconto, Erlendur fece una smorfia ed Elinborg imprecò a bassa voce. Infine Katrin tacque. "Perché non ha mai denunciato quel bastardo?" chiese Elinborg. "Era un mostro. Mi minacciò dicendo che se lo avessi denunciato e la polizia lo avesse arrestato, mi avrebbe fatto fuori. Ma c'è di peggio: disse che se lo avessi denunciato, lui avrebbe detto che ero stata io a invitarlo a casa mia per avere rapporti sessuali con lui. Usò parole diverse, ma capii dove voleva arrivare. Era molto forte, ma non mi lasciò nemmeno un segno addosso. Fece bene attenzione. Me ne sono resa conto solo dopo. Mi colpì un paio di volte in faccia, ma mai con troppa forza." "Quando ebbe luogo l'aggressione?" chiese Erlendur. "Nel 1961. Verso la fine. In autunno." "E non ci fu alcun seguito? Non le capitò più di incontrare Holberg, oppure...?" "No. Non lo vidi più da allora. Fino a quando ho trovato la sua foto sul giornale." "Vi trasferiste da Husavik per quello?" "In realtà l'avevamo già programmato da tempo. Albert l'aveva sempre avuto in mente. Non fui più tanto contraria dopo quel fatto. Gli abitanti di Husavik sono brava gente, è una città dove si vive bene, ma non ci sono più tornata da allora." "Aveva già avuto due figli, due maschi, mi pare" disse Erlendur indicando con un cenno della testa le foto della cresima," e Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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poi arrivò il terzo... quando?" "Due anni dopo" rispose Katrin. Erlendur la guardò e capì che gli aveva mentito per la prima volta in quella loro conversazione.

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33 † "Perché ti sei fermato lì?" chiese Elinborg quando lasciarono la casa e uscirono in strada. Aveva fatto fatica a nascondere la propria sorpresa quando Erlendur tutto d'un tratto aveva ringraziato Katrin per la collaborazione. Le aveva detto che sapeva quant'era stato difficile per lei parlare di quell'episodio e che lui avrebbe fatto in modo che niente di quanto era stato detto fra loro trapelasse all'esterno. Elinborg era rimasta a bocca aperta. La loro conversazione era appena iniziata. "Ha cominciato a mentire" rispose Erlendur. "È una prova troppo grande per lei. Torneremo a trovarla nei prossimi giorni. Dobbiamo metterle sotto controllo il telefono e c'è bisogno di una macchina che stazioni di fronte alla casa per controllare i suoi movimenti e le visite che riceve. Bisogna organizzare il tutto come se fossimo sulle tracce di uno spacciatore. Dobbiamo scoprire cosa fanno i suoi figli, trovare delle loro foto recenti, se possibile, ma senza che la cosa attiri troppo l'attenzione; dobbiamo anche rintracciare le persone che conoscevano Katrin a Husavik e che magari possono ricordare quella sera, anche se ci vorrà un sacco di tempo. Ho chiesto a Sigurdur Oli di mettersi in contatto con la Capitaneria di porto per vedere se sanno dirci quando Holberg lavorò per loro a Husavik. Forse l'avrà già fatto. Trova il certificato di matrimonio di Katrin e Albert e vedi quando si sono sposati." Erlendur era salito in macchina. "Ah, Elinborg, puoi venire anche tu la prossima volta che le parliamo." "È possibile che esista qualcuno capace di fare quello che ci ha raccontato?" domandò Elinborg, con la mente ancora al racconto di Katrin. "Mi aspetto che tutto sia possibile, se c'è di mezzo Holberg" rispose Erlendur. Tornò in auto fino a Nordurmyri. Sigurdur Oli era ancora lì. Aveva contattato la compagnia telefonica per scoprire la provenienza delle telefonate che Holberg aveva ricevuto nel fine settimana in cui era stato ucciso. Due provenivano dalla ditta per cui lavorava e altre tre erano state fatte da alcuni telefoni pubblici della città: due da una cabina telefonica sulla Laskjargata e una dalla stazione degli autobus di Hlemmur. "Qualcos'altro?" "Sì, il materiale pornografico sul suo computer. Ne hanno controllata una buona parte alla scientifica ed è sconcertante. Davvero sconcertante. È tutto il peggio che si possa trovare su internet, compresi animali e bambini. Quell'uomo era un pervertito della peggior specie. Credo che abbiano rinunciato a guardare il resto." "Forse non c'è bisogno di tormentarli oltre" commentò Erlendur. "Non lo so" disse Sigurdur Oli. "La cosa comunque ci dà un piccolo quadro del lurido, disgustoso bastardo che era." "Vuoi dire che meritava di ricevere una botta in testa e morire?" domandò Erlendur. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"Tu che ne pensi?" "Hai chiesto di lui alla Capitaneria di porto?" "No." "Allora sbrigati." "Sta chiamando noi?" chiese Sigurdur Oli. Si trovavano davanti alla casa di Holberg. Uno degli uomini della scientifica era uscito dal seminterrato, vestito con una tuta bianca, e agitava le braccia verso di loro facendo cenno di avvicinarsi. Scesero dall'auto, entrarono nell'appartamento e l'agente della scientifica li fece avvicinare a uno dei monitor. Teneva in mano un piccolo telecomando e spiegò che controllava un endoscopio che era stato calato in uno dei buchi praticati in un angolo del soggiorno. I due agenti guardarono lo schermo, ma non videro niente degno di attenzione. L'immagine era puntinata, poco luminosa, confusa e incolore. Distinguevano la ghiaia e anche la parte inferiore della soletta in calcestruzzo, ma per il resto niente di strano. Passarono alcuni minuti, finché l'uomo della scientifica non riuscì più a trattenersi. "È questa cosa qui" disse indicando un punto dello schermo appena sopra il centro. "Proprio sotto la soletta." "Cosa?" chiese Erlendur che non vedeva assolutamente niente. "Non lo vedete?" disse l'agente della scientifica. "Cosa?" ripetè Sigurdur Oli. "L'anello" rispose l'altro. "L'anello?" gli fece eco Erlendur. "Questo è chiaramente un anello che si trova sotto la soletta in calcestruzzo. Non lo vedete?" Scrutarono lo schermo finché non gli sembrò di distinguere un oggetto che avrebbe anche potuto essere un anello. Era molto sfocato, come se qualcosa lo oscurasse. Non vedevano nient'altro. "E come se ci fosse qualcosa davanti" commentò Sigurdur Oli. "Potrebbe essere la plastica usata per l'isolamento" disse l'agente della scientifica. Altre persone si erano raccolte intorno al monitor per seguire quanto stava accadendo. "Guardate questo, qui" continuò l'agente. "Questa linea vicino all'anello. Potrebbe essere benissimo il dito di un uomo. C'è qualcosa in quell'angolo che credo dovremmo esaminare meglio." "Spaccate la soletta" ordinò Erlendur. "Vediamo cos'è." La squadra della scientifica si mise subito al lavoro. Delimitarono l'area in soggiorno e cominciarono a sventrare il fondo con il martello pneumatico più grande. Una nuvola sottile di polvere si alzò nell'appartamento, ed Erlendur e Sigurdur Oli indossarono delle maschere protettive. Rimasero al fianco degli agenti della scientifica a guardare il foro nel pavimento che si allargava. Il fondo in calcestruzzo era spesso quindici, anche venti centimetri, e ci volle un po di tempo perché il martello pneumatico lo penetrasse del tutto. Una volta praticato il foro, non ci misero molto ad allargarlo. Le schegge di cemento venivano spazzate via in un lampo e poco dopo riuscirono a intravedere la plastica mostrata dalla telecamera. Erlendur guardò Sigurdur Oli, che annuì. A poco a poco la plastica venne alla luce in maniera ancora più chiara. Erlendur capì che si trattava di una spessa plastica isolante. Aveva dimenticaArnaldur Indridason - Sotto la Città

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to il frastuono che c'era nel seminterrato, l'odore rivoltante e la polvere che aleggiava nell'aria, e anche Sigurdur Oli si era tolto la maschera per vedere meglio. Si chinò verso gli agenti della scientifica che continuavano a spaccare il fondo. "È così che aprono le piramidi in Egitto?" chiese, e la tensione si allentò un poco. "Solo che qui non è sepolto nessun faraone, temo" disse Erlendur. "Può essere che stiamo per trovare Gretar sotto il pavimento della casa di Holberg?" domandò Sigurdur Oli senza dissimulare la propria aspettativa. "Dopo venticinque merdosi anni! Che figata!" "Sua madre aveva ragione" fece Erlendur. "La madre di Gretar?" "Mi ha detto che era come se fosse stato rubato." "Impacchettato nella plastica e infilato nel sottosuolo." "Marion Briem" disse Erlendur piano, come fra sé, scuotendo la testa. La squadra scientifica continuava a lavorare con i martelli pneumatici, il pavimento si squarciò sotto la pressione e il buco si allargò tanto che l'involucro di plastica ne emerse chiaramente. Era lungo quanto un uomo di media altezza. Gli agenti della scientifica discussero su come fare ad aprirlo. Decisero poi di estrarlo per intero dal sottosuolo e di non toccarlo finché non l'avessero portato all'obitorio sulla Baronsstigur, dove sarebbe stato possibile lavorarci senza perdere alcuna eventuale prova. Presero una barella che avevano portato nell'appartamento la sera precedente e la posizionarono vicino al buco. In due cercarono di sollevare l'involucro di plastica, ma risultò essere troppo pesante, per cui fu necessario l'aiuto di altri due uomini. Ben presto l'involto cominciò a delinearsi meglio e gli uomini lo liberarono dal materiale che aveva intorno, lo sollevarono e lo deposero sulla barella. Erlendur si avvicinò a quanto era stato dissotterrato, vi si chinò sopra e cercò di guardare attraverso la plastica: gli sembrò di intravedere un viso, marcio e putrefatto, qualche dente e parte di un naso. Si rialzò. "Non è messo poi così male" commentò. "E quello cos'è?" chiese Sigurdur Oli indicando un punto all'interno del buco. "Quello cosa?" fece Erlendur. "Sono pellicole?" domandò il collega più giovane. Erlendur si spostò più vicino, si piegò sulle ginocchia e notò che sotto l'involucro di plastica c'erano delle pellicole fotografiche semisepolte nella ghiaia. Molti metri di pellicola sparsi tutt'in giro. Sperò che almeno una parte fosse stata utilizzata.

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34 † Katrin non si mosse da casa per il resto della giornata. Non ricevette nessuna visita e non usò il telefono. Verso sera un uomo parcheggiò la sua jeep davanti all'abitazione ed entrò portando una valigia di media grandezza. Ritennero si trattasse di Albert, suo marito. Doveva rientrare da un viaggio di affari in Germania quella sera. Due agenti con un'auto civetta erano di guardia alla casa. IL telefono era stato messo sotto controllo. Avevano saputo quanto c'era da sapere sui due figli maggiori della coppia, ma non si era scoperto ancora niente del più giovane. Era divorziato e viveva nel quartiere cosiddetto dei" piccoli appartamenti" , in un'abitazione che però sembrava vuota. Tennero sotto controllo anche quella. La polizia stava raccogliendo informazioni su di lui e la sua descrizione era stata trasmessa alle centrali di tutta l'Islanda. Per il momento non si riteneva ci fossero i presupposti per comunicare la sua scomparsa ai mezzi d'informazione. Erlendur parcheggiò davanti all'obitorio sulla Baronsstigur, dov'era stato portato il cadavere del presunto Gretar. Il medico legale, lo stesso che aveva esaminato i corpi di Holberg e di Audur, aveva già rimosso la plastica che lo avvolgeva e ne era emerso il corpo di un uomo con la testa spinta all'indietro, la bocca aperta come in un grido d'angoscia e le braccia abbandonate lungo i fianchi. La pelle era secca, sforacchiata e grigiastra, presentava grandi chiazze putrefatte su tutto il corpo, che era nudo. Il cranio sembrava danneggiato gravemente, i capelli lunghi e incolori gli incorniciavano quello che rimaneva del viso. "Gli ha tolto le interiora" disse il medico legale. "Che?" "La persona che l'ha nascosto. Una mossa astuta, se uno deve conservare un cadavere. A causa della puzza. Si è seccato a poco a poco nella plastica. Si è mantenuto benissimo, in questo senso." "Può risalire alla causa del decesso?" "Aveva una busta di plastica sulla testa che suggerisce una morte per soffocamento, ma devo ancora analizzarlo a fondo. Saprò qualcosa più tardi. Mi ci vorrà un po di tempo. Sa chi era? È piuttosto debilitato, il poveretto." "Ho qualche sospetto" rispose Erlendur. "Ha parlato con la professoressa?" "Una donna incantevole." "Trova anche lei?" Sigurdur Oli stava aspettando Erlendur, quando questi arrivò in ufficio e gli disse che stava andando alla scientifica. Erano riusciti a sviluppare e ingrandire alcuni fotogrammi delle pellicole rinvenute nell'appartamento di Holberg. Erlendur raccontò al collega ogni dettaglio della conversazione che lui ed Elinborg avevano avuto con Katrin. Ragnar, il responsabile della scientifica, li stava aspettando nel suo ufficio con alcune pellicole e le fotografie che erano state ingrandite. Gliele passò Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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e i due si chinarono a guardarle. "Siamo riusciti a ricavarne solo tre" disse Ragnar," e non so dirvi esattamente cosa riproducano. C'erano sette pellicole Kodak da ventiquattro fotogrammi ciascuna. Tre erano completamente nere ed è impossibile stabilire se siano state utilizzate, ma da una siamo riusciti a ingrandire il poco che vedete qui. Riconoscete qualcosa?" Erlendur e Sigurdur Oli osservarono con attenzione le fotografie. Erano tutte in bianco e nero. Due erano nere per metà, come se l'obiettivo non si fosse aperto del tutto; il soggetto era sfocato e talmente confuso che non riuscirono a capire di cosa si trattasse. La terza e ultima era completa e abbastanza nitida, e mostrava un uomo che scattava una foto a se stesso davanti allo specchio. La macchina fotografica era piccola e piatta, sopra aveva un flash a cubo da quattro lampadine, una delle quali aveva illuminato l'uomo allo specchio. Indossava un paio di jeans, una camicia e un giacchino estivo che gli arrivava alla vita. "Vi ricordate i flash a cubo?" chiese Erlendur con un tono nostalgico nella voce. "Che rivoluzione." "Me li ricordo bene" disse Ragnar, che era coetaneo di Erlendur. Sigurdur Oli li guardò e scosse la testa. "Lo definireste un autoritratto?" domandò Erlendur. "È difficile distinguere il viso a causa della macchina fotografica" rispose Sigurdur Oli," ma non è possibile che sia Gretar stesso?" "Riconoscete l'ambiente, per quel poco che se ne vede?" chiese Ragnar. Nel riflesso si riusciva a distinguere una parte di quella che sembrava una stanza alle spalle del fotografo. A Erlendur sembrò di vedere la spalliera di una sedia, un tavolino, il tappeto sul pavimento, una parte di qualcosa che poteva essere una tenda che scendeva fino a terra, ma tutto il resto era indecifrabile. La luce si concentrava quasi del tutto sul viso dell'uomo e sfumava verso i lati in un'oscurità totale. Osservarono a lungo la fotografia. Dopo molti sforzi Erlendur cominciò a distinguere qualcosa nel buio alla sinistra del fotografo, qualcosa che gli sembrava essere una forma, un profilo forse, delle sopracciglia e un naso. Era solo una sensazione quella che aveva, ma c'era qualcosa di non uniforme nella luce, delle minuscole ombre, che avevano messo in moto la sua immaginazione. "Possiamo ingrandire questa zona?" chiese a Ragnar che stava fissando lo stesso punto ma non vedeva niente. Sigurdur Oli prese la foto e se la portò davanti agli occhi, ma non riuscì a distinguere quello che Erlendur sembrava aver colto. "Certo, ci vuole solo un secondo" disse Ragnar. Lo seguirono fuori dall'ufficio fino ai laboratori della scientifica. "Ci sono delle impronte sulle pellicole?" chiese Sigurdur Oli. "Sì" rispose Ragnar," due serie, le stesse che comparivano anche sulla fotografia del cimitero. Quelle di Gretar e quelle di Holberg" . L'immagine fu passata allo scanner e visualizzata sull'enorme schermo di un computer; poi la parte interessata fu ingrandita. Quella che prima era solArnaldur Indridason - Sotto la Città

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tanto una disomogeneità nella luce si trasformò in un'infinità di puntini che coprivano completamente lo schermo. Non riuscivano a distinguere niente e perfino Erlendur perse di vista quello che gli era sembrato di aver colto in precedenza. L'agente della scientifica digitò qualcosa sulla tastiera, inserì dei comandi e la foto si ridusse, comprimendosi. L'agente continuò e i puntini si disposero poco a poco a formare il viso di un uomo. Era molto indistinto, ma a Erlendur sembrò di riconoscere Holberg. "Non è quel maiale?" chiese Sigurdur Oli. "C'è dell'altro qui" disse l'agente e continuò a mettere a fuoco la fotografia. Di lì a poco apparvero delle linee ondulate che ricordarono a Erlendur dei capelli femminili, e un altro profilo ancora più sfocato. Erlendur fissò la foto finché non gli sembrò di distinguere Holberg seduto a parlare con una donna. Nell'istante preciso in cui se ne rese conto, ebbe una strana allucinazione. Avrebbe voluto urlare alla donna di andarsene subito da lì, ma comprese che era troppo tardi. Decine di anni troppo tardi. Un telefono squillò nella stanza, ma nessuno si mosse. Erlendur pensò che fosse l'apparecchio sulla scrivania. "E il tuo" gli disse Sigurdur Oli. Erlendur ci mise un po a trovare il suo cellulare, ma alla fine lo pescò dal fondo della tasca dell'impermeabile. Era Elinborg. "Cosa stavi facendo?" disse quando infine lui rispose. "Arriva al punto, per favore" replicò Erlendur. "Il punto? Perché sei così stressato?" "Sapevo che non saresti stata capace di dire semplicemente quello che dovevi dirmi." "Riguarda i ragazzi di Katrin" disse Elinborg. "O gli uomini, in realtà; sono tutti adulti." "Che c'è?" "Tutti bravi ragazzi, probabilmente, solo che uno di loro lavora in un posto piuttosto interessante. Ho pensato che avresti voluto saperlo subito, ma se sei così stressato e hai così tanto da fare da non poter nemmeno scambiare due chiacchiere, allora telefono a Sigurdur Oli." "Elinborg." "Dimmi, caro." "Dio mio, Elinborg" urlò Erlendur e guardò Sigurdur Oli," vuoi dirmi quello che mi devi dire?" "Il figlio lavora al Centro per le ricerche genetiche." "Cosa?" "Lavora al Centro per le ricerche genetiche." "Il Centro per le ricerche... quale figlio?" "Il più giovane. Sta lavorando alla loro nuova banca dati. Lavora con alberi genealogici e malattie, famiglie islandesi e malattie ereditarie, patologie genetiche. Il tipo è un esperto in malattie genetiche."

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35 † Erlendur rincasò tardi quella sera. Il giorno dopo aveva programmato di andare a trovare Katrin di prima mattina e parlarle dei suoi sospetti. Sperava che suo figlio venisse rintracciato al più presto. Se le ricerche fossero andate per le lunghe, c'era il pericolo che la notizia arrivasse ai media e lui voleva assolutamente evitare una cosa del genere. Eva Lind non era in casa, ma aveva sistemato la cucina dopo lo sfacelo provocato da Erlendur. L'agente infilò nel forno a microonde uno dei due piatti pronti comprati in un supermercato che restava aperto fino a tardi, e lo accese. Erlendur ricordò il momento in cui, qualche sera prima, Eva Lind era andata da lui, mentre era davanti al microonde, e gli aveva detto di essere incinta. Gli sembrava che fosse passato un anno da quando si era seduta di fronte a lui nel tentativo di spillargli un po di soldi cercando di evitare le sue domande, ma sapeva che era successo solo qualche sera prima. Faceva ancora brutti sogni la notte. Di solito non sognava molto e ricordava soltanto dei brandelli di immagini oniriche quando si svegliava, ma la sensazione di disagio lo accompagnava anche dopo e riusciva a liberarsene solo con difficoltà. Non migliorava certo le cose il fatto che quel dolore al petto continuava a farsi sentire, una sensazione che non riusciva a cancellare, per quanto ci provasse. Pensò a Eva Lind e al bambino, a Kolbrùn e ad Audur, a Elin, a Katrin e ai suoi figli, a Holberg, a Gretar e a Ellidi in prigione, alla ragazza di Gardabaer e a suo padre, a se stesso e ai suoi figli, a suo figlio Sindri Snasr che non vedeva mai, e a Eva che lo cercava e che lui rimproverava quando non approvava il suo comportamento. La ragazza aveva ragione. Che diritto aveva, lui, di rimproverarla? Pensò a madri e figlie, e a padri e figli, a madri e figli, e a padri e figlie, e ai bambini che venivano al mondo e che nessuno voleva, e ai bambini che morivano in quella piccola comunità, l'Islanda, dove tutti sembravano imparentati o legati in qualche modo. Se Holberg era il padre del figlio minore di Katrin, allora quest'ultimo aveva ucciso suo padre? Sapeva che Holberg era suo padre? Come l'aveva scoperto? Gliel’aveva detto Katrin? Quando? Perché? L'aveva sempre saputo? Era a conoscenza dello stupro? Katrin gli aveva detto che Holberg l'aveva violentata e che in seguito a questa violenza era rimasta incinta? Che cosa si prova? Che cosa si prova a scoprire di non essere la persona che si è sempre pensato di essere? Che tuo padre non è tuo padre, che tu non sei suo figlio, che sei il figlio di un altro di cui ignoravi l'esistenza? Di un violento e stupratore. Che cosa si prova? pensò Erlendur. Come si fa ad accettare una cosa del genere? Si va a trovare il proprio padre e lo si ammazza? Per poi scrivere: Io Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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sono lui. E se Katrin non gli aveva detto di Holberg, come aveva saputo la verità? Erlendur continuava a rifletterci. Più considerava la faccenda nelle sue varie sfaccettature, più si ritrovava a pensare all'albero dei messaggi a Gardabasr. Quell'uomo poteva essere venuto a sapere la verità in un modo soltanto, ed Erlendur aveva intenzione di verificarlo il giorno successivo. E che cosa aveva visto Gretar? Perché era morto? Ricattava Holberg? Sapeva degli stupri di Holberg e aveva intenzione di farlo sapere in giro? Aveva scattato delle foto a Holberg? Chi era la donna seduta con Holberg? E quando era stata fatta quella fotografia? Gretar era scomparso l'estate delle celebrazioni per l'anniversario della repubblica, quindi doveva essere stata scattata prima di allora. Erlendur si chiese se Holberg non avesse fatto altre vittime, donne che non l'avevano mai denunciato. Sentì la chiave girare nella toppa e si alzò. Era Eva Lind che rientrava. "Ho incontrato la sposina e sono andata con lei a Gardabasr" disse quando vide Erlendur uscire dalla cucina; poi si chiuse la porta alle spalle. "Ha detto che vuole denunciare quel vecchio porco per tutte le volte che ha abusato di lei. Sua madre ha avuto una crisi nervosa. Poi siamo andate via." "Dal marito?" "Sì, nel loro piccolo, grazioso appartamentino" rispose Eva Lind togliendosi le scarpe all'ingresso. "Era incazzato nero, ma si è calmato quando ha saputo cos'era successo." "Come l'ha presa?" "E un tipo in gamba. Quando sono andata via, stava andando a Gardabasr a parlare con il vecchio porco." "Ah." "Pensi che valga la pena di denunciare quel bastardo?" chiese Eva Lind. "Casi come questo sono molto complessi. Gli uomini negano tutto e in qualche modo ne vengono fuori. Forse dipende dalla madre, da cosa dichiara lei. Forse dovrebbe parlare con qualcuno del Consultorio per le vittime di abusi sessuali. E tu, come te la passi?" "Tutto bene" rispose Eva Lind. "Hai pensato di fare un'ecografia, o come diavolo si chiama?" chiese Erlendur. "Potrei venire con te." "Verrà anche quel momento" replicò Eva Lind. "Davvero?" "Sì." "Bene" commentò Erlendur. "Cosa hai combinato?" domandò Eva Lind infilando l'altro piatto nel microonde. "Non penso altro che ai figli, in questi giorni" rispose Erlendur. "E a un albero dei messaggi che è una specie di albero genealogico; racchiude un sacco di informazioni per noi, se solo sapessimo che cosa dobbiamo cercare. E penso all'ossessione del collezionismo. Com'è che fa quella canzone del ronzino?" Eva Lind guardò suo padre. Lui sapeva che la musica era il suo forte. "Vuoi dire, la vita è un ronzino." "La testa piena di biada" continuò Erlendur. "Il cuore congelato." "E il cervello se n'è andato. "Erlendur finì la strofa. Si mise il cappello e disse che non sarebbe stato via a lungo.

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36 † Hanna aveva avvertito il medico, che quindi aspettava Erlendur per quella sera. Abitava in una casa elegante nella zona vecchia di Hafnarfjordur e andò lui stesso ad aprire la porta all'agente: era il ritratto della gentilezza e della cortesia; era basso, completamente pelato e ben in carne sotto la pesante vestaglia da camera. Un godereccio, pensò Erlendur, con un perpetuo rossore quasi femmineo sulle guance. Aveva un'età indefinita, poteva essere sulla sessantina. Porse a Erlendur una mano asciutta come carta e lo invitò in soggiorno. Erlendur si sedette su un enorme divano color vino e rifiutò il bicchiere che il medico fece per offrirgli. Il padrone di casa prese posto su una sedia di fronte a Erlendur e attese che l'agente cominciasse a parlare. Erlendur diede un'occhiata al soggiorno, che era spazioso e abbellito da numerosi quadri e oggetti d'arte, e si chiese se il dottore viveva da solo. Glielo domandò. "Ho sempre vissuto da solo" rispose il medico. "Mi trovo benissimo in questa condizione da sempre. Si dice che gli uomini che raggiungono la mia età rimpiangano di non aver avuto una famiglia e dei figli. I miei colleghi in tutto il mondo sventolano foto dei loro nipoti già grandi, quando ci troviamo ai convegni, ma io non ho mai avuto intenzione di mettere su famiglia. Non mi sono mai interessati i bambini." Era espansivo, disponibile e cordiale, come se Erlendur fosse un amico fidato, e questo atteggiamento implicava una certa riconoscenza da parte sua. A Erlendur non importava affatto. "Ma le interessano gli organi in barattolo" disse scorbutico. Il medico non mostrò alcuna reazione. "Hanna mi ha detto che era irritato" replicò. "Non vedo perché dovrebbe esserlo. Non faccio niente di illegale. Sì, ho una piccola collezione di organi. Quasi tutti conservati sotto formaldeide, in vasi di vetro. Li tengo in casa. Dovevano essere distrutti, ma io li ho recuperati e conservati più a lungo. Conservo anche altri tipi di campioni biologici, campioni di tessuti." Il medico fece una pausa. "Forse adesso vorrà sapere per quale motivo" continuò, ma Erlendur scosse la testa. "A dire la verità, la domanda che volevo porle è quanti organi ha rubato" disse," ma possiamo arrivarci più tardi." "Non ho mai rubato nessun organo" disse il medico accarezzandosi piano la testa pelata. "Non capisco quest'astio. Le dispiace se mi verso un goccio di sherry?" chiese alzandosi dalla sedia. Erlendur attese, mentre il dottore si avvicinava a un piccolo mobile bar e si versava un bicchiere. Ne offrì anche a Erlendur, che rifiutò, e sorseggiò il suo sherry con le labbra carnose. Sul viso rotondo si disegnò un'evidente espressione di piacere mentre assaporava il liquore. "La gente normalmente non se lo domanda" continuò poi," e in effetti non ce n'è motivo. Tutto ciò che è morto è inutile nel nostro mondo, e il cadaveArnaldur Indridason - Sotto la Città

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re di un uomo non sfugge a questa regola. Non c'è bisogno di fare del sentimentalismo. L'anima se n'è andata. Restano solo le scorie e le scorie non sono niente. Deve considerare la questione da un punto di vista medico. Il corpo non è niente, capisce?" "Sicuramente un valore per lei ce l'ha. Lei colleziona parti del corpo." "All'estero gli ospedali universitari acquistano organi per scopi didattici" continuò il medico," ma in Islanda non è una consuetudine. Qui bisogna chiedere il consenso all'autopsia caso per caso, e alle volte un organo viene asportato per quanto possa non avere niente a che vedere con il decesso. La gente rifiuta o accetta, dipende. Di solito si tratta di persone anziane. Nessuno ruba organi." "Ma non è stato sempre così" precisò Erlendur. "Non so come andassero le cose anni fa. Sicuramente non controllavano con molta attenzione quello che succedeva. Non lo so. Non so perché sia così scandalizzato dal mio comportamento. Si ricorda di quel caso, in Francia? L'industria automobilistica utilizzava corpi umani per effettuare i crash test, bambini compresi. Dovrebbe scandalizzarsi per quello, invece. Gli organi vengono comprati e venduti in tutto il mondo. Alcuni uccidono addirittura, per procurarseli. La collezione che ho raccolto non può certo definirsi un reato." "Ma perché?" chiese Erlendur. "Cosa se ne fa?" "Ricerca, naturalmente" rispose il medico e bevve un goccio di sherry. "Li esamino al microscopio. Cosa fa un collezionista? I filatelici guardano i timbri postali. Chi colleziona libri guarda l'anno di pubblicazione. Gli astronomi hanno l'universo davanti agli occhi e osservano spazi infiniti. Io guardo il mio mondo microscopico." "Quindi il suo hobby è la ricerca, e ha il necessario per studiare i campioni o gli organi che possiede?" "Sì." "Qui in casa?" "Sì. Se i campioni sono ben conservati, è sempre possibile analizzarli. Quando si cercano nuove informazioni, oppure si vuole studiare qualcosa in particolare, sono sempre perfettamente utilizzabili a scopi di ricerca. Perfettamente." Il medico tacque. "Voleva chiedermi di Audur?" chiese poi. "La conosce?" disse Erlendur sorpreso. "Lei sa che se non le fosse stata praticata l'autopsia e se il cervello non fosse stato rimosso, non si sarebbe mai scoperto che cosa la portò alla morte. Lo sa bene. È rimasta sepolta troppo a lungo. Non sarebbe stato possibile analizzare il cervello con un certo criterio dopo più di trent'anni passati sotto terra. Quindi, ecco che quanto la disgusta le è in effetti di grande aiuto. Spero che se ne renda conto." Il medico sembrò riflettere per qualche secondo. "Conosce la storia di Luigi xvii? Era il figlio di Luigi xvi e di Maria Antonietta. Imprigionato durante la Rivoluzione francese, morì all'età di dieci anni." "Chi?" "Luigi xvii." "Luigi?" "La notizia era sui giornali circa un anno fa, forse di più; alcuni scienziati francesi scoprirono che il bambino morì, e che non fuggì di prigione come ritenevano alcuni. Sa come arrivarono a questa conclusione?" "Non so nemmeno di che cosa stia parlando" rispose Erlendur. "Il cuore a suo tempo era stato prelevato e conservato sotto formaldeide. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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Gli scienziati effettuarono il test del DNA e altri esami, e scoprirono che i presunti discendenti basavano la propria parentela con la famiglia reale francese su delle menzogne. Non erano affatto imparentati con il principe. Sa quando morì, questo piccolo Luigi?" "No." "Più di duecento anni fa. Nel 1795. La formaldeide è un liquido unico." "Cosa sa di Audur?" "Varie cose." "Com'è finito il campione in mano sua?" "Tramite terzi. Non voglio dilungarmi a spiegare la faccenda." "Dalla Città dei barattoli?" "Sì." "Ha gestito lei la Città dei barattoli?" "In parte. Non c'è bisogno che si rivolga a me come se fossi un criminale." Erlendur soppesò le sue parole. "Ha stabilito le cause del decesso?" Il medico guardò Erlendur e assaporò un altro sorso di sherry. "In effetti sì" rispose. "Ho sempre preferito la ricerca alla pratica medica. Con la mia ossessione per il collezionismo ho potuto conciliare le due cose, anche se ovviamente solo su piccola scala." "Il certificato del medico legale di Keflavik parla solo di tumore al cervello, non dà ulteriori spiegazioni." "L'ho visto, questo certificato. È molto incompleto, non fu che un rapporto provvisorio. Come le ho detto, ho svolto analisi più approfondite e credo di avere la risposta a ogni sua domanda." Erlendur si sporse in avanti. "E...?" fece. "Si tratta di una patologia genetica. È presente in diverse famiglie in Islanda. Questo caso era estremamente complesso e nonostante abbia ripetuto varie analisi per molto tempo, non ero affatto sicuro dei risultati. Alla fine ho capito che era molto probabile che il tumore fosse collegato a una malattia genetica, la neurofibromatosi. Non mi aspetto che ne abbia sentito parlare. I sintomi non sono sempre evidenti. In alcuni casi si può anche morire senza che la patologia si sia manifestata in alcun modo. Esistono dei portatori sani. Il caso più comune è che i sintomi si manifestino nei primi stadi, principalmente in forma di macchie sparse su tutto il corpo e tumori cutanei." Il medico sorseggiò di nuovo il liquore. "Quelli di Keflavik non descrissero niente del genere nel certificato, ma non credo nemmeno che sapessero cosa andare a cercare." "Ai parenti parlarono di macchie della pelle." "Ah, davvero? Le diagnosi non sono mai certe." "Questa malattia può essere trasmessa di padre in figlia?" "Sì. Ma la trasmissione genetica non si limita a questo. Entrambi i sessi possono essere portatori o anche contrarla. Si dice che un ramo provenga dal cosiddetto Elephant Man. Ha visto il film?" "No" rispose Erlendur. "A volte si verifica una crescita eccessiva delle ossa che causa deformità, come nel caso dell'Elephant Man. Altri ritengono che la malattia in effetti non abbia niente a che vedere con questo Elephant Man. Ma questa è un'altra storia." "Perché ha cominciato a studiarla?" chiese Erlendur interrompendo il medico. "Le malattie cerebrali sono il mio campo" rispose. "Questa bambina rappresenta uno dei miei casi più interessanti. Lessi tutta la documentazione al riguardo. Non era molto precisa. Il medico che la curava allora non era un pessimo generico, anche se alcolizzato, mi pare di ricordare. Mi sono informato, ma sia come sia, scrisse da qualche parte che si trattava di infezione Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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tubercolare cerebrale acuta, che era la descrizione utilizzata qualche volta all'epoca quando compariva questa malattia. Quello fu il mio punto di partenza. Nemmeno il certificato del patologo di Keflavik era molto preciso, ne abbiamo già parlato prima. Trovarono il tumore e se lo fecero bastare." Il medico si alzò e si avvicinò a una grande libreria. Prese una rivista medica e la porse a Erlendur. "Non penso che riuscirà a capire tutto quello che c'è scritto qui, ma ho pubblicato un breve articolo sulla mia ricerca su una rivista medica americana molto stimata." "Ha scritto un articolo scientifico su Audur?" chiese Erlendur. "Audur ci ha aiutati a comprendere la malattia. È stata molto importante per me e per la scienza medica. Spero che la cosa non la deluda." "IL padre della bambina potrebbe essere stato un portatore della malattia" disse Erlendur, mentre ancora cercava di rendersi conto di quanto gli aveva appena detto il dottore. "E la trasmise alla figlia. Se avesse avuto un altro figlio, dovrebbe averla anche lui, o no?" "Non deve essersi manifestata necessariamente anche in lui" rispose il medico," ma il figlio potrebbe essere un portatore, come il padre." "Quindi?" "Se il figlio a sua volta ha avuto un figlio, il bambino potrebbe avere la malattia." Erlendur rifletté su queste parole. "Comunque dovrebbe parlare con qualcuno del Centro per le ricerche genetiche" continuò il medico. "Loro hanno le risposte alle domande sull'ereditarietà." "Come?" domandò Erlendur. "Parli con il Centro islandese per le ricerche genetiche. È la nostra nuova Città dei barattoli. Loro hanno tutte le risposte. Che c'è? Perché reagisce in questo modo? Conosce qualcuno che lavora là?" "No" rispose Erlendur," ma non mi manca molto." "Vuol vedere Audur?" chiese il medico. Sulle prime Erlendur non capì cosa volesse dire il dottore. "Significa che...? " Ho un piccolo laboratorio di sotto. Se vuole dare un'occhiata è il benvenuto." Erlendur esitò. "D'accordo" acconsentì alla fine. Si alzarono ed Erlendur seguì il medico giù per le scale strette. L'uomo accese la luce che rivelò un piccolo laboratorio immacolato con microscopi, computer, provette e apparecchi la cui funzione Erlendur non riusciva nemmeno a immaginare. Gli venne in mente una frase che aveva letto in un libro: i collezionisti si creano un mondo tutto loro. Costruiscono un piccolo universo intorno a sé, scelgono alcuni simboli della realtà e li trasformano negli elementi essenziali della loro realtà personale. Anche Holberg era un collezionista. La sua ossessione per il collezionismo era legata alla pornografia. Da quella costruiva il suo piccolo mondo privato, come il medico faceva con gli organi. "È qui" disse il medico. Si avvicinò a un grande armadio antico in legno, l'unico pezzo nella stanza che strideva con quell'ambiente sterilizzato, lo aprì e prese un pesante barattolo di vetro con il coperchio. Lo depose con cura sul tavolo e in quella Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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forte luce al neon Erlendur vide un piccolo cervello di bambino galleggiare nella formaldeide intorbidita. Uscì dalla casa del medico portando con sé una valigetta di pelle contenente i resti terreni di Audur. Pensò alla Città dei barattoli mentre guidava verso casa per le strade deserte, e sulla scia di questi pensieri si augurò che nessuna parte del suo corpo dovesse mai essere conservata in un laboratorio. Stava ancora piovendo quando parcheggiò davanti al suo condominio. Spense il motore, si accese una sigaretta e fissò un punto nella notte. Guardò la valigetta sul sedile anteriore. Voleva rimettere Audur al suo posto.

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37 † Gli agenti di guardia alla casa di Katrin verso la mezzanotte videro Albert uscire sbattendosi la porta alle spalle, salire in macchina e partire. Sembrava avere molta fretta; i poliziotti notarono che si era portato dietro la stessa valigia che aveva quando era rientrato dall'estero quella sera. Gli agenti non avevano visto altri movimenti e di Katrin non c'era alcun segno. Chiamarono una volante della polizia che si trovava nelle vicinanze: seguì Albert fino all'Hotel Esja, dove l'uomo prese una stanza per la notte. Erlendur si presentò a casa di Katrin alle otto del mattino successivo. Elinborg era con lui. Pioveva ancora. Non vedevano il sole da giorni. Suonarono il campanello per tre volte prima di sentire rumore di passi all'interno, poi la porta si aprì e apparve Katrin. Elinborg notò che indossava ancora gli stessi vestiti del giorno precedente e che aveva pianto. Aveva il viso molto teso e gli occhi rossi e gonfi. "Scusatemi" disse Katrin come frastornata," ma devo essermi addormentata sulla sedia. Che ora è?" "Possiamo entrare?" chiese Erlendur. "Non avevo mai detto ad Albert quello che era successo" disse entrando in casa senza invitarli. Erlendur ed Elinborg si scambiarono un'occhiata e la seguirono. "Mi ha lasciata ieri sera" continuò Katrin. "Ma che ora è? Credo di essermi addormentata sulla sedia. Albert era furioso. Non l'ho mai visto così arrabbiato." "Può contattare qualcuno della sua famiglia?" chiese Elinborg. "Qualcuno che possa venire a stare con lei? I suoi figli?" "No, Albert tornerà e si sistemerà tutto. Non voglio disturbare i ragazzi. Si sistemerà tutto. Albert tornerà." "Perché era così furioso?" domandò Erlendur. Katrin si era seduta sul divano del soggiorno, Erlendur ed Elinborg presero posto di fronte a lei, proprio come il giorno precedente. "Era davvero furibondo, Albert. Lui che di solito è così calmo. Albert è una brava persona, ed è sempre stato buono con me. È un bel matrimonio, il nostro. Siamo sempre stati felici." "Forse preferisce che torniamo più tardi" disse Elinborg. Erlendur le lanciò un'occhiataccia. "No" replicò Katrin," è tutto a posto. Si sistemerà tutto. Albert tornerà. Deve solo riprendersi un po. Mio Dio, com'è difficile. Avrei dovuto dirglielo subito, ha detto. Non è riuscito a capire come abbia potuto tenere per me questa faccenda durante tutto questo tempo. Mi ha urlato contro." Katrin li guardò. "Non aveva mai urlato così con me." "Vado a chiamare un dottore" disse Elinborg alzandosi. Erlendur non credeva alle sue orecchie. "No, è tutto a posto" la rassicurò Katrin. "Non è necessario. Sono un po confusa per aver dormito male. Sto bene. Si sieda, cara. Si sistemerà ogni cosa." "Che cosa ha detto ad Albert?" chiese Erlendur. "Gli ha raccontato dello stupro?" "Avrei voluto dirglielo da sempre, ma non ho mai trovato il coraggio. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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Non avevo mai raccontato a nessuno di questa disgrazia. Ho cercato di dimenticarla, come se non fosse mai successa. Spesso è stato difficile, ma in qualche modo è andata. Poi siete arrivati voi e io non ho potuto fare a meno di dire tutto, per liberarmene. In un certo senso sono stata meglio. E come se mi aveste alleggerita di un fardello immenso, sapevo che potevo parlarne apertamente e che era l'unica cosa giusta da fare. Anche dopo tutto questo tempo." Katrin tacque. "Si è arrabbiato perché non gli raccontò subito dello stupro?" chiese Erlendur. "Sì." "Non ha compreso il suo stato d'animo?" domandò Elinborg. "Ha detto che avrei dovuto dirglielo subito. Certo, è comprensibile. Ha detto di essere sempre stato onesto con me e che non se lo meritava." "Non sono sicuro di capire" commentò Erlendur. "Pensavo che Albert fosse una persona migliore. Avrei detto che avrebbe cercato di consolarla, di starle vicino nella difficoltà, e non che si sarebbe precipitato fuori dalla porta." "Lo so" convenne Katrin. "Forse non gliel'ho detto nel modo giusto." "Il modo giusto" fece Elinborg senza cercare di nascondere il suo sdegno. "Come si può raccontare nel modo giusto una cosa del genere?" Katrin scosse la testa. "Non lo so. Giuro, non lo so." "Gli ha detto tutta la verità?" chiese Erlendur. "Gli ho detto quello che ho detto a voi." "Nient'altro?" "No" rispose Katrin. "Gli ha raccontato solo dello stupro?" "Solo" ripetè Katrin. "Solo! Come se non fosse abbastanza. Come se non fosse abbastanza l'essere venuto a sapere che ero stata violentata e che non gliel'avevo mai detto. Non è abbastanza?" Tacquero. "Non gli ha detto di vostro figlio minore?" chiese infine Erlendur. Katrin lo guardò con gli occhi a un tratto sfavillanti. "Che c'entra, il nostro figlio minore?" disse come sputando le parole. "L'avete chiamato Einar" disse Erlendur, che il giorno precedente aveva dato una scorsa alle informazioni che Elinborg aveva raccolto sulla famiglia. "Cosa c'entra Einar?" Erlendur la guardò. "Cosa c'entra Einar?" ripetè la donna. "È suo figlio" disse Erlendur. "Ma non è figlio di suo padre." "Di cosa sta parlando? Non è figlio di suo padre? Certo che è figlio di suo padre! Chi non è figlio del proprio padre?" "Mi scusi, non sono stato abbastanza preciso. Non è il figlio del padre che credeva il suo" continuò calmo Erlendur. "È figlio dell'uomo che la stuprò. Figlio di Holberg. Ha detto anche questo a suo marito? È per questo che se n'è andato?" Katrin rimase in silenzio. "Gli ha detto tutta la verità?" Katrin guardò Erlendur. Gli sembrò che la donna si stesse preparando a fare resistenza. Passarono alcuni secondi e poi vide dalle sue labbra che si arrendeva. Le spalle si abbassarono, chiuse gli occhi, si abbandonò con tutto il corpo sul divano e scoppiò a piangere. Elinborg lanciò a Erlendur uno sguardo tagliente, ma lui continuava a fissare Katrin, per darle il tempo di riprendersi. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"Gli ha detto tutta la verità?" ripetè alla fine, quando gli sembrò che stesse un po meglio. "Non c'ha creduto" disse. "Che Einar non è suo figlio?" chiese Erlendur. "C'è un rapporto molto particolare fra loro due; Einar e Albert sono sempre stati così vicini. Da quando è nato. Albert ovviamente ama anche gli altri due figli, ma Einar è il preferito. Da sempre. È il più piccolo e Albert l'ha coccolato fin dall'inizio." Katrin fece una pausa. "Forse è per questo che non ho mai detto niente. Sapevo che Albert non l'avrebbe sopportato. Gli anni passavano e ho fatto finta che non fosse successo nulla. Non ho mai detto una parola. E andava tutto bene. Holberg aveva aperto una ferita, ma perché non lasciare che si rimarginasse col tempo? Perché doveva distruggere il nostro futuro insieme? È stato così che ho tenuto sotto controllo tutto quell'orrore." "Ha saputo subito che Einar era figlio di Holberg?" chiese Elinborg. "Avrebbe anche potuto essere figlio di Albert." Katrin fece un'altra pausa di silenzio. "Ma glielo ha letto in faccia" disse Erlendur. Katrin lo guardò. "Come fa a saperlo?" "Assomigliava a Holberg, vero?" continuò Erlendur. "A Holberg quand'era giovane. Una donna l'ha visto a Keflavik e ha pensato che fosse lui." "C'è una certa somiglianza fra loro." "Se non ha mai detto niente a suo figlio e suo marito non sapeva di Einar, perché questa resa dei conti, adesso, fra lei e Albert? Che cosa l'ha provocata?" "Quale donna a Keflavik?" chiese Katrin. "Chi è la donna che vive a Keflavik e conosceva Holberg? Viveva lì con una donna?" "No" rispose Erlendur, domandandosi se avrebbe dovuto raccontarle di Kolbrùn e Audur. Era certo che la donna ne avrebbe sentito parlare prima o poi, e non trovava nessun motivo valido per cui Katrin non dovesse sapere la verità adesso. Le aveva già detto dello stupro di Keflavik, ma adesso le rivelò il nome della vittima di Holberg e le raccontò di Audur, che era morta da piccola di una malattia grave e complessa. Le disse che avevano trovato la fotografia della lapide nella scrivania di Holberg e che questa li aveva condotti a Keflavik, da Elin. Le raccontò anche come fu accolta Kolbrùn quando sporse denuncia. Katrin ascoltò attenta il resoconto. Le salirono le lacrime agli occhi mentre Erlendur raccontava della morte di Audur. Le disse anche di Gretar, l'uomo con la macchina fotografica che aveva visto insieme a Holberg, e di come era scomparso senza lasciar traccia e poi ritrovato sotto la soletta in cemento dell'appartamento di Holberg. "È questo il caso di Nordurmyri di cui si parla sui giornali?" chiese Katrin. Erlendur annuì. "Non sapevo che Holberg avesse stuprato altre donne" disse Katrin. "Credevo di essere l'unica." "Sappiamo di voi due" precisò Erlendur. "Ma potrebbero Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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essercene anche altre. Non possiamo sapere se verranno mai scoperte." "Audur allora era la sorellastra di Einar" disse Katrin assorta. "Povera bambina." "È sicura che non ne sapeva niente?" chiese Erlendur. "Certo che ne sono sicura. Non ne avevo la più pallida idea." "Einar sa di lei" disse Erlendur. "Ha rintracciato Elin a Keflavik." Katrin rimase zitta. L'agente decise di ripeterle la domanda. "Se Einar non sapeva niente e se lei non ha mai detto nulla a suo marito, come mai suo figlio adesso tutto a un tratto ha scoperto la verità?" "Non lo so" rispose Katrin. "Aspetti, mi dica, com'è morta quella povera bambina?" "Lei sa che suo figlio è sospettato dell'omicidio di Holberg" disse Erlendur senza rispondere alla sua domanda. Cercò di formulare quanto aveva da dire nel modo più discreto possibile. Gli sembrava che Katrin fosse stranamente calma, come se non fosse una sorpresa per lei sapere che suo figlio era sospettato di omicidio. "Mio figlio non è un assassino" disse a bassa voce. "Non potrebbe mai uccidere nessuno." "Ci sono forti probabilità che sia stato lui a colpire Holberg alla testa. Forse non aveva intenzione di ucciderlo. Probabilmente l'ha fatto in un accesso di rabbia. Ha lasciato un messaggio. C'era scritto: 'Io sono lui. Sa dirmi cosa potrebbe significare?" Katrin non rispose. "Sapeva che Holberg era suo padre? Era a conoscenza di cosa le aveva fatto Holberg? Era mai stato a trovare suo padre? Sapeva di Audur e di Elin? E se sì, come faceva a saperlo?" Katrin teneva gli occhi fissi in grembo. "Adesso dov'è suo figlio?" chiese Elinborg. "Non lo so" rispose Katrin a bassa voce. "Non ho sue notizie da diversi giorni." Alzò gli occhi verso Erlendur. "All'improvviso sapeva tutto di Holberg. Sapeva che c'era qualcosa che non andava. L'ha scoperto nell'azienda per cui lavora" disse. "Ha detto che non era più possibile tenere nascosto questo segreto. Ha detto che era tutto nella loro banca dati."

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38 † Erlendur guardò Katrin. "È così che ha ottenuto le informazioni sul suo vero padre?" chiese. "Ha capito che non poteva essere figlio di Albert" disse Katrin con un filo di voce. "Ma in che modo?" domandò Erlendur. "Che cosa stava cercando? Perché stava cercando informazioni su di sé nella banca dati? È stata una coincidenza?" "No" rispose Katrin. "Non è stata una coincidenza." Elinborg ne aveva abbastanza. Voleva finire quell'interrogatorio e lasciare che Katrin si riprendesse. Si alzò dicendo che andava a prendere un bicchiere d'acqua e fece cenno a Erlendur di seguirla. L'agente la seguì in cucina. Elinborg gli disse che la donna ne aveva già passate a sufficienza per il momento e che avrebbero dovuto lasciarla in pace, suggerirle di parlare con un avvocato prima di rivelare qualsiasi altra cosa. Avrebbero dovuto rimandare un ulteriore interrogatorio, parlare con i suoi famigliari e chiedere a qualcuno di loro di stare con lei e aiutarla. Erlendur le fece notare che Katrin non era stata arrestata, non era sospettata di nessun crimine, che quello non era un interrogatorio formale ma solo un modo per raccogliere informazioni e che la donna fino a quel momento aveva collaborato. Quindi dovevano continuare. Elinborg scosse la testa. "Batti il ferro finché è caldo" disse Erlendur. "Ti sembra una cosa da dire!" esclamò Elinborg. Katrin comparve sulla porta della cucina e chiese se non fosse il caso di continuare. Era pronta a dire loro tutta la verità e a non nascondere niente, questa volta. "Voglio darci un taglio" disse. Elinborg le chiese se voleva chiamare un avvocato, ma lei rifiutò. Disse che non ne conosceva nessuno e che non ne aveva mai avuto bisogno. Non avrebbe nemmeno saputo come fare. Elinborg rivolse a Erlendur uno sguardo d'accusa. L'agente chiese a Katrin se era pronta ad andare avanti. La donna si strinse le mani con un'espressione triste e si concentrò sul racconto. Albert doveva prendere un volo per l'estero quella mattina. Si erano alzati molto presto. Lei aveva preparato il caffè. Avevano parlato ancora una volta di vendere la casa e comprare un appartamento più piccolo. Ne avevano discusso spesso, ma non si erano mai decisi. Forse sembrava un passo troppo grande, come a sottolineare quanto fossero invecchiati. Non si sentivano vecchi, però trovare una casa più piccola stava diventando sempre più urgente. Albert aveva intenzione di contattare un'agenzia immobiliare al suo ritorno. Poi era partito sul suo fuoristrada. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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Lei era tornata a letto. Aveva ancora due ore prima di andare al lavoro, ma non riusciva a dormire. Era rimasta sdraiata a girarsi nel letto fino alle otto. Poi si era alzata. Era in cucina quando aveva sentito entrare Einar. Aveva le chiavi. Aveva capito immediatamente che era sconvolto, ma non sapeva perché. Le disse di essere rimasto sveglio tutta la notte. Camminava a grandi passi per il soggiorno, entrò in cucina ma non volle sedersi. "Sapevo che c'era qualcosa che non quadrava" disse guardando sua madre con rabbia. "L'ho sempre saputo!" La donna non riusciva a capire perché fosse così arrabbiato. "Sapevo che c'era qualcosa che non tornava, cazzo. "ripetè quasi urlando. "Ma di cosa stai parlando, tesoro?" chiese lei senza rendersi ancora conto del motivo della sua rabbia. "Che cosa non torna?" "Ho aperto il codice" disse. "Ho infranto le regole e ho aperto il codice. Volevo capire come questa malattia si trasmette in famiglia: te lo dico io perché si trasmette. Ce l'hanno alcune famiglie, ma non la nostra. Non è nella famiglia di papà, non è nella tua. Ecco perché non torna. Capisci? Capisci cosa ti sto dicendo?" Il cellulare di Erlendur squillò nella tasca dell'impermeabile e l'agente chiese a Katrin diy scusarlo. Si spostò in cucina per rispondere. Era Sigurdur Oli. "La vecchietta di Keflavik ti cerca" disse senza presentarsi. "La vecchietta? Vuoi dire Elin?" "Sì, Elin." "Hai parlato con lei?" "Sì" rispose Sigurdur Oli. "Ha detto che aveva bisogno di parlare con te, subito." "Sai cosa vuole?" "Si è rifiutata di dirmelo. Come va lì da voi?" "Le hai dato il mio numero di cellulare?" "No." "Se richiama daglielo" disse Erlendur e chiuse la conversazione. Katrin ed Elinborg lo aspettavano in soggiorno. "Mi scusi" disse a Katrin. La donna continuò il suo racconto. Einar misurava il soggiorno a grandi passi. Katrin cercò di calmarlo e di capire il motivo per cui suo figlio era tanto sconvolto. Si sedette e gli chiese di mettersi seduto vicino a lei, ma lui non volle ascoltarla. Continuava a camminare avanti e indietro davanti a lei. La donna sapeva che stava passando un momento difficile, e il divorzio non aveva certo migliorato le cose. Sua moglie l'aveva lasciato. Voleva rifarsi una nuova vita. Non voleva lasciarsi sopraffare dal dolore. "Dimmi cosa c'è che non va" gli disse. "Ci sono tante cose, mamma, tante." E poi arrivò la domanda che aveva atteso da anni. "Chi è mio padre?" le chiese suo figlio e si fermò davanti a lei. "Chi è il mio vero padre?" Lei lo guardò. "Non abbiamo più segreti, mamma" le disse. "Che cosa hai scoperto?" chiese la donna. "Che cosa hai fatto?" "So chi non è mio padre" disse," e cioè papà. "Si mise a ridere. "Hai sentito? Papà non è mio padre! E se lui non è mio padre, allora io chi sono? Da dove vengo? I miei fratelli. A un tratto sono solo fratellastri. Perché non mi hai mai detto Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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niente? Perché mi hai mentito per tutto questo tempo? Perché?" Lo fissò in viso e gli occhi le si riempirono di lacrime. "Hai tradito papà?" le chiese. "Puoi dirmelo. Non lo dirò a nessuno. L'hai tradito? Non lo saprà nessuno oltre a noi due, ma devo sentirtelo dire. Da dove vengo? Come sono stato concepito?" Fece una pausa. "Sono stato adottato? Sono un orfano? Cosa sono? Chi sono? Mamma?" Katrin scoppiò a piangere, singhiozzava forte. Lui la fissava, si stava calmando, mentre la donna piangeva sul divano. Ci mise un po a capire cosa aveva fatto. Alla fine si sedette vicino a lei e le circondò le spalle con un braccio. Rimasero in silenzio per un po, finché lei cominciò a raccontargli della notte a Hùsavik, quando suo padre era fuori in mare e lei era uscita a divertirsi con le sue amiche e aveva incontrato quegli uomini, fra cui Holberg, che l'aveva aggredita a casa sua. Il figlio ascoltò la storia senza dire una parola. Gli disse che Holberg l'aveva violentata e che l'aveva minacciata, e che lei dentro di sé aveva preso la decisione di tenere quel bambino e di non raccontare a nessuno cos'era successo. Né a suo padre né a lui. Ed erano stati bene. Avevano avuto una vita felice. Non aveva permesso che Holberg le portasse via quella felicità. Non era riuscito a uccidere la sua famiglia. Gli disse che aveva sempre saputo che lui era figlio dell'uomo che l'aveva stuprata. Ma questo non le aveva impedito di amarlo tanto quanto amava gli altri due figli, e di certo Albert aveva per lui una predilezione particolare. Così Einar non aveva mai dovuto soffrire per quello che aveva fatto Holberg. Mai. Gli occorse qualche minuto per rendersi conto di quanto la donna gli aveva detto. "Mi dispiace" disse infine. "Non volevo arrabbiarmi con te. Credevo che tu avessi tradito papà e che io fossi stato concepito in quell'occasione. Non sapevo dello stupro." "Certo che non lo sapevi" replicò lei. "Come avresti potuto saperlo? Non ho mai detto a nessuno prima d'ora cos'era successo." "Avrei dovuto pensare anche a questa possibilità. C'era un'altra possibilità e non l'avevo nemmeno considerata. Mi spiace. Devi essere stata molto male per tutti questi anni." "Non devi pensarci" lo rassicurò. "Non voglio che tu soffra per quello che ha fatto Holberg." "Ma io ne ho sofferto, mamma" disse. "Un tormento infinito. E non solo io. Perché non hai pensato ad abortire? Cosa te l'ha impedito?" "Oddio, per amor del cielo, non dirlo nemmeno, Einar. Non dire mai più una cosa del genere." Katrin tacque. "Non prese mai in considerazione la possibilità di abortire?" chiese Elinborg. "Ogni giorno. Sempre. Finché non fu troppo tardi. Ci pensai ogni giorno, dal momento in cui mi resi conto di essere incinta. Andai perfino a parlare con un medico che mi visitò e mi consigliò di non farlo. Il bambino avrebbe anche potuto essere di Albert. Sicuramente è stato questo a fare la differenza. Poi sono entrata in depressione dopo il parto. Non so come si chiama, c'è un termine particolare per definire la depressione che prende dopo aver Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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partorito. Mi hanno mandata all'ospedale di Kleppur per una terapia. Dopo tre mesi stavo di nuovo abbastanza bene per prendermi cura del bambino, e l'ho sempre amato da allora." Erlendur aspettò un attimo prima di continuare l'interrogatorio. "Perché suo figlio si è messo a cercare le malattie genetiche nella banca dati del centro di ricerca?" chiese infine. Katrin lo guardò. "Come morì quella bambina di Keflavik?" domandò a sua volta. "Per un tumore al cervello" rispose Erlendur. "La malattia si chiama neurofibromatosi." Gli occhi le si riempirono di lacrime e sospirò profondamente. "Non lo sa?" disse. "Non so cosa?" "Il nostro tesorino è morto tre anni fa" spiegò Katrin. "In maniera inspiegabile. In maniera assolutamente inspiegabile." "Il vostro tesorino?" si stupì Erlendur. "La nostra piccola stella. La bambina di Einar. È morta. Povera piccola cara."

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39 † Nella casa regnava un silenzio di tomba. Katrin era seduta a testa china. Elinborg la guardò e poi guardò Erlendur, come sbigottita. Erlendur aveva gli occhi fissi nel vuoto e pensava a Eva Lind. Che cosa stava facendo in quel momento? Era nel suo appartamento? Sentì il bisogno di parlare con sua figlia. Sentì il bisogno di abbracciarla, coccolarla e di non lasciarla andare prima di averle detto quanto era importante per lui. "Non posso crederci" disse Elinborg. Erlendur la guardò, poi si rivolse a Katrin. "Suo figlio è un portatore sano, vero?" chiese. "E la definizione che ha usato lui" rispose Katrin. "Un portatore sano. Lo sono tutti e due. Lui e Holberg. Ha detto di aver ereditato quella malattia dall'uomo che mi ha stuprato." "Ma loro non l'hanno contratta" obiettò Erlendur. "Pare siano le femmine ad ammalarsi" spiegò Katrin. "I maschi sono portatori della malattia, ma possono non avere sintomi. Di qualsiasi cosa si tratti. Può presentarsi in tante forme, non so dirle bene come. Mio figlio l'ha capito. Ha cercato di spiegarmelo, ma non sapevo esattamente di cosa stesse parlando. Era sconvolto. E anch'io, ovviamente." "Quindi l'ha scoperto dalla banca dati che stanno creando" disse Erlendur. Katrin annuì. "Non riusciva a capire perché quella benedetta bambina avesse contratto la malattia e continuava a cercare le cause nella mia famiglia e in quella di Albert. Parlò con tutti i parenti, non voleva mollare. Pensammo che fosse il suo modo di reagire al colpo. Tutte quelle infinite ricerche di un motivo. La brama di risposte quando a noi sembrava che non ci fossero risposte da trovare. Si sono separati non molto tempo fa, Lara e lui. Non riuscivano più a vivere insieme e hanno deciso di separarsi temporaneamente, ma non vedo come le cose si possano sistemare." Katrin tacque. "E così ha trovato la risposta" concluse Erlendur. "Era convinto che Albert non fosse suo padre. Disse che non poteva esserlo, a giudicare dalle informazioni che aveva ricavato dalla banca dati. Per questo è venuto a cercarmi. Pensava che avessi tradito Albert e che lui fosse venuto al mondo in seguito a un adulterio. O che fosse stato adottato." "È risalito a Holberg grazie alla banca dati?" "Non credo. Non fino a qualche tempo fa. Di sicuro dopo che gli avevo detto di Holberg. È stato così assurdo. Così ridicolo! Mio figlio aveva steso una lista dei possibili padri e c'era anche Holberg. Era riuscito a stabilire la diffusione della malattia nelle famiglie con l'aiuto dei database genetici e genealogici, e così aveva scoperto che non poteva essere figlio di suo padre. Era una deviazione dalla norma. Un'anomalia." "Quanti anni aveva sua figlia?" "Aveva sette anni, la bambina." "È stato un tumore al cervello a causarne la morte, vero?" domandò ErArnaldur Indridason - Sotto la Città

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lendur. "Sì" rispose Katrin. "E morta della stessa malattia di Audur. Neurofibromatosi." "Sì, è la stessa malattia. Per la madre di Audur dev'essere stato davvero terribile. Prima Holberg, poi la morte della bambina." Erlendur esitò un momento. "Kolbrùn, la madre, si suicidò tre anni dopo la morte della figlia" aggiunse poi. "Mio Dio" disse Katrin e sospirò. "Dov'è suo figlio adesso?" chiese Erlendur. "Non lo so" rispose Katrin. "Ho una paura folle che possa fare qualcosa di tremendo. Sta così male, il mio ragazzo. Così male." "Crede che si sia messo in contatto con Holberg?" "Non saprei. So solo che non è un assassino. Questo lo so per certo." "Trova che assomigli a suo padre?" chiese Erlendur guardando le foto della cresima. Katrin non rispose. "Trova che ci sia una certa somiglianza fra loro?" ribadì Erlendur. "Che hai, si può sapere, eh?" esclamò Elinborg, che ne aveva avuto abbastanza. "Non ti sembra di stare esagerando, adesso?" "Mi scusi" disse Erlendur a Katrin. "Certo questo non ha niente a che vedere con l'inchiesta. Era solo una mia stupida curiosità. Ci è stata di grandissimo aiuto e, se la può consolare, dubito che ci sia una persona più coerente o più forte di lei, che è riuscita a sopportare in silenzio il proprio dolore per tutti questi anni." "È tutto a posto" Katrin rassicurò Elinborg. "I figli somigliano a tante persone. Non ho mai visto Holberg, nel mio bambino. Mai. Mi ha detto che non è stata colpa mia. Me l'ha detto Einar. Non è stata colpa mia, se la nostra bambina è morta." Katrin fece una pausa di silenzio. "Che ne sarà di Einar?" chiese poi. Non c'era più alcuna resistenza in lei. Niente più menzogne. Solo rassegnazione. "Dobbiamo trovarlo" rispose Erlendur," parlargli e sentire cos'ha da dirci. "Lui ed Elinborg si alzarono. Erlendur si mise il cappello. Katrin rimase seduta sul divano. "Se vuole posso parlare ad Albert" disse Erlendur. "Ha dormito all'Hotel Esja questa notte. Stiamo sorvegliando la casa da ieri nel caso suo figlio si faccia vedere. Posso spiegare ad Albert che cosa sta succedendo. Dovrà capire." "La ringrazio" disse Katrin. "Gli telefonerò. So che tornerà. Dobbiamo stare uniti, per nostro figlio. "Alzò lo sguardo. "È nostro figlio" ribadì. "Sarà sempre nostro figlio."

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40 † Erlendur non si aspettava di trovare Einar in casa. Aveva preso in affitto un piccolo appartamento sulla Storagerdi ed Erlendur ci andò con Elinborg una volta usciti da casa di Katrin. Era mezzogiorno e c'era molto traffico. Lungo la strada Erlendur descrisse per telefono a Sigurdur Oli gli sviluppi del caso. Avrebbero dovuto diramare un identikit di Einar. Trovare una sua foto da pubblicare sui giornali e da trasmettere in televisione insieme a un breve comunicato. Si misero d'accordo di trovarsi a Storagerdi. Quando raggiunsero il posto convenuto, Erlendur scese dall'auto ed Elinborg ripartì. L'agente aspettò che arrivasse anche Sigurdur Oli. L'appartamento era al pianterreno di una casa a tre piani e vi si accedeva dalla strada. Suonarono il campanello e bussarono energicamente alla porta, ma non ci fu risposta. Tentarono con le abitazioni ai piani superiori e scoprirono che l'appartamento in cui Einar viveva in affitto era di proprietà di uno degli altri due residenti, che, essendo a casa per pranzo, era disposto ad accompagnarli di sotto e aprire l'abitazione del suo inquilino. Disse che non vedeva Einar da vari giorni, forse addirittura da una settimana; disse che era un uomo tranquillo, che non aveva di che lamentarsi: pagava sempre regolarmente l'affitto, non capiva cosa volesse da lui la polizia. Per evitare troppe illazioni, Sigurdur Oli spiegò che i suoi famigliari lo cercavano e stavano tentando di scoprire dove potesse essere andato. Il proprietario dell'appartamento chiese se avessero un mandato per perquisire la casa. Non ce l'avevano, ma se lo sarebbero procurato più tardi quello stesso giorno. Gli chiesero di scusarli, una volta che l'uomo ebbe aperto la porta, ed entrarono. Tutte le tende alle finestre erano state tirate, per cui l'interno era immerso nel buio. Era un appartamento piuttosto piccolo, composto da un soggiorno, una camera da letto, la cucina e un piccolo bagno. La moquette era dappertutto, tranne in bagno e in cucina, dove c'era il linoleum. C'era un televisore in soggiorno. E un divano davanti al televisore. L'aria in casa era piuttosto pesante. Anziché aprire le tende Erlendur accese la luce in soggiorno, per vedere meglio. Guardarono le pareti dell'appartamento e poi si scambiarono un'occhiata. I muri erano completamente coperti dalle tre parole che conoscevano bene per averle lette in casa di Holberg: erano state scritte con la penna, con dei pennarelli e con la vernice a spruzzo. Tre parole che a Holberg erano risultate incomprensibili, ma che adesso non lo erano più per loro. Io sono lui. Ispezionarono le altre stanze dell'appartamento. Ovunque c'erano giornali e riviste, sia islandesi che stranieri; alcuni libri, che Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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a Erlendur sembravano testi scientifici, erano accatastati in varie pile sul pavimento del soggiorno e della camera, insieme a grandi album fotografici. In cucina c'erano delle confezioni vuote di cibi da asporto. "La paternità degli islandesi" disse Sigurdur Oli infilandosi i guanti di lattice. "Potremo mai esserne sicuri, un giorno?" Erlendur pensò alla ricerca genetica. Il Centro islandese per le ricerche genetiche aveva appena iniziato a raccogliere i dati clinici di tutti gli islandesi, vivi e morti, e a trasferirli in un database contenente tutte le informazioni sulla salute della nazione. I dati erano collegati a quelli di un altro database che ricostruiva l'albero genealogico di ogni singolo islandese fino al Medioevo; si era parlato di una ricerca delle malattie ereditarie degli islandesi. Lo scopo principale era scoprire come si trasmettevano tali patologie attraverso l'ereditarietà, studiarle da un punto di vista genetico e trovare il modo per curarle, insieme ad altre malattie, se possibile. Si parlava dell'omogeneità della nazione e della scarsa diversificazione genetica, che rendevano l'Islanda un laboratorio ideale per la ricerca in questo campo. Il Centro e il Ministero della sanità, che aveva rilasciato il permesso per la creazione della banca dati, avevano garantito che nessun estraneo avrebbe potuto avere accesso alle informazioni e avevano messo a punto un complesso sistema per codificare i dati, in modo da renderli inaccessibili. "Sei preoccupato per la tua identità?" chiese Erlendur. Anche lui si era infilato un paio di guanti di lattice e camminava con cautela per la stanza. Raccolse un album e lo sfogliò. Erano vecchie foto. "Mi hanno sempre detto che non assomigliavo né a papà né alla mamma, e a nessuno della famiglia." "E una sensazione che ho sempre avuto anch'io" disse Erlendur. "Che sensazione? Cosa vuoi dire?" "Che tu fossi un bastardo." "Mi fa piacere che tu abbia ritrovato il senso dell'umorismo" commentò Sigurdur Oli. "Sei stato piuttosto ermetico negli ultimi tempi." "Quale senso dell'umorismo?" chiese Erlendur. Sfogliò le fotografie. Erano vecchi scatti in bianco e nero. In alcune gli sembrò di riconoscere la madre di Einar. L'uomo nelle foto allora doveva essere Albert, e i tre ragazzi i loro figli. Einar era il più piccolo. Erano fotografie fatte a Natale e durante le vacanze estive, ma alcune ritraevano anche scene più quotidiane, erano state scattate in strada o in cucina, dove i ragazzi sedevano a tavola e indossavano maglioni di lana fatti a mano, che, Erlendur ricordava, erano andati di moda in quel periodo. Gli anni prima del 1970. I ragazzi più grandi che si erano lasciati crescere i capelli. Una serie erano foto fatte all'estero. Tivoli a Copenaghen, o almeno così sembrò a Erlendur. Più avanti i ragazzi erano cresciuti e i capelli erano più lunghi, indossavano dei completi con pantaloni a zampa d'elefante e scarpe eleganti con un po di tacco. Katrin con i capelli cotonati. Le foto adesso erano a colori. Albert che cominciava a perdere i capelli. Erlendur cercò Einar e quando confrontò il suo viso con quello dei fratelli e dei genitori in fotografia, si rese Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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conto di quant'era diverso. Gli altri due ragazzi avevano i lineamenti forti dei loro genitori, in particolare del padre. Lui era il brutto anatroccolo. Ripose il vecchio album e ne prese uno più recente. Sembravano fotografie scattate da Einar alla sua famiglia. Non raccontavano una storia molto lunga. Era come se Erlendur si fosse intromesso nell'esistenza di Einar nel momento in cui aveva conosciuto sua moglie. Si chiese se fossero le foto del viaggio di nozze. Avevano girato tutta l'Islanda. Erano stati sugli Hornstrandir, almeno così gli sembrava. A Thorsmork. Alle Herdubreidarlindir. Qualche volta erano in bicicletta. Altre volte su un trabiccolo a quattro ruote. Foto del campeggio. Erlendur valutò che fossero state scattate verso la metà degli anni Ottanta. Sfogliò rapidamente l'album, lo ripose e prese quello che gli sembrava il più recente. Vide una bambina in ospedale intubata e con una maschera per l'ossigeno sulla faccia. Aveva gli occhi chiusi ed era circondata da apparecchiature mediche. Gli parve si trovasse nel reparto di terapia intensiva. Esitò un attimo prima di continuare a sfogliare. Si riscosse quando il suo cellulare a un tratto squillò. Appoggiò l'album senza chiuderlo. Era Elin da Keflavik, sembrava sconvolta. "Era da me questa mattina" disse senza preamboli. "Chi?" "Il fratello di Audur. Si chiama Einar. Ho cercato di contattarla anche prima. È stato da me questa mattina e mi ha raccontato tutta la sua storia, pover'uomo. Ha perso la figlia, proprio come Kolbrùn. Sapeva di cosa morì Audur. È una malattia che si trasmette nella famiglia di Holberg." "Adesso dov'è?" chiese Erlendur. "Era molto prostrato" disse Elin. "Potrebbe fare una sciocchezza." "Che vuol dire? Che sciocchezza?" "Ha detto che era tutto finito." "Che cosa era finito?" "Non me l'ha spiegato. Ha detto solo che era finito." "Sa dov'è adesso?" "Ha detto che sarebbe tornato a Reykjavik." "A Reykjavik? Dove?" "Non lo so" rispose Elin. "Non le ha detto che cosa aveva intenzione di fare?" "No" disse Elin. "Non ne ha parlato. Lei deve trovarlo prima che faccia qualche sciocchezza. Sta molto male, poverino. E terribile. Davvero terribile. Oh Signore, non avevo mai visto niente del genere." "Cosa?" "È proprio come suo padre. È l'immagine fatta e finita di Holberg e non ce la fa a vivere così. Non ce la fa. Dopo che ha saputo quello che fece Holberg a sua madre. Ha detto di essere prigioniero del suo corpo. Ha detto che il sangue di Holberg gli scorre nelle vene e lui non lo sopporta." "Che cosa sta dicendo?" "E come se odiasse se stesso" continuò Elin. "Dice di non essere più la persona che era, ma qualcun altro, e si ritiene responsabile per quello che è successo. Qualsiasi cosa gli dicessi, lui non voleva ascoltarmi." Erlendur abbassò lo sguardo sull'album, sulla bambina nel letto d'ospedale. "Perché ha voluto incontrarla?" "Voleva sapere di Audur. Tutto. Com'era la bambina. Come morì. Mi ha detto che io sono la sua nuova famiglia. Ha mai sentito una cosa del genere?" "Dove può essere andato?" "Per l'amor del cielo, cerchi di trovarlo prima che sia troppo tardi." "Faremo del nostro meglio" promise Erlendur e stava per saluArnaldur Indridason - Sotto la Città

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tarla, ma sentì che Elin esitava. "Che c'è? C'è qualcosa d'altro?" chiese. "Ha visto quando avete riesumato Audur" disse Elin. "Ha visto?" "Mi aveva già rintracciata, ci ha seguiti al cimitero e ha visto quando avete estratto la bara dalla tomba."

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41 † Erlendur fece partire le ricerche. Le foto di Einar furono inviate alle centrali di polizia di Reykjavik e dintorni e delle maggiori città di tutta l'Islanda; furono diramati i comunicati stampa ai media. Fu dato ordine che l'uomo non venisse provocato; se fosse stato avvistato, avrebbero dovuto mettersi in contatto con Erlendur e non fare nient'altro. Parlò brevemente al telefono con Katrin, la quale disse di non sapere niente degli spostamenti del figlio. I due figli maggiori erano con lei. Aveva detto loro la verità. Nemmeno loro avevano notizie del fratello. Albert era rimasto tutto il giorno nella sua camera all'Hotel Esja. Aveva fatto due telefonate, entrambe di lavoro. "Che tragedia spaventosa" borbottò Erlendur tornando verso il suo ufficio. Non avevano trovato niente nell'appartamento di Einar che potesse indicare dove si stesse nascondendo. La giornata trascorse e i tre si divisero i compiti. Elinborg e Sigurdur Oli andarono a parlare con l'ex moglie di Einar, mentre Erlendur andò al Centro islandese per le ricerche genetiche. L'enorme edificio di nuova costruzione del Centro si trovava sulla Vesturlandsvegur. Era alto cinque piani e aveva un rigido sistema di sicurezza all'entrata. Due sorveglianti andarono incontro a Erlendur nell'elegante ingresso. L'agente aveva avvertito in anticipo del suo arrivo, e la direttrice del Centro si era sentita in dovere di scambiare due parole con lui. La direttrice era uno dei proprietari, una genetista molecolare islandese che aveva studiato in Gran Bretagna e negli Stati Uniti e che aveva proposto l'Islanda come luogo ideale per la ricerca genetica a fini scientifici. Con l'aiuto della banca dati era possibile centralizzare tutta la documentazione clinica della nazione e ottenere informazioni mediche che avrebbero potuto essere di grande aiuto nella ricerca sulle malattie genetiche. La direttrice ricevette Erlendur nel suo ufficio. Era una donna sulla cinquantina, di nome Karitas, magra e delicata, con i capelli nerissimi e corti e un sorriso cordiale. Era più bassa di quanto Erlendur si era immaginato vedendola in televisione, ma molto affabile. Non riusciva a capire che cosa volesse la polizia dal Centro. Invitò Erlendur ad accomodarsi. Mentre guardava le opere d'arte contemporanea islandese appese alle pareti, l'agente le disse in maniera molto diretta che avevano motivo di ritenere che qualcuno si fosse introdotto senza autorizzazione nella loro banca dati e fosse entrato in possesso di informazioni che avrebbero potuto danneggiare l'individuo in questione. Non sapeva esattamente di cosa lui stesse parlando, ma la donna sembrò capire. E non sprecò tempo a dilungarsi in questioni secondarie, con grande sollievo di Erlendur. Si era aspettato un po di resistenza. Una cospirazione silenziosa. "La questione è molto delicata, per via della privacy" replicò la donna non Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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appena Erlendur ebbe finito di parlare," e per questo devo chiederle che questa conversazione rimanga assolutamente privata. Sappiamo che da un po di tempo qualcuno, non autorizzato, accede al database. Abbiamo aperto un'inchiesta interna. I nostri sospetti si sono orientati su un biologo in particolare, con cui non siamo riusciti a parlare perché sembra sparito dalla faccia della terra." "Einar?" "Sì, è lui. Il database è ancora in via di costruzione, tanto per intenderci, e quindi non vogliamo che si sappia in giro che è possibile decrittare il codice segreto e che si possa pescare a piacere fra le informazioni. Lei mi capisce. Anche se in effetti non è una questione di codici segreti." "Perché non avete informato la polizia?" "Le ripeto, volevamo risolvere la cosa da soli. Per noi è piuttosto imbarazzante. La gente si fida del fatto che tutte le informazioni contenute nel database non vengano messe in piazza, né usate per scopi dubbi, né semplicemente trafugate. La società islandese è estremamente sensibile a queste cose, come lei forse sa, e vorremmo evitare un attacco d'isteria collettiva." "Isteria collettiva?" "A volte è come se tutta la nazione fosse contro di noi." "Ha decrittato il codice? Perché dice che non si tratta di una questione di codice segreto?" "Lo fa davvero sembrare un thriller d'appendice. No, non ha decrittato nessun codice. Non esattamente. Ha usato altri sistemi." "Che cosa ha fatto?" "Ha avviato un progetto di ricerca per cui non esisteva alcuna autorizzazione. Ha falsificato delle firme. La mia, per esempio. Ha finto che il Centro stesse studiando la trasmissione genetica di una malattia di tipo oncogenico che si presenta in alcune famiglie. Ha ingannato l'autorità garante della privacy, che effettua una sorta di monitoraggio sul database. Ha ingannato il Comitato di etica scientifica. Ci ha ingannato tutti." Tacque per un istante e guardò l'orologio. Si alzò, si avvicinò alla scrivania e chiamò la sua segretaria. Rimandò di dieci minuti l'incontro a cui avrebbe dovuto partecipare e tornò a sedersi con Erlendur. "Il processo è stato questo, fino a questo momento" disse. "Il processo?" chiese Erlendur. Karitas lo guardò pensosa. Il cellulare di Erlendur squillò, lui si scusò e rispose. Era Sigurdur Oli. "La scientifica ha setacciato l'appartamento di Einar a Storagerdi" disse. "Li ho sentiti: ma non hanno trovato quasi niente, se non che Einar si è procurato un porto d'armi circa due anni fa." "Un porto d'armi?" ripetè Erlendur. "Ce l'abbiamo nei nostri registri. Ma non è tutto. È in possesso di un fucile, abbiamo trovato la canna segata sotto il letto." "La canna?" "L'ha segata." "Vuoi dire...?" "Lo fanno qualche volta. E più facile spararsi." "Credi che potrebbe essere pericoloso?" "Quando lo troveremo" rispose Sigurdur Oli," dovremo avvicinarlo con molta cautela. E impossibile sapere cos'abbia intenzione di fare con un'arma da fuoco." "Non credo che abbia intenzione di uccidere qualcuno" disse Erlendur che si era alzato e aveva voltato le spalle a Karitas, per parlare con più discrezione. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"Perché no?" "Perché altrimenti l'avrebbe già usata. Contro Holberg. Non credi?" "Non ne ho idea." "Ci vediamo" disse Erlendur e spense il telefono; si scusò di nuovo prima di tornare a sedersi. "La nostra metodologia è stata questa, finora" riprese Karitas come se niente l'avesse interrotta. "Chiediamo il permesso a queste due autorità per avviare un progetto di ricerca, per esempio, nel caso di Einar, la ricerca sulla trasmissione genetica di una specifica patologia. Riceviamo una lista criptata di nomi di persone che ne soffrono o che sono potenziali portatori, e la confrontiamo con il database genealogico criptato. Così arriviamo ad avere un albero genealogico in codice." "Una specie di albero dei messaggi" commentò Erlendur. "Come?" "No, niente, continui." "L'autorità garante della privacy decodifica la lista con i nomi di coloro che vogliamo studiare, il cosiddetto gruppo campione, sia i pazienti che i famigliari, e ci fornisce una lista di soggetti per la ricerca, con i loro codici fiscali. Mi segue?" "Ed è così che Einar si è procurato i nomi e i codici fiscali di tutti coloro che in famiglia presentano questa malattia?" La donna annuì. "E tutto questo passa dall'autorità garante per la privacy?" "Non voglio scendere oltre nel dettaglio. Collaboriamo con medici di varie istituzioni. Loro consegnano all'autorità per la privacy i nomi degli ammalati, l'autorità ne codifica i nomi e i codici fiscali e li manda qui, al Centro per le ricerche genetiche. Abbiamo un software specifico che classifica i pazienti in categorie a seconda del grado di parentela. Con questo programma siamo in grado di selezionare i pazienti che possono fornire le informazioni più significative per la ricerca sulle malattie genetiche." "Quello che Einar aveva bisogno di fare era fingere di preparare un gruppo campione per farsi rivelare i nomi in codice, il tutto con l'aiuto dell'autorità garante per la privacy." "Ha mentito, raggirato e ingannato tutti, e così ce l'ha fatta." "Capisco che la cosa possa diventare imbarazzante per voi." "Einar riveste una delle cariche più alte ed è fra i nostri ricercatori più capaci. Una persona per bene. Perché ha fatto una cosa del genere?" chiese la direttrice. "Ha perso la figlia" rispose Erlendur. "Non lo sapeva?" "No" disse la donna fissando l'agente. "Da quanto tempo lavora qui?" "Due anni." "E successo appena prima." "Per quale motivo l'ha persa?" "Una malattia neurale ereditaria. Lui è un portatore sano, e non sapeva che la patologia fosse presente nella sua famiglia." "Paternità errata?" Erlendur non rispose. Sentì di aver detto abbastanza. "È uno dei problemi che si possono presentare quando si creano dei database a carattere genealogico di questo tipo. Le malattie tendono a scomparire a caso dall'albero genealogico e a riapparire quando meno uno se lo aspetta." Erlendur si alzò. "E voi custodite tutti questi segreti" disse l'agente. "Vecchi segreti di famiglia. Tragedie, dolori e morte, tutto scrupolosamente classificato nei computer. Storie di famiglie e di persone. Storie su di me, su Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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di lei. Custodite questi segreti e avete la possibilità di portarli alla luce quando volete. Una Città dei barattoli che comprende tutta la nazione." "Non so di cosa stia parlando" replicò Karitas. "Città dei barattoli?" "No, certo che no" disse Erlendur e si accomiatò.

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42 † Quando tornò a casa quella sera, Erlendur non aveva ancora saputo niente di Einar. Tutta la famiglia si era raccolta a casa dei genitori. Albert aveva lasciato l'albergo nel tardo pomeriggio, dopo aver avuto una conversazione telefonica con Katrin, carica di emozione. Con loro c'erano i figli maggiori accompagnati dalle mogli, e di lì a poco si sarebbe unita a loro anche l'ex moglie di Einar. Elinborg e Sigurdur Oli avevano parlato con lei in precedenza quello stesso giorno, ma la donna aveva detto che non riusciva a immaginare dove potesse essere Einar. Non si parlavano da circa sei mesi. Eva Lind tornò a casa poco dopo Erlendur, e lui le descrisse gli sviluppi delle indagini nei dettagli. Le impronte digitali trovate nell'appartamento di Holberg corrispondevano a quelle di Einar prelevate dal suo appartamento in Stóragerdi. Quindi alla fine aveva conosciuto suo padre, e tutto stava a indicare che l'avesse anche ucciso. Erlendur raccontò a Eva Lind di Gretar. L'unica teoria plausibile sulla sua scomparsa e la sua morte era che in qualche modo Gretar avesse ricattato Holberg, probabilmente con le fotografie. Non avevano alcuna certezza su cosa mostrassero esattamente, ma basandosi sulle prove in loro possesso, Erlendur riteneva probabile che Gretar avesse fotografato le imprese di Holberg, forse addirittura gli stupri di cui nessuno sapeva niente e che probabilmente non sarebbero mai emersi. La fotografia della lapide di Audur suggeriva che Gretar fosse a conoscenza di quanto era successo, e che avrebbe perfino potuto testimoniarlo: forse aveva raccolto informazioni su Holberg per estorcergli del denaro. Così padre e figlia parlarono fino a notte fonda, mentre la pioggia batteva contro le finestre e il vento autunnale soffiava. Eva Lind gli chiese perché si massaggiava la cassa toracica a quel modo, quasi inconsciamente. Erlendur le raccontò dei dolori che sentiva al petto. Diede la colpa al vecchio materasso, ma Eva Lind gli ordinò di farsi vedere dal medico. Lui non ne fu molto contento. "Cosa vuol dire che non vai dal medico?" chiese lei, ed Erlendur rimpianse immediatamente di averle parlato dei dolori. "Non è niente" la rassicurò. "Quanto hai fumato oggi?" "Che cos'è questa storia, adesso?" "Senti, hai dei dolori al petto, fumi come una ciminiera, non ti muovi se non in macchina, vivi di schifezze fritte e ti rifiuti di farti vedere da un medico! Poi ti permetti di prendermi a male parole finché non mi metto a piangere come una bambina. Ti sembra normale? Sei mica a posto, eh?" Eva Lind si era alzata e sovrastava come il dio del tuono suo padre, che evitava di alzare lo sguardo e teneva gli occhi bassi come un cane bastonato. "Oh, Dio" pensò. "Vorrà dire che mi farò vedere" disse poi. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"Mi farò vedere! Certo che ti farai vedere!" urlò Eva Lind. "E avresti dovuto farlo un bel po di tempo fa. Vigliacco." "Immediatamente, domani mattina" disse guardando sua figlia. "Sarà meglio per te" replicò la ragazza. Erlendur stava andando a dormire, quando squillò il telefono. Era Sigurdur Oli che gli diceva che la polizia aveva ricevuto una chiamata che segnalava un'effrazione nell'obitorio sulla Baronsstigur. "L'obitorio sulla Baronsstigur" ripetè Sigurdur Oli dato che Erlendur non mostrava alcuna reazione. "Oh, cazzo" disse Erlendur e sospirò. "Allora?" "Non lo so" rispose Sigurdur Oli. "La chiamata ci è appena arrivata. Mi hanno telefonato e ho detto che mi sarei messo in contatto con te. Non si conoscono i motivi dell'effrazione. Non ci sono solo cadaveri, là dentro?" "Ci troviamo là" replicò Erlendur. "Fai venire anche il medico legale" aggiunse, e riagganciò. Eva Lind dormiva quando Erlendur si infilò l'impermeabile e il cappello e guardò l'orologio. Era mezzanotte passata. Si chiuse la porta cautamente alle spalle per non svegliare la figlia, scese in fretta le scale e salì in macchina. Quando raggiunse l'obitorio, tre volanti della polizia con i lampeggiatori accesi erano parcheggiate all'esterno. Riconobbe l'auto di Sigurdur Oli e, proprio nel momento in cui stava entrando nell'edificio, vide il medico legale girare l'angolo con gran stridore di pneumatici sull'asfalto bagnato. Il patologo aveva uno sguardo furioso. Erlendur si affrettò lungo il corridoio dove c'erano alcuni agenti e Sigurdur Oli uscì da una delle stanze. "Sembra che non manchi niente" disse Sigurdur Oli quando vide Erlendur arrivare lungo il corridoio. "Dimmi cos'è successo" gli ordinò Erlendur ed entrò con lui nella stanza. I tavoli operatori erano vuoti, tutti gli armadietti erano chiusi e niente all'interno indicava che qualcuno avesse scassinato qualcosa. "C'erano delle impronte qui sul pavimento ma adesso si sono asciugate quasi del tutto" disse Sigurdur Oli. "L'edificio è dotato di un sistema d'allarme collegato alla sede della ditta fornitrice, e loro ci hanno contattati un quarto d'ora fa. Pare che chi è entrato nell'edificio abbia rotto un vetro sul retro e abbia infilato un braccio per aprire la serratura. Non molto complicato. Mentre entrava sono scattati i sensori. Non ha avuto molto tempo per agire." "Sicuramente gli è bastato" commentò Erlendur. IL medico li aveva raggiunti ed era visibilmente alterato. "Chi cazzo si introduce in un obitorio?" sbottò. "Dove sono i corpi di Audur e di Holberg?" chiese Erlendur. Il medico legale guardò Erlendur. "Potrebbe essere collegato con l'omicidio di Holberg?" domandò. "Può darsi" rispose Erlendur. "Presto, presto, presto." "I cadaveri vengono tenuti di qua" disse il medico e i due agenti lo seguirono dopo che ebbe aperto la porta. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"Queste porte non vengono chiuse a chiave?" chiese Sigurdur Oli. "Chi volete che rubi dei cadaveri?" replicò acido, ma rimase immobile non appena vide l'interno della stanza. "Adesso cosa c'è?" chiese Erlendur. "La bambina è sparita" rispose il medico senza riuscire a credere ai suoi occhi. Attraversò in fretta la sala, aprì la porta di uno stanzino e accese la luce. "Che c'è?" domandò di nuovo Erlendur. "Anche la bara è sparita" disse il medico. Guardò a turno Sigurdur Oli ed Erlendur. "Le avevamo preso una bara nuova. Chi fa una cosa del genere? A chi può venire in mente una perversione simile?" "Si chiama Einar" rispose Erlendur" E non è una perversione." Si girò. Sigurdur Oli lo seguì immediatamente e i due uscirono in fretta dall'obitorio.

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43 † Non c'era molto traffico sulla strada per Keflavik quella sera, ed Erlendur guidò alla massima velocità che la sua piccola auto giapponese vecchia di dieci anni gli consentiva. La pioggia rimbalzava sul parabrezza e i tergicristalli non riuscivano a liberare il vetro dall'acqua; Erlendur ripensò alla prima volta che era andato a trovare Elin, qualche giorno prima. Era come se non volesse più smettere di piovere. Aveva ordinato a Sigurdur Oli di allertare la polizia di Keflavik e accertarsi che chiedessero aiuto a una squadra di Reykjavik. Avrebbe anche dovuto mettersi in contatto con la madre di Einar e avvertirla degli ultimi sviluppi. Voleva andare direttamente al cimitero, nella speranza che Einar fosse là con il corpo di Audur. Riusciva a pensare soltanto che Einar volesse restituire sua sorella alla terra. Quando parcheggiò davanti al cancello del cimitero, vide la macchina di Einar: la portiera del conducente e una di quelle posteriori erano aperte. Erlendur spense il motore, scese sotto la pioggia e osservò l'automobile di Einar. Rimase ad ascoltare, ma sentì solo il rumore della pioggia che si rovesciava a terra. Non c'era vento. Alzò gli occhi al cielo nero. A una certa distanza vide una luce sopra la porta della chiesa e quando passò lo sguardo sul cimitero, distinse un lumicino nel punto in cui doveva esserci la fossa di Audur. Gli sembrò di intravedere qualcuno che si muoveva vicino alla tomba. E la piccola bara bianca. Si incamminò con cautela, avvicinandosi senza fare rumore a quello che ritenne essere Einar. La luce proveniva da una potente lampada a gas che l'uomo aveva portato con sé e che aveva deposto per terra accanto alla tomba. Erlendur fece un passo avanti entrando nel cerchio di luce e l'uomo si accorse di lui. Distolse lo sguardo da quanto stava facendo e guardò Erlendur negli occhi. Erlendur aveva visto le foto di Holberg da giovane e la somiglianza tra i due era innegabile. La fronte era bassa e appena arrotondata, le sopracciglia spesse, gli occhi ravvicinati, gli zigomi marcati nel viso magro e i denti un po sporgenti. Il naso era sottile e così le labbra, mentre il mento era pronunciato e il collo lungo. Si guardarono negli occhi un istante. "Lei chi è?" chiese Einar. "Sono Erlendur. Il caso di Holberg è affidato a me." "La sorprende, quanto gli assomigli?" domandò Einar. "C'è una certa somiglianza" rispose Erlendur. "Sa che stuprò mia madre?" disse Einar. "Ma non è colpa sua" ribadì Erlendur. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"Era mio padre." "Nemmeno questo è colpa sua." "Non avrebbe dovuto farlo" disse Einar indicando la bara. "Ho ritenuto giusto farlo" spiegò Erlendur. "Abbiamo verificato che è morta della stessa malattia di sua figlia." "Voglio rimetterla al suo posto" disse Einar. "Va bene" acconsentì Erlendur avvicinandosi in maniera impercettibile alla bara. "Sicuramente vorrà metterci anche questo, nella tomba. "Erlendur gli porse la valigetta di pelle nera che aveva tenuto in macchina da quando aveva lasciato la casa del collezionista. "Che cos'è?" chiese Einar. "La malattia" rispose Erlendur. "Non capisco..." "È un campione biologico di Audur. Credo dovremmo metterlo insieme alla bambina." Einar guardò a turno la borsa ed Erlendur, incerto sul da farsi. Erlendur si fece ancora più vicino fino a trovarsi accanto alla bara, l'unica cosa che rimaneva a separarli, vi depose sopra la valigetta e indietreggiò di nuovo lentamente fino al punto in cui si trovava prima. "Voglio essere cremato" disse Einar a un tratto. "Ha tutta la vita per deciderlo" replicò Erlendur. "Oh, sì, tutta la vita" disse Einar alzando la voce. "E cos'è? Cos'è la vita quando si muore a sette anni? Me lo sa dire? Che vita è, quella?" "Non ho una risposta" replicò Erlendur. "Ha con sé l'arma?" "Ho parlato con Elin" continuò Einar ignorando la domanda. "Probabilmente lo sa già. Abbiamo parlato di Audur. Di mia sorella. Sapevo di lei, ma ho scoperto che era mia sorella solo in seguito. Ho visto che l'avete riesumata. Capivo bene come doveva sentirsi Elin quando voleva scagliarsi contro di lei." "Come ha saputo di Audur?" "Dalla banca dati. Ho trovato tutte le persone che sono morte di questa variante particolare della malattia. Allora non sapevo di essere figlio di Holberg e che Audur fosse mia sorella. L'ho scoperto dopo. Come pure ciò che riguarda la mia nascita. Quando l'ho chiesto a mia madre." Guardò Erlendur. "Dopo aver scoperto di essere un portatore sano." "Come ha collegato Holberg e Audur?" "Attraverso la patologia. Attraverso questa nostra variante. E il tumore al cervello che è raro." Einar tacque per un momento, e poi cominciò il suo racconto, in maniera metodica e senza digressioni né sentimentalismi, come se fosse preparato a dover dare un resoconto particolareggiato delle sue azioni. Non alzò mai la voce e parlò sempre con lo stesso tono basso, che talvolta si trasformava in un sussurro. La pioggia cadeva sulla bara e il rumore sordo che produceva risuonava nella quiete notturna. Raccontò di come sua figlia si era ammalata in maniera improvvisa quando aveva quattro anni. Era stato difficile diagnosticare la malattia ed erano passati mesi prima che i medici giungessero alla conclusione che si trattava di una rara patologia alle cellule nervose. Pensavano che la malattia fosse ereditaria e che fosse limitata ad alcune famiglie, ma la cosa strana era che non compariva né nel ramo materno né in quello paterno della sua famiglia. Si trattava di una specie di deviazione o di variante che i medici Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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avevano difficoltà a spiegare, a meno che non si ipotizzasse una qualche mutazione. Stabilirono che la malattia era localizzata nel cervello e che avrebbe potuto portare la bambina alla morte in pochi anni. Cominciò un periodo che Einar definì impossibile da descrivere. "Ha figli?" gli chiese invece. "Due" rispose Erlendur. "Un maschio e una femmina." "Noi avevamo solo lei" disse. "E ci siamo separati quando se ne andò. In un certo senso non c'era più niente a tenerci uniti, se non il dolore e i ricordi e le lotte in ospedale. Quando fu tutto finito, era come se la nostra vita si fosse conclusa, come se non ci fosse rimasto altro." Einar fece una pausa e chiuse gli occhi, come se volesse dormire. La pioggia gli rigava il viso. "Fui uno dei primi dipendenti del nuovo Centro" continuò poi. "Quando questo ottenne il consenso per la banca dati e cominciammo a lavorarci su, fu come tornare a vivere. Non riuscivo ad accettare le risposte dei medici. Avevo bisogno di trovare altre spiegazioni. Tornai a interessarmi a come la malattia si fosse trasmessa a mia figlia, a com'era stato possibile. La banca dati clinica è collegata a un enorme database a carattere genealogico, ed è possibile farli interagire; se uno sa cosa sta cercando e ha il codice d'accesso, è possibile vedere dove sta la malattia e farla risalire lungo l'albero genealogico. Possono essere identificate anche le deviazioni. Le deviazioni come me. E Audur." "Ho parlato con Karitas al Centro" disse Erlendur, chiedendosi come avrebbe dovuto agire. "Mi ha spiegato come ha fatto a ingannarli. E tutto così nuovo per me. Non sono in grado di capire esattamente cosa sia possibile fare con tutte le informazioni che sono state raccolte. Quello che contengono e quello di cui si può venire a conoscenza tramite il sistema." "Avevo cominciato a sospettare qualcosa. I medici di mia figlia sostenevano la teoria della malattia ereditaria. All'inizio ho semplicemente pensato di essere stato adottato, e certo sarebbe stato meglio così. Se mi avessero adottato. Poi ho cominciato a sospettare di mia madre. Con una scusa riuscii a farmi dare un suo campione di sangue. E anche uno di mio padre. Non c'era niente. In nessuno di loro. Ma c'era in me." "Lei però non ha nessun sintomo?" "Quasi nessuno" rispose Einar. "Ho perso quasi del tutto l'udito da un orecchio. E un tumore ai nervi uditivi. Benigno. E ho delle macchie sulla pelle." "Caffellatte?" "Vedo che ha studiato. Avrei potuto contrarre la malattia tramite un cambiamento genetico. Una mutazione. Ma ho pensato che l'altra spiegazione fosse quella più probabile. Alla fine mi rimasero i nomi di alcuni uomini con cui la mamma poteva aver avuto una relazione. C'era anche Holberg. La mamma mi raccontò subito tutta la storia, quando le rivelai i miei sospetti. Che aveva taciuto dello stupro, e che non avrei mai dovuto soffrire per come ero stato concepito. Al contrario. Rimanevo comunque il loro figlio più piccolo. L'ultimo nato." "Lo so" disse Erlendur. Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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"Ma che bella notizia!" urlò Einar nella quiete notturna. "Non ero figlio di mio padre; il mio vero padre era lo stupratore di mia madre; ero figlio di uno stupratore; aveva instillato in me dei geni corrotti che non mi hanno quasi toccato, ma hanno causato la morte di mia figlia; avevo una sorellastra che è morta della stessa malattia. Non sono ancora riuscito a capire la cosa, devo ancora capacitarmene. Quando mia madre mi ha raccontato di Holberg, mi è salita una rabbia dentro e ho perso il controllo di me stesso. Era un uomo repellente." "Ha cominciato con le telefonate." "Volevo sentire la sua voce. Tutti i bastardi vogliono conoscere il proprio padre, no?" disse Einar con un sorriso che gli increspava le labbra. "Anche se per una sola volta."

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44 † A poco a poco la pioggia era diminuita fino a smettere del tutto. La lampada a gas proiettava una luce gialla sul terreno e sull'acqua piovana che scorreva in rivoli lungo i passaggi intorno alla tomba. Erano uno di fronte all'altro, immobili, con la bara in mezzo, e si guardavano negli occhi. "Deve essere rimasto molto sorpreso, nel vederla" disse Erlendur alla fine. Sapeva che la polizia stava arrivando al cimitero e voleva sfruttare il tempo a sua disposizione prima che si scatenasse il putiferio. Sapeva anche che Einar poteva essere armato. Non vedeva il fucile, ma non poteva escludere che l'avesse con sé. Einar teneva una mano nella tasca dell'impermeabile. "Avrebbe dovuto vedere la sua faccia" replicò Einar. "Era come se avesse visto un fantasma dal passato, il fantasma di se stesso." Holberg era in piedi sulla porta di casa e guardava l'uomo che aveva suonato il campanello. Non l'aveva mai visto prima, ma riconobbe immediatamente il viso. "Ciao, papà" disse Einar sarcastico. Non riusciva a frenare la propria rabbia. "Chi è lei?" chiese Holberg evidentemente sorpreso. "Be, tuo figlio, no?" rispose Einar. "Che diavolo... è lei quello che mi ha telefonato? Mi lasci in pace. Io non la conosco. Lei dev'essere pazzo." Erano alti più o meno uguale, ma quello che più stupì Einar fu l'aspetto anziano e malato di Holberg. Quando parlava si sentiva un gorgoglio provenire dal profondo della gola, segno di una lunga consuetudine al fumo. Il viso era teso, i lineamenti duri, con cerchi scuri sotto gli occhi, i capelli grigi e sporchi erano appiccicati alla testa. La pelle avvizzita. I polpastrelli gialli. Le spalle lievemente curve, lo sguardo incolore e spento. Holberg voleva chiudere la porta, ma Einar era più forte e lo spinse all'indietro, entrò in casa e chiuse. Sentì immediatamente l'odore. Come di cavalli, ma peggiore. "Cosa tieni in casa?" chiese Einar. "Esca di qui, subito. "La voce di Holberg era stridula, mentre gridava contro Einar indietreggiando all'interno del soggiorno. "Ho tutti i diritti di stare qui" disse Einar guardandosi in giro, osservando gli scaffali dei libri e il computer nell'angolo. "Io sono tuo figlio. Il figliol prodigo. Posso chiederti una cosa, papà? Hai violentato altre donne oltre alla mamma?" "Adesso chiamo la polizia!" Il gorgoglio si faceva più intenso più l'uomo si agitava. "Sarebbe anche ora di chiamarla" replicò Einar, e Holberg rimase esitante. "Che cosa vuole da me?" disse. "Tu non hai idea di quello che è successo e non te ne importa niente. La cosa non ti riguarda. E così, vero?" "Quel viso..." disse Holberg senza finire la frase. Osservò Einar con quel suo sguardo incolore e lo studiò per un po, finché Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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non cominciò a capire davvero quello che Einar gli stava dicendo, che era suo figlio. Einar lo vide titubante. Vide come rimuginava su quanto gli aveva detto. "Non ho mai stuprato nessuno in vita mia" disse infine Holberg. "È tutta una maledetta bugia. Dissero che avevo una figlia a Keflavik e sua madre mi accusò di averla violentata, ma non fu mai provato. Non venni mai condannato." "Sai cos'è successo a tua figlia?" "Credo sia morta da piccola. Non sono mai stato in contatto con lei o con la madre. Devi capirlo. Mi aveva accusato di stupro!" "Ci sono stati altri casi di morte infantile nella tua famiglia?" chiese Einar. "Di cosa stai parlando?" "Non sono morti dei bambini nella tua famiglia?" tornò a chiedere Einar. "Ma cosa succede?" "So di vari casi negli ultimi cento anni. Una è stata tua sorella." Holberg fissò Einar. "Cosa sai tu della mia famiglia? Come...?" "Tuo fratello. Maggiore di vent'anni. Morto quindici anni fa. Perse sua figlia nel 1941. Tu avevi undici anni. Eravate solo voi due fratelli, nati a molti anni di distanza l'uno dall'altro." Holberg non disse niente ed Einar continuò. "La malattia avrebbe dovuto finire con te. Tu avresti dovuto essere l'ultimo portatore sano. Tu eri l'ultimo della lista. Senza figli. Niente famiglia. Ma eri uno stupratore. Uno stronzo, patetico, merdoso stupratore!" Einar tacque e guardò Holberg con occhi pieni d'odio. "E così adesso sono io, l'ultimo portatore." "Ma cosa stai dicendo?" "Audur aveva ereditato la malattia da te. Mia figlia l'ha ereditata da te. E molto semplice. Ho controllato nella banca dati. Non ci sono stati altri casi della malattia in famiglia da quando Audur è morta, a parte mia figlia. Noi siamo gli ultimi." Einar fece un passo avanti, prese un pesante portacenere di vetro e lo soppesò fra le mani. "E adesso è finita." "Non ero entrato per ucciderlo" disse Einar. "Ma deve aver pensato che era in grave pericolo. Non so perché ho preso quel portacenere, Forse volevo tirarglielo addosso. Forse volevo aggredirlo. E stato lui a iniziare. Mi è saltato addosso e mi ha preso per la gola, ma io l'ho colpito alla testa ed è caduto sul pavimento. L'ho fatto assolutamente senza pensare. Ero furibondo e avrei anche potuto aggredirlo. Mi ero chiesto spesso come sarebbe finito il nostro incontro, ma non avevo certo previsto un finale del genere. Davvero. Ha urtato con la testa contro il tavolino, poi ha sbattuto per terra e ha cominciato a sanguinare. Ero sicuro che fosse morto quando mi sono chinato su di lui. Mi sono guardato intorno, ho visto un foglio e una matita e ho scritto 'Io sono lui. Era l'unica cosa cui riuscivo a pensare, da quando l'avevo visto sulla porta. Che io ero lui. Che ero quell'uomo. E che quell'uomo era mio padre." Einar abbassò lo sguardo sulla tomba aperta. "È piena d'acqua" disse. "La sistemeremo" lo rassicurò Erlendur. "Se ha un'arma con sé, me la consegni. "Erlendur gli si avvicinò lentamente, ma Einar sembrava essersi estraniaArnaldur Indridason - Sotto la Città

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to dalla realtà. "I bambini sono saggi" disse. "Quando era in ospedale, una volta mia figlia mi chiese perché abbiamo gli occhi, e io le risposi che ce li abbiamo per poter vedere." Einar tacque per un attimo. "Lei mi corresse" disse come rivolto a se stesso. Guardò Erlendur. "Mi disse che ce li abbiamo per poter piangere." Poi sembrò che avesse preso una decisione. "Chi siamo, noi, se non siamo noi stessi?" domandò. "Calma" disse Erlendur. "Chi siamo, allora?" "Si sistemerà tutto." "Non avrei mai voluto che finisse così, ma ora è troppo tardi." Erlendur non capì cosa volesse dire. "È finita." Erlendur lo guardò nella luce fioca della lampada a gas. "Finisce qui" disse Einar. Erlendur lo vide mentre estraeva l'arma dall'impermeabile e gliela puntava contro, mentre cercava di avvicinarsi lentamente. L'agente si fermò. Con un gesto repentino Einar girò la canna e se la puntò al cuore. Fu un attimo. Erlendur scattò in avanti urlandogli di non farlo. Il boato di uno sparo ruppe il silenzio notturno nel cimitero. Erlendur perse l'udito per un istante. Si gettò su Einar ed entrambi caddero a terra.

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45 † A volte si sentiva come se la sua vita fosse vuota e fosse il suo corpo soltanto a fissare con occhi vacui nel buio. Erlendur rimase sul bordo della fossa e guardò Einar che giaceva accanto alla piccola bara. Sollevò la lampada a gas, illuminò il corpo e constatò che Einar era morto. Depose la lampada e cominciò a sistemare la bara. La aprì, mise dentro il barattolo e la richiuse. Gli fu difficile calare la cassa da solo, ma alla fine ci riuscì. Trovò un badile abbandonato dietro un mucchio di terra. Dopo aver fatto il segno della croce sulla bara, cominciò a ricoprirla di terra. Sentiva una fitta di dolore ogni volta che la terra pesante la percuoteva producendo un tonfo cupo e sordo. Erlendur prese la recinzione bianca i cui pezzi erano sparsi vicino alla tomba, cercò di rimetterla al suo posto e raccolse tutte le proprie forze per sollevare la lapide. Stava finendo il lavoro quando sentì arrivare le prime auto e le grida di chi si stava avvicinando al cimitero. Sentì le voci di Sigurdur Oli ed Elinborg che lo chiamavano. Sentì altre voci, di donne e di uomini, illuminati dalle luci delle volanti, le loro ombre ingigantite nell'oscurità notturna. Vide i raggi delle torce che si moltiplicavano e gli si avvicinavano. Vide che c'era anche Katrin, e subito dopo notò anche Elin. Vide che Katrin lo guardava con un'espressione che era un doloroso punto di domanda, e quando capì cos'era successo, si gettò piangendo su Einar tenendolo stretto a sé. Erlendur non cercò di fermarla. Vide che Elin si chinava vicino a lei. Sentì Sigurdur Oli chiedergli se stava bene e vide Elinborg raccogliere l'arma caduta per terra. Vide altri poliziotti che si avvicinavano e i flash delle macchine fotografiche in lontananza come piccoli lampi. Alzò lo sguardo. Aveva ricominciato a piovere, ma gli sembrò che la pioggia fosse più lieve. Einar fu sepolto accanto a sua figlia nel cimitero di Grafarvogur. Fu un funerale privato. Erlendur parlò con Katrin. Le disse dell'incontro fra Einar e Holberg. L'agente parlò di autodifesa, ma Katrin sapeva che stava solo cercando di alleviare il suo dolore. Erlendur intuiva come doveva sentirsi la donna. Continuò a piovere, ma il vento autunnale si smorzò. Presto sarebbero arrivati l'inverno e il gelo e il buio. Erlendur non li temeva. Dopo le insistenze della figlia, Erlendur finalmente andò a farsi visitare. Il medico gli disse che il dolore al petto era causato da una costola ammaccata; probabilmente era da attribuirsi al materasso di cattiva qualità e alla mancanza di movimento in generale. Un giorno, davanti a un piatto fumante di stufato, Erlendur chiese a Eva Lind se poteva essere lui a scegliere il nome, nel caso avesse dato alla luce una Arnaldur Indridason - Sotto la Città

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bambina. Lei disse che sperava le desse qualche suggerimento. "Come vuoi chiamarla?" chiese. Erlendur la guardò. "Audur" rispose. "Avevo pensato che sarebbe bello chiamarla Audur."

FINE

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