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Italian Pages 353 Year 2011
Leonardo Coen Paolo Colonello
Sodoma
Le 120 giornate che hanno distrutto Berlusconi
Dalai editore www.bcdeditore.it e-mail: [email protected]
A Rachele e Stefano LC A Chiara, Leo e Vibol PC
© 2011 Baldini Castoldi Dalai editore S.p.A. - Milano ISBN 978-88-6620-088-8
INDICE
PRIMA PARTE
Concussione.......................................................................... 11
1. «La solita lite tra puttane»............................................ 13 2. La nipote di Mubarak.................................................... 22 3. Il furto di Ruby.............................................................. 39 4. L'anello debole .............................................................. 51 5. Michelle ma belle .......................................................... 60 6. Modello 45...................................................................... 75
SECONDA PARTE
Prostituzione.......................................................................... 85
7. La prima volta di Ruby ................................................ 87 8. Hollywood, Milano........................................................ 101 9. Lui.................................................................................. 109 10. Arcore mon amour ........................................................ 123 11. Alla sera andavamo tutti al bunga bunga...................... 128 12. Rubycore........................................................................ 161 13. Verba volant, verbali manent........................................ 186 14. Il favoloso mondo di Nicole......................................... 201 15. «Culo flaccido».............................................................. 206 16. La fidanzata.................................................................... 220 17. Harem ............................................................................ 226 18. Spinau ............................................................................ 237
19. Money, money, money...........................................247 20. La droga..................................................................253
TERZA PARTE
Immagine........................................................................269
21. Spazzatura mediatica..............................................271 22. Chi dice donne dice danno ....................................305 23. Il bisunto del Signore..............................................313 24. Non facciamoci riconoscere....................................336
«... Perché la loro lingua e le loro opere sono contro il Signore, e offendono lo sguardo della sua maestà. La loro parzialità li condanna ed essi ostentano il loro peccato come Sodoma: non lo nascondono neppure; disgraziati, poiché preparano la loro rovina.» Isaia, 3:8-9 «È vero, l'unica procura competente non è Milano, è Sodoma!» Maurizio Crozza
PRIMA PARTE Concussione
1. «LA SOLITA LITE TRA PUTTANE» SEZIONE DI POLIZIA GIUDIZIARIA Oggetto: dal verbale di trascrizione della telefonata pervenuta al 112 in data 05/06/2010 alle ore 06.08.52. registrazione acquisita presso la Centrale Operativa 112 del Comando Provinciale di Milano. Operatore 112: «Carabinieri» Voce femminile 1: «Hai capito! Fuori di casa mia! Hai capito? Fuorii! Vai via, Ruby... poliziaaa... {incomprensibile... rumore)... non mi puoi stare male capito?» Voce femminile 2: «Perché?...» Voce femminile 1: «Via Ruby». Voce femminile 2: «Perché secondo te...» Voce femminile 1: «Vai via! Vai via!» Voce femminile 2: «Tu non hai capito un cazzo!» Voce femminile 1: «Vai via di casa mia! Hai capito? Fuori!» Ruby Rubacuori, prima di allora, non aveva mai chiamato il Pronto Intervento: ma se c'è urgenza, se ritieni di averne necessità, le avevano detto una volta in Questura, puoi sempre rivolgerti a questo numero. Rientra nel programma tutela delle minorenni. Si sente invasa dal terrore, la minorenne Ruby Rubacuori che compirà diciotto anni il primo di novembre e che può ostentare, con esuberanza, quella quantità di «carne femminile 11
esteticamente conformata» da far girare la testa agli uomini, secondo i canoni delle tv di Berluscolandia. Ha paura, Ruby. Paura di finire male, stavolta. Quella puttana di Michelle mi sta massacrando di botte. Non so quanto riesco a resistere. Non voglio riempirmi di lividi e graffi. La devo far smettere. Per questo Ruby pensa di telefonare al 112: non c'è altra soluzione. Oh, anche lei mica si è tirata indietro. Ce le siamo date di santa ragione, gliele ho suonate pure io alla «tesoruccia» brasiliana Michelle De Conceicao Santos Oliveira, o come cavolo si fa chiamare. Alla faccia dei suoi trentadue anni. Botte da orbi, appureranno i poliziotti più tardi, ascoltando le testimonianze dei vicini indignati: «Le due si sono scagliate addosso tutto quello che gli capitava tra le mani. Hanno gridato per quasi un'ora, a notte fonda», insultandosi con la ferocia che la loro vita nomade gli ha insegnato. Si sono accapigliate strepitando come oche scannate, non hanno fatto dormire tutto il palazzo, non hanno smesso neppure quando qualcuno dei piani di sopra ha urlato che avrebbe telefonato alla polizia se non l'avessero piantata. Loro, niente, hanno continuato come prima, «se ne sono sbattute», non hanno smesso. Anzi. Hanno spalancato la porta del loro appartamento. Hanno proseguito a litigare sul pianerottolo, una sfuriata da vergognarsi... «Chissenefrega! Che sapessero tutti chi è la loro coinquilina!» pensa Ruby, ormai non ha più nulla da perdere, la convivenza con Michelle era già durata abbastanza. Così impara, altro che i vicini, no, no, sarebbe stata lei a telefonare ai poliziotti. Gliel'avrebbe cantate. Mica era colpa sua, se era stata costretta a rivolgersi a loro. Con gente come Michelle non sai mai come possa andare a finire... C'era qualcosa di male? 12
Sodoma «Ti faccio vedere io, chi ti credi d'essere? Sei soltanto una troia», strilla con tutto il fiato che ha in corpo la spaventata Ruby mentre finalmente si decide a comporre il 112 sulla tastiera del suo cellulare. Michelle se ne accorge. Eccome! Fatto sta che si calma un po', rientra in casa, continuando a lanciarle bordate di insulti: in italiano, in brasiliano, una litanìa spezzata dal fracasso di qualcosa che s'infrange sul pavimento. Squilla a vuoto, il 112. Riprova. Un timore improvviso la scuote, e se nessuno risponde? Che ne sarà di me? La chiamata di Ruby arriva al centralino del 112 esattamente otto minuti e 52 secondi dopo le sei di un sabato mattina particolarmente luminoso e sereno, a dispetto del burrascoso litigio; impiega qualche secondo per imboccare la linea 3, dove sarà dirottata in automatico. L'operatore, tra una telefonata e l'altra, sfoglia velocemente la copia della prima edizione del «Corriere della Sera» che si stampa a due passi dalla caserma dei carabinieri di via Moscova, in via Solferino e che gli è stata passata dai colleghi. La vignetta di Giannelli lo fa sorridere. Si vede il ministro Alfano che dice a Berlusconi: «I magistrati incrociano le braccia» e il premier che invece le allarga e replica: «Cento di questi giorni». Peccato che sia sabato 5 giugno 2010, bofonchia l'operatore mentre anticipa il trillo perché si è accorto che comincia a lampeggiare la spia del centralino, e intanto scocca un'occhiata di sbilenco al calendario appeso sulla parete, dove legge che è il giorno dedicato a san Bonifacio, vescovo benedettino, martire e apostolo della Germania, trucidato dai Frisoni nel 754. Gli tocca lavorare di nuovo la sera. Proprio quando l'Italia gioca contro la Svizzera, l'ultima partita amichevole prima dei Mondiali in Sudafrica. Attende qualche secondo per rispondere. Il tempo necessario per accertarsi che la conversazione sia registrata in modo corretto, non si sa mai, l'elettronica ogni tanto combina qualche scherzetto. 13
«Dove si trova?» «Via Villoresi 19, al pianterreno. Sono ospite di una persona, si chiama Michelle De Conceicao. Mi sta aggredendo. Vuole farmi prostituire!» «La solita lite tra puttane straniere», borbotta l'operatore del 112, linea 3 del Pronto Intervento di Milano, «poteva mancare anche oggi?» Per lui è routine, non passa notte che non ce ne sia una di rissa, «stavolta se le danno di santa ragione una marocchina e una brasiliana», aggiunge. Ha già ricevuto una chiamata da parte di una inquilina di quel palazzo, allarmata dalle urla delle due. Intanto la prima segnalazione è recepita dalla volante Genova, comandata dal sovrintendente Ranalli e composta dall'autista Farchione. «Una macchina si rechi al condominio di via Villoresi 19, è in atto una rissa tra donne, presumibilmente due prostitute.» Nelle vicinanze c'è anche la volante Corsico del Quinto Turno con a bordo l'assistente capo Antonino Leanza, 37 anni, capo pattuglia, e l'autista Luca Cidronelli. Essendo trascorsa una notte abbastanza tranquilla, Leanza ritiene opportuno dirigersi sul posto e avverte il funzionario della Centrale Operativa che svolge il turno simmetrico a quello delle varie Volanti in servizio. «Qui Volante Corsico. Via Villoresi è dalle parti dei Navigli, no? Allora siamo in zona, ci arriviamo tra qualche minuto.» «Okkèi, intanto tranquillizzo la ragazza che ha chiamato». L'operatore chiude il collegamento. Sente ancora gridare. Ruby non ha messo giù. «Stia tranquilla. Tra pochi minuti arrivano i colleglli della polizia, la cosa si sistemerà». Ruby ha riattaccato. Tranquilla? Adesso, invece, ha paura più di prima. Quasi si pente d'aver richiesto l'intervento della polizia. Succede di nuovo un casino. Come dieci giorni fa che a sbrogliare la matassa ci ha dovuto pensare Papi. Ma la colpa 14
Sodoma è di quella lì, la convivenza con Michelle è impossibile, la brasiliana è gelosa di me, della mia giovinezza, del fatto che io sono più bella e che piaccio più di lei. «Sono quindici giorni che non lavori! Non ti vuole nessuno», urla intanto a Michelle che è sbucata fuori, sul pianerottolo, allarmata dall'improvvisa sortita di Ruby. La brasiliana indossa ancora un abitino da sera, una combinazione camicetta bianca scollata e gonna stretta nera. È scalza. Le scarpe le ha scagliate addosso a Ruby. L'appartamento delle ragazze si trova al piano rialzato, appena entrati sulla destra. Davanti alla porta, due valigie. Sono di Ruby. Durante il litigio Michelle gliele ha sbattute sul pianerottolo. Il frastuono delle loro grida rimbomba per tutte le scale, sino all'ultimo piano. «Sei fuori? Restaci! Torna da dove sei venuta, non meriti di stare con me. Ti ho accolta come una sorella, te ne sei approfittata!» «Sei tu che ti porti gli uomini a casa!» «Tu mi hai chiuso fuori, mi hai lasciato senza chiavi per rientrare a casa mia!» Il suono di una sirena le zittisce. «Che hai fatto, stronza! Hai chiamato tu la polizia?» «Saranno stati i vicini...» cerca di replicare Ruby, stremata dalla tensione. La volante Corsico è la prima ad arrivare. Sterza nello slargo a metà di via Villoresi perché i portoni del 19, suddiviso in tre ingressi, non danno sulla strada. C'è già una bella luce, ancora non fa caldo sebbene avvisaglie di una nuova giornata afosa si potrebbero intuire, con quel sole prepotente che appena sorto ha cominciato implacabilmente a dardeggiare sulla capitale lombarda. «Polizia!» tuona Leanza, l'assistente capo dell'Ufficio Prevenzione Generale della Questura di Milano. L'ingresso del 19 è aperto. Si trova a tu per tu con Michelle, che sbraita in direzione del suo appartamento. 15
«Quella troia! Non mi fa entrare in casa mia!» Gli agenti si qualificano. Leanza bussa vigorosamente alla porta. Ruby, dopo qualche istante, apre. Resta sulla soglia. Scarmigliata, visibilmente alterata, gli occhi inferociti ma al tempo stesso spaventati, se la piglia con gli agenti, impreca contro Michelle. «Puttana!» «Troia!» Ruby è nuda, il seno arrogante come le sue parole. Ma non è per nulla imbarazzata dalla presenza dei due poliziotti. Loro, invece, non hanno alcuna intenzione di farsi poi accusare d'essere guardoni. «Signorina, si vesta!» «Vaffanculo! Sono a casa mia! Mi vesto come mi pare e piace!» «Stai calma! O ti sbatto dentro così come sei!» Ruby si calma. Leanza entra nell'appartamento. Mentre la ragazza s'infila una maglietta, le chiede cosa è successo. «Mi ha picchiata con il bastone del mocio, lo vede quello spazzolone?» Mostra i lividi sulla schiena e all'interno di una coscia. I segni dei graffi. «È stata quella... tr». «Quella», è subito appresso, furibonda. Ruby la fronteggia. Poi, rivolto a Leanza, offre la sua spiegazione. «Ma ti pare possibile che io sono affidata a lei e questa mi ha picchiato?» «È una bugiarda! Vi dico io come stanno le cose», l'interrompe Michelle. Fuori, qualche tapparella si solleva bruscamente. Spunta la testa di una vicina. Poi un'altra. Testimoni. Nell'appartamento al piano rialzato, intanto, l'assistente ca16
Sodoma po ascolta la versione di Ruby che gli dichiara d'essere appena stata affidata alla brasiliana, con la quale viveva nello stesso appartamento, e che lei l'aveva picchiata. «Quella pazza è rientrata a casa fatta come una biscia e mi ha aggredito mentre stavo dormendo!» «Sono tutte balle! Non è vero! Mi ha chiuso fuori dalla mia casa, questa ingrata!» Nell'annotazione di servizio, Leanza e Ranalli registrano che Ruby riferisce d'essere stata affidata alla Michelle dalla Questura di Milano da circa un mese. Mentre pigliano appunti, osservano che la piccola abitazione è a soqquadro. Ruby, intanto, si è calmata. Le chiedono le generalità. La ragazza dice di chiamarsi Karima El Mahroug, e di essere nata in Marocco. Ma è sprovvista di documenti. A un certo punto, Ranalli va a cercare la vicina che aveva chiamato per prima il 112, la signora Ottolina. Leanza resta con Ruby. Cerca di calmarla. Ruby scoppia in lacrime. Si lamenta per i dolori causati dalle botte. E questo induce il poliziotto a chiamare l'ambulanza, per prudenza. Il povero Leanza capisce che non se la caverà con un verbale destinato a riempire l'archivio zeppo di scartoffie, purtroppo sovente inevase. Si sporge dalla finestra, per controllare se l'ambulanza stia arrivando. Scruta il cielo perfettamente terso. Comunque vadano le cose in via Villoresi, l'idea che la giornata cominciata con la rissa delle due scalmanate sarà una bella giornata di fine primavera, lo consola un poco: a leggere le prime pagine dei quotidiani di quel sabato, infatti, c'era di che preoccuparsi più seriamente. Crollo delle borse (di nuovo?), calo drastico dell'euro, la legge-bavaglio che scontentava tutti (persino i poliziotti che avevano minacciato di scendere in piazza per protestare). Ma soprattutto l'infinita diatriba delle intercettazioni telefoniche che il governo denunciava perché invadenti e nemi17
che della privacy, nonché strumento persecutorio in mano ai giudici, notoriamente ostili al primo ministro Silvio Berlusconi. «Allora?» Le due riprendono a litigare. Si accusano reciprocamente di avere rubato i rispettivi cellulari. Leanza è costretto ad alzare a sua volta la voce, «altrimenti...» L'altrimenti funzionava sempre. Un deterrente psicologico vecchio come la storia dell'uomo. Il poliziotto pensò che aveva davanti due gran belle figliole. Peccato, per quel loro mestiere... uno spreco. Del resto, nulla lasciava presagire che dalle parti dei Navigli, quel piccolo insignificante evento di via Villoresi, in apparenza banale - in fondo che altro è, una lite tra puttane in una metropoli come Milano? - si sarebbe trasformato in una violentissima tempesta, un ciclone giudiziario capace di sconvolgere il Paese e le sue istituzioni più alte, divenendo uno degli scandali più gravi della storia della Repubblica. \laltrimenti non placa le due. Leanza perde la pazienza. «Adesso basta! Piantatela lì! Possiamo sistemarci da qualche parte, così che mi spiegate le vostre ragioni e mi dite perché state litigando?» In certe situazioni Leanza avrebbe preferito essere un artificiere. Più facile neutralizzare un esplosivo che due donne scatenate. Ogni parola, come una scintilla che ti fa saltare per aria: la bomba della rabbia esplode sempre. E tu ci vai di mezzo. Già. Una piccola, minuscola scintilla. Col senno di poi, e un'esaustiva assistenza documentale, si può dire che incidentalmente e inconsapevolmente la scintilla sia stata provocata dalla chiamata di Pronto Intervento del 5 giugno 2010, e la relativa trascrizione del 112. Un insieme casuale di circostanze degne di un trucido romanzo d'appendice. Ma forse è stato anche un segno del destino. «Mannaggia, qui mi tocca scrivere una relazione anche per 18
Sodoma la Procura», sospira il poliziotto. C'è una minorenne picchiata da una maggiorenne. Non si può chiudere un occhio. Leanza ha ragione. Nel momento in cui la macchina della prevenzione che ha appena avviato inizia a mettersi in moto, si innesca un processo irreversibile che a sua volta genera un'imprevedibile concatenazione di accertamenti e indagini, di testimonianze e intercettazioni, e di «prove evidenti» (per usare le parole del procuratore Edmondo Bruti Liberati). Tutto ciò in breve tempo avrebbe condotto verso una sola direzione. Quella di Arcore, in Brianza. Più esattamente, la strada che porta a Villa San Martino, sontuosa residenza di Silvio Berlusconi, il primo ministro. Dove, secondo le accuse della Procura della Repubblica di Milano, il premier incontrava manipoli di ragazze prezzolabili, compreso la minorenne Ruby Rubacuori. Dove si consumavano i riti goderecci del bunga bunga, le feste «spettacolino» che i reclutatori di Berlusconi organizzavano in un salone sotterraneo della villa, trasformato in discoteca con tanto di palo per la lap dance. L'inchiesta dei magistrati avrebbe denudato il Re, e tutto un sistema di corruzione e di riduzione della politica a livello infimo, ma soprattutto avrebbe rivelato un contesto di volgarità e avidità impressionanti. Davvero, nel raccogliere faticosamente le confuse dichiarazioni di Ruby e Michelle, nemmeno per l'anticamera del cervello all'assistente capo Leanza poteva venire il sospetto che il suo contributo professionale sarebbe stata materia di cronache ed inchieste giornalistiche, tanto meno avrebbe immaginato che sarebbe stato immortalato nella piccola, meschina storia della Seconda Repubblica Italiana, nata sulle ceneri di quell'altro sconvolgente scandalo di Mani Pulite. Un minuscolo granello di sabbia, per l'ennesima volta, aveva inceppato la macchina del Potere. 19
2. LA NIPOTE DI MUBARAK «Scusa, Landolfi, mi vuoi spiegare cosa è successo l'altra notte?» L'agente Marco Landolfi, capopattuglia della volante Monforte bis, è ancora stanco. Ha gli occhi pesti. Troppi turni di notte. Si capisce, tuttavia, che qualcosa d'altro gli rode. Qualcosa successo la sera del 27 maggio. Un inferno. Vuoi vedere che qualcuno mi sta per fottere? «Che c'è, Landolfi, allora?» Edmondo Capecelatro, primo dirigente del commissariato di via Poma, meglio noto come commissariato Monforte - presidio storico della polizia milanese - si è appena acceso la sua prima sigaretta e sta controllando i mattinali. Gli mancano sei mesi alla pensione e non vede l'ora che finiscano per potersi dedicare finalmente alla sua vera passione. Il teatro. Qui invece, al commissariato, è sempre un cinema. E Capecelatro è stufo di fare il regista di sceneggiature che sa come cominciano ma non sa mai come finiscono. «L'altra notte è successo un casino», dice Landolfi che sa di potersi fidare ciecamente del suo capo. Perché Capecelatro è un uomo dalla schiena diritta. E poi, ha sempre difeso la dignità del suo ruolo e dei suoi uomini, costasse quel che costasse. «Vuoi un caffè? Dai, racconta». Landolfi si accomoda davanti alla scrivania del capo. Capecelatro si liscia la barba e si leva gli occhiali da miope. Quando bisogna guardare bene le cose a lui le lenti non servono. «Si ricorda, capo, di quella ragazza che abbiamo portato 20
Sodoma qui giovedì sera da corso Buenos Aires? Quella vestita con il prendisole...be', più che vestita era svestita...» «Sì, sì, dai, vieni al sodo.» «Be', via da qui l'abbiamo portata in Questura per il fotosegnalamento, come ci aveva ordinato il pm dei minori. Ricorda? "O la mandate in comunità o la tenete da voi". Be', quando siamo arrivati in Fatebenefratelli, mentre eravamo lì alla Scientifica per le foto, che tra parentesi c'era mezza Questura per lumare 'sta bellezza, è arrivata la funzionarla agitatissima. Quella giovane, la Iafrate. Sventolava il cellulare e ci gridava: "Basta ragazzi! Fermate tutto! Questa è una importante! Ha telefonato la Presidenza del Consiglio. Bisogna lasciarla andare subito".» «Davvero?» «Altroché, dottore. Diceva la funzionarla che questa era addirittura la nipote di Mubarak». «Di chi?» «Mubarak, il presidente dell'Egitto». «E voi, allora, che avete fatto?» «Un casino, dotto'. Non si capiva più niente. La funzionarla sembrava impazzita. Continuava a ricevere telefonate dal capo di gabinetto del questore, il dottore Ostuni. Perché lui aveva detto alla Presidenza del Consiglio che la ragazza era già stata liberata. Invece era ancora lì, noi volevamo almeno farle la foto. Insomma, un macello. E noi, come potevamo comportarci? Abbiamo tentato di proseguire. Dotto', questa era una minorenne. Ha presente il bordello?» «Alla fine, come avete risolto?» «Niente. Un po' abbiamo tenuto duro, siamo riusciti a scattare le foto, però dopo siamo stati costretti a lasciarla andare. Perché dicevano che la Presidenza del Consiglio aveva mandato un suo incaricato. Una consigliera presidenziale. Una certa Minetti. È a lei che l'abbiamo dovuta affidare. Altro che co21
munita, come aveva disposto la pm. E vuole sapere una cosa? Ci è toccato persino di firmare il verbale di affidamento, a 'sta Minetti». «E la funzionarla?» «Le abbiamo chiesto di firmare anche a lei. Era preoccupata. Mentre stava per firmare, è arrivato il funzionario anziano e le ha sfilato il verbale di mano: non c'è bisogno, ormai...» Landolfi ha un secondo di pausa. Il preoccupato, ora, è lui. Piglia fiato. E aggiunge, con tono più grave, la sua conclusione. «Dotto', qui la cosa puzza. Non quadra. Non voglio finire nei guai». «Non ti preoccupare, Landolfi. Intanto preparami una relazione dettagliatissima. Devi scrivere tutto quello che è accaduto lì dentro, ogni particolare è importante. Poi ci penso io.» Il dogma di Capecelatro è semplice, universale: «La legge è eguale per tutti». Per lui, dice il primo dirigente del Quarto Distretto, «non è solo uno slogan, ma deve essere una realtà di fatto. Le mie due ultime indagini, prima di andare in pensione, riguardavano storie apparentemente agli antipodi. Una, su delle truffe ai danni di alcuni clochard. L'altra, sul presidente del Consiglio. Ho ritenuto di comportarmi in entrambi i casi nello stesso modo. Secondo la legge». Due giorni dopo, la relazione di Landolfi plana sulla scrivania nell'ufficio del dirigente al primo piano di via Poma. Non è ancora la relazione «dettagliatissima» che aveva chiesto Capecelatro perché Landolfi ha ormai fissato le sue ferie e deve partire. «Capo, questo è quanto. Poi quando torno dalle vacanze la riscrivo per bene». «Vai, vai Landolfi, divertiti. Che qui mi diverto io.» Quelle lasciate da Landolfi sono due pagine e mezzo fittamente scritte. In perfetto verbalese: 22
Sodoma Oggetto: seguito d'annotazione relativa all'intervento esperito dalla volante Monforte bis primo turno dove codesta unità operativa procedeva presso gli uffici della locale questura all'accompagnamento della minore El Mahroug Karima, nata in Marocco il primo novembre 1992, residente a Letojanni, provincia di Messina, in via Contrada San Filippo... Al signor dirigente il commissariato di P.S. Monforte-Vittoria; al signor dirigente l'ufficio di Prevenzione Generale; al signor dirigente l'Ufficio Immigrazione... L'incipit è a memoria futura. Landolfi comincia testualmente così il suo resoconto: Il sottoscritto agente di Polizia Giudiziaria, assistente della Polizia di Stato, Landolfi Marco in servizio presso l'ufficio di Intestazione, in qualità di capopattuglia della volante denominata Monforte bis quarto turno, coadiuvato dall'agente della Polizia di Stato Ferrazzano Luigi Antonio, mandati in servizio in data 27 maggio 2010 con turno 18.30/00.30, riferisce alle signorie vostre di quanto segue... In verità, è proprio questo il primo atto d'accusa del Rubygate. Centodue righe nelle quali un semplice agente di polizia inizia a mettere, nero su bianco, alcune delle anomalie procedurali che vennero commesse quando la minorenne Karima El Mahroug, nota anche come Ruby Rubacuori, fu rilasciata dalla Questura in seguito a un pesante intervento del presidente del Consiglio in carica, Silvio Berlusconi. E infatti sulla base di questa relazione che, qualche giorno dopo, il primo dirigente del commissariato Monforte, Edmondo Capecelatro, deciderà di fare quattro passi fino alla Procura. Per consegnare di persona le tre paginette nelle mani del sostituto procuratore Antonio Sangermano. 23
«Dottore, qui abbiamo un problema e non voglio che i miei uomini ci vadano di mezzo...» Con Sangermano, che solo da due anni è arrivato negli uffici della Procura più ammirata e odiata d'Italia, Capecelatro ha ormai un rapporto collaudato perché il magistrato, prima di passare al dipartimento della distrettuale antimafia, sotto il controllo di Ilda Boccassini, si è occupato di rapine, estorsioni, omicidi e truffe. Roba da strada, insomma. Quella più consona a poliziotti di lungo corso come il dirigente del Quarto Distretto. Questa volta però la strada c'entra fino a un certo punto. «Perché vede dottore, qui il mio agente dice che dopo mezzanotte è intervenuta questa Minetti, una consigliere ministeriale presso la Presidenza del Consiglio. Ma la Minetti, è solo una consigliere regionale. Però mi dicono che Ruby andava in giro dicendo che lei conosceva il presidente. Forse è meglio controllare.» Ed è da quel momento che l'investigatore e il magistrato decidono di aprire un'inchiesta. Contro ignoti, come sempre in questi casi. Ma intanto chiedono subito alle compagnie telefoniche i tabulati di Ruby. E anche di Michelle e della Minetti. Non si sa mai. La sorpresa arriva in pochi giorni, giusto il tempo perché dagli uffici di controllo del traffico telefonico trasmettano i loro risultati. Ed è un bingo. La cella radio base del telefonino di Ruby è stata agganciata ad Arcore, nell'area di Villa San Martino, più di una volta. Dunque la minorenne non era una mitomane. Si accumulano i rapporti, partono i primi controlli. Chi è questa Ruby, veramente? Da dove arriva? Che storia ha? Ci vuole tempo. Bisogna contattare le comunità d'accoglienza in cui pare abbia soggiornato la ragazza marocchina. Verificare i suoi spostamenti. Tutto ciò porta via settimane e settimane. L'agente Landolfi ha già organizzato le sue ferie per luglio. 24
Sodoma «Sarà il caso che quando torna dalle ferie, il suo agente scriva un rapporto più completo, Capecelatro», suggerisce Sangermano. «Non si preoccupi, dottore». Landolfi, il 27 luglio, più riposato e fresco che mai, non si fa pregare. Quella notte turbolenta in Questura, gli brucia ancora. E poi ha paura di eventuali conseguenze. E se alla fine il magistrato dei minori se la prendesse con lui e con il collega Ferrazzano? In fondo era agli agenti del Commissariato Monforte che la pm Fiorillo aveva detto chiaro e tondo come doveva essere trattata Ruby: o in comunità o in Questura. Nessuna alternativa. Così Landolfi e Ferrazzano stileranno un nuovo, piccolo ma esplosivo rapporto individuando una serie di abusi compiuti nei confronti di alcuni pubblici ufficiali per neutralizzare le inconfessabili verità di Ruby: ossia, la sua intima amicizia con Berlusconi. Lo stile è sempre quello ma il contenuto è cambiato. Gli accenni della precedente relazione ora diventano frasi compiute, i particolari si stagliano più precisi, è il seguito che mancava e che completa il quadro, permettendo d'individuare la catena di piccole omissioni e verità sottaciute che viene invece tenuta sul fondo delle relazioni ufficiali stilate in Questura. Questa volta il documento non e più indirizzato anche ai signori dirigenti vari della Questura, ma soltanto «al signor dirigente il commissariato di P.S. Monforte-Vittoria». Cioè al solo Capecelatro che poi lo dovrà portare al magistrato. Certe cose sono troppo delicate per farle girare tra gli uffici. Vale la pena leggerlo integralmente perché si tratta della prima ricostruzione completa della fatidica serata in cui Ruby-Karima el Mahroug venne trattenuta e poi rilasciata dalla Questura. 25
I sottoscritti agenti di P.G. (...) in forza presso la Questura di Milano e in servizio presso gli uffici in intestazione, informano la Signoria Vostra di quanto segue: in data 27 maggio 2010, alle ore 22,50 circa, questo equipaggio su disposizione della locale CO. si portava presso gli uffici del Commissariato P.S. Monforte Vittoria, per procedere all'accompagnamento e al fotosegnalamento presso il locale G.P.R.S. della persona in oggetto meglio generalizzata e successivamente provvedere all'affido della stessa ad una struttura protetta per minori, come deciso dal Pm di turno dei minori contattato telefonicamente dall'Assistente della Pubblica Sicurezza Cafaro Ermes (capopattuglia della volante Monforte bis 1° turno) che aveva proceduto all'identificazione della minore in corso Buenos Aires 23. Questa unità operativa, dopo aver preso in carico la minore con i relativi atti di polizia giudiziaria redatti dal personale della volante Monforte bis 1° turno, presso gli uffici del Commissariato in intestazione, si portava presso l'ufficio di coordinamento della locale Questura per chiedere delucidazioni in merito. Qui, l'assistente della P.S. Landolfi Marco prendeva contatti con il Commissario Capo dottoressa Iafrate Giorgia, la quale riferiva che a seguito di un intervento della volante Monforte bis 1° turno, la minore su indicata aveva a carico una denuncia di scomparsa e quindi questa unità operativa avrebbe dovuto procedere al fotosegnalamento della minore e provvedere (tramite centralino Questura) alla collocazione della ragazza presso una struttura di accoglienza per minori. Sempre a dire della dottoressa Iafrate G., data l'ora tarda 23,40 circa, nel caso non ci fosse stata la disponibilità a ricevere la minore da parte di una struttura adeguata, la ragazza sarebbe stata ospite presso gli uffici della locale Questura, in attesa di essere affidata l'indomani mattina mediante altro personale, ad una struttura per minori; disposizione che la dotto26
Sodoma ressa Iafrate aveva impartito agli operanti a seguito di colloquio telefonico che in precedenza, l'Assistente Cafaro Ermes aveva avuto col pm di turno dei minori. Quindi, l'assistente Landolfi Marco provvedeva ad effettuare tramite centralino Questura (dagli apparecchi telefonici degli uffici della terza sezione Upg-Questura), un giro di telefonate presso le strutture di accoglienza per minori per provvedere alla collocazione della giovane donna, ma riceveva risposta negativa da parte di quest'ultimi, poiché al momento delle chiamate, il personale di turno delle varie strutture contattate, riferiva che poteva dare ospitalità solo ai ragazzi e non a ragazze in quanto non vi era altro personale che poteva provvedere alla sistemazione e alla sorveglianza della giovane donna. Durante tali fasi, l'agente Ferrazzano Luigi Antonio unitamente alla ragazza in oggetto indicata si portava presso gli uffici della locale Gprs dove venivano effettuati i rilievi fotografici e dattiloscopici da parte di personale specializzato a carico della stessa. Durante l'ultima telefonata, l'assistente Landolfi M. veniva raggiunto di gran corsa presso gli uffici della terza sezione Upg dal Commissario Capo dottoressa Iafrate G. la quale riferiva di aver ricevuto una comunicazione telefonica da parte del Capo di Gabinetto della locale Questura, Dottor Ostuni, dove si doveva lasciare andare la minore e che non andava fotosegnalata. L'assistente Landolfi nel raggiungere il collega, l'agente Ferrazzano, chiedeva spiegazioni alla dottoressa Iafrate e in merito a quanto riferitogli, il Commissario Capo riferiva che detta telefonata le era pervenuta da parte del capo di Gabinetto che a sua volta era stato contattato telefonicamente da parte della Presidenza presso il Consiglio dei Ministri dove era stato specificato che la ragazza fermata era la nipote del presidente Mubarak e che quindi doveva essere lasciata andare. 27
Quindi gli operanti, unitamente alla minore e al Commissario Capo, dottoressa Iafrate, si portavano presso gli uffici del locale coordinamento dove ad attenderci vi era l'ispettore superiore Ignazio Colletti. Arrivati nell'ufficio di coordinamento, la dottoressa Iafrate continuava a ricevere numerose telefonate da parte del Capo di Gabinetto che sollecitava il rilascio della giovane donna, poiché aveva già dato comunicazione al personale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri dell'avvenuto rilascio della ragazza, inoltre giungeva tramite il centralino del corpo di guardia della locale Questura, comunicazione che, all'ingresso della Questura erano giunte due amiche della minore e cioè la signora Nicole Minetti, consigliere regionale della regione Lombardia con incarico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e Pinquilina della minore, tale Conceicao Santos Oliveira Michelle, nata in Brasile il 3 maggio 1978 e residente a Milano in via Villoresi 19, che chiedevano un colloquio con gli operanti per conto della minore. Successivamente si prendevano contatti con la signora Minetti l'inquilina della minore, alle quali si spiegava cosa era accaduto e cosa era stato disposto dal Pm dei minori; la signora Minetti si offriva di prendere in affidamento la minore e di provvedere per ogni necessità a carico della stessa, consapevole delle conseguenze giuridiche in caso di non ottemperanza agli oneri dell'affidatario. Dal controllo ai terminali CED/SDI effettuato in precedenza dalla pattuglia Volante Monforte bis 1° turno, si evinceva che la minore risultava avere a suo carico una denuncia di scomparsa da parte dei genitori e di personale di una comunità per minori di Messina dove la ragazza era stata in precedenza ospite in quanto in passato aveva avuto problemi di natura famigliare col padre; inoltre nel terminale, risultavano dei passaggi successivi alla denuncia di scomparsa, dove si evinceva 28
Sodoma che la ragazza era stata fermata dai carabinieri e addirittura la ragazza aveva sporto anche una querela, quindi nessuno aveva ritirato dal CED/SDI la denuncia di scomparsa. ' Si precisa che l'assistente Cafaro aveva contattato telefonicamente il personale della comunità e questi ultimi gli avevano detto che un anno fa circa, erano stati contattati telefonicamente dai Carabinieri che avevano chiesto delucidazioni sulla denuncia di scomparsa poiché avevano trovato la minore e di non avergli in seguito più fornito altro tipo d'informazione. Gli operanti chiedevano alla dottoressa Iafrate se il Pm di turno dei minori era stato informato della nuova situazione e cioè del fatto che la ragazza era la nipote del presidente Mubarak e che la signora Minetti si era resa disponibile a prendere in affidamento la ragazza in oggetto indicata. La dottoressa Iafrate chiedeva ai sottoscritti di contattare il Pm per spiegare quanto era emerso, quindi l'assistente Landolfi contattava telefonicamente il Pm di turno spiegando cosa era emerso dal contenuto della telefonata ricevuta dalla dottoressa da parte del capo di Gabinetto della Questura. Il Pm disponeva comunque l'affido della minore presso gli uffici della Questura in attesa di essere affidata l'indomani mattina ad una comunità. L'assistente Landolfi comunicava alla dottoressa Iafrate quanto disposto dal Pm e la dottoressa Iafrate contattava telefonicamente il Pm e raggiungeva il seguente accordo: e cioè bisognava avere la copia di un documento d'identità della minore per poi poterla affidare alla Minetti e lasciarla andare. Data la situazione, l'ispettore superiore Colletti, alla presenza degli operanti, della dottoressa Iafrate, del sostituto commissario Gattari Silvano e dell'ispettore capo Butti Andrea (Personale del coordinamento del turno notturno/montante) contattava telefonicamente personale del commissariato di Letojanni, luogo e dimora dei genitori della minore, dove presso 29
l'abitazione di questi ultimi veniva mandata una pattuglia della P.S. che informava i genitori della presenza della ragazza in località Milano, inoltre la minore riferiva agli operanti, al commissario capo dottoressa Iafrate e all'ispettore superiore Colletti che probabilmente i suoi documenti d'identità erano in casa dei genitori poiché il padre li aveva requisiti. Sul posto i colleghi di Letojanni spiegavano la situazione ai genitori della minore e questi ultimi riferivano di essere già a conoscenza che la figlia era a Milano. I genitori riferivano di non avere i documenti della ragazza, pertanto i colleghi di Letojanni riprendevano regolare servizio. A questo punto l'assistente Landolfi, d'accordo con la dottoressa Iafrate e l'ispettore Coletti, contattava telefonicamente la struttura di Messina dove era stata ospite la minore, qui la responsabile riferiva di avere nell'archivio della struttura una copia dei documenti della minore, quindi quest'ultima, che al momento della telefonata non era al centro ma alla propria casa, riferiva che l'indomani mattina avrebbe inviato a mezzo fax la fotocopia del documento della ragazza presso gli uffici della locale Questura e del commissariato in intestazione. L'assistente Landolfi spiegava alla dottoressa Iafrate e all'ispettore Colletti quanto riferito dalla responsabile del centro di Messina, quindi visto che al Pm dei minori occorreva solo la copia del documento d'identità della minore, che al momento del fermo da parte del personale della volante della Monforte bis 1° turno era sprovvista, col codice univoco ottenuto mediante il fotosegnalamento e la copia del documento pervenuto dalla struttura di Messina si addiveniva all'identificazione della ragazza. Ottenuta l'identificazione della minore, il commissario capo, dottoressa Iafrate, come da accordi intercorsi col capo di gabinetto e il Pm di turno dei minori, disponeva agli operanti di affidare la minore alla signora Nicole Minetti, come si evince 30
Sodoma da regolare verbale di affidamento minore. Si precisa che gli operanti, una volta stilato il verbale di affidamento della minore alla Nicole Minetti nelle modalità disposte, lo sottoponevano per la firma alla dottoressa Iafrate ma questa, su consiglio del sostituto commissario Gattari, non lo firmava. Si precisa che durante tutta la fase degli accertamenti e dei contatti con il Pm dei minori, la dottoressa Iafrate continuava a ricevere continue telefonate da parte del capo di Gabinetto, il quale chiedeva il perché la ragazza non fosse stata ancora rilasciata e sollecitava provvedervi. Quindi terminati gli atti del caso, la minore in compagnia della Minetti e della sua coinquilina lasciava gli uffici della locale Questura, mentre questa unità operativa riprendeva regolare servizio di perlustrazione. Il tutto si riferisce per dovere d'ufficio. Capecelatro è perplesso, legge e rilegge il lungo rapporto, qualcosa non gli quadra, gira e rigira tra le mani i fogli, manco fossero patate bollenti. Poi, piglia una decisione: si mette davanti al computer dell'ufficio e comincia a scrivere febbrilmente. Quello che ha letto va integrato con un'ulteriore relazione: due pagine, non di più. Ma sono due pagine micidiali. Perché lui ha saputo dai suoi uomini che le cose non si sono svolte esattamente come riportato nelle relazioni ufficiali. Ma deve anche pensare ai suoi agenti. In queste storie, a pagare sono sempre gli ultimi della scala gerarchica. Così si assume lui la responsabilità di porre dei dubbi. In tutto, 7 fogli, tra rapporto degli agenti e relazione di Capecelatro. Un fascicoletto dall'aspetto innocuo, ma come in natura i serpenti più velenosi sono quelli più piccoli, così questa cartelletta avrà la forza dirompente di una bomba ad alto potenziale. «Ho semplicemente fatto il mio dovere», continua a ripetersi il dirigente di polizia che ha capito quanto quei fogli 31
possano essere rilevanti. E quanto possa essere criticata, ai piani alti della Questura, la sua iniziativa. A sei mesi dalla pensione, è bello rimettersi in discussione, se sai di stare dalla parte della ragione e della legalità. «Così è, se vi pare», a Capecelatro questa storia gli pare il canovaccio di una commedia di Pirandello, e una lezione dal grande drammaturgo il poliziotto che voleva diventare attore di teatro l'ha imparata dalla vita che ogni giorno irrompeva nel suo distretto, l'uomo non ha una propria essenza a priori, l'uomo diventa una persona solo sotto lo sguardo degli altri, assumendo tanti ruoli e tante maschere, quante sono le persone che lo vedono. Qualcuno dovrà pur gettare la maschera, prima o poi, pensa Capecelatro mentre si reca a consegnare di persona il fascicolo nell'ufficio del sostituto procuratore Antonio Sangermano. La lettura del documento stupisce il magistrato. Capecelatro sottolineava infatti alcuni elementi di reato che non potevano essere ignorati. Innanzitutto, l'affidamento di Ruby, che lui sapeva essere stato irregolare, al presunto «consigliere ministeriale» Nicole Minetti. Una qualifica inesistente ma contrabbandata da Berlusconi come vera, tanto da finire nelle relazioni ufficiali della polizia di quella notte. Soltanto il mattino dopo si scoprirà che Nicole Minetti è consigliere, sì, ma soltanto regionale. Inoltre, c'è un fax ad aggiungere sostanza all'accusa. Inviato al commissariato di Letojanni alle 2, 20 e 43 secondi del mattino per chiedere informazioni sulla famiglia, i documenti relativi alla giovane e l'assenso dei genitori per l'affidamento. Il particolare dell'orario è fondamentale. Quando il fax per gli accertamenti sottoscritto dalla dottoressa Giorgia Iafrate viene spedito dall'interno 5723, Ruby ha già lasciato la Questura milanese da venti minuti. Ossia, non era stata identificata compiutamente. Non solo. Per esempio, è soltanto verso le quattro del mattino, come risulta dalla relazione della volante Taormina 1 del commissariato di Letojanni, che i suoi genitori sono 32
Sodoma svegliati. Nella loro relazione di servizio, gli agenti inviati sul posto riportano che non hanno i documenti della figlia. E la pretesa parentela con Mubarak? «Ma neanche per sogno. Noi siamo marocchini, quello è egiziano!» Le sette chiamate di Silvio Sono però le «pressioni» esercitate da Berlusconi «in qualità di presidente del Consiglio» (come si legge nell'invito a comparire del 13 gennaio 2011) che colpiscono l'attenzione di Sangermano. Capecelatro le segnala minuziosamente. Così come ha segnalato le pressioni esercitate in linea gerarchica quella sera del 27 maggio 2010 all'interno della Questura. Egli individua nella telefonata di Berlusconi, a Pietro Ostuni, capo di gabinetto della Questura (nonché quelle che seguiranno del caposcorta del premier), l'inizio di una reazione a catena. Alle ore 23,59 e 27 secondi del 27 maggio 2010, «il dr. Ostuni dopo essere stato contattato a mezzo telefono dal presidente del Consiglio dei Ministri, si poneva a sua volta immediatamente in contatto con la dottoressa Giorgia Iafrate cui comunicava le disposizioni ricevute da Silvio Berlusconi invitandola ad agire rapidamente per il rilascio della minore; a seguito di ulteriori telefonate da parte della presidenza del Consiglio, il dr. Pietro Ostuni contattava di nuovo, ripetutamente la dottoressa Iafrate». Nell'invito a comparire (pagina 2) è precisata la sequenza telefonica. La prima chiamata della 23.59 e 27 secondi dura 72 secondi. La successiva, delle 00.02.21, dura 12 secondi. La terza (00.05.48) è solo uno squillo, un secondo. La quarta, tre minuti dopo (00.08.04) dura 41 secondi. La quinta, altri due minuti dopo (00.10.46) è più lunga: 85 secondi. In undici minuti, cinque telefonate per tre minuti e mezzo di conversazione. Una raffica. Ed è solamente l'antipasto. Trascorrono altri dieci minuti. E il telefono della Iafrate ri33
comincia a squillare (00.20.03). È ancora Ostuni. Durata: ventun secondi. I tabulati delle compagnie telefoniche sono impietosi. E non ci sono premier che possano cancellarli. Per capire cosa sta succedendo e perché Ostuni sembra disperatamente attaccato al suo cellulare, bisogna rileggere l'analisi della prima divisione del servizio centrale operativo dello Sco di Roma che, in uno schema molto asettico di due pagine, individua tutte le chiamate in entrata e in uscita del funzionario della Questura. Si scopre così che il presidente del Consiglio non si limitò a una sola telefonata quella notte ma ne fece addirittura sette, proseguendo fino al mattino dopo. Deve essere stata davvero una notte insonne, agitata, passata a chiamare Ostuni, ad ascoltare poi la Minetti e a rimbrottare infine Karima. Dimostrando un'efficienza e una resistenza fisica fuori dal comune, tesa a un obiettivo che in quel momento il premier reputava al di sopra di ogni altra questione. La prima chiamata è alle 23 e 49 minuti del 27 maggio, l'ultima delle 6 e 30 del mattino successivo, tutte di una durata variabile tra i 169 e i 77 secondi. Sei di queste riguardano direttamente l'utenza personale del premier e si concentrano tra poco prima di mezzanotte e le due, mentre una è attribuita più genericamente alla Segreteria generale della Presidenza del Consiglio, ovvero al suo caposcorta, un ex agente della Digos milanese che conosceva bene Ostuni. Anche questa è una sequenza intensa e denota una certa ansia, il timore che la richiesta, o meglio l'ordine di liberare Ruby, non potesse essere esaudito il più presto possibile. Nelle sette telefonate del presidente del Consiglio c'è qualcosa di più di una semplice richiesta d'informazioni come lui stesso ha tentato di sostenere in seguito. E chi ricevette quelle telefonate, lo comprese perfettamente. È all'una 21 minuti e 49 secondi, che il martellamento sulla Iafrate riprende forza. La conversazione tra il capo di gabinetto e la sventurata giovane funzionarla dura un minuto e 10 34
Sodoma secondi. Una graticola. Che si riaccende sette minuti dopo (01.28.03): stavolta, la chiacchierata è più consistente, ben 103 secondi. Ma Ostuni non deve essere soddisfatto, se insiste appena tre minuti dopo (01.31.43), per altri cinquanta secondi di delucidazioni. Non è sufficiente. Due minuti dopo (01.33.11) chiama per altri 26 secondi. Deve essere proprio sulle spine, Ostuni, visto che alle 01.44.37 resta alla cornetta con la Iafrate per quasi due minuti, per la precisione 110 secondi. E, finalmente, alle due di notte 12 minuti e 10 secondi, quando ormai Ruby Rubacuori è libera come un fringuello, si concede una lunga discussione con la sua funzionarla: più di cinque minuti (303 secondi), «per accertarsi che le sollecitazioni del presidente del Consiglio, in ordine al rilascio di El Mahroug Karima e al suo affido a Nicole Minetti, venissero eseguite», come scrive la Procura che considera questa impressionante serie di telefonate una prova importante per definire il «perfezionamento del reato di concussione». Anche perché, nel contempo, il «dr. Pietro Ostuni informava della telefonata ricevuta dal presidente del Consiglio e del suo contenuto dapprima il questore di Milano, dr. Vincenzo Indolfi (ore 00.13.49, durata 103 secondi) e poi il dr. Ivo Morelli, dirigente dell'Ufficio Prevenzione Generale della Questura di Milano (00.47.56, durata 159 secondi). A sua volta, il dr. Morelli, alle ore 00.51.00 (durata 511 secondi), alle 01.24.25 (durata 206 secondi) e ancora alle 02.14.12 (durata 572 secondi), contattava la dottoressa Iafrate». Dal che si evince che la povera Iafrate ha sopportato 894 secondi di telefonate targate Ostuni (circa quindici minuti) e altri 1289 secondi targati Morelli, per un totale di 2183 secondi, cioè 36 minuti e 38 secondi. Una tortura. Mica è tutto. La lunga insonne notte del dirigente Ostuni - in pigiama dalla sua casa di Sesto San Giovanni - è proseguita sulla stessa intensità telefonica, sino alle 6 e 47 minuti e 35
14 secondi, quando viene contattato dal centralino della Questura di Milano. Non senza aver provveduto, con una fatidica ennesima telefonata, a comunicare il lieto fine della vicenda, almeno in quel contesto, direttamente alla Presidenza del Consiglio che «El Mahroug Karima era stata rilasciata e affidata al consigliere regionale Nicole Minetti. Questa, non appena uscita dai locali della Questura, consegnava la ragazza a De Conseicao Santos Oliveira Michelle, persona priva di referenze, presso la cui abitazione di via Villoresi numero 19, El Mahroug Karima dimorava da alcuni giorni, dopo essersi arbitrariamente allontanata dalla comunità La Glicine Cirs di Messina». E un cerchio che si chiude. Dieci giorni dopo, il 5 giugno, una «lite tra puttane» esplode in via Villoresi 19. Vede coinvolte Ruby e Michelle e segnerà il destino di Silvio Berlusconi. 36
3. IL FURTO DI RUBY Come nelle scatole cinesi, così vale per le inchieste. Un inizio ne nasconde un altro. E una serie di casualità si trasformano in causalità, tanto per citare Jung. Come ci arriva Ruby in Questura, la sera del 27 maggio? Per una telefonata, guarda caso. Quella di tale Caterina Pasquino, detta Katia, una modella trentenne dal fisico mozzafiato che su Internet appare in foto «piccanti», o ritratta accanto all'immancabile Ferrari, alta, magra, occhi dal taglio orientale, seno straripante, spesso fotografata con la sigaretta in mano e l'atteggiamento provocante. È lei, infatti, che alle ore 18.01 e 33 secondi, come registra l'implacabile centralino della Questura, chiama il 112. Vuole denunciare il furto di tremila euro che teneva in casa e che, secondo lei, sarebbero stati sottratti da una ragazza sua ospite: «Una clandestina, però non sapevamo che fosse senza documenti, e comunque c'ha derubato di tremila euro più gli oggetti...» Katia racconta di aver individuato la ladra in un centro estetico di corso Buenos Aires, al civico 23, il Marni Nail: «Sono qui a mangiare di fronte, è lei è lì, di fronte, che ride e fa le linguacce. Mi sa... mi sa che mi sta scappando la tipa perché ha capito che io vi sto chiamando...» L'operatore, spazientito, taglia corto: «Sì, guardi, le mando la volante o no? Mi faccia capire?» «Me la mandi, me la mandi la volante...» La volante Monforte bis primo turno interviene alle 18 e 15. Alla guida ci sono l'assistente Ermes Cafaro e l'agente Car37
melo Russo. Riescono ad intercettare la ragazza che Katia indica come quella che le ha rubato i soldi. La caricano in auto e la «invitano» a seguirli in commissariato. Il commissariato di via Poma. Durante il tragitto, gli agenti prenderanno il primo contatto con la Procura dei minori, nella persona del pubblico ministero Anna Maria Fiorillo. È grazie al sistema di registrazione automatica dei centralini di tutti i commissariati milanesi che la Procura, in seguito, riuscirà a stabilire con precisione quanto la Fiorillo dispose quella sera circa l'identificazione e la successiva collocazione in una comunità protetta della ragazza che senza problemi aveva declinato le proprie generalità: Karima El Mahroug, di origine marocchina, non ancora diciottenne. Una telefonata fondamentale, quella degli agenti al magistrato dei minori: consentirà quattro mesi dopo alla Procura di ricostruire ex post e senza possibilità di errore quali furono le parole della Fiorillo. Essa, in un primo tempo, invitata a svolgere una relazione sui fatti di quella sera, aveva ammesso di non ricordarsi le esatte disposizioni date alla polizia, ma di potere ciononostante rammentarne il senso. La mancanza di una disposizione scritta, che come sempre accade in questi casi non può non essere che verbale, aveva però indotto il procuratore Edmondo Bruti Liberati a minimizzare l'intervento del pm e sostenere che la procedura seguita dalla dottoressa Iafrate in Questura in fondo era stata corretta anche perché la stessa Iafrate, interpellata dai magistrati, aveva sostenuto che la pm Fiorillo «ricordava male». Ma la registrazione del 112 recuperata soltanto a metà novembre del 2010, lo farà ricredere. E rivela molto di Ruby, prima della tempesta: una giovane escort disposta a vendersi in ogni situazione: «Vengo con te a fare l'amore, allora», dice Ruby al poliziotto che sta chiamando il magistrato e che le risponde «te con me non vieni da nessuna parte». Il resto è un documento agli atti. Eccolo. 38
Sodoma Ore 19:13:04 Fiorillo: pronto? Cafaro: la Dottoressa Gravagnola? Fiorillo: no sono Fiorillo, la sostituisco, mi dica pure. Cafaro: ah, buonasera dottoressa, allora, eehm Assistente Capo del Commissariato Monforte Vittoria volante Monforte Bis. Fiorillo: si assistente. Cafaro: allora, e scusi un attimo, potete abbassare la voce per piacere? Sto parlando col PM grazie, allora, io mi trovo in Buenos Aires perché sono stato mandato per una lite tra due, tra tre ragazze, lite per motivi economici. E la prima persona, le dico tutta la storia in modo da farle capire (...) chi ci chiama ci dice che una sera ha conosciuto una ragazza in discoteca poi son diventate amiche per la serata, l'ha accompagnata cioè, sono andate insieme a casa e qui questa ragazza che ha appena conosciuta, ha dormito. Il mattino dopo lei è andata al lavoro
(...)
Fiorillo: senta scusi, ascolti, si tratta di italiani, di stranieri? Cafaro: allora si tratta di una ragazza italiana con una ragazza marocchina. < Fiorillo: bene, okkey, e hanno quanti anni? Cafaro: la raga, la richiedente è maggiorenne, l'altra invece, l'accusato diciamo è minorenne e ha 17 anni ma tra cinque mesi è maggiorenne. Fiorillo: maggiorenne, ed è marocchina questa? Cafaro: ed è marocchina, il problema di questa ragazza marocchina è che facendo l'accertamento tramite i terminali... Fiorillo: sì? Cafaro: gli risulta una denuncia di scomparsa fatta a maggio dell'anno scorso da una casa famiglia di Messina che io ho già contattato. 39
Fiorillo: mh mh... Cafaro: casa famiglia di Messina che mi dice che ee avevano, oltre aver fatto la denuncia di scomparsa qualche mese fa, si era presentata una pattuglia dei carabinieri sempre lì del posto, che aveva avvisato che aveva trovato la ragazza ma essendo casa famiglia la ragazza non poteva ritornare in quel in quella casa famiglia, loro a quanto pare non è andata in nessun, a quanto pare non è andata in nessuna altra casa famiglia. Fiorillo: eh... Cafaro: e quindi è stata lasciata in libertà, la raga (squillo telefonico ndr.) mi scusi dottore la la ragazza è stata a sud» dire è stata messa in questa casa famiglia perché aveva avuto dei problemi con i genitori, problemi che con i genitori, a suo dire, si sarebbero conclusi o sistemati, e questa cosa me la conferma anche la responsabile della casa famiglia che ho contattato di Messina, e mi dice che il padre della ragazza ha chiamato presso la casa famiglia dicendo che sarebbe andato presso sempre l'istituto, a prelevare gli effetti personali e i documenti della ragazza perché... Fiorillo: mh mh... Cafaro: comunque poi doveva, la cosa ormai era diciamo così sistemata. Fiorillo: sistemata mh... Cafaro: ora, e questa ragazza ora è qui a Milano. Fiorillo: ecco. Cafaro: nel, noi e non abbiamo nessun tipo di revoca di denuncia di scomparsa perché formalmente non si è presentato nessuno presso la casa famiglia di Messina a formalizzare cioè a completare la la situazione. Fiorillo: ho capito. Cafaro: la ragazza, scusi dottoressa? Fiorillo: quindi questa si è allontanata, evidentemente era tornata col padre, poi si è allontanata di nuovo ed è venuta a Milano, questo è il discorso... 40
Sodoma Cafaro: perfetto, intanto allora, a dire della ragazza ora e che al momento è senza documenti. Fiorillo: mh? Cafaro: mi ha detto che nei prossimi giorni sarebbe scesa di nuovo giù in Sicilia a prendere contatti con i genitori che l'assistente sociale della casa famiglia dice essere ottime persone. Fiorillo: eh... Cafaro: per prendere i documenti, quindi fare la regolarizzazione e tutto quanto per sistemare la sua situazione. Fiorillo: va bene. Cafaro: e questa affermazione detta da questa ragazza diciassettenne è stata confermata in parte da sempre dall'assistente che anche lei sapeva che nei prossimi giorni sarebbe, cioè, nel prossimo venturo sarebbe scesa giù la ragazza per, per lo stesso motivo. Fiorillo: nel frattempo mi scusi, nel frattempo mentre era qui dove stava? Dove viveva?. Cafaro: viveva a casa di della dell'altra ragazza che ha chiamato il 112 che l'accusa di aver rubato... Fiorillo: da lei, ma è un'amica o hanno una relazione? Che tipo di relazione? Cafaro: a dire di questa minorenne loro hanno convissuto per tre mesi nella stessa abitazione, ma solo come inquiline dello stesso appartamento; a dire invece della richiedente lei vi è andata un solo giorno e ha passato una notte e in quella notte le avrebbe fatto sparire dei soldi. Fiorillo: mmh... Cafaro: mmh, se devo essere sincero... credo più alla minore che alla maggiore, però, per carità e lei è rimasta lì a vivere perché gli faceva comodo, esatto, e lì ha passato cinque mesi praticamente: le dico anche le date, da gennaio alla fine di aprile. Fiorillo: e adesso in pratica hanno litigato e la più grande adesso dice che quella gli ha fregato dei soldi. 41
Cafaro: esatto, dato che io le ho invitate entrambe per fare la querela, poi una volta che ho preso il nome, mi ha, mi ha detto, mi ha dato la sua data di nascita e mi ha raccontato tutta la storia dicendo che era minore eccetera eccetera... Fiorillo: mh. Cafaro: quindi facendo gli accertamenti è combaciato tutto. Fiorillo: mh Cafaro: cioè, di tutto quello che lei mi ha detto ne ho avuto solo conferme, non ho avuto scoperte... praticamente tutti i mesi ha sempre pagato il suo affitto... e anche quello dell'altra. Fiorillo: e quanto avrebbe preso di soldi? Cafaro: a dire dalla richiedente tremila euro, li avrebbe presi da un cassetto del comò. A dire invece della ragazza minorenne, li ha presi perché stufa di pagare tutto (...) l'altra gli ha detto ma tu sei irregolare se vuoi è così e quindi lei giustamente è andata via. Fiorillo: potrebbe chiedere alla ragazza come faceva a pagare questo affitto, posto che non lavorasse? Cafaro: sì, come facevi a guadagnare i soldi per l'affitto? Facendoo... (Voce in sottofondo poco comprensibile, ndr.)... sì allora, fa la ballerina di danza del ventre presso alcuni locali di Milano. Fiorillo: ah ecco, la ballerina di danza del ventre, mh bene, sì, ecco e quindi? Adesso cos'è, c'è la denuncia di questa qua, vabbè, noi la prendiamo perché eh, sarà indagata per questo furto, poi vedremo se sussiste il fatto o meno, però dobbiamo sistemare la ragazza, giusto? Cafaro: non ho capito scusi dottoressa... Fiorillo: allora vabbè, qui c'è un procedimento penale lei è indagata e quindi bisogna comunque... Cafaro: ma in realtà considerando che la cosa, probabilmente sbaglio, me lo dica lei, considerando che sono le versioni di due persone, fino a quando non c'è la querela... 42
Sodoma Fiorillo: ma certo, perché io davo per scontato che ci fosse: non c'è querela? Cafaro: no no no, non c'è nulla, non c'è, tutto campato in aria al momento... Fiorillo: e comunque anche se non c'è querela, nel momento che lei mi manda una annotazione con questi fatti io in automatico devo iscrivere... Cafaro: okkey. Fiorillo: perché io devo comunque iscrive e la la signorina sarà indagata. Cafaro: okkey. Fiorillo: okkey, perché vede, il problema è questo, se fosse un furto in appartamento, no? Cafaro: sì? Fiorillo: comunque se io lo qualifico lo iscrivo come furto in appartamento non serve la querela. Cafaro: okkey. Fiorillo: se invece fosse un furto con l'aggravante dell'abuso dii come si dice, dell'abuso di relazione di ospitalità, vabbè, da questo punto di vista ci vorrebbe la querela perché comunque...
(...)
Fiorillo: quindi deve dire a questa ragazza minorenne, che comunque sarà sottoposta all'inizio di un procedimento penale così la pianta magari di fare la superficialona, di credere di far quel che vuole. Cafaro: okkey. Fiorillo: come secondo elemento, questa qui è minorenne e noi non siamo abituati a fare andare in giro i minorenni così. Cafaro: perfetto. Fiorillo: quindi non la rilasciamo per niente, va in una comunità di pronto intervento. Cafaro: okkey. 43
Fiorillo: perfetto, e quindi credo che sia «la Zattera» forse l'unica aperta. Cafaro: la Zattera? Fiorillo: mi sembra che sia questa una comunità di pronto intervento a Milano. Cafaro: eh, il problema è che a quest'ora sarà praticamente impossibile. Fiorillo: no, provi a telefonare, perché guardi, in Questura diramano le indicazioni delle comunità di pronto intervento. Cafaro: questo lo so perché mi è già capitato di fare un intervento con minori... Fiorillo: mmh poi dica a questa ragazza che comunque lei è abituata a prenderci un po' per il naso, diciamo così, però tra poco la cosa finisce perché non credo proprio che resterà in Italia... Cafaro: ah, okkey. Fiorillo: perché tra poco è maggiorenne e quindi se va avanti così la rimandano, ci sarà l'ordine di espulsione. Cafaro: perfetto. Fiorillo: mmh, salvo che lei... scusi permetta che le spieghi, che finisco il discorso, salvo che lei, la signorina, non accetti di inserirsi in un progetto educativo e quindi praticamente la smetta di scappare e di prenderci in giro, se lei accetta di mettersi in un progetto serio e c'è anche la possibilità di un'autorizzazione, l'articolo 18, e le danno il permesso... Cafaro: okkey okkey. Fiorillo: mmh, ma lei ce l'ha quindi, non ce l'ha il permesso giusto? È irregolare... Cafaro: no no non ce l'ha dottoressa, non ce l'ha. Fiorillo: cioè non ce l'ha, quindi glielo spieghi che se va avanti così quand'è che diventa maggiorenne? Tra pochi mesi, dopodiché è irregolare e appena la beccano la mandano via anche perché io la indago e quindi la deve piantare di fare queste cose qua... 44
Sodoma Cafaro: va bene, devo provvedere io a redigere l'elezione di domicilio? Fiorillo: guardi, secondo me non è necessario perché comunque come abbiamo detto è un reato che va iscritto però in assenza di querela, quindi lasci stare pure così la faccenda... Cafaro: comunque la devo fotosegnalare? Fiorillo: eh, se non ha i documenti è obbligatorio, sì! Cafaro: perfetto! Fiorillo: fotosegnalare così vediamo anche se ha altri procedimenti a carico, perché magari a noi c'ha detto così... Cafaro: no, lei dai dai terminali risulta un vecchio precedente per furto: vede? tra l'altro: questa qui è già i pregiudizi è una sbandata il fatto che lei sia sia senza documenti devo indagarla sa il comma tre...
(...) Fiorillo: e quindi niente, quindi la mette in una in una comunità, sperando che sia aperta, che l'accolgano... l'autorizzo a trattenerla fino a domani mattina finché il pronto intervento non si metterà in moto per trovarle un posto o per vedere dov'è finito questo disgraziato di suo padre... Cafaro: benissimo, mh perfetto, va bene così la ringrazio, dottoressa, mi permette se dovessi avere bisogno di poterla ridisturbare? Fiorillo: oh certo, eh purtroppo, quando siamo di turno è così. Cafaro: vabbè, diciamo così allora. Fiorillo: va bene, grazie buonasera. Cafaro: buona serata, salve. La trascrizione dimostra alcune cose, che assicurano all'impalcatura dell'inchiesta una certa solidità. Innanzitutto, si appura che fin dalla sera del 27 maggio 2010 la polizia, e la Procura dei minori, sanno con certezza che Ruby Rubacuori si 45
chiama Karima El Mahroug, ha diciassette anni e mezzo, è fuggita da una comunità protetta di Messina, è marocchina e non egiziana - dunque era impossibile associarla a Mubarak - non è in lite con il padre, come voleva far credere, aveva precedenti penali, e, soprattutto viene disposto per lei senza ombra di dubbio l'affidamento ad un'altra comunità di Milano o, in alternativa, la permanenza in Questura: «L'autorizzo a trattenerla fino a domani mattina, sino a che il Pronto Intervento non si metterà in moto per trovarle un posto o per vedere dove è finito quel disgraziato di suo padre». Non c'è scampo: quando si ha a che fare con una minorenne i primi da sentire per ogni eventuale autorizzazione sono i genitori, o chi esercita la patria potestà, e nessun altro, meno che mai un consigliere regionale. Per avere un'idea di che tipo di percezione della realtà avessero quella sera i protagonisti della vicenda, o per lo meno i poliziotti che avevano in custodia Ruby fin dalle 19, bisogna rileggersi il verbale di Cafaro interrogato il 9 dicembre dai pm: «Appena fu fermata, la minore rispose di chiamarsi El Mahroug Karima, nata in Marocco il primo novembre 1992, danzatrice del ventre in qualche locale milanese e domicilio in un'abitazione di via Villoresi». Tutti dati veri e che i terminali del Viminale confermeranno nel giro di qualche minuto. Ma c'è di più. «In commissariato mentre sbrigavo le pratiche, Karima mi disse che avrebbe voluto fare 0 carabiniere. Io ironicamente risposi che ritenevo improbabile che una cittadina marocchina senza documenti potesse accedere ai ranghi dell'Arma. Fu proprio in quel momento che la minore mi rispose che lei era una lontana parente di Mubarak e che Silvio la stava aiutando per farle ottenere i documenti. Ripetè più volte il nome "Silvio" senza che io nell'immediato ricollegassi quel nome al presidente del Consiglio». Ruby è la prima ad ironizzare sulla storia di Mubarak: «Ridendo disse: "Chi ci crede che una marocchina abbia la nazionalità egiziana?" con ciò mettendo in rilievo che il riferimento a 46
Sodoma questa parentela era un escamotage per facilitare l'ottenimento dei documenti e che alla pratica ci avrebbe pensato Silvio». Cafaro capisce bene di quale «Silvio» parla Karima, quando l'incontrollabile minorenne si spinge a raccontare delle feste di Arcore: «Ricordo perfettamente che la minore precisò che era stata accompagnata o quantomeno presentata da Lele Mora presso la residenza di Arcore», una sera in cui «c'era una festa ed era naturalmente presente Berlusconi e altre ragazze e anche persone di sesso maschile di cui non ricordo se mi specificò i nomi. Ruby mi disse che non si era tanto divertita o comunque si era trovata a disagio, tanto che il presidente se ne accorse e le si avvicinò, chiedendole se preferiva andare via. Il presidente non sapeva che lei era minorenne ed era rimasto favorevolmente impressionato dal rifiuto che lei aveva opposto, tanto che questo atteggiamento riottoso della ragazza aveva fatto nascere un'amicizia proseguita e tutt'ora in atto. Sempre Ruby, che era un fiume in piena, continuò a raccontare che Berlusconi, avvedendosi del disagio della ragazza, l'aveva fatta accompagnare dalla sua scorta a casa. A dire della Ruby, proprio il capo scorta le aveva consegnato una busta che lo stesso disse provenire dal presidente Berlusconi in persona. La minore raccontò che all'interno di quella busta erano contenuti 15mila euro in contanti. La ragazza disse che quella sera ad Arcore vi erano numerose donne e che alcune si erano spogliate... Non mi ricordo se usò il termine bunga bunga... Quel che è certo è che mi parlò di una festa con donne che si spogliavano e di un gioco «del trenino» che definì in una maniera che non ricordo. Mi disse che la cosa le aveva dato fastidio e non aveva inteso partecipare a questo gioco nel cui contesto Karima mi riferì che il presidente ci aveva provato, lasciando chiaramente intendere che lo stesso aveva rivolto delle avances di tipo intimo alla Ruby senza però specificarne il contenuto e le modalità attuative». Cafaro rimane perplesso: di tipe sballate, un po' mitomani, 47
nel suo lavoro ne aveva incontrate tante e Karima poteva essere una di queste. Inizia a cambiare idea qualche ora dopo, quando si sente al telefono con il collega Landolfi che aveva accompagnato la ragazza in Questura e che gli racconta delle telefonate che stavano fioccando, perfino «dalla segreteria della Presidenza del Consiglio». «Landolfi si lamentò che gli avessi lasciato una rogna, era visibilmente impressionato dalla mole di interventi che avevano caratterizzato la vicenda della minore, tanto che scherzando mi disse: "Vuoi vedere che questa lo conosce veramente Mubarak?"» 48
4. L'ANELLO DEBOLE L'assistente Cafaro è in servizio «smontante», quando si occupa di Ruby e la preleva in corso Buenos Aires. Alle otto di sera, in teoria, dovrebbe smettere il servizio. E dovrebbe consegnare la ragazza ai colleghi della pattuglia «montante», Marco Landolfi e Luigi Antonio Ferrazzano, che però in quel momento sono già fuori, impegnati in un altro intervento. Per questo, telefona alla dottoressa Giorgia Iafrate, per chiarire le modalità più idonee dell'identificazione ufficiale di Ruby, secondo le procedure e le indicazioni appena ricevute dai pm dei minori Fiorillo, che erano state, come racconta Cafaro, «assolutamente precise e inequivocabili». La trentenne commissario capo di turno alle volanti di Milano, non sa che sta per diventare uno dei personaggi chiave di questa vicenda. È di Fresinone, laureata in giurisprudenza con un master in Scienze Forensi. È in polizia dal 2007, a Milano è da poco tempo. Il ruolo che le hanno affidato è molto ambito dai giovani funzionari: è l'osservatorio ideale per venire a contatto coi problemi reali della città. Minuta, molto carina, un gran bel sorriso, capelli castani e due grandi occhi che mischiano il verde con il blu. Ma dietro quel sorriso, dimostra di avere carattere: come nel tragico episodio del tassista massacrato in via Ghini, dai balordi di piazza Caccia Dominioni, nel quartiere popolare Antonini, alla periferia sud di Milano. È la Iafrate che arresta gli autori dell'efferato pestaggio: il tassista era stato «punito» per avere travolto il cane della fidanzata di uno di loro. 49
Tuttavia, la sera del 27 maggio, la commissaria in carriera incappa nella trappola di Berlusconi. Pure lei, in tutta questa sordida vicenda, è una vittima. E fin da subito. Non è ancora arrivata in Questura la minorenne Ruby che la poliziotta riceve la prima di una lunghissima serie di telefonate. Alle 20 e 43 esordisce l'assistente Cafaro, sul telefono di servizio. «Buonasera, capo. È la Monforte bis smontante». «Buonasera. Sapevo da una collega che mi avreste chiamato...» Cafaro non si perde in preamboli. Spiega che tra poco giungerà in via Fatebenefratelli, dove ha sede la Questura di Milano, una «ragazzina» portata dalla «montante bis» del suo commissariato. «La farei accompagnare per fotosegnalarla». «Sì». «E poi poterla affidare presso una comunità, se ne troviamo». «Sì», risponde la Iafrate. «Altrimenti il pm mi ha detto che...» La Iafrate lo interrompe: «Sì, me l'ha detto la collega che comunque la teniamo qui... e domattina eventualmente...» «Perfetto». «Trovano la comunità», aggiunge la Iafrate, che dimostra di essere già pienamente informata sulle inequivocabili disposizioni del pubblico ministero Fiorillo. Non è tutto. Un altro particolare è decisivo, per capire il quadro della situazione. Cafaro spiega alla commissaria capo che la ragazza in questione «è vestita in maniera molto da sole», eufemismo galante per non urtare la suscettibilità femminile della collega, «non l'ho detto volgare... da sole ho detto, stai calma, e considerando il fatto che deve essere affidata in comunità, chiedevo se era possibile che la bis andasse in via Villoresi 19 dove lei abita con un'altra ragazza». 50
Sodoma «E perché? Com'è vestita questa ragazzina?» «Con un toppino tipo prendisole e dei jeans ma non ha altro addosso». «Bisognerebbe avvisare la bis montante per andare a prendere qualche effetto personale, ma con chi vive questa ragazza?» «Con una sua amica ma non riesce a contattarla perché lei ha lasciato il cellulare a casa e non si ricorda il numero di questa tizia». Dunque, la Iafrate è a conoscenza dell'indirizzo di Ruby, cioè che abita in via Villoresi. È a conoscenza del fatto che la ragazza è minorenne. E che deve essere affidata ad una comunità. I due, infatti, parlano anche di questo. «Bisogna cercare giù alla Terza, hanno a disposizione l'elenco», dice la Iafrate, «tra l'altro, la collega mi ha detto che voi avevate parlato della comunità il Timone, o una cosa del genere». «La Zattera», corregge Cafaro. «Ah, la Zattera, ah ah...» Cinque mesi dopo, la povera Iafrate non avrà più tanta voglia di riderci sopra, sulla vicenda di Ruby Rubacuori. Il caso è infatti esploso all'improvviso ed è subito diventato scandalo nazionale. Peggio, ha travalicato le Alpi, raggiunto l'America, conquistato Asia, Africa, Oceania. Quando la Iafrate è chiamata in Procura, sono trascorsi quattro giorni, da quando è apparso il primo articolo sul «Fatto Quotidiano», quello in cui si svela l'episodio della minorenne «amica» del premier fermata e poi rilasciata alla faccia della legge. Il 30 ottobre, la commissaria è costretta a ricostruire quella notte convulsa davanti ai magistrati che indagano per accertare se vi è stata concussione da parte di Berlusconi. In qualità di. funzionaria addetta al IV° turno Volanti Prevenzione Generale Soccorso Pubblico della Questura di Milano, la Iafrate ammette che fu 51
Leonardo Coen Paolo Colonnello proprio il capo di gabinetto, Piero Ostuni, a dirle nel corso di una telefonata, su segnalazione romana, «che la minore di origini marocchina, che era l'unica, lo ripeto, minore presente negli uffici della Questura, era la nipote del presidente egiziano Mubarak. Il capo di gabinetto mi chiese quindi le ragioni per le quali la minore si trovasse in Questura, che cosa intendevamo fare rispetto alla minore e mi pregò comunque di accelerare tutti i tempi vista la particolarità della situazione, e cioè che quella ragazza era la nipote del presidente egiziano Mubarak». «E lei nel corso di questa telefonata che cosa gli rispose?» «Riferii al dottor Ostuni né più né meno quello che sto ora precisando a voi, e cioè che era stata fermata questa minore, che lei stessa aveva detto di chiamarsi El Mahroug Karima, che era di origine marocchina, che stavamo verificando in quanto sprovvista di documenti le sue esatte generalità e che a seguito della sua esatta identificazione si sarebbe deciso il da farsi, ovviamente contattando e aspettando disposizioni dal pubblico ministero presso i minori.» «È stata l'unica telefonata che ha fatto col dottor Ostuni?» «No, ce ne sono state varie, non ricordo quante, non vorrei sbagliarmi ma forse una decina...» Per un attimo, nella saletta dei magistrati cala il silenzio. La Iafrate decide di non aspettare l'inevitabile domanda, solleva un attimo lo sguardo verso i suoi interlocutori, e li anticipa: «.. .mi sembra di ricordare, ma veramente non ho un preciso ricordo sul punto, di aver riferito alla dottoressa Fiorillo delle notizie ricevute dal capo di gabinetto rispetto alla parentela della minore con il presidente egiziano Mubarak, notizia che avrebbe ricevuto sempre il capo di gabinetto dalla Presidenza del Consiglio, e che stava arrivando in Questura il consigliere Minetti per prendere in affido la minore... Una volta avute garanzie da parte del consigliere Minetti, ho ricontattato il pubblico ministero di tur52
Sodoma no, dicendole appunto che era arrivata la persona disponibile all'affido, ma la dottoressa Fiorillo era molto perplessa e insisteva perché si facessero tutti gli accertamenti. La sua perplessità derivava dal fatto che la prima segnalazione indicava una minore priva di documenti, che conduceva una vita strana, almeno questo le avevano rappresentato, e quindi mi sollecitò a svolgere tutto quello che era necessario svolgere». E cioè, riprendere i contatti con la famiglia di Ruby. «Lo feci per il tramite della Volante di Letoianni, il padre confermò che non ne voleva sapere nulla della ragazza, fece visionare i documenti della ragazza, che aveva trattenuto lui, aggiungendo che se la ragazza era priva di documenti era colpa sua perché li aveva trattenuti a casa.» Documenti? Ma nella relazione di quella Volante risultava il contrario. Agli agenti i genitori dissero che quei documenti non li avevano. E che con l'egiziano Mubarak non c'entravano, essendo loro marocchini. Tant'è che l'esito della missione viene riferito telefonicamente all'ispettore Colletti (come risulta a pagina 43 dell'invito a comparire di Berlusconi, consegnato dalla Procura di Milano la sera del 13 gennaio 2011). I magistrati preferiscono non interrompere la Iafrate per contestarle la contraddizione. Le incongruenze sono bene evidenti nei documenti stessi. A loro interessa capire chi fece pressioni, e come, per obbligare a rilasciare la minorenne Ruby, affidandola, senza le necessarie garanzie di legge, alla Minetti. «Ora che mi viene in mente, le perplessità della dottoressa Fiorillo derivavano anche dal fatto che qualcuno le aveva riferito, ma non so chi, che la minore faceva in televisione la danza del ventre. E quindi quando io le riferii che oltre la Minetti si era resa disponibile anche la coinquilina a prendere in affido la minore, lei mi rispose che alla signora Michelle Conceicao Santos Oliveira assolutamente no. È ovvio che io di tutto quello che si stava facendo, accertamenti, contatti con la famiglia 53
della minore e quant'altro, ho tenuto al corrente il capo di gabinetto, almeno così mi sembra di ricordare...Il dottor Morelli quella notte mi telefonò chiedendomi che cosa stesse sucedendo, perché mi disse appunto che in Questura c'era la nipote di Mubarak, che gli era stato riferito da qualcuno, ma non mi disse da chi. Io ovviamente intesi che la notizia l'avesse ricevuta dal capo di gabinetto.» «Durante la prima telefonata con il dottor Ostuni, quando le fu detto che dalla Presidenza del Consiglio si segnalava che questa persona era una congiunta del presidente egiziano, le fu chiesto di rilasciarla immediatamente?» «Mi fu chiesto di accelerare le procedure per l'idei ìficazione.» «Perché non scrisse nella relazione si servizio delle telefonate ricevute e delle pressioni della Presidenza del Consiglio?» «Fu una mia imprecisione, forse una sciocchezza. Io sicuramente ho vissuto l'inesperienza che mi porto dentro, perché è il mio primo lavoro, ma non ho vissuto come condizionamento le pressioni o le telefonate che ricevevo dal dottor Ostuni, anche se è ovviò che il fatto di ricevere tante telefonate da parte del capo di Gabinetto mi metteva un po' in ansia.» Due giorni dopo tocca al Questore di Milano presentarsi dai magistrati. Vincenzo Indolfi precisa di essere venuto a conoscenza del fatto grazie a Ostuni, il quale gli aveva detto che un addetto alla- sicurezza del presidente del Consiglio lo aveva chiamato sul cellulare e che costui gli passò direttamente Berlusconi. «Il dottor Ostuni mi riferì che il presidente del Consiglio disse che la ragazza gli era stata segnalata come la nipote di Mubarak e che il consigliere Minetti era disposto a farsene carico... Quando sono venuto a conoscenza, lo ripeto non ricordo se durante la notte, cioè nell'immediatezza dei fatti, o la 54
Sodoma mattina successiva del 28, della vicenda della minore e che la stessa non era affatto di origine egiziana bensì marocchina, io mi sono preoccupato in quel momento, e cioè nel maggio 2010, soltanto che la gestione della minorenne fosse stata lineare da parte dell'ufficio e quindi il fatto che i miei due collaboratori, la dottoressa Iafrate e il dottor Ostuni, mi avevano rassicurato che tutte le procedure erano state attivate, il fatto che la Presidenza del Consiglio avesse raccontato una balla per me era poco importante...» La vaghezza delle spiegazioni lascia trasparire imbarazzo e reticenza. Per forza. Che la storia della nipotina di Mubarak fosse una balla, quella sera in Questura in molti l'avevano capito fin da subito. Il 13 novembre del 2010 tocca a Ivo Morelli, dirigente dell'Ufficio Prevenzione Generale della Questura milanese d'incontrarsi con i magistrati. «Ero a casa mia, dormivo, quando mi chiamano sul mio cellulare di servizio. Era il capo di gabinetto. Mi segnalava il fermo di una ragazza straniera, presumibilmente una parente del presidente egiziano Mubarak. Disse che aveva ricevuto una telefonata da Roma, dalla Presidenza del Consiglio, e che gli avevano segnalato questo episodio.» «Lei riuscì a parlare con la dottoressa Iafrate e quale fu il senso della vostra conversazione?» «Sì, la dottoressa Iafrate mi disse che era stata portata in Questura una ragazza minorenne, priva di documenti, e che era stata accusata da un'altra donna come autrice di un furto. Mi disse ancora che risultava che la persona minorenne si fosse allontanata da una comunità di accoglienza e che stavano eseguendo le procedure di fotosegnalamento, anzi credo che le avessero già fatte. Preciso anche che quando la chiamai, le chiesi le ragioni per le quali non ero ancora stato avvisato che era stata portata in Questura una ragazza che poteva essere parente del presidente egiziano. Mi rispose che dai primi accerta55
menti si poteva già ritenere che la minore fosse di origine marocchina, comunque non fosse parente del presidente Mubarak, e che stavano effettuando ulteriori accertamenti per determinarne l'effettiva identità...» «La dottoressa Iafrate le disse il nome della persona che era disponibile a prendersi in affido la minorenne?» «Inizialmente no. Solo di aver saputo, lo ripeto, dal capo di gabinetto, che vi era una persona che sarebbe arrivata in Questura, disposta a ricevere l'affido della minore. Mi riferì ar he che sempre il capo di gabinetto le chiese di accelerare il più possibile le procedure di accertamento per poi arrivare quindi all'affidamento della minore o a una comunità o a questa persona che era disponibile a farsene carico.» Le affermazioni di Morelli sono tombali. Prefigurano la concussione da parte della Presidenza del Consiglio. Il magistrato vuole capire come mai, dinanzi all'evidenza della menzogna, Ruby sia stata lasciata nelle mani della Minetti. Il suo è indirettamente un rimprovero: «Ma per quale motivo, avendo lei appreso in qualità di dirigente dell'Ufficio Prevenzione Generale che era risultata falsa la notizia ricevuta dalla Presidenza del Consiglio circa la parentela della minore condotta in Questura, accusata peraltro di furto e sprovvista di documenti, lei si è reso parte diligente ricevendo telefonate in piena notte per consentire che nel caso specifico si accelerassero tutte le procedure, tese evidentemente all'affidamento della minore ad una persona diversa da un parente o dai genitori?» «Lo ripeto, la dottoressa Iafrate mi riferì che il capo di gabinetto le aveva chiesto di procedere velocemente quindi io, pur avendo saputo che si trattava di una ragazza sprovvista di documenti, accusata di furto, che non era parente di Mubarak, ritenni egualmente di sollecitare la dottoressa Iafrate a essere veloce nelle procedure e qualora non si fossero trovati posti in comunità di affidare la minore alla persona che eventualmente 56
Sodoma si fosse presentata in Questura, che, ripeto, io non sapevo di chi si trattasse...» «Ma scusi, il consigliere Minetti come venne a sapere che c'era una minore nei locali della Questura e perché in piena notte il consigliere Minetti è venuta effettivamente in Questura? Da chi ha saputo della presenza della ragazza minorenne identificata per El Mahroug Karima?» «Non lo so.» «Ma è possibile che il capo di gabinetto o la dottoressa Iafrate, che aveva saputo dal dottor Ostuni che sarebbe arrivata una persona per l'affido, non abbiano chiarito anche questo particolare con lei?» «Non so spiegare i motivi per i quali io non sono stato informato della esatta identità della persona che era disposta a ricevere l'affido della minore.» «Scusi, ma se lei ha detto che dopo aver ricevuto la telefonata del capo di gabinetto che segnalava la presenza in Questura di una parente di Mubarak, ha immediatamente contattato la dottoressa Iafrate, su richiesta anche del capo di gabinetto, perché lei in qualità di dirigente dell'Ufficio Prevenzione Generale controllasse direttamente quanto si stava verificando in Questura dopo l'accompagnamento, com'è possibile che il suo funzionario non le abbia riferito le generalità della persona che sarebbe arrivata in Questura a farsi carico della minore?» «La dottoressa Iafrate si interfacciava direttamente con il capo di gabinetto per quanto concerne la questione della minore, tanto che io su questa vicenda sono stato a margine, in quanto vi erano stati diretti contatti tra la dottoressa Iafrate e il capo di gabinetto.» 57
5. MICHELLE MA BELLE Dunque, quella sera del 27 maggio, mentre Ruby, seduta in una saletta al pianterreno del commissariato Monforte aspetta d'essere portata in Questura, la sua amica Michelle la sta già cercando. Doveva rientrare a casa, in via Villoresi 19, con il cibo per cani che Michelle le aveva chiesto di comprare. Al cellulare non risponde. È tardi e il cagnolino ha fame, la mulatta brasiliana comincia ad innervosirsi. Non si sente bene, Michelle. In mattinata, aveva subito un intervento alla clinica Mangiagalli, presso il reparto di Ostetricia. «Dove diavolo si è cacciata Ruby?» Il dubbio glielo toglie Katia Pasquino. La modella che aveva denunciato Ruby per il furto dei 3000 euro, la chiama alle 20 e 21. Parliamoci chiaro: in un certo ambiente, si conoscono tutte. È come una grande famiglia allargata, dove nascono amicizie e altrettanto velocemente si dissolvono: per invidia, per gelosia, per interesse. Le due donne parlano undici minuti e mezzo. Cosa si dicono? Non si sa. Ma è certo che Katia avverte Michelle di aver fatto intervenire il 112 al Marni Nail, il centro estetico di corso Buenos Aires, e che Ruby è in Questura. La spiegazione sprofonda la trentaduenne brasiliana nell'inquietudine più totale. Michelle sa bene in che giri è coinvolta Ruby. Sa anche molto bene che la giovane marocchina è entrata da tempo nelle grazie del premier. Teme che Ruby possa spifferare cose che sarebbe meglio non divulgare, tanto meno alla polizia. 58
Sodoma Quella squinternata rischia di combinare un bel pasticcio, dice a se stessa Michelle, mentre si prepara per recarsi in via Fatebenefratelli, alla Questura. Dobbiamo trovare subito una soluzione, ragiona intanto, l'unico che può riuscirci è lui. «Lui» è il premier. Perché Michelle De Conceicao Santos Oliveira non è una ragazza qualsiasi. E una privilegiata. Almeno, crede d'esserlo: può contattare direttamente sul cellulare l'uomo più potente d'Italia. Sulla rubrica della brasiliana il nome del premier è segnato alla voce «Papi Silvio Berluscone». E possiede pure i numeri dell'autista, della residenza di Arcore, di Roma e l'utenza della società Dolce Drago di Milano 2, la «cassaforte» del Cavaliere, dove confluiscono le proprietà delle ville, i conti delle holding tramite le quali Berlusconi e i figli controllano la Fininvest e, a cascata, tutto il gruppo. La flessuosa Michelle dagli occhi di cerbiatta e dai lineamenti di fanciulla è infatti una vecchia conoscenza di Berlusconi. Lo confermerà otto mesi dopo ai magistrati che la convocheranno il 14 gennaio 2011 in procura, nell'ufficio di Ilda Boccassini. Giusto il giorno dopo l'invito «per la presentazione di persona sottoposta ad indagini» nei confronti del Cavaliere. Alle cinque in punto di quel freddo pomeriggio la bella Michelle, che sfoggia jeans attillati ed esibisce un cappellino calcato sulla chioma a caschetto, snocciola una versione molto edulcorata delle sue relazioni con Ruby e con Berlusconi. D'altra parte, il suo comportamento è logico e prevedibile: sono più di tre mesi che lo scandalo dei festini «a luci rosse» di Arcore è venuto a galla e domina le cronache dei giornali. Michelle ha dunque avuto tutto il tempo di prepararsi all'inevitabile testimonianza. Anche perché la task force difensiva del presidente del Consiglio non è restata con le mani in mano, è entrata prepotentemente in azione per cercare di tamponare le falle e per contrastare le accuse della Procura. I giudici l'hanno messo in conto: quello che è importante comunque dimostrare sono le 59
connessioni delle ragazze tra loro e con il primo ministro. Michelle non può certo negarle. Ma le può mascherare. «Io ho conosciuto il presidente del Consiglio tramite il mio ex fidanzato, e cioè A.D., peraltro la persona che mi ha portato in Italia... quando è finita la nostra relazione in modo b sco, io non sapevo che cosa fare e siccome quando avevo conosciuto il presidente Berlusconi mi aveva dato un suo recapito telefonico, e sapevo che il mio ex amante era suo amico, lo chiamai». «Per chiedergli cosa?» «Gli spiegai che A.D mi aveva lasciato, che non sapevo cosa fare, che non avevo una lira e gli chiesi se poteva aiutarmi. Lui fu molto gentile e disponibile. Mi disse: vedrò che cosa posso fare. Questo successe nel febbraio del 2009. Il 9 dello stesso mese mi sono recata ad Arcore. Sono stata ricevuta da Berlusconi e c'erano anche altre persone perché se non ho capito male era in corso una riunione politica. Io mi sono intrattenuta col presidente del Consiglio non più di mezz'ora... ho provato poi successivamente a richiamarlo ma non mi ha risposto. E allora ho chiamato l'utenza fissa di Arcore, lasciando un messaggio... poi riuscii a parlarci e gli dissi che volevo tornare in Brasile, che ero disgustata dall'Italia, che lo ringraziavo perché lui era stato gentile e disponibile nei miei confronti. E da allora non l'ho più sentito né visto sino al 27 maggio 2010». Vero o falsa che sia l'affermazione della bella Michelle, quel giorno, quel 27 maggio, Berlusconi si trovava a presiedere l'annuale riunione ministeriale dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), assieme al ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Si trovava a Parigi, impegnato in una giornata diplomaticamente intensa, con una scaletta rigorosa di appuntamenti ed incontri piuttosto importanti, culminati con la cena ufficiale all'ambasciata d'Italia. Eppure, come vedremo, la nostra Michelle, incurante del con62 Sodoma
testo chiamerà il presidente del Consiglio per informarlo della situazione di Ruby. Era al corrente della serata in cui era impegnato Berlusconi? Forse la domanda da porsi è un'altra: perché non avrebbe dovuto chiamarlo? Se la giovane brasiliana, ha conosciuto il capo del governo italiano, come un uomo che nel bel mezzo di un incontro di qualche natura politica, ad Arcore, riesce a ritagliarle mezz'ora del suo tempo, si è convinta che è un uomo generosissimo e che per le sue «amiche» è disposto a fare qualunque cosa! E poi ha un potere sconfinato, che non esita a esercitare in ogni occasione. Tanto che Michelle crede in lui come a un dio onnipotente e gli attribuisce perciò la possibilità, con una semplice telefonata, di liberare la sua amica Ruby. Non riesce a concepire, la brasiliana, che visto il luogo in cui si trova Ruby ci sono delle procedure da rispettare, che obbediscono a delle leggi, e tante persone che le servono quelle leggi. Forse, per lei, il suo «Papi Berluscone», essendo il capo del governo può disporre come vuole dei poliziotti e delle leggi, o forse, semplicemente sa che si sta profilando un bel casino all'orizzonte e bisogna porvi rimedio... Fatto sta che pure Michelle si attacca al telefono. È una sera speciale: tutti i protagonisti di questa vicenda sembrano dipendere dai loro cellulari. Che hanno un'apprezzabile caratteristica. Non mentono. Ogni chiamata viene identificata e memorizzata dai computer delle compagnie telefoniche: data, orario, luogo di «aggancio», numeri operanti. E sui dati incrociati dei tabulati telefonici che gli inquirenti valutano l'attendibilità dei testimoni. E Michelle non lo è. Dice per esempio di essere stata avvertita del fermo di Ruby dal centro estetico di corso Buenos Aires. Ma non è vero: non risulta alcuna telefonata. Mentre invece i tabulati registrano la chiamata di Katia. E non a caso Uda Boccassini le contesta la bugia. «Lei ha detto prima, nel raccontare gli accadimenti del 27 63
maggio, che aveva saputo dalla titolare del centro di estetica che a denunciare Ruby era stata la sua coinquilina a nome Katia, ma lei questa persona l'ha mai conosciuta?» «Ruby mi parlava di una Katia con cui aveva convissuto, ma
10 non avevo capito che si trattava della stessa persona. Ho o-
perto che era la Katia che io conoscevo soltanto dopo il 5 giugno e cioè quando, a seguito di un litigio, io e Ruby ci siamo picchiate e lei andò via di casa». La Boccassini la incalza. «Allora, come può spiegare che dall'analisi del suo tabulato risulta che il giorno 27 maggio 2010 lei riceve una telefonata da Caterina Pasquino della durata di 684 secondi? Non solo, sempre dall'analisi del suo tabulato risulta che successivamente a questa telefonata tra lei e la Pasquino vi sono state ulteriori chiamate». Michelle sbianca. Se le ricorda ancora, tutte quelle chiamate. Una mitragliata. La Boccassini è impietosa. Gliele elenca tutte, e sono dodici. Dalle 22 e 29 del 27 maggio a mezzanotte e 19 del 28. Una ogni nove minuti. La procuratrice non intende mollare l'osso. «Lei sta dichiarando cose non vere, cose non corrispondenti al vero e quindi la invitiamo a dire la verità perché altrimenti la sua deposizione di teste passa in quella di indagata per 11 reato di favoreggiamento». «Non sapevo che la persona che mi stava chiamando era la stessa persona che aveva denunciato Ruby», insiste Michelle. La Boccassini non fa una piega. «Ma lei si rende conto della inverosimiglianza di queste dichiarazioni?» «Me ne rendo conto, ma questa è la verità». La verità che hanno in mano gli investigatori è quella dettata dalla sequenza delle telefonate di Michelle. Alle 21 e 20, ossia un'ora dopo che Katia Pasquino l'aveva 62
Sodoma avvertita della situazione di Ruby, lei compone il numero del cellulare del ragioniere Giuseppe Spinelli, contabile di fiducia di Silvio Berlusconi. L'utenza è intestata alla Dolce Drago S.p.A. Il colloquio, sempre che ci sia stato, è breve: un minuto. Michelle, però, lo nega. «Ribadisco di non conoscere questa persona, questo signor Giuseppe Spinelli». Berlusconi, intanto, prosegue la sua cena di lavoro coi partecipanti al vertice Ocse, nei saloni dell'ambasciata italiana di Parigi. Mentre il premier sorseggia champagne coi suoi illustri ospiti, Michelle chiama il 113 (alle 21.38.03) per appurare se Ruby è nei locali della Questura. Risponde l'operatrice 334 e nel corso della conversazione Michelle spiega che Ruby è una minorenne, «una persona che è piccola d'età» e che abita con lei, «maggiorenne», con «tutti i documenti» in regola. L'operatrice le suggerisce di informare i genitori, «perché dovrebbero venire a prenderla». Michelle, nel descrivere Ruby, aggiunge un altro elemento. Ossia che la ragazza lavora «con Lele Mora, hai capito?» Una referenza, nel mondo della notte. Pochi minuti dopo Michelle si fa venire a prendere da un radiotaxi 8585 per dirigersi in Questura. Avesse pazientato ancora un'oretta, probabilmente Ruby l'avrebbe incontrata in carne ed ossa, nell'appartamento di via Villoresi, dove alle 22 e 40 l'avrebbe accompagnata con una volante l'assistente di polizia Marco Landolfi per raccogliere un cambio di vestiti. La brasiliana non perde tempo, armeggia febbrilmente la tastiera del suo cellulare. Alle 22 e 19 è il turno delle star. Entra in scena Nicole Minetti. Anche se, per il momento, dalla porta di servizio. Nicole è donna in carriera, astro nascente del Pdl, il partito di governo. È stata eletta consigliere regionale. Imposta personalmente, a febbraio, tre mesi prima, da Berlusconi nella li63
sta bloccata del presidente Roberto Formigoni. Ha 25 anni, è nata a Rimini, ha studiato al liceo classico, senza grandi risultati (all'esame di maturità la bocciano, per ottenere il diploma deve frequentare un istituto privato). Approda a Milano dove si barcamena come ballerina e hostess per fiere, mestiere imparato nella società del padre, la Expansion Consulting, che organizza eventi, sfilate e convention. Le capita di lavorare per la Publitalia, allo stand della Fiera di Rho, aperto nell'aprile del 2008. Qui viene presentata a Berlusconi, che se ne invaghisce. Nicole, poco dopo, troverà lavoro a Mediaset e laurea breve in igiene dentale presso il San Raffaele, l'ospedale di don Verzè, noto amico e beneficiario di Berlusconi. La Minetti diventa una delle hit models di Colorado Café, a Italia 1. Michelle la conosce. Si sono incontrate in qualche ristorante, o in discoteca. Tutti, nel giro, sanno che Nicole ha la piena fiducia del Cavaliere. Una fiducia conquistata su un campo di lino, quello delle lenzuola di Arcore visto che ai pm lo dirà chiaro e tondo: «con il presidente ho avuto anche rapporti sessuali». E soldi. Il solito «prestito infruttifero» che il Cavaliere non nega mai alle sue favorite. Per i pm del Palazzo di Giustizia di Milano, la bella igienista addirittura sarebbe la «reclutatrice» di alcune delle frequentatrici di Arcore. Per i quotidiani, la «maitresse». Comunque sia, è a lei che Michelle si rivolge per risolvere il problema creato da Ruby. Il contatto è alle 22 e 19 e dura 141 secondi. Nicole, secondo il tracciato dei tabulati, si trova in un ristorante, dalle parti di via Cernaia, non lontano dalla Questura di fronte alla quale, in quel momento, staziona Michelle. La consigliera regionale in realtà sostiene di trovarsi in un ristorante di Piazza Sant Eustorgio, al Ticinese, insieme al suo fidanzato, Simone Gianicola, già ex della starlette Sara Tommasi che entrerà di prepotenza in un'altra, strana, inchiesta napoletana. Il particolare del ristorante non è secondario perché permette di stabilire con esattezza i tempi degli sposta64
Sodoma menti. Mezz'ora dopo la telefonata di Michelle comunque, sappiamo che l'ex ballerina del Colorado Cafè ha parlato con gli agenti del corpo di guardia, pretendendo di essere «l'unica persona che può avere in affidamento» Ruby, come risulta dal colloquio tra l'assistente Landolfi e un poliziotto della terza Sezione, nei cui uffici è provvisoriamente sistemata Ruby. «E che ne sa questa persona? Cioè, questa persona com'è stata avvisata, scusami?» «Eh, non lo so, non ne ho la più pallida idea». «Mo' vediamo un attimino chi è questa persona perché il pm, non a me ma a un mio collega, ha detto che deveessere portata in comunità. A tutti i costi». Chi ha suggerito a Michelle di farsi affidare Ruby? È una sua iniziativa o una mossa consigliata da altri? Dalla Minetti? Nicole, in una intervista al quotidiano «il Giornale» del 29 gennaio 2011, dà una sua versione: «Sono al ristorante. Il cellulare continua a squillare: è un 329, un numero che non conosco. Rispondo: «Ciao, sono Michelle, non ci conosciamo, scusa, ma c'è un problema con r aby». Mi spiega qualcosa che neanche afferro bene. Sono tentata di farmi gli affari miei, ma il telefonino trilla di nuovo. È lui». «Berlusconi?» le domanda Stefano Zurlo, l'intervistatore. «Mi chiede la cortesia di andare in Questura e di intervenire per Ruby». «Scusi, ma le sembra normale?» «Chi conosce Silvio Berlusconi sa che è fatto così. Aiuta tutti, giovani e vecchi, donne e uomini». «Non esageri». «È la verità. In Questura mi spiegano che Ruby è minorenne. E senza documenti. Casco dalle nuvole. I funzionari hanno contattato la famiglia in Sicilia, ma ci sono problemi. L'unica soluzione è l'affido temporaneo. A me». Ricapitoliamo. Michelle chiama la Minetti che non sa nulla, 65
così afferma. Subito dopo è Berlusconi che cerca la Minetti. Per la Conceicao, invece, la meccanica della conversazione è ribaltata. Sostiene di avere chiamato più volte la Minetti a vuoto, «perché sapevo che conosceva Ruby, ma la Minetti non mi aveva risposto, perché probabilmente non aveva il mio numero e quindi ha visto sul display un numero sconosciuto. Poi la Minetti mi ha chiamato e mi ha chiesto: chi sei?» Chi mente? Non vi è traccia di tutte queste telefonate, come asserisce Michelle. L'unica che risulta agli atti è quella che lei effettua per chiamare la Minetti. Infine: se è vero quello che dice la Minetti, cioè che subito dopo l'ha chiamata Berlusconi, chi ha avvisato il presidente del Consiglio? Chi gli ha detto che Ruby era nei guai? «Siccome la Ruby mi aveva raccontato di essere stata il 24 febbraio 2010 ad Arcore presso la residenza del presidente del Consiglio e mi parlava spesso di Emilio e della Nicole, poiché io avevo il numero del presidente del Consiglio, lo chiamai. Parlai con il presidente del Consiglio e gli chiesi conferma se conoscesse la Ruby e Berlusconi disse di sì. Chiesi pertanto al presidente del Consiglio se poteva trovare un avvocato per aiutarla in qualche modo perché gli riferii nel dettaglio che la Ruby era stata portata in Questura in quanto era stata accusata di furto. Dopodiché il presidente mi disse se io avevo il numero di Nicole Minetti, io gli risposi di sì e lui mi disse di chiamarla». «Le ha risposto il presidente del Consiglio personalmente?» «Sì, certo». «Quante volte ha parlato quella sera col presidente del Consiglio?» «Due volte. La prima quando appunto gli ho raccontato che la Ruby era stata arrestata e portata in Questura; la seconda, quando la Ruby era stata affidata alla Minetti e stava venendo a casa mia in via Villoresi». «Lei ha mandato anche degli sms al presidente, è riuscita 66
Sodoma subito a rintracciarlo? La prima volta che ha chiamato l'utenza del cellulare di Berlusconi, è risultata libera?» «Effettivamente ho fatto più di una chiamata perché non mi rispondeva. Non ricordo però se prima gli avevo mandato degli sms». Niente da fare. Michelle è stata ben istruita, pronta a negare persino l'evidenza sulla sua vera attività.Quella di prostituta. I magistrati aprono sulla scrivania i verbali dei suoi tanti clienti, che hanno già provveduto a interrogare e che hanno confermato come la bella Michelle più che la modella ami farsi pagare con soldi e gioielli ogni relazione. Come il signor Condorelli che «nella deposizione resa in data 17 febbraio 2011 sostiene di avere avuto con lei svariati incontri, finalizzati esclusivamente ad avere rapporti sessuali in cambio dei quali lei ha perciò ricevuto dei gioielli». «Prendo atto di questa dichiarazione e rimango basita.» La Boccassini insiste. «Lei ha detto poc'anzi di essersi recata ad Arcore nel febbraio 2009 e di non essere mai più andata ad Arcore. Le contesto che tale versione non corrisponde a verità perché, sempre dall'analisi del suo tabulato, si è potuto constatare che il giorno 11 luglio 2010, alle 22,56, il suo cellulare ha effettuato traffico agganciandosi alle celle di Arcore.» «Prendo atto. Ma non posso che ribadire che io sono andata ad Arcore l'ultima volta nel febbraio 2009.» Ilda la «rossa» si spazientisce: «Ma lei per caso ha prestato il suo cellulare a qualcuno?» «No, non l'ho mai prestato a nessuno.» «Lei continua a sostenere che non ha mai esercitato attività di prostituzione, allora ci spieghi alcune annotazioni che sono rinvenute nel suo iPhone: «Usepe, cliente Boris; Boris cliente, amico. Enrique, cliente bg; Mauricio, cliente Buccinasco; Augusto, cliente centro» e altre indicazioni del genere.» 67
«Io mi sono dovuta arrangiare facendo i tavoli nelle discoteche, ovvero facendo la Pr e pertanto ho annotato nella mia agenda telefonica i nominativi dei clienti che ho conosciuto nei locali dove ho lavorato.» Ma l'agenda telefonica della de Conceicao è una miniera di sorprese: per non dimenticarsi le peculiarità caratteristiche dei vari clienti, a fianco di alcuni nomi ha aggiunto la definizione di «cabrito». «Che significa?» le chiede Ilda Boccassini. «Vuol dire animale... ma non so spiegare le ragioni per le quali vicino a un nome io ho aggiunto tra parentesi cabrito». E via così, tra una contestazione e tanti «non ricordo», una puntualizzazione e un disarmante «non so spiegare». Una difesa quasi patetica, a tratti, persino involontariamente comica. Come mai, ad esempio, a fianco del nome di alcune donne, la puntigliosa Michelle si premura di aggiungere il sostantivo «troia»? «Ogni volta che ho messo il numero di cellulare riportante il nome della persona con l'indicazione "troia", sta a significare che avevo scoperto che Luca Dantone, il mio fidanzato, mi aveva tradito con queste persone.» La Boccassini sembra prenderci gusto. Ma non è così, perché l'obiettivo è dimostrare che Michelle è una che racconta frottole, anche da quattro soldi. «Siccome sulla sua agenda anche al nome di Ruby è indicato "troia", con una registrazione del numero che peraltro avviene in data 27 aprile 2010, vuol dire che anche la Ruby ha avuto una relazione con Luca?» «L'indicazione "Ruby troia" non è dovuta al fatto che lei aveva avuto dei rapporti sessuali con Dantoni Luca, che lei non conosceva. Prendo atto che io ho registrato il numero di Ruby il 27 aprile 2010 e che esattamente è riportato il numero di Ruby, io non so spiegare le ragioni per le quali ho inteso aggiungere al nome Ruby, troia». 70 Sodoma
«Ma lei si rende conto che sta fornendo tutte spiegazioni inverosimOi?» «Mi rendo conto che può sembrare inverosimile, ma io non so spiegare le ragioni perché al nome Ruby ho scritto troia». La Boccassini non si accontenta di una risposta scappatoia. «Sempre sulla stessa rubrica, lei ha registrato con l'indicazione papi Silvio Berluscone un numero di recapito cellulare registrato il 24 maggio alle 2 e 59...» «Sì, l'ho fatto perché tutti lo chiamano così. Non ho dato un significato specifico all'indicazione papi». «Le faccio presente che sempre nella stessa rubrica lei ha registrato in data 16 giugno 2010 l'indicazione casa Roma Silvio con un numero di telefono che effettivamente corrisponde alla residenza romana del presidente del Consiglio. Chi gliel'ha dato questo numero?» «Io non mi ricordo in che modo mi sono procurata questo numero. Non escludo che mi abbia dato tutti i suoi recapiti proprio il presidente del Consiglio, perché il presidente è una persona gentile e io posso dire che con me si è sempre mostrato disponibile, anche se da lui non ho ricevuto nulla». L'agenda di Michelle è una fonte inesauribile di curiosità, e svela molto più.di quello che la brasiliana lascia filtrare con le sue risposte elusive. Come il cacciatore che stringe il cerchio per catturare la presa, così il pm procede nell'individuare le vere generalità dietro nomi e nomignoli, puntando progressivamente verso quelli che potrebbero riservare qualche sorpresa, o che comunque confermino le «relazioni eccellenti» tra la brasiliana e la rete delle ragazze che ruotano attorno all'entourage di Emilio Fede e Lele Mora, i fedelissimi delle notti di Arcore. D'altra parte, Michelle non è che si sia data molta pena per mimetizzare i suoi amici. Per esempio, ci sono un paio di indirizzi telefonici che sono maldestramente camuffati: chi si cela dietro P«autista jauaopaulo (Berluscone)? E a chi si riferisce 71
«jauaopaulo Berluscone», in cui il nome Berluscone è riportato senza parentesi? Entrambi i numeri sono registrati alla stessa data, il 2 marzo 2009, dunque a occhio e croce potrebbero appartenere allo stesso individuo. «Sono le persone che sono venute a prendermi per portarmi ad Arcore il 9 febbraio del 2009», risponde la reticente Michelle, mantenendosi nel vago. E poi, che cos'altro volete sapere da me? Si atteggia a vittima, la brasiliana, con la Boccassini, che la sta mettendo alle strette, ma sa che mentire troppo spudoratamente le costerebbe caro. La pm le contesta i fatti, e su quelli c'è poco da cincischiare. Alla prima occasione, però, dirà la sua. Succede in occasione della grande mobilitazione delle donne di domenica 13 febbraio 2011. Le chiedono di commentarla e lei che fa? Come una qualsiasi ministro Gelmini, si esibisce in lodi sperticate per il suo campione: «Berlusconi è una persona onesta e perbene, non mi ha mai mancato di rispetto e, in quanto donna, da lui, alle sue cene, non mi sono mai sentita né offesa né maltrattata». L'agenzia di stampa AdnKronos si affretta a riportare il suo giudizio sulle manifestazioni del 13 febbraio: «Capisco le donne, ma mi sento più offesa da chi mi definisce una prostituta senza conoscermi». In un Paese normale, il giornalista l'avrebbe confutata, verbali alla mano. Ma in Berluscolandia si lascia correre. Meglio consentirle di declamare il mantra di corte, «la sinistra vede in Berlusconi tutti i mali, manca solo che lo accusino di omicidio o di essere andato a letto con un uomo», e dove va a puntare l'autrice dell'agenda zeppa di raffinate annotazioni come «troia» e «cabritos»? «La sinistra ha poco da insegnare, basta pensare al caso Marrazzo», l'ex presidente della Regione Lazio che frequentava viados, e che per questo, è bene ricordarlo, è stato anche ricattato. Con un particolare: che Marrazzo, travolto dalla scandalo (e dalla vergogna), si è dimesso dalla carica. Ma questo, ovviamente, è un dettaglio che non conviene ricordare... 70
Sodoma Agli occhi della loquace - coi giornalisti che le danno spago - Michelle, quello di Marrazzo è stato un peccato ignobile, il massimo dei peccati nel regno delle mascherate eterosessuali made in Arcore. Dove, secondo l'ineffabile brasiliana, non c'è stato nessun bunga bunga, bensì «solo serate in cui si parla di politica ed economia». A prescindere dalle marchiane fandonie che la donna ha cercato di rifilare agli inquirenti, un dato assodato è che Michelle ha frequentato spesso e volentieri Arcore - lo testimoniano i dati dei tabulati telefonici e le intercettazioni - non per assistere a seminari di politica economica, né a riunioni di partito o sofisticati incontri culturali; e tuttavia, ha avuto la possibilità, lei senza arte né parte, di ottenere numeri solitamente inaccessibili ai comuni mortali di questa Penisola. Mentre l'interrogatorio si esaurisce e la Boccassini la invita a firmare, previa rilettura, le dichiarazioni rese, la Pinocchia di via Villoresi si rende perfettamente conto del rischioso gioco cui è stata costretta dalle circostanze: ha dovuto procedere in bilico su di una china assai scivolosa, peggio, le è sembrato di stare sospesa sul filo del rasoio, ma non aveva alternative. Parlare, cioè rivelare, è verbo sconosciuto nel suo ambiente. Vuotare il sacco è farsi harakiri, dire addio alla bella vita, ai privilegi di far parte della scuderia che ti porta ad Arcore; ed essere dimenticata dai clienti di buon portafoglio, come quel tale che lei il 20 febbraio del 2009 ha inserito nella rubrica sotto la «a». Non nel senso di un Alberto o di un Antonio, ma in quello assai più prosaico ma redditizio - dell'«aereo privato (toni)». «E un mio amico di cui sconosco il cognome ma che ho sempre chiamato Toni, che mi aveva raccontato di avere un aereo privato». Cara dottoressa Boccassini, deve aver pensato cinicamente Michelle, la riservatezza è una referenza decisiva, se la violi sei out. Tu lo sai, io lo so. 71
Non resta che dire per non dire, e recitare la parte di chi cade dalle nuvole, per salvare il salvabile, sforzandosi di far apparire verosimile una improbabile lezioncina da recitare. La disincantata Boccassini, infatti non ha abboccato, e le ha contestato ogni incongruenza. Ma è meglio correre dei rischi, piuttosto che mandare all'aria tutto il suo bel mondo che si era conquistata con tanta fatica. In fondo lei, piccola prostituta brasiliana arrivata dalle favelas di Rio de Janeiro, ha avuto già una grande fortuna nella vita, riuscendo ad inserirsi nel «giro giusto». Probabilmente, dal suo punto di vista, perdere quel mondo dorato di auto, gioielli e tanti soldi, è più preoccupante di qualche rogna con i magistrati, perché quando vuole, alza il telefono e può parlare direttamente con «lo spirito santo». Lo ha confidato all'amica Nicole. E la Minetti, candidamente, dirà lo stesso in un altro verbale, il 30 gennaio. Come Belushi nel film Blues Brothers, Nicole e Michelle hanno visto la luce. Una luce che ha abbagliato milioni di italiani. 72
6. MODELLO 45 In verità, gli italiani di quello che è successo tra la sera del 27 maggio e l'alba del 5 giugno 2011, ignorano tutto. Dovranno aspettare il 26 ottobre, sino cioè a quando «il Fatto Quotidiano» rivelerà che in Procura c'è un'inchiesta che ha al centro la storia di una ragazza minorenne di origine marocchina. Si chiama Ruby ed è stata ascoltata dal sostituto procuratore Antonio Sangermano, nell'ambito di un'indagine sui locali e le discoteche della movida milanese. Durante l'interrogatorio, la ragazza ha dichiarato di avere avuto alcuni incontri con il presidente Berlusconi nella sua villa di Arcore in occasione di feste e party, insieme a un sacco di altre ragazze. Almeno, questa è la prima versione che si ha del Rubygate. Ma per 151 giorni nulla di tutto ciò è trapelato, neanche il minimo dettaglio. Cinque lunghi mesi di assoluto silenzio. Inconsueto, in un Paese come l'Italia dove lo sport nazionale è rivelare i segreti degli altri. Macché. Stavolta, la discrezione è totale. Chi sa, tace. Bocche cucite in Questura, dove pure la storiella della «nipotina di Mubarak» aveva fatto sghignazzare un sacco di gente. Nulla del litigio di via Villoresi, a due passi dai Navigli, e da alcuni noti ristoranti. Un velo, per nulla pietoso, è calato sulle telefonate di Berlusconi da Parigi, la sera del 27 maggio, mentre era in corso una cena ufficiale all'ambasciata d'Italia, che coronava una giornata importante, la conferenza annuale dell'Ocse in cui il nostro Paese era presidente. I disincantati italiani, pur allenati dalle cronache del disinvolto modo di vivere del loro pre73
mier, mai e poi mai avrebbero potuto supporre che il capo del governo si sarebbe affannato a chiamare la Questura di Milano invece di occuparsi degli ospiti, per evitare che una minorenne marocchina restasse nelle mani dei poliziotti e potesse spiattellare qualcosa di molto imbarazzante. Che lei, minorenne, partecipava assieme a tante altre ragazze, alle sfrenate feste del bunga bunga nella sua villa di Arcore. Paura di essere ricattato? È possibile, altrimenti non si spiega tanta insistenza, né l'immediata mobilitazione della prosperosa Nicole Minetti, neo consigliera regionale eletta nella lista blindata del riluttante Roberto Formigoni (il quale forse ne avrebbe fatto a meno), per liberare Ruby dalle grinfie della polizia. Che cos'ha di tanto particolare, questa Ruby, a parte la bellezza provocante? E accusata di furto, è scappata da una comunità protetta, ha condotto un'esistenza piuttosto scombussolata. Per di più, non ha ancora diciotto anni. Che sia questo il vero motivo che sta dietro l'inusitato intervento di Berlusconi? Può essere. Eppure, nonostante questa ghiotta circostanza, nessuno racconta fuori delle mura di via Fatebenefratelli, che per una minorenne da far girar la testa si è mosso in persona il Cavaliere. Roba da farci un sacco di soldi, solo a vendere la notizia. Nessuno lo fa. Tutto si dipana senza suscitare clamore alcuno. Il 5 giugno la polizia porta la ragazza marocchina in ospedale, per curarsi le ferite delle botte rimediate nella lite con la prostituta Michelle. Alla clinica pediatrica De Marchi di via della Commenda, Ruby resta sino al 7 giugno. «Giunti presso la clinica De Marchi io rimasi da solo con la minore nella sala definita astanteria - dirà l'assistente capo Antonio Leanza al sostituto procuratore Antonio Sangermano il 6 dicembre del 2010, dunque a scandalo già scoppiato - e in quel frangente la ragazza mi disse che la De Conceicao faceva la prostituta di professione, che spesso portava i clienti a casa e in 74
Sodoma quelle occasioni la invitava a rendersi disponibile spogliandosi, ovvero accettando di farsi toccare e che in cambio di questa disponibilità sarebbe stata remunerata». «La minore El Mahroug Karima fece riferimento ad amicizie importanti che le avrebbero consentito di risolvere le sue problematiche?» «Sì, ricordo distintamente adesso che lei mi pone la domanda, che la ragazza mi disse che se avesse avuto la disponibilità del suo cellulare lasciato invece in via Villoresi, avrebbe potuto chiamare una persona importante per risolvere la situazione parlando, in riferimento a questa persona, del presidente, senza specificare in alcun modo chi fosse questa persona e a quale carica si riferisse». Ruby è visitata accuratamente, ha un colloquio con la psicologa Elisabetta Giribaldi ed è seguita dall'assistente sociale Eva Brivio del Servizio Pronto Intervento Minori del Comune di Milano. Lunedì 7 giugno l'assistente Brivio, accompagnata dalla psicologa Giribaldi, vanno a trovare Ruby che le accoglie nella sua cameretta, mentre in tuta sta guardando la televisione. «Ci raccontò che mentre dormiva una sua amica di nome Michelle l'aveva colpita con uno spazzolone. Lei si era difesa, l'aveva afferrata per i capelli e alla fine era riuscita a prevalere. Disse anche che i suoi genitori vivevano in Sicilia, che si era allontanata da casa a circa quindici anni, che i suoi erano musulmani mentre lei si era convertita al cristianesimo, aggiungendo che il padre le aveva buttato dell'acqua bollente in testa. Ci disse anche che aveva partecipato a dei concorsi di bellezza in Sicilia, che Emilio Fede l'aveva notata e che le aveva fatto conoscere Lele Mora. Grazie a Mora era arrivata a Milano ed aveva iniziato a fare la ragazza immagine a delle feste dove lei diceva "si cena, si balla", e in cambio le davano dei soldi, dei regali». Ruby ha una biografia per ogni occasione. Alle due donne 75
che l'ascoltano pazientemente, si presenta come una starlette televisiva, con le amicizie che contano. «Karima aggiunse che Emilio Fede in più occasioni l'aveva portata a delle feste presso la villa di Arcore, dove vi erano altre ragazze come lei. E quando andava a queste feste, di solito riceveva denaro o regali e che, in questo modo, poteva aiutare economicamente la famiglia. Aggiunse di avere perdonato Michelle, che sarebbe tornata a casa e che godeva di amicizie in Questura che l'avrebbero aiutata, facendo anche dei nomi: tale Ermes e Fusaro. E poi disse che era stata affidata al consigliere Minetti e che la stessa, una volta uscita dall'ospedale, l'avrebbe aiutata. Noi la invitammo a diffidare di quell'ambiente, ma lei si mostrò molto sicura». «Ma le faceste la domanda precisa, e cioè se si prostituiva?» «Gliel'abbiamo chiesto in tutti i modi, ma non in forma esplicita tipo: ti prostituisci?, rimarcando molto il fatto che nessuno nella vita fa niente per niente e che quindi ricevere regali o denaro poteva significare che era costretta ad avere delle prestazioni di carattere sessuale. Ma lei ha sempre negato». La psicologa Giribaldi ha poco da aggiungere, ma qualche dettaglio è fondamentale. Per esempio, la storia del concorso di bellezza in Sicilia. «Ci disse che era presente anche Emilio Fede, che era rimasto colpito dal suo racconto al punto di dirle, se vuoi fare televisione io ti posso aiutare. Ci disse che era stata messa in varie comunità dalle quali era sempre scappata, che comunque lavorava molto facendo comparse in tv, che era una bella ragazza e che, anche se noi la vedevamo senza trucco e con una tuta, lei ci teneva a precisare che una volta truccata sembrava ancora più bella. Devo dire che già così appariva senza ombra di dubbio una bella ragazza. Raccontò che partecipava a varie feste dove veniva pagata semplicemente per il fatto di esserci. Ricordo che si vantò di essere stata anche ad Arcore, insieme ad 76
Sodoma altre ragazze, e che veniva pagata molto. Ricordo che parlò di 5mila e anche di 20mila euro e che in un'occasione, dopo averla accompagnata con una grande macchina ma non disse da chi, questa persone le dette un collier d'oro. Ci teneva a sottolineare, la ragazza, che aveva sempre il portafoglio pieno di soldi e che quindi non le mancava nulla. La sua intenzione era appunto guadagnare parecchio per aiutare la famiglia, fare studiare i fratelli e cose del genere. Era molto contenta di stare a Milano perché lavorava nel campo della moda e Lele Mora l'aveva presa sotto la sua ala protettiva». Appena dimessa è affidata alla Comunità «Protezione della Giovane» che fa parte dell'Associazione Cattolica Internazionale al Servizio per la Giovane (A.C.ISJF), fondata nel 1902 a Torino. Si occupa in particolare di ricostruire, sul piano umano, psichico e spirituale, quelle povere ragazze e donne che giungono in Italia dall'Albania, dai Paesi dell'Est e dall'Africa irretite dalla promessa di un buon lavoro e che poi vengono invece immesse violentemente nel mondo della prostituzione. Giovani che hanno perso ogni fiducia negli adulti, che hanno grossi problemi di salute (spesso anche guai giudiziari) e gravi situazioni familiari. Oggi la sede principale sta a Roma ed è ramificata in molte città d'Italia, nonché all'estero. Per Ruby si aprono le porte della filiale genovese. Qualcuno tira un sospiro di sollievo. Ruby è finalmente fuo-, ri scena. In dieci giorni, e ben due volte, stava per mandare tutto all'aria. A Genova, difficile per lei combinarne delle altre. La discrezione degli eventuali testimoni sarebbe stata annotata e magari ricompensata. Le tracce della sventatella, perse. Avesse avuto delle pretese, Ruby, sarebbe stata accontentata e zittita. Invece. Invece qualcosa s'inceppa, nel meccanismo del silenzio e della dimenticanza. 77
Convergenze parallele «Edmondo, scusa, avrei bisogno di parlarti di una giovane marocchina fermata in Questura qualche giorno fa». Il pm Antonio Sangermano ha un fare sornione quando una calda mattina di metà giugno entra nell'ufficio del Procuratore, Edmondo Bruti Liberati. E anche un'aria compiaciuta, perché i fatti narrati nel primo rapporto arrivato sulla sua scrivania dagli agenti del Quarto distretto, sembrano preludere a qualcosa di grave che nessuno vuole davvero raccontare. Per un inquirente come lui, che si è fatto le ossa nella distrettuale antimafia di Messina seguendo poi a Milano numerose inchieste di droga e pedofilia, è come un invito a nozze provare a svelare un mistero. «Capisci? Qui scrivono che a farsi affidare questa ragazzina minorenne è stata la consigliere regionale Nicole Minetti, hai presente quella famosa perché è stata l'igienista dentale di Berlusconi? Ecco, mi chiedo: ma cosa c'entra questa qua con una marocchina sbandata di diciassette anni? E poi, guarda: scrivono che insieme alla Minetti c'era anche una tipa brasiliana che deve essere un programma... È proprio strano, non trovi?» Nel primo rapporto dei due agenti del Commissariato Vittoria-Monforte non c'è ancora nessun accenno alla telefonata del presidente del Consiglio per liberare la «nipote di Mubarak». Però c'è un altro dettaglio che colpisce i due magistrati: l'intervento affannato del Capo di Gabinetto, Pietro Ostuni, che dopo il Questore è la massima autorità di via Fatebenefratelli. Come mai l'alto funzionario si agita in questo modo, e per giunta nel cuore della notte,, telefonando ai suoi subordinati per una ragazzina fermata per furto? Il Procuratore si sfila gli occhiali, solleva gli occhi al cielo e ci pensa un po' su. Poi dice: «Altroché se ho presente chi è la Minetti, è su tutti i giornali. Ma non è solo per questo». 78
Sodoma Pochi giorni prima infatti, Bruti Liberati aveva appena deciso di archiviare un esposto del Partito Radicale che denunciava una serie di firme palesemente false o irregolari presentate alla Corte d'Appello dagli uomini di Roberto Formigoni per permettere l'ingresso nel listino blindato del presidente della Lombardia della Minetti e del massaggiatore del Milan, Giorgio Puricelli. Un pasticcio nato dal fatto che solo all'ultimo momento Silvio Berlusconi aveva ordinato di fare spazio in Consiglio Regionale per inserire i suoi due candidati. Non avendo più il tempo di raccogliere le firme necessarie alla presentazione, i membri del comitato elettorale avevano pensato bene di dirottare un po' di nomi trovati a caso sotto quelli dei nuovi arrivati. Questione di timbri e spostamento di firme. Mancando prove certe che dimostrassero la truffa, Bruti, magistrato prudente e pragmatico, aveva preferito lasciar stare. E far partire un'altra inchiesta, sotterranea e più approfondita magari, affidata all'aggiunto Alfredo Robledo. Ma quella mattina di giugno, tutto avrebbe pensato il Procuratore tranne che trovarsi di nuovo sotto gli occhi, il nome di Nicole. «Be', forse è il caso di capirci qualcosa, Antonio. Apriamo un fascicolo contro ignoti e iniziamo a indagare». Chissà. Magari ne sarebbe venuta fuori una qualche raccomandazione irregolare da parte della neo consigliera del Pdl. Questi giovani in carriera, appena ottengono un po' di potere si sentono subito dei padreterni. Due ore dopo è un altro magistrato a bussare alla porta di Bruti Liberati. Stavolta chiede udienza il suo aggiunto Pietro Forno, capo del dipartimento reati sessuali e tutela dei minori. Forno è un piemontese roccioso. In tutti i sensi. Anche adesso che con i suoi 65 anni è a un passo dalla pensione, non rinuncia nei week end ad armarsi di macchina fotografica e pedule per scalare montagne. D'estate, poi, si lancia in chilometriche peda79
late, massacrando la sua bicicletta. In Procura, i giornalisti, cinici e spietati come sempre, lo hanno soprannominato «Pietro Porno», per la peculiarità dei reati di cui si occupa da anni. Non senza qualche polemica. Come quando, nel 2000, fece arrestare un tassista per abusi sulla figlia. Dopo due anni e mezzo di carcere, il presunto autore dell'incesto venne prosciolto da ogni accusa. Un incidente di percorso che lo allontanò da Milano e lo esiliò, per una parentesi di quattro anni, alla Procura di Torino. Molto più vicino, tuttavia, alle sue amate montagne... Considerato il fondatore di un metodo investigativo per gli abusi sessuali che gli è stato comunque riconosciuto in tutta Europa, in realtà Forno ha lavorato in passato sui fronti più disparati: negli anni Settanta ha dato la caccia a terroristi rossi e neri, da giudice istruttore ha firmato l'arresto di Cesare Battisti, il terrorista dei Pac rifugiato in Brasile e accusato dell'omicidio del gioielliere Torreggiani, mentre da pubblico ministero ha sostenuto l'accusa contro Armando Verdiglione, il «guru» filocraxiano della Milano bene, e contro la setta americana di Scientology. Non sempre ha vinto. E questo, in un certo senso, lo ha aiutato talvolta a relativizzare le cose della vita. Quando entra nell'ufficio del Procuratore, Forno ha giusto l'aria disincantata di chi ci mette un po' prima di convincersi che è sulla strada giusta. Anche lui ha in mano una relazione di Polizia. Si rivolge al capo, con la sua cantilena piemontese, quasi rallentata. Bruti Liberati, che lo conosce da mo', si concede un sorrisino complice. «Edmondo, dai un'occhiata qua: una prostituta maggiorenne che picchia una prostituta minorenne. E fino a qui, be', che ci vuoi fare? Capita, ogni tanto... Solo che la minorenne è una giovane marocchina che già una settimana fa era stata fermata in Questura. E sai a chi era stata affidata?» «Lo so, non me lo dire: alla consigliere regionale Minetti...» 80
Sodoma Forno lo guarda con aria finto infastidita. «Che fai? Mi spii le carte sulla scrivania?» «Ma figurati. Aspetta un attimo. Pronto, segreteria? Sono Bruti, mi convoca per favore il sostituto Sangermano?» Poi guarda Forno. «Adesso ti faccio capire». Il marchese Edmondo Bruti Liberati, discendente di un'antica famiglia papalina marchigiana, è un magistrato ironico e di lunga, lunghissima esperienza, non solo nei tribunali. Ha fatto il pm, il giudice giudicante, il vice procuratore generale durante Mani Pulite. È stato prima segretario poi presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, presidente di Magistratura Democratica, eletto nel Consiglio Superiore della Magistratura, ha ricoperto incarichi di rilievo presso l'ufficio europeo anti frodi di Bruxelles, nella Corte di giustizia dell'Unione Europea. E pochi mesi prima di quella mattina di giugno è stato nominato dal Csm, il Consiglio Superiore della Magistratura, Procuratore capo di Milano all'unanimità, compresi i voti dei membri laici di destra del Plenum. Un plebiscito per un uomo considerato «dialogante» da un potere politico con cui ha dovuto spesso confrontarsi quando era al vertice dell'Anni, l'Associazione nazionale dei magistrati. Molto di questo consenso «bipartisan» lo deve al suo carattere prudente, e al suo atteggiamento professionale, per nulla incline alla spettacolarizzazione delle inchieste. Di lui non si è mai detto che fosse un estremista delle procure. Bruti insomma è l'uomo ideale: piace alla sinistra, va bene alla destra. A Berlusconi avevano provato a spiegarlo, ma il Cavaliere aveva alzato le spalle: lui dei magistrati non si fida, a prescindere. E poi, come fidarsi di uno come Bruti che in ufficio di solito arriva in tram, oppure in bicicletta con l'immancabile zainetto sulle spalle? L'esatto contrario del prototipo berlusconiano. «Fatti non foste per viver come ■ ■■Bruti», si sente dire spesso al quarto piano della Procura per canzonare il capo. Ma se lasciasse un po' stare le ragazzine e si 81
dedicasse maggiormente ai classici, anche il Cavaliere lo avrebbe scoperto da un pezzo cosa diceva Dante nel suo Inferno. Vuoi vedere che forse il Poeta aveva ragione? Perché quella mattina a Milano sta iniziando a far caldo. Un po' troppo a dire il vero. Con l'arrivo dei due magistrati nell'ufficio del Procuratore è come se due cavi di una batteria avessero fatto finalmente contatto mettendo in moto una macchina. Non si dice che quella lenta ma inesorabile, è la macchina della giustizia? Solo che i cavi del Palazzo di Giustizia sono da usare con cautela, coi guanti, capaci come sono di provocare scintille incontrollabili... Mi sa, pensa Bruti, che sarà più prudente muoversi con la massima accortezza possibile. «Pietro, dov'è stata messa questa ragazza marocchina? Sarà meglio che tu le vada a parlare. Antonio, intanto tu prova a chiedere i tabulati del suo cellulare. Vediamo chi frequenta. Partiamo tranquilli, eh? Però partiamo. Modello 45, contro ignoti. Per il momento». 82
SECONDA PARTE Prostituzione
7. LA PRIMA VOLTA DI RUBY Milano, piazzetta Umanitaria, uffici della Polizia Giudiziaria, 2 luglio, ore 10 e 55. Sono trascorsi ormai 25 giorni. Ruby li ha passati in comunità, a Genova. Le indagini su di lei, nel frattempo, hanno dato riscontri assai interessanti, agli inquirenti. Grazie ai tracciati telefonici del cellulare di Karima, hanno capito che le vanterie della ragazza minorenne hanno più sostanza di quello che sembri. Per esempio, che è stata più volte ad Arcore, anche fermandosi la notte. Che spesso, ha grandi disponibilità di contante, e quasi sempre in banconote da 500 euro. Che conosce gente importante, Lele Mora, Emilio Fede, Nicole Minetti, proprio come aveva affermato. Ma ci sono ancora dei vuoti, nel suo passato. Chi è veramente questa ragazza bellissima, per la quale il presidente del Consiglio si è speso telefonando da Parigi alla Questura di Milano sino a mentire sulla sua identità? Qual è il passato di Ruby? Da dove spunta? I magistrati hanno già un cospicuo dossier su Karima El Mahroug, ma non ne conoscono la personalità. È venuto il momento di incontrarla. In Procura, decidono che il primo interrogatorio venga affidato a Pietro Forno, il magistrato più esperto nell'approccio con i minori. Lo aiuta una assistente sociale, dei Servizi Sociali di Milano, la dottoressa Pasqualina Giallongo. E nessun altro. Nessun uomo in divisa. Nessun cancelliere. Solo un registratorino digitale Olympus, di quelli che i reporter usano per le interviste. Viene appoggiato discretamente sul tavolo, in una stanzetta della palazzina grigia della Polizia Giu85
diziaria, dove si svolgono gli interrogatori più riservati. Karina è senza avvocato, perché è stata convocata in qualità di testimone. Ma si è fatta accompagnare da Diana Mora, la figlia di Lele, che resta ad aspettarla fuori e che la vorrebbe in affidamento. Karima dimostra subito d'essere una ragazza sveglia. Mentre il magistrato armeggia con l'Olympus VS 321, e le chiede il consenso all'uso, lei sorride e dice: «Importante...» «Eh?» chiede la Giallongo. «E importante?» ripete Karima indicando con lo sguardo l'apparecchio. «Deve. Tutto si verbalizza.» Il ghiaccio è rotto. Forno salta i preamboli. «Allora, ti ricordo, ma è una cosa che va da sé, è evidente, che visto che parliamo di cose serie, tu a me devi dire la verità. Non te lo dico perché dubiti che tu non me la dica, te lo dico perché ho il dovere di dirtelo, hai capito?» Karima annuisce. «Funziona, questo registratore?» si chiede Forno, tanto per sciogliere la tensione. Karima sta al gioco. Lancia uno sguardo all'Olympus. «L'ho usato diverse volte.» «Proprio questo modello?» «No perché...l'ho usato per quello che mi faceva lavorare alle Capannine di Catania, volevo minacciarlo con il registratore per il fatto che comunque mi aveva.. .faceva proposte nel lavoro, poi gliel'ho mandato e gli ho detto: guarda, se non la smetti...» Forno piglia spunto da questo episodio. «Senti, Karima: io so molto genericamente che tu, a partire da una certa età, ti sei trovata praticamente da sola, ad assumere anche atteggiamenti un po' decisi. Ecco, io vorrei capire la tua vita. Tu hai una famiglia?» 86
Sodoma «Io ce l'ho la famiglia, non è che non ce l'ho. Però... è come se non ci fosse. I miei vivono a Letojanni, in Sicilia... ma sono nata in Marocco a Fkih ben Salah il primo novembre del 1992. Lì ho vissuto fino a 9 anni. Con una sorella gemella, che è rimasta con gli zii. Io ho tutta una parte della mia vita marocchina.» «E tuo papà?» «No, mio padre non c'era. Mio padre era assente. Era sempre in Italia per lavoro, cioè, lo vedevo sì e no una volta ogni tre anni, praticamente... lui lavorava in una concessionaria a Torino per la Fiat, poi ha avuto un incidente stradale, si è rotto la rotula e dato che era in un periodo di vacanza dalla concessionaria, quando è tornato non lo hanno più voluto. Non gli hanno più dato neanche la liquidazione. Si è dovuto arrangiare, finché ha trovato un lavoro a Randazzo, in un negozio di tappezzeria. Alla fine ha deciso che ci voleva vicino. A me non piaceva vivere lontano da mio padre.» «Sei figlia unica?» le chiede Forno. «No, magari. Siamo sette figli. Io sono quella media. Ho anche una sorella gemella che si chiama Rayla (è rimasta in Marocco con la nonna materna). In Italia siamo arrivate da sole io e mia madre e poi lei ha partorito altri tre figli in Italia. All'inizio, erano tutte rose e fiori. Dopo, sono arrivati i problemi. Perché io avevo bisogno di portare avanti le mie scelte. Già da piccola, anche in Marocco, non accettavo tantissime cose della mia cultura. Arrivata in Italia, per esempio, ho voluto frequentare la scuola mentre mio padre era contrario perché, diceva, una ragazza non ha bisogno di essere acculturata, deve essere acculturato l'uomo, perché se già lo superi in intelligenza, poi lo superi in potere, secondo il ragionamento arabo. Comunque, io ho lottato per frequentare la scuola. Quando ho voluto iscrivermi alle superiori, lui non era d'accordo.» «Che cosa volevi fare?» «Seguire l'indirizzo psicopedagogico.» 87
«Lo ha finito?» «Devo fare il quinto anno, adesso. Sono uscita di casa a tredici anni, proprio per questa cosa della scuola. E, a maggior ragione, per il fattore della religione, volevo essere battezzata.» Karima ha nove anni, nel 2001, quando s'imbarca a Tangeri assieme alla mamma per attraversare il Mediterraneo fino a Genova. E poi in treno fino in Sicilia, a Letojanni, sul mare, a metà strada tra Catania e Messina, vicino a Taormina. Un viaggio lunghissimo di oltre tre giorni. «Mio padre in Marocco era anche un imam. Anzi, era uno dei dotti della moschea. Un uomo severo, legato alle tradizioni islamiche.» La bambina Karima, sveglia, esuberante, già molto bella, sembra essere una maledizione per un uomo religioso come lui. Lo descrive come un'intollerante, che in più non ha pazienza e se deve dare un ordine è una minaccia, e se riceve risposta è un'insubordinazione. Così sono botte, cinghiate, violenze di ogni tipo. Ruby vorrebbe crescere come gli altri bambini, diventare grande e avere i suoi primi fidanzati, vorrebbe studiare. Magari anche andare a catechismo, come gli altri compagni di scuola. «Chiedevo alle maestre di mandarmi di nascosto da mio padre a frequentare catechismo. Il parroco e la suora mi suggerivano di fare dei passi importanti, per la vita di un cattolico: il battesimo, la comunione, la cresima, però io avevo solo tredici anni e ci sarebbe voluto il consenso dei miei. Così mi sono rivolta a mio padre per chiederglielo e lui, che stava friggendo patate, mi ha tirato addosso una padella di olio bollente.» Ruby solleva una manica della maglietta che le copre le spalle e mostra le cicatrici al magistrato. A lui sembrano piuttosto i segni di una vaccinazione. Karima protesta. «Mio padre mi voleva sfigurare il volto, per fortuna sono guarita...» 88
Sodoma Forse ha esagerato, Karima, nell'ingigantire la violenza del padre. Forno è perplesso. Osserva con una certa attenzione la mimica facciale della ragazza. Non sa se crederle. Più volte, il magistrato, avrà il dubbio di stare ascoltando una storia un po' troppo romanzata, soprattutto quando Karima parla della sua adolescenza perduta. Certo, è difficile restare indifferenti alle parole di Karima, che modula con sapienza i cambi di tono e di espressione, come a voler raffigurare quasi teatralmente dolore e sofferenze. Non di rado una lacrima le riga le guance. Il pm decide di fotografare le cicatrici sulle braccia e anche quella che compare sulla cute della testa, nascosta dai lunghi capelli di Karima. Però, certo la storia di Ruby è quella di un padre padrone e di una bambina maltrattata. «Le sue cinture, eh... quante se n'è dovute comprare. Se ne sono rotte talmente tante sulla mia schiena...» «Allora, hai una schiena dura...» «Eh, vabbé, la schiena si abitua dopo un po'. Diventi, come un asino, ti abitui alle botte e basta.» Ride. Ma è una reazione nervosa, forse di vergogna. Perché la sua è stata proprio una vita difficile, insopportabile. «Un giorno torno a casa in ritardo, cinque minuti. Papà mi aspettava con la cintura. Mi ha riempita di botte. Praticamente avevo tutta la schiena sanguinante perché alla cintura si era anche rotta la fibbia e allora ha afferrato un cavo della luce, e ha continuato. Mio fratellino Zakaria era in casa, così dissi a mio padre: picchiami nella mia stanza, almeno lui non vede, In effetti Zakaria mi disse: ma ti ha dato di nuovo botte? E io ridevo, no tranquillo. E lui mi fa: anche se ridi, guarda che io non sono scemo.» «Quella volta, ti ha lasciato dei segni?» «Sì, tanti. E comunque si sono curati. Il mattino dopo sono andata a scuola. Era l'orario di educazione fisica. Sono entrata 89
per ultima, per cambiarmi da sola. Sto per sfilarmi la maglietta quando entra una mia compagna che scorge i segni rossi sulla schiena e si mette a urlare. "Stai zitta!" le dico. Ma lei insiste: che cosa ti è successo? Le ho risposto: niente. Lei però lo ha detto alla prof. E anche la prof ha voluto vedere la schiena. "Ma no, sono caduta dal motorino", provo a dire. "Tu non ce l'hai il motorino", mi zittisce. Alla fine ammetto... racconto delle botte di mio padre e delle cinghiate. Quando è finita l'ora di ginnastica, il tempo di salire dalla palestra alla scuola, ho trovato i carabinieri nell'ufficio del preside.» Il maresciallo Spampinato, che comandava la stazione di Letojanni, le consiglia di denunciare il padre per maltrattamenti. Karima non vuole: «È sempre mio padre». Finisce con una ramanzina. Del resto, in una cittadina dell'entroterra siciliano, e, a dire il vero, un po' dappertutto, anche nella Padania leghista, una famiglia di marocchini immigrati dove un padre litiga con la figlia, non è cosa da curare poi troppo. Questi immigrati, con le loro tradizioni, le loro arretratezze, fanno solo perdere tempo. Che si arrangino. I militari la riportano a casa. Al padre, l'avvertimento a non esagerare se non vuole finire in carcere e perdere tutto e tanti saluti. Karima rimane da sola, ancora una volta. Mentre suo padre non può più sopportare quella figlia che lo ha svergognato davanti a tutti. Appena i carabinieri si allontanano, ricomincia invece la solfa: «Botte di-nuovo», afferma Karima. «Lui se la prese anche con mia madre. Ogni frase cominciava sempre con "tua figlia! ", "tua figlia! ", e io gli ho chiesto, "perché, non sono tua figlia?" Mi ha risposto: se non sei mia figlia, escitene di casa. Sono uscita di casa. Erano le sette del pomeriggio. Non sapevo dove andare. E allora ho fatto una cavoiata.» Non ha soldi. Adocchia sul tavolino di un bar una borsetta. 92 Sodoma
«Non c'era nessuno. L'ho presa istintivamente. C'erano dentro due cellulari, una macchina fotografica digitale, un portafoglio con 250 euro. Io ho preso soltanto 50 euro e il codice fiscale. La borsa l'ho sotterrata vicino a un meccanico. Poi sono andata in un albergo, dove mi hanno accettata perché avevo il codice fiscale, anche se avevo solo tredici anni. Quando il giorno dopo mi sono svegliata a mezzogiorno, fori dell'albergo mi trovo i carabinieri. Sempre il maresciallo Spampinato. Mi dice: "Ruby, hai preso tu la borsa?"» Il pm la interrompe. «Tu hai usato un nome che io non dovrei conoscere, anche se lo conosco: Ruby. Ti chiamavano già così?» «Sì, sono io che mi faccio chiamare così perché odio il nome che mi ha dato mio padre. Meglio Ruby, preferisco.» Questa volta la mandano in comunità. Oltre lo Stretto, in Calabria. «Mi hanno portato la prima volta a Mondo X, una comunità di tossicodipendenti, con orari assurdi. Ero l'unica femmina con 42 uomini, per giunta tossici. Il mio lavoro era zappare la terra, spostare pietre e tagliare legna.» Tempo sei mesi e Karima non ce la fa più. «Ci svegliavamo alle cinque e andavamo a dormire alle undici e mezzo di sera. Eravamo in montagna, a Badolato Superiore, in provincia di Catanzaro. L'unico posto vicino era distante sei chilometri. Un cimitero. Mi sono detta: vado al cimitero, trovo qualcuno che viene a visitare i suoi morti e mi faccio dare un passaggio.» Era il 2006: scappa di nuovo, prende il traghetto e torna in Sicilia. «Ho deciso di andare a Catania, dove avevo un fidanzato. Questo ragazzo si era presentato una volta dai miei genitori, insieme ai suoi, per dirgli che stavamo insieme e che non si preoccupasse. Io avevo tredici anni, lui ventiquattro.» 93
Da Messina a Catania sono appena un'ottantina di chilometri, ma a percorrerli ci vuole una vita, soprattutto con la corriera. Lavori in corso, traffico, svincoli. All'adolescente Karima El Mahroug, che non ha ancora 14 anni, sembra quasi di tagliare i ponti con il mondo di prima. Mantiene i contatti con la madre, a cui ogni tanto telefona. Ma non vuole tornare in famiglia, suo padre non la perdonerebbe. E poi la vulcanica Catania, con i suoi localini vicino al porto, l'Università, il pittoresco mercato del pesce e una certa imprenditoria votata all'informatica, rispetto a Letojanni, sembra una vera città. Però vivere in città costa, e Karima non ha un euro con sé. Ha soltanto la sua bellezza. «Ero ancora con la valigia in mano e un tizio che passa mi vede e mi dice: "Sei una bella ragazza". Gli ho risposto: "Hai fatto la scoperta dell'acqua calda". Mi fa: "Vorresti lavorare da me?" "Perché no?" gli ho risposto.» È una piccola svolta, perché il «tizio» gestisce una discoteca, «Le Capannine» e le offre persino un letto dove dormire. Lei si offre come cameriera, o donna delle pulizie. O anche, come «selector». «La ragazza che fa cassa, oppure che ha la lista della discoteca. Poi quel signore, che ha tanti locali, mi ha detto: "Guarda, ti ospito io a casa mia". La prima sera ho dormito con lui nella sua stanza, non mi ha toccato neanche con un dito. Io ero preoccupata però mi sono detta: chi non risica non rosica e poi non sapevo dove andare. Lui aveva 46 anni. Mi diceva: "Guarda, anche se hai 13 anni, cerco di fare il padre". Il mattino dopo però mi ha fatto un altro discorso: "Non ce la faccio, sei una ragazza con le sue curve, preferisco allontanare la tentazione da me, portarti in un bungalow, ti stai lì da sola bella tranquilla così allontano la tentazione da me e non mi comporto male nei tuoi confronti". Io ho apprezzato la sincerità. Mi sono detta: "Questo è un uomo".» 92
Sodoma Si sbaglia. Ci impiega un po' di tempo, a sentire Ruby. Sbaglia, infatti, dopo tre mesi. Quando lo scopre nascosto e nudo nell'armadio del bungalow. Con un certo stile da telenovela, lui si propone: «Mi piacerebbe sprofondare nel tuo seno». E Karima capisce che è la svolta. «Gli ho dato un pugno. Gli ho frantumato lo zigomo sinistro. Però lui non mi ha denunciato. Mi ha proposto dei soldi per farmi stare zitta, "perché mia figlia è in politica, non voglio che si macchi il suo nome".» L'incredulo e pragmatico Forno le chiede: «Non è che ti ha violentata?» «No, mi ha fatto tante proposte... anche al telefono, cose che io ho registrato. Lui aveva paura che io facessi sentire a qualcuno quello che mi diceva.» Forno si accorge che il sesso, per Karima, è un tabù culturale. Un argomento che aggira, e per il quale prova vergogna. Ci sono dei vuoti, nel racconto di Karima: e sono appunto le omissioni probabilmente dettate dalla sua educazione musulmana: il velo del pudore cala sui rapporti sessuali, sulle violenze subite, sugli approcci con gli adulti. Lei non riesce a parlarne con un estraneo, nemmeno se è un magistrato. Lascia che sia l'immaginazione - e l'esperienza di Forno - a colmare i vuoti. C'è infatti un salto temporale, tra il giorno in cui il tipo le dice esplicitamente che ha voglia di toccarla e quello in cui, qualche mese dopo, se lo ritrova nudo come un verme, nascosto dentro l'armadio del bungalow dove l'aveva ospitata. La sequenza è inverosimile, ma Karima vuole serbare per se stessa i ricordi di quel periodo. Forse vuole nasconderli per sempre. Cancellarli. Un reset mentale: per sopravvivere. Nel frattempo Karima continuava a frequentare il ragazzo che era andato a presentarsi dai suoi genitori. Lui, asserisce Ruby, si comporta gentilmente, la rispetta e le propone addirittura di farla prendere in affido dalla sua famiglia. Ruby, però, è 93
ancora piccola. Non può decidere per sé. Decidono ancora una volta i carabinieri. «Mi mandano a villa Sant'Anna, a Messina, una casa di cura per psicopatici.» «Ma minori o maggiori?» chiede il pm Forno, basito. «Maggiori, maggiori. Mi sono trovata dopo un mese con uno di 60 anni, scusate la volgarità, che mi leccava il sedere mentre dormivo. Ho riempito la valigia e sono andata via.» La spostano in un'altra comunità, ai Giardini di Naxos, a due passi da casa. Ma Karima fugge via anche da lì. «Sono scappata con la macchina della suora anche se non avevo la patente.» Quattro giorni dopo, è beccata dai carabinieri. Finge di essere inglese. Ma i militi la riconoscono al volo: «Ruby, dai, scendi dalla macchina, guarda che ti conosco». Fatto sta che finisce alla comunità, in quel di Macchia di Giarre, nel catanese. Succede che il fidanzato, sapendola più vicina, la va a trovare abbastanza spesso. Karima si commuove, ricordando il giovanotto. In realtà, piange per se stessa: «Ormai io non ne ho sicurezze. Oggi c'è, domani forse non c'è». Anche il pm e l'assistente sociale hanno un attimo di commozione. Karima piange, ride, piange. L'assistente sociale le dice di liberarsi. «Io mi vergogno.» «Ti è mancata l'infanzia, ti è mancata l'adolescenza.» «Che vergogna...» Sospira, soffia il naso. Poi, con un sorriso, chiede: «Dove siamo arrivati?» Meglio sarebbe dire, dove lei è andata. È il 2007. Trova lavoretti in vari locali e convive con il suo «fidanzato» catanese. Un giorno decide di partecipare a un concorso di bellezza. «A Capo Sant'Alessio, là, dove facevamo il concorso, mi 94
Sodome hanno fatto il provino e poi sono arrivata in finale e ho vinto. In giuria c'erano Emilio Fede e Fiorello.» Vince un altro concorso, stavolta a Reggio Calabria. «Mi dissero che prima o poi sarei dovuta andare a Milano, ma intanto mi avevano schiaffato in un'altra comunità. Un giorno arriva una signora, per cercare una ragazza da prendere in affidamento. Aveva scelto un'altra ma io le ho chiesto: prenda me! Lei mi rispose: no, io non ti conosco a te, ma a mio marito lo conosco. Tu non hai più il corpo di una bambina.. .Guarda, le risposi, se parti da questo presupposto, allora non devi prendere più nessuna ragazza.» È cocciuta, Ruby. Pur di scrollarsi dalla comunità, le tenta tutte. Si ricorda di Simona, un'amica di 30 anni molto bella che aveva conosciuto durante un breve periodo in cui era stata commessa in un negozio di abbigliamento di Catania, «Le Bretelle». Insieme avevano partecipato a qualche concorso di bellezza. Anche a quello dove c'era Fede in giuria. Forno inarca le sopracciglia. «Simona mi chiama. Lei è a Milano e mi propone di raggiungerla.» La notte del 28 dicembre 2009, Karima, che ha compiuto da poco 16 anni, acquista un biglietto di sola andata. Addio Sicilia. Piglia il traghetto, arriva a Villa San Giovanni e di qui sale su un treno diretto a nord. Alla sua nuova vita. «Non ho salutato nemmeno il mio ragazzo. Lui non era d'accordo che salissi a Milano. Arrivata alla stazione Centrale mi aspetta la mia amica Simona, mi porta a casa sua e alla sera mi dice: "Vestiti elegantemente, dobbiamo andare per il lavoro". "Scusa, Simona, se è un lavoro da commessa, mica il colloquio lo fanno all'una di notte?" le rispondo.» Simona, più furba, piglia tempo. Rimane sul vago. «Vedrai», le dice. La porta in uno degli alberghi più lussuosi della città, nel cuore di Milano, il Quadrilatero, tra via Spiga e via 95
Montenapoleone. Alla reception non ci sono problemi. Sono abituati, in certi alberghi cinque stelle, al via vai di ragazze bellissime, soprattutto straniere che sanno già a quale stanza bussare. «Dobbiamo salire nella stanza 333», avvisa semplicemente Simona, che nel giro veniva soprannominata Simona Loca, ossia la Pazza. Il concierge annuisce, con sguardo complice. È il giro della Milano d'alto bordo, meno domande si fanno, meglio è. Ruby ormai ha capito. Non c'è nessun lavoro da commessa da offrire. Nessuna alternativa pulita per lei. Niente altro che fare la puttana. È questo che le sta offrendo l'amica. Quando arrivano nel corridoio del terzo piano, Karima si ribella. «Le ho afferrato la testa, gliel'ho sbattuta contro il muro e me ne sono andata. Lei voleva che io avessi un rapporto lesbico con lei, alla presenza dell'uomo...sicuramente un anziano. Avevo 80 euro in tasca. Ho preso un taxi e ho chiesto che mi portasse all'Hollywood, la discoteca.» Forno s'incuriosisce. Come mai proprio all'Hollywood? «Ne sentivo parlare sempre in televisione, sui giornali. La discoteca dei vip, dei calciatori, "l'Hollywood, l'Hollywood", si sente sempre dire in Sicilia. Un mito. Ho deciso di vedere com'era.» Le sirene stroboscopiche dell'Hollywood la trattengono fino alle quattro di mattina, e si scatena, balla sino a sfinirsi, vuole farsi notare, la bella Karima, e non è difficile trovare in fretta compagnia, uomini a grappoli che la invitino sulla pista e poi a bere un drink. O un anziano seduttore che la voglia portare con sé. Ma alle quattro del mattino, la musica è finita, i piedi le bollono, la testa le gira e non sa più cosa fare. Torna a casa dell'amica Simona, ma trova le valige fuori sul pianerottolo. Lì, non potrà più metterci il naso. Milano all'improvviso le appare gelida, inospitale. Ma Karima ha imparato ad arrangiarsi, la sua vita è arte di sopravvivenza. 96
Sodoma O, forse, non è proprio così la storia che racconta della sua prima notte a Milano. Ciò che riferisce al magistrato, potrebbe essere una verità addomesticata, romanzata, censurata. Lei vuol far credere che quella notte è stata come nelle fiabe: quelle, beninteso, col finale buono. Nel finale di Karima, il principe azzurro che le offre la sua carrozza è un vecchio. «Mi sono seduta in piazza, non sapevo dove andare. Passa un signore anziano su una macchina bianca e mi chiede: "Hai bisogno di aiuto?" Gli ho risposto: "Vattene via, marpione del cavolo". E lui: "No, volevo vedere solo se avevi bisogno di aiuto". Avevo alternative, a quell'ora di notte, sola e ghiacciata, in una città come Milano? No. Così, sono salita in auto. Prima mi ha portato a casa sua, un monolocale, poi mi ha detto: «Tu te ne stai tu da sola, non voglio approfittarmene, puoi essere mia nipote, non mia figlia. Io invece starò da un amico finché non ti troviamo una sistemazione.» Mi sono rassicurata. Mi dovevo rassicurare». Un tipo, come si dice a Milano, col coeur in man. Generoso. Altruista. Fin troppo. Karima, nonostante le apparenze, è dentro ancora una ragazzina. Vola con la fantasia, la realtà squallida in cui è costretta a convivere, preferisce abbellirla, mascherarla, intrecciando gli episodi l'uno con l'altro, arricchendoli di colori che non ci sono, e di umanità che si riduce a baratti, a compromessi terribili. La mistificazione dei ricordi diluisce la disperazione, e quell'incontro nella notte d'inverno, ha i connotati e l'invenzione del sogno. Le hanno detto una volta: se vuoi realizzare un sogno, svegliati. Quell'uomo di mezza età può sostituire la figura paterna, spiega la psicologa al magistrato, e pure il seguito si può intuire, senza ascoltare Karima. L'uomo che l'ha salvata e che all'inizio l'aiuta, poi la tradisce. Ed è quasi così: «Senza niente in cambio», dice Karima a Forno, «mi trova un impiego da cameriera e ballerina al Masquenada, in viale Piceno». Uno stradone della circonvallazione 97
esterna della città, dove si affacciano e si alternano pensioncine per puttane che battono nei dintorni e locali alla moda e famosi. Lei ha trovato alloggio in un palazzo di via Pistrucci, al 36, vicina ai locali di tendenza come il Plastic all'Atlantique, il più frequentato. Il Masquenada è tra quelli in ascesa. Come Ruby, che non è più Karima. «Non ho mai accettato rapporti sessuali a pagamento. L'ho fatto solo con ragazzi che mi piacevano», conclude, esausta, Karima. Ha abbandonato la sua fanciullezza disastrata, per approdare in un altro disastro. Corpo e dolore, annota sul suo calepino, uno degli inquirenti. 98
8. HOLLYWOOD, MILANO «Mi chiamo El Mahroug Karima, ho 17 anni, sono nata... uffa, che-pallet Ma scusi dottore, non le basta il documento d'identità?» A Genova può esserci macaia, l'afa opprimente cantata da Paolo Conte. «Stia tranquillo, dottore, qui, sulla collina di Sant'Ilario, si sta bene, è decisamente più ventilato», gli hanno detto per telefono per tranquillizzarlo, «mica è Milano»... Già. Mica è Milano: si vede persino il mare. E un meraviglioso giardino. Il pm Forno arriva alla stazione Principe di buon mattino. C'è un'arietta che Milano se la sogna, questo martedì 6 luglio. Si è mosso lui, stavolta, per il secondo interrogatorio di Ruby. Tutto è pronto, nella stanza messa a disposizione dalla direzione della comunità Kinderheim, al pianterreno di una caratteristica palazzina ligure dai colori ocra e vermigli sbiaditi dagli anni e dalle piogge. Stamane, Ruby sembra ancora più bella: forse è la vicinanza del mare, forse è il vestitino leggero da ragazzina a renderla più naturale, anche perché una come Karima, deve ammettere Forno, ti lascia senza fiato. E davvero notevole, osserva il sostituto che pure di ragazze avvenenti ne ha viste, in carriera. Karima è arrivata con i lunghi capelli raccolti a coda di cavallo, senza trucco, le scarpe basse che ne incorniciano i piedi lunghi e curati. Così, priva di orpelli e di richiami vistosi, è anche più bella di come appare nelle foto del dossier, questa diciassettenne irrequieta dagli zigomi alti, le labbra carnose e i profili re99
golari. Certo, non è la nipotina di Mubarak, ma una principessina berbera del nord Africa, chi può escluderlo? Solo l'intensità degli occhi, nocciola, leggermente obliqui, tradisce a volte lampi d'ingenuità e sofferenza, svela l'adolescenza negata che si nasconde nel suo corpo elastico di donna adulta. Occhi capaci di malizia e di profondità rare, che non fanno che aumentarne 0 fascino. Sorride, ma poi i sorrisi si spengono, come fiammelle senza più ossigeno. E coi sorrisi vagamente insolenti, la sicumera di chi non sopporta le regole si è come spenta, stemperandosi nei racconti della sua breve vita di sbandata. Forno, ovviamente, non è solo. Lo accompagna la stessa assistente sociale del primo interrogatorio, quello del 2 luglio. È importante che Ruby familiarizzi e che prenda confidenza. L'audizione di un minore è sempre una cosa delicata e Forno ha studiato un metodo che garantisce il più possibile protezione e sicurezza alla «vittima». Perché Ruby la prostituta, Ruby la cubista, Ruby la sfacciata delle interviste in tivù, delle telefonate equivoche, delle discoteche alla moda e dei Suv guidati da vitelloni stagionati, qui è soltanto una vittima, sovente inconsapevole, perché non sempre se ne rende conto. O non sempre vuole esserlo. Ma deve essere lei a ricordare, a far sì che la memoria non s'inceppi, e che nulla possa turbarla, in questo andare indietro nel tempo perché qualcuno, dopo, possa andare avanti nell'inchiesta. Per questo è necessario procedere con molta attenzione, per gradi, lentamente. Cominciare dal principio. Semmai, il vero problema in queste circostanze è che è difficile far parlare. Ma nel caso di Ruby, la reticenza iniziale si scioglie subito in un torrente impetuoso, Ruby parla veloce, come avesse paura di dimenticare qualcosa. Sono le 9 e 50. Il registratorino è di nuovo acceso. Si riprende da quando Simona «la Pazza», l'amica catanese di 100
Sodoma Ruby, le aveva proposto di prostituirsi in un hotel a cinque stelle del centro di Milano. «In seguito ho conosciuto il titolare di un'agenzia per ragazze che mi ha trovato lavoro come cubista in numerosi locali a Milano e dintorni. Venivo pagata 180 euro a serata. Dopo pochi giorni sono andata a vivere con lui a Peschiera Borromeo. Si chiama Nico. Solo dopo che ho scoperto i suoi problemi con la giustizia per avere gestito un'agenzia di escort, l'ho lasciato e mi sono trasferita da Caterina Pasquino, una ragazza che mi aveva presentato proprio Nico.» È il primo «incrocio» dell'inchiesta. La Pasquino, infatti, è la causa del fermo in Questura, la sera fatidica del 27 maggio 2010. È lei che ha chiamato la polizia, avvisandola che la ragazza che l'aveva derubata stava in un centro estetico di corso Buenos Aires. Ruby, però, non ci sta ad essere etichettata come «ladra». Respinge l'accusa, semmai, lascia intendere, ero io che portavo quattrini. «Contribuivo infatti alle spese dell'affitto, pagando 490 euro al mese, in nero. Potevo però permettermelo perché intanto continuavo a fare la cubista, ma per la L.M. agency. Quella di Lele Mora.» In pochi istanti, Forno si trova tra le mani i primi riscontri. E non è finita. «Mora lo conosco da più di due anni. Me lo aveva presentato Emilio Fede, dopo i concorsi di bellezza in Sicilia.» Il pm vuole vederci chiaro: ci sono dei salti temporali, tra il primo interrogatorio e le dichiarazioni del secondo. Per esempio, l'incontro con Lele Mora. Ma non aveva detto Ruby che dopo il concorso di bellezza, in cui Emilio Fede si era commosso per lei, aveva continuato a rimanere in Sicilia, cambiando diverse comunità? «Ero stata io a contattare Mora quando sono arrivata a Milano, perché mi ingaggiasse per dei reality dicendogli che ave101
vo già diciotto anni e lui mi aveva promesso che si sarebbe interessato per procurarmi un lavoro. Mi fece lavorare sia al Chiambretti night, sia in sfilate di moda per biancheria intima e costumi da bagno. Mora aveva un atteggiamento paterno nei miei confronti, così un giorno decisi di rivelargli che ero minorenne. Lui all'inizio si arrabbiò, ma poi si offrì di diventare il mio tutore, facendo i passi necessari al tribunale dei minori di Milano.» Per la prima volta, Ruby ammette di avere raccontato a qualcuno la sua vera età. E non uno qualsiasi. Ma Lele Mora, l'uomo che secondo le accuse della Procura, avrebbe portato Ruby nella discoteca sotterranea di Villa San Martino. Un uomo molto legato al presidente Berlusconi e alle sue attività imprenditoriali nel campo della televisione e della produzione dei famosi reality. Talmente legato che quando si troverà in difficoltà per il fallimento della sua società, attraverso Emilio Fede, chiederà al premier un finanziamento, una vicenda diventata materia d'inchiesta. In realtà, Forno quel 6 luglio non ha ancora chiari tutti questi collegamenti tra Ruby e Mora, tra Ruby, Fede, Mora e Berlusconi. Le intercettazioni devono essere attivate e le analisi della Guardia di Finanza sulle movimentazioni bancarie che dal presidente del Consiglio portano all'impresario di spettacolo arriveranno solo dopo sei mesi. E tuttavia, sono proprio le sue dichiarazioni a volte contraddittorie a volte credibili (ma a «segmenti»), che aiuteranno gli inquirenti nel tracciare la pista da seguire per decifrare l'improvvido intervento di Berlusconi, la sera del 27 maggio 2010, quando il premier telefonò direttamente in Questura, per fare rilasciare in fretta e furia la giovane marocchina, facendo un uso improprio del suo potere. «La Pasquino scaricava su di me tutte le spese della casa. Così ho capito che se ne stava approfittando. Ho deciso di an102
Sodoma darmene. Sono tornata in Sicilia per dieci giorni e sono andata a trovare sia mia madre che il mio ragazzo, Sergio Corsaro. Quando sono rientrata a Milano, mi sono fatta aiutare da Vincenzo R, quel vecchio signore che mi aveva già ospitata nel suo monolocale dopo aver litigato con Simona. Ho trovato un appartamento in affitto in via della Spiga, e lì ci sono rimasta quindici giorni.» Nel verbale del 6 luglio, il dipanarsi logico delle peregrinazioni di Ruby a Milano a un certo punto s'interrompe. C'è un lungo vuoto, prima di arrivare alla sera del 27 maggio. Come approda in via Villoresi, dalla brasiliana Michelle, e quando? Come mai abbandona la lussuosa abitazione di via della Spiga, almeno a sentire lei, per adattarsi alla più modesta convivenza di questa Michelle che si arrabatta nel gran circo delle notti milanesi? Forse sono domande ininfluenti. Ruby si arrangia, e vive alla giornata. Passa da un episodio all'altro della sua vagabonda vita meneghina, non sempre rispettando i calendari della memoria e soprattutto, evitando accuratamente di entrare nei dettagli, in particolare se sono scabrosi. E poi, bisogna tener conto di un altro fattore, diciamo così, «tecnico». Il metodo d'interrogatorio adottato da Forno non prevede domande a go-go, ma quesiti più generici sui quali, successivamente, ritornare. Prima di tirar le redini, meglio lasciare briglia sciolta al conscio e all'inconscio di Ruby, perché a chi parla tanto talvolta sfuggono particolari importanti, indispensabili per verificare quanto uno sia attendibile. Inoltre, procedendo in questo modo apparentemente colloquiale - si può giustificare, senza insospettire l'interlocutore, l'esigenza di fermarsi a riflettere. C'è necessità di pensare alla coerenza del racconto ascoltato; di intravederne gli sviluppi, di fronteggiare e risolvere i lati oscuri della testimonianza. L'abilità di Forno è tutta in questo cauto giostrare delle tensioni dialettiche, e nell'assimilare le reazioni 103
dei testimoni. Perché Ruby, formalmente, è una testimone, anzi, una presunta «parte offesa». «Appresi dalla polizia che era stata la Pasquino a denunciarmi per furto. Una pattuglia mi trovò nel centro estetico di corso Buenos Aires dove ero andata quel pomeriggio. Venni accompagnata al commissariato di via Poma, dove mi informarono del contenuto della denuncia. Io mi difesi dicendo che alla Katia non avevo mai rubato nulla.» Ruby resta sul vago, quella mattina a Genova. Evita riferimenti al presidente del Consiglio, alla concitazione che la circondò nella stanza del fotosegnalamento della Questura - con tutte quelle telefonate del capo di Gabinetto alla commissaria che l'aveva in carico. Dice semplicemente che dopo aver chiarito di non aver mai rubato nulla alla Pasquino, è uscita dal commissariato. «Sono stata affidata dalla polizia a due mie conoscenti. Michelle Oliveira e Nicole Minetti. Le avevo conosciute nei mesi precedenti, frequentando il ristorante Armani di via Manzoni. In particolare, Michelle diede la propria disponibilità a prendermi presso la sua abitazione, in via Villoresi 19. Sono rimasta a casa di Michelle tre settimane, durante le quali di giorno facevo la cameriera al Masquenada, mentre la notte lavoravo in discoteca e ristorante facendo la cubista o la danza del ventre che avevo imparato da mia madre.» «Ogni tanto, quando tornavo a casa la sera da Michelle, trovavo in casa degli uomini. All'inizio avevo solo il dubbio che Michelle si prostituisse, ma poi ne ho avuto la certezza, quando ho appreso la notizia che era incinta e che voleva abortire. Sono stata io infatti ad accompagnarla (la mattina del 27 maggio, N.d.A.) alla clinica Mangiagalli. E sono stata io a pagare i 900 euro necessari, non avendo Michelle la tessera sanitaria. Avevo anche parlato con il suo uomo, sperando di convincerlo a pagare lui l'aborto. Ma costui, un imprenditore che abita a 104
Sodoma Bergamo Alta, mi ha detto che non ne voleva sapere, che era semplicemente un cliente, che era sposato e che aveva pagato 1500 euro per un servizio standard. Anzi, già che c'era mi propose di far sesso con lui, in un famoso albergo del centro, offrendomi 2000 euro. Lui sapeva che ero minorenne, perché gliel'avevamo detto una volta, a casa di Michelle. Ma io mi rifiutai. Dopo l'aborto, Michelle, che per qualche tempo non poteva più esercitare l'attività di prostituta, mi propose di sostituirla per non perdere il giro dei clienti. Comunque mi disse che si era lasciata mettere incinta, per poi ricattare l'amico sposato.» Con Forno che l'ascolta attentamente, Ruby si dilunga sulle attività dell'amica, e ne tratteggia un ritratto che lascia ben poco spazio ai dubbi: secondo lei, Michelle è una prostituta che esercita il mestiere in «forma molto riservata, senza fare alcun tipo di inserzioni su Internet o sui giornali». E spiega l'evoluzione del sesso a pagamento d'alto bordo. «Il modo attuale per cercare clienti da parte delle prostitute di prima classe è quello di frequentare ristoranti famosi a Montecarlo, oppure a Monza, o a Bergamo, luoghi dove bazzica gente ricca.» E squallida. «Michelle, proponendomi di prostituirmi al suo posto, mi ha detto che per esempio su mille euro, ne avrebbe trattenuti 700 e che avrei potuto appoggiarmi ad una certa Eva, procacciatrice di prostitute in maggioranza minorenni. Questa Eva un giorno mi ha chiamato, presentandosi con il nome di Magda. Mi invita a casa sua. Io accetto. Perché pensavo che mi offrisse un lavoro di cameriera, questo almeno era stata la promessa. Mandò un taxi a prendermi che mi portò a Milano 2. Salii in un appartamento che era tutto rosso: rosse le pareti, rossi i quadri, solo il tappeto era maculato e i mobili laccati di nero. Magda si presentò e mentre stava parlando da una stanza è sbucata una ragazza di origine messicana che diceva di avere diciasset105
te anni e che era tutta nuda. Non era sola. Dietro di lei, c'era un uomo di circa settant'anni, pure lui nudo. Costui, senza tanti preamboli, mi ha proposto di farsi da me praticare un rapporto orale, offrendomi 4mila euro oltre a mille euro che avrebbe dato a Eva. Mentre lo diceva, ha afferrato la mano della ragazzina messicana, facendomi vedere che le aveva regalato un Rolex Daytona d'oro tempestato di diamanti, del valore di 40mila euro aggiungendo che ne avrebbe regalato uno del genere anche a me. Disse testualmente: voglio assaporare le tue labbra arabe...e Eva aggiunse, maliziosamente, che quell'uomo, grazie a lei, di labbra ne aveva assaporate di tutte le nazioni. Io, naturalmente, rifiutai.» Forno ne ha abbastanza. L'ambiente che Ruby descrive è quello depravato di un mercato del sesso dove il corpo della donna è pagato a peso d'oro, specie se è quello di una minorenne. Ma è anche lo specchio del degrado morale di un edonismo sempre più imperante, dove il lusso accompagna, con le sue illusioni, lo sprofondo di una società dei falsi miraggi, e dove la mortificazione della dignità personale corrompe i più deboli e i più giovani. «Ci sentiamo tra due settimane», dice a Ruby, salutandola. 106
9. LUI Di nuovo Genova. Di nuovo, la comunità Kinderheim di Sant'Ilario. E il 22 luglio del 2010. Forno, questa volta, vuole arrivare al sodo. Vuole capire, cioè, quali sono i fili da riannodare, rispetto alla matassa ingarbugliata delle prime due testimonianze di Ruby. Lei, invece, cerca di indugiare ancora sul giro di escort in cui è rimasta coinvolta, per colpa di Michelle. Almeno, questa la sua versione. Per questo, comincia a descrivere il mondo notturno della «sua» Milano. Locali, discoteche, ristoranti, caffè: tutti, notissimi. Tutti, luoghi di incontri e di scambi. «I principali locali che ho frequentato a Milano, oltre all'Ibiza, sono: ristorante e discoteca Armani, il ristorante Marchesino, l'Opec Café; il pub lunch bar dell'hotel Diana; il Gattopardo; la discoteca Old Fashion; il Tocqueville; l'Hollywood; il Lola Palosa; il Just Cavalli; Gasoline; il ristorante Peter Pan. Invece, fuori Milano sono stata al Kokodì di Livigno, al ristorante Vittorio di Bergamo mentre a Roma, dove mi sono recata solo qualche volta, sono stata al pub White e alla discoteca Gioia, entrambi nel quartiere Testaccio.» Questo è il catalogo della madamina Ruby, al quale si aggiunge un elenco di alberghi milanesi, tutti di fascia alta, tutti «esclusivi», aggettivo che nell'idioma della notte è d'obbligo. Abbiamo il Principe di Savoia, l'inaccessibile Bulgari, il Wellness, il Cervo, il Four Seasons. Ma anche il più periferico Leonardo da Vinci, tappa abituale di congressisti. La mappa dise107
gnata da Ruby è quasi ricalcata su quelle che ogni tanto appaiono nelle pagine patinate delle riviste di moda. Forno non si meraviglia più di tanto, è il repertorio classico della materia, che lui tratta da anni. Sbuffa, il magistrato, e cerca di chiudere questa escursione di Ruby sui posti che l'hanno vista spumeggiare (ovviamente, senza mai restarne vittima...). Sta per rivolgerle una domanda più attinente all'inchiesta, quando, improvvisamente, è Ruby che chiede di fare una dichiarazione spontanea. «Vorrei fare presente che Michelle ha trattenuto a casa sua una serie di cose di valore che mi appartengono e pensavo mi avesse restituito. Una borsa Lousi Vuitton modello Tivoli, una borsa Chanel bianca piccola, una borsa Guess beige con borchie dorate e una collana marca Recarlo con diamanti a forma di croce, del valore di 15mila euro che mi è stata regalata da un amico. Poi un vestito Versace color pesca lungo da sera...» Forno l'interrompe: ma come fa Ruby a conoscere il valore di quella collana? «Chi me l'ha regalata si è dimenticato di staccare il prezzo e la garanzia, e la sera in cui abbiamo litigato, Michelle ha cercato di strapparmela dal collo, tanto da lasciarmi un segno che alla clinica De Marchi è stato notato e fotografato.» «Posso sapere chi te l'ha regalata, Ruby?» «Silvio Berlusconi che ho incontrato due volte ad Arcore. La prima il 14 febbraio 2010 e la seconda dopo circa tre mesi.» Ma il presidente del Consiglio sapeva che sei minorenne? «A Berlusconi inizialmente ho detto che avevo 24 anni. La seconda volta, invece, Berlusconi aveva già saputo da Lele Mora che in realtà io ho 17 anni.» Forno sospende la verbalizzazione. È l'una. Ora di pranzo. È un pretesto per riordinare idee, per stabilire se conviene insistere oppure fare finta di nulla, e sperare in altre clamorose rivelazioni. 108
Sodoma Quaranta minuti dopo, si ricomincia. Forno ha scelto la seconda opzione. Non affronterà l'argomento Berlusconi, non ora. Aspetta che Ruby aggiunga dell'altro. «Ho avuto rapporti sessuali solo con ragazzi che mi piacevano», premette la marocchina. Forno crede che sia un modo per scagionare il premier, liberandolo da chissà quali accuse. Invece Ruby, che probabilmente si è resa conto di avere detto ciò che non avrebbe dovuto dire, «dimentica» Berlusconi. Anzi, sposta il tiro. Ha escogitato una contromossa, forse qualcuno glielo suggerisce. O forse è lei che cerca di barattare l'attenzione dei magistrati mettendo sul piatto delle «rivelazioni» un altro grande personaggio. Ruby, infatti, ha in serbo una clamorosa sorpresa. «L'unica volta che sono stata pagata per un rapporto è stato con Cristiano Ronaldo, sa?, il calciatore. L'ho incontrato la sera del 29 dicembre del 2009, il giorno dopo che ero arrivata a Milano.» Subito dopo, però, si contraddice. «Accadde prima che la mia amica Simona mi mettesse le valigie fuori casa. Mentre lei era rimasta in un albergo con un cliente, io mi sono recata da sola all'Hollywood, per la curiosità di visitarlo, essendo molto famoso. Lì dentro, Ronaldo mi ha vista e mi ha invitato al suo tavolo, nel prive della discoteca. Mi ha fatto dei complimenti e ci siamo scambiati il numero di telefono. Sino a quel momento, non sapevo chi fosse. L'ho saputo quando ci siamo rivisti qualche sera dopo, a cena, in un ristorante dove molte persone gli chiedevano l'autografo. Gli dissi subito la mia età. Tre settimane dopo, ci siamo incontrati al Principe di Savoia e siamo andati a letto. Lui mi disse che dovevo raggiungerlo nella suite al quinto piano. Io ero senza documenti ma nessuno me li ha chiesti. Dopo il rapporto sessuale, ci siamo addormentati insieme. Il mattino dopo, lui non c'era più. Mi aveva lasciato un biglietto sul comodino in cui ave 109
va scritto: spero che quando torno non ti trovo nella stanza. I soldi li trovi vicino alla borsa. Effettivamente, c'erano 4mila euro. Mi sono allontanata dall'albergo piangendo. Due settimane dopo, l'ho rincontrato. Alla discoteca The Club. Lui era in un prive con altre persone. Io ho preso un bicchiere di champagne e gliel'ho gettato in faccia, poi ho preso la bottiglia e l'ho svuotata sulla sua testa. Infine, gli ho buttato addosso le banconote da 500 euro che lui mi aveva lasciato. Non disse nulla. Arrivarono i buttafuori e mi accompagnarono in strada. Ronaldo l'ho ancora rivisto, sempre casualmente, a giugno, prima del ritiro dei Mondiali. Mi stavo recando in una comunità di corso Garibaldi, l'Acjsif, e lui stava davanti all'Ibiza. Quando mi ha scorto, mi ha raggiunto e si è scusato, dicendomi che pensava che fossi una ragazza come tutte le altre, quindi cercassi di spillargli dei soldi. Ho accettato le scuse e lui mi ha accompagnata all'istituto, dove anche le suore lo hanno visto.» Ruby non si accontenta del racconto a voce. Consegna un quadernetto a Forno. Il suo diario: «Ho scritto le mie riflessioni su questa storia». Ci sono due date: il 7 e l'8 giugno. Il giorno che è stata dimessa dalla clinica De Marchi e il primo giorno in comunità, a Genova. Forno la ringrazia. Stoppa il registratorino. C'è molto da verificare, in quello che asserisce Ruby. Sembra quasi un racconto preconfezionato, verosimile ma quanto vero? Per niente. Il centravanti del Real Madrid, infatti, proprio nel giorno dell'incontro con Ruby, il 29 dicembre del 2009, non poteva essere all'Hollywood di Milano perché era distante 1200 chilometri, in linea d'aria: si allenava al centro Valdebebas della sua squadra, fuori Madrid. È bastata una telefonata alla società di calcio madrilena per appurare che Ruby aveva detto una bugia. E non deve essere l'unica, temono i magistrati. La loro impressione è che la ragazza in110
Sodoma fili spesso e volentieri un sacco di balle tra qualche verità. Distinguere il vero dal falso, nelle dichiarazioni rese da Ruby, si rivelerà un lavoro da certosini. Sino all'ultimo, dubitano che la versione di Ruby sia probante. Dovranno lavorare con prudenza e rigore estremi, sapendo che la ragazza è un testimone da pigliare con le molle. Ogni sua parola, ogni sua sillaba devono essere analizzate, controllate, soppesate. Come in una sala degli specchi, le affermazioni di Ruby si riflettono prestandosi ad un continuo scambio di ruoli e di versioni, un perfetto ingranaggio in cui la tecnica del giallo si coniuga con sottili risvolti psicologici, e dove il senso delle parole e quello che evocano sottolineano la debolezza umana e l'abisso della menzogna. Con Ruby i magistrati non hanno finito. Ma preferiscono sospendere la deposizione e fissare un nuovo interrogatorio. Non ci sarà più soltanto Forno, ma arriverà a Genova anche Antonio Sangermano. Non è più tempo di divagare. L'esplorazione a colpi di sonda si è conclusa. Omissis Martedì 3 agosto 2010, ore 9 e 40. L'inizio del quarto interrogatorio è soft. Si riprende dalla collana che Ruby sostiene avere avuto in regalo da Berlusconi. I magistrati le mostrano il gioiello. Lei è preparata. Non solo la riconosce, ma esibisce la custodia blu in tartaruga, dicendo che è quella originale. Indica la «R» che è il logo del fabbricante Recarlo, una ditta di Valenza Po. I pm, nel frattempo, hanno indagato Michelle per l'ipotesi di reato di appropriazione indebita, sequestrandole il 26 luglio una collana, volendo dare credito alle accuse di Ruby che cinque giorni prima aveva denunciato ai carabinieri la scomparsa dei suoi gioielli dal Kinderheim (si scoprirà che era stato un scherzo, alcune ragazze li avevano impacchettati e gettati nel giardino). L'indagine è stata abbastanza semplice: alla Re111
cario hanno spiegato che la collana, intanto, non valeva i Urtila euro vantati da Ruby, ma 2400 euro ed ha avuto un altissimo gradimento da parte di un cliente davvero molto particolare: il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che ne ha acquistate in blocco ben 100. Michelle sarà scagionata il 20 dicembre, giusto alla vigilia dell'iscrizione sul registro degli indagati di Berlusconi, poiché ha potuto dimostrare che la collana in oro bianco e la croce incastonata di diamantini era stata regalata anche a lei, da un uomo vicino a Berlusconi. Il giudice la proscioglierà e le restituirà la collana. Ma agli inizi di agosto, Ruby è ancora convinta che Michelle le abbia preso quella collana. Per dimostrare che è un dono del presidente, e non una semplice vanteria, decide di vuotare il sacco. Quello dei regali. Non solo la collana, mi ha regalato, ma un sacco di altri gioielli, orologi, vestiti, persino un telefonino da sballo e tanti soldi. Tutti doni di Silvio Berlusconi, si ostina a ripetere. È un elenco degno di un magazzino del lusso pacchiano, quello che impazza nei locali della movida milanese, ed è enfatizzato in certe telenovele. Ruby può persino mostrarlo, il suo piccolo grande tesoro s'è portato appresso, in comunità; certo, non tutto, perché qualcosa è rimasto a Milano, e qualcos'altro è stato rubato, protesta lei, tanto che ha dovuto chiamare i carabinieri. Ai magistrati non resta che stilare l'inventario e sequestrare tutto. Ecco la lista, così come riportato nel verbale del 3 agosto 2010. Orologio Rolex Daytona in acciaio, con numerazione intarsiata in diamanti, «che ho lasciato a casa di Michelle». Orologio Rolex Leopard in acciaio con interni in oro giallo, «che però credo sia ancora sequestrato dai carabinieri di Nervi». Parure in maglia in oro bianco con chiusura a nodo ma112
Sodoma nuale, «anche questa l'ho lasciata a casa di Michelle». Anello marca Bulgari, in oro bianco con fungo intarsiato di diamanti con firma DONNA ORO, «ma che Berlusconi ha acquistato da Bulgari». Orologio Shitsu, in oro giallo, modello maschile, con un pulsantino che una volta premuto accende luci blu e fornisce l'orario, «lo vendono in via Montenapoleone, al negozio Bang Olufsen, anche questo è dai carabinieri». Collana con croce sopra descritta, «e che ho riconosciuto». Bracciale «tennis» in diamanti, «detenuto dai carabinieri di Nervi». Bracciale Swarowski-Tiffany a forma di vipera «con l'iniziale del mio soprannome, R, e due rubini, quali occhi della vipera, che ho qui in comunità ma che attualmente non riesco a trovare». Tre orologi della Louis Vuitton, con cinturino in pelle, «eccoli qua, ve li faccio vedere». Orologio Dolce&Gabbana con bracciale in metallo giallo Swarowski «che Berlusconi mi regalò perché gli dissi che non mi piacevano i Rolex». Cellulare Bang Olufsen con tasti intarsiati in diamanti. Bracciale Majorca a pelle bianca doppio giro. Anello in oro bianco intarsiato di diamanti con due pelli di Majorca e orecchini abbinati. Collana in oro giallo Recarlo con cuore rosso. Anello «che Berlusconi mi disse di avere ricevuto in omaggio da Tiffany, visto i numerosi regali che aveva acquistato per noi ragazze». Orecchini in oro giallo intarsiati di diamanti. Due anelli con design «vipera» nero e viola, in diamanti, «i miei colori preferiti». Due orecchini a pendaglio in viola (ametista e diamanti) marca Bulgari. 113
Spilla con perle Majorca in bronzo acquistata da Berlusconi in via Montenapoleone, «lui mi disse infatti che non dovevo tenere una scollatura eccessiva e quindi la spilla serviva a coprirmi». Stola di pelliccia in volpe rossa marca Helen Yarmark, «ho poi saputo recandomi nel negozio della Yarmark in via Torino, che costa 18mila euro!» Abito Valentino «che Berlusconi mi ha regalato per san Valentino, in occasione del nostro primo incontro, è rosso e nero intarsiato di perle Swarowski». Un paio di scarpe Versace, con tacco a 15 centimetri. Ruby è irrefrenabile, a riepilogare i doviziosi cadeaux del nostro premier. «Berlusconi, inoltre, mi ha regalato varie somme di denaro. In tre mesi, da febbraio a maggio del 2010, ho ricevuto in tutto 187mila euro. Una parte di questa cifra, 40mila euro, l'ho portata a mia madre in Sicilia mentre il resto l'ho speso in vario modo. In particolare, nel negozio Louis Vuitton di via Montenapoleone, dove sono bene conosciuta. Sono anche andata a trovare il mio ragazzo, a Catania, e abbiamo fatto un viaggio per l'isola, concedendomi vari lussi; ho anche acquistato altri costosi beni.» Vero? Da Letojanni, la madre di Ruby nega d'aver mai ricevuto tutti quei quattrini: «Non ho neanche un conto in banca». La spendacciona Ruby esaurita l'esibizione delle sue compulsive spese, affronta l'argomento tabù. Ossia, come ha conosciuto Berlusconi. «Il primo incontro, come ho già detto, avvenne il 14 febbraio 2010. Quel giorno, infatti, sono stata chiamata da Emilio Fede che mi ha invitata a prepararmi per andare ad una cena. In via Settala, dove vivevo con la Pasquino, arrivò una limousine con autista e scorta di carabinieri in divisa. Sul cofano, ricordo due corna.» 114
Sodoma Forno e Sangermano si scambiano un'occhiata divertita: ma che era, l'auto di J.R.? Sembrava una scena di Dallas quella fantasiosamente rievocata dalla marocchina. «Mi portarono a Villa San Martino. Appresi che il proprietario di quella lussuosa residenza era il presidente Berlusconi. Entrammo da un accesso secondario. La serata iniziò con una cena "tricolore", cioè con cibi bianchi rossi e verdi, rallegrata dalla musica di Apicella in persona che dopo mi ha regalato due ed che ancora conservo a casa della Pasquino. Dopo cena, Berlusconi mi ha proposto di scendere presso il bunga bunga, dicendomi che il termine l'aveva preso in prestito dal suo amico Gheddafi. Indicava una sorta di harem femminile che si esibiva al piano inferiore della villa.» «Ma lei gli disse che era minorenne?» «Fino a quel momento io avevo detto a Berlusconi che avevo 24 anni. Il presidente allora mi portò nel suo ufficio, lasciandomi intendere che la mia vita sarebbe cambiata completamente, se io avessi accettato di partecipare al bunga bunga assieme alle altre ragazze. Anche se non ha mai parlato esplicitamente di rapporti sessuali, non era per me difficile intuire che mi proponeva di fare sesso con lui. Io gli ho detto di no e che volevo tornare a casa. Lui mi ha risposto che comunque era già pronto un regalo per me, contenuto in un pacchettino su cui era scritto "per Ruby", all'interno del quale c'erano in contanti 46mila euro, tutti in banconote da 500. Quella sera stessa mi ha anche regalato l'orologio Lockman, con scritto "meno male che Silvio c'è", e il logo del Milan. Questo orologio, che mi ero dimenticata di menzionare, si trova tuttora a casa di Caterina Pasquino.» L'interrogatorio è sospeso per la pausa pranzo. Quando riprende, c'è anche Nicoletta Invernizzi, un'agente della Polizia Locale di Milano. Dal 2006 è entrata nel «Pool Famiglia» che si occupa dei reati contro le fasce deboli. Ruby riparte dalla se115
ra di san Valentino. I magistrati le chiedono chi fosse presente, oltre a lei. E Ruby non si fa pregare. «Fra le persone di quella cena ricordo... (omissis)... e anche ... (omissis) e inoltre Nicole Minetti e Barbara Faggioli. Minetti la conoscevo già, perché faceva con me la cubista, mentre la Faggioii lavorava come me per Lele Mora nel campo dello spettacolo. Quella sera Berlusconi mi spiegò cosa si faceva al bunga bunga: un harem nel quale le ragazze si spogliano e devono fargli provare "piaceri corporei". Ed è stato in quella circostanza che ho opposto un netto rifiuto. Venni riaccompagnata a casa verso le 22 e 30 dal suo autista, che si chiama Angelo ed è napoletano, il quale mi disse che le ragazze si sarebbero fermate nella villa tutto il fine settimana, e cioè sino al lunedì mattina, per esaudire i desideri del premier, le ragazze che ho visto a cena, per quanto ho potuto capire, erano tutte maggiorenni. La più giovane aveva, a suo dire, diciannove anni. Si chiama Ally ed è brasiliana. Ricordo i nomi anche di altre ragazze, molte delle quali compaiono in fotografia sulla rivista "Night Time magazine", che vi mostro.» I magistrati pigliano in consegna la pubblicazione. Ruby continua. «In tutto c'erano trenta ragazze e gli unici uomini erano Berlusconi e Fede. Quella sera Berlusconi mi invitò a chiamarlo papi, ma io continuai a chiamarlo Silvio. Il secondo incontro, invece, è avvenuto sempre ad Arcore, nel mese di marzo del 2010, grazie ad una telefonata di Lele Mora, il quale, a detta dello stesso Berlusconi, si era raccomandato di trattarmi bene perché mi vuole bene come una figlia. Prima di giungere ad Arcore, mi recai a Milano 2 (nella zona che si chiama la Pianta), con un taxi che avevo chiamato dal mio cellulare, verso le 22. Qui trovai l'autista di fede che mi condusse a Villa San Martino con un'Audi scura che riconobbi perché l'avevo già vista. Ad Arcore venni accolta da Berlusconi. C'erano già diverse ra116
Sodoma gazze, alcune delle quali stavano fumando in giardino ed altre erano sparse per la casa. Ricordo che erano presenti ...(omissis), Nicole Minetti, Barbara Faggioli, ...(omissis), Barbara Guerra, Marysthelle, ...(omissis) e ...(omissis). Mi risulta che Marysthelle, Barbara Faggioli e Nicole Minetti dispongano di appartamenti a Milano 2, di cui il presidente paga in dono 5 anni di affitto. Questa proposta venne fatta anche a me da Berlusconi. Proprio in quell'occasione lui scoprì che ero minorenne e priva di documenti. Gli spiegai che non ero neanche egiziana, come io gli avevo fatto credere. Lui perciò mi propose di farmi passare come nipote del presidente Mubarak e di fornirmi anche dei documenti per questa nuova identità, di cui lui si sarebbe occupato. In più mi suggerì di andare in un centro estetico di via della Spiga e di raccontarlo, così non avrebbero avuto sospetti sulla mia disponibilità economica. La nipote del presidente egiziano...» I particolari cominciano ad abbondare. Anche troppo. Tant'è che il verbale agli atti presenta parecchi «omissis». Ma da altre fonti, si viene a sapere che in quella serata il premier avrebbe convocato addirittura il Gotha dell'universo femminile berlusconiano, star in ascesa, conduttrici televisive più o meno note, qualche velina, più di una escort, ragazze single e ragazze in apparenza fidanzatissime e persino due ministre. Quest'ultimo dettaglio, sdegnosamente respinto e definito una pura invenzione da Berlusconi venerdì 25 febbraio del 2011: «Pensate che Ruby avrebbe raccontato ai pm di avere visto a casa mia Belèn, la Carfagna e la Gelmini che ballavano nude. Ora, vi pare possibile? Oltretutto, la Gelmini in quel periodo era incinta e aveva un pancione così», dice alle quindici deputatesse del Pdl, il suo partito, chiamate a raccolta in una saletta del governo, durante una pausa dei lavori della Camera. «E di fronte a queste presunte rivelazioni, un magistrato 117
non in malafede, che cosa avrebbe fatto? Avrebbe detto a Ruby: cara signorina, lei non può dire queste cose senza prove. Si fermi, perché altrimenti procediamo per calunnia.» E in effetti, di cose discutibili la loquace Ruby ne infila, durante i suoi interrogatori: «Mi risulta che Berlusconi si sia interessato per l'acquisto di un convento di suore in via della Spiga, del valore di due milioni di euro», dice la ragazza, che non si rende conto di spararle grosse. Con quella cifra, in via della Spiga si compra un trilocale, ed è festa. Ma lei, imperterrita, miscela leggende metropolitane con la cronaca delle notti a luci rosse di Arcore. E questo atteggiamento, secondo Berlusconi, è il punto debole dell'architettura accusatoria. C'è una spiegazione. Berlusconi, dal 24 di febbraio, ha in mano i testi integrali di questi verbali, come nel suo diritto di imputato. Ha scoperto quello che già la Procura sapeva, e cioè che Ruby in alcune circostanze non è attendibile. Per questo motivo, la Procura ha applicato gli omissis laddove ha potuto verificare che la verità era mezza verità, o verosimile o peggio, falsità. Per esempio, è bastato incrociare alcune notizie pubbliche con le date fornite da Ruby sulla sua presenza ad Arcore, per escludere con certezza che il ministro Mara Carfagna fosse a quelle feste di Berlusconi. E così è successo anche per tanti altri presunti ospiti. Perfino per il figlio del premier, Piersilvio Berlusconi, finito in uno dei chirurgici «omissis» dei magistrati. La convizione che Ruby stia gonfiando certi ricordi, o faccia qualche confusione, si fa strada proprio quel 3 agosto del 2010. Ci sono particolari che stridono, lei che resiste a tutte le lusinghe possibili ed immaginabili, le altre invece che non vedono l'ora di spassarsela; i nomi che miscela con disinvoltura; alla fine, il risultato è un'apparente girandola di inganni a ripetizione. Ciononostante, qualcosa di vero c'è. E le severe verifiche dell'inchiesta lo dimostreranno, alla faccia di quella che per 118
Sodoma qualcuno appare come una «contraddittoria provvisorietà». I magistrati hanno bisogno che lei, ancora per quel pomeriggio, dica la sua verità, sia pure offuscata dai sogni di avidi vantaggi, dall'avere assaggiato l'orgia del potere, dall'essere, comunque andranno le cose, e a dispetto dei suoi 17 anni, al centro del mondo. «Quella sera, dopo la cena con Berlusconi e le altre, il presidente mi invitò a dormire a casa sua dicendomi che non mi avrebbe chiesto nulla in cambio, dopodiché scendemmo in una sala del piano inferiore, per il bunga bunga. Io ero tranquilla, perché sapevo che Lele Mora aveva garantito la mia estraneità a qualsiasi attenzione sessuale. Durante il bunga bunga tutte le ragazze erano completamente nude... (omissis). Io ebbi la sensazione che le ragazze facessero a gara tra di loro con atti sessuali sempre più spinti per farsi notare da Berlusconi. Io non mi sono spogliata e non mi sono esibita in nessun modo. Ero l'unica ragazza vestita. Guardavo e giusto per darmi un atteggiamento servivo il presidente portandogli del sanbittèr. Molte ragazze mi chiedevano come mai stessi in disparte e io rispondevo che ero una novizia e che non intendevo assecondare subito tale prassi. Dopo il bunga bunga, che durò circa tre ore, ci fu un bagno collettivo nella piscina coperta. Tutte le ragazze si sono buttate nude nell'acqua mentre io, dopo aver indossato dei pantaloncini e un top bianco che mi prestò il presidente, ho fatto l'idromassaggio da sola nella vasca...(omissis). Quella sera mi fermai a dormire ad Arcore.» Il verbale prosegue con un omissis di mezza pagina. Che cosa ha riferito Ruby, che non potesse essere riportato? Lì, da come lei dice, c'era poco da immaginare. Berlusconi ed Emilio Fede da un lato, dall'altro la piccola folla delle arcorine girls, nude e disponibili. Ruby, per dar peso alla sua testimonianza, conclude affermando che di queste cose ha parlato con l'amica Pasqui119
no e con sua madre che la pregò di non frequentare più quegli ambienti, «guarda, Karima, a me quei soldi non interessano». 120
10. ARCORE MON AMOUR Sono già le 17 e 25. Ai magistrati non è sufficiente quello che hanno ascoltato sinora. Il pm Forno si è dovuto allontanare e il suo collega Sangermano chiede conferma a Ruby se si rende conto della gravità di ciò che ha appena raccontato. E lei non ha alcun problema nel rispondere che è pienamente consapevole di quello che ha riferito, perché sono situazioni da lei vissute «in prima persona». Insomma, Ruby dice chiaramente al pm che sa cose che le altre ragazze hanno invece paura di spiattellare, temendo di perdere il loro rapporto con la gallina dalle uova d'oro, cioè il generoso e munifico Berlusconi. «Lei sa che una signora, tempo fa, ha registrato insidiosamente in camera da letto il presidente Berlusconi, divulgando poi il contenuto di queste conversazioni molto personali? Per quale ragione, il presidente dovrebbe correre il rischio di vedere divulgati comportamenti privati?» «La presentazione a Berlusconi è filtrata da persone di sua fiducia. Nel mio caso, da Emilio Fede e Nicole Minetti. E questo, a lui, deve essere parsa una preventiva garanzia di affidabilità. Debbo però onestamente dare atto di non essere mai stata sottoposta a controlli, per accedere ad Arcore, né mi risulta che altre ragazze siano state controllate.» Sangermano vuole inoltre alcune precisazioni che riguardano le serate: avete fatto sesso? Circolava droga? «No, non ho mai compiuto né subito atti sessuali e nemmeno mai consumato cocaina sebbene talvolta abbia fumato qual121
che canna, ma mai a casa del presidente». Però, la verbalizzazione accompagna questa risposta con un'altra mezza pagina di omissis che Ruby conclude dicendo: «Nel corso di queste serate, nessuna ragazza si è mai sentita male, al massimo erano eccitate, e qualcuna aveva un tono "visibilmente alterato".» Perché quella censura? Cosa può aver detto Ruby di così tanto compromettente? «Le ospiti di queste serate potevano tenere cellulari?» «Sì, le ragazze avevano i loro cellulari. Alcune hanno persino fotografato la casa del presidente. A proposito, Barbara Guerra e...(omissis), anch'essa presente alle serate del presidente, conversando con me una sera a casa di...(omissis), commentarono di essere invidiose dei vantaggi e degli agi che Berlusconi dà alla Nicole Minetti e che se un giorno lui fosse mai caduto in disgrazia avrebbero raccontato quello che sapevano e mostrato le foto da loro scattate ad Arcore per dimostrare che non mentivano e che sicuramente ne avrebbero avuto un tornaconto.» Sei mesi dopo, in seguito alle perquisizioni nelle case delle varie frequentatrici di Arcore, sul cellulare di Barbara Guerra gli inquirenti troveranno alcune foto inequivocabili. Nove immagini, realizzate «il 24 ottobre 2010 a partire dalle ore 4,51 fino alle 4,56 mentre l'utenza in uso alla Guerra quel giorno impegna la cella ubicata in Arcore... Nell'apparecchio si riscontravano numerose istantanee che ritraggono la Guerra, da sola, nuda in varie situazioni». Tra queste «la stessa Guerra si scatta, un'istantanea con una finta divisa "Polke nera" con cappello a visiera e nella mano sinistra un paio di manette». Ma questo i pm devono ancora scoprirlo. Sangermano, per ora, è intrigato dalle allusioni di Ruby. E vuole collegarle alla sera del 27 maggio. «Come andarono i fatti?» «Fu Michelle Oliveira ad informare Nicole Minetti che mi 122
Sodoma trovavo in Questura. A sua volta, Michelle era stata informata da Caterina Pasquino. Michelle conosceva già Silvio Berlusconi, avendo partecipato a qualche serata diversa da quelle alle quali sono andata io. Michelle informò Silvio Berlusconi che ero in Questura e lui le dette il numero di Nicole dicendole che si sarebbe occupata della mia delicata questione. Per come ho saputo in seguito, il presidente era molto preoccupato che potessero emergere i miei rapporti con lui e i racconti delle serate di Arcore. La stessa Michelle mi disse in seguito: "non pensare che io abbia fatto questo per i soldi che mi ha dato Berlusconi, l'ho fatto più per te". Da questa frase io ho capito che il presidente la pagò per quanto aveva fatto e per l'ospitalità che Michelle mi aveva dato appena fui rilasciata dalla Questura. Lo stesso Berlusconi telefonò alla Nicole Minetti mentre ancora eravamo in Questura, chiedendole di chiamarlo non appena la questione si fosse risolta. La Minetti, una volta usciti, chiamò il presidente rassicurandolo che tutto era andato bene. A quel punto, me lo passò. Berlusconi, scherzando, mi disse che nonostante gli avessi detto che ero egiziana e maggiorenne, lui mi voleva bene lo stesso. Dopo questa occasione, il presidente l'ho risentito soltanto al telefono, ma non l'ho più visto. Berlusconi mi disse che mi avrebbe potuto rivedere solo una volta che avessi compiuto la maggiore età e che disponessi di documenti d'identità, essendo lui sovraesposto ad attacchi mediatici.» «Ma la Minetti, sapeva che lei era minorenne?» «Lo sapeva già prima di quella serata del 27 maggio, e questo fin dalla prima volta che entrai alla villa di Arcore. Dimenticavo di dire una cosa: che Berlusconi mi promise anche un'Audi R8 in regalo. L' aveva già acquistata per me e me la mostrò durante la terza serata. In questa occasione, Berlusconi mi avvertì anche che con i suoi ospiti avrei dovuto sostenere di essere la nipote del presidente egiziano Mubarak, perché erano presenti... omissis... omissis... omissis...» 123
In verità, qualcuno farà trapelare alcuni nomi dei presunti ospiti eccellenti: Daniela Santanché, George Clooney ed Elisabetta Canalis. La Santanché ha smentito, quanto alla Canalis viene convocata da Ilda Boccassini all'inizio di febbraio del 2011 per essere interrogata nell'ambito dell'inchiesta sui rapporti tra il premier e Ruby. La deposizione (avvenuta, secondo fonti diverse ma concordi, in Questura e non a Palazzo di Giustizia, verso le otto di sera) non è durata molto e ha riguardato soprattutto il compagno della soubrette, l'attore americano George Clooney. Elisabetta ha negato che la coppia sia mai stata ospite di Berlusconi alle cene di Arcore o in altre dimore del presidente del Consiglio, durante tutto il 2010: dunque ha sbugiardato la ragazza marocchina. È pur vero che Clooney ha incontrato Berlusconi, ma ciò è avvenuto in epoca precedente e per chiedere aiuti finalizzati alla causa umanitaria del Darfur, di cui, come è noto, è testimonial, in qualità di «Messaggero di pace per l'Onu». Rileggendo gli atti relativi alle deposizioni di Ruby, si ha la netta sensazione che la ragazza marocchina cerchi prudentemente di tutelarsi e tutelare i potenti amici di Arcore, disseminando dei paletti, nell'arco delle sue testimonianze: per delimitare le responsabilità, ed escludere trasgressioni penalmente rilevanti. Scagiona Lele Mora ed Emilio Fede: mai le hanno chiesto di prostituirsi, afferma; così come nega di aver frequentato la dimora romana del presidente Berlusconi. Sostiene, comunque, di avere conosciuto, nel corso della prima serata a Villa San Martino, anche la «celebre» Noemi Letizia, la ragazza. Dice Ruby: «La conoscono tutti come "cocca di papi". Noemi mi chiese quanti anni avevo e io le risposi che ne avevo 24. Allora lei scherzando, mi disse che tanto la preferita di Silvio era lei. Io ho saputo da varie ragazze presenti alle feste che tra Noemi e Berlusconi vi era stata una relazione intima di natura sessuale. È una voce che circolava in maniera in124
Sodot sistente tra tutte le ragazze. In definitiva, ho incontrato Berlusconi tre volte e solo ad Arcore». Ruby non sarà più ascoltata dai magistrati. Da quel momento, i pm sceglieranno di non seguirla più sul suo scivoloso e ingannevole terreno. Ma le sue audizioni non sono state una perdita di tempo. Tutt'altro. Sono servite a individuare alcuni sentieri da percorrere. Michelle, Nicole, Marysthelle, e tutte le altre ragazze di Arcore vengono messe sotto osservazione. Un monitoraggio capillare. A cominciare dai preziosi tabulati dei loro cellulari, che rivelano contatti reiterati, date, orari, spostamenti. I telefoni tradiscono i testimoni reticenti, incastrano quelli bugiardi. Le loro intercettazioni sono eloquenti dimostrazioni di degrado etico e di squallidi comportamenti. L'inchiesta consente la ricostruzione dell'ambiente che gravita attorno a Lele Mora, a Emilio Fede e alla consigliera regionale Minetti, figura chiave per individuare il meccanismo sesso-potere. Facile era capire e circoscrivere l'ipotesi di concussione attribuita a Berlusconi, il 27 maggio, le sue pressioni illecite per far liberare Ruby ed impedirle che si mettesse a parlare delle notti ad Arcore da minorenne, «compreso il bunga bunga di Stato», come commenterà il direttore di «Repubblica», Ezio Mauro, il 16 febbraio 2011. Meno facile, collegare l'accusa di prostituzione minorile alla concussione. Ruby spesso divaga, generosa in particolari che talvolta non collimano con i riscontri investigativi; forse affastella ricordi e chiacchiere tra amiche, le quali, a loro volta, le riferiscono episodi che lei fa propri, un meccanismo mentale comune agli adolescenti e a chi si nutre di gossip. Ai magistrati serve invece constatare e contestare la concretezza della notitia criminis. Dal 3 agosto, comincia tutta un'altra storia. Magari, comincia proprio da dove nessuno avrebbe mai potuto immaginare: dal bunga bunga. 125
11. ALLA SERA ANDAVAMO TUTTI AL «BUNGA BUNGA» «Di queste cose non so nulla. C'è un salotto a Villa San Martino con un bar, dove ci si sedeva, si beveva qualcosa, qualche volta c'era la musica ma bunga bunga non so cosa sia. Anzi, per quel che mi risulta, è una semplice barzelletta, peraltro nota». In una delle sue molteplici interviste - questa, una delle prime, a Radio Capital del 28 ottobre 2010 - Emilio Fede tenta di spacciare i baccanali berlusconiani per semplici, innocenti riunioni conviviali in cui ci si racconta storielle, si vede gente, si beve qualcosa e si sghignazza, come in osteria, pacche sulle spalle (e non sul sedere delle ragazzine...) tra vecchi amici. Così, in sprezzo al rischio del ridicolo, banalizza il mistero gaudioso delle pratiche godereccie in voga nell'accogliente villa del premier. La barzelletta ha per protagonisti due ministri del governo Prodi: e come poteva essere altrimenti? Fede vorrebbe già suscitare qualche risolino, al solo evocare il nome dell'odiato rivale di Berlusconi. Dunque, comincia il direttore del tiggì di Retequattro, in Africa i due malcapitati sono catturati da una tribù di selvaggi. Il capo chiede al primo dei ministri prigionieri: «Vuoi morire o bunga bunga?» Il ministro, senza esitazioni, sceglie il bunga bunga e viene sodomizzato. Il secondo prigioniero, che ha assistito all'atroce punizione, davanti alla drammatica scelta, non ha indugi e sospira: «Quand'è così, preferisco morire!» Lo accontentano: «Va bene», dice il capo della tribù, «prima bunga bunga, poi morire». Fede è un furbacchione. Questa storiella è vecchia come il 126
Sodoma cucco: il premier ne fece un cavallo di battaglia fin dai tempi di Noemi Letizia. Ma Berlusconi l'ha riciclata prontamente appena lo scandalo Ruby è scoppiato e la sfodera nei suoi meeting di partito o in quelli dei suoi supporters, non senza condirla con l'immancabile pistolotto antigiudici, scatenando l'entusiasmo dei fans, perché in breve tempo la faccenda delle feste di Arcore si è trasformata in una sorta di derby stracittadino, chi vuole giustizia e chi sposa la tesi di Silvio, «è una congiura, sono tutte invenzioni, il bunga bunga è solo una barzelletta». Così, le sue platee s'infiammano, applausi delirio e risate, slogan contro la cricca dei magistrati e quei bacchettoni moralisti, invidiosi che il loro leader sia circondato da tante belle e brave ragazze. Allora, l'astuto Berlusconi, sfoderando l'antica abilità da piazzista, aggiunge una piccola lezioncina lessicale sull'espressione «bunga bunga», spiegando agli inorriditi tifosi che quell'atto d'accusa della Procura di Milano è frutto di un clamoroso abbaglio, poiché non si tratta di nient'altro che uno scherzo, che i magistrati non hanno capito e nel loro fumus persecutionis hanno trasformato nel più turpe reato contro la persona. Tesi che il presidente del Consiglio, a furia di rielaborazioni, correzioni e aggiornamenti, ha trasformato, soprattutto dopo il rinvio a giudizio, in una leva personale, strumento di riscossa e di delegittimazione della Giustizia. Il 26 febbraio 2011, all'Hotel Ergife di Roma, durante il secondo congresso nazionale del movimento moderato dei Cristiani Riformisti, una costola cattolica del Pdl, dopo essersi scagliato contro i gay e l'istruzione pubblica, mentre fioccano gli applausi e una ventina di giovani militanti lo circondano sul palco, non resiste: «Vi ringrazio per l'accoglienza, vedo tante giovani, siete simpatiche e belle, v'invito tutte al bunga bunga. Sapete che bunga bunga vuol dire semplicemente andiamo a scherzare, a ridere, a bere qualcosa? Ma sempre con grande eleganza e 127
grande rispetto di tutti, nell'ambito di una casa dove possono succedere solo cose a posto». Due giorni dopo, il 28 febbraio, tra gli osanna di un folto gruppo di militanti del Pdl, riuniti alla Camera di Commercio di Milano, un ringalluzzito Berlusconi perfeziona la descrizione: «Siete così simpatici che vi invito tutti al bunga bunga. Temo che rimarrete delusi, al bunga bunga non c'è niente di proibito ma solo quattro salti e chiacchiere in allegria». Berlusconi persevera nella sua mistificazione, cerca d'inculcare nell'opinione pubblica il concetto che il bunga bunga, battuta nata da una barzelletta triviale, si è evoluto in un simpatico appuntamento periodico tra amici, «con grande eleganza e grande rispetto per tutti». A un certo punto entra in scena persino Muhammar Gheddafi, a cui Berlusconi attribuisce la paternità «etnico tribale» di questa pratica, a dire del Colonnello Ubico, una sana abitudine la cui tradizione affonda nella notte dei tempi tra i beduini del deserto. Perfino gli inquirenti, agli esordi dell'inchiesta, hanno qualche difficoltà nell'inquadrare il bunga bunga: gioco erotico? Un passaparola per convocare le ragazze? È Ruby a parlarne la prima volta, e proprio per la sua disinvolta capacità di mentire, i magistrati pensano sia un'invenzione ispirata dai titoli dei giornali che già nell'aprile 2009 ne avevano raccontato a proposito della «vergine di Casoria», la bionda Noemi Letizia omaggiata per i suoi 18 anni dalla presenza a sorpresa del presidente: «Mi raccontava sempre la barzelletta del bunga bunga...» Il dubbio che possa essere un'espressione gergale, induce i magistrati ad approfondire l'argomento, per evitare equivoci o accuse ingiuste tali da danneggiare sia il buon nome del presidente del Consiglio che la loro buona fede. Il primo campanello d'allarme, è un'intercettazione registrata il 24 agosto 2010 di una telefonata di Emilio Fede con la deputata Maria Rosaria Rossi. È lei, astro nascente del Pdl, a ti128
Sodoma rare in ballo il bunga bunga, una citazione che quasi annega nel fiume delle intercettazioni. Sono le otto e un quarto di sera, fa ancora caldo a Milano e le feste a casa del premier sono più che mai in voga. «Tu stai venendo qui Emilio?» «Alle nove, nove e un quarto.» «(...) Chi c'è?» «Niente, poche persone.» «Ecco, no, perché c'ho due mie amiche...» «Ah, che palle che sei, due amiche, quindi bunga bunga, due de matina, io ve saluto, eh?» «No no, tesoro, posso non portarle, eh?!» Meglio. Perché quella sera il presidente è stanco e «ci vuole un po' di rispetto», fa notare la deputata all'incontenibile Fede. Ma non è sempre così. E poi c'è rispetto e rispetto. Dipende dall'umore di Lui. Quello per le serate stanche, quello per le serate allegre. E come ci si comporta quando il presidente è su di giri o «pimpante», come lo definisce Fede in una delle sue telefonate? Prestandogli «soccorso», interpretandone desideri e capricci. Una specialità nella quale eccelle la sollecita Nicole Minetti, abile nell'interpretare le necessità del presidente e nel rivolgersi alle persone giuste. Come avviene per la sera del 19 settembre, quando convoca una delle sue migliori amiche, Melania, giovane bocconiana di 21 anni. Alle quattro e mezzo del pomeriggio di quello stesso giorno la chiama per darle istruzioni. Perché ad Arcore non si può arrivare impreparate. «Ho sentito adesso the boss of the boss, gli ho detto ahhh allora stasera, guarda che porto un'amica. Mi fa "Ottimo". Gli Ho detto guarda che ha la seconda laurea, gli ho detto, ti dà del filo da torcere... Ottimo, si vede che non poteva parlare... grazie a stasera, ciao (...). No, ma infatti, ti volevo un attimo buffare sulla cosa, nel senso... giurami che non ti prende male, nel senso cioè che ne vedi di ogni, cioè te ti fai i cazzi tuoi 129
e io mi faccio i cazzi miei, per l'amor del cielo, però ne vedi di ogni... nel senso la disperacion più totale, cioè capirai, c'è gente per cui è l'occasione della vita quindi ne vedi di ogni... Fidati di me, punta A) sul francese che lui sbrocca, gli prende bene e tutto... digli tutto quello che fai... seconda laurea... sei stata... tre mesi alla Sorbona che anche lui ha studiato alla Sorbona, sì... sì... si esalta di brutto, non entrare nei dettagli o vedi cosa hai fatto... Te, cosa hai fatto alla Sorbona? Hai fatto il corso di francese? ! ? Ok, mmmm, tutte queste cose a lui piacciono ehh, cioè... no no, io lo dico nel senso, cioè nel senso per far entrare in simpatia, nel senso... Meli... detto fuori dai denti, no... ci sono varie tipologie di... persone: c'è la zoccola, c'è la sudamericana che non parla italiano e viene dalle favelas, c'è quella un po' più seria, c'è quella via di mezzo tipo Barbara Faggioli e poi ci sono io, che faccio quel che faccio, capito? Per cui, ecco, era solo per non confonderti nella massa. Non siii timida, fregatene, sbattitene il cazzo e via andare... No, no era giusto per... Nel senso che perché prima parlavo con Simone no, che ovviamente Simo sa dove vado perché non è che gli posso raccontare boiate no? Allora gli ho detto: "guarda che viene su anche la Meli"... Allora mi fa: "Noooo, non è che la Meli si prende male, perché lei è una brava ragazza, perché di qua, perché di la..." Gli ho detto: "Ascolta Simo, ti prende male di che cosa???" Ehhhh, non è che adesso, cioè voglio dire no, ma sai... Perché poi lui c'ha tutta una sua idea delle cose che comunque è quella che possono avere chi non conosce e chi non sa, capito?» Ma certo. Chi non conosce e non sa, non può immaginare le delizie dell'harem. Tantomeno i suoi squallidi riti. Raccontati minuziosamente il giorno dopo dalla «Meli» a un'altra sua amica, Valeria. Prima con un sms: «Ciao cara, era solo un saluto. Come stai? Quanto alla serata, posso solo dirti: allucinante! Però io non sono stata messa in difficoltà in alcun modo. Poi ti 130
Sodoma dirò bene. Baci». Quindi con una lunga telefonata. Troppo ghiotto il messaggio lanciato da Melania per aspettare a lungo. Dieci minuti dopo, Valeria chiama. «Quindi era... a casa?» «Non so quanto... sia il caso di parlare di certe robe al telefono ma è male. Nel senso che è proprio molto molto male, sì sì sì... No, io ti dico cheee, ti posso dire una sola parola e poi magari ne parleremo a voce...» «Mi hai scritto: "allucinante"...» «Ah, no ma uso una parola ancora più chiara: "un puttanaio" (sorride), cioè proprio... no no, ma proprio no no no!» «Cioè, che non ti aspettavi?» «No, cioè! Io posso aspettarmi che certe cose avvengano in privato, no? Perché ognuno fa assolutamente quello che vuole. Penso che non ci siano problemi se uno da adulto... no? Con un altro adulto... per carità, fai pure. Il problema è che avvengono in maniera assolutamente sfacciata, disinvolta, davanti a tutti. Poi è così: ieri sera la sera era...» «Te eri tranquilla, ooooo... ?» «Ma guarda, io sono tranquilla perché...» «Relativamente?» «Nessuno mi ha messo in difficoltà in nessun modo e quindi questa è una cosa buona, nel senso che non è che io... Dovessi fare o mi è stato dato ad intendere che... cioè, no! Io ero tranquilla, però per darti un'idea, fai conto Vale... eee, noi siamo... cioè, non c'è nessun genere di controllo relativo...» Da impazzire di curiosità. «Vale» si dimentica perfino che sta chiamando da Rimini freme: «Se vuoi guarda che puoi venire anche a casa mia se ne vuoi parlare stasera...» «Eh, ma io sono a Milano, tesoro...» «Giusto, scusa, vedi, son fuori, no niente, lascia stare...» «(...) Di ieri che, mmmmm, vabbé, nel senso che ci sono diverse tipologie di disperate alla fine è chiaro che ci sono mo131
menti in cui ci sono più persone e momenti in cui magari sono quasi più seriosi no? Ieri sera, tu non lo sai, perché in realtà va come in tutte le cose, un po' il padrone di casa che dà Io stile della serata no?» Una questione di stile. Ha ragione Melania, anche perché lei, per la sua prima volta in casa del premier si aspettava ben altro. Aveva deciso d'indossare un abito elegante e discreto, adatto per una serata a casa di un uomo importante, autorevole e potente come Berlusconi. Era pur sempre ospite a casa del Primo Ministro. Aveva curato tutti i dettagli: scarpe con tacco, ma non eccessivamente alto, pantaloni neri a vita alta, camicetta scollata ma non volgare, orecchini non vistosi, un filo di trucco: «Non è che adesso ero una suora». Però le altre erano diverse, «tutte con dei microabiti», un po' volgari. «Io mi ero studiata tutto: «buona sera», di qua e di là, come mi rivolgo, gli do del voi, faccio l'inchino... sto' par di cojoni, capito? Invece tutte danno del «tu» al presidente, lo chiamano «amore, tesorino», «anche le zoccolissime»», forse perché, nota Melania, «non saprebbero coniugare i verbi a una diversa persona...» Sperava, la giovane bocconiana con due lauree e corso alla Sorbona, in un approccio diverso. «Non dico un momento istituzionale, però pensavo ci fosse un momento serio». Poi, invece, ha incontrato Emilio Fede. «Ieri sera c'erano molte ragazze, tipo una ventina e c'era lui e il suo fedelissimo amico che ha un ruolo importanteeee... bassino, mmmm, adesso vabbé... comunque eeee molto abbronzato, che parla benissimo di lui, lo venera proprio (ride), ti può venire in mente chi è, comunque... eee poi c'era un'altra persona ancora, ehmmm, questi, loro tre e basta. E tutte ragazze. Eeeee noi siamo entrate proprio senza nessun tipo di controllo nel senso che tu arrivi, fuori di casa, eee dici il tuo nome e passi con la macchina tranquillamente. Io avevo la mia borsa, il mio cellulare, nessuno me l'ha guardata, nessuno mi ha 132
Sodoma chiesto niente. Quindi varchi la soglia ed entri. Eeee l'ingresso è stato proprio cioèeee, non informale, di più. Perché queste persone lo chiamano "amore, tesorino", cioè ma proprio dei livelli di bassezza totale. Tu non immaginarti niente di quello che puoi immaginarti. Rendilo... mmmm...» «No, io posso immaginare solo quello che c'è scritto nei giornali». «Ecco, praticamente nei giornali dicono molto meno della verità. Cioè, anche quando looo, anche quando diciamo, lo massacrano no, cioè è molto peggio! Molto più triste e molto piùùùù...Ti dico, non c'è nulla di pericoloso... a me proprio mi ha lasciato l'amaro in bocca. Ma non perché ho avuto paura, no no, per la desolazione cioè, sai quando vedi quelle cose. ..» «Ma più della persona o delle persone?» «No, della pers... vabbé, la persona èèèè, ti dico, cioè io ho avuto un contatto diretto, non è che non l'ho conosciuto, l'ho proprio conosciuto, ma perché lui aspettava me e mi ha presentato a tutti, mi ha accolto in un certo modo, mi ha dedicato la canzone, cioè...» «Quindi è stato proprio... ospitale?» «Sì, sì, ospitalissimo ma non aveva capito la questione, eeee del resto lui magari è abituato che se una va lì... no? È pronta a tutto diciamo, ma io sai come sono, non ho problemi a dire no a nessuno, quindi ero nel mio angolo...» «Un'altra si metteva a piangere?» «Per riuscire aaa, gestire dai, una cosa che magari non t'aspetti, a cui non sei abituata.» «Sì, cioè, uno si mette in difficoltà o si prende un taxi e va a casa o unoooo ci sta... diciamo così. Puoi essere anche più debole, quindi niente, questo clima assolutamente informale, cena, omaggi vari, con vari presenti che ho dimenticato... Non e vero, ce li ho lasciati apposta là... nel senso che erano cose, 133
vabbé, a parte brutte come si dice, sai quelle robe farfallesche, cose che non sono da me quindi forse se mi fosse piaciuto qualcosa me la sarei tenuta, maaa anche no. È una persona molto simpatica, molto di compagnia, cioè l'immagine che si trasmette è vera...» «Carisma, carismatico.» «Ecco, invece no.» «No?» «A me è scaduto tantissimo. Mi ha... mi sembrava di avere di fronte non lui, ma le caricature del Bagaglino... Ecco, io ho vissuto la serata come se fossi al Bagaglino. Hai presente quella volgarità spiccia che non è tanto costruita o fantasiosa? Non è Eyes wide shut». «No, no.» «Il film con Tom Cruise, cioè no!» «No, no, no.» «Una roba banale, ecco. Io mi sentivo lì dentro, in questa cosa in cui a un certo punto durante la serata con l'Agostino di turno, tipo Maria De Filippi, quello con la pianola che canta, a un certo punto, non sai bene come e perché, qualcuno ha iniziato a far vedere il culo e da lì la serata è decollata». Bisogna fermarsi e prendere fiato. Nella semplicità di una chiacchiera tra amiche, Vale e Meli mettono a fuoco l'essenza di questa storia che va ben oltre i reati contestati nei provvedimenti giudiziari: la rappresentazione della realtà vista da Arcore, dove i rapporti tra uomini e donne si riducono a una puntata del Bagaglino, e l'immagine del premier, quella di un uomo anziano e senza il carisma garantito dal filtro delle sue televisioni, risulta irrimediabilmente scaduta «in un susseguirsi di cose più o meno volgari», chiosa la Meli. «Ti dico, tutto davanti a tutti, questo buttasù.» «Ma questo a tavola? Dopo cena?» «No, no, a tavola mentre si mangiava. Dopodiché ci si è al134
Sodoma zati e la cosa è peggiorata nel lato, diciamo, non nel lato, in una sala discoteca mmmm è lì il degenero più totale, cioè proprio siamo, ripeto, in un puttanaio in cui ci si intrattiene come meglio si crede. Cioè poi alla fine ognuno è libero di fare quello che vuole, nel senso che è una casa privata, no? E ti ripeto, io sottolineo che nessuno mi ha proposto nulla, chiesto nulla, alluso a niente, cioè assolutamente no. Io sono stata tutta la sera seduta... rispettata assolutamente. Dopo sia, anche solo il fatto di vedere certe cose, può metterti in difficoltà.» Vale, annuisce. Ma non era stata «briffata» la Meli? Non era stata avvertita da Nicole che ne avrebbe viste «di ogni»? «Ma scusa una cosa, ma tu non eri stata, diciamo così, preparata?» «Allora no, in realtà fino a un certo punto, nel senso che lei mi aveva detto non ti scandalizzare, vedrai un po' di tutto, ma io pensavo di vedere o delle avances o della disponibilità che poi però si sarebbe concretizzata in un altro posto. Cioè capisci, che se io vedo uno che ammicca o una che dice dai dai dai, che ne so, è un conto, no? Se poi io vedo un bacio è un altro discorso... E poi io non ne vedo uno, ma ne vedo venti...» «Poi tu dici, se tantooo uno spazio c'è... piuttosto...» «Quello, brava, brava!» «Uno va a farsi i fatti suoi da un'altra parte, dici.» «Brava, brava. E questo che io non mi sono spiegata. Il perché di questo buttasù collettivo, appunto, a giro, no? Cioè posso dare un bacio a una come a un'altra ma così, ripetutamente e ti ripeto, davanti a tutti senza che ne abbia un senso... Perché allora qui c'è l'ostentazione, cioè c'è voler far vedere che lo fai, secondo me. E in questo ci deve essere... alla fine... boh... questa è una persona comunque molto grande. Si potrebbe quasi dire adesso, non anziana, ma insomma...» Insomma, un settantaquattrenne senza aggettivi. Per la Me-
li è il crollo di un mito. 135
«(...) Anche fisicamente io lo vedevo diverso. Nel senso che, tu puoi vedere certi discorsi che fa, ha un tipo di piglio, lascia stare che vedi che si è rifatto, che s'è tirato, però ha un piglio di una persona molto decisa, cioè, anche come parla è un comunicatore, no? Almeno in quello è uno che si vende bene...» «Per quello ti dicevo carismatico, nel senso che...» «E invece no. Sembrava una, guarda, ti dico, mi viene bene la figura del Bagaglino, cioè una caricatura...» «Una caricatura di se stesso.» «Sì, bru... guarda, una cosa molto brutta e molto triste... Io pensavo che lui mantenesse un contegno e poi facesse i fatti suoi. Invece no. Assolutamente no. Cioè lui si presenta in un certo modo, ma molto basso e mi dispiace perché, boh? Non c'è bisogno.» «(...) Però non so, non so qual è la morale che ti porti a casa?» «No, la morale che io mi porto a casa è che ci vuole veramente un attimo a, volendo, avere di più un senso materiale... (...) Ti rendi conto... che proprio nella vita quello che conta molto, molto, molto... ancora più della salute, che purtroppo vabbé, a volte può non esserci, però sono i rapporti umani veri e sinceri. Perché tu quando vedi, appunto, una persona che ha anche così tanto potere, così tanti soldi, cioè che veramente potrebbe fare qualunque cosa Vale, ... si riduce a fare questo, in fondo vuol dire che... cioè io piuttosto sto con il nipote, il figlio, la moglie, non so (...) E poi guarda... lì è talmente tutto eccessivo che vivresti una realtà talmente accelerata che poi, alla fine, la borsa in più o la vacanza in più che ti compri, non ti soddisfano più neanche quelle. Io ho capito questo, cioè se io entro in questo vortice, ma al di là del fatto che io poi non ci entrerei mai, poi finisci che vuoi sempre di più e tu vedi queste ragazze che... che hanno già qualcosa che sarebbe assoluta136
Sodoma mente sufficiente per vivere, ma non va bene, perché allora vogliono anche il regalino, allora vogliono anche una certa posizione, allora vogliono la spintarella, allora e hanno la sorella, il fratello, il cognato da sistemare, una cosa scandalosa!» Melania è davvero turbata, anche quando, alle due di notte, si ritrova nell'ufficio di Berlusconi insieme a Nicole, per ricevere una busta con dei soldi. «Un contributo ai tuoi studi», le dice il Cavaliere, che però vuole essere «ringraziato» in un certo modo. «Ho capito benissimo a cosa si riferisse, ho detto "no!" della serie, il mio ringraziamento è dire grazie, anche perché altrimenti questa cosa te la puoi tenere... Ho girato il culo e sono andata, ma proprio così, secca. Che la Nicole mi ha detto "ho tremato" e io ho detto "cazzi tuoi". Meli è incredula di ciò che ha visto e sentito, "spero che i suoi figli non sappiano". Ed è anche preoccupata: "Io avrei voluto dirgli: ascolta, non puoi fare qualcosa di meglio? Per te stesso... boh?"» La bocconiano. Quando gli inquirenti ascoltano questa intercettazione capiscono di avere forse trovato la testimone che cercavano per le loro indagini. Non una sbandata come Ruby e nemmeno una delle starlette troppo interessate e coinvolte nelle serate di Arcore. Melania è una ragazza fuori dai giri, doppia laurea, pulita. E piuttosto choccata, come dirà ad un'altra amica. Anzi: «traumatizzata». Insomma, una persona attendibile, senza interessi favorevoli o contrari rispetto a Berlusconi. Soprattutto è una testimone oculare fondamentale. Di lei si occuperà direttamente Uda Boccassini. Il famoso magistrato antimafia, entrato in campo soltanto a metà dell'inchiesta, in conseguenza del trasferimento del collega Sangermano nei ranghi della DDA, la divisione distrettuale antimafia di cui Boccassini è la coordinatrice. Uda «la rossa», è consape137
vole dell'estrema delicatezza di questa inchiesta. Perché dall'altra parte c'è Berlusconi. L'avversario di sempre, l'uomo che con lei ha ingaggiato le più aspre battaglie giudiziarie italiane, tanto che lo stesso Berlusconi, più volte, l'ha indicata fra gli appartenenti di una ipotetica frangia della magistratura da lui definita «sovietica» e «comunista». Come peraltro si legge persino su Wikipedia. Stavolta Ilda «la rossa» non vuole prestare il fianco a nessuna critica: controlla con pignoleria ogni dettaglio, partecipa a tutti gli interrogatori più importanti. E quello di Melania, compilato il 16 novembre 2010, diventerà uno dei perni dell'ipotesi accusatoria sul giro di prostituzione a Villa San Martino. Pochissime le domande. Ma le risposte racchiudono una montagna di particolari. Sono dettagli importanti per verificare non soltanto la credibilità di Melania ma il viluppo delle relazioni che collegano le ragazze a Villa San Martino. La Boccassini è fortunata, perché si trova davanti una testimone disposta a collaborare, a liberarsi d'una esperienza che l'ha segnata e turbata. Vuole raccontare finalmente ciò che ha visto la sera del 19 settembre, senza freni inibitori. Può raccontare tutto. Può confessare la vergogna che ha provato, nell'essere stata confusa insieme al «branco» delle allegre animatrici di Arcore. «Ci siamo diretti ad Arcore con l'autovettura di Nicole, però ci siamo fermate nei pressi del San Raffaele perché la Minetti aveva appuntamento con altre ragazze che sempre dovevano recarsi ad Arcore. Due sono salite su un'autovettura propria, una inveceè salita a bordo con noi. Si trattava di tre ragazze non italiane, una di queste l'avevo già vista alla discussione di laurea della Minetti, si chiamava Marysthelle, almeno penso, e sicuramente fa la ballerina alla trasmissione televisiva Colorado. Giungemmo per tanto ad Arcore, a bordo delle due autovetture e quando arrivammo fuori dal cancello trovammo due carabinieri con un'autovettura di servizio. Credo che la Minetti disse il proprio nome, non ricordo con sicurezza se fu138
Sodoma rono forniti anche i nostri nominativi. I carabinieri comunicarono con l'interno tramite radio e ricevettero l'assenso a farci entrare... Siamo quindi entrati, passando attraverso una veranda e poi, una volta all'interno della casa, una giovane donna ebbe modo di salutare Nicole Minetti. Ricordo che ci trovammo all'interno di una stanza di non grandi dimensioni, una volta superato l'atrio, dove erano presenti circa venti ragazze. Fu a quel punto che sentii la voce del presidente Berlusconi e lo vidi entrare. Lo stesso poco dopo mi si rivolse in maniera cordiale: "Lei è la signorina due lauree?" E io salutai dicendo "Buonasera presidente" con una stretta di mano. Nella sala oltre a circa una ventina di ragazze e il presidente, c'erano Emilio Fede e Carlo Rossella. Posso essere certa sulla loro identificazione perché, ovviamente, essendo personaggi pubblici li ho riconosciuti appena li ho visti. Dopo un brindisi ci trasferimmo tutti in sala da pranzo per la cena. Ci sedemmo tutti intorno a un grande tavolo e i camerieri cominciarono a servire la cena. «Per la cena ci portarono una caprese, delle verdure, un pollo grigliato e poi del gelato. Durante la cena il presidente sollecitò alcuni suoi collaboratori ad andare a prelevare degli omaggi per le ragazze presenti, che consistevano in bigiotteria piuttosto appariscente ma di scarso valore, almeno questa fu la mia impressione. Tengo a precisare di avere lasciato lì i regali che mi riguardavano. Il presidente del Consiglio cominciò a cantare, anzi, mi dedicò una canzone in francese. Anche le altre ragazze invitate si alternarono a cantare, vi era una specie di pianola, anche un cantante e avevo la netta sensazione che tutte le partecipanti a quella serata avessero già frequentato il presidente perché vi era un atteggiamento di confidenza tra di loro e tra queste e il presidente, come pure con Emilio Fede e Carlo Rossella. I canti furono accompagnati da balletti tipo «trenino» cui le ragazze invitate si univano. Io sono rimasta seduta per tutta la durata della cena. Durante la cena non è suc139
cesso niente di particolarmente strano, anche se rilevai la libertà con cui tutti potevano circolare e per esempio, andarsi a fumare una sigaretta, utilizzare i cellulari, eccetera. Io stessa mandai diversi messaggi al mio fidanzato, con cui mi sono tenuta in contatto. «Dopo la cena sentii alcune ragazze dire "Scendiamo al bunga bunga", che poi ho capito essere il riferimento ad un locale al piano di sotto dove è collocata una sorta di discoteca. Tengo a precisare che arrivammo ad Arcore intorno alle 22,30 e quindi scendemmo nel suddetto locale, definito bunga bunga intorno a mezzanotte e mezza circa. In questa sala vi sono divanetti, un palo da lap dance, una sorta di banco bar e dei bagni, dove le ragazze andarono a prepararsi per la prosecuzione della serata, che da quel momento in poi assunsero caratteristiche diverse dalla prima parte». E qui Melania ha un sussulto. Perché le ritorna in mente quella sensazione di fortissimo disagio provata scendendo nella sala sotterranea di Arcore. Va bene essere una bella ragazza, attraente, seducente ma lì si era improvvisamente vista come un pacchetto, una donna oggetto con tanto di cartellino, quello del prezzo. Non c'era né divertimento né interesse. Solo mortificazione, avvilimento. Vorrebbe dire queste cose alla Boccassini ma si trattiene. Uda «la rossa» comprende che è un momento di svolta dell'interrogatorio: il bunga bunga è questo, l'umiliazione di una donna. «Le ragazze" indossarono infatti abiti succinti, alcune modificarono l'acconciatura, il trucco, e assunsero atteggiamenti con connotazioni equivoche ma senza che si consumassero, almeno in mia presenza, rapporti sessuali. Ricordo ammiccamenti, balletti provocanti e "allegri". Io ero seduta, ovviamente non mi sono cambiata né mi è stato chiesto da alcuno di cambiarmi. Faccio presente che io ho trascorso molto tempo nei bagni perché non mi sentivo a mio agio in quel contesto generale e quin140
Sodome di ho preferito passare molto più tempo alla toilette che nella sala adibita a discoteca. Ho visto anche che a un certo punto, al centro della sala si alternarono singolarmente le ragazze presenti e alcune di loro hanno fatto anche dei balletti che si possono dire provocanti o ironici; tra queste anche la Minetti. «Questa situazione è andata avanti per circa un'ora e mezza. Verso l'una e trenta sono andati via Emilio Fede e Carlo Rossella, dopo circa mezz'ora tutte quante noi presenti abbiamo seguito il presidente che si era allontanato dal locale adibito a discoteca per salire al piano superiore. Alcune ragazze si sono fermate nella sala dove eravamo all'inizio, per guardare la televisione, altre hanno seguito il presidente che è andato in un'ala della villa che io non avevo ancora visto. Io mi sono fermata nell'atrio, ho inviato un messaggio al mio fidanzato precisandogli che la serata era finita. Sono rimasta in attesa della Minetti nell'atrio circa un quarto d'ora, essendosi allontanata insieme ad altre ragazze con il presidente. Poi mi venne a chiamare dicendomi che il presidente aveva intenzione di salutarmi. Seguii la Minetti e arrivammo in anticamera dove erano in attesa un quindicina di ragazze. Io fui condotta da Nicole nell'ufficio del presidente. Quando entrai devo dire che non era una stanza di rappresentanza, ma vi erano una quantità di fogli, di libri, tutto in confusione, almeno questa è stata la mia sensazione. Il presidente mi aspettava in piedi, mi chiese se mi fossi divertita, io risposi "sinceramente non tanto". Il presidente mi disse che Nicole gli aveva parlato molto bene di me e che era sua intenzione valorizzare il mio percorso professionale e aiutarmi negli studi, al che mi porse due Cd di Mariano Apicella come omaggio. Io lì per lì non mi resi conto subito che gli stessi contenevano, come potei verificare subito dopo, una busta bianca, che io ho immaginato potesse contenere del denaro, non l'ho però aperta fino a quando sono salita in macchina con Nicole. A questo punto ho aperto la busta alla sua presenza e 141
ho potuto rilevare che all'interno vi erano quattro banconote da 500 euro cadauna. Rimasi sorpresa e imbarazzata, chiesi spiegazioni a Nicole del gesto e per quale motivo io avessi ricevuto quel denaro. Nicole giustificò il gesto del presidente dicendo che sapeva dei miei studi e che quindi quel regalo voleva essere un contributo proprio per i miei studi, quindi la Minetti disse che dovevo interpretare quel gesto come un gesto di generosità...» Cinque mesi ci sono voluti prima di arrivare a questo punto, pensa la Boccassini. Questi soldi, la busta, le spiegazioni del «dono». Il meccanismo è desolante, tutto si riduce al denaro. Si paga l'amicizia, gli studi. E perché? La Boccassini riflette prima di chiedere a Melania se riteneva che questo modo di comportarsi fosse normale. «Perché crede che la Minetti abbia voluto parlare di lei col presidente del Consiglio, dire appunto che una sua amica aveva due lauree, conosceva il francese?» «Sinceramente non lo so. Ma io non avevo mai chiesto alla Minetti di intercedere in alcun modo per me col presidente del Consiglio, è stata esclusivamente una sua iniziativa». La danzatrice del ventre Melania non sarà l'unica a descrivere le notti di Arcore. È un puzzle, alla fine i pezzi del mosaico si ricompongono, è la legge delle indagini. Più testimoni hai, più il quadro è preciso. E qui le testimoni sono tante. Una di loro è Maria Makdoum, 20 anni, un diploma turistico aziendale e l'esperienza da hostess nel 2009 su una nave da crociera. Quando la Boccassini la convoca, è disoccupata e vive ancora con i genitori nei quartieri periferici della «barriera» torinese. Persone semplici, il padre fa l'ambulante, la madre lavora in un albergo. Pure Maria è rimasta disgustata dal bunga bunga di Arcore. Lei non ha la doppia 142
Sodoma laurea di Melania, né ha il privilegio di vivere nel centro di una città come la bocconiana. Ma ha provato le stesse identiche sensazioni della coetanea. Con una sola, piccola, ma significativa differenza: Maria ha intuito cosa si nasconde dietro il «sistema Mora». Diventando così la seconda fondamentale testimone oculare dei baccanali di Arcore. Gli inquirenti sono risaliti a lei localizzando le celle delle persone presenti a Villa San Martino, la sera del 12 luglio 2010. Hanno controllato il suo numero di telefono, e hanno scoperto che non era intestato a lei. Li ha messi in allarme una strana coincidenza: il numero corrisponde a un personaggio piuttosto noto nel giro dei superpoliziotti. È Carlo Ferrigno, un pezzo da novanta: l'ex prefetto di Napoli, promosso dal governo Berlusconi a commissario straordinario per l'emergenza racket e soprattutto ex capo dell'Ucigos, l'ufficio centrale per le investigazioni generali e per le operazioni speciali del Ministero degli Interni. In pratica l'ufficio di coordinamento delle varie Digos sparse per la penisola, l'intelligence della polizia. È molto bella Maria e ha tanti corteggiatori. E Ferrigno, che l'ha conosciuta nel 2009 attraverso una comune amica, ha perso la testa per lei. La riempie di regali, le compra il cellulare e le paga perfino la scheda che ha intestato a suo nome, la corteggia fino a farla spazientire. Vorrebbe aiutarla, la raccomanda presso i suoi amici più influenti. Come Lele Mora, ad esempio, il famoso impresario delle soubrette. «Abitavo a casa di Lele. Lui mi faceva lavorare senza pagarmi perché diceva che non ero abbastanza conosciuta e non portavo guadagni», racconta Maria in un'intervista comparsa sulla cronaca torinese di «Repubblica» a febbraio. Ma a far pentire l'ex prefetto, che si esalta quando Maria lo informa che Mora la porterà ad Arcore, sarà la reazione della ragazza, che anziché ringraziarlo gli racconterà cosa è successo. «Voleva farmi diventare una battona». 143
«Alla faccia del presidente», commenterà Ferrigno. Gli inquirenti, prima di chiamare i testimoni, vogliono sempre prendere qualche informazione preventiva. Così dopo aver accertato che Maria, la sera stessa che si trovava ad Arcore, aveva chiamato più volte Ferrigno, decidono di intercettarlo per capire che reazione avrà. E non se ne pentono. Perché l'ex prefetto è furioso, umiliato per quello che ha saputo da Maria. Tanto da lamentarsene con il figlio in una telefonata del 29 settembre, il giorno del compleanno del suo erede. Ma anche del presidente del Consiglio. «Auguri di cuore!» «Grazie, grazie.» «Mi dispiace solo che i tuoi auguri coincidono con quelli di quello stronzo lì.» «Di chi, di Berlusconi?» «Sì, sì, guarda...» «Eh, che te ne frega?» «Che uomo di merda...» «Chi, Berlusconi?» «Ma quelle son le cose, oltretutto le ho sapute adesso recentemente in diretta dalla persona che tu .sai perché l'avevo fatta andare lì da Lele Mora, no?» «Sì.» «E pensa che ti racconto solo questa, quindi raccontata da lei che mi chiamava alle due di notte, alle tre.» «Che tra l'altro lui è gay, no? Perché ha anche dichiarato di essere stato con Corona, tra l'altro.» «Maaaa, aaaah, Mora, sì, sì.» «Sì.» «Allora una sera porta Maria, la porta assieme ad altre 20 ragazze, erano 25.» «Sì?» «Nella sua residenza, in una residenza fuori Milano, con in144
Sodoma torno tutta polizia e carabinieri. Sai che c'era quel, c'era Lele Mora, mezzo uomo.» «Sì.» «Che le ha portate lui e poi c'era laaa, come si chiama, Emilio Fede.» «Eh.» «Emilio Fede, tre uomini e 28 donne più o meno, tra cui Maria che le hanno fatto fare la danza del ventre... Perché è mezza araba e lo sa fare, e sono rimasti a guardarla, poi alle due, due e mezza di notte, praticamente questo sai che faceva? Facevano le orge lì dentro, non con la droga, non mi risulta, capito? E facevano quel lavoro lì. Facevano, o bevevano tutte mezze discinte, mezze così eee poi lui è rimasto con due o tre di queste e lei è rientrata.» «E Fede e anche Improprio?» «Sì, con Emilio, Maria ha ballato con Emilio Fede, che le ha fatto la proposta.» «C'era Lele Mora, Fede e...?» «Emilio Fede e Berlusconi. Berlusconi si è messo a cantare, barzellette, a suonare... Loro tre e 28 ragazze... tutte ragazze che poi alla fine erano senza reggipetto, solo mutandine, quelle strette...»
«Ah...» «Hai capito? bella roba, tutta laaa sera. Ecco quindi lei l'ha visto lì, poi gli ha regalato un anello e un bracciale a tutte, compreso Maria.» «Ah...» «Pensa un po' che fa questo signore, quindi questa proprio in diretta, lei mi chiamava, era esterrefatta, poi lui l'ha presa in braccio e poi ha detto presto ci rivedremo... ma che schifo quell'uomo.» Sconvolto che qualcuno possa essersi spinto così oltre con la sua protetta, l'ex prefetto ne parla anche con un amico, Ma145
rio Sacco, e da ex sbirro rivela un particolare che lo ha colpito nei racconti di Maria. È il primo novembre e i giornali stanno pubblicando proprio in quei giorni la storia di Ruby e della Questura. Secondo l'ex prefetto la Makdoum avrebbe incontrato negli uffici di Berlusconi ad Arcore, una «brasiliana» (ovvero Michelle De Conceicao?) che le avrebbe raccontato dei retroscena della serata di Ruby in Questura, ovvero che fu lei ad avvertire Berlusconi del fermo della marocchina. Una circostanza che in quel momento ancora non conosceva nessuno. «...Perché poi questa qui è stata denunziata dalla Ruby, che oggi compie diciotto anni finalmente, è stata denunziata per induzione alla prostituzione.» «Chi l'avrebbe denunciata?» «Ruby, questa ragazza...» «Ah okkey.» «Quella sera quando quando praticamente è successo il fatto, poi la, la puttanella, la Minetti, che m'ha detto Maria che c'era anche lei quella sera quando lei fece il ballo... «Mhh, mh.» «A casa di Berlusconi, c'era pure la Minetti, col seno di fuori, chee baciava Berlusconi in continuazione, insomma, senti, proprio un puttanaio eh? Quella Minetti lì, dice che poi non è nemmeno tanto bella, quella sera che c'erano tutte donne, Emilio Fede, Lele e lei, c'era anche la Minetti, l'ha conosciuta alle serate andava capito? E l'ha fatta diventare...» «A me quell'Emilio Fede lì non piace proprio per niente guarda...» «L'ha fatta diventare consigliere regionale, quando praticamente Berlusconi ha detto di affidarla a lei alla Polizia... Tranquilla, spensierata, se era una serata pulita come delle serate a cui io vado a partecipare a Roma da Palmiro, un locale dove c'è la ballerina che balla, ma è una serataa chiunque entra, in giacca e cravatta... Io non pensavo quando Lele mi disse le 146
Sodoma faccio fare la danza del ventre da Berlusconi, ma io pensavo fosse una cena pulita e una cosa, no invece, quella mi chiamava, pur essendo lei una puttanella, è rimasta esterrefatta quando stavano tutte discinte con le mutande, ognuno fa, mezze ubriache eccetera, in braccia a Berlusconi e se le baciava tutte, le toccava tutte, queste venti erano una ventina di ragazze, tra cui la Minetti e le due e... ah ecco, poi in particolare, sai chi è rimasto con lui poi aa a scopare, con Berlusconi? Le due sorelle De Vivo, le gemelle De Vivo, le hai più viste a proposito a Milano?» Ma Maria Makdoum non è «una puttanella». E una ragazza disinvolta, questo sì. Però ha un senso del pudore o forse, più che altro, del suo limite. Dopo le conferme indirette del valore di testimone di Maria, in Procura decidono che è ora di sentirla. La mattina del 15 gennaio la mandano a prendere dalla polizia, l'avvertono: «Sei testimone, ma se non racconti la verità t'indaghiamo». Non ce n'è bisogno. Maria non ne vedeva l'ora. «Ho conosciuto Lele Mora ad una serata a cui ho partecipato a Milano, precisamente presso il ristorante Giannino, e lo stesso mi chiese subito se volevo entrare a far parte della sua agenzia. A giugno 2010 ho incontrato Lele Mora per la prima volta a casa sua a Milano, in viale Monza al 9. Lui mi chiese se volevo trasferirmi presso la sua abitazione. Poi mi ha richiamato e quando l'ho incontrato nuovamente, la prima settimana di giugno, mi chiese se ero interessata a partecipare ad una serata ad Arcore presso la residenza del presidente del Consiglio e mi chiese se sapevo ballare la danza del ventre. Io mi trasferii a casa di Lele Mora perché lui mi disse che avrei potuto fare parte del suo harem, questa fu proprio l'espressione che usò, promettendomi che avrebbe fatto in modo di farmi partecipare a qualche trasmissione televisiva. Io, non avendo in quel periodo 147
nessun lavoro, nessuna proposta che mi veniva dai settori che più m'interessavano, come la moda, lo spettacolo e quant'altro, ovviamente accettai la proposta e mi trasferii a casa di Mora, dove sono rimasta in maniera continuativa dal mese di giugno a fine agosto del 2010. «Preciso anche che quando mi sono trasferita a Milano a casa di Lele Mora, per un periodo ho vissuto nel suo appartamento, dopodiché lui ha liberato un suo immobile, nello stesso stabile in cui abita, e io mi ci sono trasferita, vivendoci da sola fino alla fine di agosto. Come dicevo quindi, Mora disse che mi avrebbe portato a casa del presidente del Consiglio e non aggiunse altro se non il fatto che avrei dovuto fare la danza del ventre. Tanto che fu lui stesso a procurare un vestito adatto all'occasione. «Era un vestito blu metallizzato, composto da due pezzi: reggiseno e la parte che mi copriva dal busto fino ai piedi, lasciando ovviamente scoperto l'addome perché è proprio la parte che deve essere esibita per la danza del ventre. «Ricordo perfettamente il giorno in cui mi sono recata ad Arcore, anche se non la data, sicuramente era luglio. Lele Mora non mi aveva detto che ci sarebbero state altre ragazze, tant'è che io me ne sono resa conto quando, partendo da viale Monza, oltre a me, giù al portone, trovai altre ragazze, almeno una decina, tant'è che per arrivare ad Arcore vennero utilizzate più autovetture. Io presi posto in un'autovettura guidata da un autista e insieme a me vi era un'altra ragazza di nome Carmen, di origine venezuelana. Lele Mora viaggiava su un'altra auto, poi c'era una Range Rover e la macchina dove ero io. A bordo dell'autovettura di Mora c'era una ragzza di nome Fio, che io ho riconosciuto perché aveva fatto la trasmissione televisiva La pupa e il secchione, e Francesca Cipriani, altra persona a me nota perché ha fatto delle trasmissioni televisive, cioè Il Grande Fratello, La pupa e il secchione, eccetera... Mentre in148
Sodoma vece presero posto nel Range Rover altre ragazze che io però non conoscevo. «Io indossavo dei vestiti normali e avevo con me la borsa con il vestito che avrei dovuto indossare per la danza del ventre. Anche le altre ragazze indossavano vestiti normali». I magistrati sono avidi di dettagli. È spesso grazie ai particolari se si chiariscono circostanze ed episodi e se si interpretano dichiarazioni e testimonianze, fino a poterle dichiarare attendibili. E allora, anche una domanda apparentemente insignificante acquista una valenza probatoria. Ad esempio, in che formazione viaggiavano le auto. Incolonnate? Non è una curiosità qualsiasi, ma la necessità di sapere in che modo si muovono le scorte, comprese quelle «ufficiali». «Sì, eravamo incolonnati e tutte e tre le autovetture sono arrivate ad Arcore. Preciso però che durante il tragitto, cioè prima di arrivare ad Arcore, si sono materializzate, uscendo da una strada laterale, delle autovetture con i contrassegni della Polizia di Stato che ci hanno scortato fino ad Arcore.» «Quante autovetture della Polizia erano? E lei è sicura che i contrassegni erano quelli della Polizia di Stato? Lei è in grado di distinguere un'autovettura della Polizia piuttosto che una della Guardia di Finanza o dei carabinieri?» E per essere più chiari, i magistrati tirano fuori perfino un modellino di auto della polizia da fare vedere a Maria. «No, non era un'autovettura con i contrassegni della polizia di Stato, cioè di colore blu con la scritta Polizia. Bensì una macchina normale con sopra il tetto un lampeggiante. Il fatto che si trattasse di una macchina della polizia mi fu detto dell'autista, perché io gli chiesi: "Ma questa macchina ci sta scortando?" E l'autista mi rispose: "Sì". Tant'è vero che questa autovettura ci scortò effettivamente fino all'entrata della villa del presidente Berlusconi. Si trattava di una sola macchina che si mise davanti al convoglio, autovettura che si posizionò avanti 149
alle nostre tre che erano incolonnate una dietro l'altra. Una volta arrivate ai cancelli, noi siamo scese dall'auto e a piedi siamo entrati nella villa, mentre invece le macchine con gli autisti sono rimaste fuori. Fuori nel senso che però entrarono nel cortile della villa. Entrò anche la vettura con il lampeggiante che ci aveva scortato. «Ci fecero accomodare tutte in un giardino, con noi era presente Lele Mora ed Emilio fede, che però era già in villa. Mentre invece ci dissero che il presidente Berlusconi era nel suo ufficio. Siamo rimasti in attesa, in giardino, quasi tre quarti d'ora, ci hanno offerto da bere e cose del genere. Erano circa le 20, 20 e 15. C'era ancora la luce del giorno perché, lo ripeto, non ricordo esattamente la giornata ma era nel mese di luglio, faceva molto caldo. Dopo circa tre quarti d'ora venne in giardino il presidente del Consiglio, si presentò soprattutto a me e alle altre ragazze che non conosceva, dopodiché fummo introdotte all'interno della villa, in una stanza, dove lui cominciò a raccontare barzellette e altre amenità del genere. Preciso che quando eravamo in giardino in attesa, sopraggiunsero altre ragazze, circa una decina, in ordine sparso, nel senso che ne sono arrivate prima due, poi tre, poi altre due: alla fine eravamo circa una ventina di ragazze... Io ho riconosciuto subito le gemelle De Vivo perché avevano fatto una trasmissione televisiva. Le altre non le conoscevo, erano di varie nazionalità, quasi tutte straniere. Quando siamo entrate nella villa, siamo scese in una sala dove e'era un tavolo preparato per la cena e ognuno di noi si è seduto.» «I posti chi li ha stabiliti?» «Ognuno si è seduto dove voleva, mentre il presidente ha voluto vicino a sé Nicole Minetti, che prima mi sono dimenticata di indicare, che non è arrivata con noi, bensì in un momento successivo, anche lei l'ho riconosciuta perché l'ho vista tante volte in televisione e sui giornali. Quando la cena è ter150
Sodoma minata il presidente più o meno testualmente disse: "E ora facciamo bunga bunga" e spiegò anche in che cosa consisteva questo bunga bunga. Io non ricordo esattamente le sue parole, ma il senso del discorso era molto chiaro, cioè che il bunga bunga era qualcosa di sessuale e che chi avrebbe aderito al bunga bunga avrebbe potuto poi "mangiare" o ricevere qualcosa in cambio. Scendemmo quindi in una sala non molto grande, che né più né meno rappresentava una piccola discoteca, in mezzo c'era il palo della lap dance, vi era un Dj, dei camerieri che servivano alcolici, luci soffuse, delle poltroncine dove noi ci siamo sedute. Dopodiché Lele Mora si è avvicinato a me e mi ha detto "Ora cambiati, così fai la danza del ventre". Mi sono stati indicati dei bagni, dove ho indossato il vestito che mi aveva procurato Mora e sono tornata in sala dove ho fatto la mia danza che è durata 4 o 5 minuti. Sono stata applaudita, mi hanno fatto i complimenti, dopodiché mi sono andata a cambiare e mi sono rimessa i , vestiti che avevo. Devo precisare che né Lele Mora né le altre ragazze presenti mi avevano detto che cosa sarebbe successo dopo la mia danza del ventre, quindi ero del tutto impreparata alle scene che ho visto successivamente e che ora racconterò. Subito dopo di me è stata cambiata la musica e le due gemelle De Vivo, che erano in pratica in mutande e reggiseno, hanno cominciato a ballare in maniera hard, avvicinandosi al presidente, che le toccava e le ragazze toccavano il presidente nelle parti intime e si avvicinavano anche a Emilio Fede che analogamente le toccava il senso e altri parti intime; mentre invece Lele Mora era lì seduto. «Subito dopo la De Vivo e la ragazza brasiliana che io non conoscevo, hanno ballato un samba, sempre però in maniera hard, con le mutandine tipiche della samba brasiliana, ovvero perizoma e striscette laterali. Anche lei si avvicinava al presidente, che le toccava il seno e altri parti intime e la stessa cosa faceva questa ragazza brasiliana al presidente. Sia la danza del151
la De Vivo, sia la danza della ragazza brasiliana è durata non più di tre minuti, cioè in pratica il tempo della canzone. Anche altre ragazze dopo, anche insieme, ballavano facendo vedere il seno o il fondoschiena, tutte loro si avvicinavano al presidente che le toccava nelle loro parti intime, viceversa loro toccavano il presidente o Emilio Fede. Dopodiché Mora si è avvicinato a me e ad altre due ragazze che insieme erano partite da viale Monza e siamo andati via. «Io uso il termine proprio "inorridita", cioè sono rimasta colpita da quello che ho visto, perché se avessi saputo prima quello che si faceva nella villa non sarei andata, perché il mio unico scopo era quello di fare la danza del ventre e avere l'opportunità per il mio futuro di incontrare il presidente del Consiglio, che nella mia testa e per quello che mi aveva detto Lele Mora, mi avrebbe potuto aiutare ad inserirmi nel mondo dello spettacolo. Invece quella sera ho capito, e poi mi è stato confermato da Lele Mora, che per essere introdotta comunque nel mondo dello spettacolo bisogna pagare un prezzo, che non è altro che quello di vendere il proprio corpo, al presidente o a Emilio Fede o ad altra gente importante che può frequentare le serate di Arcore. Devo dire che quando Lele Mora, dai miei discorsi che gli ho fatto successivi a questa serata, ha capito che non sarei mai stata disposta a fare questo, sono stata emarginata, non mi ha più proposto serate, non mi ha fatto lavorare ed è venuto meno a tutte quelle promesse che mi aveva fatto prima della partecipazione alla serata di Arcore. Tant'è che io sono rimasta nell'appartamento che mi aveva messo a disposizione fino ad agosto, dopodiché quando ho capito che non mi avrebbe aiutata in alcun modo, sono tornata a Torino. Anzi, lui ad agosto mi disse: "Guarda, per te non riesco a trovare alcun tipo di lavoro, mi devi liberare l'appartamento entro il 30 di agosto perché lo devo occupare". Mi disse che si sarebbe fatto sentire con me, ma di fatto è sparito dalla circolazione. Mi ren152
Sodoma do conto di essere un'ingenua, è evidente che Lele Mora pensava di potermi utilizzare per altri scopi, quando ha capito che non sarei stata disposta a farlo, mi ha mollata». La disoccupata Una combriccola di ragazze infelici e insicure. Ecco cos'è per davvero l'harem di Arcore. Dietro lo squittìo degli «amò» e dei «tesorino», l'esibizionismo delle danze «hard», il guadagno facile delle bustarelle infilate in mezzo ai Cd di Apicella, s'intrawede soltanto una generazione senza futuro, un mondo equivoco e vuoto di giovanissime disoccupate pronte a tutto pur di arrivare al sodo: i soldi. Salvo poi scoprire quanto è amaro e disgustoso il pane di Villa San Martino. Non è la richiesta più o meno implicita di un atto sessuale in sé che le umilia, ma l'improvvisa rivelazione di trovarsi di fronte all'uomo più potente del Paese in un'intimità ricattatoria che fa sentire tutta la sua artificialità, mettendo a nudo per davvero solo l'idea che questo tycoon sessuomane ha dei rapporti umani e del corpo femminile, concepito, felice definizione del sottosegretario Daniela Santanché, «soltanto in orizzontale». Così, per individuare la terza testimone oculare di questa saga della povertà umana che per la nota legge degli opposti non può che manifestarsi nel tempio della ricchezza esibita, i pubblici ministeri scelgono tra le centinaia di intercettazioni quella del 10 gennaio 2011 tra Arisleyda Espinosa, soubrettina Mediaset e una sua ex compagna di classe, indicata agli atti come T.N. Perché anche T.N., dopo aver passato ad Arcore la notte della Befana, 6 gennaio, è arrabbiata, furiosa: «Tu non sai quello che lui fa alle ragazze...» Una settimana dopo, il 17 gennaio, T.N., figlia unica, disoccupata in cerca di lavoro come commessa a Meda, si troverà nella stanza numero 30 della Procura, l'ufficio di Antonio Sangermano, a raccontare la sua rab153
bia. È la solita sequenza: cena, dopo cena e bunga bunga. «Arisleyda mi ha invitato a partecipare ad una serata a casa del presidente del Consiglio. Quella sera mi è venuta a prendere un tassista di fiducia della Aris, era il 6 gennaio, poi mi ha portato a casa della mia amica e da lì siamo andate ad Arcore. Giunte nei pressi della villa, abbiamo detto chi eravamo ai Carabinieri i quali, dopo aver telefonato all'interno dell'abitazione, ci hanno fatte entrare. Quella sera eravamo una ventina di ragazze a cena e c'era il presidente, c'era Emilio Fede e il cantante napoletano Apicella... Dopo cena siamo scesi in un'altra sala tipo discoteca, con le luci, un dj, il palo per la lap dance. Abbiamo ballato: alcune delle ragazze presenti ballavano con dei vestitini scollati. Quella sera tutte abbiamo ricevuto in dono una borsa Carpisa e dei gioielli, di cui ricordo la marca Nicotra San Giacomo. Io in particolare ho ricevuto un bracciale, presumo d'oro, e un anello uguale ai bracciali. Questi gioielli sono ancora in mio possesso presso la mia abitazione come pure la borsa». «Perché ha voluto andare ad Arcore? Che cosa la spingeva», chiede incuriosito Sangermano. «Sono state due le ragioni che mi hanno spinta: la prima è che ero curiosa di conoscere di persona il presidente del Consiglio; la seconda, e forse la più importante per me, che speravo di ricevere una somma di denaro perché Aris mi aveva detto che se fossi andata lì, il presidente mi avrebbe dato del denaro. Io chiesi che cifra avrei potuto avere e lei mi disse che poteva oscillare da mille euro a cifre più consistenti.». La risposta è un po' ambigua. Probabilmente T.N. non vuole ammettere fino in fondo il suo grado di complicità in questa strana transazione: presenza ad Arcore in cambio di denaro... e basta? Il magistrato fa finta di nulla e prosegue. «Durante la cena lei si ricorda vicino a chi era seduta?» «Come ho già detto eravamo circa una ventina di ragazze, io 154
Sodoma mi sono seduta vicino a una ragazza italiana che aveva un accento romano ma che non avevo mai visto. Durante la cena ho fatto a questa ragazza delle domande, tipo come aveva conosciuto il presidente del Consiglio e lei mi rispose che l'aveva conosciuto tramite un'amica, mi precisò che però non dovevo fare domande, che il presidente era una brava persona, che aiutava tutti e che comunque dovevo stare zitta e non essere curiosa.» «Dopo la cena che cosa avete fatto?» «Premetto che prima della cena è stato offerto un aperitivo, nel corso del quale lui ha distribuito personalmente a tutti i regali... Dopo cena il presidente ha detto: "Ora andiamo tutti a ballare in discoteca", ha usato anche il termine bunga bunga ma io non so cosa significhi ed era per me la prima volta che sentivo quel termine. Anzi mi ricordo che le altre ragazze presenti mi hanno preso in giro perché io non avevo mai sentito parlare di bunga bunga». I pm trasecolano: era il 6 gennaio 2011, ormai da due mesi tutti i giornali d'Italia avevano riportato nei dettagli cosa succedeva nei bunga bunga di Villa San Martino. Ma T.N. non legge i giornali. Guarda la televisione. «Ma scusi, negli ultimi periodi sui giornali è uscito spesso quel termine.» «Sì, lo so, me l'hanno detto anche quella sera quasi prendendomi in giro. Ma come, tu non sai cos'è il bunga bungaì... Ma io leggo poco i giornali e quindi per me era un termine sconosciuto. Mi dicevano "Ma dove vivi"?» Povera T.N. non si può che immaginare mentre diventa rossa e si vergogna tra le ragazze scafate di Arcore che la prendono in giro: ma dove vive questa giovane? In quale paese d'Italia ancora non è arrivata la vulgata televisiva, popolare e innocua del bunga bungaì Svegliati T.N. o perderai la tua busta, i tuoi mille euro. Magari il tuo futuro di meteorina, letterina, velina, concubina. 155
«Lei ha detto che dopo cena il presidente del Consiglio ha proposto di andare in discoteca, che cosa intende dire?» «Intendo dire che siamo andati in un locale che si trova sempre in villa, al piano inferiore, questo locale era adibito a discoteca, nel centro c'era un palo della lap dance, luci soffuse, un dj, varie poltroncine e si è cominciato a ballare.» «Lei come era vestita?» «Io indossavo un mini abito di colore nero, tacchi a spillo; e le altre più o meno erano vestite come me.» «Ma anche il presidente ed Emilio Fede ballavano o stavano seduti e guardavano?» «Mentre noi ballavamo, il presidente ed Emilio Fede erano seduti e guardavano. Alcune ragazze che ballavano si avvicinavano al presidente che le toccava e loro toccavano lui; stessa cosa con Emilio Fede. Le ragazze baciavano il presidente, lo accarezzavano; alcune delle ragazze hanno fatto anche degli spogliarelli. Io non so indicare i nomi delle persone che hanno fatto degli spogliarelli perché era tutta gente che non conoscevo e non avevo mai visto, però la maggior parte delle ragazze era straniera. Alcune ragazze che facevano lo spogliarello ed erano poi nude si avvicinavano al presidente, che le toccava il seno o le parti intime o il sedere. Insomma l'atmosfera era quella di un night club, con ragazze che si spogliavano, che mostravano le loro parti intime, che si avvicinavano al presidente o a Emilio Fede, lo toccavano nelle parti intime o si facevano toccare. Io non ho avuto il coraggio di fare una cosa del genere perché sono timida e quindi non mi sono spogliata, né mi sono fatta toccare dal presidente o da Emilio Fede. Io per altro mi consideravo una neofita, cioè nel senso che era la prima volta che andavo, mentre invece tutte le altre partecipanti era evidente, dai loro comportamenti, che erano abituate a fare cose del genere. Io ritengo che tutti i presenti si siano accorti della mia timidezza. Aris era una di quelle che ballava. Ho trascorso il tempo più seduta che a ballare». 156
Sodoma «Lei a che ora è andata via da Arcore?» «Se ricordo bene verso le due, le due e mezza, sono stata accompagnata fino alla mia abitazione di Meda da un autista del presidente del Consiglio.» «Ricorda il tipo di autovettura? Aveva un lampeggiante?» «Era un'auto monovolume di colore scuro, aveva i vetri oscurati e non aveva nessun lampeggiante.» «Quando lei è andata via, le altre ragazze sono rimaste nel locale adibito a discoteca?» «Alcune sono rimaste, penso circa la metà. Le altre sono andate via sempre con autovetture guidate da autisti del presidente del Consiglio. Aris è venuta via con me, cioè nella stessa auto. Anzi, preciso nell'autovettura c'erano anche altre quattro ragazze, io sono stata l'ultima ad essere accompagnata a Meda. Insieme a me c'era Aris e le altre due erano straniere. Una è stata accompagnata a Milano Due come Aris, l'altra aveva parcheggiato la propria auto lì e quindi in pratica, da Segrate fino a casa mia, sono rimasta sola. Ma non ho scambiato una parola con l'autista.» «Lei, alle altre ragazze presenti, ha visto se venivano consegnate delle buste?» «Io con i miei occhi quella sera non ho visto nulla del genere, però avevo saputo da Aris che alle ragazze venivano date dal presidente delle buste contenenti denaro. Aris mi ha confidato di aver ricevuto molte volte delle buste contenenti denaro dal presidente, perché Aris mi aveva detto di essere andata a letto col presidente in più occasioni. Io non so se questo risponde a verità ma questo è ciò che mi ha confidato Aris che conosco da anni perché eravamo compagne di scuola. Anzi come ho già detto, Aris mi disse che se fossi andata a letto col presidente avrei ricevuto anch'io del denaro.» Finalmente T.N. scopre le carte e ammette che conosceva le regole del gioco. 157
«Perché allora poi è tornata a casa?» «Io sapevo perfettamente che avrei potuto fare sesso col presidente del Consiglio e ricevere in cambio denaro e quindi quando ho accettato di andare ad Arcore sapevo che avrei dovuto fare questo. Quando sono arrivata lì e ho visto tanta gente e ho visto il contesto in cui si è celebrata la serata ha prevalso la mia timidezza e quindi a un ceto punto Aris mi ha detto "andiamo a casa"». «Le ha detto Aris anche che tipo di rapporto sessuale aveva con il presidente?» «Non mi ha raccontato nel dettaglio, mi diceva però che andare a letto con il presidente era stressante.» «Cosa significava "stressante"?» «Sì, mi diceva che durava un bel po' perché il presidente aveva rapporti sessuali non solo con Aris, ma contestualmente anche con altre donne. Quindi mi si chiede se nel momento in cui ho accettato di andare ad Arcore io sapevo cosa mi sarebbe potuto capitare, cioè di fare sesso con il Cavaliere anche in presenza di altre donne. Rispondo: sì, lo sapevo, ero preparata psicologicamente ma quando sono arrivata lì è prevalsa la mia timidezza. E poi vedendolo di persona, sinceramente, nonostante il denaro che avrei potuto ricevere dal presidente, io sinceramente non me la sono sentita.» «Lei ha riferito ai suoi genitori che sarebbe andata a casa del presidente del Consiglio?» «No, assolutamente».
12. RUBYCORE
Chi avrebbe mai immaginato che un giorno, invece, una sconosciuta ragazza del Marocco, emigrata in Italia, sarebbe diventata la pietra dello scandalo, la donna del peccato, la tentazione del Sultano? Quando il 23 novembre del 1993 Berlusconiscese per la prima volta in campo inaugurando un centro commerciale a Casalecchio di Reno e accordando la sua preferenza a Gianfranco Fini su Francesco Rutelli nella corsa per la poltrona di sindaco a Roma, dall'altra parte del Mediterraneo, oltre lo stretto di Gibilterra, nella fertile piana tra l'alto e il medio Atlante, Karima El Mahroug, non ancora «Ruby Rubacuori», compiva appena 1 anno e 22 giorni di vita, essendo nata il primo novembre 1992 in una dinamica e polverosa città di 90 mila abitanti a metà strada tra Casablanca e Marrakech, Fkih ben Salah, famosa per il suo grande suk e per l'edilizia selvaggia. Un destino. E nel periodo in cui l'astro di Berlusconi si apprestava a superare il suo zenit verso un rapido declino, logorato da una guerra con i suoi stessi alleati, insomma nel fatidico 14 febbraio 2010 in cui la giovane minorenne farà il suo primo ingresso nella villa di Arcore, Ruby ha da 4 mesi compiuto 17 anni, non è certo una candida adolescente, e l'anno prima ha commosso Emilio Fede in un concorso di bellezza a Sant'Alessio Siculo, in provincia di Messina nel settembre del 2009. L'episodio, passato quasi inosservato alle cronache dell'epoca, ma recuperato dalla memoria e dai video degli organizsi
zatori dagli inquirenti, servirà a smontare il castello di bugie sull'inconsapevolezza della vera età di Ruby. «Ricordo - mette a verbale il 17 dicembre l'organizzatore del concorso, tale Claudio Zagaw - che si è presentata con un nome diverso da Ruby, dichiarando 15 anni di età... Nel corso della premiazione, come detto avvenuta il 6 settembre sera, il presidente della giuria, signor Emilio Fede, prima di proclamare la vincitrice della selezione di "una ragazza per il cinema 2009", mentre tutte le partecipanti al concorso erano sul palco adibito alla sfilata, invitava spontaneamente la ragazza a nome Ruby a farsi avanti poiché era rimasto particolarmente colpito dalla storia personale narrata dalla stessa nel corso della selezione e decideva di parteciparla al pubblico presente...» Il filmato della manifestazione, masterizzato su un Dvd, è di quelli un po' grossolani, tante inquadrature fisse, improvvisi primi piani su glutei e gambe, molti mezzi piani sul presentatore e poi sui «vip» della serata, Emilio Fede prima di tutto. Si vede Ruby, che dice una delle sue tante bugie: «Mi chiamo Ruby Heyek, sono dell'Egitto e rappresento stasera il numero 77...» Musica, balletti, falcate ancheggianti e incerte su tacchi altissimi per queste adolescenti che rossetto e fard proiettano nell'età adulta. Stacco su un Emilio Fede sorridente e abbronzatissimo e un po' confuso da tanta bellezza, commosso, dice lui, proprio da Ruby: «...Sottolineo - si compiace il direttore del Tg4 con quell'aria partecipata che di solito riserva solo ai discorsi di Berlusconi - c'era una ragazza di 13 anni, se non sbaglio, egiziana... mi sono commosso, ho solidarizzato, ma non soltanto a parole perché poi bisogna anche seguire con i fatti. 'Sta ragazza non ha più i suoi genitori, tenta una via, che cosa? Non è certamente quella della bellezza. E allora mi sono impegnato e lo farò senza bisogno di pubblicizzarlo, che... Per aiutarla». Si è visto come. Ruby è la ragazza ideale per un certo giro. È fuggita di ca160
Sodoma sa, si mantiene con lavoretti saltuari, è abbagliata da chiunque si affacci dal teleschermo, affascinata dai luoghi e dai nomi che ha sentito ripetere fin dall'infanzia e che intasano i programmi leggeri e le riviste di gossip. Fede può essere speranza ma non carità. Perché a dire il vero, il direttore del Tg4 di ragazzine così ne ha viste migliaia, a tutte ha regalato un sorriso, una promessa magari. Alle più belle perfino un numero di cellulare. Forse anche a Ruby, che si è impegnato pubblicamente ad aiutare. Se ne ricorderà la ragazza di quell'incontro. E anche Fede, probabilmente. Sebbene, come riportano gli atti dei pm, intervistato dal giornalista Luca Formigli, durante la trasmissione Annozero del 4 novembre 2010, il direttore Mediaset racconti di averla a malapena inquadrata nella sua memoria divenuta improvvisamente incerta. «Mi sono ricordato di averla intravista una volta, in Sicilia... Ho parlato con queste ragazze, ciascuna voleva fare televisione, a lei ho detto: guarda, rivolgiti a un impresario e arrivederci e poi non l'ho più vista, tutte le altre versioni sono cazzate, tanto per dirlo in famiglia.» Ma l'intervistatore insiste e Fede si spazientisce. «Ruby non la conosco, l'ho intravista una volta così, come intravedo migliaia di persone, specie quando vado a manifestazioni pubbliche... non le ho consigliato di fare niente, lei stessa dice no, io Emilio Fede l'ho visto una volta e non sono andata ad Arcore con lui, e se fosse venuta ad Arcore non vedo dove sarebbe il problema.» Di sicuro le loro strade s'incroceranno, almeno un'altra volta, sei mesi dopo quel concorso. Nel microcosmo astratto di un'inchiesta giudiziaria, certi incroci avvengono prima di tutto nell'etere. Dove gli invisibili segnali elettronici dei telefonini lasciano tracce indelebili, riportate dai tabulati. Come per la magica sera del 14 febbraio 2010, in cui aggregazioni e disaggregazioni delle celle radio base controllate dalla Polizia sforne161
ranno in fretta le prime risposte.Fissando perfino i minuti e i secondi degli spostamenti degli ospiti chiamati alla villa del premier. Il telefonino di Ruby dalle 20,37 alle 20,51 entra nella cella di Segrate, dove ha casa e ufficio Emilio Fede che in quel momento si trova a Milano Due. Poi Ruby spegne il telefonino e Fede invece prosegue ad Arcore. Non può essere una coincidenza. Anche la cella di Ruby, sebbene inattiva, si sposta ad Arcore. Stessa meta, stesso tragitto. Ed è già in quella sera di San Valentino, che Ruby sentirà parlare per la prima volta di bunga bunga: «Berlusconi disse che era una formula appresa da Gheddafi e che indica i giochi dell'harem. Alle 2,30 tornai a casa accompagnata da un suo autista». La controprova digitale, conferma. Ruby non lo immagina, ma lei e il suo cellulare stanno diventando una bomba ad orologeria. Un po' infantile, molto furba, la ragazza, si accorgerà quella stessa estate, nella frescura della collina di Sant'Ilario a Genova, che gli interrogatori dei pm potranno essere la sua fortuna. Ne è passato di tempo da quando ancheggiava incerta sui tacchi della sfilata di Sant'Alessio Siculo e Fede le prometteva un futuro. Nel frattempo ha lasciato le piane fertili di Catania per i marciapiedi sporchi di Milano, le serate sul lungomare della discoteca Le Capannine per i prive dell'Hollywood, i posti letto nelle comunità ambigue dell'isola per l'appartamento di via Villoresi 19, le serate povere e un po' chiassose degli amici per lo sfarzo e il potere di Villa San Martino. E adesso è finita in carne e spirito nei verbali esplosivi che piano piano si accumulano sulla scrivania sempre più ingombra di Bruti Liberati. Racconti liberi, oppure contestati dalla puntigliosità dei pm, dei ficcanaso. Ruby qualche volta ha esagerato, altre è stata elusiva, perfino omissiva. E lo dirà chiaramente al suo «fidanzato» e manager Luca Risso: «Io ho detto tante cose ma ne ho nascoste tantissime».
Sodoma Scene hard Non sa Ruby che in Procura di solito non si accontentano mai. Soprattutto delle parole raccolte a verbale da una minorenne. Le sue poi Vengono considerate poco più di uno spunto investigativo tutto da verificare. Nonostante lei, come le ha raccomandato qualcuno, ogni tanto cambi scheda del cellulare, il filo delle sue chiacchierate con amici e parenti viene sempre riannodato nelle stanze blindate e inaccessibili al quinto piano della Procura. Dove i centri di ascolto della sala intercettazioni funzionano 24 ore su 24. Non sono ingenui a Palazzo di Giustizia e le hanno lasciato la corda lunga, come si dice in questi casi. Da qualche parte, li porterà. Come ad esempio da Luca Risso, il nuovo «fidanzato» di Ruby. È lui l'uomo che la giovane marocchina, ad indagine ormai esplosa, annuncia di voler sposare: «abbiamo già prenotato la chiesa», scrive sulla sua pagina di Facebook a gennaio, circondando il nome di Risso di cuoricini, ma sorvolando sulla propria origine musulmana. Il quarantenne genovese con l'aria del bravo ragazzo che racconta di aver presentato l'indomabile marocchina una sera a cena dai genitori, ama girare in Ferrari, si è conquistato una certa fama sotto la Lanterna prendendo in gestione due locali molto noti nel golfo: l'Albikokka, a picco sul mare di Sturla, frequentato dai calciatori della Samp e dai rampolli della Genova bene; e il Fellini, discoteca storica piazzata in un ampio sotterraneo del centro, proprio vicino a Palazzo Ducale dove si tengono feste en travesti. Risso è noto come il «Lele Mora» della Riviera e con il più famoso impresario è legato da una certa conoscenza. Anche lui arruola ragazzine procaci e le fa esibire nei suoi locali, organizzando «eventi» e spettacoli di vario genere. Insomma, una via di mezzo tra un manager e un «pr», come si dice adesso, molto lanciato, sempre in coppia con Antonio «Tony» Matera, costruttore e palaz163
zinaro rampante, il vero proprietario dei due ritrovi. Risso ha conosciuto Ruby quando lei si esibiva sul cubo o al palo della lap dance, o negli spettacolini hard di cui aveva riempito il suo profilo su Facebook, ripulito velocemente all'esplodere dello scandalo. Dal 2 novembre, il giorno dopo la maggiore età di Ruby, festeggiata ovviamente all'Albikokka, Risso è diventato il suo fidanzato ufficiale e candidato a un matrimonio molto prossimo di cui però al Comune di Genova non si sono mai viste le pubblicazioni. Ma agli inizi di ottobre l'impresario è per Ruby poco più di un guardaspalle, un autista e fac totum che Lele Mora, emerge dalle intercettazioni, ha assoldato per diventare l'ombra di Ruby, controllarla, impedirle di dire o fare troppe sciocchezze. Ciò nonostante, è proprio lui il 6 ottobre a rivelare un aspetto poco chiaro di questa vicenda. Mettendolo per iscritto con degli sms spediti alla sua vera fidanzata (così è indicata agli atti), una certa Serena E, mentre verso le dieci e mezzo di sera Ruby viene interrogata da certi misteriosi «emissari» del premier. Risso: «Sono nel mezzo di un interrogatorio allucinante... Ti racconterò, ma è pazzesco!» Serena: «Stai attento... ricordati il grano.» Risso: «Io sono ancora qui... E sempre peggio quando ti racconterò (se potrò...) Ti renderai conto... siamo solo a gennaio 2010 e in mezzo ci sono pezzi da 90.» Passa un'altra ora e il compulsare frenetico sulle tastiere dei cellulari, riprende. Ore 23.42,16, Risso: «Nn so che cazzo ci faccio qui! Se vuoi ti chiamo e capisci... Ti chiamo, rispondi, ma non parlare e solo se sei nel silenzio assoluto, ok?» Risso chiama la fidanzata, che rimane in ascolto per un po, coglie la voce di Ruby ma non sente bene. Poco dopo scrive un sms: «Qualcosina, ma prendeva male... ma dove sei? Perché stanno interrogando Ruby? E perché tu ascolti tutto? C'è Lele o solo l'avvocato?»
Sodoma Ore 23.54.35, Risso scrive: «C'è Lele, l'aw., Ruby, un emissario di Lui, una che verbalizza... Cmq tranquilla è tutto molto tranquillo. Sono qui perché pensano che io sappia tutto.» Passata la mezzanotte, alle 00.39, Luca Risso decide di uscire dalla stanza in cui si trova, fumarsi una sigaretta e telefonare alla fidanzata: «Amore?» «Ehi.» «Eccomi.» «Dove sei?» «Sono ancora qua, ora sono sceso un attimino sotto, sono venuto a far due passi... Lei è su, che si sono fermati un attimino perché siamo alle scene hard con il pr... con con una persona.» «Ma figurati!» «Sì, sì.» «Con lei?» «Mmm, guarda ti racconterò tutto.» «Vabbé, non dirmelo per telefono.» «No no, brava, perfetto». Il giorno dopo, 7 ottobre 2010, sarà invece Ruby a spiegare il senso di quello strano interrogatorio. In una telefonata molto interessante: «Ascolta una cosa», dice Ruby. «Mi sono sentita con lui». Quando Ruby al telefono nomina «lui», Risso sembra incredulo: «Lui lui? Lui il...» Ruby si spazientisce: «Luiiii, Gesù. Comunque... mi sono sentita con lui che mi ha chiamato proprioooo tre minuti fa. Mi ha detto cheee, s'è sentito con Lele (Mora) che io ho fatto, ho scritto tutte le cose, con l'avvocato e m'ha dettoooo che ha saputo che ho detto tante cose. Gli ho detto, guarda, io ho detto tante cose ma ne ho nascoste tantissime. Gli ho detto, tutte quelle che ho detto le ho dette per un semplice motivo, che ero messa davanti all'evidenza, non potevo negare. Mi fa, ma noi non siamo in pericolo, noi siamo 165
in difficoltà, mi fa, però sono cose da superare. Gli ho detto sì, però io ti volevo fare un'altra domanda, gli ho detto, che è quella che m'interessa di più. Mi fa, "dimmi", gli ho detto, cioè, io voglio che almeno, da tutta questa situazione io ne esca con qualche cosa, perché di tutta la situazione, cioè sinceramente, non me ne frega niente. Lui fa, è normale, gli ho... lui mi fa, aveva detto un detto strano, mi ha detto "quando il mare è in tempesta non è che le persone si lascianooo, si lasciano soccombere"... boh, una cosa del genere, mi fa cioèèè...» Luca, annuisce. Ruby è un fiume in piena. «Mi fa, però, se io ho fatto quello che ho fatto e volevo sapere quello che hai detto era soltanto semplicemente per te, non per me. Perché situazioni così ne ho avute tantissime e ne sono uscito sempre intoccabile. Mi faaa, l'ho voluto sapere perché non volevo che tu uscissi, più che altro, in cattiva luce, è la stessa storia, mi fa, del fatto di volerti mettere un altro nome o un altro cognome, cioè, perché volevo che tu non venissi mai messa in cattiva luce o come una che si prostituisce per me, come può pensare la gente. Mi fa: perché appena vedono un cambiamento tuo economico capiscono che comunque lo fai. Gli ho detto, no, vabbè, credo che a quello non ci arriveranno; mi fa, no, non ci arriveranno con l'aiuto di Giuliante e con l'aiuto degli altri avvocati che poi metterò io, perché comunque, mi faaa, il parlare con questo giudice, mi fa, non ci penso neanche, da come me ne ha parlato Giuliante, mi fa, ma neanche mi tocca, perché comùnque di gente che spara cazzate su di me ce ne stanno tante e di smentire e pagare persone per smentire, cioè, ho la capacità di farlo perché come... (sorridendo) come dici tu e come mi chiami tu, che mi chiami "Gesù", Gesù può fare tutto. E ci siamo messi a ridere. Gli ho detto sì, l'importante a me è che quella cosa, quella cosa lì che tu mantieni la tua promessa, mi fa: io ogni promessa che ho fatto con te l'ho sempre mantenuta e hai avuto modo di vederlo. Gli ho detto, sì, sì, lo 166
Sodoma so... Mi fa: sei andata a prendere mmm le cose che ti ho lasciato da Spinelli? Sono andata ma lo studio era chiuso poi mercoledì Spinelli non c'era. E quando pensi di andare? Mi fa. Gli ho detto, guarda la situazione al momento è troppo critica perché non so se sono controllata o meno, però Lele si è incazzato che ero andata a Milano, stessa cosa anche il Giuliante che mi ha detto di evitare di andare a Milano... Mi faaa: guarda se riesci a stringere i denti...» Risso si entusiasma, questo sì è un discorso: «Brava piccina, bravissima!» Ruby prosegue: «In effetti gliel'ho detto proprio con parole chiare, perché sai che io non ho peli sulla lingua. Gli ho detto: guarda non me ne frega niente di tutta la situazione, né di quello che può succedere, gli ho detto: ma l'importante è che io posso passare per prostituta, per pazza, per quello che vuoi, l'importante è che ne esco con qualche cosa... Mi fa, no, tu non devi assolutamente pensare di uscire per prostituta, neanche per pazza, cioè, però... io la promessa la mantengo, come ho sempre fatto...» Le date hanno un senso: 7 ottobre 2010, ovvero 19 giorni prima che lo scandalo esploda sui giornali. Quel giorno dunque, «Lui», «Gesù», «lo Spirito Santo», appellativi che forse fanno sorridere l'arcinoto Silvio Berlusconi, è già perfettamente consapevole dei passi avanti fatti dall'inchiesta che invece, in quella data, è del tutto sconosciuta agli italiani. Sa, Berlusconi, che Karima è stata ascoltata dai magistrati. E soprattutto conosce il contenuto delle sue dichiarazioni perché qualcuno di sua fiducia pare l'abbia interrogata durante un misterioso incontro di cui però non si troverà traccia nei documenti delle indagini difensive. Un malloppo di un centinaio di pagine depositato in Procura a più riprese tra i primi di novembre e la fine di gennaio, nel quale di Ruby si riporta soltanto una sua dichiarazione giurata, rilasciata il 3 novembre attraverso il suo legale di 167
quel momento, l'avvocato Massimo Dinoia. E dove ovviamente non vi è alcun riferimento a situazioni peccaminose in cui sia coinvolto il premier. Una girandola di avvocati Non si è mai capito chi ricevette da Ruby le confidenze di quelle «scene hard con il pr...» In Procura però, qualche sospetto ce l'hanno. L'avvocato Luca Giuliante, membro della segreteria regionale del Pdl e considerato il tesoriere di Forza Italia in Lombardia, non vuole commentare. Eppure è lui che in quel periodo tutela Ruby davanti al Tribunale dei Minorenni e compare ufficialmente come il suo legale, con una nomina firmata da Karima El Mahroug il 5 agosto 2010, due giorni dopo cioè il suo ultimo interrogatorio davanti ai pm. Alla giovane il legale è stato suggerito da Lele Mora che lo ha già come avvocato, anche se Giuliante, a dire il vero, non è un grande esperto di diritto di famiglia e minori. Non a caso assiste Roberto Formigoni nella vicenda del ricorso contro l'esclusione del suo listino alle ultime elezioni regionali e poi difende Lele Mora anche in un procedimento dove l'impresario è imputato per bancarotta della sua società, la L&M Management, ormai fallita con un passivo iniziale di 6 milioni di euro impennati in breve tempo a 17 e dove il broker di figuranti, tronisti e starlette è stato chiamato a rispondere delle perdite personalmente, con il rischio di vedersi sequestrare tutti i suoi beni, in Italia e all'estero. Insomma, un circuito chiuso e importante che si apre per fare spazio a Ruby. Ma quando i legali di Berlusconi, Niccolò Ghedini e Piero Longo a fine ottobre presentano all'avvocato di Ruby la richiesta di acquisire presso la ragazza «circostanze utili» ai fini delle loro indagini difensive, Giuliante deve mollare la presa. Non è più lui l'avvocato di Ruby. Invia alla prò-
Sodoma cura una lettera di rinuncia alla difesa della sua giovane assistita proprio il 29 ottobre. «Premesso che detta nomina è stata rilasciata su richiesta della minore con riferimento a fatti indicati nell'ordinanza del Tribunale per i Minori di Milano pronunciata il 2 luglio 2010; che in questi ultimi giorni è emerso attraverso gli organi di stampa l'esistenza di alcune dichiarazioni che sono state rese da Karima El Mahroug delle quali sembrerebbe essere derivato un procedimento penale nei confronti di Dario (Lele) Mora; che lo scrivente da tempo assiste Dario Mora in alcune vicende giudiziarie parte delle quali di natura penalistica; che quest'ultima circostanza ha imposto una riflessione circa la compatibilità dello scrivente quale difensore di Karima El Mahroug e Dario Mora, riflessione che ha avuto quale unico termine di valutazione quanto apparso sulla stampa in questi giorni; che in data 29 ottobre, lo scrivente ha conferito con Karima El Mahroug alla quale ha comunicato l'intenzione di recedere dal mandato specificando le ragioni della decisione, dichiara di rinunciare all'incarico... conferito il 5 agosto». Tutto regolare. Però manca qualcosa. Succede infatti che fin dai primi giorni dello scandalo, i giornali oltre ad accorgersi che Mora era indagato avevano scoperto un'altra strana vicenda nella quale Giuliante risultava coinvolto e che riguarda anche Ruby. Quando ancora tutto si svolgeva al riparo della curiosità vorace dei cronisti e l'Italia era tutta assorta dall'annuale frenesia delle imminenti vacanze estive, a metà luglio Giuliante, insieme al suo cliente Mora, si era presentato nell'ufficio della dottoressa Anna Maria Fiorillo al Tribunale dei Minori di via Leopardi, per chiedere se fosse possibile che Ruby, in quel momento sotto interrogatorio dei pm e in custodia alla Comunità protetta di Sant'Ilario, venisse data in affidamento alla figlia di Mora, Diana. «In questi mesi che mancano alla sua 169
maggiore età», avevano sostenuto Mora e Giuliante, la povera ragazza avrebbe potuto ottenere riparo e attenzioni, casa e futuro. Nel mondo dello spettacolo, ovviamente. Richiesta altrettanto ovviamente respinta, e per ben due volte, dalla furibonda Fiorillo, che aveva ancora presente lo scherzetto capitato in Questura neanche un mese prima, quando Karima invece di essere affidata a una comunità protetta come lei aveva ordinato era stata consegnata nelle mani di Nicole Minetti, che a sua volta l'aveva lasciata alle cure di Michelle De Conceicao e si è visto come era andata a finire: a botte. Insomma, data l'incompatibilità della difesa tra Ruby e Mora, Giuliante opta per Mora e abbandona Ruby. E deve rispondere formalmente ai legali del premier che non sarà più lui a tutelare gli interessi della ragazza ma un altro collega, l'avvocato Massimo Dinoia. Ormai Karima, oltre che ai pm, ha già svelato molti segreti nel misterioso interrogatorio agli «emissari di Lui». Il 29 ottobre quindi Dinoia, assume la difesa di Ruby, e il 3 novembre 2010 sarà lui a raccogliere per iscritto una dichiarazione giurata di Ruby in risposta alle domande poste dalla difesa del premier, da depositare in seguito in Procura. Si tratta di poche frasi, di cui però Berlusconi, nel video messaggio ai «Promotori della Libertà» del 19 gennaio, leggerà un passo: proprio quello dove Ruby lo scagiona, negando qualunque rapporto sessuale. È una paginetta, asciutta e asettica, compilata per rispondere a domande stringenti, quattro in tutto": 1) Come ha conosciuto il presidente Berlusconi? 2) Ha avuto rapporti sessuali con il presidente Berlusconi? 3) Le erano stati prospettati da chicchessia vantaggi economici o altre utilità correlate a prestazioni sessuali da porre in essere a favore del presidente Berlusconi? 4) Che cosa ha narrato al presidente Berlusconi della sua vi170
Sodoma ta pregressa, della sua nazionalità, della sua età, dei suoi genitori, delle sue parentele? Quesiti, come si vede, in puro stile investigativo-difensivo, quali Ruby risponde molto formalmente. 1) Ho conosciuto l'onorevole Berlusconi in data 14 febbraio 2010. Quel giorno sono stata invitata da Lele Mora a presenziare ad una cena presso l'abitazione di una persona che non mi fu indicata. Lo stesso Mora aggiunse che sarei stata accompagnata da un'auto, che sarebbe passata a prendermi presso la mia abitazione. Così accadde: l'auto si recò verso Milano Due, dove salì a bordo anche Emilio Fede; poi proseguì. Quando giunse a destinazione chiesi a chi appartenesse la grande villa in cui l'auto stava per entrare; Emilio Fede mi rispose che si trattava della residenza dell'onorevole Berlusconi. Una volta entrati, sulla porta ci ha accolto lo stesso onorevole Berlusconi. 2) Non ho avuto alcun tipo di rapporto sessuale con l'onorevole Silvio Berlusconi. 3) Nessuno, né l'onorevole Berlusconi né altre persone, mi ha mai prospettato o anche solo suggerito la possibilità di ottenere denari o altre utilità in cambio di una disponibilità ad avere rapporti di carattere sessuale con l'onorevole Silvio Berlusconi. Posso aggiungere che, invece, ho ricevuto da lui, come forma di aiuto, vista la mia particolare situazione di difficoltà, alcune somme di denaro (nonché qualche regalo). 4) Quando ho conosciuto l'onorevole Berlusconi, gli ho illustrato la mia condizione personale e famigliare nei seguenti termini: gli ho detto di avere 24 anni, di essere di nazionalità egiziana (e non marocchina), di essere originaria di una famiglia di alto livello sociale, in particolare di 171
essere figlia di una nota cantante egiziana e nipote del presidente Mubarak, che pure non avrebbe avuto buoni rapporti con mia madre; gli ho detto anche di trovarmi in difficoltà per essere stata ripudiata dalla mia famiglia di origine dopo che mi ero convertita al cattolicesimo. Un documento esemplare, in un certo senso. Perché fra tante negazioni contiene anche il primo e unico punto di contatto tra difesa e accusa, collocando come «fatto storico», dunque giuridicamente acquisito, l'arrivo di Ruby ad Arcore: in auto con Emilio Fede e dopo un appuntamento fissato da Mora. Circostanza che invece il direttore del Tg4 ha smentito almeno fino alla richiesta di rinvio a giudizio minacciando querela perfino al carabiniere che, con l'auto di servizio, quella sera scortò Ruby e il giornalista fino alla residenza di Arcore e lo ha testimoniato davanti ai pm. Il tempo passa, l'inchiesta procede e Ruby come al solito diventa incontrollabile. Quando il 14 gennaio gli agenti di polizia piomberanno nella casa genovese di Luca Risso, dove la giovane si è stabilita una volta diventata diciottenne, troveranno degli appunti che costeranno la nomina anche al nuovo avvocato, considerato uno dei principi del Foro di Milano. Si tratta di un foglietto scritto a mano, con una «lista della spesa» che è tutto un programma. 50.000 euro-per libro; 12.000 euro campagna intimo; 12.000 euro campagna phard; 20.000 da luca (cuoricino) risso (cuoricino); 70.000 euro conservati da Dinoia; 170.000 conservati da Spinelli; 4 milioni e mezzo da Silvio Berlusconi che ricevo tra due mesi. 172
Sodoma Cosa pensare? Quell'appunto scritto a penna a metà di un elenco milionario di possibili guadagni «facendo la pazza e dicendo cazzate» (come sosteneva le avesse raccomandato il Cavaliere), non poteva passare inosservato. Anche perché Massimo Dinoia è avvocato talmente stimato (difese, per esempio, Antonio Di Pietro) da poter essere considerato al di sopra di ogni sospetto. Come mai però un legale di tale caratura aveva accettato di prendere le parti di una spiantata come Ruby? «Guardi», risponde Dinoia ai giornalisti Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella del «Corriere della Sera», «non è il primo e non sarà l'ultimo processo che faccio gratis. E poi non avevo rinunciato del tutto all'idea di avere qualcosa, perché il fidanzato di Ruby è una persona abbiente, gestore di due locali pubblici. In più, almeno all'inizio, questo sembrava un caso che potesse avere una visibilità positiva». All'inizio forse, adesso certo no. Specie dopo quell'appunto sequestrato a Ruby: «70.000 euro conservati da Dinoia». Ha chiesto a Ruby, insistono i giornalisti, cosa volesse dire con quel riferimento? «Ovviamente sì. Ma, altrettanto ovviamente, per deontologia nei confronti della mia ex cliente non posso dirvi quale risposta mi ha dato. Posso però dire che Ruby si è scusata con me». Più volte, s'immagina. Ruby, incurante di possibili controlli, tra il 7 e il 12 gennaio, pur avendo un nuovo avvocato aveva infatti continuato a chiamare quello «vecchio», ovvero Luca Giuliante, il legale della prima ora consigliato da Mora. «Ti volevo chiedere una cosa - dice Ruby il 7 gennaio - siccome io, ehm praticamente non ho modo di parlare con la persona che (sorridendo) tutti e due conosciamo... Eehm, praticamente mi aveva dato una volta un aiuto, tramite sempre l'avvocato... avrei bisogno dello stesso aiuto, perché comunque in questo periodo non sto lavorando...» «Non ti preoccupare», risponde Giuliante, «ci penso io lunedì». 173
Ci vuol poco a capire che tipo di «aiuto», visto che nelle telefonate successive Ruby si farà via via più esplicita. Il 12 gennaio, alle 11, chiama Simona, la segretaria di Giuliante e dice: «No, 'mbè, perché lui doveva sentire sia Massimo cheee mmm Ghedini, no? Digli di richiamarmi». Dieci minuti dopo, ancora una volta molto sollecito, si rifa vivo Giuliante. Ruby: «Ti volevo dire, hai riparlato con Massimo?» «Si, a posto, a posto...» Nel pomeriggio, si risentono. Giuliante: «A proposito della richiesta che tu mi hai fatto... Io sono andato, perché chiaramente, bisogna sempre muoverci di persona e ne ho parlato ieri sera con Massimo, eeee, poi vedi tu, ooo, quindi, diciamo che il problema l'ho ripresentato a Massimo...» Ruby: «Sì, comunque il discorso è che la somma è grande, perciò... comunque, dai... vedo cosa devo fare prima e poi ci sentiamo». Di fatto, il 4 febbraio, anche Dinoia la abbandonerà: «Sono abituato a vedere il mio nome in atti ufficiali. Il fatto che invece compaia in atti acquisiti mi disturba». Bye bye Ruby. Ci vuole quasi un altro mese, e siamo giunti a metà febbraio, perché Ruby, diventata ormai come nitroglicerina, pericolosa da maneggiare, riesca a trovare un nuovo legale. Forse la persona giusta: l'avvocato Paola Boccardo, specializzata in tutela dei minori, affiancata dall'avvocato Franco Rossi Galante, penalista di fama. Perché Rub'y, si fa in fretta a dimenticarlo, in realtà è adesso ufficialmente una parte lesa. Kalispera Ruby ormai è gettonatissima, la sua pagina su Facebook esplode, le televisioni la inseguono, i paparazzi la braccano, le discoteche la invitano. Viene perfino inventato un motore di ri174
Sodoma cerca tematico per rintracciare le sue avventure, un algoritmo capace di indicizzare tutto ciò che riguarda il bunga bunga, basta cliccare sul pulsante «mi sento intercettato» invece del più noto «mi sento fortunato», e sul sito www.bunglebungle.it si scodellano tutte le notizie relative al Rubygate. Perfino la paludata «Bild», sotto il titolo Batns beim bunga-bunga baby, nell'inserto domenicale si occupa di lei con un'intervista dove Karima ne spara una delle sue: è vero, chiede il giornalista tedesco, che quando ha conosciuto Berlusconi era incinta di un gigolò? «Sì», conferma risoluta Ruby senza fornire nessun altro riscontro. Il giornale tedesco dà poi per nota una circostanza assolutamente ignota in Italia: con i soldi ricevuti dal premier la ragazza avrebbe interrotto la gravidanza. Insomma, un delirio. Nel mondo al contrario dell'Italia berlusconiana, uno scandalo giudiziario vale più di un'assicurazione sulla vita. Rende celebri, invidiati, fotografati. E nel frastuono della gran cassa mediatica, a Ruby sembra di toccare il cielo con un dito. L'occasione per aggiungere confusione e ambiguità. Un modo per sottrarsi al ruolo scomodo di testimone dell'accusa. Era già successo, con ben altri risvolti, a Stefania Ariosto,.la teste «Omega» del processo Previti: venne fatta passare per pazza, inattendibile. Alla fine però, le sue testimonianze, per quanto confuse o contraddittorie, si rivelarono esatte almeno nella descrizione del contesto in cui si svolgeva l'allegra vita del generane romano e dalle parti del Tribunale di Roma, allora conosciuto come «Porto delle Nebbie». Il luogo in cui, come confermò le sentenza di condanna in Cassazione a 6 anni di reclusione, Cesare Previti, avvocato d'affari e di fiducia di Berlusconi, aveva a libro paga alcuni magistrati: «La più grande corruzione della storia giudiziaria italiana», scrissero nella loro sentenza i giudici di primo grado. Per Karima però, le cose al momento vanno diversamente. Da una parte ci sono le interviste sui giornali, settimanali e te175
levisioni, dall'altra i verbali davanti ai magistrati, oppure i racconti nel misterioso interrogatorio del 6 ottobre. Infine le confidenze ad amici e amiche nelle intercettazioni. A ciascuno il suo. Karima El Mahroug in arte Ruby Rubacuori è un personaggio pirandelliano, abile nel suo mescolare in continuazione doppie verità, doppie bugie, doppie personalità. Una, nessuna, centomila. Di sicuro, nonostante la giovane età, non ha paura di scherzare col fuoco. O forse, proprio per i suoi 18 anni, pensa di saper gestire un gioco più grande di lei nell'incoscienza tipica della sua età. «Il brutto delle dipendenze - scrive il 10 febbraio su Facebook - è che non finiscono mai bene. Perché alla fine, qualunque cosa fosse a mandarci su di giri, smette di farci star bene e comincia a farci star male. E comunque dicono che sia impossibile liberarsi dai vizi finché non si tocca il fondo. Ma come si fa a capire quando l'hai toccato? Perché non importa... quanto una cosa ti faccia male... A volte smettere è ancora più doloroso». Ma anche nel pieno della bufera, Ruby non smette in nessun modo di contrabbandare le sue verità. Di fatto si vedrà soltanto a processo quanto risulterà credibile e cosa rischierà. In ogni caso Ruby ha trovato il modo di trarre il massimo vantaggio dall'improvvisa celebrità che le regala l'inchiesta. Nel paese di Sodoma, le «cattive ragazze» diventano dive. Il culmine, Karima lo raggiunge il 19 gennaio, data fatale. E per nulla casuale: Berlusconi ha finito da poco di comparire in video con il suo secondo messaggio ai «Promotori della Libertà», leggendo, tra l'altro, proprio uno dei passaggi della dichiarazione giurata di Ruby ai suoi legali in cui viene scagionato completamente. Poco dopo, su Canale 5, si muove l'ammiraglio del consenso: Alfonso Signorini, il direttore del settimanale «Chi» e di «Sorrisi e Canzoni tv», diventato dà poche settimane anche conduttore di una trasmissione lanciatissima, Ka-
Sodoma lispera dove il suadente direttore riproduce quello che dovrebbe essere il salotto di casa sua, per mettere a proprio agio ospiti pronti a confessarsi e ad essere assolti. Previa scontata, modica, penitenza. È qui che Ruby approda in tutta la sua prorompente bellezza. «Se ha mentito», commenterà il giorno dopo Signorini, «meriterebbe un Oscar come attrice: bravissima». Sì, davvero bravissima: gli ascolti s'impennano quando la slanciata Ruby accavalla le lunghe gambe davanti a Signorini. E racconta una storia strappalacrime, degna della leggendaria generosità del Cavaliere, sempre pronto ad aiutare pulzelle in difficoltà. Ruby è prodiga di dettagli nel descrivere la sua travagliata infanzia. Anzi, aggiunge perfino cose mai dette neanche agli inquirenti nel pur toccante interrogatorio del 2 luglio 2010. È una lista degli orrori quella che scodella davanti a Signorini: violentata a 9 anni da due zii. Poi costretta a tenerlo nascosto al padre affinché non sapesse che aveva perso la verginità così giovane e senza essersi sposata. L'unica persona con cui ebbe il coraggio di parlarne fu la madre che le disse di stare zitta. Quindi, mentre si asciuga le lacrime con un fazzoletto, la bella marocchina racconta di quando a 12 anni decide di cambiare religione per diventare cristiana e suo padre la punisce versandole dell'olio bollente addosso, tanto che ne porta ancora i segni in testa e su una spalla. Alza una ciocca di capelli e mostra una cicatrice. Non è finita. Ruby viene cacciata di casa e da quel giorno è costretta a rubare, ad inventarsi una vita parallela: racconta a tutti di avere 18 anni (ma non al concorso di bellezza dove incontra e commuove Emilio Fede) e di essere egiziana. «Mi sono nascosta dietro la figura di una Wonder Woman fino a quando non ho trovato il coraggio di mostrare le lacrime grazie al mio ragazzo». Ed ecco entrare in scena Luca Risso, che le si siede vicino e le tiene la mano: «Ci sposeremo». Applausi. Con aria confi177
deliziale Signorini la inchioda con una domanda epocale, di quelle che lasciano il segno. Persino il tono è adeguato, grave. Lo sguardo è come quello di un confessore, quasi sussurra: «Hai fatto tanti sbagli nella vita?» Lei cerca di assumere un'aria contrita. Ma le riesce a metà, tradita dagli occhi, che cercano l'inquadratura migliore: «Sì, ne ho fatti abbastanza, non per quanto riguarda i furti ma le persone, quel problema di inventarsi una vita parallela e le altre cavoiate». Poi Ruby assicura di non aver mai fatto la prostituta in vita sua. Una vita difficile, un disastro. Fino a quando non incontra la figura salvifica di Silvio Berlusconi. Dal suo primo ingresso ad Arcore, il 14 febbraio, Ruby-Karima capisce di aver trovato qualcuno disposto finalmente ad ascoltarla e ad aiutare le persone in difficoltà. Questa è la novità: Berlusconi, ascolta. «A differenza di tutti gli psicologi che ho incontrato negli anni e che sono pagati per farlo». Non come lui, che invece, la paga. Signorini, annuisce, deve prendere il fiato. È commosso anche lui. Un altro applauso, per favore, questa sì che è una ragazza con le palle. Ma Ruby è concentrata, continua: «Mi ero da poco lasciata con il mio ragazzo e una mia amica mi aveva proposto di fare una cena, mi aveva detto di vestirmi elegante». Così indossato un tailleur grigio, sale in taxi con l'amica che finalmente le spiega dove stanno andando: a casa del presidente. Arrivate nella residenza, dove ci sono anche altre ragazze e il direttore del Tg4 Emilio Fede, l'amica la introduce al premier dicendo che Ruby è in difficoltà economiche. Lei, un po' timida, si presenta al Cavaliere barando sull'età, 24 anni (la solita, inopportuna, vita parallela). Parlano, si cena. Lui è spiritoso e gentile, e tutto si svolge in un contesto da favola buonista. Infine, prima che lei, novella Cenerentola, riprenda la via di casa, il Cavaliere la chiama nel suo ufficio e le consegna una busta con dentro 7000 euro: «Io non li avevo mai visti tanti soldi così». Un breve saluto e poi di corsa al taxi, che la mattina do178
Sodoma po Ruby deve alzarsi presto per andare a lavorare in un ristorante e neanche se glielo chiedesse il presidente, che infatti non glielo chiede, si fermerebbe lì a dormire. Nel corso della trasmissione Ruby sostiene di non avere mai domandato 5 milioni a Berlusconi per garantire il suo silenzio. Le fanno timidamente presente che Ruby lo ha detto in un'intercettazione telefonica. Lei si schernisce: «Non capisco più quello che è vero e quello che viene scritto». Il finale è da Oscar: «Non voglio attaccare i pm», aggiunge, «ma arrivare ad aggredire una ragazza così... Io aspetto dal primo novembre di essere sentita». Dal giorno cioè che è diventata maggiorenne. E loro invece niente, non la considerano più. Dopo averla spremuta l'hanno abbandonata al suo destino, alle sapienti mani di Signorini. Davvero brava, convincente. Applausone. Averne di ospiti così. Segue un'attrice di origine tedesca, tale Sabina Began, amica personale di Silvio Berlusconi di cui si è fatta tatuare le iniziali su un piede. Non è conosciutissima al grande pubblico ma l'implacabile sito Dagospia le ha affibbiato un nomignolo calzante: «l'Ape Regina», per la sua costante presenza a fianco del Cavaliere durante le calde serate romane. La Began rivendica a sé il soprannome di «bunga bunga»: ma quale orge, quale sesso sfrenato. Niente di tutto ciò, dice la Began, solo party divertenti ed eleganti. «Per me Berlusconi è una persona sola ma davvero bella. Lo amo con tutta me stessa. Io sono sicura, lo giuro, che Berlusconi non ha mai avuto rapporti sessuali con Ruby, come non ne ha mai avuti con Noemi Letizia. Sono tutte invenzioni». Cala il sipario, parte la sigla. Il cullilo Insegna la novella di Collodi che le bugie hanno le gambe corte e fanno diventare lungo il naso. Succede così che quel «mostro» del papà di Ruby, l'uomo che a 12 anni le versò l'olio bol179
lente sulla testa e che la prendeva a cinghiate sulla schiena, viene intercettato dagli inquirenti milanesi mentre parla con la figlia, proprio il 26 ottobre, il giorno in cui «il Fatto Quotidiano» arriva in edicola facendo le prime rivelazioni. Lei non sembra affatto odiare il genitore, ma anzi gli spiega cosa sta succedendo. «E oggi sono uscita di nuovo su un altro giornale importante che gira in tutta Italia... almeno su di esso non è scritto ehh... come si dice... in esso è riportato il nome ma non sono riportati né il cognome né niente, riguardo al mio incontro con... con Berlusconi eccetera... hai capito?» «Sì.» «Ora è venuto... sono con l'avvocato che stiamo parlando di queste cose e dobbiamo trovare una soluzione, mi ha detto... come si dice... gli ha detto... gli ha detto... Silvio gli ha detto: "dille che la pagherò il prezzo che lei vuole, l'importante è che lei chiuda la bocca, che neghi tutto e che dica che lei... che dica pure di essere pazza ma l'importante è che lei mi tiri fuori da tutte queste questioni, che io non ho mai visto una ragazza che ha 17 anni o che non è mai venuta a casa mia"... Stiamo parlando di queste cose adesso, dopo ti richiamo, quando avrò finito con lui ti richiamerò». Il padre di Ruby, venditore ambulante cinquantenne, non è l'unico genitore in questa storia ad essere informato dalla figlia dei progressi economici con il presidente del Consiglio. D'altronde, interrogato in Procura, aggiungerà anche che il premier, secondo lui, sapeva della minore età della figlia quando la gratificava con regalucci da 7000 euro per volta. Non è nemmeno l'unico che rimane in compiaciuto silenzio da tanta temerarietà: sono tanti i papà, i fratelli, le sorelle e le madri che in questa vicenda, fingendo di non sapere quello che accadeva ad Arcore, non fanno una bella figura. La madre di Ruby invece, dopo l'apparizione della figlia a Kalispera, riportata owia180
Sodoma mente da tutti i giornali, si dice «disperata». In un'intervista al settimanale «Di Più», la signora Zahara dichiara: «Sto male per mia figlia. Non risponde alle mie chiamate, fa finta di niente ma qui in Marocco i giornali parlano di lei e io sono in contatto con mio marito che vive in Italia e fa l'ambulante. Soffro perché ho capito che mia figlia è confusa, smarrita. Posso spiegare solo così le sue bugie, quei racconti inventati sul male terribile che le avrebbe fatto la sua famiglia di origine, la mia famiglia». «Devi dirle di non parlare», si era raccomandata Ruby con il papà in settembre, quando aveva saputo che sua madre, Zahara, ancora una bella donna, era stata fatta ascoltare da alcuni poliziotti e poi convocata dai magistrati. «Devi dirle di alzarsi e dichiarare di non voler rispondere a nulla». Non aveva specificato che l'ordine valeva anche per i giornali. Così Zahara non si fa pregare dal settimanale: «Sì, le sue bugie sono diventate la nostra vergogna... Lei non ha mai manifestato l'intenzione di convertirsi... e la storia dell'olio bollente è un'invenzione... Tutti i suoi zii poi, sono brave persone e nessuno, dico nessuno, l'ha mai toccata con un dito...» Qualcun altro invece sì. Almeno così è convinta la Procura. Che nell'invito a comparire di 398 pagine spedito a Silvio Berlusconi, per suffragare il quadro accusatorio di aver fatto sesso con una prostituta minorenne inserisce telefonate come questa dell'8 settembre 2010 ad Antonio Passaro, un anziano amico cui Ruby ha rivelato il suo rapporto con il Cavaliere e che è molto curioso di dettagli. Per esempio: come si fa chiamare il presidente quando trascorre le sue ore liete nel buen ritiro di Villa San Martino? Perché Ruby ha tanti amici, tanti parenti e per ognuno usa un vezzeggiativo, un diminutivo, un soprannome. E Silvio, con i suoi 74 anni? «...Tu hai il papà, lo zio... a lui come lo chiami? Lo zio, il nonno? Come lo chiami?» «E no, papi.» 181
«E siamo messi bene, Madonna mia! Fai come la napoletana, il papi lo chiamava.» «No, no, la napoletana è un'altra cosa, io sono un'altra...» «Ah!» «E quella è la pupilla, io sono il culo (ride).» «Ah! Quella è la pupilla e tu sei il cullilo e vabbé, non fa niente, meglio di niente. Il culatello!» Ma c'è poco da ridere. Soprattutto dalle parti di Arcore dove sono preoccupatissimi per gli articoli comparsi sui giornali. Il 26 ottobre, con una tale Poliana, Ruby dice: «È venuto da me... mi ha chiamato oggi lui... mi ha chiamato la sua segretaria due volte... mi ha chiamato il mio avvocato, mi ha chiamato Lele... mi hai chiamato tu e io stavo dormendo... è venuto il mio avvocato, è venuto adesso, ha fatto la strada da Milano, ha detto: «Ruby, dobbiamo trovare una soluzione... è un caso che supera quello della Daddario e della Letizia, perché tu eri proprio minorenne... adesso siamo tutti preoccupatissimi...» Alle 21,48 una nuova telefonata. Annotano gli agenti: «Squilli... Fuori dalla telefonata si sente Ruby che dice: "ma il mio caso invece, io frequento casa sua da quando c'avevo 16 anni... A parte che io ho negato tutto, ho detto no, sono andata a casa sua ma lui pensava fossi maggiorenne, pensava che avessi 24 anni, anche perché non li dimostro, poi dopo che ha scoperto che ero minorenne mi ha buttato fuori casa perché io sto cercando di salvaguardare lui così a me mi torna in tasca qualcosa..."»" Due minuti dopo chiama la madre del suo primo fidanzato catanese, Sergio Corsaro: «Il mio caso è quello che spaventa più di tutti e sta superando il caso di Letizia... della Daddario, di tutte... eh... niente... diciamo che adesso siamo preoccupati, il mio avvocato se ne è appena andato, ero con lui, con Lele. .. loro mi stanno comunque vicini, in effetti... ho, cioè, sempre tornando al discorso di prima... gli ho detto... eh, Lele... 182
Sodoma io ho parlato con Silvio gli ho detto... che ne voglio uscire almeno con qualcosa... cioè mi dà... 5 milioni... però... 5 milioni a confronto del macchiamento del mio nome...» Due giorni dopo, il 28 ottobre, Ruby rivela meglio il suo piano allo stesso Corsaro: «Ma non siamo preoccupati per niente, perché... Silvio mi chiama di continuo, mi ha detto: "cerca di passare per pazza... per quello che... che puoi... per pazza, racconta cazzate... ma io ti sarò sempre vicino..." mi fa... "di qualsiasi cosa e avrai da me qualsiasi cosa tu vuoi"... con il mio avvocato gli abbiamo chiesto cinque milioni di euro... in cambio di... del fatto che io passo per pazza, che racconto solo cazzate... e lui ha accettato... in effetti seguiremo questa... questa strada...» Ruby per esserne sicura, lo stesso giorno, lo ripete anche a un'amica, Antonella: «.. .che lui mi ha chiamato ieri dicendomi, Ruby, ti do quanti soldi vuoi, ti, ti pago... ti metto tutta in oro ma l'importante è che nascondi il tutto, nascondi il tutto, non dire niente a nessuno... Ma può essere... per me mafioso... può essere quello che vuole, l'importante è che a me mi sta riempiendo di soldi... sta cambiando la mia vita, cazzo. Guarda... Antonella... ti faccio una domanda però rispondimi sincera: se a te Silvio ti mettesse nelle tue mani 6 milioni di euro...» A un'altra amica, Davida, oltre a ripetere il solito ritornello, racconta anche un piccolo retroscena sul ruolo del «fidanzato» e «futuro sposo» Luca Risso: «...sanno tutti tutto. Luca mi sta semplicemente proteggendo perché... Lele gli ha chiesto di proteggermi... in cambio avrà un sacco di soldi... ma lui (Luca) dice: non mi interessa dei soldi, ti voglio bene, ti copro...» 183
13. VERBA VOLANT, VERBALI MANENT Ore 15, 30 gennaio 2011: dopo aver inanellato una serie impressionante di interviste che invece di soccorrerla ottengono un effetto controproducente e poco alla volta la inguaiano sempre di più, Nicole Minetti si presenta a Palazzo di Giustizia per farsi interrogare dai magistrati, nel piccolo ufficio di Ilda Boccassini. È una domenica uggiosa, grigia, fredda, cade in mezzo ai giorni della Merla: piove, a tratti anche molto forte. Sono trascorsi 248 giorni dalla fatidica serata del 27 maggio 2010, quando venne chiamata da Berlusconi e da Michelle per correre in Questura a liberare Ruby: ha avuto tutto il tempo di prepararsi, di concordare con i legali quale linea difensiva adottare; ma ha preferito evitare di recarsi ad Arcore per l'incontro collettivo con Berlusconi e i suoi avvocati. Non è dunque impreparata all'incontro con la temibile Boccassini, la grande nemica del Cavaliere. È tesa. Non si fida di nessuno. Non vuole diventare, soprattutto, l'agnello sacrificale del Rubygate. Indossa jeans, un maglioncino nero e un'austera giacca di tweed scozzese. Ha concordato, con il magistrato, di anticipare la convocazione, fissata in origine martedì 2 febbraio: l'invito a comparire le era stato inviato il 25 gennaio. Vuole evitare la passerella, sballottata tra due ali di fotografi e giornalisti che l'avrebbero intrappolata con chissà quali domande. Un conto è stare davanti alle telecamere amiche - come le era successo per settimane, ai tempi di Colorado café, il suo trampolino di lancio. Un 184
Sodoma altro è vedersi puntare addosso il microfono degli inviati di Annoterò, e farsi incastrare. Conosce i meccanismi dello star system. È da settimane che lei viene indicata come la «maitresse» di Berlusconi, la reclutatrice che selezionava per il signore di Arcore giovani e procaci fanciulle da iniziare ai riti boccacceschi del bunga bunga. Non ha torto, la bella Nicole, che prima di passare alla politica ha avuto la sua stagione di gloria in tv: i giornali scelgono le foto in cui si evidenzia il prepotente profilo del seno, dalle altimetrie degne di una tappa alpina del Giro. Quelle più gettonate sono le immagini di posa seminude: in bikini mentre dondola sull'altalena del programma Scorie di Rai Due. Ma sui grandi quotidiani campeggiano più sovente le foto in cui l'altera Nicole è ritratta con la fronte leggermente corrugata e l'espressione imbronciata. Si capisce che finge indifferenza, che sfoglia senza leggere l'ordine del giorno tra i banchi del Consiglio Regionale, mai, come in questi ultimi mesi, così presidiato dai paparazzi. Per forza, la buriana del Rubygate ruota attorno alle intercettazioni in cui lei ne dice di cotte e di crude. È diventata, suo malgrado, l'altra grande protagonista di questa saga giudiziaria. Attira i flash, come il ferro la calamita. D'altra parte, le avranno detto le care amiche del bunga bunga, inutile sottrarsi all'attenzione dei media, sono le regole del gioco, bellezza... e a dir tutta la verità, Nicole Minetti è impossibile non notarla, e ammirarla, in quel grigiume di doppiopetti e di malvestiti della politica regionale: spicca per la sua figura slanciata, e per gli eleganti tailleur grigio-polvere firmati Armani, immancabile emulazione del prototipo Mara Carfagna, la soubrette diventata ministro delle Pari Opportunità, idolo ed esempio delle Arcore girls, come si evince dalle loro telefonate. Ma, almeno, chiede la Minetti alla Boccassini, mi sia consentito di evitare la gogna degli agguati di telecamere e giornalisti. La pm non ha nulla in contrario. Le concede un ingres185
Leonardo Coen Paolo Colonnello so anonimo, al riparo da occhi e obiettivi indiscreti. Non vuole infierire di fronte a queste leonesse nelle alcove e nelle ville dei potenti che si trasformano in tremanti pecorelle, inseguite dalla vergogna e dalla paura di perdere tutti i benefit acquisiti. Perché la Minetti di strada ne ha percorsa. E non c'è dubbio che sia lei la regina indiscussa di questo harem di Arcore. Dalla palestra di mamma Georgine sul lungomare di Rimini, al Pirellone di Milano, sede della Regione, passando attraverso gli studi Mediaset di Cologno Monzese. Tre anni trionfali, sempre in ascesa. E adesso, le tocca nascondersi, evitare la vetrina, dissimularsi. Le permettono di entrare nel cortile di Palazzo di Giustizia, privilegio riservato a pochi. Arriva insieme all'avvocatessa Daria Pesce, esuberante signora milanese appassionata di gim rummy, il ramino d'azzardo dei ricchi che piace tanto alle buone famiglie di Milano e che ha avuto, per illustre praticante, persino Giulio Andreotti: c'è il blocco del traffico per l'inquinamento che avvelena Milano, ma l'avvocatessa Pesce è, incidentalmente, console onoraria del Portogallo e quindi le è permesso di attraversare la città con l'auto targata CC. Guida il figlio Francesco, che è praticante legale e le fa da assistente. Nicole non vede l'ora di chiarire la sua posizione. Spera, in cuor suo, che essersi presentata dalla Boccassini la distingua da Berlusconi. Il quale rifiuta qualsiasi contatto con la magistratura, una scelta di totale chiusura che lei non intende ricalcare. Una mossa per dimostrare la sua autonomia. Leggendo il suo verbale, però, non si direbbe. L'attacco della Boccassini e del suo collega Sangermano è fulmineo e riguarda due interviste rilasciate appena qualche giorno prima a un quotidiano, «Il Giornale», e a un settimanale femminile piuttosto diffuso, «Vanity Fair». Su quelle pagine la Minetti ha indugiato in dettagli, ha precisato e infiorettato la serata in cui si precipitò a prestar soccorso a Ruby, fermata dalla Polizia. Sbagliando, perché non ha fatto i conti con i soliti 186
Sodoma tracciati dei tabulati, implacabili per la ricostruzione dei fatti. È rimasta sul vago, alludendo ma senza spingere, circa il suo rapporto con Berlusconi. «Lei, consigliere Minetti, ha letto il contenuto delle interviste? È stato riportato esattamente il suo pensiero?» «Io ho letto le due interviste, hanno riportato correttamente il mio pensiero e comunque non c'è corrispondenza con quello che voglio dire qui». «Può dire in quali parti dell'intervista non si riconosce?» Minetti esita. Chiede di poter rileggere le sue dichiarazioni, in particolare quelle rilasciate a «Il Giornale» il 29 gennaio 2011. Nell'intervista, firmata da Stefano Zurlo, Nicole si era attenuta rigorosamente alla leggenda del suo incontro con il Cavaliere. Una leggenda evidentemente studiata a tavolino dal marketing presidenziale, che voleva il suo lancio in politica dovuto a incontenibile passione per la missione del presidente: «Lui era al San Raffaele dal dermatologo, che poi è uno dei miei professori. Mi sono fiondata, gli ho detto che era un mito per me e i miei genitori». Nacque così la fiaba dell'igienista dentale del Cavaliere, alimentata da innumerevoli articoli pieni di dettagli inventati, che volevano l'incontro tra la neo laureata e il presidente del Consiglio avvenuto durante la convalescenza di Berlusconi dopo il lancio della statuetta da parte di uno squilibrato che lo aveva colpito in piena faccia il 13 dicembre in Piazza Duomo. Un incontro fatale, che decise l'ascesa politica della bella igienista candidata all'ultimo momento nel listino blindato di Roberto Formigoni: un biglietto di prima classe per un posto in Consiglio regionale e uno stipendio da 10 mila euro al mese. Senza nemmeno la fatica di una campagna elettorale. Ma adesso, davanti a Ilda Boccassini, la Minetti decide che e arrivato il momento della verità. Una verità per altro ormai notissima. 187
«Rispetto alla domanda del giornalista: "il Cavaliere come l'ha conosciuto?" io ho dato una risposta non vera. Nel senso che conobbi il presidente del Consiglio presso una stand di Publitalia a fine 2008, se non ricordo male. Nel resto confermo l'intervista». Non che sia molto importante ai fini delle indagini, però lo è per decifrare la personalità di Nicole: omette un piccolo dettaglio. E cioè che non si trattò di un incontro casuale. Infatti a presentare la giovane ballerina («all'epoca avevo appena 22 anni, ero comunque maggiorenne») a un Berlusconi sempre in caccia di nuove prede, è un dirigente di Publitalia, Luigi Ciarviello, 48 anni, direttore del new business, responsabile delle fiere e degli stand della concessionaria pubblicitaria di Mediaset. Amico d'infanzia di Piersilvio che conobbe quando faceva il meccanico e si occupava di moto, Ciarviello, di origini campane, tipo svelto e spiritoso, ci mise poco a farsi presentare il Cavaliere e ad entrare nelle sue simpatie, facendogli capire che di ragazze, belle e disponibili, ne conosceva tante. È l'aprile del 2008 quando Ciarviello segnala al Cavaliere questa giovane hostess alla Fiera di Rho, arrivata fresca di studi da Rimini. Nicole poco dopo si ritroverà a ballare negli «stacchetti» dell'ottava edizione di Colorado Cafè, programma di Italia 1, una delle tre reti dove comanda Piersilvio Berlusconi. E un anno dopo decollerà in politica. Come mai? «Rileggendo l'intervista, preciso inoltre che non ho riferito la verità nella parte di risposta in cui ho detto che non facevo sesso col presidente. Io avevo frainteso la domanda del giornalista, nel senso che pensavo che lui mi chiedesse se avessi fatto sesso col presidente del Consiglio nel corso delle serate a cui faceva riferimento l'invito a comparire (...) Invece io ho avuto una relazione col presidente del Consiglio e quindi ho avuto anche rapporti sessuali». La Boccassini consulta un attimo i suoi appunti, poi allunga il testo della seconda intervista, quella rilasciata al settimanale «Vanity Fair». 188
Sodoma «Anche in questa intervista non corrisponde al vero la data della mia conoscenza con Silvio Berlusconi e alla domanda se avessi mai ricevuto soldi dallo stesso Berlusconi, non è vero che ciò non sia avvenuto, così come avevo risposto al giornalista. Per tutto il resto, non c'è alcun problema, confermo quello che ho detto». La Boccassini piglia tempo. Quelle di prima erano solo piccole schermaglie, premesse necessarie per creare un minimo di clima favorevole. Il pm si mostra affabile, addirittura chiede a Nicole se desidera un caffè, non è gran cosa quello delle macchinette però meglio di niente, si schermisce, «in questo momento va bene qualsiasi cosa», risponde la Minetti, perché è un po' in apprensione. Anche lei ha capito che le prime domande sono state soltanto un fuoco di paglia. Le vengono in mente i primi giorni del suo arrivo a Milano, era il settembre del 2006, e si sentiva un poco spaesata, nella metropoli dei suoi sogni. Si era iscritta alla facoltà di Biologia di Bologna, ma poi aveva deciso di optare per il corso di laurea breve del San Raffaele in igiene dentale. L'idea di finire tra le braccia del Cavaliere allora le sarebbe parsa una follìa. Poggia il bicchierino di carta del caffè. La voce, sempre tranquilla, della Boccasini, la riporta alla dura realtà dell'inchiesta sui sollazzi di Berlusconi e sulla minorenne Ruby. «Lei può riferire dove si trovava la sera del 27 maggio 2010, e cioè il giorno in cui poi lei si reca in Questura ove era stata portata la minore El Mahroug Karima?» «Ero al ristorante Sant'Eustorgio ubicato in piazzetta Sant'Eustorgio.» «Ricorda se era in compagnia di qualcuno?» «Sì, con il mio fidanzato Simone Giancola.» «Lei ricorda a che ora e chi le telefonò mentre si trovava nel ristorante?» «Io, come ho detto, mi trovavo al ristorante in compagnia 189
del mio fidanzato, non ricordo l'orario esatto in cui ebbi a ricevere una telefonata da parte di una ragazza che io non conoscevo, poteva essere intorno alle dieci e mezza, undici. Questa persona si presentò come Michelle, che aveva avuto il mio numero da comuni amiche, se non ricordo male mi fece il nome di Aida Jespica, la cosa mi sembrò improbabile perché la conosco di vista ma non ho alcun tipo di frequentazione con questa persona. Comunque la Michelle mi rappresentò che Ruby era stata fermata dalla polizia, mentre si trovava in un centro estetico, e condotta in Questura perché la sua coinquilina a nome Caterina l'aveva denunciata per furto di vestiti. Mi disse anche la Michelle, nel corso di questa telefonata, che aveva provato a mettersi in contatto con il presidente del Consiglio per avvertirlo che la Ruby era stata fermata. Dopodiché io non ricordo se mi contattò il presidente del Consiglio, oppure io provai a mettermi in contatto con lui, sta di fatto che comunque riuscimmo a comunicare e lui mi chiese la cortesia di recarmi in Questura.» «Ma come mai una persona a lei sconosciuta, la Michelle, pensò di telefonarle per rappresentarle il problema Ruby?» «Io non sono stata ad indagare le ragioni per le quali in quel momento Michelle pensò di telefonare a me, probabilmente, siccome sapeva che io avevo conosciuto la El Mahroug Karima proprio a casa del presidente Berlusconi, pensò di chiamare me». «Come è arrivata in Questura?» «In auto con il mio fidanzato». «E una volta arrivata in Questura, il suo fidanzato è stato presente fino al rilascio di Ruby o è andato via?» «Il mio fidanzato mi ha aspettato fuori in macchina fino a quando io non sono uscita». «Nel momento in cui lei ha ricevuto la telefonata del presidente del Consiglio, fino a quando è arrivata in Questura, lei ha contattato altre persone oppure è andata direttamente in Questura?» 190
Sodoma «No, no, sono andata direttamente in Questura». «Lei ricorda a memoria il numero di cellulare che aveva in quel periodo?» «Sì». «Dall'analisi dei tabulati che sono stati effettuati, e quindi anche sul suo, rispetto alla ricostruzione delle vicende che si sono verificate il 27 maggio 2010, risultano dei dati diversi da quelli che oggi lei sta rappresentando. Ed in particolare, lei alle ore 22.19 riceve una telefonata da Concei^ao Santos Olivera della durata di 14 secondi. Alle ore 22.27, lei dal suo cellulare, fa una telefonata all'utenza di Arcore della durata di 38 secondi. Alle ore 23.27 la Conceicao Santos Oliveira Michelle la contatta nuovamente e parlate per 69 secondi. Alle ore 23.30, lei contatta la sede del Popolo delle Libertà di via dell'Umiltà 36 a Roma e vi è una conversazione di 44 secondi. Alle ore 23.43 risulta una telefonata che lei fa con il presidente Berlusconi, che la chiama. Dalle celle impiegate dal suo cellulare risulta che lei era presso la sua abitazione e non nella zona di Sant'Eustorgio. Come lo spiega?» «Ribadisco che mi trovavo nel ristorante di piazzetta Sant'Eustorgio e che da lì mi sono portata in Questura. Confermo di aver fatto le telefonate poiché cercavo il presidente del Consiglio, quindi ho provato presso la sua residenza di Arcore e poi a Roma». «Ma perché voleva mettersi in contatto con il presidente del Consiglio?» «Perché la Michelle quando mi ha telefonato, mi aveva anche detto di aver lei stessa telefonato al presidente del Consiglio, anche se per evitare di fare il nome e il cognome usò una terminologia tipo «spirito santo», ma io capii subito che il riferimento era Silvio Berlusconi. Quindi io volevo avere la conferma dal presidente che effettivamente la Michelle lo aveva chiamato». 191
Ricapitolando: Michelle viene a sapere che Ruby è stata fermata, chiama il presidente del Consiglio e lo avverte. Poi, su sua sollecitazione, chiama Nicole Minetti che, appena ricevuta la telefonata, pur dicendo di non sapere bene chi sia questa Michelle, scatta dalla sedia del ristorante (o di casa, non si sa) e corre in Questura, cercando nel frattempo all'impazzata di mettersi in contatto con Berlusconi. I casi sono due. O a sentire la parola «spirito santo» deve avere avuto una crisi mistica oppure c'è qualcosa che non quadra. Possibile che lei, la favorita, la donna che ha fatto sesso con il presidente, la consigliera regionale, si affanni per una ragazzina incontrata a malapena due o tre volte in vita sua e obblighi il suo fidanzato a mobilitarsi perché una sconosciuta le dice che ha parlato con il premier? La Boccassini, apparentemente, sembra non voler dar peso a queste incongruenze. Prosegue imperterrita. «Lei ha riferito poc'anzi che poi riuscì a parlare col presidente del Consiglio, che cosa vi siete detti?» «Prima di rispondere, mi chiedete se la telefonata che io ricevetti da Silvio Berlusconi è quella delle 23.43 della durata di 136 secondi, sì penso proprio che sia questa. Nel corso della telefonata Berlusconi mi disse che aveva già parlato con Michelle, che era stato messo al corrente, anzi per essere più precisa, lui mi disse che era già al corrente della situazione e cioè che El Mahroug Karima era stata portata in Questura ed era stata trattenuta perchénon aveva i documenti o comunque c'era un problema del genere». Insomma, Berlusconi con la sua «amante» omette la vicenda dell'accusa di furto. Il solito, fastidioso, dettaglio. Perché è illogico che nella sua prima telefonata Michelle non lo abbia detto a Berlusconi visto che aveva parlato per ben sei minuti con Katia Pasquino, la ragazza che aveva denunciato Ruby per il furto. E sarebbe strano 192
Sodoma che il Cavaliere, dovendole chiedere di andare in Questura, non lo avesse riferito alla Minetti, la quale però sul punto non dice nulla. E prosegue. «Mi pregò di andare in Questura, io ero un po' titubante, anche perché Ruby non la conoscevo bene, però poi io mi convinsi ad andare. Anzi, ora che mi viene in mente, Berlusconi mi disse: "Vai tu perché sei una persona per bene, sei incensurata, ti presenti bene", non so se aggiunse che ero anche un consigliere regionale e quindi sarei stata più affidabile come persona». Ovvio: per il «teatrino» organizzato dal premier a uso e consumo dei poliziotti, se c'è da liberare la «nipote di Mubarak» non si può mandare avanti un brutto ceffo o una prostituta per quanto carina come la brasiliana Michelle. No, ci vuole una persona «che si presenti bene», che è poi la base dello stile berlusconiano: apparire è meglio che essere. «Ma quando lei arrivò in Questura, Michelle era lì?» «Sì». «E dove vi siete incontrate?» «All'interno degli uffici di via Fatebenefratelli, in una stanza dove fanno attendere le persone». «E poi cosa è successo?» «Michelle mi raccontò più o meno quello che era successo, e cioè che lei si era preoccupata perché Ruby non era tornata a casa (Ruby in quel momento abitava in casa della Michelle), che quindi aveva telefonato ad un centro estetico e in quel frangente seppe appunto che la ragazza era stata portata lì in Questura perché priva di documenti e che era stata trattenuta perché poi era anche minorenne. Io mi stupii perché non sapevo affatto che Ruby fosse minorenne.» «Lei ha detto che Ruby l'ha conosciuta ad una cena ad Arcore. Ricorda quando l'ha vista per la prima volta e se l'ha vista poi in altre occasioni sempre ad Arcore?» «Io non ricordo la data esatta. Vedo, leggendo le carte, che 193
mi sono state notificate il 14 febbraio 2010. Non ricordo quella sera quante persone erano state invitate a cena dal presidente, comunque eravamo in parecchi, nell'ordine di quindici/diciotto persone. Io andai per i fatti miei, non ricordo neanche se la ragazza era già lì o se è venuta successivamente. No, non ricordo assolutamente in che modo sia arrivata ad Arcore, se da sola o in compagnia di qualcuno». «Lei ricorda qualcuno in particolare dei partecipanti a questa cena del 14 febbraio 2010?» «Se non mi sbaglio, Barbara Faggioli, forse Emilio Fede, Marysthelle Garcia Polanco e altre persone che sinceramente non ricordo.» «Lei ebbe modo di parlare con El Mahroug Karima?» «Sì, sicuramente avrò scambiato con lei due chiacchiere, ma un pourparler, niente di particolarmente interessante da ricordare. Infatti non ricordo nulla di particolare». «Lei poi l'ha rivista, avete allacciato un rapporto di amicizia, vi siete frequentate?» «Io non ho assolutamente frequentato la Ruby al di fuori delle due o tre volte che l'ho vista alle cene di Arcore. Ci siamo scambiati i nostri numeri di cellulari. Però, lo ripeto, con lei non ho avuto alcun tipo di frequentazione. È possibile che mi abbia telefonato qualche volta, ma sinceramente nulla di più». «Lei ha detto di aver visto Ruby due o tre volte: può collocarle come date, oppure mesi, o periodo dell'anno?» «Non riesco a ricordare con esattezza ovviamente né la data né il periodo, sicuramente dopo il 14 febbraio, quindi nel periodo che va fino ad aprile 2010, forse anche maggio. Ripeto, non posso essere precisa sulle volte in cui ho incontrato Ruby alle cene di Arcore, possono essere tre, possono essere quattro, ma sicuramente non dieci. Almeno, le volte in cui ero presente io». «Ma lei, oltre a non frequentarla e averla incontrata soltanto a queste cene, sapeva l'età di Ruby?»
Sodoma «No, assolutamente, parlando mi diceva che aveva 24 anni, io l'ho saputo soltanto quando sono andata in Questura». «Questa persona le è stata affidata la notte del 28 maggio, però da documenti incontrovertibili risulta che la ragazza è andata a vivere in via Villoresi; come lo spiega?» «Quando sono arrivata in Questura ho avuto contatti con la dottoressa Iafrate, alla quale dissi che ero disponibile a prendere in affido temporaneo la ragazza. Ebbi modo di parlare personalmente con la suddetta funzionarla, con la quale ci scambiammo anche il numero di cellulare. La dottoressa Iafrate mi disse chiaramente che l'unico modo perché la ragazza minorenne potesse non passare la notte in Questura ed essere immediatamente liberata, era che la prendessi in affidamento temporaneo, specificando che vi erano delle difficoltà con riferimento alla coinquilina della Ruby in quanto era straniera, anche perché inizialmente l'idea era quella che la. El Mahroug Karima potesse tornare a vivere presso il domicilio di Michelle, cosa che poi avvenne. La dottoressa Iafrate mi precisò anche che questa eventualità di affidare la minore El Mahroug Karima alla De Conceicao Michelle era stata prospettata al magistrato minorile di turno e il predetto magistrato l'aveva scartata. Io pertanto mi resi disponibile ad avere l'affidamento temporaneo della minore, chiedendo alla dottoressa Iafrate se l'avessi dovuta pertanto condurre con me a casa e la Iafrate mi rispose che la El Mahroug Karima avrebbe potuto tornare a casa della De Conceicao Michelle, tante che richiesero copia dei documenti a quest'ultima». La versione di Nicole fa acqua, e mette in cattiva luce il comportamento della Iafrate. Ilda Boccassini lascia correre. Perché? In fondo, ogni volta che rileva un comportamento omissivo o perfino contrario ad una disposizione dell'autorità giudiziaria, come sembra qui il caso, è come se trovasse conferma all'ipotesi del reato di concussione e degli effetti provocati «nell'atto contrario ai propri doveri d'ufficio». 195
Insomma, nella notte delle bugie, ciascuno ha fatto la sua parte. Non sempre una buona parte. E la Boccassini lo sa. «Era a conoscenza dei motivi per i quali la De Conceicao era in Questura?» «Come ho già detto, la Conceicao si trovava in Questura perché si era preoccupata dell'assenza della ragazza per circa due ore da casa, aveva telefonato al centro estetico dove sapeva che la Ruby si doveva fare un massaggio e lì aveva saputo che era stata portata in Questura. Queste furono le ragioni che mi furono dette dalla Conceicao sul perché anche lei si era portata in Questura». «La Michelle le disse che già sapeva che la Ruby era minorenne?» «No. Penso di ricordare che anche Michelle sapeva che la Ruby aveva 24 anni». «Quando poi Ruby fu rilasciata e affidata a lei, lei comunicò questa cosa al presidente del Consiglio?» «Sì». «Le ricorda se telefonò lei al presidente o viceversa?» «No, telefonai io e penso che non fu neanche l'unica chiamata che feci con Berlusconi». «Risulta una telefonata alle 2.11 tra lei e il presidente del Consiglio, è lei che chiama un'utenza di Berlusconi, la durata della conversazione è 91 secondi; è questa la telefonata a cui lei ora ha fatto riferimento?» «Sì, l'ultima è questa». «Alle ore 1.55 lei riceve una telefonata del presidente del Consiglio di 88 secondi, quando lei poc'anzi ha detto che vi siete scambiati un po' di telefonate è possibile che sia questo uno dei vostri contatti?» «Sì». «Può spiegare i motivi per i quali vi è questa insistenza da parte del presidente del Consiglio rispetto alla vicenda Ruby, 196
Sodoma cioè perché ci sono state tutte queste telefonate tra di voi, perché il presidente si interessava alla vicenda di una ragazza senza documenti che per altro era stata accusata di furto?» «Il presidente mi telefonava e mi chiedeva "come sta andando?" voleva essere messo al corrente dello sviluppo della vicenda. Io penso che le ragioni del suo interessamento potessero essere due: primo, che era anche preoccupato del fatto che io mi trovassi lì e che a quell'ora di notte tardi mi aveva mandato in Questura. E poi della Ruby, una ragazza problematica. E quindi voleva sapere come stava Ruby, come stavo io e cose del genere». «Lei ha detto poc'anzi che non ha avuto nessun tipo di frequentazione e di contatti con Ruby, che la vostra conoscenza è dovuta al fatto che avete partecipato a delle cene a cui entrambe siete state invitate ad Arcore, allora lei come fa a sapere che è una ragazza problematica? E poi lei cosa intende dire per "ragazza problematica"?» «La Ruby è una persona molto estroversa e loquace, ci aveva raccontato di essere figlia di una cantante lirica egiziana e di avere vissuto varie vicissitudini con la propria famiglia di origine, mostrando anche delle cicatrici sul braccio e sulla testa, a suo dire derivanti da lancio di olio bollente che le avrebbe fatto il padre. Ricordo che la Ruby precisò che questa rabbia espressa dal genitore era dovuta al fatto che lei voleva cambiare religione». «Lei ha detto che con El Mahroug Karima intesa Ruby non ha avuto alcun tipo di frequentazione e che vi siete incontrate soltanto in occasione delle cene ad Arcore. Dallo sviluppo del tabulato della Karima ci sono stati tra di voi dal 23 febbraio 2010 al 25 giugno 2010, 122 contatti; come lo spiega?» «Prendo atto che dall'analisi del cellulare della Karima risulta che tra me e lei nel periodo indicato vi sono 122 contatti. Io non posso che ribadire che non l'ho mai frequentata, non 197
escludo, l'avevo già detto, che tra noi ci siano state le telefonate o Sms ma niente di più. Sicuramente nei giorni successivi al 28 maggio io mi sono fatta sentire con lei e le ho mandato dei messaggi proprio perché volevo sapere come stesse, ricordo poi che il 5 giugno ricevetti una telefonata della Michelle, la quale mi disse che aveva litigato con Ruby e che Ruby l'aveva denunciata». «Dall'analisi sempre delle celle dei tabulati, nonché dai riscontri delle intercettazioni telefoniche, risulta che alle cene ad Arcore siete presenti lei e Ruby nelle giornate del 14 febbraio, 20 e 21 febbraio, 27 e 28 maggio, 8 e 9 marzo, 4 e 5 aprile, 24, 25 e 26 aprile, e 1 e 2 maggio 2010». «Sì avevo detto quattro, massimo cinque, prendo atto che sono di più, non lo ricordavo. Avevo aggiunto che comunque le volte non erano più di dieci, almeno in mia presenza». 198
14. IL FAVOLOSO MONDO DI NICOLE. Mentre Nicole riannoda i fili dei suoi ricordi e ne concede il minimo indispensabile alla Boccassini, fuori di quel Palazzo di Giustizia si comincia a somatizzare l'effetto sconvolgente del sexygate: la Minetti non è consapevole del suo ruolo, in quel momento, ma ciò che viene verbalizzato è la demifisticazione del berlusconismo, Se, prima, pillole quotidiane di rivelazioni, raccontavano cose che si erano già sentite al tempo di Noemi, la ragazza che Berlusconi andò a trovare la sera del suo diciottesimo compleanno, o al tempo dei festini in Sardegna, adesso è come la tela del sipario che si solleva e mostra il legame diretto che c'è tra il sotterraneo di villa San Martino, dove ogni week end si consumano le feste del bunga bunga, e i palazzi del potere, dove si recita la sceneggiata dei «governi del fare». Gli italiani aprono gli occhi sull'essere e il nulla del Cavaliere. Guarda caso, questo è il sottotitolo di un libro molto complesso, sulla «Filosofia di Berlusconi» edito da Ombre corte che, coincidenza, ha la sua presentazione ufficiale proprio il giorno del rinvio a giudizio del premier, il 15 febbraio. Un buon esperimento di lettura filosofica sul tramonto trash del Sultano, così commenta Carlo Chiurco che ne ha curato l'introduzione. Cosa c'è sotto il Sultano? Niente, convengono gli autori del libro messo in cantiere dopo la lettera di Veronica Lario a «Repubblica», in cui la moglie di Berlusconi parla per la prima volta delle «vergini» offerte al «Drago»; dopo lo scandalo Noemi eie confessioni di Patrizia D'Addario, l'escort barese di Palaz199
zo Grazioli; si parte da lì e si arriva al Rubygate. Un tragitto in cui la favola che Berlusconi ha ammannito agli italiani si rivela peggio di una pornonovella di serie B: «Sistema di scambio fra sesso, denaro e potere, prostituzione come cifra del regime, catastrofe della virilità e emancipazione fallita delle jeunes filles, volto osceno del potere, imperativo del godimento contrapposto al dover-essere della legge, pervertimento della libertà nella normalizzazione liberista». Dietro all'indagine della Boccassini e dei suoi colleghi, s'intravedono effetti collaterali devastanti, che vanno oltre il processo stesso. I reati di concussione e prostituzione minorile sono un grimaldello per spalancare una porta, e scoprire la vera natura dei rapporti tra Berlusconi e le sue giovanissime amiche, squarciando il velo su eccessi e trasgressioni che suscitano indignazione, sconcerto e preoccupazioni, una pista che porta ad individuare eccessi e trasgressioni, sia nel privato, sia nel pubblico. Bisogna attenersi ai fatti, per smascherare il trucco dell'essere e del nulla. «Sempre dall'analisi delle celle e degli orari risulta che in alcune occasioni El Mahroug Karima ha dormito ad Arcore. Lei lo sapeva?» Nicole riflette un attimo. La piglia alla larga. «Sicuramente nell'arco temporale che mi avete appena indicato mi sono fermata a dormire ad Arcore... ma non sono in grado di dirvi In quale di queste giornate: posso dire che l'ho fatto. Per quanto riguarda Ruby io non lo posso escludere, non ricordo se in un'occasione anche la Ruby si è fermata a dormire ad Arcore.» «Come mai vi fermavate a dormire ad Arcore? Così come, sempre dall'analisi delle celle dei tabulati e delle telefonate intercettate, risulta che più ragazze si fermavano a dormire ad Arcore». 200
Sodoma «Io posso parlare per me. Mi è capitato di fermarmi a dormire, visto il rapporto di intimità che avevo col presidente, se si faceva tardi, oppure, se il giorno dopo era festa, allora io rimanevo ospite ad Arcore. So che altre ragazze si fermavano ad Arcore ma sinceramente non so perché ciò avvenisse». «Sinceramente», ripeterà in molte altre occasioni, non lo sa. Nel «favoloso mondo di Nicole», titolo di una sua surreale rubrica sul quotidiano on line «Affari Italiani», scrive spesso che per lei le cose «semplicemente» accadono, e quindi, «sinceramente» non ne sa dare il motivo. Figuriamoci se glielo chiede un magistrato. Così la Minetti si avvale della facoltà di non rispondere quando le viene chiesto come mai risulta locatrice di una serie di appartamenti di via Olgettina, dove ha base il quartier generale dell'harem berlusconiano. Invece dà una risposta secca quando la Boccassini le chiede come mai, tra le intercettazioni, ne spicca una di Iris, la giovanissima diciannovenne entrata a far parte del parterre arcoriano ben prima di raggiungere la maggiore età. In un sms la ragazzina scrive a Nicole: «Amo. Sì ti prego non ho più da mangiare». Come lo spiega? «Questa ragazza che io conosco, che si chiama Iris Berardi, mi aveva prospettato una sua difficoltà economica ma io non l'ho aiutata». E allora, insiste il pm, come spiega l'sms successivo, spedito da lei ad Aris Espinoza che recita: «Sì, è così, ho verificato adesso ma domenica torna. Tranquilla, lo chiamo a Roma dopo. Non può fare così. Poi mi è venuta un'idea per non rimanere mai a terra, gliene voglio parlare questo week end». «Siccome Aris Espinoza sapeva che io avevo un rapporto molto vicino al presidente, mi chiedeva di intercedere presso di lui per ottenere un lavoro, e in questo caso si stava parlando appunto di un lavoro». «Ma siccome in questo messaggio, che è lei ad inviare, dice: 201
"Poi mi è venuta un'idea per non rimanere mai a terra" ce lo spieghi, perché ovviamente non è una richiesta di lavoro che le fa Aris, ma è lei che ad Aris dice espressamente quella frase». «Era un modo di dire». «Spieghi quest'altro messaggio. È un sms che lei riceve da Aris il 10 ottobre 2010: "Amo, non ho più benzina nemmeno per andare a fare la spesa, sa che dipendo da lui. Tra l'altro a causa sua non lavoro più e sono sei mesi che gli chiedo un lavoro, non può sparire così, digli che ti chiamo tutti i giorni perché ho bisogno di fare benzina e così, male che vada, si arrabbierà con me ma non importa perché se ogni volta o non mi aiuta o mi dà solo venti euro per la benzina e poi sparisce e io rimango a secco, per fortuna non esco quasi mai». Quando parlate di benzina a cosa vi riferite? Con la frase «dipendo da lui", chi si intende?» «Non so dare nessun tipo di spiegazione, dovete chiederla ad Aris». La Boccassini afferra un foglio, legge un altro sms, mandato il 21 ottobre 2010 da Aris Espinoza, una vistosa pendolare dominicana del bunga bunga di 22 anni: «"Amo scusami, ma sei il nostro punto di riferimento. Dovrei andare dal dentista che mi è partito un dente e la Mery mi ha detto di parlare con te". Successivo del 21 ottobre 2010, ore 13.04, è lei che manda un messaggio ad Aris Espinoza: "Non ti preoccupare, ma dimmi cosa ti è successo". Progressivo del 21 ottobre 2010, ore 15.25, è una telefonata tra lei e Marysthelle: Nicole dice a Marysthelle di aver sentito lui al quale ha riferito delle visite dentistiche di Aris e Marysthelle, lui ha detto che andava bene e che ci avrebbe pensato lui. Può spiegare questa serie di messaggi, per quale motivo si rivolgono a lei anche per spese dentistiche, quando fate riferimento a "lui", fate riferimento al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che avrebbe provveduto al pagamento di eventuali fatture mediche?» 202
Sodoma «Anche su questa domanda mi avvalgo della facoltà di non rispondere». La Boccassini non si accontenta. Incalza, la stuzzica. Sa bene quale sia il punto debole di Nicole: la gelosia, il timore di essere scalzata da altre più giovani, belle e dannate di lei. «Nel corso di una lunga telefonata tra lei e Clotilde Strada, a un certo punto Clotilde dice: "Perché adesso io non so come sia questa nuova, però Giancarlo mi ha detto che è presissimo da questa qua, non so chi sia". Nicole: "E una montenegrina". Clotilde: "Poi alla fine anche gli uomini sono strani". Nicole: "Sì vabbé, ma è una scappata di casa". E ancora: "Io l'ho vista è una zingara, cioè hai presente una zingara". Clotilde: "Appunto, è il suo tipo. No? Non è il suo tipo?" Le chiedo chi è Giancarlo e chi è questa persona montenegrina di cui dal contesto della telefonata si capisce che se ne sarebbe invaghito il presidente del Consiglio?» «Anche su questa domanda mi avvalgo della facoltà di non rispondere». E un colpo basso, bisogna ammetterlo. Ma anche significativo, perché in quell'intercettazione, 11 di gennaio 2011, il lungo sfogo tra Nicole e la sua assistente e segretaria Clotilde, rivela uno spaccato dei rapporti del Sultano con le sue donne più significativo di ogni altra considerazione. Un rapporto un po' morboso e di grande dipendenza psicologica. Non solo finanziaria. 203
15. «CULO FLACCIDO» Nicole e Ilda si confrontano con rapidi sguardi. Nicole sfoggia anche se si è presentata nel modo più discreto possibile - il corpo «a proprio uso e consumo, e invidia altrui» (rubiamo la formula a Costanza Alpina, autrice di un pamphlet su Mara Carfagna, Niente di personale, Discanti editore, 2008), e ha capito che poteva fruttare anche politicamente. Ilda vuole identificare le illeicità di questo marketing che è diventato un fenomeno sociale, il berlusconismo. Dopo tre ore di interrogatorio, Nicole è convinta di essersela cavata. E Ilda, di averla messa all'angolo. Questione di punti di vista. Berlusconi il menzognero, come lo chiamano quelli delle opposizioni, non teme il ridicolo nel presentare il 23 febbraio alla biblioteca del Senato di Palazzo Madama una preziosa edizione, stampata a sue spese (lo fa da vent'anni) del Pinocchio di Collodi. Perché lui non si identifica nelle bugie del burattino di legno, ma nelle astuzie di Lucignolo. È la sottile linea rossa della legge a separare il mondo favoloso di Nicole da quello rigoroso di Ilda. Ma, a sua volta Nicole, è un prodotto dell'ambiguità berlusconiana. Quella del doppio volto. C'è la Nicole dell'interrogatorio, delle amnesie, delle reticenze tutte compuntamente declinate davanti al pm: una postura da studentessa delle Orsoline all'esame di maturità. Intimidita, apposto, mani sulle ginocchia, sguardo fermo, talvolta umido perché le viene qualche volta da piangere; attenta a non irritare i magistrati. E c'è la Nicole disinvolta, manager delle notti, pettegola con le amiche, dal linguaggio sboccato che 204
Sodoma emerge prepotente dalle intercettazioni: in cui appare ora allegra, ora furiosa, ora gelosa, ora delusa. Una vita frenetica, tutta di corsa, quella della Nicole di Arcore, ossessionata dalla necessità di apparire sempre scintillante e provocatoria, e guai ad incappare in una serata storta: la concorrenza è spietata. Una Nicole così, arrabbiata nera, è quella che chiama la segretaria Maria Clotilde Strada, 1*11 gennaio 2011. Da qualche giorno non riesce a comunicare con Berlusconi. Si sente abbandonata. In pericolo. Si è esposta troppo, per compiacere il suo ex amante. E se ne lamenta con l'amica che le fa da factotum alla Regione. «L'uomo sta un po' invecchiando», le fa notare la sua segretaria mentre stanno discutendo del fatto che «Lui», mentre già s'intrawedono all'orizzonte le nubi scurissime della tempesta giudiziaria che si sta per scatenare, sembra scomparso. Nicole non lo tollera. «Cioè, Ciò, c'è un limite a tutto, te lo dico Ciò, a me non me ne fotte un cazzo se lui è presidente del Consiglio o cioè... un vecchio e basta, a me non me ne frega niente, io non mi faccio pigliare per il culo così, perché adesso... con te proprio mi mi mi tolgo ogni peso perché comunque... cioè, so che con te posso farlo. Però, Ciò, sinceramente parlando si sta comportando da pezzo di merda...» «Sì be' ma questo lo sapevamo». «Perché è un pezzo di merda... perché uno che fa così è soltanto un pezzo di merda, perché lui m'ha tirato nei casini in una maniera che solo dio lo sa...» «Sì no no, ma infatti». «Ok? in cui io non ci sarei finita neanche se mettevo tutto l'impegno sulla faccia della terra, perché al di là delle cazzate io sono una brava persona e posso prendere qualche multa, non pagarla e avere il fermo amministrativo sulla macchina ma di lì ad arrivare a commettere un reato, ti assicuro che c'è di mezzo un 205 ,
mare, quindi io gli ho parato il culo perché la verità è che gli ho parato il... gli sto parando il culo e sono stata una signora, ok? e lui non si può permettere di fare così. Non esiste al mondo!» «Ma secondo me... perdonami, perdonami, allora: "A" secondo me tu, questo genere di ragionamento ma con questi termini dovresti farglielo innanzitutto a lui perché se lo merita...» «Poi Ciò, scusami se ti interrompo ma tu sai... io ti ho chiamato, io ti ho chiamato quel giorno che ero a Milano coi miei genitori e dentro a una libreria e mi è venuto il trip di comprare Mignottocrazia di Paolo Guzzanti?» «Mmm... no». «E c'è un capitolo intero su di me??? Con una foto falsa... la sai la famosa foto falsa? l'ha messa in un capitolo intero: Nicole Minetti, foto falsa di culo con scritto tutta la vicissitudine Ruby, con scritto cose tra l'altro non vere, tipo della serie che quando io l'ho prelevata poi l'ho data in mano a una prostituta che l'avrebbe picchiata e la faceva prostituire, cioè questo è uno che lui voleva che votasse la fiducia a suo favore... cioè lui ha disposto alla...» «Ma scusami, la Daria (Pesce, avvocato di Minetti, N.d.A.) la sa questa roba? Ce l'ha in mano?» «Certo, sì, però tu immaginati io dentro una libreria con i miei genitori che apro un libro e trovo una roba del genere, son cose cioè porca puttana, che lascia stare che uno ci passi sopra, se ne fotta, lascia perdere, chi se ne frega, lascia perdere, tu sai bene chi sei, poi arrivi a un punto in cui ti girano i coglioni...» «No no... e be' certo...» «Ciò, cazzo, anche i miei genitori, anche mio padre mi fa "porca puttana va bene tutto» mi fa, "però finire, su un libro dentro le librerie, non è il massimo», cioè ma poi, capito, non c'era la Barbara Faggioli, non c'era la Marysthelle, c'era Nicole Minetti!» «Certo». «E oltretutto quelli su cui sono andati più pesanti ero io... 206
Sodoma perché della Matera han detto semplicemente che è europarlamentare, della Ronzulli, europarlamentare, la Carfagna cosa gli vuoi dire, è ministro... ovviamente con chi c'hanno preso di più di tutti?» «Con quella che è... e certo». «Sono stata io... cioè un capitolo intero su Ruby, un capitolo intero... un libro intitolato Mignottocrazia... e lui avrebbe comprato il voto di Guzzanti pur di aver la fiducia... cioè lui venderebbe sua mamma... non gliene frega niente non ha mai spezzato una lancia nei miei confronti non ha mai detto «no ragazzi, Nicole è una brava ragazza». Tu hai mai sentito dalla sua bocca dire: «oh, fermi un attimo, guardate che lei è una brava ragazza», lui pur di salvare il suo culo flaccido, capito, lui non gliene frega niente!» «No no ma questo è vero, ma questo lo abbiamo appurato ormai da da da tempi immemorabili, anche Giancarlo è incazzato nero, cioè, c'ha litigato, gli ha anche detto "smettila di prendermi per il culo" cioè proprio... della serie... non credo che l'ultima volta gliel'abbia mandate a dire... nel senso che... tant e che la cosa si è conclusa dicendo: "dimmi cosa vuoi" e lui gli ha detto "voglio fare il coordinatore regionale" e non gli ha risposto. Quindi, che lui prenda per i fondelli le persone, oltretutto le persone che gli stanno più vicine e quelle con cui... a cui deve dire... grazie». «... i grazie più grande... questo lo sa l'universo insomma». «Sì però Ciò...» «È chiaro che secondo me tu... tu tu sei stata troppo una signora nel senso che...» «Cioè veramente troppo Ciò, veramente troppo, perché io, ti giuro su mia mamma., allora, io prima di partire lui a me mi ha chiamato il giorno di Natale per farmi gli auguri ok? Ed è stato carino, a pranzo "salutami i tuoi", "va bene", eccetera "ok". Due giorni dopo io l'ho chiamato e gli ho detto... lui mi risponde e mi dice... secondo me era il giorno in cui c'era su Giancarlo e secondo me lui era davanti a Giancarlo... ho que207
st'idea... perché mi dice: "ciao Nicole, come stai tutto bene?" gli faccio "ah bene, grazie" eccetera, gli faccio "senti ma dove sei, cosa fai", mi fa "guarda sono a casa, ma tra poche ore parto per Parigi perché ho un'assemblea di Mondadori a cui non posso non andare". Faccio: "caspita peccato" gli ho detto "perché io tra tre o quattro giorni parto per la montagna, ma siccome io parto per la montagna quando mi pare" gli ho detto "guarda se tu mi dici che tra due giorni torni ti aspetto che ho piacere di farti gli auguri, poi ti vorrei parlare... " In realtà io gli volevo soltanto dire di questa cosa di Guzzanti, pensa io quanto sono signora, io gli volevo chiedere se a lui dava fastidio che lo denunciassi, tu pensa che cretina, perché sapevo che in effetti c'era stato un semi riawicinamento e quindi non volevo andare ad incrinare magari un rapporto che poteva essere in questo momento in cui la maggioranza è decisamente, voglio dire, in bilico, no? decisivo... te pensa che scema che sono... ma tu pensa quanto sono stupida, cioè prima di andare a fare un 'azione penale importante, perché questo non solo mi ha smerdato, non solo ha messo una foto che non sono neanche io, quindi io ci andrei giù pesante su sta cosa Ciò...» «Certo assolutamente, certo». «Ok?» «Diffamazione pura questa». «Certo assolutamente. Lui, io l'ho chiamato oltretutto, poi ho sentito Barbara, ho sentito un'altra ragazza e mi hanno detto che lui a tutti aveva dato una versione diversa, a chi aveva detto che c'aveva la febbre, a chi ha detto che andava a trovare un amico all'ospedale, a un'altra ancora aveva detto che andava a Napoli per i rifiuti, allora ho detto «be', vabbé, boh si vede che c'avrà i cazzi suoi». L'ho richiamato a casa due volte in un giorno dopo... di lì a due giorni lui non mi ha richiamato, non ha risposto, non me l'han passato e mi hanno continuato a dire che non c'era, e quando fan così è perché lui fa dire di non esserci, 208
Sodoma ho saputo che quella sera stessa ha fatto una cena e ha chiamato su cani e porci allora mi girano i coglioni. Io da quel giorno non l'ho più chiamato, non gli ho più scritto niente non gli ho fatto gli auguri di capodanno e ma lui non ha fatto... lui ha fatto altrettanto... però a questo punto io ho riflettuto e mi son fatta un esame di coscienza... io non ho trovato un buon motivo per cui avrei dovuto prendere la cornetta e chiamarlo, lui ne aveva mille, per cui sta volta doveva farlo lui, ok? e io me ne fotto se lui c'ha le crisi d'identità, crisi di quel cazzo che vuoi tu, di gelosia, a me non me ne frega niente... il rapporto tra me e lui, a questo punto, va al di là di ogni suo stato d'animo...» «Ma infatti...» «Perché con me si è messo in un casino in cui non è che siccome... non so «ah la Nicole è partita senza salutarmi non la chiamo per tre settimane... «Non esiste al mondo! qualsiasi ragione lui abbia per cui non si è fatto sentire non è sufficiente e necessaria in questo caso, a me dispiace ma stavolta sono nera Ciò, nera come non sono mai stata». «No, perdonami, quello che dico io e che torno a ripeterti è che tu sei stata troppo una signora in questa circostanza, quindi è ora... è ora... che cominci a fargli capire che comunque deve andarci coi piedi di piombo, ma bisogna che tu glielo dica in maniera molto chiara». Il linguaggio, oltre che essere estremamente volgare, è solo apparentemente ermetico. Le due donne stanno parlando evidentemente del caso Ruby e del fatto che Nicole, tra tutte le allegre ragazze di via Olgettina, sia l'unica ad essere stata indagata. Non è una cosa bella, e si capisce. Anche perché Nicole rischia di rimanere l'unica con il cerino acceso in mano. In fondo ha ragione quando dice che prendersela con lei, semplice consigliere regionale appena venticinquenne, è facile. Anche perché la Minetti ha intuito che nel cuore del Cavaliere i cambi di pas209
sione vanno e vengono come le azioni di Borsa: un giorno sei sù e l'altro, magari per una voce incontrollata, vai giù. E qui si sta affacciando la possibilità che Berlusconi stia perdendo la testa per una nuova arrivata, «un'altra disperata». Quella di cui chiede conto il pm Boccassini nel suo interrogatorio. «...No, ma a prescindere Ciò, non sta né in cielo né in terra...» «No, ma poi torno a ripeterti, secondo me forse non ha ben chiaro com'è la, situazione... forse gliela dovresti chiarire, gliela dovresti chiarire, Nicole! Nel senso che forse sarebbe meglio che adesso lui cominciasse a capire tre cose innanzi tutto: allora primo, che sei una ragazza che è intelligente, non è uguale a tutte quelle che forse lui è abituato a... a...» «Sì esatto.» «A frequentare... perché adesso io non so come sia questa nuova però Giancarlo mi ha detto che è presissimo da questa qua, non so chi sia...» «E una montenegrina...» «Mmm, vabbè... poi alla fine anche gli uomini sono strani eh?!» «Sì vabbe' ma è una scappata di casa Ciò...» «Tirano fuori...» «...Io l'ho vista è una zingara... cioè hai presente una zingara?» «Eh appunto, eh appunto, è il suo tipo no? non è il suo tipo?» «Sì sì ma infatti, più è disperata meglio è...» «Finché non lo metterà... allora finché non lo metterà nei casini questa sarà il suo tipo... allora detto questo, a prescindere da questo, bisogna che tu, in maniera molto tranquilla, e in maniera molto chiara, gli fai capire tre cose: allora, uno, che sei una ragazza, che sei più intelligente di tutte quelle che lui... da cui lui è abituato ad essere circondato. Due, che non è in debito con te, lo sarà in debito eternamente nella situazione in cui ti 210
Sodoma sei venuta a trovare, e che quindi comunque, sarebbe ora che lui cominciasse a muovere il culo. Numero tre, che comunque tu sei un consigliere... che lui, ti ha fatto diventare un consigliere regionale e che come tale tu comunque hai una dignità...» «Certo... no, no aspetta, lui, lui la cosa agghiacciante Ciò, che lui pensa di avermi messa lì e di avermi fatto contenta che a me non me ne fotte un cazzo. Cioè, questo è il mio ragionamento, perché anche quella volta, ti ricordi che ho litigato con Simone perché volevo rimanere a dormire, perché poi son rimasta di qua e di là... io mi ricordo che lui mi ha lanciato due o tre battutine tipo: «ah se lei consigliere non ha troppi impegni, se non la disturbiamo, se non ha riunioni domani» io gli ho detto «guarda che domani mattina alle dieci io ho consiglio», no? io son stata sincera Ciò... cioè se io posso sono la prima che fa le otto del mattino, se non posso sento la responsabilità del mio ruolo e dell'impegno che ho preso e ci mancherebbe altro!» «Certo e una persona intelligente apprezzerebbe, perché comunque voglio dire se tu fossi... se tu fossi la Barbara Faggioli della situazione... io continuo a ribadire la Barbara perché poi... presumo che... se tu fossi quella che è stata messa lì e se ne fotte, fa una brutta figura anche lui...» «Ma infatti lui non lo capisce, a lui non gliene frega niente Ciò. A lui non gliene frega niente, io ho capito questo, cioè io per la prima volta ho realizzato che lui non mi ha dato quel ruolo perché pensava che io fossi idonea e adatta, mi ha dato quel ruolo perché in quel momento è la prima cosa che gli è venuta in mente e se non ci fossi stata io ma ci fosse stata un'altra, l'avrebbe dato a un'altra. Cioè capito quello che ti voglio dire?» «Sì, sì.» «Lui non è che ha detto cazzo la Nicole io ci credo, lui non l'ha fatto sto ragionamento, perché per lui io dovrei starmene lì zitta, capito, star lì, chissenefrega, tacere... ma tu ti rendi conto? io cioè sono allibita...» 211
«E qua entriamo invece nella dignità personale, al di là della dignità politica, entriamo nella dignità personale perché torno a ripetere, tu sei una persona più intelligente di quelle di cui lui è abituato a circondarsi». «Ma a lui dà fastidio Ciò sta cosa eh? non gli fa piacere, cioè, hai capito? Lui a me mi guarda ogni tanto e mi dice "Nicole cosa c'è, cos'è che non d convince?" io l'altra volta l'ho guardato e gli ho detto "guarda, ti vedo titubante..." e lui mi fa "ma titubante di cosa?" gli ho detto "perché secondo me" gli ho detto "tu non racconti la verità" gli ho detto "cioè, tu sei bugiardo, punto"». «Certo perché a te non ti può prendere in giro». ' «E mi fa "ah, e secondo te come sarebbero andate?" ma stavamo parlando una cazzata, di una cazzata... atroce, ok? però io lo guardavo come per dire "ah Silvio, ma chi vuoi prendere per il culo?" no?! cioè... e lui mi fa "ah ma tu mi guardi così come per dire" io gli faccio "io ti guardo come per dire che cazzo stai dicendo..."» «Certo, no no no no questo è sicuro però secondo me... qualche messaggio glielo devi fare arrivare Nicole... non puoi... non puoi...» «No ma intanto il primo messaggio importante sarà quello su "Vanity fair", perché a lui non glielo dico che lo faccio, io non lo chiamo, esce, e se mi fanno una domanda su Silvio Berlusconi ti assicuro che rispondo come cazzo mi pare a me sta volta... lo scrivo... "avrebbe potuto spezzare una lancia in mio favore" o la capisce o non la capisce, non me ne frega niente se si incazza, non me ne frega niente ci credi che non me ne frega niente? Lo dico, dico "l'unica cosa che mi dispiace è che lui non abbia... non mi abbia difeso a sufficienza secondo me in questa vicenda, lo dico, ma non c'è problema, glielo dico anche in faccia, che non mi prendi per il culo, ma chi pensa di prendere per il culo? Ma io veramente ma ne ho abbastanza, ma figurati a star dietro agli- umori di uno, ma figurati, ma guarda
Sodoma te oh, se io devo star dietro ai miei di umori cazzo ho fatto un tre mesi che erano da spararmi». «Infatti per quello ti dico secondo me tu sei stata fin troppo signora in questo tipo di situazione perché comunque te la sei gestita da sola, te la sei, ti sei comunque dovuta preoccupare dei tuoi genitori ti sei comunque, voglio dire, sei stata fin troppo buona...» «No ma poi la cosa brutta è proprio è cioè, lui non mi ha mai chiesto come sta la tua famiglia come l'hanno presa...» «No perché non gliene frega niente». «Perché lascia stare che io posso avere una famiglia di lungimirante ma tu metti... i miei genitori secondo me anche lì, sono stati bravi perché nome l'han fatto pesare, perché io non ci credo che a Rimini loro non abbian subito nessun tipo di, tra virgolette, angheria... sicuramente». «Oh la gente è talmente cattiva...» «La gente è cattivissima Ciò, specialmente in una città come Rimini che è: "A" rossa come il fuoco, "B" un buco, "C" son tutti invidiosi, quindi io non credo, loro non me l'hanno mai fatto pesare, ma lui me l'ha mai chiesto come sta la tua famiglia? io l'altra volta gli ho detto "guarda" gli ho detto, quando sono andata lì l'ho guardato e gli ho detto "ti prego mi concedi un'ora del tuo tempo quando vuoi tu? ho bisogno di parlarti di un problema che mi sta a cuore", gli volevo parlare di mio padre, ma io non è che gli voglio chiedere qualcosa eh? cioè io non è che gli sto chiedendo "oh regalami dieci milioni di euro che glieli metto sul conto" a me non me ne frega niente, cioè io semplicemente gli chiedo se possibile, dagli una possibilità come l'ha data a me no? cioè nella vita, voglio dire, se uno ha la fortuna di incontrare gente che ti dà la possibilità ben venga poi sta a noi giocarsela bene... ma lui secondo te si è ricordato? secondo te m'ha chiesto "Nicole..." oh, però quando la figlia della sudamericana deve andare all'asilo va bene se lo ricorda, quando l'al213
tra c'ha il dentino rotto, che sia mai, se lo ricorda, lui le stronzate se le ricorda sempre, quelle degli altri, sempre. Solo quando riguarda me non si ricorda mai un cazzo!» «Per quello ti dico bisogna che gli fai arrivare qualche messaggio». «Capito?» «Però dall'altra parte anche l'altro messaggio deve essere anche di una tua indipendenza, Nicole, adesso, indipendentemente da come ti senti, da come è giusto che tu stia, insomma nel senso che uno dev'essere incazzato... per gli atteggiamenti di questo genere, ma questa incazzatura però ti deve portare anche a fare un ragionamento diverso. Luca poi mi ha detto la novità, della Barbara che non vuole più fare politica...» «Ah sì scusami, ecco, io stavo per arrivare a questo punto, in tutto ciò la Barbara, evidentemente ne ha parlato prima con Luca che con me perché a me la Barbara sta cosa me l'ha detta l'altra sera, io ero alle Maldive l'ultima sera, parlavamo e mi fa, "poi Nicole io ci ho pensato", ma secondo me lì gli ha fatto il lavaggio del cervello il suo tipo di adesso con cui è andata ad Antigua, ma, tra virgolette, ha fatto bene ha fatto bene, perché per una volta ha ragionato la Barbara, capisci?» «Certo». «Anzi 'sto tipo le sta facendo bene perché lei giustamente ha detto "Nicole, a me, non è il fatto che bello brutto, a me non è una roba che mi piace fare" mi fa, "a me non mi interessa, capisci?" mi ha detto "io non mi sono formata"». «Però guarda ti dico, obiettivamente secondo me, per te stessa dovresti comunque trovare la volontà di dirgli in faccia esattamente tutto quello che pensi, e trasformare questa tua rabbia in una situazione dove dici "va bene, vuoi che ti dimostri qualche cosa?" dimostragli il fatto che comunque tu te la puoi cavare da sola, grazie all'opportunità che lui t'ha dato, ma tu sei una ragazza intelligente... molto più intelligente di tutte
Sodoma quelle di cui lui si circonda, perché Giancarlo mi racconta che giù a Roma, quelle che lui ha messo giù sono una peggio dell'altra». «Sì?» «Una peggio dell'altra. Cioè non ti credere...» L'accenno a ciò che si racconta a Roma indica che Nicole è preoccupata della doppia o tripla vita del presidente, anche perché sa che nelle altre magioni del premier si ripetono quasi identiche le processioni delle vergini, per dirla alla Veronica Lario. Il capitolo romano del sexygate che esplode con grande fracasso e dovizia di piccanti particolari all'inizio di febbraio, in realtà interessa relativamente poco ai pm milanesi, che almeno nella prima fase dell'inchiesta decidono di non trasmettere nulla alla Capitale, anche se qua e là, da intercettazioni come questa, spuntano situazioni e personaggi che potrebbero far capire quanto è esteso il sistema di Sodoma nel paese: da Milano a Roma, da Roma a Napoli. Tuttavia, potrebbe essere anche una sorta di depistaggio, tanto fumo poco arrosto, una maniera per rallentare i tempi dell'inchiesta e stemperarla sino ad afflosciarla come è già successo in altre occasioni. Quando Ilda Boccassini e Antonio Sangermano, il pomeriggio del 30 gennaio, interrogano Nicole, tengono da parte il testo della telefonata tra la consigliera regionale e la sua segretaria. È una sorta di mappa del sistema che gravita attorno a Berlusconi, della dialettica che governa le relazioni tra il Sultano e le odalische del suo harem. Si stenta a riconoscere il Berlusconi che qualche anno prima aveva cercato il consenso degli italiani, e che proclamava ai quattro venti «noi crediamo nella famiglia, che è il centro dei nostri affetti principali, è il nucleo fondamentale della nostra società». Non solo. Le ragazze arruolate non lo fanno gratis et amor Dei: vogliono in cambio denaro, auto, appartamenti. Qualcuna, come la Minetti, ottiene 215
di più: uno scranno parlamentare, sia pure della Regione Lombardia, che però vale almeno 1 Ornila euro al mese, come ammette lei stessa. Va a pezzi l'immagine buonista e bonaria del leader e del suo clan, uomini e donne «concreti, simpatici e alla mano». Che importa se sono anche egocentrici e vanitosi? Siamo noi italiani fatti così, con la differenza che i berlusconiani, questo il messaggio implicito, «hanno un cuore grande». Il Rubygate mostra quanto era grande e per chi. «Signorina Minetti, vede questi fogli? Raccolgono la trascrizione di una sua telefonata a Clotilde Strada, che è la sua assistente. Quella dell'I 1 gennaio 2011. Ecco, a un certo punto, lei dice: "Ma da lì ad arrivare a commettere un reato, ti assicuro che c'è di mezzo un mare, quindi io gli ho parato il culo perché la verità è che gli ho parato il... gli sto parando il culo e sono stata una signora, ok? E lui non si può permettere di fare così, non esiste al mondo". Che cosa intende quando si riferisce ad aver commesso un reato e a "parare il culo" al presidente del Consiglio?» Nicole trasale. Cerca di stemperare la volgarità spiattellata in quella intercettazione. «Preciso che il tono della telefonata è adirato, ma che non intendevo riferirmi a una mia attività volta a proteggere il presidente del Consiglio e con riguardo all'aver commesso un reato intendevo riferirmi all'accusa di favoreggiamento alla prostituzione che mi è stata rivolta». «Però la telefonata è dell'I 1 gennaio 2011, mentre lei viene formalmente informata dell'ipotesi di reato soltanto tre giorni dopo». «Sì, tuttavia sapevo già tutto dai giornali, tanto che il mio difensore, aveva già depositato nomina agli atti». «Lei ha negato, nell'intervista al «Giornale», di aver ricevuto soldi da Silvio Berlusconi. Vorrei sapere se quello che ha affermato corrisponde a verità: lei ha ricevuto denaro da Silvio 216
Sodoma Berlusconi e, in caso positivo, vuole spiegare le ragioni per le quali ha ricevuto somme di denaro?» «Non riesco a ricordare quando, comunque in tempi recenti io ho avuto necessità di un aiuto economico: mi sono rivolta a Silvio Berlusconi con il quale - lo ripeto - ho un rapporto di intimità e mi ha prestato denaro facendomi dei bonifici bancari sul mio conto corrente». A Stefano Zurlo, l'intervistatore, aveva aggiunto che «chi conosce Silvio Berlusconi aiuta tutti, giovani e vecchi, donne e uomini. E la verità». Una pagina intera, datata 29 gennaio dunque il giorno prima del cruciale interrogatorio - di dichiarazioni che si potevano riassumere semplicemente con cinque parole: «Silvio è il mio mito»... «Lei ricorda l'ammontare e quanti bonifici ha ricevuto?» «No, non mi ricordo». «Ma lei ricorda perché era in difficoltà economiche, visto che svolge una carica pubblica che le consente uno stipendio buono?» «Sì, effettivamente il mio stipendio è buono, io ricevo diecimila euro al mese. Comunque, siccome avevo prestato la somma di 35 mila euro a mia sorella che stava acquistando un appartamento, ero rimasta con il conto a secco e quindi ho chiesto aiuto al presidente del Consiglio». «Questi soldi li ha restituiti a Silvio Berlusconi?» «No». «Ma li restituirà?» «Non lo so, vediamo». «Lei ha detto di aver avuto una relazione sentimentale con il presidente, vuole specificare da quando a quando è durata la relazione sentimentale?» «Non glielo saprei dire». Nicole è disarmante. A Ilda Boccassini non resta altro che interrompere l'interrogatorio alle 17 e 20 e fare sottoscrivere il verbale alle 17 e 45. 217
16. LA FIDANZATA Un clamoroso gossip si diffonde a metà gennaio del 2011, dopo le fulminee perquisizioni mattutine negli appartamenti dell'Olgettina di Milano 2, considerata la base di riposo delle Arcore girls, la retrovia dell'amore insomma. Berlusconi è innamorato perso. Alla bella età di 74 anni e quattro mesi, il primo ministro avrebbe perso la testa per una misteriosa ragazza. Quale, tra le numerose fanciulle che hanno allietato le notti di Arcore? O si tratta di una new entry? In realtà, è lo stesso Berlusconi che fa trapelare la ghiotta notizia: ho uno stabile rapporto affettivo, confessa in tv la sera del 16 gennaio. L'ammissione diventa immediata preda di giornali e settimanali «rosa» ed impazza, come un tormentone, sul web, a cominciare da Dagospia. Lo confida con tono quasi impacciato, il premier innamorato: «Del resto io, da quando mi sono separato, ma non avrei mai voluto dirlo, per non esporla mediaticamente, ho avuto uno stabile rapporto d'affetto con una persona che ovviamente era assai spesso con me, anche in quelle serate e che certo non avrebbe consentito che accedessero a cena, o nei dopocena, quegli assurdi fatti che certi giornali hanno ipotizzato...» Però la cosa puzza. Intanto, perché se uno ama tanto una donna da confidarlo agli italiani, perché aspetta di dirlo soltanto il giorno dopo aver ricevuto il rinvio a giudizio? E perché lo confida soltanto al ventiquattresimo capoverso del suo interminabile monologo in tv, finalizzato a convincere gli italiani che le accuse contro di lui sono tutte montature della magistratura? La 218
Sodoma storiella ottiene l'effetto opposto: suscita ilarità. L'audience del messaggio non promette nulla di buono, gli italiani sono ormai assuefatti al lek motiv preferito del Cavaliere, «c'è un complotto, vogliono rovesciarmi, io sono solo una vittima» e hanno ascoltato con disincantata attenzione l'accenno alla misteriosa persona che da tempo sta con lui. Anzi, molti provano compassione per questa sventurata donna, costretta a sentirsi citare, quasi di nascosto, in fondo al discorso di Silvio, e a subire la vergogna delle rivelazioni sul Rubygate. Dev'essere la fidanzata più cornuta d'Italia, commentano nei blog. Berlusconi non ha calcolato che proprio il bombardamento subliminale delle tv spazzatura ha prodotto alla lunga negli italiani una sorta di vaccino antipanzanate, come questa «rivelazione» che sottintende l'alibi di Berlusconi: se c'era una fidanzata, non potevano esserci bunga bunga. E comunque, chi è la fortunata che il Pigmalione della Brianza vuole far passare come sua fidanzata? Il sassolino che Silvio ha gettato nello stagno del gossip tricolore produce, inaspettatamente, cerchi piuttosto movimentati, reazioni umorali, dichiarazioni indispettite. Come quella di Nicole Minetti. La frase di Silvio le è rimasta indigesta. Io sono la sua fidanzata, pensa. Anzi, lo crede fermamente. Alludeva a me? O qualcun'altra. Devo sgomberare il campo da qualsiasi dubbio. Sputa il rospo che ha in gola. Esce alla scoperto e rivendica il suo posto accanto al Sultano. Peccato che anche lei si limiti ad un vago accenno. È criptica. Crede che il mondo dei giornali sia quello delle soap opere. Così dichiara: «Di Berlusconi ho subito il fascino. È un uomo interessante». Lo potrebbero affermare tantissime altre donne, a cominciare dalle fans «Meno male che Silvio c'è». Tanto che i giornalisti, insoddisfatti dell'esternazione, non si accontentano di ruffa, vogliono la polpa. E l'incalzano: signorina Minetti, ma è lei o no la fidanzata del premier? «Dei miei rapporti con lui ne parlerò coi giudici». I giornalisti restano interdetti. 219
Una che risponde così, o è stata appena lasciata ed è inviperita con l'ex, tanto da denunciarlo, oppure ha qualcosa da nascondere. Ma lo stato delle cose impone un'altra riflessione, diciamo così, più pragmatica e meno romantica. Raccontare che con il presidente del Consiglio si ha avuto una liason, in qualche modo corrobora la strategia difensiva di un uomo accusato di eccessi sessuali e di una donna accusata di aver procacciato la materia prima di questi eccessi. Nicole può giustificarsi: se qualcosa di sbagliato ho fatto, l'ho fatto «per amore». Berlusconi, a sua volta, può tranquillamente precostituirsi un alibi sui rapporti multipli di cui raccontano diverse testimoni per descrivere «il puttanaio» di Arcore: «Avrei mai potuto umiliare la mia fidanzata comportandomi come qualcuno insinua?» Più che un colpo di genio, questo è l'ennesimo colpo di teatro a,cui ci ha abituato da un ventennio l'immaginifico Berlusconi. Un maestro, in materia. Nel monologo televisivo del 16 gennaio il Cavaliere decide dunque che sia possibile sparigliare le carte ricorrendo all'ormai logora storia dell'uomo fedele a un'unica compagna. Che non è più la moglie Veronica Lario, con la quale sta combattendo un'aspra battaglia legale per la separazione. Ma una donna nuova. Sconosciuta. Poco per volta, si configura l'identikit della fidanzata di Silvio. Un'abile ed occulta regia mediatica ne diffonde i frammenti, un po' qui, un po' là. Non è giovane, guarda la combinazione... ma di mezza età. È'tuttavia ancora una gran bella donna, si affrettano a ipotizzare i corifei del Sultano, perché è noto che a lui piacciono solo le donne molto belle. Oh, ma è anche molto colta, si viene a sapere in qualche altro modo. E magari è pure di «sinistra», ipotizza nel pieno dello scandalo il sito di pettegolezzi Dagospia, che in questo particolare mondo da anni gode di ottima reputazione, citando fonti attendibili, ovviamente protette dall'anonimato... Per qualche giorno, nei salotti milanesi si scatena un nuovo gioco 220
Sodoma di società, la caccia alla damigella di Arcore. I telefoni delle dame meneghine squillano in continuazione, e c'è chi sostiene di essere stato contattato da fantomatici emissari del Cavaliere per aiutarli a scovare una donna con simili caratteristiche: cercasi cinquantenne di buona famiglia, di solida cultura, e di bella presenza, non importa se di sinistra. Soprattutto, pronta a prestarsi al gioco. Illazioni? Nella guerra della disinformazione, ci sta anche questo. Non senza una contropartita adeguata, e qui si entra nei labirinti delle leggende metropolitane: casa fiscalmente esente, auto, vitalizio garantito anche dopo eventuale rottura di fidanzamento. In ogni caso, batte il tam tam che elettrizza le serate bene milanesi, che questo meraviglioso essere sia capace di monopolizzare la sua esuberanza sentimentale, ed impedirgli di organizzare quelle «robacce» di sesso di cui lo accusano i giudici, notoriamente comunisti, di Milano. Non deve essere andata a buon fine, l'operazione, nonostante l'allettante offerta. Leggenda metropolitana o meno, Berlusconi di questa fidanzata non ne ha più parlato. Forse ha capito che gli italiani non l'avrebbero bevuta. Invece Nicole si sentiva in pole position, pronta a dimostrare d'essere inappuntabile, a cominciare dal suo impegno politico. Lei è una ragazza zelante. Eletta nel listino blindato di Roberto Formigoni, nel 2010, è presente alle sedute del consiglio regionale dello stesso anno 21 volte su 21, un record. Anche se interviene soltanto due volte. La prima, parlando un minuto esatto a favore dell'albo delle professioni sanitarie (infermieri, fisioterapisti, dietisti e igienisti dentali). L'altro, di 6 minuti, sulla prevenzione del randagismo e la costruzione di nuovi canili. Infine è cofirmataria di due progetti di legge sul contrasto all'usura e sulle celebrazioni dell'Unità d'Italia. Con questo robusto curriculum, Nicole è convinta di avere esaurito la sua gavetta, come confida la sera del 20 agosto 2010, alle 21 e 37, alla collega di baldorie Barbara Faggioli. 221
«Comunque meno male un po' di gavetta l'ho fatta». «Eh, vabbé, ma non vuol dire...» risponde Barbara. «Be', insomma, non pensare che Mara ne abbia fatta di più». «Ma stai scherzando?» «Cosa?» «Prima di diventare ministro è stata un anno in Parlamento, amore!» ribatte polemica la Faggioli, riferendosi al tirocinio della Carfagna, il ministro delle Pari Opportunità. «Certo, un anno.» «Eh!» «Se si va ad elezioni a dicembre io ci sono stata sei mesi», dice Nicole a Barbara, facendo il confronto con il tirocinio della mitica Mara Carfagna. La Faggioli un pensierino di diventare pure lei consigliere regionale ce l'ha, ma all'idea di dover aspettare altri cinque anni prima delle nuove elezioni, si deprime. Anche perché Berlusconi, a sentire lei, le avrebbe fatto capire di volerle portare entrambe in Parlamento. «Te lo giuro, Nichi, gliel'ha detto al Gianfranco , «mi raccomando, seguimele tu». Te lo giuro, Nichi, seguimele tu perché lei e la Nicole le voglio portare lì. No?» «Boh, vediamo». Il problema, aggiunge con entusiasmo la Faggioli, è che «lui» sta passando politicamente un brutto momento. Non ha torto. Berlusconi si trova in vacanza a Villa Certosa, in Sardegna. Sta preparando la ripresa dell'attività di governo. Ha dichiarato che non vuole cadere nel pantano della verifica permanente a Montecitorio, non vuole e non può aprire un nuovo negoziato coi «ribelli» di Gianfranco Fini, il presidente della Camera. «Non può rischiare nessun tipo di scandalo, nessuna cosa. Cioè è un conto se va ad elezioni anticipate tra sei mesi, forse. No? Che le cose si sono un po' più calmate, no?» Nicole mugugna. Il pensiero di tentare l'avventura in Par222
Sodoma lamento non la convince più di tanto. Tutto sommato, la consigliera regionale crede di aver trovato un'ideale dimensione politica, tra Arcore e Milano. «Ma sai che non ci andrei, a Roma? Perché io sto troppo bene a Milano. Io me ne sto lì dove sono. Tanto poi sto da Dio lì. C'ho la mia casa, la mia palestra, c'ho il mio fidanzamento... mi voglio sposare, voglio i figli... Chi cazzo me lo fa fare? Per duemila euro in più...» Non c'è che dire quanto a concretezza! Per chi non si è sudato il proprio incarico politico, si tratta di un «lavoro» come un altro (solo meglio pagato). Tuttavia non è tutto rose e fiori in Regione per la «fidanzata» di Silvio. Il 22 febbraio 2011, ha un leggero malore, proprio durante una seduta del consiglio regionale. Il tempo di vederla salire sino allo scranno della presidenza, dove è di turno il vicepresidente Franco Nicoli Cristiani, a comunicare qualcosa, e subito sgattaiola via da una porta secondaria seguita dagli assistenti. Forse il malessere è legato alla conferma che le opposizioni avevano appena deposto la mozione in cui chiedevano le sue dimissioni. Almeno così pensano i colleghi che partecipano alla discussione sul progetto di legge per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Fasciata in un lungo e sobrio abito nero e bianco, la Minetti deve aver somatizzato come un'umiliazione la mossa dell'opposizione. Teme che prima o poi l'ufficio di presidenza decida di porre all'ordine del giorno la mozione delle dimissioni, e che qualche franco tiratore della maggioranza la impallini, con la scusa che libera dagli impegni politici potrà difendersi adeguatamente al processo, «tutelando l'immagine dell'istituzione». «Chi vivrà vedrà», aveva detto Nicole a Barbara, la sera del 20 agosto, salutandola. «Eh, speriamo bene.» 223
17. HAREM «Amore, inizio questa lettera ringraziandoti di cuore per avermi cambiato la vita, sei una persona buonissima, veramente unica, e io ti voglio veramente tanto bene, ho però un forte bisogno di un lavoro perché in casa a non far nulla dal mattino alla sera, avendo sempre io lavorato, impazzisco anche perché mantengo praticamente tre famiglie, mia madre con la nonna, mio padre con l'altra nonna e ora mia zia che ha due figli e con un lavoro precario di soli 600 euro mensili, pagando un affitto di 450 euro, mi vergogno tantissimo a dover sempre chiedere qualcosa, ma non vorrei mai tornare ad andare a letto con persone che non mi piacciono, allora mi rivolgo a te, capendo perfettamente che siamo in tante e abbiamo tutte delle esigenze, nel caso in cui non potrai aiutarmi, lo capirò benissimo e ti vorrò comunque tanto bene, amore per favore aiutami a trovare un lavoro o aprire una mia attività, per poter essere più indipendente e poter aiutare meglio la mia famiglia e per avere la possibilità di chiedere un mutuo per una casa che è uno dei miei sogni più grandi... Ti voglio bene, tua Iris». La letterina che la diciannovenne Iris Berardi il 19 settembre 2010 legge al telefono al suo fidanzato, (facendola precedere da un eloquente: «che tirchieria 'sta gente! Guarda la lettera che gli ho scritto») ha un destinatario importante: Silvio Berlusconi. Anche Iris, mora, slanciata, sempre sorridente, è stata per un certo periodo tra le «favorite» del presidente, so224
Sodoma prattutto quando ancora, per esempio il 13 dicembre del 2009, frequentava Arcore senza essere maggiorenne. Di lei si è perfino occupata la Procura, sospettando che le frequentazioni con il premier, nell'epoca in cui era minorenne, fossero state più intense anche se poi non hanno trovato prove sicure, soprattutto sulla consapevolezza del premier, preferendo archiviare. Intorno a fine settembre però, come confida in un'altra intercettazione (stavolta alla premurosa Nicole Minetti), Iris non ha «più nemmeno i soldi per fare la benzina alla macchina». Le serate a Villa San Martino si sono diradate, il presidente ha troppi impegni o forse troppe alcove e lei, come altre ragazze dei bunga parties, è in ansia. Vorrebbe tanto una casa più grande, magari anche un lavoro. Ma non di quelli normali, per i quali bisogna alzarsi presto e uscire tardi dall'ufficio, e che alla fine del mese bisogna fare i conti con un magro stipendio perché i soldi non bastano mai. «...Nico, poi dopo sono entrata io nell'ufficio a dire: "Ah, ho speso 1200 euro per il ginocchio! Ah! Devo comprare la televisione al mio babbo e devo comprare il vestitino per la mia cuginetta"... e poi devo fare un po' di shopping, e poi non c'ho niente da mangiare, e poi ho il cane che no, non ha neanche i pannoloni... Ho fatto una disperazione là, però senza piangere, cavolo! Non puoi piangere... Perciò...» No, Iris è giovane e bella, e non può certo mettersi a piangere davanti al presidente, per suscitare in lui un barlume di umanità e lasciarlo compiacere della sua morbida volontà di potenza. Gli creerebbe, alla fin fine un imbarazzo controproducente, ci rimetterebbe e basta. No, lei è una «favorita», e una così non può che puntare in alto, alla televisione, quello sì che è «un lavoro» giusto, adatto ad una bella e in gamba come lei. Ma può puntare anche semplicemente ai soldi. Basta che siano tanti e subito. Non è molto importante come. 225
Se ne rende conto Iris di avere una fortuna tra le mani e, com'è giusto, vorrebbe sfruttarla. In Italia, la riduzione del corpo della donna a oggetto, scrive la docente universitaria Giovanna Campani nel suo brillante saggio Veline nyokke e cilici (Odoya, 2009), è ormai una pratica devastante, legata alla prospettiva del consumo, alla «riduzione del soggetto a oggetto». Proprio nelle tv d'intrattenimento «l'immagine della donna nuda si combina con una chiara visione delle relazioni di genere, dove l'uomo è palesemente in posizione dominante». In fondo, ragiona Iris, quelle come lei rendono la vita del Sultano assai più gradevole e promettente. È giusto, e corretto trarne profitto. Un segno concreto di riconoscenza. Di gratitudine. Iris guarda a Nicole, guarda a Marysthelle, a Barbara, a Eleonora, a Miriam, a Raissa e alle altre bellissime che si avvicendano nei week end tra i saloni damascati e i soffitti affrescati del castello brianzolo del Signore di Arcore. E poi, durante la settimana, vanno a riposare, negli appartamenti moderni del residence pieno di comodità in via Olgettina 65, a Milano Due, dove lei ha ottenuto da poco uno degli appartamenti più piccoli, molto bello, ben arredato, ma provvisorio. Loro sì sono sistemate: hanno una casa, una macchina, un posto da ballerina o magari anche solo da comparsa. Che importa. Lei e le altre, spesso, sono arrivate da storie difficili e quello che gli è stato offerto, lo hanno preso. Papi pensa a tutte. Nella sua infinita generosità, come un dio benigno cui basti allungare una mano, può cambiarti la vita, scacciare ogni pensiero. «Che palle, che palle!» si lamenta Iris. «Ho bisogno veramente... cioè non è che ho bisogno veramente, perché alla fine, voglio dire, c'ho comunque 19 anni, non è che muoio se non ho una casa di proprietà adesso, se non ho un lavoro, però... Ci voglio pensare, cavolo! Se non mi aiuta lui, chi mi aiuta? Io qua a Milano non conosco nessuno cheee... E poi sicuramente nessuno verrà a bussare alla mia porta a dirmi: "Tie226
Sodoma ni Iris, vieni a fare questo lavoro qua". Io non c' ho voglia di andare a cercarmi un lavoro così, io mi vado a fare un lavoro da 1000 euro? Neanche da 1000 euro, perché poi coi titoli di studio che ho, se ne guadagno 800 sono già tanti!» Invece, per le ragazze di via Olgettina, 800 o mille euro, sono spiccioli da bruciare con un paio di scarpe o una serata in discoteca. Il solito Hollywood, oppure il People, il The Club, l'Old Fashion, il Masquenada, il Cube, i luoghi che punteggiano la mappa delle notti milanesi animate da modelle e calciatori, veline e tronisti finiti nelle maglie dei controlli di un'altra inchiesta famosa, in un certo senso premonitrice, «Vallettopoli», nata nel 2007 dai ricatti e le paparazzate di Fabrizio Corona, il re dei flash gossipari (è stato condannato a 3 anni e 4 mesi per estorsione in primo grado nel marzo del 2010), e dai suoi stretti rapporti con l'agenzia del potente Lele Mora, l'impresario delle soubrette, l'uomo cui guardano con speranza e fiducia tutte le aspiranti fashion girl, in cerca di successo e glamour. E che da lui mutuano lo stile, l'allegria forzata, le paillettes di questo mondo notturno di falene, dove avances e affaires s'intrecciano e la bellezza fa da calmiere, è storia, da che mondo esiste. I Greci non hanno sentenziato che la bellezza nobilita e consola, eleva e rincuora? La bellezza è dono degli dèi... Vivono, gli dèi delle notti milanesi e brianzole, in un mondo appariscente, pettegolo, volgare. Trapela dalle 389 pagine dell'invito a comparire rivolto a Silvio Berlusconi un gergo che sa di tv e cinepanettone. Le protagoniste del Rubygate usano una lingua adolescenziale, mentre i vecchioni sfruttano mimetismi da boy scout (impareggiabili i duetti Lele Mora/Emilio Fede), per non farsi capire, invece di dire chi e quante ragazze saranno presenti, per esempio, alla festicciola di Arcore, le chiamano talvolta «programmi», come se parlassero di palinsesti; salvo tradirsi come due polli, e sbarellare, «quei due programmi sono spaventosi, ma chi li ha portati?» Prevale un les227
sico twitter, costellato di abbreviazioni e termini sincopati, prestati dalla lingua degli sms, delle chat e degli istant messenger. Faticano a parlare, forse perché non hanno granché da dirsi, se non fissare appuntamenti, confrontare doni e prestazioni, nel loro goffo italenglish. «Ti devo buffare, ne vedrai di ogni!» dice la Minetti all'amica T.N., una ragazza di Rimini come lei, che frequenta l'università Bocconi. Briffare, stigmatizza ironicamente Aldo Grasso sul settimanale «Io Donna», supplemento del «Corriere della Sera», «appartiene a quella ridicola schiera di termini italianizzati dal gergo pubblicitario aziendal-milanese», come «mecciare» (to match), «forwardare» (to forward), «downloadare» (to download»). Viene dall'inglese briefing, cioè un colloquio tra i responsabili di settore per dare disposizioni, una riunione tra dirigenti per definire le cose prima di attuare un progetto. Fa molto manager. O, per citare una battuta che circola all'ora degli after hours, fa molto monager, riferendosi alle squinzie in assetto d'attacco bunga bunga, con contaminazione veneta... L'analisi del linguaggio al tempo del Rubygate ha sollecitato vagonate di commenti ed esegesi, a riprova che i neologismi documentati dalle intercettazioni hanno fatto breccia: Piero Ottone, editorialista del «Venerdì» di «Repubblica», se ne lamenta, trova davvero insopportabili l'uso, anzi, l'abuso di espressioni come «fare sesso», santo cielo, scrive, «so bene che l'accoppiamento fra uomo e donna provoca sempre un certo imbarazzo in chi debba parlarne, perché è difficile trovare i termini appropriati», secondo lui è una brutta espressione, il verbo «fare» si addice agli artigiani piuttosto che agli amanti, e il nome «sesso» è greve. Apprezzabile, la conclusione: «Purtroppo, la faccenda è di attualità, coinvolge le alte sfere di governo. Quindi: o troviamo espressioni migliori per esprimere il concetto. O cambiamo governo». C'è infine una sorta di grammatica della menzogna, più o 228
Sodoma meno consapevole, nelle sincopate conversazioni telefoniche delle arcorine, già avare di desinenze e di accenti sdruccioli. L'insistenza con cui si chiamano tutte, spudoratamente, «amo», o «amò» - palese abbreviazione di amore - dimostra che per loro l'amore è soltanto un moto affettuoso dimezzato, un sostantivo che ha perso il suo significato (forse perché non sanno cos'è l'amore scritto per intero): «Amoooo, sei pronta che ti passiamo a prendere?» L'amore delle elisioni è un codice sbrigativo di riconoscimento, una password generazionale. Non sono più i tempi di Prévert, quando «I ragazzi che si amano, si baciano in piedi contro le porte della notte» e i passanti se li segnano a dito, «ma i ragazzi che si amano non ci sono per nessuno». Nella geografia del Rubygate, le porte della notte conducono al sotterraneo di Arcore trasformato in discolap con piscina illuminata. «Amo, mi ha detto Marysthelle che il nostro amico domenica sera fa la cena a casa sua e vuole che noi coloradine andiamo a fargli vedere uno stacchetto... cosa devo dirgli, che vado??? Tvtttb!» pigia sul tastierino dello smartphone Francesca Cipriani a Lele Mora il 17 settembre. «Ok tesorino, digli tutto ok». Si amano tutte in via Olgettina. Cioè, soprattutto, si odiano, è l'applicazione della grammatica mendace. «L'Anna mi chiama settimana scorsa e mi dice "ah, pronto, ciao Nicole". Mi fa: "Senti ti volevo chiedere una cosa". Gli faccio: "dimmi pure"», così racconta la Minetti a Iris Berardi citando una delle tante amiche del bunga bunga in una telefonata del 23 settembre 2010, «e mi fa: "io ti volevo dire che voglio intestarmi la casa"... gli faccio: "guarda, hai una busta paga?" mi fa: "No..." faccio "hai qualcuno che ti fa da garante?" "No perché sai ognuno c'ha i suoi problemi", sembrava scocciata... al che le faccio: Anna...» E Iris: «Ma è già un po' che dice 'sta storia eh, da quando era uscito il casino della Rubp>. 229
«Aspetta, io mi sono imputtanita Iris, gli faccio: «ascolta Anna... io ti sto facendo un favore a te, a me non me ne fotte un cazzo, non è che io ci guadagno qualcosa, perché qua la gente pensa che io ci guadagno qualcosa», le ho detto. «Trovati qualcuno che ti fa da garante e io te lo intesto anche domani il contratto»... Allora si è un attimino calmata. Dì, le ho detto, ma com'è 'sta storia? Cioè come ti permetti di chiamarmi e di fare l'imputtanita con me per una cosa che io ti sto facendo un favore?» «(...) E basta, te lo giuro, cioè delle cose veramente... poi si lamenta sempre di tutte, cioè non ho capito, ma chi sei te, la first lady?» «Ma no, e ha sempre qualcosa da dire, adesso di te non ho mai sentito niente però lei ha sempre da dire: "ah questa è furba, oh, questa quanto prende", oh di qua, oh di là... Cioè ma ti rendi conto? "ah, ma voi ragazze lo sfruttate..." Ma chi lo sfruttate? Te sei la prima che lo sfrutta, che prendi il triplo di quello che prendo io, e vieni a dire...» Insomma, un ambientino solidale. L'amo' si sbriciola di fronte all'eterna questione della casa, che è un simbolo oltre che un bene materiale. Vuol dire sicurezza, protezione, stabilità, solidità (economica). Le Rubygirl deU'Olgettina sono le privilegiate del gruppo. Hanno ottenuto una residenza, un posto dove vivere. Se lo sono conquistato, una sfida perenne all'ole corrai di Milano Due. Perché non è semplice e nemmeno facile la strada'per arrivare nei sette appartamenti «in comodato d'uso» che il Cavaliere mette a disposizione delle sue belle nella viuzza che dal piazzale di Milano Due, davanti all'ospedale San Raffaele, porta al serraglio dell'Olgettina. Una palazzina color salmone di quattro piani, con il centro fitness e la Spa di massaggi thailandesi. Un piccolo ed esclusivo satellite di privilegi e benessere, costruito negli anni Novanta e gestito dalla Friza Immobiliare di Monza. Una società al 35% dell'immo230
Sodoma biliarista Paolo Monteverdi che detiene anche il 50% della srl Gaia, a sua volta controllante di un altro 35% di Friza. Un intricato gioco di incastri societari che sfocia in una quota del 30% collocato nella controllata lussemburghese del gruppo: la Titris Sa, chiamata in precedenza Titl Sa e ancor prima Holeander Sa, interessata anche ad affari immobiliari per la vendita di alcune ville sulla collina che sovrasta Cala Di Volpe in Sardegna. Un micro labirinto societario che ha subito incontrato le simpatie del presidente del Consiglio. E che permette alle giovani arcorine di godere una vita da agiate coinquiline. Gestisce gli appartamenti, in qualità di amministratore, un certo Marcello Fabbri, un giovanotto costretto a sopportare i capricciosi ritardi che le ammalianti pulzelle riescono ad accumulare perfino nel pagamento delle spese più piccole. E che per cercare di recuperare i debiti, appena ne ha la possibilità, si rivolge alla Minetti, di tutte la meno sventata e la più affidabile. Non fosse altro per il fatto che è consigliere regionale, gode cioè di uno stipendio consistente e regolare. E che non è una semplice locataria. Infatti, dei sette contratti di locazione che riguardano le arcorine, la polizia scopre - e annota nei suoi rapporti - che «sono risultati intestati a Nicole Minetti (quattro appartamenti), a Maria Esther Garcia Polanco (due) e Barbara Guerra (uno). I contratti sembrerebbero intestati alla Minetti per conto delle ragazze che di fatto occupano l'immobile (Iris Berardi, Arisleida Espinoza, Ioanna Visan, Elisa Toti) e per le quali manca presumibilmente taluna delle condizioni richieste per l'intestazione, quali un idoneo contratto di lavoro. Quando tale condizione sussiste, sembra che il contratto di locazione venga intestato direttamente alla ragazza interessata». Condizione necessaria, anzi, indispensabile per abitare in via Olgettina, è innanzitutto entrare nelle grazie del premier e, di sponda, in quelle della Minetti. Conoscere i gusti del Sulta231
no, le sue grandi e piccole ossessioni fra le lenzuola, ascoltare le sue barzellette, guardare i filmati sui suoi ultimi comizi o ascoltare le canzoni a lui dedicate, che il Cavaliere si compiace di mostrare, tra le cene e i dopocena ai suoi ospiti. Ci vuole quella specializzata nella danza del ventre o nei balli lesbo, quella che sappia dire parole dolci in francese o conversare del Milan. Bisogna saper scegliere il vestito adatto per la serata e sapersi travestire da poliziotta o da infermiera. C'è un po' di tutto nell'immaginario sessuale del presidente: «C'è la zoccola, c'è la sudamericana che non parla italiano e viene dalle Favelas, c'è quella un po' più seria, c'è quella di mezzo tipo», spiega la Minetti nei suoi puntigliosi «briefing» alle novizie di Arcore. Ciò che conta è aderire allo stereotipo femminile sempre un po' eccessivo che ha in testa il Cavaliere. Il travestimento più apprezzato è quello da infermiera, soprattutto quando il presidente «ha la bua». Che risate, quando Lele Mora e Roberta Benassia, organizzano al telefono, il 13 agosto, la trasferta della Miss torinese, nuova fiamma del presidente, in Sardegna. Mora ne dà una descrizione azzeccatissima: «Lì ti sembrerà di stare nel paese... nella casa di Michael Jackson...» «La casa dei sogni, uhau!» «Vedrai... statemi bene, divertitevi, qualsiasi cosa hai bisogno mi chiami senza problemi». «Grazie». «E visto che sarai la... infermiera ufficiale...» «Anche lui -mi ha detto così (ride...)» «Devi fargli uno scherzo, devi prendere su quello che misura la pressione finto, poi prendi su... un camicione quello che si usa...» «Quello, quello da dottoressa... con sotto niente, ovviamente...» «Ce l'hai quello?» «Eh, vado a comprarlo... sì perché non ce l'ho». 232
Sodoma «Ti metti lo stetoscopio... sulla carnicina da infermiera... e sotto le autoreggenti bianche...» «Guarda Lele, lo faccio, ti giuro che lo faccio, non mi manca il coraggio, credimi». «Sorpresa... però devi fare: «Sono l'infermiera, la devo visitare».» «...Una visita privata... per accertarmi del suo stato di salute che deve essere assolutamente alto, di buon livello...» «Esatto! Sai quanto si diverte lui per una cosa del genere?» Nel Paese del pressapochismo, la consorteria dell'harem di via Olgettina, si rivela di buona professionalità: l'amicizia è di facciata. Tutte si controllano. Vige una concorrenza spietata, la vera cifra della corte pettegola e ruffiana di «Papi». Che tutte bramano, fingono di adorare, ma nel profondo del loro cuore disprezzano. Come nei casini di un tempo, quando le prestazioni di un'ospite attiravano file di clienti e le altre mestamente restavano a secco, la gelosia scatena stizza e ingratitudine: «Perché si sono fermate un sacco di donne... E lo stronzo non mi ha portato nella sua stanza». L'allarme è massimo quando il Sultano sceglie dall'harem di via Olgettina, o dallo stradone di viale Monza 9, dove ha sede l'agenzia di Lele Mora, la favorita del momento: «Secondo me ha perso la testa di brutto per quella là», commentano Nicole Minetti e Barbara Faggioli raccontandosi l'ultima sbandata del presidente per Roberta Benassia, la miss torinese che Berlusconi in agosto ha mandato a prendere da uno dei suoi autisti fino nel capoluogo piemontese. E che successivamente ha invitato a Villa Certosa, l'altro approdo ambitissimo delle «arcorine» (il mare, la Costa Smeralda, il Billionaire...) «Eh vabbé, ma io non l'ho mai visto andare in Sardegna con una sola... Praticamente due settimane che sono insieme, mattino, pomeriggio e sera. Ieri ha detto che sono fidanzati». «Allucinante!» Nel dizionario del gergo bunga-bunga è una 233
delle parole più gettonate: «Allucinante, ci vanno tutte, dalla cubana alla venezuelana, un puttanaio». «Allucinata» è T.M., la giovane studentessa della Bocconi che Nicole Minetti invita ad una serata hard e che confiderà a un'amica di essersene andata «disgustata». E dire che la premurosa Minetti l'aveva avvertita: «Giurami che non ti prende male, nel senso che ne vedi di ogni, cioè ti fai i cazzi tuoi e io mi faccio i cazzi miei, per l'amor del cielo... però ne vedi di ogni... cioè, nel senso, la disperazione più totale, cioè capirai, c'è gente per cui è l'occasione della vita. Quindi, ne vedi di ogni. Fidati di me. Tu punta su: a) il francese, che lui sbrocca... e digli della seconda laurea, digli che sei stata alla Sorbona che anche lui c'è stato e si esalta di brutto...» I segreti del mestiere. La maestra e l'allieva. Nicole Minetti, quando vuole, è provvida. 234
18. SPINAU
«Amo, ho mandato tutte da Spino... Io farei le troie, lo chiamiamo stasera e gli diciamo che abbiamo bisogno per partire... Come hanno fatto Aris e Mary...» (Nicole Minetti) «Ti volevo dire che oggi vanno da Spin anche Barbara e Miriam... Pensa che Barbara settimana scorsa, a Roma, ha comprato 25, dico 25 paia di scarpe nuove... Pensa te che noi ci facciamo problemi... Io l'ho già chiamato due volte e mandato un sms ma non mi risponde...» (Barbara Faggioli) «Amorino, ti prego, mi manderesti per messaggio il numero di Spinelli o di Gesù Cristo, capisci a me :) ho bisogno, ho cambiato scheda e il loro numero l'ho perso!» (Ruby) Se c'è un uomo che in tutta questa storia conta quasi come il Cavaliere nel cuore avido delle sue cortigiane, quell'uomo è il monosillabico Giuseppe Spinelli. Il laconico per eccellenza. L'ideale custode dei segreti più delicati. «Sì... Mmmmh, ah... be', se l'ha detto Lui... Verificherò... La saluto». Difficile trovare nelle intercettazioni frasi molto più lunghe di queste. Eppure per ottenere la casa, disporre della Mini Cooper, poter sfoggiare la Smart o anche solo una banale seduta dal parrucchiere, è lui che va corteggiato, sfinito di telefonate, atteso sotto l'ufficio, braccato ad ogni ora. Con la stessa intensità di certe amanti insaziabili, le ragazze di via Olgettina lo lusingano, lo temono, lo corteggiano. Se Silvio è la banca, Spinelli è il suo caveau. È a lui che bisogna arrivare per essere 235
certe del proprio futuro. O, più modestamente, anche solo del mese a venire. Il fascino assai discreto del misterioso Spinelli, funestato da un cognome che in un ambiente come quello delle notti milanesi induce a sogni fumosi, sta nella sua assoluta fedeltà. Con zelo che rasenta il fanatismo, egli asseconda in tutto e per tutto le volontà del Capo. Ne è il ragioniere di fiducia. Non da oggi, né da ieri, bensì dall'altroieri. Dai tempi delle prime avventure di Mediaset e di Milano Due. Il Cavaliere se ne fida incondizionatamente: l'enigmatico Spinelli è un uomo d'altri tempi. Si sacrifica per il Capo, quando il Capo glielo chiede. Il suo ruolo è quello di stare sullo sfondo, di disertare ribalte e palcoscenici, insomma, di non apparire, se non quando è necessario. Di lui si conosce ben poco, le notizie che lo riguardano sono scarne come certi bollettini medici della Santa Sede riguardo le malattie del Papa; e così si rimedia con descrizioni che sono stereotipi di maniera: egli è, ovviamente, un uomo un po' grigio e molto schivo che da anni si prende sulle spalle la responsabilità di saldare i conti del Capo. E non solo quelli. I conti, spesso, sono indizi, prove, confessioni. In 32 anni di lavoro a fianco di Berlusconi, il sessantanovenne contabile di Settala, che le ragazze tra loro chiamano «Spin» o «Spinau», non si è mai lasciato scappare una sola cifra, nemmeno quando gliel'hanno richiesto ufficialmente, assumendosi responsabilità non indifferenti. Tanto meno lo si è visto in tivù, e anche questo dettaglio - in contraddizione con la generalità dei conoscenti di Berlusconi - la dice lunga sull'impegno prodigato nel conservare l'anonimato: collaboratore preziosissimo proprio più per quel che tace che per quel che dice. L'uomo ombra che è anche uomo «mai»: mai un'intervista, per esempio, nemmeno quando è finito sotto inchiesta nelle varie indagini che hanno riguardato gli affari e le acrobazie finanziarie di Berlusconi. 236
Sodoma Mai un flash traditore che l'abbia sorpreso in qualche santuario del divertimento o in un locale della Milano da bere. Di lui si ricorda un'unica laconica dichiarazione: «Quello che avevo da dire lo ha già detto l'avvocato Ghedini». Secchezza encomiabile. Spinelli non enuncia, sottrae. Al Capo, indica, suggerisce: ma solo in funzione dei conti e dei bilanci. Dicono, tuttavia, che sia sempre gentile, paziente e cortese nel respingere gli assalti voraci delle esuberanti ragazze dell'Olgettina che non di rado hanno provato a sedurlo, per estorcergli denaro, o soltanto per vedere se è così inattaccabile; non è dato sapere se qualche volta, sopraffatto da tanto interessato ardore, si sia arreso. Se ne dubita assai. La scarna biografia di Spinelli si attiene a definirlo - in assenza di spiegazioni del diretto interessato - come il «tesoriere di Arcore» o semplicemente il ragìunatt, alla lombarda. Ma è una definizione davvero riduttiva. Spinelli si è conquistato sul campo la delega del Cavaliere, e non intende dissipare questo capitale rivelando quel che lui sa. Ha sempre resistito alla curiosità dei pm milanesi che di tanto in tanto hanno provato a scalfire la corazza della sua riservatezza, chiedendogli spiegazioni sul suo lavoro. Il primo contatto coi magistrati risale al 1995, quando nel mirino della magistratura finirono decine di libretti al portatore su cui erano stati parcheggiati 10 miliardi di vecchie lire. Per gli inquirenti si trattava di fondi neri scaturiti dai controlli su una fiduciaria e destinati all'acquisizione di Medusa cinematografica, la società di cui oggi è presidente Carlo Rossella. La seconda volta venne sentito per una girandola societaria che secondo le accuse, attraverso una frode fiscale, avrebbe consentito al premier di comprare i terreni di Macherio. La terza volta quando, indagando su villa Certosa, i magistrati di Tempio Pausania gli scaricarono addosso 13 capi d'imputazione visto che ricopriva la carica di amministratore delegato della Idra e come tale avrebbe commesso abusi alla Torre degli Ibiscus, al 237
teatro greco-romano e alle vasche talassoterapiche della dimora per le vacanze estive del Cavaliere. L'inossidabde Spinelli non ha mai abbassato la guardia. È sempre uscito pulito, sempre assolto, ed è sempre ritornato ai suoi conti, rituffandosi nell'ombra. Per questo oscuro ragiunatt, pochissimi titoli di giornale. Il vero obiettivo era il Capo, non il suo contabile. Il presidente. A chi poteva importare di un ometto come Spinelli? E invece avrebbe dovuto importare, eccome, il «Colbert» di Arcore - che al pari dell'oculato ministro delle finanze francesi di Luigi XIV ha avuto costantemente un occhio apprensivo per il portafoglio del suo re. Ogni anno, tra la fine di dicembre e la fine di gennaio, proprio nel suo ufficio che si trova in Residenza Parco 802, a Milano Due, nel comune di Segrate, si tengono infatti le assemblee annuali chiamate ad approvare i conti delle holding tramite le quali, Berlusconi e i figli controllano la Fininvest e, a cascata, lo sterminato gruppo. A pochi metri di distanza, inoltre, presso la Residenza Parco 801, c'è la segreteria politica del premier, e anche questo indirizzo è entrato nel mirino dei magistrati (ma senza successo, perché protetto dall'immunità). L'ostinato silenzio di Spinelli ha preservato il segreto amministrativo della cassaforte di Silvio, di cui ha tenuto saldamente le chiavi amministrando tutte le otto holding di controllo della Fininvest, la Holding Prima, Seconda, Terza Quarta, Quinta, Ottava e Quattordicesima e ricoprendo la carica di presidente in tre di queste, tra cui la Seconda, quella che viene considerata la più importante del gruppo. Ha dunque un ruolo di grandissima fiducia, lo gnomo di Milano Due, e un'importanza ben più rilevante di quanto non appaia. «Spino» ci mette del suo, inoltre, pur di minimizzare meriti e compiti, menando una vita che irreprensibile è dir poco. Un lavoro di mimesi degno di una trama alla John Le Carré. In ufficio alle 9, sempre puntualissimo, un panino o un 238
Sodoma piatto leggero all'ora di pranzo e poi di nuovo al lavoro, chino sulle carte e i segreti cifrati dell'uomo più importante d'Italia che dorme tranquillo tra due guanciali o due ragazze, si fa per dire, sapendo che a vigilare sul suo enorme patrimonio c'è un personaggio così. Alle 18, ma se c'è bisogno non lesina sugli straordinari, Spinelli si alza dalla scrivania, infila il cappotto, chiude a chiave l'ufficio e torna a casa. Sempre quella, a Bresso, periferia nord della città, dove una moglie premurosa e paziente lo attende per cena. Probabilmente, prima che scoppiasse il Rubygate, alla signora Spinelli non le passava nemmeno per l'anticamera del cervello che il suo metodico marito potesse un giorno diventare involontariamente famoso per delle attività collaterali legate ad un'altra società, la Dolcedrago, che riguarda gli affari personali e immobiliari del Cavaliere e che ha sede nell'ufficio di Residenza Parco 802. O forse no. Forse Spinelli l'ha sempre tenuta al corrente di tutto, e anche la sciura Spinelli ha convenuto di farsi i fatti suoi e di non opinare sulla questione dell'Olgettina e delle sue esuberanti ospiti, in fondo il Cavaliere è sempre stato generoso, fa del bene a quelle ragazze, le avrà detto il ragiunatt per rassicurarla... sono cose che non mi riguardano, lui ordina io eseguo, sono soldi suoi, se li può permettere, con me è sempre stato più che corretto... Non per niente Spinelli, assieme ad un affiatato terzetto di professionisti (Giuseppe Sciascia, Giuseppino Scabini e Marco Sirtori), si occupa degli affari privati di Berlusconi. Alla Dolcedrago e alle società da essa controllate - come le immobiliari Idra e Dueville - fanno capo Villa Certosa, le tenute in Brianza del premier, immobili a Dubai (un investimento che risale a qualche anno fa, utilizzando una società degli Emirati dal non molto fantasioso nome di Sweet Dragon...) ed è il filo sottile che lega i due rami della famiglia di Arcore. Quanto sia apprezzato in casa Berlusconi, lo indica la decisione, concordata da Silvio con l'ex moglie Veronica Lario negli 239
accordi di separazione, di mantenergli la carica di amministratore delegato de «Il Foglio» - il quotidiano diretto da Giuliano Ferrara partecipato dalla ex first lady - e di affidargli il compito di amministratore unico della Bel, la holding del mattone appena costituita da Barbara, Eleonora e Luigi, i figli di secondo letto del premier (un investimento di pregio è stato l'ex Albergo Regina, a due passi dal Duomo di Milano, sede del comando Ss a Milano tra il 1943 e il 1945). Ed infatti i figli del Cavaliere non hanno alcuna intenzione di separarsi da Spino: con equo impegno segue gli interessi personali dei figli di primo letto Marina e Piersilvio, ai quali fa capo una quota del 7,65% di Fininvest tramite le holding Quarta e Quinta, e quelli degli altri eredi del Cavaliere, cui spetta il 21,4% della finanziaria di via Paleocapa custodito nella holding Quattordicesima. Persino Veronica ha affidato a Spino i destini amministrativi del suo piccolo regno, la Finanziaria II Poggio, coi suoi palazzi milanesi (in via Pontaccio, ad esempio) e la sede della multinazionale Schering. E sempre nell'ufficio di Spinelli ha sede legale la Minerva Finanziaria che custodisce la Villa Minerva di Porto Rotondo, ai tempi in cui Veronica e Silvio filavano d'amore e d'accordo, buen retiro smeraldino. Nel 2004 sarebbe stata ceduta all'oligarca russo Tariko Rustam per 15 milioni di euro (qualcuno ipotizzò che potesse essere una vendita per conto terzi: Putin, ma l'indiscrezione venne smentita). Quanto alla Minerva, è controllata a sua volta da una holding delle Isole Vergini, la E&A Estates, ed è amministrata da uno studio di commercialisti torinesi. Dalle Isole Vergini alle non più vergini ragazze dell'harem di Arcore, lo spettro delle mansioni di Spinelli appare quindi estremamente articolato e diversificato. L'uomo del «mai» coi giudici, i ficcanaso e i giornalisti diventa l'uomo del «vedremo» e del «forse» con le esigenti amiche del Capo: sfoggiando un ammirevole competenza sia nel risolvere le delicate questioni 240
Sodoma degli intricati marchingegni finanziari Fininvest che nel placare le piccole ma pur sempre rischiose beghe di qualche incontentabile mantenuta. Basta osservare tre regole semplici e di buon senso. La prima: quando ci sono di mezzo i quattrini, è bene aspettarsi qualsiasi richiesta. Perciò, ed è la regola numero due, dire sempre - almeno all'inizio - di no. Badando, e questa è la terza regola, a non lasciarti infinocchiare: tutti si rivolgono al cassiere con interesse e riverenza, e non sai mai se viene prima l'una o l'altra. Come non bastasse, ogni tanto c'è chi prova a fregarti. Nel caso dell'Olgettina, come quando Marysthelle Polanco e Nicole Minetti sognano di tenersi una caparra che dovevano versare a Marcello Fabri della Friza Immobiliare. «Allora ti volevo dire che questo Fabri, quello degli appartamenti, mi ha detto che mi devono dare la caparra quando le gemelle vanno dentro casa... Quindi che faccio?» «No, tu la devi dare a me, che la dobbiamo dare a Spinelli», risponde ligia Nicole. Ma la domenicana Marysthelle ha altri progetti. «Non la diamo a Spinelli, amo, la facciamoooo... secondo te?» «Cosa?» «Non la diamo a Spinelli». «Amo, ma lui lo sa, ma lui lo sa che c'abbiamo la caparra, eh?» «Mmmmm...» «E sì, come facciamo?» «E dobbiamo fare in modo di non dargliela», ride forte la scafata Marysthelle. «Sì amo, e cosa ne facciamo noi, cosa gli diciamo». «Senti, scusa, glielo diciamo a Papi: "Guarda senti, ci hanno dato la caparra dell'appartamento della Maite Fagliani, tanto vi deve dare una botta di soldi perché..." dobbiamo dirgli no? E li teniamo noi, scusa no? Non è che gliela danno alle gemelle?...» 241
«Amo, amo, no, no ma che gemelle? Ma va! Io devo andare oggi da Spinelli, tanto...» «Non è che glieli danno a loro i soldi?» ribatte, con una risatina nervosa, la dominicana. «Ma va!» «(...) E non lo so, pensiamoci un attimo, cazzo! Almeno lo sbattimento amore, tu devi prenderli, cavolo, a parte tutto, lo sbattimento che fai...» «Scusami, scusami, quant'è la caparra?» «(...) Amo, la caparra è di 2400 secondo me, più o meno perché tu un mese paghi 900 e qualcosa, ok?... Io quello che ti voglio dire è che oggi vado da Spinelli, perché cosa succede? Siccome il tuo appartamento va alle gemelle, Ok? Io devo ripagare 3 mesi più 3 mesi, per quell'appartamento.» «Allora fai così, digli: allora appena mi danno la caparra... Io così la faccio avere e poi lui sgancia quelli delle gemelle, perché non è che la caparra...» Insomma, Marysthelle insiste, non vuole rinunciare a quei 2400 euro che, sostiene, le serviranno per far la festa di compleanno della figlia, una bambina di cinque anni. Anzi, la Polanco, come annota nei brogliacci la polizia che la sta intercettando, «dice che i soldi della festa li chiederà a «papi» e che i soldi dell'assegno della caparra, li divideranno lei e Nicole. Nicole insiste di fare la festa della Maite con quei soldi. Marysthelle le racconta del restauro dell'appartamento, l'acquisto del camino, dell'arredamento»... Nicole, alla fine, preferisce rigare dritto, parlarne a papi e a Spinelli, e lo spiega all'amica, «tanto per non fare figure di merda, tutto lì, dicevo solo questo». D'altronde, è impresa ardua farla in barba all'accorto Spinelli, cui raramente sfugge qualcosa, sia che si tratti dei milioni e milioni delle holding Fininvest o che conteggi qualche centinaio di euro dalla Dolcedrago, l'elemosiniera delle arcorine 242
Sodoma girls. Perfino la non ancora maggiorenne Ruby vorrebbe bussare alla porta del suo ufficio. «Sono la Ruby, signor Spinelli», lo chiama in ansia la giovane marocchina il 15 settembre del 2010. «Non ha avuto modo di parlare con Lui?» Spino s'imbarazza perché il presidente è un'entità ultraterrena e non va mai, ma proprio mai nominato, nemmeno con un vago accenno. Sono errori imperdonabili. «Sì ah, eh, ha... ho capito, ecco. No, mi spiace, non ho ancora novità, bisogna aspettare lunedì prossimo». «Guardi signor Spinelli, io sono veramente nella mmmerda», dice Ruby strascicando la «m» per accentuare la gravità della situazione. Spinelli capisce l'antifona, ma non gli piace il tono petulante della ragazza e il suo linguaggio sboccato. «Non sa se posso passare comunque da lei?» insiste Ruby. Il ragioniere vacilla, s'impappina: «Ah, eh, ho... eeeee che adesso sono fuori, non so se rientro prima di sera, e poi, poi... Appena ho notizie, eh eh... Mi sono fatto un appunto, non è che mi dimentico. Devo avere l'occasione, tutto lì». Che frigga, la lolita! Occasioni che non mancano mai. C'è chi gli porta le fatture del dentista o quelle del meccanico dell'auto e perfino le spese dell'asilo della figlia. Per ricevere in cambio una busta di solidi contanti, di solito in pezzi da 500 euro. O magari un bonifico bancario, direttamente dal conto personale di Silvio Berlusconi, come è successo almeno una dozzina di volte alla meteorina Alessandra Sorcinelli. In poco più di un anno, si è ritrovata accreditati nella sua banca in via Solferino, ben 115 mila euro, racimolati con bonifici da 10 o cinque mila euro circa ogni mese, versati direttamente dal conto privato di Berlusconi appoggiato presso la filiale del Monte dei Paschi di Siena, la banca dei «rossi» come ogni tanto si diverte a chiamarla, a Segrate. «C'è poco da capire, e non devo dare giustificazioni», si è 243
difesa la soubrette in diverse interviste. «Sono stata sostenuta economicamente dal premier, perché ero senza lavoro. Non scherziamo. Con un mestiere precario come il mio può succedere, la vita costa cara, si sa, e lui mi ha aiutato. Anzi, la scorsa estate, grazie al suo aiuto, sono stata a Los Angeles a frequentare un corso di recitazione». Los Angeles, dove notoriamente la vita costa niente. La duttilità di Spinelli deve essere proverbiale se dalle vertiginose altezze dei capitali berlusconiani è capace di precipitare sui più modesti terrazzini di via Olgettina, senza palesare disorientamenti finanziari. Comunque sia, per ogni piccola necessità, come per le più grandi, Spinau provvede ma solo dopo aver ricevuto il via libera dal presidente. E quando ha esaurito le incombenze assegnategli, spegne le luci e se ne va. Non senza aver fatto un salto all'ingresso adiacente, dove ha sede l'altro ufficio, per controllare che tutto sia al suo posto. Sicuro che quel cartello appeso fuori dalla porta dell'801, «Pertinenza della segreteria politica della Presidenza del Consiglio», sia più efficace di qualsiasi scudo stellare. Oltre quell'uscio, protetto dall'immunità, solo lui e chi vuole lui può passare. Certo, mai quegli impiccioni dei pm. 244
19. MONEY, MONEY, MONEY.
Chissà cosa avrebbero trovato i pm nell'ufficio di Spinelli se laGiunta per le Autorizzazioni a Procedere della Camera, anziché dichiarare irricevibile la loro richiesta, avesse autorizzato una perquisizione. Nel «sancta sanctorum» della contabilità berlusconiana si sarebbe aperto il vaso di Pandora dei favoleggiati segreti del presidente con i quadernetti ordinati del «dare e avere» del meticoloso ragioniere. Ma non si può. Vietato dal Parlamento italiano. Così ai magistrati tocca fare un giro più lungo: se non si può andare alla fonte, pensano, conviene raccogliere a valle ciò che il fiume carsico di soldi, uscito dalla Residenza Parco 802 di Milano Due, ha trascinato con sé. È la Guardia di Finanza ad incaricarsi di setacciare le ricche sponde del delta paludoso che s'insinua tra i conti di Lele Mora, di Emilio Fede, di Nicole Minetti e delle ragazze dell'Olgettina, le più assidue frequentatrici dell'inviolabile studio di Spinelli, «pertinenza della presidenza del Consiglio». L'elenco dei bonifici che partono dai conti personali di Silvio Berlusconi, appoggiati sul conto 129 alla filiale del Monte dei Paschi di Siena di Segrate e a quello della Banca popolare di Sondrio (conto corrente 2472, intestato a Spinelli Giuseppe), è ampio e variegato. Su un totale di un milione e 200mila euro di bonifici e di 10 milioni in assegni nel 2010, i finanzieri enucleano, per quanto riguarda le elargizioni destinate a 12 ragazze, non tutte arcorine, una somma che ammonta a 483mila euro, suddivisa in 29 uscite rubricate alla voce «prestiti infrut245
tiferi». La parte del leone è destinata ad Alessandra Sorcinelli, la «meteorina» di Rete 4, alla quale finisce un terzo dei bonifici per un ammontare di 115mila euro nonché, nel 2008, destinataria di una Range Rover modello Sport 3600 ce , in regalo, dal valore di quasi 74mila euro, optional ali inclusive (vetri scuri, interni in radica, viva voce). Seguono Adelina Escalona Maria Alonso che riceve 50mila euro in un'unica tranche a luglio. Quindi Valentina Costanzo (omonima della concorrente del Grande Fratello?) che riceve 40mila euro nel maggio 2010; 36mila euro vanno invece a Mariagrazia Veroni il 18 maggio; per Anna Restivo un bonifico unico da 32mila euro; a Konstanze Girth vanno 31 mila euro divisi in tre rate; «solo» 3 Ornila euro ciascuna ad Albertina Carraro ed Erminia Calmieri; ad Anna Palumbo, la mamma di Noemi Letizia, la diciottenne di Casoria, sono destinati 20mila euro il 10 marzo; a quota ^mila euro si ferma Beatrice Concas; 19mila euro a Eleonora Gaggioli; seguono gli «spiccioli» per Monica Cheorleu, ornila euro e Sabrina Valentina Frascaroli, 5mila. Ci sono poi le buste «in nero», da mille a 9mila euro ma anche più, elargite alla fine delle serate bunga bunga di Arcore. L'ammontare è incalcolabile anche per gli specialisti della Finanza visto l'omertà delle arcorine e la variabilità degli incontri a Villa San Martino: 16 in tutto quelli finiti sotto la lente d'ingrandimento della Procura, da gennaio 2010 al 6 gennaio del 2011. Sulla generosità del presidente non si può che concordare, il che spiega le lodi alla sua munificenza delle sue protette. Ai conti rintracciati dalla Finanza, non si può non aggiungere anche una somma più grossolana ricavata dalla lettura degli atti prodotti dalla Procura e che formano la base del rinvio a giudizio immediato del Cavaliere. Mettendo insieme gioielli, bustarelle, auto e canoni mensili versati per ospitare nell'harem di via Olgettina le papi girl's, si arriva grosso modo alla considerevole cifra di oltre due milioni e mezzo di euro spesi in un 246
Sodoma anno, come riesce a calcolare su «Repubblica», il giornalista giudiziario Emilio Randacio: «Grazie alle intercettazioni emerge come ogni serata alla corte di Arcore sia costata dai 50 ai 70mila euro», cui vanno aggiunte le spese meticolosamente segnate nei taccuini di «Spinau» cui la procura non ha potuto accedere. C'è infine la delicata questione dei rapporti con Emilio Fede e Lele Mora, i compagni di bisboccia durante le cene e i dopocena di Arcore. Le intercettazioni raccontano la storia di quella che appare come una «stangata» che i due tentano di mettere a segno ai danni di Berlusconi tra l'agosto e l'ottobre 2010. In particolare gli inquirenti individuano tre versamenti di lOOmila euro ciascuno che dai conti del Cavaliere finiscono a quelli di Mora e da qui, tre assegni circolari ai conti di Fede nella misura di 150mila euro complessivi. I due amiconi probabilmente speravano in qualcosa di più: «400 a me, 600 a te», suggerisce il direttore del Tg4 con generosità in una delle centinaia di conversazioni registrate e non è detto che ci sarebbero riusciti se non si fossero messi di mezzo gli inquirenti. E prima ancora l'avvocato Niccolò Ghedini, che subodora la spericolata operazione dei due e suggerisce al presidente cautela. In quel periodo dell'agosto 2010 infatti, Lele Mora si trovava già sotto scacco dalla procura per il fallimento della sua società, la L&M management. Dunque, Mora ne parla a Fede e insieme decidono di chiedere aiuto all'unico provvisto di pronta cassa: il presidente del Consiglio. Però non è facile. Lo devono convincere, superare le sue diffidenze. Fede decide di far leva sui sentimenti, la compassione, la «pietas» umana per uno dei suoi più fedeli servitori e procacciatori di donnine: «...Gli dico: "no, senti, non so tu cosa voglia fare, non conosco bene i termini della questione ma... ho visto Lele, non sta bene, è preoccupato, forse credo che una mano bisognerebbe dargliela. Hai fatto bene a tanta gente, lui poi se lo meri247
ta più degli altri"... Capito?» spiega il giornalista a un estasiato Mora la sera del 22 agosto. Bisogna battere il ferro finché è caldo. Purtroppo c'è di mezzo «l'avvocato della minchia», come sprezzantemente il direttore del Tg4 definisce Niccolò Ghedini che, da bravo legale, sconsiglia al premier di avere rapporti finanziari con un personaggio come Mora, nei guai per bancarotta fraudolenta. Non si sa mai cosa potrebbero scoprire i magistrati. Il legale, rema contro. Facendo imbestialire il direttore del Tg4 in una telefonata del 28 agosto: «Eh no, si fa con fatica per colpa di quel farabutto. Lui parla di gente che approfitta, lui, che è diventato ricco con delle parcelle che l'hanno reso miliardario, ma vaffanculo! È proprio vero: tale faccia, tale animo». Brutta cosa l'invidia. «Ci vuole prudenza», spiega paziente Fede a Mora descrivendogli l'incontro avvenuto ad Arcore quel giorno, «perché sostiene (Ghedini, N.d.A.) che tu sei in bancarotta. Io dico: "Senti, Niccolò è troppo severo con questa persona, ma dico, ma ti pare possibile... L'uomo (Mora, N.d.A.) è stressato, corre per l'Italia per guadagnare due lire, ma sarà uno che ha fatto riciclaggio? Sarà uno che può essere legato alla mafia e cose così? Tutte balle! Vogliamq dargli una mano?... Guarda che l'eccesso di prudenza deve riguardare altre persone che stanno girando, non lui..." Lele ride: "Eh certo, eh certo"». La «stangata» è una cosa seria, non si può improvvisare. Va pensata, studiata, imbastita. A metà agosto avevano immaginato di scrivere una lettera. È sempre Emilio Fede ad avere le idee migliori. «Lele, studiamo, decidiamo insieme... che facciamo?» «Eh, io sto agli ordini, come sempre... Lei mi dica, io eseguo.» «No, eh, no dunque... cioè... io scriverei due righe, no? Ma proprio due righe, tipo una cosa molto breve, eh... capito, troviamo una formula, come dovrebbe essere?» 248
Sodoma «Va bene.» «Bene, e no, questo è importante.» «(...) Mandare quelle due righe è importantissimo!» «Ma lei me le prepari che poi io le scrivo.» «Eh, vabbè... ma le scrivi o fai solo... ma tu scrivi o fai solo le aste?» «No, faccio anche i punti e le virgole (ridono).» Una telefonata degna dei migliori Totò e Peppino in Malafemmina. Un vero assillo per Berlusconi. Fede è l'ufficiale di collegamento, non desiste nella sua rappresentazione melodrammatica. «Vabbè, allora ho parlato, mi ha chiamato lui per dirmi che voleva stare a casa, vabbè, insomma... allora, io ieri sera gliel'ho detto, eh? Tipo... perché questa persona qua è veramente nei guai, soffre anche di crisi depressive, la pressione alta e bassa, secondo me bisogna dargli una mano... non possiamo abbandonarlo, eh, bisogna aiutarlo... sì dico, sai eh, il problema è che io potevo fare qualcosa e l'ho fatto, di poco, gli ho dato due volte cinquanta ma... gli servivano proprio per esigenze non più rinviabili e dice: "beh, non è poco", beh vabbè, insomma, non è poco per me, per lui qualcosa è stato ma sai, dice, "secondo te?". Ma secondo me, guarda, almeno uno e mezzo, uno minimo, bisogna darglielo sennò è rovinato...» Per Berlusconi è una tortura, visto che le telefonate, gli incontri e le richieste si susseguiranno fino ad ottobre, spostandosi a un certo punto su Spinelli, che verrà sollecitato finché non firmerà gli assegni confluiti nel conto di Mora. In mezzo ci sono le organizzazioni delle serate, la ricerca spasmodica di nuove giovani ragazze, sempre più belle e disponibili. In pratica, si evince dalle intercettazioni, i due lavoravano ai fianchi il Cavaliere: da una parte con la storia della depressione e della salute di Mora, dall'altra sollazzando il Sultano in modo da rendersi indispensabili. In gergo, per Mora e Fede, Berlusconi era 249
«il produttore», e gli assegni «i contratti». La Guardia di Finanza ha rilevato tre periodi in cui sarebbero avvenuti i passaggi di denaro, ora agli atti della richiesta di rinvio a giudizio presentata i primi di marzo dalla Procura per Mora, Minetti e Fede, accusati di induzione e favoreggiamento della prostituzione, aggravata dalla prostituzione minorile di Ruby-Karima El Mahroug. Scrive la Guardia di Finanza, che i versamenti dai conti di Berlusconi a quelli di Mora avvengono in 3 tranche: «dal 30 agosto al 3 settembre, Spinelli consegna assegni circolari a Mora Dario che poi li consegna a Fede Emilio...». Un'operazione che con le stesse modalità si ripeterà anche dal 21 al 29 settembre e dal primo ottobre al 25. E precisamente: lOOmila euro consegnati il 2 settembre, e versati il giorno dopo in due assegni circolari al Monte dei Paschi da Mora, dal cui conto viene tratto un assegno da 50mila euro per Fede. «Sono contento, dai, sono contento, sono contento», commenta Emilio che da vecchio giocatore è come se avesse messo a segno un poker. Altri due assegni, ancora da 50mila euro ciascuno, vengono versati da Spinelli il 29 settembre a Mora, che come al solito ne gira uno a Fede. Infine, il 19 ottobre, arrivano gli ultimi lOOmila, con le stesse modalità. La causale è sempre quella: «prestito infruttifero». Proprio come i soldi finiti a Nicole Minetti o ad Alessandra Sorcinelli. Una quantità di denaro che per i magistrati potrebbe anche spiegarsi come un risarcimento per l'attività di induzione alla prostituzione. Lo stabilirà il processo cosa davvero rappresentavano quei soldi. Per gli interessati è stata comunque una pacchia: «C'è posta per lei. Mario Sacco sta arrivando», scrive simpaticamente in un sms Lele ad Emilio per festeggiare l'ultimo assegno. 250
20. LA DROGA «Dicen que encontraron drogas y varios cuchillos en mi coche, pero no es cierto». Quando il 23 gennaio, una splendente Marysthelle Garda Polanco compare in un paginone dell'inserto domenicale dello spagnolo «El Pais» per rilasciare una lunga intervista sulle innocenti serate del presidente a Villa San Martino, conferma di aver imparato perfettamente la lezione di Arcore: intorbidare le acque. Soprattutto per quanto la riguarda la sua posizione di fidanzata e convivente di un certo Carlos Manuel Ramirez De La Rosa, un oriundo dominicano dedito allo spaccio e al traffico di cocaina nella «sniffante» Milano. Certo, per una ragazza che a metà gennaio, a scandalo già scoppiato, è riuscita a farsi ricevere dal prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi parcheggiando il suo Hummer H3 da 40 mila euro nel cortile d'onore della Prefettura, è uno scherzo mentire a qualche giornalista, per di più spagnolo. Perché la storia della droga e dei «varios cuchillos», ovvero dei coltelli, trovati non sulla sua auto ma sulla Mini Cooper di Nicole Minetti, non solo è certissima ma è ormai relegata, dal 27 gennaio 2010, agli atti di una condanna penale a 8 anni di reclusione inflitti al fidanzato della soubrette. Con un giudizio immediato, ironia della sorte. Una brutta faccenda che ha tenuto in apprensione persino il Cavaliere quando, agli inizi di agosto, venne a sapere, non si sa bene come né da chi, che il giovane Ramirez insieme a un 251
amico, tale Edwin Ulloa Valdez, era stato fermato e poi arrestato dalla Guardia di Finanza proprio in via Olgettina 65, dopo essere sceso dall'auto della Minetti. La quale, per riprendersi dalle fatiche dei bunga bunga e delle sedute del Consiglio Regionale, era andata in quel periodo ad abbronzarsi al sole delle Seychelles, rimanendo perfettamente ignara di quanto stava accadendo con la sua macchina. Una vera passione quella dell'Oceano Indiano per l'igienista dentale, che le intercettazioni segnalano spesso chiamare in inverno dalle Maldive e in estate dalle Seychelles. E anche una salvezza, in questo caso. Sapendo infatti dell'assenza da Milano di Nicole, l'amica Marysthelle, rimasta in panne con la jeeppona, le aveva chiesto di poter usare la sua Mini. La consigliera regionale in partenza per le vacanze, non aveva posto problemi. «Vai pure a ritirare le chiavi nella mia portineria di Corso Italia», aveva detto Nicole. E Marysthelle, sempre impegnata con le prove di ballerina per la trasmissione Colorado Cafè di Italia Uno, aveva girato la cortesia al suo fidanzato Manuel. Il quale era stato ben felice di rendersi utile alla bella mulatta e di poter unire anche il dilettevole del suo particolare lavoro. Ramirez infatti aveva affittato da luglio un box in via Portaluppi, dove aveva nascosto un trolley blu con dentro 9 chili e mezzo di cocaina, confezionata in 88 tavolette ricoperte da nastro adesivo marrone. Droga pronta per essere venduta all'ingrosso con un guadagno netto ed esentasse di 450 mila euro. Altra droga, più di due chili e mezzo, per un valore di 120.000 euro, il dominicano l'aveva nascosta invece nel box dell'appartamento di Marysthelle in via Olgettina 65. In tutto, quasi 13 chili di «roba», ovvero 600 mila euro. Quale occasione migliore quella di ritirare l'auto della Minetti e poi passare a prendere anche l'amico e cliente Edwin prima di tornare nel residence? Giusto quel pomeriggio Ramirez doveva vendergli 100 grammi di coca. Marysthelle era fuori, la sua bambina di 5 anni in vacanza e i due giovani spaccia252
Sodoma tori, dopo aver parcheggiato nel box di casa l'auto presa in prestito dalla Minetti, avrebbero potuto magari anche stapparsi una birra in santa pace. Una soffiata giunta quella mattina alla Guardia di Finanza però stava per rovinare tutto. I militari infatti, arrivati verso le due e mezzo del pomeriggio nel box di via Portaluppi avevano trovato oltre alla droga un documento falso, rilasciato dalle autorità olandesi, di tale Lopez Villa Marion Emilio, il nome con cui Ramirez si faceva chiamare da Marysthelle e dalle altre ragazze di Papi, come si evince dalle intercettazioni. Nome falso ma indirizzo giusto: via Olgettina 65, il residence dell'harem del Cavaliere. Ma che ne sapevano i Finanzieri di questo risvolto? Niente. Così, si legge nel rapporto del 3 agosto 2010, «gli operanti decidevano di recarsi in via Olgettina all'altezza del civico 65. Giunti in loco alle ore 19,10 circa riconoscevano il soggetto di cui al documento rinvenuto nel box di via Portaluppi e lo identifcavano in Ramirez De la Rosa Carlos Manuel, accompagnato da un'altra persona, identificata in Ulloa Valdez Edwin. Gli stessi entravano in un condominio, precisamente all'interno dell'abitazione situata al quarto piano, interno 44, scala B. Subito dopo i militari notavano che il Ramirez De La Rosa si sporgeva dal balcone dell'abitazione per controllare se fosse seguito. Poco dopo l'Ulloa Valdez usciva dall'abitazione e stava per salire su un taxi, allorquando i militari operanti lo fermavano e provvedevano a controllarlo». In tasca Edwin aveva una tavoletta con 108 grammi di coca, identica a quelle confezionate nel box di via Portaluppi. Cinque minuti dopo, anche Manuel Ramirez finiva in manette, proprio davanti alla sua fidanzata Marysthelle, tornata nel frattempo a casa. Insomma, un fattaccio di cronaca nera. Come sempre in questi casi, iniziava una perquisizione minuziosa nell'appartamentio della Polanco e nel suo box, nel quale, oltre alla Mini della Minetti, le Fiamme Gialle scoprivano i due chili e mezzo 253
di droga nascosti da Manuel. Invece nella casa di Marysthelle, quella pagata da Papi, precisamente nella camera da letto, ecco saltar fuori una cassetta di sicurezza con 55 mila euro più altri mille nel portafoglio di Ramirez. Nonché 4800 euro che sia Marysthelle sia Ramirez rivendicavano come propri, intavolando un'imbarazzante questione davanti ai finanzieri che alla fine sequestravano pure quelli. A questo punto di solito la convivente dello spacciatore viene fermata «per accertamenti», nell'ipotesi meno grave che sia quanto meno una favoreggiatrice. Tanto più se si tratta di un'extracomunitaria e in casa o nel box di pertinenza hanno trovato due chili e mezzo di droga e 55 mila euro in contanti. Invece a Marysthelle non succede praticamente nulla. Strano, perché anche lei si trovava nell'appartamento mentre Edwin, di professione parrucchiere in via Palmanova, riceveva 108 grammi di coca da spacciare sul redditizio mercato milanese. E poi, nel rapporto conclusivo dei finanzieri, si scrive chiaramente come nonostante «non vi siano allo stato elementi probatori che confermino il coinvolgimento della Garcia Polanco nei fatti riconducibili alla detenzione di 12,421 chili di cocaina, permangono ancora dubbi sulla sua totale estraneità». Eppure la soubrette rimane libera, senza alcun problema se non il disturbo di doversi recare due giorni dopo, il 5 agosto 2010, al comando provinciale della Guardia di Finanza in via Fabio Filzi. Gli investigatori la vogliono ascoltare come testimone ma in maniera informale, «a sommarie informazioni» come si dice in questi casi. Per Marysthelle è l'occasione di scaricare velocemente il compagno e raccontare le solite bugie: «Lo conosco da appena cinque mesi», sostiene la bella mulatta. «Tutti lo chiamano Emilio e così faccio anch'io. Si è vero, viviamo insieme in via Olgettina, ma faccio presente che l'appartamento non è di mia proprietà, pago un affitto alla Friza Immobiliare di Monza. A quanto ne so - aggiunge - Ramirez pri254
1 ma che lo conoscessi alloggiava in un albergo vicino alla Stazione Centrale. Lui mi ha sempre detto che si occupava di consulenze finanziarie per imprese in difficoltà che operano all'estero. Però non l'ho mai visto allontanarsi da Milano per più di un giorno. Non conosco nessuno della sua famiglia». E dei 55 mila euro ritrovati in camera da letto, cosa dice l'ineffabile Polanco? «Non ne sapevo nulla, fatta eccezione dei 4800 euro che sono di mia proprietà: 1000 li ho prelevati dal mio conto in banca, il resto mi sono stati pagati dalla mia agenzia «Riccardo Breda» per delle serate di lavoro e gli altri sono compensi cash per altri miei lavori». Quanto alla droga, non è neanche il caso di chiedere: «L'ho vista la prima volta il giorno della perquisizione, non vado sovente in cantina», risponde sicura Marysthelle. Per giustificare l'Hummer H3 e una certa agiatezza che traspare dal tenore di vita, la ragazza spiega di avere contratti con la casa di produzione «Endemol» e con la «Maria Cristina Sterling», di essere intestataria di un conto corrente presso una banca e di aver ricevuto in dono 40 mila euro un paio di anni fa da un suo ex fidanzato, Gianluca Vacchi. Si tratta di un imprenditore e play boy diventato noto durante il processo di Vallettopoli perchè Fabrizio Corona, dopo averlo fotografato nudo insieme a una donna a bordo della sua imbarcazione al largo di Porto Cervo, gli chiese lOmila euro proponendosi come mediatore con il fotografo, intenzionato, sostenne Corona, a vendere gli scatti a dei giornali scandalistici. Tutto torna e tutto si tiene nel gran giro delle Papi girl's. Infatti Marysthelle è molto circospetta mentre racconta ai Finanzieri della sua vita. E quando alla fine del verbale le chiedono ragione della Mini Cooper trovata nel box, risponde così: «Me l'ha prestata la mia amica Minetti perchè il mio Hummer doveva essere riparato. Nicole è la mia migliore amica, lei è a conoscenza della mia relazione con il Ramirez che ha visto un paio di volte. Il 257 Sodoma
giorno dopo la vostra operazione le ho mandato un sms per avvertirla che stavo in pena. Nella serata del 5 agosto mi ha chiamato al telefono e piangendo mi ha riferito che un giornalista le aveva detto che nella sua auto era stata rinvenuta della cocaina, di cui io, ribadisco, non faccio uso». Arrivederci e grazie. Quando Marysthelle lascia il comando della Finanza, inizia la solita girandola di telefonate. Innescata questa volta da un interlocutore che dovrebbe essere lontano mille miglia da certi fattacci di cronaca nera e invece è molto allarmato per quanto è accaduto. Un personaggio importante, sempre lui: il Cavaliere. Il quale, già il 5 agosto, si è dato da fare chiamando Barbara Faggioli affinché consegni un messaggio alla Minetti. Anzi, un ordine. «Non hai capito, si è incazzato con me...E successo così, che mi ha chiamato e io faccio: "Ciao! Come stai?"...Ascolta, ascolta, ascolta, avviso avviso. Faccio: "dimmi". E fa: "eeehmmm dì alla Nicole di fare una denuncia per la sua macchina, la sua Mini"... E io faccio: "ahhh, dai, ma dai non è qui con me la Nicole". Faccio: "è uno scherzo, lo so, dai, però se vuoi la chiamo e le dico che c'hai fatto questo scherzo"... Quindi sei lì con la Marysthelle, gli faccio. Ti giuro! Pensavo fosse uno scherzo Niki». Come al solito la Faggioli non capisce la gravità della situazione, soprattutto non sa nulla di quanto è accaduto a Marysthelle, al suo fidanzato e all'auto della Minetti, miracolosamente scampata a un sequestro giudiziario. «Lui», invece, come un dio onnisciente, sa tutto, vede tutto. Pensa a tutte. E probabilmente si dispera quando non viene preso sul serio dalle ragazze che proprio non arrivano a mettere in collegamento il fatto che, da quando frequentano Arcore, qualsiasi cosa possa capitare loro verrà messa in relazione anche al presidente del Consiglio. È già accaduto il 27 maggio con Ruby. Potrebbe ricapitare con Marysthelle. 256
Sodoma Emilio Fede in un'intercettazione del 26 settembre lo dice chiaro e tondo alla Minetti: «Marysthelle è simpatica però attenzione, io conosco la sua storia vera, l'ho fatta eleggere miss Pompeo, io l'ho avviata, poi l'ho avviata eccetera eccetera.... Lei è stata per un anno la donna di Vacchi, poi non so bene cosa è successo ma l'han trovata sulla panda di lui con un coltello, della droga... Guarda, ti dico, una persona pe-ri-co-lo-si-ssi-ma...Il mio autista, che la conosce bene, la portava con uomini che poi le vomitavano in macchina, una cosa guarda...Terrificante, pericolosissima. Lei che ha fatto la paracula! Gli ha portato la bambina...e lui si è intenerito per la bambina...» Quell'estate Berlusconi si deve essere reso conto improvvisamente di quale potenziale guaio possano diventare le ragazze del suo harem. «Si è incazzato perché ho risposto così, in tono...No, no, ma non sto scherzando per un cazz... Cioè, così. Infatti ci sono rimasta. Ho detto: "ah, io pensavo fossi uno scherzo". Non si riesce a dar ragione la Faggioli del perché Papi sia così nervoso. E non riesce a capirlo nemmeno Nicole. In fondo, cosa mai sarà successo? «Io sono alle Seychelles, sono dall'altra parte del mondo, cioè renditi conto. Io che non ho mai, ti giuro, fatto niente di illegale in tutta la mia cazzo di vita, te pensa come mi posso sentire io in questo momento». Non capisce Nicole. Ma intuisce che quella richiesta, quell'ordine arrivato dal presidente la costringe ad agire come una persona consapevole che sulla sua auto viaggiavano degli spacciatori. Un mezzo di cui, dunque, si deve liberare il più in fretta possibile, denunciando un furto mai avvenuto, affinché nessuno possa anche solo sospettare che la bella igienista dentale lanciata dal presidente in politica appena sei mesi prima possa avere collegamenti con uno spacciatore. Berlusconi infatti chiama direttamente anche Nicole, che dall'altra parte del mondo, trasecola e si spaventa, come racconta lei stessa a Marysthelle: «Lui mi chiama e mi dice: "Guar257
da mi ha chiamato un giornalista e mi ha detto è successo questo e questo e questo, che hanno fermato un individuo sulla tua machina con degli stupefacenti e che non è la prima volta". Mi fa: "fai subito questo, subito". Io lì per lì mi sono messa a piangere, gli ho detto: «guarda che la macchina...» A Nicole torneranno le lacrime anche davanti a Ilda Boccassini, durante l'interrogatorio del 30 gennaio, quando il magistrato dedica le ultime domande del verbale proprio alla questione droga: perché, le chiede il pm, lei continuò a frequentare una persona che consentiva a uno spacciatore di vivere in casa sua alla presenza di una bambina di cinque anni? E perché anche il presidente del Consiglio, cui era nota tutta la vicenda, continuava ad invitare a casa questa persona? «Io posso rispondere per me e le posso dire che ho continuato a sentirmi telefonicamente con la Polanco e anche ad incontrarla, come ad esempio a casa del presidente, perché lei mi aveva detto che nulla sapeva del vero mestiere del suo ex fidanzato e che era rimasta choccata per quello che aveva saputo il 3 agosto». La Boccassini insiste, ha capito che quello d'intervenire in spregio a qualsiasi legge per tutelare le sue protette è un «vizietto» per Berlusconi, che in qualche modo gli stava facendo ripetere lo stesso errore commesso per Ruby: perché, chiede il pm, il presidente le suggerisce di denunciare il furto della sua auto? Perché le suggerisce di commettere un reato? Questa volta Nicole, si avvale della facoltà di non rispondere. Marysthelle la consola in agosto e la consolerà più tardi, in fondo è un po' colpa sua se è successo questo tutto questo macello. Ma quanto la Polanco sia realmente estranea a giri loschi, lo si capisce leggendo un'intercettazione del 9 agosto in cui parla con una donna dell'arresto in Spagna di uno spacciatore suo amico. Oppure mentre si mette d'accordo per un appuntamen258
Sodoma to con Miriam Loddo il 19 settembre. E Miriam a chiederle qualcosa: «Ti ricordi quelleee pastiglie per capelli che mi avevi prestato?» Marysthelle ricorda benissimo: «Eee, sai che però non ce l'ho, infatti anche per me è stato difficile...» Miriam: «Anch'io non sono riuscita a trovarle, mo' vado a fare un salto in farmacia, speriamo che non sia chiusa...» Una settimana dopo, il 29 settembre, Marysthelle contatta un certo Eric che la polizia annota avere «un accento nord africano». «Ehi, dove sei?» «A Cascina Gobba» «(...) Aspetta un attimo.. .Eric, arrivo io a cascina Gobba? Vengo io?» «Ok, è meglio». Cinque minuti dopo, nuova telefonata. «Ohi», dice Marysthelle «Ce li ho, 15 anche 20, non c'è...25» «Ok, due da 15...» Eric, accerta la polizia, è un piccolo spacciatore che Marysthelle frequenta con una certa assiduità, come s'intuisce da una telefonata del primo ottobre in cui il nordafricano propone «una quindici», da ritirare al solito posto, Cascina Gobba. E se non c'è Eric, c'è qualcun altro, un amico «latinos» che fa addirittura servizio a domicilio. Marysthelle chiede: «Portami qualcosa di buono». «Di cosa?» «Tu sai già». «Maria?» «Sì». Eppure, nonostante tutto questo commercio che forse Papi non approverebbe, visto che la sua maggioranza ha sempre avuto un atteggiamento molto repressivo verso la droga, nonostante i fidanzati spacciatori, nonostante il passato poco limpido di cui Emilio Fede conosce i retroscena, Marysthelle è sempre nel 259
cuore del Cavaliere. Che la perdona e, anzi, la raccomanda. Al prefetto di Milano, naturalmente, quello che fa i ricorsi a sé stesso quando prende una multa per aver parcheggiato la macchina nei posti riservati agli invalidi. Come raccontano divertite le cronache milanesi dei giornali del tre marzo. Un parcheggio in Prefettura «Pronto?» «Qui palazzo Grazioli, buonasera è la signora Marysthelle?» «Chi èèèè?? Ah, si ciao, buonasera» «Buonasera, io le dovrei dare il numero di telefono del prefetto Lombardi.» «Perfetto, ok, aspetti un attimo che me lo devo segnare» «Certo, certo...» «Scusa un momento..» «Sì, tranquillamente.» «Mi dica» «02...» «Perfetto... si chiama lui?» «Prefetto Lombardi.» «Come Lombardia senza a.» «Sì, sì, sì...» Sono le tre e mezzo del pomeriggio del 4 dicembre quando una voce gentile della segreteria della Presidenza del Consiglio chiama Marysthelle Polanco. Lei non è affatto intimidita, anzi, lo aspettava da un po'. Perché è straniera, dominicana e anche se ogni tanto la si può vedere in televisione, è pur sempre un'extracomunitaria. Lei però ha bisogno di un passaporto e come tutti sanno, le leggi sui cittadini che non appartengono all'Europa non sono né facili né tenere nel nostro Paese. E nemmeno comode. Ad esempio quando c'è da rinnovare un permesso di soggiorno e bisogna mettersi in fila nel cuore della 260
Sodoma notte davanti alla Questura. Oppure quando si vorrebbe essere assunti come colf o badanti e bisogna riempire moduli e sperare nella fortuna delle estrazioni telematiche periodiche. Figuriamoci ottenere un passaporto. Se poi, putacaso, hai avuto rapporti con qualcuno che ha passato dei guai con la giustizia, allora diventa tutto più complicato. È possibile perfino che ti arrivi un foglio di via, senza tante spiegazioni. Basta che lo decida il prefetto. E non c'è giudice che tenga perché si tratta di un provvedimento amministrativo, appellabile davanti al Tribunale amministrativo regionale che di solito si prende i suoi tempi, mesi... E intanto.... Se non hai i documenti e ti fermano per strada, e non puoi giustificare la tua dimenticanza, oppure hai una spiegazione ma nessuno ti crede, può finire che ti portino fino al centro degli immigrati di via Corelli, una specie di prigione alla periferia della città dove non puoi avere contatti con l'esterno e capita di aspettare settimane prima che decidano cosa fare di te. È dura la vita dell'immigrato in Italia. Così ha stabilito il Governo, con una legge che porta il nome del Ministro degli Interni, l'onorevole della Lega Roberto Maroni. Può piacere o non piacere ma questa è la democrazia, una maggioranza decide, la minoranza si adegua. Marysthelle Polanco però non sa nulla di tutto ciò, non è un suo problema. Lei si sente una star e soprattutto è intima amica dell'uomo più potente d'Italia. Il politico cui basta una telefonata per liberare fanciulle dalle questure, andare in televisione e cambiare le leggi. Dunque, con il numero magico fornito gentilmente dalla Segreteria della Presidenza del Consiglio, Marysthelle adesso può fare ciò che ai comuni mortali, soprattutto se hanno la pelle scura, non è concesso nemmeno pensare. «Pronto?» «Sì, buongiorno sono la signora Garda, è possibile parlare col prefetto Lombardi?» 261
«Chi parla, mi perdoni?» «La signora Garcia». «Ma è una cosa urgente signora, le chiedo scusa...» «Sì». «Ma di cosa si tratta? Posso esserle d'aiuto?» «È privato signora, non lo so, vorrei parlare con lui...» «Eh guardi, il prefetto in questo momento purtroppo è impegnato e non posso passare telefonate, se vuole magari anticipare a me di che cosa si tratta... Lei è la signora Garcia, da dove?» «Eh...niente, io lo chiamerò perchè devo parlare con lui personalemnte, mi ha dato questo numero...» «Sì ma da parte di chi, le hanno dato questo riferimento?» «Non le posso dire signora, non so, devo parlare con lui direttamente, non so...» «No, no, io questo l'ho capito, no ho capito che lei vuole parlare col prefetto, le chiedo: questo numero a lei chi l'ha dato?» «Allora io chiamo da parte del presidente Berlusconi, non so se era giusto dirlo a lei...» «No no signora, me lo deve dire perché ovviamente io ho avuto questo input ma... se lei non mi diceva questo... lei è la signora Garcia? scritto proprio Garcia?» «Sì sì.» «Mi può attendere solo un attimo? Grazie.» Passano cinque secondi. «Pronto sono Lombardi.» «Buongiorno".» «Buongiorno signora, come sta?» «Bene, e lei?» «Bene, bene, come posso esserle utile?» «Niente allora, e lei mi ha chiamato ieri, come le ho detto alla signora prima, mi ha detto se potevo prendere un appuntamento con lei.» «Sì, va bene, quando vuole.» 262
Sodoma «Allora, io sono a Roma domani perché devo fare un programma, poi io torno mercoledì sera, see è possibile anche giovedì con più calma...» «Quando vuole, ma lei deve fare una cosa semplice? Io la posso pure...per me va benissimo, giovedì va bene...Giovedì cos'è? Il 9? Va bene il 9?» «Sì, verso che ora vengo?» «Adesso guardi, se non le dispiace la faccio richiamare dalla mia...diciamo segretaria, che lei con l'agenda in mano vede quando può venire e poi ci vediamo, va bene?» «Perfetto, ok.» «Grazie, mi saluti il presidente.» Ma certo, non mancherà, la cara Marysthelle. Visto come sono gentili in Italia? Basta una telefonata. Intendiamoci:' lo fanno in molti. E un vecchio vizio italico quello della raccomandazione: chi conosce, può e ne approfitta. Ma Lombardi ci mette qualcosa di suo, un tocco in più di premura, una voce cordiale, un ringraziamento sollecito. Un ospite perfetto il prefetto. Dopo cinque minuti la sua segretaria sta già richiamando. «È la signora Garcia?» «Sì.» «Buongiorno signora, sono la segretaria del prefetto Lombardi.» «Ok, scusi, ho un po' di mal di gola, ho giù la voce.» «Ah, mi spiace, si figuri. Il prefetto mi diceva di verificare con lei l'orario per l'incontro di giovedì pomeriggio, ho capito bene?» «Va bene giovedì pomeriggio. Verso che ora?» «Ma mi dica lei quando è più comoda...» «Anche le tre, quattro.» «Per me è lo stesso signora, come desidera, facciamo le quattro?» 263
«Va bene allora giovedì per le quattro allora. Via?» «Corso Monforte.» «Ok. Quando vengo lì cosa devo dire?» «Dire che ha un appuntamento col prefetto. Lei sarà negli impegni e quindi potrà salire al primo piano.» «Ok, grazie mille.» «Grazie a lei.» Chi l'avrebbe mai detto? Basta chiamare la segreteria del prefetto e subito s può prendere un appuntamento, per il giorno e l'ora più comoda. Funzionassero tutte così le istituzioni in Italia. Altro che la Svizzera o la Germania. Dalla Prefettura di Milano bisognerebbe prendere esempio. Marysthelle non sta più nella pelle, telefona a sua madre il 6 dicembre. Bisognerà pure che qualcuno sappia come sono gentili da queste parti. «Ho una cosa da dirti.. .giovedì ho un appuntamento in cui ci daranno il passaporto italiano a me e alla bambina...Sicuramente in due settimane ce li daranno...» La mamma è contenta, le fa i complimenti. La Polanco le spiega la procedura: non si sa mai, un giorno potrebbe capitare anche ad altri di avere bisogno di un passaporto. «Prima ho chiamato il prefetto, quello che rilascia i passaporti...senza di lui...sai, non c'è nessuno più forte di lui. L'ho chiamato e mi ha dato un appuntamento per giovedì....Mi ha dato il suo numero, tu sai già chi...» Quattro giorni dopo Mareysthelle la richiama, già si sente italiana: «Grazie a Dio, adesso mi stanno facendo "quello"...e niente, devo soltanto aspettare». Ma forse si illude un po' troppo in fretta. Purtroppo, davanti ai regolamenti nemmeno le raccomandazioni più altolocate possono qualcosa. Non sempre, per lo meno. Il 17 dicembre la chiama direttamente il prefetto Lombardi. «Come sta?» «Bene, lei?» 264
Sodoma «Bene bene, senta io ho fatto fare le verifiche e purtroppo non ci sono i dieci anni eh?» «No?» Peccato, fosse arrivata un po' prima in Italia, magari Marysthelle avrebbe maturato persino i dieci anni di permanenza necessari per poter provare a chiedere la cittadinanza. Il prefetto è contrito, non ci voleva, promette che farà altre verifiche. Come si può soddisfare il desidero dell'affranta Papi girl's? Lombardi è un gentiluomo, si da da fare. Magari un modo si trova. La richiama il 10 gennaio. Un'altra ferale notizia: «Purtroppo nei documenti non c'è questa continuità, hai capito?» Intanto è già passato al tu. Si diventa intimi in fretta in Prefettura. E Lombardi non è tipo da arrendersi alle prime difficoltà. Decidono di incontrarsi. Il 13 gennaio, un giorno prima delle perquisizioni ordinate dalla Procura, la Polanco chiama la segretaria di Lombardi: «Buongiorno sono la signora Garcia e volevo avvisare il prefetto che sto arrivando, che sono a cinque minuti da Porta Venezia, ho un appuntamento all'una». Due minuti dopo è la segretaria a richiamare: «Signora Garcia, le chiedo scusa per la voce, il prefetto mi diceva.. .Lei lo sa che può entrare in macchina? Non perda tempo a cercare parcheggio, può entrare in Prefettura con la sua autovettura». La Polanco è riconoscente: «Ah, grazie mille, perchè si, sono accompagnata da una persona, perfetto grazie mille». «Eh può entrare, può entrare.» Ormai è un'amicizia vera. Infatti il 17 gennaio, quando ormai sui giornali è stato scritto di tutto, dalla Prefettura richiamano la signora Garcia: «Sono la segretaria del prefetto, mi scusi se la disturbo.» «Sì?» «Volevo fissare l'appuntamento per incontrare il prefetto domani, lei ha chiesto d'incontrarlo domani.» «Ok, va bene.» 265
«Mi dica, le può andar bene verso le dodici e trenta, tredici, o preferisce più tardi...» «Pomeriggio.» «Il pomeriggio, allora non so, vogliamo fare verso le 18,30?» «18,30, per me va bene.» «Perfetto, allora l'aspettiamo... lei lo sa che può entrare in macchina vero? Per gli impegni del prefetto tutti entrano in macchina, va bene?» «Grazie mille.» Un parcheggio in Prefettura, il sogno di tutti i milanesi. 266
TERZA PARTE Immagine
21. SPAZZATURA MEDIATICA «Le violazioni di legge commesse in queste indagini, sono talmente tante e talmente incredibili che non posso raccontarvele.» Silvio Berlusconi, messaggio ai promotori della libertà del 19 gennaio 2011 L'uomo gonfio e con i capelli tinti che compare in televisione la sera del 14 gennaio 2010 mentre gli italiani si siedono a cena, ha un volto alterato, teso, stanco. Però si sforza di sorridere: «Cari amici e care amiche...», comincia con fare affabile. Ma non c'è nulla di amichevole in questo esordio. Succede che quella mattina, un centinaio di poliziotti si sono presentati nelle abitazioni di una quindicina di ragazze, alcune note altre meno ma tutte di una bellezza artificiale, esibendo un ordine di perquisizione firmato da tre pm della Procura di Milano. E la sera prima, proprio nel giorno in cui la Corte Costituzionale ha bocciato l'ennesima legge ad personam sul legittimo impedimento, un ispettore di polizia si è fatto ricevere a Palazzo Grazioli con in mano un invito a comparire per il presidente del Consiglio lungo ben 389 pagine. Ma quelle che bruciano di più, sono all'inizio. Dove si leggono i pesantissimi capi d'imputazione: concussione e prostituzione minorile. Raccontano una storia che i giornali hanno iniziato a scri269
vere dal 26 ottobre, con un articolo comparso in taglio basso sulla prima pagina del nuovo giornale «Il Fatto Quotidiano», diretto da Antonio Padellaro ma soprattutto firmato da Marco Travaglio, il Robespierre del giornalismo italiano. Non è un titolo sparato quello che accompagna il richiamo dell'articolo nelle pagine interne, è soltanto poco più di un francobollo. Il pezzo, schiacciato in seconda pagina, è firmato da Gianni Barbacetto, uno dei cronisti di punta della testata nata appena un anno prima. Il titolo, in un giornale dove tutto è gridata, stranamente è cauto: «Una ragazza accusa B. Verità o solo ricatto?» Premesso che «B.», per gli smaliziati lettori del «Fatto», è la sigla del Caimano, alias Berlusconi, che cosa insinua l'articolo? Che c'è una ragazza «chiamiamola Ruby» potenziale ricattatrice del primo ministro. Non solo: richiama alla memoria le trasgressioni del premier, e cioè le sue feste in Sardegna a Villa Certosa, le sue «sorprese» ai compleanni delle diciottenni, le escort baresi, il «lettone» di Putin, la tremenda lettera di Veronica Lario nel maggio del 2009 quando parla di «vergini che si offrono al Drago» (celebre la battuta della showgirl Simona Ventura, «si parla sempre del drago, eppure non vedo le vergini»...). L'articolo è breve, una cinquantina di righe ma già anticipa i temi di un'inchiesta che silenziosamente e nel massimo segreto si sta muovendo dall'estate precedente. Si capisce subito che sarà un cataclisma. Due giorni dopo, infatti, tutte le testate nazionali rilanceranno lo scandalo aggiungendo i primi particolari scabrósi del bunga bunga e il clamoroso coinvolgimento di Emilio Fede, Lele Mora, Nicole Minetti. Il primo pensiero che viene in mente alla gente è «papi ci è ricascato». Ma subito ci si accorge che non è solo così: c'è di mezzo un'immigrata minorenne e un giro di escort d'alto bordo, alcune direttamente mantenute dal presidente del Consiglio. Il colpo è da kappaò. Ma Berlusconi è uno che sa incassare e, soprattutto, sa reagire. E negare. Il 29 ottobre, approfit270
Sodoma tando di una visita all'inceneritore di Acerra, si rivolge ad un insolito codazzo di tv e reporter: «Sono una persona di cuore e aiuto chi ha bisogno», dice con tono indignato, «Non ho mai commesso nulla d'illecito. Tutto ciò è spazzatura mediatica», conclude, consegnando ai giornalisti il titolo del giorno dopo. Bisogna dare atto a Berlusconi che ha sempre la battuta buona nel luogo giusto. Lo hanno ricoperto di munnezza, e lui, guarda caso, è nel luogo al centro di furibonde polemiche. Aveva promesso di far sparire i rifiuti, invece, dopo la parentesi elettorale, la munnezza è tornata, e si accumula più di prima tra le strade di Napoli. I miasmi partenopei risalgono la Penisola, ammorbano l'aria di un Paese già avvelenato dai litigi della politica: ma la spessa nube che avvolge la villa di Arcore è il risultato di una sporcizia assai diversa. E per spazzarla via, cosa di meglio se non le sue televisioni? Lo slogan è quello lanciato ad Acerra, rimbalza nei tiggì, tra i talk show più allineati, o nei programmi pomeridiani. Tutta questa mobilitazione, per dimostrare come le ricostruzioni, ancora monche, dei giornali, sono frutto di fantasie e di ignobili gossip. Il «Giornale» di famiglia, si limita il 28 ottobre a un titoletto marginale, in fondo alla prima pagina: Il Cav.: vogliono incastrarmi con un altro caso Noemi. Il giorno dopo, lo stesso quotidiano rilancia lo scabroso argomento, spostando l'obiettivo dal Cavaliere ai magistrati: «Otto procure a caccia di Berlusconi», è il grido a caratteri cubitali; la foto a centro pagina riporta un'immagine di Ruby tratta da Facebook, volutamente scelta tra le più discinte: lei, stretta in reggiseno che poco nasconde, con le labbra rosse e carnose, da femmina trita maschi. Bunga bunga basta, è il titolo. Sommario: «Nuovo gossip sessuale contro il Cavaliere. Lui: spazzatura». Ma è fumo negli occhi. Però non basta. Il fumo si dirada ben presto. A soffiarlo via, voci, indiscrezioni, interviste. Le scarne informazioni, paradossalmente, accrescono l'attenzione morbosa dei media che non 271
sono schierati con Berlusconi. L'unico che resta blindato, impermeabile alle fughe di notizie, è il Palazzo di Giustizia milanese. Pochi segnali arrivano dalla Procura, salvo uno: si lavora nel massimo riserbo per assicurare alle persone coinvolte dall'inchiesta tutte le garanzie possibili che la Costituzione prevede. E un impegno grave. Che cosa nasconde? La vicenda di Ruby diventa la metafora di una parabola politica che qualcuno, magari frettolosamente, voleva archiviare. L'attesa è spasmodica: si aspetta da un giorno all'altro qualche decisione da parte della Procura. Nessuno viene a sapere che il 21 dicembre, alla vigilia di Natale, Berlusconi è stato iscritto sul segretissimo registro degli indagati. Nel frattempo, l'inchiesta sembra essersi di nuovo inabissata. Il Cavaliere è prudente, disorientato. I suoi avvocati non hanno spazi di manovra, sono costretti a rispettare i tempi scanditi dal Procuratore Edmondo Bruti Liberati che agli inizi di novembre si era un po' esposto, dichiarando che in Questura non c'era stata alcuna «irregolarità procedurale». Parole che erano state accolte con «soddisfazione» dal ministro degli Interni, Roberto Maroni e che per il legale del premier, Niccolò Ghedini, «chiudono definitivamente ogni speculazione sulla vicenda della telefonata che quindi non ha avuto influenza alcuna sulle autonome e impeccabili decisioni della Questura». Anche Ghedini commette una piccola imprudenza: «Aveva ragione il presidente Berlusconi ad affermare che si trattava di una tempesta di carta, ma non è così». Però quest'atmosfera di relativa soddisfazione da parte degli uomini del presidente, dura poco. Dopo le feste di Natale e Capodanno, e neanche ventiquattro ore dopo la decisione della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento, piomba a ciel sereno l'invito a comparire diretto a Berlusconi. Un funzionario di polizia giudiziaria parte alla volta di Roma nel tardo pomeriggio del 13 gennaio. La consegna formale è del mat272
Sodoma tino successivo, il 14 gennaio. È un documento che non lascia molto spazio alla fantasia. Tutte le ipotesi, le illazioni e le dicerie pigliano forma in un ponderoso atto giudiziario in cui la storia è ricostruita nei minimi dettagli, e l'impalcatura dell'inchiesta è sorretta dai tabulati telefonici e dalle intercettazioni. Non c'è scampo. Non ci sono teoremi giudiziari, o i «non poteva non sapere» che caratterizzarono le difese pelose dell'epoca di Mani Pulite. No, questa volta i riscontri sono tecnologici. Svelano luoghi, appuntamenti, accordi, pagamenti, richieste, speranze, delusioni. È la mappa di uno scandalo di cui molti conoscevano qualche quadrante, e che adesso è completa. Ciò che si legge nelle 389 pagine dell'invito a comparire spedito a Berlusconi, è quanto di più sconcertante possa capitare di sapere su un personaggio pubblico che ha ricevuto il mandato di rappresentare un intero Paese, con «disciplina ed onore», prestando giuramento come prevede l'articolo 54 della Costituzione. E per Berlusconi, d'improvviso, le cose si complicano. Non solo sul piano interno, ma anche su quello internazionale: ha perso la faccia, e forse la legittimità. La sua eterna sfida con la Giustizia, questa volta è ardua, anche per uno come lui. Perché l'inchiesta ha una struttura lineare e reati semplici, accuse dirette, comprensibili a tutti e che richiedono risposte altrettanto semplici e dirette. Risposte che il presidente del Consiglio non può e non vuole dare. Dunque, per la prima volta, è il Grande Comunicatore che non trova le parole giuste. Ogni suo intervento, invece di chiarire, complica, o, perlomeno, elude. Del resto, l'atto d'accusa non si presta a tante interpretazioni. Basta scorrere le prime righe dell'invito a comparire che i magistrati gli hanno inviato la sera del 13 gennaio 2010, soppesando ogni parola, senza lasciare spazio a nessuna suggestione o superflua ridondanza: «[Silvio Berlusconi]...abusando della sua qualità di presidente 273
del Consiglio dei Ministri, la notte tra il 27 e il 28.05.2010, avendo appreso che la minore El Mahroug Karima - da lui in precedenza frequentata - era stata fermata e condotta presso la Questura di Milano, si metteva in contatto con il Capo di Gabinetto del Questore, dr. Pietro Ostuni e rappresentandogli che tale ragazza minorenne, di origine nord africana, gli era stata segnalata come nipote di Mubarak, (circostanza peraltro palesemente falsa), lo sollecitava ad accelerare le procedure per il suo rilascio, aggiungendo che il consigliere regionale Nicole Minetti si sarebbe fatta carico del suo affido e, quindi, induceva il dr. Pietro Ostuni a dare disposizioni alla dr.ssa Giorgia Iafrate, (funzionarla della Questura di Milano e quella notte di turno) affinché la citata minore El Mahroug Karima (nata in Marocco il 1.11.1992 e denunciata per furto in data 27.5.10 da Pasquino Caterina), venisse affidata a Minetti Nicole, così sottraendola al controllo e alla vigilanza delle autorità preposte alla tutela dei minori, in contrasto con le disposizioni al riguardo impartite dal PM di turno». È un testo che non si presta a fraintendimenti. Eloquente, ed essenziale, come lo sono tutte le brevi dichiarazioni del Procuratore Edmondo Bruti Liberati, «al fine di una puntuale informazione e nel rispetto del principio costituzionale di non colpevolezza», come dirà l'8 febbraio del 2011, e come ripeterà nei cinque comunicati che hanno accompagnato l'evoluzione dell'inchiesta. La reazione di Berlusconi è abbastanza prevedibile. Ricorre al suo scudo stellare: quello parabolico di Mediaset e della Rai. Organizza le truppe della sua difesa. Riarma la macchina del consenso. Vuole disinnescare la bomba Ruby. Se si analizzano le prime mosse del premier, scopriamo una sventagliata di monologhi televisivi a tutto raggio. Comincia subito, lo stesso giorno deU'invito a comparire, il 14 gennaio. E poi, altre quattro volte esterna la sua rabbia: il 16, il 19, il 28 gennaio e il 6 274
Sodoma febbraio. Parla complessivamente per quasi tre ore: un vizio pure questo. Dal 2001 al 6 febbraio, data dell'ultimo intervento, Berlusconi si è dimostrato l'indiscusso campione della parola nostrana, invadendo il piccolo schermo per lOmila minuti, oltre 166 ore di messaggi, comizi, telefonate (le ultime, all' Infedele di Gad Lerner e a Ballare di Giovanni Floris). Il record, guarda caso, lo batte nel gennaio del 2011: per ribattere alle accuse dei pm di Milano, passa 160 minuti in tv, mentre la sua media mensile è di 85. Eppure, nonostante la sua fluviale affabulazione, non dirà una sola parola sul perché contrabbandò, ad esempio, la minorenne Ruby Rubacuori come nipote del presidente egiziano Mubarak, o sul perché pagò le sue giovani amiche con centinaia di migliaia di euro in nero, appartamenti in comodato d'uso, prestiti infruttiferi, automobili, gioielli. A nulla di tutto ciò alluderà nel suo primo ed accorato messaggio, in cui si dilunga sulla «persecuzione» dei giudici, refrain della sua dialettica populista: «Essendo io considerato da parte della sinistra e dei suoi giudici, un ostacolo insuperabile e quindi da eliminare con ogni mezzo...» ribadirà ai suoi telespettatori che però, per la prima volta, non sono tanti come quelli che sperava fossero. Non resiste alla tentazione di sdrammatizzare la situazione, buttandola sul ridere, riducendo l'inchiesta dei magistrati a trama da barzelletta. «Mi aspettavo francamente che dopo la sentenza della Corte, per ricominciare attendessero almeno una settimana. Invece i Pm di Milano non hanno resistito e la sera stessa mi hanno mandato il loro biglietto di auguri per il nuovo anno e per l'occasione si sono inventati il reato di "cena privata in casa del presidente". Ho dedotto che sono invidiosi e mi fanno i dispetti per non essere stati invitati anche loro.» In verità, ad inventarsi il reato di cena privata è lo stesso Berlusconi, ma lui confida sul fatto che chi lo sta ascoltando non ha letto il testo 275
dell'invito a comparire. Anche perché non circola nemmeno nelle redazioni dei quotidiani. Per questo, si può permettere di manipolare la realtà a suo piacimento. In America, se un leader politico mente, è costretto a dimettersi. In Italia, invece, succede il contrario: consolida il suo potere. Ma due giorni dopo, il 16 gennaio, Berlusconi in tv aggiunge aggressività e controaccusa: denuncia la violazione della sua privacy, a casa sua, è il succo del suo discorso, ognuno è libero di fare quello che vuole. Basta coi bacchettoni e i moralisti. Perché ha cambiato in modo così radicale il suo atteggiamento? Quel giorno, nelle redazioni, le carte del provvedimento giudiziario iniziano a circolare. La Procura era stata costretta a presentare una richiesta di autorizzazione a procedere presso la commissione parlamentare per procedere alla perquisizione dell'ufficio di Spinelli, il contabile del Cavaliere, a Milano Due. E il documento della Procura, una volta arrivato nelle mani dei parlamentari di ogni schieramento, erano facilmente scivolate in quelle dei giornalisti. E quelle carte erano assai più eloquenti e ghiotte, giornalisticamente parlando, delle fiacche chiacchiere televisive del presidente. L'invito a comparire è una miniera di informazioni, e di sbalorditive intercettazioni. Rivelavano la sconcertante doppia vita di Berlusconi. Di giorno nelle vesti di primo ministro, la notte nella vestaglia del «Drago» con le sue vergini. Berlusconi è furioso: non solo per l'umiliazione dell'invito a comparire, accusato di avere avuto rapporti con una prostituta minorenne; ma perchè si sente svergognato pubblicamente. Sui giornali, infatti, è una sagra di commenti ingenerosi, tratti dalle intercettazioni delle sue «favorite» che non lo risparmiano: «Un vecchio di merda», «ha il culo flaccido», «è la nostra fonte di lucro», «è diventato pure brutto, deve solo sganciare...» Non bastasse, ha scoperto che perfino l'uomo che considerava più amico, l'immarcescibile Emilio Fede, ha pro276
Sodoma vato a truffarlo insieme a Lele Mora.facendo la cresta su un finanziamento di un milione e 400mila euro, destinato all'impresario di starlettes. «È gravissimo, è inaccettabile», ripete più volte, troncando qualsiasi accenno alle sue disavventure giudiziarie. Non accetta contradditorio, attacca a muso duro i Pm, denunciando «schedature dei miei ospiti nella casa di Arcore». Non riesce a darsi pace del perché l'inchiesta non sia stata trasferita «entro 15 giorni» al Tribunale dei Ministri. Riassume le accuse definendole «totalmente infondate e addirittura risibili». La concussione, dice, è negata dal poliziotto che sarebbe stato concusso «da una mia telefonata» e «la persona minorenne nega di aver mai avuto avances né tantomeno rapporti sessuali e afferma di essersi presentata a tutti come ventiquattrenne», la rabbia e l'orgoglio di Berlusconi si traducono in una resa dei conti fra il premier e il Palazzo di Giustizia di Milano. Un vicolo cieco, scrive il «Corriere della Sera» del 18 gennaio, perché «sulla scia dell'inchiesta giudiziaria che riguarda la vita intima del presidente del Consiglio può instaurarsi un equilibrio di fatto fondato sulla paralisi». Ossia, la politica del Paese annichilita dalle vicende personali del suo premier. Ma il Cavaliere non intende cambiare rotta. Anzi, è più che mai determinato allo scontro. Il 19 gennaio interviene per denunciare «le violazioni di legge commesse in queste indagini, talmente tante e talmente incredibili che non posso raccontarvele».Un paio di cose però le butta lì: «Pensate, la mia casa di Arcore è stata sottoposta a un continuo monitoraggio che dura dal gennaio 2010 per controllare tutte le persone che entravano e uscivano e per quanto tempo vi rimanevano». Il problema è che ancora una volta, Berlusconi mente: mai nessuno ha monitorato la villa di Arcore, piuttosto sono stati eseguiti dei controlli, a ritroso, sulle celle telefoniche delle sue frequentatrici per stabilire se davvero, come avevano raccon277
tato a verbale alcune di loro, si trovavano lì in quel momento. Un controllo, come si dice in questi casi, «a garanzia dell'indagato». È evidente a tutti che Berlusconi ha paura di questa inchiesta e se ne vuole sottrarre, con qualsiasi mezzo. L'opinione pubblica è disorientata. Al quarto messaggio, il 28 gennaio, lo share dei Tg che trasmettono integralmente il suo messaggio, comincia a sgretolarsi. Berlusconi finge il contrario, rivendica la vittoria: «Ebbene ancora una volta questa offensiva è stata e sarà respinta». Poi, annuncia il suo programma per la riforma della giustizia, sventolando di nuovo la minaccia della legge bavaglio sulle intercettazioni: «Non è un paese libero quello che in cui quando si alza il telefono non si è sicuri della inviolabilità delle proprie conversazioni. Non è un paese libero quello in cui un cittadino può trovare sui giornali delle proprie conversazioni che fanno parte del proprio privato e che non hanno nessun contenuto penalmente rilevante. Non è un paese libero quello in cui una casta di privilegiati può commettere ogni abuso a danno di altri cittadini senza mai doverne rendere conto. È giunto il momento di ristabilire una reale separazione e un corretto equilibrio tra i poteri e gli ordini dello Stato». È un proclama. Le opposizioni sono allarmate, temono il pericolo di una destabilizzazione dello Stato di diritto, e una deriva illiberale. Poiché non ha argomenti validi per confutare le ipotesi di reato, o gli abusi di potere, Berlusconi sposta il tiro della sua artiglieria sulla politica. Ha avviato una poderosa campagna di arruolamento dei parlamentari, conta di rafforzare la sua maggioranza litigiosa e ondivaga, pretende la massima lealtà per fare quadrato contro la magistratura che osa indagarlo e che vuole giudicarlo. È una strategia che sul fronte giudiziario non paga. In un processo contano i fatti, non le parole. A rimediare, ci proveranno i suoi avvocati, gli onorevoli del Pdl Niccolò Ghedini e 278
Sodoma Piero Longo che, per tentare di arginare l'offensiva giudiziaria, attueranno la strategia del ragno. La tela del ragno Cosa fa un ragno? Tesse una tela sottile, quasi invisibile ma robusta sperando che un insetto vi rimanga intrappolato. Se l'insetto è grosso, vi gira intorno lanciando sottilissimi fili che lo invischino sempre di più. Non lo affronta mai direttamente. Aspetta. Si muove di lato, non si espone. Finché, con il suo morso velenoso, quando il nemico è stordito, lo uccide. Anche Berlusconi non ama affrontare le cose a viso aperto. Soprattutto le questioni giudiziarie. Preferisce aspettare, attaccare da lontano, creare diversivi. E i suoi avvocati lo seguono. Anche se, contrariamente a ciò che appare, non sempre approvano. Per fronteggiare le quasi 12 mila pagine raccolte dai magistrati per l'inchiesta, il collegio difensivo del Cavaliere deve allargare il proprio organico, fatto mai accaduto in precedenza, nemmeno per inchieste all'apparenza più complesse. Si arruolano perciò altri due legali da schierare in prima linea, i romani Filippo Dinacci, figlio di un ex magistrato, e Giorgio Perroni, già difensore di Cesare Previti, l'avvocato d'affari di Berlusconi (che lo nominò ministro della Difesa nel suo primo governo) condannato per la corruzione di alcuni giudici della Capitale. E poi c'è il professore e senatore Piero Longo, un duro, diventato noto nel 1986 per aver difeso Marco Furlan, uno dei due componenti della banda di estrema destra nota come «Ludwig» accusata di svariati omicidi. Ma a guidare la pattuglia rimane sempre l'algido Niccolò Ghedini, «Nosferatu», come lo chiamano a palazzo di giustizia per l'incarnato pallido e il viso scarno. Considerati il ministro ombra della giustizia e il più influente consigliere lei Cavaliere nei momenti di crisi, l'avvocato padovano di antica famiglia patrizia veneziana, è il 279
vero tessitore della tela di Berlusconi. Nello stemma araldico di famiglia campeggia un orso furioso con la spada sguainata: il simbolo di un combattente, sebbene nella realtà Ghedini sappia essere ben più moderato del suo importante cliente. Ma non è più tempo di spade o fioretti. Questa è una guerra moderna, si usano i bazooka nell'ambito di una tattica più volte sperimentata in passato: la difesa non è «nel» processo ma «dal» processo. La strategia difensiva è articolata, prevede come minimo un doppio binario: da una parte gli atti formali, i depositi di istanze e memorie, di liste testimoniali, come in un qualsiasi processo, dall'altra un'offensiva politica e mediatica verso l'intera magistratura e in particolare verso i pm di Milano che si sono occupati dell'inchiesta. Ilda Boccassini, la «nemica» storica del Cavaliere, è il primo obiettivo. L'attacco arriva il 27 gennaio 2011 con una prima pagina de «Il Giornale», il quotidiano della famiglia Berlusconi, che spara a caratteri cubitali: «Verità nascoste: amori privati della Boccassini». L' articolo riporta, grazie a un vecchio fascicolo sottratto agli archivi del Csm e di cui viene sospettato il consigliere della Lega, Matteo Brigandì, un procedimento disciplinare di trent'anni fa, per altro concluso senza alcuna conseguenza, in cui la pm antimafia era finita nel mirino per un flirt con un giornalista ex di Lotta Continua. Si controllano anche le vite private degli altri magistrati, perfino se vengono pagati correttamente gli alimenti alla moglie separata dal pm Sangermano. Si resuscitano le polemiche che avevano coinvolto il procuratore aggiunto Pietro Forno su alcuni casi di pedofilia da lui perseguiti. Nulla rimane intentato. Un gioco al massacro. Che però dà la misura di come, quando vuole, la macchina del fango sappia essere efficientissima. Si annunciano e si preparano giri di vite sulle leggi che regolano le indagini e in particolare le intercettazioni e la loro pubblica280
Sodoma zione con la minaccia del carcere per i giornalisti che se ne occupano. Un vecchio progetto di legge naufragato l'estate precedente in seguito alle proteste corali di magistratura e avvocatura e che adesso, alla luce dello scandalo Rubygate, viene riproposto velocemente in Consiglio dei Ministri e poi in Parlamento, dove nel frattempo è proseguita la campagna acquisti degli onorevoli passati con il nuovo partito Fli del presidente della Camera Gianfranco Fini. Tutto il Governo, compatto come un sol uomo, è coinvolto nella guerra contro la Procura di Milano. Il primo marzo i deputati della maggioranza si rivolgono alla Presidenza della Camera per chiedere di sollevare un conflitto di attribuzioni innanzi alla corte Costituzionale avverso alla Procura: l'obiettivo è trasferire le competenze dell'inchiesta al Tribunale dei Ministri, cioè non a un collegio giudicante speciale come potrebbe suggerire il nome, ma, come indica la legge del 1989, a dei magistrati sorteggiati nel distretto di appartenenza, in questo caso Milano che, alla fine della loro indagine, trasmettano gli atti al Parlamento, dove Berlusconi controlla la maggioranza, per chiedere un'eventuale autorizzazione a procedere. Ben 315 onorevoli nelle settimane precedenti, hanno già firmato una deliberazione ufficiale nella quale hanno attestato come «evidente» jl fatto che nel telefonare sette volte di notte alla Questura di Milano per liberare Ruby «il presidente del Consiglio abbia voluto tutelare il prestigio e le relazioni internazionali dell'Italia, giacché presso la medesima Questura era detenuta, a quanto poteva legittimamente risultargli, la nipote di un Capo di Stato estero». Il primo a sostenere questa tesi era stato il deputato del Pdl, Maurizio Paniz, avvocato di Belluno, la cui relazione di maggioranza aveva permesso alla Giunta per le Autorizzazioni a Procedere della Camera di rispedire gli atti della perquisizione nell'ufficio di Spinelli alla Procura giudicandoli «irricevibili». All'onorevole Pa281
niz sembra «evidente - come si legge nel resoconto parlamentare - che nel contattare la Questura di Milano il presidente abbia voluto tutelare il prestigio dell'Italia, giacché presso la medesima Questura era detenuta, a quanto poteva legittimamente risultargli, la nipote di un Capo estero». Omette, il buon Paniz, di spiegare come mai l'ipotetica nipotina di Mubarak venne infine affidata nelle mani di una escort brasiliana e non in quelle, più sicure, di qualche diplomatico egiziano. Come si spiega? Non si spiega, semplicemente. O meglio, Berlusconi il 28 gennaio in televisione, si giustifica così: «La mia vita d'imprenditore mi ha insegnato quanto sia difficile affermarsi per una persona giovane, soprattutto agli inizi, perciò, quando posso, cerco di aiutare chi ha bisogno». Un impulso di generosità, ecco tutto. Se poi ci scappa anche di salvaguardare il prestigio dell'Italia, con l'aiuto di una prostituta, tanto meglio. È un impressionante fuoco di sbarramento. Il ministro degli Esteri Franco Frattini, il 10 febbraio, annuncia che il premier potrebbe perfino ricorrere alla Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo contro quella che secondo lui è una sicura violazione della sua privacy. E subito il Guardasigilli Angelino Alfano, che l'8 febbraio trova il tempo di partecipare anche ai consigli di guerra tra il premier e i suoi avvocati, si precipita a garantire che «il ministro degli esteri parla sempre ponderando le parole e quindi, se lo ha detto, c'è da credergli». Dimenticano i due ministri soltanto un piccolo dettaglio, cioè che a Strasburgo un cittadino si può rivolgere solo quando abbia esaurito tutti i possibili ricorsi messi a disposizione dall'ordinamento giudiziario del proprio Paese. Il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, tra un talk show e l'altro, denuncia che Berlusconi è rimasto vittima di ben «117mila intercettazioni», senza rendersi conto che il numero è pari a quello di tutte le intercettazioni di tutte le inchieste in tutta Italia e per tutto l'anno, il cui costo è stato pari a 180 milioni di euro. Mentre, nell'indagine su 282
Sodoma Ruby, sono state ascoltate a tratti non più di un centinaio di utenze intestate a una quarantina di persone, per un costo complessivo di 26mila euro. Scompare invece il Ministro degli Interni, Roberto Maroni, che, dopo aver garantito a novembre in Parlamento la regolarità della procedura nell'affido di Ruby alla consigliere regionale Nicole Minetti, smentito dalle carte delle indagini non trova più voce nemmeno per commentare come mai l'attuale prefetto ed ex questore Vincenzo Indolfi abbia dato per scontato che il presidente del Consiglio avesse potuto raccontare «una balla» ai suoi funzionari; oppure perché mai il prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi abbia accolto la raccomandazione per una delle più vivaci animatrici delle serate di Arcore, Marysthelle Polanco, ricevendola in Prefettura con tutti gli onori, nonostante appena pochi mesi prima il suo fidanzato fosse stato arrestato con 12 chili di droga in cantina. L'escalation delle reazioni del presidente del Consiglio è inversamente proporzionale alla impotenza legislativa in cui lo pone il rischio di un processo per concussione e prostituzione minorile che nonostante l'incredibile sbarramento politico, viene fissato dal giudice delle indagini preliminari per aprile: le norme sul processo breve, se pur venissero approvate all'istante, confinando il procedimento in un recinto di non più di due anni, non riuscirebbero a neutralizzarlo; fulminei decreti anti intercettazioni non ne azzererebbero le prove. La reintroduzione dell'immunità parlamentare comporterebbe troppa attesa. Perfino il conflitto di attribuzione che, in un macroscopico conflitto d'interessi, verrebbe sollevato dalla maggioranza a favore dell'inquilino di Palazzo Chigi, non fermerebbe la procedura avviata dal tribunale milanese. Infine, viene presa in considerazione anche la possibilità di agire con una una dichiarazione della Camera per 1' «improcedibilità» del processo. Un'idea che viene messa allo studio durante una riunione ad Arcore il 21 febbraio 283
e che dovrebbe fornire maggiori garanzie rispetto a un conflitto costituzionale il quale, oltre a non impedire lo svolgimento del processo in attesa di una pronuncia della Corte costituzionale, potrebbe persino essere dichiarato «irricevibile» dall'Alta Corte. La questione dell'improcedibiUtà invece si rivelerebbe l'arnia vincente perché, promossa dalla maggioranza, diverrebbe una decisione insindacabile del Parlamento sul fatto che l'inquisito, in questo caso Berlusconi, per la sua telefonata in Questura avrebbe agito «per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante, ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di governo». Sottintendendo dunque che avrebbe agito in buona fede quando rifilò al capo di Gabinetto della Questura Piero Ostuni «la balla» della «nipote di Mubarak». In pratica un atto di forza che supererebbe, al momento ogni questione giuridica sulla telefonata del premier rallentando, se non sospendendo del tutto, la marcia inarrestabile del giudizio immediato essendo la valutazione dell'organo parlamentare incontestabile sia sotto il profilo formale sia per quello sostanziale in base alla legge costituzionale del 1989, in attuazione dell'articolo 96 della Costituzione. In questo modo insomma, toccherebbe al Tribunale giocare in difesa. Perché se i giudici, come appare scontato, dovessero decidere di respingere il «diktat» parlamentare, si vedrebbero costretti a loro volta a sollevare un conflitto di attribuzione. Insomma, un pasticcio. Nonché un bombardamento massiccio, con costi spaventosi, a ciò che rimane della credibilità delle istituzioni del Paese. Per questo, quando inizia a farsi strada quest'ultima possibilità, il 20 febbraio il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sente il dovere d'intervenire dal Colle: «Quello a Berlusconi sarà un processo che si svolgerà e si concluderà secondo giustizia». La risposta di Berlusconi non si fa attendere: «A giorni il varo della mia riforma: in carcere chi passa le intercettazioni». 286
1 Dimentica, il premier, che proprio a lui, la sera della vigilia di Natale del 2005 ricevette ad Arcore il famoso file dell'intercettazione tra l'ex segretario dei Democratici di Sinistra, Piero Fassino e l'allora presidente di Unipol, Gianni Consorte. Una telefonata senza alcun rilievo penale ma politicamente pesante, non ancora valutata nemmeno dai pubblici ministeri dell'inchiesta Antonveneta. Il file, sottratto illegalmente da Roberto Raffaelli, amministratore delegato della società cui era stato affidato il compito d'intercettare i telefoni, e fatto ascoltare in anteprima a Berlusconi nella sua villa, fu poi pubblicato il 31 dicembre in prima pagina da «Il Giornale». L'unica vera pubblicazione illegale di un'intercettazione nella storia giudiziaria. Ma la memoria è corta e il gioco è diventato pesante: ogni colpo basso è valido pur di non affrontare il giudizio immediato per Ruby «la pazza». I legali, per dare una veste formale alla partita che si gioca ben lontano dai corridoi di Palazzo di Giustizia, produrranno nel frattempo, sotto la voce «indagini difensive», 30 verbali in cui figurano dal ministro degli Esteri Franco Frattini, al portavoce Paolo Bonaiuti, dal presidente di Medusa cinematografica Carlo Rossella al dj delle serate bunga bunga Danilo Mariani, pagato, per un anno di lavoro alla console di villa San Martino, ben 100 mila euro. Fino al sottosegretario Daniela Santanchè. Si tratta d'interrogatori scarni, basati quasi sempre sulle stesse domande relative allo svolgimento delle serate ad Arcore e tesi a dimostrare che nel corso delle cene e dei dopo cena a casa del premier non succedeva nulla d'illecito o perverso. Anche gli avvocati sono in affanno. Nipoti Quando capiscono che alle chiacchiere televisive del presidente mancano dei tasselli importanti per smontare il quadro giu287 Sodoma
diziario disegnato dagli inquirenti, ecco che gli avvocati fanno spuntare dal cilindro delle loro indagini difensive perfino un traduttore egiziano, Mohamed Reda Hammad, che, sostengono, è stato usato dalla presidenza del Consiglio per un colloquio con il presidente egiziano Hosni Mubarak in cui si parlò anche della sua «nipotina» Ruby Rubacuori. Reda Hammad, che viene interrogato e fono registrato dall'avvocato Dinacci, per la verità non ricorda molto di questo episodio, spiega che a un certo punto ha dovuto allontanarsi per andare in bagno e che forse Mubarak, che nemmeno ci sente tanto bene, potrebbe averne parlato in inglese con Berlusconi. E aggiunge che quando ha ripreso il suo lavoro di interprete, gli è sembrato che i due stessero parlando di una certa Ruby, probabilmente una famosa cantante egiziana. Per i legali è la prova della buona fede di Berlusconi. Tutto ciò sarebbe accaduto durante un pranzo ufficiale a Villa Madama il 19 maggio 2010, ovvero una settimana prima del fermo in Questura di Ruby. L'equivoco, così viene spiegato a posteriori dai testimoni, a cominciare dal ministro delle Politiche agricole Giancarlo Galan, sarebbe nato dalla confusione tra le due Ruby d'Egitto: la «Ruby» marocchina e diciassettenne di cui avrebbe parlato Berlusconi (andata a dormire nella sua casa di Arcore 13 notti e rimasta al telefono con lui 66 volte), e la vera Ruby egiziana, nome d'arte della ventinovenne Rania Hussein Mohammed Tawfik, una popolare cantante lirica cui invece faceva riferimento Mubarak. Ovviamente il presidente Mubarak, travolto nel frattempo dalla rivolta del suo Paese, non può né confermare né smentire. Secondo indiscrezioni diplomatiche, riferite da alcuni quotidiani, «il Faraone» si sarebbe risentito per l'inopportuna considerazione di Berlusconi sulla sua presunta «nipotina» molto bella e disinibita. «Allora ci informeremo meglio», avrebbe ripiegato il Cavaliere al termine della cena, come ricorda il ministro degli Esteri Franco Frattini nella sua testimonianza ai di286
Sodoma fensori. Una promessa mancata, visto che appena sette giorni dopo, il premier si adoperò con insistenza perché la Questura rilasciasse Ruby, insistendo sulla parentela con il presidente egiziano. Il quale, a dire il vero, di nipoti femmine ne ha due. Una di 12 mesi, di nome Farida, tenuta gelosamente al riparo dalla curiosità dei media; l'altra è la professoressa Gihane Zaki, una piacente signora di 40 anni che insegna archeologia presso la facoltà di Turismo dell'Università di Helwan, sulla sponda del Nilo, di fronte alle rovine dell'antica Melfi, ed è la direttrice generale per la cooperazione internazionale al Consiglio Supremo delle Antichità, insignita del grado di Cavaliere dell'Ordine Nazionale del Merito dell'Ambasciata di Francia: una studiosa insomma, ben lontana dall'immagine di ballerina del ventre (per di più scappata di casa) che ha in testa Berlusconi. Come dice il proverbio, non c'è peggiore sordo di chi non vuol sentire. Nonostante la figuraccia, l'ineffabile presidente del Consiglio cercherà di rattoppare la storia ma, si sa, xe peso el tacòn del buso, e la giustificazione che escogita il 25 febbraio 2011, per catechizzare 15 deputate del Pdl sulla sua versione del caso, è un esercizio di involontaria comicità: «Sapete perché ho chiamato in Questura? Tempo prima la polizia svizzera aveva arrestato uno dei figli di Gheddafi a e ne era nata una guerra diplomatica fra la Libia e la Unione Europea. Ci abbiamo messo il bello e il buono per risolverla. Temevo che scoppiasse un incidente simile con l'Egitto. Io ero davvero in buona fede, credevo che Ruby fosse la nipote di Mubarak. Tanto che quando l'ho incontrato a Roma gli ho detto: sai che ho conosciuto una tua parente in Italia? E lui faceva sì con la testa, diceva: davvero? Io intendevo Ruby, lui pensava a una cantante egiziana che sta a Roma. Insomma, un grosso equivoco, che mi ha rafforzato nella mia convinzione». Ma in realtà la diplomazia non c'entra nulla. Mubarak in questa storia c'è entrato per caso, per una maldestra iniziativa 287
del premier italiano, convinto come è della sua impunità, una sindrome che manifesta sempre più spesso (infatti esige l'immunità, sapendosi molto vulnerabile in sede penale). C'è poi la questione dell'età di Ruby. «È stata registrata all'anagrafe due anni dopo essere nata», rivela il Cavaliere il 4 marzo 2011, ancora una volta durante un conciliabolo a Montecitorio. Fa sapere, il Capo del Governo, che i suoi legali avrebbero esteso le loro indagini difensive perfino in Marocco scoprendo che in quel Paese non esiste una tradizione di denuncia puntuale delle nascite come in Occidente. Dunque Karima El Mahroug potrebbe essere stata registrata all'anagrafe tempo dopo la sua venuta al mondo. Addirittura due anni dopo, sostiene Berlusconi. Ma è possibile? Il padre della ragazza, M'Hammed El Mahroug, smentisce. E lascia la parola al suo avocato, Venera Serima, che il corrispondente del «Corriere della Sera», Alfio Sciacca, riporta: «Non è vero che sia stata registrata all'anagrafe due anni dopo. Lo dico senza esitazione: Karima è diventata maggiorenne a novembre. Probabilmente l'avvocato Ghedini fa riferimento a usanze che in Marocco esistevano cinquant'anni fa». In fondo, si chiede il legale, perché mai i genitori avrebbero dovuto ingannare carabinieri, giudici e comunità varie ancor prima che Karima diventasse Ruby? La verità è che non sempre le cose vanno per il verso giusto. In una storia di penombra e notturni festini promiscui, capita talvolta di imbattersi in ruffiani, maitresses e persino qualche malavitoso.-Gente che sarebbe meglio non frequentare, quel che una volta, quando la privacy era soltanto un vocabolo del dizionario Webster, si diceva «poco raccomandabile». Perché non si sa mai come possa andare a finire, quando saltano filtri e compromessi, e ci si trova costretti al confronto. Di qui un presidente del Consiglio multimiliardario e ricattabile, di là un gruppo di escort e ragazze fin troppo ciarliere, al telefono, che l'hanno inguaiato. E che gli presentano il conto. 288
Sodoma Abituato a vincere soprattutto sul piano mediatico, prima ancora di quello giudiziario, Berlusconi sembra essere rimasto vittima di se stesso in un processo che, a voler ben vedere, non ha nulla di complicato. Sulla vicenda Ruby, infatti, per la prima volta, Berlusconi appare in difficoltà, e proprio sul suo terreno: quello della comunicazione, della penetrazione mediatica. L'audience dei suoi interventi in tv è mediocre, i sondaggi lo danno in netto calo. La questione morale scatena una reazione che forse il Cavaliere non immaginava potesse avere le dimensioni che invece ha avuto, a cominciare dalle proteste delle donne culminate nelle manifestazioni del 13 febbraio. Avere scoperto che le sere a luci rosse di Arcore sono sistematiche, quasi pianificate come meeting aziendali (il manager che si occupa delle donne, il contabile, il servizio di catering e musica, etc), ha indignato l'opinione pubblica, in modo bipartisan. Per la natura della materia che tratta lo scandalo della minorenne marocchina: rapporti sessuali e abusi di potere, connessi tra loro e aggravati da una reciproca copertura. Argomenti «sensibili» per la maggior parte della gente e dei suoi stessi elettori. Si potrebbe dire soprattutto per gli stessi assidui spettatori delle sue televisioni, alimentate con programmi trash che vivono di scandali sessuali e ostentazioni d'impunità (non è forse Fabrizio Corona, già pluricondannato in primo e secondo grado, tra gli ospiti più gettonati delle sue televisioni?) specchio a cristalli liquidi dei settimanali di gossip di cui l'impero mediatico del presidente del Consiglio detiene la leadership. E forse è proprio da questo immenso serbatoio di cultura nazional-popolare, sorta di narcocretinismo collettivo, cresciutotra i palcoscenici di Umberto Smaila e le tettone di Colpo Grosso piuttosto che le maggiorate del Drive In con le battutacce di Gianfranco D'Angelo e Enrico Beruschi, che il Cavaliere estrae l'ispirazione per il suo bluff in Questura sulla «nipote altolocata». Nel289
l'archivio della sua memoria televisiva, è assai probabile che Berlusconi abbia pescato l'edificante storia di Photina Lappa. Nata in Grecia, in un paesino nei pressi di Atene, l'aggraziata Photina muove i suoi primi passi studiando danza classica ma a 19 anni, durante una vacanza in Italia, viene notata da un manager che la introduce nel mondo dello spettacolo e la fa debuttare in televisione nel sexy show Playgirl con Minnie Minoprio. Photina Lappa però otterrà il grande successo solo nel 1983 con il ruolo di «ragazza fast food» nello show televisivo Drive In. Sceglierà come nome d'arte quello di Tini Cansino, contrabbandando una finta parentela con l'attrice Rita Hayworth, la «Bomba Atomica» di Hollywood. In fondo, le assomigliava vagamente e poi la stupenda attrice americana non si chiamava in realtà Margarita Carmen Cansino? Spettatori boccaloni accettarono ingenuamente l'astuta frottola della ragazza greca che se ne giovò spudoratamente. Perché non avrebbe dovuto funzionare anche con la marocchina minorenne, spacciandola per la nipote di Mubarak? Bisogna poi considerare che quello di attribuire alle sue giovani amiche una qualche altolocata parentela, si è rivelato spesso un «vizietto» del nostro immaginifico presidente del Consiglio: diventeranno «le nipoti» del primo ministro del Montenegro, Milo Dukanovic, anche due bellezze in hot pants salite sull'aereo di Stato il 14 giugno 2010, insieme alla show girl Sara Tommasi, per una visita ufficiale in Bulgaria raccontata in maniera esilarante dal critico di Corte, Vittorio Sgarbi. È un precedente, se vogliamo. La morale della favola che se ne può trarre, ahinoi, è che questa vicenda - torbida perché coinvolge una ragazzina - è facilissima da raccontare e spiegare. Certo, non ha la trama di un capolavoro di Visconti, semmai quella di un film di serie «B», tipo Alle dame del castello piace molto fare quello, molto in voga negli anni Settanta, gli anni della sua ascesa imprenditoriale. 290
Sodome Solo che lo sfondo di questa trama nazional popolare, così come viene sceneggiata nelle carte dei pm, non è la passione senza speranza descritta da Vladimir Nabokov in Lolita, ma un'insana mania per il sesso e per il potere, in disprezzo alla funzione pubblica ricoperta. Profeticamente rappresentato in tv e al cinema da Antonio Albanese, con il suo straordinario e volgare «Cetto La Qualunque», vorace politicante che ha fondato il «Partito du' Pilu» e che promette bagordi e ingiustizia. Inquinamento probatorio Nel film di Albanese, il protagonista sacrifica il figlio e amanti per la sua sfolgorante ascesa. Nel film della realtà, Berlusconi non intende sacrificare proprio un bel nulla. Però, teme di perdere il controllo della situazione. L'hanno ferito certe parole delle sue amichette. Lo ha spiazzato l'atteggiamento di Emilio Fede (tant'è che si parla di pensionamento del direttore di TG4, sia pure per limiti d'età, in occasione del suo ottantesimo anno di vita, a giugno). Ha paura che Ruby sia una variabile impazzita e non a caso la definisce «pazza» parlando con le quindici deputate che ha convocato a Roma, dopo il rinvio a giudizio. È polemico, certe volte, con gli stessi avvocati che lo difendono, perché vorrebbe imporre la sua irruenza nella strategia difensiva. Certo è che il colpo accusato dal Cavaliere, è stato davvero brutto. Il presidente è amareggiato, come dargli torto? Non piacerebbe a nessuno leggere per esempio che due tra le più care «amiche», come Iris Berardi ed Eleonora De Vivo, oltre a parlare senza alcuna prudenza al telefono considerano il proprio benefattore come un limone da spremere: «Sto stronzo di merda...guarda è proprio un pezzente... ma la prossima volta, se vengo a Roma, guarda mi deve sganciare più di due, sto figlio di merda!» dice la solita volgarissima Iris il 30 settembre 2010. Per non parlare di Ruby che mentre il presiden291
te è ansia per la graticola dell'inchiesta, il 19 dicembre tratta l'acquisto di una casa a Milano da 350 mila euro, vantandosi con l'agente immobiliare: «Fai di più, tanto me la regala zietto... ah, ah». Ciarpame, forse aveva ragione Veronica,. l'esasperata ex moglie del Cavaliere. Ma adesso bisogna porre rimedio, fare argine alle chiacchiere irrefrenabili delle arcorine. Al presidente non viene neanche in mente che in una fase delicata dell'inchiesta come quella, cioè subito dopo le perquisizioni, intervenire sulle ragazze che adesso la Procura considera testimoni può essere considerato un grave inquinamento probatorio. Ma si capisce, Berlusconi in tutta questa storia, reati non ne riesce a vedere. Così alza il telefono e chiama Barbara Guerra che, in un'intervista al «Corriere della Sera» del 28 gennaio, conferma: «Si è preoccupato di chiamare e convocarci per sapere come stavamo. C'erano gli avvocati». È vero, gli avvocati c'erano, ma probabilmente sono arrivati di corsa per rimediare a quello che poteva essere frainteso come una pesante subornazione di testimoni. Lo si intuisce leggendo attentamente le intercettazioni che fotografano l'agitazione di quelle giornate, intorno al week end del 15 gennaio. Un fine settimana che sarebbe stato di grande allegria se non ci fossero state le perquisizioni del 14 a rovinare la festa. «Papi viene sabato», scrive il 13 gennaio in un sms Marysthelle Polanco alla Minetti. La quale, ormai ufficialmente nel registro degli indagati, evidentemente è rimasta un po' a margine dei giri. «E tu come fai a saperlo?» risponde allarmata. Poi però si dà subito da fare. Rilancia il messaggio a Floriana Marincea: «Lui c'è sabato! Dobbiamo andare assolutamente. Tu hai qualche amica carina che possiamo portare?» Floriana la rassicura: «Trovo subito qualcuna, pure bella!» Passano cinque minuti ed ecco la conferma: «Mia amica, molto affidabile, bella figa. La conosco da quando aveva 14 anni, lei ne ha 25». 292
Sodoma . E invece, per colpa dei pm, Papi è stato costretto a cambiare programma. Altro che festa, qui ci vuole una reprimenda. Alle 10,45 di sabato 15 gennaio, Barbara Faggioli chiama Alessandra Sorcinelli, forse convinta che ormai, dopo le perquisizioni del giorno prima, le linee telefoniche siano di nuovo «libere». Si sbagliano, perché il distacco dei «bersagli», come nel gergo della Procura vengono chiamate le utenze intercettate, avverrà soltanto due giorni dopo, lunedì 17. Barbara comunque non si fida: «Mi ha chiamato il presidente adesso da un numero sconosciuto eeee... Mi ha detto che mi devi dare una mano solo per avere dei numeri di telefono però perché ovviamente io non ce li ho tutti... Mi ha detto di contattare chi è stato... insomma, perquisito e di dargli appuntamento alle 9 ad Arcore che ha bisogno urgente di parlare... Dice tanto di scusarsi che comunque alle 11, dieci e mezza, insomma siete a casa, nel senso...» Il senso per la Sorcinelli è chiarissimo: «Va bene», si limita a rispondere. Ma la Faggioli vuole raccontare, il presidente le è sembrato seccato. «Poi mi ha detto che ci sono, lui ha letto le intercettazioni, son cose brutte, io non so se però è uscito sui giornali o le ha lette lui...Ha detto cose brutte che dicevamo su di lui, boh...» «Tipo?» «Io gli ho detto, guarda, può capitare, è nervosismo quando non rispondi, chi ti è stato più vicino... gli ho detto, qualche sfogo umano, soprattutto di ragazze diii... 22, 23, 24 anni, nooo?» «Mmmm, è giusto...» «Boh, poi mi ha detto, mi ha fatto una domanda, vabbé, però...» «Una?» «No, boh, mi ha chiesto se sapevo cos'era una cosa, gli ho detto di no, non lo so. Infatti poi me la dirà stasera. Senti, allo293
ra a me serve...tu ce l'hai il decreto, son nominate più ragazze. . .tu hai il numero tipo della De Vivo, della Guerra...» «Ma tipo cose brutte?» «Oh, ma non lo so, ma vabbé, può capitare uno "stronzo", quello lì è uno stronzo che non risponde, cioè quello può, mmmm...non lo so, mi ha fatto questo esempio». Insomma, la linea, appena abbozzata nell'eccitata telefonata tra le due ragazze, sarà quella di minimizzare, relativizzare, attribuire alle intemperanze della loro giovane età gli sfoghi telefonici captati nei mesi dalla Procura, le avide richieste a Papi e al suo contabile, Spinelli, che fino all'ultimo compare come un punto di riferimento costante, anche se talvolta non facilmente raggiungibile: «Sono andata da Spin e mi ha dato giusto per l'assicurazione se tu mi dai l'assegno, tu non lo puoi firmare dietro e lo porto in banca. Cavolo se ho bisogno», scrive nel solito sms la dominicana Polanco ancora il 13 gennaio alla Minetti. Che le risponde: «Non dovevamo fare a metà? Anch'io ho bisogno. Ho speso un sacco di soldi ultimamente. Non puoi girarlo, è intestato a me... .domani lo camb...Se vuoi stasera puoi passare da me e io anticipo contanti!» Polanco è contenta: «Domani devo pagare la visita medica e anche il lavandino». Minetti è pragmatica: «Non pagarla la visita, fatti dare il preventivo e lo porti da Spin». È così, non c'è niente da fare: sono avide ed impavide. Mentre ormai sta per scatenarsi 1 0 tsunami giudiziario, loro imperterrite, si occupano di far pagare a Spinelli il medico e il lavandino. Intanto Silvio frigge. Le vuole tutte ad Arcore il giorno dopo. Forse, però, è una decisione troppo precipitosa. Devono esserci anche i suoi avvocati, gli avrà fatto osservare qualcuno del suo entourage. Col risultato pratico che, per ragioni logistiche, bisogna cambiare gli orari degli appuntamenti. Ricomincia 11 giro delle telefonate. Ore 10,56. Ancora Barbara Faggioli. «Allora ha cambiato perchè ci sono gli avvocati eee...praticamente mi ha detto alle 19». 296 Sodoma
«Ok», risponde laconica la Sorcinelli. «Quindi avrai questo incontro con l'avvocato alle 19...Io non so seee... insomma, poi ci seguirà una per volta l'avvocato... Penso di sì, perché ogni caso è singolo, no?» «Ok, ciao amore». Barbara è ligia alla consegna. Chiama anche Arisleide Espinosa, proprio il 15 gennaio: «Scusami se ti disturbo, ti chiamooo solo perché mi ha chiamato il presidente Berlusconi, ok?... .Eeee, no così sono chiara, scandisco le parole almeno, ccioè, faccio capire che non ho nulla da nascondere...Aris volevo dirti che mi ha chiesto la cortesia di farvi avvicinare ad Arcore oggi alle 19...Ci sono gli avvocati, io penso cheee discuterete solo per un'oretta, non di più, perché in realtà prima era alle nove poi mi fa alle dieci vanno via, invece no, anticipano perchè primaaa Nicole, capito?» Non è la prima volta che in un'inchiesta i testimoni siano avvicinati dagli indagati. Anzi, è il sogno di tutti gli indagati poter chiamare i testimoni e spiegargli cosa devono dire quando saranno convocati dai magistrati per essere interrogati. Di solito, però, gli avvocati lo sconsigliano, poiché il codice penale riesce a definire ogni azione, e individua un reato relativo a qualsiasi iniziativa presa al di fuori dei rigidi parametri delle investigazioni. Non è vessazione, ma solo il tentativo di preservare quella che viene chiamata «la genuinità» della prova, o della testimonianza. La conseguenza, per chi non rispetta questi parametri, di solito è l'accusa di inquinamento probatorio e, in alcuni casi, il carcere. Nel caso di Berlusconi, gli avvocati avevano comunicato da tempo l'esistenza di «indagini difensive». Proprio per evitare l'accusa di persecuzione, i magistrati abbozzano, d'altra parte hanno una tale quantità di «evidenze» che si ritengono abbastanza «serviti», e così lasciano correre, per il momento. Per sicurezza e a memoria futura, comunque incasellano l'episodio tra gli atti depositati. 297
Anche perché le stranezze rilevate dall'inchiesta non mancano in quei giorni di metà gennaio del 2011. Proprio durante le perquisizioni del 14, i magistrati hanno scovato in casa di Marysthelle Polanco un verbale d'interrogatorio di Barbara Guerra reso agli avvocati Ghedini e Longo il 25 ottobre, durante le loro indagini difensive. Solo che su questa fotocopia, mancavano le firme sia dei legali sia dell'interessata. Cosa ci faceva il documento nell'abitazione di una delle testimoni? A cosa doveva servire? Forse per imparare una lezioncina a memoria? Anche questo verrebbe considerato inquinamento delle prove. La Guerra inizialmente racconta ai giornalisti di non essere stata lei a passare questo verbale all'amica Polanco. Ma poi ritratta con l'agenzia Ansa: «Non so di che verbali si parla, non so nulla di verbali quello che è stato trovato a casa della Polanco potrebbe essere anche un mio biglietto del Gratta e Vinci...» Certo, chi dispone già di un legale, si comporta di conseguenza. Come Nicole Minetti che, nonostante le sollecitazioni delle amiche, un po' per ripicca un po' per timore, ad Arcore non si presenterà. È soprattutto offesa, Nicole. Ha capito di essere la più inguaiata e la più debole in tutta questa storia e vorrebbe più solidarietà dal presidente, più attenzioni, qualche delicatezza. Invece, alle 11 del mattino del 15 gennaio, le tocca ricevere la telefonata di Barbara Faggioli, che capisce quale affronto possa essere per la consigliera regionale non essere chiamata direttamente da Lui. Ma l'inchiesta incombe e Berlusconi non vuole fare altri errori. «Nicole, lo so che è brutto dirtelo così, però mi ha chiamato la segreteria del presidente e mi hanno passato il presidente, mi ha detto di convocare tutte le ragazze per parlare con l'avvocato alle 19... Però ovviamente io gli ho chiesto se posso non mischiarmi a nessuno e vado alle 18 e per te, comunque sia, era già fissato alle 17... Ehmmm, dice che ci sono conversazioni traaa 296
Sodoma noi che parliamo male di lui, non tra me e te, tra noi in generale... Ha fatto di tutta 1' erba un fascio... Nicole?» Ma Nicole tace, si limita a qualche cenno di assenso, qualche «mmm». È risentita, cupa, silenziosa. Barbara invece è garrula, felice di quell'incarico importante appena ricevuto personalmente dal presidente: «Be', comunque era molto dispiaciuto e ha detto che adesso ci da una mano, ha detto scusatemi per questa situazione». Nicole: «mmm». Barbara: «Allora cosa gli dico? Perchè mi richiamerà, eh...» Nicole sbotta. «No, guarda, perchè io prima devo parlare col mio avvocato. Ba', per me la cosa è diversa, io sono indagata, cioè capisci che per me non è più «ah, sì, vai a fare due chiacchiere e me ne fotto»...Prima parlo col mio avvocato, io non vado là ad ascoltare la rava e la fava, cioè adesso io parlo con i miei avvocati». Barbara ha un'idea: «E se ti presenti col tuo avvocato?» «Adesso vediamo...Ok, si, no ma a prescindere da tutto, ok? Lui sarà anche il mio capo ma io sono indagata e lui altrettanto, per cui adesso non si scherza più, io adesso chiamo la Daria (Pesce, il legale, N.d.A.), chiedo consiglio alla Daria, gli dico che c'è stata questa coasa, sento cosa mi dice e poi vediamo». Mezz'ora dopo manderà a Barbara un sms eloquente: «Riferisci che se mi vuole convocare mi convoca lui». La Faggioli è solidale. Richiama l'amica al telefono. Anche lei in fondo, è nei pasticci. «Ha il cuore in gola», scrivono i poliziotti nei loro brogliacci. «Io a lui gliene parlerò al presidente di questa storia, cioè io glielo dico: «A me mi ha rovinato la mia vita privata», cioè mi hanno, con questo casino. Non me ne frega niente, cioè io penso a me a.. io con lui stavo bene.. .capito? E quindi io continuo a piangere da ieri e vabbé...Niky, alla fine me la son cercata, ha ragione lui, devo cercare di frequentare gente un tantino diversa». In fondo lo immaginavano, lo intuivano che tutto sarebbe 297
andato alla malora, prima o poi. Qualcuno, come Nicole in verità lo sapeva più di altri, già dal 18 ottobre, una settimana prima che il caso diventasse di pubblico dominio. L'incubo Ruby stava cominciando a prendere forma. «Lui me lo ha detto», spiega alla Polanco. «È per questa cosa qua...perché è successo un po' un casino... perché 'sta stronza della Ruby... Ma comunque guarda che io oggi vado da quello che la segue... praticamente mi dice tutto quello che lei ha detto alla sua amica». La notte dopo, conclusa la festa, le ragazze in auto, perennemente con il telefonino in mano, si sfogano: «Quella Ruby, faccia di merda...» Il giorno prima però, la Minetti aveva telefonato al direttore del Tg4 Emilio Fede, informandolo «che io sono qua in questo preciso momento da Luca Giuliante che ti saluta». Giuliante, ancora per poco, il legale della minorenne marocchina. Che senso ha quel saluto? Fede, come gli altri del giro, capisce al volo: «Ah sì, per quella vicenda lì, eh...la sto seguendo anch'io su un altro fronte». Minetti: «Eh, immagino... c'è da mettersi le mani nei capelli». Fede ne conviene: «Sì, c'è da mettersi le mani nei capelli. Eh, io parlo... ti dico subito, ci sono nell'entourage tre telefoni sotto controllo da parte...» Minetti: «Ah si?» Fede: «Sì, sì, poi ti dico. Io non ho avuto notizie, ma lui stasera mi aveva accennato che ci vedevamo stasera... No, gli devo parlare assolutamente... per fortuna ho trovato altre strade». Chissà quali. Giudizio immediato Mercoledì 9 febbraio, in una radiosa mattinata di sole, i giornalisti vengono convocati verso le 11 nella sala riunioni dell'ufficio del Procuratore di Milano. Sono in tanti, una piccola folla ingrossata da colleghi inglesi, americani e spagnoli. L'appuntamento è quello delle grandi occasioni perché da lì a poco, uscendo dalla sua stanza al quarto piano del Palazzo di Giusti298
Sodoma zia, Edmondo Bruti Liberati annuncerà la richiesta di giudizio immediato per Silvio Berlusconi. Nessuna cerimonia, nessun richiamo all'ordine per i giornalisti che quella mattina sono insolitamente disciplinati. Chi riesce, si siede intorno al lungo tavolo a ferro di cavallo, gli altri rimangono in piedi in attesa che Bruti Liberati cominci a parlare. Non ci sono incertezze nella sua voce, né pause ad effetto, Bruti Liberati tenta di sdrammatizzare un annuncio che, ne è sicuro, provocherà un terremoto nel mondo politico. Sono passati 114 giorni dal momento in cui comparve il primo articolo di giornale sullo scandalo. Meno di tre mesi, come prevede la legge, dalla iscrizione sul registro degli indagati di Silvio Berlusconi (21 dicembre 2010) all'invio degli atti d'innanzi al gip Cristina di Censo, «ritenendo sussistere l'evidenza della prova», come scrive nel solito, scarno, comunicato il Procuratore. L'immagine del premier sta vacillando, anche se i suoi sondaggisti si sforzano di ripetere che nonostante tutto, il suo gradimento «rimane appena sotto il 50%». Ma sono 20 punti in meno rispetto a quando, appena due anni prima, aveva riconquistato Palazzo Chigi e la guida del governo. Un declino che appare tendenziale: infatti, la forbice tra i giorni del trionfo e quelli dello scandalo, più passano i giorni, più si allarga facendo precipitare, a fine febbraio, il suo gradimento personale al 34% (fonte Ipsos). Quel giorno, davanti all'ingresso di Palazzo di Giustizia in Corso di Porta Vittoria, si fronteggiano due gruppi di manifestanti. I primi, non più di una trentina, davanti a una barriera di telecamere e fotografi sventolano bandiere tricolore e invitano «Silvio» a «resistere, resistere, resistere», scimmiottando il celebre slogan coniato da Francesco Saverio Borrelli, capo del pool di Mani Pulite, rivolto ai colleghi nel suo ultimo discorso, all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2002. Un'appropriazione ideologica che non andrà a genio all'ex procuratore di Tan299
gentopoli: «Provo una sensazione sgradevole nel vedere rovesciato il senso di ciò che intendevo dire per utilizzarlo contro la legalità», dichiara a «Repubblica» Borrelli, oggi si assiste allo «sfarinamento della sensibilità per la cultura della legalità. Ci vorranno diverse generazioni per ricostruirla». Dall'altra parte del marciapiede, una cinquantina di lavoratori cassa integrati della Cisl sventolano tristemente le bandiere del sindacato ed osservano quel che succede di fronte a loro. Nessuna telecamera. Pochi slogan, pochi cartelli. Uno viene scritto a mano in fretta, chissà, magari potrebbe catturare qualche zoomata, visto il tenore del messaggio, rivolto al presidente del Consiglio: «Silvio, oltre alle tue amiche, dai una mano anche a noi». Si respira un clima cupo, come nel finale apocalittico del «Caimano» di Nanni Moretti, dove la folla aggredisce i giudici aizzata dal presidente che reclama giustizia solo dal «popolo sovrano che mi ha eletto». Ma la realtà, per ora, è ben diversa da quella della finzione cinematografica. Nella soleggiata sala riunioni del Procuratore, rumori e grida della piazza sono remoti, arrivano ovattati e non turbano affatto la routine quotidiana del Palazzo di Giustizia milanese. Però a qualcuno farà comodo descrivere la scena ricorrendo a metafore incendiarie: la politica del «fare», come ama definire il suo leader Berlusconi, assedia il fortino della legge, per impedire il golpe delle toghe. Ecco perché le telecamere dei tiggì riprendono la scena, enfatizzano la protesta: creano ad arte una confusione per convincere la gente a dare un giudizio negativo su questa indagine. A queste manipolazioni mediatiche, il Procuratore Bruti Liberati non può che replicare con l'unica arma di cui dispone, quella del codice. Diffonde un comunicato che richiama i numeri dei procedimenti, quello delle leggi e degli articoli: «Nel procedimento n. 5657/2011... L'attività d'indagine è stata condotta nel rigoroso rispetto dei limiti di cui alla legge n. 140/2003... Si espongono le ragioni per le quali questo uf3.02
Sodoma ficio ritiene che in ordine all'imputazione di cui all'art.317 cp non sussista la ipotesi di reato ministeriale... Si precisa che in atti risultano alcune telefonate intercorse con l'indagato, On. Berlusconi, di esse non sarà richiesta alla Camera la autorizzazione alla utilizzazione...» Il bollettino di Forte Legge è scritto in verbalese, la lingua che Berlusconi odia, ma il testo non lascia adito a molte interpretazioni. Anzi. Con un piccolo quanto plateale gesto, Bruti Liberati, che ribadisce di aver voluto firmare ogni documento «affinché la responsabilità di tutto ricadesse sulle mie spalle»-, afferra un libriccino, un po' consumato, in edizione economica. S'intitola il Saggio sulla libertà. Pagine «vibranti di un'alta passione», quelle del filosofo liberale ed economista inglese John Stuart Mill, teorico della logica deduttiva e induttiva. Per il quale la logica «è scienza della prova o dell'evidenza» e si occupa non tanto delle verità che risaltano immediatamente, bensì della conoscenza mediata, frutto di un ragionamento e quindi delle connessioni interne ad esso, per rispondere al primo dei quesiti libertari: com'è possibile conciliare la difesa dei diritti individuali con il bene e la felicità comuni? Il magistrato, ai giornalisti arrivati da tutto il mondo che lo assillano con le domande sulla procedura scelta, sui tempi previsti, sulle conseguenze giuridiche, regala la fotocopia di una pagina del libro di Mill, tratta dal capitolo e risponde così: «Che l'intenzione fosse quella di procedere con il giudizio immediato non è una novità. Certo ne abbiamo discusso e ci sono stati gravi contrasti... con me stesso. Così per sciogliere gli ultimi dubbi questa mattina mi sono svegliato presto per rileggermi questa pagina di Mill: "La verità è realmente nota soltanto a chi ha dedicato un'attenzione uguale e imparziale alle opposte ragioni, cercando di vederle il più chiaramente possibile. Questa disciplina è così essenziale a una reale comprensione delle questioni morali e umane che se una verità fonda301
mentale non trova oppositori è indispensabile inventarli e munirli dei più validi argomenti che il più astuto avvocato del diavolo riesce ad inventare"». Per Berlusconi l'ora del giudizio arriva dunque sulle ali della riflessione filosofica di un teorico della libertà, nel silenzio di un ufficio dove i giornalisti sono rimasti incantati dalle parole del Procuratore ed ammirati dalla sua serenità. Che lezione, per il campione del «partito dell'amore e delle libertà»... infatti la piccata risposta del Cavaliere non si farà attendere: «È uno schifo». Griderà ancora una volta al golpe, descriverà la magistratura milanese come «un'avanguardia rivoluzionaria» dedita a «finalità eversive». Berlusconi sembra impazzito di rabbia, dichiara che farà causa allo Stato, manda un messaggio all'Ufficio di presidenza del Pdl per spiegare che il suo intervento per liberare Ruby dalla Questura fu «per impedire un incidente diplomatico». «Ve lo ripeto, sono innocente, credevo che Ruby fosse la nipote di Mubarak». Non solo la sua immagine, anche i suoi nervi sembrano a pezzi. 302
22. CHI DICE DONNE DICE DANNO È stata Ruby Rubacuori, la minorenne marocchina, a metterlo nei guai. È stata Nicole Minetti, la procace consigliera regionale lombarda, l'autrice dell'immortale eponimo culoflacciào, sintesi portentosa di sesso e potere, anagrafe e politica. È stata Marysthelle Polanco, una delle Arcorine più vivaci e risolute, a rivelare come sia facile parcheggiare in Prefettura, a Milano, avere fidanzati spacciatori, droga in casa, e passarla liscia. È stata Veronica Lario, l'ex moglie del Cavaliere, la prima ad illuminare gli italiani sul marito fedifrago e le sue ancelle, «figure di vergini che si offrono al Drago». È stata Barbara Guerra, l'ex fidanzata del calciatore Mario Balottelli, a spiegare il segreto professionale del Sultano di Villa San Martino, in politica come in amore: «Quando ha voglia chiama, quando non ha voglia non chiama». È stata Uda Boccassini, la Grande Inquisitrice, a tener duro in una inchiesta tra le più semplici che si possano avere, ma proprio perché troppo facile, assai più insidiosa di ogni altra. E stata Cristina Di Censo a stabilire che il dossier dei magistrati inquirenti era «storicamente accertato», dunque che si poteva tranquillamente evitare il rito ordinario e a passare subito a quello immediato. È stata Giulia Turri, la prima ad essere sorteggiata nel trio del collegio giudicante. È stata Carmen D'Elia, la seconda ad entrare in questa pat303
tuglia di magistrati, selezionata dalla «Gestione informatica automatizzata d'assegnazione» del tribunale di Milano. È stata Orsolina De Cristofaro, l'ultima delle componenti di questa corte al femminile, imparzialmente scelta dal computer che assegna i provvedimenti a seconda dei collegi che si «liberano» per primi. È stata Giada la colpevole di questa nemesi giudiziaria «rosa»: è il nome in codice del programma utilizzato per i sorteggi che stabiliscono i turni delle varie sezioni giudicanti. È stata santa Virginia, la prescelta dal Padreterno, a vigilare sul «processo delle zoccole», quale patrona del 6 aprile, il. Giorno del Giudizio. È stata l'avvocato Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia della Camera, a dire: «Se credono, gli uomini continuino pure ad ammirare e a sostenere Silvio Berlusconi; le donne, per favore, no». È stata la fiumana femminista scesa nelle piazze d'Italia il 13 febbraio 2011 a gridare «basta!», come le mogli di Atene sobillate da Lisistrata, che mettono in atto lo sciopero del sesso. Diceva d'amare tutte le donne (belle), a modo suo. A modo loro, tutte le donne amate (e non) sono diventate un incubo per lui. Povero Berlusconi: il destino gli si è rivoltato contro: ha perso l'appoggio che l'ha sorretto in tutti questi anni. «Nemesi», ha infatti ricordato con sapida ironia, «Famiglia Cristiana»: «Viene subito in mente la nemesi. Tu, Berlusconi, delle donne ti sei-servito, e in malo modo; le stesse donne faranno giustizia». Un fato degno di una centuria del profeta Nostradamus. Persino la bistrattata (dal Cavaliere) Rosy Bindi, la leader cattolica dell'opposizione Pd, non ha resistito e si è vendicata, con garbo, di tutte le angherìe subite in passato dal premier: «Quello di "Famiglia Cristiana" è il miglior commento». Non ha dimenticato la sera d'ottobre del 2009, quando lei era ospite a Porta a porta, il programma di Bruno Vespa, e si stava di304
Sodoma scutendo piuttosto animatamente del lodo Alfano, una legge bocciata dalla Consulta. A un certo punto, arriva la telefonata del presidente del Consiglio che interrompe la diatriba e accende un botta e risposta con la Bindi. Improvvisamente Berlusconi sbotta: «Lei è più bella che intelligente. Non mi interessa nulla di ciò che eccepisce». La Bindi reagisce, da toscanaccia pugnace: «Sono una donna che non è a sua disposizione». La frase divenne uno slogan del Pd. Né ha scordato un altro esemplare episodio della Berlusconeide. Luglio del 2010, Novedrate, provincia di Como. Il primo ministro sta visitando l'università telematica E-Campus. In mezzo ad un gruppo di studenti e studentesse, il testosterone va alle stelle e ne dice una delle sue: «Mi accusano sempre di circondarmi di belle ragazze senza cervello. Ecco qui invece delle belle ragazze che si sono laureate con il massimo dei voti e che non assomigliano certo a Rosy Bindi». Adesso le donne gli presentano il conto. Quelle con la toga. Quelle che sono stanche d'essere trattate come soprammobili. Quelle che se non la danno, non avranno. Quelle che chiedono rispetto. Stavolta, però, non c'è la cassa del fido Spinelli, il ragiunatt buono per ogni stagione ed ogni esigenza. E successa una cosa inconcepibile, per chi ragiona solo in termini di compravendita: che le donne, almeno la stragrande maggioranza di esse, non vogliono soldi. Da lui. Non lo vogliono. E basta. Già: «basta!» «Se fossi donna protesterei», dichiara addirittura Marco Tarquinio, direttore dell'«Awenire», il giornale dei vescovi, «non per politichetta, ma per amore. E per ribellione del cuore e della mente, da credente e da persona Ubera». Per dignità. Per senso morale. In piazza, non solo e non tanto per ribellarsi al reato ancora da provare in giudizio di un uomo potente che dice di sé 305
«qualche volta sono un peccatore». Ma per dire «basta!» alla «reclame dell'escortismo». Che è provata, grazie al Rubygate. Che sta dilagando, appestandoli, sui giornali e appesta la vita. Abbiamo scoperto gli altarini dei nostri governanti: ma, a ben vedere, a uscirne devastata da tutta la vicenda è più l'immagine maschile che quella femminile. Il modello Berlusconi è così grezzo, così «simbolicamente violento» (lo sottolinea la storica Anna Bravo), «che per un uomo di buona volontà può essere difficile vederlo come una ferita inferta (anche) alla propria immagine. Ma, cari, quel modello vi rappresenta in giro per il mondo. Mi stupisce che la vergogna provata da tanti di voi riguardi l'essere italiani, e non l'essere uomini italiani». Troppo comodo considerare Berlusconi un'aberrazione isolata, celando così il contorno politico e culturale che fa del Cavaliere «un'espressione di uno stile politico narcisista che tratta tutto e tutti in chiave strumentale», come ammonisce Lia Cigarini, una delle storiche protagoniste del femminismo italiano. Ne esce distrutto, Berlusconi, dal Rubygate e dai suoi pesantissimi detriti. Ma anche tutti coloro che si sono identificati con lui e il suo «stile». Non capisce, Berlusconi, che domenica 13 febbraio 2011 è diventata, fin da subito, una data epocale. L'ultima d'Italia, l'inizio probabile della sua avventura politica. Comunque andranno le cose, quello resterà per sempre il giorno che l'immagine di Silvio è andata in frantumi, sbriciolata in un milione di pezzi. Perché c'era un milione di donne, nelle piazze d'Italia, a sfidarlo e contestarlo. Ognuna, coi suoi frammenti di rabbia. Di esasperazione. Di rivolta: «Uomini abbiate più coraggio, tocca anche a voi vergognarvi». Un minuto di silenzio, c'è stato quella domenica, e dopo un grido infinito, perché arrivasse in ogni angolo d'Italia, e nel resto del mondo. «Basta!», con le veline che s'offrono al Sultano. «Basta!» con il bunga-bunga e i riti puttanieri. «Basta!» con la violenza contro le donne, che si ripete giorno dopo giorno. Da 306
Sodoma Torino a Palermo. Da Trieste a Cagliari. Da Bologna a Napoli, a Bari, a Firenze, senza pensare all'audience delle sue tv o ai sondaggi di parte: per troppi anni le donne d'Italia hanno sopportato la deriva maschilista di chi governava e di chi domina i mass media. Il problema sono gli uomini, e il loro sistema di potere, è il messaggio che si diffonde. In prima linea, c'è financo suor Eugenia Bonetti, delle Missionarie della Consolazione. Dice: «Ci indigna l'idea che una ragazza accetti di vendere il proprio corpo per far carriera in tv. Ci indignano i maschi che non si mettono in discussione. E arrivato il momento di fermarsi e riflettere, stiamo procedendo verso un vicolo cieco, oltre c'è solo il baratro. Non è una questione che coinvolge solo le donne, ma la dignità della persona, uomini e donne. Noi chiediamo rispetto, chiediamo di rivedere stili di vita, chiediamo ad ognuno di assumersi responsabilità. Lo chiedo come suora e come donna». Le parole di suor Eugenia infiammano piazza del Popolo. Un miracolo nel miracolo del Rubygate: è grazie all'irrequieta minorenne marocchina se il «quando» è arrivato «ora». Rischiava di non arrivare mai. Un milione di donne scese in piazza, ballano, cantano, agitano le loro sciarpe bianche - simbolo della purezza - liberano con quel grido tutta la loro collera. Lo fanno anche per tutte quelle che sono rimaste a casa. O che si stringono, come i centurioni dell'Ultima Legione, attorno al Capo, per difenderlo dall'ondata «del moralismo e del bigottismo», scatenato dalle sinistre, un trucco per rovesciare Berlusconi con l'alibi dei festini di Arcore. «Facciamo quello che i partiti non hanno saputo fare», dice Iaia con orgoglio dalla Loggia dei Mercanti di Milano, accanto a Piazza del Duomo, «siamo tante perché ci unisce l'abisso che separa noi e la rappresentazione che ne danno». In modo plateale, le donne «dell'Italia degna che s'indigna» offrono una clamorosa e spettacolare risposta su come si debba intendere la moralità 307
pubblica e politica, quando si ha a che fare con il comportamento privato dell'uomo politico. Ci sono donne che hanno detto pure «ni», e «se», e «ma». Ma la situazione del Paese è talmente grave che non è il momento dei distinguo, interviene Inge Feltrinelli, non ci si può più chiamar fuori: «Non possiamo non mobilitarci tutti». Abbiamo sentito questa giornata come un gesto urgente, queste piazze come un luogo necessario. Poco importa se in un altro luogo, nell'aula del tribunale di Milano, dopo aver discusso i reati di prostituzione minorile e di concussione di cui è accusato il primo ministro, ci sarà condanna o assoluzione. Non è più questo il problema, o meglio, non è più soltanto questo: «Non erano necessarie le vicende sottostanti a queste contestazioni - né una sentenza - per conoscere la sua opinione sulle donne», Giulia Bongiorno, deputata e grande avvocato. Un'opinione corroborata da barzellette, battute, conversazioni private, discorsi ufficiali. Un'opinione confermata dalle dichiarazioni dell'ex moglie Veronica e anche, più di recente, dalla figlia Barbara (entrambe, testimoni molto attendibili). E ancora: le vicende di Noemi e della D'Addario. Ciò che Berlusconi «sembra maggiormente apprezzare nel genere femminile è l'avvenenza, al punto da far passare in secondo piano requisiti di ben altro spessore», chiosa la Bongiorno, «ancora, meglio, poi, se a un aspetto fisico di un certo tipo si accompagnano giovane età, accondiscendenza e disponibilità ad abdicare al proprio spirito critico». Le donne calpestate si sono di nuovo rialzate, e Berlusconi, che ha irriso la loro straordinaria domenica, viene denunciato alla fine di febbraio per «maschilismo» alla Corte europea dei diritti da due parlamentari del Pd, un nuovo record italiano, da accostare a quello di paese con il maggior numero di condanne da parte della stessa Corte cui si sono rivolte Paola Concia e Donata Gottardi. Patetici, appaiono, i tentativi di ridimensio308
Sodoma nare il 13 febbraio a semplice manifestazione «orchestrata dai comunisti», «revival del femminismo». E ancor più grotteschi appaiono gli isterici colpi di coda, come il licenziamento in tronco di Marco Marsilio, portavoce dell'assessore regionale leghista Monica Rizzi, nonché autore del libro Onorevole bunga bunga. Berlusconi, Ruby e le notti a luci rosse di Arcore, o la censura del film // Caimano. Non può andare in onda, intima Mauro Masi, berlusconiano di ferro e direttore generale della Rai, a Serena Dandini, conduttrice di Parla con me su Rai 3, che voleva inserire nella trasmissione la sequenza finale del film di Nanni Moretti. Sette minuti e 20 secondi, l'ultima sequenza con l'assalto al tribunale della folla aizzata dal Caimano. La Rai censura // Caimano però trasmette poche ore dopo, su Rai 2, Le vite degli altri, il film tedesco vincitore dell'Oscar 2007 come miglior film straniero, che racconta l'odissea di un intellettuale di Berlino Est, spiato dalla Stasi (i servizi segreti al tempo della Ddr). Ovvio che il telespettatore rifletta sulla fede cieca e vile nella dittatura «rossa», rispetto all'amore clandestino e coraggioso dei due protagonisti, spiati, soprattutto... intercettati. La crudele macchina comunista che pur di distruggere il nemico, distrugge la loro vita intima. Ci vuole poco per paragonare i pm della Procura di Milano alla Stasi. E la «macchina del fango» - denunciata da Roberto Saviano nella grande manifestazione di Giustizia e Libertà del 5 febbraio, al PalaSharp di Milano - che ha ripreso a macinare le sue vittime. Ma è troppo tardi, ormai. «I processi non sono che una farsa», ha detto Berlusconi. «La farsa sei tu! Dimettiti!!», si legge sui cartelli che si agitano sotto la grande copertura del PalaSharp, gremito zeppo, diecimila persone il sabato pomeriggio. È che davvero il Rubygate ha agito da potente antidoto, l'Italia ammalata sta guarendo in fretta. Il Trio Medusa lancia il tormentone Bunga bunga, un videoclip che spopola sul Web, ma mai quanto Arcorenight della Sora Cesira, una talentuosa 309
musicista che ha diffuso su YouTube una serie di irresistibili parodie del caso Ruby, guadagnando milioni di contatti. La regista Roberta Torre mette in scena la «D'Addario story». Poteva restare a guardare l'inventivo e scalpitante Giuliano Ferrara, direttore del «Foglio», il più scatenato dei giannizzeri del Cavaliere? Berlusconi gli offre uno spazio televisivo su Rai 1, quello che una volta era stato di Enzo Biagi. In cambio, lui sceglie un palcoscenico, quello del Teatro Dal Verme, per esibirsi in una delle sue letali manifestazioni provocatorie: la risposta al 13 febbraio, infatti, è una goliardata dall'inequivocabile titolo In mutande ma vivi. I corifei del regime lanciano una campagna «contro il moralismo puritano e ipocrita di chi si ostina a pensare che i comportamenti di Berlusconi siano incompatibili coi requisiti minimi di un politico delle democrazie occidentali». «Vogliono impugnare la legge non per fare giustizia ma per ripulire la società», denuncia Ferrara. Ma intanto, in uno dei templi delle colonie simboliche di Berluskonia, il Festival di Sanremo, ha vinto Chiamami ancora amore di Roberto Vecchioni, sono state le donne a votarlo massicciamente. La sua canzone ha messo tutti d'accordo: il televoto popolare, il premio della critica.il premio radio-tv. I versi sono nati pigliando spunto dalla cronaca del nostro Paese, «ha uno slancio fortemente vitale», commenta il filosofo Franco Bolelli, «sebbene non sia una canzone attivista - confessa Vecchioni - è una poesia fortemente contestatrice di chi governa». C'è un passaggio rivelatore. Vecchioni nega che sia un preciso riferimento a Berlusconi, però quando parla del «bastardo che sta sempre al sole», a chi si è ispirato? «Sono coloro che si annidano tra i mafiosi, gli uomini della finanza, i criminali e i politici. E nessuno li becca mai». Il grande pubblico se ne appropria. Diventa l'inno di un'Italia che vuole voltar pagina, «chiamami sempre amore/che questa maledetta notte dovrà pur finire». 310
23. IL BISUNTO DEL SIGNORE Ah, se è incazzato il popolo delle chiese con l'«unto del Signore»! Il Rubygate ha demolito le certezze che riponevano nel Cavaliere, perché si faceva ampiamente scudo dei valori cristiani. Lo scandalo si è abbattuto sulle loro esili speranze, in un mondo dove la morale della fiction prevale sull'educazione familiare, il denaro e l'edonismo sull'etica e la dignità: «Sono un marito felice. E soprattutto, un papà orgoglioso della mia piccola Chiara di sei anni», premette Leo C. in una lettera indirizzata a don Antonio Sciortino di «Famiglia Cristiana», a pagina 9 del numero 5 del 2011, «i miei genitori mi hanno educato a essere coerente con la fede. La nostra bella Italia, ancora una volta, è devastata dalle nefandezze di un "piccolo uomo" che, incurante del dovere del buon esempio, fornisce prove amorali. Squallore e depravazione rendono bene la mia immagine. La "mia" Chiesa deve prenderne con forza, le distanze. Se proprio dobbiamo "contestualizzare" le bestemmie, non facciamo altrettanto con questi comportamenti. La misura è colma. Non mandiamo alla deriva i nostri valori. Il nostro compito di genitori è sempre più arduo». L'indignazione è un sentimento incontrollabile, ma soprattutto diventa inarrestabile nel vasto gregge delle 26mila parrocchie italiane. Si propaga come una violentissima scossa di terremoto, sballotta le coscienze dei 36mila preti, dei 19.500 religiosi e delle 98mila suore che popolano le 226 diocesi italiane e che non esitano, stavolta, a cavalcare lo smarrimento dei loro 311
fedeli: «Insofferenze per la legalità, le regole, le istituzioni. Confusione tra privato e pubblico, populismo come guida per le scelte politiche e stravolgimento del rapporto tra fede e politica», ecco tracciato il ritratto di Berlusconi da don Massimo Maffioletti, ex caporedattore deh"«Eco di Bergamo» e parroco di Longuelo, in provincia di Bergamo, in un articolo lungo sei pagine, sul giornalino della sua comunità. Il malessere si diffonde a macchia d'olio tra i cattolici di base. Serpeggia una sorta di rivolta contro l'atteggiamento temporeggiatore del Vaticano, che si limita a blandi interventi sul bisogno di placare gli «aspri» conflitti istituzionali, come se il bunga bunga di Arcore fosse paragonabile al paziente lavoro della magistratura che opera le sue verifiche su fatti e testimonianze. Caro direttore, scrive da Moliterno in provincia di Potenza il signor Mimmo Mastrangelo, rivolgendosi a Marco Tarquinio che dirige l'«Awenire», il quotidiano della Cei (la Conferenza episcopale italiana), «possibile che nessuno dei parlamentari del Pdl abbia il buon senso (e il coraggio) di invitare garbatamente Berlusconi a presentarsi dai giudici per fornire chiarezza sulle indagini in corso? Possibile che non ci sia (dicasi una) voce assennata e responsabile che si rivolga al premier e dica con onestà e per il bene di un Paese fin troppo scosso, che è arrivato il momento di fare un passo indietro?» Già: possibile? In Germania, per molto meno, una tesi copiata, un ministro è stato messo alla porta dalla cancelliera Angela Merkel. E per stupro e molestie sessuali, in Israele, Moshe Katsav, eletto presidente nel 2000, si è dimesso nel 2007 ed ha affrontato il processo: è stato condannato nel dicembre del 2010, ma non ha minacciato gli avversari politici. Ha abusato di tre collaboratrici, ma non del suo potere per sottrarsi alla legge. È un coro incessante, quello che reclama le dimissioni di Berlusconi, all'ombra dei campanili d'Italia: sono le voci di gente come il desolato Francesco B. che legge «con sconcerto 312
Sodoma e angoscia le indiscrezioni sulle vicende che riguardano il presidente del Consiglio». In una lettera appassionata scrive a «Famiglia Cristiana» che prova grave disagio «per quello che possono pensare i nostri figli adolescenti, ai quali continuiamo ad insegnare, con pazienza infinita e in un contesto sociale permissivo, il rispetto per il corpo e i sani sentimenti. Cosa penseranno di chi guida il nostro Paese? Scongiuro che le voci autorevoli della Chiesa non si stanchino mai di denunciare questi comportamenti come disgustosi e improponibili. Gridano vendetta al cospetto di Dio. In qualsiasi contesto sociale e professionale, ovunque nel mondo, l'imbarazzo provocato da questi soli gesti, dovrebbe indurre quantomeno a vergogna e silenzio. O alle scuse, se non alle dimissioni». Non ha calcolato, il pur accorto Berlusconi, l'effetto valanga delle sue notti a luci rosse o, forse, lo ha sottovalutato. Lo sconquasso è trasversale, bipartisan, non appartiene più al rissoso pianeta della politica, coinvolge tutte le generazioni, ognuna con motivazioni che non sono sollecitate da un ritorno del moralismo o da un imprevedibile riflusso di bigottismo. È lo spaccato di squallore umano che suscita un senso collettivo di nausea e rigetto, e i giornali lo registrano, diventano i terminali di questo disagio. Che è tormento, all'interno della Chiesa cattolica: perché è esploso un conflitto apparentemente insanabile, tra i cristiani di base e le gerarchie vaticane, per colpa delle orgette di Berlusconi. La base non approva la diplomazia di Stato «e alcuni concreti interessi che vogliono dire finanziamenti pubblici, esenzioni fiscali ma anche garanzia che, per farsi perdonare, il capo del governo dia alla Chiesa quello che come premier di una repubblica laica non potrebbe concedere», spiega su «Repubblica», con efficacia tranchant, Corrado Augias, autore di un best seller sui segreti del Vaticano, rispondendo al lettore Vito Lorusso. L'inquietudine per questo stato di fatto emerge da migliaia 313
di email, o su Facebook, o nei siti legati alle attività religiose: «Faccio appello al mio vescovo affinché mi aiuti assieme a tanti altri cattolici romani che stanno vivendo un momento di profondo smarrimento con la coscienza divisa tra la condanna di un comportamento ripugnante ed il silenzio-assenso di chi ci dovrebbe indicare il confine tra dignità e abiezione», è il breve ma altero testo che Massimo De Micheli spedisce tramite Internet. E Silvano Fassetta: «Almeno per quel che riguarda la sua "classe politica", la Chiesa non si distingue dal resto della cosiddetta "casta", fino ad assumerne i peggiori comportamenti». Ma c'è anche chi teme, come Giovanni Romano, che la giusta indignazione per «lo sconfortante, discutibile e umanamente squallido» comportamento di Berlusconi provochi un ancor più «forsennato accanimento giudiziario e mediatico da parte di coloro che non vedono niente di strano nel promuovere le coppie di fatto, l'aborto, l'eutanasia. È davvero triste cadere dalla padella berlusconiana e rischiare di finire nella brace di Vendola», il governatore gay pugliese, presidente di Sinistra Ecologia Libertà, bestia nera dei conservatori. La paura di Romano può essere affiancata all'analisi di chi considera che Berlusconi, non sia «l'unico o il maggior responsabile di un degrado che ha inizi lontani nel tempo e come mandante il sistema capitalista», come sostiene Beppe Del Colle, coautore del recente saggio Cattolici dal potere al silenzio, scritto assieme a Pasquale Pellegrini. Su una cosa, "però, tutti sono concordi: il bunga bunga conferma che l'uomo di Arcore predica bene e razzola malissimo. Cioè è un ipocrita. Le intercettazioni della Procura milanese hanno svelato un uomo che agisce secondo i peggiori stereotipi maschili di certi programmi televisivi d'intrattenimento che imperversano nelle sue televisioni, o in quegli interminabili, martellanti talk show in cui domina la logica del buco della serratura. Ed è il popolo delle parrocchie a reclamare con vigore 314
Sodoma e una mobilitazione senza precedenti che la giustizia segua il suo corso, per accertare le eventuali responsabilità penali di Berlusconi: quanto alle responsabilità morali, il processo ha avuto fin da subito la sua sentenza, di condanna, perché c'è ancora un'Italia diversa da quella dei festini di Arcore e da Berlusconia, regno del consumo senza limiti, dove trionfa il mercimonio totale del bene pubblico. È nelle pubblicazioni cattoliche e non più solo su quelle dell'opposizione, che si rovescia l'umore sdegnato dei fedeli, «in questo sfacelo morale», esiste e resiste un Paese sano «con famiglie che hanno il senso della dignità, dei veri affetti e dell'amore. Padri e madri che non incitano le figlie ad essere più disinibite». Appunto, ci indignano e dovrebbero indignare tutti «quelle telefonate frettolose, come al termine di un esame o un colloquio andato bene o male, dove si sbava di delusione per la ricompensa ("mi ha dato cinquemila euro invece di sette... perché a quell'altra ha regalato il braccialetto d'oro e a me niente?...")», dove un padre si rammarica che la figlia non sia la fidanzata di Silvio, «magari...», dove un fratello esorta la sorella «Amore, amò, lui ci risolve tanti problemi a tutti: a mamma, a te, a me...» Dove c'è chi confida: «Siamo a posto per sempre», poiché «papi è la nostra fonte di lucro». «Famiglia Cristiana» riferisce, critica, esorta a combattere perché tanto scempio sia cacciato dal Paese. E però, deve registrare le proteste di tantissima gente: che fa la Chiesa? Perché il Papa tace sui disastri d'Italia? La Chiesa, che in tutti questi anni ha appoggiato e sostenuto Berlusconi nei momenti più critici, è costretta ad abbozzare, maschera imbarazzo e sconcerto. Al vaticanista Marco Politi un cardinale suo amico'confida che «con questa storia di donne Berlusconi ha superato ogni limite e ci mette in imbarazzo, perché non possiamo approvare. Al di là delle cifre vere o presunte delle donazioni date a queste donne, in un mo315
mento di crisi come l'attuale ci vorrebbe più sobrietà, più onestà». Quello che da qualche tempo va invocando il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova ma soprattutto presidente della Cei: ci vuole più decoro. Ma il silenzio d'Oltretevere alimenta lo scontento e il disgusto dei fedeli: «Al Vaticano stanno più a cuore gli "atei devoti", specie se potenti, o i fedeli "poveri di spirito" del Vangelo? Le cronache di questi giorni, come credenti ci impongono una chiara presa di posizione. Tacere è connivenza. L'impatto negativo sui giovani è evidente anche a chi non vuole aprire gli occhi. Com'è stato possibile dare giustificazione dottrinale a una bestemmia per l'insopprimibile voglia di raccontare una barzelletta? O disquisire su una disinvolta partecipazione all'Eucaristia, mentre tante persone sono inibite dall'accostarsi al sacramento? Nella fede non ci sono salvacondotti per nessuno», è il pensiero amaramente espresso da Luciana P. Ha voglia il cardinal Bagnasco a spendersi per rivitalizzare concetti come «dignità, sobrietà, decoro». I peccati di Berlusconi, le sue menzogne, sono veniali? Il clima di scontro politico-istituzionale che da mesi attanaglia l'Italia giustifica il perdono e la comprensione? Un secolare realismo frena i vertici ecclesiastici, la prudenza invita a prendere tempo, a seguire lo sviluppo degli eventi. Anche se l'attendismo della Chiesa ha una sua ragione. Ci sono fronti assai più scottanti di quello della satrapìa berlusconiana: la questione della pedofilìa e gli attacchi alle comunità cristiane d'Egitto e dell'Asia, veri crucci di papa Ratzinger. Per il Rubygate conviene rispolverare la questione morale, condivisibile universalmente. E lanciare appelli alla responsabilità di tutte le parti sociali e politiche: «Quello che leggiamo da troppi mesi nelle cronache politiche nazionali non rispecchia certo i veri problemi del Paese», commenta il cardinale di Milano, Dionigi Tettamanzi in un'intervista al giornalista Giangiacomo Schiavi del «Corriere della Sera», dome316
Sodoma nica 13 febbraio 2011. Schiavi gli chiede: dal mondo politico però «vengono esempi negativi da figure che dovrebbero avere un'alta responsabilità morale». Condivide queste parole del cardinale Bagnasco? «Come faccio a non condividerne? Il dovere dell'esemplarità non riguarda solo i politici, bensì tutte le persone che hanno incarichi pubblici, che sono chiamati a guidare il Paese, a essere un riferimento per le persone, che rappresentano la nazione, all'interno e all'esterno. Gli uomini che governano le istituzioni sono il volto delle istituzioni. Per questo la sobrietà deve essere una nota di stile caratteristica e visibile. Deve emergere dal tipo di linguaggio che si usa, nell'esibizione di sé, nell'esercizio del potere, nello stile di vita. I cittadini hanno il diritto di attendersi da chi li rappresenta la correttezza di comportamento, l'esemplarità nel pubblico e nel privato. Condotta morale e pubblica, nel caso di chi abbia responsabilità istituzionali, non possono essere scisse». Chi vuole intendere, intenda. Schiavi non si accontenta. Domanda: non c'è un po' di disorientamento negli uomini di Chiesa davanti a certi fatti di moralità discutibile che anche una parte della stampa cattolica stigmatizza? «Compito della Chiesa in ambito sociale non è stigmatizzare o approvare, bocciare o promuovere. La Chiesa è al servizio del bene autentico dell'uomo, desidera accompagnare ogni uomo all'incontro con Cristo, verità e pienezza dell'umano. Un accompagnamento che avviene mostrando i valori cui occorre tendere, testimoniandoli e vivendoli per primi, realizzando le condizioni affinché questi valori possano essere compresi, perseguiti, vissuti». La cautela di Tettamanzi è figlia del trauma che sta sconvolgendo la Chiesa e il «comune sentire», e che rischia di provocare un pesante scollamento tra «pastori» e popolo di Dio: «La novità che il Rubygate sta portando alla luce è che qualco317
sa si sta incrinando all'interno dello stesso rapporto tra la gerarchia cattolica ed il clero impegnato nelle diocesi», commenta subito dopo, a metà febbraio del 2011, Valerio Gigante sul frequentato sito dell'agenzia Adista, terminale delle parrocchie italiane. Dove disagi e dissensi sempre più espliciti diventano materia quotidiana, acquistano sempre più visibilità. Adista fotografa ironicamente la situazione, e titola lo spazio dedicato ai messaggi e alle lettere di preti e parroci, con un esplicito gioco di parole: «La Chiesa che soffre. E la Chiesa che "s'offre"». L'idillio con Berlusconi, dunque, sembra concludersi nel peggiore dei modi, come in certi divorzi feroci. I credenti si sentono presi in giro: recitano il mea culpa, ammettono di essersi sbagliati. L'Azione Cattolica interviene con un appello diretto ai protagonisti delle attuali vicende «perché recuperino urgentemente, per il bene del Paese, il senso della misura, del decoro, del rispetto». I vescovi lombardi denunciano il «forte disagio per l'attuale situazione socio-politica», ed esprimono grande allarme per la «confusione morale ingenerata anche dalla tendenza a giustificare l'incoerenza tra i valori proclamati in pubblico e i comportamenti privati». Il cardinale Bagnasco, capo dei vescovi italiani detta la linea, il 23 gennaio 2011. Parla di «disastro antropologico» e stabilisce lo steccato entro cui un politico che governa dovrebbe operare: «Il mandato politico impone misura, sobrietà e disciplina, come anche la nostra Costituzione ricorda all'articolo 54». Il riferimento al rispetto della Carta Costituzionale è un monito, non un consiglio. «Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione», recita l'articolo 54, «i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi di legge». L'intervento di Bagnasco legittima il malcontento dei fedeli. Un flusso ininterrotto di lettere e messaggi si riversa dalla base cattolica e inonda stampa e web. Gli umori sono spesso gia318
Sodoma cobini. Come quello di don Mario Longo, parroco della santissima Trinità di Milano, in piena Chinatown: «Dobbiamo dire tutto il nostro sdegno e la nostra riprovazione per il signor Berlusconi che, vestendo panni di difensore della fede, della famiglia, della libertà, dell'amore e dei costumi, si dimostra solo un vecchio falso e laido (non laico, laido) che strumentalizza la sua finta e falsa immagine di cattolico con il suo comportamento scandalosamente irrisorio di ogni regola cristiana». È furibondo don Mario, quando descrive il Cavaliere: «Una persona falsa e starei per dire un fariseo, senza voler insultare i farisei, che dopo aver rovinato per 30 anni con i programmi tutti dedicati alla famiglia, come il Grande Fratello, Beautiful, domeniche pomeriggio con ballerine seminude, si permette di dire anche lui bestemmie in pubblico, giustificato da alcuni monsignori... questo è troppo, questo è il vero scandalo! Basta, basta, basta: è ora di smetterla. O forse bisogna tenerlo buono e giustificarlo perché difende i valori cristiani? O perché dà i soldi alle scuole cattoliche o instaura il quoziente famigliare? Basta!» Più ideologica, ma non meno critica, la presa di posizione di don Giorgio Morlin, parroco a Mogliano Veneto: «La situazione è talmente patologica e degenerata che, da un punto di vista soprattutto etico, i danni sono ormai irreversibili. E la Chiesa italiana in tutti questi anni cosa ha fatto? E stata alla finestra a guardare silenziosa il lento ma inarrestabile dissolvimento morale del tessuto civile che fino a qualche anno fa teneva coesi gli italiani attorno al nucleo portante di valori condivisi. E quando la magistratura fa il suo dovere istituzionale nell'indagare puntualmente i reati emersi dalle intercettazioni, cosa dice la Cei? Sostanzialmente che il comportamento del premier è certamente scorretto, ma l'accanimento dei giudici è esagerato! Tipico linguaggio ecclesiastico, politico e cerchiobottista, più attento alla diplomazia interessata che alla profe319
zia evangelica del Battista, il quale rivolgendosi coraggiosamente ad Erode, un potente dell'epoca, corrotto e corruttore, senza tanti giri di parole dice con forza: non licet». Sintetizza don Francesco Pasetto, parroco della chiesa dei santissimi Vito e Modesto a Lonnano, Pratovecchio, in provincia di Arezzo: «L'impressione sta diventando sempre più nitida: in Italia i cristiani investiti di qualche potere, ai potenti tutto perdonano mentre ai poveracci niente risparmiano». Traspare disperazione, e voglia di reagire. C'è chi confessa la propria angoscia nell'assistere allo scempio che si sta facendo della legalità, delle regole fondamentali del vivere civile e democratico, l'uso sistematico della menzogna, la conseguente manipolazione della verità per difendere e promuovere interessi di parte a svantaggio del bene comune, scrive un prete di Livorno, lo tormenta «l'insopportabile deriva del consenso, legittimato non solo dall'ignoranza ma ancor più da basse sollecitazioni populiste tanto più diffuse quanto più indegne, l'arroganza del potere che di giorno in giorno si riawolge su se stesso per difendersi e isolarsi dai veri problemi in cui si dibatte la gente, la sfacciataggine di chi tutto si può permettere, anche di non rendere conto delle proprie malefatte...» L'umore dei parroci e dei preti al tempo del Rubygate pare lontano milioni di anni luce dalle sperticate lodi che don Luigi Verzé, classe 1920, il padre padrone dell'ospedale San Raffaele, rovesciò sulle pagine del «Corriere della Sera» in un'intervista dell'agosto 2004 che osanna Silvio: «Non è un politico. È un artista. È istinto; istinto buono, naturalmente. Berlusconi è un dono di Dio all'Italia. Ora i tempi non sono maturi; ma più avanti, quando potrete confrontare la sua era con quella del fascismo e quella della De, lo vedrete, quanto ha fatto quell'uomo per voi». Se il voi si riferisce all'harem di Arcore, parole sante, santissime e lungimiranti. Viene il sospetto che tanto entusiasmo fosse dettato dalla munificenza di Berlusconi. Bisogna 320
Sodoma ricordare che tra Verzé e Berlusconi nasce, con Bettino Craxi, un sodalizio che va al di là degli interessi, e diventa solida amicizia. Quando Craxi fugge in Tunisia, don Verzé lo va a trovare ad Hammamet, gli procura medici e cure, e non lo fa di nascosto: «Ora non posso che pregare con Craxi come ho pregato insieme a lui a Tunisi, lasciando ad ognuno le responsabilità che ha scelto», dichiarerà all'Ansa. Succedesse a Berlusconi, è certo che si comporterebbe allo stesso modo. Chi di sondaggio ferisce... Per anni il Cavaliere ha ostentato, consolidato e veicolato, grazie ad accorte campagne di comunicazione, l'immagine di uomo laico quanto devoto, motivato da un forte senso di solidarismo cattolico. Foto di famiglia a Natale, pranzi pasquali affollati e giulivi, cene in beata confusione nelle feste comandate e in occasione dei compleanni. Ogni tanto, trapelavano notizie di cospicue donazioni. Non potevano non esserci, a maggior ragione, in pieno caso Ruby: ed infatti, si ha notizia che nel febbraio del 2011 avrebbe regalato lOOmila euro ad una parrocchia del Bergamasco, così come avrebbe versato la straordinaria cifra di 9 milioni di euro per scuole, orfani, ospedali, vedove scuciti attraverso il fedele «Spino», al secolo Giuseppe Spinelli, il contabile che provvedeva a saldare i conti delle ragazze sue ospiti. Sacra e profana beneficenza... Con scrupolo e parecchia intensità ci ha pensato Studio Aperto, il tiggì di Italia 1, una delle tre tv Mediaset, di proprietà del Cavaliere, a diffondere urbis et orbi, il 6 febbraio 2011, un toccante servizio sull'indubbia e meritevole generosità di Berlusconi, ma a pensar male ci si azzecca sempre, diceva Giulio Andreotti (e non si fa peccato): che la notizia fosse stata enfatizzata per bilanciare le non altrettanto apprezzabili elargizioni alle Arcore girls? D'altra parte, bisognava pur correre ai ripari. Lo stesso 321
giorno che Cristina Di Censo, giudice per le indagini preliminari, ha rinviato a giudizio immediato Berlusconi per concussione e prostituzione minorile, disponendo il processo per il 6 aprile, l'edizione online di «Famiglia Cristiana» ha promosso un sondaggio sulla propria homepage. Alla domanda «Berlusconi a processo: dovrebbe dimettersi?» hanno risposto più di 500 lettori nel giro di un'ora. La stragrande maggioranza, il 96,6%, ha scritto di sì. Una maggioranza bulgara ma che evidentemente rispecchia l'opinione sempre più diffusa della gente. La prospettiva di vedere Berlusconi al banco degli imputati, nell'aula della Quarta Sezione penale, al terzo piano del Palazzo di Giustizia (il cosiddetto «lato Manara»), in cui si è celebrato il processo Abu Omar, l'ex imam presunto terrorista rapito dalla Cia e deportato in Egitto, ha avuto riflessi negativi sino in Borsa, altro termometro simbolico della società civile: il titolo Mediaset che viaggiava attorno alla parità, si è afflosciato assestandosi a quota 4,79 euro, perdendo l'I,19 (a un certo punto era andato sotto di 2 punti) mentre l'indice principale di piazza Affari saliva invece dell'I%. Berlusconi in quel momento si trovava in Sicilia. Ha annullato la conferenza stampa prevista a Mineo, in provincia di Catania, dove si era recato per il sopralluogo di una struttura che potrà ospitare migliaia di immigrati, ed è rientrato a Roma per incontrare gli avvocati. Lapidario il giudizio di «Famiglia Cristiana», mai tenera con gli eccessi "del premier: «una nemesi». Diventerà quasi un'etichetta antiberlusconiana. Un ulteriore segnale politico lo dava il cardinale Bagnasco, a margine di un convegno: «La trasparenza è un bene da perseguire sempre a tutti i livelli per il bene del Paese», rispondeva infatti il presidente della Cei, a chi gli chiedeva di commentare la situazione del Paese. Pur senza riferirsi in maniera esplicita alla decisione del Gip di Milano, il solitamente controllato Bagnasco insisteva sul rispetto dell'eti322
Sodoma ca: «La trasparenza è un valore che tutti desiderano e che fa parte di una cultura dignitosa». Amen. Purtroppo il Rubygate ha evidenziato ben altre «trasparenze», oltre a quelle esibite dalle disinvolte fanciulle del bunga bunga, mettendo a nudo, è il caso di dirlo, tutto d'un colpo i fallimenti di Berlusconi, dal rilancio dello sviluppo industriale alla tutela economica delle famiglie, dalla battaglia contro la disoccupazione e il precariato alla lotta contro la corruzione, dallo sprofondo in cui è precipitata la considerazione internazionale italiana alla politica estera dove il premier è considerato «comico». Troppe fragilità etiche, politiche ed economiche affastellate una sull'altra. Gli effetti perniciosi del Rubygate accentuano la caduta dell'immagine del Cavaliere. I sondaggi lo puniscono. Da novembre alla fine di gennaio, il gradimento di Berlusconi, secondo un sondaggio della Swg di Trento condotta su un campione rappresentativo dei praticanti cattolici commissionata da Mimmo L u c a , leader dei Cristiano-Sociali (movimento interno al Pd, il Partito Democratico), passa dal 42 al 32%, e altri sondaggi di febbraio confermano la tendenza al ribasso. La vicenda delle feste nelle abitazioni private del premier ha deluso il 57% degli interpellati: 40 su 100 erano già delusi ma il Rubygate ha «peggiorato ulteriormente» l'immagine del premier, mentre 17 interpellati su 100, che prima dello scandalo dicevano di avere un'opinione positiva, ora si dichiarano delusi e parlano anch'essi di un peggioramento dell'immagine. Solo il 4% dei cattolici ritiene che le cose siano migliorate, mentre per il 36% la considerazione del premier è rimasta invariata. Il sondaggio fornisce una risposta al «dilemma» sul quale si è molto dibattuto nel confronto tra sostenitori e detrattori di Berlusconi: la vita privata del primo ministro ha un rilievo pubblico o no? Il 33% degli intervistati ritiene che quello che fa il presidente del Consiglio nelle ore di liberà non riguardi l'opinione pubblica ma c'è un corposo 59% che 323
pensa proprio l'esatto contrario e che per la figura del premier non possa esserci una distinzione tra il pubblico e il privato. Su un punto, inoltre, praticamente tutti i cattolici concordano: la risposta della Chiesa gerarchica è stata molto tiepida. Da Papa, vescovi, cardinali e porporati vari il popolo delle parrocchie si aspettava una risposta molto più incisiva. Per il 51%, infatti, la gerarchia ecclesiastica avrebbe dovuto esprimere «una critica più diretta e severa nei confronti dello stile di vita di Berlusconi, che ha compromesso non solo la sua immagine ma anche quella dell'Italia stessa nello scenario internazionale»: il 67% dei cattolici praticanti giudica negativamente l'operato del governo, mentre il 30% «prova vergogna per l'immagine dell'Italia all'estero» e il 28% «disgusto» per il comportamento di Berlusconi. Si capisce perché il cardinale Bagnasco abbia girato il coltello nella piaga, quando cita una frase apparsa sull'«Awenire», a proposito del caso Ruby: «Quando si ricoprono incarichi di visibilità, il contegno è indivisibile dal ruolo». Pure l'influente Segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone, invoca «più moralità e legalità», sia nel mondo della politica che in quello della giustizia. Una convergenza di opinioni che trovano sponda al Quirinale. Non è dunque passato invano l'appello del presidente Napolitano a «scongiurare ulteriori esasperazioni e tensioni». Siamo angustiati, dicono alla Cei, perché questa situazione congela l'Italia: il Paese si è arenato, dall'inizio dell'anno il Parlamento ha varato una sola legge. Una, in quaranta giorni! Le opache vicende personali del primo ministro, invece, sono all'ordine del giorno di Camera e Senato; sarebbe meglio che la politica ritornasse a preoccuparsi dei veri problemi degli italiani. Problemi concreti e non quelli legati ad una cricca di dissoluti lussuriosi. Sempre in quei giorni, sul «Corriere della Sera» appare un intervento significativo di Andrea Riccardi, il sessantunenne fondatore della Comunità di Sant'Egidio, un 324
Sodoma movimento di laici al quale oggi aderiscono più di 50mila persone: «I cattolici cambino scelte politiche», titola il giornale del 4 febbraio, riassumendo il pensiero di Riccardi: «Il mondo cattolico ha fatto la De; poi, dopo il Concilio, con la De ha desolidarizzato. Qualcuno l'ha votata turandosi il naso, altri hanno seguito il provvidenzialismo del principe rosso liberatore. Dopo l'89, il mondo cattolico si è spezzato in tanti frammenti. Il cardinale Ruini ha dato credito all'ipotesi Berlusconi. Ma il sistema bipolare non ha garantito la stabilità. A ben vedere, a modo loro erano più stabili i governi democristiani. Mi chiedo se non sia tempo che il mondo cattolico assuma un'altra posizione, dia il suo contributo di idee nuove in un assetto politico diverso, plurale». Chi ha gestito la Seconda Repubblica, è la sintesi, non può rilanciare il Paese. L'Italia, sostiene Riccardi, «ha un posto nel mondo. Noi abbiamo un genio, dei punti di riferimento: Napolitano, la Chiesa. Il mondo cattolico ha un vissuto e risorse per aiutare a costruire un'identità nazionale e laica, non in contrasto con l'essere cristiani». Scende in campo anche la prestigiosa «Civiltà cattolica», pubblicata dai Gesuiti (con l'imprimatur del papa). Propone: invece di stare sulle barricate, l'un contro l'altro armati, occorre una «leale collaborazione». Ma è un invito esplicito a farsi da parte, perché l'articolo in cui ciò è scritto tratta di legittimo impedimento. Il segnale è preciso e piomba alla vigilia delle celebrazioni dei Patti Lateranensi. Si sparge la voce che Vaticano e Cei provano imbarazzo diplomatico nel dover incontrare ufficialmente il premier: è la prima volta, infatti, che un rinviato a giudizio per prostituzione minorile si presenta dai porporati, sottolinea maliziosamente «il Fatto Quotidiano». Il 18 febbraio l'evento si consuma gelidamente a Palazzo Borromeo, sede dell'ambasciata d'Italia presso il Vaticano. Mai un vertice StatoChiesa si è svolto in un clima di tale formalità: freddezza protocollare, dichiarazioni di circostanza. Altro segnale che preoc325
cupa gli uomini del presidente del Consiglio arriva daU'«Awenire», che insiste sul disagio dei cattolici ed evoca «l'uscita dalla politica» di Berlusconi. Inoltre, un nuovo sondaggio di «Famiglia Cristiana», barometro degli umori cattolici di base, rivela che il 73 % dei credenti vuole le dimissioni. I vaticanisti spiegano che il summit si è fatto per il «dovuto rispetto» che si deve ad un'importante ricorrenza, in sintonia con le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia. Il Vaticano tiene in penitenza il suo grande amico peccatore. Il quale, a sua volta, lascia capire che solo lui è l'interlocutore privilegiato. Sul «Giornale», il quotidiano di famiglia, ci si arrampica sugli specchi per ridimensionare la crisi tra Berlusconi e la Chiesa. Alla vigilia del summit, il titolo del servizio che lo presenta è eloquente: Premier in Vaticano dopo il caso Ruby/Bertone ci sarà: nessun imbarazzo, «è il primo faccia a faccia dopo l'esplosione del caso giudiziario. Smentite le voci di una possibile defezione del segretario di Stato per non incontrare Berlusconi». Sotto l'articolo, ancora più significativi due articoli accomunati dal tema del giorno, «tra etica privata e ruolo pubblico». Il «laico» Mario Cervi invita a non dovere «benedire Silvio in cambio di leggi di favore», mentre il «cattolico» Luigi Amicone, fa il pompiere: «Le sue serate da peccatore? Cancellate dal buon governo». Il tempo passa, il purgatorio continua. Berlusconi spera nell'usura del tempo. Quando l'amnesia si trasforma in amnistia. Confida sulla scarsa attitudine degli italiani a ricordare. La gente dimentica, assimila, e perdona. L'immagine si ricompone. Sbagliare è umano. Sbagliano tutti, potrà non sbagliare anche il vostro premier? Da astuto venditore di spazi pubblicitari, il Cavaliere è sempre stato molto attento nell'accreditare l'immagine dell'italiano che ama la famiglia, che vuole benessere, nel rispetto delle tradizioni cristiane. La sua liturgia miscela valori fondanti del cattolicesimo e del liberismo che poi popolarizza, 326
Sodoma curando sapientemente gli aspetti più aneddotici, quindi fruibili dalle sue immense platee televisive. Come fece con suor Silviana, la zia «preferita», scomparsa nel 1995. Aveva 88 anni e stravedeva per il famoso nipote che consigliava nei momenti difficili. Il presidente del Consiglio interrompeva addirittura i vertici politici quando l'anziana religiosa arrivava alla villa di Arcore per fargli visita. La bella favola, opportunamente diffusa, riempiva il cuore della gente semplice e le pagine dei rotocalchi. Prima di prendere i voti, la zia «preferita» si chiamava Bice Berlusconi ed era la sorella di Luigi, il papà del Cavaliere. Era una donna energica e determinata. L'ultimo bacio a Silvio lo dette nel pomeriggio di Santo Stefano, poche settimane prima di morire: «Stai attento Silvio a dedicarti alla politica», lo ammonì la zia suora. Ma Silvio la tranquillizzò, sicuro del successo. Suor Silviana era infatti «molto preoccupata in quel periodo», riferì dopo il funerale la madre superiore, suor Verdiana, «per i continui attacchi che arrivavano al nipote da più fronti. E anche ultimamente, quando vedeva in Tv qualcuno che lo criticava, si arrabbiava». Ecco da chi ha preso, l'irascibile Berlusconi, che telefona in diretta tv all'Infedele e insulta il conduttore Gad Lerner, definendo la sua trasmissione un «postribolo televisivo», perché avevano osato raccontare le vicende del Rubygate, ed invitando l'ospite Iva Zanicchi, europarlamentare in carica al suo partito, ad abbandonare il programma. Saggiamente la cantante ha tergiversato ed evitato il ridicolo. Nel contesto dell'immagine di uomo politico «del destino», chiamato da Dio a reggere le sorti del Paese e a risollevarlo dalle malefatte della sinistra, è sempre stato importante, per Silvio Berlusconi, accentuare i connotati dell'homo berlusconensis sino a confonderli con i lineamenti di un popolo in fondo legato alla tradizione cattolica. Il risultato di questa contaminazione è stata la nascita di una sorta di cristianesimo made in Italy, tolle327
Leonardo Coen Paolo Colonnello rante e consumistico (come emergeva negli interminabili talk show del mattino e del pomeriggio, o in quei programmi dove i protagonisti erano moglie e mariti in crisi, vicini in lite, automobilisti in causa con il Comune, ragazze piantate dai fidanzati o viceversa, amori tra giovani ed anziani). Su questo sfondo si stagliava la vita esemplare del Capo: essa contemplava la messa della domenica nella cappella della villa di Arcore, il rito dei defunti con l'erezione - in senso monumentale - di un colossale mausoleo scolpito dal grande Pietro Cascella, dentro il giardino della villa, destinato ad accogliere i familiari e gli amici più fedeli, come usavano i faraoni perché fossero eternamente ricordati. Con ostentazione, Berlusconi amava lasciarsi ritrarre nella posa del baciamano al Papa. O coi cardinaloni in porpora al suo fianco. Di conseguenza, ha voluto che preti e vescovi fossero ospiti fissi delle sue trasmissioni. Il suo governo si è schierato dalla parte della Chiesa per difendere la presenza del crocifisso nelle scuole. Le collusioni con la finanza cattolica e i banchieri di Dio hanno punteggiato la sua ascesa... in cambio, l'appoggio del Vaticano è stato proficuo e determinante in tutte le campagne elettorali di Berlusconi, poiché era visto come il campione dell'anticomunismo, l'unico valido baluardo per contrastare efficacemente l'ascesa del centrosinistra. Perciò, gli si perdonava tutto, si evitava di affrontare la spinosa e centrale questione del conflitto di interessi e si sorrideva, come si suol fare con un chierichetto un po' birichino, se si impossessava del lessico da predica per utilizzarlo in politica e negli affari. «Voi dovete diventare dei missionari, anzi degli apostoli, vi spiegherò il Vangelo di Forza Italia, il Vangelo secondo Silvio», disse una volta nell'aprile del 1995 ad una convention di partito colui che già si sentiva «l'Unto del Signore» (titolo di un fortunato pamphlet scritto da Ferruccio Pinotti e Udo Guempel) e miracolosa - è onesto convenirlo - è stata la paziente ed efficace tessitura della santa alleanza con il Vaticano per garantirsi 328
Sodoma un appoggio che non è mai venuto meno, neanche nei momenti più critici. Anche adesso? Il Purgatorio in cui lo tengono gli amici d'Oltretevere è tuttavia un segnale di riconciliazione. Berlusconi capisce: deve solo attendere. Si ringalluzzisce. Organizza il contrattacco. Prepara le sue truppe in parlamento, alza la voce al Quirinale, «Mi perseguitano!», però il presidente Giorgio Napolitano lo gela: «Si calmi, il giusto processo è garantito dalla Costituzione, basta strappi con la giustizia». Macché. Lui annuncia riforme per rimodellare le leggi a suo vantaggio, ripropone il decreto bavaglio sulle intercettazioni, promette alla Lega che il federalismo sarà realtà entro brevissimo tempo, ma incappa anche in qualche gaffes, come sul colonnello Gheddafi, che non chiamo perché «non voglio disturbarlo», mentre il dittatore libico faceva sparare sui manifestanti... Ma il Purgatorio prosegue, è la penitenza per i peccati carnali di Hardcore (scontata storpiatura con cui in molti trasformano Arcore), non si può ricominciare come se nulla fosse, perché nel frattempo invece di placarsi la tempesta aumenta d'intensità, cresce il malumore sull'attendismo vaticano, si fa sentire l'Italia che ha esaurito pazienza e fiducia, parla il mondo offeso delle coscienze. E della fede. Il settimanale della diocesi di Torino, «La Voce del Popolo», ripercorre la storia e la preistoria dell'intrattenimento, la strategia cioè di una pseudocultura che ha modellato una nuova generazione di italiani, stravolto la cultura nazionale e corroso l'immagine della famiglia. Un cambiamento antropologico anestetizzante, grazie alle tv commerciali. Chiaro il messaggio di queste inchieste, di queste proteste, di queste lettere. Sono giudizi pesanti sugli «occhi chiusi» delle gerarchie ecclesiastiche che tolleravano, sia pure faticosamente, ma tolleravano, lo sfacelo provocato ad arte del berlusconismo, la sua cultura edonistica televisiva, la banalizzazione della vita, il sesso sprecato. Il Rubygate ha la capacità di rige329
nerare lotte dimenticate, di ridar fiato a rivendicazioni storiche. Come quelle femministe. Siamo donne, non puttane. La protesta contro i festini di Arcore non è un rilancio del moralismo, ma un appello alla moralità. Una distinzione che il fronte di Berlusconi rifiuta, finge di non capire. La moralità riguarda tutto: dai rapporti affettivi alla gestione della cosa pubblica. Quando il governo, all'inizio di febbraio, annuncia l'imposta supplementare di un euro sui biglietti del cinema, si ironizza sull'esenzione garantita alle sale parrocchiali e ai centri religiosi, perché è evidente che si tratta di un goffo tentativo per recuperare la credibilità perduta presso le alte sfere ecclesiastiche, ma è troppo palese la mossa e può trasformarsi in un boomerang, per la Chiesa stessa. Appare subito una moneta di scambio incongrua. Qui i trenta denari per tacitare le rimostranze di preti e fedeli. Lì, i milioni sperperati per Ruby. E Nicole. E Iris. E Barbara. E Marysthelle. E Michelle. Ed Emma. Concetta. E tutte le altre dell'harem. Il popolo delle chiese insorge. Don Mario Leonardi, un giorno decide che è venuto il momento di parlarne ai fedeli. Lo ha fatto dal pulpito della chiesa di Centro Croci, a Canevari, in Liguria, durante la messa di mezzogiorno: «Le prostitute le dovevamo ritrovare in cielo. Mi sembra invece ci stiano passando in terra. Chi ha responsabilità istituzionali sia il primo a ritrovare il senso della moralità...» Don Aldo Antonelli, parroco di Antrosano, frazione di Avezzano in Abruzzo, affigge manifesti bordati di nero, per rendere noto il suo sdegno a tutta la comunità: «Lutto per il Paese, umiliato da un premier immondo, affarista e licenzioso, sequestrato da un'economia forzata e forcaiola imbavagliato da una tv servile e cortigiana». Mena poderosi fendenti anche alla Chiesa, «connivente e concubina, muta e imbavagliata, sensale e mercenaria». Don Fabio Corazzina, parroco di Santa Maria in Silva, provincia di Brescia, tiene un'omelia dura, e amara: «Stiamo assistendo ad una 330
Sodoma vicenda tragica. Quest'uomo forse non ha amici che gli spiegano che è venuto il momento di fermarsi». Molti suoi fedeli gli hanno confessato d'essere disorientati: «Basta ascoltare le schifezze di questo signore...» E tuttavia, ammoniscono i vescovi della diocesi milanese, il pericolo potrebbe annidarsi negli atteggiamenti «di insofferenza verso le regole della democrazia, avvertite più come un intralcio che come garanzia di libertà e di uguaglianza». E quasi una parola d'ordine. L'indignazione si trasforma progressivamente nell'invito a fermarsi, «tutti, in tempo, fare chiarezza in modo sollecito e pacato e nelle sedi appropriate, dando ascolto alla voce del Paese che chiede d'essere accompagnato con lungimiranza ed efficacia senza avventurismi, a cominciare dal fronte dell'etica della vita, della famiglia, della solidarietà e del lavoro» (cardinale Bagnasco). Un nuovo sondaggio su come la pensano i cattolici praticanti, quattro mesi dopo l'esplosione del Rubygate, rivela che il 28% di chi va a messa alla domenica è indulgente verso Berlusconi, il 16 continua ad ammirarlo, il 6 addirittura si dichiara ancora suo tifoso; gli indignati sono il 13%, i critici il 37. Risultato: 50 a 50. Inoltre, sul dinamico sito di «Famiglia Cristiana», un sondaggio on line che coinvolge 3500 persone, rivela che il 92% ritiene la reazione dei cattolici al caso Ruby-Berlusconi debole, e soltanto il 7% la considera adeguata. Abbiamo avuto gli occhiali appannati, e non siamo stati in grado di individuare il danno etico causato dai comportamenti privati di personaggi come Berlusconi, hanno scritto commentando l'esito del sondaggio. Qualcosa non va. Ma è piuttosto significativo che l'«Awenire», per mano del direttore Tarquinio, sottolinei come le carte dell'inchiesta «dopo essere passate per troppi tavoli sono tutte sul tavolo giusto, quello processuale». Fuor di metafora, la lettura indiretta è che Berlusconi accetti d'essere giudicato. E presto. Intanto, il 27 di febbraio, il «Giornale» pubblica un'intervi331
sta del cardinale Bagnasco, a cui dedica tutta la seconda pagina e un enorme richiamo in prima, in cui si dice che Bagnasco parla sia del caso Ruby che della Libia. Il capo della Cei rinnova i suoi inviti, puntualizza la preoccupazione di fondo, cioè che una «visione edonista della vita abbia la meglio, mortifichi la dignità personale, e corrompa le energie migliori del nostro Paese. Siamo tutti avvertiti del fatto che una certa cultura della seduzione ha introdotto una mentalità, e ancor prima una pratica di vita, dove sono state messe al bando parole come sacrificio, impegno disinteresse e tutto sembra diventare moneta...» Intanto Berlusconi ha già contraccambiato. Cosa non si fa per un'assoluzione... Il 26 febbraio è andato dai Cristiano Riformisti, l'ala moderata dei cattolici del Pdl, un movimento fondato nel 2006 sulla scia del Family Day da Antonio Mazzocchi, deputato Pdl di provenienza An. Nello stesso albergo c'è anche il congresso del Pri. Due platee, ma temi unici. Berlusconi si scatena in una filippica contro i professori perché inculcano valori diversi da quelli delle famiglie, «c'è bisogno di educare liberamente i propri figli e quindi di non essere costretti a mandarli in una scuola di Stato». I comunisti, «quelli di casa nostra, erano e restano tutti comunisti; ed è per questo che sono in campo, perché non prevalgano: sono sceso in politica per non fare prevalere l'ideologia più terribile e disumana della storia, il comunismo». I gay, aggiunge, non avranno mai matrimoni equiparati a quelli delle famiglie tradizionali, perché di famiglia ce n'èuna sola, tanto meno fin quando sarò io al governo, e intendo restarci, saranno consentite adozioni agli omosessuali e ai single. Su «Micromega», Paolo Flores d'Arcais sintetizza: «Siamo tornati alla vendita delle indulgenze». E, ad aggiungere sconcerto, ci pensa monsignor Luigi Negri, il vescovo della diocesi di San Marino-Montefeltro, esponente ciellino di primo piano della Cei. Offre una cinica lezione di realpolitik in salsa clericale. Dice, in un'intervista alla «Stampa» di Torino: 332
Sodoma «Ci sono le condizioni per orientare cattolicamente la restante parte della legislatura verso i principii non negoziabili: vita, famiglia, libertà di istruzione. Le incoerenze etiche di un governante non distruggono il benessere e la libertà del popolo, gli attacchi alla famiglia e alla sacralità della vita devastano la vita sociale». Quindi, per raggiungere lo scopo, il fine giustifica i mezzi (i Berlusconi...): «Un politico è più o meno apprezzabile moralmente in base a quanto si impegna a vantaggio del bene comune, cioè di un popolo che viva bene e di una Chiesa che operi in piena libertà. Non è edificante sentir evocare anche in ambienti cattolici l'indignazione, il disprezzo, l'odio verso l'avversario politico. A far male alla società sono i Dico, la legislazione laicista, la moralità teorizzata e praticata da quanti ci inondano di chiacchiere sulla rilevanza pubblica di taluni comportamenti privati (...) La moralità personale è importante e Berlusconi va richiamato come tutti, ma nella sua storia la Chiesa interviene sulla promozione del bene comune e su ciò valuta un'autorità pubblica. In due anni e mezzo i cattolici potranno incidere di più sulla vita politica e sociale, per esempio contro i registri delle coppie di fatto e il sì al farmaco abortivo Ru486». Così vanno le cose, al tempo di Ruby e le altre. Con la benedizione del monsignore. 333
24. NON FACCIAMOCI RICONOSCERE «Non facciamoci riconoscere.» «E perché?» «Perché siamo italiani.» «E allora?» «Siamo italiani, dunque come il nostro premier». «Ma che dici? Ci associano a Berlusconi?» «Credimi, qui a Londra è così». «Non ci posso credere». «Guarda, certe volte mi fingo svizzero. Il che è tutto dire. Racconto che sono di Lugano. Così giustifico il fatto che parlo italiano. Però, la battuta scappa sempre lo stesso». Dalle sue mani spunta una vecchia copia stropicciata del «Times». Com'è noto, non è un quotidiano dell'estrema sinistra britannica. Qualche anno fa è stato comprato da Murdoch, un fior di conservatore. Eppure, indica l'amico, vedi cosa scrivono? Apre una pagina. Traduce. «Non si capisce perché gli italiani siano così comprensivi dei peccatucci sessuali o che ammirino il diabolico machismo al punto da non riuscire a vedere l'enorme danno che il loro primo ministro sta facendo al Paese». «Sarcastico, però in fondo è la verità». «Il "Financial Times" una volta è stato lapidario: il Rubygate è una vergogna, però l'Italia merita di meglio». «Mi sembrano ottimisti». L'altro ricambia la cortesia. Nella borsa che ha con sé tiene 334
Sodoma una cartellina, piena di ritagli di giornali. Ne estrae uno. È la pagina 8 del «El Paìs Semanai». Comincia a leggere. «Dicen, pero dicen mal, que il Cavaliere todo lo que toca lo conviene en mierda. Non è vero. Ya era mierda antes de que él lo rozara. Simplemente, gracias a él, la mierda se manifiesta en toda su crudeza...» L'articolo si intitola Ave, Cesar, l'ha scritto Maruja Torres, una famosa scrittrice spagnola. Sembrano parole a favore di Berlusconi. La Torres premette che lui è falsamente vilipendiato, poiché dice che sul suo conto se ne dicono tante, «però sono maldicenze, che il Cavaliere trasforma in merda tutto ciò che tocca. Non è vero. Tutto era già merda prima che lui la sfiorasse. Semplicemente, grazie a lui, la merda si mostra in tutta la sua crudezza». L'altro s'incuriosisce, si fa passare la pagina e prosegue nella lettura. Vuoi vedere che dopo tanto rovesciare fango sull'Italia berlusconiana e gli italiani che lo continuano a votare, c'è qualcuno che di Berlusconi ha un giudizio positivo? In apparenza, la Torres esprime con molta onestà, la gratitudine che tutta la grande stampa internazionale deve, o dovrebbe a Silvio: «Eccomi qui oggi dedita a sottolineare i lati buoni di un leader mondiale ingiustamente vilipeso: Silvio Berlusconi. Ha tutta la mia considerazione. Come giornalista, per ovvie ragioni. Siempre es noticia. Sempre è notizia. Moralmente non mi provoca tutti questi brividi esibiti dai puritani delle classi medie...» Il fatto che la merda, con lui, si manifesti in tutta la sua schifezza, non scandalizza la Torres. Che scrive: «Io, questo, lo chiamerei un dono. Imprese, mezzi di confusione di massa, politica? Minuzie. [...] Dove si mostra un vero genio al passo coi tempi è nell'erigere le colonne su cui si regge la nostra ragione di esistere attuale: il voyeurismo e l'arte di essere ricco, continuare ad essere ricco, essere ancor più ricco, possedere tutto e tutti, comprare sempre di più e... invecchiare con delizioso garbo inimitabile». 335
L'ironia della Torres è sottile, i due amici che si sono trovati a Londra ne sono rapiti. L'articolo, a suo modo, è un piccolo capolavoro d'ironia. Maruja Torres non è affatto una delle tante giornaliste. Nata a Barcellona nel 1943, ha vinto molti prestigiosi premi letterari, ed è nota per le sue feroci polemiche: contro il Partito Popolare spagnolo, e sulla spinosa questione israelo-palestinese. L'articolo su Berlusconi appare domenica 13 febbraio, il giorno delle grandi manifestazioni di protesta delle donne in tutta Italia e in molte grandi città d'Europa e d'America. Quale miglior modo per celebrare questa mobilitazione se non rivelare l'arcana seduzione del vecchio multimiliardario che ama circondarsi di tantissime velinas desveladas? «Mr. B, mio idolo, è un maestro di ribellione sibaritica, libretto di assegni in mano, contro gli assalti del Tempo. [...] Quando lo guardo, vedo me stessa, come potrei essere col suo danaro e brama di vivere, i suoi livelli di ambizione. Mi vedo e mi temo. In realtà S.B. si offre a noi, si immola, per salvare le nostre anime. Sontuose ma false le orge hollywoodiane di Cecil B. de Mille, S.B. le monta e innalza sulla stessa verità della vita. Da qui il suo merito. Ha piena coscienza della fugacità del momento, della corruzione della carne, dei valori della longevità e della resistenza fisica, al di là dei miracoli del Viagra, degli acciacchi della prostata, dei tanga di pelle di leopardo sintetica. Che Poeta sarà all'altezza di cantare le tue gesta, o Cesare? Francamente, yo no lo veo», conclude la Torres. Ha descritto la disperazione di Berlusconi. La disperazione di chi non vuole mollare il potere. Né cedere all'incalzare dell'età. L'analisi della Torres è un esempio di come lo sconcertante scandalo del Rubygate stia progressivamente polarizzando l'attenzione dei media internazionali sulla figura «patetica» del nostro premier, sulla sua ostinazione, sul fatto che comunque 336
Sodoma metà degli italiani lo continuino ad appoggiare nonostante le pesantissime accuse della magistratura. Per molto meno, è il tenore di tutti i commenti e le analisi sulla situazione italiana, «nei paesi civili qualsiasi politico avrebbe dato le dimissioni». Solo in Italia ciò non avviene. Perché? «La democrazia italiana è malata», è la risposta tout-court. Come si leggerà sui grandi giornali di mezzo mondo due giorni dopo le manifestazioni del 13 febbraio. Archiviate infatti le donne scese in piazza perché «stufe delle volgarità di Silvio Berlusconi ed esasperate dal degrado dell'immagine femminile» («Le Monde», 9 febbraio, terza pagina), è il rinvio a giudizio del premier, martedì 15 febbraio, a far fibrillare le redazioni dell'informazione globale. D'un colpo, scivolano in seconda battuta l'Egitto in rivolta contro Mubarak, l'economia in crisi, la politica interna, il clima di nuovo impazzito. Berlusconi che dovrà affrontare il processo, con rito abbreviato, il 6 aprile, diventa la notizia d'apertura di quasi tutti i siti internet d'informazione di lingua inglese, i più critici - da sempre - nei confronti di Berlusconi. L'«Evening Standard», il popolare quotidiano londinese della sera, titola brutalmente: Berlusconi verrà processato per abuso di potere e sesso con una prostituta diciassettenne. Segue l'intendenza: giornali progressisti e giornali conservatori, verificano i corrispondenti italiani a Londra, riportano tutti, nessuno escluso, in termini simili gli ultimi sviluppi dello scandalo. Roba da nascondersi, commentano nei loro blog, i residenti italiani. Il «Guardian» fa risaltare la rilevanza delle pene previste per i reati di cui Berlusconi è accusato. Non solo, valuta come significativo, politicamente parlando, un «apparente segnale» inviato dalla Lega Nord al leader del Pdl: l'intervista del segretario pidiessino Pierluigi Bersani pubblicata in prima pagina sulla «Padania», secondo il quotidiano britannico, lascerebbe intendere che Umberto Bossi è pronto ad abbandonare Berlusconi per intrecciare nuove alleanze. 337
Leonardo Coen Paolo Colonnello Non sono teneri nemmeno i commentatori del «Daily Telegraph», quotidiano della destra conservatrice, che enfatizza sul destino del premier italiano: inguaiato dalle donne, gli toccherà essere giudicato da tre magistrate. E il «Financial Times», che sabato 12 febbraio in un editoriale esortava Berlusconi a mettersi da parte (Ciao Silvio, vattene), non si accontenta della notizia, ricorda ai lettori che oltre ai reati ipotizzati per il Rubygate, il primo ministro italiano ha in arrivo la ripresa di altri due processi per corruzione e illecito. Una puntualizzazione, da parte del quotidiano più importante d'Europa, che la dice lunga sugli umori della City, e della comunità finanziaria più influente del Vecchio Continente. Un martellamento implacabile, quello del «Ft». Il 14 febbraio, in un editoriale non firmato - quindi espressione della direzione del giornale - si auspicavano le dimissioni, Arrivederci, Silvio, era il titolo in italiano. Silvio è vergognoso e l'Unione Europea tace, rimproverava il giornale, invece di contribuire ad affrettarne l'uscita di scena: «Sette anni fa il suo medico disse che Berlusconi è tecnicamente immortale e a tratti il miliardario italiano sembra anche politicamente indistruttibile, ma così come l'affermazione del medico conteneva un tocco di esagerazione, si può star certi che anche la carriera politica di Berlusconi un giorno finirà». Quando? «Sarebbe meglio per la sua nazione, e per l'Ue, se quel giorno arrivasse prima che poi», aggiunge lapidario l'editorialista. «Esistono poche democrazie in cui un primo ministro coinvolto in una vicenda come la sua non darebbe le dimissioni. Ma questo non è lo stile di Berlusconi. Restando al suo posto, il premier garantisce che il nome dell'Italia continuerà ad essere infangato sui media internazionali. Garantisce che la sua coalizione di centro-destra sarà distratta dai suoi compiti e incapace della vigorosa azione che sarebbe necessaria. Infine, restando al suo posto, egli fa apparire l'Ue sciocca e ipocrita nel da338
Sodoma re lezioni a Egitto e Tunisia e altri paesi non europei su come dovrebbero governare se stessi, quando contiene un tale supremo esempio di malgoverno al proprio interno». L'articolata analisi ha una conclusione che è una proposta: «L'Italia ha molti degni servitori, da Giorgio Napolitano a Mario Draghi, che fanno onore al proprio paese. Berlusconi non è tra costoro, e il suo rifiuto di fare la cosa giusta e dimettersi è niente meno che vergognoso». Già. La parola «vergogna» ricorre spesso e volentieri, accostata a Berlusconi. Assieme a «sesso», ingrediente fondamentale dell'immagine di Berlusconi. Alexander Stille, su «The New Yorker», forse la più sofisticata e prestigiosa rivista statunitense, aveva cercato di spiegare agli increduli americani che le voci sulle presunte «scappatelle» del Cavaliere subiscono deformazioni dalle inevitabili simpatie politiche. Chi lo sostiene lo dipinge come un instancabile stallone in grado di soddisfare due o tre donne alla volta. Chi lo combatte, insinua che per fare sesso deve ricorrere alle pompette per il pene e a misteriose iniezioni. I lettori americani hanno assorbito una quantità tale di gossip su Berlusconi, specie dopo l'esplosione dello scandalo Ruby, che ormai non vi è programma televisivo che non abbia accolto un «siparietto» su lui e le sue «Arcore girls». Basta cliccare su Google o YouTube, per rendersi conto dell'oceanica vastità di queste performances televisive. Berlusconi è più che una macchietta, è diventato una maschera, sotto ogni latitudine e, di conseguenza, lo è diventato il nostro Paese. L'Italia è sotto processo, scrive non a caso Geoff Andrews - su OpenDemocracy - e sarà giudicata in base alla sua capacità di sbarazzarsi di Berlusconi e di compiere una svolta moderna e progressista. Autore di Slow Food. Una storia tra politica e piacere (il Mulino, 2010) e buon conoscitore del nostro Paese, Andrews annota: «Le recenti accuse al premier, sono l'ultimo caso di una lunga serie di casi di corruzione e scandali sessuali 339
che coinvolgono lui (e quindi l'Italia) da più di un decennio». Stupisce gli stranieri il fatto che Berlusconi stia sempre sulla breccia. Un cocktail di denaro, sesso e interessi personali, spiegano gli esperti di cose italiane, ha permesso al berlusconismo di corrodere i normali meccanismi di garanzia: «Lo stato di diritto, l'eguaglianza dei cittadini e la trasparenza della politica» sono le sue vittime, ribadisce Andrews, «l'identità stessa dell'Italia ne è uscita danneggiata». Ruby Rubacuori, indirettamente, viene trasformata in una sorta di icona del peccato e delle tentazioni. Famosa come una diva. Tanto da meritarsi citazioni a non finire. Da fare invidia a Monica Bellucci, che rappresenta agli occhi del mondo il sessappiglio dell'Italia come sogno e mito. Quotidiani impegnati (e di impegnativa lettura) come «Le Monde», dedicano paginate intere al caso delle ragazze che fanno tremare il premier italiano. Crudele la titolazione del 21 gennaio 2011, a pagina 17, Sesso, bugie e Silvio: descrive, nei dettagli i meccanismi dell'organizzazione che forniva «giovani e belle ragazze per il bunga-bunga». Un'umiliante - per noi italiani - rassegna di comportamenti che Philippe Ridet riassume così: «Sesso e potere, sesso e denaro, sesso e ricatto, logica delle illusioni e retribuzione del vizio», appunto. Le pagine del corposo invito a comparire, annota Ridet, dipingono il «ritratto di un uomo patetico, ossessionato e solo. Un uomo di 74 anni che una ragazzina di 17 può far cantare come un perverso ordinario. Un uomo che si cerca di spennare da ogni parte fintanto che è ancora potente e in vita. A Lele Mora che sta per farsi prestare un milione di euro dal suo caro Silvio, Emilio Fede suggerisce: domandagli 1,2 milioni, io ne prendo 400mila per me». Inutile illudersi: fuori dai confini d'Italia, si sa tutto, della vicenda Ruby, e ci si indigna (al posto nostro). Rachel Donadio, del «New York Times», racconta ai suoi lettori delle intercettazioni di Ruby, in cui si evince che la ragazza «dice di aver par340
Sodoma tecipato ad alcune feste in casa del capo di governo Silvio Berlusconi fin da quando aveva 16 anni. Resta da vedere se l'astuto premier sarà davvero travolto dallo scandalo». Il premier, che nega di aver commesso atti illeciti e che dice di non aver saputo che Karima el Mahroug fosse minorenne, è anche indagato per concussione: «Avrebbe chiesto alla polizia, nella primavera del 2010, di rilasciare la ragazza che era stata fermata per furto. Nelle intercettazioni, Ruby dice di aver chiesto cinque milioni di euro a Berlusconi per mantenere il silenzio sulla vicenda». Sulla carta, questo basterebbe per mettere a rischio la stabilità del governo, è la sintesi del «New York Times». Ma a quanto pare, Ruby è solo una delle tante. Agli allibiti lettori made in Usa, la Donadio precisa che un rilevante numero di giovani donne si sono prostituite con il primo ministro ottenendo in cambio denaro o appartamenti in comodato gratuito. Il pessimismo della Donadio su come andrà a finire la vicenda si stempera in un capoverso: «In Italia, dove dietro una facciata di moralità cattolica si nasconde un'alta tolleranza per le vicende scabrose, Berlusconi è uscito indenne da tutti gli scandali scoppiati nel corso degli ultimi anni. Ma stavolta, con il premier che rischia una condanna penale e le intercettazioni che descrivono un mondo squallido fatto di orge e ricatti di ragazze squillo, la situazione sembra diversa. A metà dicembre Berlusconi ha superato per pochi voti una mozione di sfiducia, e se gli alleati della sua fragile coalizione si tirassero indietro, potrebbe essere costretto ad andare alle elezioni». La giornalista aggiunge un altro elemento, che invita a non sottovalutare: l'«Awenire», il quotidiano della Cei, ha pubblicato un «insolito editoriale in cui condannava una cultura fatta di potere, sesso e soldi». Il presidente galante, seduttore e dongiovanni non viene più tollerato nemmeno dalla Chiesa, che lo ha sempre sostenuto nei momenti più difficili, è la conclusione della Donadio. Che si è lasciata travolgere dall'entusiasmo delle proteste, 341
dimenticando l'abilità della Chiesa nel riannodare, a suo vantaggio, i legami con i politici italiani di sua fiducia. Per gli osservatori stranieri, la situazione italiana è intollerabile. Bill Emmott, ex direttore dell'«Economist» (dal 1993 al 2006) ed attuale editorialista del «Times», intervistato da Andrea Valdambrini per «il Fatto Quotidiano», riassume in una battuta la sua diagnosi: «Siete una democrazia-divano». Malattia perniciosa, i cui sintomi si manifestano, sempre più in modo preoccupante: eppure, la cura per la malattia italiana è semplice: «Ormai Berlusconi sta su ma non governa, una cosa di cui il vostro Paese sente disperatamente il bisogno». Governare è la medicina giusta. Basta scacciare chi non lo fa, o non può farlo. Preso da altre incombenze? «Patrizia D'Addario, Noemi Letizia, Ruby, Nicole Minetti, e ora Sara Tommasi. La serie di scandali che lo coinvolge da mesi lo sprofonda giorno dopo giorno, la sua credibilità viene erosa sempre di più. E poi cos'è questa idea di fare causa allo Stato, o di ricorrere alla Corte di Strasburgo per la violazione della privacy?». L'accenno di Bill Emmott aggiunge ridicolo al grottesco, questa l'istantanea che rappresenta l'Italia, quando il ministro degli Esteri, Franco Frattini, annuncia un ricorso alla Corte dei diritti dell'uomo, il 10 febbraio, due giorni dopo l'annuncio del premier di voler fare causa allo Stato. Il ricorso all'Europa, illustra Frattini, non è né straordinario né inusuale: c'è abbondanza di precedenti in materia, e il premier si comporterebbe come un qualsiasi altro cittadino. Quali appigli legali sono invocati dal ministro degli Esteri? In sostanza, uno solo. L'articolo 8 della Convenzione europea, quello che riguarda la violazione della vita privata. L'iniziativa scatena la derisione internazionale. In parlamento, il Partito democratico ci ricama sopra: «Frattini lasci 342
Sodoma perdere e pensi all'immagine dell'Italia nel mondo», il leader dell'Udo, Pierferdinando Casini lo bolla con una battuta, «siamo su Scherzi a parte», lo stesso presidente Giorgio Napolitano si preoccupa della credibilità internazionale. Al Quirinale rimbalzano ormai da mesi immagini e battute imbarazzanti del Rubygate che fanno il giro delle tv del mondo, e sono brutti colpi, autentici kappaò. È difficile sostenere le posizioni e le richieste dell'Italia in seno all'Ue, se poi il retroterra politico e culturale è quello del bunga-bunga. Lo scandalo delle orge scoperto dalla Procura di Milano pone a Silvio Berlusconi en el precipìcio, si legge nel sommario di un lungo servizio (di tre fitte pagine del numero di domenica 23 gennaio 2011) sull'irriducibile «El Pais», che della questione morale italiana - politicamente morale - ha fatto un cavallo di battaglia. Gigantesca immagine della conturbante Ruby, di Nicole Minetti, di Lele Mora e Emilio Fede, più quella di Marysthelle Garcia Polanco, intervistata da Miguel Mora, in cui la dominicana spergiura che Ruby «diceva di avere 24 anni. Ci ha mentito a tutti». Il 6 febbraio, l'autorevole giornale spagnolo dedica un'altra pagina, firmata dal noto scrittore e conduttore televisivo venezuelano (naturalizzato spagnolo) Boris Izaguirre, autore, fra l'altro della famosa telenovela Rubi... È il primo articolo dello showman sul giornale, per la sezione «Gente» che esce ogni sabato, e Izaguirre ha scelto per argomento i paradossi e lo stile di Berlusconi. Il suo stile, osserva, è volgare per qualcuno, attraente e inclassificabile per moltissimi: «Senza dubbio affascinante, perché anche criticato, con successo ha rafforzato i suoi valori contradditori: maschilista, nuovo ricco, più eccessivo di Versace». Parlando delle donnine che circondano Berlusconi, Izaguirre ricorda una pellicola dimenticata di Max Ophuls, Caught (Nella morsa, 1949), in cui una ragazza molto carina ma anche molto povera fa innamorare un eccentrico miliardario che la im343
prigiona in una magione impressionante impedendole qualsiasi altra ambizione personale o professionale. Le «damigelle Berlusconi» non sono recluse come in quel film, però in qualcosa di simile sì: «Tramite l'amicizia di Silvio accedono a castelli moderni come la televisione, in particolare la sua sezione berlusconiana: la tv cosiddetta reality. L'altra opzione, uno scranno in Parlamento per esibire il suo particolare criterio nel loro trucco e abbigliamento, che miscela alla perfezione sete da harem di Costantinopoli con valigette in cuoio alla Campidoglio statunitense. E il modo di vestirsi della più interessante delle velinas, la ex igienista dentale Nicole Minetti, oggi consigliere regionale del partito di Berlusconi». La Minetti sfrutta una delle armi dello stile Berlusconi: i capelli. «Li tocca, e si muove davanti alle telecamere approvando leggi. In mancanza di una corona, la pettinatura offre maestà alle ragazze del ceto medio allevate nell'Italia dell'esagerazione. Il trionfo dello stile Berlusconi è dimostrare che la corruzione, quando si espone, meraviglia». Con una certa cattiveria, i giornali stranieri non si limitano a sparare in prima pagina l'annuncio del rinvio a giudizio. Indulgono nel pubblicare le foto di un Berlusconi improvvisamente invecchiato, e cupo, che digrigna le mascelle, o che appoggia la mano sulla fronte, in una posa che lascia presumere preoccupazione, come decide di mettere sul suo sito Al Jazeera. Ancora una volta, «El Pais» non perdona. Il nostro premier è ripreso a bordo dell'Audi che lo riporta nella sua residenza ufficiale, ossia a Palazzo Grazioli. Il volto ingrossato, un po' di pappagorgia, che straborda dal colletto della camicia bianca e il nodo della cravatta leggermente allentato, gli occhi piccoli, e un'impressione generale di stanchezza, di stordimento, sopportazione; la smorfia delle labbra, sottili, appena dischiuse, quasi accennano un ringhio. È l'espressione di un uomo che si sente prigioniero e braccato. Lo sfacelo di Berlusconi, non poteva essere diverso da quell'istantanea: la Bbc nota che il nostro 344
Sodoma presidente del Consiglio «ha perso il suo abituale sorriso». Il sito del «New York Times» mostra la foto di una delle manifestazioni del 13 febbraio. L'immagine è molto grande, in primo piano una ragazza sorregge un manifestino, raffigura Berlusconi dietro le sbarre di una cella. La Suddeutsche Zeitung sceglie invece una foto in cui il Cavaliere è assopito. Quel giorno immortala Berlusconi su tutte le grandi testate mondiali, dal «Wall Street Journal» al «Figaro», è un massacro mediatico; i commenti spiegano perché non è soltanto una faccenda personale, ma una questione di dignità nazionale. Tutti i giornali, indistintamente, scrivono che sarebbe auspicabile che il premier italiano si facesse da parte. Alcuni osservatori, già esperti di cose italiane, non s'attendono gesti clamorosi. John Kampfner, ex direttore del settimanale laburista «New Statesman» e columnist del «Guardian», conosce abbastanza l'Italia e la sua situazione politica: «In nessun paese democratico un primo ministro processato per reati simili potrebbe conservare l'incarico», dichiara al corrispondente di «Repubblica», Enrico Franceschini. «In effetti basterebbe molto meno per costringerlo a dimettersi. Pur sapendo tutto quello che sappiamo su come Berlusconi opera, come condiziona i media e gli alleati, pur ammettendo la debolezza e le divisioni dell'opposizione, è stupefacente che sia ancora lì, a Palazzo Chigi. Rappresenta un'anomalia per l'Europa, per l'Occidente democratico». Se le diplomazie occidentali tacciono, aggiunge, è anche «perché l'Italia non è una pedina importante (...) Che poi l'Italia sia diventata meno importante a causa di Berlusconi, è un'opinione diffusa che io condivido. Nessuno in questo momento avrà piacere di farsi riprendere al suo fianco e scommetto che Blair, se potesse, farebbe scomparire quelle foto in Sardegna vicino a Silvio con la bandana in testa». Indirettamente gli risponde Roberto Saviano. L'articolo, pubblicato da «Repubblica» è ripreso in molti Paesi: «Capire 345
cosa sta avvenendo in Italia sembra cosa semplice ed è invece cosa assai complessa. Bisogna fare uno sforzo che coincide con l'ultima possibilità di non subire la barbarie. Perché, come sempre accade, il fango arriva. La macchina del fango sputa contro chiunque il governo consideri un nemico». Saviano si affanna nel mostrare come ci sia un'Italia diversa, che per anni ha dovuto fare i conti con «la macchina del fango» usata da Berlusconi per isolare e annichilire ogni opposizione. Questa Italia non si lascia più intimidire da strumenti di controllo come i «gossip» in tutte le sue declinazioni cartacee e in quelle virtuali. Il mondo scopre che nel regime di Berlusconi, la macchina del fango ha un obiettivo ben mirato: «Controllare la vita delle persone note a diversi livelli, in modo da poterne condizionare le dichiarazioni pubbliche. E quando serve, incassarne il silenzio». Il caso Ruby, così estremo, così indegno, ha oltrepassato ogni misura e mobilitato la parte sana della nazione, osserva «Le Monde», altro giornale che segue da anni la parabola politica e privata del premier italiano. «Berlusconi - dice Saviano - fa dichiarazioni che in qualsiasi altro paese avrebbero portato a una crisi istituzionale, come quando disse "meglio guardare una bella ragazza che essere gay", oppure quando fece le corna durante le foto insieme ai capi di Stato». Atteggiamenti che lasciavano di stucco gli stranieri. È vero, ammette Saviano: «Queste goliardate vengono percepite come manifestazioni di sanità mentale da parte di un uomo che sa vivere. Chi queste cose non le fa, e dichiara di non approvarle, viene percepito come un impostore, uno che in realtà sogna eccome di farle, ma non ha la schiettezza e il coraggio di dirlo pubblicamente. Il Paese è profondamente spaccato su questa logica. Quel che si pensa è che in fondo Berlusconi, anche quando sbaglia, lo fa perché è un uomo, con tutte le debolezze di un uomo, perché è "come noi", e in fondo, "anche noi vorremmo essere come lui"». Il meccanismo politico del consenso si basa su que346
Sodoma ste elementari, e popolari considerazioni. Ciò che agli inglesi appare sconcertante in Italia è stato tollerato per anni, scrivono i corrispondenti britannici da Roma. Quasi mai si tratta di reportages e giudizi lusinghieri. L'«Economist» di metà febbraio del 2011 scrive per esempio che Berlusconi è il