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Riassunto Anonimo trovato on line del terzo volume del Campobasso, capitolo LE PROCEDURE CONCORSUALI
LE PROCEDURE CONCORSUALI
L’imprenditore, durante l’esercizio della sua attività, può trovarsi in una particolare situazione di natura economico-finanziaria, che lo rende incapace di far fronte ai propri debiti. Tale situazione, che può essere temporanea o duratura, è chiamata “stato di insolvenza”. Il nostro ordinamento prevede delle procedure per far fronte a questa situazione. Tali procedure sono chiamate “procedure concorsuali” e sono: 1) IL FALLIMENTO 2) IL CONCORDATO PREVENTIVO 3) LA LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA 4) L’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA 5) L’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA SPECIALE (c.d.. Decreto Marzano) Una ulteriore procedura “l’amministrazione controllata” è stata soppressa dopo la legge di riforma delle procedure concorsuali nel 2006. Caratteri comuni a tutte le procedure concorsuali sono: A) L’universalità, in quanto le procedure concorsuali, colpiscono tendenzialmente tutti i beni dell’imprenditore B) La concorsualità, in quanto le procedure concorsuali, coinvolgono tutti i creditori dell’imprenditore alla data in cui il dissesto è accertato. C) La par condicio creditorum, in quanto le procedure concorsuali, mirano ad assicurare la parità di trattamento di tutti i creditori dell’imprenditore. 1) IL FALLIMENTO Nozione: Il fallimento è una procedura concorsuale giudiziaria che mira a liquidare il patrimonio dell’imprenditore insolvente ed a ripartire il ricavato fra i creditori, secondo criteri ispirati al principio della parità di trattamento. La disciplina generale del fallimento è dettata dal R.D. 267/42 (legge fallimentare), ma siccome tale legge si dimostrava inadeguata alle recenti novità imprenditoriali ed a seguito dei numerosi interventi della Corte Costituzionale, il legislatore è più volte intervenuto nella materia, in particolar modo con il D.L.vo 5/2006 (riforma delle procedure concorsuali nel 2006) e con il D.L.vo 169/2007(decreto correttivo nel 2007).
I presupposti del fallimento: 1) Presupposto soggettivo = la qualità di imprenditore commerciale del debitore 2) Presupposto oggettivo = lo stato di insolvenza del debitore 1) La qualità di imprenditore commerciale del debitore: L’art. 1 della legge fallimentare prevede che sono soggetti al fallimento solo gli imprenditori commerciali di natura privata e quindi non pubblica. Inoltre l’art. 1 prevede che non sono soggetti al fallimento ed al concordato preventivo, gli imprenditori commerciali che dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti di non fallibilità : a)
aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento(o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore), un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a 300.000 euro. b) Aver realizzato nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento(o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore), ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a 200.000 euro c) Avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore a 500.000 euro.
Un importante novità introdotta nel 2007 dal decreto correttivo è che “spetta al debitore l’onere di fornire la prova dell’esistenza dei requisiti di non fallibilità”.
2) Lo stato di insolvenza del debitore: Presupposto oggettivo per la dichiarazione di fallimento è lo “stato di insolvenza” e la legge fallimentare stabilisce che si trova in stato di insolvenza “chi non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”. E’ insolvente l’imprenditore che non può pagare i sui debiti o può pagare solo parzialmente i sui debiti ed anche l’imprenditore che può adempiere a tutti i suoi debiti ma solo in un momento successivo alla scadenza degli stessi. Lo “stato di insolvenza” va tenuto distinto “dall’inadempimento”. Lo stato di insolvenza: “è una situazione del patrimonio del debitore”. L’inadempimento: “è una manifestazione dello stato di insolvenza e si riferisce ad una singola obbligazione. Un imprenditore può adempiere a tutti i suoi debiti ma essere pur sempre comunque insolvente, pensiamo ad esempio al ricorso a prestiti usurai per mascherare l’insolvenza. Viceversa l’imprenditore può essere inadempiente senza essere insolvente, pensiamo ad esempio all’imprenditore che non paga perché ritiene di non dover pagare o trascura per negligenza di pagare un debito. Fermo restando la differenza fra insolvenza ed inadempimento, in base all’attuale disciplina per aprire il fallimento devono verificarsi entrambe le circostanze. Il decreto correttivo del 2007 ha previsto che il fallimento non si può dichiarare se l’ammontare dei debiti, scaduti e non pagati, è inferiore a 30.000 euro. Fallimento dell’imprenditore defunto o cessato. La morte dell’imprenditore o la cessazione dell’attività di impresa non impediscono la dichiarazione di fallimento. Nel caso di morte di imprenditore già dichiarato fallito la procedura fallimentare procede nei confronti dell’erede. Nel caso di cessazione dell’attività di impresa, il fallimento può essere dichiarato solo se non è trascorso più di un anno dalla cancellazione dell’imprenditore dal registro delle imprese e se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla cancellazione o entro l’anno successivo alla stessa.
Le finalità del fallimento: 1)Finalità principale: determinazione dei crediti e soddisfacimento dei creditori concorrenti 2)Finalità secondaria: salvaguardia del valore produttivo del complesso aziendale attraverso: a) l’esercizio provvisorio dell’impresa b) vendita in blocco dei beni aziendali
LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO: Soggetti legittimati alla richiesta Il fallimento può essere richiesto: 1)Da uno o più creditori, anche se non muniti di titolo esecutivo ed anche se vantino un credito non ancora scaduto. 2)Dal debitore, il quale ha l’obbligo(sanzionato penalmente) di chiedere il proprio fallimento solamente nel caso in cui la mancata richiesta possa provocare l’aggravamento del dissesto. 3)Dal Pubblico Ministero, in quanto la dichiarazione di fallimento, mira a tutelare interessi di natura generale. Il P.M. ha l’obbligo di chiedere il fallimento quando durante un procedimento penale emerge uno stato di insolvenza a carico dell’imputato. La riforma del 2006 ha soppresso la dichiarazione di fallimento per iniziativa d’ufficio del Giudice in base al principio di terzietà ed imparzialità del Giudice. Quando però l’insolvenza dell’imprenditore viene segnalata al P.M. da un Giudice che l’abbia rilevata durante un procedimento civile in cui l’imprenditore sia parte, il P.M. ha il potere-dovere di chiedere il fallimento. Competenza Competente a dichiarare il fallimento è il Tribunale del luogo dove vi è la sede principale dell’impresa. Se il Tribunale che ha pronunciato il fallimento si dichiara incompetente, deve disporre con decreto l’immediata trasmissione degli atti al Tribunale dichiarato competente e restano validi tutti gli atti precedentemente compiuti. Non rileva, ai fini della competenza, il trasferimento della sede dell’impresa, intervenuto nell’anno precedente alla richiesta di fallimento. Si vuole impedire così che il trasferimento della sede dell’impresa serva da espediente all’imprenditore per ostacolare o ritardare la dichiarazione di fallimento ovvero per scegliere un Tribunale gradito.
Istruttoria prefallimentare Una volta presentata la richiesta di fallimento Il Tribunale in composizione collegiale con le modalità del procedimento in camera di consiglio, apre la fase dell’istruttoria prefallimentare. Il debitore ed i creditori istanti, debbono essere sentiti in udienza e possono presentare memorie, depositare documenti, nominare consulenti, richiedere l’assunzione di prove. Nel procedimento interviene anche il P.M. se ha richiesto il fallimento. Il Tribunale, ad istanza di parte può emettere anche provvedimenti cautelari o conservativi volti a tutelare il patrimonio o l’impresa del debitore, per la durata della fase dell’istruttoria prefallimentare. Il Tribunale terminata la propria istruttoria dovrà decidere se accogliere o meno la richiesta di fallimento. 1) In caso di non accoglimento della richiesta di fallimento, il Tribunale emette “decreto motivato di non accoglimento”, Tale decreto è impugnabile dal creditore istante, dal P.M. richiedente o dallo stesso debitore, con reclamo avanti la Corte di Appello che se accoglie il reclamo rimette d’ufficio gli atti al Tribunale. 2) In caso di accoglimento della richiesta di fallimento, il Tribunale emette “sentenza di accoglimento che dichiara il fallimento”. La sentenza è immediatamente esecutiva tra le parti del processo, dalla data del deposito in cancelleria. Diventa esecutiva nei confronti dei terzi invece dalla data di iscrizione nel registro delle imprese. La sentenza contiene alcuni provvedimenti necessari per lo svolgimento della procedura ed in particolare: a) contiene la nomina del Giudice Delegato e del Curatore b) fissa l’udienza per l’accertamento dello stato passivo c)
ordina al fallito di depositare, entro 3 giorni, i bilanci e le scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché l’elenco dei creditori.
Reclamo e revoca della sentenza di fallimento. Il fallito e qualsiasi altra persona vi abbia interesse possono proporre reclamo nei confronti della sentenza di fallimento, entro il termine di 30 giorni, presso la Corte di Appello. Il reclamo non sospende gli effetti della sentenza di fallimento impugnata. La Corte di Appello in seguito al reclamo può emettere: a) “Sentenza di non accoglimento del reclamo” = confermando il fallimento b) “Sentenza di accoglimento del reclamo” = disponendo la revoca del fallimento Tali sentenze sono ricorribili in Cassazione entro 30 giorni dal deposito Ma sul piano patrimoniale quel che è stato è stato, infatti la revoca del fallimento sul piano patrimoniale fa restare salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi fallimentari. Tali atti già compiuti possono aver alterato notevolmente la consistenza e composizione del patrimonio del fallito. All’ ex fallito non resta quindi che chiedere il risarcimento dei danni al creditore istante, possibile se vi sia stata colpa dello stesso, ottenendo anche il pagamento delle spese processuali e del compenso del Curatore. Spese processuali e compenso del curatore graveranno sull’ex fallito se all’origine della dichiarazione di fallimento vi sia stato un suo comportamento colposo. In caso contrario tali spese sono a carico del Tribunale.
GLI ORGANI DEL FALLIMENTO Gli organi fallimentari che sono: 1) il Tribunale fallimentare 2) il Giudice Delegato 3) il Curatore 4) il Comitato dei Creditori
1) Il Tribunale fallimentare: Il Tribunale che ha dichiarato il fallimento “è l’organo investito dell’intera procedura fallimentare”. Inoltre in base alla così detta “vis attractiva” è giudice naturale competente di tutte le cause che derivano dal fallimento in deroga ai normali criteri di competenza funzionale e per territorio.
In particolare il Tribunale fallimentare: a) nomina il Giudice Delegato ed il Curatore ne sorveglia l’operato e può sostituirli b) decide le controversie relative alla procedura che non sono di competenza del Giudice Delegato c) decide sui reclami contro i provvedimenti del Giudice Delegato d) sostituisce i componenti del Comitato dei Creditori quando sia previsto e) può in ogni tempo chiedere chiarimenti ed informazioni, al Curatore, al fallito ed al Comitato dei Creditori Tutti questi provvedimenti sono adottati dal Tribunale con decreto motivato, che è impugnabile con reclamo avanti la Corte di Appello. 2) Il Giudice delegato Il Giudice Delegato “ha funzioni di vigilanza e di controllo sulla regolarità della procedura fallimentare”. In particolare il Giudice Delegato: a) nomina e revoca i componenti del Comitato dei Creditori e lo sostituisce nel caso di inerzia, impossibilità di costituzione o di funzionamento o di urgenza b) forma lo stato passivo del fallimento e lo rende esecutivo con proprio decreto c) decide sui reclami proposti contro gli atti del Curatore e del Comitato dei Creditori d) autorizza il Curatore a stare in giudizio e) emette o provoca l’emissione di provvedimenti urgenti per la conservazione del patrimonio Tutti questi provvedimenti sono adottati con decreto motivato, che è impugnabile con reclamo avanti al Tribunale fallimentare. 3) Il Curatore Il Curatore “ha come compito principale quello dell’amministrazione del patrimonio del fallito” e svolge le sue funzioni sotto la vigilanza del Giudice Delegato e del Comitato dei Creditori. Il Curatore viene nominato dal Tribunale con la sentenza che dichiara il fallimento. Per quanto attiene all’esercizio delle sue funzioni ha la qualifica di pubblico ufficiale. Inoltre deve appartenere a determinate categorie di soggetti individuate dalla legge (avvocati, commercialisti, ragionieri, ecc) Il Curatore può essere revocato dal Tribunale stesso con decreto, in ogni tempo, anche d’ufficio. 4) Il Comitato dei creditori Il Comitato dei Creditori è un organo collegiale composto da 3 a 5 membri scelti fra i creditori. L’organo è nominato dal Giudice Delegato entro 30 giorni dalla sentenza di fallimento. Tutte le decisioni dell’organo sono prese a maggioranza dei suoi membri. Le funzioni di tale organo sono di tre tipi: 1)Funzione di controllo(vigilando sull’operato del curatore ed ispezionando tutti i documenti del fallimento) 2)Funzioni autorizzative(autorizza gli atti del Curatore soprattutto quelli di straordinaria amministrazione) 3)Funzioni consultive(esprime pareri obbligatori ma per lo più non vincolanti) Contro gli atti del Curatore o del Comitato dei Creditori, il fallito ed ogni interessato possono proporre reclamo entro 8 giorni dalla conoscenza dell’atto, al Giudice Delegato che si esprime con decreto ricorribile davanti al Tribunale sempre nel termine di 8 giorni.
GLI EFFETTI DELLA SENTENZA DI FALLIMENTO Effetti della sentenza di fallimento nei confronti del fallito La sentenza di fallimento produce nei confronti del fallito i seguenti effetti: 1)Patrimoniali 2)Personali 3)Penali 1) Patrimoniali: Con la sentenza di fallimento il fallito: a)Subisce lo “spossessamento” dei suoi beni, di cui perde l’amministrazione ma non la proprietà. I beni del fallito passano sotto l’amministrazione del Curatore. Lo spossessamento, colpisce tutti i beni esistenti nel patrimonio del fallito alla data di dichiarazione di fallimento, ma ad eccezione di alcuni beni di cui all’art. 46 della legge fallimentare che sono: a) Beni e diritti di natura strettamente personale (diritto al nome, diritto di abitazione) b) Gli assegni aventi carattere alimentare (stipendi, salari, pensioni) c) Le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge (letto, cose sacre) d) Il diritto di abitazione sulla casa di proprietà, fino a quando interviene la vendita e) Frutti dell’usufrutto legale sui beni dei figli. Lo spossessamento si estende anche ai beni che pervengono al fallito durante il fallimento (es. eredità, donazioni, vincite). b)Non perde la capacità di agire.
Gli atti posti in essere dal fallito nei confronti di terzi sono validi, nulla impedisce ad esempio che egli inizi una nuova attività d’impresa. Se gli atti compiuti dal fallito, però riguardano beni e diritti ricompresi nello spossessamento, sono inefficaci nei confronti dei creditori. c)Perde la capacità processuale Nelle cause relative ai rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, infatti in suo luogo starà in giudizio il Curatore. 2)Personali: Il fallimento produce anche effetti che colpiscono la persona del fallito e possiamo distinguerli in: a) Limitazioni delle libertà b) Incapacità civili e politiche a)Limitazioni delle libertà: Con la dichiarazione di fallimento, il fallito vede limitati alcuni dritti garantiti dalla Costituzione: Il diritto al segreto epistolare. Infatti relativamente alla corrispondenza indirizzata al fallito: - se quest’ultimo non è persona fisica viene consegnata direttamente al Curatore - se invece è persona fisica può aver diritto a ricevere la corrispondenza ma è obbligato a consegnare al Curatore la corrispondenza riguardante il fallimento Il diritto alla libertà di movimento. Il fallito è tenuto a comunicare al Curatore ogni mutamento della residenza o del domicilio e deve presentarsi agli organi della procedura fallimentare ogni qualvolta viene chiamato per fornire informazioni e chiarimenti. b) Incapacità civili e politiche: Il fallito non può essere amministratore, sindaco, revisore, o liquidatore di società e non può essere iscritto all’albo degli avvocati, commercialisti ne svolgere la funzione di tutore, arbitro, notaio. Tali restrizioni cessano tutte automaticamente con la chiusura del fallimento. Sono state abrogate le incapacità politiche attive e passive del fallito previste ante riforma. 3) Penali Il fallito può compiere illeciti penali sia prima della dichiarazione di fallimento che successivamente. 1) Bancarotta fraudolenta: quando l’imprenditore compie con dolo, una serie di fatti previsti dalla legge come reato (es. occultamento di beni, falsificazione scritture contabili ecc.) 2) Bancarotta semplice:quando l’imprenditore compie con colpa, una serie di fatti previsti dalla legge come reato (es. omessa o irregolare tenuta delle scritture contabili ecc..) 3) Ricorso abusivo al credito:quando, l’imprenditore dissimulando il proprio dissesto, ricorre al credito. Effetti della sentenza di fallimento nei confronti dei creditori Il fallimento ha come scopo quello di assicurare il principio della “par condicio creditorum”, garantendo cioè pari condizioni dei creditori sul patrimonio del fallito. Dalla data della dichiarazione di fallimento, tutti i creditori dell’imprenditore fallito, diventano creditori concorsuali e possono quindi realizzare il loro credito solo attraverso la procedura fallimentare. I creditori concorsuali: - acquistano il diritto a partecipare alla ripartizione dell’attivo fallimentare, solo in seguito all’accertamento giudiziale del loro credito (c.d. accertamento del passivo), diventando così creditori concorrenti - non possono esperire azioni esecutive individuali dal giorno della dichiarazione di fallimento, salvo alcune eccezioni tassative I creditori concorrenti non sono però tutti sullo stesso piano ed infatti distinguiamo: - creditori chirografari (creditori semplici) - creditori privilegiati (cioè garantiti da pegno ipoteca o privilegio) Il principio della “par condicio creditorum” non incide sui diritti dei creditori privilegiati che quindi restano favoriti rispetto ai creditori chirografari(semplici). I creditori privilegiati in pratica hanno diritto di prelazione sulla vendita del bene oggetto di pegno, ipoteca o privilegio e successivamente se non sono soddisfatti integralmente per il residuo, concorrono alla pari, con i creditori chirografari, nella ripartizione di ciò che resta dell’attivo fallimentare. I creditori chirografari invece partecipano solo alla ripartizione dell’attivo fallimentare non gravato da vincoli, in proporzione del loro credito e sono soddisfatti tutti nella stessa misura percentuale.
Dai creditori concorrenti(chirografari e privilegiati) vanno tenuti distinti i “creditori della massa” cioè quelli che diventano tali dopo la dichiarazione di fallimento. (es. creditori fatti per sostenere le spese della procedura fallimentare). I crediti dei creditori della massa, vanno soddisfatti in “prededuzione” cioè prima dei creditori concorrenti, per intero e quindi senza applicazione della par condicio creditorum. Riguardo alla determinazione dei crediti possiamo dire che: - tutti i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti alla data della dichiarazione di fallimento - i crediti chirografari non producono interessi nel corso del fallimento ad eccezione dei crediti privilegiati e prededucibili. - I creditori hanno diritto di compensare con i loro debiti nei confronti del fallito, i crediti che vantano nei confronti dello stesso. La compensazione è ammessa anche se il credito non è scaduto prima della dichiarazione di fallimento. (il creditore in questo modo si sottrae al concorso). Effetti della sentenza di fallimento nei confronti di terzi sugli atti pregiudizievoli ai creditori (revocatorie) Di norma intercorre un certo intervallo di tempo fra il momento in cui si manifesta lo stato di insolvenza e quello in cui il fallimento è dichiarato. In tale intervallo di tempo, l’imprenditore per far fronte alla crisi o per mascherarla, può aver compiuto una serie di atti pregiudizievoli nei confronti dei creditori(es. vendita di merci a prezzi rovinosi) che alterano l’integrità del proprio patrimonio. Intervenuto il fallimento, il Curatore può chiedere al Giudice di rendere “inefficaci” tali atti pregiudizievoli ai creditori, in due modi attraverso: 1) L’azione di revocatoria ordinaria 2) L’azione di revocatoria fallimentare 1)L’azione revocatoria ordinaria, disciplinata dall’art. 2901 del c.c necessita dell’esistenza di due presupposti: a)L’eventus damni (l’atto è pregiudizievole nei confronti del patrimonio del fallito) b)Il consiluim fraudis (la consapevolezza del fallito e anche del terzo che l’atto sia pregiudizievole al creditore) Spetta al Curatore fornire l’onere della prova dell’esistenza di questi due presupposti.
2)L’azione revocatoria fallimentare, disciplinata dalla legge fallimentare prevede invece che: Tutti gli atti posti in essere dall’imprenditore durante lo stato di insolvenza (anche se il fallimento non è stato ancora dichiarato) si presumono “pregiudizievoli” per i creditori e violano il principio della par condicio creditorum. Il Curatore che agisce con la revocatoria fallimentare è quindi dispensato dall’onere di provare l’eventus damni ed il consilium fraudis. L’esercizio dell’azione di revocatoria fallimentare necessita di due presupposti che si presumono: a)Lo stato di insolvenza dell’imprenditore b)La conoscenza dello stato di insolvenza dell’imprenditore da parte del terzo Spetta in questo caso al terzo provare il contrario di questi due presupposti per evitare la revoca dell’atto. Riguardo agli effetti possiamo dire che il terzo, che ha subito le azioni revocatorie, dovrà restituire al fallimento quanto in precedenza ricevuto dal fallito. Nel contempo il terzo, sarà ammesso al passivo del fallimento, se vanta un credito verso il fallito, partecipando alla ripartizione dell’attivo in concorso con gli altri creditori. L’azione decade entro 5 anni dalla stipulazione dell’atto ed entro 3 anni dalla dichiarazione di fallimento. Quanto agli atti sottoposti alla revocatoria fallimentare il legislatore ha distinto due categorie: a)
Atti a titolo oneroso, pagamenti di debiti scaduti o garanzie che presentino anormalità tali da far presumere che l’atto sia pregiudizievole per i creditori (es. vendita di un bene ad una somma irrisoria) se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento. Per evitare la revoca di tali atti spetterà al terzo convenuto in revocatoria, dare la prova non facile che ignorava lo stato di insolvenza dell’imprenditore fallito.
b) Atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie che non presentino anormalità se compiuti nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento. Il legislatore ne ha ammesso la revoca a condizione che il Curatore provi che il terzo conosceva lo stato di insolvenza dell’imprenditore fallito. Il legislatore ha previsto però l’esistenza di atti non revocabili, e sono: a) I pagamenti delle forniture. b) I pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro a dipendenti e collaboratori anche non subordinati del fallito. c) Le vendite a giusto prezzo d’immobili ad uso abitativo destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente.
d) Le rimesse effettuate su di un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole, l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca. e) Gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse sui beni del fallito, posti in essere dall’imprenditore in esecuzione di un piano che risulti idoneo al risanamento finanziario dell’impresa. f) Gli atti, i pagamenti e le garanzie poste in essere in esecuzione del Concordato Preventivo e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Vi è un categoria di atti che sono sottoposti alla “revocatoria di diritto”, è sono considerati dalla legge fallimentare “priva di effetti nei confronti dei creditori” per il solo fatto della sopravvenuta dichiarazione di fallimento Tali atti sono: a) Gli atti a titolo gratuito, (es. donazioni) compiuti nei 2 anni anteriori alla dichiarazione di fallimento. b) I pagamenti anticipati di debiti, compiuti nei 2 anni anteriori alla dichiarazione di fallimento. Per questi atti il Curatore non ha bisogno di agire in giudizio per accertare la loro inefficacia. Il terzo è tenuto a restituire al fallimento quanto ricevuto con questi atti inefficaci. Atti compiuti fra coniugi: Il coniuge di un imprenditore difficilmente ignora lo stato di insolvenza di questi. Gli atti compiuti fra coniugi: 1) A titolo oneroso: compiuti da quando ha avuto inizio l’attività di impresa(quindi senza limite temporale), si presumono pregiudizievoli per i creditori e sono revocati di diritto, salvo che il coniuge provi che non era a conoscenza dello stato di insolvenza del fallito. 2) Gli atti a titolo gratuito: compiuti nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, si presumono pregiudizievoli per i creditori e sono revocati di diritto.
Effetti della sentenza di fallimento sui contratti in corso di esecuzione Al momento della dichiarazione di fallimento, vi sono dei contratti in corso di esecuzione e stabilire quale sia la sorte di tali contratti non è problema di agevole soluzione. In seguito al fallimento per tali atti vi può essere: 1)Scioglimento del contratto, automatico di diritto: Rientrano in tale categoria: I contratti di conto corrente bancario, il mandato, la commissione L’associazione in partecipazione in caso di fallimento dell’associante I contratti di borsa a termine L’appalto 2)Continuazione del contratto, salvo recesso, con subingresso del Curatore: in quanto tali contratti sono ritenuti vantaggiosi per la massa de creditori. Rientrano in tale categoria: Locazione di immobili in caso di fallimento del conduttore Affitto dell’azienda Assicurazione contro i danni se fallisce l’assicurato Factoring se fallisce il cedente Leasing se fallisce il cedente 3)Sospensione del contratto: sarà il Curatore, previa autorizzazione del Comitato dei Creditori a decidere se sciogliere il contratto oppure continuarlo. Rientrano in tale categoria: La vendita a termine o a rate con riserva di proprietà I contratti di esecuzione continuata o periodica come la somministrazione Il preliminare di vendita di immobili (c.d. compromesso) Il leasing finanziario in caso di fallimento dell’utilizzatore I contratti di esecuzione continuata o periodica come la somministrazione Il mandato in caso di fallimento del mandante L’esercizio provvisorio dell’impresa: Con la dichiarazione di fallimento l’attività di impresa si arresta ed i beni aziendali sono destinati ad essere liquidati per soddisfare i creditori. Si può tuttavia avere una continuazione dell’attività di impresa quando ciò è funzionale ad una migliore liquidazione del complesso aziendale.
La legge fallimentare al riguardo prevede due casi: 1) Il Tribunale nella sentenza che dichiara il fallimento può disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa del fallito “se dall’interruzione può derivare un danno grave ed irreparabile e purché non arrechi pregiudizio ai creditori”. 2) Il Giudice Delegato, su proposta del Curatore, previo parere favorevole vincolante del Comitato dei Creditori, può disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa del fallito (già disposta dal Tribunale) All’esercizio provvisorio dell’attività d’impresa provvede il Curatore che può avvalersi anche dell’opera del fallito. Durante l’esercizio provvisorio tutti i contratti pendenti proseguono salvo che il Curatore non intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli.Mentre le obbligazioni assunte dal Curatore per l’esercizio provvisorio costituiscono debiti della massa da soddisfare in prededuzione. La legge fallimentare prevede che il Giudice Delegato su proposta del Curatore, previo parere favorevole del Comitato dei Creditori può autorizzare l’affitto dell’azienda, “quando appaia utile ad una più proficua vendita dell’azienda”. L’affittuario è prescelto dal Curatore in base alla entità del canone che corrisponderà ed alle garanzie sulla prosecuzione dell’attività e sul mantenimento dei livelli occupazionali. Alla fine dell’affitto, che può avvenire anche per recesso anticipato del Curatore dietro corresponsione di un giusto indennizzo, il complesso aziendale viene liquidato. L’affittuario rimane però unico debitore per le obbligazioni che assume e quindi i creditori concorsuali sono così al riparo, almeno in parte, dalle conseguenze di una cattiva gestione da parte dell’affittuario. LE FASI DELLA PROCEDURA FALLIMENTARE Le fasi della procedura fallimentare sono costituite da: 1) Fase dell’accertamento del passivo 2) Fase della liquidazione dell’attivo 3) Fase della ripartizione dell’attivo 1)L’accertamento del passivo La fase di accertamento del passivo ha come scopo quello di accertare: 1. Quali creditori hanno diritto a partecipare al fallimento 2. Quale è l’ammontare dei crediti 3. Gli eventuali diritti di prelazione 4. Eventuali diritti di terzi sui beni del fallito Il Tribunale con la sentenza che dichiara il fallimento fissa l’udienza per l’accertamento dello stato passivo. I creditori devono presentare con ricorso, da depositare presso la cancelleria del Tribunale, la “domanda di ammissione al passivo”, 30 giorni prima della data dell’udienza. I terzi presentano negli stessi termini la “domanda di restituzione o rivendicazione di beni” che sono stati appresi alla massa fallimentare. Nella domanda debbono essere contenuti i documenti che giustificano il credito e le eventuali ragioni di prelazione. Il Curatore predispone quindi “un progetto di stato passivo” e lo deposita nella cancelleria del Tribunale almeno 15 giorni prima dell’udienza di accertamento dello stato passivo. Il progetto di stato passivo prevede due elenchi, uno dei creditori ed uno dei terzi. Nell’ elenco dei creditori devono essere indicati: i crediti ammessi, i crediti non ammessi, i crediti ammessi con riserva. Nell’elenco dei terzi devono essere indicati: i titolari di diritti sui beni del fallito. I creditori ed i terzi titolari di diritti sui beni del fallito ed il fallito stesso possono esaminare il progetto e presentare osservazioni scritte o documenti integrativi fino al giorno dell’udienza. Si arriva così all’udienza di accertamento dello stato passivo che può durare anche più sedute ed in cui il Giudice Delegato esamina le posizioni dei singoli creditori che risultano dal progetto di stato passivo e decide su ogni singola domanda emettendo decreti motivati con i quali ammette non ammette o ammette con riserva i singoli crediti. Il Giudice Delegato terminate le operazioni di accertamento emette “decreto di esecutività dello stato passivo” che deposita in cancelleria. Contro il “decreto di esecutività dello stato passivo” emesso dal Giudice Delegato entro 30 giorni possono essere proposte al Tribunale opposizioni e impugnazioni. 1)L’opposizione allo stato passivo stesso: viene proposta dai creditori non ammessi al fine di ottenere l’ammissione del proprio credito o di un diritto di prelazione (o dai terzi esclusi, per vedere riconosciuto il loro diritto su un bene della massa.), ma anche dai creditori ammessi con riserva per ottenere l’ammissione definitiva.
2)L’impugnazione dei crediti altrui: viene proposta dai creditori ammessi, per contestare l’accoglimento della domanda di un altro creditore o il diritto di prelazione o dai terzi titolari di diritti sui beni della massa o dal Curatore stesso per contestare il riconoscimento di un diritto di un terzo sui beni della massa. Il Tribunale fallimentare in riguardo alle opposizioni ed impugnazioni, decide in camera di consiglio, sentite le parti, con decreto contro cui non è ammesso appello ma solo ricorso in Cassazione entro 30 giorni. Se non vi è stata opposizione od impugnazione contro il decreto di esecutività dello stato passivo è possibile però proporre istanza di revocazione, con ricorso al Giudice Delegato, se prima della chiusura del fallimento si scopre che l’accoglimento o il rigetto di una domanda di ammissione al passivo, è stato determinato da falsità, dolo, errore essenziale di fatto ovvero si rinvengono documenti decisivi prima ignorati per causa non imputabile Il decreto di esecutività dello stato passivo non preclude la possibilità di presentare nuove domande di ammissione al passivo (c.d. domande tardive) che possono essere presentate entro 12 mesi dal deposito del decreto stesso. Decorso tale termine la domanda tardiva è ammessa solo se il creditore prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile e sempre che l’attivo fallimentare non sia stato già interamente ripartito. I creditori tardivi partecipano al riparto dell’eventuale attivo solo dopo il riparto tra i creditori intervenuti tempestivamente se il ritardo è ad essi imputabile. 2)La liquidazione dell’attivo Con la liquidazione dell’attivo si convertono in danaro i beni del fallito per soddisfare i suoi creditori. Il Curatore predispone un “programma di liquidazione” che deve essere approvato dal Comitato dei Creditori e autorizzato dal Giudice Delegato nei singoli atti. Il programma di liquidazione deve indicare le modalità ed i termini per la liquidazione dell’attivo. Le vendite fallimentari devono avvenire con procedure competitive e con la massima pubblicità per consentire la partecipazione a tutti gli interessati. Ulteriore obiettivo dell’attuale disciplina è evitare la “disgregazione” del complesso aziendale, preferendo la “vendita in blocco” dei beni aziendali. 3)La ripartizione dell’attivo La ripartizione dell’attivo chiude il procedimento e avviene secondo un ordine tassativo, tramite un “progetto di riparto” predisposto dal Curatore e presentato ogni 4 mesi al Giudice Delegato, soddisfacendo in ordine: 1)crediti prededucibili 2)crediti privilegiati 3)crediti chirografari La distribuzione delle somme avviene con ripartizioni periodiche parziali, che non possono superare l’80% delle somme disponibili in quanto il restante 20% viene riservato ad eventuali imprevisti. Prima della ripartizione finale il Curatore presenta al Giudice Delegato il conto della sua gestione e se non sorgono contestazioni, lo stesso Giudice Delegato ordina al Curatore il riparto finale, con cui si distribuisce anche il restante 20%. La cessazione del fallimento Il fallimento si chiude per una delle seguenti cause elencate dalla legge fallimentare: 1) Mancata presentazione di domande di ammissione al passivo. Ciò si verifica solitamente quando tra fallito e creditori è raggiunto un accordo extragiudiziario per il pagamento dei crediti. 2) Pagamento integrale dei creditori ammessi al passivo prima che sia compiuta la ripartizione finale dell’attivo. Ipotesi alquanto rara ma che può avvenire quando in base ad azioni di reintegro del patrimonio(azioni revocatorie) si determini un notevole incremento della massa attiva. 3) Ripartizione integrale dell’attivo. E’ l’ipotesi più frequente e lascia i creditori concorrenti parzialmente insoddisfatti. 4) Impossibilità di procedere a ripartizioni dell’attivo per mancanza dello stesso. La chiusura del fallimento è dichiarata con decreto motivato del Tribunale, su istanza del Curatore o del fallito o d’ufficio ed è impugnabile con reclamo dinanzi alla Corte di Appello e successivamente in Cassazione. Il decreto di chiusura ha effetto quando non è più impugnabile per scadenza dei termini oppure quando l’eventuale reclamo è stato definitamene rigettato. Con la chiusura del fallimento decadono gli organi preposti alla procedura e cessano gli effetti del fallimento sia per il fallito che per i creditori. Riapertura del fallimento Il fallimento chiuso per ripartizione integrale dell’attivo o per mancanza di attivo può essere successivamente riaperto con sentenza emessa dal Tribunale su domanda del fallito o di uno dei creditori, ma è necessario che si verifichino le seguenti condizioni: 1) non devono essere trascorsi più di 5 anni dal decreto di chiusura 2) nel patrimonio del fallito si rinvengono nuove attività (preesistenti o sopravvenute)
3)
il fallito offre garanzie di pagare almeno il 10% ai creditori vecchi e nuovi
Esdebitazione e Concordato fallimentare Di regola il fallito anche dopo la chiusura del fallimento rimane obbligato nei confronti dei suoi creditori non soddisfatti dal fallimento i quali riacquistano la possibilità di proporre azioni esecutive individuali contro l’ex fallito. La liberazione del fallito dai debiti residui può aversi soltanto in due casi: 1) Esdebitazione (che si ha con il decreto di chiusura del fallimento o successivamente con ricorso del fallito) 2 )Concordato fallimentare (che è una forma di chiusura del fallimento) 1) L’esdebitazione è un beneficio rivolto solo al fallito persona fisica e consiste nella liberazione del fallito, una volta chiusa la procedura fallimentare, dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti per intero, a condizione che però il fallito sia considerato “meritevole” e che la procedura fallimentare abbia consentito il soddisfacimento almeno parziale dei creditori concorsuali. Quanto ai requisiti di meritevolezza possiamo dire che è ammesso al beneficio dell’esdebitazione solo l’imprenditore che: 1) Ha cooperato con gli organi della procedura 2) Non ha beneficiato di altra esdebitazione nei 10 anni precedenti 3) Non abbia ritardato lo svolgimento della procedura 4) Non sia stato condannato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica ecc.. In presenza di queste condizioni il Tribunale con lo stesso decreto di chiusura del fallimento dichiara inesigibili nei confronti del fallito i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente. Se l’esdebitazione non è disposta nel decreto di chiusura del fallimento, il fallito stesso può presentare istanza di esdebitazione con ricorso al Tribunale entro un anno dalla chiusura. Il decreto che consente o nega l’esdebitazione è reclamabile avanti la Corte d’Appello da qualunque interessato. 2)Il concordato fallimentare è un beneficio rivolto sia al fallito che ai creditori e consiste nel realizzare la soddisfazione paritaria dei creditori, senza ricorrere alla fase di liquidazione dell’attivo. 1. Il fallito si libera dei debiti che eccedono la percentuale concordataria. 2. I creditori chirografari rinunciano ad una parte del loro credito, ma vengono compensati dal fatto di ottenere qualcosa in più e soprattutto più rapidamente di quanto otterrebbero attraverso la normale liquidazione dell’attivo fallimentare. Le fasi essenziali del concordato sono: 1)La proposta 2)L’approvazione 3)L’omologazione 1)La proposta di concordato può essere presentata con ricorso al Giudice Delegato: - da uno o più creditori e da un terzo dal fallito. I termini di presentazione variano a seconda del soggetto. Il contenuto della proposta può essere molto ampio e può prevedere: - il pagamento in percentuale e dilazionato dei creditori - soddisfacimento dei creditori in forme diverse(es. cessione di beni) - suddivisione di creditori in classi - trattamenti differenziati fra i creditori appartenenti a classi diverse La proposta di concordato è soggetta al preventivo esame del Giudice Delegato che è tenuto a chiedere il parere vincolante del Comitato dei Creditori e quello non vincolante del Curatore. 2)L’approvazione La proposta di concordato quindi deve essere approvata dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. 3)Giudizio di omologazione Una volta approvato, il concordato deve essere sottoposto al giudizio di omologazione del Tribunale che ne valuta la legittimità(valuta se ci sono i presupposti) ed emette “decreto di omologazione” non ricorribile. Il concordato omologato vincola sia il fallito che tutti i creditori anteriori all’apertura del fallimento. L’esecuzione del concordato spetta al fallito sotto la sorveglianza del Giudice Delegato, del Curatore e del Comitato dei Creditori. Il concordato con sentenza del Tribunale può essere Risolto o Annullato. Risolto: su domanda dei creditori, in caso di inadempimento degli obblighi da parte del fallito. Annullato:su richiesta del Curatore o di un creditore se si scopre una esagerazione dolosa del passivo o una sottrazione o dissimulazione dell’attivo. Con la risoluzione o l’annullamento del concordato si riapre automaticamente la procedura fallimentare.
2) IL CONCORDATO PREVENTIVO
Nozione: Il concordato preventivo è una procedura concorsuale che consente al debitore di evitare la gravosa e dannosa procedura fallimentare. Pertanto al concordato preventivo si può ricorrere solo prima della dichiarazione di fallimento e consiste in un accordo fra debitore e creditori per stabilire le modalità con le quali dovranno essere estinte tutte le obbligazioni. I presupposti del concordato preventivo: 1)Presupposto soggettivo = a)la qualità di imprenditore commerciale del debitore(fallibile) 2)Presupposto oggettivo = a) lo stato di crisi dell’impresa (difficoltà temporanea e reversibile) b) lo stato d’insolvenza Il debitore presenta “domanda di ammissione” al concordato preventivo, con ricorso al Tribunale competente corredata da un “piano di risanamento” proposto ai creditori che preveda la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma(es. cessione di beni, dilazione dei pagamenti) oppure l’attribuzione dell’attività d’impresa ad un assuntore ecc.. Il Tribunale accerta se ricorrono i presupposti di ammissione al concordato preventivo e può alternativamente: 1)emettere decreto di non accoglimento non soggetto a reclamo e su istanza dei creditori o del P.M. dichiara con separata sentenza il fallimento se ne ricorrono i presupposti. 2)emettere decreto di accoglimento non soggetto a reclamo, e nomina gli organi della procedura che sono: 1) Giudice Delegato cui è devoluta la direzione del procedimento 2) Commissario Giudiziale che svolge funzioni di controllo e vigilanza sull’imprenditore. Un volta emesso il “decreto di accoglimento al concordato preventivo” i creditori sono chiamati a votare sulla proposta. Il concordato è approvato se riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. 1)Se la proposta non è approvata il Tribunale su istanza dei creditori o del P.M. dichiara con separata sentenza il fallimento se ne ricorrono i presupposti. 2)Se la proposta è approvata, il Tribunale controlla la legittimità del concordato preventivo (verifica del raggiungimento della maggioranza prescritta), ed emette “decreto di omologazione” reclamabile in Corte di Appello. Il concordato preventivo con sentenza del Tribunale può essere: Risolto: su istanza dei creditori, in caso di inadempimento degli obblighi da parte dell’imprenditore. Annullato: se si scopre una esagerazione dolosa del passivo o una sottrazione o dissimulazione dell’attivo. Alla risoluzione o all’annullamento può seguire la dichiarazione di fallimento se vi sono i presupposti e ne facciano richiesta il creditori o il P.M. Effetti: Benefici per l’imprenditore: a)Il concordato preventivo “evita lo spossessamento” lasciando l’imprenditore nell’esercizio dell’impresa e nell’amministrazione dei suoi beni, anche se sotto il controllo del Commissario Giudiziale. b)L’imprenditore viene liberato dei debiti che vanno oltre la percentuale concordataria.
Benefici per i creditori: a)il concordato diviene obbligatorio per tutti i creditori anteriori all’inizio della procedura e pertanto essi non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali. Ma i creditori possono beneficiare del fatto che con il concordato si evita la procedura fallimentare e quindi potrebbero ottenere qualcosa in più ed in tempi più brevi relativamente ai loro crediti. Le finalità del concordato preventivo: 1)
la liquidazione del patrimonio del debitore, maggioranza dei debitori.
secondo modalità più elastiche del fallimento, concordate con la
2)
Il ritorno “in bonis” dell’imprenditore e la continuazione dell’attività d’impresa.
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti La legge prevede la possibilità di un “accordo stragiudiziale di ristrutturazione dei debiti” che consenta al debitore di far fronte alla crisi dell’impresa attraverso un piano concordato con la maggioranza dei suoi creditori. Procedura: 1) L’accordo deve essere sottoscritto dai creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti. 2) Si deve garantire l’integrale e tempestivo pagamento dei creditori che non hanno partecipato all’accordo. 3) L’accordo deve essere depositato dal debitore nella cancelleria del Tribunale, unitamente alla relazione di un esperto sull’attuabilità del piano.
4) 5) 6) 7) 8)
L’imprenditore, deve chiedere domanda di omologazione al Tribunale. Il Tribunale, decise le eventuali opposizioni, emette “decreto di omologazione” reclamabile in Corte di Appello. Quindi l’accordo viene pubblicato nel Registro delle imprese(acquisendo efficacia) ed i creditori ed ogni altro interessato possono proporvi opposizione entro 30 giorni. I creditori a questo punto perdono la possibilità di esperire azioni esecutive individuali nei confronti del debitore per un periodo di 60 giorni. Se il debitore non adempie all’accordo, sia i creditori che hanno sottoscritto l’accordo che gli altri possono riprendere ad esperire azioni esecutive individuali o richiesta di fallimento.
3) LA LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA Nozione:La liquidazione coatta amministrativa, è una procedura concorsuale, con la quale si provvede alla liquidazione coatta dell’impresa a cura dell’autorità amministrativa anziché di quella giudiziaria. I presupposti della liquidazione coatta amministrativa sono: 1)Presupposto soggettivo: Sono soggette a liquidazione coatta amministrativa 1)le imprese commerciali soggette a vigilanza dell’autorità amministrativa in quanto esercenti attività in settori di rilevo pubblicistico (es. banche, assicurazioni, s.i.m., s.i.c.a.v. ecc.) e pertanto non sottoponibili a fallimento. 2)altre imprese che possono essere soggette sia a fallimento che amministrazione coatta amministrativa.(es. imprese cooperative). In questo caso fra le due procedure si applica quella che sia stata richiesta per prima. 2)Presupposto oggettivo: 1)stato di insolvenza 2)gravi irregolarità nell’amministrazione o gravi violazioni di disposizioni legislative, amministrative o statuarie 3)motivi di pubblico interesse che giustifichino la soppressione dell’ente Anche solo uno di questi tre presupposi è sufficiente. L’Autorità Amministrativa che ha la vigilanza sull’impresa sulla base dei presupposti, emette d’ufficio il “decreto di liquidazione coatta amministrativa” con il quale provvede anche alla nomina degli organi della procedura che sono: 1) il Commissario Liquidatore che è l’organo deputato a svolgere l’attività di liquidazione 2) il Comitato di Sorveglianza composto da 3 a 5 membri, che ha funzioni consultive e di sorveglianza. Mentre la stessa Autorità Amministrativa di Vigilanza sovrintende all’intera procedura e riassume in se le attività svolte nel fallimento, dal Tribunale e dal Giudice Delegato. L’eventuale stato di insolvenza viene accertato sempre però per via giudiziale dal Tribunale competente con sentenza ricorribile, ma non è presupposto essenziale per potersi avere la liquidazione coatta amministrativa, ma se viene rilevato è possibile esperire ad esempio le azioni di reintegro del patrimonio, cioè le revocatorie. Le fasi della liquidazione coatta sono: 1)accertamento del passivo che è compiuto dal Commissario Liquidatore d’ufficio, sulla base dei documenti dell’impresa e viene depositato nella cancelleria del Tribunale e diventa esecutivo. Se in questa fase nascono controversie la loro risoluzione è giudiziale e viene rimessa al Tribunale. 2)liquidazione dell’attivo che è compiuta ugualmente dal Commissario Liquidatore. 3)riparto dell’attivo che avviene con criteri analoghi a quelli del fallimento, e può concludersi per: a)“riparto finale”, quello parziale è facoltativo b)“concordato”. Riparto finale:Prima dell’ultimo riparto il Commissario Liquid. deve sottoporre all’Autorità Amministrativa a) “il bilancio finale di liquidazione”, b)“il progetto di riparto fra i creditori”. Si può aprire a questo punto un’ulteriore fase giudiziaria, in cui il Tribunale può essere investito delle eventuali contestazioni da parte degli interessati. In mancanza di contestazioni il bilancio finale e il progetto di riparto si intendono approvati dall’Autorità Amministrativa. Concordato: La liquidazione coatta amministrativa si può chiudere anche tramite concordato la cui procedura si caratterizza per il fatto che “non è richiesta l’approvazione del concordato da parte dei creditori” i quali possono presentare al Tribunale opposizione alla proposta, prima della sua approvazione .
La proposta di concordato, va presentata al Tribunale dal debitore(ma anche da un creditore o da un terzo), previo autorizzazione dell’Autorità Amministrativa di Vigilanza e con il parere favorevole del Commissario Liquidatore e sentito il Comitato di Sorveglianza. Il Tribunale valuta la legittimità ed emette “decreto di omologzione” del concordato, ricorribile in Corte d’Appello. Effetti: Per l’imprenditore: 1) Sono simili a quelli previsti in caso di fallimento quindi spossessamento dei beni Per i creditori: 1) Divieto di esperire azioni esecutive individuali. 4) L’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA DELL GRANDI IMPRESE IN CRISI
Nozione: L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi è una procedura concorsuale, nel contempo giudiziaria ed amministrativa che tende a conciliare le pretese dei creditori con il salvataggio del complesso produttivo e del livello occupazionale. I presupposti dell’amministrazione straordinaria sono: 1)Presupposto soggettivo: Sono soggette ad amministrazione straordinaria, le imprese commerciali non piccole 1)Hanno un numero di dipendenti non inferiore alle 200 unità da almeno 1 anno. 2)Hanno un’esposizione debitoria non inferiore a 2/3 dell’attivo patrimoniale e dei ricavi delle vendite e prestazioni dell’ultimo esercizio. 2)Presupposto oggettivo:
1) Stato di insolvenza. 2) Concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico.
L’amministrazione straordinaria si articola in due fasi: a) Fase della dichiarazione dello stato di insolvenza(giudiziaria) b) Fase dell’apertura dell’ amministrazione straordinaria vera e propria(giudiziaria ed amministrativa) Fase della dichiarazione dello stato di insolvenza (giudiziaria) Il Tribunale d’ufficio o su richiesta dei creditori o del debitore o del P.M., emette una “sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza” provvedendo alla nomina degli organi della procedura che sono: 1)Il Giudice Delegato 2)I Commissari Giudiziali (in numeri di 1 o 3) a cui il Tribunale potrebbe affidare la gestione dell’impresa. Inoltre il Tribunale con la stessa sentenza, fissa l’udienza per l’accertamento dello stato passivo. Effetti: - L’imprenditore rimane nell’esercizio dell’impresa e nell’amministrazione dei suoi beni anche se sotto il controllo del Commissario Giudiziale se il Tribunale non ne affida l’esercizio provvisorio al Commissario Giudiziale. - I creditori non possono più esperire azioni esecutive individuali nei confronti dell’imprenditore insolvente. Fase dell’apertura dell’ amministrazione straordinaria vera e propria(in parte giudiziaria e amministrativa) Il Commissario Giudiziale, entro 30 giorni dalla dichiarazione dello stato di insolvenza, predispone una relazione sulle cause del dissesto e se vi sono “concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico dell’azienda” e la presenta al Tribunale che raccolto il parere del Ministero per lo Sviluppo Economico, emette “decreto di apertura della procedura di amministrazione straordinaria” oppure qualora non intraveda prospettive di recupero può in alternativa “dichiarare il fallimento”. In Pratica l’amministrazione straordinaria deve potersi realizzare in via alternativa nei seguenti modi: 1)Tramite un programma di cessione aziendale, con finalità liquidatorie, di durata massima di 1 anno 2)Tramite un programma di ristrutturazione aziendale, con finalità conservative, di durata di 2 anni. Quindi inizia la fase amministrativa ed infatti il Ministero dello Sviluppo Economico nomina due organi: 1)I Commissari Straordinari(da uno a tre) ai quali è affidata la gestione dell’impresa, l’amministrazione dei beni dell’imprenditore insolvente oltre che la predisposizione ed attuazione dei programmi di “cessione” o “ristrutturazione” sotto la direzione del Ministero dello Sviluppo Economico. 2)Il Comitato di Sorveglianza composto da 3 a 5 membri con funzioni consultive.
L’amministrazione straordinaria termina in due modi: 1) In caso di esito negativo della procedura, il Tribunale con decreto, converte l’amministrazione straordinaria in fallimento
2) In caso di esito positivo della procedura, il Tribunale con decreto, dichiara la chiusura della procedura. Finalità: 1)Liquidazione dell’azienda mediante il programma di cessione salvaguardando l’unita dell’azienda ed il mantenimento dei livelli occupazionali. 2)Ristrutturazione dell’azienda con ritorno “in bonis” dell’imprenditore. 5)L’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA SPECIALE(c.d. decreto Marzano) Nozione: L’amministrazione straordinaria speciale è una procedura concorsuale nella sostanza uguale all’amministrazione straordinaria ma caratterizzata da una maggiore rapidità e volta a privilegiare l’attuazione di un programma di ristrutturazione rispetto a quello di cessione dei complessi aziendali. I presupposti dell’amministrazione straordinaria speciale: 1)
presupposto soggettivo: a)abbia impiegato da almeno un anno non meno di 500 dipendenti b)abbia una esposizione debitoria non inferiore ai 300 milioni di euro
2)
presupposto oggettivo: a) stato di insolvenza
L’impresa che si trovi in tale situazione e voglia attuare un programma di ristrutturazione con finalità conservative può essere ammessa alla procedura della amministrazione straordinaria speciale: a) presentando ricorso per la dichiarazione dello stato di insolvenza al Tribunale. b) chiedendo contestualmente e direttamente al Ministero dello Sviluppo Economico l’ammissione immediata alla procedura di amministrazione straordinaria speciale Il Ministero dello Sviluppo Economico valuta i requisiti e ammette l’impresa alla procedura di amministrazione straordinaria e nomina il Commissario Straordinario. L’imprenditore viene immediatamente spossessato e la gestione dell’impresa viene assunta dal Commissario Straordinario. Il Commissario Straordinario presenta il “programma di ristrutturazione” o in alternativa il “programma di cessione” dell’impresa al Ministero dello Sviluppo Economico per ricevere l’autorizzazione. Se i programmi non sono autorizzati il Tribunale, sentito il Commissario Straordinario, converte la procedura in fallimento.