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Italian Pages 350 [352] Year 2013
B ib lio teca A d elph i 614
FERNANDO PESSOA
Poesie di Fernando Pessoa A CURA DI ANTONIO TABUCCHI E MARIA JO SÉ DE LANCASTRE
Come ormai sappiam o, i testi poetici fir mati da Fernando Pessoa col proprio no me sono così numerosi e di tale qualità che non è azzardato additare nel «comme diografo» diventato celebre soprattutto per le poesie dei suoi «attori» - cioè gli etero nimi come Alberto Caeiro, Alvaro de Campos, Ricardo Reis - il principale poeta di tutta la com pagnia: «Com e Shakespeare seppe essere Amleto e King Lear essen do prima di tutto Shakespeare, come Bal zac seppe essere il Père Goriot e Eugénie Grandet, essendo prima di tutto Balzac,» scrive Tabucchi «così Fernando Pessoa è in primo luogo quel Fernando Pessoa che firma le sue poesie con il proprio nome, ammesso che tale “io” coincida con il rea le Fernando Pessoa anagraficamente inte so». Di «Fernando Pessoa-lui stesso», o dell’Ortonimo, questo volume intende offri re un compiuto, ampio ritratto, cogliendo alcune delle sue molteplici sfaccettature: dal poeta avanguardista al mistico ed eso terico, dal poeta elegiaco ma sempre con cettuale al satirico che irride il tiranno Salazar, fino al poeta civile e ‘indignato’ che guarda alla patria prostituita con rabbia e dolore. E di nuovo, come di fronte alla ga lassia eteronimica - la letteratura, per Pes soa, è la dimostrazione che una vita non basta-, non potremo che rimanere stupiti per la sua vertiginosa, spiazzante novità: «Ah, canta, canta senza motivo! / Ciò che in me sente sta pensando» si legge nella Mietitrice, del 1924, dove l’interazione tra l’emozione e la ratio sembra echeggiare Empedocle («Il sangue che bagna il cuo re è pensiero») e Spinoza. Del resto, come scrive ancora Tabucchi, «Nel “cuore di te nebra” che è l’um ano sentire, misterioso, profondo, che appartiene ai precordi, Pes soa, come tutti i grandi poeti, fonda la sua poesfa».
Essere stanca, sentire duole, pensare
distrugge. A noi estranea, in noi e fuori, l’ora precipita, e tutto in lei precipita. Inutilmente l’anima ne piange. Di Fernando Pessoa (1888-1935) sono appar si presso Adelphi U n a so la m oltitudine ( / e //, 1979 e 1984 ), Lettere a lla fid a n z a ta (1988), Poe sie d i A lvaro de C am pas (1993) e P agin e esoteri che { i m i ) .
In copertina: José de Almada Negreiros, Autoritrat to di gruppo ( 1925). Centro de Arte Moderna - Fundaçâo Calouste Gulbenkian, Lisbona. © 2013 T H E C A L O U S T E G U L B E N K IA N F O U N D A T IO N / S C A L A , F IR E N Z E
BIBLIOTECA ADELPHI 614
Scansione a cura di Natjus, Ladri di Biblioteche
D ELLO S T E S S O A U T O R E :
Lettere alla fid an zata Pagine esoteriche Poesie di A lvaro de Campos Una sola moltitudine, I Una sola moltitudine, I I
FERNANDO PESSOA
Poesie di Fernando Pessoa E D IZ IO N E C O N T E S T O O R IG IN A L E A F R O N T E
A cura di A ntonio T abacchi e M aria Jo sé de L an castre
A D ELPH I EDIZIO NI
© 2013 ANTONIO TABUCCHI K MARIAJO SÉ DE LANCASTRE Per la traduzione © 2013 a n t o n io t a b u c c h i E MARIAJO SÉ DE LANCASTRE
Per l’Introduzione © 2012 a n t o n io t a b u c c h i Per la Premessa e le Note © 2013 m a r ia jo s é d e l a n c a st r e ALL RIGHTS RESERVED
© 2013 ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO www.a d elph i.it ISBN 978^8-459-2843-7
Anno
2017 2016 2015 2014
Edizione
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INDICE
Pessoa cardiopatico di Antonio Tabacchi
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Premessa di M ariaJosé de Lancastre
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POESIE DI FERNANDO PESSOA 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 48 49
Ó sino da minha aldeia Cam pana del mio villaggio Ouvi falar no Mar Morto H o sentito parlare del Mar Morto O bibliòfilo Il bibliofilo Dobre Doppio di campane Abdicaçào Abdicazione Hora morta Ora morta Pauis Paludi %
As vezes sou o deus que trago em mim Talvolta sono il dio che porto in me A vida de Arthur Rimbaud Vita di Arthur Rimbaud Chuva Obliqua Pioggia obliqua Uns versos quaisquer Dei versi qualsiasi Movem nossos braços outros braços que os nossos Altre sono le braccia che muovono le nostre braccia, non nostre Tange a tua flauta, pastor. Esta tarde Suona il tuo flauto, pastore. Questa sera Passos da Cruz Stazioni della Vìa Crucis Näo sei. Falta-me um sentido, um tacto Non so. Mi m anca un senso, un tatto Rabequistalouco Violinista matto Sùbita m io de algum fantasma oculto Improvvisa mano di fantasma occulto Meu pensamento, dito, j â näo é Se detto, il mio pensiero non è più AM um ia L a Mummia No ouro sem firn da tarde morta Nell’oro senza fine della sera morta Dai-me mùsica, só mùsica, näo a vida Datemi musica, solo musica, non la vita Longe de mim em mim existo Lontano da me in me esisto Epigrama Epigramma
52 53 54 55 58 59 72 73 76 77 78 79 80 81 98 99 100 101 104 105 106 107 110 111 120 121 124 125 126 127 128 129
Cansa ser, sentir dói, pensar destini Essere stanca, sentire duole, pensare distrugge N atal N atale Sonho. Nào sei quem sou neste momento Sogno. Non so chi sono in questo momento Oiço passar o vento na noite Sento passare il vento nella notte O andarne L ’im palcatura A ceifeira L a mietitrice Pobre velha mùsica! Vecchia musica da niente! O menino da sua màe E tesoro della sua mamma Tudo Tutto Depois da f eira Dopo la fiera Tenho dó das estrelas H o pena delle stelle N otai N atale Tomómos a trila depois de um intenso bombardeamento Prendemmo la città dopo un intenso bombardamento Ó sorte de olhar mesquinho Sorte dallo sguardo meschino N a imensa solidào NelTimmensa solitudine Ter saudades é viver Vivere è sentire saudade Bóiam leves, desatentos Lievi e distratti galleggiano
130 131 132 133 134 135 136 137 138 139 142 143 146 147 148 149 152 153 154 155 156 157 158 159 160 161 162 163 164 165 166 167 168 169
Fito-me frente a frente Mi osservo faccia a feccia Ronda o vento, ronda o vento Il vento gira, gira il vento Que coisa é que na tarde Cosa c’è nella sera Como inûtil taça cheia Come un ’inutile coppa colma Deixo ao cego e ao surdo Lascio al cieco e al sordo Deus näo tem unidade Dio non ha unità Entre o luar e o arvoredo Fra il chiardiluna e gli alberi Minha mulher, a solidào L a solitudine che ho per sposa O ùltimo sortilègio L ’ùltimo sortilegio 0 sino da igreja velha L a campana della vecchia chiesa Gato que brincas na rua Gatto che giochi per via Vaga, no azul ampio solta Libera nel vasto azzurro Autopsicografia Autopsicografia Guardo ainda, corno um pasm o Serbo ancora, stupore Hoje que a tarde é calma e o céu tranquilo Oggi che calma è la sera e il ciel tranquillò Quanto estou só reconheço Capisco quanto son solo Os galos cantam e estou bebedissimo 1 galli cantano e io ho una bella sbornia
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A lua (dizem os ingleses) L a luna (dicono gli inglesi) Nào quero nada, nem palavras, nem verdades Non voglio niente, né parole né verità Iniciaçâo Iniziazione A morte é a curva da estrada La morte è la curva della strada 0 sono é suave, mas o meio-sono Il sonno è dolce, ma il mezzo-sonno Ah, só eu sei Ah, io solo so Vmha elegante, depressa Arrivava elegante, veloce Quase anònima sorris Quasi anonima sorridi Nâo meu, nào m eu é quanto escrevo Non mio, non mio è quel che scrivo A roupaesten d idaaoven to 1 panni stesi al vento Isto Questo O piano noutro andar Il pianoforte della casa vicina Todas as coisas que ha neste m undo Tutte le cose che ci sono al m ondo T udo que faço ou medito Tutto quanto faccio o medito Tenho tanto sentimento Ho così tanti sentimenti Viajar! Perder paises! Viaggiare! Perdere paesi! Meu coraçâo, isto é, minha cabeça Il mio cuore, cioè la m ia testa
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Grandes mistérios habitam Grandi misten abitano Presta Fessura Foi um momento Fu un istante Dorme, criança, dorm e Dormi, bambino, dormi T oda a beleza é um sonho, inda que exista Ogni bellezza è sogno, anche se esiste O nda que, enrolada, tom as Onda che, arrotolata, ritorni Sorrindo, com as mäos ainda estando Sorridente, le mani ancor posate Tudo que amei, se é que o amei, ignoro Tutto ciò che amai, se lo amai, lo ignoro Bern sei que ha ilhas la ao sul de tudo Lo so che a sud di tutto ci sono isole Liberdade Libertà Um dia baço mas näo frio... Un giorno spento m a non freddo... Este senhor Salazar Questo signor Salazar Antonio de Oliveira Salazar Antonio de Oliveira Salazar O am or é que é essencial È l’amore che è essenziale Azul, azul, azul, o m ar fraqueja Azzurro, azzurro, azzurro, il mare smuore Elegia na sombra Elegga nell’ombra Azul ou verde ou roxo, quando o sol Azzurro, verde o violetto, quando il sole
260 261 262 263 264 265 268 269 270 271 272 273 274 275 276 277 278 279 282 283 286 287 288 289 290 291 292 293 294 295 298 299 308 309
N o tùm ulo de C hristian Rosencreutz S u lla tomba d i C hristian Rosencreutz
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Note d i M aria Jo sé de L an castre
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A O utra L ’A ltra
Aquilo que a gente lembra Quello di cui ci ricordiamo Conselho Consiglio
PESSOA CARDIOPATICO D I A N T O N IO T A B U C C H I
Un ringraziamento a Jacqueline Risset a cui Antonio Tabucchi aveva fatto omaggio di questo testo per il volume in suo onore, ora pubblicato: I pensieri dell'istante. Scritti perJacqueline Risset, Editori Internazionali Riuniti, Roma, 2012, pp. 487-90.
In un piccolo e magnifico libro del 1987, il critico brasiliano Joaquim-Francisco Coelho, fra le sue « mi croletture » dedicate a Campos ,1uno degli eteronimi pessoani dotati di maggiore fascino ,2 ne riservava una a Alvaro de Campos cardìaco. Si trattava di brevi e intense pagine, precise come radiografie, nelle quali l’acuto critico passava sotto la lente del suo microsco pio gli aspetti meno studiati di Campos: quel bizzar ro ingegnere navale laureatosi a Glasgow e disoc cupato a Lisbona, lo snob per eccellenza che aveva debuttato in poesia con odi di una sensualità e di un vitalismo travolgenti ( Ode trionfale e Ode marittima) per poi seguire percorsi agostiniani, spinoziani e nietzscheani, finendo con l’essere divorato da uno 1. J.-F. Coelho, Microleituras de Alvaro de Campos, Dom Quixote, Lisboa, 1987. 2. Il tasso dell’attenzione (e dunque del «gradimento») della critica pessoana per Campos è stato calcolato nella magnifica bibliografia di José Bianco. Cfr. J. Bianco, Pessoana. Bibliografia passiva, selettiva e temàtica, 2 voli., Assirio 8cAlvini, Lisboa, 2008.
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spleen metafisico che non è più baudelairiano m a già beckettiano. Joaquim-Francisco Coelho dedicava le altre sue « microletture » al Campos « lunatico » e al Campos «statico», cioè a quelPineffabile contemplatore del la « sorella luna » (si veda l ’ Ode à Noite, Ode alla notte, dove Hölderlin e Leopardi sem brano convocati in una seduta spiritica) e al poeta che abita la mansar da di Tabaccheria e che dalla sua finestra contem pla la realtà effettuale, e poi va a meditarla e a digerirla, immobile, seduto su una sedia che forse è l’unico pez zo di mobilia della sua soffitta e che sem bra occupa re uno spazio m aggiore della sedia su cui sta seduta la Melencolia di Dürer. Nella « cartella clinica » di Coelho, il lato emotivo della poesia di questo eteronimo spesso segnato dal l’amarezza e dal cinismo, beffardo verso tutti e verso se stesso, grazie alla ricorrenza della parola «cu ore» rivelava debolezze sentimentali impreviste. Come per i grandi pessimisti della sua famiglia poetica (Leo pardi o Baudelaire, ad esempio), il suo muscolo car diaco tradiva extrasistole emotive insospettate. Quasi trentanni dopo il pioneristico saggio del cri tico brasiliano, gli inediti pessoani pubblicati in Porto gallo nell’ultimo decennio in edizioni critiche inecce pibili autorizzano altre considerazioni sul « muscolo cardiaco » di Fernando Pessoa. E a questo punto non più riservate esclusivamente all’eteronimo Campos, ma dedicate soprattutto all’Ortonimo, quel Pessoa-lui stesso che con le poesie ora in nostro possesso si rivela come il vero grande poeta di tutta la galassia. Il numero di poesie firmate da Fernando Pessoa col proprio nome è così vasto e di una qualità esteti ca così alta che oggi possiamo affermare che Fernan do Pessoa, il « com m ediografo » diventato celebre soprattutto per le poesie dei propri « attori » (se posso usare la parola per i suoi eteronimi), è in realtà il prin
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cipale poeta di tutta la compagnia. Come Shakespeare seppe essere Amleto e King Lear essendo prima di tutto Shakespeare, come Balzac seppe essere il Père Goriot e Eugénie Grandet, essendo prim a di tutto Balzac, così Fernando Pessoa è in prim o luogo quel Fernando Pessoa che firma le sue poesie con il pro prio nome, am m esso che tale « i o » coincida con il reale Fernando Pessoa anagraficamente inteso (ma questo è un problem a che non riguarda soltanto lui ma tutta la letteratura). Premesso questo, che forse è l’essenza del proble ma del poeta più vasto e complesso del ventesimo se colo (cioè la sua natura di «genio » come per prima ha intuito l’intelligenza critica e filosofica di Eduardo Lourenço),' autore di un’impresa letteraria titanica, della stessa vastità di Omero, Dante, Shakespeare e Goethe, mi pare interessante cercare di capire in qua le accezione egli concepisce la parola « cuore » che con frequenza stupefacente appare nella sua poesia ortonima. Per conteggiare con esattezza le frequenze del lem m a «c u o re » sarebbe necessaria u n ’analisi computerizzata che registrasse tutti i versi in cui com pare la parola. Successivamente dovremmo analizza re con cura le diverse accezioni con cui tale parola viene adoperata, ricerca che potrebbe condurre a conclusioni molto interessanti. Nell’impossibilità di disporre di dati computerizzati posso avanzare soltan to delle ipotesi. Mi limito a segnalare, fra gli innume revoli versi in cui essa compare, quelli in cui la parola «cu o re» non è soltanto sinonimo di «em ozione», ma indica qualcosa di più problematico e complesso. All’origine c’è un verso di Pessoa molto celebre (e celebrato) che, letto in questa luce, assume un signifi cato molto diverso dalle letture tradizionali:1 1. E. Lourenço, Pessoa revisitado. Leitura estruturante do drama em gente, Inova, Porto, 1973.
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O que em mim sente 'sta pensando (« Ciò che in me sente sta pensando »).'
L a quartina che mi interessa è: Ah, canta, canta sem razào! O que em mim sente 'sta pensando. Derrama no meu coraçào A tua incerta voz ondeando!
La traduzione letterale del verso O que em mim sente ’stà pensando è « Ciò che in me sente sta pensando », in cui il gerundio portoghese ’stà pensando indica un’a zione continuata nel tempo. Pessoa si riferisce a due attività tradizionalmente distinte nella fisiologia: la fa coltà del sentimento ( sentir; riservata al cuore) e la fa coltà intellettiva ( pensar; riservata al cervello). La sede delle emozioni, la facoltà di sentir, è allo stesso tempo una facoltà intellettiva, «pensiero». Pessoa enuncia insomma, con un verso che ha il sapore di un’epifa nia, un’interazione assolutamente inedita per la sua epoca fra due facoltà umane tradizionalmente distin te e separate: la sfera del sentimento e la sfera dell’intelletto. Mi limito a isolare una manciata di versi dell’Ortonimo nei quali compare la parola « cuore »: 1) Peguei no meu coraçào / E pu-lo na minha mào. / / Olhei-o corno quem oìha / Grâos de areia ou urnafolh ar («H o messo il mio cuore / nel cavo della mia ma no. / / Lo guardavo come chi guarda / dei grani di sabbia o una foglia » ). 2) Tece, serena tecelà / Meu coraçào, a minha màgoa, / A minha àn sia}123 1. Il verso appartiene alla celebre poesia La mietitrice e reca la data 1.12.1914 [quiallepp. 142-45]. 2. Doppio di campane [qui alle pp. 40-41 ]. 3 . F. Pessoa, Obras deFernando Pessoa: Poesia 1918-1930, Asslrio & Alvim, Lisboa, 2005, p. 13.
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(«Tessi, serena tessitrice / il mio cuore, la mia pe na / la mia ansia »). 3) Meu coraçâo onde é que estava / Quando eufatav a corti a d m c iat 1 («D ov’era il mio cuore / quando parlavo con la scienza?»). 4) Costava que me dissessem / Como é que o coraçâo sente / De modo que o percebessem? (« Mi piacerebbe che mi dicessero / come sente il cuore / affinché lo capissero »). 5 )Assim , no pensamento, / Sem haver soluçâo, / H â um bocado que ternira / Que existe o coraçâo.3 («Così, nel pensiero, / senza soluzione, / c’è un pezzo che ricorda / che esiste il cuore »). In ciascuno di questi versi la parola « cuore » ha una densità semantica che va ben oltre il significato senti mentale: porta con sé valori di carattere psicologico o neurologico, quando addirittura non è, come nel ver so della Mietitrice («C iò che in me sente sta pensan do »), la stessa cosa dell’intelletto. Ma è opportuno ri portare per intero la poesia in cui compaiono i versi « Ho messo il mio cuore... », i primi che ho citato: Doppio di campane H o messo il mio cuore nel cavo della mia mano. Lo guardavo come chi guarda dei grani di sabbia o una foglia. Lo guardavo pavido e assorto come chi sa di essere morto; 1. F. Pessoa, Obras deFernando Pessoa : Poesia 1931-1935enäodatada, Assirio&Alvim, Lisboa, 2006, p. 16. 2. Ibid., p. 36. S. Ibid., p. 48.
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e la mia anima era commossa dal sogno, non dalla vita. Sem bra un raccourci, ridotto a glossa, fra la firase (atto III, scena i d e\YAmleto) « To be or not to be, that is thè question » e la scena i dell’atto V in cui Amleto tiene in mano il teschio di Yorick. Pessoa, invece del teschio, regge nella mano un cuore, e la domanda sul senso dell’esistenza è analoga, come se il cuore fosse la sede dell’ inteUigere, cioè il cervello che una volta abitava il teschio che Amleto regge in mano. Pessoa, come sappiamo, amò la filosofìa greca. Ol tre che a Nietzsche e Schopenhauer, il cui pensiero ricorre nei suoi diari personali e sulle cui influenze la migliore critica d ha dato conto, la curiosità filosofica di Pessoa si rivolse soprattutto alla Grecia. Senza l’an tica filosofia greca Ricardo Reis sarebbe impensabile. O Regresso dos Denses (Il ritorno degli Dei) del filosofo pa gano Antonio Mora, un trattatello di un filosofo allu cinato che Pessoa racconta di aver incontrato in una clinica psichiatrica di Cascais, è la dimostrazione fla grante della suggestione che la filosofìa greca ebbe su di lui. Ma Pessoa amò soprattutto i presocratici. Lo se dusse il mistero vertiginoso di quei frammenti che co me un pulviscolo stellare sembrano giungere a noi da un universo ignoto. Quella « polvere astrale » forse fu persino più forte, per il suo côté esoterico, dei libri di teosofia di Annie Besant o di C.W. Leadbeater che se condo im a vulgata da lui stesso costruita influenzaro no così profondamente il suo pensiero. « Il sangue che bagna il cuore è pensiero » (Empe docle) . C ’è un momento in cui, in Pessoa, il cuore e il pensiero sono la stessa cosa. O se sono due cose diver se interagiscono in m odo tale che non possiamo di stinguere l’uno dall’altro: l’emozione e la ratio. Oggi
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gli scienziati della neurologia hanno scoperto che la decifrazione della realtà e la sua coscienza, cioè l’in telligenza piena delle cose, può verificarsi soltanto se i due lobi del cervello, quello che risponde alle emo zioni e quello che risponde alla logica pura, interagi scono in piena e totale collaborazione. E sull’argo mento sono fondamentali i due libri di Antonio Da masio, L'errore di Cartesio (Adelphi, Milano, 1995) e A lla ricerca di Spinoza (Adelphi, Milano, 2003). Ciò che la m oderna neurologia ha oggi scoperto in ma niera scientifica Fernando Pessoa lo aveva formulato in poesia già molti anni prima, così come Schnitzler aveva espresso in letteratura le teorie psicoanalitiche di Freud prim a che Freud le formulasse in form a scientifica riconoscendo poi a Schnitzler in una let tera la precocità delle sue scoperte .1 L ’intuizione che sem pre precede la scoperta scientifica spesso avviene in letteratura, come ha scritto Maria Zambrano. Ma Pessoa fu anche un grande lettore di Spinoza, che per primo elabora in m aniera stupefacente l’interazione necessaria, per l’intelligenza delle cose, fra la parte del cervello ri servata alle emozioni e quella riservata alla ratio. Il « cuore » di Fernando Pessoa pulsa a ritmi incredibi li, con una frequenza così alta della quale è impossi bile fare un elettrocardiogramma. Ma dove è situato questo « cuore »? E davvero il m uscolo cardiaco? O non è piuttosto un sangue che bagnando il cuore è 1. In una famosa lettera, del 14 maggio 1922, Freud scrive a Schnitzler: «... sempre, quando mi sono abbandonato alle Sue belle creazioni, ho creduto di trovare dietro la loro parvenza poetica gli stessi presupposti, interessi e risultati che conoscevo come miei prop ri... Così ho avuto l’impressione che Ella sapes se per intuizione - ma in verità a causa di una raffinata autoper cezione - tutto ciò che io con un lavoro faticoso ho scoperto negli altri uomini... » (A. Schnitzler, Sulla psicoanalisi, a cura di L. Reitani, SE, Milano, 1987).
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«pensiero»? Nel «cuore di tenebra» che è l’umano sentire, misterioso, profondo, che appartiene ai pre cordi, Pessoa, come tutti i grandi poeti, fonda la sua poesia.
PREMESSA D I M A R IA J O S É D E L A N C A S T R E
Stavamo preparando per l’editore Adelphi que sto volume di poesie di Fernando Pessoa « ortonimo », quando la malattia e la morte di Antonio so no giunte ad interrompere un progetto da noi ini ziato nel 1979 con la pubblicazione del primo volu me di U na so la m oltitudine. In quell’edizione il poeta portoghese (che sempre più si stava rivelando uno dei più grandi del secolo) veniva presentato da Tabucchi al pubblico italiano attraverso un saggio pro fondo e originale, rimasto come un’impronta nella bibliografia pessoana: Un baule pieno d i gente. I due volumi di U na so la m oltitudine (il secondo è del 1984) tracciavano già allora un ritratto abbastanza completo di Fernando Pessoa, non solo con la scelta dei testi poetici e le schede sui principali eteronimi, sulle riviste e sui movimenti letterari che avevano coin volto l’autore, ma anche con gli scritti fondamentali sull’eteronimia. Poi per tanti anni abbiamo continua to a lavorare sui testi di Pessoa, cercando di traghet tare nella lingua italiana alcune gemme di quel ‘teso27
ro ’ inestinguibile della letteratura. Di un « genio », come l’ha chiamato per la prima volta Eduardo Lourenço nel 1973, e come ribadisce Antonio Tabucchi in un appunto inedito: « Oggi che Pessoa sia un genio appare evidente a tutti i suoi maggiori esegeti, probabilmente il gran de, supremo genio della letteratura novecentesca, al quale forse può stare alla pari solo Kafka (per pro fondità di pensiero, per l’intuizione che ebbe della natura dell’epoca in cui visse, per dimensione dell’o pera). Dante, Shakespeare, Cervantes, Milton, Goe the, Balzac: Pessoa sta fra questi nomi. « La dimensione dell’opera non è un vero criterio metrico di misura. È evidente che in letteratura il ge nio si possa rivelare anche in un solo libro (penso al Pedro Pàramo di Ju an Rulfo, a L'étranger di Camus) o in una silloge poetica di dimensioni “normali” (pen so a Paul Celan); ma quando ci si trova di fronte a un ’opera immensa, fatta di migliaia di pagine, fra poesie, prose, saggi, filosofia, racconti, diari, a un’in tera biblioteca, a u n ’opera che da sola basta a rap presentare la letteratura di un intero paese per tutto quel secolo (e tutta di una qualità estetica di altissimo livello), il genio assume quelle forme titaniche che nella storia letteraria di tutta l’umanità sono davvero rare, è omerico, e appartiene ai pochi nomi che citavo prima. Il genio in questi casi comporta la “sregolatez za”, come se superasse le forme che la natura ci con cede. Ci si trova di fronte a un monstrum. « Orientarsi all’interno di un genio non è facile, soprattutto con quelli di natura titanica: hanno la configurazione di arcipelaghi, le acque in cui si navi ga per arrivare da un porto all’altro sono ignote e insicure, le correnti che le percorrono non sono vi sibili, i venti che soffiano sulle vele dei suoi naviganti
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possono condurci fuori della rotta: con facilità ci per diamo, sono necessarie bussole, m appe, portolani». La nostra navigazione si ferma qui. Ora passiamo bussola e mappe a più giovani studiosi. Questo volume vuole offrire un ritratto dell’ortonimo cogliendo alcune delle sue molteplici sfaccet tature, dal poeta avanguardista creatore di -ismi al poe ta mistico ed esoterico, dal poeta elegiaco m a sem pre concettuale al poeta satirico che sbeffeggia il ti ranno Salazar, fino al poeta civile e « indignato » che guarda alla patria prostituita con rabbia e dolore. Secondo l’enciclopedia Treccani: orto- (dal greco ôp0ôç, «d iritto »), primo elemento di numerose pa role composte, derivate dal greco o formate moder namente, significa genericamente «retto », «dirit to », nelle varie accezioni in cui sono usati questi ag gettivi, e quindi anche «giusto», «esatto» e simili. Dunque, anche «vero». Pessoa utilizza per la prima volta il termine « ortonimo » nella Tavola bibliografica che pubblica sulla ri vista «P resen ça» nel 1928: «Q uello che Fernando Pessoa scrive appartiene a due categorie di opere che potremmo chiamare “ortonime” e “eteronime”. Non si potrà dire che sono “autonim e” e “pseudonim e” perché non lo sono affatto. L ’opera pseudonima è quella dell’autore stesso, salvo nel nome con cui la firma; l’opera eteronima è quella dell’autore al di fuori di se stesso, appartiene a un ’individualità com piuta da lui costruita, come sarebbero i discorsi di un personaggio di un suo dramma qualsiasi ».' In verità, Pessoa non spiega il termine « ortonimo », ma il suo significato si deduce per analogia: mentre l’opera 1 1. In «Presença», 17, dicembre 1928, p. 10.
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autonima è quella dell’autore stesso, che la firma con il suo nome, l’opera ortonima sarebbe quella rea lizzata dall’autore che si pone al di fuori di se stesso, come per quella eteronima, m a che firma con il suo nome « vero »: in questo caso, Fernando Pessoa. L ’ortonimo nasce, o meglio Pessoa ne prende consapevolezza, nel « giorno trionfale » della sua vi ta: quello stesso 8 marzo 1914 in cui appaiono in lui i diversi eteronimi, quei personaggi letterari « altri da sé » che avranno un nome, un ritratto, una biografia e un ’opera in versi e in prosa. La descrizione detta gliata di quella epifania appare, com ’è noto, nella ormai celebre lettera a Casais Monteiro, detta « sulla genesi degli eteronim i». Nel racconto di quel gior no, dopo che « era apparso » in lui il suo « Maestro », Alberto Caeiro, il discepolo Fernando Pessoa pren de la penna e scrive di getto le sei poesie che costitui scono Pioggia obliqua e rappresentano « il ritorno di Fernando Pessoa-Alberto Caeiro al Fernando Pessoa-lui so lo ».1Fernando Pessoa ortonimo avrà così lo stesso statuto letterario degli eteronimi. Non è più soltanto l’autore che inventa quei personaggi, ma ti no di loro che firma con lo stesso nome dell’autore. Ce lo confermano anche le parole di Alvaro de Campos, che rilegge a suo m odo l’episodio del «giorno trionfale»: « [Fernando Pessoa] conobbe Caeiro un p o ’ prima di me: l ’8 marzo del 1914, secondo quanto mi ha detto. In quel mese, Caeiro era venuto a passa re una settimana a Lisbona e fu allora che Fernando lo conobbe. Sentì leggere dalla sua voce II guardiano di greggi. Andò a casa con la febbre e scrisse in un solo getto Pioggia obliqua: le sei poesie ».1 2 Per Alvaro de 1. F. Pessoa, Una sola moltitudine, I, Adelphi, Milano, 1979, p. 133. 2. Alvaro de Campos, Notas para a Recordaçào do meu Mestre Caeiro, in Pàginas de Fernando Pessoa : Teoria da Heteronimia, a cura di F. Cabrai Martins e R. Zenith, Assfrio & Alvim, Lisboa, 2012.
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Campos, Pessoa è insomma uno di loro, un poeta del cenacolo. L ’autore Fernando Pessoa negli ultimi anni di vita perfezionò la sua teoria dell’eteronimia, risponden do alle richieste di precisazioni da parte di lettori d ’eccezione come Adolfo Casais Monteiro e Jo à o Gaspar Simóes, i due giovani critici della generazio ne di « Presença ». Nella lettera già citata sulla genesi degli eteronimi a Casais Monteiro, Pessoa comunica il piano per le successive pubblicazioni delle opere degli autori che porta dentro di sé e si riferisce così alla produzione dell’ortonimo: «... ho intenzione, durante l’estate, di riunire quel grosso volume delle poesie brevi di Fernando Pessoa-lui stesso, e di vede re se riesco a pubblicarle alla fine di quest’anno ».* E in una lettera a Gaspar Simóes, ipotizza addirittura un singolare dibattito estetico: «... includerei un [vo lume] curioso m a molto difficile da scrivere, che contenga il dibattito estetico tra me, Ricardo Reis e Alvaro de Campos... ».12 Abbiamo deciso di inserire in questa raccolta una ventina di poesie che già comparivano nel primo vo lume di Una sola moltitudine, sia perché ne abbiamo perfezionato la traduzione sia perché le considera vamo essenziali nel corpus delle poesie ortonime da noi selezionate. Per il titolo, si è fatta una scelta che in apparenza racchiude una tautologia m a che in realtà asseconda le indicazioni del poeta: « Fernan do Pessoa, Poesie di Fernando Pessoa», distinguendo tra l’autore e il personaggio che dell’autore porta il nome. 1. F. Pessoa, Una sola moltitudine, cit., p. 130. 2. F. Pessoa, Obras deFernando Pessoa: Conespondènda 1923-1935, Assfrio & Alvim, Lisboa, 1999, p. 270.
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Ringrazio Richard Zenith, nel ricordo delle nostre conversazioni a tre su Pessoa, arricchite dal suo sape re e dal suo amore per la poesia.
P O E SIE DI FER N A N D O P E SSO A
Ó sino da minha aldeia, Dolente na tarde calma, Cada tua badalada Soa dentro da minha alma. E é tào lento o teu soar, Tào corno triste da vida, Que jâ a primeira pancada Tem o som de repetida. Por mais que me tanjas perto, Quando passo, sempre errante, Es para mim corno um sonho, Soas-me na alma distante. A cada pancada tua, Vibrante no céu aberto, Sinto mais longe o passado, Sinto a saudade mais perto. 8.4.1911
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Cam pana del mio villaggio dolente nella quieta sera ogni rintocco tuo nel mio animo risuona. Così lento è il tuo suonare, come fosse triste deliavita, che già il tuo primo rintocco porta il suono del successivo. Per quanto rintocchi vicino quando passo, eterno errante, per me sei come un sogno, mi riecheggi dentro distante. Ad ogni rintocco tuo, vibrante nel cielo aperto, si fa più remoto il passato, più presente la nostalgia. 8.4.1911
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Ouvi falar no Mar Morto E chamou-me Aquele nome Pensei-o um mar sem porto Um corno que näo lugar Um quase-que sonho sublime Na terra a ignorar Tudo quanto, mar ou rio, Tem o mal de passar De correr e, corno momento, acabar Rio ou mar. Ju n h o 1911
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Ho sentito parlare del Mar Morto e quel nome mi ha attirato. Ho pensato a un mare senza porto, una sorta di non-luogo, un quasi-sogno sublime sulla terra che ignora tutto quanto, mare o fiume, ha la disgrazia di passare, di scorrere e, in quanto istante, di finire fiume o mare. Giugno 1911
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O bibliòfilo
Ó ambiçôes!... Como eu quisera ser Um pobre bibliòfilo parado Sobre o eterno fòlio desdobrado E sem mais na consciència de viver. Podia a primavera enverdecer E eu sempre sobre o livro recurvado Sorriria a um arcaico passado De urna medieval m oça e qualquer. A vida nâo perdia nem ganhava N ada por mim, nenhum gesto meu dava Um gesto mais ao seu Amor profondo. E eu lia, a testa contra a luz acesa, Sem nada querer ser com a beleza E sem nada ter sido com o mundo. 29.12.1911
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Il bibliofilo
Le ambizioni!... Come mi piacerebbe essere un povero bibliofilo incantato sopra Teterno in folio dispiegato e senza nient’altro nella coscienza di vivere. La primavera potrebbe fiorire e io sempre sul libro ripiegato sorriderei a un arcaico passato di una sconosciuta donzella medievale. Alla vita non aggiungerei né toglierei niente, nessun gesto mio darebbe un gesto in più al suo Amore profondo. E io leggerei, la fronte contro la luce accesa, senza volerne saper della bellezza, e senza esser stato niente per il mondo. 29.12.1911
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Dobre
Peguei no meu coraçâo E pu-lo na minha mào. Olhei-o corno quem olha Grâos de areia ou urna folha. Olhei-o pàvido e absorto Como quem sabe estar morto; Com a alma só comovida Do sonho e pouco da vida. 20.1.1913
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Doppio di campane
Ho messo il mio cuore nel cavo della mia mano. Lo guardavo come chi guarda dei grani di sabbia o una foglia. Lo guardavo pavido e assorto come chi sa di essere morto; e la mia anima era commossa dal sogno, non dalla vita. 20.1.1913
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AM icaçâo
Toma-me, ó noite eterna, nos teus braços E chama-me teu filho. Eu sou um rei Que voluntariamente abandonei O m eu trono de sonhos e cansaços. Minha espada, pesada a braços lassos, Em mâos viris e calmas entreguei; E meu ceptro e coroa - eu os deixei N a antecâmara, feitos em pedaços. Minha cota de malha, tâo inutil, Minhas esporas, de um tinir tâo fûtil, Deixei-as pela fria escadaria. Despi a realeza, corpo e aima, E regressei à noite antiga e calma Como a paisagem ao morrer do dia. Janeiro 1913
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Abdicazione
Prendimi fra le braccia, notte eterna, e chiamami tuo figlio. Io sono un re che volontariamente abbandonò il proprio trono di sogni e spossatezze. La mia spada, pesante in braccia stanche, l’affidai a mani virili e calme; 10 scettro e la corona li lasciai nell’anticamera, rotti in mille pezzi. L a m ia cotta di ferro, così inutile, e gli speroni, dal futile tinnire, 11 abbandonai sul gelido scalone. L a regalità ho smesso, anima e corpo, per ritornare alla notte antica e calma, come il paesaggio quando muore il giorno. Gennaio 191S
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Hora morta
Lenta e lenta a hora Por mim dentro soa... (Alma que se ignora!) Lenta e lenta e lenta, Lenta e sonolenta A hora se escoa... Tudo tào inutili Tào corno que doente, Tào divinamente Futil - ah, tào fùtil... Sonho que se sente De si pròprio ausente... Naufràgio no ocaso... H ora de piedade... Tudo é névoa e acaso... H ora oca e perdida, Cinza de vivida (Que tarde me invade?)
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Ora morta
Lenta e lenta, l’ora, dentro di me risuona... (Anima che si ign ora!). Lenta e lenta e lenta, lenta e sonnolenta l’orasi dissipa... Tutto così inutile! Come se fosse malato, così divinamente futile - ah, così futile... Un sogno che si sente da se stesso assente... Naufragio nel tramonto... Ora di pietà... Tutto è nebbia e caso... Ora vuota e perduta, vissuta e incenerita (quale sera mi invade?).
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Por que lento ante eia, Lenta em seu soar, Me sinto ignorar? Por que é que me gela Meu pròprio pensar Em sonhar amar?... 23 .3.1913
Perché lento al suo confronto, così lenta nel suo suonare, mi sento ignorare? Perché mi gela addirittura pensare di sognare di amare?... 23 .3.1913
P auis
Pauis de roçarem ânsias pela minh’alma em ouro... Dobre longìnquo de Outros Sinos... Empalidece o louro Trigo na cinza do poente... Corre um frio carnai por minh’alma... Tào sempre a mesma, a Hora!... Baloiçar de cimos de palma... Silêncio que as folhas fìtam em nós... Outono delgado Dum canto de vaga ave... Azul esquecido em estagnado... Oh que mudo grito de ànsia póe garras na Hora! Que pasm o de mim anseia por outra cousa que o que chora! Estendo as mäos para além, mas ao estendê-lasjâ vejo Que näo é aquilo que quero aquilo que desejo... Cimbalos de Imperfeiçâo... O tào antiguidade A H ora expulsa de si-Tempo!... Onda de recuo que invade O meu abandonar-me a mim pròprio até desfalecer, E recordar tanto o Eu presente que me sinto esquecer!... Fluido de auréola, transparente de Foi, oco de ter-se...
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P aludi
Paludi nello sfiorare ansie la mia anima in oro... Doppio lontano di Altre Campane... Impallidisce il biondo grano nella cenere del tramonto... Corre un freddo carnale per l’anima mia... Tanto sempre la stessa, l’Ora!... Dondolio di vette di palma... Silenzio che le foglie fissano in noi... Autunno snello di un canto di vago uccello... Azzurro dimenticato nel ristagno... Oh quale muto grido di ansie ficca artigli nell’Ora! Quale stupore di me anela altro da ciò che piange! Tendo le mani verso l’oltre, ma nel tenderle già vedo che non è ciò che voglio ciò che desidero... Cimbali di Imperfezione... O tanta antichità l’Ora espulsa da sé-Tempo!... Onda di riflusso che invade il mio abbandonarmi a me stesso fino al deliquio, ricordando così tanto l’Io presente da dimenticarmi dim e!... Fluido di aureola, trasparente di Fu, vuoto di aversi...
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O Mistério sabe-me a eu ser outro... Luar sobre o nâo conter-se... A sentinela é hirta - a lança que finca no châo É mais alta do que eia... P’ra que é tudo isto?... Dia châo... Trepadeiras de despropósito lam bendo de H ora osAléns... Horizontes fechando os olhos ao espaço em que säo elos de erro... Fanfarras de ôpios de silêncios futuros... Longes trens... Portôes vistos longe... através das ârvores... täo de ferro!... 29 .3.1913
Il mistero ha per me il sapore che io sia un altro... Chiardiluna sul non contenersi... La sentinella è rigida - la lancia che conficca nel suolo è più alta di lei... A che scopo è tutto questo?... Giorno piatto... Rampicanti di sproposito che lambiscono di Ora gli Oltre... Orizzonti che chiudono gli occhi allo spazio in cui sono anelli di errore... Fanfare di oppi di silenzi futuri... Lontani convogli... Portoni visti lontano... attraverso gli alberi... così di ferro!... 29 .3.1913
Às vezes sou o deus que trago em mim E entâo eu sou o deus, e o crente e a prece E a imagem de marfim Em que esse deus se esquece. Às vezes nâo sou mais do que um ateu Desse deus meu que eu sou quando me exalto. Olho em mim todo um céu E é um mero oco céu alto. 3.6.1913
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Talvolta sono il dio che porto in me e allora sono e il dio e il fedele e la preghiera e l’immagine d ’avorio dove quel dio si scorda. Talvolta non son più di un miscredente di quel mio dio che sono da esaltato. Vedo dentro di me un cielo vasto ed è soltanto un verticale cielo vuoto. 3.6.1913
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A inda de ArthurRimbaud
E eu, que serei sempre corno cobarde ante o Longe, Que nunca partirei definitivamente, Procuro o meu sonho, em bora o reze, do Oriente, Mas fìcarei eternamente monge Dentro em m eu pròprio sonho dele ausente. Eu que nunca verei a aventura de perto Que nunca beijarei os labios da Distancia E nunca sentirei vir p ’ra mim a fragrància De Indias reais sob um céu outro e certo E eternamente numa incerta infància Eternamente virgem de afastar-me Por mais que pese sobre mim avida E o Lugar seja a escoria endurecida Da ànsia infiel e interior de dar-me A um falso e eterno impulso para a Ida. Eu que nunca serei mais que o que anseia E jâ sabe, ao ansiar, que nâo alcança Aquilo que parece ser a esp’rança
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Vita di Arthur Rimbaud
Ed io, davanti alla Lontananza eterno codardo, che mai partirò una volta per tutte, cerco il mio sogno, che pure invoco, dell’Oriente, io, resterò per sempre in questo claustro chiuso dentro il mio sogno da lui assente. Io, che mai vedrò da vicino l’avventura, che mai bacerò in bocca la Distanza e mai sentirò la fragranza di profumi di Indie reali sotto un altro e vero cielo, e eternamente in un ’incerta infanzia con l’eterna verginità di allontanarmi per quanto la vita mi pesi addosso e il mio star qui sia la scoria calcificata dell’interiore ansia infedele di affidarmi a un sempiterno e falso impulso di partire. Io che mai sarò altro che chi anela, e, nel suo anelar, già sa che non raggiunge ciò che gli parve la speranza 55
E nem se recreia Dum gesto corno que de quem se dança... Invejo a tua vida arremessada, Atirada p ’ra longe, p ’ra perder-se... Vida que abre as vêlas, e ei-la a encher-se De si sem pensar ein ter urna chegada, E de estar longe sem pensar em ver-se. Invejo a tua vida e tenho dela Que näo foi minha, corno que saudades, Descem em mim obscuras ansiedades Um m ar em mim tormentas encapela Feitas das minhas ocas ansiedades. Possuidor do Longe que sonhaste, Torturado por tua imperfeiçâo... Näo sei por que tu näo viveste sào Fior que tanto soube ser alta na haste Que em vicio e sombra... mas desabrochaste E a tua Ida foi o teu pendio. 20.11.1913
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e neppur può rallegrarsi di un passo come di chi danza da solo... Invidio la tua vita proiettata, buttata verso il lungi, per perdersi... Vita che apre le vele, di se stessa rigonfia senza pensare a dove arriverà, stando lontana senza pensare a guardarsi. Invidio la tua vita e ho di essa, che non fu mia, come una nostalgia, oscure ansie scendono in me dentro di me un mare con onde burrascose formate dalle mie vuote sazietà. Proprietario del Lontano che sognasti, torturato dal tuo essere imperfetto... Non so perché non vivesti in salute fiore che tanto seppe tenersi alto sullo stelo che nell’ombra e nel vizio... eppure hai fiorito e come simbolo il tuo partire. 20.11.1913
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Chuva Obliqua
I Atravessa esta paisagem o m eu sonho dum porto infinito E a cor das flores é transparente de as vêlas de grandes navios Que largam do cais arrastando nas âguas por sombra Os vultos ao sol daquelas ârvores antigas... O porto que sonho é sombrio e pâlido E esta paisagem é cheia de sol deste lado... Mas no m eu espirito o sol deste dia é porto sombrio E os navios que saem do porto sâo estas ârvores ao sol... Liberto em duplo, abandonei-me da paisagem abaixo... O vulto do cais é a estrada nitida e calma Que se levanta e se ergue corno um muro, E os navios passam por dentro dos troncos das ârvores Com urna horizontalidade vertical, E deixam cair amarras na âgua pelas folhas urna a urna dentro...
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Pioggia obliqua
I Attraversa questo paesaggio il mio sogno di un porto infinito e il colore dei fiori è trasparente delle vele di grandi velieri che salpano dal molo portandosi dietro come ombra nelle acque le sagome al sole di quegli alberi antichi... Il porto che sogno è cupo e pallido e questo paesaggio è pieno di sole da questa parte... Ma nel mio spirito il sole di oggi è porto cupo e i velieri che escono dal porto sono questi alberi al sole... Liberato in doppio, mi sono abbandonato giù dal paesaggio... Il profilo del molo è la strada nitida e calma che si leva e si erge come un muro, e i velieri passano attraverso i tronchi degli alberi con un’orizzontalità verticale, e lasciano cadere gom ene in acqua dentro le foglie a una a una...
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Näo sei quem me sonho... Sùbito toda a àgua do m ar do porto é transparente E vejo no fundo, corno urna estampa enorme que la estivesse desdobrada, Esta paisagem toda, renque de arvores, estrada a arder em aquele porto, E a sombra dum a nau mais antiga que o porto que passa Entre o meu sonho do porto e o meu ver esta paisagem E chega ao pé de mim, e entra por mim dentro, E passa para o outro lado da minha alma...
II Ilumina-se a igreja por dentro da chuva deste dia, E cada vela que se acende é mais chuva a bater navidraça... Alegra-me ouvir a chuva porque eia é o tempio estar aceso, E as vidraças da igreja vistas de fora sào o som da chuva ouvido por dentro... O esplendor do altar-mor é o eu näo poder quase ver os montes Através da chuva que é ouro täo solene na toalha do aitar... Soa o canto do coro, latino e vento a sacudir-me a vidraça E sente-se chiar a àgua no facto de haver coro... A missa é um automóvel que passa Através dos fiéis que se ajoelham em hoje ser um dia triste...
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Non so chi mi sogno... All’improvviso tutta l’acqua del mare del porto è trasparente e vedo sul fondo, come una stampa enorme che vi stesse dispiegata, tutto questo paesaggio, filare di alberi, strada in fiamme in quel porto, e l’ombra di una nave più antica del porto che passa fra il mio sogno del porto e il mio vedere questo paesaggio e mi arriva vicino, e entra dentro di me, e passa dall’altra parte della mia anima... II La chiesa si illumina dentro la pioggia di questo giorno, e ogni candela che si accende è altra pioggia che batte sui vetri... Mi rallegra ascoltare la pioggia perché essa è il tempio acceso, e le vetrate della chiesa viste da fuori sono il suono della pioggia sentito da dentro... Lo splendore dell’altare maggiore è il mio non poter quasi vedere i monti attraverso la pioggia, oro tanto solenne sulla tovaglia dell’altare... Risuona il canto del coro, latino e vento che mi scuote la vetrata e si sente gemere l’acqua nel fatto di esserci un coro... L a messa è un’automobile che passa attraverso i fedeli che si inginocchiano nell’essere oggi un giorno triste...
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Sùbito vento sacode em esplendor maior A festa da catedral e o ruido da chuva absorve tudo Até só se ouvir a voz do padre agua perder-se ao longe Com o som de rodas de automóvel... E apagam-se as luzes da igreja Na chuva que cessa...
Ili A Grande Esfinge do Egipto sonha por este papel dentro... Escrevo - e eia aparece-me através da minha mào transparente E ao canto do papel erguem-se as pirâmides... Escrevo - perturbo-me de ver o bico da minha pena Ser o perfil do rei Quéops... De repente paro... Escureceu tudo... Caio por um abismo feito de tempo... Estou soterrado sob as pirâmides a escrever versos à luz clara deste candeeiro E todo o Egipto me esmaga de alto através dos traços que faço com a pena... Ouço a Esfinge rir por dentro O som da minha pena a correr no papel... Atravessa o eu näo poder vê-la urna mäo enorme, Varre tudo para o canto do tecto que fica por detras de mim, E sobre o papel onde escrevo, entre eie e a pena que escreve,
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Improvviso vento squassa in splendore maggiore la festa della cattedrale e lo scroscio della pioggia assorbe tutto finché si ode soltanto la voce del prete acqua che si perde lontano con il suono di ruote di automobile... E si spengono le luci della chiesa nella pioggia che cessa...
Ili La Grande Sfinge dell’Egitto sogna dentro questo foglio... Scrivo: e lei mi appare attraverso la mia mano trasparente e nell’angolo del foglio si ergono le piramidi... Scrivo: e mi turbo a vedere che la punta della mia penna è il profilo del re Cheope... D ’improvviso mi fermo... Si è oscurato tutto... Precipito in un abisso fatto di tempo... Sono sepolto sotto le piramidi a scrivere versi alla luce chiara di questa lam pada e tutto l’Egitto mi schiaccia dall’alto attraverso i segni che faccio con la penna... Sento la Sfinge che ride dentro il fruscio del pennino che corre sul foglio... Attraversa il mio non poterla vedere una mano enorme, spazza tutto verso l’angolo del soffitto che sta alle mie spalle, e sul foglio in cui scrivo, tra esso e il pennino che scrive,
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Jaz o cadâver do rei Quéops, olhando-me com olhos muito abertos, E entre os nossos olhares que se cruzam corre o Nilo E urna alegria de barcos embandeirados erra Numa diagonal difusa Entre mim e o que eu penso... Funerais do rei Quéops em ouro velho e Mimi... IV Que pandeiretas o silèncio deste quarto!... As paredes estào na Andaluzia... H â danças sensuais no brilho fixo da luz... De repente todo o espaço para..., Para, escorrega, desembrulha-se..., E num canto do tecto, muito mais longe do que eie està, Abrem mâos brancas jan elas sécrétas E ha ramos de violetas caindo De haver urna noite de primavera la fora Sobre o eu estar de olhos fechados... V L à fora vai um redemoinho de sol os cavalos do carroussel... Arvores, pedras, montes, bailam parados dentro de mim... Noite absoluta na feira iluminada, luar no dia de sol la fora, E as luzes todas da feira fazem ruido dos muros do quintal... Ranchos de raparigas de bilha à cabeça
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giace il cadavere di re Cheope che mi guarda a occhi spalancati, e tra i nostri sguardi incrociati scorre il Nilo e un’allegria di navi pavesate erra in una diagonale diffusa tra me e quello che penso... Funerali del re Cheope in oro vecchio e Me!... IV Che tamburelli il silenzio di questa stanza!... Le pareti sono in Andalusia... Ci sono danze sensuali nel brillio fìsso della luce... All’improvviso tutto lo spazio si ferma..., si ferma, slitta, si dipana..., e in un angolo del soffitto, molto più lontano del soffitto, mani bianche aprono finestre segrete e ci sono mazzi di violette che cadono perché fuori c’è una notte di primavera sul mio stare a occhi chiusi... V Gira là fuori un mulinello di sole i cavalli della giostra... Alberi, sassi, monti ballano immobili dentro di me... Notte assoluta sulla fiera illuminata, chiardiluna sulla giornata di sole là fuori e tutte le luci della fiera fanno rumore dei muri del giardino... Gruppi di ragazze con la brocca sulla testa
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Que passam la fora, cheias de estar sob o sol, Cruzam-se com grandes grupos peganhentos de gente que anda na feira, Gente toda misturada com as luzes das barracas, com a noite e com o luar, E os dois grupos encontram-se e penetram-se Até formarem sô um que é os dois... A feira e as luzes da feira e a gente que anda na feira, E a noite que pega na feira e a levanta no ar, An dam por cima das copas das ârvores cheias de sol, Andam visivelmente por baixo dos penedos que luzem ao sol, Aparecem do outro lado das bilhas que as raparigas levain à cabeça, E toda esta pai sagem de primavera é a lua sobre a feira, E toda a feira com ruîdos e luzes é o châo deste dia de sol... De repente alguém sacode esta hora dupla corno numa peneira E, misturado, o pô das duas realidades cai Sobre as minhas mâos cheias de desenhos de portos Com grandes naus que se vâo e nâo pensam em voltar... Pó de ouro branco e negro sobre os meus dedos... As minhas mâos sào os passos daquela rapariga que abandona a feira, Sozinha e contente corno o dia de hoje... VI O maestro sacode a batuta, E lànguida e triste a mùsica rompe... Lembra-me a minha infância, aquele dia Em que eu brincava ao pé dum muro de quintal
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che passano sulla strada colme di stare al sole, si incrociano con molti gruppi vischiosi di gente che gira per la fiera, gente mescolata con le luci dei baracconi, la notte, il chiardiluna, e i due gruppi si incontrano e si compenetrano fino a formarne imo solo che è tutti e due... La fiera e le luci della fiera e la gente che gira per la fiera, e la notte che ghermisce la fiera e la solleva in aria, vanno sopra le chiome degli alberi pieni di sole, vanno visibilmente sotto le rocce che brillano al sole, compaiono dall’altra parte delle brocche che le ragazze portano sulla testa, e tutto questo paesaggio di primavera è la luna sulla fiera, e tutta la fiera con luci e rumori è il suolo di questo giorno di sole... AU’improwiso qualcuno agita come in uno staccio quest’ora doppia e, mescolata, la polvere delle due realtà cade sulle mie mani piene di disegni di porti con grandi velieri che partono e non pensano atom are... Polvere di oro bianco e nero sulle mie dita... Le mie mani sono i passi di quella ragazza che lascia la fiera, sola e contenta come questa giornata... VI Il maestro agita la bacchetta, e languida e triste la musica irrompe... Mi ricorda la mia infanzia, quel giorno in cui giocavo presso un muro di cortile
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Atirandolhe com urna boia que tinha dum lado O deslizar dum cào verde, e do outro lado Um cavalo azul a correr com um jockey amarelo... Prossegue a mùsica, e eis na minha infància De repente entre mim e o maestro, muro branco, Vai e vem a boia, ora um cäo verde, Ora um cavalo azul com um jockey amarelo... T odo o teatro é o m eu quintal, a minha infància Està em todos os lugares, e a boia vem a tocar mùsica Urna mùsica triste e vaga que passeia no m eu quintal Vestida de cào verde tomando-se jockey amarelo... (Tao rapida gira a boia entre mim e os mùsicos...) Atiro-a de encontre à minha infància e eia Atravessa o teatro todo que està aos meus pés A brincar com um jockey amarelo e um cäo verde E um cavalo azul que aparece por cima do muro Do meu quintal... E a mùsica atira com bolas A minha infància... E o muro do quinta] é feito de gestos De batuta e rotaçôes confusas de càes verdes E cavalos azuis e jockeys am arelos... Todo o teatro é um muro branco de mùsica Por onde um cäo verde corre atras da minha saudade Da minha infància, cavalo azul com um jockey amarelo... E dum lado para o outro, da direita para a esquerda, Donde hâ ârvores e entre os ramos ao pé da copa Com orquestras a tocar mùsica, Para onde hâ filas de bolas na loja onde a comprei E o homem da loja so n i entre as memórias da minha infància...
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tirandovi contro una palla che aveva da una parte 10 scivolare di un cane verde, e dall’al tra 11 galoppo di un cavallo azzurro con un fantino giallo... La musica prosegue, ed ecco nella mia infanzia d ’improvviso tra me e il maestro, muro bianco, va e viene la palla, ora un cane verde, ora un cavallo azzurro con un fantino giallo... Tutto il teatro è il mio cortile, la m ia infanzia è in tutti i luoghi, e la palla arriva suonando im a musica triste e incerta che vaga nel mio cortile vestita da cane verde che si muta in fantino giallo... (Tanto rapida gira la palla fra me e i musicisti...). La scaglio contro la mia infanzia e lei attraversa l’intero teatro che è ai miei piedi giocando con un fantino giallo e un cane verde e un cavallo azzurro che spunta sopra il muro del mio cortile... E la musica scaglia dei palloni contro la mia infanzia... E il m uro del cortile è fatto di cenni di bacchetta e di rotazioni confuse di cani verdi e di cavalli azzurri e di fantini gialli... Tutto il teatro è un muro bianco di musica sul quale un cane verde rincorre la mia nostalgia della mia infanzia, cavallo azzurro con un fantino giallo... E da una parte e dall’altra, da destra a sinistra, da dove ci sono alberi e tra i rami vicino alla chioma con orchestre che suonano musica, fino alle file di palloni nel negozio ove comprai il mio pallone e il padrone del negozio sorride tra le memorie della mia infanzia...
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E a mùsica cessa corno um muro que desaba, A boia rola pelo despenhadeiro dos meus sonhos interrompidos, E do alto dum cavalo azul, o maestro, jockey amarelo tomando-se preto, Agradece, pousando a batuta em cima da fuga dum muro, E curva-se, sorrindo, com urna boia branca em cima da cabeça, Boia branca que lhe desaparece pelas costas abaixo... 8.3.1914
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E la musica cessa come un muro che crolla, il pallone rotola lungo il precipizio dei miei sogni interrotti, e dall’alto di un cavallo azzurro, il maestro, fantino giallo che diventa nero, ringrazia, posando la bacchetta sulla fuga di un muro, e si inchina, sorridendo, con un pallone bianco sulla testa, pallone bianco che gli scompare giù per la schiena... 8.3.1914
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Uns versos quaisquer
Vive o momento com saudade dele J â ao vivê-lo... Barcas vazias, sempre nos impele Corno a um solto cabelo Um vento para longe, e nâo sabemos, Ao viver, que sentimos ou queremos... Demo-nos pois a consciência disto Como de um lago Posto em paisagens de torpor mortiço Sob um céu ermo e vago, £ que a nossa consciência de nós seja Urna cousa que n ad ajâ deseja... Assim idênticos à hora toda Em seu pleno sabor, Nossa vida sera nossa ante-boda: Nâo nós, mas urna cor, Um perfume, um meneio de arvoredo, E a morte nâo vira nem tarde ou cedo...
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Dei versi qualsiasi
Vivi il momento con nostalgia già nel viverlo... Barche vuote, sempre lontano ci spinge un vento, come sciolti capelli, e vivendo non sappiamo che sentiamo o vogliamo... Prendiamone dunque coscienza come se fosse un lago adagiato in paesaggi di pallido torpore sotto un cielo erm o e incerto, ma che la coscienza di noi stessi sia un qualcosa che già più nulla vuole... Così, identici all’ora compiuta nel suo pieno sapore, la nostra vita saranno delle nozze anticipate: non noi, m a un colore, un profumo, lo stormire di un bosco, e la morte non verrà né tardi né presto...
73
Porque o que importa é que jâ nada importe... Nada nos vale Que se debruce sobre nós a Sorte, Ou, ténue e longe, cale Seus gestos... Tudo é o mesmo... Eis o momento... Sejamo-lo... P’ra què o pensamento?...
11.10.1914
Perché quel che importa è che ormai niente importa... A niente ci serve che la Sorte si affacci su di noi o che, tenue e lontana, fermi il suo gesto... Tutto è uguale... Ecco il momento... Essere quel momento... Perché mai pensare?...
11.10.1914
Movem nossos braços outros braços que os nossos, Falam na nossa boca lâbios que nâo nos pertencem. Nâo somos agentes; nos somos acçôes - os destroços De gestos apenas notados neste mundo em que avida Passa corno um cortejo em que os olhos de Deus pensem E entre eie e o cortejo pensado hâ quem âge esta lida. Somos cartas m andadas de espirito para espirito na treva. Quebrada a ponte, nos somos a ponte, e isso é falso... Farrapos das intençôes dos anjos que a treva leva E ao alto de cada alma nossa ergue-se um cadafalso... Tudo isso se passa entre Deus e o ser que nâo temos E no intervalo chora o som da ida nos remos. 27.4.1916
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Altre sono le braccia che muovono le nostre braccia, non nostre, con la nostra bocca parlano labbra che non ci appartengono. Non siamo noi ad agire; noi siamo azioni, relitti di gesti appena avvertiti in questo m ondo dove la vita passa come un corteo pensato dagli occhi di Dio e fra Lui e il pensato corteo c’è chi muove questa nuora. Noi siamo lettere che nella tenebra gli spiriti si scambiano. Spezzato il ponte, noi siamo il ponte, e non è vero... Brandelli del voler degli angeli rapiti dalla tenebra e a perpendicolo sulle nostre anime si erge un patibolo... E tutto avviene fra Dio e l’essere che non possediamo e nell’intervallo piange nei remi il suono dell’andata. 27.4.1916
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Tange a tua flauta, pastor. Esta tarde Pertence à dor, à tua dor que em mim arde. Tange por isso pastor, a tua flauta a tremer. Tange, tange, para que eu me näo sinta sofrer. Leve, um vento antigo passa entre ti e mim. Leve, o vento régressa, e a mùsica esta no firn. Mas nunca havera firn ou mùsica em meu tormento. Tange outra vez a flauta, pastor. Deixa o vento Estar entre ti e mim outra vez, corno a sombra triste Que està na tua alma, e na minha alma, e näo existe. 14.6.1916
78
Suona il tuo flauto, pastore. Questa sera appartiene al dolore, al tuo che brucia in me. Per questo suona, pastore, il tuo fremente flauto. Suona, suona, affinché io non mi senta soffrire. Fra me e te leggero passa un vento antico. Leggero tom a, e la musica è alla fine. Ma non ci sarà fine o musica nel mio tormento. Suona ancora il tuo flauto, pastore. Lascia che il vento ristia fra di noi, come l’ombra triste che c’è nell’animo tuo, e nel mio. E non esiste. 14,6.1916
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P assos d a Cruz
I Esqueço-me das horas transviadas... O outono m ora mâgoas nos outeiros E pöe um roxo vago nos ribeiros... Hóstia de assombro a alma, e toda estradas... Aconteceu-me esta paisagem, fadas De sepulcros a orgiaco... Trigueiros Os céus da tua face, e os derradeiros Tons do poente segredam nas arcadas... No daustro sequestrando a lucidez Um espasmo apagado em òdio à ànsia Poe dias de ilhas vistas do convés No m eu cansaço perdido entre os gelos, E a cor do outono é um funeral de apelos Pela estrada da minha dissonància...
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Stazioni delia Via Crucis
I Mi scordo delle ore trasviate... L ’autunno abita angustie sopra i colli, mette un indaco vago nei ruscelli... L ’anima è un’ostia di spavento, e tutta strade... Mi accade questo paesaggio: fate di sepolcro orgiastico... Bruni, i cieli del tuo volto e gli estremi toni del ponente sotto gli archi bisbigliano... Nel chiostro che imprigiona la lucidità uno spasimo spento in odio all’ansia lascia giorni d ’isole viste dalle murate nella mia fatica persa fra le nevi, e il color d ’autunno è un funerale di appelli sulla via della m ia dissonanza...
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II H â um poeta em mim que Deus me disse... A primavera esquece nos barrancos As grinaldas que trouxe dos arrancos Da sua efèmera e espectral ledice... Pelo prado orvalhado a meninice Faz soar a alegria os seus tamancos... Pobre de anseios teu ficar nos bancos Olhando a hora corno quem sorrisse... Fiorir do dia a capitéis de Luz... Violinos do silèncio entemecidos... Tèdio onde o só ter tèdio nos seduz... Minha alma beija o quadro que pintou... Sento-me ao pé dos séculos perdidos E cismo o seu perfil de inércia e voo...
Ili Adagas cujas jóias velhas galas... Opalesci amar-me entre mäos raras, E, fluido a febres entre um lembrar de aras, O convés sem ninguém cheio de malas... O intimo silèncio das opalas Conduz orientes até jóias caras, E o m eu anseio vai nas rotas Claras De um grande sonho cheio de ócio e salas... Passa o cortejo imperiai, e ao longe O povo só pelo cessar das lanças Sabe que passa o seu tirano, e estruge
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II C ’è un poeta in me che Dio mi disse... La primavera scorda nei burroni le corone portate dagli slanci della sua gioia effìmera e spettrale... Sul prato rugiadoso fanciullezza i suoi zoccoli batte allegramente... Il tuo restar su panche, senza slanci, guardando l’ora come chi sorride... Fiorir del giorno a capitelli di Luce... Violini del silenzio inteneriti... Tedio ove il solo aver tedio ci seduce... La m ia anima bacia il quadro che ha dipinto... Mi seggo accanto ai secoli perduti e penso il lor profilo d ’inerzia e volo...
Ili Daghe i cui gioielli vecchi firegi... Fui di opale amarmi in rare mani, e, fluido a febbri in un ricordo d ’are, a ponte vuoto, pieno di bauli... L ’intimo silenzio degli opali conduce orienti fino a gioie care, e la mia bram a va su rotte chiare d ’un gran sogno pieno d ’ozio e sale... Passa il corteo imperiale, e da lontano il popolo, se cessano le lance, sa che passa il tiranno, e fa suonare
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Sua ovaçâo, e erguem as crianças... Mas no teclado as tuas mâos pararam E indefinidamente repousaram... IV O tocadoura de harpa, se eu beÿasse Teu gesto, sein beijar as tuas mâos!, E, beÿando-o, descesse p ’ios desvâos Do sonho, até que enfim eu o encontrasse Tornado Puro Gesto, gesto-face Da medalha sinistra—reis cristäos Ajoelhando, inimigos e irmàos, Quando processionai o andor passasse!... Teu gesto que arrepanha e se extasia... O teu gesto completo, lua fria Subindo, e em baixo, negros, osjuncais... Caverna em estalactites o teu gesto... Nào poder eu prendê-lo, fazer mais Que vê-lo e que perdê-lo!... E o sonho é o resto... V Ténue, roçando sedas pelas horas, Teu vulto ciciante passa e esquece, E dia a dia adias para prece O rito cujo ritmo só décoras... Um mar longmquo e próximo humedece Teus labios onde, mais que em tì, descoras... E, alada, leve, sobre a dor que choras, Sem qu’rer saber de ti a tarde desce...
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l’ovazione, e sollevano i bambini... Ma sui tasti le tue mani si fermarono e indefinitamente riposarono... IV O suonatrice di arpa, s’io baciassi il tuo gesto senza baciare le tue mani!, e baciandolo scendessi nei meandri del sogno per incontrarlo infine tornato Puro Gesto, gesto faccia di sinistra medaglia: re cristiani inginocchiati, nemici e fratelli, se in processione il fercolo passasse!... Il gesto tuo che aggriccia e che si estasia li tuo gesto completo, fredda luna crescente, e in basso, neri, i giuncheti... Grotta di stalattiti, il gesto tuo... Non poterlo afferrare, fare più che vederlo e smarrirlo!... E il sogno è il resto... V Tenue, frusciando seta sulle ore, la tua om bra in sussurro passa e scorda, ed ogni giorno rimandi alla preghiera il rito di cui solo il ritmo apprendi... Mare lontano e prossimo inumidisce le labbra tue dove più che in te scolori... E alata, lieve, sul dolor che piangi, la sera scende senza darti cura...
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Erra no ante-luar a voz dos tanques... Na quinta imensa gorgolejam âguas, Na treva vaga ao meu ter dor estanques.. Meu impèrio é das horas desiguais, E dei meu gesto lasso às algas m àgoas Que hâ para além de sermos outonais... VI Venho de longe e trago no perfil, Em form a nevoenta e afastada, O perfil de outro ser que desagrada Ao m eu actual recorte humano e vii. Outrora fui talvez, näo Boabdil, Mas o seu mero ùltimo olhar, da estrada Dado ao deixado vulto de Granada, Recorte frio sob o unido anil... Hoje sou a saudade imperiai Do que jâ na distância de mim vi... Eu pròprio sou aquilo que perdi... E nesta estrada para Desigual Florem em esguia glòria marginai Os girassóis do impèrio que m oni... VII Fosse eu apenas, näo sei onde ou corno, Urna cousa esistente sem viver, Noite de Vida sem amanhecer Entre as sirtes do meu dourado assomo..
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Nell’antechiardiluna erra la voce di stagni... Nel grande parco gorgogliano le acque, nel buio incerto, stagni al mio dolore... Delle ore diseguali è il mio dominio, diedi il mio gesto stanco alle alghe duoli che sono oltre il nostro essere autunnali... VI Vengo d a lungi e porto nel profilo, in form a nebulosa e distaccata, il profilo d ’altro essere non grato al mio attuale taglio um ano e vile. Un tempo, forse, fui non Boabdil, ma l’estremo suo sguardo nel cammino fisso nel volto perso di Granada, sagom a fredda sotto pieno anile... Oggi sono imperiale nostalgia di quanto mi son visto da lontano... Io stesso sono quello che ho perduto... In questa strada verso il Diseguale sbocciano in poca gloria marginale gli elianti dell’impero che morii... VII Fossi soltanto, non so dove o come, una cosa esistente senza vita, notte di Vita che non ha albeggiare, fra le sirti del mio dorato accesso...
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Fada maliciosa ou incerto gnom o Fadado houvesse de nâo pertencer Meu intuito gloriola com ter A ârvore do meu uso o ùnico pomo... Fosse eu urna metàfora somente Escrita nalgum livro insubsistente Dum poeta antigo, de alma em outras gamas, Mas doente, e, num crepusculo de espadas, Morrendo entre bandeiras desfraldadas Na ùltima tarde de um impèrio em chamas...
V ili Ignorado beasse o m eu destino Entre pâlios (e a ponte sempre à vista), E anel concluso a chispas de ametista A frase falha do m eu pòstumo hino... Florescesse em meu glabro desatino O himeneu das escadas da conquista Cuja preguiça, arrecadada, dista Almas do m eu impulso cristalino... Meus ócios ricos assim fossem, vilas Pelo campo romano, e a toga traça No meu soslaio anónimas (desgraça Avida) curvas sob màos intranquilas... E tudo sem Cleopatra teria Findado perto de onde raia o dia...
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Fata maliziosa o incerto gnomo al non appartenere mi fatasse il mio risibile intuito, nell’aver l’albero del mio uso unico pomo... Ah, essere solo una metafora scritta in un qualche libro insussistente d ’un antico poeta, l’anima in altre gamme, ma malato e, in un crepuscolo di spade, morente fra bandiere sventolanti l’ultima sera di un impero in fiamme...
V ili Rimanesse ignorato il mio destino fra antichi drappi, il ponte sempre in vista, concluso anello con fuoco di ametista, stonatura del mio postumo inno... Fiorisse nel mio glabro vaneggiare l’imeneo delle scale di conquista la cui pigrizia preservata dista anime dal mio impulso cristallino... I miei begli ozi fossero le ville di campagne romane; la mia toga traccia, sul mio sghimbescio, anonime (disgrazia la vita) curve sotto mani inquiete... Tutto sarebbe, senza Cleopatra, finito là, dove zampilla il giorno...
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IX Meu coraçâo é um pòrtico partido Dando excessivamente sobre o mar. Vejo em minha alma as vêlas vas passar E cada vela passa num sentido. Um soslaio de sombras e nudo Na transparente solidäo do ar Evoca estrelas sobre a noite estar Em afastados céus o pòrtico ido... E em palmares de Antilhas entrevistas Através de, com màos eis apartados Os sonhos, cortìnados de ametìstas, Imperfeito o sabor de compensando O grande espaço entre os troféus alçados Ao centro do triunfo em ruîdo e bando... X Aconteceu-me do alto do infinito Estavida. Através de nevoeiros, Do m eu pròprio erm o ser fum os primeiros, Vim granfiando, e através estranhos ritos De sombra e luz ocasional, e gritos Vagos ao longe, e assomos passageiros De saudade incògnita, luzeiros De divino, este ser fosco e proselito... Caiu chuva em passados que fui eu. Houve planïcies de céu baixo e neve Nalguma cousa de alma do que é meu.
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IX Un portico crollato è il cuore mio che dà eccessivamente sopra il mare. Vedo nell’anima passare vele vane, ed ogni vela ha una sola direzione. Uno sghimbescio di ombre e di rumore nella tersa solitudine deH’aria richiama stelle sulla notte stando in lontani cieli il portico partito... E fra palmeti di Antille intraviste attraverso tendaggi di ametiste, ecco scostati i sogni con le mani, imperfetto è il sapor di compensare il grande spazio fra i trofei eretti dentro un trionfo rum oroso e mosso... X DaU’infinita vetta mi è toccata la vita mia. Fra spesse brume, primi fumi di un ’erem a esistenza, venni acquistando, e per bizzarri riti d ’ombra e di luce occasionale, e vaghi gridi lontani, e passeggeri slanci di incognito rimpianto, bagliori di divino, quest’essere fosco e proscritto... La pioggia cadde in passati che già fui. Ci furono campi di neve e cieli bassi su alcunché d ’anima di ciò che è mio.
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Narrei-me à sombra e näo me achei sentido. Hoje sei-me o deserto onde Deus teve Outrora a sua capitai de olvido... XI Näo sou eu quem descrevo. Eu sou a tela E oculta mào colora alguém em mim. Pus a alma no nexo de perdè-la E o m eu princìpio floresceu em Firn. Que importa o tèdio que dentro em mim gela, E o leve outono, e as galas, e o marfim, E a congruència da alma que se vela Com os sonhados pâlios de cetìm? Disperso... E a hora corno um leque fecha-se... Minha alma é um arco tendo ao fundo o mar... O tèdio? A magoa? Avida? O sonho? Deixa-se... E, abrindo as asas sobre Renovar, A erma sombra do voo começado Pestaneja no campo abandonado... XII Eia ia, tranquila pastorinha, Pela estrada da minha imperfeiçâo. Seguia-a, corno um gesto de perdào, O seu rebanho, a saudade minha... « Em longes terras hâs-de ser rainha» Um dia lhe disseram, mas em vào... Seu vulto perde-se na escuridào... Só sua sombra ante meus pés caminha...
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Mi raccontai nell’ombra, senza capirmi. Oggi mi so il deserto, ov’ebbe Dio un tempo la capitale dell’oblio... XI Non son io che descrivo. Io son la tela e occulta mano colora in me qualcuno. Posi l’anima nell’idea di perderla e il mio principio sbocciò in Fine. Che importa il Tedio che mi gela dentro, e il lieve Autunno, l’avorio, le gale, la congruenza dell’anima velata dalle sognate stole di raso? Disperso... Ventaglio, l’ora si chiude... L ’anima è un arco con in fondo il mare... Tedio? Pena? Vita? Sogno? Si lascia... Aprendo le ali sopra Rinnovare, l’erem a ombra del novello volo batte le ciglia sul campo abbandonato... XII Andava, la tranquilla pastorella, per la via della mia imperfezione. La seguiva, tal gesto di perdono, il gregge suo, la mia nostalgia... « Da qui lontano tu sarai regina » le disse un dì qualcuno, inutilmente... L ’oscurità inghiottisce il viso suo: le resta l’ombra, e mi cammina ai piedi...
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Deus te dê lirios em vez desta hora, E em terras longe do que eu hoje sinto Seras, rainha nâo, mas só pastora Só sempre a mesma pastorinha a ir, E eu serei teu regresso, esse indistinto Abismo entre o meu sonho e o meu porvir... XIII Emissario de um rei desconhecido, Eu cumpro informes instruçôes de além, E as bruscas frases que aos meus lâbios vêm Soam-me a um outro e anòmalo sentìdo... Inconscientemente me divido Entre mim e a missào que o m eu ser tem, E a glòria do meu Rei dâ-me o desdém Por este humano povo entre quem lido... Nâo sei se existe o Rei que me mandou. Minha missào sera eu a esquecer, Meu orgulho o deserto em que em mim estou... Mas ah, eu sinto-me altas tradiçôes De antes de tempo e espaço e vida e ser...
Jâ viram Deus as minhas sensaçôes... XIV Com o urna voz de fonte que cessasse (E uns para os outros nossos vâos olhares Se adm iraram ), p ’ra além dos meus palmares De sonho, a voz que do m eu tèdio nasce
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Che Dio ti doni gigli, non quest’ora, e lontano da ciò che oggi io sento regina non sarai, solo pastora: sempre soltanto la stessa pastorella che va. Io sarò il tuo ritorno, questo confuso abisso tra il mio sogno e il mio futuro... XIII Emissario di un sire sconosciuto compio informi istruzioni d ’aldilà, brusche frasi mi salgono alle labbra che suonano di un altro senso strano... Inconscientemente mi divido fra me e la missione che mi spetta, e la gloria del mio Re mi dà il disdegno per questa um ana gente fra cui vivo... Non so se esiste il Re che mi ha mandato. La mia missione sarà il dimenticarla, e l’orgoglio, il deserto in cui sto in me... Ma sì, mi sento alte tradizioni di prima del tempo, spazio, essere, vita... Già videro Dio le mie sensazioni... XIV Come una voce di fonte che secca (e l’un con l’altro i nostri vani sguardi sbigottirono), oltre i miei palmeti di sogno, la voce che dal mio tedio nasce
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Parou... A pareceujâ sem disfarce De mùsica longinqua, asas nos ares, O mistério silente corno os mares, Quando morreu o vento e a calma pasce... A paisagem longinqua só existe Para haver nela um silêncio em descida P’ra o mistério, silêncio a que a hora assiste.. E, perto ou longe, grande lago mudo, O mundo, o informe mundo onde hâ a vida. E Deus, a Grande Ogiva ao firn de tudo...
cessa... Appare già senza la maschera di musica lontana, ali librate, il mistero silente come i mari se il vento cala e la bonaccia pasce... Il paesaggio esiste in lontananza sol perché in lui c’è un silenzio che scende verso il mistero, e l’oravi assiste... E, qui o là, immenso lago muto, il mondo, il mondo informe ove c’è vita... E Dio, la Grande Ogiva in fondo a tutto... [1913-1916]
Näo sei. Falta-me um sentido, um tacto Para a vida, para o amor, para a glòria... Para que serve qualquer história, Ou qualquer facto? Estou só, só corno ninguém ainda esteve, Oco dentro de mim, sem depois nem antes. Parece que passam sem ver-me os instantes, Mas passam sem que o seu passo seja leve. Começo a 1er, mas cansa-me o que inda näo li. Quero pensar, mas dói-me o que irei concluir. O sonho pesa-me antes de o ter. Sentir E tudo urna cousa corno qualquer cousa que j a vi. Näo ser nada, ser urna figura de romance, Sem vida, sem morte material, urna ideia, Qualquer cousa que nada tornasse ûtil ou feia, Urna sombra num chào irreal, um sonho num transe. 1.3.1917
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Non so. Mi manca un senso, un tatto per la vita, per l’amore, per la gloria... E poi che me ne faccio di una storia o di un fatto? Solo, solo come nessuno lo è mai stato, vuoto dentro di me, senza prim a né dopo, passan gli istanti quasi senza vedermi, ma passando il loro passo non è lieve. Prendo a leggere e già mi stufo quel che non ho letto. Voglio pensare, e già la conclusione è una fatica. Mi pesa il sogno prim a di sognarlo. Sentire è una cosa come un qualcosa che ho già visto. Non esser niente, essere una figura di romanzo, senza vita, senza morte materiale, un’idea, im a cosa che nulla rendesse utile o laida, tm'om bra su un terreno irreale, un sogno in trance. 1.3.1917
99
Rabequista louco Tocando la fora Qualquer cousa pouco Mas com que a alma chora... Onde é que aprendeste Que essa melodia Rasga um pouco a veste Cujo pano é o dia? Quem te disse outrora, Antes do teu ser, Que quando a alma chora Sente o irreal viver? Quem te ensinou antes Que ter coraçâo, Que a dor traz instantes Em que o mundo é vào?
100
Violinista matto che suoni là fuori una cosa da nulla ma che fa piangere l’anima... Dove hai imparato che questa tua melodia lacera appena la veste il cui tessuto è il giorno? Chi ü disse un tempo, prima che tu fossi, che quando l’anima piange capisce che la vita è irreale? Chi ti insegnò prima che tu avessi un cuore, che il dolore porta istanti in cui il m ondo è vano?
101
Quem te deu esse arco Que arranca essa nota Com que o Rio abarco E a Cidade Ignota? Seja corno for, Cessa, meu irmào, J a é todo dor O meu coraçâo.
1.3.1917
Chi ti ha dato quell’arco che strappa quella nota con cui il Fiume scorgo e la Città Ignota? Ad ogni modo ti prego, smetti, fratello, è solo dolore ormai questo povero cuore.
1.3.1917
Sùbita mâo de algum fantasma oculto Entre as dobras da noite e do meu sono Sacode-me e eu acordo, e no abandono Da noite näo enxergo gesto ou vulto. Mas um terror antigo, que insepulto Trago no coraçâo, corno de um trono Desce e se afirma meu senhor e dono Sem ordern, sem meneio e sem insulto. E eu sinto a minha vida de repente Presa por urna corda de Inconsciente A qualquer mäo noctum a que me guia. Sinto que sou ninguém salvo urna sombra De um vulto que näo vejo e que me assombra, E em nada existo corno a treva fria. 14.3.1917
104
Improvvisa mano di fantasma occulto fra le pieghe del buio e del mio sonno mi scuote, e io mi sveglio, e nel vuoto notturno non trovo gesto o volto. Ma un antico terrore, che insepolto porto nel cuore, come da un trono scende sopra di me senza perdono, mi fa suo servo senza cenno o insulto. E sento la mia vita di repente legata con un filo di Incosciente a una mano notturna che mi guida. Sento che niente sono, se non l’ombra di un volto imperscrutabile nell’ombra: e in niente esisto, come il freddo buio. 14.3.1917
105
Meu pensamento, dito, jâ näo é Meu pensamento. Fior morta, bòia no meu sonho, até Que a leve o vento, Que a desvie a corrente, a extem a sorte. Se falò, sinto Que a palavras esculpo a minha morte, Que com toda a alm a minto. Assim, quanto mais digo, mais me engano, Mais faço eu Um novo ser postiço, que engalano De ser o meu. Ah, jâ pensando escuto, a voz reside No interno firn. Meu pròprio diàlogo interior divide Meu ser de mim.
106
Se detto, il mio pensiero non è più il mio pensiero. Morto fiore, galleggia nel mio sogno finché non se lo porta il vento, o non lo devia la corrente, l’esterna sorte. Se parlo, sento che a parole scolpisco la mia morte, che con tutto l’animo mentisco. Così, quanto più parlo più mi inganno, più io stesso costruisco un nuovo essere posticcio, che adorno perché è quello mio. Ah, pensando, già ascolto: la voce risiede nel mio interno finale. Il mio dialogo interiore divide ciò che sono da me stesso.
107
Mas é quando dou forma e voz do ’spaço Ao que medito Que abro entre mim e mim, quebrando um laço, Um abismo infinito. Ah, quem me dera a perfeita concordância De mim comigo, O silèncio interior sem a distância Entre mim e o que eu digo!
108
Ma è solo dando forma e voce dello spazio a ciò che penso che spalanco fra me e me, spezzando un laccio, un abisso infinito. Ah, potessi avere la perfetta concordanza di me con me stesso, il silenzio interiore senza la distanza fra me e ciò che dico! [Agosto 1917]
A Mûmia
I Andei léguas de sombra Dentro em meu pensamento. Floresceu às avessas Meu ócio com sem-nexo, E apagaram-se as lâmpadas N a alcova cambaleante. Tudo prestes se volve Um deserto macio Visto pelo meu tacto Dos veludos da alcova, Nào pela minha vista. H â um oasis no Incerto E, corno urna suspeita De luz por nâo-hâ-frinchas, Passa urna caravana. Esquece-me de sùbito Como é o espaço, e o tempo Em vez de horizontal E vertical.
110
L a Mummia
I
Ho viaggiato leghe d ’ombra entro il mio pensiero. E fiorito alla rovescia il mio ozio con senza-nesso, e le luci si sono spente nell’alcova vacillante. Tutto presto diventa un morbido deserto visto dal mio tatto sui velluti dell’alcova, non dal mio vedere. C ’è un’oasi nell’Incerto e, come un sospetto di luce tra il compatto, passa una carovana. Subito mi dimentico com ’è lo spazio, e il tempo anziché orizzontale è verticale.
Ili
A alcova Desce nào sei por onde Até nào me encontrar. Ascende um leve fumo Das minhas sensaçôes. Deixo de me incluir Dentro de mim. Nào ha Câ-dentro nem là-fora. E o deserto està agora Virado para baixo. A noçâo de mover-me Esqueceu-se do meu nome. Na alma meu corpo pesa-me. Sinto-me um reposteiro Pendurado na sala Onde jaz alguém morto. Qualquer coisa caiu E tiniu no infinito.
II Na sombra Cleópatrajaz morta. Chove. Embandeiraram o barco de maneira errada. Chove sempre. Para que olhas tu a cidade longìnqua? Tua alma é a cidade longìnqua. Chove fidamente.
112
Scende l’alcova per non so dove fino a non trovarmi. Ascende un lieve fumo dalle mie sensazioni. Smetto di includermi dentro me stesso. Non c’è il dentro, non c’è il fuori. E il deserto ora è capovolto. La nozione di muovermi ha scordato il mio nome. Il corpo mi grava nell’anima. Mi sento un tendaggio che vela la stanza dove giace un cadavere. Qualche cosa è caduta tinnendo nell’infinito.
II Nell’ombra Cleopatra giace morta. Piove. Hanno pavesato la nave in m odo sbagliato. Piove sempre. Perché tu guardi la città lontana? L ’anima tua è la città lontana. Piove freddamente.
113
E quanto à mâe que embala ao colo um filho morto Todos nós embalamos ao colo um filho morto. Chove, chove. O sorriso triste que sobra a teus lâbios cansados, Vejo-o no gesto com que os teus dedos nâo deixam os teus anéis. Porque é que chove? III De quem é o olhar Que espreita por meus olhos? Quando penso que vejo, Quem continua vendo Enquanto estou pensando? Por que caminhos seguem, Nâo os meus tristes passos, Mas a realidade De eu ter passos comigo? As vezes, na penum bra Do meu quarto, quando eu Para mim pròprio mesmo Em aima mal existo, Torna um outro senüdo Em mim o Universo E urna nódoa esbatida De eu ser consciente sobre Minha ideia das coisas. Se acenderem as vêlas E nâo houver apenas A vaga luz de fora Nâo sei que candeeiro
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E in quanto alla madre che culla tra le braccia un figlio morto: culliamo tutti tra le braccia un figlio morto. Piove, piove. Il sorriso triste che resta alle tue labbra stanche, lo vedo nel gesto delle tue dita che tormentano i tuoi anelli. Perché mai piove?
Ili Di chi è lo sguardo che guarda coi miei occhi? Quando penso che vedo, chi continua a vedere mentre sto pensando? Per quali vie incedono, non i miei tristi passi, ma la realtà dell’avere passi con me? A volte, nella penom bra della mia stanza, quando per me stesso perfino in anima esisto appena, prende un altro senso in me l’Universo: è im a sbiadita macchia dell’esser io cosciente sulla mia idea delle cose. Se accenderanno i ceri e non ci sarà solo la vaga luce esterna — non so quale lucerna
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Aceso onde na m a Terei foscos desejos De nunca haver mais nada No Universo e na Vida De que o obscuro momento Que é minha vida agora: Um momento afluente Dum rio sempre a ir Esquecer-se de ser. Espaço misterioso Entre espaços desertos Cujo sentido é nulo E sem ser nada a nada. E assim a hora passa Metafisicamente. IV As minhas ansiedades caem Por urna escada abaixo. Os meus desejos balouçam-se Em meio de um jardim vertical. Na Mumia a posiçâo é absolutamente exacta. Musica longmqua, Mùsica excessivamente longmqua, Para que a Vida passe E collier esqueça aos gestos.
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accesa nella strada vorrò cupamente che Vita e Universo nient’altro abbiano in loro che l’oscuro momento che la mia vita è ora: un momento affluente di un fiume che va sempre al suo dimenticarsi, enigmatico spazio entro deserti spazi il cui concetto è nullo e non è niente a niente. E così l’ora passa metafisicamente. IV Rotolano le mie ansie giù da una scala. Le mie voglie oscillano in un giardino verticale. Nella Mummia la posizione è assolutamente esatta. Musica lontana, musica eccessivamente lontana perché la Vita passi senza che i gesti colgano.
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V Porque abrem as coisas alas para eu passar? Tenho m edo de passar entre elas, tâo paradas conscientes. Tenho m edo de as deixar atras de mim a tirarem a Mascara. Mas ha sempre coisas atras de mim. Sinto a sua ausència de olhos fìtar-me, e estremeço. Sem se mexerem, as paredes vibram-me sentido. Falam comigo sem voz de dizerem-me as cadeiras. Os desenhos do pano da mesa têm vida, cada um é um abismo. Luze a sorrir com visiveis labios invisiveis A porta abrindo-se conscientemente Sem que a mâo seja mais que o caminho para abrir-se. De onde é que estâo olhando para mim? Que coisas incapazes de olhar estâo olhando para mim? Quem espreita de tudo? As arestas fìtam-me. So nienti realmente as paredes Usas. Sensaçâo de ser só a minha espinha. As espadas.
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V Perché le cose fanno ala al mio passaggio? Tem o di attraversarle, così fermamente coscienti. Tem o di lasciarle alle mie spalle a togliersi la maschera. Ma ci son sempre cose dietro di me. Sento la loro assenza d ’occhi che mi fissa, e rabbrividisco. Senza muoversi le pareti mi vibrano significati. Parlano con me senza voce da dirmi le sedie. Hanno vita i disegni della tovaglia, ciascuno è un abisso. Brilla sorridendo con visibili labbra invisibili la porta neU’aprirsi coscientemente senza che la mano altro sia che il cammino all’aprirsi. Da dove mi stanno guardando? Quali cose incapaci di guardare mi stanno guardando? Chi spia da tutto? Gli spigoli mi fissano. Realmente mi sorridono le lisce pareti. Sensazione di essere solo la mia spina. Le spade.
[1914-1917]
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No ouro sem firn da tarde morta, N a poeira de ouro sem lugar Da tarde que me passa à porta Para nào parar, No silèncio dourado ainda Dos arvoredos verde-firn, Recordo. Eras antiga e linda E estas em mim... Tua memòria hâ sem que houvesses, Teu ar, sem que fosses alguém. Como urna brisa me estremeces E eu choro um bem... Perdi-te. Nào te tive. A hora É suave para a minha dor. Deixa meu ser que rememora Sentir o amor,
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Nell’oro senza fine della sera morta, nella polvere d ’oro senza luogo della sera che passa alla mia porta e non si ferma, nel silenzio tuttora dorato degli albereti verde-fine, ricordo. Eri antica e bella e sei in me... La tua memoria esiste senza te, il tuo gesto senza che tu ci sia. Come una brezza fremi dentro me, e piango un bene... Ti ho persa. Non ti ho avuta. Ed è soave l’ora al mio dolore. Fa’ che il mio essere che ora ricorda senta l’amore,
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Ainda que amar seja um receio, Urna lembrança falsa e vä, E a noite deste vago anseio Nào tenha manhä.
25.12.1918
anche se amare è solo un’apprensione, una fallace e vana ricordanza, e la notte di questo vago anelito non ha domani...
25.12.1918
Dai-me mùsica, só mùsica, näo avida. Leva a hora e o amor Com os papéis de cena e as mascaras, na vida Do ùltimo actor. Ah viver só em cenarlo e ficçâo Näo ter deveres nem gente Sonhar até nem se sentir a emoçâo Com que se sonha e se sente. Porque só viver é que faz mal à vida, Só amar, querer näo existe Para quem tira a mascara e vè na sala despida Que só a ficçâo näo é triste.
124
Datemi musica, solo musica, non la vita. Porta il momento e l’amore con i copioni e le maschere nella vita deH’ultimo attore. Ah, vivere soltanto in scena e finzione senza doveri né gente sognare fino a non sentire più l’emozione con cui si sogna e si sente. Perché il solo vivere fa male alla vita, il solo amare, volere non esiste per chi si toglie la maschera e vede nella sala vuota che soltanto la finzione non è triste. [1917-1918]
125
Longe de mim em mim existo A parte de quem sou A sombra e o movimento em que consisto. 1.1.1920
126
Lontano da me in me esisto fuori da chi io sono l’ombra e il movimento in cui consisto. 1.1.1920
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Epigrama
Os deuses säo felizes. Vìvem a vida calma das raizes. Seus desejos o Fado nào oprime, Ou, oprimindo, redime Com a vida imortal N âo h â Sombras ou outros que os contristem. E, além disso, näo existem... 10.7.1920
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Epigramma
Gli dèi sono felici. Vivono la vita calma delle radici. Il Fato non opprime i loro desideri, o se li opprime, li redime con la vita immortale. Non ci sono ombre o altri che li contristino. E, inoltre, non esistono... 10.7.1920
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Cansa ser, sentir dói, pensar destini. Alheio a nós, em nós e fora, Rui a hora, e tudo nela rui. Inutilmente a alm a o chora. De que serve? O que é que tem que servir? Pâlido esboço leve Do sol de Inverno sobre m eu leito a sorrir... Vago sussurro breve Das pequenas vozes com que a manhà acorda, Da futil promessa do dia, Morta ao nascer, na ’sperança longm qua e absurda Em que a alma se fia. 1.1.1921
ISO
Essere stanca, sentire duole, pensare distrugge. A noi estranea, in noi e fuori, l’ora precipita, e tutto in lei precipita. Inutilmente l’anima ne piange. A che serve? Che cos’è che deve servire? Pallido abbozzo lieve del sole d ’inverno che sul mio letto sorride... Vago sussurro breve delle piccole voci con cui si sveglia il mattino, della futile promessa del giorno, morta sul nascere, nella speranza lontana e assurda in cui l’anima confida. 1.1.1921
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Natal
Nasce um deus. Outros morrem. A Verdade Nem veio nem se foi: o Erro mudou. Tem os agora urna outra Etem idade, E era sempre melhor o que passou. Cega, a Ciência a inùtil gleba lavra. Louca, a Fé vive o sonho do seu culto. Um novo deus é só urna palavra. Nào procures nem creias: tudo é oculto. Dezembro 1922
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Natale
Nasce un dio. Altri muoiono. La Verità non giunse né partì: cambiò l’Errore. Abbiamo ora un ’altra Eternità, e ciò che è passato in fondo era migliore. Cieca, la Scienza ara zolle inutili. Folle, la Fede vive il sogno del suo culto. Un nuovo dio è solo una parola. Non cercare e non credere: tutto è occulto. Dicembre 1922
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Sonho. Näo sei quem sou neste momento. Durmo sentindo-me. N a hora calma Meu pensamento esquece o pensamento, Minh’alma näo tem alma. Se existo, é um erro eu o saber. Se acordo Parece que erro. Sinto que nâo sei. Nada quero, nem tenho, nem recordo. Nâo tenho ser nem lei. Lapso da consciência entre ilusôes, Fantasmas me limitam e contêm. Dorme, incònscio de alheios coraçôes, Coraçâo de ninguém! 6.1.1923
134
Sogno. Non so chi sono in questo momento. Dormo sentendomi. Nell’ora calma il mio pensiero dimentica il pensiero, non ha anima la mia anima. Se esisto, è un errore saperlo. Se mi desto mi sembra di sbagliare. Sento di non sapere. Nulla voglio né possiedo né ricordo. Non ho essere né legge. Intervallo della coscienza fra illusioni, mi limitano fantasmi e mi contengono. Inconsapevole di cuori altrui, dormi, cuore di nessuno! 6.1.1923
135
Oiço passar o vento na noite. Sente-se no ar, e alto, o açoite De näo sei quem em näo sei quê. Tudo se ouve, nada se vê. Ah, tudo é sìmbolo e analogia. O vento que passa, esta noite fria. Säo outra cousa que a noite e o vento Sombras de Vida e de Pensamento. Tudo nos narra o que nos nâo diz. Näo sei que dram a a pensar desfìz Que a noite e o vento narrando säo. Ouvi. Pensando-o, ouvi-o em vào. Tudo é unissono e semelhante. O vento cessa e, noite adiante, Começa o dia e ignorado existo, Mas o que foi nâo é nada disto. 24.9.192S
136
Sento passare il vento nella notte. Si sente nell’aria, e in alto, la frustata di non so chi a non so che. Si sente, e non si vede niente. Ah, tutto è simbolo e analogia. Il vento che passa, il freddo della notte, sono un qualcosa che non è vento ombre di Vita e di Pensiero. Tutto ci racconta ciò che ci tace. Non so quale dramma ho disfatto in astratto che narrandolo sono notte e vento. Ascoltai. Pensandolo, lo ascoltai invano. Tutto è simultaneo e tutto si assomiglia. Il vento cessa e, notte inoltrata, comincia il giorno ed ignorato esisto. Ma ciò che è stato non è affatto questo. 24.9.1923
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O andaim e
O tempo que eu hei sonhado Quantos anos foi de vida! Ah, quanto do meu passado Foi sô a vida mentida De um futuro imaginado!
Aqui à beira do rio Sossego sem ter razâo. Este seu correr vazio Figura, anònimo e frio, A vida vivida em vâo. A ’spr’ança que pouco alcança! Que desejo vale o ensejo? E urna boia de criança Sobe mais que a minha ’sp’rança, Rola mais que o meu desejo. Ondas do rio, tào leves Que nâo sois ondas sequer, Horas, dias, anos, brèves Passam - verduras ou neves Que o mesmo sol faz morrer.
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L ’im palcatura
Quanti anni di vita il tempo passato a sognare! Quanto del mio passato fu solo la vita mentita di un futuro immaginato! Qui, sulla riva del fiume, sento una pace insensata. L ’acqua che anonima e fredda invano scorre assomiglia alla vita vissuta invano. Speranza che così poco raggiungi Desiderio: valesti la pena? Il pallone di un bambino vola più alto della speranza, più lontano dei miei desideri. Oh onde del fiume, così lievi che neppure onde sembrate, ore, giorni, anni, brevi trascorrono: verdi prati o nevaie uccisi dal medesimo sole.
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Gastei tudo que näo tinha. Sou mais velho do que sou. A ilusâo, que me man tinha, Só no palco era rainha: Despiu-se, e o reino acabou. Leve som das âguas lentas, Gulosas da margem ida, Que lembranças sonolentas De esperanças nevoentas! Que sonhos o sonho e avida! Que fiz de mim? Encontrei-me Quando estavajâ perdido. Impaciente deixei-me Corno a um louco que teime No que lhe foi desmentido. Som morto das âguas mansas Que correm por ter que ser, Leva näo só as lembranças Mas as mortas esperanças Mortas, porque hâo-de morrer. Sou jâ o morto futuro. Só um sonho me liga a mim O sonho atrasado e obscuro Do que eu devera ser - muro Do meu deserto jardim . Ondas passadas, levai-me Para o olvido do mar! Ao que näo serei legai-me, Que cerquei com um andaime A casa por fabricar. 29.8.19
140
Più vecchio degli anni che ho, ho speso un patrimonio inesistente. Che regina, l’illusione che mi dava tanta forza! Ma sul palco. Tolse l’abito di scena, finì il regno. Suono lieve dell’acque lente, con l’appetito della riva perduta: che ricordi sonnolenti di speranze brumose! Che sogni! Sogni, vita! Cos’ho fatto di me? Mi son ritrovato quando non c’ero già più. Stufo, mi sono allontanato come ci si allontana da un pazzo che insiste ad aver fede in una smentita. Morto suono dell’acque calme che scorrono perché devono, portati via i ricordi e con loro le morte speranze: già morte, perché dovranno. Morto anticipato, un sogno appena a me mi unisce. Il sogno inutile e buio di quel che dovevo essere: il muro del mio giardino deserto. Onde già a valle, portatemi verso l’oblio del mare! A quel che non sarò affidatemi, perché ho innalzato un ’impalcatura per ima casa mai costruita. 29.8.1924
141
A ceifeira
Eia canta, pobre ceifeira, Julgando-se feliz talvez; Canta, e ceifa, e a sua voz, cheia De aiegre e anònima viuvez, Ondula corno um canto de ave No ar limpo corno um limiar, E ha curvas no enredo suave Do som que eia tem a cantar. Ouvi-la aiegra e entristece, Na sua voz ha o cam po e a lida, E canta corno se tivesse Mais razòes p ’ra cantar que a vida. Ah, canta, canta sem razäo! O que em mim sente 'sta pensando. Derrama no m eu coraçâo A tua incerta voz ondeando! Ah, poder ser tu, sendo eu! T er a tua aiegre inconsciència,
142
L a mietitrice
Lei canta, povera mietitrice, credendosi forse felice; canta e miete, e la sua voce, piena di allegra e anonima vedovanza, ondeggia come un canto di uccello neU’aria lustra come una soglia; e ci sono curve nel soave ordito del suono con cui va cantando. Udirla rallegra e rattrista; nella sua voce c’è il campo e la fatica, e canta quasi che avesse motivi in più di cantare, oltre alla vita. Ah, canta, canta senza motivo! Ciò che in me sente sta pensando. Spargi dentro il mio cuore l’incerta tua voce ondeggiante! Ah, poter essere te essendo io! Avere la tua lieta incoscienza
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E a consciência disso! Ó céu! O campo! O cançâo! A ciència Pesa tanto e a vida é täo breve! Entrai por mim dentro! Tornai Minha alma a vossa sombra leve! Depois, levando-me, passai!
ed esserne cosciente! O cielo! O campi! O canzone! La scienza pesa tanto e la vita è così breve! Entrate in me! Rendete la mia anima la vostra ombra lieve! E portandomi via, passate! [Pubblicata nel dicembre 1924]
Pobre velha mùsica! Näo sei por que agrado, Enche-se de lagrimas Meu olhar parado. Recordo outro ouvir-te. Näo sei se te ouvi Nessa minha infància Que me lembra em ti. Com que ànsia täo raiva Quero aquele outrora! E eu era feliz? Nào sei: Fui-o outrora agora.
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Vecchia musica da niente! Non so per quale consonanza si è riempito di lacrime il mio sguardo rapito. Ti ho già sentita, ricordo. Forse ti ascoltai in quella mia infanzia che in te riaffiora. Con quale ansia furibonda rivorrei quell’allora! Ero felice? Non so: lo sono stato allora ora. [Pubblicata nel dicembre 1924]
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O menino da sua mäe
No piaino abandonado Que a m orna brisa aquece, De balas traspassado Duas, de lado a lado -, Jaz morto, e arrefece. Raia-lhe a farda o sangue. De braços estendidos, Alvo, louro, exangue, Fita com olhar langue E cego os céus perdidos. Tàojovem ! quejovem era! (Agora que idade tem?) Filho ùnico, a mäe lhe dera Um nome e o mantivera: « O menino da sua mäe ». Caiu-lhe da algibeira A cigarreira breve. Dera-lha a mäe. Està inteira E boa a cigarreira. Eie é que j a näo serve.
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Il tesoro della sua mamma
Sulla piana abbandonata intiepidita dalla brezza, col corpo crivellato (due fori di pallottole), giace, cadavere, a freddare. Il sangue gli riga la divisa. A braccia stese, bianco, biondo, esangue, fissa con occhi languidi e vuoti i cieli perduti. Così giovane! Era così giovane! (Ma ora che età h a?). Figlio unico, la madre lo chiamava con un nome poi rimasto: « il tesoro della sua m am m a». Dalla tasca è scivolato l’astuccio delle sigarette. Un regalo della mamma. In buono stato, il portasigarette, è intatto. E lui che non lo è.
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De outra algibeira, alada Ponta a roçar o solo, A brancura embainhada De um lenço... Deu-lho a criada Velha que o trouxe ao colo. La longe, em casa, ha a prece: « Que volte cedo, e bem! » (Malhas que o Impèrio tece!) Ja z morto, e apodrece, O menino da sua màe.
Da un’altra tasca, alata punta che sfiora il suolo, il biancore orlato di un fazzoletto... Regalo della vecchia tata che lo tenne in collo. Lontano, a casa, pregano: « Che torni presto e bene! » (trame che l’Impero tesse!). Giace, cadavere, a decomporsi, il tesoro della sua mamma. [Pubblicata nel maggio 1926]
Tudo
Dizem? Esquecem. Näo dizem? Disseram. Fazem? Fatal. Nâo fazem? Igual. Porquê Esperar? - Tudo é Sonhar.
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Tutto
Dicono? Dimenticano. Non dicono? Hanno detto. Fanno? È fatale. Non fanno? E uguale. Perché aspettare? - Tutto è sognare. [1926]
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Depois da feira
Vào vagos pela estrada, Cantando sem razào A ùltima esp’rança dada A ùltima ilusào. Nào significarti nada. Mimos e bobos säo. Vào juntos e diversos Sob um luar de ver, Em que sonhos imersos Nem saberäo dizer, E cantarti aqueles versos Que lembram sem querer. Pajens de um morto mito, Tao liricos!, tào sós!, Nâo tèm na voz um grito, Mal tèm a pròpria voz; E ignora-os o infinito Que nos ignora a nós. 22.5.1927
154
Dopo la fiera
Avanzano vagando per la strada, cantano senza ragione l’ultima speranza data all’ultima illusione. * Non sono niente. Sono mimi e pagliacci. Camminano insieme ognuno per suo conto sotto una luna diurna, in quali sogni immersi non saprebbero dire, e cantano dei versi che inconsapevolmente ricordano. Paggi di un mito morto, così lirici!, così soli!, non hanno un grido nella voce, hanno a stento la loro voce e li ignora l’infinito che ignora anche noi. 22.5.1927
155
Tenho dó das estrelas Luzindo ha tanto tempo, H a tanto tempo... Tenho dó delas. Nâo haverâ um cansaço Das coisas, De todas as coisas, Como das pem as ou de um braço? Um cansaço de existir, De ser, Sô de ser, O ser triste brilhar ou sorrir... Nâo haverâ, enfim, Para as coisas que sâo, Nâo a morte, mas sim Urna outra espécie de firn, Ou urna grande razâo Qualquer coisa assim Corno um perdâo? 10.12.1928
156
Ho pena delle stelle che brillano da tanto tempo, da tanto tempo... Ho pena delle stelle. Non ci sarà una stanchezza delle cose, di tutte le cose, come delle gambe o di un braccio? Una stanchezza di esistere, di essere, solo di essere, Tesser triste lume o un sorriso... Non ci sarà dunque, per le cose che sono, non la morte, bensì un ’altra specie di fine, o una grande ragione: qualcosa così, come un perdono? 10.12.1928
157
Natal
Natal! Na provincia neva. Nos lares aconchegados Um sentimento conserva Os sentimentos passados. Coraçâo oposto ao mundo, Como a famflia é verdade! Meu pensamento é profundo: Por isso tenho saudade. E corno é branca de graça A paisagem que näo sei, Vista por tras da vidraça Do lar que nunca terei!
158
Natale
Natale! Nevica in provincia. Nelle famiglie riunite un sentimento veglia sui sentimenti passati. Cuore avverso al mondo, che verità nella famiglia! Se nel pensare affondo uno struggimento mi assale. E quale candore di grazia nel paesaggio che non vedo, visto da dietro i vetri del focolare che mai avrò! [Pubblicata nel dicembre 1928]
159
Tomâmos a vila depois de urn intenso bombardeamento
A criança loura Jaz no meio da rua. Tem as tripas de fora E por urna corda sua Um comboio que ignora. A cara esta um feixe De sangue e de nada. Luz um pequeno peixe Dos que bóiam nas banheiras A beira da estrada. Cai sobre a estrada o escuro. Longe, ainda urna luz doura A criaçâo do futuro... E o da criança loura? 21.6.1929
160
Prendemmo la città dopo un intenso bombardamento
Il bambino biondo giace sul selciato. Ha le viscere di fuori e legato a uno spago un trenino che ignora. E un ammasso il suo volto di sangue e di niente. Luccica un pesciolino un balocco da vasca da bagno sul ciglio della strada. Sulla strada si fa buio. Però un chiarore lontano annuncia un nuovo futuro... E il futuro del bambino biondo?
21.6.1929
161
Ó sorte de olhar mesquinho E gestos de despedida, Apanha-me do caminho Como urna coisa calda... Resvalei à via velha Do colo de quem sonhava. Lava-me corno na celha O sabäo de quem lavava... Quem quer saber de quem fora Quem eu fora se outro fosse... Olha-me e deita-me fora Como quem farta do doce.
24.6.1930
162
Sorte dallo sguardo meschino e dai gesti di commiato, raccattami dal ciglio come una cosa buttata... Caddi sulla vecchia strada dalle braccia di chi sognava. Lavami come nel mastello il sapone di chi lavava... A chi importa chi sarei chi sarei se fossi un altro... Guardami e buttami via come un dolce rimasto nel piatto.
24.6.1930
163
N a imensa solidâo De eu ser apenas eu, Sentindo o coraçâo Corno somente meu, O vento me acom panha Com seu ruîdo na noite E eis-me sô na montanha Sob o divino açoite. Nâo hâ contudo nada Em meu torno senâo Solidâo calada E isto - este coraçâo.
3.7.1930
164
Nell’immensa solitudine dell’essere io soltanto io, sentendo il cuore come soltanto mio, il vento mi accom pagna col suo brusio nella notte ed eccomi solo sulla m ontagna sotto la divina frusta. Non c ’è tuttavia nulla intorno a me se non solitudine muta e questo cuore.
3.7.1930
165
Ter saudades é viver. Näo sei que vida é a minha Que hoje só tenho saudades De quando saudades tinha. Passei longe pelo mundo. Sou o que o m undo seu fez, Mas guardo na alma da alma Minha alma de português. E o português é saudades. Porque só as sente bem Quem tem aquela palavra Para dizer que as tem.
27.7.1930
166
Vivere è sentire saudade. Non so quale vita sia la mia ché oggi ho saudade soltanto di quando avevo saudade. Vissi lontano nel mondo, e sono come il m ondo mi ha fatto, ma serbo nel profondo dell’anima la mia anima di portoghese. E il portoghese è saudade. Perché solo la può sentire chi possiede questa parola per dire che ha saudade.
27.7.1930
167
Bóiam leves, desatentos, Meus pensamentos de mâgoa, Como, no sono dos ventos, As algas, cabelos lentos Do corpo morto das âguas. Bóiam corno folhas mortas À tona de âguas paradas. Sâo coisasvestindo nadas, Pós remoinhando nas portas Das casas abandonadas. Sono de ser, sem remédio, Vestìgio do que näo foi, Leve mâgoa, breve tèdio, Näo sei se para, se fluì; Näo sei se existe ou se dói.
4.8.1930
168
Lievi e distratti galleggiano i miei pensieri di pena come, nel sonno dei venti, le alghe, capelli lenti del corpo morto dell’acque. Galleggiano come foglie morte a fior di acque ferme. Sono cose vestite di niente, mulinelli di polvere alle porte delle case abbandonate. Sonno di essere, senza soluzione, vestìgio di ciò che non fu, lieve pena, breve tedio, non so se ristagna, se scorre; non so se esiste o se duole.
4.8.1930
169
Fito-me frente a frente. Conheço que estou louco. Nâo me sinto doente. Fitom e frente a frente. Evoco a minha vida. Fantasma, quem és tu? Urna coisa esquecida Urna força traìda. Neste momento darò, Abdique a alma bem! Saber nâo ser é raro. Quero ser raro e darò.
12.8.1930
170
Mi osservo faccia a faccia. Riconosco di essere pazzo. Non mi sento malato. Mi osservo faccia a faccia. Evoco la mia vita. Fantasma, chi sei tu? Una cosa dimenticata, una forza tradita. In questo momento chiaro, Eanima finalmente rinunci! Saper non essere è raro. Voglio essere raro e chiaro.
12.8.1930
171
Ronda o vento, ronda o vento, O vento ronda o meu ser, E faz do meu pensamento Um arvoredo a mexer. É a voz do caos que vem As aimas novas lembrar O abismo que as coisas tem Sob o céu, a terra e o mar. Abstracta, alta, veloz, Gela-me as sombras que trilho, Porque esta voz é a voz Do nada a chamar-me filho.
12.8.1930
172
Il vento gira, gira il vento in girotondo su ciò che sono, e di tutti i miei pensieri fa un albereto che freme. E la voce del caos che arriva a ricordare alle anime novizie l’abisso che hanno le cose sotto il cielo, la terra e il mare. Astratta, alta, veloce, mi raggela fra le ombre che attraverso, perché questa voce è la voce del nulla che mi chiama figlio.
12.8.1930
173
Que coisa é que na tarde Me entristece sem ser? Sinto corno se houvesse Um mal que acontecer. Mas sinto o mal que vem Corno se jâ passasse... Que coisa é que faz isto Sentir-se e recordar-se? Talvez que seja a brisa Que ronda o firn da estrada Talvez seja o silêncio, Talvez nâo seja nada...
17.8.1930
174
Cosa c’è nella sera che mi rattrista e non esiste? Sento come se dovesse avvenire una sventura. Ma quella sventura in arrivo è come se fosse già passata... Cos’è mai che determina questo sentire e ricordare? Forse sarà la brezza che pattuglia in fondo alla strada, forse sarà il silenzio o forse non sarà niente...
17.8.1930
175
Como inûtil taça cheia Que ninguém ergue da mesa, Transborda de dor alheia Meu coraçâo sem tristeza. Sonhos de m âgoa figura Sô para ter que sentir E assim nâo tem a amargura Que se enternece a fingir. Ficçâo num palco sem tabuas, Vestida de papel-seda, Mima uma dança de mâgoas Para que nada suceda.
19.8.1930
176
Come un’inutile coppa colma che nessuno alza dal tavolo, trabocca di dolore altrui il mio cuore che dolore non ha. Costruisce visioni dolorose solo per sentir qualcosa, e così non prova l’amarezza che si compiace a fingere. Finzione su un palco immaginario, vestita di carta velina, mima un balletto di angustie affinché niente succeda.
19.8.1930
177
Deixo ao cego e ao surdo A aima com fronteiras, Que eu quero sentir tudo De todas as maneiras. Do alto de ter consciência Contemplo a terra e o céu, Olho-os com inocência: Nada que vejo é meu. Mas vejo tâo atento Tâo neles me disperso Que cada pensamento Me to m ajâ diverso. E corno säo estilhaços Do ser, as coisas dispersas, Quebro a aima em pedaços E em pessoas diversas. E se a pròpria alma vejo Com outro olhar,
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Lascio al cieco e al sordo l’anima con frontiere, ché io voglio sentir tutto in tutte le maniere. Cosciente d ’esser cosciente contemplo la terra e il cielo, li guardo con innocenza: li guardo e non sono miei. Ma li guardo con tale attenzione, e talmente mi ci disperdo, che ogni mio pensiero basta a farmi diverso. E poiché le cose disperse dell’essere sono schegge, l’anima mia la divido in parti e in persone diverse. E se in m odo diverso guardo l’anima mia,
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Pergunto se hâ ensejo De por minha a julgar. Ah, tanto corno a terra E o mar e o vasto céu, Quem se crè pròprio erra, Sou vario e nào sou meu. Se as coisas sâo estilhaços Do saber do universo, Seja eu os meus pedaços, Impreciso e diverso. Se quanto sinto é alheio E de mim se sente, Como é que a alma veio A conhecer-se corno ente? Assim eu me acomodo Com o que Deus criou, Deus tem diverso modo, Diversos modos sou. Assim a Deus imito, Que quando fez o que é Tirou-lhe o infinito E a unidade até.
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mi chiedo se ci sia una ragione di credere che sia proprio mia. Così come vale per la terra e il mare e il vasto cielo, chi si crede se stesso erra: sono vario e non sono mio. Se le cose sono schegge del sapere dell’universo, che sia anch’io i miei frammenti, indefinito e diverso. Se ciò che sento è altrui m a sembra che sia mio, com ’è che l’anima mia si è riconosciuta come ente? E così mi adatto a quanto Dio ha creato: diversi sono i modi di Dio, diversi modi sono io. In tal m odo imito Dio che quando creò ciò che esiste lo privò dell’infinito e perfino dell’unitezza.
24.8.1930
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Deus nâo tem unidade. Com o a terei eu?
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Dio non ha unità, come potrei averla io?
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Entre o luar e o arvoredo, Entre o desejo e nâo pensar, Meu ser secreto vai a medo Entre o arvoredo e o luar. Tudo é longînquo, tudo é enredo Tudo é nâo ter nem encontrar. Entre o que a brisa traz e a hora, Entre o que foi e o que a alma fez, Meu ser oculto j â nâo chora Entre a hora e o que a brisa traz. Tudo nâo foi, tudo se ignora. Tudo em silêncio se desfaz.
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Fra il chiardiluna e gli alberi, fra il desiderio e l’incoscienza, il mio occulto essere con paura si inoltra fra gli alberi e il chiardiluna. Tutto è lontano, tutto è un intrico, tutto è non avere e non trovare. Fra ciò che porta la brezza e l’ora, fra ciò che è stato e ciò che l’anima fa, il mio essere occulto già non piange fra l’ora e ciò che porta la brezza. Tutto non è stato; tutto si ignora. Tutto si disfa in silenzio.
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Minha mulher, a solidäo, Consegue que eu nâo seja triste. Ah, que bom é ao coraçâo Ter este lar que nâo existe! Recolho a nâo ouvir ninguém, Nâo sofro o insulto de um carinho, £ falò alto sem que haja alguém: Nascem-me os versos no caminho. Senhor, se hâ bem que o céu conceda Submisso à opressâo do Fado, Dâ-me eu ser sô - veste de seda - , E falar sô - leque animado.
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La solitudine che ho per sposa mi protegge dalla tristezza. Quanto fa bene al cuore un focolare che non esiste! Rientro a non sentir nessiino, non subisco l’offesa di un affetto, parlo ad alta voce senza ascoltatori: i versi mi nascono per strada. Signore, se un bene il cielo concede sottoposto ai voleri del Fato, fammi essere solo - veste di seta -, e parlare da solo - ventaglio animato.
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O ültimo sortilègio
«Jâ repeti o antigo encantamento E a grande Deusa aos olhos se negou. J â repeti, nas pausas do am pio vento, As oraçôes cuja alma é um ser fecundo. N ada me o abismo deu ou o céu mostrou. Só o vento volta onde estou toda e só, E tudo dorm e no confuso mundo. Outrora meu condäo fadava as sarças E a minha evocaçâo do solo erguia Presenças concentradas das que esparsas Dormem nas formas naturais das cousas. Outrora a minha voz acontecia. Fadas e elfos, se eu chaînasse, via, E as folhas da floresta eram lustrosas. Minha varinha, com que da vontade Falava às existèncias essenciais, J â nâo conhece a minha realidade. Jâ , se o circulo traço, nâo hâ nada. Murmura o vento alheio extintos ais,
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L ’ultimo sortilegio
« Ho ripetuto l’antico incantamento, la grande Dea agli occhi si è negata. Ho ripetuto, nelle pause di am pio vento le preci in cui l’anima è essere fecondo. Nulla mi offrì l’abisso o mostrò il cielo. Ritorna il vento ove son tutta e sola, e tutto dorme nel confuso mondo. Stregavo un tempo i rovi per malia, dalla terra evocavo le presenze che dormon sparse nel volto delle cose. Un tempo la mia voce si avverava. Fate e elfi vedevo, se chiamavo, e le foglie del bosco luccicavano. La mia bacchetta, con cui il mio volere parlava alle esistenze più essenziali, più non conosce la mia realtà. Se traccio il cerchio già più nulla accade. Mormora il vento alieno morti lai,
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E ao luar que sobe além dos matagais N äo sou mais do que os bosques ou a estrada. J â me falece o dom com que me amavam. J a m e nào torno a form a e o firn da vida A quantos que, buscando-os, me buscavano. Jâ , praia, o mar dos braços näo me inunda. Nem jâ me vejo ao sol saudado erguida, Ou, em êxtase màgico perdida, Ao luar, à boca da caverna fùnda. J â as sacras potências infernais, Que, dormentes sem deuses nem destino, A substância das coisas sâo iguais, Nâo ouvern minha voz ou os nomes seus. A mùsica partiu-se do meu hino. J â meu furor astral nâo é divino Nem meu corpo pensado é j â um deus. E as longmquas deidades do atro poço, Que tantasvezes, pâlida, evoquei Com a raiva de am ar em alvoroço, Inevocadas hoje ante mim estâo. Corno, sem que as amasse, eu as chamei, Agora, que nâo amo, as tenho, e sei Que meu vendido ser consumirào. Tu, porém, Sol, cujo ouro me foi presa, Tu, Lua, cuja prata converti, Se jâ nâo podeis dar-me essa beleza Que tantas vezes tive por querer, Ao menos meu ser findo dividi Meu ser essencial se perca em si, Só meu corpo sem mim fìque alma e seri Converta-me a minha ultima magia Numa estâtua de mim em corpo vivo!
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cd alla luna che sale oltre la macchia non valgo più dei boschi o della strada. Mi manca il dono per cui mi amavano, non son più forma e fine della vita per quand mi cercavano cercandole. Riva, più non m ’inonda il mare delle braccia, né più mi vedo eretta al sole amato, o nell’estasi magica perduta al chiardiluna, sulla caverna fonda. Già le sacre potenze degli inferni, che in un letargo senza destini e dèi son la stessa sostanza delle cose, non odon la mia voce o i loro nomi. La musica è fuggita dal mio inno, il mio astrale furor non più è divino e il mio pensato corpo non è un dio. Le erme deità dell’atro pozzo che tante volte, pallida, ho evocato, con la rabbia d ’amore in gran tumulto, inevocate, innanzi oggi mi stanno. Come, senza l’amore le ho chiamate, ora le tengo senza amarle, e so che struggeranno Tesser mio venduto. Ma tu, Sole, il cui oro mi fu preda, tu, Luna, il cui argento ho trasformato, se non potete darmi la bellezza che tante volte ottenni col volere, Tessere mio consunto almen spartite: Tessere mio essenziale in sé si perda, sia il corpo senza me anima ed esserei Mi renda la mia ultima m agia la statua di me in corpo vivo!
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Morra quem sou, mas quem me fìz e havia, Anònima presença que se beija, Carne do meu abstracto amor cativo, Seja a morte de mim em que revivo; E tal qual fui, nâo sendo nada, eu seja! ».
15.10.19!
Muoia chi sono; ma chi mi feci e fui, anonima presenza che si bacia, carne di astratto amore in me recluso, sia la morte di me in cui riviva, v quale fui, essendo nulla, io sia! ». 15.10.1930
O sino da igreja velha Tem um som familiar, E as casas baixas de telha Têm telhados a brilhar. Näo sei a que o sino toca N âo sei o que o sino evoca Meu coraçâo nâo coloca As coisas no seu lugar. Era tâo feliz outrora Que jâ nâo sei se era eu. Aquele que sou agora Se existe, é porque morreu. Nâo tem missa na igreja, Nem cousa alguma que seja O que sente ou deseja. E o sino cessa no céu. E à missa a que vâo crentes O u a que vai quem la vai Que o sino com sons frequentes Toca esse som que lhe sai -
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La campana della vecchia chiesa ha un rintocco familiare, e sulle case dai tetti bassi le tegole scintillano. Non so a cosa richiami il suo rintocco, non so cosa voglia dire, è che il mio cuore non sa ordinare le cose al posto giusto. Una volta ero così felice che non so più se ero davvero io. Colui che sono ora se esiste, è perché è morto. Per lui non c’è messa in chiesa, e a niente corrisponde ciò che sente o desidera. £ nell’aria la campana tace. E per la messa dove vanno i credenti (o comunque quelli che ci vanno) che la campana con rintocchi frequenti fa risuonare il suo rintocco.
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Seja ao que for, vai tocando E no m eu coraçâo brando Como urna clepsidra soando Cada som lembrado cai. 25.12.193