Pastiche. Con testo a fronte [PDF]

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Zitiervorschau

Marcel Proust

Letteratura universale Marsilio

Letteratura universale Marsilio

La letteratura francese, più di ogni altra letteratura, di generazione in generazione, risuona sempre di voci discordanti. «Lo stesso paese - osservava Valéry - produce un Pascal e un Voltaire, un Lamartine e un Victor Hugo, un Musset e un Mallarmé. Qualche anno fa, in uno stesso salotto di Parigi, si poteva incontrare Emile Zola e Théodore de Banville, oppure andare in un quarto d'ora dallo studio di Anatole France a quello di J.-K. Huysmans; era visitare degli estremi». La collana l fiori blu compie una ricognizione in questa varietà estrema e propone testi importanti e poco conosciuti della letteratura francese: testi nei quali, sempre, l'assillo della forma collima con l'esercizio dello scetticismo e della critica nell'analisi delle condizioni dell'esistenza e delle passioni.

In copertina; Aubrey Beardsley, illustrazione per la copertina di Pierrot

Letteratura universale Marsilio

I

I FIORI BLU COLLANA DI CLASSICI FRANCESI DIRETTA DA FRANCESCO FIORENTINO

Marcel Proust

PASTICHES a cura di Giuseppe Merlino con testo a fronte

Marsilio Editori

Traduzione dal francese di Giuseppe Merlino

© 1991 BY MARSILIO EDITORI® IN VENEZIA

PRIMA EDIZIONE: APRILE

ISBN 8^317-5474^2

1991

INDICE

9 Proust e «l'affaire Lemoine»

di Giuseppe Merlino

15 Introduzione

di Giuseppe Merlino

39

PASTICHES

45 59 67 81 89 97 103 109 127

I. Da un romanzo di Bakac II. «D caso Lemoine» di Gustave Flaubert m. Critica di Sainte-Beuve al romanzo di Gustave Flaubert su «H caso Lemoine», nella rubrica del Constitutionnel "" IV. Henri de Régnier V. Dal «Diario dei Goncourt» VI. «Il caso Lemoine» di Michelet VII. Una recensione teatrale di Emile Faguet V i l i . Ernest Renan IX. Dalle «Memorie» di Saint-Simon

177 201

Note al testo Bibliografia

PROUST E «L'AFFAIRE LEMOINE»

La vicenda dell'ingegnere Lemoine ha inizio nel 1904, in occasione di alcuni esperimenti, durante i quali egli mostra dei diamanti ottenuti, con un procedimento di sua invenzione, dalla cristallizzazione del carbonio, trattato ad altissima temperatura. Sir Julius Werner, presidente della De Beers, la più importante compagnia diamantifera del mondo, si interessa all'affare e anticipa delle somme consistenti a Lemoine perché apra un laboratorio ad Arras. Anche un finanziere inglese, Jackson, - confortato dal parere dei suoi tecnici - apre delle trattative con Lemoine. L'ingegnere, da parte sua, si rifiuta di rivelare la formula e la deposita in una banca di Londra, con l'ordine che venga resa nota solo dopo la sua morte. La concorrenza di Jackson e i continui rinvii di Lemoine per l'apertura del laboratorio insospettiscono ed irritano Werner che lo cita in giudizio. Lemoine viene arrestato l ' i l dicembre 1907. Il processo ha inizio nel gennaio del 1908 e Lemoine verrà difeso dal grande Labori, già difensore di Alfred Dreyfus.

L'accusato chiede la libertà provvisoria contro cauzione, al fine di poter ripetere gli esperimenti, ad Arras, alla presenza del giudice Le Poittevin e dei periti. Alla richiesta del magistrato di esibire la formula depositata a Londra, si oppone vittoriosamente Labori. La testimonianza di un inglese, lord Armstrong, che ha assistito ai primi esperimenti dell'ingegnere, rafforza la posizione dell'imputato. Alcuni gioiellieri parigini, però, dichiarano di aver venduto a Lemoine, nel 1903, im certo numero di piccoli diamanti non lavorati. La richiesta di libertà provvisoria viene, allora, respinta. I diamanti presentati da Lemoine come frutto dei propri esperimenti, vengono anche riconosciuti da alcuni tagliatori di pietre preziose, che li hanno venduti proprio ai gioiellieri parigini. Tra alterne vicende processuali, nell'aprile del 1908, la libertà provvisoria viene infine concessa a Lemoine, che, subito dopo, scompare dirigendosi verso Costantinopoli. A Sofia, però, ha un ripensamento e rientra in Francia. E proprio a Sofia, nelle sale della Legazione di Francia, lo incontra Robert de Billy, incaricato di affari e amico di Proust, che ne parlerà allo scrittore. Lemoine, di ritorno a Parigi, viene arrestato e, nel mese di luglio del 1909, condannato a sei anni di prigione. Il caso Lemoine, che già incuriosiva e divertiva tutta Parigi, viene reso pubblico dai giornali della capitale il 10 gennaio 1908, e i primi pastiches che Proust dedica a questa truffa monumentale ed abile appaiono sul supplemento letterario del «Figaro» il 22 febbraio dello stesso anno; Proust ha lavorato in fretta e bene. I primi quattro testi pubblicati riguardano Balzac, Faguet, Michelet e Goncourt. 10

Il 14 marzo vengono pubblicati i pastiches di Flaubert e di Sainte-Beuve; il Renan appare, sempre nel «Figaro», il 21 marzo. Tra dichiarazioni di sollievo per aver concluso quel tipo di scrittura e progetti per nuovi pastiches, si fa strada, comunque, l'idea di pubblicare in volume quelli già apparsi sul quotidiano. Ma i tentativi fatti presso gli editori Calmann, Mercure de France e Fasquelle falliscono, forse anche per la fatale modestia con cui lo scrittore presenta la sua proposta: «detesto talmente importunarvi che mi farete ancora più piacere se non li pubblicherete», scriverà, per esempio, a Calmann, In estate, a Cabourg, Proust si dedica a nuovi esercizi di pastiche senza che ci sia giunta, però, notizia degli autori da lui scelti. In due lettere, del novembre e dicembre 1908, Proust scrive a G. de Lauris di aver preparato dei pastiches di Chateaubriand e di Régnier dichiarandoli, però, «illeggibili» e quindi, per il momento, impubblicabili. Sono anche i mesi in cui sta «in pieno Saint-Simon» e con gran gusto, e lo commenta così come fa per La Bruyère - insieme con Marcel Plantevignes, un amico delle vacanze di Cabourg, nelle serate di Boulevard Haussmarm. Agli inizi del 1909, Proust chiede a Montesquiou di prestargli il vecchio pastiche di Saint-Simon, apparso nel «Figaro» del 18 gennaio 1904, che il conte aveva fatto ristampare in cinquanta esemplari fuori commercio, dopo aver deciso di trovare elogiativo il resoconto proustiano della festa nella sua casa di NeuiUy, presentato come un estratto dei Mémoires del duca. J. Lemaìtre gli fa chiedere un pastiche di Mérimée e uno di Voltaire, ma l'«estrema complicazione e l'estrema nudità» - fu la risposta - «rendono troppo ardui i pastiches». Il 6 marzo 1909, sempre nel «Figaro», appare l'ottavo pastiche dedicato a Régnier, evidentemente 11

rielaborato e migliorato «da un ultimo colpo di pollice». Proust lavora anche ad uno Chateaubriand, e a un Maeterlinck (di cui, più tardi, in una lettera del 1911 a R. Hahn, farà anche un altro piccolo pastiche incantatorio, calcato sul libretto di Pelléas etMélisande), a un secondo Sainte-Beuve (questa volta sarà uno pseudoSainte-Beuve critico di uno pseudo-Chateaubriand e corrosivo per Lamartine), oltre che ad un Ruskin e si tratta, con un sottotitolo già perfetto, di un'«introduzione agli affreschi di Giotto sul caso Lemoine, destinata agli studenti del Corpus Christi che ancora si interessano a lei» e cioè all'arte. Questi quattro testi, mai pubblicati dallo scrittore, si possono leggere, oggi, nell'edizione critica presentata da J. Milly in Les pastiches de Proust, Paris, Colin, 1970 (non vengono inclusi in questa edizione in quanto non presenti nell'edizione del '19 autorizzata da Proust). Nello stesso periodo Proust promette anche a R. Dreyfus un Nietzsche e un Paul Adam. Nel 1913, in una lettera a Mme de Noailles, si riaffaccia l'idea di una pubblicazione in volume dei

pastiches.

Lo stesso progetto si ripresenta nel 1919, l'anno del prix Goncourt e Proust discute con Lucien Daudet i possibili titoli del volume; quello adottato di Pastiches et mélanges ha il pregio di evitare ogni confusione con i numerosi volumi della Recherche. Nell'autunno dello stesso anno, la corrispondenza di Proust è fitta di riferimenti al vecchio pastiche di Saint-Simon, ripreso e considerevolmente accresciuto per la pubblicazione, di permessi chiesti alle amiche perché consentano ad essere inserite nel testo, di perplessità ed esitazioni mondane circa alcune allusioni 12

alla contemporaneità, così come di insistenze con l'avvocato americano Walter Berry, affinché accetti la dedica del volume. Il 23 giugno 1919 i Pastiches et mélanges, arricchiti e corretti rispetto agli articoli del «Figaro», sono in libreria insieme con A l'ombre des jeunes filles en fleurs e con una riedizione di Swann. Tutti editi ormai da Gallimard. G.M.

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INTRODUZIONE

Tutti gli amici di Proust l'hanno scritto o raccontato: Marcel era un prodigioso imitatore, un irresistibile caricaturista, soprattutto del suscettibile e sospettoso Robert de Montesquiou. Aveva un vero talento per la gesticulation de style. Céleste Albaret chiamerà Marcel (l'eroe della Recherche, ma, in questo caso, ambiguamente prossimo a Marcel-autore), Molière, perché capace, nella vita - romanzesca e reale - di scrivere delle pièces e di recitarle; aiutato anche dalla sua voce, così prodigiosamente evocata da Cocteau, e dal suo sistema di conversazione fatto «di chiuse, di vestiboli, di stanchezze, di arresti, di cortesie, di risa inarrestabili, di guanti bianchi che schiacciano il baffo a ventaglio sul volto»'. La sua corrispondenza - e soprattutto le lettere a Reynaldo Hahn - è fitta di frasi o di pagine intere scritte à la manière de... & gli imitati o i parodiati sono amici, dame, scrittori à la page, giornalisti brillanti o pigramente tradizionali^ E così anche alcune sue dediche sono veri e propri pastiches, spesso dello stesso destinatario del volume; si pensi, ad esempio, alla lunga dedica a 15

Paul Morand per una copia dei Plaisirs et les Jours, scritta alla maniera del Morand poeta. Come ha scritto Gérard Genette in Palimpsestes, nei primissimi anni del Novecento c'è ancora nell'aria il gusto per un neo-burlesco Secondo Impero che, dopo la serietà romantica, strizza l'occhio al «culturalismo ludico dell'epoca classica» (scarroniano, per intenderci), e che è una maniera familiare e disinvolta di corteggiare la tradizione, una forma di scherzo colto. Sarà questo neo-burlesco, dice ancora Genette, ad aprire, attraverso Lemaìtre con i suoi en marge de... e Giraudoux, molte strade all'ipertestualità moderna. E saranno così i celebri libretti offenbachiani di MeiUiac e Halévy - Orphée aux enfers e soprattutto La Belle Hélène (1864), testo antonomastico del neo-burlesco - ma forse anche le straordinarie Moralttés légendaires di Laforgue (1887), a costituire l'orizzonte di genere per la voluminosa raccolta di pastiches di P. Reboux e G. Muller, pubblicati a partire dal 1907 con il titolo A la manière de... o per il Carnaval de chefsd'oeuvre di G. Fourest, che è una raccolta di sette poesie brevi scritte in margine a sette grandi opere, e perfino, forse, per l'abilissimo travestissement, sacrilego-sportivo, della via crucis ad opera di A. Jarry, La Passion considérée comme course de còte (1903). Spingendoci fuori di Francia - per segnalare una inclinazione d'epoca, ma anche per un gusto dell'intreccio biografico - basterà fare l'esempio dei testi burleschi di Unreliable History, opera di quell'affascinante poligrafo inglese che fu Maurice Baring, modello, a sua volta, dello scrittore - fittizio - Desmond Farnham, che compare nel bel pastiche di Proust (o capitolo apocrifo della Recherché), scritto da André Maurois col titolo Le coté de Chelsea (1929). Per non dire delle squisite 16

perfìdie di Max Beerbohm, come Christmas Garland (1912). Questa pratica diffusa, apprezzata e, a volte, virtuosistica ddpastiche, che rimane, però, pur sempre entro la condiscendente definizione di genere minore, ha certamente una valenza e una genealogia mondana che la sospinge verso i terreni infidi della letteratura da amateur, se non addirittura del giornalismo mondano torbido miscuglio di indiscrezioni e di estetismo - ; è da una valutazione di questo genere che nasce lo storico abbaglio di Gide su Proust che gli farà poi confessare di averlo ritenuto nulla più se non «quello che frequenta le case di X... e di Z..., quello che scrive nel "Figaro"», dove, appunto, erano apparsi i pastiches dell'«affaire Lemoine». Eco affievolita della gloriosa pratica dei ritratti, il pastiche è il nome letterario del gioco mondano delle rassomiglianze, ed è anche l'occasione - spiritosa e spesso vincente - per regolare, nelle forme socialmente dovute, alcuni conti letterari o di carriera (un pastiche ben riuscito dovrebbe ridurre al silenzio l'autore pastiche), o per collaudare una maldicenza (sulle fonti, sulle tecniche, sui sotterfugi o sullo stile di un autore), incidendela nel corpo del testo aggredito. Ma se il pastiche è - anche - un gioco mondano, può deviare, allora, verso l'adulazione o l'iperbolica ammirazione; si tratterà, in questo caso, di una dichiarazione di omaggio amoroso, di un esplicito contratto di soggiogamento letterario. Via anche questa rischiosa. La categoria decisiva sarà allora non più il contempi o la salutare parodia, ma piuttosto l'impregnazione, la seduzione stilistica o, proustianamente, l'idolatria. Ora, una sorta di esplicita poetica del pastiche è offerta dalla prefazione di Paul Reboux alla raccolta di 17

G.A. Masson, A la faqon de... (1949). L'impresa cui tende questa precettistica categorica, destinata al perfetto pasticheur, è quella di castigar, deridendo, i costumi letterari, senza arretrare di fronte a qualche abuso o carognata. I modi di scrittura oggetto della polemica di Reboux sono, e seguendo in ciò la tradizione moderna del pastiche, il manierismo, la preziosità^ la neologia, la ridondanza, la prolissità, tutto quello che va contro lo «scriver semplice» e che incoraggia il vizio francese del

galimatias.

Perché il pastiche riesca bisognerà, dunque, svillaneggiare lo scrittore per le sue infatuazioni, per gli sbagli, le ossessioni, gli errori, e converrà anche vessarlo un po' per qualche tema troppo insistito o per qualche effervescenza ideologica. Dietro questa precettistica (che pure propone i suoi esempi positivi di scrittori inattaccabili, come l'inimitabile Molière, il luminoso Voltaire, l'inappuntabile Maupassant o l'infrangibile France...) si erge, massiccio e ottuso, un ideale di stile, di uno stile semplice, o, come scrive ancora Genette, di «una sorta di grado zero o di scrittura bianca: la lingua Stessa nella sua fondamentale purezza». È la utopia ricorrente della trasparenza comunicativa. In questa poetica di Reboux, col suo mito di neutralità stilistica, si acquatta un desiderio di estinzione della letteratura, censurandone la sostanza figurale e rimuovendone sia la consistenza retorica che l'uso - sempre complesso e spesso vertiginoso - delle varie funzioni del linguaggio. A questa ingiunzione di uniformità comunicativa, unica regola aurea per un vero stile, resiste e si oppone tutta l'estetica proustiana la cui legge, in questo caso, 18

potrebbe essere l'intransigente «valorizzazione della singolarità».

LA VIRTÙ DEL PASTICHE

La virtCì purgativa o esoreistica del pastiche - indicata da Proust e infinite volte commentata - credo sia legata, a me' di antidoto, a quello che E. Wilson ha chiamato l'autoindulgenza di Proust - il cui monumento è ]ean Santeuil - o il suo lato enfant gàté\ Questa forma compiacente àéì'amor sui può tradursi, in letteratura, sia nella facilità di scrittura («Avevo avuto una certa facilità, da giovane»)', con i suoi discorsi inarrestabili e perfetti perché mimetici (questo è il senso, credo, del giudizio di «perfetti» dato da Bergotte agli scritti giovanili di Marcel)^ sia nella inquieta pulsione enciclopedica (anche se di un enciclopedismo autobiografico e parassitario)' di chi non solo non vuole perdere nulla del mondo, ma anzi vuol segnare ogni cosa col proprio sigillo. Il pastiche diviene, allora, una disciplina della distanza: distanza dai libri letti e amati o almeno influenti, ed è uno dei significati dei testi dell'«affaire Lemoine». Distanza anche dalla propria scrittura, e questo è il senso auto-pastiche affidato ad Albertine, nella Vrisonnièré, in cui il proustianismo della jeune fille, che obbedisce ad un riduttivismo stilistico incastrando le metafore l'ima all'altra, come nel collaudo di un procedimento tecnico, viene giudicato dall'autore poco «personale» e di ima «grazia un po' facile». Marcel conosce il rischio di «fare del Marcel», come già Bergotte, sfinito, «faceva del Bergotte». 19

Ma la purificazione attribuita all'esercizio del pastiche è fondata anche sulla dottrina proustiana della salvezza, che non è altro che il compimento dell'opera attraverso la rinuncia: «non si può rifare ciò che si ama, se non rinunciandovi». Rinuncia alla profusione, ovvero la ubertas della retorica antica che ridistribuisce paradigmi e nomenclature già in circolazione; e rinuncia al troppo esplicito che è l'inverso esatto di «quella meravigliosa coloritura che brilla del sacrificio di tutto ciò che non si è detto». Sono, questi, i due errori fatali dello scrittore di second'ordine, segnalati in una nota della sua traduzione di Sesamo e i gigli di Ruskin. Ma anche rinuncia alla oscurità (Proust, si sa, entra nella modernità à rebours, con il piglio e le idiosincrasie dell'ultimo dei grandi classici), poiché anche lo scrittore difficile è di second'ordine; per conquistare, infine, la brevitas che, qui, non è una sorta di condensazione laconica, ma piuttosto la parola giusta, «le parole stesse che (gli) detta una necessità interiore»^ ovvero una «esistenza letteraria»'" vincolata al paradossale imperativo della originalità. Del resto, lungo tutta la Recherche viene proposta un'etica del sacrificio ed un'estetica della selezione come cammino verso la perfezione (solo Marcel conoscerà, oltre la via lunga degli esercizi spirituali, anche la via breve dell'illuminazione dei Misteri; solo Vopera si manifesterà compiutamente come una teodicea). Nella moda (Mme Swann o Elstir) come nella mondanità (Oriane de Guermantes), nell'arredamento (M.de Charlus) come nello stile (il Narratore), la qualità ha la sua pietra angolare nel sacrificio. «Come un libro, come una casa, la qualità di un "salotto", pensava con ragione Mme de Guermantes, ha per pietra angolare il sacrificio»". E 20

Odette, invecchiata ma casta, sarà supremamente elegante {La Fugitive, t. ni, p. 684, tr. it., p. 288); l'eleganza per Proust, fin da Les Plaisirs et les Jours, è morale. I pastiches paiono essere un esercizio o una strategia per il passaggio da dilettante mondano a scrittore, che è un passaggio grave per la consistenza storica dei due termini che lo reggono e per la posta estetica in gioco. Il dilettante mondano è una forma del baudelairiano «uomo sensibile moderno» che presenta tutti i sintomi della «forma banale dell'originalità»; e lo scrittore, alla fine del romanzo - ma con molti annunci premonitori lungo l'opera - sarà anch'egli, baudelairianamente, colui che opera la «traduzione leggendaria della vita esteriore», colui che legifera sulla qualità poetica degli argomenti adatti ad un romanzo e istituisce una gerarchia - perentoria e peritura - dei valori poetici, e che sarà soprattutto soggettiva.

L ARMA DEL PASTICHE

I pastiches, «critica in azione», mentre riconoscono e ammirano una potenza di visione personale nei grandi autori tlì dove c'è, secondo Proust), preparano la dichiarazione d'indipendenza proustiana. L'autore pastiché è, allo stesso tempo, un esempio - letterario - ed un rivale, che occupa lo spazio disponibile in letteratura; o, in termini meno melodrammatici, un modello ed un ostacolo. L'esempio di Bergotte, in una pagina della Recherche, è illuminante poiché vi si dice che accanto a lui, lo scrittore per eccellenza, non c'è spazio che per «piatti imitatori» che ornano i loro articoli o libri con tante immagini e pensieri «à la Bergotte»'^ La formula à la Bergotte è la formula stessa del pastiche e non del 21

plagio e testimonia Yimpasse della relazione mimetica e il paradosso dell'ingiunzione di originalità. Conviene notare anche l'anteposizione di «immagini» a «pensieri», e cioè la preoccupazione dominante per lo stile, almeno nel corso del lunghissimo apprendistato che inizia proprio con la lettura di Franqois le Champi, di George Sand", fattagli dalla madre: una lettura purgata ed edificante che, se rende il racconto incomprensibile, esalta però lo stile sentimentale dell'autrice, nutrendo l'attenzione incantata di Marcel bambino". Gli scrittori pastichés non sono dei classici'' remoti e venerabili (tranne Saint-Simon, per il quale la tonalità ammirativa e la particolare lunghezza del testo confermano la sua funzione di testo tutore più che concorrente), ma sono, all'incirca, gli scrittori della generazione precedente. Non sono gli ammirevoli e indiscutibili detentori dei segreti della saggezza (quest'ultima, si sa, è sempre antica), ma godono, invece, solo dei privilegi della primogenitura: detengono l'ascolto e l'attenzione di quella generazione di lettori che dovrà pur essere il pubblico di Marcel". Anche il pastiche dello pseudo-diario dei Goncourt, nel libro del Temps retrouvé, e che è una Recherche raccontata, per un attimo, da qualcun altro che non è Proust, è illuminante sia per la sua posizione nell'ultimo volume dell'opera, sulla soglia delle illuminazioni di Marcel, che per le osservazioni riflessive che lo accompagnano. Vari compiti gli sono affidati. Il primo è quello di stabilire se la letteratura (o quale letteratura) mente o dice il vero (quali sono i veri Verdurin? quelli del pastiche o quelli del romanzo?); il secondo è quello di preparare un attacco alla letteratura di notazione. Seguono, poi, quello della esibizione virtuosistica del dominio degli stili e, credo, quello di introdurre, come 22

una grande metafora metonimica, al celebre travestissement della matinée della principessa di GuermantesVerdurin in cui i personaggi romanzeschi, privi ormai di prestigio, si ripetono caricaturalmente, senza aver imparato nuUa. Ma il ruolo più strategico di questo pastiche è quello di prodursi come una prova competitiva sulla scena letteraria contemporanea, invitando ad un confronto tra i due diversi testi dedicati al salotto Verdurin, per stabilire una gerarchia di qualità a proprio favore e attribuirsi così tutto l'elogio pubblico disponibile per uno scrittore, in virtù di tuia definizione vincente della Letteratura che coincide con la propria opera". E il regime moderno dell'arte, duro, individuale e concorrenziale. Il pastiche dice, con le perifrasi e le preterizioni d'obbligo, che la vera letteratura non sta nelle poche pagine pastichées, ma nelle molte che le precedono e le seguono. Lo pseudo-Goncourt testimonia, a contrario, della raggiunta grandezza di Marcel come scrittore. Ed infine che il genere pastiche sia una manovra strategica provvisoria e un esercizio a termine, mi pare dimostrato dal pastiche anti-pastiches che si legge come post-scriptum ad una lettera a Robert Dreyfus, deMuglio 1909. Il titolo di questo testo è Spiegazio-

ne di H. Taine delle ragioni per le quali tu mi scocci

parlando dei Pastiches. Del sistema-Taine vengono indicate, con fulminea precisione, le categorie fondanti {race, milieu, moment) e del pastiche vengono indicati esattamente gli elementi essenziali: riprodurre l'andamento generale del pensiero e la gesticolazione dello stile ed essere attenti alle particolarità sintattiche rivelatrici. Insomma, si dice, il pastiche «è una buona caricatura. E va bene». Ma se si ascoltano volentieri una o due caricature 23

stando nel vestibolo prima di entrare in biblioteca scrive ancora Marcel - , è pur noioso restare troppo a lungo nel vestibolo. Si sa che Proust non amava le biblioteche (è quasi emblematica la sua derisoria appartenenza alla Mazarme), salvo che non fosse lui ad entrarvi, e gloriosamente.

I PASTICHES NELLA «RECHERCHE»

La presenza di pastiches nella Recherche è folta, varia e complessa, anche se non mi avventurerei a dire, come si è detto con formula estrema, che la Recherche è un immenso pastiche. Presenza complessa, dunque, per le modalità che vi presiedono e che vanno dal pastiche non dichiarato a quello riconoscibile per via di allusione, da quello che quasi si confonde con la tradizionale «influenza» di un autore a quello brevissimo, quasi citazionale, fino a quelli canonici, già indicati, dello pseudo-diario dei Goncourt e àéì'auto-pastiche affidato ad Albertine per un virtuoslstico exploit di «geografia pittoresca del sorbetto». Quest'ultimo, oltre che come gesto di intenso narcisismo, varrà anche, grazie all'ineluttabile parodia legata a questo genere di esercizi, come avvertimento stilistico per il narratore, che se ne dissocia infatti nel commento che propone, e varrà per il lettore come pastiche del libro stesso che ha in mano. E quasi un'implicita sfida: se mai voleste fare «del Proust»..., è già stato fatto! Ogni lettore riconoscerà, poi, nella sintassi e nella retorica dell'ineffabile Norpois la prosa cerimoniosa e saccente degli editoriali della «Revue des deux mondes»"; nelle apostrofi neo-omeriche di Bloch a Saint-Loup la maniera del Leconte de Lisle traduttore 24

di classici o la maniera di Romain RoUand nel Bloch engagé-, nella oratoria mondana di Legrandin, la coscienziosa mellifluità di Renan, col suo snobismo rimosso, e anche qualche sdolcinatura dello stesso narratore, per non parlare dell'eloquio della marchesa di ViUeparisis nata Sainte-Beuve...! Quel lettore saprà anche vedere Giraudoux nelle immagini fascinose e oscure del «nuovo scrittore» che eclissa il prestigio di Bergotte, e, addirittura, la dame aux camélias sotto la dame aux catleyas. Si possono, poi, ancora ricordare, un po' alla rinfusa: il pastiche del fraseggio di Céleste Albaret"; quello, frammentario e sparso, delle formule arcaizzanti del dottor Mardrus, autore della traduzione integrale delle Mille e una notte\ un larvato pastiche di Saint-Simon nello scambio di sguardi furiosi tra il duca e Mme de Guermantes, ormai vecchi, e quello, esilarante, di una nota mondana sull'agitazione notturna di un gruppo chic, provocata da un allarme aereo (e, qui, forse, c'è anche il ricordo di un incendio al Marais, raccontato da Mme de Sévigné...). Se lo statuto del pastiche nell'opera è complesso, e, alla fine, vittorioso perché verifica l'affrancamento di Proust tlalla paralisi (r«impotenza a scrivere») prodotta dalla relazione mimetica che egli, romanzescamente, chiama «malattia della volontà», sia mostrando la maestria sui testi altrui e l'eccellenza dei propri, sia uguagliando i «maestri» ed esonerandoli^", altro mi par essere lo statuto dei pastiches dell'«affaire Lemoine».

25

LE TRE LETTURE

Anche questa volta, per tentare di precisare il senso e il valore di questo esercizio, eseguito solo «a causa della pigrizia di fare della critica letteraria»" - come Proust scriverà in una lettera a R. Dreyfus del marzo 1908 - e che però lo interesserà fin nelle sue ultimissime lettere, come mostra un pastiche di Paul Souday, indirizzato allo stesso Souday nel maggio 1922, converrà passare attraverso un'altra pratica intellettuale: la lettura. In un immaginario «Contro la lettura»^^ proustiano il testo più ricco e completo è Sur la lecture, pubblicato dapprima come articolo nel 1905, poi come prefazione alla traduzione di Sesamo e i gigli nel 1906, ed infine in Pastiches et Mélanges, nel 1919, col titolo Journées de lecture. Questo saggio su Ruskin, rivolto a confutare Ruskin, sancisce la separazione capitale tra la conversazione - con i suoi elementi di sparpagliamento, menzogna, mondanità e passività - e la lettura, accomunate invece da Ruskin. Ma, più profondamente, questo testo procede ad una gradatio tra le varie forme di lettura. Una forma viene salvata ed è la lettura infantile", che già opera alla maniera di un futuro pastiche, come mostra l'esempio del Capitan Fracassa di Théophile Gautier. Libro letto, amato e condensato (nel piacere del lettore e nel ricordo) in due o tre frasi (la frase è decisamente l'unità di lettura proustiana) marcate da preziosi arcaismi e ricomposte, poi, in un breve testo retto dalla condensazione di quei tratti di stile così identificati. Sono frasi analoghe a quelle di Gautier, ma prese più nella loro virtualità che non nella loro redazione effettiva. È una lettura che insegna a «forzare la nota» e a «oltrepassare la misura»; si pone già il problema del «grado di esattezza» necessario al pastiche. 26

Nel Cantre Sainte-Beuve viene salvata, in parte, una altra lettura: quella che M. de Guermantes fa di Balzac e che viene paragonata alle letture dell'infanzia. E viene salvata per il suo attaccamento al volume come oggetto materiale, nel quale sono rimaste racchiuse le «impressioni originali» che quell'edizione, per la prima volta, ha dato all'innocente lettore, così come un abito indossato da una donna la prima volta in cui la si è incontrata, serba la traccia più certa di quel primo contatto. Vengono delineati, così, contemporaneamente, il feticismo della «prima volta»; la poetica delle «impressioni originali» (la cui laboriosa raccolta formerà, più tardi, il «libro interiore» che basterà tradurre, 3er diventare scrittore di «prim'ordine») ; l'analogia del ibro e della doima, i due luoghi in cui si esercita una decifrazione ostinata e malcerta; ed infine la dottrina dell'oggetto materiale come talismano, come forma imminente e virtuale di una promessa'", ma anche come indizio di una equivoca bibliofilia. In questa lettura, dunque, già si affaccia un'impurità, che diventerà poi endemica nella Recherche con il nome di idolatria (e lettrice idolatra sarà perfino la madre del narratore quando, dopo la morte della nonna, non riuscirà più a separarsi dai volumi delle Lettere di Mme de Sévigné, appartenuti alla morta, e le citerà in ogni sua lettera)^'. La lettura è qui descritta come un'esperienza liminare tra la vita e quella scrittura che istituirà Marcel come «grande scrittore». La lettura infantile filtra il libro attraverso una memoria e una tecnica già prossime al pastiche-, la lettura di M. de Guermantes è, forse, più una tentazione per il narratore che non un'anticipazione della buona lettura, e lo proveranno i suoi esiti: citazionale per maman, idolatrico per Swann, e di tableau vivant per Charlus. 27

La vita come effetto di lettura, tale mi pare la lezione suggerita da questi esempi. C'è, però, nello stesso testo, un elogio della lettura. Ed è la lettura come «incitazione», come «impulso», come atto terapeutico per guarire dall'apatia, dalla frivolezza o dalla passività (e qui la dottrina della giusta lettura si intreccia con U resoconto della propria peripezia intellettuale), come intervento esterno, ad opera di uno spirito grande ed amichevole da accogliere però in solitudine'', e infine come energica esaltazione. Tutti tratti che definiscono, molto classicamente, uno stato di effervescenza poetica. Ma è sempre pensata, questa lettura, entro i limiti di una iniziazione, di un passaggio verso altro, di una benefica propedeutica. E la sua virtù di «entusiasmo», direi, a renderla propizia alla creazione, ma piuttosto per via privativa, interrompendo cioè il taedium del consumatore coito ed onnivoro o il brusio della conversazione che si prolunga in una ostinata eco interiore, che non per via di proporre un corpus di idee o di stili. L'apprezzamento, già indicato, da parte di Proust della lettura mondana e superstiziosa di M. de Guermantes, perché è, 'a suo modo, innocente, e cioè priva dell'idealismo angusto della nonna e del pio utilitarismo ruskiniano, viene corretto poi da una precisazione rilevante. Alla disordinata confusione di M. de Guermantes che mescola titoli e autori, perché racchiusi tutti in volumi identicamente rilegati, si oppone la lettura, contigua e diversa, propugnata da Proust, nel Cantre

Sainte-Beuve.

Non è più lettura di un solo libro - con il suo effetto di svago - ma lettura dell'opera intera di un autore con il suo effetto di verità (romanzesca). 28

IL PASTICHE TRA LETTURA E SCRITTURA

E Stato posto, così, il tema che sarà poi onnipresente e quasi ingombrante, della visione d'autore - che è creazione di un universo di quella visione che trasforma uno scrivente in uno scrittore, e che fa sì che i grandi letterati abbiano scritto sempre e solo un'unica opera^^ Una visione che va anche caricata di valori propriamente pittorici, se si pensa à quell'incrocio tra lo scrittore Bergotte che insegna a guardare un libro^' ed il pittore Elstir che insegna a leggere un quadro'". La storia della letteratura di Proust, percorsa da anacronismi voluti e fortemente interpretativi", è soprattutto una storia di «catastrofi geologiche» provocate dall'apparire di un nuovo pittore o di uno scrittore originale; è una storia costruita come una teologia gnostica di creazioni ripetute, ciascuna delle quali rinomina il mondo. Il suo virtuale Trattato suUo Stile sarà, perciò, una mistagogia (Proust - si sa - è prodigiosamente abile nella messa in scena di aure epifaniche) e nello stesso tempo una filosofia della sintassi'^ poiché le «visioni» d'autore, ciascuna delle quali ha dignità di era geologica per le sequenze della letteratura, sono lette e individuate dal narratore-Proust come «frasitipo»", che possono complicarsi fino a diventare scene. Con questo censimento orientativo di nozioni e categorie riunite da Proust intorno alla lettura e che sono, da un lato, l'incitazione, la visione, l'intera opera di un autore e, dall'altro, la frase, la frase-tipo («sotto le parole l'aria della canzone», come scriverà nel Cantre Sainte-Beuve), la filosofia della sintassi, i bei linguaggi aboliti di epoche passate o il genio grammaticale di uno scrittore, siamo tornati di nuovo al pastiche, che è una 29

statica mista di lettura-scrittura e nasce come irresistiDÌle glossa alla lettura, nel modo del rifacimento (sia pure nei registri diversi del comico, del parodico o dell'encomiastico) o, come altrove, in quello della continuazione del testo ispiratore. Il pastiche è, dunque, la vera via di mezzo tra la lettura, sempre meno idolatrica, e la scrittura nascente di quel testo che sarà «lungo da scrivere»^". Questo esercizio, per così dire, interlocutorio, può essere descritto in termini più proustiani, come il primo passaggio dalle traduzioni degli altri (che, biograficamente, sono quelle di Ruskin) alle traduzioni di sé. «Senza di ciò morrò senza aver scritto mai nulla di me», scriverà Proust a Marie Nordlinger nel 1906; e il genitivo va inteso come possesso e argomento: mio e di me, con una forte relazione di implicazione''.

« L AFFAIRE LEMOINE»

Una legge della relazione proustiana - biografica e narrativa - sembra essere quella di fare della distanza una forma paradossale dell'intimità e, inversamente, della familiarità una modalità per mantenere le distanze'^ Nei pastiches io credo che si attui questa stessa tensione di allontanamento e di adesione, un dosaggio, variamente composto, di parodia e di ammirazione, che è, poi, la sostanza stessa dell'amicizia proustiana". Nella Recherche si dirà che l'alterigia di Saint-Loup, non è altro che «l'abito della sua umiltà». I lettori della sua sterminata Corrispondenza - vera edizione critica della Recherche - sarmo bene come l'ironia sia, per lui, una perifrasi della tenerezza e come 30

l'iperbole adulatoria, spesso seguita da un accenno di ritrattazione, sia un occultamento della mordacità e della lungimiranza critica o un modo orgoglioso di schivare il confronto, scomparendo in un abisso di umiltà. La leggendaria gentilezza di Proust, del resto, mi sembra una vera e propria macchina ermeneutica, un congegno che, circuendo un testo, un sentimento, un'idea se ne riprometta, poi, l'effrazione; è una manovra di appropriazione. Si può quasi pensare ad una procedura fenomenologica in vista di un guadagno eidetico: molta immedesimazione con i fatti della vita, ma per trarne una legge (e, spesso, una legge dura); una riserva mentale admaiorem libri gloriam. L'arrendevolezza e la porosità di Proust hanno, in verità, le cadenze di un'istruttoria. Ed è questa endiadi di ammirazione e di parodia - ma sempre con un talento fermissimo per l'effrazione o per lo smontaggio - che permette di disporre i pastiches deir«affaire Lemoine» lungo una linea che va dal prevalere della parodia critica ed è il caso, manco a dirlo, dello pseudo Sainte-Beuve sullo pseudo Flaubert'''; al prevalere dell'ammirazione, e si tratta del pastiche di Saint-Simon che celebra, per ricchezza, lunghezza e desiderio di continuazione («^ suivreyn), una evidente felicità di scrittura. I pastiches dell'«affaire Lemoine», nella loro consistenza testuale e nel commento che ne offre l'epistolario proustiano - soprattutto negli anni 1908 e 1909 sono estremamente consapevoli circa le regole del genere e, in alcuni punti, le innovano. Tenterei di riassumere, così, i tratti più rilevanti: 1) una competenza analitica, quasi rabdomantica, nel riconoscere gli idiotismi più decisivi e strutturali, e nel distinguerli da quelli degradati a «meccanismo stilistico» involontario, a tic; e la prosa artiste alla Goncourt o 31

la vulgata naturalistica ne offriranno esempi estremi; 2) un'attenzione abile e solerte nel cogliere quelle torsioni sintattiche che segnalano un'opzione narrativa o un'inflessione retorica dominante. Verranno individuate, così, e riprodotte le numerose locuzioni dichiarative di Balzac o le sue apposizioni roboanti, inseparabili dalla sua etica della motivazione romanzesca e dal progetto di un'epica della vita moderna. E poi, in Flaubert, il congelarsi dell'evento, con l'eterno imperfetto e la panoramicità descrittiva un po' goffa ma ostinata nel mostrare tutto, grazie alla varietà delle preposizioni di circostanza; in Saint-Simon, l'intricato accumulo di subordinate causali, senza che alcuna prevalga", così come richiede una teoria che vede la storia mossa da «piccole cause» e segnata dal caso, dall'ignoranza e dall'oblio; o, infine, i confusi nessi pronominali del Régnier più simbolista, quale correlato delle sue predilezioni tematiche per il duplice, l'ambiguo o l'ibrido; 3) la riconoscibilità, attraverso espliciti patti di identificazione o per via di allusioni non enigmatiche, dell'autore pastiché, affinché le voci percepibili dei due autori, insieme con la lucidità dell'esercizio critico e la ludicità propria di ogni riuso, accrescano il piacere della lettura, in un effervescente viavai tra la memoria culturale e la pagina letta. La ludicità, in qualche modo, si rinvigorisce nei fulminei apparentamenti tra il testo virtuale e quello presente in virtù dell'imprevedibilità. Fulminei, poiché il talento del pasticheur sta anche nel produrre la massima densità di idiomatismi dell'autore di riferimento, fino alla saturazione delle possibilità mimetiche; 4) condensare e saturare fino quasi a stringere dappresso la matrice compositiva dell'autore pastiché'". «E 32

poco importante che un pastiche si dilunghi se ha in sé i tratti generatori che, permettendo al lettore di moltiplicare le rassomiglianze all'infinito, dispensano l'autore dall'accumularle», scrive in una lettera a J. Lemaìtre, del marzo 1909. Condensare - dunque - fino a fondere in una sola frase perfetta le originarie bellezze di stile, come viene detto a proposito del pastiche-tstmpìo del Capitan Fracassa, in Sur la lecture. Fino a produrre un'«invenzione» lessicale o sintattica che non è presente nell'ipotesto ma, a rigore,"potrebbe esservi se tutte le reti di associazione linguistica fossero state rese attuali. «Trovo aberrante [ndpastiche a lui dedicato] faccia molto Renan. Non credo che Renan abbia mai usato questa parola. Se la trovassi nelle sue opere, ciò diminuirebbe la mia soddisfazione di averla inventata» (lettera a R. Dreyfus, del marzo 1908). Invenzione, qui, si oppone a citazione che, tra le scritture di seconda mano, appartiene a tutt'altre strategie ed ha una storia diversa. «Un pastiche non deve mai citare», dichiara sovranamente Proust in una lettera a R. de Montesquieu, del marzo 1909; 3) in un'altra lettera a Montesquiou, Marcel scriverà anche che «l'estrema complicazione e l'estrema nudità rendono i pastiches difficoltosi», e sembra quasi una formula d'interdizione per futuri pastiches su di lui. André Maurois ha infranto il divieto e anche felicemente, con il suo Le coté de Chelsea ( 1929) ; ma forse più che di un pastiche puro si tratta, in questo caso, di una continuazione della F.echerche ad opera di altro scrittore. Il terreno è ancora sgombro, e perciò, per cominciare, propongo al lettore di questo volume lo stesso gioco che Daniel Halévy, in un articolo del 1920 in difesa di Sainte-Beuve, proponeva a Proust; di scrivere, cioè, un 33

ultimo pastiche sul tema: «Lettera scritta da SainteBeuve a Marcel Proust, dopo aver letto All'ombra delle

fanciulle

in fiore».

Tenti anche il lettore, se crede, e chissà se questa volta lo pseudo-celebre-critico non riconoscerà subito il vero grande scrittore. Seguirà un'immancabile risposta: «Marcel Proust estasiato, commosso, stupito, ringrazia Sainte-Beuve per la sua lettera meravigliosa, profonda, cortese...». GIUSEPPE MERLINO

' Jean Cocteau, La voix de Marcel Proust, in «La Nouvelle Revue Fran