Lo specchio inverso. Da Rennes-le-Château all'Italia
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Zitiervorschau

© 2007 Edizioni L'Età dell'Acquario Edizioni L'Età dell'Acquario è un marchio Lindau s.r.l. Lindau s.r.l. Corso Re Umberto 37 - 10128 Torino Prima edizione: maggio 2007 ISBN 978-88-7136-260-1

Giorgio Baietti

LO SPECCHIO INVERSO Da Rennes-le-Chàteau

all'Italia

Edizioni L'Età dell'Acquario

A Lisa, che tra un gioco e l'altro mi ha lasciato scrivere. A Carlo e Fernanda, ovunque si trovino.

Presentazione di Jean Blum

Ho incontrato Giorgio Baietti da amici comuni in Francia. Abbiamo subito simpatizzato. Nettamente più avanti con l'età rispetto a lui, avevo scritto una dozzina di libri (alcuni dei quali sono tradotti in lingua italiana). Giorgio e io condividiamo la stessa passione per un soggetto molto misterioso, noto come l'affaire de Rennes-le-Chàteau. Questo piccolo villaggio sorregge una grande storia. Ai tempi dei visigoti era una città, una capitale: Rhedae. Un primo mistero: i visigoti avrebbero nascosto a Rhedae il tesoro del Tempio di Re Salomone, trafugato da Tito e che poi, in seguito al Sacco di Roma del 410, sarebbe stato portato nell'attuale Francia del sud. Altri soggetti misteriosi riguardano Rertnes-le-Chàteau: i catari e i Templari che vi hanno posseduto dei rifugi e dei tesori (soprattutto i Templari). Un prete cattolico, l'abate Bérenger Saunière, ne avrebbe trovato una parte un secolo fa? È una bella domanda che merita appropriata risposta. Il grande mistero è forse altrove: visigoti, catari, Templari erano, nei confronti di Roma, degli eretici. Probabilmente conoscevano dei segreti relativi alle origini del cristianesimo. Questo è il soggetto. Poi c'è l'autore! Giorgio Baietti è un grande, un vero ricercatore. Ha un entusiasmo contagioso.

Sa analizzare i dati, evitare le trappole, andare all'essenziale. Un autore di grande qualità. Dietro l'autore vi è un uomo: molto serio e molto gaio allo stesso tempo. Per lui una pura amicizia è qualcosa di candido, prezioso. Questo è raro nel mondo attuale. Amici italiani, siete fortunati. Potete leggere le opere di Giorgio Baietti. Tanto meglio... e vi invidio. Per quel che mi riguarda, vedo passare gli anni e a ogni arrivederci mi chiedo se avrò la gioia di rivedere il mio caro amico quando verrà la prossima estate.

Prefazione

Non avrei mai pensato di rimettermi a scrivere su Rennes-le-Chàteau. Dopo i miei libri precedenti e vista la mole di pubblicazioni che sono uscite sull'argomento, credevo di aver esaurito gli argomenti e che, in fondo, non ci fosse più interesse da parte dei lettori. Mi sbagliavo su entrambi i fronti! Sono davvero tante le novità che ho avuto modo di scoprire e tanti i contatti che ho stabilito in questi ultimi tempi. Addirittura gli ultimi fatti risalgono a pochi giorni prima della consegna del manoscritto all'editore. L'enigma continua a far parlare di sé, è una fonte inesauribile, e gli aspetti nuovi spuntano un po' da tutte le parti e s'inseriscono gli uni dentro gli altri in un collage perfetto. Molto spesso devo interrompere il mio lavoro e controllare che quello che sto scrivendo è un saggio, un insieme di resoconti e fatti attendibili e non il più fantasioso dei romanzi. Anche il pubblico segue quest'andamento e ricerca sempre nuovi spunti. Da molti anni tengo conferenze e incontri in tutta Italia e sono sempre moltissime le persone che mi pongono le domande più disparate sui molti misteri che ruotano attorno a questo villaggio francese. Molte riguardano il favoloso tesoro che il parroco Saunière avrebbe trovato e che gli ha permesso di rea-

lizzare le stravaganze che lo hanno reso immortale, altre sono incentrate su alcuni strani personaggi e sulle società segrete che reggerebbero le fila della vicenda, altre ancora sono incentrate sulla topografia del luogo. E poi, immancabile, la domanda delle domande: «Ma lei che cosa pensa di tutto questo?». È il quesito che cerco sempre di lasciare alla fine, quando attorno al tavolo rimangono solo poche persone, gli aficionado irriducibili, coloro che veramente si nutrono di misteri e che ritengono questi argomenti la miglior medicina contro «il logorio della vita moderna», come recitava anni addietro il famoso spot di un amaro. Che cosa penso di Rennes-le-Chàteau? È un rapporto di odio-amore che dura da vent'anni e che non finirà mai. La mia è una passione vera, autentica, proprio perché nata dal caso e non da calcoli speculativi. Ho scoperto il tutto perdendo un treno quando ero studente universitario e da questo «sbaglio» è nata, per me, una differente visione del mondo. Quel villaggio appollaiato su una collina ventosa, a quasi mille chilometri di distanza dal mio mondo quotidiano, è divenuto un punto fermo e irrinunciabile. Quando sono lì mi sento bene; sono a casa. La porzione di odio è riservata, invece, a coloro che, da molti anni, cercano in tutti i modi di distruggere questo sogno. I mezzi che usano sono dei più svariati tipi e vanno dal piccone alla dinamite, dalla calunnia alla carta stampata. E sicuramente quest'ultima ha fatto più danni dell'esplosivo. Per qualche oscuro disegno ci si è accaniti contro quella che, a mio avviso, è una pura e semplice ricerca materiale e spirituale, quasi un gioco, e la si è investita di significati e aspetti negativi che nulla hanno a che vedere con quello che realmente è successo da queste parti più di un secolo fa. Secondo queste strambe teorie, Rennes-le-Chàteau

sarebbe il male assoluto, ricettacolo di miscredenti, pazzi e creduloni (per usare un eufemismo), un posto da evitare come la peste per non essere contagiati dalla negatività che albergherebbe in ogni anfratto del paese e della regione. Mamma mia, pensate che problema per quei centotre abitanti stabili che non sanno il pericolo che corrono ogni giorno! In realtà, i più assidui detrattori sono poi quelli che incroci sempre per le vie del paese durante l'estate e scorgi in mezzo alle rocce dei dintorni alla ricerca di grotte e vari segnali. Sono sempre gli stessi che si accalcano in chiesa il 17 gennaio per avere la posizione migliore per fotografare le famose «mele blu» e controllare chi c'è e chi non c'è, tanto per dare un tocco di gossip che, di questi tempi, rende molto. Anche questo, purtroppo, fa parte del grande gioco. Adesso passiamo alle cose utili (e anche dilettevoli): ho pensato questo nuovo lavoro come una sorta di viaggio in cui, tutto sommato, Rennes-le-Chàteau non è che una tappa. Durante le mie ultime ricerche ho avuto modo di soffermarmi su alcune località che fanno da corollario al celebre villaggio e che, per alcuni aspetti, sono ancora più intriganti e inquietanti. Posti del tutto anonimi e in cui non ci si fermerebbe mai se non fossero «sulla strada per...». E invece meritano ampiamente spazio e tempo e un occhio di riguardo, perché sono davvero tanti i segreti che custodiscono. Un'altra meta, del tutto particolare, è in Italia. Anche qui c'è un parroco che, negli stessi anni in cui Saunière crea il suo regno, realizza un impero, con ville favolose (dieci volte più grandi e lussuose di Villa Betania), montagne di denaro e riconoscimenti così prestigiosi da apparire assurdi se si tiene conto che era solo un semplice parroco di un piccolo paese. Non voglio anticipare altro perché, ne sono certo, sarà una

vera sorpresa e del tutto inedita. Ma troverete anche altri parroci e altre chiese dal grande fascino; un corollario di stranezze ed enigmi che lasciano aperti tanti spiragli da cui filtra un po' di luce che fa accrescere la voglia di aprire, finalmente, la porta su tutta questa serie di punti interrogativi. È lo specchio di una realtà che ci rimanda l'immagine di quello che vorremmo vedere. Ognuno di noi può trovarci tante risposte alle domande che non si è mai posto.

Riassunto delle puntate precedenti

«Qui non si viene per caso, perché questo luogo è magico». È il motto che compare sulla guida di Rennes-le-Chàteau ', nemmeno cento abitanti, appollaiati su una collina di 550 metri di fronte ai Pirenei francesi, regione della Linguadoca Rossiglione, dipartimento dell'Aude, zona del Razès, a circa cinquanta chilometri a sud di Carcassonne. Tutt'intorno vi è una corona di castelli e siti catari che è unica al mondo: Coustaussa, Peyrepertuse, Queribus, Puilaurens, Puivert, fino a giungere a Montségur, simbolo del martirio di queste popolazioni nel XIII secolo. Questo è lo scenario ideale per racchiudere ed esaltare un paese dai molti misteri. Su questo luogo è stato detto e scritto di tutto; c'è chi vi ha individuato con millimetrica precisione la tomba di Cristo e della Maddalena, chi vi ha ritrovato tracce inequivocabili della presenza di alieni, chi lo ha eretto a sede di antichissime e altrettanto potenti società segrete. E chi ha affermato che è tutto un bluff, un'invenzione, forse un gioco. Anche il nutrito gruppo di componenti di quest'ultima categoria, in ogni modo, non ha potuto fare a meno di rimanere colpito dai colori di queste colline, dall'atmosfera che pervade ogni cosa e dall'aria diversa che si respira (e non mi limito soltanto a un fatto polmonare). C'è una specie di clima

psicologico che si capta appena si apre la portiera dell'auto con la quale si è attraversato buona parte dell'Italia e della Francia e ci s'immerge in un ambiente minuscolo e provvisorio; un fazzoletto di terra sulla cima di una collina battuta dai venti e con piccole e strane costruzioni che, però, hanno assunto il ruolo di grandi monumenti e di cui, volenti o nolenti, si continua a parlare. Rennes-le-Chàteau deve la sua fama a un prete e a un tesoro. Bérenger Saunière è il sacerdote che, dal 1885 al 1917, ne cambierà radicalmente il volto, trasformandolo da anonimo villaggio di pastori e contadini in uno dei luoghi più enigmatici al mondo. Alla base di tutto vi sono delle presunte pergamene e una strana tomba. Ma andiamo con ordine: durante alcuni lavori di restauro nell'antica chiesa parrocchiale dedicata alla Maddalena, il parroco avrebbe trovato sotto l'altare alcune pergamene antiche. Con queste, sarebbe andato fino a Parigi per farle decifrare presso il seminario di Saint Sulpice (all'epoca situato a fianco dell'omonima chiesa, la più grande della città, dopo Notre Dame). Saunière si fermerà nella capitale tre settimane e tornerà completamente cambiato. Le pergamene e alcuni strani simboli incisi sulla tomba di una marchesa, Marie de Negri d'Hautpoul de Blanchefort, morta un secolo prima e sepolta nel piccolo cimitero del paese, gli indicheranno la via per diventare ricchissimo. Nella vicenda entra anche un celebre pittore del '600, Nicolas Poussin, autore di due dipinti dal titolo I pastori d'Arcadia, in cui compare su una tomba antica l'iscrizione E T IN A R C A DIA EGO, lo stesso motto presente sulla tomba della nobildorina. In più, lo sfondo di uno dei due dipinti indicherebbe proprio Rennes-le-Chàteau. Saunière, da buon parroco, si interessa subito alla chiesa; per prima cosa la rinnova completamente, inserendo dei

particolari piuttosto bizzarri e che rimandano ad antichi culti egizi e pagani, poi fa costruire una torre in stile neogotico sullo strapiombo della montagna (torre Magdala) e una bella villa Liberty in cui darà ricevimenti sontuosi (Villa Betania). Anche da questo si intuisce la sua venerazione per Maria Maddalena. Riguardo alle scoperte, il condizionale è d'obbligo per descrivere tutti gli enigmi che si inseriscono nella vicenda, poiché molte delle prove che testimonierebbero i viaggi, le pergamene e, ovviamente, la fonte della ricchezza, sono scomparse. Secondo alcuni tutto ciò non è mai esistito e la straordinaria disponibilità di denaro è da ascriversi a traffici di messe e cospicue donazioni fatte da personaggi appartenenti all'alta aristocrazia che aveva interesse a finanziare un oscuro progetto per riportare la monarchia alla guida della Francia. Su questi aspetti non si può che mettere un enorme punto interrogativo che tenga conto dei fatti e dei reperti, perché è anche vero che attorno a questa faccenda sono state dette e scritte tante di quelle assurdità che non è facile mantenere un senso logico (ammesso che la logica sia il mezzo idoneo per addentrarsi in simili avvenimenti). Ciò che è indubitabile, però, è la magia dei luoghi che nessuna cifra, pergamena o società segreta può mettere in dubbio. L'intero villaggio è un concentrato di aspetti misteriosi che si fondono con la bellezza di un territorio dai mille risvolti. La ricchezza del suo parroco e il modo in cui l'ha ottenuta, a questo punto, diventano un fatto marginale. Rennes-le-Chàteau (e il territorio circostante) ha così tanti aspetti insoliti e straordinari che è superfluo e inutile polemizzare su tesori più o meno materiali. Il Razès è una zona di confine e, quindi, ha un passato turbolento e ricco di svariate dominazioni. Anticamente la zona era abitata dalla tribù celtica dei tectosagi. L'insedia-

mento è battezzato con il termine Rhedae, la cui etimologia rimanda alla lettera runica R, che indicava il carro. Quest'ultimo ha un significato particolare: esiste infatti uno stretto collegamento tra il paese e il Carro dell'Orsa che è stato ritrovato inciso su una grande roccia nei dintorni ed è databile all'epoca della dominazione celtica. Molte gallerie e miniere sono presenti su tutto il territorio, a testimonianza di un passato di ricchezza e prosperità. Ad esempio, a poche decine di chilometri, troviamo Salsigne, l'ultima miniera d'oro presente in Europa, che ha chiuso le sue attività nel 2004. I celti che, per molti anni hanno dominato la zona, ritenevano la collina su cui sorge il paese, un luogo sacro, così come faranno molte delle popolazioni che si stanzieranno qui. Nel 122 a.C. i romani conquistano la regione e Rhedae, lentamente, si sviluppa come oppidum di una certa importanza. Nello stesso periodo, si realizza la costruzione delle terme di un paese nelle vicinanze che nel Medioevo si chiamerà Bains de la Reine, in onore della regina Bianca di Castiglia, madre di Luigi IX, «san Luigi dei Francesi», la quale, grazie alle proprietà curative di quelle acque, era guarita da una brutta forma di malattia alla pelle. Oggi la località si chiama Rennes-les-Bains ed è conosciuta in tutta la Francia per le sue cinque fonti d'acqua fredda, cinque d'acqua calda e una ... miscelata; sgorga, infatti, da una roccia alla temperatura di quella che abitualmente troviamo sotto le docce di casa nostra. Durante il periodo estivo, in prossimità della fonte si formano code di turisti e campeggiatori che ne approfittano per la toilette quotidiana. Rennes-le-Chàteau, che assume questo nome solo nel 1778, non è famoso per le sue sorgenti (che pure esistono, ma di qualità non eccelse), ma per i suoi molti misteri.

Il nostro tour ideale può iniziare dopo aver lasciato Couiza, paese a fondovalle in cui si trovano negozi, ufficio postale e gendarmeria. Cinque chilometri di tornanti ci conducono alla meta, lassù, sulla collina più alta. Lungo la salita si gode un panorama su alcuni ruderi di fortezze e sugli strati di rocce e terra rossa che sono onnipresenti nel circondario. Appena giunti in paese, ci accoglie la libreria Empreinte, piena zeppa di volumi che, in svariate lingue (italiano compreso), raccontano le molte vicende del paese e del suo strano parroco. Quasi di fronte c'è l'imponente castello che dà il nome al villaggio. Il nucleo originale risale al V secolo dopo Cristo, epoca in cui i visigoti avevano fatto di Rhedae una loro importante piazzaforte. Nella parte a nord del maniero resta una grande sala con reperti risalenti a quel periodo. Il castello è stato distrutto una prima volta nel 1210 durante la crociata contro i catari; ricostruito e nuovamente distrutto, ha assunto la sua forma attuale nel XVI secolo, quando la proprietà è passata alla famiglia degli Hautpoul, di cui una discendente era la marchesa Marie de Negri d'Hautpoul de Blanchefort (imparentata anche con il ceppo del Gran Maestro dei Cavalieri templari, Bertrand de Blanchefort, che è tutto dire...), la cui tomba attirerà le attenzioni di Saunière. Dal 1946 il castello appartiene alla famiglia Fatin. Non è permessa la visita, assolutamente! Su questo punto, Henri Fatin, l'attuale castellano, è particolarmente intransigente e non esita a chiamare i gendarmi non appena qualche turista un po' più curioso oltrepassa il cartello posto all'ingresso del cortile, su cui è scritto a chiare lettere che si sta entrando in una proprietà privata. Comunque, all'esterno sono visibili quattro torri, tre a pianta rettangolare e una rotonda, la meglio conservata, alta 17 metri. In mezzo vi è il cortile d'onore e sotto, una serie di gallerie

che conducono in svariate direzioni. L'ingresso murato di una di queste è visibile appena entrati in paese. Poche decine di metri dopo (qui le distanze sono davvero contenute) si giunge di fronte all'altra libreria, La Porte de Rennes, gestita con molta professionalità da un grande studioso di storia locale, Serge Colmenero. Lui e la moglie Helen, oltre a essere persone simpaticissime (è davvero raro trovarne a questi livelli), sono dei veri esperti di storia e leggende locali e conoscono Rennes-le-Chàteau come pochi altri. Altri quindici metri ed ecco la chiesa Santa Maddalena (una costante in molti paesi della regione, dove la «santa peccatrice» funge da vera e propria padrona dei luoghi di culto), che sorge sulle fondamenta di un tempio edificato dai visigoti e di cui si è perduta ogni notizia. È stata edificata tra l'VIII e il IX secolo e restaurata completamente tra il 1887 e il 1896, nove anni durante i quali Bérenger Saunière la trasformò completamente. Ha un campanile squadrato e massiccio e un ingresso su cui campeggia l'iscrizione latina TERRIBILIS EST LOCUS ISTE. È una frase estratta dalla Genesi che, visto il contesto, assume una valenza piuttosto inquietante, infatti, appena varcata la soglia, troviamo la statua di un demone orrendo, Asmodeo, che regge l'acquasantiera. Nel 1996 qualcuno è entrato di notte nella chiesa e lo ha decapitato, forse per osservare da vicino lo sguardo magnetico dei suoi occhi di un blu intenso. E strabici. È stato, ovviamente, ricostruito, e per evitare altri atti di vandalismo, all'interno della chiesa sono state collocate diverse telecamere che consentono un controllo totale. All'interno troviamo diverse statue di santi che formano un percorso tutto particolare. Si comincia con Germana di Pibrac, colta nell'atteggiamento abituale, cioè mentre apre il grembiule ricolmo di fiori. Di fronte c'è san Rocco insieme all'immanca-

bile cane. La statua presenta un'anomalia: la ferita che contraddistingue il santo è sulla gamba destra e non sulla sinistra come normalmente avviene. C'è poi Antonio Abate, il santo festeggiato il 17 gennaio, giornata molto importante per Rennes-le-Chàteau, sia a livello storico (è la data in cui è morta la marchesa dalla strana tomba) sia per quanto riguarda un fenomeno ottico unico al mondo. A mezzogiorno circa (condizioni meteorologiche permettendo), la luce del sole, illuminando una vetrata particolare, crea all'interno della chiesa una figura che assume le sembianze di un albero di mele... blu! Ciò avviene ancora oggi; basta recarsi in paese e vedere la fila di persone giunte da ogni parte per assistere allo spettacolo che dura diverse ore. Di fronte, un altro Antonio, il santo portoghese il cui nome è stato legato per sempre a Padova. Questi, celebre per essere invocato quando si smarrisce un oggetto, è portato in trionfo da quattro angeli, segno tangibile della gratitudine che il parroco nutriva nei suoi confronti per averlo aiutato a trovare (o ritrovare) «qualcosa». Saunière ha quindi compiuto uno strano spostamento; ha invertito l'ordine dei quattro evangelisti, collocando Luca al posto di Giovanni. Uno sbaglio? Non credo, anche perché il parroco era un esperto conoscitore delle Scritture e della dottrina cattolica, quindi non sarebbe incorso in una simile svista. È interessante notare che se uniamo con una matita le statue dei santi sulla pianta della chiesa, si forma la lettera M e mi torna alla mente un passo della Divina Commedia, il canto XVIII del Paradiso, in cui Dante dice: Poscia ne l'emme del vocabol quinto rimasero ordinate; sì che Giove pareva argento lì d'oro distinto.

E vidi scendere altre luci dove era il colmo de l'emme, e lì quetarsi cantando, credo, il ben ch'a sé le move.

È il passo in cui le anime si mostrano al poeta in trentacinque lettere e, dopo aver disegnato una grande M, sospendono il volo e si fermano in quella posizione, facendo risplendere il tutto con la grazia divina. Sarà un caso, ma è proprio nel colmo di quella M che, il 17 gennaio, si forma l'albero di mele blu. Se proviamo a unire le iniziali dei santi, Germana, Rocco, Antonio Abate, Antonio da Padova, Luca, si ottiene la parola Graal... forse è per questo che Giovanni è stato spostato; Graag avrebbe avuto un senso solo nei fumetti. Anche la Via Crucis è posta all'inverso e con particolari che non hanno riscontro in altre chiese. Che cosa ha voluto indicarci il parroco? Un percorso iniziatico o un'intrigante mappa del tesoro? I riscontri sono molti e osservando con attenzione il territorio circostante, troviamo strane analogie con ciò che è custodito dentro questa chiesa. Usciti dal luogo sacro si trova Villa Befania, un tempo luogo di feste e oggi sede del museo municipale. Molti degli arredi di un tempo non ci sono più, però rimane intatto il fascino di quello che è avvenuto all'interno di queste mura. Nel museo è possibile vedere il pilastro visigoto che reggeva l'antico altare e dentro il quale sarebbero state rinvenute le pergamene e la pesante lastra in pietra ritrovata in chiesa, la Dalle des chevaliers, che fungeva da chiusura della cripta dei signori di Rennes-le-Chàteau e che Saunière fece sollevare. Lì sotto vi era sicuramente qualcosa di grande importanza, tanto che il sacerdote allontanò in fretta i muratori per controllare con calma.

Nel museo sono custoditi anche molti paramenti del parroco e due statue in cera a grandezza naturale, creazione del Musée Grévin di Parigi, riproducenti Bérenger Saunière e l'anziana madre di Marie Dénarnaud, la sua perpetua ma, soprattutto, vera confidente e sua erede universale. Al piano superiore sono esposti alcuni libri e documenti del parroco (come la lista dei vini e i vari menu) e parecchie foto risalenti all'epoca in cui era il signorotto incontrastato di questo «regno». Vi è anche una vetrinetta in cui sono esposti i libri pubblicati nelle varie lingue (cinese, giapponese, svedese, inglese, italiano... il mio L'enigma di Rennes-le-Chàteau ne è, al momento, l'unico rappresentante) e che offrono un'idea immediata del successo mondiale di tutto quello che stiamo vedendo. I lavori per la costruzione di Villa Befania iniziano il 3 giugno 1901 e si concluderanno due anni dopo. Questa bella e accogliente casa servirà esclusivamente quale luogo d'incontro e di banchetti per invitati di riguardo, in cui non si baderà a spese. Da queste riunioni conviviali non ci si alzava certo insoddisfatti; basta osservare uno dei vari appunti per rendersene conto: «1 fusto di rum della Martinica, 33 litri di vino bianco Haut Barsac, 33 litri di Malvasia, 17 litri di vino chinato, 12 litri di moscato...». Naturalmente, tanto ben di dio innaffiava altre specialità, come carni e formaggi di primissima qualità e generose portate a base di autentico caviale del Volga. Tali prelibatezze non erano destinate ai semplici palati dei parrocchiani, ma a ospiti di riguardo come la cantante lirica Emma Calvé, amica della regina Vittoria e dello zar Nicola II e che, secondo alcune fonti, avrebbe lasciato spesso i salotti di Parigi per far visita al curato di campagna 2 ; Etienne Dujardin Beaumetz, deputato e viceministro francese

della Cultura, e un giovane dall'aspetto molto raffinato, Jean Stephane d'Asburgo, discendente dell'omonima casa regnante d'Austria. Insomma, niente male per il curato di un villaggio sperduto della provincia francese di fine Ottocento. Si mormora anche di altri grandi personaggi che, in un modo o nell'altro, sono intervenuti nella vicenda: il musicista Claude Debussy, gli scrittori Jules Verne e Maurice Leblanc, l'inventore di Arsenio Lupin. E proprio nei racconti che hanno per protagonista il celebre ladro gentiluomo, frequenti sono i collegamenti e i riferimenti a Rennes-leChàteau e ai suoi dintorni. È un mistero nel mistero, perché, ufficialmente, l'ambientazione dei romanzi è quasi sempre la costa normanna. Anche per quanto riguarda Verne, vi sono una serie di particolari veramente bizzarri che legano lo scrittore di Nantes (dall'altra parte della Francia) ai dintorni di Rennes-le-Chàteau. Un vasto giardino, al cui centro vi è una fontana circolare che, al tempo di Saunière, ospitava pesci esotici, separa Villa Befania dall'altra costruzione che caratterizza il paese: la torre Magdala. Questa è una singolare torre in stile neogotico, costruita nel 1899 nel punto più panoramico della collina. Dalla sommità si spazia a trecentosessanta gradi sull'intera zona, con i paesi che fanno da corona (Espéraza, Montazels, Antugnac) e a est la sagoma massiccia del monte Bugarach che, con i suoi 1230 metri di roccia viva è la più alta cima della regione. Questa montagna è un vero ricettacolo di stranezze e assurdità. Poco più a sud c'è la punta di Bézu e l'omonima fortezza templare. I cavalieri dal bianco mantello hanno esercitato a lungo la loro influenza in questi luoghi, lasciando come simbolo della loro potenza un castello dal quale dominavano le vie che i pellegrini percorrevano per andare a Santiago di Compostela. Si vede che questo pano-

rama aveva un effetto benefico sul parroco: infatti, vi trascorreva la maggior parte del tempo. Nella stanza al piano terreno aveva collocato una ricca libreria ospitata in mobili pregiati, ornando il tutto con tappeti orientali e stoffe preziose. Insomma, se la villa serviva da «sede ufficiale», quella era il suo personale rifugio segreto. Sarà proprio lì, infatti, che avrà il malore che lo porterà alla morte nel 1917. Ovviamente, era il 17 gennaio! In paese non esistono alberghi e, solo nei mesi estivi, c'è un bar che funge da ristorante, La table de l'abbé, che è ospitato in quello che era il giardino di fronte a Villa Betania. Dopo varie vicissitudini, tra cui uno strano incendio, ha aperto i battenti L'amarante, un ristorante che ha preso il posto di un esercizio analogo che si chiamava Pomme bleue e che sorge nelle vicinanze del castello, appena entrati in paese. Tutto qui. Il dato testimonia il fatto che, anche se il nome di Rennes-le-Chàteau è famoso, il paese in sé non ha ricavato molto dalle strane vicende del suo parroco. Questo può essere letto in diversi modi; può essere anche un fatto positivo, che testimonia la genuinità del luogo che cerca di conservare, senza stravolgerli, i tratti tipici del suo esistere e di un silenzio assordante che fa tappare molte orecchie e altrettanti occhi. Anche questa è magia, no?

' Tatiana Kletzky Pradère, Rennes-le-Chàteau

- Guida del Visitatore, Antoli,

Carcassonne 2006. La traduzione in lingua italiana è stata curata da Giorgio Baietti. ; I1

legame tra la Calvé e Saunière è un tema che ha fatto versare fiumi d'in-

chiostro a favore dell'una o dell'altra tesi. I fautori si basano su alcune incisioni rupestri a forma di cuore con le iniziali EC e BS ritrovate in zona e, soprattutto, sul fatto che la soprano fosse un m e m b r o di spicco dell'am-

biente esoterico e tenesse i contatti tra Saunière e altri personaggi. I detrattori contestano tutto ciò asserendo che il presunto legame che univa i due fosse basato soltanto su una foto ritrovata tra gli effetti personali del parroco. Vista l'importanza del rapporto, si ritornerà sull'argomento.

LO SPECCHIO INVERSO

Capitolo 1 Alet o tela? Un paese allo specchio

«Chi parte sa da che cosa fugge, ma non sa che cosa cerca». L'aforisma di Montaigne, reso ancora più celebre da Massimo Traisi e Lello Arena in Ricomincio da tre, è lo slancio ideale per iniziare un percorso che ci guidi lungo i molti misteri di Rennes-le-Chàteau. Al momento, sinceramente, non fuggo da nulla di concreto e non so con precisione che cosa devo cercare, però so che questo «viaggio» è importante, forse fondamentale per gettare una luce nuova su tutta la vicenda. Come ho scritto prima, questo luogo è considerato magico e quindi giustifica abbondantemente gli sforzi che si compiono per raggiungerlo, studiarlo, amarlo, odiarlo. La magia è insita nel territorio e riguarda i corsi d'acqua, le montagne e gli strati di terra dal colore rosso vivo che costeggiano la strada che da Couiza, nel fondovalle, sale all'eremo montano di Bérenger Saunière, il parroco dei miliardi. Lassù, poi, basta fare un giro per il villaggio e sentire qualcosa di particolare nell'aria. Lo scenario mozzafiato che si apre davanti al punto panoramico ne è l'immediata conferma. La torre Magdala, Villa Betania, la chiesa della Maddalena sono i tre vertici di un triangolo che racchiude tutti gli enigmi di questo paese. Ma non è tutto qui; il vento magico soffia anche da altre parti e questo «vento» ideale ci trasporta in un

viaggio nei dintorni. È un percorso molto importante perché, a mio avviso, è nel territorio circostante che vi sono dei tasselli fondamentali per comprendere il grande enigma. Carcassonne è il capoluogo del dipartimento e la sede vescovile da cui dipende tutto il Razès. È anche il punto di passaggio obbligato per chi proviene dall'Italia. Esiste, è vero, un percorso più breve in termini chilometrici, che da Béziers conduce all'interno, ma lo sconsiglio vivamente; può andare bene solo se si vuole visitare con calma questa fetta di territorio delle Corbières, ma non certamente se si ha voglia di giungere al più presto alla meta. Basta affrontare le numerose curve e i tornanti per rendersene conto. Dunque, una volta lasciata Carcassonne, bisogna seguire le indicazioni per Limoux, distante 24 chilometri, sulla route D 118. Questa cittadina merita una sosta per diversi motivi, primo fra i quali, la basilica di Notre Dame de Marceille, però, vista l'importanza di questa chiesa, ho preferito dedicarle un intero capitolo.

Alet-les-Bains La prima località che ci interessa è Alet-les-Bains, villaggio di circa cinquecento abitanti e, come dice il nome stesso, che è anche palindromico, dotato di terme. Di queste, oggi, non esistono più vestigia paragonabili a quelle che troviamo, ad esempio, a Rennes-les-Bains (altro luogo fondamentale). Vi sono alcune sorgenti d'acqua fredda dalle notevoli proprietà oligominerali, tanto che la gente viene a farne scorta da molti centri del circondario, anche da Rennes-le-Chàteau. Nei dintorni dell'attuale paese sono state ritrovate tracce di un insediamento dei celti e, intorno al IV secolo, è stato edi-

ficato un convento paleocristiano nel punto in cui esisteva un tempio dedicato alla venerazione della dea Diana. Esiste una data precisa, il 526, in cui se ne menziona l'esistenza. Dopo i romani, il paese passa in mano ai visigoti e poi ai franchi. Sarà proprio un luogotenente di Carlomagno, Bera, che nell'anno 813 trasformerà il convento in abbazia. Quattro anni dopo, in seguito alla decisione di Luigi il Pio di imporre la regola benedettina a tutti i monasteri dell'impero, per Alet inizia un periodo di grande prosperità che durerà a lungo. In seguito a un attacco da parte del conte di Béziers, i cui soldati profaneranno l'abbazia, nel 1167 il paese intero è dotato di fossati e alte mura di protezione. La crociata contro i catari vedrà l'intera area caratterizzata da cruenti scontri, perché proprio qui il credo dualista aveva numerosi seguaci, forse la maggioranza della popolazione. È per questo che un papa, Giovanni XXII, decide di staccare da Carcassonne il territorio del Razès ed elevare il paese di Alet-les-Bains a sede diocesana. La sua abbazia, ovviamente, segue la promozione e diventa cattedrale. La nuova diocesi durerà quasi cinquecento anni e terminerà con la rivoluzione francese. Sarà, però, un'altra guerra di religione a incidere pesantemente sui destini del paese, quella contro gli Ugonotti. Questi ultimi si impossesseranno per ben due volte di Alet, saccheggiando e incendiando buona parte del paese e del palazzo vescovile. La cattedrale, sottoposta anche a un bombardamento con cannoni che distruggerà buona parte del tetto, sarà semi distrutta. Ci penseranno duecento anni dopo i rivoluzionari a portare avanti l'opera di danneggiamento, quando l'intero edificio sarà confiscato e venduto a lotti a diversi borghesi locali. Il colpo di grazia lo daranno, però, gli uomini di Napoleone Bonaparte, quando decideranno di abbattere una parte della cattedrale per ingrandire la strada

che risale l'intera valle dell'Alide, la stessa che si percorre ancora oggi. Purtroppo andò distrutta proprio quella parte in cui vi era la maggioranza dei reperti in stile gotico. All'inizio del '900 Alet-les-Bains era una fiorente cittadina di duemila abitanti e molti turisti che giungevano qua per le cure termali. La moda delle «città d'acqua», però, non durò a lungo e già negli anni '50 i residenti si erano dimezzati e i villeggianti erano quasi scomparsi. Oggi il censimento fornisce la cifra di 477 persone e i forestieri che si vedono girovagare per il villaggio non vengono qua per l'acqua ma per l'«oro», o meglio per quello che ruota attorno al tesoro di Bérenger Saunière. Al centro di Alet, è visibile sull'antica Place de la République un insieme di abitazioni con le tipiche facciate del '500 e del '600 che danno un tocco veramente affascinante al luogo. Qui ne troviamo una del tutto particolare: la casa dei giudei, detta anche di Nostradamus. È una splendida abitazione di tre piani che fa angolo con la piazza e rue Malbec. Sulla facciata e gli architravi di legno vi sono incisi molti simboli e una data, 1647, che risale al secolo seguente quello in cui visse il celebre veggente di Saint-Rémy-de-Provence che era nato, appunto, nel 1503. Lo stile dell'intero manufatto è, però, riconducibile al '400 e, quindi, la data potrebbe riferirsi a un'opera di restauro, come troveremo in molti casi, uno, ad esempio, sul frontone della casa natale di Bérenger Saunière a Montazels. A corroborare l'ipotesi che Nostradamus sia giunto in queste contrade, è uno studio di Jean-Marie Pélaprat pubblicato sulla rivista francese di ricerca storica «Historia». Nel numero uscito a giugno del 1982 si riportava che «i nonni, ebrei convertiti, di Michel de Nostredame, alias Nostradamus, si erano stabiliti nella città di Alet».

E come ogni buon nipote, perché Nostradamus non sarebbe dovuto andare a trovare i nonni per qualche ricorrenza? È certa, comunque, la presenza del veggente a Tolosa e Narbona, entrambe città della regione e vicine ad Alet-lesBains. Vi sono parecchi segni della presenza di ebrei in zona, uno di questi è il nome della via più lunga del paese, chiamata rue de la Juiverie. E appurato, inoltre, che la forte comunità degli ebrei, convertiti e no, abbia contribuito con cospicue donazioni alla costruzione dell'attuale chiesa parrocchiale di Saint André in cui, è bene sottolinearlo, le vetrate hanno la forma di Stella di Davide. E questo non si può certo imputare al caso o a un errore dei costruttori. Vediamo ora nel dettaglio i simboli incisi sull'architrave della celebre casa: 1) uno scudo a tre bande che non rappresenta alcuna famiglia nobile della regione; 2) la Stella di Davide inscritta in un cerchio, detto Sigillo di Salomone. Anche in questo caso non è riconducibile ad alcuna casata nobiliare locale; 3) un inconfondibile Yin-Yang, simbolo orientale dell'unione. È piuttosto insolito trovarlo a queste latitudini e a quell'epoca; 4) un pesce posato su un piatto. I primi cristiani adottarono il pesce quale simbolo della loro fede e, soprattutto, come segno di riconoscimento; 5) una croce patente, motivo riscontrabile maggiormente presso le popolazioni copte e i cristiani siriani. Se si fa leggermente ruotare, si ottiene la croce che figurava sulle bandiere del regno Franco di Gerusalemme; 6) una strana raffigurazione che alcuni ricercatori hanno identificato come Arca dell'Alleanza, in quanto vi compaiono due cerchi alla base, riconducibili agli anelli di cui si par-

la nella Bibbia e che servirono ai romani per farvi passare delle lunghe pertiche, al fine di trasportare fuori del tempio il preziosissimo oggetto. Purtroppo l'usura del tempo ne ha cancellato alcune parti e quindi questa non è che una semplice interpretazione; 7) una croce. Ricorda sia quella di sant'Andrea, sia quella di Malta. Chiaro riferimento, come in alcuni casi precedenti, all'epoca delle Crociate; 8) una ruota che simboleggia il movimento o la guida; 9) un fiore a sei petali. È l'ultimo simbolo e conclude idealmente il messaggio che l'oscuro personaggio (Nostradamus?) ha voluto lasciare a imperitura memoria della sua iniziazione a riti ignoti. È importante ricordare che rue Malbec, in cui sorge l'abitazione, è ancora oggi la strada principale di Alet e un tempo conduceva alla Porta dell'Aude, uno dei passaggi tra le mura. È probabile che chi ha lasciato tutta questa serie di simboli in bella vista, lo abbia fatto per indicare a qualcuno tra i numerosi viandanti che proprio lì, in quella casa, abitava un iniziato, un confratello, e che quindi avrebbe potuto trovare vera ospitalità, materiale e spirituale. Esiste un ulteriore tassello che favorisce la relazione tra Alet e Nostradamus ed è il frutto di una ricerca fatta dal mio amico Nicolas de Leon, storico locale, il quale studiando le Centurie ha rilevato che, generalmente, il teatro degli avvenimenti profetici non è indicato con il nome del territorio sul quale dovranno accadere, ma con il nome della sede episcopale o con quello del relativo vescovo. Stranamente, Nostradamus menziona per sette volte il nome Razès, omettendo di segnalarne il capoluogo e colui che fungeva da guida spirituale; e in esoterismo, sostiene sempre De Leon (e molti altri

insieme a lui...), uno dei mezzi per mettere in evidenza un aspetto è proprio quello di occultarlo. Non citare mai Alet e i suoi vescovi significa metterli entrambi in primo piano nelle sue celebri profezie. Tra la nuova chiesa di Saint André e la vecchia cattedrale troviamo il cimitero. Sono presenti varie tombe di tutte le epoche, di cui una è davvero particolare: è una lunga lastra di pietra che, sulle prime, si potrebbe confondere con il sacello di un gigante. Le iscrizioni sono quasi del tutto scomparse, ma il nome di chi è sepolto lì sotto è davvero altisonante: Nicolas Pavillon, il più importante vescovo di Aletles-Bains di cui si tratterà nel dettaglio più avanti. Poco fuori Alet, lungo un sentiero in terra battuta che costeggia il fiume Aude e la ferrovia, si trova una grande croce in pietra, alta poco più di un metro e a pianta ottagonale. Ha alcune incisioni: la scritta INRI, un ottagono e, in basso, R E SURREXIT 1801-1876. Non si è riuscito a sapere qualcosa di più approfondito sul manufatto. Quello che interessa maggiormente la nostra indagine è, invece, la lapide che si trova poco sotto, quasi ne fungesse da basamento. È di epoca più antica e si notano ancora le lettere scolpite in mezzo a una cornice lavorata con cura: IMPULSUS EVERSUM SUM UT CADEREM ET DXS SUSCEPIT ME (Fui attaccato in forze e rovesciato e il Signore mi fece rialzare). È una via di mezzo tra una lapide commemorativa e un ex voto ed è stata fatta collocare dal vescovo Pavillon dopo essere scampato a un incidente occorsogli proprio in quel punto. Oggi è uri sentiero, ma nel '600, non essendoci la ferrovia, si trattava di una vera e propria strada, lungo la quale la carrozza del vescovo si era scontrata con una vettura proveniente dalla parte opposta ed era finita nelle acque dell'Aude che scorre lì sotto. Pavillon ne era uscito indenne e

quindi aveva immortalato nella pietra l'avvenimento. Osservando, però, con maggior attenzione la scritta, ci si accorge che c'è qualcosa che non quadra. Se si è trattato di un semplice scontro tra carrozze, magari per motivi di precedenza, perché Pavillon ha usato il termine: «Fui attaccato in forze. ..»? Non mi pare che sia il modo adatto per descrivere un semplice incidente e il termine «rovesciato» è una diretta conseguenza del misterioso attacco. Tutta l'area, comunque, è costellata di croci che, a vario titolo, ci ricordano che lì, in un lontano passato, l'uomo ha veramente avuto bisogno di appellarsi a qualcosa di più grande. Un altro personaggio locale che merita un approfondimento è Nicolas Pierre Henri Montfaucon de Villars, nato nei dintorni di Alet nel 1635 e assassinato mentre si stava recando a Lione nel 1673. Montfaucon de Villars era un sacerdote, discendente di un'antica e nobile famiglia della zona; nel 1667 andò a Parigi per migliorare la propria carriera ecclesiastica e, ben presto, grazie alle sue doti innate di simpatia e comunicatività, riuscì a conquistare la fiducia di molti personaggi influenti, tra cui la celebre Madame de Sévigné. Le annotazioni sulla sua vita sono davvero scarse, però è certo che si adoperò molto per la libertà e la tolleranza religiosa e fu, inoltre, autore di molti libri e opuscoli, tra cui uno studio sull'origine della specie umana, che interessò molto Jean-Baptiste Lamarck, il quale, a sua volta, fu l'ispiratore di Charles Darwin. Avvenne che un giorno, a Lione, si videro scendere dalle navi aeree (sic) tre uomini e una donna; tutta la città si raduna lì intorno, grida che quelli sono stregoni e che Grimoaldo, duca di Benevento, nemico di Carlomagno, li manda per rovinare le messi della Francia e gettare veleni sulla frutta e nelle fontane.

I quattro hanno un bel dire per difendersi, affermando che sono stati rapiti poco prima da uomini prodigiosi; questi li hanno portati a bordo di navi aeree di mirabile struttura e mostrato loro meraviglie inaudite, pregandoli, infine, di riferire tali cose ai concittadini. Il popolo, ostinato, non volle ascoltare la loro difesa; stava per gettarli nel fuoco, quando il brav'uomo Agobardo, vescovo di Lione, che aveva acquistato molta autorità quand'era stato monaco in quella città, accorse al clamore. Avendo udito l'accusa del popolo e la difesa degli imputati, sentenziò gravemente che l'una e l'altra erano false: non era vero che quegli uomini erano scesi dall'aria e quello che dicevano di avervi veduto era impossibile; la qual cosa valse loro la vita. Il popolo, infatti, credette più alla parola del buon padre Agobardo che ai suoi propri occhi; si calmò, rimise in libertà i quattro ambasciatori dei silfi e accolse con ammirazione il libro che Agobardo scrisse per confermare la sentenza che aveva pronunciato. Così la testimonianza dei quattro rapiti fu resa vana.1

I silfi erano esseri fantastici immaginati dai cabalisti d'Oriente come agili e leggiadri abitatori dell'aria, che vivevano dei profumi dei fiori e dei colori dell'iride. Le silfidi, compagne dei silfi e più leggiadre di questi, nuotavano nella rugiada e si nascondevano nelle corolle2. Se a un lettore ignaro fosse messo sotto il naso questo pezzo, penserebbe sicuramente di trovarsi di fronte a un racconto di fantascienza in cui è descritto un chiaro ed evidente episodio di rapimento alieno; si tratta, invece, di Entretiens sur les sciences secrètes e noto anche come II conte di Gabalis, che Montfaucon de Villars pubblica a Parigi nel 1670. Se Jules Verne ha anticipato di una cinquantina d'anni molte scoperte tecnologiche, Montfaucon ha raccontato, tre secoli prima, quello che non è ancora accaduto del tutto. Riguardo al-

la strana fine dell'abate, mentre era sulla strada di Lione, si racconta di una vendetta da parte di una non ben precisata società segreta, che lo avrebbe punito per aver rivelato nei suoi scritti dei segreti per soli iniziati. È solo una congettura, ma nel Razès ipotesi e tesi spesso si confondono. Pochi chilometri sopra le colline che circondano Alet vi è la piccola chiesa di Saint Salvayre, gioiello dell'arte templare e luogo di gran fascino. Si racconta che l'edificio sia stato costruito dai Cagot su precise indicazioni dei Cavalieri templari. I Cagot, il cui nome appare nei testi verso il 1300, ma la cui comparsa è fatta risalire ai primi tempi dell'impero carolingio, sono paragonati ai lebbrosi, poiché non potevano avere contatti con le persone e a loro era riservato un ingresso a parte nelle chiese e una loro acquasantiera, sempre per evitare che vi fosse commistione con i «normali». Nel 1320, ad esempio, durante il regno di Filippo V (1316-1322), gli ebrei sono accusati di aver pagato dei Cagot per avvelenare delle fontane. Sulla loro vera origine, comunque, vi è un grande mistero e aleggiano molte leggende, tra le quali quella che li vorrebbe appartenenti a una razza aliena, oppure abitanti del mondo sotterraneo nell'area che va dalla Francia meridionale alla Spagna. Di loro si assicura che fossero privi dei lobi delle orecchie e avessero mani e piedi palmati, tutto ciò quale conseguenza della lebbra. La malattia, pur causando delle alterazioni di carne e pelle, non era ereditaria, quindi sarebbe stato impossibile avere sempre lo stesso identico tipo di menomazione. Secondo alcune fonti i Cagot erano piccoli e bruni di carnagione, mentre altre li descrivono come alti e con gli occhi azzurri, comunque sempre uguali, e questa omogeneità fisica fa davvero pensare a una razza a sé stante e diversa dagli altri uomini.

Quello che è certo è che furono abili costruttori, anche perché, secondo i pregiudizi del tempo, il legno e la pietra non potevano trasmettere la malattia, quindi quello era un mestiere che potevano svolgere senza problemi. La chiesa di Saint Salvayre forma una croce simmetrica e all'interno c'è un punto particolare in cui si sentono forti vibrazioni. Secondo alcuni ricercatori è un fenomeno fisico provocato da una grande massa d'acqua situata in profondità, che i Templari ben conoscevano. Altre interpretazioni inscrivono questo fenomeno di magnetismo nel calderone dei grandi misteri di questa regione. Ovviamente, anche in questo caso sia i Templari sia i Cagot rivestono un ruolo primario. A circa un chilometro da Saint Salvayre, in cima alla collina, vi è un menhir d'origine incerta che ha una bizzarra peculiarità: gli alberi che vi sono nelle vicinanze sono doppi, ossia il tronco è unico, ma a circa un metro d'altezza si sdoppia, dando vita a due alberi. È un fenomeno che è ascrivibile al forte magnetismo che il menhir sprigionerebbe.

1

Nicolas Pierre Henri Montfaucon de Villars, Il Conte di Gabalis, Phoenix,

Genova 1985. 2 Decio

Cinti, Dizionario mitologico, Sonzogno, Milano 1998.

Capitolo 2 Nuovi paesi, nuovi misteri

Cassaigne È stato fondato dai romani e menzionato come «Villa quae dicitur Cassamias» in un documento dell'anno 889. Diviene Cassanea nel 1377, poi Cassahas e, infine, Cassaigne. È posto a un'altitudine di 269 metri e conta cinquanta abitanti. Ha due montagne molto interessanti di fronte: il Cardou e Blanchefort, ed è al centro di una serie di storie e leggende che spesso s'intrecciano. Si parla di grandi ritrovamenti di oggetti d'oro, che ovviamente hanno messo subito in collegamento il villaggio con Rennes-le-Chàteau e i suoi tesori. Si racconta di un sotterraneo che lo collegherebbe con il vicino paese di Coustaussa e con Blanchefort, dove, secondo Louis Fédié, vi sarebbe un'importante miniera d'oro, occultata sotto i bastioni del castello. Cassaigne, ad ogni modo, è appartenuto, nelle varie epoche, agli stessi signori che hanno dominato Rennes-le-Chàteau e il Razès: Hautpoul, Blanchefort, Aniort, Voisin, Nègre d'Ables. L'antica chiesa parrocchiale è dedicata a san Martino e custodisce reperti di estrema importanza. La struttura risale al XII secolo e ha subito degli interventi durante il Rinascimento. Possiede un'antica pala d'altare che è suddivisa in tre ta-

vole: Cristo in croce al centro con, a sinistra, la Vergine e, a destra, san Martino. Quest'ultimo non presenta delle grosse particolarità, mentre Gesù e la Madonna hanno quel qualcosa in più che fa subito drizzare le antenne al visitatore che non si ferma alle apparenze. Ho scritto prima «Vergine» e «Madonna» per una sorta di comodità di termini, ma non vi è nulla che ne lasci trapelare l'identità, a parte l'immagine sofferente di una donna che indica con la mano sinistra un teschio con due ossa incrociate che stanno in basso. Potrebbe trattarsi anche di una delle donne presenti alla crocifissione, forse Maria, forse la Maddalena (anche se, generalmente, è associata sì a un teschio, ma senza tibie)... non è questo il punto essenziale, ciò che colpisce è che sembra abbia alle spalle un fantasma, o meglio, una strana ombra luminescente che ne avvolge il corpo. È un gioco di luce sul quale deve essersi impegnato molto il pittore. Ritornando ancora sul teschio, è piuttosto strano che sia messo quasi a terra, ai piedi della donna, e non su un mausoleo o in una posizione più consona alla sua importanza. Il quadro centrale ha ancora più motivi per stupire. Si vede Gesù in croce con uno strano velo di colore chiaro che gli cinge le reni e che, alle sue spalle, si trasforma in un grande mantello di un rosso scuro che si dirige verso la sua destra come mosso da un vento impetuoso; è la medesima tinta che fa da sfondo al quadro con la santa che gli è accanto, quasi come ne fosse il naturale prolungamento. In alto sulla croce la classica iscrizione INRI; classica per le versione di Rennesle-Chàteau, perché anche qui la N è al contrario e, inoltre, è riportata su due righe, in cui IN è separato da RI. Ovviamente gli scettici penseranno alla solita casualità, oppure all'ignoranza del pittore, però il celebre acronimo è riportato anche su un altro crocifisso coevo e qui nel modo esatto. Un

frontone circolare racchiude i tre dipinti con sopra raffigurato il Triangolo divino e una data: 1580. Un'ultima curiosità: vicino alla porta d'ingresso vi è una parte del muro ricoperta di graffiti e scritte di varia epoca. Una firma colpisce la nostra attenzione: Saunière! Caspita, anche qui il «re» di Rennes-le-Chàteau ha lasciato la sua impronta? Controllando meglio, però, ci si accorge che potrebbe trattarsi di un'altra persona, perché vi è una data, 1866, e l'appellativo di Monsieur e poi, senza un motivo plausibile, il numero 18. Il nostro Bérenger all'epoca, aveva appena 14 anni e quindi non gli competeva tale appellativo che, alla fine dell"800, non era un termine generico per designare qualsiasi uomo, ma un titolo riservato alle persone di un certo livello. Lo scrittore André Douzet con il quale intrattengo una piacevole corrispondenza, mi ha mostrato una foto risalente a qualche anno prima, 1999, nella quale, vicino alla data era scritto «firmin» che era un nome di uso comune nell"800 ma che qui compariva con la «f» minuscola. La parola è poi stata cancellata, staccando addirittura un pezzo di intonaco del muro. La firma, però, è molto simile a quella autentica del parroco e si nota anche un ghirigoro che potrebbe benissimo essere una B. A questo punto, nulla vieta che sia, invece, quel 1866 a essere fuori luogo, oppure può essere collegato a quell'isolato 18 e trovare una sua utilità con quei giochi legati alla numerologia, nei quali, però, non ho intenzione di entrare. Anche perché c'è un altro argomento molto intrigante che lega questo sperduto borgo di cinquanta anime all'Algeria... tramite Jules Verne. Nell'introvabile e avvincente romanzo Clodoveo Dardentor, che più di un contatto ha con il Razès, è riportata una carta geografica della regione dell'Algeria con la città di Orano; fin qui nulla di strano, perché la trama è ambientata in quelle zone. Ciò che lascia stupefatti è un to-

ponimo che compare in alto a destra sulla cartina con una freccia che indica il nord-est: Cassaigne. È la direzione in cui si trova, invece, la capitale Algeri, mentre non vi è traccia, nemmeno a cercarla con il lanternino, di una località algerina che si chiami così, né qui, né in alcun angolo di quell'immensa nazione. Perché Verne ha voluto indicare la direzione per raggiungere il piccolo borgo del Razès e quale motivo aveva di segnalarlo così esageratamente fuori dalla sua normale collocazione? Non è l'unica stranezza del volume; infatti, l'autore riporta alcune distanze tra i vari luoghi citati e, anche qui, troviamo delle assurdità così plateali da far pensare a uno scherzo. L'unico dato certo che abbiamo in nostro possesso è che Cassaigne, viste le sue peculiarità, non sia un semplice contorno al «piatto forte» di Rennes-le-Chàteau, ma nasconda tra quelle poche case un segreto che attraversa i secoli. Un ultimo consiglio prima di lasciare il paese: controllate attentamente la croce ottagonale che è presente nel vecchio cimitero, ne vale la pena.

Coustaussa Il paese, 50 abitanti come Cassaigne, a 318 metri d'altitudine su un costone roccioso di fronte a Rennes-le-Chàteau, in origine era indicato come Villa quae vocatur Constantianum e prese l'appellativo attuale nel 1781. Il nome Coustaussa (che è stato storpiato in alcuni libri in Coustassa) significa custode, guardiano, sicuramente per la sua posizione che predomina sulla vallata del Sals; il luogo è protetto da un castello dalle dimensioni impressionanti, fatto costruire da Pierre de Vilar nel 1157, semidistrutto dalle truppe di Simon de Montfort durante la guerra contro i catari, ma di cui sono

ancora visibili gli alti ruderi. La chiesa è dedicata a saint Pierre. Coustaussa è ormai indelebilmente legato alla tragica sorte che è toccata a un suo sacerdote la notte di Ognissanti (o Halloween se preferite) del 1897. Il parroco si chiamava Jean-Antoine Maurice Gélis, da tutti appellato con il solo secondo nome, Antoine, che divideva il suo incarico tra Coustaussa e Cassaigne (ancora un accostamento a questo paese enigmatico); quel giorno era appunto atteso in quest'ultima località per la celebrazione della messa mattutina, ma non vi arrivò mai, perché durante la «notte delle streghe» qualcuno lo assassinò nella sua canonica, colpendolo con innumerevoli colpi d'ascia e ricomponendo il cadavere con le mani giunte sul petto, come se fosse morto per cause naturali. Grande sconcerto e profondo dolore da parte dei parrocchiani e della gente di tutta la regione, sbalorditi dal fatto che qualcuno avesse osato colpire un uomo di chiesa e poi un tipo come Gélis, timido, riservato e lontano dai clamori che tanto amava, invece, il suo amico Saunière. In più di un libro, infatti, si è voluto sottolineare lo stretto rapporto che legava lo sfortunato parroco di Coustaussa a Bérenger Saunière e a Henri Boudet, confratelli di parrocchie vicine e detentori di un grande segreto che li vedeva complici possessori di un'immensa ricchezza. Se ancora oggi, il nome di Saunière è sinonimo di denaro, anche Gélis, a modo suo, ha lasciato un'eredità davvero inusuale per un semplice curato di campagna. Superato lo stupore iniziale per l'efferato delitto, ciò che colpì gli inquirenti che indagarono sul delitto, furono i soldi, tanti, troppi, che, miracolosamente (visto il luogo) uscirono da due casseforti, tavolini, mobili, libri, piastrelle e altri nascondigli sotterranei. Accanto alla salma furono rinvenuti più di settecento franchi, somma cospicua, che avrebbe fatto gola a qualsiasi ladro, eppure erano tutti lì, così come non

era stato fatto il minimo tentativo di forzare alcun arredo, casseforti comprese. Chi aveva ucciso Gélis non era interessato al denaro... forse perché ne aveva già tanto di suo: ed ecco che si insinua sottile ma implacabile il sospetto che a uccidere il prete sia stato un altro prete e il nome di Saunière è circolato su più di una pagina dei tanti libri che sono comparsi sull'argomento. Ovviamente sono solo semplici illazioni di scrittori contemporanei, perché, a suo tempo, gli investigatori non pensarono nemmeno lontanamente ad accusare il parroco di Rennes-le-Chàteau, ma concentrarono le indagini su ima prostituta che esercitava a Narbona, tale Angelina Ganier, in quanto, accanto al cadavere di Gélis, era stata ritrovata una cartina per sigarette di marca Tsar con su scritto a matita lo strano motto: «Viva Angélina». La donna sarebbe risultata del tutto estranea ai fatti e le indagini avrebbero preso un'altra direzione, quella familiare, con l'accusa nei confronti di un nipote di Gélis, Joseph Pagès, che si sarebbe fatto anche qualche mese di carcere prima che venisse riconosciuta la sua completa innocenza. Si è parlato anche di un assassino proveniente da lontano, addirittura dalla Corsica ed è stato rimarcato il fatto che, già dal 1881, ossia sedici anni prima, il parroco fosse stato vittima di oscure minacce a opera di altrettanto oscuri personaggi. Parole, supposizioni, indagini a vuoto: ciò che conta è che l'assassino di Antoine Gélis non è mai stato catturato. La tomba del parroco nel vecchio cimitero di Coustaussa è stata recentemente ristrutturata, anche se io personalmente preferivo quella originale, con i segni del tempo e con uno strano simbolo in alto, lo stesso che è presente su tutte le stazioni della Via Crucis di Rennes-le-Chàteau e sulla tomba di un altro sacerdote italiano molto importante di cui tratterò più avanti: una rosa con al centro la croce.

Rennes-les-Bains

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Se Rennes-le-Chàteau è il paese di Bérenger Saunière, questa Rennes della vallata è legata indissolubilmente all'altro parroco della triade vista prima, Henri Boudet, che ne reggerà la parrocchia per quarantadue anni, dal 1872 al 1914. Nel 1880 termina di scrivere un libro assurdo dalle premesse ambiziose, nel quale ha raccolto i frutti delle sue ricerche linguistiche e territoriali, da cui il lungo titolo: La vraie langue celtique et le Cromleck de Rennes-les-Bains, edito sei anni dopo da un editore ... che non esisteva più. Questa è solo la prima delle stranezze di questo volume di 310 pagine, costellato di dati, numeri e informazioni sull'area di Rennes-les-Bains e i suoi dintorni. Boudet in questo libro formula perfino la teoria che l'inglese moderno sia l'idioma base di molte lingue come l'ebraico, il bretone, il basco, nonché i vari dialetti usati dai celti! Anche l'impaginazione ha del bizzarro, con un inizio a pagina 2 in numeri arabi, che prosegue poi alla II in cifre romane, saltando la IV e, dopo la V, si riprende con la pagina «2 a» e poi ancora 2; insomma un rompicapo degno di una mente folle, cosa che Boudet assolutamente non era. È probabile che tutta questa accozzaglia di dati volutamente errati fosse un mezzo per far circolare un messaggio criptico e comprensibile solo agli iniziati. Anche la sua tomba nel paese di Axat è un piccolo rompicapo; in fondo a destra, si trova un piccolo libro di pietra su cui è incisa la scritta I.X.O.I.E., la quale invertita (lo specchio serve sempre) diventa 310X1, che ha un senso ben specifico se lo rapportiamo al libro di Boudet, il quale ha 310 pagine, di cui l'undicesima è particolarmente intrigante nei suoi strambi contenuti. Bellissima e tremendamente calzante anche l'altra iscrizione, Ecc-1-11, che rimanda all'Ecclesiaste, quarto libro poetico

della Bibbia: «Non resta più ricordo degli antichi, ma neppure di coloro che saranno si conserverà memoria presso coloro che verranno in seguito». Per tornare al presente e con i piedi per terra, ricordiamo che Rennes-les-Bains ha una popolazione stanziale di 162 abitanti, ma durante la stagione estiva conta un discreto numero di turisti, termali e non solo. Infatti, come si evince dal nome, è un paese legato alle terme e vi è la presenza di cinque sorgenti di acqua calda e cinque di acqua fredda. Le calde sono: 1) Les Bains forts (47°); 2) La source Marie (39°); 3) Les Bains de la Reine (40°); 4) Les Bains doux (37°); 5) La source Gieule (38°). Quelle fredde hanno nomi più evocativi: 1) La source de la Madeleine; 2) La fontaine des amours (si parla di incontri amorosi tra Saunière e la Calvé in questo sito); 3) La source de Pontet; 4) La source du Cercle; 5) La source du Diable. Queste ultime due (Cerchio e Diavolo), sono adiacenti a una roccia molto particolare che ha la forma di una comoda poltrona, perfettamente squadrata, come se fosse opera di un mobiliere. È nota come la Poltrona del diavolo ed è sita poco fuori dell'abitato di Rennes-les-Bains, in mezzo ai boschi. Sempre nei dintorni sono presenti alcune formazioni rocciose molto interessanti e sulle quali il parroco Boudet si è soffermato a lungo nel suo libro La vraie langue celtique et le Cromleck

de Rennes-les-Bains, di cui tratterò nei capitoli seguenti. Si tratta delle Roches tremblantes, alti spuntoni di roccia che, quando soffia forte il vento, sembrano tremare e che attiravano anche Bérenger Saunière fotografato proprio lì davanti da Boudet. Vi è poi il Cap de l'homme, in cui fu scoperta dallo stesso parroco di Rennes-les-Bains una testa umana in pietra sulla cui nuca era inciso il famoso quadrato palindromico del Sator. La scultura è stata asportata dal menhir su cui era collocata e, nel 1884, infissa sul muro estemo della canonica del paese, sul lato annesso al cimitero. Ho avuto modo di vederla più volte, poi è scomparsa durante la terribile alluvione del 26 settembre 1992, quando il torrente Sals ha scatenato l'inferno in tutta la ' vallata, alzandosi di 7 metri dal suo alveo naturale. Le prime notizie su questo luogo risalgono al 1162 quando è menzionato come Ecclesia Sancti Nazarii de Arquis, nel 1347 diviene Rector de balneis montisferrandis, poi Regnes les Bains nel 1406, fino a Les Bains de Montferrand del 1632, che rimarrà in uso fino alla prima metà del XIX secolo, quando diviene Rennes-les-Bains. La chiesa parrocchiale è dedicata ai santi Celso e Nazario (come la cattedrale di Carcassonne) e ha due dipinti che provengono dalla basilica di Notre Dame de Marceille, alla quale dedicherò un intero capitolo. Uno dei due quadri è una sorta di imitazione di un Van Dick ed è stato realizzato nel 1835 da J.B.B. Rouch di Limoux; è un compianto del Cristo morto, in cui ciò che è interessante rimarcare è un gioco pittorico che fa apparire una testa di lepre su un ginocchio del Cristo. Questo particolare della testa è associato ai re merovingi e compare anche su una roccia immersa nei boschi della zona, ma è un'immagine particolare, quasi evanescente: l'ho notata solo sviluppando la fotografia che vi avevo scattato. È successo in una giornata di pieno sole, quando, dopo essermi recato sul posto su precisa indica-

zione dell'amico Jean Blum, in compagnia di tre persone, tra cui la carissima amica Tatiana Kletzky Pradère, non sono riuscito a vedere - e neanche chi era con me - nulla di quanto cercavo. Sulla fiducia, vista la serietà di Blum nel fornire indicazioni, abbiamo scattato una serie di fotografie che, con nostra sorpresa, hanno rivelato la presenza di questa lepre incisa sulla roccia assolutamente non visibile a occhio nudo. Adiacente alla chiesa c'è il cimitero che riserva altrettante sorprese. Poco dopo l'entrata, sulla destra, vi è la tomba della madre e della sorella del parroco Henri Boudet. È sormontata da una croce con le braccia che terminano a punta di freccia e che, viste le manie di questo sacerdote per la cartografia, potrebbero rappresentare qualcosa di ben più importante di un mero fatto estetico. Poco oltre vi è la prova tangibile di quanto affermato dall'agente 007: «Si vive solo due volte»; infatti, troviamo la prima lapide del conte Paul Urbain de Fleury, parente stretto di Marie de Negri d'Hautpoul de Blanchefort. C I GIT PAUL URBAIN DE FLEURY NÉ LE 3 MAI 1 7 7 6 C I GIT PAUL URBAIN DE FLEURY DÉCÉDÉ LE 7 AOÛT 1 8 3 6

Pochi metri dopo, a destra, c'è un'altra lapide che ha inciso quanto segue: IL EST PASSÉ EN FAISANT LE BIEN RESTES TRANSFÉRÉS D E PAUL URBAIN COMTE DE FLEURY DÉCÉDÉ LE 7 AOUT 1 8 5 6 A L'ÂGE DE 6 0 ANS

L'unico punto fermo è la data del 7 agosto, poi tutto il resto va a interpretazione, perché è evidente che ci troviamo di

fronte a un rompicapo numerico. Il gentiluomo è morto nel 1836 o nel '56? E se teniamo per buona quest'ultima data, non poteva essere nato nel 1776 ma nel 1796. Usando il celebre motto «tra i due litiganti il terzo gode», è un'altra la data che dobbiamo considerare, perché Paul Urbain de Fleury è nato, in realtà, nel 1778. Sul perché di tutta questa messinscena si sono sbizzarriti diversi autori con calcoli, diagrammi e quant'altro per cercare di dare un senso logico a questa illogicità. C'è ancora una tomba da esaminare (qui nel Razès si hanno più informazioni dai morti che dai vivi) ed è quella di un parroco, il predecessore di Henri Boudet: LEI REPOSE JEAN V I É N É EN 1 8 0 8 N O M M É C U R É EN 1 8 4 0 M O R T LE 1ER 7BRE 1 8 7 2 PRIEZ POUR LUI.

Lo spazio sulla stele non mancava e quindi si poteva tranquillamente scrivere «septembre» per esteso, senza usare l'abbreviazione del 7. Perché tutto ciò? Per mettere nella giusta evidenza un altro numero, il 17, che unito al nominativo dà: 17 Jean Vié, ossia la stessa pronuncia di una data molto conosciuta in questo enigma, il 17 gennaio. Piccola annotazione: come per Fleury, c'è una data che non quadra, infatti, il prete non è morto il primo settembre!

Serres

s

Praepositus de serris nel 1283; Prépositura de serris nel 1347; Serres oggi. È un piccolo villaggio dal nome palin-

dromico con 55 abitanti e 271 metri d'altitudine, situato proprio sotto il monte Cardou, lungo la strada che da Couiza conduce ad Arques, vicinissimo al sito dove si trovava la tomba di Poussin, ossia il manufatto identico a quello riprodotto nel celebre dipinto I pastori d'Arcadia e di cui si tratterà in modo più specifico nel capitolo seguente. Ha una piccola chiesa che nasconde grandi misteri. E di stile vagamente Romanico, è dedicata a saint Pierre e compare per la prima volta in un documento del 1283. Gli aspetti intriganti e misteriosi sono presenti sia all'interno sia all'esterno dell'edificio. Partendo da fuori, ciò che colpisce è una grande porta murata sul lato nord della struttura e su cui troviamo una croce patente, simbolo dei Templari. È una strana croce che ha un prolungamento nella parte verticale, quasi una specie di manico, e un arco che unisce i due bracci orizzontali. Il varco murato è conosciuto come Porta dei morti, perché da qui si passava per andare nell'antico cimitero attiguo. All'interno si notano, tra le altre, le statue di sant'Antonio da Padova e santa Roselina di Villeneuve, due santi che ci ricordano molto da vicino Rennesle-Chàteau (Antonio è presente anche in quella chiesa e Roselina ha un'iconografia e una biografia che sono del tutto similari a quelle di santa Germana di Pibrac). Soprattutto, vi sono delle pitture murali molto interessanti, tra cui quattro personaggi di origine sconosciuta e che hanno una vistosa aureola. Due sono dipinti sul lato nord della chiesa, proprio dove c'è la porta murata; sono di colore scuro e tengono in mano, ciascuno, un libro chiuso. Su un altro muro compaiono altri due «santi» dal colorito più chiaro; uno ha la barba rossa e tra le mani ha una strana ruota dentata e un altro libro, sempre chiuso. Vista la netta opposizione cromatica, si potrebbe pensare ad una sorta di contrapposizio-

ne che ha come unico punto di contatto le pagine di un libro che non si può leggere. Ciò che riserva le maggiori sorprese è, però, la volta dove si vedono due croci di colore rossastro affiancate, sembra anzi che il braccio orizzontale di una prosegua nell'altra. Solo una, quella di sinistra, riporta in alto il titulus crucis INRI (la N è scritta in modo normale...), mentre nell'altra vi è un'analoga cornice ma vuota. Tutto ciò ha dato adito a svariate supposizioni, come quella che indicherebbe la morte di Gesù e di suo fratello Giacomo, oppure la rappresentazione iconografica della doppia natura del Figlio di Dio, umana e divina, o ancora, Gesù e il suo doppio. Quello che è certo, è che ' non esistono in zona (e forse anche da altre parti), croci dipinte in questo modo; un esempio - ci informa il ricercatore francese André Douzet che ritroveremo anche in seguito - è presente in un disegno fatto non da un pittore ma da un musicista: Erik Satie (1866-1925), noto per l'eccentricità dei titoli delle sue partiture (Psit Psit, Véritables préludes flasques pour un chien, Trois morceaux en forme de poire ecc.) e per l'amicizia che lo legava a Jean Cocteau e Claude Debussy, due personaggi che, a vario titolo, sono entrati nell'affaire di Rennes-leChàteau. Se poi ci aggiungiamo che Satie fu tra i principali aderenti alla Rosa Croce di Josephin Péladan e che quest'ultimo era intimo amico di Emma Calvé, ecco che il cerchio si chiude e si aprono molti altri spiragli.

' Claude Boumendil, Le secret de l'abbé Gélis, Bélisane, Cazilhac 1996.

Capitolo 3 Il club dei tre Nicolas

1

Tre sono i Nicolas che, per vari motivi, incrociano le loro esistenze lungo la strada che porta a Rennes-le-Chàteau. Tre grandi personaggi, tutti francesi: un ministro delle finanze, un vescovo e un pittore. Sembrano, per le loro peculiarità, agli antipodi, però si ritrovano coinvolti nel grande enigma, dove ognuno di loro svolge un ruolo specifico. Tutti e tre, vedremo, sono parte integrante di una misteriosa società segreta religiosa, la Compagnia del Santo Sacramento, che, a più riprese, interverrà per modificare gli eventi. La Compagnia era molto ramificata e, ad esempio, riuscì a bloccare per cinque anni, dal 1664 al 1669, la rappresentazione della commedia Tartufo di Molière perché ritenuta impertinente e blasfema. Il fatto di averla, finalmente, portata in scena sarà motivo di vanto per il Re Sole e uno smacco alla religiosità (forse sarebbe più indicato il termine bigottismo...) esasperata ed esasperante della regina madre, Anna d'Austria, vera protettrice della società segreta cattolica volgarmente nota come «cabala dei devoti». Per la Compagnia del Santo Sacramento, ad ogni modo, prendere atto che la commedia proibita potesse andare in scena nei teatri di tutta la Francia, significò solo una piccola sconfitta, una semplice goccia d'acqua persa nell'oceano del loro potere. Seguendo il sottile filo

che collega questi tre uomini del '600, ci rendiamo conto che qualcosa d'enorme si muoveva dietro di loro e che quello che poteva apparire come una semplice casualità era parte di un gioco molto grande, orchestrato da uomini che, nemmeno da bambini, hanno mai giocato. Seguendo semplicemente l'alfabeto, i tre «Nicolas» si elencano come: Fouquet, Pavillon, Poussin, ma è davvero difficile stabilire quale debba essere il primo e quale l'ultimo.

Il pittore dei misteri Stravolgendo l'ordine (non dimentichiamo che siamo sempre in uno specchio...), inizierò proprio da Poussin, perché c'è un legame sottile, fragile, ma, allo stesso tempo, indistruttibile che lo lega a un altro Nicolas: un foglio di carta. Su questa carta è stata scritta una strana lettera che, se non si conoscessero mittente e destinatario, potrebbe far pensare all'opera di un mitomane in cerca di pubblicità. La missiva è spedita da un abate, Louis Fouquet, al fratello, Sovrintendente alle Finanze di re Luigi XIV. Rome, 17 avril 1656 Vous ne sauriez croire, Monsieur, ny les peines qu'il prende pour vostre service, ny l'affection avec la quelle il les prend, ny le morite et la probità qu'il apporte en toutes choses. J'ai rendu a mr. Poussin la lettre que vousluy faites l'honneur de luy escrire; il en a témoigné toute la joie inimaginanble... luy et moy nous avons projette des certaines choses dont je pourray vous entretenir a fond dans peu, qui vous donneront par mr. Poussin des avantages (si vous ne les voulez pas mesprisez) ques les roys auraient grande peine a tirer de luy, et qu'après

luy peut estre personne au monde ne recouvrera jamais dans les siecles advenir; et ce qui plus est, cela serait sans beacoup de dépenses et pourrait mesme tourner a profit, et ce sont choses si fort a rechercher que quoy que ce soit sur la terre maintennant ne peut avoir meilleur fortune ni peut estre esgalle.1 (Roma, 17 aprile 1656 Non potreste credere, Signore, né le fatiche che si sobbarca per il vostro servizio, né l'affetto con cui lo fa, né il merito e la probità che mette in ogni cosa. Ho reso al signor Poussin la lettera che voi gli avete fatto l'onore di scrivergli... lui e io abbiamo progettato certe cose delle quali potrei intrattenervi a fondo tra poco e che vi doneranno, tramite il signor Poussin, dei vantaggi (se voi non vorrete disprezzarli) che i re farebbero grande fatica a ottenere da lui e che, dopo di lui, nessuno al mondo scoprirà mai più nei secoli futuri; e quello che più conta, ciò sarebbe senza molte spese e potrebbe perfino tornare a profitto, e si tratta di cose da ricercare così fortemente che nulla di quanto esiste sulla terra potrà avere miglior fortuna o esservi uguale.) La lettera è stata ritrovata negli archivi della famiglia Cossé-Brissac e resa pubblica, la prima volta, da Anatole de Montaiglon nel 1862. Il rapporto con la famiglia Fouquet non nasce con la missiva, ma quella può essere la conseguenza di una serie d'incontri avvenuti tra il 1639 e il 1655, anni in cui Poussin realizza per loro una serie di dipinti e sculture. La prima data si riferisce alla consegna a Nicolas del dipinto La caduta

della

manna, mentre verso il 1650 dipinge, per la moglie di quest'ultimo, una delle sedici opere denominate Sacra

famiglia.

Nel 1655 l'abate Louis gli commissiona per il fratello alcuni

modelli di erme e vasi per il parco del castello di Vaux-le-Vicomte. Dopo la caduta di Fouquet, tutto questo sarà requisito da Luigi XIV e portato a Versailles. Il Re Sole, pare avesse una vera predilezione per le opere di Nicolas Poussin, soprattutto quando non gli costavano nulla. Per meglio comprendere il legame tra il pittore e gli altri membri del «club», è necessaria qualche nota biografica. Nicolas Poussin nasce nel giugno del 1594 a Villers, un sobborgo di Les Andelys, in Normandia, da una famiglia di buone condizioni economiche (il padre era notaio) che gli consente di frequentare una scuola di gesuiti dove imparerà il latino e molte altre nozioni. A differenza della maggior parte dei pittori del suo tempo, che si avviavano precocemente ai pennelli, lui passò prima attraverso le lettere, per mettere poi sulla tela il frutto delle sue letture. Lasciata Andelys, si dirige a Rouen e poi tenta il salto a Parigi. Nella capitale francese Poussin ha modo di arricchire la sua conoscenza del mondo classico e dell'arte italiana. Si interesserà dei miti di Virgilio, di Omero e dell'Arcadia, argomento che, vedremo, assumerà un'importanza fondamentale nella nostra ricerca. Dopo una serie di vicissitudini e di incontri molto importanti con esponenti della cultura (Giambattista Marino) e delle alte gerarchie dell'ordine dei gesuiti, il pittore si trasferisce a Roma che diverrà la sua vera patria. Il primo accenno alla sua vita romana lo dobbiamo all'incaricato del censimento delle anime della parrocchia di san Lorenzo in Lucina, il quale, nei giorni antecedenti la Pasqua del 1624, annota sul suo registro il nome storpiato di Nicolò Pusin, abitante nel quartiere di Piazza di Spagna, al tempo zona piuttosto modesta e alla portata delle tasche di pittori e artisti di dubbia fama e consistenti appetiti (non solo spirituali). E sarà proprio a Roma che il pittore morirà il 19 novembre

1665. Del triste avvenimento ci rimane una litografia fatta nel 1834 da Delaunois, in cui si vede il pittore attorniato da amici e assistenti; sopra il letto di morte è chiaramente visibile un dipinto: I pastori d'Arcadia. E sarà sempre lo stesso quadro che sormonterà la tomba di Poussin nella chiesa del suo censimento, san Lorenzo in Lucina, questa volta, però, come un'immagine speculare. Si vede che l pastori d'Arcadia si prestava particolarmente bene per essere rovesciato, infatti, l'artista Bernard Picat, verso la fine del XVII secolo, realizzerà un'incisione in cui tutto il quadro è messo al contrario, forse perché è attraverso uno specchio che si vede la migliore prospettiva. Questo è il contatto che fa entrare prepotentemente Poussin nella vicenda legata ai misteri di Rennes-le-Chateau e gli conferirà un ruolo di vero protagonista. In realtà, i quadri che hanno questa denominazione sono due: il primo risale alla fine degli anni '20 del '600 e rappresenta due pastori insieme con una donna dalle vesti succinte (la femmina mostra la coscia destra proprio come il san Rocco nella chiesa di Rennes-le-Chateau) che contemplano una tomba antica, sormontata da un teschio e su cui compare l'iscrizione ET IN ARCADIA EGO. In basso, a destra, vi è Alfeo, il signore delle acque con l'immancabile anfora da cui sgorga copiosamente il liquido. Volge le spalle all'ipotetico spettatore e tiene questa posa per non far vedere il suo viso; alcuni critici hanno visto in questo particolare un chiaro messaggio esoterico che Poussin ha voluto evidenziare, tenendo presente l'importanza che assume in questo contesto l'acqua che scorre sottoterra, quale simbolo inequivocabile di una conoscenza perduta e che riaffiora solo per «dissetare» gli iniziati. C'è un altro particolare che sfugge a un'occhiata superficiale: dietro la tomba vi è una croce. È incisa sulla parete roc-

ciosa, quasi un muro verticale di colore marrone che fa da sfondo alla scena. Basta osservare con una certa attenzione e se ne vedono i contorni, anzi la base sembra poggiare proprio sulla tomba, dietro il punto esatto in cui il pastore indica la lettera «D» della celeberrima frase. Questo particolare della croce diventa palese in un'incisione del XIX secolo fatta da E. Lingée, in cui l'artista ha praticamente ricopiato il dipinto (vi sono solo alcune diversità nelle nuvole e nei tratti del viso della donna), mettendo in risalto la grande croce sullo sfondo. Nella seconda versione (datata 1639), quella che ha i maggiori punti di contatto con le nostre ricerche (e quella presente sulla tomba dell'artista), l'ambientazione è del tutto differente: i pastori diventano tre, non c'è più la donna né Alfeo e il suo posto è assunto da una figura femminile che ha le parvenze di una dea. Anche il teschio è scomparso dalla tomba che è più grande e squadrata; l'incisione c'è ancora ed è forse l'unico punto in comune tra le due tele, la misteriosa frase E T IN ARCADIA EGO. Il pastore questa volta ha cambiato lettera e la sua attenzione si concentra non più sulla D ma sulla R. Tutto ciò non è casuale ed è un preciso segnale che Poussin lancia a chi lo sa interpretare. A riguardo, a livello cabalistico, la D è legata alla delta greca e alla dalet ebraica; quest'ultima era strettamente connessa al pianeta Giove e al numero 4. La studiosa Paola Santucci, nel suo libro Tradizione ermetica e classicismo gesuita2, afferma quanto segue: Nel dipinto di Poussin, Apollo, cioè il Sole, simboleggia l'anima del mondo; Giove, cioè il cielo, il suo spiritus e le ninfe, cioè la terra, il suo corpo, analogie che si ritrovano anche in Campanella. Ma a questo punto va ricordato che anche Ermete Tri-

smegisto nell'Asclepius aveva affermato che il reggitore del cielo è Giove e, tramite il cielo, egli dispensava la vita a tutti gli esseri. Giove, affermava il filosofo egiziano, è dio dell'aria o spiritus mundi e occupa un luogo intermedio tra terra e cielo. Il fatto di indicare una lettera specifica indica la differenza tra le interpretazioni di Poussin e quelle di Guercino. L'artista francese muta la sua prospettiva e, quindi, il campo di ricerca, con la seconda tela, quella del 1639, in cui il dito del pastore si sposta sulla

R

di

E T IN ARCADIA EGO.

Questa lettera

corrisponde a Saturno e simboleggia la testa dell'uomo, forse il «caput mortuum» o l'intrigante «testa barbuta» venerata dai Templari? Uno studio di Franco Baldini chiarisce molti di questi dubbi semiotici. A uno sguardo superficiale sembrerebbe dunque che la sostituzione implichi la perdita di un'informazione a vantaggio di un'altra, ma se si considerano le cose più attentamente, ci si rende conto che non è per niente così: il riferimento all'aria non sparisce affatto ma rimane pienamente evocato dalla erre, l'aere. Non si può non rimanere incantati dal genio enigmistico di Poussin: sostituendo la R alla D riesce a darci, addirittura, e in modo estremamente elegante, un supplemento di informazione rispetto a quanto era contenuto nel quadro precedente. Il quadro esprime dunque soltanto una retrodatazione della tradizione arcadica, e formula un differente giudizio quanto alla sua origine. Conformemente a ciò, la frase «Et in Arcadia ego» cambia ancora quanto all'enunciatore e al suo senso: è ora Iside stessa a pronunciarla, esprimendovi il fatto che la tradizione che la concerne è stata importata in Arcadia dall'Egitto. Io, Iside, sono venuta anche in Arcadia.3

Il mistero nel mistero continua. In questa seconda versione di I pastori d'Arcadia, Poussin ha messo l'accento anche sul paesaggio che fa da sfondo e che è più marcato e ricorda molto una zona che è vicina a Rennesle-Chàteau, anzi, secondo alcuni ricercatori, una delle cime montane che si intravedono sulla destra è proprio il celeberrimo villaggio. Anche la tomba ne faceva parte; era collocata su un poggio roccioso lungo la strada che conduce ad Arques, nel territorio del comune di Peyrolles ed è stata lì fino al 1988, quando il proprietario del terreno, stanco di trovarvi turisti e curiosi che la volevano vedere da vicino, ha pensato bene di demolirla. È stato scritto che questa fosse la tomba di famiglia di un ingegnere americano dai modi bizzarri (era solito lanciare urla lancinanti durante la giornata o di notte), Louis Bertram Lawrence, e che si poteva datare intorno al 1921, con l'impossibilità, quindi, per Poussin di ritrarla. E interessante, ed estremamente importante, ribaltare quest'asserzione, riportando gli estratti di una lettera datata 1789 nella quale il parroco di Rennes-le-Chàteau, Antoine Bigou, domandava al suo vescovo l'autorizzazione di mettere al riparo una lastra di pietra asportata da una tomba situata a Les Pontils, vicino ad Arques4. Se, nel 1789, in quel luogo specifico già esisteva una tomba, vi è la possibilità che vi fosse anche precedentemente e, soprattutto, ribalta la tesi che voleva quel luogo privo di qualsivoglia manufatto prima dell'inizio del '900. Osservando attentamente i due dipinti, si scopre un altro aspetto comune: il pastore che indica la tomba è lo stesso. Si riconosce benissimo, anche se ha cambiato il colore della veste e la forma del bastone. Nella prima versione aveva anche una corona fiorita in capo che nella seconda sparisce, ma ciò può essere motivato dalle mode del tempo. In fondo sono passati dieci anni!

Si vede che questa tematica era molto cara a Poussin, che già l'aveva accennata in una tela del 1630, La peste di Azoth (oggi è al Louvre), dipinto che interpreta un passo tratto dal primo libro di Samuele (5,1-6), in cui i filistei hanno rubato l'Arca dell'Alleanza agli ebrei, deponendola nel tempio di Dagon. La statua del dio crolla insieme al suo popolo, che è colpito dalla peste. È un dipinto molto importante, considerato da diversi critici come il primo quadro della pittura moderna. È un tema di attualità, in quanto l'anno prima, il 1629, la peste ha stravolto Milano (Manzoni insegna...) e, sempre nello stesso periodo, Poussin è uscito da una grave malattia. I toni del dipinto rappresentano: paura, terrore, sofferenze e disperazione. Ciò che interessa il nostro studio è concentrato in basso a sinistra, dove si vede un uomo che, nonostante l'inferno che ha intorno, è attratto da una scena scolpita sul basamento del tempio dove è appoggiata l'Arca. Qui si vedono tre uomini e una donna (è una costante) che osservano una strana creatura umana, con barba e lunghi capelli, che esce dall'acqua. In mezzo, forse l'argomento principale, un pilastro (riferimento a quello in cui Saunière scoprirà le pergamene?). Uno dei protagonisti assume la stessa posizione (solo con la schiena un poco più dritta, se proprio vogliamo cercare il pelo nell'uovo prima che lo faccia qualche critico, e non solo dell'arte...) che troveremo nella seconda versione del già citato I pastori d'Arcadia, che il pittore realizzerà dieci anni dopo. È un chiaro messaggio che Poussin ci lancia e che potrebbe interpretarsi come qualcosa di enorme importanza, più importante della sopravvivenza stessa. Anche il fatto che vi siano presenti tre uomini e una donna, non sembra del tutto casuale. Così come è piuttosto originale il fatto che, sempre tre uomini e una donna siano i protagonisti dello stranissimo racconto di Montfaucon de Villars, personaggio che

abbiamo già incontrato a proposito di Alet-les-Bains e che, guarda caso, anche lui di nome faceva Nicolas! Il tema dell'Arcadia è una di quelle mode artistico letterarie che lasceranno un segno profondo nella cultura europea tra il '500 e l'inizio del '700. Lo spunto iniziale lo dà Jacopo Sannazaro con il romanzo pastorale Arcadia, scritto tra il 1480 e il 1485, cui contribuirà l'accademia letteraria dell'Arcadia, fondata a Roma nel 1690. È Virgilio, però, l'ispiratore del mito arcadico quale luogo di soavità perenne con le Bucoliche e le Georgiche, che serviranno all'autore mantovano per introdurre il tema di Enea e in cui il poeta idealizza un luogo che non conosceva e che tenterà di visitare in un suo viaggio, peraltro piuttosto sfortunato, compiuto in Grecia nel 19 a.C., anno della sua morte. A livello pittorico è Giovanni Francesco Barbieri, più noto come Guercino a realizzare il primo dipinto, nel 1618, sul tema della morte arcadica; si vedono due pastori che, usciti da un bosco, si imbattono in una tomba su cui compare un teschio e la frase enigmatica E T IN ARCADIA EGO. «Andiam dunque in Arcadia, ove i pastori intreccian con le ninfe lieti cori: ignoran gelosia, tormento, inganno e godon dell'amor senza l'affanno», così William Congreve (autore del celebre aforisma «So che è un segreto perché lo sento sussurrare dappertutto») nel 1743 descriveva la regione mitica al centro del Peloponneso per l'opera Semele, musicata da Händel. È da imputarsi a Virgilio la nascita di un interesse e un genere letterario; con le sue Egloghe, infatti, vi trasferisce il paesaggio degli Idilli di Teocrito (in realtà, ambientati in Sicilia). Qui il poeta di Mantova descrive un paesaggio paradisiaco con prati fioriti, dolci vallate e boschi pulsanti di una vita spensierata. Polibio che, invece, era nato proprio al centro dell'Arcadia, ci lascia una descrizione

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della sua terra molto differente, popolata sì di pastori, ma che ben poco avevano da spartire con la signorilità e l'eleganza del quadro di Poussin. Erano poverissimi, sottoposti a un clima rigido e alla perenne ricerca di un po' di cibo per loro e per le capre. Anche Ovidio nei Fasti ci parla degli arcadi paragonandoli a selvaggi senza il benché minimo gusto per tutto ciò che è artistico. È a partire dal XV secolo e per opera, come si è visto, di Jacopo Sannazzaro, se questa regione arretrata dell'entroterra greco assurge a modello del sentimento, dell'amore puro e patria di tutte le utopie, prima fra tutte quella della felicità terrena. Poeti e accademie saranno ispirati da questo luogo ideale che, per mancanza di un riscontro, vista l'epoca e la difficoltà a viaggiare in questi luoghi, rimarrà pervaso da un'aura di magia per tutto il '600, epoca in cui Guercino prima e Poussin dopo, ne immortaleranno la magia in una scritta, E T IN ARCADIA EGO, e in una tomba altrettanto misteriosa che lascerebbe quale ultima indicazione il fatto che anche la morte è presente in Arcadia e che, nonostante lo stupore dei pastori, non ci si può sottrarre. Ma il coinvolgimento di Poussin nei misteri del Razès non si limita soltanto a questo aspetto; ci lascia, infatti, due precise indicazioni che rimandano al monte Bugarach, simbolo di pietra della regione, soprannominato «Sinai Nero» per la sua mole e per i molti segreti che custodisce. Il primo tassello lo troviamo nel dipinto La nascita di Bacco, realizzato nel 1657, in cui sullo sfondo, a destra, è presente la sagoma di una montagna che ricorda molto il Bugarach. I dubbi vengono, però, fugati in un altro quadro che, pur essendo stato dipinto trent'anni prima (1626 - 27), rappresenta un passaggio successivo, cioè Bacco nutrito dalle ninfe (conosciuto anche come L'infanzia di Bacco) acquistato da

Luigi XIV intorno al 1683. Alla scena di vita campestre, in cui una serie di creature silvane sono impegnate a nutrire il piccolo dio, fa da sfondo, a destra, un monte che è proprio il Bugarach. Questa volta il pittore si è soffermato su una serie di particolari che ricordano in più punti la sagoma della cima più elevata delle Corbières. Nicolas Poussin era un uomo dalla grande erudizione e dalle frequentazioni particolari. Abbiamo avuto modo di soffermarci su Louis Fouquet e la celeberrima lettera al fratello Nicolas, ma i rapporti più stretti li aveva con altri tre uomini di chiesa, gesuiti per la precisione: Girolamo Aleandro, Lorenzo Pignoria e Athanasius Kircher. Quest'ultimo personaggio è sicuramente quello che ha avuto la maggiore influenza sul pensiero esoterico del pittore. A riguardo, riporto un passo tratto dal già citato testo di Paola Santucci: Costoro si erano resi divulgatori di quella particolare tradizione, già accolta e tramandata da Marsilio Ficino e dai dotti umanisti della fine del '400, che faceva capo allo studio degli Hermética, cioè di quei testi attribuiti al mitico filosofo egiziano Ermete Trismegisto e che venivano considerati espressione della prisca teologia, di una concezione divina più antica dello stesso Mosè. Poussin dunque aderì alla teosofia ermetica e di questa egli colse soprattutto l'aspetto relativo all'identità di tutti gli dei in un'unica divinità. Era la stessa tesi propugnata dai gesuiti contemporanei per i quali la diffusione del sincretismo in chiave cristiana fu compito primario, poiché il momento storico richiedeva uno strumento valido per l'evangelizzazione dei popoli extra europei. Fu forse su questa base di affinità ideologica e intellettuale che Poussin strinse i suoi rapporti con i rappresentanti della Società.

Poussin ce l'aveva scritto anche nel suo stemma che era un uomo che sapeva conservare i segreti: «Tenet Confidentiam», un motto che è tutto un programma.

Il finanziere sognatore

k

Nicolas Fouquet apparteneva a una famiglia originaria di Angers, nella regione angioina, che, come direbbe Verga, era nobile di «roba», infatti, i suoi avi avevano fatto fortuna con il commercio di lana e seta, convertendosi poi alla professione legale, e raggiungendo cariche di prim'ordine nei Parlamenti dell'Ancien Regime. Non erano propriamente nobili, però, possedevano un blasone raffigurante uno strano scoiattolo di colore rosso (in dialetto angioino Fouquet significa, appunto, scoiattolo) su cui spiccava il motto, con tanto di punto interrogativo, «Quo non ascendet?». Il primo a fregiarsene è Christophe (1562 - 1628), indicato come Signore di La Harenchère et Challain e presidente del Parlamento di Bretagna. François, il padre del futuro Sovrintendente alle Finanze di Luigi XIV, era consigliere al Parlamento di Parigi e aveva incrementato le risorse di famiglia investendo nelle colonie francesi in Nord America; la madre, Marie de Maupéou, era una donna molto religiosa, dedita alla carità e alla cura dei poveri e aveva rapporti di stretta collaborazione con colui che sarebbe divenuto santo con il nome di Vincenzo de' Paoli. Del resto, tutta la famiglia poteva definirsi come un tipico frutto della Controriforma, imbevuta di dogmi religiosi; dei dodici figli avuti, tutte le femmine diverranno suore e due maschi saranno vescovi. Lo stesso Nicolas studiò presso i gesuiti al collegio di Clermont e nel 1631 ricevette la tonsura, ottenendo alcuni benefici ecclesia-

stici. Nonostante tutto questo, però, due anni dopo Richelieu rifiutò la sua domanda per un posto di consigliere al Parlamento di Metz, perché già il fratello maggiore, François, deteneva una carica uguale, quindi l'astuto prelato non voleva trovarsi invischiato in problemi di palese nepotismo. Non mancarono, comunque, altri incarichi di prestigio, fino a quando, nel 1644, Nicolas Fouquet venne nominato intendente di giustizia, polizia e finanze a Grenoble. In questo periodo, Nicolas commette il primo dei tanti errori che caratterizzeranno la sua vita pubblica: abbandona il posto senza autorizzazione per assistere alla celebrazione dell'intronizzazione del fratello François quale vescovo di Agde. (Riguardo questa località della regione dell'Hérault, fondata dai focei nel V secolo a.C. con il nome di Agathé, in onore della dea Cibele, si segnala la presenza di una statua di terracotta ritrovata nel 1523 riproducente una Madonna Nera taumaturgica.) Purtroppo, durante l'assenza di Fouquet scoppia nella città del Delfinato una grave rivolta contro le pesanti tasse. Sospeso da Mazarino, sarà da lui stesso reintegrato due anni dopo e avrà modo di distinguersi agli occhi del potentissimo cardinale e della regina durante il periodo della Fronda. Bisognerà attendere, però, il 1653 quando, in seguito alla morte del duca La Vieuville, Sovrintendente alle Finanze del regno di Francia, Nicolas Fouquet, nonostante l'età (sarà il più giovane responsabile delle finanze dell'Ancien Régime), ha la meglio su concorrenti molto più conosciuti di lui. Il 7 febbraio 1653 è ufficialmente nominato all'altissima carica, a cui assomma quella di Consigliere di Stato. A tutto ciò, non è estranea la mano di Mazzarino che voleva ringraziarlo per il comportamento tenuto durante i torbidi che avevano investito la reggenza di Anna d'Austria.

Riguardo al suo delicatissimo compito, vi sono pareri discordanti circa le sue capacità; secondo uno dei suoi biografi, Jean-Christian Petifils, Fouquet conosceva poco e male i meccanismi dell'alta finanza, mentre un giudizio altamente positivo lo riceve dallo storico Daniel Dessert, secondo il quale era, invece, preparato ad affrontare l'incarico. Va a Dessert il merito di aver riabilitato, a secoli di distanza, la figura del Sovrintendente. A favore di quest'ultima tesi abbiamo una serie di risultati pratici. Al suo insediamento, il giovane Fouquet aveva trovato una situazione disastrosa: la corte spendeva in maniera assurda per il proprio fabbisogno e, soprattutto, per finanziare le varie guerre in cui la Francia si trovava a combattere. Fouquet adottò una serie di provvedimenti per tamponare l'emorragia di denaro che avrebbe portato ben presto la nazione alla bancarotta. Nel luglio del 1653 rivalutò, ad esempio, la lira tornese (la moneta del tempo), per cui il credito divenne più abbondante, con il conseguente miglioramento dell'intera situazione economica. Non furono sempre rimedi efficaci e immediati, però la sua politica permise a Fouquet di crearsi una larga clientela tra i proprietari delle miniere d'argento del regno e i più potenti signori di Francia divennero improvvisamente suoi amici. Lo so che bisogna usare con parsimonia questa parola di cinque lettere, però se è vero, come dice il proverbio, che «chi trova un amico, trova un tesoro», è altrettanto vero il contrario! Il «migliore amico» per lui rimaneva, volente o nolente, il cardinale Mazzarino e proprio per lui fece una specie di miracolo quando, nel 1656, riuscì in soli quattro giorni a raccogliere una somma straordinaria per pagare l'armata di Turenne dopo la sconfitta subita a Valenciennes. Mazzarino in segno di riconoscenza gli invierà una lettera: «Ho parlato a lungo del vostro aiuto alle Loro Mae-

stà ed entrambe si sono dette d'accordo di fare gran conto di un ami£° prezioso come voi»5. Ma promesse, anche se scritte, lasciano il tempo che trovano e, infatti, le «Loro Maestà» avranno la memoria corta quanda accuseranno e faranno imprigionare a vita colui che tanto si era dato da fare per aiutarle. Anche se «Loro» va inteso coinè pluralis maiestatis, in quanto sarà solo il Re Sole a nutrire una sorta di odio e ammirazione che sconfinerà in una fortissima invidia. La regina madre, Anna d'Austria, al contrario stimava moltissimo Fouquet, memore dei favori da lui ottenuti e dei costosissimi regali che spesso le faceva. Luigi, inve c e , «invidiava» al suo ministro il tenore di vita esageratamente sfarzoso che si concretizzava nel castello di Vauxle-Vicointe, una vera e propria reggia che, addirittura, utilizzerà coinè modello per edificare Versailles. Gli invidiava soprattutto il successo con le donne e non gli perdonerà di aver tentato di conquistare anche una delle sue favorite, Louise de La Vallière; insomma, c'erano tutti i presupposti per doversi liberare al più presto del pericoloso contendente. Il piano sarà architettato da un altro personaggio che aveva un unico s^opo nella vita: essere il nuovo Sovrintendente alle Finanze. Il suo nome è Jean-Baptiste Colbert. Con molta arguzia, Guido Gerosa, nel suo libro II Re Sole6, ha titolato il capitolo inerente la lotta tra i due: «La serpe mangia lo scoiattolo», infatti, era una serpe verde che figurava sullo stemma di Colbert il quale «divorerà» il fouquet, sapendo convogliare l'astio di re Luigi nella direzione giusta. In realtà, non esistevano grosse differenze tra le politiche finanziarie dei due contendenti; era piuttosto una questione di stile e di immagine, come si direbbe oggi. Tanto Fouquet era gaudente, amante del lusso e dello sfarzo, nonché magnanimo protettore e mecenate di artisti (Molière, La Fontaine, Perrault,

Corbeille, per non citare che i maggiori; in parte, anche Poussin ha goduto dei suoi favori), così Colbert era chiuso e introverso, non era simpatico e non si sforzava assolutamente di apparirlo e anche gli artisti del tempo lasceranno di lui un quadro a tinte fosche. Soprattutto, non cercherà mai la popolarità, anche se è ricordato come uno dei più geniali artefici della potenza economica francese. Il fondamento della sua dottrina, il colbertismo, era: «La ricchezza di una nazione è proporzionata alla quantità di numerari che essa possiede», ossia bisognava esportare molto e importare poco per accumulare sempre più denaro nelle casse dello Stato. Semplice ed efficace. Il canto del cigno di Nicolas Fouquet fu una festa, una festa immensa data in onore del Re Sole il 17 (c'è sempre un «17» di mezzo) agosto 1661 a Vaux-le-Vicomte. Per l'occasione giunsero al castello più di mille carrozze con a bordo la nobiltà di mezza Europa e furono impegnate centinaia di persone guidate da François Vatel, il più grande cuoco del '600 1 , per rendere memorabile questo banchetto servito su piatti d'oro massiccio. Molière in persona presentò la commedia Gli importuni e altri artisti si alternarono per tutta la notte, fino a uno spettacolo pirotecnico mai visto prima in Francia. Luigi aveva deciso di far arrestare il padrone di casa durante la serata, ma la regina madre lo convinse a soprassedere. Il re attese tre settimane, poi, all'alba di lunedì 5 settembre, il luogotenente dei moschettieri Charles de Batz Castelmore, meglio noto come d'Artagnan (era il cognome della madre), reso immortale dai romanzi di Alexandre Dumas, arrestò il sovrintendente Nicolas Fouquet conducendolo poi nella prigione di Pinerolo, in Piemonte, dove morirà il 3 aprile 1680. La salma fu inumata nella locale chiesa di santa Chiara e, in seguito, portata a Parigi presso la cappella di

famiglia nel convento della Visitazione di Maria, oggi chiesa del Marais in rue Saint Antoine. Intorno al lungo periodo carcerario sono state scritte molte pagine e formulate altrettante ipotesi; la principale è quella che vede nello sfortunato ex Ministro delle Finanze il personaggio mitico della Maschera di ferro, un uomo, realmente esistito, che Luigi XIV non poteva far giustiziare e che doveva tenere risolutamente nascosto. Il fatto di confinarlo a Pinerolo, oltre le Alpi, non ha fatto che aumentare la ridda di voci. Nicolas Fouquet aveva due fratelli vescovi: François e Louis ed era in stretta relazione con una strana associazione segreta di stampo cattolico, la Compagnia del Santo Sacramento, alla quale aveva donato enormi somme di denaro. Tutto questo lo aiutò, sicuramente, nella sua ascesa alle massime cariche dello Stato, ma non fece (o non potè) fare nulla per salvarlo dal baratro. Un ultimo tocco di colore. La figura dello sfortunato Sovrintendente è servita da modello per un ciclo di racconti e di lungometraggi che hanno avuto uno strepitoso successo nella Francia degli anni '60: Angelica, la marchesa degli angeli di Anne e Serge Golon.

Il vescovo giansenista L'ultimo, ma non per importanza, Nicolas da analizzare è Pavillon, grande uomo di chiesa che nato a Parigi il 17 (c'è sempre un 17...) novembre 1597 e morto ad Alet-les-Bains l'8 dicembre 1677. È un vescovo, ma, come Mazzarino, non è mai stato sacerdote. Un tempo questo era un aspetto del tutto marginale per raggiungere i vertici della gerarchia cattolica. Appartenente a una famiglia della piccola nobiltà terrie-

ra, diviene ben presto allievo di Vincenzo de' Paoli alla Sorbona. Questo incontro segnerà profondamente la sua vita e, forse, è alla base di tutto l'alone di mistero che circonda ancora la sua figura a secoli di distanza. Nominato vescovo di Alet-les-Bains nel 1637, prenderà possesso della carica solo due anni dopo. Anche questo, all'epoca, faceva parte della prassi. Nonostante tutto sarà un presule di grande rigore, intransigente con i preti e con se stesso, e darà un grande lustro alla sua diocesi. Sarà una vera guida per Alet e i suoi abitanti, che lascerà assai raramente. Sotto la sua reggenza il paese vedrà un notevole sviluppo, a partire da una serie di infrastrutture; è lui a edificare la cattedrale di Saint André, poi una comoda strada (quella che Napoleone amplierà), il ponte sul fiume Aude e altre opere minori. Abbiamo prova anche della sua generosità e della sua ricchezza: nel 1651, in seguito a un'epidemia di peste che ha colpito la città di Tolosa, invia a scopo di beneficenza un grosso diamante, definito dai resoconti del tempo «grande come l'uovo di un uccello». Non è specificato di quale tipo di volatile si potesse trattare, ma anche se fosse stato delle dimensioni dell'uovo di un fringuello, avrebbe avuto un valore notevole. Qualche anno prima, nel 1646, Nicolas Pavillon partecipa alla fondazione della chiesa di Saint Sulpice a Parigi insieme al suo «maestro» Vincenzo de' Paoli e a Jean-Jacques Olier (sarà la regina Anna d'Austria a porre la prima pietra dell'edificio il 20 novembre 1646). È a loro tre che si deve la nascita di un'organizzazione segreta e altrettanto potente, dal nome altisonante di Compagnia del Santo Sacramento, detta anche «cabala dei devoti», di cui abbiamo già parlato in precedenza in relazione a Fouquet e che aveva nella celebre chiesa di Parigi (ancora oggi la più grande della città dopo Notre Dame) il suo quartiere generale.

Anche se non si chiama Nicolas... è opportuno spendere qualche parola intorno a Olier. Nato a Parigi nel 1608 da famiglia nobile, studia presso i gesuiti e alla Sorbona. Come nel caso di Pavillon, è fondamentale il suo incontro con Vincenzo de' Paoli. Dopo l'ordinazione sacerdotale nel 1633, sarà proprio il futuro santo a inviarlo come missionario in svariate parti della Francia (anche a Rennes-le-Chàteau o nel Razès?), fino a quando, come dice lo stesso Olier nelle sue Mémories, viene ispirato dallo Spirito Santo, che gli permette di iniziare un servizio apostolico del tutto nuovo e molto intenso. Nominato curato di Saint Sulpice nel 1642, vi fa trasferire al più presto il seminario di studi che aveva fondato l'arino precedente in una località vicino a Parigi, Vaugirard. È il celebre seminario dove Bérenger Saunière avrebbe trovato una soluzione agli enigmi riportati sulle sue pergamene. Oggi non è più attiguo alla celebre chiesa del Quartiere Latino, ma è ritornato in periferia, proprio dove lo aveva voluto il suo fondatore. Pavillon è ricordato per aver fatto parte del gruppo di quattro vescovi che rifiutarono di firmare il celebre formulario di papa Alessandro VII inerente il giansenismo8. Gli altri tre presuli erano: Henri Arnaud, Étienne de Caulet, Nicolas Choart de Buzenval. Sarà papa Clemente IX (1667-1669) che riporterà la pace all'interno della chiesa di Francia, permettendo la riconciliazione con Port Royal, la culla del movimento eretico, e i quattro vescovi refrattari. Anche qui troviamo un sottile ma intrigante collegamento per il «club dei tre Nicolas»; infatti, Clemente IX è Giulio Rospigliosi, il committente e proprietario del quadro Et in Arcadia ego (seconda versione) di Poussin. Il cardinale Rospigliosi custodiva gelosamente il dipinto nei propri appartamenti ed evitava il più possibile di mostrarlo ad altre persone.

Il legame tra Pavillon e il giansenismo muterà radicalmente la vita all'interno della diocesi di Alet-les-Bains. Per prima cosa il vescovo impone ai Lazzaristi e, in seguito ai gesuiti, di lasciare la diocesi. È una decisione molto grave, visto il peso che i due ordini - soprattutto il secondo - avevano all'interno della Chiesa. Il vescovo, in ogni modo, non ritorna sulle proprie decisioni e dà prova, ancora una volta, della sua ferrea volontà. L'adesione agli insegnamenti di Giansenio provoca anche la conseguente rottura dei rapporti con Vincenzo de' Paoli e Olier. Nonostante tutto, Pavillon riesce ugualmente a rimanere saldamente in sella e a non perdere la guida della sua diocesi. Tutto ciò è molto strano, tenendo conto che contro il giansenismo, oltre alle massime gerarchie ecclesiastiche (e qui stiamo trattando di un vescovo...), si schiera anche il re che, con l'esautorazione di Fouquet, aveva voluto dimostrare a tutta la Francia il suo potere assoluto. È, infatti, a partire dal 1662, l'anno seguente l'arresto del Sovrintendente alle Finanze, che Luigi XIV si attribuisce il titolo di Re Sole. Lo scrittore francese Franck Daffos9 introduce una teoria piuttosto accattivante che spiega molti passaggi che, altrimenti, risulterebbero di difficile comprensione. Ovviamente è solo un'ipotesi, che riporto nei punti essenziali. Poussin, Fouquet e Pavillon, i tre Nicolas, appartenevano alla stessa confraternita, la già citata Compagnia del Santo Sacramento, e tutti e tre erano a conoscenza di un immenso tesoro occultato nella zona del Razès (Rennes-le-Château?) e sapevano che il punto focale di tutto il mistero era nella chiesa di Notre Dame de Marceille a Limoux. È per questo motivo che Fouquet, ovviamente quando era ancora l'uomo più potente di Francia dopo il re, aveva voluto nel 1659 il suo fratello maggiore, François, quale vescovo di Narbona, sede vescovile sotto la cui giurisdizione ricadeva Limoux (Rennes-

le-Chàteau dipendeva da Alet-les-Bains). Pavillon aveva avuto il coraggio di sfidare apertamente il papa e sfiderà anche il re, quando rifiuterà di firmare il Formulario reale inerente la spinosa questione giansenista e le divisioni di potere tra Stato e Chiesa; eppure, nonostante tutto, Luigi XIV verrà in soccorso del vescovo ribelle. Il motivo è una causa intentata dal barone Blaise d'Hautpoul contro Pavillon circa un non ben precisato motivo che attiene alle miniere di Blanchefort. Gli Hautpoul (interverrà nel procedimento giuridico anche la moglie di Blaise, Marie Lucrèce du Vivier de Lansac) vinceranno in prima istanza presso il Parlamento di Tolosa e in seconda a Grenoble, ma questa sentenza in appello è stranamente cassata per il volere del Re Sole il 12 maggio 1666. Questa grazia inattesa ha qualcosa di veramente notevole, in quanto Pavillon, giansenista, solo due anni prima si era categoricamente rifiutato di firmare l'atto reale e ciò non faceva parte dei comportamenti apprezzati dal vanaglorioso sovrano. Questo fatto sta a dimostrare che il vescovo non temeva il re e che questi, a sua volta, non poteva attaccarlo direttamente o distruggerlo come aveva fatto con un uomo potentissimo del calibro di Fouquet. Si ricuce, sempre secondo Daffos, anche il rapporto con Blaise d'Hautpoul, perché entrambi erano a conoscenza del favoloso tesoro. A questo punto Pavillon comprende che è necessario creare un forziere per custodire il tutto e individua in un ricco borghese del villaggio di Serres la persona giusta. Gli fa avere un titolo nobiliare e, quindi, costruire un castello lungo la strada che conduce a Limoux e che figurerà anche su una carta Cassini del '700. Il grande gioco ha tutte le pedine in campo e, tra esse, Pavillon avrà sempre un ruolo di riguardo. Daffos prosegue nelle sue teorie, affermando che buona parte del tesoro custodito a Serres sarà donato a Luigi XIV per costruire Ver-

sailles (questo è sicuramente un buon motivo per non arrabbiarsi troppo contro un suddito ribelle...) e che non mancheranno gli screzi per ottenere altre risorse che, invece, non saranno più concesse. Il gruppo composto da Nicolas Pavillon, François Fouquet e Blaise d'Hautpoul rimane l'unico detentore del grande segreto. Però, il tempo scorre e i componenti, uno a uno, lasciano questa terra, portandosi nella tomba il grande segreto. Il primo ad andarsene è Fouquet nel 1673, poi toccherà al grande vescovo, artefice del mistero, che muore l'8 dicembre 1677. Nel registro delle sepolture della parrocchia di Saint André vi è la menzione scritta dal vicario Flory: «Nell'anno 1677, l'8 dicembre, è deceduto il Reverendissimo Padre in Dio, Nicolas de Pavillon, Vescovo di Alet. Egli si è confessato, ha ricevuto l'estrema unzione e il Santo Viatico durante la sua malattia. È stato sepolto ai piedi della croce del cimitero di questa parrocchia». L'ultimo ad andarsene è Blaise d'Hautpoul, che custodisce ancora per diciassette anni il punto focale dell'enigma. Muore nel 1694 e, sicuramente, lascia all'interno della propria famiglia la chiave per aprire il grande forziere. François Fouquet farà parlare di sé anche dall'oltretomba, infatti, il 15 ottobre 1673, poco dopo la morte del prelato, il vicario generale della diocesi, Philippe Dagen, si presenta presso l'ospedale di Narbona, chiedendo di essere ricevuto dall'amministratore. Dagen, in funzione di esecutore testamentario del vescovo Fouquet, dona all'ospedale la favolosa somma di 44.000 lire d'oro per creare dodici strutture per malati incurabili. Si tratta di un versamento così grande che ha potuto finanziare le strutture volute nel testamento per quasi due secoli. La direzione dell'ospedale di Narbona ha onorato la memoria del suo più grande benefattore con una targa in marmo riportante il nome di François Fouquet,

inaugurata il 25 febbraio 1860. Resta un mistero (se non si crede al favoloso tesoro custodito dal trio) dove quest'uomo, la cui ricchezza familiare era stata in larga parte requisita dopo l'arresto di Nicolas, abbia potuto reperire una somma di denaro simile.

1

Archives de l'Art Français, seconda serie, 1862, p. 266.

2

Paola Santucci, Tradizione ermetica e classicismo gesuita, Cooperativa Edi-

trice, Salerno 1985. 3 Franco

Baldini, Et in Arcadia ego, www.dipmat.unipg.it

4 Daniel

Dugès, Le secret de Nicolas Poussin, Pégase, Villeneuve de la Raho

2006. 5 Guido 6

Gerosa, Il Re Sole, Mondadori, Milano 1988.

Ivi.

7 Vatel,

dopo la caduta di Fouquet, fuggirà in Inghilterra d o v e resterà tre

anni. Morirà suicida nel 1671 per non aver potuto cucinare una cena a base di pesce, m a n c a n d o il prodotto base a causa della bassa marea. L'aver deluso i commensali gli fu fatale. 8 II

giansenismo è una corrente religiosa che si sviluppa nel corso del XVII

secolo in Olanda e Francia ed è basata sugli insegnamenti di Cornelis Jansen (Cornelio Giansenio) riportati nella sua opera postuma Augustinus.

Si

fonda sull'affermazione che l ' u o m o è totalmente corrotto e dominato dal peccato originale. Vi è, quindi, una predestinazione per la quale Dio decide il premio o la punizione a prescindere dai meriti della persona. Nel m o n d o cattolico, i più strenui avversari della teoria saranno i gesuiti cui farà seguito la condanna da parte di Urbano VIII. Centro intellettuale del giansenismo sarà l'abbazia di Port Royal in cui soggiornerà anche il filosofo Blaise Pascal che aveva aderito al movimento. Port Royal sarà distrutto per volere di Luigi XIV nel 1709. In Italia il centro giansenista più importante sarà Pistoia. ' F r a n c k Daffos, Rennes-le-Château,

le secret dérobé, Ods, Paris 2005.

Capitolo 4 Vita, morte e miracoli di un curato di campagna

È il momento di ritrovare un «vecchio amico» ed esaminare in dettaglio i passaggi che lo hanno reso immortale. La vita e la leggenda di Bérenger Saunière viaggiano ormai su un binario unico. Intorno a questo parroco di campagna sono state dette e scritte talmente tante notizie (più o meno vere) che è veramente difficile avere un quadro esaustivo. Rifacendomi alle mie precedenti pubblicazioni e ad altre fonti, soprattutto francesi, mi limiterò a offrire un ulteriore ritratto di quest'uomo che ha cambiato per sempre la sorte di un paese, Rennes-le-Chàteau, e ha intrigato con le sue vicende moltissime persone, me compreso. A Montazels, villaggio sulla sponda sinistra dell'Aude, vicino a Couiza e nella vallata sotto Rennes-le-Chàteau, in un giorno imprecisato del 1850 un certo Joseph Saunière, 29 anni, di professione trésorier de lafabrique de l'église de Montazels ', sposa Marie-Marguerite Hugues. Dall'unione, veramente feconda, nasceranno sei maschi e cinque femmine: Franqois-Fulgence, nato e morto nel 1850; Frangois-Bérenger (il nostro eroe), nato nel 1852; Jean-Marie Alfred, nato nel 1855; Rosalie Marie Thérèse, nata e morta nel 1858; Victor Barthélémy, nato nel 1859; Bathilde Joséphine, nata nel 1861; Martial Silvestre, nato nel 1863; Rose Marie Adeline, nata nel

1867; Léonie Marie Anna, nata e morta nel 1870; Joseph Marie Daniel, nato nel 1872; Louise Thérèse, nata nel 1876. A ogni atto di nascita e di battesimo è segnalata una professione diversa del padre; nel caso di Bérenger è scritto un generico propriétaire, che si arricchisce della funzione di sindaco per quanto riguarda Alfred, l'altro sacerdote che si ritaglierà la sua fetta d'importanza negli eventi futuri. Pur essendo un piccolo villaggio, il fatto che Joseph Saunière fosse divenuto sindaco è segno di una certa disponibilità economica e di un certo livello culturale: almeno sapeva leggere e scrivere e, vista l'epoca, non era un aspetto secondario. Come ebbe a scrivere René Descadeillas2, rigidissimo storico locale che nulla lascia alla fantasia e al caso, tutto ciò fa presupporre che la famiglia appartenesse alla cerchia dei notabili della zona. Sarà anche per questo motivo che il futuro parroco, Bérenger, avrà sempre un certo alone aristocratico e si schiererà apertamente per i monarchici nelle elezioni politiche. Del resto, tutta la famiglia Saunière apparteneva alla schiera di coloro che avevano atteso invano il ritorno di Enrico V, duca di Bordeaux, pretendente al trono dopo il 1836. Ad esempio, durante il suffragio del 10 dicembre 1848, il dipartimento dell'Aude vota massicciamente per Luigi Bonaparte, al tempo a capo di una formazione monarchica. Dell'infanzia di Bérenger abbiamo alcuni passaggi che lo descrivono come ragazzo turbolento ma dall'intelligenza viva. A Montazels aveva molto prestigio. Durante le vacanze estive, radunava i ragazzi del villaggio affinché lo seguissero nei suoi giochi preferiti: pesca, esplorazioni... Il signor Bary, ingegnere in pensione, nativo di Montazels, che lo conobbe da piccolo perché i suoi parenti abitavano vicino a casa Saunière, ricorda che Bérenger era

il capo indiscusso di tutti i bambini del paese. Aveva delle qualità indiscusse di conduttore. Egli ricorda che, qualche volta, aveva guidato l'intero gruppo fino all'altipiano di Rennes-leChàteau.3

Il villaggio di cui diverrà parroco lo attirava sin dalla tenera età, infatti, Jarnac riporta anche la notizia che, molto spesso, quando aveva 10 o 15 anni, Bérenger, si recava insieme alla sua truppa di ragazzini lungo il corso del ruscello Couleurs, salendo poi a Rennes per la strada che giunge dal villaggio di Granès4. Ma l'età degli svaghi e della spensieratezza finisce e Bérenger entra alla scuola primaria di Saint Louis di Limoux, in seguito al Piccolo Seminario e, il 15 giugno 1874, presenta la domanda di ammissione al Grande Seminario di Carcassonne, corredata di atto di nascita, certificato di battesimo, atto di matrimonio dei genitori e certificato relativo alla sua frequentazione dei corsi di retorica. La richiesta è accettata e l'ex «condottiero» di Montazels si ritrova con altri 91 allievi a seguire i vari corsi per ottenere il titolo sacerdotale. Lo otterrà nel giugno 1879 e la sua prima destinazione sarà Aletles-Bains. Giunge nella località termale il 16 luglio quando, come abbiamo visto nel primo capitolo, questa aveva una popolazione di tutto riguardo e poteva essere raggiunta facilmente grazie alla linea ferroviaria che, dal 1876, la collegava a Carcassonne e Quillan. Studia l'opera pastorale dell'uomo di chiesa più celebre della zona, il 29° vescovo di Alet, Nicolas Pavilion, soffermandosi sul punto in cui l'altro prelato rivolgeva un appello alle donne per istruire la popolazione ignorante delle campagne. Nel frattempo, il giovane curato ha modo di vedere da vicino i reperti storico-religiosi che illustrano il passato glorioso di questo luogo e compiere

lunghe passeggiate per visitare i dintorni. È proprio durante una di queste uscite che incontra il pittore Henri Dujardin Beaumetz, suo coetaneo5, nonché uomo politico e futuro deputato del dipartimento dell'Aude. Beaumetz, che raggiungerà il culmine della carriera politica con la nomina a Sottosegretario di Stato alle Belle Arti, apparteneva al partito Radicale, quindi con idee all'esatto opposto di quelle conservatrici di Saunière. Nonostante tutto, tra i due, secondo alcune fonti, sarebbe nato un rapporto amichevole e confidenziale che si rinsalderà sempre più negli anni a venire. La permanenza ad Alet-les-Bains dura tre anni esatti, in quanto, il 16 giugno 1882, il nuovo vescovo di Carcassonne, Félix Arsène Billard, invia Bérenger Saunière al villaggio di Le Clat. È un'ascesa sicuramente in termini altimetrici, perché dagli scarsi duecento metri di Alet passa direttamente ai 1086 di questo - non è un eufemismo - nido d'aquila. Clat è veramente una località sperduta, in cima a una montagna nella zona detta Pays de Sault, terra d'origine della marchesa Marie de Negri d'Hautpoul che, vedremo, avrà un ruolo primario negli intrighi di Rennes-le-Chàteau. Quando, dopo una salita tortuosa di quindici chilometri da Axat (è il paese in cui andrà a morire il parroco di Rennes-les-Bains, Henri Boudet), si giunge al villaggio, si capisce che lì si è veramente fuori da qualsiasi tentazione e si possono fare solo due cose: pregare (o meditare) e lunghe escursioni. Qui Bérenger trova una chiesa nuovissima, ricostruita appena due anni prima e dedicata all'Assunzione di Notre Dame. L'edificio rimpiazza quella che era denominata chiesa di Nentilla, di cui esistono solo più alcuni resti di mura. I più anziani raccontano anche di un'altra chiesa, ormai perduta, sotterrata da qualche parte sotto le case del villaggio. Nel nuovo edificio religioso sono presenti alcuni particolari che il parroco mutuerà in quel-

t

la che sarà la sua nuova destinazione: la statua di santa Germana di Pibrac, san Rocco, san Giuseppe e la Vergine, entrambi con un bambino in braccio, poi un particolare nella prima Stazione della Via Crucis: la presenza di un leone vicino a Ponzio Pilato. Durante la sua permanenza in paese, Bérenger riceve una ferale notizia: nell'agosto del 1883 muore Henri de Bourbons, duca di Bordeaux e conte di Chambord, il pretendente al trono di Francia, colui che sarebbe dovuto divenire re con il nome di Henri V. È sicuramente un colpo per il parroco, nato e cresciuto in un ambiente legato alla monarchia e al sogno della sua restaurazione. Le Clat, comunque, rappresenta il luogo ideale per assimilare un dolore. Le anime di cui deve prendersi cura assommano a 282, formate perlopiù da contadini e pastori. Riguardo questi ultimi è da segnalare un fatto di grande importanza e del tutto inedito. Durante un mio viaggio di ricerca a Le Clat nell'estate del 2004, ho avuto modo di conoscere uno degli attuali 43 abitanti del villaggio, persona squisita e veramente gentile ma che, per motivi di privacy, mi ha chiesto espressamente di non essere citato con nome e cognome (io comunque ho i suoi dati per gli immancabili scettici). L'amico di Clat, dopo avermi fatto da guida tra le poche case del paese, mostrato la chiesa, il cimitero e il luogo in cui sorgeva la canonica, mi ha rivelato, con assoluta certezza che, ai tempi di suo nonno, si raccontava che Bérenger Saunière fosse stato minacciato di morte da un gruppo di pastori. Il parroco aveva forse fatto o visto qualcosa che doveva rimanere segreto, oppure si era attirato l'odio di qualcuno per i suoi atteggiamenti? Quello che, però, è certo è che nessun altro uomo di chiesa prima e dopo di lui era stato oggetto di minacce di tale portata in questo villaggio di poche anime dimen-

ticato da Dio e dagli uomini. Sul perché un gruppo di pastori analfabeti della seconda metà dell"800, sicuramente timorosi di Dio e delle istituzioni, volesse assassinare addirittura un prete, non posso fornire, purtroppo, una risposta convincente. È un fatto di enorme portata ma che, purtroppo, rimane confinato alle poche righe di questo capitolo. Non si sa se queste minacce abbiano in qualche modo influito, ad ogni modo, il vescovo Billard decide che è giunto il tempo di far cambiare aria al suo prete e gli affida la sua terza e definitiva (almeno a livello pratico) destinazione: Rennes-le-Chàteau. È singolare che, il medesimo percorso lo abbia compiuto un secolo prima un altro prete, Antoine Bigou (1719-1794), il quale visse gli anni torbidi della Rivoluzione francese e, in seguito alla legge di Costituzione Civile del Clero del 12 luglio 1790 che prevedeva il giuramento dei sacerdoti agli ideali rivoluzionari, fu considerato alla stregua di un refrattario (o prete non giurato) e, quindi, fu costretto a lasciare Rennesle-Chàteau ed espatriare in Spagna al seguito del suo vescovo Charles de la Cropte de Chantérac. Antoine Bigou muore il 21 marzo 1794 e sarà sepolto nella stessa tomba del suo superiore, deceduto l'anno precedente, nella chiesa di Sabadell, una cittadina alle spalle di Barcellona. Secondo alcuni ricercatori, Bigou sarebbe il vero detentore dei segreti che, cento anni dopo, renderanno immortale Bérenger Saunière. Il 1° giugno (questo mese è una costante nei suoi spostamenti) 1885 Bérenger Saunière compie la salita di quattro chilometri che da Couiza lo conduce al villaggio che lo renderà immortale. Dopo tre anni passati a Le Clat gli sarà sembrato di ritornare nel mondo civile, scendendo dalla cima di una montagna a una più modesta collina, e le poche case sbrecciate e fatiscenti gli saranno apparse come palazzi di

una grande città. Rennes contava allora una popolazione di circa trecento abitanti e, nonostante l'esiguità del territorio, era suddivisa (come oggi) in tre quartieri che si rifacevano all'epoca in cui il luogo era un avamposto difensivo: Castel de Balent (Castrum Valens); La Salasso (Castrum Salasso); La Capello (Castrum Capella). L'unico motivo di rimpianto per il paese che ha lasciato (ed essendo un prete è un motivo tutt'altro che secondario), è la chiesa: infatti, quella che si trova di fronte non è certo una struttura nuova e agevole, ma un edificio in completo sfacelo. I parroci che avevano preceduto Saunière avevano svolto delle riparazioni sommarie, in linea con le scarsissime risorse finanziarie di cui godevano. Abbiamo scarne annotazioni circa gli interventi che iniziano nel 1836 da parte di don Pons, che muore nel 1878. Dopo tre anni, nel 1881, sarà il turno di Charles Eugène Mocquin e quindi di Antoine Croc che lascerà Rennes-le-Chàteau per la parrocchia di Castelreng nel fatidico anno 1885, quando giunge Saunière. Con il nome di Santa Maddalena, fungeva anticamente da cappella per i signori del luogo, mentre al popolo era destinata la ancora più modesta chiesetta di Saint Pierre, di cui oggi sono ancora visibili dei tratti di muro nell'omonima via, dalla parte opposta del villaggio. A riguardo si può citare un rapporto redatto dall'architetto Gérard Cals, il quale alla data del 25 ottobre 1853 usa queste parole circa la chiesa del paese: La costruzione è in cattivo stato, ma si tratta soltanto di danni superficiali. La disposizione interna della chiesa si presenta irregolare e bizzarra. Da parte nostra, non si raccomandano operazioni di restauro o ampliamento, ma di attendere fino a quando il municipio non potrà permettersi una nuova chiesa.6

Ogni parroco che si rispetti, oltre al gregge da guidare, ha bisogno di due punti fermi: la chiesa e la canonica (o presbiterio come preferiscono chiamarla i francesi). Entrambe in questa chiesa sono in pessimo stato e, quest'ultima, addirittura non è abitabile. Saunière è quindi costretto a prendere pensione presso un'anziana donna che possedeva una casa posta di fronte alla chiesa, Alexandrine Marre (o Marrot, o Marro... fate un po' voi), definita «rapace» da diversi autori per l'esoso affitto che si faceva pagare. Oggi dell'abitazione non rimangono che tratti di muro ricoperti di rampicanti tra il giardino di Villa Befania e il negozio La Porte de Rennes del mio amico Serge Colmenero. La presenza del parroco in questa casa è per lui molto significativa, in quanto ha modo di conoscere diversi aspetti della vita del paese. Saunière si rende subito conto che non potrà fare affidamento sulle esigue casse comunali per risanare la chiesa e la canonica, quindi da ciò nasce un certo contrasto con il sindaco e il Consiglio. È, però, in autunno, in occasione delle elezioni legislative del 4 e 18 ottobre 1885 che il parroco sfodera il meglio del suo repertorio polemico, attaccando direttamente dall'altare i repubblicani che, secondo una certa pubblicistica, sarebbero paragonabili ai figli del demonio. Sul periodico diocesano «La Semaine religieuse de Carcassonne», a partire dal mese di settembre erano usciti una serie di articoli inerenti le imminenti votazioni e l'atteggiamento che avrebbe dovuto tenere l'elettorato cattolico. Les catholiques et le devoir électoral, Le devoir des catholiques, Qui veut le pays, Aux enfants de l'eglise, Les électeurs, La religion peut-elle etre étrangère à l'exercice du droit électoral? sono alcuni dei titoli che fanno comprendere quale fosse l'aria che tirava prima delle consultazioni. Bérenger Saunière accusa pubblicamente dal pulpito durante la messa domenicale i repubblicani che, a suo avviso, sono i veri nemici della religio-

ne, contro i quali è necessario armarsi di un «segno di Croce». Lo strale non passa inosservato e Saunière è denunciato al prefetto di Carcassonne con l'accusa di fomentare disordini ed esercitare pressioni elettorali senza averne i titoli. La reazione governativa è pressoché immediata e viene formulata una precisa richiesta al vescovo affinché allontani il parroco dal paese, provvedimento che toccherà anche altri tre suoi confratelli nella diocesi: don Tailhan di Roullens; Jean di Bouriège e Delmas, curato di Alet-les-Bains. A tutti sarà sospeso lo stipendio, visto che all'epoca i sacerdoti erano retribuiti a cura del Ministero del Culto. Provvidenziale, è il caso di dirlo, arriva l'aiuto del vescovo Billard, che lo nomina professore presso il Piccolo Seminario di Narbona. La sanzione economica decorre dal primo dicembre 1885 e, dodici giorni dopo, il 13, «La Semaine religieuse» esce con un ampio servizio che commenta in modo negativo il provvedimento, concludendo la requisitoria con queste parole: «Sono i delatori che hanno trionfato». Restiamo ancora un momento su questo famigerato mese di ottobre 1885. Il 24 Saunière ha un incontro con un anonimo notaio di Quillan, il quale lo avrebbe contattato circa alcuni documenti inerenti delle terre site nel comune di Rennes-le-Chàteau. Si mormora anche di un tesoro di cui l'anonimo funzionario sarebbe stato a conoscenza. I due vanno a esaminare questi appezzamenti e, durante la passeggiata, accade uno strano incidente da quale il parroco esce con alcune escoriazioni, mentre il notaio rimane ucciso. Caduta accidentale? Omicidio? Non è dato sapere, così come rimane avvolta nel totale mistero la questione dei terreni citati sui documenti e, ovviamente, il tesoro. È un fatto di cui mi ha parlato spesso il mio amico Jean Blum il quale lo riporta anche su una sua pubblicazione1.

Quello che è chiaro è che il parroco uscirà senza strascichi giudiziari da questa vicenda e che, poco dopo, lascerà il paese per raggiungere Narbona. Saunière resta nella nuova sede nemmeno un anno, infatti, il 1° luglio 1886 fa il suo ritorno e lo fa a testa alta e con le tasche piene di denaro. La sua forte presa di posizione non è passata inosservata tra i monarchici che, tramite la vedova del conte di Chambord (che morirà nello stesso anno), gli forniscono la somma di tremila franchi, cifra che equivaleva al suo stipendio di tre anni. A creare questo rapporto tra la nobildonna e il parroco contribuisce un altro confratello, don Lasserre di Notre Dame de Limoux, ma, vista l'importanza che avrà nella vicenda, si rimanda al capitolo inerente la chiesa di Notre Dame de Marceille, vero punto chiave di tutta la questione. La chiesa di Santa Maddalena comincia una nuova vita a partire proprio dal 1886, con interventi ai muri e alle finestre. Alcuni autori indicano come svolta l'anno successivo, in quanto risalgono al 1887 i primi certificati scritti delle spese, però è presumibile, vista anche l'urgenza degli interventi e il fatto che vi fosse la disponibilità economica, che Saunière non se ne sia stato con le mani in mano per sei mesi. È datata, invece, 27 giugno 1887 la posa del nuovo altare, costruito dalla ditta Monna di Tolosa e offerto quale ex voto da una signora, Marie Cavailhé di Coursan, che Saunière ringrazierà pubblicamente, tre anni dopo, durante la messa di domenica 15 giugno 1890. La benefattrice non si limita, però, a quel solo intervento, perché tra le varie pezze giustificative che Saunière dovrà produrre durante il processo intentato contro di lui dal suo vescovo, compare un versamento di 1500 franchi fatto da due non specificate famiglie del paese di Coursan. Il nome di madame Cavailhé compare svariate volte nel copioso carnet di corrispondenza del prete. Ma il pub-

blico femminile affezionato alla chiesa di Rennes-le-Chàteau non si esaurisce qui, in quanto vi sarà una certa madame Thérèse Bernard Cadillac di Madière che offrirà ben quattro vetrate nel 1898 e Anna Pailhièz che contribuirà all'abbellimento della chiesa donandone altre due. Tutto questo attaccamento a una chiesa in rovina non è plausibile, se non subentra un aspetto legato a guarigioni improvvise, o meglio, a miracoli. Forse le signore, più che a Saunière, sono grate a un suo predecessore, il parroco Croc, che aveva retto la parrocchia per un breve periodo nel 1884 e che, pare, avesse doti di guaritore. Tutto ciò si inserisce perfettamente in un grande disegno, o meglio, un sogno di Bérenger: fare di Rennes-le-Chàteau un luogo di pellegrinaggio, una nuova Lourdes nella parte orientale dei Pirenei. Si ha testimonianza di un miracolo avvenuto nella zona e riguarda una signora di 28 anni, Auguste Fons, che a fine novembre del 1908 era in uno stato di deperimento fisico ormai inarrestabile, contro il quale erano risultati vani sia gli interventi dei medici, sia le più costose medicine. Si pensava ormai al peggio, quando la moribonda, con un filo di voce, chiese alla sorella un flacone contenente l'acqua dei santi Abdon e Sennen8, martiri del III secolo. Dopo essersi fatta il segno della Croce e averne bevuta qualche goccia, ecco che, improvvisamente, le sue condizioni migliorarono nettamente, guarendo del tutto in poco tempo, tanto da mettere al mondo uno splendido e sano bambino a cui, per riconoscenza, venne imposto il nome di Abdon. Nel 1989 ho avuto la fortuna di conoscere una sua parente diretta, Marie Antoinette Fons, che all'epoca portava magnificamente i suoi novant'anni e ricordava ancora perfettamente l'episodio prima narrato.

1

Riguardo la professione del padre di Bérenger, spesso si riporta l'indica-

zione di amministratore dei beni del marchese di Cazemajou che, c o m e abbiamo visto, è segnalata la prima volta sul registro di nascita del figlio Victor Barthélémy. 2

René Descadeillas, Mythologie du trésor de Rennes, histoire véritable de l'Abbé

Saunière Curé de Rennes-le-Château,

Collot, Carcassonne 1991.

' P i e r r e Jarnac, Histoire du trésor de Rennes-le-Château,

Bélisane, Cazilhac

1998. 'Ivi, p. 126. 5

Jacques Rivière, Le fabuleux

trésor de Rennes-le-Château,

Bélisane, Nice

1983. Henri Charles Etienne Dujardin Beaumetz muore a La Bezole (Aude) nel 1913. "Pierre Jarnac, Histoire du trésor de Rennes-le-Château 7

Jean Blum, Rennes-le-Château,

cit.

il segreto degli eretici, L'Età dell'Acquario,

Torino 2006. " Abdon e Sennen erano due nobili persiani portati prigionieri a Roma e che si votarono al servizio dei cristiani imprigionati. Alcune fonti li collocano durante il regno di Decio, altre in quello di Diocleziano. Sono ricordati sul calendario al 30 luglio.

Capitolo 5 1891: da qui all'eternità

Il 1891 è un anno che assume una valenza così importante per Rennes-le-Chàteau che, chiunque si sia occupato anche una sola volta di questo mistero, lo ha potuto memorizzare, collegandolo al momento centrale di tutta la vicenda. Sembra che, in quei dodici mesi, vi sia stata una concentrazione di fatti e avvenimenti che avrebbero cambiato per sempre la vita del paese e dell'uomo preposto alla cura delle sue anime. Bérenger Saunière amava leggere, scrivere, dilettarsi con giochi enigmistici e collage. Sarà proprio con quest'ultimo mezzo che lascerà un segno di quello che quest'anno ha rappresentato per lui. Utilizza il periodico diocesano «La Croix» per ricavare delle immagini da incollare su un foglio in cui campeggiano tre angioletti che portano in alto un bambino con una candela accesa nella mano destra e una mela nella sinistra (pomme bleue). Alcuni uccelli bianchi accompagnano il loro volo. Vi è anche una scritta che così recita: «L'année 1891 portée dans l'éternité avec le fruit dont on parie ci-dessous». Sotto troviamo i Re Magi intenti a offrire doni a Gesù Bambino che è in braccio a Maria Vergine; a sinistra c'è una ragazzina con lunghe trecce che contempla la scena (la Maddalena da piccola?). Sopra un tavolo sono posati due vasi di

fiori, del tutto simili a quelli che Saunière farà collocare sul frontone della sua chiesa. Anche qui troviamo un'iscrizione che ha dei toni piuttosto inquietanti: MELCHIOR: REÇOIS, O ROI, L'OR, SYMBOLE DE LA ROYAUTÉ. GASPARD: REÇOIS LA MYRRHE, SYMBOLE DE LA SÉPULTURE. BALTHASAR: REÇOIS L'ENCENS, O TOI QUI ES DIEU 1 .

Bérenger Saunière non ama lavorare solo con la carta, ma soprattutto con la pietra; prosegue, infatti, il fervore costruttivo in chiesa, con la posa del nuovo pulpito e la stravagante ricostruzione dell'ingresso, con la statua della Maddalena che tiene in mano la croce contornata da fiori e altri simboli, e quindi la grafomania di Saunière può trovare libero sfogo in una serie di scritte e incisioni più o meno inquietanti. L'incisione più celebre è quella che rimanda a un passo biblico della Genesi ( 2 8 , 1 7 ) , TERRIBILIS EST LOCUS ISTE e che, anche se compare in altre chiese (in Italia, ad esempio, l'ho vista a Mioglia, in provincia di Savona, e a Bibbona, Livorno, ma l'elenco è assai più lungo), qui assume dei contorni del tutto particolari perché, appena varcata la soglia, troviamo ad aspettarci il demone Asmodeo, quasi a voler confermare l'avvertimento. La sua statua sarà inserita sei anni dopo, e non si sa se in conseguenza del motto o viceversa. A lato del «Terribilis» troviamo: D O M U S MEA DOMUS ORATIONIS VOCABITUR (La mia casa sarà chiamata casa di preghiera) e, sotto, Hic DOMUS DEI EST PORTA COELI (Questa è la casa di Dio e la porta dei cieli), che sono sempre passi biblici tratti da Isaia ( 5 6 , 7 ) , ripresi poi da Matteo ( 2 1 , 1 3 ) , inerenti alla cacciata dei mercanti dal tempio di Dio operata da Gesù. Tra la statua della Maddalena e queste incisioni vi è una lunghissima scritta che comincia a presentare i segni del tempo, infatti, in alcuni punti, è divenuta quasi illeggibile. Ha la particolarità di avere dei tratti in cui le lettere sono distanziate, mentre in

altri sono quasi fuse tra loro:

REGNUM MUNDI ET OMNEM OR-

NATUM SOECULI CONTEMPSI PROPTER AMOREM DOMINI MEI JESUS CHRISTI QUEM VIDI QUEM AMAVI IN QUEM CREDIDI QUEM DILEXI»

(Ho disprezzato il regno del mondo e ogni ornamento del secolo per il mio Signore Gesù Cristo che ho visto, ho amato, nel quale ho creduto e in cui ho trovato piacere). L'interminabile scritta proviene da un breviario del XIX secolo, denominato Messale delle donne. Il frontone della chiesa di Rennes-le-Chàteau meriterebbe ampiamente un intero capitolo, perché sono davvero tanti i dettagli, le curiosità, le incongruenze che in quel poco spazio sono state concentrate. Probabilmente il parroco intendeva far propria la celebre massima: «chi ben comincia è a metà dell'opera» e, quindi, si è impegnato a fondo per procedere più speditamente nel lavoro. Oltre alle scritte, troviamo tre bassorilievi che, ormai, si confondono quasi con il resto della pietra, e che raffigurano i blasoni di personaggi molto vicini al nostro protagonista. A sinistra, verso il muro della canonica, si nota un uomo anziano seduto su una barca con lunga barba e l'aureola, che denota la sua santità. Con la mano destra tiene il remo e con la sinistra una grande croce; sotto, il motto: IN VERBO TUO LAXABO RETE (Alla tua parola calerò la rete). Appartiene a Félix Arsène Billard, il vescovo di Carcassonne che secondo alcuni autori era il protettore e l'ispiratore di Saunière; secondo altri, invece, lo soffriva a malapena. Dall'altro lato, troviamo un altro blasone vescovile, quello di Albert Leuillieux, predecessore di Billard sul seggio episcopale di Carcassonne dal 4 maggio 1873 al 13 gennaio 1881 (se avesse resistito altri quattro giorni appena ci si poteva imbastire una bella ricerca... in ogni caso, anche il 13 è una data enigmatica!). Il motto è IN FIDE ET LENITATE e lo stemma vede la figura di una

santa dal viso parzialmente velato (la Maddalena?) che ha nella sinistra la croce e nella mano destra un ostensorio. Due animali sono ai suoi piedi, ma non si capisce bene la loro specie; forse piccoli cani, anche se quello di destra rassomiglia molto nella postura allo scoiattolo che figurava sullo stemma gentilizio della famiglia Fouquet. Al centro, il simbolo più importante, almeno, in base alla scala gerarchica. Due vescovi fanno da spalla a un papa, quello regnante, Leone XIII, poi un albero (è allungato come un cipresso), due gigli e una stella cometa, cui fa seguito un appropriato: LUMEN IN COELO, frase latina estratta dalle profezie del monaco irlandese, grande amico di san Bernardo, che divenne santo con il nome di Malachia (1094-1148). Lasciando per un momento lo stato dei lavori in chiesa, ritorniamo sul 1891. Questo è un anno di profonda rinascita religiosa per la regione; in primo luogo vi è un rinnovato slancio inerente al culto della Madonna di Lourdes e, per restare più vicini, viene ripreso un grandioso pellegrinaggio a Notre Dame de Bonsecours a Puivert. Questa è una località non molto lontana da Montazels (quindi il nostro parroco ne sapeva molto), sede di un importante castello segnalato sulle guide turistiche come cataro. È confinante, invece, con il già menzionato villaggio di Rivels, dove era stata trovata l'anfora piena di monete d'oro. Di questo fatto ne dà ampia notizia il periodico diocesano «La semaine religieuse» di Carcassonne, utilizzando toni entusiastici per la grande partecipazione popolare e il rinnovato spirito mariano. Sulla scia di questi avvenimenti carichi di fervore spirituale, Saunière sente che è giunto anche per Rennes-le-Chàteau il momento di voltare pagina e diventare un luogo di preghiera. Per questo motivo chiede alla municipalità la possibilità di utilizzare un appezzamento di terreno confinante con la

chiesa e il cimitero per potervi costruire un calvario con annesso giardino. La proposta è accettata con la condizione che le spese e la cura del tutto sia a totale carico del proponente. Così avviene e l'occasione per l'inaugurazione ufficiale è la celebrazione della Prima Comunione per 24 bambini del paese. Vi è una processione lungo le strade del villaggio, con quattro uomini (Antoine Captier, Zacari Péchore, Jean Maury, Trouillet)2 che portano a spalla la statua della Madonna che viene poi deposta sul famoso pilastro di stile visigoto che sorreggeva l'antico altare e attorno a cui è nata la leggenda. Il parroco, chissà perché, lo rovescia (c'è sempre qualcosa di speculare in questa vicenda) e in alto (dove prima era il basso... potrebbe intervenire Ermete Trismegisto a dirci qualcosa a proposito) fa incidere il monito PÉNITENCE PÉNITENCE, due volte, forse per farlo entrare meglio in testa ai suoi fedeli. Per immortalare, invece, questo anno così prospero di idee e fatti, pone la scritta « M I S S I O N 1891». In realtà, questa data già compariva nella versione originale, ma in forma ridotta e, ovviamente, al contrario: 681, altra data di vitale importanza per Rennes, ma per altri motivi, soprattutto, dinastici e strettamente correlati ai merovingi. Un'altra scritta è posta su una lastra ai piedi del pilastro ed è inerente alla statua della Madonna in alto: O M A R I E CONÇUE SANS PÉCHÉ, PRIEZ POUR NOUS QUI AVONS RECOURS À

vous. Marie è inciso volutamente errato: a prima vista sembra che la M e la A siano sovrapposte, ma poi, osservando meglio, si scopre che sopra la M è stata aggiunta una punta, non una lettera. Sembra cosa da poco, ma su queste due lettere sono stati versati fiumi d'inchiostro per trovarvi spiegazioni, analogie, collegamenti con società segrete. Potrebbe anche essere un semplice errore dello scalpellino, ma è difficile da credere, anche perché, viste le risorse finanzia-

rie del parroco, non avrebbe avuto problemi a rifare di sana pianta l'intera lastra. Il massiccio pilastro aveva già scolpita una croce gotica detta «Croce del silenzio» e anche le lettere alfa e omega. Per la croce l'inversione non modifica nulla; per gli altri due simboli sì. La fine diventa l'inizio e viceversa; concetto che potrebbe aprire una ridda di ipotesi su quali siano le vere scoperte fatte in chiesa, ma tutto questo ci porterebbe troppo lontano. Restiamo, invece, qui e in questa calda giornata di inizio estate. Alla cerimonia prendono parte i parroci di Couiza ed Espéraza, ma solo due sono i direttori d'orchestra: Saunière, ovviamente, e don Ferrafiat, appartenente all'ordine lazzarista (fondato da san Vincenzo de' Paoli) di stanza a Notre Dame de Marceille, una chiesa che meriterebbe più di un libro; 10 vi ho dedicato un intero capitolo, spero sia sufficiente. Non sappiamo di preciso che cosa avviene durante quell'estate, ciò che è certo è che a settembre, il 21 per la precisione, Saunière scrive sul suo diario (era un vero grafomane e segnava meticolosamente tutto quello che lo riguardava, comprese le condizioni meteorologiche quotidiane): «Lettera da Granès (paese nella vallata a sud di Rennes). Scoperta una tomba. La sera piove». Delle tre notizie, quella che ci interessa è la seconda, ma su questo punto sussistono diversi dubbi, in quanto non è specificato altro che ci aiuti a capire di quale tomba parlasse 11 curato. Probabilmente è da localizzare nella chiesa, quella piccola chiesa che, veramente, è un antro dei tesori e dei misteri nascosti. Ci viene in aiuto un registro parrocchiale del 1764 •) nel quale è riportata la sepoltura di una certa Anne Delsol, vedova di un nobile, tesoriere di Francia a Montpellier, inumata il 31 marzo 1705 nella chiesa di Rennes-le-Chàteau, precisamente nella «tomba dei Signori vicina al balau-

stro». La stessa tomba ospiterà il 24 ottobre 1724 le spoglie mortali di Henri du Vernet, nobile e colonnello di cavalleria. Tutto questo porta a pensare che sotto la chiesa della Maddalena vi sia una cripta di notevoli dimensioni, atta a ospitare i signori del luogo, oltre a vari nobili della regione. Un'ulteriore prova dell'esistenza di questo luogo sotterraneo ce la fornisce... un cane! Sì, un quadrupede, di cui non conosciamo il nome - potremmo per comodità chiamarlo Bobby - e che per un paio di giorni scompare da casa. Il padrone si mette alla sua ricerca e, quando ha ormai perso le speranze di ritrovarlo, lo sente abbaiare; è un suono flebile ma inconfondibile che proviene da sotto la chiesa. L'uomo si mette in corrispondenza della sacrestia (di fronte al calvario) e sente benissimo il cane che latra da qualche punto del sottosuolo. Bobby ritrova poi miracolosamente (visto il luogo è il caso di dirlo) il pertugio dal quale era entrato e ritorna dal suo disperato padrone che lo tiene lontano dalla chiesa per il resto dei suoi giorni. Purtroppo, si è portato nella tomba il segreto di che cosa ha visto là sotto. Il 29 settembre, Saunière scrive: «Visto curato di Névian, da Gélis, da Carrière. Visto Cros e Segret». È un appunto che ha fatto scervellare molti scrittori; su Gélis niente da dire: è lo sfortunato parroco di Coustaussa che muore assassinato la notte di Ognissanti del 1897, Névian e Carrière sono due perfetti sconosciuti, mentre Cros potrebbe essere il vicario generale della diocesi di Carcassonne, oppure l'ingegnere ferroviario in pensione Ernest che, come il vicario, conosceva bene il nostro Bérenger. È quel «Secret», scritto con la maiuscola a portare fuori strada. Significa «segreto» e su questo non ci piove, ma può anche voler dire «segretario», perché il parroco aveva l'abitudine (è una moda in Francia) di abbreviare le parole e iniziarle con la maiuscola anche quando non era

dovuto. Controllando tra le sue carte (quelle che sono rimaste dopo il ripulisti dei primi anni '90 del '900), si è potuto appurare che aveva già utilizzato questa parola in altre occasioni, riferendosi al funzionario diocesano.

Cherchez la Femme! È sempre dal meticoloso diario del parroco che veniamo a conoscenza, per la prima volta, di Marie Dénarnaud, classe 1868, la sua perpetua e fidatissima governante. 4 ottobre 1891: «Horrible mal de dents de Marie». Un semplice e fastidioso mal di denti fa entrare in scena la donna che, per tutta la vita, sarà la complice assoluta di Bérenger. Da questo momento le annotazioni diventano assai frequenti. Marie, il fratello e i genitori si trasferiscono a Rennesle-Chàteau presso il parroco, formando un unico nucleo familiare nel 1892, anche se da alcuni anni già frequentavano il paese. La giovane si licenzia appositamente da una fabbrica di cappelli per dedicarsi interamente al suo nuovo ruolo di perpetua, come aveva già fatto per qualche tempo la madre Alexandrine. Stando a quanto si legge su molte pubblicazioni, i Dénarnaud sarebbero di Espéraza, ma durante i miei ventennali viaggi in zona, per puro caso, ho conosciuto un'anziana signora, Marmette Font, nata proprio in quel paese nel 1903, la quale conosceva personalmente Marie e mi ha assicurato che la sua famiglia, pur avendo soggiornato molti anni lì per motivi di lavoro (tutti erano impiegati nella cappelleria), era invece originaria di Couiza. Non è che la distanza di un paio di chilometri - quella che c'è tra i due paesi - cambi molto la situazione, però ci tenevo alla precisazio-

ne, soprattutto perché è di «prima mano», cosa rarissima che rende felice qualsiasi ricercatore. Ad ogni modo, tra Marie e il parroco s'instaura subito un clima di totale complicità, tanto che, tra i primi compiti, la donna avrà quello di spedire delle false lettere di scuse, preconfezionate da Saunière per avere le spalle coperte durante le sue sempre più frequenti assenze dal paese. Mr... Ho letto con il più umile rispetto la lettera che voi mi avete fatto l'onore di scrivermi e alla quale io presto la più grande attenzione. Crediate che l'interesse della questione che voi sollevate non mi è fuggita, ma merita riflessione. Nello stesso tempo, soffro per un'occupazione urgente, e vi rimetterò tra qualche giorno la mia risposta. Vi prego di credere... Bérenger Saunière, prete.

Come si evince dal tono, andavano bene per qualsiasi occasione e la perpetua non doveva far altro che spedirle a coloro che avevano cercato il suo padrone. Sugli spostamenti del parroco si sono formulate le ipotesi più disparate: Parigi, Vienna, Budapest (dove il parroco aveva un conto presso la banca Fritz Dorge4), Roma, Lione... su quest'ultima città vi è qualcosa di più di semplici voci e potrebbe essere un tassello assai importante nello sviluppo della vicenda. Parentesi importante: lo scrittore francese André Douzet, con il quale sono in rapporti amichevoli e di collaborazione, mi ha mostrato una copia della fattura concernente il contratto d'affitto stipulato da Bérenger Saunière per un appartamento a Lione, sito in a32 des Maccabées (nome piuttosto evocativo). Qui Saunière avrebbe ricevuto del materiale fotografico da un laboratorio di Parigi. Douzet ha

pubblicato questi e altri particolari nel suo libro Nouvelles lumières sur Rennes-le-Chàteau5, collocando tra il 1898 e il 1899 due viaggi di Saunière nella città della seta, e aggiungendo una fattura della ditta Bellon, datata 23 luglio 1899 e inerente il noleggio di una vettura. Tutto ciò è stato ripreso anche da un altro scrittore francese, Christian Doumergue, che lo ha pubblicato in una sua opera.6 Di sicuro e documentato, vi sono i viaggi nel capoluogo Carcassonne e nelle vicine Narbona e Perpignano; ad ogni modo, doveva trattarsi di viaggi a cui il sacerdote non poteva sottrarsi, visto che lo stratagemma delle lettere-scuse presentava pur sempre dei rischi. E a riguardo di quest'ultima città, Saunière vi avrebbe aperto un ulteriore conto corrente presso la banca Auriol et fils, lo stesso giorno in cui, separatamente, lo apriva anche l'arciduca Giovanni Salvatore d'Asburgo 1 . Forse la ragazza funge da musa ispiratrice per il parroco, che si getta anima e corpo nella restaurazione della canonica (anche perché deve ospitare lui e tutta la famiglia Dénarnaud), contemporaneamente al completamento del giardino del calvario. Saunière tiene particolarmente a questo luogo, tanto che decide di costruirvi una grotta in onore della Madonna di Lourdes; per far ciò si mette alla ricerca di particolari pietre che trova nella vallata sotto il paese, lungo il ruscello Couleurs. Vi trascorre interi pomeriggi, sempre in compagnia di Marie (si è anche spettegolato su queste gite fuori porta) e quando, alla sera, ritorna a casa, porta con sé sacchi ripieni di pietre porose e leggere che, secondo lui, possiedono le migliori caratteristiche per rendere veramente unica questa opera. All'interno, su un basamento in cemento che funge da panca, vi inserisce delle piccole pietre per comporre un'enigmatica scritta che non è mai stata decifra-

ta: KXSLX. La grotta la si può ammirare ancora oggi, però non tutte le pietre portate in paese sono state utilizzate a tale scopo. Dove sono finite le altre? Dopo questi lavori è il turno del cimitero. Con il tempo Saunière farà costruire una pesante porta in metallo con due fregi a sbalzo che riproducono una clessidra in mezzo a due ali da pipistrello. Sopra l'ingresso è collocato un teschio ghignante con ventidue denti e l'iscrizione tristemente veritiera: «Ricordati uomo che sei polvere e polvere ritornerai». Il cimitero sarà, oltre alla chiesa, un luogo per cui perderà il sonno. Nel vero senso della parola. È la notte, infatti, che lui e Marie si recheranno nel piccolo luogo dell'eterno riposo per svolgere dei bizzarri lavori. A giorno fatto, i compaesani con vivo stupore prenderanno atto del modo in cui il loro parroco ha trascorso la notte. E protesteranno. Al Signor Prefetto, sappia che non siamo affatto soddisfatti di com'è rimaneggiato il nostro antico cimitero, tenuto conto della cura con la quale, invece, era sempre stato mantenuto fino a oggi. Adesso le croci vengono scalzate, così come le lastre tombali, e tutto questo accade senza neppure l'ombra di un minimo risarcimento né una qualunque compensazione. 12 marzo 1895.9

Visto che la prima lettera non era bastata, appena due giorni dopo ne spediscono un'altra. Signor Prefetto, abbiamo l'onore di farvi pervenire l'accordo del Consiglio Municipale di Rennes-le-Chàteau, preso alla riunione che ha avuto luogo domenica 10 marzo all'una dopo mezzogiorno nella sala del Comune.

Noi elettori protestiamo per la decisione sul detto lavoro, che dà diritto al curato di continuare; non è di alcuna utilità e noi aggiungiamo, a sostegno della prima lamentela, il nostro desiderio di essere liberi e padroni di curare ciascuno le tombe dei nostri antenati che vi riposano, e sosteniamo che il signor curato non ha il diritto, dopo che noi abbiamo fatto degli abbellimenti o piazzato delle croci o corone, a rimuovere tutto, a spostarlo e metterlo in un angolo. 14 marzo 1895."

A questo punto, Saunière è costretto a sospendere gli strani lavori di demolizione e scavo, ma non è un grosso problema, perché quello che cercava l'ha ottenuto. Una tomba, in particolare, aveva attratto la sua furia iconoclasta, quella più importante e di proprietà di una nobildonna che soggiornava lì dal 17 gennaio 1781: Marie de Negri d'Ables, marchesa d'Hautpoul e di Blanchefort. Stele e lapide presentano una serie di assurdità così palesi che il parroco pensa bene di cancellare tutto, come si fa con una lavagna. Non lo farà subito, ma in un secondo tempo, dopo il 1905. (Per maggiori dettagli si rimanda al capitolo sul 17 gennaio.) C'è qualcosa, però, in quel cimitero che lo attrae inesorabilmente; visto che non può stare all'interno, si fissa su una zona adiacente il muro di cinta, dove vi è una piccola cisterna. Saunière la fa ingrandire e sopra fa costruire una casetta che utilizzerà come ufficio e biblioteca. Piuttosto strana e macabra come dislocazione, vista tutta la disponibilità di terreno che si poteva avere in paese e con panorami ben più arieggiati e distensivi. La cisterna serviva da deposito d'acqua in caso di eventuali incendi. L'eventualità diviene certezza il 14 luglio 1895, quando un grande incendio partito da un fienile rischia di attaccare le case del paese. Nonostante il giorno di festa nazionale, i pompieri di Couiza accorrono il

più presto possibile e, sapendo dell'esistenza del deposito d'acqua, si dirigono verso la casetta. La trovano chiusa perché solo il parroco (assente) ha le chiavi. Visto il caso di forza maggiore, decidono di forzare la serratura. Per tutta risposta, Saunière, appena venuto a conoscenza del fatto, denuncia i pompieri per violazione di domicilio, ma la sua richiesta viene respinta e, anzi, è costretto ad abbandonare il locale e portare da un'altra parte la sua biblioteca. Da quel momento la casetta funge da deposito dei fiori e attrezzi vari per il cimitero. Lo scrittore Jacques Rivière, in un suo libro del 198310 riporta un'intervista fatta a una signora di 85 anni (quindi nata nel 1898), la quale ricordava che, prima della sua nascita, era stato trovato un tesoro dove si mettevano i fiori durante l'inverno...! Sicuramente la spropositata reazione di Saunière è in stretto collegamento con questa dichiarazione che, purtroppo, rimane l'unico appiglio all'esistenza di un tesoro nascosto nella famosa cisterna d'acqua. Forse è in seguito a questo episodio che, un altro parroco, Antoine Beaux, di Campagne sur Aude, avrebbe detto a Saunière: «Mio caro, voi conducete un tenore di vita molto elevato e crediamo che abbiate trovato un tesoro». Il celebre confratello gli risponde in puro occitano: «Me l'han donat, l'ai panat, l'ai parat è bé lo teni» (Me l'anno donato, l'ho preso, l'ho preparato e adesso me lo tengo).

'Gérard de Sède, Rennes-le-Château, :

Laffont, Paris 1988.

Pierre Jarnac, Histoire du trésor de Rennes-le-Château,

Bélisane, Cazilhac

1998. 'Claire Corbu, Antoine Captier, L'Héritage de l'Abbé Saunière, Bélisane, Nice 1985. J

Daniel Dugès, Le secret de Nicolas Poussin, Pégase, Villeneuve de la Raho 2006.

5 André

Douzet, Nouvelle lumières sur Rennes-le-Château,

Aquarius, Genève

1998. 'Christian Doumergue, Bérenger Saunière, prêtre libre à

Rennes-le-Château,

Lacour, Nîmes 2000. 7 Daniel

Dugès, Le secret de Nicolas Poussin cit., p. 62.

"René Descadeillas, Notice sur Rennes-le-Château

et l'Abbé Saunière, Carcas-

sonne, 3 dicembre 1962, Archivi Dipartimentali. 9

Ivi.

" J a c q u e s Rivière, Le fabuleux 1983.

trésor de Rennes-le-Château,

Bélisane, Nice

Capitolo 6 La costruzione del sogno

È intorno a questo normale lavoro di manutenzione che è nata la leggenda di Rervnes-le-Chàteau. A partire dal momento in cui si sposta l'altare, si comincia a parlare di strani ritrovamenti e delle misteriosissime pergamene. Le versioni sono diverse e discordanti tra loro: Gérard de Sède, lo scrittore francese recentemente scomparso, che per primo dà un taglio sensazionalisti«) a tutto l'affaire, scrive che una delle colonne di fattura visigota che sorreggevano l'altare era cava e che i rotoli di pergamene vi erano inseriti all'interno. Qui sorge un problema, perché la cavità che si nota (il pilastro è ospitato presso il museo di Rennes-le-Chàteau) è un semplice vano che serviva solo a livello strutturale per sorreggere la lastra orizzontale dell'altare. Vi è poi René Descadeillas, che afferma che i documenti erano ospitati all'interno dell'altare stesso e altri autori che spostano il tutto a uno scrigno emerso dal pavimento. C'è poi la versione del campanaro, ossia, Antoine Captier, suocero di Claire Corbu, colei che sarebbe divenuta l'erede indiretta di Saunière. Costui disse di aver visto un bagliore proveniente dal capitello di legno di un balaustro che, per i lavori in chiesa, era appena stato spostato dal suo alloggiamento. Incuriosito da ciò, aveva trovato una teca di legno che custodiva una fiala di vetro; all'in-

terno vi era un rotolo di carta che consegnò a Saunière. Ovviamente non si può dire con assoluta certezza quale di queste sia la versione autentica, anche se è quest'ultima quella a cui è dato maggior credito, proprio perché frutto di una fonte diretta. Comunque, sia che fosse una pergamena o un semplice foglio di carta, il messaggio che vi è contenuto è di grande importanza per il parroco che, in seguito, scopre una lastra di pietra che chiudeva l'accesso alla cripta dei signori di Rennes-le-Chàteau. La lastra, meglio nota come Dalle des chevaliers è un fine manufatto risalente forse all'epoca carolingia e mostra, su due pannelli distinti, un uomo che suona il corno da caccia mentre il suo cavallo si abbevera e un cavaliere con il bastone da pellegrino e un bambino sulla sella. Forse non è un bambino ma un uomo più piccolo, per segnalare la giusta differenza tra i due personaggi. Questa scena ricorda il celebre simbolo dei Cavalieri templari. Saunière, come se niente fosse, mette il prezioso reperto in giardino, esposto alle intemperie, così come farà con il pilastro che sorreggeva l'altare e che per la sua storia avrebbe meritato ben altri riguardi. In un registro della parrocchia di Rennes-le-Chàteau risalente al 1694 menziona la presenza in chiesa del balaustro che fungerebbe da monumento per la tomba dei signori di Rennes. La Dalle non occultava soltanto l'ingresso di una tomba, ma anche un'anfora in pietra, in occitano ola, che attrae gli sguardi dei muratori Pibouleau e Nazaire Babou, perché contiene degli oggetti luccicanti. Il parroco, a questo punto, li avrebbe allontanati in tutta fretta, asserendo che si trattava di semplici medagliette di Lourdes prive di valore. Ciò che appare strano è che alla richiesta di uno dei due lavoratori di averne una per ricordo, Saunière nega risolutamente, aggiungendo che non se ne sarebbe fatto nulla di ta-

le oggetto. Mi sembra un'affermazione piuttosto grave per un sacerdote che, invece, avrebbe dovuto elargire con gioia una medaglietta votiva. Se erano davvero medagliette senza valore... Sempre in questo periodo, sotto l'altare è collocato un pannello scolpito rappresentante Maria Maddalena vestita di un abito dorato e inginocchiata in una strana postura all'interno di una grotta, intenta a contemplare un lungo crocifisso composto di due bastoni incrociati. Dall'asse verticale nasce un ramo vivo, fiorito che, alcuni autori, per assonanza, mettono in relazione con il casato nobiliare dei Fleury. In basso vi è un teschio e un libro aperto con disegnate due croci. A sinistra, fuori della grotta, si intravedono due costruzioni dai contorni poco chiari. Si dice che il parroco stesso lo abbia dipinto, ma non è mai stato provato con certezza. Quello che è innegabile è che al di sotto vi era un'iscrizione latina: «JÉSU. MEDÈLA. VULNÉRUM * SPES. UNA POENÌTENTIUM. PER. MAGDALENAE. LACRYMAS * P E C -

(Gesù rimedio per le nostre sofferenze e speranza per noi penitenti. Tu cancellerai i nostri peccati grazie alle lacrime della Maddalena). Nella scritta vi sono quattro accenti che non dovrebbero esserci (in latino non si usava e qui sono errati), ma che potrebbero rimandare a specifiche indicazioni in questa grande mappa del tesoro invisibile. JE, DE, NE, NI... lungi dal mettermi a tentare ipotetiche varianti di anagrammi (Dinne Eej che non significa nulla ma è pur sempre qualcosa; Jenni Dee che andrebbe benissimo come nome d'arte per aspiranti attrici e vallette; oppure Dj Ienene, eccezionale per giovani speaker che vogliano, magari, specializzarsi in musica etnica; o ancora Dj e enne i, un altro disc jockey che lavora in esclusiva nelle discoteche gestite CATA. NOSTRA, DILUAS»

dall'Eni, Ente Nazionale Idrocarburi...), anche per non attirarmi gli strali di alcuni partecipanti ai forum su Rertnes-leChàteau, adusi a controllare ogni sillaba di un libro (hanno molto tempo libero) e prontissimi a scatenare una guerra all'ultimo sangue per qualsiasi cosa esuli dalla rigidissima ricerca. Non si scherza su questi argomenti! Mi rifarò, quindi, a quanto già da me trattato nei miei precedenti lavori, lanciando delle ipotesi che hanno, però, una stretta attinenza con il territorio circostante: JE si rifarebbe a jais che significa giaietto, carbone. Vicino a Rennes vi è una miniera carbonifera oggi abbandonata; DE rappresenta il ditale e una roccia del circondario ha tale denominazione; NE ricorda il termine francese nez, naso e, anche in questo caso, abbiamo una roccia che si chiama così; NI, sta per nido e per un nido del tutto particolare, quello dell'aquila, con cui si è soliti nominare il monte Bugarach, luogo dei grandi misteri. Per tornare alla famosa scritta, prima ho usato l'imperfetto perché oggi sotto il quadro della Maddalena vi è il vuoto; come tanti reperti, è sparita senza lasciare traccia. Vedremo che, purtroppo, quella di cancellare oggetti e testimonianze è una moda che a Rennes-le-Chàteau ha sempre molto seguito. Una copia di questo bassorilievo, senza la scritta, è visibile in una vetrata della chiesa di Puichérich, villaggio sito tra Carcassonne e Narbona. Senza voler scendere nei dettagli minuziosi che, giorno per giorno, faranno scoprire a Saunière l'importanza della chiesa che è venuto ad amministrare, è evidente che qualcosa è radicalmente mutato nella sua vita e nelle sue tasche. La donazione fatta dalla contessa di Chambord, pur essendo cospicua, non è illimitata e le spese inerenti i lavori all'esterno

e all'interno della chiesa sono molte; nonostante questo, nel 1886 il parroco dona al suo confratello Eugène Joseph Guillaume Grassaud, al tempo alla guida della chiesa di Amélieles-Bains nei Pirenei Orientali, un bellissimo e prezioso calice di finissima lavorazione, datato intorno al XIII secolo. Vi troviamo incisi i simboli dei quattro evangelisti e l'iscrizione: E C C E PANIS ANGELORUM FACTUS CIBUS VIATORUM (Ecco il pane degli angeli divenuto cibo dei viandanti), estratto dalla festa del Santo Sacramento di Tommaso d'Aquino. Da qualche tempo sono in relazioni amichevoli con François Grassaud, nipote del parroco, il quale mi ha raccontato del rapporto intercorso tra il suo avo e Saunière e mi ha accompagnato a visionare il calice che oggi è custodito presso i beni della chiesa di Saint Paul de Fenouillet (dipartimento dei Pirenei Orientali). Bérenger Saunière, da questo momento in poi, è ricordato come un uomo generoso, pronto a intervenire economicamente presso le famiglie più bisognose del paese e del circondario e non esiterà a donare un collier e un braccialetto di fattura visigota a una nipote di Marie Dénarnaud, Georgette Roumens-Talon. Il 28 agosto 1974 questa signora, ormai anziana, che viveva sola e in modo del tutto anonimo in un piccolo appartamento di Parigi, sarà assassinata in modo brutale da uno sconosciuto che appartiene a una non ben precisata setta esoterica. Sicuramente il parroco ha trovato qualcosa di prezioso, sia nella ola, sia nella tomba sotto la Dalle des chevaliers. E sicuramente si è premurato di non divulgare la notizia, memore di quanto era accaduto anni prima nelle vicinanze. È il 1826 e nel villaggio di Rivels (sei o sette chilometri da Montazels) due operai intenti a lavorare in una cava urtano con i loro picconi un ostacolo. Ripulito il tutto dal fan-

go, si accorgono che si tratta di una ola ripiena di pezzi d'oro (dalle mie parti, un tempo si nascondevano le ricchezze sotto il materasso, mentre qui nel Razès si sono sempre preferite le anfore in pietra). Il proprietario del terreno, Henri Vié (è un cognome che ritroveremo più avanti, a Rennesles-Bains), felice come non mai della scoperta, dopo aver liquidato in fretta e furia i due uomini, inizia una trattativa con una banca di Tolosa per cambiare il tesoro in franchi correnti. Si è potuto appurare che dentro l'anfora vi era un piccolo patrimonio, composto da monete d'oro con l'effige di Luigi XIV che, comunque, si rivelarono maledette, in quanto la storia finì con la morte del «povero» Vié, paragonabile a quelle della migliore tradizione melodrammatica dell"800: solo, povero, abbandonato da tutti (forse la moglie l'aveva anche tradito), malato e, come se non bastasse, in prigione a causa di un problema finanziario per le succitate monete 1 . Il nostro parroco non ha però alcuna intenzione di ripetere gli errori del passato e quindi scende un velo di silenzio su quanto è accaduto in chiesa. A partire dal 1887 Saunière si dedica anima e corpo all'abbellimento della sua chiesa. Tra i suoi intenti, sicuramente vi è quello di trasformare il minuscolo edificio religioso in un centro di pellegrinaggio che attiri i fedeli da tutta la Francia. Il suo modello, non dimentichiamolo, è Lourdes e, anche se quest'uomo è passato alla storia per le sue stravaganze, si può affermare che quando era in vita (soprattutto i primi anni del suo mandato a Rennes) avesse come obiettivo primario il suo servizio pastorale. Il parroco è preso come da una febbre di rinnovamento che non gli lascia tregua. Ha in mente un preciso progetto e, quindi, fa spostare e aprire nuove finestre per portare all'in-

terno la giusta luce, poi apre un passaggio tra la sacrestia e una minuscola stanza di cui non è mai stata chiara la funzione. L'ho visitata più di una volta, ma ho trovato soltanto detriti e sporcizia; quello che è certo è che battendo con forza sul pavimento si sente una consistenza differente rispetto ad altri punti della chiesa, segno che sotto vi è uno spazio vuoto oppure un passaggio di cui non vi è più traccia. Un altro intervento importante a livello strutturale è quello che riguarda il pulpito: Saunière, infatti, fa perforare il muro adiacente al fine di creare un passaggio per accedervi. Si interessa anche al pavimento, che fa ricoprire di piastrelle bianche e nere, tanto da creare una grande scacchiera di 64 caselle. Dal pavimento e dalle cripte si sposta verso la luce ed ecco che l'artigiano Henri Feur di Bordeaux (non è una località proprio dietro l'angolo...) costruisce nove vetrate con i seguenti soggetti: l'Ultima Cena, posta dietro l'altare, con Gesù, quattro apostoli e la Maddalena che asciuga i piedi del Cristo con i capelli; Marta e Maria di Befania; Gesù Cristo e la resurrezione di Lazzaro; Gesù e la missione degli Apostoli; quattro vetrate poste nella navata con motivi a mosaico; Cristo in croce, in sacrestia, con sfondo del Tempio di Salomone. Le vetrate, importantissime in ogni chiesa, assumono a Rennes-le-Chàteau una valenza fondamentale. Sono parti integranti dell'enigma, anzi ne sono l'immagine emblematica e concreta, se così si può definire un gioco di luci. Sarebbe riduttivo trattarne in questa sede, quindi si rimanda al capitolo specifico sul 17 gennaio. Feur presenta al committente una fattura complessiva di 1350 franchi, somma notevole che testimonia la difficoltà e l'impegno nel realizzare simili manufatti2.

Nei primi mesi del nuovo decennio, Bérenger Saunière riceve dal vescovo Billard un incarico ad interim presso la parrocchia di Antugnac, dove è chiamato a sostituire don Joseph Verniolle. Manterrà il doppio incarico fino a luglio dell'anno seguente, quando giungerà in paese il nuovo prevosto: Leon Célestin Gaudissard. Il fatto di dover tenere due parrocchie non proprio adiacenti (saranno distanti una decina di chilometri, ma un conto è farli in auto su strade asfaltate, un altro è percorrerli a piedi, sotto il sole, nel fango, nella neve e a cadenza settimanale) pare non rappresentare un problema per Saunière che, in più di un'occasione, parlerà in termini entusiastici della nuova destinazione3. Il primo incontro con il nuovo «gregge» è datato 4 maggio ed è caratterizzato da un senso di profondo attaccamento al proprio compito di sacerdote, che si svolge in una località, Antugnac, che lui considera come il suo secondo paese natale. Effettivamente, tra il villaggio e Montazels vi è una distanza molto breve e, sicuramente, il Bérenger bambino scavezzacollo vi avrà trascorso più di un pomeriggio di giochi e, se si spingeva fino alla cima della collina di Rennes, figuriamoci se non faceva quattro passi per esplorare anche Antugnac. Si vede che il paese funge da musa ispiratrice, infatti, il parroco scrive, scrive molto e di argomenti che, principalmente, hanno attinenza con il suo mandato. L'insieme di quei fogli sparsi è divenuto, addirittura, un libro postumo cui è stato dato il titolo di Mon enseignement à Antugnac (Il mio insegnamento ad Antugnac). Qua e là, tra le righe, si coglie, comunque, qualcosa dello spirito libero di Bérenger che ci aiuta a definirne l'immagine, al di là di quello che lui si sforzava di far apparire sempre: un prete integerrimo. La politica, ad esempio, torna a farsi sentire e, nonostante i guai di cinque anni prima, non esita a tirare qualche bordata contro

i repubblicani (senza nominarli, però) che sacrificano la domenica, giorno del Signore, ad altre attività non religiose. Anche la miseria e le malattie sono frutto di questi atteggiamenti; dimenticando Dio e la preghiera si è perduti. Più avanti irrigidirà ancora di più la sua posizione, arrivando a dire che, per questi soggetti, non basta pregare, ma anche seguire una vita virtuosa e, soprattutto, santificare le feste. In uno dei suoi sermoni si soffermerà a lungo sull'apparizione mariana di La Salette, approfondendo per i parrocchiani la vicenda che ha visto come protagonisti i due piccoli veggenti, Mélanie Calvat e Maximin Giraud. Saunière, vedremo, aveva particolarmente a cuore quest'apparizione e ne darà una prova tangibile nella sua chiesa a Rennes-leChàteau, così come intratterrà spesso i parrocchiani con racconti sulla vita di santa Germana di Pibrac, esaltandone la figura di vera devota, fulgido esempio di un'anima caritatevole che ha trovato negli insegnamenti della Chiesa la vera strada che conduce a Dio. Insomma, Saunière nutriva una vera e propria venerazione per la figura di Germana Cousin e, anche per lei, tra poco, troverà un posto di riguardo. Un'ultima considerazione: Bérenger Saunière, durante l'anno di permanenza ad Antugnac ha avuto modo di visitare (o costruire?) uno strano calvario situato sopra il paese, nelle adiacenze di un campo al cui centro si trova una croce templare. Un secolo dopo, quello stesso calvario assumerà dei contorni veramente inspiegabili, soprattutto quando un signore francese di mezza età, molto simpatico e arguto, troverà il modo di coinvolgermi e confondermi ancora di più le idee (se mai ce ne fosse stato bisogno) su questo spicchio di terra francese in cui la normalità è soltanto una parola priva di significato. —-

' Jacques Rivière, Le fabuleux

trésor de Rennes-le-Château,

Bélisane, Nice

1983. 2

Ivi, p. 77.

'BérengerSaunière, Mon enseignement à Antugnac

1890, Bélisane, Nice 1984.

Capitolo 7 Demoni, angeli e basilischi

Arriviamo, finalmente, alla conclusione dei lavori che muteranno la chiesa della Maddalena. L'anno chiave, questa volta, è il 1897 che, anche se non è ricordato in alcun collage di Saunière, rappresenta un momento di grandi svolte e decisioni che uniranno per sempre il nome di Bérenger Saunière a Rennes-le-Chàteau. La chiesa, innanzitutto. Qui sono collocate le statue dei santi in un ordine particolare: san Giovanni Battista che battezza Gesù (sopra il fonte battesimale), Germana di Pibrac, Rocco, Antonio Abate, Maria Maddalena, Antonio da Padova. Su queste statue è stato scritto molto, cercando di cogliervi i particolari più strani, ma in questa sede mi limiterò a evidenziare solo tre aspetti. Antonio Abate o eremita, generalmente è accompagnato da un piccolo maiale, mentre qui l'animale diventa un cinghiale. San Rocco ha, generalmente, la ferita sulla gamba sinistra, mentre nella chiesa della Maddalena si sposta su quella destra (come in uno specchio); infine sant'Antonio da Padova è sollevato e portato in trionfo da quattro angeli. Nelle fattezze sono del tutto simili a quelli che troveremo tra poco sopra Asmodeo, collocato sopra l'acquasantiera. Dietro l'altare trovano ospitalità la Vergine Madre (attenzione, Vergine Madre e non Maria Vergine) e san Giuseppe.

Entrambi hanno un bambino in braccio e non è dato sapere se si tratti di due Gesù o si possano ventilare altre possibilità, come un doppio o un fratello (Giacomo). Certo è che entrambi hanno una particolarità: sono strabici. Lo stesso problema ottico lo ritroviamo all'altro capo della chiesa, all'entrata, in un personaggio che è agli antipodi di Gesù: il demone Asmodeo. Questo è uno dei simboli di Rennes-le-Chàteau e compare sulla copertina di diverse pubblicazioni e pezzi giornalistici. Basta vedere Asmodeo e si pensa subito al tesoro maledetto e al motivo vero dell'arricchimento del parroco. Questa statua merita una piccola sosta per meglio osservarla. Innanzitutto chi era Asmodeo? Il nome deriva dall'iranico Aeshma deva che significa demonio dell'ira ed è sinonimo della malvagia potenza diabolica. Una sua descrizione la troviamo nel libro apocrifo di Tobia (3,8; 6,14-17), dove è definito «devastatore», persecutore di Sara, figlia di Rachele, cui uccise ben sette mariti, sempre nella prima notte di nozze. È lo stesso Tobia a ridurlo all'impotenza e a incatenarlo nel deserto dell'Alto Egitto, ed è questa l'immagine nella quale spesso è rappresentato. Ma non qui: nella chiesa di Rennes non vi sono catene a tenerlo imprigionato, e il demone è libero di lasciarci alcune indicazioni. La sua mano sinistra è aperta sul ginocchio destro, forse per sottolineare l'unione cinque-ginocchio, che in francese, cinq-genou, si pronuncia quasi come saint Genou, monaco francese del III secolo che è ricordato sul calendario alla fatidica data del 17 gennaio. Un caso? Può darsi, però la statua presenta altre particolarità, come il seno che non è al posto dove generalmente si dovrebbe trovare (se gli si danno fattezze umane bisogna poi rispettarle), la mano sinistra che è chiusa, come se dovesse stringere un bastone invisibile oppure indicare un cerchio, e tutta la postura del demone che è particolare: è se-

duto ma gli manca la sedia su cui appoggiarsi. Tutti questi dettagli hanno un preciso riscontro sul territorio tra Rertnesle-Chàteau e Rennes-les-Bains: la sedia mancante, o meglio la poltrona, è una roccia denominata, appunto, Poltrona del diavolo e sembra sia stata fatta da un mobiliere perché è perfettamente adeguata alle dimensioni dell'orribile ospite. A pochi metri sgorga una polla d'acqua che è denominata «Sorgente del cerchio» e, sempre nell'arco di una distanza minima, troviamo un «Sein du diable» e la «Pierre du pain», roccia su cui è impressa un'impronta di cinque dita che la tradizione locale ha battezzato «Mano del diavolo». Quello che, però, colpiva maggiormente di questa statua inquietante erano gli occhi: blu, intensi, bellissimi e strabici. Ho scritto colpiva, volutamente al passato, perché oggi quello sguardo non esiste più, così come quella mano chiusa a cerchio. All'alba di domenica 21 aprile 1996, qualcuno si è introdotto nella chiesa di Rennes-le-Chàteau e ha staccato di netto la testa e il braccio destro di Asmodeo. I giornali locali come «Midi Libre» e «L'Indépendant» hanno dato ampio risalto alla notizia, seppur definendo il tutto come un atto vandalico che, purtroppo, non fa più notizia. In questa mutilazione vi è, a mio avviso, un significato più profondo; se si fosse trattato di un semplice vandalismo, l'opera di distruzione sarebbe stata completa e avrebbe interessato altre statue e arredi della chiesa. Del resto, ci si è accorti del fatto soltanto quando si è aperta la chiesa, segno che chi è entrato di nascosto non ha fatto alcun rumore. Se uno sconsiderato è in vena di far danni, li fa in grande stile, spaccando e sporcando dappertutto, e non compie un'operazione chirurgica per sezionare delle parti che, invece, desidera ardentemente possedere. La testa e il braccio hanno forse un significato ben preciso per qualcuno che di demoni se ne intende?

La statua è stata poi restaurata, però ha perduto quel magnetismo che quegli occhi particolari sapevano infondere. Si nota inoltre che «i soliti ignoti» a Rennes-le-Chàteau hanno una predilezione per aprile, infatti, in questo stesso mese, nel 1975, era stata rubata una statua collocata ai piedi di quella di sant'Antonio eremita. Si trattava di una riproduzione lignea di una santa particolare, strettamente legata ai merovingi: Irmina, figlia di re Dagoberto II e sorella di Sigeberto IV. Non è mai stata fatta luce sull'accaduto e nemmeno si è riusciti a risalire all'origine del manufatto, ossia se fosse stata acquistata da Saunière o in altra epoca. Sopra Asmodeo troviamo quattro angeli che sono intenti a farsi il segno della croce. Ognuno ha un vestito di colore diverso (celeste, oro, rosso, verde), come diversa è la direzione in cui guardano. Un particolare: durante dei lavori di restauro, nel 1986, si è scoperto che l'angelo di sinistra ha la testa ripiena di carta. Fin qui non ci sarebbe nulla da ridire, è normale per un artigiano che lavora il gesso creare un'imbottitura per dare la forma più appropriata; ciò che è strano è che la carta utilizzata provenga da giornali di lingua tedesca, il che fa pensare agli strani legami intercorsi tra Saunière e gli Asburgo. Di certo non erano pubblicazioni così diffuse e reperibili alla fine dell'Ottocento in questa parte di Francia che è quasi Spagna. A fare da divisorio tra gli angeli e il demone vi sono l'acquasantiera, due basilischi e un paio di scritte. PAR CE SIGNE TU LE VAINCRAS che è una traduzione dell'arcinoto «In hoc signo vinces» di costantiniana memoria. Qui c'è una particolarità: due lettere, LE, che potrebbero anche non esserci. La fantasia vola e fa vedere quello che gli occhi normali non vedono: L ed E sono la tredicesima e la quattordicesima lettera della frase; 13 unito al 14 diventa una data, 1314, anno del ro-

go di Jacques de Molay, ultimo Gran Maestro dei Templari e, sempre restando in questo campo, la somma di tutte le lettere è 22, numero particolarmente importante che spesso ritorna nelle vicende di Rennes-le-Chàteau. Quasi a volerlo rimarcare, un angelo indica proprio le due lettere, anche se si può sempre pensare (è ora di rimettere i piedi a terra) che volesse accennare, invece, ad Asmodeo e sottolineare il fatto che quel messaggio era dedicato solo a lui. Incontriamo poi due basilischi e, in mezzo, la scritta BS. L'animale rappresentato non è inteso come il rettile sauro della famiglia delle iguane, ma come il simbolo dei bestiari alchemici, un essere che poteva dar la morte solo fissando una persona. Bs può avere molti e svariati significati che vanno dalle iniziali del prete ai torrenti della regione, Blanque e Sals, fino a Bon Secours, appellativo dato a ima Madonna del vicino paese di Puivert, che aveva una grande importanza per il nostro parroco. Il gruppo statuario più importante (e il più costoso) è il grande bassorilievo posto sul muro appena varcato l'ingresso, tra l'acquasantiera e il fonte battesimale, e che occupa quasi l'intera parete della chiesa. È una rappresentazione del Monte delle beatitudini, tratta dal Vangelo di Matteo (11,28), con Gesù che annuncia le otto felicità spirituali a un gruppo di undici fedeli afflitti da diversi mali: «Venez à moi vous tous qui souffrez et qui ètes accables et je vous soulagerai» (Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo). Il monte, di cui Gesù è il vertice, è cosparso di rose e, in basso, c'è un sacco con un appariscente buco che non ha collegamenti con le Sacre Scritture e che potrebbe rappresentare un contenitore da cui è uscito qualcosa, oppure il sacco con cui Saunière raccoglieva le pietre porose e leggere per costruire la grotta di Lourdes. A fianco delle statue vi sono due scenari di-

pinti. In quello di sinistra il paesaggio è dominato dalle rovine di un imponente castello che ricorda molto quello di Coustaussa (ben visibile da Rennes-le-Chàteau), mentre nello scenario di destra si nota un capitello di balaustro (quello delle pergamene?), da cui nasce un ramoscello vivo. Sullo sfondo vi è una figura umana leggermente piegata, con un lungo abito scuro, che si appoggia, nell'incedere, a un ombrello. È un particolare che mi fa venire in mente Bérenger Saunière, avvezzo a fare passeggiate con l'ombrello (si nota in alcune foto), anche quando non pioveva. Dietro si intravede un villaggio con un edificio che ha forti somiglianze con il campanile della chiesa di Rennes-le-Chàteau. Voglio aggiungere soltanto un particolare: anticamente la chiesa di Rennes-le-Chàteau aveva dimensioni diverse da quelle odierne e la parete iniziale, quella con Asmodeo e il Monte delle Beatitudini, non esisteva. L'edificio cominciava circa tre metri indietro, nel punto dove oggi ci sono la sala espositiva del presbiterio e la toilette. Lo scrittore Jacques Rivière ha notato una serie di analogie tra il Monte delle beatitudini e il già citato santuario di Notre Dame de Bon Secours di Puivert1. «Tu, Nostra Signora del Buon Soccorso, proteggi Puivert e i suoi dintorni, veglia sempre su noi. Attraverso te, Buona Madre, i poveri, afflitti dai mali sperano di essere sollevati, ai malati tu rendi la salute...» E una parte dell'invocazione recitata durante il pellegrinaggio al santuario, meta di una fede molto sentita nella regione, anche in virtù di alcuni casi di guarigioni miracolose. Saunière aveva molto a cuore questo culto e, probabilmente, aveva deciso di dedicare la sua chiesa anche a Notre Dame de Bon Secours, da cui il celebre ed enigmatico BS. Nello stesso 1897, oltre alle statue, il parroco arricchisce la chiesa con le quattordici stazioni della Via Crucis. Anche

queste sono opera dello scultore Giscard di Tolosa, il quale riporta i vari momenti della passione e della morte di Cristo con il suo stile particolare e con colori sgargianti che sono particolarmente vivi ancora oggi. Giscard è la mano, ma Bérenger è la mente ed è lui che fa inserire dei dettagli qua e là per rendere più accattivante il proprio messaggio. Un esempio lo troviamo subito, nella prima stazione, dove si vede un leone accoccolato accanto a Ponzio Pilato. È un particolare che è presente anche nella chiesa di Le Clat, dove il nostro parroco era stato nel periodo di noviziato, e si vede che lo aveva colpito molto. La seconda stazione vede la presenza di un elmo d'oro vicino ai piedi di una donna inginocchiata; altre parti d'oro e d'argento ricoprono i soldati che sono presenti. E poi è ancora un elmo dorato con una strana punta a spiccare sulla testa di un soldato nella terza stazione. Nella quarta, la co-protagonista è Maria Maddalena agghindata con un abito giallo-oro, identico a quello indossato nel bassorilievo sotto l'altare. Dietro Gesù si nota un oggetto che potrebbe essere l'insegna dei militi romani: ha la forma di un rombo color argento che, a prima vista, sembra un aquilone. Ogni quadro possiede delle particolarità, dei tasselli che rimandano ad altri tasselli e, tutti insieme, formano un puzzle che non è ancora stato completato. Arriviamo all'ultima stazione, la quattordicesima, in cui si vede il corpo di Gesù che è portato da due uomini dentro una grotta che funge da tomba. Accanto vi sono tre donne che si disperano e sopra, in alto a sinistra, la luna piena che illumina le cime delle montagne sullo sfondo. Ciò che colpisce è che uno dei due uomini ha lo stesso viso di sant'Antonio Abate, ovviamente quello rappresentato nella statua che è in chiesa. È vero che è sempre la stessa mano - quella di Giscard - che ha creato i due manufatti, però questo accostamento è piuttosto strano.

La grande festa La conclusione dei lavori in chiesa culmina con la festa di Pentecoste del 6 giugno 1897, alla quale sono invitati il vescovo Billard e il padre dell'ordine lazzarista Mercier. La visita è immortalata sul basamento del crocifìsso del calvario con queste parole: «Souvenir de la visite episcopale de S.A. Grandeur Monseigneur Felix Arsène Billard évêque de Carcassonne et de la mission prêchée par le R.P. Mercier Lazariste en la fête de la Pentecôte, 6 juin 1897» (Ricordo della visita episcopale di Sua Eccellenza Mons. Félix Arsène Billard, vescovo di Carcassonne e della missione predicata dal reverendo padre Mercier, Lazzarista, nella festa di Pentecoste del 6 giugno 1897). Vi sono, per ogni lato, delle iscrizioni in latino e in francese. Sul lato frontale, in direzione del cancello di accesso al giardino, oltre alla menzione sopra riportata, troviamo: CHRISTUS VINCIT; O CRUX AVE.

Sul lato destro: CHRISTUS IMPERAI; IN Su quello sinistro: CHRISTUS REGNAT;

CRUCE; VITA. IN CRUCE; SALUS; C H -

RISTUS VINCIT; CHRISTUS REGNAT; CHRISTUS IMPERAT.

Dietro, sul lato in ombra della grande croce del calvario, troviamo un'altra incisione che è sulla stessa scia di quelle delle altre facciate del basamento ma che, per due lettere particolari, PS, ha dato il via a una serie di supposizioni e congetture che hanno tenuto banco per diverso tempo. CHRISTUS A.O.M.P.S. DEFENDIT; AIMONS - SALUONS - RESPECTONS - NOTRE CROIX.

I dubbi riguardano quell'A.O.M.P.S. che è stato interpretato in diversi modi, tra cui: Antico Ordine Mistico Priorato di Sion da Michael Baigent, Richard Leigh, Henry Lincoln nel loro best sellers II Santo Graal2. È una versione senza dubbio affascinante, che proietta sul paese e su quella gior-

nata di festa tipicamente cristiana, l'ombra di una delle più potenti e misteriose società segrete che siano mai state ipotizzate da mente umana: il Priorato di Sion. Io non so con esattezza matematica che cosa intendesse Saunière con quelle due lettere, però, visto il momento particolare, gli illustri ospiti e il fatto inconfutabile che lui era un sacerdote, preferisco pensare e credere che l'acronimo non celi alcun mistero o società segreta, ma più semplicemente un'invocazione, come ad esempio questa: «Ab. Omni. Malo. Populum. Suum.», da cui: «Christus ab omni malo populum suum defendit». Saunière è orgoglioso della sua opera e vuole mostrarla in pompa magna a tutto il paese e alle autorità. Per l'occasione terrà un lungo discorso in cui toccherà gli argomenti che gli sono più cari: la tristezza dei tempi attuali improntati al solo progresso industriale che, sono parole sue, «divora i suoi agnelli»3, l'immoralità che corrode l'uomo e che può essere sanata solo dall'opera del vescovo e dei sacerdoti. Evidenzia poi l'importanza della fede cristiana e della preghiera e il ruolo fondamentale che hanno le donne all'interno di una comunità, le quali, sottomesse alle leggi della Chiesa, sono un fulgido esempio per tutti gli uomini che stanno loro intorno: mariti, figli, fratelli, padri. Questo della donna portatrice di sani principi religiosi è un argomento che ha mutuato dagli scritti di Nicolas Pavillon, il vescovo di Alet-lesBains del XVII secolo, il quale aveva particolarmente a cuore questo concetto. Farà anche una piccola digressione per rilevare i momenti duri e difficili che lui, in quanto prete, ha dovuto sopportare per portare a compimento il proprio compito. Darà un dettagliato resoconto dei lavori fatti e dello stato penoso in cui versava la chiesa della Maddalena prima di

questi lavori. Concluderà poi il tutto con una promessa al vescovo: «La parrocchia di Rennes-le-Chàteau sarà la Vostra gioia e la Vostra consolazione»4. Le ultime parole non sono prese nel giusto senso da mons. Billard, il quale non è particolarmente entusiasta del nuovo volto impresso alla piccola chiesa, che trova estremamente bizzarra. Ma con il passare delle ore riprende gli abituali rapporti con il suo parroco (forse complice le succulente e prelibate pietanze preparate da Marie e i pregiati vini versati in abbondanza?). La sera vede la conclusione della giornata di festa con un grande spettacolo di fuochi artificiali che, vista la posizione di Rennes-le-Chàteau, nei giorni a venire sono l'argomento principale della gente comune di tutto il circondario. Un doppio successo di contenuti e, soprattutto, di immagine per il nostro buon parroco. La chiesa è ultimata nel modo voluto, il calvario e la grotta di Lourdes sono lì, a imperitura memoria del successo tutto personale del parroco e i soldi continuano ad arrivare da fonti misteriose (un tesoro, donazioni, vendita di messe?). È il momento di pensare ancora più in grande e dare il via alla costruzione del sogno.

' Jacques Rivière, Le fabuleux

trésor de Rennes-le-Château,

Bélisane, Nice

1983, p. 105. 2 Michael

Baigent, Richard Leigh, Henry Lincoln, Il Santo Graal, Mondado-

ri, Milano 1982. 'Claire Corbu, Antoine Captier, L'héritage de l'Abbé Saunière, Bélisane, Nice 1985. 4Ivi.

Capitolo 8 Una torre, una villa e.

Bérenger Saunière, dal 1898 al 1905, acquista a caro prezzo una serie di appezzamenti di terreno che sono attigui alla chiesa e li intesta a Marie. Qui vi farà edificare una villa, i cui lavori iniziano nel 1901. A guidarli è un personaggio poliedrico che fa sia l'impresario edile sia il gestore di un chiosco di limonate a Lue sur Aude: Elie Bot. Nato nel 1861 e morto nel 1947, è l'artefice di tutte le opere in muratura che il parroco pensa per cambiare il volto di Rennes-le-Chàteau. Per il progetto della villa, che sarà denominata Befania, in onore di Maria di Betania, uno dei personaggi dei Vangeli accomunati alla Maddalena, si affida all'architetto Tiburce Caminade il quale, nonostante i propri titoli professionali, segue pedissequamente le indicazioni che gli sono imposte dal committente. Questo è un punto di estrema importanza. Saunière era un sacerdote particolarmente sensibile ai luoghi delle apparizioni mariane e quindi era a conoscenza di un piccolo villaggio del nord della Francia, Pellevoisin, dove, dal 14 febbraio al 15 dicembre 1876, la Madonna era apparsa a una povera domestica di 33 anni (età particolarmente simbolica...), Estelle Faguette, gravemente malata. La Vergine era apparsa ben quindici volte, lasciando una serie di messaggi, tra cui la richiesta della diffusione dello scapo-

lare del Sacro Cuore di Gesù, altro tema di profondo interesse per il nostro parroco. Ovviamente la veggente era stata guarita del tutto dai suoi mali corporali e, prima di entrare nell'ordine delle suore domenicane, avrà l'onore di essere ricevuta in Vaticano da papa Leone XIII. La stanza in cui Estelle aveva avuto le numerose apparizioni era divenuta ben presto meta di pellegrinaggi e poi trasformata in santuario. Ho visto una riproduzione della «casa del miracolo» e ho visto Villa Befania: sono identiche! La struttura ha due piani, più un seminterrato e un'ampia soffitta. Nel sottosuolo si trovava una cucina da usare d'estate e altri due locali, nei quali Saunière custodiva gelosamente i vini e i liquori da servire durante i banchetti che vi organizzava; al piano terreno, la cucina, la sala da pranzo e un salone per i ricevimenti. Al primo piano trovavano spazio due camere, tra cui quella del parroco. Al secondo piano, altre due stanze da cui si poteva accedere, mediante una scala, alla grande statua del Sacro Cuore che è visibile anche oggi ed è alloggiata in una nicchia. Infine, c'era il sottotetto che ritornava particolarmente utile per depositarvi i sacchi di grano e altri oggetti che in casa avrebbero dato fastidio. Ho avuto la fortuna di visitare completamente Villa Befania in un'epoca (1987) in cui non si era sottoposti al rigido controllo di oggi e, soprattutto, si potevano vedere tutti i locali e non soltanto sbirciare dall'ingresso due sole stanze, previo il pagamento di quattro euro (tariffa del 2007). Ciò che colpisce è che Saunière non vi abiterà mai, preferendo fino alla fine la canonica; la villa serviva per le feste che, in questi primi anni del XX secolo, avevano cadenza frequente e ospiti di prim'ordine. Si è scritto che la regina incontrastata di quelle cene fosse Emma Calvé, la soprano famosissima in tutto il mondo, che era anche vicina a diversi gruppi del mondo esoterico parigino e

in stretta relazione con uomini come Papus, Camille Flammarion, Joséphin Péladan e Stanislas de Guaita, insomma, il gotha del pensiero spirituale alternativo all'imperante cultura positivista (Flammarion, ad esempio rivolgendosi alla cantante la chiamava Sorella del sole). Come mai due personaggi così distanti si ritrovano sotto lo stesso tetto? Non è facile rispondere, perché la pubblicistica su quest'argomento si è veramente sbizzarrita, così come sul nome della diva che era Calvet ed è divenuto Calvat, facendola divenire parente di quella Mélanie Calvat che, nel 1846, avrebbe visto la Madonna a La Salette, un borgo di montagna vicino a Grenoble. In realtà, il suo vero nome per esteso era Rosa Emma Calvet de Roquer, nata a Decazeville, nella regione dell'Aveyron, nel 1858 e morta a Millau nel 1942. Due anni prima di morire diede alle stampe presso l'editore Plon di Parigi un libro di memorie che parla quasi esclusivamente della sua carriera artistica, Sous tous les ciels j'ai chanté, titolo realistico poiché sono innumerevoli le sue tournée in giro per il mondo. E un altro, però, il libro che più interessa alla nostra ricerca e s'intitola Emma Calvé la diva du siede, attenta biografia della soprano, edita da Albin Michel a Parigi nel 1989. Il suo autore, Jean Contrucci, dedica un intero capitolo a un incontro importante che la Calvé avrebbe fatto presso l'abitazione parigina del musicista Claude Debussy, dove si sarebbe legata a uno «strano e inquietante curato di campagna». È una notizia bomba che apre molti interrogativi sull'identità dell'inquietante curato e che, in un certo senso, conferma la ridda di voci che, da qualche tempo, circolano su questa relazione. Tutto ciò trova un ulteriore appiglio in un altro libro scritto da Juliette Benzoni, La vie de Chàteau ', nel quale è definito con l'aggettivo «vulcanico» l'incontro tra Emma e Bérenger, che avrebbe avuto come teatro il castello di Cabrières, acquistato

dalla cantante non solo per gli incontri amorosi con il parroco, ma per cercarvi il famoso libro di Abramo l'ebreo, mediante il quale l'alchimista più celebre di tutti i tempi, Nicolas Flamel, avrebbe trovato la pietra filosofale. A proposito di questo castello, lo scrittore francese JeanPierre Monteils2, ha ricevuto la lettera di un signore di Montpellier che, durante una visita a Cabrières, ha visto un pilastro del tutto identico a quello in cui Saunière avrebbe trovato le pergamene. Sarà quello autentico? Se Pellevoisin è la fonte di ispirazione per Villa Betania, resta ancora da scoprire dove il parroco ha recepito il modello per l'altra costruzione, una torre in stile neogotico che farà edificare, più o meno nello stesso periodo, in un altro appezzamento di terreno (sempre acquistato a nome della perpetua), sito nella parte meridionale del villaggio, proprio di fronte ai Pirenei e in un punto in cui si gode un incomparabile panorama. Quella zona non aveva, però, un grande valore commerciale perché presentava una serie di asperità a causa di rocce affioranti che rendevano difficoltoso il cammino e il fondamento di qualsiasi costruzione. Saunière non si arrese di fronte a questo ostacolo che, visti i tempi e i macchinari che si potevano avere a disposizione, avrebbe scoraggiato chiunque. No, la sua torre che, in onore della Maddalena (ancora una volta) chiamerà Magdala, doveva sorgere proprio lì e nessun impedimento poteva fargli cambiare idea. Con ingenti spese, fece trasportare tonnellate e tonnellate di terreno per riempire gli avallamenti tra le rocce e rendere il piano stabile per poterci camminare e lavorare. Questo intervento fece lievitare di molto i costi: una fattura di 10.305 franchi lo testimonia. La torre Magdala è Rennes-le-Chàteau; come la Tour Eiffel, il Colosseo, il Vesuvio, la Mole Antonelliana, il duomo

sono l'immagine evocativa e immediata di Parigi, Roma, Napoli, Torino e Milano, così questa piccola e bizzarra torre che sembra uscita da un libro delle favole ci collega subito al villaggio dei misteri e dei tesori sepolti. La sua funzione ufficiale è quella di biblioteca, perché sappiamo quanto fossero importanti i libri per il parroco. La casetta adiacente il cimitero non poteva più essere utilizzata, quindi era necessario trovare un'altra sistemazione per le sue preziose opere. Ancora oggi si possono ammirare gli scaffali in legno massello ormai desolatamente vuoti. I libri non ci sono più, sono spariti poco dopo la morte di Saunière e hanno preso strade diverse: la maggioranza è giunta a Lione, segno tangibile del rapporto che legava il parroco a questa città. Qualcosa, comunque, è rimasto e Claire Corbu, l'erede indiretta che ha potuto catalogare opere di religione, geografia e storia di Francia, insieme a vari fascicoli di giornali rilegati. Pochissimi i romanzi, ma forse non interessavano al parroco, oppure, interessavano molto qualcun altro. Per dare una degna sistemazione alle sue amate «creature», Saunière aveva fatto venire appositamente Henri Barret, rilegatore di Castelnaudary, che si fermerà a Rennes-le-Chàteau più di tre mesi per sistemare l'enorme collezione, con i costi che si possono immaginare. È da ascriversi a quest'epoca la realizzazione di un'altra struttura che, per certi aspetti, ricorda la torre Magdala, anche se le dimensioni sono ridotte e il materiale è molto meno resistente. È la torre di vetro, sull'altro lato del camminamento che racchiude tutta la proprietà del parroco. Quest'ultima fungeva da serra per piante esotiche e animali non autoctoni, come pappagalli e scimmie, con annesso acquario pieno di pesci tropicali. Saunière amava molto gli animali e aveva particolarmente a cuore un cane, Pomporinet che, si

dice, fosse un regalo della Calvé. Pomponnet non abitava nella torre, ma aveva una spaziosa cuccia adiacente a Villa Befania. Spesso giocava con una scimmia di nome Mela e la cosa potrebbe lasciare del tutto indifferenti, se non fosse per il piccolo particolare che secondo uno scrivano catalano vi erano grandi miniere d'oro site tra Carcassortne e i Pirenei. Costui si chiamava Pomponius Mela.

L'inizio della fine La prima decade del nuovo secolo, il '900, non è propriamente positiva per il nostro protagonista. Se i rapporti con la famiglia d'origine erano andati progressivamente peggiorando, nel 1906 Saunière dovrà addirittura vedersela in tribunale contro la sorella Bathilde che lo cita per problemi inerenti il mantenimento della madre. Questa sarà la goccia che fa traboccare il vaso, infatti, da quel momento si può dire che per il parroco la parola «famiglia» avrà un senso solo se collegata ai Dénarnaud e, in particolar modo, a Marie, che diverrà la sua unica confidente ed erede. Ma i guai con la giustizia non finiscono qui; anche se si tratterà di un altro tipo di tribunale, Saunière sarà proiettato in una spirale di scontri e incomprensioni con la gerarchia ecclesiastica, che dureranno quasi fino alla fine dei suoi giorni. Il nuovo secolo, dicevo, vede uno scenario del tutto nuovo: Félix Arsène Biliare!, il presule che, in qualche modo, lo aveva sempre compreso e aiutato (forse, da un certo punto in poi, sarebbe meglio dire sopportato) è morto, così come non c'è più quel papa Leone XIII a cui aveva destinato il posto d'onore sul frontone della chiesa; adesso a Roma c'è Pio X e a Carcassonne risiede stabilmente un vescovo che, in comune con il suo

predecessore ha soltanto il secondo nome, Paul Felix Beauvin de Beauséjour. Questi è probabilmente partito con una certa prevenzione quando è stato destinato all'incarico, giacché sugli ultimi anni di Billard pesava come un macigno un ammanco di denaro dalle casse della diocesi che sarebbe costato al vescovo tre mesi di sospensione dalla carica. Insomma, Beauséjour non ha intenzione di lasciare la benché minima ombra su ciò che deve amministrare e, quindi, già dal 1902, anno del suo insediamento, comincia a tenere d'occhio il prete stravagante. Spese folli e insensate, banchetti luculliani e la frequentazione assidua di personaggi che non avevano alcun contatto con la sfera religiosa sono argomenti che non possono passare inosservati e che i quarantacinque chilometri che separano Rennes-le-Chàteau dalla sede episcopale non sono sufficienti ad affievolire. Beauséjour convoca a più riprese il suo parroco per avere da lui una spiegazione, ma ottiene solo rifiuti, assenze e lettere di scuse e certificati medici compiacenti che attestano svariate malattie per evitare l'appuntamento. Gennaio è il mese in cui succede sempre qualcosa nella nostra vicenda e, anche questa volta la tradizione non si smentisce. È il 15 gennaio 1909, quando mons. Rodière, vicario generale della diocesi di Carcassonne, scrive una lettera a Bérenger Saunière (forse, visti i tempi postali, l'ha ricevuta il 17...): Signor curato, sono incaricato di annunciarvi che Monsignore vi nomina curato di Coustoge, nel Doyenne di Durban. Siccome questa parrocchia è vacante, sua Eccellenza desidera che voi ne prendiate possesso ai primi del mese di febbraio prossimo. Desidero che la grazia di Dio vi accompagni e benedica il vostro nuovo ministero. Vogliate gradire, caro signor curato, i miei sinceri saluti».3

Una mazzata gli avrebbe fatto meno male! Due settimane, gli si lasciano due settimane per fare le valigie; un tempo risicato che poteva avere un senso quando doveva lasciare le sedi di Alet-les-Bains e Le Clat, ma è semplicemente ridicolo per dare l'addio a un luogo, Rennes-le-Chàteau, che non è solo la sua parrocchia, ma è ormai parte integrante della sua esistenza. Da questo momento nulla è più come prima e il braccio di ferro che opporrà Saunière al suo diretto superiore avrà momenti di grave tensione e sforzi incredibili per aggiustare una situazione ormai del tutto compromessa. Ovviamente, il parroco risponde subito al superiore, rifiutando il trasferimento perché vari e importanti motivi lo tengono legato al paese. Si vede che a Carcassonne non ritenevano tutto questo sufficiente, perché il 2 luglio dello stesso anno inviano a Rennes-le-Chàteau il nuovo parroco, don Marty, proveniente da Coustaussa. È un sacerdote che ispira la nostra simpatia e compassione, perché, dopo aver fatto a piedi i sei e più chilometri di saliscendi tra i due paesi, il poveretto si ritrova a dover dir messa alle pietre e al vento, perché i parrocchiani sono tutti dalla parte del «loro» parroco e preferiscono assistere alle funzioni che inizieranno nel giardino di Villa Befania. Per questo motivo, il sindaco rifiuta di dargli le chiavi della chiesa per non avere problemi con gli elettori. Insomma, nonostante tutto, il parroco di Rennes-le-Chàteau continua a essere solo e unicamente Bérenger Saunière. Inizia un balletto di accuse, richieste di spiegazioni e di fatture, rifiuti, scuse, omissioni e presentazioni di falsi conteggi che vedrà contrapposti il vescovo e il parroco per diverso tempo. Il 21 novembre 1911 Saunière dovrebbe comparire di fronte al tribunale di Carcassonne, ma non si presenta; ne consegue una sospensione «a divinis» per tre mesi

della sua funzione di parroco, termine che si sarebbe protratto se non si fosse fatta finalmente luce su tutta la questione. È un duro colpo per Saunière, il quale si trova costretto a chiedere aiuto a un confratello, l'abbé Huguet, dottore in teologia e in diritto canonico e che, fatto non indifferente, era stato nominato postulatore per la causa delle apparizioni di Pellevoisin. Ritorna nella vicenda di Rennes-leChàteau questo luogo che, come abbiamo visto per la costruzione di Villa Befania, stava particolarmente a cuore a Saunière. Huguet porta il caso direttamente in Vaticano e, quindi, si trasferisce a Roma con le conseguenti spese di vitto e alloggio che gravano sulle finanze di Saunière che non sono più floride come in passato. Una curiosità: tra i due inizia una fitta corrispondenza e Huguet per le sue lettere utilizza solo carta con l'immagine di Pellevoisin. Si vede che gli effetti di questo luogo santo si fanno sentire, perché, dopo una lunga battaglia, nel mese di ottobre 1915, la Congregazione del Concilio annullerà il provvedimento. Il vescovo è costretto a rimangiarsi la sua sospensione, però non riabiliterà più Saunière a Rennes-le-Chàteau. Al parroco, tutto sommato, questo non importa più di tanto, perché ha ottenuto una grande vittoria e poi, in seguito alla legge del 1905 che separava i poteri tra lo Stato e la Chiesa in Francia, lui poteva sempre contare sull'appoggio della municipalità e mantenere le sue proprietà che, tra l'altro, erano tutte intestate a Marie Dénarnaud.

Il canto del cigno Gli ultimi anni di vita di Bérenger Saunière non vedono più i favolosi banchetti a Villa Befania, ma vedono, comun-

que, un rinnovato slancio e una certa sicurezza economica. Tutto ciò è motivato dal fatto che il parroco ha in mente di costruire una torre alta settanta metri, interamente imbottita di libri e dalla cima della quale vuole predicare al popolo. Ha già contattato i suoi uomini di fiducia, ossia, l'architetto Tiburce Caminade e l'impresario Elie Bot, i quali, ben contenti di ritornare agli antichi splendori, preparano il progetto con i relativi costi: otto milioni di franchi, più o meno, tre milioni di euro attuali. Come se ciò non bastasse, il parroco progetta anche la costruzione di una grande piscina dal doppio utilizzo: fonte battesimale per immersione come si usava ai tempi dei primi cristiani e serbatoio per incanalare nelle case degli abitanti l'acqua corrente. Voleva anche acquistare un'automobile e far allargare la strada che conduce al fondovalle... tanti progetti e tanti sogni che si interrompono un 17 gennaio. La data fatidica che impera su Rennesle-Chàteau colpisce un'altra volta. Il parroco si sente male mentre è nella torre Magdala ed è subito trasportato in canonica dove accorrono il medico Courrent di Couiza e il reverendo Jean-Rivière di Espéraza. Attorno a quest'ultimo sono nate alcune leggende, secondo le quali, dopo essersi rinchiuso nella camera del moribondo e aver ascoltato dalle sue labbra i peccati di una vita, gli avrebbe rifiutato l'estrema unzione, si sarebbe fatto eremita e non avrebbe sorriso mai più. Non mi interessa tanto il senso di umorismo di questo parroco, quanto due aspetti specifici della sua carriera. Rivière, prima di Espéraza era stato parroco a Carcassonne presso la chiesa di san Vincenzo de' Paoli, luogo particolarmente caro al poeta André Chénier che lascerà degli scritti in onore dell'inaugurazione del campanile nel 1773. A questa chiesa era legatissimo anche Joseph Marie Rescanière un altro parroco dalla sorte enigmatica. La sede in cui an-

drà il seguito Rivière è ancora più importante: Brenac, il paese dei molti e irrisolti misteri. Bérenger Saunière muore il 22 gennaio 1917 alle undici del mattino. La sua salma, ricoperta di un drappo da cui pendono dei pompon rossi, è trasportata al primo piano di Villa Betania. A proposito di questi pompon, lo scrittore Franck Daffos afferma di averne visto uno intorno al 1970, conservato sottovetro come una reliquia da una famiglia della regione4. L'atto di morte di Bérenger Saunière recita: Il ventidue gennaio millenovecentodiciassette, alle ore undici del mattino, Saunière François-Bérenger nato a Montazels (cantone di Couiza) Aude, l'undici aprile milleottocentocinquantadue, figlio di Joseph e di Hugues Margherite, celibe, è deceduto presso il suo domicilio a Rennes-le-Château. Redatto il ventitré gennaio millenovecentodiciassette, ore undici del mattino sulla dichiarazione di Captier Pierre, cinquantanove anni, agricoltore, domiciliato in questo comune, vicino del defunto e di Bousquet Louis, quarantacinque anni, tagliatore di pietre, domiciliato in questo comune, amico del defunto che, dopo la lettura, hanno firmato con me, Rivière Victor, sindaco di Rennes-le-Château.

Il funerale è celebrato il 24 gennaio alle 10 del mattino, ma quando ci si accinge a far uscire la bara, i portatori si accorgono che è troppo grande e supera di parecchi centimetri lo spazio della porta. Con grande fatica e una certa impressione per gli astanti, le spoglie mortali di Saunière devono passare dalla finestra, poi per l'ultima volta nella sua chiesa, dove don Rivière celebra la messa funebre, coadiuvato da François Grassaud, colui che aveva ricevuto in dono il pre-

zioso calice, e dai parroci di Campagne sur Aude e di Montazels. La tomba che attende Saunière è proprio sotto il muro che divide il cimitero dal giardino di Villa Betania. Sopra il tumulo sarà posta una grande croce in pietra grezza sulla quale è inciso INRI con la N al contrario. Lo specchio ha colpito ancora! Nel corso del tempo, soprattutto, dal 1995 in poi, questo luogo è stato più volte preso di mira da ignoti che volevano impossessarsi del corpo del parroco, quindi la municipalità con in testa il sindaco Jean-François Lhuilier ha deciso di traslare la tomba nel succitato giardino della villa, creando un piccolo mausoleo in marmo rosa dove Saunière può finalmente riposare in pace. Lo spostamento avviene la mattina del 14 settembre 2004. Una settimana prima, nella notte tra il 7 e l'8, dei vandali hanno gettato a terra e spezzato il frontone del cimitero su cui spiccava il teschio con ventidue denti. In seguito a tutti questi fatti è stata emessa un'ordinanza che vieta l'ingresso ai turisti nel cimitero. Solo chi ha un congiunto lì sepolto ha in dotazione una chiave per aprire il massiccio lucchetto. Lì ho anch'io un caro amico che se n'è andato da poco, lo scrittore inglese Graham Simmans, insieme al quale ho fatto molte ricerche e lunghe chiacchierate sui vari enigmi di questo villaggio. Abbiamo anche compiuto, insieme al figlio John che è pilota, la trasvolazione del paese e di tutto il Razès. Dopo la morte di Bérenger, molte delle sue carte spariscono misteriosamente. C'è un episodio che mi è stato raccontato personalmente da Germain Blanc Delmas (che l'ha trattato anche in una sua pubblicazione5), un vero autoctono di Rennes-le-Chàteau, figlio adottivo di Etienne Delmas, sindaco del paese per trenta tré anni, dal 1935 al 1968, che getta una luce nuova su questo fatto. Sua madre, in compagnia di un altro paesano, tale Manet, si era recata in canonica e ne

aveva prelevato un certo numero di lettere, documenti e giornali del parroco che aveva poi bruciato lì vicino. Entrambi non sapevano leggere ma, secondo l'uomo, si trattava di porcherie che meritavano soltanto di finire tra le fiamme. Chissà quanti reperti preziosi sono finiti in quel rogo. Marie Dénarnaud si ritrova unica erede delle costruzioni e del mistero. Ha appena 49 anni ma è come se ne avesse cento; è sola, senza particolari frequentazioni, oltre alla gente del villaggio e vive ogni momento della giornata nel ricordo dei bei tempi andati. Tutti i giorni si reca al cimitero e questo diviene un appuntamento irrinunciabile, tanto che se, per vari motivi, non vi si può recare, vive questa mancanza con vero dolore. Su questo aspetto vi è un aneddoto interessante che, la già menzionata Claire Corbu ha raccolto dallo suocero Joseph Captier: Come si usava all'epoca, assistevo una notte a una veglia funebre insieme ad altra gente del villaggio. Tutto di colpo Marie si risveglia e inquieta mi domanda che ora è. Saputo che erano le due del mattino, si alza di scatto ed esce come se fosse in ritardo a un misterioso appuntamento.6

Sempre dalla stessa fonte, apprendiamo che l'ex perpetua raccontava, come se nulla fosse, che quando si recava di sera al cimitero, delle fiammelle (o spiritelli) l'accompagnavano fino all'ingresso, poi improvvisamente sparivano per ritornare la sera seguente. Lei non ne aveva paura. La solitudine di Marie dura fino al 1945, quando bussa alla sua porta un certo Noël Corbu che è giunto in paese per una gita domenicale. È questo un personaggio che sembra uscito da un libro di avventure, di quelle che si scrivevano cinquantanni fa: nato a Parigi nel 1912 si trasferisce in Ma-

rocco dove tenta senza successo la carriera di industriale. Rientrato in patria, sceglie Perpignano come residenza, vi incontra la futura moglie, hanno due figli e si mette anche a scrivere. L'unico romanzo di cui siamo a conoscenza è un poliziesco dal titolo Le Mort Cambrioleur (piuttosto profetico, in quanto Corbu morirà in un incidente dai contorni poco chiari il 20 maggio 1968, quando la sua auto, per non aver rispettato una precedenza, si schianterà contro un camion. Si è detto che la sua Renault 16 avesse i freni manomessi...), che esce nel 1943 e che non scomoda i critici letterari e nemmeno i lettori. Si dice che in questi anni collabori fattivamente con i servizi segreti del maresciallo Pétain, ma non è provato. Dopo il ritorno di De Gaulle e la liberazione, dalla costa si sposta verso l'interno e va a Bugarach; da qui a Rennes il passo è breve, così come è rapidissima l'amicizia che nasce tra l'anziana signorina e questa giovane famiglia alla quale si affeziona subito. Il 22 luglio dell'anno seguente Marie Dénarnaud fa un testamento olografo, nominando Noël e la moglie Henriette suoi eredi universali. Da questo momento saranno una sola famiglia e, quindi, l'anziana donna ha tutto il tempo di mostrare ai nuovi «parenti» i suoi possedimenti e, nelle lunghe sere invernali, raccontare loro la fantastica avventura vissuta accanto al suo prete. «Non si preoccupi, Noël, un giorno le rivelerò un segreto che la renderà ricco, immensamente ricco»; «La gente di qui cammina sull'oro e non lo sa»; «Con quello che ha lasciato il parroco si potrebbe mantenere l'intero paese per centinaia di anni e ne resterebbe ancora, ma io non lo posso toccare...»: sono alcune delle frasi che Marie era solita ripetere all'attonita famiglia davanti al focolare o a un piatto di minestra durante le loro magre cene. Dei famosi miliardi e dei tesori è rimasto solo uno sbiadito ricordo che tutti loro sperano di rin-

verdire, perché ne avrebbero davvero bisogno. Probabilmente è per questo motivo che, quando la donna sarà in punto di morte, i Corbu piazzeranno accanto al letto un magnetofono per registrare le ultime parole uscite da quelle labbra. Quel nastro esisterebbe ancora e sarebbe interessante analizzarlo7. Il 29 gennaio 1953 l'ex perpetua raggiunge Bérenger Saunière al cimitero e, come si è adusi scrivere, si porta nella tomba il segreto. Come da tradizione cristiana, è sepolta alla sua destra perché lei è stata veramente una «figlia» fedele di cotanto «padre». Come lapide avrà un piccolo cuore di metallo smaltato con i dati di nascita e di morte che, purtroppo, è sparito qualche anno fa, ma questa è ormai il triste rituale messo in atto dai feticisti del mistero. Due anni dopo, Noël Corbu, stanco di scavare per trovare tesori invisibili, decide che, in un modo o nell'altro, l'eredità del parroco deve dare i suoi frutti e apre un ristorante. Si chiamerà La tour e avrà sede a Villa Befania. Per intrattenere i clienti e non doversi sgolare, incide su un nastro la vicenda del «curato miliardario» e la fa ascoltare ai clienti tra una pietanza e l'altra. Ricco non diventerà, però, in una fredda giornata invernale, tra i tavoli si trova un giornalista del periodico più diffuso della regione, la «Dépêche du Midi». Questa ascolta la cassetta, si interessa della vicenda e ne dà ampio risalto sul suo giornale con un primo articolo che esce il 12 gennaio 1956 dal titolo altisonante: La fameuse découverte du curé aux milliards de Rennes-le-Château. È finita la storia, inizia la leggenda.

'Juliette Benzoni, La vie de Château, Bartillat, Paris 1998. 2

Jean-Pierre Monteils, Le dossier secret de Rennes-le-Château,

1981.

Belfond, Paris

3

Tappa, Boumendil, Corbu, Captier, L'incroyable destin de l'abbé

Saunière,

Bélisane, Nice 1994. 4

Franck Daffos, Le secret dérobé, Ods, Paris 2005.

' G e r m a i n Blanc Delmas, Chronique sur Rennes-le-Château,

Envolée, Tou-

louse 1998. 'Tappa, Boumendil, Corbu, Captier, L'incroyable destin cit. 7 Jean-Pierre

stric 1974.

Monteils, Noveaux trésors à Rennes-le-Château,

Octagone, Ve-

Capitolo 9 Luci e ombre del 17 gennaio

A Rennes-le-Chateau il 17 gennaio non è soltanto il 17° giorno del calendario gregoriano, cui mancano 348 giorni alla fine (349 nei bisestili). È la data per eccellenza, il momento in cui sono accaduti una serie di fatti e avvenimenti che sarebbe davvero riduttivo classificare come semplici casualità. Si può pensare che, ogni anno, da tempo immemore, si ricreino le condizioni ideali per mettere in risalto qualcosa, far convergere sul villaggio e su tutto ciò che gli attiene, un'aura particolare di magia. 117 gennaio di questi tempi attirano persone da tutta Europa, Italia compresa, per assistere a quello che, di questa giornata è l'emblema più significativo: una figura di luce. Giusto come anticipazione, voglio riassumere ciò che è legato a questa data fatidica. A livello religioso si ricordano: 1) sant'Antonio Abate, uno dei protagonisti della chiesa di Rennes-le-Chàteau. Il suo culto è molto sentito in tutto il Razès; la sua figura ha assunto un ruolo significativo a partire dal 1782, quando, mediante il suo intervento, fu debellata una grave epidemia che aveva colpito il paese di SaintPaul-de-Fenouillet (è il luogo in cui è oggi custodito il prezioso calice donato da Saunière a Grassaud). Nelle vicinanze, in quelle che sono denominate gole di Galamus, è pre-

sente una cappella dedicata al santo, dove si sono rifugiati alcuni eremiti. Uno di questi, Marie-Joseph Chiron (17971852), detto Pére Marie, è l'ideale collegamento tra queste grotte impervie e una chiesa, Notre Dame du Cros, che è uno dei tanti punti disseminati su una pista cifrata che non si sa da dove inizi, ma che porta sempre a Rennes-le-Chàteau. 2) san Sulpizio il Pio, che è il patrono della chiesa omonima di Parigi e dove, proprio in questa giornata, si vedevano le mele blu. Si racconta che tale fenomeno sia scomparso dopo che è iniziato a Rennes-le-Chàteau. Ad ogni modo, sia che Bérenger Saunière vi abbia portato o meno le sue pergamene, non si può eludere il fatto che questo sia un vero e proprio tempio che nasconde così tanti segreti che nemmeno Dan Brown con il suo odiatissimo Codice da Vinci (non fatevi vedere dai sacerdoti e dal personale della chiesa con questo libro in mano, altrimenti vi fulminano!) è riuscito a inventare. In questa chiesa, fra le stranezze degli affreschi di Delacroix, le N al contrario della firma del pittore Emile Signol, la linea del meridiano di Francia che lo collega idealmente ad alcuni punti «misteriosi» nel Razès, il contatto con Nicolas Pavillon che è uno dei vertici dell'enigma, si cela un particolare rituale inerente alla figura del santo patrono, Sulpizio il Pio, che si svolge nei sotterranei della chiesa (alcuni affermano che anche di notte vi sia una cerimonia molto significativa) ogni 17 gennaio; 3) santa Roselina di Villeneuve, figlia di un barone provenzale, muore il 17 gennaio 1329. Si narra che mentre portava del cibo di nascosto a un povero, fu sorpresa dal padre, che le chiese cosa portasse così accortamente; Roselina rispose che erano fiori e, aprendo il grembiule, cadde a terra un fascio di rose. Questo particolare del grembiule pieno di rose ritorna anche nella biografia di altre due sante: Rosa da Vi-

terbo e un'altra icona delle chiese di tutto il Razès, Rennes compresa, Germana di Pibrac. Su questo nome si è poi giocato, scindendo i termini «Rose» e «lina», che può ricordare una linea rosa, quella del meridiano di Saint Sulpice di Parigi che attraversa tutta la Francia ed è il collegamento ideale tra i vari misteri. 4) santa Neosnadia (appellata anche Neomaye in dialetto locale e Neosnadie in francese), vergine, nata a Loudun, nella diocesi di Poitiers e vissuta nel V secolo. Per le sue doti di grande virtù e umiltà era particolarmente cara al vescovo di Alet-les-Bains, Nicolas Pavillon che, proprio della missione d'evangelizzazione delle donne virtuose e umili, aveva fatto un suo caposaldo. Le donne e, quindi, le sante come Neosnadia erano il viatico migliore e più efficace per gli uomini rudi, ignoranti e addetti solo ai lavori manuali. È un argomento che recepirà molto bene anche Bérenger Saunière negli anni del suo trionfo a Rennes-le-Chàteau. Il culto di questa santa è ancora oggi molto sentito nell'area di Poitiers, dove le sono state dedicate delle cappelle e una parrocchia. Restando sempre nello stesso ambito, il 17 gennaio è anche la data della festa di Notre Dame de Pontmain nel dipartimento della Val de Loire. È una fredda e stellata notte di martedì 17 gennaio 1871; la Francia è in guerra e i prussiani vincitori a Sedan sulle truppe di Napoleone III stanno avanzando nella regione, minacciando i cinquecento abitanti del villaggio. Uno di loro, Eugène Barbedette, esce di casa per vedere come sarà il tempo il giorno dopo e vede sopra il tetto della casa di fronte una bellissima signora con il vestito di un blu intenso tempestato di stelle lucenti (il tetto era ricoperto di neve, quindi si poteva distinguere il colore) che lo guarda sorridente porgendogli le mani. Accorrono altri pae-

sani che hanno la medesima visione. È quindi organizzata una veglia di preghiera ed ecco riapparire la Signora con davanti a lei una croce rossa su cui è inchiodato un Gesù tutto sanguinante; sopra, su una traversa bianca, la scritta in francese Jésus Christ. La gente prega timorosa, il crocifisso inquietante sparisce e Maria riprende la sua posizione iniziale con le mani protese; due piccole croci bianche le appaiono su entrambe le spalle. Poi un velo bianco le sale lentamente dai piedi e, poco a poco, la ricopre tutta facendola sparire. Undici giorni dopo viene firmato l'armistizio e i prussiani si ritirano dalla zona. Potenza del 17 gennaio! Per concludere la carrellata, è sempre un 17 gennaio, ma del 1562, quando la Francia riconosce gli Ugonotti con l'editto di Saint Germain, mettendo fine a quelle guerre di religione che, nel Razès, hanno portato alla distruzione della cattedrale di Alet-les-Bains.

La tomba degli errori voluti È il 17 gennaio 1781 quando muore una nobildonna di Rennes-le-Chàteau. Si tratta della marchesa Marie de Negri (su alcuni testi è indicata come Nègre) d'Hautpoul de Blanchefort, parente di quel Jacques Marconis de Negri che nel 1838 darà vita al Rito massonico di Memphis. Il feudo di famiglia aveva il suo cuore nel Pays de Sault, che comprende Le Clat dove i parroci Bigou e Saunière trascorreranno una parte della loro vita. E sarà proprio Antoine Bigou a far scolpire le lastre funebri e a deporle nel piccolo cimitero del paese. Ci penserà poi Saunière a cancellarle. Su questi due manufatti, lapide e stele, è stato scritto molto e più di un autore vi ha voluto intra-

vedere il vero punto di partenza e l'apoteosi del mistero, altri (Jean-Jacques Bedu per dirne uno) si sono dimostrati ancora una volta scettici, affermando che gli errori e le inesattezze che costellano il tutto sono semplicemente frutto dell'ignoranza dello scalpellino. Senza voler prendere posizione, anche perché non avrei in mano molte prove (né le lapidi, né il quoziente d'intelligenza o la pagella dell'artigiano), riporto quanto emerge dalle due tavole riportate di seguito.

C T C5IT NOBLe M ARIE DE NEGRE D A R L E S DAME D H A U P O V L D* BLANGHEFORT AGEE DE SOIX ANTE SE f T ANS DECEDEE LE X V I I JAN V I E R MDCOLXXXI R E Q U I E S CATIK PACE

Stele della tomba della marchesa Marie de Negri d'Hautpoul de Blanchefort.

È opera di Elie Tisseyre, membro della Società di studi scientifici dell'Aude, il quale durante una gita culturale a Rennes-le-Chàteau, il 25 giugno 1905, era rimasto colpito da questa tomba e ne aveva riprodotto fedelmente la stele sulla carta. Il disegno originale si trova sul bollettino dell'associazione, tomo 17 del 1906. Come si può notare, vi sono palesi errori e lettere scritte in caratteri diversi. Vediamoli in dettaglio: 1) CT andrebbe scritto ci, quindi vi è una T al posto della l; 2) NOBLEe ha la «e» più piccola; 3) M di Marie è isolata dal resto del nome; 4) NEGRe ha la «e» più piccola e al posto di una «i» se la intendiamo come Negri; 5) DARLES al posto del corretto d'Ables; 6) DHAUPOUL andrebbe scritto d'Hautpoul, manca la «t»; 7) De ha la «e» più piccola; 8) soix è separato da ANTE; 9) SEpT ha la «p» più piccola; 10) MDCOLXXXI, 1781 in numeri romani, ha una o al posto della c; 11) REQUIES CATIN invece di REQUIESCAT IN isola la parola catin. Le quattro lettere piccole formano la parola épée, spada (anche perché con «peee» o «eeep» non si va da nessuna parte), che sarebbe servita come chiave per la decifrazione delle pergamene ritrovate da Saunière sotto l'altare. Lo scrittore francese Christian Doumergue, riporta su una sua pubblicazione 1 un interessante gioco di parole basato sulla fonetica, cui sarebbe giunto il ricercatore Paul Poesson2: CT si trasforma in sept; NOBLe va al plurale e diventa nobles; M la interpreta in dialetto della Linguadoca come «em» che unito a «arie» si trasforma in francese antico in embarras; NEGRe diviene noire; DARLES va letto nel giusto verso, cioè di Ar-

les; DHAUPOUL foneticamente diviene Opoul; DE si trasforma in deux; ANTE che equivale al francese d'avant è trasformato da Poesson in aven; SEpT rimane sept; MDCOLXXXI diventa 681, perché pare che la M iniziale fosse scritta in modo meno marcato e la o non vada letta; CATIN va interpretato nel dialetto della Linguadoca e, quindi, diviene grotta. Ecco il sibillino risultato: «Sept nobles dans l'embarras Marie noire d'Arles d'Opoul deux avens sept 681 ils reposent dans une grotte» (Sette nobili a disagio, Maria nera d'Arles d'Opoul due doline sette 681, riposano in una grotta). Forte di questa scoperta, Poesson trova una risposta convincente all'enigma della Route Sainte Marie, ossia un sentiero che si snoda nei boschi vicino a Rennes-le-Chàteau e che non ha alcuna particolarità, ma per il quale si era scomodato il deputato Dujardin Beaumetz per inaugurarlo in pompa magna il 19 maggio 1902, come recita una targa commemorativa. Perché tutto questo spreco di risorse? E perché definire route, strada, un semplice viottolo in terra battuta? L'autore ha le risposte e si collegano al fatto che lì, lungo quel sentiero, vi è la famosa grotta dove riposano i sette nobili «estrapolati» dalla lapide della marchesa: Gesù, Maria Maddalena, Maria Giacobbe, Maria Salomé, Lazzaro, Sara e Marta... per simili personaggi si poteva invitare anche qualcuno di più importante di un semplice deputato! Ripeto, è una teoria di tale Paul Poesson, quindi deponete le pietre che avete preparato per me, o lapidatori dei forum e della carta stampata. Si vede che Tisseyre non l'aveva notata, oppure il disegno è andato perduto, oppure non c'è mai stata..., comunque ci ha pensato Eugène Stublein a riprodurla nella sua introvabile (o inesistente...) opera Pierres gravées du Languedoc. Stiamo parlando della lapide orizzontale della tomba della marchesa, che, come la stele, racchiude tanti misteri.

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È ancora più bizzarra dell'altra, perché è scritta in latino, greco e una lingua ignota. Subito si nota il celebre ET IN ARCADIA EGO, poi le quattro strane parole: RÉDDIS, RÉGIS, CÈLLIS, A R C I S , che si prestano a svariati significati. Il P-S che è in alto è stato subito collegato al Priorato di Sion, a meno che non si debba intendere come Post Scriptum, visto che viene dopo

la stele che tanto aveva da dire. Un altro scrittore francese, Pierre Simon3, in verte le due lettere, visto lo strano ghirigoro che vi è sopra e che sembra un segno di inversione, e lo fa divenire S-P, Saint Pierre, l'altra chiesa di Rennes-le-Chàteau che nasconderebbe l'ingresso di un sotterraneo di vitale importanza per comprendere il vero mistero del paese. Dei quattro strani termini, che sono una via di mezzo tra il latino e il francese, si notano gli «is» terminali, quasi si volesse ripetere due volte la parola Isis, Iside, la dea egiziana, figlia del Cielo e della Terra e sposa di Osiride da cui ebbe Horus. Graham Simmans, lo scrittore inglese recentemente scomparso con il quale mi intrattenevo spesso in piacevoli e istruttive chiacchierate, mentre eravamo seduti di fronte alla torre Magdala, mi ha raccontato che in quel punto era stata trovata una statuetta di Iside e sulla collina di fronte, che è posta alla medesima altitudine, era venuto alla luce un manufatto analogo, ma con le fattezze di Osiride. È ipotizzabile, quindi, che a Reruies-le-Chàteau vi fosse un tempio dedicato alla dea delle scienze perdute e, proprio di fronte uno dedicato al marito, il dio della vegetazione. Anche per queste «perle» di cultura locale, sento molto la mancanza di questo prezioso amico. RÉDDIS si può interpretare come Rhedae, l'antica Rennesle-Chàteau, oppure come «restituisci». RÉGIS è qualcosa inerente il regno oppure la guida di un popolo. CÈLLIS assume diversi significati, tutti molto intriganti, come: «cripta», «magazzino» o «sotterraneo». ARCIS è l'unica parola senza accenti e, ovviamente, rimanda ad «arca», ma anche a «tempio».

Il ragno o polipo che è collocato nella parte bassa può generare ampi dibattiti e studi approfonditi che lascio ad altri. Sul P R A E - C U M limitiamoci alla traduzione come «davanti» e «con», mentre il numero romano LIXLIXL dà un totale di 172 (50, 1, 10, 50, 1, 10, 50), oppure di 168 (50, 9, 50, 9, 50), oppure... A questo punto ogni interpretazione è possibile e lascio libero il lettore di sbizzarrirsi nei tentativi più disparati. Il parroco Antoine Bigou, possibile committente del manufatto funebre della marchesa, sarebbe il vero detentore del segreto che la nobildonna si era portata nella tomba e proprio lì lo aveva evidenziato. E un argomento sicuramente intrigante e che, a varie riprese, ha fatto versare parecchio inchiostro. Ne ha trattato con ampio risalto anche una strana rivista, «L'intermédiaire des Chercheurs et des Curieux» dove, a partire dal 1970, un oscuro personaggio che firmava i suoi interventi con il nome d'arte di Pumaz (si scoprirà in seguito che si chiamava Georges Cagger) elaborava le sue tesi circa la firma che il parroco avrebbe inciso in modo enigmatico sulla lapide della marchesa e il nascondiglio che avrebbe utilizzato per nascondere il grande tesoro sul quale aveva potuto mettere le mani grazie alle confessioni della defunta. Il tutto sarebbe stato nascosto nei sotterranei che collegavano la chiesa con il castello di Rennes-le-Chàteau e che una pesante lastra di pietra (non è dato sapere se fosse la celebre Dalle des Chevaliers) serviva a occultare. Sotto una delle torri del maniero sarebbe esistita un'ampia sala dove Bigou si recava spesso a controllare e ad esaminare il «grande segreto» e che, suo malgrado, dovrà abbandonare quando sarà costretto all'esilio.

Luci e ombre vaganti Adesso è tempo di lasciare le tombe e trattare di luci che, nonostante tutto, rendono ancora più buia la strada per giungere alla fine della storia. È ormai appurato che il 17 gennaio succede un fatto strano all'interno della chiesa di Rennes-le-Chàteau: compare un albero di luce. Le vetrate, volute e pagate profumatamente da Saunière, danno vita anche ad altri giochi di luce, come quello che avviene il 13 gennaio e che avvolge interamente il gruppo statuario del fonte battesimale, con Gesù e san Giovanni Battista che sembrano vestiti di luce, oppure alla fine di marzo, quando sulla vetrata che è posta alle spalle di sant'Antonio da Padova, e che, ironia del caso, è intitolata con il passo in cui Gesù dice agli apostoli: «Io sono la luce del mondo», si crea un perfetto triangolo equilatero che ha come vertici Gesù, san Pietro e san Giovanni. Questo triangolo luminoso illumina poi tutto l'interno della chiesa. Il fenomeno del 17 gennaio è, però, il più celebre; anche se in realtà è già visibile nei giorni precedenti e continua anche per un breve periodo, è però il 17 che si raggiunge l'apice della luminosità e la definizione massima dei contorni di quello che assomiglia veramente a un albero carico di frutti sferici che assumono varie colorazioni, tra cui l'azzurro. È questo il motivo per cui è conosciuto come «l'albero di mele blu», argomento che sarebbe comparso anche su una delle pergamene ritrovate da Saunière. È stato forse il parroco a indicare all'artigiano del vetro Henri Feur il segreto per ottenere un simile fenomeno e proprio in un giorno particolare; oppure è avvenuto il contrario, però questo non spiegherebbe perché prima della supposta visita del parroco a Saint

Sulpice, le mele blu si vedessero anche in quella chiesa. E soprattutto non dà una risposta a una grande scoperta che ho fatto, insieme a due miei collaboratori, il 17 gennaio 2007, in un paese che non è Rertnes-le-Chàteau ma che, viste le peculiarità, potrebbe candidarsi a diventare a pieno titolo il nuovo paese dei misteri: Brenac. Lascio la parola (e la macchina fotografica) ai miei due collaboratori Gian Claudio e Carlo Stagliano che vi spiegheranno che cosa è successo, prima a Rennes e dopo a Brenac. 17 gennaio 2007 Fino a poco più di tre anni fa, la vicenda di Rennes-le-Chàteau ci era totalmente estranea e, naturalmente, non avevamo mai sentito nominare il nome di Bérenger Saunière. Da quando il destino, aiutato da una buone dose di curiosità e da uno spirito pseudo avventuriero, ci ha permesso di venire a conoscenza di questa intrigante storia abbiamo cominciato a frequentare abitualmente il piccolo paesino occitano, sempre più rapiti dal fascino della storia e del paesaggio. È ormai nostra tradizione recarci a Rennes-le-Chàteau proprio nel giorno in cui appare quel fenomeno di luci chiamato convenzionalmente «albero di mele blu». Anche per l'edizione 2007 eravamo presenti, pronti a immortalare il celebre avvenimento che ogni anno chiama a rapporto molte decine di appassionati nel piccolo villaggio del dipartimento dell'Aude. Proprio per accontentare i numerosi visitatori che giungono sul posto, il museo e la chiesa, data l'occasione speciale, sono costretti a un'apertura eccezionale, nonostante da un paio d'anni osservino un periodo di chiusura annuale proprio nel mese di gennaio. Fortunatamente, come per gli ultimi due anni, una bella giornata di sole accontentava coloro che raggiungevano Rennes-le-

Château, sicuri di poter ammirare anche quest'anno la parete interna della chiesa di Santa Maddalena, quella, per intendersi, opposta alle vetrate e dove sono proiettati i raggi di luce che danno vita alle pomme bleue. Mentre si stanno percorrendo i quasi cinque chilometri di salita che portano in paese è impossibile non approfittare di questa splendida giornata per godersi pienamente il magnifico panorama, rimanendo incantati dal paesaggio caratterizzato da colori, per la verità, un po' troppo primaverili. Per questa occasione ci piace arrivare sempre piuttosto presto a Rennes, come se volessimo anche noi accogliere virtualmente i visitatori che, per qualche ora, vagheranno per il domaine di Saunière. La motivazione più pratica, invece, è per poter fotografare le opere del nostro curato con più tranquillità. In realtà, l'anticipo era poi solamente di pochi minuti, perché già a metà mattinata decine di automobili avevano già riempito il troppo piccolo posteggio vicino alla torre Magdala e alcuni avevano dovuto ricorrere a sistemazioni di fortuna per gli stretti vicoli del paese. In attesa della comparsa delle mele blu, i più pazienti stazionavano perennemente in chiesa, altri rimanevano a chiacchierare all'esterno, mentre per tutti gli altri c'era anche il tempo necessario per poter rimpinguare le casse del museo o dei negozietti di souvenir e libri. Per i fedelissimi del 17 gennaio è facile riconoscere fra i tanti alcuni volti quelli già visti l'anno precedente e coinvolgerli in discussioni varie. Entrando in chiesa, abbiamo notato come purtroppo i fasti di un secolo fa siano terminati dato che, anno dopo anno, si contano sempre più crepe; se fossero effettuate piccole ristrutturazioni senza, però, compromettere le tante peculiarità volute da Bérenger Saunière non sarebbe affatto male. Lo stesso discorso vale per Villa Betania, ogni anno sempre più spoglia e abban-

donata a se stessa! Recentemente è stato chiuso anche il piano superiore della costruzione... Intanto, l'albero di mele blu si era cominciato a formare e i presenti si erano disposti in una sorta di semicerchio per tenere libera la parte vicino alla parete e poter osservare meglio questo misterioso fenomeno. Alcuni gendarmi, di tanto in tanto, eseguivano una ronda per il borgo: entravano in chiesa per controllare che tutto fosse in ordine, poi una passeggiata fino al castello e, infine, tornavano a stazionare nel parcheggio... Poco dopo mezzogiorno, le mele blu apparivano sotto la statua di santa Germana e nelle ore successive si sarebbero spostate silenziosamente, prima sotto la statua di sant'Antonio Eremita e poi verso il pulpito. Qualcuno era provvisto di grandi fogli da disegno bianchi da appendere alla parete per facilitare così la visione di queste luci colorate e le riprese con le videocamere. Sottolineiamo, casomai ce ne fosse bisogno, che le cosiddette mele non erano soltanto blu bensì anche rosse, arancioni e gialle... Tra le critiche e considerazioni che fanno gli scettici possiamo ricordare un episodio avvenuto il 17 gennaio di qualche anno fa quando, avvicinandoci a un visitatore italiano che era arrivato apposta dall'Italia per essere presente nella famosa giornata e stava trafficando con la propria fotocamera digitale, ci siamo sentiti dire: «Per me è tutto una patacca». Rispettando il parere personale, resta da capire come mai si sia preso l'impegno di un viaggio fino a questo minuscolo paese a ridosso dei Pirenei... Come a voler dire: «Non ci credo ma, intanto, sono qui! Non si sa mai...». In genere, l'osservazione della maggioranza dei presenti dura solo pochi minuti poiché, magari, le mele blu sono già state viste in varie precedenti edizioni; perciò dopo qualche minuto chi ha già avuto la possibilità di apprezzare l'interno della chiesa comincia a guadagnare l'uscita in cerca di un po' d'aria, assai

scarsa dentro la chiesa visto l'affollamento, preferendo discutere con altri convenuti di teorie alternative, avvenimenti più o meno provati e prossime tappe della gita giornaliera. Con un po' di sorpresa, quest'anno la chiesa è stata bruscamente chiusa quando erano solo le 13,30, costringendo i presenti ancora intenti a contemplare le mele blu a un'uscita alquanto sbrigativa. È difficile stabilire così anche il momento in cui il fenomeno delle mele blu cessi esattamente: negli anni in cui abbiamo assistito all'enigmatico evento, la chiesa è sempre stata chiusa prima che ciò avvenisse. Quando siamo tornati nel parcheggio, molte vetture avevano già abbandonato il paesino mentre chi rimaneva si dedicava o al pranzo al sacco o a intraprendere i sentieri che scendono dalla collina di Rennes-le-Chàteau. Altri ancora, i più organizzati, si davano appuntamento a una locanda di Rennes-les-Bains mentre un gruppetto, alla sua prima gita nell'Aude, con la cartina in mano, studiava la strada per raggiungere la prossima meta. Mentre ci apprestavamo a lasciare il paese, poco dopo le 14, si percepiva un clima da festa che giunge al termine: le automobili ormai si contavano sulle dita di una mano, non c'erano più i bambini che correvano tra i vicoli e i negozietti, dopo una mattina proficua, erano desolatamente vuoti. A Rennes-le-Chàteau era calato il sipario... Ma, proprio da questo momento, la nostra giornata diventava doppiamente più interessante! Infatti, dopo un periodo senza alcuna significante nuova da segnalare riguardante l'affaire Saunière, forse si potrà ora aggiungere un altro capitolo e, se il fatto fosse confermato, saremmo certamente sollecitati ad allargare ancora di più le ricerche e rivedere alcuni aspetti legati alla vicenda di Rennes-le-Chàteau. Quando l'attenzione di tutti gli appassionati giunti fino allo sperduto villaggio del-

l'Alto Razès era esclusivamente rivolta alla tradizionale comparsa di luci, nel frattempo un altro piccolo villaggio del dipartimento dell'Aude era protagonista di una curiosa, inaspettata, particolarità. Prima di partire per la Linguadoca, l'amico Giorgio Baietti ci aveva cortesemente chiesto se avessimo avuto la possibilità di visitare Brenac per fotografarne la chiesa nella fatidica giornata del 17, al termine dello spettacolo nel paese tanto caro all'abate Saunière... Brenac, un comune di duecento anime a voler esagerare, si trova a una ventina di chilometri da Rennes-le-Chäteau. Scendendo per la strada D-52 fino a Couiza, si svolta verso sinistra proseguendo per Espéraza e Campagne-sur-Aude e, giunti in quest'ultimo paese, si passa per il ponte sulla destra attraversando il fiume Aude, dopo di che, seguendo le indicazioni stradali, si continua verso Brenac. Ancora sei chilometri circa ed ecco che si arriva a questo ennesimo borgo della zona che potrebbe rivelarsi interessante, nel quale si troverà facilmente la chiesa dedicata ai martiri san Giuliano e santa Basilissa. In occasione dei nostri soggiorni francesi, abbiamo avuto modo di adeguarci al fatto che spesso e volentieri le chiese si trovano chiuse anche, ad esempio, la domenica mattina. Si è costretti così a vagare per le stradine alla ricerca di qualche anziano abitante disponibile ad aiutare gli inaspettati turisti a procurarsi la chiave per poter visitare la chiesa. Sfortunatamente, non sempre gli abitanti sono ben disposti e qualche volta ci si deve accontentare soltanto di qualche foto ricordo dall'esterno. C'è da ricordare che, a volte, gli abitanti del Razès non amano pubblicizzare il mito di Rennes-le-Chateau anzi, se possono, cercano di ignorare del tutto la storia. E perciò comprensibile il nostro sospiro di sollievo quando, una volta scesi dall'automobile, ci siamo accorti che il vecchio

portone marrone della chiesa era socchiuso: s'intravedeva solo il buio dall'interno. Appena entrati ci siamo trovati davanti una chiesa più grande di quanto ci aspettassimo e, altro colpo di fortuna, si poteva anche accendere un grosso faro tramite un interruttore accanto alla porta e illuminare così l'interno. Così, indisturbati, abbiamo socchiuso il portone alle nostre spalle e, quando ci apprestavamo a fotografare le varie statue presenti, l'altare e le stazioni della via crucis siamo stati improvvisamente colpiti da un particolare... Sulla parete alla destra dell'altare c'erano luci e forme simili a quelle di Rennes-le-Chàteau! Mele blu anche a Brenac? E mele blu anche a Brenac il 17 gennaio? Sarà una normale e quotidiana proiezione dovuta alla vetrata o il 17 gennaio sta giocando un altro scherzo in un ignaro paesino poco distante dal ben più famoso villaggio di Saunière? Subito non abbiamo ceduto alle facili conclusioni e abbiamo proseguito la nostra commissione ma, successivamente, la coincidenza di questo avvenimento non ci lasciava tanto indifferenti. Non abbiamo purtroppo avuto la possibilità di verificare la frequenza di quest'apparizione (se ci fosse una relazione con Rennes-le-Chàteau, tale fenomeno durerebbe per circa una settimana), ma lo accerteremo sicuramente durante la nostra prossima spedizione occitana. «Come in alto, così in basso» si diceva a proposito di Rennesles-Bains. E se non fosse riferito al villaggio termale ma a quello di Brenac? Ciò che è certo è che nei prossimi viaggi terremo maggiormente in considerazione il paese di Brenac e nel programma del prossimo 17 gennaio inseriremo nuovamente una visita anche a questa chiesa e, vogliamo scommettere, non saremo i soli...

' Christian Doumergue, Rennes-le-Château,

le grand héritage, Lacour, Nîmes

1997. 2 Paul

Poesson, Occident Tradition Secrète, Trédaniel, Paris 1994.

'Pierre Simon, L'or du temple, Curandera, Vorreppe 1990.

Capitolo 10 Brenac: misteri, dipinti e mele blu

Il 17 gennaio non è più soltanto sinonimo di Rennes-leChàteau, ma ha coinvolto anche l'innocente e riservato Brenac nel vorticoso mondo dei misteri. Dopo una serie di approfondite ricerche, ho concentrato la mia attenzione su questo villaggio del Razès che ha davvero molte caratteristiche interessanti e che merita ampiamente più di una visita e uno spazio sul mio libro. E grazie alla prontezza di Gian Claudio Aranzulla e Carlo Stagliano, tutto ciò è divenuto una solida realtà. Brenac sorge sulla sponda sinistra dell'Aude, nella valle del torrente Brézilhou, a tre chilometri dalla cittadina di Quillan e a una ventina da Rennes-le-Chàteau. È posto a un'altitudine di 400 metri e conta 203 abitanti sparpagliati tra il paese vero e proprio e le quattro frazioni: Pratx, Fauruc, Montsec e Lasserre (quest'ultimo è un nome che ritorna davvero spesso nella nostra ricerca). Il luogo un tempo si chiamava Bernacum e con questo nome compare la prima volta su un documento dell'anno 870. Nel 1285 riceve una visita importante: il re di Francia Filippo III «l'ardito» in compagnia del giovane figlio, colui che diverrà Filippo il Bello, dopo essersi fermati presso la mansione templare di Campagne sur Aude (chissà se il futuro distruttore dell'ordine ha dato

inizio al suo odio per i cavalieri dal bianco mantello durante questa visita?), risalgono la valle del Brézilhou e vanno a Brenac. Qui sono ricevuti da Raymond d'Aniort, signore del luogo, presso il suo castello. Il paese ha una chiesa molto antica che è al centro del villaggio; è in stile romanico ed è dedicata a san Giuliano e santa Basilissa. Sorge sull'area di un antico insediamento ed è nominata la prima volta in un atto del 1136, conservato presso l'archivio comunale di Narbona. Compare anche in un documento stilato dai Cavalieri di Malta inerente la diocesi di Alet-les-Bains. Le dimensioni dell'edificio non sono particolari, però l'interno è veramente ricco di arredi, statue, affreschi e vetrate. Forse, esageratamente ricco! Riguardo i due santi patroni, Giuliano e Basilissa, non è del tutto certa la loro esistenza, in ogni modo la tradizione li indica come marito e moglie che, dopo un voto di continenza, trasformarono la loro abitazione in un ospedale per la cura dei poveri. Sarebbero morti ad Atiochia intorno all'anno 302 e sono ricordati sul calendario liturgico alla data del 9 gennaio. Nonostante i dubbi sulla loro autenticità, i due santi sono molto conosciuti nella regione e oltre una ventina di chiese sono a loro dedicate. La crociata contro i catari e le guerre di religione del '500 lasciano il loro segno su tutto il villaggio, che è quasi completamente distrutto. La chiesa, rimessa in sesto, non patirà, a differenza di molte altri edifici della regione, la furia iconoclasta della Rivoluzione francese. Il 22 novembre 1796 riprende le normali attività dopo alcuni anni di chiusura. Nel 1809, in ogni caso, i segni del tempo cominciano a farsi sentire e monsignor Laporte, vescovo di Carcassonne (dopo la Rivoluzione è soppressa la diocesi di Alet-les-Bains cui Brenac apparteneva), richiede degli interventi urgenti affinché

non crolli il frontone dell'edificio. Bisognerà, però, attendere quasi trent'anni, fino al 1837, quando si faranno seri lavori di restauro e la chiesa stessa sarà ingrandita. Nel 1848, infine, saranno realizzati dei bellissimi, ma altrettanto strani affreschi che sono stati inseriti nell'inventario dei Beni storici e monumentali di Francia. Sono particolarmente importanti e intriganti e sono opera di un curato che, se non è divenuto celebre come il confratello Saunière, merita un ampio spazio per quello che, tra il 1848 e il 1887, ha saputo realizzare. Jean-François Courtade nasce a Quillan l'8 febbraio 1820, figlio di Jean-Antoine Courtade e Rose Truillet. È «nipote d'arte», poiché lo zio è don Félix Armand, parroco di Saint Martin Lys e noto per aver fatto scavare un tunnel stradale attraverso le già viste gole di Galamus, proprio dove è situato l'eremo di sant'Antonio. Courtade, dopo gli studi classici, entra nel seminario di Carcassonne, dove ottiene il titolo di diacono il 21 dicembre 1844 e diviene sacerdote il 17 maggio 1845. Durante il periodo del diaconato è inviato a svolgere il suo servizio presso la parrocchia di Rieux Minervois, che dista pochi chilometri da una chiesa molto particolare: Notre Dame du Cros. Non sappiamo se il novello uomo di chiesa abbia avuto modo di conoscere qualcosa circa la storia e la leggenda di questo luogo, però è certo che il suo atteggiamento in seguito ha assunto aspetti piuttosto originali. Il primo incarico da parroco è, guarda caso, a Serres, dove si ferma fino al 9 maggio 1848 (era una costante per i sacerdoti avere incarichi della durata di tre anni). Dal giorno seguente prende in carico la parrocchia di Brenac, che terrà fino alla fine dei suoi giorni; chiuderà la sua missione sacerdotale il 1° agosto 1887 e morirà pochi mesi dopo, il 18 dicembre dello stesso anno.

Più che di un prete, bisognerebbe parlare di un pittore e uno scultore: infatti, costruisce l'altare della chiesa, le Stazioni della Via Crucis, diversi oggetti scolpiti in legno e dipinge in uno stile che ricorda Raffaello, l'entrata di papa Gregorio XI a Roma insieme al cittadino più celebre di Brenac: Petrus Amelius, nome latinizzato di Pierre Amiel. E, proprio in onore di quest'ultimo, nel 1887 si sposta all'esterno della chiesa e costruisce una fontana sormontata dalla sua statua. Amiel è sicuramente il religioso più celebre di Brenac. Nato nel 1330 e morto nel 1401, diviene patriarca di Alessandria d'Egitto, spostandosi in seguito presso la corte pontificia d'Avignone, dove è vescovo e collaboratore personale di Urbano V e, in seguito, bibliotecario di Gregorio XI. Amiel si trasferisce poi a Roma, dove svolge il complicato ruolo di mediatore tra le fazioni che sostengono Bonifacio IX e quelle a favore di Benedetto XIII nella lunga guerra tra il papato di Roma e quello di Avignone. Amiel ha un ruolo importante nel ritorno della Santa Sede a Roma. Ma ora visitiamo la chiesa. Appena entrati, ciò che colpisce è la straordinaria ricchezza di pitture, affreschi e statue che stupiscono qualsiasi visitatore, che non immagina minimamente di trovare in questo piccolo villaggio una simile policromia. Anche l'esterno dell'edificio non lascia assolutamente trapelare la sorpresa. Subito si è attratti dalla cappella di destra, nella quale vi sono quattro statue, tre in posizione eretta e una coricata. Quelle in piedi, da sinistra verso destra, rappresentano: un uomo con una palma nella mano destra che non è possibile accomunare con l'immagine tradizionale di un santo o di un martire. Sullo zoccolo non compare alcun nome, quindi non è possibile la sua identificazione, anche se per i devoti del luogo è divenuto san Giuseppe. Al centro vi è Maria Vergine

coronata con Gesù Bambino in braccio e a destra l'inconfondibile sagoma di santa Germana di Pibrac con le rose che escono dal suo grembiule. Sopra questa statua si intravede la coppa del Santo Graal, che è stata disegnata sopra una coppa ancora più antica, poi cancellata. In basso, sotto di loro, in posizione dormiente, Gesù con la ferita sul costato. Le statue sono state prodotte dallo stesso artista e hanno una veste a foglia d'oro con il particolare delle mani e dei piedi che hanno una colorazione più chiara. Sono del tutto identiche per stile e dettagli a quelle di Giuliano e Basilissa, i santi patroni della chiesa. Tutte le statue sono prive di riferimenti (la Madonna e Germana sono individuabili per le loro peculiarità), però un nome compare ed è sullo zoccolo della Vergine: Courtade Frères, fratelli Courtade. Questo fa pensare immediatamente al nostro parroco-pittore, però il manufatto risale al 1840, otto anni prima del suo ingresso a Brenac e poi quel particolare dei «fratelli» può condurre su diverse strade. Una potrebbe riguardare una famiglia di artigiani che ha realizzato il tutto, mentre l'altra si potrebbe collegare ai finanziatori degli arredi sacri, di cui si è voluto immortalare il nome. Esiste però un altro Courtade che non è parroco ma notaio. Bernard - così si chiamava - esercitava il suo ufficio a Quillan e fu colui che preparò gli atti concernenti il passaggio del dipartimento del Rossiglione alla Francia in seguito al Trattato dei Pirenei del 7 novembre 1659. Proseguendo la nostra visita ideale, troviamo un altro gruppo di statue all'ingresso della navata: santa Elisabetta d'Ungheria, sant'Agostino e di nuovo santa Germana di Pibrac. In mezzo a queste ultime due statue si trova la cosiddetta «cappella miracolosa», su cui torneremo in seguito. All'en-

trata del coro vi sono delle nicchie che ospitano i «padroni di casa», ossia san Giuliano a sinistra e santa Basilissa a destra. Sempre entrando nella navata, incontriamo un altro nutrito elenco di statue di santi: Teresa del Bambin Gesù, Cecilia, Gesù Bambino di Praga, Francesco d'Assisi, Antonio da Padova, Gesù Bambino di Praga una statua più grande, Giovanna d'Arco, Madonna di Lourdes. Sono tutte statue policrome, mentre soltanto quelle dei due patroni, Giuliano e Basilissa, hanno una copertura dorata e appaiono di fattura molto più antica. C'è un particolare che balza subito agli occhi: tutte le statue delle sante (a parte Giovanna d'Arco) sono legate, nell'iconografia, alle rose e non è chiaro se si tratti di casualità. Come se ciò non bastasse, ecco un altro collegamento con il fiore che domina questa chiesa: santa Rosa da Lima che, con una pesante ancora da nave nella mano sinistra e il profilo di una città nella destra, è la protagonista di una vetrata. Tra le statue maschili dei santi, colpisce quella di Francesco d'Assisi, che è rappresentato con le braccia incrociate sul petto (probabilmente per mettere in evidenza il dorso delle mani stigmatizzate) con ai piedi un libro chiuso su cui è posato un teschio. È un'immagine piuttosto strana, perché, generalmente, il «poverello» è raffigurato con un crocifisso sospeso davanti a lui, oppure mentre predica agli uccelli o puntella una chiesa pericolante o, ancora, di fronte a una greppia. Il fatto del libro chiuso (si perdoni il gioco di parole) apre molte prospettive, come quella di un sapere nascosto che è solo per iniziati. È lo stesso motivo che troviamo sulla tomba del misterioso prete-scrittore Henri Boudet ad Axat. È proprio quest'ultimo a insistere sul termine «Bren» alla famosa pagina 11 del suo enigmatico La vraie langue celtique et le Cromleck de Rennes-les-Bains che si deve leggere cer-

cando le interpretazioni tra le righe. A Brenac il misterioso libro chiuso lo riesce ad aprire il santo che è accanto a Francesco, Antonio da Padova, celebre per ritrovare gli oggetti perduti, come... le chiavi. Il teschio, poi, è un motivo ricorrente nella nostra storia e rimanda al bassorilievo della Maddalena a Rennes-le-Chàteau e al quadro di Guercino I pastori d'Arcadia, in cui, per la prima volta a livello pittorico, incontriamo il celebre motto «Et in Arcadia ego». Nella vita, si sa, bisogna sempre puntare in alto e questo è più che mai vero in questa chiesa, dove è il soffitto a riservarci le maggiori sorprese. Courtade ha rinnovato da cima a fondo le decorazioni, cancellando ciò che rimaneva delle epoche precedenti. Nonostante studi approfonditi non si è risaliti a nulla più di labili indicazioni che non ci aiutano nella nostra ricerca. Ciò che abbiamo da analizzare, in ogni caso, è più che sufficiente per riempire diverse pagine, senza andare a cercare altro lavoro. Le decorazioni del soffitto sono ripartite sulle quattro travature. Nella prima abbiamo quattro medaglioni con le seguenti decorazioni: 1) un pellicano che nutre con il proprio sangue i suoi quattro piccoli. Sopra vi è il simbolo IHS, già visto spesse volte, con la croce nel mezzo della linea orizzontale della H. Da questo partono tre raggi; 2) una torre color oro con sei merli e una grande porta. Metà della torre è in ombra e nella porzione visibile si possono contare 33 pietre; 3) una stella a cinque punte da cui si dipartono sedici raggi luminosi sopra i quali è visibile l'ancora di una nave; 4) un uccello che potrebbe essere un'aquila e che sorvola sette oggetti non bene identificati che sembrano fiamme dorate, ma che potrebbero rappresentare anche i suoi piccoli. Più

sotto, delle nuvole su cui sono appoggiati due cuori fiammeggianti, di cui uno è circondato da una corona di spine, chiaro riferimento al Sacro Cuore. La seconda trave riporta altri quattro medaglioni riccamente definiti: 1) una barca a vela con l'albero maestro che culmina con una croce. Sopra vi è un uomo che sorride ed è comodamente appoggiato alla parte di poppa. Ha qualcosa nella mano sinistra, ma non si riesce a distinguere. Sopra, tra le nubi dorate, emerge un triangolo divino che illumina la scena con 17 raggi, uno in più di quelli che mandava la stella nel medaglione visto prima; 2) una strana tomba su cui figura il classico cranio con due ossa, sopra vi è un tabernacolo sormontato da un uccello che sanguina vistosamente e per cui Courtade ha usato un rosso vivo. Un altro triangolo divino domina tutto dall'alto, lanciando raggi a trecentosessanta gradi; 3) sopra una nuvola c'è ancora un triangolo divino che irradia un animale che può essere un cane o un lupo, attorniato da due uccelli per lato. Gli animali guardano verso l'alto una misteriosa mano aperta che esce dalle nuvole; 4) l'onnipresente triangolo è poggiato sopra una corona di fiori e irradia una grande croce inclinata con una corona di spine. La terza trave è più stretta delle altre e ha soltanto due medaglioni: 1) c'è una grande croce che emerge da una nuvola, sopra vi sono tre cuori fiammeggianti; i primi due, partendo dal basso, sono trafitti da una spada, mentre quello in alto è circondato da una corona di spine. Sopra la croce il motto «In hoc signo vinces»; 2) un'altra croce, circondata dagli strumenti che sono serviti durante la Passione di Cristo: una scala, una lancia, la spu-

gna, tre chiodi, martello, tenaglie, frusta, una verga e due punti gialli che non si comprende che cosa rappresentino. Ciò che colpisce maggiormente nell'immagine è l'iscrizione sulla croce che non è il tradizionale INRI, ma un abbreviato NRJ, la prima «I» non c'è e non si tratta di una sparizione dovuta all'usura. È stata volutamente cancellata. Lo scrittore Christian Doumergue afferma che l'iscrizione era completa prima del 1987, poi qualche «eminenza grigia» - come lui la definisce - ha pensato bene di sopprimere l'iniziale di Gesù per eliminarlo dalla scena1. In mezzo è disegnato un sole brillante che tenta di illuminarci. Quarta e ultima trave: 1) un cuore fiammeggiante; 2) un calice ornato inserito in un cerchio in cui spicca un triangolo che invia i suoi raggi in tutta la figura; 3) l'Arca dell'Alleanza sormontata da due angeli inginocchiati che abbassano il capo in segno di deferenza nei confronti di un disco dorato che illumina il tutto. Dietro si notano due lunghe pertiche, utilizzate per il trasporto dell'Arca stessa; 4) un cuore trafitto. Ho fatto volutamente una descrizione dettagliata perché si tratta di pitture che è davvero difficile ritrovare in altre chiese. Tra tutti questi particolari, uno ci riporta immediatamente a Rennes-le-Chàteau: l'uomo seduto in barca, che è molto simile al blasone del vescovo Billard che Saunière ha voluto rappresentare sul frontone della sua chiesa. Ma le sorprese iconografiche di questa chiesa non finiscono qui. Courtade non ha davvero trascurato alcun punto e ha voluto rendere il giusto onore al coro. Qui abbiamo delle

decorazioni che interessano sia la volta, sia i muri laterali. Nella parte bassa troviamo i quattro evangelisti, da sinistra verso destra: Giovanni, Marco, Matteo e Luca. Giovanni è ripreso con un libro aperto nella mano sinistra e vicino a un uccello bianco che, nonostante il colore, potrebbe essere l'aquila a cui è legato il suo nome. Marco è ripreso mentre sta scrivendo su un grande libro dalla copertina blu. Alle sue spalle la testa di un animale che potrebbe essere un leone, come da tradizione. Matteo ha una veste marrone e con la mano sinistra tiene una pagina alzata, mentre nella destra stringe un piccolo essere intento a osservare lo stesso documento. La minuscola creatura ha un qualcosa di inquietante e che più che un angelo (come da immagine classica) sembra un homunculus, mitica creatura nata da un procedimento alchemico, di cui Philipp Theophrast von Hohenheim, meglio noto come Paracelso (1493-1514), ci ha lasciato la ricetta di fabbricazione: seme umano lasciato per quaranta giorni in un alambicco al calore del ventre equino. Ne sarebbe nata una piccola creatura che doveva essere nutrita a base di sangue umano per quaranta settimane. Al termine si sarebbe formato un vero e proprio fanciullo, completo e perfetto, ma soltanto molto, molto piccolo. Luca è dipinto mentre è intento a leggere da un grande libro con la copertina azzurra. Un toro, come da tradizione, è assiso alla sua destra. C'è un particolare che riguarda la decorazione dei medaglioni in cui sono inseriti i quattro ritratti. Si notano dei frutti che, una volta tanto, non sono mele, ma pere e fichi. La pera simboleggia Venere e l'erotismo femminile, mentre per quanto riguarda i fichi, lungi dal cercare dei riferimenti, si nota una peculiarità: sono bucati. È un preciso richiamo alla

figura biblica di Amos che si definiva mandriano e piangitore di fichi e sicomori. L'infaticabile parroco Courtade non ha lesinato con pennelli e colori e si è spinto a decorare anche la parte più alta della volta. Qui troviamo la rappresentazione di tre donne (tre Marie?), diverse per tratti somatici e abbigliamento. La prima a sinistra ostenta nella mano destra un calice dorato per le ostie. Ha un nastrino nei capelli che le circonda tutta la testa e poi, stranamente, una specie di benda trasparente sopra gli occhi, forse per significare che lei non poteva guardare l'ostia, la trasfigurazione del corpo di Cristo. È un dettaglio davvero bizzarro che, comunque, il parroco ci teneva a raffigurare. La donna al centro ha i capelli biondi ed è vestita in modo più modesto, forse da pastora. È interessata a qualcosa che è alla sua destra, ma con la mano indica a sinistra. Nella stessa mano destra tiene uno strano bastone che culmina con un anello. Osservando meglio, si nota che è un cono, sottile e allungato, e che accanto vi è anche una freccia che ha la punta a forma di arpione. Forse un collegamento con il pescatore e la barca? La terza e ultima donna ha nuovamente vestiti signorili e ha nella mano destra un cuore fiammeggiante che è indicato anche con l'altra mano. È l'unica a indossare un lungo velo sulla testa. A fianco delle tre donne vi sono due rappresentazioni molto più singolari: sono le Tavole della Legge che Mosè ha ricevuto da Dio e che qui sono tenute da grifoni. Sopra vi è un'aquila che ha tra le ali un libro aperto. Nel pannello di sinistra due tavole indicano i numeri romani: dall'I al VII (il numero IV è parzialmente coperto dalla zampa dell'animale).

Il pannello di destra ha una tavola in cui vi sono i numeri: IV, XVI e W . La tavola posteriore non ha disegnati dei numeri ma qualcosa che da lontano sembrano cinque righe scritte. Qualcosa non torna; non c'è bisogno di un esperto in teologia per ricordare che le Tavole della Legge sono dieci, come i Comandamenti, e che, quindi, quel «XVI» è fuori luogo, a meno che, come afferma l'amico André Douzet, il quale ha svolto una serie di studi approfonditi sul Razès, Courtade volesse dimostrare che Mosè era sceso dalla montagna con sedici tavole invece di dieci; sei in più di quelle che conosciamo. E ne ha omesse anche tre: Vili, IX, X. Quest'ultima potrebbe ritrovarsi in quello strano VV che si presta a svariate interpretazioni come due volte 5, 55 o uno strano 10 che, però, poteva riportare nel modo esatto, X, visto che lo sapeva fare. Tutti questi numeri portano, secondo un dettagliato studio svolto dal ricercatore Alan Scott, a Henri Boudet e alla pagina 111 del suo La vraie langue celtique, in cui vi sono altri rimandi numerici che danno la fatidica data 1891. Insomma, secondo Scott, Boudet e Saunière facevano parte di una confraternita o una società segreta che rivestiva i numeri di significati speciali che non possono essere compresi dai profani. L'enigmatico parroco di Rennes-les-Bains avrebbe lasciato la sua impronta su molte chiese di questo misterioso angolo di Francia. C'è un altro sottile legame che unisce Brenac a Reruies-leChàteau: la Via Crucis. Anche qui è posizionata in senso antiorario e anche qui sussistono dei particolari che fanno pensare. La quarta Stazione, ad esempio, non ha il classico numero romano, ma uno strano IIII e non si dica subito che chi lo ha scritto fosse ignorante in materia, perché tutte le altre numerazioni sono conformi alle regole. Nella tredicesima si

intravedono strane figure che compaiono nelle nuvole: forse un volto o una figura in movimento, non è chiaro. Courtade, con tutta probabilità, faceva parte della «congrega dei numeri» e aveva un grande bagaglio di conoscenze esoteriche. Il dettaglio più interessante lo troviamo, però, nell'ultima Stazione dove, al contrario delle Via Crucis tradizionali, non vi è la deposizione del corpo di Cristo, ma è come se il fatto fosse già avvenuto da tempo, infatti Cristo è giacente nella sua tomba, coperto con il sacro lino e con alcuni vasi vicino a lui. In alto vi è una lampada che illumina parzialmente la scena e che è appesa nel vuoto. È una peculiarità che ci ricollega al celebre e già visto passo delle Centurie di Nostradamus (Vili - 66) Quand l'écriture DM trouvée En cave antique à lampe découverte Loy, Roy et Prince Ulpian éprouvée Pavilion Royne et Due sous la couverte.

Che si interpreta in questo modo: quando l'iscrizione DM [sarà] trovata e cava antica da lampada [sarà] discoperta, Legge, Re e Principe Ulpiano [verran] provati, Regina e Duca sotto il coperto del padiglione (con le dovute riserve circa quel Pavilion scritto con la maiuscola che, forse, è messo a inizio riga per confondere le acque). Questa famosa lampada aveva già fatto la sua comparsa a Roma nel 1485, quando era stata scoperta una tomba sulla via Appia, in cui era custodito il corpo perfettamente intatto di una giovane patrizia. All'interno brillava ancora la luce di una lampada accesa millecinquecento anni prima! Anche l'esterno di questa strabiliante chiesa ha qualcosa da mostrarci. È una linea, o meglio, una striscia più chiara ri-

spetto al resto del muro, alta una trentina di centimetri, che gira tutta attorno alla parte semicircolare del coro, la zona più antica dell'edificio. Questo tipo di decorazione anticamente segnalava la commemorazione di un personaggio importante sepolto in quel luogo. Su chi potesse essere, però, è caduto da qualche tempo un velo di silenzio. Elemento del tutto simile e nella medesima posizione, lo troviamo anche a Rennes-le-Chàteau. Per concludere (al momento) la nostra gita, ricordiamo che sul territorio di Brenac, in posizione del tutto isolata, esiste anche un'antica cappella visigota dedicata a sant'Antonio, dalla quale si può vedere in lontananza una collina dall'aspetto molto familiare: Rennes-le-Chàteau.

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Christian Doumergue, Rennes-le-Chàteau

mes 1997.

- Le Grand Héritage, Lacour, Nî-

Capitolo 11 Una piccola grande chiesa

Da Brenac ci spostiamo di una ventina di chilometri a nord per incontrare un altro luogo di grande fascino e mistero. Notre Dame de Marceille è innanzi tutto una bellissima chiesa. Per comodità continuerò a citarla con tale appellativo, anche se le compete il titolo di basilica, che papa Pio X le assegnò nel 1912. Sorge nei dintorni di Limoux, la città della Blanquette, vino bianco frizzante e capoluogo del dipartimento che comprende buona parte del Razès. È celebre, ancora oggi e non solo tra gli aficionado dei misteri, per due caratteristiche: una miracolosa Madonna nera e un'altrettanto benefica sorgente d'acqua cui si riconoscono sorprendenti effetti per gli occhi. Una moltitudine di ex voto (a iniziare dal 1412) lì esposti ne testimoniano i duplici effetti. La sorgente miracolosa è a una trentina di metri dalla chiesa, ospitata in una bacinella in pietra di forma quadrangolare, e il livello dell'acqua è costante, in tutte le stagioni. Attorno è stata costruita una piccola cappella che ha sul frontone la seguente iscrizione: «Mille mali specie Virgo Levavit aqua». Il già citato ricercatore André Douzet mi ha parlato di un'associazione religiosa che conserva un'ampolla del prezioso liquido che è stata chiusa ermeticamente e sigillata con la ceralacca, su cui è impressa la data di preparazione: 1737. Da

allora la fiala non è più stata aperta e, nonostante tutto, l'acqua che è all'interno è limpida e cristallina come se fosse stata appena prelevata. Il punto su cui è stata edificata faceva parte di un alleu, termine con cui s'intendeva un territorio libero, in altre parole non sottomesso ad alcun signore, né al pagamento di gabelle (Allodium de Marcilia et de Pomari). L'importante concessione risaliva all'epoca di Carlomagno, ed era poi stata confermata da Carlo il Calvo e Pipino, re d'Aquitania. Nel 980, per volere di papa Benedetto VII, il libero territorio di Marcilia passò sotto la tutela dell'abbazia di Saint Hilaire. È in quest'epoca che si comincia a definire questo luogo con il termine di cellula, ossia una stazione religiosa che faceva da corollario all'abbazia. Il primo atto che menziona esplicitamente la chiesa risale all'anno 1137, quando un certo Géraud de Marceille fa una donazione alla sorella Ermesse di terre «sises in terminio Sanctae Mariae de Marcellano». Nel 1214, invece, un documento detto décimaire riporta di un abitato sito attorno a una cappella conosciuta come Sainte Marie de Marceille, luogo che è anche riportato nell'archivio dell'ordine di Malta del 1269. Vi è ancora un'altra data certa che testimonia l'importanza che, via via nel corso dei secoli, ha assunto il luogo: l'8 agosto 1381, durante la Guerra dei Cent'anni, il duca Jean de Berri e il conte Gaston Phoebus di Foix hanno scelto Notre Dame de Marceille per riconciliarsi, partecipando insieme a una messa e mangiando la stessa ostia consacrata. Da questo momento in poi la storia della chiesa vede l'interesse di due papi: Innocenzo IV e Gregorio XI che intervengono con concessioni e si interessano alla festa patronale, fissata nella data dell'8 settembre, Natività di Maria Vergine. Fino al '600 i festeggiamenti duravano una quindicina

di giorni, con un'incredibile affluenza di pellegrini che giungevano a piedi anche da regioni molto lontane. La forma attuale dell'edificio è in uno stile definito «Gotico della Linguadoca» e ha le seguenti misure: 24 metri di lunghezza, 17 di larghezza e 18 di altezza; abituati alle metrature della chiesa di Rennes-le-Château, qui sembra di essere in un mausoleo immenso. Non abbiamo una data precisa circa la costruzione della chiesa, però a una trentina di chilometri a sud, vicino al paese di Fenouillet, vi è una chiesa del tutto identica (dimensioni a parte, perché questa è molto più piccola), Notre Dame de Lavai, in cui compare la scritta il lingua occitana: « L ' A N MCCCCXXXIII ET LÉ XIII DEL MÉS DÉ MARS FUET COMMENSAT

(L'anno 1433, il 13 del mese di marzo fu cominciato l'oratorio). Viste le peculiarità architettoniche è plausibile che le due chiese siano state costruite nel medesimo periodo. I secoli scorrono e ci si ritrova nel XVII, con la presenza preponderante di François Fouquet, fratello del Nicolas Sovrintendente alle Finanze di Luigi XIV e di Louis, anche lui uomo di chiesa e autore della già citata misteriosa lettera inerente a Poussin. Rennes-le-Château e il Razès appartenevano alla diocesi di Alet-les-Bains, su cui imperava l'altro Nicolas, Pavillon, mentre Limoux e la sua chiesa erano stati inseriti nel territorio di Narbona. Come abbiamo già visto, Nicolas Fouquet, al tempo l'uomo più potente di Francia dopo il re, farà mandare il fratello a guidare questa diocesi sicuramente di secondo piano, mentre avrebbe potuto aspirare a destinazioni ben più prestigiose, come Parigi o altro. Tutto questo a causa della piccola chiesa con la madonna nera? Vi è motivo di crederlo, argomentando il fatto con la presenza in loco di un immenso tesoro che avrebbe fatto la fortuna della famiL'ORATORI»

glia Fouquet e sarebbe stato l'argomento principale dei segreti di Rennes-le-Château Come tutte le chiese di Francia, anche Notre Dame de Marceille è colpita dagli strali dei giacobini durante la fase più acuta della Rivoluzione. L'edificio è chiuso nel novembre del 1793 e riaprirà solo due anni dopo, il 21 febbraio 1795 quando viene pubblicato il relativo decreto d'apertura. Bisognerà aspettare l'8 marzo per la celebrazione della prima messa, che, vedremo in seguito, sarà particolarmente importante. Nel frattempo, la chiesa è messa in vendita e acquistata da un certo Martin Andrieu, il quale spende la cifra ragguardevole di 6000 lire d'oro per evitarne la distruzione: era infatti già stato progettato di abbatterla per recuperare le pietre da costruzione. Il 24 luglio 1796 Andrieu mette in vendita i tre quarti della sua proprietà, che sono prontamente acquistati da tre personaggi locali, i cui nomi sono stati incisi su una lastra di marmo presente nella sacrestia: Thélinge, Durand e François Lasserre, un nome da ricordare. Il 1814, con la Rivoluzione ormai lontana, vede un cambiamento radicale nell'amministrazione del santuario. Visti i rapporti non sempre amichevoli tra i proprietari, è il vescovo di Carcassonne, sotto la cui guida sono passati tutto il Razès e il territorio di Limoux, a dettare le regole per la vita amministrativa. La chiesa di Notre Dame de Marceille ha quale punto focale la statua di una Madonna con Bambino che presenta alcune peculiarità: è nera, non si sa da dove provenga e quando sia giunta qua. «La storia del nostro pellegrinaggio si perde nel corso dei secoli. Noi non sappiamo assegnargli una data, come all'immagine primitiva che è l'oggetto delle prime preghiere dei fedeli». Così scriveva nel 1912 il vescovo di Carcassonne

Beauséjour (nel pieno della guerra con Saunière...) riguardo a Notre Dame de Marceille e la sua Madonna nera. Dati certi sull'origine della statua non ne abbiamo, però vi sono delle fonti orali che, di generazione in generazione, hanno tramandato una versione dei fatti molto accattivante. Le leggende servono anche a questo. Protagonisti sono due buoi che, mentre aravano un campo, si fermarono di colpo; a nulla servirono gli incitamenti e le bastonate del contadino che li guidava per farli rimettere in movimento. L'uomo, incuriosito da tale comportamento, prese a scavare in quel punto e portò alla luce la statua di una Madonna nera con il Bambino. Portò a casa l'oggetto e rimase molto stupito il mattino seguente quando vide che la statua era scomparsa e, ancor di più, quando la ritrovò nell'esatto punto in cui l'aveva scoperta. Alcune persone del villaggio considerarono il fatto come sovrannaturale e fecero erigere su quel terreno una stazione religiosa che divenne poi una chiesa. La leggenda ha, comunque, un fondo di verità: durante le scorribande dei saraceni nell'VIII secolo, le chiese della regione furono saccheggiate e gli arredi sacri, a parte quelli d'oro, completamente distrutti. Le popolazioni locali, per contenere questa furia iconoclasta, presero l'abitudine di nascondere in grotte o sotterrare il salvabile e quindi è plausibile che la stessa sorte fosse toccata alla Vergine nera. Questa versione dei fatti compariva anche su un pannello collocato in chiesa, che scomparve durante i torbidi rivoluzionari. Mons. Beauséjour interpellò appositamente un esperto per avere maggiori ragguagli sulla misteriosa statuetta, il quale diede questo responso: «Abbiamo voluto studiare questa statua senza il mantello dorato che l'avvolge, al fine di identificarla con maggior sicurezza. Abbiamo chiesto rag-

guagli anche ad altri giudici competenti e crediamo, quindi, di poter affermare che risalga all'XI o al XII secolo»2. La misteriosa statua alta 55 centimetri con una Vergine nera che ha in braccio un Gesù Bambino del medesimo colore ha fatto gridare al miracolo anche durante gli anni del materialismo imperante della Rivoluzione francese. In occasione dell'inventario dei beni della chiesa, il 20 luglio 1793, ci si accorge che la statua è scomparsa dal suo alloggiamento senza il minimo segno d'effrazione nella vetrina che la proteggeva. Cinque giorni dopo, il commissario della Rivoluzione incaricato delle indagini non riesce a fornire un'adeguata spiegazione dell'accaduto. Passano altri cinque giorni e succede un fatto che ha del sovrannaturale. Il 30 luglio è intentato un processo verbale in contumacia nei confronti di una giovane donna vestita di nero che sarebbe apparsa di colpo in un campo adiacente alla chiesa e che, stando alla versione di alcuni testimoni, sarebbe uscita dal terreno e avrebbe poi rubato la statuetta. Inseguita dalle guardie, si sarebbe nuovamente diretta verso quel campo, sparendovi insieme al prezioso oggetto e senza lasciare la benché minima traccia. Nessuno in paese ha mai visto quella misteriosa donna ed è in grado di fornire una spiegazione che abbia qualcosa di razionale (anche a quei tempi era un termine molto di moda). Il rigido funzionario è costretto, suo malgrado, a stilare un rapporto da cui emerge che per la gente del luogo si tratta di un miracolo! L'8 agosto il Comitato della Rivoluzione di Limoux impone che sia fatta chiarezza su questo avvenimento che rischia di mettere in ridicolo gli uomini e gli ideali del 1789. La religione e le sue credenze non si possono prendere gioco della storia! L'inchiesta accusa alcuni personaggi legati all'Ancien Régime che non sono di Limoux e che utilizzerebbero dei sotterranei per portare a termine le loro scorre-

rie. Il 21 giugno 1794 è formulata un'accusa contro ignoti realisti che avrebbero sottratto la statua dalla chiesa; accusa che rimane solo sulla carta perché non si individua nessuno cui notificarla. La Madonna nera di Marceille ricompare miracolosamente presso la casa di un personaggio già incontrato, il comproprietario François Lasserre, priore dell'associazione religiosa dei Penitenti blu, che avevano tra i loro motti il celebre «pénitence, pénitence», che Bérenger Saunière, cent'anni dopo, inciderà a grandi lettere sul suo pilastro. La statua sarà ricollocata al suo posto per la già citata messa di riapertura della chiesa dell'8 marzo 1795. Sulla misteriosa ragazza che era sbucata dalla terra è sceso un imbarazzante velo di silenzio, nero come gli abiti che indossava.

Boudet e Lasserre È per merito di un altro Lasserre, però, se siamo riusciti ad avere un quadro più esaustivo sulla chiesa e i suoi molti legami. Si tratta di Joseph Théodore (o Théophile secondo altre versioni), parroco di Alet-les-Bains (alle sue dipendenze aveva avuto un giovane curato di nome Bérenger Saunière) che nel 1891 (un caso?) dà alle stampe il libro Histoire du pèlerinage de Notre Dame de Marceille, près Limoux sur Aude3, il cui titolo non deve ingannare, perché, lo vedremo, non è un semplice resoconto devozionale del pellegrinaggio che è iniziato nel 1380, ma un'intrigante opera che tocca diversi aspetti che non hanno nulla a che vedere con il pellegrinaggio e la chiesa in senso stretto, ma estendono il suo raggio d'azione a Rennes-le-Château, Alet-les-Bains, Arques e Rennes-lesBains. Di quest'ultima località ammirava soprattutto il parroco; Henri Boudet è, infatti, citato diverse volte riguardo al

santuario, quasi a indicare che ne sapesse molto di più dello scrivente. Oltre a scrivere, Lasserre effettua una serie di meticolose ricerche sulla figura dell'ultimo vescovo di Alet-lesBains, Charles La Cropte de Chantérac che, come abbiamo visto, divide la tomba con Antoine Bigou a Sabadell. Nel suo libro, Lasserre inizia dando grande rilievo all'acqua miracolosa e alle gallerie e ai sotterranei da cui proviene. È un aspetto, questo, di cui si è occupato anche Henri Boudet, il quale nutriva una sorta di venerazione per la basilica di Limoux. Nel suo enigmatico libro 4 scrive: A poca distanza verso l'alto della rampa [l'autore inserisce qui una nota: Questa rampa porta il nome di Via Sacra] costeggiata da alberi verdi che conduce al santuario, una fontana lascia cadere goccia a goccia la sua acqua limpida in una vasca di marmo. Grazie alle abbondanti piogge, la goccia d'acqua continua a cadere con uniformità, e i periodi di grande siccità non la prosciugano. Gli innumerevoli cristiani che vanno a rendere omaggio alla Santa Vergine, si fermano un istante alla fontana e, dopo avere fatto una preghiera, attingono alcune gocce di questa acqua con cui bagnano le loro palpebre. Perché agiscono così? La maggior parte lo ignora; ma la madre di famiglia lo insegna ai suoi figli, e quelli trasmettono ai loro bambini questa devota pratica in uso presso la fonte di Notre Dame de Marceille. Questo è il nome con cui si designa la fontana; gli antichi cronisti, tuttavia, l'hanno conosciuta sotto il nome di fonte di Nostra Signora di Marsilio. Al tempo del primo insediamento nelle Gallie, questa fonte, che scorre goccia a goccia, deve aver reso fangoso il terreno, e di conseguenza pieno di giunchi e di quelle graminacee che si ritrovano in tutti i suoli umidi: era quel che i celti chiamavano haum-moor, termine che essi hanno scritto in tutti i punti dei

paesi gallici, ovunque si presentasse ai loro occhi un campo più o meno paludoso. La piccola sorgente, senza nome come tutte quelle in cui l'acqua è troppo scarsa per formare un esiguo ruscello, appena sufficiente per formare un campo di haum-moor, rappresentava tuttavia per il loro spirito un significato preciso e venerabile. Boudet lega quindi il culto primordiale di questo luogo proprio all'acqua che, lo dice per due volte, esce «goccia a goccia» e dà vita a queìl'haum-moor

che è ripetuto anch'esso

a breve distanza. Sappiamo che il parroco di Rennes-lesBains non scriveva a casaccio, ma ha meditato con estrema attenzione ogni sillaba riportata in quelle 310 pagine che ci ha lasciato come testamento. Anche ciò che segue merita di essere letteralmente riportato, perché offre un'interessante spiegazione del toponimo Marceille, che per molti commentatori è da intendere come una versione errata di Marseille (Marsiglia), la città in cui sarebbe sbarcata Maria Maddalena con il suo Santo Graal: La fontana di Marceille dovette, come le altre, essere ornata con una statua della Santa Vergine. È forse questa la stessa che, perduta durante i tormenti delle invasioni Saracene, fu più tardi ritrovata e collocata con onore nel santuario destinato a riceverla? Ci sembra molto probabile. Questa immagine della santa Vergine che tiene fra le braccia il suo divino Figlio, scolpita in un legno nero, indica la sua origine orientale: la sua posizione vicino a una fonte e il terreno presso la piccola sorgente dove fu ritrovata ci segnalano i primi tempi del cristianesimo nelle Gallie. Queste probabilità prendono una forma ancora più consistente, se cerchiamo di penetrare il senso del nome di Nostra Signora di Marceille o Marsilla.

I nuovi cristiani, confidando nella dolcezza della Madre del Signore Gesù, saranno venuti a chiedere, in ginocchio ai piedi della sua immagine collocata vicino alla fonte, la guarigione o il lenimento delle loro sofferenze corporali, e questi galli avranno espresso nella parola Marsilla la somma dei favori più comuni ottenuti della bontà della santa Vergine: ella era per essi Nostra Signora di Marsilio, o degli occhi rovinati, danneggiati e chiusi dalla malattia - to mar, guastare, danneggiare; to seel, chiudere gli occhi. L'ignoranza della pronuncia delle parole celtiche ha da sola portato, col passar del tempo, a dire marseel (Marceille) al posto di Marsil.

Tornando a Lasserre, è bene ricordare che era discendente per via paterna di quel François Lasserre che aveva ritrovato la preziosa statuetta e, da parte di madre, parente di Martin Andrieu, il salvatore del santuario durante la Rivoluzione. Notre Dame de Marceille l'aveva quindi nel DNA. Come si è detto prima, nel suo libro tocca anche diversi argomenti che non hanno nulla a che vedere con pellegrinaggi e Notre Dame de Marceille. Ad esempio, a pagina 11 si sofferma sulle croci che compaiono sui menhir del cromlech di Rennes-les-Bains, nonché sul boudetiano (mi si accetti il neologismo) Cap de l'Homme con la famosa «Testa del Salvatore». Passa poi ad analizzare i dintorni della già vista chiesa di Saint Salvayre sopra Alet-les-Bains, la storia antica di Rennes-le-Chàteau e i suoi depositi e alcuni personaggi legati a doppio filo all'enigma: il vescovo Pavillon, Antoine d'Hautpoul, signore di Rennes-le-Château, il cui cuore è conservato dal 1674 nella basilica di Limoux, Pierre de Voisins, sempre di Rennes, i vescovi Billard e Beauséjour, la contessa di Chambord e una certa Madame Vie, che gli avrebbe confidato un oscuro messaggio circa la Madonna nera. Questa Vie fa

venire alla mente il predecessore di Boudet alla cura di Rennes-les-Bains e la sua strana tomba. Grazie a questo prezioso libro riusciamo a fare un passo in più nell'analisi del rapporto tra Bérenger Saunière e la contessa di Chambord e, forse, a chiarirci veramente le idee. Il capitolo XVIII è interamente dedicato agli ex voto e cita la nobildonna che sarebbe venuta a conoscenza del miracoloso santuario del Razès grazie al cugino di Lasserre, il dottor Carrière di Limoux, che era il medico di famiglia. Poco dopo avrebbe fatto dono di un prezioso dipinto di stile bizantino, riproducente la Madonna con Gesù in braccio e messo in una cornice d'argento. Sappiamo che Saunière aveva conosciuto sia Lasserre, sia Carrière durante la sua permanenza ad Alet-les-Bains e che quest'ultimo, vista la sua funzione di medico della «Real casa», avrà sicuramente apprezzato le idee monarchiche del giovane curato, creando i presupposti per un contatto proficuo tra lui e la contessa. Insomma, questo Joseph Théodore Lasserre sa molto più di quello che lascia intendere e il suo Histoire du pèlerinage de Notre Dame de Marceille, pres Limoux sur Aude si iscrive a pieno titolo nell'elenco dei libri stravaganti scritti dai preti del Razès. Sarà anche per questo che ha avuto l'onore di essere sepolto nel cimitero di Alet-les-Bains, accanto al vescovo Nicolas Pavillon.

Altri preti, altri misteri Saranno altri due parroci, però, a entrare in prima persona nella vicenda, lasciando un'impronta molto ampia sulla piccola basilica della Madonna nera. Si tratta di Gaudéric Mèche e del suo successore Henri Gasc (o Gasq). Giusto per

dare un'indicazione temporale, diciamo che il primo è giunto a Limoux in epoca imprecisata e lascerà il suo incarico nel 1838, quando subentrerà Gasc, che resterà fino al 1872. Mèche, nato nel 1802, muore il 29 maggio 1864 e trascorre parte della sua vita presso la basilica di Limoux dove, secondo la cronaca di Lasserre, crea delle risorse per l'abbellimento della chiesa, organizza il pellegrinaggio e costruisce la seconda sacrestia (la prima risaliva al '600 ed era stata fatta costruire dal vescovo François Fouquet). Personaggio schivo e modesto, non fa parlare di sé, però getta le basi su cui Gasc completerà l'opera. È in quel sibillino «crea delle risorse» che si apre un ventaglio di ipotesi che portano a pensare che avesse scoperto qualcosa di molto prezioso. Ciò potrebbe trovare una conferma nel fatto che, senza un valido motivo, lascia improvvisamente il suo incarico per ritirarsi a molti chilometri di distanza, in una chiesetta campestre che in comune con il prestigioso santuario aveva solo il nome: Notre Dame du Cros. Anche qui si darà da fare per «creare delle risorse» e abbellirà e cambierà il volto di questa chiesa, sempre in silenzio e con la massima riservatezza. Qui avrà anche modo di istruire e forgiare un suo giovane curato e raccontargli qualcosa dei suoi segreti... professionali: Henri Boudet. Un altro Henri, che ha come secondo nome Jacques e di cognome fa Gasc, è il nuovo parroco di Notre Dame de Marcelle. A differenza del predecessore, lascia molte più tracce del suo passaggio, a cominciare dalle opere che sono davvero tante e grandiose. Per prima cosa fa costruire la terza sacrestia, acquista dei terreni circostanti, fa ingrandire e sistemare la Via Sacra che conduce alla fonte miracolosa, acquista un grande organo e praticamente rifà da cima a fondo l'intera chiesa con una serie di lavori che dureranno tre anni, rendendola ricca di arredi, ornamenti e dipinti, tra cui una

particolare Via Crucis, come la vediamo ai nostri giorni. A proposito di dipinti, ne donerà due, come abbiamo visto, alla chiesa di Rennes-les-Bains, senza che vi fosse un motivo pratico per farlo. In aggiunta a tutto ciò, fa costruire la cosiddetta fontana monumentale, che gli costerà la bellezza di 20.000 franchi. Saunière al confronto era un novellino! Prima di formulare delle ipotesi, voglio spendere due parole sulla Via Crucis. E formata da quadri con figure coloratissime e a bassorilievo. Lungi dal volerle esaminare una a una (questa chiesa merita più di una pubblicazione per esaminarla anche solo superficialmente), mi limiterò a segnalare le anomalie più evidenti. - Ponzio Pilato non è presente soltanto nella prima stazione ma in tre. È un particolare che non trova molti riscontri altrove; - Pilato non è vestito come un romano, ma all'orientale con un vistoso velo azzurro che lo ricopre da capo a piedi e ha una folta barba e capelli lunghi, cosa piuttosto insolita; - nella terza stazione domina lo sfondo un castello che è del tutto simile a quello di Serres e un soldato tiene in alto un foglio arrotolato nella mano. Una pergamena? - nella nona stazione ricompare nella scena Ponzio Pilato, anche se in secondo piano; - stazione undicesima: ancora Pilato in primo piano, vicino a Gesù mentre lo inchiodano sulla croce. Nella mano sinistra stringe una pergamena arrotolata; - quattordicesima stazione, la più eclatante: vi sono due Gesù in scena, uno che è deposto nel sepolcro e l'altro che tiene il suo doppio per le spalle. Non ci sono dubbi, il viso è lo stesso, come uguali sono i vestiti per foggia e colore. Questo particolare del doppio Cristo rimanda al pittore Poussin, che nel suo dipinto Ordine, risalente al 3 giugno

1647, ritrae due Gesù uno accanto all'altro nell'atto di indicare il cielo. Adesso possiamo porgere la fatidica domanda: dove prendeva tutti questi soldi il parroco Gasc? Mistero. Posso giusto riproporre quanto formulato dallo scrittore Franck Daffos in un suo libro5. È a Notre Dame de Marceille che nasce tutto l'enigma, di cui Rennes-le-Chàteau è solo una propaggine. Un immenso tesoro è nascosto nei sotterranei della chiesa e ne sono a conoscenza i «Tre Nicolas» (Poussin, Fouquet, Pavillon), poi entrano in gioco i «Tre Preti» (Lasserre, Méche, Gasc) a cui se ne aggiungono altri due, Boudet e Saunière. In tutta questa compagnia sarebbero Gasc e Boudet le menti pensanti che utilizzano Saunière per i trasporti delle parti del tesoro (ecco perché viaggiava tanto!), il quale utilizza la sua parte in opere che lo renderanno troppo visibile e, quindi, vulnerabile. In breve, questo è il sunto delle 180 pagine in cui Daffos formula le sue ipotesi con piglio sicuro e circostanziato. Quello che è certo è che Gasc doveva essere molto importante, tanto che, quando nel 1872 lascerà l'incarico, il vescovo di Carcassonne Leuillieux lo sostituirà con ben sei padri lazzaristi. Sei a uno: un bel rapporto. Un altro vescovo, a noi molto noto, Félix Arsène Billard, si impegnerà allo stremo in una lotta per acquistare la totalità delle quote della proprietà di Notre Dame de Marceille. Ci riuscirà, come dimostra l'atto di vendita stilato il 20 maggio 1893, ma la somma versata è di quelle che non passano inosservate: 53.879 franchi, più o meno 360.000 euro attuali. In seguito a questa compravendita, Billard avrà seri problemi con la gerarchia ecclesiastica e dovrà subire una sospen-

sione di tre mesi che gli cucirà addosso un'ombra negativa che lui non riuscirà mai a cancellare.

Vera lapide, finta morte Per concludere, proprio nell'anno 1886, in cui Henri Boudet dava alle stampe il suo libro, Gustave Vison moriva lungo la Via Sacra del pellegrinaggio di Notre Dame de Marceille. La data esatta, 2 maggio, è incisa nella pietra di un cippo a venti metri circa dalla fonte miracolosa e si può vedere anche oggi. Perché ne parlo? Perché Gustave Vison, probabilmente, non è mai esistito e, quindi, non è morto in quel punto il 2 maggio 1886. Uno studio attento dell'infaticabile André Douzet ha portato alla luce dei particolari che fanno propendere per questa tesi. Dopo attente e meticolose ricerche presso archivi municipali, chiese, ospedali e quant'altro, Douzet è giunto alla conclusione che, in quella specifica giornata, a Notre Dame de Marceille non vi è stato alcun decesso e, controllando anche nelle località vicine, si è giunti alla considerazione che nessun Gustave Vison sia passato a miglior vita. La stessa incisione presenta un'irregolarità che può essere significativa: ICI EST MORT GUSTAVE VISON SE RENDANT A.N.D. DE MARCEILLE LE 2 MAI 1 8 8 6 PRIEZ POUR LUI

L'acronimo A.N.D. (A Notre Dame) vede il punto dopo la A che non dovrebbe esserci, mentre manca dopo la D che, invece, avrebbe dovuto averlo. Non è che questi due punti ci portino molto lontano, però in questi casi bisogna attaccarsi anche al minimo dettaglio per capirci qualcosa di concreto. Douzet conclude così il passaggio: «Gustave Vison e il suo monumento funebre sono un vero enigma». Come se, da queste parti, non bastassero quelli che ci sono già.

1

Franck Daffos, Rennes-le-Château,

2

André Douzet, Notre Dame de Marceille, stampato in proprio, Durban Cor-

Ods, Paris 2005.

bières 2005. 'Joseph Théodore Lasserre, Histoire du pèlerinage de Notre Dame de Marceille près Limoux sur Aude, Lacour, Nîmes 1998. 4

Henri Boudet, La vraie langue celtique et le Cromleck de Rennes-les-Bains,

miès, Carcassonne 1886, p. 277. 5 Franck

Daffos, Rennes-le-Château

cit.

Po-

Capitolo 12 Notre Dame du Cros

Potremmo citare ancora il nome di un altro santuario delle nostre contrade, situato vicino a Caunes e chiamato Notre Dame du Cros. Anche lì, sotto la magnifica fonte che sgorga ai piedi della montagna, era segnata una croce - cross, croce. Una statua della Santa Vergine ha, più tardi, sostituito la croce vicino alla fontana, e il santuario, costruito a poca distanza, ha ricevuto il nome di Notre Dame du Cros o Notre Dame de la Croix.1

È la menzione che Henri Boudet dedica alla chiesa di Notre Dame du Cros, vicina al paese di Caunes Minervois (20 km a nord est di Carcassortne) alla pagina 280 del suo libro e lo fa a conclusione del capitolo inerente Notre Dame de Marceille. Perché quest'accostamento? È un motivo strettamente autobiografico; infatti, il parroco-scrittore il 16 giugno 1862 ha come sede vicariale proprio Caunes Minervois, dove si fermerà fino al primo novembre 1866. È accolto con uno strano entusiasmo da don Mèche, il quale è contento di avere nuovamente un Boudet in quella chiesa, memore del fatto che un personaggio con lo stesso cognome l'aveva salvata dalla distruzione durante gli anni della Rivoluzione. Si trattava di un certo Antoine Boudet (non sappiamo se fosse un antenato del nostro parroco), che divise la proprietà della

chiesa e la distribuì in parti uguali alle varie famiglie del paese, riuscendo con questo stratagemma a far giungere fino ai nostri giorni questo gioiello di devozione popolare. Non è facile stilare una cronistoria di Notre Dame du Cros, perché le fonti a riguardo sono molto scarse. Secondo una versione, il primo insediamento risalirebbe attorno al VI secolo e vedrebbe, anche qui, un'acqua miracolosa alla base di tutto. Un pastore, mentre portava al pascolo le sue greggi, vede una sorgente d'acqua che scaturisce ai piedi di una roccia. La fa bere al figlio ammalato, il quale improvvisamente guarisce da ogni male. L'uomo, per riconoscenza, costruisce tre archi in pietra attorno alla roccia per proteggere la fonte, di cui uno di essi è ancora visibile oggi. In seguito si sarebbe costruita una cappella che avrebbe cominciato a radunare i pellegrini in preghiera. Un'altra versione, che ricorda molto quanto avvenuto a Notre Dame de Marceille, racconta della statua di una Madonna che sarebbe stata trovata nella spaccatura di una roccia. Trasportata al vicino villaggio di Caunes, sarebbe sparita durante la notte per riapparire nel punto in cui era stata trovata. I paesani vollero subito costruire una cappella votiva, ma ciò che era fatto di giorno, andava distrutto la notte, quasi come una tela di Penelope trasportata nel sud della Francia. A questo punto, poiché i lavori non approdavano a nulla, qualcuno ebbe l'idea di affidarsi alla sorte e, invece della classica moneta, gettò in aria un martello che cadde dove la cappella potè essere costruita senza più intoppi. Si narra che, proprio in questa zona, fosse esistito un tempio dedicato a Minerva che, durante i primi anni della cristianità, venne dedicato al culto di Maria Maddalena. Le fonti a riguardo sono molto scarne e quindi non è possibile dare una risposta più precisa e, soprattutto, valutare se si trat-

tasse di una struttura adiacente all'attuale chiesa oppure dello stesso edificio. Affidandosi ora a qualche data, si può stabilire che è a partire dal 1118 che abbiamo la prima notizia di una chiesa con tale nome, già esistente sul territorio di Caunes. È una lettera ufficiale di papa Gelasio II che, ripeto, non dà ulteriori indicazioni su quando potesse essere stata edificata. Nel 1322 abbiamo la prima traccia di un voto fatto in seguito a un incendio che ha colpito la città di Carcassonne. È singolare che, in quel tempo, si faccia tutta questa strada per ringraziare del pericolo scampato, segno evidente che questo luogo aveva già chiara fama di essere miracoloso. Nel 1681 è segnalata la costruzione di una pala d'altare. Giungiamo poi al XVIII secolo, con due avvenimenti che accadono a distanza di un arino; nel 1796 il sito è acquistato da un certo Antonin Bouclet, il quale, giusto l'anno seguente, rivende tutto ad alcune famiglie di Caunes che terranno la proprietà fino al 1974, quando i discendenti cederanno il santuario all'Associazione diocesana di Carcassonne, la stesa, guarda caso, che ha il possesso anche di Notre Dame de Marceille. Oltre al libro di Boudet che la menziona chiaramente, Notre Dame du Cros compare anche in un'altra pubblicazione molto più recente, ma altrettanto enigmatica: Le Serpent Rouge. È questo uno di quei volumi che fanno parte della ridda di documenti e semplici fogli dattiloscritti noti come dossier secret che hanno invaso gli archivi della Bibliothèque Nationale di Parigi a partire dal famoso articolo apparso su «La Dépêche du Midi» nel 1956, il quale ha creato il mito del parroco miliardario. A differenza di molti altri testi comparsi in forma anonima o con nomi palesemente inventati e riferiti alle vicende di Rennes-le-Chàteau (Antoine l'Ermite, Walter Celse Nazaire, Madeleine Blancassal...), questo riportava in

copertina tre autori «normali»: Pierre Feugère, Louis Saint Maxent, Gaston de Koker, i quali, il 17 gennaio (ovviamente) 1967 a Pontoise, davano alle stampe un opuscolo dal titolo altisonante, Le Serpent Rouge - Notes sur Saint Germain des Prés e Saint Sulpice de Paris, con in copertina uno dei simboli presenti all'interno della chiesa di Rennes-le-Chàteau, una S e una M che sembra un omega, intrecciate, con la scritta «Rosa Crux» e due date, 1099 e 1188. L'opera, composta di tredici pagine dattiloscritte, è stata depositata presso la Bibliothèque Nazionale il 15 febbraio 1967 e registrata con la seguente sigla: 4° L7K 50590. All'interno si trova una genealogia dei re merovingi, due carte geografiche e la piantina della chiesa di Saint Sulpice. Quello che interessa maggiormente è una specie di oroscopo in tredici strofe, ognuna dedicata a un segno zodiacale; la tredicesima è inerente l'Ofiuco o Serpentario, che è tra Scorpione e Sagittario. Al posto dell'Ariete si inizia con l'Acquario e si termina con il Capricorno, anche perché è il segno in cui è posto il 17 gennaio. Quello che ci interessa, però è racchiuso nel segno del Leone: Di colei che io desidero liberare, salgono verso di me gli effluvi del profumo che impregnano il sepolcro. Una volta alcuni l'avevano chiamata Iside, regina delle sorgenti benefiche, venite a

me voi tutti che soffrite e che siete oppressi e io vi darò sollievo, altri Maddalena, dal celebre vaso colmo di balsamo guaritore. Gli iniziati conoscono il suo vero nome: Notre Dame des Cross.

I collegamenti sono evidenti: si parla di sorgenti benefiche, della Maddalena e poi quella Notre Dame des Cross che in francese può valere come bastone e corsa campestre e in inglese croce; però basta togliere la S di troppo e si ottiene un risultato plausibile, tenendo conto che in tutto l'affaire di

Rennes-le-Chàteau le lettere e i numeri in più o in meno sono la normalità. Tutto il libro, comunque, è un condensato di riferimenti a Saunière, la Maddalena, la chiesa di Rennes, Poussin e tutte le altre stranezze che albergano nel Razès. Sarebbe stato interessante conoscere qualcosa di più dagli autori, ma purtroppo è impossibile: tutti e tre sono morti, suicidi per l'esattezza, quasi in contemporanea. Il 6 marzo 1967, tra le sette e le nove del mattino si sono impiccati Gaston de Koker e Louis Saint Maxent e il giorno seguente, di prima mattina, poco dopo le 6, Pierre Feugère li ha imitati. A questo punto si apre un ventaglio di ipotesi estremamente ampio che comprende anche l'omicidio (l'impiccagione è il metodo più pratico per «suicidare» qualcuno... la cronaca insegna) che si sarebbe perpetrato per chiudere la bocca a tre testimoni pericolosi. Queste non sono le prime strane morti che riguardano l'enigma di Rennes-le-Chàteau e, purtroppo, nemmeno le ultime. Esiste un ulteriore punto di contatto tra Le Serperti Rouge e Rennes-le-Chàteau ed è rappresentato da Emma Calvé. La celebre soprano aveva preso accordi con un padre gesuita che di cognome faceva proprio Feugère e al quale, pare, desse molta importanza. Casualità? Ed è sempre il caso che ha condotto fino a questa chiesa sperduta un eremita morto in odore di santità? Si tratta del già visto Marie-Joseph Chiron, detto pére Marie, il quale per nove anni, dal 1843 al 1852, vive in contemplazione nelle grotte di Galamus, dopo aver fondato nel 1823 la Congrégation de Sainte Marie de l'Assomption, che si occupava della cura e dell'assistenza ai malati di mente, all'epoca imprigionati come delinquenti comuni. Sentendo la fine vicina, Chiron chiede di essere condotto alla lontana chiesa di Notre Dame du Cros, dove muore il 27 dicembre del 1852, tra le braccia del canonico Méche.

Poiché con il passato non riuscivo a venire a capo di tutte le pedine di questo grande puzzle, ho provato a spostarmi sul presente. Approfittando della permanenza in zona dei miei due preziosi collaboratori, Gian Claudio Aranzulla e Carlo Stagliano, ho chiesto loro di scattare alcune foto all'interno del santuario. Non immaginavo che da questa piccola richiesta, potesse nascere un collegamento che da tempo presumevo, ma che non immaginavo di ritrovare qui, in questo villaggio che non è propriamente adiacente a Rennes-le-Chàteau. È un segno che i confini di questo mistero sono molto labili e viaggiano su direttrici che non sempre si riescono a controllare. Quello che segue è, come sempre, il resoconto «in diretta» di quanto è stato scoperto. Venerdì 19 gennaio 2007 Appena terminata una lunga escursione in uno dei tanti sentieri nei pressi del monte Bugarach, uno dei luoghi che più ci affascinano, eravamo intenti a organizzare il nostro ultimo pomeriggio sulle tracce del mistero dell'abbé Saunière, dato che il mattino dopo saremmo rientrati in Italia, dopo una sosta al Palazzo dei Papi nella città di Avignone. Ci stavamo recando a Rennes-le-Chàteau per un'ultima visita, quando abbiamo ricevuto una chiamata da Baietti. Ci spiegava che aveva bisogno di alcune foto di una particolare chiesa nel territorio di Caunes Minervois, comune a circa 20 chilometri a nord di Carcassonne. Dopo una breve sosta in albergo, ci siamo recati immediatamente alla ricerca di questo paese situato quasi al confine tra il dipartimento dell'Aude e quello dell'Hérault, un po' fuori dai nostri soliti itinerari... Verso le quattro del pomeriggio, siamo arrivati a Caunes Minervois e, scioccamente, siamo stati ingannati dall'abbazia in

pieno centro cittadino che avevamo scambiato per la nostra meta. Provvidenzialmente, dei signori di passaggio ci hanno spiegato che per vedere la chiesa di Notre Dame du Cros dovevamo proseguire per la strada principale, la D-115, per qualche centinaio di metri oltre il paese. Memorizzate le cortesi indicazioni e ripresa l'automobile, siamo giunti fino a un bivio, nel quale erano ben evidenti le indicazioni per la nostra vera destinazione. Un paio di chilometri circa e si poteva scorgere una chiesa e altre due case isolate nel bosco... Il santuario si presentava esternamente piuttosto sobrio e anonimo, senza particolari decorazioni. Contrariamente ai nostri timori, abbiamo constatato che l'entrata in chiesa era possibile, nonostante il pomeriggio avanzato. Tra le prime impressioni c'era indubbiamente quella di trovarsi davanti alla classica «cattedrale nel deserto»! Impressione confermata quando, entrati attraverso il semplice portone sul lato destro, si potevano apprezzare le notevoli dimensioni del santuario e le abbondanti decorazioni. Certamente non una piccola chiesa di campagna. Dopo una prima veloce rassegna dell'interno ci siamo muniti di un dépliant, il quale raccontava che l'8 settembre di ogni anno la cappella è meta di pellegrinaggio da parte dei fedeli, per la commemorazione della natività della Vergine, e riportava l'elenco delle varie statue presenti. Vi è un'unica navata ai lati della quale si trovano quattro cappelle, due sul lato destro e due su quello sinistro, nelle quali sono presenti le statue di san Nicodemo, di san Giuseppe d'Arimatea, di san Giuda, delle Pie Donne e un dipinto raffigurante la Pietà. Dietro l'altare maggiore, dedicato alla Vergine, e il tabernacolo, vi è una pala raffigurante la nascita di Maria. Alla destra della tavola liturgica si trova la piccola statua di Notre Dame du Cros, custodita all'in-

terno di un'edicola di marmo, mentre alla sua sinistra si può apprezzare la cappella in onore di sant'Anna. Intanto era arrivata anche una signora che, dopo averci chiesto se avessimo avuto bisogno di qualcosa, si era posizionata davanti alla statua di Notre Dame a fare il proprio dovere di pia donna e non si sarebbe più spostata per tutta la nostra permanenza. La nostra attenzione è stata, quindi, attirata in particolar modo da una statua di una Vergine situata all'esterno, vicino al portone d'ingresso: le brevi note del dépliant dicevano che fosse una Madonna proveniente da Savona. Ci restano ancora oscuri i legami tra la città ligure e questo paesino linguadociano... La nostra missione, dopo circa un'oretta, si poteva ritenere conclusa e, dopo un'ultima ricognizione esterna, ci apprestammo lentamente a rientrate verso Limoux per la cena, sapendo che stava per concludersi la nostra settimana nel dipartimento dell'Aude, sulle tracce del mistero di Bérenger Saunière.

«Statue de la Vierge provenant de Savone en Italie». Questa frase me la sono scolpita nella mente perché l'accostamento mi è subito parso strano, senza contare che non è secondario il fatto che, proprio sotto questa statua, sia stata sepolta una reliquia di Marie-Joseph Chiron. Perché proprio da Savona (ironia del caso è il capoluogo della provincia in cui sia io, sia i miei collaboratori siamo nati e vissuti...), che può certo vantare un bel santuario e profondi segni di una cultura religiosa che ha dato alla Chiesa anche due pontefici (Sisto IV e Giulio II), però non ha avuto santi celebrati in tutto il mondo come Assisi o Padova? La presenza di questa Vergine nascondeva qualcosa di molto strano. La cosa, ovviamente, vale in tutti e due i sensi: come a Caunes non vi sono legami con Savona, allo stesso tempo nella città ligure credo

che nessuno sapesse dell'esistenza di questo villaggio e della sua chiesetta. A meno che la risposta potesse venire da un'altra direzione e per motivi puramente burocratici. Un tempo infatti si indicava generalmente la città capoluogo di provincia o di mandamento per comprendere anche delle località minori e, quindi, meno conosciute, che erano situate a una distanza non eccessiva. In questo caso la luce tornava a brillare sulle mie ricerche e potevo far mio il celebre motto: «dalla polvere all'altare». Mai frase fatta è stata più appropriata!

1

Henri Boudet, La vraie langue celtique et le Cromleck de Rennes-les-Bains,

miès, Carcassonne 1886.

Po-

Capitolo 13 I misteri di Altare

Tra i vari centri della provincia di Savona ne esiste imo che ha una stretta attinenza con la chiesa a livello... nominale; si chiama Altare ed è un paese di poco più di duemila abitanti, a una quindicina di chilometri dal mare e vicinissimo al Colle di Cadibona, da cui si dipartono Alpi e Appennini. Nonostante il nome, non è celebre per le sue chiese (che sono veramente belle), ma per le vetrerie e per il Museo del Vetro, dove, in dodici sale, sono raccolte opere che vanno dal 1750 al 1950 e riassumono l'arte e gli splendori di quest'arte. È il tipico borgo dell'entroterra ligure, simile nelle peculiarità a molti altri centri; le sue origini sono molto antiche e affondano le radici nella Marca aleramica, creata nel 950 da re Berengario II. Nel 1142 il villaggio è assegnato al discendente di Aleramo, Enrico il Guercio e nel corso dei secoli passa da una dinastia all'altra, fino al 1708, quando diviene dominio di Vittorio Amedeo II, duca di Savoia e da lì in poi segue le vicende del Regno di Sardegna e, in seguito, di quello d'Italia. Fin qui, nulla di particolare; è la storia che possono vantare anche i centri circostanti, con caratteristiche più o meno analoghe e di cui ci si ricorda per tutt'altri motivi. Altare, però, ha una particolarità che lo rende del tutto originale e unico: il suo parroco.

Se Bérenger Saunière ha proiettato Rennes-le-Chàteau sullo scenario mondiale, trasformando questo sperduto villaggio in uno dei luoghi più controversi della storia recente, il sacerdote di Altare, ha fatto delle cose strabilianti, pur rimanendo, lui e il suo paese, del tutto anonimi e sconosciuti al grande pubblico. Il protagonista, in questo caso, si chiama Giuseppe Giovanni Bertolotti (che bello scrivere di misteri con nomi italiani, senza il problema degli onnipresenti accenti) e nasce a Cairo Montenotte (Savona) il 4 febbraio 1842. La sua è una famiglia modesta, il padre Luigi è indicato sugli atti come «serragliere», ossia maniscalco, e la madre, Rosa Giordano, è una semplice sarta. La precisazione è fondamentale per comprendere al meglio i futuri sviluppi della vicenda. Dopo Giuseppe arriveranno altri sette figli: Enrichetta, Rosalia, Cesarina, Giovanni Battista, Antonia, Alberto, Giuseppa (questi ultimi tre moriranno in tenera età). Nonostante la situazione economica non florida, la famiglia decide di far studiare il primogenito, che si iscrive al ginnasio inferiore presso i Padri Scolopi di Savona. Compie il ciclo completo di studi a Carcare (Savona), sempre nell'istituto degli Scolopi. La vocazione sacerdotale giunge prestissimo e Giuseppe passa direttamente dai banchi di scuola a quelli del seminario di Acqui Terme (Alessandria), sede della diocesi. Il 12 giugno 1866, pur non essendo ancora stato nominato sacerdote (lo sarà soltanto il 22 settembre dello stesso anno), riceve la nomina a curato presso la parrocchia di Serole (Asti). Tre anni dopo, il 3 ottobre 1869, assume l'incarico di parroco ad Altare, luogo a cui legherà la sua vita e la sua leggenda. È a partire da questo periodo che, oltre all'attività propria del suo ruolo, inizia a pubblicare diversi saggi: Fatti storici applicati alla Dottrina Cristiana, Voci di vita

ed esempi, Silloge Casuum, Statistica ecclesiastica d'Italia, Il Parroco italiano nei suoi rapporti colle leggi dello Stato, Libertà nelle Encicliche di Leone XIII, la traduzione dei carmi latini di Leone XII, oltre a esegesi e vari testi culturali. Come se non bastasse questa corposa pubblicistica, nel 1878 fonda il bimensile «L'Avvisatore Ecclesiastico», una raccolta di atti della Santa Sede, circolari del governo italiano, pareri del Consiglio di Stato e sentenze della Corte di Cassazione e delle Corti d'Appello riguardo all'attività ecclesiastica. È una sorta di Gazzetta Ufficiale in ambito religioso che, nel 1890, raggiunge i ventimila abbonati in tutta Italia e che, dieci anni dopo, salgono a 32.900. Una cifra di tutto rispetto, se confrontata con le tirature dei periodici dell'epoca e se si conta che la percentuale di analfabeti era altissima. È verso la fine del XIX secolo, esattamente nel 1875, che Bertolotti inizia a spendere in modo anomalo per un modesto sacerdote. Ovviamente, il primo intervento riguarda la chiesa parrocchiale di Sant'Eugenio e, proprio in quell'anno, inizia una serie di lavori di restauro e abbellimento che, a fasi alterne, dureranno fino al 1927. La chiesa ha qualcosa che ci ricorda quella di Rennes-leChàteau. Le dimensioni sono notevolmente maggiori, però alcuni dettagli creano una sorta di legame; anche qui la Via Crucis è diversa, ossia è messa in senso antiorario e c'è anche una statua di san Rocco del XVIII secolo, opera di alto valore artistico in legno policromo dello scultore Mareggiani (sussiste qualche dubbio su questo nome che, secondo una pubblicazione francese, è invece Maragliano, il celebre artista genovese), che oggi non è più esposta in chiesa ma è custodita in sacrestia, visto il valore dell'opera. Fino al 1966 era portata in processione per le vie di Altare. Non bisogna dimenticare inoltre che la statua ha la ferita sulla gamba de-

stra! Altare ha un forte senso di attaccamento a san Rocco, patrono dei vetrai la cui ricorrenza è, ancora oggi, la festa più importante del paese, nonostante il patrono della parrocchia sia sant'Eugenio. Bertolotti non sembra voler fare economie e la sua grande generosità lo spinge a creare un circolo ricreativo per la gioventù ad Acqui Terme, sede diocesana in provincia di Alessandria, a cui fa parecchie elargizioni in denaro. L'anno seguente, il 12 dicembre 1886, riceve la Croce di Commendatore dell'Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro. Oggi potrà sembrare un fatto del tutto marginale, vista la proliferazione dei cavalierati, ma all'epoca non era certo così: un riconoscimento simile era riservato alle più alte personalità nazionali e, sinceramente, il parroco di un villaggio sperduto nelle colline liguri non rientrava in tale casta. Ma, come vedremo, non sarà che l'inizio di una serie di riconoscimenti ai massimi livelli, infatti il giorno 11 aprile 1895, il re d'Italia Umberto I gli conferisce, motu proprio, la croce di Grand'Ufficiale del medesimo Ordine Mauriziano e questo non è propriamente un fatto secondario. Si tenga conto che Bertolotti, nella sua epoca, è stato l'unico sacerdote al mondo a cui sia stata conferita una simile onorificenza! Ad ogni modo, proprio quel 12 dicembre 1886, per ricordare il titolo e l'imminenza delle festività natalizie, fa un versamento di ventimila lire per costruire un asilo infantile in paese. Questo sarà aperto, sempre in dicembre, nel 1891 (anno fondamentale per Saunière...) e il 23 maggio 1899 re Umberto I, mentre si trova a Monza (proprio nello stesso luogo e un anno prima dell'incontro fatale con Gaetano Bresci), con un decreto trasforma l'asilo in «ente morale Mons. Bertolotti comm. Giuseppe».

f T

Il LETIMBttO di Samnn if. 108 dei 19 A gotto 1899 tcrivrva qaanh tegue: A T T O S O L E N N E DI DONAZIONE Compialo da MONSIGNOR BERTOLOTTI il 2 8 Agosto 1 8 9 9 .

Come già annunziammo fu Ieri solennemente concbluso l'atto con cui Monsignor Bertolottl constltulva In dote al suol asili di Aliare e di Cairo Hontonotte, testi dall' autorità governativa Istituiti in ente morale, la riguardevole somma di lire 260 mila rappresentata dai caseggiati sede degli asili slessi, uno eretto In Altare, 1' altro in costruzione a Cairo Montenotte e dal

caseggiato,

già Tarò, sito nella nostra città sul corso Cristoforo Colombo. Questa

splendida

cristiana veniva

della più squisita

rarità

resa più solenne dalla presenza di S.

manifestazione

E. Il

Ministro Boxelll in favore del quale

veniva redatto l'atto di do-

nazione come rappresentante degli Asili Btessi, dal senatore Astengo, dal deputato Cortese, dalle rappresentanze dei vari poteri costituiti, inaugurandosi cosi la vita giuridica ed economica degli Asili sotto i felici auspici dell'amichevole

connubio del Sacerdote di Cristo

colle più eccelse dignità dello Stato. Segu* !a firma dell'atto un sontuoso banchetto servito colla maggior cura e squisitezza dal sig. Angiolo Aprile in una sala del palazzo Bertolottl con Une gusto addobbata dui signori Pastorino e Feri. ^

Al centro della tavola sedeva S. E. Monsignor Bertolotti, alla

I

sua destra S. E. il Ministro Boselll, con a fianco l'on. deputato

I

Giacomo Cortese, alla sinistra 11 senatore Carlo Astengo, a fianco Il sottoprefetto cav. Luigi Facclolatl.

| I

Parteciparono pure al banchetto 1 sindaci di Cairo e Altare signori cav. Luigi Rodino e cav. Rocco Marini, 11 commendator Sanguinettl, l'Inge. Nicolè Campora, Il notalo cav. Pertuslo, il Capitano del RR. Carabinieri signor Plgnari, Il professor Mancinelli,

A- Ispettore scolastico, Il professor Vittorio Brondl dell' Università di Torino, l'arciprete teologo Branda, parroco di Cairo; 1 signori cavaliere Giovanni Berlolottl, cavaliere ufficiale Roberto Bonnloll, cavalier Ettore Saroldi, cavaller Glo. Maria Bordoni e gli avvocali Aleramo Bormioli e Mario Bordoni. Al Daaert sorse

Monsignor Bertolotti a ringraziare

tutti gli

Intervenuti a quella festa della carità, alla consecrazione di quell'atto che estrinsecava le aspirazioni del suo cuore cristiano verso I derelitti della fortuna ch'egli aveva scelto fra I fanciulli della più tenera età; declinò il concetto Ispiratore delle sue Istituzioni le quali Intendeva si svolgessero sotto II labaro della religione non disgiunto dalla devozione alla patria, concetto su cui

lui

Prete cattolico si compiaceva di insistere, per distruggere coli' escmpio le viete presunzioni, concetto che p*1

reciprocità veniva

sanzionato dall'autorità governativa la quale accettava le condizioni da lui imposte negli Statuti fondamentali del suol asili, che cioè essi fossero Ispirati a sentimenti schlettAmente religiosi affidandone la direzione alle Suore delle Madri Pie. Ringrazia tutti quelli che efficacemente si adoperarono a tradurre lo atto questo desiderato del suo cruore. Il Ministro Roselll 6 ben lieto d'aver preso parte a questa geniale manifestazione della carità e del cuore umano che Bolo può esplicarsi efficacemente da chi a dovizie non comuni accoppia tesori inesauribili di affetto, abnegazione, filantropia ; si compiace dell'alto ideale a cui l'opera di Monsignore è Inspirata, che si svolge sotto i felici auspici dell' amore alla religione, della devozione alla Patria, concetti, che non furono mai misconosciuti dalle leggi dello Stato, spcclalmentc In quelle cui egli concorse coli'opera sua; s'augura che tutte le nobili iniziative ispirate dal cuore beneQco di Monsignore siano tradotte

in frutti d'inesauri-

bile beneficio per le popolazioni, quali l'erezione

dei due asili di

Cairo e di Altare, e la costruzione d'edifici che decorano la città di Savona, e brinda a Monsignore ed alla sua famiglia.

Sopra e nella pagina precedente, certificato di un atto di donazione di Monsignor Giuseppe Bertolotti.

Nel 1897, sempre in data 12 dicembre (l'equivalente del 17 gennaio di saunieriana memoria...), Bertolotti acquista nella vicina cittadina di Cairo Montenotte dei terreni per edificarvi un altro asilo infantile e come se ciò non fosse sufficiente a sancire la sua fama di filantropo, regala al comune una vasta area di terreno prospiciente il futuro manufatto al fine di realizzarvi dei giardini pubblici. L'asilo è inaugurato ufficialmente domenica 10 novembre 1901, con una cerimonia sfarzosa che vede Bertolotti protagonista assoluto di un tripudio che tutti gli riservano, dal semplice popolano alle massime autorità civili e religiose. Ma il nostro protagonista vuole fare le cose davvero in grande e quindi ai due asili fa una donazione per garantirne l'autonomia finanziaria: un intero palazzo nella città di Savona, sull'angolo tra Corso Colombo e Via Montenotte. Esistono dei rendiconti finanziari, in cui sono dichiarati queste somme: asilo d'Altare: lire 60.000; asilo di Cairo Montenotte: lire 80.000; palazzo di Savona: lire 120.000; per un totale di 260.000 lire, una cifra davvero grandiosa per l'epoca! Ovviamente, il 30 settembre 1899 il comune di Altare lo proclama cittadino benemerito. Mi sembra il minimo. Ma è a partire dai primi anni del nuovo secolo che Bertolotti si dedica alle sue grandi costruzioni. Nel 1901, per fare un regalo alla sorella Enrichetta, fa realizzare Villa Agar dall'architetto savonese Nicolò Campora, scelto dal parroco per il suo stile che si rifaceva alle tendenze più all'avanguardia dell'architettura internazionale. La villa passerà all'unico figlio, Aleramo (che si intravede nella foto dell'inserto, di fronte all'edificio), il quale la donerà a un sacerdote, Antonio Pirotto, con la volontà di farne una casa di riposo, cosa che poi avverrà. Pirotto diviene poi vescovo di Troia e Bovina (Foggia) e grande amico di Albino Luciani e Karol Wojtyla, i due futuri papi. Giovanni Paolo II amava molto i ravioli fat-

ti secondo la ricetta di Altare, che degustava insieme a Pirotto. Durante un suo viaggio ufficiale in Puglia, si è recato a pregare sulla tomba dell'amico. Nel 1951 Villa Agar è stata trasformata in ospedale e nel 1962 è divenuta una casa di riposo per anziani, destinazione che ha tutt'oggi. È un edificio imponente e bellissimo, così come è altrettanto splendido anche il «regalo» che Bertolotti fa a Rosalia, l'altra sorella, e che in suo onore chiama Villa Rosa. Anche questa è opera dell'architetto Campora, che la realizza tra il 1905 e il 1906 in perfetto stile Liberty. Nel 1992 la villa è acquistata dallo Stato per insediarvi il Museo dell'Arte Vetraria. In questo periodo sono stati fatti molti lavori di rifacimento interno ed estemo. Nel 2004 la struttura è ritornata agli antichi splendori dell'epoca bertolottiana e, assegnata al Comune e all'Istituto per lo studio del vetro e dell'arte vetraria, è divenuta un vero polo culturale. Per l'altra sorella Cesarina ristruttura un palazzo sito di fronte alla chiesa parrocchiale in modo veramente originale e con tutta una serie di particolari che ne fanno un manufatto di rara bellezza. Acquista appartamenti a Torino e Savona e, proprio qui, dona la parte di un palazzo sito in via Paleocapa, la strada più importante della città, all'Istituto educativo delle Suore della Purificazione, le quali gli dedicheranno poi le scuole normali ed elementari femminili. Finanzia la costruzione dell'Osservatorio meteorologico e sismico, collocato nel Forte di Altare che inizia a funzionare il 1° aprile 1899. In seguito sarà trasferito in uno dei due palazzi che il parroco possiede in piazza Vittorio Veneto. Sempre in paese, nel 1923 finanzia la costruzione della Casa dell'Esploratore che, dopo la soppressione voluta dal fascismo del movimento scoutistico, diverrà una Scuola di Cultura e infine un cinema parrocchiale.

Il Monsignore però, dopo tanta generosità verso fratelli e affin pensa un poco anche a se stesso e si regala una grande e confortevole casa colonica circondata da ettari di terreno agricolo nella frazione Ferrere di Cairo Montenotte. Giuseppe Bertolotti muore alle 5,15 di lunedì 2 marzo 1931 all'età di 89 anni. Il funerale è celebrato in una triste giornata per la comunità, resa ancora più grigia da un'insistente pioggerellina. Una moltitudine di persone segue il feretro trainato da quattro cavalli bianchi con postiglione in alta livrea. Come si vede dalla rarissima foto delle esequie presente nell'inserto, ben tre sacerdoti precedevano il lunghissimo corteo, a cui aveva preso parte anche un altro sacerdote che anni dopo diverrà santo: don Luigi Orione. La tomba di Bertolotti è un vero mausoleo nel cimitero di Altare e sulla sua lapide vi è una lunga iscrizione che illustra e decanta i molti meriti di questo uomo di chiesa e grande benefattore. A questo punto è più che lecita la domanda: dove aveva preso tutto questo denaro? Quando i Bertolotti giungono ad Altare da Savona, non sono certo in condizioni agiate; una famiglia «normale», dal punto di vista economico, quella di un maniscalco e di una sarta con otto figli da sfamare. Stranamente, non sono state fatte molte congetture su questo arricchimento, ma una sola. Tutto parte dal ritrovamento presso un archivio privato di Altare di un ritratto di una nobildortna con la didascalia: «Fondatrice dell'asilo infantile di Altare». La nobile in questione è Maria Brignole Sale (1811 - 1888), duchessa di Galliera e finanziatrice dell'ospedale di Genova, che prenderà il suo nome. Apparteneva a una delle famiglie più importanti del capoluogo ligure e, come se non bastassero le sue numerose proprietà, aveva sposato il marchese Raffaele De Ferra-

ri, membro di un'altra famiglia importantissima a Genova (piazza De Ferrari è il cuore nevralgico della città) e tra i maggiori azionisti della compagnia che aveva realizzato il Canale di Suez e la ferrovia Parigi-Lione. Qual è il legame che unisce questi grandi personaggi al semplice parroco di provincia? Un furto, uno stranissimo furto. Entra in gioco un certo A.F., amministratore dei beni della duchessa, il quale, nel giro di alcuni anni avrebbe sottratto beni per la cifra colossale di tredici milioni, ritenendo poi utile trasferirsi all'estero, forse in America, per sfuggire alla giustizia. A questo punto, però, il pessimo procuratore, invece di portarsi appresso il frutto del maltolto, ne lascia una grossa parte a Giovanni Bertolotti, fratello minore del parroco e residente a Genova. Sul perché di questo strano atteggiamento non è mai stata fatta luce; ciò che è noto è che Giovanni passa la questione e l'enorme somma di denaro nelle mani di Giuseppe, il quale la restituisce alla legittima proprietaria. Da questo atto di straordinaria correttezza civica sarebbe nata una profonda amicizia tra la duchessa di Galliera e il sacerdote (e perché non con il fratello Giovanni?), che avrebbe aperto a quest'ultimo molte porte e spianato la strada per innumerevoli donazioni. A riguardo, Maria Brignole Sale gli dona parecchie azioni della Compagnia del Canale di Suez e della Parigi-Lione che, comunque, non sarebbero bastate da sole a finanziare l'«impero» di mons. Bertolotti. I riconoscimenti ufficiali sono di una tale consistenza che non si può assolutamente pensare al caso: - Commendatore dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro; - Grand'Ufficiale del medesimo Ordine Mauriziano; - Cappellano d'Onore di papa Leone XIII; - Protonotario Apostolico e Abate Mitrato, titoli concessi da Leone XIII e Pio X;

- Canonico onorario della Cattedrale di Acqui Terme; - Grande Medaglia d'Oro di Benemerito dell'istruzione pubblica, concessa dal ministro Nasi; - Vescovo Vicario della basilica di san Giovanni in Laterano a Roma. Questa altissima carica gli era stata concessa il 12 maggio 1907 da papa Pio X in persona. È un riconoscimento che, credo, qualsiasi sacerdote preposto alla cura di un paese della provincia italiana di cento anni fa (e sicuramente anche oggi!) avrebbe accettato, se non immediatamente, nell'arco di un milionesimo di secondo; ebbene, Bertolotti lo rifiuta. La motivazione che dà al suo gesto riguarda i sentimenti di affetto che lo legano alla sua terra, che non si sente di abbandonare per Roma. Anche se per un caso ben differente, questo rifiuto mi fa venire in mente l'ostinazione di Bérenger Saunière a non lasciare Rennes-le-Chàteau quando il vescovo Beauséjour glielo impone. Entrambi i parroci sono legati in modo indissolubile al proprio paese e non lo vogliono lasciare assolutamente. Forse è perché il territorio è la parte essenziale del loro mistero? Vi è anche un altro legame che unisce i due parroci: il culto del Sacro Cuore. Il 16 settembre 1900, Bertolotti benedice una torre dedicata, appunto, al Sacro Cuore di Gesù, presso il santuario della Madonna del Deserto. Egli viene chiamato in questo luogo, sperduto in mezzo ai boschi dell'entroterra savonese, che non era territorio di sua competenza. Ancora oggi due lapidi di marmo ricordano questo suo intervento. Ecco, questo è il semplice e rigido resoconto della vita e delle azioni di Giuseppe Bertolotti, un parroco di campagna che, per i riconoscimenti, le somme spese e le opere realizzate, riduce Bérenger Saunière e il suo affaire alla stregua di un gioco per bambini. Una sola delle sue ville può contenere tutta Rennes-le-Chàteau e i suoi misteri!

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