Le parole della fisica 2: Termodinamica e onde [PDF]

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Zitiervorschau

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Idee per il tuo futuro

Stefania Mandolini

Le parole della fisica Termodinamica e Onde con Physics in English

SCIENZE

INTERNATIONAL SYSTEM OF UNITS SI BASE UNITS Base quantity

PREFIXES Name

Symbol

Name

Symbol

Factor

Name

Symbol

Factor

length

metre

m

exa

E

10

deci

d

101

mass

kilogram

kg

peta

P

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centi

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T

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A

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K

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mole

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luminous intensity

candela

cd

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9

1

da

10

SI DERIVED UNITS Derived quantity

Name

Symbol

Definition

area

square metre

m2

volume

cubic metre

m3

speed, velocity

metre per second

m/s

acceleration

metre per second squared

m/s2

frequency

hertz

Hz

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sr

force

newton

N

m · kg · s2

pressure

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Pa

N/m2

energy, work, quantity of heat

joule

J

N·m

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watt

W

J/s

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coulomb

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s·A

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volt

V

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capacitance

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C/V

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ohm

1

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magnetic flux

weber

Wb

V·s

magnetic flux density

tesla

T

Wb/m2

s1

Stefania Mandolini

Le parole della fisica Termodinamica e Onde con Physics in English

SCIENZE

Copyright © 2012 Zanichelli editore S.p.A., via Irnerio 34, 40126 Bologna [5813] www.zanichelli.it

Le seguenti icone significano: Risorse online su ebook.scuola.zanichelli.it/mandoliniparole

I diritti di elaborazione in qualsiasi forma o opera, di memorizzazione anche digitale su supporti di qualsiasi tipo (inclusi magnetici e ottici), di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), i diritti di noleggio, di prestito e di traduzione sono riservati per tutti i paesi. L’acquisto della presente copia dell’opera non implica il trasferimento dei suddetti diritti né li esaurisce.

Risorse online con codice di attivazione

Livello di difficoltà degli esercizi: Per le riproduzioni ad uso non personale (ad esempio: professionale, economico, commerciale, strumenti di studio collettivi, come dispense e simili) l’editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre un numero di pagine non superiore al 15% delle pagine del presente volume. Le richieste per tale tipo di riproduzione vanno inoltrate a Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali (CLEARedi) Corso di Porta Romana, n. 108 20122 Milano e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org L’editore, per quanto di propria spettanza, considera rare le opere fuori del proprio catalogo editoriale, consultabile al sito www.zanichelli.it/f_catalog.html. La fotocopia dei soli esemplari esistenti nelle biblioteche di tali opere è consentita, oltre il limite del 15%, non essendo concorrenziale all’opera. Non possono considerarsi rare le opere di cui esiste, nel catalogo dell’editore, una successiva edizione, le opere presenti in cataloghi di altri editori o le opere antologiche. Nei contratti di cessione è esclusa, per biblioteche, istituti di istruzione, musei ed archivi, la facoltà di cui all’art. 71 - ter legge diritto d’autore. Maggiori informazioni sul nostro sito: www.zanichelli.it/fotocopie/

Realizzazione editoriale: – Coordinamento editoriale e revisione dei contenuti: Antonia Ricciardi, Stefania Varano – Realizzazione editoriale: Maria Pia Galluzzo – Segreteria di redazione: Deborah Lorenzini – Progetto grafico: Miguel Sal & C., Bologna – Disegni: Luca Tible – Ricerca iconografica: Massimiliano Trevisan Contributi: – Collaborazione alla stesura degli esercizi: Sergio Lo Meo, Valentina Nicosia, Stefano Paolucci – Stesura delle schede Individuare la posizione di un oggetto sulla superficie terrestre: il GPS e Il cavallo-vapore: Nunzio Lanotte – Stesura delle schede di biologia Gli ultrasuoni nel mondo animale e L’energia della vita: Angela Figoli – Collaborazione alla stesura del capitolo La materia: Beatrice Bressan – Rilettura critica e risoluzione degli esercizi: Carlo Incarbone, Arianna Fertili – Stesura di Physics in English: Eleonora Anzola, Silvia Borracci, Roger Loughney (revisione linguistica) I contributi alla realizzazione dei contenuti multimediali e dell’interactive e-book sono online su ebook.scuola.zanichelli.it/mandoliniparole Copertina: – Progetto grafico: Miguel Sal & C., Bologna – Realizzazione: Roberto Marchetti – Immagine di copertina: Artwork Miguel Sal & C., Bologna

57

Esercizi facili: richiedono l’applicazione di una formula per volta

58

Esercizi medi: richiedono l’applicazione di una o più leggi fisiche

59

Esercizi difficili: richiedono il riconoscimento di un modello fisico studiato nella teoria e la sua applicazione a situazioni concrete nuove

Prima edizione: febbraio 2012

L’impegno a mantenere invariato il contenuto di questo volume per un quinquennio (art. 5 legge n. 169/2008) è comunicato nel catalogo Zanichelli, disponibile anche online sul sito www.zanichelli.it, ai sensi del DM 41 dell’8 aprile 2009, All. 1/B. File per diversamente abili L’editore mette a disposizione degli studenti non vedenti, ipovedenti, disabili motori o con disturbi specifici di apprendimento i file pdf in cui sono memorizzate le pagine di questo libro. Il formato del file permette l’ingrandimento dei caratteri del testo e la lettura mediante software screen reader. Le informazioni su come ottenere i file sono sul sito www.zanichelli.it/diversamenteabili Suggerimenti e segnalazione degli errori Realizzare un libro è un’operazione complessa, che richiede numerosi controlli: sul testo, sulle immagini e sulle relazioni che si stabiliscono tra essi. L’esperienza suggerisce che è praticamente impossibile pubblicare un libro privo di errori. Saremo quindi grati ai lettori che vorranno segnalarceli. Per segnalazioni o suggerimenti relativi a questo libro scrivere al seguente indirizzo: [email protected] Le correzioni di eventuali errori presenti nel testo sono pubblicate nel sito www.zanichelli.it/aggiornamenti Zanichelli editore S.p.A. opera con sistema qualità certificato CertiCarGraf n. 477 secondo la norma UNI EN ISO 9001:2008

Indice CAPITOLO 1 LA TEMPERATURA 1 2

3 4

5 Simulazione

6

Biologia Geologia Con gli occhi di un fisico

1

Caldo o freddo? Misurare la temperatura La scala Fahrenheit La scala Celsius La scala Kelvin L’equilibrio termico La dilatazione termica nei solidi La dilatazione lineare La dilatazione superficiale La dilatazione volumica (o cubica) Relazione approssimata tra i coefficienti di dilatazione dei solidi La dilatazione termica nei liquidi Il caso anomalo dell’acqua Proprietà termometriche dei gas Se la temperatura è costante: la legge di Boyle Se la pressione è costante: la prima legge di Gay-Lussac Se il volume è costante: la seconda legge di Gay-Lussac Il gas perfetto Temperatura e vita Temperatura e geomorfologia Le mongolfiere Mappa dei concetti Esercizi

2 3 4 4 5 7 8 9 11 12 13 14 15 16 16 17 19 21 22 23 24 26 28

CAPITOLO 2 IL CALORE

33

1

34

2

3

4

5

6

Meteorologia

Teorie del calore Calore e lavoro Trasferire energia con il lavoro L’unità di misura del calore Il calore specifico La capacità termica Un’immagine persistente Il calore specifico dell’acqua Misurare il calore Determinazione del calore specifico Determinazione della temperatura di equilibrio La caloria Propagazione del calore: conduzione e convezione La conduzione La convezione Propagazione del calore: l’irraggiamento La legge di Stefan-Boltzmann Misurare la temperatura di un corpo senza toccarlo La brezza

III Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

36 37 39 39 41 42 42 43 44 45 46 47 47 49 51 52 53 54

INDICE

Chimica Con gli occhi di un fisico

Il calore nelle reazioni chimiche

55

Riscaldare

56

Mappa dei concetti

58

Esercizi

60

CAPITOLO 3 I PASSAGGI DI STATO 1 2

In laboratorio

3

4

5 Simulazione

6

7 Letteratura Chimica Con gli occhi di un fisico

Atomi e molecole Gli stati di aggregazione della materia I solidi I liquidi Gli aeriformi Interazioni di confine Transizioni da uno stato all’altro Fusione e solidificazione La fusione La solidificazione Vaporizzazione e condensazione L’evaporazione e il vapore saturo L’ebollizione Il calore latente di vaporizzazione Sublimazione e brinamento La dipendenza dalla pressione Passaggi di stato a pressione costante Passaggi di stato a temperatura costante Un’anomalia dell’acqua Leggere i fenomeni termici Oggetti caldi e oggetti freddi Quando la pressione è bassa Calore latente tascabile Raffreddare Mappa dei concetti Esercizi

CAPITOLO 4 LA TEORIA CINETICA DEI GAS 1 2 3

4

Grandi numeri Il numero di Avogadro Il gas perfetto Un modello microscopico per il gas perfetto La velocità delle particelle in un gas Il valore medio La media delle velocità La velocità quadratica media Come si usa la formula della velocità quadratica media? La pressione Pressione ed energia cinetica media

IV Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

65 66 67 68 68 69 69 70 71 71 73 74 75 76 77 79 80 80 81 82 82 83 84 85 86 88 90 95 96 97 98 100 101 101 102 102 103 103 106

INDICE

5

Storia della fisica Chimica Con gli occhi di un fisico

107 109 110 110

La temperatura Una generalizzazione Lo zero assoluto La distribuzione di Maxwell Il moto browniano Il numero di Avogadro Dai gas alle api Mappa dei concetti Esercizi

112 113 114 116 118

CAPITOLO 5 IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA 1 2

3 4 5 Simulazione

6

7 Meteorologia Biologia Con gli occhi di un fisico

La termodinamica Sistema termodinamico Stato termodinamico di un sistema Equazione di stato Un sistema modello Primo principio della termodinamica L’energia interna L’energia interna è una funzione di stato Trasformazioni termodinamiche Tipi di trasformazioni termodinamiche Il piano di Clapeyron Alcune trasformazioni sul piano di Clapeyron Trasformazioni e primo principio della termodinamica Trasformazione isobara Trasformazione isocora Trasformazione isoterma Trasformazione adiabatica Rappresentazione grafica del lavoro termodinamico Lavoro in una trasformazione ciclica Trasformazioni adiabatiche in atmosfera L’energia della vita Il sistema Terra Mappa dei concetti Esercizi

CAPITOLO 6 IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA 1

2

123 123 124 125 125 126 128 129 130 131 132 133 133 134 135 135 136 138 139 142 143 144 146 148

154 155 156 157 158 158

Macchine termiche Una macchina ideale Un presupposto errato Una conclusione corretta Una pubblicazione dimenticata L’enunciato di Lord Kelvin Analizziamo l’enunciato di lord Kelvin

158 159

V Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

122

INDICE

3 4

5

6

7

Storia della fisica Letteratura Con gli occhi di un fisico

L’enunciato di Clausius I due enunciati sono equivalenti Il ciclo di Carnot Il ciclo di Carnot sul piano di Clapeyron Il rendimento di una macchina Il teorema di Carnot Il rendimento di una macchina reversibile L’entropia La disuguaglianza di Clausius La variazione di entropia L’entropia è una funzione di stato Un’asimmetria della natura Entropia e tempo Entropia ed energia Interpretazione statistica del secondo principio Microstati di un sistema termodinamico Probabilità di uno stato Entropia e disordine L’energia si disperde Il diavoletto di Maxwell Le prime navi a vapore L’automobile Mappa dei concetti Esercizi

CAPITOLO 7 LE ONDE 1 2

3

4

5

6

Che cosa è un’onda? Schematizzare un’onda Tipi di onde Onde longitudinali e trasversali Mezzo di propagazione Diversi fronti d’onda Regolarità degli impulsi Il principio di sovrapposizione Validità del principio di sovrapposizione Utilità del principio di sovrapposizione Onde periodiche Periodo Lunghezza d’onda Frequenza Pulsazione Un’utile analogia Come si comportano le onde Interferenza Diffrazione Riflessione e rifrazione Onde stazionarie

VI Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

160 160 161 163 163 163 164 165 165 166 167 168 168 169 170 171 172 174 174 176 177 178 180 182 187 188 189 191 191 192 193 194 195 196 196 196 196 197 198 199 199 200 200 201 202 202

INDICE

Ingegneria Geologia Con gli occhi di un fisico

203 204 204 205 206 207 208 210 212

Un’onda che non si propaga Modi normali di un’onda stazionaria Frequenze dei modi normali Onde stazionarie qualsiasi Il telerilevamento Viaggio al centro della Terra Comunicare a distanza Mappa dei concetti Esercizi

CAPITOLO 8 IL SUONO

216

1

217 218 218 219 220 221 222 224 225 225 226 227 228 230 231 232 233 233 234 236 237 238 240 242

2

3

4

5 6

Matematica Biologia Con gli occhi di un fisico

Le onde sonore Velocità di propagazione L’eco I suoni Intensità sonora Altezza di un suono Il timbro Rumore e informazione Inquinamento acustico La musica Onde e informazione La risonanza Risonanza e strumenti musicali Onde stazionarie in una canna I battimenti Battimenti e musica L’effetto Doppler Sorgente in movimento Rivelatore in movimento Le successioni Gli ultrasuoni nel mondo animale Scrivere i suoni Mappa dei concetti Esercizi

CAPITOLO 9 LA LUCE 1

2

247 248 248 249 250 251 252 252 252 253

Le onde elettromagnetiche Propagazione delle onde elettromagnetiche I colori Raggi di luce La visione degli oggetti Corpi luminosi Corpi illuminati La diffusione L’ombra

VII Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

INDICE Simulazione

3

4

Tecnologia Storia della fisica Con gli occhi di un fisico

Interferenza della luce: l’esperimento di Young Analizziamo l’esperimento di Young Perché non vediamo comunemente l’interferenza della luce? Diffrazione della luce Diffrazione da foro circolare Diffrazione e cristalli Gli ologrammi La natura ondulatoria della luce Scrivere con la luce Mappa dei concetti Esercizi

CAPITOLO 10 L’OTTICA GEOMETRICA 1

2

Simulazione

3

4

5

Letteratura Tecnologia Con gli occhi di un fisico

La riflessione Lo specchio piano Immagine di un oggetto esteso Gli specchi Specchi parabolici Specchi sferici La legge dei punti coniugati L’ingrandimento La rifrazione La riflessione totale La dispersione della luce Le lenti sferiche sottili Punti coniugati di una lente sottile L’ingrandimento Altri sistemi ottici L’occhio Il telescopio Il microscopio Il miraggio Il foro stenopeico L’arcobaleno Mappa dei concetti Esercizi

255 257 258 259 261 263 264 265 266 268 270 275 276 277 278 278 278 279 281 282 283 285 286 287 288 290 291 291 294 295 296 297 298 300 302

PHYSICS IN ENGLISH

307

Physics talk

308

Reading comprehension

310

VIII Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

CAPITOLO

La temperatura



C’è a Pietroburgo un forte nemico di tutti coloro che ricevono quattrocento rubli all’anno di stipendio o giù di lì. Questo nemico non è altri che il gelo pietroburghese, sebbene qualcuno dica che sotto diversi aspetti sia assai salutare.



Nikolaj Vasil’evic Gogol’, Il cappotto, 1842

Il caldo e il freddo sono sensazioni che conosciamo bene. Sappiamo che corrispondono rispettivamente a temperature alte o basse, ma si tratta di una definizione piuttosto grossolana, che non consente di stabilire una scala quantitativa obiettiva. Quanti vengono definiti «freddolosi» perché percepiscono una temperatura più bassa rispetto ad altri e quanti invece, dopo una corsa, sentono caldo anche in pieno inverno? Per misurare la temperatura in modo più attendibile, come è noto, si usa il termometro, il quale ci fornisce valori numerici ben definiti e confrontabili obiettivamente. I termometri sono gli strumenti attraverso i quali misuriamo e definiamo la temperatura, in base ad alcune proprietà della materia che cambiano quando cambia il suo stato termico. Sappiamo, per esempio, che la materia si dilata quando viene riscaldata e, misurando l’entità della dilatazione, possiamo

ricavare la variazione di temperatura che l’ha provocata. Esistono altre proprietà termometriche, cioè grandezze che cambiano regolarmente con la temperatura, e quindi diverse tipologie di termometri, da cui la difficoltà di una valutazione univoca su questa base. Solo in seguito a considerazioni teoriche è stato possibile stabilire la cosiddetta scala assoluta (o scala kelvin), indipendente dalle proprietà termometriche della materia. In questo capitolo incontrerai leggi empiriche, che descrivono quantitativamente alcune proprietà termometriche della materia, e un principio, che sta alla base della possibilità di misurare e quindi definire la temperatura. Quest’ultimo precisa il concetto di equilibrio termico, cioè quella condizione in cui le proprietà termiche dei corpi in contatto non cambiano, e quindi si può dire che si trovano alla stessa temperatura.

Giuseppe De Nittis, Che freddo!, 1874.

PAROLE CHIAVE Temperatura Proprietà termometriche Equilibrio termico

1 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

1

LA TEMPERATURA

Philip Clifford

e

Figura 1. Le piscine esterne delle terme di Széchenyi a Budapest in inverno.

1

qui

CALDO O FREDDO?

Alle terme di Széchenyi, a Budapest (figura 1), ci sono tre grandi piscine esterne in cui si fa il bagno anche in inverno, sotto la neve. Una di esse contiene acqua tiepida e i pochi che la usano lo fanno principalmente per nuotare e muoversi. Pochissimo vapore sovrasta il pelo dell’acqua. La seconda è più calda e immergendosi, quando fuori l’aria è gelida, si ha immediatamente una sensazione piacevole; con il passare del tempo, però, l’acqua sembra raffreddarsi e, se si resta fermi, si può iniziare a sentire freddo. La terza piscina è ancora più calda: un fitto vapore ricopre completamente la superficie e si può rimanere immersi per molto tempo continuando a percepire una sensazione di caldo, al punto che i frequentatori hanno l’abitudine di rilassarsi disputando partite a scacchi. Dopo un lungo bagno in questa vasca si può addirittura uscire senza avvertire il rigore dell’inverno. Una nuova immersione nella piscina intermedia non regala più la sensazione di tepore descritta sopra, ma l’acqua sembra essere sin da subito molto più fredda. Una variante casalinga delle piscine di Budapest è il celeberrimo esperimento dei tre catini: uno pieno di acqua fredda, uno di acqua calda e uno di acqua tiepida. Se immergiamo contemporaneamente le mani una nell’acqua calda e una nell’acqua fredda, dopo un po’ di tempo, quando le estraiamo e le immergiamo entrambe nell’acqua tiepida del terzo catino, riceviamo informazioni contraddittorie: la mano che proviene dal bagno caldo ci fa percepire una sensazione di freddo, quella che proviene dal bagno freddo ci fa percepire una sensazione di caldo (figura 2).

? Figura 2. I nostri sensi sanno distinguere il caldo dal freddo, ma tale distinzione non è rigorosa. La stessa acqua tiepida può essere percepita in modo diverso dalle mani della stessa persona.

acqua calda

acqua tiepida

acqua fredda

acqua calda

acqua tiepida

acqua fredda

Vediamo dunque che i nostri sensi ci inducono direttamente a distinguere il caldo dal freddo, cioè a definire un vago concetto di temperatura, ma poi ci impediscono di darne una quantificazione oggettiva. Uno stesso oggetto può essere percepito come caldo o come freddo da persone diverse o in circostanze diverse. I motivi di questa estrema variabilità nella percezione

2 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

LA TEMPERATURA

1

s Quando mettiamo in contatto due corpi, uno «caldo» e uno «freddo», dopo un po’ di tempo essi raggiungono lo stesso stato termico intermedio, nel quale essi sono entrambi «tiepidi». Diciamo che i due corpi hanno raggiunto il cosiddetto equilibrio termico, per il quale non avvengono più cambiamenti nei rispettivi stati termici. s Alcune proprietà della materia, per esempio la viscosità, il volume, certe grandezze elettriche, il colore ecc., cambiano al variare della temperatura. Quando a una data variazione della temperatura corrisponde una determinata variazione della proprietà in questione, essa è detta proprietà termometrica ed è usata indirettamente per misurare la temperatura (figura 3). Sulla base di queste due osservazioni preliminari, che qui abbiamo introdotto a livello intuitivo, contando di svilupparle nei paragrafi successivi, possiamo dire che: la temperatura è una la grandezza fisica scalare che si misura con il termometro.

Figura 3. A lungo sono stati usati i termometri a mercurio, un metallo liquido in un ampio intervallo di temperature, che non bagna le pareti di vetro e dalle proprietà termometriche regolari. Tuttavia dal 2009 sono stati messi fuori legge perché il mercurio è tossico e altamente inquinante. I termometri digitali sfruttano la variabilità con la temperatura di alcune proprietà elettriche.

MISURARE LA TEMPERATURA

Ancora una volta nella storia della fisica compare il nome di Galileo Galilei, che verso la fine del XVI secolo costruì un termoscopio, descritto in una lettera di Benedetto Castelli come lo strumento per «esaminare i gradi del caldo e del freddo». Si trattava di un bulbo di vetro collegato a un sottile cannello la cui apertura era immersa in un recipiente pieno d’acqua. Quando l’aria nel bulbo, inizialmente scaldata con le mani, si raffreddava, riduceva il suo volume e il livello dell’acqua nel cannello aumentava (figura 4). Tale strumento non era molto affidabile, perché dipendeva significativamente dalla pressione atmosferica. L’idea di usare la proprietà della materia di dilatarsi con la temperatura era comunque buona e ispirò la costruzione dei primi termometri con scala graduata. Verso la metà del Seicento, presso l’Accademia del Cimento di Firenze, se ne costruirono diversi basati sulla vistosa dilatazione dell’alcol, contenuto stavolta in un bulbo con un tubicino chiuso per evitare l’incertezza dovuta alla variabilità della pressione atmosferica. Le variazioni di temperatura provocano una variazione del volume dell’alcol, il livello del quale, di conseguenza, sale o scende nel tubicino. Pur consentendo un confronto oggettivo fra temperature diverse, questi termometri non erano tarati con criteri omogenei e avevano scale graduate in modo differente, per cui le misure effettuate con strumenti diversi non concordavano. Per evitare ambiguità e variabilità ai cominciò quindi a cercare un criterio per la taratura dei termometri attraverso l’uso di punti fissi, cioè stati termici

“Museo Galileo, Firenze - Fotografia Franca Principe

2

Aksenova Natalya/Shutterstock

della temperatura, e quindi i motivi delle contrastanti sensazioni nelle piscine di Budapest, saranno spiegati nel corso di questi primi capitoli. Per poter dare una definizione oggettiva della temperatura dobbiamo procedere con molta cautela, a partire da osservazioni indipendenti dalle nostre sensazioni.

Figura 4. L’altezza dell’acqua nel tubicino di vetro dipende dalla temperatura dell’aria nel bulbo. Quando l’aria è più calda e il suo volume, di conseguenza, è maggiore, l’acqua viene spinta verso il basso e il livello scende.

3 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

1

LA TEMPERATURA

facilmente riproducibili, come i punti di fusione del ghiaccio e di ebollizione dell’acqua, tra i quali ripartire le suddivisioni della scala (figura 5). temperatura di ebollizione dell’acqua

Figura 5. Un termometro si ottiene tarando un termoscopio, cioè suddividendo in gradi l’intervallo di temperatura tra due punti fissi.

temperatura di fusione del ghiaccio

100 °C

0 °C

La scala Fahrenheit Nel 1714 Gabriel Daniel Fahrenheit fu il primo a usare il mercurio come liquido termometrico e a costruire i primi termometri affidabili, che nel XVIII secolo si diffusero rapidamente in Europa. Per costruire la sua scala termometrica, Fahrenheit fissò lo zero sulla temperatura di una miscela composta di ghiaccio e di un sale ammonico, e assegnò il valore di 96 gradi Fahrenheit (°F) alla sua temperatura corporea. Successivamente la scala fu ricalibrata in modo da mantenere fissi i valori delle temperature del ghiaccio fondente e dell’acqua bollente rispettivamente a 32 °F e 212 °F. La scala Fahrenheit è stata adottata a lungo nei paesi anglosassoni ed è ancora in uso negli Stati Uniti, anche se l’unità di misura ufficiale della temperatura è il kelvin, che abbiamo incontrato tra le unità di misura del Sistema Internazionale.

La scala Celsius Nel 1742 l’astronomo svedese Anders Celsius propose una scala termometrica i cui i punti fissi fossero la fusione del ghiaccio e l’ebollizione dell’acqua, tra i quali erano presenti 100 divisioni, cioè 100 gradi Celsius (°C). Per questo motivo la scala Celsius è stata denominata anche scala centigrada e il grado Celsius è in tal caso detto grado centigrado. Si osservi che nella scala Farhenheit tra gli stessi punti fissi sono presenti 180 divisioni anziché 100, per cui un 1 °C rappresenta un intervallo di temperatura maggiore rispetto a 1 °F: per l’esattezza, ad ogni grado Celsius corrispondono 180/100  1,8 gradi Farhenheit. Per trasformare la temperatura espressa in gradi Celsius (T°C) in temperatura espressa in gradi Fahrenheit (T°F) e viceversa si usano pertanto le seguenti espressioni matematiche: 180 °F 100 °C 100 °C T°C = (T°F − 32 ° F) × 180 °F T°F = 32 °F + T°C ×

4 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

(1.1)

LA TEMPERATURA

1

ESEMPIO f Le temperature più elevate per la città di Londra si hanno in agosto, quando il termometro può raggiungere i 90 °F. Qual è la temperatura corrispondente in gradi Celsius? SOLUZIONE Dalla formula (1.1) T°C = (T°F − 32 ° F) ×

100 °C 180 °F

si ha: T°C = ( 90 °F − 32 °F ) ×

100 °C = 32 °C 180 °F

DOMANDA In una località del Trentino si registrano temperature medie invernali di –7°C. Qual è la temperatura corrispondente in gradi Fahrenheit?

La scala Kelvin Nel 1868 lo scienziato irlandese William Thomson, noto anche come Lord Kelvin, propose di misurare le temperature su basi teoriche anziché fenomenologiche. Gli studi sulla fisica dei fenomeni termici avevano raggiunto un livello di maturità tale che fu possibile ricavare, per mezzo di equazioni e principi, quale fosse la temperatura più bassa raggiungibile. A questa temperatura fu dato il valore di zero assoluto, o zero kelvin (K), e la scala corrispondente fu anche detta scala assoluta, indipendente dalla proprietà termometrica e dal tipo di sostanza usata nel termometro. La scala è definita tra lo zero assoluto e il punto di fusione del ghiaccio, posto a 273,15 K, e la variazione di 100 K equivale a quella di 100°C. TK = T°C ×

100 K + 273, 15 K 100 °C

100 °C T°C = TK × − 273, 15 °C 100 K

(1.2)

Semplifichiamo le due relazioni precedenti con una formulazione meno rigorosa, ma più semplice da leggere: TK  T°C  273,15 T°C  TK  273,15

ESEMPIO f A circa –39°C il mercurio solidifica. Qual è la temperatura corrispondente in kelvin?

5 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

1

LA TEMPERATURA

SOLUZIONE Approssimando la formula (1.2) di conversione all’unità: TK = T°C ×

100 K + 273 K 100 °C

otteniamo: TK = −39 °C ×

100 K + 273 K = 234 K 100 °C

DOMANDA Le temperature sulla superficie della Luna variano tra i 250 K della notte ai 396 K del giorno. A quali temperature in gradi centigradi corrispondono tali valori? Tabella 1. Confronto tra scale termometriche.

SCALA

SIMBOLO

FUSIONE DEL GHIACCIO

EBOLLIZIONE DELL’ACQUA

NUMERO DI DIVISIONI TRA I PUNTI FISSI

Farhenheit

°F

32 °F

212 °F

180

Celsius

°C

0 °C

100 °C

100

Kelvin

K

273,15 K

373,15 K

100

CONVERSIONE IN GRADI CELSIUS

T°C = (T°F − 32 °F)

100 °C 180 °F

T°C = T°C T°C = TK

100 °C − 273 °C 100 K

c

NASA/STEREO/Naval Research Laboratory

d

NASA

Figura 6. La temperatura di: a. nucleo di una supernova: 1010 K; b. interno del Sole: 107 K; superficie del Sole: 103 K; c. superficie della Terra 102 K; d. superficie di Nettuno 10 K.

b

6 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

NASA/JPL

a

X-ray: NASA/CXC/PSU/S.Park & D.Burrows.; Optical: NASA/ STScI/CfA/P.Challis

In figura 6 sono illustrati gli ordini di grandezza di alcune temperature misurabili nell’Universo.

1

LA TEMPERATURA

3

L’EQUILIBRIO TERMICO

Quando ci misuriamo la febbre con un termometro clinico, cioè misuriamo la nostra temperatura corporea, assicuriamo innanzitutto un buon contatto termico tra il nostro corpo e lo strumento e poi attendiamo un certo intervallo di tempo affinché la lettura possa essere veritiera. Infatti, se interrompiamo il contatto troppo presto il valore riportato dal termometro è inferiore a quello effettivo, cioè corrisponde a una temperatura più bassa di quella che vogliamo conoscere. Questo avviene quando allontaniamo il termometro mentre sono ancora in corso quei cambiamenti delle proprietà termiche sulle quali esso si basa, cioè prima che sia raggiunto l’equilibrio termico. Due corpi in contatto termico sono in equilibrio termico quando hanno la stessa temperatura. Il termometro clinico ci consente di conoscere la nostra temperatura corporea solo dopo che esso ha raggiunto l’equilibrio termico con il nostro corpo: in tal caso leggiamo sul termometro il valore corrispondente alla cosiddetta temperatura di equilibrio. La temperatura, che abbiamo definito come la grandezza che si misura con il termometro, è dunque determinata dal concetto di equilibrio termico e, a sua volta, lo caratterizza. I corpi in equilibrio termico hanno infatti la stessa temperatura (figura 7). Queste considerazioni non sono di immediata percezione, e la storia della scienza riflette le difficoltà concettuali che sottostanno alla definizione di temperatura. Essa infatti fu intuita già al tempo dei termoscopi e fu misurata grazie all’invenzione dei termometri, ma t1 t2 fu delineata dal punto di vista teorico solo nel XIX secolo, quando lo studio dei fenomeni termici era ormai maturo e sviluppato. La possibilità di confrontare la temperatura di corpi che non sono in diretto contatto termico fra loro, e quindi di definire la temperatura di due corpi attraverso misure effettuate con il termometro, si giustifica sulla base di un principio fisico denominato principio zero della termodinamica. Esso si enuncia dicendo che:

t3

t4

Figura 7. Il termometro e l’acqua sono in equilibrio termico quando il volume del liquido nella colonnina non cambia al passare del tempo.

se il corpo A è in equilibrio termico con il corpo B e il corpo B è in equilibrio termico con il corpo C, allora il corpo A e il corpo C sono in equilibrio termico fra loro. Nell’affermazione precedente il termometro è rappresentato dal corpo B. Se esso è in equilibrio termico con il corpo A, mostra sulla sua scala la stessa temperatura di A, che si rivela essere la stessa temperatura di C se B è in equilibrio termico con C. Il principio zero della termodinamica ga-

7 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

t5

1 B

LA TEMPERATURA

rantisce che in questo caso i corpi A e C sono alla stessa temperatura anche se sono distanti, cioè se non sono in diretto contatto termico fra loro (figura 8). Questo «principio» (cioè un fatto non smentito da alcun fenomeno) è stato numerato con lo «zero» per coerenza concettuale: dato che si tratta del principio base per la definizione della temperatura e poiché è stato messo a fuoco tardivamente, quando ormai erano già stati enunciati altri importanti principi che avevano ricevuto la numerazione progressiva primo, secondo e terzo, in questo modo è stato collocato prima degli altri.

B

18 °C

18 °C

A

C

Figura 8. a. Il termometro B è in equilibrio termico con l’acqua del catino A. b. Il termometro B è in equilibrio termico con l’acqua del catino C. c. L’acqua del catino A si trova alla stessa temperatura dell’acqua del catino C.

ESEMPIO Analizziamo in termini di equilibrio termico il semplice fatto che sullo stesso tavolo un cappuccino caldo tende a diventare tiepido, mentre una bibita fresca tende a scaldarsi. La temperatura dell’ambiente circostante, cioè dell’aria della stanza, è evidentemente intermedia rispetto alle temperature iniziali delle due bevande. Il cappuccino, quindi, si raffredda e la bibita si riscalda per portarsi alla temperatura di equilibrio con l’ambiente. DOMANDA Se un termometro in una stanza segna una temperatura di 20 °C, quale ci aspettiamo che sia la temperatura degli oggetti in essa contenuti? Motiva la risposta in 5 righe.

4

LA DILATAZIONE TERMICA NEI SOLIDI

Quando scaldiamo un corpo materiale a pressione costante il suo volume cambia. In genere esso aumenta all’aumentare della temperatura e per questo, quando ci si riferisce a questo fenomeno, si parla di dilatazione termica. La dilatazione termica è un fenomeno che interessa moltissimo la vita quotidiana. Per esempio, è esperienza comune che il vetro si rompe quando viene scaldato o raffreddato in modo repentino e non uniforme. Se, infatti, versiamo velocemente del tè bollente in un bicchiere, le parti che entrano in contatto con il liquido caldo si portano rapidamente a una temperatura elevata e si dilatano di più rispetto alle altre, provocando tensioni a volte fatali per il bicchiere. Nei liquidi questo effetto è molto vistoso, tant’è che i termometri più diffusi sin dalla loro invenzione, fino a poco tempo fa erano proprio basati su questa proprietà termometrica: ricordiamo ancora una volta i termometri ad alcol dell’Accademia del Cimento fiorentina e i successivi termometri a mercurio, usati per oltre duecento anni nei più svariati ambiti e andati in disuso negli ultimi tempi per motivi legati alla sicurezza per la salute e per l’ambiente, data la tossicità del mercurio.

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1

LA TEMPERATURA

Figura 9. Gli sbalzi termici possono deformare pericolosamente i binari dei treni.

Iowa Department of Transportation

Nei solidi la dilatazione è meno evidente, ma iniziamo da questo caso perché consente di introdurre un’approssimazione molto utile ai fini pratici. Tale approssimazione consiste nel considerare separatamente le variazioni di lunghezza nelle diverse direzioni, cioè nel determinare la dipendenza delle dimensioni lineari dei corpi dalla temperatura. Spesso infatti siamo interessati a determinare quanto si allunga o si accorcia un solido in una particolare direzione piuttosto che alla sua variazione di volume complessiva. I viadotti stradali, per esempio, sono formati da segmenti che non combaciano perfettamente per consentire alla struttura di dilatarsi, a causa degli sbalzi termici tra estate e inverno, senza rompersi. Lo spazio tra un segmento e l’altro viene calcolato per mezzo di una formula approssimata, che consente di determinare l’allungamento in una direzione specifica. Analogamente, tra un binario ferroviario e l’altro vi è una discontinuità nei punti di giunzione per evitare che l’acciaio, dilatandosi, possa deformarsi sensibilmente (figura 9). Nonostante ciò, può accadere che nelle estati particolarmente calde, quando gli accorgimenti preventivi si rivelano insufficienti, i treni siano costretti a procedere a velocità ridotte per questioni di sicurezza.

La dilatazione lineare Quando siamo interessati alla variazione di lunghezza in una particolare direzione parliamo di dilatazione lineare, utilizzata quando si ha a che fare con corpi che hanno una dimensione molto più sviluppata delle altre, come una barra di spessore e larghezza trascurabili. Le variazioni Δ della lunghezza di una barra solida sono legate alle variazioni ΔT della sua temperatura da una legge empirica approssimata in cui compare la lunghezza iniziale 0 e un coefficiente λ, che dipende dal materiale, detto coefficiente di dilatazione lineare: Δ = λ 0 ΔT

(1.3)

Questa formula è usata, per esempio, per calcolare l’allungamento di un binario ferroviario trascurando la dilatazione nelle due dimensioni minori. L’unità di misura del coefficiente di dilatazione lineare λ è l’inverso di una temperatura, cioè K–1; infatti, usando il metro per misurare le lunghezze e il kelvin per misurare le temperature dalla formula (1.3) si ha che: m = K–1 m K

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1

LA TEMPERATURA

ESEMPIO f Di quanto si allunga un binario di 36 m costruito con un acciaio con λ  11 × 10–6 K–1 fra le temperature di 10 °C e 40 °C? SOLUZIONE La formula approssimata per calcolare le variazioni di lunghezza è la (1.3): Δ  λ 0 ΔT dove T°C  40 °C  (10 °C)  50 °C. Perciò: ΔTK  50 K Quindi: Δ  λ 0 ΔT   11 × 10 K × 36 m × 50 K  0,0198 m  20 mm –6

–1

DOMANDA Di quanto si allunga il binario se la sua lunghezza iniziale raddoppia? In tabella 2 sono riportati i coefficienti di dilatazione lineare di alcuni materiali, tra i quali l’invar (figura 10), una lega metallica di ferro e nichel, che valse il premio Nobel al suo scopritore. Tabella 2. Coefficienti di dilatazione lineare di alcuni materiali.

Figura 10. L’invar è una lega di ferro e nichel che si dilata pochissimo all’aumentare della temperatura. Per questo motivo è usata negli strumenti di precisione dove anche un piccolo cambiamento delle dimensioni può essere determinante.

MATERIALE

λ (K–1)

zinco

31  10–6

piombo

29  10–6

alluminio

24  10–6

argento

19  10–6

bronzo

18  10–6

rame

17  10–6

oro

14  10–6

nichel

13  10–6

ferro

12  10–6

vetro

8  10–6

tungsteno

5  10–6

vetro pyrex

3  10–6

invar

0,65  10–6

La differenza tra coefficienti di dilatazione di materiali diversi ha ispirato la costruzione delle cosiddette «lamine bimetalliche», dispositivi formati da due barre saldamente attaccate fra loro che si incurvano all’aumentare della temperatura. I due metalli che compongono le barre, infatti, hanno coefficienti di dilatazione molto diversi tra loro e, quando la temperatura aumenta, una delle due barre subisce un aumento di volume molto maggiore dell’altra, incurvando il sistema.

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LA TEMPERATURA

Le lamine bimetalliche sono spesso usate nei termostati, nei quali un circuito elettrico deve aprirsi o chiudersi a seconda della temperatura (figura 11). Esplicitando la formula (1.3) rispetto ai valori delle lunghezze iniziale 0 e finale f e delle corrispondenti temperature T0 e Tf, otteniamo un’espressione molto utile nell’esecuzione dei calcoli.

A B

1

A B Figura 11. Il metallo A ha un coefficiente di dilatazione maggiore del metallo B, per cui subisce un aumento di volume maggiore. Dato che le due barre sono vincolate, ciò comporta un’incurvatura del sistema.

Δ  λ0T f  0  λ0 (Tf  T0) f  0  λ0 (Tf  T0)  0 [1  λ (Tf  T0)]

La dilatazione superficiale Quando abbiamo a che fare con un solido in cui una direzione è molto minore delle altre due, la variazione in quella direzione è spesso trascurabile. In tal caso, analogamente al caso della dilatazione lineare, si può usare una formula approssimata con la quale si ricava la variazione ΔS dell’area della superficie del solido. La formula della cosiddetta dilatazione superficiale è formalmente identica alla (1.3): ΔS = σ S0 ΔT

(1.4)

dove σ è detto coefficiente di dilatazione superficiale, misurato in K–1, e S0 è l’estensione della superficie iniziale. Analogamente al caso lineare si può esprimere la (1.4) in una forma differente: Sf  S0 (1 σ ΔT)

ESEMPIO f La rotella dell’ingranaggio di un orologio d’oro subisce uno sbalzo di temperatura da 15 °C a 60 °C. Di quanto varia l’estensione della superficie rispetto al valore iniziale? (σoro  28,6 ×10–6 K) SOLUZIONE La formula che esprime il rapporto tra la variazione dell’estensione della superficie e l’estensione iniziale è: ΔS S0

σ S0

ΔT S0

σ ΔT

Il valore di ΔT si ricava considerando che la variazione della temperatura espressa in K equivale alla variazione della temperatura espressa in °C: ΔT°C  60 °C  15 °C  45 °C

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1

LA TEMPERATURA

per cui: ΔTK  45 K Sostituiamo i valori nella formula:

ΔS = σ ΔT = 28, 6 × 10−6 K × 45 K = 1, 3 × 10−3 S0 In altre parole, la dilatazione superficiale dell’oro per uno sbalzo di temperatura di 45 K è di 1,3 parti su 1000. DOMANDA Di quanto si dilata una lastra d’oro di 1 m2 in seguito allo stesso sbalzo termico?

La dilatazione volumica (o cubica) In generale un corpo solido, all’aumentare della temperatura, si dilata in tutte e tre le direzioni (figura 12) e modifica il suo volume iniziale V0 secondo una legge empirica data dalla formula: ΔV = α V0 ΔT

(1.5)

Figura 12. Per inserire alcuni organi meccanici nelle loro sedi si sfrutta la dilatazione termica. Una volta raffreddato, l’alloggiamento recupera le sue dimensioni e le due parti si stringono l’una sull’altra.

Il coefficiente di dilatazione volumica α si misura in K–1 e dipende dalla sostanza. In definitiva si può affermare che: la variazione di volume di un corpo solido è direttamente proporzionale alla variazione della temperatura attraverso il prodotto tra il volume iniziale e un coefficiente che dipende dalla sostanza. Anche la dilatazione volumica può essere espressa esplicitando il valore del volume finale: Vf  V0 (1  α ΔT )

ESEMPIO f Una sfera di alluminio è posta in un surgelatore alla temperatura di 21 °C, dove ha un raggio pari a 5,00 cm. Successivamente viene posta in una pentola d’acqua su un fornello, e si attende il rag-

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LA TEMPERATURA

1

giungimento della temperatura di ebollizione di 100 °C. Di quanto varia il raggio della sfera? (αal  72 × 10–6 K–1) SOLUZIONE La variazione di volume della sfera è data dalla formula (1.5): ΔV  α V0 ΔT dove il valore di ΔT si ricava considerando che la variazione delle temperatura espressa in K equivale alla variazione della temperatura espressa in °C: ΔT°C  100°C  (21°C)  121 °C Dalla formula (1.2) si ricava che: ΔTK  121 K Il volume iniziale della sfera è:

4 3 πr0 3

V0

4 π ( 5, 00 cm )3 3

523 cm 3

Il volume finale è: Vf  V0 (1 α ΔT)  523 cm3 (1  72 × 10–6 K–1 × 121 K)  528 cm3 Tale volume corrisponde a un raggio di:

rf =

3

3V f = 4π

3

3 × 528 cm 3 = 5, 01 cm 4π

Perciò: Δr  rf  r0  5,01 cm  5,00 cm  0,01 cm

DOMANDA Di quanto varia la superficie della sfera?

Relazione approssimata tra i coefficienti di dilatazione dei solidi La possibilità di studiare separatamente la dilatazione lineare e quella volumica è legata al fatto che un corpo quando si dilata mantiene in genere la sua forma, cioè si trasforma in un solido simile: un parallelepipedo resta un parallelepipedo, un cubo resta un cubo, una sfera resta una sfera. Se consideriamo un parallelepipedo, per esempio, la sua dilatazione termica avviene in misura proporzionale per ciascuna direzione: quella più estesa è soggetta, cioè, a una variazione maggiore (figura 13). In relazione a ciò si può dimostrare che i coefficienti di dilatazione volumica, superficiale e lineare seguono le relazioni approssimate:

Figura 13. La dilatazione per ogni direzione è proporzionale all’estensione del solido nella direzione stessa.

α  3λ σ  2λ

13 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

1

LA TEMPERATURA

cioè i coefficienti di dilatazione volumica e superficiale sono rispettivamente il triplo e il doppio di quello di dilatazione lineare. Non dimostreremo questa proprietà, ma la utilizzeremo per ricavare il valore approssimato di α e σ a partire dalla tabella 2.

5

LA DILATAZIONE TERMICA NEI LIQUIDI

Le variazioni ΔV del volume di un liquido sono legate alle variazioni ΔT della sua temperatura da una legge empirica identica alla (1.5) valida per i solidi: ΔV  α V0 ΔT MATERIALE acqua etanolo

α (K–1) 0,21  10

–3

1,1  10–3

etere etilico

0,16  10–3

benzolo

1,21  10–3

olio di oliva

0,72  10–3

petrolio

0,9  10–3

glicerolo

0,5  10–3

mercurio

0,18  10–3

Tabella 3. Coefficienti di dilatazione volumica di alcuni liquidi.

(1.6)

Nel caso dei liquidi però i coefficienti di dilatazione volumica α sono decine o centinaia di volte più grandi di quelli visti per i solidi, poiché i liquidi sono soggetti a dilatazioni molto più evidenti (tabella 3). Per questo motivo riusciamo ad apprezzare la variazione di volume di un liquido in un termometro, nonostante si dilati anche il vetro che lo contiene: la differenza tra i due coefficienti di dilatazione è tale che il liquido aumenta di volume in misura molto maggiore del suo contenitore e l’innalzamento del livello diventa rilevante.

ESEMPIO f Un bicchiere di 200 cm3 è pieno fino all’orlo di olio d’oliva alla temperatura di 20 °C. Se scaldiamo l’olio a 80 °C, quanto vale il volume che fuoriesce dal bicchiere, trascurando la dilatazione del vetro? SOLUZIONE Osserviamo innanzitutto che la differenza di temperatura espressa in °C equivale alla differenza di temperatura espressa in K; infatti le due scale differiscono per una quantità costante: ΔT°C  80 °C  20 °C  60 °C Dalla formula (1.2) si ricava che: ΔTK  60 K La dilatazione dell’olio si ricava direttamente dalla formula (1.6): ΔV  α V0 ΔT dove α  0,72 × 10–3 K–1 (vedi tabella 3). Quindi: ΔV  0,72 10–3 K–1 × 200 cm3 × 60 K  8,6 cm3 DOMANDA La densità dell’olio aumenta o diminuisce all’aumentare della temperatura?

14 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

LA TEMPERATURA

1

ESEMPIO f La densità dell’olio di oliva è 920 kg/m3 alla temperatura di 20 °C. Quanto vale alla temperatura di 80 °C? SOLUZIONE Ricordiamo che la densità è definita come il rapporto tra la massa e il volume, per cui: V20 °C

920 kg/m 3

Perciò alla temperatura di 20 °C 920 kg di olio occupano un volume di 1 m3. Alla temperatura di 80 °C occupano un volume maggiore, dato dalla formula: Vf  V0 [1 α (Tf  T0)] dove V0  1 m3, per cui:

Aptyp_koK/Shutterstock

m

ρ20 °C

Vf  1 m3 (1 0,72 ×10–3 K–1 60 K)  1,04 m3 Quindi: ρ80 °C

m V80 °C

920 kg 1, 04 m 3

885 kg/m 3

DOMANDA Nel cosiddetto termometro galileiano varie ampolline di densità diversa sono immerse in un liquido trasparente. Alcune di esse galleggiano, altre si trovano sul fondo, ma al variare della temperatura del liquido le ampolline possono passare da un gruppo all’altro. Spiega questo fenomeno in 10 righe.

Il caso anomalo dell’acqua Il caso dell’acqua è anomalo: da 0 °C a 4 °C si contrae, per poi cominciare a dilatarsi a temperature superiori (figura 14). L’acqua raggiunge dunque la densità massima a 4 °C, fatto molto importanvolume te per la vita degli animali acquatici durante l’inverno. La maggiore densità dell’acqua a 4 °C, infatti, fa sì che essa «affondi» rispetto all’acqua circostante più fredda. Quest’ultima, per la spinta di Archimede, va a occupare gli strati superficiali, che possono perciò gelare quando le temperature sono molto basse. 0 4 8 12 È per questo motivo che i laghi iniziano a 0 °C 4 °C 8 °C 10 °C 12 °C temperatura (°C) ghiacciare dalla superficie, mentre gli strati più profondi restano a lungo liquidi grazie al fatto che l’acqua è più calda, Figura 14. A 4 °C l’acqua occupa il volume più piccolo, consentendo agli animali di sopravvivere. cioè la sua densità è massima.

15 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

1

LA TEMPERATURA

6

PROPRIETÀ TERMOMETRICHE DEI GAS

I gas sono sostanze di difficile percezione: non si vedono, non si possono afferrare e soppesare con le mani, si fa fatica a isolarli e a rinchiuderli in un recipiente. La comunità scientifica ha riconosciuto i gas come sostanze fatte di materia, cioè dotate di massa, solo nel XVIII secolo, quando AntoineLaurent de Lavoisier (1743-1794) si accorse che, come per i solidi e i liquidi, si poteva determinare la loro massa con una bilancia.

SIMULAZIONE Le proprietà dei gas (PhET, University of Colorado)

Zeamonkey Images / Shutterstock

Se la temperatura è costante: la legge di Boyle

Figura 15. Durante le immersioni subacquee la pressione aumenta con la profondità e il volume dei gas contenuti nel corpo si riduce. Per esempio, a una profondità di 20 metri, con una pressione di circa 3 atm, il volume dei polmoni si riduce a 1/3 rispetto a quello dell’inizio dell’immersione.

Osserviamo, prima di tutto, che un gas non ha un volume determinato, ma tende a occupare tutto lo spazio a disposizione qualunque sia la sua temperatura. La stessa massa gassosa in un recipiente piccolo ha un volume piccolo, in un recipiente grande ha un volume grande. Ciò comporta sostanziali differenze rispetto ai liquidi e ai solidi perché, a parità di temperatura, lo stesso gas può occupare volumi diversi, ai quali corrispondono pressioni diverse. In altre parole: un gas può essere dilatato anche se la temperatura non cambia e, in tal caso, la pressione al suo interno diminuisce. Viceversa se la pressione aumenta a temperatura costante, il volume diminuisce (figura 15). In particolari condizioni, di bassa densità e temperatura lontana dal punto di liquefazione del gas, è verificata la legge empirica di Boyle, che, detti V1 e V2 i valori del volume corrispondenti alle pressioni p1 e p2, si scrive: p 1V 1  p 2V 2 cioè: pV  costante

(1.7)

A temperatura costante il prodotto del volume occupato da un gas per la sua pressione è costante. Un gas può essere dilatato o compresso a temperatura costante solo se ciò avviene molto lentamente, in moto tale che, istante per istante, la sua temperatura sia quella di equilibrio con l’ambiente circostante. Una trasformazione di questo tipo è detta trasformazione isoterma.

ESEMPIO f Un gas è racchiuso in un recipiente cilindrico dotato di un pistone mobile a tenuta, il quale è immerso in un bagno termico a tempe-

16 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

1

LA TEMPERATURA

ratura costante. All’interno del cilindro è presente un barometro il cui indice segna un valore della pressione pari a 2,5 ×105 Pa quando il volume del gas è 10 dm3. A un certo punto si agisce sul pistone e lentamente si riduce il volume del gas a 3 dm3. Quale valore si legge sul manometro?

p bar

T T

SOLUZIONE Dalla legge di Boyle (formula (1.7)) si ricava direttamente il valore p2 della pressione in seguito alla trasformazione isoterma: p 1V 1  p 2V 2 p2 =

2, 5 × 10 5 Pa × 10 dm 3 p1V1 = = 8, 3 × 10 5 Pa 3 3 dm V2

DOMANDA Che cosa succede al volume di un gas se la pressione si dimezza a temperatura costante?

Come per i liquidi e i solidi, anche un gas che viene scaldato a pressione costante si dilata (figura 16). Se la densità è bassa e le temperature si mantengono lontane dal punto di liquefazione del gas, la legge empirica che descrive il volume occupato a una certa temperatura è: V T

costante

(1.8)

dove T rappresenta la temperatura assoluta espressa in kelvin. Questa espressione, nota come prima legge di Guy-Lussac, descrive quindi il comportamento di un gas durante una trasformazione a pressione costante, detta trasformazione isobara (figura 17 a pagina seguente). Essa si esprime dicendo che: il volume occupato da un gas a pressione costante è direttamente proporzionale alla sua temperatura assoluta.

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Se la pressione è costante: la prima legge di Gay-Lussac

Figura 16. Quando una massa d’aria al livello del suolo viene scaldata a pressione costante, il suo volume aumenta e la sua densità diminuisce rispetto all’aria sovrastante, più fredda. Grazie alla spinta di Archimede si generano così correnti ascensionali, ben note ai rapaci che le utilizzano per guadagnare quota senza battere le ali.

17 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

1 Figura 17. Se il pistone si muove lentamente, tanto da poter essere considerato in equilibrio istante per istante, allora il valore della pressione interna del gas è, istante per istante, uguale a quello della pressione atmosferica. Durante una trasformazione di questo tipo, detta isobara, il volume e la temperatura assoluta sono direttamente proporzionali.

LA TEMPERATURA

p0 p0 p0 T1  T2  T3 V1  V2  V3 V1 T1

V2 T2

V3 T3

ESEMPIO f Alla temperatura di 0 °C una certa quantità di aria molto rarefatta occupa un volume pari a 1,0 m3. Se la pressione rimane costante, qual è il volume della stessa massa di aria a una temperatura di 20 °C?

T°C  0 °C

T°C  20 °C

SOLUZIONE Trasformiamo innanzitutto le temperature espresse in °C in temperature espresse in K approssimando al kelvin: TK  T°C  273 T1  0  273  273 K T2  20  273  293 K Dalla formula (1.8) V T si ha:

costante V1 V2 = T1 T2

V2 =

1, 0 m 3 V1 ⋅ T2 = × 293 K = 1, 1 m 3 273 K T1

DOMANDA Qual è il volume della massa d’aria se, a partire da 0 °C, viene raffreddata a 20 °C?

Questa semplice formulazione della legge di Gay-Lussac può essere espressa in una forma che consente di confrontarla con le leggi di dilatazione dei liquidi e dei solidi. Per ricavarla esprimiamo il volume V occupato da un gas alla temperatura T facendo riferimento al volume V0 occupato dallo stesso gas alla temperatura T0  273,15 K, cioè alla temperatura di fusione del ghiaccio (0 °C).

18 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

1

LA TEMPERATURA

Ricordiamo che per i solidi e i liquidi: ΔV  α V0 ΔT e cioè: V  V0  αV0 (T T0) con α uguale ai rispettivi coefficienti di dilatazione. Se consideriamo T  0 K, il volume V diventa trascurabile e possiamo porlo uguale a zero, quindi otteniamo: 0  V0  αV0 (0 T0) Semplificando e sostituendo il valore di T0, otteniamo: a=

1 1 K−1 = T0 273, 15

A pressione costante i gas si espandono tutti con lo stesso coefficiente di dilatazione α, seguendo una legge di proporzionalità diretta con la temperatura T (figura 16). V (m3)

Figura 16. Il volume di un gas rarefatto e lontano dalla temperatura alla quale diventa liquido è direttamente proporzionale alla temperatura assoluta attraverso una costante di proporzionalità che non dipende dalla natura del gas. V0 è il volume alla temperatura T0  273,15 K.

V0

273,15

T (K)

Se il volume è costante: la seconda legge di Gay-Lussac

Figura 18. Quando gli pneumatici si riscaldano per effetto dell’attrito, la pressione dell’aria al loro interno aumenta e bisogna tenerne conto durante il gonfiaggio a freddo. CHEN WEI SENG / Shutterstock

Come ultimo caso resta da studiare il comportamento di un gas al variare della temperatura quando il volume resta costante. Questo avviene, per esempio, quando il gas è contenuto in un recipiente sigillato e soggetto a variazioni di temperatura, con conseguenti variazioni della pressione (figura 18). Se il gas è rarefatto e lontano dalla temperatura di liquefazione il suo comportamento durante una trasformazione isocora (a volume costante) è ben descritto dalla legge empirica:

19 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

1

LA TEMPERATURA

p T

costante

(1.9)

dove p è la pressione e T la temperatura assoluta del gas. Diciamo quindi che: in una trasformazione a volume costante la pressione di un gas è direttamente proporzionale alla temperatura assoluta. Questa proprietà termometrica è utilizzata nei termometri a gas, dove la temperatura si ricava misurando la pressione di un gas contenuto in un recipiente chiuso (figura 19). Figura 19. Se un gas è contenuto in un recipiente sigillato il suo volume non cambia e ad ogni variazione della temperatura corrisponde una variazione della pressione.

T1  T2 T1 p 1

T2 p2

p 1  p2

ESEMPIO f Un gas racchiuso in un recipiente sigillato è raffreddato da 50 °C a 0 °C. Se la sua pressione iniziale è 1,01 × 105 Pa, quanto vale la sua pressione finale? SOLUZIONE Applichiamo la seconda legge di Gay-Lussac (formula (1.9)): p T

costante

cioè: p1 T1

p2 T2

dove, approssimando al kelvin: T1  50  273  323 K T2  0  273  273 K

p2 =

1, 01 × 10 5 Pa p1 ⋅ T2 = × 273 K = 8, 54 × 10 4 Pa 323 K T1

DOMANDA Un gas è contenuto in un recipiente con pistone mobile sul quale agisce una forza diretta verso il basso che impedisce al gas di espandersi. Se la temperatura all’interno del gas raddoppia, in quale misura deve cambiare la forza agente sul pistone affinché il volume resti costante?

20 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

LA TEMPERATURA

1

Il gas perfetto Come abbiamo visto, quando un gas è rarefatto e lontano dalle condizioni di liquefazione il suo comportamento è ben descritto sperimentalmente dalla leggi di Boyle e dalle due leggi di Gay-Lussac. Assumendo come valide queste approssimazioni, si introduce il modello di gas perfetto, il quale segue contemporaneamente tutte e tre le leggi. Si tratta di un modello molto utile per lo studio dei gas reali, perché in molti casi consente di descrivere il loro comportamento senza commettere grossi errori. Un gas che si comporta secondo la legge di Boyle e la prima e la seconda legge di Gay-Lussac è detto gas perfetto. L’equazione che unifica queste leggi è detta equazione di stato dei gas perfetti e stabilisce un legame tra le tre grandezze pressione p, volume V e temperatura assoluta T: pV costante T cioè, dato uno stato di riferimento caratterizzato dai valori p0, V0 e T0, p0V0 T T0

pV

che esprime la proporzionalità tra il prodotto pV e la temperatura assoluta T. La tabella 4 fornisce una sintesi delle leggi dei gas che abbiamo studiato.

Grandezza costante Trasformazione Formula Equazione di stato dei gas perfetti Condizioni di validità

LEGGE DI BOYLE

PRIMA LEGGE DI GAY-LUSSAC

SECONDA LEGGE DI GAY-LUSSAC

T temperatura assoluta

p pressione

V volume

isoterma

isobara

isocora

pV  costante

V T pV T

costante

p T

Tabella 4. Leggi dei gas a confronto.

costante

costante

densità (ρ) bassa (gas rarefatto) T  Tliquefazione (lontano dalle condizioni di liquefazione)

21 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

1

LA TEMPERATURA

BIOLOGIA

La temperatura è un parametro importantissimo per i processi biochimici, tant’è che il nostro corpo è dotato di un complesso sistema per mantenere costante la sua temperatura nelle condizioni esterne più disparate (omeotermia). Le reazioni chimiche che consentono agli organismi di vivere necessitano di uno strettissimo intervallo di temperatura, e una variazione di pochi gradi centigradi può avere conseguenze letali. Tale intervallo varia da un animale all’altro e nell’uomo è centrato intorno ai 37°C. La temperatura è così decisiva che uno dei sistemi più adottati dal nostro organismo per difendersi dall’attacco di virus e batteri è proprio la febbre, una temperatura corporea superiore a quella Durante il letargo alcuni mammiferi normale, che crea condizioni sfavorevoli alla replicazione degli ospiti abbassano la temperatura corporea e indesiderati. riducono il metabolismo per superare lunghi

George Juniors McCarthy/naturepl.com Bildarchiv / Alamy

Temperatura e vita

periodi senza cibo.

Il letargo Diversi animali omeotermi hanno sviluppato un meccanismo di riduzione delle funzioni vitali e quindi di abbassamento della temperatura corporea, detto letargo, per affrontare i periodi in cui le condizioni esterne rendono difficile la sopravvivenza. Operando una selezione delle funzioni vitali da alimentare essi riescono a superare lunghi periodi utilizzando a poco a poco i grassi accumulati durante le stagioni più calde come riserva energetica. Anche gli animali ectotermi, per i quali non esiste un sistema di termoregolazione endogeno, utilizzano il letargo per superare i mesi con scarsa insolazione. I rettili che vivono nei climi temperati trascorrono l’inverno in uno stato di metabolismo estremamente ridotto, per riprendere le attività al sopraggiungere della stagione più calda.

Un recente studio ha mostrato che i criceti siberiani invecchiano più lentamente se trascorrono qualche ora al giorno in uno stato di torpore indotto dalla bassa temperatura dell’ambiente.

DOMANDA In alcuni rettili il sesso dei nascituri non viene definito al momento della fecondazione, ma cambia a seconda della temperatura di incubazione delle uova. Nelle tartarughe, per esempio, temperature al di sopra dei 29 °C circa portano alla formazione di individui femmine, mentre temperature inferiori danno vita a individui maschi. La dipendenza del sesso dei nascituri dalla temperatura potrebbe essere usata come proprietà termometrica? Rispondi in 5 righe.

22 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

Heiko Kiera/Shutterstock

Secondo una recente ricerca, nei mammiferi che alternano brevi periodi di letargo all’attività i processi di invecchiamento sono più lenti che negli altri. Due gruppi di criceti siberiani sono stati sottoposti a condizioni di vita diverse: in entrambi i casi essi avevano a disposizione grandi quantità di cibo e luce per otto ore al giorno, ma per un gruppo la temperatura dell’ambiente era molto più bassa e induceva di tanto in tanto, nel corso della giornata, uno stato di torpore più o meno profondo. La ricerca ha mostrato che nei criceti di questo secondo gruppo l’invecchiamento cellulare avviene più lentamente che nel gruppo vissuto a temperature maggiori. Secondo i ricercatori ciò si spiega perché lo stato di torpore corrisponde a un risparmio energetico che si riflette nella preservazione della parte terminale dei cromosomi, la quale tende a deteriorarsi durante i periodi di metabolismo normale provocando l’invecchiamento delle cellule.

Dirk Goldhahn Dirk Goldhahn

Letargo e longevità

LA TEMPERATURA

1

GEOLOGIA Temperatura e geomorfologia Come il vento che trasporta polveri abrasive e leviga il profilo dei monti, l’acqua che erode la roccia e scava le valli, le sostanze che reagiscono chimicamente con i materiali della superficie, anche la temperatura contribuisce a modificare la morfologia della Terra. I processi principali per i quali ciò avviene sono detti crioclastismo e termoclastismo, che indicano rispettivamente l’azione erosiva del ghiaccio e quella degli sbalzi termici.

A differenza della maggior parte delle sostanze, quando l’acqua diventa ghiaccio il suo volume aumenta di circa il 9% anziché diminuire. Dato che le rocce non sono compatte ma presentano spesso fratture, interstizi e pori, l’acqua riesce a penetrare al loro interno e, quando gela, può arrivare a esercitare una pressione molto elevata se non ha spazio a sufficienza per espandersi. Un po’ come accade in una bottiglia di plastica piena d’acqua chiusa in un congelatore: nel solidificare il ghiaccio si fa spazio, premendo sulle pareti della bottiglia e sul tappo, così la bottiglia si gonfia e può anche rompersi. Così le rocce si fratturano in scaglie, in granuli o in blocchi, a seconda della loro natura. Nelle zone dove i periodi di gelo e disgelo si alternano con maggiore frequenza il crioclastismo è particolarmente evidente e può comportare una disgregazione delle rocce che le rende più soggette agli altri agenti modellanti. I monti su cui si osserva a tale fenomeno presentano spesso depositi di detriti rocciosi.

Peter Wey/Shutterstock

Crioclastismo

Sulle Dolomiti, dove le condizioni per il gelo e il disgelo si alternano con frequenza e le rocce hanno un’elevata porosità, alla base delle montagne si possono trovare detriti rocciosi, come accade presso le Tre Cime di Lavaredo.

L’escursione termica può frantumare la roccia anche in assenza di acqua. Il termoclastismo è il fenomeno per il quale, in seguito a uno sbalzo di temperatura, rocce dalla composizione non omogenea risentono in maniera non uniforme della dilatazione termica. Tale condizione, legata ai diversi coefficienti di dilatazione termica dei componenti della roccia, è causa di forti tensioni interne, che possono arrivare a creare spaccature importanti. Sui versanti meridionali delle montagne questo fenomeno è molto evidente, in quanto l’insolazione diurna riesce a scaldare la roccia portandola a temperature molto elevate rispetto a quelle notturne e provoca alterne contrazioni e dilatazioni che, a lungo andare, ne intaccano la compattezza. Dagli strati superficiali si staccano frammenti spigolosi, con forme che dipendono da come i diversi minerali Nei deserti rocciosi, come il Wadi Rum in Giordania, il termoclastismo è che compongono la roccia sono amalla causa principale della disgregazione delle rocce, le quali vengono poi gamati al suo interno, perché in genelevigate dall’azione del vento. re le spaccature seguono le superfici di separazione tra essi. I fenomeni di termoclastismo sono molto efficaci nei climi secchi con forti escursioni termiche, come nei deserti.

Nickolay Vinokurov/Shutterstock

Termoclastismo

DOMANDA Qual è la differenza tra la dilatazione lineare di 1,0 cm di quarzo e 1,0 cm di calcite per un’escursione termica di 40 °C, se i coefficienti di dilatazione lineare sono rispettivamente 7,0 × 10–7 K-1 e 24 × 10–6 K–1?

23 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

1

LA TEMPERATURA

CON GLI OCCHI DI UN FISICO Le mongolfiere L’aeronave

I fratelli Montgolfier

Nel 1654 Otto von Guericke aveva stupito il mondo con il famoso esperimento degli emisferi di Magdeburgo: uniti tra loro a formare una sfera cava, erano stati svuotati per mezzo di una pompa da vuoto e attaccati ciascuno a una pariglia di cavalli che tiravano in direzioni opposte. Nonostante l’intensa forza esercitata dai cavalli, gli emisferi non si separavano perché tenuti insieme dalla pressione atmosferica non bilanciata dalla bassissima pressione interna. Lo strabiliante fatto ispirò l’ingegno del gesuita Francesco Lana de’ Terzi (1631-1687), che pensò di sfruttare proprio il vuoto per far avverare uno dei più antichi e radicati sogni dell’uomo: il volo. Il suo progetto prevedeva la costruzione di una vera e propria nave volante, con tanto di vela e albero maestro, sollevata da quattro sfere di rame cave e vuote all’interno. Se il guscio di rame fosse stato sufficientemente sottile, le sfere avrebbero avuto una densità complessiva inferiore a quella dell’aria e avrebbero quindi sollevato l’aeronave per il principio di Archimede. Lana de’ Terzi aveva calcolato le dimensioni e lo spessore delle sfere, ma il suo progetto restò inattuato perché all’epoca la tecnologia non ne consentiva la realizzazione. Oggi sappiamo, inoltre, che sfere tanto sottili imploderebbero, schiacciate dalla pressione esterna.

L’idea dell’aeronave era buona, ma ci volle circa un secolo perché diventasse una realtà. Nel 1783 i fratelli JosephMichel e Jacques-Étienne Montgolfier passarono alla storia per aver reso possibile il primo volo umano documentato nella storia, costruendo un veicolo che si sarebbe poi chiamato mongolfiera: un grande pallone di tessuto fu riempito con aria calda e volò sopra la città di Parigi, fra l’eccitazione degli spettatori. Anche in questo caso l’artefice dell’ascensione è il principio di Archimede: quando la temperatura di un gas aumenta a pressione costante, aumenta anche il suo volume, quindi diminuisce la sua densità. Se la densità complessiva del sistema dato dal carico, dall’involucro del pallone e dal gas in esso contenuto è inferiore a quella dell’aria, la mongolfiera si solleva da terra grazie alla spinta aerostatica dal basso verso l’alto. Questo fatto non fu immediatamente chiaro ai suoi ideatori, i quali ipotizzarono di aver scoperto un nuovo gas meno denso dell’aria, contenuto nei fumi della combustione, che chiamarono “gas di Montgolfier”. In realtà, anche se è vero che il pallone si riempie lentamente con i gas di scarico, la loro densità è significativamente inferiore a quella dell’aria per via della dilatazione termica e non per loro natura.

La prima aeronave progettata da padre Lana de’ Terzi non era realizzabile, ma comunque individuava nel principio di Archimede una strategia appropriata per il volo.

Questo disegno descrive dettagliatamente il pallone realizzato dai fratelli Montgolfier, usato per il primo volo con equipaggio umano documentato nella storia.

PAROLA CHIAVE

Temperatura

DOMANDA Il volume occupato da un gas in una trasformazione a pressione costante è direttamente proporzionale alla sua temperatura. f Spiega in 5 righe perché questa affermazione non è corretta.

PAROLA CHIAVE

Proprietà termometriche

DOMANDA Quale legge descrive la proprietà termometrica che ha permesso ai fratelli Montgolfier di sbalordire il mondo con il loro pallone aerostatico?

24 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

LA TEMPERATURA

Applaudi Europa attonita / al volator naviglio (V. Monti, 1784) Il volo scatenò l’entusiasmo generale e il pallone aerostatico diventò una moda: moltissimi vollero ripetere l’esperienza e artisti e poeti immortalarono le imprese con illustrazioni e versi celebrativi. Nello stesso anno in cui Vincenzo Monti scriveva la sua Ode al signor di Montgolfier, il marchese Paolo Andreani effettuava il primo volo italiano in pallone, ispirando a sua volta Per la macchina aerostatica, un sonetto di Giovanni Parini, che si apre con i versi seguenti: Ecco del mondo, e meraviglia, e gioco, Farmi grande in un punto, e lieve io sento; E col fumo nel grembo e al piede il foco Salgo sull’aere, e mi confido al vento. Gli almanacchi dell’epoca non facevano che pubblicare notizie sulle nuove imprese e, sempre nel 1784, fu fondata in Italia la prima rivista mensile specializzata nel settore: il «Giornale aerostatico», il primo periodico di aeronautica della storia.

Nel 1784 nacque in Italia il «Giornale aerostatico», prima rivista periodica in cui venivano pubblicate e descritte le cronache dei numerosi eventi legati alla nascente aeronautica.

PAROLA CHIAVE

1

L’idrogeno Il pallone dei Montgolfier non volava perché riempito con un gas speciale contenuto nei fumi di scarico, ma perché riempito con un gas caldo e quindi dilatato e meno denso. Tuttavia l’idea di far volare un pallone riempiendolo con un gas «leggero» non era insensata e sempre nel 1783, poco dopo le pubbliche imprese dei palloni aerostatici ad aria calda, il fisico Jacques Charles progettò e curò la realizzazione del primo pallone a idrogeno. L’idrogeno era stato da poco scoperto come gas altamente infiammabile ma dalla densità estremamente bassa: un grande pallone che fosse stato riempito con idrogeno avrebbe senz’altro ricevuto una spinta sufficiente a sollevare un equipaggio umano. Effettivamente così fu. Lo stesso Charles e Marie-Noël Robert volarono a bordo di un pallone di seta gommata riempito di idrogeno, pochi giorni dopo il volo dei Montgolfier. Questa volta fu Vittorio Alfieri a ricordare l’evento nel XCVII sonetto delle Rime (1776-1799): D’Arte a Natura ecco ammirabil guerra; Quasi infuocato razzo a voi lanciarsi Un globo immenso, e nell’aere librarsi Portando al ciel due figli della terra.

Durante il primo volo senza equipaggio, il pallone a idrogeno di Charles e Robert cadde in un campo vicino Parigi. I contadini spaventati lo attaccarono con i forconi e lo ridussero in brandelli.

Equilibrio termico

DOMANDA Il pallone aerostatico dei fratelli Montgolfier è in equilibrio meccanico alla quota di 250 m rispetto al suolo: essa non si muove né in verticale né in orizzontale. f È verificato l’equilibrio termico con l’ambiente? Motiva la risposta.

25 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

MAPPA DEI CONCETTI LA TEMPERATURA T unità di misura pratiche

gradi Celsius o centigradi °C gradi Fahrenheit °F

unità di misura ufficiale in

si misura

in

formule di conversione 100 °C T°C  (T°F – 32 °F ) 180 °F 180 °F T°F  32 °F T°c 100 °C

gradi Kelvin K

formule di conversione con il T°C  TK – 273, 15 TK  T°c  273, 15

TERMOMETRO

basato su

EQUILIBRIO TERMICO

PROPRIETÀ TERMOMETRICHE

Due corpi in contatto termico sono in equilibrio termico quando hanno la stessa temperatura

Proprietà della materia che cambiano regolarmente con la temperatura

PRINCIPIO ZERO DELLA TERMODINAMICA Se il corpo A è in equilibrio termico con il corpo B e il corpo B è in equilibrio termico con il corpo C, allora il corpo A e il corpo C sono in equilibrio termico tra loro

26 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

LA TEMPERATURA

1

PROPRIETÀ TERMOMETRICHE della materia

DILATAZIONE TERMICA NEI SOLIDI

Δ  λ0ΔT

λ

dilatazione lineare

coefficiente di dilatazione lineare

ΔS  σ S0 ΔT

σ

dilatazione superficiale

coefficiente di dilatazione superficiale

DV  α V0 DT

α

dilatazione volumica

coefficiente di dilatazione volumica

σ == 2 λ α == 3 λ

DILATAZIONE TERMICA NEI LIQUIDI

DV  α V0 DT dilatazione volumica

unità di misura K–1

relazioni approssimative

α

unità di misura K–1

coefficiente di dilatazione volumica

αsolidi  αliquidi

pV  costante se T  costante

trasformazioni isoterme

PRIMA LEGGE DI GAY-LUSSAC

V  costante se p  costante T

trasformazioni isobare

SECONDA LEGGE DI GAY-LUSSAC

p  costante se V  costante T

trasformazioni isocore

LEGGE DI BOYLE LEGGI DEI GAS

DV  α V0 DT

α

EQUAZIONE DI STATO DEI GAS PERFETTI

1 K1 273, 15

per tutti i gas

pV  costante T

αsolidi  αliquidi  αgas

un gas che si comporta secondo la legge di Boyle e la prima e la seconda legge di Gay-Lussac è detto gas perfetto

27 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

20 test (30 minuti)

1 ESERCIZI

TEST INTERATTIVI

CALDO O FREDDO?

1

2

DOMANDE 1

DOMANDE

Nei bollettini meteorologici sono spesso riportate due temperature: una propriamente detta, riferita all’effettiva temperatura misurata con il termometro alla quota indicata; l’altra, detta «temperatura percepita», è ricavata con una formula empirica che tiene conto di altre condizioni ambientali. Quali parametri influenzano la percezione del caldo e del freddo in relazione alla temperatura ambientale? Fai una ricerca sulla rete.

2 Il nostro corpo ha una temperatura pressoché co-

stante intorno ai 37 °C. Si tratta di una condizione di equilibrio termico con l’ambiente? Motiva la risposta in 5 righe.

6 Quali sono le temperatura di riferimento della scala

Celsius o centigrada? 7 Quale proprietà della materia consentì la costruzio-

ne dei primi strumenti per misurare la temperatura? 8 Qual è l’unità di misura della temperatura nel Siste-

ma Internazionale? 9 La temperatura è una grandezza scalare o vettoriale?

CALCOLI 10 Esprimi in gradi Fahrenheit le seguenti temperature

date in gradi Celsius: 35 °C; –15 °C; 130 °C; 44 °C; 90 °C; –25 °C

CALCOLI 3 Nella tabella sono riportate le temperature medie

11 Esprimi in gradi Celsius le seguenti temperature date

in gradi Fahrenheit:

minime (in blu) e massime (in rosso) relative ad alcune città italiane nei mesi estivi e invernali. CITTÀ

MISURARE LA TEMPERATURA

DICEMBRE GENNAIO FEBBRAIO

GIUGNO

LUGLIO

AGOSTO

50 °F; 150 °F; 12 °F; 70 °F; –10 °F; 20 °F 12 Esprimi in gradi Celsius le seguenti temperature date

in kelvin, arrotondando all’unità:

Bolzano –1,5 5,5 –4,1 4,3 –1,7 8,5 14,5 26,7 16,0 29,1 15,8 28,0

320 K; 250 K; 400 K; 387 K; 135 K; 25 K

Firenze 3,0 9,8 1,8 8,0 2,8 11,4 14,6 27,5 17,8 32,0 16,5 31,2 Genova 6,8 11,5 5,4 10,1 6,2 12,0 18,8 25,2 21,1 27,9 21,1 28,0 Napoli

13 Esprimi in kelvin le seguenti temperature date in

gradi Celsius arrotondando all’unità:

7,0 12,2 5,8 12,1 6,5 13,0 16,5 25,5 20,0 29,1 19,8 30,0

55 °C; 30 °C; –30 °C; 560 °C; –89 °C; 750 °C

Palermo 9,0 16,0 7,5 15,0 8,5 16,2 18,0 28,0 21,0 30,8 21,5 31,0 Potenza 2,4 8,0 0,5 5,6 1,5 7,5 13,5 23,0 16,0 27,0 16,0 27,0 3,9 12,6 2,7 11,8 3,5 13,0 14,7 27,0 17,4 30,4 17,5 30,3

f In quale città si ha la più elevata escursione termica tra il giorno e la notte? f In quale mese? (Suggerimento: per escursione termica si intende la variazione ΔT = Tmax – Tmin di temperatura tra la temperatura massima e la minima.)

3

L’EQUILIBRIO TERMICO

DOMANDE 14 Quando misuriamo la nostra temperatura corporea

con un termometro clinico attendiamo in genere un certo intervallo di tempo prima della lettura. Perché? 15 In relazione all’esercizio 14, se prolunghiamo il tempo

4 Fai riferimento alla tabella dell’esercizio 3.

f In quale città si ha la più piccola escursione termica tra il giorno e la notte? f In quale mese si verifica?

di attesa prima della lettura, leggiamo sul termometro un valore sempre più elevato? Motiva la risposta in 5 righe. 16 Com’è possibile che

5 Fai riferimento alla tabella dell’esercizio 3.

f In quale città si registra la maggiore escursione termica fra estate e inverno, considerando le temperature sia massime che minime? f Quanto vale tale differenza di temperatura?

da una sorgente naturale sgorghi acqua calda? Fai un’ipotesi utilizzando il concetto di equilibrio termico.

[33,2 °C]

28 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

Dirk Goldhahn

Roma

1

LA TEMPERATURA

22 Correggi la seguente espressione per il coefficiente

CALCOLI 17 L’acqua di una piscina ha una temperatura di 30 °C.

f A quale temperatura si trovano le mattonelle del rivestimento? Motiva la tua risposta in 5 righe. 18 In una tazza viene versata una quantità di latte a

40 °C e un’altra quantità di latte a 20 °C. Dopo un po’ si misura una temperatura di equilibrio di 50 °C. f Prova a dare una possibile spiegazione di questo fatto. (Suggerimento: considera il sistema costituito dalle due quantità di latte e dalla tazza.) 19 Due termometri vengono inseriti contemporanea-

mente in un catino contenente acqua in cui è in atto un processo di raggiungimento dell’equilibrio termico. La tabella seguente mostra le misure eseguite con i due termometri negli stessi istanti di tempo. Istante di tempo t

T1 (°C)

T2 (°C)

t1

15,6

15,63

t2

15,4

15,40

t3

15,3

15,34

t4

15,2

15,25

t5

15,2

15,20

t6

15,1

15,14

t7

15,1

15,13

t8

15,1

15,12

t9

15,1

15,12

t10

15,1

15,12

σ

S0

ΔT ΔS

CALCOLI 23 Un’asta di ferro ha una temperatura di 760 °C e una

lunghezza di 2,5 m quando viene estratta da una fornace. Successivamente raggiunge la temperatura ambiente di 20 °C. f Di quanto si accorcia? [0,02 m]

24 Quanto vale il coefficiente di dilatazione lineare del

materiale con cui è fatta una barra che alla temperatura di 15 °C è lunga 1,000 m e alla temperatura di 100 °C è lunga 1,002 m? [2,4 × 10–5 K–1]

25 Un disco di rame ha un diametro di 0,750 m alla tem-

peratura di 308 K. f A quale temperatura in kelvin bisogna portarlo per farlo passare attraverso un foro di diametro 0,748 m? f Come si esprimono in gradi Celsius le temperature iniziale e finale? (Suggerimento: ricava il coefficiente di dilatazione lineare dalla tabella 2 del capitolo.) [151 K; 35 °C; –122 °C]

26 Di quanto si dilata in m2 e in cm2 una lastra di 6,5 m2

fatta con un materiale il cui coefficiente di dilatazione lineare è λ = 2,4 × 10–5 K–1, in seguito a uno sbalzo termico di 150 °C? [4,7 × 10–2 m2; 470 cm2]

f Dopo quale istante si può affermare che è stato raggiunto l’equilibrio termico?

27 La base di un caminetto è fatta con una pietra il cui

coefficiente di dilatazione volumica è 18,0 × 10–6 K–1.

LA DILATAZIONE TERMICA NEI SOLIDI Adam Radosavljevic / Shutterstock

4

di dilatazione volumica:

DOMANDE 20 Una lamina bimetallica, al variare della temperatura,

si incurva piegandosi verso il materiale con coefficiente di dilatazione lineare maggiore o minore? 21 Il cemento armato utilizzato per le costruzioni è re-

alizzato immergendo una struttura metallica di acciaio nel calcestruzzo liquido, che successivamente si solidifica. L’acciaio e il calcestruzzo hanno coefficienti di dilatazione termica quasi uguali. Che cosa succederebbe se i materiali utilizzati avessero coefficienti molto diversi? Rispondi in 5 righe.

f Qual è la variazione percentuale della sua superficie quando la sua temperatura aumenta di 900 °C? [1,1%]

28 Di quanto aumenta il volume di un blocco di pietra

di 1,0000 m3 il cui coefficiente di dilatazione volumi-

29 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

1 ESERCIZI ca è 18,0 × 10–6 K–1 se la sua temperatura passa da 15 °C a 150 °C?

6

f A quanti dm3 corrisponde tale variazione di volume?

DOMANDE

[2,4 × 10–3 m3; 2,4 dm3]

5

PROPRIETÀ TERMOMETRICHE DEI GAS

34 Quando un gas si espande a pressione costante il

rapporto tra i volumi iniziale e finale è uguale al rapporto fra le temperature finale e iniziale. Correggi questa frase, se necessario.

LA DILATAZIONE TERMICA NEI LIQUIDI

DOMANDE

35 Se un gas contenuto in un recipiente chiuso viene

riscaldato, che cosa succede alla sua pressione? Qual è la legge empirica che descrive tale fenomeno?

29 Perché i laghi ghiacciano in superficie? Spiegalo in 10

righe.

36 In quali condizioni sono valide le leggi di Gay-Lussac

Jaroslaw Grudzinski/Shutterstock

e di Boyle?

30 Perché in un termometro ad alcol vediamo il livello

del liquido alzarsi e abbassarsi nella colonnina, nonostante anche il vetro modifichi il suo volume con la temperatura?

CALCOLI 31 Il volume del petrolio si misura tradizionalmente in

barili, e un barile equivale a circa 159 litri.

CALCOLI 37 In un palloncino è contenuta aria alla temperatura di

15 °C. Successivamente il palloncino viene scaldato alla temperatura di 70 °C e raggiunge un volume di 1,2 litri. f Qual è il volume iniziale del palloncino in dm3? [1,0 dm3]

38 Un gas alla pressione di 1,01 × 105 Pa occupa un volu-

me di 1,00 m3. f Se a una pressione di 1,50 × 105 Pa il suo volume è 0,67 m3, è cambiata la sua temperatura? 39 Un gas è contenuto in un recipiente chiuso di volume

f Se una certa massa di petrolio occupa il volume di 10 000 barili alla temperatura di –15 °C, qual è la variazione del suo volume in barili alla temperatura di 25 °C?

pari a 500 cm3 a una pressione di 5,4 × 104 Pa, quando la sua temperatura passa da 27 °C a 75 °C. f A quale pressione si trova il gas dopo la trasformazione? [6,3 × 104 Pa]

f Qual è la variazione in litri? (Suggerimento: vedi la tabella 3 del capitolo.) [3,6 × 102 barili; 5,7 × 104 litri]

32 Una bottiglia da 1 litro è piena fino all’orlo con un olio

alla temperatura di 18 °C. Alla temperatura di 30 °C fuoriescono dalla bottiglia 9,6 cm3 di liquido. f Trascurando la dilatazione del vetro, calcola il coefficiente di dilatazione dell’olio. [8,0 × 10–4 K–1]

33 In una vasca è contenuto un liquido, che ha un coeffi-

ciente di dilatazione 2,5 × 10–4 K–1, il quale viene scaldato e subisce una variazione di volume del 2,0%. f Quanto vale la differenza tra la temperatura iniziale e finale?

40 Alla temperatura di 25 °C, 5 litri di un gas hanno una

pressione di 3,0 × 104 Pa. Lo stesso gas, alla pressione di 2,0 × 104 Pa e alla temperatura di 47 °C, occupa un volume di 8 litri. f Si tratta di un gas perfetto? Giustifica la risposta. 41 Un gas perfetto è contenuto in un recipiente che

comunica con un altro recipiente vuoto di uguale volume tramite un setto mobile. La pressione iniziale e la temperatura del gas sono rispettivamente 4,5 × 104 Pa e 250 K, mentre la temperatura finale è 310 K. f Quanto vale la sua pressione finale?

[80 K]

30 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

[2,8 × 104 Pa]

LA TEMPERATURA

1

PROBLEMI

ESERCIZI DI RIEPILOGO

51 Supponiamo che il coefficiente di dilatazione della

DOMANDE 42 Quali fenomeni rendono possibile la misurazione

della temperatura con un termometro ad alcol? 43 È corretto affermare che all’aumentare della tempe-

ratura la densità dei materiali diminuisce? 44 La variazione percentuale della lunghezza di una

sbarra in seguito a una variazione di temperatura ΔT è direttamente o inversamente proporzionale al coefficiente di dilatazione volumica del materiale con cui è fatta la sbarra?

Torre Eiffel sia quello del ferro (12  10–6 K–1), e immaginiamo che la sua altezza, 324 m, sia tale a una temperatura di 10 °C. f Di quanto varia l’altezza della Torre Eiffel in estate, se si raggiunge la temperatura di 40 °C? f Quale sarebbe la variazione di lunghezza tra le stesse temperature se la Torre fosse fatta di piombo? (Suggerimento: ricava il coefficiente di dilatazione lineare dalla tabella 2 nel capitolo.) f Che cosa accadrebbe se il versante nord fosse fatto di piombo e il versante sud di ferro?

45 Può un anello dilatarsi a tal punto da chiudere il buco

interno? Motiva la risposta in 5 righe.

[12 cm; 28 cm]

52 Un righello millimetrato in alluminio è lungo 160 mm

46 Perché riusciamo a far volare un pallone scaldando

l’aria al suo interno? Spiega in 10 righe.

alla temperatura di 20 °C alla quale viene tarato. f Qual è la differenza tra una misura di 10,0 cm a 20 °C e una misura di 10,0 cm a 5 °C? f L’errore è apprezzabile con la sensibilità del righello? (Suggerimento: ricava il coefficiente di dilatazione lineare dalla tabella 2 del capitolo.) [0,036 mm]

53 Un tubicino di vetro ha un volume di 70 cm3 ed è

pieno fino all’orlo di acqua alla temperatura di 20 °C. f Senza trascurare la dilatazione del vetro, quanta acqua fuoriesce dal tubicino quando la temperatura sale a 70 °C? (Suggerimento: ricava i dati dalle tabelle 2 e 3 del capitolo.)

Carlos Caetano/Shutterstock

[0,65 cm3]

47 Per svitare più facilmente il coperchio di alluminio di

un barattolo di marmellata lo bagniamo preventivamente per qualche secondo con acqua calda. Perché questa strategia funziona? Spiegalo in 5 righe. 48 La prima legge di Gay-Lussac esprime una propor-

zionalità diretta o inversa tra V e T? 49 La pressione di un gas perfetto è inversamente pro-

porzionale al prodotto tra il suo volume e la sua temperatura. Correggi questa frase, se necessario. 50 Un gas perfetto soddisfa la legge di Boyle?

54 Un metallo occupa un volume di 40 cm3 alla tempe-

ratura di 0 °C. Scaldandolo a 240 °C il suo volume aumenta dello 0,27%. f Qual è la variazione di volume in cm3? f Di quale metallo si tratta? (Suggerimento: confronta il risultato con i dati della tabella 2 del capitolo.) [0,11 cm3]

55 Un gas perfetto viene compresso in una bombola da

10 litri alla pressione di 15 × 105 Pa; successivamente viene scaldato e la sua temperatura passa da 15 °C a 25 °C. f Qual è la pressione finale? f Come è detta tale trasformazione? In seguito il gas fuoriesce lentamente dalla bombola in modo da mantenere costante la temperatura fino a riempire un ambiente di 4,0 m3.

31 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

1 ESERCIZI f Qual è la pressione del gas in tale condizione?

58 Un gas perfetto si espande a pressione costante da

un volume di 1,0 litri a un volume di 1,3 litri.

[16 × 105 Pa; 4,0 × 103 Pa]

f Se la temperatura iniziale è 250 K, qual è la temperatura finale?

56 Si vuole raddoppiare la pressione di un gas perfetto

scaldandolo da 300 K a 370 K.

In questa condizione il gas viene compresso a temperatura costante fino recuperare il volume iniziale alla pressione di 2,0 × 05 Pa.

f Se il volume iniziale del gas è 0,55 m3, quale deve essere il volume finale? f Se invece la pressione raddoppia a volume costante di quanto aumenta la temperatura?

f A quale valore della pressione è avvenuta la trasformazione isobara iniziale?

[0,34 m3]

[3,3 × 102 K; 1,5 × 105 Pa]

57 Di quanto varia il volume di una massa d’aria dal li-

vello del mare, dove la pressione è 1,01 × 105 Pa e la temperatura è 25 °C, alla vetta del Monte Bianco (4810 m) dove la pressione è circa 5,4 × 104 Pa e la temperatura è –15 °C? Esprimi la variazione percentuale del volume, approssimando l’aria con un gas perfetto.

VERSO L’UNIVERSITÀ 1

La relazione tra C = gradi Celsius e F = gradi Fahrenheit è espressa da C = 5(F – 32)/9. f A quale temperatura un termometro con scala Fahrenheit indica lo stesso numero di gradi di un termometro con scala Celsius?

[aumenta del 6% circa]

A

–40

B

40

C

–32

D

32

E

–11

(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria 2010/2011) 2 Un cilindro contiene gas perfetto mantenuto a tem-

peratura costante T.

Eder/Shutterstock

f Se il suo volume viene ridotto lentamente fino a raggiungere la metà del valore iniziale: A

anche la pressione esercitata dal gas si dimezza;

B

la pressione esercitata dal gas si raddoppia;

C

la pressione esercitata dal gas resta costante;

D

la temperatura interna aumenta;

E

la temperatura interna diminuisce.

(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Medicina Veterinaria 2007/2008)

32 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

CAPITOLO

Il calore



Dall’uno all’altro giorno, dall’una all’altra ora, si avranno dunque espressi in numeri i rapporti delle quantità di calorico versato dal Sole sopra un dato luogo della Terra.



Gianalessandro Majocchi, Elementi di fisica ad uso dei collegi nazionali e dei licei, 1850

Claude Monet dipinse San Giorgio Maggiore al crepuscolo nel 1908, quando ormai era chiaro che il Sole non «versa» sulla laguna il suo «calorico», come si sarebbe detto appena cinquant’anni prima. Tuttavia ancora oggi le espressioni che riguardano la grandezza fisica calore sono fortemente influenzate dalle percezioni sensoriali, per le quali appare come un fluido che può essere «versato» da un corpo su un altro: ad esempio, l’espressione «il calore fluisce», asseconda questa antica concezione. Per tutto il XVIII secolo e oltre l’idea che il calore fosse davvero una sostanza fluida era prevalente tra gli scienziati, fino a quando, nel 1843, non fu fatto un esperimento decisivo, con il quale si stabilì che il calore è una grandezza fisica equivalente al lavoro e che quindi si tratta di una modalità di trasferimento dell’energia. Con questo esperimento si riuscì a dimostrare l’equivalenza tra il calore e il lavo-

ro e a definire quella costante che oggi chiamiamo calore specifico dell’acqua. Come abbiamo visto nel precedente capitolo, quando due corpi a temperature diverse vengono messi in contatto termico dopo un po’ raggiungono l’equilibrio termico. Perché ciò avvenga deve esserci un trasferimento di energia da un corpo all’altro, per mezzo di un fenomeno chiamato propagazione del calore. La propagazione del calore avviene quindi tra corpi in contatto termico, ma questo non significa che essi debbano necessariamente toccarsi: la stessa aria trasporta energia da un punto all’altro dello spazio attraverso le correnti o i moti convettivi. Non solo: l’energia si diffonde nello spazio attraverso i corpi trasparenti e attraverso il vuoto, per mezzo del meccanismo dell’irraggiamento, lo stesso per il quale il calore del Sole arriva fino a noi.

Claude Monet, San Giorgio Maggiore al crepuscolo, 1908.

PAROLE CHIAVE Calore Calore specifico Propagazione

33 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

2

IL CALORE

1

TEORIE DEL CALORE

In fisica è molto difficile usare la parola «calore» in modo corretto, senza incorrere in contraddizioni ed errori. Il calore è, infatti, una grandezza fisica la cui comprensione razionale è fortemente influenzata dalla nostra percezione sensoriale, per la quale avvertiamo il caldo e il freddo come presenze fisiche materiali. Il caldo «ci opprime», il freddo «ci stringe nella sua morsa»: insomma, sembra davvero che qualcosa ci schiacci o ci avvolga (figura 1).

Wetterzentrale

Figura 1. Le espressioni «ondate di freddo» e «ondate di caldo», usate nella comunicazione delle previsioni del tempo, rivelano la propensione ad associare la presenza di un fluido alle sensazioni termiche.

Nel XVIII secolo questa concezione del calore dominava il mondo scientifico. Si pensava, infatti, che tutti i corpi fossero più o meno pervasi da un fluido imponderabile, detto calorico, la cui abbondanza o privazione sarebbe stata responsabile delle sensazioni di caldo o di freddo. I corpi caldi erano pertanto quelli che contenevano molto calorico, il quale poteva fluire verso i corpi più freddi, scaldandoli. Secondo questa teoria il calore sarebbe una sostanza materiale che si insinua tra i corpi, rendendoli più o meno caldi a seconda della quantità che essi riescono a immagazzinarne. I corpi quindi si dilaterebbero perché il calorico si farebbe spazio tra le particelle che li compongono. Il passaggio tra i vari stati della materia, solido, liquido e gassoso, farebbe parte di questo schema e sarebbe spiegato come il superamento di determinati limiti nella distanza fra le particelle. L’attrito riscalderebbe i corpi «spremendo» il calorico in essi contenuto. Il principio base della teoria è la conservazione del calorico: in quanto sostanza materiale, esso non si genererebbe né si distruggerebbe, ma passerebbe da un corpo a un altro mantenendo costante la sua quantità totale. Questa teoria ebbe un grandissimo successo, non solo perché era in grado di spiegare un gran numero di fenomeni termici ma anche perché si accordava perfettamente con il nostro mondo sensoriale. Tuttavia, nonostante i tentativi, nessuno riuscì mai a isolare e a studiare separatamente il misterioso fluido, e la teoria guadagnò nel tempo anche numerosi oppositori.

34 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL CALORE

Fra essi Benjamin Thompson, conte di Rumford, che alla fine del XVIII secolo, supervisionando la fabbricazione di alcuni cannoni da guerra, fece osservazioni determinanti. Durante l’alesatura, procedimento con cui si crea il foro per il proiettile in un cilindro metallico, il martello si riscalda. La teoria del calorico spiegava questo riscaldamento con l’estrazione, per opera dell’attrito, del fluido immagazzinato nel metallo: i trucioli di scarto infatti, essendo piccoli, avevano minore capacità di trattenere il calorico e, di conseguenza, ne liberavano una grande quantità. Benjamin Thompson riscaldò per attrito pezzi di metallo di diverse dimensioni e forme e verificò che, se la massa complessiva era uguale, riuscivano a far aumentare la temperatura di uguali quantità di acqua dello stesso valore. In altre parole, il calore «immagazzinato» non aveva relazione con la forma e le dimensioni degli oggetti. Inoltre, secondo Thompson, il fatto che il processo di alesatura produceva calore indipendentemente dal volume degli oggetti, era la prova che il calore non poteva essere nei corpi. Thompson aveva quindi confutato il principio base della teoria del calorico, secondo il quale il calore è un fluido materiale di quantità costante, mostrando che invece poteva essere prodotto attraverso il movimento (figura 2). L’accostamento tra calore e movimento era corretto, ma non tutti i contemporanei di Thompson ne furono persuasi. Due correnti si scontrarono a lungo nella comunità scientifica: da una parte i sostenitori del calorico come fluido materiale e dall’altra quelli di una teoria dinamica, basata sulle osservazioni che accostavano il movimento agli aumenti di temperatura, e dalla seconda metà del XIX secolo questi ultimi ebbero la meglio, in quanto le loro argomentazioni si rivelarono corrette. Tuttavia la concezione del calore come fluido materiale resiste ancora al tempo e alle prove scientifiche, supportata dalle nostre sensazioni. Ogni volta che usiamo espressioni come «il calore fluisce» o «il calore è contenuto» facciamo rivivere la teoria del calorico, anche se razionalmente la riteniamo errata, perché l’immagine di un fluido sottile e imponderabile che ci pervade ci consente di rappresentare mentalmente molti processi termici (figura 3). Per acquisire correttamente il concetto di calore dobbiamo però rinunciarvi e cambiare il nostro punto di vista.

2

Figura 2. Durante l’alesatura delle armi da fuoco l’attrito fa innalzare la temperatura del metallo. Thompson utilizzò le osservazioni relative a questo fenomeno per collegare il concetto di calore al movimento.

Figura 3. Quando diciamo che «il calore esce dalla finestra» usiamo inconsapevolmente un concetto non più ritenuto corretto dalla scienza. Nell’immagine, Alla finestra, di Konstantin Korovin, 1893

35 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

2

IL CALORE

2

CALORE E LAVORO

Prima di darne una definizione, facciamo una semplice analisi qualitativa di alcuni fenomeni in cui è coinvolta la grandezza fisica che chiamiamo calore. Quando mettiamo in contatto due corpi che hanno temperature diverse, dopo un po’ di tempo osserviamo che essi si portano entrambi alla stessa temperatura intermedia di equilibrio. Il corpo a temperatura maggiore si raffredda e quello a temperatura minore si riscalda: per usare un’espressione superata, ma persistente, diciamo che il primo ha «ceduto calore» al secondo. Se vogliamo scaldare una certa quantità d’acqua dobbiamo metterla in contatto termico con qualcosa che abbia una temperatura maggiore, per esempio immergervi una pietra rovente. La differenza di temperatura tra la pietra e l’acqua fa sì che avvenga un «passaggio di calore» nella direzione che tende all’equilibrio termico tra i due corpi (figura 4). Figura 4. a. Finché la pietra ha una temperatura maggiore dell’acqua avviene un «passaggio di calore» dalla pietra all’acqua. b. Quando non c’è più differenza di temperatura non c’è «passaggio di calore».

T1  T2 T2 Te

T2 T1

T1

a

Te

b

Per eliminare dalla terminologia i retaggi della teoria del calorico introduciamo qualche definizione preliminare, che ci servirà via via che procederemo nello studio dei fenomeni termici. Diciamo che (figura 5): s il sistema è la porzione di spazio alla quale siamo interessati, per esempio quella che include la pietra; s l’ambiente è lo spazio che circonda il sistema, per esempio quello occupato dall’acqua in cui è immersa la pietra; s lo stato termico del sistema è la condizione del sistema caratterizzata dalla sua temperatura; s l’energia interna del sistema è la somma dell’energia cinetica e potenziale delle molecole che compongono il sistema ed è legata alla sua temperatura, come vedremo nel capitolo 4.

ambiente Figura 5. a. Il sistema è la pietra, l’ambiente è l’acqua. b. Il sistema è l’insieme dell’acqua e della pietra, l’ambiente è la stanza.

sistema

ambiente

a

sistema

b

36 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

2

IL CALORE

Quando mettiamo in contatto termico due sistemi a temperatura diversa, l’energia interna di quello più freddo aumenta a spese dell’energia interna di quello più caldo: diamo il nome di «calore» a tale modalità di trasferimento di energia. Attraverso il calore l’energia si trasferisce da un sistema a temperatura maggiore a un sistema a temperatura minore, posti in contatto termico. In altre parole, ogni volta che due corpi a temperature diverse sono in contatto termico avviene un trasferimento di energia dall’uno all’altro, che tende ad annullare la differenza di temperatura, e quindi a far sì che sia raggiunto l’equilibrio termico. Il calore non è altro che il mezzo con cui l’energia viene trasferita (figura 6).

T2  T1

T2

Te

T1

calore: energia “in transito”

Te

equilibrio termico Figura 6. Ogni volta che c’è una differenza di temperatura tra due sistemi in contatto termico, o tra due parti dello stesso sistema, avviene un trasferimento di energia, che tende al raggiungimento dello stato di equilibrio termico.

ESEMPIO Il calore fluisce? Quando usiamo il verbo «fluire» a proposito del calore, dobbiamo tenere presente che si tratta di un’immagine presa in prestito da una teoria superata, che definiva il calore come un fluido impalpabile e senza peso che «riempie» i corpi. È bene quindi usarlo con la dovuta cautela, per indicare il fatto che il calore rappresenta un «passaggio» di energia da un corpo a un altro. DOMANDA I corpi «contengono» calore? Motiva la tua risposta in 5 righe.

Trasferire energia con il lavoro Figura 7. I boscimani accendono il fuoco strofinando dei bastoncini di legno: il lavoro delle forze di attrito fa aumentare la temperatura del legno, fino a quando non diventa sufficiente a innescare i processi di combustione.

Isewell

Si può scaldare un sistema, anche senza utilizzare il contatto termico con un altro sistema a temperatura superiore, per mezzo del lavoro di forze di attrito. Si scalda la punta di un trapano quando facciamo un foro nel muro, si scaldano gli pneumatici di un’automobile quando freniamo, si scalda la gomma da cancellare quando la strofiniamo vigorosamente su un foglio (figura 7). Nel 1843 James Prescott Joule misurò il lavoro necessario a innalzare di 1 K la temperatura di una quantità d’acqua pari a 1 kg con un meccanismo denominato «mulinello di Joule», costituito da un asse munito di palet-

37 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

2 Figura 8. Nel mulinello di Joule il lavoro della forzapeso trasferisce energia alle palette, le quali si muovono con attrito nell’acqua facendone aumentare la temperatura.

IL CALORE

te immerse nell’acqua e messe in rotazione dalla caduta di due pesi (figura 8). Riavvolgendo e facendo cadere ripetutamente i due pesi che azionano il mulinello si registra termometro un aumento della temperatura dell’acqua all’interno del recipiente. Se le pareti del recipiente sono termicamente isolanti, cioè impediscono gli scambi energetici tra il sistema e l’ambiente, pareti i cambiamenti di temperatura isolanti dell’acqua sono causati soltanto dal lavoro delle forze di attrito fra l’acqua e le palette, che a loro volta sono messe in movimento della forza di gravità che trascina i due pesi verso il basso. In ultima analisi, all’acqua viene trasferita l’energia potenziale gravitazionale dei pesi. Con questo esperimento Joule calcolò che: una quantità di lavoro pari a 4186 J innalza di 1 K la temperatura di 1 kg d’acqua.

ESEMPIO f Da quale altezza deve cadere un corpo di massa 1 kg per innalzare di 1 K la temperatura di 1 kg d’acqua? SOLUZIONE Ricordando che il lavoro L0 è dato dal prodotto scalare della forza mg per lo spostamento h, che in questo caso sono paralleli, scriviamo la relazione: L0  mgh dove L0  4186 J. Da questa espressione, invertendo rispetto ad h, si ha: h=

L0 4186 J = = 427 m mg 1 kg ⋅ 9, 8 m/s2

Quindi, se un mulinello che agita 1 kg d’acqua è azionato da una massa di 1 kg che cade da un’altezza di 1 m, è necessario riavvolgerlo 427 volte per osservare un aumento di temperatura pari a 1 K. DOMANDA Quante volte è necessario riavvolgere lo stesso mulinello se all’interno del recipiente è posto mezzo litro di acqua?

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IL CALORE

2

L’unità di misura del calore Dall’importante risultato dell’esperimento di Joule ricaviamo che: calore e lavoro sono modalità equivalenti per trasferire energia a un sistema. Entrambe le grandezze fisiche possono incrementare la temperatura di un sistema, cioè possono aumentarne l’energia interna (figura 9).

T1

T2





Fp

Fp

attrito calore a

lavoro della forza peso e della forza di attrito

Figura 9. a. Possiamo innalzare la temperatura dell’acqua con una differenza di temperatura (calore). b. Possiamo innalzare la temperatura dell’acqua con una forza che produce movimento (lavoro).

b

In entrambi i casi si tratta di energia «in transito» da un sistema a un altro, e pertanto sia il lavoro che il calore possono essere misurati con la stessa unità di misura. Il calore è una grandezza fisica, indicata con il simbolo Q, la cui unità di misura è il joule (J). Utilizzando l’equivalenza tra calore e lavoro, possiamo concludere che, analogamente a quanto detto a proposito del lavoro, una quantità di calore di 4186 J innalza di 1 K la temperatura di 1 kg d’acqua.

3

IL CALORE SPECIFICO

Se nell’apparato sperimentale di Joule invece dell’acqua usiamo un’altra sostanza, osserviamo che la stessa quantità di lavoro provoca un innalzamento della temperatura di diversa entità. Ogni sostanza, infatti, ha bisogno di una differente quantità di energia per innalzare di 1 K la sua temperatura: a parità di variazioni dell’energia interna, sostanze diverse modificano la temperatura in misura diversa. Infatti, se con una quantità di energia di 4186 J la temperatura di una quantità d’acqua pari a 1 kg varia di 1 K, la temperatura della stessa quantità di olio varia di circa 2 K con la stessa quantità di energia. Osserviamo, inoltre, che se raddoppiamo la massa della sostanza raddoppia anche la quantità di energia necessaria alla stessa variazione di temperatura. In definitiva: una quantità di energia ΔE ricevuta o sottratta da un corpo provoca un aumento o una diminuzione della sua temperatura ΔT in misu-

39 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

2 Sostanza

c J/(kg ⋅ K)

Alluminio

896

Aria secca

1005

Argento

239

Rame

385

Piombo

129

Ferro

450

Bronzo

380

Invar

460

Oro

129

Mercurio

139

Ghiaccio (a 0 °C)

2040

Acqua (a 0 °C)

4218

Acqua

4186

Acqua di mare

3925

Benzina

2240

Tabella 1. Calore specifico di alcune sostanze alla temperatura di 20 °C e alla pressione atmosferica di 1,01 × 105 Pa (1 atm).

IL CALORE

ra proporzionale alla massa del corpo e dipendente dalla sostanza che lo compone. Il coefficiente che tiene conto di questa proporzionalità è detto calore specifico, indicato con il simbolo c. La relazione matematica che sintetizza quanto detto è: ΔE  c m ΔT

(2.1)

Se prendiamo una massa pari a 1 kg e imponiamo che la temperatura cambi di 1 K otteniamo che la variazione di energia è numericamente uguale a c. Il calore specifico di una sostanza è equivalente alla quantità di energia necessaria a innalzare di 1 K la temperatura di 1 kg di tale sostanza. L’unità di misura del calore specifico si ottiene ricavandone l’espressione matematica a partire dalla formula (2.1): c

ΔE mΔT

L’unità di misura del calore specifico è il joule su kilogrammo per kelvin (J/kg ⋅ K). In tabella 1 sono elencate alcune sostanze e il loro calore specifico in condizioni standard di temperatura e pressione.

ESEMPIO f Qual è l’energia necessaria a portare alla temperatura di 100 °C 1 kg d’acqua inizialmente alla temperatura ambiente di 20 °C? SOLUZIONE Dall’esperimento di Joule ricaviamo immediatamente il calore specifico dell’acqua: cacqua  4186 J/(kg ⋅ K) La variazione di temperatura in kelvin è equivalente alla variazione di temperatura in gradi centigradi, per cui: ΔT  80 K ΔE  cmΔT  4186 J/(kg ⋅ K) × 1 kg × 80 K  3,3 × 105 J DOMANDA Quanta energia è necessaria per innalzare di 80 K la temperatura di 1 kg di oro?

ESEMPIO f Un blocco di alluminio di 0,10 kg cede all’ambiente una quantità di energia pari a 6,5 kJ per portarsi alla temperatura di 20 °C. Qual era la sua temperatura iniziale?

40 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL CALORE

2

SOLUZIONE Dalla tabella 1 ricaviamo il calore specifico dell’alluminio: cAl  896 J/kg ⋅ K La variazione di temperatura in gradi centigradi è equivalente alla variazione di temperatura in kelvin, la quale si ricava invertendo la formula (2.1): ΔT =

ΔE 6, 5 × 10 3 J = = 73 K cm 896 J/(kg ⋅ K) × 0, 10 kg

La temperatura iniziale in gradi centigradi, Ti°C, si ricava aggiungendo la differenza di temperatura ΔT°C alla temperatura finale Tf°C: Ti°C  Tf°C  ΔT°C  20 °C  73 °C  93 °C DOMANDA Qual è la temperatura iniziale di una massa d’acqua di 0,10 kg che cede all’ambiente la stessa quantità di energia per portarsi alla temperatura di 20 °C?

La capacità termica Il prodotto tra la massa del corpo e il suo calore specifico, cm, è una nuova grandezza fisica detta capacità termica del corpo, indicata con il simbolo C: C  cm Cioè: ΔE  CΔT e quindi: C

ΔE ΔT

La capacità termica di un corpo equivale alla quantità di energia necessaria a innalzare di 1 K la sua temperatura. L’unità di misura della capacità termica è il joule su kelvin (J/K).

ESEMPIO f Qual è la capacità termica di una vasca di 0,60 m3 piena d’acqua? SOLUZIONE La massa m dell’acqua contenuta nella vasca si ottiene sapendo che la densità dell’acqua è ρ  1000 kg/m3, per cui: m  ρV 1000 kg/m3 × 0,60 m3  600 kg Sostituiamo i valori nella formula che lega la massa alla capacità termica:

41 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

2

IL CALORE

C  cm  4186 J/(kg ⋅ K) × 600 kg  2,5 × 106 J/K Per innalzare di 1 K la temperatura dell’acqua nella vasca è dunque necessaria una quantità di energia pari a 2,5 × 106 J. DOMANDA Quanta energia cede all’ambiente l’acqua contenuta nella vasca quando la sua temperatura passa da 38 °C a 16 °C?

Un’immagine persistente Ancora una volta l’immagine del calore come fluido torna a influenzare la terminologia specifica. La parola «capacità», infatti, ci fa pensare alla facoltà di un recipiente di contenere un fluido, cioè al suo volume. Un recipiente con una grande capacità è in grado di contenere una grande quantità di liquido senza traboccare, senza cioè che il livello del liquido si alzi troppo. Pensando al calore come a una sostanza fluida che riempie i corpi, ecco che la «capacità termica» diventa la facoltà del corpo di contenere calore senza che la sua temperatura si alzi troppo. In quest’ottica, un corpo con una grande capacità termica è in grado di contenere una grande quantità di calore, cioè è una sorta di serbatoio di calore. Si tratta di un’immagine concettualmente errata e tuttavia potente, che continua a influenzare il senso comune e le sue rappresentazioni del calore.

Figura 10. In Irlanda, un’isola circondata dall’oceano e toccata dalla corrente del golfo, le temperature medie registrate in estate sono intorno ai 16 °C, mentre in inverno sono intorno ai 4 °C e difficilmente la temperatura scende sotto lo zero. La città di Mosca, in piena area continentale, si trova a una latitudine confrontabile con quella di Dublino, ma qui la differenza fra le temperature estive e invernali è notevole: nei mesi più freddi si possono raggiungere temperature fino a –30 °C, mentre nei mesi più caldi sono state registrate temperature prossime ai 40 °C.

NASA

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Il calore specifico dell’acqua Se osserviamo la tabella 1 notiamo che l’acqua è la sostanza con il valore più elevato. In effetti l’acqua ha un calore specifico più elevato della stragrande maggioranza delle sostanze e, considerando la grande quantità di acqua presente sul nostro pianeta, questo fatto ha importanti conseguenze sul clima. I mari e i grandi laghi hanno un’elevata capacità termica, cioè richiedono un’enorme quantità di energia per modificare la loro temperatura. Ciò significa che sono in grado di assorbire o cedere grandi quantità di energia senza cambiare sostanzialmente la loro temperatura, funzionando come «stabilizzatori» climatici. Le escursioni termiche tra l’estate e l’inverno (o tra il giorno e la notte) nelle regioni vicine al mare o a grandi laghi sono inferiori a quelle che si hanno nelle regioni continentali, perché queste grandi masse d’acqua sono in grado di rilasciare o assorbire una quantità di energia elevata quando l’aria è a temperatura inferiore o superiore a quella dell’acqua, mitigando il clima nel territorio circostante (figura 10).

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2

IL CALORE

termometro

MISURARE IL CALORE

Non esiste uno strumento per la misura diretta del calore, ma è possibile determinare sperimentalmente la quantità di energia scambiata tra un sistema e l’ambiente per mezzo di uno strumento denominato calorimetro. Esso è costituto da un recipiente con le pareti isolanti e bassa capacità termica, molto simile a un thermos che mantiene costante a lungo la temperatura delle bevande ritardando il raggiungimento dell’equilibrio termico con l’esterno (figura 11). Nel recipiente sono posti: una quantità nota d’acqua, della quale si conosce il calore specifico dall’esperimento di Joule; un termometro, che misura la temperatura interna; un agitatore, che favorisce un rapido raggiungimento dell’equilibrio termico all’interno. Se all’interno del calorimetro si inserisce un oggetto a temperatura diversa da quella dell’acqua, è possibile determinare il calore coinvolto nel processo di raggiungimento dell’equilibrio termico. L’equazione sulla quale si basa l’uso del calorimetro per determinare l’energia scambiata tra sistema e ambiente in forma di calore si ricava dalla formula (2.1): ΔE  cmΔT Considerando che in questo caso la modalità di trasferimento di energia è il calore, possiamo ricavare la quantità di calore Q coinvolta nel processo uguagliandola alla variazione di energia, per cui: Q  c m ΔT

(2.2)

Questa espressione è spesso chiamata legge fondamentale della calorimetria, e può essere usata direttamente per ricavare la quantità di calore Q a partire dalla differenza di temperatura ΔT di una massa nota d’acqua m, della quale si conosce il calore specifico.

agitatore

acqua corpo

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Figura 11. a. Il recipiente che costituisce il calorimetro ha le pareti isolanti per ridurre gli scambi energetici con l’esterno; in questo modo l’oggetto inserito rappresenta il sistema e l’acqua rappresenta l’ambiente. b. Un tipico calorimetro usato in un laboratorio scolastico.

ESEMPIO f La temperatura iniziale di 1,0 kg d’acqua contenuto in un calorimetro è 15,3 °C. Dopo aver inserito un sasso a una temperatura diversa, si raggiunge l’equilibrio termico a 15,9 °C. Qual è la quantità di calore coinvolta nel processo di riscaldamento dell’acqua? SOLUZIONE Tenendo presente che la differenza di temperatura dell’acqua ΔTa espressa in kelvin è equivalente alla differenza di temperatura espressa in gradi centigradi, cioè ΔTa  0,6 K la quantità di calore Qa coinvolta nel processo di riscaldamento dell’acqua per il raggiungimento dell’equilibrio termico è: Qa  ca ma ΔTa  1,0 kg × 4186 J/(kg ⋅ K) × 0,6 K  2,5 kJ In altre parole, l’acqua ha aumentato la sua energia interna di una quantità pari circa 3 kJ, espresso matematicamente dal fatto che il segno di Qa è positivo.

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a

b

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IL CALORE

DOMANDA Come ti aspetti che sia il segno della quantità di calore Qs coinvolta nel processo di raffreddamento del sasso per il raggiungimento dell’equilibrio termico? Argomenta la risposta in 5 righe.

Determinazione del calore specifico Il calorimetro, insieme alla legge fondamentale della calorimetria, consente di ricavare il calore specifico di una sostanza ignota. Vediamo come. Immaginiamo di voler determinare il calore specifico di un blocchetto di metallo e seguiamo il seguente procedimento (figura 12). 1. Mettiamo una quantità d’acqua nota, di massa ma, nel calorimetro. 2. Aspettiamo che si raggiunga l’equilibrio termico con il calorimetro e annotiamo la temperatura di equilibrio, che chiamiamo Ta. 3. Scaldiamo il blocchetto di massa nota mb a una temperatura Tb (per esempio immergendolo in acqua calda). 4. Velocemente apriamo il calorimetro e inseriamo il blocchetto. 5. Agitiamo l’acqua per facilitare il raggiungimento dell’equilibrio termico e misuriamo quindi la temperatura di equilibrio Te. 6. Raccolti tutti i dati, passiamo all’esecuzione dei calcoli, mediante la legge fondamentale della calorimetria. Figura 12. a. L’acqua nel calorimetro ha massa ma e temperatura iniziale Ta. b. Il blocchetto ha massa mb e temperatura iniziale Tb. c. Il blocchetto viene velocemente inserito nell’acqua del calorimetro. d. Dopo un po’ il sistema (blocchetto) raggiunge l’equilibrio termico con l’ambiente (acqua). La temperatura di equilibrio è Te.

ta ta

tb

mb

tb

te

ma ma a

mb b

ma

mb

c

d

Dato che gli scambi energetici con l’esterno sono approssimativamente nulli l’energia totale non cambia, cioè l’energia ricevuta dall’acqua come calore Qa è uguale in quantità a quella ceduta dal sasso come calore Qb. In termini matematici la somma algebrica di queste due quantità deve essere uguale a zero: Qa  Qb  0 Questa relazione esprime la conservazione dell’energia all’interno del calorimetro, perché ci dice che il calore transita dal sasso all’acqua lasciando inalterato il bilancio energetico totale: ciò che perde il sasso è guadagnato dall’acqua. Ricordando che: Qa  ca ma ΔTa  ca ma (Te  Ta) Qb  cb mb ΔTb  cb mb (Te  Tb)

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IL CALORE

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scriviamo: cama (Te  Ta)  cb mb (Te  Tb)  0 Questa equazione ha come unica incognita il calore specifico del blocchetto cb, in quanto tutti gli altri dati sono noti. Risolviamo dunque rispetto a cb, tenendo presente che: (Te  Tb)  (Tb  Te) Otteniamo: cb = ca ma

Te − Ta mb ( Tb − Te )

(2.3)

ESEMPIO f Un blocchetto di polietilene di 0,10 kg viene portato alla temperatura di 80 °C e successivamente immerso in 0,70 kg di acqua a 15 °C contenuta in un calorimetro. Dopo un po’ si raggiunge la temperatura di equilibrio di 20 °C. Quanto vale il calore specifico del polietilene? SOLUZIONE Cominciamo con il calcolo delle variazioni di temperatura, che, in kelvin, sono equivalenti alle variazioni di temperatura in gradi centigradi: (Te°C  Ta°C)  20°C  15 °C  5 °C (Te  Ta)  5 K (Tb°C  Te°C)  80 °C  20 °C  60 °C (Tb  Te)  60 K Per cui:

cb = cama =

T e − Ta = mb (T b − Te )

4186 J/kg ⋅ K × 0, 70 kg × 5 K = 2 kJ/(kg ⋅ K) 0, 1 kg × 60 K

DOMANDA Quanto valgono rispettivamente la capacità termica dell’acqua e del blocchetto di polietilene?

Determinazione della temperatura di equilibrio Per calcolare la temperatura di equilibrio di due corpi di massa ma e mb, calore specifico rispettivamente ca e cb e temperature iniziali Ta e Tb, posti in contatto termico fra loro, si parte dall’uguaglianza: cama (Te  Ta)  cb mb (Te  Tb)  0

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IL CALORE

e si ricava l’espressione per Te: Te =

ca ma Ta + cbmbTb ca ma + cbmb

(2.4)

ESEMPIO f Un pezzo di rame (simbolo Cu) di massa 0,40 kg e temperatura iniziale 18 °C viene immerso in 0,50 kg d’acqua alla temperatura iniziale di 60 °C. Trascurando gli scambi termici con l’ambiente, qual è la temperatura di equilibrio del sistema rame  acqua? SOLUZIONE Dalla tabella 1 ricaviamo: cb  cCu  385 J/kg ⋅ K Trasformiamo le temperature espresse in gradi centigradi in temperature espresse in kelvin, approssimando all’unità: Ta  60 °C  273  333 K Tb  18 °C  273  291 K Sostituiamo i dati nella formula (2.4) e otteniamo direttamente la temperatura di equilibrio: Te = =

camaTa + cbmbT b = cama + cbmb

4186 J/(kg ⋅ K) × 0, 50 kg × 333 K + 385 J/(kg ⋅ K) × 0, 40 kg × 291 K = 330 K 4186 J/(kg ⋅ K) × 0, 50 kg + 385 J/(kg ⋅ K) × 0, 40 kg

L’elevata capacità termica dell’acqua rispetto al pezzo di rame rende conto del fatto che l’equilibrio termico è spostato verso la temperatura dell’acqua. DOMANDA Qual è la temperatura di equilibrio se le temperature iniziali dell’acqua e del rame sono scambiate?

La caloria Nelle tabelle nutrizionali il valore energetico degli alimenti si trova espresso in joule (o in kilojoule), ma anche in calorie (o in kilocalorie). La caloria è un’unità di misura storica del calore, e quindi dell’energia, non presente nel Sistema Internazionale ma utilizzata nella pratica. La caloria (cal) è equivalente alla quantità di energia necessaria per far passare la temperatura di 1 g di acqua distillata da 14,5 °C a 15,5 °C, alla pressione atmosferica di 1,01 × 105 Pa (1 atm). La specificazione delle temperature e della pressione è motivata dal fatto che il calore specifico delle sostanze non sono rigorosamente costanti ma hanno andamenti che dipendono dalle condizioni in cui le sostanze stesse si trovano.

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IL CALORE

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Dall’esperimento di Joule ricaviamo la seguente equivalenza tra calorie e joule: 1 cal  4,186 J 1 kcal  4186 J

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PROPAGAZIONE DEL CALORE: CONDUZIONE E CONVEZIONE

Parliamo di propagazione del calore per indicare il fenomeno per il quale in presenza di una differenza di temperatura l’energia si trasferisce da un punto all’altro dello spazio. Il calore può propagarsi nella materia e nel vuoto, per mezzo di tre meccanismi detti conduzione, convezione e irraggiamento. Nella materia essi possono avvenire contemporaneamente, anche se spesso uno prevale sugli altri, mentre nel vuoto si può avere solo irraggiamento. Tratteremo pertanto quest’ultimo separatamente nel paragrafo successivo.

La conduzione Immaginiamo di immergere un cucchiaio di legno e un cucchiaio di acciaio in una pentola piena d’acqua posta su un fornello acceso. In breve tempo non siamo più in grado di prendere il cucchiaio di acciaio senza scottarci: l’energia si propaga velocemente nel metallo, dalla parte immersa nell’acqua calda al manico, il quale, all’equilibrio, si porta anch’esso alla stessa temperatura dell’acqua. Attraverso il legno la propagazione è più lenta e il manico si porta all’equilibrio con il resto molto più lentamente. Tuttavia, se aspettiamo un tempo sufficientemente lungo, anche il secondo cucchiaio ci scotterà la mano (figura 13). acciaio legno Figura 13. L’energia si trasferisce per conduzione nei cucchiai, dalla parte immersa al manico. A materiali diversi corrispondono tempi di raggiungimento dell’equilibrio termico diversi.

Da questa semplice osservazione qualitativa possiamo ricavare due informazioni: s il calore si propaga nella materia trasportando energia da un punto all’altro dello spazio senza che vi sia movimento di materia; s in materiali diversi tale trasporto avviene in tempi diversi.

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2 T1  T2

Il meccanismo di trasporto di energia da un punto all’altro dello spazio senza spostamento di materia è detto conduzione. Vediamo inoltre che esistono materiali che conducono il calore meglio di altri. La legge empirica che descrive la conduzione attraverso una lastra di spessore d e area S è data dalla formula:

S

T1 d

IL CALORE

Q Δt

T2

Figura 14. La quantità di calore che attraversa l’unità di tempo Q/Δt rappresenta la rapidità con cui il calore si propaga da un punto all’altro.

ΔT d

(2.5)

dove: s Q/Δt è la quantità di calore che attraversa la lastra nell’unità di tempo, cioè la rapidità con cui avviene il trasporto di energia (figura 14); s λ è il coefficiente di conducibilità termica (vedi tabella 2), che dipende dal materiale e si misura in watt su metro per kelvin (W/mK); s ΔT è la differenza di temperatura tra le due facce della lastra. MATERIALE

Tabella 2. Coefficienti di conducibilità termica di alcuni materiali.

λS

CONDUCIBILITÀ TERMICA A 20 °C W/(mK)

Acqua

0,63

Alluminio

210

Aria secca

0,026

Argento

420

Asfalto

0,64

Cartone

0,14-0,23

Cartongesso

0,21

Ferro

87

Rame

395

Sughero

0,052

Vetro

0,90

Valori alti del coefficiente λ corrispondono a materiali definiti «buoni conduttori termici» (o anche «cattivi isolanti termici»), mentre valori bassi corrispondono ai cosiddetti «cattivi conduttori termici» (o «buoni isolanti termici»). Questa terminologia è molto usata nell’edilizia: è importante che gli ambienti interni degli edifici siano in grado di mantenere a lungo costante la loro temperatura nonostante gli sbalzi termici che avvengono all’esterno.

ESEMPIO f Quanta energia è trasmessa nell’unità di tempo attraverso una finestra di vetro di superficie pari a 1,2 m2 e spessore 5,0 mm, quando la temperatura esterna è 4°C e quella interna 20 °C? SOLUZIONE La differenza di temperatura in kelvin, equivalente alla differenza di temperatura in gradi centigradi, è:

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IL CALORE

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ΔT  24 K Il coefficiente di conducibilità termica del vetro si ricava dalla tabella 2 : λvetro  0,90 W/(mK) Perciò: Q ΔT 24 K = λS = 0, 90 W/(m ⋅ K) × 1, 2 m 2 × = 5, 2 kW Δt d 5, 0 × 10−3 m

DOMANDA Quanta energia «esce» dalla finestra in un’ora? Tale quantità di energia è sufficiente a scaldare1 kg d’acqua di 1 K?

La convezione Dalla tabella 2 vediamo che all’aria corrisponde un valore molto basso, cioè l’aria è un buon isolante termico. Tuttavia possiamo quotidianamente osservare che l’energia si diffonde anche in aria, quando per esempio scaldiamo le nostre case con i radiatori o i termoconvettori, mediante i meccanismi dell’irraggiamento e della convezione. Quest’ultima, che affrontiamo in questo paragrafo, è legata al fatto che le molecole dei fluidi si muovono le une rispetto alle altre e trasportano energia spostandosi nello spazio. Il meccanismo di trasporto di energia da un punto all’altro dello spazio con trasporto di materia è detto convezione. La convezione è dovuta quindi al fatto che nei fluidi, cioè nei liquidi e nei gas, si possono generare correnti con le quali l’energia può essere trasferita in luoghi diversi dello spazio. Un tipico moto fluido con il quale l’energia di diffonde nello spazio è la cosiddetta cella convettiva, che si sviluppa lungo la verticale. L’esempio più frequente per mostrare il meccanismo della convezione è quello della pentola d’acqua sul fornello acceso. Una porzione di acqua posta negli strati più bassi, a diretto contatto con il fondo della pentola che riceve energia dalla fiamma, si scalda e di conseguenza si dilata. Il suo volume aumenta e la sua densità diminuisce, diventando inferiore rispetto a quella dell’acqua circostante: la spinta di Archimede pertanto la porta verso l’alto. Durante la salita entra in contatto con zone a temperatura inferiore, cedendo loro energia e raffreddandosi a sua volta. A questo punto la sua densità è diventata più elevata di quella degli strati sottostanti e la porzione di acqua ridiscende verso il fondo, rimpiazzando altra acqua che, nel frattempo è stata scaldata e spinta verso l’alto. Si viene a creare un moto chiuso, detto appunto cella convettiva, che trasporta energia all’interno del volume della pentola (figura 15). In altre parole, una cella convettiva si genera a causa della differenza di temperatura esistente tra gli strati di fluido più in basso e gli strati di fluido in alto, il che provoca una differenza tra le rispettive densità: in basso,

Figura 15. Per la spinta di Archimede le porzioni di acqua più calde, e quindi meno dense, vanno verso l’alto trasportando energia e scaldando così le porzioni di acqua con cui entrano in contatto. Poi ridiscendono per rimpiazzare altra acqua in moto ascendente, creando così una cosiddetta «cella convettiva».

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IL CALORE

a temperatura maggiore, il fluido ha una densità minore, mentre in alto, a temperatura minore, ha una densità maggiore. La risultante della forza-peso e della forza di Archimede, che agisce sui piccoli volumi di fluido, determina un moto di risalita di quelli con densità minore. Queste porzioni di fluido, una volta raffreddatesi, lasciano il posto a quelle più «calde» e quindi con densità minore. Qualcosa di molto simile avviene anche a livello planetario, contribuendo agli scambi termici tra diverse aree della Terra (figura 16). crosta oceanica 30°N

alisei

crosta continentale

aria cella di fredda Hadley aria calda

Equatore

30°S

cella di Hadley aria fredda alisei

mantello

a c

Hinode/XRT

Figura 16. a. Le zone equatoriali ricevono la maggiore quantità di energia dal Sole e raggiungono pertanto temperature più elevate delle zone circostanti. Si vengono così a formare due grosse celle convettive, dette celle di Hadley, che trasportano energia dall’equatore alle altre latitudini e generano nel moto di ritorno verso l’equatore i venti alisei. b. Tra il nucleo e la superficie della Terra c’è una differenza di temperatura che genera moti convettivi nel mantello. Ciò causa movimenti della crosta che sprofonda in alcune aree e viene rimpiazzata da nuovo materiale in altre. Tali movimenti sono tra i responsabili dell’accumulo di energia elastica che si libera durante un terremoto. c. La granulosità che presenta la superficie del Sole vista ai raggi X testimonia la presenza di moti convettivi che portano in superficie l’energia della parte interna più calda.

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b

IL CALORE

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PROPAGAZIONE DEL CALORE: L’IRRAGGIAMENTO

Quando ci avviciniamo troppo a un braciere incandescente avvertiamo una sensazione di caldo molto intenso. In questo caso il meccanismo prevalente con il quale l’energia che deriva dalla combustione della brace giunge a noi è l’irraggiamento. La conduzione attraverso l’aria secca è infatti trascurabile, e i moti convettivi tendono verso l’alto, mentre noi possiamo percepire l’elevata temperatura della brace da qualsiasi direzione.

È l’irraggiamento che consente all’energia del Sole di raggiungere la superficie terrestre attraversando uno spazio praticamente privo di materia (figura 17). Per comprendere il fenomeno dell’irraggiamento bisogna fare un passo avanti e arrivare alla fisica delle radiazioni elettromagnetiche, delle quali fa parte anche la luce visibile. Anche in questo caso la scienza si è sviluppata intorno a un concetto che è stato riconosciuto come errato dopo molto tempo che la sua teoria era stata definita. Oggi sappiamo che le radiazioni elettromagnetiche sono particolari onde che non hanno bisogno di un mezzo materiale per propagarsi, come invece avviene per le onde del mare che si propagano nell’acqua. Torneremo sul difficile argomento in altre sezioni di questo corso, mentre qui analizziamo soltanto gli aspetti fenomenologici connessi agli scambi termici fra corpi lontani. Le onde elettromagnetiche trasportano energia da un punto all’altro dello spazio interagendo con i corpi che incontrano, energia che essa può essere trasmessa, assorbita o riflessa. È esperienza comune che gli indumenti di colore nero assorbono più energia degli indumenti di colore bianco, e che le superfici argentate ne riflettono gran parte. Il colore e l’aspetto dei corpi hanno a che fare con le radiazioni elettromagnetiche con le quali interagiscono; inoltre ogni corpo, per il semplice fatto di trovarsi a una certa temperatura, emette onde elettromagnetiche intorno a sé. Tutti gli oggetti intorno a noi emettono onde elettromagnetiche, ma la maggior parte noi non possiamo percepirle. Un pezzo di carbone emette onde elettromagnetiche non visibili fino a quando la sua temperatura non raggiunge un valore intorno ai 1000 K, quando inizia ad assumere una colorazione rossastra. Via via che la temperatura del carbone sale, il suo colore

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Il meccanismo di trasporto dell’energia da un punto all’altro dello spazio attraverso i mezzi materiali trasparenti e nel vuoto è detto irraggiamento.

Figura 17. Quando «prendiamo il sole» riceviamo sulla nostra pelle energia prodotta a circa 150 milioni di kilometri dalla superficie terrestre.

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IL CALORE

si fa più intenso e più chiaro, fino al cosiddetto «calor bianco» oltre i 1600 K. La temperatura superficiale del Sole è circa 6000 K (figura 18).

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Figura 18. La brace rosso-arancio di un caminetto si trova a temperature oltre i 1000 K; la temperatura in una fornace per la lavorazione del vetro soffiato arriva fino a circa 1700 K; per la saldatura del ferro si raggiungono temperature di circa 1800 K.

La legge di Stefan-Boltzmann La legge empirica che esprime la quantità di energia emessa da un corpo a temperatura T per l’unità di tempo e di superficie è nota come legge di Stefan-Boltzmann e si esprime in questo modo:

E SΔt

εσT 4

(2.6)

dove: s σ è la costante di Stefan-Bolzmann pari a 5,67 × 10–8 J/(s  m2 K4); s ε è detta emissività: dipende dal corpo in esame e ha un valore compreso tra 0 e 1. La legge di Stefan-Bolzmann, in sostanza, ci dice che l’energia irradiata da un corpo di emissività ε per unità di tempo e superficie dipende dalla quarta potenza della sua temperatura. Basta quindi un piccolo incremento della temperatura per avere un grande aumento di energia irradiata.

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IL CALORE

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Misurare la temperatura di un corpo senza toccarlo Come abbiamo accennato parlando del pezzo di carbone incandescente, l’energia irradiata dai corpi è in stretta relazione con il tipo di radiazione elettromagnetica emessa. Pertanto la legge di Stefan-Boltzmann ci consente di determinare la temperatura di oggetti lontani, o che comunque non possiamo misurare direttamente, in base alle caratteristiche della radiazione elettromagnetica emessa (figura 19).

NASA/WMAP

a

c

Ahn Jung-hwan/AP

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b

Figura 19. a. Qual è la temperatura dell’Universo? L’Universo, espandendosi, si raffredda: la temperatura della cosiddetta radiazione cosmica di fondo è 2,7 K. b. I corpi viventi emettono radiazione infrarossa. Con una termocamera, sensibile alla radiazione infrarossa, sono messe in risalto le zone a temperature diverse mediante una gamma di colori. Le zone più fredde sono generalmente colorate in blu, quelle più calde in bianco. c. Con un’immagine all’infrarosso sono visibili le superfici degli edifici attraverso le quali avvengono i maggiori scambi energetici con l’ambiente circostante.

MECCANISMO DI PROPAGAZIONE Conduzione Convezione Irraggiamento

DOVE? nei solidi nei fluidi nei fluidi nel vuoto nei corpi trasparenti

TRASPORTO DI MATERIA? no

Tabella 3. Meccanismi di propagazione del calore.

sì no

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IL CALORE

METEOROLOGIA La brezza Nei giorni sereni d’estate, nelle località di mare, nonostante il Sole sia alto e i suoi raggi raggiungano copiosi la superficie, si può godere di un leggero vento fresco proveniente dal mare, detto per l’appunto brezza di mare. Esso è generato dalla notevole differenza di temperatura che si viene a stabilire fra la terra brezza di mare e il mare, dovuta al fatto che la capacità termica del mare è molto maggiore di quella della terra. L’acqua del mare, quindi, mantiene una temperatura relativamente bassa rispetto alla terra, che invece si scalda notevolmente con il conseguente riscaldamento dell’aria sovrastante. Quest’ultima, dilatandosi, diventa meno densa e si muove verso l’alto per la spinta di Archimede, attirando nella depressione così formata l’aria più fresca che si trova sul mare.

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Brezza di mare

brezza di terra

Di giorno la brezza spira dal mare verso terra.

Brezza di terra Di notte accade l’inverso: la terra, non più riscaldata dai raggi del Sole, si raffredda velocemente, mentre il mare, in virtù della sua elevata capacità termica, cede lentamente l’energia accumulata durante il giorno agli strati d’aria che lo sovrastano, riscaldandoli. Questi vanno verso l’alto per la spinta idrostatica e vengono rimpiazzati dall’aria più fresca proveniente da terra, dando luogo alla cosiddetta brezza di terra. Brezza di monte e brezza di valle Anche in montagna, lontano da grandi volumi di acqua, si verifica il fenomeno delle brezze, ma con modalità diverse in quanto le differenze tra le capacità termiche delle sostanze che compongono il territorio non è così rilevante. Le brezze sono generate comunque da movimenti di aria tra zone con temperature molto diverse, ma la causa di queste differenze è in questo caso l’insolazione. In presenza di alte montagne e strette valli, infatti, si vengono a creare zone d’ombra non raggiunte dai raggi del Sole, le quali mantengono una temperatura nettamente inferiore a quella che si misura nelle alte pareti soleggiate. Di giorno, quindi, si vengono a creare correnti d’aria fresca da valle verso monte (brezza di valle), che vanno a rimpiazzare l’aria calda d’alta quota che sale per la spinta di Archimede. Nelle notti serene accade l’opposto: le alte pareti si raffreddano notevolmente rispetto alle quote minori, e l’aria scivola lungo i fianchi delle montagne verso valle (brezza di monte), in parte per convezione in parte perché, più densa, risente maggiormente dell’attrazione gravitazionale terrestre.

La differente capacità termica del mare e della terra genera differenze di temperature tra le due regioni. La brezza spira da zone più fredde a zone più calde.

DOMANDA Quali meccanismi di propagazione del calore riconosci nei fenomeni delle brezze? Illustrali in un testo di 10 righe.

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IL CALORE

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CHIMICA Il calore nelle reazioni chimiche Quando avviene una reazione chimica gli atomi dei reagenti, le sostanze di partenza, si ridistribuiscono per formare i prodotti, nuove sostanze diverse dalle prime. Ci sono legami che scompaiono e legami che si formano, e in generale cambia l’energia interna: cambia infatti l’energia potenziale delle particelle, detta in questo caso energia chimica. Questo comporta uno scambio energetico con l’ambiente che può manifestarsi sotto forma di calore, detto pertanto calore di reazione.

Processi esotermici

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Quando nel sistema che reagisce la temperatura aumenta si dice che il processo è esotermico, cioè il sistema cede calore all’ambiente. Ciò avviene quando l’energia necessaria a rompere i legami dei reagenti è minore dell’energia liberata durante la formazione dei legami dei prodotti, cioè il risultato netto è un guadagno di energia da parte dell’ambiente. La combustione è un eclatante esempio di reazione esotermica: dopo aver attivato la combustione con una certa quantità di energia – per esempio sfregando la testa di un fiammifero su un materiale ruvido – il materiale combustibile reagisce con l’ossigeno (detto comburente) e si formano i prodotti, liberando una quantità di energia che percepiamo come calore e radiazioni luminose. Parte del calore liberato viene utilizzato per attivare nuovamente la combustione e il processo si autosostiene fino all’esaurimento del combustibile o del comburente.

lavoro delle forze di attrito

Processi endotermici

energia

energia

combustibile + comburente

combustione

prodotti di reazione + energia

energia

Una reazione in cui il sistema tende reagenti prodotti a raffreddarsi, e quindi assorbe calore dall’ambiente, è un processo endotermico. In questo caso l’enerreazione reazione esotermica endotermica gia liberata durante la formazione dei legami dei prodotti è inferiore a quella assorbita per la rottura dei prodotti reagenti legami dei reagenti, cioè il bilancio energetico è favorevole per il sistema a spese dell’ambiente. Le Nelle reazioni esotermiche l’energia chimica dei prodotti è minore di quella dei reazioni endotermiche tendono reagenti; nelle reazioni endotermiche l’energia chimica dei prodotti è maggiore quindi a raffreddare l’ambiente e di quella dei reagenti. hanno bisogno di continuo apporto di calore. Per esempio, quando il nitrato di ammonio (NH4NO3) viene sciolto in acqua la rottura dei legami richiede un notevole apporto di energia e l’acqua si raffredda vistosamente. Tale sostanza era usata nei cosiddetti sacchetti di ghiaccio istantaneo, che tuttavia oggi sono soggetti a restrizioni d’uso per questioni di sicurezza.

DOMANDA Perché soffiando su un falò il fuoco si ravviva? Rispondi in 5 righe.

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IL CALORE

CON GLI OCCHI DI UN FISICO Riscaldare Aria

Quando l’uomo imparò a controllare il fuoco la sua vita cambiò radicalmente: non solo la cottura dei cibi ne modificò le abitudini alimentari, ma le fiamme divennero un aiuto contro i predatori oltre che una fonte di illuminazione per la notte. Il calore del fuoco, inoltre, poteva rendere meno rigidi gli inverni nei climi più freddi. Possiamo immaginare come gli uomini si siano stretti intorno a un falò sin da quando abitavano in caverne naturali. Le più antiche testimonianze sono state trovate in Sudafrica nella cosiddetta «Culla dell’umanità», un sito ricco di grotte e reperti preistorici, dove si fa risalire l’uso del fuoco a oltre un milione di anni fa. Il fuoco è dunque la fonte di riscaldamento domestico più antica e longeva: inizialmente veniva acceso in focolari senza canna fumaria, in stanze dal soffitto forato, ma poi si cominciò a convogliare all’esterno i fumi di scarico e, nelle case in muratura, a costruire i primi caminetti addossati alle pareti. Ai caminetti si affiancarono le stufe, che con la loro elevata capacità termica erano in grado di accumulare grandi quantità di energia per restituirla lentamente anche a fuoco spento. Questo tipo di riscaldamento è adatto ad ambienti piccoli, tant’è che nei castelli o nei palazzi più grandi vi era un caminetto in ogni stanza e nelle case più modeste spesso era riscaldata un’unica stanza comune. In alcune zone alpine tale ambiente ha il nome specifico di stube, una stanza in cui vi è una grossa stufa in muratura sulla quale a volte è posto un giaciglio per dormire al caldo.

Gli antichi romani affrontavano il problema della climatizzazione delle abitazioni preventivamente, durante la fase di progettazione dell’edificio. Conoscendo la circolazione dei venti nel territorio e l’insolazione nelle varie stagioni e ore del giorno, facevano in modo che gli edifici avessero particolari orientazioni per mantenere fresche alcune aree in estate e tiepide altre aree in inverno. I quartieri estivi dei palazzi dovevano essere aperti alle brezze stagionali e riparati dall’insolazione diretta, mentre quelli invernali erano al riparo dai venti gelati. Durante l’inverno, comunque, l’uso di bracieri aiutava senz’altro a mantenere caldi gli ambienti. Dal II secolo a.C. la moda delle terme stimolò lo sviluppo della tecnologia del riscaldamento. L’ingegnoso sistema usato dai romani, detto ipocausto, consisteva nel bruciare legna in un forno centrale (il prefurnio), dal quale poi i roventi fumi di scarico erano convogliati in apposite tubature e circolavano tutto intorno agli ambienti da riscaldare: nelle pareti e sotto i pavimenti. Questi ultimi erano costruiti su soprelevazioni dette suspensurae, alte circa 50 cm. Tale sistema di riscaldamento era decisamente molto efficiente, in quanto i fumi di scarico uscivano dal circuito con una temperatura più bassa dopo aver ceduto molta della loro energia all’edificio.

Nelle antiche case nobiliari ogni ambiente era riscaldato da una grande stufa.

L’ipocausto era un sistema di riscaldamento usato dagli antichi romani, soprattutto negli ambienti termali. Il pavimento era riscaldato da una corrente di aria calda proveniente da un camino centrale, che circolava in apposite condutture poste sotto il pavimento.

PAROLA CHIAVE PAROLA CHIAVE

Calore

DOMANDA Perché si dice che il caminetto comporta una cospicua dispersione di calore? Rispondi in 10 righe.

Rodrigue Eckert

Hal_P/Shutterstock

Fuoco

Calore specifico

DOMANDA Individua in un testo di 5 righe l’analogia tra una stufa e la Terra, quando usata attraverso sonde geotermiche.

56 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL CALORE

2

Terra

Il sistema di riscaldamento ad aria calda usato dai romani è efficiente ma decisamente costoso, e nella storia le testimonianze dell’uso di metodi analoghi sono piuttosto rare. Il fuoco rimaneva il metodo più utilizzato per scaldare gli ambienti domestici, anche se questo significava che nei palazzi più grandi era necessario costruire un gran numero di caminetti. Fino a quando, nella fredda Russia, non si sperimentò un nuovo sistema ad acqua, ideato e messo a punto nel 1855 da un imprenditore tedesco di origine italiana che viveva a san Pietroburgo, Franz Karlovich Sangalli. A lui si deve l’invenzione del radiatore con termosifone, cioè del sistema di riscaldamento che ancora oggi è largamente usato nelle abitazioni. Il radiatore è una particolare tubazione, originariamente in ghisa, che irradia l’energia sottratta all’acqua contenuta al suo interno, la quale è a sua volta scaldata da una caldaia e messa in circolazione dal termosifone propriamente detto. La circolazione avviene in verticale per convezione, in quanto l’acqua calda tende a salire e quella fredda a scendere; tuttavia l’introduzione di una pompa all’impianto ha migliorato le sue prestazioni rendendolo efficiente anche con elementi posti sullo stesso piano o distanti tra loro. I primi impianti erano alimentati da caldaie a legna o a carbone. Successivamente è stato usato come combustibile il gasolio, mentre oggi si preferiscono il GPL (gas propano liquido) e il gas metano, perché meno inquinanti.

Riscaldare ha un costo molto elevato, sia da un punto di vista economico che da un punto di vista ambientale. I combustibili per alimentare le caldaie, qualunque sia il tipo di impianto usato, vanno estratti e distribuiti; la combustione, per quanto «pulita», immette in atmosfera sostanze che ne possono alterare gli equilibri. È auspicabile, quindi, che alle strategie di riscaldamento attivo si affianchino quelle di tipo passivo, che quindi non richiedono produzione di calore aggiuntiva rispetto alla naturale insolazione e ventilazione, basate sulla conoscenza del territorio e sulla conseguente orientazione dell’edificio, già utilizzate dagli antichi romani. Inoltre, senza produrre calore aggiuntivo potremmo utilizzare quello prodotto dalla gigantesca caldaia naturale posta proprio sotto i nostri piedi, all’interno della Terra. Il calore proveniente dalle profondità della Terra è detto energia geotermica, e nei pressi di fenomeni di vulcanismo, e quindi di temperature molto elevate, può essere utilizzato per la produzione di energia elettrica, oltre che per il riscaldamento delle abitazioni circostanti. Nella fredda Islanda, terra ricca di vulcani, la stragrande maggioranza delle abitazioni è riscaldata in questo modo. Di recente sono stati realizzati impianti che utilizzano la Terra non tanto come sorgente quanto come serbatoio di calore: durante i periodi a maggiore insolazione particolari sonde geotermiche trasferiscono l’energia al terreno rinfrescando l’edificio; nei periodi più freddi lavorano al contrario, prelevando il calore immagazzinato nel sottosuolo e restituendolo in superficie agli ambienti da riscaldare.

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Guglielmo Jervis 1868

Acqua

Franz Karlovich Sangalli (1824-1908) visse a lungo a Pietroburgo dove inventò e produsse i primi radiatori in ghisa della storia.

PAROLA CHIAVE

Nel 1905 a Larderello (Pisa), qui in un’incisione del 1868, è stata costruita la prima centrale geotermica della storia per la produzione di energia elettrica.

Propagazione

DOMANDA Illustra in 5 righe perché il riscaldamento con radiatori a termosifone senza pompa per la circolazione dell’acqua è più efficace se l’impianto ha uno sviluppo verticale.

57 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

MAPPA DEI CONCETTI NON È UNA SOSTANZA MATERIALE FLUIDA

si misura in joule J

È UNA MODALITÀ DI TRASFERIMENTO DELL’ENERGIA

IL CALORE Q

è equivalente al LAVORO

DA UN CORPO A TEMPERATURA MAGGIORE A UN CORPO A TEMPERATURA MINORE

termometro

pareti isolanti

con il mulinello di Joule si calcola che

una quantità di lavoro pari a 4186 J innalza di 1 K la temperatura di 1 kg di acqua

così come

una quantità di calore di 4186 J innalza di 1 K la temperatura di 1 kg di acqua

4,18 J sono equivalenti a 1 cal

58 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL CALORE

2

si determina con il calorimetro

LA CAPACITÀ TERMICA C  mc

IL CALORE SPECIFICO c

di un corpo è equivalente all’energia necessaria a innalzare di 1 K la temperatura del corpo

di una sostanza è equivalente all’energia necessaria a innalzare di 1 K la temperatura di 1 kg di tale sostanza

si misura in J/K

si misura in J/kg  K

quando tra due punti dello spazio c’è una DIFFERENZA DI TEMPERATURA l’energia si trasferisce da un punto all’altro per mezzo della

PROPAGAZIONE DEL CALORE

CONDUZIONE

CONVEZIONE

IRRAGGIAMENTO

è il meccanismo di trasporto dell’energia da un punto all’altro dello spazio senza spostamento di materia

è il meccanismo di trasporto dell’energia da un punto all’altro dello spazio con trasporto di materia

è il meccanismo di trasporto dell’energia da un punto all’altro dello spazio attraverso la materia e il vuoto

È PREVALENTE NEI SOLIDI

È PREVALENTE NEI FLUIDI

AVVIENE ANCHE NEL VUOTO

59 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

20 test (30 minuti)

2 ESERCIZI 1

TEST INTERATTIVI f A quanti biscotti equivale l’energia necessaria a scaldare 1 kg d’acqua da 15 °C a 100 °C?

TEORIE DEL CALORE

DOMANDE

[circa 4 biscotti]

Nel Trattato del calorico e della luce, scritto nel 1846 da Francesco Zantedeschi, professore di fisica sperimentale all’Università di Padova, leggiamo:

1

10 Se potessimo utilizzare l’energia di 1 litro d’acqua

che si raffredda da 100 °C a 15 °C per sollevare 1000 kg di mattoni, a quale altezza dal suolo riusciremmo a portarli?

«[...] il calorico dilata i corpi e ne fa cangiare persino lo stato di aggregazione, appalesandosi quale forza eminentemente ripulsiva».

11 Uno sciatore di 73 kg, partendo da fermo dalla

Spiega in 10 righe il significato di questa frase, collocandola nel periodo storico.

sommità di un pendio, discende senza attrito per un dislivello di 10 m.

2 Nell’esercizio 1 è citata la spiegazione della dilatazio-

f Quanta acqua potrebbe scaldare di 1 °C con l’energia cinetica posseduta alla fine del pendio?

[36 m]

ne termica secondo la teoria del calorico. Secondo tale teoria qual è la differenza tra un corpo a temperatura maggiore e un corpo a temperatura minore?

f E quanta con l’energia potenziale posseduta in cima al pendio? [1,7 litri; 1,7 litri]

3 Come si spiega l’innalzamento della temperatura

per attrito mediante la teoria del calorico?

2

3

IL CALORE SPECIFICO

DOMANDE

CALORE E LAVORO

12 Perché al mare la sabbia scotta, mentre l’acqua è

DOMANDE 4 «Il calore è un fluido imponderabile che passa da un

fresca, nonostante il riscaldamento del Sole sia uniforme?

corpo a temperatura maggiore a un corpo a temperatura minore». Correggi questa frase. 5 Qual è la giustificazione del fatto che possiamo miDmitriy Shironosov / Shutterstock

surare il calore in joule? 6 Sfregando ripetutamente una gomma da cancellare

su un foglio di carta la sua temperatura aumenta. Come si spiega questo fatto? Rispondi in 5 righe. 7 Una pentola piena d’acqua è posta su un fornello ac-

ceso; in essa è parzialmente immerso un cucchiaio che dopo un po’ si scalda. Individua i trasferimenti di energia in tale processo.

CALCOLI 8 Sull’etichetta nutrizionale di un pacco di biscotti c’è

scritto che 100 g di prodotto equivalgono a un quantitativo energetico alimentare di 1800 kJ. f Quanti litri d’acqua si potrebbero scaldare di 1 °C utilizzando la quantità di energia equivalente a 350 g di biscotti? [circa 1500 litri]

9 Il valore nutrizionale di un biscotto equivale a una

quantità di energia pari a 95 kJ.

13 «La capacità termica di una sostanza equivale all’e-

nergia che dobbiamo usare per innalzare di 1 K una certa quantità di quella sostanza». Correggi questa frase, se occorre. 14 «Il corpo A ha una capacità termica maggiore del

corpo B. Se il corpo A cede una quantità di energia al corpo B, allora la temperatura di A diminuisce in misura minore rispetto a quanto aumenta la temperatura di B». Questa affermazione è corretta? Correggila se necessario. 15 Un litro d’acqua e 10 litri d’acqua hanno lo stesso

calore specifico, la stessa capacità termica o nessuna di queste due opzioni?

60 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

2

IL CALORE

errore dovuto all’assorbimento da parte del calorimetro stesso di una parte dell’energia coinvolta negli scambi per il raggiungimento dell’equilibrio termico. Il calore specifico così determinato è affetto quindi da un errore per eccesso o per difetto? Motiva la risposta.

CALCOLI 16 Quanta energia occorre per scaldare 350 g di rame

da 15 °C a 550 °C? (Vedi la tabella 1 nel capitolo.) [72 kJ]

17 Una pentola di alluminio inizialmente alla tempera-

tura di 15 °C è posta su un fornello. Dopo aver assorbito una quantità di energia pari a 16 × 105 J la sua temperatura è diventata 154°C.

23 In riferimento all’esercizio 22, l’errore è maggiore

per maggiori o minori quantità di acqua nel calorimetro? Motiva la risposta in 5 righe.

f Qual è la massa della pentola? [1,3 kg]

CALCOLI

18 Un blocchetto di metallo si raffredda passando dal-

24 Un blocchetto di ferro di massa 1,2 kg alla tempera-

la temperatura di 567 K alla temperatura di 288 K.

Valeriy Lebedev / Shutterstock

tura di 350 °C viene messo in contatto con un blocchetto di rame di massa 2,0 kg alla temperatura di 25 °C.

f Se la massa del blocchetto è 0,50 kg e l’energia ceduta all’ambiente è 1,8 × 104 J, di quale metallo si tratta? (Suggerimento: calcola il calore specifico e confronta il risultato con la tabella 1 del capitolo.) [piombo]

19 Un recipiente contiene 2,5 kg di acqua di mare alla

temperatura di 17 °C e successivamente riceve energia pari a 1,7 × 105 J. f Qual è la temperatura finale? (Vedi tabella 1 nel capitolo.) [34°C]

20 Qual è la capacità termica di una statua in bronzo

che aumenta la sua temperatura di 12 °C quando le viene fornita energia pari a 7,2 × 105 J? [6,0 kJ/K]

f Qual è la temperatura di equilibrio in gradi centigradi e in kelvin? (Vedi tabella 1 nel capitolo.) [159 °C; 432 K]

25 In una tazza di capacità termica trascurabile una

certa quantità di latte a 5 °C viene mescolata a 200 g di tè, avente una temperatura di 50 °C. Si raggiunge una temperatura di equilibrio di 41 °C. f Considerando il calore specifico del tè uguale a quello dell’acqua e quello del latte pari a 3900 J/(kg ⋅ K), qual è la massa di latte che è stata mescolata al tè? f Qual è la quantità di calore scambiata durante il processo? Esprimi il risultato in joule e in calorie. [54 g, 7,5 kJ; 1,8 kcal]

26 In un recipiente isolato, in cui sono contenuti 3,5 li-

tri d’acqua, viene immerso un blocco di ghisa, la cui capacità termica è 500 J/K, alla temperatura di 90 °C. f Se si raggiunge una temperatura di equilibrio di 24 °C, qual è la temperatura iniziale dell’acqua? [22 °C]

27 In un calorimetro in cui ci sono 0,450 litri d’acqua

4

MISURARE IL CALORE

DOMANDE 21 Elenca le operazioni da compiere per determinare il

calore specifico di un oggetto utilizzando un calorimetro. 22 Quando determiniamo il calore specifico di un og-

alla temperatura di 15 °C viene inserito un blocchetto di materiale ignoto inizialmente alla temperatura di 80 °C e si raggiunge una temperatura di equilibrio di 18 °C. f Se la massa del blocchetto è 100 g, qual è il suo calore specifico? f Di quale sostanza si tratta? (Confronta il risultato con i dati della tabella 2 nel capitolo.)

getto utilizzando un calorimetro commettiamo un

[0,9 kJ/(kg  K); alluminio]

61 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

2 ESERCIZI 5

37 In che modo la quantità di energia irraggiata da un

PROPAGAZIONE DEL CALORE: CONDUZIONE E CONVEZIONE

corpo dipende dalla sua temperatura?

CALCOLI

DOMANDE 28 In che senso un materiale può essere definito

«buon conduttore termico» o «cattivo isolante termico»? Spiegalo in 5 righe.

38 Approssimando a 1 il coefficiente di emissività del

Sole, quanta energia viene emessa in 1 s da 1 m2 di superficie solare la cui temperatura è di circa 6000 K? [7 × 107 J]

29 «In un fluido il calore si propaga solo per convezio-

ne, mentre in un solido si propaga solo per conduzione». Questa frase è corretta? Motiva la risposta in 5 righe. 30 Spiega in 5 righe che cos’è una cella convettiva.

39 Qual è l’energia emessa nel vuoto in 1 h dalla super-

ficie di un mattone refrattario alla temperatura di 650°C? La superficie del mattone misura 380 cm2 e il suo coefficiente di emissività è 0,93. [5,2 × 106 J]

CALCOLI 31 Una porta a vetri ha una superficie di 2,1 m2 e uno

ESERCIZI DI RIEPILOGO

spessore di 8,0 mm. f Se la temperatura interna è 20 °C e quella esterna 4 °C, quale quantità di energia attraversa la vetrata in 2 h? (Vedi tabella 2 nel capitolo.)

DOMANDE 40 Nel corso di fisica per le scuole secondarie Corso

[2,7 × 107 J]

32 Si deve costruire una parete di cartongesso che per

un intervallo di temperatura di 30 °C disperda al massimo una quantità di energia pari a 0,5 kJ nell’unità di tempo. f Se la superficie delle parete misura 12 m2, quanto deve essere il suo spessore minimo in cm? (Vedi tabella 2 nel capitolo.) [15 cm]

33 In 30 min un pannello di polistirolo espanso è attra-

versato da energia pari a 3,2 × 105 J per un intervallo di temperatura tra le pareti di 60 K. f Se la superficie del pannello è 0,50 m e il suo spessore è 8,0 mm, qual è il coefficiente di conducibilità termica? 2

[4,7 × 10 W/(m  K)] –2

6

PROPAGAZIONE DEL CALORE: L’IRRAGGIAMENTO

DOMANDE

elementare di fisica sperimentale (1830-1838), l’autore Giuseppe Belli, docente all’Università di Pavia, scriveva: «Questo modo succede alle superficie libere dei corpi. Ivi il calorico viene più o meno abbondantemente scagliato lontano in tante linee rette a guisa della luce, e così posto in moto prosegue il suo cammino rettilineo fino a che non incontri qualche altro corpo che ne riceva una parte entro di se e una parte la rimandi indietro secondo una nuova direzione: che se non incontra corpo veruno esso seguita innanzi fino a distanze indefinite. Il calorico così scagliato dicesi “Calorico raggiante”.» A quale fenomeno si riferisce? Com’è spiegato tale fenomeni in termini attuali? 41 Nell’esperimento di Joule il termometro misura un

incremento della temperatura dell’acqua perché riceve energia da quest’ultima: da dove viene tale energia? Illustra in 10 righe i trasferimenti di energia che prendono parte ai processi durante lo svolgimento dell’esperimento, specificando di volta in volta se essi avvengono in forma di calore o di lavoro. 42 Perché all’interno dei motori si usa lubrificare le parti

34 Perché possiamo affermare di essere in contatto

termico con il Sole? 35 Un essere umano è sorgente di onde elettroma-

gnetiche? Motiva la risposta in 5 righe. 36 Perché possiamo misurare la temperatura delle

stelle senza toccarle?

striscianti con olio? Rispondi in 10 righe. (Suggerimento: considera il legame fra attrito e temperatura.) 43 I corpi A, B e C hanno temperature TA < TB < TC. Se C

è messo in contatto termico con A raggiunge la temperatura di equilibrio TAC, mentre se è messo in contatto termico con B raggiunge la temperatura TBC.

62 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL CALORE

2

Quale delle due temperature è minore? Motiva in 5 righe la tua risposta.

è stato di circa 346 000 GWh. Quale percentuale di tale fabbisogno potremmo soddisfare?

44 «Se due corpi di uguale massa e temperature rispet-

(Suggerimento: ricorda che il wattora (Wh) è l’energia fornita in un’ora dalla potenza di 1 W.)

tivamente T1 e T2 vengono messi in contatto termico fra loro, la temperatura di equilibrio è intermedia fra T1 e T2». Correggi questa affermazione, se necessario.

[2,1 × 1017 J; circa il 17%]

51 Uguali quantità di acqua e di sabbia pari a 1,0 kg,

alla temperatura iniziale di 20 °C, ricevono 50 kJ di energia.

45 Vogliamo raffreddare alla temperatura più bassa

f Potremmo toccare entrambe le sostanze senza scottarci? Rispondi dopo aver calcolato le temperature finali, assumendo che il calore specifico della sabbia sia 840 J/(kg ⋅ K).

possibile un oggetto caldo e abbiamo a disposizione una massa d’acqua e un’uguale massa di olio alla stessa temperatura, più bassa di quella dell’oggetto. In quale delle due sostanze lo immergiamo? Perché?

[80 °C; 32 °C]

46 «Così come nel vuoto il calore non può propagarsi

52 Questa etichetta contiene almeno un errore.

per conduzione, nella materia il calore non può propagarsi per irraggiamento». Questa affermazione è corretta? Motiva la risposta in 5 righe.

f Quale? Proponi una modifica che corregga l’incongruenza.

47 «Gli oggetti che hanno una densità maggiore hanno

anche una capacità termica maggiore». È vero? Motiva la risposta. 48 «Due corpi fatti con lo stesso materiale hanno lo Massimiliano Trevisan

stesso calore specifico se hanno forme differenti, ma anche se hanno masse differenti». È vero? Motiva la risposta.

PROBLEMI 53 Un setto di vetro di area pari a 2,5 m2 e spessore

49 In un catino in cui sono presenti 15 kg di un liquido a

1,2 cm divide due grandi vasche piene d’acqua alle temperature rispettivamente di 15 °C e 25 °C.

18 °C viene versato 1,0 kg dello stesso liquido a 100 °C.

f Calcola la quantità di energia che attraversa il setto in 30 min. (Vedi tabella 2 nel capitolo.)

f Qual è la temperatura di equilibrio? [23°C]

f Il valore ottenuto è una stima per difetto o per eccesso? Motiva la risposta in 5 righe.

50 Secondo una stima, il volume del lago di Garda è cir-

ca 49 km3.

(Suggerimento: ragiona rinunciando all’ipotesi che le vasche siano grandi.) [3,4 × 106 J]

54 In un bollitore elettrico, che ha una potenza di

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1800 W, vengono messi a scaldare 1,6 litri di acqua alla temperatura iniziale di 17 °C.

f Se potessimo utilizzare l’energia ricavata abbassando di 1 °C la temperatura dell’acqua del lago di Garda, di quanta energia disporremmo?

f Se le pareti del bollitore sono termicamente isolate, calcola il tempo necessario a portare l’acqua alla temperatura di ebollizione. f L’acqua a 100 °C viene successivamente versata in una caraffa alla temperatura iniziale di 21 °C e raggiunge una temperatura di equilibrio di 90 °C. Trascurando la dispersione termica con l’ambiente esterno, calcola la capacità termica della caraffa. [3,1 × 102 s ; 9,7 × 102 J/K]

f Il consumo di energia elettrica in Italia nel 2010

63 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

2 ESERCIZI Per riscaldare invece da 20 °C a 40 °C un blocco di rame di massa 30 kg servirà quindi una quantità di calore pari a:

55 La parete in pietra di un antico casolare ha un’esten-

sione di 14 m2, uno spessore di 50 cm e una conducibilità di 1,3 W/(m  K). f Quanta energia disperde in un’ora durante l’inverno, quando la temperatura esterna è 3 °C e quella interna 19 °C? f Quanta acqua, alla temperatura iniziale di 20 °C, si potrebbe portare alla temperatura di ebollizione con tale quantità di energia?

A

3Q/4

B

2Q/3

C

Q/4

D

Q/3

E

Q/2

(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Architettura 2007/2008)

[2,1 × 106 J; 6,3 litri]

2 Si definisce «conducibilità termica» λ di un mate-

56 Una colata di lava alla temperatura di 1200 °C entra

riale la quantità di calore (espressa in calorie, cal) che in 1 secondo ne attraversa uno strato piano di area superficiale 1 m2 e di spessore 1 m quando fra le sue due facce vi sia la differenza di temperatura di 1 °C. Il valore di λ per pareti in mattone è pari a 0,15 cal/ (m · s · °C), mentre il valore di λ per lastre di calcestruzzo è pari a 0,20 cal/(m · s · °C). Due pareti di identico spessore dividono un ambiente interno da uno esterno; le condizioni sono tali che le facce delle pareti sono mantenute a temperatura costante e pari a 20 °C all’interno e a 10 °C all’esterno. Se una parete è realizzata in mattoni e ha una superficie di 8 m2 e la seconda è realizzata con una lastra di calcestruzzo di superficie 6 m2, quale delle seguenti affermazioni è vera?

George Burba / Shutterstock

in mare e si raffredda, portando l’acqua circostante a ebollizione, finché l’energia non viene trasmessa e dispersa su un volume sempre più grande.

f Qual è il volume di acqua, a temperatura iniziale di 19 °C, portata alla temperatura di ebollizione da 1,0 m3 di lava, sapendo che la densità di quest’ultima è 2800 Kg/m3 e il suo calore specifico è 840 J/(kg ⋅ K)? f Quanta energia cede la lava all’acqua? f Perché possiamo affermare che anche le porzioni di acqua che non sono in diretto contatto con la lava sono comunque in contatto termico con essa?

A

Le due pareti trasmettono in un’ora la stessa quantità di calorie.

B

La parete in calcestruzzo trasmette in un’ora la quantità di calorie che la parete in mattone trasmette in due ore.

C

La parete in calcestruzzo trasmette in un’ora i 3/4 delle calorie trasmesse dalla parete in mattone.

D

La parete in calcestruzzo trasmette in un’ora i 4/3 delle calorie trasmesse dalla parete in mattone.

E

La parete in calcestruzzo trasmette in un’ora la quantità di calorie che la parete in mattone trasmette in mezz’ora.

[7,6 m ; 2,6 × 10 J] 3

9

VERSO L’UNIVERSITÀ 1

Per riscaldare un blocco di rame di massa 60 kg da 20 °C a 60 °C serve una certa quantità di calore Q.

(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Architettura 2010/2011)

64 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

CAPITOLO

I passaggi di stato ato



Il fiume era gelato, le stelle erano fredde, la neve era vetro che si rompeva sotto le scarpe, la morte fredda e verde aspettava sul fiume, ma io avevo dentro di me un calore che scioglieva tutte queste cose.



Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve, 1953

È acqua il fiume gelato, è acqua la neve, è acqua il ghiaccio che, come vetro, si rompe sotto le scarpe. Quando è freddo l’acqua è solida, ma sulla Terra si stima che ci siano 1,4 miliardi di kilometri cubi di acqua, per la maggior parte liquida, e sappiamo che l’aria è ricca di vapore acqueo, anche se non si vede. Questa abbondanza di acqua, alla quale siamo così abituati da non farci troppo caso, contribuisce a fare della Terra un pianeta abitato: le condizioni di temperatura e pressione sono tali che l’acqua è normalmente liquida, pur trovandosi negli altri due stati di aggregazione, solido e aeriforme, in determinate condizioni ambientali. Alla pressione atmosferica, il fatto di trovare l’acqua in uno dei tre stati dipende dalla temperatura: sappiamo, per esempio, che l’acqua a 0 °C diventa ghiaccio e a 100 °C bolle, trasformandosi in vapore. Chiamiamo passaggi di stato i processi per cui avvengono tali trasformazioni, argomento di questo capitolo.

Vedrai che in diverse condizioni di pressione e temperatura le sostanze materiali possono trovarsi in forma di solidi, di liquidi o di aeriformi, ma anche che, in corrispondenza di determinati valori di tali grandezze fisiche, passano dall’uno all’altro stato, effettuando quella che in fisica viene chiamata transizione, cioè un netto cambiamento di alcune proprietà della materia. Nel caso dei passaggi di stato, tali proprietà sono appunto quelle che definiscono lo stato di aggregazione. Nei passaggi di stato è coinvolta energia. Per esempio, per passare dallo stato solido allo stato liquido una sostanza ha bisogno di energia; viceversa, quando passa dallo stato liquido allo stato solido, rilascia energia. La variazione di energia, uguale in entrambe le transizioni per uguali masse di sostanza coinvolte, è detta calore latente, cioè «calore nascosto», che non provoca aumenti o diminuzioni di temperatura.

Pieter Bruegel il Vecchio, Cacciatori nella neve, 1565.

PAROLE CHIAVE Stati di aggregazione Transizione Calore latente

65 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

3

I PASSAGGI DI STATO

1

ATOMI E MOLECOLE

Se rompiamo un pezzo di vetro otteniamo nuovi pezzi di vetro più piccoli, i quali a loro volta possono essere frantumati in pezzi piccolissimi, come granelli di sabbia. Non possiamo, tuttavia, continuare a frantumare i pezzi di vetro all’infinito ottenendo pezzi di vetro più piccoli, perché a un certo punto la materia si «sgrana»: intorno a dimensioni dell’ordine del decimo di nanometro (1010m) incontriamo gli atomi. La materia quindi non è una realtà continua, cioè non possiamo suddividerla con continuità spezzettandola in parti sempre più piccole (figura 1). b

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a

Figura 1. a. Non è possibile suddividere con continuità la materia all’infinito. b. In un granello di sabbia ci sono milioni di atomi.

Oggi diamo questa conoscenza per scontata, ma la sua affermazione come realtà scientifica è piuttosto recente e preceduta da decenni di controversie e polemiche a riguardo. L’indagine scientifica sulla struttura della materia ha inizio verso la fine del XVIII secolo con la nascita della chimica, basata sulla legge di conservazione della massa postulata da Lavoisier: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Le trasformazioni della materia studiate dai chimici potevano essere spiegate utilizzando un concetto molto antico, abbozzato in una formulazione, ancora non scientifica, dal filosofo greco Democrito, vissuto circa 2400 anni fa. Parliamo del concetto di atomo, che, come suggerisce il termine greco avtomoı (àtomos) cioè indivisibile, era stato pensato da Democrito come la particella oltre la quale non è più possibile spezzettare la materia. All’inizio del XIX secolo il chimico inglese John Dalton recuperò l’antica teoria atomica e le diede rilevanza scientifica: le diverse combinazioni di atomi erano considerate alla base delle differenze tra le sostanze, e così potevano essere spiegati moltissimi esperimenti, che oggi chiamiamo reazioni chimiche, in cui la materia si trasforma dai cosiddetti reagenti (sostanze di partenza) ai prodotti (sostanze finali) conservando la massa totale. Negli stessi anni divenne noto che gli elementi reagenti si combinano sempre secondo le stesse proporzioni di massa ben definite (legge delle proporzioni definite) e che, quando due elementi si combinano tra loro per formare dei composti, una certa massa di un elemento si combina con masse multiple dell’altro che stanno tra loro come numeri piccoli e interi (legge delle proporzioni multiple). Queste due leggi empiriche sono ben comprensibili se si pensa ad atomi di masse diverse che si combinano tra loro come interi, cioè come «indivisibili», pertanto i chimici dell’Ottocento utilizzarono la teoria atomica riformulata da Dalton come chiave di lettura delle trasformazioni della materia studiate.

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3

I PASSAGGI DI STATO

Figura 2. a. Una molecola d’acqua è formata da un atomo di ossigeno e due di idrogeno. b. In una proteina ci sono migliaia di atomi.

a

b Nevit Dilmen

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Oggi sappiamo che l’atomo è una realtà più complessa di quella immaginata a quell’epoca, tuttavia il concetto che la grande varietà delle sostanze materiali che vediamo derivino effettivamente dalla combinazione di pochi atomi uguali tra loro è corretto. Gli atomi si legano in vari modi. Un modo è quello che dà origine alle molecole, cioè gruppi di due o più atomi che caratterizzano un elemento (atomi uguali) o un composto (atomi diversi) (figura 2).

GLI STATI DI AGGREGAZIONE DELLA MATERIA

Parliamo di stato di aggregazione per indicare il modo di presentarsi della materia, caratterizzato da determinate caratteristiche fisiche macroscopiche.

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a

b

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La materia è dunque costituita da atomi e da molecole in qualche modo raggruppati fra loro. Tali particelle hanno l’importante caratteristica di non stare mai ferme, cioè l’energia cinetica delle particelle microscopiche non è mai nulla, ed esse hanno un moto incessante, chiamato agitazione termica in quanto collegato a ciò che dal punto di vista macroscopico chiamiamo temperatura. All’agitazione termica, che tenderebbe a far allontanare le particelle l’una dall’altra, si oppongono forze attrattive (coesione) che le tengono confinate in determinate regioni di spazio per formare i corpi materiali. In base all’intensità delle interazioni e alla disposizione delle particelle nello spazio abbiamo diverse caratteristiche macroscopiche, che ne definiscono il cosiddetto stato di aggregazione.

c

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2

I tre stati di aggregazione classici della materia sono solido, liquido e aeriforme (figura 3), distinti dalle seguenti caratteristiche macroscopiche: s i solidi hanno un volume e una forma definiti; s i liquidi hanno un volume definito, ma una forma che dipende dal recipiente che li contiene; s gli aeriformi non hanno né una forma né un volume definiti, ma tendono a occupare tutto lo spazio a disposizione. I liquidi e gli aeriformi sono anche detti fluidi.

Figura 3. a. Acqua allo stato solido. b. Acqua allo stato liquido. c. L’acqua allo stato aeriforme forma grosse bolle dentro il liquido in ebollizione.

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I PASSAGGI DI STATO

I solidi Nei solidi le interazioni di tipo attrattivo fra atomi o molecole sono molto intense, per cui ciascuna particella è legata strettamente alle sue vicine e può spostarsi di poco intorno alla sua posizione, che pertanto risulta essere una posizione di equilibrio stabile. I solidi propriamente detti hanno una struttura cristallina, cioè gli atomi o le molecole sono disposti con regolarità nello spazio a formare un reticolo con determinate proprietà di simmetria. Tuttavia, in base alla definizione data, legata a proprietà macroscopiche, possono essere considerate solide anche molte sostanze amorfe, cioè nelle quali le particelle non hanno una distribuzione ordinata nello spazio ma sono disposte a caso senza una particolare simmetria (figura 4). Figura 4. Il quarzo è composto dagli stessi atomi di un granello di sabbia, ma la loro disposizione nello spazio ha una simmetria ben definita, che si manifesta anche nel solido macroscopico.

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Figura 5. Nel reticolo di un cristallo di ghiaccio le molecole si muovono intorno alle loro posizioni di equilibrio.

All’aumentare della temperatura, come vedremo meglio nel prossimo capitolo, aumenta l’energia cinetica delle particelle, le quali pertanto oscillano con maggiore ampiezza e occupano un volume sempre maggiore, spiegando in tal modo il fenomeno macroscopico della dilatazione termica (figura 5).

I liquidi Figura 6. Nell’acqua liquida le molecole si attraggono debolmente pur continuando a muoversi l’una rispetto all’altra.

Nei liquidi le interazioni molecolari sono meno intense e consentono un margine di libertà di movimento maggiore che nei solidi. Le molecole non occupano posizioni fisse, ma possono muoversi le une rispetto alle altre, pur rimanendo vicine tra loro. Ciascuna molecola è dunque attratta da tutte le molecole che le stanno intorno, anche se nel tempo può cambiare posizione e quindi trovarsi, di volta in volta, vicino a molecole diverse. L’attrazione molecolare all’interno di un liquido è debole, per cui i liquidi non hanno una forma definita; tuttavia è sufficientemente intensa da non consentire alle molecole di sparpagliarsi in tutto lo spazio. Quando versiamo dell’acqua su una superficie, infatti, osserviamo che si dispone in varie forme più o meno regolari ed estese a seconda della superficie, ma lo spazio occupato alla fine è comunque limitato. Questo si spiega perché la coesione tra le molecole impedisce loro di allontanarsi troppo le une dalle altre (figura 6).

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3

I PASSAGGI DI STATO

Gli aeriformi Diversamente accade agli aeriformi, dove le interazioni sono talmente deboli che le particelle possono muoversi con un ampio margine di libertà e tendono a occupare tutto il volume a disposizione (figura 7). In base alla temperatura un aeriforme si distingue convenzionalmente in vapore o gas, come vedremo più avanti.

Figura 7. Nell’acqua allo stato di vapore le molecole si muovono liberamente in tutto lo spazio a disposizione.

aria

L’attrazione che le molecole interne esercitano sulle molecole della superficie libera di un liquido ne acqua determinano la cosiddetta tensione superficiale, che avvolge il liquido lungo la regione di confine a con l’aria (figura 8). L’aria, infatti, interagisce debolmente con il liquido, e la tensione superficiale è tanto più intensa quanto maggiore è l’entità dell’attrazione (coesione) tra le molecole di quest’ultimo. acqua Una goccia d’acqua in assenza di gravità e di altre forze esterne ha una forma sferica proprio perché le molecole dello strato superficiale della goccia sono attratte in egual misura dalle molecole interne. Un altro fenomeno di confine è quello dell’adesione, che si verifica per esempio tra un liquido e le pareti del suo contenitore. Le particelle di confine del liquido sono attratte da quelle interne, ma anche dalle particelle che compongono il contenitore. Se queste ultime interagiscono con il liquido con maggiore intensità delle prime, allora attirano le particelle del liquido e il contenitore «si bagna», come accade al vetro con l’acqua. Se osserviamo la forma della superficie dell’acqua vicino al bordo di un bicchiere ci accorgiamo che l’acqua aderisce alle pareti; tale fenomeno è ancora più evidente all’interno di un capillare, cioè di un tubicino sottile in cui l’acqua risale, mostrando una superficie curvata verso l’alto. Nel caso del mercurio invece, in cui l’adesione è minore, la superficie del liquido è curvata verso il basso (figura 9).

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Interazioni di confine

Figura 8. a. Il fenomeno della tensione superficiale dipende dalle forze di attrazione reciproca tra le particelle all’interno di un fluido, non bilanciate sulla superficie. b. Per molti abitanti degli ambienti acquatici la tensione superficiale è di vitale importanza. I cosiddetti tensioattivi, usati nei detersivi, riducono l’entità della tensione superficiale e, quando entrano in contatto con l’ambiente, possono danneggiare l’ecosistema.

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a

adesione

b

coesione

acqua

Figura 9. a. Su una superficie trattata con cera le gocce d’acqua hanno una forma più compatta e regolare rispetto a una superficie di vetro pulito, perché le molecole del bordo sono attratte in misura maggiore dalle molecole di acqua interne alla goccia che non da quelle della cera. b. Il comportamento di un liquido in un capillare dipende dalle interazioni con le pareti del capillare.

mercurio

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I PASSAGGI DI STATO

In tabella 1 è rappresentato uno schema in cui si confrontano gli stati di aggregazione della materia. STATO DI AGGREGAZIONE Tabella 1. Gli stati di aggregazione della materia.

VOLUME FORMA DEFINITO? DEFINITA?

MODELLO MICROSCOPICO

DESCRIZIONE

Solido





Le particelle possono oscillare ma non possono allontanarsi dalla posizione di equilibrio.

Liquido



No

Le particelle possono muoversi l’una rispetto all’altra, ma senza allontanarsi reciprocamente.

Aeriforme

No

No

Le particelle si allontanano le une dalle altre occupando tutto lo spazio a disposizione.

Transizioni da uno stato all’altro Uno stesso materiale può trovarsi allo stato solido, liquido o aeriforme a seconda delle condizioni di pressione e temperatura. In particolare, se si mantiene costante la pressione e si fa variare la temperatura, il passaggio da uno stato all’altro avviene in corrispondenza di determinati valori della vaporizzazione temperatura stessa; questo fatto, come abbiamo liquido aeriforme visto, ha permesso la taratura dei primi termomecondensazione tri. Durante tale processo, detto anche passaggio di stato, la temperatura resta costante e la trasforFigura 10. A pressione costante i passaggi avvengono mazione della materia da uno stato all’altro avviene in modo netto. in corrispondenza di valori I passaggi di stato sono casi particolari di trasformazioni della materia ben precisi della temperatura. dette transizioni di fase, in cui in seguito alla variazione di una o più grandezze fisiche cambiano bruscamente una o più proprietà fisiche. fu sio

ne

ca

ifi

so lid

to

ne

io

az

im

en

bl

su

am

in

br

zio ne

solido

Un passaggio di stato è una transizione netta da uno stato di aggregazione della materia all’altro. La figura 10 rappresenta i passaggi tra gli stati solido liquido e gassoso.

70 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

I PASSAGGI DI STATO

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3

FUSIONE E SOLIDIFICAZIONE

Immaginiamo di prelevare un blocco di ghiaccio da un congelatore, alla temperatura di 18 °C, e di porlo in un recipiente che immergeremo in una grande vasca piena d’acqua a 20 °C, che rappresenta dunque l’ambiente. Immaginiamo che la pressione sia costante e che si misuri istante per istante la temperatura all’interno del recipiente a partire dai 18 °C iniziali, fino ai 20 °C finali dell’equilibrio termico con l’ambiente (la capacità termica della vasca d’acqua si assume molto elevata).

IN LABORATORIO Temperatura e passaggi di stato š Video (6 minuti) š Test (3 domande)

La fusione Il processo di raggiungimento dell’equilibrio termico comprende il passaggio dallo stato solido allo stato liquido, detto fusione, e si sviluppa in tre fasi distinte: all’inizio si registra un graduale aumento della temperatura del ghiaccio da 18 °C alla temperatura di fusione di 0 °C (tabella 2, a pagina seguente); b) nella seconda fase si osserva che il ghiaccio solido si trasforma in acqua liquida e la temperatura della miscela resta costante durante tutta la trasformazione; c) quando tutto il ghiaccio si è sciolto la temperatura dell’acqua inizia nuovamente a salire da 0°C a 20°C. a)

L’andamento delle temperature del ghiaccio e dell’acqua durante il processo sopra descritto è illustrato in figura 11. T (K) 293 temperatura di fusione 273 del ghiaccio 255

ghiaccio + acqua

acqua

ghiaccio (a)

(b)

(c)

t

Figura 11. Se la pressione è costante la fusione avviene sempre alla stessa temperatura, che resta costante durante tutto il processo. In questo diagramma le temperature sono espresse in kelvin.

Il passaggio dallo stato solido allo stato liquido è detto fusione e, fissata la pressione, si svolge sempre alla stessa temperatura di fusione, che resta costante durante tutto il processo. Durante le fasi a) e c) l’aumento della temperatura ΔT è in relazione con l’energia assorbita dal sistema dall’ambiente, e quindi con il calore scambiato Q, mediante la legge fondamentale della calorimetria (formula (2.2)): Q  cm ΔT dove c è, a seconda dei casi, il calore specifico del ghiaccio o dell’acqua liquida. Durante il passaggio di stato non c’è variazione di temperatura e la formula non può essere usata: il sistema continua a ricevere energia dall’am-

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I PASSAGGI DI STATO

biente, ma essa viene utilizzata per «indebolire» la coesione tra le molecole e trasformare il solido in liquido. In accordo con la terminologia del calorico, tale energia è stata chiamata calore latente di fusione, a indicare una sorta di «calore nascosto» nella materia che non ne provoca riscaldamento. Il calore latente di fusione λf di una sostanza è equivalente alla quantità di energia necessaria a fondere completamente 1 kg di tale sostanza. La quantità di energia ΔE necessaria per fondere una massa m di una sostanza è quindi uguale a: ΔEf  λf m

(3.1)

L’unità di misura del calore latente di fusione è il joule su kilogrammo (J/ kg) (tabella 2). Quando tale energia è scambiata per mezzo di una differenza di temperatura, cioè con il contatto termico tra la sostanza e un corpo a temperatura maggiore, si usa la formula: Qf λf m nella quale è esplicitato il fatto che sono coinvolti scambi di calore. SOSTANZA

TEMPERATURA DI FUSIONE °C

Tabella 2. Temperature di fusione e calore latente di fusione a 1,01 × 105 Pa (1 atm) di alcune sostanze.

K

CALORE LATENTE DI FUSIONE (kJ/kg)

Acqua

0

273

334

Alcool

114

159

104

961

1234

111

Azoto

210

63

25,5

Ferro

1536

1809

246

Mercurio

39

234

11,8

Oro

1063

1336

63

328

601

23

Rame

1083

1356

205

Zolfo

119

392

54

Argento

Piombo

ESEMPIO f Quanta energia riceve dall’ambiente 1,0 kg d’acqua per passare dallo stato solido a 18 °C allo stato liquido a 20 °C? SOLUZIONE Le variazioni di temperatura da 18 °C a 0 °C e da 0 °C a 20 °C, espresse in kelvin, sono rispettivamente: ΔTg  18 K ΔTa  20 K Per scaldare il ghiaccio da 18 °C a 0 °C è necessaria una quantità di energia:

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I PASSAGGI DI STATO

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ΔE1  cg mΔT  1,0 kg × 2040 J/kg ⋅ K × 18 K  3,7 × 104 J Per fondere interamente 1 kg di ghiaccio è necessaria una quantità di energia pari al calore latente di fusione, cioè: ΔE2  λf m  1 kg × 334 × 103 J/kg  3,34 × 105 J Infine, la quantità di energia che innalza la temperatura dell’acqua da 0 °C a 20 °C è: ΔE3  ca mΔT  1,0 kg × 4186 J/kg ⋅ K × 20 K  8,4 × 104 J L’energia complessiva è dunque: ΔE1  ΔE2  ΔE3  3,7 × 104 J  3,34 × 105 J  8,4 × 104 J   4,6 × 105 J DOMANDA Qual è la quantità di energia necessaria a far compiere lo stesso processo a una quantità doppia di acqua?

La solidificazione Il processo inverso a quello appena descritto, cioè il passaggio dallo stato liquido allo stato solido, è detto solidificazione. Esso avviene con modalità analoghe, ma invertite, rispetto alla fusione. Se, per esempio, immaginiamo di voler solidificare una certa quantità d’acqua, dobbiamo sottrarle energia fino alla temperatura di solidificazione, identica alla temperatura di fusione, e continuare a sottrarre energia a temperatura costante, fino a che tutta la sostanza non si è solidificata. Continuando a sottrarre energia il solido si raffredda. Immaginando di raffreddare una quantità d’acqua da 20 °C a 18 °C, passando per il processo di solidificazione, disegniamo l’andamento della temperatura in funzione del tempo in cui essa è in contatto termico con una sorgente fredda (figura 12). T (K)

Figura 12. Se la pressione è costante la solidificazione avviene sempre alla stessa temperatura, che resta costante durante tutto il processo. In questo diagramma le temperature sono espresse in kelvin.

293 temperatura di solidificazione 273 dell’acqua 255

acqua

ghiaccio + acqua

ghiaccio t

Il passaggio dallo stato liquido allo stato solido è detto solidificazione e, fissata la pressione, si svolge sempre alla stessa temperatura di solidificazione (uguale a quella di fusione), che resta costante durante tutto il processo.

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I PASSAGGI DI STATO

Durante la trasformazione dallo stato liquido allo stato solido l’acqua perde energia cedendola all’ambiente: la configurazione in cui le molecole sono costrette dalle reciproche interazioni a mantenersi intorno a posizioni fisse corrisponde dunque a una situazione a cui è associata un’energia interna minore. La differenza è proprio uguale in quantità all’energia necessaria a indebolire la coesione, per cui il cosiddetto calore latente di solidificazione, ceduto all’ambiente durante il passaggio di stato, è quantitativamente uguale a quello di fusione e di segno opposto: λs  λf ΔEs  λf m

(3.2)

Come nel passaggio inverso, se tale energia è scambiata per mezzo di una differenza di temperatura, cioè con il contatto termico tra la sostanza e un corpo freddo, si usa la formula: Qs  λf m

ESEMPIO f Quanta energia è ceduta all’ambiente da 1,0 kg di piombo che solidifica alla temperatura di 601 K? SOLUZIONE La variazione di energia dell’ambiente ΔEamb è uguale e opposta a quella del piombo ΔEPb: ΔEamb  ΔEPb dove, consultando la tabella 2: ΔEpb  λfPb m  1,0 kg × 23 × 103 J/kg  2,3 × 104 J ΔEamb  2,3 × 104 J cioè l’ambiente incrementa la sua energia e si scalda. DOMANDA Di quanto si scalda 1,0 kg d’aria in seguito alla solidificazione di 1,0 kg di piombo?

4

VAPORIZZAZIONE E CONDENSAZIONE

In analogia con i passaggi studiati nel paragrafo precedente, anche per la vaporizzazione (passaggio liquido-vapore) e la condensazione (passaggio vapore-liquido) a pressione costante esiste un valore della temperatura per il quale la coesione tra le particelle microscopiche è soggetta a un brusco cambiamento. Tuttavia una sostanza coesiste negli stati liquido e di vapore anche al di sotto di tale valore. Prima ancora di entrare nella questione, osserviamo che, anche se l’acqua va in ebollizione a 100 °C, nell’aria è presente il vapor d’acqua, nonostante la sua temperatura sia decisamente più bassa.

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I PASSAGGI DI STATO

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Le particelle dei liquidi e degli aeriformi hanno una certa libertà di movimento e può capitare che, nel loro perpetuo agitarsi, entrino in collisione. Gli urti sono responsabili di trasferimenti di energia e ciò rende meno «netta» la superficie di separazione tra i due stati. Per esempio, se una certa particella di liquido si trova a confinare con l’aeriforme con un’energia cinetica sufficientemente elevata, può vincere la coesione ed effettuare la transizione anche se le altre sono più lente, cioè anche se il liquido non ha raggiunto la temperatura associata al passaggio di stato. In tal caso la vaporizzazione è detta evaporazione (figura 13). L’evaporazione è il passaggio dallo stato liquido allo stato aeriforme che avviene a qualsiasi temperatura, non necessariamente costante. Viceversa, può accadere che una particella di aeriforme si trovi ad avere un’energia sufficientemente bassa da favorire la coesione con una vicina, anche se le altre sono più veloci, cioè se la sostanza ha una temperatura superiore a quella associata al passaggio di stato (figura 14).

a

b

c

ESEMPIO f Perché quando ci bagniamo una mano con l’alcool avvertiamo una sensazione di freddo? SOLUZIONE L’alcool è una sostanza volatile, la cui evaporazione avviene molto facilmente e che quindi molto facilmente passa dallo stato liquido allo stato aeriforme. Nell’evaporazione sono coinvolte solo le molecole più veloci, cioè quelle che hanno un’energia sufficiente a vincere la coesione con il liquido: a quest’ultimo viene pertanto sottratta energia e, dal punto di vista macroscopico, la sua temperatura si abbassa. L’evaporazione dell’alcool provoca dunque una sottrazione di energia alla nostra pelle, che ci fa avvertire una sensazione di freddo.

Figura 13. L’evaporazione è il processo per il quale i panni lasciati all’aria si asciugano.

Figura 14. a. Alcune particelle della superficie libera del liquido possono avere un’energia sufficientemente alta da vincere la coesione e passare allo stato aeriforme. b. Alcune particelle dell’aeriforme possono avere un’energia troppo bassa e vengono «catturate» dalle vicine passando allo stato liquido. c. Il vapore è saturo quando, nello stesso intervallo di tempo, il numero di particelle che compie un passaggio è uguale al numero di particelle che compie il passaggio inverso.

DOMANDA Le sostanze evaporano tutte con la stessa rapidità? Trova almeno un esempio di sostanza volatile e uno di sostanza non volatile.

L’evaporazione e il vapore saturo Immaginiamo di porre una certa quantità di acqua liquida in un recipiente sigillato e vuoto, cioè senza che nello spazio sovrastante ci sia aria. Per il

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I PASSAGGI DI STATO

processo sopra descritto, alcune molecole «sfuggono» dal liquido e cominciano a muoversi nello spazio libero del recipiente. All’inizio pochissime di queste sono soggette a urti e a perdita di energia, per cui il liquido continua a evaporare rapidamente. Dopo un po’, però, l’evaporazione rallenta, perché lo spazio comincia a riempirsi e gli urti si fanno più probabili, per cui un numero sempre maggiore di molecole torna allo stato liquido. A un certo punto si viene a creare una situazione di cosiddetto equilibrio dinamico, nel quale statisticamente il numero di particelle che compie un passaggio è uguale al numero di particelle che compie il passaggio opposto, nello stesso intervallo di tempo. Dal punto di vista macroscopico sembra che l’evaporazione si sia arrestata: il volume del liquido è costante e la pressione del vapore è costante. Si dice che in tale situazione il vapore è saturo, cioè non più in grado di ricevere molecole senza restituirne in ugual misura al liquido. La pressione è detta pressione di vapore saturo e il suo valore aumenta rapidamente all’aumentare della temperatura. La pressione di vapore saturo a una data temperatura è la pressione che si misura in un aeriforme che si trova in equilibrio dinamico con il liquido, cioè: quando la porzione di materia che evapora è statisticamente uguale alla porzione di materia che condensa.

L’ebollizione Se la temperatura di un liquido in equilibrio con il suo vapore aumenta, aumenta anche il valore della pressione di vapore saturo corrispondente; infatti un numero maggiore di particelle ha energia sufficiente per passare allo stato di vapore. Se il liquido è in contatto con l’aria, anziché in un recipiente sigillato, questo fatto spiega il fenomeno dell’ebollizione, cioè del passaggio dallo stato liquido allo stato aeriforme a temperatura fissata e costante. Il termine deriva dal fatto che all’interno del liquido si formano bolle di gas nelle quali la pressione è pari alla pressione esterna e che, essendo sufficientemente grandi, risalgono il liquido per la spinta di Archimede. Se scaldiamo una pentola piena d’acqua in contatto con l’aria, la pressione di vapore saturo non può aumentare indefinitamente, ma solo fino a quando non raggiunge lo stesso valore della pressione dell’aria circostante. Quando ciò si verifica il liquido inizia a bollire: l’energia cinetica delle particelle è tale che tutte sono coinvolte nel processo di vaporizzazione e non solo quelle che, in prossimità della superficie, si trovano statisticamente nelle condizioni energetiche favorevoli. L’ebollizione è il passaggio dallo stato liquido allo stato aeriforme che si svolge alla temperatura di ebollizione, costante durante il processo, e in cui la pressione di vapore saturo uguaglia la pressione esterna. Quando la pressione esterna cambia, la temperatura di ebollizione cambia in modo molto evidente (figura 15). In tabella 3 sono riportate le caratteristiche dei due meccanismi attraverso i quali si può verificare la vaporizzazione.

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I PASSAGGI DI STATO

3

VAPORIZZAZIONE: PASSAGGIO TRA LO STATO LIQUIDO E LO STATO AERIFORME

Evaporazione

avviene a qualsiasi temperatura

Ebollizione

avviene alla temperatura per la quale la pressione di vapore saturo uguaglia la pressione esterna

è coinvolta solo la superficie del liquido

evaporano dalla superficie solo le particelle che hanno energia sufficiente a superare la coesione

è coinvolto tutto il liquido

la temperatura è tale che tutte le particelle hanno energia sufficiente a superare la coesione

Tabella 3. La vaporizzazione può avvenire per evaporazione o per ebollizione.

P  P0 P0

a

c

b

Il calore latente di vaporizzazione Anche i passaggi tra stato liquido e stato aeriforme coinvolgono quantità di energia: in particolare, durante la vaporizzazione essa è sottratta all’ambiente e assorbita dalla sostanza, durante la condensazione è rilasciata nell’ambiente a spese della sostanza. Allo stato liquido è dunque associata un’energia interna inferiore a quella dello stato aeriforme e la differenza è proprio uguale all’energia coinvolta nel cambiamento di stato. Il calore latente di vaporizzazione λv di una sostanza è equivalente alla quantità di energia necessaria a far passare dallo stato liquido allo stato aeriforme 1 kg di tale sostanza, a temperatura costante. Durante la vaporizzazione (evaporazione o ebollizione) un corpo di massa m assorbe dall’ambiente una quantità energia pari a: ΔEv  λvm

(3.3)

Figura 15. La temperatura di ebollizione dipende dalla pressione dell’aria sovrastante il liquido. a. Al livello del mare, dove la pressione atmosferica è maggiore, l’acqua bolle a temperatura maggiore. b. In montagna, dove la pressione atmosferica è minore, l’acqua bolle a temperatura minore. c. In una pentola a pressione la cottura avviene a temperature superiori ai 100 °C. La pressione dell’aria che sovrasta l’acqua aumenta; con essa aumenta il valore della pressione di vapore saturo e di conseguenza la temperatura di ebollizione. La valvola impedisce alla pressione di aumentare indefinitamente e regola pertanto la temperatura massima.

Durante la condensazione un corpo di massa m rilascia nell’ambiente una quantità energia pari a: ΔEc  λvm

(3.4)

Anche in questi casi, se l’energia è scambiata per mezzo del calore, cioè se il passaggio avviene a causa di una differenza di temperatura con un altro corpo, si usano le formule: Qv λvm Qc  λvm

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3

I PASSAGGI DI STATO

In tabella 4 sono riportati la temperatura di ebollizione e il calore latente di vaporizzazione relativi ad alcune sostanze.

°C

K

CALORE LATENTE DI VAPORIZZAZIONE (kJ/kg)

Acqua

100

373

2258

Alcool

78

351

854

Argento

2193

2466

2336

Azoto

196

77

201

Elio

269

4

21

Idrogeno

253

20

452

Mercurio

357

630

294

Ossigeno

183

90

213

Piombo

1750

2023

871

Zolfo

445

718

327

TEMPERATURA DI EBOLLIZIONE SOSTANZA Tabella 4. Temperatura di ebollizione e calore latente di vaporizzazione a 1,01 × 105 Pa (1 atm) di alcune sostanze.

ESEMPIO f Quanta energia occorre per portare 1,0 kg di acqua liquida dalla temperatura di 20 °C fino allo stato di vapore a 100 °C? SOLUZIONE Per scaldare l’acqua liquida da 20 °C alla temperatura di ebollizione di 100 °C, cioè per una differenza di temperatura di 100 °C  20 °C  80 °C equivalenti a 80 K, è necessaria una quantità di energia pari a: ΔE1  mca ΔT  1,0 kg × 4186 J/kg ⋅ K × 80 K  3,3 × 105 J Quando l’acqua ha raggiunto la temperatura di ebollizione, un ulteriore assorbimento di energia causa il suo passaggio allo stato di vapore. L’intera massa vaporizza per una quantità di energia pari a (vedi formula (3.3)): ΔE2 λvm  1,0 kg × 2258 × 103 J/kg  2,3 × 106 J L’energia complessiva è dunque: ΔE1  ΔE2  3,3 × 105 J  2,3 × 106 J  2,6 × 106 J DOMANDA Quanta energia è sottratta all’ambiente quando 1,0 kg d’acqua evapora completamente alla temperatura di 20 °C?

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I PASSAGGI DI STATO

SUBLIMAZIONE E BRINAMENTO

In particolari condizioni di pressione e temperatura una sostanza può passare direttamente dallo stato solido a quello aeriforme e viceversa, senza passare per lo stato liquido (figura 16). È ciò che accade, per esempio, alle palline di naftalina che si usano per impedire che le tarme rovinino i tessuti: per sublimazione esse riducono il loro volume emettendo vapori dall’odore pungente: la sensazione odorosa è infatti dovuta alla presenza, nell’aria, delle particelle di naftalina che stimolano i nostri ricettori. Le sostanze che hanno una tendenza più spiccata a sublimare hanno un odore forte, come lo iodio, la canfora, lo zolfo. Come l’evaporazione, anche la sublimazione avviene a qualsiasi temperatura, perché statisticamente può accadere che una particella vicino alla superficie del solido abbia energia sufficiente per passare allo stato aeriforme. Solo per alcune sostanze, però, la sublimazione è tanto rilevante da ridurre in modo evidente il volume. Il processo inverso è detto brinamento e si ha quando un aeriforme passa direttamente allo stato solido. Il termine richiama un fenomeno molto comune nelle notti invernali: quando la temperatura è inferiore a 0 °C e il vapore acqueo si trova in una condizione di saturazione, a contatto con superfici fredde passa direttamente allo stato solido e forma la brina (figura 17).

Joel Shawn / Shutterstock

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Figura 16. L’anidride carbonica solida, detta anche ghiaccio secco, sublima a pressione atmosferica generando un vapore bianco usato spesso per effetti scenografici.

Figura 17. a. Il vapore acqueo passa allo stato solido sulle superfici fredde formando leggerissimi cristalli di ghiaccio, detti brina. b. A differenza della brina, la galaverna si forma per condensazione di piccole goccioline liquide di nebbia. I suoi cristalli sono più grandi e pesanti della brina. c. I vapori di zolfo che escono ad alta temperatura da una solfatara si raffreddano a contatto con superfici a temperatura inferiore passando allo stato solido.

c

Markus Gann / Shutterstock

a

James Shook

Nuvola / Shutterstock

b

Quando la pressione è inferiore a un certo valore, diverso per ogni sostanza, sublimazione e brinamento avvengono a temperatura fissata e costante, come accade per gli altri passaggi. Tuttavia la maggioranza delle sostanze si trova lontano da tali condizioni, quando la pressione e la temperatura sono quelle ordinarie.

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I PASSAGGI DI STATO

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LA DIPENDENZA DALLA PRESSIONE

Per studiare i passaggi di stato, finora abbiamo immaginato di mantenere costante la pressione e di far variare la temperatura. Abbiamo tuttavia Gli stati osservato che la pressione di vapore saturo, che si misura quando un della materia liquido è in equilibrio con il suo vapore, non può superare la pressione esterna, ponendo così una condizione sulla temperatura di ebollizione. (PhET, University of Colorado) La pressione è effettivamente un parametro importante in tutti i passaggi di stato: immaginando di mantenere costante la temperatura, è possibile far passare una sostanza da uno stato all’altro aumentando o diminuendo la pressione. Nell’esperienza di tutti i giorni non è semplice rendersene conto, perché viviamo costantemente immersi in un’atmosfera che ha una pressione pressoché costante, e per osservare il comportamento della materia in altre condizioni dobbiamo costruire apparecchiature sperimentali ad hoc. Piuttosto che descrivere un possibile esperimento, però, qui preferiamo passare direttamente al suo risultato formale, attraverso un’efficace rappresentazione grafica detta diagramma di fase. In figura 18 è illustrato un tipico diagramma di fase, che in questo caso può essere anche detto diagramma di stato in quanto vi p sono rappresentati gli stati solido, liquido e aeriforme di linee dei passaggi una sostanza al variare della pressione (asse verticale) e di stato della temperatura assoluta (asse orizzontale). Ogni punto del diagramma rappresenta una coppia di punto liquido valori, quello della pressione e quello della temperatura: critico solido s nell’area colorata in verde ci sono i valori per i quali la punto sostanza si trova allo stato solido; triplo s nell’area colorata in blu ci sono i valori per i quali la aeriforme sostanza si trova allo stato liquido; vapore gas s nell’area colorata in giallo ci sono i valori per i quali la T sostanza si trova allo stato aeriforme. Figura 18. Il tipico diagramma I valori di pressione e temperatura nei punti che costituiscono le linee rosse di stato di una sostanza sono quelli per i quali i due stati adiacenti coesistono all’equilibrio: si parla assomiglia a questo: ciascun punto del piano rappresenta dunque di linee dei passaggi di stato. Tali linee si incontrano a loro volta una coppia di valori, quello in un punto nel quale risultano coesistere all’equilibrio tutti e tre gli stati, della pressione e quello della detto perciò punto triplo: esso determina il valore della pressione e il vatemperatura, in corrispondenza lore della temperatura per i quali la sostanza si trova in una condizione di dei quali la sostanza si trova allo stato solido (zona verde), equilibrio dinamico fra stato solido, liquido e aeriforme. Il punto critico è liquido (zona blu) o aeriforme invece quello che delimita l’esistenza dello stato liquido: per temperature (zona gialla). superiori alla cosiddetta temperatura critica la sostanza si trova nello stato aeriforme di gas, per temperature inferiori è invece detta vapore. SIMULAZIONE

Passaggi di stato a pressione costante Quando facciamo variare la temperatura a pressione costante, ci muoviamo sul diagramma lungo una retta orizzontale che può intersecare le linee dei passaggi di stato. Per esempio, nel diagramma di stato dell’acqua la pressione atmosferica è rappresentata da una retta orizzontale che interseca le linee in corrispondenza dei valori di temperatura di fusione e di ebollizione

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I PASSAGGI DI STATO

(in gradi centigradi 0 °C e 100 °C). Se cambia il valore della pressione la retta scorre lungo la verticale intersecando le linee dei passaggi di stato in punti diversi. Ad esempio sul Monte Bianco, a 4810 m, dove la pressione atmosferica è inferiore a 600 hPa (figura 19), l’acqua bolle a circa 80 °C, ma continua a gelare intorno a 0 °C, in quanto in condizioni reali la linea del passaggio di stato solido-liquido è praticamente verticale, quindi le variazioni di pressione influenzano di poco la temperatura del passaggio di stato (figura 20).

p (hPa) 100 500 250 125

p (105 Pa) punto Tc  647 K critico p  22 106 Pa c

1,013

Se facciamo aumentare o diminuire la pressione a temperatura costante, sul diagramma ci muoviamo lungo rette parallele all’asse p (figura 21). Cominciamo da una situazione di temperatura decisamente inferiore rispetto a quella del punto triplo (A), per la quale il passaggio avviene tra vapore e solido. Aumentando la pressione a temperatura costante (per esempio comprimendo il vapore sopra il ghiaccio, in contatto termico con un corpo freddo a elevata capacità termica) a un certo punto il vapore inizia a brinare: durante il passaggio di stato la pressione resta costante fino a che tutta l’acqua non è diventata solida. Se la temperatura è invece superiore al valore del punto triplo (B) il passaggio per aumento della pressione avviene tra aeriforme e liquido. Fino a quando il vapore non è diventato tutto acqua liquida la pressione resta costante. Ovviamente valgono le stesse considerazioni per i passaggi inversi, al diminuire della pressione. In generale, quindi

11,0

16,5 h (km)

Figura 19. Andamento della pressione atmosferica in funzione dell’altezza: la pressione atmosferica diminuisce all’aumentare della quota.

Figura 20. Alla pressione atmosferica abbiamo: ghiaccio al di sotto di 273 K; acqua liquida da 273 K a 373 K; vapore acqueo per temperature superiori.

373,15

Passaggi di stato a temperatura costante

5,5

patm

punto TT  273,16 K triplo p  6,1 102 Pa T

273,15

0

T (K)

p

A

B

T

Figura 21. Passaggi di stato al variare della pressione: dallo stato di vapore allo stato solido (A) e dallo stato di vapore allo stato liquido (B). La pressione aumenta quando il volume del vapore nel cilindro diminuisce a temperatura costante. La variazione di energia del sistema, responsabile del passaggio di stato, dipende dal lavoro di compressione del pistone.

durante un passaggio di stato la pressione e la temperatura restano costanti.

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I PASSAGGI DI STATO

Un’anomalia dell’acqua p

C

patm

273 Figura 22. Il ghiaccio si scioglie anche per compressione, a differenza della maggior parte delle altre sostanze.

Il diagramma di stato dell’acqua rivela un’anomalia del comportamento dell’acqua rispetto alla maggioranza delle sostanze: la pendenza della linea del passaggio tra stato solido e stato liquido ha la pendenza invertita rispetto alle altre, rappresentate solitamente da un diagramma come quello di figura 18. Questo significa che, a differenza delle altre sostanze, il ghiaccio può essere liquefatto comprimendolo. Se amplifichiamo la pendenza della linea solido-liquido, vediamo che, fissando una temperatura inferiore a 0 °C, un aumento della pressione causa a un certo punto il passaggio allo stato liquido. La trasformazione è quella T (K) individuata dalla retta C nel diagramma in figura 22. Il 2% circa dell’acqua presente sulla Terra si trova allo stato solido, nei ghiacciai e nelle calotte polari: un volume pari a circa 25 milioni di metri cubi, che si muove sotto l’azione del proprio stesso peso. L’elevata pressione esercitata dalla massa di un ghiacciaio sugli strati adiacenti alla roccia ne provoca un parziale scioglimento e uno scivolamento verso il basso, che leviga le rocce scavando valli (figura 23).

Günter Seggebäing

Figura 23. L’elevata pressione sulle rocce sottostanti scioglie parzialmente il ghiaccio e favorisce lo scivolamento verso il basso delle masse ghiacciate. I ramponi non scivolano sul ghiaccio, perché la pressione delle punte favorisce la liquefazione e l’acqua liquida rigela intorno ad esse, bloccando i movimenti trasversali.

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LEGGERE I FENOMENI TERMICI

Facciamo qualche passo indietro e proviamo, alla luce di quanto appreso finora, a spiegare le sensazioni di caldo e di freddo che abbiamo definito ingannevoli all’inizio di questo volume. Innanzitutto dobbiamo premettere che «sentire caldo» o «sentire freddo» sono percezioni soggettive, che rispondono a stimoli esterni in relazione alla nostra temperatura corporea. Il corpo umano ha una temperatura piuttosto stabile, generalmente intorno ai 37 °C, mantenuta costante da un complesso meccanismo di termoregolazione naturale. Quando l’aria è fredda bruciamo le nostre riserve ener-

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I PASSAGGI DI STATO

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getiche per ristabilire la temperatura, che altrimenti si abbasserebbe per raggiungere l’equilibrio termico con l’ambiente. Gli abiti non scaldano, ma hanno la funzione di isolarci dall’esterno limitando gli scambi termici: non solo il materiale deve essere cattivo conduttore di calore, ma una copertura a strati aumenta l’isolamento interponendo aria tra un capo e l’altro. Gli animali che vivono nei climi freddi hanno una folta pelliccia che forma uno strato d’aria privo di moti convettivi intorno al corpo, limitando dunque le perdite di energia verso l’esterno. Quando l’aria è calda il corpo si difende da un possibile surriscaldamento attraverso l’evaporazione. L’acqua evapora dai pori della pelle, disperdendo energia come calore latente. Se, oltre che calda, l’aria è anche ricca di vapore acqueo, l’evaporazione è meno efficace e sulla pelle si formano gocce di liquido (il sudore): il malessere avvertito nelle giornate afose è il sintomo di una difficoltà di termoregolazione dovuta a una dispersione poco efficace di energia per evaporazione. Nei climi molto secchi e molto caldi l’evaporazione è invece fin troppo efficace, e si corre il rischio di disidratazione, per cui può essere utile, oltre che bere molto, anche coprirsi per limitare le perdite di liquidi (figura 24).

Figura 24. La pelliccia degli animali serve a isolare il corpo dall’esterno più freddo. Gli abiti dei beduini hanno la duplice funzione di isolarli dalle estreme temperature esterne e di limitare l’evaporazione.

Oggetti caldi e oggetti freddi Perché quando tocchiamo un oggetto di legno e un oggetto di metallo, entrambi in equilibrio termico con l’ambiente alla stessa temperatura, li percepiamo rispettivamente uno più caldo e uno più freddo? Le nostre sensazioni dipendono da quanta energia ci viene sottratta nell’unità di tempo, cioè da quanto l’oggetto toccato sia un buon conduttore. Quando teniamo a lungo una mano su un oggetto freddo può accadere che disperda più energia di quanta non ne giunga dal resto del corpo e che, quindi, la mano si trovi per un intervallo di tempo a una temperatura inferiore a quella ordinaria. Analogamente, accade che una mano che sia stata a lungo in contatto con un oggetto caldo risulti temporaneamente più calda del solito. Questo spiega grosso modo il motivo per cui, nell’esperimento dei catini descritto nel capitolo 1 (figura 2), l’acqua tiepida dia sensazioni contrastanti alle mani provenienti da ambienti a diversa temperatura: la mano più fredda riceve energia dall’acqua tiepida e «sente caldo», la mano più calda cede energia all’acqua tiepida e «sente freddo». Con argomenti dello stesso tipo possiamo spiegare il motivo per cui, quando ci immergiamo a lungo in una vasca in cui l’acqua è a temperatura superiore a quella corporea, uscendo non sentiamo freddo nemmeno se la temperatura esterna è sotto zero.

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I PASSAGGI DI STATO

LETTERATURA Quando la pressione è bassa E per questo piano si va bene per dodici giornate sanza abitazione, né non si truova che mangiare, se altri no’ lo vi porta. Niuno uccello non vi vola, per l’alto luogo e freddo; e’ fuoco non v’à il calore ch’egli hae in altre parti, né non è così cocente colà suso. (Marco Polo, Il Milione. Versione trecentesca dell’“ottimo”, Einaudi, Torino 1954)

J. McDowell

Shewa Valley, Badakhshan del Nord (Afghanistan). L’altopiano del Pamir, attraversato da Marco Polo durante il suo lungo viaggio verso l’Oriente.

Marco Polo ci racconta dell’altopiano del Pamir, attraversato durante il suo viaggio verso l’Oriente. La regione, il cui territorio è diviso fra gli attuali Tagikistan e Afghanistan, presenta altitudini intorno ai 4000 metri: l’aria è così rarefatta e povera di ossigeno che il fuoco arde male e la pressione è così bassa che rende critica la cottura dei cibi. Attentissimo osservatore e uomo curioso, il viaggiatore veneziano osserva anche i minimi particolari e riferisce ai suoi contemporanei le esperienze vissute in 24 anni di Oriente, tra culture e usanze diverse. Descrive animali esotici, leggende ascoltate, curiosità e ambienti estremi, come appunto quello a cui si riferisce in questi passaggi, caratterizzato da un’altitudine elevatissima, al limite della possibilità di vita.

La pressione alle alte quote dell’altopiano del Pamir è di circa 0,6 atm, perciò la quantità di ossigeno scende del 40%: la combustione è dunque meno efficiente e le stesse fiamme hanno un aspetto diverso, come leggiamo nelle pagine del Milione. La combustione è infatti una reazione chimica che ha come protagonista l’ossigeno, e diventa meno efficace dove questo gas è meno abbondante. Al punto che, per risolvere il problema dei rifiuti delle spedizioni alpinistiche d’alta quota, il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) ha progettato un apposito inceneritore componibile, da montare in sito, dotato di particolari accorgimenti per facilitare la combustione altrimenti problematica sia per la carenza di ossigeno sia per l’assenza di L’inceneritore portatile è stato alimentazione elettrica.

EvK2CNR

Bruciare ad alta quota

ché – come sappiamo – la temperatura di ebollizione dell’acqua diminuisce al diminuire della pressione e, quindi, all’aumentare della quota. Alle altitudini dell’altopiano del Pamir l’acqua bolle a circa 85 °C e non riesce a raggiungere la temperatura di circa 100 °C, alla quale siamo abituati alle nostre altitudini, generando le difficoltà di preparazione del cibo lamentate da Marco Polo.

La cottura dei cibi ad alta quota è influenzata dalla differente temperatura di ebollizione dell’acqua.

DOMANDA Alle pressioni dell’altopiano del Pamir ci aspettiamo che il ghiaccio fonda a una temperatura maggiore o minore di 0 °C? Rispondi in 5 righe analizzando il diagramma di stato dell’acqua.

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Maksym Gorpenyuk / Shutterstock

progettato nei laboratori d’alta quota del Comitato Ev-K2-CNR, impegnato Cucinare ad alta quota in progetti di ricerca multidisciplinari Marco Polo ci riferisce che nella regione attraversata è difficile cuocere i cibi per lo sviluppo sostenibile delle aree montane e per la salvaguardia degli come in qualsiasi altro posto: un po’ perché il fuoco non arde bene, un po’ perecosistemi fragili d’alta quota.

I PASSAGGI DI STATO

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CHIMICA

Il cosiddetto scaldamani a soluzione supersatura è un’utile applicazione del calore latente ceduto da una sostanza durante la sua solidificazione. Si tratta di un sacchetto di plastica riempito con una soluzione di acqua e acetato di sodio che a temperatura ambiente si presenta allo stato liquido. Nel sacchetto, sigillato, è in genere presente una placchetta metallica a superficie curva che, quando viene premuta, cambia convessità con uno scatto. Tale scatto provoca un repentino movimento delle molecole del fluido e innesca la transizione: il fluido inizia a solidificarsi cristallizzando e cede calore latente per Uno scaldamani a soluzione tutta la durata del processo, che in genere dura una ventina di minuti. supersatura sfrutta la proprietà della materia di rilasciare energia durante il processo di cristallizzazione.

Si dice soprasatura (o supersatura) una soluzione in cui il soluto è disciolto nel solvente con una concentrazione superiore a quella che di solito è consentita come massima possibile, cioè oltre la quale il soluto non si scioglie più nel solvente. Per esempio, se sciogliamo del sale da cucina in acqua osserviamo che oltre una certa concentrazione ciò non è più possibile, e nella soluzione,ormai satura, possiamo continuare a distinguere i granelli solidi. È possibile tuttavia, con determinati accorgimenti, sciogliere ancora sale nella soluzione satura e ottenere dunque una soluzione soprasatura, cioè con concentrazioni che vanno oltre il valore si saturazione. In condizioni di Con una soluzione soprasatura di acqua soprasaturazione basta una piccola perturbazione all’interno della e zucchero, ottenuta semplicemente soluzione per innescare il processo di cristallizzazione del soluto. raffreddando una soluzione satura di acqua

Soluzione soprafusa

Karl Allgaeuer / Shutterstock

Soluzione soprasatura

Helios

Calore latente tascabile

calda e zucchero, si possono realizzare cristalli decorativi e commestibili.

Douglas Knisely

La soluzione di acetato di sodio degli scaldamani, oltre a essere soprasatura, è anche soprafusa. Un liquido soprafuso è allo stato liquido anche al di sotto della temperatura di solidificazione alle condizioni di pressione in cui si trova. Può accadere, per esempio, all’acqua. Se mettiamo dell’acqua in un congelatore è possibile che essa resti liquida anche al di sotto della temperatura di 0 °C: basta però una rapida scossa al contenitore o un urto sulle pareti che l’acqua solidifica in ghiaccio sotto i nostri occhi. La soluzione di acetato di sodio degli scaldamani riesce a rimanere soprafusa alle temperature ordinarie, nonostante la sua temperatura di solidificazione alla pressione ordinaria sia 54 °C. Essa è dunque molto stabile, ma è sufficiente la piccola scossa generata dalla placchetta per innescare la cristallizzazione, con conseguente rilascio di energia. Lo scaldamani si porta rapidamente alla temperatura di 54 °C, la quale resta costante per tutta la durata del processo.

Un processo reversibile Una volta cristallizzato l’acetato di sodio si riporta all’equilibrio termico con l’ambiente, ma basta inserirlo in acqua calda per riportarlo nuovamente allo stato liquido. La soluzione recupera dunque il calore latente ceduto in precedenza, pronta a restituirlo in un nuovo processo di cristallizzazione. Se si fa attenzione a sciogliere anche il più piccolo cristallo, ciò avviene solo in seguito a un urto o al brusco movimento della placchetta.

Quando acqua soprafusa cade in forma di pioggia, gela al contatto con piante e oggetti, avvolgendoli in uno spesso strato di ghiaccio. Questo fenomeno è detto gelicidio.

DOMANDA Qual è la temperatura minima che deve avere l’acqua calda in cui immergere uno scaldamani affinché i cristalli di acetato di sodio fondano?

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I PASSAGGI DI STATO

CON GLI OCCHI DI UN FISICO Raffreddare Il ghiaccio nell’antichità

Produrre il ghiaccio

Anticamente il ghiaccio era un bene di lusso: difficile da conservare, perché soggetto a fondere a temperature superiori allo zero. I greci e i romani lo acquistavano al mercato a prezzi elevatissimi: con il ghiaccio rinfrescavano vini, bevande e la stessa acqua che, per questioni igieniche, doveva spesso essere bollita prima di essere consumata. I greci raffreddavano il vino mettendolo in un apposito vaso in terracotta stretto alla base, detto psykter, il quale a sua volta veniva inserito in un secchio pieno di acqua fresca o ghiaccio. Il vino all’interno del vaso si raffreddava per conduzione, cedendo energia al vaso e poi al ghiaccio che lentamente fondeva. Per i romani la neve era addirittura un ingrediente per una cucina raffinata, da mescolare direttamente al cibo, come testimonia il ricettario di Apicio, vissuto tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. In queste antiche usanze si può intravedere un antenato del gelato, quando il ghiaccio veniva mescolato con frutta tritata e miele.

Prima dell’introduzione di tecniche di refrigerazione artificiale, il ghiaccio poteva essere prodotto solo se la temperatura dell’ambiente era sufficientemente bassa. Il ghiaccio allora poteva essere ricavato pressando la neve in appositi ambienti sotterranei o comunque situati in luoghi freschi, detti «neviere». Queste ghiacciaie venivano riempite durante l’inverno e il loro isolamento termico era tale che l’acqua restava ghiacciata anche durante l’estate. Oltre alla neve naturale, raccolta sulle montagne e trasportata a valle, vi si conservava ghiaccio prodotto facendo gelare di volta in volta piccole quantità d’acqua in luoghi particolarmente freddi, così come facciamo oggi nei freezer domestici. Venivano anche creati laghetti artificiali inondando depressioni esposte a nord, o comunque non raggiunte dai raggi del Sole, fino alla formazione di strati ghiacciati che venivano poi raccolti e conservati. Benché si tratti di tecniche antiche delle quali è difficile rintracciare l’origine, è certo che nel Medioevo ebbero una notevole diffusione, al punto che fra le numerose tasse dell’epoca vi si trova anche quella sulla neve. Il ghiaccio era molto usato per la conservazione degli alimenti deteriorabili, accanto alla salatura e all’essiccatura, e a scopi terapeutici nella cura di determinate malattie.

Campana Collection, 1861

Giovanni Dall’Orto

Durante i banchetti gli antichi greci raffreddavano le bevande in appositi vasi detti psykter, che venivano immersi in recipienti pieni di ghiaccio o acqua fredda.

Resti di una neviera medievale a Coriano di Romagna (Riccione).

PAROLA CHIAVE

Calore latente

DOMANDA Di quanto si abbassa la temperatura di un kilogrammo di acqua salata in seguito alla fusione di 50 g di ghiaccio? (Assumi che il calore specifico dell’acqua salata sia pari a 3900 J/kg K.)

PAROLA CHIAVE

Stato di aggregazione

DOMANDA Quali stati di aggregazione riconosci in un gelato?

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I PASSAGGI DI STATO

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DOMANDA Quale legge descrive la proprietà termometrica che ha permesso ai fratelli Mon-

Miscele refrigeranti

Refrigerare a gas

tgolfier di sbalordire il mondo con il loro pallone aerostatico? [parola-chiave associata: proprietà Nel IX secolo gli arabi erano in Sicilia. E in Sicilia Fino alla metà del XIX secolo le tecniche di refrigerazione prec’erano gli ingredienti giusti perché facesse fortuvedevano esclusivamente l’uso del ghiaccio: gli oggetti venina il sorbetto, termine probabilmente derivante vano raffreddati semplicemente per contatto con una miscela dall’arabo sherbeth. C’erano la neve dell’Etna, il di acqua e ghiaccio, la quale assorbiva calore fondendo e scalsale delle saline, frutti succulenti e il clima ideale dandosi. Si poteva quindi raffreddare per un periodo limitaper la crescita della canna da zucchero. Quest’ulto e tutte le migliorie erano concentrate sulla riduzione degli tima forniva l’ingrediente fondamentale, alternascambi termici con l’ambiente, per prolungare l’efficacia della termometriche] tivo all’uso del miele che rende troppo bassa la refrigerazione. temperatura di formazione dei cristalli di ghiacNel 1850 ci fu una svolta: già da tempo gli studi teorici avevacio e impedisce l’addensamento del sorbetto. In no previsto la possibilità di raffreddare mediante l’evaporazioOriente anziché mescolare la frutta direttamente ne ciclica di un gas, ma risale a questa data l’ideazione del pricon miele e ghiaccio, come facevano i romani, la mo frigorifero vero e proprio. L’ingegnere francese Ferdinand mettevano insieme allo zucchero in un recipiente Carré mise a punto in quegli anni una macchina frigorifera ad raffreddato in un bagno ghiacciato e ottenevano assorbimento, con la quale la temperatura veniva abbassata DOMANDA Il volumediretto occupato dasciroppo. un gas inInoltre una trasformazione a pressione costante è direttacosì l’addensamento dello dall’ammoniaca che, nel passaggio dallo stato liquido allo stadivenne noto che, se del sale viene mescolato al to gassoso, assorbiva calore dal sistema. Il ciclo si chiudeva ghiaccio, esso abbassa notevolmente la sua temmediante il ritorno dell’ammoniaca allo stato liquido in soluperatura e fonde più lentamente. zione acquosa, cedendo calore all’ambiente esterno. Ciò si spiega perché aggiungendo il sale all’acqua Negli anni Trenta ai cicli ad assorbimento si aggiunsero i cicli a e al ghiaccio la temperatura di solidificazione della compressione, che ancora oggi troviamo nei frigoriferi domemiscela salata si abbassa, e quindi resta liquida pur stici. Dopo essere evaporato estraendo energia dal sistema, il trovandosi a temperature paritemperatura. o inferiori a 0Spiega °C. Di in 5 gas torna allo questa stato liquido grazie all’azione mente proporzionale alla sua righe perché affermazione non è di un compressocontro il ghiaccio fonde, assorbendo il calore latente re azionato da un motore elettrico, scaricando calore nell’amdi fusione dalla miscela, che a sua volta si raffredda. biente circostante. Allo scopo furono sintetizzati i clorofluoroLentamente, quindi, il ghiaccio si scioglie sottraencarburi (CFC), o freon, il cui uso è attualmente regolamentato do energia al sistema, che raggiunge temperature per legge perché contribuiscono in modo considerevole alla sempre più basse, diventando un refrigerante più diminuzione dell’ozono stratosferico, la cui presenza impediefficace per lo sciroppo di frutta che vi è immerso. sce a radiazioni dannose di raggiungere la superficie. corretta. [parola-chiave associata: temperatura]

Bernhard J. Scheuvens

DOMANDA Il pallone aerostatico dei fratelli Montgolfier è in equilibrio meccanico alla quota di

Chiesa di San Cataldo a Palermo, di epoca normanna, edificata da maestranze miste cristiane e islamiche Gli arabimdominarono Siciliaessa dall’827 introducendo dell’apparatoÈdiverificato Ferdinandl’equilibrio Carré per la refrigerazione ad 250 rispetto allasuolo: nonalsi1091, muove né in verticaleDisegno né in orizzontale. la loro arte, la loro cultura e le loro tradizioni culinarie. assorbimento (illustrazione dal libro L’acqua, di Gaston Tissandier). Tra queste l’uso di alimenti refrigerati che possiamo considerare i primi sorbetti in senso moderno.

PAROLA CHIAVE

Transizione

DOMANDA Individua le transizioni di fase coinvolte nei vari sistemi di refrigerazione illustrati. termico con l’ambiente? Motiva la risposta. [parola-chiave associata: equilibrio termico]

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MAPPA DEI CONCETTI LA MATERIA È FATTA DI PICCOLE PARTICELLE che

SI MUOVONO CONTINUAMENTE

INTERAGISCONO FRA LORO

tendono ad allontanarsi

si attraggono reciprocamente

AGITAZIONE TERMICA

COESIONE

definiscono gli

in base alle interazioni e alla disposizione delle particelle nello spazio

STATI DI AGGREGAZIONE

SOLIDI

LIQUIDI

AERIFORMI

hanno volume e forma definiti

hanno volume definito, ma la forma dipende dal recipiente che li contiene

non hanno né volume né forma definiti, ma tendono a occupare tutto lo spazio a disposizione

le particelle microscopiche occupano posizioni ben definite

le particelle microscopiche possono muoversi le une rispetto alle altre pur rimanendo vicine tra loro

le particelle microscopiche si muovono liberamente

88 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

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I PASSAGGI DI STATO

UN PASSAGGIO DI STATO

È UNA NETTA TRANSIZIONE FRA UNO STATO DI AGGREGAZIONE DELLA MATERIA E UN ALTRO

SOLIDO e ion z a m to bli λ s u en s m ina br

so lid ifi ca zio λ fu ne sio f ne

condensazione λv

AERIFORME

LIQUIDO

vaporizzazione  evaporazione  ebollizione AVVIENE A QUALSIASI TEMPERATURA

AVVIENE A UNA TEMPERATURA FISSATA CHE DIPENDE DALLA PRESSIONE ESTERNA

IL CALORE LATENTE λ

si misura in J/kg

per ogni passaggio di stato è equivalente alla quantità di energia necessaria a 1 kg di sostanza per compiere la transizione a temperatura costante

E  λm

il DIAGRAMMA DI STATO di una sostanza è un grafico in cui sono riportati i valori di pressione e temperatura per i quali avvengono i passaggi di stato punto triplo: valori di pressione e temperatura per i quali c’è equilibrio dinamico tra gli stati solido-liquido-aeriforme punto critico: valori di pressione e temperatura che delimitano l’esistenza dello stato liquido

p acqua punto critico

liquido solido

punto triplo aeriforme T

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20 test (30 minuti)

3 ESERCIZI 1

TEST INTERATTIVI quali alti fino a 10 metri. Sono in corso ricerche per lo studio delle condizioni, ancora attive, che hanno portato alla formazione e all’accrescimento di tali strutture. Quali proprietà microscopiche stanno alla base della simmetria macroscopica dei cristalli?

ATOMI E MOLECOLE

DOMANDE Che cosa è una molecola?

1

2 Il metano è un gas incolore e inodore, la cui molecoCarsten Peter / Speleoresearch&Films

la è formata da un atomo di carbonio (in nero nella figura) e 4 atomi di idrogeno (in bianco nella figura). Il benzene è invece un liquido con un leggero odore e facilmente infiammabile, la cui molecola è formata da 6 atomi di carbonio e 6 atomi di idrogeno. Quale affermazione puoi fare a proposito di atomi e molecole, a partire da queste informazioni? 8 Che cosa è una transizione di fase? 9 In questa foto la graffetta non sta galleggiando

sull’acqua, ma vi è letteralmente appoggiata sopra. Come è possibile? Rispondi in 5 righe. metano (CH4)

benzene (C6H6)

CALCOLI 3 Le dimensioni lineari di un atomo sono dell’ordine

dell’angstrom (simbolo Å), cioè 10–10 m. JJ Harrison

f Quanti atomi in fila uno dietro l’altro occorrono per uguagliare la lunghezza di una matita? [circa 109 atomi]

4 La molecola dell’acqua è formata da un atomo di os-

sigeno e due atomi di idrogeno; la sua massa è circa 3,0 × 10–26 kg. f Quante molecole ci sono in un litro di acqua? f Quanti atomi di idrogeno?

FUSIONE E SOLIDIFICAZIONE

DOMANDE

[3,3 × 10 ; 6,6 × 10 ] 25

3

25

10 Che cosa si intende per calore latente di fusione? 11 «L’energia ceduta all’ambiente durante la solidifica-

2

GLI STATI DI AGGREGAZIONE DELLA MATERIA

DOMANDE

zione di 1 kg di sostanza è pari all’inverso del calore latente di fusione della stessa sostanza». Correggi questa frase, se necessario. 12 Due bicchieri A e B contenenti uguali quantità di

5 Lo stato di aggregazione è una proprietà macrosco-

pica o microscopica della materia? Spiega in 5 righe. 6 In che modo l’agitazione termica e la coesione, che

sono fenomeni microscopici, concorrono agli stati di aggregazione della materia?

ghiaccio vengono messi in due ambienti a diversa temperatura TA > TB. Dopo un po’ si riscontra la situazione illustrata nel disegno: in quale dei due bicchieri l’acqua ha una temperatura maggiore?

7 Nella miniera di Naica, in Messico, dove si estrag-

gono piombo e argento, è stata scoperta di recente una grotta le cui pareti sono completamente ricoperte di immensi cristalli di selenite, alcuni dei

90 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

3

I PASSAGGI DI STATO

vapore acqueo presente nei fumi di scarico. In questo modo il loro rendimento risulta essere superiore a quello delle caldaie tradizionali. In una caldaia a condensazione, per ogni metro cubo di metano bruciato si recupera circa 1,0 kg di condensa.

CALCOLI 13 Quanta energia ci vuole per fondere 50 g di argento

alla temperatura di fusione? (Vedi tabella 2 nel capitolo.) [5,6 × 103 J]

f Quanta energia si ricaverebbe in questo modo dalla combustione di 430 m3 di metano, consumo medio pro capite in Italia nel 2005?

14 In un bicchiere ci sono 120 g di ghiaccio alla tempe-

ratura di 3 °C. Dopo aver assorbito energia pari a 9,0 kJ parte del ghiaccio si fonde. f Quanto ghiaccio è rimasto nel bicchiere?

[9,7 × 108 J]

22 Facendo condensare dei vapori di mercurio si ricava

f Qual è la temperatura dell’acqua liquida?

energia pari a 17 kJ.

(Suggerimento: Il calore specifico del ghiaccio è 2040 J/kg K.)

f Qual è la massa di mercurio che ha effettuato il passaggio di stato?

[95 g; 0 °C]

[58 g]

15 Durante il processo di solidificazione 10 m3 di mag-

ma di densità 2,9 × 103 kg/m3 rilasciano nell’ambiente energia pari a 1,4 × 1010 J. f Qual è il calore latente di fusione del magma? [4,8 × 105 J/kg]

5

SUBLIMAZIONE E BRINAMENTO

DOMANDE 23 In un armadio vengono poste delle palline di naftali-

4

na, le quali sublimano diffondendo vapori di naftalina tra i tessuti. Se l’armadio fosse termicamente isolato, la temperatura interna aumenterebbe o diminuirebbe? Motiva la risposta in 5 righe.

VAPORIZZAZIONE E CONDENSAZIONE

DOMANDE 16 «Una sostanza è solida al di sotto della temperatura

24 Intorno alle bocche della solfatara di Pozzuoli si trova-

no cristalli di zolfo, antimonite, cinabro e solfuro di arsenico, che conferiscono loro il caratteristico colore con sfumature dal giallo al rosso. Tali cristalli sono in continuo accrescimento: perché? Spiega in 5 righe.

di fusione ed è liquida per valori compresi tra la temperatura di fusione e quella di evaporazione». Perché questa affermazione non è corretta? 17 Il meccanismo della traspirazione, per il quale per-

diamo acqua che evapora attraverso i tessuti, contribuisce a mantenere costante la nostra temperatura corporea. Perché? Rispondi in 5 righe. 18 Se l’ambiente esterno è molto caldo e molto umido,

yiftah-s

la traspirazione, che fa in modo che l’acqua contenuta nel nostro corpo evapori attraverso i pori, perde efficacia e noi iniziamo a sudare. Prova a spiegare in 5 righe questo fenomeno. 19 Che cosa c’è dentro le bolle di un liquido in ebolli-

zione?

25 La brina si forma quando la temperatura è al di sotto

di 0 °C, ma non è detto che se la temperatura è al di sotto di 0 °C si formi la brina. Perché?

CALCOLI 20 Quanta energia è assorbita dall’ambiente per far

passare allo stato di vapore 9600 cm3 d’acqua a temperatura costante?

6

LA DIPENDENZA DALLA PRESSIONE

[2,2 × 10 J] 7

21 Le caldaie a condensazione, oltre all’energia liberata

dalla combustione utilizzano anche gran parte dell’energia liberata durante la condensazione del

DOMANDE 26 Confronta il diagramma di stato dell’acqua e quello

dell’anidride carbonica: in che modo è espresso il

91 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

3 ESERCIZI della pressione per il quale l’anidride carbonica condensa?

comportamento anomalo dell’acqua rispetto al passaggio tra lo stato liquido e solido al variare della pressione? p (atm)

H2O

31 Trova sul diagramma di stato dell’anidride carbonica

liquido

punto critico

solido 0,006

punto triplo aeriforme 0,01

p (atm)

7

374 T (°C)

solido

DOMANDE siamo avere freddo anche se fuori è caldo?

(stato supercritico)

liquido

34 Perché quando c’è vento i panni si asciugano più ve-

punto triplo aeriforme 31

33 Perché un pezzo di legno ci sembra più caldo al tat-

to rispetto a un pezzo di metallo alla stessa temperatura?

punto critico

56,6

LEGGERE I FENOMENI TERMICI

32 Perché quando usciamo da un bagno al mare pos-

CO2

5,1

dell’esercizio 26 un intervallo di valori della pressione per il quale la sostanza può trovarsi allo stato solido, liquido o aeriforme, analogamente a quanto accade per l’acqua sulla superficie terrestre.

(stato supercritico)

218

74

f Qual è la temperatura al di sotto della quale l’anidride carbonica non può essere liquida?

locemente? T (°C)

27 Sul diagramma di stato dell’anidride carbonica trac-

cia una retta verticale passante per la temperatura di 0 °C. Che cosa accade scorrendo su tale retta a partire da pressioni prossime a zero verso valori crescenti?

35 Se poniamo su un fornello acceso una pentola chiusa

con un coperchio, l’acqua al suo interno raggiunge più velocemente la temperatura di ebollizione rispetto alla stessa pentola senza il coperchio. Perché? 36 Perché se il ghiaccio ha una temperatura molto bas-

sa può accadere di rimanere «incollati» alla sua superficie se la tocchiamo con le dita?

28 Se una certa sostanza è in una condizione in cui la

pressione e la temperatura hanno valori che, sul relativo diagramma, si trovano sulla linea del passaggio di stato tra liquido e solido, tale sostanza si trova allo stato liquido o allo stato solido?

ESERCIZI DI RIEPILOGO DOMANDE 37 Definisci in 5 righe gli stati di aggregazione della ma-

teria dal punto di vista macroscopico.

CALCOLI 29 Osserva il diagramma di stato dell’anidride carboni-

38 Spiega in 10 righe la seguente figura.

ca (CO2) nell’esercizio 26 e rispondi. f È possibile che l’anidride carbonica si presenti allo stato liquido alla pressione atmosferica di 1 atm (equivalente a 1,01 × 105 Pa)?

A

B

f Quali passaggi possono avvenire alla temperatura di 78,5 °C, al variare della pressione? 30 Ricava le informazioni dal diagramma di stato dell’a-

nidride carbonica nell’esercizio 26 e rispondi. f Alla temperatura di 20 °C esiste un valore

39 In che modo l’agitazione termica e la coesione in un

solido ne determinano l’aspetto macroscopico? Spiegalo in 5 righe.

92 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

3

I PASSAGGI DI STATO 40 Perché nei passaggi di stato si parla di calori «la-

tenti»? 41 In molti frigoriferi domestici l’abbassamento della

temperatura interna è dovuto a evaporazioni e condensazioni cicliche di una sostanza che circola in un opportuno circuito di raffreddamento. Solo in uno dei due fenomeni, tuttavia, la temperatura della sostanza diminuisce, quale? 42 L’acqua che evapora sulla superficie terrestre rag-

giunge la troposfera e condensa nelle nuvole, per poi tornare sulla superficie sotto forma di precipitazioni. In tale ciclo, oltre che di acqua, vi è un trasporto di energia termica dalla superficie alla troposfera: spiega in 5 righe usando il concetto di calore latente. 43 Che differenza c’è tra evaporazione ed ebollizione?

Spiegalo in 10 righe. 44 Osserva il seguente grafico, in cui è mostrato l’anda-

mento della temperatura di una sostanza in funzione del calore scambiato con l’ambiente. Individua nelle varie ripartizioni, I, II, III, IV e V, quale formula sia valida tra Q  cmΔt e Q  λm, specificando di volta in volta di quale calore latente λ si tratti. T

f Quanta energia viene rilasciata nell’ambiente in seguito alla sua completa solidificazione, una volta spenta la fiamma? [2,1 kg; 4,8 × 104 J]

48 Una macina alimentare è raffreddata mediante azo-

to liquido alla temperatura di ebollizione dell’azoto pari a 77 K. Una quantità di azoto assorbe 2,4 × 105 J di energia prodotta per attrito dalle pale e passa allo stato gassoso. f Qual è la quantità di azoto vaporizzato? f Di quanto aumenta la temperatura dell’azoto? (Vedi tabella 4 nel capitolo.) [1,2 kg]

49 In un impianto di recupero dei rottami ferrosi vengo-

no fusi 1,0 × 105 kg di acciaio con calore latente di fusione di circa 2,6 × 105 J/kg. f Quanta energia è necessaria per fondere l’acciaio se la temperatura iniziale dei rottami è 25 °C, il loro calore specifico 450 J/kg K e la temperatura di fusione è 1500 °C? f Qual è la potenza in MW di un forno che impiega 2 h a compiere l’operazione? [9,2 × 1010 J; 13 MW]

50 La quantità di pioggia caduta su una certa regione

Tvaporizz. Tfusione I

II

III

IV

V

Q

45 In relazione all’esercizio 44, in quali stati macroscopi-

ci si presenta la sostanza nei tratti II e IV?

si misura in mm, dove 1 mm di pioggia equivale a una quantità di 1 litro caduta su una superficie di 1 m2. L’Italia ha una superficie di 301 336 km2 e una media delle precipitazioni pari a circa 970 mm all’anno. f Quanta energia viene rilasciata in atmosfera, sotto forma di calore latente, dalla condensazione dell’acqua che precipita sull’Italia in un anno? [6,6 × 1020 J]

PROBLEMI 46 In un contenitore termicamente isolato, in cui vi sono

3,3 litri d’acqua alla temperatura di 25 °C, vengono posti 500 g di ghiaccio alla temperatura di 0 °C. f Quanto ghiaccio si è fuso all’equilibrio? f Qual è la temperatura finale? [11 °C]

47 In un recipiente di pirex posto sulla fiamma di un

becco di Bunsen viene messa una certa quantità di piombo. Dall’istante in cui si raggiunge la temperatura di fusione la fiamma, che ha una potenza di 800 W, impiega 60 s a fondere completamente la sostanza a temperatura costante. f Qual è la massa del piombo?

51 In un bicchiere termicamente isolato, contenente

200 ml di aranciata alla temperatura di 17 °C, vengono messi 4 cubetti di ghiaccio ciascuno alla temperatura di 10 °C. La temperatura di equilibrio dopo la completa fusione del ghiaccio è 3,4 °C. f Qual è la massa di ciascun cubetto di ghiaccio? Si assuma che la capacità termica dell’aranciata sia uguale a quella dell’acqua e quella del ghiaccio sia 2040 J/kg ⋅ K. [8,0 g]

52 In un’afosa giornata estiva il termometro segna

30 °C e l’igrometro ci informa che l’umidità è al 90%. In tali condizioni ci sono circa 29 ml di acqua in ogni metro cubo d’aria.

93 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

3 ESERCIZI f Quanta energia si ricaverebbe dalla condensazione completa dell’acqua contenuta in un appartamento di 200 m3? f Se un deumidificatore riduce l’umidità al 50% disperdendo nell’ambiente l’energia di condensazione pari a 5,8 × 106 J, quanta acqua c’è in un metro cubo di aria in tali condizioni? [1,3 × 107 J; 16 ml]

53 Due recipienti di pirex, che contengono 1,5 kg di am-

moniaca e 1,5 kg di alcool alle rispettive temperature di ebollizione, vengono posti ciascuno su un fornello che eroga una potenza di 1,6 kW. f Quale dei due liquidi evapora completamente per primo? (L’ammoniaca ha un calore latente di vaporizzazione pari a 1,37 × 106 J/kg; vedi tabella 4 nel capitolo.)

VERSO L’UNIVERSITÀ 1

Le molecole che evaporano da una tazza d’acqua a 80 gradi sono quelle che: A

hanno maggiore velocità.

B

hanno minore velocità.

C

risultano più leggere.

D

pesano di più.

E

si sono ionizzate per riscaldamento.

(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia 2008/2009) 2 Quando l’acqua pura bolle a presione costante, con il

passare del tempo la sua temperatura: A

va sempre aumentando.

f Dopo quanto tempo dall’accensione del fornello?

B

va sempre diminuendo.

C

si mantiene costante.

f Qual è la quantità dell’altro liquido rimasta?

D

dipende dal volume del liquido.

f Quanto tempo impiega la sostanza rimanente a passare completamente allo stato aeriforme?

E

è uguale a quella dell’ambiente esterno.

[13 min; 0,57 kg; circa 8 min]

(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Medicina Veterinaria 2006/2007)

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CAPITOLO

La teoria cinetica a dei gas

“”

mountainpix / Shutterstock

Felix qui potuit rerum cognoscere causas. Virgilio, Georgiche, II, 489

Da lontano un mosaico mostra un disegno continuo. Solo se ci avviciniamo a sufficienza ci accorgiamo che è fatto di tesserine che, una accanto all’altra, compongono l’immagine intera. Gli antichi atomisti avevano in mente qualcosa del genere quando immaginavano un mondo fatto di corpuscoli con qualità caratteristiche, che messi insieme riproducevano le proprietà macroscopiche della materia. Oggi sappiamo che le cose non sono così semplici, ma l’idea che il comportamento dei corpi sia una conseguenza della loro struttura interna ha ispirato, nel XIX secolo, la cosiddetta «teoria cinetica dei gas», presentata in questo capitolo. Si tratta di un modello microscopico della materia allo stato gassoso molto semplificato, in cui le molecole sono schematizzate come punti materiali in continuo movimento. Nonostante le particelle siano rappresentate mediante punti materiali che seguono le leggi della

meccanica, il loro numero è talmente elevato che risulta impossibile studiare puntualmente il moto di ciascuna. Ci sono circa 1022 molecole d’aria in un palloncino alla temperatura e alla pressione ordinarie, e ci sono 6,022 × 1023 molecole in una mole d’aria. La mole è l’unità di misura, nel Sistema Internazionale, della quantità di sostanza in termini di oggetti discreti, come le particelle microscopiche. Per sintetizzare in un unico valore l’elevatissimo numero di dati che lo studio di questo modello microscopico richiederebbe si considerano i valori medi delle grandezze. In particolare, nella teoria cinetica dei gas è importante la cosiddetta velocità quadratica media, che imparerai a definire e a collegare con le grandezze macroscopiche pressione e temperatura. Quest’ultima è infatti una misura di quanto velocemente si muovono le particelle all’interno del un gas o, meglio, della loro energia cinetica media.

I sacrifici di Abele e Melchisedec, mosaico della Basilica di San Vitale a Ravenna.

PAROLE CHIAVE Modello microscopico Mole Velocità quadratica media

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4

LA TEORIA CINETICA DEI GAS

1

GRANDI NUMERI

Lo studio dei fenomeni termici aveva aperto la strada a un nuovo modo di trattare l’energia, utilizzando grandezze e metodi diversi rispetto alla meccanica newtoniana: da una parte la temperatura e dall’altra il movimento sembravano essere due realtà metodologicamente ben distinte, anche se, concettualmente, verso la metà dell’Ottocento divenne chiara l’equivalenza tra calore e lavoro. La teoria atomica della materia aprì la possibilità di cercare collegamenti più profondi, che spiegassero i fenomeni termici in termini di fenomeni meccanici. Si pensò che se la materia era fatta di atomi, cioè di microscopici «granuli», per ogni sostanza identici l’uno all’altro, in qualche modo doveva essere possibile applicare a ognuno di essi le leggi di Newton; ci si chiedeva quindi se fosse possibile spiegare proprietà macroscopiche come la temperatura mediante lo studio dei moti di questi granuli. Si trattava di una questione difficile, sia sul piano concettuale che su quello pratico, per via del fatto che le particelle microscopiche che compongono un corpo macroscopico sono moltissime ed è impensabile applicare a ciascuna le leggi della meccanica. Inoltre, anche immaginando di poterle seguire una alla volta nella loro evoluzione temporale, non si potrebbe ancora parlare di temperatura: essa è infatti qualcosa che ha a che fare con proprietà medie, cioè di insieme. Per studiare sistemi composti da moltissimi corpi, vale a dire con numeri grandi, si usa la statistica e si considerano le proprietà medie, cioè le proprietà globali che cambiano poco al variare delle proprietà del singolo.

DOMANDA Come si spostano le dune? I singoli granuli di sabbia che compongono una duna si muovono sotto l’azione del vento, e sembrano muoversi anche le dune stesse, mantenendo regolarità macroscopiche caratteristiche. Ricerca in rete quali sono i diversi tipi di duna.

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Pascal Rateau / Shutterstock

La velocità di spostamento di uno stormo è una proprietà media, che non cambia molto se, per esempio, un singolo uccello al suo interno rimane fermo in un certo intervallo di tempo. Inoltre, si osservi che le figure disegnate nello spazio dalla moltitudine di uccelli, pur dipendendo dalle singole traiettorie di ciascuno, si realizzano solo grazie al fatto che il numero di uccelli è elevato.

raselased

ESEMPIO

LA TEORIA CINETICA DEI GAS

4

Il numero di Avogadro Quante sono le particelle microscopiche che compongono un corpo macroscopico? La prima indicazione per rispondere a questa domanda è contenuta in una legge sui gas, formulata nel 1811 dal chimico e fisico italiano Amedeo Avogadro, nota pertanto come legge di Avogadro: volumi uguali di gas diversi, nelle stesse condizioni di pressione e temperatura, contengono lo stesso numero di molecole. Dato che volumi uguali di gas diversi hanno in generale masse diverse, la legge di Avogadro permette di determinare le masse delle singole molecole di un gas a partire da una misura macroscopica della massa del gas nel suo insieme. Inoltre, dato che le sostanze si combinano secondo proporzioni definite e multiple di numeri interi, la stessa legge consente di risalire alla formula della molecola, cioè al numero e al tipo di atomi che la compongono. In ultima analisi, quindi, consente di determinare massa dei singoli atomi (figura 1).

m2

m1 VTpN

VTpN

M1  Nm 1

M2  Nm 2

Figura 1. La legge di Avogadro afferma che due gas diversi che hanno il volume V, la temperatura T e la pressione p uguali sono composti dallo stesso numero N di particelle. Dalla massa complessiva M1 e M2 dei due gas si può pertanto ricavare la massa di ciascuna molecola m1 e m2.

Si definisce così una nuova grandezza fisica fondamentale, la quantità di sostanza, indicata con il simbolo n e misurata in moli (mol), come il numero di entità discrete che compongono un corpo materiale. Per definizione, una mole di sostanza contiene tante particelle (atomi, molecole, ioni ecc.) quanti sono gli atomi contenuti in 12 g di carbonio-12; tale numero è pari a 6,022 × 1023. Pertanto possiamo dire che: in una mole di sostanza ci sono 6,022 × 1023 particelle di quella sostanza. In onore dello scienziato italiano, questo numero è detto numero di Avogadro, NA: NA  6,022 × 1023 mol–1 Il numero di moli si ottiene dunque dividendo il numero totale di particelle N per il numero di Avogadro: n

N NA

La dodicesima parte della massa dell’atomo di carbonio-12 è definita unità di massa atomica u ed è circa uguale alla massa dell’atomo di idrogeno, il più piccolo atomo esistente. Una mole di atomi di idrogeno ha quindi una massa di 1 g; mentre una mole di molecole di idrogeno, che sono formate

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4

LA TEORIA CINETICA DEI GAS

da due atomi (H2), ha una massa di 2 g. Nella tavola periodica degli elementi la massa degli atomi, espressa in unità di massa atomica, è riportata in alto a destra in ogni riquadro.

ESEMPIO f Quante molecole d’acqua ci sono in un bicchiere di 100 cm3? SOLUZIONE Cominciamo a calcolare il volume di una mole di molecole d’acqua, a partire dalla formula chimica: H 2O e dalle masse dell’atomo dell’ossigeno e dell’idrogeno arrotondate all’unità di massa atomica: mH  1 u mO  16 u La massa di una molecola di acqua è mH2O  2 ⋅ u  16 ⋅ u  18 u La massa di una mole di molecole d’acqua è quindi: m1  18 ⋅ 1 g  18 g che è equivalente a un volume di 18 cm3; cioè: in un volume di 18 cm3 ci sono circa 6,022 × 1023 molecole d’acqua. In un bicchiere di 100 cm3 ci sono: n  100 cm3/(18 cm3/mol)  5,6 mol di acqua Il numero totale (approssimato) di molecole d’acqua in un bicchiere di 100 cm3 è: N  n NA  5,6 mol × 6,022 × 1023 mol–1  3,3 × 1024 DOMANDA Un braccialetto d’oro ha una massa di 18 g. Quanti atomi di oro contiene?

2

IL GAS PERFETTO

La legge di Avogadro ci consente di scrivere l’equazione di stato dei gas perfetti (formula (1.10), incontrata nel paragrafo 6 del capitolo 1): pV T

costante

in termini del numero totale di particelle N. Infatti, in condizioni di uguale pressione e temperatura, volumi uguali di gas contengono lo stesso numero di molecole, e quindi a un volume doppio corrisponde un numero di mole-

98 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

LA TEORIA CINETICA DEI GAS

4

cole doppio e così via. In altre parole, a parità di pressione e temperatura, il volume e il numero di molecole sono direttamente proporzionali. Tenendo conto di questo scriviamo l’equazione di stato dei gas perfetti nella forma: pV T

NkB

cioè: pV  NkBT

(4.1)

dove kB è detta costante di Boltzmann e vale: kB  1,38 × 10–23 J/K Se invece del numero totale di particelle N utilizziamo la quantità di sostanza, cioè il numero di moli n, otteniamo un’altra espressione per l’equazione di stato dei gas perfetti (equivalente alla precedente) in termini della cosiddetta costante universale dei gas, R: pV  nRT

(4.2)

con R  8,314 J/(K  mol) Tra la costante dei gas R e la costante di Boltzmann c’è la relazione: nR  NkB NkB R N A kB n

ESEMPIO f Qual è il volume occupato da una mole di gas perfetto alla pressione di 1 atm (ricordando che 1 atm  1,01 × 105 Pa) e 293 K? SOLUZIONE Ricaviamo l’espressione del volume V in funzione delle grandezze note n, p e T, invertendo l’equazione di stato dei gas perfetti nella forma: pV  nRT cioè: V =

1 mol × 8, 314 J/K mol × 293 K nRT = = 24 × 10−3 m 3 1, 01 × 10 5 Pa p

In litri: V  24 × 10–3 m3 × 103 litri/m3  24 litri DOMANDA Quante particelle di gas perfetto ci sono in una bottiglia da un litro, alla temperatura e pressione dell’esempio?

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4

LA TEORIA CINETICA DEI GAS

ESEMPIO f Qual è la temperatura di 1,5 mol di gas perfetto contenuto in un recipiente di 3,0 dm3 se la pressione al suo interno è 2,0 atm? SOLUZIONE I dati, nelle unità di misura del SI, sono: n  1,5 mol V  3,0 dm3  3,0 × 10–3 m3 p  2 atm  2 atm × 1,01 × 105 Pa/atm  2,02 × 105 Pa i quali vanno sostituiti nell’equazione di stato dei gas perfetti invertita rispetto alla temperatura: T =

2, 02 × 10 5 Pa × 3, 0 × 10−3 m 3 pV = 49 K = 1, 5 mol × 8, 314 J/(K ⋅ moll) nR

DOMANDA Come varia la temperatura del gas se il volume del recipiente raddoppia a pressione costante?

Un modello microscopico per il gas perfetto Per cercare un collegamento tra la fisica dei fenomeni termici e la meccanica cominciamo a definire un modello microscopico per il gas perfetto, in cui le singole particelle si comportino secondo le leggi della dinamica. Tale modello, che sta alla base della cosiddetta teoria cinetica dei gas, si basa sulle ipotesi schematizzate in tabella 1 e in figura 2. IPOTESI SULLE PARTICELLE CHE COMPONGONO IL GAS Tabella 1. Ipotesi e condizioni della teoria cinetica dei gas.

CONDIZIONI

Sono schematizzate come punti materiali di Le dimensioni delle particelle sono molto miuguale massa. nori del loro cammino libero medio, che è la distanza che in media percorrono senza compiere urti. Sono molto numerose in modo tale da poter In una mole di gas ci sono 6,022  1023 partrascurare l’effetto del singolo movimento. ticelle. Compiono urti elastici tra loro e con le pareti Sono conservate l’energia e la quantità di del recipiente. moto totale delle particelle. Fra un urto e l’altro si muovono di moto ret- Le particelle sono sufficientemente lontane tilineo uniforme. da poter trascurare le interazioni a distanza; le uniche interazioni fra esse sono dovute al contatto reciproco durante gli urti.

Figura 2. a. Le particelle, in numero molto elevato, sono piccole rispetto al cammino libero medio e non interagiscono fra loro a distanza ma solo attraverso forze impulsive dovute a urti elastici. b. Non c’è alcun motivo perché una particella debba muoversi lungo una direzione piuttosto che lungo un’altra.

Si muovono con velocità diverse e non ci sono Le particelle si muovono in modo casuale. direzioni privilegiate di moto (isotropia).

N 1023

cammino libero medio

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LA TEORIA CINETICA DEI GAS

3

4

LA VELOCITÀ DELLE PARTICELLE IN UN GAS

La grandezza chiave della teoria cinetica dei gas è la velocità quadratica media, che dà una misura di quanto velocemente si muovono in media le particelle in un gas, indipendentemente dalla loro direzione. Come vedremo, questa grandezza permette di collegare le velocità microscopiche, prese globalmente, a grandezze macroscopiche misurabili, quali la pressione e la temperatura.

Il valore medio Quando ci rapportiamo a un sistema formato da un elevato numero di oggetti, come quando studiamo un corpo materiale utilizzando un modello microscopico corpuscolare, conviene utilizzare grandezze rappresentative, che permettono di trattare il sistema nel suo insieme. Una di esse è la media aritmetica, detta anche «valore medio» della grandezza in esame. Se N è il numero totale di oggetti che stiamo considerando, x la grandezza in esame e xi è il valore di tale grandezza riferito al singolo oggetto numerato con il pedice i, definiamo media aritmetica x– il numero che si ottiene sommando tutte le grandezze xi e dividendo per N. In formula: x=

x1 + x2 + x3 + ... + x N 1 N = ∑ i =1 ( xi ) N N

Il valore medio è indicativo dell’ordine di grandezza della proprietà analizzata. Il simbolo di sommatoria Σ rende più compatta la scrittura di un numero elevato di addendi, associando a ciascuno di essi un simbolo xi indicizzato. L’indice i va da un valore iniziale pari a 1 a un valore finale pari a N, cioè al numero totale di addendi da sommare.

ESEMPIO f Le masse di 15 bambini nati in un ospedale in un certo intervallo di tempo sono riportate nella tabella. Quanto vale la massa media dei 15 bambini? SOLUZIONE Il valore medio della massa si ottiene sommando i valori di tutte le masse e dividendo per il numero totale di bambini, cioè:

m + m23 + ... + m15 3, 050 kg + 3, 800 kg + ... + 3, 300 kg = 3, 51 kg m= 1 = 15 15 Il valore medio rappresenta una sorta di «sintesi» dei dati e, se aggiungiamo alla tabella uno o più bambini di massa pari a esso, il risultato non cambia.

bambino i

massa mi (kg)

1

3,050

2

3,800

3

2,750

4

4,100

5

3,650

6

3,650

7

3,850

8

4,200

9

3,550

10

3,400

11

4,150

12

3,200

13

3,700

14

2,350

15

3,300

DOMANDA In quali situazioni si usa il valore medio di una proprietà? Fai almeno tre esempi.

101 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

4

LA TEORIA CINETICA DEI GAS

La media delle velocità vi

Iniziamo ora a studiare un gas perfetto secondo le ipotesi fatte, a partire dal moto delle singole particelle che lo compongono. Dobbiamo immaginare una moltitudine di piccolissime particelle in movimento in tutte le direzioni, ciascuna con una sua velocità, secondo una sua traiettoria rettilinea (figura 3). Ci chiediamo ora quale sia il valore rappresentativo delle velocità delle particelle, in accordo con il concetto di valore medio. Osserviamo innanzitutto che la velocità è una grandezza vettoriale, che ha un modulo, una direzione e un verso, mentre la media aritmetica è il risultato di un’operazione che si fa con i numeri. Possiamo applicare il concetto di valore medio alle singole componenti cartesiane, cioè ai moduli delle scomposizioni lungo gli assi. Tuttavia, se il gas è contenuto in un recipiente fermo rispetto alla Terra, la media delle velocità, calcolata in questo modo e rispetto allo stesso riferimento, è nulla per l’ipotesi di isotropia. Se non ci sono direzioni privilegiate, ragionando sui grandi numeri ci aspettiamo che il numero di particelle che va in una direzione sia statisticamente uguale al numero di particelle che va nella direzione opposta, per cui nella formula del valore medio i loro contributi si elidono a vicenda. Considerando, per esempio, le componenti vix delle velocità vi lungo l’asse x, possiamo porre:

Figura 3. A ciascuna particella del gas associamo un vettore velocità con un modulo, una direzione e un verso.

vi

x

v =

Figura 4. Per l’ipotesi di isotropia, su un grande numero di particelle ci aspettiamo che per ognuna che va in una direzione ce ne sia una che va nella direzione opposta con uguale velocità.

v1 x + v 2 x + v 3 x + ... + v Nx 1 = N N

∑ i=1 (vix ) = 0 N

Ciò equivale a dire che la posizione del centro di massa non varia nel sistema di riferimento considerato, anche se all’interno del gas le particelle si muovono incessantemente in ogni direzione (figura 4).

La velocità quadratica media Per avere un valore rappresentativo di quanto velocemente si muovono le particelle del gas, anziché usare le componenti cartesiane delle velocità, che nell’ipotesi di isotropia forniscono un valore nullo, si considerano i moduli delle velocità, attraverso una grandezza chiamata velocità quadratica media, definita come la radice quadrata del valore medio dei moduli quadrati delle velocità delle particelle:

Figura 5. Il modulo di un vettore che giace sul piano x, y si ricava dal teorema di Pitagora, considerando il triangolo rettangolo formato dalla lunghezza del vettore stesso e dalle sue componenti vx e vy. Per estensione si ricava il caso generale in cui compaiono tutte e tre le componenti cartesiane.

vqm = v 2 =

y →







v   v   vx2  vy2



vy O

v12 + v22 + v32 + ... + vN2 = N

1 N ∑ vi2 N i =1

(4.3)

Scomponendo il vettore lungo una terna di assi cartesiani, ricaviamo l’espressione del modulo al quadrato in funzione delle componenti vx, vy e vz, usando il teorema di Pitagora (figura 5), per cui: v 2 = v x2 + v 2y + v z2



v



x

vx

La velocità quadratica media si esprime per mezzo delle coordinate cartesiane del vettore v¤ con l’espressione:

102 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

LA TEORIA CINETICA DEI GAS

vqm = v 2 =

1 N ( vix2 + viy2 + viz2 ) ∑ i =1 N

In tabella 2 sono riportate le velocità quadratiche medie relative ad alcune sostanze. Nell’ipotesi di isotropia che si fa nella teoria cinetica, per la quale non ci sono direzioni privilegiate, possiamo porre: vix2

viy2

viz2

+ v 2y

+ v z2

e quindi: v = 2

v x2

4

(4.4)

SOSTANZA

vqm (m/s)

Idrogeno H2

1920

Elio He

1370

Vapore acqueo H2O

645

Azoto N2

517

Ossigeno O2

483

Anidride carbonica CO2

412

Tabella 2. Velocità quadratiche medie di alcune sostanze alla temperatura di 300 K e pressione di 1,01 × 105 Pa (1 atm).

o anche: v x2

v 2y

v z2

v2 3

2 v qm

3

Nell’ipotesi di isotropia il valore medio dei moduli quadrati di ciascuna componente cartesiana è uguale a un terzo del quadrato della velocità quadratica media.

Come si usa la formula della velocità quadratica media? Quando usiamo una formula siamo abituati a sostituire al suo interno i dati noti e a calcolare il dato incognito. Nel caso della velocità quadratica media però non è possibile: anche ammesso che riusciamo a misurare direttamente la velocità di una singola molecola in un gas, il numero N è talmente elevato che è impensabile determinare tutti i valori necessari a svolgere il calcolo. La formula della velocità quadratica media non si usa direttamente ma all’interno di un modello, ossia si applica a una rappresentazione astratta della realtà fisica che intendiamo descrivere e, dopo aver svolto dei calcoli, si vede se il comportamento macroscopico del modello è coerente con i dati sperimentali. Calcoleremo quindi in astratto la velocità quadratica media delle particelle del gas perfetto, secondo le ipotesi della teoria cinetica, e cercheremo i collegamenti con le grandezze macroscopiche pressione e temperatura. In altre parole, immagineremo di poter seguire il moto di ciascuna particella, calcoleremo idealmente la media degli effetti e li metteremo in relazione con grandezze macroscopiche misurabili.

4

LA PRESSIONE

Cerchiamo innanzitutto una relazione tra il moto microscopico delle particelle e la pressione macroscopica che si misura con il manometro all’inter-

103 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

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LA TEORIA CINETICA DEI GAS

no del gas. Infatti, ragionando a grandi linee, durante un urto le particelle modificano la loro quantità di moto, data dal prodotto della massa per la velocità, scambiandosi forze impulsive. Come abbiamo visto nella meccanica, la variazione della quantità di moto di un corpo è infatti pari all’impulso della forza che agisce su esso. La forza per unità di superficie non è altro che la pressione, per cui, in ultima analisi, possiamo fare l’ipotesi che la pressione esercitata da un gas sulle pareti di un contenitore sia dovuta agli urti delle particelle sulle pareti stesse (figura 6). p 1  p2

p1

Figura 6. Ci aspettiamo che una velocità maggiore sia responsabile di una pressione maggiore.

bar

vx

quantità di moto prima dell’urto  qxp  mvxi quantità di moto dopo l’urto  qxd  mvxi



vx

bar

Cominciamo a studiare il moto di una particella di massa m e velocità vi, schematizzata come un punto materiale, che urta elasticamente contro una parete del recipiente in cui è contenuta ed esercita su questa parete una forza impulsiva. In assenza di forze dissipative, l’unica componente della velocità che subisce una variazione nell’urto è quella perpendicolare alla parete: scegliendo opportunamente il sistema di riferimento, diciamo che è la componente x. Nell’urto la componente x della velocità si inverte (figura 7), per cui le quantità di moto, che qui indicheremo con la lettera q per non creare confusione con il simbolo della pressione p, della particella prima dell’urto e dopo l’urto sono rispettivamente:



m

p2

m

La variazione della quantità di moto è pertanto: urto elastico Figura 7. Nell’urto di una particella contro una parete del recipiente si inverte solo la componente della velocità perpendicolare alla parete.

x

Δqxi  qd  qp  2mvxi

Per il teorema dell’impulso, sappiamo che la variazione della quantità di moto è legata alla forza media fxi esercitata dalla parete sulla particella, uguale e opposta alla forza Fxi esercitata dalla particella sulla parete nell’intervallo di tempo Δt, secondo la relazione: f xi = −Fxi =

Δq xi Δt

Se chiamiamo A l’estensione della parete, abbiamo che la pressione media sulla stessa pxi, è uguale a: p xi =

Fxi Δq 2mv xi = − xi = A AΔt AΔt

In questa relazione Δt è l’intervallo di tempo tra due urti successivi della particella, cioè è il tempo necessario a percorrere due volte la distanza

104 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

LA TEORIA CINETICA DEI GAS

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vxiΔt/2, di andata e ritorno rispetto alla distanza dalla parete (figura 8). Se chiamiamo questa distanza L, abbiamo che: L

v xi

Δt 2

vx A

Perciò: 2L v xi

Δt

t vx   2

Sostituendo nell’espressione per la pressione p xi

2mv xi A2 L v xi

v2 m xi AL

Il prodotto AL è il volume individuato dalla superficie considerata e dalla distanza della particella dalla stessa. Per semplificare il ragionamento immaginiamo che esso sia uguale al volume V del recipiente che contiene il gas e procediamo al calcolo della pressione totale come somma dei contributi di tutte le particelle, ognuna con la sua velocità vxi, in generale diversa dalle altre.

p x  p x 1  p x 2  p x 3  ...  p xN 

(

m 2 2 v x 1  v x2 2  v x2 3  ...  v xN V

Figura 8. Se l’intervallo di tempo tra un urto e l’altro della stessa particella è Δt, la distanza dalla parete è vxΔt/2, considerando un percorso di andata e ritorno tra due urti successivi con velocità costante.

)

Moltiplicando e dividendo per il numero totale di particelle N, otteniamo:

(

2 2 2 2 m v x 1  v x 2  v x 3  ...  v xN px  N V N m p x  N v x2 V

)

dove vx2 è il valore medio dei quadrati delle componenti x delle velocità. Facciamo ora alcune osservazioni per ricavare finalmente un’espressione generale per la pressione del gas in termini di velocità microscopiche: s la pressione in un fluido è la stessa su tutte le pareti del contenitore, per cui p  px; s Nm è la massa totale del gas; s Nm/V è pertanto la densità ρ; s nell’ipotesi di isotropia

v x2

v2 3

2 v qm

3

In definitiva: p

1 2 ρvqm 3

(4.5)

La pressione di un gas perfetto è direttamente proporzionale al quadrato della velocità quadratica media delle sue particelle.

105 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

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LA TEORIA CINETICA DEI GAS

ESEMPIO f La densità dell’aria a 20 °C e 1,0 atm è di 1,204 kg/m3. Qual è la velocità quadratica media delle molecole, assumendo che siano soddisfatte le ipotesi della teoria cinetica e che quindi abbiano tutte la stessa massa? SOLUZIONE Invertiamo la formula (4.5) rispetto alla velocità quadratica media: v qm =

3p = ρ

3 × 1, 01 × 10 5 Pa = 0, 50 m/s 1, 204 kg/m 3

DOMANDA Quanto vale la densità dell’ossigeno alla temperatura di 300 K e alla pressione di 1,01 × 105 Pa? Ricava la velocità quadratica media dell’ossigeno dalla tabella 2.

Pressione ed energia cinetica media A partire dalla velocità quadratica media, definiamo l’energia cinetica media delle particelle di un gas come Ec

1 2 mvqm 2

Invertiamo rispetto al quadrato della velocità quadratica media: 2 v qm

2

Ec m

per cui, sostituendo nella formula per la pressione, si ha: 1 2 1 M ⎛ Ec ⎞ 2 ⎛ M ⎞ Ec p  ρ v qm  ⎜2 ⎟  ⎜ ⎟ 3 3 V ⎝ m ⎠ 3⎝m ⎠ V Dal momento che il rapporto tra la massa totale M e la massa di ciascuna particella m è uguale al numero di particelle N, abbiamo: p

2N Ec 3V

(4.6)

La pressione di un gas perfetto è direttamente proporzionale all’energia cinetica media delle sue particelle.

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LA TEORIA CINETICA DEI GAS

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4

LA TEMPERATURA

Riscriviamo la formula (4.6) mettendo in evidenza il prodotto pV e confrontiamola con l’equazione di stato dei gas perfetti nella forma: pV  N kBT 2 pV N Ec 3 Uguagliando tra loro i secondi membri e semplificando N otteniamo una formula importantissima, che collega la temperatura assoluta all’energia cinetica media delle molecole di un gas: 2 / E c = Nk / BT N 3 Ec

3 kB T 2

(4.7)

La temperatura assoluta di un gas perfetto è direttamente proporzionale all’energia cinetica media delle sue particelle. Esplicitiamo la massa delle particelle e la loro velocità quadratica media: T

1 2 mvqm 3kB

Questo risultato mette in evidenza il legame fra la temperatura e la velocità delle particelle: più un gas è caldo più velocemente si muovono, in media, le particelle che lo compongono. Se invece i gas sono diversi (e quindi sono diverse le masse delle particelle), alla stessa velocità quadratica media possono essere associate temperature diverse: in particolare, è più caldo il gas le cui particelle hanno massa maggiore (figura 9). mA  m B mB

mA

a

TA  TB mA  m B mB

mA

Figura 9. a. Nello stesso gas le particelle sono in media più veloci se la temperatura è maggiore. b. In gas diversi le particelle possono avere la stessa velocità quadratica media e temperature diverse.

b

TA  TB

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LA TEORIA CINETICA DEI GAS

ESEMPIO f Un atomo di neon ha una massa 5 volte maggiore di un atomo di elio. Qual è il rapporto tra le velocità quadratiche medie degli atomi di neon e di elio alla temperatura di 300 K? SOLUZIONE Scriviamo le formule della temperatura in funzione della velocità quadratica media per il neon e l’elio: 1 2 TNe mNe v qmNe 3kB THe

1 2 mHe v qmHe 3kB

Dividendo membro a membro e operando le opportune semplificazioni, tenendo conto che TNe  THe, si ha: 1 2 mNe v qmNe 2 mNe v qmNe TNe 3kB 1 2 1 2 THe m v He q mHe mHe v qmHe 3kB cioè: 2 v qmNe 2 v qmHe

v qmNe v qmHe

1 5

mHe mNe 1 5

0, 45

A parità di temperatura gli atomi che hanno una massa maggiore si muovono più lentamente. In questo caso gli atomi di neon, che hanno una massa cinque volte maggiore dell’elio, si muovono con una velocità quadratica media pari a 0,45 volte la velocità quadratica media degli atomi di elio. DOMANDA Immaginando invece che gli atomi di elio e di neon abbiano la stessa velocità quadratica media, in quale rapporto stanno le rispettive temperature assolute? In tabella 3 sono riportate le relazioni tra le velocità delle particelle a livello microscopico e le proprietà macroscopiche del gas. MODELLO MICROSCOPICO Tabella 3. Relazioni tra modello microscopico astratto e proprietà fisiche macroscopiche.

Velocità di ogni particella vi

Velocità quadratica media v qm =

1 N 2 ∑ (v ) N 1=1 i

PROPRIETÀ MACROSCOPICHE Pressione

p

1 2 ρv 3 qm

108 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

Temperatura

T

1 2 mv qm 3 kB

LA TEORIA CINETICA DEI GAS

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Una generalizzazione Abbiamo ricavato un’espressione per la temperatura in funzione della velocità media delle particelle di un gas perfetto in cui esse sono schematizzate come punti materiali. In realtà questo risultato può essere esteso ai casi reali (figura 10) e generalizzato a molecole qualsiasi, modificando il fattore moltiplicativo che in questo caso è pari a 3.

NASA/JPL/Space Science Institute

Figura 10. Titano, con la sua temperatura superficiale di 94 K, è l’unico satellite del Sistema Solare ad avere un’atmosfera. I corpi che riescono a trattenere un’atmosfera sono quelli la cui temperatura superficiale è tale che la velocità quadratica media non è prossima alla velocità di fuga.

Se definiamo gradi di libertà di un sistema il numero di coordinate necessarie a descrivere il suo moto, abbiamo che ogni grado di libertà apporta all’energia un contributo per mole pari a: 1 kBT 2 Nel caso analizzato, in cui le particelle sono punti senza estensione, che approssimano bene le particelle di un gas monoatomico, esse possono soltanto traslare nelle tre direzioni dello spazio x, y e z, per cui i gradi di libertà sono 3 e si ha: Ec

⎛1 ⎞ 3 ⋅ ⎜ kBT ⎟ ⎝2 ⎠

Esistono però molecole di diverso tipo, composte di più atomi, che possono traslare, ruotare, oscillare ecc. Aumentano i gradi di libertà, cambia il

109 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

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LA TEORIA CINETICA DEI GAS

fattore moltiplicativo, ma non cambia il concetto: temperatura ed energia cinetica molecolare sono comunque grandezze collegate. Questo fatto, che vale per i gas perfetti, vale anche per i gas reali, per i liquidi e per i solidi, nei quali le particelle vibrano intorno alle loro posizioni di equilibrio.

Lo zero assoluto La formula trovata permette di dare un significato fisico allo zero assoluto, definito pertanto come la temperatura alla quale l’energia cinetica media è nulla, cioè a questa temperatura le particelle non si muovono. In questi termini diventa evidente che, data la definizione dell’energia cinetica come prodotto di quantità mai negative, anche la temperatura assoluta non può assumere valori inferiori a zero.

La distribuzione di Maxwell La temperatura dipende dalla velocità quadratica media, che è un valore rappresentativo dei moduli delle velocità delle particelle, ma non delle singole velocità, che possono essere molto diverse fra loro. Tuttavia ci sono fenomeni per i quali anche queste ultime sono importanti. L’evaporazione, per esempio, può avvenire a qualsiasi temperatura, cioè per qualsiasi valore della velocità quadratica media, proprio perché ci sono alcune particelle che hanno una velocità tale che riescono a «fuggire» dalla superficie, nonostante la forza di coesione del liquido. All’interno di un gas perfetto le velocità delle particelle si distribuiscono intorno al valore quadratico medio secondo una formula matematica detta «funzione di distribuzione», che fornisce la probabilità che un certo numero di particelle si trovi ad avere una velocità compresa in un certo intervallo. Ragioniamo in termini di probabilità e di intervalli perché l’elevato numero di particelle non consente di conoscere puntualmente ogni singola velocità. Quando abbiamo a che fare con numeri grandi, infatti, le uniche affermazioni possibili sono di tipo statistico. Senza entrare nei dettagli, mostriamo solo l’andamento matematico della cosiddetta funzione di distribuzione di Maxwell f (v), con la quale si ricava la probabilità che una frazione di particelle di un gas perfetto a temperatura T si trovi ad avere una velocità compresa tra due valori: 2

⎛ m ⎞ 332 2 −2kmvT f (v ) = 4π ⎜ ⎟2v e B ⎝ 2π kBT ⎠

(4.9)

dove m e v sono rispettivamente la massa e il modulo della velocità delle particelle. Il numero ΔN di particelle che si trova ad avere una velocità compresa in un intervallo Δv dipende dal numero totale N mediante la funzione di distribuzione: ΔN  N f(v) Δv

(4.10)

Il grafico di N f(v) in funzione di v è rappresentato dalla curva in figura 11.

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LA TEORIA CINETICA DEI GAS

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Nf (v) T Figura 11. La distribuzione di Maxwell non è simmetrica, e la velocità quadratica media vqm non coincide con la velocità più probabile vp. L’area colorata rappresenta il numero di particelle con velocità compresa tra v1 e v2.

N

V1

Vp

Vqm

V2

v

All’aumentare della temperatura aumenta la velocità quadratica media e la velocità più probabile, ma diminuisce il numero di particelle «veloci», cioè la curva si abbassa (figura 12). Dato che l’area sotto l’intera curva rappresenta il numero totale di particelle del gas, il profilo si abbassa e contemporaneamente si allarga, per mantenere costante l’area. Questo significa che mentre aumenta la velocità quadratica media aumenta l’incertezza, perché aumenta il numero di particelle con velocità diverse, sparpagliate su un ampio intervallo di valori. Viceversa, al diminuire della temperatura le velocità tendono a un valore più definito, e un gran numero di particelle si trova ad avere la stessa velocità. Figura 12. Quando la temperatura è bassa anche la velocità quadratica media è bassa, e molte particelle si trovano ad avere velocità comprese in uno stretto intervallo di valori. Quando la temperatura è alta la velocità quadratica media è alta, e le particelle si trovano ad avere velocità comprese in un ampio intervallo di valori.

Nf (v) T1 T1  T2  T3  T4 T2 T3 T4

v

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LA TEORIA CINETICA DEI GAS

STORIA DELLA FISICA Il moto browniano Siamo abituati ad associare il nome di Albert Einstein alla teoria della relatività e alla fisica quantistica, e in effetti sono i lavori scientifici che gli hanno procurato più fama anche tra i non esperti in materia, oltre a un premio Nobel. Era il 1905 – Einstein aveva 26 anni – quando uscirono i famosi articoli, e doveva essere un anno davvero fecondo per lo scienziato perché, insieme a questi, egli offrì altri contributi alla conoscenza della natura, meno noti al grande pubblico ma non meno importanti. In quegli anni il dibattito sulla natura corpuscolare della materia era cruciale: molti erano ancora coloro che non riuscivano a persuadersi dell’esistenza degli atomi e consideravano l’interpretazione microscopica della materia come un semplice modello astratto, che funzionava in più di un’occasione ma che non aveva nulla a che vedere con la realtà delle cose. In questo contesto l’apporto di Einstein fu decisivo. Egli, partendo dall’ipotesi corpuscolare e da un modello simile a quello della teoria cinetica, riuscì a riprodurre un fenomeno già noto, ma mai spiegato in modo soddisfacente.

il giovane Einstein era impiegato all’ufficio brevetti di Berna quando uscirono i suoi lavori più importanti.

Polline in movimento Stiamo parlando del cosiddetto moto browniano, cioè del movimento continuo e disordinato che hanno le particelle dell’ordine del micron quando sono immerse in liquidi o gas. Il moto browniano fu scoperto ufficialmente nel 1828 da Robert Brown, un botanico che stava osservando al microscopio piccoli granelli di polline posti in sospensione in acqua. Egli notò che i granelli si muovevano senza sosta in ogni direzione, deviando improvvisamente e senza causa apparente la direzione della velocità, producendo pertanto una traiettoria irregolare con un andamento a zig-zag. All’inizio pensò che tale moto dipendesse dalla natura organica del polline, ma poi si accorse che avveniva la stessa cosa se venivano posti in sospensione granelli di natura inorganica. Numerosi scienziati si interessarono al fenomeno, ma nessuno riuscì a trovare una spiegazione soddisfacente e dopo un po’ l’interesse diminuì.

Un’indagine teorica

Esempio empio di traiettoria di una particella che si muove di moto browniano.

Goncharuk / Shutterstock

Il moto browniano era di difficile interpretazione: in tanti si cimentarono in esperimenti e ipotesi, ma per decenni nessuno riuscì a venirne a capo. La svolta, in effetti, fu un approccio del tutto nuovo alla questione: se fino ad allora gli studi erano stati svolti a partire da osservazioni al microscopio, Einstein utilizzò invece carta e matita. Il punto di partenza era dunque un modello astratto fatto di palline in movimento, e, grazie all’applicazione sapiente dalla matematica, egli riuscì a riprodurre un fenomeno reale che fino a quel momento era rimasto un mistero. Il modello diventò ben più di un semplice «modello» e contribuì, come prova concreta, a sancire la validità della natura corpuscolare della materia che oggi consideriamo una realtà assodata.

Come si spiega il moto browniano? Un granello di polline viene colpito dalle molecole dell’acqua in modo casuale in tutte le direzioni, tuttavia può capitare che in un certo istante, casualmente, gli urti lungo una direzione prevalgano sugli altri: il granello riceve pertanto una spinta in quella direzione. Dopo un po’ tale condizione potrebbe verificarsi di nuovo in una direzione diversa, e il granello disegna così la sua traiettoria a zig-zag. Esso si trova nella stessa condizione in cui si trovano le molecole d’acqua, ma è molto più grande (circa 104 volte maggiore) e noi possiamo vederlo.

In assenza di correnti il moto browniano spiega la diffusione delle particelle di inchiostro in acqua.

DOMANDA Come ti aspetti che cambi la velocità dei granelli di polline al variare della temperatura? Motiva la risposta in 5 righe.

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LA TEORIA CINETICA DEI GAS

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CHIMICA Il numero di Avogadro Per sapere l’esatto valore del numero di Avogadro dovremmo essere in grado di contare uno alla volta gli atomi contenuti in 12 g di carbonio-12, ma attualmente questa operazione non è possibile. Non conosciamo quindi quale sia esattamente il valore del numero di Avogadro, ma possiamo solamente fornire delle stime, per quanto accurate. Si può risalire a tale valore con misure di vario tipo, studiando fenomeni diversi, dall’elettrochimica alla radioattività, all’analisi del moto browniano. Attualmente si assume il valore: NA  6,022 141 29 × 1023 mol–1 con un’incertezza di 0,000 000 27 × 1023 mol–1.

Un semplice esperimento

olio olio

Quando versiamo una goccia d’olio in un catino d’acqua osserviamo che questa, per la sua minore densità, rimane in suacqua acqua perficie e tende a espandersi, rimanendo tuttavia compatta grazie alla coesione acqua interna. Se l’olio non raggiunge le pareti del recipiente, l’espansione della goccia a olio un certo momento si arresta: si presume R R che a questo punto lo strato abbia uno h spessore circa pari alle dimensioni di una molecola. Infatti l’olio è composto principalmente da acido oleico, la cui molecola ha una struttura a catena, che presenta un’estremità polare: quando le molecole di acido oleico vengono attratte dall’acqua, si allineano in modo che l’estremità polare si orienti verso quest’ultima: in tal modo si ottiene uno strato sottile, che ha come spessore quello di una molecola. Se si assume che al massimo dell’espansione la goccia d’olio sia una macchia di forma cilindrica, possiamo usare una formula matematica per esprimere il suo volume in funzione del raggio R e dello spessore h: V  π R2 × h In questa formula il dato incognito è h, che ci dà una stima delle dimensioni di una molecola d’olio, mentre sono direttamente misurabili il volume V della goccia iniziale e il raggio R della macchia. Se ciascuna molecola ha dimensioni lineari pari ad h, il suo volume è dell’ordine di h3. Il numero di molecole contenute nella goccia è quindi stimato attraverso il rapporto: N|

V h3

Conoscendo la massa di una mole d’olio (nota la sua formula chimica) e la sua densità, si ricava il volume che occupa una mole d’olio e quindi il numero di moli n contenuto nella goccia usata nell’esperimento. Il numero di Avogadro è quindi stimato dal rapporto: NA |

N n

Svolgendo l’esperimento con molta accuratezza e raffinando la stima del volume di ciascuna molecola d’olio qui grossolanamente approssimata con il valore h3, si riescono a ottenere risultati dell’ordine di 1023, molto vicini al valore ufficiale del numero di Avogadro.

DOMANDA L’esperimento fornisce in genere stime per difetto. Perché? (Suggerimento: se si approssima il volume delle molecole d’olio con il valore h3, quale forma si assume che abbiano?)

113 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

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LA TEORIA CINETICA DEI GAS

CON GLI OCCHI DI UN FISICO Dai gas alle api Modelli microscopici dei gas

Qualche complicazione in più

I gas sono stati i primi a essere studiati mediante un modello microscopico corpuscolare, ideato per poter spiegare – secondo opportune ipotesi – proprietà macroscopiche quali pressione e temperatura. Il modello è estremamente semplice: punti materiali lontani tra loro, che si muovono a caso in tutte le direzioni, senza privilegiarne alcuna, e le cui interazioni si riducono agli urti elastici reciproci o con le pareti del recipiente. Eppure, nonostante l’estrema semplicità, il modello rende conto di grandezze fisiche effettivamente misurabili, interpretate come proprietà medie dell’insieme di un grande numero di particelle. Se consideriamo che una mole di gas alla pressione di 1 atm e alla temperatura di 0 °C occupa un volume di 22,4 litri, vediamo che il numero di particelle di gas che possiamo trovare in un volume finito è talmente elevato che è praticamente impossibile studiarne il moto microscopico seguendole una ad una. Pur conoscendo le leggi della meccanica, sufficienti per studiare il moto di ciascuna particella, presa una alla volta, non possiamo usarle per studiare il gas nel suo insieme. Per questo motivo, a partire dal primo semplice modello della teoria cinetica dei gas, è stata sviluppata la cosiddetta «meccanica statistica», in cui la teoria della probabilità ha trovato un’applicazione fisica. Il gas viene studiato per mezzo delle proprietà medie dei suoi costituenti e in termini probabilistici, cioè rinunciando alla conoscenza esatta e puntuale di ciascuna grandezza microscopica.

Nella maggior parte dei sistemi reali le interazioni tra le particelle non si possono trascurare: i modelli diventano più complicati e, con essi, il loro studio. I gas atmosferici, per esempio, compiono moti prevedibili solo per piccoli intervalli di tempo e comunque con un ampio margine di errore: è noto che le previsioni del tempo sono attendibili soltanto in termini probabilistici e in misura minore su tempi lunghi. Questo tipo di studi si è sviluppato parallelamente ai calcolatori, che hanno permesso di svolgere un elevato numero di equazioni in un tempo abbastanza breve, impensabile con il calcolo manuale. Negli anni Sessanta, il meteorologo Edward Norton Lorentz fece un’importante scoperta mentre studiava un modello matematico dell’atmosfera. Secondo un aneddoto, il computer – allora molto lento rispetto a quelli dei nostri giorni – aveva fornito un tabulato di dati in sequenza, partendo da determinati valori iniziali delle variabili, che Lorentz pensò di verificare ripetendo l’elaborazione. Tuttavia questa volta non inserì nelle equazioni gli stessi valori iniziali, ma fece cominciare il calcolo a partire da dati intermedi. Il risultato fu sorprendente: l’evoluzione successiva del modello era diversa dalla precedente e le differenze aumentavano man mano che la simulazione andava avanti. Lorentz continuò a studiare questo comporta-

Per «effetto farfalla» si intende la dipendenza significativa dell’evoluzione di un sistema dai valori iniziali, per cui basta una loro piccola variazione per provocare effetti molto vistosi dopo un lungo periodo di tempo. Un sistema del genere è detto «caotico».

PAROLA CHIAVE

Velocità quadratica media

Daniela Biganzoli / DAB

Daniel Bernoulli (1700-1782) già nel 1738 aveva proposto di analizzare le proprietà dei gas immaginando che fossero formati da piccolissime particelle in movimento.

DOMANDA Se nel modello utilizzato nella teoria cinetica PAROLA CHIAVE Modello microscopico dei gas le particelle si muovessero come le api, la pressione non sarebbe più rappresentata correttamente dalla DOMANDA Quali condizioni deve soddisfare un gas velocità quadratica media. reale affinché la sua pressione e la sua temperatura f Perché? (Suggerimento: quali ipotesi non sarebbero siano approssimativamente descritte dal modello miverificate?) croscopico della teoria cinetica dei gas?

114 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

LA TEORIA CINETICA DEI GAS

4

DOMANDA Quale legge descrive la proprietà termometrica che ha permesso ai fratelli Mon-

DJ Mattaar / Shutterstock

Pi-Lens / Shutterstock

corretta. [parola-chiave associata: temperatura]

Steven Russell Smith Photos/ Shutterstock

mento imprevisto e lo interpretò in un famoso articolo, I sistemi complessi tgolfier sbalordire il mondo il loroofpallone aerostatico? [parola-chiave associata: proprietà intitolatodi Predictability: Does con the Flap a Butterfly’s Tra i sistemi con elevato numero di particelle troviamo gli Wings in Brazil Set Off a Tornado in Texas? («può il batorganismi viventi. Essi sono sistemi le cui parti interagiscotito d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado no in modo complesso, difficilmente schematizzabili mein Texas?»). Aveva scoperto che in determinati sistemi diante modelli semplici come quello dei gas perfetti. Si può una piccola variazione delle condizioni di partenza proriconoscere un elevato grado di complessità anche se convoca grandi variazioni negli effetti: aveva, in altre parosideriamo un insieme numeroso di organismi viventi, quali le, scoperto il caos. Molti sistemi con un elevato numero le moltitudini di animali. Tuttavia, pur nella loro complessidi particelle si comportano in modo caotico, cioè vale termometriche] tà, essi mostrano molto spesso, nel loro insieme, comporper essi il cosiddetto «effetto farfalla» descritto da Lotamenti con un certo grado di regolarità. rentz, che limita la loro prevedibilità su tempi lunghi. Fino a poco tempo fa lo studio di tali comportamenti veniva svolto dagli etologi su base osservativa, ma negli ultimi deScivolare nel caos… cenni a questa modalità di indagine scientifica si è affiancato l’uso di modelli matematici, concettualmente simili a quelli Nel linguaggio comune il termine «caos» fa subito veniusati con i gas. In altre parole, si è visto che la regolarità di re in mente il suo sinonimo «confusione». In senso fisiDOMANDA Il volume occupato unanche gas innei unasistemi trasformazione a pressione costante certi comportamenti animaliè direttadi massa, come per esempio co non c’è confusione nel caos, da anzi, quelli di un formicaio, di uno sciame di api o di una folla di caotici è possibile individuare regolarità matematiche: esseri umani, può essere riprodotta al computer mediante l’evoluzione nel tempo di un sistema caotico è descritta modelli ad hoc con opportune ipotesi di partenza. da curve che si addensano in particolari strutture detLo studio dei sistemi di questo tipo è detto «scienza della te «attrattori», con caratteristiche frattali. Un frattale è complessità» e si sta sviluppando proprio in questi anni con una figura geometrica costruita per iterazioni successila collaborazione sinergica di una grande varietà di studiove, che mostra su ogni scala la stessa struttura. In natusi:perché dai biologi ai fisici, dai chimici agliè economisti, dai matera è molto comune incontrare dei frattali: leSpiega nuvole,in le5 righe mente proporzionale alla sua temperatura. questa affermazione non matici ai sociologi. ramificazioni di un albero, i cavolfiori eccetera.

Tamara Kulikova / Shutterstock

DOMANDA Il pallone aerostatico dei fratelli Montgolfier è in equilibrio meccanico alla quota di Guardando una piccola parte di un frattale con una lente d’ingrandimento ritroviamo esattamente la stessa struttura ripetuta.

Le azioni di ogni singola ape determinano il comportamento collettivo dell’intero alveare, che nel suo insieme ha una propria individualità, come se fosse un organismo singolo. La costruzione delle celle, la sciamatura, la scelta della regina: la comunità delle api è autoregolata da meccanismi complessi, che potrebbero essere riprodotti mediante un opportuno modello matematico. Il comportamento collettivo di molti animali è una strategia di difesa dai predatori.

250 m rispetto al suolo: essa non si muove né in verticale né in orizzontale. È verificato l’equilibrio PAROLA CHIAVE

Mole

DOMANDA I formicai più grandi possono contenere fino a qualche milione di formiche. f Estendendo il concetto di mole alla quantità di individui, quanti formicai da un milione di formiche ci vogliono per avere una mole di insetti? termico con l’ambiente? Motiva la risposta. [parola-chiave associata: equilibrio termico]

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MAPPA DEI CONCETTI MODELLO MICROSCOPICO PER IL GAS PERFETTO

basato sull’ipotesi atomica e molecolare della materia

IPOTESI sulle particelle

CONDIZIONI

sono molto numerose

l’ordine di grandezza del numero di particelle in un volume macroscopico è circa 1023

IN UNA MOLE DI SOSTANZA CI SONO 6,022  1023 PARTICELLE DI QUELLA SOSTANZA

NA  6,022  1023

compiono urti elastici

sono conservate l’energia e la quantità di moto

fra un urto e l’altro si muovono di moto rettilineo uniforme

si possono trascurare le interazioni a distanza

non ci sono direzioni privilegiate

le particelle si muovono in modo casuale

NUMERO DI AVOGADRO

IL MODELLO MICROSCOPICO IDEALE RIPRODUCE MOLTI FENOMENI MACROSCOPICI REALI SE IL GAS È MOLTO RAREFATTO

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LA TEORIA CINETICA DEI GAS

4

PROPRIETÀ MACROSCOPICHE DESCRITTE ATTRAVERSO IL MODELLO MICROSCOPICO

la pressione p esercitata da un gas sulle pareti del recipiente è dovuta agli urti delle particelle sulle pareti stesse

PRESSIONE

VELOCITÀ QUADRATICA MEDIA

v qm =

TEMPERATURA

(

1 N 2 ∑ vix + vi2y + vi2z N i =1

)

la temperatura T di un gas è una misura di quanto velocemente si muovono le particelle

1 2 p  ρv qm 3

è la radice quadrata del valor medio dei moduli quadrati delle velocità delle singole particelle

T=

1 2 mv qm 3 kB

kB  1,38  10–23 J/K COSTANTE DI BOLTZMANN ENERGIA CINETICA MEDIA 1 2 E c = mv qm 2

PRESSIONE Ec =

3V p 2N

TEMPERATURA Ec =

3 kT 2 B

la temperatura assoluta di un gas perfetto è direttamente proporzionale all’energia cinetica media delle particelle

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20 test (30 minuti)

4 ESERCIZI 1

TEST INTERATTIVI 10 In seguito a una reazione chimica il numero di moli di

GRANDI NUMERI

un gas perfetto, contenuto in un recipiente chiuso, dimezza e la sua temperatura raddoppia. Che cosa succede alla sua pressione?

DOMANDE Due gas diversi, che si trovano nelle stesse condizioni di temperatura e pressione, occupano lo stesso volume. Si può quindi dedurre che la massa di un atomo del primo gas è uguale alla massa del secondo gas? Motiva la risposta in 5 righe.

1

11 Quale condizione consente di schematizzare un gas

perfetto come un insieme di punti materiali? Rispondi in 5 righe. 12 Un vapore prossimo alle condizioni di saturazione

può essere approssimato con un gas perfetto? Motiva la risposta in 5 righe.

2 Quanti miliardi sono 10 ? 23

3 Che cos’è l’unità di massa atomica u?

CALCOLI CALCOLI 4 Aiutandoti con la tavola

periodica degli elementi, rispondi alle seguenti domande. f Qual è la massa di un atomo di carbonio? f Quanti atomi di carbonio ci sono in un diamante di 28 carati?

broukoid / Shutterstock

13 Quante moli di gas perfetto ci sono in una stanza di

30 m3 alla pressione di 1,01 × 105 Pa e alla temperatura di 20 °C? [circa 1200]

14 Alla temperatura di 10 °C, 3 mol di gas perfetto oc-

cupano un volume di 5,4 litri. f Qual è la pressione del gas?

(Suggerimento: 5 carati equivalgono a 1 g.) [2,0 × 10–26 kg; 2,8 × 1023]

5 Se consideriamo le gocce d’acqua come componen-

ti elementari (particelle) di sostanza e usiamo la mole per contarle, qual è la massa di una mole di gocce d’acqua di 0,05 ml l’una? [3 × 1019 kg]

15 In un recipiente chiuso sono contenute 2 mol di gas

perfetto alla temperatura di 300 K e alla pressione di 2,0 atm. Il gas viene raffreddato e la sua pressione 3 di quella iniziale. diventa i 4 f Qual è la temperatura finale? f Qual è il volume del gas?

6 Qual è il numero di moli contenuto in 100 g di ferro? [1,8 mol]

7 Qual è la massa di 1,0 mol di molecole di ossigeno?

(Suggerimento: la formula della molecola di ossigeno è O2.)

[1,2 × 106 Pa]

[225 K; 2,5 × 10–2 m3]

16 Un cilindro è chiuso mediante un pistone mobile

che consente di variarne il volume interno. Una mole di gas perfetto, contenuto nel cilindro, occupa inizialmente un volume di 5,2 dm3 alla pressione di 4,0 × 105 Pa.

[32 g]

8 Esegui i seguenti calcoli.

f Qual è la massa di 2,0 mol di metano? f Alle stesse condizioni di temperatura e pressione occupa più spazio 1 mol di ossigeno o 2 mol di metano? (Suggerimento: la formula della molecola di metano è CH4.) [32 g]

2

IL GAS PERFETTO

f Qual è la sua pressione se il volume dimezza a temperatura costante? f A quale temperatura avviene la trasformazione?

DOMANDE

[8,0 × 105 Pa; 2,5 × 102 K]

9 Quale relazione c’è tra la costante di Boltzmann kB, il

numero di Avogadro NA e la costante dei gas R?

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LA TEORIA CINETICA DEI GAS

3

26 In un recipiente da 3,0 litri sono presenti 0,20 moli di

LA VELOCITÀ DELLE PARTICELLE IN UN GAS

un elio alla pressione di 1,2 atm. Qual è la velocità quadratica media delle particelle del gas? [1,2 × 103 m/s]

DOMANDE

27 In un recipiente da 50 litri sono presenti 6,5 mol di

17 Quando si usa il simbolo di sommatoria?

ossigeno (O2) alla pressione di 3,0 atm. Quanto vale l’energia cinetica media delle particelle? Calcola la velocità quadratica media delle particelle ricordando che la massa dell’atomo di idrogeno è circa 1,66  10–27 kg.

18 Perché usiamo il simbolo di sommatoria nell’ambito di

un modello microscopico dei gas? Rispondi in 5 righe. 19 Perché la media delle velocità delle particelle all’in-

terno di un gas contenuto in un recipiente fermo è praticamente nulla? 20 Perché la velocità quadratica media delle particelle

di un gas è diversa da zero anche se la velocità media è zero?

4

4

5

LA TEMPERATURA

DOMANDE 28 Secondo il modello della teoria cinetica dei gas se

LA PRESSIONE

DOMANDE 21 In due recipienti di volume VA e VB, con VB  2VA,

sono contenuti rispettivamente 1 e 2 moli di gas perfetto le cui particelle hanno massa mA e 2mA. Se ne deduce che la velocità quadratica media delle particelle del gas B è doppia della velocità quadratica media delle particelle del gas A. Correggi questa conclusione, se necessario. n 1

[5,8 × 10-21 J; 2,7 × 102 m/s]

n 2

due gas si trovano alla stessa temperatura allora la velocità quadratica media delle loro particelle è uguale. In quali condizioni questa affermazione è vera? 29 Generalizzando il modello della teoria cinetica dei

gas, affermiamo che ciascun grado di libertà delle molecole di un gas contribuisce all’energia cinetica media per una quantità di energia pari a kBT. Correggi questa frase, se necessario. 30 Che cosa si intende per gradi di libertà di una mole-

cola?

mA

2mA

CALCOLI VA

31 Qual è l’energia cinetica media delle particelle di un

2VA

22 La pressione di un gas perfetto è direttamente pro-

porzionale al quadrato della velocità quadratica media delle sue particelle: qual è l’ipotesi di partenza che ci consente di dimostrare tale affermazione nel modello della teoria cinetica? 23 «In due gas che hanno lo stesso numero di particelle

e la stessa energia cinetica media si misura la stessa pressione». In quali condizioni questa affermazione è vera?

gas perfetto monoatomico che si trova alla temperatura di 15 °C? [6,0 × 10–21 J]

32 Una mole di ossigeno molecolare è contenuta in un

recipiente da 15 litri alla temperatura di 300 K. f Usando la tavola periodica e il modello della teoria cinetica calcola la velocità quadratica media delle molecole di ossigeno. f Qual è la velocità quadratica media se il volume si dimezza a temperatura costante? [4,8 × 102 m/s; 4,8 × 102 m/s]

24 Che relazione c’è tra la pressione che si misura in un

gas e l’energia cinetica media delle particelle?

33 La velocità quadratica media di una mole di atomi di

elio è 950 m/s.

CALCOLI

f Qual è la temperatura del gas?

25 La velocità quadratica media di 0,10 mol di ossigeno

che occupano un volume pari a 500 cm3 è 530 m/s. f Quanto vale la pressione del gas?

(Suggerimento: ricorda che la massa dell’atomo di idrogeno è circa 1,66 × 10–27 kg.) [145 K]

[6,0 × 105 Pa]

119 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

4 ESERCIZI PROBLEMI

ESERCIZI DI RIEPILOGO

43 Una certa quantità di elio è contenuta in una bom-

DOMANDE 34 Due gas che hanno lo stesso numero di molecole e

occupano lo stesso volume hanno pressione e temperatura inversamente proporzionali. Correggi questa affermazione, se necessario. 35 Se in un gas le particelle sono sufficientemente lonta-

ne da poter trascurare le interazioni a distanza tra esse, quale ipotesi della teoria cinetica è soddisfatta?

bola da 20 litri alla pressione di 7,0 atm e alla temperatura di 285 K. f Quanti atomi di elio ci sono nella bombola? f Qual è la densità del gas? f Calcola la velocità quadratica media delle particelle.

[3,6 × 1024; 1,2 kg/m3; 1,3 × 103 m/s]

44 Un gas perfetto è chiuso in un volume di 2,2 × 10– 3

36 La teoria cinetica dei gas è un modello microscopico,

cioè una rappresentazione teorica astratta, che consente di interpretare fenomeni macroscopici. Quali grandezze macroscopiche possono essere espresse attraverso la velocità quadratica media delle particelle di un gas? 37 Che differenza c’è tra la velocità media delle particel-

le di un gas e la loro velocità quadratica media? Rispondi in 10 righe. 38 Per ricavare la relazione che lega la pressione ma-

croscopica in un gas alla velocità quadratica media delle sue particelle si parte dall’ipotesi che la pressione sia dovuta agli urti delle particelle. A che cosa è dovuta la forza in un urto? 39 Le particelle di due gas diversi che si trovano alla

stessa temperatura hanno la stessa velocità quadratica media. Questa affermazione non è corretta, perché? Rispondi in 5 righe.

m3 alla pressione di 5,7 atm.

f Se la velocità quadratica media delle particelle è 950 m/s, qual è la massa complessiva del gas? f Quale dato occorre per poter determinare la sua temperatura? [4,2 g]

45 50 g di idrogeno (H2) sono alla pressione di 1,0 atm e

alla temperatura di 300 K. f Quale volume occupano? f Qual è la densità del gas? f Qual è la velocità quadratica media delle molecole?

[0,62 m3; 8,1 × 10–2 kg/m3; 1,9 × 103 m/s]

46 Una mole di gas perfetto è contenuta in un cilindro

da 3,3 litri a una pressione di 8,9 atm. f Qual è la sua temperatura? f Qual è l’energia cinetica media delle particelle che lo compongono?

[3,6 × 102 K; 7,4 × 10-21 J]

40 La temperatura di un gas è direttamente proporzio-

nale alla velocità quadratica media delle sue particelle. Correggi questa frase, se necessario. 41 In che modo la teoria cinetica dei gas giustifica il fat-

to che la temperatura assoluta non sia mai negativa? 42 La distribuzione di Maxwell delle velocità delle parti-

celle di un gas prevede che all’aumentare della temperatura il massimo della funzione si sposti verso valori crescenti della velocità e contemporaneamente si abbassi, facendo allargare la curva. Spiega in 10 righe il significato di questo fatto.

47 Lo Zeppelin tedesco Hindeburg, la più grande mac-

china volante mai costruita, conteneva circa 200 000 m3 di idrogeno (H2) alla temperatura di 273 K e alla pressione di 1,0 × 105 Pa, e trasportava attraverso l’Atlantico 72 passeggeri in poco più di 5 giorni. In fase di atterraggio, il 6 maggio 1937, l’idrogeno, altamente infiammabile, prese fuoco alla presenza della stampa e delle cineprese, sconcertando il mondo intero.

Nf (v) T1 T1  T2 T2

f Se 1,0 kg di idrogeno sviluppa una quantità di energia pari a 1,43 × 106 J, qual è l’energia sviluppata nell’incendio dell’Hindeburg? v

120 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

[2,5 × 1010 J]

LA TEORIA CINETICA DEI GAS 48 Un gas perfetto occupa un volume di 0,25 litri alla

4

53 Un palloncino, che nelle condizioni ambientali di

pressione di 4,3 atm e alla temperatura di 295 K.

19 °C e 1,0 atm ha un volume di 35 cm3, viene inserito in una camera termobarica nella quale si raggiunge una temperatura di 80 °C e una pressione di 1,5 × 10–2 atm.

f Se la velocità quadratica media delle particelle del gas è 635 m/s, qual è la massa di ciascuna particella?

f Trattando l’aria come un gas perfetto, qual è il volume del palloncino nelle nuove condizioni ambientali?

(Suggerimento: la massa complessiva del gas può essere ricavata dalla sua densità.) [3,0 × 10–26 kg]

f Quante sono le molecole di aria all’interno del palloncino?

49 In un recipiente chiuso ci sono 2,0 × 1024 atomi di

neon alla pressione di 5,9 × 10 Pa. La loro velocità quadratica media è 1059 m/s. 5

f Qual è la loro energia cinetica media rispettivamente nelle condizioni iniziale e finale?

f Qual è il volume del recipiente? f Qual è la temperatura del gas?

[1,5 × 10–3 m3; 8,8 × 1019; 6,0 × 10–21 J; 6,0 × 10–21 J]

f È verificata la relazione fra temperatura macroscopica e velocità quadratica media degli atomi? (Suggerimento: ricorda che la massa dell’atomo di idrogeno è circa 1,66 × 10–27 kg.)

[4,2 × 10-2 m3; 9 × 102 K]

50 In una bombola da 25 litri è contenuto elio alla pres-

sione di 18 atm e alla temperatura di 20 °C. f Quante moli di elio sono contenute nella bombola?

VERSO L’UNIVERSITÀ 1

Che cosa produce nella gomma per auto la pressione sufficiente per conservare la sua forma anche durante la corsa dell’auto?

f Qual è la massa dell’elio?

A

Il surriscaldamento delle gomme.

f Quanti palloncini da 1,0 litri possono essere riempiti alla pressione di 1,0 atm e alla temperatura di 20 °C?

B

L’aumento di volume delle molecole d’aria con la temperatura.

C

L’urto delle molecole d’aria contro le pareti della gomma.

D

Lo spostamento, per forza centrifuga, dell’aria contenuta nella gomma.

E

La speciale mescola con cui sono costruite le gomme.

[19 mol; 75 g; 4,5 × 102]

51 Un palloncino pieno d’aria alla temperatura di 24 °C

e alla pressione di 1,0 atm ha un volume di 500 cm . 3

f Trattando l’aria come un gas perfetto, qual è il volume del palloncino in cm3 quando viene immerso in acqua alla profondità di 5,0 m, dove la sua temperatura diventa 15 °C? f Quante moli di aria ci sono all’interno del palloncino? (Suggerimento: la pressione aumenta con la profondità, secondo la legge di Stevino.) [3,2 × 102 cm3; 2,0 × 10–2 mol]

52 I corpi celesti trattengono l’atmosfera se la tempera-

tura è tale che la velocità quadratica media delle particelle non supera la velocità di fuga. La velocità di fuga dalla superficie del Sole è 617 km/s. f Con una temperatura superficiale di 6000 K, possono gli atomi di idrogeno del suo bordo più esterno abbandonare la stella? Motiva la risposta in 5 righe. (Suggerimento: ricorda che la massa dell’atomo di idrogeno è circa 1,66 × 10–27 kg.)

(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia 2006/2007) 2 Un gas racchiuso ermeticamente in un cilindro viene

riscaldato tramite un fornello.L’aumento di temperatura produrrà nel gas: A

un rallentamento del moto delle molecole.

B

un aumento dell’energia cinetica media delle molecole.

C

una riduzione, in media, delle dimensioni delle molecole.

D

uno spostamento delle molecole verso la parte più lontana alla fonte di calore.

E

uno spostamento delle molecole verso la parte più vicina alla fonte di calore.

(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria 2006/2007)

121 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

CAPITOLO

Il primo prim principio p ella termodinamica della



Dal calore dipendono tutti i grandi movimenti su cui si appuntano i nostri sguardi: le turbolenze atmosferiche, l’ascensione delle nuvole, la caduta delle piogge e delle meteore, le correnti d’acqua che solcano la superficie del globo [...].



Sadi Carnot, Riflessioni sulla potenza motrice del fuoco, 1824

Giorgione, La tempesta, 1505-1508 circa, particolare.

PAROLE CHIAVE Energia interna Stato termodinamico Trasformazione termodinamica

La natura non è un semplice sfondo nel dipinto di Giorgione: si impone prepotente all’attenzione, e le figure umane diventano parte del tutto. Dal punto di vista di un fisico equivale a dire che l’uomo, gli animali, le piante, le rocce, le nuvole e i fulmini stessi fanno parte di un unico grande sistema termodinamico. La Terra, con i suoi abitanti e la sua atmosfera, scambia energia con lo spazio esterno e il bilancio netto va a modificare la cosiddetta energia interna. Questo è, in sostanza, il primo principio della termodinamica, argomento di questo capitolo. Si tratta di un principio già noto, perché esprime in altri termini che l’energia dell’Universo si conserva, come abbiamo visto nel primo volume. Tuttavia qui il concetto di energia si arricchisce: accanto al lavoro, compare il calore come responsabile degli scambi energetici tra sistemi. Quando studiamo un fenomeno ponendo l’attenzione sui trasfe-

rimenti di energia da un sistema all’altro, cioè quando facciamo un bilancio energetico, stiamo adottando il punto di vista della termodinamica, un settore della fisica che si è sviluppato e definito nel XIX secolo, parallelamente e in stretta relazione con la rivoluzione industriale. La termodinamica è una sistemazione teorica di fatti che dominavano lo scenario del tempo. L’uomo stava imparando sempre meglio a usare l’energia della combustione per far muovere le macchine, cioè per ricavare lavoro utile. Nel frattempo gli scienziati elaboravano modelli che inquadravano i fenomeni in un’analisi scientifica e quantitativa. Intorno a questi studi sono nati concetti e definizioni nuovi rispetto alla meccanica, fra i quali quelli di stato termodinamico e di trasformazione termodinamica, che vedrai in queste pagine.

122 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

5

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

1

LA TERMODINAMICA

La termodinamica è una branca della fisica che è nata, si è sviluppata e si è definita nel corso di un secolo, di pari passo e in stretto rapporto con la rivoluzione industriale del 1800. Si prospettò inizialmente come una «scienza del calore», ma maturò come «scienza dell’energia», dopo gli importanti risultati del lavoro di Joule, che dimostrarono l’equivalenza tra le due grandezze. In quegli anni, mentre l’uomo imparava a utilizzare il calore della combustione per muovere le macchine (figura 1), negli ambienti scientifici si cercavano i fondamenti teorici di queste trasformazioni energetiche. Da questi studi nacque la termodinamica. Così come la meccanica analizza i fenomeni dal punto di vista del moto e delle forze che vi prendono parte, la termodinamica è interessata agli scambi energetici tra un sistema e il suo ambiente, che possono avvenire per mezzo del calore e del lavoro, come abbiamo già visto nel capitolo 2. Sempre nei capitoli precedenti abbiamo introdotto alcuni termini specifici, che qui riprenderemo, perfezioneremo e arricchiremo. Figura 1. Ricostruzione della grande macchina a vapore di Corliss, che ha alimentato quasi tutte le opere dell’esposizione di Philadelphia nel 1876.

Sistema termodinamico Raffiniamo la definizione di «sistema» come porzione di spazio su cui è posta l’attenzione, aggiungendo l’attributo «termodinamico», per indicare che l’interesse su di esso è di tipo energetico. Ogni volta che studiamo un sistema da punto di vista degli scambi di energia con l’ambiente, abbiamo a che fare con un sistema termodinamico.

Figura 2. a. Il sistema termodinamico è delimitato dal suo confine, nell’ambiente in cui si trova; il loro insieme è detto universo termodinamico. b. Un universo termodinamico può diventare, a sua volta, un sistema termodinamico quando si considerano gli scambi energetici tra esso e un ambiente più grande.

Qualsiasi porzione di spazio venga osservata dal punto di vista degli scambi energetici con lo spazio circostante è detta sistema termodinamico. Il sistema termodinamico è immerso in un ambiente, con il quale può o meno scambiare energia e materia attraverso il confine che lo delimita. L’insieme di sistema e ambiente è detto universo termodinamico. Spostando il confine l’universo può, a sua volta, diventare un sistema immerso in un ambiente più grande, e così via fino a ciò che comunemente chiamiamo «Universo», cioè tutto ciò che esiste (figura 2). Il confine è una rappresentazione astratta della suambiente perficie che separa il sistema dall’ambiente, ma in sistema generale attraverso esso possono passare materia ed energia. In base a tale osservazione un sistema è definito: s aperto, quando il confine può essere attraversato da materia ed energia;

ambiente sistema

confine

confine a

b

123 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

5

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

s chiuso, quando il confine può essere attraversato da energia ma non da materia; s isolato, quando il confine non può essere attraversato né da energia né da materia (tabella 1). SCAMBIA CON L’AMBIENTE

UN SISTEMA TERMODINAMICO Aperto





Chiuso

no



Isolato

no

no

a

2

b

c

STATO TERMODINAMICO DI UN SISTEMA

Ampliamo il concetto di stato termico, legato alla temperatura, con quello di stato termodinamico, legato anche ad altre grandezze fisiche macroscopiche quali la pressione, il numero di moli o il volume. Lo stato termodinamico di un sistema è una condizione del sistema stesso definita da un insieme di valori di grandezze macroscopiche quali temperatura, pressione, numero di moli e volume. In altre parole, ogni insieme di valori delle grandezze macroscopiche considerate caratterizza un determinato stato termodinamico del sistema. Ad esse, dette pertanto variabili di stato, corrispondono particolari condizioni microscopiche, come abbiamo avuto modo di vedere nel capitolo 4. Affinché tali valori caratterizzino l’intero sistema è necessario che siano uguali in ciascun punto del sistema stesso. Quindi lo stato di un sistema termodinamico è definito quando ciascuna grandezza che lo caratte-

124 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

NASA

In altre parole: i sistemi chiusi non scambiano materia con l’ambiente, i sistemi isolati nemmeno energia. Un esempio di sistema chiuso potrebbe essere un barattolo con il coperchio; un esempio di sistema isolato lo stesso barattolo con le pareti termicamente isolanti. Ovviamente nella realtà dobbiamo accontentarci di approssimazioni, perché un isolamento perfetto non è realizzabile (figura 3). Markus Gann / Shutterstock

Figura 3. a. Un essere umano è un sistema termodinamico quando lo consideriamo dal punto di vista degli scambi di energia e materia con l’ambiente. Dal cibo non ricaviamo solo energia, ma anche materia. b. Una casa è un sistema termodinamico che scambia materia ed energia con l’ambiente attraverso porte e finestre, i muri stessi, e attraverso gli impianti. Gli esseri umani che si trovano nella casa fanno parte, a loro volta, del sistema. c. Se ampliamo i confini fino a comprendere la superficie terrestre e la sua atmosfera, vediamo che tutti facciamo parte di uno stesso grande sistema termodinamico, che scambia materia, ma soprattutto energia, con l’esterno.

energia

Andrey Shchekalev / Shutterstock

Tabella 1. Gli attributi di un sistema termodinamico.

materia

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

5

rizza ha lo stesso valore in tutti i suoi punti. Per esempio, all’interno di un gas non devono esserci differenze di pressione, di temperatura o di densità: solo in questo modo possiamo definire l’intero sistema attraverso un unico valore per ogni parametro di stato. Quando lo stato di un sistema non cambia nel tempo si ha una condizione detta equilibrio termodinamico, equivalente al fatto che all’interno del sistema non avvengono cambiamenti di alcun genere. In particolare devono essere verificati contemporaneamente: s l’equilibrio termico: la temperatura è la stessa in tutti i punti del sistema; s l’equilibrio meccanico: non ci sono forze non equilibrate; s l’equilibrio chimico: non avvengono reazioni chimiche che modificano la composizione del sistema. Per poter studiare un sistema termodinamico dobbiamo poter assegnare al sistema stesso, istante per istante, un unico valore per ogni grandezza che lo caratterizza; in altre parole, solo gli stati di equilibrio risultano definiti dalle variabili di stato. Per questo motivo tutte le analisi che faremo in seguito saranno riferite a sistemi in equilibrio.

Equazione di stato Ora dovrebbe essere più chiaro il motivo per cui abbiamo chiamato «equazione di stato» la relazione che lega pressione, volume, temperatura e numero di moli di un gas perfetto. All’interno di un gas perfetto, per ciascuno stato di equilibrio termodinamico le variabili di stato p, V, T e n sono matematicamente collegate dall’equazione (4.2): pV  nRT Quindi un sistema termodinamico in cui i valori di pressione, volume, temperatura e numero di moli soddisfano in ogni stato di equilibrio la suddetta equazione è detto gas perfetto.

Un sistema modello lavoro Qualsiasi oggetto o gruppo di oggetti può essere studiato dal punto di vista termodinamico, da un corpo inanimato a un essere vivente, da un bicchiere d’acqua a un intero pianeta. Per rendere possibile lo studio teocalore rico dei sistemi termodinamici, che possono appartenere alle tipologie più disparate, in fisica si usa ragionare su un sistema-tipo molto semplice: un gas perfetto contenuto in un cilindro dotato di pistone mobile (figura 4). Questa strategia rientra nelle operazioni di semplificazione tipiche della fisica, di cui abbiamo parlato sin dalle prime pagine di questo corso. Il gas perfetto ha un’equazione di stato definita, e quindi è più facile svolgere i calcoli: con le dovute attenzioni si potrà, di volta in volta, generalizzare ai diversi casi reali.

Figura 4. In assenza di aperture che lasciano uscire o entrare materia, il sistema formato dal gas perfetto contenuto nel cilindro è chiuso. Il sistema non è isolato se scambia energia con l’esterno in forma di calore o lavoro.

125 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

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IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

3

PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Il primo principio della termodinamica è di fatto un «principio di conservazione dell’energia»: si può enunciare dicendo che: se un sistema termodinamico è isolato, la sua energia interna non cambia. Può sembrare ovvio, ma quando fu «scoperto» non lo era affatto. Il principio deriva dai lavori di Joule di cui abbiamo parlato nel capitolo 2, a proposito dell’equivalenza tra calore e lavoro. Ricordiamo che fino ad allora era diffusa la convinzione che il calore fosse un fluido impalpabile: il calorico, che si riteneva fosse conservato nel passaggio da un corpo all’altro. Sulla base della teoria del calorico, un apparato come il mulinello di Joule avrebbe «estratto per attrito» il calore dall’acqua fino al suo esaurimento e, a un certo punto, le pale avrebbero potuto continuare a girare senza registrare alcun aumento di temperatura. Joule, invece, dimostrò alla comunità scientifica che il calore non è qualcosa che «sprizza» dalle sostanze, ma energia che passa da un sistema all’altro, così come il lavoro. Nel caso specifico del mulinello di Joule, l’energia potenziale gravitazionale dei corpi in caduta è trasferita alle molecole d’acqua tramite l’apparato meccanico. Ricordando che l’energia cinetica media delle molecole è legata alla temperatura, si spiega in questo modo il riscaldamento dell’acqua. Parliamo propriamente di calore quando viene ceduta energia all’acqua per mezzo del contatto con un corpo caldo: l’energia cinetica delle molecole aumenta in seguito agli urti casuali con molecole più veloci. Usando il sistema-tipo del cilindro pieno di gas, schematizlavoro ziamo l’esperimento di Joule nel quale l’energia di quest’ultimo aumenta grazie al lavoro meccanico compiuto dall’ambiente, in assenza di scambi termici. Ciò equivale a una situazione in cui il cilindro è termicamente isolato e una forza esterna agisce sul pistone comprimendo il gas perfetto al suo interno, compiendo cioè lavoro su di esso. All’interno del cilindro, così come nell’acqua del mulinello, la temperatura si alza (figura 5). T1 T2 Allo stesso modo possiamo innalzare la temperatura del sisteT1  T2 ma, cioè possiamo aumentare la sua energia interna, attraverso l’energia di un corpo più caldo, cioè per mezzo del calore. Tale Figura 5. Quando compiamo un lavoro di compressione situazione è schematizzata da un cilindro le cui superfici sono tutte termicasu un gas perfetto, mente isolanti tranne la base, in contatto termico con un corpo a temperala sua temperatura si innalza, tura maggiore. Fintanto che c’è una differenza di temperatura l’energia entra cioè la sua energia interna aumenta. come calore nel cilindro e il gas si scalda (figura 6). Figura 6. Quando un gas è in contatto con un corpo a temperatura maggiore riceve energia da quest’ultimo in forma di calore; quindi si scalda e la sua energia interna aumenta.

T1

T2 T1  T2

calore

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5

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Se chiamiamo: s U la variazione di energia interna del sistema, s Q l’energia ricevuta dal sistema in forma di calore, s L l’energia ceduta dal sistema in forma di lavoro, cioè il lavoro compiuto dal sistema (figura 7), il primo principio della termodinamica si può esprimere mediante la formula: UQL

a

b

L L

(5.1)

La variazione di energia interna di un sistema termodinamico è uguale all’energia scambiata con l’ambiente in forma di calore o di lavoro. Mettendo in evidenza la quantità di calore Q, osserviamo che il primo principio della termodinamica ci dice che la quantità di calore che un sistema termodinamico assorbe in parte viene utilizzata per compiere lavoro L e in parte va ad aumentare l’energia interna U di una quantità ΔU:

Figura 7. a. Il lavoro è pari a L quando il sistema perde energia ed è pari a L quando il sistema acquista energia. b. Il calore è pari a Q quando il sistema acquista energia e d è pari a Q quando il sistema cede energia.

Q  L  ΔU La strana usanza di scrivere la formula matematica del primo principio della termodinamica esprimendo il lavoro compiuto dal sistema anziché quello compiuto sul sistema ha motivazioni storiche. All’epoca delle prime ricerche di termodinamica, infatti, gli studi su calore e lavoro avevano sullo sfondo la rivoluzione industriale e la ricerca di metodi sempre più efficienti per ricavare lavoro utile alle attività umane a partire dal calore della combustione. Era pertanto considerato «positivo», cioè vantaggioso, fornire energia a una macchina in forma di calore e riceverla in forma di lavoro, e ancora oggi si tende ad adottare lo stesso punto di vista. Si tratta comunque di una modalità di scrittura che non modifica il calcolo: l’importante è che, ragionando in termini di energia interna, si tenga conto dei contributi in entrata e in uscita con il giusto segno. Saranno quindi inseriti con il segno meno: s l’energia ceduta dal sistema in forma di calore (Q) e s l’energia ricevuta dal sistema in forma di lavoro, cioè il lavoro compiuto sul sistema (L).

ESEMPIO f Analizziamo l’esperimento di Joule attraverso il primo principio della termodinamica. Il sistema termodinamico in questione è 1 kg d’acqua posta in un contenitore termicamente isolato; i pesi in caduta compiono su di esso un lavoro pari a 4186 J. Di quanto aumenta l’energia interna?

L

L

1 kg

SOLUZIONE Il fatto che le pareti del contenitore siano termicamente isolanti consente di considerare nulli, con buona approssimazione, gli scambi di calore:

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5

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Q0J Per quanto detto, il lavoro compiuto sul sistema è L, cioè: L  4186 J L  4186 J L’energia interna dell’acqua cambia quindi di una quantità ΔU  Q  L  0 J  (4186 J)  4186 J DOMANDA In che modo varierebbe l’energia interna se le pareti non fossero termicamente isolanti? Fai un’ipotesi in 10 righe.

4

L’ENERGIA INTERNA

Nel capitolo 2 abbiamo introdotto l’energia interna di un sistema, definendola come la somma dell’energia cinetica e potenziale delle molecole che lo compongono; ora entriamo nei dettagli, utilizzando la teoria cinetica dei gas. Se indichiamo con U l’energia interna e con Eci ed Epi le energie cinetiche e potenziali delle N molecole, possiamo scrivere: N

N

i =1

i =1

U = ∑ E ci + ∑ E pi Nel caso di un gas perfetto le particelle non interagiscono a distanza e pertanto la loro energia potenziale è nulla: l’energia cinetica è l’unica che contribuisce all’energia interna, per cui: N

U = ∑ E ci i =1

Per ricavare l’energia interna in termini di energia cinetica media dividiamo e moltiplichiamo per N, in modo da poter mettere in evidenza quest’ultima: N

U =N

∑ E ci i =1

N

= N Ec

Dalla teoria cinetica dei gas sappiamo che per un gas perfetto monoatomico 3 Ec kBT 2 Quindi, dal punto di vista macroscopico: UN

3 3 kB T  nRT 2 2

L’energia interna di un gas perfetto dipende solo dalla sua temperatura assoluta.

128 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

(5.2)

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

5

Confrontando questa espressione con l’equazione di stato dei gas perfetti, otteniamo: 2 pV U 3 cioè: l’energia interna di un gas perfetto è determinata dal valore della temperatura o del prodotto pV.

L’energia interna è una funzione di stato L’abbiamo dimostrato per un gas perfetto, ma il risultato può essere esteso al caso più generale: l’energia interna dipende solo dallo stato termodinamico del sistema, cioè dai valori delle variabili di stato. In altre parole, per ogni stato del sistema, caratterizzato da un particolare insieme di valori delle grandezze, esiste un unico valore dell’energia interna. Questo fatto suggerisce un’analogia con l’energia potenziale gravitazionale, che, come abbiamo visto nel primo volume, dipende solo dalla quota e non dal percorso effettuato, e si esprime dicendo che l’energia interna è una funzione di stato. In generale: una funzione di stato è una grandezza fisica che dipende solo dalle variabili di stato, cioè dalle grandezze che caratterizzano lo stato del sistema. Ciò significa che per calcolare la variazione di una funzione di stato, come l’energia interna, tra due stati del sistema, è sufficiente conoscere i valori delle variabili che caratterizzano quegli stati particolari, indipendentemente da come il sistema è passato dall’uno all’altro. Nel caso dell’energia interna di un gas perfetto, per esempio, è sufficiente conoscere i valori della temperatura dei due stati tra i quali si vuole calcolare la variazione e non è importante sapere in quale modo la temperatura è cambiata.

ESEMPIO Una mole di gas perfetto monoatomico viene messa in contatto termico con un corpo caldo e la sua temperatura passa da T1  300 K a T2  350 K. Di quanto aumenta la sua energia interna? SOLUZIONE Dall’equazione U

3 nRT 2

ricaviamo che

3 3 nR (T2 − T1 ) = × 1 mol × 8, 314 J/K ⋅ mol × ( 350 K − 300 K ) = 624 J 2 2 È stato sufficiente conoscere la temperatura iniziale e finale per calcolare la variazione di energia interna, anche senza avere informazioni sugli stati intermedi del sistema. ΔU =

DOMANDA Di quanto varia l’energia interna dello stesso gas se, dalla temperatura di 350 K, compie lavoro e si riporta alla temperatura di 300 K? Qual è la variazione totale di energia nelle due trasformazioni?

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5 Tabella 2. Alcune definizioni che caratterizzano un sistema termodinamico all’equilibrio.

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA VARIABILI DI STATO Descrizione

Esempio

Grandezze fisiche che all’equilibrio hanno lo stesso valore in tutti i punti del sistema p, V, T, n

STATO TERMODINAMICO Condizione del sistema definito da un insieme di valori delle variabili di stato p1, V1, T1, n1

EQUAZIONE DI STATO Relazione matematica fra le variabili di stato di un sistema termodinamico pV  nRT (gas perfetto)

5

FUNZIONE DI STATO Grandezza fisica che dipende solo dal valore delle variabili di stato 3 nRT 2 (gas perfetto monoatomico) U

TRASFORMAZIONI TERMODINAMICHE

Quando un sistema passa da uno stato termodinamico all’altro si dice che compie una trasformazione termodinamica. Ricordando che gli stati definiti dalle variabili di stato sono stati di equilibrio, possiamo affermare che

SIMULAZIONE Trasformazioni reversibili (PhET, University of Colorado)

una trasformazione termodinamica è un processo mediante il quale un sistema termodinamico passa da uno stato di equilibrio a un altro stato di equilibrio. Tra due stati di equilibrio avviene una trasformazione termodinamica quando cambiano alcuni (o tutti) i valori delle variabili di stato. Usando la schematizzazione del gas perfetto nel cilindro con pistone mobile, rappresentiamo una trasformazione in cui cambiano pressione, volume e temperatura da p1, V1 e T1 a p2, V2 e T2 (figura 8).

Figura 8. Il gas perfetto ha compiuto una trasformazione tra due stati di equilibrio caratterizzati rispettivamente dai valori n, p1, V1 e T1 e dai valori n, p2, V2 e T2.

p 1 V1 T1

trasformazione termodinamica

p 2 V2 T2 n

n

Tra due stati di equilibrio possono avvenire due fondamentali tipi di trasformazione: s ideale: se ciascuno stato intermedio è uno stato di equilibrio, cioè se istante per istante il sistema è caratterizzato da un unico valore per ogni parametro di stato; s reale: se il sistema non passa, istante per istante, per stati di equilibrio, cioè se durante la trasformazione i valori delle grandezze termodinamiche in generale non sono uguali da un punto all’altro del sistema. Nelle trasformazioni reali, infatti, le inevitabili forze di attrito non sono equilibrate e quindi non è garantito l’equilibrio meccanico. Tuttavia per poter studiare i sistemi termodinamici attraverso le loro variabili di stato dobbiamo

130 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

5

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Figura 9. Immaginiamo che la trasformazione tra gli stati A e B sia la somma di trasformazioni tra stati di equilibrio intermedi, nelle quali le variabili di stato cambiano pochissimo.

necessariamente approssimare le trasformazioni reali con trasformazioni ideali, con le dovute attenzioni. Ciò consiste nell’immaginare che la trasformazione da uno stato A a uno stato B avvenga molto lentamente, per passi intermedi molto piccoli e molto numerosi, ciascuno dei quali sia uno stato di equilibrio (figura 9).

p 1 V1 T1 n

n

p 2 V2 T2

p 3 V3 T3

n

n

n

pA VA TA

pB VB TB

Più gli stati intermedi sono vicini, cioè minori sono le variazioni delle variabili di stato, più il loro numero è elevato: immaginando di spingere il ragionamento a un numero infinito di passi, la trasformazione diventerebbe ideale. Quando il numero di passi è molto elevato abbiamo perciò una buona approssimazione di una trasformazione ideale: si parla in questo caso di trasformazione quasi-statica. Una trasformazione quasi-statica è una buona approssimazione di una trasformazione ideale. Figura 10. a. In una trasformazione adiabatica non ci sono scambi di calore. b. In una trasformazione isoterma la temperatura del sistema è costante e cambiano pressione e volume. c. In una trasformazione isobara la pressione è costante e variano volume e temperatura.

L’espressione «quasi-statica» viene utilizzata in quanto suggerisce che il passaggio da uno stato di equilibrio all’altro avviene gradualmente, cioè le variabili di stato variano molto lentamente. D’ora in poi tratteremo qualsiasi trasformazione come se fosse ideale, approssimandola come trasformazione quasi-statica, cioè immaginando che i cambiamenti avvengano molto lentamente. Le trasformazioni ideali (e con buona approssimazione quelle quasi-statiche) se «ripercorse» in verso opposto riconducono esattamente allo stato di equilibrio iniziale, definito dalle stesse variabili di stato. Perciò le trasformazioni di questo tipo sono anp 1 V1 T1 che dette reversibili, e quelle reali p 2 V2 T2 irreversibili. n

Tipi di trasformazioni termodinamiche Nella più generica trasformazione termodinamica può avvenire qualsiasi scambio di energia tra sistema e ambiente e possono cambiare tutte le variabili di stato. Tuttavia analizzeremo qui alcuni casi particolari, in cui saranno soddisfatte condizioni che ne semplificano lo studio. Riprendiamo pertanto alcuni termini introdotti nel capitolo 1 e distinguiamo i seguenti tipi di trasformazione riferiti a un gas perfetto (figura 10):

n

Q0 adiabatica

a

p V1 T1 n

p V2 T2 n

T  costante isoterma

n

n

n ciclica

V  costante isocora d. In una trasformazione isocora il gas occupa sempre lo stesso volume e cambiano pressione e temperatura. e. È una trasformazione ciclica quella che riporta il sistema allo stato iniziale.

131 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

p 2 V T2 n

d

p 1 V1 T1

p 2 V2 T n

p 1 V T1

p 1 V1 T1

e

n b

P  costante isobara

c

p 1 V1 T

5

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

s isobara: quando la pressione del sistema è costante durante il processo e gli stati sono definiti solo dal volume e dalla temperatura; s isocora: quando il volume non varia durante il processo e gli stati sono definiti solo dalla pressione e dalla temperatura; s isoterma: quando la temperatura del sistema è costante durante il processo e gli stati sono definiti solo dalla pressione e dal volume; s adiabatica: quando il sistema e l’ambiente possono scambiare lavoro ma non calore; s ciclica: quando alla fine della trasformazione lo stato del sistema è identico allo stato iniziale.

Il piano di Clapeyron

Figura 11. a. Trasformazione ideale: ciascun punto del piano p-V rappresenta uno stato del sistema; durante una trasformazione ideale gli stati variano con continuità descrivendo una curva, ovvero ciascun punto della curva individua uno stato intermedio del sistema. b. Trasformazione reale: se gli stati intermedi tra quello iniziale e quello finale non sono stati di equilibrio il sistema non è definito, istante per istante, da un unico valore delle variabili di stato e non è rappresentabile con un punto sul piano p-V; la trasformazione non è quindi rappresentabile mediante una curva.

Quando abbiamo a che fare con una trasformazione ideale il sistema è in equilibrio termodinamico in ogni istante di tempo, cioè gli stati intermedi della trasformazione sono tutti definiti dalle variabili di stato, che cambiano pertanto con continuità. Si usa in questo caso un’utile rappresentazione grafica su un piano cartesiano p-V, detto piano di Clapeyron, dal nome del fisico francese che nel XIX secolo svolse importanti studi sul calore, in cui ciascun punto rappresenta uno stato del sistema in funzione delle variabili pressione e volume. Una generica trasformazione ideale è rappresentata, sul piano di Clapeyron, da una curva continua che collega il punto corrispondente allo stato iniziale, a pressione e volume p1 e V1, al punto corrispondente allo stato finale, a pressione e volume p2 e V2. Una freccia sulla curva individua il verso della trasformazione (figura 11). p

p

p2

p1

0

p2

stato finale

p1

stato iniziale V1

V2

a

V

0

stato finale

stato iniziale V1

V2

V

b

Le trasformazioni reversibili sul piano di Clapeyron possono essere rappresentate con due frecce, che indicano che la trasformazione può essere percorsa in entrambi i versi (figura 12). p

trasformazione isoterma reversibile

Figura 12. La curva che rappresenta un’isoterma reversibile sul piano di Clapeyron può essere percorsa in entrambi i versi.

0

V

132 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

5

Alcune trasformazioni sul piano di Clapeyron La curva che rappresenta la trasformazione di un gas perfetto sul piano p-V cambia a seconda del tipo di processo. I casi più semplici sono quelli in cui la pressione o il volume sono costanti, per i quali si hanno rispettivamente una retta parallela all’asse orizzontale e una retta parallela all’asse verticale. La rappresentazione di una trasformazione isobara di un gas perfetto sul piano p-V è un segmento p p orizzontale; la rappresentazione di una trasformazione isocora di p 1 un gas perfetto sul piano p-V è un segmenV1 0 V V to verticale (figura 13). 0 a b Se la temperatura è costante, l’equazione di stato dei gas perfetti si riduce all’espressione della legge di Boyle, vista nel capitolo 1:

Figura 13. a. In una trasformazione isobara la pressione è la stessa per ogni valore del volume. b. In una trasformazione isocora il volume non cambia per ogni valore della pressione.

pV  n RT  costante La rappresentazione di una trasformazione isoterma di un gas perfetto sul piano p-V è un ramo di iperbole equilatera (figura 14a). p

p

T1 T2 T3

T1

T2 p

T1  T2  T3

V1  V2

V

a

b

V

0 c

Una trasformazione adiabatica fra due stati a temperature T1 e T2 è rappresentata da una curva che interseca le due isoterme a temperature T1 e T2 passanti per i due stati. La curva che rappresenta l’adiabatica ha dunque una pendenza in valore assoluto maggiore dell’isoterma. La rappresentazione di una trasformazione adiabatica di un gas perfetto sul piano p-V è una curva che interseca le isoterme passanti per gli stati iniziale e finale (figura 14b). Quando la trasformazione è ciclica la curva che la rappresenta sul piano p-V si chiude sul punto corrispondente allo stato iniziale, che è lo stesso che definisce lo stato finale. Pertanto la rappresentazione di una trasformazione ciclica di un gas perfetto sul piano p-V è una curva chiusa (figura 14c).

6

TRASFORMAZIONI E PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

V1  V2 Figura 14. a. Se la temperatura del gas perfetto è costante la trasformazione è rappresentata da un ramo di iperbole equilatera sul piano di Clapeyron. b. La curva che rappresenta l’adiabatica ideale di un gas perfetto interseca le isoterme passanti per gli stati in cui si viene a trovare. c. Una trasformazione ciclica avviene tra due stati definiti dalle stesse variabili di stato, per cui la sua rappresentazione sul piano p-V è una curva chiusa.

Dopo tante definizioni, vediamo finalmente come si studiano i sistemi termodinamici: quali informazioni possiamo ricavare e quali conclusioni possiamo trarre, applicando il primo principio al sistema-tipo.

133 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

V

5

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Trasformazione isobara Pest Patm

Pint

a

Pint

b Figura 15. a. Rappresentiamo la pressione del gas in equilibrio con alcuni pesi poggiati sul pistone mobile: la pressione interna è uguale e opposta a quella esterna esercitata dai pesi. b. In assenza di pesi sul pistone sottintendiamo che la pressione interna sia uguale e opposta a quella atmosferica.

Una trasformazione avviene a pressione costante se istante per istante la pressione ha sempre lo stesso valore in tutti i punti del sistema. In un cilindro chiuso con un pistone libero di muoversi, in condizioni di equilibrio, la pressione esercitata dal gas sulle pareti interne è uguale e opposta a quella esercitata dal pistone sul gas. Trascurando la forza peso del pistone, rappresentiamo tale pressione con la presenza di alcuni pesi poggiati su di esso; in loro assenza si assume che la pressione sia uguale istante per istante a quella atmosferica (figura 15). Consideriamo ora una trasformazione isobara, nella quale un gas perfetto assorbe una quantità di calore Q e si espande compiendo un lavoro L, e cerchiamo un’espressione matematica per il lavoro in termini di variabili termodinamiche, cioè calcoliamo il cosiddetto lavoro termodinamico durante la trasformazione. Mentre il gas nel cilindro si espande, il pistone scorre lungo le pareti del ¤ cilindro, spinto da una forza costante F parallela allo spostamento. Il lavoro complessivo della forza è quindi dato dal prodotto del modulo F di quest’ultima per la lunghezza del dislivello percorso dal pistone Δh. L’intensità della forza F, inoltre, è pari al prodotto della pressione p costante per l’area S del pistone, per cui: L  FΔh  (pS)Δh L  p ΔV

(5.3)

Osserviamo che la quantità ΔV influenza il segno di L: è positiva nel caso del lavoro di espansione e negativa nel caso del lavoro di compressione (figura 16). S

F  pS

L  F h  pS h  p V

h

Figura 16. Il lavoro, pari alla forza per lo spostamento, è equivalente al prodotto della pressione per la variazione di volume.

S

V

V  S h

h

Q

In definitiva: ΔU  Q  pΔV

ESEMPIO f Qual è la variazione di energia interna di un gas perfetto che assorbe una quantità di calore di 1000 J a pressione costante, pari a 1,01 × 105 Pa, aumentando il suo volume di 1,0 dm3? SOLUZIONE Sostituendo i dati direttamente nell’espressione

134 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

5

ΔU  Q  pV abbiamo: ΔU  1000 J  1,01 × 105 Pa × 1,0 × 10–3 m3  900 J ΔU è maggiore di zero, cioè l’energia interna aumenta, in quanto riceve dall’ambiente una quantità di energia maggiore di quella utilizzata per compiere il lavoro di espansione. DOMANDA Qual è la variazione di energia interna se il gas cede all’ambiente una quantità di calore di 1000 J diminuendo il suo volume di 1,0 dm3? Commenta in 5 righe il risultato utilizzando il primo principio della termodinamica.

Trasformazione isocora Una trasformazione isocora è quella che avviene in un cilindro nel quale il pistone non può scorrere e il gas occupa tutto il volume interno a disposizione (figura 17). Se il volume non cambia il lavoro termodinamico è nullo, per cui: Lp

ΔV  0

ΔU  Q La variazione di energia interna è legata soltanto agli scambi di calore con l’ambiente. In altre parole, se un sistema non compie lavoro tutta l’energia assorbita in forma di calore va a innalzare la sua energia interna. Analogamente, se il sistema cede calore all’ambiente a volume costante la sua energia interna diminuisce.

Figura 17. Nel gas perfetto contenuto nel cilindro avviene una trasformazione isocora quando il pistone è bloccato.

Trasformazione isoterma Una trasformazione isoterma avviene a temperatura costante. Possiamo rappresentarla mediante un gas perfetto in un cilindro che modifica il suo stato mentre è in contatto termico con un corpo che ha una capacità termica molto elevata. Questo corpo è detto anche sorgente termica, in quanto è in grado di fornire o assorbire energia senza modificare apprezzabilmente la sua temperatura. Quando il sistema compie una trasformazione ideale durante la quale è, istante per istante, in equilibrio con la sorgente termica, la sua temperatura resta costante (figura 18). Dato che l’energia interna di un gas perfetto dipende solo dalla temperatura, durante una trasformazione isoterma l’energia interna non è soggetta a variazioni. Scriviamo quindi: ΔU  0 da cui si ricava: QL

sorgente termica Figura 18. Il sistema compie una trasformazione isoterma quando è, istante per istante, in equilibrio con una sorgente termica, cioè con un corpo che ha una capacità termica molto elevata, che garantisce che la temperatura sia costante.

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IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Il sistema compie un lavoro equivalente al calore assorbito, viceversa il sistema cede una quantità di calore equivalente al lavoro compiuto su di esso.

ESEMPIO f Una mole di gas perfetto è contenuta in un cilindro con pistone mobile di volume iniziale pari a 10 litri, in contatto termico con una sorgente termica a 300 K. Successivamente la mole viene compressa molto lentamente, con una forza che esercita una pressione di 5,0 × 105 Pa e il suo volume iniziale si dimezza. Qual è la quantità di energia che il gas cede alla sorgente?

300 K 300 K

SOLUZIONE Se la trasformazione è sufficientemente lenta, cioè se la trasformazione è quasistatica, abbiamo approssimativamente un’isoterma ideale. In tal caso il calore ceduto dal gas alla sorgente è uguale in termini numerici al lavoro compiuto sul gas, cioè: QL dove L è il lavoro termodinamico a pressione costante svolto sul sistema per dimezzare il volume iniziale V1  10 litri × 10–3 m3/litro  10–2 m3. Quindi si ha: ⎛ 1 ⎞ Q  p ΔV  p (V2 V1 )  5, 0  10 5 Pa  ⎜ × 10 −2 m 3 ⎟  2, 5 kJ ⎝ 2 ⎠ Il segno di Q è negativo, infatti si tratta di calore ceduto alla sorgente termica. DOMANDA Se si usa come sorgente termica una vasca contenente 500 litri d’acqua, la sua variazione di temperatura è apprezzabile con un termometro che ha una sensibilità di 0,01 °C?

Trasformazione adiabatica Rappresentiamo il sistema durante una trasformazione adiabatica isolando termicamente le pareti del cilindro e il pistone (figura 19). Sistema e ambiente possono compiere lavoro attraverso il pistone, ma non possono scambiare calore, per cui: Q0 Figura 19. Quando le pareti del cilindro e il pistone sono isolanti termici le trasformazioni del sistema sono adiabatiche.

ΔU  L

(5.4)

Nella realtà, quando una trasformazione avviene molto velocemente si possono spesso trascurare gli scambi termici con l’ambiente e trattare quindi la trasformazione come adiabatica. Anche se gli scambi termici non sono mai nulli, una trasformazione adiabatica è una buona approssimazione di molte trasformazioni reali, che avvengono molto velocemente. Per esempio, in una rapida espansione di un gas dovuta a un’esplosione la variazione di energia interna può essere calcolata con la formula (5.4).

136 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

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La tabella 3 riassume le espressioni del primo principio applicato alle varie trasformazioni viste.

TRASFORMAZIONE

PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

RAPPRESENTAZIONE GRAFICA Tabella 3. Schema sintetico del primo principio della termodinamica applicato alle varie trasformazioni.

p

Isobara

p1

ΔU  Q  L  Q  pΔV

0

V

p

Isocora

ΔU  Q 0

p

V1

V

T1 T2 T3

T1  T2  T3

Isoterma

QL

V p

Adiabatica

T1

T2

ΔU  L

V p V1  V2

Ciclica

QL

0

V1  V2

V

137 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

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IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

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RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DEL LAVORO TERMODINAMICO

Abbiamo visto che per calcolare il lavoro termodinamico scambiato con un sistema in una trasformazione isobara si moltiplica il valore della pressione costante per la variazione di volume. Se la pressione non è costante tale formula non si può più usare e in generale il lavoro cambia a seconda della trasformazione. Questo significa che di volta in volta va fatto un calcolo specifico e non si possono usare, come per l’energia interna, soltanto le variabili di stato iniziale e finale. In altre parole: il lavoro non è una funzione di stato. Possiamo rendercene conto attraverso il grafico p-V di una trasformazione ideale, che consente di visualizzare il lavoro come area sottesa alla curva tra gli stati iniziale e finale. Cominciamo a verificarlo nel caso di un’espansione isobara a pressione p1, il cui grafico è un segmento parallelo all’asse orizzontale e passante per p1, di lunghezza V2  V1. Il lavoro L12 dallo stato corrispondente a V1 allo stato corrispondente a V2 è dato dalla formula L12  pΔV  p1 (V2  V1) cioè è equivalente all’area sottesa al grafico della trasformazione tra gli stati definiti da V1 e V2 (figura 20). p Figura 20. Il lavoro pΔV, scambiato durante una trasformazione isobara a pressione p1, è equivalente all’area sottesa alla retta p  p1 compresa tra i due valori V1 e V2 che individuano gli stati iniziale e finale.

p1

0

                                                 

V1

p 1 V

V2

V

V

Se nella trasformazione isobara illustrata in figura 20 il volume iniziale è V2 anziché V1, si tratta di una compressione; il lavoro è negativo (figura 21) ed equivalente a: L21  p1(V1  V2)  p1(V2  V1)  L12 p Figura 21. Se la trasformazione avviene da uno stato a volume maggiore V2 e uno stato a volume minore V1, cioè se il gas viene compresso, il lavoro è negativo e sempre equivalente, in valore assoluto, all’area sottesa al grafico.

p1

0

                                                 

V1

V2

p 1 V

V

 V

138 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

5

Immaginiamo ora di dividere ciascuna trasformazione nella somma di più trasformazioni isobare intermedie, seguite da trasformazioni isocore, nelle quali il lavoro è nullo. La somma dei lavori delle trasformazioni così ottenute è un’approssimazione del lavoro scambiato durante la trasformazione di partenza, e l’approssimazione migliora al crescere del numero di passi intermedi. Spingendo avanti il ragionamento fino a un numero infinito di piccolissime trasformazioni isobare, vediamo che si può estendere a una trasformazione ideale qualsiasi (figura 22). Il lavoro scambiato da un sistema con l’ambiente durante una trasformazione ideale è equivalente all’area sottesa alla curva che rappresenta la trasformazione su un piano p-V. p

p isobara isocora

B

B

A

A

Ltot

L1 L2 L3 L4 L5 L6 L7 L8

0

Figura 22. Se si approssima una trasformazione qualsiasi con un numero grandissimo di trasformazioni isobare e isocore intermedie, si vede che il lavoro continua a essere equivalente all’area sottesa al grafico p-V anche nel caso generale.

V

0

V

Lavoro in una trasformazione ciclica In una trasformazione ciclica il sistema viene riportato allo stato di partenza. Vediamo che, se una trasformazione ciclica è formata da un’espansione isobara, seguita da una compressione isobara alla stessa pressione, il lavoro complessivo è nullo: Ltot  L12  L21  L12  L12  0 Graficamente, infatti, le due aree si uguagliano e si annullano a vicenda (figura 23). p

L12  L12  L12  L12  0

p1

0

                                                 

V1

V2

Figura 23. In una trasformazione ciclica a pressione costante il lavoro è nullo.

V

Questo fatto non è vero in generale; infatti una trasformazione ciclica in cui ci sia scambio di lavoro è fondamentalmente formata da un’espansione e da una compressione (se il volume è costante il lavoro è nullo), durante le quali il lavoro non è in generale lo stesso. Il lavoro netto durante la trasfor-

139 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

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IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

mazione Ltot è dato dalla somma algebrica dei lavori parziali dell’espansione Le e della compressione Lc: Ltot  Le  Lc Il secondo è negativo e si sottrae in valore assoluto al primo; il segno del lavoro complessivo dipende dai valori assoluti dei lavori parziali: Ltot  |Le |  |Lc| dove: Ltot > 0 se |Le| > |Lc| Ltot < 0 se |Le| < |Lc| Dalla rappresentazione grafica della trasformazione ciclica vediamo che il lavoro è equivalente all’area della parte di piano racchiusa dalla curva corrispondente. Infatti, se sovrapponiamo le aree sottese alle trasformazioni parziali e annulliamo i contributi uguali e opposti, vediamo che nella porzione di piano interna al grafico non c’è sovrapposizione: cioè è l’unica che dà un contributo non nullo al lavoro complessivo (figura 24). Figura 24. In una trasformazione ciclica il lavoro è dato dalla somma algebrica dei lavori durante l’espansione e durante la compressione ed è equivalente all’area della parte di piano racchiusa dalla curva.

p

p                                                                             

0

Le Lc

V2

V1

                               

 Le    Lc 

0

V

V

ESEMPIO f Qual è l’espressione matematica per trovare il lavoro che scambia un gas perfetto durante una trasformazione ciclica come quella in figura? p p1

p2 0

A

B

D

C

V1

V2

A

B

C

C

D

A

V

SOLUZIONE La trasformazione ciclica è formata da: 1. 2. 3. 4.

un’espansione isobara alla pressione p1 che porta il volume da V1 a V2; una trasformazione isocora in cui la pressione diminuisce fino a p2; una compressione isobara che riporta il volume al valore V1, una trasformazione isocora che riporta la pressione al valore p1.

140 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

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Nei tratti 2 e 4 il lavoro è nullo, mentre nei tratti 1 e 3 si esprime rispettivamente con le formule: LCD

LAB  p1 (V2  V1)  p2(V1  V2)  p2(V2  V1)

Il lavoro totale si scrive sommando i due contributi: Ltot  LAB  LCD  p1(V2  V1)  p2(V2  V1)   (V2  V1) (p1  p2) Il lavoro è effettivamente equivalente all’area del rettangolo di base (V2  V1) e altezza (p1  p2), che rappresenta la trasformazione sul piano p-V; inoltre, dato che V2 > V1 e p1 > p2, il lavoro è positivo. DOMANDA Qual è il valore del lavoro per una trasformazione ciclica che ha verso opposto rispetto a quella appena studiata?

141 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

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IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

METEOROLOGIA Trasformazioni adiabatiche in atmosfera Durante una trasformazione adiabatica il sistema non scambia calore con l’ambiente, per cui le variazioni di energia interna dipendono direttamente dal lavoro termodinamico effettuato sul sistema o dal sistema. Si può dimostrare che, se un gas perfetto compie una trasformazione adiabatica, la sua pressione e il suo volume sono legati dalla relazione: γ

pV = costante dove γ 

cp cV

è il rapporto tra il calore specifico del gas nelle trasformazioni in cui la pressione è costante e il calore

specifico del gas nelle trasformazioni in cui è costante il volume (in generale il calore specifico dei gas è diverso da una trasformazione all’altra). In atmosfera spesso le masse d’aria si spostano in verticale, subendo trasformazioni nelle quali gli scambi di calore con l’ambiente circostante possono essere trascurati: sia perché l’aria (soprattutto quella secca) è un cattivo conduttore di calore, sia perché esse avvengono molto velocemente. Analizziamo dunque alcune situazioni particolari in questa approssimazione, facendo riferimento alla formula per le trasformazioni adiabatiche di un gas perfetto.

Lo Stau Quando un vento orizzontale incontra uno sbarramento verticale, come un’alta montagna, la massa d’aria è costretta forzatamente alla risalita lungo il versante d’incidenza (sopravvento). Se la trasformazione è rapida può essere considerata adiabatica e quindi, all’aumentare della quota, dato che la pressione diminuisce, il volume della massa d’aria aumenta, affinché il Schema dei fenomeni meteorologici γ prodotto pV resti costante. Alla dello Stau e del Föhn. dilatazione adiabatica corrisponaria umida de una diminuzione dell’energia livello di riscaldamento interna, cioè della temperatura. condensazione adiabatico La massa d’aria si raffredda raraffreddamento F pidamente fino a raggiungere la öh aria secca adiabatico n temperatura di condensazione: u Sta si formano pertanto numerose nubi, con fenomeni di precipitazioni e maltempo sul versante sopravvento. Tale condizione è detta Stau ed è comune nelle Alpi, quando sui versanti meridionali incidono i venti carichi di acqua provenienti dalle regioni mediterranee; oppure quando la catena fa da sbarramento ai freddi venti settentrionali provenienti dall’Europa continentale.

Un intenso episodio di Föhn ha interessato la Pianura Padana nella giornata del 9 novembre 2007. Nella fotografia da satellite si vede l’ampia zona di sereno a sud delle nubi alpine dovute a venti settentrionali.

DOMANDA Nel fenomeno dello Stau l’aria risalendo lungo il fianco di una montagna si raffredda e l’acqua in essa contenuta condensa. Come contribuisce alla variazione di temperatura tale condensazione?

142 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

2007 EUMETSAT

Il Föhn Quando su un versante si verifica il fenomeno dello Stau, con vento freddo ascendente, maltempo e precipitazioni, sul versante opposto le condizioni meteorologiche sono migliori. L’aria, infatti, perde sotto forma di pioggia o neve la sua umidità e, quando supera lo sbarramento, ridiscende lungo il fianco della montagna riscaldandosi. La trasformazione è in questo caso una compressione adiabatica con aumento della pressione e della temperatura. Sul versante sottovento si verifica quindi il fenomeno del Föhn, caratterizzato da un vento discendente secco e caldo, che provoca a volte il rapido scioglimento della neve.

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

5

BIOLOGIA L’energia della vita Tutti gli organismi viventi crescono e si riproducono, utilizzando energia. Questa non si crea dal nulla ma, nel rispetto del principio di conservazione, è frutto di trasformazioni che avvengono in minuscole, complesse ed efficientissime centrali: le cellule. Nelle cellule l’energia potenziale chimica è trasformata e utilizzata per tutte le funzioni vitali.

Gli organismi viventi

L’ATP: un veicolo di energia La principale fonte di energia per le cellule è il glucosio (uno zucchero semplice), che viene degradato attraverso una serie di reazioni allo scopo di produrre l’ATP (adenosintrifosfato), una molecola ad alto contenuto energetico. L’ATP è la “moneta di scambio” per lo svolgimento delle reazioni metaboliche della cellula ed è composta da adenina (una base azotata), ribosio (uno zucchero semplice) e 3 gruppi fosfato (PO43–). L’ATP viene prodotto nella cosiddetta «respirazione cellulare», e in seguito libera la propria energia attraverso alcune reazioni, rendendo possibile un processo metabolico, altrimenti energeticamente sfavorito, utile alla vita della cellula e dell’intero organismo.

Skyline / Shutterstock

Iakov Kalinin / Shutterstock

Le funzioni vitali di tutti gli organismi viventi richiedono energia: dallo sviluppo alla riproduzione, dal trasporto dei metaboliti alla sintesi delle biomolecole. Tale necessità viene soddisfatta tramite strategie nutritive diverse. I vegetali trasformano l’energia del Sole per mezzo della fotosintesi, convertendo l’acqua e l’anidride carbonica in zuccheri. Gli animali (compreso l’uomo) prendono l’energia chimica contenuta nelle biomolecole derivate dagli alimenti e la trasformano in energia metabolica (trattenuta in molecole ad alto contenuto energetico, come l’ATP). Le sostanze nutritive che gli animali introducono con la dieta hanno un diverso contenuto calorico, liberano cioè diverse quantità di energia. Gli alimenti a più alto contenuto energetico sono i grassi (o lipidi) e i carboidrati (o zuccheri), che vengono metabolizzati durante la digestione e convertiti da sostanze complesse a molecole più semplici, in grado di entrare nelle singole cellule e qui subire ulteriori trasformazioni chimiche.

Le piante trasformano direttamente l’energia del Sole con la fotosintesi; gli animali trasformano l’energia contenuta nei cibi.

Molecola di ATP.

Come viene prodotto l’ATP? L’ATP viene prodotto tramite una serie di reazioni chimiche, dette nell’insieme respirazione cellulare, che portano alla rottura dei legami del glucosio: š la glicolisi (che avviene in assenza di ossigeno, nel citoplasma delle cellule); š il ciclo di Krebs, la catena di trasporto degli elettroni; š la fosforilazione ossidativa (che avviene in presenza di ossigeno, nei mitocondri). Una reazione di respirazione cellulare completa, qui descritta mediante un’unica formula chimica, produce circa 32 molecole di ATP: C6H12O6 + 6 O2 → 6 CO2 + 6 H2O + energia (ATP + calore) DOMANDA La completa utilizzazione degli acidi grassi fornisce circa 9 kcal/g, mentre i carboidrati forniscono circa 4 kcal/g (come le proteine). Sai spiegare, quindi, perché una dieta equilibrata deve avere un ridotto apporto di grassi?

143 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

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IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

CON GLI OCCHI DI UN FISICO Il sistema Terra L’atmosfera assorbe quindi parte della radiazione in entrata e la sua temperatura aumenta rispetto agli strati sottostanti. Parte della radiazione che raggiunge la superficie terrestre ne viene infine riflessa, in misura diversa, a seconda delle caratteristiche delle superfici sulle quali incide (boschi, ghiaccio, deserto, zone urbane): di fatto la Terra assorbe, in media, meno del 50% dell’energia che raggiunge gli strati più alti dell’atmosfera.

L’atmosfera La Terra è un grande sistema termodinamico piuttosto complesso, con meccanismi di funzionamento interconnessi difficilmente schematizzabili mediante un modello semplice. Questa complessità deriva principalmente dalla presenza di un’atmosfera che influenza in modo determinante gli scambi energetici tra le parti solida e liquida del pianeta e lo spazio esterno. Anche per la Terra, infatti, vale il primo principio della termodinamica per cui la variazione di energia interna, e quindi della temperatura, dipende dalla differenza tra i flussi energetici entranti e quelli uscenti, che sono mediati dall’involucro gassoso che avvolge il pianeta. Così come gli abiti per un essere umano, l’atmosfera riduce le differenze di temperatura tra il giorno e la notte schermando le radiazioni in entrata e in uscita: sulla Luna, che non ha un’atmosfera, la differenza tra la temperatura delle zone illuminate e delle zone buie è di circa 350 °C.

In uscita

In entrata

Tyler Olson / Shutterstock

B747 / Shutterstock

Kwest / Shutterstock

L’energia proveniente dal Sole, sotto forma di radiazione elettromagnetica, raggiunge la superficie terrestre in misura ridotta. Parte viene riflessa dalle nuvole e dalle particelle solide e liquide in sospensione (i cosiddetti «aerosol») e parte viene assorbita dall’atmosfera stessa: dagli aerosol, per esempio, ma anche dall’ozono, una molecola composta da tre atomi di ossigeno (O3) che si forma, viene distrutta e si riforma a partire dall’ossigeno (O2), a circa 30 km di quota, in un processo che avviene per mezzo di determinate radiazioni ultraviolette.

La vita sulla Terra è strettamente legata alle condizioni climatiche, che sono governate da meccanismi complessi e delicati sui quali è difficile fare previsioni, ma proprio per questo è importante acquisirne consapevolezza.

PAROLA CHIAVE

Stato termodinamico

DOMANDA È possibile definire lo stato termodinamico dell’atmosfera terrestre? Motiva la risposta in 5 righe. PAROLA CHIAVE

Trasformazione termodinamica

DOMANDA Immaginando di poter definire lo stato termodinamico dell’atmosfera terrestre, quali variabili di stato cambierebbero in seguito all’aumento della sua temperatura?

144 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

Pichugin Dmitry / Shutterstock

Di giorno quindi l’energia solare assorbita tende a far aumentare la temperatura del pianeta rispetto agli strati di atmosfera sovrastanti. Ciò comporta propagazione di calore principalmente per convezione e irraggiamento dalla Terra all’atmosfera: le masse d’aria più calde e meno dense si muovono verso l’alto, mentre la superficie, una volta scaldatasi, comincia a emettere radiazione infrarossa. Altra energia viene trasportata dalla superficie all’atmosfera sotto forma di calore latente, che viene rilasciato durante la condensazione del vapore acqueo nelle nubi. Anche l’atmosfera, quindi, si scalda e insieme alla Terra emette radiazione infrarossa diretta verso l’esterno più freddo. Tuttavia non tutte queste radiazioni riescono effettivamente ad abbandonare il sistema: buona parte di esse viene assorbita e riemessa dai cosiddetti «gas serra», costituenti dell’atmosfera non trasparenti all’infrarosso. Come i vetri di una serra, questi gas intrappolano l’energia irraggiata negli strati più bassi dell’atmosfera, favorendone il riscaldamento. In definitiva, la Terra emette circa il 70% dell’energia ricevuta, trattenendone quindi il 30%.

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

5

DOMANDA Quale legge descrive la proprietà termometrica che ha permesso ai fratelli Mon-

dovuto all’incremento delle attività produttive (industria, Di nuovo in entrata tgolfier di sbalordire il mondo con il loro pallone aerostatico? [parola-chiave associata: proprietà allevamento, agricoltura) che, nello stesso periodo, hanno Questo fatto è di vitale importanza, perché durante la avuto un andamento analogo. In effetti è molto difficile conotte viene a mancare l’irraggiamento solare e il flusso struire un modello soddisfacente, che tenga conto di tutti i energetico si inverte. L’atmosfera, che ha immagazzinato processi di scambio energetico in cui è coinvolta l’atmosfeenergia durante il giorno, inizia a cedere calore alla sura, e con il quale predire con certezza il futuro termico del perficie che quindi si raffredda in misura molto minore pianeta, e c’è ampio spazio per diverse ipotesi. rispetto a quanto si raffredderebbe in sua assenza. L’effetto serra, in un certo senso, collabora, insieme con la termometriche] Feedback grande capacità termica dell’acqua degli oceani, a mitigare gli sbalzi di temperatura tra il giorno e la notte, limiI processi coinvolti nel bilancio energetico terrestre sono tando le perdite di energia. davvero molti, e ogni semplificazione contiene margini di incertezza notevoli; inoltre tali processi sono fortemenSurriscaldamento globale te interconnessi con meccanismi di difficile controllo. Per esempio, un aumento della temperatura induce un Se l’effetto serra è un bene per il pianeta, perché preocaumento dell’evaporazione dell’acqua e quindi della forcuparsi di un suo eventuale aumento? Ovviamente il beDOMANDA Il volume occupato da un gas in una trasformazione a pressione costante è direttamazione di nubi. Se da una parte il vapore acqueo conneficio finisce nel momento in cui il bilancio globale, diurtribuisce all’effetto serra inducendo un ulteriore aumento no e notturno, tra l’energia in entrata e quella in uscita della temperatura (feedback positivo), le nuvole hanno è sistematicamente positivo. Se il sistema Terra disperde un elevato potere riflettente, riducendo la radiazione in nello spazio sempre un quantitativo di energia minore di entrata, e quindi favoriscono una diminuzione della temquella che riceve dal Sole, a lungo andare la sua temperaperatura (feedback negativo). In altre parole, gli effetti di tura media aumenta in modo evidente. un fenomeno possono favorire un suo rinforzo o un suo Oggi, per esempio, stiamo attraversando un periodo camente proporzionale alla sua temperatura. Spiega in 5 righe perché questa affermazione è smorzamento, in modo nonnon facilmente quantificabile e ratterizzato da un aumento della temperatura media, che prevedibile. Tuttavia, proprio perché si tratta di un sisteha avuto inizio alla fine del XIX secolo ed è ampiamenma complesso, è anche vero che qualsiasi mutamento te documentato dalla metà del XX secolo. Il cosiddetto delle sue condizioni termodinamiche può influire sull’evosurriscaldamento globale (global warming) è spesso acluzione della vita sulla Terra. compagnato da controversie circa il fatto che sia o meno energia riflessa

energia in entrata

corretta. [parola-chiave associata: temperatura]

energia in uscita emessa dall’atmosfera

assorbita dall’atmosfera riflessa DOMANDA Il pallone aerostatico dei fratelli Montgolfier è in equilibrio meccanico alla quota di dall’atmosfera riflessa dalla superficie

effetto serra

250 m rispetto al suolo: essa non sicomplesso muove néche in può verticale in orizzontale. È verificato l’equilibrio La Terra è un sistema termodinamico esserené approssimativamente considerato chiuso, ma non isolato, in quanto riceve energia dal Sole sotto forma di radiazioni elettromagnetiche di ogni tipo ed emette radiazioni infrarosse.

PAROLA CHIAVE

Energia interna

DOMANDA Abbiamo analizzato le variazioni di energia interna della Terra prendendo in considerazione soltanto gli scambi di calore. Che cosa è stato tacitamente trascurato? termico con l’ambiente? Motiva la risposta. [parola-chiave associata: equilibrio termico]

145 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

MAPPA DEI CONCETTI

SE UN SISTEMA TERMODINAMICO SCAMBIA ENERGIA CON L’AMBIENTE

LA SUA ENERGIA INTERNA VARIA

APERTO: scambia energia e materia con l’ambiente CHIUSO: scambia energia con l’ambiente

ΔU  Q  L

PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA: LA VARIAZIONE DI ENERGIA INTERNA DI UN SISTEMA È PARI ALL’ENERGIA SCAMBIATA CON L’AMBIENTE IN FORMA DI CALORE O DI LAVORO

SE UN SISTEMA TERMODINAMICO NON SCAMBIA ENERGIA CON L’AMBIENTE

ISOLATO: non scambia né energia né materia con l’ambiente

LA SUA ENERGIA INTERNA È COSTANTE SE UN SISTEMA È IN EQUILIBRIO TERMODINAMICO

EQUILIBRIO TERMICO EQUILIBRIO MECCANICO EQUILIBRIO CHIMICO

O VALORI DI PRESSIONE, VOLUME, TEMPERATURA E NUMERO DI MOLI SONO COSTANTI E UGUALI PER OGNI PUNTO DEL SISTEMA definiscono

p, V, T VARIABILI DI STATO

è definito da un insieme di valori delle

LO STATO TERMODINAMICO p

stato

0

V

è rappresentato da un punto sul piano p-V

146 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

5

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

DA UNO STATO DI EQUILIBRIO TERMODINAMICO A

A UNO STATO DI EQUILIBRIO TERMODINAMICO B

avviene una

TRASFORMAZIONE TERMODINAMICA

IDEALE

QUASI-STATICA

REALE

è una successione di infiniti stati di equilibrio

è una successione di un numero elevato di stati di equilibrio

è approssimata con una trasformazione ideale se è quasi-statica p

p

B

B

A

A

0

0

V

V

non si può rappresentare sul piano p-V

è rappresentata da una curva sul piano p-V

una FUNZIONE DI STATO è una grandezza fisica che dipende solo dalle variabili di stato

L’ENERGIA INTERNA di un gas perfetto è una FUNZIONE DI STATO

IL LAVORO TERMODINAMICO non è una funzione di stato p

3 U = nRT 2 2 pV = U 3

B

è equivalente all’area sottesa alla curva che rappresenta la trasformazione sul piano p-V

A L 0

V

147 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

20 test (30 minuti)

5 ESERCIZI 1

TEST INTERATTIVI portato sul Monte Bianco, dove la pressione è 5,40 × 104 Pa e la temperatura è 12 °C.

LA TERMODINAMICA

DOMANDE Un essere umano può essere considerato un sistema termodinamico? Motiva la risposta in 5 righe.

1

2 Il sistema termodinamico isolato è in realtà un’ap-

prossimazione. Perché? Alena Ozerova / Shutterstock

3 È sufficiente chiudere porte e finestre per poter trat-

tare un edificio come un sistema termodinamico chiuso? Motiva la risposta in 5 righe.

2

STATO TERMODINAMICO DI UN SISTEMA f Qual è il volume del palloncino all’equilibrio?

DOMANDE

[1,6 × 10–3 m3]

4 Che cosa è una variabile di stato? 5 Quale condizione è richiesta per poter definire uno

stato termodinamico a partire dalle variabili di stato? 6 Come sono chiamate le grandezze fisiche che defini-

scono gli stati di equilibrio di un gas perfetto?

3

PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

DOMANDE 10 Un gas scambia calore e lavoro con l’ambiente e la

CALCOLI 7 Un gas perfetto è contenuto in un cilindro con pisto-

ne mobile, e inizialmente occupa un volume di 500 cm3 alla pressione di 2,0 atm e alla temperatura di 250 K. Riducendo la pressione sul pistone a 1,5 atm, la sua temperatura diventa 200 K. f Qual è il nuovo volume del gas in cm3?

sua energia interna cambia. Quale variabile di stato rende manifesto questo fatto? 11 Se l’ambiente compie lavoro su un sistema l’energia

di quest’ultimo aumenta o diminuisce? Motiva la risposta con un esempio. 12 È possibile fornire calore a un sistema senza modifi-

[5,3 × 102 cm3]

care la sua energia interna? Motiva la risposta con un esempio.

8 In un cilindro con pistone mobile sono contenute

13 Se l’energia interna di un sistema termodinamico di-

0,50 mol di gas perfetto alla temperatura di 280 K e alla pressione di 1,0 atm. Da un rubinetto posto alla base del cilindro fuoriesce una certa quantità di gas e, una volta ripristinato l’equilibrio termodinamico, si riscontra che la pressione e la temperatura non sono cambiate, mentre il volume si è ridotto a 1/10 di quello iniziale.

minuisce di una quantità ΔU, l’energia dell’Universo aumenta di una quantità ΔU. Correggi questa affermazione, se necessario.

CALCOLI 14 In seguito a una frenata, un’automobile di 1800 kg si

f Quante moli di gas sono rimaste nel cilindro?

ferma a partire da una velocità di 100 km/h.

f Quali sono i valori del volume iniziale e di quello finale della trasformazione? Esprimi i risultati in dm3.

f Supponendo di poter trascurare tutti gli scambi termici, qual è l’ordine di grandezza della variazione dell’energia interna di uno pneumatico?

[5,0 × 10–2 mol; 12 dm3; 1,2 dm3]

9 Un palloncino di 1,0 × 10–3 m3 pieno d’aria è in equili-

brio al livello del mare alla temperatura di 30 °C e alla pressione di 1,01 × 105 Pa. Lo stesso palloncino viene

(Suggerimento: ricorda che il lavoro è pari alla variazione dell’energia cinetica e che un’automobile ha 4 ruote.)

148 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

[105 J]

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA 15 Una vasca contiene 400 litri d’acqua alla temperatu-

5

21 L’energia interna di 2,9 mol di gas perfetto monoato-

mico è 1,4 × 104 J.

ra iniziale di 40 °C. All’equilibrio con l’ambiente la temperatura dell’acqua diventa 20 °C.

f Qual è la sua temperatura? [3,9 × 102 K]

sixninepixels / Shutterstock

5

DOMANDE 22 Che cos’è una trasformazione quasi-statica?

f Qual è la variazione di energia interna dell’acqua? [3,3 × 107 J]

16 Un frullatore termicamente isolato scalda 1,0 kg

23 «Durante una trasformazione adiabatica il sistema

non scambia energia con l’ambiente». Correggi questa affermazione, se necessario.

d’acqua di 1,8 °C in 2,5 min per azione delle sue pale.

24 Che cosa rappresenta un punto su un piano di Cla-

f Qual è la potenza erogata dal frullatore?

25 Possiamo rappresentare su un piano di Clapeyron

f In presenza di scambi termici con l’ambiente, la temperatura finale dell’acqua è di 1,1 °C superiore a quella iniziale. Quanta energia ha ricevuto l’ambiente?

peyron? una trasformazione se i valori delle grandezze termodinamiche sono diversi da un punto all’altro del sistema? Motiva la risposta in 5 righe.

[50 W; 2,9 × 103 J]

4

TRASFORMAZIONI TERMODINAMICHE

26 Com’è rappresentata, su un piano di Clapeyron, una

trasformazione isoterma?

CALCOLI

L’ENERGIA INTERNA

27 Un gas perfetto compie il ciclo illustrato in figura,

DOMANDE 17 Nel modello della teoria cinetica le particelle di un gas

perfetto non sono soggette a interazioni a distanza. Quale conseguenza ha questo fatto nell’espressione dell’energia interna in funzione delle grandezze microscopiche? Rispondi in 5 righe. 18 Qual è la differenza tra un’equazione di stato e una

detto ciclo di Stirling, in cui due isoterme sono collegate tra loro da due isocore. p (atm) 4,0 3,3 3,0

A

D

funzione di stato? 2,0

CALCOLI

B

1,2 1,0

C

19 Un gas perfetto si trova in uno stato termodinamico

in cui la pressione è 5,0 × 10 Pa e il volume è 0,80 m . 3

3

0

f Qual è l’energia interna del gas?

29

97 V (cm3)

[6,0 × 103 J]

20 Un cilindro contiene 0,25 mol di un gas perfetto mo-

noatomico alla temperatura di 273 K; successivamente viene immerso in un bagno di azoto liquido alla temperatura di 77 K. f Qual è la variazione di energia interna del gas?

f Qual è la temperatura del gas negli stati A e B, se il numero di moli del gas è 4,0 × 10–3?

[3,5 × 102 K]

28 In riferimento al ciclo di Stirling dell’esercizio 27, qual

è la temperatura del gas durante l’isoterma che collega gli stati C e D?

[6,1 × 102 J]

[2,9 × 102 K]

149 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

5 ESERCIZI 29 Un gas perfetto compie la trasformazione illustrata

in figura, formata da un’isobara seguita da un’isocora.

CALCOLI 35 Un gas perfetto assorbe una quantità di calore pari a

1,0 × 106 J a pressione costante pari a 1,01 × 105 Pa e il suo volume aumenta di 3,8 m3.

p (atm)

f Qual è la variazione di energia interna?

C

1,5

[6,2 × 105 J]

1,0

B

0

20

A

50

36 In un cilindro con pistone mobile vi sono 0,1 mol di

gas perfetto alla temperatura di 300 K. Il cilindro viene messo in contatto termico con un corpo caldo e il gas, dopo aver assorbito una quantità di calore pari a 2,0 × 104 J, si porta in uno stato caratterizzato da un volume di 2,5 litri e pressione di 1,0 atm.

V (cm3)

f Tale trasformazione può essere chiusa in un ciclo mediante un’isoterma? Perché? 30 Una mole di gas perfetto alla temperatura di 400 K

compie un’espansione isobara che porta il suo volume da 20 dm3 a 39 dm3, e successivamente una trasformazione isocora con la quale la pressione si dimezza. Una trasformazione isoterma riporta il sistema allo stato iniziale. f Disegna la trasformazione ciclica su un piano pressione-volume. f Qual è la pressione del gas durante la trasformazione isobara?

f Qual è il lavoro compiuto dal gas sull’ambiente? [2,0 × 104J]

37 In un cilindro con pistone mobile, termicamente iso-

lato, è contenuta una mole di gas perfetto alla temperatura di 250 K. Una forza costante esercita sul pistone una pressione di 2,8 × 105 Pa fino a dimezzare il volume del gas. f Calcola il lavoro compiuto sul gas. [1,4 × 103 J]

38 Un gas assorbe 5,7 × 103 J di calore e si espande a

pressione costante di 1,01 × 105 Pa, modificando il suo volume da 1,6 × 10–2 m3 a 7,2 × 10–2 m3.

[1,7 × 105 Pa]

f La temperatura del gas aumenta o diminuisce?

6

TRASFORMAZIONI E PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

7

RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DEL LAVORO TERMODINAMICO

DOMANDE DOMANDE 31 Qual è la variazione di energia interna durante il ciclo

di Stirling dell’esercizio 27? Rispondi senza fare i calcoli, motivando la risposta in 5 righe.

39 A che cosa corrisponde, sul piano di Clapeyron, il la-

voro svolto durante una trasformazione termodinamica?

32 Una mole di gas perfetto viene riscaldata all’interno

di un cilindro chiuso, il cui volume è costante, e la sua pressione raddoppia. Puoi determinare il lavoro termodinamico compiuto sul gas senza svolgere i calcoli? Rispondi in 5 righe. 33 «L’energia interna di un gas perfetto che compie una

trasformazione isoterma è nulla quando il calore assorbito è uguale al lavoro effettuato». Correggi questa frase, se necessario. 34 «L’energia interna di un gas perfetto che compie una

trasformazione adiabatica aumenta se viene compiuto lavoro sul sistema e diminuisce se, invece, il sistema compie lavoro sull’ambiente». Correggi questa frase, se necessario.

40 Perché si può affermare che il lavoro non è una fun-

zione di stato? Motiva la risposta con un esempio. 41 In una trasformazione ciclica il lavoro può essere

uguale a zero? Rispondi in 5 righe. 42 Date le trasformazioni cicliche in figura, valuta per

ciascuna di esse se il lavoro complessivo è positivo o negativo. p

0

p

V

0

150 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

p

V

0

V

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

5

48 Se comprimiamo un gas perfetto senza che avven-

CALCOLI 43 Una trasformazione termodinamica ciclica di un gas

perfetto è rappresentata sul piano di Clapeyron in figura. p (atm) 3,5

49 Se l’energia interna di un sistema termodinamico au-

menta di una quantità ΔU, che cosa accade all’energia dell’Universo? 50 Rappresenta il ciclo di Stirling (vedi esercizio 27)

mediante un sistema formato da un gas perfetto racchiuso in un cilindro con pistone mobile: schematizza il ciclo con disegni e descrivi il processo in 10 righe.

1,3

0

gano scambi termici con l’ambiente, che cosa accade all’energia interna del gas?

1

4

f Calcola il lavoro.

V () [6,6 × 102 J]

44 Un gas viene compresso effettuando un lavoro di

480 J durante la trasformazione isobara illustrata nel grafico in figura.

51 In quali tratti del ciclo di Stirling (vedi esercizio 27) il

sistema cede calore? In quali tratti assorbe calore? In quali tratti il lavoro è nullo? 52 Il lavoro in una trasformazione ciclica è sempre mag-

giore di zero. Trova almeno un esempio per il quale questa affermazione non è vera. 53 Data la trasformazione ciclica di un gas perfetto illu-

p

strata in figura, metti in ordine crescente le temperature TA, TB, TC e TD relative ai diversi stati, senza fare il calcoli. Traccia sul diagramma le isoterme passanti per TA, TB, TC e TD. Come si esprime in formule il lavoro termodinamico complessivo prodotto nella trasformazione?

p

p 500

700

V (cm3)

A

B

D

C

f Qual è la pressione del gas? [2,4 × 106 Pa]

45 Disegna su un piano di Clapeyron il diagramma di una

trasformazione ciclica che passa per gli stati A, B, C, D, caratterizzati da pA  pB  4,0 atm; pC  pD  2,0 atm; VA  VD  1,0 dm3; VB  VC  3,0 dm3.

0

V

f In quali di queste trasformazioni il lavoro è nullo? f Calcola il lavoro complessivo.

[4,0 × 102 J]

PROBLEMI 54 Un gas perfetto compie il ciclo termodinamico illu-

strato in figura.

ESERCIZI DI RIEPILOGO DOMANDE

p (105 Pa) 3,0

46 È possibile che in un gas chiuso all’interno di un reci-

piente cambi il numero di moli? Motiva la risposta con un esempio.

1,5

47 Un gas perfetto compie una generica trasformazio-

ne reale da uno stato A a uno stato B durante la quale la temperatura resta costante, mentre il volume raddoppia. È corretto affermare che la pressione si dimezza? Motiva la risposta in 5 righe.

0

500

800

V (dm3)

f Calcola la quantità di calore scambiata tra gas e ambiente durante il ciclo.

151 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

5 ESERCIZI gas viene fornita una quantità di calore pari a 590 J, si espande a pressione costante e la sua energia interna aumenta complessivamente di 450 J.

f Tale quantità di calore è stata assorbita o ceduta dal gas? 4

[4,5 × 10 J]

f Di quanto si sposta il pistone?

55 In un cilindro munito di pistone, inizialmente in equi-

librio con la pressione atmosferica, sono contenute 0,23 mol di gas perfetto monoatomico alla temperatura di 290 K. Agendo sul pistone con una forza costante si compie sul gas lavoro pari a 200 J e il suo volume si riduce dell’11%. f Qual è la pressione del gas durante la trasformazione?

f Rappresenta la trasformazione su un piano di Clapeyron. [96,6 mm]

59 L’energia cinetica media delle particelle di una mole

di gas perfetto monoatomico passa da 5,6 × 10–21 J a 6,2 × 10-21 J.

[3,3 × 105 Pa]

f Qual è la variazione dell’energia interna del gas? f Quali sono le temperature iniziale e finale del gas?

56 Un gas perfetto è contenuto in un cilindro munito di

pistone mobile di sezione pari a 14,0 cm . Una massa di 5,00 kg viene poggiata sul pistone, che si abbassa lentamente di 150 mm. 2

f Quanto calore ha assorbito il gas se ha compiuto un lavoro di espansione pari a 110 J? [3,6 × 102J; 2,7 × 102 K; 3,0 × 102 K; 4,7 × 102 J]

f Qual è la pressione del gas durante la trasformazione isobara? f Qual è il lavoro compiuto sul gas durante tale trasformazione?

60 Un gas perfetto monoatomico si trova alla tempera-

tura di 320 K con un’energia interna di 1,8 × 104 J. f Quante moli di atomi contiene il gas?

f Se il cilindro è isolato termicamente di quanto varia l’energia interna del gas?

f Qual è l’energia cinetica media degli atomi? f Qual è la variazione di energia interna se il gas cede all’ambiente calore pari a 8,9 × 103 J e il suo volume dimezza a pressione costante di 1,0 atm?

(Suggerimento: sul pistone agisce anche la pressione atmosferica.) [1,36 × 105 Pa; 28,6 × 104 J; 28,6 × 104 J]

[4,5 mol; 6,6 × 10–21 J; –2,9 × 103 J]

57 Una trasformazione termodinamica di una mole di

gas perfetto passa attraverso gli stati A, B, C e D illustrati nel grafico in figura. p (atm)

VERSO L’UNIVERSITÀ

A

pA

1 2,5

T  390 K

D

B

pB pC T  300 K 0

VD

C

25

Una data quantità di gas perfetto, a partire da uno stato di equilibrio, subisce una trasformazione sino a raggiungere un nuovo stato di equilibrio in cui sia il volume che la temperatura sono il doppio di quelli iniziali. Quale delle seguenti affermazioni è corretta? A

Dato che il volume è raddoppiato, la pressione finale è la metà di quella iniziale.

B

Dato che la temperatura del gas è raddoppiata, la pressione finale è il doppio di quella iniziale.

C

Dato che il volume del gas è aumentato, la pressione finale è diminuita, ma sono necessari ulteriori dati sulla trasformazione per quantificare la diminuzione.

D

Dato che la temperatura del gas è aumentata, la pressione finale è aumentata, ma sono necessari ulteriori dati sulla trasformazione per quantificare l’aumento. Nessuna delle altre affermazioni è corretta.

V (litri)

f Sapendo che le trasformazioni tra A e B e tra C e D sono isoterme alle temperature rispettivamente di 390 K e 300 K, e la trasformazione tra D e A è isocora, completa il grafico con gli opportuni valori delle variabili di stato pA, pB, pC e VD. Colora sul grafico il lavoro netto ottenuto dalla trasformazione. [3,2 atm; 1,3 atm; 1,0 atm; 10 litri]

58 Una mole di gas perfetto si trova in un cilindro muni-

to di pistone mobile, il cui diametro è 135 mm. Se al

E

(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia 2010/2011)

152 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA 2 Una certa quantità di gas perfetto subisce, a partire

da uno stato di equilibrio, una trasformazione irreversibile generica, sino a un nuovo stato di equilibrio, caratterizzato da un volume doppio rispetto a quello iniziale e da una pressione pari a metà di quella iniziale. Cosa possiamo dire della temperatura nello stato di equilibrio finale? A

Non possiamo dire nulla, perché la trasformazione è irreversibile.

B

Dato che la temperatura è un parametro di stato e vale la legge dei gas perfetti, la temperatura finale è uguale a quella iniziale.

C D

Dato che il sistema si è espanso, la temperatura finale è sicuramente inferiore a quella iniziale. Dato che abbiamo una generica trasformazione irreversibile, la temperatura finale è maggiore di quella iniziale.

E

5

Sarebbe necessario specificare meglio come avviene la trasformazione, uscendo dalla genericità.

(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Medicina Veterinaria 2010/2011) 3 Il lavoro necessario per comprimere una mole di gas

perfetto ben isolato termicamente: A

non è mai nullo.

B

è nullo perché non c’è scambio di calore con l’esterno.

C

viene fornito dallo stesso gas.

D

non può essere espresso in joule ma in pascal.

E

non dipende dal valore del volume finale a cui si giunge.

(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Medicina Veterinaria 2008/2009)

153 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

CAPITOLO

Il secondo seco principio della termodinamica



E fieramente mi si stringe il core, A pensar come tutto al mondo passa, E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito Il dì festivo, ed al festivo il giorno Volgar succede, e se ne porta il tempo Ogni umano accidente. Or dov’è il suono Di que’ popoli antichi? or dov’è il grido De’ nostri avi famosi, e il grande impero Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio Che n’andò per la terra e l’oceano?



Giacomo Leopardi, La sera del dì di festa, 1820 Giovanni Battista Piranesi, Sepolcro di Cecilia Metella, 1762.

PAROLE CHIAVE Macchine termiche Asimmetria Entropia

Il mausoleo di Cecilia Metella, costruito nel I secolo a.C. per celebrare l’importanza della potente famiglia romana della quale faceva parte la donna commemorata, fu edificato secondo i dettami dell’edilizia romana, all’insegna della solidità, tanto che ancora oggi se ne possono ammirare i resti lungo la via Appia Antica. Ancora oggi resiste, ma è solo una questione di tempo: non c’è marmo e non c’è malta che possa sottrarsi alle leggi della termodinamica. Tutto è destinato alla disgregazione, afferma il secondo principio, e un giorno anche i monumenti più imponenti saranno ridotti in frammenti sparsi. Il secondo principio della termodinamica fu elaborato nel XIX secolo, nel periodo in cui l’organizzazione del lavoro e le macchine a vapore facevano trionfare l’industria inglese. Esso fu delineato durante lo studio delle macchine termiche, dispositivi capaci di convertire il calore della combustione

in lavoro meccanico utile alle attività dell’uomo. Il secondo principio, oltre a fare previsioni funeste sul destino dei monumenti, impone dei limiti al rendimento delle macchine, cioè al lavoro estraibile a partire da una data quantità di calore. Ponendo un limite alla conversione di calore in lavoro, esso individua una asimmetria nella natura, che non esiste nel processo inverso: qualsiasi oggetto in movimento prima o poi si ferma, a causa del lavoro delle forze di attrito, scaldandosi. Nessuno ha mai visto invece qualcosa che, raffreddandosi, si sia messo spontaneamente in movimento; così come nessuno ha mai visto dei ruderi ricomporsi e riformare il monumento di partenza. Questa asimmetria è quantificata da una nuova grandezza fisica, l’entropia, che individua una direzione nelle trasformazioni termodinamiche e ben si accorda con ciò che percepiamo come l’«inesorabile scorrere del tempo».

154 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

1

6

MACCHINE TERMICHE

La termodinamica ha una storia ingarbugliata. Nel capitolo 1 abbiamo introdotto il principio zero, basilare per la definizione delle temperatura ma aggiunto storicamente solo dopo che la teoria sui fenomeni termici era stata sistemata e i suoi principi numerati (da cui la necessità di indicarlo con uno zero). Abbiamo poi trattato il primo principio, che stabilisce l’equivalenza tra il lavoro e il calore e, pertanto, permette di definire quest’ultima grandezza fisica come energia scambiata tra sistema e ambiente in presenza di una differenza di temperatura. Affrontiamo ora lo studio di un altro principio, secondo solo dal punto di vista concettuale, ma «scoperto» per primo sulla base di un ragionamento che in seguito si sarebbe rivelato errato. Nel 1824, più di vent’anni prima degli esperimenti di Joule, il giovane ingegnere francese Sadi Carnot (figura 1) pubblicò a sue spese 600 copie delle Riflessioni sulla potenza motrice del fuoco, un volumetto di un centinaio di pagine che raccoglieva alcune sue importanti considerazioni sulle macchine termiche, intese come dispositivi capaci di compiere lavoro a partire dall’energia termica fornita da una sorgente ad alta temperatura (figura 2) e di riportarsi allo stato iniziale. Quest’ultimo fatto è importante affinché la macchina possa effettuare nuovamente la trasformazione e continuare, così, a fornire lavoro.

Figura 1. Nicolas Léonard Sadi Carnot (1796-1832).

Una macchina termica è un dispositivo che assorbe energia in forma di calore e restituisce energia in forma di lavoro, attraverso una o più trasformazioni cicliche. combustione del carbone  calore assorbito scarico  calore ceduto Figura 2. Una macchina termica converte il calore in lavoro.

movimento  lavoro contro le forze di attrito locomotiva  macchina termica

Ricordiamo che a quell’epoca l’Inghilterra era diventata una potenza economica mondiale grazie allo sviluppo e all’utilizzo sempre più diffuso delle macchine a vapore nella produzione e nei trasporti. Queste macchine stavano via via sostituendo la forza motrice dell’uomo e degli animali in diversi settori ed erano in continuo miglioramento. Tuttavia, tutti gli interventi su esse erano fatti su base empirica, e non era stato avviato alcuno studio teorico. Carnot sperava di dare un contributo allo sviluppo economico della Francia colmando questa lacuna: il suo obiettivo principale era quello di scoprire il fondamento concettuale di una macchina termica e di individuare così le migliori strategie per aumentare il lavoro prodotto a parità di calore assorbito. In altre parole, Carnot voleva scoprire su base teorica in quale modo si potesse aumentare il cosiddetto rendimento di una macchina termica.

155 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

6

IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Il rendimento η di una macchina termica è definito come il rapporto tra il lavoro compiuto dalla macchina e la quantità di calore assorbita. η

L Qass

(6.1)

Dato che lavoro e calore sono grandezze fisiche equivalenti e hanno la stessa unità di misura, il rendimento è un numero puro, cioè non è associato ad alcuna unità di misura.

ESEMPIO f Una macchina a vapore ha un rendimento del 4,5%. Quanto calore deve assorbire per produrre un lavoro di 3,0 kJ? SOLUZIONE

4, 5 0, 045 100 Invertendo la formula (6.1) rispetto al calore assorbito, si ricava direttamente: η

Qass =

4, 5%

L 3, 0 × 10 3 J = = 6, 7 × 10 4 J η 0, 045

DOMANDA Qual è il rendimento di un motore di una moderna automobile? Fai una ricerca sulla rete o su testi. Nonostante i continui miglioramenti tecnologici, il rendimento delle macchine a vapore inglesi del XIX secolo era bassissimo. All’epoca di Carnot le più efficienti avevano un rendimento intorno al 10%, cioè solo un decimo dell’energia termica in entrata veniva convertita in lavoro utile; il resto veniva disperso nell’ambiente come calore. Chiunque avesse trovato il modo di sfruttare una percentuale nettamente maggiore dell’energia a disposizione avrebbe avuto un notevole vantaggio economico: a ciò aspirava Carnot per dare impulso all’economia francese.

Una macchina ideale Carnot si servì per il suo lavoro di un’importante astrazione: la macchina ideale, un dispositivo nel quale non avvengono fenomeni dissipativi e quindi perdite di energia (figura 3). Figura 3. La macchina ideale è un sistema termodinamico ideale che scambia energia con sorgenti termiche a temperature diverse e si riporta, di volta in volta, allo stato iniziale.

stato B stato A iniziale

stato A

sorgente termica calda

sorgente termica fredda

156 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

6

Schematizzò tale macchina come un cilindro dotato di pistone mobile pieno di gas e pose la condizione che tutte le trasformazioni compiute fossero ideali. Continuando nella direzione della semplificazione, schematizzò l’ambiente come una sorgente termica fredda e il carbone incandescente come una sorgente termica calda. Attraverso lo studio del comportamento teorico della macchina ideale, Carnot riuscì a individuare i limiti delle macchine termiche reali, come vedremo di seguito.

Un presupposto errato Quando Carnot scrisse le Riflessioni il primo principio della termodinamica non era stato ancora formulato; insieme a molti altri egli era convinto che il calore fosse una sostanza fluida che si conservava nel passare da un corpo all’altro, e basò su tale presupposto lo studio teorico delle macchine termiche, pervenendo tuttavia a conclusioni corrette e pertinenti. Egli osservò che ogni macchina termica opera tra due sorgenti termiche, una calda e una fredda, suggerendo un’analogia molto suggestiva con le ruote idrauliche. Così come una ruota produce lavoro grazie all’energia potenziale gravitazionale dell’acqua che cade da una quota maggiore a una quota minore, anche una macchina termica produce lavoro se posta tra due sorgenti termiche a temperature differenti (figura 4). h2

acqua

sorgente calda

T2

calore macchina termica

ruota idraulica

L

L calore h1

acqua sorgente fredda

T1

Figura 4. Così come l’acqua fa muovere le pale di una ruota durante la caduta da una quota maggiore h2 a una quota minore h1, Carnot immaginava che una macchina termica producesse lavoro grazie al fluido calorico «in caduta» da una sorgente termica a temperatura maggiore (il combustibile) a una a temperatura minore (l’ambiente).

L’errore di Carnot stava nell’aver considerato uguali le quantità di calore in entrata e in uscita dalla macchina (come l’acqua che entra ed esce dalla ruota idraulica in uguale quantità), cioè nell’essersi basato sull’assunto della conservazione del calore. Dal primo principio della termodinamica sappiamo però che l’energia totale si conserva come somma di lavoro e calore (in valore assoluto), per cui la quantità di calore ceduta all’ambiente è necessariamente minore di quella in entrata nella macchina: |Q2|  L  |Q1|

(6.2)

Considerando le quantità di calore in valore assoluto per evitare confusione con i segni, possiamo dire perciò che il calore |Q2| assorbito dalla sorgente calda a temperatura T2 è uguale alla somma del lavoro L prodotto e della quantità di calore |Q1| ceduto alla sorgente fredda a temperatura T1.

157 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

6

IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Una conclusione corretta Nonostante l’assunto errato che sia il calore a conservarsi, Carnot pervenne a una conclusione corretta e fondamentale, che costituisce, nella sostanza, il secondo principio della termodinamica. Si tratta del fatto che le macchine termiche lavorano sempre fra due temperature, cioè scambiando calore con due sorgenti termiche. Egli scoprì che, se vogliamo convertire in lavoro il calore assorbito da una sorgente, dobbiamo necessariamente cedere calore a un’altra sorgente a temperatura inferiore, scoprì cioè che: il rendimento di una macchina ideale è sempre minore di 1: 0 η 1 Approfondiremo questo modo di esprimere il secondo principio della termodinamica nei paragrafi successivi. Qui basti osservare che in questo modo Carnot individuò un limite superiore al rendimento di tutte le macchine reali, che, in presenza di attrito, non possono avere un rendimento maggiore di quello di una macchina ideale che operi fra le stesse temperature. Inoltre dimostrò che tale rendimento dipende dalla differenza tra le temperature delle due sorgenti termiche fra le quali opera la macchina: maggiore è il dislivello termico, maggiore è il lavoro prodotto.

Una pubblicazione dimenticata Le 600 copie delle Riflessioni passarono inosservate. Il lavoro di Carnot non fu capito, o comunque non suscitò un grande interesse: all’epoca si riteneva che il rendimento delle macchine fosse legato alla pressione, e dovette apparire a dir poco strana l’attenzione del fisico alle differenze di temperatura. Nel 1834, dopo ben dieci anni dalla pubblicazione delle Riflessioni, quando ormai Carnot era morto prematuramente di malattia, BenoîtPaul- Émile Clapeyron pubblicò un articolo che ne rielaborava i contenuti utilizzando un formalismo, ossia la trattazione matematica della teoria, più accessibile agli scienziati dell’epoca.

2

L’ENUNCIATO DI LORD KELVIN

William Thomson, alias Lord Kelvin (figura 5), a 24 anni era già uno scienziato stimato quando lesse l’articolo di Clapeyron. Si interessò immediatamente alle Riflessioni di Carnot e nel 1848 riuscì a procurarsene una copia. Dopo uno studio attento si rese conto che si trattava di un lavoro importante: ne approfondì i contenuti e li riesaminò alla luce delle nuove conoscenze sulla conservazione dell’energia. In collaborazione con Joule definì pertanto il primo e il secondo principio della termodinamica. L’enunciato del secondo principio proposto da Kelvin, afferma che:

Figura 5. Lord Kelvin (1824-1907).

è impossibile realizzare una trasformazione termodinamica il cui unico risultato sia quello di assorbire una quantità di calore da una sola sorgente termica e convertirlo integralmente in lavoro.

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IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

6

Ciò equivale a dire che per estrarre lavoro da una quantità di calore una macchina deve operare almeno fra due sorgenti a temperatura diversa: parte del calore assorbito viene utilizzata per compiere lavoro e parte viene ceduta a una sorgente fredda, per esempio l’ambiente. È come se, per produrre lavoro a partire da una quantità di calore, si dovesse pagare una sorta di «tassa» alla natura sotto forma di calore di scarto. Nessuna macchina, reale o ideale, per quanto elevato possa essere il suo rendimento, può sottrarsi a questa regola: anche se in piccola quantità, parte del calore assorbito viene necessariamente ceduto a una sorgente fredda (figura 6). T2

T2

Q2A

T2

Q2B

MA

Q

MB

LA

Mi

LB

L

Q1A

Q1B T1

T1

Figura 6. Anche se il rendimento della macchina MA è più elevato del rendimento della macchina MB, c’è sempre una parte di energia che viene dispersa come calore |Q1A| o |Q1B|.

impossibile

A  B

Analizziamo l’enunciato di lord Kelvin Osserviamo che nell’enunciato sopra esposto compare la specificazione «unico risultato», senza la quale l’affermazione sarebbe errata. Vediamo infatti che, se non ponessimo tale condizione, potremmo tranquillamente convertire integralmente il calore di un’unica sorgente in lavoro. Questo avviene quando, per esempio, lasciamo che il nostro sistema-tipo compia un’espansione isoterma, a partire da una pressione maggiore di quella esterna. L’energia assorbita come calore |Q2| dalla sorgente a temperatura T2 è completamente restituita all’ambiente come lavoro L, in quanto la variazione di energia interna è nulla: ΔU  |Q2|  L  0 |Q2|  L Tuttavia questo non è l’unico risultato della trasformazione, perché il sistema non si trova più nelle stesse condizioni dello stato iniziale: il volume e la pressione sono infatti cambiati (figura 7). p1  p2

p1

p1

p 1 V1 T2

p 2 V2 T2 T2

T2

Figura 7. In un’espansione isoterma il calore assorbito dall’ambiente viene restituito integralmente come lavoro, ma lo stato finale del sistema è diverso da quello iniziale. La produzione di lavoro a partire da un’equivalente quantità di calore non è pertanto l’unico risultato dell’espansione.

Affinché si possa parlare di «unico risultato» dobbiamo chiudere la trasformazione in un ciclo: dobbiamo cioè riportare i parametri di stato del sistema ai valori iniziali. Il secondo principio afferma che per riportare il sistema allo stato iniziale abbiamo bisogno di introdurre un’altra sorgente termica

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6

IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

alla quale cedere una quantità di calore |Q1|, e il bilancio energetico risulta essere quello fornito dalla formula (6.1). Se il secondo principio della termodinamica non fosse valido e si potesse ricavare lavoro a partire da una quantità di calore prelevata da un’unica sorgente termica, senza altri cambiamenti, avremmo risolto tutti i problemi energetici mondiali. Per far funzionare una macchina basterebbe assorbire calore dall’ambiente, abbassandone la temperatura, senza dover ricorrere ai combustibili o ad altri espedienti energetici. Invece il secondo principio ci costringe a usare macchine che operano tra due sorgenti a temperature diverse e, come vedremo, se vogliamo un rendimento elevato dobbiamo avere un’elevata differenza di temperatura. Fissando come sorgente fredda l’ambiente, ecco che per avere una sorgente sufficientemente calda siamo costretti a ricorrere alla combustione.

3

L’ENUNCIATO DI CLAUSIUS

Negli stessi anni in cui Lord Kelvin forniva la sua formulazione del secondo principio, anche lo scienziato tedesco Rudolf Clausius (figura 8) si occupava della sistemazione concettuale di energia, calore e lavoro alla luce delle nuove conoscenze. A lui si deve il seguente enunciato: è impossibile realizzare una trasformazione termodinamica il cui unico risultato sia quello di trasferire una quantità di calore da un corpo a temperatura minore a un corpo a temperatura maggiore. Figura 8. Rudolf Clausius (1822-1888).

T2 Q2 M

L

Q1 T1 Figura 9. Per trasferire calore da un corpo a temperatura T1 a uno a temperatura maggiore T2 si deve compiere lavoro L sul sistema.

In altre parole, l’energia non passa da un corpo freddo a uno caldo senza che null’altro avvenga. Non a caso i nostri frigoriferi, che trasferiscono energia dall’interno all’esterno, raffreddando il contenuto, sono dotati di un motore alimentato dalla rete elettrica. Per raffredT2 dare un corpo rispetto a un ambiente più caldo abbiamo Q dunque bisogno di energia supplementare (figura 9). Siamo talmente abituati a vedere che il calore passa sponMi taneamente dai corpi più caldi a quelli più freddi, fino al impossibile raggiungimento dell’equilibrio termico, che questo enunciaQ to del secondo principio non ci stupisce. Tuttavia ci induce T1 a riflettere su come un fatto che sta continuamente sotto gli occhi di tutti possa avere molteplici e importanti aspetti.

I due enunciati sono equivalenti Anche se apparentemente diversi, i due enunciati di Kelvin e Clausius esprimono lo stesso principio, cioè individuano la stessa regola della natura, che è, in ultima analisi, la stessa individuata da Carnot nelle sue Riflessioni. Appaiono differenti, ma si può dimostrare la loro equivalenza logica attraverso due ragionamenti «per assurdo», cioè verificando che la non validità di uno implica la non validità dell’altro.

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IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Prima dimostrazione: se non è valido l’enunciato di Clausius allora non è valido l’enunciato di Kelvin. Se non è valido l’enunciato di Clausius, allora possiamo costruire una macchina MC_ capace di trasferire calore da un corpo freddo a un corpo caldo come unico risultato. Accoppiamo questa macchina a una generica macchina M che compie lavoro L prelevando una quantità di calore |Q2| da una sorgente calda e cedendo una quantità di calore |Q1| a una sorgente fredda. La macchina MC_ può essere impostata in modo che prelevi esattamente la quantità di calore |Q1| alla sorgente fredda restituendola alla sorgente calda, in modo da «rimetT2 T2 tere le cose a posto» e Q2 Q2 Q1 ripristinare lo stato iniequivale a ziale (figura 10). M M C− M In questo modo il riL L sultato netto della comQ1 Q1 binazione delle due T1 T1 macchine è la produzioimpossibile secondo impossibile secondo l’enunciato di Clausius l’enunciato di Kelvin ne di lavoro a partire da una quantità di calore prelevata da un’unica sorgente, senza che null’altro sia cambiato (|Q1| è «tornato» alla sorgente calda), in contraddizione con l’enunciato di Kelvin. Come volevamo dimostrare.

6

Figura 10. Una macchina in contraddizione con l’enunciato di Clausius genera una contraddizione con l’enunciato di Kelvin.

Seconda dimostrazione: se non è valido l’enunciato di Kelvin allora non è valido l’enunciato di Clausius. Se non è valido l’enunciato di Kelvin, allora possiamo costruire una macchina MK_ capace di produrre lavoro prelevando calore |Q1| da un’unica sorgente a temperatura T1 come unico risultato. Abbiamo visto nell’esperimento di Joule che possiamo T2 T2 innalzare la temperatura di un sistema usando esclusivaQ1 Q1 mente il lavoro delle forze di attrito, cioè che il lavoro si equivale a può convertire integralmente in calore. Ciò significa che M M M K− possiamo utilizzare il lavoro prodotto dalla macchina MK_ L per azionare una macchina M che scaldi per attrito un corQ1 po a temperatura T2  T1 (figura 11). T1 T1 impossibile secondo impossibile secondo In definitiva, abbiamo trasferito la quantità di calore l’enunciato di Clausius l’enunciato di Kelvin |Q1| da un corpo a temperatura minore a un corpo a temFigura 11. Una macchina peratura maggiore come unico risultato, contraddicendo in contraddizione con l’enunciato di Clausius. l’enunciato di Kelvin genera È così dimostrata l’equivalenza logica dei due enunciati classici del se- una contraddizione con l’enunciato di Clausius. condo principio della termodinamica.

4

IL CICLO DI CARNOT

Esploriamo ora alcune conseguenze del secondo principio attraverso una trasformazione ciclica ideale, nota come ciclo di Carnot, nella quale una macchina ideale produce lavoro operando fra due sorgenti termiche a diversa temperatura.

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IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Il ciclo è costituito da due isoterme collegate da due adiabatiche, con l’ulteriore specificazione che si tratta di trasformazioni termodinamicamente reversibili, le quali cioè possono essere «ripercorse a ritroso». Un ciclo di Carnot è costituito dalle seguenti trasformazioni reversibili: s espansione isoterma; s espansione adiabatica; s compressione isoterma; s compressione adiabatica. Tabella 1. Sequenza delle trasformazioni termodinamiche che costituiscono un ciclo di Carnot.

TRASFORMAZIONE

Espansione isoterma

Un sistema termodinamico che compie tali trasformazioni è detto macchina di Carnot, la quale è una macchina reversibile perché si basa su trasformazioni reversibili. In tabella 1 vediamo le fasi della trasformazione, una ad una. DESCRIZIONE

Diminuendo la pressione sul pistone il gas si espande assorbendo calore dalla sorgente calda e compiendo lavoro, in modo da mantenere la temperatura costante.

SCHEMA

RAPPRESENTAZIONE GRAFICA p pA

T2 T2 VB pB

T2 VA pA T2

T2

Espansione adiabatica

0

Compressione isoterma

Compressione adiabatica

Aumentando la pressione sul pistone il gas è compresso assorbendo lavoro e cedendo calore alla sorgente fredda, in modo da mantenere la temperatura costante.

Continua la fase di compressione, ma senza scambi di calore con l’ambiente la temperatura aumenta. Lo stato del gas alla fine di questa fase è uguale a quello iniziale del ciclo.

VA

VB

B

pB pC T1

T1 VC p C

C

0

p

T1 VD p D

pD

VB VC V

A D

B

pC T1

T1

0

p pA T1 VD p D

T2 VA pA

pD

V

A

T1 VC p C

T2 VB pB

T2

B

pB

p

Il gas continua a espandersi e a compiere lavoro, ma senza scambiare calore con l’ambiente, pertanto la sua temperatura diminuisce.

A

C VD

VC

V

A D

T2 B C

T1

T2

0

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VA VD

V

IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

6

Il ciclo di Carnot sul piano di Clapeyron Sul piano di Clapeyron il ciclo di Carnot è rappresentato dal grafico della figura 12, in cui le due adiabatiche BC e DA intersecano le due isoterme AB e CD. Il lavoro complessivo compiuto dalla macchina durante un ciclo è dato dall’area della parte di piano compresa tra le curve.

p

A Figura 12. Il lavoro del ciclo sul piano di Clapeyron è equivalente all’area della parte di piano compresa tra le curve che rappresentano le trasformazioni.

L B D C 0

V

Il rendimento di una macchina Dal bilancio energetico, dato dalla formula (6.2) risulta che il lavoro è uguale alla differenza dei valori assoluti delle quantità di calore |Q2| e |Q1| rispettivamente assorbita e ceduta dalla macchina: L  |Q2|  |Q1| Pertanto il rendimento η di una macchina termica è: η=

Q − Q1 L = 2 Q2 Q2

cioè: η = 1−

Q1 Q2

(6.3)

Il teorema di Carnot Carnot dimostrò che qualsiasi macchina reversibile operi nelle stesse condizioni della macchina di Carnot ha lo stesso rendimento, dato dalla formula (6.3), e che, inoltre, il rendimento di una macchina reale, che assorbe una quantità di calore |Q2| da una sorgente termica a temperatura T2 e cede una quantità di calore |Q1| a una sorgente termica a temperatura T1  T2, non può mai essere maggiore del rendimento di una macchina reversibile che operi fra le stesse temperature. Questo risultato è noto come teorema di Carnot e si enuncia dicendo che:

Approfondimento Dimostrazione del teorema di Carnot

il rendimento η di una macchina termica M qualsiasi è sempre minore o uguale al rendimento ηrev di una macchina Mrev reversibile che operi fra le stesse temperature, dove il segno di uguaglianza vale solo se la macchina M è reversibile. Cioè: η ηrev

(6.4)

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6

IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Il rendimento di una macchina reversibile Dato che i risultati ottenuti finora non fanno riferimento al tipo di gas presente nella macchina di Carnot, possiamo immaginare di riempirla con un gas perfetto, la cui equazione di stato ci consente di fare agevolmente i calcoli. Si può dimostrare che per una macchina di Carnot a gas perfetto che opera fra due sorgenti a temperature T 1  T 2, e quindi per tutte le macchine reversibili. ηrev = 1−

T1 T2

(6.5)

Cioè, detto η il rendimento di una macchina qualsiasi, per il teorema di Carnot: η 1

T1 T2

(6.6)

Il rendimento massimo di una macchina che opera fra due sorgenti termiche dipende solo dalle temperature delle sorgenti stesse. Tutte le macchine reali hanno dunque un limite massimo al rendimento, non dovuto a limiti tecnici ma teoricamente determinato dalle due temperature fra cui lavorano (figura 13). T1 immissione carburante

Figura 13. Schema di un motore a scoppio a due tempi: il rendimento massimo di un motore è limitato dalla temperatura della camera di combustione e da quella del collettore dei gas di scarico.

T2

scarico camera di combustione

ESEMPIO f Qual è il rendimento massimo di una macchina termica irreversibile che ha una caldaia a 1800 K e i cui gas di scarico hanno una temperatura di 800 K? SOLUZIONE Il motore lavora fra le temperature: T2  1800 K T1  800 K

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IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

6

Per il teorema di Carnot nessuna macchina può avere un rendimento maggiore di una macchina reversibile che operi fra le stesse temperature, per cui il rendimento η del motore a combustione interna deve soddisfare la condizione: η  ηrev Cioè, dalla (6.6): ηrev = ηr = 1 

800 K T1 = 1− = 0, 56 1800 K T2

DOMANDA Perché non è stato preso in considerazione il segno di uguaglianza? Spiegalo in 5 righe.

5

L’ENTROPIA

Nel capitolo 1 abbiamo visto come il principio zero della termodinamica sia legato al concetto di temperatura; nel capitolo 5 abbiamo formulato il primo principio in termini di energia interna di un sistema; qui mostriamo come il secondo principio possa essere espresso in termini di variazioni di una nuova grandezza fisica, detta entropia. L’entropia è una grandezza poco intuitiva, ma ha una particolare caratteristica: così come l’energia dell’intero Universo è costante, l’entropia dell’intero Universo è crescente. Vedremo infatti che qualunque trasformazione non reversibile comporta necessariamente un aumento globale di entropia, la qual cosa, come analizzeremo nel prossimo paragrafo, conduce a riflessioni interessanti.

La disuguaglianza di Clausius Per definire l’entropia dobbiamo fare qualche passaggio preliminare. Scriviamo esplicitamente la formula (6.6), esprimendo il rendimento η di una macchina qualsiasi mediante la formula (6.3): 1

Q1 T 1 1 Q2 T2

Facendo le opportune semplificazioni, si arriva al seguente risultato: Q2 Q 1 T2 T1 Togliamo ora i valori assoluti, ricordando che consideriamo positive le quantità di calore assorbite e negative quelle cedute dal sistema:

Q2 Q  1 T2 T1 Q1 Q  2 0 T1 T2

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IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Questa relazione, che qui abbiamo scritto per una macchina che opera ciclicamente tra due sorgenti termiche, vale per una sequenza qualsiasi di cicli con un numero n qualsiasi di sorgenti e prende il nome di disuguaglianza di Clausius. Essa si scrive in forma generica: Q Q2 Q  1  ...  n 0 T2 T1 Tn n

Q

∑ Ti 0 i =1

(6.7)

i

dove il segno di uguaglianza vale per macchine termiche reversibili (uguaglianza di Clausius).

ESEMPIO f Una macchina assorbe 500 J da una sorgente termica a 1500 K e cede 200 J all’ambiente a 300 K. Si tratta di una macchina reversibile? Qual è il suo rendimento? SOLUZIONE Abbiamo: T2  1500 K Q2  500 J T1  300 K Q1  -200 J per cui è verificata la disuguaglianza di Clausius: Q1 Q2 200 J 500 J + =– + = −0, 33 J/K < 0 T1 T2 300 K 1500 K La macchina pertanto non è reversibile e il suo rendimento è dato dalla formula (6.3): Q 200 J η = 1− 1 = 1− = 0, 60 Q2 500 K DOMANDA È possibile costruire una macchina che assorba 500 J da una sorgente termica a 1500 K e ceda 200 J a una sorgente a 1200 K? Motiva la risposta in 5 righe e confronta il rendimento con quello di una macchina reversibile che operi tra le stesse temperature.

La variazione di entropia Se, anziché considerare un ciclo, consideriamo una generica trasformazione reversibile tra due stati A e B di un sistema termodinamico, il segno della disuguaglianza di Clausius si riduce all’uguaglianza. L’uguaglianza di Clausius ci consente di introdurre una nuova grandezza fisica, l’entropia (S), definita attraverso la sua variazione dalla formula:

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IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

S (B) − S ( A ) =

⎛ Qi ⎞ ⎜ ⎟ A → B ⎝ Ti ⎠rev



6

(6.8)

L’unità di misura dell’entropia è il joule su kelvin (J/K).

L’entropia è una funzione di stato Prendiamo due trasformazioni reversibili r1 e r2 che congiungono gli stati A e B, rappresentate sul piano p-V della figura 14. p

p A

A

r1

Figura 14. Se le trasformazioni r1 e r2 che uniscono gli stati A e B di un sistema termodinamico sono reversibili, allora possiamo invertire r2, ottenendo la trasformazione reversibile r2, e formare il ciclo reversibile r1-r2.

r1

r2

r2 B 0

B 0

V

V

Invertiamo r2 e formiamo così un ciclo reversibile, per il quale vale l’uguaglianza di Clausius (formula (6.7)): n

⎛ Qi ⎞ ⎟=0 ⎝ Ti ⎠

∑⎜ i =1

Indichiamo con ∑i(Qi/Ti)r la sommatoria dei contributi lungo la trasformazione r1 e con ∑i(Qi/Ti)r la sommatoria dei contributi lungo r2. Spezzando i due contributi da A a B e da B ad A, abbiamo: 1

2

⎛Q ⎞

⎛ Q ⎞ ⎛ ⎞ = −∑ i ⎜ Qi ⎟ = ∑ i ⎜ i ⎟ ⎠r1 ⎝ Ti ⎠r2 ⎝ Ti ⎠r2

¦i ⎜ T i ⎟ ⎝

i

Portare il segno meno all’interno della sommatoria equivale a invertire tutte le direzioni degli scambi di calore, cioè equivale a invertire il ciclo, tornando al ciclo r2 di partenza. Dalla formula (6.8) della variazione di entropia abbiamo quindi:

⎛Q ⎞ ⎛ ⎞ S ( B ) − S ( A ) = ∑ i ⎜ i ⎟ = ∑ i ⎜ Qi ⎟ ⎝ Ti ⎠r1 ⎝ Ti ⎠r2 La variazione di entropia calcolata lungo la trasformazione reversibile r1 è uguale alla variazione di entropia lungo la trasformazione reversibile r2 e dipende solo dagli stati iniziale e finale A e B. Questo significa che: l’entropia è una funzione di stato.

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IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

6 p A irr

rev B 0 Figura 15. Il ciclo che riporta il sistema allo stato A passando per lo stato B è composto da una trasformazione non reversibile irr e da una trasformazione reversibile rev.

UN’ASIMMETRIA DELLA NATURA

Per capire l’importanza della nuova grandezza fisica entropia dobbiamo fare ancora qualche calcolo. Fino ad ora abbiamo parlato di trasformazioni reversibili, che sono trasformazioni ideali, ben diverse da quelle con le quali abbiamo a che fare nella realtà. Consideriamo dunque una trasformazione reale irreversibile (irr), che porta un sistema da uno stato A a uno stato B, e una trasformazione reversibile (rev), che riporta il sistema allo stato iniziale A (figura 15). V Scriviamo la disuguaglianza di Clausius per l’intero ciclo: ⎛ ⎞ ⎛ ⎞ ∑ i ⎜ Qi ⎟ + ∑i ⎜ Qi ⎟

A×B

⎝ Ti ⎠irr

B×A

0

⎝ Ti ⎠rev

Ricordando che la variazione di entropia è data dalla formula (6.8), possiamo scrivere: ⎛ ⎞ ∑ i ⎜ Qi ⎟ + S ( A ) − S ( B ) 0 A×B T ⎝ i ⎠irr Se il sistema è isolato, cioè non scambia calore con l’ambiente, tutti i Qi sono nulli, per cui: S(A)  S(B) 0 Quindi: S(A) S(B)

(6.9)

L’entropia di un sistema isolato è sempre non decrescente. Osserviamo inoltre che: s se le trasformazioni sono reali S(A)  S(B), cioè l’entropia è crescente; s se le trasformazioni sono reversibili S(A)  S(B), cioè l’entropia è costante. Quindi le trasformazioni spontanee dei sistemi isolati reali sono tali che l’entropia tende sempre ad aumentare. Considerando l’intero Universo come un grande sistema isolato, cioè a energia costante, estendiamo quanto detto a qualsiasi trasformazione avvenga al suo interno e affermiamo che l’entropia dell’Universo è sempre crescente.

Entropia e tempo Questo è un risultato molto importante, perché mette in evidenza una profonda asimmetria della natura, strettamente collegata alla percezione dello scorrere del tempo. Abbiamo visto nella meccanica che qualsiasi nostro movimento nello spazio è anche, inevitabilmente, un movimento nel tempo, ma, mentre possiamo andare avanti e indietro nello spazio a piacimento, non possiamo tornare a istanti di tempo precedenti.

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IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

L’entropia è la grandezza fisica che, in un certo senso, giustifica quanto affermato: il fatto di non poter tornare indietro nel tempo è legato al fatto che l’entropia tende sempre ad aumentare, individuando pertanto una direzione nell’evoluzione temporale, oltre che termodinamica, dei sistemi. Mentre un sistema evolve nel tempo la sua entropia cresce.

Entropia ed energia Anche gli enunciati classici del secondo principio della termodinamica esprimono, con altri termini, l’asimmetria della natura (figura 16): s i trasferimenti di calore avvengono spontaneamente dai corpi caldi ai corpi freddi e non viceversa; s la completa conversione di lavoro in calore si verifica, mentre la completa conversione di calore in lavoro no. energia TC

energia TF

L

TF

L

energia ene gia TC

Figura 16. In termodinamica, i trasferimenti di calore e le conversioni di energia, avvengono spontaneamente in una sola direzione.

TC energia ene gia TC

Se aggiungiamo che il massimo rendimento di una macchina dipende dalla differenza fra le temperature delle sorgenti termiche tra cui lavora, possiamo concludere che, mentre i sistemi evolvono nel tempo, l’energia tende a disperdersi. I corpi caldi tendono a diventare tiepidi, le differenze di temperatura diminuiscono e con esse diminuisce il lavoro massimo estraibile dal calore. Le macchine cedono calore a corpi a temperature più basse, rendendo pertanto l’energia meno «pregiata», cioè meno disponibile a essere utilizzata per svolgere lavoro, e così via (figura 17). energia L

Figura 17. Con una rappresentazione poco rigorosa, ma intuitiva, illustriamo una sorta di «scala di valore» dell’energia e la sua evoluzione spontanea, che va dal lavoro (energia più «pregiata») al calore scambiato con un corpo freddo (energia meno «pregiata»).

energia TC

TF

AHMAD FAIZAL YAHYA / Shutterstock

Insomma, mentre il primo principio della termodinamica ci dice che l’energia si conserva, il secondo principio ci dice che l’energia si disperde e si degrada, diventando cioè meno utilizzabile per compiere lavoro. L’entropia è dunque una sorta di misura della «qualità» dell’energia. Infatti, se vogliamo estrarre lavoro da una certa quantità di calore assorbita da un corpo caldo dobbiamo necessariamente utilizzare energia aggiuntiva, perché il processo non è spontaneo (figura 18).

Figura 18. Quando un’automobile frena e si ferma, il lavoro delle forze di attrito si converte in calore e le parti striscianti si scaldano. Non è mai accaduto che, raffreddandosi, un corpo si sia messo in movimento in una direzione: questo fatto è espresso dal secondo principio della termodinamica.

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IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

7

INTERPRETAZIONE STATISTICA DEL SECONDO PRINCIPIO

L’asimmetria macroscopica evidenziata dal secondo principio della termodinamica crea difficoltà quando si cerca di ricondurla alle leggi della meccanica classica. Queste, infatti, non contengono alcuna indicazione esplicita sulla direzione temporale degli avvenimenti: in termini di forze e di spostamenti la fisica è assolutamente simmetrica. Se rappresentiamo un sistema termodinamico come un gas costituito da punti materiali che compiono urti elastici, come abbiamo fatto per presentare la teoria cinetica, ci accorgiamo subito che non c’è alcuna ipotesi che, a priori, giustifichi l’evoluzione direzionale individuata dal secondo principio. Ciascuna particella, cioè ciascun punto materiale, rimbalza contro le pareti conservando energia e quantità di moto, senza prediligere nessuna direzione: un ipotetico film proiettato all’indietro non mostrerebbe differenze rispetto allo stesso film proiettato in avanti; cioè: se andassimo indietro nel tempo il fenomeno si presenterebbe sostanzialmente identico a quello osservato andando avanti, nel rispetto della simmetria delle leggi della meccanica per inversione temporale (figura 19). Figura 19. Quando una pallina compie una serie di urti elastici secondo le leggi della meccanica classica, non riusciamo a distinguere il suo moto «in avanti» nel tempo da un suo ipotetico moto «indietro» nel tempo.

t

Tutto cambia quando, anziché considerare una sola particella, ne consideriamo «molte». Immaginiamo di avere un contenitore isolato diviso in due parti da un setto mobile e in una di esse poniamo un gas perfetto, schematizzato per mezzo del modello già utilizzato per la teoria cinetica dei gas (vedi capitolo 4, paragrafo 2). Se a un certo punto eliminiamo il setto, dall’esperienza con i gas reali ci aspettiamo che accada qualcosa di molto simile a ciò che è schematizzato in figura 20a: il gas si espande e tende a occupare tutto lo spazio a disposizione. Questo accade in effetti perché, una volta rimosso il setto, le particelle che avrebbero urtato su di esso possono invece procedere indisturbate nella porziot ne di spazio adiacente. In questo caso un film invertito si rivelerebbe assurdo, cioè non sarebbe più indistinguibile dal film proiettato in avanti.

Figura 20. a. Un gas tende a occupare tutto lo spazio a disposizione. b. Non è mai stato osservato un gas che, in assenza di forze esterne, si sia concentrato in una porzione limitata dello spazio a disposizione.

a

b

170

t

t

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IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

6

Nonostante le leggi della meccanica, che abbiamo posto alla base del modello, siano simmetriche per inversione temporale, l’evoluzione del sistema nella sua globalità non lo è (figura 20b). Lo scienziato austriaco Ludwig Boltzmann risolse la questione dell’asimmetria macroscopica dei sistemi termodinamici ragionando nei termini di un modello microscopico corpuscolare, come quello descritto nel capitolo 4, al quale aggiunse il concetto di probabilità. Boltzmann dimostrò che l’entropia aumenta mentre il sistema evolve verso stati più probabili. Vediamolo in dettaglio.

Microstati di un sistema termodinamico Nel modello della teoria cinetica ogni stato macroscopico è la manifestazione di un certo numero di configurazioni microscopiche (microstati): a determinati valori di pressione, volume e temperatura corrispondono determinate grandezze microscopiche medie, le quali a loro volta possono essere associate a diverse distribuzioni dei singoli valori. Per esempio, a diverse disposizioni spaziali delle particelle può corrispondere lo stesso volume (figura 21).

Figura 21. Uuno stato termodinamico è la manifestazione macroscopica di un certo numero di configurazioni microscopiche del sistema, dette microstati.

stato macroscopico

pA VA TA

microstati corrispondenti A1

A2

A3

A4

Boltzmann mostrò che uno stato è più probabile quando corrisponde a un numero maggiore di microstati e che questi ultimi sono direttamente collegati all’entropia dello stato stesso. Alla fine del XIX secolo egli utilizzò l’ipotesi atomica per spiegare la termodinamica, proponendo una soluzione decisamente rivoluzionaria. La maggior parte dei suoi colleghi non era convinta che la materia fosse costituita di corpuscoli e considerava il modello atomico uno strumento fittizio, che funzionava per spiegare le reazioni chimiche ma che non aveva alcun fondamento reale. Nessuno, in effetti, aveva mai «visto» un atomo, né aveva avuto prove dirette della sua esistenza. In questo contesto Boltzmann non solo utilizzò il modello atomico per spiegare alcuni fenomeni fisici, ma introdusse anche un elemento probabilistico, nuovo rispetto al determinismo della meccanica newtoniana: il risultato fu quello di attirare molte pesanti critiche da parte dei suoi contemporanei. Boltzmann, afflitto dal senso di incomprensione e sconforto, si tolse la vita nel 1906, all’età di sessant’anni (figura 22).

Figura 22. Ludwig Boltzmann (1844-1906).

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IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Il nome di Boltzmann è legato a un’equazione che riassume il suo lavoro, che esprime la dipendenza dell’entropia di un sistema che si trova in uno stato A dal numero di microstati corrispondenti W(A) (figura 23) attraverso la costante di Boltzmann kB: S(A)  kB ln W(A)

pA VA TA Figura 23. L’equazione (6.10) afferma che l’entropia di uno stato è maggiore quando ad esso corrisponde un numero maggiore di microstati.

A1

A2

(6.10)

pB VB TB

A3

B1

W(A)

B2

B3

B4

B5

W(B) W(A)  W(B) S(A)  S(B)

La funzione logaritmo è la funzione inversa dell’esponenziale e cresce quando il suo argomento cresce (figura 24). Quando la base del logaritmo è il numero di Nepero e, uguale a circa 2,71, il logaritmo si dice naturale e si indica con «ln». y

Figura 24. Grafico della funzione y  logx.

y  ln x

0

x

Probabilità di uno stato Non entreremo nel dettaglio dell’equazione (6.10), ma vedremo come riesca a spiegare l’asimmetria introdotta dal secondo principio della termodinamica utilizzando il concetto di probabilità. Per semplicità studiamo la situazione descritta nella figura 20 ragionando su un sistema formato da tre sole particelle, che indicheremo con 1, 2 e 3. Lo stato macroscopico è individuato dal volume occupato dal gas, cioè dal fatto che stia in una certa porzione del contenitore; i microstati sono caratterizzati dalle configurazioni possibili delle particelle. Rappresentiamo tutti i possibili microstati e gli stati ad essi associati in uno schema che ci consenta di contarli (tabella 2). Teniamo presente che si tratta di una semplificazione estrema, perché in realtà le tre particelle possono muoversi e occupare diverse posizioni all’interno del recipiente, pur restando nella stessa metà destra o sinistra, generando altri microstati possibili.

172 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA STATO MACROSCOPICO

MICROSTATI

W

2 1 3

A

3

2

1

C

1

2 3

2 3

D

Tabella 2. Schema per contare i microstati associati a ciascuno stato di un sistema a tre particelle.

W(A)  1

1 2

B

6

1

1

3 1

3 3

2

W(B)  3

2

W(C)  3

1

2 3

W(D)  1

Osserviamo inoltre che a un macrostato corrispondono più microstati, cioè che esistono diverse configurazioni microscopiche che riproducono lo stesso stato macroscopico. Una volta compreso il senso del ragionamento, si tratterà di estenderlo al caso reale, dove non solo le particelle sono più numerose ma le configurazioni sono ben più complicate e comprendono anche le singole velocità.

ESEMPIO f Qual è l’entropia associata rispettivamente agli stati A e B del modello a tre particelle? SOLUZIONE Per lo stato A un solo microstato corrisponde a: W(A)  1 S(A)  kB ln W(A)  (1,38  10–23 J/K) ln 1  0 J/K Nello stato B contiamo invece 3 microstati, cioè: W(B)  3 S(B)  kB ln W(B)  (1,38  10–23 J/K) ln 3  1,51  10–23 J/K Con le dovute cautele, legate al fatto che il sistema è estremamente semplificato, osserviamo comunque che al crescere del numero di microstati cresce anche l’entropia: la naturale tendenza dei sistemi è quella di evolvere verso stati ai quali è associato un numero maggiore di microstati. DOMANDA Qual è l’entropia di ciascuno stato di un sistema analogo, ma formato da 4 particelle anziché da 3? Disegna uno schema con tutti i possibili microstati.

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IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Nelle ipotesi della teoria cinetica, e in particolare nelle ipotesi di isotropia e di assenza di interazioni a distanza, il sistema ha la stessa probabilità di trovarsi in uno qualsiasi dei microstati; cioè dal punto di vista microscopico i microstati A1, B1, B2 e B3 sono ugualmente probabili. Dal punto di vista macroscopico, invece, lo stato B ha una probabilità maggiore. La probabilità di uno stato macroscopico è data dal numero di microstati ad esso associati. Diciamo che un sistema, quando evolve nel tempo, viene a trovarsi di volta in volta in microstati diversi con uguale probabilità; tuttavia, dato che per ogni macrostato esistono più microstati, dal punto di vista macroscopico questo equivale a dire che il sistema evolve verso stati più probabili, cioè quelli con un numero maggiore di microstati. In quest’ottica vediamo che la situazione ipotizzata in figura 20b non è «impossibile», ma solo «estremamente improbabile»: deve trascorrere molto tempo prima che il sistema venga a ritrovarsi nella configurazione iniziale.

Entropia e disordine Il concetto di entropia è spesso associato a quello di disordine, osservando che gli stati a cui è associato un elevato numero di microstati appaiono disordinati rispetto a quello, per esempio, che si presenta in uno e un solo modo. Il concetto di disordine è strettamente legato al numero di configurazioni che vi corrispondono, anche nel linguaggio comune. Una distribuzione ordinata di oggetti è quella in cui ciascun oggetto occupa il posto che gli è destinato: basta che uno sia fuori posto per creare disordine. Il disordine è massimo quando tutti gli oggetti sono fuori posto, e questa è la configurazione più probabile semplicemente perché i «posti sbagliati» sono molto più numerosi di quelli «giusti» (figura 25). L’evoluzione spontanea di un sistema termodinamico isolato è quella che tende al massimo disordine.

A

A 5

Q

5

7

3 3

7

3 5

J

Q

7

A

Q

Q

5

A

7

5

7

7

A

5

3

J

A

J

Figura 25. Gli eventi casuali tendono a scomporre l’ordine iniziale e a creare diverse configurazioni che definiamo disordinate.

A

A

J

A A

L’energia si disperde Alla luce di quanto detto, il disegno della figura 17 può essere letto in questo modo: a partire dal lavoro, che implica uno spostamento ordinato, in cui le particelle microscopiche si muovo in media lungo una determinata dire-

174 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

6

zione, l’energia evolve verso una distribuzione più disordinata, in cui le particelle si muovono casualmente in tutte le direzioni (calore). L’energia, inoltre, tende a disperdersi e diffondersi nello spazio circostante, come una goccia di inchiostro in un catino d’acqua (figure 26 e 27). energia

Figura 26. L’energia dell’universo è costante, ma tende a disperdersi.

Maros Mraz

energia

Maros Mraz

Figura 27. È più probabile che un sistema evolva verso il disordine. L’esercito di terracotta è costituito da migliaia di statue di guerrieri, posti di guardia alla tomba del primo imperatore della Cina nel III secolo a.C.

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IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

STORIA DELLA FISICA Il diavoletto di Maxwell Lo scienziato scozzese James Clerk Maxwell (1831-1879) non credeva al secondo principio della termodinamica e alla sua asimmetria, così insolita rispetto alle leggi della dinamica. Era convinto che la naturale tendenza al disordine, alla dispersione dell’energia, non fosse un principio e propose un esperimento ideale per confutarlo. Protagonista dell’esperimento il famoso diavoletto, un personaggio che fa le A B veci di un congegno microscopico, capace di operare a livello delle particelle di un gas. Il diavoletto è, per esempio, in grado di vedere gli atomi e di riconoscere Il diavoletto di Maxwell è in grado i più veloci, così da poter guidare l’evoluzione nel tempo del gas e contravvenire di operare su scala atomica. al secondo principio della termodinamica. Maxwell immagina di inserire il suo diavoletto in un contenitore pieno di gas diviso in due parti A e B, riempite di un gas identico e inizialmente alla stessa temperatura, da un setto privo di massa che può essere aperto e chiuso a piacimento.

Il secondo principio non vale più Quando il diavoletto vede un atomo dirigersi velocemente, per esempio, dalla parte B alla parte A del contenitore, apre il passaggio, mentre lo tiene chiuso finché vede atomi muoversi in direzione contraria. Dopo un po’ si misura un aumento di pressione nel contenitore A, che corrisponde a un accumulo di atomi veloci da una parte del contenitore e quindi a un aumento dell’ordine nel sistema, senza alcuna spesa di energia. Il diavoletto, con una semplice azione selettiva, produrrebbe una variazione di temperatura tra due corpi senza alcuna spesa di energia, contravvenendo così al secondo principio della termodinamica e dando ragione al suo ideatore. Tramite A B la stessa azione selettiva sarebbe in grado di separare l’inchiostro dall’acqua o Il diavoletto di Maxwell fa ordine nel sistema. di far rientrare il profumo in una bottiglia aperta.

L’esperimento con il diavoletto di Maxwell è stato molto discusso, e tutti i tentativi di realizzare un dispositivo di questo tipo si sono scontrati immediatamente con una serie di problemi che suggeriscono la validità del secondo principio della termodinamica: un dispositivo in grado di rilevare le particelle e di decidere quale azione intraprendere è, di fatto, un computer che richiede energia per funzionare. Oggi le nanotecnologie potrebbero rendere il diavoletto di Maxwell meno ideale di quanto non si immaginasse nel 1800: siamo in grado di costruire macchine minuscole, di Su progetto dell’Università di Bologna, nel 2006 è stato dimensioni dell’ordine del nanometro, capaci di operare, costruito «Sunny», un nanomotore piccolissimo capace quindi, su scala atomica. Tuttavia il secondo principio della di compiere 60 000 giri al minuto, alimentato a energia termodinamica resta inattaccabile, perché anche una nano- solare. macchina ha bisogno di energia per funzionare. Immaginiamo poi che cosa complicata dovrebbe essere separare, all’interno di un gas, le particelle lente da quelle veloci, con quantità dell’ordine del numero di Avogadro. La nanomacchina dovrebbe essere in grado di distinguere le une dalle altre, oltre che di selezionarle, e avrebbe bisogno di una struttura e di un’organizzazione che si ritiene impossibile da raggiungere con pochi atomi. Le nanotecnologie rendono possibile qualcosa che all’epoca di Maxwell era solo immaginabile, tuttavia anche oggi l’Universo continua a scivolare verso il disordine, come accadeva 150 anni fa. DOMANDA Di quanti atomi dovrebbe essere formato un diavoletto di Maxwell alto qualche nanomentro? Fai una stima considerando che un atomo di idrogeno ha dimensioni dell’ordine di 10–10 m.

176 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

Vincenzo Balzani / Università di Bologna

È proprio così?

IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

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LETTERATURA Le prime navi a vapore A volte, la sera, dopo il tramonto del sole, nell’ora in cui la notte si unisce col mare e il crepuscolo agita con una specie di terrore i flutti, si vedeva entrare nella piccola rada di Sant-Simpson, sul minaccioso ritmo dell’onde, una massa informe, mostruosa, che fischiava e sputava una cosa orrenda, che rantolava come una bestia e fumava come un vulcano, una specie d’idra che perdeva bava tra la schiuma, trascinava della nebbia, e si avventava nella direzione della città con uno spaventoso batter di pinne e con fauci da cui scaturivano fiamme. Questa era la Durande. (Victor Hugo, I lavoratori del mare, 1866, Mondadori, Milano 1995)

Nel romanzo di Hugo la Durande è una delle prime navi a vapore che, alla fine degli anni Venti dell’Ottocento, collegava tra loro le isole della Manica. In questo brano ci viene presentata a tinte fosche, come un’idra informe che rantola, fuma e sputa tra la schiuma del mare. Un mostro terrificante e orrendo, che entra nella rada fischiando e fiammeggiando, tra fumi e rumori di pale che percuotono le onde. Tale, in effetti, doveva apparire una nave a vapore La Ferdinando I, varata a Napoli nel 1818, fu la prima nave a vapore del a chi, allora, era abituato alle silenziose Mediterraneo. ed eleganti navi a vela. Nella finzione romanzesca la Durande viene soprannominata «Devil Boat», battello del diavolo, a testimonianza di una reale ostilità che all’epoca aleggiava intorno alle innovative navi a vapore. Molti erano perplessi e dubbiosi sull’uso delle nuove macchine, che andavano a inserirsi in un ambiente già tecnologicamente avanzato come quello della navigazione a vela.

Archivio P. Berti

Battelli infernali

Le navi a vela erano infatti efficientissime, e i navigatori talmente esperti nella conoscenza dei venti che, per i tratti lunghi, erano assai più affidabili e puntuali delle prime navi a vapore. Le rotte oceaniche sfruttavano venti e correnti regolari ormai note e sicure, che consentivano di effettuare grandi traversate in tempi relativamente ridotti. Inoltre le navi a vapore avevano bisogno di spazio per trasportare il carbone e si dimostravano sconvenienti come battelli commerciali, per i quali invece lo spazio è preferibilmente destinato alle merci.

Il vapore si afferma

Allan Charles Green

L’efficienza della vela

Il Cutty Sark è un clipper inglese, varato 1869 per il trasporto del tè dall’Oriente.

Così come accadde alla Durande di Hugo, le navi a vapore con propulsione a pale si affermarono inizialmente su tratte brevi, dove non occorrevano grandi riserve di carbone a bordo e la scarsa forza che il motore riusciva a imprimere alle grandi pale non penalizzava troppo i tempi di percorrenza. In seguito i motori furono perfezionati e fu introdotta la propulsione a elica, che consentì un impiego più ampio di queste navi. Inoltre, nel novembre del 1869 fu aperto il Canale di Suez, che eliminava il problema della circumnavigazione dell’Africa e consentiva alle navi a vapore di spingersi fino all’Oceano Indiano, vincendo la concorrenza delle navi a vela.

DOMANDA Quali parole del brano di Hugo caratterizzano una nave a vapore rispetto a una nave a vela?

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IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

CON GLI OCCHI DI UN FISICO L’automobile Motori a combustione interna

Nella seconda metà del XVIII secolo, l’ingegnere militare francese Joseph-Nicolas Cugnot ricevette l’incarico di progettare e realizzare un carro militare che si muovesse senza trazione animale, con un motore a vapore. Dopo una serie di prototipi, il primo dei quali datato 1769, vide la luce un veicolo a tre ruote, noto come «carro di Cugnot», lungo oltre 7 metri e azionato da un motore di 50 000 cm3 di cilindrata, in grado di raggiungere la velocità di 4 km/h. Era sicuramente un’innovazione tecnologica importante, ma non era molto pratica, visto che ogni 15 minuti bisognava fermarsi per ravvivare il fuoco di alimentazione della grossa caldaia, sprovvista di serbatoio. L’accensione del motore a vapore non era complicata, ma richiedeva tempo. La caldaia andava portata alla giusta temperatura per poter produrre il vapore ad alta pressione necessario a far muovere i pistoni, e ciò richiedeva un preriscaldamento manuale. I ricchi possessori della prime automobili avevano chi pensava a questa incombenza: i loro autisti erano infatti anche i «fuochisti» (in francese chauffeur) che all’occorrenza preparavano la caldaia portandola alla temperatura di funzionamento. Il termine chauffeur è entrato talmente nell’uso che oggi è usato come sinonimo di autista. Da quegli anni inventori di ogni tipo lavorarono in ogni angolo del mondo ai progetti più disparati, alle soluzioni più originali, nel tentativo di mettere a punto un motore che avesse sempre meno inconvenienti e prestazioni sempre più elevate.

Per tutto il XIX secolo la sperimentazione fu ricchissima: furono ideati moltissimi tipi di motore, basati sui più svariati cicli termodinamici, e perfino motori elettrici. Questi motori erano alimentati a gas, a petrolio, ad alcol, a benzina, oltre che ad acqua. Le automobili non avevano una fisionomia propria e assomigliavano piuttosto a carrozze dove al posto dei cavalli veniva usato un motore. Erano per lo più prodotti artigianali, l’una diversa dall’altra, nella ricerca di strategie sempre più efficienti e di motori sempre più veloci e pratici da usare. Verso la fine del secolo, tuttavia, i tentativi cominciarono a convergere intorno alle soluzioni più fortunate. Una di esse segnò una vera svolta nella storia dell’automobile: nel 1876 l’ingegnere tedesco Nikolaus August Otto sviluppò un motore a combustione interna a 4 tempi, alimentato a gas, destinato ad avere un immenso successo. I moderni motori a benzina sono basati sullo stesso ciclo termodinamico, composto da 4 fasi successive: il combustibile vaporizzato viene prima di tutto immesso nel cilindro e poi viene compresso in un volume più piccolo per azione di un pistone; una scintilla ne provoca l’accensione e in seguito alla combustione si scalda e si dilata rapidamente; successivamente il pistone preme sui gas combusti facendoli fuoriuscire da un’apposita apertura. Nello stesso anno fu ideato e costruito il primo motore a due tempi, antenato dei motori usati nei moderni ciclomotori, e nel 1892 Rudolf Diesel brevettò il motore a combustione interna che porta il suo nome, ancora oggi molto utilizzato, soprattutto nei mezzi pesanti. Alla fine del 1800 si stavano delineando i presupposti per la costruzione di veicoli con una propria identità, del tutto nuovi rispetto ai carri e ai carretti azionati a motore del primo periodo.

roby

Museo Enrico Bernardi Padova

Motori a vapore

Il carro di Cugnot è considerato il primo veicolo mosso da un motore termico, precedendo di oltre un secolo la comparsa delle automobili sulle strade.

PAROLA CHIAVE

Asimmetria

DOMANDA Sin dalla costruzione dei primi motori furono adottate strategie per raffreddare gli organi meccanici. Perché non è possibile utilizzare la quantità di calore persa attraverso lo scarico e quella prelevata dalle parti raffreddate per azionare nuovamente il motore senza ulteriore consumo di carburante? Spiega in 5 righe perché questa soluzione manifesta un’asimmetria della natura.

Il 5 agosto 1882 l’italiano Enrico Bernardi brevettò la motrice Pia, un carrozzino a tre ruote con motore a combustione interna alimentato a benzina.

PAROLA CHIAVE

Entropia

DOMANDA A partire dal calore prodotto dalla combustione del carburante un motore è in grado di far compiere un moto ordinato a un’automobile. Che cosa accade all’entropia dell’Universo? Motiva la risposta in 5 righe.

178 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

6

DOMANDA Quale legge descrive la proprietà termometrica che ha permesso ai fratelli Mon-

Un importante collaudo

Il trionfo dell’automobile

Allan Charles Green

tgolfier di sbalordire il mondo con il loro pallone aerostatico? [parola-chiave associata: proprietà La Motorwagen di Karl Benz è la prima automobile ufficiaLe automobili erano ancora beni di lusso, prodotte una le della storia, la cui data di nascita viene fatta coincidere alla volta, quando lo statunitense Henry Ford fabbricò con il giorno in cui fu presentata la domanda per il suo brele prime vetture in serie nella sua Ford Motor Company. vetto: il 29 gennaio 1886. Primo veicolo dotato di motore a Il nuovo modello produttivo della catena di montaggio combustione interna, era una via di mezzo tra una carrozpermise di costruire un’auto semplice e relativamente za e un grosso triciclo e aveva una massa e un ingombro economica, la Ford T, un’utilitaria di colore nero prodotta decisamente inferiori a quelli delle sue coetanee vetture in 15 milioni di pezzi dal 1908 al 1927. termometriche] a vapore. Oltre a ciò, la vettura di Benz aveva altre rivoluFurono gli anni d’oro dell’automobile: in tutto il mondo zionarie dotazioni, quali un sistema di raffreddamento ad aprivano piccole e grandi case costruttrici, che nel comacqua, un telaio a tubi d’acciaio, un motorino di avviamenplesso proponevano alla clientela una vasta gamma di to elettrico e un carburatore che vaporizzava la benzina. modelli di auto di tutti i tipi, ancora non assestati sullo Nella Motorwagen la famiglia Benz aveva investito risorse standard omogeneo al quale siamo abituati oggi. Ecco e speranze, ma il veicolo non sembrava riscuotere il sucperché alcune case riuscivano a emergere sulle altre, gracesso desiderato: le sue potenzialità sembravano perdersi zie a tecnologie originali e carrozzerie eleganti. In questo DOMANDA Il volume occupato da un gas in una trasformazione a pressione costante è direttatra i numerosi prototipi della concorrenza. Finché non insi distinse particolarmente l’Italia con nomi quali Bertone, tervenne Bertha Benz, la moglie di Karl, che si fece proGhia, Pininfarina, Zagato e molti altri, creatori di linee aptagonista di una sorprendente impresa, attirando l’attenprezzate in tutto il mondo. zione di un numeroso pubblico. Con la scusa di andare a Dai primi del Novecento, infatti, le automobili cominciatrovare la madre insieme a due figli di 13 e 15 anni, la donna rono ad assomigliare sempre meno alle carrozze e nacprese la vettura senza informare il marito e senza il perque l’esigenza di dotarle di carrozzerie originali: la produmesso delle autorità, e percorse gli oltre 100 km che la sezione si differenziò e, accanto alle case automobilistiche, paravano dall’abitazione Nessuno aveva nacquero delleaffermazione vere e proprie Per esempio, mente proporzionale allamaterna. sua temperatura. Spiegamai in 5fatrighe perché questa noncarrozzerie. è to un viaggio così lungo a bordo di un mezzo a motore, e la Ford T era stata «vestita» con successo dalla carrozzepossiamo immaginare le difficoltà incontrate nel reperire il ria francese Torpedo, chiusa sui fianchi. Lo sviluppo della carburante (una benzina allora in vendita nelle farmacie) e carrozzeria andò nella direzione di telai sempre più conel trovare soluzioni agli inevitabili piccoli guasti meccanici perti, fino ad arrivare alle berline dei nostri giorni. occorsi durante il tragitto. Bertha impiegò un intero giorno per raggiungere la destinazione e altrettanto per tornare Un celebre indietro: la Motorwagen aveva dunque guadagnato, oltre manifesto corretta. associata: pubblicitario che una [parola-chiave proficua pubblicità, anchetemperatura] un importante collaufirmato da do. Le migliorie apportate in seguito dovettero molto all’eMarcello sperienza acquisita durante quel lungo viaggio. Dudovich reclamizza la Con il Fiat Balilla, brevetto prima auto di numero massa italiana, 37435 del è in equilibrio DOMANDA Il pallone aerostatico dei fratelli Montgolfier meccanico alla quota di prodotta negli 29 gennaio stabilimenti di 1886 la Torino negli anni Motorwagen Trenta. di Karl Benz è considerata la prima automobile 250 m rispetto al suolo: essa non si muove né in verticale né in orizzontale. È verificato l’equilibrio della storia.

PAROLA CHIAVE

Macchine termiche

DOMANDA Perché l’attrito degli organi meccanici di un’automobile riduce il rendimento effettivo del motore? termico con l’ambiente? Motiva la risposta. [parola-chiave associata: equilibrio termico]

179 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

MAPPA DEI CONCETTI converte

UNA MACCHINA TERMICA

CALORE Q2 in

opera fra due diverse temperature

LAVORO L + CALORE Q1

T2  T1

Q2  L  Q1

IL RENDIMENTO DI UNA MACCHINA TERMICA

È DEFINITO COME L η= Q2 RAPPORTO FRA LAVORO E CALORE ASSORBITO η = 1−

non è mai superiore al rendimento di una macchina termica ideale che operi fra le stesse temperature T1 e T2

Q1 Q2

η ≤ ηrev = 1 −

T1 T2

p

MACCHINA IDEALE DI CARNOT: compie cicli reversibili di Carnot

A T2

B

D T1

C

0

V

SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA secondo Kelvin

secondo Clausius

è impossibile realizzare una trasformazione termodinamica il cui unico risultato sia quello di assorbire una quantità di calore da una sola sorgente termica e convertirlo integralmente in lavoro

è impossibile realizzare una trasformazione termodinamica il cui unico risultato sia quello di trasferire una quantità di calore da un corpo a temperatura minore a un corpo a temperatura maggiore

T2 Q2 L

M

T2

Q2 M

sono equivalenti

L

Q1 T1

180 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

T1

IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

L’ENTROPIA S

di un sistema isolato è sempre non decrescente

è una funzione di stato si misura in J/K

⎛Q ⎞ ΔS = S (B) − S (A ) = ∑ i ⎜⎜ i ⎟⎟ A→B ⎝ Ti ⎠r

ΔS 0 la variazione di entropia dipende solo dagli stati iniziale A e finale B della trasformazione

INTERPRETAZIONE MICROSCOPICA ASIMMETRIA della natura rispetto all’inversione del tempo

Un sistema evolve sempre verso stati termodinamici più probabili

ai quali corrispondono MICROSTATI PIÙ NUMEROSI

S(A)  kB  ln W(A)

L’ENTROPIA DELL’UNIVERSO È SEMPRE CRESCENTE

6

kB  1,38 × 10–23 costante di Boltzmann

L’ENTROPIA DI UNO STATO A DIPENDE DAL NUMERO DI MICROSTATI W(A) CHE LO CARATTERIZZANO

cioè

L’ENERGIA DELL’UNIVERSO SI CONSERVA E SI DISPERDE

181 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

20 test (30 minuti)

6 ESERCIZI 1

TEST INTERATTIVI

MACCHINE TERMICHE

2

DOMANDE 1

L’ENUNCIATO DI LORD KELVIN

DOMANDE

Quale organo di un’automobile è propriamente una macchina termica?

7 L’aria contenuta nel pallone di una mongolfiera vie-

ne riscaldata e, per il principio di Archimede, si genera una spinta verso l’alto che solleva il veicolo. Il calore prodotto è stato in questo modo trasformato interamente in lavoro contro la forza peso: è dunque violato il secondo principio della termodinamica? Rispondi in 5 righe.

2 «Il calore assorbito da una macchina termica duran-

te un ciclo è uguale al prodotto tra il rendimento della macchina e il lavoro prodotto nel ciclo stesso». Correggi questa frase, se necessario. 3 «Una macchina termica ideale che assorbe una

quantità di calore |Q| può produrre lavoro al massimo pari a |Q|». Correggi questa frase se necessario.

8 Qual è il rendimento di una macchina termica che

violi l’enunciato espresso da Kelvin per il secondo principio della termodinamica? 9 Quanto calore cede a una sorgente fredda una mac-

CALCOLI

china termica che assorbe una quantità di calore |Q2| da una sorgente calda e produce lavoro pari a L?

4 Le prime macchine a vapore utilizzate a scopi indu-

striali sono le macchine di Newcomen, che sfruttano la depressione generata dalla condensazione di una quantità di vapore all’interno di un cilindro per generare movimento. La sua prima funzione fu quella di sollevare il carbone e pompare l’acqua dalle miniere, con un rendimento dello 0,50 %.

3

L’ENUNCIATO DI CLAUSIUS

DOMANDE 10 Un frigorifero raffredda il volume interno e scalda

esternamente, pertanto trasferisce il calore da un corpo freddo a un corpo caldo: viola dunque il secondo principio della termodinamica? Rispondi in 5 righe.

valvola C pistone

11 «Se esistesse una macchina termica con un rendi-

valvola A

acqua di raffreddamento

cilindro

valvola B

mento del 100%, potremmo anche trasferire calore da un corpo freddo a un corpo caldo come unico risultato». Motiva questa affermazione in 5 righe.

peso

vapore condensato

12 Dimostra in 10 righe che se non fosse vero l’enun-

ciato di Clausius del secondo principio della termodinamica non sarebbe vero nemmeno l’enunciato di Kelvin.

caldaia

f Quanto calore deve assorbire per sollevare di 1,0 m una massa di 1,0 kg? [2,0 × 103 J]

5 Un kilogrammo di carbone sviluppa una quantità di

calore di circa 3,0 × 107 J. La combustione di 1 kg di carbone viene utilizzata per far funzionare una macchina di Newcomen, di rendimento pari allo 0,5%. f Qual è la massima quantità di acqua che può essere sollevata a una quota di 25 m? [6,1 × 102 kg]

6 Qual è il rendimento di una macchina che produce

350 J di lavoro a partire da una quantità di calore pari a 870 J? [40%]

4

IL CICLO DI CARNOT

DOMANDE 13 Individua nel ciclo

di Carnot rappresentato sul piano di Clapeyron in quali tratti il calore è assorbito dalla macchina e in quali è ceduto.

p

A

B

D 0

182 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

C V

6

IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA quale cede il calore residuo è 350 K, qual è la temperatura della sorgente calda?

14 In riferimento al ciclo di Carnot dell’esercizio 13, in

quale tratto la temperatura diminuisce?

[500 K]

15 Una macchina di Carnot assorbe calore |Q2| da una

sorgente calda e cede calore |Q1| a una sorgente fredda, producendo lavoro positivo L. Invertendo la macchina che cosa succede? Rispondi in 5 righe.

5

16 Disegna su un piano di Clapeyron un ciclo di Carnot

L’ENTROPIA

DOMANDE

invertito rispetto a quello dell’esercizio 13.

22 In quali casi la disuguaglianza di Clausius si riduce a

un’uguaglianza?

CALCOLI

23 Un sistema termodinamico cede calore all’ambiente

17 Una macchina termica assorbe da una sorgente cal-

reversibilmente e la sua entropia diminuisce. Spiega in 5 righe perché non è violato il secondo principio della termodinamica.

da una quantità di calore pari a 2,3 × 103 J e produce lavoro cedendo a una sorgente fredda una quantità di calore pari a 1,9 × 103 J.

24 Durante la fusione di un solido a temperatura co-

f Calcola il suo rendimento.

stante l’entropia aumenta o diminuisce? Motiva la risposta.

[17%]

18 In un motore a benzina a combustione interna i gas

25 Fai un esempio di passaggio di stato in cui l’entropia

raggiungono la temperatura di 2300 K e vengono scaricati a una temperatura di circa 1000 K, per essere poi raffreddati nel circuito di scarico fino alla fuoriuscita. Il rendimento reale di un tale motore si aggira intorno al 25%.

diminuisce.

CALCOLI 26 Una macchina termica lavora tra due sorgenti termi-

Stefan Redel / Shutterstock

che rispettivamente alle temperature di 1200 K e 290 K.

f Qual è il rendimento termico massimo ottenibile tra le stesse temperature?

f Se il calore assorbito è 7,7 × 102 J e quello ceduto è 3,1 × 102 J, verifica attraverso l a disuguaglianza di Clausius se la macchina sia o meno reversibile. f Qual è il suo rendimento? [60%]

27 Di quanto varia l’entropia di 1,0 kg d’acqua che passa

dallo stato liquido allo stato solido alla temperatura di 273 K e alla pressione di 1 atm? (Vedi capitolo 3, tabella 2.) [–1,2 × 103 J/K]

[circa il 57%]

19 Una macchina termica ideale, che ha un rendimento

del 22%, lavora tra una caldaia e l’ambiente a 300 K. f Qual è la temperatura della caldaia?

[3,9 × 102 K]

28 Durante una trasformazione isoterma un gas perfet-

to assorbe una quantità di calore pari a 3,9 × 103 J e la sua entropia aumenta di 11 J/K. f Qual è la temperatura del gas durante la trasformazione? [3,5 × 102 K]

20 In riferimento alla macchina termica dell’esercizio 19,

di quanto andrebbe diminuita la temperatura dell’ambiente per avere un rendimento del 30% a parità di temperatura della caldaia? [30 K]

21 Una macchina di Carnot assorbe energia pari a 8700 J

da una sorgente calda e produce lavoro pari a 2600 J.

29 Un gas perfetto, contenuto in un cilindro con pistone

mobile, viene compresso a temperatura costante di 19 °C e la sua entropia diminuisce, con una variazione pari a 4,1 × 103 J/K. f Qual è il lavoro compiuto sul pistone?

f Se la temperatura della sorgente fredda alla

183 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

[1,2 × 106 J]

6 ESERCIZI 6

37 Quale delle due sequenze di carte è la più probabile?

UN’ASIMMETRIA DELLA NATURA

DOMANDE 30 «L’entropia di un sistema isolato aumenta sempre nel

tempo». Perché questa affermazione non è corretta? Massimiliano Trevisan

31 In che senso il secondo principio della termodinami-

ca mette in evidenza un’asimmetria della natura? Rispondi in 5 righe. 32 Due corpi a temperatura diversa vengono messi in

contatto termico e dopo un po’ di tempo raggiungono uno stato di equilibrio termico, caratterizzato dalla stessa temperatura. Individua in questo fenomeno l’asimmetria evidenziata dal secondo principio della termodinamica.

38 In riferimento all’esercizio 37, quale delle due se-

quenze è associata al concetto di ordine e quale al concetto di disordine? Quante sono le sequenze ordinate che puoi ottenere da 13 carte da gioco? 39 Durante la formazione di un cristallo, l’entropia degli

CALCOLI

atomi diminuisce o aumenta?

33 Una macchina di Carnot assorbe una quantità di ca-

lore pari a 6,0 × 104 J da una sorgente a 1600 K e cede una quantità di calore pari a 1,5 × 104 J a una sorgente a 400 K. f Qual è la variazione di entropia durante il ciclo? [0 J/K]

CALCOLI 40 Sommando i valori ottenuti dal lancio di due dadi a

sei facce possiamo ottenere diversi risultati, e associamo ciascuno di essi a uno stato. f Qual è l’entropia dello stato in cui la somma è 7? [2,47 × 10–23 J/K]

34 Calcola la variazione di entropia durante un ciclo di

Carnot qualsiasi. [0 J/K]

35 Un gas perfetto compie un ciclo formato da una tra-

sformazione adiabatica reversibile che lo porta dallo stato A allo stato B, da una trasformazione irreversibile che lo porta dallo stato B allo stato C e da un’isoterma reversibile che lo riporta allo stato A. f Se durante la trasformazione isoterma il gas cede una quantità di calore pari a 3,0 × 103 J, alla temperatura di 273 K, qual è la variazione di entropia durante la trasformazione irreversibile? [11 J/K]

41 Fai riferimento all’esercizio 40.

f Quali sono gli stati in cui l’entropia è minima? f Quanto vale?

[9,57 × 10–24 J/K]

42 Le possibili permutazioni di 13 carte da gioco sono

circa 6,23 × 109. f Qual è l’entropia di un qualsiasi stato dell’insieme di carte? [3,1 × 10-22 J/K]

43 Una mole di gas perfetto monoatomico ha un’entro-

pia di 305 J/K. f Qual è il numero dei microstati del gas?

25

[e2,2×10 ]

7

INTERPRETAZIONE STATISTICA DEL SECONDO PRINCIPIO

ESERCIZI DI RIEPILOGO

DOMANDE

DOMANDE

36 Individua nei seguenti fotogrammi un ordine tempo-

44 Dato il ciclo di Stirling

Massimiliano Trevisan

rale e motiva la scelta in 5 righe.

184

p A

in figura, in cui due isoterme sono collegate tra loro da due isocore, in quali tratti l’entropia del sistema aumenta e in quali diminuisce? 0

Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

B D C V

IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA 45 Perché il secondo principio vieta la costruzione di

una macchina che compia un moto perpetuo? 46 Una macchina termica che abbia un rendimento mag-

giore di 1 viola il secondo principio della termodinamica, ma anche il primo: perché? Rispondi in 5 righe. 47 In una salina il sale, precedentemente sciolto nell’ac-

qua, cristallizza in seguito all’evaporazione. Individua nei due processi l’aumento o la diminuzione di entropia. Che cosa accade all’entropia dell’Universo?

53 Una macchina termica che ha una potenza di

1500 W e un rendimento del 45% lavora ininterrottamente per 3 h. f Quanto calore ha assorbito?

[3,6 × 107 J]

54 Una macchina termica compie lavoro pari a 2,6 × 104 J

cedendo all’ambiente calore pari a 7,3 × 105 J. f Qual è il calore assorbito? f Qual è il rendimento della macchina?

[7,6 × 105 J; 3,4%]

48 Nei moderni impianti termoelettrici si usa sempre

più spesso la cosiddetta «cogenerazione», per la quale il calore di scarto della turbina viene nuovamente utilizzato per altri scopi: per esempio per alimentare altre macchine o per il riscaldamento di edifici. Il rendimento dell’impianto può in questi casi raggiungere l’80% e superare il rendimento massimo della macchina previsto dal teorema di Carnot. Il secondo principio della termodinamica è dunque violato? Motiva la risposta in 5 righe. 49 In un recipiente isolato diviso in due parti da un setto

buon conduttore termico, sono contenuti separatamente elio e neon. Se le velocità quadratiche medie delle particelle dei due gas sono uguali, in quale direzione avviene il passaggio di energia termica? In quale dei due gas si ha una diminuzione di entropia? 50 I microstati di un sistema termodinamico sono tutti

equiprobabili, ma ciò non è vero per gli stati macroscopici. Perché? Spiegalo in 10 righe.

6

55 Lavorando fra la temperatura della caldaia a 700 °C

e la temperatura ambiente di 25 °C una macchina reale ha un rendimento del 50%. f Qual è la percentuale di energia dispersa per attrito? f Qual è il rendimento massimo ottenibile da una macchina che lavori tra le stesse temperature? f Se spostassimo la macchina in Antartide, alla temperatura di 50°C, quale sarebbe il rendimento massimo a partire dalla stessa caldaia? [19%; 69%; 77%]

56 Una macchina termica assorbe calore pari a

8,00 × 107 J da una caldaia a 2000 °C e produce un lavoro di 2,2 × 107 J, scaricando gas alla temperatura di 500 °C. f Qual è il rendimento della macchina? f Di quanto aumenta l’entropia dell’ambiente?

PROBLEMI 51 Il riutilizzo del vapore residuo di una macchina ter-

mica è una possibile strategia per il risparmio energetico. f Qual è il lavoro massimo ottenibile con una macchina termica che ha un rendimento del 38% che utilizzi il calore di condensazione di una massa di 10 kg di vapore d’acqua alla temperatura costante di 100 °C? f Quale massa potrebbe essere sollevata di 25 m utilizzando tale quantitativo energetico? [8,7 × 106 J; 3,6 × 104 kg]

52 Fai riferimento alla macchina di Newcomen descritta

nell’esercizio 4. f Qual è il calore ceduto all’ambiente? f Quanti litri di acqua potremmo scaldare di 1 °C con tale quantità di calore? f Di quanto aumenta l’entropia dell’ambiente alla temperatura di 285 K?

[2,0 × 103 J; 0,48 litri 7,0 J/K]

f Riducendo gli attriti e le perdite, quale rendimento massimo si può ottenere facendo lavorare la macchina tra le stesse temperature? [28%; 7,5 × 104 J/K; 66%]

57 Una mole di gas perfetto compie una trasformazio-

ne reversibile che porta la sua pressione e il suo volume dai valori 1,0 × 105 Pa e 15 litri ai valori 2,0 × 105 Pa e 7,5 litri. f Se l’entropia del gas è diminuita di 45 J/K, qual è la quantità di calore che il gas ha ceduto all’ambiente? [8,1 × 103 J]

58 Un litro di benzina sviluppa una quantità di calore di

3,0 × 106 J e un motore a benzina ha un rendimento termico del 30%. f Se un’automobile ha un consumo medio di benzina pari a 8 litri ogni 100 km, quanti litri d’acqua potrebbe portare a ebollizione, in media, a partire dalla temperatura di 300 K, con il calore dei gas di scarico in 100 km di marcia?

185 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

6 ESERCIZI f Di quanto aumenta l’entropia dell’ambiente in 50 km di marcia, supponendo che la temperatura sia costante e pari a 300 K? [55 litri; 2,8 × 104 J/K]

59 Una macchina di Carnot che ha un rendimento del

25% assorbe calore da una sorgente calda alla temperatura di 1700 K. f Qual è la temperatura della sorgente fredda alla quale cede il calore residuo? f Se la quantità di calore ceduto è 4,7 kJ, quanto calore preleva dalla sorgente calda? f Una macchina termica reale che lavori tra le stesse temperature, prelevando la stessa quantità di calore dalla sorgente calda, cederebbe alla sorgente fredda una quantità di calore minore o maggiore rispetto alla macchina di Carnot? [1,3 × 103 K; 6,3 kJ]

C

stabilisce l’impossibilità di alcune trasformazioni termodinamiche.

D

assegna la probabilità di ogni trasformazione termodinamica.

E

definisce il rendimento delle macchine termiche.

(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Ingegneria 2000/2001) 2 «L’entropia può essere considerata una misura del

disordine di un sistema. In generale si osserva che i sistemi tendono ad assumere spontaneamente le disposizioni più probabili, e quindi meno ordinate.» Quale delle seguenti affermazioni può essere dedotta dalla lettura del brano precedente? A

Tutti i sistemi sono estremamente disordinati.

B

È più probabile una disposizione ordinata rispetto a una disordinata.

C

L’entropia di un sistema deve comunque rimanere costante.

D

L’entropia di un sistema tende spontaneamente ad aumentare.

E

L’entropia di un sistema tende spontaneamente a diminuire.

VERSO L’UNIVERSITÀ 1

Il secondo principio della termodinamica: A

stabilisce le condizioni per la realizzazione del moto perpetuo.

B

stabilisce che l’entropia di un generico sistema termodinamico non può che aumentare.

(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria 2003/2004)

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CAPITOLO

Le onde



Nel vecchio stagno Una rana salta Tonfo d’acqua.



Haiku di Matsuo Basho

L’italiano «onda» deriva dal latino unda, che a sua volta si collega alla radice greca υδ-, hyd-, proveniente dall’indoeuropeo vud- o vad-: acqua. Troviamo questo antico antenato nelle parole «water», «wasser», «voda» e in moltissime altre dallo stesso significato. Il collegamento tra la parola «onda» e l’acqua è dunque profondo, e sarà il punto di partenza per esplorare questo nuovo concetto della fisica. Una rana che salta in uno stagno perturba la staticità della sua superficie, generando onde che si propagano come circonferenze concentriche. Le foglie che galleggiano sul pelo dell’acqua oscillano su e giù, in verticale, ma non si spostano insieme all’onda. Definiremo quindi un’onda come una perturbazione che si propaga nello spazio. Nel caso delle onde nello stagno la perturbazione è la quota raggiunta dalla superficie dell’acqua rispetto alla posizione imperturbata, cioè di equilibrio iniziale.

Gli spostamenti delle perturbazioni hanno alcune somiglianze con gli spostamenti dei corpi materiali, ma anche notevoli differenze. Per esempio, a differenza di due particelle materiali, due onde possono trovarsi nella stessa posizione nel medesimo istante per il cosiddetto principio di sovrapposizione. In questo capitolo vedrai che questo fatto ha notevoli conseguenze, che si possono osservare in molti fenomeni fisici rappresentabili mediante onde: dalle increspature del mare, al suono, alla luce. La matematica che si usa per descrivere un’onda che si propaga è piuttosto complessa e non sarà trattata in questo corso; tuttavia ci sono situazioni in cui possiamo sfruttare un’utile analogia, che semplifica lo studio dei fenomeni ondulatori. In molti casi, infatti, essi sono descrivibili per mezzo di onde periodiche, cioè perturbazioni che si susseguono nel tempo e nello spazio con regolarità.

Katsushika Hokusai (1760-1849), Carpe, 1813.

PAROLE CHIAVE Perturbazione Sovrapposizione Onde periodiche

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LE ONDE

Robian/Shutterstock

1

Figura 1. Un sasso gettato in uno stagno genera onde sulla superficie.

CHE COS’È UN’ONDA?

Quando parliamo di onde ci riferiamo in genere alle increspature più o meno marcate che si osservano sulla superficie dell’acqua. In fisica la parola «onda» abbraccia una moltitudine di fenomeni molto più vasta, e tuttavia, per capire di che cosa si tratta, cominciamo proprio dall’acqua e da un esempio che consente di visualizzare concretamente il concetto, per poi passare a una definizione più generale. Immaginiamo di gettare un sasso in uno stagno la cui superficie sia inizialmente in equilibrio, perfettamente orizzontale. Nel punto in cui il sasso passa dall’aria all’acqua la superficie dello stagno viene perturbata, cioè subisce una modificazione. In particolare, cambia la sua quota rispetto al livello di riferimento della situazione iniziale di equilibrio. Successivamente all’entrata del sasso nello stagno la perturbazione viene trasmessa alle regioni adiacenti (figura 1). In figura 2 è rappresentato uno schema del fenomeno descritto da due punti di vista: uno rispetto a un piano verticale che passa per il punto di impatto del sasso nell’acqua; l’altro rispetto a un piano orizzontale corrispondente alla superficie dello stagno imperturbato. aria

Figura 2. La superficie dello stagno è imperturbata; il sasso produce una perturbazione nell’area di impatto con l’acqua; la perturbazione si trasmette alle regioni adiacenti; sulla superficie dello stagno si formano avvallamenti (rosa) e rigonfiamenti (azzurro) rispetto al livello di riferimento in assenza di perturbazione.

acqua

Nel punto di impatto la superficie inizia a oscillare su e giù, trasmettendo il moto tutto intorno, e la perturbazione si propaga formando circonferenze concentriche. Se sulla superficie dello stagno galleggiano delle foglie, si osserva che esse non si spostano ma oscillano in verticale, mantenendo fissa la loro posizione orizzontale sul piano dello stagno: cioè non c’è trasporto di materia durante lo spostamento della perturbazione. L’onda non trasporta materia, ma trasporta energia cinetica e potenziale: le porzioni di superficie inizialmente in quiete ricevono energia e iniziano a oscillare, trasmettendo a loro volta energia alle aree adiacenti. Estendiamo ora i concetti qui incontrati al caso più generale a partire dalla seguente definizione: un’onda è una perturbazione che si propaga nello spazio trasportando energia. Nel caso analizzato di un’onda che si forma su una superficie di separazione tra aria e acqua, abbiamo definito la perturbazione come la variazione

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LE ONDE

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della quota rispetto alla superficie orizzontale dello stagno in equilibrio. Possiamo applicare la definizione a onde che si propagano in mezzi omogenei prendendo in considerazione la variazione di una grandezza fisica, come la pressione o la temperatura, per avere quindi onde di pressione, di temperatura ecc. Pertanto una perturbazione è la variazione di una grandezza fisica rispetto a una situazione di equilibrio. Per semplificare diciamo che, anziché un corpo materiale, in un’onda si sposta nello spazio una sorta di «disomogeneità», cioè una variazione rispetto a una situazione imperturbata.

ESEMPIO

Eric Broder Van Dyke/Shutterstock

f Un classico esempio di onda è quello della «ola» sulle gradinate di uno stadio. In che cosa consiste la perturbazione? Come si propaga?

SOLUZIONE La situazione imperturbata è quella in cui ciascun tifoso è seduto sugli spalti. La perturbazione consiste nella variazione della posizione verticale, che si propaga parallelamente al perimetro dello stadio, pur non essendoci spostamenti di persone in tale direzione. Ciascun tifoso, cioè, si alza e si abbassa sul sedile rimanendo al proprio posto. La ola dello stadio è molto simile all’onda generata sulla superficie di uno stagno da un sasso che vi cade dentro. DOMANDA Se invece di alzarsi e abbassarsi i tifosi si mettono e tolgono un berretto bianco, abbiamo ancora a che fare con un’onda? In caso affermativo, in che cosa consiste la perturbazione?

Schematizzare un’onda Per avere un’onda è quindi necessario che in un punto dello spazio, detto sorgente, sia generata una perturbazione e che tale perturbazione si propaghi, che sia cioè possibile individuarla in un altro punto dello spazio dopo un certo intervallo di tempo, attraverso ciò che chiamiamo rivelatore. Nel caso specifico analizzato, la sorgente dell’onda è l’impatto del sasso con l’acqua, e un possibile rivelatore che individui la propagazione della

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Figura 3. a. Un’onda viene generata da una sorgente e la perturbazione, che si propaga nello spazio → con velocità v , è individuata da un rivelatore. b. La sua ampiezza è la massima perturbazione rispetto alla situazione di equilibrio. c. Il fronte d’onda è l’insieme dei punti raggiunti contemporaneamente dalla perturbazione.

LE ONDE

perturbazione è costituito dalle foglie sulla superficie dello stagno, che iniziano a ondeggiare al suo passaggio (figura 3). In questo caso abbiamo a che → S R onde v fare con onde che si propagano a sorgente rivelatore lungo il confine di separazione tra due mezzi (aria e acqua), per ampiezza → v circonferenze concentriche; cioè le eventuali foglie poste a distanfoglia ze uguali dalla sorgente, iniziano sasso ad oscillare nello stesso istante. b In altre parole il fronte d’onda, cioè l’insieme dei punti in cui la perturbazione giunge nello stesso intervallo di tempo, è una circonferenza (figura 3c). Riepiloghiamo e specifichiamo ora le definizioni che ci consentoc no di parlare di onde con la termifronte d’onda nologia appropriata: s sorgente: punto dello spazio in cui viene generata la perturbazione; s propagazione: spostamento della perturbazione nello spazio; s rivelatore: dispositivo in grado di riconoscere la perturbazione in un punto dello spazio; s velocità di un’onda: velocità con cui si sposta la perturbazione; s ampiezza: modulo della massima variazione della grandezza perturbata rispetto alla situazione di equilibrio; s fronte d’onda: insieme dei punti dello spazio raggiunti contemporaneamente dalla perturbazione che si propaga.

ESEMPIO f L’improvvisa dislocazione di una faglia genera onde sismiche che si propagano nella crosta con diverse velocità. Il punto da cui partono le onde, detto ipocentro, è dunque la sorgente di diverse onde sismiche, che si propagano con fronti d’onda sferici e raggiungono le diverse stazioni sismologiche, dove vengono registrate attraverso i sismografi (rivelatori). Ogni stazione di rilevamento riceve i due impulsi in diversi istanti di tempo; in base all’entità di questa differenza si riesce a calcolare la distanza della stazione dalla sorgente del terremoto (ipocentro). Le onde sismiche più veloci sono dette primarie (P), mentre quelle più lente sono dette secondarie (S). stazione 2 stazione 1

ipocentro

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LE ONDE

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Quanto tempo impiega un’onda primaria P che viaggia alla velocità costante di 8,0 km/s a raggiungere una stazione posta a 15 km dall’ipocentro? SOLUZIONE Approssimando il moto a rettilineo uniforme, usiamo le stesse formule utilizzate per i corpi materiali che si spostano a velocità costante. Quindi per il tempo di percorrenza si ha: Δt 

Δx v

dove Δx  15 km e v  8,0 km/s. Quindi: Δt 

15 km  1, 9 s 8 km/s

DOMANDA Quanto tempo impiega un’onda secondaria S, alla velocità di 3,5 km/s, a raggiungere la stazione?

2

TIPI DI ONDE

Le onde superficiali viste nel paragrafo precedente sono solo un caso molto particolare di onda. Facciamo qui una panoramica delle diverse tipologie possibili, distinte in base alle caratteristiche prese in esame: dalla direzione della perturbazione rispetto a quella di propagazione al mezzo nel quale si propagano, dalla forma dei fronti d’onda alla loro regolarità nel tempo. Cominciamo con l’osservare che, in base alle dimensioni spaziali che interessano la propagazione, possiamo avere onde: s unidimensionali (lineari): come quelle che si propagano lungo una corda; s bidimensionali (di superficie): come quelle che si propagano sulla superficie di uno stagno; s tridimensionali (di volume): come quelle che si propagano all’interno della Terra.

Onde longitudinali e trasversali Distinguiamo innanzitutto due grosse classi di onde, trasversali e longitudinali, distinte in base alla direzione della perturbazione rispetto alla direzione di propagazione della stessa. Nelle onde trasversali la perturbazione è perpendicolare rispetto al moto dell’onda; nelle onde longitudinali la perturbazione è parallela al moto dell’onda. Utilizziamo come esempio onde unidimensionali che si propagano rispettivamente lungo una corda e lungo una molla.

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LE ONDE

Se afferriamo una corda tesa a un’estremità e ne provochiamo una perturbazione alzandola e abbassandola, generiamo un’onda trasversale che si propaga lungo la corda. Al passaggio dell’onda varia l’altezza di ciascun elemento di corda rispetto alla direzione orizzontale imperturbata: un rivelatore (per esempio un campanello) individua tale dislocazione verticale in un punto, a una certa distanza dalla sorgente (la nostra mano), dopo un certo intervallo di tempo. Propagazione e perturbazione sono perpendicolari (figura 4). sorgente Figura 4. Onda trasversale generata alzando e abbassando l’estremità di una corda. L’onda si propaga dalla mano lungo la direzione (orizzontale) della corda e viene rivelata da un campanello posto a una certa distanza (verticale) da essa: propagazione e perturbazione sono pertanto perpendicolari.

rivelatore

perturbazione

direzione della perturbazione

ding!

direzione di propagazione

Vediamo ora un’onda longitudinale che si propaga lungo una molla: la perturbazione, generata pizzicando l’estremità della molla, consiste nella modificazione della distanza tra le spire rispetto alla situazione iniziale. Il rivelatore in questo caso è costituito da un pennino solidale a una spira, che disegna un segmento orizzontale al passaggio della perturbazione. La variazione della distanza tra le spire, cioè la perturbazione, è dunque parallela alla direzione di propagazione dell’onda lungo l’asse della molla (figura 5). sorgente

Figura 5. Onda longitudinale generata pizzicando l’estremità di una molla. L’onda si propaga dalla sorgente lungo la direzione (orizzontale) della molla e viene rivelata da un pennino che disegna un segmento (orizzontale) quando le spire modificano la loro posizione: propagazione e perturbazione sono pertanto parallele.

rivelatore

perturbazione

direzione di propagazione

direzione della perturbazione

Mezzo di propagazione Le onde che abbiamo visto finora (nell’acqua, lungo una corda e lungo una molla) sono perturbazioni che comportano il movimento di porzioni di un mezzo materiale e che «viaggiano» attraverso esso, trasportando energia da

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LE ONDE

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un punto all’altro senza spostamento di materia. Fino ai primi del Novecento si pensava che tutte le onde dovessero essere in qualche modo legate alla presenza di un mezzo materiale posto in oscillazione: solo in questo modo sembrava possibile trasmettere energia in diversi luoghi dello spazio. Al punto che, quando si scoprì che la luce si comportava in molte circostanze come un’onda, divenne necessario introdurre l’ipotesi dell’esistenza di un mezzo impalpabile, chiamato etere. Si pensava che la luce fosse una vibrazione dell’etere, analogamente al suono che, come vedremo nel capitolo 8, è una vibrazione dell’aria. La ricerca sperimentale dell’etere fu un fallimento, e ciò comportò una profonda revisione di molte teorie fino ad allora accettate. A differenza delle onde meccaniche, che si propagano nella materia, la luce è infatti un’onda elettromagnetica, in cui la perturbazione riguarda non tanto una dislocazione spaziale quanto l’intensità dei campi elettrico e magnetico. Non abbiamo cioè la variazione di una grandezza meccanica, come lo spostamento, ma qualcosa di molto diverso, che introdurremo nel capitolo 9 e approfondiremo nel terzo volume di questo corso. In questa sede diamo solo la seguente definizione: un’onda meccanica è una perturbazione che si propaga nella materia. Quando il mezzo materiale ha proprietà elastiche, descritte dalla legge di Hooke, che hai studiato nella meccanica, le onde sono dette elastiche. Esse si propagano grazie alle caratteristiche elastiche della materia, che tende a ripristinare la situazione imperturbata, come accade a una molla quando la sollecitazione non è troppo intensa; pertanto sono spesso schematizzate mediante molle (figura 6).

deformazione

deformazione

direzione di propagazione

Figura 6. Onde trasversali e longitudinali in un mezzo elastico rappresentato schematicamente da molle che collegano le particelle materiali che lo compongono.

direzione di propagazione

Diversi fronti d’onda In base alla forma del fronte d’onda possiamo avere onde circolari, piane, sferiche o cilindriche. La differenza tra le varie onde dipende dalla sorgente e dal mezzo di propagazione: per esempio, una goccia che cade sulla superficie imperturbata in recipiente pieno d’acqua può essere schematizzata come una sorgente puntiforme che genera onde circolari sulla superficie e sferiche nel mezzo omogeneo (l’acqua). Una sorgente a simmetria cilindrica, come per esempio una barra vibrante immersa nell’acqua, genera tutto

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LE ONDE

intorno onde cilindriche; una sorgente piana, come una lamina che vibra perpendicolarmente alla sua estensione, genera invece onde piane (figura 7). onde circolari

onde circolari

Figura 7. Fronti d’onda circolari, sferici, cilindrici e piani in acqua.

onde sferiche

onde cilindriche

onde piane

Regolarità degli impulsi Negli esempi fatti finora abbiamo visto onde generate da un unico impulso della sorgente (un sasso che cade in acqua, un brusco sollevamento di una corda, un pizzico a una molla) (figura 8), prive di regolarità specifiche. Trattare dal punto di vista matematico tali onde può essere complicato e in questo corso non affronteremo la questione. Tuttavia se l’onda ha un andamento regolare, cioè se è formata da perturbazioni che si ripetono a intervalli di tempo costanti, allora possiamo sfruttare tale regolarità per semplificare la sua descrizione quantitativa. Approfondiremo l’argomento nel paragrafo 4; qui ci limitiamo a dare la seguente definizione: un’onda si dice periodica quando le sue caratteristiche si ripetono nello spazio a intervalli di tempo costanti. Figura 8. La grande onda del pittore Hokusai richiama uno tsunami, generato da un forte impulso sismico che si propaga nel mare.

Una sorgente che oscilla e genera impulsi separati da intervalli di tempo costanti dà origine a un’onda periodica. Per esempio, lungo la corda della figura 4 si ha un’onda trasversale periodica se la mano che genera l’impulso ripete a intervalli di tempo regolari il movimento che ha generato la perturbazione (figura 9).

Figura 9. Un’onda periodica è costituita da una serie di perturbazioni tutte uguali, che si susseguono una dietro l’altra e si propagano nello spazio.

ESEMPIO f L’onda generata da un sasso che cade in uno stagno è periodica? SOLUZIONE Se osserviamo dall’alto che cosa accade sulla superficie di uno stagno quando vi gettiamo un sasso (figura 2) notiamo delle regolarità:

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LE ONDE

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il profilo dell’acqua si alza e si abbassa producendo una perturbazione che si ripete nello spazio. Tuttavia l’onda in questione non è periodica: infatti le ondulazioni successive alla prima hanno minore ampiezza, perché l’energia si distribuisce su una porzione di spazio sempre più ampia e l’onda si attenua, riducendo appunto la sua ampiezza. A ciò si aggiungono fenomeni dissipativi, che disperdono l’energia, come abbiamo visto nel capitolo 6. Per avere un’onda periodica dovremmo continuare a fornire energia, gettando nello stagno sassi uguali al primo, nel medesimo punto, a istanti di tempo regolari: in questo caso, trascurando comunque i fenomeni dissipativi, avremmo perturbazioni che si ripeterebbero identiche nel tempo e nello spazio. DOMANDA In che modo si può generare una ola periodica in uno stadio? Rispondi in 5 righe.

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IL PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE

Le onde sono perturbazioni che si muovono nello spazio e, così come accade ai corpi materiali, anche le perturbazioni si incontrano e si «scontrano». A differenza dei corpi materiali che non occupano mai contemporaneamente la stessa posizione, perché impenetrabili, le perturbazioni però possono sovrapporsi: mentre i corpi materiali urtano tra loro in genere cambiando traiettoria e velocità, le onde procedono indisturbate «attraversandosi». Vale cioè il principio di sovrapposizione, per il quale: se due o più onde incidono nello stesso istante in un punto dello spazio le perturbazioni relative si sommano algebricamente.

Figura 10. A differenza delle particelle materiali che urtano l’una contro l’altra, le onde si sovrappongono e procedono indisturbate senza modificare il loro moto. Nella zona di sovrapposizione le perturbazioni si sommano algebricamente.

Così, quando due perturbazioni che viaggiano con versi opposti lungo una corda tesa vengono a trovarsi nello stesso istante sullo stesso segmento, le rispettive variazioni di altezza rispetto alla situazione imperturbata si sovrappongono l’una all’altra, sommandosi algebricamente. Questo significa che, se consideriamo due spostamenti positivi, il risultato della sovrapposizione è uno spostamento positivo dato dalla somma dei moduli dei due spostamenti; la sovrapposizione di due spostamenti uguali e opposti è uno spostamento nullo. Successivamente alla sovrapposizione le due onde proseguono indisturbate nella loro direzione originaria (figura 10). Quando due onde si sovrappongono, dunque, si ottiene una perturbazione risultante che può avere un’ampiezza maggiore o minore delle ampiezze delle singole perturbazioni, a seconda che esse siano rispettivamente concordi o discordi.

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LE ONDE

Validità del principio di sovrapposizione Il principio di sovrapposizione non è sempre rigorosamente valido. Per esempio, nel caso delle onde meccaniche elastiche è valido nei limiti di validità della legge di Hooke, cioè fino a quando la sollecitazione del mezzo materiale è sufficientemente poco intensa da non superare i limiti di elasticità. Esso è comunque valido in buona approssimazione in moltissimi casi e ha svariate applicazioni (figura 11).

MITO Settembre Musica

Figura 11. Il fatto che possiamo percepire più suoni nello stesso istante è una conseguenza del principio di sovrapposizione.

Utilità del principio di sovrapposizione Studiando la meccanica abbiamo visto come il principio di composizione dei moti sia utile nello studio dei movimenti complessi, che possiamo considerare sovrapposizione di movimenti più semplici. Per le onde si può fare un ragionamento analogo: il principio di sovrapposizione ci consente di scomporre un’onda in onde più semplici, più facili da studiare. In altre parole, all’interno di un fenomeno ondulatorio piuttosto complesso è possibile individuare onde più semplici, che sommate riproducono il fenomeno di partenza e che possono essere studiate singolarmente, come vedremo nel paragrafo 6.

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ONDE PERIODICHE

Come abbiamo visto nel paragrafo 2, una sorgente oscillante che emette impulsi equidistanti nel tempo, cioè a intervalli di tempo costanti, genera un’onda periodica. La perturbazione si ripete nel tempo e nello spazio con regolarità e consente di definire alcune grandezze che caratterizzano l’onda, quali il periodo, la lunghezza d’onda, la frequenza, la pulsazione.

Periodo Definiamo il periodo T di un’onda periodica come l’intervallo di tempo che impiega la sorgente a compiere un’oscillazione completa, cioè è l’intervallo tra l’inizio di un’oscillazione e l’inizio della successiva.

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LE ONDE

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Il periodo T di un’onda periodica è il minimo intervallo di tempo trascorso il quale la perturbazione si ripete. Per esempio, il periodo di un’onda generata da una serie di impulsi uguali, a intervalli di tempo regolari, su una corda tesa è pari al tempo che passa tra l’inizio di un impulso e l’inizio del successivo. In riferimento alla figura 12, il periodo T è pari all’intervallo di tempo fra t1 e t4: T  t4  t1 L’onda si ripete regolarmente nel tempo per durate pari a multipli interi del periodo (figura 12).

lunghezza d’onda  t1 t2 t3 t4 periodo T

Lunghezza d’onda Sempre in relazione alla figura 12, definiamo la lunghezza d’onda λ come la distanza costante tra due oscillazioni successive. Se prendiamo come riferimento il punto in cui l’ampiezza di oscillazione è massima, vediamo che la lunghezza d’onda è data dalla distanza tra massimi consecutivi ed è costante lungo tutta l’onda, cioè l’onda si ripete regolarmente nello spazio.

Figura 12. Dopo un intervallo di tempo pari a un periodo T o un suo multiplo l’andamento dell’onda si ripete identico. La distanza compresa tra due oscillazioni successive è detta lunghezza d’onda λ.

La lunghezza d’onda λ è la distanza percorsa dall’onda in un periodo. Osserviamo che, se un’onda si propaga con velocità di modulo v, allora vale la relazione: λ  vT

(7.1)

Quindi lunghezza d’onda, periodo e velocità di propagazione sono grandezze collegate tra loro.

ESEMPIO

Massimiliano Trevisan

f Per mezzo di una barra che vibra sulla superficie dell’acqua, in un ondoscopio vengono generate onde piane periodiche, la cui lunghezza d’onda è 7,2 mm. Se la sorgente impiega 3,3 × 10–3 s per compiere un’oscillazione, qual è la velocità di propagazione delle onde?

v

λ 7, 2 × 10−3 m = 2, 2 m/s  T 3, 3 × 10−3 s

Pasco

SOLUZIONE Invertendo la formula (7.1) rispetto a v, si ricava:

DOMANDA Quante oscillazioni compie la barra vibrante in un secondo?

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LE ONDE

Frequenza Molto spesso, invece del periodo, per caratterizzare un’onda periodica si usa la frequenza ν, definita come l’inverso del periodo (vedi volume 1, capitolo 5, paragrafo 4): 1 ν (7.2) T La frequenza di un’onda periodica è il numero di oscillazioni complete nell’unità di tempo cioè è il numero di oscillazioni complete in un secondo. L’unità di misura della frequenza è l’hertz (Hz), equivalente a 1/s, cioè s–1: 1 Hz  1 s–1 Utilizzando la (7.1) insieme alla (7.2) ricaviamo che la velocità di un’onda è pari a: v  λν

(7.3)

cioè frequenza e lunghezza d’onda sono inversamente proporzionali.

ESEMPIO

Graham Whiles / Shutterstock

f La nota scritta nel secondo spazio di un pentagramma in chiave di violino è un La, al quale corrisponde una frequenza di 440 Hz. Considerando che un’onda sonora ha una velocità di circa 340 m/s in aria a 20 °C, qual è la lunghezza d’onda della nota?

SOLUZIONE Invertendo la formula (7.3) rispetto a λ, avremo: λ

v ν

340 m/s 440 Hz

0, 77 m

DOMANDA Qual è la lunghezza d’onda dello stesso La in acqua, dove la velocità del suono è 1480 m/s?

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LE ONDE

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Pulsazione

y

perturbazione

perturbazione

Nella meccanica abbiamo visto che un corpo che compie un moto armonico è descritto da un grafico spazio-tempo che è una sinusoide. Pertanto, quando un’onda periodica è generata da oscillazioni armoniche, come accade nei mezzi perfettamente elastici, il suo andamento è di tipo sinusoidale. Per esempio, la forma di un’onda trasversale che si propaga in un mezzo elastico che segue la legge di Hooke è una sinusoide (figura 13).



0

y T

0

x

t

direzione di propagazione

a

tempo b

In questi casi è possibile definire la pulsazione ω come ω

2π T

Figura 13. a. Un’onda trasversale in un mezzo perfettamente elastico è una sinusoide che si propaga; la lunghezza d’onda è la distanza tra due massimi successivi. b. Il grafico della deformazione in funzione del tempo è una sinusoide. Il periodo è la distanza tra due massimi successivi.

(7.4)

Osserviamo che tale espressione è identica alla formula che abbiamo già studiato per il moto circolare uniforme, che lega il periodo alla velocità angolare ω. In effetti, la pulsazione è equivalente alla velocità angolare e la sua unità di misura è il radiante al secondo (rad/s).

Un’utile analogia L’equivalenza tra la pulsazione di un’onda sinusoidale e la velocità angolare di un moto circolare uniforme suggerisce un’interessante analogia tra i due fenomeni. Essa infatti ci permette di associare l’onda a un vettore che ruota a velocità costante e quindi di usare concetti già noti per rappresentare una situazione nuova (figura 14). y A  modulo del vettore   velocità angolare

A  ampiezza dell’onda

2 T  

  pulsazione

A

A 

0

t

Figura 14. Associamo l’ampiezza di un’onda sinusoidale al modulo di un vettore che ruota a velocità angolare costante.

In questa rappresentazione il modulo del vettore corrisponde all’ampiezza dell’onda, la velocità angolare alla pulsazione, la frequenza e il periodo si equivalgono; non è possibile invece esprimere la velocità di propagazione e quindi la lunghezza d’onda. Tuttavia vedremo come questa analogia possa facilitare la comprensione di diversi fenomeni ondulatori.

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LE ONDE

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COME SI COMPORTANO LE ONDE

Vediamo ora alcuni comportamenti delle onde che le caratterizzano rispetto ai corpi materiali.

Interferenza Come abbiamo visto nel paragrafo 3, quando due o più onde si trovano contemporaneamente nello stesso punto dello spazio le perturbazioni ad esse associate si sommano algebricamente per il principio di sovrapposizione. Si parla in questo caso di interferenza, che può essere costruttiva, se le perturbazioni sono concordi, o distruttiva, se le perturbazioni sono discordi (tabella 1). Quando le singole perturbazioni sono uguali e opposte si annullano a vicenda e l’interferenza è totalmente distruttiva; quando sono uguali e concordi è totalmente costruttiva. L’interferenza è una conseguenza del principio di sovrapposizione.

INTERFERENZA Tabella 1. Condizioni per interferenza costruttiva e distruttiva.

Figura 15. Due sorgenti vibranti producono due onde circolari sulla superficie dell’acqua; nella regione di sovrapposizione si osserva un disegno regolare nella disposizione delle zone che oscillano con ampiezza massima e quelle che oscillano con ampiezza nulla.

CONDIZIONE

Costruttiva

l’ampiezza risultante è maggiore delle ampiezze delle singole perturbazioni

Distruttiva

l’ampiezza risultante è minore delle ampiezze delle singole perturbazioni

SCHEMA GRAFICO

ANALOGIA CON VETTORE ROTANTE

Liceo Scientifico Vittorio Veneto - Milano

Ciò accade anche alle onde periodiche, che si estendono nello spazio generando un’onda risultante il cui profilo è dato dalla sovrapposizione dei profili delle onde incidenti e può quindi variare nel tempo. Il fenomeno è in generale molto complicato, ma è possibile circoscrivere una situazione particolare in cui l’interferenza presenta caratteristiche regolari, dove ci sono alcuni punti in cui è totalmente costruttiva e altri in cui è totalmente distruttiva. Si genera quindi una figura di interferenza, cioè un’onda con ampiezza che presenta regolarità nello spazio, come si vede in figura 15. Affinché ciò avvenga le onde devono avere una differenza di fase costante. Questo significa che devono oscillare in modo tale da mantenere

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LE ONDE

costante la distanza tra i rispettivi massimi. Vediamo i casi estremi di interferenza totalmente costruttiva e totalmente distruttiva di onde periodiche con un disegno (figura 16). y

y

a

b

0

x

0

x

0

x

0

x

0

x

0

x

L’interferenza è totalmente costruttiva o totalmente distruttiva a seconda che le onde siano rispettivamente in fase o in opposizione di fase, cioè a seconda che la distanza tra i massimi di una e i massimi dell’altra siano multipli di lunghezze d’onda o multipli dispari di mezze lunghezze d’onda.

Diffrazione Quando un’onda incontra un ostacolo o una fenditura si comporta in un modo peculiare, che la distingue dai corpi materiali: essa infatti sembra «rompersi» per ricomporsi oltre l’ostacolo anziché propagarsi in linea retta. Si ha diffrazione quando, in presenza di un ostacolo, l’onda non si propaga in linea retta ma raggiunge zone poste in posizioni nascoste rispetto all’ostacolo. La diffrazione è, in altri termini, la capacità delle onde di aggirare gli zona ostacoli. Per esempio, il moto ondod’ombra so del mare può aggirare con facilità uno scoglio, e tale fenomeno è ancora più evidente quando l’ostacolo ha dimensioni confrontabili con la lunghezza d’onda (figura 17). La diffrazione si osserva anche nell’attraversamento di una fenditura: l’onda si «sparpaglia» al di là delle pareti raggiungendo regioni altrimenti nascoste. Il fenomeno è ancora più evidente quando l’apertura ha dimensioni confrontabili o minori di quelle della lunghezza d’onda (figura 18).

Figura 16. a. Se le onde di uguale frequenza e ampiezza sono in fase, cioè la distanza tra i rispettivi massimi è un multiplo della lunghezza d’onda, allora l’interferenza è totalmente costruttiva; i due vettori rotanti formano un angolo nullo. b. Se le onde di uguale frequenza e ampiezza sono in opposizione di fase, cioè la distanza tra i rispettivi massimi è un multiplo dispari di mezze lunghezze d’onda, allora l’interferenza è totalmente distruttiva; i due vettori rotanti formano un angolo piatto. Figura 17. Le onde del mare si propagano al di là dello scoglio generando una zona d’ombra limitata; se la lunghezza d’onda è confrontabile (o maggiore) con le dimensioni dello scoglio non si crea zona d’ombra e l’onda prosegue indisturbata.

Figura 18. Si verifica diffrazione quando un’onda d’acqua incontra una barriera con un’apertura (fenditura). Quando la fenditura ha dimensioni confrontabili o minori di quelle della lunghezza d’onda la diffrazione è ancora più evidente.

201 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

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LE ONDE

ONDE

LUNGHEZZA D’ONDA λ

OSTACOLI AGGIRABILI

Onde sonore

1,5 cm  λ  20 m

da piccoli oggetti a edifici

Onde radio

λ  10 cm

da piccoli oggetti a montagne

Onde del mare

λ  10 m

scogli

La diffrazione è un fenomeno importantissimo per le comunicazioni: ci consente infatti di sentire i suoni nonostante i numerosi ostacoli frapposti tra noi e la sorgente, o di sentire i suoni provenienti da altre stanze anche nelle zone d’ombra grazie alle aperture delle porte. Inoltre i segnali radio, con lunghezze d’onda molto grandi, riescono ad aggirare ostacoli di grandi dimensioni e a raggiungere luoghi altrimenti in ombra (tabella 2).

Tabella 2. Confronto tra alcune onde e ostacoli aggirabili.

Riflessione e rifrazione Quando un’onda che viaggia in un mezzo omogeneo incontra una superficie di separazione con un altro mezzo omogeneo, in parte subisce una riflessione, così come accade a un corpo materiale che urta contro una parete, e in parte attraversa la discontinuità subendo in generale una variazione della velocità e della direzione di propagazione. Quest’ultimo fenomeno è detto rifrazione (figura 19). Un’onda che incontra una superficie di separazione tra mezzi diversi subisce: s una riflessione quando cambia direzione di propagazione ritornando nel mezzo di provenienza; s una rifrazione quando si trasmette al secondo mezzo cambiando velocità e direzione di propagazione. onda incidente

Torneremo su questo argomento nel quando ci occuperemo di ottica geometrica, cioè del comportamento della luce visibile nell’approssimazione in cui la propagazione avvenga in linea retta, trascurando pertanto la diffrazione.

capitolo 10,

Figura 19. Quando un’onda incontra una discontinuità, come la superficie di separazione tra due mezzi, in parte viene riflessa e in parte rifratta.

Figura 20. Le figure di Chladni sono formate dalla sabbia che si dispone regolarmente su lastre vibranti.

onda riflessa

onda rifratta

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ONDE STAZIONARIE

E.Chladni, Teoria del suono, 1787

Il fisico tedesco Ernst Florens Friedrich Chladni negli ultimi anni del XVIII secolo fece importanti studi sugli effetti delle vibrazioni impartite a sottili lastre di vetro per mezzo di un archetto di violino. Egli cosparse le lastre di sabbia molto fine e scoprì che, strofinandone il bordo con i crini dell’archetto, si formavano disegni regolari e simmetrici, detti oggi figure di Chladni (figura 20). Queste figure si formano perché la sabbia si accumula in zone che non oscillano, mentre viene allontanata dalle zone oscillanti adiacenti (figura 21).

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LE ONDE oscillazioni della lastra

sabbia

7 Figura 21. La sabbia si accumula nelle zone della lastra che non oscillano.

Ciò mette in evidenza un fatto molto importante: sulla lastra esistono zone che non cambiano quota rispetto alla situazione di equilibrio della lastra e altre che, invece, oscillano su e giù. Una simile oscillazione è detta onda stazionaria, a indicare che non si propaga nello spazio ma resta confinata in una regione limitata. In un’onda stazionaria una perturbazione oscilla nel tempo senza propagarsi nello spazio. Le zone in cui si accumula la sabbia sono dette nodi dell’onda stazionaria, quelle che corrispondono al massimo di oscillazione sono dette ventri (figura 22). In generale: s i nodi di un’onda stazionaria sono i punti che oscillano con ampiezza nulla; s i ventri di un’onda stazionaria sono i punti che oscillano con ampiezza massima. nodo

ventre

Figura 22. I nodi oscillano con ampiezza nulla; i ventri oscillano con ampiezza massima.

Come vedremo nel capitolo 8, le onde stazionarie sono alla base del funzionamento degli strumenti musicali.

Un’onda che non si propaga Dalla definizione data nel paragrafo 1, un fenomeno ondulatorio è un’onda solo se c’è propagazione: non sono onde le altalene né gli orologi a pendolo. Tuttavia definiamo onde stazionarie alcune oscillazioni che non si propagano nello spazio: perché? Se analizziamo il fenomeno ci accorgiamo che l’origine di un’onda stazionaria è proprio la propagazione di una perturbazione in una regione di spazio limitata, alla quale si aggiungono i fenomeni della riflessione e dell’interferenza. Immaginiamo una perturbazione che si propaga lungo una corda vincolata alle due estremità (figura 23). Quando l’onda arriva a un estremo subisce una riflessione e inverte il suo moto lungo la corda capovolgendosi. A seconda del verso di propagazione parliamo in questo caso di onde progressive e di onde regressive. Se l’onda che si propaga sulla corda è periodica e ha una lunghezza d’onda opportuna, allora l’onda progressiva e l’onda regressiva interferiscono tra loro e danno luogo a un’onda stazionaria, in cui alcuni punti oscillano con ampiezza massima (ventri) e altri con ampiezza nulla (nodi).

Figura 23. Un’onda che si propaga lungo una corda vincolata ai due estremi si riflette su essi e si capovolge.

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LE ONDE

Un’onda stazionaria è il risultato dell’interferenza tra un’onda progressiva che si propaga in una regione di spazio limitata e l’onda regressiva riflessa.

nodo

nodo ventre

Figura 24. Se pizzichiamo al centro una corda vincolata agli estremi possiamo ottenere un’onda stazionaria con due nodi e un ventre.

Nell’onda stazionaria in figura 24 i due estremi della corda sono i nodi, che restano sempre fissi, mentre gli altri punti si muovono di moto armonico su e giù con la stessa frequenza.

Modi normali di un’onda stazionaria Pizzicando opportunamente una corda di lunghezza  vincolata agli estremi si possono ottenere altre onde stazionarie con un numero di nodi e di ventri crescente, come si può vedere in figura 25. Esse sono dette modi normali di oscillazione della corda, secondo la seguente definizione: i modi normali sono onde stazionarie in cui tutti i punti del mezzo di propagazione oscillano di moto armonico con la stessa frequenza. modi normali 0 1  2

0 1  3

0 Figura 25. Alcuni modi normali di oscillazione di una corda vincolata agli estremi.

1  4

0 1  5

0

1  6 1  7

0 0



I



II



III



IV



V



VI



VII

Le figure di Chladni, che abbiamo incontrato all’inizio del paragrafo, corrispondono a diversi modi normali di oscillazione di una lastra: le linee formate dalla sabbia sono dette linee nodali e corrispondono ai punti fermi, mentre il resto della lastra oscilla di moto armonico con la stessa frequenza.

Frequenze dei modi normali I modo Figura 26. Lunghezze d’onda λn di ciascun modo normale in relazione alla lunghezza  della corda.



0

1  2

1 II modo



0

2  

2 III modo



0 3

.......

.............

2 3    3 2 n   n

Aiutandoci con la figura 26, osserviamo che quando la lunghezza della corda è pari alla lunghezza d’onda abbiamo il secondo modo normale, mentre nel primo modo normale  corrisponde a mezza lunghezza d’onda, nel terzo modo normale a una lunghezza d’onda e mezza e così via. In generale abbiamo dunque che il modo normale numero n

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LE ONDE

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ha una lunghezza d’onda λn che dipende dalla lunghezza  della corda secondo la relazione: λn 

2 n

con n 1, 2, 3, ...

(7.5)

Ad ogni modo normale n corrisponde una determinata frequenza λn, detta frequenza propria del sistema. Per determinare la frequenza di ciascun modo normale n, utilizziamo la formula (formula 7.3) che lega frequenza νn, lunghezza d’onda λn e velocità di propagazione v, da cui otteniamo: νn 

v vn  λ n 2

con n 1, 2, 3, ...

(7.6)

Cioè le frequenze dei modi normali di oscillazione sono tutti multipli della frequenza ν1 del primo modo, detta frequenza fondamentale o prima armonica: ν1

v 2C

νn  nν1 con n  1, 2, 3, ...

Onde stazionarie qualsiasi Abbiamo analizzato onde stazionarie particolari, che corrispondono a frequenze ben precise e sono pertanto semplici da descrivere. In generale la situazione può essere molto più complicata; tuttavia, come abbiamo spiegato nel paragrafo 3, il principio di sovrapposizione ci consente di scomporre un’onda stazionaria qualsiasi in due o più modi normali. Così, quando per esempio pizzichiamo una corda vincolata ai due estremi senza una particolare attenzione e otteniamo un’onda stazionaria generica, possiamo comunque considerarla come la sovrapposizione di due o più modi normali. Ne parleremo in modo più approfondito nel capitolo 8, con particolare riferimento alle onde sonore e alla musica.

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INGEGNERIA Il telerilevamento sorgente

sensore

rrivelatore iv tore

sensore

sorgente

rivelatore

Il telerilevamento propriamente detto è un’estensione dei nostri sensi per l’acquisizione a distanza di dati sulla superficie terrestre. Laboratorio per telemisure in atmosfera, Dipartimento di Fisica, Sapienza Università di Roma.

Ogni volta che guardiamo un cielo stellato siamo coinvolti in un’operazione di telerilevamento, cioè di rilevamento a distanza ed elaborazione di dati: la luce proveniente dalle stelle attraversa lo spazio, raggiunge i nostri occhi (sensori) e il segnale acquisito viene elaborato dal nostro cervello. In senso lato, quindi, il telerilevamento è l’acquisizione di informazioni da oggetti lontani senza bisogno del contatto diretto. In senso più stretto con questo termine ci si riferisce a una tecnologia con la quale vengono acquisiti a distanza dati sulla superficie terrestre o sull’atmosfera, estendendo così la capacità percettiva dei nostri sensi ed elaborativa del nostro cervello.

Telerilevamento e onde Protagoniste indiscusse del rilevamento a distanza sono le onde: esse si propagano nello spazio mettendo in comunicazione punti lontani; trasportano, insieme all’energia, anche informazioni sulla sorgente che le ha generate, sul mezzo attraversato e sulle caratteristiche degli ostacoli che hanno incontrato sul loro cammino. Un’onda, infatti, può raggiungere il ricevitore con caratteristiche diverse rispetto a quelle che aveva all’origine, in uscita dalla sorgente, in base a ciò che è accaduto durante la propagazione: un’onda riflessa da un ostacolo, per esempio, modifica la direzione di propagazione in base all’orientamento della superficie rispetto alla direzione di propagazione.

Il SODAR (Sound Detection And Ranging) è un sensore di rilevamento a distanza di tipo attivo, che utilizza onde sonore.

Le onde – principalmente elettromagnetiche e meccaniche – sono utilizzate secondo due strategie: la prima prevede l’acquisizione diretta di onde prodotte, riflesse o trasmesse da una sorgente naturale da parte di un sensore classificato come passivo; nell’altra invece sono acquisite onde riflesse o trasmesse, generate da una sorgente artificiale abbinata al sensore, detto pertanto attivo. I sensori possono essere collocati sulla superficie terrestre oppure su satelliti, palloni, aeroplani, veicoli spaziali ecc. In meteorologia viene utilizzato un sensore di tipo attivo, detto sodar, in cui una sorgente invia un segnale sonoro lungo tre direzioni e il cono di ricezione raccoglie il segnale retrodiffuso dalle molecole d’aria; dall’analisi del segnale retrodiffuso il sensore è in grado di ricavare informazioni sulla struttura termodinamica della bassa atmosfera.

Norman Kuring, NASA Ocean Color Group

Esempi

Le immagini in luce visibile acquisite dai satelliti forniscono informazioni sulla morfologia e la composizione della superficie terrestre. In questa fotografia è riprodotta in colori naturali una fioritura di fitoplancton nel Mare di Barents: i diversi colori sono dovuti alle differenti specie e concentrazioni.

DOMANDA Un ricevitore GPS è un sensore per il rilevamento a distanza: esso riceve segnali radio da un certo numero di satelliti, ciascuno con un proprio ritardo dall’emissione, che dipende dalla distanza percorsa. Dai tempi di percorrenza dei segnali l’elaboratore abbinato al sensore calcola la propria posizione. Si tratta di un sensore attivo o passivo? Quali tipi di onde usa?

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LE ONDE

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GEOLOGIA Viaggio al centro della Terra

ø 720 mm 40 m

Viaggio al centro della Terra è un romanzo di Jules Verne, che nel 1800 immaginava viaggi avventurosi intorno al mondo, negli abissi oceanici, sulla Luna... Viaggi che allora erano solo fantasticabili, ma che gli anni a venire avrebbero reso possibili, facendo diventare lo scrittore francese un anticipatore del progresso. L’uomo infatti è andato sulla Luna e in fondo all’Oceano grazie ai veicoli spaziali e ai sottomarini; tuttavia, nonostante non sia più un’impresa fare «il giro del mondo in 80 giorni», nessuno è ancora mai andato fino al centro della Terra.

ø 245 mm 1938 m ø 325 mm 2000 m ø 245 mm 8770 m

Osservazioni dirette Negli anni Settanta in Russia (che allora faceva parte dell’Unione Sovietica) iniziò la perforazione del pozzo superprofondo di Kola, che raggiunge ormai i 12 262 m, attraversando il più spesso strato di roccia mai penetrato da alcuna trivella. Oggi il Giappone è impegnato in un progetto simile, con lo scopo di perforare la sottile crosta oceanica e raggiungere il mantello sottostante. Si tratta di perforazioni difficilissime, che richiedono tecnologie ad hoc; queste tecnologie consentono di esplorare zone altrimenti inaccessibili che sono tuttavia ben lontane dal centro della Terra, situato in media 6370 km sotto il livello del mare.

ø 215,9 mm 12 262 m

Alcuni dati sul pozzo superprofondo di Kola: in figura sono indicati il diametro del foro e la profondità.

Osservazioni indirette C’è un altro modo per studiare l’interno della Terra, che non ha bisogno di trivelle e perforazioni ma di semplici rivelatori di onde. Attraverso lo studio delle onde meccaniche che si propagano da un punto all’altro del pianeta durante un sisma naturale o artificiale (generato da un’apposita esplosione) è possibile conoscere alcune proprietà della materia attraversata. Sappiamo infatti che in un mezzo omogeneo le onde elastiche si propagano lungo direzioni rettilinee, mentre subiscono una deviazione quando incontrano una discontinuità. A partire dai dati registrati nelle varie stazioni di rilevamento, sparse su tutta la superficie, si possono ricostruire i percorsi fatti dalle onde e risalire quindi alle caratteristiche dei materiali attraversati. ipocentro

Il centro della Terra A circa 2900 km di profondità si incontra la discontinuità di Gutenberg, che delimita il nucleo. Tale limite è caratterizzato da una brusca diminuzione della velocità di propagazione delle onde longitudinali. Inoltre, al di là del nucleo rispetto all’ipocentro vi è un’ampia zona nella quale non vengono rilevate onde trasversali, fatto che si spiega ipotizzando che il nucleo sia liquido, per cui al suo interno possono propagarsi solo onde longitudinali.

crosta nucleo interno nucleo esterno mantello

discontinuità di Mohorovicˇic´

zona d’ombra 5000 km

discontinuità di Gutenberg discontinuità di Lehmann L’interno della Terra presenta disomogeneità e discontinuità che possono essere studiate per mezzo le onde sismiche che attraversano il pianeta.

DOMANDA Nel 1692 Edmond Halley ipotizzò che la Terra potesse essere un guscio di materiale omogeneo cavo all’interno. Disegna secondo tale modello la propagazione delle onde sismiche dall’ipocentro a un certo numero di punti dislocati su tutta la superficie e confrontala con lo schema rappresentato nella figura.

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7

LE ONDE

CON GLI OCCHI DI UN FISICO Comunicare a distanza Nel settembre del 490 a.C. gli eserciti persiano e ateniese erano schierati l’uno contro l’altro nella piana di Maratona. I Greci difendevano il loro territorio dall’attacco persiano con un numero di soldati nettamente inferiore, ma la loro azione fu decisiva: accerchiarono il nemico attaccando con decisione da più lati e costrinsero i superstiti alla fuga via mare. Una vittoria importante, che andava prontamente comunicata ad Atene. Lo storico greco Erotodo ci racconta che Filippide corse ininterrottamente dal luogo della battaglia alla città, distante circa 40 km, dove annunciò gridando la vittoria con le sue ultime forze, per poi morire stremato dalla fatica. La maratona olimpica rievoca, sin dalle origini, questo storico evento. Oggi i migliori atleti del mondo percorrono la distanza ufficiale della maratona, 42,195 km, in poco più di due ore: un tempo decisamente lungo rispetto a quanto impiega una notizia a viaggiare sulla stessa distanza. All’epoca, comunque, le notizie circolavano soprattutto in questo modo, con corrieri a piedi o a cavallo. Il vastissimo impero persiano era organizzato con una rete postale di oltre 2000 km con 100 postazioni per il ristoro e il cambio dei cavalli. Anche i Romani comunicavano con la capitale mediante corrieri a piedi o a cavallo o con veri e propri carri postali, che facevano correre le notizie sull’imponente rete stradale dell’impero. Nel Medioevo le strade andarono in rovina, gli spostamenti da un luogo all’altro diventarono più lenti e mandare in giro corrieri divenne pericoloso, in mancanza di una struttura sociale che garantisse la sicurezza. Il servizio postale fu gestito principalmente dai monaci, che godevano della protezione dell’immunità ecclesiastica: i monasteri funzionavano talvolta come vere e proprie stazioni di posta. Inoltre, accanto alle comunicazioni a distanza via terra si svilupparono quelle aeree: già i Sumeri e gli Egizi usavano con successo le straordinarie capacità di orientamento dei piccioni per recapitare velocemente messaggi a grandi distanze. Nel Medioevo tale pratica fu diffusa e potenziata, come testimoniano le torri colombaie presenti nelle costruzioni dell’epoca.

Nel Medioevo la società si raccoglieva intorno alla chiesa. La chiesa scandiva i ritmi della vita quotidiana facendo suonare le sue campane: annunciava in questo modo le rituali funzioni religiose, i matrimoni, i funerali, le feste pastorali, ma anche le situazioni di pericolo o semplicemente lo scoccare delle ore. I rintocchi delle campane riuscivano a raggiungere luoghi relativamente lontani e, in tempo reale, diffondevano le notizie o chiamavano a raccolta la popolazione. Con una velocità di circa 340 m/s il suono è un messaggero assai veloce, utilissimo per trasmettere a distanza semplici messaggi di pubblico interesse. Questo tipo di comunicazione a distanza ha origine nei primitivi tam tam che, di villaggio in villaggio, facevano circolare le notizie secondo codici stabiliti. È una forma di comunicazione antichissima e longeva: dai tamburi ai corni da guerra, dalle campane ai megafoni, dalle cornette dei postiglioni, che nel 1700 annunciavano l’arrivo e la partenza del carro postale, alle moderne sirene che annunciano l’arrivo di un mezzo di soccorso. Sono segnali sonori quelli che scandiscono gli orari nelle fabbriche e nelle scuole o quelli che sincronizzano la partenza degli atleti durante una gara: dalla sorgente l’onda sonora si propaga in tutto lo spazio circostante e raggiunge i destinatari, indicando loro che è il momento di compiere una determinata azione.

Nel Settecento i corrieri postali annunciavano la loro partenza e il loro arrivo con il suono di un corno.

In genere i campanili sono gli edifici più alti e visibili di una città; dalla loro sommità il suono delle campane riesce a coprire una vasta area tutto intorno. Il Torrazzo di Cremona è il campanile storico più alto d’Italia; alto circa 110 metri, la sua costruzione iniziò nel XIII secolo.

PAROLA CHIAVE PAROLA CHIAVE

Perturbazione

DOMANDA Quale tipo di perturbazione viaggia nei rintocchi di una campana?

Morn

Segnali sonori

© 2010 Accademia Italiana di Filatelia e Storia Postale

Corrieri, messi e piccioni viaggiatori

Sovrapposizione

DOMANDA I suoni di due campane vengono uditi contemporaneamente sovrapponendosi l’un l’altro. Spiega tale fenomeno in termini di onde.

208 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

LE ONDE

7

DOMANDA Quale legge descrive la proprietà termometrica che ha permesso ai fratelli Mon-

Segnali visivi

Segnali invisibili

tgolfier di sbalordire il mondo con il loro pallone aerostatico? [parola-chiave associata: proprietà Il Faro di Alessandria era una delle sette meraviglie del Il telegrafo elettrico soppiantò il semaforo di Chappe mondo antico. Costruito nel 300 a.C. era alto probabilfino a quando, nel 1869, il ventiduenne Guglielmo Marmente più di 130 metri e indicava ai naviganti la rotta per coni brevettò un sistema per la comunicazione a distanentrare in sicurezza nel porto della città: di notte medianza mediante onde radio, in grado di aggirare ostacoli e te fuochi e di giorno mediante i riflessi della luce del Sole. raggiungere quindi posti non visibili e non cablati. Con il I Greci utilizzavano questi sistemi di comunicazione supporto economico dell’Inghilterra, sviluppò un sistema a distanza anche per far viaggiare le notizie tra luoghi di trasmissione e ricezione che, dopo numerosi esperitermometriche] lontani. Una serie di vedette poste in siti reciprocamente menti intermedi, consentì alla lettera «esse», codificata visibili accendevano sequenze di fuochi per comunicare nei tre punti del codice Morse, di raggiungere il Canada esiti di battaglie o di eventi sportivi: in questo modo Cliattraversando l’Oceano Atlantico: era il 12 dicembre 1901. tennestra apprende della caduta di Troia nella tragedia Il segnale, come qualunque onda elettromagnetica, agreca Orestea, scritta da Eschilo nel V secolo a.C. vrebbe dovuto allontanarsi dalla Terra, viaggiando in linea Con un balzo nel tempo di oltre 2000 anni, arriviamo alla retta a partire dalla sorgente: perciò i fisici avevano scarRivoluzione francese, durante la quale Claude Chappe tato l’ipotesi che un segnale di quel tipo sarebbe potuto DOMANDA Il volume occupato da unalgas in una trasformazione a pressione costante è diretta- l’America seguendo la rinnovò la tecnica greca sostituendo fuoco il telegrafo partire dall’Europa per raggiungere ottico (o semaforo), un marchingegno articolato, in gracurvatura terrestre. In effetti i fisici avevano ragione, ma do di assumere diverse posizioni e di comunicare, quindi, ignoravano l’esistenza della ionosfera, una porzione di una maggiore varietà di messaggi. atmosfera altamente ionizzata sulla quale le onde radio Napoleone fu uno dei primi utilizzatori dell’invenzione, rimbalzano proprio come la luce su uno specchio. che ebbe un successo straordinario e si diffuse in tutta Da Marconi a oggi, in poco più di un secolo, sono stati Europa. Nel 1853, data in cui fu introdotto il telegrafo fatti moltissimi progressi tecnologici nella comunicazioelettrico, si contavano stazioni, Spiega per unain rete ne a distanza ondenon elettromagnetiche a bassa mente proporzionale allaoltre sua 500 temperatura. 5 righe perché questa mediante affermazione è complessiva di circa 4800 km, nella quale erano imfrequenza; basti pensare alla telefonia cellulare. Tuttavia piegati 3000 telegrafisti che, muniti di cannocchiale, l’idea di fondo è sempre la stessa: una sorgente e un riraccoglievano il messaggio e lo replicano alla stazione cevitore tra i quali viaggia una perturbazione velocissima successiva. che non ha bisogno di cavi. Una stazione del telegrafo (o semaforo) di corretta. [parola-chiave associata:ottico temperatura] Chappe.

Guglielmo Marconi e la sua apparecchiatura radio in una posa del 1903.

DOMANDA Il pallone aerostatico dei fratelli Montgolfier è in equilibrio meccanico alla quota di

250 m rispetto al suolo: essa non si muove né in verticale né in orizzontale. È verificato l’equilibrio PAROLA CHIAVE

Onde periodiche

DOMANDA Ogni nota musicale corrisponde grosso modo a una frequenza, pertanto l’orecchio è in grado di distinguere le onde sonore periodiche dalle altre. L’espressione «stonato come una campana» deriva dal fatto che, quando percuotiamo una campana, il bronzo inizia a vibrare con diverse frequenze che si sovrappongono mascherando quella fondamentale. Come è chiamata l’onda meccanica che si stabilisce sulla superficie di bronzo della campana? termico con l’ambiente? Motiva la risposta. [parola-chiave associata: equilibrio termico]

209 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

MAPPA DEI CONCETTI VARIAZIONE DI UNA GRANDEZZA FISICA RISPETTO A UNA SITUAZIONE DI EQUILIBRIO

UN’ONDA È UNA PERTURBAZIONE CHE SI PROPAGA perturbazione



v velocità

DA UNA SORGENTE

A UN RIVELATORE

perturbazione

ONDE TRASVERSALI propagazione

perturbazione

ONDE LONGITUDINALI

propagazione

LA PERTURBAZIONE È PERPENDICOLARE ALLA DIREZIONE DI PROPAGAZIONE

LA PERTURBAZIONE È PARALLELA ALLA DIREZIONE DI PROPAGAZIONE

PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE

se due o più onde incidono nello stesso istante in un punto dello spazio, le perturbazioni relative si sommano algebricamente

le ampiezze si sommano l’una all’altra

le ampiezze si sottraggono l’una all’altra

possiamo scomporre un’onda complicata nella somma di onde più semplici che, sovrapposte, riproducono l’onda di partenza

210 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

LE ONDE

7

LE CARATTERISTICHE SI RIPETONO NELLO SPAZIO A INTERVALLI DI TEMPO COSTANTI

ONDE PERIODICHE perturbazione periodo ampiezza

0

tempo

GRANDEZZA

DEFINIZIONE

UNITÀ DI MISURA

periodo T

è l’intervallo di tempo più piccolo dopo il quale la perturbazione si ripete

s

frequenza ν

è il numero di oscillazioni complete in un secondo

Hz  s–1

ν lunghezza d’onda λ

1 T

è la distanza percorsa dall’onda in un periodo con velocità v

m

λ  vT COMPORTAMENTI CARATTERISTICI DELLE ONDE

INTERFERENZA

COSTRUTTIVA: onde in fase: le ampiezze si sommano

è conseguenza del principio di DISTRUTTIVA: onde in opposizione di fase: sovrapposizione le ampiezze si sottraggono

DIFFRAZIONE

IN PRESENZA DI UN OSTACOLO L’ONDA NON SI PROPAGA IN LINEA RETTA MA RAGGIUNGE ZONE ALTRIMENTI IN OMBRA

ONDE STAZIONARIE

la PERTURBAZIONE oscilla nel tempo senza propagarsi nello spazio

derivano dall’interferenza di un’onda progressiva e dell’onda regressiva riflessa

211 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

20 test (30 minuti)

7 ESERCIZI 1

TEST INTERATTIVI

CHE COS’È UN’ONDA?

2

DOMANDE

DOMANDE

Collocando in posizione di equilibrio instabile le tessere di un domino l’una di fronte all’altra, è sufficiente far cadere la prima per provocare la caduta in successione di tutte le altre. Si tratta di un’onda? Motiva la risposta in 5 righe.

7 La ola dei tifosi allo stadio è un’onda bidimensionale

trasversale o longitudinale? Descrivi una ola unidimensionale dello stesso tipo. 8 In un pendolo di Newton l’energia si propaga da una

sfera all’altra, senza trasporto di materia. Specifica se si stratta di un’onda trasversale o longitudinale e in quante dimensioni avviene il fenomeno. Ali Ender Birer / Shutterstock

kert/Shutterstock

1

TIPI DI ONDE

2 Come è detto l’insieme dei punti dello spazio che

vengono raggiunti contemporaneamente da una perturbazione che si propaga in un fenomeno ondulatorio? 3 Due campanelli sono collegati con un elastico: fa-

cendo trillare il primo campanello, dopo un po’ si sente trillare anche il secondo. C’è stata propagazione di un’onda? Motiva la risposta in 5 righe. 4 Individua sorgente, rivelatore e mezzo di propagazio-

9 Che tipo di onde genera un’esplosione sottomarina?

Quali tipi di fronte d’onda sono associati a tale fenomeno? 10 «Non è detto che un’onda bidimensionale sia un’on-

da piana». Correggi questa affermazione, se necessario.

ne dell’onda nella situazione descritta nell’esercizio 3.

CALCOLI 5 Un motoscafo naviga parallelamente alla costa ge-

nerando onde superficiali che si propagano in direzione perpendicolare ad essa con velocità costante v. Una boa posta nel punto A tra la direzione di marcia del motoscafo e la linea costiera inizia a oscillare 11 s dopo che il motoscafo ha transitato per il punto B, lungo la perpendicolare alla costa passante per A. B

3

IL PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE

DOMANDE 11 «Il principio di sovrapposizione si enuncia dicendo

che se due onde aventi direzioni di propagazione opposte incidono nello stesso istante in un punto dello spazio, le perturbazioni relative si sommano algebricamente». Perché questa affermazione è errata? 12 Il principio di sovrapposizione, valido per le onde,

70 m

non è valido per i corpi materiali: fai almeno un esempio in cui questo fatto è evidente.

A

13 «Due perturbazioni che si vengono a trovare nello

f Sapendo che il tratto AB è lungo 70 m, qual è la velocità di propagazione delle onde generate dal motoscafo? f Individua in tale circostanza sorgente e rivelatore dell’onda.

stesso punto dello spazio danno luogo a una perturbazione risultante che ha ampiezza maggiore delle altre due». Correggi questa affermazione, se necessario.

CALCOLI [6,4 m/s]

6 Quanto tempo impiega un’onda marina generata a

2,0 km dalla costa a raggiungere quest’ultima se la sua velocità di propagazione è 3,3 m/s? [10 min]

14 Stefano e Giulio afferrano i capi opposti di una corda

lunga 5,0 m e ciascuno la fa oscillare nello stesso istante in modo da generare una perturbazione trasversale, che si propaga verso l’altro con velocità rispettivamente 70 cm/s e 90 cm/s.

212 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

7

LE ONDE f Qual è la velocità di propagazione dell’onda sonora nel gas considerato?

[413 m/s]

23 La pulsazione di un’onda elastica, di lunghezza d’on-

da pari a 2,7 m, è 2,2  103 rad/s. f Qual è la velocità di propagazione dell’onda? f Riesce Stefano a rilevare la perturbazione generata da Giulio? In caso affermativo, dopo quanto tempo dall’istante iniziale?

[9,5  102 m/s]

24 Utilizzando i dati dell’esercizio 23 calcola il periodo

dell’onda.

[5,6 s]

15 Se le perturbazioni descritte nell’esercizio 14 hanno

ampiezze uguali e opposte, dopo quanto tempo dall’istante iniziale la corda appare imperturbata?

[2,9  10–3 s]

25 Calcola la frequenza di un’onda elettromagnetica che

si propaga nel vuoto a una velocità di 3,00  108 m/s, sapendo che la sua lunghezza d’onda è 3,7  10–10 m.

[3,1 s]

[8,1  1017 Hz]

16 Ai capi di una teleferica lunga 24 m vengono gene-

26 Un’onda sinusoidale che si propaga con una velocità

rate nello stesso istante due perturbazioni che viaggiano in direzioni opposte con velocità rispettivamente di 2,2 m/s e 1,8 m/s. f Calcola il tempo impiegato da ciascuna perturbazione per raggiungere il capo opposto della teleferica e l’istante in cui si sovrappongono. [11 s; 13 s; 6,0 s]

4

di 2500 m/s ha una pulsazione di 12  103 rad/s. f Qual è la sua lunghezza d’onda? [1,3 m]

5

COME SI COMPORTANO LE ONDE

DOMANDE 27 Che cos’è una figura di interferenza?

ONDE PERIODICHE

28 Che cosa significa che due onde hanno una differen-

za di fase costante?

DOMANDE 17 In quale modo possiamo generare un’onda periodica? 18 Possiamo definire la pulsazione per qualsiasi onda

29 Quale fenomeno ondulatorio, tra quelli studiati in

questo capitolo, è in evidenza nel dipinto di Monet La Grenouillère. Lo stagno delle rane (1869)?

periodica? Rispondi in 5 righe. 19 «La frequenza di un’onda periodica è uguale al nu-

mero di lunghezze d’onda contenute nella distanza percorsa dall’onda in un periodo». Correggi questa affermazione, se necessario.

CALCOLI 20 Due onde che si propagano con la stessa velocità

v1  v2 hanno frequenze rispettivamente ν1 e 2ν1. Se la lunghezza d’onda della prima onda è λ1, qual è la lunghezza d’onda della seconda? ⎡ ⎤ 1 ⎢λ 2  λ 1 ⎥ ⎢⎣ 2 ⎥⎦

21 Calcola il periodo di un’onda che si propaga con ve-

locità pari a 200 m/s sapendo che la sua lunghezza d’onda è 1,2 m. [6,0  10–3 s]

22 Un’onda sonora si propaga all’interno di un gas con

frequenza e lunghezza d’onda pari rispettivamente a 550 Hz e 750 mm.

30 «Si ha rifrazione quando un’onda, anziché propagar-

si in linea retta, oltrepassa gli ostacoli che incontra». Correggi questa frase, se necessario. 31 Un soprano e un basso stanno cantando in una stan-

za con le porte aperte. Sapendo che la voce del soprano ha una frequenza maggiore, quale delle due voci si sente meglio all’esterno? Motiva la risposta in 5 righe.

213 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

7 ESERCIZI 6

43 Un vettore che ruota con velocità angolare costante

ONDE STAZIONARIE

DOMANDE 32 Quali fenomeni ondulatori concorrono alla forma-

zione di un’onda stazionaria?

può in diversi casi essere utile per rappresentare un’onda periodica sinusoidale. Tuttavia tale rappresentazione non contiene un’informazione importante: quale? 44 «Un’onda longitudinale non può essere armonica».

33 A che cosa corrispondono le linee nodali in una figu-

ra di Chladni?

Questa affermazione è errata: perché? 45 Un isolotto le cui dimensioni lineari sono dell’ordine

34 «Un modo normale è una particolare onda staziona-

ria in cui tutti i punti del mezzo oscillano con la stessa ampiezza». Correggi questa frase, se necessario. 35 Come è detta la frequenza di oscillazione di un modo

normale?

del kilometro è investito da uno tsunami la cui lunghezza d’onda è circa 100 km. Qual è il fenomeno ondulatorio per il quale lo tsunami procede indisturbato oltre l’isolotto? 46 Una pallina rimbalza sul pavimento. Che cosa acca-

de a un’onda meccanica che incide su una superficie che separa due diversi mezzi materiali?

CALCOLI 36 La frequenza fondamentale di una corda di 450 mm

è 330 Hz. f Qual è la velocità di propagazione delle onde progressiva e regressiva lungo la corda? [297 m/s]

37 Se la frequenza fondamentale di una corda di

450 mm è 330 Hz, qual è la frequenza del secondo modo normale? [660 Hz]

38 La velocità di propagazione di un’onda su una corda

di 670 mm è inizialmente 302 m/s. Variando la tensione della corda tale velocità aumenta del 10%. f Di quanto aumenta la frequenza fondamentale? [23 Hz]

47 Perché le onde stazionarie sono classificate tra i fe-

nomeni ondulatori, anche se non vi è propagazione? Spiegalo in 5 righe. 48 Nel 1865 il fisico tedesco August Kundt riuscì visua-

lizzare le vibrazioni di un gas all’interno di un tubo chiuso usando polvere e sabbia. Strofinando opportunamente le pareti del tubo, la colonna di gas inizia a vibrare e la polvere al suo interno si raccoglie nei nodi dell’onda stazionaria così generata, analogamente a ciò che avviene sulle lastre di Chladni. Kundt poté misurarne la lunghezza d’onda semplicemente osservando che essa era doppia della distanza tra due nodi successivi. Conoscendo la lunghezza del tubo, quale grandezza poté dunque ricavare dall’esperimento?

ESERCIZI DI RIEPILOGO DOMANDE 39 È possibile usare la fiamma di una candela come ri-

velatore di onde sonore? Spiega in 10 righe. 40 Per impedire che una biglia A colpisca una biglia B,

una terza biglia C viene fatta collidere con A prima dell’impatto indesiderato. È possibile far cambiare direzione a un’onda mediante l’impatto con un’altra onda? Motiva la risposta in 5 righe. 41 In riferimento all’esercizio 40, in che modo potremmo

modificare la direzione di propagazione di un’onda? 42 All’oscillazione periodica di una molla di orologio è

possibile associare una frequenza, un periodo, un’ampiezza e una pulsazione: si tratta dunque di un fenomeno ondulatorio? Motiva la risposta in 5 righe.

(Suggerimento: la relazione tra le frequenze dei modi normali in un tubo e la lunghezza del tubo è analoga a quella trovata per una corda vibrante.)

PROBLEMI 49 Una sorgente emette un’onda meccanica sinusoida-

le con velocità di propagazione 2,1 m/s di frequenza pari a 200 Hz. f Qual è l’intervallo di tempo tra l’emissione di due massimi successivi? f Qual è la pulsazione dell’onda risultante? [1,05  10–2 m; 50,0  10–3 s; 1,26  103 rad/s]

214 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

LE ONDE 50 In un ondoscopio la superficie libera dell’acqua è po-

7

53 Rispondi alle domande.

sta in oscillazione da una sorgente che vibra con una frequenza di 70 Hz. Con il righello si misura che in un tratto di 25 cm sono contenute 12 oscillazioni complete.

f Qual è la lunghezza d’onda del primo modo normale di una corda di 50 cm? f Qual è la velocità di propagazione delle onde progressiva e regressiva che generano l’onda stazionaria, se la frequenza del secondo modo normale è 480 Hz?

f Calcola la lunghezza d’onda e la velocità di propagazione dell’onda. [21 mm; 1,5 m/s]

[1,0 m; 240 m/s]

51 Ottomila anni fa un’enorme frana si staccò dall’Etna

54 Un diapason emette un’onda sonora sinusoidale di

e sprofondò nel mare, provocando uno tsunami che devastò il Mediterraneo orientale. Secondo alcuni ricercatori italiani l’onda raggiunse in 3 h e 45 min le coste israeliane, a circa 2000 km, mettendo in fuga gli abitanti di un villaggio del Neolitico del quale oggi si riconoscono i resti.

frequenza pari a 440 Hz (La) la quale raggiunge in 15  10–3 s un rivelatore posto a 5,1 m di distanza. f Quante oscillazioni compie il diapason in 15  10–3 s? f Qual è la lunghezza d’onda? f Qual è il periodo? f Può essere, in questo caso, definita una pulsazione? Motiva la risposta e in caso affermativo calcola la pulsazione. [6,6; 0,77 m; 2,3  10–3 s; 2,7  103 rad/s]

55 La frequenza fondamentale di una corda vincolata

agli estremi è pari a 380 Hz e corrisponde a una velocità di propagazione lungo la corda delle onde progressiva e regressiva di 310 m/s. f Quanto è lunga la corda?

INGV

f In quali condizioni si può definire una pulsazione?

f Qual è stata, secondo tale ricostruzione, la velocità di propagazione dell’onda? f Si tratta di un’onda periodica? Motiva la risposta in 5 righe. f Quale tipo di fronte d’onda è associato allo tsunami? f Individua nella ricostruzione il fenomeno della diffrazione.

f Calcola, in tali condizioni, la pulsazione del primo modo normale. f Quali sono le frequenze del secondo e del terzo modo normale? [41 cm; 2,4  103 rad/s; 760 Hz e 1,14 kHz]

56 Quanto impiega, alla velocità di 340 m/s, il suono

generato dalla corda vibrante a raggiungere un ascoltatore posto a 8,0 m? Esprimi il tempo appena calcolato usando come unità di misura il periodo del primo modo normale dell’esercizio 55.

[circa 150 m/s]

52 Determina il periodo, la lunghezza d’onda, l’ampiez-

za, la frequenza e la pulsazione dell’onda sinusoidale illustrata nel disegno, sapendo che la sua velocità di propagazione è 250 m/s. y (mm) 4 3 2 1 0 1 2 3 4

2,1 mm

[2,4  10–2 s; 9,1 T]

57 Una corda pizzicata emette un’onda sonora che ha

una frequenza di 392 Hz (Sol), corrispondente alla sua frequenza fondamentale. f Se la lunghezza della corda è 550 mm, qual è la velocità dell’onda trasversale che viaggia sulla corda? f Qual è la sua lunghezza d’onda?

1

2

3

4

x (mm)

[8,4  10–6 s; 2,1  10–3 m; 3,0  10–3 m; 1,2  105 Hz; 7,5  105 rad/s]

f Qual è la lunghezza d’onda dell’onda sonora che viaggia nell’aria a una velocità di 343 m/s? f Quanto tempo impiega la corda a compiere un’oscillazione completa? f A quale grandezza fisica corrisponde tale risultato? [431 m/s; 1,10 m; 0,875 m/s; 2,55  10–3 s]

215 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

CAPITOLO

Il suono



Talia dicentem nervosque ad verba moventem exsangues flebant animae; nec Tantalus undam captavit refugam, stupuitque Ixionis orbis, nec carpsere iecur volucres, urnisque vacarunt Belides, inque tuo sedisti, Sisyphe, saxo. Tunc primum lacrimis victarum carmine fama est Eumenidum maduisse genas, nec regia coniunx sustinet oranti nec, qui regit ima, negare, Eurydicenque vocant.



Ovidio, Metamorphosis X, 40-48

Peter Paul Rubens, Orfeo libera Euridice dall’Ade, 1636-1638

PAROLE CHIAVE Rumore Informazione Risonanza

Secondo il mito, Orfeo era in grado di incantare la natura con la musica sublime della sua cetra: i fiumi si fermavano per ascoltare le sue note e le belve feroci si ammansivano al suo canto. Disceso vivo agli inferi, la sua arte riuscì a incantare a tal punto il re e la regina che ottenne il permesso di riportare con sé alla vita l’amata Euridice, morta avvelenata da un serpente. La storia di Orfeo ed Euridice non finisce qui e non ha un lieto fine, ma testimonia l’importanza che la musica ha per gli esseri umani, che spesso le hanno attribuito valenze divine. La musica è un fenomeno complesso, che la fisica non riesce a spiegare. Tuttavia in questo capitolo comincerai a porre le basi per una sua lettura quantitativa, attraverso lo studio delle onde sonore che sono alla base dei suoni che udiamo. La musica, infatti, non è che un susseguirsi di note, cioè di onde sonore di opportune frequenze. A ciascuna nota è assegnata una

frequenza di oscillazione ben precisa, che è possibile calcolare. Per via della sua struttura «ordinata» e gradevole la musica si distingue dal rumore, che è piuttosto una sovrapposizione casuale di suoni, spesso associata a una sensazione di disturbo. Il rumore, per esempio, disturba l’ascolto della musica e disturba la comunicazione verbale: il rumore, cioè, disturba la comunicazione di un’informazione. Vedrai inoltre come tale osservazione possa essere estesa dall’acustica ad altri ambiti. Un altro aspetto molto importante dei fenomeni oscillatori in generale, oltre che di quelli ondulatori in particolare, è il concetto di risonanza. Nel caso delle onde sonore ci consente di amplificare le vibrazioni prodotte dalle sorgenti attraverso opportuni risuonatori. La cassa armonica di uno strumento musicale non è altro che un risuonatore, che seleziona e amplifica le note riducendo il rumore.

216 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL SUONO

1

8

LE ONDE SONORE

Ciò che chiamiamo suono è un fenomeno complesso che, oltre a coinvolgere le nostre percezioni attraverso il senso dell’udito, comprende la propagazione di un’onda, detta pertanto onda sonora. Le onde sonore sono onde meccaniche longitudinali che si propagano di solito nell’aria, la quale si comporta come una molla rarefacendosi e addensandosi a intervalli successivi. Si tratta di onde di densità, cioè la perturbazione che si propaga è una variazione della densità dell’aria o di un altro materiale elastico: le molecole oscillano avanti e indietro intorno alle posizioni di equilibrio, senza che vi sia trasporto di materia. Un’onda sonora è un’onda elastica longitudinale in cui si propaga una variazione di densità. Facendo riferimento alla propagazione nell’aria, immaginiamo di pizzicare una corda tesa tra due punti fermi e di generare l’armonica fondamentale della corda (vedi capitolo 7, paragrafo 6). Schematizzando la situazione con il disegno in figura 1a-b, osserviamo che quando la corda si trova nella posizione a l’aria sovrastante viene compressa aumentando la sua densità, mentre diminuisce la densità di quella sottostante. Nella situazione b avviene l’opposto, sicché durante le oscillazioni della corda abbiamo in successione addensamenti e rarefazioni dell’aria intorno alla corda stessa, cioè abbiamo un’onda sonora.

a

b

c

La vibrazione della corda trasmette lo spostamento alle molecole del mezzo, modificando pertanto la loro distanza relativa; successivamente forze elastiche di richiamo tendono a ripristinare la situazione imperturbata, dando luogo a un’oscillazione longitudinale come quella lungo una molla (figura 1c). Se estendiamo il ragionamento fatto per la corda a qualsiasi altro oggetto che oscilli, possiamo concludere che

Figura 1. a-b. L’oscillazione di una corda vincolata ai due estremi è sorgente di un’onda sonora che si propaga longitudinalmente per successive rarefazioni e addensamenti dell’aria circostante. c. Essa è analoga a un’onda che si propaga per successivi allungamenti e compressioni di una molla.

Figura 2. Le onde sonore raggiungono il timpano, il quale deformandosi trasmette le variazioni di densità al cervello attraverso il nervo uditivo.

qualsiasi corpo vibrante in un mezzo materiale è sorgente di un’onda sonora.

timpano

Il nostro orecchio rileva la variazione di densità attraverso una membrana detta timpano, e la trasmette al cervello che ne elabora il contenuto, distinguendo un suono da un altro (figura 2). Non tutte le onde di densità sono suoni, infatti il nostro cervello

onde sonore

217 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

8

IL SUONO

Christian Musat / Shutterstock

riesce a rilevarne solo alcune, comprese in un determinato intervallo di frequenza: le onde sonore che un essere umano può udire hanno una frequenza compresa tra 20 Hz e 20 000 Hz.

Figura 3. I delfini hanno un complesso sistema di comunicazione sonora con frequenza che vanno dagli 8 Hz fino a 200 000 Hz.

Al di sotto dei 20 Hz le onde sonore sono dette infrasuoni e al di sopra dei 20 000 Hz ultrasuoni. I limiti di udibilità variano da un animale all’altro: i delfini, per esempio, comunicano attraverso suoni ad alta frequenza e ultrasuoni che arrivano fino a 200 000 Hz; inoltre sono in grado di produrre e rilevare infrasuoni di circa 8 Hz (figura 3).

Velocità di propagazione Le onde sonore si propagano con velocità diverse a seconda del mezzo (tabella 1). MATERIALI

Aria

Acqua

Ghiaccio

Vetro

Acciaio

Piombo

Calcestruzzo

Legno di faggio

Granito

VELOCITÀ DEL SUONO (m/s)

343

1480

3200

5300

5200

1200

3100

3300

6200

Tabella 1. Velocità del suono in diversi mezzi alla temperatura di 20 °C e alla pressione di 1,01  105 Pa.

In aria secca, alla temperatura di 20 °C e alla pressione di 1,01  105 Pa, la velocità del suono è vs  343 m/s cioè circa 1200 km/h.

L’eco

Figura 4. L’eco è prodotta dalla riflessione dell’onda sonora su una parete.

Secondo il mito Eco era una Ninfa, condannata da Giunone, per la sua attitudine al pettegolezzo, a perdere il dono della parola e destinata a ripetere le ultime due sillabe udite. Eco era innamorata del bellissimo Narciso, ma egli rifiutò il suo amore inducendola a rifugiarsi nei boschi montani e a scomparire dalla vista, in preda alla disperazione. Così, da allora, Eco si mostrerebbe solo attraverso un breve suono ripetuto tra i monti. In realtà l’eco che si sente tra le pareti delle montagne, per quanto suggestivo, non ha nulla di mitologico: fu Ernst Chladni, alla fine del XVII secolo, a scoprire che esso non è altro che il risultato della riflessione dell’onda sonora contro gli ostacoli (vedi capitolo 7, paragrafo 5). Se ci poniamo di fronte a una parete verticale a una distanza d (figura 4), il tempo Δt che il suono della nostra voce impiega a percorrere la distanza 2d, avanti e indietro, è pari a Δt 

2d vs

218 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

(8.1)

IL SUONO

8

Dato che l’intervallo di tempo minimo Δtmin al di sotto del quale l’orecchio umano non è in grado di riconoscere due suoni distinti è Δtmin  0,1 s dalla (8.1) ricaviamo che la distanza minima per sentire distintamente l’eco è dmin 

Δt min⋅ v s 0, 1 s ⋅ 343 m/s   17 m 2 2

Per distanze inferiori a 17 m, quindi, l’orecchio non riesce a distinguere i suoni e si ha il cosiddetto rimbombo. Si tratta di un fenomeno molto sgradito nelle sale da concerto (o nelle sale di registrazione), tanto che per ridurlo è necessario ricorrere a particolari strategie architettoniche e all’uso combinato di strutture che assorbono le onde sonore e che le riflettono in modo opportuno (figura 5).

2

I SUONI

Dal punto di vista percettivo, ciascun suono è individuato da tre proprietà, le quali sono in corrispondenza con determinate caratteristiche della relativa onda sonora. Esse sono (figura 6): s l’intensità sonora (o volume), che dipende dall’ampiezza dell’onda sonora. s l’altezza, che dipende dalla frequenza; s il timbro, che dipende dalla forma dell’onda sonora. y

A1  A2 A1

A2

0

Figura 6. I due suoni hanno: a. intensità diverse; b. altezze diverse; c. timbri diversi.

t

a

y

 1  2 T1

0 b

Figura 5. La sala da musica da camera della Filarmonica di Berlino è stata progettata per offrire agli ascoltatori, posti tutti intorno all’orchestra, un’acustica ottimale. Le onde sonore incidono su un sistema di pannelli che riflettono il suono in modo uniforme in tutta la sala.

T2

1  1  T1

1 2  T2

y

forma 1

forma 1  forma 2

forma 2

0

t

t

c

219 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

8

IL SUONO

Intensità sonora La maggiore o minore ampiezza di un’onda sonora corrisponde a un suono di volume più o meno alto, cioè più o meno intenso. L’intensità sonora I è direttamente collegata all’energia trasportata dall’onda ed è definita come l’energia E che in un intervallo di tempo Δt attraversa una sezione piana di area A perpendicolare alla direzione di propagazione (figura 7):

I= Figura 7. L’energia sonora trasporta energia e l’intensità sonora è l’energia che nell’unità di tempo attraversa l’unità di superficie perpendicolarmente alla propagazione.

E AΔt

(8.2)

L’intensità sonora è la quantità di energia che nell’unità di tempo attraversa una superficie unitaria perpendicolare alla direzione di propagazione del suono. L’unità di misura dell’intensità sonora è il joule su secondo per metro quadro (J/(s m2)) o il watt su metro quadro (W/m2); tuttavia nella pratica si usa spesso fare riferimento al valore I0 dell’intensità minima percepibile da un orecchio umano, attraverso il cosiddetto livello di intensità sonora LI, definito come: LI  10 log10

I I0

(8.3)

I0 10–12 W/m2 è detta soglia di udibilità, al di sotto della quale non siamo più in grado di percepire i suoni. Il livello di intensità sonora si misura in decibel (dB) e per un orecchio umano va da zero (quando I  I0) a valori compresi fra i 100 e i 120 dB, oltre ai quali il timpano può subire danni irreversibili, a seconda della durata degli stimoli. In tabella 2 sono riportati alcuni esempi di livelli di intensità di comuni sorgenti sonore.

Tabella 2. Alcuni livelli di intensità sonora associati a tipiche sorgenti.

DECIBEL

SORGENTE SONORA

10/20

Fruscio di foglie, bisbiglio

30/40

Notte agreste

50

Teatro, ambiente domestico

60

Voce alta, ufficio rumoroso

70

Telefono, stampante, tv e radio ad alto volume

80

Sveglia, strada con traffico medio

90

Strada a forte traffico, fabbrica rumorosa

100

Autotreno, treno merci, cantiere edile

110

Concerto rock

120

Sirena, martello pneumatico

130

Decollo di un aereo jet

Tra le sorgenti sonore più rumorose ci sono i motori degli aerei: le variazioni di densità corrispondono a variazioni di pressione che possono arrivare

220 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL SUONO

8

a frantumare i vetri delle finestre. Quando un aereo viaggia a una velocità superiore a quella del suono, inoltre, genera un’onda d’urto (bang supersonico) con brusche variazioni di densità, che possono produrre condensazione di nebbia intorno al veicolo (figura 8).

US Navy

Figura 8. L’onda d’urto di un aereo supersonico (oltre 170 dB) può produrre condensazione di nebbia.

Altezza di un suono b

In base all’altezza distinguiamo qualitativamente i cosiddetti suoni gravi (come quelli di un controfagotto) da quelli acuti (come quelli di un ottavino): i primi corrispondono a frequenze più basse, i secondi a frequenze più alte (figura 9).

ekomusicgroup

mkm3 / Shutterstock

a

Da un punto di vista quantitativo, l’altezza di un suono ci consente di distinguerlo come nota musicale: ciascuna nota musicale corrisponde a una determinata frequenza dell’onda sonora.

Figura 9. a. Il controfagotto produce suoni gravi, cioè emette onde sonore di frequenze basse, fino a circa 30 Hz. b. L’ottavino produce suoni acuti, con onde sonore di frequenza che arriva a 15 000 Hz.

Le frequenze udibili sono state suddivise in intervalli detti ottave, che separano note con lo stesso nome e frequenze che hanno un rapporto pari a 2n: per esempio, un’ottava è l’intervallo tra un Do e il suo successivo di frequenza doppia. La cosiddetta accordatura temperata prevede che alla frequenza ν0 di 440 Hz sia assegnata la nota La, che corrisponde all’ottava centrale del pianoforte; mentre le frequenze delle altre note si ricavano mediante la formula: n

νn  212 ⋅ ν0

(8.4)

che suddivide pertanto l’ottava in 12 note, come si vede nell’esempio seguente.

221 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

8 Tabella 3. Frequenze delle note dell’ottava centrale.

Do

261,6 Hz

Do#

277,2 Hz

Re

293,7 Hz

Re#

311,1 Hz

Mi

329,6 Hz

Fa

349,2 Hz

Fa#

370,0 Hz

Sol

392 Hz

Sol#

415,3 Hz

La

440 Hz

La#

466,2 Hz

Si

493,9 Hz

Do

523,3 Hz

IL SUONO

ESEMPIO f Assegnando il valore n  0 al La a 440 Hz, qual è la frequenza della nota precedente, corrispondente a n  1? Qual è la frequenza della nota successiva, corrispondente a n  1?

DO# RE#

DO

RE

MI

FA# SOL# LA#

FA SOL LA SI n0

SOLUZIONE Calcoliamo i valori richiesti direttamente dalla formula (8.4): −

ν−1  2

1 12

⋅ 440 Hz  415, 3 Hz (Sol#)

1

ν1  212 ⋅ 440 Hz  466,2 2 Hz (La#) Nello stesso modo si possono ricavare le note dell’ottava centrale del pianoforte, riportate nella tabella 3. DOMANDA A quale frequenza corrisponde il La dell’ottava successiva all’ottava centrale del pianoforte?

Il timbro Figura 10. L’ampiezza delle onde sonore corrispondenti allo stesso La emesso da strumenti diversi varia nel tempo in modo diverso, pur avendo la stessa periodicità (frequenza).

Il timbro è la caratteristica del suono che ci fa distinguere la voce del nostro vicino di casa da quella del nostro insegnante, una nota emessa da un pianoforte dalla stessa nota emessa da un violino. Come abbiamo detto, dipende dalla forma dell’onda sonora (vedi figura 6). Quando l’onda è una sinusoide si ha un suono puro

Massimliano Trevisan

cioè privo di timbro. Un La puro corrisponde dunque a un’onda sinusoidale di frequenza pari a 440 Hz, mentre lo stesso La emesso da diversi strumenti ha un andamento periodico nel tempo con la stessa frequenza, ma la forma dell’onda può variare notevolmente da un caso all’altro (figura 10).

222 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

8

IL SUONO

Il timbro di un suono dipende dalle frequenze dei suoni puri di cui è composto.

Figura 11. Un tipico diapason in acciaio: la forcella, se percossa, compie oscillazioni armoniche con una frequenza ben precisa. Tatiana Popova / Shutterstock

Una possibile sorgente di onde sinusoidali è il diapason, un oggetto in acciaio che termina con una forcella. Questa, quando viene percossa, vibra con un’unica frequenza propria in modo armonico, cioè emettendo onde sonore sinusoidali (figura 11). Gli strumenti musicali in genere sono sorgenti sonore che vibrano con più frequenze oltre a quella fondamentale: per il principio di sovrapposizione l’onda risultante è data dalla somma delle singole oscillazioni (vedi capitolo 7, paragrafo 3) e ha pertanto una forma che dipende dalle loro caratteristiche. In altre parole, il La di uno strumento musicale qualsiasi contiene una sinusoide a 440 Hz, ma ad essa si sovrappongono altre sinusoidi con frequenze diverse e ampiezze minori. Per questo continuiamo a percepire un La, ma «impastato» in un insieme di suoni a frequenze diverse che caratterizzano il timbro dello strumento.

Figura 12. Il suono puro è formato da un’onda sinusoidale con un’unica frequenza; i suoni generalmente sono formati dalla sovrapposizione di più onde con frequenze e ampiezze diverse.

Massimliano Trevisan

I suoni rappresentati in figura 10 sono dunque sovrapposizioni di suoni puri di frequenze diverse: possiamo cioè scomporre ciascuna onda in un certo numero di onde sinusoidali di differente ampiezza. Se riportiamo su un piano cartesiano l’ampiezza di ciascuna onda (intensità sonora) in funzione della sua frequenza (altezza), otteniamo la situazione rappresentata in figura 12. Osserviamo che quando uno strumento emette una nota in realtà emette più di una frequenza, ma l’orecchio riesce comunque a percepire la frequenza più «importante», cioè quella che individua la specifica nota. Per esempio, siamo in grado di riconoscere quando due strumenti stanno suonando la stessa nota, anche se i loro timbri sono molto diversi (figura 13).

Figura 13. Il nostro cervello è in grado di riconoscere note uguali emesse da strumenti che hanno timbri diversi.

223 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

8

IL SUONO

3

RUMORE E INFORMAZIONE

Nel linguaggio di tutti i giorni la parola «rumore» evoca una sensazione di fastidio e una sorta di «disordine sonoro». Ben diverso è il significato che attribuiamo alla parola «musica», che invece è un fenomeno gradito, a elevato contenuto emotivo. Eppure, dal punto di vista puramente fisico sia il rumore che la musica sono suoni, cioè onde sonore in grado di essere percepite dal nostro orecchio. La spiegazione di come il cervello discrimini i due casi è senz’altro complessa e multidisciplinare: in questa sede ci limitiamo a una prima semplice analisi basata sulla tipologia di onde che li caratterizzano. Immaginiamo che in un’aula scolastica, in cui sono presenti 25 studenti, tutti inizino contemporaneamente a parlare. I suoni si sovrappongono e il risultato complessivo, percepito complessivamente come rumore, è qualcosa di molto simile a ciò che è disegnato nella figura 14. Le varie onde sonore hanno ampiezze, timbri e frequenze casuali: l’onda sonora che risulta dalla loro sovrapposizione non mostra in genere alcuna regolarità e appare piuttosto uniforme. Figura 14. Quando nella stessa regione di spazio si sovrappongono casualmente molte onde diverse, l’onda risultante è irregolare e uniforme. A questa situazione è associato il concetto di rumore.

75 50 25 0 25 50 75

A un certo punto uno studente alza il volume della sua voce al di sopra del volume complessivo del brusio, e la relativa onda, che prima era «mescolata» indistintamente alle altre, emerge dal rumore (figura 15).

Figura 15. Un suono che ha un’intensità molto maggiore del rumore riesce a emergerne, pur essendone in una certa misura disturbato.

100 75 50 25 0 25 50 75 100

Se associamo alle parole dello studente un certo contenuto di informazione, cioè di dati utili per chi li riceve, vediamo che il brusio degli altri diventa una sorta di disturbo di sottofondo. Cioè, mentre l’onda sonora trasporta l’informazione, il rumore ad essa mescolato ne maschera in una certa misura il contenuto. In generale definiamo rumore un segnale che disturba la trasmissione di un’informazione. La parola rumore, presa in prestito dall’acustica, cioè dallo studio dei suoni, è in realtà usata in moltissimi altri casi nei quali un segnale utile (informazione) viene disturbato da una sovrapposizione di segnali casuali, privi di regolarità (figura 16).

224 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

b

Massimiliano Trevisan

a

scostamento dalla temperatura media (°C)

IL SUONO

6 4

8

media annuale media quinquennale

2 0 2 4 1880 1900 1920 1940 1960 1980 2000 tempo (anni)

Inquinamento acustico Quando più persone parlano tutte insieme nella stessa stanza i suoni si sovrappongono casualmente generando rumore. Chiunque voglia trasmettere un’informazione in un ambiente rumoroso è costretto ad aumentare l’intensità sonora della sua voce. Se più persone lo fanno contemporaneamente, l’intensità complessiva del rumore si alza e per comunicare è necessario continuare ad aumentare il volume della voce. Il cervello si «abitua» agli ambienti rumorosi, ignorando il disturbo di fondo rispetto all’informazione, tuttavia le orecchie continuano ad essere molto sensibili ai suoni intensi e alla lunga possono subirne dei danni. Quando vi è un’esposizione continuata a suoni di elevata intensità si parla di inquinamento acustico. Molti luoghi che frequentiamo sono caratterizzati da questo fenomeno: dalle strade delle grandi città alle fabbriche, ai luoghi di incontro.

Figura 16. a. Anche lo sfarfallio di quadratini bianchi e neri su uno schermo televisivo è chiamato rumore. b. Nel grafico è riportato lo scostamento delle temperature medie annuali o quinquennali rispetto alla temperatura media tra gli anni 1951 e 1980. Le variazioni rapide intorno all’andamento crescente hanno caratteristiche di rumore.

La musica All’estremo opposto del rumore c’è la musica, formata da una successione di suoni regolari. L’andamento nel tempo di un brano musicale è ben diverso da quello del rumore: osserviamo innanzitutto che l’emissione di suoni non è uniforme, ma ha una certa regolarità, che corrisponde al ritmo (figura 17a). Anche l’intensità del suono in musica non è casuale, ma varia in modo ordinato, seguendo il ritmo e la cosiddetta dinamica musicale, cioè l’alternarsi del piano e del forte con le varie sfumature intermedie (figura 17b). a

75 50 25 0 25 50 75

Figura 17. a. L’intensità del suono varia ritmicamente in questa tarantella napoletana. b. Le variazioni di intensità sonora sono usate per dare espressività al brano musicale, come in questo, tratto d a Shéhérazade (1888) di Nicolaj Rimskij Korsakov.

b 100 75 50 25 0 25 50 75

225 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

8

IL SUONO

Le note musicali si susseguono dunque con una scansione ben precisa e con intervalli di frequenza che risultano graditi all’orecchio, secondo le regole della cosiddetta armonia. Non tutte le successioni di suoni sono musica, come non tutte le successioni di parole sono frasi: anche la musica ha dunque un certo contenuto di informazione che viaggia insieme all’onda sonora, emergendo dal rumore di fondo.

Onde e informazione Concludiamo questo paragrafo con una considerazione generale sulle onde. Quando un’onda si propaga, sia essa periodica o generata da un singolo impulso, trasporta energia da un punto all’altro dello spazio; ma insieme all’energia un’onda trasporta anche informazione. La perturbazione prodotta dalla sorgente si propaga fino al rivelatore, cioè trasporta una sorta di «messaggio» a una certa distanza dalla sua produzione. Non a caso le onde sono i veicoli principali di comunicazione, dalle onde sonore durante una conversazione in una stanza alle onde elettromagnetiche delle telecomunicazioni.

f Due alpinisti sono legati in cordata e scalano un’alta parete durante una giornata ventosa. Il primo di cordata procede verso la vetta, mentre il secondo protegge la sua salita manovrando adeguatamente la corda. Quando il primo raggiunge un luogo idoneo alla sosta, deve comunicare al compagno di modificare le manovre e di prepararsi alla salita, ma la distanza di oltre 50 m fra i due e il vento che fischia tra le pareti impedisce di comunicare a voce. Come fa il primo alpinista a inviare al secondo l’informazione desiderata? SOLUZIONE Nell’alpinismo non è infrequente trovarsi in condizioni di difficile comunicazione tra due compagni di cordata. Quando si è di fronte a un’altra parete non troppo lontana spesso è possibile comunicare attraverso l’eco: dirigendo opportunamente la voce l’onda si riflette e raggiunge luoghi altrimenti nascosti. A volte questo non basta, e allora si ricorre a segnali che viaggiano lungo la corda. Tirando un capo della corda, infatti, l’impulso si trasmette fino all’altro capo attraverso un’onda elastica longitudinale che trasporta l’informazione tra i due alpinisti. DOMANDA Quali possono essere le cause di rumore in questo tipo di comunicazione attraverso la corda? Trova almeno tre esempi.

226 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

Roca / Shutterstock

ESEMPIO

IL SUONO

4

8

LA RISONANZA

Il fenomeno della risonanza, che stiamo per analizzare, riguarda qualsiasi tipo di oscillazione, anche quella di un’altalena. Cominciamo proprio da quest’ultima per poi estendere il concetto alle onde. È esperienza comune che, se vogliamo aumentare l’ampiezza delle oscillazioni di un’altalena, dobbiamo spingerla ripetutamente con una frequenza opportuna. Non è necessario usare una forza molto intensa, se diamo dei piccoli colpi al momento giusto l’ampiezza dell’oscillazione aumenta sempre di più: l’importante è che le nostre spinte siano periodiche e abbiano una frequenza ben precisa, che corrisponde alla frequenza propria dell’altalena. La frequenza propria è la frequenza con la quale il sistema oscilla liberamente dopo un impulso iniziale. Nel caso dell’altalena la frequenza propria è quella con cui l’altalena oscilla se lasciata a se stessa (figura 18).

A

1

0 a

1



Figura 18. a. La frequenza è il numero di spinte al secondo. b. L’ampiezza delle oscillazioni dell’altalena ha un picco se la frequenza delle spinte è pari alla frequenza propria dell’altalena.

b

Se le nostre spinte hanno una frequenza diversa può accadere che l’altalena riduca l’ampiezza delle oscillazioni fino a fermarsi. In altre parole, l’altalena assorbe la nostra energia in modo efficiente solo se sollecitata con una frequenza pari alla sua frequenza propria, e in tal caso si verifica una cosiddetta condizione di risonanza. Un sistema oscillante è in condizioni di risonanza quando è sollecitato da una sorgente periodica di frequenza pari a una delle frequenze proprie del sistema stesso. Se un sistema ha più di una frequenza propria, si può avere risonanza con ciascuna di esse prese singolarmente o contemporaneamente. Quindi, se il sistema è sollecitato da più stimoli periodici di frequenze diverse entra in risonanza solo con quelle pari alle sue frequenze proprie: l’ampiezza delle relative oscillazioni aumenta notevolmente rispetto alle altre. In un certo senso è come se il sistema scegliesse, tra un insieme di stimoli con frequenze diverse, soltanto quelli che corrispondono alle sue frequenze proprie, amplificandole (figura 19).

Figura 19. Quando un sistema ha più di una frequenza propria i picchi di risonanza sono più di uno.

A

0

 1 2

3

227 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

4



8

IL SUONO

f Il 10 giungo 2000 a Londra è stato inaugurato il Millennium Bridge, un ponte pedonale sul Tamigi lungo 325 m. Il ponte era stato progettato per sostenere il transito di 5000 persone contemporaneamente, tuttavia proprio nel giorno dell’inaugurazione è sorto un problema che ha costretto alla sua chiusura appena due giorni dopo: al passaggio dei pedoni il ponte ha iniziato a dondolare pericolosamente con ampiezza crescente.

vitek12 / Shutterstock

ESEMPIO

SOLUZIONE Anche se non vi erano sollecitazioni esterne periodiche, il fenomeno è spiegabile in termini di risonanza. Già i primi transiti sulla struttura avevano indotto oscillazioni che avevano portato i passanti a modificare l’andatura e a procedere tutti con una cadenza sincronizzata. Questo aveva incrementato visibilmente l’ampiezza delle oscillazioni, al punto che, per motivi di sicurezza, il ponte fu chiuso e successivamente modificato. Fu riaperto dopo due anni, dopo l’aggiunta di appositi sistemi smorzatori in grado di assorbire l’energia delle oscillazioni. DOMANDA Un livello di intensità sonora di 170 dB può rompere un vetro; tuttavia anche una voce, il cui massimo arriva a soli 110 dB circa, riesce in alcuni casi a mandare in frantumi un bicchiere. Perché? Spiegalo in 10 righe utilizzando il concetto di risonanza. Figura 20. L’onda emessa dal diapason è in risonanza con una frequenza propria della cassa di legno e ne risulta un suono di intensità maggiore rispetto al suono del diapason tenuto in mano.

IO

IO  IA

risuonatore

Risonanza e strumenti musicali Il concetto di risonanza si estende anche alle onde sonore e si traduce nell’amplificazione dei suoni corrispondenti alle frequenze proprie di un sistema posto in vibrazione dalla sorgente. Ciò avviene, per esempio, negli strumenti musicali, nei quali l’onda generata dal corpo vibrante (la sorgente) è successivamente amplificata da un cosiddetto risuonatore, cioè IA da un corpo, generalmente cavo, le cui frequenze proprie vengono più o meno sollecitate. In altre parole, il risuonatore entra in risonanza con particolari frequenze emesse dalla sorgente e le amplifica. Possiamo facilmente verificarlo con un diapason: quando lo percuotiamo, tenendolo per la base della forcella, sentiamo la nota corrispondente con un’intensità relativamente bassa; se invece lo poggiamo su una cassa di legno il suono risulta notevolmente amplificato (figura 20).

228 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL SUONO

8

Il risuonatore (in questo caso la cassa di legno) diventa pertanto sorgente di un’onda sonora amplificata che ha il timbro caratteristico del risuonatore stesso. Pertanto il timbro di uno strumento musicale dipende in larga parte dal risuonatore (tabella 4). STRUMENTO

SORGENTE VIBRANTE

RISUONATORE

voce

corde vocali

cavità della testa

chitarra

corde pizzicate

cassa armonica

violino

corde sfregate

cassa armonica

pianoforte

corde percosse

corpo dello strumento

flauto

aria

canna con fori

clarinetto

ancia

canna con fori

tromba

labbra

canna con pistoni

timpani

membrana e aria

caldaia

triangolo

barra di acciaio

nessuno

Tabella 4. Sorgenti sonore e risuonatori di diversi strumenti musicali.

Per esempio, un liuto e una chitarra hanno entrambi la stessa sorgente costituita da corde pizzicate ma diversi risuonatori, costituiti dalle rispettive «casse armoniche» (i corpi degli strumenti), con caratteristiche forme e materiali (figura 21). sorgente

corda pizzicata

risuonatore

timbri chitarra

2,74 2,72 2,70 2,68 2,66

banjo

2,74 2,72 2,70 2,68 2,66

Figura 21. Ogni strumento musicale è formato da una sorgente vibrante e un risuonatore con opportune frequenze di risonanza, che conferisce il timbro allo strumento.

I risuonatori degli strumenti hanno una duplice funzione: s selezione delle frequenze a partire da una sorgente che emette un ampio intervallo di frequenze (sorgente rumorosa); s amplificazione delle frequenze a partire da una sorgente che emette un determinato intervallo di frequenze, già selezionate (sorgente intonata). Nel clarinetto, per esempio, la sorgente vibrante è un’ancia che produce una vibrazione dell’aria con un intervallo di frequenze molto ampio. In questo caso il corpo risonante ha un’importante funzione selettiva e trasforma il suono rumoroso dell’ancia in note musicali con frequenze ben precise. Ciò avviene variando la lunghezza della canna in modo da ottenere diversi modi normali di oscillazione dell’aria al suo interno. Nel violino, invece, l’intonazione della nota è selezionabile dall’esecutore intervenendo con le dita sulla lunghezza della corda, per cui la cassa

229 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

8

IL SUONO

armonica ha una funzione maggiormente amplificativa. La cassa armonica del violino deve avere una forma tale da risuonare in un intervallo di frequenze molto ampio e non amplificare determinate frequenze a scapito di altre (figura 22). b

Nicholas Sutcliffe / Shutterstock

a

Heinz Koenig / Shutterstock

Figura 22. a. Il risuonatore del clarinetto è costituito dal corpo cavo in ebano i cui fori, chiusi o aperti, selezionano le frequenze «rumorose» dell’ancia. b. L’archetto sfrega le corde del violino, la cui lunghezza è scelta dall’esecutore, e la cassa armonica ne amplifica le frequenze intonate.

Onde stazionarie in una canna

Figura 23. La console del gigantesco organo di Atlantic City.

Ad Atlantic City si trova l’organo più grande del mondo, con oltre 33 000 canne di diversa lunghezza, fino a circa 20 m di altezza, in grado di produrre onde sonore fino alla frequenza di 8 Hz (figura 23). Ad ogni canna corrisponde una particolare frequenza e quindi una particolare nota, dovuta alla vibrazione dell’aria al suo interno che forma un’onda stazionaria ben precisa. Così come una corda (vedi capitolo 7, paragrafo 6), anche una canna ha dei modi normali di oscillazione dell’aria la suo interno, le cui frequenze dipendono dalla lunghezza della canna stessa. Negli strumenti a fiato, come nell’organo, l’altezza delle note dipende dalla lunghezza della canna risonante, la quale viene fatta variare attraverso alcuni fori che modificano le frequenze proprie al suo interno (figura 24). L

Figura 24. Primi quattro modi normali dell’aria che oscilla in una canna aperta a un’estremità.

230 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL SUONO

5

8

I BATTIMENTI

Anche le onde sonore, come tutte le onde, interferiscono. Un fenomeno molto interessante dal punto di vista musicale è quello dei cosiddetti «battimenti», dovuti all’interferenza di onde che hanno uguale ampiezza e frequenze molto vicine tra loro. Per capire che cosa accade dal punto di vista fisico quando si verifica tale condizione utilizziamo la rappresentazione semplificata dei vettori rotanti introdotta nel capitolo 7, paragrafo 4. Immaginiamo due vettori rotanti che, a partire dalla stessa posizione iniziale, iniziano a ruotare concordemente con frequenze leggermente diverse. Al principio l’angolo tra i due vettori è piccolo, e il modulo del vettore risultante dalla loro somma è circa uguale alla somma dei singoli moduli: la sovrapposizione delle onde corrispondenti dà origine a un’interferenza costruttiva e l’ampiezza dell’onda risultante è elevata. La differenza tra le frequenze delle onde, e quindi tra le velocità di rotazione dei vettori, fa sì che l’ampiezza si riduca nel tempo fino ad annullarsi, per poi riprendere ad aumentare fino al massimo iniziale (figura 25).

Figura 25. Due vettori che ruotano con frequenze leggermente diverse: all’inizio il vettore risultante ha modulo circa uguale alla somma dei moduli, poi diminuisce man mano che l’angolo tra i due vettori aumenta.

ampiezza massima

ampiezza nulla

Questa condizione, che si manifesta con il fenomeno dei battimenti, si può rappresentare mediante un grafico ampiezza-tempo in cui si osserva che l’onda oscillante è caratterizzata da due frequenze, una più rapida e una più lenta che la modula. Quando due onde di frequenza non molto diversa si sovrappongono l’onda risultante ha un’ampiezza che varia periodicamente nel tempo con una frequenza più bassa. Nel caso delle onde sonore ciò significa che la sovrapposizione di due suoni di altezza simile ha come risultato un unico suono che aumenta e diminuisce la sua intensità periodicamente, producendo il caratteristico andamento vibrante dei battimenti. Si può dimostrare che la frequenza νr dell’onda risultante è pari alla media delle frequenze ν1 e ν2 delle due onde di partenza, mentre la frequenza νm della variazione di intensità, cioè dell’onda modulante, è pari alla loro semidifferenza. Consideriamo infatti due onde sinusoidali di frequenze ν1 e ν2 e le rispettive pulsazioni ω1 e ω2 legate dalla relazione (7.4):

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IL SUONO

ν

ω 2π

Esse sono descritte dalle funzioni sinusoidali sin(ω1t) e sin(ω2t), per cui la loro somma si ottiene direttamente dalle formule di prostaferesi: ⎛ ω − ω2 ⎞ ⎛ ω1 + ω2 ⎞ sin( ω1t )  sin( ω2t )  2 cos ⎜ 1 t ⎟ sin ⎜ t ⎟  2 cos( ωm t ) ⋅ sin( ωr t ) ⎠ ⎝ 2 ⎠ ⎝ 2 dove ω1  ω2 2 ω  ω2 ωm  1 2 Si tratta rispettivamente delle pulsazioni dell’onda modulata e dell’onda modulante (figura 26), che corrispondono a frequenze pari alla media delle frequenze delle onde di partenza e alla loro semidifferenza: ωr 

ν1  ν2 2 ν  ν2 νm  1 2 νr 

A

a Figura 26. a. I battimenti sono il risultato della sovrapposizione di onde di frequenza simile. b. L’onda risultante consiste in un’oscillazione rapida modulata da un’oscillazione con frequenza più bassa.

0

A

b

t

onda modulante

0

t onda modulata

Battimenti e musica Il fenomeno dei battimenti è usato in musica per ottenere effetti particolari. Per esempio, nella fisarmonica è spesso usato un registro battente, nel quale due o più voci emettono contemporaneamente all’incirca la stessa nota, cioè suoni con frequenze molto vicine, con il risultato di un caratteristico suono vibrante. Anche il famoso vibrato del violino è dovuto ai battimenti: facendo oscillare il dito sulla corda la sua lunghezza aumenta e diminuisce leggermente,

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IL SUONO

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Blazej Lyjak / Shutterstock

producendo suoni diversi ma di frequenza molto vicina, che si sovrappongono con la modalità sopra descritta (figura 27).

L’EFFETTO DOPPLER

Nel 1845 il fisico austriaco Christian Doppler ingaggiò una piccola orchestra che avrebbe suonato per lui a bordo di un treno. Egli tuttavia non salì sul vagone ma restò in ascolto nei pressi del binario, riuscendo così a verificare la sua ipotesi, nota oggi come effetto Doppler:

Figura 27. Il fenomeno dei battimenti è usato nelle fisarmoniche per produrre il caratteristico suono battente di alcuni registri.

quando una sorgente di onde è in movimento rispetto a un rivelatore, la frequenza (o la lunghezza d’onda) percepita da quest’ultimo è diversa da quella emessa. Doppler si accorse, infatti, che la musica proveniente dal vagone mentre si avvicinava a lui aveva suoni più acuti rispetto alla stessa musica ascoltata mentre il vagone si allontanava. In altre parole, le onde sonore venivano percepite con una frequenza più alta (lunghezza d’onda minore) in fase di avvicinamento della sorgente e più bassa (lunghezza d’onda maggiore) in fase di allontanamento (vedi formula (7.3)). Oggi è più facile fare esperienza dell’effetto Doppler, per esempio durante l’ascolto della sirena di un’ambulanza che prima si avvicina e poi man mano si allontana da noi, modificando vistosamente l’altezza del suono. Analizziamo separatamente i due casi: il primo in cui la sorgente sia in movimento rispetto al rivelatore e al mezzo in cui il suono si trasmette, il secondo in cui il rivelatore sia in movimento rispetto alla sorgente e al mezzo.

Sorgente in movimento Immaginiamo una sorgente di onde sonore di frequenza ν0, che si avvicina a un rivelatore R lungo una retta con velocità di modulo v (figura 28). Osserviamo che, se la sorgente emette onde con una frequenza ben definita, il numero di fronti d’onda tra sorgente e rivelatore non cambia, e tuttavia la distanza tra essi diminuisce. Il rivelatore, infatti, continua a ricevere tutte le perturbazioni, una dopo l’altra, ma la diminuzione della distanza che lo separa dalla sorgente comporta una riduzione della distanza tra una perturbazione e l’altra. Figura 28. Quando la sorgente di onde si avvicina al rivelatore i fronti d’onda lo raggiungono con una frequenza maggiore (e una lunghezza d’onda minore) di quella di emissione. Quando la sorgente si allontana i fronti d’onda raggiungono il rivelatore con una frequenza più bassa (e una lunghezza d’onda maggiore).

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IL SUONO

Di fatto i fronti d’onda si avvicinano tra loro, cioè la lunghezza d’onda diminuisce e la frequenza aumenta. Analogamente, se la sorgente si allontana la lunghezza d’onda aumenta e la frequenza diminuisce. Se chiamiamo vs la velocità dell’onda sonora, v la velocità della sorgente rispetto al rivelatore e al mezzo di propagazione, e νe la frequenza dell’onda emessa dalla sorgente, allora la frequenza νr percepita dal rivelatore è: ν r = νe

vs vs ± v

(8.7)

Se la sorgente si avvicina al rivelatore vale v, mentre se si allontana vale v.

ESEMPIO f La sirena di un’ambulanza emette alternativamente due suoni di frequenze rispettivamente pari a 392 Hz (nota Sol) e 660 Hz (nota Mi). Quali frequenze percepiamo se l’ambulanza si avvicina a noi a 100 km/h? SOLUZIONE I dati sono: νSol  392 Hz νMi 660 Hz 100 v  100 km/h  m/s  27, 8 m/s 36 vs  343 m/s Dato che l’ambulanza si sta avvicinando al rivelatore (il nostro orecchio), utilizziamo la formula (8.7) con il segno : νr Sol 

νSol v 0 392 Hz  343 m/s   427 Hz 343 m/s – 27, 8 m/s v 0 − vs

νr Mi 

ν Mi v 0 660 Hz  343 m/s   718 Hz 343 m/s – 27, 8 m/s v 0 − vs

I suoni che percepiamo sono effettivamente più acuti di quelli emessi dalla sirena. DOMANDA Quali frequenze percepiamo durante l’allontanamento dell’ambulanza alla stessa velocità?

Rivelatore in movimento Se è il rivelatore a muoversi con velocità v rispetto alla sorgente e al mezzo di propagazione, la frequenza rivelata, νr, è diversa da quella emessa, νe, secondo la formula: ν r = νe

vs ± v vs

234 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

(8.8)

IL SUONO

8

Se il rivelatore si avvicina alla sorgente al vale v, mentre se si allontana vale v. In questo caso il rivelatore si avvicina alla sorgente intersecando i fronti d’onda che lo raggiungono, pertanto con una frequenza maggiore (figura 29). Figura 29. Quando un rivelatore si muove attraverso i fronti d’onda emessi da una sorgente, essi lo raggiungono con una frequenza maggiore o minore a seconda che si avvicini alla sorgente o che si allontani da essa.

ESEMPIO f Un diapason emette un La a 440 Hz. Quanto vale la frequenza dell’onda se un ascoltatore corre verso il diapason alla velocità di 6,0 m/s? SOLUZIONE Dalla (8.8), per la quale vale il segno , si ricava: νr  νe

vs  v 343 m/s  6, 0 m/s  440 Hz  448 Hz vs 343 m/s

DOMANDA A quale velocità dovrebbe correre l’ascoltatore per far sì che la nota percepita sia un Si a 494 Hz?

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IL SUONO

MATEMATICA Le successioni In matematica una sequenza ordinata di numeri è detta successione: sono successioni le sequenze dei numeri dispari (1, 3, 5, 7, ...) o dei multipli di 3 (3, 6, 9, 12, 15, ...) e così via. Spesso nei test psicoattitudinali è richiesto di inserire dei termini mancanti in una successione fornita parzialmente, e per farlo è necessario scoprire quale regola è stata usata per costruire la successione stessa.

La successione aritmetica

an

Se vogliamo aggiungere un termine alla successione dei numeri dispari 1, 3, 5, 7, dobbiamo semplicemente aggiungere 2 unità all’ultimo termine, in quanto la regola con cui essa è costruita prevede che la differenza tra un termine e il successivo sia costante e pari a 2. In termini matematici una sequenza di numeri tali che la differenza tra ciascun termine e il successivo è costante è detta successione aritmetica (o progressione aritmetica). Se indichiamo il generico termine con an, la successione dei numeri dispari è definita dalla regola:

7 5 3 1

⎧⎪ a  1 ⎨ 0 ⎪⎩ an  an−1 2

0

Essa ci dice che il primo termine della successione è 1 e gli altri lo seguono a distanza di 2 unità l’uno dall’altro. La differenza an  an–1 è detta anche ragione d della successione, e quindi la generica successione aritmetica è definita dalla formula generale

1

3 n

2

Andamento della successione dei numeri dispari al crescere di n.

an  a0  nd

La successione geometrica È detta successione (o progressione) geometrica una sequenza di numeri in cui è costante il rapporto fra ciascun termine e il precedente. A partire dal primo termine, a0, la successione è definita una volta noto il rapporto q an /an–1, detto ragione. La formula generale che definisce una successione geometrica qualsiasi è:

an

16

an  qn a0 Una successione geometrica di ragione 2 è la sequenza delle potenze di 2 con a0  1: an  2n

8

1, 2, 4, 8, 16, ...

Le note della scala temperata Le note della scala musicale corrispondono a una successione di frequenze. Osserviamo che la distanza tra l’una e l’altra non è costante, come nelle comuni scale in cui i gradini hanno tutti la stessa altezza rispetto al precedente, ma abbiamo a che fare con una successione geometrica, in quanto è costante il rapporto tra frequenze successive. Vediamo infatti che:

4 2 1 0

1

2

3

4 n

Andamento della successione geometrica di ragione q = 2 al crescere di n.

νDo# 277,2 Hz   1,060 νDo 261,6 Hz νRe 293,7 Hz  1,060  νDo# 277,2 2 Hz

Il numero 1,060 è la ragione q della successione ed è equivalente al valore arrotondato al millesimo di 12 2 . Perciò ciascuna frequenza della successione si ottiene dalla formula n

ν n  1,060 n ν0 (12 2 )2 ν0 2 12 ν0 DOMANDA Costruisci il grafico della successione delle 12 note dell’ottava centrale del pianoforte e confrontalo con il grafico della successione geometrica di ragione 2. Che cosa accade quando la ragione di una successione geometrica si avvicina al valore 1?

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IL SUONO

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BIOLOGIA Gli ultrasuoni nel mondo animale

Jack Cronkhite / Shutterstock

Di norma si parla di suoni facendo riferimento a onde elastiche percepibili dagli esseri umani, comprese in un intervallo di frequenze tra 20 Hz e 20 000 Hz, ma nel mondo animale le orecchie sono sensibili anche oltre tale intervallo. L’intervallo di udibilità di un’onda elastica è caratteristico di ogni singola specie, e ci sono esempi di variabilità anche all’interno della stessa specie.

Ultrasuoni per «vedere» I cani possono udire frequenze comprese tra 40 e 46 000 Hz.

© Rick & Nora Bowers / Alamy

Alcuni animali, come i cetacei e i pipistrelli, sono in grado di emettere onde elastiche con frequenze altissime, definite ultrasuoni, che utilizzano come strumento di indagine spaziale. Il meccanismo con il quale gli animali ricostruiscono l’immagine dello spazio circostante è chiamato ecolocalizzazione. Consiste nell’emissione di segnali acustici nella regione degli ultrasuoni, i quali rimbalzano sui vari ostacoli posti nello spazio, fornendo all’animale informazioni sull’ambiente in cui si muove oppure sulla direzione lungo cui si muove la sua preda. Il pipistrello, per esempio, valuta la distanza della possibile preda o del probabile ostacolo a partire dal tempo intercorso fra l’emissione del segnale e il ritorno dell’eco. Il complesso meccanismo di orientamento spaziale del pipistrello, inoltre, gli permette di determinare la direzione di movimento delle prede calcolando la piccolissima differenza di tempo con cui le onde sonore di ritorno colpiscono le due orecchie. Infine, così come noi ricostruiamo mentalmente la terza dimensione sovrapponendo le immagini che ci provengono da entrambi gli occhi, i pipistrelli ricostruiscono mentalmente una struttura tridimensionale dell’oggetto colpito a partire dagli ultrasuoni ricevuti da entrambe le orecchie. L’animale crea così una mappa «virtuale» dell’ambiente che sta attraversando.

Il sistema di elaborazione dell’eco degli ultrasuoni permette al pipistrello di costruire un’«immagine acustica» di oggetti dello spessore di un capello.

Ultrasuoni per allontanare

amanderson

L’uomo sfrutta talvolta la capacità di alcuni animali di udire ultrasuoni per allontanare quelli che possono essere indesiderati come topi, ratti e insetti. Introducendo nell’ambiente ultrasuoni di frequenza molesta per gli animali, ma assolutamente impercettibile per l’uomo, questi vengono indotti a lasciare un determinato luogo. In particolare, per risolvere il problema delle infestazioni da topi o da ratti sono stati prodotti derattizzatori a ultrasuoni che, quando captati dai roditori, generano in essi uno stato di forte stress costringendoli ad abbandonare quel luogo diventato loro sfavorevole, riducendo la loro natalità e rendendoli estremamente vulnerabili. Non sempre i ratti sono considerati molesti: in India vi è un tempio interamente dedicato a loro, dove vengono nutriti e protetti.

DOMANDA Gli ultrasuoni possono avere un timbro? Motiva la risposta in 5 righe.

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IL SUONO

CON GLI OCCHI DI UN FISICO Scrivere i suoni La scrittura musicale

Come cantavamo?

Le prime testimonianze di scrittura musicale ci arrivano dalla cultura greca: sono giunti a noi frammenti di brani musicali cantati in cui nella riga sopra il testo compare la notazione musicale in forma di lettere dell’alfabeto. Dalla Grecia a Roma, la notazione musicale alfabetica ha raggiunto il Medioevo in forme più o meno complicate, con numerosi segni grafici e accenti (neumi), fino a quando il monaco e insegnante di musica Guido d’Arezzo non modificò tale impostazione adottando il tetragramma, progenitore del moderno pentagramma. Il tetragramma è formato da 4 righe parallele (il pentagramma ne ha invece 5) e consente di raffigurare quantitativamente l’altezza dei suoni. Ciascuna riga o ciascuno spazio tra le righe corrisponde a un’altezza del suono, cioè a una specifica nota, segnata con un quadratino nero. Per facilitare la memorizzazione di questo nuovo metodo, Guido d’Arezzo aveva assegnato a ciascuna nota della scala musicale una sillaba o una sigla riconoscibile nell’Inno di S. Giovanni Battista di Paolo Diacono, in modo da formare la sequenza Ut, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si, che usiamo ancora oggi con la sola sostituzione del Do all’Ut:

Una scrittura musicale quantitativa fa sì che oggi si possa eseguire nuovamente un brano composto secoli fa. Potremmo però chiederci: come venivano cantate, come venivano suonate quelle stesse note? Questa curiosità non può essere soddisfatta, perché abbiamo imparato a registrare i suoni solo nel XIX secolo. A lungo si è ritenuto che le prime registrazioni risalissero al 1878, quando l’inventore statunitense Thomas Edison brevettò il fonografo, un apparecchio in grado di registrare e riprodurre suoni. Invece nel 2008 è stata fatta un’interessante scoperta, che ha spostato il primato indietro di vent’anni: alcuni fonoautogrammi, che si pensava fossero solo una forma di scrittura del suono su carta, erano invece vere e proprie registrazioni riproducibili. Il loro artefice, l’editore francese Édouard-Léon Scott de Martinville, aveva ottenuto tali incisioni utilizzando il fonoautografo, un apparecchio che imitava la fisiologia dell’orecchio umano: un corno raccoglieva i suoni e trasmetteva le vibrazioni a una membrana collegata a una setola, la quale incideva una superficie coperta di nerofumo avvolta su un cilindro rotante.

Ut queant laxis / Re sonare fibris / Mira gestorum / Famuli tuorum / Solve polluti / Labii reatum /Sancte Iohannes

La notazione musicale neumatica (a sinistra) non aveva una struttura quantitativa e lasciava moltissima libertà di interpretazione. L’utilizzo del tetragramma (a destra) ha tolto ogni ambiguità alla scrittura musicale, assegnando a ciascuna nota una collocazione precisa tra righe e spazi.

PAROLA CHIAVE

Informazione

DOMANDA Un disco fonografico è un supporto per la registrazione di suoni, sul quale vengono trasferite le variazioni di pressione indotte dall’onda sonora per mezzo di una puntina che incide una traccia. Quale caratteristica della traccia contiene informazioni sul suono che l’ha prodotta?

Il fonoautografo di Scott de Martinville (1857) era stato ideato per studi di acustica, e invece la moderna tecnologia ha dimostrato che si tratta di un vero e proprio registratore di suoni.

PAROLA CHIAVE

Rumore

DOMANDA Anche se l’incisione di un disco fonografico avviene in un ambiente silenzioso, durante la riproduzione si può udire il tipico fruscio di fondo, cioè rumore. Perché? Spiegalo in 5 righe.

238 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL SUONO

8

DOMANDA Quale legge descrive la proprietà termometrica che ha permesso ai fratelli Mon-

Il cilindro fonografico

Dal 78 giri al cd

tgolfier di sbalordire il mondo con il loro pallone aerostatico? [parola-chiave associata: proprietà Il fonografo di Edison era un dispositivo in grado sia di Nel 1897 il tedesco Emile Berliner trasformò il cilindro in un registrare sia di riprodurre musica semplicemente inverdisco fonografico, che aveva il notevole vantaggio di una tendo i processi. In fase di registrazione una membrana, maggiore durata delle registrazioni e un minor ingombro. messa in vibrazione da un suono, trasmetteva il moto a Inoltre era molto più semplice incidere un disco e generaruna puntina di acciaio, che a sua volta poggiava su una ne delle copie con una matrice, riducendo i costi di produlamina di stagno, tesa su un cilindro rotante (cilindro fozione e rendendo accessibile l’acquisto a un pubblico più nografico). Sul cilindro era scavato un solco a spirale e, vasto. Il principio era sempre lo stesso: incidere una tractermometriche] durante la sua rotazione, la puntina, seguendo il solco, cia in un solco mediante una punta messa in vibrazione incideva sulla lamina una traccia, più o meno profonda da una membrana e riprodurre la stessa vibrazione in fase a seconda dell’intensità del suono. In fase di riproduziodi «lettura» della traccia con una puntina che ripercorra il ne avveniva l’opposto: la puntina, scorrendo sulla traccia, solco. Il nuovo apparato per registrare e riprodurre suoni trasmetteva il moto a una membrana, la quale vibrando si chiamava grammofono e i dischi in gommalacca furono produceva di nuovo l’onda sonora registrata. denominati 78 giri, in quanto la velocità di rotazione del Nel 1877 il fonografo era una novità assoluta. La qualità piatto era pari a 78 giri al minuto. Inizialmente il suono era DOMANDA Il volume occupato da molto un gasbuona in unaetrasformazione a pressione costante èda direttadelle registrazioni tuttavia non era l’invenamplificato per risonanza una grossa tromba. zione aveva bisogno di essere migliorata. Intanto, però, Anche quando fu introdotta l’alimentazione elettrica e miEdison poteva mostrare la sua invenzione al mondo e ricagliorò l’amplificazione, il principio di funzionamento restò vare così i fondi necessari al suo sviluppo. Fondò la Edison lo stesso. Cambiarono i materiali e l’estetica, ma anche i Speaking Phonograph Company e iniziò a costruire i primi dischi in vinile a microsolco usati dagli anni Cinquanta funmodelli per fiere e luna park come attrazione funzionante zionavano nello stesso modo: una puntina che scorreva a moneta, ma il suo obiettivo era quello di arrivare a prolungo una traccia, riproducendo le vibrazioni del suono durre fonografi di qualità registrazioneSpiega e la riproduoriginale. mente proporzionale alla per sua la temperatura. in 5 righe perché questa affermazione non è zione della voce umana, da usare negli uffici o nelle case I nastri magnetici introdussero una soluzione supplemencome ausilio per il lavoro, o per la conservazione di ricordi, tare alla registrazione e riproduzione dei suoni, molto o anche come primitiva segreteria telefonica. maneggevole ed economica, ma non sostituirono affatto I fonografi e i cilindri fonografici erano molto costosi e i dischi in vinile. Solo i compact disc musicali, introdotti ben pochi potevano permetterseli, per cui Edison non negli anni Ottanta, hanno significativamente modificariuscì a realizzare il suo progetto, soppiantato dalla conto le strategie di memorizzazione dei suoni: non più un correnza dei dischi del grammofono. solco con delle asperità che dipendono dall’intensità del corretta. [parola-chiave associata: temperatura] suono, ma zone più o meno riflettenti sulle quali incide un fascio laser. La lettura dei cd audio è dunque affidata a un sistema ottico che invia un segnale a un sistema elettronico di elaborazione e amplificazione. La Società Anonima Italiana di Fonotopia (1901) diventò nel 1931 la casa discografica «La voce del padrone». La famosa etichetta, dipinta da Francis Barraud, ritrae il cane Locandina in cui Nippel mentre ascolta lo Zio Sam d’America la voce del suo defunto 250 m rispetto al suolo: essa non si muove né in ilverticale pubblicizza modello né in orizzontale. È verificato l’equilibrio padrone, riprodotta di fonografo Triumph. con un grammofono.

© Pictorial Press Ltd / Alamy

DOMANDA Il pallone aerostatico dei fratelli Montgolfier è in equilibrio meccanico alla quota di

PAROLA CHIAVE

Risonanza

DOMANDA La tromba di un grammofono amplifica il suono prodotto dalla membrana vibrante per risonanza. Spiega in 5 righe tale fenomeno. termico con l’ambiente? Motiva la risposta. [parola-chiave associata: equilibrio termico]

239 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

MAPPA DEI CONCETTI È GENERATA DA UN CORPO VIBRANTE

UN’ONDA SONORA

è un’onda elastica longitudinale in cui si propaga una VARIAZIONE DI DENSITÀ

vs = 343 m/s velocità del suono in aria secca alla temperatura di 20 °C e alla pressione di 1 atm frequenza udibile tra 20 e 20 000 Hz

CARATTERISTICHE DELL’ONDA SONORA

CARATTERISTICHE DEL SUONO intensità sonora (volume)

ampiezza dell’onda I=

A

E AΔt

frequenza dell’onda

t

suoni con diverso volume

A

 1  2 T1

ciascuna nota musicale corrisponde a una determinata frequenza

A2

0

è la quantità di energia che attraversa l’unità di superficie nell’unità di tempo, perpendicolarmente alla direzione di propagazione altezza

A1  A2 A1

1  1  T1

T2

1 2  T2

0

t suoni con diverse altezze

timbro

forma dell’onda A

se l’onda è una sinusoide il suono è privo di timbro (suono puro)

forma 1

forma 1  forma 2 forma 2

0

t

suoni con diversi timbri

240 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

8

IL SUONO

IL RUMORE È UN SEGNALE CHE DISTURBA LA TRASMISSIONE DI UN’INFORMAZIONE RUMORE sovrapposizione casuale di suoni

MUSICA successione di suoni regolari e gradevoli

FENOMENI ACUSTICI A

RISONANZA

un sistema oscillante è in condizioni di risonanza quando è sollecitato da una sorgente di frequenza ν pari a una o più frequenze proprie νi del sistema

0

1



L’AMPIEZZA DELLE OSCILLAZIONI È AMPLIFICATA A

BATTIMENTI

EFFETTO DOPPLER

sono dovuti alla sovrapposizione di due onde di uguale ampiezza e frequenza leggermente diversa

quando una sorgente di onde è in movimento con velocità v rispetto a un rivelatore, la frequenza percepita νr da quest’ultimo è diversa dalla frequenza νe emessa

0

t

L’AMPIEZZA DELL’ONDA RISULTANTE VARIA PERIODICAMENTE NEL TEMPO νr = νe

vs vs ± v

sorgente in movimento νr = νe

vs ± v vs

rivelatore in movimento

241 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

20 test (30 minuti)

8 ESERCIZI 1

TEST INTERATTIVI se la ricezione dell’ultrasuono riflesso avviene dopo 500 ms dall’emissione?

LE ONDE SONORE

(Suggerimento: assumi che la velocità del pipistrello sia trascurabile rispetto a quella degli ultrasuoni.)

DOMANDE 1

Due asteroidi che si scontrano nello spazio fanno rumore? Motiva la risposta in 5 righe.

2 Perché quando ascoltiamo un suono sott’acqua ci

sembra provenire da un punto più vicino al nostro orecchio rispetto a quando lo ascoltiamo nell’aria? 3 Un amico ci chiama da un’altra stanza. Perché pos-

siamo sentire la sua voce anche se la porta è chiusa? 4 A che cosa è dovuto il rimbombo che sentiamo

[86 m]

2

I SUONI

DOMANDE 9 Scegli gli esponenti n e m affinché kgn/sm sia equiva-

lente all’unità di misura dell’intensità sonora. 10 Quale di queste due onde corrisponde a un suono

più acuto?

quando parliamo in una grande chiesa?

y

CALCOLI 5 La prima misura della velocità del suono in acqua fu

effettuata nel 1827 nel lago di Ginevra: da una barca posta a 14 km da una sorgente di onde sonore veniva rilevato un segnale acustico subacqueo emesso esattamente nello stesso istante in cui, in aria, veniva emesso un segnale luminoso, che determinava l’istante di partenza. f Considerando nullo l’intervallo di tempo per la ricezione del segnale luminoso, dopo quanto tempo l’onda sonora ha raggiunto il rivelatore viaggiando a una velocità di 1480 m/s? [9,5 s]

0

t

y

0

t

11 Disegna su un diagramma ampiezza-tempo l’anda-

mento di due onde sonore corrispondenti a suoni che hanno lo stesso timbro e diversa frequenza. 12 Disegna su un diagramma ampiezza-tempo l’anda-

mento di due onde sonore corrispondenti a suoni che hanno la stessa intensità e altezza diversa.

6 Alcuni spettatori osservano uno spettacolo pirotec-

nico da una distanza di 300 m.

CALCOLI

f Qual è il ritardo con il quale sentono il rumore dell’esplosione rispetto all’emissione della luce?

13 Calcola la frequenza della nota corrispondente al ta-

(Suggerimento: si assumano per la velocità della luce e del suono rispettivamente i valori 3,00  108 m/s e 343 m/s)

sto evidenziato nel disegno.

[0,87 s]

La 440 hz

7 Un petardo esplode a 50 m da un muro.

f Qual è il ritardo tra i due suoni distinti che si percepiscono a 80 m dal muro lungo la perpendicolare ad esso passante per il petardo? [0,29 s]

[1047 Hz]

14 A quale frequenza corrisponde il La dell’ottava pre-

cedente all’ottava centrale del pianoforte? [220 Hz]

8 I pipistrelli riescono a individuare la posizione degli

ostacoli senza vederli, attraverso l’emissione di ultrasuoni che, riflessi, tornano indietro e raggiungono il pipistrello dopo un certo intervallo di tempo dall’emissione.

Do4

15 Durante un concerto rock il livello di intensità sonora

è 110 dB. f Da quanta energia è attraversato in un secondo il nostro timpano, la cui superficie è circa 80 mm2?

f A quale distanza dal pipistrello è posto l’ostacolo

242 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

[8,0  10–6 J]

IL SUONO

8

LA RISONANZA

4

DOMANDE 21 Un diapason di frequenza ν viene posto in vibrazio-

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ne nei pressi di un altro diapason di uguale frequenza propria, il quale, a sua volta, inizia a vibrare. Prova a spiegare questo fatto in 5 righe. 22 Il risuonatore di un’arpa, indicato in figura, ha una

funzione principalmente selettiva o amplificativa dei suoni prodotti dalla sorgente? Motiva la risposta in 5 righe. 16 Ti trovi allo stesso concerto rock dell’esercizio 15.

f Esegui lo stesso calcolo nel caso di un bisbiglio il cui il livello di intensità sonora è 20 dB. f Un livello di intensità sonora doppia corrisponde a un’intensità sonora doppia? [8,0  10–15 J]

3

RUMORE E INFORMAZIONE

cassa di risonanza

DOMANDE 17 Nel testo unico per la sicurezza sul lavoro (decreto

23 A un plotone militare viene ordinato di rompere il

legislativo 81/2008) sono stabiliti «i requisiti minimi per la protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza derivanti dall’esposizione al rumore durante il lavoro e in particolare per l’udito». Perché il rumore può essere pericoloso per la salute? Rispondi in 5 righe.

passo della marcia prima di transitare su un ponte. Perché?

18 Nelle telecomunicazioni si definisce rapporto segna-

le/rumore, abbreviato in SNR (Signal to Noise Ratio), il rapporto fra la potenza del segnale che contiene l’informazione e la potenza del rumore che ad esso si sovrappone. Un rapporto segnale/rumore pari a 1 garantisce una buona trasmissione dell’informazione? Motiva la risposta in 5 righe. 19 In riferimento alla definizione data nell’esercizio 18,

che cosa accade quando il rapporto segnale/rumore è minore di 1? E che cosa accade quando è maggiore di 1?

I BATTIMENTI

5

DOMANDE 24 I battimenti sono una diretta conseguenza del prin-

cipio di sovrapposizione: spiega in 5 righe questa affermazione. 25 In quale di queste due situazioni in cui si verificano

battimenti si ha una differenza minore tra le frequenze delle onde che si sovrappongono? A

0

t

20 Due amici parlano in una strada trafficata di una

grande città, ma nessuno dei due riesce a distinguere le parole pronunciate dall’altro Quale potrebbe essere il rapporto segnale/rumore, definito nell’esercizio 18?

A

0

t

243 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

8 ESERCIZI 26 «Quando tra due onde che si sovrappongono si veri-

fica il fenomeno dei battimenti, la frequenza che modula l’onda risultante è pari alla semisomma delle frequenze delle due onde di partenza». Correggi questa affermazione, se necessario.

un registratore di suoni alla velocità costante di 25 m/s, sapendo che la velocità di propagazione del suono è pari a 343 m/s? f Qual è la frequenza del suono registrato? [0,47 kHz]

35 Mentre ci avviciniamo a una sorgente sonora a una

CALCOLI 27 Due diapason di frequenze 330 Hz e 350 Hz vengo-

no posti simultaneamente in vibrazione.

velocità di 18,0 m/s riceviamo un suono di frequenza pari a 150 Hz. f Qual è la frequenza di emissione della sorgente? [142 Hz]

f Qual è la frequenza dell’onda risultante? f Qual è la frequenza dei battimenti, cioè dell’onda modulante? [340 Hz; 10 Hz]

28 Due sorgenti sonore sinusoidali emettono simulta-

neamente onde di uguale ampiezza e frequenze di 250 Hz e 260 Hz. f Qual è l’intervallo di tempo tra un battimento e il successivo? [0,20 s]

29 Qual è la frequenza dell’onda sonora emessa dall’in-

36 Un diapason emette un La a 440 Hz a bordo di un

treno che si sta muovendo verso la stazione. La frequenza del suono percepito da un ascoltatore fermo alla stazione è 470 Hz. f A quale velocità si sta muovendo il treno? [21,9 m/s]

37 In quale direzione e a quale velocità dobbiamo muo-

verci rispetto a una sorgente che emette un suono di una data frequenza, affinché tale frequenza sia percepita più bassa del 5%? [18 m/s]

sieme delle due sorgenti descritte nell’esercizio 28? [255 Hz]

30 Un diapason ha una frequenza propria ignota e,

quando viene posto in vibrazione contemporaneamente a un diapason da 440 Hz, produce 8 battimenti in un secondo. f Quali potrebbero essere le frequenze del diapason? [440 Hz, 456 Hz]

ESERCIZI DI RIEPILOGO DOMANDE 38 È possibile che due persone che cantano contempo-

raneamente annullino a vicenda le onde sonore emesse, producendo silenzio? Rispondi in 10 righe. 39 Due diapason identici vibrano uno in aria e l’altro in

6

L’EFFETTO DOPPLER

acqua. Le onde sonore emesse hanno la stessa lunghezza d’onda? Motiva la risposta in 5 righe. 40 Due delfini A e B emettono in acqua rispettivamente

DOMANDE 31 «Un tenore canta su un treno che si sposta verso di

ultrasuoni e infrasuoni. Quale dei due segnali riesce a raggiungere il rivelatore posto dietro uno scoglio? Perché?

noi a velocità elevata: la sua voce ci raggiunge dunque con un volume maggiore». Correggi questa frase, se necessario.

41 Se il televisore è acceso ad alto volume è possibile

32 Un rivelatore riceve un suono di lunghezza d’onda

percepire i comuni suoni dell’ambiente domestico? Motiva la risposta in 5 righe, consultando la tabella 2.

maggiore o minore di quello emesso dalla sorgente, se quest’ultima si sta allontanando? 33 Se ascoltiamo un diapason correndo verso di esso,

percepiamo un suono più grave o più acuto rispetto alle vibrazioni del diapason?

42 Un pianoforte emette un La a 440 Hz con il quale un

violinista accorda il suo violino, producendo a sua volta un La a 440 Hz. In che cosa differiscono i due suoni? 43 Esistono suoni privi di timbro? Rispondi in 5 righe ed

eventualmente fai un esempio.

CALCOLI 34 Un altoparlante, che emette un suono alla frequenza

44 Due trombettisti, le cui trombe non sono perfetta-

di 0,50 kHz, è posto su un carrello che si allontana da

mente accordate, suonano la stessa nota. Quale

244 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

IL SUONO fenomeno acustico percepisce un ascoltatore? Perché?

8

f Quale dovrebbe essere la lunghezza del trave affinché i suoni possano essere distinti? [4,1  10–2 s; 37 m]

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50 Una sirena di Seebeck è costituita da un disco forato

sul bordo a intervalli regolari, investito da un getto d’aria. La compressione e la rarefazione periodica dell’aria durante lo scorrimento dei fori sotto il getto genera un suono di uguale frequenza.

45 I bersaglieri si avvicinano correndo e suonando la fan-

fara: quale differenza percepiamo rispetto alla stessa fanfara ascoltata da un disco? Spiegalo in 5 righe. 46 Una sirena emette un sibilo acuto che crea una sen-

sazione molto fastidiosa, ma noi conosciamo l’effetto Doppler e sappiamo che possiamo ridurre la frequenza del suono muovendoci rispetto alla sirena: in quale direzione dobbiamo muoverci? PROBLEMI 47 Pizzicando la prima corda di una chitarra, lunga

650 mm, si stimola la sua frequenza fondamentale e viene prodotta la nota Mi a 329 Hz. Premendo la corda contro la tastiera la sua lunghezza varia e vengono prodotte altre note, che corrispondono alle frequenze fondamentali della corda accorciata. f Di quanto va ridotta la lunghezza della corda per produrre la nota successiva al Mi? (Suggerimento: ricava la frequenza della nota dalla tabella 3 e tieni presente che le frequenze di tutti i modi normali sulla corda sono multipli della frequenza fondamentale ν1 = v/(2), dove v rappresenta la velocità delle onde sulla corda e  la lunghezza della corda stessa.)

f Se il disco ruota alla velocità angolare di 19 rad/s e il numero di fori sul bordo, equidistanti l’uno dall’altro, è 87, qual è la frequenza dell’onda emessa dalla sirena? f A quale nota corrisponde? (Suggerimenti: il numero di fori che passano in un secondo davanti al getto d’aria è dato dal numero di fori per il numero di giri del disco nell’unità di tempo; confronta la frequenza con quelle in tabella 3.) [263 Hz]

51 Per ottenere un registro battente un costruttore di

fisarmoniche accoppia due voci di frequenza leggermente diversa. f Se una di esse corrisponde alla nota Do dell’ottava centrale del pianoforte, quanti battimenti in un secondo si ottengono se l’altra frequenza è più alta dello 0,8%? f Diminuendo la differenza tra le due frequenze il numero di battimenti al secondo aumenta o diminuisce?

[40 mm]

[1,0]

48 Qual è la distanza minima per percepire distinta-

52 Due chitarre non sono perfettamente accordate tra

mente l’eco in acqua, sapendo che la velocità di propagazione del suono è, in questo caso, 1480 m/s?

loro, infatti, pizzicando la prima corda, una di esse emette un Mi a 329 Hz, l’altra emette un suono di frequenza minore, tale che si contano 1,8 battimenti ogni secondo.

[74 m]

49 Se diamo una martellata a un’estremità di un trave di

acciaio lungo 15 m, il suono prodotto raggiunge l’altro capo in tempi differenti, dovuti alla differente velocità di propagazione nell’aria e nell’acciaio. f Ricava tali valori dalla tabella 1 e calcola il ritardo tra i due segnali. f Perché non riusciamo a percepire due suoni distinti?

f Qual è la frequenza emessa dalla seconda chitarra? f Quali sono le velocità di propagazione delle onde lungo le corde, lunghe entrambe 650 mm? f Qual è la frequenza del suono complessivo, dato dalla sovrapposizione delle due onde? [325 Hz; 4,3  102 m/s; 4,2  102 m/s; 327 Hz]

245 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

8 ESERCIZI 53 Una sorgente emette infrasuoni di frequenza ignota.

Se posta su un treno che viaggia verso di noi a velocità crescente, iniziamo a percepire un suono quando la sua velocità è 156 km/h. f Qual è la frequenza di emissione della sorgente? f Quale frequenza riceviamo quando il treno si avvicina a una velocità doppia? [17 Hz; 23 Hz]

VERSO L’UNIVERSITÀ 1

Il suono è legato alla emissione, propagazione, ricezione e percezione di onde. Quale delle seguenti affermazioni è corretta? A

Si tratta di onde elettromagnetiche.

B

Se la frequenza è di 3000 Hz, l’orecchio umano percepisce l’onda come suono.

C

Se la frequenza è di 100 000 Hz, l’orecchio umano percepisce l’onda come suono.

D

Se la frequenza è di 1 Hz, l’orecchio umano percepisce l’onda come suono.

E

Il suono si propaga in qualunque mezzo, compreso il vuoto assoluto.

54 Mentre un’automobile si avvicina a noi, la frequenza

del suono del clacson è più alta del 10% rispetto alla frequenza dello stesso clacson mentre l’automobile si allontana alla stessa velocità. f Qual è la velocità dell’automobile in km/h? f Se la nota emessa dal clacson è un Fa a 350 Hz, quale nota percepiamo quando l’automobile si allontana a 75 km/h? [59 km/h; Mi]

(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Odontoiatria a Protesi Dentaria 1999/2000)

246 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

CAPITOLO

La luce



Wo viel Licth ist, ist auch viel Schatten «Dove c’è molta luce, l’ombra è più nera»



Wolfgang Goethe, Gotz von Berlichingen, 1773

La luce bianca entra dalla finestra illuminando i colori e generando ombre che ne esaltano la brillantezza. Luce, ombre e colori sono protagonisti in questo dipinto di Vermeer e anche argomento di questo capitolo. La luce è qui inserita nella più ampia classe delle onde elettromagnetiche, tra le quali occupa una posizione particolare perché ci consente di vedere i corpi che ci circondano. I nostri occhi sono infatti sensibili a un particolare intervallo di lunghezze d’onda (o di frequenze), che corrispondono alle onde che il Sole emette con maggiore intensità. Tale intervallo è detto spettro visibile e comprende una gamma di colori che vanno dal rosso, con lunghezze d’onda maggiori e basse frequenze, al violetto, con lunghezze d’onda minori e frequenze elevate. I corpi che non emettono luce sono visibili solo se illuminati, cioè se investiti da raggi di luce che

poi vengono riflessi tutto intorno, raggiungono i nostri occhi e sono percepiti in vari colori in base alla lunghezza d’onda. Tutto il resto è in ombra. Luce e ombra, oltre a esibirsi nelle opere dell’arte umana, si alternano con regolarità nelle figure di interferenza e di diffrazione. Esse si formano quando due o più onde visibili si incontrano in una regione dello spazio in particolari condizioni per le quali il principio di sovrapposizione può comportare il rafforzamento o l’annullamento reciproco. In questo capitolo vedrai, dunque, che la luce si comporta in più di un’occasione come un’onda, presentando cioè fenomeni compatibili con una perturbazione che si propaga. Al pari delle onde del mare o dei suoni, la luce esibisce fenomeni di sovrapposizione, come ha dimostrato il fisico inglese Thomas Young nel 1801, con un famoso e importantissimo esperimento che analizzerai in queste pagine.

Jan Vermeer, Lattaia, 1659.

PAROLE CHIAVE Spettro visibile Interferenza Diffrazione

247 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

9

LA LUCE

1

LE ONDE ELETTROMAGNETICHE

Quando guardiamo la televisione, telefoniamo con un cellulare, ascoltiamo la radio o ci colleghiamo a una rete senza fili utilizziamo le onde elettromagnetiche per inviare e ricevere informazioni. Gran parte delle informazioni che ci interessano viaggiano mediante onde elettromagnetiche: anche quando ci guardiamo intorno riceviamo dall’ambiente informazioni sulla presenza e la collocazione degli oggetti attraverso particolari onde elettromagnetiche. Così come il suono è un’onda meccanica elastica che può essere rilevata dal nostro sistema uditivo, la luce è un’onda elettromagnetica che può essere rilevata dal nostro sistema visivo. Come per il suono, anche per la luce la condizione affinché ciò si verifichi è soddisfatta per frequenze comprese in un certo intervallo. In altre parole, ciò che chiamiamo luce è un segmento del cosiddetto spettro elettromagnetico, dato dall’insieme di tutte le possibili frequenze o lunghezze d’onda delle onde elettromagnetiche (figura 1). Figura 1. Lo spettro elettromagnetico è dato da tutte le possibili frequenze o lunghezze d’onda di un’onda elettromagnetica. La luce visibile è una piccola parte di esso e l’intervallo di frequenze corrispondente è detto spettro visibile.

4  1014 7,5  1014 105

107 108 109 onde radio

103 10 1 lunghezza donda (m)

1011

microonde 101

1014 1015 infrarosso

103

1017

1019

ultra raggi x violetto 106 107 luce visibile

109

frequenza (Hz) 1022 raggi 

1011

1014

La luce visibile corrisponde a un’onda elettromagnetica di lunghezza d’onda compresa tra 380 nm e 760 nm. Questa finestra corrisponde all’intervallo di lunghezze d’onda per le quali l’intensità della luce emessa dal Sole è massima: i nostri occhi sono dunque «tarati» sul massimo dell’emissione solare. Abbiamo già incontrato le onde elettromagnetiche nel capitolo 2 (paragrafo 6), dove le abbiamo chiamate anche radiazioni elettromagnetiche, mettendo l’accento sulla loro capacità di trasportare energia; e nel capitolo 7 (paragrafo 2), dove abbiamo inquadrato la loro natura nel più vasto panorama dei fenomeni ondulatori. Riassumiamo pertanto dicendo che le onde elettromagnetiche sono perturbazioni del campo elettrico e del campo magnetico, che si propagano nella materia e nel vuoto trasportando energia e informazione.

Propagazione delle onde elettromagnetiche Le onde elettromagnetiche generate da una sorgente puntiforme si propagano nel vuoto su fronti sferici in linea retta. Sono onde trasversali, in quanto le intensità del campo elettrico e magnetico oscillano perpendicolarmente alla direzione di propagazione (figura 2).

248 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

LA LUCE

sorgente puntiforme

9

campo elettrico  O

Figura 2. Le onde elettromagnetiche sono onde sferiche trasversali. Esse si propagano in linea retta.

campo magnetico t

Le onde elettromagnetiche si propagano nel vuoto a velocità c costante, pari a c  299 792,458 km/s valore in genere approssimato a tre cifre significative, valido anche per la propagazione in aria: c  3,00  105 km/s  3,00  108 m/s

ESEMPIO f Dopo quanto tempo il segnale elettromagnetico emesso dalla base di un telefono domestico cordless raggiunge il ricevitore posto a 8,0 m di distanza? SOLUZIONE Ricordando la formula che esprime la distanza Δx percorsa nel moto rettilineo uniforme, con velocità di modulo c in funzione dell’intervallo di tempo Δt, Δx  cΔt abbiamo Δt 

8, 0 m Δx   2, 7  10 −8 s 3, 00  10 8 m/s c

DOMANDA Quanto impiega il trillo sonoro a raggiungere il luogo in cui è posto il ricevitore, se la sua velocità di propagazione è 343 m/s? Utilizzando la formula (7.3), vediamo che la frequenza e la lunghezza d’onda delle onde elettromagnetiche, che si propagano a velocità costante c, sono legate dalla relazione: c  λν

(9.1)

I colori Poniamo ora l’attenzione sulla porzione di spettro elettromagnetico relativo alla luce visibile, cioè sul cosiddetto spettro visibile. Così come le diverse frequenze delle onde sonore danno luogo a suoni di diversa altezza e

249 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

9

LA LUCE

quindi alle note musicali, le diverse frequenze (o lunghezze d’onda) delle onde elettromagnetiche danno luogo a diversi colori, dal rosso al violetto (tabella 1). Tabella 1. I colori che vediamo dipendono dalla frequenza (e quindi dalla lunghezza d’onda) della luce.

40%

7% 5%

19%

11%

18%

COLORE

ROSSO

ARANCIONE

GIALLO

VERDE

BLU

VIOLETTO

frequenza 1014 Hz

3,8-4,8

4,8-5,1

5,1-5,3

5,3-6,1

6,1-6,7

6,7-7,9

lunghezza d’onda (nm)

620-780

590-620

570-590

495-570

450-495

380-450

Quando una sorgente di luce si muove rispetto a un osservatore, quest’ultimo percepisce una frequenza diversa da quella emessa; le onde luminose, analogamente a quelle sonore, sono soggette all’effetto Doppler. In particolare, una sorgente che si avvicina viene percepita con una frequenza maggiore (il colore è dunque spostato verso il violetto), mentre una sorgente che si allontana viene percepita con una frequenza minore (il colore è spostato verso il rosso).

Raggi di luce

Ciò è molto utile nella pratica, perché in effetti le dimensioni degli oggetti con i quali la luce generalmente interagisce sono molto maggiori della

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un raggio di luce è un’approssimazione che consente di rappresentare un’onda elettromagnetica mediante la sua direzione di propagazione.

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Figura 3. In moltissimi casi la luce si propaga approssimativamente in linea retta, su segmenti detti raggi.

In molte situazioni è possibile schematizzare la luce mediante segmenti detti raggi di luce, che rappresentano la sua direzione di propagazione. Ciò è possibile quando la lunghezza d’onda è molto minore delle dimensioni degli oggetti con cui interagisce. In questi casi è infatti possibile trascurare il fenomeno della diffrazione, che abbiamo visto nel capitolo 7 (paragrafo 5) e approssimare la propagazione come rettilinea (figura 3); cioè:

LA LUCE

9

lunghezza d’onda, che, ricordiamo, per la luce visibile arriva al massimo a 780 nm, cioè meno di 1 milionesimo di metro, corrispondente al colore rosso. In effetti molti fenomeni che osserviamo ogni giorno si possono studiare facendo questa approssimazione, come vedremo meglio nel capitolo 10, dedifronte d’onda cato all’ottica geometrica. Rappresentiamo i raggi di luce mediante S frecce che indicano la direzione in cui proraggio cede il fronte d’onda, come se fossero le traiettorie di corpuscoli emessi dalla sorgente. La direzione del raggio è perpendicolare alla superficie del fronte dell’onda (figura 4).

2

LA VISIONE DEGLI OGGETTI

superficie del fronte d’onda raggio

Figura 4. I raggi hanno origine nella sorgente e hanno la stessa direzione della propagazione dell’onda, perpendicolarmente alla superficie che definisce il fronte dell’onda.

Euclide, vissuto nel III secolo a.C., non fu soltanto un grande matematico. Egli fu il primo a occuparsi di ottica in termini scientifici, interrogandosi sui meccanismi che rendono possibile la visione degli oggetti. La sua spiegazione faceva largo uso della geometria e partiva dall’ipotesi dell’esistenza di raggi rettilinei che, partendo dagli occhi, colpivano gli oggetti rendendoli visibili. Leggiamo nell’Ottica di Euclide: E che siano viste quelle cose sulle quali incidono i raggi visuali, mentre non siano viste quelle sulle quali i raggi visuali non incidono. Oggi sappiamo che si tratta di un’ipotesi non corretta, e tuttavia possiamo ancora fare tesoro dell’approccio geometrico allo studio dell’ottica rovesciando i termini della questione. Affermiamo cioè che per vedere un oggetto è necessario che da esso partano, emessi o riflessi, raggi di luce e che questi vadano a intersecare i nostri occhi. In altri termini: noi vediamo gli oggetti quando la luce proveniente da essi colpisce i nostri occhi. Fondamentalmente ciò avviene in due diverse circostanze, cioè quando il corpo emette luce propria (corpo luminoso o sorgente di luce), oppure quando riflette la luce proveniente da un corpo luminoso (corpo illuminato). Il nostro sistema visivo elabora gli stimoli luminosi ricevuti dagli occhi formando un’immagine mentale dell’oggetto (figura 5).

Figura 5. Vediamo un corpo luminoso quando i raggi di luce che emette colpiscono i nostri occhi; vediamo un corpo illuminato quando i nostri occhi sono colpiti dai raggi riflessi, provenienti da un corpo luminoso.

251 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

9

LA LUCE

Corpi luminosi Per la legge di Stefan-Boltzmann (vedi capitolo 2, paragrafo 6), tutti i corpi emettono onde elettromagnetiche di lunghezza d’onda che dipende dalla loro temperatura: quando un corpo raggiunge una temperatura di circa 1000 K inizia a emettere luce visibile di colore rosso. Sono dunque sorgenti di luce tutti i corpi incandescenti, come la brace, le fiamme, le stelle. Sono sorgenti di luce anche alcune sostanze i cui atomi, opportunamente stimolati, emettono radiazione visibile, come il neon o altri gas usati nell’illuminazione artificiale.

Corpi illuminati L’aspetto dei corpi illuminati, cioè l’immagine che di essi ricostruiamo mentalmente, dipende dal modo con cui essi interagiscono con la luce incidente. Una lastra di vetro appare diversa da una lastra metallica o da una tavola di legno: in ciascuno di questi casi la luce interagisce con la materia in modo diverso restituendo ai nostri occhi diverse sensazioni. Senza entrare in dettagli troppo difficili da trattare, iniziamo a distinguere due grandi categorie di corpi in base alla loro capacità di essere o meno attraversati dalla luce. Diciamo che un corpo è: s opaco se assorbe tutta la luce e non lascia passare alcun raggio luminoso; s trasparente se lascia passare tutta la luce che lo attraversa. Questo vuol dire che, se interponiamo un corpo trasparente tra i nostri occhi e una sorgente di luce, continuiamo a ricevere l’immagine di quest’ultima, mentre un corpo opaco ce ne impedisce la visione (figura 6). Figura 6. I raggi provenienti da un corpo luminoso posto dietro un corpo trasparente riescono a raggiungere i nostri occhi; i raggi provenienti da un corpo luminoso posto dietro un corpo opaco non riescono a raggiungere i nostri occhi.

corpo trasparente

corpo opaco

Ci aspettiamo che un corpo totalmente trasparente sia invisibile, mentre nella realtà c’è sempre una frazione di luce incidente che torna indietro. I corpi non sono mai del tutto trasparenti, ma restituiscono sempre parte della luce, anche se minima: ciò ci permette, per esempio, di vedere il cielo colorato di azzurro.

La diffusione Un corpo può bloccare il passaggio della luce in vari modi. Uno specchio, per esempio, la fa «rimbalzare», riflettendola secondo angoli ben precisi, seguendo le leggi dell’ottica geometrica che vedremo nel capitolo 10. Un corpo opaco non riflettente, invece, assorbe parzialmente l’energia incidente, restituendone una parte in tutte le direzioni, sotto forma di onde elettromagnetiche di diversa lunghezza d’onda a seconda del materiale.

252 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

9

LA LUCE

Tale fenomeno, detto anche diffusione, è responsabile della visione dei colori degli oggetti: investiti da luce bianca, cioè da una sovrapposizione di onde elettromagnetiche di tutte le lunghezze d’onda, essi diffondono prevalentemente quelle di una o più lunghezze d’onda che ne determinano il colore. Per esempio, una mela rossa che riceve luce solare assorbe gran parte delle radiazioni, eccettuate quelle le cui lunghezze d’onda corrispondono al rosso, le quali vengono restituite tutto intorno. Noi percepiamo il colore rosso in quanto i nostri occhi ricevono dalla mela luce prevalentemente rossa (figura 7). Lo stesso avviene per gli altri colori; inoltre, i corpi che ci appaiono bianchi sono quelli che diffondono gran parte delle radiazioni, mentre quelli neri sono prevalentemente assorbenti. È esperienza comune che gli abiti chiari tendano a mantenerci più freschi, perché respingono gran parte della radiazione solare, mentre quelli scuri, assorbendo energia, tendano a surriscaldarci. Nelle zone calde del Mediterraneo dipingere di bianco gli edifici è una strategia per ridurre il loro riscaldamento durante l’estate (figura 8).

luce bianca

luce rossa altre radiazioni Figura 7. Noi percepiamo il colore rosso di una mela perché la sua superficie riflette diffusamente radiazione di lunghezze d’onda corrispondenti al rosso e assorbe le altre.

Tupungato / Shutterstock

Figura 8. Quando un corpo opaco ci appare bianco vuol dire che riflette diffusamente gran parte della luce incidente. Nei paesi caldi le case sono bianche per ridurre l’assorbimento dell’energia solare durante l’estate.

Un corpo opaco interposto tra un corpo luminoso e una superficie anch’essa opaca (schermo) genera sulla stessa una figura d’ombra, cioè un’area scura non illuminata (figura 9). Nell’approssimazione dei raggi di luce, quando la sorgente di luce è puntiforme l’ombra che si forma dietro gli oggetti ha un contorno netto, cioè il confine tra la zona illuminata e la zona scura ha una discontinuità ben definita; se la sorgente è estesa, invece, esiste una zona di passaggio, in cui l’ombra e la luce sfumano l’una nell’altra, detta penombra. La penombra è la regione di spazio che è raggiunta solo

Photobank / Shutterstock

L’ombra

Figura 9. Il teatro d'ombre è un’antica forma di spettacolo popolare, realizzato proiettando figure articolate su uno schermo opaco, semitrasparente, illuminato posteriormente.

253 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

9

LA LUCE

da una parte dei raggi provenienti dalla sorgente. Nella figura 10 sono schematizzati in due dimensioni i differenti casi: una sorgente puntiforme proietta su uno schermo un’ombra dai contorni netti (a) e una sorgente estesa proietta su uno schermo un’ombra circondata da una zona di penombra (b). schermo

sorgente puntiforme oggetto opaco

S Figura 10. a. Le sorgenti puntiformi generano ombre dai contorni netti. b. Le sorgenti estese generano ombre che sfumano nella zona illuminata attraverso una zona di penombra.

ombra

luce sorgente estesa

penombra oggetto opaco

S

ombra penombra luce

Se l’oggetto è molto vicino allo schermo l’ombra tende ad avere le stesse dimensioni trasversali dell’oggetto, mentre la penombra tende a scomparire; se invece l’oggetto è più lontano dallo schermo sia l’ombra che la penombra hanno dimensioni maggiori (figura 11). sorgente puntiforme

oggetto opaco

S Figura 11. a. Le dimensioni dell’ombra di un oggetto su uno schermo dipendono dalle distanze relative dalla sorgente e dallo schermo. b. Il rapporto fra l’altezza dell’ombra proiettata su uno schermo e l’altezza dell’oggetto che l’ha generata è uguale al rapporto fra la distanza della sorgente dallo schermo e dall’oggetto.

oggetto opaco

sorgente puntiforme S schermo

sorgente estesa

oggetto opaco

sorgente estesa

S

oggetto opaco

S

a

h

S b

H

d D

Le dimensioni dell’ombra e della penombra si possono ricavare utilizzando la geometria, tenendo presente che le figure d’ombra sullo schermo sono simili alla proiezione ortogonale su un piano ad esso parallelo dell’oggetto che la produce. Dalla figura 11b si evince che, per ciascuna dimensione lineare h di un oggetto interposto tra una sorgente e uno schermo, le dimensioni H dell’ombra corrispondente dipendono dalle distanze D dello schermo e d dell’oggetto stesso dalla sorgente: H D

h d

254 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

(9.2)

LA LUCE

9

ESEMPIO f Un disco opaco di 10 cm di raggio è posto a 2,5 m da una sorgente di luce puntiforme e a 1,5 m da uno schermo il cui piano è parallelo al piano del disco. Qual è l’area della superficie in ombra?

r

S d D

SOLUZIONE Per usare la formula (9.2) ricaviamo la distanza D tra la sorgente e lo schermo, sommando la distanza d tra il disco e la sorgente alla distanza D  d tra il disco e lo schermo: D  d  (D  d)  2,5 m  1,5 m  4,0 m Ricaviamo dunque il raggio R dell’ombra circolare a partire dal raggio r del disco opaco: R=r

D 4, 0 m = 0, 10 m × = 0, 16 m = 16 cm d 2, 5 m

L’area dell’ombra è dunque: Aombra  πR2  π (0,16 m)2  8,0 × 10–2 m2 DOMANDA Sullo stesso schermo si vuole raddoppiare l’area oscurata. Come deve cambiare la posizione del disco opaco?

3

INTERFERENZA DELLA LUCE: L’ESPERIMENTO DI YOUNG

Prendiamo ora in considerazione alcuni fenomeni caratteristici della propagazione di onde, a partire dall’interferenza, che abbiamo introdotto nel capitolo 7 (paragrafo 5) e che ora applichiamo al caso delle onde elettromagnetiche con particolare riferimento alla luce. Analizziamo a tale scopo l’importantissimo esperimento condotto dal fisico inglese Thomas Young nel 1801. Egli investì con luce monocromatica, cioè corrispondente a un’unica lunghezza d’onda, una lastra opaca in cui erano presenti due sottili fenditure. La luce attraversava ciascuna fenditura, propagandosi successivamente per fronti d’onda cilindrici, analoghi a quelli generati da sorgenti filiformi. Young posizionò uno schermo a una certa distanza dalle fenditure e osservò che su di esso si veniva a formare

SIMULAZIONE Interferenza tra onde (PhET, University of Colorado)

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LA LUCE

un’immagine composta da un’alternanza di zone scure e di zone luminose (figura 12). schermo Figura 12. Dopo aver attraversato le fenditure la luce si propaga per fronti cilindrici (qui in sezione): uno schermo posto a una certa distanza da esse rivela zone illuminate alternate a zone scure.

O

d

I intensità

distanza costante

0 Figura 13. In una figura di interferenza ottenuta con un apparato come quello di Young le righe luminose sono separate da una distanza costante x. La zona centrale ha un’intensità luminosa maggiore delle zone laterali.

x (distanza dalla zona luminosa centrale)

L’immagine raccolta dallo schermo è dovuta all’interferenza delle due onde luminose ed è pertanto una figura di interferenza. Essa è costituita da una serie di massimi di luminosità separati da una distanza costante x e in cui il massimo centrale è più luminoso rispetto a quelli laterali (figura 13). La figura di interferenza si osserva solo se le fenditure sono molto sottili e cambia al variare della lunghezza d’onda λ della luce incidente sulle fenditure, della distanza d tra le fenditure e della distanza L tra queste e lo schermo. In particolare, la distanza x tra due massimi luminosi è data dalla formula: x=λ

L d

(9.3)

Cioè: per un’onda elettromagnetica di lunghezza d’onda λ, la distanza x tra i due massimi luminosi è tanto maggiore quanto maggiore è la distanza L tra le fenditure e lo schermo e quanto minore è la distanza d tra le due fenditure (figura 14).

Figura 14. La figura di interferenza dipende dalla distanza tra le fenditure e dalla loro distanza dallo schermo.

d  d'

L  L'

L d

L d' L' d

Conoscendo x, L e d è pertanto possibile ricavare la lunghezza d’onda emessa da una sorgente luminosa a partire dall’analisi della sua figura di interferenza.

256 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

LA LUCE

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ESEMPIO f Una sorgente emette luce monocromatica di lunghezza d’onda λ, che attraversa due sottili fenditure distanti 0,40 mm e proietta su uno schermo, posto a 5,5 m di distanza, una figura di interferenza con picchi luminosi distanti fra loro 0,80 cm. Quanto vale λ? SOLUZIONE Invertendo la formula (9.3) rispetto a λ, otteniamo: λ=x

d 0, 40 × 10−3 m = 0, 80 × 10−2 m × = 5, 8 × 10−7 m L 5, 5 m

DOMANDA Qual è il colore della luce della sorgente?

Analizziamo l’esperimento di Young Le zone luminose delle figure di interferenza corrispondono a regioni nelle quali avviene interferenza costruttiva, cioè nelle quali le onde si sovrappongono positivamente sommando le loro ampiezze. Le zone scure sono quelle in cui si ha invece interferenza distruttiva, in quanto le perturbazioni sono discordi e si annullano a vicenda (vedi capitolo 7, paragrafo 5). Quest’ultima condizione è verificata quando i percorsi effettuati dalla luce differiscono di multipli dispari di mezza lunghezza d’onda. Se invece la differenza tra le distanze percorse dalle onde incidenti è multipla della lunghezza d’onda, allora l’interferenza è totalmente costruttiva (figura 15). Nell’esperimento di Young dobbiamo considerare le distanze percorse dalla luce per raggiungere lo schermo in un determinato punto a partire dalle due fenditure. Se la distanza tra le due fenditure è molto più piccola della distanza fra il piano delle fenditure e lo schermo si possono fare delle approssimazioni che semplificano molto i calcoli. Osserviamo la figura 16: il punto centrale O è situato nella posizione in cui la perpendicolare, condotta dal punto medio O tra le fenditure S1 e S2, incontra lo schermo. Prendiamo un generico punto P dello schermo a una certa distanza x dal punto O. Affinché in P ci sia un massimo luminoso è necessario che la differenza tra i cammini 1 e 2 sia un multiplo della lunghezza d’onda λ, cioè: (9.4) 2  1  n λ

P

1

S1

x

d O'

O 2

S2

K

L

onde in fase

onde in opposizione di fase

Figura 15. a. Se la differenza tra i percorsi fatti dalla luce è un multiplo della lunghezza d’onda l’interferenza è costruttiva: sullo schermo si osserva una zona luminosa. b. Se la differenza tra i percorsi fatti dalla luce è un multiplo dispari di mezze lunghezze d’onda l’interferenza è distruttiva: sullo schermo si osserva una zona buia.

Figura 16. Rappresentazione geometrica delle grandezze significative per l’analisi dell’esperimento di Young. Affinché nel punto P ci sia il primo massimo luminoso, dopo il massimo centrale, la differenza tra i cammini 1 e 2 deve essere uguale a una lunghezza d’onda.

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LA LUCE

Poniamo n 1 e cerchiamo la distanza da O del massimo successivo a quello centrale, cioè quella che abbiamo chiamato x nella formula (9.3). In tal caso la differenza tra i cammini 1 e 2 va posta pari alla lunghezza d’onda λ: 2  1  λ Si tratta ora di calcolare la differenza 2  1 utilizzando la condizione che la distanza d tra S1 e S2 sia molto più piccola della distanza L tra fenditure e schermo. Sotto tale ipotesi possiamo fare le seguenti approssimazioni: 1  2  L; 1 //2; n sono uguali e retti; gli angoli P Sn1 K e P KS 1 S1K ⊥ 2 e pertanto le rispettive direzioni formano 4 angoli uguali e retti, n è retto; cioè S1 KS 2 ncO sono uguali e di ampiezza pari circa a zero; s gli angoli S2 Sn1 K e PO s S1 S 2 | S1 K ; s i triangoli S1S2K e POO sono simili.

s s s s

Dalla similitudine dei triangoli S1S2K e POO si ricava la relazione di proporzionalità tra lati corrispondenti: OP : S2 K = O ′P : S1S2 Ricordando che, nell’approssimazione considerata: OP = x ; S2 K = λ; O ′P = L; S1S2 = d Otteniamo: x:λL:d che è un’espressione equivalente alla (9.3). Tutti gli altri massimi luminosi della figura di interferenza, corrispondenti alla condizione della (9.4) si trovano a una distanza nx multipla di x dal centro dello schermo O. Tra un massimo luminoso e il successivo, esattamente a metà, c’è una zona buia, corrispondente a interferenza totalmente distruttiva. Per calcolare la posizione di tali minimi luminosi si impone che la differenza tra i cammini 1 e 2 sia un multiplo dispari di mezza lunghezza d’onda, λ/2, cioè:

C 2 − C 1 = (2n + 1)

λ 2

(9.5)

La distanza tra uno di questi minimi di luce e il successivo è ancora una volta data dalla formula (9.3).

Perché non vediamo comunemente l’interferenza della luce? Si può facilmente osservare l’interferenza nelle onde superficiali su uno specchio d’acqua, si può ascoltare l’interferenza dei suoni nei battimenti, le onde radio interferiscono facendo fischiare le casse dello stereo, ma l’interferenza della luce è un fenomeno meno comune. Le sorgenti di luce con le quali abbiamo solitamente a che fare, il Sole, le lampadine, le fiamme, emettono onde che non oscillano «tutte insieme», cioè non hanno la stessa fase né una differenza di fase costante. Si dice che tali sorgenti non

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LA LUCE

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Figura 17. Il laser è una sorgente di luce monocromatica e coerente.

US Air Force

emettono onde coerenti, mentre l’interferenza della luce si osserva quando le relative onde elettromagnetiche sono coerenti, cioè oscillano mantenendo una differenza di fase costante (vedi capitolo 7, paragrafo 5). Una tipica sorgente di luce coerente è il laser, che emette onde elettromagnetiche in seguito all’opportuna stimolazione degli atomi di un materiale (figura 17).

DIFFRAZIONE DELLA LUCE

Earth Sciences and Image Analysis Laboratory, NASA Johnson Space Center

La diffrazione è un altro comportamento caratteristico delle onde, per il quale esse sono in grado di superare gli ostacoli deviando dalla propagazione rettilinea (vedi capitolo 7, paragrafo 5). Per la luce questo consiste nel produrre ombre dai contorni che non sempre sono netti. Il fenomeno è particolarmente evidente quando l’ostacolo ha dimensioni confrontabili con quelle della lunghezza d’onda, per cui nel caso della luce non si osserva facilmente. La luce visibile ha infatti lunghezze d’onda dell’ordine di 10–7 m, molto minori degli oggetti con i quali abbiamo a che fare. Tuttavia, se facciamo passare la luce attraverso una fenditura sottile, osserviamo qualcosa di simile a quanto accade alle onde del mare quando attraversano uno stretto (figura 18).

Figura 18. L’Oceano Atlantico penetra nel Mar Mediterraneo attraverso lo stretto di Gibilterra mostrando il fenomeno della diffrazione.

La luce che attraversa una fenditura sufficientemente stretta subisce diffrazione, e possiamo rendercene conto ponendo a una certa distanza uno

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LA LUCE

schermo, sul quale si osserva una figura di diffrazione formata da frange luminose e scure. Oltre alla zona centrale, corrispondente alla posizione della fenditura ma di larghezza maggiore di quest’ultima, sono illuminate altre aree laterali più strette e via via e meno brillanti, che sono intervallate con zone scure spiegabili in termini di interferenza distruttiva (figura 19). La larghezza della zona luminosa centrale di una figura di diffrazione prodotta da una fenditura rettangolare è tanto più ampia quanto più è stretta la fenditura. schermo Figura 19. Quando la luce attraversa una stretta fenditura, forma su uno schermo una figura di diffrazione in cui alla zona centrale più luminosa si alternano frange chiare e scure dovute a interferenza.

L’angolo di uscita dalla fenditura dipende quindi dalla lunghezza d’onda della luce in relazione alle dimensioni della fenditura. Quando la larghezza d della fenditura è uguale alla lunghezza d’onda λ, tutto lo schermo è illuminato uniformemente nella direzione corrispondente al suo lato minore (figura 20).

Figura 20. Più la fenditura si stringe e più la zona centrale illuminata si allarga.

d  

d 

d 

ESEMPIO Nell’esperimento di Young con la doppia fenditura la diffrazione contribuisce a modellare la figura di interferenza che si forma sullo schermo. Se riportiamo su un grafico l’intensità della luce raccolta dallo schermo in funzione della distanza dal punto centrale O, otteniamo un andamento che dipende dalla sovrapposizione di due effetti: s l’interferenza, responsabile dell’alternarsi di zone luminose e zone buie; s la diffrazione, responsabile dell’andamento dell’intensità intorno al massimo centrale.

termini di termine di diffrazione diffrazione

termini termine didi interferenza interferenza

prodotto prodotto dei dei termini termini di di interferenza interferenza e diffrazione e diffrazione

DOMANDA Che cosa cambia nella figura di interferenza se le due fenditure vengono allontanate? Motiva la risposta in 5 righe.

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Più scanalature uguali ed equidistanti costituiscono un cosiddetto reticolo di diffrazione. La superficie di un compact disc è un esempio comune di reticolo di diffrazione: l’iridescenza è dovuta al diverso comportamento delle varie lunghezze d’onda che compongono la luce incidente (figura 21). In tabella 2 sono schematizzati i fenomeni principali, di natura ondulatoria, che interessano la luce e il suono. FENOMENOLOGIA

LUCE

Feng Yu / Shutterstock

LA LUCE

Figura 21. Le scanalature della superficie di un cd formano un reticolo di diffrazione sul quale le diverse componenti della luce bianca interferiscono dando luogo alla caratteristica iridescenza.

SUONO

Rilevabilità

è un’onda elettromagnetica con frequenza compresa fra 400 e 800 THz circa

è un’onda meccanica elastica con frequenza compresa tra 20 e 20 000 Hz

Interferenza

si osserva in opportune situazioni in presenza di sorgenti di luce coerente

si verifica nei battimenti

Diffrazione

si osserva nei contorni sfumati di alcune ombre, in particolare quando la luce passa attraverso un stretta apertura

si verifica continuamente quando ascoltiamo suoni provenienti da dietro un ostacolo

Effetto Doppler

se la distanza dalla sorgente aumenta la luce si sposta verso il rosso, se diminuisce la luce si sposta verso il violetto

se la distanza dalla sorgente aumenta il suono è più grave, se diminuisce il suono è più acuto

Tabella 2. Confronto tra la luce e il suono.

Diffrazione da foro circolare Se l’apertura attraverso la quale passa la luce è un diaframma circolare anziché una fenditura rettangolare, la figura di diffrazione è costituita da un disco luminoso circondato da anelli alternativamente scuri e chiari, detto disco di Airy. A seconda della lunghezza d’onda della luce incidente e del diametro dell’apertura il disco di Airy è più o meno esteso e gli anelli sono più o meno distanti dal centro (figura 22).

Wisky

Figura 22. Disco di Airy: un disco luminoso è circondato da anelli concentrici.

Questo fatto è particolarmente importante per la visione: infatti la luce entra nell’occhio attraverso un diaframma circolare detto pupilla e forma un’immagine sulla retina che risente della diffrazione e appare più o meno sfocata. In altre parole, la diffrazione limita la nostra capacità di distinguere due oggetti vicini, perché, quando la luce proveniente da ciascuno di essi passa attraverso la nostra pupilla, si «apre» mostrandoci un’area luminosa

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LA LUCE

più ampia. Se due oggetti luminosi puntiformi sono troppo vicini tra loro, i rispettivi dischi di Airy potrebbero sovrapporsi e noi non riusciremmo a distinguerli l’uno dall’altro. Date due sorgenti puntiformi S1 e S2, che emettono luce di lunghezza d’onda λ, esiste un criterio empirico che ci consente di stabilire quale deve essere il minimo angolo α, in radianti, che le due sorgenti devono formare con un diaframma di diametro d affinché risultino distinte (figura 23). Tale criterio stabilisce che α | 1, 22

λ ( rad ) d

Questa formula vale per valori piccoli dell’angolo α, cioè per grandi distanze delle due sorgenti dal diaframma. S1 Figura 23. manca dida

d



S2

ESEMPIO f Quanto devono essere distanti tra loro due led verdi (λ  560 nm) posti a 100 m da un osservatore affinché egli possa distinguerli, sapendo che il diametro della sua pupilla è di 2,0 mm ? A B

d D

SOLUZIONE L’angolo minimo sotto cui i due led vengono distinti è circa α ≈ 1, 22

λ 560 × 10−9 m = 1, 22 × = 3, 4 × 10−4 rad d 2, 0 × 10−3 m

Dato che α è molto piccolo la distanza tra i due led AB è ben approssimata dall’arco ad esso sotteso, cioè: AB  αD  3,4 × 10–4 rad 100 m  3,4 × 10–2 m  3,4 cm I due led vengono visti distintamente se la loro distanza non è inferiore a 3,4 cm. DOMANDA Una pupilla con un diametro maggiore riesce ancora a distinguere i due led nelle medesime condizioni? Motiva la risposta in 5 righe.

262 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

LA LUCE

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Una fenditura rettangolare allarga il fascio di luce incidente nella direzione corrispondente alla dimensione minore. Un’apertura quadrata genera una figura di diffrazione che si estende ugualmente nelle due direzioni perpendicolari ai lati, rispecchiandone la simmetria. In generale le figure di diffrazione riproducono, amplificandone le dimensioni, le proprietà di simmetria spaziale degli ostacoli attraversati (figura 24). Questo fatto ha interessanti applicazioni nello studio della struttura dei cristalli. Un cristallo è infatti formato da una distribuzione spaziale ordinata di atomi, che formano un reticolo cristallino con determinate caratteristiche di simmetria. La distanza tra un atomo e l’altro, all’interno di un cristallo, è dell’ordine dei 10–10 m, che corrisponde alla lunghezza d’onda dei raggi X, non rilevabili dall’occhio umano. Quando un fascio di raggi X investe un cristallo, quest’ultimo si comporta come un reticolo di diffrazione e, con opportune lastre rivelatrici, è possibile raccogliere e studiare la sua figura di diffrazione, dalla quale è possibile risalire alle proprietà di simmetria microscopiche del reticolo (figura 25). a

V81

Diffrazione e cristalli

Figura 24. La figura di diffrazione rispecchia le proprietà di simmetria dell’apertura che l’ha generata.

b

pellicola A collimatore

pellicola B campione

By courtesy of Dr. H. Takakura, Hokkaido University, Japan

fascio di raggi x

goniometro

Figura 25. a. Un fascio di raggi X investe un cristallo e su uno schermo si forma una figura di diffrazione che ne riproduce le caratteristiche di simmetria microscopiche. b. Figura di diffrazione di raggi X prodotta da un cristallo di calcite.

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LA LUCE

TECNOLOGIA Gli ologrammi

Produrre un ologramma

EropoǮ ǔropǨ

Un ologramma è la registrazione su una lastra di un’immagine tridimensionale, ottenuta per mezzo di una tecnica chiamata appunto olografia. Quando un fascio di luce laser incide su un ologramma proietta nello spazio un’immagine tridimensionale dell’oggetto registrato sulla lastra. specchio semitrasparente

specchio

laser

Vedere un ologramma Per vedere un ologramma in tre dimensioni è necessario illuminare la lastra con la luce di un laser identica a quella usata per generarlo, perché la luce del Sole o delle comuni lampade artificiali non è coerente, per cui non produce interferenza apprezzabile. Tuttavia, se il supporto della lastra è sufficientemente spesso e formato da strati con proprietà ottiche diverse, è possibile produrre ologrammi visibili anche con la luce bianca sotto forma di immagini a volte iridescenti.

Ologrammi e informazione

specchio

luce di riferimento

figura di interferenza

luce diffusa dall’oggetto

lastra fotografica immagine tridimensionale

ologramma osservatore

Facendo incidere luce laser su un ologramma si ottiene un’immagine tridimensionale.

luce di riferimento laser

Una fotografia è un’immagine bidimensionale della realtà, ottenuta trasferendo su un supporto piano informazioni sull’intensità della luce proveniente dall’oggetto fotografato. A grandi linee, le zone raggiunte da poca luce appaiono più scure, quelle raggiunte da intensità luminosa elevata sono più chiare. Gli ologrammi, oltre a essere determinati dall’intensità della luce, contengono informazioni sulla fase delle relative onde elettromagnetiche. L’interferenza, infatti, dipende proprio dalle differenze di fase tra onde che incidono in uno stesso punto dello spazio: le zone chiare e scure sono determinate da interferenza costruttiva o distruttiva che, a sua volta, dipende dal fatto che le onde arrivino o meno in fase nel punto considerato dopo essere state riflesse dall’oggetto tridimensionale. Gli ologrammi contengono pertanto una grande quantità di informazioni, e anche per questo non è facile duplicarli e sono usati come sistema di sicurezza, per esempio su banconote o su documenti.

Heike Löchel

Gli ologrammi sono una delle più spettacolari applicazioni dell’interferenza della luce. Si ottengono facendo interferire su un’apposita lastra fotografica luce coerente diffusa da un oggetto e luce emessa dalla stessa sorgente senza alcuna riflessione intermedia. In pratica un fascio di luce laser viene diviso in due parti: una parte incide direttamente sulla lastra e l’altra vi incide dopo essere stata diffusa dall’oggetto. Sull’ologramma si forma una figura di interferenza che dipende dai differenti cammini ottici delle onde, che le fanno o meno giungere in fase in un determinato punto della lastra.

Gli ologrammi sono difficili da contraffare, per cui vengono spesso usati come sistemi di sicurezza.

DOMANDA Esistono diversi tipi di ologramma, ottenuti con tecniche diverse, visibili in modi diversi, e quindi adatti agli usi più disparati. Fai una ricerca in rete a tale proposito e trova almeno tre applicazioni dell’olografia.

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LA LUCE

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STORIA DELLA FISICA

La propagazione rettilinea dei raggi luminosi, studiata a lungo da Isaac Newton, aveva indotto lo scienziato inglese a formulare un’ipotesi corpuscolare sulla natura della luce. I risultati presentati nella sua Ottica erano basati sull’assunto che la luce fosse composta da piccoli granelli che, così come palline materiali, seguivano traiettorie rettilinee finché non urtavano contro qualcosa, rimbalzando e producendo il noto fenomeno della riflessione. Questa concezione fu dominante nella comunità scientifica per circa un secolo, nonoDoppia rifrazione in un cristallo di calcite: stante importanti e fondate opposizioni. nell’attraversare il cristallo il raggio di luce si Diversi scienziati erano convinti che la luce avesse una natura onsdoppia in due raggi rifratti dando luogo a una dulatoria, cioè che si dovesse rappresentare come un’onda che si doppia immagine. propaga piuttosto che come una particella che si sposta. C’erano infatti fenomeni che la teoria corpuscolare non riusciva a spiegare, come la doppia rifrazione (o birifrangenza). t  t

L’ipotesi ondulatoria Lo scienziato olandese Hans Christiaan Huygens, contemporaneo di Newton, era fra quelli che sostenevano la natura ondulatoria della luce. Elaborò una teoria che spiegava le leggi della riflessione e della rifrazione basandosi su un assunto oggi noto come principio di Huygens. Tale principio spiegava tutti i fenomeni ottici noti al tempo, compresa la doppia rifrazione e anche la propagazione rettilinea secondo raggi, che sembrava essere il punto di forza della teoria corpuscolare. L’idea principale di Huygens era che ciascun punto della superficie di un fronte d’onda sferico, generato da una sorgente primaria S, può essere considerato il centro di una nuova onda sferica secondaria Pi, in modo tale che istante per istante il fronte d’onda risultante è tangente a ciascuna Pi.

La teoria ondulatoria

t P1 P2

S

P3 P4

Per il principio di Huygens ciascun punto di un fronte d’onda sferico è sorgente di onde sferiche.

La questione restava comunque aperta e la comunità scientifica propendeva ancora per l’ipotesi corpuscolare. In effetti, in quanto onda, la luce avrebbe dovuto mostrare interferenza, ma nessuno era mai riuscito a produrre un fenomeno interpretabile in tal modo. Solo nel 1801 ciò avvenne a opera di Thomas Young, che produsse figure di interferenza a partire da luce proveniente da due piccoli forellini praticati a distanza ravvicinata su una lastra opaca. L’esperimento di Young fu dunque decisivo per l’affermazione di una teoria ondulatoria della luce, la quale guidò con successo l’indagine scientifica per tutto il XIX secolo.

Onde o particelle? La natura della luce tornò di nuovo alla ribalta circa un secolo dopo, quando Einstein, nel 1905, pubblicò un importante lavoro con il quale mostrava che, per spiegare alcuni fenomeni allora incomprensibili, era necessario abbandonare la teoria ondulatoria e utilizzare un modello corpuscolare. Così come la doppia rifrazione creava problemi alla teoria di Newton, l’effetto fotoelettrico metteva in crisi quella ondulatoria. Il fenomeno consiste nell’estrazione di elettroni da un metallo a opera di un fascio di luce incidente avente una particolare lunghezza d’onda. Einstein propose una spiegazione in termini di corpuscoli di luce, detti oggi fotoni, che urtano contro gli elettroni del metallo trasferendo loro energia e quantità di moto, così come avviene negli urti a livello macroscopico. Oggi le due interpretazioni, ondulatoria e corpuscolare, coesistono: non si considera l’una errata rispetto all’altra, ma a ciascuna è assegnato il proprio ambito di validità. Per esempio, per spiegare l’effetto fotoelettrico si utilizza il modello corpuscolare, mentre per spiegare una figura di interferenza si ricorre al modello ondulatorio.

DOMANDA L’esperimento di Young è una pietra miliare della fisica. Perché l’interferenza della luce non viene osservata comunemente? Rispondi in 10 righe.

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Furrfu

La natura ondulatoria della luce

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LA LUCE

CON GLI OCCHI DI UN FISICO Scrivere con la luce Sostanze fotosensibili

L’eliografia

Alcune sostanze in presenza della luce subiscono alterazioni. Un esempio è quello della fotosintesi clorofilliana che, utilizzando l’energia della luce, trasforma l’anidride carbonica e l’acqua in zuccheri. Inoltre alcuni pigmenti modificano il loro colore se esposti a lungo alla luce e la frutta matura al Sole mutando colore. La luce, pur non essendo una sostanza materiale, è dunque in grado di interagire con la materia. Nel 1727 il chimico tedesco Johan Heinrich Schultze aveva scoperto che un composto di argento, gesso e acido nitrico esposto alla luce del Sole diventava scuro, mentre restava chiaro se esposto alla luce di una fiamma. Comprese pertanto che il cambiamento non era stato provocato dal calore ma doveva dipendere in qualche modo dalla luce bianca del Sole, e per questo motivo chiamò il suo preparato scotophorus, cioè portatore di tenebre. Utilizzando maschere sagomate riuscì a evidenziare sul fondo chiaro intere parole e frasi. Sulla strada intrapresa da Shultze, il ceramista inglese Thomas Wedgwood cosparse con nitrato d’argento alcuni recipienti di ceramica, che successivamente espose alla luce dopo avervi appoggiato sopra delle sagome o degli oggetti. I suoi esperimenti ebbero successo, anche se le immagini ottenute non erano molto brillanti e i risultati non erano duraturi perché, nel tempo, il nitrato d’argento continua a reagire con la luce annerendo tutta la superficie trattata.

Il bitume di Giudea è un asfalto scuro usato come pigmento per la verniciatura del legno. Joseph Nicéphore Niépce, nella prima metà del XIX secolo, scoprì la sua caratteristica di indurire e schiarire quando esposto alla luce e la utilizzò per produrre quella che è considerata la prima fotografia della storia. Per gli esperimenti iniziali preparò delle lastre di peltro cospargendole con il bitume e vi poggiò sopra dei disegni traslucidi, attraverso i quali cioè poteva passare luce più o meno intensa a seconda dell’immagine. Esponendo le lastre così coperte alla luce del Sole, il bitume induriva sotto le zone chiare mentre restava liquido nelle zone coperte dai tratti del disegno e poteva esere lavato via. Con questo sistema, detto eliografia, l’immagine ottenuta era permanente e non era necessario chiuderla in un luogo buio per conservarla. Inoltre era possibile usarla per ottenere stampe su carta, sfruttando le differenti profondità. Il passo successivo avvicinò ancora di più Niépce alla moderna fotografia: utilizzando una camera oscura, cioè una scatola con un piccolo foro dal quale entra luce, capace di formare sul fondo l’immagine degli oggetti posti all’esterno, egli riuscì a trasferire su un piatto di peltro la veduta dalla finestra della sua casa, inquadrata per circa 8 ore. Dopo il lavaggio con il solvente il fondo scuro del peltro rimaneva scoperto, fornendo pertanto un’immagine positiva delle zone in ombra, mentre le zone più luminose provocavano un indurimento del bitume e quindi risultavano più chiare. La prima fotografia della storia è quindi una veduta da una finestra di Saint-Loup-de-Varennes del 1826.

Per dipingere il giallo dei suoi girasoli Van Gogh usò un preparato a base di cromato di piombo, che nel tempo sta mostrando un progressivo imbrunimento, dovuto a una pericolosa sensibilità alla luce. Diversi pigmenti usati nel XIX secolo hanno questo problema e i ricercatori stanno studiando soluzioni al deterioramento delle opere artistiche a rischio.

PAROLA CHIAVE

Spettro luminoso

DOMANDA Nel dipinto I girasoli di Van Gogh c’è una predominanza di giallo. Perché se il quadro si trovasse in una stanza buia e fosse illuminato con una lampada monocromatica che emette luce blu le stesse pennellate ci apparirebbero nere? Motiva la risposta in 5 righe.

La Veduta dalla finestra a Le Gras di Niépce è la più antica fotografia conosciuta, risalente al 1826.

PAROLA CHIAVE

Interferenza

DOMANDA Ripetendo l’esperimento di Young, la figura di interferenza viene raccolta su una lastra fotografica di vetro che dopo lo sviluppo mostra righe chiare alternate a righe scure. A quale delle due tipologie appartiene la riga centrale? Motiva la risposta in 5 righe.

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LA LUCE

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DOMANDA Quale legge descrive la proprietà termometrica che ha permesso ai fratelli Mon-

Il dagherrotipo

La fotografia

tgolfier di sbalordire il mondo con il loro pallone aerostatico? [parola-chiave associata: proprietà Louis Daguerre aveva una passione per il teatro e si dedicò inPochi anni dopo l’inglese William Henry Fox Talbot tensamente alla scenografia per l’Opéra di Parigi, sviluppando trovò un sistema molto più economico per produrspettacolari diorami ricchi di giochi di luce. Curioso e intrare immagini permanenti della realtà, che potevano prendente, fu senz’altro stimolato dai lavori di Niépce, con il inoltre essere facilmente duplicate in copie identiche quale iniziò un’utile collaborazione. all’originale. L’idea fu quella di utilizzare lastre di veI due lavorarono insieme mettendo a punto un metodo per imtro invece che materiali opachi come supporto per pressionare lastre di rame coperte di ioduro d’argento, che però la sostanza fotosensibile. Le zone non investite dalla termometriche] aveva due inconvenienti: il primo era il tempo di esposizione di luce rimangono chiare, e si ottiene così un negativo diverse ore necessario per ottenere sulla lastra un’immagine dell’immagine reale. Sovrapponendo la lastra impresvisibile; il secondo era la solita mancanza di fissaggio, a causa sionata a un foglio di carta sensibilizzato, il negativo della quale le lastre continuavano a reagire alla luce perdendo si inverte: le zone scure impediscono alla luce di imvia via definizione. Quando Niépce morì, Daguerre continuò da pressionare a sua volta la carta, tornando ad essere solo gli esperimenti, creando il procedimento fotografico noto chiare nella fotografia finale. La matrice di vetro può come dagherrotipia. essere usata più volte per produrre copie su carta in DOMANDA volume un gas in una trasformazione pressione costante è diretta- e così la fotografia fu La leggendaIl narra cheoccupato Daguerreda ripose alcune lastre, in prece- amodo semplice ed economico, denza esposte alla luce per un tempo non sufficiente alla formaaccessibile a un pubblico molto più vasto rispetto ai zione di un’immagine visibile, in un armadio nel quale vi era un costosissimi dagherrotipi d’argento. Talbot pubblicò termometro a mercurio rotto. In seguito riprese le lastre e sconel 1844 La matita della natura, il primo libro con ilprì che l’immagine era diventata ben visibile nonostante il buio lustrazioni fotografiche a dispense in cui mostrava dell’armadio: capì presto che i vapori di mercurio avevano ampliattraverso esempi l’estrema versatilità del suo proceficato gli effetti dell’insufficiente esposizione, avevano cioè «svidimento e descriveva le tecniche utilizzate. luppato» il dagherrotipo. seguito scoprì che un lavaggio conperché Lequesta lastre affermazione fotografiche non èfurono soltanto nuovi mente proporzionale allaInsua temperatura. Spiega in 5 righe cloruro di sodio era in grado di rendere l’immagine permanente. strumenti artistici e di documentazione, ma anche I dagherrotipi divennero di moda. Erano tuttavia oggetti prevalidi strumenti per l’indagine scientifica. Ottimi riziosi, pezzi unici delicatissimi che andavano protetti con un velatori di luce, furono usati inizialmente nell’astrovetro ed estremamente costosi, per cui rimasero un privilegio nomia e nell’ottica, ma poi anche in moltissimi altri della classe più agiata. campi, dalla medicina alla fisica delle particelle. Dagherrotipo dello

corretta. [parola-chiave associata: temperatura] scrittore Edgar Allan Poe del 1848.

DOMANDA Il pallone aerostatico dei fratelli Montgolfier è in equilibrio meccanico alla quota di

Le lastre fotografiche di vetro forniscono un’immagine negativa (a sinistra) in cui le zone chiare e le zone scure hanno ruoli scambiati. Usando la lastra come maschera su un foglio di carta sensibile alla luce, i ruoli si scambiano nuovamente e si ottiene un’immagine 250 m rispetto al suolo: essa non si muove né in verticale né in orizzontale. verificato positivaÈ(a destra). l’equilibrio

PAROLA CHIAVE

Diffrazione

DOMANDA Perché la diffrazione della luce può limitare la nitidezza di una fotografia ottenuta attraverso una camera oscura? Rispondi in 5 righe. termico con l’ambiente? Motiva la risposta. [parola-chiave associata: equilibrio termico]

267 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

MAPPA DEI CONCETTI LA LUCE

si propaga nel vuoto con velocità c  3,00  108 m/s

c  λν

È UN’ONDA ELETTROMAGNETICA VISIBILE SPETTRO VISIBILE è l’insieme delle lunghezze d’onda λ delle onde elettromagnetiche comprese fra 380 nm e 760 nm a ogni colore corrisponde un intervallo di lunghezze d’onda dello spettro visibile

VISIONE DEI CORPI

LUMINOSI emettono luce che viene percepita direttamente dai nostri occhi

sono sorgenti di luce

ILLUMINATI diffondono la luce proveniente da un corpo luminoso, che viene poi percepita dai nostri occhi

CORPI OPACHI assorbono tutta la luce che li investe

CORPI TRASPARENTI lasciano passare tutta la luce che li attraversa

generano un’ombra, cioè un’area non illuminata in posizione opposta rispetto alla sorgente

268 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

LA LUCE

COMPORTAMENTO ONDULATORIO DELLA LUCE

INTERFERENZA

è una conseguenza del principio di sovrapposizione

FIGURA DI INTERFERENZA 

Condizioni

1

ZONE CHIARE

2

2  1  nλ ZONE SCURE λ  2 −  1 = (2n + 1) 2

ESPERIMENTO DI YOUNG con due fenditure investite da un’onda luminosa di lunghezza d’onda λ

DIFFRAZIONE

in presenza di un ostacolo la luce non si propaga in linea retta

MASSIMO LUMINOSO CENTRALE è tanto più ampio quanto più è stretta la fenditura 

nell’attraversare una stretta fenditura la luce invece di propagarsi si espande illuminando una zona più ampia

269 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

9

20 test (30 minuti)

9 ESERCIZI 1

TEST INTERATTIVI 10 Secondo la legge di Stefan-Boltzmann qualsiasi

LE ONDE ELETTROMAGNETICHE

oggetto emette onde elettromagnetiche: qualsiasi oggetto può essere dunque considerato una sorgente di luce. Perché questa affermazione è errata?

DOMANDE Che cosa si intende per spettro visibile?

1

CALCOLI

2 La luce rossa ha una lunghezza d’onda maggiore o

minore della luce viola?

11 Durante la proiezione di un filmato una mano alta

20 cm viene frapposta tra lo schermo e il proiettore a una distanza di 3,0 m da quest’ultimo.

3 Le onde elettromagnetiche sono trasversali o lon-

gitudinali?

f Se la distanza dello schermo dal proiettore è 5,5 m, quanto è alta l’ombra della mano?

4 Perché possiamo rappresentare la luce attraverso

raggi rettilinei?

[37 cm]

12 Su uno schermo posto a 220 cm da una sorgente di

luce puntiforme è proiettata l’ombra di un quadrato, la quale ha una superficie più grande del 55% rispetto a quella dell’oggetto che la ha generata.

CALCOLI 5 Rispondi alle seguenti domande.

f Quanto è distante l’oggetto dalla sorgente?

f Qual è la lunghezza d’onda in nm di un’onda elettromagnetica se la sua frequenza è pari a 5,5 × 1014 Hz? f A quale colore corrisponde?

[142 cm]

13 A quale distanza da una lampada si deve posiziona-

re una persona alta 1,70 m per proiettare su uno schermo che dista 4,0 m dalla lampada un’ombra alta 2,40 m?

[5,5 × 102 nm]

6 Calcola il tempo in μs impiegato da un segnale ra-

dio per raggiungere un ricevitore posto a 6,6 km dalla sorgente. [22 μs]

7 Un’onda elettromagnetica ha una lunghezza d’on-

da pari a 2,3 × 10–10 m. f Quante oscillazioni compie il campo elettromagnetico in 1,0 s? Ondrˇej Lipár

f Di quale tipo di onda elettromagnetica si tratta? [1,3 × 1018]

2

[2,8 m]

LA VISIONE DEGLI OGGETTI

14 A quale distanza da una lampada si deve posizio-

nare uno schermo affinché una persona alta 1,70 m, posta a 2,0 m di distanza dallo schermo, vi proietti sopra un’ombra alta 3,00 m?

DOMANDE 8 A che cosa è dovuto il fenomeno della diffusione?

[4,6 m]

Rispondi in 5 righe. 9 È corretto affermare che la Luna è un corpo celeste

luminoso? Motiva la risposta in 5 righe.

3

L’INTERFERENZA DELLA LUCE: L’ESPERIMENTO DI YOUNG

DOMANDE 15 In quale situazione in un dato punto dello spazio si ravl / Shutterstock

ha interferenza costruttiva tra due onde? 16 Se in un esperimento di Young riduciamo la distan-

za tra le due fenditure, come cambia la figura di diffrazione?

270 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

LA LUCE 17 Quando un fascio di luce monocromatica investe

due fenditure, forma al di là da esse una figura di interferenza in cui si hanno massimi luminosi in corrispondenza di una differenza tra lo spazio percorλ so dai raggi luminosi pari a C 2 − C 1 = (2n + 1) . Cor2 reggi questa frase, se necessario.

CALCOLI

9

macchia luminosa in corrispondenza della fenditura. Che cosa ci aspettavamo invece? 24 In riferimento all’esercizio 23, quale potrebbe esse-

re l’errore commesso nell’eseguire l’esperimento? 25 Osserva la figura di interferenza ottenuta in un

esperimento di Young. Individua in essa il fenomeno della diffrazione.

18 Una sorgente di luce monocromatica attraversa

due fenditure distanti 0,30 mm tra loro. La figura di interferenza che si forma su uno schermo posto a 4,0 m di distanza, mostra massimi luminosi spaziati di 7,0 mm. f Determina la lunghezza d’onda. [5,2 × 10–7 m] Massimiliano Trevisan

f A quale colore corrisponde?

19 Una sorgente emette luce verde di lunghezza d’on-

da pari a 532 nm, la quale, investendo due fenditure distanti tra loro 350 μm, forma una figura di interferenza su uno schermo posto a 380 cm. f Qual è la distanza tra i picchi luminosi? [5,78 μm]

20 Quanto dovrebbero essere distanti le fenditure nel-

la situazione descritta nell’esercizio 19 affinché la distanza fra i picchi luminosi della figura di diffrazione sia 8,00 mm? [253 μm]

21 A quale distanza dobbiamo porre lo schermo in un

apparato di Young affinché, data una distanza tra le due fenditure di 0,15 mm e una lunghezza d’onda incidente di 680 nm, si abbiano massimi luminosi distanti tra loro 15 mm? [3,3 m]

4

26 La diffrazione limita la possibilità di distinguere due

stelle viste attraverso l’apertura circolare di un telescopio. L’inconveniente è maggiore per telescopi con diametro dell’apertura più grande o più piccolo? Motiva la risposta in 5 righe.

CALCOLI 27 Attraverso uno strumento ottico che ha un dia-

framma di diametro pari a 1,0 cm vengono osservate due sorgenti puntiformi di lunghezza d’onda pari a 450 nm, distanti tra loro 4,0 cm. f Qual è la massima distanza dello strumento dalle sorgenti oltre la quale esse non vengono viste distintamente? [7,3 × 102 m]

DIFFRAZIONE DELLA LUCE

28 In riferimento allo strumento ottico descritto nell’e-

DOMANDE 22 Verifichiamo comunemente il fenomeno della dif-

frazione nel caso delle onde sonore, per esempio quando riusciamo a percepire un suono proveniente da un punto posto al di là di un ostacolo. Perché per osservare la diffrazione della luce ci serviamo di strette fenditure? 23 Per verificare il fenomeno della diffrazione faccia-

mo incidere luce monocromatica su una fenditura e osserviamo la figura che si forma al di là da essa. Il risultato ottenuto non soddisfa le nostre aspettative, perché lo schermo presenta solo una piccola

sercizio 27, qual è il valore della distanza massima se il diametro del diaframma dimezza? [3,6 × 102 m]

29 Due sorgenti puntiformi monocromatiche, che di-

stano 20 mm l’una dall’altra, vengono viste distintamente da un osservatore posto a 30 m da esse. f Se la lunghezza d’onda della luce emessa dalle sorgenti è 700 nm, qual è il diametro minimo della pupilla dell’osservatore? [1,3 mm]

271 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

9 ESERCIZI zona illuminata, la zona d’ombra e la zona di penombra.

ESERCIZI DI RIEPILOGO DOMANDE 30 Un prisma di vetro scompone la luce bianca prove-

Procy / Shutterstock

niente dal Sole nelle sue componenti colorate dando luogo al fenomeno della dispersione. Nel 1800 il fisico William Herschel, misurando con un termometro a mercurio la temperatura della luce di ciascun colore, si accorse che essa aumentava dal viola al rosso e continuava ad aumentare anche oltre tale limite. Egli mostrò così l’esistenza di onde elettromagnetiche invisibili, gli infrarossi, che trasportano energia dal Sole alla Terra. Come è detta tale modalità di propagazione dell’energia? 31 Se i nostri occhi potessero vedere onde elettro-

34 Un amico ci parla da dietro a un grosso albero: lo

magnetiche di altre lunghezze d’onda oltre a quelle dello spettro visibile, il cielo notturno apparirebbe diverso. Per esempio, nell’infrarosso vedremmo qualcosa di simile a questa immagine. A una stella che emette principalmente nell’infrarosso, assegneresti una temperatura più alta o più bassa di quella del nostro Sole? Motiva la risposta in 5 righe.

sentiamo, ma non lo vediamo. Perché? 37 Quale di queste due figure di diffrazione è stata ot-

32 Un oggetto che illuminato con luce bianca appare

verde viene illuminato con una lampada monocromatica che emette luce rossa. Di che colore appare l’oggetto? Motiva la risposta in 5 righe. 35 Quando approssimiamo la luce con raggi rettilinei

perpendicolari al fronte d’onda trascuriamo il fenomeno della diffrazione. Fai un esempio in cui tale approssimazione non è valida. 36 Due scatole dello stesso materiale sono esposte

alla luce del Sole: la prima è colorata di rosso, la seconda è colorata di bianco. In quale delle due si raggiunge in minor tempo la temperatura più alta? Motiva la risposta in 5 righe. 33 Individua in questa immagine di eclissi di Luna la

Massimiliano Trevisan

NASA/JPL-Caltech/GLIMPSE-MIPSGAL Teams

tenuta con due fenditure e quale con una fenditura singola?

38 Una stella che ha un massimo di emissione intorno

al rosso si sta avvicinando alla Terra. La lunghezza d’onda della luce emessa dalla stella misurata da uno strumento terrestre è maggiore, minore o uguale rispetto a quella emessa? Motiva la risposta. 39 Perché per studiare i reticoli cristallini si utilizzano i

raggi X?

PROBLEMI 40 Un semplice modello per schematizzare un’an-

tenna è rappresentato da una carica positiva e una carica negativa che oscillano ai capi di una molla ideale. L’onda generata da un tale sistema, detto oscillatore hertziano, è un’onda elettromagnetica il cui periodo è pari al periodo di oscillazione della molla.

272 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

LA LUCE f Qual è la lunghezza d’onda della radiazione generata da un oscillatore hertziano che compie un’oscillazione completa in 1,0 × 10–8 s? f Di quale tipo di onda elettromagnetica si tratta? f Quante oscillazioni compie il sistema in 1 s? [3,0 m; 1,0 × 108]

41 In un tubo contenente un gas rarefatto viene pro-

vocata una scarica elettrica in seguito alla quale il gas emette luce di varie frequenze. Misurando l’intensità della luce in funzione della lunghezza d’onda, si ricava lo spettro di emissione della lampada, che nel caso analizzato presenta dei massimi netti in corrispondenza dei valori 405 nm; 436 nm; 546 nm; 577 nm; 579 nm. intensità

9

f Quanto è alta l’ombra dell’uomo quando si trova a 50 cm dal muro? f A quale distanza dal muro deve mettersi il bambino affinché le due ombre abbiano l a stessa altezza? f Se il bambino ha in mano una bibita in lattina, il cui volume è equivalente a 330 ml e la cui base ha un diametro di 60 mm, quanto è alta l’ombra della lattina? [2,1 m; 1,7 m; 21 cm]

44 Da una sorgente al sodio viene selezionata la com-

ponente gialla di lunghezza d’onda pari a 589 nm, la quale investe due sottili fenditure e genera, al di là da esse, una figura di interferenza su uno schermo posto a una distanza di 7,2 m. f Qual è la distanza tra le fenditure se la distanza tra due picchi successivi è 6,1 mm?

400 450 500 550 600 650 700 750 800 lunghezza d’onda (nm)

f A quali colori corrispondono tali lunghezze d’onda? f Calcola per ciascuna la frequenza corrispondente. [7,40 × 1014 Hz; 6,88 × 1014 Hz; 5,49 × 1014 Hz; 5,20 × 1014 Hz; 5,18 × 1014 Hz]

42 Una sorgente luminosa che emette onde elettro-

magnetiche aventi frequenza pari a 3,9 × 1014 Hz si allontana da un osservatore fermo. La frequenza che separa l’intervallo dell’infrarosso dall’intervallo del visibile è pari a 3,8 × 1014 Hz. f A quale velocità la sorgente diventa invisibile all’osservatore? (Suggerimento: sostituisci la velocità delle onde elettromagnetiche a quella delle onde sonore nella formula 8.7 relativa all’effetto Doppler).

f Qual è la distanza tra i picchi luminosi quando alla sorgente al sodio viene sostituita una sorgente laser che mette luce monocromatica di lunghezza d’onda pari a 633 nm? f Qual è il colore della luce laser? [0,70 mm; 6,5 mm]

45 Vogliamo ottenere una figura di interferenza in cui

la distanza tra i massimi luminosi sia 1,5 cm. Abbiamo a disposizione una sorgente monocromatica di lunghezza d’onda pari a 532 nm e uno schermo posto a 8,0 m da essa. f Quale deve essere la distanza tra le fenditure? f Qual è il colore della figura di interferenza? f Se la nostra pupilla ha un diametro di 2,2 mm, riusciamo da una distanza di 8,0 m a distinguere i massimi luminosi della figura di interferenza? [0,28 mm]

[7,9 × 106 m/s]

46 Abbiamo a disposizione una sorgente monocro-

43 Un uomo alto 1,85 m e un bambino alto 1,20 m

matica verde di lunghezza d’onda pari a 532 nm e uno schermo posto a 8,0 m da essa.

proiettano la loro ombra su un muro distante 4,0 m dalla sorgente, come illustrato in figura.

f Qual è la massima distanza alla quale possiamo porre le fenditure affinché i massimi luminosi della figura di interferenza siano visibili distintamente da una distanza di 8,0 m? [1,8 mm]

S

d  4,0 m

47 Una sorgente emette luce di due colori, di frequen-

ze 4,2 × 1014 Hz e 6,7 × 1014 Hz, la quale incide una

273 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

9 ESERCIZI lastra su cui sono praticate due fenditure che distano tra loro 0,50 mm. f A quali colori corrispondono tali frequenze? f Che cosa ti aspetti che accada nella zona centrale di uno schermo posto a 700 cm dalle fenditure?

[3,7 mm]

VERSO L’UNIVERSITÀ Le onde elettromagnetiche che vengono utilizzate per le trasmissioni radio tra imbarcazioni: A

B

C

contengono campi elettrici, ma non magnetici.

E

contengono campi magnetici ma non elettrici.

(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Medicina veterinaria 2008/2009) 2 Una lampadina, che può essere considerata come

f Quanto distano tra loro massimi luminosi di diverso colore, successivi a quello centrale?

1

D

non possono trasportare energia che si scaricherebbe in mare. trasportano energia ma solo se in un certo intervallo di frequenze. trasportano energia indipendentemente dalla frequenza utilizzata.

una sorgente luminosa puntiforme, si trova alla distanza di 5 m da una parete. Un disco circolare opaco di raggio 0,40 m viene collocato parallelamente alla parete alla distanza di 2 m dalla lampadina, in modo che la congiungente della lampadina con il centro del disco sia perpendicolare al disco stesso e alla parete. f Qual è il raggio dell’ombra prodotta da questo disco sulla parete? A

1,30 m

B

1,20 m

C

1m

D

0,90 m

E

0,80 m

(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Architettura 2010/2011)

274 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

CAPITOLO

L’ottica geometrica



Lo specchio si groria forte tenendo dentro a sé specchiata la regina e, partita quella, lo specchio riman vile.



Leonardo da Vinci, Favole, XV secolo

Secondo il mito, la ninfa Eco fu condannata a ripetere le ultime sillabe udite e, prigioniera di un riflesso sonoro, si rifugiò tra i monti per la disperazione di un amore non corrisposto. Il suo sprezzante amato era Narciso che, per ironia della sorte, rimase prigioniero di un riflesso di luce: si innamorò infatti della sua immagine scorta in uno specchio d’acqua, restando vittima di un amore impossibile. Lasciamo il mito e soffermiamoci sul fenomeno fisico che in esso ricorre: la riflessione. Così come un suono si riflette su una parete rocciosa, dando origine all’eco, un raggio di luce si riflette su una superficie lucida restituendoci un’immagine dell’oggetto da cui proviene. Utilizzando l’approssimazione dei raggi luminosi, trascurando cioè i fenomeni tipicamente ondulatori dovuti al principio di sovrapposizione, quali l’interferenza e la diffrazione, imparerai a ricostruire le immagini degli oggetti dopo che la

luce proveniente da essi è stata riflessa da specchi di forma diversa. Imparerai inoltre come si ricostruiscono le immagini degli oggetti visti attraverso le lenti, che sono dispositivi ottici basati sul fenomeno della rifrazione, secondo la quale i raggi cambiano direzione quando passano da un mezzo trasparente a un altro. Un raggio luminoso, cioè, appare spezzarsi sulla superficie di separazione tra due diversi mezzi trasparenti causando vari effetti, ad esempio quello di una cannuccia che immersa parzialmente in acqua ci sembra spezzata. Vedrai che il fenomeno della rifrazione è importantissimo per il funzionamento dei nostri occhi, che sono organi di senso sofisticatissimi, e in ultima analisi degli straordinari sistemi ottici naturali. Attraverso gli occhi le immagini degli oggetti che ci circondano vengono raccolte e trasformate in segnali nervosi, in seguito elaborati dal cervello.

Attribuito a Michelangelo Merisi da Caravaggio, Narciso, 15941596.

PAROLE CHIAVE Riflessione Immagine Rifrazione

275 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

10

L’OTTICA GEOMETRICA

1

lenetstan / Shutterstock

Figura 1. I raggi sono riflessi dagli specchietti tutto intorno a seconda dell’angolo che formano con la luce incidente.

LA RIFLESSIONE

L’ottica geometrica è un’approssimazione per lo studio dei fenomeni luminosi, in cui si trascura il principio di sovrapposizione, caratteristico delle onde, per adottare la rappresentazione dei raggi luminosi, definiti nel capitolo 9. Con tale approssimazione è possibile rivisitare i fenomeni della riflessione e della rifrazione, introdotti in generale per i fenomeni ondulatori (capitolo 7). In questo caso diciamo che, quando un raggio luminoso incontra una superficie di separazione tra due mezzi trasparenti omogenei, parte di esso viene trasmesso nel secondo mezzo, subendo una rifrazione, e parte viene riflesso, continuando a propagarsi nel primo mezzo. Poniamo ora l’attenzione sul fenomeno della riflessione, che analizziamo per semplicità immaginando un raggio luminoso che, propagandosi nell’aria, incida sulla superficie di un mezzo non trasparente e lucido (figura 1): si osserva che la luce viene riflessa in una direzione che dipende dall’angolo con cui il raggio incide sulla superficie. In particolare, se chiamiamo iˆ l’angolo di incidenza, e i'ˆ l’angolo di riflessione, formati rispettivamente dal raggio incidente e dal raggio riflesso con la perpendicolare alla superficie, si verifica che essi giacciono sullo stesso piano e hanno uguale ampiezza (figura 2). raggio incidente

Figura 2. L’angolo di riflessione giace sullo stesso piano dell’angolo di incidenza e ha la stessa ampiezza di quest’ultimo.

raggio riflesso ^i

^i '

^i  ^i '

Queste osservazioni sono leggi empiriche note come leggi della riflessione: I: il raggio incidente, il raggio riflesso e la perpendicolare alla superficie di riflessione nel punto di incidenza giacciono sullo stesso piano. II: l’angolo di riflessione ha la stessa ampiezza dell’angolo di incidenza. Quando la superficie non è ben levigata, le piccole asperità producono riflessioni a vari angoli, responsabili del fenomeno della diffusione che abbiamo incontrato nel paragrafo 2 del capitolo 9 (figura 3). raggi in n incidenti Figura 3. La riflessione diffusa è dovuta a fenomeni di riflessione sulle asperità, assimilabili a microscopiche superfici orientate in tutte le direzioni.

rag raggi rriflessi

276 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

L’OTTICA GEOMETRICA

10

Lo specchio piano Lo specchio piano è il più semplice apparato ottico che sfrutta la riflessione. Grazie alle due leggi empiriche che regolano tale fenomeno, possiamo analizzare il suo funzionamento a partire da un semplice esempio con una sorgente di luce puntiforme. Osserviamo S innanzitutto che noi vediamo la sorgente, cioè sorgente ne percepiamo un’immagine, quando i raggi provenienti da essa raggiungono i nostri occhi (figura 4). Se i raggi provenienti dalla sorgente puntiforme incontrano uno specchio piano, vengono riflessi e raggiungono i nostri occhi lungo una direzione che forma un angolo uguale a quello di incidenza. Noi continuiamo a percepire l’immagine della sorgente S, anche se stavolta i raggi non provengono direttamente da essa ma da un punto nel quale convergono i prolungamenti dei raggi riflessi: diciamo in questo caso che l’immagine è virtuale (figura 5).

Figura 4. Quando i raggi provenienti da una sorgente puntiforme raggiungono i nostri occhi, ne percepiamo l’immagine.

specchio piano Figura 5. Il nostro cervello ricostruisce la propagazione rettilinea dei raggi e noi percepiamo un’immagine virtuale della sorgente S, simmetrica ad essa rispetto alla superficie riflettente.

pq

S

p

S'

q

Essa sembra trovarsi, infatti, al di là dello specchio, in un punto S' simmetrico a S rispetto al piano riflettente. La distanza p tra S e il piano dello specchio è uguale alla distanza q tra S' e lo stesso piano (figura 6): pq specchio piano ^i  ^i ' ^i ' ^i

S

p

O 

OSV  OVS'

^i ^i '



V

q

Figura 6. Due triangoli rettangoli che hanno un angolo uguale e un lato in comune sono uguali.

S'

Distinguiamo pertanto due tipi di immagine: s reale, quando è ricostruita dalla convergenza dei raggi luminosi; s virtuale, quando è ricostruita dalla convergenza dei prolungamenti dei raggi luminosi. Un’immagine può essere visualizzata su uno schermo solo se è reale, cioè se sullo schermo convergono i raggi da cui è formata.

277 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

10

L’OTTICA GEOMETRICA

Immagine di un oggetto esteso Se l’oggetto da cui provengono i raggi luminosi è esteso, ciascuno dei suoi punti si comporta come una sorgente puntiforme; pertanto la riflessione sullo specchio piano comporta la costruzione di un’immagine virtuale diritta e di uguali dimensioni rispetto all’oggetto (figura 7). specchio piano

Figura 7. L’immagine di un oggetto esteso in uno specchio piano è diritta e ha le stesse dimensioni dell’oggetto.

A

A'

oggetto p B

2

immagine virtuale

q B'

GLI SPECCHI

Olaru Radian-Alexandru / Shutterstock

Quando gli specchi non sono perfettamente piani l’immagine che ne deriva può apparire distorta in un modo che dipende della forma dello specchio. Un’immagine deformata potrebbe non avere una particolare utilità. Tuttavia, se la superficie riflettente ha una curvatura opportuna, si possono ottenere effetti desiderati, come avviene con gli specchietti retrovisori, che rimpicciolisco gli oggetti ma offrono una panoramica ampia su una superficie piccola (figura 8). In particolare tra gli specchi curvi sono molto importanti quelli parabolici e sferici. Figura 8. Gli specchietti retrovisori deformano le immagini degli oggetti reali rimpicciolendone le dimensioni e consentendo di visualizzare una zona ampia su una piccola superficie.

Tom Grundy / Shutterstock

Figura 9. La centrale «Archimede» di Priolo Gargallo a Siracusa utilizza specchi parabolici per concentrare l’energia proveniente dal Sole.

Specchi parabolici Secondo una storia più leggendaria che reale, Archimede utilizzò specchi parabolici, i cosiddetti specchi ustori, per concentrare i raggi solari e incendiare le navi romane nemiche, durante l’assedio di Siracusa del 212 a.C. Leggenda a parte, se la superficie di uno specchio è un paraboloide, figura geometrica ottenuta per rotazione di una parabola attorno al suo asse, i raggi provenienti da un punto lontano convergono effettivamente tutti in un punto dopo la riflessione. Gli impianti a concentrazione solare (centrali termodinamiche; figura 9) sfruttano questa proprietà della parabola: i raggi provenienti dal Sole vengono concentrati da sistemi di specchi con profilo parabolico e consentono di raggiungere temperature molto più alte di quelle ottenibili per insolazione diretta. In figura 10 è schematizzato uno specchio parabolico in sezione trasversale. I raggi che incidono sulla superficie parallelamente all’asse di simmetria della superficie stessa (asse ottico) vengono riflessi in modo da convergere in un punto F detto fuoco; inoltre se sul fuoco è posta una sorgente puntifor-

278 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

L’OTTICA GEOMETRICA

me i raggi provenienti da essa vengono riflessi dallo specchio secondo direzioni parallele all’asse ottico. La distanza tra il fuoco e il vertice V in cui l’asse ottico interseca la superficie dello specchio è detta distanza focale f (figura 10b). I raggi diretti lungo l’asse ottico vengono riflessi indietro lungo la stessa direzione. aasse ottico o

aasse ottico o

fuoco

fuoco f

specchio parabolico

specchio parabolico

V

a

10

Figura 10. a. I raggi che incidono sulla superficie dello specchio parallelamente all’asse ottico in seguito alla riflessione convergono nel fuoco F. b. I raggi provenienti da una sorgente puntiforme posta sul fuoco F vengono riflessi dalla superficie parabolica lungo direzioni parallele all’asse ottico.

V

b

Specchi sferici Uno specchio sferico è formato da una calotta sferica, cioè dalla porzione di una superficie sferica di raggio R (figura 11).

Figura 11. Se lo specchio ha un’apertura piccola rispetto al raggio di curvatura R, il fuoco è posto sull’asse ottico a una distanza pari a R/2 dalla superficie sferica.

specchio sferico apertura dello specchio 

C

F

R

f

R  2

Se R è molto grande rispetto alle dimensioni dello specchio, cioè se in sezione l’angolo α formato dal centro della sfera e dagli estremi dello specchio è piccolo, anche uno specchio sferico ha un fuoco F ben definito, posto sull’asse ottico a metà tra la superficie dello specchio e il suo centro di curvatura C. Cioè: se uno specchio sferico ha un’apertura piccola rispetto al raggio di curvatura R, la sua distanza focale f è pari alla metà di R: f=

R 2

(10.1)

Da questa premessa deriva che tutte le relazioni che troveremo d’ora in poi per gli specchi sferici valgono nell’approssimazione che l’apertura dello specchio sia piccola rispetto al raggio di curvatura, cioè per le porzioni di specchio vicine all’asse ottico.

279 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

10 specchio concavo

asse ottico C

F

a Figura 12. a. Specchio sferico concavo: i raggi paralleli all’asse ottico convergono nel fuoco F e l’immagine è reale. b. Specchio sferico convesso: i prolungamenti dei raggi paralleli all’asse ottico convergono nel fuoco F e l’immagine è virtuale. In entrambi i casi i raggi le cui direzioni passano per il centro di curvatura vengono riflessi all’indietro lungo la stessa direzione.

L’OTTICA GEOMETRICA

Uno specchio sferico può essere concavo o convesso, a seconda che la superficie riflettente sia, appunto, concava o convessa. Uno asse ottico specchio convesso è trattato come F C uno specchio concavo il cui fuoco sia virtuale, cioè posto al di là della superficie riflettente: i raggi che incidono parallelamente allo specb chio formano sul fuoco un’immagine virtuale (figura 12). Le immagini formate dagli specchi sferici possono essere reali o virtuali, ingrandite o rimpicciolite, diritte o capovolte, a seconda del tipo di specchio e della posizione dell’oggetto. In tabella 1 sono rappresentati i vari casi, schematizzando l’oggetto e la sua immagine con frecce che ne indicano le dimensioni e l’orientamento, nell’approssimazione in cui i raggi considerati non si discostano molto dall’asse ottico. specchio conveso

SPECCHIO SFERICO

SCHEMA GRAFICO

Tabella 1. Immagine prodotta da uno specchio sferico.

C

F

V

C

V

Concavo

F

C

V F

Convesso V

F

C

OGGETTO

IMMAGINE

più distante di C da V

reale capovolta rimpicciolita

posto tra C e F

reale capovolta ingrandita

posto tra F e V

virtuale diritta ingrandita

opposto rispetto alle posizioni di C e F rispetto a V

virtuale diritta rimpicciolita

280 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

L’OTTICA GEOMETRICA

10

Per ricavare dimensioni e posizione dell’immagine, cioè la distanza per la quale è a fuoco e i suoi contorni sono definiti, si intersecano i raggi che partono da un estremo dell’oggetto: uno parallelo all’asse ottico il cui riflesso passa per il fuoco, l’altro passante per il centro riflesso all’indietro lungo la stessa retta.

La legge dei punti coniugati Così come abbiamo fatto per gli specchi piani, chiamiamo p la distanza tra l’oggetto e il vertice e q la distanza fra l’immagine e il vertice. Tali grandezze sono legate fra loro da una relazione, la cosiddetta legge dei punti coniugati, in cui compare la distanza focale f, che permette di determinare quantitativamente quanto schematizzato in tabella 1: 1 1 1 + = p q f

(10.2)

Nell’usare la legge dei punti coniugati, sia per gli specchi concavi sia per quelli convessi, per convenzione sono considerate negative le distanze di ciò che sta dietro lo specchio e positive quelle di ciò che sta davanti. Così, mentre p è sempre positivo, q è negativo V quando l’immagine è virtuale, cioè formata dai prolungamenti dei raggi dietro alla superficie p0 q0 dello specchio. Analogamente, la distanza focale f0 di uno specchio concavo è positiva (f  0), mentre quella di uno specchio convesso è negativa (f  0) e pari a R/2 (figura 13).

ESEMPIO f Un led è posto su un punto dell’asse ottico di uno specchio sferico convesso di raggio pari a 120 cm, a 250 mm dal vertice. A quale distanza dal vertice si forma l’immagine? Si tratta di un’immagine reale o virtuale?

asse ottico

F

asse ottico q0 f0 Figura 13. Per convenzione tutto ciò che si trova al di là della superficie riflettente ha una distanza negativa dal vertice V.

C

P

SOLUZIONE Invertendo la formula (10.2) rispetto a q otteniamo: q=

pf p− f

Dato che si tratta di uno specchio convesso, la distanza focale f è negativa e pari a

281 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

10

L’OTTICA GEOMETRICA

f =−

R 120 cm =− = −600 mm 2 2

per cui q=

( 250 mm ) × (−600 mm) = −176 mm 250 mm − (−600 mm )

L’immagine è virtuale, in quanto la distanza q è negativa, cioè formata dai prolungamenti dei raggi luminosi e posta al di là della superficie riflettente. DOMANDA A quale distanza si forma l’immagine di un led posto alla stessa distanza dal vertice di uno specchio concavo di uguale raggio di curvatura? È un’immagine reale o virtuale?

L’ingrandimento Quando l’oggetto riflesso nello specchio sferico è esteso, la sua immagine può avere una dimensione diversa da quella dell’oggetto stesso. Si definisce ingrandimento lineare il rapporto fra le dimensioni trasversali dell’immagine e le dimensioni trasversali dell’oggetto. Cioè, detta h la lunghezza dell’oggetto e h la lunghezza dell’immagine, l’ingrandimento trasversale G è dato dalla relazione: h′ G= h Si può dimostrare che i triangoli evidenziati in figura 14 sono simili, per cui h′ q = h p cioè G=

q p

(10.3)

P Figura 14. Relazione geometrica tra le dimensioni trasversali dell’oggetto e dell’immagine.

q h

C

F

V

h'

Dalla formula (10.3) si deduce che: s |G|  1 se l’immagine è ingrandita rispetto all’oggetto; s |G|  1 se l’immagine è rimpicciolita rispetto all’oggetto; s |G|  1 se l’immagine ha le stesse dimensioni dell’oggetto. La formula (10.3) ha come conseguenza che G è positivo quando l’immagine è reale (q  0 ), mentre è negativo quando l’immagine è virtuale (q  0).

282 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

10

L’OTTICA GEOMETRICA

ESEMPIO f Se al posto del led dell’esempio precedente è posto un bicchiere di altezza 150 mm, qual è l’altezza dell’immagine formata dallo specchio?

V P

F

C

q

SOLUZIONE Utilizzando i dati dell’esempio precedente, la formula (10.3) fornisce un valore per l’ingrandimento G pari a G=

q −176 mm = −0, 704 p 250 mm

da cui troviamo che G=

h′ = 0, 704 h

e h'  0,704  150  106 mm L’immagine del bicchiere è dunque rimpicciolita rispetto al bicchiere ed è virtuale, cioè sembra provenire da un punto posto dietro la superficie dello specchio. DOMANDA Quanto vale l’ingrandimento lineare di uno specchio piano?

3

LA RIFRAZIONE

MilanB / Shutterstock

Poniamo ora l’attenzione sul fenomeno della rifrazione, che si verifica quando un’onda che incontra la superficie di separazione tra due mezzi viene trasmessa nel secondo cambiando direzione di propagazione (vedi capitolo 7, paragrafo 5). In questo caso abbiamo un raggio luminoso che, al passaggio da un mezzo all’altro, sembra spezzarsi (figura 15a). In altre parole, se chiamiamo iˆ l’angolo di incidenza, formato dal raggio e dalla perpendicolare alla superficie di separazione nel punto di incidenza nel primo mezzo, e rˆ l’angolo di rifrazione, formato dal raggio e dalla perpendicolare alla superficie di separazione nel punto di incidenza nel secondo mezzo, osserviamo che essi non raggio raggio riflesso sono uguali. S incidente In particolare, nel caso a ri a ^i ^i ' in cui il primo mezzo sia l’aria e il secondo l’acqua, abbiamo che iˆ  rˆ, come si vede nella figura 15b-c, ^r acqua dove per completezza è rappresentato in verde anche il fenomeno della riflessione. o rifratto raggio a b

Figura 15. a. Una cannuccia immersa parzialmente in acqua appare spezzata in quanto i raggi provenienti dall’acqua subiscono una rifrazione. b. Quando un raggio passa dall’aria all’acqua l’angolo di incidenza è maggiore di quello di rifrazione. c. Quando un raggio passa dall’acqua all’aria l’angolo di incidenza è minore di quello di rifrazione.

raggio rifratto a ri a

^r

a c q ua

^i ' ^i

c

g gg raggio fl riflesso

283 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

raggio incidente

S

10

L’OTTICA GEOMETRICA

Per la prima legge della rifrazione:

SIMULAZIONE La direzione della luce

I) il raggio incidente, il raggio rifratto e la perpendicolare alla superficie di separazione nel punto di incidenza giacciono sullo stesso piano.

(PhET, University of Colorado)

L’ampiezza dell’angolo di rifrazione rispetto a quello di incidenza dipende dalla velocità della luce nei mezzi considerati. Nel mezzo in cui la velocità della luce è maggiore il raggio forma un angolo maggiore con la perpendicolare alla superficie di separazione, secondo una relazione matematica ben precisa, che costituisce la seconda legge della rifrazione. Definiamo a tale scopo l’indice di rifrazione assoluto n di un mezzo trasparente come il rapporto tra la velocità della luce nel vuoto c e la velocità della luce nel mezzo considerato v: n=

c v

(10.4)

L’indice di rifrazione assoluto è dato dal rapporto di due velocità, quindi è adimensionale, ed è inoltre sempre maggiore di 1. Detti n1 e n2 gli indici di rifrazione del primo e del secondo mezzo considerati, vale la legge di Snell (o seconda legge della rifrazione): II) il rapporto tra il seno dell’angolo di incidenza e il seno dell’angolo di rifrazione è costante e pari al rapporto tra l’indice di rifrazione del secondo mezzo e quello del primo mezzo: sin iˆ n2 = (10.5) sin rˆ n1 Ricordando la relazione (10.4) abbiamo quindi che sin iˆ v1 sin rˆ v 2 cioè il rapporto tra il seno dell’angolo di incidenza e il seno dell’angolo di rifrazione è uguale al rapporto tra la velocità della luce nel primo mezzo e la velocità della luce nel secondo mezzo. Quando l’indice di rifrazione n1 di un mezzo è maggiore dell’indice di rifrazione n2 di un secondo mezzo, si dice che il primo mezzo è più n rifrangente del secondo, e il rapporto n2/n1 è minore di 1. Tale rapporto fornisce dunque una sorta di confronto tra indici di rifrazione di 1,0003 mezzi diversi ed è anche chiamato indice di rifrazione relativo del secondo mezzo rispetto al primo. In base a questa terminologia, l’indi1,0005 ce di rifrazione definito dalla relazione (10.4) può essere considerato un 1,31 indice di rifrazione relativo al vuoto. 1,33 L’indice di rifrazione di uno stesso mezzo cambia a seconda della 1,47 lunghezza d’onda della luce incidente. In tabella 2 sono riportati i valori 1,52 dell’indice di rifrazione di alcuni materiali per una lunghezza d’onda da 1,5 a 1,9 pari a 589 nm corrispondente al colore arancione. Dato che l’indice di rifrazione dell’aria è 1,0003 il suo valore può es2,42 sere approssimato a 1 in moltissimi casi, e quindi l’indice di rifrazione 3,4 relativo all’aria di un altro mezzo si approssima con l’indice di rifrazio1,47 ne assoluto del mezzo stesso.

Tabella 2. Indice di rifrazione di alcuni materiali per luce di lunghezza d’onda λ  589 nm.

MATERIALE Aria in condizioni normali Anidride carbonica Ghiaccio Acqua (20 °C) Glicerina Cloruro di sodio Vetro Diamante Silicio Olio d’oliva

284 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

L’OTTICA GEOMETRICA

10

ESEMPIO f Un raggio di luce si propaga in aria e in seguito penetra in una lastra di vetro il cui indice di rifrazione è 1,5, formando un angolo di 30° con la perpendicolare alla lastra nel punto di incidenza. Qual è l’angolo di uscita dal vetro all’aria? SOLUZIONE Calcoliamo innanzitutto il seno dell’angolo di rifrazione nel passaggio dall’aria al vetro, usando la legge di Snell (formula (10.5)) e approssimando a 1 l’indice di rifrazione dell’aria: sin rˆv =

a ri a

30° ^i a

^i v

v e tro ^rv a ri a

^ra

na 1 1 sin iˆa = sin 30° = 0, 50 = 0, 33 nv 1, 5 1, 5

L’angolo rˆv è, a sua volta, uguale all’angolo di incidenza iˆv sulla superficie di separazione vetro-aria, per la quale: sin rˆa =

nv sin iˆv = 1, 5 × 0, 33 = 0, 50 na

cioè: rˆa  30° L’angolo di uscita del raggio dalla lastra di vetro è dunque uguale all’angolo di incidenza. DOMANDA Se al posto della lastra di vetro ci fosse una lastra di ghiaccio si otterrebbe lo stesso risultato? Rispondi in 10 righe senza fare i calcoli.

La riflessione totale Se un raggio di luce passa da un mezzo con indice di rifrazione maggiore a un mezzo con indice di rifrazione minore l’angolo di rifrazione è maggiore di quello di incidenza. Questo significa che, se aumentiamo gradatamente l’inclinazione del raggio incidente, arriveremo al valore dell’angolo limite iˆL al quale corrisponde un angolo di rifrazione di 90°; se l’angolo ^r1 ^r2 90° di incidenza è maggiore dell’angolo limite, allora nel secondo mezzo non vi è alcun raggio rifratto. Questo ^i ^i 1 ^ 90° i2 fenomeno è detto, pertanto, riflessione totale (figura 16). Il valore dell’angolo limite si trova imponendo che l’angolo di rifrazione sia uguale a 90°. Perciò, partendo dalla condizione n1  n2 e sapendo che S sin 90°  1, si ha:

Figura 16. Nel passare da un mezzo più rifrangente a uno meno rifrangente esiste un angolo di incidenza massimo oltre il quale avviene la riflessione totale, cioè non vi è più il raggio rifratto.

n1  n2

n1 ^i

^i '

285 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

^i  ^i L 90°

n2

10

L’OTTICA GEOMETRICA

sin iˆL

n2 n1

Se il mezzo meno rifrangente è l’aria, per la quale poniamo l’indice di rifrazione n2  1, l’angolo limite di una sostanza con indice di rifrazione n1  1 si calcola con la formula: 1 sin iˆL n1

ESEMPIO f Un prisma di vetro ha indice di rifrazione 1,5 e la sua sezione trasversale è un triangolo rettangolo con gli angoli di 45°. Quale traiettoria ha un raggio luminoso che incide perpendicolarmente una delle due facce perpendicolari del prisma come illustrato in figura?

45°

45°

SOLUZIONE Calcoliamo l’angolo limite del vetro con la formula (10.6), tenendo conto del fatto che il secondo mezzo è l’aria: sin iˆL

1 n1

1 1, 5

0, 67

per cui iˆL  42° Il raggio che incide perpendicolarmente non subisce alcuna rifrazione e incide la faccia obliqua del prisma con un angolo di 45°. Dato che l’angolo incidente è maggiore dell’angolo limite precedentemente calcolato, il raggio viene totalmente riflesso con un angolo di 45° uguale a quello di incidenza. Esso raggiunge la seconda faccia perpendicolare, incidendola con un angolo di 90° e procedendo poi fuori dal prisma. 45°

45°

45°

45°

45° 45°

45° 45°

45°

45°

45°

DOMANDA In che modo potrebbe essere usato un prisma come quello dell’esempio per guardare il cielo senza alzare la testa? Disegna uno schema.

La dispersione della luce Un prisma triangolare può essere usato anche per scomporre un fascio di luce bianca nelle sue diverse componenti cromatiche, corrispondenti a onde elettromagnetiche di lunghezza d’onda diversa. L’indice di rifrazione dipende, infatti, dalla lunghezza d’onda della luce: nel passare successivamente

286 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

10

L’OTTICA GEOMETRICA

dall’aria al vetro e dal vetro all’aria, ciascuna componente cromatica del raggio subisce due volte il fenomeno della rifrazione, cambiando direzione con angoli di deviazione δ diversi a seconda del colore (figura 17). Figura 17. Nel fenomeno della dispersione i raggi corrispondenti a diverse lunghezze d’onda escono dal prisma con angoli di deviazione diversi.

luce bianca 

prisma

4

Massimiliano Trevisan

rosso arancione giallo verde blu violetto

LE LENTI SFERICHE SOTTILI

Uno specchio è un dispositivo ottico basato sul fenomeno della riflessione; il dispositivo ottico basato sul fenomeno della rifrazione si chiama diottro. Esso è costituito da due mezzi omogenei trasparenti, separati da una superficie sulla quale incide il raggio di luce. Quando la superficie è sferica si parla di diottro sferico, che può essere concavo o convesso a seconda della posizione della sorgente del raggio luminoso incidente rispetto al centro di curvatura della sfera. L’asse ottico del diottro è la retta che passa per il centro C della sfera e la sorgente S. Il punto V dell’asse che interseca la sfera è detto vertice (figura 18).

S

a

S

V

C diottro concavo

b

V

C

diottro convesso

Qui non tratteremo i diottri e le equazioni che descrivono il comportamento dei raggi luminosi al passaggio da un mezzo all’altro, ma porremo l’attenzione sulle lenti, che sono particolari combinazioni di diottri i cui centri di curvatura giacciono sullo stesso asse ottico. Diciamo quindi che

Figura 18. I diottri sono dispositivi ottici basati sul fenomeno della rifrazione al passaggio della luce fra due mezzi trasparenti di indice di rifrazione diverso. a. In un diottro sferico concavo la sorgente e il centro di curvatura si trovano dalla stessa parte rispetto al vertice V. b. In un diottro convesso la sorgente e il centro di curvatura si trovano in parti opposte rispetto al vertice V.

Figura 19. Esempi di profili di lenti.

una lente è un sistema diottrico centrato formato dalla combinazione di due diottri che delimitano tre regioni: il primo e l’ultimo mezzo di propagazione è in genere l’aria e quello intermedio è un vetro o un materiale plastico con indice di rifrazione maggiore di 1. Le lenti sono solitamente delimitate da superfici sferiche, ma una può essere anche piana (figura 19).

concavo convessa (menisco)

biconvessa

biconcava

287 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

piano convessa

piano concava

10

L’OTTICA GEOMETRICA

Le lenti hanno due fuochi F1 e F2, detti primario e secondario, e sono fondamentalmente di due tipi: s convergenti: quando i raggi paralleli all’asse ottico che incidono sulla lente convergono nel fuoco secondario F2 e i raggi provenienti dal fuoco primario F1 escono dalla lente parallelamente all’asse; s divergenti: quando i raggi paralleli all’asse ottico che incidono sulla lente divergono dal fuoco secondario F2 (cioè sembrano provenire da esso) e i raggi diretti verso il fuoco primario F1 escono dalla lente parallelamente all’asse. Sull’asse ottico, che divide a metà lo spessore della lente, giacciono i centri di curvatura dei diottri; il punto O di questo asse è detto centro della lente. I fuochi sono equidistanti dal centro, e la distanza f  f' è detta distanza focale della lente (figura 20). f'

F2

O Figura 20. Una lente convergente concentra nei fuochi F1 e F2 i raggi paralleli all’asse ottico; una lente divergente fa divergere dai fuochi F1 e F2 i raggi paralleli all’asse ottico.

lente convergente

f

F1

O

f' f f'

F2

f

O

F1

O

lente divergente

Nell’attraversare una lente un raggio subisce due rifrazioni, e in genere la sua direzione cambia in uscita dalla lente. Tuttavia, se lo spessore della lente è piccolo rispetto ai raggi di curvatura delle calotte sferiche, alle lunghezze focali e alle distanze degli oggetti e delle immagini, è possibile approssimare il percorso dei raggi che passano vicino al centro della lente come rettilinei. Quando facciamo tale approssimazione parliamo di lenti sottili, le quali forniscono immagini che dipendono dalla posizione dell’oggetto rispetto al fuoco, come illustrano in tabella 3 le frecce che schematizzano dimensioni e orientamento di oggetto e immagine, per raggi che non si discostano molto dall’asse ottico. Per ricavare dimensione e posizione dell’immagine si intersecano i raggi che partono da un estremo dell’oggetto: uno parallelo all’asse ottico, il cui raggio uscente dalla lente passa per il fuoco F2, l’altro passante per il centro della lente e quindi uscente con la stessa direzione di quello incidente (per l’approssimazione relativa alle lenti sottili).

Punti coniugati di una lente sottile Come per gli specchi, se chiamiamo p la distanza dell’oggetto e q la distanza dell’immagine dal centro della lente anche per le lenti sottili vale una re-

288 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

10

L’OTTICA GEOMETRICA LENTE SFERICA SOTTILE

SCHEMA GRAFICO

F2

O F1 2f

IMMAGINE

Posto oltre il doppio della distanza focale dal centro della lente

reale capovolta rimpicciolita

Posto a una distanza doppia della distanza focale dal centro della lente

reale capovolta di uguale dimensione

Posto tra il fuoco F e il doppio della distanza focale

reale capovolta ingrandita

Posto sul fuoco F

non si forma

Posto tra la lente e il fuoco F

virtuale diritta ingrandita

Per qualunque posizione

virtuale diritta rimpicciolita

2f

F2

O F1 2f

2f

F2

O F1

Convergente

OGGETTO

2f

2f

O

F2

F1 2f

2f

O

F2

F1 2f

2f

O

Divergente

F2

F1 2f

2f Tabella 3. Immagine di una lente sferica sottile.

lazione che lega questi punti coniugati alla distanza focale f, con la quale si può determinare quantitativamente quanto illustrato in tabella 3. La formula fondamentale per le lenti sottili è anche nota come formula di Huygens: 1 1 1 + = p q f

(10.7)

289 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

10

L’OTTICA GEOMETRICA

Per i segni di p, q e f vale la seguente convenzione (figura 21):

V p0 q0 f0

p0 q0 f0

Figura 21. Per convenzione, p ha segno positivo quando è nella parte da cui i raggi incidono sulla lente; q quando è nella parte in cui i raggi sono trasmessi; f quando il centro del diottro è nella parte in cui i raggi sono trasmessi.

s p  0 per un oggetto reale posto dalla parte da cui i raggi incidono sulla lente; p  0 per un oggetto virtuale posto dalla parte in cui i raggi sono trasmessi; s q  0 per un’immagine reale che si trova nella parte in cui i raggi sono trasmessi; q  0 per un’immagine virtuale che si trova nella parte da cui i raggi incidono sulla lente; s f  0 per il diottro convesso; f  0 per il diottro concavo.

L’ingrandimento Anche per le lenti sottili l’ingrandimento lineare, cioè il rapporto fra le dimensioni trasversali dell’immagine h' e le dimensioni trasversali dell’oggetto h, sono date dalla formula (10.3).

ESEMPIO

Massimiliano Trevisan

f Uno schermo è situato a una distanza q  2,0 m da una lente convergente la cui distanza focale è 20 cm. In quale posizione deve essere posto l’oggetto affinché su quest’ultimo sia definita la sua immagine? Quanto vale l’ingrandimento lineare? SOLUZIONE Invertendo la formula (10.7) rispetto a p, si ottiene: p=

qf 2, 0 m × 0, 20 m = = 0, 22 m q− f 2, 0 m − 0, 20 m

L’oggetto va dunque posto a una distanza pari a 22 cm dal centro della lente, dalla parte opposta rispetto allo schermo, in quanto p  0 e q  0. L’ingrandimento lineare è dato dalla formula (10.3): G

q p

2, 0 m 0, 22 m

9, 1

L’immagine è dunque ingrandita circa 9 volte rispetto alle dimensioni dell’oggetto. Questa situazione è analoga a quella di un proiettore che proietta una piccola immagine, per esempio un fotogramma, ingrandita a distanza. DOMANDA Se poniamo l’oggetto a una distanza dal centro della lente inferiore alla distanza focale, l’immagine è virtuale, ingrandita e si forma dalla stessa parte dell’oggetto: così funziona una lente di ingrandimento. Quanto vale l’ingrandimento lineare se poniamo un oggetto a 10 cm dalla lente dell’esempio?

290 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

L’OTTICA GEOMETRICA

5

10

ALTRI SISTEMI OTTICI

Si racconta che Nerone usasse uno smeraldo come monocolo. È una storia suggestiva, ma non sufficientemente documentata da poter essere considerata attendibile. Per poter avere una testimonianza certa della consapevolezza delle proprietà delle lenti per scopi ottici dobbiamo arrivare al XIII secolo. Lo studioso, alchimista, filosofo, teologo e monaco francescano Ruggero Bacone tra i suoi innumerevoli interessi aveva anche quello dell’ottica. Nella sua Opus Major (1267) parla di «porzioni di sfera» che, poste sulle lettere, hanno la proprietà di ingrandire i caratteri più minuti rendendo più agevole la lettura «ai vecchi e a quelli che hanno deboli gli occhi». Prima di avere una testimonianza sull’uso di veri e propri occhiali, poi, è necessario andare avanti di qualche decennio e ancora di più per la loro diffusione. Le prime documentazioni iconografiche sull’uso di lenti per la vista si devono a Tommaso da Modena (1326-1379) (figura 22). Nel XVI secolo la tecnologia delle lenti si affermò e si raffinò, finché intorno al 1600, in Olanda, un occhialaio ebbe la felice idea di montare due lenti in sequenza e nacque il primo cannocchiale, capace di far vedere oggetti lontani come se fossero vicini. Galileo Galilei perfezionò lo strumento e lo utilizzò per osservare il cielo, trasformandolo in telescopio. Risale agli stessi anni l’idea di un sistema ottico analogo, «un telescopio per vedere gli oggetti vicinissimi», cioè un microscopio, come scrisse Galileo nel Saggiatore (1623). Prima di occuparci di telescopi e microscopi analizziamo il funzionamento dell’occhio, il nostro sistema ottico naturale, che raccoglie i raggi provenienti dall’ambiente, li trasforma in segnali elettrici e li invia al cervello attraverso il nervo ottico, consentendo la visione.

Figura 22. Una testimonianza sull’uso di occhiali per la vista in un affresco del 1352 in cui Tommaso da Modena ritrae il cardinale Ugo di Provenza.

L’occhio L’occhio è un organo di senso importantissimo, che fa parte dell’apparato visivo per mezzo del quale riceviamo immagini dallo spazio che ci circonda. Vediamo in sintesi il suo funzionamento dal punto di vista ottico utilizzando quanto appreso finora, tenendo presente che le sue parti sono costituite da diversi materiali, caratterizzati da indici di rifrazione diversi. L’occhio è costituito fondamentalmente da due sfere di raggio diverso che si intersecano: la più grande è la sclera, opaca, che si interrompe an-

291 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

10

L’OTTICA GEOMETRICA

teriormente per ospitare la cornea, trasparente. Dietro la cornea c’è l’iride, una membrana che dà il colore all’occhio, la quale funziona come un diaframma di apertura regolabile il cui foro è detto pupilla (figura 23). umor vitreo sclera cristallino umor acqueo Figura 23. Sezione schematica dell’occhio umano.

coroide retina

cornea nervo ottico

pupilla iride muscolo ciliare

La luce proveniente dall’esterno supera la cornea e l’umor acqueo, per poi penetrare nel cristallino attraverso la pupilla, più o meno aperta a seconda della quantità di luce incidente. Tale regolazione è inconscia ed è controllata da un sistema di muscoli per impedire che un’intensità di luce troppo elevata danneggi gli organi interni dell’occhio. Dietro la pupilla è posto il cristallino, il quale funziona come una lente convergente con distanza focale variabile. Si tratta di una lente biconvessa la cui curvatura può variare grazie all’azione del muscolo ciliare, in modo tale da spostare il suo fuoco e consentire una visione nitida di oggetti posti a distanze diverse, dall’infinito (raggi paralleli all’asse ottico) fino a una distanza minima di circa 10 cm, con un certo sforzo, nei giovani (figura 24). Tale meccanismo è detto accomodamento; quando in età avanzata il muscolo ciliare perde la sua elasticità dà luogo al difetto detto presbiopia, per il quale non si riesce più a formare immagini nitide di oggetti posti vicino all’occhio. cristallino Figura 24. L’accomodamento è dovuto all’azione del muscolo ciliare, che modifica la curvatura del cristallino e consente la messa a fuoco di oggetti posti a distanze diverse.

visione da lontano

visione da vicino

Il globo oculare interno contiene una sostanza gelatinosa trasparente, detta umor vitreo (o corpo vitreo), che protegge gli organi dell’occhio come un ammortizzatore. In fondo all’occhio è posta la retina, una membrana costituita da cellule sensibili agli stimoli luminosi che, quando viene colpita dalla luce, invia segnali al cervello attraverso il nervo ottico. Affinché l’immagine di un oggetto sia percepita correttamente, la retina deve essere posta esattamente in corrispondenza del fuoco del sistema ottico appena descritto. Su di essa si forma così un’immagine reale e capovolta dell’oggetto. Se ciò non avviene si hanno i tipici difetti della vista miopia e ipermetropia, rispettivamente quando i raggi convergono davanti o dietro

292 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

L’OTTICA GEOMETRICA

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la retina. Questi difetti possono essere corretti aggiungendo un elemento al sistema ottico, cioè con una lente opportuna: divergente nel caso della miopia e convergente nel caso dell’ipermetropia (figura 25). occhio miope occhio troppo lungo

0

5

correzione della miopia con lenti divergenti

10 15 20 25 mm

occhio ipermetrope occhio troppo corto

0

5

10 15 20 25 mm

0

5

10 15 20 25 mm

correzione dell’ipermetropia con lenti convergenti

0

5

Figura 25. In un occhio miope l’immagine si forma davanti alla retina; il difetto si può correggere con una lente divergente. In un occhio ipermetrope l’immagine si forma dietro alla retina; il difetto si può correggere con una lente convergente.

10 15 20 25 mm

Figura 26. Nell’occhio astigmatico si forma un’immagine distorta e annebbiata dell’oggetto.

Massimiliano Trevisan

L’astigmatismo è invece un difetto della cornea che, se non perfettamente sferica, produce un’immagine deformata: i raggi provenienti dall’infinito non convergono in un punto ma su una superficie più ampia. Tale difetto si manifesta con una visione distorta e annebbiata degli oggetti posti a qualsiasi distanza (figura 26) e si può correggere con lenti cilindriche.

293 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

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L’OTTICA GEOMETRICA

Il telescopio I telescopi sono dispositivi usati per osservare oggetti molto lontani. I primi telescopi erano formati da sistemi di lenti e quindi erano basati sulla rifrazione (telescopi rifrattori), mentre più tardi è stato introdotto l’uso di specchi (telescopi riflettori), che hanno consentito di aumentarne notevolmente le dimensioni e di migliorare quindi le prestazioni grazie alla maggiore quantità di luce entrante. Il più semplice telescopio rifrattore è formato da due lenti convergenti, l’obiettivo, che raccoglie i raggi provenienti dall’infinito (paralleli all’asse ottico) e li fa convergere in un punto interno al telescopio, e l’oculare, che li fa convergere nel sistema di raccolta (per esempio un occhio). Le due lenti sono montate in modo tale che l’immagine formata dall’obiettivo si trovi tra il fuoco dell’oculare e il suo centro, così che l’oculare possa funzionare come una lente di ingrandimento per l’immagine formata dall’obiettivo. L’obiettivo forma quindi un’immagine reale capovolta e rimpicciolita dell’oggetto e l’oculare forma a sua volta un’immagine virtuale, diritta e ingrandita di tale immagine. In definitiva, l’obiettivo del telescopio non ingrandisce l’immagine ma la rende più nitida e ricca di dettagli, visibili all’ingrandimento dell’oculare (figura 27). Figura 27. L’immagine di un oggetto posto a grande distanza, formata dall’obiettivo sul suo fuoco F ob ' , è ingrandita dall’oculare. L’immagine virtuale che ne deriva non ha dimensioni maggiori dell’oggetto osservato ma proviene da una posizione più vicina.

immagine formata dall’oculare

obiettivo

Foc F 'ob

F 'oc

oculare immagine formata dall’obiettivo

Se l’immagine prodotta dal telescopio fosse solo un ingrandimento, sarebbe come «zoomare» moltissimo una foto sgranata: l’unico effetto sarebbe quello di vedere meglio i difetti della foto, non di eliminarli. Per migliorare la qualità dell’immagine i telescopi utilizzano obiettivi grandi, che raccolgono molta luce proveniente dall’oggetto osservato e ci consentono di scorgere un numero maggiore di dettagli. Con l’oculare, poi, possiamo osservare un’immagine capovolta dell’oggetto osservato da un punto di vista più vicino ai nostri occhi, quindi sotto un angolo visuale maggiore (figura 28). Figura 28. Un oggetto vicino è visto sotto un angolo visuale maggiore ed è possibile distinguere un maggior numero di dettagli.

Per i telescopi si parla quindi di ingrandimento angolare I per indicare il rapporto tra l’angolo visuale α' con lo strumento e l’angolo α senza strumento: Gα =

α′ α

Questo valore è dato dal rapporto tra le lunghezze focali fob e foc di obiettivo e oculare: f ob Gα f oc

294 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

L’OTTICA GEOMETRICA

specchio primario

a

sistema di elaborazione

specchio secondario

fuoco

b

ESO

Parliamo comunque di ingrandimento perché un oggetto posto vicino ai nostri occhi appare più grande di un oggetto lontano: per esempio, una mano riesce a nascondere il disco del Sole nonostante sia molto più piccola. Ogni volta che uno strumento ottico avvicina a noi l’immagine di un oggetto si può quindi parlare di ingrandimento angolare. Per riuscire a raccogliere luce proveniente da molto lontano un telescopio deve avere un’apertura sufficientemente grande. I telescopi rifrattori hanno diversi limiti, legati soprattutto alla trasparenza e all’omogeneità delle lenti, che diminuiscono all’aumentare delle loro dimensioni, mentre il peso delle lenti stesse aumenta. La tecnologia più recente consente la costruzione di specchi leggeri di ottima qualità, con i quali si possono costruire telescopi riflettori molto grandi, con diametri di qualche metro (figura 29).

Il microscopio Con un microscopio ottico si possono ingrandire le dimensioni degli oggetti fino a circa un migliaio di volte. È uno strumento formato anch’esso da due lenti convergenti dette obiettivo e oculare, ma l’oggetto osservato, anziché essere molto lontano come per il telescopio, è posto poco più lontano del fuoco Fob. Si forma pertanto un’immagine reale, capovolta e ingrandita, che viene a trovarsi tra l’oculare e il suo fuoco Foc: l’oculare, come una lente di ingrandimento, forma a sua volta un’immagine virtuale, capovolta e ingrandita dell’immagine reale. Alla fine si ha quindi un’immagine virtuale, diritta e ingrandita dell’oggetto osservato (figura 30). oggetto

immagine formata dall’obiettivo

obiettivo

F 'ob Fob

10

Figura 29. a. Un semplice telescopio riflettore prevede l’uso di uno specchio primario parabolico che fa convergere i raggi provenienti dall’infinito su uno specchio secondario iperbolico, il quale a sua volta li fa convergere nel sistema di elaborazione. b. Il telescopio VISTA dell’osservatorio del Paranal, in Cile, ha uno specchio primario di 4,1 m di diametro.

oculare

Foc F 'oc

immagine formata dall’oculare

Figura 30. L’immagine reale e ingrandita formata dall’obiettivo viene ingrandita e invertita nuovamente dall’oculare. L’immagine risultante è virtuale, diritta e ingrandita.

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L’OTTICA GEOMETRICA

LETTERATURA

Il miraggio. […] Da laggiù, laggiù, allora, dalla scalea di strati di compatta luce contagiati sul suolo percosso da solleone martoriato di rabbia, mentre la sua luce rarefatta rimbalzava attraversata da strati più densi: nel cuore di quegli abbagli sovrapposti brusca eleggeva luce sospesa capovolta una sembianza di dimore felici, attorniate da giardini, specchi antesi in un lago con zampilli impazienti […] Fata Morgana l’hanno chiamata a Messina, quella che si addestra in tali stregonerie. Nacque a quel modo il gusto e la passione di slanciarmi, di tuffarmi, di imbozzolarmi in miraggi. (Giuseppe Ungaretti, L’allegria, in Vita di un uomo, Mondadori, Milano 1942) La Fata Morgana, descritta da Ungaretti, è un’illusione ottica naturale che rientra nella categoria dei miraggi; questo fenomeno si verifica in particolari condizioni atmosferiche e dà origine a immagini virtuali, che possono essere sdoppiate, capovolte, deformate o spostate rispetto agli oggetti che le producono. Ciò avviene perché l’indice di rifrazione dell’aria non è costante ma è maggiore quando la densità dell’aria è maggiore; quando un raggio di luce passa da uno strato di aria più denso a uno meno denso subisce una deflessione.

George McCarthy/naturepl.com

Il miraggio

Il miraggio inferiore Il miraggio inferiore è il risul(1) tato della successiva deflessione dei raggi provenienti da (2) un oggetto lontano in condizioni di elevata temperatura del terreno, in modo tale che la sua immagine virtuale ci La progressiva diminuzione dell’indice di rifrazione verso il basso produce la traiettoria appare provenire da una po- incurvata del raggio di luce che genera il miraggio inferiore. sizione sottostante l’oggetto stesso, come se fosse riflessa dall’acqua. L’elevata temperatura del terreno scalda gli strati d’aria inferiori, li rende meno densi e quindi meno rifrangenti: quando un raggio di luce attraversa un mezzo con indice di rifrazione via via più piccolo viene successivamente deviato e compie un percorso incurvato. Se osserviamo un oggetto da grande distanza ne riceviamo due immagini: la prima, reale, dipende dai raggi che da essa raggiungono i nostri occhi in linea retta (1); la seconda, virtuale, si forma dal prolungamento dei raggi che raggiungono i nostri occhi dopo essere stati deflessi dagli strati d’aria inferiori (2). Dirk Goldhahn

Il miraggio superiore Il miraggio superiore è opposto a quello inferiore e si verifica quando gli strati d’aria più bassi sono molto più densi di quelli superiori: in questo caso i raggi sono incurvati verso il basso e, di conseguenza, un osservatore posto a grande distanza da un oggetto osservato in tali condizioni riesce a percepirne un’immagine anche se esso si trova al di sotto della linea dell’orizzonte.

Quando la densità degli strati di aria non è semplicemente crescente o decrescente con la quota ma presenta un andamento misto l’immagine può apparire deformata e tale deformazione può cambiare nel tempo, dando l’illusione di trovarsi in presenza di una «stregoneria».

fdecomite

La Fata Morgana Il miraggio superiore ci consente di vedere l’immagine del Sole anche quando è dietro il nostro orizzonte.

DOMANDA In estate capita di vedere il cielo riflesso sull’asfalto, come se vi fosse una pozzanghera d’acqua. Di quale miraggio si tratta? Spiega il fenomeno in 10 righe.

296 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

L’OTTICA GEOMETRICA

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TECNOLOGIA

Il più semplice dispositivo ottico è un piccolo foro praticato in una scatola opaca annerita all’interno, detto anche foro stenopeico dal greco steno;w (stenos, «stretto») e ojph; (ope, «foro»). La camera oscura così ottenuta è in grado di produrre immagini reali e capovolte di oggetti posti al suo esterno grazie ai raggi rettilinei che attraversano il foro e vengono proiettati sul fondo. Le immagini formate con una camera oscura sono tanto più nitide quanto più è piccolo e regolare è il foro; tuttavia restringere il foro significa ridurre la quantità di luce in entrata e quindi l’immagine diventa meno luminosa. Inoltre, fori troppo piccoli possono far insorgere deformazioni dovute al fenomeno della diffrazione.

Costruire una camera oscura

Una camera oscura è una scatola annerita all’interno, dotata di un piccolo foro.

fronte

George McCarthy/naturepl.com

Il foro stenopeico

retro

Costruire una camera oscura è semplicissimo ed economico: è sufficiencarta te una scatola di cartone annerita alluminio traslicida all’interno, con una faccia sostituita foro da uno schermo di carta traslucida. nastro nastro adesivo Sul lato opposto dello schermo deve adesivo trovarsi il foro. Questo deve essere regolare e il suo supporto molto sottile, per cui è preferibile praticarlo su una lamina di alluminio, ricavabile riPer costruire una camera oscura occorrono: una scatola di cartone annerita tagliando e appiattendo le pareti di all’interno, nastro adesivo, carta traslucida, una lastra di alluminio, un ago. una lattina da bibita. La lamina può essere forata con un ago da 0,3-0,5 mm di diametro e applicata con nastro adesivo in un’apposita sede ritagliata nel cartone della scatola. Dirigendo il foro verso un oggetto luminoso o fortemente illuminato possiamo scorgerne l’immagine capovolta proiettata sullo schermo traslucido.

La camera oscura è un’invenzione antica; studiata per la prima volta nell’XI secolo dallo scienziato arabo Alhazen, è stata successivamente utilizzata in astronomia per osservare il Sole. Più tardi gli artisti del Rinascimento se ne servirono per studiare la prospettiva, proiettando la realtà tridimensionale su uno schermo piatto e quindi ricalcandone i contorni su fogli. Dal XIX secolo lo sviluppo di materiali fotosen- Camera oscura per l’osservazione delle eclissi di Sole in sibili ne ha reso possibile l’uso come macchina fotografica: un disegno della fine del XVI secolo. la luce che incide su una pellicola collocata sul fondo della camera, al posto dello schermo, imprime su di essa l’immagine inquadrata. Per avere immagini nitide il foro deve essere molto piccolo e quindi sono necessari tempi di esposizione molto lunghi, per cui questo tipo di utilizzo è stato presto abbandonato. Oggi è tornato in uso per la ricerca di effetti particolari e per la sua caratteristica di avere una profondità di campo praticamente illimitata. Infatti fornisce immagini in cui tutti gli oggetti inquadrati sono a fuoco, diversamente da quanto accade con i diaframmi di aperture maggiori che si usano unitamente ad altri dispositivi ottici, con i quali risultano sfuocati gli oggetti posti al di fuori di un certo intervallo di distanze.

DOMANDA Costruisci una camera oscura. Quali difficoltà hai incontrato?

297 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

Goldhahn Biblioteca nazionaleDirk di Firenze

Usi della camera oscura

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L’OTTICA GEOMETRICA

CON GLI OCCHI DI UN FISICO

Arcobaleno e diluvio

L’arcobaleno è un arco luminoso e colorato, che si forma nell’atmosfera in particolari condizioni di illuminazione e umidità, che ha da sempre affascinato e stimolato la fantasia umana. I greci ne avevano fatto una creatura mitologica, Iris, figlia della divinità marina Taumante e dell’oceanina Elettra, antica divinità della luce. Faceva da ancella a Zeus e ad Era e aveva il compito principale di portare i loro messaggi alle altre divinità dell’Olimpo e agli uomini. Si muoveva veloce come il vento da un punto all’altro della Terra, volando con le sue grandi ali e seguendo l’arco colorato che ne segnava il percorso. Aveva una veste brillante ed era circondata da luce. Secondo antiche leggende celtiche gli arcobaleni portavano tesori. In una leggenda irlandese il folletto leprechaun, un ciabattino dispettoso, aveva nascosto una pignatta piena di monete d’oro proprio nel punto in cui terminava l’arcobaleno. Nella mitologia dei popoli scandinavi, invece, l’arcobaleno era un ponte che metteva in collegamento il mondo degli uomini con quello degli dei. Gli aborigeni australiani consideravano il serpente arcobaleno una divinità femminile creatrice e distruttrice, capace di plasmare il paesaggio, di generare la vita ma anche di provocare la morte con tremende inondazioni. Secondo diversi miti, dopo aver creato valli e rocce si rifugiò in acque profonde per nascondersi alla vista degli uomini, ai quali tuttavia si mostrava di tanto in tanto levando in cielo la sua coda colorata, l’arcobaleno.

Nell’America precolombiana il popolo dei Chibcha, che abitava l’attuale Colombia centrale, venerava Bochica, un divino eroe che secondo il mito avrebbe posto le basi della loro cultura e li avrebbe protetti dalle calamità naturali. Tuttavia i Chibcha abbandonarono i suoi insegnamenti e si lasciarono andare a una vita di eccessi e dissoluzione, per cui furono puniti con un terribile diluvio. Disperati rivolsero accorate preghiere a Bochica, il quale tornò su un arcobaleno e con un colpo di bastone sulle rocce incanalò l’inondazione formando le attuali cascate Tequendama. Per la civiltà dei Chibcha l’arcobaleno rappresentò dunque la salvezza dal diluvio che li aveva travolti. Il diluvio divino che punisce gli uomini mettendone a repentaglio la sopravvivenza è un tema ricorrente in moltissime civiltà, in ogni angolo del mondo. Per noi il più famoso è quello, raccontato nella Bibbia, che travolse la Terra e uccise i suoi abitanti, allontanatisi dalla condotta dettata da Dio. Nel Libro della Genesi leggiamo che la punizione divina colpì gli uomini, ma risparmiò il genere umano e ogni specie animale consentendo a Noè di trarre in salvo i suoi familiari e pochi esemplari degli altri esseri viventi a bordo di una grande arca. Dopo 150 giorni di pioggia incessante l’ira divina si placò e un arcobaleno segnò la fine del diluvio universale, suggellando una nuova alleanza tra Dio e gli uomini: nessun’altra inondazione travolgerà la Terra e un arco colorato tra le nubi ricorderà per sempre questa promessa di pace.

Sam DCruz / Shutterstock

Miti e leggende

Pittura rupestre aborigena, che raffigura il serpente arcobaleno. Si trova nel sito di Ubirr, nel parco nazionale di Kakadu in Australia, dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 1981.

PAROLA CHIAVE

Immagine

DOMANDA È corretto affermare che l’arcobaleno è l’immagine del Sole? Motiva la risposta in 5 righe.

Mosaico del XII secolo nel duomo di Monreale (Palermo), raffigurante il versetto della Genesi 9:13: «Il mio arco pongo sulle nubi ed esso sarà il segno dell’alleanza tra me e la terra» (Bibbia CEI 2008).

PAROLA CHIAVE

Riflessione

DOMANDA Perché si formi un arcobaleno il raggio di luce deve subire una riflessione totale all’interno della goccia sulla superficie di separazione acqua-aria. Quale condizione deve essere soddisfatta?

298 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

© funkyfood London - Paul Williams / Alamy

L’arcobaleno

L’OTTICA GEOMETRICA

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I colori dell’arcobaleno

Teoria dell’arcobaleno

Rilevavo, infatti, che il perfezionamento dei telescopi era stato fin qui limitato non tanto dalla mancanza di lenti correttamente formate (la qual cosa tutti hanno fin qui supposto) secondo le prescrizioni degli autori di ottica, quanto dal fatto che la luce stessa è una mescolanza eterogenea di raggi diversamente rifrangibili. Sicché, anche se una lente fosse così esattamente formata da raccogliere qualsiasi genere di raggi in un solo punto, essa non potrebbe raccogliere nel medesimo punto anche quelli che cadendo con la medesima incidenza sul medesimo mezzo sono atti a subire una differente rifrazione. (Isaac Newton, Nuova teoria sulla luce e sui colori (1672), in Scritti di ottica, a cura di A. Pala, Utet, Torino, 1978)

Già nel 1637 René Descartes (noto anche con il nome latinizzato di Cartesio) aveva proposto una spiegazione dell’arcobaleno in termini di successive rifrazioni e riflessioni della luce. Tuttavia non risolveva la questione dei colori, che venivano spiegati come una poco chiara modificazione della luce bianca. Il fenomeno della rifrazione era noto da molto tempo, ma i primi studi quantitativi risalgono al XVII secolo. Willebrod Snell, contemporaneo di Descartes, scoprì la regolarità matematica della rifrazione nel 1621, ma fu Descartes a darne la formulazione esatta che oggi conosciamo. Con essa si riuscì a spiegare il fenomeno dell’arcobaleno ricostruendo il cammino ottico di un raggio di luce che entra in una goccia di acqua sferica e ne esce dopo essere stato rifratto all’interno della goccia, riflesso sul fondo della superficie sferica stessa e nuovamente rifratto nel passaggio dall’acqua all’aria. Di fatto, la luce incidente sulle goccioline d’acqua in sospensione, proveniente dalle spalle dell’osservatore, raggiunge quest’ultimo dopo aver subito una rifrazione, una riflessione e di nuovo una rifrazione. La successiva scoperta di Newton sulla dispersione dei colori dello spettro visibile permise infine la comprensione completa del fenomeno, che comunque richiede passaggi complicati per poter spiegare la particolare forma ad arco e la formazione del cosiddetto arcobaleno secondario, cioè l’arco con colori invertiti e meno brillanti che a volte si scorge superiormente al primo.

Olga A / Shutterstock

Con queste parole Newton comunicava al segretario della Royal Society di Londra un’importante scoperta: le aberrazioni cromatiche, cioè le anomalie colorate che appaiono intorno alle immagini e che limitavano il perfezionamento dei telescopi, non erano dovute a difetti delle lenti ma alla natura stessa della luce. Facendo passare un raggio di Sole attraverso un prisma di vetro egli aveva riprodotto la dispersione cromatica che si osserva anche in un arcobaleno. Aveva cioè scoperto che la luce bianca è in realtà formata dalla sovrapposizione di raggi di vari colori, ciascuno dei quali subisce una rifrazione differente all’interno del vetro, emergendo dal prisma con un proprio angolo.

La dispersione cromatica in un arcobaleno dipende dal fatto che l’indice di rifrazione cambia a seconda del colore della luce.

PAROLA CHIAVE

Noi vediamo l’arcobaleno quando i raggi di luce incidenti sulle goccioline sferiche d’acqua in sospensione, dopo aver subito due rifrazioni e una riflessione, escono dalla goccia e convergono verso i nostri occhi.

Rifrazione

DOMANDA Se l’indice di rifrazione fosse lo stesso per tutte le lunghezze d’onda della luce, cioè per tutti i colori, si vedrebbe ancora l’arcobaleno? Motiva la risposta in 5 righe.

299 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

MAPPA DEI CONCETTI OTTICA GEOMETRICA si trascurano INTERFERENZA e DIFFRAZIONE

si trascurano RIFLESSIONE e RIFRAZIONE dei

propagazione rettilinea della luce

RAGGI LUMINOSI

IMMAGINE virtuale

IMMAGINE reale

formata dai prolungamenti dei raggi provenienti da un oggetto che convergono in un punto

formata dai raggi provenienti da un oggetto che convergono in un punto

LEGGI DELLA RIFLESSIONE š il raggio incidente, il raggio riflesso e la perpendicolare alla superficie di incidenza giacciono sullo stesso piano š l’angolo di riflessione ha la stessa ampiezza dell’angolo di incidenza

PIANI

SPECCHI SFERICI

raggio riflesso

raggio incidente ^i

pq

V p distanza oggetto

q distanza immagine

1 1 1 + = p q f

C

F

immagine virtuale di uguali dimensioni

legge dei punti coniugati

f

asse ottico

^i  ^i '

^i '

f

V

asse ottico

V

CONCAVI

F

C

CONVESSI

300 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

L’OTTICA GEOMETRICA

10

LEGGI DELLA RIFRAZIONE š il raggio incidente, il raggio rifratto e la perpendicolare alla superficie di separazione nel punto di incidenza giacciono sullo stesso piano š il rapporto fra il seno dell’angolo di incidenza e il seno dell’angolo di rifrazione è costante e pari al rapporto fra l’indice di rifrazione del secondo mezzo e quello del primo mezzo: sin ˆi n2 = sin rˆ n1

a ri a

^i

^i '

n1 n2

^r

acqua

indice di rifrazione assoluto di un mezzo n=

c v

v  velocità della luce nel mezzo

se r^  90°

riflessione totale  non vi è raggio rifratto

f

CONVERGENTI

F'

O

LENTI

f

F'

DIVERGENTI

O

formula di Huygens 1 1 1 + = p q f

301 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

20 test (30 minuti)

10 ESERCIZI 1

TEST INTERATTIVI

LA RIFLESSIONE

2

DOMANDE

DOMANDE 1

GLI SPECCHI

Qual è la differenza tra l’immagine di un vaso di fiori osservato direttamente e quella di un vaso di fiori osservato attraverso uno specchio?

2 Uno specchio piano scambia la destra con la sini-

stra? Per rispondere osserva il disegno e segui il percorso ideale del raggio e del suo prolungamento che forma l’immagine del pollice: si trova a destra o a sinistra rispetto alle altre dita?

6 Un oggetto è posto tra il fuoco e il vertice di uno

specchio concavo. Come dobbiamo posizionare uno schermo per raccogliere l’immagine dell’oggetto? 7 Alcuni specchi per il trucco hanno una superficie

concava. Perché? Spiegalo in 5 righe. 8 In prossimità di un’immissione stradale pericolosa è

posto uno specchio sferico convesso. Perché? Spiegalo in 5 righe.

CALCOLI 9 Una bandierina è posta sull’asse ottico di uno spec-

chio concavo di raggio 250 cm a una distanza di 50 cm dal suo vertice. f A quale distanza dal vertice si forma l’immagine? f Può essere visualizzata mediante uno schermo? [83 cm]

CALCOLI

10 Rispondi alle seguenti domande.

3 Per far apparire più grande una stanza, un architetto

colloca uno specchio piano su una parete A posta a 2,5 m dalla parete di fronte B. f Quanto distano tra loro la parete B e la sua immagine riflessa nello specchio?

glio bianco, che è nascosto dietro a una siepe come in figura. In A e in B sono posti due specchi piani che consentono ad Alice di vedere l’immagine del coniglio. f Come sono posizionati gli specchi? Fai un disegno che illustri la situazione.

f L’immagine è ingrandita o rimpicciolita rispetto alle dimensioni dell’oggetto? [1,7]

[5,0 m]

4 Alice sta cercando il coni-

f Quanto vale l’ingrandimento lineare nella situazione descritta nell’esercizio 9?

11 Un bicchiere è posto di fronte a uno specchio sferico

convesso a una distanza di 8,5 cm dal vertice e perpendicolarmente all’asse ottico.

A

f Se la distanza focale dello specchio è 45 cm, a quale distanza dal vertice si forma l’immagine? f È un’immagine reale o virtuale?

[7,2 cm]

12 Rispondi alle domande.

f L’immagine del bicchiere dell’esercizio 11 è diritta o capovolta? f Se la sua altezza è 9,0 cm, quanto è alto il bicchiere?

B

[11 cm]

13 Su uno schermo posto perpendicolarmente all’asse 5 Un laser è posto a 2,1 m da uno specchio piano che

forma un angolo di 30° con la direzione del raggio di luce incidente. Il raggio viene riflesso e raggiunge uno schermo posto parallelamente allo specchio a una distanza anch’esso di 2,1 m da quest’ultimo. f Quanto vale il cammino percorso dal raggio? [4,5 m]

ottico di uno specchio concavo di raggio pari a 1,60 m, a una distanza di 4,00 m dal vertice, si vede l’immagine di una matita in posizione verticale. f A quale distanza dal vertice dello specchio, lungo l’asse ottico, è posta la matita? f È diritta o capovolta rispetto alla sua immagine sullo schermo?

302 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

[1,00 m]

L’OTTICA GEOMETRICA

f Quanto vale l’angolo di incidenza con cui i raggi provenienti dal gabbiano raggiungono tale superficie?

LA RIFRAZIONE

3

10

DOMANDE

[20°]

14 Se proviamo a stimare l’altezza di una piscina guar-

20 L’indice di rifrazione relativo di un rubino rispetto

dando la distanza tra il pelo dell’acqua e un oggetto che si trova sul fondo rischiamo di fornire un valore inferiore a quello effettivo: perché? Rispondi in 5 righe aiutandoti con il disegno che schematizza la situazione.

all’acqua è 1,34 (per l’indice di rifrazione dell’acqua vedi tabella 2). f Qual è la velocità della luce nel rubino? [1,69  108 m/s]

21 Un faretto è posto sul fondo di una piscina ed è pun-

tato verso la superficie lungo una direzione che forma un angolo di incidenza di 50°. h' h

?

50°

15 «Se un mezzo trasparente A ha un indice di rifrazio-

ne maggiore di un mezzo trasparente B, allora la velocità della luce nel mezzo A è inferiore alla velocità della luce nel mezzo B». Questa frase è corretta? Eventualmente correggila.

f È visibile il faretto dalla posizione A illustrata in figura? Motiva la risposta in 5 righe.

16 Nel passare da un mezzo con indice di rifrazione mag-

giore a un mezzo con indice di rifrazione minore un raggio luminoso cambia direzione. L’angolo di incidenza è maggiore o minore dell’angolo di rifrazione?

22 In un esperimento didattico un raggio di luce laser

monocromatica investe un plexiglass di indice di rifrazione sconosciuto, modificando la sua direzione di propagazione. Per un valore dell’angolo di incidenza di 45° si misura un angolo di rifrazione di 29°.

17 Spiega in 10 righe il fenomeno della dispersione del-

la luce.

f Qual è l’indice di rifrazione del plexiglass? [1,46]

CALCOLI 18 In ottica è spesso usato il cosiddetto vetro flint, detto

anche cristallo, che ha un indice di rifrazione più elevato del vetro comune. f Quanto vale la velocità della luce in un vetro flint con indice di rifrazione pari a 1,75? [1,71  108 m/s]

LE LENTI SFERICHE SOTTILI

DOMANDE 23 Quante volte cambia direzione un raggio di luce

nell’attraversare un diottro? 24 Una goccia d’acqua può funzionare come una lente

19 Un sub osserva l’imari a

acq ua

^i

di ingrandimento: si tratta di una lente convergente o divergente?

15°

Massimiliano Trevisan

magine di un gabbiano che vola fuori dall’acqua (per l’indice di rifrazione dell’acqua vedi tabella 2), secondo una direzione che forma un angolo di 15° con la perpendicolare alla superficie di separazione acqua-aria.

4

303 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

10 ESERCIZI 25 Un oggetto osservato attraverso una lente divergen-

te appare più grande o più piccolo dell’oggetto reale?

32 Perché la miopia viene corretta con lenti divergenti?

Spiegalo in 5 righe.

26 Un oggetto osservato attraverso una lente conver-

33 Che cosa succede quando la cornea non è perfetta-

gente appare più grande o più piccolo dell’oggetto reale?

mente sferica? Come si chiama il difetto della vista corrispondente? 34 Perché per i telescopi parliamo di ingrandimento an-

CALCOLI

golare? Rispondi in 5 righe.

27 Una candela è posta dietro a una lente convergente

a una distanza di 3,1 m dal suo centro, sull’asse ottico e perpendicolarmente ad esso.

35 L’immagine osservata attraverso in microscopio è

reale o virtuale?

f Se la distanza focale della lente è 34 cm, a quale distanza dalla lente dobbiamo metterci per osservare l’immagine a fuoco della candela?

36 Perché dopo una certa età non si riesce a mettere a

f L’immagine è diritta o capovolta rispetto alla candela?

CALCOLI [38 cm]

fuoco gli oggetti vicini? Come si chiama il difetto della vista corrispondente? Rispondi in 5 righe.

37 Il telescopio rifrattore più grande del mondo si trova

nell’osservatorio di Yerkes, a Chicago, e ha un obiettivo di 102 cm di diametro. La distanza focale dell’obiettivo è 19,5 m, quella dell’oculare è 10,0 cm.

28 Rispondi alle seguenti domande.

f Quanto vale l’ingrandimento lineare nella situazione descritta nell’esercizio 27? f A quale distanza dal centro della lente dobbiamo porre la candela per avere un’immagine delle stesse dimensioni? [0,12; 68 cm]

29 Un orologiaio guarda un ingranaggio di 4,0 mm di

diametro attraverso una lente di ingrandimento e ne percepisce un’immagine ingrandita con un diametro di 1,0 cm. L’ingranaggio è posto sull’asse ottico della lente e perpendicolarmente ad esso, a una distanza di 13 cm dal suo centro. f Qual è la distanza focale della lente? [22 cm]

30 A 14 cm dal centro di una lente divergente di distanza

focale 85 cm si osserva l’immagine di una bandierina. f A quale distanza è posta la bandierina sull’asse ottico della lente? f L’immagine osservata è reale o virtuale? Disegna la situazione. f Se la bandierina è alta 50 mm, qual è l’altezza della sua immagine? [17 cm; 41 mm]

5

ALTRI SISTEMI OTTICI

DOMANDE 31 Le immagini degli oggetti osservati attraverso un

f Qual è l’ingrandimento angolare del telescopio? [195]

38 Per l’esposizione di Parigi del 1900 fu costruito un

telescopio rifrattore con un tubo d’acciaio di 90,0 m, che montava un obiettivo di 125 cm di diametro e aveva distanza focale di 57,0 m. Date le sue dimensioni non entrò mai in funzione, perché non era facilmente orientabile. f Quale sarebbe stato l’ingrandimento angolare del telescopio con un oculare avente distanza focale pari a 10,0 cm?

paio di occhiali sono reali o virtuali?

304 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

[570]

10

L’OTTICA GEOMETRICA PROBLEMI

ESERCIZI DI RIEPILOGO

48 In quale posizione dell’asse ottico di uno specchio

DOMANDE 39 L’immagine riflessa da uno specchio piano può esse-

re visualizzata su uno schermo? Perché? 40 Quale è la più importante proprietà degli specchi pa-

rabolici? Quali esempi conosci del suo utilizzo? 41 L’olandese M.C. Escher ha ritratto la sua immagine

riflessa in una sfera lucida. Perché non possiamo usare la legge dei punti coniugati per ricostruire quantitativamente la situazione?

sferico concavo si osserva l’immagine nitida di un bicchiere posto sullo stesso asse a una distanza pari al raggio di curvatura R? 49 Lo scaffale di un grande magazzino è riflesso nello

specchio sferico convesso usato per la sorveglianza. L’immagine di una scatola posta sull’asse ottico e perpendicolarmente ad esso, a una distanza di 350 cm dal vertice dello specchio, ha un’altezza di 2,0 cm. f Sapendo che il raggio di curvatura dello specchio è 200 cm, quanto è alta la scatola? [9,0 cm]

50 Un raggio di luce laser monocromatica incide con un

angolo di 40° su un olio trasparente con indice di rifrazione incognito. f Se si misura un angolo di rifrazione di 23°, quanto vale l’indice di rifrazione dell’olio? f Quanto vale la velocità della luce nell’olio? f Qual è l’angolo limite dell’olio rispetto all’aria? [1,6; 1,9  108 m/s; 39°]

M.C. Escher, 1935

51 Con una lente convergente otteniamo un’immagine

42 Una candela viene gradualmente avvicinata alla su-

perficie di uno specchio sferico concavo lungo il suo asse ottico e perpendicolarmente ad esso. A un certo punto la sua immagine si capovolge: di quale punto si tratta? 43 Lo specchio retrovisore di un’automobile ha una di-

stanza focale di 100 cm. Si tratta di uno specchio convergente o divergente? Le immagini degli oggetti lontani sono ingrandite o rimpicciolite? 44 Una lente formata da una superficie concava e una

convessa di uguale raggio di curvatura è convergente o divergente? 45 Vogliamo deviare di 90° la direzione di un raggio la-

ser monocromatico: trova due modi per farlo utilizzando un solo dispositivo ottico e disegna le due configurazioni. 46 Che cosa si intende per accomodamento dell’oc-

chio? 47 Spiega in 10 righe la differenza tra il telescopio e il

microscopio in relazione all’ingrandimento degli oggetti osservati.

reale di dimensioni doppie di quelle dell’oggetto, posto sull’asse ottico a 21 cm dal centro della lente. f A quale distanza si trova l’immagine? f Qual è la distanza focale della lente? [42 cm; 14 cm]

52 Uno strato di olio d’oliva galleggia su uno strato d’ac-

qua alto 8,0 cm. Un raggio di luce monocromatica incide perpendicolarmente gli strati e li percorre con intervalli di tempo uguali. f Quanto è alto lo strato d’olio?

[7,2 cm]

53 Due sub si trovano in

posizioni opposte e simmetriche rispetto al centro di una barriera corallina, tuttavia riescono a vedersi.

3m

f Per una profondità di 3,0 m, qual è la distanza minima dal centro della barriera corallina per cui ciò avviene? (Suggerimento: considera l’angolo limite tra acqua e aria e usa le relazioni trigonometriche del triangolo rettangolo.) [3,45 m]

305 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

10 ESERCIZI 54 L’obiettivo di una macchina fotografica è una lente

convergente con distanza focale di 50,0 mm e forma sulla pellicola immagini nitide di oggetti posti a 1,50 m di distanza dal suo centro. f A quale distanza dall’obiettivo è posta la pellicola? f L’immagine è diritta o capovolta? f Reale o virtuale? f Quanto misura sulla pellicola l’immagine di una bottiglia alta 28 cm nelle stesse condizioni?

VERSO L’UNIVERSITÀ 1

Stiamo nuotando immersi sott’acqua sul fondo di una lunga piscina; alziamo gli occhi e vediamo le cose sopra di noi, ma, se spingiamo lo sguardo lontano dal punto in cui ci troviamo, notiamo che la superficie acqua-aria si comporta come uno specchio che rimanda le immagini interne alla piscina. Il fenomeno è dovuto: A

alle proprietà della superficie dell’acqua.

B

alle proprietà della superficie dell’acqua quando si aggiunge cloro.

55 Guardando attraverso una lente di distanza focale

C

alla mancanza di luce diretta.

100 mm osserviamo l’immagine virtuale di un oggetto che si forma a 220 mm dal centro sull’asse ottico.

D

all’eccessiva illuminazione esterna.

E

alle proprietà della riflessione totale interna.

[51,7 mm; 0,97 cm]

f La lente è convergente o divergente? f In quale posizione è posto l’oggetto? Disegna la situazione. f Qual è l’ingrandimento lineare?

(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia 2008/2009) 2 Perché esiste il fenomeno della dispersione della luce

bianca quando questa attraversa un prisma di vetro? A

Perché in un mezzo trasparente la luce non va in linea retta.

56 Spostando una bandierina lungo l’asse ottico di una

B

lente osserviamo che, quando si trova alle distanze di 28 cm e di 14 cm dal centro della lente, l’immagine è ingrandita 3 volte.

Perché la luce ha velocità costante e molto elevata sia nel vuoto che nei mezzi.

C

f In quali posizioni si formano rispettivamente le immagini?

Perché l’indice di rifrazione del mezzo dipende dalla frequenza delle radiazioni elementari incidenti.

D

Perché il vetro è un materiale più denso dell’aria.

f Si tratta di immagini reali o virtuali?

E

In realtà è un fenomeno dovuto a una percezione distorta dell’occhio.

[68,8 mm; 3,20]

f La lente è convergente o divergente? f Qual è la sua distanza focale? [84 cm; 42 cm; 21 cm]

(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Medicina Veterinaria 2006/2007)

306 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

CAPITOLO

Physics in English

Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

Physics talk

PHYSICS IN ENGLISH

FORMULAE SUBJECT

IN SYMBOLS

Temperature scale conversion Uniform accelerated motion

IN WORDS

T = Tc + 273 . 15

Temperature T on the Kelvin scale equals temperature Tc on the Celsius scale plus 273.15.

Q = cmΔ T

The amount of heat transferred to a substance equals the product of its specific heat c, its mass m and its temperature change ΔT.

Heat capacity

ΔE C= = cm ΔT

The heat capacity of a substance equals the ratio of the amount of heat energy ΔE transferred to it and its temperature change ΔT, which in turn equals the specific heat capacity of the substance c multiplied by its mass m.

Stefan-Boltzmann law of radiation

ΔE = e σ AT 4 ΔT

The energy radiated by a blackbody radiator over time equals the product of the emissivity of the object e, Stefan’s constant σ, the radiating area A, and the fourth power of its absolute temperature T.

Number of moles in a sample

Equation of state for ideal gases

n=

N NA

pV = nRT

The number of moles in a sample equals the number of molecules N present in the sample divided by Avogadro’s number NA. The product of the absolute pressure p and volume V of an ideal gas equals the product of the number of moles of the gas n, the universal gas constant R, and the absolute temperature of the gas T.

First Gay-Lussac law

VT V0 = T T0

At constant pressure the ratio of the volume of a gas to its temperature is constant.

Second Gay-Lussac law

pT p0 = T T0

At constant volume the ratio of the pressure of a gas to its temperature is constant.

= pfVf pV i i

Boyle’s law

Temperature on the microscopic level

Internal energy of an ideal gas

KE av

3 = kBT 2

3 U = nRT 2

At constant temperature the product of the pressure of a gas and its volume is constant. Every molecule of a monatomic ideal gas that is in thermal equilibrium has an average kinetic energy of three halves of the product of the Boltzmann constant kB and the absolute temperature of the gas T. The internal energy U of a monatomic ideal gas equals three halves of the product of the number of moles of the gas n, the universal gas constant R, and the absolute temperature of the gas T.

308 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

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PHYSICS TALK

FORMULAE SUBJECT

IN SYMBOLS

IN WORDS

First law of thermodynamics

ΔU = Uf − Ui = Q − W

The change in internal energy of a closed thermodynamic system is equal to the difference between the heat supplied to the system Q and the amount of work done by the system W on its surroundings.

Work done during an isobaric process

W = p Δ V = p(Vf − Vi )

Second law of thermodynamics (efficiency of a heat engine)

Change in entropy

η=

L QH

= 1−

QC QH

⎛Q ⎞ ΔS = ⎜ ⎟ ⎝ T ⎠R

f=

1 T

The work done during an isobaric process equals the product of the pressure and the change in volume between the initial and final states. The efficiency of a heat engine η is equal to the ratio of the work done by the engine L to the heat absorbed by the engine QH, which in turn is equal to one minus the ratio of the rejected heat QC (cold reservoir) to the absorbed heat QH (hot reservoir). The change in entropy for a system is the ratio of the heat flow Q into the system and the temperature T at which the change takes place. [The subscript R indicates that the change is reversible.] The frequency of a periodic wave f is the reciprocal of the period T of the wave.

Periodic waves v=

Mirror equation

Refractive index or index of refraction

Snell’s law of refraction

λ =fλ T

1 1 1 + = do d i f

n=

c v

n1 sin θ1 = n2 sin θ2

The phase velocity of a wave is equal to the ratio of its wavelength λ to its period T, or the product of its frequency f and its wavelength λ. The sum of the reciprocals of the object distance do and the image distance di equals the reciprocal of the focal length of the mirror f. The refractive index n of a medium equals the ratio of the speed of light in a vacuum c to the speed of light in the medium v. For light or other waves passing through a boundary between two different isotropic media, the product of the refractive index of the first medium n1 and the sine of the angle of incidence θ1 at the boundary equals the product of the refractive index of the second medium n2 and the sine of the angle of refraction θ2.

309 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

PHYSICS IN ENGLISH

Reading comprehension

J;HCE:?D7C?97š1 La temperatura

How do fish survive in icy waters? In cold winter months, lakes and rivers freeze over forming ice. How do aquatic animals survive in frozen lakes and ponds? All liquids have a boiling point and a freezing point. Water boils at 100 degree Celsius (100 °C) and freezes at 0 °C. When the outside temperature falls below the freezing point of water, lakes and rivers freeze over. Only the top layer of a lake or river freezes, underneath the frozen upper layer the water remains in its liquid form and does not freeze. Also, oxygen is trapped beneath the layer of ice. As a result, fish and other aquatic animals find it possible to live comfortably in the frozen lakes and ponds. But why doesn’t the entire body of water freeze, like a giant, lake-sized ice-cube? Generally, all liquids expand on heating, but water is an exception to this rule. If water is heated, its volume gradually decreases. At temperatures over 4 °C water starts expanding. At 4 °C, water has the least volume and maximum density. This anomalous expansion plays an important role by only freezing the upper layer in lakes and rivers.

During winter months in colder countries the outside or atmospheric temperature is very low, it drops to below freezing, and the upper layers of water in the lakes and ponds start cooling. When the temperature of the surface layers falls to 4 °C, the water body acquires maximum density and sinks down. The water that sinks down displaces water below, and the lower layers of water simultaneously rise up. This also gets cooled to 4 °C and again sinks down. When the temperature of the water body finally goes below 4 °C, the density or heaviness of water decreases and as a result water does not sink down. The surface water finally freezes at 0 °C while the lower part still remains at 4 °C. The light frozen layer of ice floats on top. Ice does not allow heat to pass through it easily, so the freezing of the waters below is a very slow process. At depths below 30 metres, temperatures are cold and stable, but food is scarce. As a result animals have adapted to this situation by growing more slowly. (Taken from http://www.pitara.com/discover/5wh/online.asp? story=25)

EXCERCISES 1

True or false? a. All liquids have the same boiling point.

T

F

b. There is no oxygen under an iced lake.

T

F

c. At 4°C water has its maximum volume.

T

F

d. At depths below 30 metres, temperatures are cold and stable.

T

F

2 Complete.

Lakes do not freeze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . but only their . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . layers, because water starts . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . at temperatures below 4°C. This . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . expansion makes life . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ..... even under a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . lake. When the upper .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . of water start freezing, . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4°C, the body of water acquires . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . density and . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . down, this causes a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . of the water below, so that the lower layers of water . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . up. This process continues . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . the upper layers are . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . frozen. At that moment the .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . and heaviness of water . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , and water no longer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .... down. Thus the . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . layer is at 0°C whilst the lower part . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . at 4°C. under š anomalous š sinks š displacement š

possible š surface š remains š maximum š layers š density š frozen š completely š until šdecreases š sink š expanding š rise š completely š top 3 Match questions and answers. QUESTIONS

ANSWERS

A

What happens to the water in lakes when the temperature of the surface layers falls to 4°C?

1

The body of water acquires its maximum density and sinks down.

B

What are the conditions for life like under a frozen surface of water?

2

When the outside temperature falls below the freezing point of water.

C

When do lakes and 3 rivers freeze?

A .........

B .........

310 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

The water under a frozen surface of water does not freeze, but food is scarce, for this reason animals have adapted by growing more slowly.

C .........

READING COMPREHENSION

Jean Baptise-Fourier is generally credited with the discovery of the greenhouse effect: the process by which the presence of an atmosphere acts to raise the surface temperature of a planet. This was extremely simplified at the time, and the term greenhouse did not appear in his writings of 1827, but he did establish the effect that the atmosphere had on incoming light and outgoing infrared (heat) radiation, and that some heat was absorbed by the atmosphere which was opaque in the infrared but transparent to incoming solar energy. We’ve made a lot of progress since then: Svante Arrhenius began to quantify the phenomenon nearly 75 years later and the work of Stefan and Boltzmann established the relationship between an object’s temperature and its outgoing radiation. The role of convection, water vapour and clouds are important to more com-

plex models developed later. The pioneering paper by Arrhenius, entitled On the Influence of Carbonic Acid in the Air upon the Temperature of the Ground, the famous work of 1896, investigated what the effects of doubling atmospheric CO2 content would be. At that time, most of the interest in the subject was in solving the mystery of the coming and going of ice ages. Like most pioneering efforts, Fourier or Arrhenius did not have the last word, and we still have much to learn today, but they provided a big leap forward in how we understand planetary temperatures and the role of the atmosphere in radiative balance. Fourier was one of the first to speculate that human activities could influence climate, and such topics are rather important in modern times. (Taken from http://chriscolose.wordpress.com/2008/03/09/physics-of-the-greenhouse-effect-pt-1/)

EXCERCISES 1

3 Match questions and answers.

True or false? a. The greenhouse effect involves

QUESTIONS

the lowering of the surface temperature T of a planet.

ANSWERS

F

A

What did Jean Baptise-Fourier establish in 1827?

1

Stefan and Boltzmann established this relationship through their work.

B

How can we describe the atmosphere, according to Fourier’s discoveries?

2

He established that the atmosphere was subject to incoming light and outgoing infrared radiation.

C

Who established the relationship between an object’s temperature and its outgoing radiation?

3

The atmosphere is opaque in the infrared but transparent to incoming solar energy.

b. Svante Arrhenius began to quantify the greenhouse effect at the beginning of the twentieth century.

T

F

c. Arrhenius’s 1896 paper investigated the effects of doubling atmospheric CO2 content.

T

F

d. Nobody added anything to greenhouse effect knowledge after Fourier’s studies.

T

F

2 Complete.

Jean Baptise-Fourier is . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . to be the .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . of the greenhouse effect, . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . though he didn’t directly . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . this name to the . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. , in his papers. At the beginning, . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . in this topic was linked to . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . the mystery of the coming and . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . of ice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fourier has been the first to . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . that human . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . can influence climate. Since that . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . many physicists and other . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . have studied the greenhouse effect.

A .........

B .........

C .........

ages š phenomenon š scientists š interest š going š considered š solving š discoverer š speculate š even š give š activities š time

311 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

J;HCE:?D7C?97š2 Il calore

Physics of the greenhouse effect

PHYSICS IN ENGLISH J;HCE:?D7C?97š3 I passaggi di stato

How does a pressure cooker work? To know how a pressure cooker works you must know the physics behind it. The boiling point of water is 100 °C. When boiling water in a pot with no lid, no matter how much you heat it, the temperature will never go over 100 °C because of evaporation. Also the vaporised steam is at the same temperature as the boiling water. So when you cook with a pot of water but this time with a sealed cap, as you increase the temperature, all that will happen is that the vapour will try to escape but, because it is inside a sealed environment, it will not be able to escape resulting in the build up of pressure. The temperature and pressure have a directly proportional relationship, so as one increases so does the other. Steam also has six times the heat potential when it condenses on a cold food product. In the pressure cooker the pressure develops inside the vessel as time goes on. As pressure increases the boiling point of the water also increases. The food inside is cooked very fast because of the high boiling temperature, which means that the food is not cooked at 100 °C but at a much higher temperature.

Pressure cookers operate above atmospheric pressure. Once the operating pressure is attained, the temperature in the pot stabilises at the boiling point for water at that pressure, which is about 120 °C at 2 atmospheres of pressure. Further temperature increase is prevented since the pressure is stabilized by the venting of steam from the cooking vessel. If the temperature is raised by only 20 °C above open pot boiling, why is the cooking time so much faster? The answer is that cooking results from chemical reactions in the food, and the rate at which all chemical reactions occur depends on the temperature. The temperature dependence of reactions is variable, but a rough rule of thumb is that the rate will double for every 10 °C increase in temperature. Therefore the reactions that occur during cooking will occur roughly 4 times faster in a pressure cooker at 120 °C, and the food will cook in one quarter of the time. (Taken from http://wiki.answers.com/Q/How_does_a_pressure_ cooker_work)

EXCERCISES 1

pressure š food š pot š pressure šfaster š increase š change š higher š direct š chemical šuseful š boiling

True or false? a. Temperature and pressure are indirectly proportion.

T

F

b. Steam has less heat potential when it condenses.

T

F

c. Pressure cannot increase the boiling point of water.

T

F

d. Water boiling in a pot with no lid will never exceed a temperature of 100 °C.

T

F

2 Complete.

A .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . cooker is a very . . . . . . . . . . . . . . . . . ..... cooking instrument, because it makes . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . cook faster. This is possible because of a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . in the boiling point of water due to higher . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . When you close a .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . and increase the temperature the pressure will . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , because pressure and temperature are . . . . . . . . . . . . . . ..... proportional. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pressure makes the . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . point of water increase, and the higher temperature makes the . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . reactions in food work faster. For this reason food cooks . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . when you use a pressure cooker.

3 Match questions and answers. QUESTIONS

ANSWERS

A

How does temperature stabilise inside a pressure cooker?

1

The venting of steam from the cooking vessel prevents the temperature from continuing to increase.

B

What happens inside a pressure cooker when the pressure increases?

2

Because the rate of chemical reactions that cause the cooking of food will double with every 10 °C increase in temperature.

C

Why is the cooking 3 time 4 times faster if the cooking temperature is just 20°C higher than the normal boiling point of water?

The boiling point of water also increases, so that food is cooked at a temperature higher than 100 °C.

A .........

B .........

312 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

C .........

READING COMPREHENSION

Gay-Lussac discovered that the ratio in which gases combine to form compounds can be expressed in whole numbers: for instance, water is composed of one part oxygen and two parts hydrogen. In the language of modern chemistry, this is expressed as a relationship between molecules and atoms: one molecule of water contains one oxygen atom and two hydrogen atoms. In the early nineteenth century, however, scientists had yet to recognise a meaningful distinction between atoms and molecules, and Avogadro was the first to achieve an understanding of the difference. Intrigued by the whole-number relationship discovered by Gay-Lussac, Avogadro reasoned that one litre of any gas must contain the same number of particles as a litre of another gas. He further maintained that gas consists of particles – which he called molecules – that in turn consist of one or more smaller particles. In order to discuss the behaviour of molecules, Avogadro suggested the use of a large quantity as a basic unit, since molecules themselves are very small. Avogadro himself did not calculate the number of molecules that should be used for these

comparisons, but when that number was later calculated, it received the name “Avogadro’s number” in honour of the man who introduced the idea of the molecule. Equal to 6.022137 × 1023, Avogadro’s number designates the quantity of atoms or molecules in a mole. Today the mole (abbreviated mol), the SI unit for “amount of substance”, is defined precisely as the number of carbon atoms in 12.01 g of carbon. The term “mole” can be used in the same way we use the word “dozen.” Just as “a dozen” can refer to twelve cakes or twelve chickens, so “mole” always describes the same number of molecules. Avogadro’s law describes the connection between gas volume and number of moles. According to Avogadro’s law, if the volume of gas is increased under isothermal and isobarometric conditions, the number of moles also increases. The ratio between volume and number of moles is therefore a constant. (Taken from http://www.scienceclarified.com/everyday/RealLife-Chemistry-Vol-1/Gases-Real-life-applications.html)

EXCERCISES 1

True or false?

3 Match questions and answers.

a. Water is composed of one part hydrogen T and two parts oxygen.

F

b. Avogadro was the first to understand the difference between atoms and molecules.

T

F

c. The mole is the SI unit for “amount of substance”.

T

F

d. Avogadro’s number designates the number T of atoms or molecules in a mole.

QUESTIONS

ANSWERS

A

What did Gay-Lussac discover?

1

He did not, but when that number was later calculated, it received the name “Avogadro’s number” in honour of the man who introduced the idea of the molecule.

F

B

What does Avogadro’s law describe?

2

He discovered that the ratio in which gases combine to form compounds can be expressed in whole numbers.

b. The ratio between mass and number of moles is constant.

C

Did Avogadro personally calculate “Avogadro’s number”?

3

The connection between gas volume and number of moles.

2 Find the mistake in each sentence and cor-

rect. a. The term “mole” cannot be used in the same way we use the word “dozen”.

c. Avogadro’s number designates the quantity of atoms or molecules in a dozen. d. Avogadro suggested the use of a small quantity as a basic unit to discuss the behaviour of molecules.

A .........

B .........

C .........

e. The mole is defined precisely as the number of carbon atoms in 12 g of carbon.

313 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

J;HCE:?D7C?97š4 La teoria cinetica dei gas

Avogadro’s law

PHYSICS IN ENGLISH J;HCE:?D7C?97š5 Il primo principio della termodinamica

The first law of thermodynamics in real life A doctor leading a weight loss group responded to a question posed by her group as to why they were unable to lose weight. She said it was all because of the Law Of Conservation of Mass, also known as the Law of Thermodynamics. “This law of physics”, Dr. Val Jones wrote, “states that matter cannot be created or destroyed, although it may be rearranged”. That means that to lose weight, someone else has to gain it, since fat cannot be destroyed only rearranged. So, give your fat to someone else, she said. To that end, she’s been baking cookies. Of course, that was all in fun and the law of thermodynamics doesn’t really work that way. The most important part of the Law of Thermodynamics is left off. Did you catch it? As is often the case when science is dumbed down into sound bites, it becomes wrong. Such is the case in the distortion of the Law of Thermodynamics which has been simplified into the popular wisdom: “Calories in = calories out”. While it might seem inconceivable, this simplified maxim is little more than superstition and urban legend.

The first Law of Thermodynamics, or energy balance, basically states that in a closed system, energy can neither be created nor destroyed, only transformed or transferred. The human body is not a machine. There are countless, wildly varying, variables involved. Understanding this helps to explain why calories cannot be balanced like a chequebook, and why people never seem to gain or lose weight precisely as calculated. Balance in an open system, like the human body, is when all energy going into the system equals all energy leaving the system plus the storage of energy within the system. But energy in any thermodynamic system includes kinetic energy, potential energy, internal energy, and flow energy, as well as heat and work processes. In other words, in real life, balancing energy includes a lot more than just the calories we eat and the calories we burn according to those exercise charts. (Taken from http://junkfoodscience.blogspot.com/2008/10/firstlaw-of-thermodynamics-in-real.html)

EXCERCISES 1

True or false?

3 Match questions and answers.

a. When science is dumbed down it is often misinterpreted.

T

b. The human body can be thought of as a closed system.

T

c. If you perfectly balance the calories you eat with the calories you burn you can lose weight.

F

d. According to the misconception of the first paragraph, if you lose weight, T someone else has to gain it.

F

rect. a. Matter can be created or destroyed. b. When science is dumbed down it becomes right.

ANSWERS

A

What is a balanced open system?

1

The first law of thermodynamics.

B

How many forms of energy are there in a thermodynamic open system like the human body?

2

It is a system in which all energy going into the system equals all energy leaving the system plus the storage of energy within the system.

C

Which physics law is popularly simplified in “calories in = calories out”?

3

In a thermodynamic open system such as the human body, kinetic energy, potential energy, internal energy, and flow energy, as well as heat and work processes, may all be present.

F

T

2 Find the mistake in each sentence and cor-

QUESTIONS

F

c. The human body is like a machine. d. People always gain or lose weight precisely as calculated. A .........

B .........

314 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

C .........

READING COMPREHENSION

In the summertime, have you ever come out of a swimming pool and then felt very cold standing in the sun? That’s because the water on your skin is evaporating. The air carries off the water vapour, and with it some of the heat is being taken away from your skin. This is similar to what happens inside older refrigerators. Instead of water, though, the refrigerator uses chemicals to do the cooling. If you look at the back or bottom of an older refrigerator, you’ll see a long thin tube that loops back and forth. This tube is connected to a pump, which is powered by an electric motor. Inside the tube is Freon, a type of gas. Freon is the brand name of the gas. Chemically, this gas is called chlorofluorocarbon or CFC for short. This gas was found to hurt the environment if it leaks from refrigerators. So now, other chemicals are used in a slightly different process. CFC starts out as a liquid. The pump pushes the CFC through a series of coils in the freezer area. There the chemical turns to a vapour. When it does,

it soaks up some of the heat that may be in the freezer compartment. As it does this, the coils get colder and the freezer begins to get colder. In the regular part of your refrigerator, there are fewer coils and a larger space. Therefore, the coils and CFC vapour absorb less heat. The pump then sucks the CFC as a vapour and forces it through thinner pipes which are on the outside of the refrigerator. By compressing it, the CFC turns back into a liquid and heat is given off and is absorbed by the surrounding air around it. That’s why it might be a little warmer behind or under your refrigerator. Once the CFC passes through the outside coils, the liquid is ready to go back through the freezer and refrigerator over and over again. Modern refrigerators don’t use CFCs because they are harmful to the atmosphere if released. Instead they use another type of gas called HFC-134a, also called tetrafluoroethane. (Taken from httdp://www.energyquest.ca.gov/how_it_works/refrigerator.html)

EXCERCISES 1

True or false?

3 Match questions and answers.

a. CFC gases do not hurt the environment. T

F

b. Modern refrigerators don’t use CFC gases. c. Refrigerators use water for cooling.

T

F

T

F

T

F

d. Freon is the chemical name for CFC gases.

QUESTIONS A

What happens to the water on your body when you get out of a swimming pool in the summertime?

1

If the CFC gas leaks from the refrigerator it can be dangerous for the environment as the gas plays a role in the depletion of the ozone layer and is more potent as a greenhouse gas than carbon dioxide.

B

How can CFC gas hurt the environment?

2

The water on your body evaporates. Through this process heat is taken away from your body and you feel cold.

C

Why is it a little warmer behind or under your refrigerator?

3

When the CFC gas is compressed it turns into a liquid: during this process heat is given off and absorbed by the air surrounding the refrigerator.

2 Order the sentences. . . . . . The pump pushes the CFC gases through a

series of coils. The CFC gases start out as a liquid.

ANSWERS

. . . . . The pump forces the CFCs through thinner

pipes. . . . . . The CFC gases turn back into a liquid. . . . . . The freezer begins to get colder. The CFC

gases turn into vapour. . . . . . The coils get colder. The pump sucks the CFCs

as a vapour. . . . . . Heat is given off and is absorbed by the air

surrounding the refrigerator. . . . . . Turning into a vapour the CFC gases soak up

some of the heat.

A .........

B .........

C .........

. . . . . Liquid CFC is ready to go back through the

freezer and refrigerator over and over again.

315 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

J;HCE:?D7C?97š6 Il secondo principio della termodinamica

How does a refrigerator work?

PHYSICS IN ENGLISH ED:;š7 Le onde

The physics of tsunamis Tsunamis, commonly called tidal waves, are large sea waves or surges. These waves can carry a lot of energy from one side of the globe to the other, as shown by the South East Asian event of December 26, 2004, tsunamis can claim thousands of lives and cause extensive damage to property. The United States Geological Survey (USGS) defines a tsunami as: «A sea wave of local or distant origin that results from large-scale sea floor displacements associated with large earthquakes, major submarine slides, or exploding volcanic islands». Many people picture large, breaking waves when they hear the word tsunami. This is usually not the case, however. Most tsunamis make landfall as little more than a gigantic surge, as if the tide just moved in way too far, way too fast. This surging nature of tsunamis is mostly due to their extremely long wavelength, generally on the order of 100-200 km. A tsunami can turn into a locally, large and breaking wave if the wave energy is concentrated, shortening the wavelength and increasing the amplitude.

This often happens if the wave enters a bay, fjord or similar feature. There are several geologic events that can trigger the propagation of a tsunami. Earthquakes: generally tectonic rebound at or near a subduction zone. Landslides: often earthquake or volcanically triggered, can be purely submarine, or the slide could begin on land and then into the water. Volcanic activity. The impact of a large meteor or asteroid. A tsunami behaves as a shallow water wave. The main differences between tsunamis and wind-generated waves are the wavelength and period of the waves. Regular ocean waves have a wavelength of about 150m, and a period of about 10s. Tsunamis, on the other hand, have wavelengths in excess of 100 km, maximum amplitude of 1.5 m and a period on the order of an hour. (Taken from http://ffden-2.phys.uaf.edu/212_spring2005.web. dir/michael_tapp/index.htm)

EXCERCISES 1

True or false?

3 Match questions and answers.

a. A tsunami behaves like a shallow water wave.

T

b. The wavelength of a tsunami is generally on the order of 400-500 km.

T

F

c. A tsunami is always associated with large, breaking waves.

T

F

d. Regular ocean waves have a wavelength of about 150m.

QUESTIONS

T

ANSWERS

F

Which geological events may trigger a tsunami?

B

2 What is the main difference between a tsunami and wind-generated waves?

The USGS definition of a tsunami is: “A sea wave of local or distant origin that results from large-scale sea floor displacements associated with large earthquakes, major submarine slides, or exploding volcanic islands”.

C

What is a tsunami, according to the USGS?

Earthquakes, landslides and volcanic activity may all trigger a tsunami.

F

2 Find mistakes.

a. A tsunami can turn into a local, small and breaking wave.

1

b. A tsunami behaves as a deep water wave. c. Regular ocean waves have a wavelength of about 150 cm. d. A tsunami wave has a maximum amplitude of 1.5 km. e. The impact of a large meteor or asteroid cannot trigger a tsunami.

The wavelength and period are the main difference.

A

A .........

3

B .........

316 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

C .........

READING COMPREHENSION

Sound is a mechanical wave, which travels through a medium from one location to another. This motion through a medium occurs as one particle of the medium interacts with its neighbouring particle, transmitting the mechanical motion and corresponding energy to it. This transport of mechanical energy through a medium by particle interaction is what makes a sound wave a mechanical wave. Reflection of sound waves off of barriers results in some observable behaviours, which you have likely experienced. If you have ever been inside of a large canyon, you have likely observed an echo resulting from the reflection of sound waves off the canyon walls. Suppose you are in a canyon and you give a holler. Shortly after the holler, you would hear the echo of the holler, a faint sound resembling the original sound. This echo results from the reflection of sound off the distant canyon walls and its ultimate return to your ear. If the canyon wall is more than approximately 17 metres away from where you are standing, then the sound wave will take more than 0.1 seconds to reflect and return to you. Since the perception of a sound

usually endures in memory for only 0.1 seconds, there will be a small time delay between the perception of the original sound and the perception of the reflected sound. A reverberation is quite different than an echo. A reverberation is perceived when the reflected sound wave reaches your ear in less than 0.1 seconds after the original sound wave. Since the original sound wave is still held in memory, there is no time delay between the perception of the reflected sound wave and the original sound wave. The two sound waves tend to combine as one very prolonged sound wave. If you have ever sung in the shower (and we know that you have), then you have probably experienced a reverberation. The Pavarotti-like sound, which you hear, is the result of the reflection of the sounds you created combining with the original sounds. Because the shower walls are typically less than 17 metres away, these reflected sound waves combine with your original sound waves to create a prolonged sound: a reverberation. (Taken from http://www.physicsclassroom.com/mmedia/waves/ er.cfm)

EXCERCISES 1

3 Match questions and answers.

True or false? a. The perception of a sound endures in memory for 1 second.

T

F

b. Sound is a mechanical wave, which travels through a medium.

T

F

c. A reverberation is quite different than an echo.

T

F

d. You have probably never experienced a reverberation.

T

F

QUESTIONS A

What happens during a reverberation?

1

The time that the reflected sound takes to reach your ear: if it is less then 0.1 seconds it is a reverberation, otherwise an echo is heard.

B

What is the main difference between an echo and a reverberation?

2

Sound travelling through a medium transports mechanical energy, for this reason it is a mechanical wave.

C

Why is sound a mechanical wave?

3

You hear the two sound waves as one very prolonged sound wave, because the original sound is still in your memory when the reflected sound arrives back.

2 Order the words to make sentences.

a. medium š wave š Sound š through š is š travels š a š mechanical š which š a b. sound š An š faint š echo š sound š is š a š the š original š resembling c. seconds š The š endures š of š a š memory š sound š in š for š usually š onlyš 0.1 š perception d. sound š wave š is š perceived š when š the š reaches š A š reverberation š seconds š your š ear š in š less š reverberation š than š 0.1 š reflected š sound š wave š after š the šoriginal

ANSWERS

A .........

B .........

C .........

317 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

ED:;š8 Il suono

Echo vs reverberation

PHYSICS IN ENGLISH ED:;š9 La luce

What is light? Light is part of the electromagnetic spectrum. The spectrum is the collection of all waves and includes visible light, microwaves, radio waves, X-rays, and gamma gays. In the late 1600s, important questions were raised, asking whether light is made up of particles or waves. Sir Isaac Newton held the theory that light was made up of tiny particles. In 1678, the Dutch physicist Christiaan Huygens proposed that light was made up of waves that vibrated up and down perpendicular to the direction of travel of the light, and therefore formulated a way of visualising wave propagation. This became known as Huygens’ Principle. Huygens’ theory was the first successful theory of light wave motion in three dimensions. Huygens suggested that the peaks of light waves form surfaces like the layers of an onion. In a vacuum, or other uniform medium, the light waves are spherical, and these wave surfaces advance or spread out as they travel at the speed of light. This theory explains why light shining through

a pin hole or slit will spread out rather than going in a straight line. Newton’s theory came first, but Huygens’ theory better described early experiments. Huygens’ principle enables one to predict where a given wavefront will be in the future, if you have the knowledge of where the given wave front is at the present time. At that time, some of the experiments conducted on light theory for both the wave theory and particle theory, had some unexplained phenomenon. Newton could not explain the phenomenon of light interference and this favour the wave theory over Newton’s particle theory. This difficulty was due to the unexplained phenomenon of light polarisation: scientists were familiar with the idea that wave motion was parallel to the direction of travel of a wave, NOT perpendicular to the direction of travel, as is the case for light. (Taken from http://www.nightlase.com.au/education/optics/light. htm)

EXCERCISES 1

True or false? a. The electromagnetic spectrum does not include microwaves.

T

F

b. According to Newton’s theory, light is made of waves.

T

F

c. Christiaan Huygens was born in Germany.

T

F

d. Using Huygens’ principle the position of a given wavefront can be predicted.

T

resolve š Newton š explained š shining š most š light š formulated š waves š line š theories š advance š particles š speed š spherical š uniform š spreads 3 Match questions and answers. QUESTIONS A

1 What is the main difference between Newton’s and Huygens’ theories?

It is a way of visualising wave propagation based on the hypothesis that light is made up of waves vibrating up and down perpendicular to the direction of travel of the light.

B

What is Huygens’ principle?

According to Newton light was made up of tiny particles, whilst Huygens believed that light was made up of waves.

C

3 According to Huygens how can we describe light motion?

F

2 Complete.

Light theory started to be . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . in the late 1600s. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . and Huygens elaborated the . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . important light . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . According to the first, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . is made of tiny . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , according to the second it is composed of . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Huygens theory . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . some questions that Newton’s couldn’t . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . According to this second theory, the light waves are . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . mediums, and these wave surfaces . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . at the . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . of light. This theory explained why light .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . through a pinhole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . out rather than proceeding in a straight . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ..

ANSWERS

A .........

2

Light waves are spherical and vibrate up and down perpendicular to the direction of motion. In a uniform medium they travel at the speed of light.

B .........

318 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

C .........

READING COMPREHENSION

The 2009 Nobel Prize for Physics was awarded for two scientific achievements that have helped to shape the foundations of today’s networked societies. In 1966, Charles K. Kao made a discovery that led to a breakthrough in fibre optics. He carefully calculated how to transmit light over long distances via optical glass fibres. With a fibre of the purest glass it would be possible to transmit light signals over 100s of kilometres, compared to only 20 metres for the fibres available in the 1960s. Kao’s enthusiasm inspired other researchers to share his vision of the future potential of fibre optics. The first ultra pure fibre was successfully fabricated just four years later, in 1970. Today optical fibres make up the circulatory system that facilitates our communication society. These low-loss glass fibres facilitate global broadband communication such as the Internet. Light flows in thin threads of glass, and it carries almost all of the telephony and data traffic in each and every direction. Text, music, images and video can be transferred around the globe in a split second.

If we were to unravel all of the glass fibres that wind around the globe, we would get a single thread over one billion kilometres long, which is enough to encircle the globe more than 25,000 times and is increasing by thousands of kilometres every hour. A large share of the traffic is made up of digital images, which constitute the second part of the award. In 1969 Willard S. Boyle and George E. Smith invented the first successful imaging technology using a digital sensor, a CCD (Charge-Coupled Device). The CCD technology makes use of the photoelectric effect, as theorised by Albert Einstein and for which he was awarded the 1921 Nobel Prize for Physics. By this effect, light is transformed into electric signals. The challenge in designing an image sensor was how to gather and read out the signals from a large number of image points, pixels, in a short time. It revolutionised photography, as light could be captured electronically instead of on film. (Taken from http://www.sciencedaily.com/releases/2009/10/ 091006095019.htm)

EXCERCISES 1

True or false?

glass š signals š quick š Physics š today š awarded š shared š share š discovery š transmission š metres š purest š kilometres

a. Using a fibre of the purest glass, light signals can be transmitted over 100s of kilometres.

T

F

b. Charles K. Kao, Willard S. Boyle and George E. Smith have worked together since 1966.

T

F

c. The CCD technology makes use of the photoelectric effect.

T

F

d. Albert Einstein was awarded the 1921 Nobel Prize for Physics for his theorisation of the photoelectric effect.

T

F

3 Match questions and answers. QUESTIONS

2 Complete.

The 2009 Nobel Prize for . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . was . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . by Charles K. Kao, Willard S. Boyle and George E. Smith. The first has been . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . for an important . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . that allows us to .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . information throughout the globe in an extremely . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . way. Low-loss . . . . . . . . . . . . . . . . . . fibres facilitate light signal . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ; a fibre of . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . glass can transmit light . . . . . . . . . . . . . . . . . . over 100 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .... , compared to only 20 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . for the fibres available before Kao’s discovery. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , optical fibres cover the globe.

ANSWERS

A

What did Charles K. Kao discover in 1966?

1

All telephony and data traffic travel in optical fibres. Text, music, images and video can be transferred around the globe in split seconds.

B

What is a CCD?

2

He discovered how to transmit light over long distances via optical glass fibre.

C

What kind of information does optical fibre carry around the world?

3

The Charge-Coupled Device was the first successful imaging technology to use a digital sensor. With this invention light could be captured electronically instead of on film.

A .........

B .........

C .........

319 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

ED:;š10 L’ottica geometrica

The masters of light

TAVOLA PERIODICA DEGLI ELEMENTI 1 I

18 VIII

IDROGENO

IDROGENO

1

H

1

ELIO

nome numero atomico

2

He

1,008

2 II

LITIO

BERILLIO

3

4

Li

Be

B

C

N

O

F

Ne

6,941

9,012

10,81

12,01

14,01

16,00

19,00

20,18

SODIO

MAGNESIO

ALLUMINIO

SILICIO

FOSFORO

ZOLFO

CLORO

ARGON

11

12

13

14

15

16

17

18

Na

Mg

5

6

7

P

S

Cl

Ar

24,31

4

Si

22,99

3

Al 26,98

28,09

30,97

32,07

35,45

39,95

POTASSIO

CALCIO

SCANDIO

TITANIO

VANADIO

CROMO

19

20

21

22

23

24

K

Ca

Sc

Ti

V

39,10

40,08

44,96

47,87

RUBIDIO

STRONZIO

ITTIRIO

37

38

Rb

H

simbolo

1,008

peso atomico (u)

14 IV

15 V

16 VI

17 VII

BORO

CARBONIO

AZOTO

OSSIGENO

FLUORO

NEON

5

6

7

8

9

10

4,003

9

10

11

12

MANGANESE FERRO

COBALTO

NICHEL

RAME

ZINCO

GALLIO

GERMANIO

ARSENICO

SELENIO

BROMO

CRIPTON

25

26

27

28

29

30

31

32

33

34

35

36

Cr

Mn

Fe

Co

Ni

Cu

Zn

Ga

Ge

As

Se

Br

Kr

50,94

52,00

54,94

55,85

58,93

58,69

63,55

65,41

69,72

72,64

74,92

78,96

79,90

83,80

ZIRCONIO

NIOBIO

MOLIBDENO

TECNEZIO

RUTENIO

RODIO

PALLADIO

ARGENTO

CADMIO

INDIO

STAGNO

ANTIMONIO

TELLURIO

IODIO

XENON

39

40

41

42

43

44

45

46

47

48

49

50

51

52

53

54

Sr

Y

Zr

Nb

Mo

Tc

Ru

Rh

Pd

Ag

Cd

In

Sn

Sb

Te

I

Xe

85,47

87,62

88,91

91,22

92,91

95,94

(98,91)

101,1

102,9

106,4

107,9

112,4

114,8

118,7

121,8

127,6

126,9

131,3

CESIO

BARIO

LANTANIO

AFNIO

TANTALIO

WOLFRAMIO RENIO

OSMIO

IRIDIO

PLATINO

ORO

MERCURIO

TALLIO

PIOMBO

BISMUTO

POLONIO

ASTATO

RADON

55

56

57

72

73

74

75

76

77

78

79

80

81

82

83

84

85

86

Cs

Ba

La

Hf

Ta

W

Re

Os

Ir

Pt

Au

Hg

Tl

Pb

Bi

Po

At

Rn

132,9

137,3

138,9

178,5

180,9

183,9

186,2

190,2

192,2

195,1

197,0

200,6

204,4

207,2

209,9

(210)

(210)

(222)

FRANCIO

RADIO

ATTINIO

RUTHERFORDIO DUBNIO

SEABORGIO

BOHRIO

HASSIO

MEITNERIO

DARMSTADIO ROENTGENIO COPERNICIO

UNUNTRIO

UNUNQUADIO UNUNPENTIO UNUNHEXIO

UNUNOCTIO

87

88

89

104

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107

108

109

110

111

112

113

114

118

Fr

Ra

Ac

Rf

Db

Sg

Bh

Hs

Mt

Ds

Rg

Cn

Uut

Uuq Uup Uuh

Uuo

(223)

(226)

(227)

(267)

(268)

(271)

(272)

(270)

(276)

(281)

(280)

(285)

(284)

(289)

(288)

(293)

(294)

CERIO

PRASEODIMIO

NEODIMIO

PROMEZIO

SAMARIO

EUROPIO

GADOLINIO

TERBIO

DISPROSIO

OLMIO

ERBIO

TULIO

ITTERBIO

LUTEZIO

58

59

60

61

62

63

64

65

66

67

68

69

70

71

Ce

Pr

Nd

Pm

Sm

Eu

Gd

Tb

Dy

Ho

Er

Tm

Yb

Db

140,1

140,9

144,2

(144)

150,4

152,0

157,3

158,9

162,5

164,9

167,3

168,9

173,0

175,0

TORIO

PROTOATTINIO URANIO

NETTUNIO

PLUTONIO

AMERICIO

CURIO

BERKELIO

CALIFORNIO

EINSTENIO

FERMIO

MENDELEVIO NOBELIO

LAURENZIO

90

91

92

93

94

95

96

97

98

99

100

101

102

103

Th

Pa

U

Np

Pu

Am

Cm

Bk

Cf

Es

Fm

Md

No

Lr

232

231

238

(237)

(244)

(243)

(247)

(247)

(252)

(252)

(257)

(258)

(259)

(262)

LANTANIDI

ATTINIDI

8

13 III

320 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.2 © Zanichelli 2012 con Physics in English

115

116

1 2 3

Idee per il tuo futuro

Stefania Mandolini

Le parole della fisica Termodinamica e Onde con Physics in English Un libro che racconta la fisica per concetti, con molta attenzione ai collegamenti con il mondo quotidiano e con le altre discipline. Nel libro s Schede di biologia, architettura, letteratura, arte. s Con gli occhi del fisico: due pagine per ogni capitolo che ripercorrono un fenomeno o una tecnologia nella storia, rivisti con gli occhi di uno scienziato. s Mappe dei concetti: due pagine a fine capitolo per ripassare a colpo d’occhio. s Physics in English: Maths Talk e Physics Talk (come si leggono le formule di matematica e fisica in inglese), letture di fisica in inglese. Su http://aulascienze. scuola.zanichelli.it trovi: s video e interviste a scienziati e ricercatori s notizie e blog per discutere di scienza s le rubriche degli esperti di matematica, fisica e chimica per rispondere alle tue domande

Questo libro è stampato su carta che rispetta le foreste. www.zanichelli.it/la-casa-editrice/carta-e-ambiente/