La fabbrica del codice: Materiali per la storia del libro nel tardo medioevo
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Zitiervorschau

Paola Busonero Maria Antonietta Casagrande Mazzoli Luciana Devoti Ezio Ornato

La fabbrica del codice Materiali per la storia del libro nel tardo medioevo

viella

Copyright ©1999 - Viella s.r.l Tutti i diritti riservati Prima edizione: aprile 1999 ISBN 88-85669-75-1

viella Libreria editrice v ia delle A lp i, 32 1-00198 R O M A tei. 06 84 17 758 fax 06 85 35 39 60 e-m ail: viella@ flashnet.it

In d ice

Ezio Ornato Introduzione

9

Paola B usonero L a fascicolazione del manoscritto nel basso m edioevo 1. Introduzione

31 33

1.1. Definizione del corpus. Scelta delle variabili.

Ideazione di una scheda

39

1.2. Variabili

42

1.3. Analisi dei dati

44

2. L ’evoluzione della fascicolazione

47

2.1. //corpus

47

2.2. Quadro diacronico generale

48

2.3. Quadro specifico per paesi

50

2.3.1. Inghilterra (p. 50). 2.3.2. Francia (p. 51). 2.3.3. Ita­ lia (p. 53). 2.3.4. Germania (p. 54). 2.3.5. Paesi Bassi (p. 55)

2.4. Conclusioni

55

3. Fascicolazione e altri parametri

61

3.1. Fascicolazione e supporto

61

3.2. Fascicolazione e formato

68

3.3. Fascicolazione e tipologia testuale 3.3.1. Inghilterra (p. 71). 3.3.2. Francia (p. 73). 3.3.3. Ita­

11

lia (p. 74). 3.3.4. Bibbie (p. 75)

3.4. Fascicolazione e impaginazione

77

3.4.1. Inghilterra (p. 78). 3.4.2. Francia (p. 80). 3.4.3. Ita­ lia (p. 80)

3.5. Fascicolazione e taglia

81

3.6. Conclusioni

82

Tabelle

88

Grafici

109

Indice

6

Appendice 1. Cataloghi utilizzati

120

Appendice 2. Protocollo di rilevamento

123

Appendice 3. Specimen di una scheda di rilevamento compilata

127

Note

129

Luciana Devoti Un rom picapo m edievale: l ’ architettura della pagina nei m anoscritti e negli incunaboli del co d ex di G iu ­ stiniano 1. Testo ed apparato

141 145

2. Il libro giuridico

149

3. Il corpus dei manoscritti e degli incunaboli

152

4. La mise en page

154

5. Gerarchia dimensionale e correlazione

158

6. La variabilità

162

7. Pagine affrontate e sovrapposte

167

8. I settori esterni ed interni e l ’adeguamento testo/ glossa in pagine affrontate e sovrapposte

170

9. L ’adeguamento testo/glossa all’interno della pagina

178

Grafici

187

Note

199

M aria A ntonietta Casagrande M azzoli Ezio Ornato E lem en ti per la tip o lo g ia del m an oscritto qu attro cen tesco d e ll’Italia cen tro -setten trio n ale 1. Impostazione generale della ricerca

207 209

1.1. Ambito della ricerca e corpora utilizzati

209

1.2. Scheda descrittiva

213

1.3. Composizione del corpus

215

Indice

2.

7

Il codice «monastico» e il codice umanistico

215

3 . 1 codici «monastici» tra il X IV e il X V secolo

240

3.1. La pergamena

241

3.2. La fascicolazione

244

3.3. Schemi e tecniche di rigatura

244

3.4. Segnature e richiami

245

3.5. Sfruttamento dello spazio

246

4 . 1 codici umanistici

251

4.1. Livelli di esecuzione

252

4.2. Aspetti perigrafici

265

Appendice 1. Protocollo di osservazione

271

Appendice 2. Lista dei codici analizzati

273

Note

279

Riferim enti b iblio grafici

289

Ezio O r n a t o Introduzione

I tre lavori riuniti in questa Fabbrica d el codice non sono il frutto di un’iniziativa preorganizzata, ed il loro raggruppamento in un unico volume non obbedisce di fatto ad alcuna necessità parti­ colare. Questa affermazione crudamente perentoria potrebbe stupi­ re per la sua franchezza un po’ controcorrente: è ormai pratica dif­ fusa, purtroppo (fortunatamente meno in Italia che altrove), simula­ re un’unità che non esiste, occultando ad esempio gli Atti di un Colloquio - ove confluiscono necessariamente, e senza che v i sia nulla da vergognarsi, relazioni assai ineguali per lunghezza, conte­ nuto e interesse - dietro una raccolta di saggi dal titolo tanto allet­ tante quanto generico. Ma più ancora, essa potrebbe apparire ine­ satta a chi rimanesse colpito dall’omogeneità formale che caratte­ rizza i contributi, tutti e tre riccamente corredati (ma c ’è chi direb­ be “ irrimediabilmente sfigurati” ) da grafici e tabelle. Tuttavia, la concinnitas metodologica non può essere trion­ falmente presentata come un criterio unificatore: nell’ambito delle scienze esatte, la totalità delle ricerche - che si avventurano in ter­ reni vastissim i e disparati - si avvale del metodo sperimentale, lar­ gamente tributario della matematica e della statistica, e nessuno si sogna di trasformare questa necessità in un filo conduttore. L ’ac­ corpamento in un unico volume di tre saggi accomunati dall’eti­ chetta programmatica “ codicologia quantitativa” ha potuto trovare valide motivazioni nel passato a causa della novità dell’iniziativa nelle discipline che trattano del libro medievale, e trarre vantaggio proprio dalla diversità delle tematiche in essi affrontate; ma ciò che conta realmente - e che contava già allora - è il titolo dei tre saggi “ quantitativi” : P our une histoire du livre manuscrit au Moyen Age. Malgrado la loro veste comune, i tre articoli che compongono La fabbrica del codice non si prefìggono, dunque, di illustrare la

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pertinenza di una metodologia, e ancor meno la sua superiorità ri­ spetto ad altre, ma si inscrivono risolutamente in una prospettiva di “ promozione” del libro tardomedievale come centro di interesse e fulcro di un’attività storiografica di tipo sistematico. Se la matrice metodologica è effettivamente di tipo quantitativo, non è per par­ tito preso, ma per semplice necessità, in quanto la natura stessa delle indagini intraprese richiedeva l’analisi di popolazioni intere di “individui” ed il ricorso alle procedure statistiche. È vero, infatti, che dal punto di vista delle potenzialità di os­ servazione, il basso medioevo può essere considerato come un’epoca relativamente fortunata, anzi, sfacciatamente fortunata rispetto ad altre: gli “ individui” esistono ancor oggi in gran copia, anche se la decimazione è stata imponente e se la selettività del processo di perdita è fonte continua di spinosi problemi e di tra­ bocchetti interpretativi. La possibilità, e in certi casi la necessità, di trarre profitto dalla quantità è fondata proprio su questa solida e obiettiva “ virtù” delle cose, la quale, sorda agli interessi e alla sa­ gacia degli studiosi, fa purtroppo difetto per le epoche più antiche. Non è certo colpa di storici ed eruditi se la scarsezza dei cimeli tende a ridurre la storia dei primi secoli del libro e della scrittura occidentale ad un serie di ipotesi contraddittorie e incessantemente contraddette, ove la base stessa del ragionamento induttivo - la datazione e la localizzazione dei volumi, per non parlare dei fram­ menti - poggia raramente su valutazioni unanimi o, se non altro, sufficientemente consensuali. Né va considerato come un demerito se la storia dei primi secoli del libro e della scrittura occidentale è spesso confinata alla sua dimensione diacronica, alla ricostituzione di un percorso lineare fatto di influssi e di derivazioni, così come la storia dei primi millenni dell’Umanità si riduce, per forza di cose, al confronto quasi sempre enigmatico di qualche osso nel tentativo di formare una catena, e alla ricerca affannosa di nuove ossa che, al momento stesso in cui la arricchiscono di nuovi anelli, suscitano inevitabilmente nuovi garbugli. Non si può neppure rimproverare alla storiografia del libro e della scrittura ciò che costituisce in fondo il lotto comune a tutta l’attività di ricerca, e non solo nelle scienze umane: la preferenza che viene spesso manifestata per i problemi più ardui e meno su­ scettibili di osservazioni sperimentali - e le epoche lontane ce ne

Introduzione

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offrono legioni - come se la rarità degli indizi ne acuisse di per sé l ’interesse, l’indecifrabilità del messaggio ne rendesse il sorriso più affascinante; e come se, soprattutto, lo scioglimento di un mistero che ha sfidato i decenni, se non i secoli, elevasse il merito del ri­ cercatore e ne assicurasse la “gloria” . Il ritrovamento dell’anello mancante dopo anni di sforzi metodici, la scoperta genialmente ca­ suale della legge nascosta o dell’elemento decisivo che stava sotto gli occhi di tutti sono mito tenace che accomuna ricercatori e pro­ fani, alimentandone più spesso di quanto si creda l’immaginazione creatrice e dando vita a paradigmatiche leggende. La penosa quotidianità del riflettere, del compulsare e dello scavare viene naturalmente esaltata, ma soprattutto in negativo, quando finisce con l’essere inopinatamente sopraffatta da una ve­ rità accecante e, soprattutto, elegante: l’ingenua agiografia della vasca da bagno di Archimede, della mela di Newton, dei margini del libro di Fermat, delle mura di Troia e, in ambito paleografico, del telefono di Jean Mallon, suscita rammirazione degli “ ignari” cui si contrappone - ma solo in apparenza - la bonaria ironia degli iniziati. Tutti sanno quanto lungo e tortuoso sia in realtà il cammi­ no della ricerca, quanta complessità si celi dietro l’eleganza lapida­ ria della “ verità” , quanta approssimazione sia stata sacrificata per tenere in piedi un modello interpretativo della storia, così come il povero sa quanto sia aspra, scoscesa e dimpata la via che conduce alla ricchezza; ma anche gli studiosi sognano sempre, in fondo, di vincere alla lotteria. Esempi eloquenti non sono rari persino nelle scienze sperimentali: i virgulti apparentemente vigorosi e promet­ tenti della fusione fredda e della sopraconduzione sono ben presto ingialliti come le foglie d’autunno ... e i fogli dei giornali. Se la difficoltà dei problemi ha da sempre, e giustamente, sti­ molato l’attenzione di chi cerca, più specifica alle discipline che studiano il patrimonio culturale del passato è l’attrazione per il tri­ nomio rara, novissima, curiosa, immancabilmente accompagnata da una ripugnanza istintiva per il trinomio crebra, notissima, taediosa. Come se la storia fosse fatta soltanto di innovazioni o di anomalie; come se solo risultati sorprendenti e inaspettati meritas­ sero lunghe e faticose ricerche, e la “riscoperta dell’acqua calda” fosse la più grande fonte di ridicolo obbrobrio per uno studioso. Abbandonando il terreno dell’epistemologia spicciola, dozzi-

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naie e supponente, è doveroso riconoscere che, al momento di af­ frontare l ’anonimato della folla, l’uniformità annoia ed il numero, paradossalmente, fa paura; ed è anche per questo che, tralasciando le masse brulicanti nelle piazze, lo sguardo del paleografo e del co­ dicologo preferisce spontaneamente arrestarsi sui rari e scintillanti monumenti che emergono al disopra delle teste. Eppure, interroga­ re “ a tappeto” la folla dei libri è innegabilmente l’unico mezzo di cui si dispone per ricostituire e smontare nei suoi meccanismi più profondi la dialettica oscura della pratica quotidiana della trasmis­ sione dei testi: quella del diligente professionista del manoscritto che non ha i mezzi né materiali né intellettuali per creare e si ac­ contenta di riprodurre abilmente i modelli esistenti; quella del di­ lettante che ha imparato qualche regola del mestiere e si limita ad applicarla, magari a torto o a traverso; quella, insomma, di chi, pri­ vo al tempo stesso di genio, di mecenati e di passione, passa le giornate ad arrabattarsi tra una miriade di difficoltà per arricchire la propria biblioteca con libri fatti in casa; o, all’estremo opposto, di chi, legato da un contratto, si applica a trascrivere, aderendo pedis­ sequamente e faticosamente alla tradizione, poderose summae ric­ camente allestite e destinate a trascendere le generazioni, assicu­ rando in tal modo la propria sopravvivenza e quella dei suoi cari. Di tutto questo nascere, scorrere, convivere e deperire conti­ nuo di iniziative e di prassi diverse - ripetitive o innovanti - ci ri­ mangono innumerevoli testimonianze. Ciò non basta, tuttavia, per “far di virtù necessità” : se lo studio paleografico e codicologico degli ultimi tre secoli del medioevo merita di essere ampiamente rivalutato, lo stimolo ad approfondire le nostre conoscenze non viene tanto dall’abbondanza del materiale conservato (anche se es­ sa consente di far poggiare le costruzioni ipotetiche su un terreno più solido), quanto dal fatto che, all’apogeo della produzione ma­ noscritta e alla prima aurora della rivoluzione tipografica, l ’attività culturale diventa sempre più complessa e la produzione libraria sempre più ricca, multiforme e affascinante. Dal XIII al X V secolo, infatti, in seguito allo spostamento nelle città dei centri di produzione e di trasmissione del sapere e alla differenziazione progressiva del tessuto culturale, il sistema di produzione del libro subisce profondi cambiamenti in un contesto

Introduzione

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ove, salvo eccezioni locali e temporanee, la quantità di libri dispo­ nibili (che non v a confusa con la quantità di libri prodotti) cresce continuamente. Nasce, innanzitutto - o meglio, rinasce, dopo molti secoli - la proprietà individuale del manoscritto. Proprietà indivi­ duale significa innanzitutto libertà di suscitare ma anche, al tempo stesso, necessità di finanziare l’allestimento dei codici che verran­ no individualmente utilizzati. La committenza privata provoca spontaneamente lo sviluppo di mestieri legati alla fabbricazione di libri, i cui rappresentanti (pergamenai, copisti, miniatori, legatori) tengono bottega o affittano, per vivere, la loro forza lavoro ... e pretendono di essere remunerati. Poiché i costi di fabbricazione gravano ormai sui singoli individui, i fattori economici condizio­ nano in maniera sempre più pesante le scelte dei committenti e de­ gli artigiani nel momento dell’allestimento. Col deperimento del ciclo di produzione autarchica in circuito chiuso, il libro, dal momento che è stato pagato in moneta sonante, acquisisce, accanto al valore d’uso, anche un valore di scambio. La proprietà individuale del libro implica, fra l’altro, la libertà di alie­ narlo. Nasce così un fiorente mercato del manoscritto; non un mer­ cato nel senso editoriale del termine - popolazione di lettori poten­ ziali, anonimi e dal comportamento imprevedibile, alla massa dei quali si vorrebbe smerciare una gran quantità di esemplari di uno stesso testo fabbricati a bella posta - ma un mercato che coinvolge individualmente, nei luoghi più importanti di trasmissione della cultura, molti possessori di poche copie di opere differenti, già al­ lestite e utilizzate in precedenza; mercato che non può comunque fare a meno di intermediari - i librai - che si incaricano, almeno in parte, di centralizzare la domanda e l’offerta e di regolarizzarne gli eventuali squilibri. Nel corso del processo spontaneo di evoluzione del sistema, il libraio viene ben presto investito di una nuova prerogativa: a colo­ ro che vendono i libri vengono logicamente affidati gli exemplaria, autenticati dall’autorità universitaria, da affittare di volta in volta ai numerosi committenti di manoscritti dei testi più richiesti. In tal modo il libraio, luogo geometrico di regolarizzazione del mercato, viene a svolgere anche il ruolo di “ stazionario” , luogo geometrico di regolazione di un inedito sistema di copia - detto comunemente della pecia - perfettamente adeguato, nella teoria, ai ritmi elevati di

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allestimento dei libri che caratterizzano le città ove risiedono cen­ tinaia di maestri e di studenti. Libertà di alienare il libro, non significa soltanto venderlo, darlo in pegno o scambiarlo, ma anche trasmetterlo ai propri di­ scendenti, sotto la spinta di un’illusione di perennità che a ben guardare, fino all’avvento del libro a stampa, non fu poi così lonta­ na dalla realtà. Lodevole e disinteressato intento è quello che con­ siste nel risparmiare ai propri nipoti e pronipoti investimenti estre­ mamente onerosi, e non di rado addirittura insostenibili, al fine di favorirne l’ascesa nella scala sociale. Lodevole e disinteressato in­ tento, anche, è quello che consiste nell’alimentare l ’istituzione da cui si è stati - e non solo intellettualmente - nutriti, grazie alla tra­ smissione p o st mortem del proprio patrimonio librario. In Francia e in Inghilterra, la fondazione di qualche decina di collegi, tra cui la celeberrima Sorbona, consente ad un certo numero di borsisti, non sempre “raccomandati di ferro” , di intraprendere gli studi superiori e conseguire i più alti gradi universitari. Parallelamente, il continuo accrescimento delle biblioteche collegiali, razionalizzando l’acces­ so alla lettura, contribuisce ad alleggerire l’impegno finanziario di ciascuno. Le biblioteche delle istituzioni universitarie hanno dunque un impatto positivo sugli aspetti economici dell’acquisizione del sape­ re, il cui costo viene ad essere in buona parte socializzato. M a l’im­ patto non è altrettanto positivo, ovviamente, sulla produzione di libri: le opere meno recenti, già largamente diffuse in precedenza, formano, sul mercato e nelle biblioteche, un volano di inerzia che paralizza, per poco che la popolazione studentesca cessi di aumen­ tare, l ’allestimento di nuove copie. M a non vanno trascurati gli ad­ dentellati culturali del fenomeno: mentre l’accrescimento delle bi­ blioteche monastiche e delle biblioteche private obbedisce ai biso­ gni immediati dei fruitori contemporanei, l’accumulazione dei libri nelle istituzioni universitarie e conventuali corrisponde a bisogni che furono di fatto, molto tempo prima, quelli dei morti. Il sistema non può quindi funzionare che in situazioni ove la dinamica di rinnovamento del tessuto culturale è ridotta al minimo. La Francia della seconda metà del X IV secolo, decimata dalla Pe­ ste nera e dalla guerra dei Cent’anni, offre, in effetti^ un buon esempio di stasi, se non di regresso. M a ci si domanderà, allora, se

Introduzione

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il funzionamento stesso del sistema non abbia in sé qualcosa di perverso, in quanto contribuisce a rafforzare la circolarità, o peggio ancora la spirale negativa, di una cultura sempre più ripiegata su se stessa. L ’assimilazione ripetuta dei medesimi testi trova il suo per­ fetto corrispettivo nel riciclaggio ininterrotto dei medesimi libri: il costo di funzionamento del sistema è così ridotto al minimo, ma il funzionamento stesso, ormai svuotato di qualsiasi pulsione innova­ tiva, si raggrinzisce definitivamente - e paradossalmente con la più grande soddisfazione dei più - nella riproduzione pura e semplice di ciò che esiste. La rivoluzione culturale urbana ed universitaria, generatrice di un riassetto completo dei circuiti di fabbricazione del manoscritto, non poteva non ripercuotersi a tutti i livelli sull’oggetto, e ciò dall’infrastruttura più intrinseca alla sovrastruttura più superflua. L ’oggetto deve infatti adattarsi, gradualmente o bruscamente, ad esigenze del tutto nuove e riassestarsi incessantemente su equilibri diversi; compito diffìcile, poiché le esigenze si moltiplicano nella sincronia e si succedono sempre più rapidamente nel tempo; spes­ so, d’altronde, in reazione alle prassi e alle mode precedentemente in vigore. Non sempre è facile per lo studioso, dinanzi a tutti questi sommovimenti, identificare in ogni circostanza l ’elemento motore e valutare il peso rispettivo dei diversi fattori. Il libro infatti, creato per essere la realizzazione sul piano materiale di un determinato obiettivo culturale, è invece trascinato in direzioni opposte da ca­ valli focosi e animati da profonde contraddizioni, ciascuno dei quali rivendica ostinatamente la propria legittimità: il cavallo fun­ zionale, cui poco importa che il libro sia ricco e bello, purché l ’oggetto sia durevole, il testo strutturato e organizzato, il tracciato grafico uniforme e privo di ambiguità; il cavallo estetico, cui poco importa che il libro sia letto, purché la sua presentazione sia regola­ re, armoniosa e, se possibile, sfarzosa; il cavallo economico, che fa immancabilmente a calci con gli altri due, ma che bisogna assolu­ tamente riuscire in qualche modo ad addomesticare se si vuole che il libro esista. Fino alle soglie dell’avvento della stampa, il divenire del ma­ noscritto tardomedievale è quindi contrassegnato dal succedersi di avvenimenti e di fermenti innovativi, che finiscono spesso con il

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diffondersi più o meno rapidamente su scala europea; avvenimenti non tutti ugualmente spettacolari nelle loro manifestazioni visibili e le loro conseguenze, ma tutti importanti per le loro motivazioni e le loro implicazioni nascoste. Alcuni di essi investono le fondamenta materiali del libro, altri le caratteristiche della pagina nel suo as­ setto geometrico, grafico e perigrafico; altri ancora sembrano ri­ strutturare il libro, almeno in apparenza, da cima a fondo. I tre saggi riuniti nella Fabbrica del codice riflettono, ciascuno alla sua maniera, la preoccupazione di affrontare lo studio di alcuni fra questi fenomeni basilari, osservandoli non nella loro fase pro­ totipica o embrionale, ma soprattutto a partire dal momento in cui essi si sviluppano come savoir-faire accettato, e talvolta egemoni­ co, presso la koinè degli artigiani del libro; industriandosi ad evi­ denziare e ad approfondire aspetti che sono finora sfuggiti agli stu­ diosi, non perché particolarmente occulti o perché dispersi in te­ stimoni rari e poco accessibili, ma, al contrario, perché onnipre­ senti e troppo banali per essere oggetto di una qualsiasi curiosità descrittiva e interpretativa. Se è giocoforza riconoscere che queste problematiche non possiedono molti addentellati comuni, esse si presentano comun­ que, proprio nella loro varietà, ricche di numerose, profonde e sti­ molanti implicazioni, che non potevano non suscitare, presso l’autore di queste pagine introduttive, una più vasta riflessione sulle tappe più importanti della storia del libro durante gli ultimi secoli del medioevo. Rivelatesi troppo ampie per poter essere con­ tenute entro i limiti “ naturali” di una presentazione, le considera­ zioni di chi scrive saranno più opportunamente approfondite in un opuscolo separato, programmaticamente (ma non polemicamente) intitolato Apologia d ell’apogeo. L a prima di queste problematiche - la fascicolazione - è ve­ ramente onnipresente nell’oggetto libro (ma non nella storiografia), in quanto è intrinseca alla struttura del codice e connaturata alla sua stessa definizione. Essa è stata affrontata da Paola Busonero prescindendo dalla sua dinamica - cioè dalla maniera di ricavare i bifogli da una pelle animale o da un foglio di carta, e di assemblarli in unità che, rese solidali da una cucitura, costituiranno il volume soffermandosi invece sul suo aspetto “ statico” , quello della struttu-

Introduzione

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ra: in sostanza l’indagine verte su quella proprietà che, con termine preso a prestito dal linguaggio matematico ove designa il numero di elementi che compongono un insieme, potremmo chiamare il cardinale del fascicolo. Da un lato, pochi concetti, in ambito codicologico, sono al­ trettanto sprovvisti di ambiguità e di frange di interferenza, e di conseguenza classificabili con altrettanta facilità; ma dall’altro, nulla di più “dimesso” di questo parametro che, per quanto indi­ spensabile all’esistenza di un libro come lo è la palafitta per un’abitazione lacustre, non faceva parte dell’universo visivo del lettore del passato, e che anche per questo (ma non soltanto) è stato finora trascurato dallo studioso contemporaneo. Tuttavia, se la definizione del cardinale di un singolo fasci­ colo si impone con immediatezza, questa situazione privilegiata viene meno non appena si tratta di definire il cardinale dei fasci­ coli di un singolo libro. È evidente che l’unica definizione operati­ v a per la storia del libro in generale è quella che non lo è affatto per la storia di un libro particolare: si tratta del cardinale maggio­ ritario, cioè della struttura che sarebbe stata quella di tutti i fascicoli se l’artigiano non fosse stato indotto a modificarla, in taluni casi, da contingenze specifiche alla genesi del libro in corso di allestimento. Questa definizione riduttrice non fa parte dell’universo intel­ lettivo dei fruitori dei cataloghi, il cui accesso a tale strumento di lavoro è di solito sporadico e limitato a un solo volume o a un gruppo ristretto di volumi giudicati particolarmente pertinenti ai fini di una ricerca particolare. Per il fruitore “ ordinario” - che si interessa piuttosto raramente alla struttura dei fascicoli - il solo pa­ rametro che potrebbe rivelarsi promettente è il cardinale di ciascun fascicolo, le cui irregolarità potrebbero segnalare 1’esistenza di anomalie significative nella fabbricazione di un codice e nella tra­ smissione del testo in esso contenuto. Purtroppo, la collazione completa dei fascicoli richiede una buona dose di tempo e fatica, spesso sproporzionata rispetto alle disponibilità del catalogatore “ ordinario” , e ciò spiega perché il dato in questione sia troppo ra­ ramente presente nei cataloghi, e non di rado trascurato anche nei contributi più recenti. Questo stato di cose gioca evidentemente a scapito del fruitore “ straordinario” che, dal canto suo, vorrebbe utilizzare i cataloghi

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come vere e proprie banche di dati. Le scelte preferenziali nell’am­ bito della fascicolazione costituiscono, infatti, una tematica che non è metodologicamente corretto affrontare accontentandosi di sondaggi “ leggeri” , ma che sarebbe assurdo, al tempo stesso, cerca­ re di chiarire attraverso l’esame autoptico di migliaia di manoscrit­ ti. È questa una delle rare situazioni in cui il ricorso all’informa­ zione di seconda mano appare non solo necessario ma, a priori, an­ che del tutto privo di pericoli. Per questa ragione, è difficile non rammaricarsi del magro bottino del ricercatore, costretto ad esaminare parecchie centinaia di cataloghi per poter costituire a gran pena un corpus informatiz­ zato che arriva a poco meno di 3500 unità. Cifra altissim a in sé, che rende implicitamente conto della massa del lavoro svolto; ma­ gro bottino, invece, se il risultato degli spogli viene commisurato non solo all’ampiezza del “ serbatoio” virtualmente disponibile, ma anche alle esigenze dell’elaborazione statistica. Bilancio quantitativamente deludente, quindi, e ciò non solo a causa dell’assenza pressoché abituale del parametro “ fascicolazio­ ne” nei cataloghi, ma anche per la difficoltà di servirsene anche quando esso vi figura. Difficoltà inerenti alla scarsa precisione delle datazioni, quasi sempre ridotte all’indicazione del secolo; al mutismo persistente sulle localizzazioni, circoscritte, nel migliore dei casi, al livello geografico più vago e macroscopico; alla capric­ ciosa variabilità dei rilevamenti per ciò che riguarda i parametri da incrociare con la fascicolazione, unita al quasi unanime silenzio (una delle poche caratteristiche comuni alla stragrande maggioran­ za dei cataloghi ...) che avvolge le modalità dei protocolli di os­ servazione e che rende impossibile - o perlomeno alquanto diffi­ cile e pericolosa - l’interconnessione fra i dati provenienti da ca­ taloghi differenti. La disastrosa mancanza di sistematicità delle fonti secondarie, che si manifesta anche all’interno di iniziative di catalogazione re­ centi, fondamentalmente valide e apparentemente unitarie, merita­ va di essere sottolineata. Fortunatamente, l’enorme “rumore” gene­ rato da tutti questi ostacoli non ha assunto proporzioni tali da so­ vrastare irrimediabilmente l’informazione utile. Così, alla domanda più semplice - «qual è stata l’evoluzione delle scelte preferenziali degli artigiani?» - l’indagine è stata in grado di fornire risposte

Introduzione

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inedite, chiare ed inconfutabili, sulla cui natura e articolazione si rimanda, ovviamente, al testo del contributo. I contorni del pano­ rama così delineato sono estremamente nitidi per quanto attiene alla ricostituzione del “come” : variazioni più o meno coerenti della fascicolazione non solo sul piano cronologico e geografico, ma an­ che in rapporto alla natura del supporto, alla tipologia testuale e anche ad altre caratteristiche, come ad esempio l’impaginazione. Diverso è il discorso quando si desidera passare dal “come” al “perché” (o piuttosto ai “ perché” ), cioè quando, a partire dall’esa­ me delle coordinate spazio-temporali e dei fattori concomitanti, si pone il problema di costruire un modello esplicativo che renda conto delle motivazioni soggiacenti al fenomeno. Finché la produzione del libro rimane grosso modo confinata all’interno degli scriptoria monastici, il cardinale dei fascicoli pre­ senta, anche nell’Occidente medievale, una stabilità pressoché gra­ nitica, che contrasta, d’altronde, con l’evoluzione progressiva del sistema grafico carolino o di altri elementi della presentazione, quali le tecniche di rigatura. Le prime oscillazioni nelle scelte rela­ tive alla fascicolazione coincidono con l’urbanizzazione della pro­ duzione del manoscritto e con la rivoluzione culturale introdotta dallo sviluppo delle Università. Tuttavia, la fascicolazione appartiene senza ambiguità alla sfe­ ra materiale del libro e dipende essenzialmente da problematiche che le sono associate, come dimostrano, nel manoscritto, le varia­ zioni legate alla sostituzione “ a denti stretti” delle pergamena con la carta - ritenuta incapace di resistere al tempo - e, nel libro a stampa, i cambiamenti indotti dalla mutazione radicale del contesto tecnologico e dalle nuove esigenze di produttività. È difficile, quindi, immaginare come le preoccupazioni di ordine intellettuale abbiano potuto influire direttamente sulle caratteristiche più strut­ turanti del codice, ed è altrettanto difficile individuare parametri o fenomeni che abbiano potuto funzionare come “ mediatori” fra due sfere i cui punti di contatto, a quel livello, sono praticamente inesi­ stenti. A quali fattori bisogna far risalire, nei codici pergamenacei, la fine dell’egemonia del quaternione; la progressione temporanea del senione; l’ascensione al tempo stesso trionfale e geograficamente limitata del quinione; la “rivincita” del quaternione sul senione do-

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Il contributo di Luciana Devoti si prefigge, per l’appunto, di individuare le diverse strategie messe in pratica dagli artigiani e di valutarne l’efficacia rispettiva: la strategia migliore sarà ovvia­ mente quella che minimizza la variabilità dimensionale delle diver­ se zone del testo e della glossa e, al tempo stesso, lo sfasamento, sulla pagina scritta, fra l’ubicazione del testo e quella dei lemmi che gli corrispondono. Senza dilungarci sui dettagli, l’indagine di­ mostra che sono soprattutto i copisti bolognesi (e certo non a caso) che hanno saputo conciliare in maniera ottimale le opposte esigen­ ze; ma essa dimostra anche che i migliori risultati si riscontrano nell’incunabolo, ove la diversità del contesto tecnologico, al tempo stesso più rigido e più flessibile, impone peraltro l’adozione di pro­ cedure differenti. Sul piano metodologico, la scelta di circoscrivere l’indagine ad un’unica opera - il Codex giustinianeo - ha reso certo più laboriosa la costituzione di un corpus di effettivo sufficientemente elevato, ma si è rivelata indispensabile per eliminare i fattori parassiti in­ dotti dalla variabilità del testo. Il protocollo di osservazione conce­ pito ad hoc - assai più ricco rispetto alla quantità di dati effettiva­ mente elaborati nel corso di questa indagine iniziale - è il primo (ma altri, ancora inediti, hanno seguito e seguiranno) che abbia previsto l’esame sistematico e mirato di una gran quantità di para­ metri di diversa natura su un’identica porzione di testo. Il con­ fronto simultaneo e globale di tutte le realizzazioni grafiche analiz­ zate consentirà di aprire, in un secondo tempo, una sorta di “galle­ ria di ritratti” di un segmento testuale - tutti simili tra loro ma ben lungi dall’essere identici - che contribuirà all’identificazione di ciò che, nel savoir-faire del copista tardomedievale, v a interpretato come l ’aderenza ad un obbligo, l’espressione di una preferenza, la manifestazione di una tendenza spontanea, l’osservanza di un di­ vieto o, al contrario, l’esplosione del più sfrenato libero arbitrio. Questa proiezione sull’avvenire dimostra implicitamente quanto lo studio della simbiosi opera / esegesi si riveli promettente per la storia del libro - e, perché no? della scrittura - nell’arco de­ gli ultimi secoli del medioevo. La pagina commentata v a infatti considerata come un luogo geometrico di estrema tensione, ove le diverse e svariate contraddizioni che pesano abitualmente sulla materializzazione di un messaggio su un supporto, aggravate dalla

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coabitazione sulla pagina di due testi la cui gerarchia è inversa­ mente proporzionale alla mole rispettiva, costringono l’artigia­ no / copista a dar fondo a tutte le risorse della sua professionalità. Tale considerazione è valida ben aldilà del caso particolare del libro giuridico. E evidente, dunque, che la problematica deve esse­ re approfondita estendendo le ricerche ad altre aree, epoche e ti­ pologie testuali, nonché ad altri tipi di articolazione testo / glossa. M a preliminare ad ogni ulteriore sviluppo si rivela, innanzitutto, la necessità di una riflessione teorica che censisca tutti gli elementi potenzialmente utili all’analisi dell’articolazione testo / commento e li traduca, sul piano concreto, in parametri osservabili. Una prima messa a punto, focalizzata sul codice bizantino ma applicabile a tutti gli altri casi, sarà ben presto disponibile, e v i è da sperare che il Colloquio parigino dell’autunno 99, dedicato al commentario in generale, fornirà l ’occasione di portare avanti sia la riflessione che lo studio di situazioni particolari, in reciproca sinergia. Nella prospettiva così definita, è naturale che la ricerca si estenda da un lato verso i comportamenti dello scriptor (copista o compositore tipografico), e dall’altro verso l’universo culturale che determina le modalità della nascita, della fabbricazione e della fruizione del testo commentato. Analizzare i comportamenti del co­ pista, significa, in sostanza, “pedinarlo” passo passo durante l’esecu­ zione del suo lavoro; penetrare, in un certo senso, nella sua boutique mentale, osservando praticamente in fierì l ’interazione fra il baga­ glio di regole da applicare e le situazioni, sempre differenti, che ne favoriscono o, più spesso, tendono ad ostacolarne l’applicazione. Nel caso della trascrizione di un testo giuridico commentato ma l’osservazione è valida, ovviamente, per altre situazioni - l’in­ terazione assume configurazioni sottilmente complesse, che rendo­ no particolarmente difficile il compito dello scriptor “tardogotico” , paragonabile, per intenderci, a quello di un tassista cairota all’ora di punta: le regole da rispettare sono innumerevoli, come innume­ revoli sono gli intoppi inattesi. Innanzitutto vi è l’obbligo di eser­ citare una forma di “ macrocontrollo” sull’articolazione testo / glos­ sa, predisponendo adeguatamente su una pagina o gruppo di pagine i blocchi rispettivi secondo un piano prestabilito. Durante l’esecu­ zione del piano è necessario, invece, esercitare una forma di “ m icrocontrollo” : verifica continua o periodica che l’ingombro di eia-

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scun lemma e l ’agganciamento fra il testo principale e l ’esegesi si mantengano effettivamente entro i limiti prefìssati. Nel perseguire tali finalità, lo scriptor deve tener conto del fatto che una scrittura più piccola non è necessariamente la ridu­ zione omotetica di una scrittura più grande; che esiste una contrad­ dizione fra la continuità del flusso testuale e la segmentazione della pagina in righe, acuita dal fatto che le righe dei bracci laterali della glossa sono anormalmente corte; che è doveroso rispettare le re­ gole perigrafiche - non tutte banali e appariscenti - e in particolare quelle che riguardano l’uso oculato degli allografi; che il campo di applicazione del sistema abbreviativo è assai più strettamente re­ golato di quanto si creda. Fortunato - in apparenza - il compositore tipografico, che dispone almeno di caratteri prefabbricati. Sfortu­ nato - in realtà - se si considera che l ’assenza di malleabilità dei segni grafici costituisce in realtà un nuovo handicap da sormontare, e che le pagine tipografate non vengono più composte in sequenza naturale. Dalla boutique mentale dello scriptor alla boutique ben reale del libraio e dello stazionario ... Ciò che caratterizza il libro giuri­ dico rispetto ad altre realizzazioni materiali sulle cui pagine coesi­ stono due testi è il suo statuto di tipo scolastico: il libro giuridico è di fatto un «prodotto confezionato in conformità alle leggi vigenti» assai ampiamente diffuso, che si inserisce in un sistema di copia puntigliosamente controllato - quello della pecia - nato apposta per garantire la possibilità a diversi copisti di accedere simultanea­ mente a un modello unico, autenticato dalle autorità universitarie. L ’interazione fra le diverse strategie di disposizione dei due testi e le necessità inerenti al corretto funzionamento del sistema della pecia non può che irrigidire la flessibilità già scarsa delle modalità di trascrizione, complicando ulteriormente il compito del copista. G ià legato al datore di lavoro da un contratto che prevede espressamente ritmi di copia da rispettare, il prestatore d’opera viene ad essere, per così dire, doppiamente incalzato dalle esigenze di produttività del sistema; nel tempo, dal ritmo di rotazione dei fascicoli che compongono 1’exemplar, nello spazio di lavoro dalle rotture, sempre possibili, della sequenza di scrittura, imposte dal­ l’indisponibilità del fascicolo giusto al momento giusto. M a il si­ stema della pecia condiziona ancora più rigidamente l ’articolazio-

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ne testo / glossa, nel senso che gli obblighi inerenti al principio di condivisione del modello impediscono nei fatti la trascrizione si­ multanea del testo e del commento. Decisamente, nella storia del libro, tout se tient. Malgrado il titolo del saggio, gli Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco (M.A. Casagrande M azzoli e Ezio Ornato) non vorrebbero essere interpretati come un semplice con­ fronto tipologico, ridotto alla sua dimensione puramente descrit­ tiva, fra due diverse concezioni della fattura del libro e della pre­ sentazione della pagina scritta: da un lato la prassi innovativa, quella del manoscritto umanistico; dall’altro la prassi conservativa, quella del manoscritto definito “monastico” ; termine, questo, inat­ taccabile sul piano formale (si tratta di manoscritti eseguiti in am­ biente - o per un ambiente - conventuale) e ideologico (si tratta dell’ambiente spontaneamente più retrivo ai nuovi fermenti cultu­ rali), ma innegabilmente non del tutto felice, nella misura in cui es­ so si riferisce di solito, nella mente degli studiosi, ad una realtà ben diversa da quella degli ultimi due secoli del medioevo. Lo scopo dell’indagine non è quello di insistere sulla diversità delle due tipologie: basta dare un’occhiata, anche distratta, alla prima pagina di due volumi qualsiasi per rendersi conto che si ha a che fare con due mondi fondamentalmente diversi. In realtà, la problematica soggiacente all’operazione di confronto presenta aspetti assai più ricchi e dialettici, e ci si deve domandare se il ca­ rattere sfacciatamente vistoso delle divergenze visibili non finisca con l’occultare interrelazioni meno appariscenti. La formazione della scrittura textualis e il configurarsi del li­ bro “gotico” rappresentano la fase finale di un processo graduale e collettivo durato due secoli, nel quale è pressoché impossibile dif­ ferenziare le mutazioni dettate dalla spontaneità del ductus dai pic­ coli ritocchi estetici o funzionali escogitati consapevolmente ad hoc. Lo sviluppo del libro e della scrittura umanistica all’inizio del X V secolo, invece, benché affondi le sue radici abbastanza indietro nel tempo, costituisce un fenomeno repentino e volontaristico, nato fin dall’inizio come reazione esplicita al sistema grafico dominante. In che cosa consiste questa reazione? Semplicemente - e i ri­ sultati dell’indagine lo dimostrano ampiamente - in un rovescia­

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mento della nozione di funzionalità della pagina scritta: una fun­ zionalità basata sul riempimento e sulla compressione viene reci­ samente rifiutata dagli umanisti, in nome della leggibilità e del­ l’eleganza, in favore di una funzionalità basata sull’aerazione e la rarefazione. Se i due orientamenti, indipendentemente dalla vali­ dità dei giudizi, appaiono risolutamente antitetici, compressione e aerazione non rappresentano, di fatto, la manifestazione di due op­ posti ideali. La compressione delle righe, della scrittura e del testo che accompagna la canonizzazione e la generalizzazione del libro “gotico” non rappresenta un ideale funzionale, ma il sottoprodotto inevitabile di un’esigenza di economia - ben presto, naturalmente, coagulato in tradizione e sovraccaricato, negli esemplari più ricchi, di connotazioni estetiche che con l’economia non hanno più nulla a che vedere - che proviene dall’esterno. Viceversa, nel libro umani­ stico, l’aerazione si identifica con un ideale volontariamente perse­ guito dai fautori dei nuovi fermenti culturali, di cui lo “ spreco” co­ stituisce, in definitiva, un sottoprodotto bene accetto. Naturalmente - e queste considerazioni vanno al di là dell’im­ postazione prettamente “ materiale” del saggio contenuto nel volu­ me - entrambe le concezioni della pagina scritta sono inseparabili dai loro addentellati sociologici. Nel mondo “gotico” , il venir me­ no del sistema di produzione comunitario e autarchico che caratte­ rizzava l’epoca monastica. L ’emergenza di una vera e propria riela­ borazione dello scibile, che si è concretizzata in opere nuove, lun­ ghe, complesse e corpose, da diffondere in gran copia partendo da zero. La necessità di formare in breve tempo un gran numero di co­ pisti, cui ben si addiceva una scrittura fatta di pochi tratti elementa­ ri e per questo, purtroppo, “ monotona” e scarsamente ridondante. Nel mondo umanistico, invece, la sostituzione dell’ideale dell ’Universìtas studiorum con quello della communitas studiorum: una fitta rete composta da una élite intellettuale, consapevole di appartenere all’avanguardia e provvista, nella maggior parte dei casi, di un’esperienza diretta della scrittura e della fattura del libro. La rivalutazione di una cultura basata su opere antiche, non di rado commisurate alla capienza dei rotoli papiracei, e quindi di lunghez­ za relativamente modesta. Opere in parte perdute, e quindi da ritro­ vare; spesso dimenticate, e quindi da riesumare; certamente cor­ rotte nel corso dei secoli, e quindi da emendare e diffondere con

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scrupolosa esattezza, in una veste grafica e perigrafica che favori­ sca la fluidità del percorso di lettura e rifugga da qualsiasi ambigui­ tà. Una situazione sociale, infine, non sempre di grande agiatezza, ma comunque protetta dall’indigenza: ideale per dotare la propria biblioteca di un gran numero di libri, scevri da qualsiasi ostenta­ zione di ricchezza, ma anche affrancati da qualsiasi preoccupazio­ ne relativa alla quantità e alla qualità del materiale scrittorio. Irruzione subitanea e deliberata nel territorio tradizionale del libro, il manoscritto umanistico non è, e non vuole presentarsi, co­ me un’“ invenzione” , ma come un ritorno alla chiarezza e all’ele­ ganza dell’antico. A ben guardare, l’umanista che si sforza di far rivivere i modelli carolini non si trova in una situazione molto dif­ ferente da quella del musicista che si industria, inseguendo il mito della verità storica, a riprodurre scrupolosamente la musica barocca utilizzando (o addirittura ricostruendo) gli strumenti dell’epoca. In entrambi i casi, si tratta di ripercorrere a ritroso il flusso del tem­ po ... ma il tempo è comunque trascorso: nuovi strumenti hanno visto la luce, altri hanno subito un’evoluzione, talvolta considere­ vole. Il problema viene dal fatto che non sempre la creazione e l’evoluzione degli strumenti è legata alla necessità di adattarli ad una musica diversa: in molti casi, si ha semplicemente a che fare con perfezionamenti destinati a migliorare le loro qualità meccani­ che e ad accentuarne l’espressività sonora, facilitando il compito dello strumentista e permettendo, al tempo stesso, secondo i “ mo­ dernisti” , di portare pienamente alla luce le potenzialità più recon­ dite dell’opera e di ricevere virtualmente la gratitudine postuma dell’autore. Tradizione o tradimento? Di qui l’emergenza di un an­ noso ed irrisolto dibattito. V a sottolineato, tuttavia, che, presso l’umanista del XV secolo, l’impulso del ritorno all’antico non obbedisce a preoccupazioni di natura prettamente storica e, al limite, archeologica, ma a motiva­ zioni estetiche e funzionali che confluiscono nella fabbricazione di un oggetto di uso corrente. L ’indagine presentata nella Fabbrica del codice si inserisce, in gran parte, precisamente in questa pro­ spettiva: bisognerà proprio pensare che il codice umanistico si sia accanito a fare tabula rasa di tutto ciò che è “ gotico” , oppure che esso sia addivenuto, e più spesso di quanto non sembri, a compro­ messi nascosti? La risposta è implicita nella domanda.

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Nel medesimo ordine di idee, bisognerà proprio pensare che il manoscritto umanistico abbia miracolosamente acquisito la facoltà di prescindere da tutte le contraddizioni e da tutte le leggi tenden­ ziali che avevano condizionato fino ad allora la pagina scritta? La risposta fornita dall’indagine comparativa è naturalmente negativa: le leggi - regolarità, proporzionalità, ma soprattutto “ rendimento” della pagina - sono sempre le stesse; solo viene spostato il punto di applicazione principale sul vettore che va dallo spreco all’ipersfruttamento e, quando la massa testuale è abbastanza consistente da poter pesare sull’equilibrio finale, il codice umanistico si ricorda opportunamente che il suo “antimodello” aveva saputo, a suo tem­ po, escogitare accorgimenti perfettamente adeguati alla soluzione del problema. Bisognerà proprio pensare, ancora, che il codice umanistico, simbolo per eccellenza della sobrietà che impregna profondamente il mondo dei dotti, abbia avulso ipso fa cto le pagine dei libri da tutte le connotazioni di tipo sociale, rinunciando a modulare in conseguenza i livelli esecutivi? Anche in questo caso gli elementi finora raccolti consentono dare una risposta che non può essere po­ sitiva. Il codice umanistico, in quanto elemento di base della bi­ blioteca ideale preconizzata dagli umanisti, si fa infatti di buon’ora il portavoce di nuovi modelli ideologici destinati ad “ infiltrare” le classi dominanti. In questo processo, esso non può che sottostare ai diktat dell’impregnazione sociale degli oggetti, ove ogni dettaglio dell’esecuzione viene accuratamente inscritto in una scala gerar­ chica correlata al rango del lettore: solo viene spostato, nel senso di un’apparente modestia, il punto di applicazione principale sul vet­ tore che va dalla sobrietà alla vistosità. Infine, bisognerà proprio pensare che i promotori del codice umanistico siano riusciti ad abolire la frontiera che separava fino ad allora le pagine da leggere, destinate ai dotti, dalle pagine da guardare, destinate ai ricchi? La risposta cmdamente fornita dalle tabelle è ancora una volta negativa: una volta ammesso negli scaf­ fali dei potenti, il libro umanistico riesce a preservare l’ideale di eleganza, ma trascura sistematicamente i dispositivi tendenti a mi­ gliorare la leggibilità; ed è forse questa la sua sconfitta più occulta e più cocente.

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L a fascico lazio n e del m anoscritto nel basso medioevo*

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Negli ultimi decenni si è dedicata un’attenzione sempre cre­ scente agli aspetti materiali del codice. La codicologia, ovvero «la discipline qui étudie le livre manuscrit en tant qu’objet matériel», ha raggiunto notevoli risultati in vari campi:1 in questa sede vor­ remmo soffermarci su un elemento in particolare, la struttura del fascicolo,2 la cui importanza nell’ambito dell’archeologia del libro non può sfuggire. Ogni codice infatti nasce da un insieme di ele­ menti strettamente correlati tra di loro, pertanto la scelta di un certo tipo di fascicolazione risulta intimamente legata alle altre compo­ nenti costitutive del libro manoscritto come, tanto per citare la più facilmente intuibile, il supporto. Lo studio della fascicolazione, a dire il vero, si può affrontare in relazione a molteplici finalità: nel quadro di ricerche ad ampio raggio, incentrate ad esempio sulla storia del codice o su qualche tipologia particolare di manoscritto;3 nel corso di trattazioni ad hoc, volte a studiare la composizione dei fascicoli di determinati mano­ scritti ben individuati come origine ed epoca oppure nell’ambito di indagini focalizzate sulla costruzione del fascicolo stesso.4 In molti casi la struttura di un codice viene presa in esame soprattutto per cercare di risolvere problemi di tradizione testuale. Prima di fornire qualche ragguaglio sull’evoluzione della fa­ scicolazione dalla nascita del codice fino al XII secolo, in modo da ricongiungerci al periodo oggetto della nostra ricerca, ci sembra opportuno far riferimento ad alcuni lavori dedicati al fascicolo in­ teso come prodotto materiale e perciò osservato nella sua valenza di manufatto che ha origine in seguito ad una serie di scelte tecni­

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che ben precise. Le prime ricerche in questo campo sono legate alla figura di Léon Gilissen, il quale ha proposto un’ipotesi di costru­ zione dei fascicoli mediante piegatura delle pelli: in sintesi lo stu­ dioso sostiene che il quaternione, cioè il tipo di fascicolo più diffu­ so tra i codici in pergamena, trae origine da una pelle piegata tre volte per il formato in octavo e da due pelli piegate ognuna due volte per il formato in quarto.5 A evidenziarne l’iniziale solidarietà starebbero alcune irregolarità - presenti anche in carte non conti­ gue - quali striature, fori e così via, la cui osservazione permette­ rebbe di risalire al modo in cui le pelli sono state manipolate e pie­ gate al fine di costruire il fascicolo. In effetti tale ipotesi della previa piegatura delle pelli, come è stato dimostrato da Bozzolo e Ornato, non solo non contraddice, è anzi perfettamente compatibile con l’andamento della taglia e della proporzione nei codici latin i6 che «variano infatti in modo tale da collocarsi nei loro valori medi intorno a punte corrispondenti so­ stanzialmente alle variazioni in altezza e larghezza apportate al­ l’unità originaria del supporto scrittorio dalle successive piegatu­ re».7 La sequenza dei movimenti mediante i quali si giunge all’alle­ stimento del fascicolo secondo la ricostruzione di Gilissen è stata oggetto di una verifica sperimentale da parte di Bozzacchi e Pal­ ma,8 che ne ha messo in luce alcuni punti deboli. Considerando comunque valido l’assunto di partenza per cui un fascicolo è for­ mato da una coppia di pelli,9 i due studiosi hanno ipotizzato che la serie di movimenti giudicati più naturali rispetto a quelli immagi­ nati da Gilissen fosse preceduta dall’anticipazione del taglio della pergamena 10 - effettuato in senso perpendicolare all’asse maggio­ re - in modo da ottenere subito i due bifolii. Tale accorgimento pur rispettando la formula di piegatura ideata da Gilissen consentirebbe di svolgere con maggiore facilità le operazioni di preparazione del fascicolo alla scrittura (rigatura e foratura). A l supporto - la pergamena - in quanto elemento costitutivo del fascicolo, quindi del codice e come tale legato a scelte qualita­ tive che coinvolgono la fattura del codice stesso, è dedicata una se­ rie di studi compiuti da Frank M . B ischoff,11 che saranno esaminati tra breve. Lo stesso Bischoff in collaborazione con Marilena M a­ niaci ha recentemente intrapreso un’indagine sulle dimensioni delle

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pelli e sui formati che ne derivano, nonché sui metodi di piegatura che portano alla costruzione dei fascicoli.12 Finora si è parlato di archeologia del fascicolo dal punto di v i­ sta sperimentale, ma per collocare lo studio della fascicolazione nell’ambito di un contesto storico dobbiamo fare riferimento agli studi compiuti da Bozzolo e Ornato, i quali per primi hanno esami­ nato la variabile fascicolazione sotto l’aspetto quantitativo met­ tendola in rapporto con altri parametri. Abbiamo già citato il loro contributo alla verifica dell’ipotesi della piegatura delle pelli per la costruzione dei fascicoli, ma in realtà tale verifica è stata effettuata anche per i manoscritti in carta.13 In particolare essi hanno dedi­ cato uno studio ad h oc alla costituzione dei fascicoli nei codici cartacei francesi, i cui risultati verranno menzionati e discussi nell’ambito della sezione dedicata al rapporto tra fascicolazione e formato.14 Il tentativo di tracciare un panorama della fascicolazione dalla nascita del codice all’inizio del basso medioevo può sicuramente prendere avvio, per quel che riguarda i primi secoli della produzio­ ne manoscritta, dalle osservazioni di Tumer al quale, nell’ambito di una vasta ricerca sui più antichi codici in papiro e pergamena, si deve un quadro delle varie tipologie di fascicolazione presenti nel periodo che va dal II al V I secolo d.C. Da tale quadro generale si evince quanto la scelta dei quater­ nioni si presenti fin dai primi secoli come privilegiata - 14 attesta­ zioni in papiro e 8 in pergamena - , anche se i quinioni «are in thè early period a strong rivai to fours» 15 - 8 attestazioni in papiro e 3 in pergamena - , mentre i senioni farebbero la loro comparsa dal III secolo d.C. in poi. Secondo Tumer il quaternione, ad un certo mo­ mento, diviene la struttura standard per l ’allestimento dei codici,16 tanto è vero che quasi tutti i codici dal IV al V I secolo compresi nelle liste dei CLA 17 sono composti di quaternioni. Questa predo­ minanza però si manifesta con il passare del tempo: dai suoi dati infatti non emerge un manoscritto strutturato interamente in qua­ ternioni prima del IV secolo d.C. In effetti Lowe, nella prefazione al primo volume dei CL4,18 fornendo alcuni ragguagli sulle voci che compaiono nella descri­ zione dei codici, a proposito della fascicolazione afferma che, nel periodo da lui esaminato, la regola è il quaternione. La struttura in

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quinioni compare solo in alcuni codici c la ssic i19 molto antichi e in codici prodotti nei centri insulari.20 Per quanto ci riguarda abbiamo effettuato uno spoglio dei CLA al fine di verificare quanti sono i codici che presentano una struttu­ ra diversa dal quaternione: ne sono risultati 36 esempi di quinioni e 6 di senioni. A questi si aggiungono: 23 codici che hanno come fascicolazione prevalente il quaternione, ma in cui compaiono anche qui­ nioni o senioni o entrambi; 20 codici che non hanno una fascicolazione maggioritaria, ma presentano, nella gran parte dei casi, quaternioni e quinioni assieme. Come si può ben vedere, a pre­ scindere da una certa quota di quinioni che proviene in massima parte, secondo quanto già ricordato, o da qualche codice molto an­ tico o dall’ambito insulare, il panorama è piuttosto uniforme e la fascicolazione in quaternioni risulta la soluzione di gran lunga più adottata. Le osservazioni di Jean Vezin, presenti nel saggio La réalisa-

tion m atérielle des manuscrits latins pendant le haut Moyen Age, sono sostanzialmente in accordo con quanto finora esposto. In par­ ticolare a proposito dei senioni lo studioso precisa che tale tipo di fascicolo verrà frequentemente adoperato dal XIII secolo in poi, attribuendo questo incremento del numero dei fogli per fascicolo fino ad arrivare ai ventiquattro delle bibbie - all’impiego di una pergamena meno rigida e più fine.21 I quaternioni d’altronde saran­ no utilizzati fino all’affermarsi del libro a stampa. La storia della manifattura del codice dal IX all’XI secolo almeno per ciò che è inerente alla fascicolazione - non sembra soggetta a particolari mutamenti. In merito alla fine dell’alto me­ dioevo possiamo basarci su quanto è emerso da La structure maté­ rielle du codex dans les principales aires culturelles de VItalie du XT s iè c le , una ricerca volta ad indagare le caratteristiche materiali dei codici prodotti in Italia nell’XI secolo. Su un campione composto da 326 codici (11 bibbie atlantiche, 100 beneventani, 94 carolini, 61 greci e 60 in romanesca) il quater­ nione risulta la regola nel 95,06% dei casi, senza apprezzabili dif­ ferenze tra un gruppo e l’altro o nei sottoinsiemi - ottenuti suddi­ videndo l’effettivo in base a certi parametri come la taglia, lo spes­ sore e così v ia - del medesimo gruppo.22

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Per avere un’ulteriore scorcio della situazione dell’XI secolo e del XII, il cosiddetto secolo della “rinascita” ,23 sempre in relazione alle scelte di manifattura che presiedono alla produzione del codice, è utile richiamarsi al noto lavoro di Munk Olsen, L ’étude des auteurs classiques latins aux X f et XlT siècles, per il periodo in questione. La rassegna, oltre ad offrire un validissimo punto di riferimento per chi voglia compiere studi filologici, consente una serie di osserva­ zioni concernenti le caratteristiche fisiche dei codici, in quanto per ognuno di essi - intero o parte che sia - viene fornita una descrizione codicologica. In questa sede a noi interessa sottolineare che la gran parte dei manoscritti ivi descritti presenta ancora una fascicolazione in quaternioni. Con queste ultime osservazioni siamo praticamente giunti alle soglie di quello che è l’ambito della presente ricerca: il quadro delle tecniche di manifattura del libro si prospetta abbastanza uni­ forme per tutto il XII secolo, sebbene tale periodo sia denso di sti­ moli in campo culturale e presenti una nuova fa cies per quanto ri­ guarda le istituzioni che gestiscono la cultura superiore. Nel corso di questo secolo infatti avviene una rivoluzione nell’organizzazio­ ne del sapere e dell’apprendimento che vede il sorgere delle prime università e quindi lo spostamento, se così si può definire, della produzione del libro dagli scriptoria monastici alle città. Tale mo­ vimento vedrà i suoi più tangibili risultati nel XIII secolo, che se­ gna una svolta decisiva nella produzione e fruizione della cono­ scenza, comportando anche sostanziali mutamenti nelle tecniche di manifattura e allestimento del codice: basti solo pensare al sistema della pecia. Il libro diventa sempre più uno strumento di lavoro in­ dispensabile e perciò soggetto a logiche di produzione assai diverse da quelle dell’alto medioevo. La nuova valenza assunta dal codice e le modificazioni che ciò comporta nelle sue varie componenti - testuali, grafiche, materia­ li 24 - sono state, sotto molteplici angolature, ampiamente studiate; nel corso del presente lavoro si cercherà di approfondire la cono­ scenza della fascicolazione, un aspetto particolare del codice, cir­ coscritto ma non del tutto secondario, in quanto investe la presen­ tazione stessa del manufatto-libro. Chiunque infatti si interessi di archeologia del libro è a conoscenza di come, nel XIII e XIV se­ colo, la struttura del codice subisca alcune modificazioni: a fianco

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dei quaternioni infatti compaiono, ed in misura assai rilevante, d if­ ferenti tipi di fascicoli quali il quinione e il senione - il quinione risulterà indissolubilmente legato al codice umanistico del X V se­ colo 25 - ed altri ancora. In effetti in vari studi - non ultimi in quelli che abbiamo appena esaminato - è possibile rintracciare alcune in­ dicazioni riguardanti l’allestimento dei codici nel basso medioevo o, più in particolare, la fascicolazione di un certa tipologia di ma­ noscritti. Ciò che però sembra mancare è un quadro d’insieme del fenomeno che renda conto dell’evoluzione della fascicolazione nei vari paesi d’Europa,26 in rapporto anche alle altre componenti del codice. Partendo da queste considerazioni ci siamo posti le se­ guenti domande: a. Come si articola il panorama della fascicolazione in Europa dalla fine del XII secolo a tutto il X V ? b. Quando e dove - vale a dire in quali paesi - si è verificato il passaggio dal quaternione ad altri tipi di fascicoli? Ed even­ tualmente, perché?27 c. Qual è il molo di alcune tipologie assai diffuse come il quinio­ ne e il senione? d. La fascicolazione interagisce - e in che misura - con determi­ nate variabili quali il supporto, la tipologia testuale ed altre an­ cora? Per rispondere a questo genere di domande è stato necessario articolare la ricerca su un campione piuttosto cospicuo di mano­ scritti, anzi il più cospicuo possibile, in modo tale da ottenere un quadro sufficientemente esaustivo della situazione sia in sincronia sia in diacronia. Di conseguenza il metodo che in questa occasione è sembrato più confacente - proprio per la sua particolare adattabi­ lità a trattare ed interrogare corpora di grandi dimensioni - alle ne­ cessità del presente lavoro, è quello quantitativo, sebbene l’oggetto della ricerca, a ben guardare, appaia connotato maggiormente sotto il profilo qualitativo28 ed anche l’analisi che qui viene condotta non richiede l ’utilizzazione dei ben noti parametri statistici29 che di solito sono alla base delle indagini quantitative.30

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1.1. Definizione del corpus. Scelta delle variabili. Ideazione di una sch ed a 31 Dato lo scopo che ci siamo proposti, è evidente che il corpus di manoscritti da esaminare dovrebbe comprendere - potenzial­ mente - tutti i codici in pergamena o carta, prodotti in Inghilterra, Francia, Italia, Germania e Paesi Bassi tra la metà del XII e il X V secolo. Un tale campione - immaginabile solo in v ia teorica - non è comunque alla portata di un singolo ricercatore che intenda con­ cludere la sua indagine in un arco temporale accettabile, per cui, volendo comunque contemperare sia l’esigenza di fornire una ri­ sposta ai quesiti appena formulati - senza peraltro rinunciare alla possibilità di operare su un corpus sufficientemente consistente e rappresentativo, in quanto solo così esso risulta adatto agli scopi che intendiamo perseguire - sia l’opportunità di contenere la ricer­ ca entro un orizzonte temporale circoscritto, si è dovuti ricorrere a dati di seconda mano, cioè ad informazioni tratte da cataloghi di manoscritti. In effetti la rinuncia all’autopsia del materiale non è stata ac­ cettata senza rimpianti, dal momento che solo l’esame de visu dei codici è in grado di garantirci la rilevazione di «tutte le variabili giudicate pertinenti alla ricerca, seguendo un protocollo univoco di rilevazione fissato preliminarmente»,32 in modo tale da avere un campione di dati omogenei e confrontabili tra di loro. In questa prima fase si è preferito quindi sacrificare la possibilità di indagare in maniera più completa ed esaustiva il fenomeno - cogliendone quindi tutti gli aspetti che apparissero a priori degni di nota - , al fine di ottenere un quadro complessivo della situazione che servis­ se da sfondo per ogni ulteriore ipotesi o approfondimento. Una volta accolta l’opzione “cataloghi” come unica via per­ corribile per individuare e analizzare un campione sufficiente e al tempo stesso accessibile di manoscritti, il secondo passo compiuto è consistito nella selezione delle opere da spogliare: tale cernita ha avuto come presupposto la determinazione delle variabili che si re­ putano indispensabili - o utili - alla ricerca, poiché solo in base alla presenza o meno delle medesime si può operare la scelta. Il criterio discriminante per procedere ad una prima ricogni­ zione del materiale utilizzabile è stato, ovviamente, l’indicazione

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della fascicolazione, espressa sia in forma completa - cioè fornen­ do la composizione di ogni singolo fascicolo del codice - sia come fascicolazione maggioritaria. Da un primo sondaggio, compiuto su alcune centinaia di unità, sono emersi circa 190 cataloghi che presentano tale requisito essen­ ziale.33 Come effettuare un’ulteriore scrematura al fine di enucleare il corpus definitivo su cui lavorare? È evidente che il principio in ba­ se a cui compiere la selezione è consistito esclusivamente nella maggiore o minore ricchezza delle descrizioni dei cataloghi rispetto alle informazioni considerate indispensabili o perlomeno pertinenti alla presente indagine, cioè a dire rispetto alle variabili che si presu­ me possano essere utilmente correlate alla fascicolazione. Questa considerazione implica naturalmente la necessità sia di approntare una scheda di rilevamento che accolga le variabili in questione sia di stilare un protocollo di osservazione che ne deter­ mini le modalità di acquisizione. Come abbiamo già sottolineato, un codice è un insieme di elementi intimamente legati tra di loro, per cui a ben guardare - almeno a priori - non si dovrebbe trascu­ rare o omettere nessuna variabile, dato che tutti i parametri potreb­ bero potenzialmente interagire con la fascicolazione. Si è pertanto deciso di includere nella scheda il maggior numero possibile di v a ­ riabili, compatibilmente sempre con il tipo di informazioni che si può ragionevolmente supporre di trovare in un catalogo; nel senso che un parametro come la foratura potrebbe anche apparire estre­ mamente interessante, ma le possibilità di indagarlo senza un esame autoptico del materiale sarebbero, comunque, assai mode­ ste. Tra le variabili esiste evidentemente una gerarchia d’importan­ za e, al pari della menzione della fascicolazione, si è ritenuto asso­ lutamente indispensabile che i cataloghi fornissero sia l’indicazio­ ne del paese d ’origine del codice sia una datazione circoscritta al­ meno alla metà del secolo.34 In realtà la messa a punto di una scheda di rilevamento e del relativo protocollo può sembrare - teoricamente - un compito che non presenti eccessive difficoltà, ma nei fatti si è rivelato piuttosto complicato, tanto che, pur avendo cercato di prevedere tutti i casi possibili, non sono mancati aggiustamenti e revisioni anche in cor­ so d’opera.

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Riportiamo qui di seguito un quadro sommario delle variabili contemplate nella scheda, in quanto per uno specim en compilato nelle sue varie voci e per il protocollo di osservazione si rimanda all’appendice.35 a. Notizie generali sul codice (segnatura, catalogo, supporto, formato) b. Indicazioni utili a collocare il codice nel tempo e nello spazio (datazione, localizzazione, copista) c. Indicazioni riguardanti il testo e la lingua (tipologia testuale, auto­ re principale, testo principale, lingua del testo, prosa o versi) d. Caratteristiche materiali (numero delle carte, dimensioni del foglio e dello specchio scrittorio, tipo di impaginazione, nume­ ro di linee, fascicolazione, richiami, segnature, tecnica di riga­ tura) e. Indicazioni sul tipo di scrittura e sulla decorazione (presenza di iniziali, illustrazioni, comici ecc.) f. Storia del codice (committente, destinatario, primo possessore) g. Osservazioni. Il corpus definitivo dei cataloghi da utilizzare è composto quin­ di da quegli elementi che presentano una maggiore rispondenza ai parametri appena enucleati. Come abbiamo sottolineato già in altra sede36 tra i criteri che hanno guidato la scelta compaiono anche un’equilibrata presenza dei paesi presi in esame, una certa varietà di tipologie di manoscritti, una buona rappresentazione dell’intero pe­ riodo - dalla metà del XII a tutto il X V secolo - considerato. Non potendo ovviamente pretendere che ogni singolo catalogo ottemperasse a tutte le richieste, si è cercato che v i si conformasse il campione nel suo insieme.37 Una volta individuato il corpus da esaminare e trasferita la scheda di rilevamento su un database,38 si potrebbe pensare che la fase successiva - cioè quella di acquisizione dei dati stessi - sia piuttosto meccanica, in quanto consistente semplicemente nell’applicare con cura il protocollo di osservazione. In realtà il processo di estrapolazione dei dati dai cataloghi è sottoposto ai li­ miti derivanti dal presupposto di partenza, cioè dalla scelta di uti­ lizzare informazioni di seconda mano, che provengono quindi da fonti estremamente diverse e rilevate seguendo criteri e modalità non univoci.

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1.2. Variabili Le difficoltà che possono presentarsi sono grosso modo di tre tipi: — Variabili indicate assai raramente (per es. il formato della car­ ta - in folio, in quarto ecc. - o la rigatura). — Variabili rilevate con modalità di descrizione estremamente eterogenee (per es. il tipo di scrittura, la decorazione, i richia­ mi, le segnature). — Variabili rilevate non sistematicamente all’interno dello stesso catalogo (per es. i richiami, le segnature, la rigatura). Questa suddivisione ha solo carattere illustrativo, in quanto le tre possibilità nella realtà si presentano assai sovente frammiste tra di loro. Volendo chiarire quanto detto mediante un caso concreto, possiamo soffermarci sulla rigatura. Questo parametro in alcuni cataloghi non compare affatto,39 in altri, sebbene venga menzio­ nato, non sempre si specifica - nel caso siano indicate due tecni­ che differenti - quale modalità si riferisce alle rettrici e quale alla giustificazione. Nei quattro cataloghi di Ker, che figurano senza ombra di dubbio tra gli strumenti più utili per questa ricerca, la tecnica di rigatura viene rilevata regolarmente solo per il periodo in cui avviene il passaggio dalla rigatura a secco alla rigatura a colore. Anche i richiami e le segnature sono indicati da Ker esclu­ sivamente in determinati casi: i richiami vengono menzionati per il periodo della loro introduzione, che va all’incirca dal 1100 al 1150. Da quel momento in poi, secondo lo studioso, il loro uso diventa talmente generalizzato che un’eventuale assenza è impu­ tabile solo ad un incidente meccanico come l’eccessiva rifilatu­ ra.40 Le segnature sono riportate da Ker soprattutto per il lasso di tempo che abbraccia la metà del XII fino al X IV secolo: è o vvio che sia in questo caso sia nel precedente le scelte dell’autore sono determinate da considerazioni storiche e paleografiche sicuramente valide, ma purtroppo non applicabili o perlomeno non sfruttabili per uno studio sistematico dei fenomeni, basato su metodi statistici che richiedono termini di confronto rilevati regolarmente e “ asetti­ camente” , cioè senza operare una scelta a priori.

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In generale sia i richiami sia le segnature non figurano tra le voci regolarmente presenti nei cataloghi e qualora siano indicati, ciò avviene secondo modalità estremamente eterogenee: si va in­ fatti dalla semplice menzione della esistenza - in Mynors, Balliol si legge catchwords and signatures - a descrizioni più accurate, come quelle che compaiono nei M.C.L.B.P.F., dove si segnala esplicitamente non solo la presenza, ma anche l’assenza di tali pa­ rametri. Per poter studiare i fenomeni e la loro evoluzione operan­ do le opportune distinzioni - sia in sincronia sia in diacronia - sa­ rebbe necessario conoscere per i richiami almeno la posizione nel margine,41 per le segnature la specificazione del tipo (segnature dei fascicoli, a registro e così via).42 Un discorso a parte - che poi verrà ripreso in sede di analisi dei dati - merita la decorazione: in effetti l’apparato decorativo di un codice, qualora esso ne sia dotato, è descritto praticamente in ogni catalogo. Purtroppo non è facile desumere da tali descrizioni dati comparabili in quanto il lessico non solo non è univoco, ma sotto la medesima definizione - ad esempio quella di “ iniziali or­ nate” , che si trova frequentemente utilizzata in descrizioni sinteti­ che - si corre il rischio che si celino situazioni assai diverse.43 Nel caso anche di tipologie meglio caratterizzate come le istoriate, la casistica di fronte a cui ci troviamo è senz’altro vasta, e comunque, pur in presenza di descrizioni molto accurate, rimane difficile sta­ bilire criteri validi a priori in base ai quali raggruppare le varie ti­ pologie. In realtà, a seconda di quello che si richiede alla variabile decorazione - come ad esempio rivelare il maggiore o minore pre­ gio di un codice - , conviene stabilire di volta in volta parametri di confronto coerenti, la cui applicazione però richiede, con ogni evi­ denza, un esame autoptico del materiale.44 In questa sede, dovendo far fronte a situazioni estremamente diverse e per giunta non gesti­ bili direttamente, si è fatto ricorso - come risulta dal protocollo di osservazione - a raggruppamenti dettati da una forzata semplifica­ zione sia per quanto riguarda le in iziali45 sia per i restanti parame­ tri dell’apparato decorativo, in modo da non perdere le informazio­ ni almeno nella fase dell’acquisizione.

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1.3. Analisi dei dati L ’esigenza che ogni tipo di indagine quantitativa presenta, cioè di basarsi su dati omogenei e confrontabili, comporta inevita­ bilmente la necessità di omogeneizzare le informazioni - il che si­ gnifica praticamente cercare di ricondurle alla griglia di voci che compaiono nella scheda - nel caso in cui esse non risultino diret­ tamente utilizzabili così come vengono fomite dai cataloghi. In altre parole v i sono alcune variabili come le dimensioni del foglio o dello specchio che, nel caso in cui compaiono, sono sicu­ ramente fruibili nella forma in cui si presentano,46 mentre altre, co­ me quelle appena esaminate, richiedono un processo di semplifica­ zione. Per citare un esempio possiamo ancora una volta scegliere la rigatura: le diciture piombo, mina di piombo, mina o matita sono state riunite sotto l’unica voce piombo. Una volta conclusa la raccolta del materiale, nel momento in cui si è passati alla fase successiva che consiste nell’analisi dei da­ ti, ovvero nel cercare di scoprire le relazioni che legano le singole variabili tra di loro e queste in modo particolare alla fascicolazione, si è dovuto procedere ad un ulteriore sforzo di razionalizzazione per rendere i dati confrontabili e perciò analizzabili. I principali accorgimenti adottati sono i seguenti: a. La datazione a cavallo tra i due secoli è stata sempre considerata come appartenente all’ultimo quarto del secolo precedente.47 In particolare si è scelto sistematicamente il secolo anteriore per evitare, per quanto riguarda il XII secolo, di introdurre delle perturbazioni troppo forti nell’effettivo del campione. Invece per il X m e il X IV secolo il problema non si pone, in quanto, come vedremo, gli ultimi decenni del primo ed i primi anni del secondo sono spesso paragonabili come quantità e modalità di produzione. Ovviamente sussiste il rischio, così facendo, di an­ tidatare certi manoscritti e di conseguenza, eventualmente, al­ cuni fenomeni, ma questo non invalida i risultati ottenuti48 b. I paesi presi in considerazione nella presente ricerca sono: In­ ghilterra, Francia, Italia, Germania e Paesi Bassi. In effetti ab­ biamo inserito nel campione anche codici prodotti in altri paesi, ma che potessero ciononostante essere assimilati alle medesime

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aree di provenienza, in modo tale da non parcellizzare troppo il

corpus ed avere sempre sottogruppi di una certa consistenza.

c.

d.

e.

f.

I paesi sono stati raggruppati nel modo seguente: e = Inghilterra, Galles, Scozia f = Francia i = Italia pb = Belgio (genericamente inteso, ovvero non distinto in Fiandre e Vallonia), Fiandre, Olanda, Vallonia. pg = Austria, Boemia e Moravia, Germania, Slovacchia, S viz­ zera.49 La tipologia testuale è stata ridotta alle categorie che figurano nel protocollo. Si sono operate alcune scelte a priori, come quella di includere nei manoscritti teologici solo gli universita­ ri scolastici, in quanto molto ben caratterizzati sia dal punto di vista testuale sia codicologico in senso stretto - tipo di perga­ mena, dimensioni, m ise en texte, mise en page - , oppure far rientrare un’opera come la Legenda aurea nella letteratura sa­ cra e non nella teologia lato sensu, proprio per i motivi sud­ detti. Nella letteratura sacra rientrano quindi tutte quelle opere, e di conseguenza quei codici, che non possono essere ricon­ dotti agli universitari scolastici. Si è cercato di uniformare il nome e cognome dell’autore/autori riportandolo, quando possibile, alla forma latina (ad esempio Torquemada in Turrecremata ecc.). Relativamente alla fascicolazione abbiamo deciso di conside­ rare, nel caso non vi sia una fascicolazione maggioritaria - ov­ vero della metà più un elemento - , il tipo di fascicolo più rap­ presentato come preponderante. Questo perché in sede di ela­ borazione dei dati è utile avere comunque un termine di riferi­ mento che rappresenti la scelta favorita anche se non priorita­ ria. Nel caso di codici (in genere di carta) con grossi fascicoli irregolari si è scelto di indicare questo tipo di fascicolazione con -1. In merito alla scrittura si è fatto ricorso ad un genere di accor­ pamento che potrebbe suscitare molte perplessità, ma che non ha affatto la pretesa di essere un modello di classificazione delle scritture, bensì soltanto un mero mezzo per rendere i dati confrontabili partendo da alcuni assunti. È parso opportuno ri­

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unire in un solo gruppo, denominato genericamente textualis, tutti i tipi di textuales posate, che nei cataloghi appaiono sotto varie diciture, eccetto la rotunda. Nel gruppo textualis corsiva sono incluse invece tutte quelle scritture che hanno come ca­ ratteristica comune un ductus corsivo, eccetto la mercantesca, che è considerata a parte. Le scritture umanistiche sono riunite nelle due grandi categorie di umanistica rotonda e umanistica

corsiva. Si è applicata quindi la seguente tipologia: t = textualis, che comprende: gotica, gotica libraria, go­ tica francese, gotica italiana, Parisiensis. rot = rotunda, che comprende: Bononiensis,50 gotica rotun­ tc

=

umr =

da. textualis corsiva che comprende: anglicana,51 bastar­ da, business hands, cancelleresca, corsiva, corsiva li­ braria, gotica corsiva, secretary hands.52 umanistica rotunda che comprende: antiqua, protou­

manistica, umanistica, umanistica libraria, urne = umanistica corsiva. mer = mercantesca. Prima di passare all’esposizione dei risultati raggiunti ci preme precisare che non tutte le informazioni raccolte al momento di ac­ quisire i dati sono state utilizzate nella presente ricerca e non di tut­ te quelle analizzate verrà dato conto.53 Nel primo caso rientrano le notizie concernenti una specifica­ zione più circoscritta dell’origine del manoscritto - oltre al paese compaiono infatti tra le voci richieste anche la zona geografica (nord, sud ecc.), la regione, la città, l’istituzione - nonché le infor­ mazioni concernenti la storia del codice ovvero il copista, il com­ mittente, il destinatario, il possessore. Tali notizie non sono state direttamente sfruttate nella fase attuale della ricerca, ma potrebbero servire come base per ulteriori approfondimenti e per poter svilup­ pare in futuro l’indagine in maniera più fine, una volta delineato il quadro d’insieme. Nel secondo caso rientrano i richiami, di cui si è sem plicemente conteggiata la presenza o meno: qualsiasi statistica che ha per oggetto la posizione nel margine non è attuabile, dal momento che sono troppo pochi i casi in cui viene specificata esplicitamente.

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Il parametro così genericamente considerato non si è rivelato parti­ colarmente significativo in rapporto alla fascicolazione. Anche per le segnature non abbiamo potuto operare alcun ge­ nere di raffronto perché i dati raccolti si sono rivelati troppo parzia­ li e disomogenei. In merito alla scrittura, nonostante i raggruppamenti operati, non si è riusciti ad ottenere linee di tendenza sufficientemente chia­ re, anche perché, nonostante l ’elevato numero di codici presi in esame, questo parametro è presente solo in alcuni cataloghi, per cui il numero di casi rilevati non è tale da ottenerne partizioni signifi­ cative e non dovute ad effetti di struttura.54 Inoltre bisogna sempre tenere presente che la scrittura può dipendere dal tipo di testo, che a sua volta - come vedremo - appare più direttamente correlato alla fascicolazione che non la scrittura stessa. Anche la decorazione non sembra un parametro immediata­ mente rapportabile alla fascicolazione, in quanto appare - e lo è in­ dubbiamente - legato soprattutto al tipo di testo. In effetti per sco­ prire se esista un qualche legame tra la fascicolazione e l’apparato decorativo bisognerebbe essere in grado di isolare tutte le altre v a ­ riabili che potenzialmente - o passam ente - interagiscono con la fascicolazione, in modo da poter dimostrare in che misura i due pa­ rametri abbiano un’influenza reciproca diretta; un compito questo che ci porterebbe troppo lontano dal nostro obiettivo.

2. L ’evoluzione della fascicolazione 2.1. Il corpus Il corpus di manoscritti sul quale si basa la nostra indagine è composto di 3410 unità codicologiche. Nella fattispecie la consi­ stenza per secolo è la seguente: 386 XII secolo 637 XIII secolo X IV secolo 620 X V secolo 1767

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È opportuno tenere presente che in questi totali sono inclusi alcuni codici - seppure in numero assai limitato - semplicemente datati al secolo e non al mezzo secolo,55 per cui può verificarsi che, in sede di analisi, sommando ad esempio le consistenze del X V. 1 e del X V .2, non si ottenga il totale di 1767, ma risultino alcune unità in meno. Per un secolo può comparire un effettivo totale inferiore a quello dato anche nel caso in cui si considerino solamente certe v a ­ riabili - ad esempio codici con fascicolazione esclusivamente in quaternioni, quinioni e senioni, escludendo le altre - e non la loro totalità. 2.2. Quadro diacronico generale Il quadro che emerge dall’analisi dei dati riguardanti il XII se­ colo conferma nella sostanza quanto precedentemente anticipato: questo periodo, seppure denso di fermenti in campo culturale e fo­ riero di grandi mutamenti dal punto di vista della gestione istitu­ zionale della cultura, non offre particolari novità per quel che con­ cerne l’assetto materiale del codice. La predominanza del quater­ nione sulle altre tipologie di fascicoli è schiacciante (cfr. grafico 1), sebbene sia presente una minima quota di manoscritti in quinioni, pari al 3% del campione esaminato. Il secolo che introduce invece un chiara modificazione nelle scelte che guidano la fattura del codice è il XIII. La situazione ap­ pare assai differenziata rispetto al periodo precedente: balza agli occhi infatti sia un netto calo dell’utilizzazione del quaternione, che passa dal 95% di diffusione a meno del 40%, sia la comparsa di nuove tipologie di fascicoli (cfr. grafico 2). In particolare si nota una forte presenza del senione - la cui percentuale di impiego ri­ sulta addirittura superiore a quella del quaternione - accompagnata da una certa quota di quinioni che copre il 10% dell’effettivo. Il re­ sto della produzione si incentra su altri tipi di fascicolazioni tra cui spiccano quelle particolarmente corpose ovvero da otto, da dieci e da dodici bifolii. È evidente che ci troviamo in presenza di una specie di “rivo ­ luzione” che investe le tecniche di fattura dei codici: si passa infatti dall’assoluta predominanza - nel XII secolo - del quaternione ad

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una chiara propensione a favore del senione, un tipo di fascicolo che, per quanto attestato fin dall’antichità, non era stato utilizzato fino ad allora se non in maniera sporadica. Nel X IV secolo la diffusione dei quaternioni e dei senioni ap­ pare pressappoco immutata rispetto al XIII, infatti la distribuzione degli effettivi si attesta per entrambi i tipi di fascicolazione intorno al 40% della produzione totale (cfr. grafico 3): si delinea quindi una condizione di pari utilizzazione. Da notare invece un forte in­ cremento dell’impiego dei quinioni per i quali risulta quasi il dop­ pio delle attestazioni rispetto al secolo precedente. Un’analisi più “fine” di questo periodo, condotta cioè operando una suddivisione per frazioni di secolo e paesi, ci consentirà tra breve di illustrare meglio il fenomeno. D all’osservazione dei dati riguardanti il X V secolo (cfr. grafi­ co 4) emergono chiaramente le seguenti caratteristiche: a. I quaternioni presentano il medesimo grado di diffusione del secolo precedente. b. I quinioni occupano una quota di produzione sempre crescen­ te, tanto è vero che passano dal 18% del X IV secolo al 31% del XV. c. Il senione cala visibilmente raggiungendo un effettivo del 26%. d. Si nota una minima presenza di altre tipologie di fascicoli, tra cui si distinguono gli ottonioni che coprono una quota di pro­ duzione del 2%. Ovviamente per il X V secolo - ma anche in parte per il X IV è improprio parlare di produzione manoscritta in generale senza distinguere tra pergamenacea e cartacea,56 ma abbiamo preferito dedicare al supporto e alla sua influenza sulla fascicolazione una trattazione a parte nell’ambito di un discorso incentrato sui para­ metri più nettamente correiabili alla fascicolazione. A questo punto possediamo un quadro dell’evoluzione diacro­ nica della fascicolazione - tracciato in base alla semplice lettura dei dati - a maglie estremamente larghe, in quanto strutturato per secoli e comprendente l’intera produzione dei paesi in esame. In realtà per sapere dove, quando ed eventualmente perché si siano verificati determinati fenomeni è necessario ricorrere ad un’analisi più dettagliata del nostro corpus di manoscritti, che prevede di esa­

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minare la situazione di ogni singolo paese suddividendone la pro­ duzione in frazioni temporali più ristrette, quali i cinquantennii. 2.3. Quadro specifico per paesi 2.3.1. Inghilterra La produzione manoscritta inglese del XII secolo si articola prevalentemente in quaternioni, sebbene sia da segnalare una certa diffusione dei quinioni - presenti in circa il 9% dell’effettivo tota­ le - e due codici strutturati in senioni. In effetti la quota di codici allestita con fascicoli diversi dai quaternioni è estremamente ridot­ ta, ma pur sempre consistente rispetto a quella registrata negli altri paesi (cfr. tabella 1 per la parte riferita all'Inghilterra). Nella prima metà del XIII secolo si delinea già un mutamento: i quaternioni sono ancora predominanti in quanto coprono ben più della metà dell’effettivo totale (56,7%), ma i quinioni ed i senioni cominciano ad essere un’opzione alternativa sicuramente valida, tanto è vero che occupano entrambi una quota superiore al 20%. La produzione della seconda metà del secolo è invece piena­ mente orientata a favore del senione che raggiunge una percentuale di diffusione del 64%. Il tasso di utilizzazione dei quaternioni scende bruscamente al 14%, ma anche i quinioni registrano una considerevole flessione, infatti occupano soltanto un 8,2% dell’ef­ fettivo totale. Compaiono nel frattempo nuove tipologie di fascicoli - come si è rilevato analizzando i dati generali sul XIII secolo - da dieci e da dodici bifolii (cfr. tabella 2). E evidente che già nella prima metà del secolo si riscontra una certa tendenza a utilizzare tipi di fascicoli più consistenti, ma la scelta sembra coinvolgere in eguale misura sia il quinione sia il se ­ nione. Successivamente l’opzione senione diventa assolutamente prioritaria non solo rispetto al quaternione, ma anche nei confronti del quinione. Nella prima metà del XIV secolo si osserva subito qualche v a ­ riazione rispetto al cinquantennio precedente: il senione rappre­ senta ancora il tipo di fascicolo più diffuso coprendo quasi il 60% della produzione totale, contemporaneamente però si constata una

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netta ripresa del quaternione che triplica la sua diffusione (36% circa), mentre il quinione diminuisce ulteriormente. Nella seconda metà del secolo si verifica invece una vera e pro­ pria inversione di tendenza: il quaternione toma ad essere la scelta prioritaria, tanto da coprire il 56,5% della produzione, mentre il se­ nione diminuisce il suo effettivo di circa 23 punti percentuali, evi­ dentemente a favore del quaternione, dato che la quota di diffusione del quinione non cambia e gli altri tipi di fascicolazione non rag­ giungono certo una consistenza degna di nota (cfr. tabella 3). La prima parte del X V secolo segna una marcata preferenza per il quaternione che presenta un indice di diffusione pari quasi ai tre quarti della produzione totale. Il resto dell’effettivo si suddivide tra i senioni, che occupano una quota del 18,6%, e altri tipi di fa­ scicoli tra cui quinioni e ottonioni. Nel secondo cinquantennio del secolo il quadro delle scelte che presiedono alla manifattura dei codici permane - nelle sue grandi linee - quasi invariato: si rileva una flessione nell’impiego sia dei quaternioni sia dei senioni a fronte di una leggera crescita dei quinioni, mentre riappaiono in maniera più consistente altri tipi di fascicoli con oltre sei bifolii (cfr. tabella 4). 2.3.2. Francia La Francia del XII secolo rivela una preferenza nettamente de­ lineata a favore del quaternione che copre infatti più del 97% della produzione totale, accompagnato da una minima percentuale di temioni e quinioni (cfr. tabella 1 per la parte riferita alla Francia). Nella prima metà del XIII secolo l ’opzione quaternione è an­ cora largamente predominante, occupa infatti più di tre quarti della produzione totale, sebbene il senione cominci ad apparire con una certa consistenza - soprattutto in rapporto alla totale assenza del secolo precedente - coprendo più del 15% dell’effettivo totale. B i­ sogna rilevare inoltre una minima presenza di quinioni e ottonioni. Nel corso della seconda metà del secolo si verifica anche in Francia, sebbene in toni più moderati, una decisa affermazione del senione che raggiunge una percentuale di diffusione superiore al 38%. Il fenomeno è sicuramente meno accentuato che nell’Inghil­ terra dello stesso periodo, ma ugualmente non si può non cogliere

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una preferenza piuttosto decisa per questo tipo di fascicolo. La quota di produzione in quaternioni si riduce al 31,6%, mentre com­ paiono tipologie di fascicoli assai consistenti, formati da otto, dieci e dodici bifolii, la cui presenza è stata già evidenziata tracciando il quadro generale del XHI secolo (cfr. tabella 5 e grafico 2). La prima metà del X IV secolo vede ricadere le scelte relative alla fattura dei codici prevalentemente sul senione, che diventa il tipo di fascicolo maggiormente utilizzato, con una percentuale di diffusione superiore al 60% della produzione totale. L ’effettivo dei quaternioni registra un ulteriore calo - circa 5 punti - in confronto al periodo precedente, mentre quello dei quinioni raggiunge il 13,2%. Rispetto al XIII.2 si rileva la scomparsa delle fascicolazioni da otto e più bifolii, che coprivano complessivamente quasi un quarto della produzione totale francese (23,9%) e ben oltre un de­ cimo di quella inglese (12,6%), in cui peraltro si verifica lo stesso fenomeno (cfr. tabella 6; per l’Inghilterra tabelle 2 e 3). Nella seconda metà del secolo si osserva anche in Francia un’inversione di tendenza: il quaternione accresce il suo effettivo di circa 28 punti percentuali (54,7%) a paragone del cinquantennio precedente, mentre il senione scende al 40% della produzione to­ tale (cfr. tabella 6). Se questo trend lo si confronta con quello della coeva Inghil­ terra si noterà che, in realtà, tra i due paesi non esistono differenze sostanziali: la percentuale di codici in quaternioni, quinioni e senioni si aggira su valori largamente paragonabili in entrambe le aree di produzione (cfr. tabelle 3 e 6). Anche nella prima metà del X V secolo riscontriamo una situa­ zione di sostanziale convergenza di scelte tra i due paesi, infatti la produzione manoscritta francese si articola, in linea di massima, secondo la stessa ripartizione percentuale di quaternioni e di senioni che abbiamo già trovato in quella inglese, attestandosi i primi intorno al 74% della quota totale ed i secondi al 20%. Nel campio­ ne di manoscritti francesi di questo periodo non compaiono i qui­ nioni, mentre troviamo rappresentate le fascicolazioni con più di sei bifolii, in particolare gli ottonioni. Nella seconda metà del secolo i rapporti di forza - se così si possono definire - tra le varie fascicolazioni permangono quasi in­ variati, salvo il fatto che riappare una piccola percentuale di qu i-

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moni, mentre diminuisce l’effettivo delle fascicolazioni più “ corpo­ se” (cfr. tabella 7). 2.3.3. Italia Per quanto riguarda la produzione italiana del XII secolo ed anche per la prima metà del XIII il nostro campione è estremamen­ te ridotto,57 ma la preferenza per il quaternione parrebbe incontesta­ bile. Nella seconda metà del XIII secolo si delinea invece un qua­ dro abbastanza singolare in quanto appaiono sostanziosamente rappresentati tanto i quaternioni quanto i quinioni e i senioni. Anzi questi ultimi coprono una quota di produzione pari al 41%, mentre i quaternioni si attestano sul 34,5%. In effetti si potrebbe ipotizzare che anche l ’Italia, nel corso del XIII secolo, venga toccata - forse proprio in seguito ad un influsso d’oltralpe - da questa “moda” del senione diffusasi in Inghilterra e in Francia. Non bisogna sottova­ lutare però l’effettivo dei quinioni (21,3%), i quali risultano già ben più utilizzati che negli altri paesi europei (cfr. tabella 8). A proposito della prima metà del XIV secolo, per quanto l’effettivo del campione sia piuttosto ridotto, riteniamo ugualmente di una qualche utilità proporre alcune considerazioni. La quota di codici in quaternioni, quinioni e senioni presenta un effettivo di simile entità:58 infatti, rispetto al cinquantennio precedente, si rileva una flessione sia nella percentuale dei quaternioni, sia - soprattut­ to - in quella dei senioni, mentre aumenta contestualmente la quota dei codici in quinioni. Nella seconda parte del X IV secolo il ruolo primario del qui­ nione assume ormai contorni precisi, tanto è vero che risulta im­ piegato in più del 46% della produzione italiana, mentre i quater­ nioni presentano un tasso di diffusione pari a circa il 29% ed i se­ nioni scendono al 19,4% del totale. Compaiono inoltre fascicoli con otto e più bifolii, benché la loro quota complessiva non sia molto rilevante (cfr. tabella 9). La produzione della prima metà del X V secolo è in gran parte incentrata sul quinione che copre circa il 64% del totale. D iversamente che in Inghilterra e in Francia, dove il quaternione ha ripreso ampiamente piede, in Italia riscontriamo la piena affermazione del

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quinione che non solo si consolida come scelta tecnica prioritaria, ma addirittura aumenta la sua diffusione nella seconda metà del X V secolo fino a raggiungere una quota del 72,2%. Per quanto riguarda gli altri tipi di fascicoli nel X V. 1 i quater­ nioni si attestano al 17% della produzione totale ed i senioni al 15%, mentre nel X V .2 scendono rispettivamente intorno al 14% e al 9%. Le percentuali di altri tipi di fascicolazioni - a prescindere dagli ottonioni che superano il 2% in entrambe le metà secolo sono quasi irrilevanti (cfr. tabella 10). 2.3.4. Germania La Germania del XII secolo, almeno rispetto al campione a nostra disposizione, sembra totalmente orientata verso il quaternio­ ne (cfr. tabella 1 per la parte riferita alla Germania). Per il XIII e X IV secolo non abbiamo un effettivo di codici ta le 59 da poterne trarre delle indicazioni attendibili. Dalla mera lettura dei dati si constata che, nella prima metà del XIII secolo, il quaternione è il tipo di fascicolo maggiormente impiegato, tanto da totalizzare dieci attestazioni sulle undici registrate.60 Per la seconda metà del secolo si nota ancora una prevalenza del quaternione, infatti su 14 mano­ scritti attribuibili a questo periodo 7 presentano una fascicolazione in quaternioni, 2 in quinioni, 4 in senioni ed uno in ottonioni. Anche per il X IV secolo il campione di codici a disposizione è veramente ridotto: per quel che concerne la prima parte del secolo possiamo solo segnalare che, su 5 codici attribuibili a questo lasso di tempo, 2 sono allestiti in quaternioni, 2 in senioni ed uno in ot­ tonioni, mentre per la seconda metà su 16 codici 5 sono strutturati in quaternioni, 4 in quinioni, 6 in senioni ed uno presenta grossi fascicoli irregolari. Quanto al X V secolo, grazie invece ad un campione piuttosto cospicuo, è possibile enucleare alcune linee di tendenza sufficien­ temente precise. La Germania presenta infatti, per la prima metà del secolo, una situazione del tutto diversa tanto rispetto all’Inghil­ terra e alla Francia - dove abbiamo assistito alla rimonta del qua­ ternione - , quanto all’Italia - dove si afferma il quinione -. S i veri­ fica infatti una predominanza assoluta del senione che occupa il 71,2% della produzione totale, mentre il quaternione e il quinione

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coprono rispettivamente il 9,1% e il 15,2%.61 Da segnalare, inoltre, la presenza di fascicoli con oltre sei bifolii che raggiunge il 4,5% dell’effettivo. Nella seconda metà del secolo il quadro delle scelte permane grosso modo invariato, salvo una piccola crescita della quota di manoscritti in quaternioni che aumenta di circa 5 punti percentuali arrivando al 14,4% ed un leggero calo (2 punti percen­ tuali) dei codici in quinioni (cfr. tabella 11). 2.3.5. Paesi Bassi Nel nostro corpus l’effettivo dei codici prodotti nei Paesi Bassi raggiunge un livello sufficientemente significativo solamente nel X V secolo ed in particolare nel secondo cinquantennio. Nella pri­ ma metà di questo secolo la produzione manoscritta si articola pre­ valentemente in quaternioni, i quali coprono il 61% circa della quota totale; compare inoltre una discreto numero di codici in se­ nioni (28,6%), mentre un decimo circa della produzione opta per i quinioni. Nella seconda parte del secolo - per cui abbiamo a dispo­ sizione un campione decisamente più rappresentativo - si constata una situazione pressappoco analoga a quella appena descritta. I quaternioni aumentano leggermente il loro tasso di diffusione (64,2%), mentre i quinioni e i senioni perdono una parte della loro quota, rispettivamente 2,3 e 6,5 punti percentuali. Si riscontra in­ vece una piccola rappresentanza (2,1% rispettivamente) di codici composti da temioni e ottonioni (cfr. tabella 12). 2.4. Conclusioni È il XIII secolo, con ogni evidenza, che introduce cambia­ menti sostanziali nelle tecniche di allestimento del fascicolo. Il paese guida in fatto di innovazioni è l’Inghilterra, la cui produzio­ ne, già nella prima metà del secolo, presenta una notevole propor­ zione di codici allestiti con fascicoli diversi dal quaternione, cioè a dire quinioni e senioni. Questa tendenza a privilegiare fascicoli più corposi diviene dominante nella seconda metà del XIII, ma la scelta - come abbiamo già sottolineato - ricade sostanzialmente sul senione, la cui percentuale di diffusione è schiacciante. Nella pro­ duzione francese si avverte la presenza di tipologie di fascicoli di­

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versi dal quaternione fin dalla prima metà del secolo, è nella se­ conda metà, tuttavia, che l’effettivo dei codici in senioni diventa più consistente raggiungendo quasi i due quinti della produzione totale. La sostanziale affermazione del senione in Francia si veri­ fica però con il primo cinquantennio del X IV secolo: in base al­ l ’esame di questo trend si potrebbe supporre che la Francia segua l ’Inghilterra nell’innovazione tecnica del senione con qualche de­ cennio di ritardo; infatti mentre nella produzione inglese i senio­ ni, pur essendo ancora la scelta prioritaria, presentano nella prima metà del secolo una leggera flessione a fronte di una crescita dei quaternioni, in quella francese raggiungono l’apice dell’utiliz­ zazione. Nella seconda metà del XIV si verifica un cambiamento dei criteri in base ai quali si fabbricano i codici, probabilmente dovuto al fatto che sono mutate le logiche che guidano l’utilizzazione del­ l’oggetto libro. Il quaternione riprende ampiamente il sopravvento coprendo ben più della metà dell’effettivo totale - sebbene la per­ centuale di codici in senioni sia ancora piuttosto rilevante62 - tanto nella produzione francese quanto in quella inglese che, come ab­ biamo già sottolineato, si strutturano gro sso modo secondo le stes­ se quote proporzionali di codici nelle varie tipologie di fascicoli. Nel X V secolo la produzione manoscritta inglese e francese si sv i­ luppa ormai in grande maggioranza - oltre il 70% - in quaternioni, mentre la quota di codici in senioni è più o meno pari ad un quinto del totale. La produzione italiana invece segue un andamento peculiare. Mentre nella seconda metà del XIII secolo si nota una situazione piuttosto fluida, in quanto la quota di codici in senioni è addirittura lievemente superiore a quella in quaternioni, dalla prima metà del X IV si assiste ad un lento affermarsi del quinione, che, già ben at­ testato nel cinquantennio precedente (quando occupa più di un quinto dell’effettivo totale), consolida man mano la sua posizione. Presenta infatti una percentuale di diffusione crescente con il pas­ sare dei decenni, fino ad arrivare a coprire quasi i tre quarti della produzione totale nella seconda metà del X V secolo. È quindi plau­ sibile ritenere che la quota di quinioni rilevata nel quadro diacroni­ co generale per il X IV e il X V secolo provenga in massima parte dal territorio italiano.

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Riguardo alla produzione di area tedesca del XD3 e X IV secolo non possiamo proporre che semplici osservazioni. La comparsa di quinioni e senioni si coglie solamente dalla seconda metà del XIII, ma, considerata l’esiguità dei dati in nostro possesso, non si può pro­ cedere oltre la constatazione di una lieve predominanza dei senioni nel corso dell’ultimo cinquantennio del XIV secolo. La prima metà del X V si apre invece con uno scenario tutto a favore del senione ormai progressivamente abbandonato come scelta tecnica negli altri paesi, in cui è relegato ad un ruolo secondario - , che viene impiegato in gran parte della produzione, sebbene non manchino codici sia in quaternioni sia soprattutto in quinioni. Nella seconda metà del secolo le proporzioni rimangono sostanzialmente immutate se non per un leggero incremento dei codici in quaternioni. Nei Paesi Bassi la produzione del X V secolo si articola so­ stanzialmente secondo le linee individuate per la Francia e l’Inghil­ terra (infatti è strutturata prevalentemente in quaternioni), anche se la quota di codici fabbricati in senioni ammonta a poco meno di un quarto del totale. A questo punto siamo in grado di fornire una risposta ad alcuni dei quesiti che ci siamo posti. Per quanto concerne il passaggio dal quaternione al senione, possiamo rispondere alle domande su “quan­ do” e “dove” è avvenuto, mentre rimane assolutamente aperto il pro­ blema del “perché” si è verificato questo notevole cambiamento nel­ la fattura del codice. Riguardo al quinione sono chiari i luoghi e le modalità di dif­ fusione, pur facendo sempre difetto una spiegazione delle motiva­ zioni che spingono la produzione italiana ad orientarsi in maniera così decisa verso una data struttura di fascicolo, mentre nel resto di Europa si scelgono altre vie. Il periodo di massimo fulgore del manoscritto in senioni va all’incirca dal 1250 al 1350: esso nasce e si sviluppa in Inghilterra, si diffonde a stretto giro in Francia, per poi raggiungere l’Italia e la Germania. In territorio tedesco il senione, per quanto introdotto con notevole ritardo, non verrà più abbandonato, mentre in Italia a partire dal X IV secolo comincia l’ascesa dei codici in quinioni. È evidente che un mutamento di scelta di manifattura che va ad infrangere un uso ormai consolidato da secoli, cioè la costruzione del codice in quaternioni, non nasce per un caso fortuito, ma è sicura­

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mente determinato da logiche, culturali ed economiche, che provo­ cano uno stimolo verso il cambiamento. Per quanto riguarda il fe­ nomeno che ci interessa, il periodo di maggiore diffusione del senione coincide pressappoco con il massimo sviluppo dell’università, quindi il rapporto tra senione ed ambiente universitario parrebbe ben plausibile ed anche per il quinione italiano sembrerebbe innegabile un legame con l ’ambiente della cultura superiore.63 Purtroppo dagli statuti universitari finora studiati - in particolare ci si riferisce ai casi delle università di Parigi e di Bologna - non emergono norme relati­ ve alla composizione dei codici, mentre, almeno per Bologna, è molto ben documentato e regolamentato il sistema di produzione di manoscritti mediante la pecia. In effetti, come hanno messo in e vi­ denza anche studi recenti sui contratti di scrittura bolognesi,64 con il termine pecia o quatemus s’intendono delle unità di misura del te­ sto - in particolare è il quatemus che compare come unità di conto sia negli accordi stipulati tra scrittore e committente, sia nelle liste di tassazione 65 - , ma quale legame esse abbiano con il manufatto che deriva dal lavoro di copia o meglio con la sua struttura materiale non è dato sapere. Sicuramente una pecia non corrisponde esattamente ad una parte determinata di un fascicolo - ad esempio alla metà, nel caso si tratti di un quaternione - , tanto è vero che nei manoscritti pe­ riati si riscontrano indicazioni di pecia anche a metà o a tre quarti di un fascicolo: tutte le ipotesi riguardanti la relazione che potrebbe in­ tercorrere tra pecia e quinione o tra pecia e senione rimangono quin­ di a livello di pura supposizione. Per l’area francese i dati riguardanti i compensi dei copisti sono scarsi e di difficile interpretazione. In molti casi è impossibile rap­ portare i prezzi al numero di fogli e/o di linee copiati, oppure, quan­ do l’unità di conto è il fascicolo, spesso non se ne conosce la consi­ stenza. Esistono alcune attestazioni di prezzi di copia che possono ricondursi ad un dato tipo di fascicolo - quaternione o senione che sia - , ma sono in numero assai limitato e si riferiscono alla fine del X IV secolo,66 per cui non ci aiutano a far luce sul problema. In realtà è probabile che questa diversa struttura - più consi­ stente - assunta dal codice tragga origine dal nuovo ruolo che gli viene assegnato: «Il libro universitario è un oggetto del tutto diver­ so dal libro dell’alto medioevo. Esso fa parte di un insieme tecnico, sociale ed economico affatto nuovo, è espressione di un’altra c i-

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viltà».67 Con queste parole Jacques Le G off introduce la nuova fa ­ cies del libro bassomedievale, diventato ormai strumento di studio, veicolo di trasmissione di nuove idee. Il libro cambia formato, di­ venta più piccolo e maneggevole ed anche più “povero” , con un apparato decorativo modesto, come nel caso dei libri dei filosofi e dei teologi, mentre i manoscritti giuridici rimangono sempre piut­ tosto lussuosi in virtù del pubblico più ricco a cui sono destinati. Un’ipotesi che si può avanzare per motivare il cambiamento è legata ad un fattore tecnico - la capacità di fabbricare una pergame­ na più sottile68 - e ad un’esigenza che potrebbe essere nata proprio con lo svilupparsi dello studio universitario - la necessità cioè di racchiudere un certo testo in una unità più consistente. A parità di densità di scrittura, un fascicolo da sei bifolii contiene una quantità di testo maggiore e perciò consente di raccogliere più testi in un nu­ mero di unità comunque ridotto e forse per questo più maneggevole e trasportabile.69 Probabilmente anche le operazioni di confezione dei codici potrebbero risultare meno dispendiose, dal momento che gli stessi testi richiedono un numero minore di fascicoli se i codici sono allestiti in senioni anziché in quaternioni. È possibile che si commerciassero fascicoli già pronti, composti da un numero più ele­ vato di bifolii proprio per andare incontro a questa particolare neces­ sità, nata in seguito alla diffusione di molte opere, diventate ormai tutte un “bagaglio” fondamentale per lo studio universitario. Naturalmente queste sono semplici supposizioni che potrebbe­ ro - forse - essere verificate solo grazie all’esame autoptico di un cospicuo numero di codici che consenta di vagliare e porre in rela­ zione, se possibile, le caratteristiche testuali e materiali dei vari te­ stimoni. In merito alle seconde, tra i mutamenti più evidenti pos­ siamo annoverare l ’inizio del fascicolo dal lato carne, che si pre­ senta regolarmente a partire dal 1250 in poi - in concomitanza quindi con l’affermazione del senione - , nonché la scrittura sotto la prima linea, che sembra verificarsi quasi contestualmente al feno­ meno precedente.70 Un’analisi diretta del materiale permetterebbe inoltre di puntare l’attenzione non solo su tutte le variabili che ab­ biamo classificato come potenzialmente correlabili alla fascicola­ zione, ma anche in particolare sullo spessore della pergamena. Recenti studi hanno dimostrato come un parametro quale lo spessore, che a prima vista potrebbe sembrare non particolarmente

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determinante nell’economia del libro medievale, rivesta in vece un interesse archeologico non indifferente. Un’indagine condotta su quattro corpora di manoscritti e documenti, di provenienza e data* zione assai diversa,71 ha dimostrato che, partendo dalla rilevazion e dello spessore, si può giungere a stabilire - elaborando i dati m e­ diante determinati parametri statistici - l ’omogeneità sia dei b ifo lii componenti un fascicolo tra loro, sia di uno stesso bifolio al suo interno e, basandosi su questi indici, scoprire le differenti tecniche di fabbricazione - organizzazione dei fascicoli di spessore sim ile, criteri d’ordine dei bifolii in funzione dello spessore, modalità di piegatura delle pelli per costituire i fascicoli e così via - che sono alla base di manufatti prodotti in luoghi ed epoche diverse.72 In effetti, che lo spessore della pergamena non sia una v a ria ­ bile del tutto irrilevante per l’artigiano medievale, è stato am pia­ mente dimostrato da Frank Bischoff nel corso di vari studi,73 tra i quali ricordiamo un contributo su alcuni evangeliari dell’X I e X II secolo, in cui si riscontra una netta preferenza ad utilizzare perga­ mena più spessa per i bifolii destinati ad ospitare miniature (illu­ strazioni, grandi iniziali miniate e così via), in modo tale che i co ­ lori non trapelino da una parte all’altra del foglio.74 È palese com e una tale costruzione del supporto del codice sia frutto di una scelta ben precisa che può comportare tanto perturbazioni evidenti nella disposizione del testo nei fascicoli, qualora non si sia riusciti a p ia­ nificare la struttura del manoscritto con sufficiente accortezza,75 quanto, più semplicemente, una modificazione della struttura tip ica del fascicolo, che in linea di massima sembra prevedere uno sp e s­ sore maggiore nei bifolii più esterni e minore nei più interni.76 Ovviamente queste appena enucleate sono linee di tendenza che meriterebbero ulteriori approfondimenti e che presentano sicu ­ ramente notevoli eccezioni: ad esempio il Casin. 132,77 il noto esemplare cassinese del Rabano Mauro, si discosta ampiamente da­ gli standard generali finora appresi, in quanto presenta una perga­ mena assai sottile,78 molto più fine di quanto il suo imponente ap­ parato decorativo lascerebbe presupporre, e ben lontana dalla m e­ dia attestata in molti codici coevi. La pergamena del Rabano M a u ­ ro risulta infatti di spessore inferiore sia a quello medio riscontrato in un gruppo di circa 300 manoscritti, studiati nel corso di un’inda­ gine sulla produzione di origine italiana dell’XI secolo,79 sia allo

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spessore di codici beneventani di ta g lia 80 analoga esaminati nel corso della medesima ricerca.81 Non siamo ancora in grado di for­ nire un quadro dell’intera produzione cassinese dell’XI secolo, ma sicuramente dallo studio di una particolare tipologia di manufatti, i rotoli liturgici degli Exultet, tipici prodotti di area beneventana, si è appreso come la buona qualità di un prodotto di quel genere non dipenda dalla sua maggiore o minore sottigliezza, quanto dal li­ vello medio di omogeneità delle varie parti che lo compongono, sia tra loro sia considerate singolarmente.82 Questa breve rassegna delle potenzialità che lo studio di una variabile come lo spessore offre, non mira ad altro se non a stimo­ lare la curiosità necessaria per proseguire, almeno su questo ver­ sante, l’indagine sulle varie tipologie di fascicolazione e soprattutto a proporre un’ulteriore chiave di lettura che contribuisca a spiegare il passaggio dal quaternione a fascicoli più consistenti.

3. Fascicolazione e altri parametri Uno dei quesiti che ci siamo posti progettando questa ricerca riguarda il modo e la misura in cui la fascicolazione interagisce con altre variabili. In questa sede è parso opportuno circoscrivere la trattazione a quei parametri che si sono rivelati maggiormente si­ gnificativi in rapporto alla fascicolazione o perlomeno indicativi ad un livello tale da consentire di cogliere linee di tendenza sufficien­ temente chiare e individuabili. In particolare ci riferiamo a sup­ porto, formato, tipologia testuale e impaginazione. L ’unica ecce­ zione verrà fatta per la taglia in quanto si ritiene di una qualche utilità e interesse dare conto dei risultati raggiunti, anche se il ten­ tativo di confrontare questo parametro con la fascicolazione non si è dimostrato particolarmente fruttuoso. 3.1. Fascicolazione e supporto Tra i parametri che appaiono più direttamente correlabili alla fascicolazione figura sicuramente il supporto, di cui abbiamo già sottolineato l’importanza tracciando il quadro dell’evoluzione della fascicolazione nel X IV e X V secolo.

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Se operiamo una partizione dei codici attribuibili al X I V se ­ colo in base al materiale di cui si compongono, nella produzione in pergamena - data la prevalenza di questo tipo di supporto nel ca m ­ pione - si riscontra esattamente lo stesso andamento della fa sc ic o lazione che è emerso esaminando il quadro generale: nella prim a metà del secolo, infatti, il senione viene utilizzato ancora in ben più della metà della produzione, mentre nel secondo cinquantennio il suo uso diminuisce drasticamente (29,4%) a fronte di un incre­ mento dell’impiego del quaternione che passa da una quota di d if­ fusione del 30,2% ad una del 50,1% (cfr. tabella 13). Il panorama della produzione in carta si configura invece per la seconda parte del secolo83 in maniera assai differenziata: l’adozione del supporto cartaceo comporta scelte di fattura che seguono logiche palesemente diverse da quelle proprie della coeva produzione m em ­ branacea. Emerge infatti una tendenza incontrovertibile a p rivilegia­ re le fascicolazioni più consistenti, tanto è vero che i senioni ven go ­ no impiegati nel 46,4% della produzione, i quinioni in circa il 32% , mentre i quaternioni non raggiungono il 9% della quota totale. C o m ­ paiono anche fascicoli con nove e più bifolii (cfr. tabella 14). Nella prima metà del X V secolo il fenomeno si evidenzia con maggiore chiarezza, in quanto i codici in pergamena appaiono pre­ valentemente strutturati in quaternioni (68% circa), mentre i qui­ nioni e i senioni vengono adoperati rispettivamente in poco più del 18% e del 13% dei casi. La seconda metà del secolo vede una leg­ gera diminuzione (circa 10 punti percentuali) dei codici in quater­ nioni a fronte di una netta crescita dell’uso dei quinioni, che, come ben sappiamo, è dovuta principalmente all’ambito italiano. Il se ­ nione riveste invece una posizione sempre più m arginale nell’ambito della produzione membranacea (cfr. tabella 15). La distribuzione della fascicolazione nella produzione cartacea presenta un andamento di segno opposto. Nel primo cinquantennio del X V secolo il senione è impiegato in quasi la metà della produ­ zione (48,3%), i quinioni sono ugualmente ben utilizzati infatti raggiungono una quota del 37,2%, mentre i quaternioni rappresen­ tano solo il 7,1% del totale. Riscontriamo nel X V.2 qualche v a r ia ­ zione negli effettivi delle varie tipologie di fascicoli (ad esem pio i quinioni passano dal 37,2% al 32,3%), ma il trend generale rim ane sostanzialmente immutato (cfr. tabella 16).

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Per completare il quadro della produzione del X V secolo, non rimane che prendere in considerazione i codici che presentano un mélange, più o meno razionalmente strutturato, dei due supporti, ovvero i codici con fascicoli m isti84 e quelli con alcuni fascicoli in carta ed altri in pergamena.85 Nel nostro campione l’effettivo di manoscritti allestiti secondo l’una o l ’altra modalità non è partico­ larmente significativo per la prima metà del secolo.86 Tuttavia si può ugualmente notare come i codici in carta e pergamena siano composti da fascicoli che vanno dal quaternione al novenione. mentre per i misti la scelta ricade prevalentemente sul senione. Nel corso della seconda metà del X V secolo i primi risultano ancora al­ lestiti utilizzando un ampio ventaglio di tipologie di fascicoli - dal quaternione all’ottonione - mentre i secondi continuano a preferire il senione e poi l’ottonione 87 (cfr. tabella 17). I codici con fascicoli misti tendono quindi a comportarsi come quelli cartacei. Una volta esaminato l’andamento complessivo della fascicola­ zione rispetto al supporto, cerchiamo di scoprire in che modo si ca­ ratterizza il fenomeno a livello locale, o meglio nazionale, analiz­ zando la produzione di ogni singolo paese nel X V secolo.88 In Inghilterra la produzione in pergamena è incentrata preva­ lentemente sul quaternione, la cui diffusione aumenta con la secon­ da metà del secolo - passa infatti dal 78,1% del X V. 1 all'82,4% del X V.2 - , mentre la quota di codici in senioni decresce fino ad assestarsi a poco più di un decimo dell’effettivo complessivo (cfr. tabella 18). Nei codici in carta la distribuzione della fascicolazione non cambia certo radicalmente, in quanto i quaternioni rimangono molto ben rappresentati - queste considerazioni si riferiscono alla seconda metà del secolo, dato che l’effettivo del primo cinquanten­ nio è poco significativo 89 - , infatti coprono circa un quarto della produzione totale, ma è possibile comunque constatare che più di un terzo dei codici risulta strutturato in senioni e circa un altro ter­ zo presenta fascicoli formati da sette e più bifolii (cfr. tabella 19). In Francia l’allestimento tipico dei codici in pergamena si basa sul quaternione che arriva a superare il 90% di diffusione nella se­ conda metà del secolo, mentre la quota di codici composti da altre tipologie di fascicoli, tra cui i senioni, è assai limitata (cfr. tabel­ la 20). La produzione cartacea, per la prima metà del secolo, non è

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rappresentata nel nostro campione che da un effettivo piuttosto ri­ dotto, ciononostante si può ugualmente rilevare una sostanziale preferenza per il senione che risulta attestato in 7 casi su 12. Nel secondo cinquantennio la tendenza ad adoperare il senione per i prodotti cartacei assume una fisionomia ben caratterizzata: l ’effet­ tivo dei codici in senioni supera infatti il 60% del totale, mentre i manoscritti fabbricati in quaternioni e in quinioni si aggirano en­ trambi intorno ad una quota poco inferiore al 12%. Troviam o an­ che fascicoli da otto e più bifolii e grossi fascicoli irregolari che sono tipici della produzione in carta (cfr. tabella 21). La situazione appena delineata, per la produzione sia membranacea sia cartacea, non fa che confermare sostanzialmente quanto avevano illustrato Bozzolo e Ornato nel loro saggio La constitution des cahiers dans

les manuscrits en papier d ’origine frangaise et le p rob lèm e de l ’im position90 in cui i due studiosi, nella parte dedicata all’esam e delle varie tipologie di fascicoli, dimostrano come il senione sia di gran lunga il tipo di fascicolo preponderante nella carta, mentre ri­ sulta quasi assente dall’orizzonte della pergamena che rimane do­ minato dal quaternione.91 I codici di origine italiana in pergamena sono strutturati pre­ valentemente in quinioni, i quali incrementano la loro presenza dal 63,1% nel X V . 1 al 78,2% nel X V .2, sottraendo, con ogni evidenza, una quota di produzione ai quaternioni che passano da una diffu­ sione del 32,3% a circa il 19% (cfr. tabella 22). La preferenza ac­ cordata al quinione si manifesta anche nella produzione cartacea, infatti nella prima metà del secolo il 65% dei codici sono fabbricati in quinioni, mentre nella seconda poco meno del 64%. La differen­ za sostanziale tra codici in pergamena e codici in carta si m anifesta però nel tipo di fascicolo che copre la quota di produzione lasciata libera dal quinione: nella produzione cartacea infatti i quaternioni risultano in numero sensibilmente inferiore, mentre ricompaiono i senioni in entrambe le metà secolo, con un indice di diffusione ri­ spettivamente del 23,8% e del 17,9% (cfr. tabella 23). Si potrebbe quindi supporre che la carta modifichi il paesaggio della fascico lazione anche in Italia: il quinione è certamente l’opzione preferita sia nella pergamena sia nella carta, ma nel primo caso è affiancato dal quaternione, mentre nel secondo dal senione. Nei manoscritti cartacei sono riscontrabili anche altre fascicolazioni corpose, come

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gli ottonioni ed oltre, che per i pergamenacei non vengono utiliz­ zate. D all’esame dei codici di area tedesca emerge una situazione chiaramente delineata: la produzione manoscritta è incentrata su manufatti in carta e questi sono strutturati essenzialmente in senio­ ni.92 Nella prima metà del secolo la quota di manoscritti in senioni copre 1’ 87% della produzione, i quaternioni quasi non appaiono, mentre i quinioni raggiungono quasi il 9% della produzione, per poi arrivare a più di un decimo nella seconda (cfr. tabella 24). Non appena si abbandona l’orizzonte della carta per passare a quello della pergamena ecco ricomparire i quaternioni, i quali risultano la scelta preferita sia nel primo cinquantennio in cui totalizzano 6 at­ testazioni su 14,93 sia nel secondo dove occupano più del 57% della produzione totale. Sono bene rappresentati anche i quinioni che tro­ viamo in 5 occorrenze su 14 nella prima metà del secolo, mentre raggiungono un indice di diffusione del 22% circa nel secondo cin­ quantennio (cfr. tabella 25). La notevole presenza di senioni in Ger­ mania è legata quindi all’esigenza di produrre codici in carta, in quanto, non appena si cambia tipo di supporto, i quaternioni tornano a giocare un ruolo dominante. Per i Paesi B assi il nostro campione si compone principalmente di codici in pergamena - i volumi in carta sono infatti scarsamente rappresentati - , i quali, come nel resto d’Europa, sono allestiti essen­ zialmente in quaternioni (cfr. tabella 26). L ’effettivo della produzio­ ne cartacea non è significativo per la prima metà del secolo: possia­ mo comunque constatare che gli unici otto codici attestati per questo lasso di tempo sono tutti composti da senioni. Nella seconda metà del secolo il grosso della produzione è sempre in senioni (76,2%), con una quota di quinioni che si aggira intorno al 20%.94 D all’analisi appena condotta emerge, assai chiaramente, il ruolo fondamentale svolto dal genere di supporto nel determinare le scelte di fattura del codice. L ’epoca di diffusione del senione come abbiamo già sottolineato - si estende all’incirca dal 1250 al 1350: con la seconda metà del X IV secolo ritorna in auge il quater­ nione, un tipo di fascicolo che fin dai primi secoli dopo Cristo si configura come struttura più consueta per il codice. O vviamente le osservazioni or ora proposte si riferiscono alla produzione manoscritta in pergamena, dato che i codici in carta

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sembrano essere concepiti seguendo logiche diverse: la tradizione del codice in quaternioni non ha presa sul mondo cartaceo, che si orienta prevalentemente su tipologie di fascicoli più consistenti, come il senione e l’ottonione, fino ad arrivare ai grossi fascico li irregolari. Quali sono le considerazioni che inducono certe scelte? È p o s­ sibile - come hanno illustrato in varie occasioni Bozzolo e Orna­ to 95 - che la carta venisse considerata alla stregua di un m ateriale di secondo ordine, sicuramente poco resistente e assai deperibile se paragonato alla pergamena, per cui la costruzione di fascico li più corposi poteva rispondere ad un’esigenza di maggiore so lidità e durata. In effetti, se osserviamo questa démarche con l’occhio del re­ stauratore moderno, perlomeno in riferimento alla solidità e alla compattezza della legatura, tale ipotesi non sembra totalmente so­ stenibile, dato che, quanto più i fascicoli sono consistenti, tanto più potrebbe risultare difficile assemblarli in un corpo unico, dotato di una certa resistenza. In realtà non siamo in grado di stabilire con sicurezza quali ragioni hanno portato a preferire la costituzione di fascicoli corposi; si potrebbe supporre che un fascicolo com posto da più bifolii desse comunque una garanzia - o forse un’impressione - di maggiore stabilità e durevolezza, a prescindere dalle difficoltà comportate dalla rilegatura.96 Non dimentichiamo comunque che il codice in carta si svilu p ­ pa con una fisionomia del tutto diversa, più “ povera” , rispetto al suo corrispettivo in pergamena. Nascendo infatti come brogliaccio o quaderno di appunti risulta svincolato dalle leggi di produzione a cui è soggetto il manoscritto in pergamena, di uso più nobile e for­ se, proprio per questo motivo, più “codificato” . Non risente quindi della tradizione del fascicolo in quaternioni e si acconcia nelle forme che meglio sembrano adattarsi al tipo di utilizzazione che gli viene destinata o, forse, alla considerazione di cui gode. Le riflessioni appena esposte si attagliano alla produzione cartacea latina, perché, come ben sappiamo, il mondo greco­ bizantino rimane sempre legato al quaternione, anche per i m ano­ scritti in carta, sebbene la comparsa di questo nuovo m ateriale contribuisca a determinare una maggiore varietà di scelte di a lle ­ stimento. Nel periodo rinascimentale il panorama dei codici greci -

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che è prevalentemente cartaceo - presenta anche altre tipologie di fascicoli, tuttavia il quaternione continua ad essere l’opzione più diffusa.97 Irigoin ha notato come alcuni copisti greci, attivi in Italia nel corso del X V secolo, adottino il quinione quando scrivono su pergamena, mentre ritornano al quaternione per i manoscritti in carta.98 Una recente indagine sulle caratteristiche e la tipologia dei manoscritti islam ici99 ha messo in luce come l’Oriente e l’Occi­ dente musulmano adottino tecniche e materiali diversi per quanto concerne la produzione del libro.100 In particolare in questa sede interessa sottolineare che una delle divergenze più importanti ri­ guarda la composizione dei fascicoli dei manoscritti in pergamena: in Oriente risultano strutturati prevalentemente in quinioni. mentre nell’area occidentale si compongono di temioni, un uso che sembra essere peculiare solamente al codice islam ico,101 tanto è vero che la produzione ebraica della stessa area, è caratterizzata dal quaternio­ ne con la sola eccezione di Toledo in cui si producono codici per­ gamenacei in temioni.102 I manoscritti ebraici occidentali in carta preferiscono invece le fascicolazioni consistenti, infatti pre­ dominano le strutture in senioni o ottonioni, sebbene non manchino codici con fascicoli da 4, 5, 7, e più bifolii.103 Anche nei manoscritti arabi d’origine spagnola in carta si riscontra una varietà notevole di tipologie di fascicolazione,104 che li distingue nettamente dai manu­ fatti prodotti nell’Africa del Nord, dove, almeno per i codici del Corano, ci si affida generalmente al quinione.105 In Oriente la pro­ duzione ebraica - tanto in pergamena quanto in carta - si incentra ugualmente sul quinione, come la produzione islamica, ad eccezio­ ne dei codici originari dell’Iran e dell’Uzbekistan che vengono al­ lestiti prevalentemente in quaternioni.106 La carta offre quindi anche nel mondo islam ico ed ebraico occidentale un panorama piuttosto variegato, comunque orientato - la considerazione vale soprattutto per i manoscritti ebraici, il cui studio è più avanzato - verso strut­ ture del fascicolo abbastanza consistenti. L ’ipotesi che configura la carta come un supporto più deperibile e meno affidabile rispetto alla pergamena sembra invece corroborata dalla creazione dei codici composti da fascicoli misti, ovvero - ri­ cordiamolo ancora una volta - cartacei, ma con il bifolio interno o esterno, o con entrambi, in pergamena, allo scopo, probabilmente, di

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garantire una maggiore solidità e durabilità al fascicolo.107 Gli autori di Une recherche sur les manuscrits à cahiers mixtes, a proposito della Francia e dell’Italia - notoriamente la prima preferisce il senione e la seconda il quinione - , scrivono: «M ais on peut se demander si le glissement vers le septénions et les octonions constaté chez les mixtes ne s ’explique pas par le fait qu’on a ajouté deux bifolia aux quinions et sénions de papier des cahiers normaux».108 Questa ipotesi in realtà non si adatta al senione, infatti: «pour les sénions, il est plus difficile de choisir une hypothèse parmi toutes celles possibles».109 Un’alternativa potrebbe essere quella di supporre che si sia inteso creare una specie di senione “rinforzato” , per così dire, ovvero com­ posto da un quaternione in carta, protetto all’esterno e all’interno da un bifolio di pergamena.110 3.2. Fascicolazione e form ato In questa sezione verrà presa in esame solamente la produzio­ ne cartacea in quanto affrontare lo studio dei formati dei codici in pergamena senza l’ausilio dell’esame autoptico del materiale ci sembra poco proficuo.111 Che la carta preferisca le fascicolazioni più corpose lo abbiamo appena constatato. Ora invece vorremmo indagare quale genere di relazione intercorra tra tipologia di fascicoli e formato, intendendo indicare con questa accezione il tipo di plicatura a cui è sottoposto il foglio per formare i bifolii nell’ambito del fascicolo. A tale scopo analizzeremo la produzione cartacea del X IV 112 e del X V secolo nel suo complesso, suddividendola in due sottogruppi distinti: in quarto ed in octavo da una parte, in fo lio e grandi in fo lio 113 dall’altra. D all’esame dei dati che si riferiscono alla produzione europea globalmente considerata emerge che la percentuale di diffusione dei senioni è la stessa tanto tra gli in -f e gf, quanto tra gli in 4° e in 8° 114 (52,3%). Il quinione invece, pur ben presente nei formati piccoli (25% circa), risulta sicuramente più utilizzato nei codici di grande formato (37%). Il quaternione, come abbiamo già rilevato, non sembra un tipo di fascicolo particolarmente adatto alla carta perlomeno in ambito latino - , infatti negli in 4° e in 8° è adoperato nel 12,5% della produzione, mentre negli in -f e g f riduce il suo ef­ fettivo al 3,2%. In entrambi i gruppi sussiste una certa percentuale

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di codici composti sia da ottonioni sia da grossi fascicoli irregolari, che vengono indicati con -1 (cfr. tabelle 27 e 28). A questo punto conviene verificare in che modo si articola la produzione nell’ambito di ogni singolo paese,115 giacché nel caso del supporto, ad esempio, si è appurato come la scelta del tipo di fasci­ colo non dipenda solo dal materiale in senso lato, pergamena o carta, ma anche dagli usi locali.116 N ella produzione francese il senione si dimostra di gran lunga il tipo di fascicolo più utilizzato sia per i formati piccoli (62%) sia per i grandi (65%), sebbene in questi ultimi il suo indice di diffu­ sione risulti leggermente superiore. Quel che balza agli occhi è in­ vece l ’effettivo dei quinioni, che si rivelano poco adoperati nei pic­ coli formati (3%), mentre appaiono ben attestati nei grandi, dove coprono una quota di produzione del 19%. Per il quaternione si ve­ rifica esattamente la situazione opposta: viene impiegato nel 20% della produzione di piccoli formati, mentre svolge un ruolo non particolarmente significativo negli in -f e g f (3%). Le grosse fascicolazioni irregolari risultano più diffuse nei piccoli formati che nei grandi,117 mentre i codici composti da ottonioni sono presenti in entrambe le produzioni, anche se appaiono maggiormente adope­ rati per gli in -f e g f (cfr. grafici 5 e 6). Per spiegare una distribuzione siffatta delle varie tipologie di fascicoli si potrebbe avanzare l ’ipotesi che i codici di piccolo formato vengano allestiti preferibilmente con fascicoli pari, tanto è vero che il quinione è poco utilizzato per gli in 4° e gli in 8°, mentre proprio nel loro ambito riappare il quaternione. Una moti­ vazione per questo genere di scelta la si può forse trovare nel si­ stema di fabbricazione degli in 4°, nei quali la costituzione di fa­ scicoli con un numero di bifolii dispari, ad esempio i quinioni. comporterebbe il taglio di un foglio di carta in due - per ottenere appunto un quinto bifolio - , operazione che richiede un tempo maggiore che non la fattura di fascico li mediante un numero pari di piegature.118 Nei codici di piccolo formato di origine italiana, il quinione sul quale si incentra gran parte della produzione sia in pergamena sia in carta - risulta essere l ’opzione preferita, anche se il quater­ nione e il senione raggiungono rispettivamente un indice di diffu­ sione del 14% e del 24%. Complessivamente quindi le fascicola-

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zioni pari vengono impiegate nel 38% della produzione totale di piccoli formati. Non è sottovalutabile neanche l’effettivo delle fascicolazioni più consistenti - ovvero da sette bifolii in su — che ammonta, globalmente, al 10% 119 (cfr. grafico 7). I codici di grande formato presentano invece una distribuzione della fascicolazione alquanto diversa: innanzitutto i quinioni si di­ mostrano molto più diffusi, in quanto coprono il 68% della produ­ zione totale, cioè 18 punti percentuali in più rispetto ai piccoli for­ mati, mentre l’indice di utilizzazione dei quaternioni diminuisce fino a toccare il 2%. I senioni al contrario rivelano una percentuale di diffusione più o meno stabile, corrispondente al 21% dell’effetti­ vo totale. La presenza di codici con fascicoli formati da otto bifolii è sempre del 4%, i settenioni passano al 2%, mentre decresce la quota delle fascicolazioni più consistenti,120 che coprono una per­ centuale del 3% (cfr. grafico 8). Si manifesta quindi anche nella produzione italiana una certa tendenza ad utilizzare le fascicolazioni pari per i piccoli formati, sebbene il quinione rimanga in ogni caso la scelta preferita per l ’allestimento degli in 4° e in 8°, dove raggiunge pur sempre un in­ dice di impiego del 50%. Per i grandi formati si potrebbe operare un’ulteriore suddivi­ sione tra in-f e g f in modo da ottenere un quadro più puntuale della distribuzione dei fascicoli, soprattutto nel caso dei quinioni. In ef­ fetti si scopre che il quinione, per quanto assai utilizzato negli in folio, nella cui produzione raggiunge una percentuale di diffusione quasi del 61%, appare di gran lunga la struttura privilegiata per i grandi in folio, tanto da coprire una quota dell’effettivo ben supe­ riore all’80% (cfr. tabella 29). In particolare ci pare utile segnalare che, nel nostro campione, su 55 casi di g f in quinioni 46 riguardano manoscritti giuridici. In Germania i codici in carta sono strutturati in massima parte in senioni, tanto nei piccoli formati, dove raggiungono una quota di diffusione dell’88%, quanto nei grandi, nella cui produzione occu­ pano l’84% del totale. La percentuale di codici composti da qua­ ternioni risulta invariata nei due gruppi (2%), come - pressappo­ co - quella dei quinioni che è del 10% nei piccoli formati e del1’ 11% nei grandi (cfr. grafici 9 e 10). N ell’area tedesca quindi, al­ meno per quel che si può evincere dall’analisi di questi dati, non si

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manifesta una differenza di strategie di manifattura tra i grandi e i piccoli formati. 3.3. Fascicolazione e tipologia testuale Per evidenziare un’eventuale legame tra tipologia testuale e fascicolazione ci sembra opportuno - almeno in questa prima fa­ se - limitare l ’indagine al XIII e X IV secolo, cioè al periodo in cui l’uso generalizzato del quaternione decade per lasciare il campo ad altri tipi di fascicoli, tra cui principalmente il senione e il quinio­ ne - il secondo soprattutto in Italia -. Illustrare la relazione che intercorre tra tipologie testuali e fa­ scicolazione è un’operazione piuttosto complessa in quanto la ripartizione dei tipi di testo non risulta equilibrata né all’intemo dello stesso paese né, tantomeno, tra paesi diversi.121 Inoltre, pur circoscrivendo l ’analisi all’ambito nazionale,122 la comparsa delle varie tipologie testuali varia notevolmente a seconda delle frazioni temporali prese in esame.123 È perciò evidente che in sede di valu­ tazione dei dati tali disparità possono comportare alcune difficoltà di interpretazione, anche se nell’ambito di ogni nazione sono emer­ se alcune tendenze indiscutibili che riteniamo meritino di essere messe in luce.124 3.3.1. Inghilterra Nella prima metà del XIII secolo in Inghilterra si trova già una certa percentuale di codici allestiti in senioni, i quali però non sem­ brano collegabili ad alcuna determinata tipologia testuale ad ecce­ zione delle bibbie, che appaiono composte da senioni in poco meno della metà dei casi.125 A partire dalla seconda metà del XIII secolo il senione si diffonde in tutta la produzione inglese, tanto da risulta­ re adoperato in codici che veicolano ogni tipo di testo. Nei codici teologici copre l’84% 126 dell’effettivo totale, mentre nei liturgici e patristici 127 raggiunge i tre quarti della produzione come anche ne­ gli storici e nei sermoni.128 Per quanto riguarda le bibbie, quasi la metà della produzione è in senioni, mentre l’altra metà adotta fa­ scicolazioni più corpose ovvero da otto bifolii in su.129 Natural­ mente le osservazioni a proposito delle varie tipologie testuali non

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rivestono lo stesso valore, dal momento che per alcuni casi pos­ siamo contare su effettivi consistenti - codici teologici, liturgici, patristici, biblici - mentre per altri su un campione piuttosto ridotto che consente di dedurre solamente alcune indicazioni di m assim a raccolte di sermoni, storici. La prima parte del X IV secolo è segnata da scelte di produzio­ ne che comportano una ripresa del quaternione (36,4% dell’effetti­ vo totale), sebbene il senione sia ancora il tipo di fascicolo più uti­ lizzato. La produzione di matrice universitaria - teologici, filo so fi­ ci, sermoni - è ancora totalmente strutturata in senioni, come pure i codici giuridici.130 Per quanto concerne i quaternioni, l’effettivo più consisten­ te 131 si rileva in quei codici che, pur essendo di argomento legisla­ tivo - contengono gli Statuta Angliae 132 - , non si possono far rien­ trare nei giuridici strid o sensu, e nei codici liturgici per i quali si adotta quasi esclusivamente la fascicolazione in quaternioni. Nella seconda metà del XIV secolo, il grosso della produzione si orienta ormai a favore del quaternione (56,5% del totale), tutta­ via il senione rimane ancora in uso soprattutto per determinate ti­ pologie di manoscritti. Notiamo infatti che nei teologici i senioni permangono la scelta favorita (62,5%) ed anche nelle raccolte di sermoni (57,7%); inoltre gli unici due codici di argomento filo so fico attestati nel campione per questo periodo presentano una fa sc icolazione in senioni. La parte restante della produzione invece si articola prevalen­ temente in quaternioni che raggiungono il 71 % del totale nei litur­ gici, il 59% nella letteratura sacra, il 77% nei codici contenenti statuti e testi analoghi, il 54% negli storici, il 66% nei vangeli g lo s­ sati. Una riflessione a parte merita la tipologia bibbie che, pur costi­ tuita da un effettivo assai ridotto,133 sembra mostrare un deciso cam ­ biamento di struttura fisica: infatti risulta in quaternioni quasi nel 90% dei casi. Il mutamento di scelte riguardo alla fascicolazione probabilmente riflette un ambiente di produzione diverso ed una funzionalità che non è più riferita al singolo, ma ad una comunità.134

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3.3.2. Francia Nella prima metà del XIII secolo la produzione manoscritta francese è ancora incentrata sul quaternione, anche se compare già qualche esempio di codice composto da senioni tra i teologici, i giuridici e le bibbie. A partire dalla seconda metà del secolo la produzione in se­ nioni raggiunge, come abbiamo già constatato, quasi i due quinti del totale: in particolare presentano una struttura in senioni i mano­ scritti teologici (71,4%), filosofici (76%) e circa la metà delle rac­ colte di sermoni. Anche i volumi di argomento giuridico vengono confezionati di preferenza in senioni, tuttavia non mancano esempi di allestimenti in quinioni e quaternioni. Il libro-bibbia in particolare è organizzato utilizzando strutture decisamente consistenti che comprendono fascicoli da sei, da otto, da dieci, ma soprattutto da dodici bifolii.135 Il quaternione invece è adottato di preferenza per i codici li­ turgici, di letteratura sacra, di medicina, classici, di storia, sebbene nelle prime quattro tipologie citate figurino anche altri tipi di fascicolazioni.136 Per la prima metà del X IV secolo non si dispone di un effetti­ vo consistente, ciononostante è possibile, a nostro avviso, esprime­ re qualche considerazione. I manoscritti di origine universitaria ri­ flettono la struttura già collaudata nel secolo precedente, infatti i teologici sono composti da senioni nel 75% dei casi. Nei codici di letteratura sacra vengono utilizzati in maniera paritaria quaternioni e senioni, mentre la produzione di codici giuridici sembra privile­ giare sempre i senioni. Con la seconda metà del secolo riprende l’uso dei quaternioni in più della metà della produzione: soprattutto per i codici liturgici questo tipo di costruzione del fascicolo diventa una costante (90% del totale).137 La letteratura sacra viene prodotta tanto in quaternio­ ni quanto in senioni come nel cinquantennio precedente: o vvia ­ mente una certa percentuale di manoscritti in senioni sopravvive in varie tipologie testuali, come per esempio nei classici, ma in misu­ ra più consistente solo nel codice giuridico, costituito da senioni nel 70% dei casi. D senione quindi sia in Francia sia in Inghilterra risulta preci­

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puamente legato al codice di stampo universitario dove permane a lungo anche quando mutano le strategie di fattura del libro a livello più generale. Altre tipologie di codici, come ad esempio i liturgici in Inghilterra, adottano il senione solamente per un lasso di tempo li­ mitato, che corrisponde pressappoco al periodo di massima diffusio­ ne, per poi ritornare alla struttura tradizionale, cioè al quaternione. 3.3.3. Italia Per la prima metà del XIII secolo l ’effettivo del nostro cam ­ pione non appare particolarmente rappresentativo, nondimeno, co­ me si è già sottolineato, si coglie con chiarezza il favore che la produzione manoscritta italiana accorda al quaternione. Dalla seconda metà del XIII secolo nelle varie tipologie in­ contriamo tanto i quaternioni e i quinioni quanto i senioni, i quali ultimi peraltro non risultano vincolati ad un genere determinato di codice, ad eccezione delle bibbie in cui la loro predominanza è a s­ soluta. Lo stesso discorso vale per i quaternioni i quali, a prescin­ dere dai codici liturgici in cui risultano essere la fascicolazione lar­ gamente prevalente, figurano in quasi tutte le tipologie testuali. I quinioni invece, per quanto minoritari nel nostro campione rispetto ai due tipi di fascicoli appena considerati, appaiono la soluzione preferita per l’allestimento dei codici giuridici, tanto da comparire in otto codici su dodici (66,6% del totale).138 Nella prima metà del X IV secolo il numero di occorrenze di codici in quaternioni, quinioni e senioni è quasi assimilabile; le tre tipologie di fascicolo si ripartiscono in modo sufficientemente in­ differenziato tra i vari generi testuali, ad eccezione dei codici di ar­ gomento giuridico che sono allestiti prevalentemente in quinioni (7 su 8), ed i pochi teologici, tutti composti da senioni. La seconda metà del secolo fa da sfondo alla piena afferm a­ zione del quinione; ancora una volta il codice giuridico in partico­ lare marcia di pari passo con questo tipo di fascicolazione: 18 v o ­ lumi su 22 (82% circa) presentano tale struttura. Nei codici di lette­ ratura profana, nei teologici e nei liturgici predomina il quinione, che ricopre, da questo momento in poi, un ruolo basilare nella pro­ duzione manoscritta sia in pergamena sia in carta. I quaternioni, utilizzati nella produzione di tutte le tipologie

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testuali, mantengono un profilo subalterno rispetta ai quinioni, ec­ cetto nel caso dei codici di letteratura classica in cui risultano mag­ giormente impiegati. Nei codici liturgici, nei giuridici, nella letteratura sacra e pro­ fana si trovano ancora volumi composti da senioni, anche se tale allestimento non risulta la soluzione preferita da nessuna tipologia in particolare. N ella produzione italiana quindi, dopo un periodo di sostan­ ziale equilibrio nell’utilizzazione dei vari tipi di fascicoli, il qui­ nione diviene la struttura prioritaria per tutte le tipologie testuali, a cominciare dai codici giuridici in cui fa la sua prima consistente apparizione. 3.3.4. Bibbie Nei primi secoli del medioevo fino a tutto il XII la bibbia ''h a rappresentato una personificazione della parola di Dio che funzio­ nava come simbolo dell’identità spirituale di un monastero, dell'uf­ ficio del vescovo o dei sacri doveri di un sovrano, assumendo quindi un significato pubblico che si rifletteva nelle sue caratteri­ stiche fisiche - imponente, multi-volume, illustrata - . Nel XIII se­ colo compare invece un nuovo tipo di bibbia - di formato piccolo, con il testo del Vecchio e del Nuovo Testamento in un unico volu­ me - che sottende ovviamente una diversa concezione della bibbia stessa, diventata ormai un libro di uso strettamente personale.'4' Questo non vuol dire che non si producessero più bibbie di grande formato, anzi proprio nel nord della Francia troviamo bibbie di grande formato in più volumi e bibbie sempre di grande formato, ma in un unico volume, in Italia. Tra tutti i tipi di bibbie prodotte nel XIII secolo, le cosiddette pocket B ibles o bibbie tascabili 141 so­ no senz’altro la creazione più originale, soprattutto perché sono la manifestazione di un cambiamento nella concezione della bibbia stessa che da oggetto simbolico carico di significati extra-testuali diventa oggetto d’uso personale, libro funzionale alla lettura e al reperimento dei passi. Le prime bibbie di questo tipo sembra siano comparse contemporaneamente in Francia ed in Inghilterra verso il 1230 per poi diffondersi, pochi anni dopo, in Italia e Spagna.142 Le ipotesi sulla nascita delle bibbie tascabili, e soprattutto sui proba-

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bili utilizzatori, toccano sia le università, in quanto il piccolo for­ mato sembra rispondere all’esigenza di allievi e professori di p o s­ sedere un testo facilmente trasportabile, sia gli ordini mendicanti, anch’essi obbligati ad avere un sussidio di facile consultazione e trasporto.'43 Non è questa la sede per trattare un problema di tale portata che coinvolge non solo la materialità fisica del libro-bibbia in sé, ma soprattutto la concezione ad esso sottesa. Ciò che si vuole qui sottolineare è quanto la trasformazione di una rappresentazione in­ tellettuale —in questo caso della bibbia —porti come conseguenza cambiamenti materiali nel veicolo stesso di questa rappresentazio­ ne, ovvero l’oggetto libro. Il prodotto più diretto di questa nuova concezione - se vogliamo prescindere dalla novità della presenta­ zione del testo sacro in un unico volume, che tocca in pari m isura i grandi e i piccoli formati - è sicuramente la bibbia tascabile. Quali siano le caratteristiche materiali di questo prodotto è noto a tutti: un unico volume con un consistente numero di carte, costituito da pergamena finissim a strutturata in fascicoli particolarmente corpo­ si, vergati di solito in una textualis di modulo molto ridotto, con un apparato decorativo che varia da volume a volume, ma che può e s­ sere anche estremamente curato. Questa descrizione - ovviamente non esaustiva - ha so la­ mente la pretesa di richiamare alla memoria la rappresentazione deH’immagine che di solito si associa al concetto di pocket B ible. Tale tipologia annovera nel nostro corpus ben 54 esem plari144 pro­ venienti da diversi paesi (cfr. tabella 30), che presentano tutti fa sc icolazioni abbastanza consistenti: — — — — — —

5 6 8 10 11 12

bifolii bifolii bifolii bifolii bifolii bifolii

1 15 11 9 1 17

(1,8%) (27,8%) (20,4%) (16,7%) (1,9%) (31,4%).

La nuova finalità della bibbia ha portato con sé la necessità di concepirla anche materialmente in modo diverso: contenere sia il Vecchio sia il Nuovo Testamento in un unico volume di piccolo formato richiede una serie di scelte ben precise che riguardano

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tanto la mise en texte e mise en pa ge quanto il supporto che le ospita. La pergamena infatti deve essere particolarmente sottile proprio per consentire la possibilità di racchiudere l’intero testo bi­ blico in un solo elemento. Probabilmente, proprio la sottigliezza della pergamena si pre­ senta come una delle ragioni tecniche che hanno consentito la na­ scita di questo nuovo tipo di bibbia 146 e allo stesso tempo potrebbe essere la causa che ha spinto alla scelta di costruire fascicoli parti­ colarmente corposi, in grado quindi di assicurare una certa resi­ stenza nel tempo. Non dimentichiamo che, pure per la carta sono state avanzate ipotesi similari: i fascicoli più corposi potrebbero essere collegati a materiali considerati meno robusti, vuoi la carta vuoi la pergamena resa particolarmente sottile. Ovviamente anche le bibbie di formato maggiore adottano fa­ scicolazioni consistenti (cfr. la tabella 31 in cui compaiono tutte le bibbie del XIII secolo presenti nel nostro campione): infatti la bib­ bia in un unico volume richiede comunque - sebbene di formato medio o grande - scelte di costruzione della pagina e di organizza­ zione del relativo supporto ben precise. Il numero di bibbie del XTV secolo reperibili nel nostro corpus è decisamente esiguo, ciononostante si può agevolmente constatare come il quaternione tomi ad essere il tipo di struttura predominan­ te:147 evidentemente cambiando ancora una volta la concezione del prodotto bibbia, mutano di conseguenza anche le scelte di fabbri­ cazione ad esso legate. 3.4. Fascicolazione e impaginazione In ambito latino è ormai noto che esiste una correlazione tra la taglia dei m anoscritti148 e la loro proporzione,149 nel senso che. con il trascorrere dei secoli, si assiste ad un tentativo di razionalizzare la produzione dei codici in modo da ottenere volumi di proporzione grosso modo costante, indipendentemente dal numero di piegature a cui la pelle è sottoposta.150 La stessa disposizione del testo risulta legata alla taglia, in quanto rimpaginazione su di una sola colonna è più frequente - ciò vale per tutte le epoche - nei manoscritti “piccoli” , mentre quella su due colonne nei manoscritti “grandi" Probabilmente la correlazione che esiste tra la taglia dei codici e la

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disposizione del testo adombrala relazione che unisce quest’ultim a alle dimensioni dello specchio di scrittura e quindi alle dimensioni stesse dei fogli.152 La proporzione della pagina è dunque correlata alla d isp o si­ zione del testo su una o due colonne,153 e la scelta dell’una o del­ l ’altra soluzione sembra dipendere dalle dimensioni dello specchio di scrittura e dall’unità di rigatura;154 in particolare l’adozione dell’impaginazione a due colonne è tanto più precoce quanto più l’unità di rigatura è ridotta. A parità di unità di rigatura avrà invece un certa influenza nell’accelerare il passaggio da una mise en p a ge all’altra il tipo di scrittura. Ovviamente anche la leggibilità riveste un ruolo fondamentale a questo proposito: la disposizione del testo su due colonne consente infatti di conservarne la piena fruibilità senza sacrificare il rendimento complessivo della pagina.155 In questa sede non ci preoccuperemo del motivo per cui si è ricorsi ad una certa impaginazione piuttosto che ad un’altra, m a di scoprire se esiste un legame tra la disposizione del testo e la fa sc icolazione, ovvero se un certo tipo di fascicolo risulta più utilizzato per la piena pagina o per le due colonne. Anche per questa verifica prenderemo in esame il X III e il X IV secolo - le ragioni di questa scelta le abbiamo già esposte a proposito delle tipologie testuali - , sempre in riferimento alla pro­ duzione di Inghilterra, Francia e Italia.156 Premettiamo subito che i dati relativi al XIII e X IV secolo vanno confrontati con una certa cautela, perché si riferiscono ad effettivi di consistenza non uguale e, soprattutto, a tipologie testuali differenti o almeno presenti in percentuali diverse.157 3.4.1. Inghilterra Già nella prima metà del XIII secolo, per quanto l’effettivo dei codici in senioni non sia elevato, appare evidente il legame tra questo tipo di fascicolo e la disposizione del testo a due colonne, tanto che circa il 32% dei codici in questione presenta fascico li da sei bifolii. L ’arrangiamento in quaternioni è invece la soluzione preferita per i manoscritti a piena pagina (70,4% del totale), dove la percentuale di senioni è assai bassa. Il quinione sembra adottato sia per rimpaginazione ad una sia a due colonne, sebbene in que-

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st’ultima in percentuale maggiore (cfr. tabella 32). Nella seconda metà del X III secolo l’uso del senione è estremamente generalizzato, tuttavia si nota una qualche differenza a favore delle due colonne (65%) rispetto alla piena pagina (59,1%). È opportuno qui ricordare che rim paginazione a due colonne, sebbene sia stata in uso in tutte le epoche e fin dall’X I secolo abbia assunto una funzione sempre più preponderante, viene adottata come scelta tecnica privilegiata proprio a partire dal XIII secolo.1581 codici a piena pagina, anche se in numero ben inferiore a quelli a due colonne e, comunque, co­ struiti prevalentemente in senioni, sono composti per un 27,3% dell’effettivo da quaternioni. L ’associazione due colonne-senioni risalta maggiormente nella prima metà del secolo, mentre il legame tra la piena pagina ed i quaternioni sembra piuttosto solido anche nel X III.2, quando l’uso dei senioni è ormai generalizzato (cfr. gra­ fici 12 e 13). Un’ultima osservazione riguarda le fascicolazioni più corpose (fascicoli da otto, da dieci, da dodici bifolii), che si trovano sempre collegate alla disposizione del testo su due colonne (cfr. ta­ bella 32 e graficol3).159 Nel corso della prima metà del X IV secolo, mentre la disposi­ zione del testo a piena pagina pare potersi associare tanto ai qua­ ternioni quanto ai senioni, lo stretto legame esistente tra impagina­ zione a due colonne e fascicolazione in senioni (84%) emerge an­ cora una vo lta con estrema chiarezza (cfr. tabella 33 e grafico 14). Il meccanismo che presiede a quest’ultimo tipo di associazione non è facilmente individuabile, certo risulta palese che per i manoscritti a piena pagina - sebbene non si possa negare una preferenza per il quaternione - la scelta della struttura della fascicolazione sia più libera. A partire dalla seconda metà del X IV secolo sappiamo già che avvien e un mutamento nelle tecniche di costruzione del mano­ scritto che comporta una rinnovata attenzione per il quaternione, nondimeno pare sempre potersi evidenziare - in modo sicuramente meno m arcato che nei periodi precedenti - una certa tendenza ad associare il quaternione alla piena pagina e il senione alle due co­ lonne (cfr. tabella 33 e grafico 15).

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3.4.2. Francia Nella prima metà del XIII secolo la produzione m anoscritta francese è ancora prevalentemente strutturata in quaternioni, che pre­ sentano tanto una disposizione del testo a piena pagina, quanto a due colonne. Non si può comunque non constatare che quasi tutti i codici confezionati in senioni ed anche i pochi con fascicolazioni p iù consi­ stenti figurano neH’ambito dell’impaginazione a due colonne. A partire dalla seconda metà del XIII secolo la disposizione del testo su due colonne diventa la norma ed è associata a tipologie di fascico lazione estremamente consistenti, da sei, da otto, da dieci, da dodici bifolii, sebbene non manchi una parte di produzione in quaternioni (22% circa). L ’impostazione della pagina su una sola colonna preve­ de quasi sempre i quaternioni (71,4%), salvo alcuni casi di senioni ed altri tipi di fascicolo (cfr. tabella 34 e grafici 16 e 17). L ’effettivo di codici prodotti nella prima metà del X I V secolo compresi nel nostro campione non è particolarmente cospicuo ed è composto in gran parte di codici con impaginazione a due colonne (31 occorrenze su 38), i quali presentano nella maggior parte dei casi una struttura in senioni, anche se compaiono esem pi di alle­ stimenti in quaternioni e in quinioni (cfr. tabella 35 e grafico 18). Dalla seconda metà del XIV secolo il senione è utilizzato in misura inferiore al quaternione che tende a diffondersi anche n ell’im pagi­ nazione a due colonne; nonostante ciò le tipologie di a sso c ia zio ­ ne - disposizione del testo a piena pagina-quaternioni, d isp o sizio ­ ne del testo a due colonne-senioni - , già verificate in precedenza, continuano ad essere rispettate 160 (cfr. tabella 35 e grafico 19). 3.4.3. Italia Dalla seconda metà del XIII secolo 161 in poi anche la produ­ zione manoscritta italiana riflette un orientamento che p rivilegia rimpaginazione a due colonne anziché ad una. Per quel che ri­ guarda la fascicolazione i codici con disposizione del testo a piena pagina vengono strutturati soprattutto in quaternioni, mentre quelli a due colonne preferibilmente in senioni. Un discorso a parte me­ rita il quinione che si trova utilizzato tanto nei codici con im pagi­ nazione su una quanto su due colonne, benché in quest’ultim a ap-

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paia in percentuali decisamente più elevate (cfr. tabella 36 e grafi­ co 20). L’effettivo dei codici a piena pagina appartenenti alla prima metà del XIV secolo non è rappresentativo, in quanto tale presen­ tazione del testo è assolutamente penalizzata rispetto al rim pagina­ zione a due colonne. Una tipologia di fascicolazione in quinioni o senioni sembra meglio adattarsi - agli occhi degli artigiani del libro e, forse, dei suoi fruitori - alla disposizione del testo a due colonne, anche se il quaternione, pur meno utilizzato, mantiene una fascia d’uso pari al 20,7% della produzione (cfr. tabella 37 e grafico 21). Nella seconda metà del X IV secolo non esiste più una marcata di­ varicazione tra l’effettivo dei codici a piena pagina e quelli a due colonne, tanto che le due possibilità appaiono ugualmente sfruttate, sebbene la disposizione a due colonne sia ancora prioritaria. Sia i quaternioni sia i senioni vengano impiegati tanto per rimpaginazio­ ne singola quanto doppia, ma è evidente che il quinione sta diven­ tando l’opzione tecnica favorita per tutta la produzione manoscritta, sebbene, per il momento, appaia maggiormente usato nell’alle­ stimento dei codici a due colonne (cfr. tabella 37 e grafico 22). 3.5. Fascicolazione e taglia È stato dimostrato che esiste un legame fra la taglia dei mano­ scritti e la disposizione del testo 152 - perlomeno fino al X IV seco­ lo 163- ed abbiamo già verificato che alcune tipologie testuali si ac­ compagnano di preferenza a certi tipi di fascicoli, mentre una data impaginazione si associa più frequentemente ad una determinata fascicolazione piuttosto che ad un’altra. Non è facile a questo punto tentare di trovare il bandolo della matassa che “ avvolge” la correlazione tra tipologia testuale, taglia e impaginazione e, per di più, associarvi la fascicolazione. Al fine di valutare se e quale legame intercorra fra la taglia e la fascicolazione ovvero se la seconda subisca modificazioni in funzione della prima, occorrerebbe poter “ neutralizzare” tutti gli altri parametri, quali l ’arco temporale, il paese d’origine, la tipolo­ gia testuale, rimpaginazione, che, come abbiamo constatato, eser­ citano un effetto sulla fascicolazione. Per intenderci, se volessimo sapere quanto influisce la taglia

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sulla fascicolazione dovremmo essere in grado - per un dato periodo - di isolare un campione di codici prodotti in un solo paese, apparte­ nenti ad un’unica tipologia testuale e con la medesima disposizione del testo. Pur essendo il nostro campione complessivamente piutto­ sto consistente, nel momento in cui lo si va a suddividere allo scopo di mantenere costanti tutte le variabili appena elencate, l’effettivo si riduce al punto tale che è molto difficile trame qualche conclusione. Senza contare che, probabilmente, le differenze più cospicue do­ vrebbero emergere tra i manoscritti grandi e i piccoli ,164 i quali ri­ sultano sempre difficilmente paragonabili, in quanto, scegliendo una determinata tipologia testuale in un certo periodo e per un dato pae­ se, ad esempio codici teologici del XIII secolo in Inghilterra 165 e in Francia, ci si trova di fronte ad una taglia più o meno standard.166 3.6. Conclusioni Con questa ricerca ci siamo proposti di studiare un aspetto particolare del codice, la fascicolazione, ovvero l’arrangiamento che assume il supporto, pergamena o carta che sia, per ricevere il testo. Tale parametro, per quanto possa apparire marginale rispetto al codice nel suo complesso e al testo che questo veicola, in realtà è intimamente legato alla concezione stessa del manufatto - codice universitario, bibbia tascabile o quaderno d’appunti che sia - come insieme di elementi che concorrono alla creazione di un determi­ nato tipo di oggetto-libro, concepito per un uso precipuo in quanto portatore di un dato messaggio. Lo scopo della ricerca è quindi di fornire un quadro dell’arti­ colarsi della fascicolazione nel basso medioevo - le m otivazioni che ci hanno indotto alla delimitazione di questo ambito cronolo­ gico sono state già espresse precedentemente - prendendone in esame i mutamenti che portano a privilegiare ora un tipo di fa sc i­ colo ora un altro a seconda delle epoche e dei contesti - geografi­ ci o culturali o entrambi - in cui ci si muove. A ll’interno di que­ sto scenario si è cercato di enucleare quali parametri possano e s­ sere più direttamente correiabili alla fascicolazione e in che m isu­ ra, ovviamente puntando l’attenzione su periodi cronologici di­ versi in quanto individuati di volta in volta in relazione alle v a ­ riabili da studiare.

La fascicolazione del manoscritto nel basso medioevo

83

La panoramica dell’evoluzione della fascicolazione è ampia e articolata per cui ripercorrerla a brevi tratti non è un compito faci­ le; riteniamo quindi che, volendo esprimere qualche considerazio­ ne, sia più utile soffermarci soltanto sugli aspetti principali o per­ lomeno più caratterizzanti. Le tecniche di manifattura del libro, in particolare riguardo al fattore che ci interessa, permangono sostanzialmente invariate fino al termine del XII secolo, infatti è con il XIII che si assiste ad un mutamento di scelte di fabbricazione, provocato dal sorgere di nuove esigenze legate alla fruibilità di determinati testi e quindi al­ l’uso a cui è destinato il codice. Il primo paese in cui si constatano i sintomi di questo cambiamento è l ’Inghilterra, dove fin dalla pri­ ma metà del secolo cominciano a comparire codici confezionati in senioni, anche se la vera e propria affermazione di questo tipo di fascicolo si avrà dal 1250 in poi. In Francia il processo di adozione del senione comincia qualche decennio dopo rispetto all’Inghilter­ ra, infatti nel periodo in cui il senione conosce la massima diffu­ sione nella produzione francese, nella coeva inglese comincia già la sua parabola discendente. Nella seconda metà del X IV secolo in entrambi i paesi si verifica un’inversione di tendenza che comporta un ritorno al quaternione, una scelta che troverà la sua piena realiz­ zazione nel corso del X V secolo. Nella seconda metà del XIII secolo la produzione italiana non manifesta ancora un orientamento marcato nei confronti di una certa tipologia di fascicolazione, anche se dobbiamo riconoscere che il senione gioca un ruolo non indifferente, e parimenti il qui­ nione, il quale risulta molto più rappresentato in Italia che non al­ trove. A partire dal secolo seguente l ’uso del quinione si diffonde sempre di più fino a prevalere su ogni altro tipo di allestimento, tanto è vero che, mentre nel resto d’Europa - ad esclusione della Germania - si assiste dal X IV secolo in poi alla rinascita della fa­ scicolazione in quaternioni, in Italia la produzione manoscritta permarrà strutturata essenzialmente in quinioni fino alle soglie della stampa. Nel nostro campione l’effettivo di codici prodotti in area tede­ sca nel XIII e X IV secolo è piuttosto esiguo e non consente di enu­ cleare una linea di tendenza; mentre per il X V secolo si registra un grande exploit del senione che diventa il tipo di fascicolo mag­

84

P. B u so n e ro

giormente utilizzato in Germania proprio nel periodo in cui il suo uso decade nella produzione inglese e francese. Tornando un passo indietro, e cioè all’affermazione e diffu­ sione della fascicolazione in senioni nel XIII secolo, è opportuno ricordare lo stretto legame esistente tra fascicolazione e tipologia testuale. A prescindere da tutte le ipotesi, tecniche e non, formulate a proposito delle ragioni che hanno portato a questo cambiamento di struttura del codice, il senione - che al momento della comparsa in Inghilterra non sembra vincolato ad un determinato genere di libro - risulta indissolubilmente legato al codice universitario in­ glese e francese.167 Nel periodo di massima diffusione (1250-1350 circa) tale fascicolo si trova impiegato, benché in misura diversa, per quasi tutte le tipologie testuali, ma è nell’ambiente universitario e più precipuamente nel codice teologico che continua a tenere campo anche quando il quaternione toma ad essere l’opzione pre­ ferita. Una riflessione particolare merita il codice giuridico, princi­ palmente per ciò che concerne l’Italia. Infatti, già nella seconda metà del XIII secolo, quando ancora il quinione viene utilizzato in modo ridotto rispetto agli altri fascicoli, il grosso della produzione giuridica risulta allestito in quinioni: si potrebbe quindi supporre che l’esordio del fascicolo con cinque bifolii sia legato proprio al manoscritto giuridico, il quale conserverà questa struttura anche nei secoli successivi. Che vi sia un qualche rapporto tra la fascicolazione e determi­ nate tipologie testuali appare innegabile, anzi nel caso delle p o ck et Bibles del XIII secolo potremmo dire che sussiste un profondo le­ game tra la funzione di un certo tipo di libro e la sua realizzazione materiale, tanto che al cambiamento della concezione della bibbia, diventata funzionale al singolo, corrisponde una modifica dell’ar­ chitettura del libro stesso. Un altro parametro che abbiamo m esso in relazione con la fa ­ scicolazione, sempre nel periodo che abbraccia il XIII e X IV se­ colo, è la disposizione del testo. Come questa sia collegata ad altre variabili tra cui la taglia, l’abbiamo ricordato in precedenza; in questa sede tenteremo di formulare qualche considerazione di ca­ rattere generale premettendo che le osservazioni proposte vanno sempre comunque confrontate con la realtà di ogni singolo paese in

La fascicolazione del manoscritto nel basso medioevo

85

cui il fenomeno può aver assunto sfaccettature diverse. La relazio­ ne che qui ci interessa evidenziare è la seguente: i senioni vengono comunemente adoperati per codici con disposizione del testo su due colonne, mentre i quaternioni sono preferibilmente associati a codici a piena pagina. Persino in Inghilterra, nella seconda metà del XIII secolo, quando l ’utilizzazione dei senioni è un fatto generaliz­ zato tanto per i manoscritti con impaginazione su una che su due colonne, neH’ambito dei secondi la percentuale di fascicoli da sci bifolii è comunque più elevata. A l contrario, nel momento in cui le tecniche di manifattura del libro si orientano di nuovo verso il quaternione - nella seconda metà del X IV secolo - , una qualche tendenza ad associare preferibilmente quest’ultimo alla piena pagi­ na ed il senione alle due colonne continua a perdurare. Anche nella produzione francese, soprattutto dalla seconda metà del XIII secolo in poi, i codici con disposizione del testo su due colonne presenta­ no di norma fascicolazioni consistenti, cioè dal senione in su, mentre i manoscritti a piena pagina appaiono composti essenzial­ mente da quaternioni. Nella prima metà del X IV secolo il tipo di codice più diffuso ha un’impaginazione a due colonne e una fascicolazione in senioni, a partire invece dalla seconda metà del secolo toma in auge il quaternione che si accompagna ad entrambi i tipi d’impaginazione, anche se l’associazione piena pagina-quaternioni e due colonne-senioni presenta sempre una certa rilevanza. L ’Italia offre un panorama differenziato rispetto agli altri paesi: infatti, pur rimanendo valida l’opzione di fondo appena ricordata, non bisogna sottovalutare il molo del quinione che, fin dalla prima metà del X IV secolo, risulta impiegato in un numero di codici non indifferente soprattutto con impaginazione a due colonne. Peraltro dalla seconda metà del secolo in poi si riscontra una situazione af­ fatto particolare: la percentuale di codici a piena pagina in quater­ nioni non si discosta molto da quella dei codici a due colonne e lo stesso discorso vale anche per il senione che si trova adoperato tanto per i codici con impaginazione a due che ad una colonna. E il qui­ nione invece che, sebbene sia largamente impiegato in entrambi i ca­ si, appare maggiormente utilizzato nei codici a due colonne. Tra le variabili che abbiamo m esso in relazione alla fascicola­ zione il supporto è quella la cui dém arche presenta caratteri ine­ quivocabili, tanto è vero che già dal X IV secolo emerge una chiara

86

P. B u so n e ro

dicotomia tra produzione in pergamena e produzione in carta: la prima si incentra sul quaternione - a prescindere dall’Italia in cui il quinione risulta vincente anche per questo tipo di supporto - , men­ tre la seconda preferisce il senione e il quinione o, comunque, fascicolazioni sufficientemente consistenti. Per il X V secolo abbiamo esaminato la produzione di ogni singolo paese in quanto, pur rima­ nendo ferme le linee di tendenza appena esposte, le scelte non sono uniformi. In Inghilterra il quaternione è utilizzato sia per la produ­ zione in pergamena sia per quella in carta, ma è proprio nell’ambi­ to di quest’ultima che sopravvive il senione, soprattutto nella se­ conda metà del secolo. La produzione francese offre a sua volta un quadro molto ben delineato, in quanto i codici in pergamena sono in gran parte strutturati in quaternioni, mentre quelli in carta si orientano decisamente sui senioni o comunque su fascicolazioni di una certa consistenza. Riguardo all’Italia non possiamo che ribadi­ re quanto già affermato: il quinione copre largamente tutta la pro­ duzione manoscritta, vuoi in pergamena vuoi in carta, con la di­ stinzione che, nel primo caso, si accompagna ai quaternioni, men­ tre nel secondo - in virtù probabilmente dell’“ effetto carta” , del quale abbiamo già discusso - è affiancato da una buona percen­ tuale di senioni. Anche dall’esame della produzione dei paesi di area germanica emerge con estrema chiarezza l’associazione per­ gamena-quaternioni e carta-senioni: il grosso della produzione te­ desca del X V secolo è cartacea e quindi strutturata essenzialmente in senioni, tuttavia, non appena si considera la produzione mem­ branacea, compaiono di nuovo i quaternioni come opzione favorita. Nell’ambito della produzione cartacea, inoltre, abbiamo ve rifi­ cato quale legame sussista tra formato e tipo di fascicolazione.168 Osservando la situazione europea in generale si constata che il se­ nione si trova ugualmente distribuito sia nei piccoli sia nei grandi formati, il quaternione invece è presente nei primi, mentre risulta quasi assente nei secondi. Il quinione a sua volta, sebbene sia atte­ stato tanto nei piccoli quanto nei grandi formati, appare più utiliz­ zato per questi ultimi. Se si esamina la situazione di ciascun pae­ se,169 si notano ovviamente dei comportamenti peculiari. In Francia il senione viene adoperato nei piccoli e nei grandi formati senza particolari differenze, mentre il quinione compare essenzialmente negli in fo lio e grandi in folio. Per i quaternioni si verifica esatta-

La fascicolazione del manoscritto nel basso medioevo

87

mente la situazione opposta: vengono impiegati nella fabbricazione di piccoli formati, ma raramente per i grandi. Abbiamo già ricor­ dato la spiegazione proposta per questo comportamento: la scelta di utilizzare fascicolazioni pari per gli in quarto può essere legata a fattori ergonomici, dal momento che costruire formati piccoli in quinioni comporta un dispendio maggiore di energie. Tali necessità di economizzare e razionalizzare il processo produttivo non sembrano avere una particolare presa sul territorio italiano: pur riscontrando una percentuale più elevata di quinioni nei grandi formati, dobbiamo constatare che circa la metà della produzione dei piccoli formati è imperniata su fascicoli di dieci fo­ gli. I senioni sono utilizzati in maniera quasi paritaria per entrambi i formati, mentre i quaternioni ancora una volta compaiono preva­ lentemente negli in octavo e in quarto. Si noti che in Italia, consi­ derando separatamente codici in fo lio e grandi in folio, per la fab­ bricazione dei primi, pur svolgendo il quinione un ruolo preponde­ rante, vengono adoperati anche altri tipi di fascicoli, mentre per i secondi la percentuale di quinioni supera l’80% e di questi la mag­ gior parte sono manoscritti giuridici. L ’area germanica non presenta invece quasi alcuna divarica­ zione tra le scelte che riguardano la fabbricazione dei piccoli e dei grandi formati: il senione predomina largamente, la percentuale di quaternioni è minima in entrambi i gruppi ed anche i quinioni si attestano su quote più o meno della stessa entità sia per i piccoli sia per i grandi formati. Dal quadro finora tracciato risulta evidente una correlazione tra fascicolazione e tipo di supporto, pergamena o carta che sia, mentre nell’ambito della seconda anche il formato sembra esercita­ re una certa influenza sulle scelte di fabbricazione, che tengono sempre conto degli usi locali. Dopo questo breve excursus, certamente non esaustivo, che ha il solo scopo di rammentare le problematiche affrontate, ponendole le une accanto alle altre come molteplici aspetti di un unico oggetto nel suo divenire, non ci rimane che concludere questo lavoro la­ sciando ancora molti interrogativi aperti, ma con la speranza di avere, almeno parzialmente, contribuito a chiarire lo sviluppo sto­ rico di un’importante componente costitutiva del manoscritto, of­ frendo uno spunto ad ulteriori ricerche.

Tabelle

EVOLUZIONE DELLA FASCICOLAZIONE

TABELLA 1 S e c o l o X II.2

paesi

e

fase. magg.

f

%

Ili

0

%

0

2

1,4 97,2

9,3

2

1,4

1

1,9

0

0

0

95 88,8

V

10

VI

2

107 100

pb

%

144

IV

totale

I

0

%

0

%

%

0

0

0

0

2

0,6

3

100

60

100

316

94,9

6,7

0

0

0

0

13

3,9

0

0

0

0

0

2

0,6

15 100

3

100

60

100

14 93,3

148 100

totale

pg

333 100

TABELLA 2 Inghilterra

fase. mag.

1

%

-

s e c . XIII

2

%

totale

%

-1

0

0

III

0

0

1

0,4

IV

38

56,7

22

14

60

26,7

V

15

22,4

13

8,2

28

12,5

VI

14

20,9

101

115

51,1

Vili

0

0

12

7,6

12

5,3

X

0

0

4

2,5

4

1,8

XII

0

0

4

2,5

4

1,8

67

100

158

totale

1 1

0,6 0,6

64

100

1

225

0,4

100

89

La fascicolazione del manoscritto nel basso medioevo TABELLA 3 Inghilterra - sec. XIV fase. magg.

1

%

2

%

-1

1

1,5

2

III

0

0

IV

24

V VI Vili totale

totale

%

1,3

3

1.4

2

1,3

2

0.9

36,4

87

56,5

111

50.4

2

3

6

3,9

8

3.6

39

59,1

56

36,4

95

43.2

0

0

1

66

100

154

1

0,6 100

220

0.5 100

TABELLA 4 Inghilterra - sec. X V fase. magg.

1

2

%

%

totale

%

-1

0

0

2

0,9

2

0.5

III

1

0,7

0

0

1

0.3

IV

113

74,8

151

69,9

264

71.9

V

4

2,6

10

4,6

14

3.8

VI

28

18,6

35

16,2

63

17.2

VII

0

0

4

1,9

4

1.1

Vili

3

2

8

3,7

11

3

X

0

0

3

1,4

3

0.8

XII

2

1,3

3

1,4

5

1.4 1

367

100 |

totale

151

100

216

100

90

P. B u so n e ro

TABELLA 5 F ra n cia - s e c . XIII

fase. magg.

1

%

2

totale

%

%

IV

44

75,9

49

31,6

93

43,7

V

2

3,4

9

5,8

11

5,1

VI

9

15,5

60

38,7

69

32,4

Vili

2

3,5

14

9

16

7,5

X

1

1,7

6

3,9

7

3,3

XI

0

0

1

0,7

1

0,5

XII

0

0

16

10,3

16

7,5

58

100

155

totale

100

213

100

TABELLA 6 F ra n cia - s e c . X I V

fase. magg.

1

IV

2

% 10

26,3

% 41

totale

54,7

%

51

45,1

V

5

13,2

3

4

8

7,1

VI

23

60,5

30

40

53

46,9

XII

0

0

1

1

0,9

38

100

75

totale

1,3 100

113

100

TABELLA 7 F ra n cia - s e c . X V

fase. magg.

1

%

2

-1

0

0

IV

52

74,3

%

totale

%

3

1,6

3

1,1

134

70,1

186

71,3

V

0

0

7

3,7

7

2,7

VI

14

20

41

21,5

55

21,1

VII

1

1,4

1

0,5

2

0,8

Vili

2

2,9

4

2,1

6

2,3

X totale

1 70

1,4 100

1 191

0,5 100

2 261

0,7 100

91

Lafascicolazione del manoscritto nel basso medioevo TABELLA 8 I t a l i a - s e c . XIII

%

2

fase. magg. Ili

1

1,6

IV

21

34,5

V

13

21,3

VI

25

41 1,6

1

Vili

61

totale

100

TABELLA 9 Italia - s e c . X I V

fase. magg. Il III IV V

1

2,8

0

0

10

27,8

12

33,3

1

0,8 28,7

47

28,5

60

46,5

72

43,7

19,4

37

22,4

0

1

0,6

1,5

2

1,2 0,6

25

VII

1

2,8

0

IX X totale

0 0 36

0 0 100

1.2 0,6

1

33,3 0

2

37

12 0

0,8

1

VI Vili

%

totale

%

2

%

1

2 1

0,8

1

2

1,5

2

129

100

165

1,2 100

92

P. Busonero

TABELLA 10 Italia - se c . X V fase. magg.

1

%

2

0

III

1

1

IV

25

17

64

V

94

63,9

327

15

0

5

0,8

0,2

2

0,3

14,1

89

14,8

72,2

421

70,2 10,5

1,1

5

0,7

%

totale

%

-1

VI

22

41

9,1

63

VII

1

0,7

2

0,5

3

0,5

Vili

4

2,7

11

2,4

15

2,5

X

0

0

1

0,2

1

0,2

XII

0

0

1

0,2

1

0,2

147

100

453

totale

100

600

100

TABELLA 11 Germania - se c . X V fase. magg. IV

1

% 6

2 9,1

totale

% 34

14,4

%

40

13,2

V

10

15,2

31

13,2

41

13,6

VI

47

71,2

170

72

217

71,9

Vili

2

3

0

0

2

0,7

IX

1

1,5

0

0

1

0,3

XII

0

0

1

0,4

1

0,3

66

100

236

totale

100

302

100

93

La fascicolazione del manoscritto nel basso medioevo TABELLA 12 Paesi Bassi - se c . X V fase. magg. -1 III IV V

0 0

0 0

1 2

0.8

1,1

1

2,1

2

1,6

78

63,4

17

60,7

61

64,2

3

10,7

8

8,4

11

9

29

23,6

2

1.6

VI

8

28,6

21

22,1

Vili

0

0

2

2,1

28

100

95

totale

%

totale

%

2

%

1

100

123

100

94

P. Busonero

SUPPORTO

TABELLA 13 Pergamena - sec. XIV fase. magg.

1

%

2

%

totale

I%

-1

1

0,6

1

II

1

0,6

1

0,3

2

III

0,4

0

0

2

0,6

2

0,4

0,3

2

0,4

IV

54

30,2

179

50,1

V

233

43,5

22

12,3

65

18,2

87

VI

16,2

99

55,3

105

29,4

VII

204

1

0,5

0

0

1

Vili

0,2

1

0,5

3

0,8

4

0,7

0,3

1

XII totale

0

0

1

179

100

357

100

536

38

0,2 100

TABELLA 14 C a r ta -s e c . XIV fase. magg.

2

%

-1

2

III

1

1,8

IV

5

8,9

3,6

V

18

32,1

VI

26

46,4

IX

1

1,8

X totale

3 56

5,4 100

-

La fascicolazione del manoscritto nel basso medioevo

95

TABELLA 15 Pergamena - se c . X V fase. magg.

1

%

2

%

Ili

1

0,3

2

IV

207

68,1

V

55

VI

totale

%

0,3

3

0,3

412

58,3

619

61,2

18,1

238

33,7

293

29

40

13,2

52

7,3

92

9,1

VII

0

0

1

0,1

1

0,1

Vili

1

0,3

2

0,3

3

totale

304

100

707

100

1011

0,3 100

TABELLA 16 Carta - sec. X V fase. magg. -1

1

% 0

totale

%

2 0

11

%

2,3

11

1,6

2

0,3

III

1

0,6

1

0,2

IV

13

7,1

34

6,9

47

V

67

37,2

159

32,3

226

33,6

VI

87

48,3

258

52,4

345

51,4

VII

1

0,6

4

0,8

5

0,8 3,9 0.7

Vili

9

5

17

3,5

26

X

1

0,6

4

0,8

5

XII

1

0,6

4

0,8

5

totale

180

100

492

100

672

7

0,7 100

96

P. Busonero

TABELLA 17 Carta/pergamena e misti - sec. X V 1 fase. magg.

2

cp

%

mi

%

tot.

0

1

IV

1 12,5

0

V

2

25

1 12,5

25

5 62,5

% 6,2

cp

%

mi

%

%

1

4

5 12,2

6 10,5

3 18,8

5 31,3

2

8

7 17,1

10 17,5

7 43,8

3 18,7

15

60

18 43,9

25 43,9

VI

2

1 12,5

0

0

1

6,2

1

6,3

1

4

Vili

1 12,5

0

0

1

6,2

3 18,7

4

16

IX

1 12,5

1 12,5

2 12,6

0

0

0

X

0

0

0

0

0

0

0

1

XII

0

0

1 12,5

1

6,2

0

0

1

4

totale

8 100

8 100

tot. XV

%

4 25

VII

0

tot.

16 100

16 100

2

4,9

3

5,3

7 17,1

8

14

0

0

0

2

3,5

4

1

2,4

1

1,8

1

2,4

2

3,5

25 100

41 100

57 100

totale

%

TABELLA 18 Inghilterra. Pergam ena - se c . X V fase. magg.

1

%

2

%

Ili

1

0,7

0

1

0,3

IV

107

78,1

141

82,4

248

80,5

0

V

3

2,2

9

5,3

12

3,9

VI

25

18,3

19

11,1

44

14,3

VII

0

0

1

0,6

1

0,3

Vili

1

0,7

1

totale

137

100

171

0,6 100

2 308

0,7 100

97

La fascicolazione del manoscritto nel basso medioevo TABELLA 19 Inghilterra. Carta - se c . X V fase. magg.

1

2

%

%

totale

% 2

0

0

-1

6,1

2

4.8

IV

5

55,6

8

24,2

13

30,9

VI

1

11,1

12

36,3

13

30,9

6,1

2

4,8

VII

0

0

2

Vili

2

22,2

4

12,1

6

14,3

X

0

0

2

6,1

2

4,8

9,1

4

9,5

XII

1

11,1

totale

9

1(30

3 33

100

42

100

TABELLA 2 0 Francia. Pergamena - se c . X V fase. magg.

1

IV

50

V

0

87,7 0

90

179

129

90,9

2

1,4

2

1

10

7

17

8,5

0,7

1

0,5

VI

7

12,3

Vili

0

0

1

57

100

142

totale

%

totale

%

2

%

100

199

100

TABELLA 21 Francia. Carta - se c . X V fase. magg. -1

0

0

3

%

totale

%

2

%

1

7,1

3

5,5 13

IV

2

16,7

5

11,9

7

V

0

0

5

11,9

5

9,3

VI

7

58,3

26

61,9

33

61,1

4

7,4

2

3,7

Vili

2

16,7

2

4,8

X

1

8,3

1

2,4

totale

12

100

42

100

54

100

100

P. Busonero

FORMATO

TABELLA 27 SecoliX IV e XV. In quarto e in octavo | sec. fase. magg. |-1

XIV

XV

1

totale XIV

2

1

2

XV*

totale XV

totale XIV e XV

%

0

0

0

0

6

0

6

6

2,2

0

0

0

1

1

0

2

2

0,7

33

35

12,5

IV

0

2

2

9

24

0

v

0

6

6

8

54

2

64

70

25,1

vi

1

7

8

25

112

1

138

146

52,3

VII

0

0

0

0

1

0

1

1

0,4

Vili

0

0

0

3

9

1

13

13

4,7

X

0

1

1

1

2

0

3

4

1,4

XII

0

0

0

1

1

0

2

2

totale

1

16

17

48

210

4

262

279

La metà del secolo non è specificata.

0,7 100

La fascicolazione del manoscritto nel basso medioevo

101

TABELLA 2 8 S ecoli XIV e XV. In folio e grandi in folio sec.

XIV

fase. magg.

XV

1

totale XIV

2

-1

0

III

0

IV

0

V

0

VI VII

2

1

2

totale totale XIV XV e XV

XV*

2

0

1

1

3

3

12

0 1

Vili IX X

0

XII

0

0

0

0

3

0

3

3

totale

2

41

43

131

262

2

395

438

5

%

5

0

7

1,6

0

0

0

3

8

0

0

1

0,2

11

14

12

57

92

1

150

162

37

20

20

64

144

1

209

229

52,3

0

1

1

3

0

4

5

1,1

1

0

1

6

7

0

13

14

3,2

0

1

1

0

0

0

0

1

0,2

2

2

0

0

0

0

2

0,5

3,2

0,7 100

* La metà del secolo non è specificata.

TABELLA 2 9 Italia. In folio e grandi in folio - sec. X V fase. magg. in folio

2

2

2,2

IV

1

2

3

3,4

V

14

40

54

60,7

VI

7

13

20

22,5

VII

1

1

2

2,2

Vili

3

4

7

7,9

XII

0

1

1

26

63

89

100

31

24

55

83,3

V VI

totale

%

totale XV

2 0

totale grandi in f.

1

-1

1,1

9

2

11

16,7

40

26

66

100

102

P. Busonero

TIPOLOGIA TESTUALE

TABELLA 30 Bibbie tascabili fase. magg.

e

f

i

pb

totale

pg

V

1

0

0

0

0

1

VI

8

2

4

1

0

15

0

1

11

Vili

6

4

0

X

3

6

0

0

0

9

XI

0

1

0

0

0

1

XII

3

14

0

0

0

17

21

27

4

1

1

54

totale

TABELLA 31 Bibbie - se c . XIII tot. XIII.1

1 fase. magg.

e

f

tot. XIII.2

2 e

f

i

tot. XIII

pg

IV

2

0

2

1

1

0

0

2

4

V

4

0

4

2

0

0

0

2

6

VI

5

3

8

18

6

6

1

31

39

Vili

0

1

1

9

7

0

1

17

18

X

0

1

1

4

6

0

0

10

11

XI

0

0

0

0

1

0

0

1

1

XII

0

0

0

4

16

0

0

20

20

11

5

16

38

37

6

2

83

99

totale

La fascicolazione del manoscritto nel basso medioevo

103

IMPAGINAZIONE

TABELLA 3 2 Inghilterra. Impaginazione - se c. XIII fase. magg. piena p.

IV

%

12

27,3

31

43,7

11

15,5 39,4

V

6

22,2

5

VI

2

7,4

26

59,1

28

Vili

0

0

1

2,3

1

100

71

1,4 100

27

100

44

-1

0

0

1

0,9

1

0,7

III

0

0

1

0,9

1

0,7

IV

16

43,3

10

9

26

17,7

7

17

11,5

V

9

24,3

8

VI

12

32,4

71

65

83

56,4

0

0

11

10

11

7

3,6

4

3

Vili

4

X

0

0

XII

0

0

4

100

110

totale totale

70,4

totale

%

2

% 19

11,3

totale due col.

1

37 64

154

3,6 100

4

3

147

100

218

104

P. Busonero

TABELLA 33 Inghilterra. Impaginazione - se c. XIV fase. magg. piena p.

due col.

%

2

%

totale

%

1

2,4

1

1,3

2

III

0

0

1

1,3

1

0,8

IV

20

62

69

57,5

5

6

5

48,8

49

V

2

4,9

4

VI

18

43,9

24

30,4

totale

41

100

79

100

1,7

42

35

120

100

-1

0

0

1

1,4

1

1,1

III

0

0

1

1,4

1

1,1 41,4

IV

4

16

35

50,8

39

V

0

0

2

3

2

2,1

VI

21

84

29

42

50

53,2

Vili

0

0

1

25

100

69

totale totale

1

-1

66

148

1,4 100

1 94 214

1,1 100

105

La fascicolazione del manoscritto nel basso medioevo TABELLA 34 Francia. Im paginatone - sec. XIII fase. magg. piena p.

IV V

due col.

78,7

17

89,4

20

71,4

37

1

5,3

2

7,1

3

6,4

17,9

6

12,8

VI

1

5,3

5

Vili

0

0

1

3,6

1

2,1

100

47

100 32,5

totale

19

100

28

IV

25

67,6

27

21,9

52

7

5,7

8

5

V VI Vili

1

2,7

8

21,6

54

43,9

62

38,8

2

5,4

12

9,8

14

8,7

4,9

7

4,4

6

X

1

2,7

XI

0

0

1

0

0

16

13

16

10

37

100

123

100

160

100

XII totale totale

%

totale

%

2

%

1

56

151

0,8

1

0,6

106

P. Busonero

TABELLA 35 Francia. Impaginazione - se c. XIV fase. magg. piena p.

due col.

1

%

2

%

totale

%

IV

3

V

1

14,2

3

8,1

4

VI

3

42,9

8

21,6

11

25

totale

7

100

37

100

44

100

15

40,5

22

32,3

42,9

26

70,3

29

65,9 9,1

IV

7

22,6

V

4

12,9

0

4

5,9

VI

20

64,5

21

56,8

41

60,3

0

0

1

2,7

1

31

100

37

XII totale totale

38

0

100

68

74

112

TABELLA 3 6 Italia. Impaginazione - sec. XIII fase. magg. piena p.

V

3

15

VI

6

30

20

100

1

2,6

III

55

IV

8

21,1

V

10

26,3

VI

18

47,4

Vili totale totale

% 11

totale due col.

2

IV

1 38 58

2,6 100

1,5 100

107

La fascicolazione del manoscritto nel basso medioevo TABELLA 37 Italia. Impaginazione - se c. XIV fase.

1

2

%

%

totale

%

magg. piena p.

Ili

0

0

1

1,8

1

IV

2

40

16

29,1

18

30

V

2

40

24

43,7

26

43,3

VI

0

0

11

20

11

18,3

VII

1

20

0

0

1

1,7 1,7 1,7

Vili

0

0

1

1,8

1

IX

0

0

1

1,8

1

0

0

1

1,8

1

X

due col.

1,7 100

totale

5

100

55

II

1

3,4

1

1,6

2

2,2

IV

6

20,7

17

27,4

23

25,3

V

10

34,5

32

51,6

42

46,1

11

17,8

23

25,3

VI

12

41,4

Vili

0

0

1

100

62

totale totale

100

60

1,6

29 34

117

1,6 100

1 91 151

1,1 100

108

P. Busonero

TAGLIA

TABELLA 38 Inghilterra XIII e XIV se c o lo - Taglia 320-490 XIV

XIII 1 tipol. mss.

tot.

se

imp.

fase. mag.

due col.

-1

0

tot. tot. XIII

2 fi

se

te

0

1

0

0

tot. 1

1 fi

te

1

1

0

0

tot. tot. 2 XIV tot.

2 se

te

0

0

0

0

0

1 5

IV

1

1

0

0

1

1

2

0

0

0

1

2

3

3

V

0

0

1

0

0

1

1

0

0

0

1

1

2

2

3

VI

2

2

0

2

2

4

6

2

2

4

2

3

5

9

15

Vili

0

0

0

0

1

1

1

0

0

0

0

0

0

0

1

3

3

2

2

4

8

11

2

2

4

4

6

10

14

25

totale

TABELLA 3 9 Inghilterra XIII e XIV se co lo -Taglia 491-670

1 tipol. mss. imp. due col.

tot.

tot. XIV tot.

tot. XIII XIV

XIII tot.

se

te

2 fi

tot.

tot.

1

te

se

te

5

0

0

0

tot. 2

2 se

te

1

0

fase. mag. IV

1

2

3

V

2

2

4

0

0

0

4

0

0

0

0

0

0

0

4

VI

0

0

0

3

15

18

18

1

5

6

0

4

4

10

28

3

4

7

4

16

20

27

1

5

6

1

4

5

11

38

1

1

2

1

1

6

G rafici GRAFICO 1 D istrib u zio n e deila fa sc ic o la z io n e n e l XII s e c o lo

GRAFICO 2 D istrib u zio n e della fa sc ic o la z io n e n e l XIII s e c o lo

----------------------------------- ------------- -------------------------------------------- 1

10%

110

P. Busonero

GRAFICO 3

Distribuzione della fascicolazione nel XIV sec o lo a Itro

3%

GRAFICO 4

Distribuzione della fascicolazione ne! XV seco lo

La fascicolazione del manoscritto nel basso medioevo GRAFICO 5 Francia in q u arto e in o c ta v o (totale codici: 31)

GRAFICO 6

Francia in folio e grandi in folio (totale codici: 31)

111

P. Busonero

GRAFICO 7

Italia in q u arto e in o c ta v o (totale codici: 101)

1

VII

Vili

X

-1

in

o/

4%

2%

3%

o O/

V 5 0%

GRAFICO 8

Italia in folio e grandi in folio (totale codici: 171)

La fascicolazione del manoscritto nel basso medioevo GRAFICO 9

Germania in q u arto e in o c ta v o (totale codici: 83)

GRAFICO 10

Germania in folio e grandi in fo lio (totale codici: 153)

113

114

P. Busonero

GRAFICO 11

Bibbie tascabili

GRAFICO 12

percentuale

Inghilterra XIII. 1 (64 codici) piena pagina ■ due colonne □

La fascicolazione del manoscritto nel basso medioevo GRAFICO 13

Inghilterra XIII.2 (154 codici) piena pagina a due colonne □

GRAFICO 14

Inghilterra XIV. 1 (66 codici) piena pagina a due colonne □

fascicolazione

115

116

P. Busonero

GRAFICO 15

Inghilterra XIV.2 (148 codici) piena pagina ■ due colonne □

i VI

Vili

f a s c ic o la z io n e

GRAFICO 16

Francia XIII. 1 (56 codici) piena pagina m due colonne □

percentuale

1 0 0 -r-

IV

V

VI f a s c ic o la z io n e

Vili

X

La fascicolazione del manoscritto nel basso medioevo GRAFICO 17

Francia XI11.2 (151 codici) piena pagina ■ due colonne □ 80 70

percentuale

60 50 40 30 20

10 0 IV

v

VI

Vili

x

!

f a s cic o la zio n e

GRAFICI 18

Francia XIV. 1 (38 codici) piena pagina m due colonne □ 70

T

60

percentuale

50 40 30 20

10 0

4

XI

XI I

117

118

P. Busonero

GRAFICO 19

Francia XIV.2 (74 codici) piena pagina m due colonne □

GRAFICO 20

Italia XIII.2 (58 codici) piena pagina m due colonne □

percentuale

60

111

IV

V fas cicolazione

VI

Vili

La fascicolazione del manoscritto nel basso medioevo GRAFICO 21

Italia XIV. 1 (34 codici) piena pagina m due colonne □

percentuale

45

II

IV

V

VI

VII

f a s c ic o la z io n e

GRAFICO 2 2

percentuale

j

Italia XIV.2 (117 codici) piena pagina m due colonne □

VII fascicolazione

Vili

IX

1

Appendice 1. Cataloghi utilizzati

1)

Casanatense 1= Catalogo dei manoscritti della Biblioteca Casanatense. I, a cura di E. Moneti, G. Muzzioli, I. Rossi, M. Zamboni, Roma, La libreria dello Stato, 1949

2)

Casanatense 2 = Catalogo dei manoscritti della Biblioteca Casanatense. n, a cura di M. Ceresi e E. Santovito, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1956

3)

Casanatense 3 = Catalogo dei manoscritti della Biblioteca Casanatense. IH, a cura di M. Ceresi, Roma, La libreria dello Stato, 1952

4)

Casanatense 4 = Catalogo dei manoscritti della Biblioteca Casanatense. IV, a cura di M. Ceresi, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1961 Casanatense 5 = Catalogo dei manoscritti della Biblioteca Casanatense. V, a cura di A. Moricca Caputi, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1958 Casanatense 6 = Catalogo dei manoscritti della Biblioteca Casanatense. VI, a cura di A. Saitta Revignas, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1961 C.G. VI = Catalogue général des manuscrits latins. VI. (3536-3775 B) Bibliothèque Nationale, Paris, 1975

5) 6) 7) 8) 9)

C.G. VII = Catalogue général des manuscrits latins. VII. (3776-3835) Bibliothèque Nationale, Paris, 1988 Clairvaux = La bibliothèque de Vabbaye de Clairvaux du XIF au XVIIf siècle. Il, Les manuscrits conservés. Prem ière panie. Manuscrits bibliques, patristiques et théologiques. Notices établies par J.-P. Bouhot et J.-F . Genest sous la direction d’A. Vemet, Paris, CNRS, Tumhout, Brepols, 1997170

10)

Codici latini del Petrarca = Codici latini del Petrarca nelle biblioteche fio ­ rentine. Mostra 19 maggio - 30 giugno 1991. Catalogo a cura di M . Feo, Fi­

renze, Casa editrice Le Lettere, Cassa di Risparmio di Firenze, 1991 11) Colker, Trinity = M.L. Colker, Trinity C ollege Library Dublin. Descriptive Catalogue o f thè Mediaeval and Renaissance Latin Manuscripts. I-II, Scolar Press, Aldershot, 1991 (solo per il XIII e il X IV secolo) 12) Daneu Lattanzi, Sicilia = A. Daneu Lattanzi, I manoscritti ed incunaboli mi­ niati della Sicilia, Roma, Istituto Poligrafico della Stato, 1965 13) Filosofici 1 = Catalogo di manoscritti filosofici nelle biblioteche italiane. 1. Firenze, Pisa, Poppi, Rimini, Trieste, a cura di T. De Robertis, D. Frioli, M.R. Pagnoni Sturlese, L. Pinelli, E. Staraz, L. Sturlese, Firenze, Olschki, 1980 14) Filosofici 2 = Catalogo di manoscritti filosofici nelle biblioteche italiane. 2. Busto Arsizio, Firenze, Parma, Savignano sul Rubicone, Volterra, a cura di D. Frioli, G.C. Garfagnini, L. Pinelli, G. Pomaro, P. Rossi, Firenze, Olschki, 1981

La fascicolazione del manoscritto nel basso medioevo

121

15) Filosofici 3 = Catalogo di manoscritti filosofici nelle biblioteche italiane. 3. Firenze, Pisa, Pistoia, a cura di G.C. Garfagnini, M.R. Pagnoni Sturlese, G. Pomaro, S. Zamponi, Firenze, Olschki, 1982 16) Filosofici 4 = Catalogo di manoscritti filosofici nelle biblioteche italiane. 4. Cesena, Fabriano, Firenze, Grottaferrata, Parma, a cura di G. Avarucci, D. Frioli, G.C. Garfagnini, G. Pomaro, P. Rossi, A. Velli, Firenze, Olschki, 1982 17) Filosofici 5 = Catalogo di manoscritti filosofici nelle biblioteche italiane. 5.

Cesena, Cremona, Lucca, S. Daniele del Friuli, Teramo, Temi. Trapani. Udine, a cura di L. Casarsa, D. Ciccarelli, E. Di Mattia, G. Dotti, D. Frioli, G.C. Garfagnini, M. Gianferrara, O. Majeron, R. Nanni, M.R. Pagnoni Sturlese, L. Sturlese, Firenze, Olschki, 1985 18) Filosofici 6 = Catalogo di manoscritti filosofici nelle biblioteche italiane. 6. Atri, Bergamo, Cosenza, Milano, Perugia, Pistoia, Roma, Siena, a cura di G.M. Cao, M. Cortesi, M. Curandai, E. Di Mattia, G. Italiani, F.W. Lupi. P. Rossi, A.M . Velli, S. Zamponi, Firenze, Olschki, 1992 19) Filosofici 7 = Catalogo di manoscritti filosofici nelle biblioteche italiane. 7. Novara, Palermo, Pavia, a cura di G.M. Cao, C. Casagrande, M .A. Casagrande Mazzoli, D. Ciccarelli, S. Gavinelli, S. Vecchio, Firenze, Olschki. 1993 20) Frioli, Aldersbach = D. Frioli, Lo scriptorium e la biblioteca del monastero cisterciense di Aldersbach, Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto me­ dioevo, 1990 21) Ker I = N.R. Ker, Medieval Manuscripts in British Libraries. I. London, Ox­ ford, Clarendon Press, 1969 22) Ker II = N.R. Ker, Medieval Manuscripts in British Libraries. II. Abbotsford-Keele, Oxford, Clarendon Press, 1977 23) Ker III = N.R. Ker, Medieval Manuscripts in British Libraries. III. Lampeter-Oxford, Oxford, Clarendon Press, 1983 24) Ker IV = N.R. Ker, A.J. Piper, Medieval Manuscripts in British Libraries. IV. Paisley-York, Oxford, Clarendon Press, 1992 25) Kuttner I = S. Kuttner, R. Elze, A Catalogue o f Canon and Roman Law Ma­ nuscripts in thè Vatican Library. I. Codices Vaticani latini 541-2299, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1986 (Studi e testi, 322) 26) Kuttner II = S. Kuttner, R. Elze, A Catalogue o f Canon and Roman Law Manuscripts in thè Vatican Library. II. Codices Vaticani latini 2300-2746, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1987 (Studi e testi. 328) 27) Leonardi, Vaticani = Codices Vaticani Latini 2060-2117, recensuit Claudius Leonardi operam dante Maria Magdalena Lebreton, indicibus instruxerunt Ambrosius M. Piazzoni et Paulus Vian, Città del Vaticano, Biblioteca Apo­ stolica Vaticana, 1987 28) Maier, Vaticani Burghesiani = A. Maier, Codices Burghesiani Bibliothecae Vaticanae, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1952 (Studi e testi, 170)

122

P. Busonero

29) M.C.L.B.P.F. = Les manuscrits classiques latins des bibliothèques publiques de France. I. Agen-Evreux, cat. établi par C. Jeudy et Y .-F. Riou, Paris, CNRS, 1989 30) Mynors, Balliol = R.A.B. Mynors, Catalogue o fth e Manuscripts o fth e Balliol C ollege Oxford, Oxford, Clarendon Press, 1963 31) Saenger, Newberry = P. Saenger, A Catalogue o fth e Pre-1500 Western Manuscript Books at thè Newberry Library, Chicago-London, The U niversity of Chicago Press, 1989 32) Thum, Wiirzburg II.l = H. Thum, Die Handschriften aus benediktinischen Provenienzen. II.l, Wiesbaden, Otto Harrassowitz, 1973 33) Thum, Wiirzburg 11.2 = H. Thum, D ie Handschriften der Universitàtsbibliothek Wiirzburg. II.2, Wiesbaden, Otto Harrassowitz, 1986 34) Wilmart, Vaticani = A. Wilmart, Codices Reginenses latini. I. C odices I250, in Bibliotheca Apostolica Vaticana, 1937 35) Wilmart, Vaticani = A. Wilmart, Codices Reginenses latini. II. C odices 251500, in Bibliotheca Apostolica Vaticana, 1945 36) Zamponi, Manoscritti petrarcheschi = S. Zamponi, / manoscritti p etra rch e­ schi della Biblioteca Civica di Trieste. Storia e catalogo, Padova, Antenore, 1984 (Censimento dei codici petrarcheschi, 8) * Busonero = P. Busonero, teologici * Devoti = L. Devoti, giuridici * Notices = Notices Le ultime tre voci, contrassegnate da un asterisco, non sono cataloghi a stampa. La prima corrisponde ad un corpus di 18 codici, teologici o filosofici, tratti dal terzo tomo del Catalogue des manuscrits datés, il cui esame autoptico è stato effettuato da chi scrive. La seconda comprende 16 codici giuridici, conser­ vati in biblioteche sia francesi sia italiane, la cui descrizione è stata gentilmente fornita da Luciana Devoti, che li ha esaminati personalmente nell’ambito di una ricerca sul codice giuridico glossato pubblicata in questo volume. Le N otices sono descrizioni di manoscritti, ancora in forma di appunto a mano o dattiloscritto, re­ datte da vari autori - tra cui citiamo Élisabeth Pellegrin - e conservate all’Institut de Recherche et d’Histoire des Textes di Parigi.

Appendice 2. Protocollo di rilevam ento A. Notizie generali sul codice Segnatura . Se il codice è composito si segnalano le carte considerate. Catalogo . Si dà l’indicazione abbreviata del catalogo utilizzato. Supporto. Si menziona il supporto mediante la seguente tipologia: C = carta P = pergamena M I = misto (fascicolo in carta con bifolio esterno e / o eventualmente in­ terno in pergamena). F ormato . Si menziona il formato dei manoscritti in carta qualora sia indicato dai cataloghi (in realtà questo dato è stato ricavato quasi sempre a p osteriori in base alle dimensioni del codice - in sede di analisi dei dati).171 B. Datazione , localizzazione , copista Tipo di datazione . Si indica se la datazione è attestata (= A) oppure stimata ( = S ).

Secolo 1. S i indica, in cifre arabe, il secolo a cui risale il codice. S ecolo 2. Si utilizza per indicare se la datazione del codice è a cavallo tra i due secoli. METÀ SECOLO. Si menziona la metà secolo con le cifre 1 o 2. Quarto di secolo . Si menziona il quarto di secolo - se esplicitamente indi­ cato o comunque deducibile - con le cifre 1, 2, 3, 4. Termine A quo , termine ante quem. Si indicano gli estremi cronologici della datazione o, nel caso in cui il codice sia datato all’anno, si introduce in en­ trambi i campi la stessa data (ad es. 1455-1455). Tipo di localizzazione . Si indica se la localizzazione è attestata (= A) o sti­ mata (= S). Pa ese . A B E F FN G I O Se Sv Tc W

Si segnala il paese di origine del codice mediante una sigla: = Austria = Belgio = Inghilterra = Francia = Fiandre172 = Germania = Italia = Olanda = Scozia = Svizzera = Cecoslovacchia = Galles.

124

P. Busonero

Quadrante . Nord (= N), Sud (= S) ecc. Regione. Si menziona la regione in cui il codice è stato prodotto nel caso sia espressamente citata dal catalogo o comunque deducibile. Città . Si precisa il luogo di produzione possibilmente nella lingua madre. Istituzione. Si indica l’istituzione (ad es. il monastero di Saint-D enis) in cui il codice è stato prodotto. Copista attestato . Si segnala se il copista è attestato (= A ) o dedotto (= D). Nome del copista . Si trascrive il nome del copista normalizzandolo nella forma latina. Testo Tipologia testuale . La si indica mediante queste sigle: = bibbia bi bi2 = testi biblici glossati (ad es. Epistulae Pauli curri glossa) = classici cl fi = filosofici giu = giuridici giu2 = codici di argomento legislativo come statuti ecc. = grammatica gr = letteratura umanistica lu = liturgici li lpr = letteratura profana lsa = letteratura sacra me = medicina pa = patristica = scientifici se se = sermoni = storia st = teologici. te L ingua del testo . Viene segnalata la lingua in cui è scritto il testo ed even­ tualmente una seconda, se compare. La tipologia è la seguente: fi= francese in = inglese = it italiano = la latino = ol olandese = te tedesco. Prosa o versi . Si indica con P o V. D.

Caratteristiche materiali N umero carte . Numero delle carte escluse le guardie. A ltezza del foglio. Si misura in millimetri, come tutte le altre misure indi­ cate qui di seguito.

La fascicolazione del manoscritto nel basso medioevo

125

Larghezza del foglio. A ltezza specchio. Larghezza specchio. Piena pagina / due colonne. Si indica con 1 (piena pagina) e 2 (due colon­ ne). Glossa organizzata . Indica che il codice è stato predisposto (in pratica ha ricevuto una rigatura ad hoc) per accogliere la glossa. Numero di righe scritte. D.l F ascicolazione F ascicolazione maggioritaria . Si segnala qui il tipo (quaternione, se­ nione ecc.) che rappresenta almeno la metà dei fascicoli di un codice. F ascicolazioneI Si indicano i tipi di fascicoli minoritari in ordine decre­ scente di consistenza o, se non esiste fascicolazione maggioritaria, i tipi di fascicoli presenti sempre in ordine decrescente di consistenza. F ascicolazione2 F ascicolazione3 F ascicolazione organizzata . Nel caso non vi sia una fascicolazione maggioritaria si precisa qui la disposizione dei fascicoli: IRR - irregolare SUCC = successioni ovvero piccoli gruppi di un tipo di fascicolo che si susseguono a piccoli gruppi di un altro tipo MIS = mischiati, ovvero: a volte piccoli gruppi che si susseguono, a volte un singolo fascicolo di un tipo che succede ad uno diversamente costituito. D.2 A ltri elementi Richiami. Se ne segnala con un sì / no la presenza o assenza esplicita­ mente riportata dal catalogo. Nel caso in cui venga fornito qualche ulterio­ re ragguaglio sulla posizione o l’orientamento dei richiami si adotta la se­ guente tipologia: ce = centrati ds = destra sn = sinistra ve = verticali. S egnature fascicoli. Si indica con un sì / no se la presenza o l’assenza è esplicitamente segnalata. Eventualmente - se deducibile - si dà il numero di Derolez. Segnature fogli. Come sopra. S egnature ad hoc . Questa specifica si riferisce alla presenza o meno di una numerazione interna al fascicolo che indica la sequenza dei bifolii nell’ambito del fascicolo stesso, ma non serve ad individuare né la posi-

126

P. Busonero zione di quest’ultimo nel codice né a stabilire a quale fascicolo apparten­ gono eventuali bifolii fuori posto.173 T ecnica di rigatura . Si indica la tecnica di rigatura principale ed even­ tualmente la secondaria 174 con queste sigle: S = secco P = piombo I = inchiostro C = colore.175

F rame ruling. Sotto questa voce, indicata con il termine inglese utilizzato da Ker, si rileva la rigatura del solo specchio scrittorio definito unica­ mente da quattro linee - due verticali e due orizzontali - le quali formano appunto una “cornice” (frame) che inquadra il testo. E. Scrittura e decorazione Tipo di scrittura . Si menziona in forma abbreviata la tipologia grafica così come la indica il catalogo. Presenza illustrazioni. Se indicate dal catalogo se ne segnala la presenza (sì). P resenza cornici / bordi. Come sopra. L ivello massimo delle iniziali. Si rileva solo la menzione dell’iniziale e / o del tipo di iniziali più elaborato utilizzando le seguenti sigle: ru — rubricate fi = filigranate or = ornate (in questa classe - con un evidente forzatura - si fanno rientrare tutte le iniziali decorate che non sono istoriate) is = istoriate. 176 Uso dell ’ oro. Se ricordato nella descrizione si scrive sì. F. S toria del codice Committente D estinatario Primo possessore. Qui viene indicato il possessore (uomo e / o istituzione) più remoto nel tempo. D ata di possesso M emo. In questo campo, come già detto, trovano spazio osservazioni riguardo alle varie voci che non possono essere inserite nelle scheda, quali commenti ecc.

Appendice 3. S p ecim en di una scheda di rilevamento compilata SCHEDA DI RILEVAMENTO S egnatura: Arras B.M. 870 (349) Catalogo: M .C.L.B.PE. Supporto: p

F ormato:

Datazione, localizzazione , copista Tipo di datazione : S S ecolo 1: 13 S ecolo 2: M età secolo : 1 Quarto di secolo : Termine a quo :

T ermine ante quem :

Tipo di localizzazione : s Paese : F Quadrante: Regione: Città: Istituzione: Copista attestato : Nome del copista : Testo Tipologia testuale : cl A utore principale : Solinus Testo principale: Collectanea rerum memorabilium Lingue del testo : 1 la Prosa o versi : p Caratteristiche materiali Numero carte : 73 A ltezza foglio: 305 Larghezza foglio: 230 A ltezza specchio : 175 L arghezza specchio : 105

2

128

P. Busonero P iena pagina / due colonne: 1 Glo ssa organizzata : N umero righe scritte: 18 F ascicolazione F ascicolazione maggioritaria : 6 F ascicolazione 1: F ascicolazione2 : F ascicolazione3 : F ascicolazione organizzata : R ichiami: sì

S egnature fascicolo : Segnature fogli: S egnature ad hoc : Tecnica di rigatura : 1 i

F rame ruling : S crittura e decorazione Tipo di scrittura : Presenza illustrazioni: Presenza cornici: L ivello massimo delle iniziali: f i USO DELL’ORO: S toria del codice C ommittente: D estinatario : PRIMO possessore: Arras, Saint-Vaast D at a d i possesso : 1628 Campo «memo» per le osservazioni

Note

* Questa ricerca è nata come tesi di diploma della Scuola di specializzazione per conservatori di beni archivistici e librari della civiltà monastica dell’Università di Cassino (aprile 1995). Un ringraziamento particolare è dedicato ad Ezio Ornato, che ha guidato l’impostazione e la progettazione di questo lavoro, e a Marco Palma, che ne ha ispirato l’ideazione e ne ha seguito la realizzazione in ogni singola tappa fino al suo compimento. 1. Per uno status quaestionis sugli studi codicologici cfr. Derolez, La codico­

logie et les études médiévales, passim. 2. Non si vuole qui entrare nel merito della dibattuta questione se sia il bifolio l’unità base del codice o il fascicolo. Per una sintesi del problema cfr. Zappella, // fascicolo, pp. 17-54 passim. 3. Tumer, The Typology, pp. 55-71; Derolez, Codicologie, I, pp. 33-39. 4. Bozzolo, Ornato, La constitution des cahiers dans les manuscrits en papier d’origine frangaise et le problème de l ’imposition, in Pour une histoire, pp. 123212; Gilissen, Prolégomènes à la codicologie, passim; Bozzacchi, Palma, La form a­

zione del fascicolo. 5. Gilissen delinea quattro possibilità di piegatura per gli in octavo - alle quali corrispondono altrettante formule e due per gli in quarto - formule A 2e C2. 6. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, pp. 215-351 passim. 7. Bozzacchi, Palma, La formazione del fascicolo, p. 328. 8. Bozzacchi, Palma, La formazione del fascicolo, pp. 325-336. 9. La verifica è stata condotta seguendo la formula A 2 di Gilissen che si riferi­ sce agli in quarto. 10. Secondo Gilissen le carte venivano separate o man mano che lo scriba ne sentiva la necessità, durante il processo di scrittura, o addirittura al momento della rilegatura se il fascicolo veniva copiato mediante la tecnica de\Yimposition. cfr. Gi­ lissen, Prolégomènes à la codicologie, pp. 15-41. 11. Bischoff, Pergamentdicke; Id., Systematische Lagenbriiche; Id., Observa-

tions sur l'emploi. 12. Bischoff, Maniaci, Pergamentgrófle. 13. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, pp. 254-263. 14. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, pp. 123-212. 15. Tumer, The Typology, p. 62. Secondo Colette Sirat è possibile che esista un legame tra l’uso del papiro e la composizione dei codici in quinioni, cfr. in pro­ posito: Sirat, Pour quelle raison, passim. 16. Alla parola quatemio verrà infatti attribuita l’accezione generica di fasci­ colo. Nel X V secolo invece gli umanisti usavano indifferentemente i termini quaternio, quatemus, quintemio, quintemus e sextemus nel senso di fascicolo: cfr. Rizzo. Il lessico filologico, pp. 42-47. 17. Un quadro delle “eccezioni” alla fascicolazione in quaternioni che com­ paiono nei CLA verrà fornito in seguito.

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P. Busonero

18. 19. 20. 21.

Lowe, CLA I, p. X. Lowe, CLA 112, 74, 115. Lowe, CLA 1 78, 87. Tali concetti sono stati brevemente ripresi in Vezin, Les cahiers , pp. 99-

100. 22. Bianchi et alii, La structure matérielle du codex, pp. 412-413. 23. Haskins, La rinascita, passim. Il XH secolo, tra i tanti e molteplici aspetti che caratterizzano il fiorire della cultura, rinnova e sviluppa un interesse precipuo per i classici latini - anche se bisogna riconoscere che la vera e propria riscoperta del patrimonio classico ha luogo nel IX secolo - che si concretizza in una produzione manoscritta abbastanza cospicua di cui Topera di Munk Olsen fornisce un detta­ gliato panorama. 24. Le Goff, Gli intellettuali nel medioevo , pp. 87-90. 25. Derolez, Codicologie, I, pp. 33-39. 26. L ’indagine ha preso in considerazione principalmente Inghilterra, Francia, Italia, Germania e Paesi Bassi. 27. In proposito cfr. Derolez, La codicologie et les études médiévales, p. 377. 28. Pur trattandosi sempre di una quantità ovvero del numero di bifolii che compongono un fascicolo. 29. La distribuzione della frequenza, la media, la varianza, ecc. 30. In realtà per operare nel campo della codicologia quantitativa non basta certo la sola applicazione di metodi statistici o l’utilizzazione di campioni particolar­ mente cospicui. Riguardo alla nozione di codicologia quantitativa, agli scopi che essa si pone ed ai metodi che adotta, cfr. Ornato, La codicologie quantitative, pas­

sim. 31. Tali problematiche sono state già affrontate in Busonero, L ’utilizzazione si­ stematica dei cataloghi, passim. 32. Cfr. Busonero, L’utilizzazione sistematica dei cataloghi, p. 13. 33. Si fa presente che dal 1994 (la raccolta dei dati è stata portata a termine in tale anno) il numero di cataloghi pubblicati si è notevolmente accresciuto e di con­ seguenza anche la possibilità di reperire materiale sfruttabile per ricerche di questo tipo. Come esempio citiamo il catalogo di Clairvaux, di cui si è potuto consultare in bozza le descrizioni codicologiche dei volumi raccolti sotto le lettere C, F, I, grazie alla disponibilità degli autori. 34. In un primo momento si era pensato che fosse sufficiente una datazione al secolo, ma ci si è subito resi conto che essa non avrebbe consentito di seguire l ’evoluzione della fascicolazione in maniera sufficientemente puntuale. È ovvio d’altronde che non si pretende che tutte le datazioni presenti in un catalogo siano circoscritte al mezzo secolo, bensì che il criterio di base sia di specificarle il più pos­ sibile. In sede di acquisizione di dati sono state considerate - eccetto poche eccezio­ ni che si riferiscono appunto alla fase iniziale - le datazioni rispondenti a tale requi­ sito. 35. Cfr. Appendici 2 e 3. 36. Busonero, L’utilizzazione sistematica dei cataloghi, pp. 14-15. 37. Cfr. Appendice 1.

Lafascicolazione del manoscritto nel basso medioevo

131

38. La scheda è stata informatizzata creando un database con il programma Dbase IV. Una volta raccolti, i dati sono stati trasferiti su un foglio di calcolo utiliz­ zando il software Excel 5.0, mediante il quale sono state eseguite le ulteriori elabo­ razioni. 39. La rigatura non compare ad esempio in Mynors, Balliol ed in Thum, Wiirzburg 11.1-2, mentre in Kuttner I e II non è indicata sistematicamente. 40. Cfr. Ker I, pp. IX -X . 41. Cfr. Kuttner I e IL 42. Descrizioni delle segnature sufficientemente accurate sono presenti in: Frioli, Aldersbach', M.C.L.B.P.F.; Leonardi, Vaticani; Wilmart, Vaticani. 43. Per una definizione di iniziale ornata cfr. Maniaci, Terminologia del libro manoscritto, p. 320. Questo termine si trova usato in modo generico per iniziali di di­ versa complessità esecutiva e, a volte, inquadrabili sotto una accezione più specifica. 44. Anche volendo utilizzare casistiche di iniziali più articolate, ma già codifi­ cate - cfr. Maniaci, Terminologia del libro manoscritto, pp. 317-322 - è comunque necessario un esame diretto del codice. 45. Iniziali rubricate, filigranate, ornate, istoriate. 46. Le misure in pollici del Mynors, Balliol sono state ovviamente trasformate in millimetri. 47. Nel caso di codici datati tra i due secoli si poteva procedere infatti in quat­ tro modi: 1) Escludere questo tipo di manoscritti. In tal modo si sarebbe eliminata alla radice ogni possibilità di errore, ma al contempo avremmo dovuto rinunciare ad un buon numero di volumi. 2) Tirare a sorte il secolo a cui attribuire il manoscritto. Dal punto di vista sta­ tistico è la soluzione più idonea, comporta infatti una probabilità di successo del 50%, e, soprattutto, l’assenza di distorsioni sistematiche. 3) Includere i manoscritti nell’effettivo di due secoli alla volta. Tale soluzione avrebbe condotto, come appare evidente, a difficoltà in sede di elaborazione dei dati, principalmente nella fase delle stime per secolo, in quanto il medesimo codice sa­ rebbe comparso sempre due volte. 4) Scegliere sistematicamente uno dei due secoli. Questa è la soluzione adot­ tata: comporta infatti la stessa probabilità di successo della seconda opzione (50%). Cfr. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, pp. 234-235. 48. Cfr. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, p. 235. Bisogna comunque tener presente che la cesura tra i secoli è un fatto artificioso ed inoltre i codici prodotti nei primi anni di un secolo dovrebbero, in linea di massima, presentare le stesse caratte­ ristiche codicologiche e tipologiche dei manufatti del secolo precedente. 49. Nel corso della trattazione adotteremo sia la dicitura paesi di area tedesca sia Germania riferendoci all’ area in generale. 50. Per la possibilità di caratterizzare o meno la littera Bononiensis nell’ambito più generale della rotunda cfr. Tondello, P er un esame della scrittura testuale ita­

liana, passim. 51. Riguardo alla definizione di anglicana cfr. Ker I, p. XI. Questa corsiva na­ sce nel XII secolo come «thè ordinary hand of correspondence» e non presenta, al­

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meno in un primo momento, nessuna caratteristica tale da definirla “inglese”. Con il passare del tempo diviene più uniforme e sviluppa caratteristiche peculiari. Nel XTV e X V secolo, nelle sue forme posate, viene adoperata al posto della gotica per scrive­ re codici: è proprio quest’ultima, la “non-current anglicana”, che Ker indica con l’accezione generica di anglicana. Per una storia di questo tipo di scrittura cfr. Parkes, English Cursive. 52. Business hands e secretary hands sono definizioni che compaiono nei ca­ taloghi Ker I-IV. 53. Non si trattano nel dettaglio i dati che non rivelano linee di tendenza suffi­ cientemente significative. 54. Le differenze osservate potrebbero dipendere dalla composizione del cam­ pione nelle partizioni - ad es. nel X V secolo quinioni in carta e quinioni in pergame­ na scritti in umanistica. 55. Si veda quanto detto in precedenza a proposito delle variabili. 56. Insieme ai codici membranacei e ai cartacei dobbiamo considerare anche i “misti” - ovvero quei manoscritti composti da fascicoli in carta, in cui o il bifolio esterno o quello interno o entrambi sono in pergamena - e quelli strutturati con parte dei fascicoli in carta, parte in pergamena. 57. In realtà la produzione manoscritta italiana della prima metà del XIII se­ colo non è affatto scarsa, bensì è esiguo l’effettivo dei codici catalogati e, tra questi, il numero di quelli esplicitamente localizzati e datati al mezzo secolo. 58. In effetti i quaternioni si aggirano intorno a poco meno del 28%, mentre i quinioni ed i senioni si attestano, rispettivamente, sul 33% circa. 59. Dai cataloghi esaminati nella prima fase di questo lavoro è emerso un nu­ mero di codici, attribuibili al XIII e al X IV secolo, estremamente esiguo. 60. L ’undicesimo caso è rappresentato da un codice in senioni. 61. Nella produzione renana del X V secolo si riscontra una distribuzione della fascicolazione sostanzialmente simile a quella tracciata in questa sede. Cfr. Bozzolo, La production manuscrìte dans les pays rhénans, p. 232. 62. Per quanto riguarda i senioni in Inghilterra si rileva una quota del 36,4%, mentre in Francia del 40%. 63. Ritorneremo sull’argomento della nascita del quinione a proposito del le­ game che intercorre tra fascicolazione e tipologia testuale. 64. Per uno studio della problematica legata alla produzione del libro bologne­ se ed una bibliografia aggiornata in materia cfr. Devoti, Aspetti della produzione del

libro, passim. 65. Cfr. Devoti, Aspetti della produzione del libro, p. 89. 66. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, pp. 37-40 67. Le Goff, Gli intellettuali nel medioevo, pp. 86-90. 68. Nel X n i secolo lo spessore della pergamena si riduce notevolmente ri­ spetto al secolo precedente. Sull’evoluzione dello spessore nei secoli cfr. Bianchi et alii, Facteurs de variation, p. 152 e Bischoff, Observation sur l ’emploi, pp. 72-77, in riferimento però a documenti della cancelleria pontificia. 69. È noto che l’ambiente universitario genera non solo una grande richiesta di testi, ma induce anche una forte circolazione sia in loco sia da un’università all’altra.

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La figura del docente o dello studente viaggiatore è un topos diffuso. 70. Cfr. Palma, Modifiche, passim. 71.56 manoscritti giuridici italiani del X IV secolo; 121 codici prodotti per Malatesta Novello intorno alla metà del X V secolo; 20 codici in quarto datati dal IX al XV secolo; un campione di carte lucchesi (292 pezzi) dell’VIU-IX secolo insieme al codice 490 di Lucca ad esse coevo. Cfr. Bianchi et alii, Facteurs de variation, pp. 99-104. 72. Cfr. Bianchi et alii, Facteurs de variation, passim ; in particolare per quan­ to appena enunciato si veda p. 183. Da sottolineare inoltre che per le carte lucchesi lo spessore è apparso strettamente collegato non solo a fattori d’ordine materiale (dimensioni e tipo di scrittura), ma anche geografici (città, campagna) e sociali (sta­ tuto degli autori e degli scrittori). A proposito del valore delle sottoscrizioni dei do­ cumenti lucchesi cfr. anche l’opinione di Paola Supino Martini in Le sottoscrizioni

testimoniali. 73. Bischoff, Pergamentdicke-, Id., Observations sur l ’emploi. 74. Bischoff, Pergamentdicke, pp. 127-129; Id., Observations sur l ’emploi, pp. 77-82. 75. Bischoff, Systematische Lagenbriiche, p. 92. 76. Bischoff, Pergamentdicke, pp. 129-133; Id., Observations sur l ’emploi, pp. 86-89. 77. Le particolari condizioni in cui si è potuto studiare questo esemplare non­ ché l’utilizzazione di un micrometro ad induzione magnetica hanno consentito un’analisi archeologica assai approfondita, cfr. Di Majo et alii, Nota tecnica, passim. 78. La media dello spessore è 174.01 millesimi di millimetro. Cfr. Di Majo et alii, Nota tecnica, p. 91. 79. Bianchi et alii, La structure matérielle du codex, p. 390. 80. La taglia di un manoscritto è data dal suo semiperimetro (L+H). 81. Bianchi et alii, La structure matérielle du codex, p. 393. 82. Palma, Exultet, passim. 83. L’effettivo per la prima metà del secolo non è significativo. 84. Ovvero fascicoli cartacei con il bifolio esterno e/o interno in pergamena. 85. Per un’analisi approfondita delle problematiche legate ai codici con fasci­ coli misti cfr. Bianchi et alii, Une recherche sur les manuscrits. 86. L’uso dei fascicoli misti è assai raro fino agli ultimi decenni del X IV se­ colo, cfr. Bianchi et alii, Une recherche sur les manuscrits, p. 265. 87. Per una distribuzione delle varie tipologie di fascicoli nei manoscritti mi­ sti latini, greci ed ebraici cfr. Bianchi et alii, Une recherche sur les manuscrits, pp. 276-280. 88. Per il X IV secolo il campione di manoscritti in carta non è sufficientemente numeroso al fine di operare una partizione per paese. 89. Sebbene su 9 codici in carta attribuibili a tale periodo 5, cioè più della me­ tà, siano in quaternioni, uno in senioni, 2 in ottonioni ed uno presenti fascicoli da dodici bifolii. 90. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, pp. 124-211. 91. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, pp. 131-132.

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92. Cfr. Bozzolo, La production manuscrite dans les pays rhénans, pp. 230-232. 93. L ’effettivo totale di codici in pergamena attribuibili a questo periodo è ri­ dotto, ma la prevalenza dei codici strutturati in quaternioni e quinioni rispetto a quelli allestiti in senioni è innegabile. 94. L ’effettivo per questo periodo è di 29 codici. 95. Bozzolo, Ornato, Pour m e histoire, pp. 70-72,133. 96. In effetti l’utilizzazione di rinforzi alla piega in pergamena nella costruzio­ ne dei fascicoli cartacei potrebbe avvalorare l ’ipotesi della stima di poca solidità di cui godeva la carta, cfr. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, p. 133. 97. Cfr. Canari, Lezioni, p. 77; Bianchi et alii, Une recherche sur les manus­ crits, p. 105, relativamente al sondaggio effettuato su 100 manoscritti Vaticani greci che vanno dal XIII al X VI secolo. 98. Irigoin, Les cahiers, p. 7. Lo studioso esamina, nel corso di questo contri­ buto, le modalità di allestimento dei fascicoli nei codici greci in relazione al sup­ porto (pergamena, carta, misti). 99. Orsatti, Le manuscrit islamique. 100. L ’Occidente abbraccia le regioni ad ovest dell’Egitto fino alla Spagna: l’Oriente rimane indifferenziato, per quanto anche in questo ambito potrebbero esse­ re individuate regioni codicologiche diverse. Cfr. Orsatti, Le manuscrit islamique. pp. 323-324. 101. Cfr. Orsatti, Le manuscrit islamique, pp. 325-326. 102 .1 manoscritti ebraici in pergamena sono strutturati essenzialmente quaternioni in Ashkenaz e in Sefarad, che comprende appunto anche la Spagna, e a Bisanzio; mentre in Italia ed in Oriente - ad eccezione della Persia e dell’Uzbeki­ stan - in quinioni. Cfr. Beit-Arié, Hebrew Codicology, pp. 12-19 (per la definizione delle aree) e pp. 43-49. 103. Cfr. Beit-Arié, Hebrew Codicology, pp. 41-49 ed in particolare p. 47: «Paper quires adhere to thè same locai practice [ovvero l’uso adottato per la perga­ mena] in thè Orient [5 bifolii] and Ashkenaz [4 bifolii], while they show a variety of compositions in Sefarad, Italy and Byzantium: 4-10 and 12 sheets in Sefarad, 5-10 and 12 sheets in Italy, 4-8 sheets in Byzantium». 104. Cfr. Orsatti, Le manuscrit islamique, pp. 307-308. 105. Cfr. Orsatti, Le manuscrit islamique, pp. 312-313. 106. Cfr. Beit-Arié, Hebrew Codicology, pp. 44 e 48. 107. Irigoin avanza questa spiegazione anche per l’ambito greco, cfr. Irigoin, Le cahiers, p. 12. 108. Bianchi et alii, Une recherche sur les manuscrits, p. 279. Da rilevare che lo stesso tipo di ipotesi è stata avanzata anche a proposito dei manoscritti ebraici: «Tout se passe donc comme si l’octonion mixte était un sénion de papier auquel on ajoute deux bifolia de parchemin», p. 278. 109. Bianchi et alii, Une recherche sur les manuscrits, p. 279. 110. Nel caso di un solo bifolio di pergamena si potrebbe ugualmente supporre che si tratti di un quinione in carta rinforzato. 111. Per la problematica relativa ai formati dei manoscritti in pergamena cfr. Bischoff, Maniaci, Pergamentgrofie, passim.

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112. La produzione della prima metà del XIV secolo è, nel nostro campione, quasi irrilevante. 113. La definizione di in folio e grandi in folio presenta in questo caso un ca­ rattere puramente operativo: infatti le due suddivisioni sono state ricavate in base all’altezza e alla larghezza dei codici, includendo nel primo gruppo manoscritti fino ad un massimo di H=340 e L=240, nel secondo tutti quelli di dimensioni maggiori ovvero con una taglia (H+L) superiore a 560 min. 114. Adottiamo le seguenti abbreviazioni: in folio = in-f, grandi in folio = gf, in quarto = in 4°, in octavo = in 8°. 115. In particolare verrà esaminata la produzione di Francia, Italia e Germania, giacché quella inglese non presenta un effettivo sufficiente di codici cartacei. 116. La produzione cartacea italiana adotta prevalentemente i quinioni - come quella membranacea - , mentre nel resto d’Europa la preferenza si concentra sui se­ nioni. 117. Evidentemente i formati piccoli presentano una percentuale maggiore di codici non particolarmente curati. 118. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, pp. 145-147. 119.1 soli codici in ottonioni raggiungono una quota del 4%. 120. Fascicoli formati da nove, dieci, dodici bifolii. 121. Ciò avviene non solo perché ogni nazione può aver privilegiato discipline differenti - è notorio infatti che, in quegli anni, la Francia è teatro di una notevole produzione teologica mentre l’Italia mantiene il primato in altri settori tra cui spic­ cano gli studi giuridici - , ma anche per limiti intrinseci al campione, che, come ab­ biamo già sottolineato, è desunto da cataloghi. 122. In ogni paese con il passare del tempo si modificano le esigenze e perciò stesso il tipo di produzione; inoltre esistono i limiti intrinseci al nostro campione che abbiamo appena ricordato. 123. XIII. 1, XIH.2, XIV. 1, XIV.2. 124. La partizione dei codici per tipologia testuale e fascicolazione non è stata giudicata fattibile per la Germania in quanto l’effettivo complessivo del campione per il XIII e XIV secolo non è tale da consentire ulteriori suddivisioni. 125. Su 11 occorrenze 5 sono in senioni. 126. Su 25 occorrenze 2 sono in quaternioni, 2 in ottonioni e 21 in senioni. 127. Nei liturgici su 16 codici 12 sono in senioni mentre nei patristici 9 su 12. 128. Il numero di occorrenze complessivo per ognuno di questi due gruppi è inferiore alle 10 unità. 129. Su 38 occorrenze 18 sono in senioni e 18 con fascicoli dagli otto bifolii in su. 130. In quest’ultimo caso l’effettivo è particolarmente esiguo in quanto si compone di sole 4 occorrenze, tutte peraltro in senioni. 131. Su 24 occorrenze 14 sono in quaternioni, 9 in senioni ed una in quinioni. 132. Tali codici sono indicati con la sigla giu2. Per le sigle che individuano le varie tipologie testuali cfr. Appendice 2, Protocollo di rilevamento, sotto la voce Tipologia testuale . 133. Su 9 occorrenze 8 sono in quaternioni ed una in senioni.

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134. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire , p. 265. 135. Sulla tipologia bibbie ritorneremo più ampiamente in seguito. 136. Liturgici: su 12 occorrenze 7 in quaternioni, una in quinioni, 4 in senioni; letteratura sacra: su 13 occorrenze 8 in quaternioni, 2 in senioni, 3 in ottonioni; me­ dicina: su 8 occorrenze 5 in quaternioni, una in quinioni, 2 in senioni; classici: su 7 occorrenze 5 in quaternioni e 2 in senioni. 137. Su 20 occorrenze 18 sono in quaternioni e 2 in senioni. 138. Abbiamo anche 2 codici in quaternioni e 2 in senioni. 139. Qui non ci si riferisce ad un particolare tipo di bibbia, bensì ad un con­ cetto ideale. Cfr. Light, The New Thirteenth-Century Bible, p. 276: «Before thè thirteenth century, thè Bible, whether we are speaking of thè great English and French twelfth-century romanesque Bibles, thè Italian giant Bibles of thè eleventh and twelfth centuries, thè lavish Ottonian gospel books, or thè ninth century products of thè scriptorium at Tours, was an impressive embodiment of thè word of God ...». 140. Light, The New Thirteenth-Century Bible, passim. 141. Da non confondersi con le “Bibbie parigine”, ovvero bibbie di formato diverso - dal tascabile al monumentale - che presentano una ben precisa tradizione testuale, nata a Parigi verso il 1230 e diffusasi in seguito nel resto della Francia ed in Europa: cfr. Light, French Bibles, passim. 142. Light, The New Thirteenth-Century Bible, p. 277. 143. Light, The New Thirteenth-Century Bible, p. 279. 144. La definizione di bibbia tascabile può essere soggetta a interpretazioni ar­ bitrarie, ma nel nostro caso si sono definite tali solo le bibbie che corrispondono alle caratteristiche indicate da Light, The New Thirteenth-Century Bible, p. 278, cioè non più di 200 mm di altezza del foglio e 150 mm di altezza dello specchio. 145. Queste percentuali vengono illustrate dal grafico 11 in cui i valori com­ paiono arrotondati. 146. «Two technical innovations - extremely thin, almost translucent parchment, and a minute, very compact gothic book hand - made possible a Bible which was not only very small in terms of size of each page, but which was also not cumbersomely thick when bound in one volume». Cfr. Light, The New ThirteenthCentury Bible, p. 278. 147. Su 13 occorrenze 9 sono in quaternioni, una in quinioni, 2 in senioni ed una in fascicoli da dodici bifolii. 148. Per il termine taglia cfr. n. 80. 149. Con il termine proporzione s’intende il rapporto L/H. 150. Per alcune ipotesi sul funzionamento di questa correlazione cfr. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, pp. 253-261; Bianchi et alii, La structure matérielle du codex, pp. 386-390. 151. Ci si riferisce qui a valori più o meno grandi di L+H. 152. Cfr. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, p. 322. 153. Cfr. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, p. 326. 154. Cfr. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, pp. 318-330. 155. Cfr. Bozzolo, Coq, Muzerelle, Ornato, Noir et blanc, pp. 215-221. 156. Per il XIII e XIV secolo non abbiamo nel nostro campione un effettivo di

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codici provenienti dalla Germania e dai Paesi Bassi di consistenza tale da poter esse­ re ulteriormente suddiviso. 157. Abbiamo appena verificato che alcune tipologie testuali sono legate a de­ terminate fascicolazioni, per cui la presenza più o meno significativa di codici di un certo argomento può influenzare la rappresentatività del campione. 158. Per la diffusione dell’impaginazione su due colonne e le motivazioni che ad essa presiedono cfr. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, passim. 159. In molti casi si tratta di bibbie tascabili per cui l’impaginazione a due co­ lonne diventa necessaria al fine di consentirne la leggibilità. 160. Nella seconda metà del XIV secolo riscontriamo che il 70,3% dei codici a piena pagina è in quaternioni e il 21,6% in senioni, mentre nell’impaginazione a due colonne i codici in quaternioni sono il 40,5% e quelli in senioni il 56,8%. 161. L ’effettivo della prima metà del XIII secolo non è significativo. 162.1 manoscritti “piccoli” sono a piena pagina, i manoscritti “grandi” a due colonne. 163. Dal X V secolo si cominciano a trovare manoscritti di notevoli dimensioni a piena pagina. 164. Per brevità di esposizione adotteremo la seguente classificazione: taglia670 mm = manoscritti grandi. cfr. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, p. 268. 165. Per quanto riguarda l’Inghilterra presentiamo a solo titolo di esempio giacché le motivazioni del fenomeno sono difficilmente spiegabili - un esperimento effettuato per i secoli XIII e XIV utilizzando i codici teologici, filosofici e le raccolte di sermoni con disposizione del testo a due colonne. I risultati sono sintetizzati nelle tabelle 38 e 39. A quanto pare, mantenendo stabili tutte le variabili che abbiamo ap­ pena citato, nella seconda metà del XIII secolo risulta che i manoscritti di taglia me­ dio-grande presentano un effettivo di senioni più consistente (90%) di quelli di taglia medio-piccola (50%). Si noti comunque come i primi siano estremamente più nume­ rosi dei secondi: è evidente che, per quanto si cerchi di mettere la fascicolazione in relazione alla taglia tentando di isolare gli altri parametri, questi esercitano sempre una certa influenza. In questo caso potremmo ipotizzare che i teologici a due colon­ ne vengano comunque confezionati nella taglia più grande e quindi la presenza dei senioni sia legata, non tanto alla taglia, ma aH’impaginazione scelta per quella taglia. Riguardo agli altri periodi non si può aggiungere nulla di più dal momento che non emerge alcun fenomeno ben caratterizzato. 166. Manoscritti medio-piccoli e medio-grandi, cfr. nota 164. 167. Codici teologici in primo luogo, ma anche filosofici o giuridici. 168. A tal fine abbiamo suddiviso il nostro campione in due gruppi: formati piccoli - vale a dire in octavo e in quarto - e formati grandi - in folio e grandi in

folio. 169. Per quanto riguarda l’Inghilterra e i Paesi Bassi la produzione cartacea presente nel nostro campione non è sufficientemente significativa per procedere ad alcuna analisi. 170. Le descrizioni codicologiche dei manoscritti raccolti sotto le lettere C. F.

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I, sono state consultate in bozze - grazie alla gentilezza degli autori - nel 1993, du­ rante una visita all’IRHT di Parigi. 171. In questo caso s’intende il numero di plicature subite dal foglio per for­ mare i bifolii del fascicolo, anche se dobbiamo riconoscere che la semplice dicitura “formato” può dar adito a dubbi. Sotto questa voce in effetti si comprendono più significati. Lemaire nella sua Introduction à la codicologie dice: «Une fois que la feuille de papier est dégagée de la forme, elle présente les dimensions délimitées par le chàssis, c’est-à-dire des mesures que le papetier peut fixer arbitrairement (alors que les feuilles de parchemin offrent des surfaces variables selon la nature et la taille de l’animal). Ces dimensions définissent 1e. format du papier suivant le premier sens que Fon attribue à ce vocable ... Mais le mot format désigne aussi, depuis les origines de l’usage du papier, le mode du pliage que l’on fait subir aux feuillets pour constituer les cahiers d’un livre, c’est-à-dire la fagon dont une feuille est pliée un certain nombre de fois en deux pour former un cahier (qui comprendra un total de feuillets équivalents à deux élevé au carré du nombre de pliages)». Prosegue proponendo, al fine di evitare fraintendimenti connessi alla polisemia del vocabolo, le diciture adottate da Charles et Victor Morteti «... ont proposé autrefois de réserver le mot format à la désignation des dimensions du papier transformé en volume, d’appeler format commercial la dimension-type du papier qui sort de la forme ci form at bibliographique la dimension du papier plié pour composer les cahiers», pp. 34-35. Nel Vocabulaire codicologique di Muzerelle troviamo per l’accezione “format” due definizioni: a. sotto il paragrafo pliage: «la fagon dont une feuille est pliée n fois en deux pour former 2n feuillets», p. 92; b. sotto il paragrafo dimensions: «les dimen­ sions du volume en hauteur et en largeur», p. 100. Gumbert a sua volta distingue un material format - «thè fraction thè leaf is of thè whole Sheet» - , un apparent format di un manoscritto - «thè way its leaves are paired» - ed un working format - «thè way thè material was, or was not folded upon entering thè quire - which is, in essence, thè sense of “format” familiar to bibliographers» (Sizes and formats, pp. 227244). Derolez a proposito del formato dice: «Le mot format est employé avec trois significations qu’il faut bien distinguer. D ’abord pour indiquer la taille du livre, c’est-à-dire sa hauteur et éventuellement sa largeur, exprimables en centimètres ou millimètres {format absolu); ensuite pour exprimer la proportion entre la largeur et la hauteur du livre: ainsi on parie de format étroit, format large, format carré; nous utiliserons l’expression proportion du feuillet (PF) pour indiquer ce format relatif finalement, on distingue le format bibliographique (in-folio, in-4°, in-8° etc.), qui indique comment les bifeuillets des cahiers ont été obtenus par le pliage de la feuille ou de la peau)», in Codicologie, I, p. 26. Una serie di definizioni, che comprendono grosso modo i casi fin qui esposti si trovano nella Terminologia del libro mano­ scritto di Marilena Maniaci nel paragrafo “Modalità di piegatura” (p. 127). 172. V i sono alcuni cataloghi che danno l’indicazione Fiandre, altri semplicemente Belgio, senza specificare la regione di provenienza. Al momento dell’immis­ sione i dati sono stati rilevati così come venivano presentati. 173. A l fine di chiarire il concetto di segnature ad hoc proponiamo un esempio tratto dal Ker I: nel manoscritto Gray’s Inn 16 i primi sei fogli di ogni fascicolo sono contraddistinti dalle lettere a-f, accompagnate da un segno grafico - nella fattispecie

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può essere un tratto verticale precedente o susseguente le segnature dei fogli, un tratto orizzontale, una C rovesciata ecc. - che indica il fascicolo. Derolez fa riferi­ mento a questo tipo di segnature indicandole come type 5 nella sua classificazione delle signatures de feuillets, in Codicologie, I, p. 48. 174. In alcuni cataloghi sono a volte indicate due modalità di rigatura, piombo e inchiostro ad esempio, che sono state inserite nella scheda sotto la dicitura tipo di rigatura 1 e 2. Purtroppo nella maggior parte dei casi non si chiarisce quale tecnica è stata utilizzata per le rettrici e quale per lo specchio. 175. Con rigatura a colore s’intende una rigatura effettuata non a secco bensì facciata per facciata, e di cui non si specifica la natura (piombo, inchiostro ecc.). Su questo genere di problematiche cfr. Canart et alii, Recherches préliminaires, pp. 205-225. 176. Per una sommaria suddivisione delle iniziali, come quella adottata in que­ sta sede, cfr. Pace, Miniatura e decorazione, pp. 91-101, passim ed in particolare pp. 94-97. Da notare che la categoria delle iniziali ornate è definita “in negativo” rispetto alle semplici e alle filigranate da un lato, alle istoriate dall’altro, in quanto comprende tutto ciò che non rientra in queste classi, come iniziali zoomorfiche, ca­ leidoscopiche, figurate, abitate ed altre ancora.

L ’immagine più ricorrente che viene associata ad un libro giu­ ridico medievale è rappresentata da un maestro seduto sulla catte­ dra in un aula universitaria nell’atto di leggere e commentare il te­ sto normativo ad un gruppo di studenti, intenti a seguire e ad an­ notare lungo i margini dei loro manoscritti quanto si va dicendo durante la lezione. Tale accostamento trova un’ampia giustificazione nel fatto che il libro giuridico è, sotto molti aspetti, un prodotto della cultura universitaria del X II-X IV secolo, in quanto ne riflette sia i principi di elaborazione scientifica e i criteri entro i quali le nuove dottrine vengono ad organizzarsi, sia i meccanismi di riproduzione e di dif­ fusione promossi e gestiti dai grandi Studia, nelle città presso le quali le università avevano sede. Visto in questa ottica, ogni libro di diritto di epoca medievale, utilizzato per scopi didattici o professionali, costituisce, direttamente o indirettamente, una testimonianza preziosa e significativa dell’atti­ vità scientifica dell’istituzione accademica. Specifiche modalità di progettazione e di esecuzione fanno sì che tale codice rappresenti una tipologia libraria molto ben definita, con caratteristiche peculiari che ne fanno un interessante e stimolante oggetto di studio. Tale premessa è indispensabile per introdurre gli scopi e le fi­ nalità che si propone questa ricerca, volta ad analizzare la struttura della pagina di un libro giuridico, i criteri che presiedono all’orga­ nizzazione e all’articolazione di tutte le sue componenti, scritte e non scritte, e alle modalità di sfruttamento e di utilizzazione dello spazio destinato ad accogliere il testo. L ’interesse rivolto all’architettura della pagina e alla sistema­ zione degli elementi che ne determinano il disegno trova una sua

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motivazione nella sostanziale omogeneità ed uniformità che carat­ terizza, sotto questo aspetto, un codice di diritto. fi testo ed il commento vengono disposti secondo schemi che risultano pressocché identici nei vari centri di produzione, nel periodo compreso tra il XIII e il X V secolo e questo sia per il materiale manoscritto, sia per quello a stampa. Ciò ha reso giustificabile e possibile un’inda­ gine sulle strategie adottate dai vari artigiani nel modellare ed orga­ nizzare una determinata quantità di testo in funzione di uno spazio disponibile. A tale scopo ci si è chiesti se T immagine di uniformità generalmente offerta dalle pagine di un libro giuridico risponda a delle scelte univoche; se, per adattare un testo al relativo commen­ to, prevalgano soluzioni di tipo funzionale volte a favorire la vici­ nanza di passi convergenti per contenuto, o al contrario, se si con­ cede maggiore rilevanza ad esigenze di tipo estetico, al fine di ot­ tenere risultati di grande omogeneità visiva; come e in che misura, infine, all’intemo di certi meccanismi, s ’interviene sui settori, scritti e non scritti, della pagina. L ’indagine si è avvalsa delle metodologie di analisi quantita­ tiva, già ampiamente sperimentate in vari campi della ricerca sto­ rica, non ultimo quello della storia del libro.1Ma se l ’approccio di tipo «sperimentale» agli studi codicologici non rappresenta una novità, tuttavia sembra esserlo nel caso del libro giuridico, alme­ no dal punto di vista dei problemi che ci si è proposti di affronta­ re. L ’identificazione tra una tipologia libraria con l ’ambiente che la progetta e la realizza e all’interno del quale trova una sua fun­ zione d’uso e di destinazione, è un motivo da sempre ricorrente nella tradizione di questi studi.2 Così come i meccanismi relativi alla costruzione della pagina e al rapporto esistente tra le sue componenti non costituiscono una novità e ad essi si fa sp esso ri­ ferimento in sede manualistica e in numerosi contributi dedicati ai più vari aspetti del libro manoscritto e a stampa. T uttavia un esame approfondito e mirato di tali problematiche all’interno di questa specifica tipologia libraria, non risulta essere stato ancora affrontato.3 Per tentare di dare delle risposte a tali quesiti è stato necessario prima di tutto delimitare il campo della ricerca, da un punto di vista qualitativo e quantitativo. L ’obiettivo che ci si è posti è, infatti, la formazione di un corpus di testimonianze sufficientemente rappre­

Un rompicato medievale

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sentativo e idoneo a fornire tutte le informazioni necessarie all'in­ chiesta. A tale scopo, l’attenzione si è concentrata su un campione di manoscritti del XIII e X IV secolo e di incunaboli deH’ultimo quarto del X V , contenenti il Codex di Giustiniano con glossa ordi­ naria.

1. Testo ed apparato Il termine di libro giuridico è una qualifica piuttosto vaga e con essa ci si riferisce ad un genere letterario che comprende una varietà notevole di opere. Nel medioevo le due grandi categorie del diritto canonico e del diritto civile includono i testi normativi di base e una serie di trattazioni di diversa natura che servono da complemento ai primi: lecturae, summae, quaestiones, repetitiones, ecc. Per l’indagine si è ritenuto opportuno orientarsi su una delle due grandi sezioni, quella del diritto civile, e su una delle sue partizioni fondamentali, il Codex. Il Codex di Giustiniano è una se­ zione del Corpus Iuris Civilis4 particolarmente diffusa e conosciuta aH’intemo delle università e fuori di esse; un testo cioè ampia­ mente utilizzato sia per l’insegnamento universitario sia ai fini della pratica giuridica. Da una serie di documenti relativi al com­ mercio librario a Bologna tra la seconda metà del XIII secolo e il primo trentennio del XTV, conservate nel fondo Ufficio dei M emo­ riali dell’Archivio di Stato di Bologna,5 risultano molte testimo­ nianze riguardanti la produzione e la circolazione del Codex. Il 57% circa dei contratti di compravendita e di scrittura relativi alle opere del Corpus Iuris Civilis concerne il testo del Codex, il quale è oggetto anche di altri tipi di transazione, nella forma di contratti di pegno, prestito e trasporto.6 L’impostazione dei programmi nelle scuole di diritto era di­ versa a seconda delle università e facoltà; in ogni caso l ’insegna­ mento del Codex era ritenuto fondamentale e veniva impartito dai maestri (doctores ) nei corsi cosiddetti ordinarii, che si svolgevano generalmente la mattina.7 Un gruppo di norme relative agli statuti universitari bolognesi del 1252, i più antichi in nostro possesso, ci illustrano il sistem a d’insegnamento basato sui puncta, ovvero sui tempi e le modalità di lettura dei testi giuridici. Nel caso del Codex

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erano previsti due cicli di lezioni; il primo era ripartito in sette parti di 14 giorni ciascuna, il secondo in nove parti di 12 giorni, per un totale dunque di 206 giorni, durante i quali venivano letti tutti e nove i libri.8 La lectura rappresenta la forma originaria e duratura dell’inse­ gnamento universitario. Essa nasce essenzialmente dalla consape­ volezza che è solo sulla base della lettura di testi autorevoli che la mente s ’ingegna alla ricerca della verità. Legere diventa sinonimo di insegnare e di studiare ed è solo un’opera o un’interpretazione accreditata, e quindi riconosciuta e garantita, a fare testo e a porsi come un indiscutibile punto di partenza. La lettura «devient ainsi une pratique que Fon peut organiser, déterminer à l’avance; elle se donne pour but la préparation culturelle et l’activité didactique et scientifique du novel intellectuel professione!, qu’il soit lai'c ou religieux: professeur, juriste, médecin, théologien, notaire».9 Tale metodo, così ampiamente diffuso in ogni campo del sapere, acqui­ sta tuttavia grande rilievo proprio in ambito giuridico, lì dove la ri­ scoperta dei testi giustinianei e la necessità di conferire certezza al diritto non nasce da un interesse esclusivamente intellettuale ma di­ venta una premessa indispensabile per una società che si sta orga­ nizzando in entità politiche ed istituzionali nuove rispetto al pas­ sato. Fin dai primi tempi dell’insegnamento universitario la lettura delle opere di Giustiniano prevedeva sia l’analisi e la spiegazione delle singole leggi, sia il relativo commento, consistente per lo più nella citazione di norme corrispondenti per materia al passo esami­ nato. Si trattava nella maggioranza dei casi di leggi analoghe o contrarie (loci similes et contrarii), tutte collocabili all’interno della stessa compilazione giustinianea, la citazione delle quali si traduceva in annotazioni ed osservazioni brevi e stringate poste lungo i margini dei manoscritti. Queste prime glosse costituirono un punto di partenza, una trama di riferimenti a testi paralleli da ampliare ed approfondire, per cui, una volta «individuato il fram­ mento da estrapolare lo si ricopiava e lo si apponeva a m o’ di glos­ sa al testo da spiegare, come nuovo strumento interpretativo per rischiararne il significato e per svilupparne i contenuti».10 Con il tempo tuttavia l ’analisi della legge si fa più complessa, per cui dalla semplice riutilizzazione di materiale estratto o da estrarre dal

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Corpus Iuris, si passa ad un’esegesi più articolata, consistente dap­ prima nell’illustrazione del casus, ossia del dato normativo vero e proprio, e quindi nell’esplicazione di tutta una serie di aspetti pro­ blematici connessi alle diverse interpretazioni. H libro diventa così uno strumento indispensabile per produrre elaborazione scientifica e per fissarne la memoria, «on lit pour écrire ... on lit et on écrit tout ensemble quand on commente et quand on annote; on écrit en lisant quand on compose, car tout texte est - nécessairement - fondé sur l’«auctoritas» des prédécesseurs et sur l ’usage permanent de la citation».11 Le glosse erano collegate al testo da un segno di rinvio; nella fase più antica venivano utilizzati dei simboli, tra i quali era diffuso §, impiegato anche per indicare l’aggiunta ad una glossa indivi­ duale; più tardi cominciano ad essere usate le lettere dell’alfabeto. Nel caso dei civilisti, al segno di rinvio seguiva V incipit del passo. Gero Dolezalek ha dimostrato che fin dal XII secolo esistevano manoscritti giuridici glossati.12 Si trattava tuttavia di materiale an­ cora informe, di annotazioni in progress, anche se di carattere non occasionale o sporadico, frutto e testimonianza dell’esegesi svolta nelle scholae dai maestri di diritto.13 Questi primi manoscritti glos­ sati costituivano probabilmente i Libri magistrorum,14 vale a dire gli esemplari appartenuti ai capiscuola, nei quali i maestri riportavano le glosse proprie o di altri giuristi e che utilizzavano nel corso delle le­ zioni. Con il tempo ad annotazioni precedenti se ne aggiungevano o sostituivano delle nuove a testimonianza dell’evolversi dell’indagine scientifica in campo giuridico. Per questo motivo manoscritti del XII secolo, risalenti ad uno stesso ‘archetipo’, ovvero ad una stessa scuola, possono presentare spesso glosse non identiche anche se si­ milari. Per rivendicarne la paternità e distinguerle da annotazioni precedenti, i giuristi cominciano ad apporre delle sigle (y[m erius ], b[ulgarus], m[artinus], r[ogerius] ecc.),15 che tuttavia spesso non so­ no sufficienti a conservarne e a garantirne una circolazione autono­ ma. Molti manoscritti infatti vengono erasi per lasciar posto a nuove additiones, alcuni sono trascritti e in questa fase molte sigle scom­ paiono volutamente o casualmente, perché rimaste magari interposte fra le note originarie e le aggiunte fatte in tempi successivi.16 Diventa così complesso individuare e riconoscere nei manoscritti più antichi insiemi unitari di glosse, anche se è proprio da questo momento che

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assume rilevanza la nozione di ‘strato’, inteso «in riferimento alla tradizione unitaria di un testo vivo ... connotata dall’avvenuta cir­ colazione».17 Il passaggio immediatamente successivo e storicamente de­ terminante è rappresentato dal confluire di questi diversi agglome­ rati di glosse in un’unica struttura, identificabile con l’apparato. In esso le glosse vengono disposte ed aggregate in un ordine fìsso e sono perciò individuabili e riproducibili come opera autonoma e personale del giurista che ha compiuto la scelta.18 È qui che «la fi­ gura storiografica strato, come insieme di glosse connotato nella maniera convenuta, può convergere con la figura storica appara­ to; ... nella figura storiografica strato quell’insieme di glosse, che pure può aver storica consistenza di apparato, viene preso in consi­ derazione per la sua struttura. D eve perciò dirsi che ogni apparato è pure strato, ma non ogni strato è pure un apparato ... Si può dire che da quel momento resta indenne l’originaria struttura dell’insie­ me di glosse, ma non il regime circolatorio: questo non è più il re­ gime proprio d’una scrittura aperta, e diviene il regime d ’una scrit­ tura chiusa».19 Per i testi del diritto civile, i primi apparati standardizzati di glosse hanno come autori Ugolino e Azzone, anche se l ’operazione completa di raccolta, selezione e riordino delle glosse che si erano venute accumulando fin dai tempi di Imerio fu compiuta definiti­ vamente da Accursio nel corso della prima metà del XIII secolo20 L ’apparato accursiano è nello stesso tempo un’opera esegetica e compilatoria; l’autore infatti non si è limitato a mettere insieme il materiale preesistente,21 ma quest’ultimo è stato oggetto di re visio ­ ne ed elaborazione, nella forma e nella sostanza, alla luce di prin­ cipi, definizioni e classificazioni ormai appartenenti al patrimonio scientifico delle scuole bolognesi di diritto. Rimane tuttavia ancora molto complessa l’identificazione del materiale preaccursiano al­ l’interno della Magna Glossa, dal momento che sono pochissim i i contributi di precedenti giuristi che hanno mantenuto intatte le loro sigle, mentre di regola tutte le glosse si presentano come elaborate da Accursio e recano spesso la sua sigla (ac. o acc.), anche quando appartengono ad altri.22 Il termine apparatus viene attestato a partire dal XII secolo, e pur essendo utilizzato con accezioni non identiche, mantiene so­

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stanzialmente per lungo tempo il significato generico di un insieme di glosse approntato a scopi didattici. A partire dal XIII secolo esso viene concepito come un’opera compiuta, avente carattere compilatorio e realizzata a scopo divulgativo23, la cui natura risiede es­ senzialmente nell’essere strettamente legato allo scritto commen­ tato, dal momento che le singole glosse si riferiscono normalmente ad un lemma del testo. Secondo un significato più ampio e generi­ co, si tende a considerare l’apparato come un insieme di glosse di­ stribuite secondo certe modalità lungo i margini di un manoscritto, una sorta di intelaiatura continua, ottenuta modellando il com­ mento inquadrante il testo.24 Tale connotazione, più fisica che interpretativa, restituisce al termine glossa quella funzione di esegesi riservatale tradizional­ mente dai giuristi; secondo il lessico di questi ultimi, infatti, essa è un’opera di qualsiasi natura, funzionale all’interpretazione del te­ sto, indipendentemente dalla sua collocazione sulla pagina25; la di­ stinzione tra glosse interlineari e marginali è dunque puramente materiale26 e dipende dalle dimensioni del supporto e dall’ampiezza del commento. Solo quando quest’ultimo sarà diventato sufficien­ temente esteso da dover essere disposto sulla pagina secondo certe regole ed accorgimenti, allora si potrà parlare di apparato o di ap­ parato di glosse.

2. D libro giuridico Il libro giuridico rappresenta un tipo di prodotto particolare e ben definito sia da un punto di vista strutturale, sia in rapporto all’uso e alla funzione a cui era destinato. Indispensabile strumento di studio e di lavoro, esso viene mo­ dellato sulla base delle esigenze di un pubblico colto, culturalmente omogeneo, fatto di professionisti, maestri e studenti, una categoria di tecnici intellettuali,27 protagonisti di quella rinascita degli studi di diritto affermatasi tra il XII e XIII secolo. Questi libri hanno un aspetto peculiare, funzionale ai canoni didattici del tempo: sono libri «da banco»,28 generalmente di gran­ de formato, con il testo disposto su due colonne e spostato verso il centro della pagina per lasciar posto agli ampi margini destinati ad

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accogliere il commento, scritto in modulo minore, secondo un prin­ cipio di gerarchia funzionale che «permet de différencier l’essentiel de l’accessoire, le général du particulier».29 Un articolato sistema di rinvìi e di richiami permetteva di collegare facilmente passi con­ vergenti del testo e della glossa, ed entrambi erano impostati in modo tale da far identificare facilmente singole parti del discorso grazie a ll’uso di maiuscole, di iniziali filettate di rosso e turchino, di rubriche e di segni di paragrafo che ne permettevano anche una più rapida consultazione e memorizzazione. L ’effetto di uniformità dato dalla gotica testuale, la tipica scrittura scolastica, l ’uso di un preciso vocabolario e l ’adozione di un sistema piuttosto complesso ed esteso di abbreviazioni, che consentivano ad un lettore esperto di completare mentalmente lo scritto, favorivano l ’operazione di lettura.30 L ’uniformità del prodotto si riflette anche nelle modalità di esecuzione e nelle tecniche di manifattura, basate sul meccanismo della pecia, un sistema su cui si fonda la nuova editoria universita­ ria. I modelli ufficiali dei testi destinati all’insegnamento, gli exem plaria, erano depositati presso le officine degli stationarii librorum e peciarum ed erano dati in affitto in fascicoli sciolti, le p ecia e ap­ punto, e a tariffe fisse per permettere una più rapida e contempora­ nea riproduzione delle singole opere.31 Il momento della copia rap­ presentava solo una delle varie operazioni necessarie alla produ­ zione del libro, anche se la più lunga e costosa;32 le nuove tecniche determinano infatti una netta separazione delle varie fasi del lavo­ ro, secondo le specifiche competenze, richiedendo l’intervento di altri operatori del settore, come cartolai, pergamenarii, miniatori, rubricatoli, i quali pur operando in luoghi separati, trovavano un punto di raccordo nell’imprenditore librario, lo stazionario. Questo modello di codice, nato in ambiente universitario fra XII e XIII secolo, sopravvive nello stesso ambiente sino a tutto il Quattrocento e viene riprodotto anche negli incunaboli, i quali ne imitano la struttura, il formato, rimpaginazione, l ’organizzazione del testo, il sistema di rinvìi, la scrittura33 e la gerarchia d ell’orna­ mentazione. Tale continuità, all’interno di una radicale trasformazione delle tecniche di produzione del libro, è un principio comunemente accettato: in effetti a prima vista esiste una grande uniformità tra le

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pagine di un incunabolo giuridico del X V secolo e quelle di un ma­ noscritto contenente la medesima opera. Tuttavia ci si è chiesti se e come gli inevitabili e oggettivi cambiamenti introdotti nel passag­ gio da un sistema manuale a quello a stampa intervengano su certi meccanismi di adeguamento del testo alla glossa; se le modalità di disposizione delle due masse testuali, nel rispetto dei vincoli che le uniscono, rispondano alle stesse esigenze di funzionalità ed estetica e se di conseguenza cambiano i criteri di sfruttamento e di uti­ lizzazione della superficie materiale; a quali principi, infine, sul piano della proporzionalità e della regolarità, si conformino tutte le componenti scritte e non scritte di una pagina di un manoscritto e di un testo a stampa.34 Il sistema di produzione del libro attraverso il meccanismo della pecia è stato più volte definito come industriale35, anche se in una fase ancora non evoluta: gli exemplaria del testo e della glossa circolavano separatamente e in fascicoli sciolti e in questo modo si garantiva la riproduzione simultanea in più copie di una stessa ope­ ra, dal momento che lo scriba prendendo in affitto una pecia alla volta, faceva in modo che altri potessero utilizzare le rimanenti. Sia che le scritture del testo e dell’apparato fossero eseguite contempo­ raneamente, sia che avvenissero in tempi diversi, il processo di riproduzione in serie, scandito dai ritmi della pecia, non doveva teo­ ricamente alterare l ’operazione di copia manuale che segue, in ge­ nere, l’ordine naturale dello scritto e della lettura. Alcune deroghe sono tuttavia ammissibili, qualora, ad esempio, si verifichino dei salti nell’affitto e nella trascrizione dei fascicoli rispetto alla loro disposizione nell’exemplar, il che costringe il copista a bilanciare la composizione del testo sulla base anche dell’unità materiale su cui opera, che non necessariamente coincide con quella sulla quale circola il modello.36 Ciò che può verificarsi nel manoscritto, e cioè l’esecuzione non sequenziale delle pagine, diviene invece una regola nel libro a stampa, almeno a partire dal 1473 ca., quando l’introduzione della pressa a due colpi rende possibile l ’impressione di due o più pagine adiacenti sul foglio.37 Tale procedimento, se da una parte favorisce l’aumento della produttività dell’operazione di stampa, dall’altra rende la composizione tipografica più complessa e delicata, poiché aumentano i problemi relativi al calibratura della massa testuale al­

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l’interno dei fascicoli.38 Tali meccanismi di segmentazione e di di­ sposizione di un messaggio scritto prevedono naturalmente la de­ terminazione anche di altri fattori, quali la dimensione del volume, la quantità del supporto da utilizzare e la ripartizione di quest’ulti­ mo in unità di base per la realizzazione del lavoro. L a superficie materiale deve poi essere predisposta ad accogliere il testo, deli­ mitando al suo interno delle aree suddivise in un certo numero di righe, sulla base anche della quantità, tipo e grandezza dei segni grafici impiegati. La definizione e il controllo di tutte queste operazioni rap­ presentano un passaggio obbligato sia per l’allestimento di un libro manoscritto che per quello a stampa, anche se possono esse­ re diverse le norme che ne regolano l’esecuzione e la combina­ zione. Sarà quindi interessante analizzare se e come si differenzino o si uniformino le scelte e le soluzioni adottate nei due differenti am­ biti di produzione rispetto ai fenomeni che ci si è proposti di af­ frontare e si cercherà di offrirne, nei limiti del possibile, un’inter­ pretazione.

3. D corpus dei manoscritti e degli incunaboli Dal momento che uno degli obiettivi della ricerca è volto ad analizzare il rapporto testo/glossa secondo le diverse modalità di adattamento dell’una rispetto all’altro sulla pagina, il criterio prin­ cipale di selezione del materiale manoscritto e a stampa utilizzato è stata la presenza di un apparato continuo di glosse, ovvero di «oeu­ vre littérairement achevée, due à un auteur, connu ou non, et qui forme un tout ..., un ensemble voulu et con§u comme tei, qui est recopié pour lui-mème».39 Molti manoscritti, infatti, pur se costruiti secondo il canone classico, vale a dire con il testo normativo collo­ cato al centro circondato da ampi margini destinati ad accogliere il commento, contengono glosse occasionali o sporadiche, sparse lungo la cornice esterna o nell’interlinea. In questi casi è evidente che le annotazioni non hanno carattere di sistematicità e possono essere collocate facilmente in una qualsiasi area vicina al passo da interpretare, senza che ciò richieda un particolare sforzo di coordi­

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namento tra le due unità testuali, essendo lo spazio disponibile sulla pagina superiore al necessario. È solo quando ci si trova di fronte ad apparati completi, conti­ nui e non più saltuari che entra in atto un meccanismo di adatta­ mento delle due masse testuali e quindi dello sfruttamento della pagina in funzione di tale obiettivo. Nel corso dell’esposizione, i termini apparato e glossa saranno utilizzati in modo indifferenziato per indicare la porzione di testo riservata al commento, separata e distinta dalla parte normativa. La prima fase della ricerca è stata quindi il censimento dei manoscritti contenenti il Codex di Giustiniano con glossa; in un se­ condo momento si è poi proceduto a selezionare i codici nei quali l’apparato di glosse rispondesse alle caratteristiche appena enun­ ciate, che fosse cioè stabile e continuo. A tale scopo si è utilizzato il repertorio di Gero Dolezalek,40 uno strumento prezioso che com­ prende l’elenco di tutti i manoscritti delle opere di diritto romano giunti fino a noi dalle origini fino al 1600. Il Dolezalek, nell’illu­ strare le testimonianze sopravvissute, segnala l’assenza o la pre­ senza di glosse, di apparati e di additiones (ovvero glosse di nuovi giuristi aggiunte ad un apparato ordinario) specificandone l’autore o gli autori indicati con il nome o attraverso la sigla. Le notizie che il Dolezalek riporta derivano solo in parte da un’indagine autoptica, mentre nella maggioranza dei casi sono il risultato dello spoglio effettuato su cataloghi di biblioteche e su un’ampia bilbliografia attinente all’argomento. Tutto ciò ha comportato una duplice selezione del materiale utile alla ricerca, poiché dal campione originario, teorico, configu­ rato sulla base delle informazioni fomite dal Dolezalek, è stato ne­ cessario eliminare un certo numero di manoscritti con caratte­ ristiche non rispondenti alle indicazioni del repertorio e quindi pri­ vi di alcuni parametri indispensabili all’indagine. Complessivamente i manoscritti del Codex di Giustiniano elencati dal Dolezalek sono 302. In base ad un primo spoglio 190 codici risultavano adatti alla ricerca, 86 erano da eliminare, perché senza apparato o provvisti di sole glosse marginali, 26 apparivano incerti. Dei 68 manoscritti teoricamente presenti nelle biblioteche dei centri scelti per il rilevamento, Città del Vaticano, Roma, Pari­ gi, Firenze e Bologna,41 se ne sono dovuti escludere 27, in quanto

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privi di un apparato continuo. S i è raggiunto così un effettivo di 41 manoscritti, pari al 25,15% del totale degli idonei, che a questo punto si riduce a 163.42 La glossa è in tutti i casi di A ccu rsio .43 La scelta degli incunaboli è risultata meno problem atica. Per una prima analisi dei fenomeni che ci si è proposti di osservare, ai fini di un confronto tra il libro manoscritto e a stampa, si è ritenuto infatti sufficiente operare su un numero limitato di testim oni. Gli incunaboli esaminati sono 5 e le fonti utilizzate per il loro reperi­ mento sono state il voi. VII del Gesamtkatalog e il vo i. I li d e\Y In ­ dice generale degli incunaboli delle biblioteche d ’Italia. Non e s­ sendo richiesti particolari requisiti, se non la presenza di un appa­ rato continuo e che non si trattasse di ristampe di un’edizione pre­ cedente44, il criterio di selezione è stato quello di una m aggiore re­ peribilità.45 La distribuzione cronologica com plessiva del campione mano­ scritto e la ripartizione cronologica all’interno dei due secoli m ag­ giormente rappresentati è stata sinteticamente riassunta nei grafici 1-3. La tabella 1 contiene invece i risultati relativi al form ato,46 alla taglia47 e alla proporzione48 di tutti i volumi. TABELLA 1

H (mm)

M ss

Ine

4 2 8 ,4 4

4 2 6 ,1 1

L (mm)

2 6 2 ,9 1

2 6 3 ,8 1

L +H (mm)

6 9 1 ,3 5

6 8 9 ,2 2

L/H

0 ,6 1 5

0 ,6 2 0

4. La mise en page Lo studio della mise en page, ovvero della «disposition générale des différents éléments figurant sur une page»49, è stato effettuato individuando all’interno della pagina 17 settori corrispondenti alle zone ricoperte dal testo, dalla glossa e dalla superficie non scritta. Tali settori sono rappresentati dalle due colonne del testo (fig. 1); dai sei bracci dell’apparato (fig. 2); dai quattro margini (superiore, infe-

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riore, interno, esterno) (fig. 3); dall’intercolumnio (fig. 4); dai quat­ tro bracci del fossato (così definito il corridoio interno che separa le due colonne del testo dai bracci della glossa) (fig. 5).

F ig u ra 5

Le dim ensioni di queste sezioni si sono ottenute dalla combi­ nazione di 16 misure lieneari, 9 orizzontali e 7 verticali, rilevate secondo lo schem a seguente:

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Le m isure orizzontali sono state effettuate partendo sem pre dal mar­ gine esterno, da sinistra verso destra sulle carte verso e da d estra verso sinistra su lle carte recto; per le m isure verticali invece si è proceduto d all’alto verso il basso, iniziando quindi sempre dal margine superiore di ogni carta. Le 9 m isure orizzontali, indicate sempre con numero cardinale, cor­ rispondono ai seguenti segmenti: carte verso 1 = 2

=

distanza tra il bordo del margine esterno e il braccio B/colonna a della glossa; larghezza del braccio B/colonna a della glossa;

Un rompicato medievale

3

=

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d istanza tra il braccio B/colonna a della glossa e la colonna

a del testo;

4 5 6 7 8

9 carte

= = = = = =

largh e zza della colonna a del testo; d istanza tra la colonna a e la colonna b del testo; largh e zza della colonna b del testo; distanza tra la colonna b del testo e il braccio B/colonna b d ella glossa; largh e zza del braccio B/colonna b della glossa; distanza tra il braccio B/colonna b della glossa e il bordo d el m argine interno;

recto 1

=

distanza tra il bordo del m argine esterno e il braccio B/colonna b della glossa; 2 = largh e zza del braccio B/colonna b d ella glossa; 3 = d istanza tra il braccio B/colonna b della glossa e la colonna b del testo; 4 = largh e zza della colonna b del testo; 5 = d istanza tra la colonna b e la colonna a del testo; 6 = largh e zza della colonna a del testo; 7 = d istanza tra la colonna a del testo e il braccio B/colonna a d ella glossa; 8 = la rgh e zza del braccio B/colonna a della glossa; 9 = d istanza tra il braccio B/colonna a della glossa e il bordo d el m argine interno. Il rilevam en to per l ’asse verticale d ella p agin a è stato effettuato una sola volta, lu n g o la colonna, a o b, che presentava per i bracci A e C della glossa un più e le va to numero di righe e quindi una dimensione m aggiore. Le 7 m isure vertica li, indicate sempre in ordinale romano, corrispondono ai seguenti segm en ti: I = d istan za tra il bordo del m argine superiore e il braccio A d e lla glossa; II = a lte zz a del braccio A della glossa; III = d istan za tra il braccio A d ella g lo ssa e la colonna del testo; IV = a lte zz a d ella colonna del testo; V = d istan za tra la colonna del testo e il braccio C della glossa; VI = a lte zz a del braccio C della glossa; V II = d ista n za tra il braccio C d ella g lo ssa e il bordo del m argine inferiore.

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5. Gerarchia dimensionale e correlazione L ’indagine sull’architettura della pagina sulla base della dispo­ sizione e dell'articolarsi degli elementi appena descritti, ha reso necessaria un’importante operazione preliminare che consiste nella standardizzazione dei dati. Standardizzare significa rendere indipendenti i valori relativi ai singoli segmenti della pagina, sia orizzontali che verticali, dalle dimensioni, variabili, dei volumi. Esiste infatti nel libro un criterio di proporzionalità, in base al quale tutte le diverse componenti co­ stitutive della pagina scritta sono, in genere,50 positivamente corre­ late alle dimensioni del volume; tale principio risponde essenzial­ mente a bisogni di tipo estetico, volti ad armonizzare le esigenze di trasmissione di un messaggio con le potenzialità e i limiti del sup­ porto materiale destinato a contenerlo. Per ottenere questo risultato si sono calcolati la media e lo scarto51 di ogni segmento orizzontale e verticale all’interno di ogni manoscritto ed incunabolo; quindi dal valore di ogni segmento si è sottratta la media e il risultato ottenuto si è diviso per lo scarto: in questo modo i singoli valori si centrano rispetto alla media e si ri­ ducono rispetto allo scarto. Nei grafici 4 e 5 relativi ai valori standardizzati dei volumi orizzontali e verticali della pagina, i valori risultano essere positivi e negativi rispetto alla media, che corrisponde al valore 0, e sono quindi espressione della maggiore o minore estensione di ogni sin­ golo segmento rispetto alla media stessa. Per quanto riguarda l’area orizzontale della pagina, molto si­ mili appaiono i segmenti 3/5/7 corrispondenti all’intercolumnio e al fossato che separa la zona testo dalla zona glossa; i segmenti 4/6 relativi alle colonne del testo sono uguali e, proporzionalmente i più ampi; dissimili invece i segmenti 2/8, corrispondenti ai due bracci laterali della glossa ovvero alla zona B della glossa: il seg­ mento 2 tende ad essere decisamente più ampio dello speculare 8; negativi i valori dei segmenti 1/9, relativi alle aree marginali: il margine interno risulta inferiore. Veniamo ora alle misure standardizzate verticali: il margine superiore ed il primo braccio della glossa, ovvero i segmenti I/D, sono uguali, così come i segmenti III/V relativi al fossato; la zona

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più estesa è ancora una volta quella corrispondente alla colonna del testo, segmento IV , mentre da osservare è la differenza relativa­ mente ampia tra i segmenti VI/VII e quella invece più decisa tra i segmenti II/VI relativi ai bracci superiore ed inferiore della glossa. Da questi dati iniziali risulta già abbastanza evidente un’uni­ formità caratterizzante l ’area interna della pagina, inquadrata dai bracci dell’apparato e comprendente il fossato, le due colonne del testo e l’intercolumnio, sia in senso orizzontale che in senso verti­ cale. Maggiormente difformi risultano invece le due aree laterali marginali, per le quali è indicativo un ulteriore confronto tra le mi­ sure medie standardizzate dei singoli segmenti. Sommando i valori dei segmenti 1/2/3 e dei segmenti 7/8/9, si ottiene una media di 0,16 e -1,68. Dal momento che i segmenti 3/7 sono, come abbiamo visto, sostanzialmente uguali (la differenza tra i due è di 0,019), la difformità nell’estensione dipenderà essenzialmente dai due bracci laterali della glossa e in seconda istanza dal corrispondente margi­ ne. A tale proposito, infatti, il segmento 2 risulta sempre più grande del segmento 8 (diff. seg2-seg8 = 1 ) , così come, ma in misura mi­ nore, il segmento 1 risulta maggiore del segmento 9 (diff. se g lseg9 = 0,49). Altrettanto difformi le due aree laterali marginali verticali; se si sommano infatti i valori standardizzati dei segmenti I/II/III e dei segmenti V/VI/VII si ottiene in media, -1,71 e -0,31, ed essendo pressocché uguali i segmenti III/V (diff. seglII-segV = 0,017), le differenze tra i volumi vanno ricercate nei segmenti I/II e VI/VII; il segmento V I risulta sempre maggiore del segmento II (diff. segV Isegll = 0,94), così come il segmento V II è più grande del segmento I (diff. segV II-segl = 0,44). È interessante a questo punto osservare il tipo di correlazione52 esistente tra i segmenti orizzontali e verticali della pagina (vedi ta­ belle 2 e 3).

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Tabella 2 Tavola di correlazione segm en ti orizzontali 1

2

3

4

5

1

1,000

2

-0,588

1,000

3

-0,541

-0,041

1,000

4

0,229

-0,846

0,224

1,000

5

-0,604

0,046

0,871

0,141

1,000

6

8

7

6

0,242

-0,858

0,249

0,974

0,154

1,000

7

-0,483

-0,120

0,971

0,277

0,853

0,297

1,000

8

-0,359

0,652

-0,395

-0,642

-0,305

-0,701

-0,453

1,000

9

-0,620

-0,687

-0,261

0,382

-0,281

0,446

-0,171

-0,690

9

1,000

Tabella 3 Tavola di correlazione segm en ti verticali /

II

I

1,000

II

-0,005

1,000

III

-0,058

0,358

III

IV

V

VI

VII

1,000

IV

0,326

0,573

0,578

V

-0,120

0,325

0,905

0,578

1,000

VI

-0,377

-0,433

-0,271

-0,880

-0,277

1,000

VII

0,094

-0,265

-0,539

0,072

-0,501

-0,500

1,000

1,000

Se si osserva la tabella 2 relativa alle misure standardizzate orizzontali della pagina, risulta evidente la correlazione positiva tra i segmenti 4/6, le due colonne del testo, i segmenti 3/5/7, i bracci laterali del fossato e l’intercolumnio, i segmenti 2/8, i bracci latera­ li della glossa, i segmenti 1/9, i margini interno ed esterno della pa­ gina. Una correlazione negativa esiste invece tra i segmenti 2/8 e i segmenti 4/6, i due bracci laterali della glossa e le colonne del te­ sto, a dimostrazione che aumentando l’ampiezza del testo, dim i­

Un rompicato medievale

161

nuiva la corrispondente glossa laterale, lasciando inalterate le di­ mensioni del fossato. Per i volumi verticali, invece, il livello di correlazione tra i singoli segmenti sembra essere meno sistematico (tabella 3). Posi­ tivo risulta il rapporto tra i segmenti III/V, i bracci superiore ed in­ feriore del fossato, ad ulteriore conferma dell’uniformità geometri­ ca riservata a quest’area della pagina, mediamente positivo è il rapporto tra questi due bracci e la colonna del testo, segmenti III/ÌV/V, mentre correlati negativamente risultano gli ultimi tre volumi verticali della pagina, corrispondenti ai segmenti V/VI/VII, contrariamente alla zona superiore, rappresentata dai segmenti I/II/ffl, tra i quali non esiste correlazione. Da queste prime osservazioni, emergono già chiaramente al­ cune tendenze di fondo relative alla costruzione della pagina. A ll’interno di uno spazio tendenzialmente oblungo, le dimen­ sioni della larghezza, inferiori a quelle dell’altezza, tendono ad ir reggimentare lateralmente i volumi, che invece trovano maggiori occasioni di sviluppo in senso verticale. L’area più regolare, ovvero quella che mantiene più decisa­ mente stabili l ’ampiezza dei volumi e i rapporti degli stessi volumi tra loro, si estende dal segmento 3 al segmento 7 e dal segmento III al segmento V e comprende quindi il fossato, l’intercolumnio e le due colonne del testo; tale zona inoltre risulta spostata leggermente verso il margine interno e più nettamente verso il margine superio­ re della pagina. A ll’esterno, in senso orizzontale, troviamo i due bracci laterali della glossa ed i margini interno ed esterno, i quali pur se decisa­ mente più variabili e tendenzialmente disomogenei (segmenti 1+2+3 > segmenti 7+8+9), mantengono sempre uno stretto rappor­ to sia tra loro, sia con i volumi interni orizzontali. Lo sfruttamento orizzontale della pagina ha dunque un andamento piuttosto fisso e sistematico e l’architettura dei volumi all’interno di tale spazio se­ gue un ritmo che si fa più regolare e costante man mano che si pro­ cede verso l ’intemo della pagina. La costruzione della pagina in senso verticale rispecchia invece un altro tipo di strategia. Il nucleo centrale, stabile, confina con due aree (superiore ed inferiore) che il formato oblungo rende meglio sfruttabili in termini di spazio e che di conseguenza si articolano in

162

L. Devoti

modo più libero e meno sistematico. Tale considerazione riguarda in special modo l’area inferiore della pagina, dal momento che per ra­ gioni di ordine tecnico ed estetico insite nella manifattura del codice medievale, il margine superiore non si estende oltre un certo limite ed è comunque generalmente ridotto rispetto al margine inferiore.53 Non esiste, come abbiamo visto, correlazione tra i segmenti I/H né tra questi ultimi e i corrispondenti volumi inferiori, segmenti VI/VII, mentre sono correlati, ma negativamente, i segmenti VI/VII. La somma dei segmenti VII è inoltre sempre minore della somma dei segmenti VI/VII. Non esistono livelli di correlazione significativi tra questi segmenti marginali ed esterni verticali con i volumi interni, ad eccezione del rapporto negativo tra i segmenti III/V con il segmento VII (e ciò è dovuto al fatto che mentre il fo s­ sato è sostanzialmente stabile, il margine inferiore, come si vedrà meglio oltre, presenta un indice di variabilità molto elevato), e del rapporto sempre negativo tra i segmenti IV e VI. La strategia geometrica della pagina in senso verticale si pre­ senta quindi molto più articolata rispetto a quella orizzontale: il rapporto tra i singoli volumi è molto meno sistematico dal m o­ mento che il livello di interdipendenza è piuttosto basso. Eccezioni significative sono rappresentate dalle correlazioni positive dei segmenti centrali, III/IV/V e dal meccanismo inversamente propor­ zionale che regola le dimensioni dell’ultimo braccio della g lo ssa con il margine inferiore, segmenti VI/VII, e di questi ultimi con la colonna del testo, segmento IV : è qui, infatti, che il gioco tra i v o ­ lumi si fa più evidente.

6. La variabilità Se attraverso le misure medie standardizzate si è espressa l’intensità del fenomeno osservato, nel presupposto che all’intemo della pagina i differenti volumi assumano valori pressocché co­ stanti nei diversi casi considerati, si è resa necessaria un’ulteriore elaborazione dei dati per ottenere degli indici che rappresentino le varie modalità quantitative assunte da tutti i segmenti e quindi la loro variabilità, sia all’interno di uno stesso manoscritto o incuna­ bolo, sia tra manoscritti ed incunaboli.

Un rompicato medievale

163

Nel primo caso si è utilizzato un indice di variabilità relativa, il coefficiente di variazione,54 attraverso il quale si è espressa la va­ riabilità dei segmenti verticali ed orizzontali all’interno di ogni uni­ tà e quindi la strategia adottata di volta in volta, potremmo dire car­ ta per carta, per ogni singolo volume dall’artigiano in uno stesso manoscritto o incunabolo. Si parlerà allora di variabilità intra co -

dicem. Nel secondo caso invece, per esprimere la variabilità di ogni segmento all’interno di tutti i manoscritti ed incunaboli, si è calco­ lato Io scarto quadratico medio (s), un indice di variabilità assolu­ ta55, delle misure medie standardizzate. In questo modo si è osser­ vato il fenomeno in senso trasversale e si è posta quindi l ’attenzio­ ne su come variavano tra di loro le scelte dei diversi artigiani. Si parlerà allora di variabilità inter codices. Se si osserva il grafico 6 relativo alle misure della variabilità intra codicem orizzontale totale, la variabilità risulta massima lun­ go i margini esterni, per poi diminuire, ma non con la stessa inten­ sità tra zona esterna ed interna, man mano che si procede verso l’intemo. Dei due bracci laterali della glossa, segmenti 2/8, è anco­ ra una volta quello esterno il più variabile, mentre il nucleo cen­ trale, segmenti 3/4/5/Ó/7, rimane sostanzialmente uniforme, con un indice di variabilità decisamente basso, specialmente per quanto riguarda le due colonne del testo. Per la variabilità intra codicem verticale totale (grafico 7), il fe­ nomeno si sviluppa su scale di valore nettamente superiori a quelle dei segmenti orizzontali, come risulta evidente dai livelli assai più elevati della scala. Chiarissima l’irregolarità del margine inferiore, segmento VII, rispetto alla parte superiore della pagina, segmenti così come piuttosto incostante risulta la colonna del testo. A ll’interno di tutto il corpus, per le zone orizzontali (vedi gra­ fico 8 relativo alla variabilità inter codices totale) si manifesta una strategia volta ad articolare maggiormente l’area inquadrante il nu­ cleo centrale, segmenti 1/2/8/9, specie la parte esterna, segmenti 1/2, ed in misura minore anche la colonna del testo, segmento 4. Per la variabilità inter codices verticale totale (vedi grafico 9), sono l’ultimo braccio della glossa ed il margine inferiore a diversi­ ficarsi maggiormente, segmenti VI/VII, e questo grazie ad un con­ tinuo e costante adattamento di un volume rispetto all’altro.

I/II/m,

168

L. Devoti

Ad apertura un codice giuridico offre generalmente un’imma­ gine di grande regolarità, le carte verso/recto appaiono una il rifles­ so dell’altra secondo un disegno che si ripete costante lungo tutto il volume. In realtà, come abbiamo visto, tale regolarità risulta per certi versi solo apparente dal momento che alcune aree della pagina si presentano particolarmente variabili e quindi tendenzialmente poco uniformi all’intemo di uno stesso codice. Si tratta a questo punto di verificare in che modo tale irregolarità, insita evidentemente, anche se con modalità diverse, nella pagina di un codice giuridico, viene gestita in spazi significativamente vicini come sono le pagine af­ frontate e/o sovrapposte, e se quella dinamica che lega i segmenti dell’area scritta e non scritta di una pagina si ripete per gli stessi segmenti delle zone adiacenti. A ll’interno di questa problematica si potrà poi introdurre il pro­ blema del trattamento del rapporto testo/glossa, se cioè ad una stra­ tegia di uniformità geometrica corrisponde un buon adeguamento in termini di distanza di un passo del testo dalla relativa glossa. Per ogni manoscritto ed incunabolo si è calcolata la differenza tra le misure di ogni segmento dello specchio scrittorio in pagine affrontate e sovrapposte, ovvero la differenza del segmento 1 tra pagine verso/recto e recto/verso, la differenza del segmento 2 tra pagine verso/recto e recto/verso ecc. ..., questo sia per per le misu­ re orizzontali che per le verticali. Successivamente si è calcolata la media delle differenze di tutti i singoli segmenti tra pagine affron­ tate e sovrapposte all’intemo di ogni manoscritto ed incunabolo e quindi tra tutti i manoscritti ed incunaboli. Se si osservano i grafici 17 e 19 relativi alle differenze delle misure orizzontali tra pagine affrontate e sovrapposte, le zone che tendono ad essere trattate con maggiore elasticità sono quelle late­ rali, i segmenti 1/2 e 8/9, corrispondenti ai margini ed ai due bracci centrali della glossa; l’area esterna risulta ancora una volta la più irregolare; il nucleo centrale mantiene invece una grande unifor­ mità in tutti i suoi segmenti ed il livello di variazione più basso ri­ guarda l’intercolumnio. Da notare che il fenomeno si manifesta in modo simile tra pagine affrontate e sovrapposte, anche se nel caso delle seconde si muove su scale di valore superiori. Per la parte verticale (vedi grafici 18 e 20), le maggiori irre­

Un rompicato medievale

169

golarità si registrano nella parte inferiore della pagina, i segmenti VI/VII, corrispondenti all’ultimo braccio della glossa ed al margine inferiore; segue la colonna del testo, il segmento IV, quindi l’area relativa al margine superiore ed al primo braccio della glossa; so­ stanzialmente uniforme il fossato, per il quale si registrano i valori più bassi. Anche in questo caso per le pagine sovrapposte il feno­ meno si manifesta in forma più accentuata. In generale dunque sia per i volumi orizzontali che per i verti­ cali le differenze maggiori si riscontrano lungo l’area marginale esterna, a fronte di un nucleo centrale più uniforme. Il trattamento della pagine sovrapposte segue un andamento del tutto simile a quello delle pagine affrontate anche se con valori superiori. Com­ plessivamente in ogni caso i livelli più elevati di irregolarità si re­ gistrano lungo l’asse verticale della pagina. A questo punto è interessante osservare come il fenomeno si manifesta distinguendo i manoscritti dagli incunaboli (vedi grafici 21 e 22). Tendenzialmente alfintemo di ogni manoscritto, per la parte orizzontale le pagine affrontate e sovrapposte presentano un’anda­ mento simile. Ciò è indice del fatto che il minore o maggiore livello di irregolarità nel disporre il testo e l’apparato sulla pagina si mantiene costante tra pagine affrontate e sovrapposte di uno stesso manoscritto. La strategia adottata per la sistemazione delle due masse testuali su pagine affrontate si evidenzia quindi anche per le sovrapposte. Nell’incunabolo questa tendenza risulta altrettanto evidente: il rapporto tra i volumi, che si esprime in forma meno articolata ri­ spetto al manoscritto, è praticamente identico tra pagine affrontate e sovrapposte. Le differenze più rilevanti si colgono, invece, ancora una volta lungo l’asse verticale della pagina (vedi grafici 23 e 24). Nel ma­ noscritto il massimo della discordanza tocca gli ultimi due volumi, i segmenti VI/VII, corrispondenti all’ultimo braccio della glossa ed al margine inferiore; il fenomeno, ben evidente tra pagine affron­ tate, si accentua notevolmente per le pagine sovrapposte. In pratica la tendenza a sfruttare ed a utilizzare con maggiore autonomia l’area inferiore della pagina, variando sistematicamente il confine tra la glossa ed il margine, si applica in modo costante per le pagi­ ne affrontate ed in maggior misura nelle pagine sovrapposte.

176

L. Devoti

recto

verso

Le colonne contenenti il testo, sono state divise in tre settori, così come la glossa, è stata suddivisa nei tre consueti bracci. Se il primo lem­ ma glossato del brano prescelto si colloca nel settore 1 e la corrispondente glossa nel settore A, il valore numerico attribuito è 0; se la glossa è in B, il valore è 1; se la glossa è in C, il valore è 2; se la glossa è in D, il valore è 4 e così via. Se invece il testo inizia dal settore 2, il meccanismo è iden­ tico, ma si considera nella valutazione lo scivolamento di un blocco. Per cui se il testo è in 2 e la glossa si colloca nel settore A, il valore numerico attribuito è 1; se la glossa è in B, il valore è 0; se la glossa è in C, il valore è 1; se la glossa è in D, il valore è 2, e così via. Nel passaggio da una carta verso ad una carta recto viene prevista una penalità di 3 punti, per cui se il testo inizia nel settore 1 e la glossa è in G, il valore è 9. Il passaggio dal recto al verso di una carta, invece, determina una penalità di 6 punti, per cui se il testo inizia sempre in 1, ma la glossa corrispondente si trova nel settore A nel verso della carta successiva, il valore è 20.62 Nei manoscritti la media è di 2,23, negli incunaboli è 0,77: questo significa che se nei manoscritti la distanza copre circa due settori della pagina, negli incunaboli invece è inferiore ad un setto­ re. L ’esigenza di leggibilità, data dal migliore accostamento del te­ sto alla relativa glossa, emerge quindi molto di più nell’incunabolo che non nel manoscritto.

Un rompicato medievale

111

Confrontando i valori delle strategie di uniformità con quelli dell’adeguamento testo/glossa, si evidenzia per entrambe le tipolo­ gie librarie una situazione di tipo negativo. Nel manoscritto il ri­ sultato della correlazione è di -0,480, il che denota una condizione di contrasto tra l’esigenza di una regolarità geometrica nella distri­ buzione dei volumi sulla pagina ed un’esigenza di leggibilità. Nell’incunabolo il conflitto è ancora maggiore e ciò lo si intui­ sce direttamente dai valori medi attraverso i quali i due fenomeni si manifestano.63 In pratica per l’incunabolo ci troviamo di fronte a due soluzioni limite rappresentate dal valore di 0,77 per lo sfasa­ mento testo/glossa e di 5 per le strategie di uniformità. Il primo in­ dica una massima attenzione per la leggibilità, il secondo corri­ sponde, come si ricorderà, alla strategia ii, ovvero ad una situazio­ ne di massima irregolarità. Se i due fenomeni sono quindi generalmente in opposizione sia nel manoscritto che nell’incunabolo, è in quest’ultimo che il contrasto si presenta in forma più spiccata. Il quadro globale della situazione è espresso in sintesi nella ta­ bella 10, in cui sono rappresentati i valori medi dello sfasamento in rapporto al tipo di gerarchia.

Tabella 10 g e r a r c h ia

1 (uu) 2 (ur) 3 (IT)

4 (ui) 5 (ii)

s fa s a m e n to m ed io 5 ,1 6 2 ,8 9 1 ,6 7 1 ,3 3 0 ,7 9

È evidente il rapporto inversamente proporzionale che lega la tendenza ad una regolarità con la scelta di una maggiore leggibilità. Chi privilegia uno stato di costante regolarità per la parte esterna ed interna tra pagine affrontate, penalizza conseguentemente il li­ vello di adeguamento testo/glossa e viceversa. La soluzione inter­ media e qualitativamente più significativa è rappresentata dalla tec­ nica di affrontamento che riesce a bilanciare entrambi i fenomeni. Già in precedenza si è visto come i codici bolognesi ricoprano,

178

L. Devoti

sotto certi aspetti, una posizione intermedia tra gli incunaboli e gli altri manoscritti. È interessante verificare se anche nel fenomeno dell’adeguamento testo/glossa rispecchino questa tendenza. Per i bolognesi la media dello sfasamento testo/glossa è di 1,09, in tutti gli altri manoscritti è di 2,80 e questo significa che se nei primi la distanza copre circa un settore della pagina, nei secon­ di si estende fino a quasi tre settori. Dal momento invece che il v a ­ lore dello sfasamento in rapporto al tipo di gerarchia è di 2,93 per i bolognesi e di 2,74 per gli altri, in pratica i manoscritti bolognesi, pur mantenendo una gerarchia pari a quella degli altri manoscritti e corrispondente sostanzialmente al tipo 2 (ur), presentano un buon livello di adeguamento del testo con la glossa.

9. L ’adeguamento testo/glossa all’intemo della pagina L ’indagine fin qui effettuata sulla distribuzione dei volum i corrispondenti al testo, alla glossa e alla parte non scritta della pa­ gina si è avvalsa delle misure dello specchio scrittorio rilevate, come si ricorderà, secondo un determinato schema (vedi p. 156). Tale rilevamento per l’asse verticale della pagina è stato e f­ fettuato una sola volta, lungo la colonna, a o b , che presentava per i bracci A e C della glossa un più elevato numero di righe e quindi una dimensione maggiore. I dati così ottenuti hanno consentito di analizzare le tecniche di costruzione della pagina applicate su tutti i segmenti dello specchio scrittorio in termini di estensione, variabilità e correlazione all’interno di ogni singola tipologia libraria e tra tutti i manoscritti e gli incunaboli. L ’attenzione si è poi focalizzata sulle strategie messe in atto per gli stessi segmenti in pagine affrontate e sovrap­ poste e si è visto come alle diverse soluzioni adottate a favore di una maggiore o minore regolarità nella disposizione delle due m as­ se testuali sulla pagina corrispondano differenti modalità di ade­ guamento testo/glossa. Ciò che invece non è stato possibile esaminare attraverso le misure dello specchio scrittorio è il rapporto tra i due settori, destro e sinistro, di una stessa pagina, a causa della mancanza dei valori, per la colonna a e b, dei bracci inferiore e superiore della glossa.

Un rompicato medievale

179

A tale inconveniente si è potuto comunque supplire ricorrendo ai dati relativi al numero di righe dell’apparato sulla pagina, il cui rilevamento è stato effettuato, sia per le colonne del testo che per i tre bracci della glossa, distinguendo la colonna a dalla b. In ogni caso l’analisi che seguirà prenderà come riferimento solo i settori A e C della glossa della colonna a e della colonna b , dal momento che l’estensione del braccio B, pur potendo variare nel numero di righe, è data sempre dalla somma delle misure dei segmenti III/IV/V, mentre la quantità di righe delle due colonne del testo è sempre uguale all’interno di una pagina. La tabella 11 contiene i valori medi delle differenze nel nume­ ro di righe tra i bracci A e C della glossa all’interno delle due co­ lonne.64

Tabella 11 d ifferen za z o n a A co ll, a/b d ifferen za z o n a A co ll, a/b d ifferen za z o n e A + C co ll, a/b

tutti 0 ,8 7 1 ,4 4 2 ,3 0

m ss 0 ,9 7 1 ,5 2 2 ,4 9

ine 0 ,0 1 0 ,7 8 0 ,7 9

Nell’incunabolo tale differenza è minima in tutti i casi, rima­ nendo in pratica al di sotto di una riga. Il manoscritto presenta invece una maggiore, anche se non elevata, diversificazione tra i due bracci, ravvisabile soprattutto nella, come sempre, più varia zona inferiore della pagina: la diffe­ renza infatti e di circa una riga e mezzo. Nella tabella 12 il calcolo del valore medio della differenza nel numero di righe tra i due bracci della glossa, è stato applicato su pagine affrontate e sovrapposte.

Tabella 12 d iffere n za rig h e affr. z o n a A co ll, a/b so vr. z o n a A c o ll, a/b affr. z o n a C c o ll, a/b so vr. z o n a C co ll, a/b

tutti 1 ,6 8 1 ,5 4 2 ,7 5 2 ,7 4

m ss 1 ,8 9 1 ,7 2 2 ,8 6 2 ,8 8

ine 0 ,0 0 0 ,0 1 1 ,7 8 1 ,5 7

1 84

L . D e v o ti

particolarmente complessi, per i quali s’impongono modalità di ri­ levazione più specifiche. Occorrerà tener presente a tale scopo vari fattori. A i nove nu­ clei di testo relativi alla divisione in nove libri del C od ex possono essere associate recensioni diverse della glossa ordinaria di Accur­ sio. Una prima selezione dovrà quindi essere fatta su lla base dell’apparato al fine di ottenere classi di manoscritti con uno stato di evoluzione della glossa pressocché identico. In secondo luogo non si potrà prescindere dal considerare quelli che erano i meccani­ smi di riproduzione delle opere del Corpus Iuris Civilis, basati su modelli, gli exemplaria, costituiti da fascicoli sciolti e suddivisi al loro interno in peciae. Gli exemplaria del testo e della glossa, inol­ tre, circolavano separatamente e questo fatto rendeva sicuramente più problematico il loro collegamento sulla pagina.69 Una prima analisi dello sfasamento testo/glossa potrebbe iniziare proprio dai manoscritti riportanti indicazioni di pecia e quindi scegliere all’interno di una quantità di testo compreso tra due indicazioni di pecia un passo determinato sul quale eseguire il rilevamento. Questa operazione andrebbe attuata in più segmenti del mano­ scritto, distribuiti, se possibile, all’interno dei singoli libri. I passi selezionati costituirebbero poi i modelli chiave su cui applicare il rilevamento in manoscritti privi di indicazione di pecia. A tali modalità potrebbero poi associarsene altre, basate non più su criteri testuali, ma materiali, e quindi procedere ad una serie casuale di rilevazioni all’interno di un determinato numero di fa­ scicoli interi o di metà fascicoli del manoscritto. La combinazione dei due metodi potrebbe fornire dei risultati significativi sul meccanismo di adattamento della glossa al testo e permettere di identificare, se possibile, il momento o lo spazio chiave di questa operazione che abbiamo definito unità di adegua­ mento.

Da questa prima indagine effettuata su alcuni volumi mano­ scritti e a stampa del Codex di Giustiniano con glossa sono emersi alcuni risultati significativi sulle tecniche e le strategie adottate al­ l’intemo delle due tipologie librarie nel modellare ed organizzare una determinata quantità di testo in funzione di uno spazio dispo­

Un rompicato medievale

185

nibile. La prima importante osservazione da fare è, a nostro avviso, l’impossibilità di tracciare un confine netto tra il manoscritto e l’incunabolo, dal momento che le soluzioni messe in atto dagli ar­ tigiani del X III-X IV secolo e i tipografi del XV, pur dando luogo a degli esiti in parte diversi sul piano, ad esempio, della gestione dei vari settori della pagina o della composizione del testo con la glos­ sa, non possono essere tuttavia interpretate in termini di contrappo­ sizione. Esiste un’identità di fondo nell’idea e nel tipo di prodotto che s ’intende realizzare, ma non evidentemente nei mezzi e nelle forme così strettamente legati ai due differenti ambiti di produzio­ ne. L a ragione di una tale continuità nel passaggio da una tecnica di manifattura manuale ad una meccanica risiede essenzialmente nella forza e nel prestigio di un modello di libro, quello giuridico, ritenuto ancora funzionale nell’impianto e nella struttura che una tradizione di secoli aveva fissato; e a ciò vanno poi ad aggiungersi altri fattori non trascurabili e altrettanto consolidati nel tempo, quali l’aspetto estetico e delle tendenze di gusto che difficilmente la stampa avrebbe potuto contrastare. In generale dunque l’imma­ gine di libro giuridico che la sfera del manoscritto propone viene sostanzialmente ereditata dalle nuove tecniche, anche se non in una forma di semplice e pura imitazione; la pagina di un incunabolo del Codex di Giustiniano non costituisce infatti la riproduzione foto­ grafica della pagina di un manoscritto contenente lo stesso passo del testo, tuttavia entrambe sono state progettate allo stesso modo e al loro interno tutti i settori scritti e non scritti rispondono ad uno stesso disegno. In che cosa dunque si differenziano? La differenza risiede essenzialmente nel rapporto che si stabilisce tra queste componenti, in termini di gerarchia e di proporzionalità e di conse­ guenza sui meccanismi che regolano la composizione delle due unità testuali, il testo e la glossa, alla ricerca di un difficile com­ promesso tra un’esigenza funzionale di leggibilità ed un principio estetico di uniformità e omogeneità visiva . Si è più volte accennato nel corso della trattazione al ruolo determinante che i diversi pro­ cessi di fabbricazione hanno svolto nel definire un certo tipo di strategia e quindi di come una tecnica di riproduzione manuale, mediata per di più dai ritmi di copia àe\Y exemplar in fascicoli e una di tipo meccanico, interferiscano inevitabilmente sulla struttura del libro e sulle modalità di combinazione della componente grafi-

186

L. D e vo ti

ca in funzione dello spazio ad essa destinato. È evidente, ed è forse superfluo ricordarlo, che l’avvento della stampa rappresenta una frattura sul piano materiale ed economico rispetto all’epoca del manoscritto, ma è anche vero che tale rivoluzione «tout en am éliorant d’une manière décisive le bilan énergétique global du systèm e de production, ne peut-elle que déséquilibrer la répartition des couts et engendrer ainsi de nouvelles contradictions».70 Ferm o re­ stando la specificità dei due ambiti e gli indubbi vantaggi portati dall’invenzione della tipografia, quello che si è potuto verificare, riguardo ai fenomeni osservati, è dunque quanto delle norme in v i­ gore nel manoscritto, rispetto a determinate esigenze funzionali ed estetiche, confluisca nell’incunabolo e in che misura, rispetto ai fe­ nomeni osservati, tradizione ed innovazione convivono.

G ra fic i

GRAFICO 1

Distribuzione cronologica

GRAFICO 2

Distribuzione cronologica XIII sec.

L . D e vo ti

GRAFICO 3

Distribuzione cronologica XIV sec .

I m età

GRAFICO 4

Misure standardizzate orizzontali

Un rompicato medievale GRAFICO 5

Misure standardizzate verticali

189

190

L . D e vo ti

GRAFICO 7

Variabilità intracod verticale

300

ni

Il

iv

v

vi

VII

s e g m e n ti

GRAFICO 8

Variabilità intercodd orizzontale

0 ,6

T

0,5

4-

0,4 i

ILLi111 li 1

2

3

4

5

6

s e g m e n ti

7

8

9

Un rompicato medievale GRAFICO 9

Variabilità intercodd verticale

s e g m e n ti

GRAFICO 10

Variabilità intracod orizzontale manoscritti ■ e incunaboli □

% AO s e g m e n ti

191

192

L . D e vo ti

GRAFICO 11

Variabilità intracod verticale manoscritti ■ e incunaboli □

GRAFICO 12

Variabilità intercodd orizzontale manoscritti ■ e incunaboli □

Un rompicato medievale GRAFICO 13

Variabilità intercodd verticale manoscritti ■ e incunaboli □

193

194

L . D e vo ti

GRAFICO 15

Variabilità intracod verticale altri manoscritti

300

-

250 —

II

III

IV

V

VI

s e g m enti

GRAFICO 16

Variabilità totale orizzontale ■ e verticale □

30

-

cv

VI I

195

Un rompicato medievale GRAFICO 17

D ifferen ze totali m isure orizzontali pagine affrontate

GRAFICO 18

D ifferen ze totali misure verticali pagine affrontate

É E

||

III

IV s e g m enti

V

VI

VII

196

L . D e vo ti

GRAFICO 19

D ifferenze totali misure orizzontali pagine sovrapposte

GRAFICO 20

D ifferenze totali m isure verticali pagine sovrapposte

Un rompicato medievale GRAFICO 21

D ifferenze m isure orizzontali pagine affrontate manoscritti ■ e incunaboli □

7 T

s e g m e n ti

GRAFICO 22

scarto mm.

D ifferen ze misure orizzontali pagine sovrapposte manoscritti ■ e incunaboli □

197

198

L . D e vo ti

GRAFICO 23

D ifferenze m isure verticali pagine affrontate manoscritti ■ e incunaboli □

s e g m e n ti

GRAFICO 24

D ifferenze misure verticali pagine sov ra pp oste manoscritti ■ e incunaboli □

50 - r 45 40 35 30 25

4-

20

15 10 5 0

-

I . I

IV

s e g m e n ti

VI

VII

Note

* Questo lavoro è il frutto di una tesi di specializzazione dell’Università de­ gli Studi di Cassino (1995). Desidero ringraziare il prof. Marco Palma e il prof. Ezio Ornato per la costante attenzione e i suggerimenti, necessari ad affrontare lo studio del libro medievale attraverso un’ottica diversa e innovativa. 1. La complessità delle motivazioni e delle finalità che sono alla base di que­ sta metodologia sono stati ampiamente affrontati da Bozzolo, Ornato, Pour une codicologie ; Iid., L ’étude quantitative', Ornato, La codicologie quantitative. 2. Su un simile presupposto si sono fondati i numerosi contributi rivolti all’analisi di questo modello di libro, sulla base di un indirizzo inaugurato da Jean Destrez, con la sua fondamentale opera La pecia. L ’autore ha posto l ’attenzione su una serie di problemi e di aspetti nuovi e fino ad allora disattesi, relativi alla produzione del codice universitario nei quattro grandi centri di Parigi, Bologna, Oxford e Napoli, con particolare riguardo ai primi due, affrontando anche temi di tradizione e critica testuale. Nell’opera viene mostrato un interesse per gli ele­ menti che caratterizzano l ’architettura e la costruzione della pagina e le tecniche che presiedono alla manifattura dei manoscritti, sempre però nella prospettiva di un confronto tra le diverse politiche editoriali delle varie università, in funzione di un’istituzione «qui correspond à cet état de choses nouveau, créé par l ’évolution sociale, institution qui arriverà à sa pieine perfection dè le milieu du XIIIe siècle, et qui durerà jusqu’à la mise en circulation des premiere livres imprimés: c ’est la pecia». La trattazione del Destrez ha rappresentato un importante punto di parten­ za per successive ricerche, la maggioranza delle quali si è orientata soprattutto verso i temi della produzione e della commercializzazione del manoscritto univer­ sitario. Nuove acquisizioni di carattere documentario, accompagnate da un appro­ fondimento e, in certi casi, da una revisione critica delle fonti già conosciute dal Destrez, hanno contribuito ad arricchire e ad ampliare il raggio d’azione di queste ricerche. Un importante momento di verifica dello stato degli studi a quasi cinquant’anni dalla pubblicazione del La pecia, è stato un simposio tenutosi nel 1983 presso il Collegio di San Bonaventura di Grottaferrata, La production du livre universitaire. Anche in questo caso l ’attenzione al libro universitario di carattere giuridico, ma non solo giuridico, trae spunto essenzialmente dalla sempre com­ plessa questione dei meccanismi di riproduzione e dalle possibilità di ricostruirne i criteri di funzionamento, sulla base delle testimonianze oggi in nostro possesso. Anche per quanto riguarda l’incunabolo giuridico si è sviluppato un grande inte­ resse per l ’aspetto della produzione e tra i contributi più recenti vanno segnalati Coq, Ornato, La production et le marché, in cui si analizza il fenomeno della pro­ duzione dell’ incunabolo giuridico nei principali mercati italiani, francesi e tede­ schi, sulla base di 1200 edizioni comprese tra il 1460 e 1500 e ripartite nelle tre categorie del diritto romano, canonico e manuali di pratica giudiziaria, e Thilo, Drucke d es Corpus, dove viene compiuta un’indagine sulla storia della stampa

200

L. Devoti

giuridica nei paesi di area germanica e si fornisce un elenco dei testi del Corpus

Iuris Civilis pubblicati tra il 1400 e il 1800. 3. Di certe tematiche relative alla struttura del libro giuridico si è trattato, ma solo in parte e in forma prevalentemente descrittiva, in due contributi di Jacqueline Rambaud, in cui l’autrice prende in considerazione alcuni testimoni significativi del Decretum Gratiani e delle D ecretales e ne illustra la disposizione del testo e del commento con particolare riguardo all’uso dell’ornamentazione all’interno delle va­ rie partizioni dell’opera; cff. Rambaud, Le D écret e Les Décrétales. Per una visione d’insieme sulle modalità di sviluppo di glosse e commenti all’interno di vari generi letterari, cff. Holtz, Glosse. Riguardo la codifica di alcuni sistemi d’impaginazione del testo con il commento, cfr. Powitz, Textus (in particolare le pp. 84-85 dove viene descritto lo schema n. 6, corrispondente a quello del nostro campione). 4. Il Corpus Iuris Civilis di Giustiniano, secondo la tradizione, era stato diviso in cinque volumi. I primi tre comprendevano i libri dei Digesta, divisi tradizional­ mente in Digestum Vetus (libri 1-24.2), Digestum Infortiatum o semplicemente Infortiatum (libri 24.3-38.17), Digestum Novum (libri 39.1-50.17). L ’ Infortiatum era a sua volta diviso in due sezioni; la seconda (35.2-38.17) era indicata con le parole Tres Partes, con le quali iniziava la legge 82 del libro 35.2. Il quarto libro compren­ deva i primi nove libri del Codex. Il quinto conteneva tutto il resto ed era conosciuto con il nome di Volumerv, esso comprendeva le Institutiones, le Novellae secondo la versione della raccolta deWAuthenticum, dette per questo Authenticae o Authenticum, divise in 9 collationes, i Tres libri, ovvero gli ultimi tre libri del Codex, i Libri Feudorum e alcune leggi imperiali aggiunte più tardi come decima collatio. La legi­ slazione giustinianea, estesa all’Italia nel 554 con la Pragmatica Sanctio, nel corso dell’alto medioevo tende a disperdersi, tanto che molte raccolte vengono smembrate e alcune scompaiono del tutto. È nel corso dell’XI secolo, su iniziativa probabil­ mente di qualche giurista, che il diritto giustinianeo viene riscoperto; i primi testi a ricomparire sono le Institutiones e i libri del Codex. Spetterà poi ad Imerio e al suo ambiente il recupero degli altri testi e la loro sistemazione secondo gli schemi origi­ nari e sarà proprio Imerio, secondo una testimonianza di Odofredo, a cominciare ad insegnare ed a scrivere glosse per meglio illustrare le leggi romane. Sulla scomparsa dei testi di Giustiniano e sulla loro riscoperta e ricomposizione nel corso del me­ dioevo cfr. Astuti, Lezioni di storia, pp. 57-73, 297-338; Calasso, Medioevo e più in generale Bellomo, Saggio sull’università, pp. 7-23. 5. Pubblicate nel Chartularium e in Orlandelli, Il libro a Bologna. 6. Per quest’ultimi, oltre al Chartularium e allo studio dell’ Orlandelli, cfr. in particolare Stelling Michaud, Le transport intemational; per i contratti di com­ pravendita e di scrittura cfr. anche Devoti, Aspetti della produzione del libro, e Devoti, Tristano, Completus in textu. 7. Oltre al Codex, anche il Digestum Vetus rientrava nei corsi ordinarii; gli altri testi del Corpus Iuris Civilis venivano invece letti durante le lezioni pomeri­ diane, extraordinariae, tenute dai baccellieri. 8. Maffei, Un trattato, pp. 94-96. 9. Petrucci, Lire, p. 610; cfr. anche Saenger, Silent Reading, pp. 391-393. 10. Bellomo, Saggio sull’università, p. 67.

Un rom picato m edievale

201

11. Petrucci, Lire, p. 610. 12. Dolezalek, La pecia e la preparazione, p. 205. 13. ld., Les gloses des manuscrits. 14. ld., Repertorium manuscriptorum, p. 42. 15. Sella, Sigle e Nuove sigle; Speciale, La memoria del diritto, appendice C\ 16. Dolezalek, Les gloses des manuscrits, pp. 238-241. 17. Caprioli, Convenzione, p. 417; sull’ analisi delle tracce d’uso dei mano­ scritti glossati del Codex, cfr. Speciale, La memoria del diritto. 18. La diffusione di apparati ordinari, se da una parte è indice deU'alto livel­ lo scientifico raggiunto dalle scuole bolognesi di diritto, dall’altra rappresentava per l’istituzione universitaria un insieme notevole d’interessi di natura economica e ideologica, e questo grazie all’azione di tutela e di controllo da essa esercitati sulla produzione e la messa in circolazione dei testi destinati all’ insegnamento. 19. Caprioli, Convenzione, pp. 418-419. 20. Fondamentali i saggi di Astuti, La « glossa accursiana» e Soetermeer,

L'ordre chronologique. 21. Si è calcolato che le glosse elaborate da Accursio siano 96940, di cui 17814 per il Codex, cff. Kantorowicz, Accursio, p.43. 22. Accursio mise a punto la Magna Glossa nel corso del primo quarantennio del X m secolo La genesi e la successione cronologica degli apparati rimangono tuttavia una questione ancora aperta. Da un’indagine compiuta su alcuni manoscritti dei libri ordinarti, il Codex e il Digestum Vetus, contenenti varie recensioni della glossa accursiana, il Soetermeer propone il decennio 1220-1230 per la pubblicazione dell’apparato al Digesto Vecchio e il periodo compreso tra il 1227 e il 1234 per l’apparato al Codice; cff. Soetermeer, L ’ordre chronologique, pp. 2879 e 2892. 23. Colli, Termini, pp. 232-233. 24. A tale riguardo è stato messo in rilievo l’aspetto ‘ipertestuale’ dell’appa­ rato accursiano, un ipertesto ante litteram, che “si caratterizza per la struttura frammentaria e non lineare e per l’inscindibile collegamento, anche sul piano fisi­ co, tra glossae e testo normativo”, Speciale, La memoria del diritto, pp. 36-37. 25. Colli, Termini, p. 233. 26. Fransen, Les gloses, p. 134. 27. La definizione è di Petrucci, Il libro manoscritto, p. 499. 28. Id., Alle origini del libro, p. 298. 29. Ornato, Exigences fonctionnelles, p. 10. 30. La struttura stessa del ragionamento doveva essere riflessa nella struttura fisica del libro, secondo un’architettura della pagina che non rispondeva solo a criteri pratici, ma era anche il riflesso di quei nuovi principi in base ai quali la co­ noscenza umana veniva a definirsi e ad analizzarsi, dal momento che «thè opportunity for further developments in thè presentation of texts carne as result of thè drive to reorganize inherited material in a new, systematic way, to make auctoritates not only accessible but accessible in terms of new ways of thinking», Parkes, The Influence o f thè Concepts, p. 117. 31. Sui meccanismi di produzione del libro universitario, così schematica­ mente tratteggiati, esiste un’ampia e particolareggiata letteratura. Si rimanda, a

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L. D e vo ti

l’altezza (L/H). Si parla di proporzione invariante nel caso della «proportion d’un rectangle dont le rapport du petit coté est égal à l/VT", et qui a pour proprièté de donner deux moitiés conservant cette mème proportion lorsqu’on divise en deux le grand cóté», Muzerelle, Vocabulaire, p. 101 (Maniaci, Terminologia del libro manoscritto, p. 144). In pratica la proporzione 1/VT"(0,707) è la sola che presenta la caratteristica di non cambiare nel corso di più piegature successive e simmetri­ che del foglio. Si definisce così «étroite une proportion inférieure à la proportion invariante; large une proportion supérieure à la proportion invariante», Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, p. 219. 49. Muzerelle, Vocabulaire, p. 109 (Maniaci, Terminologia d el libro mano­ scritto, p. 159). 50. Non è da escludere qualche deroga a tale norma, dal momento che «!’artisan pouvait prendre un certain nombre de libertés par rapport à ce principe, pourvu qu’elles demeurent noyées dans l ’aspect d’ensemble de la page écrite», Ornato, Exigences fonctionnelles, p. 10, n. 11. 51. Lo scarto o scostamento quadratico medio (0 ) rappresenta, a ll’interno di una distribuzione, la radice quadrata della media dei quadrati degli scarti, ovvero la radice quadrata della media dei quadrati degli scostamenti dei termini della di­ stribuzione dalla media. Vedi anche la nota 54. 52. La funzione di correlazione statistica permette di esprimere il legame tra due variabili, ovvero se all’aumentare di una diminuisce l’altra o viceversa, oppu­ re se aumentano o diminuiscono insieme. Se il risultato è 0, non esiste correlazio­ ne, mentre un valore che si avvicina a +1 o a -1, indica la presenza di una correla­ zione positiva o negativa. 53. Dei possibili procedimenti geometrici finalizzati alla costruzione della mise en page nell’ambito del libro manoscritto e a stampa si sono occupati diversi autori, tra i quali è opportuno citare: Biihler, The Margins; Tschichold, NonArbitrary Proportions; Tristano, Caratteristiche tecnico-formali-, Montecchi, Perfezione tecnica e Le dimensioni del libro; Maniaci, Ricette di costruzione della

pagina. 54. Il coefficiente di variazione (CV), è espresso dalla formula 0 / media *100, dove a rappresenta lo scarto o scostamento quadratico medio, che è un indi­ ce di variabilità assoluta ovvero un indice espresso nella stessa unità di misura dei termini di una distribuzione. Dal momento che 0 è di frequente correlato alla me­ dia (è normale, infatti, che all’interno di un medesimo referenziale - come la pa­ gina di un manoscritto - le superfici più grandi siano affette da variazioni più co­ spicue), per esprimere la variabilità di ogni singolo segmento della pagina all’interno di ogni manoscritto ed incunabolo ed eliminare tuttavia l’effetto di­ mensionale, si è ricorsi ad un indice di variabilità relativa, il CV. L ’uso di indici di variabilità relativa si rende necessario quando le modalità delle distribuzioni sono espresse in unità di misura diverse; quando tali modalità sono espresse nella stessa unità di misura, ma le intensità (ovvero il valore, la portata delle grandezze esami­ nate) medie delle distribuzioni sono differenti (come nel nostro caso); quando le distribuzioni a confronto sono formate da rapporti. 55. Nei dati standardizzati la media è 0; in tal caso non vi è correlazione tra

Un rompicato medievale

205

lo scarto e la media e per di più, la divisione per 0, necessaria per ottenere il CV, risulta impossibile. 56. Ciò è dovuto probabilmente al fatto che una modifica delle zone margi­ nali avrebbe richiesto il cambiamento delle dimensioni della forma, il che com­ portava un lavoro supplementare. 5 7 .1 mss. Borgh. lat. 372, E.I.2, Pai. lat. 759, Par. lat. 4521 A, Par. lat. 4523, Par. lat. 4527, Par. lat. 4530, Par. lat. 4531, Par. lat. 4532, Par. lat. 4535, Par. lat. 8941, Par. lat. 16913, Laur. S. Croce plut. 6 sin. 4, Urb. lat. 165, Vat. lat. 1430. Tale nucleo costituisce la sola partizione geografica abbastanza consistente e si­ gnificativa enucleabile dal campione e il cui comportamento è stato ampiamente osservato nei vari settori della ricerca. 58. Ezio Ornato ha formulato alcune ipotesi circa la persistenza attraverso i secoli del principio di gerarchia e proporzionalità dei margini. Se infatti non si esclude che costrizioni di tipo materiale abbiano influito su questo aspetto della struttura del libro, non si deve tuttavia trascurare l ’effetto estetico e di gusto, dal momento che «tous les phénomènes qui relèvent du gout - notamment dans le domaine des proportions - comportent une large part d’arbitraire au départ, et d’habitude par la suite: ce que nous sommes habitués à voir, devient normal. et ce qui est normal peut se transformer rapidement en règie qu'il est nécessaire de suivre sous peine de choquer», Ornato, Exigences fonctionnelles, p. 16. 59. Il grafico si distacca formalmente dai precedenti, in quanto lungo l’ordinata viene indicato il numero dei volumi, mentre i valori del CV sono espressi su ll’ascissa. 60. Il conteggio è stato effettuato sull’edizione a stampa del Corpus Iuris Ci­

vilis. 61. La scelta di questo brano del Codex di Giustiniano non è stata casuale, dal momento che l ’obiettivo era quello di poter disporre di una quantità di testo sufficientemente estesa e che comprendesse sia l’inizio di un libro sia tutte le suddivisioni gerarchicamente importanti, quali il titolo, la legge e il paragrafo. 62. La tabella contiene il risultato di tutte le combinazioni possibili all’inter­ no di due pagine rectolverso\ 1 2 3 4

5

6 7 8 9 10 11 12

A

B

C

D

E

0

1

2 1 0 1

3 2

4 3 2

F 5

G

H

i

L

M

N

9 8 7 6

10 9 8 7 6

11

12 11 10 9 8 7 3 2 1 0 1 2

13 12 11 10 9 8 4 3 2 1 0 1

14 13 12 11 10 9

1

0

2

1

3

2

0

1

4 3 2

4

3 4

2

1

0

1

5

3

2

8

7

6

0 4

9

8 9 10 11 12

7

1 5 6

8

7

9

8

10 11

9 10

4 0 1 2 3 4

5 9 10 11 12 13 14

10 11 12 13

1

5 6

7 8 9

5

5 1

0 1 2 3 4

10 9 8

7 6 2 1

0 1 2 3

5

4 3 2 1 0

63. D a un punto di vista matematico infatti nell’incunabolo non è possibile calcolare il coefficiente di correlazione tra la strategia di uniformità e l’esigenza di

206

L . D e v o ti

leggibilità, poiché il primo dei due fenomeni assume sempre valore 5, con una variabilità quindi pari a 0. 64. La differenza del numero di righe tra i due bracci della glossa è stata cal­ colata in valore assoluto. 65. Vedi nota 37. 66. Per unità di adeguamento s’intende il lasso di spazio espresso in testo o in unità materiale, entro il quale Partigiano cerca di rimediare ad un possibile pro­ cesso di sfasamento. 67. In effetti questo aspetto accomuna tutti i manoscritti del corpus, sia quel­ li in cui la scrittura del testo e dell’ apparato è stata realizzata contemporaneamen­ te, sia quelli che presentano una divaricazione cronologica tra i due momenti. 68. S ’impone per il manoscritto un tipo di rilevamento diverso dello sfasa­ mento testo/glossa, non limitato solamente ad un solo passo del testo, ma realiz­ zato in punti diversi anche se non casuali all’interno di tutto il codice. 69. Soprattutto nei manoscritti di origine bolognese, dove alla contempora­ neità di fattura corrispondeva un buon adeguamento del testo e con la glossa, vedi p. 178. 70. Ornato, Exigences fonctionnelles, pp. 18-19.

M a r ia A E z io O

n t o n ie t t a

C

asa g ra n d e

M

rnato

Elem enti per la tip olo gia del m an oscritto quattrocentesco dell’Ita lia centro-settentrionale

azzo li

1. Impostazione generale della ricerca «Pour comprendre le ms. humanistique dans ce qui lui est particulier, il faudrait faire une enquète similaire à la nòtre concemant le m s. gothique italien. Cette enquète ne devrait pas se limiter au 15e siècle, pendant lequel des contaminations avec l ’art du livre humanistique peuvent s ’ètre produites, mais devrait englober aussi les m ss. du Trecento. Une telle étude manque, de sorte que le terrain d ’où surgira le codex humanistique est insuffisamment exploré».1 C o sì, alcuni anni fa, annotava Albert Derolez nella conclusio­ ne del suo fondamentale studio tipologico sul manoscritto umani­ stico: ricerca di grande apertura prospettica, analizzando un corpus di 1200 esemplari, e di innovativa metodologia, scomponendo l ’oggetto libro in 24 parametri, essenzialmente dimensionali e qua­ litativi, rilevati direttamente. D a qui lo stimolo di partenza per la nostra indagine, che si propone di andare incontro al desideratum del D erolez con uno specimen numericamente assai più circoscritto ma più ricco, al tempo stesso, per ciò che riguarda il campo di os­ servazio n e e la finezza dell’analisi. 1.1. A m b ito della ricerca e corpora utilizzati L o scopo della ricerca è un’indagine comparativa fra i mano­ scritti um anistici - innovativi - e i manoscritti dalle caratteristiche fisich e e grafiche più tradizionali, di impronta «gotica», prodotti e/o circolanti in ambienti religiosi dell’area lombardo-veneta, e che per q u esta ragione verranno designati d’ora in poi con l ’etichetta di «m on astici». D alla natura dei testi in essi contenuti, dal tipo di

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M . A . C a s a g r a n d e M a z z o li - E . O rn a to

scrittura, dall’impaginazione, dalla decorazione e dalla qualità del supporto risulta evidente la loro «aria di fam iglia»: un giudizio, tuttavia, che resta in superficie e che richiede di essere approfon­ dito mediante indagini mirate al «come» e al «perché» di tali codi­ ci, determinandone con la maggiore precisione possibile i tratti somatici e, in misura orientativa, i «meccanismi di funzionamen­ to». Si tratta di un campo d’indagine quanto mai aperto: infatti, an­ che per l’area geografica prescelta, non è emersa finora - o è emer­ sa soltanto in modo sfuocato e parziale - la fisionomia del libro nella sua interezza, in quanto le indagini hanno privilegiato di volta in volta l’aspetto testuale, grafico e decorativo, mentre, per ciò che riguarda gli aspetti codicologici, esistono solo valutazioni somma­ rie e sintetiche, per lo più fondate sull’esperienza maturata dai sin­ goli studiosi e non su appositi rilevamenti sistematici. L ’analisi è basata su quattro gruppi di codici differenziati ti­ pologicamente (monastici, umanistici), geograficamente (Italia del Nord, Firenze) e cronologicamente (secoli X IV e XV). Sul piano della localizzazione e della datazione, sono stati privilegiati, innan­ zitutto, i volumi che contenevano esplicitamente un dato cronico e/o topico; in assenza di attestazioni, la preferenza è stata accordata ai codici la cui appartenenza ai secoli e alle aree geografiche defi­ nite ai fini dell’indagine poteva essere determinata - perlomeno in via probabilistica - tramite criteri esterni (note d’uso, menzioni di provenienza ecc.). Si è cercato così di ridurre al minimo la quantità di manoscritti per i quali l’appartenenza non poteva essere stabilita che attraverso una valutazione soggettiva. L ’incrocio fra la tipolo­ gia dei manoscritti, l’origine topica e cronica ha dato luogo a quat­ tro gruppi principali: 1. M anoscritti monastici d e ll’Italia del nord, se co lo XIV.

2. 3. 4.

M anoscritti monastici d e ll’Italia del nord, se c o lo XV. M anoscritti umanistici d e ll’Italia del nord. M anoscritti umanistici fiorentini.

A ll’interno dei gruppi principali, sono stati selezionati, là ove l’operazione era possibile, alcuni sottogruppi che sono emersi co­ me insiemi ben caratterizzati, rispondendo a differenziazioni socioculturali e di bottega: 1. Un corpus di 19 manoscritti monastici confezionati per il convento di Santa Maria Incoronata di Milano (dove gli Agostinia­

Elementi per la tipologìa del manoscritto quattrocentesco

211

ni eremitani entrarono nel 1445 allestendovi un’importante biblio­ teca), destinati dal cardinale Federico Borromeo, insieme all’intero fondo di Santa Maria, alla nascente biblioteca, l’Ambrosiana di Milano che a tutt’oggi li conserva. Fra questi codici, M irella Ferra­ ri ne ha individuati 137 riguardanti acquisti di antiquariato, dona­ zioni, prodotti dello scriptorium monastico o di botteghe cittadine. In seno alla produzione di bottega, la Ferrari ha isolato due gruppi ristretti: uno «umanistico», comprendente una ventina di codici cartacei, l ’altro - cui abbiamo rivolto l’attenzione - «monastico», di 18 codici in pergamena, databili per lo più al terzo quarto del XV secolo.2 2. Un corpus di 22 manoscritti umanistici della biblioteca di Francesco Pizolpasso, che doveva constare di un’ottantina di libri, come risulta dall’inventario compilato alla sua morte, nel 1443,3 dopo che i «volumina librorum incathenata» erano stati collocati «in libraria Capituli ecclesie Mediolanensis» cui il Pizolpasso li aveva destinati. Nel 1605 Federico Borromeo ne trascelse 54 per la biblioteca, l’Ambrosiana, dove sono rimasti. Ancora alla nota acri­ bia di M irella Ferrari si deve l’identificazione sicura dei volumi superstiti, una sessantina, e lo studio della formazione della bi­ blioteca personale del presule, che raccolse libri di seconda mano e altri ne fece allestire. Il corpus da noi indagato comprende quasi tutti i volumi ese­ guiti per il Pizolpasso. Questi ultimi possono essere datati verosi­ milmente al periodo della sua carica milanese, cioè agli anni 14351443, e sono principalmente di origine lombarda.4 La Ferrari ne of­ fre una descrizione d’insieme: «I codici che il Pizolpasso si fece fare su ordinazione costituiscono un gruppo più largo e compatto per la presenza del suo stemma miniato, per fattura, stile della scrittura e delle miniature, talvolta per l’identità del copista o del miniatore o del decoratore, per la presenza ricorrente di uno o due revisori dei testi, che lavorano puntualmente dall’inizio alla fine dei volum i e sono persone diverse dai copisti».5 3. Un corpus di 26 manoscritti umanistici di cui Cosimo de’ Medici aveva voluto dotare, a partire dagli anni 60 del X V secolo, la nascente biblioteca della Badia fiesolana, allestiti nelle botteghe di Vespasiano da Bisticci e di Zanobi di Mariano. La formazione della biblioteca fiesolana, patrocinata da Cosimo de’ M edici insie­

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M .A . C a s a g r a n d e M a z z o li - E . O rn ato

me alla costruzione della Badia - come racconta lo stesso Vespa­ siano nelle V ite 6 - è tracciata da Albinia de la Mare, che si è avval­ sa delle fonti archivistiche, letterarie e naturalmente dei manoscritti stessi.7 Soprattutto le note di pagamento da parte della banca dei Medici ai librai fornitori permettono di fissare il cammino cronolo­ gico delle acquisizioni librarie, dal 1461 al 1466-1467, con note di pagamento fino al 1468. L ’allestimento della biblioteca fu dappri­ ma probabilmente affidato a Zanobi di Mariano, fornitore di Fie­ sole per le esigenze quotidiane, finché Cosimo, desideroso di por­ tarla rapidamente a compimento, diede l’incarico a Vespasiano che, a partire dalla metà del 1462, l’allestì nell’arco di due anni con grande efficienza imprenditoriale, includendovi anche, contraria­ mente a quanto da lui asserito, manoscritti di seconda mano e altri già predisposti per la vendita nella sua bottega.8 Per il nostro corpus abbiamo trascelto 21 manoscritti dalla li­ sta degli 88 provenienti sicuramente da Vespasiano, di cui si con­ servano le note di pagamento, e inoltre 5 manoscritti dalla lista dei 19 di Zanobi di Mariano.9 4. Un corpus di 25 manoscritti umanistici di gran lusso realiz zati per i Medici, di cui circa metà per Lorenzo il Magnifico.10 Nel lavoro preliminare di selezione dei corpora, ci si è basati in primo luogo su materiale già edito (monografie e cataloghi). Fra le monografie, pochi - ma significativi - sono gli studi sull’Italia settentrionale che, avendo come referente i manoscritti, ne forni­ scano sufficienti dati identificativi. Più ricca è invece la bibliogra­ fìa sui codici umanistici - in particolare quelli fiorentini. V a da sé che la lista approntata dal Derolez ha costituito un punto di riferi­ mento fondamentale, avendo fornito un totale di 55 codici (corri­ spondenti al 41% del nostro corpus umanistico). Per ciò che riguarda la catalografia esistente, solo alcuni lavori re­ centi, di ambito specialistico, si sono rivelati affidabili. Meno con­ fortante è invece la situazione dei cataloghi generali, che mirano a de­ scrivere la totalità dei codici dei diversi fondi. Come ben si sa, molte biblioteche non dispongono che di antiquati inventari spesso inediti che, oltre a essere muti nel fornire elementi di localizzazione, si rive­ lano devianti per quanto concerne l’altro dato primario, la datazione. Abbiamo appurato la tendenza a retrodatare di un secolo nei frequenti casi in cui la scrittura quattrocentesca impiegata fosse di base gotica.

Elementi per la tipologia del manoscritto quattrocentesco

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L ’esperienza ci ha mostrato che le ricognizioni dirette dei fon­ di sono lunghe, ma incomparabilmente più fruttuose della selezio­ ne compiuta nelle sale di consultazione, seguendo il tenue filo d’Arianna delle informazioni inventariali. In questa prospettiva, si è proceduto all’esplorazione di una quindicina di biblioteche, di cui undici hanno fornito materiale." Tali biblioteche hanno il vantag­ gio di aver funzionato, in qualche sorta, come un «bacino di rac­ colta» dei manoscritti locali, permettendo così la costituzione di fondi coerentemente e storicamente stratificati. A ll’interno dei corpora delimitati nella fase preliminare, è par­ so opportuno introdurre un certo numero di restrizioni: 1. I manoscritti cartacei, in quanto rappresentano, nella maggior parte dei casi, una produzione sistematicamente più corrente. Non per nulla Albert Derolez ha limitato la sua campionatura umanistica al volume in pergamena, che costituisce «le vrai livre commercial».12 2. I manoscritti in lingua volgare, in quanto il veicolo peculiare della cultura degli umanisti e dei religiosi, per i quali sono al­ lestiti i libri oggetto della nostra indagine, è la lingua latina. È già stato stabilito, d’altra parte, che la dicotomia linguistica si accompagna quasi sempre a nette differenziazioni nella fattura libraria.13 3. I manoscritti liturgici, in quanto dotati di funzionalità partico­ lari che esigono di frequente soluzioni specifiche. 4. I manoscritti in versi, per due ragioni: essi presentano, in molti casi, un’impaginazione ad hoc e, d’altro lato, non si prestano ai conteggi sulla divisione delle parole in fine riga. 5. I manoscritti provvisti di una glossa a cornice o comunque di una mise en page speciale. 6. Sono stati eliminati i manoscritti che, all’osservazione, si sono rivelati incompatibili con le esigenze di un’indagine sistemati­ ca (volumi con meno di cinque fascicoli, privi di specchio di scrittura o comunque molto irregolari). 1.2. Scheda descrittiva Come è intrinseco alla ricerca «sperimentale», anche la codi­ cologia quantitativa è una disciplina in continua evoluzione, con

214

M .A . C a s a g r a n d e M a z z o li - E . O rnato

sempre maggiori aperture d’orizzonte e affinamenti metodologici che producono protocolli d’osservazione via via più articolati. La scheda relativa alla presente indagine è stata elaborata alcuni anni orsono; essa non poteva, ovviamente, essere arricchita di osserva­ zioni la cui pertinenza è stata accertata solo ulteriormente e d’altro lato, non essendo il frutto di un’iniziativa collettiva, doveva ade­ guarsi alla disponibilità, necessariamente più limitata, di una sola persona. A posteriori, appare comunque che le osservazioni previ­ ste nella scheda sono sufficienti per un’analisi comparativa rivolta ad evidenziare analogie e divergenze sugli aspetti fondamentali della struttura e della presentazione dei codici. La scheda si articola in cinque sezioni riguardanti: a) Identificazione del m anoscritto e dati generali. Segnatura, da­ tazione, origine, autore e titolo, nome del copista, presenza di una o più mani, storia del manoscritto: provenienza, commit­ tente, destinatario, primo possessore, officina. b) Caratteristiche materiali e strutturali. Legatura, supporto, numero di carte, struttura dei fascicoli e lato iniziale (car­ ne / pelo), sistemi di ordinamento, «difetti» della pergamena (fori, cuciture, lisières 14). c) Preparazione della pagina. Foratura (per lo specchio, per le linee rettrici, foro/i supplementare/i); rigatura (schemi, tecni­ che, strumenti); mise en page (disposizione del testo, dimen­ sioni del foglio e dello specchio, numero di righe, disposizione della scrittura sopra / sotto il rigo). d) Dati grafici e perigrafici. Altezza dei nuclei delle lettere; nu­ mero medio delle parole e dei segni grafici; numero di abbre­ viazioni; numero di parole tagliate in fine riga e presenza eventuale di «trattini di a capo»; numero di «riempitivi» in fi­ ne riga.15 e) Decorazione. Tipologia e posizione nel volume, presenza di oro, dimensioni delle iniziali. I dati raccolti sono stati registrati in un database appositamente predisposto. Sono risultati 106 parametri relativi a dati generali, qualitativi, dimensionali, numerici. Per le modalità di osservazione, alcuni ragguagli sono forniti in appendice.16

Elementi per la tipologia del manoscritto quattrocentesco

215

1.3. Composizione del corpus Il corpus complessivo della nostra indagine comprende 227 manoscritti,17 in parte datati e localizzati, come appare dalla tabel­ la 1: TABELLA 1

d ed o tta

stim a ta

a tte sta ta

d e d o tta

stim a ta

tota le

a tte sta ta

origin e

d a ta zio n e

D a ta z io n e e lo c a li z z a z i o n e d e i co d ici

umanistici

10 24

69 100

15 9

22 46

12 70

60 17

133

totale

34

169

24

68

82

77

227

m onastici

94

Come la tabella 1 visualizza, 203 manoscritti, pari all’ 89,4% dell’intero corpus, presentano un’attestazione d’origine esplicita o deducibile da elementi espressi (corrispondente all’ 84% per i «mo­ nastici» e al 93,2% per gli umanistici), mentre 150 manoscritti, pari al 66%, recano una datazione parimenti attestata o dedotta (36,2% per i «monastici», 87,2% per gli umanistici). La rappresentazione dei diversi sottogruppi è raffigurata nella tabella 2, alla pagina seguente.

2. D codice «monastico» e il codice umanistico Come è noto, i due tipi di codici si differenziano in quasi tutti gli aspetti, e spesso si oppongono. Naturalmente, molte di queste dif­ ferenze saltano agli occhi e corrispondono all’esperienza intuitiva dello studioso, ma non è comunque inutile quantificarle; altre, inve­

216

M .A . C a s a g r a n d e M a z z o li - E . O rnato

ce, riguardano aspetti finora poco osservati nei codici e meritano di essere evidenziate. V a sottolineato che per quasi tutte le osservazioni sarà giocoforza suddividere i due gruppi in funzione dell’impagina­ zione la quale, come è già stato dimostrato altrove,18 è legata a un certo numero di parametri ed influisce «a cascata» su altri. Tale dif­ ferenziazione è tanto più necessaria in quanto la ripartizione delle due impaginazioni è assai diversa nei due gruppi (68,1% a due co­ lonne nei «monastici» contro 10,5% negli «umanistici»). TABELLA

2

R ip a rtizio n e p e r gruppi X IV s e c o l o m o n a stic i

X V se c o lo

S a n ta Maria altri F ie s o le

F ir e n z e

N ord to ta le

M edici altri

um a n istici

P iz o lp a sso altri

28 19 47 26 25 16 22 44 227

G li unici aspetti che accomunano i manoscritti «monastici» e umanistici sono quelli che si riferiscono alla strutturazione fondamentale del codice o della pagina: rispetto della regola di Gregory e della faccia iniziale sul lato carne e, per la pagina, T articolazione reciproca dei margini (anche se esistono, su questo punto, differen­ ze non trascurabili). A ciò v a aggiunta la prevalenza del sistema di segnature a registro di tipo a l , a 2 ...l9 G ià comunque al livello di base appaiono notevoli divergenze. Innanzitutto per quanto riguarda la fascicolazione:

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco

217

TABELLA 3

Fascicolazion e numero bifogli

monastici

umanistici

2 4

2 ,1 3 %

0

3 6 ,1 7 %

5 6

4 6 ,8 1 % 1 4 ,8 9 %

1 0 ,5 3 % 8 9 ,4 7 % 0

In entrambi i gruppi, il quinione è maggioritario ma, o vvia ­ mente, la preponderanza è assai più grande nel gruppo umanistico. Ciò sembrerebbe confermare che la presenza e la diffusione del quinione sono un fenomeno non solo caratteristico dell’area italia­ na, ma anche una peculiarità del manoscritto umanistico. In realtà, la situazione è più complessa, in quanto la grande maggioranza dei codici giuridici di area bolognese sono composti, già nel X IV se­ colo, di quinioni.20 La predilezione degli umanisti per il quinione non va annoverata fra le scelte imposte dall'imitazione del mano­ scritto carolino ove, come è noto, veniva impiegato quasi esclusi­ vamente il quaternione. Ci si chiederà, invece, se la spiegazione non risiede, almeno in parte, nell’unità di confezionamento del ma­ teriale scrittorio: sappiamo, infatti, che in Italia la carta veniva con­ fezionata e venduta in risme di 500 fogli, divise in mani di 25 fogli, divise a loro volta in quinterni.21 È possibile - ma si tratta sempli­ cemente di un’ipotesi - che le abitudini di chi preparava i codici giuridici abbiano influito sui modi di confezionamento del mate­ riale, i quali, a loro volta, avrebbero poi influenzato le abitudini di chi fabbricava codici umanistici, tanto più se esisteva un commer­ cio di fascicoli prefabbricati dai cartolai.22 La presenza non trascurabile di quaternioni e senioni nel grup­ po «monastico» - che come vedremo comporta ampie modulazio­ ni - va collegata alle abitudini tradizionali dell’Italia del Nord; non a caso, come ha già rilevato il Derolez, la presenza del quaternione nel codice umanistico è più importante nei volumi originari di quell’area.23 I due gruppi differiscono profondamente anche nelle dimen­ sioni stesse dei volumi:

M.A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

218

TABELLA 4

Sem iperim etro medio (mm) monastici

umanistici

totale

piena pagina due colonne

3 6 7 ,8 0 4 2 6 ,3 4

5 1 1 ,6 9 6 3 0 ,8 6

482,72 463,05

totale

407,66

524,23

475,96

L a taglia del codice «monastico» rappresenta circa 1’ 80% di quella del codice umanistico, e lo scarto è ancora più elevato se si dividono i codici secondo rimpaginazione (72% per la piena pagi­ na e 68% per le due colonne).24 Se si considera che la taglia del no­ stro formato A 4 è di circa 500 mm, il valore medio osservato per i codici «monastici» (408 mm) appare veramente basso, soprattutto se paragonato con le medie osservate per lo stesso periodo al di là delle Alpi (488 mm).25 È evidente che il codice di origine monasti­ ca del tardo medioevo non ha molto in comune, da questo punto di vista, con i volumi dei secoli XI e XII in quanto, nella maggior parte dei casi, non svolge più la medesima funzione di «libro da banco» destinato spesso alla lettura collettiva.26 Il corpus umanistico stupisce invece per le caratteristiche oppo­ ste: la media generale è di 525 mm e raggiunge i 630 mm per i ma­ noscritti a due colonne. Anche per i codici a piena pagina la media è elevata (511 mm contro 367 mm per i «monastici»). Le dimensioni medie dei volumi umanistici a due colonne raggiungono quasi quel­ le, abbastanza standardizzate, dei libri giuridici (circa 660 mm).27 Le stesse considerazioni valgono per il numero di carte: TABELLA 5

Numero di carte monastici

umanistici

totale

piena pagina due colonne

1 2 6 ,1 7 1 9 1 ,2 2

1 9 9 ,5 8 2 8 2 ,5 7

184,80 207,62

totale

170,46

208,32

192,64

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco

219

L o scarto globale è di circa il 22% di carte in più per il codice um anistico. Esso è tuttavia assai più ampio se viene presa in consi­ derazione la disposizione del testo (60% per la piena pagina, 48% per le due colonne).28 L e due caratteristiche esaminate finora fanno sì che il codice umanistico si presenta come un volume imponente, addirittura «pe­ sante» nel senso proprio del termine, proprio mentre alla base della sua concezione sta al contrario un desiderio di «leggerezza», ma questa volta in senso figurato; e non è escluso, comunque, che la pesantezza del volume sia legata negativamente proprio alla legge­ rezza della pagina. Il divario tra i due gruppi rimane un fatto inne­ gabile, anche se, come vedremo più oltre, le caratteristiche della campionatura del gruppo umanistico implicano una sovrarappresentazione dei manoscritti grandi. Per ciò che riguarda i sistemi di ordinamento del fascicolo e dei fogli, va notato che il codice umanistico, malgrado la velleità proclamata di «ritorno all’antico», non rinuncia ipso fa cto a certi progressi funzionali acquisiti in epoca più tarda. E questo il caso, come già si è detto, delle segnature «a registro», abbondantemente presenti in ambedue i gruppi (66% dei «monastici» e 61% degli umanistici). AH’intemo del sistema a registro, il tipo «Derolez 1» {al, a2, a3 ...) è di gran lunga il più rappresentato. Quanto alla ripartizione e alla diffusione dei vari tipi, si rimanda - così come per i richiami - all’ampia esposizione del Derolez, i cui dati, ricavati da un campione di 1200 volumi, sono ovviamente assai più rappre­ sentativi dei nostri. V a comunque sottolineato, a questo proposito, che le tendenze generali sono pressappoco le stesse nei due corpo ra (v. tabella 6). L a percentuale di assenza delle segnature - relativamente ele­ vata nei due grappi - non è di per sé significativa: è nota, infatti, la «discrezione» con la quale l’ordinamento dei fogli veniva segna­ lato sui margini dei manoscritti, come se il dato fosse praticamente destinato alla rifilatura.29 D iverso è invece il discorso per i richia­ m i - l a cui assenza non può essere che il risultato di una scelta, e probabilmente di un arcaismo deliberato - e diversa risulta anche la loro ripartizione tipologica nei due grappi, dato lo scarso successo dei richiami verticali nel grappo «monastico» (v. tabella 7).

M .A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

220

TABELLA 6

Tipologia d elle segnature tipo D ero lez30 1 2 3 5 6 9 assenti totale

monastici

umanistici

4 7 ,8 7 %

45,86%

0 ,0 0 %

3,76%

totale

6 ,3 8 %

3,76%

5 ,3 2 %

3,76%

1 ,0 6 %

0,00%

5 ,3 2 %

3,01%

3 4 ,0 4 %

39,10%

46,70% 2,20% 4,85% 4,41% 0,44% 3,96% 37,00%

100,00%

100,00%

100,00%

TABELLA 7

Tipologia dei richiami tipo D e r o lez 31 1 2 3 4 5 8 assenti totale

monastici

umanistici

55,32 %

18,80%

24,4 7 %

6,02%

0,0 0 %

9,77%

6,3 8 %

22,56%

9,57%

33,83%

0,0 0 %

0,75%

4,2 6 %

8,27%

100,00%

100,00%

totale 33,92% 13,66% 5,73% 15,86% 23,79% 0,44% 6,61% 100,00%

V a notato, infine, che, non esiste una correlazione fra la pre­ senza delle segnature ed il numero di carte che compongono un volume (l’ipotesi in tal senso potrebbe essere giustificata dal fatto che il pericolo di disordine appare a priori tanto più grave quanto più sono numerosi i fascicoli da rilegare). Il risultato negativo po­ trebbe tuttavia essere spiegato dall’eventualità che buona parte delle segnature siano state di fatto rifilate, in quanto la correlazione appare chiaramente, invece, per i richiami (v. tabella 8).

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco

221

TABELLA 8

Media d el numero di carte in funzione dei richiami e delle segnature richiami presen ti assenti totale

segnature presen ti 1 9 0 ,9 3 1 3 6 ,3 3 188,64

assenti 2 0 3 ,0 3 1 6 9 ,5 6 199,44

totale 195,21 156,27 192,64

La correlazione esiste sia nell’uno che nell’altro insieme di codici, ma si rivela più forte nel gruppo dei monastici (lo scarto è del 36% nel primo caso, e del 18% nel secondo): TABELLA 8A

Media d el numero di ca rte nei codici monastici richiami

segnature presen ti

assenti

totale

presenti

1 6 8 ,1 0

1 8 3 ,1 7

173,12

assenti

1 3 7 ,0 0 167,10

8 4 ,0 0 176,97

110,50

totale

170,46

TABELLA 8B

Media d el numero di carte nei codici umanistici richiami

segnature presen ti

assenti

totale

presen ti

2 0 8 ,7 3

2 1 6 ,2 7

211,51

assen ti

1 3 6 ,0 0

172,91

totale

206,14

1 9 4 ,0 0 213,27

208,32

L ’analisi degli schemi di rigatura mette in luce tendenze assai diverse nei due gruppi:

M.A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

222

TABELLA 9

Frequenza degli sch em i di rigatura schem i di rigatura 32 11

monastici

umanistici

totale

28,72%

17,29%

12

1,06%

2,26%

1,76%

13

1,06%

0,75%

0,88%

15 16

1,06%

0,00%

0,44%

0,00%

0,75%

0,44%

21

0,00%

0,75%

0,44%

31

1,06%

31,58%

18,94%

32

0,00%

1,50%

0,88%

33 34

0,00%

7,52%

4,41%

1,06%

2,26%

1,76%

35

0,00%

0,75%

0,44%

22,03%

36

0,00%

24,06%

14,10%

37

0,00%

0,75%

0,44%

41

50,00%

7,52%

25,11%

42

5,32%

0,00%

2,20%

43

5,32%

0,00%

2,20%

45

2,13%

0,75%

1,32%

51

1,06%

1,50%

1,32%

56

1,06%

0,00%

0,44%

1,06%

0,00%

0,44%

57 totale

100,00%

100,00%

100,00%

A ben guardare, tuttavia, le divergenze risalgono a due orien­ tamenti opposti: mentre il gruppo «monastico» predilige a stra­ grande maggioranza - perlomeno nel corpus oggetto dell’indagi­ ne - gli schemi «spartani», il manoscritto umanistico non rifugge dalla «giustificazione doppia», nella quale le righe verticali dello specchio si presentano raddoppiate (v. tabella 10, alla pagina se­ guente).

Elem enti p e r la tipologia del manoscritto quattrocentesco

223

TABELLA 10

Raddoppiam ento delle linee verticali dello sp ecch io monastici

umanistici

9 5 ,7 4 %

6 1 ,3 6 %

4 ,2 6 %

3 8 ,6 4 %

giustificazione sem p lice giustificazione doppia

Albert Derolez ha già segnalato l ’analogia fra il comporta­ mento dei volum i umanistici e le abitudini in uso all’epoca carolin­ gia.33 Il fenomeno conferma comunque il fatto che il «ritorno all’antico» investe essenzialmente la soprastruttura del codice, e cioè i suoi aspetti più visibili e meno legati alla funzionalità. Le tecniche di rigatura dei fascicoli presentano divergenze no­ tevoli: TABELLA 11

Tipologia d elle tecn iche di rigatura rigatura rettrici

rigatura sp ecch io

monastici

umanistici

totale

inchiostro

inchiostro

6 ,4 5 %

2 3 ,4 8 %

a ssen te

piom bo

3 ,2 3 %

0 ,0 0 %

16,44% 1,33%

inchiostro

piom bo

5 6 ,9 9 %

3 3 ,3 3 %

43,11%

3 2 ,2 6 %

3 ,7 9 %

15,56%

piom bo

piom bo

inchiostro

secco

1 ,0 8 %

0 ,7 6 %

0,89%

secco

secco

0 ,0 0 %

3 8 ,6 4 %

22,67%

Se si considerano tutti i tipi di accoppiamento rilevati per la ri­ gatura dello specchio e delle rettrici, si osserva che l’accoppiamen­ to «inchiostro-inchiostro» è assai più attestato nel gruppo umanisti­ co (23% contro 6%), mentre la situazione si inverte per «inchio­ stro-piombo» e «piombo-piombo» (rispettivamente 57% e 32% contro 33% e 4%). Alquanto ovvio appare, naturalmente, il fatto che l’accoppiamento «secco-secco» è esclusivo del gruppo umani­ stico, in quanto il fenomeno è dovuto, come è noto, alle scelte «an­ ticheggiam i» che caratterizzano questo tipo di codice. Tali discre­ panze corrispondono a precise distribuzioni cronologiche e regio­

224

M.A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

nali, e sono anche legate all’impiego di appositi strumenti. L ’inda­ gine su questo aspetto - che abbraccia anche la tipologia della fo­ ratura - è stata approfondita in altra sede.34 La ripartizione dell’impaginazione a piena pagina e a due co­ lonne nei due gruppi è, per il gruppo «monastico», del 31,9% a piena pagina e del 68,1% a due colonne. Tale percentuale rispec­ chia fedelmente le abitudini specifiche dell’area gotica, e corri­ sponde a quella osservata a suo tempo nei manoscritti in pergame­ na di origine francese.35 Per ciò che riguarda il gruppo umanistico, invece, la percentuale di codici a due colonne è maggiore di quella calcolata dal Derolez (10,5% contro 4%).36 Questo secondo valore è senz’altro più fedele alla realtà: come già si è accennato, la cam­ pionatura adottata contiene un numero più elevato di questo tipo di manoscritti. I valori della proporzione del foglio fanno apparire la predile­ zione del gotico per i fogli «larghi» - già riscontrata nei codici francesi - 37 mentre i codici umanistici si allineano su valori me­ diamente «stretti»:38 TABELLA 12

Proporzione del foglio monastici

umanistici

0 ,7 1 5 0 ,7 2 4

0 ,6 9 1

due colonne totale

0,721

0,692

piena pagina

0 ,7 0 1

La propensione per i fogli «larghi» non dipende dall’impaginazione, in quanto si manifesta già nei codici a piena pagina; tutta­ via, i volumi a due colonne risultano ancora più «larghi». La diffe­ renza fra le due impaginazioni esiste anche nel gruppo umanistico, nel quale, però, anche i volumi a due colonne rimangono relativa­ mente «stretti». Siamo quindi di fronte a due concezioni diverse della forma esteriore del libro, una più «snella»,39 l ’altra più «mas­ siccia»; le due concezioni rimangono predominanti anche all’in­ terno del fenomeno di allargamento imposto da un tipo di impa­ ginazione che si espande lateralmente. Va notato, tuttavia, che la

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco

225

differenza di trattamento fra i due gruppi potrebbe essere in parte associata al comportamento «naturale» della pelle: i manoscritti umanistici infatti - che abbiamo visto prevalentemente più grandi sono in maggioranza degli in-folio, e perciò spontaneamente «stret­ ti», mentre i codici «monastici», di dimensioni alquanto minori, sono probabilmente degli in-quarto -40 In altri termini, l’applicazio­ ne di principi differenti non v a a scapito, nella maggior parte dei casi, dei principi di ergonomia o di economia. La proporzione dello specchio di rigatura (comprensivo dell’intercolunnio nell’impaginazione a due colonne) è necessaria­ mente correlata a quella del foglio: TABELLA 13

Proporzione dello sp ecch io di rigatura piena pagina due colonne totale

monastici

umanistici

0,667

0,609

0 ,693

0,646

0,685

0,613

Nel codice occidentale è quasi sempre inferiore alla propor­ zione del foglio, in quanto, se fosse superiore, i margini laterali ri­ sulterebbero «schiacciati» rispetto al margine di testa e di piede, con evidenti inconvenienti di ordine estetico e funzionale. I dati della tabella fanno apparire, non solo, come è ovvio, che la propor­ zione dello specchio è più stretta nel gruppo umanistico, ma anche che, in quest’ultimo, il divario fra le due proporzioni è maggiore (0,084 contro 0,048 a piena pagina; 0,055 contro 0,031 a due co­ lonne, con uno scarto che si mantiene proporzionalmente costante nelle due impaginazioni41): il carattere di snellezza conferito dalla proporzione del foglio stretta viene quindi accentuato, nel codice umanistico, dall’adozione di una proporzione dello specchio ancora più stretta. Un’ulteriore accentuazione proviene dal fatto che l’intercolunnio è proporzionalmente - anche se di poco - più sv i­ luppato nel gruppo umanistico, rendendo in tal modo visivamente più strette le colonne.42 La tabella 14 (alla pagina seguente), che fornisce la media del rapporto fra ciascuno dei quattro margini e l’altezza del foglio, mo-

226

M.A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

stra che tutti i margini - quale che sia il tipo di impaginazione sono proporzionalmente più sviluppati nel gruppo umanistico. TABELLA 14

Rapporto fra i margini e l'altezza del foglio

piena pagina

due colonne

rapporto margini

monastici

umanistici

mint/altf

0,096

0 ,1 0 8

msup/altf

0,095

0 ,1 1 6

mest/altf

0,170

0 ,2 0 5

minf/altf

0,230

0 ,2 5 5

mint/altf

0,087

0 ,0 9 6

msup/altf

0,090

0 ,1 0 9

mest/altf

0,152

0 ,1 7 9

minf/altf

0,210

0 ,2 3 0

Tale considerazione è valida non solo per i margini, ma anche per l’intercolunnio, che rappresenta il 6,6% della larghezza del fo­ glio nei codici «monastici» e il 7,1% negli umanistici. Torneremo su questo punto a proposito del parametro «nero» che definisce, come è noto, il riempimento della pagina. La sostanziale similarità fra i due gruppi che si riscontra non nell’ampiezza com plessiva, ma nei rapporti relativi fra i quattro margini mostra, come già si è det­ to, che il manoscritto umanistico non si distacca dalle abitudini che caratterizzano, da questo punto di vista, il mondo medievale latino (v. tabella 15 alla pagina seguente). I due margini che potremmo definire «interni alla p elle»43 cioè il margine interno e il margine superiore - tendono verso l ’uguaglianza, mentre il margine esterno - comunque più grande dei due precedenti - risulta a sua volta più piccolo di quello infe­ riore.44 Ciò detto, similarità non significa identità: si noterà, infatti, che l’uguaglianza fra il margine interno e quello superiore non è esattamente rispettata nel codice umanistico, in quanto il margine interno tende ad essere leggermente più stretto; inoltre, il rapporto fra il margine esterno ed il margine inferiore, nello stesso gruppo, tende ad accentrarsi sul valore 4/5 piuttosto che 3/4.

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco

227

TABELLA 15

Rapporto fra i quattro margini rapporto margini

monastici

umanistici

mint/msup

1,050

0,945

mint/mest

0,576

0,537

mint/minf

0,421

0,425

msup/mest

0,569

0,578

msup/minf

0,421

0,458

mest/minf

0,751

0,816

mint/msup

1,007

0,886

mint/mest

0,592

0,541

mint/minf

0,421

0,420

msup/mest msup/minf

0,602

0,616

0,434

0,477

mest/minf

0,732

0,779

piena pagina

due colon n e

Anche la maniera di «costruire» una pagina a due colonne non differisce molto nei due gruppi. In entrambi i casi, il calcolo del rapporto fra la larghezza dello specchio e quella del foglio mostra che F inserzione di un intercolunnio è accompagnata soprattutto da un’espansione della larghezza dello specchio a scapito dei due margini laterali:45 TABELLA 16

R a pporto fra la larghezza dello sp ecch io e quella del foglio monastici

umanistici

piena pagina

0 ,628

0,553

d u e colon n e

0,669

0,608

Il sacrificio dei margini laterali è proporzionale alla loro lar­ ghezza —e ciò sia nei codici monastici sia in quelli umanistici - co­ sicché il loro rapporto risulta invariato nelle due impaginazioni (cfr. tabella 15). V a notato, tuttavia, che i margini laterali non sono

228

M. A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

i soli ad essere sacrificati, in quanto, se si calcola il rapporto fra l’altezza dello specchio e quella del foglio, appare che anch’esso è più grande nei codici a due colonne. L ’impaginazione a due colon­ ne è quindi accompagnata anche da un’espansione dell’altezza dello specchio: TABELLA 17

Rapporto fra l’a ltezza dello sp ecch io e quella d el foglio monastici

umanistici

piena pagina

0 ,6 7 5

0 ,6 2 9

due colonne

0 ,7 0 1

0 ,6 6 0

Questa volta, però, il sacrificio avviene soprattutto a scapito di uno dei due margini, e cioè di quello inferiore, la cui maggiore am­ piezza consentiva interventi più cospicui (cfr. tabella 15).46 L ’espan­ sione verticale dello specchio può rispondere a due diversi criteri: sul piano estetico, essa preserva la «snellezza» della proporzione, che la necessaria espansione della larghezza verrebbe a rendere troppo «tozza»; sul piano dello sfruttamento della pagina, essa permette inoltre di aggiungere un certo numero di righe, ricuperando così una parte dello spazio perduto a causa dell’inserzione dell’intercolunnio. Le due ipotesi non sono incompatibili fra loro, ma l ’analisi dello sfruttamento dello spazio dimostra comunque che gli artigiani del codice umanistico non avevano dimenticato i vantaggi specifici dell’impaginazione a due colonne per ciò che riguarda lo sfrutta­ mento della pagina - «scoperti» dagli artigiani del basso medioe­ v o 47 - e non imitano, su questo punto, la «mise en page» dei codici carolini. La concezione della pagina scritta costituisce l’aspetto sul quale i due gruppi non solo differiscono, ma si oppongono radicalmente. Come già si è riscontrato nella ripartizione geometrica dello spazio, l’opposizione si manifesta sulle scelte di fondo, mentre all’interno di ciascuna scelta le pratiche artigianali possono anche coincidere. Alla «snellezza» delle forme, cioè dei rettangoli delimitati dal foglio e dallo specchio, corrisponde, nel codice umanistico, un’im­ pressione di «aerazione» della pagina che contrasta, invece, con la compattezza caratteristica della pagina «gotica». Tre parametri sono

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco

229

ufficienti per quantificare esattamente ciò che l’occhio percepisce intuitivamente: il riempimento della pagina, cioè la quantità di spa­ zio occupata dallo specchio di scrittura («nero»); lo spazio fra due linee rettrici («unità di rigatura»); la distanza verticale fra i nuclei della scrittura. Tale distanza può essere misurata dall’altezza relativa dei nuclei (rappresentati, nel nostro caso, dalla lettera o ) rispetto all'unità di rigatura, che le è correlata.48 Un quarto parametro - che non è stato misurato nel quadro della presente indagine - avrebbe potuto rendere conto di un’altra particolarità: lo spessore dei tratti che, nella scrittura gotica, appare di norma assai più vistoso.49 Su tutti e tre i parametri fondamentali, le differenze fra i due gruppi sono estremamente marcate, nel senso che nei codici uma­ nistici l’unità di rigatura è più grande, il riempimento della pagina è minore, ma minore è anche l’ingombro verticale della scrittura: TABELLA 18

Riem pimento e sfruttamento della pagina monastici

umanistici

unità di rigatura

4 ,4 0

5 ,9 1

nero

0 ,4 2 5

0 ,3 5 0

altezza o / U R

0 ,4 8 8

0 ,3 5 1

È perciò presumibile a priori che il «bilancio di sfruttamento» della pagina sia sfavorevole al codice umanistico. Di quanto ? 11 calcolo può essere effettuato, in via approssimativa, a partire da un esempio fittizio. Supponiamo che in una porzione di pagina di un manoscritto «m onastico» siano contenute venti righe di scrittura, e che ciascuna riga contenga in media cinquanta segni grafici. Tale superficie contiene perciò 1000 caratteri di scrittura gotica. In un codice umanistico, la stessa porzione di pagina conterrà meno di venti ri­ ghe, in quanto l’unità di rigatura è mediamente più ampia. Appli­ cando al nostro esempio la differenza osservata nei due gruppi circa il 25% - il numero di righe si riduce a 15, cioè a 750 caratteri. V a notato, tuttavia, che se nel codice «monastico» i nuclei della scrittura sono relativamente più sviluppati, anche la scrittura risul­

2 30

M .A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

terà più larga e occuperà, di conseguenza, uno spazio maggiore. Tale particolarità comporta evidentemente un vantaggio, in termini di sfruttamento, per il codice umanistico. Se si calcola il rapporto fra la larghezza media dei caratteri50 e l’unità di rigatura, si osserva che, a unità di rigatura uguale, la larghezza di un carattere umani­ stico costituisce l’88% di quella di un carattere «monastico».51 Di conseguenza, se una riga contiene 50 caratteri «monastici», essa conterrà 57 caratteri «umanistici», e la nostra porzione di pagina comprenderà 855 caratteri. Come si vede, sul piano strettamente grafico, l’adozione della scrittura umanistica non può essere assimilata a un «disastro» eco­ nomico. La tabella 19, nella quale sono rappresentati per i due gruppi, in funzione dell’unità di rigatura, i valori dell’ingombro verticale assoluto e relativo della scrittura (rispettivamente altezza della o, altezza della o / UR) e dell’ingombro orizzontale (larghez­ za media dei caratteri ), rende conto del comportamento dimensio­ nale delle due scritture e dell’articolazione dialettica tra l ’aerazione e il rendimento della pagina: TABELLA 19 In g o m b ro della scrittu ra in fu n z io n e d e ll’unità di rigatura UR

a lte zz a o

o/UR

la r g h e z z a caratteri

m on.

um.

m on.

um.

m on .

um.

8 -9

0 ,5 0 0 ,4 8 0 ,4 7 0 ,5 3 0 ,4 0 nd nd

nd 0 ,4 6 0 ,4 3 0 ,3 6 0 ,3 4 0 ,3 1 0 ,2 3

1 ,4 3 1 ,7 4 2 ,1 0 2 ,8 2 2 ,4 1 nd nd

nd 1 ,6 8 1 ,9 5 1 ,9 3 2 ,1 7 2 ,2 6 2 ,0 0

1 ,4 3 1 ,7 2 2 ,0 0 2 ,3 4 2 ,0 5 nd nd

nd 1 ,9 2 2 ,1 3 2 ,2 3 2 ,4 6 2 ,5 0 1,91

to ta le

0 ,4 8

0 ,3 5

2 ,1 4

2 ,0 5

1,98

2 ,3 4

2 -3 3 -4 4 -5 5 -6 6 -7 7 -8

Come si vede, nei codici «monastici» l’ingombro verticale re­ lativo della scrittura (colonne di sinistra della tabella) - che risulta comunque assai più cospicuo che nei codici umanistici (o/UR = 0,488 contro 0,350) - rimane pressappoco costante col variare del-

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco

231

r unità di rigatura; nei codici umanistici, invece, tale parametro ap­ pare inversamente correlato a quest’ultima.52 In altri termini, men­ tre l’altezza dei nuclei (cioè della lettera o; colonne centrali) au­ menta nel primo gruppo con la dilatazione verticale della riga, nel secondo gruppo essa rimane praticamente costante. Questo artificio - non utilizzato nei pochi volumi a due colonne, la cui unità di ri­ gatura si mantiene costante su valori più bassi - consente di aerare la pagina, presentando allo sguardo delle linee più spaziate fra loro, senza peraltro aumentare l’ingombro orizzontale della scrittura. Le colonne di destra della tabella fanno apparire, tuttavia, che una parte del vantaggio derivante dal minor sviluppo verticale dei nu­ clei viene sprecata sul piano orizzontale in quanto, per i medesimi valori dell’altezza dei nuclei, la scrittura umanistica è generalmente più sviluppata in larghezza di quanto non lo sia la scrittura gotica.' I due sistemi grafici sembrano quindi obbedire a due strategie opposte: la scrittura umanistica tende a favorire l’aerazione verti­ cale della pagina inscrivendosi in un’unità di rigatura più ampia; tuttavia, mantenendo invariata l’altezza dei nuclei man mano che aumenta l’unità di rigatura, essa manifesta comunque la preoccu­ pazione di non sprecare troppo spazio orizzontalmente. La scrittura gotica tende invece a occupare massicciamente lo spazio nel senso verticale, ma - più sensibile alle esigenze di economia - si sforza di ricuperarlo ricorrendo a unità di rigatura piccole e attenendosi, al tempo stesso, a modelli grafici più «stretti», atti a ridurre l'ingom­ bro orizzontale. Concezioni estetiche opposte condizionano quindi differentemente il «funzionamento» delle due scritture e, di conse­ guenza, il comportamento dei copisti. II bilancio «economico» si rivela ancor più sfavorevole alla scrittura umanistica se si prendono in considerazione altri fattori. Non va dimenticato, infatti, che nel manoscritto umanistico le righe sono più corte, in quanto i margini laterali sono relativamente più sviluppati. I dati in nostro possesso mostrano che, nel gruppo «mo­ nastico», la somma dei due margini laterali costituisce il 24.8% dell’altezza del foglio, mentre rappresenta il 30,9% nel gruppo umanistico. Se si tiene conto della diminuzione della larghezza, la capienza della riga «umanistica» si riduce a 46 caratteri che. molti­ plicati per 15 righe, fanno 690 caratteri. Il differenziale supera così il 30%.

232

M.A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

Ancora una volta, il risultato ottenuto non è definitivo, in quanto la differenza osservata riguarda solo la «densità reale» del testo,54 che non tiene conto della quantità di abbreviazioni in cia­ scuno dei due gruppi. Su questo parametro, la differenza fra i codi­ ci «monastici» e i codici umanistici si rivela estremamente eleva­ ta.55 Applicando ai 1000 caratteri della porzione di pagina «mona­ stica» la percentuale di abbreviazioni riscontrata nel corpus , la ca­ pienza reale della pagina sale ad almeno 1217 caratteri; almeno, dato che, verosimilmente, il risparmio ottenuto utilizzando il siste­ ma abbreviativo è certamente superiore ad un carattere per segno. L ’applicazione del medesimo procedimento ai 690 caratteri della porzione di pagina «umanistica» introduce invece un risparmio de­ cisamente minore: 17 caratteri, che aggiunti al totale precedente portano la capienza a 707 caratteri. Se ne deduce che, su una stessa porzione di pagina, il codice umanistico contiene circa il 58% di caratteri rispetto al codice «monastico», e se si considera il fatto che, a causa dell’uso di contrazioni e di troncamenti - assai poco praticato nel codice umanistico - la quantità di caratteri sottintesa da un segno abbreviativo è certamente assai maggiore nei volumi «monastici», è assai probabile che il rapporto fra i due «rendimen­ ti» della pagina - prendendo come termine di paragone il «testo virtuale» - si aggiri intorno al 50%. La validità della nostra simulazione può essere verificata mi­ surando un parametro quale la «quantità media di pergamena uti­ lizzata per la trascrizione di un segno grafico» (mm2perg); questo parametro tiene conto, implicitamente, di tutti i fattori di riempi­ mento e di sfmttamento della pagina, eccezion fatta delle abbrevia­ zioni.56 Se la nostra simulazione è esatta, il rapporto fra i valori os­ servati nei due gruppi dovrebbe essere pressappoco del 69%, dal momento che si tratta, in questo caso, di segni grafici «reali» e non «virtuali». Il rapporto effettivamente calcolato sui due gruppi è in­ vece assai minore, e cioè del 54%.57 L a spiegazione del fenomeno risiede nella legge del «rendi­ mento decrescente» della pagina scritta: più una pagina è grande, meno essa può essere sfruttata. Perché lo sfruttamento fosse co­ stante, bisognerebbe che l’unità di rigatura rimanesse invariata con l’aumentare delle dimensioni. Ciò non può avvenire, in applicazio­ ne del «principio di proporzionalità» cui deve necessariamente ade­

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco

233

guarsi la presentazione del manoscritto. In realtà, l’utilizzazione della pagina obbedisce ad un compromesso: l’unità di rigatura au­ menta se aumentano le dimensioni, ma in proporzione inferiore (nel caso contrario, una pagina grande non potrebbe contenere più caratteri di una pagina piccola!).58 Se lo sfruttamento della superficie scritta viene rappresentato dal numero di caratteri per dm2 (carditi2), il valore del parametro deve per forza decrescere co ll’aumento delle dimensioni, ed è pre­ cisamente ciò che si osserva nella tabella 20 per ciascuno dei due gruppi. Tuttavia, se il confronto fra i due gruppi viene effettuato in funzione delle classi dimensionali, il rapporto fra i due «rendimen­ ti» della pagina», espressi in cardm2, si avvicina a quelli calcolati teoricamente.59 TABELLA 20

Numero di segn i grafici p er dm2 taglia (mm)

monastici

umanistici

rapporto

2 4 0 -3 9 0

1 4 3 9 ,1 6

9 3 9 ,3 9

6 5 ,2 7 %

3 9 0 -5 4 0

1 1 2 7 ,4 0

7 6 2 ,2 7

5 4 0 -6 9 0

1 1 1 4 ,4 6

6 9 9 ,6 3

6 7 ,6 1 % 6 2 ,7 8 %

totale

1250,41

756,40

60,49%

Si noterà che la perdita di rendimento fra la taglia media e la taglia superiore è assai più ampia per i codici umanistici (da 762 a 700) che per quelli monastici (da 1127 a 1114). La discrepanza è in parte dovuta al fatto che la tabella 20 non tiene conto dell'impagi­ nazione: nei codici monastici, infatti, rimpaginazione dei volumi grandi è sempre a due colonne - e perciò assai più economa di spa­ zio - mentre ciò non avviene nei volumi umanistici. Se il differenziale globale di sfruttamento si rivela ancora più sfavorevole al codice umanistico di quanto non lo sia per ciascuna delle categorie della taglia, ciò è dovuto al fatto che i volumi uma­ nistici sono mediamente assai più grandi.60 È probabile, perciò, che l ’ampliamento delle dimensioni nel codice umanistico servisse, almeno in parte, a compensare il minor «rendimento» della pagina: infatti, se si calcola globalmente e in valore assoluto, non il rendi­

234

M.A. Casagrande M azzoli - E. Ornato

mento relativo, ma semplicemente la capienza della pagina, astrazion fatta delle dimensioni, il bilancio è assai meno sfavorevole al codice umanistico, la cui pagina media riesce a contenere l’82% dei caratteri rispetto ad una pagina «monastica». Lo scarto è pres­ sappoco il medesimo se si considera il numero medio di carte per volume. V a notato, quindi, che l ’adozione di taglie spesso molto grandi per i codici umanistici non è soltanto una questione di funzionalità o di scelte estetiche, ma anche di necessità, e ciò soprattutto quan­ do si tratta di trascrivere testi copiosi che non si desidera frazionare in più volumi. L ’aumento della taglia non è tuttavia sufficiente per ricuperare le perdite di rendimento e, per questa ragione, un codice umanistico dovrà anche, a parità di condizioni, contenere più carte di un codice «monastico». A questo riguardo, la ripartizione del numero di carte in funzione della taglia appare eloquente: TABELLA 21

Numero m edio di carte in funzione della taglia taglia (mm)

monastici

umanistici

240-390

1 2 3 ,4 2

390-540

1 5 2 ,1 3 1 8 5 ,5 4

540-690

1 6 0 ,8 3

2 6 0 ,0 8

1 6 2 ,5 4

A differenza di quanto accade per il gruppo «monastico», l’au­ mento della taglia - soprattutto per i volumi più grandi - implica nei codici umanistici un incremento considerevole del numero di carte. In altri termini, la snellezza e la leggerezza si pagano, e ciò non solo economicamente - l ’allestimento di un codice umanistico consuma più del doppio di pergamena61 - ma anche esteticamente: l’eleganza delle superfici ha come corrispettivo un appesantimento dei volumi, e non è improbabile che la predilezione per una pro­ porzione del foglio «snella» costituisse anche un espediente per alleggerire l’impatto visivo del volume. Per quanto, come è noto, le scelte operate dagli artigiani del co­ dice umanistico ricalchino in altri campi il comportamento dei loro predecessori dell’alto medioevo, in questo nuovo contesto la tenden­

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco

235

za allo «spreco» va interpretata in modo assai diverso. Si tratta, in questo caso, di opzioni deliberate, e non, come nelle epoche prece­ denti, di un’assenza di soluzioni tecniche adeguate ad eventuali esi­ genze di economia. Certo, l’unità di rigatura è assai più ampia che nei volumi monastici, ma permane comunque inferiore a quella dei manoscritti dei secoli XI e XII.62 Così, all’interno di un’opzione di base relativa all’entità dello sfruttamento assai meno spinta che nel manoscritto tradizionale del tardo medioevo, gli artigiani del codice umanistico applicano in realtà i medesimi principi. A riprova di quanto affermato, giova sottolineare che nel gruppo umanistico la gestione dell’impaginazione a due colonne per quanto centrata su livelli di sfruttamento meno intensi - pre­ senta le stesse caratteristiche che nel gruppo di codici «monastici»: ricupero dello spazio perduto a causa dell’inserzione dell’interco­ lunnio, adozione di unità di rigatura più piccole. La tabella 22 - che riproduce il «coefficiente di riempimento» della pagina, e cioè il rapporto fra la superficie dello specchio e quella del foglio («nero») - mostra che in entrambi i gruppi l’intro­ duzione dell’intercolunnio non implica necessariamente una per­ dita di spazio utile: TABELLA 2 2

R apporto fr a la su p erficie d ello sp ecch io e qu ella d el fo g lio

monastici

umanistici

piena pagina

0 ,4 2 5

0 ,3 4 9

due colonne

0 ,4 2 5

0 ,3 5 7

Sul piano dello sfruttamento della pagina, si nota inoltre che l’unità di rigatura, a taglia uguale, è sempre minore per le due co­ lonne e che, per le taglie più elevate, il suo valore per le due colon­ ne corrisponde pressappoco a quello delle taglie piccole a piena pagina (valori in neretto nella tabella 23). Questi risultati lasciano intuire che, a taglia eguale - e per tutte le classi della taglia - in entrambi i sistemi grafici una «doppia riga logica»63 a due colonne contiene più caratteri di una «riga fisica» a piena pagina (v. tabella 24).

236

M.A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

TABELLA 23

Unità di rigatura in funzione della taglia piena pagina umanistici monastici

taglia (mm) 240-390 390-540 540-690

due colonne monastici umanistici

4,52

5,36

3,73

nd

5,23

5,88

4,44

4,65

nd

6,31

4,57

5,16

TABELLA 24

Numero di caratteri p er riga in funzione della taglia e dell’impaginazione

piena pagina

due colonne

taglia (mm) 240-390

monastici 40,51

35,48

390-540

54,28

46,96 56,40

umanistici

540-690

nd

240-390

49,85

nd

390-540

58,95

59,80

540-690

65,43

62,17

La tabella 25 conferma che il rendimento della pagina, espres­ so in cardm2, è superiore, a taglia uguale, per rimpaginazione a due colonne, anche nel gruppo umanistico: TABELLA 25

Numero di segni grafici p e r dm2 in funzione della taglia monastici

umanistici

taglia (mm)

piena pagina

due colonne

piena pagina

due colonne

240-390

1152,19

1685,14

939,39

nd

390-540

952,95

1187,09

752,24

nd

nd

1114,46

666,58

848,38

540-690

Anche in questo caso si osserva che il rendimento della pagina per le grandi taglie a due colonne corrisponde più o meno nei due

Elementi p e r la tipologia del manoscritto quattrocentesco

237

gruppi - anche se, ovviamente, su livelli diversi - a quello delle piccole taglie a piena pagina. Tuttavia, nella tipologia «monastica», la corrispondenza è migliore;64 la spiegazione risiede nel fatto che i volum i a due colonne in umanistica, se mantengono inalterata l’u­ nità di rigatura, perdono invece terreno sulla scrittura, i cui nuclei sono proporzionalmente più grandi - perlomeno nell’esiguo cam­ pione rappresentato nel nostro corpus - di quanto non lo sia nei manoscritti a piena pagina (o/UR = 0,395 contro 0.345).65 Tutte queste considerazioni sono confermate da un parametro quale mm2p ergca r (superficie di pergamena necessaria, in media, per la trascrizione di un segno grafico), che sintetizza in un unico indicatore i dati relativi al riempimento della pagina e allo sfrutta­ mento della superficie destinata alla scrittura: TABELLA 2 6

mm2 di pergam en a p e r seg n o grafico

piena pagina

due colonne

taglia (mm)

monastici

umanistici

240-390

1 1 ,6 3

1 6 ,4 3

390-540

1 3 ,5 0

1 8 ,7 3

540-690

nd

2 2 ,7 3

240-390

7 ,5 9

nd

390-540

1 0 ,6 2

nd

540-690

12,11

1 6 ,3 2

In termini globali, il rendimento della «pagina umanistica» per ciò che riguarda il consumo del materiale scrittorio costituisce, nel co rp u s analizzato, poco più della metà di quello della pagina «mo­ n astica» (media «monastici» = 10,62 mm2; media umanistici = 19,82 mm2). Il dislivello è in realtà maggiore, in quanto il consumo di pergamena è calcolato in base ai segni grafici scritti, e non ai se­ gni «virtuali» contenuti nel testo ed eliminati tramite l’uso di ab­ breviazioni. È difficile, inoltre, determinare in che misura i risultati ottenuti sul corpus possano essere estrapolati alla totalità delle due popolazioni: da un lato, v a tenuto conto del fatto che la percentuale dei codici umanistici a due colonne, per quanto esigua, è sovrasti­ m ata nel corpus , il che implica una sopravvalutazione del rendi­

238

M.A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

mento della pagina; dall’altro, in senso contrario, non v a dimenti­ cato che il corpus contiene un numero cospicuo di volumi allestiti per i Medici, nei quali il rendimento della pagina era, come si ve­ drà più oltre, assai basso. Manoscritti «monastici» e manoscritti umanistici si oppongo­ no anche su un particolare «minore», e cioè il trattamento della prima linea di scrittura, che può essere situata sopra («above») o sotto («below») la prima rettrice: TABELLA 27

Scrittura sopra o sotto la prima rettrice a bove

below

monastici

9 ,5 7 %

9 0 ,4 3 % .

umanistici

4 2 ,8 6 % 29,07%

5 7 ,1 4 % .

totale

70,93%

Se non stupisce la predominanza assoluta del «below» presso il gruppo dei «monastici» (90% circa di «below»), altrettanto non può dirsi per il gruppo umanistico, per il quale i risultati ottenuti confermano i dati enunciati e discussi a suo tempo dal Derolez (circa 43% di «above»):66 è noto, infatti, che la pratica del «below» è un’innovazione di epoca tarda e comunque posteriore alla transi­ zione grafica dalla carolina alla textualis.61 Ancora una volta, gli umanisti mostrano di non ricalcare pedissequamente i modelli cui, peraltro, essi proclamavano di ispirarsi nella fattura del libro. La concezione di una pagina «aperta» verso i margini superiori (scrit­ tura «above») ed esterno (superamento non infrequente del margi­ ne) non riesce a riprendere completamente il sopravvento sull’innovazione «gotica», che fa della pagina scritta uno specchio rigorosamente delimitato all’interno della giustificazione.68 A ri­ prova di quanto affermato, va sottolineato che la percentuale di «riempitivi» - cioè dei grafemi non funzionali inseriti in fine riga allo scopo di raggiungere la linea di giustificazione marginale non è inferiore nel gruppo umanistico (2,53%) rispetto a quella che si riscontra nel gruppo «monastico» (1,10%).69

Elementi p e r la tipologia del manoscritto quattrocentesco

239

La scarsità di abbreviazioni nel codice umanistico è un feno­ meno conosciuto, anche se mancavano finora dati numerici al ri­ guardo. TABELLA 28

Frequenza delle abbreviazioni p er seg n o grafico70 monastici

umanistici

piena pagina

5 ,7 6

4 2 ,0 6

due colonne

4 ,1 1

totale

4,63

2 5 ,8 9 40,36

Come appare dalla tabella 28, il corpus esaminato evidenzia uno scarto assai elevato fra i due gruppi: il gruppo «monastico» contiene in media un’abbreviazione ogni 4,63 segni grafici, mentre il gruppo umanistico ne contiene soltanto una ogni 40,36 segni gra­ fici; il rapporto è quindi, all’incirca, di nove a uno. Tali cifre mo­ strano che, nel codice umanistico, non si esprime semplicemente una volontà di «ridimensionare» un’utilizzazione troppo spinta del sistema abbreviativo, ma un vero e proprio ostracismo, derivante da scelte consapevoli; scelte che, ancora una volta, sembrano al­ lontanarsi da quelle dei modelli grafici carolini.71 Quanto alla mag­ gior frequenza, nel gruppo umanistico, delle abbreviazioni nei co­ dici a due colonne, si tratta di un «effetto di struttura» il cui signifi­ cato reale verrà esplicitato più oltre. Nella misura in cui il suo uso è ridotto al minimo, la funziona­ lità dell’abbreviazione nel codice umanistico non corrisponde tanto ad un’esigenza di «comprimere» la quantità di testo per aumentare la capienza della pagina scritta, quanto, piuttosto, alla finalità di re­ golarizzare la lunghezza della linea di scrittura: la maggior parte delle abbreviazioni è infatti concentrata sull’ultima parola e, se si considera unicamente questo dato, si nota che il gruppo «monasti­ co» ne contiene soltanto il doppio rispetto al gruppo umanistico (v. tabella 29).72 Per ciò che riguarda un altro fenomeno perigrafico connesso alla leggibilità, quale il taglio delle parole alla fine della riga, en­ trambi i gruppi manifestano una tendenza a limitarne la quantità.

240

M.A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

Come già è stato verificato per altre epoche e altri ambienti, la re­ gola è applicata con maggior rigore sull’ultima riga, quando, cioè, lo sguardo del lettore deve staccarsi da una pagina per portarsi sul­ la successiva (v. tabella 30) P TABELLA 29

Abbreviazioni sull’ultima parola della riga74 monastici

umanistici

piena pagina

4,60

2,59

due colonne

5,44

2,79

Totale

5,18

2,61

TABELLA 30

Frequenza dei tagli di parole monastici

umanistici

% tagli a fine riga

24,42%

33,44%

% tagli a fine pagina

13,18%

20,29%

In entrambi i casi, la tendenza alla limitazione è più accentuata nei codici «monastici», i quali sono i soli a differenziare, nel caso dei tagli di parola a fine pagina, il passaggio dal recto al verso e dal verso al recto, limitando maggiormente i tagli nel primo caso, più sfavorevole al buon svolgimento del processo di lettura: si contano, infatti, globalmente, 309 tagli di parola fra recto e verso contro 385 fra verso e recto, e il divario è statisticamente significativo.75

3 . 1 codici «monastici» tra il X IV e il X V secolo Il passaggio dal X IV al X V secolo non sembra riflettere, a prima vista, mutazioni radicali - o comunque molto appariscenti della struttura e della presentazione del manoscritto di fattura «go­ tica». Le impostazioni di base rimangono fondamentalmente le stesse, che si tratti dell’assetto della «mise en page», con una netta prevalenza dei codici a due colonne e con il mantenimento delle

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco

241

proporzioni tradizionalmente adottate per i quattro margini; del riempimento e dello sfruttamento della pagina stessa, entrambi ampiamente ispirati a criteri di economia; o ancora della «gestione del testo», ove il ricorso massiccio al sistema abbreviativo coesiste con l’evidente preoccupazione di migliorare la leggibilità del mes­ saggio (per esempio, limitando la quantità di tagli in fine riga). Malgrado ciò, all’interno dei principi e dei «savoir-faire» tra­ dizionali, si affermano nuove tendenze - di cui verrà reso conto qui appresso - che impediscono di considerare la produzione dei due secoli come un insieme omogeneo. Tuttavia, se è facile fornire una rassegna completa delle variazioni, più difficile risulta invece la ricerca delle loro cause: in effetti, è raro, nel manoscritto, che r a f ­ fermarsi di nuove tendenze e l’abbandono progressivo delle prece­ denti proceda chiaramente da imperativi ergonomici ed economici; d’altro lato, i cambiamenti osservati non sono sempre l’effetto di un’evoluzione strutturale, ma possono risalire, invece, a mutamenti delle scelte tipologiche (tipo di pubblico, qualità di esecuzione), che determinano, a loro volta, l’adozione di standard differenti. 3.1. La pergamena La qualità della pergamena costituisce un buon esempio di evoluzione che si rivela al tempo stesso di un’evidenza indiscuti­ bile e di origine poco chiara. La tabella 31 riproduce la percentuale media di fogli nei quali la pergamena presenta almeno un foro:76 TABELLA 31

Percentuale di fogli con fori della pergam ena taglia (mm)

XIV

XV

240-390

7 ,7 1 %

2 ,5 5 %

390-540

7 ,8 6 %

5 ,8 6 %

540-690

3 0 ,8 3 %

0 ,0 0 %

totale

11,10%

4,18%

D al momento che la probabilità di contenere un foro aumenta, perlomeno in teoria, con la superficie della pagina, e che, come si

242

M .A . C a s a g r a n d e M a z z o li - E . O rn a to

vedrà più oltre, si assiste nei due secoli ad un rimpicciolimento della taglia, la percentuale di «fogli forati» è stata ripartita in fun­ zione delle dimensioni. Si osserva, in questo modo, che la perga­ mena usata nel X V secolo contiene sempre una quantità minore di fori, indipendentemente dalla taglia.77 Per spiegare il fenomeno, tre ipotesi sono in concorrenza: in primo luogo, il fenomeno potrebbe essere dovuto ad un’elevazione dei livelli di allestimento del codice «monastico»: nelle istituzioni collettive, la produzione si sarebbe progressivamente concentrata su tipologie testuali che esigevano livelli qualitativi più elevati. In seconda analisi, si potrebbe pensare ad un miglioramento della qualità generale della pergamena nell’Italia del nord, imputabile ad un perfezionamento delle tecniche di lavorazione. Infine, non va trascurata l’ipotesi di un miglioramento generale della situazione economica della committenza che, mentre il livello qualitativo glo­ bale della pergamena rimaneva costante, avrebbe consentito di eli­ minare con maggior severità le pelli difettose al momento dell’uso. L ’analisi delle tipologie testuali predilette dai codici «monasti­ ci» non evidenzia alcun mutamento degno di nota da un secolo all’altro, e va ricordato, a questo proposito, che i codici liturgici per definizione più ricchi e più standardizzati - sono stati preventi­ vamente esclusi dal corpus. V a sottolineato, inoltre, che i volumi umanistici coevi e originari della stessa regione presentano analo­ ghe percentuali di fogli con fori. Infine, va rilevato che un altro di­ fetto, non della pergamena ma dei fogli - la presenza delle «lisières» della pelle - si comporta diversamente dai fori e si mantiene pressappoco costante lungo l’arco dei due secoli: TABELLA 32

Percentuale di fogli provvisti di «Usières» taglia (mm)

XIV

XV

totale

240-390

6,08%

4,53%

4,85%

390-540

8,14%

9,86%

9,31%

540-690

4,79%

0,00%

3,19%

totale

7,07%

7,14%

7,12%

Elementi per la tipologia del manoscritto quattrocentesco

243

Per quanto si tratti in entrambi i casi di difetti, fori e «lisières» non sono fenomeni strettamente equivalenti: la presenza dei fori è irrimediabile - anche se è possibile attenuarne gli effetti tramite palliativi - e possono essere eliminati soltanto scartando i fogli che li contengono, mentre le «lisières» possono essere soppresse con una semplice rifilatura dei fogli; operazione che presuppone una certa mole di lavoro (come del resto il risarcimento dei fori), ma un sacrificio assai meno cospicuo di materiale. Se la diminuzione del­ la percentuale di fogli con fori fosse il risultato di un mutamento delle scelte qualitative, il fenomeno avrebbe dovuto prodursi anche per le «lisières». La prima ipotesi non pare, quindi, poter essere corroborata dai fatti. H fenomeno è perciò, molto probabilmente, legato a fattori in­ frastrutturali, come già è stato osservato per il deterioramento ge­ nerale della qualità della pergamena in area bizantina fra l’XI e il XII secolo.78 V a sottolineato, tuttavia, che un peggioramento della qualità è sempre più facile da spiegare di quanto non lo sia un mi­ glioramento: in quest’ultimo caso, infatti, non è mai da scartare l’ipotesi di innovazioni tecnologiche tendenti a migliorare la qua­ lità del manufatto; nella fattispecie, a produrre pelli meno difettose. N ello stato attuale delle nostre conoscenze, non esistono indizi concreti relativi ad un progresso delle tecniche di lavorazione nel­ l’am bito della pergamena. In assenza di fonti esplicite, un’indagine su questo punto necessiterebbe di un protocollo di descrizione mi­ nuzioso e approfondito della pergamena elaborato ad hoc, che do­ vrebbe ovviamente contemplare l’inclusione di numerosi parametri (specie animale, dimensioni originali della pelle, colore, contrasto lato carne / lato pelo, rigidità, spessore, planarità ecc.) non sempre accessib ili all’osservazione non strumentale. A favore della terza ipotesi - cioè l’eventualità di un migliora­ mento generale delle condizioni economiche - milita il fatto che i liv e lli di allestimento, misurati dalla percentuale di codici la cui de­ corazione comporta l’uso dell’oro in foglia e dall’estensione media d e ll’iniziale principale del volume,79 accusano un balzo in avanti di notevole entità:

244

M . A . C a s a g r a n d e M a z z o li - E . O rn ato

TABELLA 33

Indicatori di ricchezza dei codici XIV

AV

presenza oro

29,79%

70,21%

superficie iniziale principale80

4,78%

6,51%

3.2. La fascicolazione Un altro mutamento di rilievo nella struttura del codice riguar­ da la fascicolazione, per la quale si osserva un netto incremento del quinione a scapito, essenzialmente, del senione, mentre la percen­ tuale di quaternioni rimane nel complesso costante: TABELLA 34

Tipologia della fascicolazione numero bifogli 2

XIV

XV

3,57%

1,52%

4

32,14%

37,88%

5

25,00%

56,06%

6

39,29%

4,55%

La rarefazione del senione nel corso del X V secolo (eccezion fatta per i codici cartacei) rappresenta, come dimostra la ricerca sulla fascicolazione condotta da Paola Busonero in questo stesso volume, un fenomeno comune a tutte le aree di produzione euro­ pee. 3.3. Schemi e tecniche di rigatura La tendenza alla semplificazione degli schemi, già sensibile nel gruppo «monastico» rispetto al gruppo umanistico, sembra ac­ centuarsi nel X V secolo, ove la giustificazione doppia appare sol­ tanto nell’ 1% dei manoscritti:

Elementi per la tipologia del manoscritto quattrocentesco

245

TABELLA 3 5

Raddoppiamento d elle linee verticali dello sp ecch io

giustificazione sem plice giustificazione doppia totale

XIV

XV

8 9 ,2 9 %

9 8 ,5 1 %

1 0 ,7 1 %

1 ,4 9 %

100,00%

100,00%

V a osservato, d’altro lato, un cambiamento delle tecniche di ri­ gatura le quali, pur rimanendo nell’ambito del «colore», adottano in prevalenza l’inchiostro, invece del piombo, per le rettrici. Non vi è luogo di insistere oltre su questo cambiamento importante che, come viene dimostrato altrove, è legato all’introduzione di nuovi strumenti di rigatura.81 TABELLA 3 6

Tipologia d elle tecn iche di rigatura rigatura rettrici

rigatura specch io

XIV

XV

3 ,5 7 % 3 ,5 7 %

7 ,6 9 %

inchiostro

inchiostro

a ssen te

piom bo

inchiostro

piom bo

7 ,1 4 %

7 8 ,4 6 %

piom bo

piom bo

8 5 ,7 1 %

9 ,2 3 %

inchiostro

secco

0 ,0 0 %

1 ,5 4 %

3 ,0 8 %

3.4. Segnature e richiami Per ciò che riguarda le segnature, si assiste al tempo stesso ad una più ampia diffusione del fenomeno (non si vede come l’incre­ mento della loro presenza che si manifesta da un secolo all’altro possa essere un effetto di struttura dovuto ad un tasso inferiore di rifilatura) e ad una concentrazione sul sistema a registro più «sem­ plice» (a l, a2, a3 ...) - il tipo 1 di Derolez - , quello, cioè, che nel corso del X V secolo si impone in tutta Europa. In particolare, ven­ gono praticamente a scomparire i sistemi più atipici - e talvolta piuttosto «barocchi» - non infrequenti nei codici del X IV secolo:82

246

M . A . C a s a g r a n d e M a z z o li - E . O rn a to

TABELLA 37

Tipologia delle segnature tipo segnature 1

XIV

XV

10,71%

63,64 %

3

17,86%

1,52%

5

3,57%

6,06%

6

0,00%

1,52%

non classificabili

14,29%

1,52%

assenti

53,57%

25,76 %

Una tendenza opposta si delinea, invece, per i richiami: i tipi 1 e 2 di Derolez - che nel X IV secolo rappresentano il 93% delle os­ servazioni - si riducono al 74% nel secolo successivo a causa dell’emergenza - anche se nettamente minoritaria - di altri tipi (in particolare, il tipo 5, che corrisponde ai richiami verticali). D ’altra parte, nei tipi maggioritari, si nota una tendenza dei richiami a spo­ starsi, nel margine inferiore, da destra (tipo 2) verso il centro della pagina (tipo I): TABELLA 38

Tipologia dei richiami tipo richiami

XIV

XV/

1

35,71%

63,64%

2

57,14%

10,61%

4

3,57%

7,58%

5

0,00%

13,64%

assenti

3,57%

4,55%

3.5. Sfruttamento dello spazio Se, come già si è detto, ciò che si potrebbe definire 1’«armonia dimensionale» della pagina - proporzione del foglio, dello spec­ chio, dei margini, riempimento - rimane sostanzialmente invariato

247

Elementi per la tipologia del manoscritto quattrocentesco

da un secolo all’altro, lo stesso non può dirsi per ciò che riguarda le dimensioni del foglio, lo spessore dei volumi e lo sfruttamento dello spazio: TABELLA 39A

Dimensioni e sfruttamento della pagina XV

XIV taglia (mm)

scarto

448

391

-1 2 ,8 %

superficie pagina (mm2)

50 850

38 448

-2 4 ,3 %

caratteri p er pagina

2 331

2 005

-1 4 ,0 %

caratteri p er dm2

1 090

1 327

+ 21 ,8 %

Stupisce constatare che, mentre il «coefficiente di sfruttamen­ to» della pagina (caratteri p er dm2) aumenta nel X V secolo, il nu­ mero di caratteri per pagina e la taglia accusano invece una sensibi­ le diminuzione. V a osservato, tuttavia, che l’analisi degli stessi pa­ rametri in funzione della dicotomia piena pagina / due colonne mo­ stra che le modalità del fenomeno non sono esattamente le stesse: TABELLA 39B

Dimensioni e sfruttamento della pagina secon d o rimpaginazione

taglia (mm) su perficie pagina (mm2) caratteri p er pagina caratteri p er dm2

piena pagina

due colonne

XIV

XIV

XI/

totale I

XV

370

380

474

411

4171

34 515

36 329

56 295

42 743

44 1921

1 347

1 564

2 659

2 491

2 216\

978

1 089

1 127

1 541

1 271

In entrambi i casi, si assiste ad un aumento dello sfruttamento dello spazio (caratteri p er dm2), che risulta comunque assai minore nei codici a piena pagina (10%) che in quelli a due colonne (27%). N ei volum i a piena pagina, l’aumento delle dimensioni dei fogli consente di aumentare la capienza assoluta della pagina (circa 14%). N ei volumi a due colonne, invece, la crescita dello sfrutta­

248

M .A . C a s a g r a n d e M a z z o li - E . O rn a to

mento (27%) è compensata dalla riduzione della superficie del fo­ glio (-24%), cosicché la capienza assoluta diminuisce del 6% circa. Dal momento che, in virtù del «principio di rendimento» della pagina, la densità relativa dei segni grafici non può che diminuire con l’aumento delle dimensioni e viceversa, giova verificare, in via preliminare, se l’aumento del coefficiente di sfruttamento nel XV secolo, lungi dall’essere l’espressione di scelte deliberate e conver­ genti, non sia in realtà un semplice riflesso della diminuzione della taglia media dei codici. La tabella 40 mostra che così non è: TABELLA

40

Dimensioni e sfruttamento della pagina sec o n d o la taglia taglia (mm)

240-390

390-540

540-690 totale cardrrf totale mm2 pergcar

parametro

cardm2 mm2 pergcar cardm2 mm2 pergcar

piena pagina

due colonne

totale

XIV

XV

XIV

XV

1027,04

1236,16

1322,41

1745,59

1456,76

11,82

11,55

8,79

7,39

9,40

856,37

970,51

1144,79

1220,68

1129,82

16,47

12,96

11,01

10,38

11,37

cardm2

nd

nd

916,65

1281,29

1038,20

mm2 pergcar

nd

nd

12,99

10,34

12,11

978,28

1109,11

1126,71

1443,23

1256,14

13,15

12,22

11,07

9,12

10,62

Nel X V secolo, a taglia costante, i due «indicatori» statistici dello sfruttamento (segni grafici p er dm2 e mm2 di pergamena per segn o grafico ) sono sempre, rispettivamente, superiori e inferiori a quelli del secolo precedente. Si tratta perciò di una tendenza strut­ turale, anche se essa si esprime all’intemo dell’applicazione nor­ male del «principio di proporzionalità». In che cosa consiste, concretamente, lo sfruttamento più intensi­ vo dello spazio? Il fattore responsabile del fenomeno va cercato, in­ nanzitutto, in una diminuzione dell’unità di rigatura, sensibile so-

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco

249

prattutto nella disposizione a due colonne (rispettivamente -1 ,2 % e 11% nei due tipi di impaginazione): TABELLA 41

Unità di rigatura in funzione della taglia taglia (mm)

totale

due colonne

piena pagina XV XIV

XIV

XV 4,07

240-390

4 ,8 9

4 ,3 2

4 ,0 8

3 ,6 8

390-540

4 ,8 7

5 ,2 9

4 ,5 8

4 ,3 3

4,63

540-690

nd

nd 4,79

4 ,8 2

4 ,0 3 4,04

4,56

totale

4,89

4,56

4,40

Oltre all’unità di rigatura, diminuisce - per quanto l’altezza media dei nuclei si mantenga ovviamente su valori assai più elevati che nella scrittura umanistica - anche l’ingombro verticale relativo della scrittura, misurato dal rapporto fra l'altezza media della o e l ’unità di rigatura, identico (-13% ) per le due impaginazioni: TABELLA 42

Rapporto o/U R in funzione dell’impaginazione XIV

XV

piena pagina

0 ,5 5 1

0 ,4 7 9

due colonne

0 ,5 3 0

0 ,4 6 1

La congiunzione dei due fenomeni provoca una diminuzione media del 15% (piena pagina) e del 24% (due colonne) dell’altezza media dei nuclei (v. tabella 43). La diminuzione dell’altezza dei nuclei si riflette indirettamente su lla larghezza media dei caratteri (-6% piena pagina. -1 1 % due colonne) (v. tabella 44). Si noterà, non solo che lo scarto fra un secolo e l’altro è mag­ giore per i codici a due colonne che per quelli a piena pagina ( - 1% circa contro -5% ), ma anche che, neH’ambito del medesimo seco­ lo, lo scarto fra la disposizione a piena pagina e quella a due colon­

250

M.A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

ne è maggiore per il X V secolo. Il periodo più tardo è perciò ca­ ratterizzato da uno sfruttamento più intenso della pagina in una parte della produzione, probabilmente legato al bisogno - le cui motivazioni non appaiono chiare - di allestire codici di dimensioni più piccole senza spreco di materiale. V a esclusa, a questo propo­ sito, l’eventualità di un legame tra il maggior sfruttamento e la ne­ cessità di racchiudere in un volume unico di piccole dimensioni dei testi molto lunghi,83 in quanto il numero medio di carte per volume si mantiene costante da un secolo all’altro. TABELLA 4 3

Altezza media della o in funzione della taglia taglia (mm)

piena pagina

due colonne XIV XV

totale

XIV

XV

240-390

2,70

2 ,2 4

2,12

1,81

2,10

390-540

2,70

2 ,3 4

2,44

1,91

2,18

540-690

nd

nd

2,57

1,69

2,13

totale

2,70

2,29

2,42

1,85

2,14

TABELLA 44

Larghezza media d ei caratteri in funzione della taglia e d ell’impaginazione taglia (mm)

piena pagina

due colonne XIV XV

totale

XIV

XV

240-390

2,10

1,86

2,07

1,68

1,87

390-540

2,10

1,99

2,04

2,40

2,02

540-690

nd

2,36

nd

1,81

2,08

totale

2,19

2,06

2,09

1,85

1,98

G iova infine vagliare la portata reale di quanto abbiamo finora osservato nell’ambito dello sfruttamento dello spazio. Se si tiene conto, infatti, della composizione del nostro campione di codici «monastici» del X V secolo, e del fatto che vi è stata deliberatamente introdotta una sottopopolazione omogenea di volumi desti-

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco

251

nati al convento di Santa M aria Incoronata di Milano, occorre veri­ ficare che i risultati ottenuti non dipendano dalle caratteristiche particolari di quei manoscritti. TABELLA 4 5

Sottogruppi monastici: larghezza media dei caratteri in funzione della taglia Santa Maria

altri

totale

240-390

1 ,9 6

1 ,7 8

1,84

390-540

2 ,1 5

1 ,9 7

2,03

540-690

nd

1,81

1,81

totale

2,06

1,88

1,93

taglia (mm)

La tabella 45 dimostra che i dati non sono influenzati dai codi­ ci di Santa M aria i quali, da questo punto di vista, presentano carat­ teristiche più vicine ai codici del secolo precedente. Se si esclude questo sottogruppo, i risultati corroborano ancor più chiaramente le nostre osservazioni.

4 . 1 codici umanistici Dopo aver messo in luce le caratteristiche specifiche del grup­ po «monastico» rispetto a quelle del gruppo umanistico, giova ap­ profondire l’analisi all’interno di quest’ultimo. Il gruppo umanisti­ co, come già si è detto, è stato suddiviso in un primo tempo in due sottogruppi secondo la dicotomia geografica Italia del nord /Firen­ ze. A ll’interno di ciascun sottogruppo sono stati individuati degli insiemi ben delineati di codici di diversi ambienti e committenze: per l ’Italia del nord, i volum i allestiti nella cerchia del cardinale Francesco Pizolpasso; per Firenze, i manoscritti appositamente prodotti per la Badia fiesolana e quelli che furono eseguiti in tempi diversi per la famiglia Medici. A l l’interno delle caratteristiche fondamentali che accomunano tutti i codici umanistici, le analogie e le divergenze rilevate fra i gruppi e fra i sottogruppi possono dipendere da varie cause: influs­

252

M .A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

so di pratiche regionali preesistenti o coesistenti (dicotomia Italia del nord / Firenze); destinazione dei libri (studio / apparato); agia­ tezza economica del committente; grado di professionalità (grandi «botteghe» /piccolo artigianato locale). Non è sempre facile diri­ mere i diversi fattori, anche se non manca, a priori, qualche linea direttrice: le concordanze del sottogruppo «umanistici del nord» con il gruppo «monastico» vengono a corroborare l’ipotesi di un'«attrazione» a livello regionale, mentre il comportamento dei due sottogmppi eterogenei etichettati come «altri» può servire a evidenziare le pratiche delle grandi botteghe rispetto a quelle del piccolo artigianato locale, i cui prodotti, contrariamente ai prece­ denti, vengono a mescolarsi nei due sottogruppi. Non ci sembra opportuno, in questa sede, dilungarci su quegli aspetti della struttura e della presentazione del codice sui quali si differenziano le pratiche in vigore a nord e a sud della Valle Pada­ na e che rivelano un influsso non trascurabile sui codici umanistici delle abitudini preesistenti, caratteristiche dell’ambiente «gotico». Albert Derolez ha già m esso in rilievo, nei centri del nord, la persi­ stenza del quaternione (da lui attribuita, almeno parzialmente, al­ l’influsso della cultura francese),84 la preferenza nei riguardi della rigatura «a colore» e per gli schemi di rigatura più semplici. 4.1. Livelli di esecuzione Pare utile invece, in primo luogo, dal momento che il fattore «ricchezza» costituisce un elemento importante per tutto ciò che riguarda l’aspetto esteriore del codice, classificare i diversi sotto­ gruppi in base ai parametri più significativi da questo punto di vi­ sta. In realtà, il livello di esecuzione è un concetto astratto sotto il quale viene raggruppato un certo numero di elementi concreti non solo di diversa natura, ma anche di diverso significato. Tali ele­ menti possono essere classificati in tre categorie: 1. Elementi la cui presenza non è legata in alcun modo alla fun­ zionalità del codice o del testo; si tratta di una sovrastruttura che è linearmente e unicamente correlata all’idea di ricchezza: illustrazioni, complessità, estensione della decorazione, pre­ senza di materiali «nobili». Sono, in questo caso, indicatori di

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco

253

ricchezza che potremmo definire «positivi», dal momento che la ricchezza del codice è legata alla loro presenza. 2. Elementi meno appariscenti, la cui presenza nel codice costi­ tuisce un difetto di origine o di fabbricazione e andrebbe di conseguenza eliminata o perlomeno ridotta. Non si tratta di da­ re al codice un’impronta visibile - o addirittura spettacolare di agiatezza, ma di ridurre le imperfezioni a livelli compatibili con il rango del committente: sarebbe inutile, infatti, sovracca­ ricare di fregi un abito consunto e pieno di strappi. Vanno an­ noverati in questa categoria i fori e le «lisières» della perga­ mena - e in generale la qualità del supporto - , le deroghe alla regola di Gregory, tutte le anomalie visibili della sequenza del testo. Questi indicatori possono essere definiti «negativi», poi­ ché la ricchezza del codice è legata alla loro assenza. 3. Elementi in qualche modo associati all’estetica e/o alla fun­ zionalità del codice, la cui conformità a tali principi implica però uno «spreco» non indifferente di materia prima o una mole considerevole di lavoro. Rientrano nella categoria, da un lato tutti i parametri inerenti allo sfruttamento dello spazio e, dall’altro, tutto ciò che attiene al rispetto del «principio di re­ golarità interna» (armonia della mise en page e stabilità all’interno del codice, regolarità della scrittura ecc.).85 Po­ tremmo definire «indiretti» questi elementi, per il fatto che lo sfoggio di ricchezza o la preoccupazione di mantenere livelli di esecuzione adeguati al rango sociale della committenza non costituisce necessariamente l’unica - né talvolta la motivazio­ ne principale - del loro «comportamento». Fra gli indicatori «positivi», due erano stati introdotti nel no­ stro protocollo di osservazione: la presenza dell’oro nella decora­ zione e la superficie relativa dell’iniziale più grande. I risultati dell’analisi sono raccolti nelle tabelle 46 e 47. I valori delle due tabelle fanno apparire, da un lato, che la to­ talità del gruppo umanistico si assesta su livelli ben superiori a quelli del gruppo «monastico»;86 dall’altro, che la gerarchia è sensi­ bile anche al suo interno: il sottogruppo «Medici» primeggia da tutti i punti di vista, mentre il sottogruppo «Pizolpasso» si distacca nel senso opposto. La posizione del sottogruppo «Fiesole» non è per il momento ben chiara, in quanto la superficie relativa dell’ini-

254

M.A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

ziale è piuttosto ridotta, mentre l’oro è invece quasi onnipresente. I due sottogruppi «altri», data la loro eterogeneità, non possiedono una fisionomia ben definita, ma non va dimenticato che si tratta, in assoluto, di codici ricchi. TABELLA 46

Percentuale di codici con oro nella decorazion e Nord

Firenze

Pizolpasso

altri

Fiesole

Medici

altri

1 3 ,6 4 %

6 ,8 2 %

3 ,8 5 %

0 ,0 0 %

1 8 ,7 5 %

con oro

8 6 ,3 6 %

9 3 ,1 8 %

9 6 ,1 5 %

1 0 0 ,0 0 %

8 1 ,2 5 %

totale

100,00%

100,00%

100,00%

100,00%

sen za oro

100,00%

TABELLA 47

Superficie media relativa dell’iniziale più grande superficie Nord

Firenze

Pizolpasso altri

1 4 ,6 8 %

F iesole

1 0 ,4 9 %

Medici

1 8 ,4 0 % 1 1 ,4 4 %

altri totale

6 ,5 1 %

13,02%

La presenza di fori e di «lisières» è stata analizzata nella ta­ bella 48. La frequenza di tali difetti si distribuisce, all’ingrosso - e ciò non suscita stupore - come quella dei parametri precedenti, ma la gerarchia appare più accentuata in coda al plotone: così, il sotto­ gruppo «Fiesole», la cui decorazione era relativamente ricca di oro, è caratterizzato da una pergamena piuttosto scadente. V a notato, tuttavia, che la presenza dell’oro nelle iniziali va modulata in funzione della loro estensione: minore è la superficie, minore sarà la quantità di oro utilizzata nella decorazione. Ora, come si è visto, la superficie relativa dell’iniziale più grande è in-

Elementi p e r la tipologia del manoscritto quattrocentesco

255

contestabilmente ridotta nei sottogruppi «Fiesole» e «Pizolpasso». M a il significato della presenza dell’oro va modulato anche, e so­ prattutto, in funzione della frequenza con cui esso compare. Se si suddivide il parametro «presenza dell’oro» secondo tre modalità: «ovunque», «all’inizio», «m ai», la gerarchia appare molto più chia­ ramente (v. tabella 49). TABELLA 48

Frequenza d ei difetti della pergamena

Nord

Firenze

% fogli con fori

%fogli con lisières

Pizolpasso

9 ,4 7

1 2 ,0 5

altri

3 ,4 7

2 ,4 6

F iesole

7 ,6 9

1 3 ,0 8

Medici

4 ,6 7

3 ,0 7

altri

3 ,9 6

6 ,0 4

5 ,5 7

6,67

totale

TABELLA 49

Frequenza d ell’oro nell’a mbito del cod ice

Nord

Firen ze

ovunque

inizio codice

mai

Pizolpasso

41%

45%

13% 9% 4%

altri

77%

14%

F iesole

54%

42%

Medici

100%

0

0

81%

0

19%

71%

20%

altri totale

9%

Come si vede, i sottogruppi «Fiesole» e «Pizolpasso» sono quelli che manifestano il più alto grado di utilizzazione sporadica dell’oro, il cui fine è di privilegiare l’impressione v isiva più super­ ficiale e più immediata, ad apertura di codice. Si tratta, insomma, di «falsi ricchi». D ’altro lato, il sottogruppo «Fiesole» (cfr. supra, pp.211-212),

256

M.A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

non è del tutto omogeneo al suo interno: in effetti, dei 26 codici presenti nel nostro corpus, 21 provengono dalla bottega di V esp a­ siano da Bisticci, 5 altri dalla bottega di Zanobi di Mariano. Fra i codici di Vespasiano, 9 sono stati allestiti appositamente per la B a­ dia fiesolana (qui denominati Vespasiano «Badia»)?1 mentre i 12 rimanenti erano verosimilmente già predisposti per la vendita (qui denominati Vespasiano «generici»)™ Malgrado l’esiguità della campionatura, l’analisi più appro­ fondita del gruppo «Fiesole» si rivela eloquente: TABELLA

50

Sottogruppi fiorentini: frequenza dell’oro nell’a mbito d el co d ic e ovunque

inizio co d ice

mai

Vespasiano «generici»

9

2

1

Zanobi

5

0

0

Vespasiano «Badia»

0

9

0

Medici

25

0

0

altri

47

7

totale

86

6 17

F iesole

8

Mentre i codici «Vespasiano generici» e quelli allestiti da Za­ nobi si orientano grosso modo sugli standard degli altri gruppi di codici umanistici fiorentini, i volumi prodotti per la Badia si alli­ neano su livelli di esecuzione differenti, e là ove l’oro è assente, esso viene sostituito dal colore giallo.89 L ’esame degli altri indicatori di «ricchezza» viene a conferma­ re l’osservazione precedente (v. tabella 51 alla pagina seguente). La gerarchia degli indicatori che abbiamo definito «positivi» si mantiene rigidamente: che si tratti dell’oro o della superficie relati­ v a dell’iniziale più grande, si osserva l’esistenza di un livello glo­ bale «Fiesole», inferiore a quello della categoria «Medici». A ll’in­ terno del gruppo «Fiesole», i codici allestiti appositamente per la Badia denotano preoccupazioni evidenti di economia (tenendo conto, naturalmente, degli standard abituali del codice umanistico). Per ciò che riguarda gli indicatori «negativi», la gerarchia si man­ tiene assai netta fra «M edici» e «Fiesole», e rimane comunque v i­

Elementi p er la tipologìa del manoscritto quattrocentesco

257

sibile, anche se in forma attenuata, fra «Vespasiano generici» e «Vespasiano Badia». V a osservato, tuttavia, che tutti i manoscritti fiesolani mostrano una spiccata indifferenza nei riguardi delle «li­ sières», e si noterà anche come i codici allestiti da Zanobi, per quanto ricchi di oro nella decorazione, si assestano su livelli infe­ riori - simili a quelli dei volum i «Vespasiano Badia» - per le altre caratteristiche. TABELLA 51

% «lisières»

Medici altri totale

Vespasiano «generici» Zanobi Vespasiano «Badia»

%fori pergam ena

F iesole

sup. relativa dell’iniziale

Sottogruppi fiorentini: indicatori di qualità

1 3 ,2 2 8 ,8 5 7 ,7 7 1 8 ,4 0 1 3 ,8 4 14,09

5 ,8 3 1 0 ,6 7 8 ,5 2 4 ,6 7 3 ,9 6 4,80

1 0 ,5 6 1 7 ,3 3 1 4 ,0 7 3 ,0 7 6 ,0 4 5,60

L a percentuale relativamente elevata di fogli con fori nel gruppo umanistico - che per molti altri aspetti si mantiene su livelli più ricchi di quanto non accada nel gruppo «monastico» - non può non stupire: la pergamena dei codici allestiti per i Medici non è mi­ gliore, da questo punto di vista, di quella dei manoscritti «monasti­ ci» coevi, che non manifestano alcuna propensione allo sfoggio di un lusso particolare. Una delle spiegazioni possibili potrebbe risie­ dere nelle dimensioni dei volumi, di norma assai più cospicue nel gruppo umanistico. Non si tratta soltanto di una questione di super­ ficie (più grande è il foglio, più è probabile che la pergamena con­ tenga un foro) ma anche, e soprattutto, di una questione di formato, cioè di tipo di piegatura della pelle. I manoscritti umanistici sono per lo più degli in-folio, i volumi «monastici», date le loro dimen­ sioni, sono in massima parte degli in-quarto. La presenza di un fo­

M .A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

258

ro indesiderabile necessitava, dovendo allestire un volume in-folio, l ’eliminazione della pelle intera mentre, dovendo confezionare un in-quarto, bastava eliminare la metà della pelle. Tuttavia, la differenza fra codici umanistici e «monastici» è artificialmente esaltata dalla presenza, nel gruppo umanistico, dei sottogruppi «Pizolpasso» e «Fiesole», la cui pergamena lascia al­ quanto a desiderare. Se i due sottogruppi vengono eliminati, si os­ serva che le percentuali di fogli forati nei due ambiti tendono ad avvicinarsi; in particolare, se vengono presi in considerazione uni­ camente i due sottogruppi «altri», che sono certamente i più rap­ presentativi del livello generale del manufatto, i valori sono prati­ camente gli stessi (3,94% contro 3,96%). Fra gli indicatori «indiretti», la gerarchia dei livelli è assai me­ no percettibile sul riempimento della pagina («nero») che sullo sfruttamento (mm2 di pergam ena p er segno grafico). Per ciò che riguarda l’ampiezza globale dei margini, soltanto il gruppo «Medi­ ci» si distingue per un tasso di «aerazione» volontariamente più importante. Il parametro di sfruttamento, invece, oltre al sottogrup­ po «Medici» - ove l’economia di materia prima non costituisce certo la preoccupazione principale - definisce due sottogruppi ca­ ratterizzati da un tasso di sfruttamento più spinto. Non a caso si tratta di «Pizolpasso» e di «Vespasiano Badia». TABELLA 52

Codici umanistici: riempimento e sfruttamento della pagina

Nord

n ero

mm2pergamena persegu o

0 ,3 4 9

1 6 ,6 0

0 ,3 6 1

1 8,92

Vespasiano «generici» 0 ,3 4 9

2 0 ,7 4

Pizolpasso altri Fiesole

0 ,3 5 6

2 1 ,5 6 1 6,74

Medici

0 ,3 2 7

2 4 ,7 8

altri

0 ,3 5 3

1 9,49

totale

0,350

19,82

Firenze

Zanobi

0 ,3 4 3

Vespasiano «Badia»

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco

259

V a osservato che, nei parametri di riempimento e di sfrutta­ mento, il dislivello fra il gruppo più «lussuoso» e quelli più «cor­ renti» è assai minore di quello che è stato registrato in altri casi. 11 fenomeno è particolarmente evidente per il «nero», ove lo scarto fra il risultato migliore e quello peggiore non supera il 10%.9HLa spiegazione è semplice: contrariamente allo sfoggio della ricchez­ za, l ’adeguamento ai principi estetici e funzionali non è assimila­ bile ad una funzione lineare e viene ad urtare contro limiti invali­ cabili. C osì, la percentuale di «nero» non può scendere sotto un certo livello, al di là del quale l’ampiezza dei margini rischierebbe di apparire eccessiva: non si può certo affermare che un franco­ bollo su un lenzuolo - a prescindere dalla conseguente impossibi­ lità di far tenere un testo in un volume di massa ragionevole - sia il non p lu s ultra in fatto di buon gusto. Lo stesso dicasi per l’ampiez­ za dell’unità di rigatura: non va dimenticato, infatti, che il «princi­ pio di proporzionalità» è anch’esso uno dei pilastri dell’estetica del libro.91 In sostanza, l ’analisi dei parametri direttamente o indiretta­ mente collegati al livello di esecuzione mette in luce trattamenti differenziati e ordinati secondo principi gerarchici. Le caratteristi­ che che appartengono a ciò che potremmo definire la «panoplia del lusso» sono accuratamente modulate in funzione dell’agiatezza e del rango del destinatario: non stupisce, quindi, di constatare che i volumi allestiti per i Medici sono gli unici che presentino per ogni verso il livello migliore. Se i due sottogruppi «altri» dell’Italia del nord o di fabbricazione fiorentina, offrono uno standard che. pur ri­ manendo inferiore a quello della categoria più elevata, si rivela di eccellente fattura, gli insiemi «Vespasiano Badia» e «Pizolpasso» presentano, invece, molte soluzioni di compromesso, che tendono soprattutto a preservare l’apparenza della prima fa cies. Non appe­ na, infatti, si passa dal primo piano al sottofondo - rappresentato, ad esempio, dalla qualità della pergamena - ci si accontenta di materiale di seconda scelta. Per i parametri relativi allo sfruttamento dello spazio, invece, la gerarchia è caratterizzata da connotazioni più ambigue, in quanto l’evoluzione degli indici di riempimento e di sfruttamento non è parallela: nei due sottogruppi di qualità più corrente - o piuttosto, meno lussuosa - la percentuale di «nero» non è palesemente supe-

2 60

M .A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

riore a quella degli altri codici umanistici (ad eccezione, come già si è detto, del sottogruppo «Medici») e, nei volum i del Pizolpasso, essa è persino lievemente inferiore a quella degli altri manoscritti umanistici dell’Italia del nord; tale particolarità può essere inter­ pretata come un’esigenza di disporre di margini più ampi a scopo di studio. A l contrario, negli stessi sottogruppi, il tasso di sfrutta­ mento risulta sistematicamente più elevato. In realtà non si tratta di una vera e propria contraddizione. Nel caso del riempimento, infatti, le preoccupazioni estetiche e funzio­ nali vanno nel medesimo senso: i margini ampi contribuiscono ad al­ leggerire l’aspetto della pagina scritta e, al tempo stesso, offrendo una vasta superficie da utilizzare ad libitum, agevolano il lavoro del lettore erudito.92 La convergenza dei due principi - unita al fatto che si ricupera meno spazio ampliando lo specchio di rigatura che au­ mentando il numero di righe - riesce ad aver ragione degli im­ perativi economici, che spingono ad evitare ogni spreco di materiale. Nel caso dello sfruttamento, la situazione è più complessa, in quanto la nozione «economia di spazio» presenta un duplice aspetto; da un lato, un fattore finanziario: la possibilità di rispar­ miare sul materiale scrittorio; dall’altro, un fattore culturale: la ne­ cessità di aumentare ciò che potremmo definire la «capienza te­ stuale» del volume. N ell’ambito del codice umanistico, che vede quasi sempre la luce in un contesto di agiatezza e per il quale il co­ sto dell’oro e della decorazione supera di gran lunga quello di qual­ che bifoglio di pergamena, un incremento dello sfruttamento dello spazio non può procedere che dalla necessità di aumentare la ca­ pienza testuale del volume. Non è un caso, a questo riguardo, se la disposizione del testo a due colonne - comunque rara nel mano­ scritto umanistico e che abbiamo visto direttamente associata, nel mondo del libro medievale, ad uno sfruttamento più intenso della pagina - si ritrova con maggior frequenza nel sottogruppo «Fieso­ le», e soprattutto nei codici appositamente allestiti da Vespasiano. La tabella 53 mostra che, quale che sia il sottogruppo considerato, la quantità globale di testo, espressa dal numero di segni grafici per volume, è di gran lunga più rilevante nei codici a due colonne che in quelli a piena pagina. Anche se la campionatura è nella fattispe­ cie estremamente esigua, il fenomeno è troppo macroscopico per poter essere messo in dubbio:

261

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco TABELLA 53

Codici umanistici: numero di segni grafici p er volume piena pagina Nord

Pizolpasso altri

F iesole Firen ze

Vespasiano «generici» Zanobi Vespasiano «Badia»

Medici altri totale

due colonne

601 069

2 171 136

495 278

1 300 810

850 975

1 557 851 nd

835 836 1 214 842

1 741 479

1 027 214

nd

733 374

nd

707 069

1 713 673

H fenomeno è dovuto, non solo al fatto che la densità dei segni grafici è maggiore nella pagina a due colonne, ma anche al fatto che le pagine sono più grandi e che il volume è più «spesso», nel senso che contiene una quantità più elevata di carte. Tutto ciò è ben visib ile nella tabella 54: TABELLA 54

Codici umanistici: correlazione tra la taglia e il numero di carte taglia (mm) due piena coll. pag. Nord

Pizolpasso altri

F iesole F iren ze Medici altri totale

Vespasiano «gen erici» Zanobi Vespasiano «Badia»

numero di carte due piena coll. pag.

452,60

647,50

187,00

294,00

461,12

574,50

157,79

260,00

568,00

625,50

214,50

270,00

562,00

nd

213,40

nd

603,00

642,13

262,00

288,50

603,24

nd

271,72

nd

518,63

nd

194,75

nd

511,69 630,86

199,58 282,57

2 62

M. A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

Si noterà che, nel sottogruppo «Medici» - ove non è mai usata rimpaginazione a due colonne - la media di tutti e tre i parametri è nettamente più elevata che nei codici a piena pagina degli altri sot­ togruppi.93 Non si tratta di un’osservazione anodina: se ciò avviene, è perché, nell’universo del libro umanistico, rimpaginazione a due colonne - che era in ogni caso sconsigliata, come si deduce dalla sua rarità - era addirittura «proibita» nei volumi di gran lusso, an­ che per quelli di taglia ragguardevole. II mantenimento della dispo­ sizione a piena pagina nei volumi di grandi dimensioni implicava una notevole perdita di rendimento,94 e tale inconveniente costrin­ geva l’artigiano a ricuperare spazio aumentando le dimensioni del foglio e aggiungendo fascicoli al volume. Come già si è accennato in precedenza (cfr. supra, p. 234), la prodigalità intrinseca alla con­ cezione del codice umanistico è responsabile, quando si trattava di allestire «libri da banco», del suo carattere in generale più volumi­ noso e massiccio, a volume chiuso, rispetto a quello della produ­ zione tradizionale coeva; proprio mentre, a volume aperto, l’osser­ vatore non può che essere colpito dalla «leggerezza» della pagina scritta. Infine, altri due parametri, che a prima vista non sembrano es­ sere attinenti in alcun modo alla ricchezza di esecuzione dei codici, rivelano invece stratificazioni gerarchiche insospettate: si tratta delle tecniche e degli schemi di rigatura. Per ciò che riguarda le tecniche, la ripartizione all’interno del gruppo umanistico è rappre­ sentata nella tabella 55 (alla pagina seguente). Se la fortuna della rigatura a secco è in parte correlata a fattori geografici (il suo scarso successo al nord è probabilmente dovuto al persistere della tradizione «gotica» nelle botteghe), la stratifica­ zione gerarchica è manifesta a Firenze: non a caso la percentuale di rigature a secco è massima nel sottogruppo «M edici», e minima nei volumi fiesolani (soprattutto nell’insieme «Badia»), Un discorso analogo - anche se i dati non sono altrettanto elo­ quenti - può essere impostato sugli schemi di rigatura, che abbia­ mo preso in considerazione unicamente sotto l’aspetto più semplice (raddoppiamento eventuale delle linee verticali e/o orizzontali dello specchio): mentre la predilezione per la giustificazione sem­ plice nel sottogruppo «altri» del nord riflette anch’essa l’influsso delle abitudini «gotiche»,95 non stupirà il fatto che, nel gruppo fio-

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco

263

rentino, i codici allestiti da Vespasiano espressamente per la Badia fiesolana si distinguono per la preferenza accordata alla giustifica­ zione sem plice (v. tabella 56, alla pagina seguente). TABELLA 5 5

Codici umanistici: tecnica di rigatura delle rettrici

Pizolpasso

inchiostro

17

piom bo

4

secco

N ord altri Vespasiano «generici» F iesole F iren ze

Zanobi Vespasiano «Badia»

Medici altri

1

inchiostro

32

piom bo

3

secco

6

inchiostro

8

secco

4

inchiostro

1

secco

4

inchiostro

8

secco

1

inchiostro

2

secco

23

inchiostro

5

secco

11

A llorch é i due parametri tecnica di rigatura e schema di riga­ tura vengono incrociati - escludendo il sottogruppo del nord, in­ fluenzato dalla tradizione «gotica» - si osserva che la quasi totalità delle giustificazion i semplici è associata alla rigatura a colore (9 giu stificazio n i semplici su 24 rigature a inchiostro; una sola su 42 rigature a secco).

264

M .A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

TABELLA 56

Codici umanistici: frequenza della giustificazione sem p lice o doppia giustif. sem plice

Pizolpasso Nord altri Vespasiano «generici» Fiesole Firenze

Zanobi Vespasiano «Badia»

Medici altri

5

giustif. doppia

17

giustif. sem plice

25

giustif. doppia

19

giustif. sem plice giustif. doppia

2 10

giustif. sem plice

0

giustif. doppia

5

giustif. sem plice giustif. doppia

6

giustif. sem plice giustif. doppia giustif. sem plice giustif. doppia

3 1 24 1 15

In definitiva, dal nostro corpus di manoscritti - che, a diffe­ renza di quello studiato da Albert Derolez, non è stato scelto con criteri aleatori, ma è stato organizzato in gruppi specifici ai fini di uno studio comparativo - emergono due aspetti particolari del libro umanistico: una produzione di prestigio, destinata ai «principi», e una produzione meno lussuosa, adattata alle esigenze specifiche dello studio in biblioteche collettive o private. A questo riguardo, i sottogruppi «Pizolpasso» e «Fiesole» - e in particolar modo i codi­ ci allestiti da Vespasiano per la Badia - presentano analogie che non possono essere casuali: esistevano, di fatto, standard omogenei e ben definiti di ricchezza e di sfruttamento dello spazio, che veni­ vano consapevolmente applicati a ragion veduta.96 Un esempio ben caratterizzato, ma non rappresentato nel corpus, è costituito dalla Biblioteca allestita a Cesena sotto gli auspici di Malatesta Novel­ lo.97

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco

265

4.2. A spetti perigrafici G iova chiedersi, a questo punto, se la stratificazione gerarchi­ ca osservata sugli aspetti più legati alla presentazione del codice si riflette anche sui fenomeni inerenti alla sfera «perigrafica» che, a priori, più che alla sontuosità dell’esecuzione, sono più direttamente correlati alla leggibilità del testo. In primo luogo, va considerato il tasso di abbreviazioni. Già si è rilevato - ed è cosa notissima - che è questo uno degli aspetti sui quali il manoscritto «gotico» e quello umanistico presentano le maggiori divergenze. Se si considera l’esiguità della porzione di testo sulla quale sono stati effettuati i rilevamenti sui singoli volu­ mi,98 non si rilevano scarti significativi fra i sottogruppi, eccezion fatta per il sottogruppo «M edici» che si distingue per la scarsissima quantità di abbreviazioni. Dato il carattere ambivalente del sistema abbreviativo - che partecipa ad entrambe le dicotomie «econo­ mia / spreco» e «comodità / difficoltà» di lettura - non è agevole dare un’interpretazione univoca di questo tipo di scelta. Quel che è chiaro, è che la rinuncia pressoché completa all’abbreviazione sembra far parte della «panoplia del lusso», o ad­ dirittura del «gran lusso», alla stessa stregua della rinuncia all’im­ paginazione a due colonne; e si tratta, probabilmente, della stessa impronta ideologica: assai più che il ritorno ai canoni carolingi - i quali, come già abbiamo accennato, non disdegnavano né le abbre­ viazioni né le due colonne - la reazione contro la presentazione generale del libro «gotico». In tale contesto, l’allestimento di un codice di gran lusso esigeva l’applicazione senza compromessi dei canoni umanistici. Stupisce, invece, lo scarso interesse per altri aspetti attinenti alla leggibilità, come i tagli di parola a fine riga. Se globalmente tutto il gruppo umanistico, pur non dimostrandosi completamente insensibile al fenomeno, testimonia un’attenzione inferiore a quella del gruppo «monastico», non esiste su questo punto alcuna diffe­ renza significativa in seno ai vari sottogruppi, né a favore del «gra lusso» né, al contrario, a favore della produzione a fini di studio. Bisognerà attendere i primordi della stampa in Italia per osservare! con quanta cura, anche nel libro umanistico (ma non si tratterà di un riflesso spontaneo dei tipografi tedeschi operanti al di qua delle

266

M. A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

Alpi?), si tenda ad evitare i tagli sull’ultima riga della pagina e ci si industri a limitarne il numero altrove. Anche in questo caso, se si considera con quanta attenzione e non di rado con quanta «pignoleria» - gli umanisti si preoccupa­ vano di preservare l’integrità del testo, sfugge la motivazione di questa mancanza di professionalità. Una spiegazione plausibile potrebbe risiedere nella sinergia fra una concezione molto rigida della frontiera marginale (che si imporrà definitivamente e con ra­ pidità nel libro a stampa) e il rifiuto di abusare delle abbreviazioni, anche in quanto semplice «strumento di regolarizzazione»: da un lato, il copista sarebbe a priori sensibile alla necessità di limitare la divisione delle parole, ma dall’altro, pur non potendo non aiutarsi con le abbreviazioni in tale circostanza, eviterebbe di ricorrervi si­ stematicamente. A favore di tale ipotesi, si può invocare il fatto che un altro «sa­ voir-faire» artigianale, pur essendo un’innovazione del «famigerato» libro «gotico», viene non solo accolto, ma ancora più largamente utilizzato nel mondo umanistico: i riempitivi a fine riga che, da un certo punto di vista, costituiscono l’esatto corrispettivo dei tagli di parola. Ora, i riempitivi, contrariamente ai tagli di parola, sembrano far parte dei parametri correlati al livello di esecuzione: TABELLA 5 7

Codici umanistici: percen tu ale media di riempitivi a fine riga Nord

Pizolpasso

1,73

altri

2,78

Vespasiano «generici» F iesole Firenze

totale

1,36

Zanobi

1,07

Vespasiano « Badia»

2,39

Medici

3,37

altri

3,26

2,55

Se si eccettua la situazione inspiegabile del sottogruppo «Ve­ spasiano Badia», i riempitivi sono più numerosi nei sottogruppi

Elem enti p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco

267

«ricchi» («M edici», «Firenze altri», «Nord altri») che in quelli re­ lativamente «poveri» («Pizolpasso», «Vespasiano generici», «Za­ nobi»). Contrariamente al taglio delle parole, il riempitivo è perciò considerato come un elemento direttamente pertinente alla «pano­ plia del lusso ». Ciò non stupisce, in quanto la sua connotazione estetica è evidente, ma è interessante notare come l ’introduzione nella catena grafica di un segno «estraneo» - fattore senz’altro po­ co favorevole alla leggibilità - viene privilegiata, nei manoscritti più ricchi, rispetto ai dispositivi destinati a facilitare la lettura: quando e siste una contraddizione fra gli obiettivi estetici e le fina­ lità funzionali, la precedenza viene data all’estetica.

A n alizzan do comparativamente l ’insieme della produzione umanistica, innovativa, e quella più tradizionale, da noi etichettata «m onastica», abbiamo messo in luce quel poco che accomuna i ri­ spettivi due corpora, e le divergenze che riguardano pressoché tutti i parametri, connessi alla fattura materiale, alla preparazione della pagina, al suo riempimento e sfruttamento, sforzandoci, nel limite del possibile, di fornire una spiegazione dei fenomeni rilevati: al­ cuni nuovi, altri poco osservati, altri ancora che rientrano nel baga­ glio delle conoscenze o meglio delle percezioni, ma che non sono stati prim a d ’ora quantificati o misurati e, in ogni caso, inseriti in una trattazione organica. Sono emerse così a tutto tondo le due concezioni che caratte­ rizzano, differenziandolo, il libro umanistico e quello «gotico», im­ prontate a criteri estetici, non disgiunti da principi di ergonomia o di econom icità. L ’eleganza della pagina umanistica, con la sua pro­ porzione «stretta», accentuata dall’adozione di uno specchio ancora più «stretto», e la sua notevole «aerazione» (ciò che l’occhio perce­ pisce intuitivamente è stato misurato attraverso tre specifici para­ metri: la quantità di spazio occupata dalla scrittura, lo spazio medio tra due linee rettrici, la distanza verticale tra i nuclei della scrittura) è stata m e ssa in correlazione con la «pesantezza» del volume, de­ term inata dal rilevante valore della taglia e dal numero delle carte. Interessante, in proposito, ci pare la simulazione che abbiamo im­ postata per indagare il «bilancio di sfruttamento» della pagina nel codice um anistico in confronto a quello «monastico».

268

M. A. Casagrande Mazzoli - E. Ornato

Da un più attento esame funzionale della disposizione a due colonne sono emersi alcuni rilievi nuovi, che così possiamo sinte­ tizzare: 1. se ripartiamo i codici per taglia - piccola, media, grande - il valore dell’unità di rigatura nei manoscritti a due colonne di taglia grande si avvicina a quello calcolato per i manoscritti a piena pagina di taglia piccola. 2. In entrambi i sistemi grafici, la «doppia linea logica» contiene più caratteri della «riga fisica» a piena pagina. Dopo avere definito i caratteri peculiari dei due corpora, ab­ biamo fornito una rassegna dei cambiamenti osservabili nel mano­ scritto «monastico» del secolo X V rispetto al secolo precedente, che registrano un migliore livello qualitativo del manufatto, un netto incremento del quinione, il passaggio dal piombo all’inchio­ stro per le rettrici, l’adozione di schemi di rigatura più semplici e una semplificazione dei sistemi di segnatura. Se tali fenomeni codi­ co lo g ia sono singolarmente conosciuti (anche se, lo ripetiamo, non sono stati oggetto di esposizioni sistematiche) del tutto nuova è l’indagine relativa allo sfruttamento (più intenso nel secolo XV) dello spazio. Le osservazioni che una pur limitata campionatura ci ha già consentite, inducono ad auspicare un approfondimento che scaturisca dallo studio di corpora più ampi e differenziati. L ’analisi all’interno del gruppo umanistico - affrontata nell’ul­ tima parte del lavoro - si è giovata del fatto che, a differenza del corpus studiato da Albert Derolez, il nostro è stato scelto e orga­ nizzato in gruppi ai fini di uno studio comparativo. Sono emersi così due aspetti particolari del libro umanistico: una produzione di prestigio e una meno lussuosa, adatta alle esigenze specifiche dello studio in biblioteche collettive o private (in vetta alla scala gerar­ chica il sottogruppo «Medici» e, ai gradini più bassi, due diversi sottogruppi, «Pizolpasso» e «Fiesole»), che presentano analogie che non possono essere casuali: esistevano, di fatto, standard omo­ genei e ben definiti di ricchezza e di sfruttamento dello spazio, che venivano applicati consapevolmente, in relazione allo statuto so­ ciale del committente e/o del destinatario. In proposito, sono maturate nuove riflessioni sui parametri pertinenti alla definizione della qualità del codice, ripartiti in tre categorie:

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco

1.

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indicatori di ricchezza «positivi», cioè legati alla loro presen­ za: si tratta di una sovrastruttura non connessa in alcun modo alla funzionalità ma all’idea di ricchezza: illustrazioni; com­ plessità, estensione e frequenza della decorazione; impiego dell’oro. 2. Indicatori di ricchezza «negativi», poiché la ricchezza del co­ dice è legata alla loro assenza. Si tratta di elementi meno appa­ riscenti, la cui presenza costituisce un difetto di origine o di fabbricazione, che l’artigiano accorto riduce: fori della perga­ mena, «lisières». 3. Indicatori di ricchezza «indiretti»: da un lato tutti i parametri inerenti allo sfruttamento dello spazio, dall’altro lato tutto ciò che si adegua al «principio di regolarità interna». L ’analisi dei dati collegati direttamente o indirettamente al li­ vello di esecuzione ha dunque messo in luce trattamenti differen­ ziati e scalati secondo principi gerarchici. Abbiamo osservato che rientrano nella «panoplia del lusso» (o del gran lusso) alcuni para­ metri che, a prima vista, non sembrano in alcun modo attinenti alla ricchezza di confezione dei codici: l’adozione di taglie ragguarde­ voli, rim paginazione a piena pagina, anche per le taglie grandi, le tecniche e gli schemi di rigatura (che, a Firenze, registrano la pre­ ferenza per la punta secca e per la giustificazione doppia). La stra­ tificazione gerarchica rilevata negli aspetti più legati alla presenta­ zione del codice si riflette anche sui fenomeni inerenti alla sfera «perigrafica», come la quantità di abbreviazioni (scarsissima in «Medici») e la presenza di riempitivi. Nel nostro giro d’orizzonte sui sottogruppi di manoscritti umanistici, ci paiono interessanti gli effetti del fascio di luce pun­ tato su «Fiesole». Nei volumi della biblioteca della Badia fiorenti­ na, allestita “ chiavi in mano” da Vespasiano da Bisticci per volere di Cosim o de’ Medici, dietro una prima fa cies uniforme, abbiamo colto sostanziali differenze che contraddistinguono libri apposita­ mente preparati e altri verosimilmente già pronti in bottega per la vendita (da noi etichettati, rispettivamente, «Vespasiano Badia» e «V espasian o generici»); nei primi, le opzioni riguardanti l’intera confezione, dalla scelta del supporto, tecnica e schemi di rigatura, apparato decorativo fino alla gestione della pagina, sono impron­ tate a ll’economia in senso lato, che sottende il profitto dell’impren­

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ditore. Se, per un maggiore approfondimento, si estendesse l’inda­ gine a tutti i manufatti identificati come provenienti dalla sua botte­ ga, crediamo che non muterebbero le linee maestre da noi tracciate. Un’apertura di ricerca, qui appena accennata e di cui si avverte l’urgenza, risiede nel ripensare al significato del «ritorno all’anti­ co» promosso dagli umanisti, che abbiamo osservato investire la superstruttura del codice, cioè i suoi aspetti più appariscenti e me­ no legati alla funzionalità. E, infine, un’ultima considerazione: la nostra pur limitata campionatura ha rispecchiato le osservazioni del Derolez, basate su un’indagine ben più ampia; l’immissione nel nostro database dell’intera sua documentazione (che ci riserviamo di fare), permetterà non solo e non tanto di arricchire il nostro me­ nu, ma, incrociando i dati e rielaborandoli, di estenderlo verso di­ rezioni nuove, quelle direzioni che la presente ricerca lascia ritene­ re promettenti.

A ppendice 1. P ro to co llo d i o sse r v a z io n e

Dalle sezioni della scheda descrittiva (riportata supra, 1.2), estrapo­ liamo soltanto i parametri che necessitano di chiarimento, essendo molti ormai consueti nelle procedure codicologiche.100 a) D atazione e origine. Si specifica se attestate, dedotte, stimate, ripor­ tando, per la datazione, i termini a quo, ad quem. b) Legatura. Si fornisce esclusivamente la valutazione di antica, riuti­ lizzo, moderna. N um ero di carte. Si desume dalla foliazione o dai cataloghi, non da conteggio diretto. Fa scicola zion e. Si individua il tipo di struttura maggioritario e, se necessario, il secondo tipo numericamente più rilevante. «Difetti» della pergam en a. Si conteggia il numero di carte recanti fori, cuciture e lisières in tre fascicoli posti rispettivamente all'inizio del manoscritto (generalmente il secondo fascicolo), al centro, alla fine (generalmente il penultimo). c) M ise en p a ge. L’osservazione viene effettuata su un foglio campio­ ne,101 sul quale vengono eseguite le misurazioni delle dimensioni del codice e della geometria della pagina. Mediante una rilevazione in senso orizzontale, condotta lungo il margine superiore, e una in sen­ so verticale, lungo il margine di cucitura, si forniscono larghezza e altezza del foglio e insieme tutte le misure separanti le linee succes­ sive dello schema di rigatura, secondo la prassi che si sta diffonden­ do in lavori catalografici recenti.102 d) D ati gra fici e perigra fici. Il conteggio dei segni grafici viene effet­ tuato su un numero determinato di linee per pagina, generalmente consecutive a partire dalla seconda linea. Per linea s’intende la linea fisica dello specchio, che può pertanto essere frazionata in due co­ lonne. Le linee si intendono «piene»; non vengono cioè considerate le linee incomplete e quelle che contengono iniziali. — A ltezza d ei nuclei d elle lettere. Si misura l’altezza di 5 lettere o non visibilmente anormali, posizionate in qualsiasi punto della pagina, tranne che nella prima e nell’ultima linea. — N um ero di p a ro le e di segn i grafici. Nel computo vanno consi­ derati i segni d’interpunzione; i legamenti sono conteggiati co­ me due segni. I bianchi non vengono conteggiati (ma il loro numero può essere dedotto tramite il conteggio delle parole). Il computo si effettua su 5 linee.

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e)

N umero di abbreviazioni. Su 10 linee si contano, da un lato le

abbreviazioni per linea, dall’altro il numero di linee nelle quali l’ultima parola comporta almeno un’abbreviazione. N umero di tagli di pa rola . Si conteggia, su tre pagine, il numero di linee nelle quali l’ultima parola risulta tagliata. Un conteggio analogo viene effettuato per l’ultima linea della pagina su tre fa­ scicoli (gli stessi utilizzati per il conteggio dei difetti della per­ gamena), distinguendo le pagine recto dalle pagine verso. Riempitivi in fine riga. Vengono conteggiati secondo le stesse modalità che per i tagli di parola. Trattini di «a ca po». Si annota presenza, assenza, saltuarietà sulle tre pagine usate per il computo dei tagli di parola e dei riempitivi.

D ecora zion e Tipologia e p o sizio n e n el volume. Si rileva la presenza, in ordi­

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ne decrescente di importanza, di illustrazioni, riquadri, bordure, stemmi; di lettere iniziali istoriate, ornate, filigranate, rubricate, spazi riservati. Si specifica se tali elementi appaiono sul fasci­ colo iniziale e/o altrove. P resen za di o ro. Si specifica se l’oro è usato soltanto per l’iniziale principale o lungo tutto l’arco del codice. A sp etti dim ensionali d elle iniziali. Si conteggia il numero di ri­ ghe occupato (o riservato) per l’iniziale più importante. Parimenti, si misurano la larghezza e l’altezza del rettangolo mini­ mo in cui la lettera si iscrive.

A p p e n d ic e 2. L is ta d e i c o d ic i a n a lizza ti

I. C o d ici monastici 1.1. Codici del X IV seco lo Bergam o, Bibl. civ. A. Mai M A 292 Bergam o, Bibl. civ. A. Mai M A 558 M ilano, Bibl. Trivulziana 403 Padova, Bibl. Antoniana 81 Padova, Bibl. Antoniana 98 Padova, Bibl. Antoniana 100 Padova, Bibl. Antoniana 107 Padova, Bibl. Antoniana 338 Padova, Bibl. Antoniana 338 Padova, Bibl. Antoniana 359 Padova, Bibl. Antoniana 440 Padova, Bibl. Antoniana 441 Padova, Bibl. Antoniana 466 Padova, Bibl. Antoniana 491 Padova, Bibl. Antoniana 512 Padova, Bibl. Antoniana 551 Padova, Bibl. Antoniana 555 Padova, Bibl. Capitolare C 54 P adova, Bibl. Univ. 690 P adova, Bibl. Univ. 796 Pad ova, Bibl. Univ. 949 P ad ova, Bibl. Univ. 980 P ad ova, Bibl. Univ. 1082 P ad ova, Bibl. Univ. 1251 Pad ova, Bibl. Univ. 1265 P ad ova, Bibl. Univ. 1424 P ad o va, Bibl. Univ. 1460 P ad o va, Bibl. Univ. 1462

1.2. Codici del X V seco lo a) Allestiti p er Santa Maria Incoronata di Milano M ila n o , M ila n o , M ila n o , M ila n o , M ila n o ,

Bibl. Bibl. Bibl. Bibl. Bibl.

Ambros. Ambros. Ambros. Ambros. Ambros.

A 47 sup. C 66 sup. D 16 sup. D 18 sup. E 2 sup.

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Milano, Bibl. Ambros. E 14 sup. Milano, Bibl. Ambros. E 110 sup. Milano, Bibl. Ambros. H 6 sup. Milano, Bibl. Ambros. H 72 sup. Milano, Bibl. Ambros. I 63 sup. Milano, Bibl. Ambros. L 55 sup. Milano, Bibl. Ambros. L 66 sup. Milano, Bibl. Ambros. L 96 sup. Milano, Bibl. Ambros. M 3 sup. Milano, Bibl. Ambros. M 56 sup. Milano, Bibl. Ambros. N 68 sup. Milano, Bibl. Ambros. R 14 sup. Milano, Bibl. Ambros. R 78 sup. Milano, Bibl. Ambros. S 42 sup.

b) Di altra committenza Bergamo, Bibl. civ. A. Mai M A 51 (Delta 1,21) Bergamo, Bibl. civ. A. Mai M A 85 (Delta 7,9) Bergamo, Bibl. civ. A. Mai M A 109 (Delta 3,27) Bergamo, Bibl. civ. A. M ai M A 136 (Psi 1,36) Bergamo, Bibl. civ. A. M ai M A 148 (Psi 2,57) Bergamo, Bibl. civ. A. Mai M A 238 (Gamma 3,17) Bergamo, Bibl. civ. A. Mai M A 285 (Delta 5,5) Bergamo, Bibl. civ. A. Mai M A 352 (Delta 6,37) Bergamo, Bibl. civ. A. M ai M A 358 (Delta 6,44) Bergamo, Bibl. civ. A. Mai M A 395 (Sigma 2,16) Bergamo, Bibl. civ. A. Mai M A 405 (Delta 7,46) Bergamo, Bibl. civ. A. Mai M A 486 (Gamma 4,12) Bergamo, Bibl. civ. A. Mai M A 493 (Gamma 4,25) Bergamo, Bibl. civ. A. Mai M A 498 (Gamma 4,31) Bergamo, Bibl. civ. A. Mai M A 505 (Gamma 4,40) Brescia, Bibl. civ. Queriniana A V 22 Brescia, Bibl. civ. Queriniana A V 23 Brescia, Bibl. civ. Queriniana A V I 21 Brescia, Bibl. civ. Queriniana A V I 30 Brescia, Bibl. civ. Queriniana A VII 23 Brescia, Bibl. civ. Queriniana B VI 9 Brescia, Bibl. civ. Queriniana C II 9 Cremona, Bibl. Statale 34 Cremona, Bibl. Statale 87 Cremona, Bibl. Statale 93 Cremona, Bibl. Statale 104 Cremona, Bibl. Statale 119 Milano, Bibl. Ambros. B 96 sussidi (I) Milano, Bibl. Ambros. B 96 sussidi (II)

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco Milano, Bibl. Ambros. D 37 sup. Milano, Bibl. Ambros. E 27 sup. Milano, Bibl. Ambros. F 69 sup. Milano, Bibl. Ambros. F 118 sup. Milano, Bibl. Ambros. H 86 inf. Milano, Bibl. Ambros. 112 inf. Milano, Bibl. Ambros. O 214 sup. Milano, Bibl. Ambros. O 216 sup. Milano, Bibl. Ambros. Q 53 sup. Milano, Bibl. Ambros. R 28 sup. Milano, Bibl. Ambros. R 30 sup. Milano, Bibl. Ambros. R 38 sup. Milano, Bibl. Ambros. R 87 sup. Milano, Bibl. Ambros. S 56 sup. Milano, Bibl. Ambros. T 119 sup, Milano, Bibl. Ambros. X 16 sup. Milano, Bibl. Ambros. Z 71 sup. Padova, Bibl. Univ. 990

II. Codici umanistici IL I. Codici fiorentini II. 1.1 Codici allestiti p er la Badia di Fiesole a) Nella bottega di Vespasiano da Bisticci a) Appositamente p er la Badia Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. 11 Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. 19 Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. 36 Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. 44 Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. 48 Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. 51 Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. 54 Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. 75 Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. 166

(3) Allestiti in precedenza Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. 8 Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. 39 Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. 40 Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. 43

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Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies. Firenze, Bibl. Med. Laur. Fies.

49 56 57 77 163 175 184 188

b) Nella bottega di Zanobi di Mariano Firenze, Firenze, Firenze, Firenze, Firenze,

Bibl. Bibl. Bibl. Bibl. Bibl.

Med. Med. Med. Med. Med.

Laur. Fies. Laur. Fies. Laur. Fies. Laur. Fies. Laur. Fies.

47 55 165 169 185

II. 1.2. Codici allestiti p er i Medici Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut.

12,2 12,4 12,8 12,9 12,11 12,14 12,19 13,2 14,9 16,4 16,26 17,25 18,3 19,1 19,2 21,11 21,17 45,33 46,12 48,8 48,30 50,18 63,2 65,30 65,38

Elementi p er la tipologia del manoscritto quattrocentesco

II. 1.3. Codici di altra committenza Firenze, Bibl. Med. Laur. Acquisti e doni 300 Firenze, Bibl. Med. Laur. Edili 182 Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. 20,15 Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. 49,6 Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. 63,5 Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. 65,21 Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. 65,23 Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. 65,24 Firenze, Bibl. Med. Laur. Plut. 90 sup.75 Firenze, Bibl. Med. Laur. Strozzi 14 Munchen, Bay. Staatsbibl. Clm 763 Munchen, Bay. Staatsbibl. Clm 821 Munchen, Bay. Staatsbibl. Clm 10261 Munchen, Bay. Staatsbibl. Clm 11301 Munchen, Bay. Staatsbibl. Clm 15731 Munchen, Bay. Staatsbibl. Clm 18201

n.2. Codici umanistici d e ll’Italia del Nord H.2.1. Allestiti p er F rancesco Pizolpasso Milano, Bibl. Ambros. A 142 sup. Milano, Bibl. Ambros. C 67 inf. Milano, Bibl. Ambros. C 99 sup. Milano, Bibl. Ambros. C 131 inf. Milano, Bibl. Ambros. C 177 inf. Milano, Bibl. Ambros. C 229 inf. Milano, Bibl. Ambros. D 11 sup. Milano, Bibl. Ambros. D 31 sup. Milano, Bibl. Ambros. D 35 sup. Milano, Bibl. Ambros. D 88 sup. Milano, Bibl. Ambros. D 95 sup. Milano, Bibl. Ambros. D 117 sup. Milano, Bibl. Ambros. D 543 inf. Milano, Bibl. Ambros. F 52 sup. Milano, Bibl. Ambros. F 114 sup. Milano, Bibl. Ambros. H 89 sup. Milano, Bibl. Ambros. 1115 sup. Milano, Bibl. Ambros. L 97 sup. Milano, Bibl. Ambros. M 04 sup. Milano, Bibl. Ambros. R 68 sup. Milano, Bibl. Ambros. S 07 sup. Milano, Bibl. Ambros. S 75 sup.

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II.2.2. Di altra committenza Bergamo, Bibl. civ. A. Mai Cassaf. 2,11 (Phi 6,8) Bergamo, Bibl. civ. A. M ai M A 71 (Delta 2,15) Bergamo, Bibl. civ. A. Mai M A 73 (Delta 2,17) Bergamo, Bibl. civ. A. Mai M A 337 (Delta 6,22) Bergamo, Bibl. civ. A. Mai M A 347 (Delta 7,47) Bergamo, Bibl. civ. A. Mai M A 363 (Delta 7,3) Bergamo, Bibl. civ. A. Mai Mab 26 (Psi 2,31) Firenze, Bibl. Med. Laur. Edili 215 Milano, Bibl. Ambros. A 31 inf. Milano, Bibl. Ambros. A 76 inf. Milano, Bibl. Ambros. B 15 inf. Milano, Bibl. Ambros. B 153 sup. Milano, Bibl. Ambros. B 154 sup. Milano, Bibl. Ambros. C 75 sup. Milano, Bibl. Ambros. C 211 inf. Milano, Bibl. Ambros. D 3 sup. Milano, Bibl. Ambros. G 22 sup. Milano, Bibl. Ambros. G 87 sup. Milano, Bibl. Ambros. H 3 sup.(S P 30) Milano, Bibl. Ambros. H 123 inf. Milano, Bibl. Ambros. I 75 sup. Milano, Bibl. Ambros. T 102 sup. Milano, Bibl. Trivulziana 658 Milano, Bibl. Trivulziana 661 Milano, Bibl. Trivulziana 695 Milano, Bibl. Trivulziana 696 Milano, Bibl. Trivulziana 697 Milano, Bibl. Trivulziana 1383 Milano, Bibl. Trivulziana 1430 Padova, Bibl. Antoniana 86 Padova, Bibl. Capitolare B 24 Padova, Bibl. Capitolare C 27 Padova, Bibl. Capitolare C 29 Padova, Bibl. Capitolare C 36 Padova, Bibl. Capitolare D 46 Padova, Bibl. Capitolare E 4 Padova, Bibl. Semin. vesc. 46 Padova, Bibl. Semin. vesc. 96 Padova, Bibl. Univ. 658 Padova, Bibl. Univ. 851 Padova, Bibl. Univ. 1055 Padova, Bibl. Univ. 1274 Padova, Bibl. Univ. 1454 Padova, Bibl. Univ. 1636

N o te

1. Derolez, Codicologie, I, pp. 164-165. Cfr. anche gli auspici a intraprende­ re nuove ricerche formulati da D. Muzerelle nella recensione in «Scriptorium», 40 (1986), p.141 e da J. P. Gumbert, Appel, in «Scrittura e civiltà», 10 (1986), p. 313. 2. Cfr. Belloni, Ferrari, La biblioteca Capitolare di Monza, pp. LXXV111LXXX; Ferrari, Un bibliotecario milanese, pp. 229-261; Ead., Note di cartari, pp. 310-313, con bibliografia alla nota 14. I codici pergamenacei sono sintetica­ mente presentati dalla Ferrari: «Una ... produzione sistematica e organizzata ... s’individua in una serie di codici che non recano sottoscrizioni e sono compatti per fattura e per i testi che recano. Sono codici pergamenacei, di formato medio piccolo, scritti su due colonne (eccetto uno, tascabile), in semigotica corrente di stile monastico oppure di gotica quasi formata, con semplici iniziali alternativa­ mente rosse e blu e, solo in apertura di volume, più eleganti iniziali miniate di scuola lombarda; impaginazione, fascicolazione, tipo di pergamena sono uguali per tutti. G li stessi copisti si ravvisano in diversi codici» {Un bibliotecario milane­ se, p. 255). Inoltre la Ferrari ravvisa in 9 manoscritti alcune note promemoria del cartaro, e suppone che i volumi fossero stati rigati dallo stesso {Note di canari, pp. 311-312). 3. Edito da Paredi, La biblioteca del Pizolpasso, pp. 69-83, cui si deve il Catalogo: pp. 89-168. 4. Cfr. Ferrari, Un bibliotecario milanese, pp. 202-221; Ead., La «littera antiqua», pp. 13-29: 21-29, in particolare nota 54, con bibliografia e integrazioni alla lista dei codici; Ead., Pizolpasso Francesco, in Dizionario della Chiesa am­ brosiana, V , pp. 2891-2893; Quilici, Legature del Piccolpasso, pp. 193-245. 5. Un bibliotecario milanese, p. 210. 6. Cfr. Vespasiano da Bisticci, Le Vite, II, pp. 167-211 {Vita di Cosimo de' Medici fiorentino): p. 183: «Avendo finito la casa et buona parte della chiesa pen­ sava in che modo quello luogo avessi a essere abitato da uomini da bene et literati, et per questo fece pensiero di farvi una degna libreria, et un dì sendo io in camera sua, mi disse: che modo mi dai tu a fornire questa libraria di libri? Risposi che avendogli a comperare sarebbe impossibile perché non se ne troverebbe. Dissemi: che modo si potrebbe tenere a formila? Dissigli che bisognava fargli iscrivere. Rispuose se io volevo pigliare questa cura. Rispuosegli essere contento. Dissetili che io com inciassi a mia posta ché tutto rimeteva in me, et che l’ordine de’danari che bisognassino dì per dì commisse a don Arcangelo, priore allora del detto munastero, che facessi le polize al banco lui, et sarebbono pagati. Cominciata la libraria perché la sua volontà era ch’ella si facessi cor ogni celerità possibile, et per danari non mancassi, tolsi in poco tempo quarantacinque iscrittoti, et finii volumi dugento in mesi ventidua, dove si servò mirabile ordine, seguitando quello di papa Nicola, d ’uno ordine aveva dato a Cosimo per uno inventario di sua mano»; segue la rassegna dei testi, pp. 183-189, e la conclusione: «Vidi Cosimo finita la libreria

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di tutto, et gl’inventarii et l ’ordine di detta libreria, che n’ebe assai piacere; et an­ dò questa a suo modo, con tanta presteza». Per il «canone» di Tommaso Parentucelli da Sarzana, che divenne papa Niccolò V, cfr. Biasio, Lelj, Roselli, Un con­ tributo alla lettura, pp. 125-165, con edizione alle pp. 132-155; Petrucci, Le bi­ blioteche antiche, II, pp. 547-551. 7. De la Mare, New Research, I, Appendices /-///, pp. 477-574; App. Il, pp. 555-564; Ead., Vespasiano da Bisticci, pp. 81-96; cfr. anche Garzelli, Note su artisti, pp. 435-482; per i rapporti con la Badia, Guidotti, Nuovi documenti, pp. 97-111. 8. Cfr. De la Mare, New Research, I, pp. 440-444. 9. Ibid., rispettivamente App. II, la, pp. 555-560; App. Il, 2a, pp. 562-563. 10. Per i 25 manoscritti dei Medici, cfr. principalmente Derolez, Codicolo­ gie, II, 41-57; Ames-Lewis, The Library and Manuscripts o f Piero di Cosimo d e’ Medici-, De la Mare, New Research, I, pp. 452-453 (per Lorenzo de’ Medici), App. I, pp. 479-554; Ead., Cosimo and his Books, pp. 115-156. 11. Bergamo, Biblioteca civica «Angelo Mai»; Brescia, Biblioteca civica Queriniana; Cremona, Biblioteca statale; Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana; Milano, Biblioteca Ambrosiana, Biblioteca Trivulziana; Padova, Biblioteca Antoniana, Biblioteca Capitolare, Biblioteca del Seminario vescovile, Biblioteca Universitaria. Un sondaggio è stato inoltre effettuato alla Bayerische Staatsbibliothek di Monaco. Ringraziamo i Direttori delle singole biblioteche, che hanno cortesemente agevolato la consultazione dei codici. 12. Codicologie, I, p. 12. Si tenga comunque presente che, soprattutto per quanto riguarda i manoscritti «monastici», la scelta del supporto non è da ritenere così strettamente correlata al livello di presentazione, come attestano non pochi esemplari cartacei (o a fascicoli misti) che abbiamo rintracciato, più o altrettanto formali rispetto ai membranacei. 13. Cfr. Bozzolo, Coq, Muzerelle, Ornato, Page savante, page vulgaire; per la problematica relativa al libro volgare, cfr. Petrucci, Il libro manoscritto, pp. 504-524. 14. Con lisières - termine che di per sè non indica necessariamente un di­ fetto - intendiamo quelle parti del bordo della pergamena che presentano anoma­ lie come ispessimento, vetrificazione, lacune luniformi. 15. Il termine designa un segno privo di significato o lettera annullata con un procedimento qualsiasi (depennata, espunta ...) impiegati per riempire lo spa­ zio rimasto vuoto alla fine di una linea di scrittura (cfr. Maniaci, Terminologia del libro manoscritto, p. 197). 16. Cfr. Appendice 1, pp. 271-272. A titolo di confronto, la scheda elaborata da Albert Derolez prevedeva l ’osservazione di 24 parametri. 17. Questo totale include un manoscritto composito, che ha richiesto ov­ viamente l ’allestimento di due distinte schede. 18. Bozzolo, Coq, Muzerelle, Ornato, Noir et blanc, pp. 215-221. 19. La preferenza accordata a tale sistema è probabilmente di natura fun­ zionale. Non per nulla esso si generalizzerà nel libro a stampa. 20. Cfr. Bianchi et ahi, Facteurs de variation, p. 101, nota 10. Per l’evolu-

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zione della fascicolazione in ambito europeo cfr. in questo volume Busonero, La fascicolazione, pp. 47-55. Per un’esposizione generale della problematica, cfr. Ead., L ’utilizzazione sistematica dei cataloghi. 21. Rileviamo, a questo proposito, che in Francia, ove non esisteva il qui­ nione, la pergamena veniva condizionata in «bottes» di 24 (e non 25) o 36 pelli, mentre la risma e la mano di carta contavano rispettivamente 480 e 24 fogli (cfr. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, pp. 31-34). L ’esistenza di fascicoli con un numero dispari di bifogli non appare antiergonomica, anche se si accetta l’ipotesi della fabbricazione dei fascicoli tramite piegature successive della pelle originaria (cfr. Gilissen, Prolégomènes à la codicologie, pp. 14-122; Bozzacchi, Palma, La formazione del fascicolo-, Bianchi et alii, Facteurs de variation, pp. 168-175). I manoscritti giuridici, di grandi dimensioni, erano certamente degli in-folio, e, si­ milmente, i codici umanistici italiani, anche di dimensioni non notevoli, erano spesso di tale formato (cfr. Derolez, Codicologie, I, pp. 26- 29; Bianchi et alii, Facteurs de variation, pp. 100-102). 22. Cfr. Derolez, Codicologie, I, pp. 28, 35, 78. A i riferimenti bibliografici del Derolez, aggiungiamo altre fonti quattrocentesche che documentano operazio­ ni e fasi di confezione e di commercio librario: Pistarino, Bartolomeo Lupoto, pp. 1-217; Levi D’Ancona, Miniatura e miniatori a Firenze, pp. 13, 19, 274 (per menzioni di righatura); Garzelli, Note su artisti, pp. 448-482; De la Mare, New research, I, pp. 409-410 e nota 96; Ferrari, Note di Cartari, pp. 313-314; Guidoni, Indagini su botteghe, p. 489, App., pp. 498-499, docc. 7, 8; Scalon, Guamerio e la formazione della sua biblioteca, pp. 9-11; Scalon, Produzione e fruizione, p. 130 e n‘ 277, 284, 396. 23. Derolez, Codicologie, I, pp. 35-39; Id., Datierung und Lokalisierung, pp. 111-112. 24. Il divario è ancora più grande se, anziché sulla taglia (cioè sul semipe­ rimetro), esso viene calcolato sulla superficie del foglio. 25. Cfr. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, p. 265. 26. Anche in Francia, la taglia media per questo periodo risulta alquanto su­ periore: 525 mm circa. 27. Questi codici serviranno da modello ai cartai per il formato «reale». 28. Può sembrare paradossale che lo scarto a livello globale sia inferiore a quello osservato sia per la piena pagina che per le due colonne. Il fenomeno è spiegabile se si considera che i due tipi di impaginazione sono assai diversamente rappresentati nei due gruppi. 29. Per ragioni tecniche, l ’atteggiamento dei tipografi risulterà del tutto dif­ ferente. 30. I tipi corrispondono alle situazioni seguenti (applicate per convenzione al caso del quinione): 1 = al-a5; 2 = Ia-5a; 3 = al-a5, più segnalazione di metà fascicolo; 4 = al-aI0-, 5 = 7-5; 6 = al-a5, b6-bl0; 9 = altri sistemi. 31. Ricordiamo che nella codifica del Derolez i tipi 1-4 sono orizzontali, di­ sposti nel margine inferiore, con I al centro; 2 verso destra, ma al di qua del mar­ gine esterno; 3 a cavallo della giustificazione esterna; 4 al di là della stessa. I tipi 5-8 sono verticali: 5 senso alto-basso, situato all’intemo della giustificazione dop-

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pia oppure tangente esternamente alla giustificazione semplice; 6 tangente ester­ namente alla giustificazione doppia; 7 nel margine esterno, al di là della giustifi­ cazione; 8 senso basso-alto (non si capisce se si riferisca ad una sola posizione o a tutte indifferentemente). Nel nostro corpus, il tipo 5 designa i richiami verticali, indipendentemente dalla presenza di una giustificazione doppia. V a notato, a que­ sto riguardo, che lo stesso Derolez nutriva dubbi sulla pertinenza della sua codifi­ ca su questo punto (Codicologie , I, p. 61) e che, in generale, la classificazione adottata dallo studioso non è sempre ispirata da principi razionali. 32. A i «types normaux à quatre lignes verticales» (= 41-44) rilevati dal De­ rolez, ne abbiamo aggiunto un altro, da noi numerato 45, che presenta la riga di testa, raddoppiata e la riga di piede, raddoppiata o semplice, entrambe estese da un bordo all’altro della pagina; infine abbiamo creato il tipo 57, a 5 linee verticali, con quella esterna raddoppiata. 33. Derolez, Codicologie, I, pp. 100, 108. 34. Casagrande Mazzoli, Foratura. 35. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, p. 318. 36. Derolez, Codicologie, I, p. 68. 37. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, p. 287; Bozzolo et alii, Page savante, page vulgaire, p. 127. 38. Rammentiamo che 0,707 è la proporzione invariante, che non cambia nel corso di una o più piegature successive. Per definizione, vengono considerati «stretti» i fogli la cui proporzione è inferiore a tale valore; «larghi», quelli la cui proporzione è superiore. 39. V a sottolineato che la proporzione del foglio nel corpus analizzato da Derolez, Codicologie, I, p. 31, è ancora più stretta (0,68). 40. V a sottolineato, a questo proposito, che i manoscritti giuridici dei secoli XIII e X IV - tutti, ovviamente, di grandi dimensioni - sono in prevalenza assai stretti, malgrado la disposizione a due colonne e la presenza di una glossa a corni­ ce. È questo il caso del corpus di quarantasei volumi studiato in questo stesso vo­ lume da Devoti (Un rompicapo, p. 154). Cfr. anche Ead., L ’architettura della pa­

gina glossata. 41. Il rapporto 0,048/0,084 è praticamente identico a 0,031/0,055. 42. Se si misura il rapporto larghezza intercolunnio / larghezza complessiva delle colonne, esso vale 12,4% nel gruppo umanistico, contro 10,6% nel gruppo «monastico». 43. Nel caso, beninteso, che il bifoglio venga ricavato da una pelle piegata in quattro. 44. Sull’esistenza di ricette di «mise en page» medievali e sulla verifica della loro utilizzazione effettiva nei codici, cfr. Muzerelle, Normes et recettes de mise en page; Maniaci, Ricette di costruzione della pagina, che dimostra come le abitudini differissero nel mondo bizantino. Per un’ipotesi «funzionale» relativa alla maggiore ampiezza dei due margini esterni, cfr. Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, p. 264; Ornato, Exigences fonctionnelles, p. 16. 45. Nel mondo bizantino, invece, la costruzione di uno specchio a due co­ lonne veniva eseguita prevalentemente scavando l’intercolunnio al centro dello

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specchio, con una debole espansione della larghezza dello specchio. Cfr. a questo proposito M aniaci, Ornato, Intorno al testo. 46. Qualora i codici fossero provvisti di titoli correnti, risultava ovviamente più difficile guadagnare spazio a scapito del margine superiore. 47. Cff. Bozzolo et alii, Noir et blanc. pp. 215-221. 48. Si può considerare, infatti, che allo sviluppo dei nuclei corrisponda un’atrofizzazione delle aste, e quindi della distanza verticale fra i nuclei. 49. Nei codici del gruppo «monastico» esaminati, che non risultano scritti, per la maggior parte, in textualis formata, tale caratteristica non assume aspetti molto evidenti e può quindi essere trascurata. Si obietterà che, anche per la textualis formata, lo spessore medio dei tratti non è poi, in definitiva, di molto supe­ riore a quello di altre scritture, in quanto a tratti molto «pieni» corrispondono tratti estremamente sottili. Ciò non va negato, ma va anche osservato che l’ impressione visiva dipende esclusivamente dalla presenza dei tratti pieni. In questo caso, il concetto di sp esso re medio dei tratti sarebbe inoperante, se non fuorviarne. 50. Ottenuta dividendo, per ogni volume, la lunghezza della riga (cioè la larghezza dello specchio) per il numero medio di caratteri in essa contenuti. 51. Cfr. tabella 19. 52. Nel primo caso, il coefficiente di correlazione lineare è 0,034, cioè pra­ ticamente nullo; nel secondo, il valore è -0,467. 53. Il rapporto modulare (rapporto fra la larghezza e l’altezza della scrittura) è di 0,93 per la scrittura dei codici «monastici», e di 1,14 per i codici umanistici. Va però osservato che lo scarto è artificialmente aumentato dal fatto che la lar­ ghezza della scrittura è il frutto di un calcolo e non di una misura diretta, e che il risultato del calcolo è sensibile alla frequenza di ciascuna lettera nel testo. Ora, la frequenza della m - la lettera più larga dell’alfabeto - è significativamente inferio­ re nei codici «monastici», che comportano una grande quantità di abbreviazioni (come è noto, nella lingua latina la m è una delle lettere più abbreviate). 54. Per il concetto, cfr. Bergeron, Ornato, La lisibilité, pp. 166-167. 55. Vedi infra, p. 239. Più precisamente, i «monastici» hanno un’abbrevia­ zione ogni 4,63 caratteri; gli umanistici, una ogni 40,36 caratteri. Il rapporto è perciò di 8,73 a 1. 56. Esso si ottiene dividendo la superficie di una pagina per il numero me­ dio di caratteri in essa contenuti. 57. I due valori sono: 10,62 mm per i «monastici» contro 19,82 mm per gli umanistici. 58. Sul principio di proporzionalità, cff. Ornato, Exigences fonctionnelles, p. 10; M aniaci, Il libro manoscritto bizantino, pp. 196-201. 59. Esso varia, infatti, dal 67% al 63% per i codici più grandi. 60. Cfr. supra, p. 218. 61. 16,19 m2 contro 7,41 m2. 62. Il valore medio nel secolo XII, perlomeno in Francia, è di 7 mm (Boz­ zolo, Ornato, Pour une histoire, p. 323, nota 193), contro 6,1 mm nel corpus umanistico analizzato dal Derolez, Codicologie, I, pp. 122-123. 63. La riga logica è l’insieme dei caratteri che vengono letti in successione

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prima di «andare a capo». La riga fisica è invece lo spazio interlineare compreso fra i due margini laterali estremi dello specchio, indipendentemente dalTimpaginazione. Nell’impaginazione a due colonne, una doppia riga logica corrisponde, per ciò che riguarda lo sfruttamento della pagina, ad una riga fisica a piena pagina. 64. Il rendimento dei volumi a due colonne grandi è il 97% di quello dei vo­ lumi a piena pagina piccoli, mentre il rapporto è del 90% per i codici umanistici. 65. Tale considerazione non implica che il fenomeno sia intrinseco alla scrittura umanistica, in quanto i due gruppi (codici piccoli a piena pagina e codici grandi a due colonne) appartengono a sottogruppi diversi e. di conseguenza, non direttamente confrontabili. 66. Derolez, Codicologie, I, pp. 83-85. 67. Cff. Ker, From “Above Top Line” to “Below Top Line”: Palma. Modifi­

che. 68. Maniaci, Ornato, Intorno al testo, pp. 183-186. 69. Dal momento che il parametro comporta notevoli variazioni da un vo­ lume all’altro, il test di Student non risulta significativo. 70. I valori della tabella indicano ogni quanti segni grafici, in media, viene a trovarsi un’abbreviazione. Sapendo che nella lingua latina la lunghezza media delle parole è di circa 5 segni (cff. Maniaci, Alla fine della riga, p. 201), è facile dedurre ogni quante parole se ne trova una che contiene un’abbreviazione. 71. Secondo i primi risultati dell’indagine sulla transizione dalla scrittura carolina alla textualis, condotta da Stefano Zamponi, Antonella Tondello e Ezio Ornato, la percentuale di abbreviazioni nei codici del secolo XI - perlomeno nel nord della Francia - è assai più elevata che nel codice umanistico del secolo X V. 72. Quando la quantità di abbreviazioni è globalmente elevata, è logico che una parte cospicua di esse appaia comunque sull’ultima parola. Ciò accade evi­ dentemente nei codici «monastici», il che spiega che essi contengano più abbre­ viazioni che i codici umanistici, anche sull’ultima parola. 73. Per una trattazione del fenomeno nei suoi aspetti teorici e nelle sue mo­ dalità nell’area bizantina, cff. Maniaci, Alla fine della riga. 74. Medie calcolate su dieci righe. 75. Il test del yf dà una probabilità dello 0,1%. Lo stesso fenomeno appare nei codici bizantini (cfr. Maniaci. Alla fine della riga, pp. 230-231), ma le abitu­ dini sono differenti in altri corpora. 76. Cfr. Bianchi et alii. La structure matérielle du codex, pp. 396-402. 407409; cff. anche Maniaci, La qualità della pergamena. 77. Il contrasto eccessivamente ampio ffa i due secoli che si manifesta per le taglie più grandi è dovuto alla scarsezza dell’effettivo (rispettivamente 4 e 2 volu­ mi); ma il fatto che i codici più grandi siano alquanto difettosi nel X IV secolo e perfetti, da questo punto di vista, nel secolo successivo, non è probabilmente ca­ suale. 78. Cff. Maniaci, La qualità della pergamena. 79. Si tratta generalmente dell’iniziale posta a capo dell’opera. 80. Espressa in percentuale rispetto alla superficie totale della pagina. 81. Il cambiamento è legato all’introduzione dei pectines ad rigandum (Ca­

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sagrande Mazzoli, Foratura , pp. 432-440). 82. In sintesi, abbiamo rilevato che i sistemi di segnature per bifogli sono costituiti da lettere, semplici o raddoppiate e/o da lineette orizzontali o verticali (o da cerchi, croci et similia), disposti sia in serie logiche sia in serie casuali. È fre­ quente la segnalazione a metà fascicolo (fornita da trattini disposti in forma di + o di x: da trattini accompagnati alla lettera che contrassegna il fascicolo; dalla nu­ merazione fascicolare data al primo foglio della seconda metà del fascicolo, per es. VI se il fase, è un senione). Un ulteriore elemento distintivo del sistema può essere offerto dall’impiego di differenti sostanze scriventi (inchiostro «nero» o colorato, generalmente rosso o azzurro, «mina di piombo») oppure dalla posizione della segnatura nell’ambito della pagina (per es. quando è esaurita una serie si­ tuata. come avviene normalmente, nell’angolo inferiore destro, la serie rinascente viene tracciata nella zona centrale del margine esterno). Per queste tipologie man­ ca ancora uno studio sistematico; la descrizione di alcuni tipi in uso tra la fine del secolo Xffl e l’ inizio del successivo è offerta da Destrez, L ’outillage des copistes. pp. 29-30. 83. L’esempio più palmare di tale necessità è costituito dalle bibbie «tasca­ bili» del XIII e XIV secolo. 84. Derolez, Codicologie , I, pp. 37-38. 85. Su questo «principio», cfr. Ornato, Exigences fonctionnelles, pp. 9-10. 86. Media dei due parametri per il gruppo «monastico»: presenza oro. 43%; superficie relativa dell’iniziale più grande, 6,54%. 87. Per questi volumi disponiamo di note di pagamento che recano esplicita menzione della commissione: «fece scrivere a posta» (Fies. 11), «fato scrivere» (Fies. 19, 36. 44, 48, 51. 54, 75, 166). Inoltre, l’esecuzione dello stemma sul fo­ glio iniziale è contemporanea aH’allestimento del codice. 88. Lo spazio nello stemma, in questi volumi, è vuoto oppure è stato riem­ pito posteriormente. 89. Cff. De la Mare, New Research, I, 442. 90. Cioè 100-0,327/0,361. Nella pagina più aerata, il nero copre il 32.7% della superficie della pagina; in quella più riempita, il 36,1%. 91. Su questo principio, cff. supra, nota 58. 92. Questa doppia connotazione è particolarmente evidente nei manoscritti del Pizolpasso, i cui margini accolgono numerose e fitte annotazioni; lettore at­ tento e assiduo, il Pizolpasso era solito aggiungere anche titoli correnti, foliazione e indici che facilitano la consultazione, e personalizzava i propri libri con l'apposizione, nei fogli iniziali e finali, di motti sentenziosi. 93. L ’eccezione costituita da «Vespasiano Badia» non è rilevante, in quanto è ridotta ad un unico volume. 94. Cff. Bozzolo et alii, Noir et blanc, pp. 215-221. 95. Il sottogruppo «Pizolpasso» manifesta invece una spiccata preferenza per la giustificazione doppia. Ricordiamo, tuttavia, che i codici del Pizolpasso. alquanto omogenei, sono meno rappresentativi della produzione regionale di quanto non lo sia il sottogruppo «altri». 96. Nel caso della Badia, altre circostanze possono aver influito sulla qualità

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dei codici, e in particolare il lasso di tempo relativamente corto di cui Vespasiano dispose per l’allestimento di una così grande quantità di codici. Infatti, secondo Albinia de la Mare (New Research, I, p. 444), «to judge ffom thè manuscripts. Vespasiano was not ab le to cali on his fmest scribes to do his hasty w ork - such scribes were probably already heavily committed for other clients». Il circostan­ ziato resoconto di Vespasiano circa la fornitura di libri alla Badia (cff. supra. no­ ta 6), anche se non può essere preso esattamente alla lettera, è sostanzialmente veritiero e fornisce eloquenti indicazioni sul «tour de force» al quale egli si era impegnato. Per quanto concerne la manodopera, il tempo di allestimento e i ritmi lavorativi - «tolsi in poco tempo quarantacinque iscrittori [di cui almeno trentotto sono stati identificati dalla de la Mare] et finii volumi dugento in mesi ventidua» rispecchia probabilmente la potenzialità produttiva della bottega. Se sulla scorta di tale indicazione calcoliamo il ritmo di produzione, otteniamo che ogni scriba realizzava un manoscritto ogni cinque mesi. Poiché abbiamo computato che la media dei fogli - assemblati in quinioni - è di 243 per volume, ipotizzando il me­ se lavorativo di giorni 26, otteniamo un ritmo di scrittura di ff. 1,86 al dì e. per­ tanto, la produzione di un quinione in giorni 5,37 (ovvero, se consideriamo trenta giorni per mese, ff. 1,62 al dì, con la confezione di un quinione in giorni 6.17). dunque circa un quinione alla settimana; e ricordiamo che il pagamento era nor­ malmente calcolato a fascicolo. Per ciò che riguarda i tempi di copia - ovviamente assai variabili in funzione di molteplici fattori - vanno citati i seguenti lavori: Bozzolo, Ornato, Pour une histoire, pp. 46-48; Shooner, La production du livre par la pecia, pp. 31-34; Luna, I tempi di copia di due scribi ; Frioli. Sui tempi di copia dell'amanuense medievale-, Gullick, How Fast Did Scribes Write?', Gumbert, The Speed o f Scribes-, Vezin, L ’emploi du temps d'un copiste ; Overgaauw.

Fast or Slow. 97. Per i manoscritti di Malatesta Novello, è sufficiente citare in questa sede Casamassima, Guasti, La Biblioteca Malatestiana: le scritture e i copisti: Libraria Domini, a cura di Lollini, Lucchi. 98. Dieci linee; valore che nel gruppo umanistico, ove lo spazio è poco sfruttato, non corrisponde ad un gran numero di segni grafici. 99. L’unica eccezione è costituita dai tagli in fine pagina: i codici del Pizol­ passo presentano una percentuale molto bassa per i passaggi dal recto al verso del foglio. Dal momento che il dato non si inserisce in un insieme di scelte coerenti (per gli altri aspetti della divisione delle parole, le percentuali non si staccano da quelle degli altri gruppi), esso non può essere interpretato come l'indizio di un comportamento «dotto» tendente a favorire la leggibilità. 100. Si può fare riferimento allo Schema di protocollo concepito per il pro­ getto denominato «Italia XI», elaborato nel 1983 e sperimentato dal 1985 da un’équipe di studiosi, pubblicato in calce a Bianchi et alii, La structure matérielle du codex, pp. 446-452. 101. Si sceglie preferibilmente quello centrale del secondo fascicolo. In ogni caso nelle schede si indica sempre il foglio/i e, aU’intemo del foglio, le linee in cui si effettuano i conteggi. 102. Per limitarci a un nostro contributo, si rinvia alle schede catalografiche

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approntale per il catalogo Pavia. Biblioteca Universitaria: fondo Aldini, a cura di Casagrande. Casagrande Mazzoli, Vecchio, in Catalogo di manoscritti filosofici nelle biblioteche italiane, 7, pp. 107-272. In modo ergonomico si forniscono così le dimensioni dei quattro margini, dello specchio, delle colonne, dell'intercolun­ nio. della doppia linea di giustificazione, cioè delle colonnine laterali dello spec­ chio. Il sistema è stato recentemente adottato nella serie Manoscritti datati d'Ita­ lia. di cui sono stati pubblicati i primi due volumi (/ manoscritti datati della p ro ­ vincia di Trento , a cura di Casagrande Mazzoli et alii; I manoscritti datati della Biblioteca Riccardiana di Firen ze , a cura di De Robertis e Miriello). Diversa è. invece, l'opzione di Albert Derolez, che offre dimensioni frazionate in cinque pa­ rametri - che costituiscono la media arrotondata di più valori - e non fornisce le dimensioni dei margini che, uniche, permettono di posizionare lo specchio entro la pagina.

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