La Divina Commedia illustrata. Inferno canti I-XVII [Vol. 1] [PDF]

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Zitiervorschau

Non trascelga il lettore nei frammenti delle Rime attimi luminosi di bellezza o nelle incompiute, il ConvitJio e la Retorica. spirali effuse di sapienza. né si fermi alla suggellata armonia compositiva e

"

dimostrativa della Politica: nessuna opera di Dante basta a se stessa. e nemmeno la Commedia. assidua­

�resenta3ione

mente trascesa verso la persona umana del Poeta

e lt: persone divine dell'Autore dell'Universo. An­ che nella storia della sua fortuna. voce da sette­ cento anni vicina, a ogni fase di lettura circoscritta (quella popolaresca e rapsodica dei popolani e quel­ la sapienziale dei commentatori addottrinati. nel Tre e Quattrocento. quella storicistica del Sette e d Ottocento. e quella estetizzante ed erborizzante del primo Novecento). ha risposto una fase di ricupero, quella del Cinquecento o del Novecento colmo.

E noi, se possiamo fare una cosa e l'altra. leggere per sospensive e leggere per integrazione, antolo­ gizzare o storicizzare. procediamo dalla prima alla seconda lettura. dalla prima alla seconda cono­ scenza di Dante. solo e sempre ponendo a para­ gone poesia e sapienza. arte e scienza. il verso e l'universo. Distinguere l'opera maggiore dalle ope­ re minori. si può certo e si deve; ma per compren· dere meglio come l'unità della persona si dichiara nella

molteplicità

dei

tempi.

quel

che

l'autore

squaderna nello spazio umano e la storia della Commedia intrinsecamente legata alla sua storia d'uomo ed alla storia degli uomini. Unità dell'ope­ ra di Dante: proposizione assiomatica quando. do­ po esser proceduti dal centro al cerchio. dalla dan­ teide ai margini fioriti di quel paradiso terrestre di ingenuità ed innocenza sognate ch'era per lui il Far­ naso. si procede dal cerchio al centro. e della storia si fa ragione. Una postilla. ancora, quasi a cogliere in tma sua volontà dichiarata ed esplicita questa unità: per il cristiano vita

è

ricerca ed imitazione di

Dio: per il cristiano Dante. che all'insegnamento catechistico più dimesso. più vulgato. più diffuso in prassi ed in costume. più radicato ormai nell'umana natura. unisce l'abito del teologizzare, e che appar· tiene a quella fase della cultura d'Occidente che lo stesso rigorismo monoteistico dello scisma islamico ha sospinto ad una appassionata e concretissima e direttamente sperimentata apologia dell'Incarna­ zione, e quindi dell'umanesimo cristiano. la sua opera. che è poi la sua vita. si configura sponta­

neamente e riflessivamente come meditazione trini­ taria: egli ha vivendo. nella sua vita giovane. la rivelazione di Amore, prima in figura emblematica e poi in sostanza di vita; ma quando la sua vita cresce. e si mescola alla vita comune, e combatte e soffre per fame e sete di giustizia, egli accetta la Croce. anzi l'innalza a vessillo. segno dì vitto­ è. da un capo all'altro. sotto il segno

ria: il Poema

di Cristo. nel segno della Croce: infine dagli uo­ PROPRIETA LETTERARIA E ARTISTICA RISERVATA Milano Copyright. ©. 1965 by Fratelli Fabbri Editori Stampa Frat�lli l:'abbri Editori Milano •



mini e dalla parola si accommiata esplanando nd trattato politico della Monarchia come l'autorità pontificate e l'autorità imperiale discendano entram-

2



e--

be dal Padre: dallo Spirito. dunque. al Figlio. e dal Figlio al Padre. Come ridissolvere un'opera che è anche. tutta insieme. una dossologia trini­ taria e un segno di croce? Leggere le Rime e la Vita Nova. le une ac· canto all'altra. anzi questa dentro quelle. che ne prende riflessivo possesso. che chiama la ragione sopra l'isp1razione. per rivelarne l'essenza. signlfìca gustare esemplari poetici fra i più puri e grandi della lirica dì tutti i tempi e paesi; ma anche scru­ tare lino in fondo il passaggio dall'intUizione alla riflessione alla volontà deliberante: momenti dello spirito che la speculazione moderna ha potuto ci­ dissolvere solo perché la dottrina scolastica ed uma­ nistica li aveva unitariamente fondati. La dialettica dal segno al senso. che l'estetica moderna si trova a dover riproporre proprio sollecitata dalla cc civiltà delle immagini 11 (né qui dimenticheremo che Dante è il capostipite cc poietico " della immensa fìoritura delle arti fìgurative nell'Italia romanica e nell'Italia barocca; e di tutto il teatro moderno). Dante l'ac­ cetta senza sforzo alcuno dalla dottrina patristica. avversa. anche per eredità di cultura classica. alla superbia spiritualistica degli iconoclasti. E in lui quel passare oltre il velame ha una agevolezza e baldanza che ritroviamo fìn dal sonetto proemiale. A ciascun'alma presa e gentil core.

con altrettanta superbia, da rasentar l'improntitu­ dine. Sa di potere. chiede consiglio ai dotti poeti. a ciò che mi ridican lor parvente ,

ma già sa di volere: e che l'elezione della poesia è elezione di salvezza. Disponibilità poetica. dun­ que. debitamente allegorizzata nelle forme della rtvelazione onirica. e volontà attiva di distinguervi. di scorgervi, una vocazione. È quel sentimento. anzi quel moto vitale, che Dante consacra sulla bocca di Beatrice. anche a purifìcazione del giova­ nile errore. quando essa interrompe l'invettiva del­ l'azione paraliturgica nel Paradiso Terrestre e si rivolge a� li Angeli testimoni insonni: Qursti fu tal nella sua vita nova virtualmente eh ogn i abito destro '

fatto averebbe in lui mirabi/ prova...

Dante s'abbandona a quel tumulto del sentimen­ to e del senso. ma su lUI ed m lui vigila il lume di Beatrice e la forza operosa e amorosa della Grazta. Le rime rappresentano. nel loro complesso. quella disponibilità. e la Vita Nova rappresenta quella vocazione: con l'impegno ontologico che ogni vocazione comporta, che é di fare uno di tutto: intuizione e prassi. conoscenza e coscienza. gli amor• e l'Amore. Quando l'erudizione scruta i due tempi della composizione della Vita Nova. non fa che rendere esplicito questo dualismo della scel­ ta, che è lnsteme necessaria e gratuita. e tentarne una trasposiz•one documentana che rischia a sua volta di irrigidire in un povero deternunismo quel labile cammmo della poesia verso l'eterno. Noi non

vogliamo certo disquisire di problemi metodologici, qui: e se l'ambizione di ogni introduttore di poes•a è di offrire chiavi di lettura. ci accontentiamo di rac­ comandaztoni trep•danti: cerchi il lettore, sfìorando versi che han tanto destino. dopo di sé. di fortuna e di poesia aggiunta a poesia, di rimaner leggendo intento e pensoso. di cogliere il fragile mistero della parola musicale e di accettare il rigoroso mistero della scienza. e di sentire che da Dante poeta ma­ tura il Dante sapienzale e morale non già per una frattura e per un disporsi su diversi piani. ma per un ricupero di vita unitaria. la vita totale. o dite immortale. della sua concreta persona. Solo cosi potrà il lettore penetrare nel mondo di attesa che è la lirica giovanile di Dante. E ancor proiezione di questo dualismo e del rapporto ontologico del­ l'unitario e del molteplice risulterà il divario fra le rime più assorte. Tanto gentile e tanto onesta pare.

e le rime più disperse. adorni legni in mar

for t�

correnti.

fra la diastole e la sistole del suo gran cuore. La poetica di Dante lirico è tanto chiara. per il lettore moderno. non solo perché confluisce nella totalità artistica. dottrinale e morale della Comme­ dia. che a sua volta. riflettendovi i suoi stilemi chiu­ si e perentori, la definisce. ma perché da quell'au­ tobiografìsmo lirico è discesa tutta la poesia mo­ derna, e tutta la narrativa che ha accettato di sta­ bilire un nesso intrinseco fra il soggetto e l'ogget­ to. C'è Petrarca. su questa traccia. discepolo av­ verso. e c'è Shakespeare: l'unico che sappia pro­ porre uno spazio quasi altrettanto vasto al viaggio dell'tspirazione lirica: e c'è Goethe. pur più corpo­ �o d'invadenza e d'umori. E c'è Rousseau. à.e apre una fase della narrativa moderna. e c'è Proust. che la chiude. La poesia del Novecento. fra Unga­ retti ed Eliot, ha dato alla lettura un contributo che la critica. da sola. non avrebbe saputo. Ma anche questo dato storico lo si traduca in racco­ mandazione soltanto: accetti il lettore di far con­ Hture nel testo che gli è offerto tutto il tesoro della memoria. Poi. sulla strada della Commedia. all'eterno dal tempo ero venu to e da Firenze in popol giusto e sano. e proponendo altrui la comprova di quella dignità di elezione di cui meditando e poetando si è fatto ben certo. ecco il Convivio: banchetto di sapienza imbandito a quei primari cittadini dell'Italia comu­ nale con cui il priore fìorentino s'è trovato a col­ laborare e competere nella ambiziosa e sfortunata fase della sua politica attiva. In volgare e rivolto all'incremento del viver civile. è il libro che fonda un nuovo umanesimo. con il nuovo rapporto storico fra l'antico e il moderno. Qui si dichiara. per la prima volta. che il volgare, questo modo espressivo e comunicativo tanto più legato alla natura che la

3

astrattiva e razionalistica

(XXXVIII, l 0), direttamente citato dalle parole di Dante, e il testo del Salmo LXXXIX, l O (( dies annorum nostro­ rum septuagìnta anni

>>,

da esse indirettamente alluso,

evocano un'atmosfera solenne in cui il discorso acquista come una dignità liturgica, il sigillo sacro di un annun­ zio misterioso." (Getto) Osservazioni analoghe si possono estendere al I canto nel suo complesso.

;>- Tra

i momenti lirici di più agevole lettura spiccano, in questo canto, il drammatico paragone del naufrago,

la paradisiaca apparizione della luce sulla cima del colle, la dolente elegia di Virgilio consapevole di essere per sem­

alla lettura chi intenda accostarsi al « poema sacro , per

pre bandito dal premio dei beati (oh fdice colui cu'ivi a�gge!). Dal canto suo la rappresentazione delle fiere,

cosa l'intrico di simboli che ne adombrano il mistico

pur rispondendo a criteri allegorici, è tutt'altro che fredda

significato. Una più cordiale adesione alla parola del

e classificatoria. Non possiamo vedere in esse soltanto

Poeta, pur nel suo laborioso maturare, gioverebbe senza

"tre motivi da miniatura medievale e da bestiario".

altro meglio allo scopo.

Ancora il Getto, svolgendo alcuni spunti chiarificatori

L'ostacolo maggiore per noi, nel seguire Dante agli esordi del suo capolavoro, è senza dubbio costituito dal· l'allegoria, questo schema interpretativo che

è

stato argu­

tamente definito da uno storico la « pianta parassita nella

serra della tarda antichità >> e c:he ritroviamo in tutte le manifestazioni dell'arte del medioevo. La nostra men­ talità positiva, tutta volta al cncreto e all'« effettuale

))1

ben difficilmente trova di che nutrirsi nel miracoloso tes­ suto di rispondenze che la mente medievale scorgeva dap­ pertutto nell'universo. Perduto il senso del «sacro>> , sten­ tiamo a scorgere nelle cose la traccia di un Creatore, la misura di un ordine sottratto al fluttuare degli eventi. Ai tempi di Dante non era così. Il linguaggio dei simboli era di dominio Gomune, l'uomo era avido di > che colmassero l'infinita distanza che lo separava da Dio. Ma anche a noi l'allegoria non può non apparire legit­ timata in pieno, là dove crea un linguaggio autonomo, non vincolato alla lettura

• che essa propone.

Se cioè essa non esaurisce le sue risorse espressive nella

delimitazione del proprio ambito di concetti, ma anzi, come quasi sempre ìn Dante, conferisce alla parola, coll'immetterla in una prospettiva infinita, una dimen­ sione espressiva che altrimenti non avrebbe, allora dob­ biamo riconosccrle il diritto a una considerazione non prevenuta sul piano della poesia. Forse la poesia dei canti introduttivi della Comm�dia va cercata nel tono particolarissimo che l'uso dell'allegaria conferisce alla parola di Dante: tono severo, assorto, meditativo in cui rivive, riportato entro una prospettiva medievale, l'alta ispirazione dell'Antico Testamento. •

dimidio

genti ,". Tanta severità non è certo fatta per invogliare la via additata dal suo autore, affrontando cioè per prima



da echi biblici e profetici. Il testo di Isaia oscura ("la selvo� erronea di que· sta vita": Coovivro IV, XXIV, 12). che

mi ritrovai per una sefva oscura c�e Ca diritta via era smarrita.

viso, con terrore, di non aver plu alcun

nostro vita:

punto sommo di questo arco... lo credo che... sia nel trentacinqueslmo anno" (Convovto IV, XXIII, 6 e 9), Mi rltrovm per uno S{'lvo oscuro· la

·.

delmente. La sua vicenda è quella di ognuno

di

noi. Pio

da questi primi

vers1 Dante trasferisce quindi la sua esperienza personale su un piano di va­

4.

P più mOrti':

peccato è

IO.

Non sono in grado di spiegare il modo

In cu1 VI entrat, tanto la mia mente era ottenebrata dall'errore (tant't're pieno

di sonno), quando abbandonai

MI t assai difficile descrivere questa

mmo dt'lla ver1tà.

(esta) selva inospllale, Irta di ostacoli

pensarcl risuscita In roe lo sgomento.

Il tormento che provoca r di poco In· ferlor comune­ mente più occupano l'umaJJa gen.era­

sanza pace, vive ai nostri occhi di

zlonr" (OtUmo) . Dei moderni alcuni ' hanno visto in esse le tre faville c: hanno

vita poetica propria, al di là di ogni

i cuori accesi (Inferno VI. 75). cioè

angusta determinazione concettuale: né Più che un animale rule, la lonza. il cui nome c1 rocorda qutllo della lince (/once nel francese ant1c0). t una fan­

tasiosa creaz1one del Poeta. Questi cc la presenta come un fehno di singo­ lare eleganza, snello e quas1 attraente: il suo aspetto poacevole alla vista può forse alludere alle muh1formi (il pel ma· eu/aro t. p1ù sotto. la nacrta pelle) ten­

taZIOni del peccato. Terrib1le sarà In·

vece J'a.,petto del leone: forza. ostina­ zione, furore si sprog1onano dalla sua statuarla figura, tanto che lo sgomento

può parlarsi al riguardo di una rallìgu.

superbia. inv•dia. avariz.ia; altri, /e tre d•sposiliOn che '/ c:u!l non vole (In­

razione "lievemente grottesca" (Rossi). Proprio la sua famelica magrezza. il

ferno Xl. 81 ) . cioè malizia. maua be­ stialità e incontmtnza.

controsenso logico che in essa s'in· cama, l'aspetto irreale, continuamente contraddetto dalla sua VIVa presenza e

37.

mattìno; era il tempo al princ1p1o del

in cui pare configurarsi una minaccia

matllno) '-' il sole saliva In cielo nella costellaz1ont> dell'Ar�ete. con la quale

che non è di questo mondo. costrin­ geranno alla linr ìl Poeta a tornarsene

si era trovato m congiunzione allorché Iddio (t'amor divino)

sui propri passi, a disperare. Che le tre

fiere propongano una

lettura in

chiave allegonca è chiaro. Non facile è apparsa tutlavla ai commentatori

Era l'alba (temp'era dal principio del

iO.

creò. imprimendo loro il movimt>n· to. oli astri (cose bel/t>); pt>r questa







-

.

'

.

43

C'ora dd tempo e Ca d'ofce stagione; ma non sì cbe paura non mi d'esse Ca vista cbe m'apparve d''un (eone.

46

Questi parea cbe contra me venesse con Ca test'aCta e con ra&&iosa fame, sì cbe parea cbe C'aere ne temesse.

49 37 Temp'era dal principio def mattino, e 'f sof montava 'n su con queffe steffe cb'eran con fui quando C'amor divino

Ed una Cupa. cbe di tutte &rame sem&iava carca nelfa sua magrezza. e mofte genti fe' già viver grame,

40 mosse di prima queCfe cose &effe; sì cb'a &ene sperar m'era cagione di queffa fera aCCa gaetta peCCe

questa mi porse tanto di gravezza con Ca paura cb'uscia di sua vista, cb'io perdei Ca speranza dell'altezza .

Ed' ecco. quasi af cominciar ddf'erta. una Conza feggiera . e presta mofto. cbe d'i pef macufato era coverta;

31

34 e non mi si partìa d'innanzi a( vofto. anzi impediva tanto if mio cammino, cb' i' fui per ritornar più vofte vofto.

lnf«11o l,

sz

49-Sl

LA Commedla,

lnfuoo. Min. lombarda



prima meta dd •�colo XV



(Patlgl, BibUottca Nuiona.l� •

Ma. lt. 2017



f. IO v)

15

ragtone erano pfr mc ausptcto di vit­

(o bene sperar) su quella belva (goctto)

toria

dalla pelle screziata

43.

rora m�ttuhna e la primavera

(la dolce

rl sole � nel segno delrAncte

sragronc:

appunto tn qutst3 stagione l . non tanto

tuttavta

da far si ch'to non

r di sua vittoria e def papaCe ammanto. J. .,

28

Andovvi poi Co Vas d'efezione, per recarne conforto a queffa fede cb'è pri nei pio a Cfa via di safvazione.

la cosa non appare ingiustilicata (in­ degno) a chi ragiona (omo d'intelletto) ; poiché egli fu presctlto da Dio (nel· l'empireo ciel) come capostipite della nobile Roma e d�l suo impero: Però, se l'avversario d'ogni male: con­ tro i presuppostl dell'esegesi tradizio­ nale. per i quali oggeuo del giudiz-io dell'uomo assennato è la cortesia usata da Dio ad Enea. il Pagliaro sottoli.nea "l'impossibilità. per cosi dire. ideologi­ ca. di attribuire al Poeta della cristia­ nità medievale. che nella teologia ha concentrato e trasfigurato la pienezza e la purezza del suo amore terreno. un aueggiamento irrispet!oso o per lo me• no distrailo. al punto da fargli dire che un uomo di senno non può obbiettare nulla contro il favore dimostrato da Dio nei riguardi di E�a..... Il giudizio dell'uomo assennato verterebbe qwndi sulla persona di Enea. non sulla corttsta di Dio. Quanto alla domanda affacciata da alcuni interpreti. se cioè Dante cre-· deva alla discesa agli Inferi di Enea (di cui Virgilio parla nell'Eneide. canto VI. 237 sgg. ) come a un evento stori­ camente accertato. occorre ricordare che per la mentalità medievale il problema non si poneva in questi termini: un fatto veniva accettato come vero per il mo­ mento di verità interiore che in esso ap­ pariva contenuto.

Nell'empireo ciel per padre eletto: il

cielo Empireo è il decimo. il piu remoto dalla terra. quello che rinchiude in sé tutto il creato ed è sede di Dio. 22.

Roma e il suo impero. se vogliamo es­ sere esatti, furono costituiti da Dio per preparare il luogo sacro dove ha sede il pontefice. successore del grande (mag­ gior) Pietro.

25.

A causa di questa discesa (nel regno dei morti). di cui (nel tuo poema) lo hai considerato degno (li dai tu vanto) , apprese fatti (il padre Anchise gli pro­ nosticò il felice esìto dei suoi travagli e la grandezza di Roma) che furono le premesse (cagione) della sua vittoria (nella guerra contro i Latini e i loro alleati) e dell'autorità papale (papa/� ammanto: Enea, Infatti. pose le basi per l'affermarsi della potenza romana e. �rciò. indirettamente. della potestà papale) .

28.

L'apostrofe di Dante a Virgilio inizia sul tono di un ragionamento dimostra· tivo. "ma si trasforma via via in una commossa apoteosi di quella Roma Ideale. latina e cristiana. che. per di­ vina eluione. dov�va essere luce di vita temporale e spirituale al genere umano" (Crabher) .

La seconda discesa nell'oltretomba è quella di San Paolo, l'eletto da Dio

29

(/o Vos d'elezione) , Il quale vi andò per trarne forza (con/orto) per la dif· fusioM della fede cristiana. senza la qu�le la salvezza t impossibile.

Vas cfelezione: Il vaso dell;� scelta, il recipiente colmo. per decisione dovina. di grazia: nel Porodiso (canto XXI. versi 127- 128) Dante chiamerà San Paolo il gr(Jn vosdlo dello Spiriro San· to. Il verso allude al rapimento misUco che San Paolo rivela di aver avuto. . �llorché . se nel suo corpo. o fuori del lo sa Iddio. fu rapito Ano suo corpo .. al terzo cielo ( I l Corinti XII. 2--t). ...•

31.

Ma qual è il motivo per il quale lo devo intraprendere questo viaggio? chi mi autorizza a farlo? Non sono né Enea né San Paolo: né io mo ritengo

.

' . , ,

. . . . .· '

'l \ • l ' . • l ..

.

' l o !:.



l

Perciò, se. per quel che riguarda que· sto viaggio (dd venire). m'induco ad acconsentire (m'obbsndono) , temo che la mia venuta (nell'oltretomba) siOl te· meraria: sei saggiÒ; sei in grado di comprendere meglio . (me') di quanto lo non sia In grado eh esprimermi (ra·

3-t.

giono) .>.

.

.

37.

E nello stato d'animo di chi cessa Iii volere (disuuol) ciò che ha voluto pri· ma e cambia Intento per fl sopraggiun­ gere di nuovi pensieri, in modo da scostarsi (tutto 3i tol/r) dal proposito Iniziale (cominciar),

40.

venni a t.rovarml lo su quel buio pen­ dio (è scesa nel frattempo la notte ) , perché portai a termine (consumai) , col pensiero ( prevedendone tutti gli ostacoli e rendendoml conto della sua folle temrrarlet à). l'Impresa cui mi rro

Inferno Il, SO·Sl La Commedia, Inferno. a.

H81

Incisione attribuita a Bacdo Baldioi su disegni di Sandro Botticdll • (Sitna, Biblioteca Comunale dronte, •n quel vestibolo dell'mfer­ no che l'autore dell'éncide aveva as­ St>gnato agli insepolt l. Ma la conct>zione eroica ed intransi­ gt>nte che il Poeta ha del nostro com­ pito In terra. conferisce alla sua parola vigore eccezion.

Virgilio. occorre tener presente che In

quest'ultimo si incarnano. per Dante, le più eccelse qualità della poesia. quasi un traguardo di perfezione nella cui contemplazione egli si perde. Non si tratta di un sovrassenso meccanica­ mente imposto alla lettera (come po­ trebbe essere la ragione. o la filosofia. l'idea impe­ o . sul pìano politico riale. cui di volta in volta la figura di Virgilio é stata ricondotta , con scrupolo forse eccessivo, dagli interpreti). ma di •

82.

E ( dopo essere qui giunti) ecco diri· gersi alla nostra volta, su un'imbarca· zione, un vecchio, canuto (bianco per

antico pelo ) . che gridava : « Sventura a voi. anime malvage (prave)

l

55 e dietro fe ve11ìa sì lunga tratta di gente. cb' io 11011 averei creduto

70 E poi cb'a riguardare oftre mi diedi, vidi genti affa riva d'un gran fiume; per cb' io dissi: « Maestro, or mi concedi

58

73 cb' i' sappia quafi sono. e qua( costume fe fa di trapassar parer sì pronte, com' io discerno per Co .fioco fume».

cbe morte tanta n'avesse disfatta.

61

50

un senso più vasto del significato let­ che da quest'ultimo continua·

umiltà di Dante nei confronti del mae­

Poscia cb' io v'ebbi afcun riconosciu.to, vidi e conobbi C'ombra di cofui che fece per viftà iC gr(ln rifiuto.



\� \

lncontanente intesi e certo fui cbe questa. era Ca setta de' cattivi, a Dio spiacenti ed a' nemici sui.

7 6 Ed effi a me: . Dicend6 questo (cosi) si avviò e mi Ieee entrare nel primo �erchio che chiude tutt'intorno Il baratro. Virgilio manifesta profonda pietà per quel dannati di cui egli si trova a di­ videre le sorll. Il pensiero angoscioso delle pene Infernali glo fa troncare Il discvrso: Andiam. ché la via lungo ne sospiync. Il poeta latino ha per­ duto la sicurezza e la baldanza dimo-

strate nella risp�ta a Caronte e negli incitamenti a Dante del canto prece­ dente. Un'ombra di tristez:ta vela le sue parole. 25.

Qui, per quel che si poteva arguire non hanno commesso se hanno meriti ( metcedi l, bastano (a rcdimerli) . privi del battesimo. che senziall" della fede in

Sospiri, che l'aura etterna facevan tre­

mare: questi c sospiri :> si contrappon­ gono idealmente all'incomposto bestem­ miare delle aoim del canto precedente.

61

, ,._

..

'

'\ •

iO.

Pn tal� mancanza

(difna lununosa. trau:�ndo argomenti di cu• (ora) � opportuno tacere, non meno di quanto fosse convemente parlame

106.

109.

Giungemmo al picd• di un maestoso ca­ stello. c•rcondato da sette ordini di alte mura. protetto tutt'intorno da un leggiadro corso d'acqua. Lo attraversammo come se lo.ato Il Getto "quo >i allerona on,onda:oon.ato al tiR t�zoone dcii� presenza

nel nobile castello di personaggi leggen­ dari o politici come Ettore o Bruto) ". Elettra fu progcnotroce della stìrpe troia­ na e qumdi dei Romani: Camilla t l'eroina atalica morta nella guerra che segui all'onsediamento deo Troaanl nel Lazio. e di cui è già stata fatta men­ zione alla fine del canto primo (verso 1 07 ) . Pentesilen c la molica regina del­ le Amazzono uccosa da Achille. È ri­ cordata nell'Eneide (l. '190 sgg. ) . dove Latino e sua figlia La.vinia (promessa a Turno. rt> del Rutull. sposò poi Enea: questo matrimonao scatenò la gut>rra fra Troiani e ltalicì ) sono personaggi di primo paano. Il primo pcrson.1ggìo storico dell'elenco � Il creatore dell'im­ . pero romano. Giulio Cesare. . primo prenclpe somrno' (Conviono IV. V, 1 1 ) . visto in un verso di straordinario rilievo come il prototipo del guernero. Accanto a lui sono 1 due croa pou va­ lorosa dell'antica Troo�. Bruto fu Il fon­ d.ltore dcii.. repubblica rom,ond, dopo avt'r scaccioto l'ultimo re. Tarquinoo ol Superbo. e Lucrnla la donnil per vendicare l'onore della quale Bruto. con Collatono. capeggaò la rivoltn contro l Tarquinì. Goulla fu Aglia di Giulio Cesnse. uçcososo In seguato alla sconfltt del p;orllto pom­ peiana jn Afnca ad opt>r.a di Cesare.

Cornelia madre di Tibtrio e Caio Gracco. La rassegna si conclude. dopo questo elenco di figure del periodo repubbli· cano. con un verso divenuto celebre non meno di quello che carattenzza Cesare. In esso Salah-ed-Din, sultano d'Egitto dal 1174 ill 1 193. celebrato da­ glo scnttorl del Medioevo come prin­ cope di grilndc liberalotà e giustizia, ap­ pare so/o e ln disparte. Il suo isola­ mento, dovuto al fatto che è di altra storpe e di altra religione. conferisce allbiltà d' anrmo. delicatezza di sentimenti e peccato. L'uomo nuovo, da poco ridestatosi in lui. si erge a giudice dei giovanili en­ tusiasmi che lo avevano portato ad ideoti.fìcare bellezza e bontà, fìnezza di anrmo e di modi e vita morale.

121.

124.

E Francesca : « Nulla addolora mag­ giormente che ripensare ai momenti d.i gioia quando si è nel dolore (miseria l : e di ciò è consapevole il tuo maestro (dottore) . Ma se un cosi a ffettuoso interesse (co· tanto affetto ) ti spinge a interr�armi sul modo in cui si manifestò per la pri­ ma volta (la prima radice: J'origrne prrma) il nostro amore. farò come chi parla tra le lagrime (piange c dice) . Tu hai cotanto affetto: il De Sanctis rileva come qui la parola affetto non possa essere interpretata soltanto come

sinonimo di « desìderro :o. secondo una spiegazione scolasticamente insensibile ai valori della poesia: "Quando Fran­ cesca. sforzando la grammatica. dice affetto, non è già i l desiderio eh� Dante abbia di conoscere la sua storia che le si presenta immedfatamente innanzi. ma l'affetto col quale esprime il suo desiderio...

"

ns

Poi mi rivofsi a foro e par(a' io, e cominciai: (cosi com'io morisse); e caddi come cade un corpo inanimato.

..

.

· =





nferno, Canto VI



Una pioggia naus�abonda, mista a grandin� � nt�v�, tormenta i dannati dd t�rzo cer­ chio: i golosi. Un can� trifauc�, Cerbero, li dilania senza tr�gua. Alla t1ista d�i du� po�ti il mostro dà sfogo al suo furor�, ma Virgilio non ha �sitazioni: g�tta n�lle famelich� gol� una manciata di fango � la bdva, tutta int�nta a divorarlo, si placa. Dant�, con il mae­ stro, proscgu� il suo cammino calp�stando la sozza mistura di fango � ombr� di p�ccatori, quando, all'improvt,iso, una di us�, lcvatasi a s�dcr�, si rivolg� a lui esclamando: « Ricono· scimi, s� n� s�i capace > 1 . Ma tanta è la soffer�n�a che ne deforma i lineam�nti, da non con· untiu al Po�ta di ravvisar� in �ssi una fisionomia a lui nota. Allora il dannato rit,�la il suo

nom�, Ciacco, � prof�tizza, richiesto dal suo int�rlocutor�, il prossimo trionfo in Firenu, covo di ingiustizi� � di odio, d�/ partito dcì N�ri. Ad una pr�cisa domanda d�! p�llegrino Ciacco riv�la eh� i grandi p�rsonaggi politici d�lla Firenu del pauato scontano i loro p�c­ cati n�/ buio d�ll'infcrno. Terminato il suo diu, con un'�spr�ssion� eh� non ha più nulla di umano, cad� p�sant�mcnt� a terra, in m�zzo agli altri suoi compagni di p�na. Virgi­ lio, a questo punto, ricorda al suo discepolo cl1c Ciacco, al pari degli altri dannati, riavrà il suo corpo nel giorno dd Giudizio Uniu�rsal� � eh�, dopo la risurr�zionc della carn�, l� soffer�nz� d�i r�probi aument�ranno d'it1tmsità. Giunti nel punto ov� è il passaggio dal terzo al quarto cerchio, i du� viandanti s'imbattono nel chmonio Pluto.

89

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INTRODUZIONE CRITICA

I canti quinto e sesto hanno uno svolgim�nto �arrativ? , sostanzialmente identico. Esso, per comod1ta d1 esposi­ zione, può articolarsi in quattro �omenti : incontro col . . demonio posto a guardia del cerch1o, descnz10�e del sup­ plizio inflitto ai dannati (la huf�ra... c e ma1 non :�si� . e la piova dterna), drammauco colloqu1o c�n uno d1 essi (Francesca, Ciacco), cui fa seguito la reaz1?ne d�l per� sonaggio Dante (nel quinto canto la perd1ta de1 sensi alla vista del pianto di Paolo; nel sesto la domanda rivolta a Virgilio sull'intensità delle pe� e infer�ali dopo la risurrezione dei corpi). Ma le analog1e non SI fermano





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qui : almeno per i 24 versi iniziali del canto dei lussu­ riosi anche l'ordito ritmico appare identico a quello del sesto canto : ogni terzina è un mondo a sé; �i sostituisce, più che subordinarsi, alla precedente; ne npropone, al tempo stesso, forme, idee, in flessioni; ha, nella vis espres­ siva, la sua prima ragione di essere; rifiuta lo sfumato, non meno di quei nessi sintattici che altrove struttu­ rano la robusta logica della Commedia e sono indici di una concezione che nel reale scorge, al di là del problema, la fermezza di un ordine precostituito ed eterno (con felice intuito è stato visto nel ritmo ternario del poema quasi un equivalente dell'argomentare sillo­ gistico). Nel canto di Paolo e Francesca questo rigore finiva tuttavia con lo stemperarsi nella partecipazione affettiva di Dante, si colorava di pathos, di risonanze umanissime. Troviamo invece, lungo tutto l'arco del sesto canto, una tenace insistenza sul tema dell'inumano, del mostruoso, dell'assurdo. La vita, proiettata nell'al di là, sottratta al tempo che ne costituiva il lievito, ci si mostra dapprima come spaesata, aperta a significati inconsueti ; appare, ad una considerazione immediata, irrazionale. Solo in un secondo tempo (nel Purgatorio e nel Para­ diso : quest'ultimo è tutta una glorificazione dell'ordine del creato) questa irrazionalità si svelerà come una ra­ "Zionalità più alta, abbacinante nel suo fulgore, insoste­ nibile per l'intelletto non visitato dalla Grazia. Ma nel­ l'Inferno questa razionalità non appare ai nostri occhi ancora completamente dispiegata. Nella prima parte del canto dei golosi l'irrazionale, l'assurdo, si esprimono nella figura di Cerbero. Già in Caronte (colpiva in lui la rabbia immotivata, il suo mu­ tismo nel trattare con le anime : per c�nni com� auge/ per suo richiamo), e più ancora in Minosse (nel ringhio bestiale, nell'atto di avvolgere la coda per significare la dannazione, nella sommarietà del giudizio : dicono e odono, e poi son giù volte), c'era stato un allontanamento dall'umano, una progressione nel senso della cecità spi­ rituale. Ma queste figure serbavano, nell'atto di rivol­ gersi a Dante, una certa solennità di eloquio, si ser­ vivano di formule quasi rituali. La loro personalità de· rivava, proprio dal contrasto fra elementi ferini e umani, una compiuta armonia sul piano dell'arte. Cer-

90

bero è invece animalità allo stato puro, tanto più viva quanto più ottusa e demente (non avea membro che tenesse fermo). Lo accomunano ai due guardiani pre· cedenti soltanto i tratti ferini. Notiamo, tra l'altro, la rispondenza e, al tempo stesso, il divario, tra i versi che definiscono Minosse e quelli che ci mostrano Cer­ bero nell'esercizio delle sue funzioni : per fare un esem· pio, al verso · dicono e odono, e poi son giù volu - fa riscontro, nella raffigurazione del cane trifauce, l'atto non più dell'inquisitore, ma del carnefice graffia li spi­ riti, scuoia e disquatra. Analogamente, se ci volgiamo a considerare la descrizione delle pene inflitte rispettiva­ mente ai lussuriosi ed ai golosi, quella dei lussuriosi ci si presenta come nobilitata dallo scenario fosco e drammatico. ingentilita da similitudini che la ricondu­ cono nell'ambito di una natura familiare. Nel sesto canto, invece, anche il paesaggio riflette il venir meno dello spirito, quel torpore dell'intelligenza che rende indimenticahilc l'apparizione di Cerbero : sotto la piog· gia eterna le anime non si distinguono neppure fisica· mente le une dalle altre, rapprese come sono nel putrido fango che le macera. Dal canto suo. la figura del goloso che predice a Dante l'avvenire di Firenze, !ungi dal contrastare col quadro in cui è inserita, denuncia, nel modo del suo apparire, nella secchezza del suo discorso, nel suo spa· ventoso ricadere a par d�lli altri ciechi, la stessa oppri­ mente tristezza che ha lo spettacolo della pioggia, lo •

stesso desolato automatismo che presiede al manifestarsi del furore di Cerbero. Il Momigliano ha indicato, nelle parole con cui Ciacco ricorda il mondo dei vivi, ac· canto alla malinconia, il malumore, una condizione dell'animo che appare dunque al limite fra il riflesso fisiologico e il sentimento cosciente. Ma le riserve da lui avanzate a proposito della "parentesi politica�. che inse­ risce come una nota stridente "in questa personalità pa­ tetica sbozzata con una sensibilità viva e sicura ", per cui il personaggio di Ciacco non risulterebbe bene scelto in rapporto alla profezia che il Poeta gli fa pronunciare (perché, tra l'altro, "non dimostra nessun interesse per­ sonale alla politica e ne parla solo per far piacere a Dante"). gli impediscono di vedere come questo disin­ teresse sia invece una manifestazione del suo « io '' più profondo, e rifletta l'atmosfera del canto nel suo com­ plesso. Diversamente da quel che accade per le figure di primo piano dell'biferno, l'espressione che sembra ca­ ratterizzare con maggior compiutezza quella di Ciacco si riferisce ad un atto che non ha più nulla di umano: l'ano in cui egli "stravolge gli occhi, rimane un mo­ mento immobile, china la testa, poi ricade sul suolo lastricato di ombre : con·e se morisse: un 'altra volta" (Momigliano). Ma le parole con cui Virgilio commen­ ta l'uscita di scena del personaggio ne collocano la ngura sotto il crisma di una validità eterna, nella luce di una Potenza avvertita come supremamente giusta.

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lalerao VI, 1·3 La Comm�dia. laleroo. Mio. attribuita a Giotto o alla sua scuola • Kcolo XIV •

{Cbantilly, Museo Coodi M.. S97 • f. 34 v)



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Canto V I I

4

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7.

AC tornar dd[a mente, c&e si c&iuse dinanzi arca pietà de' due cognati. c&e di trestizia tutto mi confuse, novi tormenti e novi tormentati mi veggio intorno. come cb' io m i mova e cb' io mi voCga, e come c&e io guati.

Quando riprendo la conoscenza (a/ tor· n11r dd/a mente l. che #ra rimasta In me oiiii$Ce questo riceve.

22

Quando d scorse Ce.r&ero. iC gran vermo, fe &occf>e aperse e mostrocc.i Ce. saune; non avea me.m&ro cf>e tenesse fenno.

13

Cer&ero, fiera crudeCe e diversa, con tre gofe caninamente Catra sopra Ca gente cf>e quivi è sommersa.

25 Lo duca mio distese (e sue spanne, prese fa terra, e con piene fe pugna Ca gittò dentro aCCe &ramose canne.

16

Li o.ccf>i &a vermigli, Ca &ar&a unta e atra, e C ventre Cargo, e ung&iate fe mani; graffia (i spiriti. scuoia e disqualra.

28

7

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Qua( è queC cane cf>'a&&aiando agugna, e si racqueta poi cf>e '( pasto morde, Cbé so(o a divorar(o intende e pugna,

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31.

31

tale divenne il sozzo aspetto del triplice volto (quelle fscu lorde) del diavolo �rbero. cht (col suoi latrati l stordisce ('ntroml) a peccatori a tal punto. da far loro desiderare la sordità.

31.

(Camminando) calpestavamo le ombre che la pioggia fastidiosa (greve) pro· stra (adons). e mettevamo le piante dei nostri piedi sulla loro Inconsistenza(va­ nità) materiale, che ha l'apparenza di un corpo umano (peuona).

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cotai si fecer quef(e facce Corde dd(o demonio Cerbero, c6e 'ntrona . C'anime si, c6'esser vorre&&er sorde. Noi passavam su per C'ombre c6e adona Ca Breve piOBBia, e ponavam (e piante sopra (or vanità c6e par persona.

..

Dopo la mossa e vibrante ralllguraziooe di �rbero questa terzlna cl rlpropone

n tema. improntato a pesante tristezza.

3]

dell'uggioso paesaggio Infernale. Qui la

tristezza è accresciuta dal fatto che i due poeti sono costretti. per poter pro­ cedere nel loro cammino, a calpestare le ombre dtl golosi; la perifrasi sopra /or vanìlll che par persona, dandoci

ECCe Biacean per terra tutte quante. fuor d'una c6'a seder si (evò, ratto c6' dfa ci vide passarsi davante.

. .

quasi la trascrizione In chiave morale dell'anconsistenza di questi spettri, con· ferisce allo stato d'animo di Dante una straordinaria profondità di risonanze.

37.

Erano tutte distese per terra, ad ecce­

zione di una che si levò a sedere. non appena ci vide (ratto ch'ella ci vide)

passarlt (piUSarsì) davanti. Bene osserva il Del Lungo come la ttr­ zioa precedente prepari. lnslemP al pri­ mo verso di questa. la subitanea appa­ rlzaone dell'ombril che ravolgerà la pa­ .. rola a Dante: quella serie d'Imper­ fetti psusvam, ponevam. glecean, in· chaude e quilsl strascica qualche cosa come di preparazione e d'attesa di no. vltà, la quale. poi, al verso luor ch'una

ch'a seder sì levo, scatta baldanzosa di

suoni, di sintassi. d'lmaglne, che secon. d:ano

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mirabilmente

l'atto

dell'ignoto

dannato". L'ombra che si leva a sedere al passaggio del due poeti è quella di Clacco. un fiorentino in cui qualcuno ha voluto ravvisare I l poeta Caacco dei­

I'Angullluaa. Secondo altri, Ciacco (nel significato di « porco " l sarebbe soltan­ to un soprannome dato a questo go­ loso. DI questo fiorentino cl ba lasciato un vavo ritratto il Boccaccio: "Era mordatore di parole. t le sue usan­ ze erano sempre co' gentili uomini e ricchi, e massimamente con quelli che

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94

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lnftrDo VI, M·36

N�Ua colorita immagùsr cnctJIIuca

atmosfua dd giroDtai tvoln ùs cuoi icooografid dJ UD rtalbmo ùsgtJiuo, quasi popolartggianlt.

la cupa

"Giudizio UDivusalta lnfuoo" di Taddto dJ Barcolo

(c. l362-H22) • (particolari). (Sa!� Gimigoano, CoUtgùala)

40

«O t u c�e se' per questo inferno tratto•, mi disse, «riconoscimi, se sai: tu fosti, prima c�· io disfatto, fatto•. E io a Cei: «L'angoscia c�e tu 6ai forse ti tira fuor deCCa mia mente, si c�e non par c&' i' ti vedessi mai.

46

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Ma dimmi c�i tu se' c&e 'n si doCente foco se' messa ed a sì fatta pena. c�e s'aftra è maggio. nu((a è si spiacente�>.

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95

..

splendidamente e delicatamente mangia. vano e beveano. da' quali. se chiamato era a mangiare. v'andava e similmen­ te. se tnvltato non era, esso medesimo . s'Invitava ..

10.

c

O tu che sei condotto (tratto) per

questo Inferno». parlò. c vedi se sei in grado (se sai) di riconoscermi: tu na­

scesti (/osti... fatto) pr1ma che io mo­ rissi (prima ch'io disfatto). :o

Clacco. dolorosamente consapevole di essere sftgurato nel suoi lineamenti dal dolore che lo tormenta. propone a Dante l'enigma della sua identità: riconosctmì. se sai. "E. per dire che Dante è nato prima ch'egli morisse . usa un apparente bisticcio. che serve invece a porre p1u forte la tremenda antitesi. anche verbale. di due decisivi momenti della vita umana. il

«

farsi :> e

il c disfarsi :o la nascita e la morte; dalla quale - e ne r�salta la potenza .. dtstrul!rtce . fu disfatto. (Grabher)

Il

L'alterarSI delle fattezze umane nei dan ­ nati è uno dci mohvt su1 quali la fan­ tasta del Poeta torna con maggior insi­ stenza e con efletti di notevole efficacia

-

sul ptano dell:o poesta. quasi a ribadire il carattere di semplice apparenza che ti nostro corpo r�veste. agli occhi di Dio. di contro alla indistruttibile so­ stanza che é ranima.

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l.nferno VI, 49-SO Ùl

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lA d.iacordla nella città dl Pirenu

una

min.latura florentiAa dd are. XIV dd "Maatro dd Biadaiolo".

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43.

E io: «La pena (angoscia) che li tor· menta forse ti allontana (lira fuor) dalla mia memorla (mente) . cosi che mi sembra di non averti mai veduto.

46.

Ma dimmi chi sei, anima collocata in un posto cosi doloroso ed assegnata ad un tale tormento. che, se pur ve ne sono di più grandi (maggio: maggiore). nes· suno è altrettanto lastidJoso (spia­ cente) ».

49.

Ed egli: « Firenze. che a tal punto � colma di odio (invidia) da non poterne più contenere (C"he già lraboaa il sacco). mi ebbe ha i suoi abitanti ( seco mi tenne) quando vivevo sulla terra (in la vita serena) . Il piacevate motteggiatore di un tempo è qui serio. pen.soso. amaro: quanta ma. linconia in quell'attributo serena. che qualifica la vita sulla terra fdealmentt.> contrapponendola alla dura condiziont dei dannati! La morte conlensce. nel poema di Dantt.>, un tragico rìlievo an· che a figure che, considt.>rate in se stesse. non avrebbero nessuna delle qualità che caratterizzano l'eroe tragico.

52.

Voi concittadini mi chiamaste Clacco: per il peccato rovinoso della gola. come vedi, mi struggo (mi {lacco,) sotto la pioggia.

. .

:

"Specchio wnuo" dl Domuico Leo%! (Firenze, BlbUoteca Ma. l'empi 3 • f.

La,�n.uia.DJ:



97

lllfuno VI. 60-61

"uonlca" eU Gìovao.oi VmanJ. Mia. tiorntilla • aec. XIV (Roma. Biblioteca Vadcaoa • Ma. CbJg. L. VID. 296 f. f9 •



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55.

(stanno) ai medesimi tormenti (a simil pena) per la medesima colpa (per si· mi/ colpa) ». E più non pronunciò (/r':

, .1 . • •

61.

Gli risposi:

c

Ciacco. il tuo dolore (af·

fanno) mi afRi9ge tanto, da indurml (mi 'nvita) a piangere; ma dimmi. se lo sai, a quali estremi sì ridurranno (a che verranno) gli abitanti della città divisa In fazio· ni (partita) : se in essa si trova qualcu· no che sia giusto: e dimmj anche il mo­ tivo per cui tanta discordia ha comln· clato a travagliarla (l'ha ... assalita):..

..

49

Ed effi a me: «La tua città, cb' è piena d'invidia sì cbe già tra&occa H sacco, seco mi tenne in Ca vita serena.

52

Voi cittadini mi cbiamaste Ciacco: per Ca dannosa cofpa deffa gofa. come tu vedi, aera pioggia mi fiacco.

fece) parola.

58.

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Né io (qui) sono Il solo spirito ìnfeli· ce, poiché tutti questi altri sono soggetti

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55

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E io anima trista non son sofa, cbé tutte queste a simiC pena stanno per simif co(pa•. E più non fe' parofa.

. ,

Inferno VI, 6-f-66

ace. XIV "Cronica" di Giovannl Villani. Min. fiorentina (Roma, Bibllotua Vatlcana • Ma. Chig. L. VUI. 296 f. 21 r) �





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58

� parole rlguardose con cui il Poeta

Io Ci rispuosi: «Ciacco. i( tuo affanno mi pesa sì, c&'a fagrimar mi 'nvita; ma dimmi, se tu sai, a cbe verranno

manifesta a Ciacco la sua simpatia rie­ cheggiano quelle indirizzate a France­

sca. Dante è benevolo con coloro che hanno peccato per Incontinenza. Assai più aspra sarà la sua rea.zione alla vista delle pene che tormentano i pec­

Ci cittadin def(a città partita;

s'afcun v' è giusto; e dimmi fa cagione per cbe C' &a tanta discordia assafita».

catori che hanno fredda malizia.

6-t.

fatto il

male

per

Ed egli: c Dopo una lunga contesa (teneione ) si arriverà a un fatto d.i sangue (verranno si sangue) e il par­ tito degli uomini del contado (fs parte selvaggia: quella dei urcht. i Bianchi) .

Ed effi a me: «Dopo funga tendone verranno a( sangue, e fa parte sefvaggia caccerà f'aftra con mofta offensione.

manduà in esilio gli esponenti del par· tito avversario (quello dei Donati. l Neri) danneggiandoli gravemente (con molta oflerulone).

99

67.

In St'guito è destino ( conuien) che il partito del Bianchi (qut'sta) soccomba prim a che siano trascorsi tre anni ( in· fra tre soli). e che il partito del Neri abbia il sopravvento (sormonti) con l'aiuto (/a forza) di qualcuno (tal) che attualmente si barcamena ( testé piag·

gia) (fra le due opposte fazioni) .

l



67

Poi appresso convien cbe questa caggia infra tre soCi, e cbe f' a CIra sormonti con Ca forza di taC cbe teslé piaggia.

70

Afte terrà fungo tempo Ce fronti, tenendo ('a(tra sotto gravi pesi, come cbe di ciò pianga o cbe n'adonti.

73

Giusti son due, e non vi sono intesi: super&ia, invidia e avarizia sono (e tre faviUe c' banno i cuori accesi».

76

Qui puose fine a( (agrima&iC sono; e io a fui: > che poetica. In effetti riesce diffi­

cile, leggendo Dante, proprio perché Dante ha saputo dar vita a personaggi così complessi c drammatici da trovare: pochi riscontri nella letteratura mondiale, libe­ rarsi di quello che potremmo chiamare il

cc

del personaggio )). Eppure la poesia della

Commedia è

pregiudizio

ass.1i più varia e ricca di toni di quanto le formulazioni

se­

scrizione della pena degli iracondi, attraverso la digres­ sione sulla Fortuna. Così ad esempio il Getto ha voluto vedere in tutto il

canto un distacco dell'autore dalle scene cui assiste, "un puro guardare oggettivo, di un essenziale ritrarre, senza

volontà di commento... un gusto grafico preciso, pun­ tualmente descrittivo, di linea ben calcolata". Effettiva­ mente mancano, almeno nell'episodio degli avari c pro· dighi c nel commento di Virgilio ad esso, quei chiaroscuri che:, nei primi canti dell'Inferno, denunciano una par· tecipazione

sentimentale dell'autore nei confronti dei

dannati. Manca l'angoscia che vibra in tutto il colloquio con Francesca, mancano perfino espressioni di sdegno come quelle, divenute proverbiali, che la vista degli ignavi suggerisce

al

suo

sentimento

morale.

Insistere

però

sulla formula del "puro guardare oggettivo n e sui modi

in cui questo guardare si viene di volta in volta concre­

tando, può tuttavia fuorviare dall'esatto intendimento di quelli che s:>no i motivi ispiratori del canto. Dante non

fin qui avanzate: in sede di giudizio estetico, anche se

è mai in primo luogo un

data di pubblicazione del saggio di Benedetto Croce sul­

tacoli più allucinanti e irreali non nasce da un contem­

amplissime, consentano di intravedere. Dal l 920 in poi, l'opera di Dante, la critica non ha fatto che: recuperare,

sotto il segno della pxsia, vaste zone: dci pxma conside­ rate fino allora meritevoli di attenzione solo sul piano della cultura, né può dirsi sia giunta ad un punto tale da far considerare ormai di scarso interesse le ricerche

cc

visivo ». La straordinaria con­

cretezza che acquistano nella plare fine a

se

Comm�dia anche gli spet­

stesso, ma da un impegno morale che

spoglia le cose dci loro attributi esteriori, per penetrarric il significato ultimo, per darne un giudizio definitivo. Par­ lare, a proposito della poesia di Dante, di valori quali pit­ toricità, spazialità, visività, frontalità dell'immagine, come

in questo senso.

ha fatto, con risultati del resto apprezzabili, un altro at­

un esempio di quanto certe posizioni dcsanctisiane siano

gliere: il fuoco nascosto che in questa immagine si espri­

La bibliografia critica del settimo canto dell'Inferno è

' .

prcoccup;�zionc, in alcuni critici, di trovare il legame

greto che unisce: l'episodio degli avari c prodighi alla de­

implicitamente operanti anche in autori altrimenti lon­ tani dal clima in cui l'opera del De Sanctis è maturata. "Canto senza figure, senza vivi clementi di dramma ... canto (si noti) intermesso non solo con buona ragione: morale, ma con grande convenienza artistica, per effetto di contrasto, fra i due, che ci ritraggono meravigliosa­

mente scolpiti i fiorentini Ciacco e Filippo Argenti. n Così si esprimeva il Bacci, in una sua " lettura

»

del

canto agli inizi del secolo. Né diverso parere manifestava il Torraca : �Al canto manca la principale attrattiva di tanti ahri ... un 'ombra, un personaggio, che narri la sua

storia tragica o predica al Poeta il futuro, o in altro

modo attiri la nostra attenzione, c'ispiri co;,.,passione o ribrezzo". Altro motivo su cui la critica ha variamente insistito,

ì: stata, come: rileva 1l Marti, "la frattura, che qui per l a

prima volta si verifica, tra i l chiudersi di una parabola narrativa e il concludersi dell'unità ritmico-poetica del canto". In altre parole : mentre fin qui ad ogni canto corrispondeva la descrizione: di un cerchio c quindi una sola ton;�lnà predominante, nel settimo questa unità di

106

tento studioso della Commedia, il Malagoli, senza co­ me, la religione dci valori morali che ad essa conferisce una compattezza mai eguagliata nella letteratura mon­

diale:, equivale a volersi precludere la comprensione del

suo senso più profondo.

Per tornare al settimo canto dell'/nf�rno, anzitutto il

l

puro guardare oggettivo che sembra caratteri_zzarlo, al­ meno fino al momento in cui i due viandanti scendono nel cerchio degli iracondi (qui, come ha rilevato il Mo­ migliano, l'atmosfera cambia, s'impregna di splun, di umor nero), nasce da una posizione di condanna senza attenuanti per coloro che hanno fatto del danaro la loro unica ragione di essere. In secondo luogo, tutta la scena iniziale, dall'incontro con Pluto alla digressione sulla Fortuna, è, come ha rilevato il Marti. il risultato di

� u n'arte ispirata più da sprezzo polemico che da un gu­

sto realistico obiettivamente distaccaton. La rima difficile

non meno che la metafora esasperata c grottesca defor­ mano violentemente una realtà che, proprio per questo

amaro intervento ddl'autorc, inteso a trasferirla intera­ mente sul terreno dcll'�x�mplum, del significato etico e religioso, non può essere considerata soltanto oggettiva.

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Canto VII 1

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MiD. emilian.a



La Commedia, Inferno. Fioe dd sec. XIV • (Rimini,

BibHoteca Gambalu11ga • Ms. D. n. U

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c Papé Satan. papé Satao aleppel ,..

disse per confortarmi: «Non ti noccia Ca tua paura; cbé, poder cb'ef(i abbia, non ci torrà Co scender questa roccia•.

7

Poi si rivoCse a queCCa infiata [abbia, e disse: «Taci, mafadetto fupo; consuma dentro te con fa tua rabbia.

IO

Non è sanza cagion C'andare aC cupo: vuoCsi nelC'afto. Cà dove Micf:lefe fe' Ca vendetta def superbo strupo•.



f. 18 v)

sue "un segno dell'Imbecillità a cui rl· duce l'avidità di ricchezza". a piu pro·

prese a gridare Pluto con voce rauca

(chioccia) : e quel nobile saggio (Vir· arebbcro un ts•mp•o del linguaggio dea d1�voh. ancomprens•b•le per noa, se non addmttur.a &dSi slgn•htato. upressaoni di un., mente confus.a � abbrutila. Il Momaglidno, ad esemp1o, rltacne cht esst vogliano

ts-

se

vo·

lesse dire « primo princapao » (e quandi

chao) per questo d1rupo ».

Papé

t

degli

angeli

ribelli

a

Dio,

slmpo sembra essere metatesi di « stu·

pro ». vaolenza dovuta a desiderio smo­ dato. Giova qua ncordare che nelle pa­ gine di un teologo del medioevo. Scoto

mento di Geremaa che si apre appunto

Enugena. il peccato degli angeli che si

di dolore. Ou•ndi, rivolto verso quel volto tumado (in/iats /abbia) . dosse: c Taci, male· detto demonio: struggoti anternamente per la rabbia. IO.

per cui starebbe ad indicare la

schiera

Dio ) . oppure, con rlferamento al 1;,. con questa parola, come un'anteranione

7.

che derivare dal latino stropus (greg­

Non senza motivo � la nostra andata nell'anferno profondo (al cupo)

cosa si

vuole nel caelo. là dove !'.arcangelo Ml­ cht>le puoi (/e' la vendWa) l'orqogllo·

ribellarono a Dio e dellnito clussuna ». Scnve lo Scolo che. per quanto la lus· suria proprtamente detta riguardi sol­ tanto gli atta carnali. "tuttavia ogni brama smodata d• qualcosa di p•acevo. le. In quanto p•act>vole. può essere chaa· . mata lussuria. . a meno che oggetto del­ la br.Jma non saa al bene. il che non può darsa ct>rto saa avvenuto nel caso della nbelliooe degli angeli: 1l loro dt>·

S�drno di una maggiore beatitudine opponeva infatti al voleri di Dio.

si

107 -

-

·-

13

19

13.

22 QuaCi da( vento fe gonfiate veCe caggiano avvofte. poi c�e C'aC&er fiacca. taC cadde a terra fa fiera crudde.

Come fa C'onda (à sovra Cariddi. c�e si frange con queffa in cui s' intoppa. così convien c�e qui fa gente riddi.

Così scendemmo neffa quarta Cacca pigfiando più deffa doCente ripa c�e 'f maf deff'universo tutto insacca.

25

Qui vidi gente più cb'aftrove troppa. e d'una parte e d 'aftra. con grand'urCi. voftando pesi per forza di poppa.

A�i giustizia di Dio! tante c�i stipa nove travagfie e pene quant'io viddi? e perc�é nostra cofpa sì ne scipa?

28

Percoteansi incontro; e poscia pur fì si rivofgea ciascun. voftando a retto. gridando: «Perc�é tieni?» e « Perc�é &urH?•

Come le vele gonfiate dal vento cadono confusamente avviluppate se l'albtro d.!Ila nave si spezza (fiacca) . cosi piombò a terra il mostro malvag!o. La Rgura di Pluto suscita In chi legge l'ompressiooe di una massa enorme e amorfa e. sul piano morale. quella di un furore ottuso e impotente. Essa non co voene onlatti presentata dal Poeta attraverso questo o quel partocol;�re del suo aspetto estenore. come av­ viene per Caronte. ad esempoo. e per Monosse. Il carattere rissoso del tr;�­ ghettatore dell'Acheronte è già tutto contenuto lo una determinazione come gli occhi di bragia, mentre l'enogmatico conoscitor delle peccato del secondo cerchio rest:o indissolubilmente legato nella nostra memoria all'atto bestiale di avvolgere la coda. per signoflcare un goudizoo dettato dalla pou pura ra· zoonallt�. Scrove il Torraca, a pro· posoto di Pluto: "/n{ìato lobb•o sug. gensce. si, J'immagone ci! un gran file· coone. ma vagamente. Ma ecco le vele gonlìate dal vento e J' albtro della na· ve portare In questa ondctermonazoone qualcosa di enorme. di gogantesco. ." . Per quanto riguarda il signiHcato mo­ rale di questa inaspettata simllltudine. un altro acuto lettore del settimo canto. il Vallone, osserva come essa racchlu· da in sé l'intera vicenda di questo guardiano infernale .. protervo, bestcm. mlatore. e p01 schiacciato. umollato e vinto", e aggiunge un'osservazione gc· nerale sull'uroillazoone cui, nell'onlerno •

108

dantesco. le potenze del male soggia· clono di fronte all'affermarsi della razio. nalità chiarificatrice (Virgilio) : " Por· se il destino dei diavoli è piu ineso· rabilmente crudele di quello delle ani· me malvage che essi custodiscono. Queste. almeno, di tanto 1n tanto. pos­ sono reagire, a loro modo. e nella loro misura, contro un potere ch'è a tutti supenore... i diavoli, vonti che siano. e sempre son vintl, si degradano a < poveri diavoli », ;�rnesi do odiota ma· terla che goacclono impotent.i e acci­ diosi dinanzi alla loro immane scon­ fitta". 16.

Scendemmo In tal modo nella quarta fossa (laces). percorrendo un altro trat­ to (pigliando più ) della china dolorosa che contiene tutto il male dell'universo.

19.

Ahimè, giustizia di Oiol chi mai am­ massa (stipa) tanti lnommaginabili (no­ ve) supplizo e dolori, quanti oo ne vidf1 e perché l'umana colpa a t;�l punto d strazia (scipa) 7



22.

Come (nello stretto di Messina) presso Cariddi. le onde (del mar Ionio) si infrangono cozzando contro quelle del mar Tirreno. cosi necessariamente av­ viene che qui le turbc ballino. Scrive il Marti, a proposito di questa grandiosa slmilltudlne. che Dante con .. essa cl suggerisce non gl� un urto di persone. di lndlvl!lui, ma urto di gente, di masse informi: anonime superfici In

movimento che si infrangono reciproca. mente l'una contro l'altra: vaste chiaz... ze brulicanti e semoventi. che triste· mente spumeggiano a quel loro pen· dolare scontrarsi. Nessuno stacco fra le anime e i massi che esse volgono... la figurazione è risolta in movomento ritmico. eterno e sempre uguale. ma anche meccanico e insensato, di su· perflci e di colori". Cosi convicn che qui la gente riddi: il richoamo alla ridda. ballo circolare dal rltmn molto veloce. che on altra coree­ stanza evocherebbt un.11 scena lieta. è qui s;�rcastico e sferzante. 25.

Qui vidi una moltitudine piu numerosa che in altri luoghi, la quale. divisa in due schiere. che provenivano dall'uno e dall'altro lato del cerchio (d'uno par· te e d'altra). rotolava pesi. spingrn­ doll col petto (per for:a di poppa) ed emettendo alti lamenti.

28.

Incontrandosi. cozzavano gli uni contro gli altro (pcrcoteansi incontrol : e poi. In quello stesso punto (pur li) . ognuno si volgeva indietro. voltando addietro anche il suo peso. e urlava: oc Perché conservi?» e c Perché sperperi (burli) 1-. La pena degli avari e dei prodighi rl· corda quella di Slsifo e degli ssa

St'

ne sta beata e non h ascol­

ta: St>rena. ins•�mr alle altre tntclligen­ zc angeliche (con faftre prime uea­

ture ) . governa t! moto

( uoful') della

sun sfera (la sfera de• ben• mondani) e gode della sua beatitudine.

97.

Ma è tempo di scendere orm3i verso un dolore piiJ grand.- (a maggior pi�­

ta): già ogni stella che. quando 10 venni

in tuo aiuto. sahvn in cielo. tramonta

e non ci t concesso un troppo lungo indugio :..

Il Momigliano :�vverte acutamente la grande sol�nmtà dell'accenno al ctelo stellato che V�rgtlio la qui per la pri­ ma volta da quando i due poe!t sono entrati nella voragine infernali'. Il Get­ to. dal canto suo. nota con>� Dante sappia cogliere .. m quel declinare di stelle. in quella mesorabtle v1cenda di astrt che e la vicenda del tempo. ti so­ lenne ntmo universale, e l'assorto re­ sptro che ad esso si accompagna".

100.

Attraversammo ( ricidemmo) il cerchio Imo al margine (riua) opposto, all'al­ tezza di

una

sorgente che ribolle e si

rtversa m un canale che ha origine in usa (che da /ci deriua) .

103.

Era più nera che livida (persa) t noi. insteme alle onde torbide (bige). sctn· demmo nel cerchto quinto (entrammo gtù) attraverso un cammino malagevole (per una uia diversa) .

106.

Questo trtste ruscello sfocia ( ua) nel!:� palude chiamata Suge. dopo essere sce­ so .ìno alla base (al pit!) dei crudeli e loschi dirupi (piagge) . Nel quinto cerchio il paesaggio e la

atmosfera 3ppatono profondamente di­ vers• ris petto a quelli del cerchio pre­ cedente: lo sttle stesso della terzma dan­

tesca ne risente e non abbinmo più una sensazione di asperità, ma di diffusa tr�stezza. A quest:� sensaztone contri­ butscono le note coloristiche (buia... bi­

ge. . grige). .

109.

Ed lo, che ero Intento a guurdare. vidi In quella palude moltitudini Imbrattate di fango. tutte nude. con l'espressione crucciata (con :sembiante offeso) .

1 12.

Questi peccatori s• colpivano l'un l'al­ tro non solo con le mani, ma con la testa, col petto e col piedi. e si dila­

niavano peno per pezzo (o brano a

brano) coi dtn!l.

118

lofuno VU, 91-9}

La Commedia, Inferno - Min. del sec. XIV-XV. (Roma, Biblioteca Vaticana • Ms. Vat. Lat. i776 • f. 22 r)



l.ofet'IIO VU, 9i·96

La Fortuna manifutazionc ddl'Amore divino eh� regge tutl� le

COK.

"Documenti d'Amor�" di Francesco da Barbuino

Kc. XIV



·

(Roma.

Biblioteca Velic.a.oa lAs. Barb. Lat. i076 f. 92 v)

• •

l

91 Quest' è cofei c&' è tanto posta in croce pur da cofor c&e fe dovrìen dar (ode, dandofe &iasmo a torto e maCa voce;

I03 L'acqua era &uia assai più cbe persa; e noi. in compagnia deCC'onde &ige. entrammo giù per una via diversa.

94 ma ef(a s' è &eata e ciò non ode: con f'aftre prime creature Cieta vofve sua spera e &eata si gode.

' 10 6 In la pa(ude va c' ba nome Stige questo tristo ruscef. quand' è disceso a( piè deffe mafigne piagge grige.

97 Or discendiamo omai a maggior pièta; già ogni steCCa cade cbe safiva quand' io mi mossi, e 'C troppo star si vieta».

109 E io, c&e di mirare stava inteso. vidi genti fangose in quef pantano, ignude tutte, con sem&iante offeso.

100 Noi ricidemmo i C cerchio aCC'aCtra riva sovr'una fonte cbe &of(e e riversa per un fossato cbe da fei deriva.

n2 Questi si percotean non pur con mano,

ma con Ca testa e co( petto e coi piedi, troncandosi co' denti a &rano a &rano.

119

115.

lnfuno VII, II:Z·IIi

"Giudi.zio Universale" dd Beato AngcUco (particolare) (Firenze, Museo San Marco).

Virgilio disse:

c

Piglio, puoi ora vedere

gli spiriti di coloro che furono sopraf­ fatti dall'ira (cui vinse (ira ) : e voglio che tu inoltre sappia (che tu per certo



credi) 118.

che sotto il pelo dell'acqua vi sono dannat.i che sospirano e fanno gorgo­

gliare racqua alla superficie (al sunk

mo) come puoi vedere, da qualunque parte tu guardJ (come /'occhio ti dice.

u' che s'aggira) .

121 .

Immersi (fitti) nella fanghiglia. dicono: "Fummo malinconiei nell'aria dolce al­ lietata dal sole, portando nel nostro ani. mo la caligine dell'accidia (accidioso fummo) :

12i.

ora ci addoloriamo nella nera melma

( bellPtta) ... Cercano di scandire questo

canto. ma non riescono che a gorgo· gliarselo in gola (strozza) : non possono infatti pronunciarlo In maniera compiu­ ta (con parola integra ) '». Secondo Pietro Alighieri nella palude st.igia si troverebbero gli iracondl e l superbi e, sotto di essi, Immersi intera­ mente nel fango, gli accìdiosi e gli in­ vidiosi. Questo parere non appare tut·

ns

tavia suffragato da alcun richiamo al testo. Più plausibile è l'opinione che

Lo &uon maestro disse: «Figfio, or vedi C'anime di cofor cu.i vinse {' ira; e anc&e vo' c�e tu per certo credi

alla superficie della palude si trovino gli « iracondi acuti > (la cui collera suole cioè prorompere con ìmpetuosa violenza)



mentre lmmersi in essa sa­

rebbero gli accidiosi. che corrisponde­

us

rebbero. in questa partizlone dantesca. agli « iracondi amari :. di Aristotile e San Tommaso. L'accidioso fummo sta­

c�e sotto L'acqua �a gente c�e sospira, e fanno pu((u(ar quest'acqua a( summo, come f'occ�io ti dice, u' c�e s'aggira.

rebbe quindi ad indicare l'ira a lungo repressa. Il contrappasso risulta evi­ dente nel caso degli iracondi acuti: il loro sbranarsi

121 Fitti neC fimo, dico n: "Tristi fummo neff'aere dofce cbe da( sof s'aCfegra, portando dentro accidioso fummo:

a vicenda esemplifica

in modo inequivocabile la passione del­ l'animo che li indusse a compiere il male. Per gli iracondi amari la corri­



spondenza tra pena e peccato potrebbe essere la seguente: come in vita hanno soffocato dentro di sé l'ira. pur conti­

124 or ci attristiam neffa &effetta negra .,.

nuando

ad

alimentarla

segretamente.

cosi ora sono soffocati dalla melma.

Quest'inno si gorgogfian neCfa strozza. c�é dir no( vosson con pa,ro(a integra».

Quest'inno si gorgogfian nella strozza:

127 Cosi girammo deffa Corda pozza grand'arco tra Ca ripa secca e '( mézzo. con Ci occ�i vo(ti a cbi de( fango ingozza:

c:he nella strozza soffoca le parole urna.

nota il Grabher come questa ardita im­ magine (vicina. per vigore espressivo. all'abbaia del verso 43) " fonde in un tutto la voce umana e quella dell'acqua. ne

per

trasformarle

dell'acqua stessa..

127.

nel

gorgogliare

_

Costeggiammo cosi

per lungo tratto

(grand'arco) la sozza palude. tenen· doci tra il pendio asciutto e la melma ('/ mézzo : il fradicio ) . con lo sguardo

Penimmo a( piè d'una torre a( da sezzo.

rivolto a coloro che ingurgitano fango

(a chi del fango ingozza) : 130.

giungemmo alla fine (al da base d'una torre.

1 20

se

zzo ) alla

l

l

-

� ------

nferno, Canto VIII



Già prima di arrivare ai piedi dd/a torre, i due poeti vedono accendersi sulla sua sommità due segnali luminosi, ai quali, da molto lontano, appena percettibile, risponde un terzo. Ed ecco at,vicinarsi mila sua antica barca·, veloce al por di saetta, il custode della

palude stigia, l'iroso Flegiàs, il quale, rivolto a Dante, grida :

u

Ti ho finalmente in mio po­

tere, anima malvagia! )> Virgilio delude questa speranza dd nocchiao infernale: egli e il suo discepolo non sono t•enuti per rimanere nel cerchio degli iracondi, ma solo per attra­ versarlo. Mentre, sulla navicella di Flegiàs, i due solcano le acque melmose, ecco farsi avanti uno dei dannati della palude, il fiorentino Filippo Argenti, che apostrofa sarcasticamente il

1110

concittadino. Dante replica con esprewoni di duro scherno, suscitando l'ammira­

zione di Virgilio che si compiace della nobile ira del discepolo. Ma questi non � ancora

contento: vuole vedere il suo borioso antagonista immuso nd fango. Attraversato lo Stige, i due pellegrini sbarcano ai piedi delle mura di ferro rovente che cingono la città di Dite. Qui, più di mille seguaci di Lucifero si oppongono minacciosi all'ingresso

di colui che, ancora in vita, impunemente � entrato nel regno dei morti.

Il poeta latino esorta Dante a non perdersi d'animo e si reca a parlamentare con i

diavoli. Ma poco dopo ritorna con i segni della sfiducia sul volto: la sua missione non ? riu­

scita. Solo qualcuno più forte di lui potrà aprire /a porta che immette nei cerchi formanti i/ basso inferno.



INTRODUZIONE CRITICA

.

r

.

.

Dante scrittore drammatico : lo scontro frontale, da uomo a uomo, non è mai avvenuto nei primi sette canti. La drammaticità è già apparsa nel linguaggio, nei pae· saggi sconvolti c tempestosi, negli atteggiamenti monu­ mentali o in movimento dei grandi mostri, dalle tre fiere a Caronte, Minosse, Cerbero, Pluto, ma era una drammaticità subito blocca t a : c nella nostra memoria sono rimasti enormi gesti fissati per l'eternità, gonfi della stessa eternità del male. Gli incontri di Dante con i dannati (Francesca, Ciacco) hanno avuto finora un ca­ rattere colloquiale, e il dramma è rimasto all'interno di ciascuno, solo specchiandosi nel pellegrino che - viva pre­ senza dell'umano, dd tempo porta nella cup:1 immu­ tabilità di un male atemporale l'eccezione di un rinno­ vellato dolore umano. Ma nel canto ottavo Dante trova per la prima volta nel dannato (Filippo Argenti) un antagonista, e nasce lo scontro violento, un duello di parole che rischierebbe, se non ci fosse l'intervento della ragione (Vìrgilio), di trascendere a vie di fatto. Qui la drammaticità si dilata, investe tutti gli elementi della composizione, con precisa coerenza : il linguaggio si fa piì1 teso, pronto alle spezzature, vibrante ; il pae­ saggio, la scena sono percorsi da misteriose, appena avver­ tibili presenze. Sul ribollire iroso e a un tempo pigro (il torpore morale, l'accidiosa tristezza dell'iracondil) della palude dello Stige. sulla distesa bui.a a perdita d'occhio dove i dannati, per la prima volta in silenzio (l'ira è senza voce al suo parossismo), si sbranano gli uni con gli altri in un'orrida mischia nel fango, ha luogo, da posizioni· elevate, da torri isolate di guardia, una segna­ letica militare che prelude al combattimento. Fiamme che s'accendono, c da lontano qualcuno risponde. E subito, da grevi sipari di fumo, rapidissimo sbuca lo scafo pie· colo c leggiero di Flegiàs, colui che per irosa vendetta contro Apollo ne aveva incendiato il tempio a Delfi, di­ struggendo in sé il rispetto per la divinità e causando così la propria rovina. Allo scontro fra i simboli, fra Virgilio, ragione testi· mone della Grazia e portatrice della parola d'ordine di Dio. c i demoni, figurazioni disumane del peccato, si affianca lo scontro fra gli uomini, Dante e i peccatori, da questi simboli guidati o fuorviati. Qui l'apparizione del dannalo ha qualcosa di pauroso e di repulsivo (l'Argenti è tutro grondante di fangc:>), ma, pu_r nella sua pesantezza, presenta una cupa aggrèssività (dmanzi mi si f�u). E il battibecco divampa, concentrato, per la potenza ellittica dell'arte di Dante, in poche. bat· tute cariche di tutte le sfumature di una violenta rissa verbale : l'incalzare dci monosillabi, l',, incipit » arro· gamc, la rispo�ta c_he scatta crudele c secca, il dileggiò _ . sptetato, la malcdtzJOnc, lo smascheramento cattivo. Risse •



122

verbali, battilxcchi, contrasti : variati nei toni e nelle si­ tuazioni riempiono la Comm�dia, e sono segno dello spirito violento di Dante e della sua epoca. Rissa verbale di strada o di palazzo, contrasto ad alto livello fra magna­ nimi rivali politici o smargiassata triviale di béceri por­ tano la vita nell'al di là, o meglio annullano di colpo l'inferno, sostituendo al nero e ai fuochi dell'oltretomba le vie di Firenze. L'ira di Dante per l'Argenti, che è stata ritenuta ec­ cessiva, non sufficientemente motivata, fino a dare l'im­ pressione di una non complea t riuscita sul piano estetico, è invece l'ira vendicativa - dove vendetta non è, come nota il Tommasco, ultio, ma rivendicazione secondo giu· stizia · contro l'insulto che fa, alla ragione c alla misura dell'uomo, la pervicacia nella vuota, stolida, volgare arro· ganza, nella superbia senza motivo c gonfia di sé, che non ha, né può avere, un solo momento di ripensamento, di meditazione, di umana ragionevolezza. Dante si adira proprio di fronte ai pericoli morali nei quali l'ira può far incorrere; né dobbiamo dimenticare che l'oltretomba dantesco vuoi essere anzitutto la traduzione oggettiva, in simboli, personaggi, situazioni, di una problematica morale vissuta, quasi un immenso involucro speculare in cui il poeta, l'uomo, veda ovunque riAesse le imma­ gini ingigantite dei propri difetti e delle proprie virtù. Alla motivazione morale si aggiunge, a rendere più aspro lo scontro, quella personale e storico-politica. Filippo ap­ partiene ad una famiglia a Dante nemica, cd egh la bol­ lerà, dall'alto del paradiso, . per bocca del nobile suo avo Cacciaguida, come oltracotata schiatta, feroce coi deboli, vile coi forti e coi ricchi, sorta di ceppo mediocre (pic­

cit�la gent�).

Ma nella Comm�dia il fatto individuale tende sem· prc a chiarirsi in un giudizio e qui, fra l'altro, si le­ gittima nell'osservazione solo in apparenza pleonastica ed csòrnativa : quanll si tengon or là su gran r�gi... Dante gode dello strazio che i compagni d i pena fanno del­ l'Argenti ; in esso egli può vedere un esempio della sorte riservata dalla giustizia divina ai superbi. Dietro l'Argenti si schiera così tutto un gruppo, una categoria umana, e da ciò la figura del dannato acquista una dimensione significante che la riscatta da ognì sospetto di dimi· nuzione individualistica e aneddotica. Nell:1 seconda parte del canto la drammaticità si con· tinua nel paesaggio, con la città di ferro incandescente c le torri diaboliche, somiglianti ai minareti degli infedeli. Davanti alla fortezza del male, agli stormi delle sue fulminee, innumerabili sentinelle precipitate dall'alto, alla malizia che qui, in Dite, rende più complesse, intricate e perverse le passioni che vi sono punite, si ripropon­ go�o co�e nei primi canti, ma con maggiore maturità : artistica, ti dubbto, la perplesstt:ì del pellegrino. Neppure la ragione (Virgilio) ha potere contro il pec­ cato di malizia : il canto si chiude su una nota di reli­ giosa aspettazione.

-----4.. � ·

t.

i.

Pros�gu�ndo molto prima l'alta torr�. i verso la sua

Il mio racconto. dico eh�. di giung�re a i p1�di d�l­ nostri sguordl si dirusuo sommità

attratti da due fiammelle che ved�mmo appame lassù (che i' vedemmo porre). � da un'altra che rispondeva ai segnali (render cenno) da tanto lontano. che a stento Il nostro sguardo poteva di­ stinguerla (i/ potes l'occhio tòrre).

lnfuno VUI, t_. La Commedia, Inferno. Mio. del secolo XIV-XV. (Roma, Biblioteca Vaticana • Ms. Vat. Lat. 4776 f. 26 v) •

Canto VIII In questo canto. uno del più ricchi di movimento di tutto il poema. anche U paesagg1o si anima, quas1 ad Incarnare visibilmente lo stato di attua e la tre· pldazlone del Poeta. l segnali lummosl che. accendendosi nella notte Infernale. sembrano prtannunc•arc un evento In­ solito t m1ster�oso, sono uguali a quelli che. •n terr.,, serv1vano a trasmettere mlorm.,z•onl m•litan. l dmvoli che di· fendono lc mura delln str.•na città. all01 qu.,le l due vl.mdanti si St.Jnno avvlci· nando. sono orgonizzdh mihtarrnente : diversamente che nel guardiani dei cerchi superiori, In essi il m.JI• è gui­ dato da una Intelligenza viva.

l

4

lo dico, seguitando, ch'assai prima che noi fossimo af piè deCC'arta torre, (i occhi nostri n'andar suso aCCa cima per due fiammette che i' vedemmo porre, e un'aftra. da fungi render cenno tanto, cf, a pena il potea C'occhio tòrre.

1 23 -



7

E io mi voCsi a( mar di tutto '( senno: dissi: «Questo cbe dice? e cbe risponde queCf'a(tro foco? e cbi son quei cbe '( fenno?•

10

Ed eCCi a me: «Su per (e sucide onde già scorgere puoi queffo cbe s'aspetta, · se '( fummo de( pantan no( ti nasconde•.

I3

Corda non p i n se mai da sé saetta cbe sì corresse via per C' aere sneffa, com'io vidi una nave picciofetta

16

venir per C'acqua verso noi in queCfa, sotto H governo d'un sof gafeoto. cbe gridava: «Or se' giunta, anima feCCal»

19

«Ffegids, Ffegiàs, tu gridi a voto>> disse fo mio signore «a questa vofta: più non ci avrai cbe sof passando H foto>.

22

Qua[ è co(ui cbe grande inganno ascoCta cbe fi sia fatto, e poi se ne rammarca, fecesi FCegids neCC'ira accofta.

25

Lo duca mio discese neffa &arca, e poi mi fece intrare appresso fui; e so( quand' io fui dentro parve carca

28 Inferno VIU, IS-18 La Commedia, lnf�rno. Min. deUa fine dd secolo XIV •

(Parigi, Biblioleca Nazionale M,. lt. 78 l. H v) •

124





Tosto cbe '( duca e io nef fegno fui, segando se ne va f'antica prora deCC'acqua più cbe non suof con aftrui.

Inferno VIli, 31-33

7.

Allora mi rivolsi a Virgilio (a/ mar di tutto '/ senno). dicendo: «Che si­ gnificato ha questo segnale? c quale risposta dà quell'altra luce? e chi sono quelli che l'hanno accesa (che 'l lenno: che lo fecero) ? »

IO.

E Virgilio di rimando: « Sull'acqua melmosa puoi già scorgere colui che è atteso (da chi ha fatto l segnali} . se i vapori che lo stagno esala ( 'l fummo del pantan ) non lo celano ai tuoi oc­ chi"·

13.

Nessuna corda d'arco scoccò mal una freccia che volasse nell'aria con una velocità (snella ) paragonabile a quel­ la della piccola imbarcazione

La Commedia, Inferno. Min. ddla fine dd secolo XIV (Parigi, Biblioteca Nazionale Ms. Il. 78 f. 38 r) •



16.

movimento rapido e incalzante. in cui viene a culminare il senso di tensione e di attesa de Ile terzine che precedono e si preannunzia il movimento dramma. tico. violento c concitato. dell'ep•sodio che seguirà" (Sapegno) . Da notare anche la sapiente scelta delle parole c la suggestione che queste esercitano an­ che al di là del loro signif1cato più immediato. Come nota il Venturi. nel primo verso - corda non pinse mai da sé saetta - "i suoni esprimono il sibilar della freccia: nel verso succ.essivo il celere volo". 19.

c

Flegiàs. Flegiàs. tu gridi inutilmente contro di noi (o questa volta ) » ribatte il mio maestro. "' non cl avrai in tuo potere che il tempo necessario per at­ traversare la palude fangosa (più non c:i avrai che sol passando il loto) . "

che vidi in quell'istante (in quello) di­ rigersi sull'acqua verso di noi, pilo­ tata da un solo nocchiero (sotto il go· verno d'un sol galeoto ) . che urlava: «Ti ho finalmente raggiunto, spirito malvagio! »

Flegiàs. figlio di Marte. per avere in­ cendiato, accecato dall'ira, il tempio di Apollo a Delfi, fu punito nell'Averno (cfr Virgilio - Eneide VI. 618-620) . . a questo un altro dei personaggi tratti dalla mitologia e ricreati da Dante in forme nuove. meglio rispondenti alla sostanza profondamente religiosa e mo­ rale del suo poema. La figura di Fie· . giàs è . drammatizzata nella sua qua· lira essenziale: l'ardore dell'ira: per cui diventa uno scorcio appena balenante ma tempestoso: scolpito proprio nel secco rilievo della sua violenta Jrruzio­ ne e del furioso gridare (versi 13- 18) e poi (verso 24) nel torbido silenzio . dell'ira accolta . ( Grabher) . La risposta di Virgilio a Flegias non ha la calma solenne delle risposte da lui date al guardiani dei cerchi supe­

La similìtudine è già in Virgilio: "fug­ ge sulle onde. più rapida di un dardo . e di una saetta che uguaglia l venti . (Eneide X. 2-17-248). Dante la ricrea conferendole maggiore essenzialità e vi­ gore, e imprimendo alle parole "un

riori. Una impazienza irosa sembra tra­ smettersi alle sue parole. Il peccato . punito in questo cerchio l'ira si propaga all'intorno, nello scenario. in Virgilio. in Dante. che proprio qui dà il primo e piil continuato segno del suo aspro spirito combattivo" ( Momi­ gliano) . •



.

22.

Come colui che apprende di essere stato gravemente ingannato. e allora prova rammarico, cosi divenne Plegiàs per l'ira che in lui si raccolse (nel­ t'ira accolta) .

25.

Virgilio scese nella barca. e poi m i fece scendere dopo di lui: soltanto quando anch'io fui entrato. essa sem­ brò carica (gli abitanti dell'oltretomba. essendo esseri privi del corpo. non han­ no peso).

28.

Non appena Virgilio e io fummo a bordo. l'antica (perché coeva dell'in­ ferno) barca cominciò a fendere (se­ gando se ne va) l'acqua, immergendosi in essa piil profondamente di quanto non faccia di solito. quando trasporta le anime.

125

..

31.

Mentre

solcavamo

locutore

l'immobile palude

Ch1 sei tu che arrivi anzitempo (pri­

ma del termme stabilito. della morte)? »

con cui il Poeta assisterà al tormento del peccatore. iO.

che. nella maligna domanda rivolta a

lo respinse. dicendogli: « Via di qui. vattene a stare con gli altri maledetti

provviso può ricordt�rci quello dJ Ciac· co nel cerchio del golosi. ma il dia­ t'altro spirito. Nell'episodio del canto

(cani) l '13.

sesto il Poeta era preso da un senti­

r.

come ve­

dremo fra poco, gode del suo strazio. Possiamo restart- meravigliati per tale atteggiamento di Dante. In cui il Mo­ mighano ha ravvisato addirittura qual­ cosa di satanico", ma non dobbiamo di­ menticare che l'iracondo nel riguardi del quale egli manifesta tale spirito vendi­ cativo, come osserva 1l Grabhcr. ..non è che lo spunto realistico, cui Dante sem­ pre attinge. per passare dal contingente all'eterno. dal partiColare all'universale: per colp�re quanti si tengono or lb su

gran regi t tuffarli tutti, idealmente, comt- porci in brago".

Il dannato è 11 fiorentino Filippo dd Caviccluli (un ramo degli Adimarì), .. cavaliere di grande vita e di grande burbanza, e di molta spesa. c di poca virtude e Villorc" (Ottimo ) , il quale. secondo quanto narra il Boccaccio, aveva fatto ferrt�rc d'argento il suo ca­ vallo. DI qui il soprannome c Argenti:>,

31.

Ed lo:

«

Se arrivo, non è certo per ri­

manere: ma chi sei tu, reso cosi sporco dal fango? » Rispose: « Vedi bene che sono uno di quelli che piangono (cio� un dannato l ». Il motivo che spinge Filippo Argenti a cdare Il suo nome è il desiderio, comune anche agh .1hn dt�nnati. di non avere cattiva fama tra l vivi. Egli cer­ ca di reaglnc• al disprezzo mamfestato· gli dal Poeta ostentando la propna In­ felice condiZione (un che P""'fiO l . Ma

le sue parole tradiscono un'Insofferenza sprnzante e amara. Il loro senso t: lo ved1 da t� eh� sono un dannato; che blsoQno c'è di farmi quuta domanda'

37.

Ed lo: c Restatenc, anima maledetta, col pianto c col dolore (lutto) ; percht n se sei tutto imbrat­ ti riconosco, • . che tato di fango •· Il tono della replica dl D:mtt', In cui egli riprende le parole del suo lnter-

126

Poi mi abbracciò (lo collo poi con le braccia mi cin.se l ; mi baciò In viso. e

in te s'incinse)!

aveva conosciuto di persona l grandi

contro il suo lnterlocutore

»

disse: « Anima fiera, sia benedetta co­ lei chtt ti ha portato nel grembo (che

mento di compassione e quasi di rive­ rente rispetto per il concittadino che uomini politici dcll3 passata generazlo· ne; qui Invece reagisce vlolentemenltn) nu ero frrm.;to. non camb1ò tsprtssione, nt mosse il collo. nt chmò il suo Ranco (costn) :

Le sue parofe e 'f modo deCCa pena m'avean di costui già (etto iC nome; però fu Ca risposta così piena.

proseguendo il d•scorso di pnma 1st c Se h.•nno m.;lc 1mp..r 1t0 l'.�rtr del ritor­

t

continrwndo n/ pt�mo detto) , disse; •.

nare. ciò ml procur.; un dolore piu

162 •

Di su&ito drizzato gridò: «Come dicesti? eCCi e&&e? non viv'dfi ancora? non fiere (i occbi suoi H doCce fume?

grande do quanto non faccia la tomba

In cui sto a g oacere (letto) .

Faronata rìmaM ìnst>nsibìle allo strazio come osserva do C.ovalcante .. perché •

ol Dc S rogu.ordo adesso di con­ fe\.s,ue ),, sua soff�ren::a ··con un verso nnt.o non

f.otto subhme d}.

136.

168

121 Indi s'ascose; ed io inver C'antico poeta volsi i passi, ripensando a quel parlar de mi parta nemico. l24 ECCi si mosse; e poi. cosi andando. mi disse: « Percbé se' tu si smarrito?, E io li sodisfeci a l suo dimando. 127 «La mente tua conservi qud cb'udito bai contra te» mi comandò qud saggio. .

22

D'ogni maCizia. cb'odio in cieCo acquista, ingiuria t '( fine, ed ogni fin cota(e o con forza o con frode altrui contrista.

ì(figfiuof mio. d'entro da cotesti sassi» cominciò poi a dir «son tre cercbietti di grado in grado, come que' cbe (assi.

25

Ma percbt frode t deCf'uom proprio mafe, più spiace a Dio; e però stan di sutto Ci frodofenti e più dofor Ci assa(e.

Tutti son pien di spirti ma(adetti; ma percbé poi ti &asti pur Ca vista, intendi come e percbé son costretti.

28

De' viofenti i( primo cercbio t tutto; ma percbé si fa forza a tre persone, in tre gironi è distinto e costrutto. In un trattato di fisica, logica

c

mora!�, la rappr�s�otazi one

sotto forma. geometrica dei

priocipH costilutivi, dei vizi e ddlc virtù deU'animo umano. "Ars dcmonstrativa".

Min. dd sec. XW



(Bergamo, Biblioteca Civica Ms. à 7.S

13.

Cosi



parlò Virgilio: e

cTrova



l. S v)

io gli dissi:

un compenso (alla nostra so­

sta) . tn modo che ì1 tempo non scorra inutilmente ». E Virgilio: c 1:: proprio ciò a cui sto pensando ».

la richiesta che qui Dante rivolge al maestro non si Ispira al concerto che occorre in un modo qualsiasi riempirt' il tempo per sfuggire alla noia. ma alla profonda concezione ntorale secondo la quale soamo responsabili di fronti.' alla nostra coscoenza del tempo da noo speso male o nell'ozio. Il tempo è pruioso per colui che concepisce la vita anz•· lutto come dovere: perder tE'mpo o citi più so più sploce dirà Virgtllo al dt­ sct'polo dunonte l'ascesa del purgato· rio (conto lll. verso 78). l 6.

« Ptgllolo, all'Interno di qut'sta riva pie· trosa • prese poi a dire c si trovano tre

cerchi piccoli ( rtSpetto ai precedenti). digradonti (di grado in grodb) comi.' quelli dai quali st'i uscito (che IIUsi: che !asco).

J 72

19.

Sono tutti pl�n1 di anime dannat�: ma perché po1 lì s1a sufficiente soltanto ve­ derle (senza piu b1sogno di spiegazio­ m l . odi in eh� modo e per quale mo­ tivo si trovano In ess1 stipate (co­

stretti) . 22.

Lo scopo di ogni cattiva azione (mali­

zia) , che suscita Ira in c1elo. é la vio­ lazione di un diritto (ing1uria) . ed ogni scopo di questo genere (ogni ingiuria l

offende qualcuno o con la violenza o con la frode. Tre sono le fonti

principali da cui

Dante attinge l criteri che presiedono

alla struttura morale e topogralka del basso inferno: Aristotile. 11 diritto ro­

mano e il pensiero scolastico nella for­ mulazione di San Tommaso. Qur in particolare i termln.ì malizia e ingiuria

sono usati in

un'accezione

mente giuridica: la

c

specifica­

malizia :o è quella

dìsposlz1one al male. ìl cui fine, delibe­ ratamente voluto e perseguito. è l'in·

frazione (/niuria: violazione dì un dì­

fittOl dì una legge fissata da Dio. La 1nglur1a può essere perseguita e per

meno della v1olen:a e per mezzo della frode: questa dJSt1nz1one. fondamentale nel d.r1tto romano. s1 trova enunciata nel De 0/{iciis di Cicerone.

25.

Ma poiché la frode è malvagità pro­ pria dell'uomo. essa spiace maggior­ mente a Dio: perciò i fraudolenti stan­ no in basso (di sutto) e sono sotto­

posti a tormenti maggiori (più do/or

li assale).

La violenza è comune sia agli uom1ru che agli animali: non cosi la frode, il raggiro. l'!nganno premeditato, che si fondano sulla rag1one e des1gnano col­ pe specificamente umane. L'uomo si ad­ dentra tanto più nel male quanto più

consapevolmente e freddamente lo com. pie. Già Arìstotìle aveva Indicato. nella consapevole partecipazione del razio­ cinio all'atto moralmente

negativo. U

cnterio per distinguere le colpe in base alla loro gravità. 28.

Il primo dei tre cerchi è interamente occupato dai violenti:

ma poiché si

compie violenza contro tre specJe di persone, esso è stato costruito e sud­

diviso 10 tre zone concentriche (gironi).

Dante e VirQìlio davanti alla tomba dì papa Ana�tasio.

La ,

può essere

guada)

e

attraversato

trasporti

costui

Il tono di questa risposta di Virgilio a Chirone si differenzia nettamente da quello delle risposte date ai guardiani dei cerch.i superiori. Questi sono stati trattatì finora. se non sempre con aper­ to disprezzo (come Cerbero. Pluto e il Minotauro). con un'impazienza che non ammetteva repliche (nel caso di Ca­ ronte. Minosse. Flegiàs) . Qui. per la prima volta. Virgilio non si accontenta della solita formula. breve. solenne ed enimmatica. per rivelare ad un mini­ stro dell'inferno la volontà di Dio Egli . tenta di convincere Chirone della fon­ datezza delle sue ragioni. non di impor. gliele dall'alto dl'lla sua superiorità in­ tellettuale. Questo perché in Chirone si esprime un'intelligenza forse ..elemen­ tare ed aliena da sottigliezze" ( Sape­ gno). quale è quella che meglio si ad­ dice alla sua indole militaresca ed auto­ ritaria. ma pronta ed acuta. Virgilio crede quindi doveroso ricordare a Chi­ rone gli antefatti della discesa di Dante nel regno dci morti (l'incarico affidato­ gli da Beatrice ) . protesta l'innocenza propria e del suo compagno (non é la­

dron. né io anima /ula) e motiva {ché non é spirto che per /'acre vada) la sua richiesta di una guida che indichi il punto di plu facile guado del fiume.

97.

Chi.rone si volse a destra (in su la destro poppa) , e parlò a Nesso: «Vol­ giti indietro, e fa loro da guida. e fa

79.

82.

scansare qualunque altra schiera s'im­ batta (v'intoppo) n I voi:o.

Dopo essersi scoperto l'ampia bocca.

si rivolse ai compagni: � Vi siete resi conto che quello che procede per se­ condo �po.,ta le cose che tocca?

l piedi dei morti non usano fare cosi :o.

100.

Ci avviammo dunque Insieme col sicuro accompagnatore (scorta fida) lungo la sponda del sangue bollente (del bolior vermiglio) . nel quale i dannati emette­ vano grida laceranti.

19 7

103.

106.

Tamigi a Londra. una statua dorata.

Vidi una moltotudin� lmm�rsa Ano agli occhi (in{ìno al ciglìo l : e N�sso spie­ gò: c Essi sono tir;�nnl eh� uccisero ( dier nel sangue ) e depredarono (c nel· rao•u di pìglto). Qui so sconta ol male arrecato agh altri senza poetà (lo spoetato donnì) : quo si

secondo quanto rilerosce un antteo com· mentatorc. Benvenuto da Imola. r�gge· va un calice contenente il suo cuore

alsamato.

unb

12 l.

trovano Al�ssandro. e Il crudel� Dioni­

soo. che fu causa alla Sicolia di anno dolorosi.

124.

Alessandro potrebbe essere il tiranno di Fere. on Tessaglla. della cuo crudeltà parla fra gh altro Cocerone. oppur� il re dei Maccdono. che alcuni auton latini

Vido in seguoto una moltttudin� che teneva f'!orì del fiume il capo cd anche tutto ol petto (il cosso) : c riconobbi pa· recchi di costoro. A questo modo il livello del sangue an­ dava sempre più diminuendo. Ano a bruciare soltanto i piedi: qui (quindi}

g uadammo (fu... il

nostro

passo)

il

fossato.

hanno descrotto come un tiranno sangul­

naroo ( Seneca lo choama ''ladro c di­ struttore di popolo''. Lucano lo defini­ sce ''fortunato predone''). ma che Dan­ te elogm tanto nel ConviviO quanto nella M.,n8rclun. Questo peraltro non sarebbe motivo sufflcoente per farci ri­ tenere uupossiblle la sua destlnazione alronferno. molti tra i p�rsonaggl della storoa che il Poeta amnura maggior­ mente sono Infatti. nella Commedia. fra

l reprobo. essendo l .criteri della giusti­ zia dovina nccessaroamente �upcrlorl a quelli del goudozoo degh uomono. 109.

E quella fronte coperta do cosi neri capello. c (la fronte) do Ezzellno: quello

boondo � onvece Obozz.o d'Este. il quale davvero 112.

fu uccoso in terra dal Aglio snaturato

({igliF,.tro)•. Allora mo rivolsi a Vorgi· ho. cd egh dossc • Nuso soa ora la tua guoda (qucst1 t1 s1n or primo ) . io verro secondo ( c ìo secondo)"· Ezulino Ili da Romano. capo ghobelli­ no

c

sognorr della Marca Trcviglana.

morto nel 1259. c definito d,, uno stori­ co do p.orte guelfa. Il Villam. ol p1ù crudele toranno della crostianotà tCro· nn: par.

tec1pi ma controllati, calmi. come di chi

(Holkbam HaU,



assolve un grave dovere: Virgilìo

f. 19 r)

ma la sicurezza precisa e quasi Impassi­

lo sentia d'ogni parte trarre guai, e non vedea persona c&e ' C facesse; per c&' io tutto smarrito m'arrestai.

bile del chirurgo che guida la mano Incerta (a/lor porsi la mano un poco

avante) dell'allievo sul corpo dell'am· malato: sappi... riguO(da ben... se tu tronchi.

31.

Cred' io c&'ei credette c&' io credesse c&e tante voci uscisser tra quei &roncf>i da gente che per noi si nascondesse. Però disse 'C maestro: «Se t u tronchi quaCc&e frasc&etta d'una d 'este piante, Ci pensier c' &ai si faran tutti monc&i». ACCor porsi Ca mano un poco avante, e coCsi un ramiceC da un gran pruno; e 'C tronco suo gridò: «Perc&é mi sc&iante?,

sa.

dunque noo c'è stupore o timore in lui.

' Allora stesi la mano un poco io avanti e colsi un ramoscello da un grande albe­ ro spinoso ( pruno) : e il suo tronco gri­ dò: « Perché mi schianti (sciaiante ) 1 :. L'inquietante crescendo dei primi tren­ tatn' versi. l';,nsi., tes.o che dal paesag­ giO " trasmeue all'aninoo di Daote. si raccolgono e culminano 10 questo gndo innaturale: e '/ tronco suo grido. Un vegetale con voce' umana.

E

voce che

si articola nell'atto piu l�uo umano,

mento teso alla n' i' non potrei, tanta pietà m'accorah>

85

Perciò

88

d'i dirne come C'anima si fega in questi noccbi; e dinne. se tu puoi. s'afcuna mai d'i tai mem&ra si spiega».

ricominciò: «Se f'uom li faccia fi&cnnnente ciò cbe 'f tuo dir pricga. spirito incarcerato, ancor ti piaccia



Min. franco·gotlco� -

Ma. T. l. 6

79



r)

Affor soffiò if tronco forte. e poi si convertì quef vento in cotaf voce: «Brievemente sarà risposto a voi.

corte •mpttlalr di Palermo. dove entrò nelle grazie di Fedet�co I l d1 Svrvm.

fino a d•ventarc

c

cons•ghrre

segreto.

della

Magna

protonota ro •· gmd1cc

73.

venm meno alla fedeltà verso 11 m10

s1gnore. che fu tanto degno dJ rispetto (onor).

Curia e cancclhere del Regno d1 S•cllia. Accusato

e Dante flt1ene a torto



forse di arricchimenti •llec•t•. d1



e del De Sanctis

ecccsrnto. da cort•gia­ ni mv•d•os• e offrs• d:�lla sua fortuna,

delle Vigne ha parlato senza commuO· vrrs1. esprimendosi m una forma t�cer·

cata ( '" cui è come un compiaCimento

sgraz1a del suo s1gnore che lo fece •n·

per la propria perizia di maestro dci­

accecare

to, raffinato,

( 1218 } . l'anno uccise. Fu uomo col.

SI

dopo. d1sperato.

poeta

in

volgare.

mato per la sua eloquenza

c

J'ars

rino·

per la

lesa.

che con In morte si sarebbe sottratto al ero

gittare sulla sùa memoria. l'accusa che

invece)

gli

PN un CfiSt1.1no l'uomo non può IO· ghers• la v•ta. essendo questa un dono

76.

tore. il Buti

dcc

toghcrc:

anz• le dcc tenere quanto vuole colu1 che gliele dà:

c.

se le t�Ruta. rag•one �

79.

82.

in

pidno um.1no.

Vllil. e

N�turalmcnte.

85.

sul

del Mona.tcro •

da ruuprovcrnrsi

88.

fatto di

proporsi

gnu.• del sacro. Ncs>un� pero d• queste stot�e, mc"e nella cormcc dcll',,l d1 là,

a contr..,to con l.o cond•z•one etern.1 di ch1 ne fu 1l prot ••gumsto.�,

soltanto un

c'empio

,.

•n D.mte

:tona d1 bene

nute. Come

c



m

rn..u

c

ncca

cosi

Se ti verrà fatto spon.

di dirci in che modo l'anima sì rap­

(si lega)

in questi duri nodi

simili membra ».

91.

Allora 11 tronco soffiò forte. e poi quel soffio ( vento } SI convertì m tali parole

( cotnl ••oC'e) :

c

Vi sarà data una ri·

spo.st" breve.

Il suo secondo discorso



premette Pier

.optiOfi$11Cil delle no·

td:lone. In realta i sed•ci vers• d1 cu1 e composto noo sono poch•. sopr.!IIUIIO

dt m.tlc 1n c'�c conte­ tutt.l

1.1 gr.•ndc arte.

nnpo,r .. a : lo s�hcm., con..

CCttualc SI IOV(r,l d1 COntinuO ncll,l

rla

c

da

cuore! ,.

d,•Jie v.gne . sarà un11 breve comun•·

quc>t•• deRnmone � m D.mte sempre proposta,

potrei.

quo.�le p1u quale

meno. tutte sfuggono .1d una dcfin mo.

ne uml.oter,IIC

non

( nocclli} : e rivelacl. se puoi . se m�i qua d1 non parlar troppo del propt�o supphzio: 11 tono � st.•cca· to. oggettivo. impersonale: s11rli t1Spo·

3to

n

voi.

211

ID.femo xm, 112· tli

. "Lcgeoda SS. Haymools et Vermoodl Min. lombarda Pine dd sec. XlV (Milano, Biblioteca Trivuhia.oa "







Ms. S09



f. 2 v)



I

e ,, l -� . .. �.

f y,

/

'

-

� '

9i.

Quando

l'anima crudele (contro se stessa) si separa (sì porte) dal corpo dal quale essa stessa si t strappata (di­ svelta) , Monosse la manda al settimo

94

Quando si parte C'anima feroce daC corpo ond'eCCa stessa s' è disvdta, Minòs fa manda aCCa settima foce.

97

Cade t n fa sefva, e non (' è parte sceCta; ma fà dove fortuna Ca &afestra, quivi germogfia come gran di spefta.

100

Surge in vermena ed in pianta sifvestra: f'Arpìe, pascendo poi deffe sue fogfie, fanno dofore, ed a( doCor jenestra.

103

Come f'aftre verrem per nostre spogfie, ma non però cf>'afcuna sen rivesta; cf>é non è giusto aver ciò cb' om si togfie.

cerchio (/oce: fauce, gola) .

97.

Cade nella selva. e non le t prescelto il luogo: ma là dovt> rl caso la scaglia ( bn/estra) . qui germoglia come seme

di frumento (spello).

100.

CreSce on forma di vlfgulto ( vermena)

e Ji pmnta sclv.,tica: poi le Arpre, pa· sccndosi delle sue foglie, le procurano dolore. e un varco (/encstro) alle ma­

nifestazionr di uso. 103.

Come le altre (anime) verremo (nella valle di Ciosafat) a riprendere l no­

stri corpi (per nostrt' spontìe) , ma non per questo alcuna dr nor

St'

ne rivestirà:

poiché non t giusto avere crò dr cui • privati ( om si to11/ie) .

cl •l

106

TrasciMremo penosamente ( strosdne· remo 1 i nostn corpr fin qur, essr saran.

no appesr nella mr•t.r •elva, ci,rscuno alla pianta (prun) in cui è chrusa la su" .Jnrm" (ombra) nemica (molesto) " sr stessa ».

L" anima. mentre da le notizie r�chic­ ste sul proprio itincrano attr.lVerso l'Inferno (sr porte... In mando... cade...

lo balestra... 1/Ctmogllo... surge ) , •i fil

a poco a poco nuov,rmente p.rrteclpe della sua �str�ma vicenda: l'anrma del

surc1da c f�rocc contro rl corpo dal disvcltrr, strappata con vio-

qu.rle i�

212

·�

l�nza e �forzo come radice dal proprio

terreno c contro se stessa: e alla fine dopo la prefìguraziooe oggettiva della

processione Universale

106

Qui fe strascineremo, e per Ca mesta selva saranno i nostri corpi appest,_ ciascuno a( prun deff'om&ra sua molesta».

IT2

seguirà al Giudizio scopre con un brivido. fra

tanti corpi. il suo: ciascuno al prun .

. .

109.

Noi eravamo ancora tutti intenti (at­

tesi) alral�ro. credendo che ci volesst' dir._. altre cose. quando fummo sorpresi da un rumore.

112.

109

che •

Noi eravamo ancora a( tronco attesi, credendo cb'a(tro ne po(esse dire, quando noi fummo d'un romor sorpresi,

come colui che sente arrivare il cin­ ghiale (il porco) e i cani e i caccia­ tori (la caccia) al luogo dove si è ap­ postato (allo sua posta ). e ode le �­ sile

._.

lo stormire delle frasche.

Finora questo canto e stato quasi to­

talmente privo di azione apparente, "n· che se ricchisstmo di svolgimenti psico­ logici. Qui. con notevolissimo risalto. irrompe

simifemente a colui cbe venire sente if porco e Ca caccia aCCa sua posta, cb'ode (e &estie, e fe frascbe stormire.

"La

nclrimmobile

selva

che

il

movimento.

credevamo

ormai

di

conoscere cl rivela ignote paurose pro­ fondità. sprigionando dal suo oscuro inattesi

seno inattesi esseri umani e

mostri. in un tumulto di caccia. dove con tnfrrnalt travolgimento il cacciato

t J'uomo.

115

Ed ecco due dafCa sinistra costa, nudi e f}raffiati, fuBfJendo sì forte, cbe defla selva rompìeno Of}ni rosta.

115.

"

( Parodi)

Ed reco apparire due dal lato sinistro. nudi t pieni di graffì che scappavano cosi in fretta. da rompere ogni frasca .

(rosta) del bosco.

,,

Inferno xm. 1 1 7-114

"Lcgtnda

SS. Haymonis el Vumondi". Min. lombarda • Pine del sec. XIV (Milano, Biblioteca Trivuhia.aa • Ms. S09 f. l r) •



-

.

1 18.

121.

Quello (che correva) d,wanti ( grida­ va) : c Presto (or) corrum in .uuto (nuorrl). corrimi 1n ,1iuto. o morte' ,. E r,thro. che SI :.ccorgcv.l ( CIII p11r4'VIl) d1 rcçt.>rc pcrtcolo�.uucntc md1etro (lltr· diJr troppo). grtd.IV.t • Lano. non fu­ rono cos1 ,1b1h (accorte) l� tue gambe ndl.t b.lltJglla (alle IliO· slrc) del (da/) Toppo1 ,. E po1ché forse gh m.1nc.wa il fiato (fallia /.1 lena) . dt Sé c d1 un ccspugho Ieee un viluppo annodato strNt,uuente (groppo) . D1I.Jp1datori dei propri bcnt, quindi '"'"Il"''' dalle caww (forse i ri· morsi o. secondo alcun1. t creditori). i due sono L.mo da Sirno� (forse Erco­ lano Ma,om ) . ucciso � Pieve del Top­ po. m un.t l>.ttt,lgh.t fra Scncs1 c Are· 11n1 (••//c 11iostrc: "' tornei: c detto con crudele >ronia) . c Giacomo da S;�n. t'Andrea. padovano morto nel 1239. f;uno:oiO p�r le- sut' strL1v.,g�nze. L;mo gndn invocando un.1 seconda morte impo�>lbile: Il compagno (• colui che ..st sente rimaner solo nel peri­ colo c gnd.1 d1ctro all',thro uno scherno ch'c un.• m.>lcdl:1onc. m cuo sì fon­ . dono '""eme ìnvodia c dispcrrono (di­ lttcer.ttO) pn:o per pezzo: poi se ne and.trono portando (con sé) quelle membra dolenll.

1)0.

Allora la mia guida mi prese per m.mo, c mi condusse .11 cespuglio che p1.tngev.1 Inutilmente (in v11110) attra· verso glo squ,orci (rotture) sanguinanti (sanHttim•nti) .

133.

Dlccvrt Il cespuglio: « O Gincomo da Sant' Andre.J, a che ti r SNVJto farti scudo (schermo) di mc? che colpa ho io dell •. otua vita colpevolel ,.

1 36.

Ounndo Il maestro si fermo presso di lut. d1ssc; « Ch1 fo,tl. �hr ,lttr.JVcrso tante ferite (pttrttl suo

conda (/'t gh�rand l a). come ti fiume sangue P /osso tristol qw

ci

circonda

arrestammo

sul

ruargme (01 r01nda a randa: rasente l'il­

219

=

13

Lo spazzo era una rena arida e spessa. non cf'aftra foggia fatta cbe cofei cbe fu da' piè di Ca ton già soppressa.

16

O

vendetta di Dio. quanto tu dei esser temuta da ciascun cbe fegge ciò cbe fu manifesto aHi occbi miei!

D'anime nude vidi morte gregge c''e piangean tutte assai miseramente, e parea posta (or diversa (egge. 22

Supin giacea in terra afcuna gente; afcuna si sedea tutta raccofta. e aftra andava continuamente.

25

Queffa cbe giva intorno era più mofta, e queffa men cbe giacea a( tormento, ma più aC duo(o avea Ca Cingua sciolta.

28

Sovra tutto '( sa&&ion, d 'un cader Cento, piovean di foco dilatate faCde, come di neve in a(pe sanza vento.

31

Quafi Afessandro in q ueffe parti caCde d ' India vide sopra '( suo stuofo fiamme cadere infino a terra safde; per c6'ei provide a scafpitar Co suofo con fe sue scbiere. acciò cbe (o vapore mei si stingeva mentre cb'era sofo;

37

tafe scendeva C'etternafe ardore; onde Ca rena s'accendea, com'esca sotto Jocife, a doppiar Co dofore.

lnf�roo XlV, 19-21 La Commedia, Inferno. Mio. furarue • a. H7i-H82. (Rollla, BibUoteca Vatleana • Ma. Urb. Lat. 36S f. 36 r) ,

220

-

,.

n

13.

Il terreno ;�sciutta

c

ampiena. scendevano lentamente (d'un

(spazzo) era una sabbia compatta, non dissimìle (non

cader lento ) . larghe falde di fuoco. come (falde) di neve su una montagna

d'altra foggio fatta) da quella che fu calpe�tata

(soppressa)

(alpe) senza vento.

un tempo da

Catont>. L'idea della pioggia di fuoco è venuta

l critici hanno variamentt' notato ran·

damento

discorsivo

di

questa

a Dante probabilmente dalla Bibbia (di. struzione di Sodoma. Genesi XIX. 24).

prima

Ma nuovo, e tipicamente dantesco. è raccostamento di questa pioggia i gnu ad una nevicata. La precisazione sanza

parte del canto. Dante indugia strana­ mente qui nella descrizione e nella pre­

·

cisne (non ptu che

I' cominciai: «Maestro, tu c�e vinci tutte fe cose, fuor c�e· demon duri c�'aff'entrar dd(a porta incontra uscinci ,

curi) le lìamme e giace sprezzante (di· spettoso) t torvo (torto) , In modo cht la p1oggoa (di fuoco) non sembm Rac­ carlo (non p8r che 'l maturi ) l • 19.

E quello stesso accortosi che chiedevo di lui a Virgilio. grodò· c Come fui da vivo. cosi sono da morto.

Ch1 parla e Capanto. uno del stile rt che ·•ssedoarono Tebt C oà nella Tc­ batd

Inferno XIV, lOi Da "Comcntarios al Apocalipsis" di Beato dc Liébana: l'allegoria dell'Oriente attraverso la rapprescntazion� simbolica dd ngno babilon�sc a. 975 • (Gerona, Tesoro della Cattedrale • f. 258 v) c mcdo·pcrsiano nell'arte preromanka spagnola di stile mozarabko •

. '.

88 cosa non fu daCCi tuoi occ�i scorta nota&ife come 'f presente rio, c&e sovra sé tutte fiammdfe ammorta». 9 1 Queste paro(e fuor def duca mio; per c�' io 'f pregai c�e mi fargisse if pasto di cui fargito m'avea iC disio. «In mezzo mar siede un paese guasto• diss'effi affora, «c&e s'appeffa Creta. sotto · r cui rege fu già H mondo casto.

228

.

.

97 Una montagna v' è c&e già fu fieta d'acqua e di fronde, c�e si c&iamò Ida: or è aiserta come cosa vieta. 100 Rea fa scefse già per cuna fida def suo figfiuofo, e per cefarfo megfio. quando piangea, vi facea far fe grida. 103 Dentro da( monte sta dritto un gran vegfio. c&e tien vofte fe spaffe inver Damiata e Roma guarda come suo spegfio.



•�

!t •

T • � . •



88.

bra di pedanteria (notabile... presente) : Dante dovrà accogliere le sue parole come espressione di una verìtà che non nega, ma convalida i sistemi dottrinali da lui appresi nelle scuole.

i tuoi occho non vodcro nessuna cosa notevole (nolobilc) come questo corso d'acqua ('l prcsrnt(' rio), che sopra di n smorza C ammorto) tutte le Ram­ melle. » C'� un contrasto fra l'apparenza mode­ sta di qutSIO ruscello c la portata uni­ versale del suo significato. Virgiho prepara l'alunno alla grandiosa leg­ genda che sta per raccontargli: il suo vocabolaroo � scelto. non senza un'om-

91.

9i.

« In meno al mare si trova (siede) una terra desolata (un paese guasto) ,. disse Virgolio allora, � che si choama (s'appella) Creta, sotto il cui re un tempo (giAt) il mondo fu virtuoso. Sotto il re cretese Saturno il mondo godette della favolosa « età dell'oro "· durante la quale gli uomini vissero in perfetta pace e in completa felicita (cfr. Virgilio - Eneide VIli, 319 sgg.). Anche la rappresentazione dell'osola di Creta un tempo ricca e ora caduta In rovina. è di origine virgiliana ( Enei­ de 111, IOi sgg. ) .

Queste furono (/unr) le parole della moa guoda: perciò la pregat che 1111 concedesse il cibo (pasto) di cui mi aveva dato il desiderio (che mi spie· gasse le cose che, dopo Il suo accenno, desideravo sapere) .

97.

Vi si trova una montagna una volta allietata da acque e vegetazione, il cui nome fu Ida: ora è abbandonata come cosa vecchia (vieto) .

100.

Rea la scelse una volta come nascon· dlglio sicuro (cuna fida) per suo fìgllo, e per celarlo meglio, quando piangeva, ordln;,va di gridare (vi facea far /e grida) .

••

Rea. moglie di Saturno, per sottrarre il fìglloletto Giove al padre che vole­ va divoraTio. lo nascose sul monte Ida e quando il bambino vagiva, i Co­ ribantl. seguaci del suo culto ( cfr. Vir­ golio - Eneide III. 1 1 1 - 1 1 3) . facevano un grande fragore perché non lo si udisse. 103.

(

lnfttoo XIV, IOS

Da "Comeota.rlos al Apocalipsis" dJ lkato dt Liébaaat l'allegoria di Roma. Min. moz.arabica a. 97S • (Gerona, Tesoro dclla Cattedrale • f. 2S9 r) •

Dentro il monte sta eretto un gran vecchoo (veglio), che tiene le spalle volte verso Damiata (Damletta, su una delle foci del Nilo: 10d.ica qui l'Oriente) e guarda Roma come fosse il suo spec· chio (speglio) . Il discorso di Virgilio procede. come ha osservato il Momigliano. "senza legami slntatUci. per tempi staccati, che isolano via via i luoghi e i fatti In una stupita lontananza. in un magico silenzio". La favola del Veglio di Cre­ ta. che qui inizia, è poetica soprattutto nrlla sua parte iniziale. dove prevale il senso del mostero. come afferma an­ che Il Croce. L'Idea profonda che è alla base del­ l'allegoria del Veglio e il legame che unisce Il peccato al dolore, il mondo In cui il peccato si compie a quello In cui esso è punito, Dante fonde In que­ sta leggenda un passo della Bibbia e uno di Ovidio. Nel Libro di D;,niele (II, 31-33) è detto della statua apparsa In sogno a Nabucodonosor: essa appa­ re fatta di materiali sempre ptu voli a mono a mano che lo sguardo del re babilonese la percorre dalla testa ai poedl. Nelle Metamorfosi (l, 89-150) il progressivo decadere dell'umanità daIlo stato di lonocen:a è adombrato oel mi· to delle � quattro età dell'uomo •: l'aurea. l'argentea, quella del rame, quelln del ferro.

229

Inferno XIV, 106 La "testa... di fino oro formata dd Veglio di Creta simboleggia il primo periodo felice dcll"u.manità sulla terra: � la leggendaria "et� dcll"oro del mondo pagano t c il paradiso tcrrcstn dd crisiani. "

"

"Georgiche"" di Virgilio. Min. dd Maestro dd T�rcncc des Ducs" inizio dd sec. XV • (Holkhnm Hall, Lord Lciccstu Library . Ms. Hollcham }07 l. 88 v)

"'





106.

Il suo capo t fatto di oro puro (/ìno).

l� braccia e il petto sono di puro ar­

g�nto. poi è di rame fino al punto in cui l� gambe si biforcano (forcola) ;

109.

da questo punto in giù è tutto di ferro

sullo (eletto ) . eccello il piede destro che è di terracotta; c si appoggia (sta... eretto) più su questo che sul­ l'altro pi�de. Stabilito eh� la statua del Veglio sim· boleggia

Il

decadimento

del

genere

umano. l"onterprctaz1one p1ù plausibile

di questa allegoria � eh� 1 metalli di cui la statua t formata. alludano alle

c età dell uomo ,. elencate da Ov1dio. "

In parllcolar�. la parte meno nobil� di �ssa. quella dalla forcata in g1ù. indi·

cher�bbe r�ra d�lla massima corruzio­

n�. Nel pi�de di ferro occorr�rebbe al· lora vedere l"lm�ro. e In quello di ter­ racotta la Chiesa che si e arrogata il

106

La sua testa è di fino oro formata, e puro argento son fe &raccia e if petto, poi è di rame infino aCCa forcata;

109

da indi in giuso è tutto ferro detto, saCvo c�e '( destro piede è terra cotta; e sta 'n su que(. più c�e 'n su C'a(tro, eretto.

112

Ciascuna parte, fuor c�e ('oro. è rotta d'una fessura c�e (agrime goccia, (e quaCi, accofte, foran queCfa grotta.

115

Lor corso in questa vaffe si diroccia: fanno Ac�eronte. Stige e Fregetonta; poi sen van giù per questa stretta doccia

potere temporale ed erron�amente. se­

condo Dante. pretend� di essere la su· pr�ma autorità poht1ca In terra.

112.

Ogni parte. fuorché quella d'oro. è in· ( rotto) d01 una fessura che stilla

CISa

l;1grlmc. le quali. raccolte insieme (ac·

colte). perforano la roccia (grolla) .

1 1 5.

Esse (/or corso) precipitano di roccia in roccia (si d/roccia) In questo abis· so: formano l'Acheronte. lo Stige

e

il

Plegetonte: poi scendono attraverso questo stretto canale (doccia)

1 18.

Rno al punto ove più non si scende (si

d/smonta) : formano il Coclto: e che aspetto abbia quella palude. lo vedrai; perciò adesso non ne parlo (pero qui non si conta) . ,. Cocito è lo stagno ghiacciato che oc·

cupa il nono cerchio: In rsso sono im­ m�rsl l traditori e lo mperador del do· •

/oroso regno. Lucifero. che tradi la 6· ducla 10 lui riposta da Dio. L or�glne del RunH infernali "

è

un ele­

mento nuovo che non si trova nei mo-

230

l

118

121

delli biblico e classico, che hanno ispi­ rato l'allegoria del Veglio. Dante vole­ va. come scrive lo Steiner, "che il do­ lore. in quanto e conseguenza del pec· calo. fosse restituito a colui che del peccato e la prima origine... Perciò il pianto dell'umanità intera "cinge l'in­ ferno, lo attraversa. diventa strumento della punizione dì quei tristi che lo han­ no fatto versare più copioso ai loro si· mili, ma inAne scende a cercare nel profondo di quello il signore d'ogni ma­ lizia e al repugnante contatto di esso si muta in ghiaccio e costituisce cosi l ceppi eterni del superbo che ha sca­ tenato nel mondo il peccato e la morte, e che fu agli uomini causa prima di in· felicità". L'allegoria del Veglio di Creta e la teoria dei fiumi infernali non hanno soltanto un valore struttu­ rale (in quanto ci mettono al corrente della topografia infernale) . ma anche e soprattutto poetico. nella misura in cui sì concretano in una solenne. accorata meditazione sul corso della storia uma­ na. Quello simboleggiato nella figura del Veglio di Creta c nella teoria sulla formazione dei fiumi infernali è tuttavia soltanto l'aspetto negativo - indispen­ sabile. ma non definitivo del penstero d i Dante sulla storia : cardine di questo pensiero è infatti la provvidenzialità divina. la ferma fede nel trionfo del bene e della razionalità. oltre ogni in· giustizia e dolore.

infin (à ove più non si dismonta: fanno Cocito: e qua( sia qudfo stagno, tu (o vedrai; però qui non si conta». E io a fui: «Se '( presente rigagno si diriva così daC nostro mondo. perché ci appar pur a questo vivagno?»

124

Ed dCi a me: «Tu sai c be '( (uogo t tondo; e tutto c&e tu sie venuto moCto pur a sinistra, giù caCando a( fondo,

127

non se' ancor per tutto H cerchio vofto: per c&e, se cosa n'apparisce nova, non de' addur maravigCia a( tuo vorto».



121.

124.

127.

E io: ._Se questo ('/ presente) fiumi· celio scaturisce quindi (si diriva cosi) dalla terra, perché ci sì mostra soltanto su questo margine ( vivagno) ! » E Virgilio: c Tu sai che questo luogo ha forma circolare; bencht,(, scendendo verso il fondo. tu ti sia inoltrato parec­ chio procedendo sempre a sinistra, non hai ancora compiuto un giro in· !ero (non se· ancor per tutto il cerchio volto) : perciò, se appare una cosa nuova. essa non deve (de') apportare (addur) un'espressione di stupore (ma· ravig/ia) sul tuo volto �.

Inferno XIV, 106

L'atmosfera Idillica dell'"età dell'oro" pu il genere umano, da Virgilio eternala nella poesìa delle "Bucoliche" ispira cklicatl accenti li.rld all'Ignoto mln iaiW'ista.

,

"Bucoliche" dì Virgilio. Mio. dcl "Maestro dd Tbenec du Dues"

• inizio ckl Kc. XV • (Holkham Hall, Lord IA!icester Library Ms. Holkham 307 f. l r) •



231

In!uno

XIV, 106·1 1 t

La grandiosa figura

dc:l Veglio di Creta

ba la sua origine

In un passo del profeta Daniele (Il, 31·3S),

r pr�stntc in una

tradizione ricordata

da Plinio il Vecchio (Naturalis Historia VII, 16) e da Sant'Agostino (Dc Civitate Dei XV, 9) cd è lnline splcndidament� sintetizzata in

forma pOetica da Dante, che immagina da essa scaturiscano l

liWDi

inlunali.

Da "Comcntarios al Apocalipsis" di Beato de Liébana: la visione di

Nabucodonosor secondo Il tuto di Daniele. Min. mozarabica a. 975 • •

(Gcrooa, Tesoro ddla

Cattedrale



f. 2H r )

l

130.

E io ancora:

c

Mautro, dove si trova.

no il Flegetonte e il �tè1 poic:hé di

13 0

E io ancor: «Maestro, ove si trova Ffegetonta e Letè? cbé deCC'un taci, e C'aCtro di' cbe si fa d'esta piova».

133

«In tutte tue question certo mi piaci» rispuose; «ma ·c &offor def('acqua rossa dovea &en sofver C'una c&e tu faci

uno di questi non parli. e dell'altro dtci che ha ortgine (si /a) da questa piog.

gia (di lagnme) "·

Il Plegetonte t il fiume di sangu� bol. lente In cui sono puniti l violenti con­ tro il prossimo: il Lct� scorre sulla vet· ta del monte del purgatorto (dove è il paradiso terrestre ) e fa perdere alle

.

anime che si sono pentite, e sono sul punto di ilscenderc al cielo, la memoria delle loro colpe. 133.

"

In tutte le tue domande riscuoti cer­

tamente la mia approvazione (urto mi

piaci)



rispose; « m a Il ribollire del·

!"acqua rossa doveva htn risolvere uno

.

dei due quesiti che proponi (/aci) .

'• 136.

Vedrai Il Lett. ma fuori di quuto abis· so. là dove le anune vanno a detergersi quando ogni peccato di cui si sono pentlte (pentuto) è cancellato (rimos­

sa: allontanata). 139.

Quindi dl.sse:

c

»

13 6

Letè vedrai, ma fuor di questa fo�sa, (à dove vanno C'anime a Cavar�i quando Ca co(pa pentuta è rimossa».

l



.

Poi disse: «Ornai è tempo da scostarsi da( bosco; fa cbe di retro a me vegne: Ci margini fan via, cbe non son arsi,

Ormai � tempo di al­

lontanarsi dal bosco; fa In modo di se­

guire l miei passi: gli argini. che non sono bruciali dal fuoco. indicano la

e· sopra Coro ogni va por si spegne».

strada, li2.

232

e sopra di loro ogni fiamma ( vapor) si spegne •.

• •

'

l

·l l

nferno, Canto XV Pu evitare la pioggia di fiamme i due pellegrini avanzano

m 11110

degli argini del fiu­

micello che atlraursa il terzo girone e s'imbauono in una scl1iera di anime di dannati, uno dci quali afferra Dante per il lembo della t'este e manifesta la propria merat,iglia

nel t•cderlo Ù1 quel luogo.

Il Poeta lo riconosa. nonostante abbia il trolto devastato dal fuoco: i· Brtm�tto Latini,

il suo maestro, che esprime il desiderio di affiancarsi a lui nel cammino. Nessuno, infatti, dei 11iolenti contro m1tura può iutcrrompere il proprio andare: chi infmnge questa legge

: i

poi condannato a giacere cento anni sotto la pioggia di fuoco smza poter scuotere da sé le fiamme che lo colpiscono. Dante coti!Ùwa pt·rtanto a camminare sull"argiuc c riceve da

Brunetto la prediziotJe della sorte che il futuro gli risert'a :

u

Se rimani fedele ai prit1cipii

d1e hanno fin qui ispirato le tue azioni, la tua opera ti darà la gloria



Poi il discorso cade su

Firenze e la faziosità dei Fiorentini, in massima parte discmdmti dai rozzi abitanti di Fie­ sole, avari, invidiosi, superbi.

Sia l'uno sia l'altro partito in cui la cittù è divisa - aggiunge Brunetto - cercherà di avere

Dante in suo por ere, ma non riuscirà in questo inrento. Il Poeta a sua volta tesse l'elogio del suo maestro, dal quale ha appreso come l'uomo o/lime gloria fra i posteri,

c

dichiara

che questa profezia, come quella d1 tm altro spiriro, Farinata, t•urà sottoposta all'inrerprcra­ zione di Beatrice. Per il resto si dice pronro a far fronte ai colpi del destino. Pregato dal

Poeta, Brunetto nomma alcuni fra gli spiriti condannati alla sua stessa pena, quindi si ac­ commlflta, raccomandandogli la sua opera maggiore, il Tesoro, a/traverso la quale soprat•­ t•ivertÌ nel ricordo degli uomini.

233

·,

non siano quelle dei sodomiti, ma quelle dei "violenti

INTRODUZIONE CRITICA Nel colloquio di Dante On Ciacco il tema di Firenze

contro le arti liberali". Altri, come il Pasquazi, hanno cercato di cogliere il rapporto che legherebbe, nell'episo­

intorno a quelli che ne saranno poi i motivi fondamen·

successivo, lo splendore delle virtù civili di queste anime

si affaccia per la prima volta nella

Commedia accentrato

tali : la discordia fra i cittadini, i l prevalere della faziosità sulla giustizia,

dell'affarismo

sull'onestà

sobria

delle

antiche generazioni. Ivi è proposto am:he il tema, ad esso

complementare, del contrasto fra valutnione

«

laica

»

della figura dell'uomo politico e valutazione del cre­

dente. Da Ciacco Dante apprende che Farinata, il Teg·

ghiaio, Jacopo Rusticucci e gli altri Fiorentini che ope· rarono per il bene della patria si trovano

dio di Brunetto e in quello dei tre Fiorentini del canto al vizio che alimentarono in segreto. I termini di questa contrapposizione sembrano inconciliabili, ma il Pasquazi

ritiene che, nella visione rigorosamente orientata verso

la trascendenza che fu quella del Poeta dopo il momento " laico » rappresentato dal

Convivio e dalla sua parteci·

pazione alla vita politica di Firenze, "autosuffidenza

civile e sodomia dovettero apparire a Dante come aspetti...

tra l'anime più

di una medesima realtà", in quanto espressioni, sia l'una

con il cittadino : le sole virtù civiche sono insufficienti a

suo viaggio doveva servire a collocare lui nella verità,

nere. Agli occhi di Dio l'uomo non si identifica quindi redimerlo. Il tema politico si ripropone nell'episodio di

Farinata e in quello di Pier delle Vigne: uomini politici

entrambi, entrambi ghibellini, essi riscuotono l'ammirata

approva1.ione del Poeta per il disinteresse con cui hanno

servito i loro ideali in terra, ma lo lasciano dolorosamente

che l'altra, del peccato di superbia. "Proprio perché il

e ogni uomo con lui, era necessario che quel fallace modo di virt�l civile, di autosufficienza morale e di per­ fezione culturale fosse condotto alle ... forme del suo più

profondo squallore, delb sua più significativa deformità.

La superbia poteva piacergli; ma la constatata riduzione

perplesso a causa della loro insensibilità ai valori proposti

della superbia alla sodomia lo doveva guarire." fn altre

li tema politico e quello del dissidio fra agire umano

che incontra in questo girone, Dante intravede, portata

nei canti quindicesimo e sedicesimo dell'Inferno. Qui la

affermazione di autosufficienza che aveva indotto Fari­

all'uomo da Dio.

e sua insufficiente legittimazione etico-religiosa culminano

parola del Poeta investe i n pieno gli eventi della storia di

parol e : al fondo del peccato dei grandi guelfi fiorentini

all'assurdo e rovesciata nel grottesco, la stessa sprezzante nata nel peccato di eresia.

sfigurandoli in una sorta di appassionata e simbolica auto­ biografia, mentre propone, al tempo stesso, alla nostra

Nella misura in cui oltrepassano l'ambito delle inter· pretazioni tradizionali e ci suggeriscono un modo più approfondito di interrogare il testo del poema, le tesi del

illustri resi irriconoscibili dai segni della collera divina.

paiono senz'altro determinanti ai fini di un giudizio sulla

Firenze che lo hanno veduto testimone e protagonista, tra·

meditazione il dolore dei dannati, l'esempio di uomini Se infatti lo sfondo ideale, nostalgico, lancinante nel ri­

cordo, degli incontri di Dante con Brunetto Latini e con alcuni dei più cospicui esponenti del partito guelfo in Firenze

è Firenze stessa

·

la

terra prava che induce i l

Poeta ad esprimersi nei modi immaginosi e solenni dei

profeti d'Israele

·

lo sfondo reale, testimonianza incontro·

vertibilc della miseria di queste grandi anime, è il sah· bione infuocato, la pioggia sterile che le percuote. Al mo­

tivo profetico e a quello della gloria terrena dell'uomo

che

s'ctterna amaverso il ben far e sopravvive oltre la sieti raccomandato il mio Tesoro · si accompagna come costante sottinteso quello

morte, nella propria oper-a

·

della colpa umana, che solo la fede e il rispetto, ad essa

conseguente, dell'ordine naturale, possono riscattare. I critici hanno variamente cercato di interpretare la con·

traddizione, così stridente per noi nel canto quindicesi· mo dcll'lnf�rno, fra la condanna che Dante, in veste di teologo

c

Pézard e del Pasquazi sono ricche d'interesse, ma non ap· poesia dei canti quindicesimo e sedicesimo nel loro com·

plesso, e dell'episodio di Brunetto Latini in particolare.

Essa, come ha rilevato il Bosco, consiste proprio "nel con· trasto tra l'austerid morale di Brunetto e la miseria del suo peccato, tra la debolezza di cui questo

è testimonian·

za, e la fortezza d'animo che il suo discorso e quello to­

nalmente concorde del suo discepolo rivelano" Brunetto Latini non è un personaggio complesso come Francesca o

Farinata ; in lui questo contrasto si manifesta nei modi di un delicato riserbo, senza mai prorompere in una formula­ zione esplicita. Dante ce lo presenta come un maestro e con l'altro maestro, Virgilio, Brunetto ha in comune la

fondamentale mcstizia, il tono elegiaco dì chi, avendo

sempre perseguito la verità e il bene, sa di esserne rimasto lontano, non meno che la nobile fermezza nell'additare

al discepolo il doloroso cammino della rettitudine. Ma,

mentre nel personaggio di Virgilio questi sentimenti si

di moralista, infligge al suo vecchio maestro

caricano sempre delle allusioni simboliche richieste dalla

la sua poesia circonda questa figura. Il Pézard, ad esem· pio, ha creduto di eliminare le ragioni del no�tro disagio

rappresentati nella loro più viva immediatezza. Lo s plen· dore della profezia, basata qui, più che negli episodi di

documentazione, che nel ter7A> girone le anime condan·

non riesce ad offuscare la cordiale familiarità, la nostal­

Brunetto Latini e l'aureola di dignitosa fermezza di cui

avan1.ando addirittura l'ipotesi, sostenuta da una ricca

nate a camminare eternamente sotto la pioggia di fuoco

234

sua funzione di guida razionale, in Brunetto essi sono

Ciacco e di Farinata, su un fitto intrecciarsi di metafore, gia semplice delle sue parole.

aspetti della realtà a noi phj consueta. La prima di queste due similitudini t grandiosa e cupa: i suoni stessi sugge· riscono la

lotta senza quartiere

l'uomo e il mare. veduto come

un

tra mo­

stro scatenato. Di fronte all'impeto e alla paura espressi in s'avventa e si

/uggia è posto il semplice. disadorno,

impersonale fanno. quasi a significare

che la forza dell'uomo inerme è nella sua operosità e nel suo essere sociale. La seconda similitudine, più riposata e precisa

(l'avversario

da

combattere

non è roceano mbterioso e lontano. ma

un fiume noto al Poeta) . evoca. quasi per contrasto, nel momento in cui dopo il lungo letargo invernale le nevi si sciolgono, un clima dolce e sereno.

lafcrno XV, l

La Commedia, laferno. Min. emiliana • sec. XIV • (Roma, Biblioteca Angelica Ms. 1102 • f. 17 r) •

Canto XV l.

Ora cl porta una delle due salde spon­

de; e il vapore dtl ruscello fa schermo

(di

l

pra oduggia). In modo da ripara­

so

re dalle fiamme l'acqua e gli argini.

1.

Come la diga (schermo) che i Fiam­ minghi, temendo la marea (flotto) che

si scaglia contro di loro. innalzano (/anno) tra Wissant e Bruges perché il mare si ritiri (si /uggia: fugga) ,

1.

Ora cen porta ('un de' duri margini; e '( fummo dd ruscef di sopra aduggia. si c�e da( foco sa(va C'acqua e H argini.

4

Quafe i fiamming�i tra Guizzante e Bruggia. temendo if fiotto c�e 'nver s'avventa. fanno fo sc�enno perc�é 'f mar si fuggia;

7

e quafe i Padovan fungo fa Brenta. per difender (or viffe e for casteffi, anzi c�e C�iarentana H cafdo senta:

e come quella che l Padovani ( Innal­ zano)

lungo Il corso del Brenta, per

prot�ggere le loro ciuà (ville) e 1 loro borghi foriiRcaU (coste/l/t, prima che

la Carinzia

(comprendeva anche la Valsugana dove nasce ol Brenta) senta ìl caldo (che. sciogliendo le nevi, fa ingrossare l Rumo).

IO.

in �al modo

(a la/e lmaglne)

nano

costruoU quegli argini, benché

(tutto che) l'arteRce, chounque egli fosse sta­ to, non li avesse fatti (/el/i) né cosi alti né cosi larghi.

Nell'Impegno di dar consostenza visi­ va e verosimogllanza alle scene da lui imm.oglnate, Dante spesso oon si con· tentd do un solo termine di riferimento, ma raffronta Il dato fantastico a diversi

l

_._

IO

a ta(e imagine eran fatti queffi. tutto c�e né si afti né sì grossi, qua( c�e si fosse, (o maestro feffi.

235

1 3.

Già cl erav:�mo allontan:�tl (erovom... dalla selva tanto, che non

rimossi)

avrea veduto dove essa era, anche se io ( pcrch'io ) mi fossi voltato indietro.

16.

quando incontrammo un gruppo di ani­ me che camananavano lungo l'argine, e ognuna ci osservava (riguardava) co­

13

Già eravam cfa((a 5eCva rim055i tanto, c�· i' non avrei vi5to dov'era. pere�· io in dietro rivo(to mi fo5si,

16

q uand'o incontrammo d'anime una sc�iera che venìan fungo ('argine, e ciascuna ci riguardava come suo( da sera

19

guardare uno aftro sotto nuova (una: e sì ver noi aguzzavan fe cigfia come '( vecc�io sartor fa neffa cruna.

22

Così adocc�iato d'a cota( famigCia, fui conosciuto d'a un, c�e mi prese per fo (em&o e gridò: «Qua( maravigCia!»

25

E io. quando '( suo &raccio a me distese, ficca' Ci occ�i per fo cotto aspetto, sì c�e 'C viso a&&ruciato non difese

28

Ca conoscenza sua a( mio inteffetto; e c�inando Ca mia aCCa sua faccia, rispuosi: t· conda) con lo sguardo cosi attenta­ mente. :o

1 1 8.

Ahi quanto prudenti devono essere gli uomini dava.ntl a coloro che non vedo­ no solt.tnto le az•on• (/ ovra) . ma pene­ '

trano con l'intelligenza (miran col sen·

nol dentro i pensieri!

121.

Egli mi disse: « Fra poco (tosto) salirà ciò che attendo e che Il tuo pensiero confusamente m I magina (sogna) : fra poco dovrà apparire alla tua vista ( to­ sto convien ch'al tuo viso si scovra) :o.

121.

L'uomo deve sempre tacere (chiuder le

labbr11 ). finché può. quella verità che ha apparenza (/nccia J di menzogna (per Il fatto che è incredibile). poiché essa. senza che egll ne abbia colpa. lo ponl' nella condizione di vergognarsi (però che sonza colpa fa vergogna) ; 127.

ma a questo punto non posso tacere (la verità) ; e sui versi (per le note) di questa commed1a. o lettore. ti giuro. cosi possano essi non ssere privi di accoglienza gradita che duri a lungo

(di lunga grazia vote) ,

Werao XVI, 106-lll La CoGUDedla, lafuno. MID. emiJi•ne • XIV ( Rocu, Bibliotec:a �lka Ma. llOZ • f. l 3 v) aec.





263

•.

Inferno XVI, 130-132

La Commedia, lnfuno. Mio. ckl sec. XIV-XV.

(Roma, Biblioteca Vatjcana •

Ms. Vat. Lat. 4776

130.



f. 60 r)

che vidi attraverso quell'Mia densa e tenebrosa venire nuotando verso l'alto suso) una figura, tale da destare

(in

sgomento (maravigliosa) in ogni animo forte ( cor sicuro) . 133.

cosi come torna alla superficie colui che scende talvolta a disincagliare (a sol· ver) l'ancora 1mpigliata (ch'aggrappa) o in uno scoglio o in altra cosa chiusa nel mare,

136.

il quale si tende nella parte superiore del corpo ( 'n su). e si rattrappisce in quella lnfulore (da pi�) . Pu conferire maggior cred1bilità alla scena irreale che si prepara a descri­ vere (l'arnvo del mostro Cerìone. sim· bolo dell.1 frode) . Dante giura sui versi dd proprio poema. Secondo quanto il Poeta dice nella lettera da lui indiriz­ zata a C.mgrande della Scala per de· dicargli il poema (Xlii. 29-31) e in un passo del De vulgari eloquentia (Il. IV, 5-6). il termine comcdia designe·

rebbe ogni componimento poetico trat­

130

133

cb' i' vidi per queff' aere grosso e scuro venir notando una figura in suso, maravigCiosa ad ogni cor sicuro, sì come torna co[ui cbe va niuso ta[ora a so[ver C'ancora cb'aggrappa o scogfio o a(tro cbe nd ma re è cbi uso,

tato In uno stile familiare c in una lin­ gua semplice e caratterizzato da un lieto scioglimento. Nel Pa rodiso ( XXV.

1·2)

Il

poema

sarà

Invece

definito

'l poema sacro al quale Ila posto mano e cìelo

c

terra.

Il mostro che sale dall'abisso. In rispo­ sta :�1 scgnnlc della corda gettata da Virgilio. è per ora ancora soltanto una immagine indrtNminata (/ìgura ) . ani­ mata pero da una vitahtà posscntc e

armonoca. La similitudone del sommoz­ zator\' mrtte in rilievo l'energia con· trollata di ogni suo movimento. Pro·

136

cbe 'n su si stende, e da pit si rattrappa.

prlo perch� simboleggia la frode, Ce­ rione r�ppare. fin da questi primi versi. del tutto d1verso. nelle sue manoft>sta­ zionl. d:�lle potenze lnfcrn�h poste a

custodoa de1 cerchi degli inconhnenti e del violenti.

264

nferno, Canto XVII Virgilio indica a Dante il mostro che ( salito dall'abisso e clu, ad un suo anno, si pone

con la testa e il tronco sull'orlo intuno dd sntimo cuchio. L'aspetto di questa belva, che simboleggia la frode e che ha il nome di un re crudelissimo ucciso da Ercole, Guione, ( di uomo nd volto, di sapente nd corpo e di scorpione ndla coda. Mentre Virgilio si dirige vaso Gaione pu chiedergli di trasportare lui e il suo discepolo sul fondo dd baratro, Dante si at't'icina ad un gruppo di peccatori che, sedrtti sulla sabbia rovente e colpiti dalla pioggia di fuoco, arcano inutilmente di alleviare il loro tormento agitando le mani. Sono glr usu­ rai. Il Poeta non ne riconosce alcuno, ma nota cl1e tutti portano appesa al collo una borsa sulla quale l- dipinto uno stemma gentilizio: questi dannati non hanno dunque soltanto of· feso Dio, ma anche awilito la dignità dd loro nomt'. Uno di essi rit,olge a Dante la pa­

rola: si proclama padovano, dice che tutti i suoi compagni di pena sono fiorentini e an­ nuncra la prossima venuta di un altro usuraio, nobile anch'egli

e

famosissimo.

Tornato sui suoi passi, Dante trot1a Virgilio già salito in groppa a Gaione. Esortato dal maatro, vince la sua paura e si pone anch 'egli a cavalcioni dd mostro, che, ad un comando dd poeta latino, inizia a sandue lentamentt', a larghe spirali, mmtre appare, sempre più vicino, lo spettacolo dei tormenti del npiano infernale che si apre sotto i loro oc­

chi. Guione, dopo aver deposto i due pellegrini sul fondo dd precipizio che separa il set­ timo cerchio dall'ottavo, si dilegua con la rapidità di una freccia.

265

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INTRODUZIONE CRITICA

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mo e all'uomo devono servire (i

drappi,

-< � t

i burchi, la

navicdla). Gerione non oppone ai decreti del cielo la Posto a metà dell:t prima cantica, il canto diciassette­ simo segna una svolta importante nell'esperienza del male che è quella di Dante nell'inferno. Col girone dci violenti contro Dio termina la parte del poema dedicata alr'csplo­



razione del peccato di violenza ed inizia na (verso 70) l'onta che gli deriva dall'essere stato veduto dal Poeta, che riporterà questa notizia nel mondo dei vivi. Egli perciò ne de·

Con questi fiorentin son padovano: spesse fiate m•intronan fi oreccbi gridando: "Vegna if cavalier sovrano.

nuncia. non richiesto. la presenza accan.

to a lui

A questo punto storse la bocca e tirò fuori la lingua come un bue che si lecca il naso.

Il cavalier sovrano è il fiorentino Gio­ vanni Bu•amonte della famiglia dei Bec­ chi, morto nel 1310. Il Poeta "vuoi met­ tere proprio 10 vista che l'usuraio atteso in inferno era cavaliere, e dei più ri­ nomati, a magg•or vergogna di Gianni Buiamontc e della città che dava l'onore dd la qvallcria a si!fatta gente". poiché "è ben più vergognosa l'usura in tale che si teneva o era tenuto primo dei cavalieri, come è, d'altra parte, vergo­ gna dar l'onore ddla cavalleria a sii· fattil gente" rBarbil.

Inferno XVII, 9l-93

La Co01media, lnf�rno.

Min. ferrarese

·

a.

lf7i-lf82.

(Roma, Biblioteca Vaticana

Me. Urb. Lat. 365

• f. f6



r)

275

76.

E io. temendo che un uhcriore indugio

E

p più star) infastidisse Vorgolio che mi aveva raccomandato una breve so­ sta. tornai ondietro (allontanandomi) da quelle anime afflitte (/ossO?) .

79.

82.

Trovai Virgilio che era già salito sull;o groppd del mostro terrificante (fiero). e che mi disse: « Ora sii forte t corag­ gioso. D'ora in poi si scende con tali mezzi (per si fotte seste) : sali davanti, per­ ché io voglio st.ore nel mezzo (esser mezzo), In modo che la coda non possa nuocere ,.. Omnì si scende per si fotte sco/c: l due poeti scenderanno dal settimo all'ottavo cerchoo sulle sp.olle di Crroone. sar.onno deposti sulld supcrflde ghiaccoo.�ta dello st.ogno Cocoto (nono cerchio) dalla ona­ no dd gig.ontc Antro e raggoungcranno ol centro della terr.o calandoso lungo il corpo di Lucofcro. Il loro voaggoo di­ vrntrra sempre più perlcolo•o a mano n mano chr si lnohrtrdnno nel regno dello.� frode.

85.

276

Come colui che sente cosi vicino il bri-

io, temend'o no ' C più star crucciasse Cui cne d'i poco star mtavea tmmonito, torna mi in d'ietro d'aCC'anime Casse. t

79

Trova if d'uca mio cn'era sa Cito già suCCa groppa d'd fiero animaCe, e d'isse a me: ({Or sie forte e ard'ito.

82

Omai si scend'e per si fatte scafe: monta d'inanzi, cb'i' vogfio esser mezzo, si cbe (a cod'a non possa far ma(e•.

85

Qua( è cofui cne SÌ preSSO na '( riprezzo aeCCa quartana, c'ba già f'ungnie smorte, e triema tutto pur guard'a nd'o j( rezzo,

t





Dut� � Virgilio in auua di Gtrlooe. La Commedia, loffffto, Min. lombarda . prima m�là dd aec:, XV (Parigi, Bibliotcc:a Nazionale Ms. lt. 2017 • f. 191 r)

vido della malaria (che si presso ha 'l ripre::o d�lla qunrtana) . da averne già le unghie lovide (smorte). e che tr�­ ma on ogno sua fibra al solo vedere un luogo pieno d'ombra (pur guardsn· do il rezzo),







.. . ' ' . . � ....-:. -==---c.

88.

tale divenni dopo le (n/le) parole pro­ nunciate (da Vorgìlìo) ; ma mo ammoni (mi [e le sue minacce) il pudore. Il qu;�le rende il servo coraggioso in pre­ senza di un valente padrone. '

88

91

94

taC divenn'io aCCe parofe porte; ma vergogna mi Je' fe sue minacce, cbe innanzi a &uon segnor fa servo forte. l' m'assettai in su queCfe spaffacce: sì voffi dir, ma Ca voce non venne com'io credetti: «Fa cbe tu m'a&&racce,. Ma esso, cb'a Ctra voCta mi sovvenne ad aCtro forse, tosto cb'io montai con fe &raccia m'avvinse e mi sostenne;

Vivissimo e in Dante il senso della con­ cretezza. l'attenzione ai particolari eh� tutta una tradizione letteraria, prima � dopo di lui, ha sdegnato. In questa si· mìlitudinc. ild esempio. il P�ta non sì limita a dore che il malarico ompallìdi­ sce, ma ci pone sotto gli occhi questo pnllore c ne suggerisce il subitaneo dif­ fondersi attraverso la relativa c'ha già l'unghie smorte. 91.

94.

lo mi sedetti su quelle paurose spalle: provai bensì a dire. ma la voce non usci come credetti: « Fa in modo di cingermi con le tue braccia ,., Ma egli, che già altre volte mi aveva aiutato in altri momenti di pericolo (ad altro forse) . appena fui salito, mi cin­ se e m i sorresse con le braccia:

277

f

97.

e disse: « Gerlone. è tempo di partire: 1 giri (/e rote) siano ampi. e la discesa graduale (e /o scender sia poco) : Uenl conto del carico inusitato (nova soma) che trasporU •.

100.

Come la barca si stacca dal punto dove ha attraccato procedendo a ritroso (in dretro rn dietro) . cosi sì staccò di Il (quindi) : e dopo che si senti del tutto a suo agio (a gioco ) .

103.

volse la coda, là dove prima era Il petto. e, tesa. la mosse come un'anguil­ la. e con le zampe tirò a sé l'aria.

106.

Non credo che fosse maggiore la pau· ra quando Fetonte lasciò andare le re­ dim (li /reni) . motivo per cui il cielo, come ancora si vede (come pare an· cor). fu bruciato (si cosse) ;

..

109.

né quando l'Infelice Icaro senti le sp�l­ le (/c reni) perdere le penne (spennar) a causa dello cero che si era scaldata. mentre Il p;,dre gli gridava: « Fai un percorso sbagliato (malo via tieni) l -..

1 12.

di quanto fosse la mia, allorché vidi che mi trovavo circondato da ogni par­ te dilli'aria, e vidi scomparire la vista di ogni cosa fuorché quella del mostro. Pttonte, figlio del Sole, avendo otte· nuto dal padre il permtsso d, guidarne il carro. fu colp1to da un fulmine di Giove per aver deviato dal giusto cam· mino e precipitò neU'Erldano. Secondo questa leggenda la Via Lattea è il se· gno della brucJatura provocata sulla superficie dtl cielo dal passaggio del carro del Sole guidato da Fetonte. Dante rappresenta Il giovinetto nel mo­ mento ìn cui. perduto Il controllo dei cavalli, è colto dal terrore (Ovidio Metamorfosi 11. l sgg.) . Icaro. figlio di Dedalo. l'architetto che ;,veva ed1fìcato a Creta il labirinto, era stato imprigio­ nato insieme con il padre In questa co­ struzione. l due riuscirono ad evadere servendosi delle ali che Dedalo aveva fabbricate e Incollate alle proprie spalle t a quelle del Aglio con la cera. Mentre volavano sul Mediterraneo, per esseul Icaro troppo avvlcloato al sole. la cera che teneva attaccate le ali alle sue spalle s• sciolse, le ali caddero ed Mc­ egli precipitò nel mare (Ovidio tomor/osi VIII, 182-235) . Il Poeta rl· corre a questi due richiami mitologici per esprimere la paura da lui prova­ t" durante la navigazione aerea sul dorso di Gerlone. Ma tanto t l'Inte­ resse con cui s1 sofferma sul volo del due pcrsonaggr ov1dianl (notiamo il vi­ gore d1 un ter�mne cos• inconsueto co· me quuto 3i Co3se, riferito a citi, c lo scorcio grandroso del verso I l i : qud padre Isolato In uno spaz1o senza con­ fini, padrone dtlll' vie dell'aria, che con tanta semplicità tre parole in tutto sa manlfestarl' la sua angoscia per la •





278



97

e disse: «Gerion, moviti omai: Ce rote Carg�e. e fo scender sia poco: pensa Ca nova soma c�e tu �ah.

IOO

Come fa naviceffa esce ai foco in d'idro in dietro, sì quindi si tofse; e poi c�'al tutto si sentì a gioco,

103

Cà 'v'era if petto, (a coda rivofse, e quecra tesa, come anguiffa, mosse, e con Ce branc�e f'aere a sé raccofse.

106

Maggior paura non credo c�e fosse quando Fetòn abbandonò Ci freni, per c�e 'C cieC, come pare ancor, si cosse;

109

né quando Icaro misero Ce reni sentì spennar per Ca scaCaata cera, gridando H padre a lui «Mafa via tieni!•.

112

cbe fu Ca mia, quand'o vidi cb' i' era neH'aere d'ogni parte, e vidi spenta ogni veduta fuor cbe aelfa fera.



• �-

115

ECCa sen va notando Centa Centa: rota e discende. ma non me n'accorgo se 11011 cb'a( viso e di sotto mi venta.

118

Io sentìa già daffa man destra i( gorgo far sotto noi un orribile scroscio, per cbe con li occbi 'n giù Ca testa sporgo.

121

AfCor fu' io più timido alCo stoscio, però cb'i' vidi Juoc�i e senti' pianti; ond'io tremando tutto mi raccoscio.

sorte del Rglio ) . che Rnisce quasi per dimenticare la sua paura.

lafcrno XVII, 97-99 La Conunedla, Inferno.

Min. lombarda meli dd secolo



prima

XV

1 1 5.



(Parigi, Biblioteca Nazionale M5. lt. 2017 • l. 2M r)



cupare la fantasia del Poeta. ..ma la sostanza. profonda mente assaporata. delle Immagini della discesa lenta. pro· grcsslva

Esso procede nuotando lentamente : scende compi•ndo cerchi (rolo e di­

t

circolare. che avvicina e

rende pcrceplbllc al sensi quel che ne

era prima lontano ed estraneo. e. in­

scende) . ma non me ne rendo conto se non per il fatto che raria mi colpisce in volto e dal basso (se non ch'o/ viso e di sotto mi venia) .

trecciate a queste. quelle della posi�ione del corpo nell'aerea cavalcata. gli occhi

t il capo che si piegano m gtù

curiosa­

mente e le cosce che solo timtdamente, ,

1 1 8.

lo sentivo già a destra la cascata (del

ad assecondare quello sguardo nel vuo­

Plegetonte) fare sotto di noi uno spa· ventoso fragore (orribile scroscio) per

bito Istintivamente vi si stnngono".

to, s• sCOllano dalla cavalcatura e su­

,

cui sporsi verso ti basso la testa per vedere (per e-/te con li occhi 'n giù la testa sporgo) .

-

. .

...

. .

.

.

_, ' ' �

121.

Allora temNtl maggiormente di cadere

(/u' io ptù timido n/lo slosdo: stosdo:

Opportunamente il GtJto rileva come

salto ) . perché vidi fuochi e udii pianti; perciò tremando strinsi fortemente le

in questi versi non sia la paura ad

gambe (al dorso di Gerione) .

oc-

279

r

lnfuno XVO, l03·10S La Co��U�Mdla, lnfuno. Min. emiliana • secolo XIV (Roma,

Biblioteca Angdica • Ms. 1102 • f. lf v)

121.

E mi resi conto allora, polcht non me ne ero accorto prima, dello scendere In cerchio a causa del grandi supplizi che si avvicinavano ora da una parte ora dall'altra.

127.

Come Il falco che � stato a lungo in

130.

volo (su/l'o/i). il quale. senza aver ve­ duto Il richiamo del cacciatore (logoro) o alcuna preda (uccello) . fa dire al falconiere • Ahimè, tu stai calando! ».

E vidi poi, cbé no( vedea davanti, (o scendere e 'f girar per Ci gran mafi cbe s'appressavan da diversi canti.

127

Come '( fafcon cb'è stato assai suff'a(i, cbe sanza veder fogoro o ucceffo fa dire a( Jafconiere «Obmè, tu caCi!&,

130

discende (asso onde si move sneffo, per cento rote, e da funge si pone daC suo maestro, disdegnoso e fdfo,

133

cosi ne puose af fondo Gerione aC piè af piè deffa stagCiata rocca e, discarcate fe nostre persone,

136

si difeguò come da corda cocca.

scende stanco verso il luogo dal quale

si era mosso agile (snello) . con innu·

merevoli giri (per cento role) , e si posa lontano (do /unge) dal suo padrone (maestro) , sdegnoso e crucciato (/ello) •

133.

124

cosi Cerlone cl depose sul fondo, pro· prio ai piedi della rupe tagliata a picco (stoulioto ) e. liberatosi del peso dci nostri corpi ,

1 36.

spari come freccia che si stacchi daUa corda dell'arco (si dileguò come do corda cocco). DI quute due similitudini, quella del falcone disdegnoso e {ello sembra per un Istante avvaclnare a un mondo di consuetudanl umane (la caccaa ) la 8gu· ra da Cenone; quella della cocco ne rl· propont- appieno l'en•mma. Nulla gìu· stiRca, Infatti qut-sta sparizione Improv­ visa se non l'obbedienza del mostro a un volere �he trascenda ogni nostra ca­ pacità di intendimento. ,

280

-