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Italian Pages 275 Year 1965
TUTTE LE FOTOGRAFIE PUBBLICA TE JN QUEST'OPERA, SONO STATE ESEGUITE DALLA GASA EDITRICE FRATELLI FA:BBRI; TUTTI I RE LATIVI DIRITTI SONO Dl PRO PRIET,\ ESCLUSIVA DI '� FRATEL LI FABBRI EDITORI,. MILANO. ·
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PRGPRIETA LETTERARIA E ARTISTICA RISERVATA (;Qpyright, @, 1965 by Fratelli Fabbri Editori - Milano Stampa Pra�elli Fabbri Editori - Milano - Prlnted in ltaly
aracfiso, Canto I Dante afferma che mate1'Ìa del suo canto sarà la visione del paradiso, o alme-no ciò che La memoria può ricordare di quella ràtltà ineffabile. Perciò è necessario invocare l'inter vento di Apollo, affinché, di fronte alla difficoltà dell'argomento della terza cantica, ag giunga il suo aiuto a quello delle Muse, che già Jianno soccqrso il Poeta nella composizione de/l'Inferno e e/el Purg-atorio. Solo cos-ì Dante sarà sicuro di poter cingére un giornp la co rona di poeta, consapeuole di aprire, con il suo ese-mpio, una strada sulla quale lo po tranno seguire a11clze miglior voci.
È l'alba quando Dante, imitando Beatrice che teneva
gli occhi fissi sul sole, volge il suo sguardo verso la lucerna del monasumanar, cioè il suo innalzarsi oltre ogni limite umano, poiché inizia ora. per lui l'ascesa ve-rso i àcli attraverso la sfera dell'aria e quella del fuoco. !t ruotare delle sfere celesti provoca un suono armonioso, che riempie di stupore il Poeta, per il quale costituivano già motivo di profonda meraviglia i bagliori, più luminosi del so/tito, del sole. Beatrice gli rivela allora che egli non si trova pitì sulla terra, ma che sta salendo verso i cieli. Tuttavia utJ- altro dubbio tormetJta Datzte: come è possibile eh� il suo corpo possa passare attrave1'so le regioni dell'aria e del fuoco? La spiegazione di Beatrice esamina la prese-nza, in ogni essere creato, di Ut(la itzclmazione naturale che lo porta a tendere ad una meta specifica: ora il fine-ultimo dell'uomo è quello di raggiungere l'Empireo, il cielo creato per essere
l1l sua sde,
c
verso di esso og11i creatura umana .salc
dopo che è stato rimosso in lei l'ostacolo del peccato.
5
luce intellettual, piena d'amore (canto XXX, verso 40).
INTRODUZIONE CRITICA
Il viaggio dunque si presenta come l'esperienza del
modo particolare da V. Rossi, poneva a fondamento della
vero e dell'amoJe: infatti ai versi 7-9, che possono far pensare ancora alle rarefatte speculazioni del Convivio,
momenti psicologici, originati dalle molteplici vicende
da Beatrice, cioè dalla verità stessa, ba la rivelazione del
immediatamente seguente all'esilio, pieno di r�ncori e
riempie tutte le cose, uncndole fra loro e subordinan
Una
vecchia
distinzione
della
cnttca,
sostenuta
in
diversa ispi-razione delle tre cantiche una diversità di della vita di Dante.
di lotte, il
L'Inferno sarebbe nato nel periodo
Purgatorio nel momento della discesa in Ita
lia di Arrigo Vri, allorché l'animo si apriva alla spe ranza, il ormai
Paradiso negli ultimi anni, quando il Poeta,
stanco e rassegnato al crollo delle sue aspira
zioni terrene, si era chiuso in se stesso, riponendo in
Dio ogni speranza. Questa suddivisione della
Conttnt:dia
il
Poeta
contrappone
l'ultima parte
del
canto, dove
l'armonia universale del creato, dell'amore divino che
dole a sé.
È
un gioioso approdo, una esaltante visione
dell'unità del reale, che ben può introdurre il tema del
l'amore ricorrente in ogni passo della cantica, un amore
privo di qualsiasi calcolo, diventato luce e grazia.
Il Poeta deve chiedere alla sua arte di diventare ancora
più profonda e delicata di quella che aveva creato il
in termini biografici distrugge li senso più profondo
dolce color d'otiental zaffiro dell'atmosfera purgatoriale,
l'itinerarium mentis in Deum, per usare l'espressione
provvise accensioni dell'animo nella sua ascesa verso Dio. A chi si aspetta oel Paradìso soltanto i.l tono de
della visione di Dante, la quale si è proposta come og _gctto della sua meditazione e della sua rappresentazione. cara alla letteratura filosofica e religiosa del Medioevo. L'impulso dell'umano verso il divino è, come affer
perché sia possibile seguire le rapide conquiste e le im
scrittivo e disteso, pacato e solenne, proprio di chi vede
le cose dall'alto, dalla serenità di una meta ormai rag
ma il Parodi, ''l'intima essenza dello spirito eh Dante"
giunta, si può rispondere che tale tono è sì presente,
il peccato, poi l'apri-rsi dell'anima al divino, infine il divino che trionfa e attira a sé definitivamente l'umano. I n questa prospettiva deve- essere collocata la lettura del
la visione suprema e si propone dt ripercorrerne le tap
e, quindi, "l'essenza dell'intero poema •:: l a lotta con
Paradiso: compito dél Poeta è quello di ritrarre il pas
ma non dovunque, perché il Poeta, che ha ormai attinto
pe, rivive ogni singola fase lasciando in�atto il sapore
della scoperta, dello sforzo, della conquista. Basti pen
sare, come esempio, al rapido e illuminante succedersi,
saggio della propria anima attraverso i successivi gradi
nel p.rimo canto, di momenti dtversi dai versi
st1premi. È- evidente perciò l'estrema importanza che
ai versi 85-87: qui la tecnica espressiva (verbi e sostan tivi io posizione dominante, assenza quasi assoluta del
di cui si compone .l'accostamento alla verità e al bene
46-48
rivestono i versi di aper- tura del primo cantG, i quali, con una commoziol)e che sottolìnea la solennìtà di C)Ue-.
l'aggettivazione, costruzione per coordinate) contrappo ne al tono elaborato e solenne dell'invooazione iniziale
ne, l'prgoglio di chi è consapevole dì trasfondere oella
za-te a grandi linee, una variazione continua di stati
sto mome/ltç>, dichiar' llllZla l'« i nvocazione >, che proseguirà fino al verso 36. Il Poeta. secondo le regole retoriche codificate da una lunga tra dizione che ha origine nell'ep ica classi ca, chiede l'intervento delle divi ni tà pro tettrici della poesia per l'ultimo lavoro. che conclude il poema sacro, rappre sentandone anche Il vertice artistico. ,
Apollo era considerato, nell'antichità, guid a e s i pir at ore dei poeti, che, in ri conoscimento della loro grandezza, ve nivano Jncoronali di alloro. Quest'ulti mo è amalo dai poeti, che lo ritengo no il traguardo più ambito da rag giungere, e da Apollo, perché in alloro fu trasformata Dafne, la ninfa di cui il dio si era innamorato (cfr. Ovidio Metamorfosi l, 452 sgg.). -
16.
"lncipit" del Paradiso in un codice di scuola fiorentina del 1398. (Firenze, Biblioteca Laurenziana - Ms. Tempi l - f. 62 r)
Fino a.d ora mi è stato sufficiente (assai mi fu) l'a iuto delle Muse (l'un giogo di Parnaso) ; ma adesso mi è necessario (m'è uopo) affrontare l'ultimo argomen to ( intrar nel/'aringo rimaso) con Jl soc corso di ent ra mbi.
Nell'Inferno (Il, 7; XXXII. iO) e nel Purgat or io (I. 9; XXIX, 40-41) era sta to sufficiente l'aiuto delle Muse. rappre sentanti le scienze umane e tutti i mezzi tecnici necessari ad una composizione poetica, laddove Apollo è s im bol o del la poesia stessa, la quale viene ispirata dirett ament e dal dio nel cuore del poeta. Le Muse avevano la loro sede sul Ni sa (o Elicona), uno dei due gioghi del monte Parnaso, mentre raltro. i l Cirra,. era occupato d a Apollo. La pri ma cima, inoltre, rappresent ava la Rlo sofla, scienza riguardante le cose uma ne, la seconda la teologia. scienza ri-
9
guardante le realtà divine. Per questo Apollo, "fuori della convenzione lette raria, è figuralmente Dio" (Mattalia) al quale il Poeta rhiede sostegno. Aringo era li termine indicante lo spa zio dov e si gareggiava nella lotta o nella corsa e, per estensione, la gara ,
stessa. 19.
Entra nel mi o petto, e i spi rami quella potenza d'inge,gno (si) di cui desti prova (come quando) quando vince st i e s cor ticasti ( traesti della vagina delle membra sue) Marsla.
Il satìro Marsia osò sfidare Apollo ad una gara musicale, con il patto che il vincitore avrebbe potuto fare ciò che avesse voluto del vinto. Essendo stato superato nella prova, ìl sat ira fu l ega to dal dio ad un albero e scor tic ato (Ovi dio Metamorfosi VI, 382�400). �
22.
O divina potenza ( virtu). se ti concedi a me (se mi ti presti) tanto che io pos sa esprimere (manifesti) la tènue im
magine ( rombra) del paradiso (del beato regno) che è rimas ta impressa (segnala) nel la mia m e morì«ttf\ •tla• •· r ••!Ju ù • ���
� Q)If"U tltJl'!1dtoltlll (f
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�t�" rtgnou�nt�
(p.u�,ii �cotp11n.c �fu,_ftntl
U sistema cosmologico dtlle influenze che si irradiano dall'alto verso U basso è spiegato dal minla�rista i.n modo minuzioso ed elaboralo, atb:avuao la raffigurazione deUe costella.:ioni zodiacali ce dd loro efiettJ sull'uomo.
34
Paradiso
•
-tctQflr benm i �C m "t� 4· flt po(N'W)U gti'"·t·ltÌIW
U, 121-123
"Libft' Florldus" dl Lambuto. Mio. fi a m m i nga -
modo che ciascuno l'influenza del cielo e trasmette (fanno) quello inferiore (di
Riguarda &ene ornai sì com' io vado per questo foco af vero cbe disiri, sì cbe poi sappi sof tener Co guado.
124.
riceve (prendono l
superiore (di su) la sua influenza a sotto).
Ora osserva (riguarda) bene come io per mezz:o di questo ragionamento (lo
co) giungo alla verità che desideri (disiri) conoscere, affinché (si che) tu
poi da solo sappia compiere il pas saggio (tener lo guado) (cb e conduce
Lo molo e fa virtù de' santi giri, come daf fa&&ro C'arte dd martelfo, da' &eati motor convien cbe spiri; e
'f cief cui tanti fumi fanno &effo,
deffa mente profonda cbe fui vofve prende f'image e fassene suggeffo.
alla soluzione del tuo problema).
127.
Il movimento e l'inllueru:a delle sfere celesti (santi giri), come l'azione (l'ar te) del martello deriva dal fabbro che lo usa, devono derivare (conuien che spiri) dalle intelligenze angeliche che le muoyono (da' beati motor); Nell'ultima parte della sua argomen tazione Beatrice rivela che il moto e le influenze degli organi del mondo han-
u Qtnl nnll fto*t(ldld Aus·Jot(1'�6f./utru;u (lngul.d ettnCIQìr:Df� •JnJICI!Dlt.snt- kl tduiUOdnpnt� . mpr �: Cf-f rtta:tltqoftn ptdDt. Q.Jn bqbAqf.IÀ IMIU&tr:nct"'. (. 1u� n•anu,lJ.I n m. l'*l: .. ""'b -
�.A i..iL..JI • borfld!d · "'1· «ltn.ente�N� ld4 mc � $ � �....
.�t�-.J · tkUIJ.O.""!" Ja rai ncWAf•i'
111 nu l... . t.l : m ttQI!e . q .
A-'l'itlt�•l;nptt.
t y, Museo Condé KC, XV - (Chanill f. 63 r1 f. 63 VI f. 6i �� f. 6i v)
-
Ms. 72-t
-
no origine dalle ì.ntellìgenze angeliche. Il rapporto fra azione dei cieli e azio ne degli angeli e spiegato con resem plificazione del verso 128: come l'arte del martello dipende dal fabbro che lo
35
adopera, cosi i cieli sono soltanto lo strumento delle influenze che da loro derivano e che, in ultima analisi, dipen dono solo dalle intelligenze motrici dei nove cori angelici.
130.
e il cielo che è abbellito da tante stelle (cioè Cottava sfera) , riceve l'm i pronta (fimage) dall'alta intelligenza angeli ca (della mente profonda) che lo fa muovere {lui vo/ve) e la imprime co me suggello (nei cieli sottostanti) .
133.
E
come l'anima dentro ìl vostro corpo (dentro a vo$fra polve) dispiega la sua virtù (si risolve) n i membra diverse e ordinate alle diver se facoltà sensitive (potenze), corruttibile
136.
Ce diversità che appaiono nel Cielo Stellato non sono altro che !l riflesso o image delle idee presenti nella mente degli angeli (qui, in particolare, i Che· rubini) che muovono questo delo.
Cecco d'Ascoli: e ddle intellige.nu angeliche. Min. di scuola probabilmente padovana - sec. XIV (Firenze, Biblioteca Launnziana • Ms. Plut. 40,52 - f. 2 r)
Da "L'Acuba" di lo schema dci cicli
139.
La diversa influenza angelica si unisce variamente (fa diversa lega) nelle sfere sottostaoti con la materia incorruttibile (col prezioso corpo) del cielo che essa
anima (avviva), nella quale si trasfon de (si lega ), cosi come la vita si tra sfonde n i voi uomini.
1.3.3
E come f'afma d'entro a vostra pofve per differenti membra e conformate a diverse potenze si risofve,
1.36
così (' i ntdfigenza sua &onta te muCtipCicata per fe steffe spiega, gira.nd'o sé sovra sua unitate.
1.39
Virtù divena fa diversa fega co( prezioso corvo c�'effa avviva. nd quaf, sì come vita i n voi. si fega.
1 42 Per fa natura fida onde deriva. Ca virtù mista per fo corvo fuce come fetizia per vuvHCa viva.
36
cosi l' intelligenza angelica (che muove il Cielo Stellato) svolge la sua azione (bontafe) nelle stelle manifestandola in molteplici modi { mu/tipTicata) . conti nuando il suo movimento nella propria sostanziale unità.
145
Da essa vien ciò c�e da fuce a Cuce var differente, non d'a denso e raro: essa è i f forma( principio cbe produce,
148
conforme a sua &ontà, fo turbo
e
'f c&iaro•.
H2
Per la natura beata (degli spiriti moto ri) dai quali deriva. J'influen� ange· lica, unitasi (mi.sta) al corpo celeste, risplende (luce) nelle diver-se parti di esso, come la gioia dell'animo risplende attraverso la vivacità della pupilla.
145.
Da questa n i fluenza (da essa) , non dalla densità (denso) e rarefazione (raro) della materia, deriva (vien) la differente luminosità (ciò che... par di[� ferente) tra stella e stella (da luce a luce ) : que.sta influenza è il principio attivo che produce,
118.
secondo la sua diversa potenza ( bon tà). l'oscurità (lo turbo) e la luminosità ('/ chiaro) '"·
Dalle intelligenze angeliche, aventi co me attributo p�incipale la letizia, che proviene loro direttamente da Dio. si deve desumere la causa delle diversità che si scorgono nel corpi celesti. "La le tizia d.ellc intelligenze si esprime dunque negli astri come luce; e a una maggiore o minore intensità dì letizia corrisponde nella stella. o nelle sue parti, un mag· giore o minor !!tado di luminosità. Che P.Oi queste diversità sl accumulino e di· ventine più evidenti nella faccia infe riore. e a noi visibile della luna: dò dipenderà dal fatto che. essendo la lu• na il più basso dei pianeti, in essa ven· gooo a trovarsi congregate tutte le "Virtù dei clell supepori, chiamate ad operare direttamefe sulla materia ter rena." (Sapegno)
Nel cielo della Luna appaiono i primi beati: i lineamenti dei loro volti sono cos) tenui e indistinti che Dante ritiene dì trovarsi dì fronte a immagini riflesse. Queste anime go dono del grado di beatitudine più basso e occupano l'ultimo cielo, quello più vicino alla terra, perché no11 hanno adempiuto completamente i voti offerti a Dio. Il Poeta si rivolge
a uno spirito beato che sembra particolarmente desideroso di parlare con lui e chiede di conoscere il suo nome e la c01zdizione in cui si trovano le atzime del cielo della Luna. Risponde l'ombra di Piccarda, sorella di Corso e di Forese Donati, qppartenente ad una delle famiglie più note di Firenze. Attraverso le sue parole Dante spiega che nel paradiso, pur essendoci diversi gradi di beatitudine, ogni spirito beato è perfettamente felice, poiché la letizia che Dio infonde è proporzio11ata alla capacità di godere di ciascuna anima. In fatti se i beati del cielo della Luna desiderassero trot,arsi in una sfera superiore, questo loro desiderio cont·rastcrebbe con la volontà di Dio, che, a seconda dei meriti di ciascuno, ha assegnato urz posto particolare nel regno dei cieli. Viene così rivelato il principio forzda me1ltale del paradiso: la beatitudine non è altro che volere ciò che Dio stesso vuole, perché
'n la sua volontade è nostra pace.
Poi Piccarda accenna brevemente alla propria vita e indica un'altra anima beata, anche
ella cost-retta, come lei, ad abbandonare il chiostro: è Costanza d'Altavilla, moglie di En rico VI e madre di Federico Il. Dopo che Piccarda, cantando vita autonoma ed epis o �nde subito : prima presenta colei che perfetta vita J..,•
racconto ('lerso l 08) ed è il canto dell'« Ave, Maria >>
elle conclude la presentazione, ricca di elementi terreni, della figura di Costanza.
La �gura .ili. Pkcarda illumina dunque un grande te· ma teologico (quello dell'anima che incominèia a vivere per l'eter;ità la vita aerra Grazfa ),-m7è ben !ungi dal l'ìrr igì dirsiln un simbolo :
re
cesca e Ugolino ìnrerpretino il mondo infernale o, ancora
risorse di fantasia e di sentimento di Danre o s no tali che gli permettono quasi sempre di conferire una salda e precisa fisionomia ai
In Picc San Francesco, San DQme nico, Cacciaguida, San Pietrq, pur J?.Ssed _endo un loro ·
una vtsJone che, pur trascolorata, mantiene sempre contorni umani, lo attrae a sé. Dopo che gli occhi santi di Beatrice lo hanno riscosso dallo smarrimemo che
4-6),
personaggi
del
Paradiso
pur chiamandoli
a compiti
di donna che Danre ha conosciuto e di cui tanto ha sentito parlare nella sua giovinezza. Senza essere ri cfi jesta, si offr� pe: prima (versi 34-35); nella sua umiltà francescana si gloria di una cosa sola, di essere stata una verg ine sorella ; ricoraa al Poeta la conoscenza di u n. tempo (verso 49), ma senza prec isare: quella "Firenze -
è ormai lontana per entrambi ; attraverso la figura di Santa Chiara indugia con commossa delicatezza sulle sue mistiche nozze COJl Cristo (veFsi l 00-1 02); fuggita dal mondo nor{ per disprezzo verso gli uomini, ma fXtr vivere piti intensamente il suo amore con Dio, la vio lenza subìta non la rnasgrisce, ma le permette meglio
��
capire e perdonare gli uomini, sòpraùutto quando sono
a mal più ch'n bene usi. Nel silenzio di Jìjo (verso l 08) il suo am0re diventa più profondo, più sofferto, più ine �riante: la giovane clarissa che, suo malgrado, ha ce· duro alla violenza altrui, diventa così degna di esaltare, prima fra tutte le anime del Paradiso, l'accordo dei beati con la volontà divina, il precipitare dell'anima in grazia nel mar� dell'infinito amore.
.....
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•
(
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.. . .... "
Canto III� �' -�..Quef sof cbe pria d'amor mi scafdò 'f petto, di &dCa verità m'avea scoverto, provando e riprovando, H doCce asp�tto;
l.
Beatrice, quel sole che ancor fanciullo (pria) mi aveva acceso il cuore ('/ pet to) d'amore, mi aveva rivelato (sco verto) , portando . prove (provando) e confutando opinioni erronee ( riprovan do), il dolce volto (aspetto) della bel·
4
e io, per confessar corretto e certo me stesso, tanto quanto si convenne Ceva' H capo a proferer più erto;
7
ma visione apparve cbe ritenne a sé me tanto stretto, per vedersi, cbe di mia confession non mi sovvenne.
la VJ!rità (sulle macchie lunari) :
4.
e lo, per dichiararmi (per confessar... me stesso) corretto ! del mio errore) e persuaso (della verità) , levai il capo più diritto ( erto ) tanto quanto conve niva per parlare ( a pro/erer} (a Bea lri� con la dovuta riverenza):
7.
ma mi apparve uno spettacolo che ten ne la mia attenzione così strettamente legata (stretto) a sé, per vedcrlo (per vedersi) , che non mì ricordai di fare la mia dichiarazione (con[ession) .
IO.
Come attraverso (per) vetri trasparen ti e chiari (tersi) , oppure (o ver) at traverso acque limpide e tranquille. ma non cosi profonde che il loro fondo non possa essere visto (sien persi) ,
13.
i lineamenti (le postille) dei nostri volti si rilletlono cosi tenui (debiti •ì) , che una perla su una bianca fronte non è perctplta con minore difficoltà (non vien men tosto) dai nostri occhi,
16.
altrettanto indistinti (tali) vidi molti volti nell'atteggiamento di chi sta per parlare: per cui io caddi (corsi) nel· l errore contrario a quello che fece na· sccre l'amore fra Nardso e la fonte.
'
Oank e Beatric
del tuo
saldamente sulla verità,
28.
ma, come al solito, ti riconduce verso ipotesi vane
1 a vòto) :
ciò che tu vedj
sono anime vere (non immagini rifles
se) , relegate in questo cielo per ina dempimento
(manco)
dei loro voti.
Poeta verrà costruendo non solo l"epi
affettiva capace di conferire un tono intimo e raccolto all'espressione (di bella verità m'avea scoverto... il dol
ce rupetto).
�
mondo
tale e descrittivo di contro a quello
(quel sol
mi disse
del
Paradiso.
Nel
canto
IV
(versi
28-39) ,
Dante
spiegherà l"ordinamento morale del pa radiso, rilevando la distinzione fra un
(subito si com'io) m'ac riteneodole (quelle sti
corsi di loro,
mando) chio
immagini riflesse in uno spec
(specc!Jiatì
dietro
(torsi)
sembianti) ,
volsi
in
gli occhi, per vedere di
paradiso fisico e un paradiso spirituale. Poiché ogni anima
è
collocata nel cielo
che con la sua influenza 0e ha deter minato l'indole pimento
o
al
dtlgerli
Luna. Infatti a coloro che sono sotto
(drit
posti al suo influsso deriva. secondo il Buti, una ce.rta "mutabìlità" nel loro
cui) fossero;
voti
(riforsili) ti) negli
davanti a mc ftssandoli occhi
(nd lume)
della mia
dolce guida, la quale, sorridendo, ar-
fatti
appaiono
nel
cielo
della
desiderio di &onte al bene.
11
Paradiso UI, .H-36 La Commedia, Paradiso. Min. oopoletana - secolo XIV (Holkham lfall, Lord Leicest� Library Ms-. Holkham ,Sii •
31.
Perciò (però) parla con loro e ascol tale e credi (a quanto tl dìranr�o) ; per ché la luce d.ivina ( verace) che le ap p. Per questo essa, prentamente e con occhi sorridenti:
r&t C�a st-mhrano dtww� s''allite com.e � :J>." Cbrt pmirnra ispirano alf;;;;rDsQ � at12 òclk pia dfiQ.,
•
•
Dopo questo (indi) Romeo se ne par tì povero e vecchio (vetusto) : e se il mondo sapesse la forza d'animo (i/ cor) che egli ebbe nel mendicare a toz zo
Ji2.
a tozzo Il pane per vivere,
sebbene lo lodi ancora di più. •
assai,
lo
loderebbe
III d'Inghilterra, Sancia a Riccardo di Cornovaglia, poi re dei Romani, Bea·
In questi versi si sovrappone alla figura
Paradiso VI, 127-129; 133-135 La Commedia, Paradiso. Mio. di Giovanni di Paolo sec. XV -
(Londra,
Brltish Museum Ms. Yates
Thompson 36 f. HO r)
•
di Romeo quella del Poeta: l'umilà t (verso 135) è la grandezza dell'animo che si piega. come osserva il Grabher. non per viltà, ma per mantenere in tatta la propria onestà, mentre il .: pe· regrinare » richiama la dolorosa espe-
130
133
136
13 9
142
Ma i PfovenZ:cti che fecer contra fui non banno riso; e però ma( cammina quaf si fa danno de( &en fare aftrui. Quattro figCie e&&e. e cillscuna reiua. Ramondo Ber1ngbieri. e ciò fi fece Romeo, persona umHe e peregrina. E -poi H mosser fe parofe &ieee a diman.dar ragione a questo giusto. che fi assegnò sette e cinque per diece. Indi parltssi povero e vetusto; e se '( mondo sapesse if cor cb' ef(i e&&e mendicando sua vita a frusto a frusto, assai (o Coda, e più fo fodere&&e».
rienza del Poeta nel suo esilio. Le pa role biece dei malvagi isolano la figu ta di questo giusto in un mondo idea le. dove appare sempre più gran de e solitario, in una, povertà fatta di lìere:r.za, ma anche di profondo dolore, di continue umiliazioni (mendicando sua vita a frusto a frusto) , dove espe rimenta. come già Provenzao Salvani (Purgatorio XI, 138), il tremar per ogni vena. Romeo incarna "in un eterno mito uma no la sorte del Poeta... Ma di contro alla viltà e alla ingiustizia umana. aleg gia sullo sfondo quell'aquila éhe appa
rirà trionfante nel cielo di Giove, ra quìla di Roma e di Dio. eterno e vivo simbolo di giustizia, su cui si affisano gli occhi dell'esule: sì che il particola
re dramma del Poeta trapassato nella luce di Romeo si proietta su quello sfondo universale ed eterno dove l'aqui la di Roma, nel suo più alto volo. scon· fìna dalla terra, sublimandosi nei cielì e nella giustizia di Dio" (Grabber). Così. dopo aver celebrato nella prima parte dcl canto il suo ideale politico, tracciato nella solitudine di chi ormai .: ha fatto parte per se stesso :o (Para· diso XVII. 69). Dante presenta in questi ultimi versi, attraverso la figura
di Romeo, guanto quell'ideale gli ha portato: l'esìlio e la povertà.
100
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aradiso, Canto · v ii L'anima di Giustiniano si allontana canta11do, seguita dagli altri beati del cielo di Merourio, mentre Dante appare tormentato da un dubbio che non osa rivelare a Beatrice. Perché, si chiede il Poeta, Dio ha scelto la morte del Figlio per riscattare l'umanità dal peccato? e perché questa morte, se era necessaria per cancellare la colpa dell'uomo, fu ven dicata con la distruzione di Gerusalemme, dove l'Uomo-Dio era stato crocifisso? Tuttavia Beatrice ha compreso le incertezu del suo discepolo e inizia una spiegaziotze che si pro· trae per il resto del canto. In due modi la creatura poteva ottenere il perdo110 dopo il peccato originale dei pro genitori: o per azione di Dio o per azione propria. Tuttavia, poiché l'offesa fatta a Dio era infinita, l'uomo, da solo, non avrebbe mai potuto offrire un'adeguata riparazione. D'altra parte Dio avrebbe potuto perdonar/o solo per un atto di misericordia: invece, nel suo infinito amore, volle offrire in sacrificio il suo stesso Figlio. Dunque
·
conclude Beatrice . nella na
tura- umana di Cristo fu punita, con la morte, tutta l'umanità peccatrice, ma gli uomini che osarono alzare la mano contro la natura divina commisero un atto di folle empietà: per questo la distruzione di Gerusalemme, dove at'vemze quell'atto, fu giusta vendena. Il canto .ri chiude con una spiegazione di Beatrice .rul/p corruttibilità degli elementi generati da cause seconde e l'incorruttihilità di ciò che è creato direttamente da Dio.
ci ha abituati l'esperienza romantica, della poes1a pura, della lirica come vertice supremo dell'arte. Tale ricerca
INTRODUZIONE CRITICA Nel canto settimo il Poeta dissolve le forti immagini
non è che un mito dell'estetismo moderno, laddove la Commt!dia non può che essere pen
della visione storica del canto sesto con una ripre�a di
vita organica della
motivi schiettamente paradisiaci (l'inno di Giustiniano, la luce scintillante e la danza de-gli altri beati, l'inter
sata nei termini di equilibrio in cui fu pensata da Dante e dai suoi contemporanei, che accettavano la gerarchia
vento sorridente di Beatricè): un esordio indispensabile all'argomento che verrà trattato : il mistero dell'amore divino per l'uomo. Tuttavia il raccordo tra questi due canti esiste, profondo, perché uno conclude, spiegandola concettualmente, la visione storica che l'altro aveva aper to sotto il volo dell'aquil:t imperiale.
Non è questa la sede adatta per affrontare il delicato
poetica - consacrata dalla lunga tradizione classica nella quale i seggi più alti appartenevano alla poesia epica e a quella didascalica. Non è possibile dunque se parare la componente poetica da quella dottrinaria, met tendo in rilievo la prima come una gemma di rara bel lezza per confinare al bando la seconda quasi fosse un peso morto,
perché
essa, nella Commedia, c più parti Paradiso, offre i motivi c l'atmosfera psi
problema delle relazioni fra Stato e Chiesa nel pensiero
colarmente nel
di Dante; tuttavia è possibile un'osservazione, la quale
cologica all'ispirazione poetica. Quest'ultima, nel canto
permetterà di rilevare come il canto di Giustiniano non sia stato un rapido
I!Xcursus storico-politico, ma un canto che si inserisce armonicamente nella trama del Paradiso, perché il motivo ispiratore è, in ultima analisi, quello religioso. Nella Monarchia Dante esaminava l'Impero soprattutto come organismo politico, affermandone l'au
tonomia di fronte alla Chiesa e distinguendo le sue attribuzioni in rappo�to al fine ultimo dell'uomo ; au spicava b coordinazione del potere imperiale con quello pontificio e il rispetto, da parte di ciascuna autorità,
della libertà dell'altra. Nel Paradiso, invece, il problema è impostato in maniera differente, se non addirittura antitetica. Infatti il Poeta, oltre
a,
dare un posto molto
più rilevante ai problemi della Chiesa, che prima aveva quasi ignorati o visti in relazione a quelli dell'fmpero, sottolinea fortemente il valore religioso dell'Impere, che ha
preparato
I'Jncarnazione, e la missione divina di Ro
ma, accentuando, cioè, il primato della religione e consi derando tutta la realtà e tutta la storia soltanto nella luce della fede cristiana : egli così, conclude il Brezzi, trapassa
dall'aquila alla croce e si immerge nel misticismo, unen do la sua anima a Dio in un supremo atto d'amore. Per questo, Dante, dopo aver presentato nel canto sesto la morte dì Cristo come un atto legittimo della giurisdizione di Roma, morte che fu poi vendicata da un altro intervento del potere imperiale romano (di struzione di Gerusalemme ad opera di Tito), ne o.ffre, nel canto settimo, la giustificazione teologica, rilevando continuamente, con un'insistenza che non può essere ca suale, il grande amore di Dio verso gli uomini. Roma ha preparato il mondo a questa suprema manifestazione d'amore : Roma dunque, insieme con Cristo, l'umanità.
ha
salvato
Si conclude così la teologia storica - nella quale Dante ha trasfigurato i valori politici in ideali spirituali - im postata nel canto di Giustiniano.
Non occorre far parte del gruppo di coloro che il Flora definisce i "mistici" dell'esegesi dantesca, " i quali dove non sentono poesia esaltano l'altezza del concetto teolo gico", per riconoscere la validità poetica del canto set timo : è solo necessario abbandonare la ricerca, alla quale
settimo, si risolve in una lezione teologica animata da un
à.• d�lla commozione di amore appassionato per la verit
esprimere l'inesprimibile (di gran sent�nza ti faran pre smtt!), che diventa gioia dell'anima, ebbrezza del pos sesso della verità. Il canto appare epìcamente avvivato dall'impeto teologico, che si distende fin dall'inizio in immagìni grandiose, misurate da altezze e precipizi :
l'umana sp�cil! inferma giacque... questo dureto, frate, sta st!pulto alli occhi di ciascuno... la divina bontà... sfavilla .d d11! dispit!ga le bdlezze ettune... da lei sanza mezzo di.rtilla... da l!ssa sanza mezzo p,iovl!... pa entro l'abisso dell'l!ttl!rno consiglio... ir giuso con umiltatc... intese ir susa... la divina bontà... a rilt!varvi suso fu con tenta. Nella meditazione di Beatrice la tragica contrap posizione dell'albero e della croce, della superbia di Adamo e dell'umiltà di Cristo appare investita e trasfi gurata dalla forza dell'amore divino, cbe scioglie il dram ma del peccato, assolve la creatura che
per secoli molti era in grande errore, la unisce a sé. con un magm:{ìco processo d'amore, che resterà iJ più grande, stata immersa
il più esaltante dal primo giorno della creazione fino all'ultimo momento di vita del mondo. L'esilio della creatura si conclude nella gloria paradisiaca, sulle tenebre terre�e si distende la luce trionfale del cielo, l'eternità avvolge l'uom9 diventato Dio per partecipazione. Un rit mo vitale si sprigiona da questi versi, un respiro vasto e potente ne accompagna lo svolgersi, anche se qua e là riaffìora, inevitabilmente, la durezza di certi nessi scola
(dunque... ma ... o chi!... dici... tu dici) o l'aridità di certe formult>
stici tra un passaggio e l'altro
o cht:... ;
w
filosofiche (cf!'. ad esempio i versi
88-93
e
1 2 1-123)_
Il
discorso di lleatrice, iniziato con la visione disperante del peccato (versi 25-29), acquista nell'ultima parte tutto un senso verticale che lo proietta nella contemplazione di Dio che dall'al�o irraggia un mondo creato per ritornare,
in ogni sua parte, a Ll!i, fino al trionfo finale della
11 canto settimo si svolge, dun que, nella figura geometrica di un cerchio : esso si chiude con un 'immagine di luce e di gioia che sì riallaccia, risurrezione. della carne.
con un'armoniosa corrispondenza lirica, all'inno di esul tanza
e
di amore con il quale si era aperto.
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r!.�'.. l�' r:==
\
Dante c lkatricc od ciclo di Mercurio. La Commedia,
Paradiso. Mio. di scuola toscana fine dcl sec. XIV (Firenze, Bibllotcca Laurc.nziana Ms, Mcd. Palat. 74 f. S2 r) ... ..
Canto VIJi :R:
. ...
l. ..
Salve
(osanna ) . o santo Dio degli
eserciti ( sabaoth) , che rendi piti lumi nosi (superillustransJ con la tua luce
(dari/ate tua) i beati (felices) splen dori ( ignes) dì questi ( horum) regni ( mslscoth ) !,.
«Osanna, sanclus ®eus sabaòlh, superilluslrans clarilale lua /elices ignes horum malacòlh l&
4
«
Lo spirito di Giustiniano si allontana cantando un inno nel quale parole latine si uniscono a parole ebraiche. secondo un uso liturgico abbastanza comune (per esempio, nel Sanctus della messa) . cÌ>e trova l suoi antecedenti in alcuni passi della Sacra Scrittura. Osanns. ter mine ebraico di saluto e di applauso. è già stato usato da Dante nel Purgato rio (Xl. I l ; XXIX. 5 1 ) e sarà ripe tuto ancora nel Paradiso (VIII. 29: XXVI!!. 118: XXXII. 135). Come sa bsoth, è termine ebraico anche ma/,1còth, che è grafia errata. usata in al· cuoi codici del Prologus ga/eatus di San Gerolamo. di mamlacòlh. Per quanto riguarda il contenuto della ter zina è naturale, secondo il Porena, che G•ustlniano. rappresentante di quel l'Impero che fu splendido di armi e di sapienza . illustre egli stesso per opera d'armi e di sapienza... inncggi al Dio degli eserciti e della sapienza: ché sa pienza è quello splendore con cui Dio illumina le: anime beate (fe/ices ignes) del regno celeste".
Cosi. vofgendosi aCfa nota sua, fu viso a me cantare essa suslanza, sopra fa qua( doppio fume s'addua: ed essa e C'aftre mossero a sua danza, e quasi vefocissime favHfe. mi si vefar di su&ita distanza. lo du&itava, e dicea « DHfe, diffel& fra me: "difCe" dicea, aCCa mia donna c&e mi disseta con fe dofci stiffe; ·
4.
Cosl. volgendosi al ritmo del suo
canto,
l
mi parve (fu viso a mc: dal latino vi sum est mihi) che �antasse quell'ani ma (sustanza). sulla quale si raccoglie (s'addua) una duplice luce:
1.3
ma qudfa reverenza cbe s' indonna di tutto me, vur per /3e e per ice, mi ricbi n ava come f' uom cb'asso n na.
16
Poco sofferse me cotaf Beatrice. e cominciò. raggi a ndo m i d'un riso taC. cbe nd foco farìa C'uom fdice:
19
«Secondo mio infaH i & i Ce avviso. come giusta vendetta giustamente punita fosse, t ' ba i n pensier miso;
22
ma 1o ti sofvcrò tosto Ca mente; e tu ascoCta. cbé fe mie parofe di gran sentenza Il faran presen te
Sopra la qual doppio lume s'addua: scçondo alcuni. la luce della sua beati tudine è la luce di Dio. Secondo altri è il fulgore di carità che aumenta in Giustiniano dopo aver risposto a Dan te. Tuttavia entrambe queste interpre tazioni si adattano a tutte le anime del regno celeste. mentre qui Dante vuole distinguere il grande imperatore dagli altri beati, come ba già fatto per Costanza (Paradiso Ili. 109- 1 1 1 ) e co me farà per Arrigo VII (Paradiso XXX. 133-137). Il doppio lume sarà quindi costituito da quello della digni tà imperiale e da quello della beatitu dine. oppure indicherà. la gloria mili tare e la gloria legislativa di Giustiniano. 7.
IO.
13.
ed essa e tutte le altre si allontana rono al ritmo della sua danza, e. come faville velocissime, scomparvero ai miei occhi (mi si velar) a causa della im provvisa (subita) distanza (frappostasi tra me e loro) .
onde ('umana specie inferma giacque giù per secofi moCti i n grande errore, fin cb'af Ver&o di Dio discender piacque
ma quel sentimento di riverenza che s'impadronisce (s'indonna: dal latino domina. signora) di m.e. al solo udire la sillaba con cui inizia o con eui ter mina il nome di Beatrice (pur per « Be » e per « ice )) , mi faceva chi nare il capo come la l'uomo che è pre so dal sonno (ch'assonna) .
sfavì/la... l'arder santo ch'ogni cosa raggia... fume suo) . Quest'ultimo, inol tre, riempie della sua presenza le due tenine successive a guella di apertura, soprattutto i versi 7-9: le faville . che si velano di sùbìta di,stanza, sono una .
10:4
Per non soffrire affa virttì cbe vofe freno a suo prode. qudf'uo m cbe non nacque. dannando sé, dannò tutta sua profe ;
lo ero assillato da un dubbio, e dicevo . fra me « Parlale. parlale! »: . parlale" dicevo, riferendomi alla mia donna. che mi disseta con le dolci gocce (della verità) :
Dopo la grandiosa visione storico-re ligiosa che ha occupato tutto li canto VI. il VLI si apre con un mirabile scorcio di quella poesia costruita con immllgini di luce, con suggestioni di suoni e di danza, che è la cornice en tro fa quale il Poeta viene svolgendo l temi dottrinali-morali-politici del Pa radiso. L'inno religioso della prima terzina. in cui la durezza di alcuni termini ( sabaòth, ma1acòth) non im pedisce il gioioso effondersi degli al tri nei quali il suono diventa luce ( superi/lustrans. claritate, ignes), anti cipa l'argomento e la terminologia del canto: il mistero della redenzione. il mistero. cioè, dell'amore di Dio per gli uomini, si snoderà attraverso mo dulazioni e variazioni sul tema della luce (fiamma d'amo'r... ardendo in sé,
.
u' (a natura, cbe da.f suo fa U ore s'era affungata, unì a sé i'n persona con ['alto sof dd suo etterno amore
.
Or drizza H viso a quef cf>'or si ragiona. Questa natura a( suo fattore uni1a, qua( fu creata, fu si ncera e &ona; ma per se stessa fu dCa s&andita di paradiso, però cbe si torse da v ia di verità e da sua vita. 40
La pena dunque cbe fa croce porse s'aCCa natura asstwla si misura. nuCfa già mai sì giustamente morse;
'
..
Paradiso VII, 28-33 "L'Albero della Croce" di Pacino di Buonaguida
(prima metà sec. XIV). (firenze, Galleria dell'Accademia)
.1...
delle piu immediate e candide sensazioni di beato regno di tutta questa cantica:
versi, si direbbe, zampillati dalla fanta sia di Dante in un momento di magica facilità inventiva" (Momigliano) . L'im magine di queste faville che si muovo no a ritmo di danza è piu efficace di
qualsiasi effusione sentimentale: l'inten sità e il ritmo della vita interiore di queste anime è espressa attraverso l'in tensità di una luce e il ritmo di una
danza. Dopo la breve interruzione dei versi l 0-12 - dove il tema consueto del dubbio si risolve nella drammatica ripetizione di un verbo (dii/e) - l' atmo
sfera di rapimento estatico con la quale si è aperto il canto continua an che nei versi seguenti, dove J'espres sione assonna "è una delle piu stupen de suggestioni di rima di tutto il poe
senza questa parola, il momento raffigurato in questi sei versi... perde· rebbe quasi tutta la sua poesia" ( Mo
ma:
migliano). Questo verbo, infatti, sem pre usato da Dante per descrivere uno
stato di estasi, richiama al lettore i momenti di lirico abbandono della Vita Nova, quando il Poeta confessava il
suo smarrimento di fronte al fulgore di Beatrice e ricrea lo stesso sentimento di commozione, per cui anche le ardue
spiegazioni dottrinali di Beatrice diven tano dolci sti//e, una "eco della sua
voce
ndl'anima
di
Dante"
(Momi
gliano).
16.
Beatrice non permise a lungo (poco so{ferse·) che lo rimanessi in questo atteggiamento (me colai) , e. incomin ciò, illuminandomi di un sorriso tale, che renderebbe felice perfino chi sì trovasse io m eno alle fiamme:
19.
« Secondo quello che io, senza possi· bìlità d'errore, penso, ti rende perples so (t'ha in pensier miso) il fatto eh� (come) una giusta vendetta abbia po tuto meritare una giusta punizione; Beatrice, con riferimento diretto alle parole di Glus_tiniano (canto VI. versi 92-9,3), definisce i termioi del dubbio di Dante: se la crocìlls.sione di Cristo fu la giusta vendetta con la quale venne placata l'ira di Dio verso gli uomini dopo il peccato originale, come pote
rono gli Ebrei
(con la
,çlistruzione
di
Gerusalemme ad opera di Tito) essere,
puniti come 1 responsabili della morte del Messia?
giustamente 22.
ma io libererò
(salverò)
subito la tua
mente l(da questo .dubbio): e tu ascolta, perché le mie parole ti faranno dono
...
e cosi nuffa fu di tanta ingiura, g uardando a fCa persona cbe sojJerse. in c6e era contratta taf natura.
(presente) di una grande verità. Il discorso cbe qui Beatrice Introduce t il più lungo fra quelli da lei pronun
ciati io tutto il poema e occupa qua si tutto il canto VII. ìl più arduo, for se, dei canti dottrinali della Comme dia, non solo perché "l'elemento dot
Però d'un atto uscir cose diverse: c6 'a Dio ed a' Giudei piacque una morte; pe--r (ei tremò fa terra e '( cid s'aperse.
trinale si presenta più scarno, più grez zo, ossia più a nudo, più appariscente che non nei canti dottrinali del Pur .gatorio, quali il XVIII e il XXV, ma anche e perfino più 4: scolastico •· si "uol dire di scuola, pi6 esclusivamen te dedicato all'ammaestr.amento di Dan te e con �iò all'istruzione del lettore, che nessun altro dei canti dottrinali del la prima metà de.l Paradiso..." (El wert) . Dopo· il luminosissimo prologo, infatti, ogni personaggio scompare, e anche Dante non interviene più diret tamente, poiché è Beatrice che si in carica di esprimere l suoi dubbi (dr. versi 55 e 12-t) . Non si Incontrano schiere d'anime, non si odono canti né si scorgono luci: manca ogni riferi mento all'ambiente In çui si svolge l'impegnata dimostrazione di Beatrice, quasi il Poeta voglia evi\are che un fatto o uno spettacolo distraggano la sua attenzione e .quella del lettore dal. l'argomento çentrale. Infatti questa ri nuncia � ogni elemento visivo o pa tetico non può essere casuale qel Poe ta: dl fronte al più grandi misteri del la fede, ·che eg)l si appresta a trat tare, quali la creazione-, Il peccato ori-
49
52
55
Non. ti dee oramai parer più forte. quando si dice c�e giusta vendetta poscia vengiata fu aa giusta corte. Mc;� io veggi' or (a tua mente ristretta
cfi pensiero in pensier d'entro ad u n nodo, dd quaf cott gran disio sofve-r s'aspetta.
Tu dici: '�Ben discerno dò cb' i ' odo; ma perc6t Dio vofesse, m ' è occufto. a nostra redenzion pur questo modo".
•
\ (
'
ot
gloale, la redenzione di Cristo, l'im mortalità dell'anima, Dante esige "una
solo una dura ascesi spirituale, ma anche una travagliata ascesi mentale, " vagheggiata dalla fantasia e . lirica mente tradotta nel [suo] canto" ( Get
lettura lenta, parola per parola, e una i cessante tensione dell'at continua e n tenzione per seguire il ragionamento ininterrotto" ( Elwert) .
to) .
Alla llne non si potrà negare. come vorrebbero invece molti critici, che la solennità del canto non nasce solo dal grandi temi svolti, ma dall' "emozione
.
del pensiero può suscitare nel lettore
un senso di piacere, e, se non erro, è proprio questo piacere che Dante non solo ha saputo ma ha voluto dare al
sottile del pl'nsiero. come verità pos seduta", dal "piacere, proprio, del pen siero esatto, gustato ed espresso" to) . Il Poda ba il sentimento
Da questo punto di vista risulta
illuminante un'osservazione dell'Eiwert: "Se si pensa bene, ciò equivale a dire che la stessa chiarezza nell'esposizione
( Get
suoi lettori, anzi la quasi
assenza
di
ogni allettamento extra-intellettuale in questo canto mi convince che Dante abbia voluto creare questa sensazione
dello
sforzo che la sua intelligenza compie per esporre sistematicamente e chiara mente i dogmi di fede: la sua non è
allo stato puro".
25.
non aver sopportato di porre alla propria volontà (alla virtù che voie)
Per
quel freno che toroava a suo vantag gio (a suo prode) . Adamo, l'uomo crea to direttamente da Dio (che non nac
que) , ..
Paradiso VO, 4-5;
2S-27; 30-33; 40-42
28.
La Commedia, Paradiso. Min. di Giovanni dì Paolo sec. XV - (Londia, British Museum - Ms. Yales
Tbompson 36
,
f. Hl r)
Questo decreto, frate, sta sepuho afCi oçc6i di ciascuno if cui ingeg:n.o ndfa .fiammJl d'amor non è adufto. Veramente, però cB'.a questo segno mo(to si mira e poco si discerne dirò perc6é taf modo fu più degno. La divina &ontà, cbe da sé sperne ogni fivore, ,ardenda in sé, sf911iffa sì c6e dispiega f� &effezze etterne. Ciò -c6e da fei sa,n.z;a mezza distiCfa non Ba poi jin�. - percBé non s.i move fa s11a im.prenta. qua.nd1dfa sigiffa. " Ciò . c6e. da essa sanzq mezzo piove fi&ero è tutto, p.erc6t non soggiact afra virtute defCe cose nove.
condannando
se stesso
(con il
peccato originale) , condannò tutta la sua discendenza (prole) , per cui
(onde)
la natura umana, ma
lata spiritualmente, per molti secoli giacque immersa (giù) nel peccato (in grande errore) , 6nché al Verbo dJ Dio piacque qiscendere
31.
nel grembo di Maria, dove (o') con giunse alla propria natura divina (a sé-). in unità di persona {in persona) , la naturi! uJ:Ilana, che (con il peccato) si era allontanata (allungata) dal suo Creatore e fece ciò solo per virtù ed opera (con ratto sol) dello �pirito Santo (del suo etterno amore-).
La redenzione è opera di tutta .la Tri nità: Dio Padre (fattore) , Cristo, il
Figlio e Verbo di Dio, ( ''il Verbo si è fatto came"; Giovanni H ) , Spir ito o, ellerno amore che procede d al Sant Padre e dal Figlio. l versi1 8-13 rical-· cano un passo del Convivio· (IV, V.
l.
J
3) : "Vòlend o
a l 'nmel)surabile bontà divina l'umana ce ratu(a a sé riconfor mare, che per lo peccat' o de la preva �icazione -del primo uomo da Dio era partita e disformata, eletto fu In quello altissimo e· congiuntissimo consistorio e 'J Figliuolo diDio de la Trinitad.e, ch in terra "'!scendesse a fare q!Jesta concordia ". •
Or t rivoJgi
la tua attenzione a .quello che ti .d!mostr. erò. La natura umana, quaqdo fu unita a Dio. com'era al l'atto della creazione, fu senza la m�cc ha i del peccato originale e buona;. mi' · sfaccatasl per sua colpa (p�r .re stessa) i:!a Lui, fu cacciata dal para diso terrestre, perché (peril che) si era a llontanata dalla verità e da ciò che costituiva da Dio) .
la
sua vera vita '(èioè
Perciò se si valuta la pena
della
ero.
... ' .......
Paradiso VII, 64-66
. ..' -
divina) , nessuna pena fu mai cosi in· giusta (nulla fu di tanta ingiura) .
"Cristo in gloria" del Beato Angelico (c. 1387 ltSS). (Londra, Natloaal GaJiery) •
Polche Cristo, incarn .. � . � �
OliR..
�'é
=·� è-st'Y-'irne tra lt �
::.e = bem=te èa D.o e ç� � Òl = =..sa S"""''nÒ;; � ;>ri::ie appn: e « cortesia » . che si oppone alla ma/a segnoria, che sempre accora
Paradiso
vm, t-8; 13 La Commedia, Paradiso. Min. di Giovanni di Paolo secolo XV # #
(Londra,
British
Muuum Ms. Yates Thompson 36 ,
f, 142 r)
126
E fa &dCa Trinacrìa, cbe caCiga tra Facnino e Peforo. sopra 'f goffo cbe riceve da Euro maggior &riga, 70
non per Tifeo ma per nascente so(fo. attesi avre&&e Ci suoi regi ancora, nati per me di Carfo e di RidoCfo, .
73
se mafa segnoria. cbe sempre accora Ci popofi suggelli. non avesse mosso Pafermo a grida r: " Mora. mora !" . E se mio frate questo anlivedesse. ('avara povertà di Catafogna già fuggirìa, perché non fi offeudesse;
valo ( careato) ( dalla sua cupidigia ) non venga oppresso da nuovi pesi (piti
eli
(Londra. British
79
Muscum
•
Ms.
•
Yatcs Thompson 36
sec. XV f. l H r)
•
dal 1288
al 1295 in Catalogna come ostaggio presso il re d'Aragona per ri· scattare il padre Carlo Il, che era stato
cbé veramente proveder bisogna per fui. o per aftrui. sì cb'a sua &arca carcata più di carco notl si pogna.
sconfitto e fatto prigioniero nella bat taglia navale di Napoli del giugno 1284 (cfr. Purgatorio XX, 79). Qui fece amicizia con molti nobili e cavalieri ca talani; ritornato a Napoli. li condusse con sé, assegnando loro incarichi civili e militari (cfr. Villani . Conaca r Vlll, 82; IX. 39; X. 17) nei quali essi mostrarono tutta la loro ingorda cupidigia.
La sua n a tura, c be di farga parca discese, avria mestier di taf mi[izia c6e non curasse di mettere iu arca». 82.
li popoli suggetti (versi 73.-74) . 76.
·'-
E se mio fratello prevedesse le conse
guenze del malgoverno, già rebbe da sé ravida povertà
allontane dei Ca t a-
lani, perché non
79.
gli
non si pogna) .
L'ammonimento di Carlo Martello. che si trasforma in amara profezia (e se... ) , e ri volto al fratello Roberto, che suc cesse al padre Carlo I l sul trono di Napoli nel 1309. L'avara povertà di Catalogna: Roberto d'Angiò. con il fratello Lodovico, visse
Paradiso V1U, 46-48; 67-7S La C,.ommcdia, Paradiso. Min. di Giovao.nl di Paolo
carco
potesse nuocere.
poiché bisogna veramente che da par
te su·a, o da parte altrui, si provveda affinché il suo regno ( bDrca) già gra-
La sua indole, che derivò avara (par ca) da antenati liberali c generosi (di larga) . avrebbe bisogno ( mesficr) di funzionari tali che non si preoccupas sero soltanto di riempire le loro borse (melfere in arca ) :o. è possibile riferire la natura larga al padre dì Roberto, Carlo Il d'Angiò,
Non
che Dante. attraverso l'invettiva di
Ugo Capeto, ba già accusato d i avidi tà (dr. Purgatorio XX. 80-8 l ) ; oc corre quindi pensare agli antichi rap presentanti della dinastia angioina. Dal contrasto tra la nobiltà dì un tem po e la corruzione del pre.sente il di scocso acquisisce una forza ideale: la visione di Carlo Martello non sembra piu limitarsi ai mali della sua famiglia, perché attraverso l'a vara povertà di
Catalogna e la sua mala segnoria
85
«Però cb' i' credo cbe C'afta fetizia cbe 'f tuo parfar m' infonde, signor mio. (à 've ogni &en si termina e s' inizia.
88
per te si veggia come fa vegg' io. grata m' è più; e a neo quest' bo caro percbé '( discerni rimirando in Dio.
91
Fatto m' bai fieto. e così mi fa chiaro, poi cbe, parfando, a du&itar m' ba i mosso com'esser può di cfo fce seme amaro».
94
Questo io a Cui ; ed ef(i a me : «S' io posso mostrarti tut vero, a quef cbe tu dimandi terra' H viso come tieni '( dosso.
97
Lo &en cbe tutto H regno cbe tu scandi vo(ge e contenta, fa esser virtute sua provedenza in questi corpi grandi.
100
E non pur (e nature provedule sono i n fa mente cb' è da sé perfetta, m a esse insieme con Ca (or safute:
103
per cbe quantunque quest'arco saetta disposto cade a proveduto fine. sì come cosa i n suo segno diretta.
106
Se ciò non fosse, if cieC cbe tu cammitte producere&&e sì fi suoi effetti, che non sa re&&ero arti, ma ruine;
109
e ciò esser non può, se Ci 'nteffetti che muovon queste steffe non son manc&i, e ma neo H primo, c be non fi ba perfetti.
112
Vuo' tu cbe questo ver più ti s' im&ianc&i?» E io: «Non già; c&é impossi&if veggio che fa natura, in quef cb' è uopo. stancbi» .
rac
cusa si rivolge alla degradazione mo rale-politica (i due termini in Dante sono sempre sinonimi) del tempo.
85.
«
Poiché io credo che la profonda gioia che mi danno le tue parole, o mio si gnore, in Dio (là 've) . principio e ter
mine di ogni bene,
88.
tu la veda con la stessa chiarezza con la quale io la sento in me, tale gioia mi è piu gradita; e mi é cara anche per un altro motivo (a neo) , perché tu la vedi guardando direttamente in Dio (così come fanno tutti i beati) .
l
versi 88-90 non possono essere con
siderati una ripetizione di quanto è già stato affermato nei tre precedenti. per ché il Poeta, dopo essersi compia ciuto che Carlo Martello veda la sua alta letizia in Dio con la stessa chia rezza e completezza di c.bi prova quel sentimento, si compiace che essa sia ve• duta proprio attraverso Dlor
91.
Mi hai reso fe.lìce, ma ora chia{isci un mio dubbio, poiché, con le tue parole, mi hai .spinto a chiedermi io che ·mo do da un seme dolce possa derivare un [rutto amaro (cioè: in che modo possano distendere da una nobìle stirpe rappresentanti d�generi). »
94.
Io gli dissi queste cose; ed egli mi ri spose : «Se rìusc.irò a dimostrarti una i volgere VeFità fondamentale, tu potra gli occhi all'oggetto della tua domanda così come ora gli volgi le spalle ( cioè: capirai il problema del quale, per il momento, non riesci a renderti conto) .
97.
Dio, il Bene che muove e rende lieti i cieli attraverso i quali tu salì (SGilrt di) , fa si che la sua provvidenza di venti, in questi grandi corpi celesti, vir tù ( e di una persona lità che li faccia diventare creature (( vere » (alla ma niera del1e grandi figure dantesche, da Farinata a Pie carda e non sem lic! portavoci del � �nsiero e degli . sdegnt dt Dante. L antmo del Poeta SL. e sovrapposto ai toni che ci saremmo aspettati da una donna che fu certo lontaoa da ogni preoccupazione politica o da un poeta provenzale, sia pure diventato poi vescovo. "L'unità se una unità cerchiamo, come si conviene - va, ancora una volta, ravvisata nel fervore della coscienza di Dante" (Di Pino), perché si avverte chiaramente l'esistenza di
�
_
"una foJ"za reale e tenacemente tesa, i sintomi, cioè, dell'imminente ir..1mpere della terribile ira personale di Dante". C'è, infatti, una profonda consequenzialità fra il discorso di Cunizza c quello di Falco, perché il primo presenta la terra prava italica e i l secondo la città di
commosso invito al Lettore (leva... all'alte ruote meco la
Firenze, causa del traviamcnto del mondo con il ma/a detto fiore, così come nel canto di SordeUo la visione
meglio, conclude una specie di ante-paradiso, dove le
contro Firenze (Purgatorio VI,
vista). Il nono non conclude solo l'argomento del cielo di Venere, ma tutto il primo tempo del Paradiso, o,
sfere e le anime sono ancora segnate dall'ombra della
terra prima che l'estatica ascesa dello spirito proietti verticalmente
h
materia verso i cieli di pura luce. Ri
torneranno in alcuni passi dei canti seguenti la durezza
c il fiero realismo dei discorsi di Cunizza e di F oleo, ma non la sua selva,ggia coloritura, la loro fosca rievoca.
zione di medievali eccessi, il loro tempestoso e macabro
compiacimento del sangue e della vendetta, che hanno richiamato alla memoria del Mornigliano il canto di
Guido del Duca e quello dei seminatori di discordia.
La violenza della terra prorompe nel canto nono con tale assolutezza di immagini e di termini da far pen Silrc che il Poeta, presentandocela per l'ultima volta, voglia costringere il lettore a ricordarla, a ricordarla
sempre, anche nei cieli di pura bice, rsrché è da quel mondo di malvagità c di violenza che l'uomo è par
tito per giunge�e a Dio. I toni cupi· di questo canto non devono, dunque, stupire, b spingere a giudicarli fuori di h10go nella rarefatta atmosfera paradisiaca (così
come non saranno certo fuori di luogo l'apostrofe al
l'aiuola che ci fa tanto t�roci o l'invettiva di Beatr·ice
contro la corruzione umana nel CMfo .XXVII), perché è nella vittoFia contro i mali qui descritti, è nella riso
luzione dei problemi qui pr-ospettati che la creatura giun gerà alla salvezza eterna. E)iJ:ninare questi argomenti
dal Par(ldiso significherebbe non tenere conto che esso per ìl Poea t è soprattutto un itim:rarium me(ltis in Deum.
È
però evidente nel cante una specie di sfasatura nella creazione dei personaggi, i quali trovano la loro
giustificazione e la loro consistenza in motivi etico-poli tici, prestando voce occasionalmente a una commozione etico-politica che perdurava dal canto di Giustiniano e si era gi� affermata in quello di Carlo Martello, mà non
della corruzione politica dell'Italia sfociava nell'invettiva
1 27-1 ) l)
e nel canto di
Guido del Duca il disordine della Romagna e della valle
dell'Arno si concludeva nel ricordo delle stragi fioren tine. L'osservazione del Di Pino a quèsto proposito è estremamente, interessante : "Ancora una volta Firenze è il termine antitetico ad ogni concetto di virtù univer sale. Da un lato Firenze, dall'altro il cielo; perché da un lato c'è Dante fiorentino, dall'altro Dante uomo
universale. E nella ricorrente antitesi di termini così
profondamente contrapposti, è il nodo dell'insoluto dram ma dell'esule e, infine, il dramma strutturale del poema. Nella pienezza dell'Empireo, tra lo spiegarsi della milizia
fcmta e il trasvolare ardente degli angeli di fiamma viva
D::u;tte confronta - e sar� pGr l'ultima volta - le due grandi componenti del libro: io, che al divino da l'umano
a l'et�no dal tempo era venuto, e di Fiorenzo in popol giusto e sano, di che stupor ilovea esser compiuto! (Pa radiso XXXI, 3 7-40). A tanta altezza di paradiso> la
crudezza dei contrasti pare attenuata : l'ira ha ceduto allo stupore. Al di qua di quell'orizzonte i toni restano rudi e violenti, perché sempre la corwzione del mondo sembra con'giunta e motivata dalla corruzio�e stessa . di Firenze. Ciò che, infatti, (a sembrare posstbtle ti con fronto fra termini di così diversa portata (Firenze-para diso) è il fatto che Dante ha dato a Firen.ze la universa lità dell'errore''. Per il Poeta esule la sua città resta pur sempre il centro dal quale ha preso inizio la sua visione . del mondo e, così come il raggio in un cerchto gc�
metrico, ad esso continuamente ritorna e da esso còntl• nuamcntc si allontan a : nel canto nono il movimento è, �l ii�fatti, duplice - dall'Italia a Firenze e da Firenze . suh mondo - ma sempre condotto con lo stesso metro stessa stico) con le stesse trascinanti minac il urto, il cero, l'orologio che chiama al mattutino, la rota. '
La fantasia si rifrange su mille oggetti, la vita spirituale si moltiplica in mille direzioni, perché l'animazione erica dd Poeta di fronte al tema della sapienza che è cono scenza di Dio, la quale, una volta conseguita, ci lega per sempre a Lui, ha qualcosa di trascinante, qualcos�
di inebriante. La dottrina è diventata fede, e la fede st è tradotta in poesia. Proprio questo suo fervore fa sì che egli, nel canto dei teologi e degli studiosi, rifugga didascalismo, da ogni disquisizione scientifica, da oani D . . da ogni punta polemica. Gli piace andar col vtso �rando su per lo beato serto di quell' "Atene celestiale che n
aveva vagheggiato per i filosofi pagani nel suo Convivio; di quell'aristocrazia della mente che, a differe�za quella degli spiriti magni del 1imbo, ha trovato m D10
?i
ingombrante la sua a bi ustificazione e il suo fine. Non canto, benst' il chiude che rassegna, dunque, quella veglie, nel nelle epica rievocazione di chi, nella fatica, martirio, ha testimoniato a quali altezze possa pervenne l'umana sapienza quando essa è saldamente avvinta alla Rivelazione e all'amore divino.
Dante e Beatrice nel cido del Sole. La Commedia, Paradiso. Min. ferrarese a. HH-1482. (Roma, Biblioteca Vaticaoa Ms. Urb. Lat. 365 f. 223 v) -
-
l.
Dio Padre. potenza ( Va/ore) prima ed inesprlmibile (ineffabile) . contemplan do il figlio (la Sapien�a ) con lo Spi rito S
s'impingua. se non si vaneg
•
..
Dopo che San Tommaso ha terminato di parlare, la corotza di spiriti sapienti, della qua le fa parte, riprende a ruotare intorno a Dante e a Beatrice. Prima che essa abbia comple tato il suo giro, sopraggiunge una secpnda corona, che .si dispone intorno alla prima, ac cordandosi ad essa nel canto e nel movimento. Da que.sta nuova ghirlanda, dopo che il can�o e la danza .sono casati, si alza la voce del francescano San Bonaventura, il quale ini zia l'apoteosi di San Domenico, l'altro grande riformatore della vita religiosa del secolo
Xli
accanto a San Francesco. San Bonaventura ricorda la nascita e i primi prodigi che accompagnarono la vita di Domenico, il quale mostrò ben presto un ardente amore verso Dio, amore che lo spinse ad approfondire sempre di più gli studi filosofici e teologici per combattere le eresie che minacciavano l'unità della Chiesa. Mentre San Tommaso, nel canto precedente, ha messo in rilievo la corruzione diffu sasi fra i seguaci di San Domenico, ora San Bonavetztura costata amaramente che l'ordine dei frati mùwri appare tormentato da discordie e da lotte clze gli fanno dimenticare lo scopo primo per cui esso era stato fondato. SatJ Bonaventura termina il suo discorso ricordando i nomi dei dodici spiriti sapietzti che si trovano con lui nella seconda corona.
181
INTRODUZIONE CRITICA Il canto dodicesimo sembra disposto, a prima vista, con un parallelismo rigido accanto all'undicesimo : il panegirico del fondatore dei francescani è pronunciato, con un tratto di debita riverenza, da un domenicano, ed il panegirico del fondatore dei domenic�ni è pronu� ciato da un francescano quasi per ehmmare anche ti sospetto di un eccesso di lode ; e come la reprimenda dei domenicani corrotti è fatta da uno di loro, cosl la denun cia delle discordie francescane, specie quella che ac cende le polemiche fra spirituali e conventuali, è pro posta da un francescano. Ma dall'osservazione generale e dal riscontro di un parallelismo reperibile anche in al tri punti non si deve scendere a concludere che in que sti canti la dottrina è volutamentc predisposta alla poesia, né fare del poeta del Paradiso un elaboratore accorto di scherni didattici e di cortesie prammatiche. Fin dal primo entrare nel nuovo canto la poesia schiu de immagini di spazi sereni, di musica, di luce : l'epilogo del canto precedente è stato posto come una leziòne fra maestro e discepolo, a tu per tu, con la raccomandazione di rimeditare, ma qui la corona degli spiriti sapienti ha una fretta gioiosa di ricominciare la danza ed il canto, con una çompattezza di materia e di moto che lascia ap· pena spegnersi la parola sulla lingua di fiamma (gli spiriti attendono non che taccia ma che prenda a dire l'ultima parola, tanto è il desiderio della danza). La diversità del lessico e dei modi stilistici si può veri ficare attraverso una lettura analitica comparativa : se il canto di Francesco risulta estatico, pur nella robusta pla stica di alcuni episodi, se si deve pensarlo, come sugge· riva i·l Pistelli, pronunciato a volto levato in una zona paradisiaca invasa dalla luce, il canto di Domenico è di namico, anzi violento, come se in esso si riverberassero la durezza e l'implacabilità delle lotte antieretiche del Santo e dei suoi seguaci, anche se non accorriamo certo a condividere, antistoricamente, lo sdegno di taluni mo derni contro il .fiero persecutore degli eretici: Dante, anche se raccapriccia di umani corpi già veduti accesi (Purgatorio XXVIL 18), è troppo politicizzante e fioren tino per nutrire spiriti pacifici. E il ritratto del santo atl�ta, militarrnente amico degli amici e crudele con gli avversari, fra la quiete luminosa della preghiera notturna che lo inizia e l'immagine dell'orto irrigato che lo con clude, è tratteggiato in forme che potremmo definire ta glienti, con uno stile che richiama modi della poesia e della pittura e della scultura iberiche. Tale ricchezza di presentazione contraddice ancora una volta la tesi della strutturazione dottrinale ed esortativa imposta ai due canti del dittico, e ci spiega anche il lieto e ardito accen182
dersi delle immagini (il mito di Iride, quello della ninfa Eco, la stessa variante del patto eh� Dio con Noè pou, e via trascorrendo per tante altre) e il ritmo del ritratto introdotto dal soffio del vento d'Occidente, contrapposto sì alla luce d'Oriente del canto di Fran cesco, ma per integrazione dialettica, non per inerte con trasto di termini. Anche l'emblema gentilizio di Casti glia, inquartato di leoni e di torri, si distende a coprire un gran tratto di territorio, con un'immagine robusta che si ricollega alle altre del canto, dalle quali, all'inizio. la menzione di Zefiro dola e delle novelle fronde ci aveva sviato. È significativo che il ritratto si componga, con qual che incertezza, intorno alla deprecazione di chi strumen talizza gli studi, tanto quelli di diritto canonico come quelli di medicina, allusi qui con una indicazione gene rica (versi 82-83). Tuttavia la poesia drammatica dante sca tocca i suoi vertici nel tema sinfoniale della primave ra e della forza torre"tizia della predicazione. Meno, forse, nei temi evidentemente attratti dal ritratto di Fran cesco, come le nozze di Domenico con la Fede, al fonte del battesimo. Altri parallelismi, ora più ora meno fortu nati, sono la divina visione che irraggia sulla madr.ina di Domenico, da porre a paragone con la luce di carità che irraggia dagli amanti francescani, e la preghiera di Domenico fanciullo (versi 76-78) che tiene il posto che nel canto di Francesco occupa il tema della Verna. Vuol dire che, esaurita la virtù suggestiva delle rispondenze, la com posizione non riesce più a fare coincidere sapienza strut turale e ispirazione poetica, almeno finché, superato ancora una volta il tema moralistico, quando Domenico si rivolge alla Chiesa e non chiede quello che chiedono tutti gli altri (dispensare o due o tre per sei... la fortuna di prima vacante... decimas, qua� sunt pauperum De1),
si torna al tema della lotta (versi 95 sgg.), che è la scoperta animatrice del ritratto. L'ultima parte del canto, debitamente dedicata al rim provero di ctù si sono resi degni i francescani, insiste sulla polemica fra le due fazioni eccle§iastiche dei se guaci di Ubertino da Casale e dei seguaci di Matteo d'Acquaspa(ta. Ma ad un'attenta analisi critica non ri sulta quello che sostenne con tanto appassionato fervore un grande dantista, Umberto Cosmo, che giustificava la poesia come puntualizzazione di una situazione sto· rica c schierava Dante fra gli estremisti francescani. Invece il Poeta presenta una proposta conciliativa, che non può stupire in chi "ha fatta parte per se stesso" : hanno torto gli uni e gli altri, afferma Dante. E su que sta decisa presa di posi:àone si chiude la parte princi· pale del canto, il quale alla fine presenta solo una fret tolosa rassegna degli spiriti sapienti che compongono 1:� seconda ghirlanda.
.. ..
J Particolare da: "San TOllll0 lla5 d'AquiJio Ùl estasi mentre canta la musa" di Andrea Orcagna (seconda metà del secolo XIV). (Firenze, Chiesa di Santa Maria Novella -
CappeUa Strozzi)
Canto Sì tosto come C'uftima parofa [a &enedetta fiamma per dir tofse, a rotar cominciò fa santa mofa; 4
7
IO
Non appena la luce benedetta di San Tommaso ebbe pronunciata l'ultima pa rola, la santa corona (mola) incominciò a volgersi in cerchio; 4.
e non finì di compiere un intero giro che un'altra corona di beati la circon dò, e accordò il suo moto e il suo canto al moto e al canto di quella;
7.
in quei dolci strumenti (tube: trombe) questo canto supera quello dei nostri poeti ( muse) e delle nostre donne (se rene) tanto quanto il raggio diretto (primo) supera quello ri8esso (quel ch'e' re/use).
IO.
Come attraverso una nube leggiera e trasparente (tenera) si volgono due ar· chi (quelli dell'arcobaleno quando è doppio) paralleli e fatti degli stessi colori, quando Giunone comanda (iube ) alla sua ancella (di scendere sulla terra a portare i suoi messaggi).
13.
e l'arco esterno si forma (per rifles sione) da quello interno, allo stesso modo in cui (dalla voce) si genera l'eco, che prende nome da colei (quei /a vaga) cbe l'amore consumò come il sole dissolve la nebbia,
16.
e tali archi nel mondo (qui) rendono gli uomini sicuri (presaga) cbe la ter ra non sarà mai più allagata, per il patto stipulato da Dio con Noè.
e nef suo giro tutta non si vofse prima ch'un'aftra di cerchio fa cbiuse, e moto a moto e canto a canto cofse; canto cbe tanto vince nostre muse, nostre serene in queffe dofci tu&e. quanto primo spfendor quef cb' e' refuse. Come si vofgon per tenera nu&e due archi paraffefi e concofori, quando limone a sua anceffa iu&e,
183
l
19.
nascendo di quef d'entro quef cfi fori, a guisa def varCar dt queffa vaga cb'amor consunse come so( vapori;
cosi si volgevano intorno (circa) a noi le due corone di beati (sempiterne rose) , e cosl quella esterna si accordò ( rispose: nel moto, nel canto e nella luce) a quella interna. Iride, messaggera di Giunone, scen· dendo sulla terra, dipingeva, lungo il suo percorso in cielo, un arcoba.leno. La ninfa Eco, figlia dell'Aria e della Terra, sì consunse a tal punto nel suo disperato amore per Narciso. che sì ridusse solo a ossa e voce; tramutata in sasso dagli dei, conservò di umano solo la voce (Ovidio Metamorfosi III. 356-510) . Dopo il diluvio universale Dio strinse con Noè un patto: non avrebbe mai più provocato un altro diluvio e come segno di questo accordo mandò l'ar cobaleno (Genesi IX, 8-16) . Con l'apparizione della seconda coro na di beati che sì aggiunge alla pri ma, anzi che questa abbia compiuto tutto il suo giro, la poesia si esalta nel la sfera delle immagini, nella perfe.zio ne artistica del canto dei due semicori !ripudianti e del loro moto di danza, moto a moto e canto a canto, che vince ogni umana scienza poetica ed ogni se duzione sensitiva: muse e serene. Il loro accordo è intrinseco come la fascia interna e quella ester:na dell'arcobale no: il paragone delle due ruote aJ_.. l'iride dà origine alla stupenda ìmma· gine di un patto eterno di pace e dì gioia fra il cielo e la terra, e con essa hanno termine il tripudio e la festa del l'intermezzo proerniale.
16
così di quef(e sempiterne rose vofgìensi drca noi (e due gbirfande, e s-ì C'es trema a Cf' intima rispose.
-
22.
Dopo che la danza (t . Qui gt> t2. pe.. -o., tak !ttce ha perso moHz dclla sua for_a peni?trativa. pu ari � in gra do di proà'lb-re, sen:pre c_rtra'\"'"b-ro la ll'ultima è
anch'esso
parte della lezione
pratico:
esortazione alla
virtu della d . iscrezione. che si traduce sul piano teorico in capacità di distin· zione. e sul piano attivo in prudenza (per
136
e fegno vidi già d'ritlo e veCoce correr (o mar per tutto suo cammino, perire af .fine a(f'intrar d'effa foce.
E
farti mover len'to com'uom lasso)
.
poiché c'è bisogno dì un certo sol
Bevo. e ìl maestro accorto sa anche fare sorridere. U discorso assume toni più distesi con l'immagi11e della scala che misura i gradi di stoltezza e con quella di cbi
pesca per
lo vero
e
non ha l'arte
della ricerca. A mo' di consolazione. ri
13 9
Non creda donna Berla e ser Martino, per vedere un furare , aftro o.fferere, vederfi d'e ntro a C consigfio d'ivino;
Betta pure il discepolo ai tanti illuslti rappresentanti della storia della filoso· lìa, che pure errarono. e ai tanti eretici della storia della Chiesa. Si accende ìn6ne la lìbertà della poesia intorno
prun
cbé quef può surgere, e queC può cadere».
all'immagine
della
rosa.
del
e de.ll'e_terno rinascere della na
tura. Accanto ac:l esse ecco la mimica dell'esperto che trae il pronostico del raccolto quando il frumento è ìn erba c
la ciarla proterva di monna Berta e
ser Martino. che pretendono di antici pare ìl giudizio di Dio, mentre la nave cor.re ardita al suo destino.
212
\
•
1 •
l
•
•
••
aradiso, Canto XIV Nel cielo del Sole Beatrice chide agli spiriti sapienti di risolvere un dubbio che si sta affacciando alla mente di Dante riguardo alla luminosità dà beati dopo la risunuione ddla carne. Risponde l'ar1ima di Salomone, la quale afferma c/1e non solo essi conserveranno la luce che li fascia ora, ma che i loro occhi corporà saranno resi capaci di sopportare si ·
mile splendore.
Intorno alle due corone che si erano formate precedentemente appare zma terza ghirlar1da, così luminosa da abbagliare la vista di Dante. Allorché egli riso/leverà gli occhi che aveva dovuto abbassare di fronte a quel fulgore eccessivo, si accorgerà di essere giu11to con Beatrice nel quinto cielo, quello di Marte, illuminato da una luce rosseggiante. In que sta sfera gli spiriti di coloro che hanno combattuto per la fede sono disposti su due liste lu
minose, le quali si intersecano formando una croce greca. Le anime si muovono lungo i
bracci della croce, scintillando con maggiore o minore intensità a seconda del foro grado di
beatitudine.
Dalla croce esce un canto armonioso, ma Dante è in grado di percepire la dolcezza della melodia, non il significato completo dell'inno. Tuttat,ia le rmiche parole che giungono
al suo orecchio,
«
Rcsurgi
n
e ;t questo modo:
Canto X IV Daf centro a( cert�io, e sì d'af cerc�io af centro, m ovesi ('acqua in u n ritond'o vaso, second'ò c�· è percossa fuori o dentro. 4
«A costui fa mestieri, e no( vi dice né con Ca voce né pensando ancora, d'un aftro vero andare aCCa ra�ice.
A costui (Dante) è necessario (fa mestieri) andare a fondo di un'altra verità, ma non osa dirvelo né con le parole né ancora col pensiero.
«
Beatrice previene amorosamente il nuo '(0 dubbio di Dante, éhe egli non solo non ha espresso a parole, ma non ha ancora formulato chiaramente dentro di sé: basterebbe, infatti, che il suo pen· siero si de6niss·e perché i beati potes sero poi leggerlo nel suo animo.
NeCCa mi' a me1tte fe' su&ito caso questo cb' io d'ico, sì come· si tacque Ca gCoriosa vita dt Totn1naso, per Ca simiCitud'ine c�e nacqile de( suo parCare e d'i quef di Beatrice, a cui sì cominciar, dopo fui, piacque:
�o
IO.
....
13.
Ditegli se la luce di cui �i adorna la vostra anìnJa ( sustanZll ) , rimarrà co.n voi eternamènte così com:è ora;
16.
alterata, spiegategli co e se rimarrà in me. dopo che (avendo ripreso il cor po) sarete ridiventati visibili, potrà acc;adere che (questa luce) non riesca molesta ( r1on vi noi) al vostri occhi. »
19.
'Conle talvolta (al/a {lata) coloro che danzano in circolo ( vanno a rota) . sospinti (pinti-) e trascinati da una cre scente allegfla. alzano (cantando) la voce e si muovono con più vivacità,
22.
cosi. alla pronta e riverente preghiera
215
(di Beatrice), le due corone di spiriti beati mostrarono la loro accresciuta letizia col girare intorno più veloce· mente ( nef (orneare) e con la mera· vigliosa (mira) armonia del loro canto. 25.
28.
31.
216
Chi si lamenta che qui in terra l'uomo debba morire (si moia) per passare alla vita del cielo, non ha certo visto lassù (quive) U ristoro ( rifriyerio) che reca la pioggia (ploia) della grazia divina. La Trinità ( quell'uno e due e tre) che sempre vive e sempre regna unita in ciascuna delle tre persone (in fre e 'n due e 'n uno ) . non limitata ( circun scritto) da nulla, e che tutto abbraccia e contiene ( circunscrive). tre volte era glorificata dal canto dì ciascuno di quegli spiriti con così soa· ve melodia, che ( l'udirla) sarebbe giu sta ricompensa (muno: dal latìno mu nus, dono) anche al merito più grande.
34.
37.
rispondere: « Pinche durerà (quanto {ia lunga) il gaudio della celeste beatitu dine, il nostro amore irradierà intorno questa veste (luminosa che ci fascia) .
'IO.
Lo splendore (di questa veste) è pro·
43.
ta) . il nostro essere sarà più caro ( a Dio) perché sarà diventato più com pleto (per esser tutta quanta l ;
Ed io udii nella luce più fulgida (dia: divina) della prima corona (minor cer· chio: attorno ad esso si era formato ìl secondo, più ampio) una voce soave (modesta) , simile forse a quella con cui l'arcangelo 'Gabriele si rivolse a Maria (nell'Annunciazione).
porzionato all'ardore di carità (di cui siamo infiammati) ; il nostro ardore è proporzionato alla visione (più o meno profonda. che abbiamo di Dio) , e la visione (quella) è proporzionata alla grazia divina aggiunta al merito di cia scuno (so�>ra suo valore) . Quando (nel giorno del Giudizio Uni· versale) rivestiremo il nostro corpo reso glorioso e santo (dall'anima bea-
Ritorna ancora una volta il principio aristotelico-tomista da Dante già enun ciato nel canto VI dell'fn[ecno (versi 106-108) : la perfezione dell'essere umano è nell'unione di anima e di cor po. la quale si ricostituirà per l'eterni tà nel giorno del Giudizio Umversale. 46.
per questa perfezione (per che) si ac crescerà il dono della Grazia illumi nante (gratuito lume) che Dio. sommo Bene. ci offre. e che ci mette i.n condi zione (ne condiziona) di pote'tLo vedere:
49.
per tale motivo deve (convene) cre scere la visione di Dio, deve crescere l'ardore di carità che essa accende. de ve crescere la luce che da questo ardo re deriva (vene).
52.
Ma come il carbone che produce la
13
Ditefi se fa fuce o.nd'e s' infi.ora vostra sustanza, rimarrà. con voi etternafmenle sì com'.efC' è ora;
16
e se rimane, d'ite come. poi cbe sarete visibifi rijatli, esser potrà. cb'af veder non vi noi».
19
Come, d'a più fetizia pinti e tratti, af[a fiata quei cbe va nno a rota feva.n fa voce e rafCegrano (i atti.
34
E io ud'i' neffa fuce più dia aeC minor cerchio una voce mod'esta. forse qua( fu da([' angeCo a Maria,
22
così, afC'orazion pronta e divota, Ci santi cerchi mostrar nova gioia nef tomeare e neffa mira nola.
37
rispond'er: «Quanto fi.a (unga Ca festa di paradiso, tanto iC nostro amore si raggerà. dintorno cotaC vesta.
25
Quaf s i fatrtenta percbé qui si moia per viver cofa su. non vide quive fo rifrigerio defCetterna pCoia.
40
La sua chiarezza seguita C araore; C' ardor Ca visione. e queffa è tanta. quant' ba ai grazia sovra suo vafore.
28
QuefC' uno e d'ue e tre cbe sempre vive e regna sempre in tre e 'n d'ue e 'n uno, non circunscritlo, e tutto circunscrive, tre vofte era cantato d'a ciascuno ai queffi spirti con taC meCodia, cb'ad: ogni merto sarìa giusto muno.
•
Paradiso XIV, 43-i5 ..
"Giudizio Universale" a!lribuito • uo p ittore fioreotia.o conosciuto con Il nome di "Maestro dd Bambino Vispo" (prima metà dd secolo XV). (Moo.aco, PU>acoteca d'Arte À1llica)
fi=ma e la supuo �!la
Come [a carne gforiosa e santa jia rioesti·ta. [a nostra persona più grata jia per esser tutta quanta:
S=). 55.
e � erma ci .cin:noda � "Ì!l1D m eeG!ci.a '� lin
�a=!·
cnnpo che per
dal ora
pe:w dalla ·W=:
per che. s' a,ccnsce.ra ciò c&e ne. dona eH gra.luito (1Jm.e 1[ sommu &eThe... [urne cb'a [ui ved·er ne condiziona;
foJgoon del � ( tclt.a dì 1 � riro
� � � fcccr e sàam � dopo la ris:'"'-"� èdl:a cax:.e � u:a=mò� r�: m =o dei beali. funte a � allll ADa
sisU)jlDiiiru
49
CIOi!l:ie si !P"'Ò � " � e =me .., - ciò � � esseu I, che mostrarono chiaramente il desiderio di ricongiun-
«
••
..
gersi ai loro corpi
(de'
corpi morti) ;
70_
E come sul far della sera cominciano ad apparire nel cielo le prime stelle (no ve parvenze ) . cosl (tenui) che raspetto di esse appare e non appare reale.
73.
co.�i mi sembrò di vedere lì nuove ani me (sussistenze). e mi sembrò che esse si disponessero in cerchio Intorno alle altre due corone.
forse non tanto (pur) per se stessi. ma per la madre, Il padre e per tutti co
loro che ebbero cari (in terra) prima di diventare eterni fulgori (i� cielo) .
Ed ecco apparire intomo (alle due coro ne) una ·luce Clustro) . di splendore pari (a quella dei due cerchi di beati) , supe riore alla luminosità del sole (sopra quel che ·v'era), simile al chiarore che si dif. fonde all'orf.zzonte quando il sole sorge (per guisa d'orizzonte. che rischiari) .
Dalla vastltà del cielo affiorano. di· prima sera, le prime stelle: anche se
l'immagine è avanzata con una pre cisa giusti6cazione teologica (li divi-
no si manifesta gr�dualme,nte alle po vere capacità umane) essa apre una limpidissima vena di poesia. Ed è poesia cosmica. poesia che canta lo spettacolo celeste che piil piace al Poe ta, quello della notte rischlarata dalle tremolanti luci delle stelle. Nella leg gerezza e nella musicalìtà dei versi 7072 (si noti. tra l'altro. l'allitterazione del verso 70 e la forma indeterminata. quasi sospesa, del ve.rso 72) sembra ri Aettersi il misterioso nascere della sera dopo la luce abbagliante del sole al l'orizzonte ( verso 69). il misterioso ap-
221
,
..�'L4." .
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pa."'ire e spc... � tt-d Odo cii 9"ti � l ,.,; . cl:� o;pD "'-ol!a il Poeto: cm
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tei:n�la coa. ��to � � e au:ore.. IlDa parola scia �..d2 iD s;:ad � =si pe=e.-.= e = rittmìO l!:::,piòo, chi..ro Dd !!L-o di tma � crea:!IO � "� tn"l:!da 'l' n.eHo str:sso recpo.. iEdèn:ta. pc._ he fo-� � m:._�ro a coot=:>lae � cido stl!!l.i!to. = Ilo ;;mco si è � m qaesta caac.� :Mme.
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76.
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59-'-èare
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dica la verità. f!O.iché la dzv.Jn:a bclle.-.--za
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(4i Beatrice 1 non e stau. qui dimenti·
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130
Io m' innamor-aoa. :tanto qoincL c:.'be 'njiuo a fì uo,n Ju aicuna cosa c&e mi fegasse con sì cio[d 1>inci.
cat.a
J.J!À
(fll'CSSinne cile
I'pretazione prop0Sta d;;] Terr=a, peJ!cile e= si l'ivela pro :ad"""te: " a11a .sitaazjGme poetica del Pass Jc •• u • �{p u (�· . .u l""j· tc•nps n � '-tU'< .
Continua il dialogo fra Dante c Cacciaguida, che ttcl canto precedente ha tratteggiato l'immagine della Firenze del passato. Ora il Poeta gli rivolge una serie di domande precise: chi furono i comuni at1tenati, in quale periodo il trisavolo visse, quali furono le caratteristi che dcll'ovil di San Giovanni nei tempi passsati e quali le famiglie più ragguardevoli. Illu
minandosi di gioia nel rispondcrgli, Cacciaguida rivela di essere nato alla fine del secolo Xl,
aggiungendo che le case della .rua famiglia si trovavano dentro la prima cercha i di mura:
garanzia, questa, di antica nobiltà. LA popolaziotu fiorentitl.a era assai meno numerosa dì
quella dci tempi del Poeta, ma di sangue più puro. Ora, inveceJ essa è contaminata dalla presenza di famiglie venute dal contado, che la città, nella sua progressiva espansione, è giun.ta ad assorbire. Anche il numero dci nobili è aume11tato, poiché molti feudatari, uint·i dal comune fiorentitJo, sono stati costretti ad abbandonare il contado c a trasferirsi in città. Origine di questi sconvolgimenti sociali e politici è l'intertJcnto della Chiesa in campo temporale a danno degli interessi dell'Impero, che notz. può più opporsi all'espansione dci centri cittadini. TuttatJia questa mescolanza di stirpi e di famiglie porterà ad un aumento delle discordie e delle lotte civili e, quindi, ad una rapida decadenza delle città. Nella seconda parte del canto Cacciaguida cn.umera moltissime famiglie nobili della Fi renze antic9, ormai scomparse o in via di dccadit1lmto e conclude il suo discorsa ricordando le famiglie degli Adimari e dcj Buondelmonti, il cui dissidio causò le prime dit�isioni dt:Zla città.
24 5
INTRODUZIONE CRITICA Canto dei fiorentini antichi : così viene definito il XVI, in contrapposto a quello di Firenze antica, il XV: c a quello dell'esilio, il XVII. Chiuso fra due momenti centrali della Comnudia il ritorno al passato per pre sentare quello che dovrebbe essere il volto nuovo e rige nerato della società futura e la consacrazione ultima e -
definitiva della missione di Dante - esso è apparso al Momigliano "troppo irto di nomi", quasi una nuda cro naca, per cui farebbe l'effetto di "una delle pagine un po' secche e aride di Dino Compagni, dove non mancano profili taglienti di personaggi e di fatti, ma questi sono non di rado dispersi in un complesso poco animato, e non sono frequenti i quadri dal taglio sicuro ". Il Poeta è troppo "municipale" in questo canto, che " è l'unico.. . della Divina Comm�dia in cui la fiorentinità di Dante confini con l'angustia spirituale e poetica ". Tuttavia il giudizio dell'illustre critico è troppo parziale, li �itato � quelle terzine che presentano una rassegna d• nomt nella quale la vena poetica scade. Più esatta appare la . seguente puntualizzante) .
10.
l miei lmponevan6 ai• ntl•
bì]i del con,tac\o, come- r)c_orda il Matta Ila, o il trasferimento deftnitivo in città O un SQggiorno anQuaJe, a· titolo di ga• rcanzla e di elllcace cont{ollo. r.·au.men to del numero delle famiglie nobili e la low diversa provenienza contr-ibuirono aa accrescere .le discordre. U castello di Mootemudo. situato fra Pistola e Prato, era un feudo impe rJ;;le dei conti Guidi 1( chiamati a FI renze- i Conti per antonomasia, essendo
i>artl_cplari
da:
"Allegoria �l Buoa Go1>uno" lji ,Ambrogio Loreauttl (1 c. 1348). -
(Sièua, Pàlazzo Pubblico)
una delle più potenti famiglie feudali dellà Toscana), l quali, non es!j_e ndo In grado di difenderro contro l Plstoi�si,
lo cedettero a Firenze nel 1219. 0rlglnari dl Acone, in val di Sieve, l Cerchi si trasferirono a Firenze nel secolo _ Xli. diven!and_o in breve una delle famiglie più ricche (per t loro floridi commerci) , e più potenti '(perché furono a capo dei Guelfi bianchi) . I;a famiglia del Buondelmontl (un mem bto delta quitle fu la cau�a diretta del la divisione Interna di Firenze: cfr. ver si 110-1 H·) occupò Il castello dr Mon-
tebuoni, In val di Greve, fino al 1 1 35, anno in cui esso V'�nne distrutto dai Fiorentini e la· famiglia dovette trasfe rirsi nella �ittà gigliata ( �r. Villani ( Cronaca lV, 36). 67.
La . mescolanza di stirpi diverse fu' semj)re· causa di rovina per lo · stato • ( cittade) come '(è causa di malattia ) per .il :vo.s!fò corpo il cibo_ éhe si S" vrappone (nello stomaco ad un altro non ancora dige�ito); ,
70.
e un toro cieco
cade più presto
(avac-
cio·),
un; a9.nello .ct;co; e spesso sola ferisce più e megllo n . on cinque spade. eU
da sp à
una · ch·e
Balla Politicadì A-rl;totlle Dante ha' c.leriv�to il principio �he:Ja $ovi na .di una città è.Gà,usata dal disordine e ga gli sq uilibri ·prov�atl dal sovrppporsi di elementi lorestle.r.ì su guè lli tòdìgeni. fnoltre una città grande e dlssenn;�-ta (i l cieco toro') si regge•coP, maggiore dliRaoltà che no!l u na città p(caola e dissennaia W cj'eco' agnello) , percjté. attira su di sé più facilmente gli- attac-
•
Sempre fa confusion cfe(fc persone pri nei pio fu dd maf cfeffa cittade, come cfc( vostro if ci&o cbe s'appone; 70
73
Se tu riguardi Luni e Ur&isagfia come sono ile. e come se ne vanno di retro ad esse Chiusi e Sinigagfia,
e cieco toro più avaccio cade 76 cbe '( cieco agndfo; e mofte vorte tagfia più e megfio una cbe (c cinque spade.
ucfi r come fe se& i a Ile si disfa n no non ti parrà nova cosa né forte, poscia cbe fe cittadi termine banno.
chi dei nemici; inoltre uno stato può agire con più decisione ed efficacia quando i suoi cittadini sono poco nu merosi (più e meglio una che le cin que spade) . 73.
Se tu consideri come sono andate in rovina (sono ite) Luni e Urbisaglia. e come si stanno spegnendo sulle loro orme Cbiusi e Sinigaglia.
76.
non ti sembrerà cosa strana (nova) né diffiCile a capirsi (forte) l'udire cbe si spengono (anche) le famiglie ( schiar te). dal momento che la vita delle città � soggetta alla rovina. decadenza dt Lunt, antica città etru sca pruso la foce dd fiume Magra (In ferno XX, '17) , fu provocata dai Sara ceni. mentrl' furono i Visfgoti a distrug gere Urbisaglia (Urbs Salvia) , presso Tolentino. Al tempo di Dante erano ormai prossime alla scomparsa due cit tà un tempo fiorenti; l'etrusca Chiusi, in val di Chiana. e la romana Sena Gal lica, Sinigaglia, la cui decadenza era dovuta alla malaria e alle devastazioni alle quali era stata sottoposta prima dai barbari e poi dai signori di Romagna. La
Il volto della FkeJUc merCaJitile e che Da.ote contrappone con rimpianto a qudlo eroico e cavalleresco ddla FkeJUc a.olica, In due ailiùalw'e tratte da un codice od quale un muCaJIIe di biade fiorentino ha &«Qulo i suoi conii dal 1320 al 13JS. borghese,
"Specchio uma.oo" di Domenico Lenzi. Mio. del "Maestro dd Bladaiolo" sec. XN - (Fkeou, BibUofl:ca LauniUiau Ma. Tempi J - f. 6 v: f. 7 r) •
251
79
Le vostre cose tutte banno for morte. sì come voi; ma cefasi in afcuna cbe dura mofto; e fe vite son corte.
85
per cbe non dee parer mira&if cosa ciò cf>' io dirò ddfi afti Fiorentini onde è fa fama nef tempo nascosa.
82
E come 'f vofger def cie.f deffa Cuna cuopre e discuopre i Citi sanza posa. cosi fa di Fiorenza fa Fortuna:
88
Io vidi fi Ugfli, e vidi i Cateffini. Fifippi. Greci, Ormanni e Af&ericbi, già nef caCare, iffuslri cittadini;
79.
Le cose terrene, cosi come (avviene per) voi uomini, sono tutte soggette alla morte, ma essa sembra non mani festarsi (celasi) in alcune cose che durano a lungo (come le città o le schiatte) ; d'altra parte la vita umana è cosi breve (che non permette di ve dere la loro fine) .
E come il girare del cielo della Luna (generando i flussi e i riDussi della ma rea) copre e lascia scoperte alternati vamente le spiagge del mare. cosi la Fortuna ora innalza. ora abbassa le sorti di Firenze: per questo motivo non deve stupire ciò che io dirò dei Fiorentini di antica nobiltà (alti), la fama dei quali e co perta dall'oblio del tempo. Io vidi gli Ughi, e vidi i Catellini, i Filippi, i Greci, gli Ormanni e gli AJ berichl, già in decadenza e in via di estinzione (nel calare) . sebbene anco ra illustri cittadini; Cacciaguida enumera le famiglie che dopo un periodo di gral\de splendore erano già entrate nella fase decadente al suo tempo ed erano scomparse com pletamente al tempo di Dante (cfr. an che Villani Cronaca lV, l l -13) . •
91.
e vidi famiglie la cui potenza era pari all'antichità, con gli appartenenti (quel) alla famiglia dei della Sannella, dei dell'Arca, e i Soldanierì e gli Ardin ghi e i Bostichi. Queste famiglie mantenevano intatte.. resenta. ciò che nella dottrina cristiana. è già concet Se sull'io universale non si fosse inserito l'io storico di
l'anima a Dio e l'adempimento della sua missione - che è
l'atto di rivelare agli uomini la verità che gli è stata co
municata - si interpone la sua persona con la propria espe rienza di peccato e �i Grazia per "assicurare che quel
li'Zza l'intento del Poeta di rappresontaFe un dup lice
che uomo ba fatto, uomo, soceorso, può fare " (A,pollo·
quella dì tutta l'umanità. E "il punto di incontro, in
XVII testimonia una
processo di redenziqne : la sua redenzione personale e
cui convergono le due compone-nti esse.nziali dell'ispira zione dantesca, è il tema etico-politico, cl1e :rffonda le
su"è radici nella vicenda concreta dell'uomo d'azieAe e dcll"esule, e su quel fondamento costruisce i termini di una dottrina. universalmente valida, ma non maì astratta,
sempre implicata in una trama di sentimenti e risenti menti, angosce e polemiche, speranze e nostalgie,
im
p5:ti di collera sdegnosa e desolati ripiegamenti cootem . plativi • (Sapegno). Se comp letiamo queste osservazioni
rilevando che caraHC'I'istica del poeta medievale è quell'a
di presentarsi sempre nelle vesti del saggio e del pro feta, cioè di co lui che possiede. e rivela la > e
come tale agisce sui destini dell'umanit�, possia'mo con cludere che
H XVII
è il canto dove la duplice natura del
. poema, personale e univers�e, lirica e do.tttinale, uova la
• sua trascrizione più s6lizz�ta e sublimata. Poiché il aentro di questa scienza e di quesra rivela zione è la contemplazione del divi·no e in Dio la creatura
nio). Oltre a quellé del peccato e della Grazia, il canto terza
esperienza-fulcro
-
quella
dell'esilio - per mezzo della quale il Poeta conosce la solitudine morale necessaria per farsi g iudice dell'uma nità; anche questa vi:cend
personale, dunque, subisce
un processo di trasvalutazione, .co.me la .storia di Firenze nei canti X V
e
XVI. Il Ramat riassvme con queste
parole il significato della trilogia d i Cacciaguida : "La t di Firenze e la vicenda çi D an�e divengono nella soria
Commedia due miti religiosi essenziali e inseparabili;
e se lungo il poema corrono con tr-acciati formalmente
disrrnti, anche se tal volt.a incrociandosi, la lofo unità so
stanziale si manifesta ·nei tre eanti di Carfos{ l, 7'17 sgg.) . -
i.
4
7
ac
certarsi se era vero ciò che aveva udito
taC era io, e taC era sentito e da Beatrice e. daCCa santa Campa cbe pria. per me ave. a mutato sito.
cosi ero io ansioso di sapere, e questo stato d'animo era avvertito e da Bea trice e dal('anima ( /ampa) santa dÌ
Cacciaguida, che prima per parlare con me (per me) aveva cambiato posto (si to) (scendendo ai piedi della croce lu minosa).
Anche (')ante, come Fetonte, è ansioso di conoscere la spiegazione di quanto ha udi o t incontro a sé da Farinata ( 1n
Per cbe mia donna « Manda fuor Ca vampa dd tuo disio» mi disse, csì cb'ef(a es.ca segnata &ene deUa interna stampa;
ferno X, 79-81 ) . Brunetto Latini ((n ferno XV. 61-72), Vann.i Fucci (In ferno XXIV, 1'10- 1.YU, Oderisi da Gubbio (Purgatorio Xl, 139�1'11).
7.
Perciò la mia donna mi disse: « Espri mi il tuo ardente desiderio, in. modo che l'rntensità (stampa) interiore appala bene �videote (segnata) esternamente,
10
non percllé nostra conoscenza cresca per tuo parCa re, ma percbé fa u s i a dir fa sete. si cbe f'uom t i mesca-..
22
dette mi fuor d'i m ia vi ta futura parofe gratJi, avuegna cfl ' io m i senta � en tetragono ai cofpi di ventura. ..
«0 cara piola m ia cé e sì t ' insusi.
25
Per cbe fa ,-og Ga m ia sana contenta d ' i u tender qua[ fortuna mi s'a·pJFressa ; c b é saetta pre,·isa \·ien più 'enJa).
16
così ved'i [e cose contingenti anzi cée sieno i n sé. mirando H p-unto a cu i tutti (i tempi son prese n t i;
28
Così diss' io a qudfa fuce stessa cbe pria m'an�.a parfato; e come voHe Beatrice. fu fe1 m i a vogfia confessa.
19
mentre cb' io era a Virgifio congiunto su per (o monte cée C'anime cura e discencfendo nef mondo defunto,
31
Né per ambage. i n c&e fn gente Joffe già s' i111 riscava pria cbe foss·e anciso f'AgueC di Dio c6e fe peccata toffe.
13
de come veggion fe. terrene menti non capere i n triango[ due ot1usi,
Pau.fu.o xvn. 28--� La Comnwl:ia, Para.di5o. Min. dd 5eC. xv (Fae,u. Bibliot«a Lauttmiana MS. Plut. .fO,l f. 277 r)
Paradiso XV1I, iS La Commetlia. ParWisn. !'.!in. dd Stt.. xv (Firelue, Biblioteca -
IO.
264
già perché la nostra conosce.ua aumenti per le tue pa,role, ma perché ti abitui r (at7Si) ad esprimere la sete del tuo desiderio. cosi che gli altr• ((uom) ti possano appagau (ti mescaJ �. non
Launm:iana -
Ms. Plut. 4,.; "" S'"� " \ ., ,
.
f. 134 v)
.
, ... .. , .. ... .
-.
.• .
• •.• . ••
.,
l'
ri generosi e "cortesi" che sotto l'inse gna del santo uccello fanno sperare a
tutti i cronisti e gli scrittori del tempo sono concordi nell'esaltare le doti mili tari e politiche di Cangrande della Sca'
Dante qualcosa di più di un aiuto per le sue neces.