Storia delle scienze. Biologia - Medicina [Vol. 3.1] [PDF]

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Zitiervorschau

STORIA

DELLE SCIENZE VOLUME TERZO TOMO I

A

CURA

DI

GIUSEPPE MONTALENTI

Con

tavole in rotocalco fuori testo e 292 illustrazioni nel testo 5

\

UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE TORINESE

TORINO - VINCE:-iZO liONA - C. MONTEGRAPPA,

18

-

1962

INDICE STORIA DELLA BIOLOGIA E DELLA MEDICINA di GIUSEPPE MONTALENTI. CAPITOLO I. - La biologia e la medicina presso i Greci .. i.

1. 2. 3· 4· 5· 6. 7· 8. 9·

IO.

1 I. 12. 13. 14· I5. 16. 17. 1 8. 19. 20.

21.

CAPITOLO II.

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1. L'antica medicina dei popoli italici e dei romani . 2. L'influenza della medicina greca . . . . . . 3· Lucrezio: la funzione liberatrice della scienza 4· Gli scrittori didascalici ed enciclopedici . . . 5· Galeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. La legislazione medico-sanitaria e l'esercizio della professione medica in Roma 7· La decadenza delle scienze biologiche e della medicina alla fine dell'antichità classica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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La biologia e la medicina presso i Romani.

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La biologia nelle scuole filosofiche presocratiche La scuola atomistica La medicina . . . . La medicina ippocratica L'etica ippocratica Le divinità e le cause delle malattie L'anatomia e la fisiologia ippocratiche La patologia ippocratica La terapia ippocratica . . . . Socrate e Platone . . . . . L'opera biologica di Aristotele La classificazione aristotelica degli animali . Aristotele evoluzionista ? . . . . . La generazione degli animali secondo Aristotele L'entelécheia . . . . . . . . . . . . . L'anatomia comparata e la fisiologia di Aristotele Vitalismo e finalità . . . . . . . . . . . . . Giudizio d'insieme sull'opera biologica di Aristotele . . Vitalismo e meccanicismo. Democrito . . . . Teofrasto e i successori alla direzione della Scuola Peripatetica La cultura ellenistica: la scuola alessandrina . . . .

Pag.

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8. Il misticismo nella medicina g. La medicina postgalenica IO. La biologia dopo Plinio CAPITOLO I I I .

I. 2. 3· 4·

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Il Medio Evo

Biologia e medicina presso gli Arabi Biologia e medicina nel medio evo cristiano Medicina conventuale e medicina laica. Le scuole di Salerno e di Montpellier La medicina nel tardo medioevo. Le università e le prime scuole di anatomia

CAPITOLO IV. - Il Rinascimento.

I. 2. 3· 4· 5· 6. 7. 8. g. IO.

La riscoperta della natura Leonardo . . . . . . . . Vesalio e la riforma dell'Anatomia I continuatori immediati dell'opera di Vesalio Rinascita della botanica e della zoologia Le prime esplorazioni botaniche e zoologiche La medicina nel '500 . . . . . . . . . . . La chirurgia . . . . . . . . . . . . . . . Premesse alla scoperta della circolazione del sangue La fisiologia nel '500 . . . . . . I I. La scoperta della circolazione. I precursori I2. William Harvey . . . . . . . . . . . . .

CAPITOLO V. - Il Seicento

I. 2. 3· 4· 5· 6. 7. 8.

Io. I I. I2. I3.

I caratteri del secolo Le Accademie . . . . I Musei . . . . . . I continuatori di Harvey I continuatori di Vesalio . Il metodo comparativo I microscopisti . . . . . L'introduzione del metodo sperimentale in biologia. La disputa sulla genera­ zione spontanea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Primi tentativi d'interpretazione meccanicistic� dei fenomeni vitali. J atromeccanici e jatrochimici . . . . . . La sistematica botanica e zoologica . I fossili . . . . . . . Medicina e farmacologia Conclusione . . . . .

CAPITOLO VI. -

I. 2. 3· 4· 5· 6. 7· 8. g. V[

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Pag. 161

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Il Settecento

Caratteri del secolo La sistematica e la biologia descrittiva. Linneo Buffon . . . . . . . . . . Lo studio degli Invertebrati La biologia marina . . . . La morfologia . . . . . . . La controversia sulla generazione spontanea L'embriologia. Preformazione ed epigenesi La fisiologia . . . . . . . . . . . . .

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I6I 164 I6g 1 70 1 75 18o 187

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Pag. 305 3I2 )) )) 3I9

IO. Vitalismo e meccanicismo II . La medicina I2. Conclusione . CAPITOLO VII.

1. 2. 3· 4· 5· 6. 7· 8. 9·

IO.

I I.

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Darwin e la dottrina dell'evoluzione.

La geologia storica . . . . . . . Dall'idealismo romantico al positivismo Carlo Darwin . . . . Pro e contro Darwin . . . . . . . Il rinnovamento delle scienze biologiche nel clima dell'evoluzionismo . . . . . . . . La crisi dell'evoluzionismo . . . .

CAPITOLO IX. I. 2. 3· 4· 5· 6. 7. 8. 9.

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Caratteri dell'epoca . . . . . . . . Le scienze morfologiche . . . . . . La zoologia e la botanica descrittive La geologia e la paleontologia L'anatomia e l 'embriologia . . . . . La scoperta della cellula . . . . . . L'istologia e l'anatomia microscopica La fisiologia . . . . . . . . La microbiologia e la dottrina del contagio. Pasteur La medicina Conclusione . . . . .

CAPITOLO VIII. I. 2. 3· 4· 5· 6.

Pag. 321

La prima metà dell'Soo fino a Darwin

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I principali indirizzi della ricerca biologica moderna

La struttura cellulare . L'embriologia . . . . . Generazione e sessualità I problemi dell'eredità e dell'evoluzione Zoologia e botanica sistematica. Paleontologia Le relazioni degli organismi con l'ambiente e fra di loro. Parassitologia Microbi e virus . . . . Fisiologia e biochimica . La medicina . . . . . \

Conclusione: Vitalismo e meccanicismo nella biologia moderna

Nota bibliografica . . Note bibliografiche ai vari capitoli

321 323 34I 352 354 362 370 376 39I 4 00 408

Pag. 4 09 )) )) ))

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VII

ELENCO DELLE TAVOLE FUORI TESTO (forse le terme di Plombières). Tavola del . Tutte le cose hanno origine dal fuoco e al fuoco ritornano : il fuoco, concepito non sol­ tanto come fiamma, ma soprattutto come calore, come vapore, come soffio o psiche. Questo continuo movimento, questa incessante conversione delle cose non si arresta mai. Fuoco è anche l'anima umana, fuoco viene inspirato con la respirazione, il cui arresto significa la morte. Dopo la morte l'anima si spegne, non vive di esistenza pro­ pria, nè può trasmigrare in altri corpi secondo la dottrina pitagorica. Le malattie insor­ gono soprattutto per azione dell'acqua, che è la nemica del fuoco. Altro importante concetto della filosofia eraclitea è quello della lotta, della discordia come potenza creatrice : >; >. Con­ cetti che, sebbene non sempre chiari - e fra questi molti medici. Il più famoso e valente fu AscLEPIO, latinamente EscuLAPIO, eroe e medico di gran fama, secondo una leggenda, che lo vuole figlio del re di Tessaglia. Ma fu poi divinizzato, considerato figlio di Apollo e dio della Medicina. Il culto di Asclepio ebbe le sue origini in Tessaglia, e presto si estese a tutta la Grecia. A lui furono consacrati numerosi templi, di cui il più famoso fu quello di Epidauro in Argolide. Poichè nei poemi omerici Asclepio è considerato come un eroe, e non si fa cenno a tali santuari, è evidente che questi dovettero essere costruiti dopo il 1000. Nel VII e VI secolo erano numerosi e frequentatissimi. In Atene il culto fu introdotto soltanto relativamente tardi, nel 429; in Roma, come vedremo, nel 293.

Fot. Alinari

Achille e il centauro Chirone. Pittura proveniente da Pompei (Napoli, Museo Nazionale). II

Asclepio cui furono dati gli appellativi di iatròs (medico) e sotèr (salvatore) aveva come attributo principale il serpente ; spesso anzi, è identificato col serpente. La medicina diventa dunque una prerogativa sacerdotale, benchè al servizio del dio e dei malati, nel tempio, vi siano anche dei medici. I templi erano costruiti in posi­ zioni salubri e belle, presso una fonte (la sacra fonte) d 'acqua fredda, purissima, o d 'acqua termale. Gli scavi di Epidauro e di altri templi dimostrano la grandiosità di questi edifici e dei servizi che vi erano annessi. Questi centri, dotati di dimore resi­ denziali, di teatri, ginnasi e altri luoghi di trattenimento, erano frequentissimi, e l'uno con l'altro in concorrenza. Vari documenti (ex voto, tavolette con la storia degli am­ malati, testimonianze di autori antichi, e una gustosa descrizione satirica in una com­ media di Aristofane) ci permettono di farci un'idea dei riti che vi erano compiuti. Dopo un periodo di purificazione, di dieta speciale, bagni, massaggi, ecc., il malato veniva introdotto nel tempio e passava una o più notti dormendo ai piedi della statua di Asclepio. Il quale compariva, in sogno, o nella persona di un sacerdote (che, dice Aristofane, gira di notte tempo intorno agli altari, s'impadronisce delle offerte e le mette nel proprio sacco) e consigliava il rimedio. Il sonno ha sempre avuto una grande importanza, insieme con le invocazioni e le pratiche magiche, come funzione guaritrice. L'organizzazione della medicina sacerdotale intorno ai templi di Asclepio, assunse vaste proporzioni intorno al secolo VI I , e durò lunghissimi anni : ancora nel IV e V secolo dopo Cristo molti santuari erano in funzione. Tuttavia la professione del medico empirico, non legato alla organizzazione sacerdotale, era fiorente nelle città greche. Poteva essere esercitata soltanto dagli uomini liberi, i quali dovevano dimostrare di avere seguito un insegnamento, e potevano poi aprire botteghe, chiamate iatreia. V'erano medici d 'ufficio, presso a poco come gli attuali medici condotti. Meno stimati erano i medici ambulanti, o viaggianti, i periodeuti, che si spostavano per città e paesi, vendevano medicamenti ed eseguivano operazioni chirurgiche fra cui frequente la Iitotomia (operazione dei calcoli della vescica) . Nel giuramento ippocratico s'impedisce al medico di praticare questa operazione, perchè ad essa conseguiva quasi sempre la lesione dei funicoli spermatici, e quindi la sterilità. Per la preparazione dei medici si andarono formando scuole indipendenti dai tempi di Asclepio, benchè spesso situate nelle vicinanze di essi. È chiaro che la grande affluenza di malati in questi luoghi offriva eccezionali possibilità di osservazione. Perciò il nome di Asclepiadi, riservato prima ai figli di Asclepio, Podalirio e Macaone, fu poi esteso a tutti i medici, e divenne sinonimo di medico. Una fra le più celebri scuole mediche di questo periodo fiorì a Crotone, in Magna Grecia, ed ebbe perciò la possibilità di risentire l'influenza delle scuole filosofiche italiche. A Crotone visse, intorno al 500 a. Cr. , ALCMEONE, contemporaneo di Pitagora, alla cui scuola fu legato, che è la figura più eminente della medicina preippocratica. Vuole la tradizione ch'egli sia stato il primo a fare dissezioni anatomiche dell'uomo. Il suo libro Della natura è perduto, ma dovette essere il principale testo di medicina prima dei libri d'Ippocrate, e forse alcuni trattati del corpo ippocratico derivano da questo. Ad Alcmeone di Crotone si devono alcune notevoli osservazioni biologiche: la sede delle sensazioni e del pensiero è il cervello e non il cuore. Quando il sangue rifluisce dal 12

Offerente dinanzi ad Asclepio e Igiea. Rilievo del sec. V

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Fot. Alinari

C. ( Atene, Museo Nazionale ) .

cervello verso i vasi si h a i l sonno; la morte è dovuta ad un fenomeno analogo. Nel cadavere si distinguono le vene, p1ene di sangue, dalle arterie, che sono vuote. Importanti sono poi alcuni concetti di patologia, che derivano dal pitagorismo : lo stato di salute è dovuto alla perfetta armonia di tutte le sostanze che compongono il corpo; la perturbazione di questo accordo produce la malattia; la guarigione consiste nel ristabilire l'armonia. FILOLAO di Taranto, vissuto nel secolo V, che appartiene alla scuola di Alcmeone, precisa questi concetti. Le alterazioni del ricambio di quattro umori fondamentali: sangue, flemma, bile gialla e bile nera, sono la causa delle malattie ; la salute, la vita normale, è dovuta all 'armonia di questi 'fattori. E sviluppa, in accordo con la teoria 13

pitagorica, una teoria dell'armonia, la quale, nel corpo umano, è determinata dall'anima. La teoria dei quattro umori sarà la base della medicina ippocratica. Gli stessi principi sono ancora ripresi da EMPEDOCLE, il quale in base alla teoria dei quattro elementi, ripone la salute nell'armonia fra di essi, e la malattia nel suo per­ turbamento. Corre fama ch'egli fosse un eccellente igienista e che abbia liberato da pestilenze Selinunte ed Agrigento ordinando bonifiche e grandi fumigazioni. Ma, come abbiamo visto, la figura di questo filosofo è avvolta nelle nebbie della leggenda. Comunque è certo che con l'opera di questi uomini il pensiero medico s'incamminava. per la retta via. La medicina si avvicina alla scienza biologica, con la mediazione delle scuole filosofiche italiche; si libera dalla concezione mistica, dai legami con i sacerdoti, e supera il gretto emp1nsmo per avviarsi verso un orientamento scientifico. 4· La medicina ippocratica.

Fra le più reputate scuole mediche del secolo V, erano, oltre a quella di Crotone già ricordata, quelle di Cirene di Rodi, di Cnido e di Coo. La più antica era probabil­ mente quella di Cirene, ove si trovava un celebre tempio di Esculapio. Della scuola di Cnido in Asia Minore, si ricordano i nomi di alcuni maestri : CTESIA, contemporaneo d'Ippocrate, ed EURIFRONE. La scuola di Coo (latino Cos) piccola isola del Dodecanneso, sorse presso uno dei più grandi e famosi templi di Asclepio, a cui convenivano molti malati da varie parti del Mediterraneo, e di cui ancora oggi si ammirano i ruderi. Ben presto la scuola dovette sottrarsi agli influssi sacerdotali, e da essa uscì il più grande maestro di medicina di tutti i tempi, IPPOCRATE. Questa grande figura, che s'inquadra nel periodo aureo della cultura greca, l 'età di Pericle, in cui vissero Fidia, Sofocle, Euripide, Tucidide, Socrate, s'impose già ai contemporanei per l 'immenso prestigio che derivava dalla sua grande scienza, dalla eccezionale abilità pratica, nonchè dalla sua nobiltà morale. Presto divenne quasi un mito. I posteri son tutti concordi nell'esaltarn� la grandezza e lo chiamano il grande, il divino, il mirabile inventore di ogni cosa bella, il padre della medicina. Come tale egli fu considerato durante tutto il medioevo. Nè ai moderni, questa fama sembra usurpata. Riassumendo in sè la somma delle conoscenze accumulate in un lungo corso di tempo attraverso il lavoro oscuro, spesso anonimo, di molte generazioni di medici, egli realizzò la prima grandiosa sintesi della scienza medica. La sua persona è circonfusa di leggenda : lo si volle diretto discendente di Asclepio, attraverso venti generazioni. Era figlio di un medico, Eracleide, da cui apprese l'arte. È da ritenere attendibile ch'egli sia nato a Coo verso il 460. Morì in tarda età, chi dice ottuagenario, chi centenario. Compì molti viaggi in Tessaglia, in Tracia, nella Propontide, forse in Egitto, in Libia e fin nella Scitia, ma non consta che sia mai stato ad Atene. Sotto il nome d'Ippocrate vanno non meno di cinquantatre opere in settantadue libri. Nel secolo IV erano sparsi in vari centri della Grecia, e venivano diligente­ mente ricopiati e diffusi : erano ricercatissimi. La redazione che a noi è pervenuta e a cm si dà il nome di Corpus Hippocraticttm è del I I I secolo a. Cr., quando furono

Presunto ritratto di Ippo­ crate (Roma, Musei Capi­ tolini).

Fot. A li11ari

raccolti e copiati per la biblioteca di Alessandria. Ne esistono vari codici, di cui i più antichi sono del decimo secolo. La edt:tio princeps di ALDO MANUZIO, in greco, è del 1526 (Venezia) seguita da quella di Basilea (FROEBENIUS, 1538). La prima edizione latina fu stampata a Roma (rszs). Nel rs88 il MERCURIALE pubblicò a Vene­ zia un 'edizione coi testi greco e latino. Numerose sono le traduzioni in lingue moderne. La più importante e completa è quella francese che E. LITTRÉ pubblicò a Parigi (1839) insieme col testo. Il Littré fu uno dei più autorevoli studiosi del corpo ippocratico dal punto di vista critico e filologico. Delle traduzioni italiane ricordiamo quella di M. G. Levi (Venezia, 1838) . Numerosi furono i commentatori di Ippocrate, a cominciare da Galeno, che studiò profondamente i suoi libri. La maggior parte delle opere mediche degli Arabi, nel Rina­ scimento, e fino a tutto il secolo XVII erano scritte in forma di commento alle opere ippocratiche. Sulla paternità delle opere del corpo ippocratico si è discusso fin da tempi antichi. · Galeno fu il primo a tentare di riconoscere i testi scritti dal maestro da quelli spuri. La critica si è affaticata, per molti secoli, intorno a questo problema, e i pareri sono stati spesso discordi. Era, comunque, apparso chiaro già agli antichi, che sotto il IS

nome d'Ippocrate vanno opere diverse per stile e contenuto. Alcune sono scritte molto probabilmente da Ippocrate stesso, altre sono forse compilate da discepoli, ma risento­ no chiaramente l'influenza del grande maestro. Sono in tutto circa una ventina di opere, fra cui gli aforismi, del medico, dell'abito decente, dei precetti, dell'anatomia, degli umori, delle crisi, dei giorni critici, della dieta, delle predizioni, ecc. Altri libri invece sono compilazioni contemporanee provenienti da altre scuole, oppure opere posteriori, come il celebre libro del morbo sacro, quello dei sogni, della natura dell'uomo ecc. Quali che siano le dispute fra i critici sull'attendibilità delle attribuzioni dei vari scritti, è certo che il corpo ippocratico, di cui le interpolazioni più recenti non sono posteriori al I:V secolo , costituisce un imponente monumento di scienza medica, certo il più grandioso che mai sia stato scritto da una sola scuola, fino all'epoca moderna. A voler riassumere in brevi parole i motivi principali di tale grandezza, si può dire che Ippocrate stabilisce l'importanza capitale dell'osservazione, sganciandosi da ogni concezione magica o mistica, concepisce la malattia come un'affezione dell'intero organismo, fondando quindi la patologia generale, e infine stabilisce e definisce i doveri e le responsabilità del medico, cioè quella che si chiama la deontologia medica. Esaminiamo brevemente questi aspetti dell'opera ippocratica, cominciando dal­ l 'ultimo. 5· L'etica ippocratica.

I libri che dettano norme per la morale e la condotta del medico sono parecchi, e tutti degni d'essere letti e meditati dai medici d 'oggi : le massime ch'essi dettano sono attuali in ogni tempo ; la vivacità, l'attualità delle scene che vi sono descritte ne fanno opere d'arte imperiture. V'è innanzitutto il famoso giuramento, che oggi si ritiene databile ad epoca ante­ riore ad Ippocrate, ma che dalla scuola ippocratica fu certo accolto. Eccone il testo :

Giuro per Apollo, i l medico, per Esculapio, per Igea c Panacea, e chiamo testimoni tutti gli Dei e tutte le Dee che con ogni mia forza e con piena coscienza compirò pienamente il mio giu­ ramento: di rispettare it mio Maestro in quest'Arte, come i miei genitori, di dividere con lui il sostentamento e eli dargli tutto quello di cui avrà bisogno; di considerare i suoi discendenti come miei fratelli corporali e di insegnare loro senza compenso e senza condizioni quest'Arte; di far partecipare all'istruzione e alle dottrine di tutta la disciplina in primo luogo i miei figli, poi i figli del mio Maestro, e poi coloro che con scritture e con giuramenti si dichiareranno miei scolari e nessun altro fuori che questi. Per quello che riguarda la guarigione dei malati ordinerò la dieta a seconda del mio meglio e secondo il miglior giudizio, e terrò lontano da loro ogni danno ed ogni inconveniente. Non mi lascerò indurre dalla preghiera di nessuno, chiunque egli sia, a propinare un veleno, o a dare il mio consiglio in una simile occasione. Non metterò a nessuna donna una protesi nella vagina per impedire la concezione e lo sviluppo del bambino. Serberò santa e pura la mia vita e la mia arte ; non farò l'operazione della pietra; entrerò in una casa soltanto per il bene dei malati e mi asterrò da ogni azione iniqua e non mi macchierò per libidine di contatti con donne e con uomini, con liberti o schiavi. Tutto ciò che io avrò veduto o udito durante l'esercizio della mia arte o fuori del mio uffizio nella vita comune, lo tacerò e conserverò sempre come segreto, se non mi sarà permesso di dirlo. Se manterrò perfetta e intatta fede a questo giuramento, possa io tra­ scorrere una vita felice, raccogliere il frutto della mia arte, cosi che la mia fama sia lodata per tutti i tempi; ma se io dovessi mancare al giuramento, o giurare il falso, che mi avvenga il contrario.

16

Coo. Rovine dell' Asclepieo.

L'accenno al sostentamento che deve esser offerto al maestro, all'insegnamento che si deve dare ai suoi discendenti, come ai propri figli, ci mostrano come le scuole mediche fossero allora su base privata e familiare, e non prive di un carattere d'ini­ ziazione che risente dell'origine sacerdotale; ma tutte le altre norme rivelano un'al­ tissima etica professionale e una chiara impostazione positiva della pratica medica. Molti sono i consigli e le prescrizioni al medico per l 'esercizio della sua funzione, che si trovano nei libri Della legge, Dell'arte, Del medico, e in altri ancora. Eccone al­ cuni tratti da vari libri a titolo di esempio : Colui che vuole acquistare le giuste cognizioni dell'arte medica deve possedere una naturale disposizione, una buona scuola, deve essere istruito fin dall'infanzia, deve avere volontà di lavorare e tempo da dedicare all'arte. (La legge) . Il contegno del medico deve essere quello di un uomo onesto e come tale deve mostrarsi, di fronte a tutti gli uomini onesti, gentile e tollerante. Egli non deve agire impulsivamente, nè pre­ cipitosamente; deve mostrare un viso calmo, sereno e non essere mai di cattivo umore, ma d' altra parte non deve neppure essere troppo allegro. (Del medico) . Nel momento in cui il medico entra nella stanza del malato si ricordi di stare attento al modo di sedersi , al modo di comportarsi, di essere vestito bene, essere sereno nel volto, nell'agire, di attendere con cura all'ammalato, rispondere con tranquillità alle obiezioni e non perdere la pazienza e la calma di fronte alle difficoltà che gli si presentano. (Del comportamento del medico). Nulla si tradisca al malato di ciò che potrebbe avvenire e di ciò che eventualmente lo minaccia, perchè molti malati sono stati da ciò spinti a passi estremi. (Delle prescrizioni).

2.

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Storia delle SC'iem:e,

IIP.

I7

Dov'è l 'amore per l'uomo v'è anche l'amore per l'arte. Non v 'è nulla di male se un medico si trova in imbarazzo presso un malato. Se in seguito alla sua insufficiente esperienza non vede con chiarezza la situazione, chiami ancora altri medici a consulto, affinchè in seguito ad uno studio comune si possa mettere in chiaro lo stato del malato e aiutarsi. (Delle prescrizioni) .

Anche più importanti sono alcune affermazioni d i carattere generale, come le seguenti : Il medico che è contemporaneamente filosofo è simile agli dei. Non vi è grande differenza fra la medicina e la filosofia. Per l 'arte medica si è trovato il principio ed il metodo, seguendo i quali le numerose scoperte che si sono fatte da molto tempo devono servire di fondamento alle ricerche che ancora si faranno. (Intorno all'antica medicina).

Dove si vede chiaramente che, nella sintesi ippocratica, la medicina, da tecnica qual'era, è diventata scienza. 6. Le divinità e le cause delle malattie.

II giuramento invoca gli dèi. Questi sono certamente la causa lontana delle malattie; ma, nella concezione ippocratica, non intervengono mai direttamente, bensi attraverso cause naturali. Sembra certo che il famoso libro Del morbo sacro (l'epilessia) sia poste­ riore ad Ippocrate, ispirato probabilmente dalla scuola sofista, ma è altrettanto certo che tutta la teoria e la prassi della scuola ippocratica sono conformi a quanto in esso è chiaramente e crudamente esposto. Il morbo chiamato sacro non è più divino di qual­ siasi altro : ha una causa naturale, come ogni altra malattia. Gli uomini pensano che sia divino solo perchè non ne conoscono la causa; ma quante cose sarebbero divine, se questo attributo si dovesse dare a tutto ciò che non si comprende ! In natura tutte le cose possono ricondursi a cause precedenti, e quindi è futile distinguere fra le divine e le non divine. A questa impostazione prettamente naturalistica Ippocrate si attiene sempre nello studio e nella cura delle malattie, senza mai concedere nulla alle pratiche magiche. 7· L'anatomia e la fisiologia ippocratiche.

Le conoscenze anatomiche degli Ippocratici sono assai scarse e rudimentali (se si eccettua l'osteologia) , e provengono chiaramente dalla dissezione di animali: l'anato­ mia sul cadavere umano non era certo praticata. Anche la fisiologia era molto primi­ tiva. Nervi, tendini, vasi sanguigni non sono ben distinti fra di loro, nè, spesso, dai mu­ scoli ; trachea e bronchi sono chiamati in principio col nome di arteria, che in seguito vie- . ne attribuito anche a quei vasi che si crede siano destinati a portare l'aria ai vari organi. Il principio della vita è il calore, la cui sede è il cuore sinistro, al quale il sangue giunge dal fegato. Col sangue si mescola il pne�tma, che penetra attraverso la trachea e le arterie e giunge fino al cuore, dove genera calore. Per quanto riguarda la fisiologia della generazione, l'embrione è formato dalla mescolanza del seme maschile con quello femminile, i quali, provenendo da tutte le 18

parti del corpo, ne rappresentano le caratteristiche, e sono in grado di imprimerle al nuovo essere. L'utero è bicorne (tale è infatti nella maggior parte dei mammiferi) e il sesso del nascituro è determinato dallo svilupparsi l'embrione nel corno destro o nel sinistro . Fondamentale per la fisiologia e la patologia ippocratica e per l 'importanza che ebbe per lunghi secoli è la dottrina dei quattro umori. Abbiamo accennato già alla teoria dei quattro elementi, terra, acqua, aria e fuoco, a cui sono associate quattro qualità primarie : caldo, freddo, umido e secco. La terra è fredda e secca; l 'acqua fredda e umida; l'aria calda e umida; il fuoco caldo e secco. A questa concezione si collega quella dei quattro umori che sono gli elementi fondamentali costituenti il corpo umano, secondo che già aveva ammesso Filolao di Taranto: il sangue, caldo, viene dal cuore ; la flemma, deriva dal cervello ed è fredda ; la bile gialla (cholé) è secreta dal fegato e rappresenta l'asciutto, e la bile nera o atrabile (melancholé) è prodotta dalla milza e va nello stomaco, e corri­ sponde all'umido. 8. La patologia ippocratica.

Quando questi quattro umori sono mescolati nelle giuste proporzioni, v'è la salute, quando invece la mescolanza o crasi è alterata (dz:scrasia) insorge la malattia. Corri­ spondentemente le malattie si possono classificare in quattro categorie : sanguigne, flemmatiche, colleriche e melancoliche. Basta considerare quanti di questi termini sono entrati nel linguaggio comune, e quanti ancora sussistono nella medicina odierna per rendersi conto dell'importanza che la concezione ippocratica ha avuto nella storia della medicina, fino a tempi moderni. Ancor oggi si distinguono, nel parlar comune, i quattro temperamenti corrispondenti alla predominanza di uno degli umori. Ancora oggi in medicina si parla di crasi sanguigna, di discrasie, ecc. La discrasia, a sua volta, può essere causata da diversi fattori, costituzionali o esterni. La natura cerca di resistere alle forze che tendono ad alterare la crasi : impegna con esse una lotta che presenta vari stadi, i quali si manifestano più chiaramente nelle malattie acute. Lo stadio finale e più intenso di questa lotta fra la natura e il morbo è chiamato da Ippocrate crisi, la quale è caratterizzata da un aumento delle secrezioni, dalla metastasi, o passaggio da una forma di febbre ad un 'altra e spesso da delirio. E qui v'è una manifesta influenza della dottrina pitagorica dei numeri, in quanto le crisi si manifesterebbero con un periodo definito (per lo più di tre giorni) : donde il concetto di giorni critici. Le varie malattie si riconoscono in base ai sintomi principali. Perciò la grande attenzione raccomandata al medico nell'esame del malato per fare una esatta diagnosi. La prognosi , ha, per Ippocrate, una grande importanza; una prognosi esatta as­ sicura al medico la fiducia dell'ammalato. Sulla base di una lunga esperienza, di una accurata e attenta valutazione dei sintomi e dello stato generale dell'ammalato sono indicate, in molti dei libri del corpo ippocratico, le regole per fare la prognosi. Queste 19

r ut. M arourg

Asclepio assiste una donna inferma. Rilievo del sec. I V a. C. (Atene, Museo Nazionale).

sono esposte in forma di massime nei famosi otto libri degli Aforismi, che hanno co­ stituito per lunghi secoli, e in particolare per tutto il Medio Evo, il più importante compendio di medicina, il breviario di ogni medico. Il primo degli aforismi suona come un ammonimento del grande Maestro a tutti coloro che praticano la difficile arte : e del pneuma vitale presente in ogni luogo, si differenziava una bollicina di ma­ teria organica, che era principio di un essere vivente. Tale processo poteva anche avvenire in seno alle materie in decomposizione (specie per gli insetti) di cui la parte inutilizzabile veniva prima separata ed eliminata. La diversa natura degli esseri che così si originavano, dipendeva dalle diverse quantità di elementi che venivano unite. Ma poichè all'acuta osservazione dello Stagirita non poteva sfuggire il fatto che certi animali cui egli attribuiva la generazione spontanea, come ad es. le mosche, si ac­ coppiavano e producevano un vermicello o scolice (la larva: gli furono ignote le uova degli insetti) egli fu pure costretto a mettere d'accordo questi fatti contradditori. Ed ammise dunque che alcuni degli animali che traevano origine da materie corrotte, fosFot.

Archir·ts Plwtograf>hiqrt�s

Presunto ritratto di Aristotele di età ellenistica ( Parigi, Muse � del Louvre). 27

sero bensì capaci di accoppiarsi e di generare per via sessua!e, ma che gli esseri da essi prodotti - dissimili dai loro genitori come lo sono le larve dalle mosche - fos­ sero incapaci di riprodursi in qualsiasi modo, terminando quindi la serie generativa. E della facoltà riproduttiva questi scolici o larve devono essere sprovvisti , perchè se fossero capaci di riprodurre esseri simili a sè, essi stessi avrebbero dovuto nascere da animali della stessa sorte: il che non è, perchè essi nascono, nel caso nostro, dalle mosche, che sono diverse; e se invece generassero, come i loro parenti, esseri dissimili, ancora provvisti della stessa facoltà generativa, ne seguirebbe una serie illimitata di esseri diversi l 'uno dall'altro. Ma ciò è impossibile perchè la natura sfugge l'illimitato (apeiron). Ecco dunque con quale artificioso giro di ragionamento Aristotele spiegò la facoltà riproduttiva di cui alcuni esseri, che egli credeva nati per generazione spontanea, erano manifestamente provvisti. Oggi può sembrare strano che un così acuto osservatore abbia ammesso la gene­ razione spontanea negli insetti, in cui è relativamente facile l' osservazione dello sviluppo. Ma dobbiamo ricordare che per la piccolezza di questi esseri egli non potè penetrare le minute particolarità di struttura ; nè era stato ancora metodicamente acquisito quel potente strumento d'indagine scientifica, che è l 'esperimento. Fra gli esseri superiori Aristotele ammetteva anche la generazione spontanea di alcuni pesci, fra cui l'anguilla. Il problema della generazione di questo animale, fu ed è tuttora uno dei più ardui della Biologia. Dopo Aristotele esso tentò moltissimi grandi biologi, e non fu sciolto che nel 1896 da Grassi e Calandruccio. Risoluzione però soltanto parziale, perchè, se si dimostrò la metamorfosi del Leptocephalus in ceca di anguilla, non si potè trovare l'uovo da cui questo si sviluppa, uovo che, nonostante le numerosissime ricerche, ci è ancor oggi mal noto. La generazione senza accoppiamento, è propria delle piante in genere, di alcuni pesci (forse identificabili coi Serranus ed altre specie di Acantotteri ermafroditi) e delle api. Gli animali che si riproducono in questo modo, non hanno differenziamento di sessi : in essi i due principi maschile e femminile sono intimamente uniti : per questo i loro pro­ dotti sono equivalenti a quelli provenienti dall'accoppiamento di due individui. Non è possibile identificare questi animali con gli esseri ermafroditi modernamente intesi, perchè in questi ultimi si riconoscono due prodotti sessuali morfologicamente diversi, il maschile e il femminile, ospitati in un solo organismo. Invece gli animali cui si riferisce Aristotele sono in realtà privi di sesso e hanno una intima unione dei due principi che li rende capaci di generare senza precedente fecondazione. Questo modo di gene­ razione potrebbe invece essere omologabile sotto certi punti di vista, al moderno con­ cetto della partenogenesi. Gli animali che così si originano possono generare o animali della stessa sorte, come i pesci, oppure esseri di diversa qualità, a loro volta capaci o meno di riprodursi . Questo ultimo caso avviene ad esempio nelle api, in cui la regina - il re, come si diceva allora ­ procrea, senza accoppiamento, altre regine in piccolo numero, e una grande quantità di api operaie ; queste ultime a loro volta - secondo Aristotele - producono i fuchi, sprovvisti di facoltà generative, e che terminano cosi la catena. La terza specie di generazione, la gemmazione è raramente ricordata e non sembra altro che una specie di fenomeno concomitante. Cosi le piante, e alcuni testacei, come 28

la buccina, o Triton, e la porpora o fllhtrex possono presentare oltre al loro modo di generazione particolare, anche la gemmazione. Essa è qualcosa di simile alla molti­ plicazione per polloni e talèe. Ouarto e ultimo modo di generazione è la generazione sessuale, caratteristica della grandissima maggioranza degli animali, che consta dell'unione di due principi, maschile e femminile, i quali hanno sede in due diversi organismi, conformati in modo adatto a contenerli e a permettere la loro unione per mezzo dell'accoppiamento. È presso a poco con questi concetti relativi alla differenza dei sessi, che si inizia il trattato della Generazione. E subito si pone innanzi alla mente di Aristotele l'arduo compito della definizione del maschio e della femmina. Compito tanto arduo che ancor oggi non si saprebbe assolverlo soddisfacentemente. La definizione data da Aristotele è la seguente : non sia . un fatto isolato, ma costit della cultura medievale è provato da molti segni : oltrechè t con poche varianti, in tutte le compilazioni dell'epoca ( 8o

Santa ILDEGARDA, monaca benedettina, nata nel 1098, morta nel monastero da lei fondato presso Bingen, in Germania, nel 1 179) , hanno fornito alla poesia e all'arte decorativa similitudini e motivi d'ispirazione di notevole importanza. Basta osservare le cattedrali e altre manifestazioni dell'arte romanica e soprattutto della gotica per ritrovarvi chimere e basilischi, salamandre che vivono nel fuoco, l'unicorno che si am­ mansisce sul grembo delle vergini, il pellicano che nutre i suoi piccoli col proprio sangue e molti altri animali veri o favolosi, e mille altre storie, alcune delle quali, come si è detto, sono giunte vive fino a noi. Tuttavia, fra i compilatori di enciclopedie medievali, alcuni spiccano anche nel­ l'argomento che qui ci interessa, per maggiore originalità, per una certa attitudine critica, e per il vigore di pensiero che li anima. Essi sono commentatori di Aristotele, le cui opere conoscevano per lo più soltanto attraverso la versione araba, tradotta in latino. Ben presto, nel sec. XIII, l'opera aristotelica costituì la base di tutto quel movimento di pensiero che va sotto il nome di scolastica. Alberto di Bollstadt, detto ALBERTO MAGNO, nato in Svevia intorno al 1200 e morto a Colonia nel 1280, studiò a Padova e si fece domenicano. Insegnò in vari centri, fra cui Parigi, e diresse poi per un certo tempo il nuovo Studùtm generale dell'ordine fon­ dato a Colonia, dove ebbe come allievo Tommaso d'Aquino. La sua attività fu prodi­ giosa: ebbe numerosi incarichi da parte della Chiesa, oltre all'insegnamento, ma ciò non gli impedì di scrivere un gran numero di opere che costituiscono una vasta enciclo­ pedia filosofica, teologica, scientifica. Svolse la sua opera soprattutto in forma di com­ mento ad Aristotele, in senso averroistico, cioè esponendone la vera dottrina, senza preoccupazioni teologiche. Dimostrò notevole coraggio , perchè le opere di Aristotele, nei primi tempi, erano state più volte oggetto di condanna da parte della Chiesa. Il Doctor universalis, come fu chiamato, preparò così l 'introduzione dell'aristotelismo nel pensiero cristiano, opera che fu poi compiuta dal suo grande allievo S. Tommaso. Recentemente (1931) Alberto Magno è stato santificato e dichiarato Dottore della Chiesa e poi (1941) nominato patrono dei naturalisti. Non del tutto a torto, ché, sebbene non abbia espresso idee originali e di valore universale nel campo scientifico, come fece invece il suo contemporaneo francescano Ruggero Bacone, Alberto dimostra due notevoli qualità di naturalista: l 'amore per l'osservazione diretta, . e una certa libertà di critica nei riguardi di Aristotele e degli altri antichi maestri. Si occupò di chimica (preparò l'arsenico puro), di mineralogia (nel De mineralibtts tentò una classificazione dei minerali) , di zoologia e di botanica. Sempre segue la falsariga di Aristotele, ma talvolta compie osservazioni originali e si di­ scosta dal Maestro : per esempio là dove descrive i primi vasi che si formano nell'embrione dei pesci e degli uccelli, nei quali ultimi intravvede i vasi allantoidei. Notevoli le sue descrizioni delle piante, alcune delle quali rivelano indubbiamente l'osservazione diretta. Altri due domenicani contemporanei di Alberto sono autori di vaste compilazioni en­ ciclopediche, in cui le scienze naturali, e in particolare la zoologia, hanno una parte cospi­ cua: TOMMASO DI CANTIMPHÉ (circa r r86-r263) e VINCENZO DI BEAUVAIS (Bellovacensis, morto circa nel 1264) . Il primo scrisse De naturis rentm, altra rielaborazione dell'opera aristotelica, assai più pedissequa di quella di Alberto, e in cui predomina l'intento mo­ raleggiante, che si accompagna alla credulità alle favole tradizionali.Vincenzo è autore di 6.

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Storia delle Scienze,

IIJl.

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un vastissimo Spec�tlum naturae, che ebbe numerose edizioni (l'ul­ tima è del 1624) e che raccoglie tutto quanto era stato traman­ dato dai classici, desumendolo spesso di seconda o di terza mano, non di rado togliendolo di peso dall'opera di Tommaso di Cantimpré. Una menzione speciale meri­ ta un'altra opera di questo perio­ do, il De arte venandi eum avibus di FEDERico I I D I HoHENSTAU­ FEN, Re di Sicilia e poi impera­ tore (II94-I250), illuminato pro­ tettore delle arti e delle scienze, fondatore dell'Università di Na­ poli. La traduzione completa Alberto Mlgno. De lc;-uirtu dclhcrbe. delle opere di Aristotele, che egli Animali Er pittrt prccio(c & commise a Michele Scot o, il quale volse dall'arabo in latino, di molte marauegliofc co ebbe grande importanza per l'in­ (c del mondo &c. troduzione del pensiero del gran­ de maestro greco nella cultura occidentale. Nel trattato di falconeria Fe­ derico dimostra un vivo interesse non soltanto per la vita, le abi­ Alberto Magno. Ritratto sul frontespizio dell'opera Della tudini, gli istinti dei falconi e virtù delle herbe, animali et pietre preciose, etc. (Torino, 1 508) . d'altri uccelli, e per la loro utilizzazione allo scopo di caccia, ma anche il desiderio di conoscere l'anatomia direttamente, con la dissezione, e non sol­ tanto attraverso le descrizioni aristoteliche. È questa una vera opera naturalistica, sia pure da dilettante, che testimonia di una notevole apertura mentale verso i fenomeni della natura. Dopo la morte di Federico, si verificò un movimento di reazione della Chiesa, che tra l'altro, rinnovò il divieto di sezionare cadaveri umani, mentre Federico aveva concesso, anzi raccomandato questa pratica ai maestri della scuola Salernitana. Simile per intenti e per diretta ispirazione dal vero è il libro della caccia di GASTON DE PHOEBUS (Le miroir de Phoebus, des déduiz de la chasse, des bétes sauvages et des oiseaux de proie) di cui alcuni esemplari erano adorni di bellissime miniature. Si tratta di libri destinati alla pratica, non di opere di cultura, e perciò potevano essere liberi dagli schemi e dal dogmatismo. Si possono scorgere dunque, nel Duecento, i primi barlumi di un interesse scientifico, soverchiati però dall'oscurantismo medioevale e schiacciati dal peso della filosofia e .

82



de1la erudizione scolastica. Rifulge in questo secolo, la lucida vxswne della scienza ch'ebbe RuGGERO BACONE, nato in Inghilterra intorno al 1214 e morto nel 1292 o 94· Studiò a Oxford e a Parigi ed entrò nell'ordine francescano. Insegnò nell'Universita di Oxford e poi alla Sorbona, gran centro dello scolasticismo. Fu chiamato Doctor mi­ rabilis per la sua vasta cultura, ma ebbe vita difficile per le sue idee spregiudicatè e anti-tradizionalistiche, che gli procurarono molti nemici fra le autorità ecclesiastiche. Fu antesignano del pensiero scientifico, e nel suo Op�ts mafus afferma la superiorità dell'osservazione e dell'esperienza sopra ogni ragionamento a priori. Fu il primo ad usare il termine di scientia experimentalis, benchè in senso non identico a quello moderno. Si occupò soprattutto di studi di ottica, e non di biologia, ma deve essere ricordato qui, appunto per la sua visione generale del pensiero e del metodo scientifico, che sarà poi raccolta e ampliata nel Rinascimento. 3· Medicina conventuale e medicina laica. Le scuole di Salerno e di Mont­ pellier.

La medicina, nell'alto Medio Evo, si praticava soprattutto nei conventi o nei loro pressi, dove si quetavano le onde minacciose delle guerre, delle invasioni barbariche, delle l l n l f1t(\ llt' fitp.:.l btCrt"·Oir.:\ HlJO

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Uccelli migratori in volo. Miniatura del De arte venandi (Biblioteca Vaticana).

Fot. della Biblioteca

carestie, e dove la pace e la serenità della vita religiosa consentivano di offrire asilo e conforto agli infermi, secondo i comandamenti della vita cristiana. Così, come già presso i templi di Esculapio, accanto ai conventi sorgono infermerie, e si fondano ospedali : nasce la medicina monastica. A Cassino S. Benedetto fondò l 'ospedale del suo ordine, e quel convento divenne un centro molto importante anche per la cultura medica, la quale si diffuse poi in tutti i monasteri dei Benedettini. Più tardi, gli ordini cavallereschi, come quello dei Templari, assunsero fra i loro compiti di difesa dei deboli e degli oppressi anche il servizio ospitaliero. I conventi, com'è risaputo, erano i principali centri di cultura nel Medio Evo. Nelle biblioteche dei monasteri si conservavano i codici contenenti le opere degli antichi autori, e se ne curava la copiatura. CASSIODORO, che dopo un 'attiva vita pub­ blica al servizio di Teodorico e dei suoi successori, si ridusse a vita monastica entrando nell'ordine di S. Benedetto, si ritirò a Squillace in Calabria (540) e fondò in quei pressi, a Vivario, un cenobio, che divenne uno dei centri più importanti per la raccolta e la conservazione dei codici. Dedicò molta attenzione alla medicina, consigliando la lettura del libro di Dioscorìde sui semplici e delle opere d'Ippocrate, dì Galeno, di Celso. IsiDORO dì Siviglia (560-636) famoso vescovo spagnolo, Dottore della Chiesa e Santo, nella compilazione della sua vasta enciclopedia intitolata Etymologiae o Origines, dedicò il terzo libro alla medicina, con larghe citazioni di testi medici e contribui cosi alla diffusione della cultura medica nei conventi. Molta importanza in questo senso ebbero i monaci irlandesi, seguaci di S. Patrizio, che nel V secolo aveva recato il cri­ stianesimo in Irlanda. Essi fondarono in patria, in Inghilterra e in varie regioni d'Eu­ ropa, fra cui la Svizzera (S. Gallo) e l 'Italia settentrionale (Bobbio presso Pavia) con­ venti che divennero importanti centri dì studi medici. Sorge così una letteratura medica monastica, in cui hanno notevole importanza le descrizioni delle virtù delle erbe. I cosiddetti Hortuli sono appunto elenchi ragionati di erbe medicinali, con cui si preparavano le medicine, e che venivano spesso coltivate negli orti dei conventi. Notevole il commentario medicinale di BENEDETTO CRESPO, Arcivescovo di Milano (sec. VIII) che fu scoperto e pubblicato dal Cardinale Angelo Mai (r833) . Così la tradizione della medicina si continua nel primo Medio Evo, attraverso le opere di carattere puramente pratico di oscuri compilatori, prevalentemente nei con­ venti. Ma anche la tradizione della medicina laica non si spegne: esistono medici laici, e la loro professione è tutelata dalle leggi. La pil1 antica e importante scuola di medicina a carattere tipicamente laico sorse a Salerno, ed ebb= grande sviluppo e larghissima fama, di cui ancora ai nostri giorni dura il ricordo. L'origine della scuola Salernitana è avvolta nell'oscurità, nonostante i profondi studi di parecchi storici, fra cui primeggia Salvatore De Renzi, che pubblicò una mo­ numentale raccolta di codici da lui scoperti e studiati (Collezione salernitana, 5 voli. Napoli r852-59). Dopo di lui Pietro Giacosa, K . V. Darenberg, C. Sudhoff, E. H. Sigerist, P. Capparoni e vari altri contribuirono allo studio delle opere dei Maestri Salernitani. Già nel secolo VII i malati affluivano a Salerno presso un convento di Benedettini. La cronaca narra poi della fondazione della scuola laica per opera di quattro maestri, un greco, un latino, un ebreo e un saraceno, che leggevano nelle rispettive lingue.

Un cigno. Particolare di un affresco nel Palazzo dei Papi ad A vignone.

Fol. Barlcsago

Ma gli storici sono concordi nel non prestar fede a questa leggenda. Le prime notizie sicure della scuola risalgono al secolo IX. Si sa con certezza che nel 904 alla corte del re di Francia viveva un medico salernitano. La scuola era completamente laica: il collegio ippocratico era composto da IO medici, pagati dagli scolari, i quali accorrevano numerosi da ogni nazione. Uno dei più importanti medici salernitani del primo pe­ riodo è GARIOPONTO o GUARIMPOTO, che alcuni storici ritengono d'origine longobarda e che morì intorno al 1050. È autore di un 'opera molto famosa: un trattato di carattere enciclopedico dal titolo Pass1�onarium in cui, nel latinizzare voci greche, l'autore desume molte espressioni dal volgare. Molte parole del linguaggio medico, fa osservare il De

Il maestro Rolando estrae u n calcolo. Miniatura della Chi­ -rurgia di Rotando,

codice del secolo XIII (Roma, Biblioteca Ca­ sanatense) , pubblica­ to da G. Carbonelli, Roma 1927.

Renzi, sono state introdotte con questo libro : cosi per esempio gargarizzare, cauteriz­ zare, cicatrizzare, ecc. Famoso anche il trattato della medichessa TROTULA, di cui si conoscono soltanto compilazioni posteriori : De m�elierib�ts passionibus ante, in et post partum. Il libro fu stampato da Aldo Manuzio a Venezia nel 1547, e fu molto . pregiato e ampiamente citato fino a tutto il sec. XVI. Una delle più notevoli personalità di questo primo periodo della scuola Salernitana è ALFANO I, arcivescovo di Salerno (nato circa il roro e morto nel ro85) monaco benedet­ tino e autore di poesie e di un trattatello De quattuor humoribus corporis humani, 86

Pagina miniata della Chirurgia di Rolando. In alto: Ippocrate esamina l'urina; Ippocrate insegna al discepolo a forgiare i cauteri. Seguono le figure dimostrative per l'applicazione dei singoli cauteri.

scoperto (1927) e pubblicato dal Capparoni. Come dice il titolo, è opera d'ispirazione ippocratica e galenica. Di Alfano si ricorda l'opera filantropica e caritatevole a favore dei suoi concittadini durante il lungo assedio che Roberto il Guiscardo pose alla città. Dopo la conquista egli divenne probabilmente il consulente di Roberto. Anche intorno al rooo è databile, probabilmente, il celebre A ntidotario Salernitano, di cui conosciamo codici dei secoli XIII e XIV, che ebbe numerosissime edizioni e traduzioni. È un elenco di farmachi, per la massima parte già noti all'antichità classica, ma con evidenti aggiunte arabe, che costituì per lungo tempo il testo dei farmacisti. Così, nel ridente golfo di Salerno, ov'era fertile e attivo il commercio con altri popoli mediterranei, chiuso da una cornice di verdi colli, in clima mite, che già dai tempi romani richiamava convalescenti e villeggianti, era sorta e si era sviluppata la Civitas hippocratica, che assurse ben presto a chiara fama. Essa costitui, in un tempo di de­ gradazione della cultura, un centro luminoso di civiltà, quasi un residuo dello spirito classico, che tenne vivo il pensiero medico, e lo trasmise al mondo moderno. Verso il r roo avvenne un fatto molto importante, che diede inizio al periodo aureo della scuola salernitana: la penetrazione della cultura araba. Il dominio temporale degli Arabi nel bacino del Mediterraneo volgeva ormai al termine, ma, come suole avvenire, più intensa si fece proprio in questo tempo l'influenza della cultura degli Arabi, che aveva raggiunto ormai il suo apogeo, nel mondo occidentale. Principale, ma non unica causa della influenza della cultura araba nella Scuola di Salerno, fu l'arrivo di un personaggio di molto rilievo : CosTANTINO AFRICANO, cosi chiamato dalla sua città natia, Cartagine. Quest'uomo di vastissima erudizione, che conosceva bene sia la lingua araba sia la latina, e che fu detto perciò iV!agister orientis et occident1:s, fu medico assai apprezzato e divenne uno dei più celebri insegnanti della scuola. Poi si fece monaco benedettino e si ritirò a Cassino, dov'era abate il longa­ bardo Desiderio, che divenne poi papa Vittore III. lvi Costantino mori nel 1087. Costantino, ricco di cultura medica e letteraria e di esperienza acquistata nei suoi numerosi viaggi in Oriente, esercitò nel campo della medicina, come osserva il Casti­ gliani, quell'azione vasta e profonda che nella letteratura umanistica si attribuisce a Marsilio Ficino. Tradusse dall'arabo testi dei più vari autori, senza discriminazione, com'era uso del tempo. In particolare tradusse l' Articella di Galeno e gli Aforismi di Ippocrate, che saranno due testi ufficiali delle Università italiane. Venivano così a fondersi felicemente a Salerno la tradizione tramandata dalla medicina monastica medioevale e quella classica pervenuta attraverso l'elaborazione degli Arabi. La scuola entrava nel periodo del suo massimo fulgore, e continuava ad attribuire lauree, che consentivano di esercitare pubblicamente la pratica medica per -ttrbem et orbem. Abbiamo ripetutamente rilevato il carattere laico della Schola, ch'essa sempre conservò, anche se i suoi contatti con l'ambiente monastico furono continui e frequenti, e benchè contasse fra i suoi maestri molti che erano o divennero poi monaci. Nel primo Medio Evo, come abbiamo detto, l'esercizio della medicina era prevalentemente mo­ nastico, poi si estese ai chierici e ai canonici delle cattedrali ; ma nel sec. XII l'autorità ecclesiastica, preoccupata dal fatto che monaci e preti, attratti dai lauti guadagni della pratica medica, trascuravano le regole della vita sacerdotale, proibì severamente (Concilio di Reims, I IJ I e Concilio di Roma, 1 139) l'esercizio della medicina ai preti 88

fuori dei conventi. Fu il principio della fine della medicina sacerdotale. Onorio I I I (circa rzzo) proibì poi anche a i chierici secolari l'esercizio della medicina. Così, dalla Scuola di Salerno, che era stata sempre indipendente dall'autorità della Chiesa, la medicina viene trasmessa direttamente ai laici, e quando sorgono le prime Università nel 'zoo, la medicina è ormai quasi esclusivamente prerogativa dei laici. Il classico libro di testo della Scuola è anonimo, ha il titolo De aegrz"tudine curatione, ed è evidentemente una raccolta di scritti e opinioni dei vari Magistrz". Da questo ci si può render conto della patologia, della terapeutica e della chirurgia salernitana, invero piuttosto primitive. Alcuni nomi di autori le cui opere hanno avuto una grande notorietà sono quelli del medico ebreo BENVENUTO GRAFEO, che scrisse un trattato di oculistica, Pract,ica oculorum ;

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l Il maestro H.olando riduce la lussazione della mandibola. Miniatura della Chirurgia di Rotando.

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di PIERRE GILLES DE CoRBEILLE, francese, (circa 1 180) autore di un poemetto didascali­ co, il quale portò oltralpe (il Gilles insegnò probabilmente a Parigi) gli insegnamenti della scuola; di MAURO, autore delle famose Regulae ztrinarum, per l'esame delle urine. Il maggiore chirurgo della scuola salernitana fu RuGGERO. DI FRUGARDO o DEI FRUGARDI (Ruggero di Salerno) vissuto nella seconda metà del secolo XII. La Chirurgia che va sotto il suo nome fu redatta da un suo allievo, Guido d'Arezzo, ed ebbe parecchi commentari, di cui il più famoso è quello dovuto a RoLANDO DE' CAPEZZUTI da Parma, che fu attivo a Bologna intorno al 1210 o al 1250. L'opera di Ruggero, che palesa una cultura profonda e una notevole esperienza personale, ebbe larghissima diffusione in tutta Europa, e diede inizio al rinascimento della chirurgia. Alla scuola di Salerno fu certamente praticato lo studio dell'anatomia degli animali, in particolare del maiale. I testi anatomici ci dimostrano, come dice il Castigliani, che a Salerno docenti e allievi, se pur legati alla tradizione galenica, cominciavano a com­ prendere l 'importanza dello studio dell'anatomia. L'opera cui è soprattutto legata la fama della Scuola salernitana, non è un trattato scientifico, bensì quel poemetto conosciuto sotto il titolo di Flos sanitatis o Regimen sanitatis salernitanum, che costituì la base della pratica medica per tutto il Rinasci­ mento, ed è la sorgente di molti proverbi e aforismi diffusi fra tutti i popoli europei. Il Regimen sanitatis, che contiene i precetti della Scuola salernitana > dice il Barbensi che ne ha curato recentemente una edizione (Firenze 1947) . >. Valga qualche esempio : Si vis incolumen: si vis te reddere sanum Curas tolle graves: irasci crede profanum Farce mero coenato parum; non sit tibi vanum Surgere post epulas; somnum fuge meridianum Non mictum retine nec comprime fortiter anum. Haec bene si serves: tu longo tempore vives. Si tibi deficìant medici : medici tibi fiant Haec tria mens laeta, requies, moderata diaeta. Ex magna coena, stomacho fit magna poena: Ut sit nox laevis, sit tibi coena brevis. Semen feniculi sugat et spiracula culi. Quale quid et quando: quantum quotiens ubi dando, !sta notare debet medicus dietando. Quattuor humores in humano corpore constant Sanguis cum colera fleuma melancolia Terra melam aqua plegma aer sanguis colera ignis.

La fama della Scuola durerà per molti secoli. Federico II, fondatore dell'Università di Napoli concede soltanto alla Scuola di Salerno il diritto di dare ai medici che l'ab­ biano frequentata per un quinquennio, licenza per l 'esercizio pratico della medicina e autorizza l'anatomia sul cadavere come parte essenziale dell'insegnamento (1240). Poi, lentamente la Scuola decade e l'insegnamento della medicina si trasferisce all'Uni­ versità. La fama sopravvive per lungo tempo, quando in essa ogni luce è ormai spenta. La Scuola fu ufficialmente soppressa soltanto nel 1811 - quando da molti secoli più non esisteva - da un decreto del governo napoleonico. In Francia, un po' più tardi, fiorì un'altra celebre scuola medica, quella di Mont­ pellier, anch'essa affacciata sul Mediterraneo, dov'eran facili le comunicazioni con il mondo arabo ed ebraico, attraverso la Spagna, la Sardegna, la Sicilia. Anche a Mont­ pellier la medicina potè svilupparsi in modo indipendente dalla Chiesa. Fino al 1220 i maestri medici sembravano avere atteso all'insegnamento in modo più o meno isolato: in quell'anno fu costruita una scuola medica a somiglianza di quella di Salerno. Essa fu il nucleo intorno a cui, a differenza di Salerno, si sviluppò poi l 'Università. In con­ seguenza di questa origine la Facoltà di medicina di Montpellier conservò, anche negli anni successivi, una notevole indipendenza e maggiore importanza rispetto alle altre facoltà. La figura più notevole fra i medici legati alla scuola di Montpellier nel Duecento è ARNALDO DA VILLANOVA (1240-13 1 1 o 13) detto il Catalano. Ebbe vita movimentata, viaggiò molto e strinse relazioni con i più notevoli medici del suo tempo in vari paesi. Risiedette poi a Montpellier, insegnando e praticando, sempre ricercato dai re di Spagna, di Sicilia, dal Papa e da molti altri illustri clienti per consulti medici. Studiò forse a Napoli o a Salerno : sotto il suo nome va una edizione (forse apocrifa) del Regimen Sani­ tatis, stampata nel 1553. A lui probabilmente si deve il programma di studi della facoltà medica monspessulana, che fu sanzionato nel 1309 da una bolla di Clemente V. Gli studi di medicina duravano sei anni, e comportavano tre gradi accademici: baccelliere, licenziato (diplomato) e dottore. I testi principali che il candidato doveva conoscere erano Ippocrate, Galeno, Rhazes, Avicenna. Arnaldo, che ebbe rapporti con l 'alchimista Raimondo Lullo, incorse poi nello sfavore dell'Inquisizione, che lo arrestò e dichiarò eretico uno dei suoi scritti. In­ vocò la protezione di Bonifazio VIII e poi del suo successore Clemente V, il quale intervenne a salvarlo. Scrisse numerosi libri di medicina, parecchi dei quali furono pubblicati nei primi anni del 'soo, e furono molto letti in tutte le scuole mediche. Seppe raccogliere i vari indirizzi delle principali scuole, non senza spirito di pole­ mica verso Galeno e Avicenna, e con tendenza a seguire i consigli dettati dalla propria esperienza. Di poco più recente di Arnaldo è un altro illustre professore dello studio mons­ pessulano, Guv DE CHAULIAC (1300-1370) . Studiò a Bologna, dove fu scolaro di un allievo di Mondino, Bertuccio. Fu poi medico dei Papi in Avignone, e quando il Petrarca indirizzò a Clemente VI la famosa lettera contro i medici, in cui dice fra l'altro : , Guy polemizzò vivacemente col poeta italiano. gr

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( J >angt, l�ibl tot (Inventorium sive collectorium cyrurgiae) scritta nel 1363, che ebbe poi numerose edizioni e fu per molto tempo il testo classico di chirurgia, come quello di Mondino lo fu per l'anatomia. Con la scuola di Montpellier, in Francia l'insegnamento della medicina passa di­ rettamente nell'Università. In Italia avviene, per via men diretta, lo stesso trapasso. 4· La medicina nel tardo medioevo. Le università e le prime scuole di anatomia.

Uno dei fenomeni più importanti nella storia della cultura è la istituzione delle Università degli Studi, che sorsero nei maggiori centri europei, nel Duecento. Da prin92

cipio nelle università si impartivano soprattutto gli insegnamenti della teologia e del giure; ma ben presto, verso la fine del secolo, si cominciò ad insegnare anche la medicina. E la scienza medica che si era conservata nelle scuole speciali, quali quella di Salerno, e quella di Montpellier, e di vari altri centri, si trasferì interamente nelle università, nelle quali, d'ora in poi, si accentrerà praticamente tutto il movimento culturale. Fra i maestri più famosi di questo periodo fu PIETRO n'ABANO (1250-I3I6) che insegnò allo studio di Padova, aprendo quella gloriosa tradizione di nonconformismo, che si continuò a Padova per parecchi secoli. Per le sue tendenze averroistiche fu ac­ cusato dalla Inquisizione, processato e condannato al rogo nel 1316. Essendo morto per cause naturali durante le more del processo, e poichè la salma fu trafugata da mani pietose, fu bruciato in effigie. Scrisse il Conciliator controversiarum, quae inter philosophos et medicos versantur, con l'intento di risolvere tutti i problemi che sorgevano dalla comparazione dei testi classici e degli arabi, i quali talvolta si trovavano in contrad­ dizione. Pietro è ancora il tipo di scienziato-filosofo erudito, gran lettore dei classici, dai quali trae tutte le sue nozioni. ,, , ·"- Jtrum .nntgd ol.J'lt .

Lo speziale misura una pozione di olio di mandorle. Miniatura del Tacuinum sanitatis, secolo XIV (Vienna, Museo) .

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Lo stesso dicasi di TADDEO ALDEROTTI fiorentino (nato verso il 1215 e morto nel 1295), che insegnò allo studio di Bologna dal 1 260, e fu gran commentatore d'lp­ pocrate, ricordato da Dante nel canto XII del Paradiso. Egli scrisse per Corso Donati, suo amico e protettore, il libro Della conservazione della salute, che è uno dei più antichi testi medici in volgare. Ma anche all'Università di Bologna, che aveva fama d'essere ligia agli insegna­ menti della scolastica, e non era in sospetto d'averroismo come quella di Padova, eb­ bero inizio ben presto alcune coraggiose correnti innovatrici, che furono uno dei primi sintomi di stanchezza della cultura puramente cartacea, e di apertura verso l'indagine diretta della natura. Prima, in chirurgia, RoLANDO DA PARMA detto de' Capezzuti, che svolse la sua attività intorno al 1210, o, secondo altri autori, verso il 1 250, compilò la famosa Chirurgia, che fu chiamata Rolandina. È un commento all'opera di Ruggero Salernitano (v. pag. 90) , ma reca contributi nuovi, frutto di personale esperienza. Ebbe grandissima diffusione nel Medio Evo e fu stampata parecchie volte (la prima edizione è di Venezia, 1498) . Uno splendido codice miniato della Biblioteca Casanatense di Roma fu pubblicato da G. Carbonelli nel 1 927. UGo BoR­ GOGNONE da Lucca (m. 1252) e suo figlio TEODORICO (1205-1298) portarono poi ulteriori contributi derivanti dalla propria esperienza. Teodorico nella sua Chirurgia preconizza l'uso di spugne imbevute di oppio e altre sostanze narcotiche da fare inalare al paziente per addormentarlo prima dell'intervento. Il più celebre chirurgo bolognese di quel tempo, GUGLIELMO DA SALICETO (12 10-1277) introdusse sistematicamente l' uso del coltello, invece del ferro incandescente che era il solo strumento usato dagli arabi. LANFRANCO, milanese, dovette esulare per ragioni politiche, migrò in Francia, insegnò a Lione e a Parigi e recò oltralpe l 'esperienza chirurgica italiana, che egli arricchi di osservazioni e metodi personali. Lo studio dell'anatomia, a quei tempi, consisteva esclusivamente nella lettura e nel commento dei testi classici, specialmente di Galeno. Dall'epoca della scuola di Alessandria non si erano più praticate dissezioni sul cadavere, da cui gli arabi, come tutti i popoli orientali, aborrivano ancor più che i cristiani. Evidentemente non ave­ vano trovato seguito le raccomandazioni e gli ordinamenti di Federico I I relativi alla Scuola Salernitana. La prima innovazione in questo campo venne da Bologna, dove, . forse fin dal Duecento, fu fatta qualche dissezione allo scopo di accertare sospetti di veneficio. A MoNDINO DE' Luzzi, figlio di uno speziale bolognese, spetta il titolo di primo anatomista dell'età moderna. Fu assai stimato come dotto e come uomo politico, fu pubblico Dottore nello Studio bolognese dal 1314 al 1324 (era nato intorno al 1 270) e quando morì, nel 1326, fu sepolto nella Chiesa di S. Vitale d 'Agricola, in un sarcofago sul quale è un bassorilievo rappresentante un dottore in cattedra attor­ niato dagli scolari. Mondino scrisse nel 1316 una A nothomia da cui si rileva che nel mese di gennaio del 1315 aveva eseguito la prima sezione sul cadavere, seguita poi da varie altre. Il suo trattato è un'opera alquanto superficiale e affrettata, ancora com­ pletamente ispirata alla concezione galenica. Ma egli dà norme pratiche per l'aper­ tura del cadavere, che veniva eseguita da un dissettore sotto la sua direzione ed è evidente che ha una diretta esperienza settoria, anche se non si azzarda a correggere gli errori di Galeno. 94

Lezione di anatomia. Incisione di un'edizione del Fasciculus medicinae .di Giovanni da. Ketham (Venezia, 1500).

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La Notomia JV!undini fu il classico testo obbligatorio nelle Università italiane e straniere per più di due secoli. Dopo la invenzione della stampa fu pubblicato con figure originali nel cosiddetto Fasciculus medicinae di Giovanni da Ketham (Venezia 1493) ed ebbe poi numerose altre edizioni, l'ultima delle quali è del 1558. Secondo lo spirito dell'epoca, che amava appoggiarsi sull'autorità dei maestri, Mondino fu venerato come infallibile, e quanto non corrispondeva alle sue descrizioni fu considerato come una mostruosità. o > che tramandarono le cognizioni necessarie ai raccoglitori di piante medicinali, alcune delle quali venivano anche coltivate in ap­ positi giardini . La farmacopea era costituita da medicine di composizione estrema-

Cane levriero. Disegno del Pisanello (Parigi, Museo del Louvre).

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Fot. Alinari

mente complicata, come la triaca di cui abbiamo par­ lato. Le piante che forni­ vano gli elementi per la composizione di questi ri­ medi erano perciò chiama­ te i semplici. Nel Quattrocento compaiono le traduzioni latine delle opere di Teofrasto e Dioscoride, i grandi bota­ nici dell'antichità, eseguite da solerti, anche se non sempre accuratissimi uma­ nisti, quali Teodoro Gaza, Ermolao Barbaro, Marcello Vergilio. Del Barbaro, ve­ neziano (1453-1493) , vanno ricordate anche le Castiga­ tiones plinianae ( 1490) in cui cerca di emendare il testo di Plinio, che era giunto corrotto dalle tra­ scrizioni e dalle interpre­ tazioni degli arabi. A questi lavori, più let­ terari che scientifici, tosto seguono i commentari dei tecnici. NICOLA LEONICENO L Y ·O N, A' di Lonigo (1428-1524) pro­ Pierandrea Mattioli. Ritratto premesso all'edizione francese dei fessore di medicina a Pa­ Commentari al Dioscoride (Lione, 1572). dova, a Bologna e a Fer­ rara, dov'ebbe alunno Paracelso, elaborò una critica sostanziale all'opera pliniana (Plinii et aliorum doctorum, qui de simplicibus medicaminibus scripserunt, errores notati, 1492) . Quest'uomo coltis­ simo, medico e umanista, amico dell'Ariosto, ebbe dunque l'animo di levarsi contro l'autorità di uno dei piit grandi naturalisti dell'antichità. Ne nacquero vivaci pole­ miche, ma il dado era tratto anche in questo campo. Di ANTONIO MusA BRASAVOLA è un Examen omnùtm simplicùtm medicamentorum (Roma 1536) in cui avverte che molte piante note ai suoi tempi non erano conosciute agli antichi. Ma il più famoso e divulgato fra tutti i commentari botanico-farmaceutici è quello di PIERANDREA MATTIOLI, senese, latinamente MATTHIOLUS (1500-1577) che fu medico cesareo di re Ferdinando e poi di Massimiliano II, alla corte di Praga. I Commentari al Dioscoride, pubblicati prima in italiano (Venezia 1544) ebbero non ....,

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La produzione del latte, del burro e del formaggio. Tavola dei Commentari di P. Mattioli (Venezia, 1 565 ) · 120

meno di diciotto edizioni italiane, dieci latine (dal 1554 al 1724) e furono tradotti in francese, in tedesco e in boemo. L'opera fu accolta con aspre critiche da taluni medici e con lodi entusiastiche da parte di altri. Non è certo priva di difetti: manca di critica e accetta per buoni i racconti delle esagerate virtù di taluni semplici ; ma non è priva di grandi meriti. Fra i quali è qui da rilevare l'interesse naturalistico che spinge il Mattioli a raccoglier piante, a farsene inviare da altri botanici (Luca Ghini, F. Calzo­ lari, B. Maranta) , ad annotare le località di raccolta. Le figure di alcune delle molte edizioni sono fedeli e rivelano lo studio degli esemplari viventi. Nella prima metà del '500 vengono fondati, presso le Università, i primi >, che diverranno in seguito >. Secondo i recenti studi di A. Chiarugi, il primo orto botanico del mondo è quello di Pisa, istituito nel 1543 dal Duca Cosimo I de' Medici ad istanza di Luca Ghini, Lettore dei Semplici, che, alla fine del 1545 ottenne anche la fondazione del > a Firenze. Il secondo, in ordine cronologico, è quello di Padova, che il Lettore dei Semplici, Francesco Bona­ fede, ottenne fosse istituito nel luglio 1545. L'orto dello studio bolognese fu fondato una ventina d'anni dopo, nel 1568. LucA GHINI (1490-1556) , da Croara d'Imola, medico e professore prima a Bologna poi a Pisa, ebbe vero spirito naturalistico nel senso moderno della parola, come risulta soprattutto dalle sue lezioni sulle erbe, inedite, raccolte da Ulisse Aldrovandi, che, con il Cesalpino, fu suo scolaro. Fu tra i primi a preparare erbari: disseccando le piante. Lo studio dei semplici non si coltivava soltanto nelle università: anche farmacisti privati, come BARTOLOMEO MARANTA da Venosa (1500-1571) e FHANCESCO CALZOLARI da Verona (1522-1609) furono valenti erborizzatori e pubblicarono opere di pregio. Il Calzolari deve essere ricordato particolarmente per la descrizione delle sue escur­ sioni al Monte Baldo, presso Verona, (Il viaggio di Monte Baldo, Venezia, 1566; ed. latina, Iter Baldi 111ontis, i bi d. 1571) in cui è un primo abbozzo di una flora locale. Si sa anche ch'egli aveva raccolto nella sua casa un vero e proprio museo di animali, piante, minerali, fossili, tra cui alcuni molto rari e provenienti da regioni lontane. Ne abbiamo descrizioni di contemporanei (G. B. Olivi, 1593) e di posteri (B. Ceruto e A. Chiocco, r622) , che ci dimostrano come questa manifestazione dello spirito natu­ ralistico : il desiderio di raccogliere e conservare le produzioni naturali, che ha dato origine ai nostri Musei di Storia Naturale, fosse vivamente sentita dai precursori cinquecenteschi. Anche i cosi detti > si muovono entro lo stesso schema limitato : commento alle opere degli antichi, completato da qualche os­ servazione personale. Essi sono tre studiosi che accettarono la riforma luterana ed ebbero vicende di vita molto simili. OTTO BRUNFELS, di Magonza ( 1484-1534 ) , prima monaco certosino, poi pastore luterano, indi medico a Berna, scrisse u n libro il cui titolo è un programma: Herbantm vivae eicones (Strasburgo, 1530-36) . La trat­ tazione è completamente dioscoridea, ma il tentativo di rappresentare le > delle piante (disegnate dal vero da un valente artista) è significativo. L'autore com­ mette un errore comune ai suoi tempi, da cui i botanici dureranno fatica a liberarsi : quello di cercare nelle specie di piante dell'Europa centrale gli stessi caratteri di quelle descritte da Dioscoride, viventi nell'Asia minore. 121

Pianta del rabarbaro. Incisio­ ne dell'Herbarium di P. Mat­ tioli (Praga, 1 563) .

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t1ott Rhabarbaro.

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HIERONYMUS BocK, latinamente Tragus (1498-1554) di Baden, scrisse un erbario in tedesco New Kreutter B�tch (Strasburgo, 1539) . che fu poi tradotto in latino (ivi, 1562) , ed ebbe grande successo : le edizioni tedesche si susseguirono fino al 1630. Le descrizioni delle piante sono vivaci, precise, corredate da notizie sull'habitat. La dispo­ sizione delle varie specie - la classificazione se così può chiamarsi a questo stadio primitivo - è quella di Dioscoride, con qualche variazione che appare oggi giustificata. Il bavarese LEONARD FucHs (r50I-r566) cui fu dedicato il genere Ft,echsia, tenne cattedra di medicina a Tubinga dal 1535. Scrisse un grosso volume dal titolo pomposo: De historia stirpi1.tm commentarii insignes (Basilea, 1542) adorno di cinquecento ottime 122

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�!� .��ri+."":"'� ) è generalmente respinta. La riu­ nione dei due semi nell'utero e la loro coagulazione segna l'inizio della formazione del­ l'embrione, e le parti bianche e fredde di questo (membrane, pelle, nervi, cervello, vasi) vengono formate direttamente dal seme (partes spermaticae) , quelle rosse e calde (cuore, fegato, carne) dal sangue (partes sanguineae) secondo che aveva affermato Galeno. Continuano le discussioni già accese in antico, se prima si formi - e sia ori­ gine di tutti i vasi - il cuore (Aristotele) o il fegato (Galeno) . L 'embrione è nutrito dal sangue fornito dalla madre attraverso i vasi fetali, e una vis vitalis, o anima altrix pre­ siede alla sua formazione e al suo sviluppo. Benchè i problemi dell'eredità non attraggano molto l'attenzione, si può dire che in questo periodo prevale la dottrina galenìca, che il seme materno sia il portatore dei caratteri specifici e più generali, quello paterno dei caratteri indi­ viduali, e che lo sviluppo dell'embrione nella parte destra o sinistra dell'utero (dapprincipio era ben conosciuto soprattutto l 'utero bicorne dei ruminanti) o la provenienza del seme dalla gonade destra o sinistra, siano le cause che determi­ nano il sesso. Queste, in riassunto, le principali concezioni fisiologiche diffuse nelle scuole nei secoli XVI e XVII. Le varianti sono di poco momento - benchè abbiano acceso allora aspre polemiche - e si riducono a parteggiare per l'uno o per l'altro dei tre grandi biologi dell'antichità. I I.

La scoperta della circolazione. I precursori.

La storia della scoperta della circolazione del sangue ha dato origine a interminabili polemiche, spesso invelenite da un malinteso spirito nazionalistico. La verità è che William Harvey ha avuto vari precursori italiani, da alcuni dei quali ha attinto notizie essenziali per la sua dimostrazione. Ma non avviene forse per tutti i grandi novatori - altri esempi sono Lavoisier e Darwin - che la loro opera sia preceduta da altre ove in parte e frammentariamente sono esposte alcune delle vedute che il lor genio afferra chiaramente e totalmente ? Harvey non cita Cesalpino ; ma ricorda Colombo, doctissimus anatomicus, a pro­ posito del passaggio del sangue per i polmoni, e l'Acquapendente, che chiama peri­ tissim�ts anatomicus et venerabilis senex. Non si sa se l'omissione di Cesalpino sia stata intenzionale; se così fosse, ciò getterebbe ombra sulla figura morale dell'uomo, ma nulla potrebbe togliere o aggiungere alla funzione storica della scoperta. I 54

Tralasciando gli antichi, e Leonardo, ch'ebbe forse una oscura intuizione del grande ma non del piccolo circolo, il primo accenno alla piccola circolazione si trova in un'opera di teologia, Christianismi restitutio (ISS3) di MIGUEL SERVET (Michele Serveto) . Era questi uno spagnuolo (rSI I-ISS3) addottoratosi in medicina a Parigi, che mostrava particolare interesse per gli studi di materia religiosa. Le sue teorie spiacquero ai catto­ lici e ai protestanti : sfuggito all'Inquisizione in !spagna, fu poi catturato e arso vivo dai calvinisti a Ginevra, e con lui furono bruciate molte copie del suo libro. In questo sono inseriti fra la materia filosofica e teologica, due brevi brani in cui parla del sangue e della teoria di Galeno. Vi si afferma che il sangue dal ventricolo destro passa ai polmoni, dove: flavus etficitur et a vena arteriosa (arteria polmonare) i1t arteriam venosam (vena polmonare) transfunditur. Nella vena polmonare viene mescolato con l'aria inspirata, e purgato delle sue fuliggini. Infine, completamente mescolato con l'aria, è attirato dalla diastole nel ventricolo sinistro. Che questa comunicazione si faccia attraverso i polmoni è provato dal fatto che la vena arteriosa e l'arteria venosa si continuano l'una nell'altra. Inoltre, il calibro dell'arteria venosa non sarebbe tanto grande se il sangue che vi passa dovesse servire soltanto alla nutrizione del polmone ; nell'embrione questo è nutrito da un vasellino incospicuo (il dotto arterioso di Botallo). Il setto interventricolare non è permeato da vasi e non può quindi servire al passaggio del sangue dall'uno all'altro ventricolo, sebbene si possa pensare che ne lasci trasudare un poco (licet aliquid resudari possit) . S'ignora dove Serveto possa avere acquisito una idea cosi chiara della circolazione polmonare. Forse fu a Padova (ma non è provato) dove udì le lezioni di Realdo Colombo, che probabilmente insegnò dalla cattedra la piccola circolazione, prima di pubblicarla nel De re anatomica, uscito nel ISSI, anno stesso della sua morte. REALDO CoLOMBO afferma decisamente la impermeabilità del setto e riconosce che l'arteria venosa porta sangue e non aria come era stato ammesso : due acquisi­ zioni molto importanti. Descrivendo i quattro grossi vasi del cuore, osserva come due siano costruiti in modo da portare il sangue al cuore, ciò che avviene durante la diastole, e gli altri due per portar via il sangue dal cuore, ciò che ha luogo durante la sistole. Il Colombo, oltre ad avere descritto con chiarezza la piccola circolazione, ebbe una idea anche della grande, benchè non si fosse liberato dell'errore galenico di attribuire alle vene la funzione di portare il sangue nutritivo a tutto il corpo. Una più completa nozione della circolazione fu pubblicata da A NDREA CESALPINO che fu allievo di Realdo Colombo, nelle Peripateticarum questionum libri V (Venezia, IS7I) e poi nelle Questionum medicarum lib. II (Venezia, IS93). Egli diede una descrizione completa del circolo del sangue nei vasi ammettendo che esso passi . Osservò inoltre che , e da ciò dedusse la comu­ nicazione fra le arterie e le vene per capillari (vasa in capillamenta resoluta) che non 155

si possono vedere a occhio nudo. Osservò ancora che e doversi quindi la scienza separare dalla metafisica, limitandosi alla cogni-

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CHI FA ESPERIEN7.� A��R F.> è divenuta proverbiale. Ora l'ironia è facile : ma che cosa sostituire agl'infranti idoli di queste potenze metafisiche ? Un grande anatomico dell'Ottocento W. His, affermava che, ancora ai suoi tempi (1874) , in piena era positivistica, gli studenti avrebbero applaudito il professore, che per spiegare la forza che fa sviluppare l'embrione, avesse proclamato : Quia est in eo virtus formativa cujus est natura formam recreare.

E, ancor oggi, spesso, dobbiamo accontentarci di spiegazioni puramente verbali, doè di >, per molti fenomeni biologici, il cui complicato meccanismo ancora non siamo riusciti a chiarire interamente in senso galileiano. Nel Seicento, ha inizio, in biologia, questa lotta contro i fantasmi, contro gli idola baconiani, contro le metafisiche >. Battaglia dura e difficile, che non si è con­ clusa ancora ai giorni nostri. Lotta intesa a raggiungere, anche in biologia, quella chia­ rificazione, quella liberazione dalla favola, dalla superstizione, dal soprannaturale, che è la caratteristica fondamentale del pensiero scientifico moderno. Accanto al nome di Galileo si deve porre in questa lotta per la nuova scienza, quello di FRANCEsco BACONE da Verulamio (rs6r-r6z6) . Non fu uno sperimentatore, come Galileo, ma un teorico, che in alcune opere di grande importanza, fra cui Novum

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Raffigurazione di animali nel dipinto L'aria di Jan Brueghel dei Velluti (Roma, Galleria Doria) .

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Fol. A nderson

Organmn (Londra, 162o) discusse le basi della interpretazione della natura e della logica della scienza, denunciando gli idola, ossia le cause d'errore che possono inqui­ nare il ragionamento scientifico. L'Italia, in cui eran nati e fioriti l' Umanesimo e il Rinascimento, e che, nel Cinque­ cento era il paese più progredito, in fatto di ricerca scientifica, conserva ancora per qualche tempo questo primato. E infatti molte delle ricerche fondamentali e novatrici, in campo biologico, furono eseguite in Italia. Ma, nel Seicento, gli insegnamenti di coloro che erano venuti ad imparare nelle Università italiane cominciano a dare i loro frutti, e vivi e importanti centri di ricerca sorgono in tutti i principali paesi d'Europa. La scienza si diffonde, diventa sempre più ampiamente europea, cioè mondiale, ché il mondo civile era allora limitato all'Europa. Lingua universale, naturalmente, rimane il latino ; ma in questo secolo cominciano a scriversi anche opere scientifiche nelle lingue moderne: non soltanto opere di divulgazione, ma anche veri e propri resoconti di ricerca. Galileo e Redi sono, per la lingua italiana, i due più fulgidi esempi di questo costume. Il quale è indizio di un movimento della cultura scientifica volto in un'altra direzione : non solo essa si espande per l'orbe, ma comincia ad uscire dal chiuso circolo dei >, per diffondersi anche fra coloro che non sanno di latino. È una tendenza alla divulgazione della scienza in strati culturali e sociali più bassi, che continuerà nel Settecento, nell'Ottocento e nei giorni attuali. Del grande movimento di ricerca scientifica che ha inizio nel Seicento, sono testi­ moni alcune istituzioni, che appunto in questo periodo nascono e cominciano a svilup­ parsi, e che sul progresso della scienza esercitano una favorevole profonda influenza. È infatti in questo secolo che nascono quegli Istituti ben conosciuti a noi moderni col nome di Accademie, e poi anche i Musei. Dalle Accademie vengono prodotte pubbli­ cazioni saltuarie o periodiche che raccolgono le relazioni delle ricerche degli scien­ ziati, cioè gli > e > o >, che oggi sono divenuti tanto nume­ rosi e, distaccatisi per lo più dalle accademie, raccolgono la grandissima mag­ gioranza della produzione scientifica. Nel Seicento, col progresso della fisica, l'uomo comincia anche ad armarsi di stru­ menti che possano acuire la capacità di discernimento di quelle > (Redi) , che sono i nostri sensi. Di questi strumenti, uno è di grandissima importanza per la biologia : il microscopio. 2. Le Accademie.

La pii1 antica Accademia è quella dei Lincei ; ma ebbe vita breve, come risulta dal seguente racconto tratto dallo A nnuario della Accademia Nazionale dei Lincei. Il 1 7 agosto 1 603 quattro giovani sottoscrivevano in Roma un patto scientifico, che fu l'atto di nascita dell'Accademia dei Lincei. Quei giovani erano il figliuolo del primo Duca d 'Acquasparta, Federico Cesi, che con orgoglio presago si qualificava ; Giovanni Heck, all'italiana Echio, d i Deventer i n Olanda, laureatosi in medicina a Perugia; il fabrianese Francesco Stelluti, dotto d i scienza naturale e insieme buon traduttore di Persia, e il conte Anastasio de Filiis nativo a i Terni e parente del Cesi; diciottenne il primo,· 'di appena otto anni più anziani gli altri; tutti � fervidi d'amore per la scienza e infiammati dalla fama che già levavano le lezioni e le esperienze galileiane,

Le sottoscrizioni autografe dei primi Lincei : al sesto posto la sottoscrizione di Galileo Galilei (dal Linceo­ grafo conservato negli ar­ chivi dell'Accademia) .

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.. che porta il suo nome. Così, attraverso il dotto toracico, ch'egli descrive per la prima volta, e che sbocca nella vena succlavia, il chilo arriva, non già nel fegato, ma nel torrente sanguigno. Pecquet, che aveva stu­ diato a Montpellier, e là aveva fatto la sua scoperta, divenne poi medico personale del potentissimo sovrintendente alle finanze di Luigi XIV, Nicolas Fouquet , e smise la sua attività scientifica. La scoperta di Pecquet fu pubblicata nel r6s r . Nello stesso anno un giovane sve­ dese, studente all'Università di Uppsala , 0LOF RUDBECK (I630-IJ02) distinse, dai IJ2

Tavola del

De

lactibus sive de

lacteis venis di G. Aselli.

vasi chiliferi, i vasi linfatici propriamente detti (che chiamò vasa serosa) . Li ritrovò in altri organi e regioni del corpo, oltre all'intestino; riconobbe· anche le ghiandole linfatiche, studiò le proprietà della linfa. La sua dissertazione fu pubblicata nel r653. Rudbeck divenne poi professore di anatomia a Uppsala, dove, per la prima volta in quell'Università, eseguì dissezioni anatomiche sul cadavere umano. Nello stesso anno r653 il danese THOMAS BARTHOLIN (r6r6-r68o) che era figlio del­ l'anatomico di Copenaghen Caspar, e che fu studente a Leida, a Padova, a Napoli (dove fu scolaro di M. A. Severino) diede la prima descrizione completa del sistema linfatico, dimostrando piena comprensione dei suoi rapporti col sistema sanguifero, per il quale accettava la teoria di Harvey. Come abbiamo detto, scrisse un ampolloso epitaffio sul fegato detronizzato, a cui Giovanni della Torre, nel r666 rispondeva, in 173

-

Spaccato del corpo femmi­ nile. I ncisione della A natomia reformata di T. Bartholin (Leida, 1669).

.

nome dei galenisti, con un inno pro sanguifico hepate. Un'aspra polemica si accese fra Rudbeck e Bartholin circa la priorità della descrizione del sistema linfatico, dalla quale però non usci alcuna nuova conoscenza obiettiva. La più completa e accurata rappresentazione del sistema chilifero, dei suoi rapporti con i vasi linfatici, le vene, le arterie - rappresentazione tanto precisa che potrebbe trovar posto in un trattato moderno è un grande quadro ad olio che ancora· si con­ serva all'Ospedale della Consolazione a Roma. Fu fatto dipingere da GuGLIELMO -

174

RIVA, astigiano (1627-1677) che fu pubblico insegnante di anatomia a Roma, valen­ tissimo medico e maestro del Lancisi. Intorno al r66o la conoscenza del sistema !in­ fatico e delle sue relazioni col sistema sanguifero poteva dunque dirsi completa. Una delle parti basali della fisiologia moderna era ormai completamente acquisì�. 5• l continuatori di V esalio.

Molti altri anatomici, intanto, in diversi paesi d'Europa, continuarono l'opera iniziata nel Cinquecento, sezionando, osservando diligentemente, descrivendo e figurando con cura le particolarità di struttura dei vari organi del corpo umano. Così, a poco a poco, si riscrisse tutta l'anatomia, liberandosi dalla tradizione galenica. Citiamo, a titolo d'esem­ pio, qualcuno dei maggiori fra quegli studiosi, ché sarebbe impossibile ricordarli tutti. FRANCIS GussoN ( I597-1677), prima lettore di greco a Cambridge, poi medico a Londra, uno dei primi membri della Royal Society, è autore di due eccellenti mano­ grafie, una sul fegato (1654), una sullo stomaco e gli intestini (Londra 1677) . Espose anche una teoria biologica generale che è di marchio prettamente aristotelico. Il suo più giovane amico, THOMAS \VHARTON (r6r4-I673) , che praticò anche la medicina a Londra, eseguì il primo studio accurato delle ghiandole (A denographia universalis, Londra, r656) definendole come organi secretori, distinguendole da organi non ghiandolari quali gli intestini, la lingua, il cervello. Di molte ghiandole, compresi i reni, i testicoli, la tiroide, diede buone descrizioni. Scoperse il dotto delle ghiandole sotto­ mascellari che porta il suo nome. Non accettò l'ipotesi di Descartes, che la ghiandola pineale sia la sede dell'anima, ma ritenne che essa serva a depurare il cervello dai prodotti di escrezione, così come, secondo l 'opinione allora corrente, farebbe l'ipofisi. Un altro importante anatomico inglese è THOMAS WILLIS (r6zr-r675) professore di filosofia naturale a Oxford, poi medico pratico a Londra, anch'esso uno dei primi membri della Royal Society. Tanto vasta era la sua clientela che il Re soleva dire celiando che Willis ne aveva uccisi più che non avrebbe fatto un esercito nemico. Nonostante l'attività pratica gli prendesse molto tempo, Willis dedicò molta atten­ zione allo studio anatomico, facendosi probabilmente aiutare da vari assistenti per fare le dissezioni e anche per stendere le descrizioni. Parecchie delle sue figure sono state disegnate dal celebre architetto Sir Christopher Wren. Willis fu un eccellente indagatore della struttura del sistema nervoso (Cerebri anatome, Londra r664, e De anima brutorum, Oxford, 1672). Notevoli in lui l 'indipendenza dall'aristotelismo e l'interesse comparativo, che lo portò a studiare molti animali, vertebrati e inverte­ brati. Egli aderì alla teoria di Descartes circa il funzionamento del sistema nervoso : ritenne che la memoria e le più elevate facoltà psichiche abbiano sede nella corteccia cerebrale. Sezionando il nervo vago in un cane vivo, riconobbe la sua influenza sul cuore e sui polmoni. L'anatomia del sistema nervoso ebbe un altro insigne cultore in RAYMOND VIEUS­ SENS ( I64I-I7IS) studente a Montpellier e poi direttore di un Ospedale. La sua Neuro­ logia universalis (r685) gli procurò meritata fama. La parte psicologica e interpreta­ tiva non è però molto felice, inquinata dall'idea prevalente in quel tempo di uno > che circola nei nervi. 175

Fra gli italiani sono da ricordare soprattutto il Bellini e il Valsalva. LORENZO BELLINI, fiorentino {I643-1704) studiò all'ateneo pisano dove salì poi alla cattedra di anatomia. Accusato di empietà e di ateismo, perdette la cattedra e visse poi a Firenze esercitando la pratica privata con molto onore, spesso consultato dai Granduchi e persino dal Papa Clemente XI. Allievo del Borelli e del Redi, indaga­ tore instancabile, fu anche elegante scrittore in italiano e in latino, e buon poeta. Fu socio dell'Accademia del Cimento. Eseguì ricerche fondamentali sulla struttura del rene e sugli organi del gusto (papille linguali) . La fama di ANTON MARIA VALSALVA, da Imola {I666-1723), allievo di Malpighi, e maestro di Morgagni, lettore e ostensore di anatomia a Bologna, è raccomandata soprattutto al suo trattato De aure h.umana (Bologna 1704 e parecchie edizioni succes­ sive) che è una eccellente descrizione dell'anatomia dell'orecchio. Questo anatomista è per ciò considerato il fondatore dell'otologia. Fu anche precursore del Pinel nel raccomandare un trattamento più umano dei pazzi, che in quel tempo venivano tenuti in catene, affamati e spesso percossi. Nel Seicento l 'Italia richiamava ancora nelle sue università e nei suoi più impor­ tanti centri culturali, numerosi stranieri. Cosi a Padova insegnarono ADRIANO VAN

Nicola Stenone. Ritrat­ to di autore ignoto (Fi­ renze, Galleria degli Uffizi).

DER SPIEGEL (Spigelitts) di Bruxelles (I578-r625), allievo del Fabrizi ; GI OVAN N I WESLING (o Vesling, I598-r649) da Minden in Vestfalia, autore di un trattato Syn­ tagma anatomicum (Padova r64r) che fu molto apprezzato come libro di testo nelle università; J . G. vVIRSUNG (r6oo-I643) di Monaco, scopritore del dotto pancreatico

che porta il suo nome. Ma la figura più notevole e singolare, nel campo della biologia, fra i nordici scesi in Italia in questo secolo è quella di NICOLA STENONE (Niels Steensen) (r638-r686). Nato a Copenaghen, ivi studiò medicina legandosi in amicizia con i fratelli Tommaso ed Erasmo Bartholin ; poi si recò ad Amsterdam, ospite dell'anatomico Blasius, (v. pag. r 86) . Lì fece la scoperta del dotto della ghiandola parotide ancor oggi noto col suo nome, scoperta che gli fu contesa con aspre parole dal suo ospite. Di ritorno a Copenag­ hen (r664) , vide frustrata la speranza di ottenere la cattedra di Anatomia, che fu data invece a M ATTH I A S ]ACOBAEUS, nipote di Tommaso Bartholin. Ripartì e si recò a Pari­ gi e di lì in Italia con una commendatizia del Thévenot, fondatore dell'Accademia fran­ cese, per il Granduca Ferdinando II di Toscana. Questi lo ricevette con molta cordialità, lo nominò proprio medico personale e gli concesse grande larghezza di mezzi e pos­ sibilità di studio. In Italia potè entrare in contatto con parecchi scienziati e lette-

Rembrandt. La lezione di anatomia del prof. Tulpius (L'Aia, Mauritshuis).

12.

-

Storia delle Scienze,

IIIl.

Fot.

Dingfan

I77

·rati, quali Vincenzo Viviani, Franc;sco Redi, Lorenzo Magalotti, Marcello Malpighi, e fu fatto membro straniero dell'Accademia del Cimento. A Firenze la sua già scarsa fede nel protestantesimo subì il tracollo definitivo e alla fine del 1667 Stenone si convertì al cattolicesimo e fu ordinato sacerdote. Due volte fu richiamato in Dani­ marca dal miraggio della cattedra, che gli fu invece rifiutata, forse anche in conseguenza della sua conversione. Il successore di Ferdinando I I , Cosimo I I I , Io accolse nuova­ mente a Firenze con grande cordialità e larghezza; ma l'interesse per le scienze andava in lui scemando, mentre aumentava il fervore religioso e il desiderio di lottare contro il protestantesimo. Nel 1677 Stenone fu nominato vescovo in partibus di Titopolis e Vicario apostolico della Germania del Nord e della Scandinavia. Per esercitare il suo apostolato peregrinò per varie contrade, e infine mori a Schwerin (1686) in gran

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Frontespizio del De succo pancrea­ tico di R . de Graaf (Leida, 1 67 1) .

povertà. I l Granduca ne reclamò la salma, che fu tumulata nella cripta di S. Lorenzo. Il 25 ottobre 1953 i resti di N . Stenone furono esumati, posti in un antico sarcofago cristiano e tumulati in una cappella laterale della stessa chiesa. Stenone è autore di numerosi importanti studi anatomici: sulle ghiandole, sui lin­ fatici, sul cuore, che considerò come un muscolo, sui muscoli. Studiò l'embriologia sull'uovo di pollo e vide la connessione del sacco del tuorlo con l'intestino. Vide anche la placenta dei Selaci, già conosciuta da Aristotele, e la cui esistenza fu poi definiti­ vamente accertata da Johannes Miiller nel r840. L'opera sua più notevole è il Pro­ dromo, di cui parleremo più avanti (v. pag. 227) . Anche l'Olanda diviene centro importante di studì anatomici, in questo secolo in cui il paese raggiunge l'apogeo della sua espansione coloniale e della ricchezza. Basta ricordare la celeberrima > di Rembrandt - in cui il pro-

Jean-Jacques Manget. Ritratto premesso al Theatrum anatomicum

(Ginevra, 1 7 1 7) .

179

fessore di Amsterdam, NICOLA TULPIUS (1593-1674) è ritratto insieme con i suoi allievi, in atto di far la dimostrazione sul cadavere - per comprendere quanto la professione del medico fosse apprezzata dalla ricca borghesia olandese del Seicento. Oltre a questo capolavoro, numerosi altri dipinti ritraggono sembianze di medici, o lezioni frequentate non solo dagli studenti, ma anche da eruditi e da cittadini altolocati. Alla fine del Cinquecento PIETER PAAW aveva fondato a Leida il primo teatro anatomico (1597) ; ma il più geniale degli anatomisti olandesi di questo periodo è REINIER DE GRAAF ( r64r-r673), che, nonostante sia morto giovane, ha lasciato alcune ricerche fondamentali sul pancreas e sugli organi genitali, da lui studiati compara­ tivamente in -molti animali. Al suo nome è legata la scoperta del follicolo ovarico (v. pag. 199) dei Mammiferi ancora oggi chiamato follicolo di Graaf (De mulierum organis generationi inservientibus, Leida, 1672). L'anatomia patologica ebbe anche in questo secolo qualche cultore, come THEO­ PHILE BoNET (r641-1715) svizzero, autore di un Sepulchretum anatomicum (1679) in cui raccoglie molte osservazioni, per lo più di altri autori, sulle variazioni di struttura di organi malati; jEAN-jACQUES MANGET, di Ginevra (1652-1742), che osservò la tubercolosi miliare (descrivendo dei granuli magnitudine seminis milii) e R. M O RTON (1637-1698) di Londra, cui si devono pure osservazioni anatomo-patologiche sulla tubercolosi. Ma in complesso si tratta di poche cose preliminari alla grande innova­ zione che sarà effettuata nel secolo successivo dal Morgagni. Due indirizzi, invece, sempre nel campo della morfologia . ebbero notevole sviluppo in questo secolo : lo studio comparativo e l'indagine microscopica. 6. Il metodo comparativo.

Più volte abbiamo ricordato osservazioni eseguite dagli anatomici sugli animali. Inizialmente - già negli antichi - ciò avvenne in sostituzione delle dissezioni sul­ l'uomo, che non si potevano compiere, e i risultati delle osservazioni, fatte prevalente­ mente sul maiale, talvolta sulla bertuccia, furono trasferiti, senza troppa critica, all'uo­ mo, come abbiamo visto per esempio in Galeno. Aristotele aveva studiato l'anatomia degli animali come cosa a sè, per fini propri ; ma tale indirizzo non era stato ripreso. Nel Seicento assistiamo al rinascere dell'interesse per lo studio della struttura ana­ tomica degli animali. E, gradualmente, questo indirizzo si rende indipendente dal­ l'Anatomia umana. Molto tempo, tuttavia, dovrà trascorrere prima che possa parlarsi di una vera anatomia comparata, la quale comincerà ad acquisire metodi e pro­ blemi propri soltanto alla fine del Settecento, per divenire uno dei rami più fiorenti e vitali delle scienze morfologiche nel secolo successivo. Tuttavia, il desiderio di paragonare fra loro strutture di animali diversi e del­ l'uomo, sia nel campo macroscopico, sia in quello microscopico, si va evidentemente sviluppando nel Seicento, si da fornire le prime basi metodologiche e tecniche, e da raccogliere i primi dati su cui si svilupperà e affinerà i propri metodi la scienza com­ parativa. E ciò con immenso vantaggio anche per le scienze mediche : l'anatomia patologica è infatti basata sulla comparazione fra la struttura dell'organo sano e di quello malato. r8o

Scheletro di feto di nove mesi. Tavola del Theatrum anatomicum di J . -J . Manget.

Abbiamo ricordato già le opere di Belon e di Rondelet e i notevoli risultati rag­ giunti, soprattutto dal prim. Anche più importante fu l'opera di VoLCHER COITER di Groninga (I534-1576), che fu scolaro a Padova, a Bologna, a Roma, a Montpellier. Per un certo tempo fu professore di anatomia a Bologna (r564) , poi ( r569) medico della città di Norimberga. Nonostante che la sua opera principale si intitoli Externarum et internarum principalium humani corporis partium tabttlae (Norimberga, 1572), essa contiene una quantità di osservazioni e di illustrazioni sulla anatomia di molti animali, in prevalenza uccelli e mammiferi. Le dissezioni erano state fatte in gran parte per r8r

TAE . xxxr .

Muscoli degli arti in­ feriori, in una delle Tabulae anatomicae

di G. Casseri (Fran­ coforte, 1632) .

consiglio e sotto la guida dell' Aldrovandi. Coiter ha veramente lo spirito dell'anatomico comparativo, ante litteram. Molto notevoli anche le sue osservazioni embriologiche, che, in un certo senso, sono superiori a quelle dei suoi successori immediati. Anche Fabrizi d'Acquapendente, nello studiare l'embriologia, come già abbiamo ricordato, e nell'indagare la struttura degli organi della fonazione e di altri, estende le sue osservazioni a molti animali, paragonando le varie strutture. Prosegue per questa via il suo successore alla cattedra, GIULIO CASSERI (I559r6r6) . Egli fu prima servitore del Fabrizi nella sala anatomica, ma acquistò tanta abilità che il maestro, morendo, lo designò ai Riformatori dello Studio patavino come r82

* * ll

Tavola del Dell'anatomia e dell'infirmità del cavallo di C. Ruini (Bologna, 1 598).

suo successore. Dissettore peritissimo, egli si dedicò soprattutto agli organi della voc� e dell'udito, seguendo l'orma del maestro, e li descrisse in diversi mammiferi, nella rana, nei pesci e anche in alcuni insetti. Notevole la descrizione dell'organo sonoro della cicala, che segna la prima comparsa degli invertebrati come oggetto di studio anatomico. Molte sono le scoperte fatte da Casseri nel corso dei suoi accuratissimi studi comparativi, in cui però si ammira più lo spirito analitico e descrittivo che non il lume d'idee generali. Un posto a parte spetta alla splendida opera di CARLO RuiNI, senatore bolognese, Dell'anatomia e dell'infìrmità del cavallo (Bologna, 1598) . È questa la prima mono­ grafia anatomica di una specie animale : è adorna di bellissime figure, molto pregevoli

Y lARCI _t\\lRI L U "EVER J \: 1 DE v 1 PER.-f.

Frontespizio del De vipe­ rae natura, veneno, etc. di M. A . Severino (Padova, 1 65 1 } .

anche dal lato artistico. Si è detto, non a torto, che l 'opera del Ruini sul cavallo può rivaleggiare con quella del Vesalio sull'uomo. Il fatto che sia scritta in italiano, an­ zichè in latino, dimostra che si rivolgeva piuttosto agli ippofili anzichè agli scienziati. Abbiamo già ricordato come Harvey avesse studiato il problema della circolazione su molti animali e come Aselli, Pecquet, Bartholin avessero eseguito le loro ricerche sul cane. Ma il merito di aver dedicato per la prima volta un intero trattato alla dis­ sezione degli animali spetta a MARCO AURELIO SEVERINO. Nacque costui in Tarsia (Cosenza) nel 1580, donde venne a Napoli a studiare medicina ; e qui si vuole abbia frequentato il grande antitomista Tommaso Campanella. Fu professore di anatomia e chirurgia a Napoli, dove esercitò anche con molto successo la professione medica. Il suo insegnamento richiamò numerosi studenti italiani e stranieri. Fu costretto a fuggire da Napoli per un certo tempo, perchè minacciato dalla Inquisizione, ma rientrò poi con tutti gli onori. Mori nel 1656. La sua opera più famosa ha un titolo programmatico: Zootomia Democritaea, e fu edita a Norimberga (1645) dove l 'artiglio dell' Inquisizione non poteva giungere. Democrito è l'anti-Aristotele, e così Severino si dichiarò coraggiosamente, fin dal titolo, contrario alla filosofia peripatetica. Una curiosa incisione adorna il titolo di questo libro : raffigura una leggendaria visita di Ippocrate a Democrito, il quale è intento a sezionare animali e a scrivere il resoconto del proprio lavoro. Un' altra sua opera successiva s'intitolerà addirittura A ntiperipatetica (Napoli 1655) . La Zootomia (il termine significa : dissezione degli animali) è importante più per la sua imposta­ zione generale, che non per le osservazioni che contiene. Riconosce la somiglianza generale della struttura dell'uomo e degli animali, che attribuisce, naturalmente, a disegno divino. Considera l'uomo come l'archetipo del mondo vivente, che riassume in sè tutte le strutture degli animali. Perciò è necessario studiare queste, che possono, in molti punti, illuminare ciò che egli chiama la andranatomia, cioè l'anatomia umana. La zootomia è quindi intesa esclusivamente come ancella al servizio del­ l 'aJ!atomia umana. Le figure sono stilizzate, spesso non rispondenti al vero. In com­ plesso la Zootomia, benchè riferisca su dissezioni eseguite su molti mammiferi, uccelli, rettili, anfibi, pesci, aracnidi, insetti, crostacei, molluschi, e nonostante che vi siano re­ gistrate molte nuove osservazioni, è inferiore a opere precedenti, in molte delle quali (p. es. in Belon) il metodo comparativo è usato con maggiore efficacia e precisione. È interessante il capitolo finale in cui Severino descrive le tecniche e gli strumenti usati, e raccomanda l'uso di lenti d'ingrandimento. Egli si dichiara scopritore del metodo che consiste nell'iniettare nei vasi un liquido che solidifichi, e nel togliere poi la parte organica con la macerazione, in modo da ottenere un calco di tutta la cavità. Questo metodo sarà poi perfezionato da molti autori (Spigelio, Glisson, Bidloo e soprattutto Ruysch) e verrà largamente usato nel Settecento e fino ai nostri tempi, rendendo preziosi servizi all'anatomia descrittiva. D'ora in avanti le ricerche sull'anatomia degli animali si moltiplicano e si perfezio­ nano: abbiamo nella seconda metà del '6oo tutta una serie di lavori, per lo più mono­ grafici, su varie specie di vertebrati e di invertebrati, alcuni dei quali sono di rara finezza. Parecchi sono eseguiti con l'aiuto del microscopio, e vi accenneremo nel paragrafo seguente. 185

é ! c p h a. .!

L'elefante. Incisione della Physica curiosa di G. Scotti ( 1 662).

Ricordiamo fra i principali zootomi di questo periodo : STEFANO LORENZINI di Firenze, che pubblicò uno studio monografico sulla torpedine (Osservazioni intorno alla torpedine, Firenze, 1678) ; GERARD BLAES (Blasius) olandese, cui abbiamo già accennato a proposito della sua velenosa polemica con Stenone, autore di una A na­ tomia animalium (Amsterdam 1681) che si può considerare come il primo trattato di anatomia comparata ; SAMUEL CoLLINS, inglese, autore di A systeme of A natomy, (Londra r685) ; EDWARD TvsoN, inglese (r651-17o8) autore di numerose monografie su vari animali, tra cui la tenia e l'ascaride ; MARTIN LISTER, inglese (1638-1712) che studiò soprattutto i molluschi. E non ripetiamo i nomi dei molti che abbiamo già citato discorrendo di anatomia umana. In quest'epoca, molte ricerche scientifiche vengono eseguite, spesso in collabora­ zione, presso le accademie, oppure, anche se eseguite indipendentemente, vengono edite a cura delle accademie, in pubblicazioni che presto diventano pe · Cosi intorno alla Royal Society di Londra gravitano ] . RAY (v. pag. 222) , ALLEN e P. BLAIR con le loro opere sull'elefante, e i grandi microscopisti LEEU MALPIGHI (v. pag. 195 e 189) ; intorno alla Academia Naturae Curiosorum svizzero di origine italiana joHANNES voN MuRALT, che descrisse l'an l insetti, e vari altri autori ; intorno agli A eta medica hafnienses di oltre a TH. BARTHOLIN che ne fu il fondatore, si trovano C. BAR RCH (Olaus Borrichius), STENONE, HoLGER J ACOBSEN (Ott:geros Jaco ·ò diversi r86

vertebrati inferiori e invertebrati. L' A cadémie royale des Sciences di Parigi è resa illustre soprattutto dalla grande figura di CLAUDE PERRAULT. Nacque il Perrault a Parigi nel r6r3 in una famiglia che vanta molti uomini notevoli (suo padre era avvocato, uno dei suoi fratelli è l'autore di molte favole fortunatissime, come La bella addormentata nel bosco, Cenerentola, ecc.) , studiò medicina e si dedicò alla pratica medica ; ma si allontanò poi da questa attività per occuparsi di architettura. Disegnò la facciata a colonne del Louvre: il suo progetto vinse su quello del Bernini, che era stato chiamato a Parigi da Luigi XIV (r665). Quest'uomo versatile e di grande ingegno, si dedicò attivamente allo studio dell'ana­ tomia degli animali - e, come vedremo - della loro fisiologia : si dice sia morto (nel r688) vittima di una infezione contratta nel fare la dissezione di un cammello del Jardin Royal. Le dissezioni, a Parigi, venivano eseguite collegialmente nella sede dell'Accademia, così come ci è mostrato da stampe dell'epoca, e i risultati erano pubblicati, talvolta anonimi, in lussuosi volumi in folio, adorni di splendide figure, che il Re e l 'Accademia mandavano in dono a persone di qualità. Erano quindi fuori commercio, e perciò di­ vennero su bito assai rari. I NJémoires pour servir à l'histoire naturelle des animaux (Pari­ gi, r67r, r676, r666-gg, ecc.) e altri volumi contengono descrizioni della morfologia esterna e dell'anatomia di molte specie di animali indigeni, ma soprattutto esotici, eseguite per la massima parte dal Perrault, e illustrate dai suoi bellissimi disegni. Come si vede da questi cenni, la zootomia trova molti cultori nel Seicento i quali, superata la prevenzione che non sia dignitoso studiare gli animali, e soprattutto quelli inferiori, raccolgono una gran messe di fatti. Ma non può ancora parlarsi di anatomia comparata (il termine, usato già da Malpighi, si trova per la prima volta nel titolo di un'opera di N . Grew (v. pag. 194). Non problemi generali, non l'idea di piani di struttura, legano queste osservazioni : sarà questa un 'acquisizione del secolo successivo. 7. I microscopisti.

Abbiamo già accennato all'importanza dell'invenzione del microscopio : senza l'au­ silio del microscopio la biologia moderna non esisterebbe ; non si sarebbe forse fatto alcun progresso significativo dal Seicento ad oggi. Si ignora chi sia l'inventore di questo strumento : probabilmente due ottici olan­ desi, i fratelli Janssen, alla fine del secolo XVI . È certo che Galileo, che aveva costruito il telescopio, nei primi anni del Seicento costruì anche un > per vedere le cose vicine ingrandite, combinando in modo opportuno alcune lenti. Lo sviluppo e il perfezionamento del microscopio furono poi opera, per la parte teorica, di ottici insignì quali J ohan Kepler, G. Fontana, Christian Huygens, e, nell'8oo G. B. Amici, che inventò l'obbiettivo ad immersione omogenea; per la parte tecnica il merito è soprattutto dei costruttori olandesi, e, più tardi, inglesi. Nel Settecento, il Mascheroni, nel poema didascalico > dice infatti a proposito del microscopio : Piaccia ora a te quest'anglico cristallo a' leggiadri occhi sottoporre; ed ecco di verme vii giganteggiar le membra.

Il Padre Bonanni (cfr. pag. 209) nella sua Micrographia curiosa (Roma r6gr) per primo consigliò di porre l'oggetto da osservare fra due lastrine di vetro, pratica che, perfezionata, è tuttora in uso. Galileo fu dunque colui che introdusse il microscopio nelle scienze, e le prime os­ servazioni microscopiche furono fatte nell'ambito dell'Accademia dei Lincei. Anche il nome > fu coniato da un Linceo, Giovanni Faber; Galileo stesso si di­ lettò di osservare insettuzzi e altri piccoli animali con questo strumento. Nel 1628 il princeps dei Lincei, Federico Cesi fece fare disegni dei > (spore) che si trovano

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L'ape e alcuni parti­ colari della sua strut­ tura osservati al mi­ croscopio e disegnati dal vero da Francesco Stelluti linceo per or­ nare il frontespizio del­ l'A piarium di F. Cesi. La stessa figura, con le api nella dispo­ sizione dello stemma dei Barberini, fu stam­ pata nel volume Persio tradotto in verso sciolto e dichiarato da Fran­ cesco Stelluti (Roma,

1 630).

r88

Marcello Malpighi. Ri­ tratto attribuito a C. Ci­ gnani ( Roma, Galleria Borghese) .

sulle foglie delle felci, e sono distinguibili ad un certo ingrandimento. Nel 1630 un altro membro dei Lincei, Francesco Stelluti osservò al microscopio le api, alcuni particolari delle loro strutture (zampe, apparato boccale) e ne fece accurati disegni. Questi furono pubblicati in un foglio, oggi molto raro, I'A piariu.m di Federico Cesi, dedicato a Urbano VIII Barberini. Poi l'Accademia dei Lincei si spense, senza che queste prime osservazioni microscopiche fossero state collegate in un corp�ts coerente. Il microscopio (semplice) si diffuse nei salotti e divenne trastullo: era chiamato vitrum pulicare, perchè serviva a osservare le pulci per diletto. Nella seconda metà del secolo il microscopio, semplice o composto, fu applicato sistematicamente all 'indagine biologica da alcuni eccellenti osservatori italiani, in­ glesi, olandesi. Essi , ch'erano pressoché contemporanei, ma lavoravano indipendente­ mente l'uno dall'altro, scoprirono che la struttura degli esseri viventi, al livello mi­ croscopico è complicata, ordinata, precisa. Un nuovo mondo si aperse cosi all'indagine e da allora il microscopio è diventato l'ausilio indispensabile del biologo. Il più anziano, e indubbiamente il più geniale, di questo gruppo è MARCELLO MAL­ PIGRI, di Crevalcore presso Bologna. Nacque nel 1628, si dedicò alla medicina e a 28 anni era già professore nell'ateneo bolognese. Poco dopo fu chiamato da Ferdinando I I r8g

di Toscana ad insegnare medicina teorica a Pisa, dove conobbe Alfonso Barelli, (v. pag. 2 1 1 ) spirito indipendente, orientato verso la matematica, che seguiva la via dell'osservazione, dell'esperimento, e che certamente influenzò la mentalità del Mal­ pighi. Il quale lasciò Pisa nel 1659 e fece ritorno a Bologna, dove cominciò a pub­ blicare le sue scoperte. Nel 1667 la sua fama era tale che la Royal Society di Londra lo invitò a mandarle le sue comunicazioni scientifiche : l'invito fu accettato e cosi la maggior parte dei lavori del Malpighi fu pubblicata a Londra dalla Società Reale. A Bologna però la sua vita fu funestata dalle persecuzioni da parte del Dott. Giangirolamo Sbaraglia e di un suo ex allievo, Paolo Mini, che, per antichi odi fami­ liari e per invidia, non dettero pace al Malpighi. Ad essi si aggiunse Ovidio Montal­ bani, autore di una A ntineotiologia cioè discorso contro le novità (Bologna 1661) che istigò i dottori del Ginnasio e del Collegio Medico a far fare ai laureandi il giuramento di difendere le dottrine di Aristotele, Galeno, Ippocrate, e di non permettere mai, per quanto fosse in loro potere, che i principi e le conclusioni di quelli fossero rovesciati. Per togliersi da codesto ambiente Malpighi accettò la cattedra offertagli dall'Uni­ versità di Messina (1662) . Tornò poi a Bologna e qui lo raggiunse la notizia che era stato fatto socio della Royal Society ( r669) ; ma ebbe a soffrire ancora noie e persecuzioni che culminarono nell'assalto alla sua villa a Corticella (r689) , in cui furono distrutte cose preziose, manoscritti, microscopi. Il Papa Innocenza XII lo chiamò a Roma come suo archiatro, e il Malpighi, ormai vecchio e malato, a malincuore abbandonò la pro­ pria città e si trasferì a Roma, dove morì dopo tre anni, nel r694. Per sua disposizione testamentaria, la salma fu traslata a Bologna (chiesa di S. Gregorio) . I manoscritti si conservano a Bologna; i microscopi sono andati dispersi. Dire adeguatamente dell'opera del Malpighi è impossibile, nè la si potrebbe meglio riassumere che con le parole di Lorenzo Bellini: gli occhi di Malpighi >. Armato del nuovo strumento, e dotato di un acutissimo spirito di osservazione, Malpighi esamina quanto gli capita sottomano, sia di natura vegetale o animale, e descrive, senza eleganza di stile, ma con precisione, le mirabili strutture man mano che le scopre. Ognuna delle sue comunicazioni alla Società Reale (riunite poi, lui vivo, in una Opera omnia, Londra, r686, a cui seguì, dopo la morte l'Opera posthuma, Lon­ dra, 1697) reca una nuova scoperta. Di tutte la più importante, forse, rimane quella che fece in principio, dei capil­ lari del polmone di rana (De pulnwnibus, Bologna r66r) e di altri organi, in cui vide il movimento del sangue (v. pag. 1 7 1 ) . Studiò poi la struttura di organi ghiandolari, pra­ ticando iniezioni nei vasi sanguigni, e diede inizio cosi allo studio dell'anatomia micro­ scopica : fegato, corteccia cerebrale (in cui vide le cellule piramidali, che considerò come elementi ghiandolari, elaboratori del > nervoso, che poi correva nei nervi, cavi), reni (in cui vide la struttura a glomeruli, che ancora oggi portano il suo nome), milza e altri organi furono accuratamente indagati e descritti, in base a osservazioni su materiale non trattato, oppure sottoposto a cottura, o a iniezione dei vasi, o a macera­ zione, e ad altre semplici manipolazioni che costituiscono l'inizio della tecnica micro­ scopica. Particolarmente accurata la descrizione della lingua con i suoi muscoli e nervi, e le papille giustamente considerate da lui come organi del gusto. Esaminò anche la pelle, 190

Embrione di pollo, dal De ovo incubato di M. Malpighi (Lon­ dra, 1675 ) .

di cui lo strato germinativo ancora porta il suo nome. Anche l 'anatomia patologica, al livello macro e microscopico ricevette dal Malpighi nuove descrizioni : formazioni linfoadenomatose della milza, calcificazione dell'aorta, alterazioni delle ghiandole e altre anomalie da cause patologiche furono da lui per la prima volta osservate. Le due monografie De jormat1:one pulli in ovo (Londra, 1673) e De ovo incubato (Londra, 1675) contengono osservazioni pregevolissime, che il Fabrizi, a occhio nudo, non aveva potuto fare. Malpighi osservò nell'embrione di pollo gli archi aortici e le fessure branchiali (che, naturalmente, non potè interpretare come tali) , la curvatura nucale, le vescicole ottiche, le vescicole cerebrali. Spinse cioè l'indagine a stadi più precoci e a strutture pitt minute di quanto non fosse stato fatto prima di lui. La monografia De Bombyce (Londra, 1669) aperse orizzonti fino al1ora insospet­ tati agli zoologi. Si credeva che gli animali inferiori fossero privi di struttura e di organi interni. Malpighi, sezionando con mirabile perizia il baco da seta ed esami­ nandolo al microscopio scopre una struttura minutissima e meravigliosa, che descrive e raffigura. È questa la prima monografia su un invertebrato. Il sistema respiratorio degli insetti, rappresentato dalle , che Grew userà poi anche in altri lavori. L'opera sua più famosa è A natome plantarum (Londra, 1682) riccamente illustrata, in cui descrive con molta finezza le minute strutture di rami, foglie, semi, ecc., in parte già viste dal Malpighi in parte nuove. Notevole una sua intuizione della sessualità delle piante e sulla funzione del polline come elemento mascolino. Usò una nomenclatura tutta particolare, e qual­ cuno dei suoi termini, come per esempio >, (in verità, già usato da Era­ sistrato), è rimasto nella scienza. Anche Grew osservò strutture simili agli utriculi malpighiani e parlò di vesicles o bladders, riconoscendo che alcune erano piene di un liquido trasparente. Ritenne che si originassero come bolle (bubbles) in un liquido in fermentazione. Le osservazioni di Grew sull'omologia di vari organi in piante diverse, sulla formazione del legno e della corteccia sono anch'esse una prova della utilità del metodo comparativo, che cominciava ad essere applicato. Grew però non fa paragoni fra le strutture delle piante e quelle degli animali. Alcune sue osservazioni di anatomia animale (stomaco dei mammiferi e di vari altri animali) sono anche esse pregevoli.

Un altro studioso che dedicò la sua attività alla Royal Society fu RoBERT HooKE, nato nel 1635, educato a Oxford, dove fu assistente del grande chimico Robert Boyle. Nel 1662 fu nominato curatore degli strumenti e preparatore degli esperimenti alla Royal Society. Uomo di vivace ingegno e dotato di attitudini tecniche tutte .particolari, Hooke inventò numerosi strumenti di fisica, e fu anche architetto e geometra. Questa sua attività concitata, svolta in molti campi, l'aver precorso le osservazioni e gli esperi­ menti di molti dei suoi contemporanei, la sua indole melanconica, sospettosa, gelosa forse dovuta al suo fisico infelice - lo fecero continuamente polemizzare e leticare per ragioni di priorità con molti studiosi, non escluso Newton. Mori nel 1703. L'interesse di HooKE per la biologia è puramente accidentale. Munito di micro­ scopio, osservò e descrisse molti oggetti, più per curiosità che per interesse scienti­ fico. Pubblicò a Londra nel 1665 la celebre Micrographia in cui dà conto di molte delle sue osservazioni. Descrive, innanzitutto, il microscopio che ha usato, ed è una notizia importante per la storia di questo strumento. Poi dà splendide e accuratissime figure, che per lungo tempo rimasero insuperate, di molti oggetti naturali : tra cui insetti, come la pulce e il pidocchio, ragni, acari, squame di pesci, penne di uccelli, ecc. No­ tevole la figura della struttura del sughero, non perchè sia particolarmente bella, chè anzi è schematica, di molto inferiore alle altre, ma perchè per la prima volta, mo­ strando le pareti che racchiudono le cellule, Hooke usa la parola cellula, che viene così introdotta nella scienza. Il termine sarà riesumato nell'Ottocento, e riceverà tutt'altro significato che quello originale di celletta vuota. I due grandi microscopisti olandesi, Leeuwenhoek e Swammerdam sono perso­ nalità molto differenti e, ciascuna pel suo verso, assai singolari. ANTONY VAN LEEUWENHOEK, nato a Delft nel 1632, si dedicò per breve tempo al commercio dei panni ad Amsterdam, poi tornò nella città natale, dove ebbe un mo­ desto impiego al comune. Questo non doveva richiedere molto lavoro, se egli potè dedicarsi all'arte di tagliare lenti, che poi usava per le proprie osservazioni. I > della pianta. Vallisnieri, che ripeté, controllò e sviluppò anche gli esperimenti del Redi sul nascimento delle mosche dalle carni corrotte, dimostrò una maturità di pensiero scientifico anche superiore a quella del Redi, e riusci a liberarsi completamente di quelle forze primitive, cui il Redi ancora si affidava, come abbiamo visto. (( La putredine - fa dire il Vallisnieri a Malpighi in un dialogo di cui l'altro interlocutore è Plinio - nè altra immaginata o sognata fantastica cagione più non si accomoda al saggio palato di chi ha buon gusto. Così nè le virtù plastiche, nè le facoltà architecte, nè gli Archei, nè le forze animastiche, nè le anime vaghe, nè gli spiriti universali, e ideigeni, nè le intelligenze vigilantissime, nè le reliquie delle anime sensitive o più perfette, nè quanto può umano intendimento 14.

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Storia delle Scienze,

Illl.

209

pensare o fingere, viene abbracciato dalle più sensate, e dotte Accademie de' nostri tempi, lasciando a' seguaci delle rabiniche o visionarie scuole i loro sogni e le loro menzogne che odorano ancor di barbaro o d'ingannatore, e sono lo scandalo dell'Italia e la vergogna · di nostri studi, e delle nostre fatiche )), Anche Swammerdam nella sua Biblia Naturae (v. pag. . 197) porta la sua parola di eccellente osservatore contro la generazione spontanea. La polemica si dilunga ; ma ormai, all'inizio del '700 riconosce la fallacia della dottrina per quanto riguarda la nascita degli insetti, dei vermi, di tutti gli animali macrosco­ pici. Si ravviverà la polemica, nel corso del Settecento, quando l'ipotesi sarà trasfe­ rita agli animali microscopici; ne riparleremo. g. Primi tentativi d'interpretazione meccanicistica dei fenomeni vitali. Jatrorneccanici e j atrochimici.

In antico, si è detto, due opposti indirizzi si erano contesi il campo: il vitalismo, impersonato da Aristotele, e il meccanicismo, di cui fu massimo esponente Democrito, e illuminato e appassionato divulgatore Lucrezio. Per tutto il Medio Evo e il Rinascimento domina incontrastata la concezione vitalistica. E quando S. Tommaso introduce l'aristotelismo come filosofia ufficiale del Cristianesimo, la teoria biologica di Aristotele diviene l'unica ammissibile. N el Quattro e nel Cinquecento, come abbiamo visto, non vengono posti problemi biologici gene­ rali,· o, se si propongono, vengono risolti nell'ambito del conformismo aristotelico. Ma nel Seicento, dopo che Bacone, Galileo, Descartes avevano costruito le basi filosofiche della nuova scienza, mentre gli accademici del Cimento e Redi aprivano nuove vie all'indagine biologica per mezzo dello sperimento, i tentativi d'interpre­ tazione meccanicistica dei fenomeni vitali si ripresentano alla mente. E comincia così, nell'età moderna, quella disputa fra vitalismo e meccanicismo, nella cui dialet­ tica sostanzialmente si riassume tutto lo sviluppo delle scienze biologiche. Un primo passo verso il meccanicismo è lo studio dei fenomeni biologici da un punto di vista quantitativo. Fino al Rinascimento era stata prevalente in tutte le scienze sperimentali la valutazione puramente qualitativa dei fenomeni e delle loro cause. Galileo aveva chiaramente indicato la necessità dell'introduzione delle valuta­ zioni quantitative : entra nel muscolo, proveniente dai nervi, si mescola col sangue e provoca una sorta di fermentazione che fa aumentare il volume del muscolo (cfr. l'esperimento di Swammerdam pag. zoo) . Ma se pensiamo che ancor oggi, non v'è una soddisfa­ cente teoria della contrazione muscolare, accettata da tutti i fisiologi, siamo indotti a considerare con indulgenza i tentativi dei biologi secenteschi. Borelli è essenzialmente un meccanico : la parte della sua opera in cui applica i principi della meccanica, è veramente geniale, è stata ammirata dai posteri e rap­ presenta una importante affermazione di principio : la possibilità di descrivere alcuni fenomeni biologici in termini fisici, con altrettanta precisione quanta si può raggiun­ gere nei fenomeni inorganici. Un altro notevole studioso - anch'egli matematico e fisico prima ancor che bio­ logo - a cui si devono tentativi d'interpretazione meccanica è CLAUDE PERRAULT {cfr. pag. 187) che in un libro, Essais de physique (Parigi, r68o) uscito lo stesso anno di quello del Borelli, si pone problemi analoghi a quelli del medico napoletano, ma spinge la sua considerazione anche ad altri campi, come il funzionamento dell'organo dell'udito, dell'occhio, ecc. Allievo del filosofo Gassendi, polemizza con Descartes, che negava ogni facoltà psichica agli animali. Le osservazioni e le considerazioni del Perrault sono notevoli, appunto per il tentativo di fondare su base meccanica l'interpretazione di molti fenomeni della vita animale. Nonostante parecchi errori, come quello di credere che non la >, ma le fasce connettivali siano la parte contrattile, va al Perrault gran merito, ac­ canto al Barelli, come fondatore dell'indirizzo meccanico in biologia. Ma il più completo tentativo di basare sulla meccanica l'interpretazione dei fe­ nomeni vitali, è dovuto, in questo secolo, non già ai biologi ma ad un grande filosofo, 213

RENÉ DEsCARTES (r5g6-r65o) . Egli aveva preparato un trattato di fisiologia in cui sviluppava questi p�nsieri, ma l'esempio di Galileo e dei suoi conflitti con l'Inqui­ sizione, lo consigliarono a rimandarne la pubblicazione, che, nel primitivo progetto, sarebbe dovuta avvenire insieme con quella del Discours sur la méthode (1637) . Il suo De homine, in realtà, non fu pubblicato che nel r667, diciassette anni dopo la sua morte. Le conoscenze fisiologiche di Descartes non sono molto profonde, e sono soltanto frutto di letture, non di personale esperienza. Tuttavia l'impostazione nettamente meccanica che egli intende dare a tutta la biologia rappresenta un principio molto importante: assai più che non le teorie particolari sul funzionamento di questo o quel sistema, ch 'egli propone e che appaiono a noi oggi molto ingei).ue e primitive. R r. N A T T D F. s - C A R T F. S :tpt:r ìrct tubu m 7, in cau.. 1 · .. .. ndum efl mod um illum , quo �'-4U· ' nmcrcntur , & tà fore , ut partcs ccrcbn , vcdus N comp 6o







vc.r�ts O dib.t.lr�ntur p1ulo magis qu:tm folcn t ; atquc ira

f.L'tr_mts , qut vc111 unc :ì tubo 7 :1b N per () vcrfi ts P ircnt. Pohro autcm quod lùc ignis manum ur:1r , aéèio cjus rubum 2!4

I ncisione del Tractatus de homine di R. Descartes (Am­ sterdam, 1667) : se una fiamma A scotta la mano B, si aprono i tubuli che provengono dal­ l'ipofisi e che fanno capo al canale 7. e si premono alcune parti del cervello.

L'uomo, dice Cartesio, è una macchina governata bensì da un'anima ragionevole, ma pur sempre una macchina, il cui funzionamento si spiega con gli stessi principi che valgono nel mondo fisico. E tenta su questa base di spiegare il funzionamento del sistema nervoso, che, fra tutti i sistemi organici è quello che più gli interessa. Gli spiriti animali sono qualcosa di fluido, che obbedisce alla legge dei fluidi. I nervi sono cavi, ma contengono nel loro interno una sorta di midollo (che non riempie completa­ mente la cavità) costruito da sottili filamenti, i quali terminano da una _ parte nei ventricoli cerebrali, dall'altra negli organi. Questi fili, mossi dagli stimoli percepiti attraverso gli organi di senso, esercitano una trazione sulla parete donde hanno ori­ gine e aprono così certi pori per cui gli spiriti animali che si trovano nei ventricoli o�

T R A dei suoi tempi, ch'era in realtà un misto di conoscenze positive e di concezioni mistico-astrologiche. La fermentazione ha una grande importanza in tutti i fenomeni naturali, compresi quelli della vita: l'archeo opera appunto go2!7

vernando i processi fermentativi. Il van Helmont assodò che nelle fermentazioni (studiò soprattutto la fermentazione alcoolica) viene liberata una sorta di aria che è la stessa che si forma dalla combustione del legno. Alle sostanze aeriformi (di cui distingue parecchie sorte) il van Helmont diede il nome di gas (da caos, termine già usato in senso simile da Paracelso) che rimase nella scienza moderna. Il gas che si libera nelle fermentazioni ricevette da lui il nome di gas sylvestre. È la prima descri­ zione e denominazione dell'anidride carbonica. I processi di digestione, i fenomeni del ricambio nell'organismo sono riconducibili a fermentazioni, di cui egli distingue varie specie, nel corpo umano. La materia fonda­ mentale di cui sono costituiti gli organismi (e anche i corpi inorganici) è l'acqua, e ne è prova il seguente esperimento : messa in un vaso una quantità di terra ben disseccata del peso di duecento libbre, van Helmont vi piantò una piantina del peso di cinque lib­ bre, e la innaffiò abbondantemente con acqua piovana. Dopo cinque anni la piantina pesava centosessantaquattro libbre, mentre il peso secco della terra era di duecento libbre meno 3 once. Quindi l'accrescimento della pianta era dovuto quasi interamente all'acqua. Le conclusioni tratte dall'esperimento sono criticabili in base ai dati della scienza moderna, ma l'impostazione dell'esperimento stesso è innegabilmente corretta. Come si vede, questa tortuosa mentalità di visionario, pur fra le deviazioni di una concezione mistica inquinata dalla peggior specie di vitalismo, ha recato alcuni con­ tributi notevoli alla scienza moderna. In particolare, in biologia, ha richiamato l'at­ tenzione sull'importanza dei fenomeni chimici. Questi concetti furono ripresi da FRANçOis DE LA BoE (Sytvius) (r6r4-1672) profes­ sore all'università di Leida e medico di gran fama, che si considera solitamente come il fondatore della scuola jatrochimica. Egli studiò molto i sali, che riconobbe come il risultato della unione degli acidi e delle basi, e concepì l'idea, molto importante, di affinità chimica. In fisiologia egli si basa sulla conoscenza della circolazione del sangue, sulle funzioni dei vasi linfatici e delle ghiandole così com'erano note ai suoi tempi, e fonda una fisiologia e una patologia umorale basata su tre umori: saliva, succo pan­ creatico e bile. In tutti i processi che avvengono nel corpo si ritrovano, come fenomeni elementari i processi chimici della fermentazione e dell'effervescenza. Saliva e succo pancreatico sono acidi, mentre la bile è alcalina. Nel sangue si compiono tutti i più im­ portanti processi fisiologici e patologici, i quali sono essenzialmente di natura chimica. La scuola jatrochimica ebbe numerosi seguaci, soprattutto nei paesi nordici : Olanda, Germania, Inghilterra (in cui fu propugnata da Th. Willis) e anche in Francia. Da questi contrasti di opinioni, basati per lo più sui risultati di un'indagine spe­ rimentale, noi vediamo già emergere alcuni dei principali indirizzi di ricerca e temi di discussioni della biologia moderna. In particolare si delinea il contrasto fra la con­ cezione vitalistica e quella meccanicistica, che sarà sviluppata nel Settecento e nel­ l'Ottocento. La discussione fra jatromeccanici e jatrochimici appare come un episodio marginale se considerato con prospettiva storica. Si tratta di dare un maggior peso all'uno o all'altro dei due aspetti egualmente importanti dei fenomeni del mondo inorganico. Quello che è essenziale invece è di decidere se, partendo da questi prin­ cipi si può dar fondo alla conoscenza della vita, o se bisognerà ancora ricorrere a misteriose >. Per ora, nel Seicento, le conoscenze di fatto sono ancora 2!8

Un'operazione chi­ rurgica. Quadro di G. Lundens (Roma, Galleria Borghese).

Fot. A linari

troppo scarse per consentire di affrontare il problema, nonché di risolverlo. Ma, pro­ cedendo la ricerca, si vede che un sempre maggior numero di fenomeni è suscettibile di una interpretazione basata sui principi delle scienze fisiche. E in questa certezza s1 acqueta l'ansia di conoscenza di molti biologi di questo secolo. 10.

La sistematica botanica

e

zoologica.

I tentativi di classificazione degli animali e delle piante, come abbiamo visto, non erano stati molti nel Cinquecento, nè, quei pochi, felici. Una classificazione biologica razionale richiede due concetti fondamentali : quello di specie, e quello di gradi diversi 219

di affinità, in base a cui si possano riunire le specie in gruppi di rango superiore. Tutti e due questi concetti, come spesso avviene, sono piuttosto intuitivi, e certo non mancavano ai naturalisti, e ai profani, nell'antichità e nel Medio Evo. Tutti sanno che i cani, figliando, dànno sempre cani, i gatti gatti, e cosi via. E tutti si rendono conto che l'asino e il cavallo sono più simili fra di loro che non lo siano col maiale e col cane, e, tanto meno, col pollo o con la rana. Ma, per l'appunto, queste idee erano rimaste allo stadio generico e intuitivo, sufficiente per le necessità d'ogni giorno, e non erano assurte a dignità scientifica: non erano state definite, chia­ rite, sottoposte a valutazione critica. Per quanto riguarda poi la nomenclatura, parole del linguaggio comune erano suf­ ficienti per indicare le relativamente poche specie di animali e di piante conosciute. E se a queste se ne aggiungevano altre un po' diverse, qualche aggettivo, qualche at­ tributo fatto seguire al nome della forma prima nota era sufficiente a designare la nuo­ va. Ma, evidentemente, questo stato di cose, che praticamente troviamo cristallizzato

Incisione degli Horti malabarici (Amsterdam, 1689). 220

in tutte le opere zoologiche e botaniche del Cinquecento, di cui abbiamo discorso, non poteva durare a lungo. L'esplorazione di nuove contrade portava continuamente a conoscere nuove piante e diversi animali, e l'affinato spirito di osservazione, il fatto che gruppi d'animali di cui prima sembrava disdicevole interessarsi, come gli insetti e i vermi, fossero ora divenuti oggetto d'attenzione da parte del naturalista, creavano l'esigenza di mettere ordine nel caos e di escogitare una nomenclatura razionale. I n molti naturalisti del Seicento, infatti si sente premere questa necessità; m a i l problema sarà risolto, per una sua parte almeno, soltanto nel secolo successivo, da Linneo. Gli zoologi e i botanici secenteschi, preparano la strada alla grande riforma lin­ neana, e sono perciò generalmente considerati come precursori del grande svedese. Abbiamo visto già come, quasi inconsciamente, molti botanici, avessero aggrup­ pato insieme quelle specie piil affini, che, come oggi diciamo, appartengono allo stesso genere o alla stessa famiglia. Abbiamo trovato in L'Obel e in Cesalpino alcuni tenta­ tivi di suddivisioni in grandi gruppi. Un altro schema di classificazione dei vegetali è contenuto nelle venti Tabulae phytosophicae di FEDERICO CESI, il fondatore dell'Accademia dei Lincei, pubblicate in appendice al Tesoro messicano (cfr. pag. 167) . L'autore le aveva concepite come parte di un'opera grandiosa, un vasto trattato di storia naturale, Theatrum totius natttrae, che non potè portare a termine. Le Tabttlae sono un'opera molto importante: è il primo libro che raccolga la parte sostanziale della morfologia e della fisiologia vegetale, con osservazioni anche sulla patologia. Il Cesi, che studiò anche l'anatomia dei vegetali al microscopio, e conobbe i sessi delle piante molto prima di Camerarius, ebbe una nozione di quello che oggi chiamiamo un sistema naturale di classificazione. Usò per primo il termine famiglia e una nomenclatura di cui molti termini sono rimasti nella botanica moderna. Deve quindi considerarsi come uno dei massimi precursori di Linneo, per la parte botanica. Anche il Pinax theatri botanici di GASPARD BAUHIN contiene tentativi classificatori (v. pag. 123) . Molto importante fu l'opera di ]OACHIM juNG (]ungius) di Lubecca (r587-I657) che fu rettore di un ginnasio di Amburgo, e s'azzardò a sostenere che i libri del Nuovo Testamento erano scritti in un greco di qualità inferiore rispetto alla lingua usata negli scritti, profani, dei classici. I teologi di Amburgo e di Wittenberg l'accusarono di avere insinuato che lo Spirito Santo, che ha ispirato la Scrittura, non conoscesse bene il greco ! Forse fu questa la causa per cui egli si astenne dal pubblicare i suoi lavori. Alcuni, d'argomento botanico, furono pubblicati dopo la sua morte da suoi sco­ lari (Doxoscopiae physicae minores, r66z, e Isagoge phytoscopica, 1679) , ed ebbero grande influenza sullo sviluppo di queste scienze, perchè furono studiati dal Ray e da Linneo. Jung dà concise ed esatte descrizioni di molte piante, in uno stile che ricorda quello di Linneo, il quale, del resto, lo riconobbe come suo precursore. Molti termini della nomenclatura morfologica della moderna botanica (per es. foglie semplici e composte, paripinnate e imparipinnate, opposte e alternate; perianto, stami, stilo, ecc.) sono stati introdotti da lui. Usò i fiori come principale criterio di classificazione, e rico­ nobbe alcune famiglie, come le Composite, le Labiate, le Leguminose, che distinse appunto in base alla forma dei fiori. Anche la nomenclatura che usa per designare 22I

le varie specie è spesso una nomenclatura binomia, come quella che sarà poi sanzio­ nata da Linneo. Ma il maggior precursore di Linneo fu indubbiamente joHN RAY, figlio di un fabbro, nato a Black Notley, Essex, nel 1627. Potè studiare a Cambridge, divenr;te > del Trinity College e fu poi ordinato sacerdote anglicano. Colla restaurazione di Carlo I I (r662) fu dimesso dalla carica e dovette guadagnarsi la vita come inse­ gnante privato; trascorse molti anni in strettezze economiche, le quali non valsero a rallentare la sua attività di studioso. Morì nel 1705. A Cambridge aveva stretto relazione con un giovane molto ricco; anch'egli appas­ sionato di scienze naturali, FRANCIS \VILLUGHBY (1635-1672) con cui fece molti viaggi in Inghilterra e oltre Manica, raccogliendo materiale naturalistico. Collaborarono attivamente per parecchi anni, Ray dedicandosi alla botanica, Willughby alla zoologia. Tale collaborazione finì poi repentinamente per l'immatura morte di Willughby, che lasciò per testamento una modesta pensione vitalizia al Ray, il quale era stato precettore dei suoi figli. Morendo, Willughby aveva lasciato incompleto un trattato sugli uccelli, uno sui pesci e uno sugli insetti. Prima cura del Ray fu di completare e pubblicare queste opere (Francisci Willughby Ornithologiae libri tres, Londra, 1676; De historia piscium libri quatuor, Oxford, r686 ; Historia insectorum, Londra, 1 710) . Oltre a queste, Ray pubblicò un'altra opera zoologica interamente sua: Synopsis methodica animalium quadrupedum et serpentini generis, Londra, 1693, in cui dà il seguente schema di clas­ sificazione dei Mammiferi, piuttosto originale e abbastanza preciso, anche se non com­ pleto, come l'autore stesso nconosce : I . Ungulati (con zoccoli) Solipedi (con un sol zoccolo) Bisulci (con due zoccoli) Ruminanti Con corna persistenti Con corna caduche Non ruminanti Quadrisulci (con 4 zoccoli)

L

\

Cavallo, asmo.

2. Bovini, ovtnl 3 · Cervi 4· Maiali 5· Rinoceronte

Ippopotamo

II. Unguicolati (con unghie o artigli) Con due dita Con cinque dita Unite Separate

6. Cammello 7· Elefante

Unghie lunghe Più di 2 incisivi in ogni mascella Due soli incisivi in ogni mascella Unghie larghe 222

8. Cane, gatto g. Coniglio, castoro IO. Scimmie

Ma la parte più importante dell'opera di Ray è quella botanica. N el r66o pubblicò un Catalogus plantarum circa Cantabrigiam nascentium, che è il primo esempio di una Flora locale, cioè un elenco delle piante che vivono in una data località. In seguito diede alla luce altre tre opere : Method�ts plantarum novum, Londra, r682 ; la grande Historia plantarum, Londra, 1686-1704 e la Synopsis methodica stirpium britannicarum, Londra, 1696. Que­ sta ultima è una Flora completa delle isole britanniche, che fu molto usata dai botanici. Ray ebbe la chiara visione dell'ufficio della sistematica: una classificazione ordi­ nata degli animali e delle piante, basata su caratteri naturali chiaramente rilevabili. Distinse le piante con fiore (Perfectae) da quelle che ne sono prive (lmperfectae: alghe, funghi, felci e coralli) . Le Perfectae si dividorio in IYionocotiledoni e Dicotiledoni (questi termini compaiono nella seconda . edizione del Methodus, 1703) . Poi indica i prin­ cipali gruppi di piante, conosciuti oggi come ordini. Si approssima ad un sistema naturale, quello cioè che, prendendo in considerazione molti caratteri, rispecchia nelle sue suddivisioni le vere affinità fra gli organismi, al contrario di un sistema arti­ ficiale, che, tenendo conto soltanto di pochi caratteri superficiali, può avvicinare organismi che non hanno reali affinità di struttura e mettere in gruppi diversi quelli che, invece, sono affini. In totale nella Historia (quasi tremila pagine in-folio) Ray menziona più di r 8.ooo specie, dando notizie sull'aspetto esterno, sulla morfologia, la fisiologia, la distribuzione, l'habitat, mescolando spesso frasi in latino a frasi in inglese, e citando accuratamente i botanici precedenti. Usa una nomenclatura com­ plessa: per es. Erysim�tm latifolium neapolitanum,· !rio laevis app�elus erucae folio, in taluni casi semplicemente binomia: Valeriana graeca. Avvicina le piante che oggi diciamo appartenenti allo stesso genere, ma senza dar loro costantemente Io stesso primo nome, come, da Linneo in poi, si usa fare. Ray ebbe anche una nozione della esistenza di gruppi sistematici superiori, quelli che oggi chiamiamo famiglie e ordini, ma non ne definì chiaramente l'àmbito. Per quanto riguarda i concetti biologici più generali, si può dire che Ray rimase ligio alle idee tradizionali, credette a lla immutabilità della specie, e contribuì a definire il concetto di specie ante litteram introducendo il criterio della comune discendenza degli individui di una stessa specie ; ma ammise che talvolta, eccezionalmente, per > dei semi, una specie possa trasformarsi in un'altra, come per esempio, secon­ do una antica tradizione, il grano in loglio. Per il che non merita certo che Io si consi­ deri come un precursore dell'evoluzionismo, come qualcuno ha voluto fare. Nel complesso la sua immensa opera è stata di grande valore per la descrittiva e la sistematica ed è da considerarsi come il maggior contributo prelinneano a queste discipline. Grande autorità ebbe in Francia un botanico di alcuni anni posteriore al Ray, JosEPH PITTON DE TouRNEFORT (1656-1708) che viaggiò molto, sempre erborizzando, in Francia, in molti paesi d'Europa e in Asia Minore. Nel 1683 fu chiamato all'insegna­ mento della botanica al Jardin dtt Roy. La sua opera principale è I nstitutiones rei herbariae (Parigi, 1700) adorna di belle figure. Meno profondo del Ray, Tournefort ha scarse conoscenze sulla struttura anatomica delle piante, ma le sue descrizioni sono eccellenti, concise e accurate. I l suo gran me­ rito è di aver dato importanza - come già il Bauhin - al concetto di genere cioè un aggruppamento di parecchie specie strettamente affini. La maggior parte dei genen ·

223

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Tavola della Phytographia di L. Plukenet (Londra, 1692) . 224

istituiti da Tournefort, come per es. il genere Bignonia, dedicato al suo protettore l'abate Bignon, sono rimasti nella sistematica moderna. Così sul finire del secolo XVII, le premesse per la grande riforma linneana, erano tutte presenti: Ray aveva contribuito a chiarire 'il -concetto di- specie, Bauhin e Tour­ nefort quello di genere, Cesi e MAGNOL, di Montpellier ( r689)' avevano introdotto i] termine di famiglia; e la nomenclatura binomia era stata usata già da più d'un bota­ nico. AuGUST QUIRINUS RIVINUS (Bachmann) di Lipsia (r652-1723) nel suo Ordo plantarum, aveva affermato che la miglior nomenclatura è quella che attribuisce alle piante due nomi, uno - diremmo oggi -- che designa il genere, l'altro la specie. Verso la fine di questo secolo si fece una scoperta fondamentale per la biologia : la sessualità delle piante. Può essere ricordata in questo paragrafo dedicato alla siste­ matica, perchè gli organi sessuali delle piante (il fiore nelle Fanerogame, e in parti­ colare gli stami e i pistilli) sono stati usati, da Linneo in poi, come importanti carat­ teri classificatori. Era risaputo, fin dall'antichità, che in alcune piante, come la palma dei datteri, si richiede la collaborazione di due individui per la fruttificazione. E s'era parlato di maschio e femmina. In altri casi, però, s'erano indicate come maschio e femmina piante di specie diversa. Quindi il sesso delle piante era praticamente ignorato, ciò che è tanto più comprensibile in quanto la massima parte delle Fanerogame sono ermafrodite. Federico Cesi, come si disse, riconobbe i sessi delle piante, e in parti­ colare in varie piante dioiche (mercuriale, canapa) . N. Grew affermò che nelle piante esiste una riproduzione sessuale, simile a quella delle lumache (che, infatti, sono erma­ frodite). Anche il Ray, sulle orme del Grew, ammise la sessualità delle piante. Ma nes­ suno di questi naturalisti aveva riconosciuto la generalità del fenomeno, né aveva compreso tutta la sua importanza. Nel 1694 il medico RunoLPH ]AKOB CAMERARIUS (r665-172I), professore a Tubinga, pubblicò De sexu. plantarmn epistula, in cui conclude che il polline è l'elemento maschile, il pistillo quello femminile. E descrive anche molti esperimenti eseguiti in piante monoiche e dioiche, dimostrando che se si asportano i fiori maschili prima che si aprano le antere non si ha fruttificazione. La quale invece si ottiene quando si abbia cura di portare polline sullo stilo. L'impollinazione era stata già descritta da FILIPPO BuoNANNI della Compagnia di Gesù ( !638-1725) prefetto della biblioteca del Collegio Romano e direttore del Museo Kircheriano, che nel 1691 aveva pubblicato un libro in cui polemizza col Redi, sostenendo la generazione spontanea (v. pag. 209) . Fra le osservazioni microscopiche descritte in quest'opera è, appunto, la presenza di granuli di polline sullo stigma dei fiori; il Buonanni non diede però alcuna interpretazione del fenomeno. La scoperta di Camerarius, come spesso avviene, non fu subito accettata dai con­ temporanei. Parecchio tempo dovè trascorrere prima che i biologi si persuadessero che .. . . . . . . . . nozze han pur le piante, e zefiro leggero trascorri tor dell' indiche pendici a quei fecondi amor plaude aleggiando (L. l\1ascheroni, I nvito a Lesbia Cidonia) . t5.



Storia delle Scimze,

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225

Questo fatto, discusso ancora alla fine del Settecento, fu però accettato da Linneo, che sugli organi sessuali delle piante fondò il suo sistema di classificazione. 1 1.

I fossili.

Da tempi antichissimi era noto che dalla terra si scavano strane formazioni ossa, conchiglie, ecc. - che hanno molta somiglianza con scheletri e gusci di animali viventi; e diverse teorie erano state proposte per spiegarne l 'origine. Le scarse e frammentarie conoscenze dei classici a questo riguardo, e le interpretazioni, qualche volta esatte, ch'essi ne avevano dato (per es. Erodoto) si eran perdute, nel Medio Evo, per effetto della stasi delle scienze naturali e della geologia biblica accettata dal Cri­ stianesimo. AviCENNA aveva affermato che i fossili erano formati per azione di una vis plastica della natura. Benchè RISTORO n'AREZZO ( r 289- 1332) , il BoccACCIO (nel Filocolo, 143 1 ) , LEONARDO ed altri li avessero considerati come una prova del sog­ giorno del mare sul continente, e benchè il FRACASTORO ( 15 17) avesse apertamente combattuto l'opinione di Avicenna ed avesse dimostrato l'insufficienza del diluvio universale per spiegare la presenza dei fossili sulle montagne - nei secoli XVI e XVII (e ancora nel Settecento) molti studiosi ddla natura pensavano che i fossili si fossero formati nella terra per virtù di speciali forze insite nella natura, cui davano diversi nomi: vis plastica, succus nutritivus lapidescens, spiritus lapidifìc�ts, etc. Altri, con anche minor sforzo intellettuale, si limitavano a considerare i fossili come scherzi di natura (lusus naturae) e altri invece ricorrevano a spiegazioni più complicate, come influsso degli astri, fermentazioni e moti vorticosi delle esalazioni terrestri, rocc€' capaci di gestazione e di parto, e via dicendo. Accanto a coloro che credevano all'azione di tali ipotetiche forze naturali e am­ mettevano la natura inorganica dei fossili, vi erano alcuni che li riconoscevano bensì come resti di animali e di piante, ma cercavano di spiegare la presenza di organismi marini sulle montagne o nei luoghi distanti dal mare con il racconto biblico del diluvio universale. Il > ebbe la massima voga nel '700, specialmente in In­ ghilterra. Già nel secolo precedente GEORG AGRICOLA (latinizzazione del suo nome BAUER) , filologo, medico e metallurgista tedesco (1494-1555) , oltre ad avere introdotto il nome di fossili (dal latino fodere, scavare) per tutte le produzioni sotterranee, aveva rico­ nosciuto la vera natura organica di quelli cui oggi tal nome è riservato. E un vasaio francese, autodidatta e privo di cultura accademica, BERNARD PALISSY (1510-1589) , osservando le conchiglie trovate sulle montagne, s'era persuaso che >. Ma il merito d'avere bene chiarito l'origine dei fossili, e, quel che più conta, d'aver fornito alcuni criteri e i metodi per lo studio della geologia e della paleontologia, spetta ad uno di quei chiari ingegni che si raccolsero intorno alla Accademia del Cimento: a NICOLA STENONE (v. pag. 177) il quale, prima di ripartire da Firenze per la Dani­ marca, prevedendo di non aver tempo di scrivere una completa dissertazione, come si proponeva, volle lasciare al Granduca Ferdinando II di Toscana almeno una dimo226

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di N. Stenone, in ap pen­ dice all'Elementorum myo­ logiae specimen (Amster­ dam, 1669) . In quest'opera Stenone riconosce che i fossili chiama ti . Qui cominciano i guai anche per don Ferrante. Fin che non faceva che dare addosso all'opi­ nion del contagio, trovava per tutto orecchi attenti e ben disposti ; perchè non si può spiegare quanto sia grande l'autorità d'un dotto di professione, allorchè vuoi dimostrare agli altri le cose di cui sono già persuasi. Ma quando veniva a distinguere, e a voler dimostrare che l'errore di que' medici non consisteva già nell'affermare che ci fosse un male terribile e generale; ma nell'assegnarle la cagione ; allora (parlo de' primi tempi, in cui non si voleva sentir discorrere di peste), allora, invece d 'orecchi, trovava lingue ribelli, intrattabili; allora di predicare a distesa era finita, e la sua dottrina non poteva più metterla fuori, che a pezzi e bocconi. . H1:s fretus, vale a dire su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s'attaccò ; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle. E quella sua famosa libreria ? È forse ancora dispersa su per i muriccioli. (A. Manzoni, I promessi sposi, cap. XXXVII) .

232

CAPITOLO VI.

IL SETTECENTO I.

Caratteri del secolo.

A prima vista sorprende il constatare che parecchi indirizzi di ricerca che nel Sei­ cento erano stati sviluppati e portati molto innanzi, non si trovino continuati nel Set­ tecento. Languiscono, per poi riprendere un vigoroso sviluppo nel secolo successivo. Basti citare come esempio le ricerche dei microscopisti, che non hanno trovato nel Settecento alcun continuatore degno della grande tradizione; le ricerche di embrio­ logia descrittiva, e le stesse ricerche anatomiche. Ma se si considerano le caratteristiche generali del pensiero e della cultura sette­ centesca, ci si può dar ragione di questo fatto. Nonostante gli sforzi dei galenisti e degli scolastici superstiti, andava sempre più radicandosi la convinzione che tutte le costru­ zioni filosofiche che avevano retto per tanti secoli erano crollanti. Non ancora chiaro era, invece, che cosa si poteva sostituire all'antico edificio. A che pro, dunque, conti­ nuare il lavoro analitico-descrittivo, accumulare nozioni di piccoli fenomeni e di molti particolari, se mancava una teoria generale in cui situarli in bell'ordine, una teoria cui questi fatti potessero conferire maggior solidità e fermezza ? Idee generali oc­ correvano; la problematica biologica si sposta, in modo molto evidente, verso il con­ trollo della validità delle concezioni antiche o, se queste non risultano tenibili, verso la ricerca di nuove. Anche in quegli indirizzi scientifici, più che filosofici , che pur continuano il loro corso, in questo secolo, si sente la costante preoccupazione delle idee generali, dei pro­ blemi vasti e fondamentali. Il buon seme gettato nel Seicento, trova terreno adatto a germinare . Si avverte in biologia -- come nelle altre scienze naturali, e anche, soprattutto, in filosofia - il lievitare di molti movimenti di pensiero che porteranno alla costruzione del mondo moderno, e che avranno pieno sviluppo nell'Ottocento e nel nostro secolo. 233

Allevamento e studio delle api. Incisione dai 1\llémoires pour servir Réaumur (Parigi, 1 737) .

à l'histoire des insectes

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2. La sistematica e la biologia descrittiva. Linneo.

Quegli studi che fin'allora erano rimasti quasi marginali, o sembravano privi di valore generale, e destinati a rimanere mera raccolta di dati, mera erudizione, acqui­ stano invece, nel Settecento, una importanza centrale e ricevono un impulso di cui ancor oggi la biologia risente. Lo sviluppo della sistematica è dovut6 al genio di uno dei maggiori natura­ listi di tutti i tempi, CARLO LI N NEO. N acque a Rashult in Svezia, il 1 3 maggio 1707, primo figlio di Nils, il quale era di origine contadina, ma s'era istruito ed era poi divenuto pastore di quella parrocchia. Com'era consuetudine allora per gli svedesi che da contadini divenivano borghesi colti, il padre di Linneo aveva ab­ bandonato il patronimico Ingemarsson e si era scelto il cognome di Linné (da Lind, tiglio). Carlo ereditò dal padre la passione per la botanica e si dedicò fin da gio­ vane agli studi medici e naturalistici. A quei tempi la botanica era ancora per lo più esercitata da medici. Nel 1727 si iscrisse all'Università di Lund, donde l'an­ no seguente passò a quella di Uppsala, dove fu ospite di Olaf Celsius, professore di teologia e botanico dilettante. Ancora studente, Linneo scrisse un trattatello sulle nozze delle piante. Olof Rudbeck il giovane, professore di botanica, lo nominò suo assistente. Nel 1730 cominciò, in sostituzione del Rudbeck, le pubbliche letture, che ebbero grande successo, e iniziò la sua opera di sistemazione e di arricchi234

Carlo Linneo in costume di lappone. Quadro a olio di M. Hoffman. (Museo Linneano, Uppsala) .

mento del giardino botanico. N el 1732 Linneo, studente, intraprese da solo e con pochi mezzi un viaggio di erborizzazione in Lapponia. Ne tornò dopo cinque mesi e alcuni anni dopo pubblicò la Flora lapponica (Amsterdam, 1737) . Nel 1734 con­ dusse un gruppo di studenti in Dalecarlia. Soltanto molto tempo dopo la sua morte furono pubblicate le note di questi viaggi che dimostrano un vivo interesse per molti aspetti della natura e dell'umanità. Era abitudine degli svedesi di addottorarsi in medicina in qualche grande cen­ tro europeo, di solito in Olanda. Linneo, con l'aiuto di un benefattore, Moraeus, di cui nel 1739 sposerà la figlia, s'imbarcò nel 1735 per l 'Olanda, e nella piccola università di Hardevijk si laureò, sostenendo una tesi che già aveva scritta in patria. Si trasferì poi a Leida, dove conobbe parecchie personalità, fra cui ] . F. Gronovius, il quale, veduto nelle mani del giovane il manoscritto di un'opera dal titolo Systema Naturae, lo pubblicò a proprie spese (Leida, 1735). Il celebre medico H. Boerhaave 235

Il giardino botanico e la casa di Linneo a Uppsala, come si presentavano nel 1 743 (da una stampa dell'epoca) .

lo presentò al professore di botanica ad Amsterdam, ] . Burman, con cui Linneo lavorò per un anno. Fu poi ospitato da un commerciante, G. Clifford, che abitava presso Haarlem ed aveva un ricco giardino botanico, ed ivi rimase due anni, conti­ nuando i propri studi. Pubblicò in quel volger di tempo Fundamenta botanica (Leida 1736) opera che riscosse unanime plauso ed esercitò molta influenza sugli studi botanici. Rifiutate diverse offerte di buone posizioni accademiche e desideroso di ritor­ nare in patria, Linneo si recò prima in Inghilterra ( 1736) , poi fece ancora ritorno in Olanda, dove curò la pubblicazione di altre opere, fra cui Hortus Clitfortianus (Am­ sterdam, 1737) , in cui descrive le piante del giardino botanico del Clifford, Genera plantarum (Lei da, 1737) e Classes plantarum (Leida, 1738) . Dopo una visita ai fratelli de ] ussieu e al Réaumur a Parigi, rientrò definitivamente in patria ( 1738) e cominciò a esercitare la medicina a Stoccolma. Nel 1741 fu chiamato alla cattedra di fisica e anatomia dell' Università di Uppsala e l'anno successivo passò a quella di botanica. A Uppsala e nella residenza estiva di Hammarby, trascorse il resto della sua vita, rifiutando le offerte di cattedre che gli vennero da parecchie università europee. I rico­ noscimenti del suo valore e le onorificenze gli giunsero da ogni parte, e nel 1761 ebbe dal re la patente di nobiltà, per cui il suo nome divenne Carl von Linné. Ma la sua salute andava declinando : a 6o anni la memoria cominciò ad affievolirsi ; nel 1774 ebbe un insulto apoplettico che lo privò dell'uso della parte destra del corpo. Il ro gennaio 1778 morì e fu sepolto a Uppsala. In tale città si conserva ancora la sua casa, con molte delle suppellettili e il giardino botanico, così com'era disegnato al suo tempo. Libri e manoscritti invece furono venduti dalla vedova - morto l'unico figlio che Linneo

Frontespizio della pri­ ma edizione del Syste­ m.a naturae di Linneo (Leida, 1 735 , ?· n-folio) .

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C1' 1. Quella che si considera come fondamentale, almeno per la parte zoologica, è la decima (Stoc­ colma, 1758-59, 2 voll.). Invano si cercherebbe nell'opera di Linneo il tentativo di edificazione di una teoria o di un'interpretazione generale dei fenomeni vitali nel senso fisiologico. Pago della spiegazione tradizionale e ligio al dogma cristiano, Linneo si pose come problema es­ senziale la classificazione non solo degli esseri viventi ma anche dei minerali e di altri oggetti naturali. E il compito era degno d'una mente sovrana. Dotato di un acutis­ simo spirito di osservazione, di una singolare capacità di rilevare le differenze essen­ ziali e più costanti e di descriverle nel modo più sobrio e preciso, mosso da un grande entusiasmo, che seppe comunicare a quanti lo circondavano, egli intraprese, con piena coscienza dell'immensità del disegno, la sistemazione dei tre regni della natura. Co­ minciò con la botanica: dal lavoro del Camerarius sul sesso delle piante fu indotto a studiare gli organi della generazione e giunse così alla istituzione del cosiddetto sistema sessuale, cioè di una classificazione basata principalmente sulla struttura e disposizione degli stami e dei pistilli. Si dedicò poi allo studio degli animali, e anche del regno inorganico (in questo campo la sua opera è meno importante e meno felice) . Si valse dapprima, per designare le specie, di brevi definizioni da far seguire al nome del genere, secondo l'uso invalso e adottato nelle opere dei suoi predecessori, ] . Ray, ] . Jung, ]. Tournefort, Quirinus, ecc. Ma nel 1753 introdusse per le piante la nomenclatura binomia, secondo il metodo, che aveva proposto già nel 1751 nella Philosophia botanica. Poco dopo applicò tale sistema di nomenclatura anche agli animali e ne fece uso nelle successive edizioni del Systema. La nomenclatura binomia, tuttora in uso, si serve di due nomi latini per indicare ogni specie animale o vegetale. I l primo è comune ad altre specie dello stesso genere, quasi come il cognome nella società umana, il secondo è un attributo al primo: tutti e due insieme designano una specie. Ecco alcuni esempi di nomi linneani: Canis fami­ liaris, il cane; Canis lupus, il lupo ; Canis hyaena, la iena; Canis vulpes, la volpe; Canis aureus, lo sciacallo ; Cervus camelopardalis, la giraffa ; Cervus elaphus, il cervo; Cervus alces, l'alce. Al nome di ogni specie, o altro gruppo sistematico, Linneo fece seguire una breve descrizione o > che caratterizza la specie in modo succinto, mc1s1vo, e non di rado elegante, pur nello stile disadorno. Ecco ad esempio la diagnosi del genere Canis : Dentes primores superiores V I : laterales longiores distantes: intermedii lobati. I nferiores VI : laterales lobati. Laniarii solitari, incurvati, Molares VI seu VII (pluresque quam i n reliquis)

Del Canis familiaris : Habitat saepium cum homine passim, etiam spontaneus evasit. Caput vertice carinatum. Labium inferius lateribus dentatis nudis occultatum. Mystaces ordinibus 5 seu 6. Nares extrorsum recurvato sinu lunares. Auriculae margine baseos superiore

Schema del sistema sessuale delle piante, nella prima edizione del Systema naturae di Linneo.

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reflexo; posteriore duplicato; antico trilobo. Verrucae faciei pilosae 7· Suturae velleris 8 ; collares, sternea, cubitales, abdominales, oculares, lumbares, auriculares,. anales. Mammae ro: harum quatuor in pectore. Pedes subpalmati. Edit carnes, vegetalia farinosa non olera. Digerit ossa; vomitu a gramine purgatur, cacat supra lapidem : album graecum, septicum summum1. Potat lambendo, mingit ad latus, cum hospite saepe centies, odorat anum alterius, odorato excellit, naso humido. Levissime incedit supra digitos, vix sudat, calidus linguam exerit, cubitum iturus circumit locum, dormit auditu acutiore, somniat. Procis rixantibus crudelis, catullit cum variis, mordet illa illos, cohaeret copula junctus; gravida 63 diebus, parit saepe 4 ad 8, masculis patri similibus, femineis matri. Fidissimus omnium, docilis, odit ignotos, mordet proiectum lapidem, ad musicam ululat. Latrat in peregrinos, excepto cane Americae australis; a Mahometanis rejectus.

1

A lbum graecum era il nome usato nella farmacopea per lo sterco di cane, cui si attribuivano

virtù medicinali.

239

Del gatto Felis catus : Moribus congenerum, tranquilla, ore molat, caudam erigit; excitata agilissima, scandit, irata fremit odore ambrosiaco. Murum Leo, in praedam intenta caudam movet, oculi noctu lucent, in­ hiando praedam haurit, clamando rixandoque misere amat. Pupilla interdiu perpendiculari oblonga, noctu tereti ampliata; unguibus complicatis incedit, parce bibit, urina corrosiva, stercus sepelit, carnes edit vegetabiliaque respuit, os instante tempestate manu lavat, dorsum in tenebris electrisat, in altum acta decidit in pedes. Pulices non habet. Delectatur Maro, Nepeta, Valeriana.

È impossibile dire di più e meglio con sì scarse parole (anche se v'è qualche errore,

come che il gatto non abbia pulci) . L'importanza della riforma della nomenclatura introdotta e raccomandata dal­ l'autorità di Linneo, se non completamente creata da lui, fu enorme, perchè, grazie a questo metodo, fu possibile coordinare e sistemare l'ingente numero delle specie allora conosciute, e, quel che più importa, fu resa possibile la sistemazione delle mol­ tissime altre che furono scoperte e descritte in seguito. La concezione linneana del mondo è sostanzialmente quella di Aristotele, tra­ sferita nella filosofia cristiana. Afferma infatti Linneo , cioè tante sono le specie oggi esistenti quante in principio furon create dall'Ente infinito. Il che equivale a dire che, quando un naturalista si trova in dubbio, dinnanzi a due forme affini, se considerarle come specie distinte o come semplici varietà di una stessa specie, dovrebbe, per dirimere la questione, rifarsi al giorno della creazione e vedere se Iddio ne creò una sola o due molto simili. Il che è ovviamente impossibile a mettere in pratica. Ogni specie esiste dunque in quanto è stata ideata da Dio e in quanto dalla divina potenza venne chiamata in vita all'atto della creazione. Si perpetua nel tempo senza subire mutamenti. Ne11a mente divina preesiste un'idea o forma cioè il tipo del cane, del gatto, della quercia, della rosa, e così via, che viene attuato in innumerevoli esistenze individuali, in perenne successione. La specie ha dunque una sua esistenza ideale, o tipologica, al di fuori degli individui stessi. Tutta l'opera linneana è pervasa da un senso di pavida ammirazione per la sublime potenza del Creatore : . Oh Jehova Quam ampla sunt Tua opera ! Quam sapienter Ea fecisti ! Quarn piena est Terra possessione Tua !

si legge all'inizio del Systema Naturae. E più oltre : Terribilia sunt opera Tua Domine in rnultitudinae virtutis Tuae, Te rnetientur inirnici Tui.

E l'lntroit1ts dell'opera stessa è tutto un inno alla divina sapienza, che l'uomo solo tra le creature è in grado di comprendere e che deve glorificare.

Gli organi sessuali delle piante. Illu­ strazione della pri­ ma edizione d e l Systema natu·rae di Linneo.

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Deum sempiternum omniscium, omnipotentem a tergo transeunte, vidi et obstupui ! Legi aliquot Ejus vestigia per creata rerum, in quibus omnibus, etiam minimis, ut fere nullis, quae Vis ! quanta Sapientia ! quam inextricabilis Perfectio ! Sapientia, divinae particula aurae, summum est attributum Hominis Sapientis. Primus Sa­ pientiae gradus est res ipsas nosse. Notitia consistit in vera idea obiectorum, qua similia a dissi­ milibus distinguuntur notis propriis, a Creatore rebus inscriptis; hanc notitiam ut cum aliis com­ municet, nomina propria non confundenda singulis diversis imponat; Nomina enim si pereunt perit et rerum cognitio.

E così di seguito, denominando, definendo e precisando con una chiarezza di vedute generali e una sicurezza circa i metodi da seguire nell'indagine (una precisione episte­ mologica e semantica, diremmo con parole oggi di moda) che ancor oggi stupiscono e commuovono chi legge. E, leggendo, s'intende che quella chiarezza e sicurezza rap­ presentano la grande forza che ha dato vita all'opera linneana. Ben altro, dunque, che compito tecnico e marginale, quello del sistematico. È tutta una filosofia, una Weltanschauung che si concreta in questa attività. Compito del naturalista è di elucidare e descrivere il meraviglioso disegno del Creatore, per la gioia di partecipare della Divina Sapienza, per scoprire la involuta veritas che in alto 16.

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Storia delle Scienze,

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Incisione con ritratti dell'autore e di Linneo, premessa alla Illustratio systematis se;rualis Linnaei di G. Miller (Londra, 1 794).

latet, per ammirare e glorificare l'opera di Dio. I l lavoro del sistematico compendia dunque in sè tutta l'essenza delle scienze della Natura. Come piana, sicura, tranquil­ lizzante appare oggi a noi la visione del naturalista settecentesco in questo tormentato Novecento, lancinato dai dubbi sulla essenza stessa della scienza e sulla natura del processo del conoscere ! Linneo ben sapeva, nella sua cristiana umiltà, di non aver dato fondo alla descri­ zione dell'Universo. Molto rimaneva da fare ai naturalisti. Egli chiude il primo volume del Systema Nahtrae con due citazioni che sono come un programma di ricerche future : Pauca haec vidimus operum Dei, Multa abscondita sunt majora his Ea quae scimus sunt pars minima eorum, quae ignoramus.

Ma non sospettava, il dogmatico naturalista, che le cose che sarebbero state sco­ perte di lì a poco ne avrebbero demolito il sistema introducendo l'idea evoluzionistica. La classificazione linneana può definirsi ottima per quanto riguarda la definizione del concetto di specie e la ripartizione delle specie in generi, famiglie, ordini, categorie ben definite da Linneo nel loro valore gerarchico. Nel seno delle singole specie Linneo aveva anche riconosciuto l 'esistenza di categorie di ordine inferiore, alle quali, pur descrivendole, non attribuiva grande importanza: così nella specie Homo sapiens, distinse le varietà americanus, europaeus, asiatt:cus, aper, monstrosus. Nell'altra specie da lui attribuita al genere Homo, l'orango, Homo nocturnus, invece non esistono va­ rietà. Ma, di fronte all'eccellenza della classificazione dei gruppi minori, si deve os­ servare che le grandi suddivisioni del regno animale e del regno vegetale sono assai meno felici di quelle ammesse da Aristotele. Linneo divide gli animali in sei grandi classi : Mammiferi, Uccelli, A nfibi, Pesci, Insetti e Vermi. Lo studio dell'anatomia comparata permetterà di supplire alle deficienze di questa classificazione, e con­ durrà, con l 'opera del Cuvier, alla istituzione della dottrina dei tipi o phyla. La mole del lavoro eseguito da Linneo è veramente sorprendente, anche tenendo conto ch'egli fu aiutato da molti collaboratori ed allievi cui comunicava il sacro fuoco dell'entusiasmo, e che inviava ad esplorare regioni lontane. Il primo, cronologica­ mente, fu PETER ARTEDI, svedese, (r705-I735) che con Linneo condivise i primi studi ad Uppsala nonchè le strettezze economiche. Artedi si occupò soprattutto dei pesci (Ichthyologia, Leida, 1738) e i suoi risultati furono utilizzati da Lin neo nel Systema Naturae. Le categorie sistematiche stabilite da Artedi sono rimaste pressochè immu­ tate nella ittiologia moderna. Anche Artedi si recò in Inghilterra e poi in Olanda: ad Amsterdam morì, giovanissimo, annegato in un canale. Fra gli altri notevoli allievi di Linneo ricordiamo HASSELQUIST, che esplorò l'O­ riente, dove morì; LOFLING, che morì in America meridionale ; FoRSKAL, che esplorò l'Arabia; THUNBERG, che si recò in Giappone. Particolare menzione merita il danese ]OHAN CHRISTIAN FABRICIUS (1745-I8Io) che fu uno dei più notevoli continuatori dell'opera del maestro nel campo dell'entomologia (Species lnsectorum, Amburgo, 178 1 ) . Istituì una classificazione degli insetti basata sulla conformazione degli or­ gani boccali, sistema éhe fu poi fuso con quello linneano (fondato sulla struttura delle ali) da ]. K . vV. Illiger. 243

3· Buffon.

Dopo Linneo l'opera di sistemazione del mondo dei viventi fu continuata da nu­ merosi naturalisti, che, sulla traccia da lui segnata, si diedero a cercare, indi­ viduare, descrivere accuratamente le specie di animali e di vegetali e a trovarne la collocazione in un sistema di classificazione >, tale cioè che rispecchi vere e profonde affinità o divergenze fra gli organismi e non soltanto somiglianze o diffe­ renze di caratteri superficiali, contingenti. I l lavoro è stato assai proficuo : avremo occasione di farvi cenno in seguito. Basti qui ricordare che, di fronte alle poco più di 4000 specie di animali e poco meno di 8ooo di piante descritte da Linneo, si valuta oggi a circa r . ooo.ooo il numero delle specie animali conosciute e a poco meno di 300.000 quello delle piante. Di fronte a questo colosso, fondatore della biologia sistematica, sta un altro gi­ gante, suo contemporaneo, e per molti caratteri completamente antitetico : Buffon. GEORGEs-Louis LECLERC nacque a Montbard, in Borgogna, nel 1707, e a 25 anni aggiunse al nome di famiglia il predicato DE BuFFON. Erede di una notevole for­ tuna !asciatagli dalla madre, seguì i corsi di diritto e poi di medicina ad Angers, ma dovè abbandonare la città e gli studi per aver ucciso un ufficiale in duello, per affari di donne. Viaggiò poi in Francia, insieme con un ricco inglese, lord Kingston e

Buffon all'età di 54 anni. Quadro di F. H. Drouais.

244

Il tarsio (piccola proscimmia

vivente

nell'Asia insulare sud-orientale) . Tavola della Histoire

naturelle générale et particulière di Buffon, tomo X I I I (Parigi, 1 765).

245

Scheletro del lupo. Tavola della Histoire naturelle générale et particulière (Parigi, 1 758) .

di

Buffon, tomo VII

si spinse fino a Roma; p01 s1 recò in Inghilterra, dove fu fatto membro della Royal Society. Si stabilì a Parigi, sempre più interessato agli studi di fisica e di matema­ tica. Eseguì alcuni esperimenti sulla resistenza del legno, e tentò di migliorare la qualità delle essenze lignee che crescevano nelle grandi foreste di cui era proprieta­ rio, e, fin dal 1734, entrò all' Académie des Sciences. N el 1739 fu nominato Intendent d,u lardin d�t Roy : quella istituzione che dopo la Rivoluzione fu chiamata lardin des Plantes, e che vive ancor oggi. Incaricato di iniziare una descrizione del Cabinet du Roy (quello che diverrà poi il celebre Muséum d'Histoire Nat�trelle) concepì il disegno di un'opera molto più va­ sta: una descrizione dei tre regni della natura. Progetto simile a quello di Linneo, ma molto diversamente realizzato. Dieci anni più tardi comincerà ad uscire la: Histoire naturelle générale et particulière. Alternando i soggiorni a Parigi con quelli a Montbard, il Buffon dedicò tutto il resto della sua vita lunga e operosa a quest'opera monumentale. Si ritirava a scri­ vere nel suo studio, elegantemente vestito, con polsini di pizzo, come se dovesse pre­ sentarsi al pubblico e ai posteri, al plauso dei quali molto teneva. Visse così, signo­ rilmente, desideroso di magnificenza e di gloria, amministrando oculatamente i propri affari e accumulando onori e ricchezze, con un senso edonistico della vita. Fu ama­ reggiato soltanto dalla precoce morte della moglie e dalle intemperanze dell'unico figlio prodigo e dissennato, che finì poi sulla ghigliottina, non senza dignità, nel 1793· La sua lunga vita, allietata per molti anni dall'amicizia di M .me Necker, che gli fu fedele fino alla fine, si conchiuse prima che il turbine della rivoluzione potesse scon­ volgerla : il conte de Buffon morì a Parigi nel 1788. La grande opera di Buffon, di gran lunga la più nota e la più importante di tutte quelle che ha scritto, è, come abbiamo detto, la Histoire naturelle générale et parti­ culière avec la description du C abinet du Roy. I primi tre volumi della edizione ori­ ginale furono pubblicati nel 1749, i successivi uscirono negli anni seguenti, fino al 1 804, anno in cui uscì il 44° e ultimo. I volumi 36-44 sono postumi. Non meno di 1290 tavole di ottima fattura, dovute quasi tutte ad un sol disegnatore, Jacques de Sève, adornano quest'opera colossale. La quale ebbe un grandissimo numero di edi­ zioni, di traduzioni (la prima italiana si cominciò a pubblicare a Venezia nel 1782) di rimaneggiamenti, riassunti, estratti, che cominciarono a pubblicarsi vivo l 'autore e si protrassero praticamente per tutto il secolo XIX. Nella stesura dell'opera, soprattutto per la parte analitica, descrittiva, e special­ mente per i particolari anatomici, Buffon si valse dell'opera di molti collaboratori. I l principale fu L.-J .-M. DAUBENTON, anche nativo di Montbard (r7r6-r799) che Buffon fece venire a Parigi , e a cui affidò le descrizioni anatomiche. In seguito la buona armo­ nia fra i due naturalisti si ruppe, e Buffon tolse la parte anatomica dalle edizioni suc­ cessive, il che ridusse di molto il valore scientifico della sua opera. Altri collaboratori furono l'abate BE XON GuÉREAU DE MoNTBÉLIARD, LACÉPÈDE. Quest'ultimo, cui fu­ rono affidati i rettili, curò la continuazione dell'opera dopo la morte del Buffon. Il proposito di descrivere tutta la natura, rivaleggiando con Aristotele, i l maestro di color che sanno, era dunque nato contemporaneamente in due uomini diversi, in diverse latitudini e climi fisici e spirituali. La concezione che Buffon ha della storia ,

247

L' air on e c ol c i u ffo . Tavola della Histoire naturelle des oiseaux di Buffon (Parigi, 1 770-86).

naturale si rivela subito profondamente diversa da quella di Linneo : essa è essen­ zialmente filosofica e tende quindi piuttosto ai problemi generali, anzichè alla ana­ lisi dei fatti singoli con intento sistematico. Nella descrizione dei vari organismi prevale l'interesse per le loro abitudini di vita, per le singolarità di struttura, di habitat, di costumi, rispetto all'arida ricerca delle differenze morfologiche delle specie. Lo stile è narrativo, anzichè sintetico, e la sua eleganza, la sua sonorità, la forbitezza (che, come sappiamo da documenti sicuri, il Buffon curava atten­ tamente e imponeva anche agli scritti dei suoi collaboratori) fanno di quest'opera un esempio di bello scrivere ricordato in tutte le storie della letteratura francese. Il Buffon, infatti, abbandonò la lingua dotta, il latino, e scrisse esclusivamente in francese. L'uomo è sempre al centro di tutta la storia naturale : prima il Buffon descrive la specie umana, poi gli animali domestici, infine i selvatici, sempre considerando le loro relazioni con l'uomo. Ma questo antropocentrismo non è del tipo teocratico

Il chiurlo del Ma­ dagascar. Tavola della Histoire na.tu­ relle des oiseaux

di Buffon.

come quello linneano. Buffon visse in quel Settecento francese dalla società un po' viziata, in cui lo spirito smaliziato degli illuministi cominciava a diffondersi ; in quella Parigi in cui nel 1751 vedeva la luce il primo volume della Encyclopédie di Diderot e d' Alembert. Quindi tutta l'impostazione della sua opera è incomparabilmente più libera dagli schemi tradizionali, che non quella di Linneo. Di questa, della nomen­ clatura binomia, del sistema classificatorio egli tenne pochissimo conto: più volte ironizza, spesso con argomenti puerili, contro il sistema del grande svedese. Basti citare un suo giudizio, sia pure viziato da quell'incorreggibile desiderio di fare lo spirito, da quello amor di paradosso che spesso si trova nei francesi, per compren­ dere quanto poco il Buffon amasse la sistematica: eccetera. Il Buffon, in un primo tempo, si sottomise, e nel volume IV della Histoire Naturelle (1753) pubblicò una ritrattazione. Parecchi anni dopo ebbe nuovamente ad incorrere nella riprensione dei teologi, e per la stessa ragione : pronunziò infatti un coraggioso discorso sulle Époques de la nature, nel 1773 all'Accademia di Digione, in cui ribadiva i concetti già espressi nella Histoire de la terre. In seguito a nuove minacce della Sorbona, Buffon ritenne prudente lasciare Parigi ; l'abate Bexon preparò le risposte ad una eventuale denuncia. Ma la denun­ cia, forse per l'intervento di M.me Necker, non venne. Buffon è generalmente considerato come un precursore della teoria dell'evoluzione. In verità egli si esprime in modi diversi, in vari punti della sua opera: prima sembra 250

Allegoria della storia naturale. Incisione premessa al primo tomo della Histoire naturelle générale et particulière di Buffon (Parigi, I 749).

credere alla fissità delle specie ; poi manifesta idee nettamente trasformiste. Per esem­ pio là dove dice : ., è considerato da alcuni autori come precursore delle teorie dell'evoluzione. I l Valli­ snieri fu insomma un naturalista completo e ispirato da idee di una notevole moder­ nità, e fu tra i primi a porsi come oggetto di studio vermi, insetti e altri invertebrati. Il più eminente dei naturalisti che si dedicarono a queste ricerche è un francese, prelinneano : RENÉ-ANTOINE FERCHAULT seigneur de RÉAUMUR, des ALPES et de la BERMONDIÈRE (r683-1757) universalmente conosciuto sotto il nome di RÉAUMUR. Era un gentiluomo dotato di cospicuo censo, di intelligenza vivace, e di viva pas­ swne per le scienze. Dopo di aver studiato giurisprudenza a Parigi, si diede intera254

mente alla ingegneria, alla fisica, alla biologia. Studiò la fusione del ferro, la forma­ zione dell'acciaio, la dilatazione dei gas e dei liquidi e altri problemi pratici e teorici, ed è soprattutto noto al pubblico per il suo termometro con scala divisa in Bo gradi, che è stato molto usato in passato e lo è ancora in alcuni paesi. Associato all' Acadé­ mie des Sciences come allievo fino dall'età di 23 anni, divenne ben presto una per­ sonalità molto influente : > come lo chiama il biologo ginevrino Charles Bonnet. Intratteneva corrispondenza con molti studiosi stranieri, e in certo modo ne autenticava le scoperte più importanti, ripetendole o facendole ripetere sotto la sua direzione. Così fece conoscere gli esperimenti di Trembley sull'idra d'acqua dolce (pag. z6o) e la scoperta della partenogenesi degli afidi fatta dal Bonnet (pag. 288) .

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Nascita delle larve, deposizione delle uova e formazione della pupa della

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(Padova, 1 7 1 3 ) .

2 55

Dame e cavalieri alla raccolta dì insetti, di notte. Incisione dai Mémoires di Réaumur (Parigi, 1 737).

Verso la fine della sua vita la sua importanza declinò di fronte al nuovo astro nascente : Buffon. La parte più importante dell'attività del Réaumur è certamente quella biologica . Eseguì numerosissime osservazioni ed esperimenti sui più vari argomenti, con ri­ sultati di notevole importanza, su alcuni dei quali dovremo ritornare : studiò, per esempio, la rigenerazione delle zampe del gambero ; l'organo elettrico della torpe­ dine ; la formazione della conchiglia dei Molluschi, che riconobbe come una se­ crezione del mantello ; il movimento di molti animali inferiori ; la luminosità ani­ male, la formazione della porpora. Tutte questioni di grande interesse scientifico, molte delle quali fu il primo a considerare. Particolarmente importanti le sue ricerche sulla digestione, di cui avremo occasione di riparlare (pag. zgg) . Ma l'opera sua più conosciuta, che ancor oggi si legge con ammirazione e con diletto, è costituita dai sei grossi volumi di Mémoires po�tr servir à l'histoire des in­ sectes (Parigi, 1734 e segg.) . In essa è in certo modo continuata ed estesa l'opera di Swammerdam, il cui sistema e il cui metodo di ricerca sono adottati dal Réaumur. Questi non raggiunse la somma perizia dell'olandese nell'eseguire preparati anatomici di piccoli animali, ma in compenso estese le osservazioni, oltre che alla morfologia, all'anatomia e allo sviluppo, e anche alla vita e ai costumi degli insetti, raccogliendo una massa imponente di osservazioni, che costituiscono il primo fondamento di una disciplina destinata a svilupparsi rigogliosamente nei secoli successivi: l'entomologia. Studiò accuratamente bruchi e farfalle ; scoperse gli insetti entomofagi, che de­ pongono le uova nel corpo di altri insetti, i quali vengono divorati dalle larve che sgusciano da tali uova; osservò le larve minatrici di foglie, che scavano gallerie sot­ tilissime nel parenchima foliare. Studiò lo sviluppo delle cicale e gli organi della stri­ dulazione. Ma soprattutto eccelse per le osservazioni sulla vita delle api, compiute zs6

Il naturalista olandese Alberto Seba (r66s-1736), nel museo costituito dalle raccolte fatte durante i suoi viaggi per conto della Compagnia delle Indie. Incisione del 1734·

Storia delle Scienze, III:

Sciami di api. Ta­ vola dai lviémoires di Réaumur.

con l'aiuto di arnie dalle pareti di vetro, che egli ebbe l'idea (largamente imitata in seguito) di costruire e che gli permisero di penetrare in molti segreti della società di questi imenotteri. Nell'opera precisa e accurata di questo naturalista - che fu molto apprez­ zata anche da Linneo - vediamo così affacciarsi alcuni motivi molto importanti della ricerca biologica: lo studio della vita e dei costumi degli animali, anche i più lontani da noi. Studio improntato al più puro disinteresse e al più completo rigore scientifico, che ha condotto, col tempo, alla conoscenza di una immensa quan­ tità di fatti di prima importanza per la scienza pura e per la tecnica. Se noi oggi siamo in grado di difenderci dalle devastazioni prodotte da alcuni organismi nelle culture 17.

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agricole o negli allevamenti di animali ; se siamo riusciti a tenere sotto controllo l'azione di molti parassiti che determinano, o trasmettono malattie all'uomo, agli animali, alle piante, ciò è dovuto alla conoscenza della struttura e della vita di questi animali. E queste nozioni non sono che il seguito delle ricerche eseguite dal Réaumur, e, prima di lui dal Redi e dal Vallisnieri. Forse è opportuno inserire qui - a titolo di contrasto - un cenno ad un'opera di carattere del tutto opposto, che ebbe molta diffusione e l 'onore di molte traduzioni nel Settecento: è di un signor LESSER, ed ha per titolo : Teologia degli inset#, ovvero dimostrazione delle divine perfezioni in t-utto ciò che rig�tarda gli insetti, tradotta già dal Tedesco in francese e ora dal francese nell'italiano (Venezia, Remondin, 175 1 ) . È un'opera di compilazione e d i erudizione, fatta d a uno che probabilmente non si era mai curato di osservare direttamente gli animali di cui parlava, e la cui tesi è chiaramente indicata nel titolo. Anche se annotato da un osservatore acuto e pre­ ciso quale il LYONET (v. pag. 262) questo libro, impregnato di spirito teologico e sco-

lastico, è oggi completamente dimenticato, mentre i Mémoires di Réaumur, che trag­ gono ispirazione dalla osservazione diretta della natura, conservano tutta la loro vitalità. Un eccellente osservatore, che in certo modo continuò l'opera di Réaumur fu KARL DE GEER (1720-I777), ricco industriale svedese, autore di una serie di volumi scritti in francese, che hanno lo stesso titolo dell'opera del Réaumur: Mémoires pour servir à l' histoire des insectes. Il primo volume uscì nel IJS I , il secondo venti anni dopo e gli altri negli anni successivi, fino al settimo, uscito postumo pochi mesi dopo la morte dell'autore (I778) . De Geer descrive circa rsoo specie di insetti, ragni, cro­ stacei, miriapodi, con lo stesso metodo biologico del Réaumur. Riconosce l'ispirazione che da questo ha tratto, ma non manca di criticarlo là dove ne ravvisa la necessità. Contemporaneo di Linneo, De Geer non ne adottò la nomenclatura, e perciò la sua opera non fu considerata dagli zoologi sistematici tanto quanto avrebbe meritato. l'l t

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259

Un altro celebre e accuratissimo investigatore di invertebrati fu ABRAHAM TREM­ BLEY (r7r0-I784), ginevrino, calvinista, di famiglia oriunda francese. Nel 1733 egli si recò in Olanda dove si guadagnò la vita come istitutore in una famiglia nobile in­ glese, che risiedeva in una villa presso l'Aia. Nelle acque che scorrevano lentamente in quei pressi, il Trembley trovò molti piccoli organismi e si mise ad osservarli e a stu­ diarli con l'aiuto di una lente. Delle sue osservazioni il Trembley scriveva al Réau­ mur, che considerava come il più grande naturalista vivente, e a Charles Bonnet (pag. z88) svizzero, con cui era imparentato. Nel 1740 fece una notevole scoperta: osservò per la prima volta quel singolare animale che il Réaumur chiamò polype, e che in seguito ricevette il nome di Hydra. Nei Mémoires pour servir à l'histoire d'un genre de polypes d'eau douce à bras en forme de cornes (Leida, 1744) il Trembley descrive accuratamente lo strano orga­ nismo (di cui, confortato dall'opinione del Réaumur, riconosce la natura animale) , i suoi movimenti, la riproduzione per gemmazione, le sue relazioni con l'ambiente esterno, il modo come cattura il cibo. Sull'idra il Trembley eseguì molti esperimenti veramente singolari e per la modernità dell'impostazione, e per l'abilità tecnica dello sperimentatore. Egli descrisse la facoltà di rigenerazione di questo strano animale, e dimostrò come, con tagli opportuni, si possono ottenere polipi provvisti di numerose teste. Questa proprietà valse al polipo d'acqua dolce il nome di Idra, ché, come il mostro della palude lernea, esso ha la capacità di rigenerare le teste quando vengano amputate. Il Trembley tentò ed ottenne l'innesto di due diversi animali (primo espe-

Ricerca degli animali da sottoporre ad esperienze. I ncisione dai Mémoires di A. Trembley; vi è riprodotta la casa, ancora esistente, in cui risiedette il Trembley, che si vede in primo piano con i due ragazzi di cui era istitutore.

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Anatomia della larva della farfalla Cossus ligniperda. Tavola del

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Traité anatomique de la chenille qui ronge le bois de saule di P.

Lyonet (L'Aia, 1 760). , (l

rimento d'innesto eseguito sugli animali). Ma l'operazione che più d'ogni altra riempì di meraviglia i contemporanei ed è molto ammirata ancor oggi è quella del rovescia­ mento dell'idra come un dito di guanto. Per comprendere la difficoltà di questa ope­ razione, si pensi che l'idra è costituita da uno stelo esilissimo e fragilissimo, lungo pochi millimetri, all'apice del quale sono impiantati i numerosi e sottili tentacoli. Con l'aiuto di una fine setola cui aveva fatto un nodo, introdotta nel tubo che costi­ tuisce la parte principale del corpo di questo celenterato, e poi lentamente tirata, il Trembley riuscì a rovesciare completamente l'idra e osservò che gli animali così trattati sopravvivono, si nutrono e si moltiplicano. Gli esperimenti di Trembley furono ripetuti da vari zoologi moderni nel 1 870, nel r 8go e ancora nel 1933. L'ultimo z6r

autore (R. L. Rondabusk) riuscì a confermare i risultati descritti da Trembley in tutte tre le specie di idre su cui egli aveva sperimentato, che sono ben riconoscibili dalle sue descrizioni e dalle figure. Per comprendere l'enorme interesse suscitato dal lavoro del Trembley bisogna pensare che esso rivelava proprietà degli animali fin'allora quasi sconosciute e inso­ spettate, quali la rigenerazione, la possibilità di innesto, la capacità di sopravvivere dopo un'operazione così drastica come il rovesciamento. Oggi si sa che il corpo del­ l'idra è costituito da due soli strati di cellule, l'endoderma, interno e l'ectoderma, esterno, e dopo che è stato rovesciato come un dito di guanto, le cellule dell'ecto­ derma, venute a trovarsi all'interno, si fanno strada fra quelle dell'endoderma e si riportano all'esterno. Gli esperimenti di Trembley, con quelli che lo Spallanzani (v. pag. 298) eseguì pochi anni dopo, rappresentano i primi di una serie che sarà continuata soltanto dopo più di un secolo, e che farà oggetto di una nuova disciplina : la morfologia sperimentale. Vari altri invertebrati d'acqua dolce, compresi alcuni protozoi, caddero sotto lo sguardo acuto del naturalista ginevrino, che li descrisse con cura nella stessa me­ moria dell'idra e in alcune pubblicazioni successive comunicate alla Royal Society. Per circa un decennio, poi, dal 1747 al 1757 Trembley compì numerosi viaggi al se­ guito del Duca di Richmond visitando molti dei maggiori naturalisti europei in Francia, in Inghilterra, Italia, Svizzera, Germania, Boemia, Moravia. In Italia si intrattenne soprattutto a lungo a Torino, con Vitaliano Donati, che si interessava molto, oltre che di geologia e di paleontologia, di biologia marina. Ma l'uomo da lui soprattutto ammirato e riconosciuto come Maestro fu sempre il Réaumur. Nel 1757 Trembley si ritirò a Ginevra, si sposò e non si interessò più direttamente di scienza: scrisse saggi sulla educazione dei figli e su altri argomenti filosofici e politici. Morì nel 1784. Le figure delle memorie di Trembley sono disegnate da PIERRE LYONET (1707-1789) . Era c�stui nato all'Aia di famiglia francese, protestante, emigrata in Olanda. Non fu naturalista di professione, ma avvocato, poliglotta, poi impiegato come interprete di fiducia del governo olandese. Scrisse alcuni commenti e disegnò qualche figura per la già ricordata Teologia degli insetti di Lesser (pag. 258) ; ma l 'opera che ne rac­ comandò il nome ai posteri è il Traité anatomique de la Chenille qui ronge le bois de SauZe (L'Aia, 1760) . È una eccellente, finissima descrizione dell'anatomia della grossa larva di una farfalla, Cossus ligniperda, la quale in un certo senso continua l 'opera di Swammerdam. Le diciotto accuratissime tavole di meravigliosa precisione e finezza, tanto che ancor oggi possono dirsi insuperate, sono tutte incise di mano dell'autore. Nelle edizioni successive alla prima è anche riprodotto il microscopio semplice di cui si servì per le sue osservazioni ; tipo che fu usato anche da L. Spallanzani e da lui indicato col nome di >. L'intenzione del Lyonet era di descrivere con la stessa minuzia anche la crisalide e l'adulto di Cossus, e poi di continuare il lavoro elaborando un trattato di anatomia degli insetti ; ma mori prima di poter portare a termine il vasto programma, del quale aveva svolto alcune parti. Un'altra singolare figura di naturalista di questo tempo è A u cusT joHANN RoESEL VoN RosE N HOF (1705-1759) nato in Turingia ma stabilito a Norimberga. Fu pittore e SI dedicò soprattutto all 'arte della miniatura, molto pregiata nel Settecento. 262

Visitando Amburgo ebbe oc­ casione di ammirare i bellis­ simi disegni di Sibilia Merian 1 e se ne entusiasmò tanto da volerli imitare. Si diede a studiare e ad allevare insetti, con grande scandalo dei cit­ tadini di N orimberga, che non capivano come ci si potesse occupare di creature così di­ sgustose, che non possono es­ sere state create da Dio, ma devono essere opera del diavolo in persona. Il Male­ branche aveva detto >. Profezia che gli entomologi e i genetisti moderni, che stu­ diano proprio i moscerini, hanno completamente sbu­ giardato. Roesel imparò a costruirsi le lenti per il microscopio, si esercitò alla osservazione del­ le forme esterne e alla disse­ zione, e nel 1741 cominciò Luigi Ferdinando Marsi! i (Marsigli) . a pubblicare dei quaderni mensili, adorni di tavole, che, raccolti poi in volumi, portano il titolo di Insekten-Belustigungen (4 voli. in 4°, Norimberga, 1746-r76r) cioè ricreazioni con gli insetti. In essi sono descritte molte specie di invertebrati d'acqua e di terra, comprese le idre che il Trembley aveva da poco scoperto, e compresi anche alcuni vertebrati. Le descrizioni dell'accoppiamento. della deposizione e dei primi stadi di sviluppo dell'uovo di rana sono molto notevoli. In seguito gli anfibi diventeranno oggetto di studio preferito dagli embriologi. OTTO FRIEDRICH M D LLER , nato a Copenhagen (1730- r784) di povera famiglia. studiò teologia e giurisprudenza e si guadagnò la vita come istitutore e insegnante privato, poi come archivista di stato. Pubblicò numerose descrizioni di vari inverte­ brati che aveva raccolto in patria e durante alcuni viaggi ch'ebbe modo di fare in 1 MA RIA SYBILLA MERIAN (Francoforte 1 647 - Amsterdam 1 7 1 7) f u pittrice e studiosa di scienze naturali. Le sue pitture di farfalle e d'altri insetti, soprattutto esotici, sono rneritatamente celebri. Compi un• viaggio nel Surinam ( x 6g8- I J O I ) e ne illustrò gli insetti (Metamorphosis In­ sectorum Sur·inamensium, 1 705).

diversi paesi d'Europa. Numerosi sono i piccoli crostacei, vermi, molluschi, celenterati da lui descritti ( Verminum terrestrium et fluviatilium historia, Copenhagen 1733, Zoologia danica, ivi, 1770-So) . Deve essere ricordato particolarmente come uno dei primi descrittori dei protozoi (A nimalcula injusoria fluviatilia et marina, Copenhagen, 1786) , di cui tentò una classificazione. Tale sua opera fu poi continuata da Ch. G, Ehrenberg nel sec. XIX. ·s. La biologia marina.

Alcuni naturalisti del Settecento cominciano ad interessarsi all'ambiente marino, che sarà fonte inesauribile di sorprendenti osservazioni e scoperte nel sec. XIX e nel XX. Si suole considerare come fondatore dell'Oceanografia fisica e biologica il conte LUIGI FERDINANDO MARSILI (o Marsigli) di Bologna ( r658-1730) . Questo sin­ golare gentiluomo, autodidatta, esploratore, scienziato non men che uomo d'armi pubblicò infatti una Histoire physique de la Mer, con prefazione di H. Boerhaave (Amsterdam, 1725) in cui si trovano le prime osservazioni metodiche sulla fisica del mare, oltre a non poche osservazioni biologiche. Già nel r68r il Marsili aveva pub­ blicato le Osservazioni intorno al Bosforo Tracio (Roma, 1861) in cui aveva descritto le correnti osservate nel canale di Costantinopoli e aveva dato cenni su vari pesci e molluschi da lui trovati in quel mare. Del 1714 è una Dissertazione de generatione jungorum (Roma) in cui pubblica preziose osservazioni sull'argomento allora tanto misterioso della generazione dei funghi ; conclude escludendo che essi nascano spon­ taneamente dalla putredine, e ne attribuisce l'origine ad una specie di muffa sotter­ ranea. Indovina quindi la funzione del micelio, e precorre così le celebri esperienze che saranno compiute poco dopo dal botanico fiorentino P. A. MICHELI, il fondatore della micologia. Arruolatosi nell'esercito imperiale di Leopoldo I I , fu inviato alla fortezza di Gia­ varino (Gyor) e ne preparò un piano di fortificazione. Fu poi ferito e cadde prigioniero dei turchi, ma venne riscattato (1634) . Riprese servizio e raccolse materiale per la descrizione geografica di una parte della regione danubiana (Danubius Pannonico­ Mysicus, 1769, opera in 6 volumi in folio con più di 200 incisioni) . Iniziatasi la guerra di successione di Spagna contribuì alla difesa di Breisach, ma, in seguito alla resa di quella fortezza fu degradato da generale e la sua spada venne spezzata. Durante la sua vita avventurosa il Marsili raccolse molti materiali vari: libri, manoscritti, oggetti d'arte e naturali, che lasciò poi, insieme con molti suoi manoscritti inediti, all'Istituto delle Scienze (poi Accademia delle Scienze dell' Istituto) di Bologna, che egli aveva fondato nel I7I I . A l Marsili si debbono le prime osservazioni che portarono a riconoscere l'animalità del corallo. Fino al secolo XVII del corallo era conosciuto soltanto lo scheletro, quello che si usa per farne oggetti d'ornamento. Si pensava, data la forma, che fosse di natura vegetale, e poi pietrificata. Oppure una pianta lapidea, vivente. Nel 1706, in una memoria all' Académie des Sciences, Marsili descrisse i > bianchi che si vedono uscire dai ramoscelli di corallo lasciati tranquilli nell'acqua per qualche ora. Il medico e naturalista francese jEAN-ANTOINE PEYSSONNEL (n. 1694)

Tavola della Raccolta di pesci di L. F. Mar­ sili (Bologna. Museo Marsili) .

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di Marsiglia, nel 1723 ripetè le osservazioni del Marsili, ma comprese che non si trat­ tava di , bensì di animali : verso la fine del secolo, che pure ebbero la loro importanza nella storia della biologia. Nel campo dell'anatomia microscopica, poi, come abbiamo detto, si rileva una stasi in confronto ai grandi successi della mi­ croscopia secentesca. BERNHARD SIEGFRIED ALBI NUS (1697-1770) di Francoforte sull'Oder fu profes­ sore di anatomia a Leida fin dall'età di 24 anni e fu molto considerato dai suoi con­ temporanei. Era infatti uomo di grande cultura; si dedicò anche alla storia dell'ana­ tomia, e fu un eccellente professore. Studiò lo sviluppo dello scheletro umano, e pub­ blicò un'opera descrittiva molto accurata e adorna di bellissime incisioni : Tabulae sceleti et musculorum corporis humani (Leida, 1747) . Ebbe molti allievi. Uno di questi, NATHANAEL LIEBERKUHN (1731-1756) di Berlino, nella qual città esercitò la medicina pratica, si dedicò ali ' anatomia microscopica. N ella sua Dissertatio de fabrica villorum intestini (Leida, 1745) descrisse, fra l'altro, le cripte che si trovano nella mucosa dell'intestino tenue, e che ancora portano il suo nome. Fra i più notevoli allievi di Albinus è PETER CAMPER ( 1722-1789) di Leida, pro­ fessore ad Amsterdam e a Groninga. Si occupò di moltissimi argomenti, dalla chi­ rurgia alla ginecologia, alla medicina veterinaria. Importanti sono soprattutto le sue ricerche sulla struttura del corpo umano e in particolare del cranio. Può dirsi l'ini­ ziatore dell'antropologia fisica : istitui la misura di quell'angolo facciale che porta il suo nome, e che misura l'aggetto del margine alveolare e consente una particolare classificazione antropologica delle razze umane. Camper si interessò anche molto alle scimmie antropomorfe e in particolare all'orango. Studiò ancora l'anatomia di molti altri animali (elefanti, rinoceronti, renne, ecc.). Scoperse che le ossa degli uccelli sono pneumatizzate, cioè contengono cavità piene di aria. Descrisse compara­ tivamente l'apparato uditivo dei pesci, delle balene e dei rettili. Vediamo quindi in Camper un inizio di anatomia comparata: un interesse per lo studio della morfologia 270

Il Vespertilio sorici­ nus. Tavola della Miscellanea Zoologi­ ca di P. S. Pallas (L'Aia, 1 7 66) .

animale, che fa contrasto con la pura descrizione delle forme esterne in cui si esauri­ vano gli studi di Linneo e dei linneani. Una singolare personalità, che si ricollega a questo indirizzo è quella di JoHN HUNTER ( 1728-1793) , scozzese, di umile origine e scarsamente coltivato. Si recò a Londra presso il fratello William (1718-1783) medico assai apprezzato e autore di una celebre A natomy of the human gravid uterus (Birmingham, 1774) che contiene venti­ quattro tavole considerate come capolavori dell'iconografia anatomica. John Hunter si diede a sezionare ogni sorta di animali, mosso da una sorta di furor di ricerca, non guidato però da un'idea conduttrice. Raccolse un grande museo di preparati anatomici, che dopo la sua morte fu acquistato dallo Stato e consegnato al Collegio Reale dei Chirurghi di Londra, dove tuttora si trova. Alcune delle sue osservazioni pubblicò nelle Philosophical Transactions, ma la maggior parte rimasero inedite e molti dei 271

Il sistema cerebro-spinale. Tavola del De corporis humani facie adversa di P. Mascagni (Firenze, Museo di Storia delle Scienze).

272

suoi manoscritti andarono perduti dopo la sua morte. L'opera di Hunter non ebbe quindi grande influenza sullo sviluppo storico della biologia. Tuttavia egli fu molto conosciuto ed apprezzato come eccellente osservatore, ai suoi tempi, e il museo hun­ teriano rimane come un documento dell'interesse già vivo nel Settecento per lo studio comparativo della struttura degli animali. PETER SIMON PALLAS ( 174I-I8r r ) di Berlino fu invece un esploratore, mandato in missione dal governo russo ad esplorare la Siberia (1768), poi la Crimea (1793), donde fece ritorno a Berlino. Descrisse moltissime nuove specie, particolarmente di roditori, e non si limitò ai caratteri esterni, ma studiò con molto interesse anche la struttura anatomica e la biologia degli animali. I suoi Spicilegia zoologica (Berlino, 1767-80) sono una collezione di monografie su vari invertebrati, specialmente sui vermi intestinali. Rilevò quanto eterogenea fosse la classe dei Vermes di Linneo, e credette

Spaccato del torace e della parte inferiore del capo, con il cuore e il sistema di vasi, nelle Tabulae neurolog1:cae di A. Scarpa (Pavia, 1 794). x8.

-

Storia delle Scimzc, I I I l .

273

  • , che gli venne alla mente quando, passeggiando sulla spiaggia del Lido di Venezia, s'imbattè in un cranio di pecora e lo raccolse e si mise ad osservarlo. La teoria, poi sviluppata ulte­ riormente da L. Oken, afferma che le varie ossa di _ cui è composto il cranio dei verte­ brati, sono vertebre modificate e fuse insieme. Tale concezione non è sostenibile oggi, se non per la parte più caudale (posteriore) del cranio: la parte anteriore non è omologabile ad una serie di vertebre. Comunque l'idea di Goethe è stata assai feconda, e non è completamente errata. Fra gli altri principi biologici generali sostenuti dal poeta tedesco è la cosiddetta legge della compensazione, o del bilancio, secondo la quale, se un organo viene mo­ dificato o aggiunto ai già esistenti, ciò non può accadere senza che una o più parti del corpo vengano corrispondentemente modificate o eliminate. Tale principio, già espresso da Aristotele (v. pag. 36) , sarà ripreso nell' Ottocento e acquisterà grande importanza ostto il nome di balancement des organes, o correlazione degli organi . Questo insieme di speculazioni e di osservazioni costituisce i l sostrato di un movimento filosofico-naturalistico che si sviluppò soprattutto in Germania, e che è chiamato dei capaci di nutrire, cioè di trasformarsi nella sostanza di un vi­ vente già formato, in virtù dell'> o > (qualcosa di simile alla > aristotelica) dell'organismo stesso ; pensava inoltre che queste molecole, che alla morte dell'individuo si liberano e vagano per l'aria e per l'acqua, possano passare in un altro individuo e divenire sostanza di questo in virtù della 280

    sua impronta interna, oppure, quando ciò non accade, riunirsi con molecole di ma­ teria bruta e dare origine a piccoli esseri come quelli delle infusioni. Ai quali non è da attribuirsi una vera e propria animalità, e neanche una natura simile a quella dei vegetali, ma soltanto una particolare forma di semplice vitalità. L'ipotesi creata dal genio organizzatore del Buffon e le esperienze bene ideate , ma non molto felicemente condotte dal Needham, si completarono quindi a vicenda in un sistema coerente e geniale. Dopo qualche anno dalle pubblicazioni del N eedham e del Buffon entra in scena, nella storia della Biologia, una grande figura: LAZZARO SPALLANZANI. Nato a Scan­ diano, presso Reggio nell'Emilia nel 1729, studiò a Reggio, poi a Bologna, dove conobbe la celebre Laura Bassi, studiosa di matematica e di fisica, alla quale era anche legato da vincoli di parentela. Abbandonò la giurisprudenza, cui era destinato, e si diede allo studio delle scienze. Fu prima professore all'Università di Reggio (che in seguito fu soppressa) indi a Modena (1763) infine a Pavia (1769) dove rimase fino alla morte (1799) . L'ateneo pavese in quel periodo, per volere dell'Impera­ tore d'Austria Giuseppe II e mercè l 'opera illuminata e solerte dei Governatori della Lombardia, andava ornandosi dei più cele­ bri studiosi del tempo, quali Alessandro Volta, Antonio Scar­ pa, Lorenzo Mascheroni, Valen­ tino Brugnatelli e altri molti. Lo Spallanzani fu fra i più fa­ mosi di questo areopago. Quando il giovane abate era professore di fisica e filosofia al­ l'Università di Modena e di ma­ tematiche e di greco al Collegio di San Carlo della stessa città, gli avvenne di leggere l'opera del Needham. Il suo spirito po­ sitivo non dovette rimanere mol­ to soddisfatto della spiegazione che il Signor Needham dava dei fenomeni che aveva osservato, nè delle interpretazioni del Buf­ fon. Gli sembrava che il volere richiamare in opera > e quel voler > non fosse necessario nè utile per spiegare il fenomeno della generazione. Si mise all'opera per ripetere gli esperimenti del Needham, e in capo a un paio d'anni pubblicò i suoi risultati nel fa­ moso Saggio di osservazioni microscopiche concernenti il sistema della generazione de' Signori di Needham e Butfon (Modena, 1765), che è una delle opere più importanti della biologia moderna. Preparate dunque delle infusioni, vi osservò la comparsa di molti animaletti. Già ad un esame sommario questi esseri gli parvero dotati di vera animalità, e Spallan­ zani si dichiara quindi contrario all'opinione del Buffon, che negava ai microscopici abitatori della goccia d'acqua una vera e propria natura animale. Dopo avere esami­ nata la asserzione del Signor di Needham, che affermava di aver veduto i semi infusi emettere >, alle cui estremità si formavano i microscopici animaletti, che si animavano a poco a poco e fuggivano, e non avendola potuta confermare, egli dichiara di avere osservato invece > e di aver pensato che da queste potessero nascere gli esseri delle infusioni. Non rimosse l'occhio dal microscopio per quattro ore, e i suoi desideri furono pienamente appagati. Vide le massette cominciare ad agitarsi, dapprincipio come poi più agili, fino a divenire gli animaluzzi tanto discussi. Da altre massette vide invece disbrigarsi altrettanti animali e rimanere dei >. Con l'aiuto del semplice microscopio leeuwenhoekiano aveva dunque osservato il nascimento di protozoi dalle loro cisti, o dagli > com'egli chiamava le massette osservate. Gli Infusori, come gli insetti del Redi, come i vermi­ celli di Vallisnieri nascono dunque da ovetti o germi. Non basta ; a confondere anche più gli avversari, che affermavano che i pretesi animaletti non si muovevano come animali, ma come corpi meccanicamente moventesi, osserva con cura il movimento di alquanta e trova che ben diverso è il moto di cui questi sono animati. È il moto che tutti i microscopisti chiamano oggi movimento browniano, dal nome di RoBERT BROWN ( 1773-1858) che ne è conside­ rato lo scopritore. Gli avversari erano dunque sconfitti, ma per toglier loro ogni velleità di resistenza mancava la prova del fuoco. Ed ecco come lo Spallanzani giunse alle cruciali esperienze che segnano la seconda tappa nella storia della dottrina della generazione spontanea, Avendo ripetuto le esperienze del Needham, col fare le infusioni di carni cotte in acqua bollita e altre di controllo di carne cruda in acqua non bollita, constatò che . Ciò fece cercando dapprima di impedire l'accesso dell'aria esterna con vari sistemi di chiusura, di cui il più sicuro si dimostrò la chiusura alla fiamma. Osservò così che nei vasi piccoli, in cui al di sopra delle infusioni rimaneva poca aria, non si sviluppavano animali, mentre in quelli a ventre capace, con molta aria sovrastante, gli animali nascevano, sebbene in piccola quantità. Ed eccolo allora a ricercare se per lo sviluppo degli animali in infusioni non bollite fosse necessaria la presenza di aria in grande quantità. L'esperienza rispose negativamente. Rimaneva il sospetto che i germi potessero essere rimasti aderenti alle pareti del recipiente : bol­ liti vasi e infusioni insieme, e lasciati sfreddare prima di chiuderli, vi osservò la comparsa degli animaletti. Ultimo sospetto era che i germi si introducessero con l'aria. Dilatandosi infatti per il riscaldamento l'aria contenuta nelle bocce, veniva in parte espulsa, ma col raffreddamento seguente, altra di fuori ne entrava prima che il collo fosse chiuso alla fiamma. Per evitare questo sospetto non v'era che far bollire dei vasi contenenti le infusioni e già ermeticamente chiusi alla fiamma. Ciò fatto e > come è ben noto oggi ai batteriologi. Indotto poi dalle note del Needham a ripetere le esperienze per vedere quei fili che si formavano nelle infusioni di certi semi e che, secondo quell'autore, davano nascimento agli animaletti, si persuase che essi erano delle semplici ossia delle muffe, e che non generavano alcun animale, e pose in guardia l'autore inglese contro l'abbaglio facile a prendersi confondendo i filamenti delle muffe con gli animaletti muniti di un lungo peduncolo, che si riscontrano frequente­ mente nelle infusioni, e che noi oggi chiamiamo Vorticelle. Dello spettacolo meraviglioso di questi microscopici abitatori delle acque, cam­ panule dal lungo peduncolo che si contrae e si stende con l'impeto di una molla, il nostro autore dà una mirabile descrizione con quel suo stile limpido ed efficace, che ancor oggi può esser letta con piacere da chiunque abbia qualche volta posto l'occhio al microscopio per osservare il mondo brulicante in una goccia d'acqua. Nelle Vorticelle, nelle Epistylis, e in molti altri infusori, osservò poi la moltipli­ cazione per divisione del loro corpo in vari modi. Alcuni di questi animali egli chiama vivipari, perchè si dividono longitudinalmente o trasversalmente dando origine a due animali viventi, che acquistano presto le dimensioni di quello da cui son nati, altri dice ovipari, perchè li potè scorgere mentre emettevano dei piccoli bottoncini, che si distaccavano e cadevano al fondo, e da cui vedeva poi nascere animaletti simili al genitore. Tutti poi dichiara ermafroditi, perchè avendone isolati alcuni in altrettante piccole capsule, trovò che in pochi giorni ciascuno di essi aveva dato origine a nu­ merosa progenie, senza che fosse avvenuto accoppiamento. Spallanzani ha quindi osservato la moltiplicazione per scissione e quella per gem­ mazione dei Protozoi, già note del resto al Trembley (I745) e al De Saussure. È noto che la coniugazione dei Protozoi, scoperta dal Leeuwenhoek ( r6g5) e osservata poi dal danese O.F. Mtiller (r786) , tante volte citato dallo Spallanzani, fu esattamente interpretata nel suo significato soltanto nel sec. XIX, per opera specialmente del Balbiani (r858) e del Maupas (r888-8g) . Il nostro biologo termina il suo opuscolo portando nuove prove in favore del­ l'animalità dei corpuscoli delle infusioni, derivate dai loro movimenti vari e coordi­ nati e tutti sensibilmente dello stesso tipo nella medesima specie di corpuscoli, e da altre considerazioni, come l' che trova negli infusori massimi in grandezza ; stelluzze che >. Sono i vacuoli contrattili del paramecio, di cui lo Spal­ l anzani ha pure visto, senza naturalmente poterlo esattamente interpretare, il cito­ storna o bocca. Con queste opere il sommo biologo, delle cui ricerche in altri campi dovremo ancora riferire lungamente, non soltanto abbattè il sistema della generazione di Needham e Buffon, ma dimostrò la falsità della generazione spontanea di quegli organismi che erano allora ritenuti i più piccoli esistenti. E diede un luminosissimo esempio del­ l'impiego del metodo sperimentale nella Biologia, e, insieme, di chiaro, eccellente procedimento logico nel condurre la ricerca e interpretarne i risultati. Il vecchio Voltaire, che sempre si era interessato di argomenti biologici che aves­ sero rilevanza di fenomeni generali, esulta e scrive entusiasta allo Spallanzani : Vous donnez le dernier coup, monsieur, aux aiguilles du j ésuite 1 Needham . . . Ce sera votre livre qui vivra parce qu'il est fondé sur l'expérience et sur la raison >> (Lettera del 1776). Può sembrare strano che la negazione della generazione spontanea sia salutata con tanto entusiasmo dal vate dell'illuminismo, e che la dottrina stessa sia stata propugnata in nome del vitalismo. Nel secolo XIX la posizione sarà esattamente capovolta, e la dottrina della generazione spontanea, che risorgerà ancora una volta e sarà abbattuta dal Pasteur, verrà difesa come una fortezza del materialismo. In realtà, nel Settecento, la generazione spontanea veniva considerata, come ab­ biamo visto, quale prova della operazione di forze vitali, che erano capaci di ag­ gregare corpuscoli non dotati di vita in piccoli organismi viventi. Chi vi si opponeva, combatteva al tempo stesso la forza vitale, come abbiamo appreso dalle parole con cui l'abate Spallanzani apre il suo Saggio. Perciò la controversia sulla generazione spontanea è una delle incarnazioni delle dispute fra vitalismo e meccanicismo. Ma quello che più conta è che, come già nel secolo precedente, per opera di Redi, essa è stata promotrice di una delle più notevoli e perfette indagini sperimentali, e ha così contribuito alla applicazione di questo metodo nei difficili domini della bio­ logia. 8. L'embriologia. Preformazione ed epigenesi.

    Il fenomeno, che si ripete ad ogni generazione, cioè la formazione e lo sviluppo di un nuovo organismo da materia più o meno indifferenziata, ha suscitato sempre meraviglia ed entusiasmo da parte di filosofi, medici, naturalisti. Nel Seicento, come abbiamo visto, alla descrizione dello sviluppo embrionale diedero opera parecchi eccellenti osservatori, come Coiter, Fabrizi D'Acquapendente e In realtà Needham era sacerdote cattolico, ma non gesuita. Voltaire, che nei Gesuiti detesta­ va i nemici della scienza e del progresso, inventa quest'attribuzione. 1

    286

    Malpighi. Notevole è anche l'opera di Harvey, De generatione animalium (r651) di intonazione prettamente aristotelica. N el frontespizio è rappresentato Giove seduto, che tiene in mano un uovo da cui escono numerose creature - embrioni umani, di mammiferi, di rettili, pesci, insetti - sul quale si legge la frase ex ovo omnia. Motto cui oggi attribuiamo un significato molto più preciso di quello che non gli annettesse l'autore, il quale non conosceva il vero uovo, cioè la cellula uovo. Malpighi nel De formatione pulli in ovo (1637) e in De ovo incubato observationes (r689), accanto a numerose accurate ed esatte osservazioni, affermò che, anche in un uovo non incubato, poteva discernere la forma dell'embrione. Questa asserzione iniziò una delle più grandi controversie della biologia, quella fra preformismo ed epi­ genest. Il Settecento è il secolo della lotta di idee, più che delle grandi scoperte di fatti nuovi. Gli scienziati in generale amavano piuttosto discutere teorie, magari costruite sulla base di scarse osservazioni, anzichè limitarsi alla minuta constatazione dei fatti. E così si agitano le concezioni generali sul modo come può realizzarsi l'embriogenesi ch'è uno dei più mirabili fra tutti i fenomeni biologici. Aristotele - ricordia­ mo - aveva dedicato grande attenzione ai problemi dell'embriologia, e conce­ piva lo sviluppo come un formarsi ex novo, da materia primamente indifferen­ ziata, di organi e strutture, che si venivano plasmando in virtù dell' entelécheia, portata dal seme maschile. A questa teoria dello sviluppo si dà il nome di epi­ genesi, e ad essa si attiene anche Harvey, che non si allontana dall'aristotelismo. Malpighi invece pensa che gli organi siano preformati nell'uovo; non già proprio con l'aspetto che avranno nell'embrione e nell'adulto, ma sotto forma di filamenti o stamina, ciascuno dei quali ha in sè la potenza di un particolare organo o di una parte del corpo. Questa teoria preformistica trovò molti seguaci. Si presentava infatti come una teoria più scientifica dell'epigenesi, in quanto faceva a meno di quelle forze vitali, nisus formativi e altre concezioni che sempre più manifestavano la lor qualità di comode espressioni atte a mascherare l'ignoranza delle cause dei fenomeni. Preformisti furono, oltre al Malpighi, Swammerdam e Vallisnieri, e più tardi Haller, Spallanzani, e soprat­ tutti Bonnet. N el campo dei preformisti nacque tosto una discussione originata dalla scoperta che nel 1677 aveva fatto L. Hamm, presso il Leeuwenhoek: la presenza nel liquido spermatico di minutissimi animalcoli o vermicelli simili agli Infusori: quelli che noi oggi chiamiamo spermatozoi. Secondo alcuni autori questi > avevano la massima importanza nella generazione, tanto che in essi si pensava fosse preformato l'embrione. Sono ben note le esagerazioni di alcuni autori dell'ultimo Seicento (Hart­ roecker, Dalempatius) che credettero di riconoscere, al microscopio, che lo spermatozoo era come un piccolo omiciattolo costituito di tutte le parti proprie di un feto umano: la coda era il cordone ombelicale. Contro queste esagerazioni dei > come li chiama lo Spallanzani, o >, si dichiararono gli (( ovisti >>, che ritenevano invece che l'embrione fosse preformato nell'uovo. Molti di essi negavano ogni importanza agli spermatozoi nella generazione e li consideravano come parassiti. Così A. Haller, che aveva stu-

    Rappresentazione dello spermatozoo umano con il feto contenuto nella testa, alla maniera della scuola animalculista, secondo Hartroecker. (Da ]. Cole).

    diato l'embriologia del pulcino e aveva osservato la continuità della membrana che circonda il tuorlo con l'intestino. Così il Bonnet e lo Spal­ lanzani. CARLO BoNNET era nato a Ginevra nel 1720 da una famiglia oriunda francese, emigrata al tempo della persecuzione degli Ugonotti. Studiò giurisprudenza, ma si dedicò poi alle scienze naturali, eseguendo, sull'esempio di Réaumur, osservazioni specialmente sugli insetti. Fu in re­ lazione con la massima parte dei dotti del suo tempo, e in particolare con Lazzaro Spallanzani. Colpito da debolezza di vista si diede poi a spe­ culazioni teoriche. Morì nella sua villa presso Gi­ nevra nel I793 · Il suo trattato Considérations sur les corps organisés ( r762) fu tradotto anche in italiano e adottato come libro di testo in molte università. Isolando fin dalla nascita singoli individui di pidocchi delle piante o gorgoglioni, (insetti emit­ teri il cui nome scientifico è : afidi) egli potè dimo­ strare che essi, raggiunta la maturità, sono capaci di dar discendenza senza necessità di accoppia­ mento. Sono dunque tutte femmine le cui uova sono capaci di sviluppo partenogenetico, come si dice con la terminologia moderna. Questo fatto - che l'uovo sia capace di per sè di dare ori­ gine ad un nuovo individuo - parve al Bonnet la miglior prova della bontà della teoria ovista. Di qui egli svolse la famosa teoria dell' emboi'tement des germes, o degli inviluppi. Secondo que­ sta concezione, piuttosto paradossale in verità, in ogni uovo è già preformato l'organismo che ne nascerà, con tutte le sue parti, questo avrà an­ che i suoi piccoli ovari, e in questi saranno le uova, che conterranno preformati i futuri figli . . . tempi : tutti gli individui imbussolati gli uni negli

    e così d i seguito fino alla fine dei altri, ad infìnitum. Lo Spallanzani credette di raccogliere alcuni fatti favorevoli alla teoria ovista, che allietarono il Bonnet ; ma non aderì interamente alla teoria degli inviluppi. È strano come questo insigne osservatore sia stato fuorviato nella interpretazione di alcuni fenomeni. Avendo osservato che negli Anfibi non si può dire che il girino esca dall'uovo, bensì l'uovo intero si trasforma in girino, pensò di poter concludere che l'uovo è un girino in potenza, il quale può svilupparsi soltanto col concorso dello sperma. Quanto all'azione 288

    di questo, lo Spallanzani istituì alcune fondamentali e ingegnose esperienze in base a cui negò l'esistenza di una presunta aura seminalis, che molti ammettevano. Egli dimostrò che nessuno > esalante dallo sperma è capace di fecondare le uova; la fecondazione avviene soltanto dopo che lo sperma è giunto a contatto delle uova. E tuttavia, singolare errore, lo Spallanzani si ostina a negare ogni importanza ai > spermatici. Solo nel secolo successivo si doveva riconoscere la funzione fecondatrice dello spermatozoo. La teoria della preformazione, anche concepita non come una preesistenza reale degli organi, ma come esistenza di stamina nel senso voluto dal Malpighi ; anche non condotta all'estremo degli >, urtava contro notevoli difficoltà. Se l'embrione è preformato o nell'uovo o nel seme maschile, come mai gli ibridi, per esempio i muli, hanno fattezze intermedie fra i due genitori ? A questa e ad altre domande si cercava di rispondere in vari modi, ma senza troppo successo. E i pochi esperimenti erano di scarso aiuto. La teoria opposta, l'epigenesi, risolve più facilmente questa difficoltà. Ma essa era troppo sospetta di aristotelismo per essere bene accetta agli spiriti positivi del '7oo; e, col ricorso che molti epigenisti facevano alle >, troppo s'im­ parentava con il vitalismo. Quindi le teorie epigenetiche erano per lo più respinte da chi cercava interpretazioni scientifiche nel senso moderno della parola. La maggior parte dei biologi preferiva il preformismo, e concepiva l'embriogenesi come uno > o > o > (come allora spesso si diceva) di parti che preesistono, inviluppate e ripiegate, già fin nell'uovo. L'opera di CASPA R FRIEDRICH vVOLFF inferse un grave colpo a questa teoria. Nato a Berlino nel 1733, figlio di un sarto, vVolff si recò a Balle a studiar medicina e filosofia e si laureò nel 1759 sostenendo la tesi alla quale deve la sua fama presso i posteri, Theoria generationis (Halle, 1759) . Fece poi ritorno a Berlino, ma incontrò ostilità nell'ambiente medico; accettò allora una chiamata da parte della Grande Caterina a Pietroburgo, dove morì nel 1794. L'opera qi Wolff passò quasi inosservata ai contemporanei, ma fu apprezzata in seguito come uno dei contributi fondamentali all'embriologia, anzi come il fondamento dell'embriologia moderna. Gran merito del Wolff (che in seguito pubblicò anche una serie di Observationes sull'intestino dell'embrione di pollo, Pietroburgo, 1768) fu di avere combattuto il preformismo e sostenuta l'epigenesi, non per amore dell'aristo­ telismo, ma in base a precise osservazioni. Egli dimostrò che gli organi delle piante - foglie, radici, stipule, ecc. - e gli organi dell'embrione del pulcino, in particolare l'intestino, non possono vedersi preformati. Lo studio microscopico rivela che questi organi si originano da materia indifferenziata. Il punto di partenza di Wolff, benchè puramente teorico, è logicamente impeccabile : generazione è la formazione di organi e di parti, e la comprensione di questo fenomeno consiste nello intendere le forze che lo determinano. Coloro che aderiscono alla teoria della > negano fin da principio che esista una >. Nel corso della sua ricerca, benchè si rifaccia ad una antica teoria, egli si basa sempre sui dati dell'osservazione, e se fa ricorso - nella sua concezione essenzialmente vitalistica - ad una vis essentialis, che > 19.

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    Ston:a delle Scie11ze,

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    (Driesch) lo fa con spirito moderno, senza fare appello alle interpretazioni nettamente metafisiche care a molti biologi del suo tempo, e ricercando invece le possibili inter­ pretazioni meccanicistiche. L'embriologia, nel Settecento, si esaurisce in queste competizioni, che adom­ brano il più sostanziale e antico contrasto fra meccanicismo e vitalismo. I grandi sviluppi di questa scienza saranno realizzati nel secolo successivo. 9· La fisiologia.

    Nel Seicento vari autori avevano tentato di istituire una scienza fisiologica, cioè lo studio delle con interpretazioni basate sui principi della fisica e della P/ ,

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    Esperimenti per misurare l'intensità della traspirazione delle piante (da S. Hales, La statique des végétaux et l'a­ nalyse de l' air, ouvrage traduit de l'anglais par M. de Bufjon, Parigi, 1 735) ·

    chimica. Descartes aveva chiaramente compreso quali devono essere il metodo e lo scopo di queste indagini. Barelli, Santorio ed altri avevano iniziato gli studi in questo senso. Harvey, con la sua dimostrazione della circolazione del sangue aveva posto il primo fondamento alla scienza fisiologica. E tuttavia questa non . s'era ancora dif­ ferenziata come disciplina indipendente: troppo scarse erano le conoscenze fisiche e chimiche per consentire l'interpretazione delle funzioni organiche su queste basi; i tentativi fatti erano 'rimasti incompleti, insoddisfacenti. Ma soprattutto mancava la visione comparativa, che sola può consentire la comprensione delle funzioni. Si può concepire un'anatomia umana fine a sè stessa, completa in sè, nella sua fase descrittiva; ma non è possibile costruire una fisiologia se non su basi largamente com­ parative. Per indagare problemi fisiologici è necessario sperimentare - ma non lo si può fare nell'uomo - e il significato di molte funzioni organiche è assai più chiaro negli animali e nelle piante, che non nell'uomo. Un corp::> di conoscenza avente fisionomia di dottrina a sè, a cui s'è convenuto di dare il nome di fisiologia, comincia a svilupparsi nel Settecento, per opera soprat­ tutto di alcune grandi figure di scienziati : Hales, fisiologo vegetale, Haller, fisiologo umano, Spallanzani, fisiologo generale, Lavoisier, chimico. Il reverendo STEPHEN HALES nacque a Beckesbury in Inghilterra nel 1677 e studiò a Cambridge, al tempo di Newton. Fu poi parroco a Teddington, Middlesex, dove morì nel 1761. Si interessò di botanica fin dagli anni degli studi; inventò dei ventilatori artificiali per migliorare le condizioni igieniche veramente infelici in cui languivano i carcerati ; consigliò metodi per la distillazione dell'acqua salata, per la conservazione delle derrate alimentari, per la pulizia dei porti, e per mille altre necessità pratiche. Trovò un sistema per misurare la profondità del mare con la determinazione della pressione per mezzo di uno strumento a mercurio. Si applicò per lungo tempo allo studio di varie attività delle piante, saggiandole con esperimenti opportuni, alcuni dei quali si considerano ancora oggi fondamentali, e ch'egli descrive nella sua Vegetable staticks (London, 1727) . Misurò, per esempio, la quantità di acqua assunta dalle radici e di quella emessa dalle foglie, dando così una misura di quel processo che i botanici chiamano traspi­ razione. Molto notevoli sono i suoi calcoli della velocità con cui la linfa sale lungo il fusto, in base ai quali dimostrò che essa è in relazione con la intensità della assunzione di acqua dalle radici e della sua emissione attraverso le foglie. Misurò anche la pressione della linfa nel fusto. Hales fu un pioniere degli studi sulla respirazione, perchè osservò che l'aria fornisce sostanze materiali alla pianta ; ma l'importanza di questa scoperta non fu compresa. Oggi noi sappiamo che la pianta trae dall'atmo­ sfera l'anidride carbonica, da cui costruisce sostanze organiche. Anche in fisiologia animale lo Hales ha lasciato contributi di molta importanza, raccolti in un'opera che è stata anche tradotta in italiano: Emastatica, ossia statica degli animali (Napoli, 1750) . Interessato ai problemi della dinamica dei fluidi, il pastore di Teddington cercò di ottenere misure esatte relative alla circolazione del sangue : misurò la pressione sanguigna e si accorse che essa varia in diverse circostanze e nelle diverse condizioni fisiologiche e psichiche dell'animale. È differente nelle arterie e nelle vene, durante la sistole o durante la diastole del cuore ; differisce negli 291

    Hermann Boerhaave (Pari­ gi, Accademia di Me�icina).

    Fot. R. ]acques

    -

    Ed. Marenod

    animali grandi rispetto a quelli di piccole dimensioni, nello stato di quiete o di ec­ citamento, e via di seguito. Hales cerca dunque di indagare la natura dei fenomeni biologici sulla base dei principi della fisica. La sua posizione filosofica è nettamente galileiana, come risulta da questo brano della sua prefazione all'Emastatica : . I suoi contributi a problemi speciali, non sono, a dir vero, molto notevoli : egli non fu un eccellente sperimentatore come Hales o Spallanzani ; ma la sua immensa cultura, la sua capacità di sintesi e di coordinazione, la chiarezza delle sue concezioni generali gli dettarono un poderoso trattato, Elementa physiologiae (Losanna, 1759-1766) che rapidamente soppiantò il libro di Boerhaave. Nei volumi degli Elementa spira veramente un'aria moderna. Fra gli argomenti che più risentono del contributo originale di Haller sono la meccanica della respira­ zione, la formazione delle ossa, la fisiologia dei vasi sanguigni. Contro la concezione totalmente meccanica dei processi fisiologici, è la rivalutazione che Ha1ler fa della azione chimica dei succhi digestivi. In embriologia Haller fu preformista e si oppose alla teoria di Wolff: anche questo rientra nel suo atteggiamento razionalistico. La parte di gran lunga pitl importante della fisiologia halleriana è la ricerca delle proprietà fondamentali della sostanza vivente, che lo condusse alla teoria della ir­ ritabilità. Le fibre muscolari, e non soltanto queste, ma anche altre parti del corpo, come vari visceri , il cuore, gli intestini, hanno in vita la capacità di contrarsi, di ac­ corciarsi se stimolati, e poi di allungarsi, di espandersi nuovamente. Secondo l'antica interpretazione di Descartes, Borelli, Boerhaave, la contrazione del muscolo è una dilatazione dovuta alla penetrazione del fluido nerveo; ma già Swammerdam e Stenone (v. pag. zoo) avevano dimostrato, con elegante esperimento, che questa teoria non è so­ stenibile. Haller concepisce l'irritabilità (il nome è preso da Glisson) come una proprietà fondamentale di molte strutture viventi (oggi sappiamo che è di tutta la sostanza viven­ te) , caratterizzata dal fatto che uno stimolo produce una reazione (movimento) d'inten­ sità sproporzionata all'intensità dello stimolo stesso. Oltre a questa > , lo Haller distingue una >, che viene dall'esterno del muscolo ed è trasmessa attraverso i nervi. Anche questa, come l'irritabilità, è indipendente 294

    dalla volontà e può agire anche dopo la morte dell'organismo. Queste forze sono ben diverse dalle forze di contrazione ed espansione proprie di molte sostanze inorganiche e di organi o tessuti, sia vivi sia morti, quando variano le condizioni di umidità, di pressione, ecc. Le parti del corpo dotate di irritabilità non sono sensibili, cioè capaci di sensazioni. Queste si trasmettono invece per i nervi, che confluiscono nel cervello. La dottrina della irritabilità ebbe gran voga e molta importanza in biologia e in medicina; anche perchè, certo contrariamente alla intenzione dell'autore, che non indul­ geva a concezioni mistiche, questa proprietà fu invece considerata dai vitalisti come una espressione della >. In realtà la dottrina della irritabilità rappresen­ ta il primo riconoscimento di una delle proprietà fondamentali della sostanza vivente. In tutta l'opera di Haller appare vivo il desiderio di assurgere a concezioni biolo­ giche generali partendo però sempre da fenomeni osservabili e sperimentalmente riproducibili e procedendo con metodo induttivo. Un nemico anche più dichiarato di quella metafisica di pessima lega che inquinava la biologia è LAZZARO SPALLANZANI, dei cui esperimenti contro la generazione spon­ tanea - che sono il suo massimo titolo di gloria - abbiamo già parlato. Lo Spallanzani è innanzitutto uno sperimentatore eccellente, come si rivela fin dalle sue prime ricerche, esposte nel Saggio (pag. 282) : è il primo biologo moderno che intro­ duce e sviluppa il metodo sperimentale come metodo principale d'indagine. Osservatore accuratissimo e sagace, e, di quanto osserva, descrittore accurato, egli non indulge però alla descrittiva; non > i problemi della descrizione, della sistematica, della morfologia intesi come fine a sè stessi. N on comprende e non apprezza l'opera di Linneo e dei suoi seguaci, e, se appena gli si presenta l'occasione, ne fa oggetto d 'ironia. Ciò che soprattutto lo interessa è la funzione, che si conosce attraverso l'esperimento. La massima parte della intensissima attività di ricercatore svolta dallo Spallan­ zani, si riferisce a quattro grandi capitoli della biologia: la generazione, la circolazione, la digestione, la resptrazwne. La riproduzione.

    Della generazione degli infusori abbiamo già parlato e così anche della partecipazione dello Spallanzani alla controversia fra preformazione ed epigenesi. E non senza sorpresa abbiamo sentito proprio lui, - che aveva dimostrato la necessità del contatto materiale dello sperma con l'uovo perchè avvenga la fecondazione, che aveva anche dimostrato, con esperienze di diluizione, che rj2.944.667 .soo di grano di seme (negli anfibi) è la quan­ tità minima capace di fecondare l'uovo, - considerare falsa la ; vige quindi in natura la dicogamia (nome ancor oggi usato) o fecondazione incrociata. Queste e le altre osservazioni dello Sprengel sono esposte con termini inge­ nui e antropomorfici, che risentono la premessa nettamente teleologica, che lo Sprengel esplicitamente dichiara, tuttavia la loro validità non ne soffre ; anzi l'intenzione di scoprire un fine in ogni cosa è quello che ha condotto alla scoperta di molte funzioni. 296

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    Anatomia del Topinambùr. Tavola delle Observations microscopiques di Federico barone di Gleichen, detto Russworm ( r no) .

    L'opera di Sprengel passò quasi inosservata. Fu soprattutto per merito di Darwin che, molto più tardi, essa venne conosciuta ed apprezzata. Ben noto fu invece, fin dalla sua pubblicazione, il libro di T. A. KNIGHT, inglese : Experiments on the fecunda­ tion of vegetables (1799) , benchè sia assai inferiore a quello di Sprengel. Comunque, le opere di questi tre autori hanno fornito i fondamenti alla conoscenza della ripro­ duzione nei vegetali supenon. La Y'Ìgenerazione.

    Fra le scoperte che, nel campo della biologia, più avevano attratto l'attenzione del pubblico era la facoltà di rigenerazione posseduta in alto grado da molti ani­ mali. Trembley l'aveva trovata nell'idra, vari altri autori l'avevano osservata in diversi animali. Spallanzani, cui piaceva misurarsi con i piif' ardui problemi, si diè a sperimentare ripetendo quanto avevano fatto i suoi predecessori e divisando nuovi esperimenti. Trovò che il lombrico d'acqua dolce si riproduce all'infinito rivivendo in altrettanti pezzetti in quanti fu spezzato. Non basta : . Altra meraviglia di natura cui si interessò il Voltaire è la proprietà di alcuni ani­ mali, i Rotiferi, di disseccarsi fino ad apparire morti, quando l'acqua viene a mancare,

    per poi risuscitare quando le condizioni igrometriche ritornino favorevoli. Lo Spal­ lanzani sottopose il fenomeno (che era stato scoperto da Leeuwenhoek) a metodica indagine con lo sperimento, e potè vedere l 'animaletto > riprender vita, per poi nuovamente disseccarsi quante volte piaceva allo sperimentatore. L'opera in cui sono riferiti gli esperimenti sulle rigenerazioni porta il titolo: Pro­ dromo di un'opera da imprimersi sulle riprod,uzioni animali (Modena, 1 768) . Dovette passare più di un secolo prima che l'opera da ùnprimersi venisse scritta, e nascesse così un nuovo ramo della biologia: la morfologia sperimentale o meccanica dello sviluppo. La circolazione.

    Sulla circolazione lo Spallanzani pubblicò due lavori, di cui il più importante è Dei fenomeni della circolazione osservata nel giro wniversale dei vasi (Modena, 1 773) . Descrive in pagine piene di pathos, con quel suo stile limpido e ornato, che gli ha valso un posto ragguardevole nella storia della letteratura italiana, l'osservazione che potè fare nell'embrione di pollo del completo movimento del sangue nei vasi, col passaggio per i capillari. Compie poi numerosi esperimenti per indagare la mec­ canica della circolazione e l'azione del cuore, tutti fini, accurati, legati da uno stretto rigor logico. In riconoscimento di questi suoi meriti lo Haller gli dedicò il volume I della sua Fisiologia. La digestione.

    Sull'argomento della digestione, ai tempi dello Spallanzani, si contendevano il campo tre teorie: quella meccanica della triturazione, propugnata dalla scuola iatro­ meccanica (Barelli, Boerhaave), quella della fermentazione, ammessa dagli iatro­ chimici (Van Helmont, Boyle, Pringle, Macbride), e quella dell'azione dei succhi gastrici, simile alla dottrina galenica dei principi dissolventi, rimessa in onore da al­ cuni naturalisti (Vi"ridet, Vallisnieri) . La prima era stata ammessa anche dagli Ac­ cademici del Cimento che avevano riconosciuto che lo stomaco di molti uccelli, for­ nito di potente muscolatura, è capace di spezzare e triturare corpi assai duri, come palline metalliche, pezzi di cristallo, ecc. Il Vallisnieri però aveva dichiarato che tale azione era dovuta non già ai muscoli, ma ai principi attivi dei succhi. E il Réaumur, per definire la controversia, aveva sperimentato introducendo nel ventricolo degli uccelli dei tubetti metallici forati da molti pori e contenenti pezzetti di sostanza ali­ mentare, ma non era venuto a conclusioni molto sicure per aver scelto un cattivo materiale per le esperienze. Alcuni autori poi ammettevano che avesse luogo una incipiente (Boerhaave) o una totale (Macbride, Pringle) fermentazione. Lo Spallanzani ripetè le esperienze dell'Accademia del Cimento variandole in mille modi su molti gallinacei, e constatò la capacità che questi uccelli hanno di tri­ turare gli oggetti più duri e più acuti senza sensibile danno alla mucosa gastrica, e potè anche dimostrare, con ingegnose esperienze, che tale azione non è dovuta sol­ tanto alla presenza di pietruzze nel loro stomaco, ma da queste è solamente coadiuvata. Ponendo poi i corpi duri entro tubetti resistenti a pareti perforate, potè egualmente dimostrare falsa l'opinione del Vallisnieri che la triturazione avvenga in virti1 dei 299

    succhi, perchè nelle condizioni dell'esperienza trovava che i corpi erano integri dentro ai tubetti, nonostante che il succo potesse penetrare fino ad essi. Sempre con lo stesso sistema dei tubetti escogitato dal Réaumur, riuscì infine a dimostrare che il succo gastrico può digerire le carni indipendentemente da ogni azione meccanica, mentre nulla o quasi nulla può contro i grani dei cereali che non siano stati triturati in pre­ cedenza. Estraendo succo gastrico dallo stomaco di un tacchino appena ucciso e immergendovi alquanti frammenti di carne ottenne la prima digestione in vitro e osservò quanto maggiore sia la prontezza del succo nello sciogliere le carni in con­ fronto di quella dell'acqua, e quanto diverso sia l'andamento dei fenomeni nei due casi. Egli s'era valso per i suoi esperimenti di uccelli a stomaco muscoloso, quali i galli­ nacei, ma essendogli capitate fra le mani alcune cornacchie e avendo osservato che la tonaca muscolare del loro stomaco è meno spessa di quella dei gallinacei, iniziò gli esperimenti su quelle, che hanno inoltre, come anche molti uccelli carnivori, l'abitu­ dine di rigettare per bocca le sostanze non digeribili che hanno deglutito. Circostanza favorevolissima alle esperienze perchè dopo poche ore si possono riavere i tubetti direttamente dallo stomaco. N on contento di ciò l 'insaziabile ricercatore sottopose le sue cornacchie ad altre torture, come quella di far loro deglutire delle spugnette attaccate ad un filo, e di ritirarle dopo un certo tempo per spremere il succo di cui si erano imbibite. Trovato così un modo semplice per ottenere succo gastrico in ab­ bondanza, riprese metodicamente le esperienze sulla digestione artificiale. E poichè gli riusciva difficile attenerla, pensò di farla venire in un lungo tubo di vetro chiuso ad una estremità e introdotto nello stomaco delle povere bestiole, in modo che l 'altra estremità uscisse dal becco. E potè osservare che la quantità di carne disciolta è in diretta proporzione con la quantità di succo in cui è immersa. Sperimentò poi paragonando l'azione del succo dei più diversi animali su varie sostanze : carne, pane, ossa, cuoio, e compiendo molte interessanti osservazioni anche di carattere anatomico. E con instancabile costanza ·e con ingegnosi artifici riusciva a compiere le sue esperienze anche sugli animali più riluttanti. Perfino un certo falco assai battagliero regalatogli dall'abate Corti, a proposito del quale egli dice , fu costretto a ingerire i famosi tubetti, che gli venivano presentati avvolti e ben nascosti dentro alla carne. Giunto a questo punto, avendo studiato la digestione su moltissimi animali delle varie classi, riconosce la necessità di studiare i processi digestivi sull'uomo e non esita a sottoporsi a spiacevolissime esperienze, pur di poter sperimentare in anima nobili. L'opera sulla digestione è considerata, insieme con quella sulla generazione degli Infusori, come una delle più importanti opere fisiologiche della nuova era della bio­ logia e come uno degli esempi più belli di lavoro sperimentale. La respirazione.

    La respirazione è di tutti i fenomeni fisiologici dell'uomo e dei vertebrati il più appariscente, il più strettamente connesso con il concetto stesso della vita, tanto che pneuma, o fiato, è spesso sinonimo di vita. E tuttavia le conoscenze sull'intimo si300

    gnificato di questo processo furono per lungo tempo vaghe ed erronee. Le tappe di questa evoluzione, intimamente connesse con gli sviluppi della chimica, si possono riassumere come segue. ]. B. van HELMONT ( 1577-1644) osservò che da vari processi sia inorganici sia organici (fermentazione, combustione del carbone, infusione di sostanze calcaree nel­ l'aceto, ecc.) si sviluppa un fluido aeriforme che è incapace di alimentare la fiamma e determina la morte per asfissia degli animali. Lo stesso fluido si sviluppa sponta­ neamente in natura in certi luoghi, come dalle acque minerali di Spa, nella Grotta del Cane presso Napoli, ecc. Questo fluido, a cui il van Helmont diede il nome di gas sylvestre, non è altro che l'anidride carbonica. Così il primo passo verso il ricono­ scimento dell'analogia fra la combustione e la respirazione era fatto. Lo confermò il BOYLE, che con la macchina pneumatica di O. v. Guericke potè dimostrare che nel vuoto muoiono gli animali, sia terrestri sia acquatici, ai quali tutti dunque occorre per vivere una sostanza vitale che essi estraggono dall 'aria. Varie osservazioni di medici e anatomici convalidavano questa opinione, in parti­ colare l'esperimento (Vesalio, R. Cooke) della ventilazione polmonare artificiale, che è sufficiente a mantenere in vita gli animali anche in assenza della funzione meccanica della respirazione, alla quale gli iatromeccanici attribuivano la massima importanza. Che il sangue venoso, scuro, divenga rutilante come il sangue arterioso in presenza dell'aria anche in vitro, era noto al medico bolognese FRACASSATI (r665 ) . Poco dopo R. LowER (r66g) dimostrava, applicando la ventilazione artificiale dei polmoni, che il botanico e micrografo R. Hooke aveva largamente praticato anche in pubbliche dimostrazioni, che il sangue refluo dai polmoni è arterioso e che quindi nei polmoni e non già nel cuore avviene il cambiamento del sangue da venoso in arterioso. E che questa modificazione sia dovuta proprio all'aria lo dimostra il fatto che, se cessa la ventilazione, cessa subito anche la formazione di sangue arterioso. Anche il Borelli (r68o) aveva riconosciuto l'importanza dell'aria, affermando fra l'altro che non è necessario ammettere l'esistenza di pori che conducano dai polmoni ai vasi, per com­ prendere come essa possa mescersi col sangue ; basta pensare che l'aria sciolta nei liquidi passa attraverso le membrane, e ricordare che v'è sempre, nelle vie bronchiali, un velo di liquido in cui l'aria può sciogliersi. ]OHN MAYOW (1646-1679) fu il maggior precursore di Priestley e di Lavoisier. Da varie ricerche condotte quand'aveva poco più di vent'anni, egli trasse la persua­ sione che l'aria non è un corpo semplice, ma una miscela di diversi spiriti o gas. Uno, che chiamò spirito nitro-aereo, è capace di mantenere in vita gli animali, rende ru­ tilante il sangue facendolo fermentare e sviluppare calore, si unisce ai corpi in com­ bustione, fa arrugginire i metalli. L'aria che rimane dopo che lo spirito nitro-aereo è stato consumato è incapace di mantenere la fiamma e la vita, di arrugginire i metalli. S'era dunque sulla buona strada: il gas sylvestre di van Helmont e lo spirito nitro­ aereo di Mayow, cioè l'anidride carbonica e l'ossigeno, erano ormai conosciuti, e, con l'applicazione del metodo escogitato da S. Hales (cfr. pag. 291) per lo studio dei gas, la chi1m:ca pneumatica, o chimica dei gas potè svilupparsi rapidamente. I l metodo di Hales chiamato poi eudiometrico, consisteva nel raccogliere i gas su provette rove­ sciate su di una bacinella dj acqua, o di mercurio. 301

    Esperimenti sui gas (da S. Hales, La sta.t-ique des végéta.ux et l'a.nalyse de l' a-ir, ouvrage traduit de l ' angla-is par M . de Bufjon, Parigi, 1 735 ) .

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    Ma non poca confusione fu arrecata dalla dottrina del flogisto ( 1697) di G. E. STAHL ( r66o-1734) secondo la quale nella combustione, come nella calcinazione dei metalli, si sviluppa un principio fluido, il flogisto. Tale teoria consentiva una spiegazione unitaria di fenomeni disparati, ma introduceva alcuni concetti errati, come ad esempio quello di considerare le calci metalliche come metalli privi di flogisto : scaldate sui carboni ardenti riacquistavano il flogisto, assumendo quello che si liberava dalla combustione, e si trasformavano in metalli. Contrarie alla teoria del flogisto furono le osservazioni di ]. BLACK (1754) sulla ma­ gnesia, la calce, ecc. che, secondo Stahl, dovevano divenir caustiche assumendo del flo­ gisto. Black dimostrò invece che la calce spenta perde peso trasformandosi in calce viva e perciò non è verisimile che assuma altre sostanze. Egli isolò poi nuovamente il gas sylvestre di Van Helmont, o aria fissa, com'egli la chiamò, e ne studiò le proprietà. Tuttavia anche le fondamentali scoperte di J. PRIESTLEY (1733-1804) furono messe in accordo con la teoria del flogisto. N el 1772 il Priestley potè dimostrare che 302

    l'aria resa irrespirabile dalla combustione può riacquistare le proprietà vitali sol che in essa siano tenute per alcun tempo delle piante verdi. Nel 1775 scoprì che calcinando il precipitato rosso di mercurio si ottiene un gas adatto a mantenere la vita e la com­ bustione, e che egli chiamò aria deflogisticata ; era evidentemente lo spirito nitro-aereo di Mayow, cioè l'ossigeno. Studiò poi le proprietà dell'aria resa irrespirabile dalla combustione, cui diede il nome di aria flogisticata, e infine scoprì che l 'aria deflogi­ sticata rende arterioso i l sangue venoso, e che il sangue è capace di trasformare l'aria normale in aria flogisticata, rendendola inetta alla vita. L'aria deflogisticata possiede in alto grado la capacità di mantenere la fiamma perchè assume il flogisto emesso dal corpo che arde, mentre l'aria comune possiede in minor grado la stessa qualità perchè è soltanto incompletamente deflogisticata. Lo stesso avviene per la respira­ zione degli animali: essi emettono flogisto (che introducono col cibo, il quale è com­ bustibile, cioè contiene flogisto) finchè l'aria che li circonda è capace di assorbirne ; quando tutta l'aria deflogisticata di cui dispongono si è saturata di flogisto, l'at­ mosfera diviene irrespirabile e l'animale muore. Le piante poi, sotto l'influenza della luce, sono capaci di assorbire flogisto e di rendere così deflogisticata l'aria resa irrespi­ rabile dagli animali. Si può dire dunque che Priestley conoscesse tutti i fatti fondamentali relativi alla respirazione, ma la sua fede nella teoria di Stahl gli impedì d'interpretarli corret­ tamente, anzi glieli fece spiegare in modo assolutamente contrario al vero : gli animali liberano flogisto, che le piante assumono, egli diceva ; gli animali, diciamo noi invece, ass�tmono l'ossigeno (ed emettono anidride carbonica) mentre le piante liberano os­ sigeno (e assumono anidride carbonica) . Spetta ad A. LAVOISIER ( v. Storia della Chimica, pag. s85 sgg. ) il merito di aver completamente detronizzato la teoria del flogisto, di avere illuminato di piena luce il problema del chimismo della respirazione, edificando, ad un tempo, le prime basi della chimica moderna. N el 1775 Lavoisier osservò che le terre o calci metalliche (ossidi) sono più pesanti dei metalli, e perciò non devono contenere, come voleva Stahl, qualcosa di meno (il flogisto) dei metalli, bensì qualcosa di più. E questo qual­ cosa non è altro che l'aria deflogisticata di Priestley, alla quale Lavoisier propone di dare il nome di > o ossigeno. La respirazione è un processo di ossidazione, e l'aria viziata dalla respirazione rassomiglia all'aria in cui è stato cal­ cinato un metallo, in quanto ha perduto una certa quantità di ossigeno. Ma quella, a differenza di questa, contiene qualche altra cosa, contiene >, cioè l'aria fissa di Black, che si può estrarre con un alcali caustico. L'aria che rimane dopo tale estrazione è esattamente simile a quella che rimane dopo la calcinazione di un metallo, è inadatta al mantenimento della fiamma e della vita; e Lavoisier pro­ pone di chiamarla perciò azoto. Dimostrato così che l'aria ordinaria è una miscela di ossigeno, azoto e > (che il Lavoisier riconobbe tosto essere una combinazione del carbonio con l 'ossigeno) il processo della respirazione diveniva interamente comprensibile come un fenomeno di combustione. L'antica questione dell'origine del calore animale - che molti ancora credevano originato dalla frizione del sangue nei vasi, durante i suoi movimenti veniva così anch'essa risolta, e Lavoisier e Lagrange pubblicarono nel 1780 una me-

    moria sull'argomento, nella quale stabilirono nettamente che la respirazione è una combustione che avviene nei polmoni, e che il calore generato da questo processo viene comunicato al sangue e distribuito per tutto il corpo. Nel 1785 Lavoisier, misurando l'ossigeno introdotto e l'aria fissa, o anidride car­ bonica emessa nella respirazione, si avvide che non tutto l'ossigeno consumato riap­ pare in combinazione col carbonio sotto forma di anidride carbonica. Pochi anni prima il Cavendish (1781) aveva stabilito la composizione dell'acqua e scoperto l'idrogeno; Lavoisier pertanto concluse che quella parte di ossigeno che non viene emesso sotto forma di anidride carbonica, combinandosi con l'idrogeno forma acqua. Il chimismo della respirazione era dunque ( 1785) completamente illustrato dal­ l 'opera magistrale del Lavoisier. Un errore tuttavia ancora inquinava le conoscenze, e fu ribadito dallo stesso Lavoisier in una memoria in collaborazione con il fisiologo Sequin (1790) , affermando che l 'ossidazione del carbonio e dell'idrogeno forniti dal­ l'alimento avviene nei polmoni, come ossidazione di un , dando nullo o minimo valore al primo. Ciò lo condusse a respingere tutta la fisiologia >, e quindi tutta la patologia e la terapeutica che su di essa si basa. I fenomeni della vita non sono governati da leggi fisiche, ma da un principio completamente diverso, l'anima. Il corpo è fatto per l'anima, che gli dà vita. Tutte le funzioni organiche : nutrizione, re­ spirazione, circolazione, secrezione, movimento, sensibilità, sono governate dall'anima. E quindi le malattie, cioè le imperfezioni di tali funzioni, dipendono anche dall'anima. La terapia, perciò, deve essere diretta soprattutto a curare, con medicamenti lievi e adeguati, le disfunzioni dell'anima. La concezione animistica di Stahl rappresenta un regresso di fronte al tentativo di conciliare l'esistenza dell'anima con un sistema biologico e medico meccanicistico, , ebbe il suo massimo splendore in Francia, nel Settecento, e si diffuse poi in tutti i popoli di cultura europea. Alcuni suoi sviluppi condussero al materialismo, di cui il meccanicismo biologico è un aspetto, non certo secondario, anzi essenziale. Grande importanza ebbe, in questi movimenti di pensiero, il VoLTAIRE ( 1694-1778) soprattutto con la sua divulgazione delle teorie newtoniane e con la sua critica alla ----�---

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    Microscopi, strumenti e alcuni oggetti visti al microscopio. Tavola del

    Testacea utriusque Sici­ liae di G. S. Poli.

    308

    filosofia di Leibniz e al concetto di >. Voltaire, come abbiamo visto, seguiva con interesse gli esperimenti dei biologi, e apprezzava il loro apporto alla soluzione di problemi filosofici. Egli era nato sul finire del secolo X VII ; nel primo ventennio del secolo XVI II, poi, nacquero in Francia numerosi naturalisti e filosofi che contribuirono in vario modo al movimento illuministico : oltre a Buffon, di cui abbiamo già parlato, sono: De la Mettrie, Rousseau, Diderot, Helvetius, Con­ dillac, D' Alembert. Ci limiteremo qui a considerare la parte prettamente biologica di questa corrente di pensiero, e in particolare l'opera di De La Mettrie. JuLIEN 0FFRAY DE LA METTRIE nacque a St. Malo nel 1709, da un agiato com­ merciante che lo diresse verso la carriera ecclesiastica. Studiò teologia a Parigi, ma, attratto dalle scienze mediche, si addottorò in medicina a Reims e si recò poi a Leida dal grande Boerhaave, che esercitò una forte influenza sul suo pensiero. Tradusse in francese varie opere del medico olandese, e ciò non gli valse la simpatia della facoltà Medica della Sorbona, che era a quei tempi una delle più retrograde. Divenne poi medico militare nella Guardia del Re. Scrisse in quel periodo un libro il cui titolo, Hi­ stoire naturelle de l'ame (L'Aja, 1745) era già un programma. Il cappellano del reg­ gimento segnalò il pericolo di tale pubblicazione, che fece scandalo. L'autore seguì il prudente consiglio di buoni amici e si trasferì nuovamente in Olanda, per evitare il peggio. A Leida pubblicò, anonimo, il suo famoso libro L'homme machine (1748) in cui sosteneva il più spinto meccanicismo. Ma anche il soggiorno in Olanda divenne pericoloso, e de La Mettrie dovette fuggire. Il grande Federico, che proteggeva i filo­ sofi più audaci e antitradizionalisti, l'invitò a Berlino con la carica di lettore del Re. Divenne membro della Accademia di Prussia ed ebbe la possibilità di esercitare la medicina. Ma dopo soli tre anni morì (1751) e la causa della sua morte fu sfruttata come dimostrazione esemplare della fine di un empio. Si narra, infatti, che volendo mostrare quanto sapesse apprezzare i piaceri della tavola, e fare sfoggio di robusta costituzione, abbia fatto indigestione di un pasticcio di tartufi, e sia morto fra grandi sofferenze, delirando. N ella Storia naturale dell'anima de La Mettrie comincia a dimostrare che nessun filosofo ha mai saputo spiegare che cosa sia l'anima. Chi vuole conoscere le proprietà dell'anima deve studiare prima quelle del corpo: quindi non vi è altra guida se non quella fornita dai sensi. E così comincia una critica serrata, anche se non sempre obbiettiva, della dottrina tradizionale per arrivare a una concezione materialistica. Nell'altro libro, L'homme machine, egli raccoglie le interpretazioni meccaniche dei fenomeni vitali che molti fisiologi avevano elaborato, le accetta spesso senza troppa critica, e ne fa un sistema. Forse l'osservazione più originale contenuta in questo scritto è che le varie parti del corpo possono sopravvivere e muoversi dopo la morte dell'individuo, e ciò dimostra che ogni fibra del corpo è dotata di una vita che le è inerente. Quindi per spiegare la vita non occorre ricorrere ad un'anima, nè ad un principio vitale che sia qualcosa di diverso dalle proprietà fisiche della materia, e neanche a un tutto o insieme dell'organismo. L'uomo - e quindi ogni essere orga­ nizzato - è una macchina, di cui ogni parte reca in sè le proprietà della vita: l'anima è soltanto la coscienza materiale. L'uomo sarebbe nato, come gli altri orgamsm1,

    dalla riunione di quelle molecole organiche di cui anche il Buffon aveva ammesso l'esistenza. L'aggregazione di tali molecole avrebbe prodotto tutti i corpi organiz­ zati, uomo compreso. Se oggi non se ne formano più sulla terra, gli è perchè la terra è ormai vecchia e stanca. A sostegno di queste sue teorie l'autore reca le più strampalate divagazioni e fantasie. A stretto rigore l'opera di de La Mettrie non può dirsi un'opera scientifica seria, nè, per quanto riguarda i particolari, originale. Tuttavia è importante perchè è il primo tentativo, in epoca moderna, di costruire un sistema meccanicistico e materialistico completo e coerente e di cercare una spiegazione > dell'origine degli esseri viventi e dell'uomo. L'opera di de La Mettrie fece gran rumore e fu molto letta sia in Francia sia in Germania. Fu presa sul serio, e criticata con attenzione e acume, come anche due altri scritti: la Voluttà e l'Arte di godere, nei quali l'autore sviluppa un sistema morale epicureo. Le idee di de La Mettrie, benchè ufficialmente non accettate da alcuno, furono molto attentamente considerate e fecero strada. La più compiuta ed estrema espres­ sione del materialismo settecentesco si è certamente ispirata ad esse. Si tratta di un libro pubblicato nel 1770 sotto falso nome e con falso luogo di edizione: il titolo è Système de la nature, ou des lois du monde physique et du monde moral (Londra, ma in realtà Amsterdam, 1770) e il nome è quello di Mirabaud, ch'era morto dieci anni prima. L'autore è un tedesco, oriundo francese, PAUL-HENRI-DIETRICH barone VoN HoLBACH (1723-1789) che visse lungamente a Parigi, dove tenne un salotto letterario e filosofico molto frequentato, e dove morì all'alba della rivoluzione. La dottrina sviluppata da Holbach si riferisce specialmente ai problemi generali dell'interpretazione dell'universo, e si ricollega al materialismo classico dei filosofi greci, e a problemi morali. Contro la filosofia di Holbach, contro la sua negazione di ogni causalità e ordine prestabilito e la sua rivalutazione della necessità in senso democriteo, insorsero i rappresentanti delle tendenze più diverse, quali Voltaire e Goethe. Ma altri filosofi e biologi accettarono invece e svilupparono ulteriormente alcuni aspetti della concezione meccanicistica. Ricorderemo soltanto PIERRE-]EAN-GEORGES CABANIS (1757-1808) professore alla Ecole de Médecine e autore di un libro che fu molto studiato : Rapports du physiq�te et du moral de l'homme (Parigi, r8o2), in cui espone una concezione della psicologia, che è espressione di un estremo materialismo. E così si chiude, nel secolo XVI I I , questa polemica, senza esaurirsi, e senza che vi sia la decisiva vittoria di una delle due opposte concezioni. La tendenza meccani­ cistica però, come abbiamo visto, manifesta sempre più la sua influenza sullo sviluppo di molti settori della biologia, e contribuisce a costruire a poco a poco il metodo d'indagine biologica, che, nell'Ottocento, darà i suoi frutti. .

    c) I precursori dell'evoluzione. I l Buffon, come abbiamo visto, (pag. 250) , espresse alcune idee sulle di variazione degli organismi, che lo fanno considerare come un pre",..ro:r.r.:r.J luzionismo. Ma non fu il primo, n è il solo : altri autori francesi del larono, più o meno vagamente, concezioni evoluzionistiche, per mente speculative. ..

    310

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    Il primo fu BENoh DE MAILLET (1656-1738) che pubblicò nel 1749 un curioso libro dal titolo tedesca contribuì non poco con le sue fantasie mistiche alla valorizzazione dei > di medicina, alcuni dei quali giunsero a singolari 312

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    In alto: Microscopio verticale del secolo XVIII. In

    basso:

    Microscopio

    verticale

    inglese

    dell"i.ni�io

    secolo XIX (Roma, Colle2:ione Carbonelll).

    Storia delle Scienze,

    III.

    del

    aberrazioni. È ben noto, per esempio, il mesmerismo. Ne fu fondatore il viennese FRAN­ CESCO MESMER (1734-I8I5) , che sostenne l'influenza dei pianeti sui fenomeni organici, e che esercitò una terapia basata su di un > non meglio definito, realiz­ zata con l'imposizione delle mani sul malato. Questa reviviscenza di un: concetto e di un metodo medioevale godette di grande diffusione nel Settecento. I l Mesmer venne a Parigi, si rifiutò di sottoporre i propri risultati alla Società Medica, ma ebbe grandissimo successo, fu protetto da Maria Antonietta e stipendiato dal Re, e con­ sultato dai più illustri uomini del tempo. Curava i malati con metodi spettacolari e complicati che cominciavano con la > per mezzo del contatto con spranghe di ferro ricurvo di cui una estremità passava in una tinozza contenente una soluzione di acido solforico. La cura terminava con l 'imposizione delle mani da parte del medico. Ciò produceva una sorta di stato ipnotico, ch'egli chiamava son­ nambulismo o chiaroveggenza, durante il quale il medico > la guarigione. Mesmer sfruttava la tendenza verso il soprannaturale, che è tanto diffusa negli uomini in tutti i tempi, e che si era accentuata - singolare contrasto- nel secolo dell'il­ luminismo. Deve quindi essere annoverato, insieme con vari suoi allievi e seguaci, fra gli avventurieri che abbondavano in quel periodo. Un altro > che ebbe grande successo al suo tempo, e la cui eco non è ancora spenta ai giorni nostri è quello omeopatico. L'omeopatia fu fondata da un medico tedesco SAMUEL HAHNEMANN, di Meissen in Sassonia ( 1775-I843) che, dopo di avere esercitato la professione in patria, divenne docente dell'Università di Parigi. Espose le sue dottrine in due opere : Organon der rationneller Heilkunst (Dresda, r8ro) e Reine A rznàmittellehre (r8r2-21 ). Il principio fondamentale è : similia similibus curantur,· una malattia deve cioè essere curata con medicamenti che provochino sintomi simili a quelli della malattia stessa; così la febbre con medicine che producono uno stato febbrile, le ustioni con impacchi caldi, la sonnolenza con l'oppio, ecc. Hahnemann è sostanzialmente un empirico : non propone alcun sistema biologico, nè intende stu­ diare l'essenza delle malattie: anzi dichiara esplicitamente che questa è inconoscibile. Sola preoccupazione del medico dev'essere la terapia. Un altro principio della terapia di questo autore. è che la diluizione accresce l'efficacia di un medicamento : quanto più piccole le dosi, tanto più notevoli gli effetti. Così prescrive che una tintura originale venga diluita fino alla trente­ sima potenza: due gocce della tintura in g8 di acqua, o di spirito, secondo i casi ; due gocce di questa soluzione in g8 di solvente, e così per trenta volte successive. Oggi sappiamo che vi sono sostanze che sono efficaci anche a diluizioni estreme; sappiamo anche che talune sostanze sono più efficaci ad una concentrazione non troppo elevata. . . ma questo non è sufficiente per rivalutare la teoria di Hahnemann. Comunque, il suo sistema e soprattutto il principio omeopatico, cioè similia simi­ libus, ebbe un successo enorme in tutto il mondo, sollevò discussioni e polemiche che ancora non sono chiuse e conta ancora oggi alcuni sostenitori, beninteso non nell'ambiente scientifico. Anche l'Italia ebbe il suo >: quello di GIOVANNI RASORI (r766-r837), che fu professore all'Università di Pavia. Quest'uomo di singolare ingegno s'infiammò d'entusiasmo per la dottrina del Brown, di cui tradusse in italiano gli Elementi (1712), 313

    Francesco Mesmer (da una stam­ pa dell'epoca) .

    e mtzw una vivactsstma battaglia contro la medicina accademica tradizionale. Nel suo famoso scritto: Sul preteso genio d'!ppocrate (1799) affermò doversi dar fuoco a tutti i libri di medicina per attenersi soltanto ai nuovi principi. Tale fu lo scandalo provocato dal suo atteggiamento polemico e violento, che fu dimesso dalla cattedra, e fece ritorno a Milano dove divenne medico . capo dell'ospedale militare e professore di clinica. Abbandonò in quel tempo il sistema del Brown e divenne egli stesso un rifor­ matore: basi della sua terapia erano il salassa, che praticava con inverosimile abbon­ danza, e il tartaro stibiato che propinava in quantità enormi. I risultati erano catastro­ fici, tanto che si diceva che la teoria del Brown e del Rasori avevano fatto più vittime che non la Rivoluzione francese. Medici autorevoli insorsero pubblicamente contro questi eccessi, e nel r8rz il Rasori fu deposto dalla carica di professore di clinica a Milano. Fu poi arrestato e imprigionato per due anni perchè aveva parteci­ pato alla cospirazione dei Carbonari. Fu certo un uomo d'ingegno non comune e di interessi assai vasti (diede, fra l'altro, una buona traduzione della Zoonomia di Erasmo Darwin) ; ma era privo di senso critico : incapace di far tesoro dell'am­ maestramento che veniva da Domenico Cotugno, il quale, contro le esagerazioni dei browniani ripeteva: >. Con questa singolare figura di romantico chiudiamo l'accenno alla infatuazione dei > , per rivolgerei a coloro che, attenendosi al metodo positivo, prepararono le basi alla medicina moderna.

    b) L'anatomia patologica. Il grande innovatore, nel Settecento, è GIAMBATTISTA MoRGAGNI di Forlì, (r6821771) , allievo del Valsalva a Bologna, poi lettore di anatomia in quella Università e dal IJII professore di medicina teorica a Padova. Fin dal 1706 pubblicò un'opera intitolata A dversaria anatomica prima, seguita poi da una seconda serie di studi con lo stesso titolo, e da numerose epistole, che gli valsero grande stima e considerazione da parte dei più illustri clinici e anatomici del tempo. La grande opera del Mor­ gagni è il trattato : De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis (Padova 1761). Morgagni, che fu uomo di vastissima cultura anche fuori del campo medico, è il profondo conoscitore dell'anatomia normale, che indaga le alterazioni patologiche, e mette in relazione, con accurato metodo comparativo, i fenomeni clinici con il quadro anatomo-patologico. Come dice il titolo del suo libro, ricerca la sede e la causa delle malattie attraverso l'indagine anatomica, senza preconcetti dottrinali, senza , con l'intento di trovare nei dati positivi la causa dei fenomeni morbosi. In questa indagine egli procede con la massima minuziosa cura e attenzione; e al­ l'analisi acutissim.a fa seguire il lavoro di sintesi e di collegamento dei dati clinici con quelli rivelati dall'autopsia. Non è possibile accennare qui alle singole ricerche del Morgagni, nè si può riassumere la sua opera indicando quali siano le scoperte di cui la medicina gli va debitrice. È il metodo, lo spirito nuovo ch'egli infonde nel vecchio tronco delle scienze mediche quello che conta mettere in evidenza. Metodo che si riallaccia ad una tradizione pre-

    Giambattista Morgagni.

    esistente - e in particolare all'opera del Valsalva, cui il Morgagni dedica un'accurata biografia con commento delle opere - e che illumina una strada feconda di nuove conoscenze. Questa verrà percorsa da molti discepoli, LEOPOLDO CALDANI (17251813) suo successore sulla cattedra patavina, PAOLO MASCAGNI (1725-1815) di Siena, DoMENICO CoTUGNO (1736-1822) di Napoli, e il grande anatomico e chirurgo di Pavia ANTONIO SCARPA (1752-1832) . Sarà questa la via che conduce alla medicina moderna. c) Chir·urgia e Clinica. N el Settecento la chirurgia esce dalla condizione di inferiorità in cui era stata tenuta nei secoli precedenti, e prende il posto che le spetta fra le scienze mediche, accanto alla clinica. Molti sono i chirurghi famosi di questo periodo, in Francia, in I nghilterra, in Germania e in Italia. Ne ricordiamo soltanto alcuni: oltre ad An­ tonio Scarpa, più volte citato, GIUSEPPE FLAIANI (1741-18o8) che operò a Roma, all'Ospedale di S. Spirito, e descrisse il morbo cui fu poi dato il nome di Basedow; MICHELE TROIA (1747-1828) della Università di Napoli; WILLIAM HUNTER di Londra; PERCIVAL PoTT (1713-1788) inglese, descrittore del morbo che porta il suo nome.

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    Frontespizio del De sedibus et causis morborum di G. Morgagni (Padova, I ]65)

    ·

    316

    N el Settecento s1 va accentuando quel differenziamento che porterà alla specializzazione moderna: ostetricia, oculistica, psichiatria, igiene e medicina sociale vanno delimitando il proprio campo d'azione da quello della medicina generale. Nel campo della psichiatria si deve ricordare VINCENZO CHIARUGI (I752-I84o) fiorentino, che fu uno dei primi a combattere i barbari sistemi con cui fino allora ve­ nivano trattati gli alienati. Il Chiarugi nella sua opera Della pazzia in genere e in ispecie (Firenze, 1793) diede un accurato studio delle malattie mentali, gettando i fondamenti della diagnosi e della prognosi in questo difficile campo. Il merito di avere introdotto un più umano trattamento degli alienati, ch'erano tenuti in catene, percossi, maltrattati e tenuti spesso in pessime condizioni igieniche, è generalmente attribuito al francese PHILIPPE PINEL (I75S-I8z6) , medico dell'ospedale di Bicetre e poi alla Salpetrière. Egli ebbe infatti maggior successo del Chiarugi, in quanto i suoi principi furono largamente seguiti e messi in pratica. Pine! apparteneva alla scuola vitalista francese, era allievo del Barthez, ma fu fautore della necessità di ricercare le alterazioni anatomiche che provocano le malattie, anche quelle mentali. Seguì dunque l'indirizzo del Morgagni.

    Vincenzo Chiarugi.

    Una singolare figura di psichiatra fu FRA NZ J OSEPH GALL, tedesco (1758-r8z8), che studiò a Vienna e si dedicò particolarmente allo studio dell'anatomia del cranio. Fondò una disciplina, cui diede il nome di frenologia, basata sull'ipotesi che nel cer­ vello si possano distinguere regioni in cui si svolgono particolari funzioni psichiche. Secondo che queste regioni sono più o meno sviluppate in confronto alle altre, gli individui hanno temperamenti diversi e sentimenti e passioni più o meno pronun­ ziati. Lo sviluppo diverso delle varie regioni determina la formazione di protuberanze e depressioni sulla volta cranica, le quali permettono di diagnosticare le qualità mo­ rali e intellettuali degli individui. Questa teoria ebbe fautori entusiasti e molti op­ positori: fu condannata dall'autorità ecclesiastica che vedeva di mal'occhio una troppo precisa localizzazione delle funzioni della psiche. Oggi sappiamo che non ha alcun serio fondamento; ma si può tuttavia riconoscere al Gall il merito di precursore della localizzazione delle funzioni cerebrali che fu scoperta molto più tardi. Fra i maggiori clinici del Settecento si deve ricordare il grande olandese BoERHAAVE, più volte menzionato. Non legato ad alcun sistema, conscio della necessità della os­ servazione accurata e positiva del malato, il Boerhaave si stacca dalla massima parte dei suoi contemporanei per l'indipendenza e l'acutezza del suo giudizio, e può essere Fot. Alinar�

    E. Jenner inietta il vaccino. Statua di G. Monteverde (Ge­ nova, Palazzo Bianco).

    considerato come il rappresentante di un rinnovato indirizzo ippocratico. Come già abbiamo detto, la sua influenza sulla medicina europea, dovuta anche alla elevata figura morale, fu enorme. Dal Boerhaave discende la scuola medica viennese, di cui fu maestro VAN SwiETEN (1700-1772) , chiamato all'Università di Vienna da Maria Teresa nel 1745. Altre importanti scuole cliniche fiorirono, nel Settecento, in vari centri europei. Ma la più grande scoperta nel campo della medicina fu indubbiamente la vaccina­ zione antivaiolosa, dovuta a EDWARD jENNER. Nato a Berkeley, in Inghilterra, nel 1749, fu allievo di John Hunter e si diede all'esercizio della pratica medica. Osserva­ tore attento, studioso diligente, il Jenner constatò che molte persone che avevano contratto il vaiolo infettandosi da animali non si ammalavano mai di vaiolo. Già da tempo, del resto, era noto che si poteva ottenere l'immunizzazione inoculando il pus del vaiolo umano. Gli antichi cinesi avevano usato questo metodo, e parecchi medici moderni avevano confermato tale possibilità; ma il metodo era pericoloso : poteva avere effetti letali. Il medico italiano ANGELO GATTI aveva pubblicato a Bruxelles nel 1764 le Riflessioni sui pregiudizi che si oppongono all'inoculazione, opera seguita da un'altra (1767) che aveva avuto larga diffusione ed era stata tradotta in molte lingue. In Italia l'inoculazione era stata largamente praticata, suscitando molti contrasti. Il Jenner, dopo molti studi ed esperienze venne alla conclusione che il vaiolo dei bovini, il vaiolo delle vacche, o vaccino, poteva produrre l'immunizzazione. Il 14 maggio 1796 compì il primo esperimento: inoculò in un bambino del pus ·di vaiolo vaccino proveniente da una pustola di una contadina che ne era affetta. Provò poi a infettare il bambino con pus di pustola di vaiolo umano: l'infezione non attecchì. Nel 1798 il Jenner pubblicò a Londra il risultato di questo esperimento e di altri studi successivi in un volumetto dal titolo: A n inquiry into the causes and effects of the variola vaccina. Quest'opera ebbe una enorme risonanza nel mondo intero, e suscitò entusiasmi e contrasti. Molti medici ripeterono gli esperimenti di Jenner. L'italia fu uno dei primi paesi in cui venne introdotta la vaccinazione, soprattutto per merito di GIOVANNI SAcco (1769-1836) che nel 1800 pubblicò a Milano un Trattato sulla vaccinazione. Il Parlamento inglese decretò premi a l J enner i n riconoscimento della sua grande scoperta, e il nome di questo benefattore dell'umanità (che morì nel 1823) fu presto conosciuto e onorato in tutto il mondo. La scoperta di Jenner segna una delle grandi date nella storia della medicina: i fenomeni della immunità costituiscono infatti uno dei capitoli più importanti della medicina moderna. In un altro senso ancora la vaccinazione fu una innovazione grandiosa: aprì prospettive fino allora sconosciute alla medicina sociale, e introdusse una concezwne nuova nella medicina : la profilassi, cioè la difesa preventiva contro le malattie. 12.

    Conclusione.

    La biologia del Settecento è dominata dal desiderio di raggiungere una sistema­ zione definitiva: nessuna epoca, quanto questa, fu preoccupata di costruire grandiose interpretazioni generali, da cui si potessero trarre per deduzione, tutte le conseguenze 319

    particolari. Il grande sistema linneano costituisce la più completa espressione del pensiero antico. Accanto e in contrasto 'con questo sorge la storia naturale del Buffon, che è invece l'apertura verso il pensiero biologico moderno. La disputa: meccanicismo-vitalismo si ripresenta con piena consapevolezza della funzione universale degli opposti principi. E sulla base dell'uno o dell'altro - o di loro corollari - vengono istituiti sistemi biologico-medici in cui si cerca di cristalliz­ zare i multiformi aspetti del problema della vita e dai quali si fanno discendere norme di terapia. Queste divergenze di principi generali s'individuano in varie controversie parti­ colari, come quella fra preformazione ed epigenesi in embriologia, pro e contro la generazione spontanea in biologia generale, esistenza, o meno, di un tipo ideale in anatomia comparata, eccetera. Ma il motivo essenziale del contrasto è evidentemente determinato dal desiderio di raggiungere una interpretazione scientifica, una A ufklarung cosi vivamente sentito da tutti i filosofi e gli scienziati dell'illuminismo ; e dal fatto che tale aspirazione è contrastata dalle grandi difficoltà che incontra l 'interpretazione meccanicistica dei fenomeni biologici, e dalla opposizione che - su questa base - i sostenitori degli indirizzi vitalistici sollevano contro tale teoria. La disputa sui principi sarebbe completamente sterile, da un punto di vista scien­ tifico, se non fosse sostenuta e promossa da indagini particolari nei vari campi della biologia. In questo secolo noi vediamo, infatti, delinearsi alcuni dei principali temi di ricerca che si svilupperanno nell'Ottocento: abbiamo accennato alla fisiologia, all'anatomia comparata, all'anatomia patologica e ad alcuni altri. Abbiamo sorvolato su due di essi, l'evoluzione e la teoria cellulare, che in realtà costituiscono la grande conquista del pensiero biologico dell'Ottocento. Dei loro precursori settecenteschi torna più opportuno far cenno quando si tratteggeranno gli sviluppi di queste teorie. L'attenzione non deve dunque essere deviata dagli speciosi programmi delle grandi concezioni biologiche, inquadrate nelle teorie filosofiche : accanto a queste -e in un certo senso più di queste valide e vitali- sono le correnti rappresentate dai ricercatori che s'industriano di osservare attentamente la natura e d'interrogarla sagacemente con l'esperimento, per attenerne le informazioni desiderate. È il metodo induttivo, il metodo di Vallisnieri, di Spallanzani, di Lavoisier, di Morgagni e di Jenner e di altri molti, il metodo che più degli altri ha contribuito a costruire le basi della scienza moderna. -

    320

    CAPITOLO VII.

    LA PRIMA METÀ DELL'8oo FINO A DARWIN

    1.

    Caratteri dell'epoca.

    Il Settecento si chiude con il grande rivolgimento determinato dalla Rivoluzione Francese. In seguito sorge e si estende su tutta l'Europa, con una grande raffica di guerra, l'epopea napoleonica. In questo clima ardente in cui vari motivi del pensiero rivoluzionario si continuano e si sviluppano, pur fra i contrasti di regimi sostanzial­ mente reazionari, emergono molte eminenti figure di scienziati, dapprima soprattutto in Francia e poi anche in altri paesi. Questi ricercatori, riprendendo e sviluppando le principali linee, spesso contrastanti, del pensiero settecentesco, sviluppano le scienze induttive, in particolare la biologia, in modo che non ha l'eguale nei tempi passati. L'estensione dei campi di indagine, la profondità d'ispezione e la generalità dei prin­ cipi acquisiti in breve lasso di tempo nel primo Ottocento sono un fenomeno che non ha precedenti nella storia, e che avrà ulteriore e rigoglioso sviluppo nella seconda metà di quel secolo e nel presente. Alcune correnti di pensiero, nel Settecento, hanno determinato e chiarito i principi dell'indagine scientifica; ma è soltanto nell'Ottocento che questi hanno trovato piena e fruttuosa applicazione e hanno prodotto uno dei fenomeni più caratteristici ed imponenti della civiltà moderna : quel formidabile sviluppo della scienza e della tecnica, che ha inciso e ogni giorno più profondamente incide sulla nostra cultura, e sulla struttura sociale e sulla vita dei popoli nel loro complesso così come sull'at­ tività dei singoli individui. Nell'Ottocento l'indagine scientifica comincia a diventare un mestiere, una >, e cessa di essere l'appannaggio di pochi. Si riorganizzano le Università, che sono - e rimangono a tutt'oggi - i principali centri d'indagine e di studio; le antiche si amplificano per adeguarsi all'accresciuto numero dei discenti e alle necessità sempre in aumento ; molte nuove Università vengono fondate in Europa e nel nuovo conti­ nente, che si affaccia ora alla ribalta della storia del pensiero e della civiltà : l'America. 2I.

    -

    Storia delle Scienze,

    I I I l.

    321

    La crescente complicazione della ricerca, soprattutto sul piano sperimentale, richiede l'ausilio di persone specializzate nel campo scientifico o in quello tecnico : quindi la necessità di arruolare assistenti scientifici e tecnici. Si moltiplicano gli ospedali, alcuni dei quali divengono importanti centri di studio, e si fondano istituti destinati alla pura ricerca scientifica, indipendentemente dal­ l'insegnamento universitario. In conseguenza del nuovo ordine sociale, la cultura e in particolare la cultura scien­ tifica, si estende interessando larghi strati della popolazione, che prima non vi avevano accesso, e i grandi problemi della scienza cominciano a interessare e ad appassionare l'opinione pubblica. In tal modo, anche attraverso le sempre più importanti appli­ cazioni tecniche, la scienza va acquistando un peso determinante nella vita dei po­ poli, e quindi i governi, volenti, come quello napoleonico, o nolenti, come molti altri più reazionari, devono prenderla in considerazione e provvedere al suo sviluppo. La caratteristica essenziale della scienza, e in particolare della biologia, nell'Ot­ tocento è la tendenza alla istituzione di un sistema basato sul metodo induttivo, cioè al raggiungimento di principi generali, o risalendo dal particolare all'univer­ sale. Osservando cioè i fatti singoli, comparandoli tra di loro, cercando di trarre dal loro insieme i caratteri comuni e più generali, per risalire alle leggi che li governano. Questo procedimento comporta la liberazione dagli schemi di idee preconcette, di principi generali che varie filosofie avevano imposto come soluzione aprioristica dei problemi della natura; comporta cioè la definitiva rinuncia all'applicazione in sede scientifica del sistema deduttivo proprio della scolastica. Ciò non avvenne senza vivaci contrasti, perchè molti ricercatori non erano disposti a respingere le concezioni tra­ dizionali, alcune delle quali del resto avevano pur prodotto qualche feconda ispi­ razione scientifica. Ma è chiaro che anche nella passione delle polemiche che talvolta offuscarono il retto giudizio, la tendenza a portare l'indagine scientifica su basi in­ duttive finisce per prevalere e trionfare anche nell'opera di coloro che rimanevano ligi agli schemi tradizionali. Vi è sempre meno posto, nell'Ottocento, per le specu­ lazioni puramente teoriche o mistiche, in campo scientifico. La biologia va diven­ tando sempre più una scienza positiva, secondo l'espressione che fu coniata appunto in questo tempo. Tre principali correnti di pensiero e di ricerca fioriscono in biologia nella prima metà del secolo, e tutte e tre raggiungono vaste generalizzazioni, principi fondamen­ tali che sono ritenuti ancora validi dalla scienza moderna: l'indirizzo morfologico sia nel campo microscopico sia in quello macroscopico; l'indirizzo fisiologico, cioè lo studio delle funzioni degli organi; la ricerca sui microorganismi e sulla loro origine. Quest'ultima indagine, e, in più larga e complessa misura, quella fisiologica, ri­ chiedono l'applicazione sistematica in biologia de] metodo sperimentale, che tanto aveva contribuito al progresso delle scienze fisiche e chimiche. Alla metà del secolo s'impone improvvisamente all'attenzione degli scienziati e di tutto il popolo la grande figura di Darwin, con la teoria della evoluzione, la quale sconvolge idee tradizionali, e imprime nuova vita e nuovo significato alla ricerca biologica. Conviene quindi dividere la nostra trattazione in un'epoca predarwiniana e in una postdarwiniana. 322

    2.

    Le scienze 111 orfologiche.

    a) L 'anatomia comparata e la paleontologia.

    -

    CuviER.

    GEORGES CuVIER nacque nel 1769 a Montbéliard, cittadina francese della Franca Contea, che faceva parte allora del Granducato di Wiirttemberg. Apparteneva ad una modesta famiglia francese di religione riformata. La madre lo allevò nella stretta osservanza religiosa e curò molto l'educazione e l'istruzione del giovane, che tosto si rivelò dotato di qualità eccezionali. Vinse un posto gratuito in un celebre Collegio di Stoccarda, l'Accademia Carolina, dove ebbe come maestro di scienze naturali FRIEDRICH KIELMEYER (r765-r844) , biologo di valore, che divenne poi professore a Tiibingen, e che apparteneva alla corrente dei >. Da lui il giovane Cuvier dovette udire la dottrina del > di struttura comune a tutti gli organismi, dottrina cara, appunto, a quella corrente naturalistica; e da questo maestro ricevette la prima istruzione zoologica e anatomica. Al termine degli studi, superati brillantemente gli esami, Cuvier tornò a casa, ma i mezzi erano modesti (il padre era un ufficiale francese in pensione) e dovè pensare a guadagnarsi la vita. Ebbe la fortuna di essere assunto come precettore del figlio del Conte d'Ericy, anch'egli protestante, che possedeva un castello presso Fécamp

    Georges Cuvier.

    Hitratto

    del 1 838.

    323

    in Normandia ( 1788) . Trascorse sette anni nella provincia, dove le raffiche della ri� voluzione giungevano attenuate. Nelle ore libere si diede a leggere opere di zoologia, e soprattutto a raccogliere e sezionare animali d'ogni specie, che le terre circostanti e soprattutto il mare - quel gran dispensatore di meraviglie, ch'egli non aveva prima conosciuto e che era ancora mal noto ai naturalisti - gli fornivano in abbondanza. Delle sue osservazioni conservava tracce in numerosi disegni, che raccoglieva in un suo Diarùtm zoologicum. Andava infatti carezzando il progetto di comporre un trat� tato di zoologia, e sviluppava autodidatticamente, ma con severo metodo, il proprio spirito d'osservazione. Nel 1794 l'abate Teissier, un agronomo che si era trasferito a Fécamp per fuggire la Rivoluzione, conobbe il giovane precettore e rimase ammirato della sua vasta cultura e del brillante ingegno. Ne scrisse ai suoi amici parigini: Daubenton, Geoffroy St .-Hilaire, Jussieu, Parmentier, dichiarandosi entusiasta di questa > - sono le sue parole - >. Quei biologi si fecero mandare i manoscritti del Cuvier e, riconoscendo di trovarsi dinanzi a una personalità eccezionale, lo invitarono a Parigi. Nel 1795 Cuvier abbandonò la Normandia e poco dopo il suo arrivo a Parigi, ebbe la Cattedra di Anatomia degli Animali al Muséum, che tenne fino alla morte; fu anche professore al Collège de France. Divenne così, non ancora trentenne, collega di uomini già famosi come Daubenton, Geoffroy St.-Hilaire, Lamarck, Lacépède. Si installò in una modesta casa, che ancora si conserva nella via che oggi porta il suo nome, presso il Jardin des Plantes, e diede inizio alla sua attivissima opera di insegna­ mento e di ricerca, riscuotendo subito grande successo. Le sue lezioni furono presto assai frequentate e · la sua fama si accrebbe rapidamente. L'attività del Cuvier è sorprendente non soltanto per la qualità, ma anche per la quantità di lavoro che egli seppé sbrigare. Oltre all'insegnamento, alle ricerche ana­ tomiche, pa!e.o ntologiche e di storia della biologia, svolse numerosi incarichi ammini­ strativi e d'ispezione. Nel 18or e nel r8ro venne in Italia e nel 1819 si recò in Olanda per ispezionare Università e Accademie. Fu nominato membro del Consiglio di Stato da Napoleone, nel 1813. La Restaurazione lo confermò in tutte le cariche. Nel r8r8 gli fu proposto il Ministero degli Interni, che rifiutò. Nel 1824, sotto il regno di Carlo X, divenne presidente di Sezione del Consiglio di Stato, sempre conservando, beninteso, le cattedre. Per le sue benemerenze scientifiche, ebbe il titolo di barone (r82o) . Dopo la rivoluzione del luglio, Luigi Filippo lo nominò Presidente del Consiglio di Stato. I l decreto era pronto per la firma, ma l'umile precettore, che era assurto a tanta dignità, raggiunse prematuramente il termine dei suoi giorni. Il colera, che con gran terrore della popolazione, infieriva a Parigi, ne troncò l'esistenza, a 62 anni di età, il 1 3 maggio 1832. La formidabile memoria, l 'eccezionale resistenza al lavoro, il metodo rigorosis­ simo che s'impose, e la vita modesta, consentirono un'attività incredibile, a questo uomo, che potè occuparsi di tante cose diverse, in tutte eccellendo, in tutte dimostrando profondità e acume singolare. Anche Cuvier, come prima di lui Linneo e Buffon, concepì un vasto disegno di descrizione del regno animale, ma egli era forte di un nuovo metodo d'indagine, che era andato affinando durante i suoi studi in Normandia: il metodo comparativo.

    Cuvier, che aveva studiato le opere di Buffon, di Daubenton e del Vicq d'Azyr , precursori dell'anatomia comparata, e che aveva udito dal Kielmeyer l'esposizione dei principi teorici sviluppati dalla Naturphilosophie, e in particolare il concetto del­ l'unità del piano di organizzazione, fu in grado di realizzare una felice sintesi fra i dati dell'osservazione e i principi generali. Fin dalle prime lezioni al Muséum si rivelò come il fondatore di una nuova disciplina biologica: l'anatomia comparata. Le sue lezioni furono raccolte e pubblicate da due suoi valenti allievi, CoNSTANT DuMÉRIL e GEORGES DuvERNOY, col titolo Leçons d'anatomie comparée (5 voli. r8oo-r8o5) . L'anatomia non vi è più considerata come una scienza analitica, destinata a indagare, più per curiosità che per un vero spirito scientifico, la struttura di questa o quella specie animale, ma come una scienza sintetica, che, con la comparazione, cerca di cogliere, al disopra delle differenze fra le varie specie, le somiglianze di struttura fra gli organismi. Cuvier, non certo propenso a lasciarsi sviare dalle speculazioni metafisiche, non tardò ad accorgersi che non era possibile ricondurre l'organizzazione di tutti gli ani­ mali ad un unico piano di struttura. Riconobbe però l'esistenza di quattro piani fon­ damentali, e classificò gli animali in quattro grandi gruppi ch'egli chiamò embranche­ ments. Questo nome cadde poi in disuso e fu sostituito da quello di tipo (DE BLAIN­ VILLE) o phylum. I tipi stabiliti dal Cuvier erano i seguenti: 1°} Vertebrati, in cui sono riunite le classi dei Pesci, Anfibi (e Rettili) , Uccelli e Mammiferi, che nella classificazione linneana erano tenute separate (in realtà il primo a riunirle sotto tale nome fu il Lamarck) . I vertebrati hanno come caratteri comuni: la metameria, cioè la segmentazione del corpo, soprattutto evidente nella colonna vertebrale e nella disposizione dei nervi, dei vasi, dei muscoli, che sono in rapporto con essa; il cuore in posizione ventrale, e il sistema nervoso dorsale e non attraversato dal canale digerente. 2°) Molluschi, animali non metamerici, per lo più ricoperti da un guscio calcareo, con il sistema nervoso che forma un cingolo periesofageo e un'ansa viscerale. 3°) A rticolati (cioè Insetti, Crostacei e Vermi anellidi, come i lombrichi) con evidente metameria esterna e sistema nervoso formato di gangli sopraesofagei col­ legati, per un cingolo periesofageo, ad una catena ganglionare ventrale. 4° Raggiati, con gli organi disposti secondo una evidente simmetria raggiata (meduse, stelle e ricci di mare) . La riforma della sistematica sulle basi anatomiche fu pubblicata a Parigi nel 1812 nell'opera: Sur un rapprochement à établir entre les différentes classes des animaux. Nel 1817 il Cuvier pubblicò l'opera fondamentale : Le règne animal distribué d'après son organisation. È una descrizione delle specie degli animali, in cui si tien conto non soltanto dei caratteri esterni, come facevano i linneani, ma anche dell'anatomia. Così il regno animale ebbe quella sistemazione in grandi gruppi, secondo i vari tipi o piani di organizzazione, che mancava completamente nell'opera di Linneo. Il Cuvier andava preparando anche, con l'aiuto di abilissimi disegnatori, una iconografia, che fu pub­ blicata soltanto dieci anni dopo la sua morte (1842) e che si compone di 450 tavole

    Pesce spada. Incisione della Histoire naturelle des poissons di Cuvier e Valenciennes (Parigi, 1828).

    contenenti 6. 200 figure, tutte di qualità eccellente e di finissima prectswne. Molte sono ancora insuperate, e sono infatti riprodotte nei trattati moderni. Un'altra poderosa opera, che Cuvier eseguì insieme con un collaboratore, VALEN­ CIENNES, è la Histoire natztrelle des Poissons, in venti volumi, portati a termine dal Valenciennes nel 1849, in cui sono descritte circa s.ooo specie di pesci. N ella classificazione del Cuvier si trovano diversi criteri nuovi basati su conside­ derazioni anatomiche e anatomo-fisiologiche di notevole interesse, che più tardi furono ulteriormente sviluppati. Un primo concetto fondamentale è quello della simmetria generale del corpo. Egli distingue due sistemi principali : la simmetria bi­ laterale, secondo la quale sono costruiti la maggioranza degli animali, uomo compreso (un piano principale divide il corpo in due metà specularmente simmetriche) e la raggiata, propria delle meduse e degli altri Celenterati e, almeno apparentemente, delle stelle e dei ricci di mare o Echinodermi. È il tipo di simmetria che può essere rappre­ sentato da un ombrello, o da una ruota, caratterizzata da un asse principale per cui passano infiniti piani che dividono il corpo in metà specularmente simmetriche. La metameria è un'altra condizione generale che si trova nel corpo di alcun mali: la costituzione a segmenti, che si succedono, più o meno eguali, in cefalo-caudale. Esempio tipico di animali metamerici sono i lombrichi Anellidi, i millepiedi e tutti gli Artropodi ; ma anche i Vertebrati metamerici, come ben si rileva durante lo sviluppo embrionale, e tura della colonna vertebrale dell'adulto. Invece animali com luschi) o le stelle di mare (Echinodermi) non hanno strutt

    Molto importante, soprattutto per gli sviluppi che ha avuto in seguito, con la teoria evoluzionistica, è il concetto di omologia degli organi. Si dicono omologhi quegli organi che, essendo deputati alla stessa o a diversa funzione, sono costituiti da pezzi anatomici simili : per esempio l'arto anteriore dell'uomo, del cavallo, della talpa, di un pipistrello, di un uccello, di una rana, di una lucertola e di una tartaruga costituiscono una serie di organi omologhi, perchè costituiti tutti da tre pezzi fonda­ mentali, corrispondenti a braccio, avambraccio e mano, con le seguenti ossa: omero, radio e ulna, ossa del carpo, del metacarpo e delle falangi. Tali parti sono variamente sviluppate secondo le esigenze dell'arto, che nei casi citati serve rispettivamente come organo prensile, di sostegno e di deambulazione, scavatore, di volo, di nuoto e di deambulazione. Invece organi analoghi sono per esempio l'ala di un uccello e quella di un insetto, che, pur esplicando la stessa funzione, sono costituiti secondo piani strut­ turali completamente diversi. Altro concetto, che già si trova espresso in Aristotele, è quello a cui il Geoffroy St. Hilaìre diede il nome di balancement des organes (correlazione degli organi o delle parti), di cui molto si valse il Cuvier nel tentare di ricostruire gli scheletri dei fossili, in base alla conoscenza dì poche ossa. È il rapporto di interdipendenza che esiste fra i vari organi, per cui, conoscendone uno, si possono stabilire con sufficiente appros­ simazione le caratteristiche di altri. Infatti un organo - in una data serie di forme affini - non può subire variazioni di qualche entità senza che altri organi subiscano variazioni correlative. In base a questi principi generali - tratti dalle osservazioni, e non postulati per via speculativa - è evidente che l'Anatomia comparata si avvia a diventare una scienza sintetica e interpretativa, anzichè semplicemente descrittiva. E, d'altra parte, la zoologia descrittiva e sistematica acquista un senso, un valore scientifico, che prima non era altrettanto apparente. Un'altra importante ricerca del Cuvier è quella sulle ossa fossili, la cui natura era stata per lungo tempo misconosciuta. Venuto a Parigi, il giovane naturalista trovò nelle collezioni del Muséum delle ossa d'elefanti fossili, che erano state acquistate dal Buffon e studiate dal Daubenton. Paragonandole con le ossa degli elefanti attualmente viventi, egli si accorse che le specie estinte erano diverse dalle attuali. Questo risultato gli destò l'interesse per i fossili, e Cuvier si diede a raccogliere molte altre ossa, provenienti dalle cave di gesso delle colline di Montmartre, che al­ lora era nei suburbi di Parigi. N el giardino sottostante la Chiesa del Sacré Coeur 'y' è una lapide che ricorda l'esistenza delle cave e le ricerche che vi fece personalment è il Cuvier. Le ossa appartenevano evidentemente a mammiferi, ma di specie dive�sa . da quelli oggi viventi non solo nella regione pangina, ma in ogni altra contrada della terra. Con paziente e industrioso lavoro di comparazione, il Cuvier riuscì a ricomporre le varie ossa in scheletri più o meno completi. Appassionato dai primi risultati, il Cuvier, associatosi con il geologo ALEXANDRE BRONGNIART, si diè a esplorare tutta la regione parigina, riconoscendo la presenza di vari > fossili .. Così a. Mont­ martre trovò che il giacimento che aveva prima studiato è rico perto · da altri giaci-

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    Denti di mastodonti. Tavola delle Recherches sur les ossements fossiles de quadrupèdes di G . Cuvier, tomo I I (Parigi, 1822) .

    menti caratterizzati da fossili diversi, e copre a sua volta terreni differenti, ricono­ scibili come depositi geologici diversi. Veniva così fondata la stratigrafia geologica. Per alcuni anni la febbre dei fossili divampò: la raccolta dei fossili divenne di moda e molto materiale si accumulò sul tavolo del Cuvier, raccolto da lui stesso, da allievi e collaboratori, da estranei. Egli era ormai diventato maestro nel ricostruire gli sche­ letri. Dalla conoscenza di poche ossa, basandosi sul principio della correlazione, cer­ cava di indovinare la forma delle ossa mancanti. Gli riuscì di ricostruire scheletri completi conoscendone soltanto poche ossa. E quando, anni dopo, altri scheletri più completi delle stesse specie vennero alla luce, gli studiosi si stupirono della preci­ sione della ricostruzione che il Cuvier ne aveva disegnato. Questi fatti fecero una enorme impressione sui biologi e sui profani. I l primo lavoro del Cuvier su questo argomento fu pubblicato nel 1798 con il titolo: Sur les ossements qui se tr01-tvent dans le gypse de Montmartre. Molti altri se­ guirono e furono così ricercati, che si rese presto necessario farne un'edizione com­ pleta in una sola opera. Questa ha per titolo Recherches sur les ossements fossiles

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    �b Ricostruzione dello scheletro del mastodonte. Tavola delle Recherches di G. Cuvier, tomo

    II.

    (Parigi r8r4, 4 voll. ; 3a ed. r825, 5 voll.) e costituisce il primo fondamento della pa­ leontologia scientifica. Un acuto e sagace interprete della natura come Giorgio Cuvier non poteva non porsi il problema delle cause che avevano provocato la estinzione di numerose specie, e la successiva comparsa 'di altre differenti. Di questo egli discute nella introduzione agli Ossements, che ha per titolo Discours sur les révolutions de la surface du globe, e fu poi pubblicata anche come un volume a sè. La spiegazione che a noi oggi sembra la più plausibile è quella fornita dalla teoria dell'evoluzione : che cioè le specie si siano andate modificando nel corso del tempo, e che le forme attuali siano le naturali discendenti di quelle, che esistettero nei periodi geologici trascorsi. Tale teoria era stata formulata proprio in quegli anni dal più pros­ simo collega di Cuvier al Muséum, il Lamarck. Ma Cuvier non l'accettò, anzi, come vedremo, la combattè accanitamente. E si appigliò alla sola altra interpretazione possibile : che nella storia della terra si siano verificati in tempi diversi cataclismi spaventevoli e totali, i quali avrebbero distrutto ogni traccia di vita. Dopo ognuno di questi il Creatore avrebbe messo in vita specie diverse dalle precedenti. L'ultimo

    Ricostruzione di scheletri fossili: in alto, un Nlegatherium ; in basso, a sinistra, Pterodattilo dal muso allungato, a destra, Cervo gigantesco. Tavola del Discours sur les révolutions de la surface du globe di G. Cuvier (Parigi, 185o).

    330

    di tali cataclismi, di cui è conservato un vago ricordo nella tradizione, è il Diluvio universale del quale si parla nella Bibbia. Per comprendere questa posizione di pensiero che può sembrare a noi oggi assurda in un uomo di ingegno così penetrante, ma che - a ragion veduta - non era tanto stravagante, date le conoscenze dei tempi e la mentalità del Cuvier, occorre ricercare qual fosse la concezione generale della natura e della scienza in Cuvier. La si trova esposta chiaramente nei lavori di storia della Biologia, e in particolare nel Rapport historique sur les progrès des sàences naturelles depuis 1789 j�tsqu'à nos jours (r8ro) , che fa parte di quelle rassegne storiche ch'erano state ordinate d a N apoleone ai se­ gretari delle varie sezioni dell'Institut de France. La concezione della natura e del compito del naturalista è in Cuvier del tutto simile a quella di Linneo. La natura e la scienza sono come due quadri, di cui il secondo tenta di copiare fedelmente il primo. In questo tutto è coerente, legato ; e così dev'es­ sere anche nel secondo. e della concezione generale della ricerca scientifica secondo il pensiero del Cuvier. Soprattutto è ribadito il disprezzo per quelle >, che il Buffon aveva chiamato >. Tali dovevano apparire alla mente quadrata del Cuvier le fantasticherie evolu­ zionistiche del suo grande contemporaneo, il Lamarck. ·

    b) La prima teoria evoluzionistica.

    -

    LAMARCK.

    ]EAN-BAPTISTE MoNET, chevalier de LAMARCK, era assai più anziano del Cuvier. Era nato a Bazentin in Piccardia nel 1744, undicesimo figlio di una famiglia di piccola nobiltà, ed ebbe una vita piuttosto avventurosa. Di lui, cadetto, si voleva fare un prete secondo la tradizione, ma, non avendo vocazione per la carriera ecclesiastica, intraprese quella militare. Si arruolò nell'esercito del Maresciallo Duca de Broglie che operava in Germania, verso la fine della guerra dei sette anni. Poi fu smobilitato e conobbe la vita oziosa delle guarnigioni. Presto ne fu sazio e si licenziò. Si recò a 331

    J ean Baptiste de Lamarck. Incisione di A. Tardieu.

    Fot. Goldnef

    Parigi in cerca di un'occupazione che gli desse da vivere, ché di famiglia aveva scarsi mezzi. Cominciò gli studi medici e si diede a frequentare il Jardin des Plantes o ve allora era in piena attività il Buffon. Ciò avveniva verso il 1770 e il futuro naturalista aveva 26 anni. Cominciò ad erborizzare, sotto la guida del grande botanico Bernard de Jussieu e si accorse quanto, in pratica, fosse difficile ad un principiante riconoscere e > (come si dice in gergo sistematico) cioè classificare le varie piante in base alle descrizioni contenute nei testi. Escogitò allora un sistema che oggi è lar­ gamente adottato e che si chiama delle >. Si tratta di contrap­ porre due caratteri : per esempio > >; poi, nella categoria delle piante con fiore : > >, e così via rimandando a successive possibilità alterne, finchè si giunge al nome del genere e della specie. Pubblicò nel 1778 una Flore de France esposta secondo questo sistema a cui tosto arrise un successo lusinghiero. Il J ussieu prese a stimare il giovane e lo presentò al Buffon. Lamarck, poco più che trentenne, conobbe così la celebrità. N el 1779 fu nominato membro dell'Accademia delle Scienze e nel 1781-82 il Buffon lo incaricò di accompagnare il proprio figlio in un viaggio attraverso l'Europa. Al ritorno Lamarck, che nel frattempo si era sposato, ebbe la nomina di custode degli erbari del Gabinetto di Storia Naturale, con un magro assegno. Dovette però lottare 332

    contro insidie e avversità di persone e di governi per mantenere la carica. Nel 1788 moriva il Buffon suo protettore. Nel 1789, sopravvenuta la Rivoluzione, l'Assemblea N azionale, per ragioni di economia, soppresse molti posti, fra cui il suo. Fu poi rein­ tegrato, ma lo svolgimento della sua attività di botanico gli fu resa assai difficile da invidie e contrarietà di uomini. Finalmente, dopo molti anni di stenti, in occasione della riforma del ]ardin des Plantes, che il governo repubblicano trasformò nel Museo Nazionale di Storia Na­ turale, il Lamarck, grazie alla protezione di un vecchio ma ancora attivo e potente collaboratore di Buffon, il Daubenton, potè avere il posto di professore al Museo. Ma non v'era alcun posto libero per un botanico : Lamarck fu nominato alla cattedra di Zoologia degli Animali Invertebrati. Ciò avveniva nel giugno I793 · Lamarck, alla età di 49 anni, dovette cambiare strada, incominciare uno studio completamente nuovo per lui : in un campo in cui le conoscenze erano allora scarse e le idee confuse. Tutto da ricominciare. Il Lamarck intraprese con energia e con entusiasmo il nuovo compito, nonostante la salute pre­ caria, gareggiando con i giovani ch'erano venuti a far parte del personale scientifico del Museo, fra i quali Georges Cuvier e Etienne Geoffroy St .-Hilaire. Lamarck si diede dunque a studiare, a comparare, a classificare quegli Inverte­ brati, in cui Linneo aveva riconosciuto due sole classi : gli Insetti e i Vermi. Si occupò in particolar modo dei Molluschi viventi e fossili, e in breve tempo acquistò nel campo degli I nvertebrati fama eguale a quella che nei giovani anni aveva avuto come botanico. Preparò così la sua grande opera : Histoire naturelle des animaux sans vertèbres il cui primo volume fu pubblicato a Parigi nel r8rs (l'autore aveva allora 7 1 anni) e il set­ timo ed ultimo nel r822. Quest'opera è fondamentale: la classificazione degli inver­ tebrati istituita dal Lamarck è, si può dire, quella tuttora adottata, almeno nelle linee fondamentali. Tuttavia il nome sarebbe rimasto sconosciuto al gran pubblico e noto soltanto nel ristretto circolo degli zoologi se, in quegli anni, l'autore non si fosse lanciato in ardite speculazioni. Non pago del poderoso lavoro di analisi, che andava conducendo, o forse scontento delle limitazioni che questo imponeva allo spirito, e ansioso di mi­ rare a orizzonti più vasti, il Lamarck si diede ad altre ricerche. Queste seguirono due vie, che meritano menzione : una perchè lo condusse a mete completamente sbagliate, l'altra perchè gli permise invece di attingere una delle più grandiose con­ cezioni della biologia. La prima è rappresentata da varie opere : ricerche sulle cause dei principali fatti fisici ( 1714) , sulla teoria pneumatica (1796) e altre successive (1797-99) in cui com­ battè, a gran torto, la nuova chimica e la scuola del Lavoisier. Sono opere informate a concezioni antiquate, scolastiche, come la teoria del flogisto, che dimostrano come egli non avesse compreso i nuovi sviluppi delle scienze fisiche e chimiche. Da rilevare, del resto, che a quel tempo, Lamarck sosteneva l 'immutabilità delle specie. Poco dopo egli intraprese la pubblicazione di una singolare opera che non contribuì a dar credito alla sua serietà scientifica. Il suo titolo è esattamente, in versione italiana: A nnuario meteorologico, contenente l'esposizione delle probabilità acquisite da una lunga serie di osservazioni sullo stato del ct'elo e sulle variazioni dell'atmosfera per i diversi periodi

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    dell'anno; l'ind-icazione delle epoche in cui ci si può attendere il bel tempo, o la piog­ gia, te1nporali o tempeste, gelo o d1:sgelo, ecc . ; inoltre l'elencazione, in base a tali pro­ babilità, dei periodi favorevoli alle feste, ai viaggi, agl'imbarchi, ai raccolti e alle altre imprese per cui importa di non essere contrariati dal tempo . . . . Insomma una specie di Barbanera, in cui però i pronostici sono basati, almeno nelle intenzioni dell'autore, su osservazioni statistiche. Questi almanacchi, la cui serie ha inizio nel r8o2, ebbero molto successo, dato anche il buon nome dell'autore. E il pubblico considerò come previsioni sicure avallate dall'autorità di quell'uomo, quelle che l'autore, scrupolo­ samente, indicava come >. Ne conseguì una situazione che divenne sempre più spiacevole e di cui il buon Lamarck non si rendeva conto. Dovette intervenire personalmente l'Imperatore perchè, nel r8ro, la pubblicazione dell'Annuario meteo­ rologico venisse sospesa. Abbiamo voluto ricordare questa parte deteriore dell'attività del Lamarck, per meglio lumeggiare la sua personalità, che appare contrastata da due opposte ten­ denze : quella dell'indagine analitica e sistematica e il desiderio di generalizzare e di teorizzare. A questa si deve la parte immortale dell'opera lamarckiana, la quale, già accen­ nata fin dal r8oo in una prolusione al suo corso pronunciato il 2 1 Floreale dell'anno VIII e in una introduzione a un libretto, Sistema degli animali senza vertebre, è espressa in forma piena e organica in un volume dal titolo Philosophie zoologique pubblicato nel r8og. A questo punto, è meglio lasciare al Lamarck la parola, che è assai chiara. Dopo molte considerazioni che non è possibile qui riassumere, il Lamarck così sintetizza il proprio pensiero : Sta di fatto che i diversi animali hanno ciascuno, secondo il proprio genere e la propria specie, abitudini particolari e una organizzazione che è sempre perfettamente in rapporto con esse abi­ tudini. Dalla considerazione di questo fatto ci sembra che si possa ammettere o l'una o l'altra delle due seguenti conclusioni, e che nessuna delle due possa essere provata. Conclusione ammessa fino ad oggi : la natura (o il suo autore) , creando gli animali, ha previsto tutte le possibili circostanze in cui essi avrebbero dovuto vivere e ha dato ad ogni specie un'orga­ nizzazione costante, nonchè una forma determinata e invariabile nelle sue parti, le quali obbligano ogni specie a vivere nei luoghi e nei climi dove la si trova e a conservare le abitudini che le si conoscono. Mia conclusione particolare : la natura, producendo successivamente tutte le specie d'animali e cominciando dai più imperfetti e più semplici, per terminare la sua opera con i più perfetti, ha complicato gradualmente la loro organizzazione, e, diffondendosi gli animali generalmente in tutte le regioni abitabili del globo, ogni specie ha ricevuto dall'influenza delle circostanze in cui si è trovata, le abitudini che le conosciamo e le modificazioni delle sue parti che l'osservazione ci dimostra. La prima di queste due conclusioni - prosegue il nostro autore - è quella ch'è stata tratta finora, vale a dire è press'a poco quella accettata da tutti: suppone in ogni animale una organiz­ zazione costante e delle parti che non abbiano mai variato e che non varieranno mai; suppone ancora che le circostanze dei luoghi ave abita ogni specie di animali non varino mai, in quelle località, perchè, se variassero, gli stessi animali non potrebbero più vivere colà, e la possibilità di cercare altrove circostanze simili e di trasferirsi potrebbe esser loro preclusa. La seconda conclusione è la mia personale: suppone che, per influenza delle circostanze sulle abitudini e poi per quelle delle abitudini sullo stato delle parti e anche su quello dell'organizzazione,

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    ogni animale possa ricevere nelle sue parti e nella sua organizzazione mocliticuioni suscettibili di divenire molto notevoli che hanno dato luogo allo stato in cui oggi troviamo gli animali. Per dimostrare che questa seconda conclusione è priva di fondamento bisogna innanzitutto provare che ogni punto della superficie della terra non varia mai nella sua natura, nell'esposizione, nella sua situazione elevata o bassa, nel suo clima, ecc. : e provare in seguito che nessuna parte degli animali subisce, anche in un tempo molto lungo, alcuna modificazione in seguito al cambia­ mento delle circostanze e alla necessità che li costringe ad un genere di vita e d'azione che sia diverso da quello che loro era abituale. Ora, se è vero che un animale da lungo tempo domesticato differisce dalla specie selvatica da cui è derivato, e se, in quella specie domestica, si trova una grande differenza di conformazione fra gli individui che sono stati sottomessi ad una abitudine e quelli che sono stati costretti ad abi­ tudini differenti, è certo che la prima conclusione non è conforme alle leggi della natura, mentre, al contrario, la seconda è in perfetto accordo con esse. Tutto concorre dunque a provare la mia affermazione, cioè: che non è già la forma, sia del corpo, sia delle sue parti, che dà luogo alle abitudini e al modo di vita degli animali, ma che sono, al con­ trario, le abitudini, il modo di vita e tutte le altre circostanze influenti che hanno, col tempo, costituito la forma del corpo e delle singole parti degli animali. Con forme nuove, nuove facoltà sono state acquisite, e a poco a poco la natura è giunta a formare gli animali cosi come li vediamo attualmente. Può esservi nella storia naturale una considerazione più importante e a cui si debba dare mag­ giore peso che non quella che ho sopra esposto ? (Philos. zoo!., cap . IX) .

    È chiaro, dal tono di questa domanda retorica, che il Lamarck si rendeva piena­ mente conto dell'importanza di questa sua teoria. E non è il caso di accentuare quanto la succinta esposizione che abbiamo citato sia precisa, completa, consapevole. È, fi­ nalmente, una vera teoria dell'evoluzione. Ma il merito principale del Lamarck non consiste soltanto in questa sua enuncia­ zione della teoria, ma anche e soprattutto nel tentativo di interpretare le > dell'evoluzione. Ancora una volta lasciamo la parola al nostro autore. Per giungere a conoscere le vere cause di tante forme diverse e di tante differenti abitudini di cui gli animali che conosciamo ci offrono gli esempi, bisogna considerare che le circostanze infinitamente diversificate, ma tutte lentamente cangianti, in cui gli animali di ogni razza si sono successivamente trovati, hanno determinato, per ciascuno di essi, nuovi bisogni e successivamente cambiamenti nelle loro abitudini. Una volta riconosciuta questa verità incontestabile, sarà facile vedere come i nuovi bisogni abbiano potuto esser soddisfatti e nuove abitudini acquisite, se si presta attenzione alle seguenti leggi della natura, che l'osservazione ha sempre constatato. Prima legge. I n ogni animale che non abbia superato il termine del suo sviluppo, l'impiego più frequente e continuo di un organo qualsiasi, fortifica a poco a poco questo organo, lo sviluppa, lo ingrandisce e gli conferisce una potenza proporzionata alla durata del suo uso laddove l'assenza costante dell'uso di tale organo l'indebolisce insensibilmente, lo deteriora, diminuisce progres­ sivamente le sue facoltà, e finisce per farlo scomparire. Seconda legge. Tutto ciò che la natura ha fatto acquisire o perdere agli individui per l'in­ fluenza delle circostanze alle quali la loro razza si trova da lungo tempo esposta, e di conse­ guenza, per effetto dell'uso predominante di tale organo e del suo costante non uso, lo con­ serva attraverso la generazione ai nuovi individui che ne derivano, purchè i cambiamenti acquisiti siano comuni ai due sessi o almeno a quelli che hanno prodotto questi nuovi individui. (Philos. zool., cap. IX).

    Sono qui chiaramente espressi i due principi fondamentali della teoria lamarckiana, conosciuti con i nomi di schematiche e aprioristiche, con i suoi esempi alquanto puerili, doveva apparire alla mente qua­ drata del Cuvier come una di quelle tante ipotesi campate in aria, non suffragate da osservazioni precise, che, com'egli dice, si sono distrutte reciprocamente e hanno lasciato nell'oscurità del passato il nome di coloro che le hanno immaginate. Ma, se i dati di fatto così cari al Cuvier gli davano motivo per respingere la teoria lamarckiana, è certo che il fondamento della sua avversione - e di quella di tanti altri suoi contemporanei e posteri - va cercata più profondamente nelle radici del suo spirito. Si badi: in quelle parole del Lamarck che abbiamo citato v'è una profon22.

    -

    Storia delle Scimze,

    IIIl.

    337

    dità di pensiero, una coscienza rivoluzionaria che a noi oggi non sfugge, e che ci com­ muove per la sua limpida ingenuità. Di quelle due conclusioni che >, dice il Lamarck, si possano ammettere indifferentemente, e di cui > che nessuna si possa dimostrare, la > che egli çerca di provare dimo­ strando l'invalidità dell'altra - quella sua conclusione evoluzionistica fa crollare tutto un castello di interpretazioni tradizionali. Gli organismi non son già creati così, adatti all'ambiente in cui debbono vivere, ma l 'ambiente stesso li plasma, rendendoli idonei alle proprie esigenze. Non sono essi dunque figli del Creatore che domina la materia bruta, ma figli di questa materia, i quali faticosamente cercano di adattarsi alle esigenze del mondo esterno; anche se la presenza e l'azione del Creatore, come causa prima, sia, nel pensiero del Lamarck, essenziale. Cade quindi nella sua forma tradizionale e statica, il concetto del mirabile disegno preordinato, della superiorità dei viventi sulla materia inorganica, cade tutta una gerarchia d'investitura divina, di cui sulla terra, l'uomo è al vertice. E, nel crollo, vengono travolte molte strutture che sembrano lontane dalla mera teoria biologica, ma che invece vi sono collegate attraverso sottili radici filosofiche. Cade non soltanto una determinata rappresenta­ zione del mondo esterno, ma con essa crollano le basi di una certa struttura sociale, di un'etica, che sono ben radicate ancora nel pensiero e nel cuore degli uomini. · Il Cuvier dovette sentire, oscuramente, questo pericolo - troppo vasta era la sua cultura e viva la sua umanità perchè potesse ignorarlo - e non era disposto a

    Fot. British Museum

    Cranio di Cynognathus crateronotus proveniente dalla zona di Karroo (Sud Africa) .

    tollerare questo sfacelo della sua propria struttura filosofica e religiosa. Si attenne dunque alla prima soluzione : a quella, dice Lamarck, ammessa da tutti. E cercò di conciliare i > con le concezioni cui non poteva rinunciare, escogitando le rivoluzioni del globo. Vediamo dunque in quel mirabile fervore di studio e di pensiero che fiorisce a Parigi all'alba del secolo XIX, nel fulgore dell'impero napoleonico, due concezioni opposte sostenute da due uomini di genio, che per molti caratteri sono in completa antitesi fra loro. Modesto, schivo di onori e privo di prestigio sociale, il Lamarck, con quel suo atteggiamento di visionario che corre dietro a chimere, si spegne in una vecchiezza solitaria, senza veder riconosciuta e compresa la sua grande idea. Sicuro di sè, invece il Cuvier, forte del proprio prestigio sempre crescente ; impassibile, non disposto a dar ascolto ai contraddittori , ligio ai fatti di cui ha raccolto messe abbon­ dante quant'altri mai. La sua piena e operosa maturità fiorisce accanto al declino del Lamarck, ed è troncata dalla morte repentina. Si è detto che il Cuvier abbia manifestato una rivalità nei riguardi del Lamarck, che lo abbia perseguitato perchè aveva opinioni differenti dalle sue. Pare che non sia vero, e ch'egli invece non abbia mai mancato di rispetto all'anziano collega, le cui ricerche zoologiche meritavano la massima stima e considerazione. Certo si è che l'autorità del grande anatomico schiacciò col proprio peso la fragile teoria lamar­ ckiana. E tuttavia questa ebbe qualche seguace. Un altro allievo spirituale del Buffon, molto più giovane del Lamarck, che anche teneva cattedra al Muséum, era ETIENNE GEOFFROY Sr.-HILAIRE (nato nel 1772, morto nel 1844) . Egli rac­ colse le idee evoluzionistiche del Buffon e del Lamarck e le sviluppò per propriol conto, seppure in modo meno esauriente e brillante. Spento il Lamarck, egli ebbe col Cuvier (col quale nei primi anni in cui questi era a Parigi ebbe a collaborare) memorabili scontri. Il più famoso è quello ch'ebbe luogo il rs febbraio del 1830. In quel giorno il Geoffroy St.-Hilaire lesse all'Accademia delle Scienze una memoria di due suoi allievi, i quali cercavano di dimostrare che l'organizzazione dei molluschi Cefalopodi (per intenderei delle seppie e dei polpi) può essere riportata a quella dei Vertebrati. Per esprimerci in parole povere, diremo che i due autori della memoria sostenevano che se si prende un vertebrato, diciamo un pesce, e si immagina di ripiegarlo su sè stesso dorsalmente in modo che la coda venga a contatto con la parte posteriore del capo, e la parte po­ steriore della colonna vertebrale venga così a combaciare con quella anteriore, si ha l'organizzazione del cefalopodo. Quindi, se si immagina l'operazione inversa, si può pensare che i Vertebrati siano derivati dai Cefalopodi. Geoffroy St.-Hilaire sosteneva l'unità del piano di organizzazione in tutto il regno animale - cosa assur�a - !ad­ dove il Cuvier, come abbiamo visto, aveva riconosciuto quattro piani distinti, che non ammetteva potessero considerarsi derivati l'uno dall'altro. Nella sua relazione il St.-Hilaire attaccò il Cuvier, citando passi d'un suo scritto. I rapporti fra i due erano già tesi, e il Cuvier reagì vivacemente, mettendo in chiaro la differenza fra quei con­ cetti che egli aveva chiariti e che più tardi furono meglio definiti : omologia e analo­ gia. E demoli la teoria del Geoffroy. 339

    Etienne Geoffroy Saint-Hilaire. Litografia di Belliard.

    Pochi mesi dopo Parigi fu nuovamente sconvolta da una rivoluzione : la rivo­ luzione del luglio, che portò sul trono Luigi Filippo. Racconta Eckermann, nei suoi >, che l'ottantenne poeta, il due di agosto di quello stesso anno 1830, lo ricevette esclamando : >. Al che lo Eckermann s'affrettò a dar notizia dei fatti del luglio e . a far pronostici sul risultato della rivoluzione. Ma il poeta impaziente lo interruppe della pecora, che produce jn questo animale il cosiddetto capostorno, è la forma }arvale di una tenia che vive nell'intestino del cane. Riconobbe lo stadio cistico di altre tenie che da adulte vivono nel cane e nel gatto ; queste cisti si trovano nei visceri della lepre o, rispettivamente, del ratto. I l v. Siebold scoperse anche che l'echinococco, il quale si presenta nell'uomo sotto forma di enormi cisti nel fegato, ha il suo stadio adulto in una piccolissima tenia che vive nell'intestino del cane. Era così fondata una nuova disciplina, la Elmintologia, o studio dei vermi paras­ siti, alla quale il Leuckart portò nuovi lumi, con la scoperta del ciclo delle tenie nel­ l'uomo e di altri animali, della trichina, ecc. Il tratta�o di parassitologia umana di Leuckart (1 863) segna una data importante per la zoologia e per la medicina, e apre una serie di ricerche, che, continuate nella seconda metà del secolo XIX e nel presente, hanno condotto alla conoscenza dei cicli vitali e degli ospiti intermedi di un gran numero di parassiti dell'uomo, degli animali e delle piante, fornendo indicazioni pre­ ziose per la cura e la profilassi. Anche alcuni animali non parassiti presentano cicli di sviluppo singolari. Un p francese, vissuto a lungo in Germania, ADALBERT VON CHAMISSO (1781-1838) , a fra l'altro della storia di Peter Schlemhil, l'uo�o che vendette la propria prese parte, dal 1815 al r8rR al viaggio di circumnavigazione della nave e osservò che alcuni animali marini, le salpe (Tunicati) , presentano un' generazioni : le forme cosiddette solitarie danno origine a forme un cui numerosi individui sono riuniti a catena. Da questi si o · individui solitari. Osservazioni simili su altri animali furono .naturalisti, fra cm il norvegese MICHAEL SARS (r 8os-r la ricerca 344

    zoologica nei mari del Nord, SvEN LovÉN (r8og-r895) svedese, fondatore del labora­ torio biologico di Kristineberg e autore di molte ricerche sul ciclo di sviluppo e sulle forme }arvali degli animali marini. Ma fu j oHANNES jAPETUS STEENSTRUP (1813-1897) , danese, autore di molte ricerche zoologiche, etnologiche, paleontologiche, che formulò nel r8o2 il concetto di >. Molti animali, fra cui appunto le salpe, fra i Tunicati, tutti i Celenterati, come le meduse e i coralli, molti vermi, pre­ sentano due tipi di generazione che si alternano regolarmente : numerose generazioni agamiche ( i > dei Celenterati, che si riproducono per gemmazione) , dopo le quali si inserisce una generazione sessuata (le , ma non s'era trovata mai una unità fondamen che stesse alla base della pressoché infinita molteplicità dei f antichi riconobbero che le varie strutture del corpo elementi simili: carne, ossa, nervi (o tendini), membrane o

    col nome di > (omoiomere) tali elementi, che, riuniti in proporzioni e disposizioni diverse, formavano gli organi, o >. È un concetto analogo al moderno concetto di tessuto. Più in là non s'erano spinti, nel tentar di trovare l'unità di costituzione degli organismi, o, se l'avevano fatto, avevano risolto ogni cosa con la dottrina dei quattro elementi (terra, acqua, aria e fuoco) in cui si risolveva la costituzione chimica di tutto l'universo. Le prime origini della teoria cellulare si trovano, ancora una volta, nelle osserva­ zioni dei microscopisti del '6oo, che con tanto acume e sedulità s'industriavano di studiare la minuta tessitura degli organismi. Abbiamo visto come RoBERT HooKE, nella sua Micrographia (1665) fu il primo ad usare il termine di cellula, applicandolo alle cellette vuote di cui vide costituito il sughero. MALPIGHI (1675), poco dopo, trovò in altri tessuti vegetali elementi analoghi, a cui diede il nome di utricoli. NEHEMIAH GREW (1682) osservò anch'egli simili strutture e parlò di vesicles o bladders, rico­ noscendo che alcune erano piene di un succo trasparente. Egli ritenne che tali vescicole si originassero come le bolle (bubbles) in un liquido in fermentazione opinione ch'ebbe poi molto favore anche nel sec. XIX e ne riconobbe la presenza, in forma più o meno modificata, in moltissimi tessuti vegetali. Nessuno di questi osservatori andò oltre tali constatazioni, le quali per lungo tempo non furono più continuate. Nel sec. XVII I parecchie ipotesi furono proposte sulla struttura elementare degli organismi, fra cui merita di essere ricordata quella del grande fisiologo A. HALLER, per il quale > cioè l'elemento principale della costituzione degli esseri viventi. Presso a poco contemporaneamente FELICE FoNTANA nella sua celebre opera: Traité sur le venin de la vipère, pubblicata in fran­ cese a Firenze (1781) e recante come sottotitolo : On y a foint des observations sur la stntcture primitive du corps animal, si propone di ricercare l'elemento strutturale che costituisce il corpo animale, e crede d'esservi riuscito, identificandolo nei >. Sotto questo nome confonde fibre muscolari, nervose, connet­ tivali, e cellule degli epiteli cilindrici. Ma non v'è dubbio che la via era buona, e l'attribuzione di una struttura unica ai vegetali e agli animali è un concetto molto importante. Al Fontana spetta inoltre il merito di aver visto nelle cel­ lule epiteliali il nucleo, la cui scoperta è di solito attribuita al botanico inglese R. BROWN che lo descrisse molto più tardi (1831) nelle cellule dell'epidermide delle Asclepiadacee. Sullo scorcio del sec. XVI I I il medico francese X. BICHAT (I77I-I8oi) osservò che i vari organi del corpo umano possono considerarsi come costituiti da un certo numero di parti, che hanno apparenza e struttura specifica, a cui diede il nome di tessuti, elencandone ventuno. Precisò così l'antico concetto di parti similari, e intro­ dusse un termine che ebbe poi molta fortuna. In quel tempo si riprendevano le osservazioni del Leeuwenhoek e dei primi mi­ croscopisti secenteschi sugli animaletti delle infusioni, di cui lo Spallanzani aveva da poco dimostrato il modo di origine, negando che si formassero per generazione spontanea. E, a proposito di questi, LoRENzo 0KEN (cfr. pag. 277) nell'opera Die Zeugung (I8os) e soprattutto nel suo famoso Lehrbu.ch der Nahtrphilosophie (18og), -

    fra le speculazioni sbrigliate a cui spesso si abbandonava - come altri suoi contemporanei - ebbe ad avanzare una teoria, che oggi ci sembra molto apprezzabile, e che, comunque, esercitò una notevole influenza sullo sviluppo della teoria cellulare. Tutti gli organismi, egli dice, si originano e sono costituiti da vescicole, o cellule, le quali, isolate, costituiscono l' Urschleim, o muco primitivo, di cui son fatti gli Infusori. L'origine degli organismi superiori deve quindi ricon­ dursi ad un'aggregazione di Infusori ; non delle specie già elaborate e perfette, ma di > non ancora specializzate, che si comportano diversamente nelle differenti combinazioni e costituiscono gli organismi più elevati. Le osservazioni sui Protozoi (che nel 1838 C. G. Ehrenberg magistralmente il­ lustrava come organismi completi) condussero F. Dujardin (1835) a riconoscere ch'essi sono formati d'una sostanza particolare, simile nelle varie specie, cui diede il nome di sarcode. CHRISTIAN GoTTFRIED EHRENBERG (1795-1876) nato a Lipsia, fu professore di storia della medicina a Berlino e Segretario dell'Accademia delle Scienze. La sua opera fondamentale è appunto quella in cui descrive i protozoi come organismi com­ pleti (Die Infusionstierchen als vollkommene Organismen, 1838) . FELIX DUJARDIN (180I-I862) professore prima a Tolosa, poi a Rennes, sostenne idee in parte contrastanti con quelle dell'Ehrenberg, ma contribuì anch'egli alla conoscenza dei Protozoi. Poco dopo EvANGELISTA PuRKINJE (1840) del quale si parla a pag. 374, in un lavoro sulle analogie fra gli elementi strutturali degli animali e delle piante, introdusse il termine di protoplasma, per indicare la sostanza vivente formativa degli embrioni animali. Tale termine fu poi definitivamente introdotto nella scienza dal botanico H . voN MoHL (1846 e 1853), e in seguito più precisamente definito da MAx ScHULTZE (1855-73) . Da molti sintomi si vede che, nei primi anni del sec. XIX, andava facendosi strada l'opinione che le cellule, là dov'erano state osservate, non fossero le cellette vuote descritte da Hooke, bensì vescicole piene. Il botanico K. SPRENGEL nel 1802 rimise in onore il termine cellula, ignorando ch'era già stato usato da Hooke ; il BRISSEAU­ MIRBEL dedicò ricerche particolari al > dei vegetal i ; CHRISTIAN G. D. NEES voN EsENBECK (1776-!858), un altro > tedesco (cfr. pag. 278) , professore di botanica a Bonn e poi a Breslau, e autore di pregiate opere di sistematica botanica, affermò (1820) che il tessuto cellulare è il fondamento della struttura vegetale, e infine H. J . DuTROCHET botanico e fisiologo francese ( 1776-1847 ) enunciò (1824) per primo il concetto di cellula come entità morfologica e fisiologica fondamentale. Le idee di questo autore sulla struttura cellulare, sia nelle piante sia negli animali, e sulla fisiologia della cellula sono veramente di una modernità sorprendente. Parecchi storici ogg1 lo considerano come il vero enunciatore della teoria cellulare, togliendo molto merito a Schleiden e Schwann. Altri autori che esposero vedute ana­ loghe, nel campo botanico, furono I .-P. TURPIN (1824) , F. J . MEYEN (1830) e F.- V. RASPAIL (!833). Nel dominio della zoologia, invece, il concetto di struttura cellulare non fu al­ trettanto chiaramente espresso, prima di Schwann. Molti seguaci di Bichat parteci­ pavano al disprezzo per le ricerche microscopiche ch'egli aveva chiaramente mam-

    festato, e anche uomini come il Cuvier e il De Blainville non erano molto più progre­ diti di Haller nelle conoscenze istologiche. Perfino l'anatomico tedesco K. F. H Eu­ SINGER, che usò per primo il termine > (1822) era contrario al concetto della identità delle cellule animali con le vegetali, e Augusto Comte affermava che era impossibile trovare una unità fondamentale d 'ordine inferiore ai tessuti. Fanno eccezione a questo indirizzo alcune ricerche microscopiche di Milne Edwards, a dir vero non molto felici, sulla struttura dei tessuti animali, che sarebbero composti di > allineati a costituire fibre, e quelle citate del Dujardin e del Purkinje. Soprattutto notevoli sono gli studi di quest'ultimo autore sui nuclei e sui nucleoli, e la teoria > ch'egli cercò di contrapporre a quella di Schwann. Il merito della fondazione della teoria cellulare è attribuito generalmente, com'è ben noto, al botanico M. ]. SCHLEIDEN e allo zoologo TH. ScHWANN. Le ricerche degli storici moderni tendono a diminuire i meriti di questi autori, particolarmente del primo, e ne mettono in evidenza la scarsa probità scientifica, per non avere egli debitamente citato gli autori precedenti, dai quali molto aveva attinto. Si ripetono qui le vicende storiche che abbiamo incontrato a proposito della circola­ zione del sangue, e che si trovano in molti altri campi della scienza. Spesso coloro che bandiscono una nuova teoria non la creano ex novo, ma si valgono di idee già più o meno espresse, di fatti già da altri raccolti, e li collegano e armonizzano in una vi­ sione unica. E per lo più è molto difficile stabilire, in questi casi, la priorità, e soprat­ tutto discernere quello che v'è di nuovo da quello che è stato assorbito da autori pre­ cedenti. Non è il caso di entrare qui in merito a una questione così difficile, per quanto riguarda l'argomento che ci interessa ; ci limitiamo a riconoscere che la data della pub­ blicazione delle opere di Schleiden e Schwann segna veramente il nascimento della teoria cellulare, la quale ebbe di poi rapidissimo sviluppo. MATHIAS ]ACOB ScHLEIDEN nacque ad Amburgo nel 1804 e studiò prima giuri­ sprudenza, si addottorò ed esercitò l'avvocatura con poco successo, probabilmente a causa del suo carattere malinconico e scontroso. Tentò il suicidio, sparandosi un colpo di rivoltella, ma si salvò. Si diede poi a studiare medicina e nel 1850 fu chiamato come professore a Jena. Di lì passò a Dorpat, ma, irrequieto, si trasferì successivamente in varie città della Germania, finchè la morte lo colse nel 1881 . Lo Schleiden pubblicò nel 1838 una memoria : Beitriige zur Phytogenesis (Contrib�tti alla fitogenesi) in cui afferma che la cellula deve considerarsi come l'unità elementare della struttura delle piante, e riconosce che ciascuna cellula ha duplice vita, come organismo indipendente e come parte della pianta. Riprende le considerazioni del Brown sul nucleo, che riconosce come un componente essenziale della cellula, e pensa che nuove cellule si originino per una sorta di gemmazione del nucleo. Nonostante che la maggior parte di questi concetti fossero già stati esposti, anche più chiaramente, dal Dutrochet, e nonostante il tono polemico e arrogante dello Schleiden, nei confronti dei suoi predecessori, si deve riconoscere che la sua opera, pur con errori e lacune, dimostra ch'egli aveva inteso molto chiaramente e . ampiamente l'importanza della cellula come elemento strutturale della pianta.

    Theodor Schwann.

    THEODOH ScHWANN nacque a Neuss am Rhein presso Diisseldorf nel 181o. Studiò a Bonn, dO\·e ascoltò le lezioni del celebre fisiologo Johannes l\hiller, che seguì poi a Berlino e dì cui divenne collaboratore. Sì laureò in medicina a Berlino nel 1834. Miiller gli fece at tribuire la carica di aiuto del 'Museo Anatomico, e lo indirizzò in numerose ricerche dì anatomia microscopica e dì fisiologia. Fra queste sono molto notevoli le ri­ cerche ( 1 836) che lo portarono alla scoperta della sostanza a cui

    è

    dovuta l'azione di­

    gerente del succo gastrico, sostanza che agisce in modo simile ai fermenti, e che egli

    f>epsùut.

    dt'nominò

    Nell'anno successivo pubblicò una nota in cui spiegò la putrefa­

    zìone ammettendo che essa sia dovuta a germi che sì sviluppano a spese della sostanza organica. Giunse poi alla scoperta della natura organica del lievito di birra, precorrendo

    così

    le fondamentali ricerche del Pasteur.

    Nel 1839 usd la fantosa memorìa ìn cui egli getta le basi della dottrina cellulare. �dlo stess·o anno fu chiamato aHa cat t edra di Anatomia della facoltà medica dell'Uni­ versità caU:olì·ca dì Louvain nel Belgio. Nel 1.848 passò alla università di

    Liegi,

    dove

    rimase, rifiutando o fferte di cattedre da part•e di varie università tedesche, fino alla ·

    morte, che lo colse a Colonia nea r.S82. Fra [e altre opere di questo insigne e versatile biologo, sono da rirordaJle ancora are :riroerc'he su.Ua funzione delb bile e le ricerche di biornetria

    .,

    sulla tracc�a indicata da[ Quétdret.

    V·enuto a conoscenza rdena memoria di ScMeidern, [o Sobwarrm ripra:nde alcu.ne pK�edenti -considerazionì dogh:e

    a

    �queHe

    vegetah

    e

    osservazioni (e specialmente ae

    osservazioni di cellìl.ille

    neHa ·corda •dorsale degli •emìbrion!Ì. di ·

    rana�, !le o0�a m

    sue

    ana­ una

    teoria unitaria, e affronta così il problema dell'unità di struttura degli animali e delle piante, riconoscendone il fondamento nella costituzione cellulare, come già aveva suggerito il Dutrochet. Nella memoria : Mikroskopische Untersuch�tngen uber die Uebereinstimm�tng in der Strukt�tr und dem Wachstum der Thiere und Pflanzen, Lipsia 1839 (Osservazioni microscopiche s�tlla conformità della struttura e dello accre­ scimento negli animali e nelle piante) la dottrina cellulare è esposta in termini che potrebbero essere integralmente trascritti in un trattato moderno. Le sue conclusioni sono infatti le seguenti: il corpo di ogni animale e di ogni pianta è interamente composto da cellule, o da sostanze che sono elaborate dalle cellule; ogni cellula ha una sua vita propria, la quale è però subordinata alla vita dell'organismo di cui essa fa parte. Le cellule si originano per gemmazione dal nucleo o anche per una sorta di processo di aggregazione o cristallizzazione da una sostanza primitivamente amorfa. Questo ultimo punto è il solo errato : in seguito si dimostrò che ogni cellula deriva da una cellula preesistente. Il riconoscere la struttura cellulare dei tessuti animali è assai più difficile che non per i vegetali, perchè in questi le cellule hanno una forma più tipica e sono, quasi senza eccezione, delimitate da una membrana molto netta ed evidente, mentre le cellule animali non hanno per lo più una delimitaz.ione così chiara, e sono spesso assai profondamente trasformate. Schwann distingue cinque categorie di tessuti in base ai caratteri delle cellule che li compongono e quindi dà una classificazione molto migliore di quella del Bichat. Le sue cinque classi sono le seguenti: r ) tessuti con cellule isolate, indipendenti le une dalle altre, come il sangue ; 2) tessuti in cui le cellule, pur essendo indipendenti sono strettamente contigue, come la pelle ; 3) tessuti in cui le cellule sono circondate da membrane molto sviluppate, che si sono fuse più o meno intimamente, come la carti­ lagine, l'osso, i denti ; 4) tessuti le cui cellule sono allungate e hanno l'aspetto di fibre, come i tendini, i legamenti e il tessuto fibroso ; 5) tessuti originati dalla coalescenza delle pareti e delle cavità delle cellule, come i muscoli e i nervi. Schwann, studiando lo sviluppo degli animali, si avvede che l'uovo deve conside­ rarsi come una cellula - più o meno voluminosa secondo la quantità di tuorlo che contiene - e che i primi stadi dello sviluppo consistono nella suddivisione della cellula iniziale in molte cellule . Tale fatto fu poi riaffermato dal Gegenbaur (r86r) e posto a base dell'embriologia moderna. L'importanza della dottrina cellulare si andò sempre più affermando, man mano che essa si estendeva e si perfezionava. L'aver trovato un comune denominatore per tutti i fenomeni vitali, una fondamentale unità strutturale e funzionale per organismi così disparati, quali le innumerevoli specie di vegetali e di animali (e, in seguito, di microrganismi) che popolano la terra, operò una vera rivoluzione nelle scienze bio­ logiche. Si può dire anzi che la unificazione delle varie scienze che s'interessano dei fenomeni vitali sotto la denominazione di Biologia (termine introdotto quasi contem­ poraneamente dal Lamarck e dal Treviranus, ma diventato di uso comune soltanto nel sec. XIX) è stata resa possibile solo dalla scoperta della cellula. Fra i più importanti sviluppi di quella che fu chiamata, per un certo tempo, teoria cellulare , ricorderemo i seguenti. Come già abbiamo detto, alla sostanza contenuta

    entro le pareti cellulari, a cui prima s'era data relativamente poca importanza, si attribuì sempre maggior valore. Già l'abate BoNAVENTURA CORTI, contemporaneo e conterraneo dello Spallanzani (Scandiano I72g-r8r3) e direttore dell'Orto Botanico di Modena, aveva osservato, fin dal 1776, i movimenti del protoplasma nell'in­ terno della cellula. L'osservazione era stata controllata e confermata da LUDOLF CHRISTIAN TREVIRANUS, professore a Bonn. Ma fu un altro botanico, UGo MoHL, di Stoccarda (r8os-r872) professore a Berna e poi a Tubinga che attirò l'atten­ zione sulla sostanza fluida, finemen.t e granulosa, che occupa l'interno della cel­ lula, a cui diede il nome, già usato da Purkinje, di protoplasma. Nome entrato nell'uso a denotare la parte più attiva delle cellule, a cui devono attribuirsi le proprietà della vita. KARL NAGELI, botanico svizzero (r8r7-r8gr) che avremo occasione di ricordare ancora, fu il primo a mettere in discussione la questione dell'origine della cellula e ad abbandonare l'idea che sia il nucleo a formarla per gemmazione (1842-46) . Diede anche inizio alle ricerche sulla composizione chimica della cellula, dimostrando che il protoplasma, a differenza della membrana (della cellula vegetale) e dell'amido im­ magazzinato in molte cellule, contiene azoto. Oggi sappiamo infatti, che è costituito essenzialmente da proteine. La questione della riproduzione cellulare fu oggetto delle osservazioni di vari biologi. Il nucleo della cellula, come si è detto (pag. 363) era stato osservato fin dal secolo precedente, da FELICE FoNTANA (I73o-r8os), professore a Pisa, autore di varie ricerche biologiche e chimiche. RoBERT RROWN (cfr. pag. 282, 347) botanico inglese (princeps botanicontm, lo chiama Haller) attivissimo come viaggiatore ed acuto osservatore, diede la prima descrizione del nucleo nelle cellule delle orchi­ dee e di alcune altre piante (r83r) e lo riconobbe come una struttura esistente in tutte le cellule vegetali. Ma solo dopo la formulazione della teoria cellulare ebbe inizio lo studio della riproduzione delle cellule e il riconoscimento dell'im­ portanza del nucleo in questo processo. FRANZ LEYDIG ( r82r-rgo5) professore a Bonn (vedi pag. 376) descrisse un gran numero di cellule e di tessuti, specialmente negli Invertebrati e osservò ( 1848) la divisione del nucleo, che precede la divisione cellulare. RoBERT REMAK (r8rs-r865) di Posen (v. pag. 374) confermò (1852) l'osser­ vazione della divisione nucleare. A RunoLF ALBERT KoLLIKER (r8r7-I905) di Zurigo, professore a Wiirzburg (v. pag. 375) si devono due importanti affermazioni, nel campo della dottrina cel­ lulare : la prima si riferisce all'importanza del nucleo nella riproduzione cellulare e come depositario dei caratteri ereditari; la seconda è la constatazione che l'uovo è una cellula (come già lo Schwann aveva intuito) e lo sviluppo embrionale un feno­ meno che deve essere interpretato su base cellulare. Poco dopo il Gegenbaur (r86r) ribadì questa affermazione. Nel r848 lo zoologo THEODOR VON SIEBOLD ( r8o4-r865) professore a Erlangen, poi a Breslavia e infine a Monaco di Baviera, (v. pag. 343) introdusse il nome di Pro­ tozoi per indicare gli Infusori o simili animali, di cui riconobbe la struttura unicel­ lulare. Nel r866 E. HAECKEL riunì gli animali e le piante unicellulari nell'unico gruppo dei Protisti, che però non è più accettato nelle classificazioni moderne.

    Due biologi di questo periodo debbono ancora essere ricordati, come quelli che ebbero più ampia e compiuta visione della teoria cellulare e della sua importanza per la biologia: Max Schultze e Rudolf Virchow. MAX ScHULTZE di Friburgo ( r825-1874) studiò a Greifswald, seguì i corsi di Johan­ nes Miiller a Berlino, ed ebbe poi la cattedra a Bonn, dove morì. Si dedicò allo studio degli organismi unicellulari e dell'anatomia microscopica di vertebrati ed inverte­ brati (vermi e molluschi) e pubblicò numerose osservazioni in questo campo. Ma il suo contributo più importante alla teoria cellulare e alla biologia generale è contenuto nel suo scritto del r86r : Ueber M�tskelkorperchen und was man eine Zelle zu nennen habe (Sui corpuscoli muscolari e s�t ciò che deve considerarsi come una cellula) . La concezione della cellula fino allora prevalente era quella di una vescicola circondata da una membrana, contenente una sostanza fluida in cui è immerso il nucleo. Schultze osserva che le cellule embrionali sono prive di membrana, e constano essenzialmente di una certa quantità di protoplasma e del nucleo. La membrana è spesso un arte­ fatto di tecnica e non è una struttura essenziale e costante in tutte le cellule, anzi, le cellule giovani, in via di moltiplicazione ne sono per lo più prive. Parti differenziate del protoplasma sono invece le fibrille muscolari e connettive, che erano state consi­ derate come qualcosa di estraneo. Possono anche esistere molti nuclei in una massa unica di protoplasma come nella fibra muscolare : in tal caso si può parlare dell'esi­ stenza di parecchie cellule, anche se non vi sono membrane delimitanti. Il protoplasma non è un liquido, non è solubile nell'acqua, è una sostanza che ha una certa consistenza e può avere una sua forma costante e caratteristica secondo la specie, anche in assenza di membrana. La cellula può quindi definirsi (r86r) come un >. Definizione che ancora oggi è valida, come tuttora è usato, in questa accezione generale, il termine di protoplasma, sia per le cellule animali sia per quelle vegetali. Nel 1863 lo Schultze formulò il principio che il protoplasma è la base fisica della vita. Di RunoLPH VIRCHOW diremo nel capitolo sulla patologia (pag. 401) . Basta qui ricor­ dare che nel 1858 pubblicò un trattato : Zellularpathologie (Patologia cellulare) in cui fonda la patologia e la fisiologia su base cellulare, portando una vera rivoluzione nei principi generali di queste discipline. Virchow nega recisamente la possibilità della gene­ razione spontanea di qualsiasi organismo, anche microscopico, e così anche la possibi­ lità della formazione di cellule da sostanza non avente struttura cellulare : ogni cellula deriva per divisione di una cellula preesistente. Egli esprime questo principio nel­ l'aforisma omnis cellula e cellula coniato sullo stile di quello di Harvey. La teoria cellulare era così formalmente completa: tutti gli organismi sono com­ posti di una sola oppure di numerose cellule. Il corpo dei pluricellulari deriva da una unica cellula, l'uovo, per processi di divisioni successive. Le cellule si originano esclu­ sivamente per moltiplicazione di cellule preesistenti e in questo processo il nucleo ha una parte essenziale. I particolari della moltiplicazione delle cellule, cioè i fenomeni di cariocinesi, verranno descritti nella seconda metà del secolo XIX. La > , cioè la scoperta della struttura cellulare di tutti gli orga­ nismi, è una delle massime generalizzazioni cui sia pervenuta la biologia, e indirizzerà d'ora innanzi tutto il progresso delle scienze biologiche. 24.

    -

    Storia delle Scienze,

    I I Jl.

    7• L'istologia

    e

    l'anatomia microsc opica.

    L'invenzione del microscopio risale al Seicento come abbiamo visto, ma l'esplorazione sistematica degli organismi viventi al livello microscopico data dall'Ottocento. Per livello microscopico intendiamo l'ordine di grandezza compreso fra i limiti di un mil­ limetro e un millesimo di millimetro (micron, simbolo !J. che è appunto l'unità di misura adottata in microscopia) . I microscopi ottici più potenti arrivano a risolvere strut­ ture aventi dimensioni lineari di 0,15 fL e questo è il massimo potere di risoluzione consentito dalla lunghezza d'onda della luce. L'esplorazione del submicroscopico o ultramicroscopico richiede l'uso di altri strumenti che non siano il microscopio ottico: sarà sviluppata soprattutto dopo il 1900. Il progresso dell'indagine microscopica è legato a due fattori tecnici : perfezio­ namento del microscopio ed elaborazione di una tecnica microscopica, cioè di trat­ tamenti e manipolazioni atti a rendere chiaramente visibili al microscopio le minute strutture degli organismi viventi. Non rientra nei limiti di questa trattazione delineare la storia dei progressi tecnici nella costruzione dei microscopi. Basta ricordare, per quanto riguarda la parte mec­ canica, che nel Seicento i microscopi erano fatti per lo più di legno o di cartone, mentre

    Giovanni Battista Amici.

    3 70

    alla metà del Settecento si fecero di metallo, per lo più di ottone. Attraverso molti tenta­ tivi, si arrivò allo > che oggi consideriamo tipico, provvisto di movimenti (vite micrometrica) che consentono spostamenti piccolissimi delle lenti per la perfetta messa a fuoco, di specchio e condensatore per l'iUuminazione dell'oggetto per traspa­ renza, e di altri perfezionamenti. Per quanto riguarda la parte ottica, si perfezionò il > costituito di due sistemi di lenti, l'obbiettivo e l'oculare. Tuttavia ancora nel 700 e nei primi dell'Ottocento molti osservatori preferivano il microscopio semplice, con un sol sistema di lenti o addirittura una sola lente. Con microscopi costituiti da una sola lente il Leeuwenhoek aveva compiuto mirabili osservazioni. Ciò che più dava fastidio nella osservazione erano le aberrazioni di sfericità e le aberrazioni cromatiche, che deformano l'immagine e disturbano notevolmente la visione, tanto da giustificare lo scetticismo di molti, per esempio il Bichat, circa la possibilità di compiere osservazioni precise. Per opera di vari fisici e costruttori di apparecchi ottici si riuscì però ad eliminare o ad attenuare di molto questi vizi e ad ottenere apparecchi capaci di raggiungere notevoli ingrandimenti con buon potere di risoluzione e fedeltà dell'immagine. Uno di coloro che più contribuirono al perfezionamento del microscopio fu il fisico e naturalista GIOVANNI BATTISTA AMICI di Modena, nato nel 1786. Laurea­ tosi a Bologna come ingegnere architetto, fu nominato professore di matemati­ che in quella Università. Fu poi chiamato (1831) a Firenze dal Granduca Leo­ poldo II di Toscana come astronomo nel Museo di Fisica e Storia Naturale e con il titolo di professore di astronomia nell'Ateneo pisano. Nel 1859 il nuovo governo della Toscana gli diede l'incarico delle osservazioni microscopiche in servizio del Museo e gli conferì il titolo di professore onorario. L'Amici morì nel r863 . Egli studiò la teoria e la pratica della fabbricazione di vari strumenti ottici e ne fabbricò egli stesso di qualità eccellente : li forniva liberalmente a singoli studiosi e a istituti. Costruì ottimi microscopi con sistemi di lenti acromatiche, che potevano raggiungere notevoli ingrandimenti. Nel 1847 rese nota la innovazione dell'obbiettivo a >, che permise di sfruttare al massimo le proprietà della luce nella osservazione microscopica e di ottenere ingrandimenti fortissimi conservando un gran potere di risoluzione. I perfezionamenti introdotti dall'Amici, e il sistema dell'immersione della lente frontale dell'obbiettivo in un liquido che abbia presso a poco lo stesso indice di rifrazione del vetro in cui è racchiuso l'oggetto da osservare furono largamente adottati dai costruttori di microscopi, e ben presto, nella seconda metà del secolo XIX, si raggiunse la massima perfezione tecnica ottenibile, cioè ingrandimenti lineari di 2-3000 diametri. Amici non fu soltanto fisico, ma si dedicò anche ad osservazioni naturalistiche, sempre con l'ausilio del microscopio. Nel 1815 descrisse i movimenti di circolazione del protoplasma nelle cellule di Chara, movimenti che già erano stati osservati da Bonaventura Corti. Nel 1823 diede la prima notizia di una sua importante scoperta, che completò poi con ulteriori osservazioni. Egli vide che dal polline depositato sullo stigma del fiore si parte un tubo o > come egli lo chiama, il cui contenuto presenta movimenti simili a quelli del protoplasma in Chara, osservò che questo 37 1

    budello si spinge fin nell'avario e raggiunge l'ovulo ; e constatò che questo dà inizio al proprio sviluppo dopo che il budello lo ha raggiunto: evidentemente il budello stimola in qualche modo l'ovulo a svilupparsi. Queste osservazioni, la cui veridicità venne dapprima contestata, si rivelarono poi esatte, e costituirono la base delle conoscenze sulla fecondazione dei vegetali. Negli ultimi anni di sua vita l'Amici studiò varie malattie crittogamiche delle piante e la malattia chiamata > del baco da seta. Al nome di Amici è legata anche la scoperta di una stria fondamentale della fibra muscolare striata (stria di Amici). Per quanto riguarda la tecnica microscopica, dobbiamo ricordare che fin dal r6gr Filippo Buonanni (v. pag. 209, 225) nella Micrographia curiosa aveva descritto il sistema di mettere l'oggetto da osservare fra due lastrine piane di vetro, premute l'una contro l'altra da una molla a spirale. La osservazione per trasparenza degli oggetti che la consentivano dimostrò che questo sistema permette di ottenere una risoluzione molto migliore, e perciò si cercò di rendere trasparenti anche gli oggetti che non lo sono, tagliandoli in fette sottilis­ sime con coltelli molto bene affilati. Furono introdotti speciali strumenti atti a fare sezioni di tessuti e piccoli organi, che venivano inclusi in midollo di sambuco, o in pezzi di fegato bollito. La tecnica si perfezionò poi con l'inclusione del pezzo da tagliare in cera o in paraffina. Per avere fettine di eguale spessore (5-10 fl.) furono escogitati strumenti speciali, i > , di cui oggi esistono molti modelli. L'esame dei tessuti, o organismi vivi o morti da poco (esame a >) si rivelò presto insufficiente allo studio dei più minuti particolari di struttura, perchè le varie parti dei tessuti e delle singole cellule, generalmente non hanno indice di rifrazione molto diverso, o colorazioni tali che rendano possibile distinguerli alla intensa luce richiesta per l'osservazione. Perciò si svilupparono metodi speciali per >, cioè uccidere le cellule in modo tale da conservarne possibilmente inalterata la strut­ tura, e > i preparati. Diversi organi inclusi nella cellula, cellule di diverso tipo, vari prodotti dell'attività delle cellule, come granuli di sostanze di riserva, fi­ brille, ecc. manifestano proprietà tintoriali diverse, cioè si colorano elettivamente con alcuni coloranti, e non accettano altri. Così per esempio, in linea generale, il nucleo della cellula fissata si colora con i coloranti basici, il rimanente del protoplasma che si è convenuto di chiamare citoplasma, con i coloranti acidi. Con una miscela di due colori si possono avere, per esempio, i nuclei colorati in azzurro, che spiccano netta­ mente sul fondo rosa del citoplasma. A poco a poco, con tentativi empirici, si vennero così escogitando varie mani­ polazioni tecniche, diverse secondo il materiale che si vuole studiare e i partico­ lari che interessa di mettere in rilievo. Queste tecniche, che sono oggi di uso cor­ rente in tutti i laboratori biologici, hanno consentito una minuta indagine della strut­ tura, e in parte anche delle funzioni al livello microscopico, cioè cellulare. Sorsero così e si svilupparono due nuovi rami della biologia, su base morfologica : la istologia o studio dei tessuti organici e la citologia, o studio della struttura intima delle cellule. Ricordiamo qualcuno dei pii1 notevoli studiosi di queste discipline della prima metà dell'Ottocento. 372

    Plastico in cera costruito da G. B. Amici per illu­ strare la feconda­ zione del fiore (Pavia, Museo Universitario).

    3 73

    joANNES EvANGELISTA PuRKINJE nacque a Lobkowitz in Boemia, nel 1787; studiò medicina e filosofia all'Università di Praga, e preparò una dissertazione dot­ torale sulla teoria della visione, in cui espose vedute simili a quelle della Farbenlehre di Goethe. Grazie alla protezione del poeta, potè avere una cattedra di fisiologia all'Uni­ versità di Breslavia (r823) , che tenne per molti anni nonostante le difficoltà e le inimi­ cizie che gli procurava, nell'ambiente tedesco, la sua origine ceca. Nel r8so fu chiamato a Praga, ma ormai il suo interesse per la ricerca scientifica si era dileguato : egli si dedicò interamente alla politica, alla causa nazionale, nonchè alla traduzione dei poeti te­ deschi nella lingua ceca. Morì nel r86g. Durante il periodo della sua intensa attività scientifica a Breslavia, il Purkinje eseguì molte notevoli ricerche di fisiologia (sulla visione, sulla digestione) e di micro­ scopia. Scoprì la > dell'uovo di pollo, cioè quella parte della cellula uovo in cui si trovano il citoplasma formativo e il nucleo, in contrapposto all'altra parte, molto più grande, in cui è ammassato il tuorlo. Diede una descrizione precisa delle ciglia vibratili, scoprendo quelle che tappezzano gli ovidutti e l'epitelio delle vie respiratorie nei vertebrati. Scoperse il cilindrasse nelle fibre nervose; le cell�le del cervelletto provviste di ampie ramificazioni, che sono conosciute appunto come cellule del Purkinj e; altre cellule nervose, che anche portano il suo nome, situate nel cuore. Il Purkinje non discusse questioni teoriche, nè eseguì le sue osservazioni micro­ scopiche con l'intento di esplorare metodicamente un determinato campo di indagine. Lo spirito di osservazione acuto e sagace di cui era dotato lo condusse a molte sco­ perte di fatti singoli nel campo dell'anatomia microscopica e dell'istologia. ]ACOB HENLE ( r8og-r885) di Norimberga, fu allievo di Johannes Miiller a Bonn e suo prosettore a Berlino. Qui però, per le sue idee liberali, fu arrestato e imprigio­ nato. Humboldt ed altri autorevoli personaggi riuscirono ad ottenere la sua libera­ zione, ma non la riassunzione in servizio dal governo prussiano. Fu per alcuni anni professore a Zurigo, poi a Heidelberg e infine ( r852) a Gottinga. Le ricerche anatomiche di Henle, raccolte poi nel trattato A llgemeine Anatomie (A natomia generale) Lipsia r84r, sono basate essenzialmente sulla indagine microsco­ pica. Henle è quindi un istologo, che ha recato notevoli contributi alla conoscenza della minuta struttura di molti organi e tessuti (specialmente l'epitelio intestinale, il follicolo pilifero, ecc.). Le sue idee sulla natura della cellula sono però ancora quelle di Schleiden e Schwann : non riconosce l'esistenza della divisione cellulare, e ritiene che le cellule si formino per un processo simile alla formazione delle goccioline di un'emulsione. KARL BoGISLAUS REICHERT, nato in Prussia nel r 8 r r , studiò a Konigsberg con v. Baer e a Berlino con J. Miiller, di cui divenne il successore alla cattedra di anatomia, . nel r8so. Morì nel r883. Eseguì importanti studi di embriologia, e soprattutto sul­ I'istologia dei tessuti connettivi. RoBERT REMAK, (Posen r8rs-r865) anch'egli allievo di j . Miiller, si dedicò alla pratica medica, pur continuando la ricerca scientifica. Il suo nome è legato special­ mente alle ricerche sulla istologia del sistema nervoso. Scoperse le fibre del sistema simpatico, che sono ancora oggi conosciute come fibre di Remak ; osservò, nell'em­ brione, che le fibre nervose si formano come una protuberanza delle cellule nervose, 374

    Joannes Evangelista Purkinje. Ri­ tratto di Z. Burian.

    la quale poi continua ad accrescersi : fenomeno che fu messo in dubbio, ma che oggi è sicuramente accertato. Nel 1851, infatti, AucusTus VoLNEY WALLER (18 16-1870) . professore a Birmingham, dimostrò che, se si taglia un nervo, le fibre in posizione periferica rispetto al taglio de­ generano (degenerazione walleriana) mentre quelle in posizione centrale sopravvivono e possono rigenerare. La ragione di questo comportamento sta nel fatto che il mon­ cone centrale è connesso con la cellula, la quale è il centro attivo del metabolismo. Nello studiare lo sviluppo dell'uovo di rana, Remak osservò che questo è una cel­ lula che si divide dando origine a numerose cellule figlie, e in base a questo fatto si oppose alla teoria di Schwann della formazione indipendente delle cellule. RunoLF ALBERT K6LLIKER, nato a Zurigo nel 1817, studiò a Berlino con J. Mtiller e Henle e divenne poi (1847) professore a vVtirzburg. Morì nel 1905. Kolliker si dedicò all'indagine di numerose strutture di vari animali, compresi i protozoi, e dello sviluppo embrionale, sempre al livello microscopico. Il suo trattato: Handbuch der Gewebelehre des Menschen (Trattato di istologia umana) , pubblicato nel 1852 è il primo trattato moderno di istologia, che ha servito di base e di modello ai successivi. La Entwick- . lungsgeschichte des Menschen zmd der hoheren Thiere (Embriologia dell'uomo e degli animali s�tperiori) pubblicata nel 1862 è, ugualmente, il prototipo dei trattati di 375

    embriologia. Il riconoscimento degli spermatozoi come elementi sessuali, anzichè come parassiti, e la fondazione della embriologia su basi cellulari, sono alcune fra le più importanti affermazioni del Kolliker, al quale si devono pure numerosissime ricerche speciali, istologiche ed embriologiche. Egli fu una delle più eminenti figure di ricercatore e di maestro della seconda metà del secolo XIX, e alla sua scuola si formarono numerosi biologi tedeschi e stranieri. FRANZ LEYDIG nato nel Wiirttemberg (I82I-1905), professore a Bonn, fu anch'egli istologo di grande valore, e pubblicò un trattato di istologia (Lehrbuch der Histo­ logie des Menschen und der Thiere, Frankfurt 1857, Trattato di istologia dell'uomo e degli animali) che per certi riguardi è migliore di quello di Kolliker, sia per la clas­ �ificazione dei tessuti adottata, sia perchè si occupa anche della istologia degli inver­ .tebrati, e contiene una grande quantità di eccellenti osservazwm. 8. La fisiologia.

    Spallanzani, nel 700, aveva indicato il metodo da seguire nelle ricerche fisiologiche. .Lavoisier e coloro che avevano iniziato Io studio chimico dei fenomeni della respira­ .zione avevano dimostrato quanto fruttuosa potesse essere l'indagine sul chimismo dei fenomeni vitali. Le ricerche di Galvani e di Volta sulla elettricità animale, d'altra parte, avevano aperto la via all'applicazione dei metodi della fisica alla biologia. I vari indirizzi di ricerca che si erano delineati nel 700 vengono continuati nella prima metà dell'Ottocento, con brillanti risultati. La fisiologia si libera dal viluppo delle antiche teorie, diviene scienza nettamente sperimentale, sempre più affinando .l'arte di porre quesiti alla natura sottomettendola allo sperimento. Lo sviluppo delle conoscenze di chimica, e in particolare di chimica organica, ha avuto molta parte nell'evoluzione della fisiol6gia. Dobbiamo quindi ricordare alcuni dei più importanti chimici organici del Settecento e del primo Ottocento.

    ·

    a) La composizione chimica degli organismi. CARL WILHELM ScHEELE, di stirpe tedesca, nacque a Stralsund in Svezia nel 1742 e fu farmacista a Koping in Danimarca dove morì nel 1786. Fu tra i primi a studiare dal punto di vista chimico molte sostanze prodotte dagli animali o dalle piante: iden­ tificò l'acido lattico, l'acido citrico, la glicerina, l'urea e molti altri composti. Un allievo di Lavoisier, ANTOINE FRANçOis DE FouRCROY ( 1755-1 809) continuò per questa strada, indagando la composizione chimica degli animali e delle piante e delle sostanze ch'essi producono. Riconobbe che nella sostanza animale v'è un con­ tenuto più elevato di azoto, e descrisse, identificò e classificò chimicamente, per quanto possibile a quei tempi, numerosi composti di origine animale e vegetale. Ma la figura più notevole in questo campo è quella di JoNs jAKOB BERZELIUS, nato in Svezia nel 1779 da povera famiglia, laureatosi in medicina e divenuto poi professore all'Istituto Carolino di Stoccolma e segretario dell'Accademia delle scienze svedese. Il suo nome divenne presto famoso in tutto il mondo. Morì nel 1848. Molti sono i meriti di Berzelius nella chimica. Qui conviene ricordarlo per le sue Lezioni

    di chimica animale (r8o6-r8o8) in cui cerca di chiarire la composxzwne chimica di numerose sostanze che si trovano nel corpo degli animali (sangue, bile, grasso, so­ stanza ossea, ecc.). Anche va ricordato per il suo atteggiamento positivistico e net­ tamente antivitalistico nella interpretazione dei fenomeni vitali. Egli non ritenne opportuno formulare ipotesi che non siano verificabili sperimentalmente, e preferi dichiarare la propria ignoranza, anzichè cercare di mascherarla con spiegazioni ap­ parenti. Quando si pretende spiegare un fenomeno con le parole >, egli dice, non si spiega nulla, e soltanto si confessa di trovarsi di fronte ad un pro­ cesso chimico e meccanico completamente sconosciuto. Il pensiero di Berzelius si allinea dunque con quello dei materialisti francesi, anche se, al termine delle sue considerazioni, egli cerca di salvare l'immortalità dell'anima. Agli argomenti dei meccanicisti, i vitalisti ribattevano che per quanto molti fe­ nomeni vitali siano esprimibili in termini chimici, le sostanze chè costituiscono il corpo dei viventi, o che da questi sono fabbricate, sono diverse da quelle che si trovano nel mondo inorganico, o da quelle che il chimico è capace di fabbricare nella propria provetta. Dunque è necessario ammettere che una > intervenga negli organismi a promuovere la sintesi delle sostanze organiche. La risposta venne da un classico esperimento di un discepolo di Berzelius, FRIEDRICH WòHLER, nato a Francoforte sul Meno nel r8oo, addottorato in medicina, ma dedi­ catosi poi alla chimica. Si recò a studiare da Berzelius e in seguito divenne professore a Gottinga, dove morì nel r88z. Nel r8z8 pubblicò la scoperta che lo rese celebre : la sintesi dell'urea a partire dal cianuro d'ammonio. Sottomettendo questa sostanza, che ha la stessa composizione quantitativa dell'urea, ad alta temperatura, potè ot­ tenerne la trasformazione in urea. Fu questa la prima sintesi di una sostanza organica ottenuta in laboratorio, senza l'intervento di organismi o di tessuti viventi, quindi di una presunta >. Si tratta di una reazione assai semplice, ma è impor­ tante perchè fu la prima dimostrazione del fatto che il chimico è capace di realizzare quelle sintesi che prima si ritenevano appannaggio esclusivo degli organismi. In se­ guito si ottennero per sintesi molti altri composti assai più complessi, fino alla sintesi delle catene peptidiche ottenute dal Fischer. Ha inizio così, ai principi dell'Ottocento quel fecondo connubio fra la chimica e la biologia che non si scinderà più, darà frutti molto notevoli nell'epoca moderna, e costi­ tuisce ancora oggi uno dei campi d'indagine più promettenti. La personalità più spiccata nel campo della chimica organica e della chimica bio­ logica nel periodo storico di cui stiamo trattando è Jusrus LIEBIG di Darmstadt (1803r873), figlio di un negoziante di colori, allievo di Gay-Lussac a Parigi, poi professore di chimica a Heidelberg, indi a Giessen , dove organizzò, contrastato da molte osti­ lità, il primo laboratorio chimico della Germania. Verso la fine della sua carriera si trasferì a Monaco di Baviera. Liebig cercò di indagare la base chimica di tutti i fenomeni vitali : riconobbe che i costituenti essenziali della sostanza vivente appartengono a tre categorie, che oggi sono indicate con i nomi di protidi, lipidi e glicidi. Il Liebig non soltanto perfezionò notevolmente i metodi di analisi delle sostanze organiche, che erano allora rudimen­ tali, ma, in collaborazione con il WdHLER (1832) dimostrò che alcuni gruppi atomici, 377

    que1li che oggi si chiamano radicali, possono entrare come costituenti in molte molecole diverse, comportandosi in certo modo come se fossero elementi. Concetto di fonda­ mentale importanza per comprendere molti fatti della chimica biologica. Il Liebig ebbe concezioni fisiologiche piuttosto moderne : sostenne che il calore animale non è > ma è il prodotto di una combustione. Riconobbe che le piante ricevono alcuni dei loro costituenti organici, come il carbonio, dall'atmosfera. Ad essa vengono nuovamente· restituiti dai processi di putrefazione. A questo riguardo Liebig fu meno felice nelle sue interpretazioni : fissato sulla importanza del feno­ meno chimico, fu tenace oppositore della dottrina di Pasteur, che le fermentazioni fossero legate a fenomeni vitali. Liebig fu uno dei più notevoli scienziati del secolo XIX, e ottenne risultati d'importanza fondamentale per la chimica e per la biologia. Tuttavia la sua conce­ zione generale dei fenomeni della vita era viziata da una impostazione schellinghiana e mistica, ch'egli espone molto chiaramente in una serie di Chemische Briefe (Lettere chimiche, Heidelberg, 1844). Contro questa dottrina insorse decisamente un fisiologo olandese, J ACOB Mo­ LESCHOTT (1822-1893) , che insegnò per qualche tempo a Heidelberg, ma, dimesso per la sua adesione al materialismo, fu chiamato all'Università di Torino, donde passò poi in quella di Roma. In Italia, dove contribuì allo sviluppo dell'insegnamento e della ricerca fisiologica, fu molto apprezzato, tanto che nel 1876 fu nominato Senatore del Regno. Il suo libro di polemica contro Liebig fu molto popolare : Kreislauf des Lebens, Magonza 1852, ed ebbe molte edizioni e traduzioni (La circolazione della vita, Milano, 1870) . Moleschott, seguace della filosofia hegeliana, è tuttavia un materialista ad oltranza nella interpretazione dei fenomeni naturali e di quelli vitali in ispecie. I l problema della vita si risolve completamente come una serie di fenomeni metabolici. Le sostanze materiali circolano dall'uno all'altro organismo, cosicché sulla terra si ha un meta­ bolismo complessivo, come in un gigantesco corpo vivente. In questi termini fisico­ chimici si spiega tutto : la famosa frase che il cervello secerne il pensiero come i reni l'urina, è del Moleschott. Il quale fu dunque un sostenitore del materialismo totale e intransigente, dando però prova di scarsa finezza filosofica, che gli fu rimproverata, fra l'altro . dal Lange, l'autore della Storia del materialismo. b) La fisiologia del sistema nervoso. CHARLES BELL, nato nel 1774 presso Edimburgo, figlio di un parroco di campagna, si laureò a Edimburgo e si trasferì poi a Londra a esercitare la medicina; divenne professore di chirurgia e curatore del Museo Hunteriano. Fece ritorno a Edim­ burgo come professore di anatomia e ivi morì nel 1842. Era un uomo molto pio e con­ siderava le meravigliose strutture e funzioni degli organismi come una prova della scienza e della onnipotenza del Creatore, a cui elevava inni di glorificazione. Beli è autore di molte ricerche anatomiche e di un trattato di anatomia che fu molto ap­ prezzato. Ma il lavoro per cui il suo nome è raccomandato alla posterità è Idea of a new anatomy of the brain (Disegno di ·una nuova anatomia del cervello) pubblicato in

    pochi esemplari nel r8rr. Vi si descrive un esperimento di fondamentale importanza per la conoscenza delle funzioni del sistema nervoso : i nervi spinali, com'era noto dalle ricerche anatomiche, hanno due radici con cui si connettono col midollo : una ventrale e una dorsale. Beli osservò che, tagliando in un animale vivo la radice dorsale, non si provoca alcuna contrazione muscolare, mentre basta toccare la radice ventrale per determinare intensa contrazione dei muscoli. Le due radici hanno dunque diversa funzione: l'esperimento dimostra che la radice ventrale ha funzione motoria. Il Beli non continuò né completò questi esperimenti, che segnano l'inizio delle indagini sulla fisiologia del sistema nervoso. Essi furono ripresi e ampliati da un fisiologo francese, FRANçOis MAGÈNDIE. Nato a Bordeaux nel 1785, studiò medicina a Parigi, e divenne poi professore al College de France. Morì nel r8ss. Era un uomo di carattere forte e passionale, che ebbe gran successo come maestro ; indirizzò alla fisiologia molti allievi, di cui il più famoso è Claude Bernard. Fu spesso implicato in polemiche violente come quella con cui pretese togliere a Beli la priorità della scoperta. Magendie fu un grande sperimentatore su animali vivisezionati, ciò che destava l'ammirazione di molti e la riprovazione e il disgusto di altri ; egli instaurò la pratica della vivisezione come metodo principale della ricerca fisiologica. Dal punto di vista teorico, lontano dalla concezione mistica del Beli, si riallaccia alla tradizione mec­ canicistica di Borelli e tenta di spiegare i fenomeni fisiologici in termini fisici e chimici. Là dove i fatti non sono sufficienti a dare una interpretazione in questo senso, egli dice, è meglio dichiarare che sono per ora inesplicabili, anzichè tentare spiegazioni fittizie. ·

    François Magendie. Ritratto di P. Guérin (Parigi, Collegio di Francia) .

    379

    Tale concezwne meccanicistica lo poneva inevitabilmente in contrasto con il vitalismo di Bichat, a cui infatti egli si oppose vivacemente. Magendie osserva però che non tutti i fenomeni della vita sono interpretabili in base ai principi che valgono in fisica e in chimica, e deve quindi fare qualche concessione al vitalismo. Ma è una con­ cessione temporanea, in quanto egli afferma che non val la pena di inventare ipotesi e teorie puramente speculative per dare un'interpretazione di tali fenomeni : è da augurarsi che in futuro i metodi della ricerca esatta si possano applicare anche ad essi e siano in grado di darne la spiegazione: soltanto tali metodi possono dare risultati definitivi. Egli è, insomma, uno sperimentalista integrale, con visuali filosofiche alquanto limitate. Di conseguenza Magendie studia vari fenomeni, come la circolazione, l'assorbi­ mento intestinale, con metodi fisici, meccanici. Per spiegare l'assorbimento si vale dei fenomeni di osmosi, ch'erano stati da poco scoperti dal Dutrochet. Ma le ricerche più notevoli sono quelle sul sistema nervoso. Indipendentemente dal Bell - il quale più tardi reclamò la priorità, che Magendie non volle riconoscere - scoperse la funzione motoria delle radici ventrali e quella sensoria delle radici dorsali dei nervi spinali. La storia ha sanato la controversia fra i due autori, e tale principio è oggi conosciuto sotto i nomi di Bell-Magendie. In antico la funzione del sistema nervoso era stata completamente misconosciuta da molti autori. Ch'esso sia la sede delle più elevate funzioni, le funzioni di senso e psichiche, era ormai, ai tempi di Beli e di Magendie, universalmente riconosciuto; ma molti pensavano che tali funzioni, in quanto espressione dell'anima, non fossero analizzabili in termini meccanici. Il tentativo di Descartes appariva troppo sem­ plicistico, e non sembrava vi fosse speranza di arrivare ad aggredire sperimentalmente il problema. L'esperimento di Bell-Magendie diede la prova del contrario : anche le funzioni del sistema nervoso obbediscono a leggi puramente meccaniche, che sono indagabili sperimentalmente. Ancor più notevoli in questo senso sono le ricerche sulla localizzazione delle fun­ zioni cerebrali. Un chirurgo parigino, juLIEN LEGALLOIS (I770-r8r4) aveva compiuto nel I�II una importante osservazione: se si lede una certa area del midollo allungato, cessa la respirazione. FRANZ ]OSEPH GALL (r758-r8z8) era un medico tedesco, che aveva studiato a Vienna, e dopo aver emigrato per vari paesi europei, s'era finalmente stabilito a Parigi, dandosi alla pratica medica. S'inimicò sia i medici pratici, perchè amava tener segreta la composizione delle medicine che ordinava, sia il mondo accademico, con il suo at­ teggiamento materialistico nei riguardi della funzione del cervello. La sua dottrina delle localizzazioni cerebrali diede luogo ad una pseudo-scienza, la o >, che un at svelare. Così la craniologia potrebbe, in base al semplice es stabilire se uné! p5!rsona è intelligente o stupida, buona o

    26

    B

    Il

    sistema frenologico di Gall. funzioni psichi che.

    I

    numeri si riferiscono alle presumibili localizzazioni

    delle

    giosa, onesta o ladra. Qualcosa di questa teoria è rimasto nel ricordo popolare e nel linguaggio comune, come quando si parla di > nel senso di attitudine ad un certo tipo di attività. Se si astrae da queste esagerazioni pazzesche, vi sono però nell'opera di Gall parecchi contributi positivi : un monumentale trattato di anatomia pubblicato nel r 8 r r , in cui si trova la netta distinzione fra sostanza bianca e sostanza grigia del sistema ner­ voso; il riconoscimento della fibra nervosa come elemento conduttore; il riconosci­ mento del fatto che i nervi arrivano al cervello passando per certe vie o > del midollo (uno di essi porta appunto il nome di Gall) . I nervi terminano nella corteccia cerebrale, in cui hanno sede le più alte qualità intellettuali, che nel loro insieme costi­ tuiscono l'anima. L'idea di Gall delle localizzazioni cerebrali, sfortunatamente espressa in modo così poco felice, fu ripresa con maggior rigore scientifico molti anni dopo. Nel r86r fece grande impressione la scoperta del medico francese PAUL BROCA ( r824-r88o) della localizzazione del centro della favella (centro di Braca) . In seguito, per opera di vari ricercatori, fra cui i più importanti sono i tedeschi GusTAV FRITSCH (r838-r8gr) e EDUARD HITZIG (r838-rgo7) e l'inglese DAVID FERRIER (1843-1928) si riuscì a deli­ mitare le principali zone motrici, sensorie e di coordinazione della corteccia cerebrale. La fisiologia del sistema nervoso era dunque fondata, finalmente, su solide basi.

    c) La fisiologia comparata. In Germania, dove in complesso prevaleva, come abbiamo visto, l'indirizzo mo:r:­ fologico, la fisiologia fu rappresentata in questo periodo oltre che da E. PuRKINJE ( 1787-1869) di cui abbiamo parlato a proposito delle ricerche istologiche (che rap­ presentano la parte migliore della sua attività) da Johannes Miiller, uno dei biologi più notevoli di tutti i tempi. jOHANNES PETER MDLLER nacque a Coblenza nel r8or, figlio di un calzolaio piut­ tosto benestante. Studiò a Berlino, dove fu allievo del Rudolphi e nel 1830 ottenne una cattedra a Bonn. Successe poi al Rudolphi (1832) all'Università di Berlino, e tenne la cattedra fino alla morte (1858) . L'attività scientifica . del Miiller è impo­ nente sia per quantità sia per qualità e varietà: cominciò con ricerche microscopiche, si dedicò poi alla fisiologia, ma, specialmente negli ultimi anni, pubblicò molte ricerche di anatomia comparata in particolare su animali marini, per studiare i quali si recò più volte sulle coste del Mediterraneo e in Svezia. Fu circondato da un gran numero di allievi, molti dei quali raggiunsero poi la cattedra, per cui la sua influenza sullo sviluppo della biologia in Germania è stata notevolissima. La versatilità del suo ingegno e la varietà dei suoi interessi spiegano come possa avere avuto allievi destinati ad eccellere in rami assai diversi della biologia : Schwann, Henle, Remak, Kolliker, istologi; Virchow, patologo ; Du Bois Reymond e Helmholtz, fisiologi.

    \

    J ohannes Peter Miiller.

    Mtiller si era formato alla scuola della > e i suoi primi lavori, . che in seguito egli ripudiò, sono eseguiti sulla linea delle speculazioni fantastiche. Ben presto abbandonò questa metodica pseudo-scientifica, e adottò il metodo indut­ tivo. Tuttavia uno dei suoi più importanti contributi alla fisiologia, la > o delle > è ancora frutto della impostazione romantica. Essa afferma che ogni organo di senso reagisce a stimoli diversi in modo caratteristico e specifico dell'organo stesso: così l'occhio, sia sti­ molato dallo stimolo naturale, la luce, sia da stimoli elettrici, meccanici o chimici, reagisce sempre dando una sensazione luminosa; l'orecchio una sonora, le papille del gusto una gustatoria, e così via. Inoltre gli organi di senso possono dare reazioni specifiche anche a stimoli che provengono dall'interno, e si hanno allora sensazioni immaginarie, o allucinazioni. La legge della reazione specifica è assai importante non soltanto in quanto è la base della fisiologia delle sensazioni, che sarà poi diligentemente studiata da vari successori del Mtiller, ma anche da un punto di vista biologico ge­ nerale. Vale infatti per tutti gli organi, per tutte le cellule a funzione specializzata. Qualsiasi stimolo applicato alla cellula muscolare determina la reazione di cui questa è capace : la contrazione; la cellula ghiandolare, stimolata, secerne ; la cellula uovo dà inizio allo sviluppo, e così via. Il principio stabilito dal Mtiller ha anche un significato che trascende il dato pu­ ramente biologico : è una espressione della subbiettività delle immagini che, con l'au­ silio delle sensazioni, noi ci formiamo del mondo esterno, e quindi della imperfetta conoscenza che ne abbiamo. All'epoca in cui elaborava questa dottrina, fondamentale per la fisiologia del sistema nervoso, Mtiller era ancora sotto l'influenza della concezione filosofica che abbiamo detto, e disprezzava il metodo sperimentale, forse perchè il Magendie lo aveva pre­ conizzato come il solo metodo valido d'indagine scientifica, e il Magendie era meccani­ cista. In seguito però il Mtiller, pur non abbandonando la concezione vitalistica e romantica della vita come una qualità di natura divina, si ricredette, e si diede allo studio sperimentale di molti fenomeni. In particolare ripetè gli esperimenti di Beli e Magendie, usando anzichè i cani, come quegli autori avevano fatto, le rane, molto più resistenti, e che perciò d'ora in poi diventeranno uno degli oggetti di studio più usati nei laboratori di fisiologia. Fece anche osservazioni e sperimenti sulle ghiandole, sugli organi della fonazione, sull'orecchio interno. Nel 1834-1840 pubblicò il Handbuch der Physiologie des Menschen (Trattato di fisiologia umana) opera classica e monumentale, che dovrebbe chiamarsi trattato di fisiologia comparata o di biologia generale. In essa sono considerati, in geniale sintesi, i dati dell'anatomia comparata, della chimica organica, della fisica biologica. Nella parte introduttiva il Mtiller espone le sue con­ cezioni generali sul fenomeno della vita: è un vitalista convinto, non soltanto affer­ mando che i fenomeni vitali sono inesplicabili in termini fisici e chimici ma ammet­ tendo l'esistenza di una < > che esiste già nell'embrione prima che questo si differenzi ed è appunto la causa del suo differenziamento. A questa concezione di stam­ po nettamente aristotelico, non poteva naturalmente non essere connessa l'idea che la finalità governi ogni processo biologico. È curioso osservare come un uomo di genio quale il Mtiller, che ha tanto contribuito con notevoli scoperte al progresso della scienza,

    si sia lasciato sviare da idee preconcette, sostenendo posizioni erronee in alcuni argo­ menti fondamentali. Così, pensando che l'impulso nervoso fosse una manifestazione diretta della forza vitale interna, sostenne che non fosse possibile misurarne la velo­ cità di trasmissione nel nervo; la quale invece fu poi misurata dal. suo discepolo Helm­ holtz. Credette anche, come il suo maestro Rudolphi, alla generazione spontanea dei parassiti intestinali, e alla possibilità che un simile modo di generazione si veri­ ficasse anche negli infusori. Finito che ebbe di scrivere il trattato di fisiologia - il quale fu per molti anni il testo classico di tutte le scuole - il Miiller, seguendo la tradizione tedesca, si dedicò interamente alla ricerca morfologica, eseguendo eccellenti lavori e acutissime osserva­ zioni. Molto importanti i suoi studi sui Vertebrati inferiori, e particolarmente sul­ l'anfiosso e sui Ciclostomi. Queste ricerche lo chiamarono alla esplorazione della fauna marina, di cui è uno dei pionieri. Scoperse molte forme }arvali di Echinodermi, di Molluschi, di Vermi, studiò la struttura e la fisiologia della riproduzione di vari Pesci, riconoscendo, fra l'altro, l'esattezza delle osservazioni di Aristotele sulla viviparità di un pescecane, il Mustelus laevis. Lanciò l'idea dell'istituzione di stazioni per lo studio della biologia marina, idea che fu poi attuata da Anton Dohrn e da alcuni zoologi francesi. Si occupò anche di paleontologia. Un'attività così intensa e varia richiedeva uno sforzo intellettuale non comune, che dovette esaurire le forze di quest'uomo dal carattere instabile, in cui si alterna­ vano manifestazioni di eccitazione e crisi di profonda malinconia e stati ansiosi. La morte improvvisa e imprevista (corse voce di suicidio) lo colse all'età di 57 anni. d) Fisiologia e Fisica. - Il principio di conservazione dell'energia. Juuus RoBERT MAYER, nato a Heilbronn nel I8I4, figlio di un farmacista, studiò medicina e si stabilì nella propria città come medico pratico. Spinto dal desiderio di vedere il mondo, si arruolò come medico su di una nave olandese diretta a Giava; poi fece ritorno nella città natale, dove continuò a praticare la medicina fino alla morte, avvenuta nel I878. . Un'osservazione fatta durante la sua permanenza a Giava gli fornì la base per al­ cune considerazioni teoriche, che culminarono nella formulazione di un fondamentale principio della fisica. N el praticare dei salassi, constatò che il sangue venoso era molto meno scuro che non in Europa. Cercando di rendersi ragione di questo fatto, egli pensò di poterla trovare nell'alta temperatura. L'intensità del metabolismo dipende dalla temperatura esterna: quanto più questa è elevata, tanto minore la quantità di sostanza che deve essere consumata perchè il corpo possa compiere le sue funzioni mantenendo costante la propria temperatura. Perchè questa relazione sia valida è però necessario anche che vi sia un rapporto costante fra la quantità di calore prodotto dalle combustioni (ossidazioni) che avvengono nel corpo, e il lavoro che il corpo esegue in un certo tempo. In termini più generali, una data quantità di calore deve corrispondere ad una determinata quantità di lavoro. Tornato in patria, Mayer pubblicò negli A nnalen der Chemie del I842 una breve memoria in cui esponeva la sua teoria, precisando il modo di calcolare quello che oggi

    si chiama l'equivalente dinamico del calore : l'unità di calore si può misurare come la quantità di calore necessaria ad elevare di un grado la temperatura di una data quan­ tità d'acqua; l'unità di lavoro come la forza necessaria a sollevare un'unità di peso ad una determinata altezza. Poco dopo il fisico inglese J . P. Joule pubblicò una teoria analoga sull'equivalente meccanico del calore in forma molto più precisa dal punto di vista fisico. Nel 1847 uscì la memoria di v. Helmholtz, Von der Erhalt�tng der Kraft (Sulla conservazione dell'energia) in cui il principio della conservazione dell'energia è precisamente formulato e illustrato ed espresso in forma matematica. Fin dal 1845 Mayer aveva dato una più ampia formulazione e un'applicazione biologica al suo principio, in una memoria, che, essendo stata rifiutata dai periodici scientifici, egli fece uscire privatamente: Die organische Bewegung in ihrem Zusam­ menhange mit dem Stotfwechsel (Il movimento organico nei suoi rapporti con il ricambio materiale) . In questo lavoro Mayer applica la legge della conservazione dell'energia agli organismi viventi, e riconosce nel processo di organicazione delle piante la base della vita sulla terra, la quale dipende quindi, in ultima analisi, dalla energia fornita dal sole. Perciò non è necessario ammettere alcuna > per spiegare il metabolismo degli organismi. Queste conclusioni furono in un primo tempo avversate e dai biologi - ancor ligi all'idea delle forze vitali - e dai fisici. In seguito s'imposero; ma la polemica sulla priorità del Joule amareggiò il Mayer. Inoltre gli avvenimenti politici del 1848 non trovarono in lui, conservatore e religioso, alcuna comprensione e contribuirono a farlo cadere in istato di alienazione mentale che richiese il suo ricovero. Negli ultimi anni però ritrovò la salute ed ebbe la soddisfazione di vedere riconosciuti i suoi meriti. Non è qui luogo di illustrare l'importanza della teoria di Mayer per la fisica (Cfr. Storia della Fisica, Cap. IX). In biologia l'impostazione su basi fisiche dei problemi del metabolismo rappresenta un progresso immenso; rappresenta la possibilità di interpretare tutti i fenomeni del metabolismo in base ai principi validi per il mondo inorganico, senza ricorrere a forze particolari sconosciute al mondo fisico. I processi che si svolgono negli organismi: produzione di lavoro e di calore, reazioni chimiche diverse, e che costituiscono nel loro insieme quello che si chiama ricambio, o metabo­ lismo, obbediscono alle stesse leggi che governano i fenomeni inorganici. La fisiologia, fondata su basi fisiche, diviene una scienza esatta. Il principio della trasformazione delle varie forme di energia e della loro equiva­ lenza termodinamica, che vale anche per gli organismi, non è però sufficiente a spiegare tutti i fenomeni che in questi avvengono, e particolarmente quelli che contrastano con la seconda legge della termodinamica, cioè i processi di anabolismo, o di sintesi. Quelli cioè che importano il passaggio da una condizione più semplice, più probabile, di relativo disordine, a una più complessa, meno probabile, di ordine, quale per esempio la costruzione di una molecola di proteina altamente complessa a partire da molecole più semplici. Processi di questo genere avvengono sempre secondo principi fisico-chimici, ma la loro ordinata sequenza, nel senso costruttivo e verso una maggiore complicazione, sembra inesplicabile in base a quelli. Qui, nella spiegazione di questi processi si è dunque rifugiato il vitalismo. 25.

    -

    Storia delle Scimze,

    IIIl,

    Come abbiamo già ricordato, un terzo personaggio ebbe gran parte nella storia della scoperta del principio della conservazione dell'energia, HERMANN von HELMHOLTZ. N acque a Postdam nel 1821, studiò medicina a Berlino dove fu allievo di J ohannes Mtil­ ler; fu prima professore di fisiologia a Bonn e a Heidelberg, poi professore di fisica a Berlino e direttore dell'Istituto fisico-tecnico a Charlottenburg. Mori nel 1894. Uomo di grande ingegno, eccelse sia nella biologia sia nella fisica, come dimostra la sua ec­ cezionale carriera. Diede la prima misura della velocità di trasmissione dell'impulso lungo la fibra nervosa: contributo d'importanza fondamentale che dimostra come anche l'impulso nervoso sia concepibile in termini di forza fisico-chimica, suscetti­ bile di misura. Altrettanto importanti sono le ricerche di Helmholtz sulla fisiologia degli organi di senso, studiata con metodi fisici: inventò l'oftalmoscopio che consente di esplorare il fondo del globo oculare ; chiarì il meccanismo dell'accomodazione del cristallino e diede una teoria della visione dei colori, che è ancora sostanzialmente valida. Anche all'acustica recò contributi essenziali. Molte sono, inoltre, le sue ri­ cerche in campo puramente fisico. La sua pubblicazione del 1845 sulla conservazione dell'energia, nella quale non cita il saggio di Mayer, perchè gli era ignoto, gli procurò violenti attacchi polemici da parte del filosofo E. Dtihring. Helmholtz in seguito diede pubblicamente pieno. rico­ noscimento dei meriti del Mayer. e) L'elettrofisiologia. Ancora durava, nei primi anni del secolo XIX, l'eco della polemica fra Galvani e Volta a proposito della elettricità animale (cfr. p. 304 e Storia della fisica) e poichè i feno­ meni elettrici si rivelavano sempre più importanti, così nel mondo inorganico, come in quello organico, vari scienziati ne intrapresero lo studio sistematico. Uno dei primi e più eccellenti studiosi di elettrofisiologia fu CARLO MATTEUCCI, nato a Forlì nel 1 8 1 1 e morto all'Ardenza presso Livorno nel 1868. Laurea tosi in matematica a Bologna, prosegui gli studi a Parigi. Tornato in Italia si occupò di varie ricerche nel campo della geologia, della fisica, della elettrofisiologia. Ebbe difficoltà a guadagnarsi da vivere, e si dedicò anche ad imprese commerciali, che però ebbero poca fortuna. Finalmente, nel 1841 il v . Humboldt lo segnalò al Granduca di To­ scana, che lo nominò alla cattedra di fisica dell'Ateneo pisano. Ebbe così inizio un nuovo felice periodo di attività scientifica del Matteucci, il cui valore fu riconosciuto in patria e all'estero. Fervente patriotta, egli partecipò attivamente all'attività politica dei movimenti quarantotteschi. Fu direttore dei telegrafi, Senatore dell'assemblea Toscana e poi del Regno d'Italia, e nel r862 ministro dell' Istruzione Pubblica. Matteucci era uno spirito molto chiaro e aperto : fin dal 1835 pubblicò un Discorso sul metodo razionale scientifico, che rimase pressochè incompreso ai contemporanei. È una eccellente esposizione di metodologia scientifica, in cui sono chiaramente pre­ visti quegli intimi legami, fra la fisiologia, la chimica, la fisica, che infatti non tarda­ rono a realizzarsi. Matteucci riprese gli studi di elettrofisiologia là dove li aveva lasciati la famosa polemica fra Galvani e Volta, e scoperse che i muscoli, contraendosi, producono corrente

    elettrica. Il merito di tale scoperta è di solito attribuito al Du Bois Reymond. Studiò l'elettricità prodotta dalla torpedine e dimostrò che la scarica è controllata dalla volontà dell'animale. Scrisse alcune opere riassuntive : Traité des phénomènes électro-physiologiques des animaux (Parigi 1844) ; Leçons sur les phénomènes phy­ siques des corps vivants. Oltre ad essere il fondatore dell' elettrofisiologia il Matteucci è autore di notevoli ricerche di fisica, che furono molto apprezzate dal Faraday. EMIL Du Bms REYMOND, figlio di francesi, nacque a Berlino nel 1818, fu allievo di Johannes Mtiller a Berlino e poi suo successore alla cattedra, che tenne fino alla morte, avvenuta nel 18g6. Fu anche Segretario dell'Accademia delle Scienze di Berlino. Egli fu avviato dal Mtiller allo studio dei fenomeni elettrici sui tessuti animali, e vi si dedicò costantemente, per tutta la vita. Pubblicò un trattato: Unter­ suchungen itber thierische Elektrizitiit (Ricerche sull'elettricità animale) Berlino, 18481884, che rimase incompiuto. La parte più importante della sua opera di ricercatore è nella scoperta che sia i muscoli sia i nervi durante lo stato di attività producono correnti elettriche suscet­ tibili di essere misurate e studiate con i metodi fisici; ma abbiamo visto come, per quanto riguarda i muscoli, egli sia stato preceduto dal Matteucci. Le > dovrebbero chiamarsi >. L'attività del Du Bois Reymond è rilevante anche e soprattutto per le considera­ zioni di carattere generale e filosofico, che sono sviluppate in numerosi discorsi e con­ ferenze (Reden, Lipsia 1886) . Al contrario del suo maestro fu nettamente antivita­ lista: sottopose l'antica teoria delle forze vitali ad una critica serrata e acuta, e respinse anche il principio di finalità. I fenomeni organici non sono sostanzialmente diversi da quelli inorganici, e perciò la fisiologia si può risolvere interamente in termini di fisica e di chimica. Tuttavia, a gran dispetto dei materialisti più spinti, come Haeckel, egli non ritenne che l'indagine scientifica possa dare spiegazione definitiva di tutti i problemi. In alcune conferenze rimaste famose : Ueber die Grenzen der Naturer­ kenntnis (Sui limiti della conoscenza umana, 1872) ; Die Weltriitzel (Gli enigmi dell'uni­ verso, 188o) concluse che la scienza non sarà mai capace di stabilire che cos'è la materia, che cosa la coscienza e di spiegare alcuni fatti fondamentali. La scienza deve quindi pronunziare non soltanto : ignoramus, ma anche ignorabimus. Limitazione che fu ac­ cettata e ulteriormente sviluppata da molti filosofi e scienziati, ma che, come si è detto, non garbò ai materialisti. Un'altra notevole figura nella fisiologia della prima metà dell'Ottocento, sempre in Germania, è KARL FRIEDRICH WILHELM LunwiG, nato a Hessen nel r8r6, anch'egli legato con la scuola di Mtiller, professore di fisiologia prima a Zurigo, poi a Vienna e infine a Lipsia, dove morì nel r8g5. Notevole organizzatore e maestro, ebbe molti allievi tedeschi e stranieri. Anch'egli coltivò l'indirizzo della fisiologia fisica, studiando specialmente il sistema nervoso vegetativo e gli organi che sono posti sotto il suo controllo : ghiandole, cuore, sistema circolatorio. Misurò la velocità del flusso del sangue nei vasi e studiò parti­ colarmente il processo di secrezione, che interpretò come un puro fenomeno mec­ canico. Introdusse nella tecnica fisiologica un metodo di registrazione grafica: il chi·

    Il chimografo di Karl Ludwig per la registrazione dei processi fisio­ logici continui (1 846).

    mografo, o tamburo rotante, su cui una penna, connessa con l'organo in istudio, registra i movimenti di questo. Lo strumento divenne ben presto d'uso comune nei laboratori di fisiologia. Nel suo Lehrbuch der Physiologie des Menschen, Lipsia 1852 ( Trattato di fisiologia dell'uomo) espresse le proprie idee generali sui fenomeni vitali, interpretati da un punto di vista esclusivamente fisico e chimico. L'autorità del Ludwig e il gran numero di allievi ch'egli ebbe, fecero sì che la concezione meccanicistica si diffondesse larga­ mente nella seconda metà dell'Ottocento. Come si vede, la corrente meccanicistica andò facendosi sempre più forte e netta specialmente fra i fisiologi tedeschi, fino ad arrivare al meccanicismo assoluto, quindi al materialismo. Questa dottrina, sotto varie forme, avrà la massima espansione nella seconda metà nel secolo, e verrà contrastata da movimenti di reazione in senso vitalistico.

    f) La fisiologia e la medicina sperimentale. Claude Bernard. La scuola francese aveva prodotto anche alcuni eminenti fisiologi, come PIERRE FLOURENS (1794-r867), allievo di Magendie, che continuò l'opera del maestro con ricerche sulla fisiologia del sistema nervoso. Fra tutti eccelle quegli che si può considerare come il più grande fisiologo dell'Ot­ tocento, CLAUDE BERNARD. Nato a St. Julien sul Rodano nel r813, di famiglia con­ tadina, fece per un certo tempo l'apprendista in farmacia, poi trovò modo di recarsi a Parigi. Aveva scritto alcune opere letterarie non prive di pregio, ma si decise poi a studiare medicina. Magendie ne riconobbe l'ingegno e l'abilità manuale e lo prese come proprio assistente. Divenne nel r857 il successore del maestro alla Sorbona ed al Collège de France, ed è noto, quasi leggendario, in quali condizioni primitive ed antigieniche fosse costretto a lavorare per molti anni, in un locale umido e freddo. Contrasse una malattia che per vari anni gli impedi di compiere ricerche sperimentali, e si dedicò allora a opere di carattere speculativo, che sono anch'esse, come la parte sperimentale del suo lavoro, di alto valore. Morì nel 1878, quando la sua fama aveva ormai trasceso i limiti della propria patria, e molti onori gli erano stati conferiti. Claude Bernard, come il suo maestro, fidava essenzialmente nell'esperimento per la soluzione dei problemi fisiologici, e fu infatti uno sperimentatore insigne, dotato di eccellenti capacità tecniche. Ma a differenza di Magendie, non disprezzava l'ipotesi

    Claude Bernard .

    e il ragionamento, anzi riteneva che questi fossero necessari per impostare propria­ mente uno sperimento. Le sue ricerche sono infatti condotte con una logica stringente e la sperimentazione è accuratamente programmata. La sua scoperta principale è quella della funzione del fegato, che allora si riteneva fosse un organo destinato sol­ tanto alla elaborazione della bile. Claude Bernard osservando la presenza di zucchero nella vena epatica di animali nutriti esclusivamente con cibo carneo e anche di ani­ mali a digiuno, dimostrò che il fegato è capace di costruire un idrato di carbonio diverso da quelli che si trovano nei vegetali, a cui nel 1 857 diede il nome di glicogeno o amido animale, che può essere convertito in zucchero. Si riteneva allora che gli ani­ mali non fossero capaci di costruire le sostanze di cui è costituito il loro corpo e che le ricevessero bell'e fatte dai vegetali. La scoperta della funzione glicogenetica del fegato dimostra invece che nel corpo degli animali avvengono, oltre a reazioni di de­ molizione, cataboliche, anche processi di sintesi. Tutto il metabolismo degli animali viene così messo in nuova luce e la funzione del fegato, come organo capace di sinte­ tizzare composti complessi, è per la prima volta dimostrata. La funzione glicogenica del fegato è stata considerata come una >, ma in realtà non ha nulla a che fare con le vere e proprie secrezioni interne (ormoni) che furono scoperte molti anni più tardi. Altra serie di ricerche di molta importanza è quella che si riferisce all'azione del succo pancreatico nella digestione. Claude Bernard riconobbe che esso è più attivo del succo gastrico, in quanto mentre questo è capace di demolire soltanto le proteine, quello contiene enzimi capaci di scindere proteine, grassi e idrati di carbonio. Al Bernard si devono anche classiche ricerche sulla produzione del calore animale, sull'azione regolatrice del sistema nervoso nella circolazione, sull'azione di vari veleni (curaro, ossido di carbonio ecc.) . Ma la parte generale e normativa della sua opera non è meno interessante e impor­ tante. Sia nelle lezioni di fisiologia, che, raccolte dai suoi studenti, formano una serie di 17 volumi, sia nel volumetto Introduction à l' étude de la médecine expérimentale (Parigi 1855 e r868) e nelle Leçons sur les phénomènes de la vie communs aux animaux et aux végétaux (Parigi 1878) , Claude Bernard tratta di problemi generali sulla natura della vita e sulle possibilità della investigazione scientifica. Nei primi anni è altrettanto deciso quanto il Magendie nel respingere il vitalismo, e cerca di analizzare il problema della vita in termini meccanicistici. I n questo tenta­ tivo però si accorge che non è possibile dare una completa definizione della vita in termini di fisica e di chimica. Le caratteristiche fondamentali degli organismi viventi sono, egli dice, organizzazione, generazione, nutrizione, evoluzione (nel senso allora in uso di sviluppo embriologico, ontogenesi) . Di queste l'ultima è la più caratteristica e la più difficile a spiegarsi meccanicamente: come da un uovo si formi un individuo con tutte le sue parti per una regolare sequenza di stadi diversi, è certo il fenomeno più difficile a far rientrare nel quadro dei fenomeni inorganici. Perciò i fenomeni vitali, egli conclude, differiscono essenzialmente da quelli non vitali, in quanto presentano una costante alternanza di processi di > e >. Non si sot­ traggono però alle leggi che vigono nel mondo inorganico, come voleva Bichat, anzi sono loro sottomessi, ed è proprio questa l'indagine che ha significato. Bernard assume quindi una posizione di compromesso fra materialismo e vitalismo. 390

    Non accetta questi termini, e chiama > l'insieme delle condizioni fisico-chimiche che regolano i fenomeni vitali. L'ipotesi, cui Magendie non annetteva alcun valore, è invece per Cl. Bernard uno strumento logico necessario per procedere, da un fatto conosciuto, alla scoperta di uno nuovo. Si assiste dunque, nella prima metà dell'Ottocento, ad un vivace sviluppo della fisiologia, cioè di quella parte della biologia che studia le funzioni degli organismi e dei loro organi. E poichè il problema della funzione, più immediatamente che non quello della forma, richiama alla mente il paragone con la macchina e con i processi inorganici, i fisiologi sono coloro che riportano sul tappeto l'antico dilemma: mec­ canicismo-vitalismo. Abbiamo visto come le opinioni dei vari autori varino, ma è evidente, in complesso, che man mano che ci si allontana dal 700, è sempre più ma­ nifesta la simpatia verso le interpretazioni meccanicistiche. Anche coloro che ricono­ scono la impossibilità di spiegare interamente i fenomeni vitali con modelli chimico­ fisici, sono d'accordo sulla necessità di bandire la speculazione romantico-vitalista nello studio della fisiologia e di affidarsi esclusivamente al metodo sperimentale. In tal modo la fisiologia, e tutte le scienze biologiche, hanno compiuto i più notevoli progressi. Il metodo induttivo si dimostra sempre più come il solo metodo la cui applicazione sia legittima nel dominio della indagine scientifica. Cominciano in questo periodo, e in questo settore della biologia, a delinearsi le indagini sul problema epistemologico, cioè sulle possibilità esplicative della ricerca scientifica e sui suoi limiti, e anche qui si manifesta la divergenza fra l'opinione di coloro che ritengono non esservi limiti, e quelli che invece tali limiti vedono e pongono. Motivi questi, che saranno ulterior­ mente sviluppati negli anni successivi, fino ai nostri giorni. g. La microbiologia e la dottrina del co ntagio. Pasteur.

    a) Lo studio dei Protozoi. La scoperta di quegli organismi unicellulari che dal 1845 si chiamano Protozoi è dovuta, come abbiamo detto, al Leeuwenhoek, al cui acutissimo sguardo non sfug­ girono neppure altri organismi anche più minuti, i batteri. In una lettera alla Royal Society del r683, pubblicata nel r684, il naturalista olandese descrive e figura alcuni batteri che si trovano nella bocca umana. Nel Settecento, se si prescinde dai lavori di Spallanzani sulla generazione spon­ tanea degli infusorì, la microbiologia descrittiva non fa molti progressi, come del resto nessuna delle discipline che richiedono l'uso del microscopio. RoESEL VON RoESENHOF, nelle già citate Insehten Belustigungen (vol. 3°) dà alcune buone figure da cui si può riconoscere chiaramente un'ameba. Nel 1786 uscì postumo un grosso volume del danese OTTO FREDERIK MOLLER, dal titolo A nimalcula infusoria, in cui è contenuta la descrizione accurata - tanto da permetterne oggi l'identificazione - di numerosissime specie di microrganismi. Vi sono compresi batteri, protozoi ciliati (quelli cui oggi è riservato il nome d'Infusori) protozoi di altre classi, e anche numerosi altri minutissimi organismi che oggi sappiamo 39 1

    esser costituiti di numerose cellule. Mtiller adotta la nomenclatura linneana, quindi ogni specie è indicata con il nome del genere e quello specifico. Molti di questi nomi sono tuttora usati. Dovevano passare cinquant'anni prima che fosse pubblicato un altro sostanziale contributo alla conoscenza dei Protozoi, opera di CHRISTIAN GoTTFRIED EHRENBERG, di Lipsia (nato nel 1795 ; v. pag. 364). Dopo di essersi addottorato in medicina, Ehrenberg fece un viaggio di esplorazione in Oriente durato sei anni, dal quale riportò numerose importanti collezioni. Accompagnò poi Humboldt nelle sue spedi­ zioni in Asia, e al ritorno fu nominato professore di storia della medicina a Berlino, dove morì nel 1876. Nel r838 pubblicò una monografia, splendidamente illustrata, dal titolo: Die lnfusionstierchen als volkommene Organismen (Gli lnfusort come organismi completi) . I n essa Ehrenberg descrive accuratamente molte specie di protozoi e riconosce che alcuni vermi (anguillule, cercarie) che prima erano considerati come infusori non ap­ partengono a questo gruppo. La sua teoria sulla struttura degli infusori è ch'essi siano organismi completi, provvisti di sistemi digerente, nervoso, muscolare, e di or­ gani della riproduzione sessuale (che egli identifica nei nuclei) così come gli organismi superiori : molti particolari, come ad esempio i vacuoli, egli vide e descrisse esatta­ mente, ma parecchie strutture ch'egli afferma aver visto sono frutto della sua im­ maginazione. Importante è, comunque, oltre alla esatta descrizione e definizione di molte specie, l'affermazione che gli infusori sono da considerare come organismi completi, dotati di tutte le proprietà degli organismi superiori, che si riproducono, e non nascono per generazione spontanea. L'Ehrenberg non ne riconobbe la natura unicellulare (la teoria cellulare veniva enunciata nello stesso anno della pubblicazione del suo libro) . La concezione degli infusori come organismi completi fu combattuta da un natu­ ralista francese FELIX DuJARDIN (r8or-r862) professore a Tolosa e poi a Rennes. Ciò che egli più precisamente contrastava, però, non era tanto la capacità degli infusori di esplicare tutte le funzioni vitali, quanto l'assurda pretesa dell'Ehrenberg di rico­ noscere in questi piccolissimi animali la presenza di organi e sistemi altrettanto com­ pleti quanto quelli degli animali superiori. Dujardin descrive un'altra categoria di protozoi, quella che comprende le amebe o Rizopodi. Ancora oggi questa classe viene indicata, in alcune classificazioni, con il nome di Sarcodici, che deriva da un termine introdotto dal Dujardin (v. pag. 364) . Questi afferma che sia le amebe sia gli infusod veri e propri consistono di una massa piuttosto omogenea, capace di assorbire sostanze dall'esterno e assimilarle, di contrarsi, di muoversi e di reagire agli stimoli; massa che egli chiama sarcode (dal greco sarx, carne) . Questo termine cadde poi in disuso, e fu sostituito da protoplasma, che indica presso a poco la stessa cosa. La natura unicellulare dei protozoi, come abbiamo detto, fu riconosciuta da TH. v. SIEBOLD che nella sua Vergleichende A natomie ( r845) chiaramente riconobbe che il corpo dei protozoi è formato da una sola cellula, e introdusse il termine di Protozoi, tuttora usato per indicare tutti gli animali unicellulari. Il v. Siebold, in base anche ad alcune osservazioni di Nageli, riconobbe che esi­ stono anche piante unicellulari, cioè organismi costituiti da una sola cellula, ma prov392

    visti di clorofilla. Questo autore fa giustizia delle fantastiche interpretazioni del­ l'Ehrenberg, e riconosce nel corpo dei protozoi soltanto alcune strutture: nucleo e vacuoli, che si trovano anche nelle cellule degli organismi superiori. Con questo viene riconosciuta anche la capacità di singole cellule a condurre una vita indipendente. Nasce cosi la microbiologia, che tanta importanza dovrà acquistare, negli anni suc­ cessivi, per la biologia e per la medicina. b) La dottrina del contagio. L'idea che alcune malattie siano determinate da minutissimi organismi, che si trasmettono dai malati ai sani, era molto antica, ma soltanto verso la metà dell'Ot­ tocento prende forma precisa e poco più tardi verrà definitivamente dimostrata. I l primo a veder chiaro in questo problema fu AGOSTINO BASSI. Era questi un avvocato lodigiano (n. a Mairago di Lodi nel 1773 o nel 1775) che a Pavia aveva se­ guito, oltre ai corsi di giurisprudenza, anche lezioni di discipline mediche e naturali­ stiche, come quelle impartite da Rasori, da Spallanzani e altri maestri. Per una debolezza della vista dovette rinunciare ad altre attività e ritirarsi a Lodi per occuparsi della propria azienda agricola, che però non gli fruttava molto e non gli consentì mai una vita agiata. Si dedicò anche allo studio di vari problemi di biologia

    Agostino Bassi.

    393

    applicata, zootecnia, bacologia, pastorizia, enologia, ecc. pubblicando vari pregevoli contributi. Il lavoro suo più importante è Sul mal del segno, calcinaccio o moscardino, malattia che affligge i bachi da seta (Lodi r853-56) nel quale dimostra che la malattia che provoca tanti danni negli allevamenti di bachi è prodotta da un organismo vi­ vente (un fungo microscopico, come si appurò poi, al quale il Balsamo Crivelli diede in suo onore il nome di Botrytis bassiana) i cui germi si diffondono nell'aria. Essi si depositano sul baco vivo, si sviluppano e dànno origine ad un organismo che vive come parassita sull'insetto e ne determina la malattia e la morte. I germi che si pro­ ducono nel baco malato propagano l'infezione agli individui sani. I l Bassi riuscì a coltivare il fungo su vari substrati, osservò che la virulenza del parassita si può at­ tenuare dopo un certo tempo in cultura (principio che è oggi largamente utilizzato in sierologia) e indicò la maniera di combattere l'infezione distruggendo i bachi malati e disinfettando le bigattiere. È qui delineata magistralmente dal Bassi la moderna dottrina del contagio, che doveva poi essere sviluppata dal Pasteur e rivoluzionare la patologia moderna. Il Bassi si rese pienamente conto della portata della sua scoperta: >. Le ricerche del Bassi - che morì a Lodi nel 1856 - rimasero poco conosciute ai contemporanei; praticamente caddero in dimenticanza. Il merito della dottrina parassitaria delle malattie e del contagio è generalmente attribuito al Pasteur. Questi lavorò indipendentemente ed è probabile che non abbia conosciuto gli studi del Bassi. Ciò non diminuisce il merito del lodigiano, le cui opere furono tratte dall'oblio e pubblicate in edizione nazionale nel 1925, precedute da una biografia e da uno studio sull'opera del Bassi dovuto a G. B. Grassi . LuiGI PASTEUR, nato a Dole nella Franca Contea nel r8zz, figlio di un ex sottufficiale dell'esercito napoleonico, crebbe ad Arbois, dove il padre aveva impiantato una con­ ceria. La famiglia lo fece studiare, non senza sacrificio, e il giovane conseguì il bacca­ laureato in lettere a Besançon nel 1840 e quello in scienze matematiche all'Università di Digione (1842) . Qui ebbe la votazione di mediocre in chimica. Nel 1843 si recò a Parigi come assistente del chimico A. G. Balard della É cole Normale Supérieure, e fece la sua prima scoperta: fra i cristalli di acido paratartarico osservò una diffe­ renza dovuta alla posizione di una delle facce. Separati i cristalli diversi e discioltili separatamente, il Pasteur vide che le soluzioni deviano il piano della luce polarizzata rispettivamente a sinistra (acido paratartarico levogiro) o a destra (acido paratartarico destrogiro). Il fenomeno della polarizzazione rotatoria era già conosciuto: Pasteur lo mise in relazione con l'emiedria dei cristalli. Nel 1848 fu chiamato ad insegnare chimica al liceo di Digione, poi passò come supplente alla cattedra di chimica del­ l'Università di Strasburgo, di cui nel 1852 divenne titolare. Qui iniziò le esperienze sui microrganismi : coltivando una muffa, Penicillium glaucum nell'acido paratar­ tarico, riuscì a stabilire che la muffa utilizza soltanto l'acido destrogiro : gli organismi 394

    Luigi Pasteur. Particolare quadro di L. Bonnat.

    di un

    viventi quindi distinguono fra le due forme otticamente e cristallograficamente diverse, che tuttavia hanno proprietà chimiche identiche. Pasteur fu poi condotto a occuparsi del problema delle fermentazioni. Da alcuni fabbricanti di vini fu interpellato sulle dei vini, cioè su quelle fermentazioni per le quali i vini acquistano sapori sgradevoli (acido, amaro) . Si accorse che le > sono legate alla presenza di organismi microscopici, e che per ogni tipo di ma­ lattia si può riconoscere nel vino una forma speciale di microrganismo. Fu così con­ dotto ad occuparsi della fermentazione alcoolica, della fermentazione lattica, della fermentazione acetica e di altre, e, con le sue scoperte, portò la rivoluzione in questo campo. Le teorie allora dominanti erano quelle di Berzelius e di Liebig, che conside­ ravano i processi fermentativi come reazioni chimiche particolari, non aventi alcuna diretta relazione con gli organismi viventi. Pensavano i chimici che le fermentazioni fossero opera di particolari sostanze, le > o >, e che la loro azione desse luogo alla formazione di composti albuminosi (il lievito) in cui nascevano per generazione spontanea dei microrganismi. Nel 1836 il fisico francese CHARLES CAGNIARD DE LATOUR (1777-1859) emise l'ipotesi che il lievito consista di minuti organismi la cui attività è causa della fermentazione. Poco dopo Th. ScHWANN sostenne una ipotesi analoga e cercò di confortarla con dati sperimentali : le fermentazioni sono legate alla vita di alcuni microrganismi, ciascuno dei quali determina uno speciale tipo 395

    di fermentazione (alcoolica, lattica, acetica, ecc.). Pasteur dimostrò che, se si sottopone il liquido in cui è in corso una fermentazione ad un lieve riscaldamento per una durata sufficiente, si determina la morte del microrganismo o . La dottrina patologica generale del Rokitansky era basata su di una concezione umorale (teoria delle crisi) : egli non fu influenzato dalla teoria cellulare. Oltre a nu­ merosi lavori speciali, assai pregevoli, il Rokitansky pubblicò un trattato di anatomia patologica (r845-r86r) che fu il testo classico per molti anni. Alla scuola di Vienna affluirono verso la metà del secolo, allievi da ogni parte d'Europa, i quali divul­ garono poi nei rispettivi paesi i risultati e i metodi della patologia scientifica. Se il Rokitansky può considerarsi in un certo senso come l'ultimo grande anatomico e patologo secondo il vecchio stile di Morgagni, RuDOLPH VrRCHOW, di vent'anni più giovane di lui, è invece il primo patologo moderno. Nato in Pome­ rania nel r821, studiò medicina, fu allievo di J . Mtiller e divenne poi assistente al­ l'ospedale La Charité di Berlino. Nel 1847 fondò il periodico: A rchiv fur pathologische

    Rudolph Virchow.

    26.

    -

    Storia delle Scienze, I II l .

    401

    A natomie, che diresse fino alla morte. Durante i moti del '48 si dimostrò troppo li­ berale, e il governo prussiano lo esonerò dall'incarico. Si recò allora a Wtirzburg, dove ottenne una cattedra di anatomia patologica. Nel 1856 fu richiamato alla Uni­ versità di Berlino. Fu membro del parlamento, dove difese i principi liberali e fu tenace avversario di Bismark. Organizzò in modo esemplare i servizi di igiene pubblica in Germania. Morì nel 1902. Negli ultimi anni si era dedicato anche all'antropologia e all'archeologia : il museo etnologico di Berlino è stato creato da lui. Virchow è autore di numerose ricerche speciali nel campo della patologia; ma il suo merito principale consiste nell'avere accettato e divulgato la teoria cellulare e nell'aver riconosciuto che ogni fenomeno patologico può essere ricondotto, nella sua più semplice espressione, al livello cellulare. Nel suo celebre trattato > (La patologia cellulare, Berlino, 1858) afferma che la dottrina cellulare applicata a tutti i corpi viventi conduce a una fisiologia cellulare e a una patologia cellulare, che si fondano sull'istologia, cioè sulla conoscenza anatomica, a livello microscopico. I fenomeni morbosi non sono altro che la manifestazione delle reazioni delle cellule che costituiscono l'organismo alle cause di malattia. E l'essenza della malattia va ricercata in una modificazione di una parte dell'organismo, o in una cel­ lula modificata, o nella modificazione di un aggregato cellulare (tessuto o organo). Ogni parte del corpo che sia malata è in una relazione parassitaria con il resto del corpo sano a cui appartiene, e perciò vive a spese di questo. La dottrina del Virchow ebbe una enorme influenza sullo sviluppo della patolo­ gia, in particolare sulla conoscenza dei fenomeni d'infiammazione, e sulla teoria della genesi dei cancri, considerati, d'ora in poi, come proliferazioni eccessive e sregolate di cellule. Molte interpretazioni patologiche del Virchow si sono dimostrate fallaci, e la fiducia nella dottrina cellulare gli impedì di riconoscere l'importanza di quei meccanismi umorali che, invocati da parecchi autori, furono poi dimostrati con la scoperta degli ormoni. Ma l'impbstazione fondamentale è valida, e la patologia ne trasse immensi vantaggi. Per quanto riguarda le concezioni generali dei fenomeni vitali, il Virchow non ritien�. di potersi adeguare ad un meccanicismo integrale, e pensa sia necessario fare ric�rs� ad una forza vitale. Su questo argomento polemizza vivacemente con lo Haeckel, che era stato suo allievo. b) La clinica. L'orientamento della biologia in senso positivistico, il distacco, sia pur lento e contrastato, dalle concezioni metafisiche che avevano dominato nei secoli passati, esercitò una profonda influenza in tutti i campi della medicina. La quale, fondandosi sulle conquiste della fisiologia sperimentale, dell'anatomia microscopica, della paras­ sitologia, si diresse sempre più precisamente verso l'indagine positiva, sia per quanto riguarda la semeiotica, cioè il riconoscimento e la determinazione dei sintomi delle varie forme morbose, sia nella eziologia (ricerca delle cause delle varie malattie) sia nella terapeutica. Questa, che è il ramo della medicina che si occupa dei rimedi e delle cure, uscì dallo stadio empirico, per divenire una vera e propna sc1enza spe­ rimentale.

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    Theophile-Hyacinthe Laennec. Ritratto di autore ignoto . (Parigi, Facoltà di Medicina) .

    Fot. Giraudon

    Ricorderemo brevemente qualcuno dei più notevoli medici della prima metà del­ l'Ottocento, senza pretese di fare una compiuta rassegna storica. Uno dei più geniali fu TEOPHILE-HYACINTHE LAENNEC, nato in Bretagna nel 1781 e morto a 45 anni, nel r8z6. Osservatore acutissimo, ha dato descrizioni classiche di molte malattie, fra cui la tubercolosi polmonare, di cui morì. A lui si deve la diagnostica differenziale di molte malattie dell'apparato respiratorio e del circolatorio. È l'inven­ tore dello stetoscopio (De l'auscultatian médiate, Parigi, r8rg), che è stato per più di un secolo il più prezioso strumento di osservazione del medico. Una importante scuola medica fiorì a Vienna. Abbiamo già citato il Rokitansky. Dobbiamo ricordare ancora J OSEPH SKODA (r8os-r88r) di Pilsen che diede le basi alla moderna diagnostica differenziale, ammettendo l'estrema importanza dello studio rigo­ roso e minuzioso dei sintomi percettibili come caratteri fisici. LucAs ScHONLEIN (1793-1864) descrisse varie forme morbose che prima non erano bene distinte; fu un precursore della microbiologia e della teoria parassitaria di molte malattie, in quanto riconobbe in un fungo, che fu poi chiamato A charion Schonleini, la causa del favus. Anche alla scuola di Vienna appartennero l'anatomico JosEPH HYRTL (r8r r-r894), il tisiologo BRUKE, e molti insignì specialisti in dermatologia, in oculistica, in otologia, ecc. I nomi di alcuni clinici inglesi, come THOMAS ADDISON (1793-186o) e jAMES PAR­ KINSON (I755-I824) sono legati ad alcune delle forme morbose ch'essi descrissero. I nomi di jOHN CHEYNE (1777-1836) e del SUO allievo WILLIAM STOKES (1804-1878) sono invece connessi ad un particolare tipo di respirazione patologica.

    In Italia le figure più eminenti sono quelle di MAURIZIO BUFALINI e di SALVATORE ToMMASI . Il primo, nato in Cesena nel 1787 e morto a Firenze nel 1875, professore nell'Istituto di Studi Superiori di Firenze, sostenne una coraggiosa, continua pole­ mica contro il sistema di Brown-Rasori e contro ogni sistema vitalistico. Fu aspra­ mente osteggiato da medici, filosofi, religiosi, che lo accusarono di materialismo. L'opera sua più importante è Fondamenti di patologia analitica (r8rg) in cui proclama che la base della scienza medica è il metodo analitico e sperimentale. Il Bufalini fu uno dei più validi assertori del metodo induttivo in clinica, e le sue idee finirono col trionfare nella scuola italiana. Maestro di bello scrivere, fu ascritto all'Accademia della Crusca, ove lesse, nel '63, l'elogio di Giuseppe Giusti. Lasciò anche varie opere di carattere letterario e politico. SALVATORE ToMMASI (r8r3-r888) fu invece professore a Napoli; dopo i moti del '48 i Borboni lo dimisero per le sue idee liberali. Nel r86r fu nominato professore di clinica medica a Pavia; nel r885 fece ritorno alla clinica di Napoli, dove rimase fino alla morte. Dapprima meccanicista e materialista, il Tommasi tornò in seguito su posizioni vitalistiche ; ma fu sempre un grande sostenitore del metodo indut­ tivo. Oltre all'anatomia patologica del Morgagni, la fisio-patologia sperimentale, che s'era venuta sviluppando negli ultimi anni, deve essere la guida costante del clinico. Salvatore Tommasi fu una delle più notevoli figure di clinico e di biologo dell'Italia Meridionale, ed è soprattutto merito del rigoroso metodo d'inda­ gine ch'egli introdusse se la scuola medica napoletana raggiunse, nel secondo Ottocento, alta fama. c) Chirurgia. In tempi antichi, come abbiamo visto, i chirurghi erano tenuti in un rango molto inferiore rispetto ai medici: come ai barbieri era devoluto il compito di praticare salassi, così ai cerusici era affidata l'arte di eseguire operazioni sul corpo del malato. La loro opera divenne per6 sempre più apprezzata, la loro preparazione più curata. Nel corso del secolo XIX la chirurgia venne definitivamente riconosciuta come uno dei rami della medicina. Ciò è dovuto, fra l'altro, al fatto che i progressi dell'ana­ tomia patologica consigliarono interventi in casi in cui prima non si sarebbe nemmeno supposta una base patologica di carattere anatomico. Così la chirurgia a poco a poco diventa realmente un ausilio della clinica. La tecnica operatoria fece progressi enormi, che non è il caso d'illustrare qui nei particolari. Basterà ricordare due eventi di fondamentale importanza perchè la chi­ rurgia potesse attingere la perfezione a cui è arrivata oggi : l'introduzione degli ane­ stetici e quella dell'asepsi e dell'antisepsi. Divinum opus est sedare dolorem, aveva detto I ppocrate, e, nei secoli, vari mezzi erano stati preconizzati a questo scopo: alcool, oppio, giusquiamo, e altre droghe. Ma soltanto verso la metà dell'Ottocento si introdussero quegli anestetici che dovevano ben presto aver larga applicazione in chirurgia. Le proprietà anestetiche dell'etere furono riconosciute fin dal r8r8 da FARADAY e THOMPSON. Questa sostanza fu pre­ parata allo stato puro dal jACKSON (1846) . Il dentista americano W. MORTON la usò

    per l'estrazione dei denti. SIMPSON di Edimburgo nel 1847 usò l'etere in una operazione chirurgica, e, nello stesso anno, sperimentò il cloroformio. Dopo che il WoRD di Edimburgo ebbe introdotto la tecnica delle iniezioni ipodermiche, fu possibile prati­ care l'anestesia locale, che si rivelò efficace soprattutto dopo l'introduzione della cocaina (r884). Il sistema di abolire il dolore con l'uso di sostanze ad azione anestetica (dapprima etere, cloroformio, poi numerose altre sostanze somministrabili per inalazione o per iniezione) ha permesso al chirurgo di accedere alle regioni del corpo più dif­ ficilmente raggiungibili e di sottoporre il paziente, quando sia necessario, a lunghi interventi. L'uso degli anestetici ha aperto alla chirurgia possibilità prima im­ pensate. La pratica dell'antisepsi, cioè della sterilizzazione del campo operatorio, degli strumenti, ecc. discende dalle scoperte di Pasteur, ed è dovuta soprattutto al grande chirurgo inglese Lord Lister. Un precursore, nel campo della ostetricia, fu l'ungherese !GNAZ PHILIP SEMMELWEIS (r8r8-r865) della scuola di Vienna. La febbre puerpe­ rale mieteva vittime a migliaia: le cause erano ignote. Semmelweis, nell'eseguire l'autopsia di un aiuto di Rokitansky morto nel 1847 per un'infezione contratta facendo una dissezione, osservò che le alterazioni anatomo-patologiche erano simili a quelle riscontrabili all'autopsia delle donne morte di febbre puerperale, e concepì l'idea che le cause fossero le stesse. Prescrisse accurati lavaggi ai medici che dovevano assistere le puerpere e agli ambienti in cui avveniva il parto, e osservò che così si aveva una forte diminuzione dei casi d'infezione. Nel 1847 e poi ancora nel r86r pubblicò la sua teoria, che la febbre puer­ perale sia dovuta ad una in­ fezione del sangue, e che si possa evitarla con pratiche che oggi chiamiamo antiset­ tiche. Questa affermazione fu vivacemente contrastata da quasi tutti i medici (ad ec­ cezione di Rokitansky e di Skoda) e la campagna fu così violenta che il Semmelweis dovette abbandonare il posto all'ospedale di Vienna. Sol­ tanto dopo la sua morte (r865) gli fu resa giustizia. Lord J OSEPH LISTER, nato nel 1827 a Upton (Essex) pro­ fessore di chirurgia all'Uni- Ignaz Philip Semmelweis.

    versità di Glasgow, uomo di vasta cultura, e di grande equilibrio, ebbe invece, in vita, ogni sorta di ricono­ scimenti e di onori. Alla sua morte, av­ venuta nel 1912, la salma fu tumulata nell'Abbazia di Westminster, accanto a quella di altri grandi scienziati. La mortalità conseguente ad una delle operazioni chirurgiche allora più frequenti, l'amputazione, era altis­ sima: fino al 45 % · Lister, messo sull'avviso dalle ricerche di Pasteur, pensò che ciò fosse dovuto all'azione di microrganismi patogeni, ed ebbe l'idea di sterilizzare il campo opera­ torio con aspersioni di acido fenico (1865). I primi risultati, eccellenti, di questa tecnica furono pubblicati nel 1867 nel periodico inglese di me­ dicina >. I l metodo del Lister non tardò a diffondersi in tutto il mondo, ed è grazie ai metodi an­ tisettici, che furono in seguito op­ portunamente modificati e raffinati, Lord ] oseph Lister. che la chirurgia ha potuto raggiun­ gere l'attuale perfezione. Fra i chirurghi italiani del primo Ottocento meritano particolare menzione LuiGI PoRTA e FERDINANDO PALASCIANO. I l Porta, nato a Pavia nel 18oo e ivi morto nel 1875 si perfezionò alla famosa scuola viennese e dal 1832 tenne la cattedra di Anato­ mia clinica e chirurgica ed operazioni nell'Università di Pavia. Recò notevoli innova­ zioni in vari campi della clinica chirurgica (particolarmente nella cura del gozzo e nelle operazioni sulla tiroide) e fondò a Pavia un ricco museo anatomo-chirurgico, che fu poi dedicato al suo nome. Del Palasciano diremo nel paragrafo successivo : qui basti ricordare che fu un operatore insigne e che il suo nome è legato a parecchie innovazioni di tecnica operatoria. d) Igiene e medicina sociale. Già nei secoli XVII e XVII I si registrano i tentativi di difesa della società contro le malattie, con opportuni provvedimenti legislativi. Nel secolo XIX quest'azione si intensifica e si organizza, mettendo a profitto, a mano a mano, le conoscenze sempre più precise che si venivano acquistando sul­ l'eziologia di varie malattie, e in particolare di quelle a carattere epidemico.

    La Francia aveva istituito dei Consigli di igiene pubblica fin dal r8o2, e nel 1822 creò il Consiglio Superiore dell'Igiene pubblica, dipendente dal Ministero dell'Interno. L'Inghilterra istituì nel 1848 un ufficio generale di Sanità Pubblica. Questi esempi furono poi seguiti da molti altri Stati, e in breve tempo si giunse alla organizzazione e alle misure che oggi sono in vigore. Ma un fenomeno di particolare interesse è l'estensione di queste provvidenze sul piano internazionale. Due figure, le cui iniziative hanno avuto diversa fortuna, emergono in questo campo : quelle di FERDINANDO PALASCIANO e di FLORENCE NIGHTINGALE. FERDINANDO PALASCIANO era, come abbiamo già ricordato, un brillante chirurgo, e, oltre a ciò, un uomo di forte carattere e di temperamento polemico. Nato a Capua nel r8r5, fu dapprima chirurgo militare nell'esercito borbonico e rimase impressio­ nato dal trattamento cui erano sottoposti i feriti, specialmente quelli di parte nemica, sul campo di battaglia. Sostenne la necessità di una più efficace assistenza sanitaria ai f.eriti e propose di considerarli neutrali, qualunque fosse la parte in cui militassero. � Quando nel 1848 il Generale Filangieri, assediando Messina insorta, ordinò di non risparmiare gli avversari feriti, il Palasciano disobbedì e si ebbe perciò un anno di prigione. Fu perseguitato per molti anni dal governo borbonico per le sue idee liberali e per queste concezioni umanitarie. Ciò non valse a fiaccare la sua tempra. Per illustra­ re la quale basti ricordare che, nominato professore di clinica chirurgica all'Università di N apoli nel r864, si dimise nel r866 non volendo eseguire l'ordine del governo di trasferire la clinica all'Ospedale di Gesù e Maria. Già nel r862 il Palasciano aveva avuto una polemica con alcuni colleghi per sostenere la necessità di estrarre il proiettile che aveva feri­ to Garibaldi ad Aspromonte. In una seduta della Società Pon­ taniana di Napoli (r86r) sostenne la necessità di addivenire ad una convenzione internazionale per l'as­ sistenza ai feriti. Quando, nel r864, si giunse alla convenzione di Gi­ nevra e alla fondazione della Croce Rossa Internazionale, il nome di Fa­ lasciano fu ignorato. E così ancora nella seconda conferenza di Ginevra del r868, nella quale furono rive­ duti i termini della prima, e furono anche accettate alcune delle inno­ vazioni che egli aveva proposte. Palasciano morì a Napoli nel r8gr ; poco dopo alcuni discepoli e la ve­ dova, sotto gli auspici della Regina Margherita, iniziarono una campa­ gna per fare riconoscere l'opera Ferdinando Palasciano. ... ,

    filantropica del chirurgo napoletano che deve considerarsi un grande pre­ cursore della Croce Rossa. FLORENCE NIGHTINGALE, inglese, nata a Firenze nel 1823, morta nel rgro dedicò tutta la sua lunga vita all'assistenza dei malati e dei feriti. Durante la campagna di Crimea orga­ nizzò un corpo di infermiere al seguito dell'esercito. Al suo ritorno in Inghil­ terra ottenne una forte somma per l'istituzione di una scuola di infermiere, che fu aperta nel r86o all'ospedale St. Thomas. Questa data è molto impor­ tante perchè fin'allora l'assistenza ai malati e ai feriti era fatta da religiosi. Ha inizio ora l'assistenza laica, e, quel che più conta, la creazione di scuole spe­ cializzate per l'istruzione del personale. 11.

    Conclusione.

    Alla metà del secolo XIX la Biologia, e con essa la medicina, è ormai entrata definitivamente nel novero delle scienze sperimentali, ha raggiunto la fase secondo la classificazione di A. Comte. Una grande teoria di portata generale è stata enunciata, che riconosce nella cellula l'unità di struttura e di funzionamento di tutti gli organismi. Le funzioni organiche si rivelano sempre meglio studiabili con i metodi delle scienze fisiche e la speranza di poterle completamente risolvere in senso mec­ canicistico appare sempre più realizzabile. Ci si avvia dunque, con l'animo pieno di fiducia nelle possibilità della scienza, verso il meccanicismo come teoria biologica, che s'inserisce nel più vasto quadro della rinascente filosofia materialistica. Quello che ancora è oscuro è il problema delle origini : gli sperimenti di Pasteur hanno dato un grave colpo alla teoria della generazione spontanea. Ma, quasi contemporaneamente, viene enunciata la teoria della evoluzione in forma scientificamente molto più precisa e plausibile di quanto non fosse stato fatto 'in passato. E questa offre un'interpretazione razionale di alcuni dei fenomeni che sem­ brava più difficile potere intendere scientificamente. Questo avvenimento, di cui trat­ teremo nel prossimo capitolo, darà nuova vita e orientamento a tutti gli studi biologici. Florence Nightingale.

    CAPITOLO VIII.

    DARWIN E LA DOTTRINA DELL'EVOLUZIONE

    I.

    La geol ogia storica.

    L'evento più importante nella storia della biologia - e forse nella storia del pen­ siero - nel secolo XIX, fu indubbiamente la formulazione della teoria dell'evoluzione per opera di Carlo Darwin (1859). Tale dottrina ebbe molti precursori più o meno remoti, di alcuni dei quali abbiamo parlato. Durante il Settecento e i primi dell'Ottocento, poi, varie correnti d'indagine e di pensiero vennero maturando, e fornirono alcuni presupposti necessari a che la teoria darwiniana potesse svilupparsi e trovare base e sostegno in altre teorie e in fenomeni di carattere non puramente biologico. Di alcuni di questi presupposti conviene fare un rapido accenno. Molte ipotesi erano state avanzate, nel corso dei tempi, relativamente al problema della interpretazione dei fossili, e, come abbiamo già ricordato, alcuni autori, fin dai tempi antichi, ne avevano esattamente compreso la natura. Dopo STENONE (cfr. pag. 226) , l'abate ANTONIO LAZZARO MoRo (nato a S. Vito al Tagliamento nel 1687, ivi morto nel 1764) aveva scritto un'opera molto significativa al riguardo: Dei crostacei e degli altri marini corpi che si trovano nei monti (Venezia, 1740), nella quale con molta abilità dà una interpretazione dell'origine dei fossili marini, pur senza disco­ starsi dal tradizionale racconto biblico. Fenomeni vulcanici, che si sarebbero manife­ stati dopo il quinto giorno della creazione, avrebbero provocato la formazione di continenti, isole e montagne, sulle quali sarebbero venuti a trovarsi, e a morire, animali marini, le cui spoglie, interrate da quei grandi movimenti tellurici, si sarebbero conservate fino a noi. È un primo abbozzo della geologia storica, o per lo meno della sua problematica. Del resto già il LEIBNIZ (1646-1716) aveva tentato di scrivere una storia fisica della terra, in un'opera dal titolo Protogaea. Di essa pubblicò soltanto un estratto nel 1693. Dopo la sua morte, nel 1748, l'opera fu pubblicata nell'originale latino e (1749)

    in traduzione tedesca. Leibniz esponeva opinioni plausibili sulla ongme delle terre emerse, sulla formazione delle montagne, o orogenesi, e sulla fossilizzazione. Ma il primo che ebbe veramente una chiara idea delle vicende geologiche nel tempo, e che seppe scostarsi dalla tradizione del racconto biblico fu, come abbiamo visto, il Buffon (cfr. pag. 250) . Quali fossero le cause che avevano determinato le variazioni della crosta terrestre, di cui la geologia ci dà testimonianza, era un problema soltanto oscuramente adom­ brato dal Buffon e dai suoi predecessori. Il primo che lo pose con sufficiente chiarezza è ]AMES HuTTON (nato a Edimburgo nel 1726, morto i vi nel 1797) , che pubblicò un'opera molto importante, dal titolo : Theory of the earth, or an investigation of the laws observable in the composition, dissolution and restoration of land upon the globe, Edimburgo, 1785, (Teoria della terra, cioè studio delle leggi che si possono osservare nella composizione, dis­ soluzione e riformazione della terra sul globo) . La principale forza geologica è una forza ignea, vulcanica (teoria del plutonismo) ; ad essa si devono la maggior parte delle rocce, che hanno quindi origine eruttiva o effusiva. Nell'opera di Hutton si trovano accenni a quella teoria delle catastrofi, a cui abbiamo accennato a proposito del Cuvier (cfr. pag. 330). Il suo contemporaneo ABRAHAM GorrLOB WERNER ( 1749-1817) professore a Freiburg, era invece di tutt'altra opinione, che non pubblicò mai per le stampe, ma che professò nell'insegnamento, e ch'era quindi ben nota ai suoi numerosi allievi. Egli riteneva che tutte le rocce, compreso il basalto, si fossero formate per sedimenta­ zione di materiali solidi dall'acqua (teoria del nettunismo) . Nella prima metà dell'Ottocento i pareri dei geologi erano dunque divisi fra plu­ tonismo e nettunismo. Prevaleva comunque l'opinione che la genesi delle rocce fosse dovuta a imponenti fenomeni geologici che in tempi passati avevano squassato la crosta terrestre. La più estrema e drammatica versione di questa teoria geologica, era quella delle catastrofi che il Cuvier aveva invocato per spiegare la variazione delle faune e delle flore (cfr. pag. 330) . Un avvocato scozzese introdusse un'idea ben diversa. Sir CHARLES LYELL (nato a Kinnordy in Scozia nel 1797, morto a Londra nel 1875) figlio di un letterato, CHARLES (1767-1849) che fu traduttore e studioso di Dante, dovette abbandonare la profes­ sione di avvocato per una malattia d'occhi che lo rese quasi cieco. Con l'aiuto della moglie si dedicò allo studio della geologia raccogliendo, in numerosi viaggi in Europa e in America, una gran massa di dati, che gli consentirono di formulare una compiuta e coerente teoria della formazione della terra. Nel r 83o pubblicò il famoso libro Principles of Geology, nel quale sono i fondamenti della geologia moderna. Esso contiene anche alcune proposizioni errate, di cui l'autore stesso dovette poi in parte ricredersi, come la negazione della teoria di Kant-Laplace che la terra sia stata inizialmente un globo incandescente, e la negazione dell'ipotesi lamarckiana che le specie vissute in epoche geologiche antiche fossero diverse dalle attuali. Ma il concetto dominante di tutta l'opera è la teoria dell'attualismo, la quale ammette che le forze che hanno prodotto i grandi cambiamenti geologici sono sostan­ zialmente quelle stesse che ancora operano in natura. La storia della terra, intesa come un processo che ha avuto un ininterrotto svi­ luppo in un tempo probabilmente molto lungo, e in cui hanno agito forze naturali 4 10

    simili o identiche a quelle che oggi vediamo in atto, era dunque un fenomeno bene accertato, dopo l'opera di Lyell, la quale ebbe una larga risonanza nel pubblico. Questi concetti costituivano un presupposto necessario per lo sviluppo delle teorie dell'evoluzione organica. Infatti Darwin, com'egli stesso racconta nella sua auto­ biografia, fu profondamente impressionato dai Principles of Geology che lesse durante il viaggio intorno al mondo. Il Lyell divenne poi grande amico del Darwin : l'avver­ sario dell'evoluzionismo lamarckiano divenne sostenitore - seppure con qualche riserva - delle teorie darwiniane. 2.

    Dall'idealismo romantico al positivismo.

    Al principio del secolo XIX dominava in biologia la concezione idealistico-ro­ mantica dei >, e parecchie idee scientificamente corrette, come quelle di >, e perfino quella di evoluzione, si erano presentate sotto una veste vitalistica. La >, intesa come realizzazione o espressione di un Principio infinito, concepisce i diversi tipi di organizzazione, fa tentativi e ordina le variazioni sul tema principale, dirigendo così l'evoluzione. Man mano che la ricerca scientifica procede nel modo che è stato riassunto nelle pagine precedenti, lo spirito scientifico, erede della tradizione baconiana e galileiana, rinvigorito da alcune correnti filosofiche settecentesche (sensismo, empirismo delle scuole inglesi) e considerato come il modo principale di conoscenza dall'Illuminismo, si fa strada anche in biologia. A poco a poco, come abbiamo visto, la biologia si libera dalle concezioni spiritualistiche e vitalistiche, e si propone la ricerca delle cause dei fenomeni in senso meccanicistico. Mentre i biologi traevano motivi per la rinascita del meccanicismo dalle osserva­ zioni e dagli sperimenti, i filosofi facevano sistema di questo indirizzo. AuGUSTO CoMTE (nato a Montpellier nel 1798, morto a Parigi nel r857) fu uno dei primi e più importanti teorici di questo movimento, che, dal titolo della sua opera Cours de philosophie positive (r83o-r842) prese il nome di positivismo. La conoscenza scien­ tifica, secondo il Comte, passa per tre stadi successivi: teologico, metafisico e positivo. Soltanto l'ultimo, nel quale, secondo la via aperta da Bacone e Galileo, l'uomo si limita a riconoscere i fatti, a descriverli, ad osservarne il decorso nel tempo e quindi a riconoscere e studiare l'azione delle forze naturali, riveste dignità di vera conoscenza scientifica. Tale conoscenza, rinuncia, secondo il motto di Galileo, alla >. Nella biologia Comte distingue un aspetto statico (l'anatomia) e uno dinamico (la fisiologia) . Ma, a parte questa distinzione, ch'egli ricava dal De Blainville, la sua conoscenza dei problemi biologici appare assai scarsa. La classificazione degli animali ch'egli propone è del tutto teorica e lontana da una classificazione naturale. Per quanto riguarda l'origine della specie, Comte è fissista come Cuvier. Nonostante tutte queste e altre limitazioni, nonostante le utopie sociocratiche e religiose dei suoi ultimi anni, è certo che la filosofia comtiana ebbe una notevole influenza nella storia della biologia, e, in un certo senso, può dirsi che abbia preparato un terreno favorevole al darwinismo. 4II

    Altre condizioni favorevoli possiamo scorgere nelle correnti di riforme sociali che dal Rousseau a Geremia Bentham, a James Mill, condussero fino alla riforma socialista di Carlo Marx. Queste teorie si fondavano su di una concezione naturalistica dell'umanità, che era in contrasto più o meno aperto con la tradizionale teoria della filiazione divina. In questa linea di pensiero si situa, in particolare, l'opera di THOMAS RoBERT MALTHUS (1766-1834) che è la prima analisi positiva delle cause di alcuni fenomeni demografici, e che, come diremo in seguito, ebbe una diretta, grandissixp.a influenza sul pensiero di Darwin. Filosofi, riformatori sociali e sociologi, fisiologi, andavano dunque sempre più orientandosi verso una interpretazione meccanicistica dei fenomeni vitali. Questa sembrava la vera impostazione della ricerca scientifica e la sua esigenza andava impo­ nendosi anche a coloro che non volevano rinunciare a una > teologica o spiritualistica, o, comunque, metafisica. I l metodo positivo si dimostrava il solo capace di fare progredire la scienza. Di fronte a questo sforzo di giungere ad una interpretazione razionale dei fe­ nomeni, v'era una zona, una vasta zona, che sembrava impenetrabile : quella che, se­ condo la terminologia comtiana., possiamo chiamare la statica della natura organica. Le varie forme degli organismi, le strutture con tutta la loro finezza e i mirabili adat­ tamenti all'ambiente, sembrano refrattari ad ogni interpretazione che non sia quella creazionistica : gli organismi sono così fatti, le specie sono tante e tali, perchè così è piaciuto al Creatore. Ma questo settore inesplicabile venne improvvisamente illu­ minato da una viva luce, nel 1859, quando comparve il libro di Darwin. Questa volta l'idea non cadde nella indifferenza o nell'oblio, com'era avvenuto per quella di Lamarck, e nessuna forza contrastante potè arrestarne il cammino. I l mondo era pronto per accoglierla : l'attendeva, come dimostra l'enorme successo ch'essa. ebbe, e la profonda influenza che segnò in ogni campo dello scibile. 3· Carlo Darwin.

    a) Biografia. Nella Inghilterra vittoriana, borghese e molto dabbene, la pubblicazione della Origine dellJ Specie di Carlo Darwin, avvenuta il 24 novembre del 1859 per i tipi dell'editore Murray di Londra, costituì uno scandalo inaspettato. La prima edizione si esaurì nel giro di pochi gwrm, e già nel gennaio del r86o ne usci una seconda. Questo libro rivoluzionario, che accese 1 più vivi entusiasmi nell'animo di molti giovani, e sollevò un'ondata di reazione da parte dei signori benpensanti e ligi al passato, sconvolgeva il pensiero tradizionale, la concezione generalmente ammessa del mondo e della vita, che era, come abbiamo visto, il creazionismo linneano, con le modificazioni che Cuvier e i suoi successori avevano apportato al quadro della classificazione. Darwin, come sappiamo, aveva ripreso un'idea antica, sostenuta già in passato da vari filosofi e biologi. Ma l'aveva documentata con tanta cura e precisione, l'aveva 412

    discussa così profondamente al lume dei dati della geologia e di varie discipline bio­ logiche, e soprattutto aveva scoperto una spiegazione così convincente del fenomeno elementare che determina l'evoluzione stessa, che non era ormai possibile non prendere in seria considerazione la sua teoria. Non si poteva più, come ai tempi di Lamarck e di Cuvier, far giustizia dell'evoluzionismo con poche parole. La teoria s'imponeva ai biologi come qualcosa di estremamente serio e ben fondato, e chi non voleva accettarla doveva combatterla discutendo una per una le argomenta­ zioni dei sostenitori e dimostrando che i fatti sui quali esse si basavano erano o falsi o spiegabili altrimenti. La teoria darwiniana apparve a molti come una gran luce, che dava una ragione logica, una interpretazione razionale a molti fenomeni della biologia ch'erano rimasti sempre fra i più oscuri. Toccando anche il problema delle origini dell'uomo essa inve­ stiva argomenti assai vivi e scottanti, d'indole religiosa, filosofica e sociale, e ciò contribuiva a rendere più accese le controversie. CARLO DARWIN nacque a Shrewsbury il r z febbraio r8og. Era figlio di Roberto, medico, e di Susanna Wedgwood, la quale apparteneva alla famiglia dei fabbricanti di vasi e ceramiche artistiche, che, perfezionati da J osiah, padre di Susanna, diven­ nero presto famosi in tutto il mondo. Il padre di Roberto, Erasmo (I73I r8oz) era stato anch'egli un medico, e aveva esercitato la professione a Derby, ricavandone una discreta agiatezza. Si dilettava anche di belle lettere e di filosofia: aveva scritto un poema sugli amori delle piante e un verboso trattato di patologia dal titolo Zoonomia, ovvero Leggi della vita organica. Ambedue queste opere ebbero un certo successo, come prova il fatto che furono tra­ dotte anche in italiano e pubblicate la prima a Milano nel r8o5, la seconda (a cura del Rasori) a Napoli nel r8o8. In questi scritti, e specialmente nel secondo, il nonno di Carlo Darwin espone una teoria sulla trasformazione delle specie, che ha molti punti di contatto con quella di Lamarck. Gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza di Carlo Darwin trascorsero negli agi di una famiglia benestante. Egli non dimostrò particolare amore agli studi, ma ebbe sempre un vivo interesse per le scienze e per gli spettacoli della natura. Il padre s'illudeva che il figlio seguisse quella carriera di medico ch'egli stesso ed il padre suo Erasmo avevano esercitato con soddisfazione e con profitto. Lo mandò a se­ guire i corsi di medicina all'Università di Edimburgo; ma il giovane aborriva le lezioni di anatomia, di zoologia e di geologia, che giudicava intollerabilmente noiose, e si compiaceva invece di apprendere nozioni scientifiche direttamente dall' os­ servazione della natura, o dai colloqui con amici appassionati allo studio delle scienze naturali. Uno di questi un giorno gli parlò con ammirazione della teoria di Lamarck, che il giovane mise in relazione con le idee sostenute da suo nonno nella Zoonomia. Gli studi medici non diedero il profitto desiderato e il giovane Darwin non sapeva esattamente quale via scegliere. Il padre pensò allora di avviarlo alla carriera eccle­ siastica e lo mandò a Cambridge, dove - come lo stesso Darwin ebbe a dire più tardi -

    Carlo Darwin nel x86o, poco dopo la pubblicazione dell'Origine delle specie.

    perdette tempo allo stesso modo che in Edimburgo. A Cambridge si appassionò sempre più alle scienze naturali, e trovò nel botanico Henslow un consigliere amorevole e avveduto. Finalmente giunse la grande occasione che doveva decidere del suo destino. L'Ammiragliato inglese aveva armato un vecchio brigantino, il >, e lo inviava a far rilievi lungo le coste dell'America meridionale e in altri mari del sud. Il capitano Fitz-Roy cercava un giovane che volesse imbarcarsi, a titolo gratuito, come naturalista. Darwin, ventiduenne, si entusiasmò all'idea, e, con l'aiuto dello zio Jos (Josuah se­ condo, fratello della madre, del quale poi sposerà la figlia) riusci a persuadere il padre e ad attenerne il consenso. Il Beagle salpò nel dicembre del 1831, visitò Tenerifa, le isole del Capo Verde, e rimase due anni lungo le coste meridionali dell'America del Sud. Dal Rio della Plata scese verso la terra del Fuoco, e risalì poi nel Pacifico lungo il Cile e il Perù; fece scalo alle isole Galapagos, poi si diresse a Tahiti, alla Nuova Zelanda, si recò in Tasm e in Australia, poi all'isola di Maurizio, doppiò il Capo di Buona Speranza, l'isola di Sant'Elena, l'Ascensione, si recò nuovamente in Brasile, e infine, Verde e le Azzorre, rientrò in Inghilterra nell'ottobre 1836. Il periplo era ....,... ..'-'.._ L. meno di cinque anni. Del viaggio e di molte delle osservazioni naturalistiche che egli fare, o di un il Darwin ha lasciato una vivace e interessante descrizione naturalista intorno al mondo, pubblicato nel 1839, e poi, con 1845·

    L'importanza di questo viaggio per la formazione scientifica del Darwin è molto chiaramente riconosciuta da lui stesso nei suoi appunti autobiografici. Ecco come si espnme : I n tutte le località visitate le ricerche di gran lunga più importanti furono quelle geologiche, materia in cui entra in gioco il ragionamento. Quando si affronta l'esame di un nuovo territorio, niente appare più disperante del caos delle rocce; ma scoprendo la stratificazione e la natura delle rocce e dei fossili in diversi punti, ragionando continuamente e tentando di prevedere ciò che si troverà altrove, presto la luce comincia a diffondersi sulla zona, e la struttura dell'insieme appare più o meno intelligibile. Avevo portato con me il primo volume dei Principles of Geology di Lyell, e lo studiavo senza sosta. Il libro fu per me della massima utilità, sotto molti aspetti. La prima località che esaminai, e cioè S. Jago nelle isole del Capo Verde, mi rivelò chiaramente la straordi· naria superiorità del metodo geologico di Lyell, a paragone dei metodi di tutti gli altri autori di cui possedevo le opere o che abbia letto in seguito. Altra mia occupazione era quella di raccogliere animali di tutte le classi, di descriverli in poche parole e di sezionare grossolanamente molta fauna marina; ma la mia incapacità nel disegnare e la mancanza di sufficienti nozioni d'anatomia, fecero si che una gran quantità di appunti presi durante il viaggio si rivelassero quasi inutili. Perdetti cosi molto tempo, ad eccezione di quello dedicato ad acquisire nozioni sui Crostacei: queste mi servirono allorchè, negli anni successivi, intrapresi una monografia sui Cirripedi. Dedicavo una certa parte del giorno a scrivere il Diario, e facevo una gran fatica a raccontare con precisione e vivacità tutto ciò che avevo visto; anche questo fu un buon esercizio. Il Diario assolveva, in parte, anche alla funzione di lettere scritte a casa, e infatti ne mandavo dei brani in Inghilterra ogni qual volta se ne presentava l'occ,sione. I diversi studi specifici cui ho accennato avevano però ben scarsa importanza in confronto all'abitudine che acquistai al lavoro indefesso e al costante sforzo di attenzione verso qualsiasi questione in cui fossi impegnato. Tutto ciò che pensavo o leggevo si riferiva direttamente a quel che avevo visto o che era probabile vedessi; e applicai questo metodo durante tutti e cinque gli anni del viaggio. È stato questo allenamento, ne sono certo, che mi ha messo in grado di realizzare quel po' che ho realizzato per la scienza. Volgendomi addietro adesso, mi rendo conto di come l'amore per la scienza sia andato grada­ tamente prendendo il sopravvento su ogni altra inclinazione. Nei primi due anni, la vecchia pas­ sione per la caccia sopravviveva con intensità quasi immutata, e tiravo io stesso a tutti gli uccelli e a tutti gli animali che mi accorrevano per la raccolta; ma poi cominciai a lasciare con sempre maggior frequenza il fucile al domestico - ogni qual volta la caccia poteva interferire col lavoro, in particolare con lo studio della struttura geologica di un paese - e finii con l'abbandonarglielo del tutto. Scoprii, sia pure inconsciamente e insensibilmente, che il piacere di osservare e ragionare era molto maggiore di quello di essere brillante o di fare dello sport. È probabile che il mio cervello si sia sviluppato proprio nel corso delle ricerche compiute durante il viaggio: lo dimostra u n'osser· vazione di mio padre, che era l'uomo più acuto che io abbia mai incontrato, fondamentalmente scettico e ben lontano dal credere nella frenologia; la prima volta che mi vide dopo il viaggio, si volse alle mie sorelle ed esclamò : c'informa nella sua autobiografia . Dopo il trasferimento a Down condusse vita molto ritirata e metodica. Non par­ tecipò quasi mai a pubblici dibattiti, a congressi o sedute di società scientifiche. Era sempre sofferente di una strana malattia di stomaco, di cui nessun medico, a comin­ ciare da suo padre, aveva potuto fare una diagnosi esatta, e che certamente era in gran parte di origine nervosa. Lavorava assiduamente e con metodo, vedeva pochi amici fidati, corrispondeva con molti, e non amava mostrarsi in pubblico. Ai suoi molti corrispondenti domandava informazioni e dati che archiviava scrupolosamente e che gli servivano per l'elaborazione delle sue teorie. La vita di Carlo Darwin trascorse quietamente in Down in seno alla famiglia, costituita dalla moglie Emma (r8o8-r8g6) e da sette figli che raggiunsero l'età adulta, (altri tre morirono nell'infanzia 1) . I l divertimento principale - scrisse nell'Autobiografia - e l' unica occupazione della mia vita è stato il lavoro scientifico. La passione per il lavoro mi fa dimenticare momentaneamente, o al­ lontanare del tutto, il mio malessere quotidiano. Non ho quindi niente da raccontare sul resto della mia vita se non quel che si riferisce alle pubblicazioni dei miei molti libri.

    Il 19 aprile 1882 Carlo Darwin si spense a Down all'età di 73 anni. Il suo desiderio che la morte non fosse preceduta dal declino delle facoltà mentali fu esaudito. In quel giorno cessò di operare una delle menti che più notevolmente hanno contribuito al progresso del pensiero umano e hanno esercitato un'azione liberatrice da miti, leg­ gende, superstizioni, paragonabile a poche altre nella storia del pensiero scientifico. Quando Darwin morì, la sua grandezza era ormai universalmente riconosciuta. Il Governo inglese volle infatti che la sua salma venisse tumulata nel Pantheon nazio­ nale, l'Abbazia di Westminster, nell'angolo degli scienziati, non lungi dalla sepoltura di Newton e di altri grandi, accanto a quella del geologo Lyell, che era stato del Darwin ispiratore ed amico. Fu, insomma, una vera apoteosi. Quattro anni dopo, nel r886, alla presenza del principe di Galles e di numerosi scienziati e uomini politici e con l' in­ tervento anche dell'Arcivescovo di Canterbury, fu inaugurato il monumento a Darwin nel Museo di Storia Naturale di Londra.

    1

    VVILLIAM R. (1839-1914) fu banchiere; HENRIETTA (1843-1 929) sposata a R. LICHTFIELD, prese parte attiva alla vita spirituale del padre e curò l'edizione della corrispondenza della madre; GEORGE HowARD (1845- 1 9 1 2) fu matematico e astronomo e autore di importanti studi d i fisica terrestre ; ELISABETTA, nata nel 1 847. mori nel 1925; FRANCIS ( 1 848-1925) divenne professore di botanica a Cambridge, curò la pubblicazione delle lettere e scrisse la biografia del padre con il quale aveva collaborato in alcune ricerche; LEONARD (1 850-1945) fu deputato al Parlamento, economista ed eugenista; HoRACE (1 85 1 -1928) collaborò alle ricerche di astrofisica del fratello George.

    La casa di Darwin a Down, nel Kent.

    b) Come nacque l'idea di evoluzione nella mente di Darwin. Nessuna testimonianza del modo come nacque e si sviluppò l'idea di evoluzione nella mente del Darwin può essere migliore del racconto ch'egli stesso fa nelle sue note autobiografiche. Cominciamo quindi col riferirlo integralmente 1. A

    partire dal settembre 1 834. dedicai le mie giornate a sistemare l'enorme massa di appunti e a compiere osservazioni ed esperimenti in rapporto alle trasmutazioni delle specie. Durante il viaggio del Beagle ero rimasto impressionato profondamente della scoperta avvenuta nella pampa, di grandi animali fossili ricoperti di corazze simili a quelle degli armadilli attuali; in secondo luogo, dalla maniera in cui animali strettamente analoghi si sostituivano l'uno all'altro via via che si proce­ deva nel continente verso sud ; in terzo luogo, dal carattere sudamericano della maggior parte delle razze dell'arcipelago delle Galapagos, e più particolarmente dal fatto che essi presentavano leggere dif­ ferenze in ciascuna isola del gruppo, mentre nessuna isola sembrava molto antica in senso geologico. Era evidente che fatti simili, come molti altri, si possono spiegare solo supponendo che le specie si vadano modificando un poco alla volta. L'idea mi perseguitò. Ma era altrettanto evidente che nè l'azione dell'ambiente nè la volontà degli organismi (particolarmente nel caso delle piante) potevano spiegare i casi innumerevoli in cui organismi d'ogni genere si sono adattati magnifi­ camente alle loro condizioni di vita, ad esempio un picchio o una raganella per arrampicarsi sulle piante, e un seme per essere disperso in un modo o nell'altro. Ero sempre stato molto colpito da simili adattamenti, e finchè essi non fossero stati spiegati mi sembrava quasi inutile tentar di dimostrare con prove indirette che le specie hanno subìto delle modificazioni. Dopo il mio ritorno in Inghilterra, pensai che, prendendo esempio dalla via seguita da Lyell nella geologia, e raccogliendo tutti i fatti che si riferivano in qualche modo alle variazioni degli 1

    27.

    -

    Dalla traduzione di Luca Pavolini, Universale economica, Milano, 1950.

    Storia delle Scienze,

    I I Il .

    4 17

    animali e delle piante per effetto dell'addomesticamento e degli agenti naturali, sarebbe stato forse possibile gettare un po' di luce su tutto l'argomento. Iniziai il primo libro d'appunti nel luglio 1 837. Lavorai sulla base di principi veramente baconiani, e senza alcuna teoria precostituita raccolsi gran copia di fatti, con particolare riguardo agli esemplari domestici, traendoli da studi già pub­ blicati, da conversazioni con allevatori e giardinieri intelligenti, e da vastissime letture. Quando scorro la lista di libri di ogni tipo che lessi e riassunsi, lista che comprende intere collezioni di riviste e di atti, mi sorprendo io stesso della mia operosità. Mi accorsi presto che la selezione era la chiave dei successi ottenuti dall'uomo nel produrre razze utili di animali e di piante. Ma per qualche tempo rimase un mistero per me come si potesse applicare la selezione ad organismi viventi allo stato naturale. Nell'ottobre 1 838, e cioè quindici mesi dopo l'inizio delle ricerche sistematiche, mi accadde di leggere per svago il libro di Malthus sulla popolazione. Ero pronto ad ammettere la lotta per l'esistenza, che ovunque si deduce da un'osservazione prolungata delle abitudini degli animali e delle piante; ma mi colpi immediatamente il fatto che in queste condizioni le variazioni favorevoli tendessero a esser conservate, le sfavorevoli a esser eliminate. Risultato: la formazione di nuove specie. Dunque avevo trovato finalmente una teoria sulla quale lavorare; ma ero tanto preoccupato di evitare gli apriorismi, che decisi di non scrivere per un certo tempo neppure il più piccolo saggio in proposito. Nel giugno 1 842 mi concessi per la prima volta la soddisfazione di scrivere a lapis, in 35 pagine, un riassunto brevissimo della mia teoria; lo ampliai nell'estate del 1 844 scrivendo un saggio di 230 pagine, che poi copiai in bella e che possiedo ancora. Però mi sfug­ giva ancora un problema di grande importanza; e trovo sorprendente - era l'uovo di Colombo - che abbia potuto trascurare quel problema e la sua soluzione. Si tratta della tendenza delle creature organiche derivanti dallo stesso ceppo ad assumere caratteri divergenti allorchè si modificano. Che esse siano andate divergendo notevolmente è evidente, dal momento che specie d'ogni tipo possono essere classificate in generi, i generi in famiglie, le famiglie in sottordini e cosi via. Ricordo ancora il punto preciso della strada - ero in carrozza - quando, con mia somma gioia, mi venne in mente la soluzione. Questo accadde molto tempo dopo il mio arrivo a Down. La solu­ zione, secondo me, è che i discendenti modificati di tutte le forme dominanti e in via di sviluppo tendono, nell'economia della natura, ad adattarsi ai diversissimi luoghi in cui vivono. Al principio del 1 856, Lyell mi consigliò di scrivere per esteso le mie teorie, e cominciai a farlo, su una scala tre o quattro volt� più ampia di quella seguita poi nell' Origine delle specie; eppure si trattava solo di un estratto del materiale che avevo raccolto. Arrivai circa a metà del lavoro, sempre s u questa scala. Ma i miei progetti vennero sconvolti, perchè al principio dell'estate del 1 858 Mr. Wallace, il quale si trovava allora nell'arcipelago malese, mi inviò un saggio Sulla tendenza delle varietà a dipartirsi indefinitamente dal tipo originario e questo saggio conteneva esattamente la mia teoria. Mr. Wallace esprimeva il desiderio che io, qualora giudicassi favorevolmente il suo saggio, lo spe­ dissi a Lyell per farglielo esaminare. Le circostanze in cui cedetti alle pressioni di Lyell e Hooker perchè permettessi che un estratto del mio manoscritto, assieme ad una lettera ad Asa Gray in data 5 settembre 1857, venisse pubblicato contemporaneamente al saggio di Wallace, sono esposte nel journal of the Proceedings oj the Linnean Society (1 858, pag. 45). Al principio ero decisamente contrario ad accettare, perchè pensavo che Mr. Wallace avrebbe potuto considerare ingiustificabile il mio comportamento : ignoravo allora quanto il suo animo fosse nobile e generoso. Nè l'estratto del manoscritto, nè la lettera ad Asa Gray erano destinati alla pubblicazione ed erano scritti ma­ lissimo. Mirabili, invece, l'eloquio e la chiarezza di Mr. Wallace. Comunque, le nostre concordi fatiche suscitarono scarsissima attenzione. Che io ricordi, la sola recensione che apparve su d i esse era del professar Haughton di Dublino, secondo il cui giudizio tutto ciò che vi era d i nuovo era falso e ciò che vi era di vero era vecchio. Questo dimostra quanto sia necessario che ogni nuova teoria venga spiegata sufficientemente a lungo per attirare l'attenzione del pubblico. Nel settembre 1858 mi misi al lavoro, su insistente invito d i Lyell e Hooker, per preparare u n volume sulle trasmu­ tazioni delle specie. Ma il lavoro venne interrotto spesso da malattie e da brevi visite al magnifico stabilimento idropatico del dott. Lane al Moor Park. Condensai il manoscritto che avevo iniziato su scala molto più ampia nel 1 856, e completai il volume in queste dimensioni ridotte. Mi costò tredici mesi e dieci giorni di duro lavoro. Apparve nel novembre 1 859 col titolo l' Origine delle specie.

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    Per quanto considerevolmente ampliato e corretto nelle successive edizioni, il libro è rimasto sostanzialmente lo stesso. Senza dubbio è il capolavoro della mia vita. Fu fin dal principio u n grande successo. La prima edizione, limitata a 1 250 copie, fu esaurita il giorno stesso della pubblicazione, e una seconda. edizione di 3000 copie fu venduta interamente poco dopo. Oggi {1876) ne sono state vendute st:dic:�rnaa copie nella sola Inghilterra: e tenuto conto di quanto il libro sia faticoso, è una vendita imponente. È stato tradotto in quasi tutte le lingue europee, perfino in spagnolo, polacco, boem ) P. russo. Secondo miss Bird, è stato tradotto anche in giapponese 1, e laggiù è molto stPdiato. In proposito è stato pubblicato anche un saggio in ebraico, nel quale si dimostra che la m '\. teoria è contenuta nel Vecchio Testamento. Le recensioni furono numerosissime : per un certo te. n po raccolsi tutto ciò che veniva stampato attorno all'Origine e agli altri miei libri, e i pezzi ammontano a 265 (escluse le recensioni dei giornali) ; ma dopo un po' abbandonai disperato il tentativo. Sono apparsi sull'argomento molti saggi completi e molti libri; in Germania ogni uno o due anni si stampa un catalogo o una bibliografia sul > . Penso che il successo dell'Origine possa essere attribuito in gran parte al fatto che molto tempo prima avevo scritto due studi più ristretti e che compilai infine un manoscritto molto più ampio, che era a sua volta un estratto. Con questo sistema potei scegliere i fatti e le conclusioni più inte­ ressanti. Per molti anni avevo seguito un'altra regola preziosa: ogni qualvolta mi si parava dinanzi la notizia di un fatto, un'osservazione nuova o una nuova idea che contrastavano coi miei risultati generali, facevo subito e senza eccezione una scheda; mi ero accorto per esperienza che è molto più facile che sfuggano dalla memoria idee e fatti del genere che non quelli favorevoli. Grazie a questa abitudine, ben poc:he obiezioni sono state sollevate contro la mia teoria, che non avessi già previsto e alle quali non avessi già tentato di dare una risposta. È stato detto che il successo dell'Origine dimostrò (survival of the fittest) largamente usato poi dai darwinisti. La selezione naturale può dunque essere considerata la causa dell'evoluzione, e, continuata nel tempo, può dare origine a nuove specie. Ma qual'è la ragione della diversificazione delle specie ? perchè l'evoluzione procede per vie divergenti ? La solu­ zione balena nella mente del Darwin : quella stessa soluzione che già Lamarck e Herbert Spencer avevano intuito : gli esseri viventi tendono ad adattarsi ai diversi luoghi in cui sono condotti a vivere; ma lo fanno tramite la selezione naturale. Si delinea così il programma di studio del problema evoluzionistico quale, infatti, è seguito nell ' Origine delle specie : primo, l 'indagine sulla variabilità; secondo, la sopravvivenza del più adatto per selezione naturale ; terzo, se questo meccanismo possa dare ragione della formazione di nuove specie, nonchè di tutti i fatti che la paleontologia, la distribuzione geografica degli organismi, la struttura degli esseri organizzati impongono alla considerazione del biologo. La compiutezza dell'opera darwiniana, la solida base che l'autore fornisce ad ogni sua argomentazione, con cura minuziosa (la quale può sembrare talvolta perfino ecces­ siva, pedante) , la chiarezza della sua impostazione teorica e la consapevolezza delle conseguenze della sua teoria, sono le cause principali di quel successo che era stato negato al Lamarck. Darwin stesso, un anno prima di morire, così si esprimeva, con quella obbiettività di giudizio e quella modestia, che sono così caratteristiche della sua personalità: Il mio successo come scienziato è stato determinato, per quanto posso giudicare, da qualità intellettuali e da condizioni complesse e diverse. Le più importanti sono state : l'amore per la scienza, l'attività esplicata nell'osservare e raccogliere i fatti, e una buona dose di inventiva, 420

    nonchè di buon senso. Con le modeste capacità di cui sono in possesso, è davvero sorprendente che io possa avere influenzato in misura considerevole le idee degli scienziati su alcune questioni importanti. (dall'A utobiografia).

    c) Contenuto della >. L'idea dell'evoluzione si formò nella mente di Darwin principalmente per la ne­ cessità di spiegare la successione delle forme e la distribuzione geografica attuale degli organismi : proprio, secondo il titolo della sua maggiore opera, come problema di origine della specie. Non, come in Lamarck, per spiegare gli adattamenti. Questo pensiero venne a Darwin in un secondo tempo e in seguito fu concepito come possibile inter­ pretazione della divergenza dei caratteri. Fin dal principio della sua meditazione il Darwin ha separato nettamente il fatto storico dell'evoluzione dalla spiegazione del fenomeno. Gli sembrava quasi inutile tentare di dimostrare con prove indirette che le specie hanno subito modificazioni, finchè non fosse riuscito a trovare la spiegazione di questo fatto, cioè a chiarire le cause che determinano l 'evoluzione. Nella scoperta della causa di evoluzione, la selezione naturale, è la parte più ori­ ginale e geniale dell'opera darwiniana. La teoria della selezione soddisfaceva com­ pletamente le rigorose esigenze del Darwin : era una teoria prettamente scientifica, che introduceva nel ragionamento soltanto fenomeni naturali osservabili, e fino a un certo punto misurabili, escludendo ogni intervento di > o > o > - non altro che pseudospiegazioni - ed evitando la troppo semplicistica idea dell'azione diretta dell'ambiente. Su questa base il Darwin si mise a lavorare con costanza, con minuziosa pazienza, raccogliendo una innumerevole serie di dati e di osservazioni sue proprie e ricavate dalla lettura e dalla corrispondenza con molti naturalisti e allevatori di animali e di piante. Il risultato di questa immensa mole di lavoro metodico e preciso, al lume di una teoria che andava prendendo forma sempre pii.1 definita e soddisfacente, è appunto quel capolavoro, l'Origine delle Specie, cui seguirono le altre opere di argomento evo­ luzionistico. La distribuzione della materia in questo volume è dichiarata nella Introduzione, e appare perfettamente logica. Prima è lo studio della variabilità, cioè del fenomeno che rende possibile l'evoluzione ; ché se tutti gli individui di ciascuna specie fossero identici, non vi sarebbe possibilità di evoluzione. La variabilità degli animali e delle piante in domesticazione viene studiata prima, essendo a noi più evidente, più co­ spicua, e più facilmente analizzabile anche nelle sue cause. E qui già vien fatto cenno agli effetti della selezione praticata dall'uomo e alla sua efficacia nel dare origine a varie razze, talvolta profondamente differenti nei caratteri morfologici, fisiologici, psicologici. Viene poi studiata la variabilità in condizioni naturali (cap. Il). Il punto di vista è quello del naturalista sistematico, che si pone il problema della validità dei concetti di specie e varietà e lo analizza acutamente. È l'indagine di quelle lievi variazioni di cui, aveva detto Linneo, il botanico non ha il dovere di tener conto, e che invece sono la base dell'evoluzionismo. E qui Darwin pone chiaramente il dilemma : molte cose si 421

    spiegano se si ammette che le specie prima esistettero come varietà, mentre sarebbero completamente inesplicabili se le specie sono da considerare come creazioni indipendenti. Stabilita la logicità e la validità scientifica del concetto di evoluzione, il Darwin passa all'esame delle cause. Il terzo capitolo è dedicato alla lotta per l'esistenza come base per la selezione naturale. Il capitolo quarto è interamente dedicato all'analisi della selezione naturale o, secondo l'espressione di Herbert Spencer, della sopravvi­ venza del più adatto. È questo il nodo di tutto il discorso. Qui è introdotta l'analisi delle cause della divergenza dei caratteri, che è il punto essenziale della teoria, se questa deve servirei a spiegare l'origine della gran varietà delle forme organiche che oggi vediamo sulla terra, e di quelle che vi abitarono in passato. Il capitolo quinto è dedicato allo studio delle leggi della variazione. Le prime parole del riassunto del capitolo sono di una cruda chiarezza: >. Nulla di più vero: e questa ignoranza non poteva non essere vivamente sentita e deplorata da Darwin e dai suoi seguaci. Fu largamente colmata dagli studi successivi, e in particolare da quell'indirizzo sperimentale che può a buon diritto considerarsi come il figlio più vitale del movimento evoluzionistico: la Genetica. Nel raccogliere e valutare i dati, nell'analizzarli e nel meditare sul loro signi­ ficato, il Darwin, con la scrupolosità che gli era propria, non rinunciava mai ad una critica severa e obbiettiva. Nei capitoli VI e VII, egli passa in rassegna numerose difficoltà e obiezioni che si posson muovere alla teoria della discendenza in sè e alla interpretazione selezionistica. Non senza compiacimento potrà egli annotare nella sua autobiografia : >. E - aggiungiamo noi - molte fatiche e molto inchiostro si sarebbero potuti risparmiare se tutti coloro che in vari tempi hanno discusso sul darwinismo, avessero letto atten­ tamente tutta l'opera darwiniana. Se molte difficoltà - che Darwin accuratamente soppesa e cerca di risolvere si parano dinanzi a chi consideri soltanto gli aspetti morfologici e fisiologici degli orga­ nismi, ' ben altre· e più.: gravi . si --presentano quando si studiano i fenomeni psichici : le più elevate manifestazioni della vita, di cui ancor oggi così poco si conosce, al di là della mera descrizione. Darwin si cimenta arditamente a questo compito, ben conscio della sua gravità e con il consueto atteggiamento di umiltà che non implica però ri­ nuncia, e tanto meno il ricorso a interpretazioni non scientifiche. Il nono capitolo è dedicato ad un difficile argomento : la sterilità degli ibridi interspecifici. È molto importante, per arrivare ad una esatta comprensione dei limiti fra specie e varietà (comprensione necessaria a sua volta, per rendersi conto dell'origine delle specie dalle varietà) conoscere quando e come insorge la barriera della sterilità. Questa impedisce a due serie di forme che si siano alquanto differenziate fra di loro, di riunirsi nuovamente, mescolandosi e fondendosi in una forma unica, nella quale sì avrebbe la perdita totale del differenziamento iniziale. Lo studio di questi processi d'isolamento è oggi oggetto d'indagini da parte dei genetisti, che ne riconoscono l'importanza, come uno dei fattori essenziali di evoluzione. Importanza che non sfuggì a Darwin, anche se, per l'assenza di ogni nozione di genetica ai suoi tempi, egli non potè giungere a conclusioni definitive. 422

    Che il problema più assillante, nella mente di Darw�n, fosse l'indagine delle cause dell'evoluzione, appare chiaro dalla disposizione della: materia nel suo libro. Soltanto dopo di aver profondamente studiato questo aspetto, rivolgendolo in ogni senso e cercando di presentarne ogni sua faccia, egli passa ad esaminare l'altro. Quello cioè degli argomenti a favore del fatto stesso dell'evoluzione, come evento storico, che si è svolto sulla faccia della terra. Queste , che aveva suscitato un vespaio di proteste, in quanto applicata ai fenomeni biologici. Caso non significa assenza di causa, ma piuttosto indica che la causa di ciascun singolo evento non è identificabile, e perciò un ordine e una causalità si possono rilevare soltanto considerando moltissimi eventi collettivamente, e non ciascuno singolarmente. Si difese vivamente, come abbiamo già detto, dall'accusa di avere introdotto, con la sua , il concetto di una forza quasi personificata, come quella cui molti vitalisti solevano fare appello. > è soltanto un nome conveniente per indicare il risultato del gioco di leggi naturali, quali quelle dell'incremento nu­ merico e della lotta per l'esistenza. Cercò inoltre di chiarire meglio il proprio pensiero circa l'origine della variabilità. E dovette concludere che questa è completamente oscura, ma che la teoria è valida, indipendentemente dalla natura di questa causa. La quale fu chiarita soltanto dalla genetica moderna. d) La selezione sessuale. La teoria della selezione sessuale, che è sviluppata nel volume sull'origine del­ l'uomo, è come un complemento a quello della selezione naturale. In molti casi, parti­ colarmente evidenti in alcune specie di uccelli, uno dei due sessi - di solito il maschio ­ presenta colori smaglianti, ornamenti vistosi, esegue danze, esibizioni che rassomi­ gliano a strani riti. Tali caratteri sembrano nettamente in contrasto con la selezione in quanto presumibilmente rendono l'animale più facilmente discernibile ai suoi nem1c1. Il Darwin ammise che entrava qui in funzione un particolare tipo di selezione, la selezione sessuale: gli esemplari piì1 belli e più capaci di mettere in vista i propri ornamenti sono scelti come coniugi a preferenza di quelli meno splendidi e meno esi­ bizionistici. Si è sempre ritenuto che questa fosse la parte più vulnerabile della teoria darwi­ niana e la più ingenua. Ma, recentemente, il biologo ]ULIAN HuxLEY, nipote del contemporaneo di Darwin, dimostrò che essa è assai plausibile in base alle nozioni di fisiologia della riproduzione. Non l'esistenza di un problematico senso estetico, ma una funzione fisiologica ben documentata presiede alla > degli individui dotati di colorazioni più vivaci. Si tratta della capacità di indurre nella femmina lo stimolo alla copulazione e alla ovulazione. In alcuni insetti ciò si ottiene con l'offerta di una preda, che si può scambiare con una strana funzione rituale ; negli uccelli con il canto o con l'esibizione di colori vistosi ; nei mammiferi, per lo più con effluvi odorosi. Quindi la interpretazione ingenuamente antropomorfica del Darwin cade, ma la realtà della selezione sessuale viene dimostrata ogni giorno meglio da nuove inquisizioni sperimentali, che possono rendere conto della permanenza e dello sviluppo di caratteri di cui la selezione naturale intesa nel senso primitivo di conseguenza della > a cui l'Inghilterra vittoriana era tanto sen­ sibile. Tosto la controversia divampò oltre i confini dell'Inghilterra, in tutto il mondo civile; oltre i confini della biologia, nei domini della sociologia, della filosofia, della religione. E spesso, dall'una parte e dall'altra, si perdette il controllo del raziocinio e del buon senso, e la polemica fu condotta in base a motivi, anzichè logici e scientifici, puramente sentimentali. Chi erano i due protagonisti della polemica che abbiamo raccontato e chi altri, al di là e al di qua della Manica, intervennero pro e contro Darwin ? Sir RICHARD OwEN, nato a Lancaster nel 1804, morto a Londra nel 1892, (cfr. pag. 355), aveva studiato medicina a Edimburgo, fu per un certo tempo pro­ fessore di anatomia comparata e fisiologia al Real Collegio dei Chirurghi di Londra, e nel 1856 divenne soprintendente dei dipartimenti di Storia Naturale òel British Museum. Là è la sua statua, di fronte a quella del grande avversario : Darwin. Grazie al privilegio che gli era concesso, di poter sezionare tutti gli animali che morivano nel giardino zoologico di Londra, ebbe l' opportunità di compiP-re molti studi sull'anatomia sia dei vertebrati sia di vari invertebrati viventi, che completò con indagini sui fossili. La sua opera : Comparative anatomy and physiology of vertebrates (Anatomia comparata e fisiologia dei vertebrati) ( Londra r866- 68 ) , è un'opera fondamentale, e le sue tante dotte monografie sono prege volissime. Fu '

    -

    Thomas Henry Huxley.

    insomma un continuatore dell'opera del Cuvier, nello stesso spirito del grande fran­ cese. E, come lui, fu avversario irriducibile dell'evoluzionismo, e in particolare del darwinismo, vagheggiando una teoria biologica ch'è un'edizione più moderna della dei romantici. THOMAS HE N R Y HuxLEY, nato a Ealing presso Londra nel 1825 da un modesto insegnante elementare, studiò medicina e nel r846 entrò nella marina da guerra come medico. Come Darwin quindici anni prima, prese parte a una crociera scientifica sulla nave Rattlesnake; il viaggio durò quattro anni, trascorsi prevalentemente nell'arcipelago malese. Huxley ebbe così modo di studiare la fauna marina e pubblicò diversi studi, fra cui uno molto importante sulle meduse, che furono molto apprezzati dagli zoologi. Ebbe poi nel r854 una cattedra alla Scuola delle Miniere, e potè abbandonare la marina e sposarsi. Nel r88r la School of Mines si trasformò nel Royal College of Science, e Huxley divenne professore di biologia e Decano del Col­ legio. N el 1883 fu nominato Presidente della Royal Society. Morì nel r8gs. L'attività scientifica di Huxley è stata intensa e molto vivace : sempre in polemica con Owen (sulla teoria vertebrale del cranio, sull'encefalo dei Primati e dell'Uomo)

    divenne il più fervente apostolo dell' evoluzionismo. Ammesso nell' intimità di Darwin, insieme con Lyell e Hooker, aveva più volte discusso con lui vari aspetti della teoria. Ma quando uscì l'Origine delle specie fu, come gli altri amici di Darwin, >. Egli aveva una vivace intelligenza, arricchita da una vasta cultura, e possedeva la prontezza di spirito, l'ardore battagliero e l'amore di polemica che a Darwin mancavano. Dal 1859 in poi tutta la sua opera di ricercatore e quella altrettanto intensa di scrittore di saggi e divulgatore fu messa al servizio della teoria dell'evoluzione, con notevole acume e spirito critico. Huxley fu scherzosa­ mente chiamat o : l'agente generale del darwinismo. Nel 1863 uscì il suo libro: Evi­ dence as to Man's Place in Nature (cfr. pag. 423, nota 1 ) che fu poi seguito da molti altri scritti di argomento evoluzionistico. Nel campo strettamente specifico sono notevoli i lavori di Huxley sugli Idrozoi, e l'omologazione degli strati cellulari di cui questi animali sono costituiti con i > (ectoderma e endoderma) degli embrioni degli altri metazoi. Molte e importanti sono le ricerche sull'anatomia dei vertebrati, specialmente la teoria metamerica del cranio, fondata su altre basi che non quelle, piuttosto discutibili, ammesse da Goethe e da Oken. Memorabile e notevole la dimostrazione della fallacia degli argomenti addotti da Owen per dimostrare che il cervello umano ha alcune strutture che non esistono nei Primati né in altre scimmie. Dalla sua difesa dell'evoluzionismo e dalle numerose polemiche a cui prese parte, fu tratto a considerazioni filosofiche sul metodo della ricerca scientifica e sul suo valore, sull'etica, e si spinse fino alle questioni filosofiche più generali. Egli stesso coniò il termine di agnosticismo per definile la sua posizione filosofica, che è essenzialmente imparentata all'empirismo di D. Hume, e riconosce, come lo scetticismo, un limite alla possibilità della conoscenza. Huxley fu una delle personalità più notevoli del­ l'Inghilterra vittoriana e del movimento scientifico di quel periodo ; e uno dei maggiori responsabili della divulgazione dell'evoluzionismo e della traduzione della proble­ matica biologica nella cultura generale. Altri sostenitori e amici di Darwin furono gli zoologi ALFRED RusSEL WALLACE, HENRY WALTER BATES, il botanico josEPH DALTON HooKER, il filosofo HERBERT SPENCER, e, nella lontana America, un altro botanico, AsA GRAv . Di ALFRED RussEL VvALLACE (nato nel 1833, morto nel 1913) abbiamo già avuto occasione di parlare a pag. 351 e 418. Era originariamente ingegnere, ma aveva vivo interesse per le piante, gli insetti. Insieme con l'amico Bates si recò in Brasile nel 1848, ma poi se ne separò e intraprese un'indagine sull'arcipelago indiano, nel quale :::.i trattenne per parecchi anni. Rientrato in patria non ebbe alcuna posizione accademica, ma sviluppò un'intensa attività di scrittore e conferenziere, occupandosi di molti argomenti. In occasione dei suoi studi biogeografici (cfr. pag. 351) Wallace ebbe a rilevare fatti che lo posero di fronte al problema dell'origine delle specie. Come lo risolse, è noto (cfr. pag. 418). Dopo quanto avvenne nel 1858 non rivendicò mai la priorità nei riguardi di Darwin, anzi divenne fautore e divulgatore del darwinismo. HENRY vVALTER BATES (1825-1892) l'amico con cui Wallace si era recato in Brasile, rimase undici anni nell'America meridionale studiando specialmente gli insetti. Tornò

    in patria con una ricchissima collezione, ed ebbe poi il posto di Segretario della Società Geografica. La sua opera più importante è Contribution to the insect fauna of the Amazon Valley (Contributo alla fauna entomologica della Valle del Rio delle A mazzoni, r 86r). In essa egli descrive fra l'altro quella forma di mimetismo che è ancor oggi indicata col suo nome (batesian mimicry) . Insetti, specialmente farfalle, che non hanno sapore particolarmente acre o disgustoso, sono simili ad altri, che invece, per avere sapore ripugnante non vengono mangiati dagli uccelli. In tal modo alcune specie d'insetti sono protette, perchè simulano altre specie disgustose, o armate di pungiglione. Questi fenomeni, descritti dal Bates, ma analizzati soprattutto dal Wallace, sono il prodotto di un'evoluzione dovuta alla selezione naturale. Fra gli amici e sostenitori di Darwin, oltrè al Lyell di cui abbiamo già parlato, ricordiamo ancora alcuni botanici. JosEPH DALTON HooKER (r8IJ-I9II) che aveva compiuto viaggi nei tropici, e che assistè costantemente il Darwin con discussioni, critiche, e mettendo a sua disposizione molti fatti da lui osservati, e AsA Gray (r8ro­ r888) professore alla Harvard University di Cambridge presso Boston negli Stati Uniti. Contrariamente al suo collega, lo zoologo Louis Agassiz, Gray accettò la nuova teoria, la esaminò e la discusse lungamente nella sua corrispondenza con Darwin (i due non s'incontrarono mai di persona) e in numerosi saggi che raccolse e pubblicò poi sotto il titolo Darwiniana cercò di dimostrare che il darwinismo non era inconciliabile con la credenza in Dio, e con il finalismo nel senso classico della parola. HERBERT SPENCER (nato a Derby nel r8zo, morto a Londra nel 1903) figlio di un professore di matematica, fu dapprima ingegnere civile, poi si interessò di diverse scienze, accumulando una enorme cultura. Solitario, misantropo, sempre in condi­ zioni economiche precarie, fu uno spirito molto illuminato e indipendente, sia in politica, sia in filosofia e nei riguardi della religione. Divenne amico di Darwin e fre­ quentò la sua casa. Ma già prima di conoscerlo a veva elaborato una sua teoria evolu­ zionistica. Nel 1852 aveva pubblicato un saggio in cui non soltanto espone concetti evoluzionistici, ma introduce il termine evoluzione, con il significato che da allora in poi gli si annette. Nel '700 evoluzione significava sviluppo (embriologico) ; Charles Lyell lo usò per primo nel senso attuale, ma fu Spencer che lo introdusse nel vocabo­ lario moderno. Anche a lui è dovuta l'espressione « sopravvivenza del più adatto >> (survival of the fittest) nella . Il libro di Quatrefages contiene una rivalutazione della teoria del Lamarck, e tale, in sostanza, è stata per lungo tempo la posizione dei francesi: se si deve ammettere il trasformismo, allora sia la teoria lamarckiana. Verso il 1890, infatti, il trasformismo prese piede in Francia, per opera di alcuni zoologi, quali EDMOND PERRIER (1844-1921) , ALFRED GIARD (1846-1908) e altri, ma si orientò prevalentemente verso il neolamarckismo. Ancora in tempi assai recenti il trasformismo ha trovato in Francia parecchi critici: è del 1929 la pubblicazione di un libro antievoluzionista (L'illusion transformiste) di un biologo particolarmente versato in anatomia comparata, Lours VIALLETON (1859-1929) . In Italia, fin dai primi decenni del secolo, FRANCO AND�E:'- Bç>�E;LLI, (Cuneo 17841 830) professore di Storia Naturale nell'Università di Torino aveva introdotto, con le sue lezioni, le idee del Lamarck. Similmente aveva fatto GIOSUÈ SANGIOVANNI a Napoli. Ma, come altrove, queste idee s'eran poi sopite ed erano cadute in dimenti­ canza. Nel -. decennio 1860-1870 l' Italia non era ancora · preparata . ...ad entrare nel­ l'agone scientifico internazionale : l' unità politica, che si andava compiendo, assor­ biva molte energie. Echi delle nuove teorie erano giunti in alcuni centri universitari 434

    del nostro paese, ma in genere erano stati accolti con scarso interesse, o con dichiarato scetticismo. L'unica coraggiosa eccezione, in quegli anni, è rappresentata da FILIPPO DE FILIPPI (Milano, 1814 - Hong-Kong, r867) professore di zoologia all'Università di Torino, che la sera dell' I I gennaio r864 tenne a Torino una lezione rimasta celebre, dal titolo: L'uomo e la scimmia, la quale fu poi pubblicata ed ebbe in breve tre edizioni. In essa De Filippi espone la teoria darwiniana, dimostra estesamente la stretta affinità morfologica dell'uomo con la scimmia, accentuando infine la differenza fra animali e uomo per quanto riguarda le facoltà intellettuali e spirituali. Nonostante questa posizione, in cui De Filippi cerca una conciliazione fra fede ed evoluzionismo, la conferenza sollevò un vero scandalo, che ebbe eco in tutta Italia. Michele Lessona così commentò l'esito della conferenza: >. De Filippi, che prese parte al viaggio di circumnavigazione della fregata Magenta, morì pochi anni dopo a Hong-Kong. Ma il ghiaccio era rotto, per merito suo, e la discussione sulle dottrine evoluzionistiche s'accese anche in Italia. Nel 1875 Carlo Darwin fu nominato socio straniero della Reale Accademia N azionale dei Lincei, che Quintino Sella aveva rinnovato, e di cui era il presidente, e nel 1878 tale onore fu decretato anche a Thomas Huxley. MICHELE LESSONA (1823-1894) successore del De Filippi alla cattedra di Torino, tradusse alcune opere di Darwin; altre furono tradotte da G. Canestrini e da P. A. Saccardo, così che, con i tipi della Unione Tipografica Editrice Torinese, nel decennio r872-r882, furono edite tutte le opere darwiniane e una divulgazione dell'evoluzio­ nismo dovuta a GIOVANNI CANESTRINI (r835-1900) professore di Zoologia alla Uni­ versità di Padova. La nuova dottrina venne così fatta conoscere in larghi circoli in Italia, e fu ampia­ mente discussa e accettata da molti zoologi, botanici, antropologi. Basti ricordare i nomi di PAOLO MANTEGAZZA (r83I-I910) antropologo e igienista di Firenze ; CESARE LoMBROSO (1835-1909) psichiatra, professore di psichiatria e di antropologia criminale a Torino, seguace di una concezione evoluzionistica dell'origine dell'uomo; GIUSEPPE SERGI (r84I-1936) professore di antropologia a Roma, a cui succedette sulla cattedra il figlio SERGIO (n. 1878) ; GIACOMO CATTANEO (1857-1926) professore di zoologia a Genova; ENRICO MoRSELLI (r852-1929) neuropsichiatra, professore alle Università di Torino e poi di Genova; AcHILLE LORIA (1857-1943) economista, per tacere di molti altri. Costoro tutti furono notevoli esponenti dell' indirizzo positivistico in Italia, applicarono il darwinismo ai problemi in cui si centravano i propri inte­ ressi, e contribuirono alla sua divulgazione. Del contributo recato da DANIELE RosA alle teorie evoluzionistiche diremo più avanti. 435

    5· n rinnovamento delle scienze biologiche nel clima dell'evoluzionismo.

    a) La morfologia. L'anatomia comparata e l'embriologia sono le scienze che più intensamente e immediatamente risentirono il rinnovamento prodotto dalle teorie darwi­ niane. Al lume di queste, la ricerca morfologica veniva ad acquistare un Impor­ tante valore interpretativo, permettendo di scoprire il grado di affinità fra gli organismi, di arguire genealogie, o di formulare leggi della filogenesi. In un'atmosfera di entusiastico fervore i morfologi si misero all'opera, moltiplicando e approfondendo le indagini. Temi preferiti: l' origine dei grandi gruppi, e specialmente l' origine dei vertebrati, oltrechè i tentativi di sistemare il disegno evolutivo nel seno del gruppo stesso. Uno dei più notevoli rappresentanti di questo indirizzo fu ancora un tedesco, KARL GEGENBAUR (nato a \i\Ttirzburg nel r826, morto a Heidelberg nel 1903) . Allievo di Haeckel, fu professore a Jena (r855) e poi a Heidelberg (dal 1872) . Ebbe un gran numero di allievi, tedeschi e stranieri, che diffusero il suo metodo e i suoi risultati in molte scuole. Studiò prima la struttura di alcuni invertebrati. Nel r86r pubblicò una me­ moria sullo sviluppo dell'uovo in cui dimostra che le uova di tutti i vertebrati sono cellule, e che lo sviluppo embrionale va studiato su base cellulare. Si dedicò poi ad una serie di indagini sull'anatomia comparata dei vertebrati eseguite con l'intento di trovare la dimostrazione della teoria darwiniana, di scoprire cioè le tracce delle variazioni subìte dalle varie strutture lungo la serie filogenetica. Soprattutto impor­ tanti, da questo punto di vista, sono le strutture scheletriche, a cui Gegenbaur dedica la massima parte dei suoi lavori. Per quanto riguarda lo scheletro degli arti, formulò la teoria dell' archipterigio, ricostruzione ideale di quello che doveva essere stato l'arto posseduto dagli antenati dei vertebrati. Questo si sarebbe sviluppato dall'apparato branchiale e avrebbe dato origine, sia alle pinne pari dei pesci, sia agli arti dei vertebrati tetrapodi (Anfibi, Rettili, Uccelli, Mammiferi). Dall'arto il Gegenbaur passa alla considerazione dei cosiddetti cinti, scapolare e pelvico, cioè dell'insieme delle ossa che collegano lo scheletro dell'arto alla colonna vertebrale. Molto notevole e tipica del suo orientamento filogenetico, è la trattazione del problema del cranio dei vertebrati. Respinge, come aveva già fatto Huxley, la teoria goethiana della sua formazione da vertebre fuse insieme, pur riconoscendo che lo scheletro della parte viscerale del cranio (archi viscerali) è segmentale. Studia poi accuratamente le strutture proprie delle varie classi di vertebrati, considerandole in una serie di derivazione filogenetica, e seguendo le varie ossa nelle loro trasforma­ zioni, dai Pesci ossei fino ai Mammiferi. Spesso, nella trattazione del Gegenbaur, ricompaiono le tracce della mentalità idealistica della >, come per esempio nella ricerca di un > di un organo o struttura. Ciò è evidente nella sua teoria dell'archipterigio, che oggi non si ritiene più valida. Ma, a parte questi difetti e questo dommatismo, comune anche ad altri studiosi tedeschi, è certo che la riforma della morfologia ope-

    Giambattista Grassi.

    rata dal Gegenbaur ha avuto una grande efficacia, e molta importanza nella storia della biologia. Il suo trattato : Vergleichende A natomie der Wirbeltiere, Lipsia, r8gg (A natomia comparata dei vertebrati) è tuttora un'opera fondamentale, e l'affermazione che lo scopo ultimo della ricerca anatomica ed embriologica è la filogenesi può oggi parafrasarsi dicendo che le strutture attuali degli organismi risulterebbero completamente misteriose se non fossero studiate e interpretate in senso filogenetico. Dei molti allievi del Gegenbaur, uno dei più notevoli fu MAx FDRBRINGER (r846rg2o) che gli succedette sulla cattedra di Heidelberg, autore di una monumentale ricerca sull'anatomia degli uccelli. Egli si tiene molto più del maestro aderente ai fatti, e si lascia meno facilmente sviare dalla fantasia. Fra gli altri che s' ispirarono a questo indirizzo filogenetico alla scuola del Gegen­ baur, ricordiamo H. A. W. HuBRECHT (r853-19I5) professore a Utrecht in Olanda, che studiò soprattutto l'embriologia dei vertebrati ; W. LEMCHE (n. r8so) svedese, J.E.V. BoAs (n. r855) danese. In Italia l'indirizzo gegenbauriano fu seguito in una parte almeno della produzione scientifica di GIAMBATTISTA GRASSI (nato a Rovellasca, Como, nel r854, morto a Roma, nel 1925) professore di zoologia a Catania e poi di anatomia comparata a Roma. Dedicò, fra l'altro, sette memorie allo studio dei progenitori dei miriapodi e degli insetti, e dalla cattedra, impartì l'insegnamento dell'anatomia comparata dei verte­ brati con indirizzo filogenetico. 437

    Anton Dohrn. Ritratto di H. von Marées (Napoli, Stazione Zoologica).

    Ma l'Italia è sede di una viva testimonianza dell'entusiasmo che la pubblica­ zione dell'opera darwiniana suscitò nell' animo dei giovani: la Stazione Zoologica di Napoli. Questo grande laboratorio biologico fu fondato da ANTON DoHRN (nato a Stettino nel 1840, morto a Monaco di Baviera nel rgog) proprio con l'intento pre­ cipuo di dare la possibilità ai naturalisti di accedere facilmente allo studio della fauna e della flora marina, per indagare i problemi della evoluzione. Il Dohrn, che era stato allievo di Haeckel e di Gegenbaur e che delle limitazioni dell'uno e dell'altro fu acutamente conscio, dedicò molte ricerche personali al dibattuto problema dell' origine dei vertebrati. Nella Stazione Zoologica, istituto interna­ zionale che accoglie studiosi d'ogni parte del mondo, furono compiute, nel corso degli anni, numerose ricerche zoologiche, anatomiche, embriologiche, fisiologiche, alcune delle quali di fondamentale importanza. Nello scritto programmatico in cui il Dohrn (1872) espose i motivi che lo spingevano a creare quell' Istituto è esplicitamente dichiarata l'ispirazione evoluzionistica, e sono tracciati con grande lungimiranza programmi d'indagine, alcuni dei quali si sono potuti realizzare soltanto in tempi a noi vicini.

    La Stazione Zoologica di Napoli, fondata da A. Dohrn.

    b) La paleontologia. Fra i molti termini inutili coniati da Haeckel, qualcuno si è rivelato utile, ed è sopravvissuto: ciò significa che rappresenta un concetto, o un problema vivo e im­ portante. Così avvenne per la Filogenia, o Filogenesi, nuova disciplina ch'egli istituisce nella sua Generelle Morphologie. Il termine deriva dai vocaboli greci phylon (più spesso usato nella latinizzazione phylum, plur. phyla) che significa stirpe e genesis, origine. Lo studio della storia evolutiva dei vari gruppi animali, si basa soprattutto sui documenti storici, cioè sui fossili. La scienza che li descrive si chiama Paleontologia (studio degli organismi antichi) . Abbiamo visto come di questa si possa considerare fondatore il Cuvier. Ma è evidente che, con la formulazione dell'evoluzionismo, la paleontologia diventa una disciplina biologica di primo piano, e, in stretta connessione con l'anatomia comparata, subisce uno sviluppo considerevole. Fra i più importanti paleontologi della nuova epoca, va ricordato soprattutto KARL ALFRED VON ZITTEL (1839-1904) professore a Monaco di Baviera e autore di 43 9

    un trattato fino ad oggi insuperato. LUDWIG R O TIMEYER {I825-I895) di Basilea studiò specialmente la filogenesi di vari mammiferi. Ma colui che più chiaramente comprese in tutta la sua importanza l'applicazione del metodo filogenetico in paleontologia, fu WLADIMIR KOWALEVSKY {I843-r883) russo, fratello dello zoologo ALEXANDER. Alcune scoperte sensazionali, intanto, destavano l'attenzione. Nel 1861, nel cal­ care litografico di Solenhofen in Baviera, si scoprirono i resti fossili dell'Archaeopteryx lithographica, animale alato delle dimensioni di un colombo, che, per essere fornito di penne e per vari altri caratteri, deve considerarsi come appartenente alla classe degli uccelli, mentre la lunga coda di 20 vertebre, la presenza di denti e altri caratteri, lo farebbero attribuire ai Rettili. Questo fossile di cui esistono due esemplari completi e alcuni resti incompleti rappresenta dunque l'anello di transizione fra i Rettili e gli Uccelli : una di quelle forme intermedie tanto cercate, e tanto rarame!lte trovate. Studi recenti su questo fossile hanno confermato pienamente la sua posizione · inter­ media fra le due classi. Uccelli provvisti di denti furono descritti poi da O. CH. MARSH (183 I-1899) pro­ fessore alla Yale University, che li trovò negli Stati Uniti, nei giacimenti del cretacico. Il Marsh inoltre fu il primo a studiare la filogenesi dei cavalli, fornendo quello che, a tutt'oggi, è uno degli alberi genealogici più perfetti. Competitore del Marsh fu un altro paleontologo americano, EowARD DRINKER COPE ( r84o-rgr4) professore a Filadelfia. A lui si devono molte emozionanti scoperte dei resti dei grandi rettili nel Kansas. Marsh e Cope si contesero aspramente l'esplo­ razione dei terreni eocenici del Wyoming e le sensazionali scoperte dei Mammiferi che li abitarono. Altra notevole scoperta fu quella dei rettili giganteschi, gli Iguanodonti, del Carbo­ nifero del Belgio. Furono studiati da Louis DoLLO (Lilla, r857-Bruxelles rgr1) del Museo di Bruxelles, che è conosciuto anche per avere formulato nel r893 la legge della irreversibilità dell'evoluzione, che porta il suo nome. L'evoluzione, afferma la legge di Dollo, è irreversibile, non è possibile che un organismo ritorni ad uno stadio precedente, per cui sono passati i suoi antenati. Dolio è anche il fondatore della paleon­ tologia ecologica, cioè dell'analisi delle condizioni d'ambiente in cui vissero gli orga­ nismi di cui conosciamo i resti fossili. Tale indirizzo è stato continuato e perfezionato da 0THENIO ABEL ( r875-r946) di Vienna. L'epoca delle grandi scoperte paleontologiche culminò con il ritrovamento di un probabile antenato dell'uomo, il Pithecantropus erect�ts di Giava. La scoperta fu fatta nel r8g2 da un giovane medico olandese, EuGÈNE DUBOIS (r8s 8-rg4r) e suscitò gran­ dissimo interesse; ma la sua interpretazione sollevò anche molte obiezioni e contrasti. Il Dubois, che divenne professore di geologia ad Amsterdam, scoraggiato, deluso e contrariato, chiuse le ossa del Pitecantropo in una cassaforte, e non le fece vedere a nessuno, per più di 20 anni, fino al 1923. Altri resti del Pitecantropo furono scoperti a Giava nel 1930 e nel 1940 e, presso a poco negli stessi anni, altri resti riferibili allo stesso genere furono trovati in Cina, presso Pechino. Con lo sviluppo della paleontologia, il quadro della filogenesi veniva a poco a poco arricchendosi di molti particolari, e alcuni tratti lacunosi si venivano colmando, almeno in parte. 440

    Scheletro dell'A rchaeopteryx litografica, conservato nel Museo di Berlino.

    Da Die Sprache der Steine

    441

    Ricostruzione del Pithecan­ tropus erectus di Giava nel suo ambiente.

    \

    Da Natural Hisklry

    c) La ricerca delle cause dell'evoluzione. Le vive discussioni che agitarono il mondo scientifico dopo il r859 non riguarda­ vano soltanto il fatto dell'evoluzione, come evento storico svoltosi sulla superficie della terra, ma anche e soprattutto le cause che determinano l'evoluzione stessa. Questo era veramente il punto essenziale della controversia. Che l'evoluzione organica sia avvenuta è reso probabile da tanti argomenti favorevoli, tratti da diversi rami della biologia, tanto che diventa difficile negarla. Si potrà discutere, e si discusse, se un gruppo di organismi deriva da una sola o da più forme originarie (origine monofiletica o poli­ filetica) . Tale questione si può porre sia per gruppi di grande ampiezza, o anche per tutto il regno animale o addirittura per tutti gli organismi, sia per gruppi limitati, come per esempio il genere umano. Si disputa sulla maggiore o minore probabilità di certe presunte linee filogenetiche - per esempio quali siano i progenitori dei vertebrati - se si possa ammettere che i vari grandi phyla animali o vegetali 442

    siano derivati l'uno dall'altro, o se si debba invece ammettere che abbiano avuto origine indipendente e che di evoluzione possa parlarsi soltanto in seno a ciascun phylu,m. Ma in sostanza, della realtà dell'evoluzione nessuno può ragionevolmente dubitare. Sulle cause dell'evoluzione invece le opinioni sono diversissime, e fra i loro soste­ nitori si accendono polemiche acerrime. Le quali rappresentano la nuova incarnazione dell'antico conflitto fra vitalismo e meccanicismo, fra idealismo e materialismo. Perchè se è vero che la concezione darwiniana vuoi essere rigidamente meccanicistica, non è men vero che altri modi di concepire l'evoluzione possono ricondurre questa dottrina nell'ambito del vitalismo, e trovare anche la sua conciliazione con l'ipotesi creazio­ nistica, perfino con il racconto biblico, almeno fino ad un certo punto. L'interpretazione darwiniana della selezione naturale, che opera su variazioni casuali, la cui origine nella mente di Darwin non è ben chiara, questa interpretazione che raffigurava la selezione non come una misteriosa forza metafisica, ma semplice­ mente come la risultante di un complesso di forze naturali, chiare, diretta­ mente accertabili e, - teoricamente almeno - misura bili, era la parte più originale della dottrina darwiniana, quella che più piacque ad alcuni, e riuscì inaccettabile ad altri. Senza entrare in particolari sulle varie argomentazioni che furono svolte, con in­ tenti vari quali: salvare il principio di finalità, salvare la concezione idealistica, togliere al darwinismo un presunto carattere metafisico (che proprio non aveva) , - e che furono spesso ingarbugliate, ad arte o inconsciamente, con altri motivi (nazionalismo, reli­ gione, presupposti filosofici) - senza entrare in questo dedalo, dove rischieremmo di smarrirei e di perdere il filo del discorso, ci limitiamo a riassumere schematicamente le teorie interpretative che furono contrapposte al darwinismo, nei decenni succes­ sivi alla comparsa dell'opera darwiniana. Innanzitutto venne risuscitato il pensiero di Lamarck e si sviluppò la fiorente scuola dei neo-lamarckisti. Il principio essenziale del lamarckismo, l'eredità dei ca­ ratteri acquisiti dal corpo (soma) per azione dell'ambiente, per lo più attraverso l'uso e il disuso, venne ritenuto valido. Molti materialisti pensarono di poter risolvere così semplicemente il problema dell'adattamento degli organismi all'ambiente e della evoluzione. Dimenticavano che uno dei fattori di evoluzione, forse il principale, nel pensiero di Lamarck, era una tendenza interna ad evolversi, insita negli organismi. I neolamarckisti, inoltre, negavano o limitavano di molto la efficienza della selezione naturale : argomento intorno al quale si disputò a lungo. Uno dei più notevoli neo­ lamarckisti fu E. D. Cope, che abbiamo sopra ricordato. Naturalmente il neolamarckismo trovò molti sostenitori nella patria di Lamarck. ALFRED GIARD (n. Valenciennes nel r846, morto nel rgo8) , allievo del Lacaze-Duthiers, professore di zoologia a Lille, poi a Parigi, e fondatore del laboratorio biologico marino di Wimereux, sulla Manica (distrutto durante la prima guerra mondiale e non più riedificato) fu uno zoologo di valore. Ristudiò le opere di Lamarck e divenne un lamar­ ckiano convinto e accanito, polemizzando con i neo-darwinisti e adducendo osserva­ zioni ed esperimenti a favore della sua opinione. Molti altri biologi francesi aderirono al neolamarckismo : EDMOND PERRIER (r844-192I), FÉLIX LE DANTEC (r86g-rgr7) FRÉDÉRIC HoussAY (r86o-rgzo) , GASTON BoNNIER (r853-1922) . 443

    Ma anche in Germania vi furono tenaci oppositori al darwinismo, che oppone­ vano critiche, e ritenevano che l'evoluzione fosse prodotta da azione diretta dell'am­ biente sull'organismo. Già lo Haeckel aveva ammesso questa possibilità, accanto alla selezione. OscAR HERTWIG (1849-1922), professore di anatomia a Berlino, biologo di grande valore, respinse in gran parte la interpretazione selezionistica, di cui mise in luce molti punti deboli, e accettò i principi lamarckiani. Respinse anche >. THEODOR EIMER (1843-1908), professore a Tubinga, non negò l'efficacia della selezione, ma ammise che le variazioni su cui essa agisce siano determinate dall'ambiente, e siano fin dall'inizio orientate in una certa direzione (ortogenesi). RrcHARD SEMON (I859-19I9) , allievo di Haeckel, elaborò una teoria per spiegare come le variazioni indotte nel corpo si possano inserire nel plasma germinale e divenire ereditarie. È necessario che vi sia una certa reazione da parte dell'organismo, perchè si eserciti una > sul germe. Le impressioni ricevute dalla materia vivente per le azioni esterne vengono registrate (engrammi) . La facoltà che ha la sostanza vivente di raccogliere e conservare engrammi, è indicata col nome di Mneme. Questa teoria fu ulteriormente sviluppata da AucusT PAULY ( r8so-1914) di Monaco di Baviera, che ammise una sorta di psichismo inconscio degli organismi, rivolto verso il raggiungimento di un determinato scopo. Una posizione intermedia è quella di LuDWIG PLATE (r862-1937) successore di Haeckel sulla cattedra di Jena, il quale, pur ammettendo la selezione naturale e difendendola dagli attacchi e dalle critiche degli avversari, non ritenne ch'essa fosse sufficiente a spiegare tutto il fenomeno dell'evoluzione ed ammise l'influenza diretta dell'ambiente. Contro tutte queste dottrine, e queste discussioni, che spesso conducevano nel vago e nel nebuloso, i sostenitori del darwinismo integrale si coalizzarono nella scuola che fu chiamata dei neo-darwinisti, e fu capeggiata da AucusT WEISMANN (18341914) , laureato in medicina, allievo di Leuckart, professore all'Università di Friburgo. Si dedicò allo studio del ciclo vitale e dello sviluppo di piccoli crostacei d'acqua dolce, le Dafnie (Cladoceri) su cui fece osservazioni molto notevoli. Una malattia agli occhi gli rese impossibile continuare l'osservazione microscopica e si dedicò allora alla specula­ zione sui problemi dell'evoluzione e dell'eredità. Le concezioni teoriche che elaborò furono in gran parte confermate dalle ricerche eseguite dopo la riscoperta delle leggi di Mendel. vVeismann negò nel modo più assoluto e reciso l'ereditarietà dei caratteri acqui­ siti. Il suo famoso esperimento di tagliare la coda ai topolini, per parecchie genera­ zioni successive, e la constatazione che i figli di questi animali così mutilati non pre­ sentano alcuna riduzione della coda, è riferito in tutti i testi. È criticabile, ed è stato molte volte criticato dai neolamarckisti ; ma sta il fatto che il Weismann aveva visto giusto: i lamarckisti non hanno potuto produrre alcuna prova sicura della validità delle loro affermazioni. Il Weismann, riprendendo idee già espresse da A. Nussbaum, formulò la teoria della >. Le cellule germinali, destinate alla riproduzione, si individuano precocemente, nel corso dello sviluppo embrionale, e costituiscono una linea potenzialmente immortale, che si continua di generazwne in generazione. 444

    Rimangono incapsulate nel corpo, nel soma, che invece è mortale. La concezione tradizionale del soma che produce le cellule germinali viene così sovvertita e tutta l'importanza è concentrata sul germe. La gallina, come ebbe a dire paradossalmente S. Butler, non è che il mezzo con cui un uovo assicura la produzione di un altro uovo. Il germe, incapsulato nel soma durante un certo periodo, è per così dire schermato dalle azioni dell'ambiente, le quali possono colpire e modificare il soma, ma non perciò arrivano a far variare il germe. Questa teoria, pur nel suo schematismo, è verificabile in molti casi e rappresenta bene uno stato di cose esistente realmente in molti organismi. Già il botanico svizzero CARL WILHELM NA.GELI (r8 r7-I89r) professore a Zurigo, poi a Monaco di Baviera, aveva cercato di speculare sulla struttura di quello ch'egli aveva chiamato idioplasma, o plasma specifico, portatore dei caratteri specifici di ogni organismo, in contrapposto al trofoplasma, plasma nutritizio, e perituro. Weismann perfezionò la teoria dell'idioplasma, pensandolo formato di tante unità, i dei vari caratteri, che sarebbero raggruppati in strutture d'ordine superiore, gli (( idi 1> e questi a loro volta riuniti in corpi visibili al microscopio, gli . I nomi sono scomparsi dalla biologia moderna, ma i concetti si sono rivelati sostanzial­ mente esatti : i determinanti corrispondono presso a poco a quelli che oggi chiamiamo geni, e gli idanti ai cromosomi. La sorgente principale della variabilità su cui deve agire la selezione è da ricono­ scersi, secondo Weismann, nella miscela di due plasmi germinali, di due patrimoni ereditari provenienti da due individui diversi. A questa miscela, che si attua ad ogni generazione sessuale, il Weismann dà il nome tuttora in uso di (( anfimissi 1>. Anche questa interpretazione del significato della riproduzione sessuale come mezzo di pro­ durre variabilità, con la ricombinazione che consegue alla mescolanza di due patrimoni ereditari, è stata confermata dalla biologia moderna. Ma il problema dell'origine della variabilità non è risolto dalla anfimissi: vi deve pur essere in qualche momento la comparsa di novità dell'idioplasma. Altrimenti si gira entro un circolo vizioso e si deve ammettere che l'evoluzione e la comparsa di caratteri nuovi siano il frutto di un continuo rimescolamento di (( determinanti >> che sono esistiti ab aeterno, sempre quelli. La teoria dell'evoluzione per ibridazione di J . P. LoTSY, evidentemente non può soddisfare le esigenze di una interpretazione fondamentale del problema. Un botanico olandese, Huco DE VRIES (Haarlem 1848 - Lunteren, Gheldria, 1935) già noto per le sue brillanti ricerche di fisiologia vegetale (in particolare sulla pres­ sione osmotica nelle cellule) trovò la soluzione del problema. Egli s'interessò poi ai fenomeni dell'eredità ed emise, fra l'altro, una teoria della (( pangenesi intracellulare >> (r889) che è come un emendamento della pangenesi darwiniana, ed è considerata come precorritrice della moderna teoria cromosomica. Ma soprattutto il De Vries si diede a ricercare un organismo che si trovasse in un periodo di variazione, e di evoluzione. Il caso volle che s'imbattesse (r886) in una popolazione d'una pianta ornamentale originaria dell'America, la Oenothera lamar­ ckiana, la quale, sfuggita dai giardini, si era rinselvatichita. Esaminati accuratamente tutti gli individui di questa popolazione, ne trovò alcuni che differivano dalla forma tipica per caratteri molto evidenti (nanismo, gigantismo, foglie più lunghe e strette 445

    o più corte e larghe delle normali, venature dei sepali di color rosso, ecc.). La discen­ denza di queste varianti si mostrava costante per il carattere variato. Così, nel giro di alcuni anni, il De Vries potè raccogliere un certo numero (circa l'r,S 0/0 del totale delle piante esaminate) di variazioni di notevole entità, che si rivelavano subito e totalmente ereditarie. A queste variazioni egli diede il nome di mutazioni, e in base alla sua esperienza su Oenothera formulò una teoria dell'evoluzione, cui fu dato il nome di mutazionismo. Ogni specie, nel corso della sua storia, passerebbe per un periodo in cm, mvece della normale stabilità, mostrerebbe quasi un'esplosione di mutazioni. Queste sono, come si è detto, variazioni subitanee, di notevole entità, che esorbitano dalla normale curva di variabilità, e sono ereditarie. La selezione naturale decide quali di queste variazioni possono essere conservate, nei diversi ambienti, quali sono desti­ nate all'estinzione. La Oenothera lamarckiana, secondo il De Vries, sarebbe appunto una specie che si trova in un periodo di alta variabilità. Le mutazioni insorgono spontaneamente, e, a quanto pare, senza relazione con le cause ambientali. Il mutazionismo è quindi una teoria che si inserisce nel darwinismo : precisa l 'ori­ gine della variabilità, riconoscendo un particolare tipo di variazioni autoctone indi­ pendenti dall'ambiente, le mutazioni; sostituisce al concetto darwiniano di evoluzione graduale per l'addizione di piccole variazioni, quello di evoluzione a salti; ma in so­ stanza ammette che il fattore direttivo dell'evoluzione sia la selezione naturale. Le ricerche di De Vries, pubblicate nell'ultimo decennio del secolo e riassunte nella sua Mutationslehre ( Teoria della mutazione, rgor-rgo3) ebbero grande risonanza fra i biologi, e la sua teoria, che consentiva di superare alcune difficoltà del darwi­ nismo (in particolare il fatto che le variazioni di minima intensità difficilmente pos­ sono rappresentare un vantaggio tale da essere favorite dalla selezione) fu accettata da molti. Tutt'altra corrente di pensiero condusse invece alla formulazione di teorie del­ l'evoluzione su base preformistica. Queste teorie traggono la loro ispirazione da un con­ cetto espresso già dal Lamarck sotto forma di una tendenza degli organismi a progre­ dire e a perfezionarsi. Trovano qualche dato in loro favore da certi fenomeni paleonto­ logici, a cui è stato dato da Th. Eimer il nome di ortogenesi. Si tratta di serie di fossili che dimostrano come l'evoluzione abbia proceduto secondo una linea determinata, raggiungendo in certi casi risultati che sembrano contrastare con l'effetto della sele­ zione naturale ; per esempio in alcuni cervi fossili si assiste all'aumento progressivo di dimensioni delle > (palchi) che raggiungono in�ne proporzioni così spro­ positate da determinare (si pensa) la estinzione della specie. Così le successive compli­ cazioni delle ornamentazioni e delle > delle conchiglie in certe linee di Ammo­ niti, eccetera. È sembrato ad alcuni biologi che tali fatti (e altri, come la irreversi­ bilità dei processi evolutivi, legge di Dollo) , non potessero spiegarsi se non ammet­ tendo che l'evoluzione sia un processo non già emergente, epigenetico, ma predeter­ minato nella materia vivente. Queste teorie preformiste si possono suddividere in due categorie, quelle a base materialistica, o agnostica, e quelle dichiaratamente finalistiche, teistiche. Delle prime

    la più tipica e completa espressione è l' ologenesi di DANIELE RosA, zoologo nato a Susa nel 1857, morto a Novi Ligure nel 1944, che fu professore in diverse università italiane (Sassari, Firenze, Torino, Modena) . Egli studiò soprattutto gli Anellidi Oligo­ cheti, e, nel campo della biologia generale, formulò il principio della riduzione progres­ siva della variabilità e la teoria dell'ologenesi (1918) . Secondo questa ipotesi: ) e che questi si combinino secondo tutte le possi­ bilità, implica necessariamente che A e a rappresentino corpuscoli o particelle materiali, le quali si distribuiscono nelle cellule germinali. Dopo questo lavoro sui piselli il Mendel pubblicò i risultati di alcune ricerche su di un'altra pianta del genere Hieracium, i quali non erano suscettibili di un'interpre­ tazione altrettanto chiara (e oggi possiamo renderei ragione del perchè : queste piante si riproducono infatti per apogamia, cioè senza fecondazione) . Eseguì anche osser­ vazioni e sperimenti sulle api, e anche in questo caso possiamo oggi comprendere che i risultati, dal punto di vista dell'eredità, siano confusi : nelle api i maschi si sviluppano da uova non fecondate, partenogenetiche. In seguito come si è detto, l'attività del Mendel fu tutta assorbita da altre cure. Il fatto sorprendente è che, in pieno fervore di dibattiti sul problema della eredità, il lavoro del Mendel passò completamente inosservato. Vero è che era stato pubblicato nell'oscuro periodico di una Società di Naturalisti d'una città di provincia, vero che l'autore era uno sconosciuto professore di ginnasio e non di università; ma è anche vero che il Mendel mandò il suo lavoro a C. N A GELI con cui era in corrispondenza, e non si può certo dire che questi non fosse interes­ sato ai problemi dell'eredità. La pubblicazione del Mendel fu anche citata da alcuni autori, come si vide quando fu riscoperta nel rgoo ; ma il fatto si è che il suo valore non fu com­ preso da quei pochi contemporanei che lo conobbero. Mendel morì nel I884, completa­ mente sconosciuto alla scienza : coloro che, in gran numero, seguirono il feretro dell'abate del convento di Briinn, già professore di scienze al ginnasio, amato e stimato per la sua probità, per il suo coraggio, per la sua Schema illustrante la prima legge di Mendel, intelligenza e cultura, ignoravano, come egli nel caso di dominanza completa: gli ibridi hanno lo stesso aspetto dei puri dominanti stesso aveva ignorato, ch'ei fosse uno dei più (dischetti neri) . 453

    grandi biologi. Soltanto sedici anni dopo la sua morte, in circostanze che ricorderemo a suo luogo, la pubblicazione che si trova negli atti della Società dei Naturalisti di Briinn venne dissepolta, e il nome di Mendel cominciò a risuonare in tutte le scuole. 6. La crisi dell'evoluzionismo.

    Vediamo dunque, verso la fine del secolo, un certo senso di disorientamento nel campo evoluzionistico. Il fatto che diverse teorie esplicative della evoluzione vengano contrapposte a quelle darwiniane, dimostra che non si è ancora trovata la buona interpretazione. I tentativi sperimentali per ottenere prove della trasformazione delle specie hanno invece dimostrato - contrariamente alle speranzose e ingenue aspet­ tative di alcuni biologi - una notevole stabilità della specie. Le ricerche sul meccanismo dell'eredità e sui modi di variazione hanno dato risultati non completamente coerenti, che lasciano adito a dubbi. La considerazione dei fenomeni storici dell'evoluzione, dei fenomeni rivelati dalla paleontologia, dall'anatomia comparata, dall'embriologia, apre anch'essa il varco a dubbì, a scetticismi. Ad una più matura e seria considerazione si vede che molte delle genealogie spacciate per buone dai più ferventi evoluzionisti, tipo HAECKEL, dimentichi di quella prudenza e umiltà che è caratteristica dell'opera di DARWIN, si rivelano poco sostenibili, piene di lacune troppo facilmente sorvolate. E così, negli ultimi anni del secolo XIX e nei primi decenni dì questo, il dubbio s'insinua nell'animo di molti biologi. Anche dopo la riscoperta delle leggi di MENDEL (1900) e il fiorire della Genetica, non si hanno argomenti più confortanti. Il mendelismo e la genetica sembrano a tutta prima incapaci di dare un'interpretazione dell'evolu­ zione. Ancora nel 1929 veniva pubblicata a Parigi, come si è detto, un'opera antie­ voluzionistica dovuta ad un anatomico comparativo di notevole valore : L. VIALLETON, L'origine des etres vivants : l'illusion transjormiste. L'autore dimostra una notevole incomprensione del problema. Proprio in quegli anni, del resto, nasce il nuovo evoluzionismo su base genetica, come diremo a suo luogo. Questi dubbi, questo scetticismo in parte legittimo, la critica contro il troppo facile ottimismo dei fautori più accesi e ingenui del materialismo scientifico e del­ l'evoluzionismo, trovano un fertile substrato nella corrente antimaterialistica e anti­ positivistica, che si manifesta con la rinascita dell'idealismo (in Italia con B. CROCE e G. GENTILE) e con il rinvigorirsi della filosofia tomistica, o di altre correnti spiri­ tualistiche. Si assiste così, soprattutto nei paesi latini, ad una crisi dell'evoluzionismo, in sede biologica, oltrechè in sede filosofica. Abbiamo accennato ad alcune cause di questo fenomeno ; altre saranno chiare quando esporremo la rinascita degli studi evoluzio­ nistici sotto l'impulso della genetica. Questa crisi, bisogna aggiungere, sul piano scien­ tifico non fu mai totale, anzi la maggior parte dei biologi ha continuato a considerare la teoria dell'evoluzione come una delle maggiori conquiste del pensiero scientifico moderno, anche quando sembrava che la dimostrazione delle cause dell'evoluzione dovesse incontrare particolari difficoltà; anche quando l'applicazione pratica dell'evo­ luzionismo alla sistematica zoologica e botanica non sembrava realizzabile, come mvece è oggi. 454

    CAPITOLO IX.

    I PRINCIPALI INDIRIZZI DELLA RICERCA BIOLOGICA MODERNA

    Con l'opera di Darwin e dei suoi commentatori siamo arrivati alle soglie del secolo XX. D'ora in avanti riesce difficile delineare la storia della biologia. Per diverse ragioni: innanzitutto, si entra nel vivo delle discipline che sono oggi in via di sviluppo, si rischia cioè di perdere la prospettiva della storia, per entrare nella esposizione di fatti, di osservazioni, di ipotesi che costituiscono il corpo delle dottrine moderne. E quindi è meglio, per chi voglia erudirsi sulla storia moderna delle varie discipline, ricorrere ai singoli trattati dove in genere è delineato lo sviluppo storico più recente. I n secondo luogo, tranne alcune eccezioni, lo sviluppo delle conoscenze nei vari campi diviene il risultato dell'opera di molti ricercatori, spesso indipendenti fra di loro, anzichè di singoli scienziati, come per il passato. Ciò complica enormemente il compito di seguire il filo d'un pensiero. Inoltre la specializzazione sempre più fine - male inevi­ tabile che accompagna il progredire della conoscenza - suddivide in mille rivoli quelle che prima erano correnti uniche, così che nell'intrico di una ramificazione sempre progrediente, riesce pressochè impossibile dar conto adeguato del decorso di ogni ramo e delle sue relazioni con gli altri vicini e lontani. Per queste ragioni, l'ultima parte di questa Storia della biologia e della Medicina sarà più sommaria e meno ana­ litica, intesa a dare solo un abbozzo dello sviluppo dei più importanti indirizzi della biologia moderna, anziché una vera storia di ciascuno di essi. 1.

    La struttura cellulare.

    Quella che per un certo tempo si chiamò la > costituisce ancora la base di tutta la biologia moderna. La struttura cellulare è caratteristica della grande maggioranza degli organismi (vedremo nel capitolo sulla microbiologia, quali sono gli organismi con struttura non cellulare) e ogni considerazione biologica. sia essa 455

    di morfologia, di embriologia, di fisiologia, di patologia, ecc. oggi non può esprimersi se non in termini cellulari. Il riconoscimento della struttura cellulare e lo studio di alcuni fenomeni biologici fondamentali (come lo sviluppo embrionale, la riproduzione, l'eredità) a questo livello, ha consentito la soluzione di problemi che per secoli erano rimasti insoluti. Ha permesso la istituzione di una biologia generale, che è poi in gran parte biologia cellulare. Si può dire dunque che il riconoscimento della struttura cellulare degli organismi è una delle più grandi e utili generalizzazioni della biologia moderna. Verso il r86o, come abbiamo visto, la >, con tutte le sue principali implicazioni era ormai ben fondata. Mancava ancora la conoscenza particolareggiata dei fenomeni di riproduzione. Queste nozioni furono acquisite per opera di due studiosi tedeschi, EDUARD STRASBURGER (nato a Varsavia nel 1844, morto a Bonn nel 1912) pro­ fessore di botanica a Bonn, e WALTER FLEMMING ( 1843-1905) professore di anatomia umana a Praga e poi a Kiel. Studiarono indipendentemente la riproduzione delle cellule vegetali e animali e scopersero quel processo a cui fu dato il nome cariocinesi o mitosi. (Flemming r88z) . Videro che una sostanza che si trova nel nucleo delle cellule, la quale, per la sua affinità con i coloranti basici, fu chiamata cromatina (Flemming 1879) si dispone a formare un certo numero (che successive ricerche riconobbero costante per ogni specie animale o vegetale) di corpiccioli più o meno allungati, i cromosomi (Walde­ yer 1 888) . Ciascuno di questi si divide poi in due per il lungo, e ogni metà, spostandosi su di una struttura citoplasmatica, poco colorabile, il fuso, va ad uno dei poli. Ai due poli del fuso vengono così a trovarsi i cromosomi figli in numero eguale a quello tipico della specie, e infine si ricostituiscono due nuclei figli. In seguito si divide il citoplasma, e si hanno così due cellule ciascuna provvista di un nucleo. L'opera di STRASBURGER: Zellbildung ttnd Zellteilung (1875) (Formazione e divisione delle cellule) e quella di

    Microfotogra­ fia di cellula embrionale di un pesce ( Co­ Yegonus) in mi­ tosi. Sono evi­ denti gli aster, il fuso e, all'e­ q uatore di questo, i cro­ mosomi all'i­ nizio dell'ana­ fase.

    456

    Flemming : Zellsubstanz, Kern, und Zellteilung (r882) (La sostanza cellulare, it nucleo e la divisione delle cellule) contengono eccellenti descrizioni della divisione cellulare, e sono perciò fondamentali per la citologia. Queste ricerche dimostrarono che la divisione cellulare è preceduta dalla divisione del nucleo (donde il nome di cariocinesi = movimento del nucleo} ; che questa avviene con la spartizione accurata della cromatina, la quale risulta disposta in filamenti, i cro­ mosomi (donde il nome di mitosi, dal greco mitos = filamento), mentre il resto del corpo cellulare si divide più grossolanamente. Questi dati fecero convergere l'attenzione dei biologi sul nucleo come portatore dei caratteri ereditari. L'idea fu espressa per la prima volta da E. Haeckel nella sua Generelle Morphologie (r866) , fu poi nuovamente avan­ zata da diversi autori, e venne dimostrata, come diremo nel capitolo sull'eredità, dopo la riscoperta delle leggi di Mendel. Con la minuta e precisa analisi di Strasburger e Flemming nasceva un nuovo ramo della biologia, la > , o studio delle cellule. Quella parte della citologia che si occupa più specialmente dei fenomeni nucleari si chiama >. Fra i più insignì citologi che completarono l'opera dei due biologi tedeschi vanno ricordati : EDUARD VAN BENEDEN, THEaDaR BavERI e EDMUND B. WILSaN. VAN BENEDEN, belga (r845-1910) professore a Lovanio, fu tra i primi a descrivere e ad intendere il fenomeno della meiosi, cioè quel processo cariocinetico speciale che si verifica - negli animali - durante la formazione delle cellule germinali o gameti, nelle piante in fasi diverse del ciclo ed ha come conseguenza la riduzione a metà del numero dei cromosomi caratteristico della specie. La necessità di un simile fenomeno era stata teoricamente ammessa dal Weismann: infatti, se il numero dei cromosomi è costante, poichè la riproduzione sessuale consiste nella unione di due cellule (i gameti), ad ogni atto sessuale si dovrebbe avere il raddoppiamento dei cromosomi, se non intervenisse, in quel momento del ciclo vitale, un meccanismo di riduzione di tal numero alla metà. Questo è appunto la meiosi ( = diminuzione) . TH. BavERI (r862-1915) professore a Wtirzburg, nei famosi Zellenstudien (St,udi sulle cellule, r887 e seguenti) recò contributi fondamentali alla citologia. Studiò par­ ticolarmente il centrosoma, corpicciuolo che ha grande importanza nella formazione dei due poli del fuso. Dimostrò per primo, con ingegnosi esperimenti sull'embrione di riccio di mare eseguiti alla Stazione Zoologica di N apoli, che i singoli cromosomi sono qualitativamente differenti l'uno dall'altro. E. B. WILSaN (1856-1939) professore alla Columbia University di New York, fu un finissimo citologo, descrisse e interpretò esattamente i cromosomi sessuali o etero­ cromosomi scoperti da H. Henking (v. pag. 484) (r89r) e scrisse un famoso trattato, The Cell in developement and inheritance (La cellula nello sviluppo e nell'eredità, New York, 1925, 3 a ediz.) che è un classico della citologia. N on meno importanti furono gli studi sulla struttura del citoplasma e sui corpi che in esso si trovano. Per quanto riguarda la struttura fondamentale del protoplasma, tre furono le teorie che ebbero maggior credito: la teoria filare di FLEMMING, secondo cui il protoplasma sarebbe costituito da una rete di filamenti, inclusi in una sostanza fondamentale; la teoria granulare di RICHARD ALTMANN (r852-190I) professore a Lipsia, la quale fu adottata e ulteriormente elaborata da LEaPaLDa MAGGI (1840457

    Microfotografia di ce li u le nervose: si vedono il nucleo (chiaro) e

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    prolungamenti.

    Fol. Alias

    1905) professore a Pavia, che usò il termine di bioplasti per i granuli costitutivi del protoplasma; e la teoria alveolare di OTTO BDTSCHLI (1848-1920) professore a Heidelberg, insigne studioso dei Protozoi e biologo acuto, secondo il quale il protoplasma è come una finissima schiuma, costituito cioè da tanti alveoli, entro cui è una soluzione acquosa. Queste concezioni erano basate in parte su speculazioni, in parte sulla interpretazione di preparati microscopici, cioè di protoplasma ucciso con particolari sostanze (fis­ sativi) e colorato. Le strutture descritte dai diversi autori corrispondono a un ordine di grandezza che è vicino o al di sotto dei limiti del potere di risoluzione del microscopio ottico. Oggi queste concezioni sono superate. Sappiamo che il protoplasma ha una struttura che rientra nell'ambito dei colloidi, e i particolari della struttura delle varie parti della cellula vengono studiati con strumenti e con tecniche particolari, alcuni dei quali sono stati introdotti molto di recente. Del resto, le teorie su accennate erano state già criticate da M. HEIDENHAIN (18621949) professore a Tubinga, al quale anche si devono importantissime ricerche citolo­ giche. HEIDENHAIN sostenne, non senza ragione, che i vari tipi di strutture si possono trovare tutte nel citoplasma di diverse cellule, o anche nel citoplasma di una stessa cellula in diverse condizioni di attività fisiologica. L'indagine delle strutture citoplasmatiche portò alla scoperta e all'identificazione di corpuscoli che si trovano come costituenti più o meno costanti delle cellule: i plastidi delle cellule vegetali; i mitocondri che si trovano in tutte le cellule; l'apparato di Golgi, anch'esso presente in tutte le cellule. Gli ultimi decenni del secolo XIX rappresentano l'epoca aurea dello studio morfologico della cellula : vengono elaborati numerosi metodi di fissazione e colorazione, che permettono di mettere in evidenza strutture, o sostanze particolari ; si perfeziona sempre pii.1 la costruzione dei microscopi e quella della mac­ china (microtomo) inventata dal RANVIER per fare sezioni sottili del materiale da esa­ minare. La tecnica microscopica, da semplice qual'era verso la metà del secolo, quando GERLACH introdusse l'uso del carminio come colorante, divenne un'arte com­ plicata, che ricorre a molte decine di coloranti diversi, e sottopone i tessuti a tratta­ menti vari e complessi, allo scopo di mettere in evidenza particolari strutture nel­ l'interno delle cellule o nella sostanza intercellulare. La cellula era stata inizialmente concepita come una unità molto semplice, una specie di atomo della biologia. Ma, con il progredire e l'affinarsi delle ricerche, divenne sempre più palese il fatto che la cellula è invece un organismo piuttosto complesso, la cui struttura è tutt'altro che omogenea. Nelle cellule si trovano organelli o organiti, di cui alcuni (come il nucleo, i mitocondri, la membrana cellulare) sono costante­ mente presenti in tutte le cellule animali e vegetali, a qualsiasi tessuto appartengano, mentre altri sono caratteristici soltanto di determinati tipi di cellule (per esempio i plastidi delle cellule vegetali, i granuli di secrezione delle cellule ghiandolari, i granuli di tuorlo delle uova, e così via) . Per le ragioni cui abbiamo prima accennato, non possiamo ricordare tutte le tappe dello sviluppo delle conoscenze citologiche. Ci limitiamo a ricordare, fra i citologi più eminenti del secolo scorso, le grandi figure di C. GOLGI e di S. RAMON Y CAJAL. 459

    Camillo Golgi.

    Fot. Nobelstiftelsen

    CAMILLO GoLGI (Corteno r844 - Pavia 1926) , professore di Patologia Generale all'Università di Pavia, elaborò un metodo (la impregnazione cromoargentica) , che, a differenza dei metodi di colorazione, è adatto a mettere in evidenza fibre estremamente sottili, come le fibre nervose o quelle dei connettivi. Le ricerche che il Golgi potè ese­ guire con questo metodo sulla fine struttura del tessuto nervoso, hanno arrecato con­ tributi fondamentali alla conoscenza della cellula nervosa e dei suoi prolungamenti. La teoria della struttura e del funzionamento di tale cellula è opposta a quella cui, negli stessi anni, giunse l'altro grande studioso del sistema nervoso, il CAJ AL. Nel r8g8 il GoLGI descrisse inoltre nelle cellule di gangli nervosi, un apparato reticolare interno, che, con aspetto talvolta diverso da un reticolo, fu poi ritrovato in tutte le cellule. Questo costituente essenziale della cellula, di cui, nonostante i numerosissimi studi, ancora si ignora la struttura elementare e la funzione, è universalmente conosciuto sotto il nome di apparato o corpo di Golgi. SANTI AGO RAMÒN v CAJ AL (Petilia de Aragòn, 1852 - Madrid 1934) si dedicò anche egli allo studio istologico e citologico del sistema nervoso ed elaborò metodi speciali di impregnazione con sali d'argento, basati però su principi diversi di quelli del Golgi. Il suo nome è legato, oltre che all'osservazione di numerosissime particolarità della fine struttura del sistema nervoso in molti animali, alla teoria del « neurone >>. Una cellula nervosa, con i suoi prolungamenti fibrosi ramificati (dendriti) e con l'unico prolunga­ mento principale (neurite) poco o nulla ramificato, costituisce secondo questa teoria, una unità morfologica, embriologica e funzionale cui si dà il nome di « neurone >> (pro-

    Santiago Rarn6n

    y

    Cajal.

    Fol. Nobelstiftelsen

    posto da A. W. Waldeyer, 1891). Lo stimolo nervoso corre in senso centripeto lungo i dendriti, e in senso centrifugo lungo il neurite (teoria della polarizzazione dinamica). I singoli neuroni sarebbero isolati l'uno dall'altro e comunicherebbero soltanto per mezzo di alcune giunzioni (sinapsi) . A questa teoria si oppose il GoLGI, in base alla osservazione di cellule nervose di altro tipo, e ammise invece che vi sia una sorta di rete nervosa diffusa, costituita da fibrille che collegano le ramificazioni principali delle varie cellule. La vertenza fra le due teorie non è ancora oggi interamente risolta: probabilmente tutte e due sono vere, nel senso che vi sono cellule dell'uno e dell'altro tipo. L'Accademia delle Scienze di Stoccolma, con salomonica decisione, attribuì nel 1906 il premio Nobel ad ambedue i contendenti. Il fatto più sensazionale nella storia della citologia fu senza dubbio l'introduzione di quella tecnica che è detta >. Nel 1907 un embriologo ame­ ricano Ross G. HARRISON (1870-1959) della Yale University di New Haven, osservò che pezzetti di tessuto vivente, provenienti da larve di anfibi, se vengono messi in un mezzo adeguato, possono continuare a vivere : le cellule si moltiplicano. A que­ sta prima osservazione seguì l'elaborazione di una tecnica speciale, dovuta soprattutto a uno studioso francese, ALEXIS CARREL (Sainte-Foy-les-Lyon 1873 Parigi 1944) che lavorò all'Istituto Rockefeller di New York. Con la tecnica del Carrel, al quale nel 1912 fu attribuito il premio N obel per la Medicina, si riesce a coltivare cellule tratte da embrioni di pollo, o da embrioni o adulti di mammiferi, uomo compreso, per una durata pratica­ mente illimitata. Le cellule, sottratte alle correlazioni morfologiche e chimiche cui erano -

    Cromosomi dell'uomo, nella metafase mitotica di globuli bianchi del sangue coltivati in vitro. Ogni cromosoma è diviso in due cromosomi figli, tranne che nella regione in cui è situato il punto di at­ tacco al fuso (centromero).

    sottoposte nell'organismo, si comportano diversamente, secondo la loro natura e la loro provenienza; ma il fatto ch'esse possano prosperare e moltiplicarsi fuori del­ l'organismo di cui fanno parte è la riprova sperimentale dell'affermazione di TH. ScHWANN, che le cellule hanno una vita propria, la quale, nell'organismo pluri­ cellulare, è subordinata a quella dell'organismo stesso. Il metodo della coltura in vitro, tuttora molto usato nei laboratori biologici, ha dato modo di studiare molti problemi di citologia e in particolare le relazioni che intercorrono fra cellule e orga­ nismo pluricellulare. Fra coloro che, oltre al Carrel, hanno sviluppato e applicato fruttuosamente questa tecnica allo studio di vari problemi biologici, vanno ricordati GIUSEPPE LEVI (n. Trieste 1872) professore di Anatomia Umana nella Università di Torino e ALBERT FISCHER (n. Copenhagen r89r) professore a Copenhagen. Negli anni più recenti, la citologia si è orientata essenzialmente verso tre indirizzi: genetico, biochimico e ultrastrutturistico. Del primo si parlerà nel capitolo sulla gene­ tica. L'indirizzo biochimico non è nuovo, ma ha ricevuto impulso notevolissimo in questi ultimi anni. Si tratta in sostanza di identificare la composizione chimica dei vari organelli cellulari, e di tentare di indagare così la loro attività. Impresa assai difficile, data l'esigua dimensione di queste strutture e la grande !abilità di molte di esse. Ma tale compito è essenziale, se non si vuole esaurire la citologia in una fase puramente descrittiva, che dice poco sui fenomeni fondamentali della vita che si svolgono nella cellula. I metodi per raggiungere la conoscenza biochimico-fisiologica dei vari organismi cellulari sono spesso estremamente laboriosi e complicati. Si possono dividere in

    due categorie : quelli che cercano di individuare in situ, nella cellula stessa, le varie sostanze chimiche, con reazioni specifiche colorate (come la reazione di Feulgen, che colora elettivamente in rosso l'acido desossiribonucleico, componente fondamentale della cromatina) o con la misura dell'assorbimento di certi raggi dello spettro ; e quelli che, dirompendo le cellule, centrifugando la poltiglia risultante in condizioni opportune (temperatura prossima a zero gradi, in sospensioni di una data densità) cercano di ottenere quantità macroscopiche (centimetri cubici) di nuclei, o di nu­ cleoli, o di mitocondri, o di plastidi, o di altri corpicciuoli, in modo da poterli sottoporre alle indagini chimiche opportune. Inoltre sono stati costruiti apparecchi speciali (microrespirometri di vario tipo) che possono misurare alcune attività metaboliche (come respirazione, attività enzi­ matiche varie) di singole cellule o di gruppi di esse. Molti biologi sono oggi intentj all'arduo compito di studiare la fisiologia della cellula e il funzionamento dei suoi principali organi. A centoventi anni dalla pubblicazione dell'opera di ScHWANN, le conoscenze sulla fisiologia cellulare sono ancora relativamente scarse e fram­ mentarie. Il limite del potere di risoluzione del microscopio ottico, imposto dalle proprietà fisiche della luce e delle sostanze di cui sono costruite le lenti è di circa un decimo di micron cioè un decimillesimo di millimetro. Ciò significa che con l'osservazione microscopica non si possono distinguere due particelle o due fibre che siano distanti fra loro meno di un decimillesimo di millimetro : si confondono in una sola; e, pari­ menti, non si possono vedere granuletti che abbiano un diametro inferiore a quella grandezza. V'è dunque tutta una zona che rimane inesplorata, zona che si chiama delle strutture sub-microscopiche, o ultrastrutture. Le teorie di FLEMMING, di ALTMANN, di BuTSCHLI (p. 457-58) sulla struttura del protoplasma rappresentano tentativi di esplorare questa zona. A questo livello dimen­ sionale si situa quel tipo di struttura materiale, che si chiama struttura colloidale. Il chimico FRANCESCO SELMI di Bologna, nel 1849 aveva distinto due tipi di soluzioni : le >, come quelle di cloruro di sodio, o di glucosio, e le >, che godono di proprietà diverse. Alcuni anni dopo (1863) l'inglese THOMAS GRAHAM (r8o5-186g) introdusse i termini di cr'Ìstalloidi e colloidi per indicare i due tipi di solu­ zione. I primi cristallizzano e, in soluzione, passano rapidamente attraverso la perga­ mena, cioè dializzano. I colloidi (così chiamati perchè una tipica sostanza che si comporta in questo modo è la colla) invece non cristallizzano e non dializzano. Anche le proprietà osmotiche dei due tipi di soluzioni sono diverse : i colloidi sviluppano una bassissima pressione osmotica. L'amido (salda d'amido) , il bianco d'uovo, la gelatina appartengono alle sostanze colloidali. Molti anni dopo, a partire dai primi anni del secolo XX, lo studio dei colloidi si sviluppò di molto, e si precisò il concetto di colloide dimostrando che le pseudosolu­ zioni o soluzioni colloidali sono costituite da dispersioni di particelle di dimensioni submicroscopiche, comprese all'incirca entro i limiti o.I e o.oor micron (cioè fra 100 e I millimicron). Al disotto di questi limiti si entra nelle dimensioni molecolari, e quindi nelle vere soluzioni. Alle particelle colloidali fu dato il nome, introdotto da C. Ni\GELI, di mice.lle (dal latino mica, briciola) .

    Thomas Graham.

    Ci si rese conto che il protoplasma è un sistema colloidale, le cui micelle sono costi­ tuite o da aggregati di molecole, o dalle gigantesche molecole (macromolecole) di alcune sostanze organiche, per esempio delle proteine. Nacque allora e si sviluppò rapidamente un ramo speciale della fisica, la fisica dei colloidi, e furono riconosciute e determinate man mano varie proprietà delle micelle colloidali e dei sistemi colloidali in toto. Si cercò di rendere visibili queste particelle e vi si riuscì, almeno parzialmente. L'ultramicroscopio di SIEDENTOPF e ZSIGMONDY (rgo2) si basa sullo stesso principio per cui, in un raggio di luce, le particelle del pulviscolo atmosferico appaiono come tanti punti luminosi: ogni particella riflette la luce, e chi l'osserva ponendosi fuori dell'asse del raggio luminoso che la investe, la vede brillante. L'osservazione microsco­ pica come quelle che deviano il per­ corso dei raggi luminosi. Usciti dal sistema di > che funziona da > i raggi impressionano una lastra fotografica. Il potere di risoluzione e l'ingrandimento massimo raggiungibile con il microscopio elettronico sono più di 2000 volte maggiori di quelli del microscopio ottico. Poichè con questo si ottengono ingrandimenti fino a 3000 diametri, con quello elettronico si può arrivare fino a 6o.ooo e oltre. La preparazione degli oggetti per l'osservazione è tutt'altro che facile : tutta una particolare tecnica microscopica è ora in via di sviluppo. Si sono costruiti ultramicro­ tomi che fanno sezioni sottilissi me, dello spessore di 0,2 micron (di fronte ai 5-10 micron dei microtomi comuni) . Sono stati escogitati vari metodi (impregnazione coi metalli pesanti; plastici ottenuti con metalli) atti a rendere opachi ai raggi catodici i corpi che si vogliono studiare. I risultati finora raggiunti sono molto notevoli: si sono messe in evidenza, anche al livello submicroscopico, strutture particolari, costanti, del protoplasma e dei vari organelli cellulari. Anche a questo livello dimensionale, dunque, la vita è legata a una struttura ben definita. Concludendo si può dire che gli orientamenti principali della indagine citologica, oggi sono: lo studio biochimico dei vari costituenti cellulari, con l'intento di mettere in luce la loro funzione sul metabolismo e l'analisi della struttura a livello submicro­ scoptco.

    2.

    L'e111briologia.

    a) L'embriologia descrittiva. Le due grandi scoperte della biologia moderna sono state l'uovo dei Mammiferi (voN BAER, 1827) e il riconoscimento della struttura cellulare dell'uovo (KOLLIKER, GEGENBAUR, pag. 36� . Ma non meno importante è stata la proposizione, dovuta inizialmente al v. BAER, della cosiddetta >. Seguendo la concezione epigenetica di G. F. WoLFF, il v. BAER osservò che, ad un certo momento precoce dello sviluppo embrionale dei vertebrati, sono riconoscibili alcuni dai quali successivamente prendono origine i vari organi. Egli descrisse quattro foglietti, ma in seguito il REMAK (1845) riconobbe che ve ne sono soltanto tre, cui diede i nomi (derivati dal greco) di ectoderma, o foglietto esterno, endoderma, o foglietto interno, e mesoderma, o foglietto intermedio (pag. 360). Confermando e completando quanto aveva

    descritto il v. BAER, REMAK vide che dall'ectoderma si originano la pelle e il sistema nervoso, dall'endoderma l'epitelio che riveste internamente il canale digerente e quel­ l'organo di sostegno caratteristico dell'embrione dei vertebrati, che è la corda dorsale o notocorda ; dal mesoderma i sistemi muscolare, scheletrico, circolatorio, escretore. La teoria dei foglietti ha avuto una funzione molto importante in embriologia: è una notevole generalizzazione e schematizzazione, che ha permesso di ricondurre molti fenomeni ad un unico schema interpretativo, il quale è stato successivamente esteso anche agli invertebrati. Oggi lo schema dei foglietti è alquanto modificato: la notocorda e il mesoderma derivano da un abbozzo comune che si chiama cordo­ mesoderma, la derivazione dei vari organi non è più così schematicamente e rigida­ mente riferita ai singoli foglietti, come un tempo ; tuttavia lo schema è ancora sostanzialmente valido, come mezzo descrittivo e di semplificazione di un pro­ cesso assai complicato. Dopo la o (( Embriologia speri­ mentale >>. b) L'embriologia sperimentale. La storia antica dell'embriologia si riassume, come abbiamo visto, in una secolare contesa fra le due opposte concezioni preformistica ed epigenetica. Ambedue presen­ tano gravi difficoltà logiche : la prima, perchè non si vede come un organismo possa essere preformato in ogni sua minima parte in un germe piccolissimo ; e, di più, una volta ammessa questa possibilità è facile cadere nell'assurdo dell'embottement des 470

    germes. D'altra parte l'epigenesi presenta il formidabile problema del perchè e del come da un germe di struttura piuttosto omogenea, indifferenziata, vadano man mano prendendo forma e acquistando diversità le varie strutture embrionali, e poi gli organi definitivi. Dopo l'opera di C. F. Wolff (1759) di cui abbiamo parlato a pag. 289, la teoria della preformazione aveva perduto credito ; ma il problema embriologico fondamentale, quello del differenziamento, non era stato affrontato direttamente. . Nel r874 comparve un piccolo libro, molto notevole per la vivacità dello stile {è in forma di epistole ad un amico) e per l'importanza dei problemi che solleva. I l titolo è Unsere Korperform und das physiologische Problem ihrer Entstehung (La nostra forma corporea e il problema fisiologico della sua origine, Lipsia r874) e l'autore è WILHELM Hrs (Basilea r83 r - Lipsia 1904) che fu per lunghi anni professore di anatomia umana a Lipsia, autore di notevoli ricerche sull'embriologia umana, nonchè inventore di un tipo di microtomo. Hrs mette in ridicolo l'atteggiamento dei dotti che si acconten­ tano di pseudospiegazioni, e si richiama alla famosa satira della Facoltà medica parigina del Malade imaginaire di Molière, ricordando la scena che abbiamo rievocato a pag. r62. Ora, dice lo His, le facoltà mediche del sec. XIX tributerebbero le stesse entu­ siastiche lodi al candidato che, interrogato sulle cause che determinano lo sviluppo dell'embrione, rispondesse : Quia est in eo virtus formativa cujus est natura formam recreare.

    .

    '

    Vale a dire che sulle cause che determinano lo sviluppo embrionale e il differenzia­ mento non sappiamo proprio nulla. « Tutte quelle parole che confortano un animo assetato di sapere possono venire utili: materia genitrice, movimento molecolare, proprietà della vita, albumina, forma e protoplasma. Misce, fiat explicatio l dice la ricetta dei nostri dottori, che così pretendono di avere svelato d'un colpo tutti i mi­ steri della generazione e della vita >>. Così, con pungente ironia, Hrs stigmatizza l'at­ teggiamento dominante nelle scuole. Hrs cerca, studiando lo sviluppo del pulcino, di trovare qualche principio generale, che non sia una vana tautologia : ed enuncia il principio degli >, aree embrionali organo-formative, che si innesta sulla teoria dei foglietti, e un > che riconosce nella formazione di pieghe uno dei fattori modo­ genetici principali. Le pieghe sono formate da un accrescimento ineguale di varie parti dell'embrione. Le considerazioni di His rappresentano i primi tentativi di una embriologia causale, che furono ripresi in seguito. In particolare il principio delle aree formative corrisponde a quello che fu poi chiamato delle >. Ma la tendenza della ricerca biologica andava sempre più orientandosi verso il metodo sperimentale, il quale può dare rapidamente risposta a quesiti che sarebbe praticamente impossibile risolvere in base al solo metodo descrittivo. L'orientamento dell'embriologia in senso filogenetico sembrava ad alcuni privo di vero valore conoscitivo. Il fatto che l'embriogenesi possa essere concepita come la 471

    Wilhelm His.

    ricapitolazione della filogenesi, secondo la formulazione della legge biogenetica di HAECKEL, non pm ta alcun contributo alla conoscenza delle cause che agiscono in ogni embrione determinandone lo sviluppo, dice Hrs. E a ciò si aggiungono le critiche intrinseche che egli fa alla applicabilità della legge stessa ai casi particolari. Questo atteggiamento critico trovò parecchi sostenitori fra i quali ALEXANDER WILHELM GoETTE (r84o-rgzz) nato a Pietroburgo da genitori tedeschi delle regioni baltiche. Studiò a Dorpat e a Gottinga e divenne poi professore a Strasburgo. Fu allievo e continuatore di v. BAER. La sua opera fondamentale, ancora oggi consultata, è l'embrio­ logia dell'ululone (Bombinator) , un anfibio anuro, nel quale egli cerca d'interpretare in base a principi meccanicistici le varie fasi dello sviluppo. Un altro avversario dell'embriologia evoluzionistica nel senso di HAECKEL e di GEGENBAUR fu NIKOLAUS KLEINENBERG nato in Lettonia (Jelgava) nel 1842. Venuto in Italia alla Stazione Zoologica di Napoli presso Anton Dohrn, ottenne poi la cattedra di Zoologia a Messina indi a Palermo, dove morì nel 1897. Studiò lo sviluppo delle idre d'acqua dolce e di altri invertebrati. Scoperse la poliembrionia negli Anellidi. Negò l'esistenza del mesoderma ; avversò la teoria della gastrea di HAECKEL e la teoria del celoma dei fratelli HERTWIG, e insistè sul concetto già accennato da Hrs, che la embriologia deve essere studiata non in puro senso descrittivo, o storico, ma come processo fisiologico. 472

    Il merito di aver portato il problema dell'origine della forma sul piano sperimen­ tale spetta soprattutto a WILHELM Roux. Nato a Jena nel 1850 da un maestro di scherma, studiò a Jena con HAECKEL, poi a Strasburgo con GoETTE. Divenne profes­ sore a Innsbruck, e poi a Halle (I895-1921). Morì nel 1924. Il Roux non respinge i principi dell'embriologia su base evoluzionistica, anzi li accetta e li utilizza per l'in­ terpretazione di molti fenomeni dell'embriogenesi. Ma il suo problema principale è di scoprire le cause della morfogenesi, d'istituire una embriologia causale basata sugli stessi principi della fisica e della chimica, cioè sul metodo sperimentale. I suoi celebri esperimenti sull'uovo di rana (1888) destarono grandissimo interesse fra i biologi. Preso un embrione di rana allo stadio di due cellule (blastomeri) , ne uccise uno per mezzo di un ago caldo, e osservò come si comportava il blastomero superstite. Vide che dava origine ad un emiembrione, cioè a mezzo embrione (la metà destra o sinistra, o anteriore o posteriore, a seconda dei casi) , cioè a quelle stesse parti a cui avrebbe dato origine se l'altro blastomero fosse rimasto vivo. Soltanto negli stadi più avanzati della embriogenesi potevano formarsi alcune parti, che normalmente dovevano essere formate dal blastomero ucciso. A questo fenomeno il Roux diede il nome di postgenerazione . Ma, sostanzialmente, uno dei due primi blastomeri ( % blasto­ mero, come si suoi dire) ha la capacità di formare un mezzo embrione. Quindi nel­ l'uovo vi è una sorta di preformazione, quasi un mosaico di parti, ciascuna con la propria potenzialità già ben definita. Il Roux infatti elaborò su questa base la teoria dello sviluppo a mosaico, che è in sostanza una versione rimodernata dell'antica teoria della preformazione. A risultati analoghi era giunto, negli stessi anni, il francese L. CHABRY (I855-I893) isolando i due primi blastomeri dell'uovo di Ascidia. IL Roux, che precedentemente ( 1881) aveva concepito lo sviluppo delle varie parti dell'embrione come la risultante di una con conseguente selezione, che avviene fra le cellule o gli organi in seno ad uno stesso organismo, e che aveva c�rcato sempre una interpretazion� meccanicistica dei fenom=ni embriologici, sviluppò su queste basi una teoria, in cui l'embriogenesi è divisa in due stadi: uno, il vero e proprio stadio embrionale, in cui le strutture sono predeterminate (teoria del mosaico) e si svolgono in modo incontrastabile, secondo il destino che incombe a cia­ scuna area dell'embrione. A questo segue un secondo periodo, dello sviluppo funzionale, in cui subentrano e influiscono sullo sviluppo embrionale le funzioni delle varie parti, che cominciano a esplicarsi. Il Roux è il vero fondatore di quella disciplina cui egli diede il nome di Entwick­ lungsmechanik, cioè Meccanica dello sv1:htppo, e che fu denominata anche Embn:ologia sperimentale, o Morfologia causale. Fondò un periodico, intitolato appunto A rchiv fiir Entwicklungsmecham:k, che tuttora prospera, e diede così vita e impulso ad un nuovo ramo della biologia, suscitando il più vivo interesse e i più ardenti entusiasmi. Infatti, per la prima volta nella storia della biologia, un fenomeno, la forma, emi­ nentemente statico, e apparentemente suscettibile solo di una rappresentazione de­ scrittiva, viene considerato da un punto di vista dinamico e sottoposto ad indagine sperimentale. La concezione meccanicistica e su base darwinistica di Roux non garbava a O. HERT­ WIG, piit propenso al vitalismo, c che vedeva nell'uovo non un insieme di parti prede473

    terminate, ma un tutto , e viceversa. Da tutte queste risultanze sperimentali e dalle considerazioni che ne seguirono, si venne sempre meglio chiarendo il problema fondamentale dello sviluppo embrionale. Il fatto che più colpisce nella embriogenesi è il difJerenziamento, cioè l'insorgere di differenze morfologiche e funzionali, in una massa dapprima relativamente omogenea. Ma, a ben guardare, il problema essenziale, che precede quello del differenziamento visibile è un altro : è quello della determin q,zt'one. Problema che si pone come segue : quando e per quali cause un'area embrionale inizialmente indifferente, cioè capace di dare origine a varie strutture (per esempio epidermide o sistema nervoso) perde la primitiva totipotenza o almeno multipotenza, e diviene capace di dare origine soltanto - in qualsiasi condizione sperimentale venga posta - a un determinato tessuto, o sistema, o organo ? Un gran passo nella conoscenza delle cause che determinano il destino delle diverse aree dell'embrione è stato fatto per opera di HANS SPEMANN. Questo embriologo nacque a Stuttgart nel 1869, studiò a Heidelberg, a Monaco di Baviera, a Wiirzburg. Fu chiamato al Kaiser-Wilhelm Institut di Berlino, da cui passò alla cattedra di Zoo­ logia dell'Università di Friburgo. Morì nel 1941. Sperimentatore eccellente, lo SPE­ MANN dimostrò (rgr8) che una certa regione dell'embrione degli anfìbi,cioè il >, che è un centro attivo di invaginazione di materiali prima disposti sulla superficie del germe (stadio di blastula) e che poi vengono portati al­ l'interno (processo di gastrulazione), se trapiantata in un altro embrione in una sede 475

    Hans Spemann.

    Fot. Nobdstiflelsen

    atipica, per esempio sul fianco, è capace di determinare un altro centro d'invagina­ zione. Di conseguenza, vengono a formarsi un'altra corda e altri organi mesodermici i quali, a loro volta, inducono nell'ectoderma sovrastante la formazione di un altro sistema nervoso centrale. In una parola un altro embrione, del primo, si forma a spese di tessuti che normalmente avrebbero avuto tutt'altro destino. SPE­ MANN e collaboratori poterono dimostrare che anche nella sede normale è la regione suddetta che, invaginandosi, induc� nell'ectoderma sovrastante, la formazione del tubo neurale, abbozzo del sistema nervoso. È nel labbro dorsale del blastoporo che risiede quello che Spemann ha chiamato l'organizzatore dello sviluppo. V'è dunque nell'embrione un'area, la quale viene invaginata in seguito al processo di gastrulazione, che ha la capacità di autodifferenziarsi (in corda e mesoderma) . Questi territori embrionali, una volta invaginati, assumono una funzione direttiva nello sviluppo, inducendo altri territorì a svilupparsi in un determinato modo. Ese­ guendo trapianti di date aree embrionali in sede atipica ci si può rendere conto del momento in cui avviene la determinazione. In un primo tempo le aree trapiantate possono dare origine a vari tessuti, secondo la sede in cui vengono a trovarsi in conse­ guenza del trapianto. In seguito appaiono determinate e capaci di dare origine soltanto a quei tessuti o organi che avrebbero formato se fossero rimaste in sede. Oltre all'organizzatore principale, si conoscono organizzatori di secondo ordine : per esempio l'abbozzo dell'occhio (vescicola ottica) induce nell'ectoderma sovrastante la formazione della lente che poi si stacca dall'ectoderma e viene inclusa nel globo oculare.

    L' induzione embrionale, o sviluppo dipendente, in contrapposto all'autodifferen­ ziamento, è un fenomeno molto diffuso. La sperimentazione che ha fatto seguito alla fondamentale scoperta dello SPEMANN (a cui fu attribuito il premio Nobel per la Medicina nel 1935) ha dimostrato numerosissimi casi di influenze fra diversi ter­ ritori embrionali o gruppi cellulari, e ha aperto la via allo studio di un importante capitolo della biologia : le correlazioni embrionali. La via per cui si realizzano queste correlazioni è certamente di natura chimica: molti eleganti e interessanti esperimenti lo dimostrano. Tuttavia, a tutt'oggi non si è ancora potuto precisare la costituzione chimica dell'organizzatore : sono state proposte varie ipotesi più o meno plausibili, ma non si ha nessuna nozione definitiva. Un altro campo d'indagine molto importante, sempre in questo capitolo della Fisiologia dello sviluppo, è quello aperto da C. HERBST (v. pag. 474) con la dimostra­ zione che uova di riccio di mare allevate in acqua di mare contenente in soluzione sali di litio danno origine a larve molto anormali. Nei vertebrati i sali di litio aggiunti al mezzo in cui si sviluppano gli embrioni provocano varie inibizioni dello sviluppo, di cui la più spettacolare è la fusione dei due abbozzi oculari in un unico occhio, cosicchè ne risulta un « ciclope ». Per cui si è · concluso che se invece del cloruro di sodio l'acqua di mare contenesse cloruro di litio, tutti i vertebrati sarebbero monoculi, e gli indi­ vidui provvisti di due occhi sarebbero considerati come mostri.

    Adalbert von Chamisso. Ritratto premesso a una edizione delle sue opere.

    477

    Lo studio dell'azione dei fattori esterni sul decorso dello sviluppo ha dato infor­ mazioni molto importanti per intendere i meccanismi che stanno alla base della em­ briogenesi e del differenziamento. Le ricerche in questi campi proseguono oggi molto attivamente in numerosi laboratori e negli ultimi tempi si sono orientate preva­ lentemente verso l'indagine della base biochimica del differenziamento.

    3• Generazi one e sessualità.

    I fenomeni della generazione e del sesso hanno sempre attratto l'interesse dei filosofi e dei naturalisti, ma soltanto in epoca recente, quando si è potuto studiarli al livello cellulare, si è venuti a capo di qualche interpretazione razionale e coerente. a) L'alternanza di generazwm. Il poeta franco-tedesco ADALBERT VON CHAMISSO (r78I-I838) autore della mera­ vigliosa storia di Peter Schlemhil, l'uomo che vendette la propria ombra, si dilettava anche di osservazioni naturalistiche. Nel r8rs-r8 partecipò ad un viaggio nell'Oceano Pacifico e allo stretto di Behring, organizzato da OTTO VON KoTZEBUE con la nave russa Rjurik. In tale occasione lo CHAMISSO osservò certi eleganti animali che vivono so­ spesi nell'acqua, le salpe (Tunicati) e notò che si trovano in due stati: salpe solitarie, che vivono isolate, e salpe aggregate, che formano catene più o meno lunghe di individui l'uno all'altro uniti, almeno per un certo tempo. I singoli individui della fase aggregata differiscono da quelli della fase solitaria per caratteri cospicui e costanti. Dalle salpe della fase aggregata nascono sempre delle salpe solitarie, e da queste si formano le salpe aggregate per una sorta di processo di gemmazione di un organo particolare, lo stolone proligero. CHAMISSO propose per questo fenomeno il nome di alternatio generationum. Alcuni anni dopo l.o zoologo danese ]APETUS STEENSTRUP (r8r3-r897) descrisse molti altri casi di alternanza di generazioni (metagenesi) nelle meduse, nei vermi pa­ rassiti, e si destò allora l'attenzione su questo fenomeno, per cui i figli non rassomi­ gliano ai genitori, bensì ai nonni. Si dimostrò poi che, delle forme che si alternano, una nasce per generazione sessuale in seguito a fecondazione, una o più altre invece per generazione vegetativa, o asessuale. Nel caso delle salpe : le salpe aggregate sono individui sessuati, che per fecondazione danno origine alle salpe solitarie, asessuate, le quali danno origine per via vegetativa, alla fase aggregata. Le meduse sono sessuate: dalla fecondazione nasce una larva che si trasforma in un polipo il quale, per un processo vegetativo, cioè ases­ suato, dà origine a una numerosa colonia di polipi, alcuni dei quali - sempre per via asessuata - generano poi le meduse. Negli animali l'alternanza di generazioni è un fenomeno limitato ad alcuni gruppi; ma nelle piante è generale. Dopo alcune osservazioni preliminari di C. N AGELI che osservò (r844-46) sui protaHi delle felci certi oggetti microscopici a forma di spirale, che egli non potè interpretare per quello che oggi sappiamo essere, cioè

    Sbarco di O. von Kotzebue dalla nave autour du monde di L. Choris ( r822) .

    nell'isola di Pasqua ( r 8r6). Disegno del Voyage

    i gameti maschili o spermatozoi, vengono le ricerche fondamentali di WILHELM HoFMEISTER. L? Era questi un dilettante. Nato a Lipsia nel 1827 morto nel 1874, fu dapprima com­ merciante di strumenti musicali, che si dedicava nelle ore libere alla botanica. I suoi studi si rivelarono di tale importanza che fu chiamato alla cattedra di botanica prima a Heidelberg poi a Tubinga. Soprattutto notevoli sono le sue ricerche sulla feconda­ zione delle piante con fiori (1849), essendo allora poco note le fondamentali osserva­ zioni di G. B. AMICI (pag. 370) , e soprattutto i suoi studi sui processi di riproduzione delle crittogame. Nelle felci, nei muschi, nelle epatiche HoFMEISTER dimostrò che vi è una costante alternanza fra una generazione asessuata, che si propaga per spore, e una generazione sessuata, rappresentata nelle felci da quella tenera fogliolina d'un bel verde intenso che è il >. Osservò gli spermatozoi e li interpretò correttamente, e descrisse per la prima volta le uova, contenute in ricettacoli, chiamati archegoni. Dimostrò che l'uovo, sotto l'influenza di uno spermatozoo (HoFMEISTER credeva ancora nell'aura seminalis, v. pag. 289) si sviluppa dando origine a quella pianta che noi conosciamo sotto il nome di felce. ·

    479

    Studiando lo sviluppo dell'ovulo nelle Fanerogame (piante con fiori) HoFMEISTER pensò che le sue prime divisioni cellulari dessero origine a una struttura paragonabile al protallo delle felci. Idea molto felice, che venne poi ripresa da altri botanici, e parti­ colarmente dallo STRASBURGER. Si riconobbe infine che l'alternanza di generazioni è un fenomeno generale nelle piante, ed è connesso con l'alternanza di fase cromosomica : aploidia-diploidia (vedi pag. 485). Con ciò venivano anche chiariti i fenomeni, per lungo tempo oscuri, della sessualità nelle piante. b) La partenogenesi. Che alcuni individui potessero riprodursi senza fecondazione era stato notato da alcuni studiosi fin dal ' 700. Ma, in assenza di precise nozioni sulla riproduzione ases­ suale e sessuale, sulla natura dell'ermafroditismo, ecc., non si poteva avere una chiara definizione del fenomeno della partenogenesi. Il BoNNET (pag. 288) aveva isolato individui di afidi (gorgoglioni o pidocchi delle rose) tenendoli rigorosamente separati da altri, fin dalla nascita, su foglie tenute sotto campane di vetro, e aveva osservato come, raggiunta una certa età, questi individui si rivelano tutti di sesso femminile e mettono al mondo senza il concorso di maschi, numerosi piccoli gorgoglioni, che, cresciuti si comporteranno in egual modo. Il nome di cc partenogenesi », o generazione virginale fu introdotto da R. OwEN ( 1849), ma il fenomeno fu definitito da TH. voN SIEBOLD nel 1856 e poi da V. CARUS nel r864. Si tratta, com'è ben noto, dello sviluppo di uova non fecondate. Molti animali hanno questa possibilità, la quale si presenta in vari modi e in diverse circostanze. Gli afidi e altri insetti affini presentano una regolare alternanza di generazioni partenogenetiche con una in cui avviene la fecondazione (generazione anfigonica) . Tipico esempio la Fillossera della vite, americana, che durante la buona stagione si riproduce intensamente per via partenogenetica, generando sempre soltanto femmine. Al sopravvenire del­ l'autunno compaiono alcune femmine particolari, le >, che mettono al mondo individui maschi e femmine. Questi si accoppiano, e ogni femmina depone un sol uovo fecondato: il cosiddetto uovo durevole o uovo d'inverno, che supera i rigori invernali e dal quale, alla primavera successiva, nasce una femmina partenogenetica, la fondatrice, che dà inizio a un nuovo ciclo. Questa alternanza fra generazioni partenogenetiche e generazioni anfigoniche, che si trova in molti altri insetti, crostacei ccc. è chiamata cc eterogonia » per distinguerla dalla vera alternanza di generazioni, o metagenesi, di cui abbiamo detto prima. In alcuni casi, piuttosto rari in verità, gli animali si riproducono sempre per parteno­ genesi, senza che si intercalino generazioni sessuate. In talune specie la partenogenesi ha una distribuzione geografica ben definita: cioè vi sono, nella stessa specie, razze bisessuate e razze partenogenetiche, le quali si trovano per lo più verso i limiti esterni dell'area di diffusione della specie. Un caso particolare è quello dell'ape e di altri insetti imenotteri, in cui è stata confermata la teoria dell'apicultore tedesco, l'abate J O HAN N DziERZON (r8rr-rgo6) secondo la quale i maschi, o fuchi, provengono da uova non fecondate, che si sono sviluppate partenogeneticamente, le femmine invece (sia le operaie, sterili, sia la

    regina, feconda) nascono da uova fecondate. In questo caso - e in altri analoghi che si riscontrano in diversi insetti e in altri invertebrati - la partenogenesi diventa un mezzo per la determinazione del sesso. In generale si può dire che la partenogenesi, forma di riproduzione sessuale ab­ breviata in cui è soppressa la fecondazione, è un mezzo con cui alcune specie animali possono profittare di condizioni ambientali favorevoli, riproducendosi rapidamente; altre possono sopravvivere quando particolari condizioni cromosomiche (per esempio la poliploidia) renderebbero difficile, o impossibile, il regolare svolgimento della ripro­ duzione anfigonica. Se in natura, in alcune specie, è possibile lo sviluppo di uova non fecondate, si può supporre che lo sperimentatore riesca, con stimoli adeguati, a indurre lo sviluppo di uova che normalmente richiedono, per svilupparsi, d'essere fecondate. Già il russo TICHOMIROFF (1866) aveva osservato che con alcuni stimoli si riesce a indurre l'uovo di baco da seta a cominciare lo sviluppo embrionale. Ma la scoperta sensazionale, che attirò l'attenzione di tutti i biologi, fu fatta da jACQUES LoEB nel 1899. LoEB, nato a Mayen in Renania nel 1 859, si trasferì negli Stati Uniti, dove divenne professore all' Università di Chicago, poi in quella di Berkeley in California, e infine al Rockefeller Institute di New York. Morì a Hamilton, Bermude, nel 1924. Trattando le uova di riccio di mare con soluzioni di acidi grassi (p. e. acido butirrico) e succes­ sivamente con acqua di mare ipertonica (cioè molto concentrata) riuscì a indurre la segmentazione e le successive fasi dello sviluppo, fino a ottenere, da un gran numero di uova trattate, alcune larve normali. L'esperimento di LOEB, pomposamente bat­ tezzato come sollevò grande scalpore e, dall'autore e da altri, fu interpretato come una riprova delle teorie meccanicistiche. Anche la fecondazione, atto vitale per eccellenza, fondamento della riproduzione, che è il fenomeno più tipico della vita, può essere sostituito, si disse, da una reazione chimica. D'allora in poi le ricerche sulla partenogenesi si moltiplicarono. Nel 1909 jEAN­ EuGÈNE BATAILLON, professore a Montpellier (1869-1953) ottenne la partenogenesi sperimentale dell'uovo di vertebrati (rana) con la puntura per mezzo di un sottilissimo ago di vetro o di platino. Molte delle uova così trattate cominciano a svilupparsi ma poi muoiono : alcune danno origine a larve (girini) . Pochissime (all'incirca una su diecimila) si sviluppano fino a superare la metamorfosi, dando origine a individui privi di padre, che raggiungono l'età adulta. Recentemente (1939) G. PINCUS sostenne di avere ottenuto da coniglie sicuramente vergini lo sviluppo di uova, sottoponendole ad uno choc di bassa temperatura. Queste avrebbero dato origine a coniglietti (tutti di sesso femminile) i quali avrebbero raggiunto il completo sviluppo e sarebbero stati partoriti sani e vitali. Tale risultato però non è stato finora confermato. Non v'ha dubbio invece che lo sviluppo di uova partenogenetiche avvenga regolar­ mente in alcuni ceppi di tacchini, allevati negli Stati Un i ti d'America, in cui le fem­ mine hanno una tendenza alla partenogenesi, che si trasmette ereditariamente. Alcuni anni or sono fece grande rumore la notizia, di cui si impadronirono i giornali quotidiani, che la partenogenesi era possibile anche nella donna, e che quindi una certa percentuale (molto bassa) di nascite è dovuta a sviluppo partenogenetico. 31.

    -

    Storia delle Scienze,

    Il[l.

    In realtà, la possibilità teorica sussiste : ma finora nessun caso bene accertato di sviluppo completo, con feto a termine, è stato descritto nella specie umana. Questi fenomeni e le numerosissime ricerche di cui hanno fatto oggetto, sono molto importanti. Sebbene la partenogenesi sperimentale non sia interpretabile in termini meccanicistici in modo così semplice come si era pensato dapprincipio, essa costituisce un prezioso mezzo d'indagine del fenomeno della fecondazione e dei primi momenti dello sviluppo. Molti dei fatti fisici e chimici che caratterizzano la fecondazione si sono potuti accuratamente studiare per mezzo della partenogenesi sperimentale. La quale ha dimostrato che praticamente tutti i fenomeni che avvengono nell'uovo fecondato sono riproducibili sperimentalmente senza l'intervento dello spermatozoo, tranne uno: l'apporto del patrimonio ereditario proveniente dal maschio. c) La fecondazione e la meiosi. La funzione del maschio nell'atto riproduttivo era stata oggetto di molte interpre­ tazioni, ad alcune delle quali abbiamo accennato. L'esatta comprensione del fenomeno non si poteva stabilire se non su base cellulare. Molto si era parlato, in antico, di un'aura spermatica, che si diffonderebbe dallo sperma e, trasmettendosi all'uovo, darebbe lo stimolo al suo sviluppo. Abbiamo visto (p. 289) , come, con sperimentazione precisa, lo SPALLANZANI abbia dimostrato la incon­ sistenza di questa opinione, la quale tuttavia persistette nella mente di alcuni biologi, anche nell'8oo. Tuttavia lo stesso SPALLANZANI, che aveva dimostrato la necessità del contatto materiale dello sperma con l'uovo perché questo si sviluppi, non aveva ricono­ sciuto negli spermatozoi (o animaletti o vermicelli spermatici, come erano chiamati) l'elemento essenziale della fecondazione (v. p. 296) . Furono due chimici francesi, J.-L. PREVOST e ].B.-A. DuMAS (1824) che, filtrando lo sperma e osservando che il filtrato ha perduto la capacità di fecondare, dimostrarono indirettamente l'importanza degli spermatozoi. Nel 1841 il KoLLIKER studiò la formazione degli spermatozoi, riconoscendo che derivano da cellule e hanno struttura cellulare, come le uova : sono dunque elementi costitutivi dello sperma, e non parassiti o animaletti indipendenti, come si era pensato. Nel r85o uno studioso inglese, un dilettante, come tanti altri scienziati inglesi, GEORGE NEWPORT (r8o3-1854) osservò il punto d'entrata dello spermio nell'uovo degli Anfibi (salamandra acquaiola), riconoscibile da una macchiolina chiara che si forma nello strato corticale dell'uovo rivestito da un pigmento scuro. Era ormai generalmente ammesso che gli spermatozoi sono l'elemento fecondatore ed entrano nell'uovo, ma la penetrazione vera e propria non era stata osservata, nè si sapeva che cosa accadesse dentro all'uovo dopo l'entrata dello spermio. Un biologo tedesco, OsKAR HERTWIG (Friedberg, Assia, 1849 - Berlino 1922) professore all'Uni­ versità di Berlino, autore di molte importanti ricerche nel campo dell'embriologia e della biologia sperimentale, fece nel 1875 un'osservazione di capitale importanza. Osservò nell'uovo di riccio di mare che, come conseguenza della fecondazione, il nucleo dell'uovo e il nucleo dello spermio si uniscono, si fondono, per dar luogo ad un unico nucleo (il nucleo dello zigote, o uovo fecondato) dal quale, per successive cariocinesi,

    proverranno tutti i nuclei delle cellule di cui sarà costituito il nuovo organismo che prende origine da quell'uovo. A questo fenomeno, ch'è il fatto fondamentale della fecondazione, fu dato il nome di cariogamia, o unione dei nuclei. Pochi anni dopo, nel 1879 il biologo svizzero HER­ 'MANN FoL (nato presso Parigi nel 1845 e scomparso col suo panfilo, probabilmente sulla costa della Mauritania, durante una crociera scientifica nel 1892) potè osservare al microscopio la penetrazione dello spermatozoo entro l'uovo di riccio di mare. Nelle piante, dopo le osservazioni di G. B. AMICI che abbiamo ricordato (p. 371), N. PRINGSHEIM biologo dilettante tedesco (1823-1894) aveva osservato fin dal 1855 la fe­ condazione nell'alga d'acqua dolce Vaucheria. Soltanto molto più tardi, verso la fine del secolo, gli intimi fenomeni della fecondazione delle Fanerogame furono scoperti e illustrati nel 1899 dal francese L. GuiGNARD ( 1852-1928) e dal russo S. G. NAVASCHIN (r857-1930) . La scoperta del fenomeno base della fecondazione: la fusione dei due nuclei rispet­ tivamente di origine paterna e di origine materna, è una delle più importanti della biologia, e ha consentito di comprendere i fenomeni della sessualità, dell'eredità e dello sviluppo. Come già abbiamo osservato (p. 457) se il numero dei cromosomi è costante, e se la fecondazione consiste nella fusione di due nuclei, poichè ciò comporta inevitabilmente il raddoppiamento del numero cromosomico, deve intervenire in qualche momento del ciclo vitale un meccanismo riduttivo. La supposizione teorica di A. vVEISMANN fu dimostrata da E. V. BENEDEN (1883) che scoperse la meiosi, cioè il fatto che i gameti durante la loro formazione riducono la quantità di cromatina: più propriamente riducono a metà il numero dei cromosomi. La fecondazione poi ripristina il numero dei cromosomi normale della specie. THEODOR BOVERI nel 1892, sviluppò l'idea già suggerita da 0. HERTWIG, della fondamentale omologia dei processi della maturazione dell'uovo (ovogenesi) e dello spermio (spermatogenesi) . La riduzione del numero dei cromosomi veniva poi con­ fermata anche nella gametogenesi delle piante (STRASBURGER, 1894) e così il ciclo dei cromosomi nella gametogenesi e nella fecondazione veniva compiutamente illustrato. Il decorso della meiosi, cioè del processo cariocinetico durante il quale avviene la riduzione del numero dei cromosomi può schematicamen�e riassumersi come segue. I cromosomi, in numero 2n, invece di disporsi singolarmente sul fuso della mitosi, come avviene nelle divisioni normali, si appaiano formando n coppie, o bivalenti. L'appaiamento non avviene a caso : si avvicinano i cromosomi omologhi, cioè ogni coppia è costituita da un elemento che proviene dal padre e da uno che proviene dalla madre dell'individuo. Sull'equatore del fuso della prima divisione meiotica si pongono poi n bivalenti, i cui elementi si separano, andando ai poli opposti del fuso : così si formano due nuclei figli che hanno ciascuno la metà (n) del numero normale (2n) di cromosomi. Successivamente ciascuno dei due nuclei con n cromosomi subisce una divisione in cui n cromosomi si dividono regolamente. Risultano quindi dalla seconda divisione meiotica quattro nuclei, ciascuno dotato di n cromosomi. -I l numero 2n si dice diploide, il numero n aploide. Così per esempio, nell'uomo ogni cellula ha 46 cro­ mosomi (2n, numero diploide) ; gli spermatozoi e le uova, che hanno subito le due divisioni meiotiche, ne hanno 23 (n, numero aploide) . Con la fecondazione, ovvia­ mente, si ripristina il numero diploide.

    Microfotografia di un uovo umano, che ha espulso jil primo globulo polare.

    Fot. Alias

    Si vide poi che non sempre la meiosi avviene durante la gametogenesi, cioè durante la formazione delle cellule germinali o gameti (spermatozoi e uova) . Negli animali è sempre così , e perciò si dice che la meiosi è gametica o terminale ; ma in altri organismi si inserisce in altri stadi del ciclo vitale. Per esempio nelle piante è intermedia o sporica, cioè a vviene prima della formazione delle spore. Quindi il prot allo delle Felci è tutto costituito da cellule aploidi (aplofìto) dalle quali ad un dato momento si formano i gameti, aploidi anch'essi. Questi, fecondandosi, danno origine alla fase diploide o diplofìto, che è la pianta di felce generalmente conosciuta. Analogamente nei muschi, dove la fase diploide è meno sviluppata. Nelle Fanerogame la pianta a noi nota è il diplofito ; l'aplofito si forma, sia nella serie maschile (granuli di polline) sia nella serie femminile (ovulo) ma è costituito da poche generazioni cellulari, che non hanno vita indipendente come il protallo delle felci, ma sono parassite del diplofito. In alcune alghe unicellulari la meiosi è addirittura zigotica o iniziale, cioè l'uovo fecondato o zigote, entra subito in meiosi, e si ha la successione di numerose generazioni

    aploidi. La condizione diploide, in contrapposto a quanto avviene negli animali, è di brevissima durata ; la maggior parte del ciclo è aploide . Gli intimi fenomeni della meiosi sono stati e sono tuttora oggetto di studio accurato. Questo fenomeno, che è una conseguenza necessaria della riproduzione sessuale (fecon­ dazione) si è rivelato anche più importante di quanto non si sospettasse. Infatti durante l'appaiamento i cromosomi omologhi si scambiano dei segmenti (crossing­ over o scambio) e questo fatto non soltanto ha consentito l'analisi della struttura dei cromosomi, a cui accenneremo nel capitolo sulla genetica, ma è un fenomeno genetico di prima importanza, in quanto controlla in certa misura la variabilità degli organismi. La fecondazione, intesa come unione di due cellule specializzate, i gameti, è dunque uno dei principali argomenti di studio della biologia moderna. Anche i suoi aspetti fisiologici e biochimici, cioè le cause che determinano l'attrazione reciproca fra i gameti della stessa specie, e i fenomeni chimici che avvengono nell'uovo fecondato, che comincia a svilupparsi, sono oggetto d'intensa analisi sperimentale. La meiosi, con i suoi vari aspetti e con le sue conseguenze genetiche è anch'essa, a tutt'oggi, uno dei fenomeni citologici su cui si centra l'interesse dei biologi. d) Determinazione del sesso. Caratteri sessuali secondari. Perchè si nasca maschi o femmine è stato sempre un grande problema che ha in­ teressato gli scienziati e il pubblico. E le risposte che si sono date, nel corso dei tempi, sono molte, diverse, per lo più completamente avventate. Soltanto con la conoscenza dei fenomeni cellulari, della mitosi e della meiosi e della distribuzione dei cromosomi, s'è potuto venire a capo di questo mistero. Nel 1891 H. HENKING descrisse in alcuni insetti una massa di cromatina che si comporta in modo singolare ch'egli non seppe esattamente interpretare, e perciò indicò col simbolo della incognita: X. In seguito, soprattutto per opera di E. B. WILSON, di Mc CLUNG e di altri citologi si riconobbe che in alcuni animali v'è una coppia di cromo­ somi che si distribuisce in modo diverso secondo i sessi : furono perciò chiamati cromo­ somi sessuali o eterocromosomi. Per esempio, nella specie umana, nella femmina, oltre a 22 coppie di cromosomi identiche a quelle del maschio (autosomi) v'è una coppia costituita da due elementi eguali, che si indicano con i simboli XX. Nel maschio invece la coppia è costituita da un cromosoma X identico a quelli delle femmine, e da un altro, di­ verso, che si indica con Y, quindi la coppia è X Y. Quando avviene la meiosi, nella femmi­ na i due cromosomi X vanno ai poli opposti del fuso e quindi ogni uovo riceve un cromoso­ ma X. Nel maschio invece ad un polo va X, all'altro Y, e perciò si formano due categorie di spermatozoi, egualmente numerose : gli uni sono provvisti del cromosoma X, gli altri di Y. Quando avviene la fecondazione, possono darsi due casi : l'uovo, sempre provvisto di X, può venire fecondato da uno spermio fornito di X oppure da uno spermio fornito di Y. N el primo caso si ripristina il corredo cromosomico XX carat­ teristico delle femmine: nasce una femmina ; nel secondo caso nasce un maschio, XY. Quindi il sesso è determinato all'atto della fecondazione dalla combinazione cromo­ somica risultante dalla fecondazione stessa. Poichè le probabilità dell'una e dell'altra combinazione sono del 50°/0 , nascono maschi e femmine in proporzione r : 1 .

    In molte specie i cromosomi sessuali non sono riconoscibili al microscopio. Però si hanno prove che anche in questi casi il sesso è determinato dalla combinazione genetica che risulta dalla fecondazione. In altri termini, si nasce maschi o femmine sostanzial­ mente per le stesse ragioni per cui si nasce col naso aquilino o rincagnato, con i capelli bruni o biondi, di statura alta o bassa. I l sesso è un fenomeno genetico, ereditario. Si possono avere deviazioni nella determinazione del sesso, oppure durante i l suo sviluppo, e da ciò hanno origine quei fenomeni che sono noti ai biologi sotto i l nome di intersessualità, e di cui i profani hanno nozione quando i giornali riferiscono i casi di cosiddetto cambiamento di sesso. I fenomeni di intersessualità possono avere origine genetica, esser determinati cioè da squilibrio fra i geni mascolinizzanti e quelli femminilizzanti di uno stesso organismo ; oppure essere determinati da cause esterne, o da squilibri ormonali . Ma, sostanzialmente, rimane i l fatto che la determi­ nazione del sesso è un fenomeno genetico. Il quale, come tutti i fenomeni genetici, è suscettibile di essere influenzato da fattori esterni, ambientali. Il capitolo > è stato ed è tuttora uno dei più studiati dai biologi, uno di quelli in cui sono stati conseguiti i risultati più brillanti. Basti dire che in alcuni animali (per esempio nelle rane, nei polli) si è riusciti ad ottenere la completa inversione del sesso genetico, cioè a trasformare individui geneticamente maschi in femmine, e vice­ versa. Sempre nel capitolo della sessualità si è indagato molto profondamente sulle cause che determinano lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari : per esempio la cresta, i bargigli, gli sproni del gallo, così diversamente sviluppati rispetto a quelli della gallina, le mammelle, la voce acuta nella donna, la barba, la voce grave nell'uomo. Gli esperi­ menti hanno dimostrato che la massima parte di questi caratteri hanno un determi­ nismo secondario, fisiologico, anzichè genetico e primario. Dipendono cioè da parti­ colari sostanze chimiche, gli ormoni sessuali, elaborati dalle ghiandole sessuali o gonadi, e versati nel circolo sanguigno. Gli ormoni stimolano, o inibiscono lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari, e determinano così quelle differenze somatiche fra maschio e femmina che in alcune specie sono molto evidenti. Immensa è la mole delle ricerche sperimentali che sono state eseguite sugli argo­ menti concernenti la sessualità, e sarebbe fuori luogo tentare di riassumere qui i prin­ cipali risultati. Il nocciolo di tutta la questione è l'avere riconosciuto l'importanza della riproduzione sessuale, che, come aveva chiaramente visto i l WEISMANN, consiste nella anfimissi, cioè nella miscela di due patrimoni ereditari diversi, ed è perciò sor­ gente di variabilità.

    4• I problemi dell'eredità e dell'evoluzione.

    a) La riscoperta della legge di Mendel. La Genetica. L'evoluzione, come abbiamo visto, pose ai biologi la necessità dell'indagine speri­ mentale dei problemi della variabilità e dell'ereditarietà. Alla fine del secolo XIX la situazione era ancora piuttosto confusa : GALTON con le sue sono localizzati nel cromosoma X. Anche negli altri cromosomi (autosomi) sono localizzati dei geni. Il MoRGAN e i suoi collaboratori, nel giro di pochi anni, eseguirono un'analisi accurata dei fenomeni genetici al livello cromosomico. Il Morgan riassunse i risultati di questo studio nel famoso libro The theory of the gene (Teoria del gene, 1926) . Si riconobbe che i geni sono situati in un ordine lineare costante lungo il filamento cromosomico ; essi sono quindi presenti in doppia serie nelle cellule diploidi. Durante l'appaiamento che avviene nella profase meiotica, può verificarsi fra i cromosomi omologhi uno scambio di segmenti così che geni, i quali prima si trovavano associati perchè situati sullo stesso cromosoma, si dissociano e vengono invece ad associarsi con altri alleli situati sul cromosoma omologo. Questo meccanismo dello scambio genetico (crossing over degli autori americani) ha una grande importanza come mec­ canismo di regolazione della variabilità. È un fenomeno generale, che si trova in tutti gli organismi aventi riproduzione sessuale. Le scoperte del MoRGAN furono premiate nel 1933, con l'assegnazione del premio Nobel per la Medicina.

    Thomas Hunt Morgan.

    Fot. Nobclsti/lclsen

    c) Lo studio delle mutazioni. Il premio Nobel fu poi conferito nel 1946, anche ad uno dei collaboratori del Morgan, H . ]. MuLLER, che nel 1927 pubblicò una scoperta molto importante: sottoponendo drosofile all'azione dei raggi X egli ottenne di moltiplicare per un fattore assai elevato le frequenze delle mutazioni spontanee. Si era infatti riconosciuto che il concetto e il termine di mutazione, introdotto dal DE VRIES potevano applicarsi al passaggio di un gene da uno stato allelico all'altro. Per esempio il gene studiato dal Mendel, che nel pisello determina il colore verde dei tegumenti del seme e che indichiamo con a, può cambiare di stato e passare alla condizione allelica A , che determina invece il colore giallo. Il gene W che in drosofila determina il colore rosso dell'occhio, può trasformarsi nello allelo w, che determina il color bianco. E così ancora, in mille altri esempi. Normalmente questi salti mutativi si producono spontaneamente, cioè per cause che ci sono ignote, con frequenza estremamente bassa (dell'ordine di un gene mutato su cinquantamila o centomila). Con i raggi X o con altre radiazioni ioniz­ zanti si ottengono mutazioni (le stesse che si producono normalmente) con frequenza molto elevata (fino a 150 volte quella normale). La scoperta di MuLLER aprì un nuovo importantissimo capitolo della genetica : lo studio del processo di mutazione, a cui si dedicarono parecchi ricercatori (biologi 490

    Herman Joseph Muller.

    Fot. Nobelstijtelsm

    e fisici) nel decennio 1930-1940. Questi studi consentirono di spingere ancora oltre l'indagine, investigando la dimensione e la struttura del gene. In base a questi studi, il gene fu rappresentato come un edificio atomico dell'ordine di grandezza delle macromolecole proteiche. Questo edificio ha una struttura molto costante, tuttavia la posizione di alcuni dei suoi atomi può cambiare, o spontanea­ mente, o per azione dei raggi ionizzanti, e allora il gene si trasforma in un altro a1lelo, e determina caratteri un po' diversi nell'organismo che lo porta. Il processo di muta­ zione consisterebbe dunque, in ultima analisi, in una variazione nella struttura chimica del gene. Nel 1934 Th. S. PAINTER dell'Università di Austin, Texas, individuò nei nuclei delle ghiandole salivari delle larve di Drosophila dei cromosomi di dimensioni relati­ vamente gigantesche (benchè sempre visibili soltanto al microscopio a forte ingrandi­ mento) . La struttura di questi corpi potè così venire studiata molto più profondamente, e si riuscì a identificare su di essi la posizione dei geni secondo lo schema elaborato in base allo studio degli scambi o crossing aver. Nei primi quattro decenni di questo secolo, la costituzione del cosiddetto > venne quindi analizzata in modo molto accurato sia dal punto di vista fisico, sia, in seguito, da quello chimico. Si riconobbe - come abbiamo visto 491

    non soltanto che le unità ereditarie, o geni, sono effettivamente situate nel nucleo delle cellule - com'era stato supposto da E. HAECKEL fin dal 1866 - ma si raggiunse la dimostrazione della loro localizzazione nei cromosomi, che era stata supposta dal Weismann e da altri autori. L'indagine dimostrò inoltre .che i processi della mitosi e della meiosi sono alla base dei fenomeni ereditari, e che vi è una perfetta congruenza fra i due ordini di fatti. Si vide ancora che, fermi restando, in linea di massima, i principi della costanza di struttura dei geni, dei singoli cromosomi e l'invariabilità del loro numero , si possono produrre, con frequenza assai bassa, ma tuttavia apprez­ zabile, delle variazioni, chiamate mutazioni, in ciascuno dei tre livelli di struttura : mutazioni geniche, alle quali abbiamo accennato, mutazioni cromosomiche e mutazioni del cariotipo. Le mutazioni cromosomiche consistono in variazioni della struttura dei singoli cromosomi, in conseguenza delle quali viene alterato l'ordine in cui sono disposti i geni : inversione di un segmento che ruota di 180° rispetto alla posizione pri­ mitiva; delezione, cioè scomparsa di un segmento di cromosoma ; duplicazione, cioè raddoppiamento di un segmento; traslocazione di un pezzo di un cromosoma ad un altro, sono altrettanti esempi di questa categoria di mutazioni, che, al pari delle mu­ tazioni geniche, possono essere indotte dalle radiazioni ionizzanti. Le mutazioni del cariotipo invece consistono in variazioni del numero dei cromo­ somi (poliploidia) e, oltre a prodursi spontaneamente, si possono produrre sperimen­ talmente con particolari sostanze (per es. ]a colchicina) che inibiscono la formazione dal fuso della mitosi, senza impedire la riproduzione dei cromosomi. Tutte queste mutazioni, che sono la fonte prima della variabilità, hanno conseguenze precise e molto importanti per l'organismo, e sole possono sussistere e perpetuarsi quelle che conferiscono un vantaggio all'individuo che le porta, o almeno non gli sono di nocu­ mento. È questo il fenomeno cui si suoi dare il nome di selezione naturale. d) La natura chimica dei geni. Per altra via l'indagine sulla natura del patrimonio ereditario s1 è rivolta alla conoscenza della sua composizione chimica. Si sono identificate due sostanze, chiamate rispettivamente acido desossi-ribo­ sonucleico (DNA) e acido ribosonucleico (RNA) che si trovano in tutte le cellule e appaiono sempre connessi con i processi di riproduzione e di sintesi delle proteine. Questi acidi si colorano intensamente con i coloranti basici usati nella tecnica micro­ scopica (ematossilina, safranina, fucsina basica, ecc.) . Il DNA si trova esclusivamente nei cromosomi, mentre l'RNA si trova sia nel nucleo (cromosomi, nucleoli) sia nel citoplasma. Il DNA corrisponde grosso modo alla > dell'istologia classica. Si hanno oggi buone ragioni di ritenere che le molecole di DNA, legate alle proteine che costituiscono l'asse del cromosoma, costituiscano la parte essenziale dei geni: cioè che in esse risieda l'informazione necessaria a che un determinato processo chimico si svolga in un dato modo, dando origine a quei prodotti che controllano gli effetti fenotipici che noi vediamo e che consideriamo appunto come il risultato dell'azione del gene. Secondo una teoria che ha buoni fondamenti, l'RNA servirebbe da interme­ diario, nella costruzione delle molecole proteiche, fra il DNA e il prodotto finale. Con 492

    una terminologia oggi di moda, si può dire che il DNA contiene l'informazione (rap­ presentata da una determinata sequenza delle molecole delle basi puriniche e pirimi­ diniche che entrano nella sua costituzione) ; l'RN A trasferisce questa informazione dal nucleo al citoplasma, dov'essa diventa attiva presiedendo alla formazione di molecole proteiche aventi certe determinate caratteristiche, piuttosto che altre. Buona parte della ricerca genetica moderna è volta all'indagine della struttura molecolare della base fisica dell'eredità, e dei processi di riproduzione e di ricombina­ zione genica al livello molecolare. I risultati raggiunti finora sono molto notevoli, e molti di essi gettano luce anche su altri campi della biologia, quali l'embriologia e la biochimica. e) Genetica ed evoluzione. Un altro indirizzo di ricerca, che si è molto sviluppato negli anni recenti è quello evoluzionistico. Come abbiamo detto a suo luogo, i problemi posti dall'evoluzionismo sono stati in gran parte i responsabili dell'origine della genetica. Ma in un primo tempo sembrò che questa nuova disciplina non fosse in grado di dar risposta ai quesiti evo­ luzionistici. Nei primi tre decenni di questo secolo i genetisti, intenti a mettere in luce i fenomeni basali dell'eredità (mendelismo, ricombinazione genica, localizzazione dei geni) non avevano gli elementi sufficienti per poter collegare i due fenomeni : evoluzione ed eredità. E, consci dell'inanità delle congetture che non siano basate su dati di fatto, preferivano non avventurarsi in quelle speculazioni in cui s'erano compiaciuti, ed esauriti, molti biologi della generazione precedente. La situazione si mutò radicalmente verso il 1930. Già fin dal 1908, a dir vero, due studiosi, l'inglese G. H. HARDY (1877-1947) e il tedesco W. WEINBERG (r862-1937) indipendentemente, avevano fatto osservare, in base a semplici considerazioni alge­ briche, che se due alleli A e a hanno inizialmente le frequenze complementari p e q in una popolazione, tali frequenze, quali che siano i loro valori, non cambiano nelle successive generazioni se sussistono certe condizioni . Se, per esempio, in una popola­ zione umana, il gene dell'albinismo ha la frequenza dell'r 0/0 e il suo allelo che determina la colorazione normale quella del 99o/0 , tali frequenze iniziali non variano nel corso delle generazioni purchè sussistano quelle tali condizioni, e cioè : che la popolazione sia illimitatamente grande, che non vi siano incroci con un'altra popolazione in cui le frequenze dei due geni siano diverse, che non avvengano mutazioni in un senso (per es. A�a) con frequenza maggiore di quella del senso opposto (a-+ A ) , che nessuno dei due alleli conferisca all'individuo che lo porta un vantaggio rispetto a quelli che ne sono privi. Il meccanismo mendeliano assicura dunque la costanza delle frequenze geniche; ma evidentemente gli opposti delle condizioni enumerate rappresentano altrettanti fattori di variazione delle frequenze geniche: l'ultimo corrisponde alla selezione naturale. Intorno al 1930 vari autori e in particolare il russo S. S. CEWERIKOFF (nel 1926) , gli inglesi R. A. FISHER (n. r89o) e J . B. S. HALDANE (n. 1892) e l'americano S. WRIGHT (n. r889) ripresero in esame il problema evoluzionistico sulla base della legge di HARDY493

    WEINBEHG considerando le cause che possono far variare le frequenze geniche iniziali, e i modi e l'intensità con cui esse esplicano i loro effetti. Evidentemente la variazione delle frequenze relative di due alleli può considerarsi come uno dei processi elementari dell'evoluzione. Furono elaborati vari schemi matematici di evoluzione, e furono così forniti agli sperimentatori dei modelli, la cui validità poteva essere sott9posta al cimento sperimentale. Da questi lavori fondamentali prese le mosse un vivace movimento di studi, e l'antico problema della evoluzione della specie venne riproposto in termini genetici e indagato sperimentalmente. Il libro di TH. DoBZHANSKY Genetics and the Origin of species (New York, 1937 e successive edizioni del 1941 e del 1 951) dà una eccellente sintesi dei principali risultati finora ottenuti. Questo risveglio di studi evoluzionistici, che ha riconosciuto sperimentalmente la validità di molti dei concetti formulati dal Darwin, e specialmente di quello della selezione naturale, è una delle caratteristiche più notevoli della biologia contemporanea. La quale non ha dimesso la teoria evoluzionistica, come spesso accade di sentir dire, ma anzi l'ha valorizzata, traendola dal piano speculativo e congetturale sul più solido terreno della sperimentazione. 5· Z oologia e b otanica sistematica. Paleontol ogia.

    Come abbiamo detto, l'evoluzionismo ha dato un nuovo significato al concetto di >, di cui tanto s'era parlato fin dai tempi di Linneo. I l sistema naturale, secondo la concezione evoluzionistica, deve esprimere le affinità reali esi­ stenti fra i vari gruppi, le quali sono, per così dire, lo specchio della filogenesi dei gruppi stessi. La ricerca delle affinità sistematiche deve quindi essere condotta non soltanto sulla base di caratteri morfologici esterni, ma può valersi del sussidio della indagine anatomica, embriologica, fisiologica, nonchè della conoscenza della distri­ buzione geografica. Il tentativo di costruire una classificazione naturale su base filogenetica è una delle fatiche più impegnative della biologia postdarwiniana, sia nel campo animale sia in quello vegetale. Non fa meraviglia, tuttavia, che la classificazione non abbia subìto, in nessuno dei due regni, una sostanziale riforma in conseguenza dell'atteggiamento evoluzionistico: la maggior parte dei grandi gruppi o phyla che erano stati stabiliti precedentemente, specialmente nel regno animale, si dimostrarono perfettamente validi, e ciò prova che essi sono veramente dei gruppi naturali, in quanto i l loro ambito e i loro confini sono riconoscibili indipendentemente da qualsiasi presupposto teorico. Molti però furono i perfezionamenti che s'introdussero nel sistema e specialmente in quello dei vegetali in seguito al fervore di studi risvegliato dall'evoluzionismo. Il lavoro di precisazione e completamento della classificazione, del resto, è !ungi dal­ l'essere terminato, e continua a tutt'oggi. a) Botanica. Il primo importante schema di classificazione dei vegetali dopo quello linneano fu proposto da A. P. DE CANDOLLE (cfr. pag. 347) fin dal 1 8 1 3 , che trovò la sua più completa espressione nella grande opera Prodromus systematis natztralis regni vegetabilis 494

    (Parigi 1824-1873) che fu condotta a termine dal figlio ALPHONSE (nato a Parigi nel 1806, morto a Ginevra nel 1893) . Le cotiledoni sono chiamate piante vascolari per la pre­ senza di vasi, che invece mancano nelle cellulari (o acotiledoni) . STEPHANUS LADISLAUS ENDLICHER di Pressburg, direttore dell'orto botanico di Vienna (1804-1849) nel suo Enchiridium botanicum (1836-1850) chiamò le piante cellulari Tallofite, in quanto il loro corpo è un tallo (vi comprese le epatiche, i licheni, le alghe e i funghi) e le contrappose alle piante il cui corpo è un cormo, che chiamò Cormofite (in queste comprese le Fanerogame, le felci, e, erroneamente le Briofite o muschi) . Nello stesso tempo AnoLPHE BRONGNIART (1801-1876) propose un sistema in cui riunì tutte le piante prive di fiori in un unico grande gruppo che chiamò Crit­ togame, contrapponendolo a quello delle Fanerogame, nel quale riunì Monocotiledoni e Dicotiledoni. Divise queste in Angiosperme e Gimnosperme. La posizione delle Gimno­ sperme in questo sistema non è però esattamente riconosciuta. Fu A. BRAUN di Berlino (r864) che divise le Fanerogame o A nthophytae in Gimnosperme e Angiosperme, e queste ultime in Mono- e Dicotiledoni. Un sistema che si avvicina ai moderni è quello di AuGUST WILHELM EICHLER (1839-1887) , professore a Berlino, secondo cui le piante sono divise in :

    \

    Crittogame

    . .fa..nerogame

    Tallofite , Briofite Pteridofite

    (

    � Gimnosperme



    Angiosperme

    \ �

    Monocotiledoni Dicotiledoni

    In seguito è soprattutto la sistematica delle Tallofite che subisce profonde modi­ ficazioni, perchè si riconosce che questo è un gruppo artificiale, in cui sono riuniti molti phyla ben distinti. Una scoperta molto importante, dal punto di vista evoluzionistico, fu quella di due autori giapponesi, che osservarono i gameti flagellati delle Ginkgo (Hirase, 1897) e delle Cicadee (Ikeno 1898) . Questo fatto è un buon . argomento in favore della rela­ zione filogenetica di queste Gimnosperme con le felci o Pteridofite. Il sistema di Eichler fu largamente adottato. AnoLPH ENGLER (1844-1930) pro­ fessore all'Università di Kiel, poi in quella di Breslavia e infine di Berlino ( 1899) lo modificò e lo perfezionò, ponendolo a base della sua famosa opera che scrisse in col­ laborazione con K. PRANTL (1849-1893) : Die naturliche Pfianzenfamilien (Le famiglie naturali delle piante, Lipsia, 1897-1915) di cui un compendio più maneggevole è il Syllabus der Pfianzenfamilien (Lipsia 1912, 1oa ediz. 1924) . Nelle edizioni più recenti di questa opera fondamentale, le piante sono classificate nelle 13 divisioni seguenti : 1) Schizophyta (Batteriacee e Cianoficee) ; 2) Phytosarcodina (Myxothallophyta) ; 3) Fla­ gellatae ; 4) Dinoflagellatae ; 5) Bacillariophyta (Diatomee) ; 6) Coniugatae; 7) Chlorophy­ ceae (Alghe verdi) ; 8) Charophyta ; 9) Phaeophyceae (Alghe brune) ; 10) Rhodophyceae (Alghe rosse) ; r r ) Eumycetes (Funghi) ; 12) Embryophyta A rchegoniata (Muschi e Felci) ; 13) Embryophyta Siphonogama (Gimnosperme e Angiosperme). 495

    l• ol. L. 7 TCVI>l4JI

    Due felci del : a sinistra, A citheca polymorpha Brongniart proveniente da ]ano (Volterra) ; a destra, A sterotheca arborescens Schlotheim di un giacimento della Germania.

    b) Zoologia. Delle modificazioni subite dalla classificazione del Cuvier, abbiamo già parlato a pag. 343· Con il progredire degli studi, si riconobbe ancora la necessità di suddividere alcuni dei tipi esistenti e di crearne altri, mentre si venivano riconoscendo anche piccoli gruppi di animali, che difficilmente si possono ricondurre ai grandi Phyla, e per i quali occorrerebbe creare altrettanti tipi (per es. Rotiferi, Nemertini, Sipunculoidi, Entero­ pneusti, Chetognati, ecc.). Le variazioni principali, che conducono alla classificazione oggi generalmente ac­ cettata, furono le seguenti : la separazione dei Celenterati dei due tipi nei Poriferi o Spugne e dei Ctenofori, i quali ultimi si distinguono dai Celenterati propriamente detti, o Cnidari, soprattutto per la presenza di un vero mesoderma ; l'unione dei Vertebrati con i Tunicati e con i Leptocardi (Anfiosso) in un unico tipo caratterizzato dalla presenza della corda dorsale e chiamato perciò dei Cordati; e lo smembramento del tipo dei vermi nei tre tipi : Platelminti, Anellidi, Nematelminti. Adottando la proposta di E. HAECKEL si suole oggi dividere il regno animale in due sottoregni : quello dei Protozoi, animali unicellulari, che comprende il solo tipo omonimo, e quello dei Metazoi, animali pluricellulari, che comprende tutti gli altri. A questo furono aggiunti in seguito due piccoli sottoregni : Mesozoi (Diciemidi e Orto-

    nettidi) e Parazoi (spugne) . B. HATSCHEK e K . GROBBEN divisero i Metazoi in Proto­ stomia, in cui il blastoporo diviene la bocca dell'adulto, (Vermi, Artropodi, Molluschi) e Deuterostomia, in cui il blastoporo divene l'ano (Enteropneusti, Chetognati e Cordati) . Non ha avuto fortuna, invece, un'altra proposta di HAECKEL: quella di istituire un tipo dei Protisti per comprendervi sia gli animali sia le piante unicellulari. Di con­ seguenza una classe di Protozoi, i Flagellati, che comprendono accanto a forme tipi­ camente vegetali, provviste di clorofilla, forme che ne sono prive e hanno caratteri di animali, trovano posto in parte nel sistema dei vegetali, in parte in quello degli animali. Ecco uno specchio dei principali tipi in cui è suddiviso il regno animale secondo uno dei sistemi moderni: TIPO

    SOTTOREGNO

    Protozoi Mesozoi Parazoi Metazoi

    I) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) g) IO) I I) I2) 13) I4)

    Protozoi Mesozoi Poriferi Celenterati Ctenofori Platelminti Scolecidi Nematelminti Trimetameri Anellidi Molluschi Artropodi Echinodermi Cordati

    c) Paleontologia. Fu questo uno dei rami della biologia che più vivamente risentì l'influenza della concezione evoluzionistica. I fossili costituiscono l'archivio della storia della vita sulla terra, e il loro studio acquistò quindi particolare importanza, come quello che poteva fornire le documentazioni più sicure. Nel campo della paleontologia vegetale, o fitopaleontologia, dopo l'opera di ADOLPHE BRONGNIART, Prodrome d'une histoire des végétaux fossiles (Prodromo di una storia dei vegetali fossili, Parigi, I828) in cui l'autore cercò di situare le piante fossili entro il sistema del De Jussieu, si deve ricordare il trattato di W. PH. ScHIMPER, Traité de paléontologie végétale (Parigi r86g-I874). Fra gli studi più importanti sono da ricordare quelli sulle Bennettitales del mesozoico, affini alle attuali Cicadee ; e quelli sui semi (scoperti dal BRONGNIART) delle Pteri­ dosperme, sorta di felci paleozoiche ; quelli sulle Psylophytales, gruppo molto antico, che risale al Devonico, e rappresenta quindi il più antico ceppo conosciuto di piante 32.

    -

    Storia delle Sciellze, I I I 1•

    497

    Cupressites liasi­ nus fossile rinve­

    nuto in un giaci­ mento del Giura (da Die Sprache der Steine ) .

    vascolari ; e quelli sulle Caytoniales, che comprende le prime Angiosperme comparse sulla terra. Grande sviluppo hanno avuto anche le ricerche sulle flore fossili del Paleozoico, del Giurassico, del Triassico e del Terziario. Grazie a queste ricerche, perfezionate anche col sussidio dello studio microscopico, che ha permesso di conoscere la struttura istologica e molti particolari microscopici, è stato possibile approfondire notevolmente i problemi filogenetici del regno vegetale. Si è poi anche venuto sviluppando un indirizzo di ricerca a cui è stato dato il nome di paleobiologia, che consiste nel ricostruire, per quanto possibile, le condizioni di vita

    e d'ambiente degli organismi preistorici. Massimo esponente di questo orientamento iniziato da L. DoLLO è stato 0THENIO ABEL (r875-1946) professore nell'Università di Vienna, che studiò da questo punto di vista soprattutto i Vertebrati. Naturalmente le ricostruzioni paleobiologiche sono facilitate dallo studio della flora, e riescono più agevoli se si applicano a periodi a noi più vicini. Lo studio delle variazioni ambientali (paleoclimatologia) verificatesi nel Quaternario e quello delle vicissitudini della flora che vi sono correlate, sono basati in gran parte sull'indagine del polline contenuto nelle torbiere, indagine che si conduce oggi con tecniche assai perfezionate. Recente­ mente, misurando la quantità di un isotopo dell'ossigeno (018) che si trova nella molecola del carbonato di calcio di alcune conchiglie fossili, si è riusciti a determinare la tempe­ ratura dell'acqua in cui tali molluschi vivevano. È ben noto che, applicando un metodo simile, basato sull'isotopo radioattivo del carbonio, C14, si può stabilire l'età di resti organici (legno, tessuti, ossa) di 5-ro.ooo anni or sono. È probabile che gli isotopi, radioattivi o non, possano fornire in futuro altri importanti mezzi tecnici per lo. studio di problemi paleontologici, preistorici o protostorici. La paleontologia è oggi un ramo della biologia in pieno sviluppo : lo studio degli organismi fossili costituisce una indispensabile premessa e un complemento alla zoologia e alla botanica, e fornisce conoscenze essenziali per ricostruire gli eventi che si sono svolti sulla superficie del nostro pianeta. Ci limitiamo a ricordare qui due avvenimenti di particolare interesse nella storia della paleontologia: la scoperta di fossili viventi e le indagini sulla evoluzione del­ l'uomo. Di fossili viventi, cioè specie di �nimali o di piante che rappresentano i superstiti di gruppi che hanno avuto gran diffusione in periodi geologici passati, ne son noti

    Un fossile vivente : Latimeria chalumnae scoperto nel 1938 nelle acque delle isole Comore (da J . Millot e J . Anthony) . 499

    (.Il o o

    Base del tronco della Sequoia gigantea detta « Generai Sherman



    nel Parco Nazionale della California.

    ;. ot. �.xallotfltly

    parecchi sia fra le piante (Ginkgo biloba, Sequoia gigantea) sia fra gli animali (Limulus, Batteria, Spirula) . Non si riteneva probabile che altri se ne potessero scoprire, se non in regioni molto remote, o recondite. Ma nel 1938 fu annunziato che dal mare delle isole Comore, nei pressi del Madagascar, era stato pescato un grosso pesce (più di un metro di lunghezza) il quale aveva i caratteri dei Celacantidi. È questa una famiglia di Crossopterigi, cioè di un ordine conosciuto soltanto attraverso i resti fossili di specie vissute 70 milioni di anni or sono. La scoperta fece molto rumore : dopo la guerra le ricerche furono intensificate e altri esemplari di questa specie, che fu chiamata Lati­ meria chalumnae, vennero rintracciati, con l'aiuto dei pescatori locali, e furono poi accuratamente studiati dal punto di vista anatomico. Si tratta realmente di Cros­ sopterigi sopravvissuti fino ai nostri giorni, i cui caratteri concordano in tutto con quelli rilevabili sui fossili. Altri animali arcaici, che sono stati recentemente scoperti, sono un mollusco pri­ mitivo, Neopilina, e i Pogonofori, sorta di vermi, che probabilmente appartengono ad un phylum particolare, che vivono nei fondi oceanici, a grande profondità. Il problema dell'origine dell'uomo e della sua evoluzione ha sempre attratto l'in­ teresse degli studiosi e dei profani, fin da quando Darwin vi accennò nella Origine delle specie. Lo riprese poi Huxley pochi anni dopo nel libro : Il posto dell'uomo nella

    Esemplare di cranio dell'uomo di Neanderthal.

    Fot. A rbo1io Mella

    501

    Cranio dell ' uomo « Sac­ copastore I •> scoperto da S. Sergi.

    Fot. S. Sergi

    nat�tra. Nel r87r Darwin gli dedicò tutto un volume. I documenti fossili erano allora assai scarsi, tanto che poteva sembrare estremamente avventato il tentativo di im­ bastire un albero genealogico dell'umanità. Praticamente l'unico fossile umano cono­ sciuto era rappresentato dalla famosa calotta cranica scoperta nel r856, presso Dtissel­ dorf, in una gola in cui scorre il fiume Diissel, chiamata Neanderthal. Le discussioni sul significato di quel ritrovamento furono vivacissime, sembrando ad alcuni, fra cui lo HuxLEY, che dovesse essere attribuito ad una razza umana pri­ mitiva, con caratteri scimmieschi, ad altri, come R. VIRCHOW, che si trattasse di un caso patologico. Quest'idea sembrò prevalere per un certo tempo, finchè non vennero altre scoperte di resti umani (Spa nel Belgio, r885, Krapina, r8g7, La-Chapelle-aux­ Saints, nel Corrèze, 1908 e molte altre che seguirono) che dimostrarono l'esistenza di una vera e propria razza (forse anche una specie diversa dell'Homo sapiens) che fu indicata col nome di Neanderthal. Accanto a molti di questi resti furono trovate le tracce di una fauna particolare, oggi estinta (Elephas primigenius, Rhinoceros tichor­ rhinus) . L'uomo di Neanderthal è stato recentemente trovato anche in Italia da SERGIO SERGI (n. 1878) figlio di GIUSEPPE SERGI (r841-I936) fondatore dell'Istituto di antro­ pologia dell'Università di Roma. Il Sergi, successore del padre nella stessa cattedra, nel 1929 trovò un cranio neandertaliano, a Saccopastore, presso Roma. N el 1939 altri resti di uomo di Neanderthal furono trovati in una grotta del Monte Circeo. Oggi 502

    Arte (( levantina •> della Spagna, Cueva de la Arana, Valencia: pittura raffigurante la raccolta del miele (da Hernandez e Pacheco) .

    sappiamo che l'uomo di Neanderthal ha avuto una vasta diffusione in Europa, in Asia e in Africa nel Pleistocene medio, quando ancora America e Australia non erano abitate dall'uomo. Questa razza, o meglio questo gruppo di razze, a cui S. SERGI propone di dare il nome di > che in alcune contrade con­ vissero con i > si estinsero circa 70 mila anni or sono, per cause che ci sono sconosciute. I fanerantropi, secondo la terminologia di SERGI, sono gli uomini, vissuti dal paleo­ litico in poi, fino all'uomo attuale, che appartengono certamente alla specie oggi vivente: Homo sapiens. Lo studio dei più antichi rappresentanti di questi uomini è compito della paletnologia : molti dati importanti si sono scoperti, relativi ai cicli di cultura più antichi (Mousteriano, Chelleano) e meno antichi, come quelli del paleolitico superiore (Aurignaciano, Magdaleniano) a cui si riferiscono le famose bellissime pitture murali delle gr�tte di Altamira in Spagna e della Dordogna in Francia. La conoscenza degli stadi inferiori di evoluzione dell'umanità è anch'essa progre­ dita, nell'ultimo cinquantennio. Dopo la scoperta del Pitecantropo (cfr. p. 441) parecchi 503

    altri resti di antichi antenati dell'uomo furono rinvenuti. Ricordiamo soltanto l'Austra­ lopithecus, o scimmia dell'emisfero australe, scoperto da R. A. DART nel 1925 a Johan­ nesburg nel Sud Africa. Non si può dire a tutt'oggi, che l'albero genealogico dell'uomo sia esattamente stabilito : anzi vi sono ancora molti dubbi, incertezze e problemi aperti, soprattutto per quanto riguarda gli stadi di passaggio dalle scimmie antropoidi, ai preominidi, agli ominidi. Ma le conoscenze hanno fatto passi notevoli, dai tempi di DARWIN e di HuxLEY: quasi ogni anno si registrano nuove scoperte, ed è probabile che si possa arrivare, in un prossimo futuro, ad una visione soddisfacente della genealogia degli Ominidi, cioè di quella famiglia zoologica che comprende l'uomo. Un episodio interessante di questa storia è quello dell'uomo di Piltdown. Negli anni rgrr-rgrs un avvocato inglese che si dilettava di geologia, CHARLES DAwsoN, de­ scrisse alcuni resti che disse d'aver trovato in un deposito ghiaioso a Piltdown in Inghilterra. Si tratta di resti di calotta cranica e di mandibola. La calotta ha caratteri di uomo recente, mentre la mandibola è di tipo nettamente scimmiesco. L'uomo di Piltdown ha perciò rappresentato un enigma per tutti gli antropologi, che invano si sono affaticati per risolverlo. Gli fu dato un nome, Eoanthropus dawsoni, conside­ randolo come una specie a sè, ma non riuscì mai di situarlo in modo soddisfa­ cente in un sistema: in tutti i testi di paleontologia si sottolinea la sua natura enigmatica. Nel 1953 alcuni antropologi inglesi sottoposero le ossa, che sono conservate al British Museum di Londra, ad un'accurata indagine chimica, valendosi di tecniche moderne, atte a determinare l'età. Il risultato fu sorprendente : si tratta di una falsi­ ficazione. Il cranio è quello di un uomo moderno, la mandibola quella di una scimmia antropomorfa; il tutto accuratamente preparato con trattamenti chimici tali da dare alle ossa l'apparenza di venerabili fossili. La scoperta di questa falsificazione (a cui è ora dedicata una vetrina speciale nel British Museum) è stata un vero colpo di scena, e una rivoluzione non certo lusinghiera per la memoria del Sig. Dawson ; lusinghiera invece per gli scienziati, che, sia pure dopo tanti anni, sono riusciti a scoprire la frode. Ma soprattutto è stata una scoperta benvenuta in quanto ha risolto un enigma di cui da quarant 'anni si cercava invano la soluzione.

    d) Orientamenti attuali della sistematica botanica e zoologica. I l perfezionamento delle conoscenze sui vari gruppi di animali, di piante, di organismi, il numero sempre crescente delle specie descritte, la necessità di speciali, adeguate per i vari gruppi, ha portato come conseguenza un va sempre più accentuandosi con il passar degli anni: la specializzazio più possibile oggi ad una sola persona dominare un campo avvenire un tempo. Linneo aveva descritto 4236 specie di di piante. Il numero approssimativo delle specie conosciute seguente tabella:

    -

    ' J•ot. L hicago Natural History Museum

    Ricostruzione dell'aspetto di un fondo marino nel >. Sono rappresentate alcune specie di Gigantostraci, tra cui, a sinistra, lo Ptery«olus buffaloensis Pohlrnan, che era lungo circa due metri.

    A nimali (sec. Pratt 1935) Artropodi Molluschi Cordati Protozoi Celenterati Anellidi Platelminti Echinodermi Altri gruppi

    640.000 70.000 6o.ooo rs.ooo g.soo 6.soo 6.000 4.8oo I I .OOO

    Totale

    822.800

    Oggi le spec1e descritte superano il milione. s os



    Piante (sec. C. Epling, da Dobzhansky, 1941) Angiosperme Funghi Muschi Alghe Felci Epatiche Batteri Gimnosperme

    150.000 JO.OOO 15 .000 14.000 10.000 6.000 I .200 500 ----

    Totale

    266.700

    Bastano queste cifre a spiegare la necessità della specializzazione. Sono nati così e si sono sviluppati in modo abbastanza indipendente tanti rami della zoologia quali per esempio: Mammalogia (studio dei Mammiferi), Ornitologia (degli Uccelli) , Erpe­ tologia (Rettili e Anfibi) , Ittiologia (Pesci) , Entomologia (Insetti) , Conchiliologia (Molluschi) , Elmintologia (Vermi, e specialmente quelli parassiti) e della botanica: Micetologia (Funghi), Algologia (Alghe) , Pteridologia (Felci) , Briologia (Muschi) eccetera. Non solo ma, in ciascuno di questi gruppi, particolarmente in quelli più vasti, gli > si differenziano ancora : per esempio fra gli entomologi vi sono i lepidotterologi, i coleotterologi, i ditterologi, e così di seguito. Anzi, gli specialisti odierni per lo più limitano la loro competenza sistematica ad una singola o a poche famiglie. Questa suddivisione delle competenze, delle tecniche di studio, che sono talvolta molto diverse, rischia, a lungo andare, di far perdere la visione unitaria dei fenomeni vitali. Perciò essa deve essere controbilanciata da discipline di sintesi, che, pur consi­ derando le singolarità dei fatti, mantengono una visione generale : esse sono la Zoologia generale, la Botanica generale, la Genetica, la Biologia Generale. È impossibile tracciare, anche superficialmente la storia delle singole discipline che abbiamo menzionato, ciascuna delle quali continua capillarmente a studiare, a descrivere, a classificare i propri oggetti di studio. Ci limitiamo qui ad accennare agli orientamenti generali moderni nei riguardi del problema sistematico, e del concetto di specie. Sulla definizione della >, zoologica o botanica o dei microrganismi, vi sono state interminabili discussioni, da LINNEO in poi. E soprattutto si è molto discusso sui criteri capaci di farci riconoscere in pratica se due serie di forme piuttosto affini fra di loro appartengono a due specie diverse, o sono invece varietà, o razze della stessa specie. La definizione di LINNEO per .cui le specie sono entità create da Dio secondo un suo disegno, evidentemente ha un importante significato filosofico, ma nessun valore pratico. Molto più utile è il principio introdotto dal CuviER di considerare come apparte­ nenti alla stessa specie gli individui capaci di incrociarsi e di dare prole indefinita­ mente feconda; appartengono invece a specie diverse gli individui che non sono in _

    506

    Fot. American Museum o/ Natural Hiswry

    Uova del dinosauro Protoceratops trovate in una località della Mongolia.

    grado di dare, incrociandosi, prole vitale, o che la danno sterile. Così due razze di cavalli anche molto differenti somaticamente come il poney e il cavallo da corsa ap­ partengono alla stessa specie Equus caballus, mentre il cavallo e l'asino, che danno prole vitale ma sterile - i muli e i bardotti -- appartengono a specie diverse. Quando con la concezione evoluzionistica, la base logica della definizione fu scossa, ci si avvide che il criterio cuvieriano della intrafecondità e della intersterilità era il più utile, ç.nche se difficilmente applicabile in pratica, perchè nella maggior parte dei casi il sistematico non può allevare gli organismi che studia, e farli riprodurre. Basandosi però sul criterio della somiglianza morfologica fra gli organismi e su quello della distribuzione geografica, il sistematico è per lo più in grado di riconoscere le specie con sufficiente sicurezza. Un botanico francese, ALEXIS joRD�N di Lione (r8r4-I897) , sperimentando sulla possibilità di modificare i caratteri di una specie per mezzo della selezione, si accorse che, in tal modo, da una specie come definita da Linneo (per es. la Crucifera Draba verna) si possono ottenere numerosi sottogruppi che differiscono gli uni dagli altri per alcuni caratteri. Nell'ambito di ciascuno di essi però la selezione non ha più effetto : non sposta più l'intensità dei caratteri su cui si opera. La specie, concluse joRDAN, 507

    non è perciò una unità, ma un aggregato di tante unità, le o >, che in onore del J ordan furono poi chiamate in contrap­ posto alle grandi specie o specie linneane, o >. Questo fatto, che le specie si possono suddividere in unità subspecifiche geneticamente più omogenee, fu infatti riconosciuto da tutti gli studiosi, e molti nomi furono proposti per i gruppi subspe­ cifici di vario rango. Ad un certo momento alcuni autori, fra cui Lou1s AGASSIZ, sostennero che le specie in natura non esistono: sono categorie create dalla mente umana per comodità di classificazione e d'indagine: in natura non esisterebbe che un continuum di individui. Ma nessun naturalista che abbia una certa dimestichezza con gli animali e le piante può sottoscrivere questa affermazione. In natura esistono, fra gli organismi, evidenti discontinuità; esistono cioè gruppi naturalmente delimitati e separati dai gruppi affini da hiatus più o meno ampi. Di questi gruppi il più reale e obbiettivo è la specie. Argutamente soleva dire F. RAFFAELE, professore di zoologia all' Università di Roma (1862-1937) autore di un libro sul problema della specie (L'individuo e la specie, Pa­ lermo, 1909, 2a ediz. Roma, 1 949) : >. Il problema evoluzionistico, nella sua formulazione più semplice, quella stessa in cui l'aveva posto Darwin, l'origine della specie, è stato ripreso in esame dalla gene­ tica moderna. A partire dal 1930 circa, i genetisti, avendo ormai acquisito una buona conoscenza delle leggi dell'eredità e della variazione e della struttura fisica del ripresero in esame il problema evoluzionistico, studiando il movi­ mento dei geni non già nella discendenza di singole coppie, ma nelle popolazioni (genetica di popolazioni) . Era necessaria una definizione della specie in termini genetico-evolu­ zionistici, cosa che non si era fatta ancora. Fu fornita nel 1935 da THEODOSIUS DoB­ ZHANSKY (n. 1900) professore di zoologia alla Columbia University di New York, ed è oggi generalmente accettata: >. Ciò equivale a dire che >. E più oltre: >. Così, dopo quasi un secolo, l 'idea evoluzionistica è divenuta operante, attraverso la genetica, anche nel campo della sistematica, e precisamente della speciografia: trasformandosi da congettura in un'ipotesi di lavoro, che permette di interpretare dati, di programmare esperimenti. E quindi oggi di nuovo, come ai tempi di LINNEO, si può dire che la sistematica costituisce il nocciolo della biologia, in quanto rappre­ senta non soltanto il principio, ma il culmine, la sintesi finale della interpretazione del mondo dei viventi, la quale - a differenza della concezione linneana - è oggi imper­ niata sul concetto di evoluzione. \

    6. Le relazioni degli organismi c on },ambiente e fra di l or o. Parassitologia.

    La sistematica, la morfologia, la fisiologia studiano gli animali e le piante come individui, o come fenomeni indipendenti, più o meno isolati dal resto del mondo. Ma gli organismi non potrebbero esistere, non potrebbero essere vivi se non mante­ nessero continui scambi con l'esterno ossia con l'ambiente, il quale è costituito da componenti inorganici e da componenti organici, cioè da altri organismi. Lo studio delle relazioni degli organismi con l'ambiente si è molto sviluppato nel sec. XIX e nel XX e ha dato origine ad alcune importanti discipline. a) Distribuzione della vita sulla terra. Innanzitutto è stata studiata la distribuzione degli esseri viventi sulla terra. La biogeografia, come abbiamo detto (p. 349) è stata fondata dal VON HuMBOLDT, soprattutto per quanto riguarda la distribuzione delle piante (fitogeografia). L'opera di 509

    questo naturalista fu continuata da parecchi autori, in particolare da J. D. HoOKER (r8I7-I9I r) che prese parte alle famose spedizioni organizzate dagli inglesi I83o-r843 con le navi Ereb�ts e Terror al comando di Sir ]AMES Ross, per la esplorazione delle terre antartiche. HooKER divenne poi direttore del famoso giardino Botanico di Kew presso Londra. Egli, per spiegare alcune somiglianze fra la fiora dell'America meridionale e dell'Australia che già avevano colpito altri naturalisti, suppose che fosse esistito, fino al periodo giurassico, un continente che connetteva l'America meridionale con l'Australia (1859) . Già precedentemente ALPHONSE DE CANDOLLE nella sua opera Géographie bota­ nique raisonnée (Geografia botanica ragionata, 1855) aveva dato una notevole impor­ tanza alla storia geologica della terra per spiegare le particolarità attuali della distri­ buzione geografica. Con l'evoluzionismo, naturalmente, questa importanza fu accen­ tuata, e oggi, praticamente, la fitogeografia e la geografia attuali sono concepite come il risultato di un processo storico di evoluzione e di distribuzione geografica, che è interpretabile soltanto nel quaòro della storia geologica della terra e dell'evoluzione degli esseri viventi. Fra coloro che hanno dato impulso a questi studi vanno ricordati soprattutto OswALD HEER (svizzero, r8og- r883 ) che studiò gli aspetti della fiora nei periodi glaciali, ADOLPH ENGLER (cfr. pag. 495) che cercò, in base allo studio delle fiore recenti e fossili, di tracciare una storia dell'evoluzione delle piante ( Versuche uber die Entwickhtngsgeschichte der Pflanzenwelt [Saggi sull'evoluzione del mondo vegetale] r87g-r882) ; AuGusr H. R. GRIESEBACH (r8r4-1879) professore a

    -

    La nave italiana

    5IO

    ZOP""­ e sorregge tutta l'opera del Delpino >>. In questo senso egli può dirsi un T""\r"'"'U"I' di DRIESCH e del neovitalismo (v. pag. 6o7) . Il DELPINO dava la massima importanza allo studio delle funzioni: e il Kala azar; l' Entamoeba histolytica, che provoca la dissenteria amebica; le spirochete della sifilide e di altre malattie, eccetera. Meritano una particolare menzione le Rickettsie, gruppo di microorganismi di posi­ zione sistematica incerta (schizomiceti ? virus ? protozoi ?) di cui molte specie sono pato­ gene per l'uomo. Furono identificate dal medico americano HowARD TAYLOR RICKETTS nato nel 1871, morto nel 1910 a Città del Messico in seguito ad una infezione di tifo esantematico contratta nel corso delle sue ricerche. La rickettsia più nota e diffusa è la Rickettsia Provazeki, che determina appunto il tifo esantematico, o tifo petecchiale ed è trasmessa dal pidocchio dei vestiti. Altre, trasmesse per lo più da acari, determinano di­ verse malattie : febbre del Queensland o febbre Q, febbre delle Montagne Rocciose, ecc. b) Batteriologia. Se è vero che PASTEUR ha aperto la via allo studio della batteriologia, è un'altra grande figura di scienziato, il KocH, che può considerarsi fondatore di questa disci­ plina, la quale divenne in breve tempo assai fiorente. RoBERTO KocH, nato nel 1843 da una famiglia di minatori dello Harz, studiò medicina a Gottingen, sotto la guida dell'istologo e patologo HENLE e divenne medico condotto in una cittadina della Pomerania. Qui imperversava il carbonchio, che uccideva molti animali. Koch s'in­ teressò al problema della causa di questo male, che recava tanti danni ai contadini. Il medico francese CASIMIR-]OSEPH DAVAINE (r8r2-r88z) aveva descritto dei corpic­ ciuoli a bastoncello visibili nel sangue degli animali colpiti, e ne aveva riconosciuto l'importanza come agente patogeno, ma non era riuscito a studiare il loro ciclo di sviluppo. KocH, armato di un modesto microscopio e con i pochi mezzi tecnici di cui poteva disporre, cominciò l'indagine e potè riconoscere che i batterì si moltiplicano rapidamente nel sangue, e dopo la morte dell'animale si trasformano in spore estre­ mamente resistenti, le quali se penetrano in un nuovo ospite, si sviluppano in batteri, che danno luogo alla malattia. Con geniale intuito KocK riuscì a coltivare i bacilli del carbonchio fuori dell'organismo, ponendo pezzetti di milza di topi infetti da car­ bonchio in siero di sangue dello stesso animale. Gli riuscì di ottenere culture pure del microbio, e potè seguire le varie fasi del ciclo, osservare le spore e saggiarne la resi­ stenza al calore, al disseccamento, ad agenti chimici diversi. Nel 1876 egli scrisse al botanico di Breslavia FERDINAND CoHN (r8z8-r898) che aveva studiato con grande competenza molte specie di funghi e di batterì (è considerato anch'egli come uno dei fondatori della batteriologia) dichiarando che poteva dimostrare il ciclo vitale del bacillo del carbonchio. Invitato a presentarsi al laboratorio di COHN, dove si erano dati con­ vegno altri scienziati, KocH stupì per la precisione della sua esposizione e per la portata delle sue indagini. I risultati furono pubblicati, auspice CoHN, in un classico lavoro : Die A etiologie der Milzbrandkrankheit, begrundet auf die Entwickelungsgeschi­ chte des Bacillus anthracis (La eziologia del carbonchio basata sul ciclo di sviluppo del 532

    Bacillus anthracis) che segna l'inizio delle indagini scientifiche sm microorganismi delle malattie infettive. Altra grande trovata di KocH fu quella di rendere meglio visibili i batteri colo­ randoli. Introdusse nella tecnica batteriologica parecchi coloranti, che ancora oggi sono usati con profitto, e che sono stati poi impiegati anche nella tecnica istologica. I n seguito perfezionò la tecnica della coltura, ottenendo colture pure di singole specie batteriche in gelatina (r88r). La trasparenza del mezzo, la possibilità di averlo in condi­ zione fluida o solida secondo la temperatura, la facilità con cui si possono fare diluizioni prima di iniettare la coltura nell'animale da esperimento, rappresentano vantaggi tecnici notevolissimi. La tecnica della coltura in brodo o in gelatina è ancora oggi la tecnica più importante della batteriologia, e ha permesso le più grandi conquiste in questo campo. KocH fu chiamato a Berlino a coprire un'alta carica nell'ufficio di Sanità e la sua fama si diffuse presto nel mondo. Il suo nome è legato alla scoperta del bacillo della tubercolosi (bacillo di KocH) e di quello del colera. Perfezionò inoltre i mezzi di disin­ fezione dimostrando l'inutilità di molti sistemi che erano stati usati e introducendone altri nuovi, la cui efficacia sperimentalmente controllava. La speranza di avere scoperto un mezzo di cura della tubercolosi con la tubercolina si dimostrò vana; ma la tuberco­ lina rimane un mezzo diagnostico importante. Attorno a KocH si radunarono presto numerosi d:scepoli che convenivano da vari paesi ; ma il suo carattere era alquanto difficile - e più lo divenne con l'età · e non contribuì a cattivargli molte simpatie.

    l Alexander Fleming. 533

    Impianti per la produzione di penicillina a Speke (Inghilterra) .

    Dopo KocH i progressi della batteriologia furono rapidi e grandiosi : si scoprirono i batteri che determinano molte malattie : difterite, peste, polmonite, tifo, dissenteria, eccetera, con grande vantaggio per la profilassi e per la cura. La dottrina del contagio fu solidamente stabilita e le pratiche della disinfezione resero possibili sviluppi im­ pensati della chirurgia, della medicina curativa e preventiva e della medicina sociale. Ma l'indagine non è rimasta limitata ai soli batteri patogeni. I batteri non paras­ siti sono stati studiati dal punto di vista biologico generale, per quanto riguarda sia la struttura, sia la fisiologia, sia, recentemente, la genetica, e in tutti questi campi si sono ottenute informazioni preziose sui fenomeni vitali elementari. Le ricerche sui batteri del terreno agrario, su quelli che determinano vari tipi di fermentazioni utilizzate per scopj industriali hanno dato risultati non meno importanti. Una delle scoperte più spettacolose degli anni recenti è quella degli antibiotici. Nel 1929, nel laboratorio di ALEXANDER FLEMING (1881-1955) nel St. Mary's Hospital di Londra, una spora di una muffa, Penicillium notatum, cadde su di un terreno di colture (piastre di agar) dove erano coltivati degli stafilococchi. FLEMING osservò la dissoluzione di tutte le colonie di stafilococchi più vicine alla muffa che dalla spora si era sviluppata. Pensò che la muffa emettesse una sostanza antibatterica, cioè inibitrice dello sviluppo allo stafilococco, e infatti riuscì ad ottenere un concentrato della sostanza, che chiamò penicillina. Gli studi furono poi interrotti, per venire ripresi soltanto nel 1940 da HowARD WALTER FLOREY (n. 1898) di Oxford, in collaborazione 534

    con V. G. HEATLEY, americano, e ERNEST BoRIS CHAIN (n. Berlino nel 1906) che ha lavorato a Cambridge e Oxford ed è attualmente direttore del reparto antibiotici del­ l'Istituto Superiore di Sanità di Roma. Il valore della penicillina come mezzo di cura e di profilassi delle malattie infettive s'impose subito all'attenzione dei medici. Le ricerche scientifiche e la produzione di penicillina su scala industriale ebbero d'allora in poi un grandissimo sviluppo. Altre sostanze prodotte da altre specie di muffe furono studiate nelle loro proprietà antibiotiche specifiche e sono ora largamente usate nella pratica. È prevedibile che le ricerche future ne abbiano a mettere in evidenza altre ancora. A FLEMING, FLOREY e C HAI N fu attribuito nel 1946 il premio N obel per queste scoperte che hanno aperto nuove importantissime possibilità alla terapia e alla profilassi delle malattie infettive. c) I Virus. Uno dei mezzi per sterilizzare un liquido senza sottoporlo a temperatura elevata, la quale può alterare le sostanze disciolte, consiste nel farlo passare attraverso un filtro i cui pori siano così piccoli da trattenere i batteri e le loro spore. Tali filtri sono molto usati in batteriologia : sono costituiti da cilindri cavi di porcellana non verni­ ciata, e quindi porosa; si chiamano candele di BERKEFELD (dal nome del costruttore) o di CHAMBERLAND dal nome del collaboratore di Pasteur (1851-1908) che ideò tale filtro. Fin dal 188o il Pasteur, dopo aver invano cercato di osservare al microscopio il

    Virus della malattia del mosaico del tabacco, ottenuto dal succo di tabacco turco, infetto. Si noti l'aspetto retti­ lineo de Ile particelle virali ( ingrandimento a r8 .ooo diametri) .

    535

    germe della rabbia espresse l'idea che potessero esistere germi patogeni di dimen­ sioni così esigue da risultare invisibili al microscopio. Nel 1892 il botanico russo D. IwANOWSKI osservò con sorpresa che la malattia della pianta di tabacco chia­ mata > può essere trasmessa inoculando in una pianta sana un filtrato ot­ tenuto facendo passare attraverso la candela di caolino una poltiglia ricavata da foglie malate. La ricerca fu ripresa da M. W. BEIJERINK (1899) che parlò di contagium vivum fluidum. Contemporaneamente fatti analoghi venivano osservati per alcune malattie degli animali e dell'uomo. F. LoFFLER e P. FROSCH (1897) riuscirono ad inoculare l'afta epizootica con il filtrato del contenuto delle pustole, e, facendo passaggi ripetuti, esclusero che potesse trattarsi di un agente di natura chimica. Parecchi altri casi di agenti patogeni filtrabili furono descritti in seguito : della peste equina (J. MAc FAYDEAN, 1900) della febbre gialla (W. REED, 1900) della peste aviaria (E. CEN­ TANNI, 1901). Un antico nome latino, virus che significa >, era stato usato dai medici per indicare la causa di alcune malattie. Quando si scopersero i microorganismi pa­ togeni, i virus furono con essi identificati. Nei casi cui abbiamo ora accennato si parlò di virus filtrabili, o ultravirus: oggi si preferisce chiamare questi agenti patogeni sem­ plicemente > e il loro studio costituisce una disciplina speciale, la . N el 1910 FRA NCIS PEYTON Rous (nato a Baltimora nel 1879) del Rockefeller Institute for Medicai Research di New York, scoperse che un tipo di tumore dei polli (chiamato poi sarcoma di Rous) può essere riprodotto inoculando degli estratti filtrati di tumori, oppure il sangue di un animale malato. Questo sarcoma è pertanto prodotto da un virus. Si accesero molte speranze sulla soluzione del problema del cancro, ma si dovette poi constatare che i casi di tumori dovuti a virus sono relativamente pochi. Una scoperta di grande importanza venne ad aprire nuovi orizzonti alla viro­ logia. F. W. TwoRT (1915) e poi FÉLIX HuBERT D'HÉRELLE (Montreal, Canada, 1873 - Parigi, 1949) scoprirono un agente filtrabile che produce la lisi dei batteri. D'_Hérelle, lavorando all'Istituto Pasteur di Alessandria d' Egitto, fece le ricerche più approfondite e precise (1917) . Dimostrò che dalle feci degli individui affetti da dissenteria provocata da un batterio, Escherichia coli, si può isolare un principio attivo che, introdotto in una coltura di E. coli determina la lisi dei batteri. La constatazione importante è che dal liquido di coltura, dopo la lisi, si può ricavare il principio attivo in quantità molto maggiore di quella inoculata. Questo principio, invisibile, filtrabile, _si comporta dunque come un organismo vivente, in quanto, in presenza di batteri vivi, si riproduce. D'Hérelle lo chiamò batteriofago e oggi si usa spesso la forma abbre­ viata fago. I fagi (ne furono poi trovati diversi che attaccano diverse specie di batteri) sono virus che vivono a spese dei batteri e per varie ragioni si prestano allo studio meglio dei virus viventi nelle cellule vegetali o nelle cellule animali. Gran parte della conoscenza sul ciclo di sviluppo dei virus si è acquistata sui fagi batterici. I virus sono dunque costituiti da particelle piccolissime, dell'ordine di grandezza compreso fra 10 e zoo m,u (il m,u, millimicron, è un millesimo di micron, cioè un milio­ nesimo di millimetro), di natura proteica (contengono sempre nucleoproteine), capaci di riprodursi, di presentare il fenomeno genetico della mutazione; ma non sono

    l

    Lisi prodotta in un batterio dal batteriofago. Il batterio si è spezzato in due diversi punti, con leg­ gero spostamento del moncone inferiore. Le particelle del fago, visibili esternamente al corpo del batterio, sono costituite da una > e una (( coda >>. Ingrandimento di 36.ooo diametri al microscopio elettronico (da G . Penso e collab. ) .

    537

    coltivabili fuori delle cellule di cui normalmente sono parassiti, nei terreni di coltura, come i batteri. Inoltre non respirano, non presentano attività enzimatiche: utilizzano evidentemente, per la loro riproduzione, le fonti di energia fornite dall'attività meta­ bolica delle cellule che li ospitano. Un'altra importante scoperta nel campo della virologia, che ha destato grande impressione, è stata quella di WILLIAM MEREDITH STANLEY biochimico (n. Ridgeville, Indiana USA, 1904) che nel 1935 dimostrò che il virus del mosaico del tabacco, che si può ottenere dalle foglie infette, purificato in alto grado è cristallizzabile. Si può tenerlo così per lungo tempo: quando lo si ridiscioglie in acqua e lo si inocula nelle foglie del tabacco, diventa nuovamente attivo. Da quest'epoca in poi le ricerche sui virus si sono intensificate e hanno dato risul­ tati importantissimi, dal punto di vista della medicina (molte malattie sono pro­ dotte da virus : influenza, raffreddore, poliomielite, mollusco contagioso, tracoma, ecc.) , della patologia vegetale e da quello della biologia generale. Le particelle dei virus si sono potute fotografare al microscopio elettronico, la loro costituzione chimica è stata analizzata, le proprietà biologiche e il ciclo di sviluppo e di riproduzione sono stati accuratamente studiati soprattutto nei fagi. Possono i virus considerarsi come organismi viventi ? In tal caso sono certamente i più piccoli e i più semplici che siano conosciuti. Dei viventi hanno indubbiamente alcune proprietà, e, in primo luogo, quella fondamentale della riproduzione : mancano però di veri fenomeni metabolici. Ciò ha indotto alcuni autori a considerarli non come organismi, ma come proteine (virus-proteine) che hanno acquistato un certo grado di autonomia rispetto a quelle normali, costituenti il protoplasma. N ella maggior parte dei casi non si tratta però di molecole proteiche isolate, ma di complessi molecolari, che hanno una struttura fisica piuttosto complessa. Una ipotesi che ha avuto un certo credito è quella che considera i virus come forme degradate dal parassitismo, cioè come i discendenti di microorganismi più complessi. Indubbiamente i virus sono situati al limite dimensionale inferiore nella scala delle strutture viventi, nella zona che confina con la macromolecola. È molto probabile, quindi, che rappresentino una delle manifestazioni vitali più elementari, e ciò giu­ stifica il vivo interesse con cui i biologi si sono dedicati alla loro indagine. La speranza di potere considerare i virus nel senso della dottrina dell'evoluzione come i primi orga­ nismi comparsi sulla terra è però frustrata, per ora, dal fatto che tutti i virus conosciuti non possono , aveva un riferimento esclusivamente morfologico, ed era attribuito ad organi di natura molto diversa, di cui si ignorava per lo più la funzione. Si trattava di formazioni piuttosto piccole, ben delimitate, di colore biancastro. In seguito, si riconobbe che le ghiandole che noi oggi diciamo a secrezione esterna o esocrine, hanno la capacità di secernere particolari sostanze. Oggi comprendiamo sotto il nome di ghiandole vari organi che hanno fun­ zioni assai diverse, ma tutte basate su di una proprietà fisiologica comune : la capacità delle loro cellule di assumere sostanze dall'ambiente, di elaborarle e trasformarle chi­ micamente e di emettere dei > di natura diversa. Tuttavia, anche nei trattati moderni si continua a chiamare col nome di ghiandole gli organi linfoidi, che hanno funzione diversa dalle vere e proprie ghiandole.

    I) Ghiandole a secrezione esterna. La storia della fisiologia delle ghiandole comincia con la scoperta dei dotti delle ghiandole salivari (N. STENONE, WHARTON, pag. 175) e del pancreas (WIRSUNG, pag. 177) e dalla distinzione fatta da SYLVIUS delle ghiandole che egli chiamò >, per distinguerle da quelle >, non secernenti, del tipo delle ghiandole linfatiche. Gli studi sulla struttura microscopica delle ghiandole hanno avuto inizio con le eccellenti osservazioni del MALPIGHI, che riconobbe la natura di > del fegato e ammise che il processo di formazione della bile sia un vero processo di secrezione. MALPIGHI ritenne che le ghiandole secernenti abbiano tutte una strut­ tura acinosa: cioè i canalicoli di cui sono costituite terminino in vescicole o acini entro ai quali si ramificano sottili vasi sanguigni, da cui il secreto penetra nell'acino. I succhi raccolti dagli acini vengono poi emessi attraverso i dotti esecretori. Questa concezione fu combattuta da F. RuvscH (r6go) , che, basandosi sui risul­ tati delle iniezioni di liquidi colorati negli organi ghiandolari, e avendo osservato (in seguito a rottura della parete dei vasi più sottili, come oggi sappiamo) la effusione dei liquidi iniettati nel parenchima ghiandolare, ritenne che la sostanza ghiandolare stessa fosse composta di vasi sanguigni e che le ramificazioni ultime dei vasi più sottili si continuassero direttamente nei canalicoli ghiandolari. Fu questa concezione errata che prevalse e si ritenne che la specificità delle secrezioni ghiandolari fosse dovuta esclusivamente alle diverse condizioni fisiche delle ramificazioni dei vasi sanguigni e dei canalicoli ghiandolari e dei pori con cui quelli comunicano con questi. Secondo questa teoria, i vari secreti sarebbero contenuti tutti nel sangue, da cui le ghiandole li estraggono per filtrazione. La possibilità di estrarre l'uno o l'altro secreto dipende dalle proprietà fisiche dei pori della sostanza ghiandolare, che consentono il pas539

    saggio a quelle sostanze, le cui particelle hanno dimensioni e forma adatte a quelle dei pori. Questa teoria puramente meccanica, che dà ragione della specificità dei secreti, si trova, sia pure con varianti, presso tutti i fisiologi del sec. XVIII. Ma, riconosciuta vera la dottrina del circolo sanguigno chiuso, e dovendosi quindi escludere l'effusione del sangue nel parenchima ghiandolare, si dovette modificare la concezione primitiva. Fu joHANNES Mt1LLER che nel r83o, con un ampio studio della minuta struttura e della embriologia delle ghiandole di molti animali (De glandularum secernentium stntctura penitiore) gittò le basi dell'odierna fisiologia ghiandolare: riconobbe la pre­ senza nelle ghiandole di canali, oppure vescicole (acini) terminanti a fondo cieco, e riconobbe la verità dell'osservazione del Malpighi, che i vasi capillari non si aprono nei canali ghiandolari, ma formano intorno ad essi una rete chiusa, la quale allaccia le terminazioni delle arterie con l'origine delle vene. Dal sangue permeano, attraverso le pareti vasali, succhi che vengono elaborati specificamente dalla sostanza ghiando­ lare, la quale versa poi nei condotti i secreti che ha formato. Il processo di secrezione e la specificità dei prodotti dell'attività ghiandolare non sono dunque dovuti ad una causa puramente meccanica, ma sono effetto di un'attività fisiologica specifica della sostanza vivente che costituisce la ghiandola. La controversia fra la concezione meccanica e quella fisiologica del M ULLER si riapri più tardi, a proposito della funzione del rene, la cui struttura microscopica era stata indagata già da LORENZO BELLINI (r662) e da MALPIGHI. Nel 1842 sir WILLIAM Bow­ MANN (r8r6-r892) che fu anche insigne oftalmologo, illustrò la struttura dei corpuscoli del Malpighi riconoscendo che essi sono costituiti da un'ampolla (chiamata appunto capsula del Bowmann) dilatata, che rappresenta la parte terminale dei condotti uriniferi, e che abbraccia un gomitolo vascolare (glomerulo del Malpighi) . Ritenne che nel cor­ puscolo renale venisse filtrata l'acqua con sali disciolti, e che i veri organi secretori dei costituenti organici dell'urina fossero i tubuli. Secondo la teoria fisiologica del Bow­ mann, dunque, i tubuli sono i veri elementi secretori. Contro questo modo di vedere il LuDWIG (1844) oppose nuovamente una teoria meccanica della filtrazione : i glomeruli sono un filtro, e la filtrazione è dovuta alla differenza di pressione fra l'interno dei vasi del glomerulo e l'interno della capsula del Bowmann. Il filtrato è un'urina molto diluita, che si concentra poi perchè le pareti dei tubuli riassorbono acqua. Alle pareti dei tubuli non compete altro compito che questo, ed esse non sono perciò da considerarsi come organi ghiandolari. Le condizioni meccaniche della secrezione urinaria vennero ampiamente analiz­ zate nel laboratorio del Ludwig mentre Claude Bernard ed altri fisiologi illustravano l'influenza del sistema nervoso su questo processo. RuDOLPH HEIDENHAIN ( r 1897) professore di fisiologia a Breslau riprese poi in esame il problema della zione e dimostrò l'attività secretoria dell'epitelio renale. Studiò anche ghiandole, e diede il colpo definitivo alla dottrina puramente trazione. Oggi sappiamo che le cellule ghiandolari traggono sostanze dall' rano trasformandole in sostanze diverse, i secreti, specifici e li nversano all'interno. Il problema della specificità dell' sostanze 540

    dall'interno, e della elaborazione chimica da parte del protoplasma, è dunque condotto alla scala cellulare. La possibilità di entrata di sostanze dentro la cellula attraverso la membrana cotituisce il problema della permeabilità, che di nuovo si è cercato di risolvere su basi puramente meccaniche, senza per ora riuscirei interamente. L'elaborazione delle secrezioni è un aspetto del problema generale dell'attività chimica della cellula, che viene oggi indagato con particolare attenzione e con l'ausilio di nuovi metodi. Delle scoperte relative alla funzione specifica di ghiandole speciali accenniamo sol­ tanto a quelle relative al fegato. I n appendice tratteremo della milza e degli organi linfoidi. Dopo i dibattiti sulla funzione del fegato, che culminarono nel '6oo (cfr. pag. 173) si deve giungere al sec. XIX per avere nuovi lumi. Nel 1849 CLAUDE BERNARD sco­ perse la glicogenesi epatica: osservò cioè che gli animali, come le piante, hanno capa­ cità di formare zucchero indipendentemente dalla natura dell'alimento, e che questo processo avviene nel fegato. In seguito perfezionò la sua scoperta e nel 1857 estrasse dal fegato il glicogeno o amido animale. Con le ricerche che seguirono si riconobbe che il fegato ha la capacità di formare e immagazzinare il glicogeno, il quale è una sostanza di riserva. Idrolizzato da un fermento diastasico il glicogeno viene poi messo in circolo sotto forrria di glucosio, sostanza dinamogena, che viene utilizzata soprattutto nei muscoli. In seguito altre funzioni vennero riconosciute al fegato, fra cui le più importanti sono la funzione uropoietica, cioè la formazione dell'urea che, nei mammiferi, è il prodotto finale più importante del metabolismo degli aminoacidi e viene poi eliminata attraverso l'urina; la funzione antitossica, che consiste nella trasformazione di molti veleni endogeni ed esogeni in sostanze innocue. Durante la vita fetale inoltre il fegato è un importante organo ematopoietico, cioè formatore di cellule del sangue, mentre nella vita extrauterina, insieme con la milza, distrugge i globuli vecchi e alterati. E così anche la principale funzione che gli antichi riconoscevano a questa grande ghiandola, la funzione di formazione del sangue, è stata in parte confermata dalle ricerche moderne. 2) L'ematopoiesi e la funzione della milza. La funzione della milza e di vari altri organi analoghi (ghiandole e gangli linfatici, midollo osseo, ecc.) non potè essere conosciuta se non dopo che fu scoperta la natura cellulare del sangue, e particolar­ mente dopo che fu conosciuto il modo di origine dei corpuscoli sanguigni. I l punto di partenza di questi studi è segnato dalla scoperta di Bizzozero (1868) della funzione ematopoietica del midollo osseo. GIULIO BIZZOZERO, nato a Varese nel 1846, morto a Torino nel 1901, laureato in medicina a Milano, poi arruolatosi con Garibaldi, fu uno dei biologi italiani più notevoli del secondo Ottocento. A ventun anni fu chiamato a Pavia a insegnare Patologia Generale in sostituzione di PAOLO MANTEGAZZA. Nel 1875 passò a Torino alla cattedra di patologia generale, e creò un centro di studi atti­ vissimo. Le ricerche sue e della sua scuola su vari problemi di istologia normale e pato­ logica, considerati sempre da un punto di vista fisiologico, sono molto importanti, e in alcuni campi, fondamentali. A lui si deve la distinzione in tessuti a elementi perenni, stabili o labili, a seconda che le cellule che li costituiscono perdono precocemente (es. tessuto nervoso) o tardivamente (es. tessuto epatico) o non perdono mai (es. sangue, epidermide) la capacità di moltiplicarsi e di sostituire con cellule nuovamente for54 1

    Giulio Bizzozero.

    matesi quelle che vengono a morire per cause accidentali o per l'usura fisiologica. Al Bizzozero si deve inoltre la scoperta delle piastrine, uno degli elementi figurati del sangue. Dagli studi suoi e degli allievi sul midollo osseo e sui connettivi, hanno inizio le conoscenze attuali sulla emopoiesi, o ematopoiesi, cioè la formazione delle cellule del sangue. Oggi si sa che la milza ha una importante funzione ematopoietica nella vita em­ brionale (che può occasionalmente riassumere durante la vita extrauterina) ; mentre nell'adulto ha una funzione prevalentemente ematolitica, cioè di distruzione degli elementi del sangue, funzione che F. BoTTAZZI (r867-194I} professore di Fisiologia umana all'Università di Napoli, ha chiamato emato-catatonistica. Anche le cosiddette ghiandole linfatiche, o linfoghiandole, hanno funzioni che sono in relazione con la formazione degli elementi cellulari del sangue : globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. 3) Ghiandole a secrezione interna. Ormoni. La funzione delle ghiandole prive di dotto escretore rimase per lungo tempo misteriosa. Nella epifisi chiamata anche 542

    ghiandola pineale per la forma simile ad un pinòlo, che è situata sul tetto dell'encefalo, Cartesio aveva creduto di poter situare la sede dell'anima. Dalla ipofisi, o ghiandola pituitaria, situata sotto il pavimento dell'encefalo, si credeva fosse secreto il muco nasale o pituita, umore crasso che poi veniva eliminato per le vie nasali. Il primo esperimento che poteva mettere sulla buona strada per la conoscenza delle funzioni endocrine - uno dei più importanti capitoli della fisiologia moderna - fu quello di A. BERTHOLD di Gottingen sui capponi (r84g) . Dai tempi più antichi erano noti gli effetti morfologici e fisiologici della castrazione, sia sugli animali, sia sull'uomo, ma nessuno aveva pensato di indagarne le intime cause. Il BERTHOLD, castrando dei galletti e poi innestando nuovamente il testicolo nell'animale operato, ma in sede diversa dalla normale, osservò che, quando l'innesto attecchiva, l'animale non assumeva i caratteri del cappone, ma conservava quelli del gallo. Poichè le connessioni nervose originarie non erano ripristinate nell'innesto in sede atipica, doveva trattarsi di una correlazione che si stabilisce per via differente da quella nervosa, e quindi, probabil­ mente, per mezzo di una sostanza elaborata dal testicolo e trasportata per via sanguigna. L'esperimento del Berthold non sollevò fra i fisiologi l'interesse che avrebbe meritato. Pochi anni dopo (r855) CLAUDE BERNARD introdusse il termine di secrez1:one interna per indicare il passaggio del glucosio, derivato dal glicogeno epatico, nel sangue. Tut­ tavia egli non espresse un concetto analogo a quello moderno, perchè il glicogeno 'non è un ormone, ma una sostanza nutritizia e dinamogena. L'idea che sostanze - umori, per chiamarle con l'antico nome ippocratico - ela­ borate da alcuni organi potessero avere una funzione fisiologica su altri andò configu­ randosi a poco a poco nella mente degli studiosi. Nel r86g CHARLES-EDOUARD BROWN­ SÉQUARD di padre americano e di madre francese (nato a Mauritius nel r8r8, morto a Parigi nel 1894) successore di Claude Bernard al Collège de France, e studioso di fisiologia del sistema nervoso, s'iniettò un estratto di testicolo di cavia e affermò di averne tratto vantaggio per le proprie condizioni fisiologiche generali. Inaugurò cosi la opoterapia, o terapia ormonale, che tanto successo do veva avere in seguito. Le osservazioni e gli esperimenti che seguirono negli ultimi decenni del secolo XIX furono essenzialmente di carattere clinico. Fin dal r8SS· il medico inglese TH. ADDISON (1793-r86o) aveva scoperto il rapporto che esiste fra alcune alterazioni delle ghiandole surrenali e il > o morbo di Addison , caratterizzato da una pigmenta­ zione bruna della pelle. Nel r882 o r883 i due fratelli A. e ]. REVERDIN, svizzeri, e il chirurgo TH. KosHER, anche svizzero, osservarono che asportando la tiroide nell'uomo si determina il mixedema, o cachessia strumipriva; e il fc�.tto fu poi confermato da V. HoRSLEY nelle scimmie. Due importanti esperimenti completarono queste osservazioni. MoRITZ ScHIFF (1823-r8g6) di Francoforte sul Meno, professore di fisiologia a Firenze dal r863 al 1876, e poi a Ginevra, dimostrò nel r884 che negli animali si possono evitare i gravi fenomeni patologici conseguenti all'asportazione chirurgica della tiroide innestando tiroide sotto la cute. Nel r8go G. V ASSALE di Napoli applicò, con lo stesso risultato, iniezioni sottocutanee di succo tiroideo. Era ormai chiaro che la tiroide secerne una sostanza indispensabile al normale funzionamento dell'organismo. Questa sostanza è conte­ nuta negli estratti delle ghiandole e può essere somministrata per iniezione. 543

    Le osservazioni chimico-sperimen­ tali si susseguono rapidamente anche per altre ghiandole. Nel 1886 P. J. M6BIUS dimostra il rapporto fra la i per­ funzione della tiroide e i l morbo cosid­ detto di Flajani-Basedow. Nel 1889 osserva che ad alterazioni istologiche della ghiandola pituitaria corrispon­ dono l' acromegalia e il gigantismo patologico. Dello stesso anno è la sco­ perta, dovuta indipendentemente a N. DE DoMINICIS (Napoli) e H. v. MERING e O. MINKOVSKY, che l'asportazione del pancreas negli animali provoca il dia­ bete. Nel 1901 A. FROHLICH descrive l'arresto dello sviluppo e i fenomeni di ipogenitalismo e adiposità determinati da tumori dell'ipofisi negli adolescenti. La conclusione che si doveva trarre da queste osservazioni e sperimenti era che molti organi elaborano delle sostan­ ze le quali, passate nel sangue, hanno la proprietà di influire su processi fisioCharles-Edouard Brown-Séquard. logici e morfogenetici diversi. Mancava un nome per indicare tutte queste sostanze. I due fisiologi inglesi WILLIAM M. BA YLISS (1866-1924) e ERNST H. STARLING (r866-1927) nel 1902 ne scoprirono un'altra, elaborata dalle cellule dell'intestino, che stimola la secrezione del pancreas : le diedero il nome di secretina. Nel 1905 lo STARLING propose il termine di ormoni (da un verbo greco che significa stimolare) per indicare i prodotti delle ghiandole che versano la loro secrezione nel sangue, alle quali fu dato il nome di ghiandole a secrezione interna o endocrine. Il nuovo ramo della fisiologia, chiamato endocrinologia, si sviluppò molto rapida­ mente, acquistando una grandissima importanza sia nella biologia generale, sia nella clinica e nelia terapia. A mano a mano vennero isolati e identificati chimicamente i principali ormoni: la adrenalina (delle ghiandole surrenali, parte midollare) da ABEL (1898) e TAKAMINE (1901) ; la tiroxina (della tiroide) da KENDELL (1914) ; il testosterone (del testicolo) da LAQUEUR (1935) , e così via. Recentemente si è anche riusciti a produrre per via sintetica parecchi ormoni: molti di quelli che si trovano in commercio per scopo tera­ peutico sono preparati sinteticamente. Le principali ghiandole endocrine dell'uomo e degli altri vertebrati sono la tiroide, il timo, le paratiroidi, le ghiandole surrenali (parte midollare e parte corticale), le gonadi (testicolo e ovario) , le isole di Langerhans del pancreas, l'epifisi e l'ipofisi. Quest'ultima secerne molte qualità di ormoni, in particolare elabora le così dette stimoline, che hanno la funzione di regolare il funzionamento di altre ghiandole endocrine (tiroide, 544

    gonadi, surrenali, ed altre) . L'ipofisi funziona quindi come organo centrale, coordina­ tore dell'attività di tutto il sistema endocrino. Poichè le ghiandole endocrine controllano funzioni importantissime (l'ablazione di alcune di esse, come le paratiroidi, le surrenali, determina la morte a brevissima scadenza) e anche la struttura corporea e lo sviluppo di particolari organi (per es. l'ipofisi controlla l'accrescimento corporeo e lo sviluppo degli organi genitali, gli ormoni delle gonadi controllano lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari e la periodicità della funzione sessuale) è chiaro che le disfunzioni endocrine possono essere causa di gravi malattie o alterazioni organiche. Le quali, spesso si possono combattere con la somministrazione di ormoni adeguati (opoterapia) . Un importante ramo della patologia e della terapeutica si è sviluppato sulla base di queste conoscenze. Dal punto di vista della biologia generale, è interessante l'aver trovato questo sistema di correlazione chimica tra le varie parti dell'organismo. La correlazione per via nervosa era nota da lungo tempo; ma la correlazione chimica era stata soltanto adombrata nella cosiddetta teoria degli umori che aveva goduto di favore mutevole durante il corso della storia. In questi ultimi anni si è dimostrato che le ghiandole a secrezione interna e gli ormoni esistono anche negli invertebrati, in particolare negli Insetti e nei Crostacei, in cui controllano processi fisiologici molto importanti, quali la maturazione delle gonadi, lo sviluppo, le mute, le metamorfosi. Sostanze ad azione simile agli ormoni sono state trovate anche nelle piante (fito­ ormoni) in cui influiscono specialmente sui fenomeni di sviluppo. La correlazione chimica, o umorale, è dunque con tutta probabilità un fenomeno generale negli organismi viventi, uno dei mezzi più importanti con cui si raggiunge, durante lo sviluppo, quell'armonia fra le parti che è l'aspetto più saliente della inte­ grazione organica al livello pluricellulare. b) Contrazione muscolare. L'esperimento del GussoN (1677, cfr. pag. 2oo) che dimostrava non verificarsi aumento o diminuzione di volume nel muscolo durante la contrazione, fu ripetuto parecchie voite nel corso della storia. , Già nel 1796 il BARZELLOTTI lo aveva confermato, ma fu RrcHARD EwALD (18551921) che lo confermò definitivamente nel 1887, valendosi di apparecchi molto precisi. Ewald, allievo di F. L. Goltz, fu professore a Strasburgo, ed eseguì molte ricerche sulla fisiologia del sistema nervoso, sulla dinamica della circolazione del sangue, sulla ghian­ dola tiroide. La constatazione della invariabilità del volume muscolare tronca molte antiche ipotesi che furono proposte per spiegare il meccanismo della contrazione. N el 700 dominava la teoria della irritabilità di Haller; proprietà che può essere stimolata per via nervosa e che viene considerata come una dimostrazione della auto­ nomia dei processi vitali, in senso vitalistico. Si pose quindi il quesito se il muscolo sia stimolabile soltanto tramite i nervi, o se possegga anche una sua eccitabilità autonoma. FRANçors LoNGET (18r r-r871) di Parigi, studioso di fisiologia del sistema nervoso, nel 1841, dopo aver reciso i nervi di un arto, esaminò l'eccitabilità del moncone nervoso periferico e del muscolo, e trovò che mentre i nervi perdono l'eccitabilità dopo 3-4 giorni, i muscoli reagiscono a 3 5.

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    Stor1'a delle Scienze,

    I I P,

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    stimoli diretti ancora 1 2 settimane dopo il taglio del nervo. Nel 1850 CLAUDE BERNARD eseguì le classiche esperienze con il curaro sul muscolo gastrocnemio di rana. Dimostrò che questo veleno paralizza i nervi motori e più precisamente le placche motrici. Se si immerge il muscolo in una soluzione di curaro esso non risponde più alla stimola­ zione del nervo, ma conserva la propria eccitabilità diretta. Il nervo è dunque un tramite per cui può giungere al muscolo lo stimolo a contrarsi ; ma la contrattilità è proprietà intrinseca del muscolo, e può essere determinata direttamente nella sostanza muscolare, senza passare per la via nervos_a . Per lo studio della contrazione muscolare, come di molti altri fenomeni fisiologici è, necessario potere ottenere una registrazione grafica, che dia una misura dell'intensità del fenomeno e delle sue variazioni nel corso del tempo. CARL W. LuDWIG, allora pro­ fessore a Strasburgo, nel 1846 introdusse il chirnografo, con cui si può effettuare la registrazione grafica di vari fenomeni fisiologici (cfr. pag. 388). Fra coloro che pitl contribuirono a perfezionare i metodi di registrazione grafica fu ETIENNE-]ULES MAREY (1830-1904) professore al Collège de France, che studiò la fisiologia del cuore e della ci�colazione, la fisiologia dei movimenti. Fu il primo ad usare la cinematografia per scopo scientifico. H. v. HELMHOLTZ, allievo di Ludwig, applicò il metodo di registrazione gra­ fica allo studio della contrazione muscolare costruendo un apparecchio particolare (miografo) , per mezzo del quale fu possibile analizzare minutamente le varie fasi e i vari tipi di contrazione. Oltre alla contrazione semplice fu così possibile studiare il tetano e il tono muscolare. I l tetano era stato osservato per la prima volta da ALES­ SANDRO VoLTA, il quale aveva constatato come stimoli frequentemente ripetuti produ­ cono una contrazione continua. L'esperimento fu ripetuto da CARLO MATTEUCCI (1838) che introdusse il termine di > e poi da Helmholtz il quale considerò questa condi­ zione come il risultato della somma di singole contrazioni che si susseguono in rapida successione. Il tono è uno stato di contrazione di base mantenuta da impulsi che conti­ nuamente provengono dal sistema nervoso. Secondo l'ipotesi di GIULIO FANO (18561939) professore a Firenze e poi a Roma e di FILIPPO BoTTAZZI (1867-1941) professore a N apoli, il tono sarebbe dovuto alla contrattilità di una parte non fibrillare delle fibre muscolari, il sarcoplastna. Oggi però quest'ipotesi non è ritenuta valida. Lo studio del lavoro eseguito dai muscoli fu sviluppato da molti continuatori del­ l'opera di A. Borelli. ERNST HEINRICH WEBER (1795-1878) professore di anatomia e fisiologia a Lipsia, iniziatore della psicofisiologia, riaperse la serie delle ricerche in questo campo (r846) , che furono poi perfezionate con l'invenzione dei dinamografi di MoRSELLI e di WALLER e dell' ergografo di Mosso (18go) . ANGELO Mosso (nato a Torino nel 1846, ivi morto nel 1910) professore di Fisiologia all'Università di Torino, fu uno dei più notevoli fisiologi del suo tempo, e un grande maestro. Allievo di Ludwig, studiò la fisiologia dell'apparato digerente, dei vasi, degli organi di senso, della respi­ razione. Molto importanti soprattutto le sue ricerche sulla fatica (La fatica, Milano, 1891) e sulla fisiologia dell'uomo a grandi altezze, per cui fondò un laboratorio inter­ nazionale scientifico al Monte Rosa (Col d'Olen). Scrisse anche ottime opere divulgative. Molte ricerche furono eseguite sui fenomeni che accompagnano la contrazione muscolare : fenomeni termici, cioè produzione di calore, elettrici, morfologici e chimici.

    Sui fenomeni termici sono fondamentali le ricerche ( 1847) di H . v. HELMHOLTZ che lo portarono alla formulazione del principio della conservazione dell'energia, quasi contemporaneamente a J. R. MAYER (v. pag. 384) . Il v. Helmholtz costruì, per stu­ diare questo argomento, apparecchi assai sensibili . Altre ricerche molto notevoli in questo campo furono poi eseguite (1864) da RuDOLPH HEIDENHAIN (1834-1897) , professore a Breslavia. Gli studi sulla termodinamica della contrazione muscolare furono poi perfezionati con l'ausilio di metodi termoelettrici sensibilissimi, da ARCHI­ BALD VIVIAN HILL (n. 1886) professore allo University College di Londra, al quale nel 1922 fu attribuito il premio Nobel insieme con OTTO MEYERHOF. Lo studio dei fenomeni elettrici che si verificano nella contrazione muscolare ha inizio con una pagina famosa della storia della scienza: la controversia GALvANI-VoLTA alla fine del Settecento (cfr. pag. 304) . Gli esperimenti di Galvani furono ripresi e confermati da E. VALLI (1794) e da A. v. HuMBOLDT (1798) : ma lo studio della elettricità animale entrò in una fase di grande precisione soltanto con la invenzione del galvanometro di LEOPOLDO N OBILI (1825-1827) . Nel 1838-40 CARLO MATTEUCCI scoperse la corrente così detta di riposo o di demarcazione, e nello stesso torno di tempo il Du Bors REYMOND ( 1841) iniziò la serie dei suoi classici studi sull'elettricità animale e introdusse nella tecnica fisio­ logica gli elettrodi impolarizzabili . Nel 1867 LUDIMAR HERMANN (Berlino, 1 838 Konigsberg, 1914) professore di fisiologia prima a Zurigo, poi a Konigsberg, dimostrò che, contrariamente alla opinione del Du Bors REYMOND, nei tessuti integri e in per­ fetto riposo non vi è produzione di elettricità; soltanto in quelli lesi o in attività è dimostrabile una corrente. Lo studio delle correnti muscolari acquistò sempre maggiore importanza, anche dal punto di vista patologico, come mezzo diagnostico, e potè essere notevolmente affinato e perfezionato con l'introduzione del galvanometro a corda. L'inventore di questo strumento è WILHELM EINTHOVEN (n. nelle Indie olandesi nel 186o, morto a Leida nel 1927) professore di istologia e fisiologia a Leida, al quale fu attribuito nel 1924 il premio Nobel. Il galvanometro di Einthoven ha reso possibile lo studio dei fenomeni elettrici nel cuore (elettrocardiogramma) che, per opera dello Einthoven stesso e dei suoi collaboratori e successori, ha fornito conoscenze molto importanti per la fisiologia del muscolo cardiaco e un mezzo diagnostico che rende grandi servizi in clinica. La morfologia della fibra muscolare è ancor oggi uno degli argomenti più discussi dell'istologia. La striatura delle fibre muscolari somatiche fu scoperta da F. FoNTANA (1781) ; le fibre muscolari lisce furono scoperte dal Kolliker nel 1849. Il teloframma, o linea Z, o stria di Amici fu osservata da G. B. Amici (1858) . ERNST \VILHELM BRUCKE (n. Berlino, 1819, m. Vienna, 1892), professore di fisiologia a Konigsberg e poi a Vienna, osservò che ogni fibrilla di cui, com'era già noto a Schwann ( 1839), è composta la fibra muscolare, risulta costituita da una successione di dischi monorifrangenti, isotropi e di dischi birifrangenti, anisotropi . I primi corrispondono ai dischi che in luce ordi­ naria appaiono chiari e ciascuno è diviso in due dalla linea di Amici; · i secondi corri­ spondono ai dischi scuri. Le ricerche di innumerevoli altri autori, fra cui ancora un fisiologo, ALEXANDER RoLLET (n. Vienna, 1834, m. Graz, 1903) allievo di Brlicke, e l'istologo MARTIN HEIDENHAIN (1864-1949, v. pag. 459) figlio di Rudolf, professore a -

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    Wilhelm Einthoven.

    Fot. Nobelstiflelsen

    Tubinga, precisarono alcuni particolari della struttura microscopica della fibra musco­ lare, mentre altri sono ancora oggi in discussione. Sostanzialmente la fibra muscolare striata è concepita oggi come un fascio di miofibrille striate in cui risiede la proprietà contrattile, tutte racchiuse da una comune membrana (sarcolemma) e immerse nel sarcoplasma, nel quale sono sparsi numerosi nuclei. Le modificazioni a cui la fibrilla va incontro durante la contrazione sono state stu­ diate soprattutto dal Rollet già ricordato e da THEODOR WILHELM ENGELMANN di Lipsia (r843-rgro) professore di fisiologia a Utrecht. Engelmann descrisse un aumento di volume del disco isotropo e una corrispettiva diminuzione del disco anisotropo, probabilmente per passaggio di sostanze dall'uno all'altro. Durante le varie tappe di questi progressi delle conoscenze sulla fisiologia della contrazione muscolare e sulla struttura della fibra, molte teorie furono proposte per spiegare l'intimo meccanismo della contrazione. Ancor oggi la questione è di grande attualità, e non si può dire che ne sia stato completamente afferrato il meccanismo: è certo però che grandi progressi sono stati fatti per questa via, seguendo due principali linee di ricerca: la biochimica e quella delle strutture ultramicroscopiche. Il primo passo fu compiuto dal v. Helmholtz (r848) il quale, tenendo presente il principio della conservazione dell'energia, misurato l'aumento di temperatura del

    muscolo durante la contrazione, affermò che l'energia necessaria alla contrazione deve essere sviluppata da reazioni chimiche, e pertanto misurabile. Liebig aveva supposto che la fonte di energia per la contrazione muscolare fosse fornita dalle proteine, ma tale opinione fu contraddetta su basi sperimentali da ADOLF FIECK (Kassel, 18291901) professore a Zurigo e poi Wiirzburg. Nel 188o MAX voN FREY (n. 1852 a Salzburg, m. nel 1932 a Wiirzburg) professore di fisiologia a Wiirzburg, osservò che il massimo consumo di ossigeno si ha nel muscolo non durante la contrazione, ma durante la distensione. Mise questo fenomeno in rap­ porto con la produzione di acido lattico, la cui presenza nel tessuto muscolare era nota da tempo, e iniziò così la serie delle ricerche sulla biochimica dell'azione muscolare. Nel 1917 WALTER MoRLEY FLECHTER (n. Liverpool, 1873) e FREDERICK GowLAND HoPKINS ( r86r-1947) professore di biochimica a Cambridge, osservarono che l'acido lattico si forma durante la contrazione anche in assenza di ossigeno (glicolisi anaerobica) e scom pare poi in presenza di ossigeno. Questi studi portarono alle fondamentali ricerche di A. V. HILL e di Orro MEYER­ HOF (n. nell'Hannover nel 1884; m . a Filadelfia nel 195 1 ) . Quest'ultimo fu direttore del reparto di fisiologia nel Kaiser-\Vilhelm Institut di Heidelberg, poi dovette abban­ donare la Germania per le persecuzioni razziali, e si recò negli Stati Uniti. Egli elaborò la teoria del ciclo di degradazione e di riformazione dell'acido lattico nel muscolo (Die chemische Vorgange im M�tskel; I processi chimici nel muscolo, Berlino, 1930) che gli valse il premio Nobel, insieme con A. v. Hill, nel 1922. Ma lo stesso Meyerhof con­ statò che l'energia proveniente dalla scissione del glucosio fino ad acido lattico è insuf­ ficiente di per sè a dare completamente ragione, in termini termodinamici, della contrazione. Venne perciò data particolare importanza al ciclo dei fosfati, il quale, con la liberazione di legami ricchi di energia da parte dell'acido creatinfo­ sforico e adenosinfosforico, può dare una migliore interpretazione energetica della contrazione. Le ricerche, intanto, si andarono polarizzando sulla struttura submicroscopica, e in particolare su due proteine, la miosina, isolata fin dal 1859 da WILLY KtiHNE (1837-1900) professore all'Università di Heidelberg, e l'actina. La struttura contrattile, cioè la miofibrilla, è costituita essenzialmente da queste due proteine, le quali possono combinarsi formando l'actomiosina. Anche il problema della contrazione muscolare è studiato oggi su base biochimica, molecolare, e si hanno teorie abbastanza plausibili del meccanismo della contrazione. c) Sistema nervoso. L'organo principale della vita di relazione degli animali, sede delle più elevate attività, che si sogliano indicare col nome di attività psichiche, è il più difficile da stu­ diare, quello che più d'ogni altro resiste ai tentativi d'interpretarne completamente la funzione in termini meccanicistici. Tuttavia nel secolo XIX e nel presente sono state acquisite nozioni di fondamentale importanza anche in questo campo. Ai fini della chiarezza di comprensione si possono raggruppare i numerosi problemi relativi al funzionamento del sistema nervoso in tre categorie : r ) meccanismo elementare del funzionamento della cellula nervosa e 54 9

    della conduzione dello stimolo; 2) funzionamento degli organi nervosi ; 3) integrazione dei meccanismi nervosi elementari e manifestazioni dei fenomeni psichici. 1) Strutt?,tra elementare del sistema nervoso e meccanismo della conduzione. Il problema è innanzitutto di carattere istologico : qual è la struttura del sistema nervoso al livello cellulare ? È ben noto oggi che esso è costituito da organi centrali, chiamati semplicemente >, come quelli che costituiscono il cervello, il midollo spinale, i gangli spinali; da organi periferici, come gli organi di senso; da vie di conduzione (nervi) che li connettono. Ed è risaputo anche che gli organi di senso raccolgono stimoli dall'esterno (e anche dall'interno del corpo) e li trasmettono ai centri, i quali li ela­ borano, li comunicano ad altri centri, i quali comandano, per mezzo dei nervi, l'azione dei muscoli, delle ghiandole e degli altri organi >. L'intima struttura di queste varie parti è stata studiata da numerosi istologi del secolo scorso e del presente, e oggi è abbastanza bene conosciuta. Ehrenberg (r833) per primo descrisse nei gangli spinali di rana le cellule nervose, poco dopo Remak (r828) concepì le fibre come prolungamenti delle cellule e il fatto fu poi dimostrato da v. Helmholtz (1842) e da Kolliker (1844) . Nel 1863 KARL DEI­ TERS (1834-1863) allievo di R. Virchow, distinse il prolungamento nervoso e i prolun­ gamenti protoplasmatici della cellula nervosa, e chiarì il rapporto fra la cellula e il cilindrasse della fibra. Nel 1871 J osEPH voN GERLACH (r82o-r8g6) professore di ana­ tomia e fisiologia a Erlanger, con l'impregnazione al cloruro d'oro dimostrò la rete fibrillare diffusa nella sostanza grigia, e pochi anni dopo CAMILLO GoLGI introdusse nella tecnica istologica il metodo dell'impregnazione cromo-argentica, che tosto rese impareggiabili servigi alla conoscenza della struttura istologica del sistema nervoso. Alcuni anni più tardi l'istologo spagnolo SANTI AGO RAMO N Y CAJ AL perfezionò il metodo al nitrato d'argento che porta il suo nome e che è un altro metodo istologico della massima importanza. Come abbiamo detto a pag. 460-461 , una vivace polemica si accese fra i due mas­ simi studiosi del sistema nervoso : Golgi, sviluppando l'idea di Gerlach, sostenne l'esi­ stenza di una Hete nervosa diffusa >> mediante la quale le varie parti del sistema nervoso sono reciprocamente collegate. Cajal invece fu il sostenitore della teoria del che fu ripresa e meglio de­ finita dagli studi di MARSHALL HALL (1790-1857) . L'arco riflesso fu poi studiato da J. Mtiller e soprattutto da WILHELM PFLUGER (1829-1910) professore di fisiologia a Bonn, una delle figure più notevoli della biologia tedesca della seconda metà del secolo XIX, al quale si devono molti importanti contributi in vari argomenti. Il concetto di riflesso condizionato è legato ad un altro grande nome, quello di IVAN PETROVIC PAVLOV. Nato nel 1849 in Riazan, figlio di un prete ortodosso, studiò a Pietroburgo, poi in Germania, dove fu allievo di Ludwig. Fu professore di farmacologia a Tomsk, quindi di fisiologia alla Accademia Militare di Pietroburgo. Andò in pensione nel 1924, ma visse ancora, sempre attivissimo come ricercatore, fino al 1936. Il governo sovietico gli mise a disposizione un grande laboratorio con mezzi praticamente il­ limitati e numerosi assistenti. Nel 1904 Pavlov ebbe il premio Nobel per la medicina per le sue ricerche sulla fisiologia della digestione. Ma questi studi sulla secrezione delle ghiandole salivari, dello stomaco, del pancreas e sui meccanismi nervosi che governano l'attività di tali organi , lo condussero a considerare il problema delle relazioni fra i centri nervosi della corteccia cerebrale e la secrezione, involontaria, delle ghiandole. Così giunse alla formulazione del concetto di riflesso condizionato, al cui studio appro­ fondito dedicò la maggior parte della sua attività fino alla morte. Alla sua scuola si formarono un gran numero di allievi, che ne continuarono l'indirizzo, accentuando l'orientamento meccanicistico nell'interpretazione dei fenomeni nervosi. 553

    I l Pavlov riconobbe che oltre ai riflessi semplici, o riflessi innati, esiste un'altra categoria di riflessi, cui diede il nome di riflessi condizionati. Un esempio dei primi, in cui non entrano in azione centri nervosi superiori, ma soltanto i neuroni del midollo spinale (come è provato dal fatto che si possono ottenere con tutta chiarezza nella (in inglese behaviour) degli individui, in quanto è il solo dato che possa essere oggetto di un'indagine obiettiva. L'indagine psicologica non si limita all'uomo; può essere estesa anche agli animali. Gli antichi naturalisti prestavano agli animali sentimenti e ragionamenti umani, sicchè la loro psicologia veniva tradotta in termini ingenuamente antropomorfici. I naturalisti moderni tentarono l'impresa di c0struire una psicologia animale e una psicologia comparata su basi obbiettive. Impresa ardua, ché se non è facile penetrare con attitudine obiettiva nella mente d'un altro uomo, anche più difficile è rendersi conto dei processi psichici che sono alla base del comportamento degli animali. Fra i primi a porsi il problema fu GEORGE ]oHN RoMANES ( 1848-1894) professore a Oxford, il quale si occupò soprattutto della vita psichica dei vertebrati. Convinto fautore del darwinismo, egli sostenne che non vi è differenza sostanziale ma soltanto di grado fra la psiche degli animali superiori e quella umana. Un allievo di Wundt, ALFRED LEHMANN (1858-1921) professore all'Università di Copenhagen pose la questione in termini obiettivi, cercando di indagare con opportuni esperimenti se gli animali sono capaci di fronteggiare le situazioni nuove o se l'istinto li fa agire come automi, cioè se sono oppur no in grado di imparare dall'esperienza. Queste sono ancora oggi, sostanzialmente, le linee su cui è impostata l'indagine della psicologia comparata, a cui l'americano R. M. YERKER ha fornito uno strumento molto utile, il > con cui si possono esaminare molti problemi psicologici. Anche nel campo psicologico, come negli altri della biologia, si assiste al perpetuo conflitto fra la interpretazione meccanicistica e quella vitalistica. Una teoria mecca­ nicistica che destò molto interesse fu quella dei tropismi di ]ACQUES LoEB (1859-1924) . Assistente di Goltz a Strasburgo, emigrò poi ( 1891) negli Stati Uniti ed ebbe una cat­ tedra all'Università di California. Insieme con MAx VERWORN ( 1862-1921) fu fra i primi a definire i compiti della fisiologia generale. Secondo la sua teoria i movimenti delle piante e degli animali non sono altro che la risposta meccanica a determinati stimoli: l'intensità e la direzione dello stimolo determinano, meccanicamente, la risposta. Questi movimenti, o tropismi, che si usa classificare secondo la nat ura dello stimolo (fototropismo se l'agente stimolante è la luce, chemiotropismo se è una sostanza chimica, barotropismo se è la forza di gravità, ecc.) possono talvolta produrre il danno, o ad­ dirittura determinare la morte dell'animale, come è il caso delle farfalle notturne che attirate dalla luce, vanno a bruciarsi le ali sulla fiamma. Ciò prova secondo il determinismo puramente meccanico dei tropismi. La teoria fu ulteriormente sostenuta dagli esperimenti di H . S. ]ENNINGS ( sui protozoi. Egli vide che la posizione che questi organismi raggiungono, nel punto dove trovano la concentrazione ottimale di ossigeno, è ot una serie continua di prove (principio del >, saggio alla cieca in un dato punto, e di qui vengono respinti per spostano verso un altro, e così via, finchè trovano il luogo 558

    sitivo ve li attira e li trattiene. La teoria, sviluppata soprattutto in base ad osservazioni ed esperimenti sugli invertebrati, può essere trasferita anche ai vertebrati e all'uomo stesso, dimostrando che molte azioni che possono essere interpretate come volontarie. sono in realtà il risultato di un processo meccanico determinato da condizioni fisiche, Sostanzialmente diversa è la teoria dello zoologo CoNwv LLOYD MoRGAN (18521936) professore di psicologia a Bristol, autore della teoria della , per cui ogni fase della evoluzione non sarebbe soltanto la risultante meccanica delle fasi precedenti, ma conterrebbe un elemento nuovo. Questo autore distingue tre livelli di attività psichica: la più bassa è l'attività senziente, segue la coscienza effettiva, che dev'essere posseduta da tutti gli organismi che sono in grado di imparare dall'espe­ rienza. Lloyd Morgan pensa che tutti gli animali, compresi i protozoi, abbiano questo grado di coscienza. Il terzo grado, l'autocoscienza, invece, si trova soltanto negli ani­ mali più elevati e nell'uomo. Lo schema ricorda i tre gradi dell'anima nella concezione aristotelica. Anche ]AKOB VON UEXKULL (r864-1944) zoologo che non appartenne ad alcuna università e lavorò a lungo presso la stazione Zoologica di Napoli, non ri­ tenne che il problema si potesse risolvere completamente in senso meccanicistico. Nel suo libro Umwelt und Innenwelt der Tiere (Mondo esterno e mondo interno degli animali, rgog) egli sostiene che soltanto una parte delle relazioni fra l'animale e l'ambiente ci è comprensibile; un'altra parte sfugge ed è difficilmente obbiettivabile. Nel comporta­ mento degli animali v'è una parte finalistica, che non è riducibile in termini meccanici. In verità la teoria dei tropismi, e il voler ricondurre tutta l'attività psichica al giuoco dei riflessi erano atteggiamenti troppo semplicistici, e perciò risorsero a contrastarli, come si vede dall'esempio di v. Uexkiill, gli indirizzi psicologici vitalistici. Uno dei tentativi più recenti di rimettere la questione in termini positivi è dato dalla cosiddetta cibernetica. Il termine e il concetto sono stati creati da N . WIENER: si tratta di studiare la trasmissione dei segnali di comando e di controllo, sia nei sistemi meccanici, elettrici, elettronici, sia negli organismi. Secondo una definizione più ampia, la cibernetica è la scienza delle attività dirette a conseguire un determinato scopo. La somiglianza dei meccanismi elementari con cui vengono trasmessi i segnali e viene controllato il lavoro, nelle macchine create dall'uomo e negli organismi, è davvero notevole. Anche più impressionante è il funzionamento dei cervelli elettronici i quali eseguono rapidissimamente calcoli molto complessi (per i quali si richiederebbero giorni, mesi, anni di lavoro dei calcolatori umani) e altre operazioni (traduzioni in lingue diverse, indovinelli, ecc.) per cui è necessario un processo di >. Non v'ha dubbio che codesti ritrovati e gli studi che grazie ad essi si possono fare contribuiranno a chiarire il meccanismo elementare dell'attività psichica. Fra queste macchine e il cervello umano v'è ancora una grande differenza : esse non sono capaci di creare, non sono cioè dotate di intelligenza creativa come quella che si richiede per comporre un'opera d'arte, o di filosofia, o per impostare una teoria scientifica. d) L'indirizzo biochimico e biofisico. La biochimica o chimica biologica, nacque con la dimostrazione data dal Lavoisier che i costituenti essenziali del corpo degli animali e delle piante sono alcuni elementi 559

    chimici, che si trovano anche nel regno minerale : carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto, e (aggiunse il chimico francese) forse anche fosforo. Oggi sappiamo che non meno di quaranta dei 93 elementi conosciuti si trovano anche negli organismi, ma i quattro su indicati da soli formano il 97°/0 della materia vivente. Oltre al fosforo, una quindi­ cina di altri elementi sono indispensabili alla vita, benchè contenuti in quantità pic­ cole, o addirittura minime (calcio, potassio, sodio, zolfo, cloro, ecc.) mentre numerosi altri possono considerarsi come accidentali. La sintesi dell'urea ottenuta da Wohler nel r828 (cfr. pag. 377) dimostrò che non era necessario postulare forze speciali, esclusive dei viventi per comprendere la forma­ zione dei composti organici. Le ricerche sulla respirazione e sulla funzione clorofilliana, i cui risultati furono abilmente sintetizzat i dal chimico inglese Sir HuMPHRY DAVY (177I-I 829) nel suo volume Elements of Agricultural Chemistry (Elementi di chimica agraria, Londra r8r3) , misero in luce come alcuni fenomeni fondamentali della vita siano di natura chimica. Ma colui che primo vide chiaramente che gran parte dei fenomeni vitali sono da ricondurre a fenomeni chimici, fu Justus von Liebig, il quale dedicò tutta la sua attività a cercare di spiegare i fenomeni vitali su basi chimiche. Questo indirizzo sommamente fecondo, consentì una visione unitaria di molti fenomeni biologici. Si può dire, per esprimerci con termini matematici, che la ridu­ zione dei fenomeni vitali al comune denominatore chimico, da un lato, e al comun denominatore cellulare, dall'altro, costituisce la caratteristica più importante della biologia moderna, la quale ha potuto così acquisire una visione sintetica di molti fenomeni prima considerati diversi e spesso non omologabili. Gran parte della ricerca biologica contemporanea è tuttora impegnata in questa via, e, in particolare, nel ten­ tativo di spingere l'analisi chimica sin nell'interno della cellula, per cogliere l'aspetto chimico dei fenomeni elementari della vita, al livello cellulare e subcellulare. Già abbiamo incontrato, nelle pagine che precedono, molti esempi dei contributi che lo studio su base chimica ha recato alla soluzione di problemi biologici. Accen­ neremo qui di seguito ad alcuni altri casi. r) Respirazione. I fenomeni chimici fondamentali della respirazione erano noti dalle ricerche che abbiamo ricordato (v. pag. 300-304). Ma la funzione del sangue come trasportatore di ossigeno era ancora scarsamente conosciuta. Nel r 864 FELIX HoPPE-SEYLER (n. a Friburgo nel r825, morto nel 1895) professore di chimica fisio­ logica a Strasburgo dimostrò che l'ossigeno si combina lassamente con l'emoglobina, il pigmento rosso del sangue localizzato nelle emazie o globuli rossi. L'emoglobina (di cui Hoppe-Seyler studiò accuratamente le proprietà chimiche, fisiche, fisiologiche) è una proteina che ha la funzione di servire da veicolo all'ossigeno, legandolo lassa­ mente alla propria molecola quando viene a contatto con esso negli organi respiratori (polmoni, branchie) . Lo cede poi ai tessuti, dove ha luogo il vero e proprio processo respiratorio. Hoppe-Seyler studiò anche molte altre sostanze che si trovano negli organismi : glicogeno, lecitina, colesterina, proteine, ecc. ; egli è uno dei fondatori della chimica fisiologica, come allora si diceva, o biochimica, come oggi si preferisce chia­ marla. CRISTIAN BoHR (r8SS-I9II) di Copenhagen, continuò quest'ordine di ricerche e in particolare illustrò l 'influenza della pressione di anidride carbonica (la quale viene s6o

    in massima parte disciolta nel plasma sanguigno, donde, nei polmoni, viene emessa all'esterno) sulla curva di dissociazione dell'ossigeno dall'emoglobina. JoHN ScoTT HALDANE (r86o-r936) chiarì parecchi problemi della chimica e della meccanica respi­ ratoria e dimostrò sperimentalmente nell'uomo che la quantità di anidride carbonica disciolta nel sangue controlla l'attività del centro bulbare che comanda i movimenti respiratori. Ma la scoperta più importante nel campo della fisiologia della respirazione fu quella di Orro WARBURG (n. r883) , direttore di una sezione dell'Istituto Kaiser Wilhelm (ora Max Planck) di Berlino: la scoperta dell'enzima respiratorio cellulare, per la quale gli fu assegnato il premio Nobel nel 193 1 . Le ricerche del Warburg su quest'argomento furono eseguite alla Stazione zoologica di N apoli sulle uova di ricci di mare. In seguito si constatò (D. Keilin, 1927) che nella reazione respiratoria entrano in azione parecchi enzimi che contengono ferro nella loro molecola, i citocromi (già identificati nel 1886 da Mc. MUNN e da lui chiamati citoematine). All'enzima scoperto da Warburg, che causa la ossidazione dei citocromi mediante ossigeno molecolare, fu dato poi il nome di citocromossz:dasi. Oggi la serie dei fenomeni chimici elementari della respirazione, che avvengono nell'interno delle cellule, è abbastanza bene conosciuta - sebbene ancora non completamente in tutti i particolari - e si sa che essa si svolge secondo uno schema sostanzialmente identico in tutte le cellule, compresi i batteri : gli enzimi che entrano in gioco sono gli stessi nelle cellule più diverse. Notevole uniformità dei processi chimici fondamentali pur nella immensa variabilità morfologica e fisiologica degli organismi. 2) Fotosintesi. Il Warburg si è anche occupato di problemi relativi alla foto­ sintesi. La storia della conoscenza della respirazione è stata sempre intimamente con­ nessa con quella della fotosintesi, cioè di quel processo per cui si forma una sostanza organica, il glucosio, per sintesi da sostanze minerali : l'anidride carbonica e l'acqua. Abbiamo visto (p. 302) come fin dal 1771 il Priestley avesse affermato che le piante purificano l'aria resa irrespirabile dalla respirazione animale o da processi di combu­ stione. Tale affermazione fu contraddetta da un altro grande chimico, K . W. ScHEELE, il quale sostenne invece che le piante, come gli animali, rendono l'aria meno pura. Il Priestley, ripetuto l'esperimento, constatò che ambedue le azioni sono possibili. Pochi anni dopo (1779) il medico olandese ]AN INGENHouzs (1730-1799), che svolse buona parte della propria attività in Inghilterra, risolse il problema dimostrando che le parti verdi delle piante migliorano l'aria se esposte alla luce del sole, e la rendono impura all'oscurità, mentre le piante non verdi la rendono irrespirabile sia alla luce, sia al buio (Experiments upon vegetables, discovering their great power of pun"jying the common air in the sunshine and of injuring it in the shade and at night [Esperimenti s�ti vegetali in cui si scopre la loro grande efficacia nel purificare l'aria ordinaria alla luce del sole e nel contaminarla nell'ombra e di notte] , Londra 1779) . Tutti questi esperimenti erano messi in rapporto con la teoria del flogisto, che allora era in voga. Nel 1782-83 ]EAN SENEBIER di Ginevra (1742-1809) che più tardi (r8o4) curò l'edizione dell'opera postuma di Spallanzani sulla respirazione, pubblicò i risultati · delle proprie esperienze, che l' inducevano a riconoscere la necessità della presenza dell'« aria fissa 1> (anidride carbonica) perchè il miglioramento dell'aria operato dalle 36.

    -

    Storia delle Scienze, I I I l .

    piante verdi potesse avvenire (Mùnoires physico-chimiques sur l'infhtence de la lumière solaire [lVIemorie fisico-chimiche sull'inflttenza della lu,ce solare] , Ginevra, 1782) . Stimolato dal Senebier, THÉODORE DE SAUSSURE (1767-1845) ginevrino, si diede a studiare il problema della respirazione dei vegetali e nella sua opera Recherches chimiques sur la végétation (Ricerche chimiche sulla vegetazione, 1804) , mise in accordo con la nuova teoria chimica del Lavoisier (cfr. p. 302) i dati raccolti da tutti gli autori precedenti. Egli giunse alla conclusione che la fonte da cui i vegetali traggono il carbonio è l'ani­ dride carbonica dell'atmosfera, che essi scindono in carbonio e ossigeno, trattenendo il primo e liberando il secondo. Concluse anche che la presenza di ossigeno è necessaria alle piante verdi, perchè esse compiono anche il processo inverso, cioè la vera e propria respirazione, assumendo ossigeno ed emettendo anidride carbonica. Il botanico e fisiologo francese joACHIM DuTROCHET (1776-1847) eseguì esperimenti più precisi, che gli permisero di dimostrare (1837) che soltanto le cellule che contengono il pigmento verde sono in grado di assorbire l'anidride carbonica. A quel pigmento i chimici francesi PIERRE PELLETIER (1788-1842) e jOSEPH CAVENTON (1795-1878) avevano dato nel 1817 il nome di clorofilla (da due parole greche che significano >) . A questo punto si inseriscono le ricerche di Juuus SACHS (1832-1897) , allievo di Purkine e poi professore di botanica a Wiirzburg, che fu uno dei più notevoli botanici del secolo XIX, e il fondatore della fisiologia vegetale. Osservò che la clorofilla non è diffusa nei tessuti o nelle cellule, ma è contenuta in piccoli corpi che si trovano nel­ l'interno delle cellule, ai quali A. F. W. Schimper nel r883 diede il nome di cloroplasti, adottando con un prefisso il termine di plastidi, ch'era stato introdotto da E. Haeckel nel 1866, per indicare quei corpi che risiedono nelle cellule e sono dotati della capacità di riproduzione. SACHS precisò che i cloroplasti, in presenza di luce solare costruiscono molecole di amido, a spese di anidride carbonica e acqua. L'anidride carbonica entra nei tessuti vegetali attraverso microscopiche aperture che si trovano sulla superficie delle foglie, gli storni, e si scioglie nell'acqua del protoplasma. La costituzione della clorofilla fu poi studiata con vari metodi, e si vide che si tratta di una miscela di almeno due pigmenti verdi e uno giallo. Nel 1882 T. W. Engel­ mann, fisiologo di Utrecht, dimostrò che le varie radiazioni dello spettro luminoso non hanno lo stesso potere di attivazione della clorofilla: le luci a lunghezza d'onda maggiore (rosso e giallo) sono le più efficaci. Questi studi furono continuati ed estesi dal russo TIMIRIAZEF (1843-1920). La > , che determina il processo della > cioè della formazione di una sostanza organica (glucosio) a spese di sostanze inorganiche, è una delle più importanti attività vitali. Senza di essa né le piante né gli animali potrebbero esistere. Le piante verdi sono organismi autotrofi, cioè sono capaci di co­ struire le complesse molecole organiche a partire da sostanze minerali piuttosto semplici ; gli animali invece sono eterotrofi, perchè, non possedendo tale capacità, dipendono dalle piante, dalle quali ricavano, direttamente o indirettamente, le sostanze organiche con cui costituiscono il proprio protoplasma. La catena delle reazioni chimiche che conducono alla fotosintesi clorofilliana non è ancora oggi completamente conosciuta, benchè molte tappe ne siano note: è una catena lunga e complessa molto più che non

    si ritenesse da princ1p10. È oggetto di attive e intense ricerche che indubbiamente riusciranno infine a darne una interpretazione completa. Il WARBURG ha contribuito a queste ricerche, determinando il numero di q'ttanti di energia radiante che sono richiesti per la formazione di una molecola di glucosio, e formulando una teoria del decorso della fotosintesi un po' diversa da quella classica, dovuta al chimico di Monaco, RICHARD WILLSTÀ.TTER (1872-1942). Ricerche successive, oggi in corso, hanno ulte­ riormente modificato tale teoria. La sintesi clorofilliana comporta l'acquisizione di una notevole quantità di energia, fornita dalla luce solare, che viene immagazzinata nella molecola del glucosio. La respirazione è il processo inverso : consiste cioè nella ossidazione del glucosio in anidride carbonica e acqua, con liberazione dell'energia, della quale una parte può venire utiliz­ zata nella cellula per altre sintesi biologiche, altra parte finisce degradata in calore. La formula grezza della fotosintesi è la seguente, che, letta in senso contrario, rappresenta la respirazione : 6H 20 + 6C02 + 675 cal � C6H1206 . Il carbonio è dunque condotto, insieme con l'idrogeno e l'ossigeno, a entrare nella costituzione delle sostanze organiche, che passano dall'uno all'altro organismo, finchè non vengono degradate e i loro costituenti rientrano a far parte del regno minerale (un aspetto della > di Moleschott). Così anche altri elementi, zolfo, fosforo, e in particolare l'azoto, vengono tratti dall'inorganico nel mondo orga­ nico e poi nuovamente restituiti al primo. I cicli di questi elementi, in cui ha parte essenziale l'attività chimica dei batteri, sono stati delineati, almeno nei loro tratti . essenziali, dagli studi di parecchi chimici e biologi. 3) Nutrizione e ricambio. Anche lo studio della nutrizione, dell'assimilazione, del ricambio, viene continuato sul piano chimico : notevole in questo indirizzo l'at­ tività di FRANZ HoFMEISTER, (1850-1922) successore di HoPPE-SEYLER a Strasburgo, e fondatore di una attivissima scuola di biochimica. Nel ricambio o metabolismo si distingue una fase ascendente, costruttiva, chiamata anabolismo e una discendente, disgregativa, detta catabolismo. La prima consiste nella costruzione di molecole com­ plesse, con impiego dell'energia necessaria a realizzare determinati legami chimici. Il catabolismo consiste invece nella disgregazione di molecole complesse, con libera­ zione di energia. Perciò, oltre all'aspetto puramente materiale del ricambio, che con­ sidera le variazioni qualitative e quantitative delle sostanze, si ha un aspetto energetico, che considera l'impiego di energia e il suo bilancio. A questi studi hanno dato contri­ buti numerosi fisiologi, fra cui ricordiamo ]AKOB MoLESCHOTT (v. p. 378), KARL VON Von ( 1831- 1909) di Monaco, MAx VON PETTENKOFER ( 1818-1901) anche di Monaco, MAx RuBNER (1854-1932) di Berlino, jACQUES ARSÈNE D'ARSONVAL (1851-1924) del Collège de France di Parigi, OTTO FRANK (1865-1944) successore di Voit alla cattedra di fisiologia di Monaco. Sempre alla scuola di fisiologia chimica tedesca, che ebbe un periodo aureo nella seconda metà dell'Ottocento, appartiene EMIL FISCHER (1852-1919) premio Nobel nel 1902, al quale si devono ricerche fondamentali sulla chimica degli zuccheri e delle proteine. Fischer contribuì in modo essenziale alla conoscenza della struttura delle sostanze proteiche, le quali sono composte di catene di molecole di sostanze organiche più semplici, gli aminoacidi. Egli potè realizzare in vitro l'unione di parecchie molecole .,

    Max von Pettenkofer.

    di aminoacidi, legandole a formare catene polipeptidiche. Le proteine non sono altro che catene polipeptidiche molto più lunghe, costituite da migliaia di molecole di ami­ noacidi. Quindi si può dire che il Fischer è riuscito a ottenere la sintesi delle proteine. Anche per costruire le molecole di questi composti, che, come costituenti essenziali del protoplasma, rappresentano la sostanza vivente per eccellenza, non è necessaria alcuna forza di carattere diverso da quelle conosciute ai chimici. L'indirizzo di ricerca biochimico è stato poi validamente continuato dal discepolo di Fischer, EMIL ABDER­ HALDEN ( 1877-1950) , professore di chimica fisiologica all'Università di Halle. Per opera dei ricercatori che abbiamo ricordato, e di molti altri che seguirono lo stesso indirizzo, si venne quindi dimostrando con sempre maggior chiarezza, che la maggior parte dei fenomeni vitali hanno una base chimica, e che le reazioni chimiche che si svolgono nell'organismo possono aver luogo anche fuori di esso. Tuttavia, per ottenere tali reazioni in vitro, il chimico deve usare mezzi drastici e violenti, che sono incompatibili con la vita. Per bruciare una data quantità di glucosio, (cioè per pro­ durre la respirazione) con la stessa velocità con cui ciò avviene nella cellula vivente, occorre elevare la temperatura molto al disopra dei limiti che consentono la vita. Come possono le cellule dar corso a tante complesse reazioni in modo così efficiente e con tanta rapidità ? Per azione di speciali sostanze ad azione catalizzatrice, gli enzzmz.

    e) Gli enzimi. Le prime speculazioni sulle azioni enzimatiche traggono ongme dall'indirizzo della scuola jatrochimica del '6oo, e in particolare dagli studì sulle fermentazioni (in particolare sulla fermentazione alcoolica) e sulla putrefazione. Il Lavoisier fu il primo ( 1793-94) a far misure quantitative sui prodotti della fer­ mentazione alcoolica degli zuccheri. Egli pensava che la molecola di zucchero si sdoppiasse e che la fermentazione consistesse nella ossigenazione di una delle due metà a spese dell'altra, con la conseguente formazione di una sostanza combustibile, l'alcool. Il Liebig un secolo dopo (1870) propose un'altra teoria sul chimismo della fermen­ tazione : considerò la sostanza che produce la fermentazione, il lievito, come una so­ stanza azotata la quale si trova in uno stato di decomponibilità permanente. Ogni trasposizione di elementi nell'edificio molecolare avviene per effetto del movimento e il lievito trasmette allo zucchero il proprio stato di squilibrio molecolare. La molecola di zucchero, per effetto della scossa ricevuta, perde il proprio stato di equilibrio e si decompone gradatamente in aggruppamenti sempre meno complessi. La fermenta­ zione, dice il Liebig, è quindi un processo paragonabile alla deflagrazione della nitro­ glicerina, che è indotta da un violento urto sulle pareti del recipiente che la contiene� Ma il Pasteur aveva dimostrato molti anni prima, che il lievito aumenta di peso durante il corso della fermentazione. Questa è dunque il risultato di un processo vitale, che si svolge in un organismo inferiore, il quale si moltiplica. Il contrasto fra la teoria biologica e la teoria chimica della fermentazione rimase vivo (era una delle espressioni del contrasto vitalismo-meccanicismo) , finchè nel 1897 EDUARD BucHNER (1860-1917) pubblicò i risultati delle indagini per cui gli fu conferito il premio Nobel nel 1907. Egli dimostrò che, se è vero che la fermentazione alcoolica è legata alla presenza di un organismo, il fungo microscopico Saccharomyces cerevisiae, come sosteneva il Pasteur, non è men vero che un estratto ottenuto comprimendo sotto un torchio grandi quantità del microorganismo, è capace di determinare la fer­ mentazione dei carboidrati, pur essendo completamente privo di qualsiasi elemento cellulare. Perciò dal lievito si può estrarre una sostanza, un fermento, che è attivo anche in assenza di cellule vive. Ouesto risultato rimise in onore la teoria chimica della fermentazione e di altre azioni ad essa analoghe che erano state dimostrate, a seguito dei famosi esperimenti del Réaumur e dello Spallanzani sulla digestione (v. pag. 29)) . In particolare, nel 1830 A.-P. Dubrunfant aveva trovato che l'estratto di malto idrolizza l'amido in maltosio e nel 1833 A. Payen e Pessoz precipitarono da tale estratto una sostanza che può essere conservata allo stato secco. Nel 1831 Leuchs osservò che la saliva saccarifica l'amido e Miahle ( 1845) estrasse dalla saliva la sostanza attiva, che, per la sua somiglianza con la diastasi del malto, chiamò diastasi salivare (in seguito ricevette il nome di ptialina) . Nel 1838 Th. Schwann identificò la pepsina del succo gastrico. N el 1837 il grande chimico svedese J ONS J AKOB BERZELIUS (1779-1848) diede la interpretazione dell'azione di tali sostanze, o fermenti, ammettendo che agiscono di presenza, senza prendere parte alla reazione, cioè, diciamo -

    ,...,


    per indicare le sostanze che precor­ rono la sostanza attiva. In seguito il termine fu adottato per indicare la sostanza stessa, mentre il precursore si chiama pro-enzima. Kiihne studiò particolarmente un enzima prodotto dal pancreas, cui diede il nome di tripsina, che ha, come la pepsina, la funzione di degradare le molecole proteiche. Dopo la scoperta del Buchner, che pose fine alle controversie sulla natura degli enzimi, le ricerche si susseguirono, con risultati molto importanti. Si poté così stabilire che gli enzimi sono sostanze proteiche, e precisamente proteine coniugate, che hanno la proprietà di accelerare alcune reazioni. La specificità dell'azione enzimatica è altis­ sima, come fu dimostrato specialmente da Emil Fischer (r852-I919) con le sue fonda­ mentali ricerche già ricordate sulla struttura degli zuccheri e dei polipeptidi. Pratica­ mente tutte le reazioni chimiche che si svolgono nella cellula, e che costituiscono la principale manifestazione, se non l'essenza stessa della vita, possono svolgersi grazie all'azione di enzimi. I quali sono dunque i principali promotori dei processi vitali; s66

    e ciò giustifica pienamente l'importanza che oggi si dà a quel ramo della biochimicap che si chiama, appunto, enzimologia. Gli sviluppi più recenti della biochimica si sono orientati verso una precisa loca­ lizzazione delle sostanze e dei processi chimici entro la cellula. Seguendo l 'indirizzo che ha avuto inizio nell'Ottocento, di riaffrontare tutti i problemi biologici fondamen­ tali alla scala cellulare, anche la fisiologia e la biochimica si sono trasferite al livello della cellula: tale processo dura ancora e durerà probabilmente a lungo, perchè le difficoltà sono molte e per superarle occorrono molta fatica e singolare ingegnosità. Si cerca di individuare nelle cellule la posizione delle varie sostanze e possibilmente le loro variazioni chimiche nel corso dell'attività fisiologica, sperando cosi di poter giungere - come in molti casi si è riusciti a fare - alla localizzazione dei processi fisiologici e delle reazioni chimiche fondamentali nell'interno del corpo cellulare. Per arrivare a questo tipo di indagine chimico-microscopica, si sono dovuti escogitare metodi speciali, sia per poter riconoscere direttamente al microscopio particolari sostanze (reazioni microchimiche colorate) ; sia per procurarsi quantità microscopiche di determinati organelli cellulari (per es. alcuni centimetri cubici di nuclei o di mito­ condri, ecc.) e a ciò si è pervenuti, in alcuni casi, con la centrifugazione frazionata; sia costruendo manometri sensibilissimi, capaci di misurare le minime quantità di gas che possono venire emesse da una sola o da poche cellule, sia con altri apparecchi basati su principi più complicati, e portati anch'essi ad un alto grado di precisione. Molti risultati importanti sono stati già raggiunti e ogni giorno se ne raccolgono .d i nuovi in questi campi, che hanno ormai raggiunto la dignità di discipline a sè, con i nomi di Istochimica (chimica dei tessuti organici) e Citochimica (chimica delle cellule). Un'altra categoria di sostanze che, come gli ormoni, hanno azione oligodinamica, cioè agiscono in quantità anche minima, è quella delle vitamine. Nel r897 il medico olandese CHRISTIAAN EIJ KMAN (r8s8-1930) che in quel tempo dirigeva l'istituto di pa­ tologia a Weltenreden (Batavia) nelle Indie Olandesi, riconobbe che polli, o colombi. alimentati esclusivamente con riso brillato si ammalano di una malattia (polineurite) molto simile a una malattia umana assai diffusa in Asia e conosciuta col nome di beri-beri. Nel rgr2 il chimico KAZIMIERZ FuNK (n. r884) di Varsavia, estrasse dal tritello di riso, dalla crusca di vari cereali, e anche dal lievito, una sostanza che, som­ ministrata agli animali ammalati ne provocava un notevole miglioramento, o la guari­ gione. Tale sostanza, che si dimostrò attiva anche sugli uomini colpiti da beri-beri. fu analizzata dal Funk e, poichè risultò un composto aminico indispensabile per la vita, fu denominata vitamina. Quando si scopersero altre sostanze analoghe, la vita­ mina del beri-beri fu contrassegnata con la lettera B : vitamina B. I n seguito il nome di vitamina è stato usato per indicare sostanze di composizione . chimica diversa (per lo pii1 prive di gruppi aminici) che si comportano come fattori alimentari accessori, o bioregolatori, come anche si dice. Sono cioè sostanze indispen­ sabili allo svolgimento normale di molti processi del metabolismo, ma agiscono in quantità talmente piccola da potersi escludere che abbiano un'azione energetica. Oggi si conoscono numerose vitamine : le vitamine B costituiscono una numerosa famiglia di composti aventi azioni diverse (B1, B2, ecc.) . La vitamina C, antiscorbutica, scoperta da HoLST e FRòLICH nel rgr2, fu isolata dal SzENT GvòRGYI (1928) dal surrene, e fu iden-

    tificata con l'acido ascorbico, che è abbondante negli agrumi e in altri frutti freschi. Altre vitamine sono : la A, antixeroftalmica, la D, antirachitica, la E, della fertilità, la K, antiemorragica, ecc. f) La biofisica. Parallelamente all'indagine chimica prosegue, nella seconda metà dell'Ottocento, e nel Novecento, lo studio delle condizioni fisiche che accompagnano o condizionano i fenomeni vitali. Alcuni processi di carattere puramente fisico vengono scoperti e studiati inizialmente sugli organismi, così per esempio la pressione osmotica, i cui effetti sulle cellule vegetali erano già stati osservati dal Dutrochet e furono poi studiati da WILHELM PFEFFER (r845-rgzo) allievo di Sachs e professore di botanica a Tubinga e a Lipsia, e da Huco DE VRIES (cfr. pag. 445). La penetrazione dei sali nella cellula e la loro azione sui colloidi organici furono studiate da F. HoFMEISTER (r85o-rgzz). La teoria chimico-fisica delle soluzioni, elaborata da Van't Hoff, S. Arrhenius, Nernst ha recato luce nella intepretazione di numerosi fenomeni biologici. L'indagine chimica e quella fisica dei fenomeni vitali parteciparono della tendenza generale dell'indagine biologica moderna a farsi sempre più minuta e a prendere come obbiettivo non tanto l'aspetto macroscopico dei fenomeni, quanto quello microscopico e ultramicroscopico. Soprattutto il quesito relativo alla struttura elementare del protoplasma si faceva sempre più stringente. Con i massimi ingrandimenti del micro­ scopio si potevano risolvere alcuni particolari ; ma i pareri dei vari istologi non erano concordi, e si erano formulate diverse teorie, come abbiamo esposto a p. 457 e segg. A queste teorie era poi stata sostituita la nozione della struttura colloidale del prato­ plasma (cfr. pag. 463). Di recente, come già abbiamo esposto (p. 466) è stato inventato un potente mezzo di indagine, il microscopio elettronico, che consente di fotografare particelle dell'ordine di grandezza delle micelle colloidali. N ei colloidi organici spesso le micelle si identificano con le molecole : cioè le molecole, per esempio quelle delle proteine, sono tanto voluminose (macromolecole) da rientrare nel dominio della strut­ tura submicroscopica, colloidale. A questo punto l'indagine morfologica e quella chimica vengono a confluire su di un unico oggetto, la macromolecola di sostanza organica. A questo livello macromolecolare ci si trova veramente alle radici del problema della vita: e perciò l'indagine moderna si va sempre più intensificando in questo campo. Attualmente si va ristudiando tutta la citologia al livello dimensionale, reso acces­ sibile dal microscopio elettronico (ordine di grandezza del milionesimo di millimetro) , e si constata che anche qui la vita è legata ad una forma, ad una struttura caratte­ ristica. I vari della cellula: membrana cellulare, membrana nucleare, ciglia, mitocondri, il citoplasma stesso, rivelano strutture ultramicroscopiche carat­ teristiche e costanti. Un contributo chiarissimo e importantissimo all'analisi ultrastrutturistica lo aveva dato già da alcuni decenni la genetica. La dimostrazione, ottenuta per via genetica, cioè con lo studio delle ricombinazioni, che i geni sono localizzati in un ordine lineare costante lungo il filamento cromosomico, equivale alla dimostrazione di una struttura costante caratteristica dei cromosomi a livello submicroscopico. I contributi più recenti s6s

    Microfotografia elet­ tronica che mostra la struttura dei flagelli (in sezione trasver­ sale) di un protozoo (Pseudo-trich o n y m ­ pha) : è l a struttura

    tipica di tutti i fla­ gelli, con nove fila­ menti doppi disposti in circolo e due in­ terni, il tutto circon­ dato da una mem­ brana . Là dove non vi è la membrana, la sezione interessa la base dei flagelli (da Scientific

    A merican,

    Settembre 196 I ) .

    della genetica hanno contribuito ad affinare ancor più l'analisi puntandola, anche per la via biochimica diretta, sulla struttura molecolare. È ben noto infatti che le molecole, e in particolare le macromolecole, sono dotate di una struttura caratteristica, che in alcuni casi si è potuta > e analizzare mediante lo studio dello spettro di diffrazione dei raggi X, in altri casi si può ricostruire per via indiretta. E dalla strut­ tura della molecola dipendono le sue proprietà, le sue specificità. In effetti molti fenomeni biologici si possono studiare al livello molecolare. È questo un orientamento molto importante della biologia contemporanea. Confluiscono qui la biochimica, la biofisica e la genetica. Questa ha dimostrato che le unità eredi­ tarie, i geni, sono edifici atomici la cui dimensione dev'essere dell'ordine di grandezza delle macromolecole. Ha dimostrato che la specificità dell'azione del gene risiede in un gruppo chimico che è costantemente aggregato alle molecole proteiche che costi­ tuiscono i cromosomi : l'acido desossiribonucleico (DNA degli autori inglesi) . La strut569

    tura chimica del cromosoma si può concepire come un > che reca un'>, la quale, sviluppandosi, determina e controlla una data serie di reazioni chimiche che si svolgono nel corso dell'embriogenesi, e che noi possiamo percepire, enormemente amplificate, in quello che ci appare come un > dell'organismo: colore degli occhi, forma delle ali nei moscerini, colore, lunghezza, forma e struttura del pelo in una cavia, e via dicendo. L'informazione portata dal gene si rivela estremamente costante. Tuttavia può subire talvolta un processo di > : in seguito a ciò il gene trasmette una informazione diversa : occhio bianco anzichè rosso nella mosca, pelo angora anzichè corto nel coniglio, incapacità del sangue a coagulare (emofilia) nell'uomo, e così via. Il processo di mutazione, estremamente raro come evento spontaneo, può venire prodotto con notevole frequenza mediante il bombardamento dei cromosomi con raggi X o altre radiazioni ionizzanti (cfr. p. 490) . Un processo fisico influenza dunque diret­ tamente un fenomeno biologico, producendo - verosimilmente - una variazione nella posizione degli atomi che costituiscono una molecola. I l filamento cromosomico, che reca su di sè tante > disposte in un ordine costante, si riproduce ad ogni divisione cellulare. Questo processo consiste nella formazione di un altro filamento cromosomico eguale, cioè in ultima analisi di un'altra struttura molecolare - o serie di strutture molecolari - rigorosamente eguale alla primitiva. Se si conoscessero le forze che intervengono in questo processo e il modo con cui esso si verifica, si sarebbe risolto il problema della riproduzione al livello moleco­ lare: della riproduzione, cioè a dire del carattere più tipico degli organismi viventi. Così, mentre si çerseguono gli indirizzi di ricerca classici al livello di popolazioni, o di individui pluricellulari (dimensioni macroscopiche), o al livello cellulare (dimen­ sioni microscopiche) un importante indirizzo della biologia si è venuto differenziando in questi ultimi anni, a cui si è dato il nome di biologia tnolecolare. Lo studio dei fenomeni biologici al livello molecolare, frutto delle collaborazioni di biochimici, biofisici e gene­ tisti, ha dato già alcuni frutti molto notevoli, e darà certamente modo di penetrare più profondamente nei fenomeni elementari della vita. :Dltre al problema della riproduzione, anche l'antico problema dell'origine della vita è stato recentemente riproposto su base sperimentale, al livello molecolare. Dopo le dimostrazioni di Redi, di Spallanzani e di Pasteur, nessuna persona seria può pensare all'origine di insetti o protozoi o batteri per un processo di abiogenesi o generazione spontanea. Neppure per i virus è pensabile un'origine tanto semplice. Si tratta di strutture già molto complesse, e la probabilità che si siano formate per casuale ag­ gregazione di molecole proteiche è assai scarsa. Tuttavia i biologi non hanno voluto considerare completamente esclusa la pos­ sibilità di una formazione di complessi molecolari dotati della facoltà di autoripro­ duzione a partire da composti organici più semplici. Negli anni recenti J . B. S. Haldane, A. Oparin, D. Bernal, A. Dauvillier e alcuni altri biologi hanno proposto alcuni schemi teorici e S. L. Miller (r955) ha ottenuto risultati sperimentali degni di rilievo : da una miscela di composti relativamente semplici sottoposta per lungo tempo all'azione di raggi ultravioletti e di scariche elettriche, ha ottenuto la formazione di alcuni amino­ acidi. I quali, com'è noto, sono i costituenti delle molecole proteiche, e in natura si 570

    trovano oggi soltanto negli organismi viventi. C'è quindi speranza che l'antica e dibat­ tutissifi1.a questione dell'origine della vita possa venire avviata verso l'indagine spe­ rimentale. Gli splendidi sviluppi della fisiologia nella seconda metà dell'Ottocento e nel pre­ sente secolo - che qui abbiamo soltanto potuto tracciare in alcune linee essenziali ché per esporli più a fondo si sarebbe dovuto scrivere un trattato di questa disciplina -. consentono oggi una visione complessiva abbastanza soddisfacente, e congruente nelle sue varie parti, del modo come funziona l'organismo vivente e del modo come i vari orga­ nismi che popolano la terra sono vicendevolmente legati da vincoli spesso invisibili, ma non perciò meno intimi ed essenziali. Molti, moltissimi sono ancora i problemi da risolvere, ma l'esperienza acquisita fin qui indica con sicurezza qual è la via buona da seguire per attingere risultati che abbiano un significato scientifico, e spesso sug­ gerisce i metodi d'indagine più opportuni. Si può quindi prevedere che il cammino della scienza in questo campo, debba proseguire veloce, negli anni a venire, con buona messe di risultati importanti. Due caratteristiche generali colpiscono chi consideri lo sviluppo della fisiologia moderna. Innanzi tutto il fatto che la morfologia costituisce sempre il presupposto essenziale di ogni indagine fisiologica. Senza la conoscenza della forma, l'indagine della funzione è sterile, e può condurre a conclusioni del tutto prive di aderenza alla realtà. E questo è vero sia al livello macroscopico, sia a quello microscopico e ultra­ microscopico : la fisiologia e la biochimica cellulare acquistano un significato bio­ logico completo quando riescono a trovare la localizzazione delle funzioni nei vari organi della cellula. Secondo : il connubio con la fisica e la chimica, l'uso dei metodi di queste discipline, opportunamente adattati alle particolari esigenze dell'indagine biologica, è stato quanto mai fecondo di risultati eccellenti e fondamentali, ed è quello che ha consentito i più mirabili sviluppi. A mano a mano che la fisica e la chimica spingevano l'indagine verso il livello molecolare ed atomico, la biologia le seguiva in questo cammino trasferendo sul piano ultramicroscopico i problemi dei fenomeni vitali. Questo processo continua, e condurrà certamente a risultati importanti. 9· La tnedicina.

    Poco rimane a dire sugli sviluppi della medicina moderna, che non sia già stato esposto nei vari paragrafi relativi alle diverse discipline biologiche. La medicina è stata sempre, e oggi è più che mai, intimamente connessa con la ricerca biologica pura, alla quale di volta in volta ha fornito temi d'indagine e spunti di ricerca, traendone, reciprocamente, informazioni sull'eziologia (cioè sulle cause) dei processi patologici, e quindi norme per la terapia e la profilassi. Respinte definitivamente le concezioni delle malattie come entità metafisiche, o forze malefiche, o alterazioni di normali forze vitali - delle quali concezioni sono superstiti alcuni termini ancora usati nel linguaggio medico, quali virus, noxa, ecc. la medicina ha seguito l'evoluzione delle scienze biologiche, rivolgendo sempre più chiaramente la sua analisi verso i dati positivi che risultano dall'indagine clinica e 57 I

    anatomo-patologica. Principio dominante di questa analisi è che il processo morboso non rappresenta qualche cosa di sostanzialmente diverso dal processo fisiologico che si svolge normalmente nell'organismo ; ma è un'alterazione, per lo più quantitativa, dei processi normali. Alterazione per eccesso, o per difetto, che può essere determinata da varie cause, studiare e definire le quali è il compito principale della patologia. La fisiologia costituisce perciò la base e il presupposto della patologia, allo stesso modo come la conoscenza dell'anatomia normale macroscopica e microscopica (isto­ logia) è il presupposto necessario per l'anatomia (e l'istologia) patologica. Non v'ha dubbio che l 'esigenza di conoscere più profondamente i processi patologici e le loro cause è stato uno dei motori principali che ha dato alla ricerca fisiologica quel grande impulso che ne caratterizza gli sviluppi nell'epoca moderna. Su questo principio fondamentale, che riconduce i fenomeni patologici nell'ambito della biologia generale e consiglia di studiarli con la stessa impostazione metodologica con cui si studiano i processi normali, gli sviluppi dei diversi rami delle scienze mediche sono stati assai vari e complessi, e si sono svolti lungo diverse direzioni. Se si volesse tentare di riassumere in poche parole i caratteri comuni dei vari settori delle scienze mediche, si dovrebbe rilevare innanzitutto la tendenza a rivolgere sempre più l'analisi diagnostica verso la raccolta dei dati positivi, che si possono ricavare dall'indagine clinica e anatomopatologica. E, nel tentativo di raffinare quest'indagine e di rendere i dati sempre meglio obbiettivabili, sono stati inventati, man mano che la ricerca biologica progrediva, nuovi metodi, nuovi strumenti di ricerca, sempre più perfetti e penetranti. Uno dei più utili e più generalmente applicabili è rappresentato dall'uso dei raggi X (radioscopia) o raggi Rontgen, così chiamati perchè scoperti dal fisico WIL­ HELM RoNTGEN nel 1895· Molti altri metodi di uso più specializzato, ma non perciò meno utili, sono stati introdotti nei diversi rami della medicina. Così è andata man mano imponendosi anche in medicina, la necessità dell'indagine quantitativa, dalla misurazione della temperatura corporea con il termometro clinico, alla conta di vari tipi di cellule nel sangue, al dosaggio di sostanze nel sangue o nelle urine. Ciò ha ri­ chiesto anche l'adozione di metodi di elaborazione quantitativa dei dati, metodi biome­ trici, che oggi vengono sempre più applicati nelle ricerche cliniche e anche nella pratica medica. L'uso di metodi e apparecchi altamente specializzati, che richiedono partico­ lare studio e allenamento, è stato - come in altre discipline - un fattore non trascura­ bile della specializzazione che si è venuta determinando e che è sempre in aumento. Nell'ambito di ciascuna specialità si cerca di raggiungere una migliore individua­ zione e classificazione delle varie > ; non per una mera mania clas­ sificatoria, ma perchè la definizione di una malattia implica una certa conoscenza delle sue cause, o almeno a questa conoscenza spiana la via, e così può dare utili informazioni per la terapia. La terapia, cioè la cura del malato con l'intento di ricondurlo allo stato normale, rimane Io scopo principale della medicina. Ma la medicina moderna ha dato molto sviluppo ad un altro compito delle scienze mediche, cui in passato, per le scarse cono­ scenze sulla eziologia della maggior parte delle malattie, non si era potuto adempiere in modo conveniente: il compito igienico-preventivo. Per molte malattie, e soprat­ tutto per le malattie infettive, la conoscenza dell'agente patogeno, della via per cui 572

    esso penetra nell'organismo e del modo come agisce, permette di dettare norme pro­ filattiche. Si cerca cioè di impedire che gli individui si ammalino. E se queste norme sono adottate su vasta scala, in virtù di opportune campagne propagandistiche e d'informazione, o addirittura con provvedimenti legislativi che le rendano obbliga­ torie, si possono ottenere - come l'esperienza dimostra per il vaiolo, per la tubercolosi, la malaria, la lebbra, la peste e molte altre malattie infettive -- risultati grandiosi. Così nelle popolazioni civili sono stati praticamente debellati alcuni dei più gravi flagelli che avevano funestato l'umanità per molti secoli. Premessi questi pochi cenni sui principi generali, teorici e pratici, della medicina moderna, daremo qualche breve notizia sugli sviluppi di alcune sue sezioni. a) Patologia generale. Questa disciplina si afferma sempre più come la disciplina fondamentale delle scienze mediche, quella che, ispirandosi direttamente alla biologia, raccoglie in sè tutti i dati delle esperienze cliniche e della patologia speciale, e, confrontandoli con i dati della fisiologia, cerca di sfrondarE dei particolari e di estrarne le caratteristiche generali, con l'intento di costruire la teoria dei processi morbosi nella sua forma più generale. La patologia moderna è fondata, come tutta la biologia, sulla dottrina cellulare. l processi patologici sono studiati soprattutto al livello cellulare. La classificazione del Bizzozero (cfr. pag. 541) delle cellule che costituiscono il corpo umano in elementi perenni, stabili e labili si riflette anche nella patologia : i processi patologici che col­ piscono gli elementi perenni e li ledono irrimediabilmente, o li distruggono, determi­ nano danni irreparabili, mentre quelli che colpiscono gli elementi stabili, o quelli !abili possono venire riparati, a meno che il processo morboso non colpisca proprio il potere di moltiplicazione, e quindi di rigenerazione di tali elementi. In un trattato moderno di patologia la descrizione dei processi patologici fonda­ mentali è riferita alle cellule : i processi di atrofia, vari tipi di degenerazione e di necrosi (o morte delle cellule e dei tessuti) , oppure processi cosiddetti progressivi : ipertro­ fismi e iperplasie, fenomeni di rigenerazione ecc., sono studiati, innanzitutto, negli aspetti che assumono nelle singole cellule o nei tessuti (citopatologia e istopatologia). Molto interessante e dimostrativo per indicare come è avvenuto il trasferimento dei problemi patologici sulla base cellulare, è lo sviluppo storico delle conoscenze sulla infiammazione.

    r) L'infiammazione o flogosi è riconosciuta fin dai tempi antichissimi come uno dei processi patologici fondamentali. La si può considerare come una esaltazione di processi di difesa e di reazione dell'organismo, che, in determinate condizioni anor­ mali, assumono, in luoghi più o meno circoscritti, intensità eccezionalmente elevata, determinando un insieme di sintomi caratteristici e ben conosciuti ai medici, e anche ai profani. Fra questi sintomi il più cospicuo ed evidente è l'arrossamento della parte, che anche prima della scoperta della circolazione del sangue era considerato come dovuto ad un particolare afflusso di umori, o di sangue. Dopo la scoperta della circolazione, il concetto dominante sulla eziologia della infiammazione fu quello di una stasi san573

    guigna, che alcuni, come ROI delle pareti vasali, che si rilasciano e permettono una essudazione di plasma. Altri invece, e specialmente i patologi della scuola inglese, quali jOHN HUNTER (1728-1793) e il grande chirurgo londinese jAMES PAGET (I8I4I899) riprendendo il concetto già esposto da Thomas Sydenham nel '6oo della fun­ zione difensiva, salutare, delle flogosi, considerano la iperemia, (cioè l'eccesso di irro­ razione sanguigna) come un processo attivo, per dilatazione dei piccoli vasi. A ciò è dovuto l'aumento di temperatura della parte infiammata e alla stessa causa va rife­ rita la essudazione caratteristica. Ma nella Patologia cellulare di Virchow (3a ediz. r862) viene esposta una nuova teoria. Lo stimolo, la irritazione che provoca la flogosi determina un'eccitazione delle cellule dei tessuti interessati, e specialmente di quelle del tessuto connettivo. Esse aumentano di volume, poi si moltiplicano attivamente, e questi processi di ipertrofia e di proliferazione rappresentano l'aspetto principale dell'infiammazione. La iperemia e la essudazione di plasma sanguigno sono fenomeni secondari, determinati a lor volta dalle accresciute esigenze trofiche delle cellule. Per spiegare la genesi del pus, e come si trovino nelle regioni infiammate cellule diverse dalle normali cellule connet­ tivali, Virchow sostenne che queste sono capaci, moltiplicandosi, di dare origine non soltanto ad elementi a loro simili, ma anche a cellule globose, quali gli elementi del pus. Volle anzi generalizzare questo fatto, ammettendo che le cellule connettivali siano capaci di dare origine a cellule indifferenziate, le quali possono evolversi secondo direzioni diverse. Le cellule connettivali avrebbero dunque la capacità di trasformarsi in cellule embrionali, indifferenziate. La teoria di Virchow ebbe molto successo, come meritava, ed ebbe anche un bene­ fico effetto sulla medicina pratica : quello di por fine alla mania dei salassi, con cui i medici del primo Ottocento credevano di poter curare molti mali di natura infiamma­ toria, con il risultato che parecchie generazioni di pazienti furono abbondantemente dissanguate. La teoria però era in parte errata, soprattutto per quanto riguarda l'ori­ gine degli elementi cellulari dei tessuti infiammati. Nel r865 il RECKLINGHAUSEN osservò che i connettivi contengono, oltre alle proprie cellule (cellule fisse) anche cellule mobili, tondeggianti, simili ai leucociti del sangue e ai corpuscoli del pus. Un allievo di Vir­ chow, Juuus CoHNHEI!vl (1839-r884) nel r867 eseguì un'accurata esperienza e una diligentissima osservazione, che lo portò alla scoperta di alcuni fenomeni fondamen­ taii della infiammazione. Se si estrae per un'apertura dell'addome un'ansa intestinale di rana, senza lederne le connessioni vascolari, e la si fissa su di un anello di sughero, così da tendere il mesentere, che è una membranella trasparente, si può osservarlo al microscopio, con molta precisione. Le condizioni di esperimento determinano una infiammazione del mesentere stesso, e il Cohnheim potè osservare le varie fasi del processo, che sono le seguenti: breve fase di costrizione dei vasi, seguìta poi da dila­ tazione delle arterie e delle vene; essudazione, cioè fuoriuscita di plasma sanguigno, che forma come un manicotto intorno ai vasi, e infine uscita, dalle pareti delle vene più sottili e dei capillari, di leucociti o corpuscoli bianchi, per movimento attivo (mo­ vimento ameboide) che conse�te loro d'introdursi fra le cellule della parete vasale, 574

    e di uscire all'esterno. A questo fenomeno di uscita dei globuli bianchi dai vasi fu dato il nome di diapedesi. Neanche la teoria che Cohnheim oppose a quella di Virchow è priva di errori. Cohn­ heim, sotto l'influenza delle teorie antiche, continuò a spiegare la infiammazione come un disturbo della funzione circolatoria : non attribuì una particolare funzione alla migrazione dei leucociti da lui scoperta (ma ch'egli considerò come un fenomeno pas­ sivo). Tuttavia la nozione che non tutte le cellule esistenti nei tessuti infiammati derivano da proliferazione degli elementi dei tessuti stessi, ma in buona parte proven­ gono dal sangue, fu un importante correttivo della prima impostazione teorica del Virchow. L'interpretazione completa di questi fatti fu raggiunta grazie alla scoperta di Metchnikoff della fagocitosi. 2) La scoperta della funzione fagocitaria. lLIA MECNIKOV (Elia Metchnikoff) nacque presso Charkhov nel 1845 ; studiò scienze naturali in Germania, e, tornato in patria, divenne professore di zoologia a Odessa (1870) ; ma dovette poi abbandonare il suo paese per ragioni politiche. Si recò prima a Messina (1876) poi a Vienna e nel 1888 Fol. Nobelslillelsm

    Ilia

    Mecnikov.

    575

    A

    B

    Fagocitosi di bacilli del carbonchio da parte di un globulo bianco del sangue: in A un bacillo è già stato fagocitato, la fagocitosi dell'altro è iniziata; in B, anche l'altro germe è stato tutto in­ corporato nella cellula, dove viene disgregato in particelle, le quali saranno poi digerite (fotografia originale di Robineaux e Frederic).

    entrò nell'Istituto Pasteur di Parigi di cui divenne secondo direttore. Morì a Parigi nel 1916. Nel 1908 fu insignito, insieme a P. Ehrlich, del premio Nobel per la medicina. A Messina il Mecnikov studiò il modo con cui vari vertebrati introducono il cibo nel proprio corpo. In molti invertebrati inferiori (Spugne, Celenterati) le cellule del­ l'intestino sono capaci d'inglobare sostanze solide, che poi vengono digerite da enzimi nell'interno della cellula. Queste cellule si comportano cioè come alcuni protozoi, in particolare le amebe, che, emettendo protuberanze chiamate pseudopodi, circondano e inglobano granuli microscopici (per es. alghe unicellulari) per nutrirsene. Nella maggior parte degli animali invece la nutrizione avviene in un altro modo : le cellule del canale digerente secernono enzimi, che operano in sede extracellulare digerendo le sostanze alimentari. Queste, ridotte in forma solubile, penetrano attraverso la membrana cellulare e vengono così introdotte nelle cellule, donde passano nell'interno del Mecnikov diede il nome di fagociti alle cellule che hanno la capacità di particelle solide ; del che si assicurò usando granuli colorati (per esempio di Egli osservò poi che anche negli animali in cui la digestione è del tipo esistono tuttavia nel corpo cellule mesodermiche, di tipo ameboide, capacità di inglobare granuli solidi, di fagocitare. Questa osservazione era già stata fatta parecchi anni prima da quale aveva visto che i globuli del sangue di un mollusco hanno la parti­ celle solide di indigocarminio ; ma non a ve va dato im fenomeno.

    Unità di telecobaltoterapia dell'Istituto di Radiologia della Università di Torino.

    Storia dt!!e Scienze, III.

    Mecnikov invece intuì che la fagocitosi poteva avere un'importante funzione difensiva, in quanto poteva servire a distruggere corpi estranei, o prodotti di cellule in disfa­ cimento (1883). A Parigi lo zoologo russo ebbe occasione di osservare che la popolazione di un piccolo crostaceo d'acqua dolce del genere Daphnia, che viveva in una vasca del Jardin des Plantes, era attaccata da un fungo (blastomicete) parassita, che recava a morte molti degli individui affetti. Le spore del blastomicete penetrano nel canale alimentare della dafnia, poi passano attraverso la parete intestinale e penetrano nella cavità celomatica: qui il Mecnikov potè osservare che vengono attaccate dalle cellule sanguigne, leuco­ citi, che, nei casi favorevoli, riescono a distruggerle. Se l'opera distruggitrice riesce, l'individuo è salvo; se i leucociti non sono capaci di frenare lo sviluppo delle spore, la dafnia muore. Così Mecnicov scoperse la funzione fagocitaria, che è presente e molto attiva anche nei vertebrati. Quegli elementi cellulari che il Cohnheim aveva visto uscire dai vasi sono appunto fagociti, i quali nei processi di infiammazione si portano in gran numero, richiamati da un chemiotropismo positivo, verso la zona in cui la flogosi è in atto, e provvedono a inglobare materiali vari (microbi patogeni, sostanze granulari provenienti dal disfacimento di cellule morte, elementi cellulari interi) esercitando così una importantissima funzione difensiva dell'organismo. I corpuscoli del pus non sono altro che leucociti morti, carichi di materiali inglobati. Mecnikov si dedicò intensamente per vari anni allo studio della funzione fagocitaria: distinse nel sangue dei vertebrati due tipi di fagociti, che egli chiamò rispettivamente microfagi e macrofagi, e che hanno capacità fagocitarie e quindi funzioni in parte diverse. In seguito osservò che anche in particolari organi, ricchi di tessuto connettivo, come la polpa della milza, i gangli linfatici, il fegato, ecc. esistono cellule ad attività ameboide, fagocitaria. Lo spunto dato da queste osservazioni fu poi ripreso : a tali cellule connettivali (riconoscibili perchè assumono alcuni coloranti vitali, e denominate cellule pirrolofile e granulopessiche) fu dato poi il nome di istiociti. Al loro insieme si è data la qualifica di sistema reticolo-endoteliale (L. Aschoff 1913) , o sistema istio­ citario. Il primo nome è derivato dal fatto che molte cellule di questo tipo apparten­ gono al connettivo reticolare e agli endoteli ; ma, poichè questo non è sempre il caso, il secondo appellativo è preferibile. L'origine e la derivazione dei vari elementi del sangue (serie > e serie >), le loro relazioni con le cellule di tessuti connettivi nonchè la loro capacità fagocitaria, sono stati e sono tuttora argomenti di indagine e anche di controversie. Ci limitiamo a ricordare le due opposte teorie di Pappenheim-Ferrata e di Maximow-Weidenreich, senza entrare in merito alla questione, che è discussa nei trattati di istologia, e di patologia. La fagocitosi è una funzione biologica della massima importanza, ed è stata stu­ diata sotto vari aspetti sia in condizioni fisiologiche, sia in condizioni patologiche, e particolarmente nei processi infiammatori di cui rappresenta il fenomeno più impor­ tante. Non è però, come credeva Mecnikov, la sola, nè la più importante interpreta­ zione dei fenomeni di immunità. Per concludere sulla personalità del Mecnikov, ricorderemo ancora la sua descri­ zione delle forme granulari e pleomorfe del bacillo tubercolare ; la dimostrazione data 37.

    -

    Storia delle Scienze,

    II Il,

    577

    con E. Roux ( 1903) della trasmissibilità della sifilide dall'uomo alla scimmia. Intro­ dusse, come mezzo profilattico della sifilide, la pomata al calomelano che è conosciuta col suo nome. Formulò anche una teoria sulla senescenza, attribuendo questo fenomeno alle tossine elaborate dalla flora batterica intestinale. Seguendo questa ipotesi, che non ha trovato gran seguito fra gli studiosi, introdusse una terapia per combattere la senescenza basata sull'uso dei fermenti lattici (yogourt) i quali modificherebbero la composizione della flora batterica dell'intestino. Fra le opere di Me�nikov, le più notevoli sono: Leçons sur la pathologie comparée de l' inflammation (Lezioni sulla patologia comparata dell'infiammazione, Parigi, r892) ; La vieillesse (La vecchiaia, Parigi 1903) ; Bactério­ thérapie, vaccination, sérothérapie (Batterioterapia, vaccinazione, sieroterapia, Parigi, 1908). 3) L'immunità. Era risaputo fin da tempi antichi che gli individui che siano stati colpiti una volta da alcune malattie, come il vaiolo, il morbillo, la varicella e parecchie altre, divengono refrattari a tali malattie, acquistano l'immunità. La pra­ tica della > cioè della inoculazione del vaiolo da uomo a uomo per provocare l'immunità contro questa malattia era conosciuta e diffusa in varie popola­ zioni (Arabi, Cinesi, Indiani) . Ma, come abbiamo detto (pag. 319), fu merito di E. Jenner di averla sostituita con una pratica meno pericolosa, quella della >, che consiste nella inoculazione del vaiuolo vaccino. Verso il r88o, dopo che Pasteur ebbe dimostrato l'importanza dei microbi come agenti patogeni, si creò un dualismo fra malattie dovute a >, e malattie dovute a >. Si credeva, che le prime, che si ritenevano non microbiche, dessero l'im­ munità, le seconde invece no. Fra le malattie non microbiche ne erano noverate alcune, che oggi sappiamo dovute a virus filtrabili (come la scarlattina, il vaiuolo, il morbillo) e altre che invece sono in realtà determinate da batteri {carbonchio, tifo, peste bub­ bonica) . Si riteneva dunque che le malattie determinate da batteri non fossero capaci di dare l'immunità; ma ben presto questa opinione si rivelò erronea, e ciò fu dimostrato, ancora una volta, dal Pasteur. Egli si pose il problema di produrre artificialmente l'immunizzazione per altre malattie, oltre al vaiuolo, con metodo analogo alla vac­ cinazione jenneriana. Nel r88o cominciò a studiare il colera dei polli, che faceva strage nei pollai. L'agente patogeno era stato già osservato da E. PERRONCITO : si tratta di un microbio del genere che, in onore del grande biologo francese, fu poi chiamato Pasteu­ rella. Coltivando il microbio in brodo di pollo, Pasteur scoperse che, se si tengono in vita per lungo tempo le colture facendo i trapianti su nuovo terreno a distanza di molti giorni, si può attenuare la virulenza del microbio, tanto che, inoculato nei polli, non determina più la morte dell'animale. Questo però, superata la malattia, risulta immune a nuove infezioni del germe. Nello stesso anno r88o il Pasteur iniziò le famose ricerche sul carbonchio, malattia determinata da un batterio, Bacillus anthracis, e trovò altri modi per ottenere l'attenuazione del virus. È del r88r il drammatico, famoso esperimento a Pouilly-Le-Fort su 6o montoni e ro vacche, a cui Pasteur inoculò culture del Bacillus anthracis. Tutti gli animali che erano stati previamente vaccinati

    con virus attenuato sopravvissero ; tutti quelli non vaccinati morirono in brevissimo tempo. Nel r884 il grande microbiologo intraprese lo studio della rabbia, malattia che come oggi sappiamo è determinata da un virus filtrabile, e trovò modo di realiz­ zare anche in questo caso una vaccinazione. I l 6 luglio 1885 praticò per la prima volta la vaccinazione antirabbica su di un ragazzo alsaziano che era stato morso da un cane idrofobo : Joseph Meister - era il nome del paziente - fu salvato da morte sicura. Tutto il mondo fu scosso dal risultato degli esperimenti di Pasteur. Il metodo della vaccinazione si affermò come un'arma di straordinaria efficacia contro alcune malattie. I progressi successivi consistettero essenzialmente nel perfezionare i metodi per ottenere un virus attenuato, ma tuttavia capace di svegliare le proprietà immunitarie, senza pericolo per il paziente, cioè senza determinare in lui una grave malattia. Nel 1892 si osservò che, per alcuni microorganismi, si possono ottenere buoni risultati anche con germi uccisi, anzichè con germi viventi. Proseguendo negli studi, si trovò conferma del fatto che mentre alcune malattie infettive conferiscono immunità più o meno durevole, altre (per es. la tubercolosi, la sifilide, la blenorragia) non danno immunità; altre ancora (come la risipola, il raffred­ dore) non soltanto non sono immunizzanti, ma addirittura predispongono alle recidive. Quando il Behring scoperse, come diremo fra poco, la possibilità di conferire ad un individuo una immunità passiva, inoculandogli siero di sangue di un animale vac­ cinato con un dato germe, o trattato con un determinato veleno, nacque e rapidamente si sviluppò un nuovo metodo di cura, a cui fu dato il nome di sieroterapia. In seguito l'introduzione degli antibiotici (cfr. pag. 534) ha dato in molti casi risultati migliori della sieroterapia antibatterica la quale, per alcune malattie, è ora caduta in disuso. Ma la sieroterapia antitossica è tuttora insostituibile per combattere l'azione deleteria di tossine, cioè veleni elaborati da batteri (per es. della difterite, del tetano) o dei veleni dei serpenti. Gli esperimenti del Pasteur portarono dunque in primo piano nella patologia il fenomeno dell'immunità e tosto si aprì il problema delle cause che la determinano. Mecnikov, in base alle ricerche che abbiamo ricordato, cercò di spiegare l'immunità con la funzione fagocitaria. Ma nel r8go EMIL VON BEHRING (r854-1917) medico militare e poi professore a Marburg, scopritore di vari batteri patogeni, fra cui quello della difterite, scoperse la possibilità di immunizzare passivamente contro le tossine del tetano e della difterite, iniettando il siero di un animale infettato, e poi guarito, come abbiamo accennato. Questa era la prova che l'immunità è dovuta a sostanze che si trovano nel siero di animali immunizzati : a tali sostanze il Behring diede il nome di antitossine, che è rimasto nella terminologia moderna. Si andò così profilando una teoria della immunità intesa come fenomeno chimico: la introduzione in un animale di alcune sostanze, quali le tossine elaborate dai batteri, sostanze per le quali si usa il termine generico di antigeni, determina la comparsa nel siero sanguigno di altre sostanze specifiche, che hanno la capacità di neutralizzare le prime: a queste è dato il nome di anticorpi. Nel r8g8 PAUL EHRLICH (r852-1915) allievo di Koch e direttore del Laboratorio di Igiene a Francoforte sul Meno, propose una teoria chimica sulla formazione e sul modo di azione degli anticorpi, che è stata per lungo tempo accettata dai patologi e dai biochimici. Recentemente sono state formulate teorie alquanto 5 79

    diverse. Alla teoria > del Mecnikov veniva dunque contrapposta una teoria >, che incontrava sempre ulteriori conferme, man mano che le ricerche pro­ gredivano. I l problema dell'immunità è uno dei più importanti, e insieme dei più complessi e interessanti della patologia, anzi di tutta la biologia. Si è visto infatti che la produzione degli anticorpi non è necessariamente da considerarsi come un fenomeno a base pato­ logica, bensì come un fatto fisiologico che può venire esaltato in particolari condizioni. Gli anticorpi sono di vari tipi : oltre alle antitossine che abbiamo ricordato, e che neu­ tralizzano determinate sostanze (proteiche) venefiche, vi sono le precipitine, che deter­ minano la precipitazione di date proteine ; le agghttinine, che producono l'agglutina­ zione, cioè la formazione di agglomerati di batteri, di globuli rossi o di altri tipi di cellule, a seconda dei casi; le lisine, che determinano la lisi di batteri o di emazie, ecc. Particolarmente interessanti sono le opsonine che rendono alcune specie di batteri più faci]mente aggredibili ai fagociti : queste sostanze conciliano dunque, in un certo senso, la teoria umorale con quella fagocitaria. Caratteristica di tutti i fenomeni immunitari è l'alta specificità delle sostanze la cui formazione viene determinata dall'antigene : l'anticorpo agisce elettivamente contro una determinata specie batterica, o anche contro un determinato ceppo di una specie, e non contro altri ; contro le proteine di un dato tipo di cellule (per esempio le cellule Fot . Nobelsli/telsm

    Emil von Behring.

    58o

    Karl Landsteiner.

    Fot. Nobelsliftel6en

    del cristallino) che vengono iniettate nel sangue di un individuo, e non contro le proteine di altri elementi istologici. Perciò le reazioni immunitarie costituiscono un mezzo estremamente sensibile per riconoscere determinate proteine: un coniglio sensibiliz­ zato contro una data proteina forma un anticorpo specifico, che determinerà una rea­ zione (di precipitazione, o di agglutinazione, ecc.) ogni volta che il suo siero sanguigno sarà messo in presenza di quella particolare proteina, e solo di quella. Con il progredire delle ricerche sui fenomeni immunitari, si vide che, mentre in alcuni casi - come quelli fin qui ricordati - per ottenere la produzione di determinati anticorpi è necessario > l'individuo, cioè inoculargli l'antigene, in altri casi invece l'anticorpo è già bell'e pronto nel sangue. Questo è quanto si verifica per esempio nei cosiddetti >. N el rgoo KARL LANDSTEINER (r868-1943) patologo viennese che, dal 1922, svolse la sua attività scientifica al Rockefeller Institute di New York, scoperse che nel siero sanguignc- dell'uomo esistono normalmente agglu­ tinine (anticorpi) che agiscono specificamente contro agglutinogeni (antigeni) che si trovano nei globuli rossi di altri individui. La specie umana si suddivide in quattro categorie denominate rispettivamente A, B, AB, O. I l siero di sangue di individui del gruppo A possiede un'agglutinina. avt1.-B e perciò agglutina i globuli rossi degli 58 I

    individui dei gruppi B e AB, il siero degli individui del gruppo B possiede un'agglutinina anti-A e agglutina perciò i globuli rossi degli individui di gruppo A e AB ; il siero degli AB non ha agglutinine e perciò non agglutina i globuli rossi di alcun altro individuo; il sangue degli individui O non ha antigeni e non può quindi venire agglutinato da quello di alcun altro individuo. La conoscenza di questi fatti è di importanza fon­ damentale per la pratica della trasfusione del sangue, che è tanto usata oggi in varie circostanze. Se il sangue del donatore viene agglutinato da quello dell'individuo che lo riceve, si verificano gravi inconvenienti, che possono determinare la morte. Perciò le trasfusioni possono essere fatte soltanto tra individui dello stesso gruppo. Gli indi­ vidui appartenenti al gruppo O, il cui sangue non può venire agglutinato (perchè i globuli rossi non posseggono alcun antigene) sono i cosiddetti >; gli individui del gruppo AB, invece, non possedendo agglutinine, sono >. Poichè qui si tratta di anticorpi che agiscono contro antigeni presenti in individui della stessa specie, si parla di iso-anticorpi e di fenomeni di isoagglutinazione. I -fatti relativi ai gruppi sanguigni sono stati oggetto di numerose indagini, e lo stesso Land­ steiner, in collaborazione con Wiener, nel 1940 scoperse un altro sistema (oltre al sistema ABO, e ad alcuni altri che lo stesso e altri autori avevano successivamente individuato) : il sistema Rh. Questo, il cui simbolo è dovuto al fatto che l'antigene fu scoperto inizialmente nei globuli rossi del macaco (Rhesus rhesus o Macacus rhesus) , è molto importante perchè, fra l'altro, spiega l a causa di una malattia del feto e del neonato, l'eritroblastosi fetale. Nel caso del fattore Rh, a differenza di quanto avviene per i gruppi ABO, normalmente non esistono nel sangue umano gli anticorpi anti-Rh; ma si formano in alcuni individui (chiamati Rh negativi e indicati col simbolo rh) dopo che, per esempio in occasione di una trasfusione sanguigna, è stato in essi ino­ culato sangue di un individuo Rh positivo. Perciò se si fa una seconda trasfusione di sangue Rh positivo nell'individuo sensibilizzato, si può avere l'agglutinazione con fenomeni di una certa gravità. Il gruppo sanguigno a cui appartiene ciascun individuo è una caratteristica inva­ riabile durante la vita, determinata da condizioni genetiche. In altri termini i gruppi sanguigni, cioè le caratteristiche sierologiche, si trasmettono secondo le leggi dell'ere­ dità mendeliana. Perciò, conoscendo il modo di eredità di ciascun gruppo (alcuni sono controllati da una sola coppia, altri da più coppie di geni) se sono noti i gruppi sanguigni dei genitori si può sapere a quanti e quali categorie potranno appartenere i figli. Applicando questo ragionamento è possibile ottenere utili informazioni per la cosiddetta >. Noti i gruppi sanguigni della madre e del figlio, si può decidere se un presunto padre deve considerarsi come un possibile genitore di quel figlio, o se la possibilità della sua paternità debba invece essere esclusa. L'argo­ mento dei gruppi sanguigni, e con esso numerosi altri problemi di sierologia, entra dunque nel dominio della genetica, con alcuni riflessi pratici di notevole importanza in medicina legale. Altre applicazioni medico-legali dei gruppi sanguigni si hanno nel caso di crimini : la determinazione del gruppo sanguigno è possibile anche su piccole quantità di sangue disseccato, e perciò può essere preziosa per escludere che una data macchia di sangue provenga da un determinato individuo. La conclusione contraria, 582

    naturalmente, non ha valore probativo perchè se il sangue di cui si desidera accertare l'origine appartiene allo stesso gruppo di quello dell'individuo in questione, ciò non vuol dire che esso provenga proprio da quell'individuo : può provenire da un altro qualsiasi dello stesso gruppo. La preesistenza degli anticorpi o la loro formazione in seguito all'introduzione dell'an­ tigene corrispondente sono fatti che pongono il problema del luogo di formazione degli anticorpi stessi. Molti dati fanno ritenere assai probabile che gli anticorpi siano elaborati da cellule del tessuto connettivo e particolarmente dalle cellule del sistema istiocitario. Lo studio del vasto argomento, a cui è stato dato il nome di sierologia, ha preso le mosse, come abbiamo visto, dalle reazioni immunitarie, cioè dalle formazioni degli anticorpi specifici contro alcune tossine, o contro alcuni germi patogeni. Era lecito quindi pensare a reazioni di difesa dell'organismo contro agenti nocivi : e infatti una simile teoria ha la sua validità, benchè non sia facile, in base ad essa, rendersi conto del perchè alcuni geni patogeni conferiscono l'immunità, e altri no. Quando poi si sco­ persero i fenomeni di isoagglutinazione, come quelli dei gruppi sanguigni, si vide che reazioni immunitarie potevano essere provocate da proteine appartenenti a specie diverse (per esempio la formazione di siero anti Rhesus) le quali, in natura non hanno alcuna probabilità di venire inoculate nell'individuo che si studia; quando, infine, si osservò che reazioni immunitarie potevano provocarsi perfino con proteine estratte dallo stesso individuo e in lui reiniettate, si dovette abbandonare come interpretazione generale dei fenomeni sierologici la teoria della reazione difensiva. Un comportamento tutto particolare di alcune sostanze fu scoperto nel rgo2 da due biologi francesi: lo zoologo P. PoRTIER e il fisiologo CHARLES RrcHET (r8so-rg35) professore di fisiologia all' Università di Parigi. Essi osservarono che il veleno che si estrae dai tentacoli delle Attinie o anemoni di mare è mortale se iniettato nel cane a dosi superiori a o,rs centimetri cubici per chilogrammo di peso. A dosi inferiori provoca un malessere che dura quattro-cinque giorni, ma poi l'animale si riprende e guarisce. Ma se ad un animale così trattato si iniettano, dopo che è guarito, dosi anche più piccole (o.o8 cc.fkg) dello stesso veleno, si ha rapidamente l'effetto mortale. L'ani� male che ha avuto una prima iniezione anzichè acquistare l'immunità, diviene più sensibile verso la sostanza venefica. A questo fenomeno, in quanto contrario della protezione o >, il Richet diede il nome di anafilassi. Le ricerche furono continuate dal Richet (v. il suo libro L 'anapkylaxe, Parigi, rgrz) a cui fu attribuito il premio Nobel per la medicina nel rgrz. Gli studi sull'anafilassi aprirono un altro vasto e importantissimo capitolo della patologia, quello delle allergie o ipersensibilità che comprendono i fenomeni di ana­ filassi propriamente detti, le idiosincrasie, come l'orticaria e la febbre da fieno, e altre forme affini. Questi fatti rientrano tutti, per le evidenti analogie che si riscontrano nei mecca­ nismi determinanti (anche se questi non sono ancora completamente noti nei loro particolari) nel grande settore della immunologia o sierologia (cosiddetta perchè gli anticorpi si trovano facilmente nel siero sanguigno) . I fenomeni elementari delle reazioni sierologiche avvengono a livello molecolare : gli anticorpi sono molecole, quasi sempre proteiche, e gli antigeni sono altre molecole -

    Charles Richet.

    Fot, Nobelstiftelsen

    che hanno relazioni strutturali e affinità ben definite (seppure completamente cono­ sciute) con le prime. Quindi si può dire che anche per questa via, che ha preso lo spunto da fenomeni patologici, la biologia moderna ha trasferito l'indagine a li vello molecolare. b) La dottrina umorale e la medicina costituzionalistica. Si è voluto vedere nella scoperta degli ormoni un ritorno all'antica >, e si è riparlato quindi ancora una volta di rinascita dello spirito ippocratico in medicina, di neo-ippocratismo. In realtà vi sono state due correnti che hanno seguito per un certo tempo un cammino distinto, per poi convergere e fondersi. Da una parte si venne riconoscendo che alcune malattie colpiscono con maggior frequenza individui che presentano determinate caratteristiche somatiche o psico-somatiche, mentre individui di altro tipo soggiacciono più frequentemente ad altre forme morbose. L'an­ tica medicina aveva riconosciuto alcuni tipi costituzionali : il flemmatico, il melan­ conico, il sanguigno o pletorico e il bilioso o collerico, ciascuno dei quali è più fre­ quentemente soggetto a determinate forme morbose. La patologia e la clinica medica moderna hanno cercato di dare una più obbiettiva precisazione del termine >. D'altra parte si vide che i tipi costituzionali riconoscibili nell'uomo (e anche in alcuni animali, come ad esempio nel cane) sono riconducibili al predominio di alcuni ormoni, cioè alla iperfunzionalità o alla ipofunzionalità di alcune ghiandole

    Achille De Giovanni.

    endocrine. Perciò alcuni clinici ritengono che con la scoperta degli ormoni si sia venuti a dare maggior concretezza all'antica concezione ippocratica degli umori, nonchè al concetto che la loro regolare commistione, cioè una propria crasi umorale, sia necessaria allo stato di salute, e viceversa una miscela irregolare porti allo stato morboso. Al professore di clinica medica dell'Università di Padova, AcHILLE DE Gio­ VANNI (r837-19I6) spetta il merito di avere aperta la via alla nuova medicina costi­ tuzionalistica. Egli constatò che la struttura generale del corpo umano può ricon­ dursi a tre > fondamentali a ciascuna delle quali compete una sua morbilità particolare. GIACINTO VIOLA (r870-I943) , professore di clinica all'Uni­ versità di Bologna, cercò di precisare con misure antropometriche i > fondamentali, che chiamò normotipo, longitipo e brachitipo. Sostanzialmente analoga è la classificazione di ERNST KRETSCHMER (n. r888) , professore di clinica psichiatrica a Tiibingen : egli distingue tre tipi: muscolare, o atletico, che sarebbe legato ad un particolare temperamento predisposto alla epilessia; leptosomico o astenico legato al temperamento schizotimico con predì-

    Guido Baccelli.

    spos1z10ne alla schizofrenia; picnico, con temperamento cicloide e predisposizione alla psicosi maniaco-depressiva. In seguito, come si è detto, si trovò un rapporto tra il tipo costituzionale e il sistema ormonale, e la dottrina costituzionalistica trovò nuove basi e nuovi sviluppi nella endocrinologia. Oggi si cerca di trasferire il concetto piuttosto vago di > in campo genetico. Le caratteristiche che si chiamano nel loro complesso > sono geneticamente determinate : le condizioni ormoniche non sono che il mezzo con cui una data costituzione genetica si riflette sulla struttura somatica. Lo studio della genetica umana va sempre più imponendosi come una neces­ saria premessa alle indagini cliniche e patologiche. Schematizzando si può affer­ mare che la malattia o l'anomalia può essere determinata o direttamente da fattori genetici (come per esempio l'idiozia amaurotica, l'emofilia e altre malattie del sangue) oppure da una disfunzione organica dovuta a cause esterne (fra cui hanno grande importanza i microorganismi patogeni) . Ma anche in questo secondo 586

    caso, ciò che determina la suscettibilità a contrarre la malattia, e la capacità di una difesa più o meno forte contro l'agente patogeno, è, ancora, la costituzione genetica dell'individuo. c) La clinica medica. Fra i più notevoli clinici italiani del secondo Ottocento e del primo Novecento, va ricordato GuiDO BACCELLI (r832-rgr6) romano, che diresse la clinica medica del­ l'Università di Roma dal r856 fino alla morte. Fervente patriota sotto il dominio papale, dopo la costituzione del Regno prese parte attiva alla vita politica: fu deputato dal r874, più volte ministro della pubblica istruzione, ministro dell'agricoltura, in­ dustria e commercio. Oltre a numerosi contributi di notevole importanza alla patologia e alla clinica medica, va ricordata soprattutto la sua opera di grande maestro e orga­ nizzatore non soltanto nel campo strettamente medico. I �eò e fece costruire il Policlinico di Roma, fece eseguire i restauri del Pantheon, gli scavi del Foro, la Passeggiata Archeo­ logica a Roma; promosse gli studi sulla bonifica dell'Agro Romano e delle Paludi Pontine nel quadro della lotta contro la malaria. Fu elegante oratore e scrittore forbito, anche in latino. In lui rivisse, si può dire, lo spirito dei grandi scienziati umanisti del Fot.

    Boyer

    Carlo Forlanini.

    Preparazione di un intervento in una moderna sala operatoria.

    Fot. A llas

    Risorgimento. Le sue ricerche sulle malattie del cuore e del sistema circolatorio, sulla malaria, dal punto di vista clinico sulla diagnosi differenziale dell'essudato purulento pleuritico, rappresentano contributi fondamentali nei vari campi. I maggiori clinici italiani della prima metà nel ' 900 furono suoi allievi. Altri illustri clinici italiani di questo periodo furono CAMILLO BozzoLo (1845-1920) della Università di Torino, MARIANO SEMMOLA (1831-1896) e poi ANTONIO CARDARELLI (1832-1927) di Napoli, AUGUSTO MURRI (1841-1932) di Bologna, EDOARDO MARAGLIANO (1849-1948) di Genova, PIETRO GRocco (1856-1916) di Firenze. A ciascuno di questi si devono ricerche di notevole importanza : alcuni sono autori di trattati che hanno avuto considerevole diffusione ; tutti hanno fondato scuole fiorenti con molti allievi. CARLO FoRLANINI (1847-1918) professore di clinica medica a Pavia è assai noto per avere proposto per la cura della tubercolosi polmonare, il metodo del pneumotorace artificiale. Questo consiste nella insuffi.azione di aria nella cavità pleurica, raggiun­ gendo una pressione tale da immobilizzare il polmone ; se, con periodiche introdu­ zioni di aria, si mantiene tale condizione per un tempo sufficientemente lungo, si può favorire la guarigione del polmone attaccato dai germi della tubercolosi. Il metodo del Forlanini venne dapprima contrastato tenacemente, ma finì con lo imporsi, ed è oggi largamente applicato in tutto il mondo. d) La chirurgia. La chirurgia è forse il ramo della medicina moderna che ha realizzato gli sviluppi più spettacolari, grazie all'anestesia, la cui tecnica si è perfezionata in modo tale da poter essere praticata senza pericolo, all'asepsi, che è condizione indispensabile per ogni intervento chirurgico, e alla anemizzazione artificiale della parte da operare, che oggi si ottiene anche con l'applicazione di basse temperature (ibernazione artifi­ ciale) . Il perfezionamento dei mezzi diagnostici, e in particolare l'uso della radioscopia, ha facilitato enormemente il compito del chirurgo, che si è a mano a mano avventurato ad eseguire interventi sempre più complicati, delicati e difficili. Così sono nate e hanno raggiunto, ai nostri giorni, una perfezione notevole la peurochirurgia, la chirurgia del cuore, la chirurgia del polmone. Nell'impossibilità di accennare alle principali tappe di questi sviluppi, e alle persone a cui essi sono dovuti, ci limiteremo a ricordare alcuni dei più grandi chirurghi italiani del periodo che stiamo considerando. ENRICO BoTTINI di Pavia (r835-I903) introdusse l'uso dell'acido fenico come disinfettante nelle operazioni; recò contributi alla chirurgia della prostata. FRANCESCO DuRANTE (1844-1934) fu professore di clinica chirurgica a Roma e fece studi importanti su vari argomenti di chirurgia. Ebbe nume­ rosi allievi, fra cui RAFFAELE BASTIANELLI di Roma (1863-1960) . Il nome di EDOARDO BASSINI (1847-1924) della Università di Padova, è celebre soprattutto per l'operazione da lui ideata per la cura dell'ernia inguinale. Fu uno dei più grandi chirurghi italiani, e a lui si devono parecchi contributi fondamentali in varì capitoli di questa disciplina. Altri notevoli maestri furono : GIUSEPPE CORRADI (r830-I907) di Firenze ; ANTONIO CARLE (r854-1927) di Torino; ANTONIO D ' ANTONA (r84z-rgr4) di Napoli ; ANTONIO CEci (18521920) di Pisa; DAVIDE GIORDANO (r864-1954) primario all'Ospedale Civile di Venezia.

    LE SPECIALITÀ. Dai tronchi principali della scienza medica andarono man mano diffondendosi, come abbiamo detto, le cosiddette > cioè rami più limitati, specializzati. La specializzazione è determinata, a seconda dei casi, da particolari organi o sistemi organici (per es. oculistica, otorino-laringologia) oppure dall'età del soggetto (per es. pediatria) oppure da particolari condizioni patologiche (per es. ostetricia e ginecologia) o da uno speciale intento terapeutico (per es. ortopedia), o da una tecnica speciale (per es. radiologia), o da altre cause ancora. Oggi le specialità sono molto numerose, e tendono sempre ad aumentare, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che a ciò sono connessi. È impossibile seguire lo sviluppo storico di ciascuna delle > mediche : si dovrebbero compilare lunghe liste dei nomi dei loro principali cultori, e, per valutare l'importanza dei contributi recati da ciascuno di essi, sarebbe necessario entrare nei particolari delle diverse discipline, presupponendo conoscenze specifiche che può avere soltanto chi si sia dedicato agli studi medici. Anche in questi campi, ci limiteremo perciò a delineare sommariamente le caratteristiche dei principali indi­ rizzi di indagine e a citare alcuni dei più notevoli capiscuola, con particolare riguardo agli itahani. L'ostetricia è forse la più antica delle specialità ; prima di essere un ramo della medicina era una pratica empirica, lasciata più o meno completamente in mano delle levatrici. Nella seconda metà dell'Ottocento l 'ostetricia ha fatto enormi progressi, sia nel campo chirurgico sia in quello clinico. Anzichè limitarsi alla sola ostetricia, cioè ai soli eventi della gravidanza e del parto, è divenuta ginecologia, cioè studio delle funzioni sessuali femminili, nel senso più lato. Prospettive nuove si sono aperte in questo campo sia grazie agli studi embriologici, e in particolare a quelli di fisiologia dell'embrione, sia alle ricerche di endocrinologia, che hanno condotto a riconoscere l'importanza delle ghiandole a secrezione interna per il funzionamento dell'apparato sessuale e degli organi connessi, nelle condizioni normali, in gravidanza, durante il parto, e durante il puerperio. Fra i più notevoli ostetrici e ginecologi italiani ricordiamo MALACHIA DE CRI­ STOFARO, (r832-rgr6) che scrisse il primo trattato italiano di ginecologia; EDOARDO PoRRO (r842-1902) professore a Pavia che nel 1876 introdusse in ginecologia il > con lo scopo di asportare utero e ovari malati. N el 1882 due chirurghi tedeschi (KEHRER e SAENGER) proposero il taglio cesareo come metodo per estrarre il feto quando non possa uscire per le vie naturali, e, con la sutura dell'utero furono in grado di rispar­ miare quest'organo. La pratica del taglio cesareo (il nome deriva dalla nascita del bambino > cioè da un taglio nell'utero materno; si vuole che il nome Caesar, Cesare sia stato dato ai bimbi nati per questa via) è in realtà molto antica. Per molti secoli fu praticato però esclusivamente nella donna morta con l'intento di salvare il bambino, quando ciò era possibile. In tempi moderni, dal soo in poi, la pratica del taglio cesareo nella donna viva fu applicato qualche volta; ma soltanto dopo l'opera di E. Porro e· dei suoi continuatori può dirsi che quest'operazione sia diventata di uso comune. Altri eminenti ginecologi italiani furono LuiGI MANGIAGALLI ( 1849590

    1928) che fu il fondatore dell'Università di Milano, e, come senatore del Regno, ebbe anche un'importante attività politica ; e ERNESTO PESTALOZZA (1860-1934) professore di clinica ostetrica a Roma, anch'egli senatore, e autore di molti importanti studi clinici e chirurgici.

    e) Oculistica. L'impostazione data da v. Helmholtz all'oftalmologia (scienza dell'occhio) è essen­ ziale per gli sviluppi dell'oculistica, ed è tuttora dominante. L'oftalmoscopio di v. Helmholtz fu introdotto nella pratica oculistica da ALBRECHT VoN GRAEFE ( 18281870) tedesco, fondatore della moderna chirurgia oculare. A lui si devono fra l'altro, l'operazione della cataratta mediante estrazione lineare ( 1868) , studi fondamentali sull'iridectomia e sul glaucoma, e altre ricerche, che testimoniano un'attività fervi­ dissima, nei brevi anni di vita di questo scienziato. All'importanza dell'opera di C. DoN­ DERS (1818-1889) abbiamo già accennato (pag. 557) . Fra gli oculisti italiani si debbono ricordare innanzitutto l'anatomico e chirurgo di Pavia ANTONIO SCARPA (1752-1832, cfr. pag. 274) il quale, con il SUO trattato di oculistica (r8or) è un precursore di questa disciplina. Poi FRANCESCO FLORES ( 1791r85o) professore a Pavia, GrAN BATTISTA QuADRI (r78o-r85r) di Napoli; ANTONIO QUAGLINO (1817-1894) di Padova, CARLO DE VINCENTIIS ( 1849-1904) di Napoli; PIETRO GRADENICO (I831-1904) di Padova.

    f) L' otor1:no-laringoiatria. I grandi precursori della otorino-laringologia sono B. Eustachi (cfr. pag. r r6) , A . M . Valsalva (pag. 176) , D. Cotugno (pag. 274) e Antonio Scarpa (pag. 274) con le loro ricerche di anatomia normale e patologia dell'orecchio. N el 1821 uscì il primo trattato dedicato alle malattie dell'orecchio, di CASPAR ITARD (1775-1838) francese. WILHELM KRAMER . (1801-1875) a Berlino e FRIEDRICH v. TROELTSCH ( 1829-1890) professore alla Università di Wurzburg furono due eminenti otologi tedeschi; il se­ condo scrisse un trattato che ebbe larghissima diffusione e numerose edizioni. L'in­ glese WILLIAM WILLIS WILDE (1816-1876) eseguì studi fondamentali sulla cavità del timpano. La laringologia e la rinologia, cioè lo studio della laringe, del naso, e di altre vie respiratorie poterono svilupparsi grazie all'uso dello specchio laringoscopico. Questo strumento fu inventato da un cantante spagnuolo, MANUEL GARCIA (1854) ma fu introdotto in clinica qualche anno più tardi da IoHANN CzERMAK (1828-1873) e da Lu nwiG TUERCK (1810-1868) che polemizzarono lungamente sulla priorità di questa invenzione. I n Italia il primo insegnamento ufficiale di otorinolaringoiatria fu istituito a Roma nel 188o : EMILIO DE Rossi ( 1844-1902) ne fu il primo titolare. GIUSEPPE GRADENIGO (1869-1926) fu professore di questa materia a Torino dal 1910; VINCENZO COZZOLINO ( 1853-1911), a Napoli. 591

    g) La odontoiatria. Questa branca rimase per lungo tempo fuori dell'ambito della medicina, affidata esclusivamente ai bassi chirurghi, ai barbieri, ai ciarlatani. Sappiamo da documenti sicuri che già in tempi molto antichi, in Egitto, fra gli Etruschi e i Romani erano pra­ ticate cure della carie, e soprattutto si facevano protesi dentarie di una certa perfezione: ma nè delle estrazioni, nè delle protesi si occupava il medico. Tale stato di cose durò praticamente fino all'Ottocento. Una descrizione anatomica dei denti fu data da B. Eustachio (v. pag. r r6) nel Libellus de dentibu.s (Venezia, 1563) ; Fabrici D'Acquapendente (v. pag. 1 14) e dopo di lui altri chirurghi trattarono del modo di curare i denti e altre parti della bocca. Nel 1 7 23 fu pubblicato un trattato dal titolo Le chirurgien dentiste di P. FAUCHARD: è il primo trattato di dentistica, e in esso si trovano interessanti indicazioni di terapia e di protesi. Alcuni anni dopo, nel 1756 un altro dentista, PHILIPPE PFAFF, pubblicò un trattato in cui si trovano le prime indicazioni precise per una terapia conser­ vativa, e in particolare per l'otturazione dei denti. ANTONIO CAMPANI di Firenze è l'autore del primo trattato di odontologia (1786) nel quale si trovano indicazioni di moderni metodi di protesi. La tecnica odontoiatrica ebbe poi particolari sviluppi negli Stati Uniti d'America: a Baltimora fu fondato nel 1839 un Collegio di Chirurgia dentaria. L'Università di Berlino nel 1867 istituì la prima cattedra di odontoiatria, che fu tenuta da H . E. ALBRECHT (1823-1883). I n Italia fino al 1890 per l'esercizio della odontoiatria non era richiesta la laurea in medicina. Dovevano passare ancora molti anni prima che la materia venisse rigo­ rosamente disciplinata: soltanto con una legge del 1924 fu proibito l 'esercizio della odontoiatria e della protesi dentaria a coloro che non posseggono la laurea. La prima scuola odontoiatrica in Italia fu fondata a Genova nel 1904. Oggi in tutti i paesi civili gli empirici dentisti, i >, sono scomparsi, e la odontoiatria - che, in quanto considera altre malattie della bocca oltre a quelle dei denti, tende a mutare il nome in quello di stomatologia - è un ramo della medicina scientifica. Soltanto la esecuzione materiale degli apparecchi di protesi è affidata all'opera di odontotecnici. Anche per questa specialità si può dire che i grandi progressi sono stati realizzati soprattutto grazie all'anestesia. h) L'urologia. Anche l',urologia trae la sua origine da pratiche che anticamente erano ai bassi chirurghi e agli empirici. Si tratta della > cioè dell' >, ossia dei calcoli vescicali. Soltanto nell'Ottocento il