Storia Dei Dogmi. Luomo e La Sua Salvezza. v-XVII 5411098 [PDF]

  • 0 0 0
  • Gefällt Ihnen dieses papier und der download? Sie können Ihre eigene PDF-Datei in wenigen Minuten kostenlos online veröffentlichen! Anmelden
Datei wird geladen, bitte warten...
Zitiervorschau

Storia dei Dogmi Direzione di

BERNARD SESBOÙÉ

II VITTORINO GROSSI - LUIS F. LADARIA PHILIPPE LÉCRIVAIN - BERNARD SESBOÙÉ

L'UOMO

E LA SUA SALVEZZA V -XVII secolo

Antropologia cristiana: creazione, peccato originale, giustificazione e grazia, etica, escatologia

[lj PI EMME

Titolo originale: Histoire des dogmes, II: L'homme et son salut

© 1995, Desclée, Paris Traduzione dal francese a cura dei Monaci Benedettini di Germagno (Verbania)

Copertina: Studio Aemme

I Edizione 1997

© 1997 - EDIZIONI PIEMME Spa 15033 Casale Monferrato (AL) - Via del Carmine, 5 Te!. 0142/3361 - Telefax 0142/74223 Stampa: arti grafiche TSG s.r.l., via Mazzini, 4 - Te!. 01411598516 - Fax 0141/594702 - 14100 ASTI

Abbreviazioni

AAS ACO AG AHDLMA BA BAC BLE Budé CCCM CCSG CCSL CH COD

esco CSEL CTA DBS DC DECA DHGE DSp DTC DV

Acta Apostolicae Sedis, Romae Acta Conciliorum Oecumenicorum, éd. E. Schwartz, Berlin 1959-1984. Ad Gentes divinitus, Decreto su l'attività missionaria della Chiesa del Concilio Vaticano II. Archives d'histoire doctrinale et littéraire du Moyen Àge, Paris. Bibliothèque augustinienne, Desclée de Brouwer, Paris. Biblioteca de Autores Cristianos, La editoria! catolica, Madrid-Toledo. Bulletin de Littérature Ecclésiastique, Toulouse. Éditions Les Belles Lettres, Association Guillaume Budé, Paris. Corpus Christianorum. Continuatio Medievalis, Brepols, Turnhout. Corpus Christianorum. Series Graeca, Brepols, Turnhout. Corpus Christianorum. Series Latina, Brepols, Turnhout. Irénée de Lyon, Contre !es Hérésies, trad. A. Rousseau, Cerf, Paris 1984. Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura dell'Istituto per le scienze religiose, Dehoniane, Bologna 1991 (edizione bilingue). Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium, Louvain. Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, Vienne. Concilii Tridentini Acta, Gorresgesellscha/t, Herd.er. Dictionnaire de la Bible. Supplément, Letouzey, Paris. Documentation Catholique, Paris. Dictionnaire Encyclopédique du Christianisme Ancien, 2 voll., Cerf, Paris 1990. Dictionnaire d'Histoire et de Géographie Ecclésiastiques, Letouzey et Ané, Paris. Dictionnaire de Spiritualité (Chantilly), Beauchesne, Paris. Dictionnaire de Théologie Catholique, Letouzey, Paris. Dei Verbum, Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione del Concilio Vaticano II. ABBREVIAZIONI

5

DzS EphThL EV FC GCS GS HE IPT JSJ JTs LG LThK LV Man si MGH MThZ NBA NRT NThZ NTS OOA PF PG PL RB

RDC

REA RevSR RGG RHE RHLR RHPR RSR

6

Denzinger-Schi:inmetzer, Enchiridion Symbolorum, de/initionum et declarationum de rebus /idei et morum, Dehoniane, Bologna 1995. Ephemerides Theologicae Lovanienses, Peeters, Louvain. Enchiridion Vaticanum, EDB, Bologna 1981... G. Dumeige, La Poi catholique, Orante, Paris 1969, nuova edizione 1993. Die Griechischen Christlichen Schri/tsteller der ersten (drez) ]ahrhunderte, Leipzig-Berlin. Gaudium et Spes, Costituzione pastorale «La Chiesa nel mondo contemporaneo» del Concilio Vaticano II. Histoire Ecclésiastique (Eusèbe et autres historiens anciens). Initiation à la Pratique de la Théologie, Cerf, Paris 1982-1983. ]ournal /or the Studie o/ ]udaism, Brill, Leiden. ]ournal o/ Theological Studies, Clarendon Press, Oxford. Lumen Gentium, Costituzione dogmatica su la Chiesa del Concilio Vaticano II. Lexikon fiir Theologie und Kirche, Herder, Freiburg. Lumière et Vie, Lyon. Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, Firenze e Venezia 1759-1798 (ristampa anastatica, Graz 1960-1962). Monumenta Germaniae Historica, Berlin. Munchener Theologische Zeitschri/t. Nuova Biblioteca Agostiniana, a cura di A. Trapé, Città Nuova, Roma 1965 ... Nouvelle Revue Théologique, Casterman, Namur-Tournai. Neue Theologische Zeitschri/t, Vienne. New Testament Studies, Cambridge. Opera Omnia di S. Ambrogio, a cura di G. Biffi, Città Nuova, Roma 1979 ... Les Pères dans la foi, coll. diretta da A.G. Hamman, DDB, Paris. Patrologia Graeca (J.P. Migne), Paris. Patrologia Latina (J.P. Migne), Paris. Revue biblique, Gabalda, Jérusalem-Paris. Revue de Droit Canonique, Strasbourg. Revue des Études Augustiniennes, Paris. Revue des Sciences Religieuses, Strasbourg, Die Religion in Geschichte und Gegenwart, Tiibingen. Revue d'Histoire Ecclésiastique, Louvain. Revue d'Histoire et de Littérature Religieuse, Paris. Revue d'Histoire et de Philosophie Religieuse, Strasbourg. Recherches de Science Religieuse, Paris.

ABBREVIAZIONI

RSPT RTAM RTL

se SM

STh TD ThQ

TRE

TU

ve VS

TZ WA

ZKG ZKTh ZNTW

Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques, Vrin, Paris. Recherches de Théologie Ancienne et Médiévale, Abbaye du Mont-eésar, Louvain. Revue de Théologie de Louvain. Sources Chrétiennes, eerf, Lyon-Paris. Studia Moralia, Roma. San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae (tr. it. La Somma teologica, a cura dei Domenicani italiani, Edizione Studio Domenicano, Bologna 1984). Textes et Documents, coli. diretta da H. Hemmer e P. Lejay, Picard, Paris 1904-1912. Theologische Quartalschrzft, Tiibingen. Theologische Realenzyclopedie, W. De Gruyter, Berlin-New York. Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literatur, Leipzig. Vigiliae Christianae, Leiden. Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis Splendor (1993), EV, 13 (1995), pp. 1314-1547. Theologische Zeitschri/t, F. Reinhardt Verlag, Basel. Weimar Ausgabe (des Oeuvres de Luther). Zeitschrzft fur Kirchengeschichte, Stuttgart. Zeitschri/t fur die katholische Theologie, Herder, Wien. Zeitschri/t fur die neutestamentliche Wissenschaft, De Gruyter, Berlin.

ABBREVIAZIONI

7

Presentazione Bernard Sesboué

Il I volume di questa Storia dei Dogmi ha trattato della dottrina contenuta nei Simboli di fede e ha seguito la nascita e lo sviluppo dei due dogmi principali del mistero cristiano, quello trinitario e quello cristologico. Questo II volume analizza un tema complementare. Al centro dell'interesse ora non si trova più il problema di Dio, ciò che Egli è e ciò che ha fatto per l'uomo, ma principalmente l'uomo stesso, ciò che questi è nei confronti e nel disegno di Dio, la sua origine e la sua destinazione e ciò che determina il senso della sua esistenza. Oggetto del volume sarà dunque l'antropologia cristiana. Con questa espressione non si deve intendere una scienza particolare dell'uomo, né semplicemente una riflessione filosofica nei suoi confronti, bensì ciò che la rivelazione cristiana ci dice di lui. Perché essa non è solamente una rivelazione di Dio su Dio, ma anche una rivelazione di Dio sull'uomo. Il volume è suddiviso in due grandi parti: la prima affronterà l'antropologia propriamente dogmatica, la seconda l'antropologia morale o etica. L'integrazione di questi due punti di vista rappresenta, in una storia dei dogmi, una novità.

Antropologia dogmatica L'antropologia cristiana ha inizio con la creazione dell'uomo a immagine e somiglianza di Dio (Gn 1, 26) e prosegue con l'ingresso e la presenza costante del peccato nel mondo. La lettura anche di quest'ultimo nell'ottica della salvezza rende profondamente ragione del fatto di aver potuto parlare di soteriologia già nel primo volume, prima ancora cioè d'aver presentato la realtà stessa del peccato. Quest'ordine, apparentemente paradossale, riflette il movimento tanto della rivelazione quanto dello sviluppo dogmatico: i Simboli di fede non menzionano il peccato PRESENTAZIONE

9

in se stesso, ma la salvezza donata in Gesù Cristo e la «remissione dei peccati». Questa antropologia lascia d'altra parte aperto tutto lo spazio al tema della salvezza, considerata sotto un altro punto di vista. Non si tratta più semplicemente dell'evento compiuto una volta per sempre dal Cristo nel suo mistero pasquale, ma del modo con cui ogni credente viene a trovarsi giustificato e santificato, finché pervenga alla sua vocazione escatologica nel Regno pienamente realizzato. Il dono della gloria infatti conserva la stessa struttura dell'economia della grazia. Per questo la teologia delle realtà ultime, o escatologia, sarà trattata in questo quadro 1 • Antropologia morale

L'uomo è, secondo il progetto di Dio, un essere libero. Egli è il destinatario di una vocazione che gli è data da portare a compimento nella grazia, ma non senza l'uso di questa libertà. Lo scarto tra la sua vocazione e il suo stato concreto è quello del suo dover-essere, vale a dire quello dell'esigenza morale, cui non può rispondere se non liberamente. Se questa esigenza morale è ordinata al bene dell'uomo, essa è altresì il luogo di una obbligazione e di un dovere. Qui non ci troviamo più propriamente nell'ordine del dogma, ma restiamo in quello dell'obbligazione. Non bisogna dunque stupirsi che lo sviluppo della morale abbia seguito un andamento in una certa misura parallelo a quello dogmatico e abbia dato luogo alla costituzione di punti fermi che si sono progressivamente dogmatizzati. È a partire da questo dato che si comprende la coppia fides et mores, fede e morale, che si ritrova significativamente espressa dal titolo completo della raccolta, riedita senza fine, del Denzinger: Enchiridion delle professioni di fede, delle definizioni e dichiarazioni su questioni di fede e morale. Senza dubbio il significato di questa coppia si è modificato nel tempo: in partenza mores non significano i costumi o la morale, bensì le istituzioni positive della Chiesa. Per il momento però manteniamo, di questo termine, il suo senso finale e attuale. La dogmatizzazione della morale è certamente più tardiva di quella degli articoli di fede e si è costituita grazie a una progressiva riflessione elaborata a partire dalla considerazione di un certo numero d'autorità, emerse, sulla base di dati risalenti ad Agostino, nel corso dei lunghi dibattiti tra le scuole teologiche del Medioevo e dei tempi moderni. Solo più tardi si sono avuti veri e propri interventi del magistero. 1

10

Il quadro più dettagliato di questa prima parte sarà fornito alla fine dell'Introduzione, pp. 23-25. PRESENTAZIONE

Noi ci limiteremo qui ad alcune questioni poste dalla morale fondamentale. Affrontare i molteplici problemi dell'etica speciale (morale sociale e politica, morale della giustizia, morale familiare e sessuale), che si sono incessantemente affinati in ragione delle trasformazioni della società e delle scoperte scientifiche; supererebbe il compito di quest'opera e la competenza dei suoi autori.

Agostino d'Ippona e Tommaso d'Aquino L'aspetto tematico e la doppia prospettiva di queste riflessioni vengono svolte all'interno del movimento storico che le circonda e le sviluppa. Si può rilevare anzitutto che le questioni di antropologia cristiana sono state affrontate con particolare acribia dalla tradizione latina. Il nome più prestigioso in questo senso è quello di sant' Agostino (3 54430), senza dubbio, con Origene, il più grande genio della patristica. Con le sue celebri Confessioni egli ha inaugurato una nuova prospettiva della fede, aggiungendo, alla contemplazione oggettiva del mistero in quanto tale, la domanda sulla sua realizzazione soggettiva. L'influenza di Agostino sarà decisiva per la teologia, la dogmatica e la morale latine. Il vescovo d'Ippona è, secondo quella parola di Newman che verrà ulteriormente ricordata, «l'uomo che ha formato l'intelligenza dell'Europa». Il Medioevo latino non conoscerà i Padri Greci se non per il tramite dello stesso Agostino e le scuole scolastiche si differenzieranno tra loro semplicemente per le sfumature, più o meno importanti, da esse apportate alla comune tradizione agostiniana. Con Agostino si inaugurano dunque i grandi dibattiti sul peccato, sulla giustificazione e sulla grazia, che rimarranno i temi maggiormente affrontati nel Medioevo e fino al XVI secolo, con la Riforma e il concilio di Trento, e più tardi ancora, con i dibattiti del baianismo e del giansenismo. Si tratta dunque di una lunga storia che trova il suo centro di gravità tra il v e il XVII secolo. Nel solco di Agostino bisogna anche menzionare il ruolo particolare, nel cuore della teologia scolastica, di san Tommaso d'Aquino. Senza dubbio sarebbe fuorviante far credere che la sua dottrina abbia in se stessa un valore dogmatico e in un'opera come questa la distinzione tra teologia e dogma deve essere mantenuta con grande rigore. Distinzione tuttavia non vuol dire separazione, poiché il dogma non può essere compreso senza la sua necessaria referenza alla teologia di un'epoca. Per questo, una Storia dei Dogmi, senza pretendere di essere una storia della e delle teologie, deve comunque rendere conto anche delle principali prospettive teologiche e del loro rapporto con l'espressione propriamente dogmatica. PRESENTAZIONE

11

Quel grande genio speculativo che fu Tommaso d'Aquino ha certo i suoi limiti e non deve essere seguito in tutte le sue affermazioni. Non si può tuttavia negare che, attraverso i secoli, la sua dottrina è divenuta l' oggetto di un riconoscimento speciale da parte della Chiesa, al punto da passare come una espressione quasi ufficiale del suo pensiero. Questo dato è evidenziato non solo dalla facilità con cui i concili dell'Occidente hanno utilizzato san Tommaso nei loro lavori e hanno riflettuto nell'orizzonte delle sue problematiche, ma altresì dal fatto che l'hanno citato, talvolta ad litteram, nei loro decreti, pur senza canonizzare le sue posizioni laddove queste erano oggetto di un libero dibattito tra scuole teologiche diverse. Per questo il suo pensiero verrà analizzato, per certi temi importanti, in modo privilegiato, al fine di spiegare la genesi di talune affermazioni dogmatiche. Non ci si stupirà dunque di incontrare degli sviluppi alquanto speculativi espressi in linguaggio scolastico, in particolare a proposito della natura dell'uomo, composta da un'anima e un corpo, la cui lettura apparirà forse un poco difficoltosa. I concetti filosofici vi avranno larga parte, senza che si tratti tuttavia di escrescenze; l'analisi antropologica infatti sarà sempre ordinata a rendere conto della coerenza della relazione tra Dio e l'uomo. Questo stesso sforzo «teologico» è già stato alla base della stesura del I volume di quest'opera, nello studio dei Padri della Chiesa, che hanno svolto un ruolo di primo piano nella riflessione trinitaria e cristologica. Beninteso, sarebbe grottesco immaginare che i secoli anteriori ad Agostino, in particolare in Oriente, siano stati muti sull'antropologia e sulla morale cristiana. Tali argomenti però non costituivano il punto focale dei loro grandi dibattiti e i Padri della Chiesa ne hanno parlato semplicemente, a partire dalla Scrittura, senza porsi ancora le questioni in modo più puntuale. Secondo la celebre formula, securius loquebantur, i Padri si esprimevano con la semplicità della convinzione e dell'evidenza. Va ricordato anche che i problemi concernenti la grazia e il peccato originale sono stati affrontati anzitutto durante i secoli nei quali esisteva ancora la piena comunione tra l'Oriente e l'Occidente. I dibattiti hanno più volte interessato le due parti della Chiesa e l'Oriente ha sempre considerato Agostino come un Padre di grande autorità e non si può nemmeno dire che su questi argomenti si siano prodotte importanti divergenze dopo la separazione. Infine, secondo il metodo già annunciato, anche questo volume si spingerà talvolta fino all'epoca contemporanea, nei casi in cui la natura dei temi studiati lo richiederà (in particolare avverrà per ciò che concerne il rapporto tra natura e soprannatura, e per alcune dichiarazioni del Vaticano Il). 12

PRESENTAZIONE

Magistero conciliare e magistero pontificio Lo sguardo attraverso i secoli ci mette di fronte a una sorta di evoluzione nel modo di esercizio del magistero. Non incontreremo più concili ecumenici in senso proprio, tali da riunire l'Oriente e l'Occidente e da essere riconosciuti nello stesso modo dalle due parti della Chiesa. Paradossalmente, due concili locali, quello di Cartagine del 418 e quello di Orange del 529, modesti quanto al numero di vescovi riuniti, svolgeranno un ruolo capitale, in forza della recezione di cui saranno fatti oggetto, per quanto riguarda la dottrina della grazia e del peccato originale. Dopo la rottura con l'Oriente, nella Chiesa d'Occidente si riuniranno numerosi concili, convocati non più dall'imperatore, ma dal papa e pertanto molti di essi si svolgeranno a Roma (i cinque concili del Laterano). Queste assemblee hanno trovato posto nell'elenco dei concili ecumenici stabilita da Roberto Bellarmino. Sebbene tale elenco non abbia valore dottrinale o canonico, tuttavia resta quello a cui la Chiesa cattolica si riferisce normalmente ed è per questo che il Vaticano II viene indicato come il ventunesimo concilio ecumenico. Resta il fatto che i concili tenuti dopo il 1054 non hanno riunito che la Chiesa d'Occidente e non hanno alcuna autorità per l'Ortodossia orientale. Nello stesso modo i concili di Trento, del Vaticano I e del Vaticano II non possono pretendere un'autorità di fronte alle Chiese provenienti dalla Riforma (che nel loro insieme conservano i sette primi concili ecumenici, ma avanzano riserve e anche critiche nei confronti dei concili medievali). Anche coloro che attribuiscono valore a queste assemblee le definiscono, nella piena coscienza di questo limite, come «concili generali» o «sinodi universali» dell'Occidente 2 • È la stessa qualifica che Paolo VI riprenderà nel 197 4 a proposito del II concilio di Lione 3• Il concilio di Firenze, che riuniva i Greci e i Latini in un progetto di riconciliazione ecclesiale, pretendeva di essere ecumenico nel senso antico del termine. Lo scacco però susseguente a questa riunione lo riconduce di fatto allo statuto di concilio occidentale. Anche il concilio di Trento si proclama «ecumenico e generale» ed esprime così la pretesa della Chiesa romana di essere praticamente, al di là delle separazioni, la Chiesa. In questa medesima prospettiva, i teologi e i canonisti dell'epoca post-tridentina contribuiranno a diffondere, rivestendolo d'autorità, l'elenco di Bellarmino. Questa storia, nonostante la crisi conciliarista di Costanza e di Basilea, attesta l'evoluzione, avvenuta in Occidente, del rapporto tra concilio e

2

3

Cfr. COD, pp. 187-189. Cfr. voi. I, p. 298. PRESENTAZIONE

13

papa a tutto vantaggio del secondo: l'autorità del Romano Pontefice sul concilio sarà ormai assodata. Nello stesso tempo, i papi interverranno sempre più sovente a titolo personale per dirimere dibattiti dottrinali. Tutto questo rappresenta una prima svolta, confermata lungo tutto il secondo millennio, nel senso di uno sviluppo costante dell'autorità del papa di Roma. Tale sarà dunque il contenuto di questo volume nelle sue due parti. Con le sfumature cui si è fatto cenno, il suo periodo di referenza resta l'intervallo di tempo che va dal val XVII secolo. Terminando, vorrei esprimere la mia riconoscenza a Pierre Vallin, che ha riletto attentamente questo volume per offrire ai rispettivi autori le sue osservazioni e le sue impressioni, così come ad Aimé Solignac, che ha volentieri rivisto le pagine concernenti sant' Agostino. Ringrazio anche Philippe Curbelié ed Emmanuel Berger che hanno rispettivamente partecipato alla traduzione dei testi spagnoli e italiani.

14

PRESENTAZIONE

PARTE PRIMA

L'UOMO DAVANTI A DIO O L'ANTROPOLOGIA CRISTIANA

Introduzione

Creazione, salvezza, glorificazione Vittorino Grossi - Bernard Sesboué

Indicazioni bibliografiche: E. BRUNNER, Die Christliche Lehre von Schop/ung und Erlasung, Zwingli Verlag, Zi.irich 1950; R. ARBESMANN, Christ the medicus humilis in St. Augustin, in Augustinus Magister, II, Études augustiniennes, Paris 1955, pp. 624 ss.; A. V ANNESTE, Nature et Gràce dans la théologie de saint Augustin, in «Recherches Augustiniennes», 10 (1975), pp. 143-169; M. SEYBOLD, Schop/ung und Erlosung. Einheit und Dif/erenz, MThZ, 33 (1982), pp. 25-43; M.A. VANNIER, Creatio, conversio, /ormatio chez saint Augustin, Éd. Universitaires, Fribourg 1991; D. DoucET, Le thème du médicin dans les premiers dialogues philosophiques de saint Augustin, in «Augustiniana», 29 (1989), pp. 447-461.

Per cogliere la dimensione soteriologica dell'antropologia cristiana dal secolo v ai nostri giorni, e in particolare fino al XVII secolo - oggetto di questo volume -, è opportuno far presente quei dati generali che hanno condizionato lo sviluppo del pensiero. Le preoccupazioni antropologiche della riflessione cristiana sono connesse anzitutto alla lettura della Bibbia e della tradizione. I testi soteriologici hanno dunque come primo scopo non tanto fornire direttamente una informazione, bensì presentare, lungo il corso della storia umana, l'interpretazione dei valori che stanno alla base del messaggio cristiano. Le questioni si rinnovano e anzi praticamente rinascono alla fine dei diversi processi di trapasso culturale. Infatti, quei valori che servivano, sul piano culturale e politico, da supporto all'esistenza in determinati periodi, dispaiono successivamente quasi del tutto per dar luogo alla nascita di nuovi valori o alla rinascita di valori tradizionali, ma espressi con altre mediazioni del linguaggio. Gli antichi testi necessitano, di conseguenza, di venir letti non tanto con gli strumenti del linguaggio logico-analitico, bensì con quelli del linguaggio simbolico. Proprio questo fa entrare la dimensione propria dell'antropologia e della soteriologia nel quadro delle significazioni dell'esistenza. Inoltre, nel suo proprio campo semantico, la nozione di soteriologia INTRODUZIONE - CREAZIONE, SALVEZZA, GLORIFICAZIONE

17

considera il malato con le sue malattie, così come il rimedio e la medicina per la guarigione. Nell'Antichità, la medicina aveva uno stretto rapporto con la religione: nelle religioni misteriche in particolare, taluni dèi servivano da modelli di salvezza. Un esempio classico di questa mentalità è l'Iside o l'Osiride di Plutarco. Nel cristianesimo, una simile combinazione trova la sua esplicitazione nel Cristo Salvatore, presentato dalla tradizione patristica del v secolo, soprattutto da Agostino, come l' «umile medico» (medicus humilis). I Capitoli gnostici (Kephalaia gnostica) di Evagrio Pontico (morto nel 399) ci forniscono un quadro unitario dell'antropologia e della soteriologia cristiana, e ci indicano la rilevanza propria del contenuto e del linguaggio del v secolo. In questa sua opera, evidentemente ispirata a Origene, Evagrio vuol offrire una base teorica alle sue concezione monastica, che viene articolata in sei «centurie» 1 e strutturata per temi: la visione «protologica» del mondo, cioè delle origini, e la sua condizione attuale (1 a centuria); le possibilità del ritorno alla condizione originale (2a e Y centuria); la visione del Cristo e la sua missione di salvezza (4 • e Y centuria); l' «apocatastasi», o il ristabilimento della creazione (6a centuria). Evagrio mette giustamente la protologia in rapporto con la redenzione e l'escatologia perché di fatto la loro comprensione è interdipendente.

1. La creazione supporto della salvezza (V. Grossi) L'unità del presente volume si fonda per larga parte sul rapporto tra creazione e salvezza. Questo rapporto, che ebbe molto rilievo al tempo di sant' Agostino, ritorna oggi in primo piano nella riflessione teologica sulla creazione. Espressi con una terminologia neoplatonica, sono presenti in Agostino due aspetti: quello della creazione o della partecipazione 2 e quello del ritorno all'unità originale. Su questo secondo aspetto si aggancia il tema agostiniano dell'analogia tra la vita dell'uomo-individuo e la vita dell'umanità, tra la vita degli uomini e la vita di tutto il mondo creato. Questo tema, fondamentale ne Le Confessioni 3 , Agostino l'aveva già accennato nel trat1 Ciascuna delle sei parti è suddivisa in 100 capitoli. Cfr.: A. GuILLAMONT, Le "Kephalaia gnostica" d'Évagre le Pontique et l'histoire de l'origénisme chez !es Grecs et le Syriens, Seui!, Paris 1962. 2 M.A. VANNIER, St. Augustin et la création, in «Augustiniana», 40 (1990), pp. 347-349; M. SMALBRUGGE, La notion de partecipation chez saint Augustin. Quelques observations sur le rapport christianisme-platonisme, in «Augustiniana», 40 (1990), pp. 333-347. J AGOSTINO, Le Confessioni, VIII, 3, 8, a cura di C. Carena (NBA I) Città Nuova, Roma 19692 , pp. 225-226.

18

VITTORINO GROSSI - BERNARD SESBOÙÉ

tato La vera religione del 390, quando scriveva che la vita del genere umano «è simile a quella di un solo uomo da Adamo fino alla fine del mondo» 4 • La teologia della creazione è fatta attualmente oggetto di vivaci dibattiti in numerosi strati dell'opinione pubblica. Su tale problema gravano le pressioni della questione ecologica e delle ideologie che la promuovono, così come il bisogno di rivalutare la mentalità che attribuisce un primato, perfino filosofico, alla scienza delle vicissitudini della vita moderna, o, più semplicemente, il progetto di recuperare un Eden perduto e forse ancora ritrovabile. La teologia cristiana deve guardarsi dal trasporre in modo indebito, nel suo campo, i temi e le questioni dell'ecologia e deve restare cosciente di avere alle spalle una lunga tradizione, attestata dal Simbolo degli Apostoli: «Credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra», dal Simbolo di Nicea-Costantinopoli: «Credo in un solo Signore Gesù Cristo [ ... ]per mezzo di lui tutte le cose sono state create», oltre che da un'ampia letteratura patristica, particolarmente dai Commentari sulla Genesi. Il solo Agostino, per non citare che un Padre della Chiesa d'Occidente, ci ha lasciato cinque distinti commentari, e: una stupenda teologia della creazione, compresa come esperienza del ritorno a Dio. Tale teologia la si ritrova disseminata in tutti i suoi scritti e al riguardo è rimasto giustamente celebre un passaggio de Le Confessioni: Interrogai la terra, e mi rispose: «Non sono io [il tuo Dio]»; la medesima confessione fecero tutte le cose che si trovano in essa. Interrogai il mare, i suoi abissi e i rettili con anime vive, e mi risposero: «Non siamo noi il tuo Dio; cerca sopra di noi». Interrogai i soffi dell'aria, e tutto il mondo aereo con i suoi abitanti mi rispose: «Erra Anassimene, io non sono Dio». Interrogai il cielo, il sole, la luna, le stelle: «Neppure noi siamo il Dio che cerchi», rispondono. E dissi a tutti gli esseri che circondano le porte del mio corpo: «Parlatemi del mio Dio; se non lo siete voi, ditemi qualcosa di lui»; ed essi esclamarono a gran voce: «È lui che ci fece» 5 •

Per Agostino, la partecipazione delle creature all'essere non è né totale né uniforme, ma è nel tempo, sempre parziale, e assegnata secondo il grado (modus) che conviene a ciascuna. Per il vescovo d'Ippona questo spiega sia la bontà intrinseca di tutte le cose, sia la possibilità che esse hanno di potersi distanziare dalla pienezza dell'essere senza per questo uscire in modo totale dalla bontà del tutto, nonostante il passaggio a un livello inferiore rispetto a quello che converrebbe loro. Nella visione di Agostino pertanto, l'uomo non può mai uscire ontolo4

5

ID., La vera religione, 27, 50, a cura di A. Pieretti (NBA VI/ll Città Nuova, Roma 1995, p. 81. ID., Le Confessioni, X, 6, 9, cit., p. 307. INTRODUZIONE - CREAZIONE, SALVEZZA, GLORIFICAZIONE

19

gicamente dall'orizzonte dell'essere, anche se, per il peccato, si allontana dalla sua pienezza. Il motivo di questo allontanamento da Dio è espresso con linguaggio neoplatonico, con differenti immagini, alcune delle quali sono ben conosciute: la «regione di miseria» (regio egestatis 6 ); la «regione dissimile» (regio dissimilitudinis 7), la caduta dell'anima nelle oscure profondità, il «Tartaro» che, in Macrobio 8 , significa la corporeità 9 • Nella Chiesa antica, i problemi relativi alla teologia della creazione erano legati ai filosofi dualisti, per i quali era difficile accettare insieme l'immanenza e la trascendenza di Dio, o concepire una materia che non fosse in qualche modo coeterna a Dio. Benché questi problemi non siano i nostri, la questione resta tuttavia ancor oggi molto viva, soprattutto nel suo versante epistemologico. Da una parte l'antropocentrismo soggettivista ha l'eterna tentazione di considerare l'uomo come se fosse lui stesso il creatore di ciò che sperimenta, dall'altra, il sapere della scienza non si sente sempre legato - se non per principio - ai principi etici, e genera la falsa mentalità di una dominazione cieca dell'uomo sull'universo in cui vive. Piuttosto che attardarsi per superare questo antropocentrismo soggettivista, oramai in declino, la riflessione teologica odierna sul tema della creazione tende a integrare l'elemento della «storia» con quello della «natura», cercando di differenziare in quest'ultimo termine ciò che rileva dai concetti di natura, di ecologia e di creazione. Detto altrimenti, al di là delle separazioni accademiche tra uomo e cosmo, la teologia vuole recuperare l'intenzionalità originale del discorso cristiano sulla creazione grazie a criteri epistemologici che aiutino ad approfondire il rapporto dell'uomo con la natura, evitando così il loro mutuo isolamento.

2. Dalla creazione alla salvezza (V. Grossi) La teologia della creazione, con tutto il fascino che comporta la spiegazione delle origini della vita, dell'uomo e di tutto ciò che esiste, pone dunque la questione del suo rapporto con la teologia della salvezza. Si possono isolare queste due teologie? Per Agostino una eventuale divisione è impensabile. Al contrario, con lui, questa tesi è maturata fino a una riflessione teologica strutturata.

6

7

Ibzd., II, 10, 18, p. 52. Ibid., VII, 10, 16, p. 200.

8 MACROBIO, Il Sogno di Scipione, 1, 10. 9 Cfr. AGOSTINO, Le Confessioni, I, 16, 26, cit., p. 29. da]. DOIGNON, Un /aisceau de métaphores platoniciennes

39-43.

20

VITTORINO GROSSI - BERNARD SESBOÙÉ

Tali immagini neoplatoniche sono state riunite dans !es écrits d'Augustin, REA, 40 (1994), pp.

In effetti, il vescovo d'Ippona si pose il problema della creazione precisamente nella prospettiva del suo rapporto con la redenzione. Lo scontro di Agostino con il pensiero pelagiana si produsse soprattutto in questo campo. I pelagiani insistevano sulla creazione e sulla sua bontà; nell'uomo essi consideravano soprattutto la possibilità intrinseca di una autorealizzazione e arrivavano pertanto a una realtà umana fondata su se stessa, sempre capace di situarsi «di fronte a ... », anche di fronte a Dio, anche di fronte al Redentore. Agostino riporta un brano secondo cui essi si esprimevano in questi termini: Tutto quello che l'uomo ha di buono perfino nella volontà è da attribuirsi a Dio in quanto anche questo non potrebbe esserci nell'uomo, se l'uomo stesso non esistesse. Ma, poiché l'esistenza d'ogni cosa e l'esistenza dell'uomo non dipende se non da Dio, perché mai non si dovrebbe attribuire a Dio come causa anche tutto quello che di buono c'è nella volontà dell'uomo e che non esisterebbe, se non esistesse l'uomo dove poter esistere? 10 .

Questa era dunque la versione pelagiana della grazia, a proposito del testo di Paolo ai Corinzi: «Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?» (1 Cor 4, 7); interpretazione che eliminava la difficoltà di comprendere il rapporto tra grazia e libero arbitrio, sul quale Agostino invece insisterà moltissimo. Nel racconto del peccato delle origini (Gn 3), il vescovo d'Ippona vi leggeva la ferita portata al cuore della creazione, ferita che postulava direttamente la redenzione. Agostino orientava dunque la creazione, e l'uomo in particolare, verso Dio, in vista della loro redenzione. Più tardi, una volta conclusa la polemica pelagiana nel 418-419, la creazione dell'uomo verrà letta nel cuore stesso della grazia di Dio: l'uomo e Dio saranno pensati come due amici inseparabili. Se questi furono gli inizi della creazione dell'uomo, la storia dell'umanità - diceva ancora Agostino - è ormai legata per nascita ad Adamo peccatore, fino a divenirne una natura, una «natura viziata» 11 • «È vero: la natura dell'uomo fu creata in origine senza colpa e senza nessun vizio; viceversa la natura attuale dell'uomo, per la quale ciascuno nasce da Adamo, ha ormai bisogno del Medico, perché non è sana» 12 • L'innesto della redenzione in una natura ferita dalla volontà umana ha posto e pone una infinità di problemi all'antropologia teologica. In effetti, IO AGOSTINO, Il castigo e il perdono dei peccati, Il, 18, 29, a cura di I. Volpi (NBA XVII/1) Città Nuova, Roma 1981, pp. 161-163. 11 ID., Le nozze e la concupiscenza, II, 34, 57, a cura di N. Cipriani (NBA XVIII) Città Nuova, Roma 1985, p. 167. 12 ID., La natura e la grazia, 3, 3, a cura di I. Volpi (NBA XVII/1) Città Nuova, Roma 1981, p. 385.

INTRODUZIONE - CREAZIONE, SALVEZZA, GLORIFICAZIONE

21

il discorso applicato all'uomo si deve costruire sulla comprensione stessa del concetto di «natura». A una «natura creata» è seguita una «natura redenta»: questa la soluzione di Agostino, la sola disponibile. A partire da premesse diverse sono derivate concezioni opposte nella comprensione del cristianesimo. Ali' epoca di Agostino, tali concezioni sono state sintetizzate da un presbitero del suo ambiente, Gennaro. A riguardo delle conclusioni pelagiane, quest'ultimo notava: «Qualcuno dice: bisogna partire da noi e concludere con Dio [ .. .], come se si potesse dire: "mia fede, mia giustizia, mia volontà"». Per quanto concerne il concetto di creazione e di natura, egli spiega ancor più chiaramente: «Quando si parla di creazione, non si parla di quella nella quale fu prodotta la natura dell'uomo, ma di quella che, viziata dal peccato originale, è rinnovata dalla grazia» 13 • È in tale ottica che Agostino legge ancora il «ritorno» alla creazione. Infatti, nella sua visione, la creazione, cioè la partecipazione all'essere espressa nelle categorie neoplatoniche della pienezza dell'essere, apre anche alla possibilità di un «ritorno», per mezzo del libero arbitrio sanato dalla grazia del Cristo. La caduta dell'anima dalle realtà eterne nel temporale - «Sprofondò l'angelo, sprofondò l'anima dell'uomo» 14 - porta in effetti l'uomo a «dissolversi nel tempo», nella dissipazione della molteplicità. Per essere liberato da queste passioni (a/fectiones), l'anima ha bisogno di un aiuto che la riporti all'unità perduta, alla «dimora eterna», vale a dire alla capacità di muoversi nel mondo della realtà duratura 15 • È il processo unitario di «creazione», «conversione», «formazione» proprio della riflessione di Agostino sulla creazione 16 • L'allontanamento da Dio e la possibilità del ritorno saranno successivamente tradotti dalla teologia nelle categorie del peccato e della giustificazione, di cui studieremo la storia e l'importanza. Se l'«uomo concreto» della tradizione agostiniana era il figlio d'Adamo peccatore di Gn 3, e non l'uomo della creazione di Gn 1-2 - sebbene questo costituisca il parametro dell'uomo redento -, nella riflessione antropologica tuttavia vi fu la tendenza ad abbracciare l'ipotesi di una natura umana in quanto tale. L' «uomo agostiniano», figlio di Adamo peccatore, nasce dunque in una «natura viziata», o «mutata in uno stato peggiore» 17 , mentre l'altra pro13 Lettera del venerabile Gennaro; cfr.: Ai monaci diAdrumeto e di Provenza, ed. fr. a cura diJ. ChénéJ. Pintard (BA 24) 1962, pp. 229-245. 14 AGOSTINO, Le Confessioni, XIII, 8, 9, cit., p. 457. 15 Ibid., X, 29, 40, cit., p. 335. 16 Cfr. M.A. VANNIER, Creatio, conversio, /ormatio chez saint Augustin, Éd. Universitaires, Fribourg 1991. 17 I testi agostiniani sul significato della natura umana sono l'oggetto di pericolose confusioni da parte di A. V ANNESTE, Nature et Grcice dans la théologie de saint Augustin, in «Recherches Augustiniennes», 1O 0975), pp. 143-169.

22

VITTORINO GROSSI · BERNARD SESBOUÉ

spettiva esprime la situazione o il nascere senza grazia e senza peccato, «nello stato di natura pura» (in puris naturalibus). La necessità del Redentore costituisce, per la riflessione agostiniana, il quadro categoriale di ogni ricerca teologica, anche di quella sulla creazione. Al tempo de Le Confessioni (397-401), il vescovo d'Ippona ebbe l'intuizione di un nuovo principio di ricerca, in particolare sul mistero dell'uomo, che espresse, pieno di stupore, nei seguenti termini: «Il mistero racchiuso in quelle parole: Il Verbo fatto carne, non potevo nemmeno sospettarlo» 18 •

3. Dalla creazione alla gloria (B. Sesboiié) Questa introduzione è intenzionalmente incentrata sul pensiero e sull'opera di Agostino, a motivo del ruolo capitale che questi ha avuto nel1'elaborazione dogmatica dell'antropologia cristiana. Con lui si possono distinguere quattro momenti, logici se non storici, nel divenire dell'uomo al cospetto di Dio e questi quattro momenti saranno frequentemente ripresi nel quadro espositivo della tradizione della teologia latina. Vi è a,nzitutto l'uomo innocente, creato a immagine e somiglianza di Dio. La sua considerazione necessita di un processo di astrazione, poiché verte sull'uomo tale quale è uscito dalle mani di Dio, prima di ogni considerazione sul peccato. Si tratta qui della vocazione dell'uomo nel disegno di Dio, della sua natura in quanto compresa alla luce del suo statuto di creatura (cap. II). Quest'uomo però appartiene a una creazione che lo supera, anche se ne è il fine. Bisogna dunque presentare anzitutto la creazione del cielo e della terra, quale orizzonte cosmico dell'esistenza dell'uomo. La parte inevitabilmente arbitraria in tale scelta si giustifica nella misura in cui si tratta soprattutto e anzitutto di approfondire l'idea di creazione, vale a dire del rapporto tra ciò che è Dio e ciò che oon è lui, tra l'Unico e l' ordine del molteplice, tra la trascendenza assoluta di Dio in relazione all'universo e la sua immanenza in tutte le cose, e, infine, della distinzione tra creatore e creatura e della partecipazione della seconda al primo. Questa idea di creazione, che trova la sua fonte nella Bibbia, ha camminato lungo la tradizione cristiana, dapprima secondo la sua prospettiva religiosa, poi, sempre di più, secondo le sue componenti metafisiche, nel tentativo di sfuggire alle insidie che aspettano al varco la trattazione del dif-

18 AGOSTINO,

Le Con/elsioni, VII, 19, 25, cit., p. 209. INTRODUZIONE - CREAZIONE, SALVEZZA, GLOR1FICAZIONE

23

ficile rapporto tra Dio e il mondo. Questo percorso si è svolto peraltro in modo relativamente pacifico. Poiché la considerazione della creazione in generale concerne anche - et eminenter - l'uomo creato, il capitolo ad essa consacrato si concentrerà su ciò che è specifico dell'uomo in quanto uomo (cap. I). Questo uomo innocente è divenuto, dall'inizio, un uomo peccatore e colpevole. La distanza stabilita però nel testo biblico tra Gn l-2 e Gn 3 manifesta una duplicazione dell'origine: prima di quella del male c'è quella del bene. «Il peccato ha un bell'essere più "antico" dei peccati, l'innocenza è "più antica" di lui. Questa "anteriorità" dell'innocenza al peccato più "antico" è la cifra temporale della profondità antropologica» 19 (capp. III e IV). Quest'uomo peccatore è in situazione radicale di bisogno di salvezza. L'uomo creato, in qualche modo, era già in tale situazione, poiché non poteva realizzare il suo fine, la comunione con Dio, con le sue sole forze, ma aveva bisogno di quell'iniziativa gratuita di Dio, che sola consentiva di far accedere a questa comunione di vita e d'amore. È il paradosso a proposito del quale la teologia dei tempi moderni proverà molte difficoltà. L'uomo peccatore ha, in più, la necessità d'essere guarito e «liberato» dalla sua situazione mancante, che da una parte compromette la sua relazione vitale con Dio e, dall'altra, fa di lui un uomo disorientato, ferito, «deteriorato». La salvezza e la redenzione vengono all'uomo dall'iniziativa di Dio in Gesù Cristo, che è l'unico mediatore, secondo modalità che devono essere analizzate all'interno di ciascuna persona umana. Questo è il tema della giustificazione, che ha il suo più importante dossier scritturistico nell'Epistola ai Romani, e quello della grazia nel suo rapporto con la libertà. Agostino lascerà un'impronta definitiva su questa problematica, che costituirà l'oggetto delle grandi controversie dell'Occidente (capp. V e VI). I dibattiti sempre più sottili sullo statuto dell'uomo senza la grazia e con la grazia, conducono a un approfondimento della distinzione strutturale su ciò che è e su ciò che può la natura dell'uomo considerata in se stessa e sul dono gratuito che gli è offerto da Dio nell'economia della salvezza. Il pericolo era quello di proiettare in una realtà virtuale ciò che era distinzione interna a un ordine concreto, e di pensare un uomo inscritto nei limiti di un fine puramente naturale. Lo sviluppo della teologia della grazia nel suo rapporto con la natura dell'uomo esercita dunque un effetto boomerang e rimette in causa la considerazione del rapporto tra natura e soprannatura. Questa questione, già presente nella scolastica medievale,

!9

24

P.

RrcoEUR,

Finitudine e colpa, Il Mulino, Bologna 1970, p. 518.

VITTORINO GROSSI - BERNARD SESBOÙÉ

percorrerà nei tempi moderni sentieri pericolosi e condurrà, nel nostro secolo, a uno dei più aspri dibattiti teologici. Prima della conclusione bisognerà dunque affrontare anche questa difficile questione (cap. VII). L'uomo giustificato e salvato nell'economia della grazia è però ancora in situazione di pellegrino itinerante per divenire infine l'uomo santificato. L'economia della grazia deve dunque aprirsi a quella della gloria (cap. VIII). Tale è l'itinerario antropologico che questo volume intende tracciare, al seguito, il più possibile, del suo sviluppo storico e pur nella consapevolezza che quest'ordine espositivo non corrisponde completamente al movimento dottrinale soggiacente: è la salvezza infatti che rivela il peccato nella Scrittura, ed è lapprofondimento della dogmatica della salvezza nella storia della Chiesa che ha permesso di chiarificare l'oscura questione del peccato. Tuttavia, lo si è già detto, ciò che è stato presentato dalla soteriologia universale nel volume precedente rispetta questo movimento dottrinale20. 20

Cfr. voi. I, pp. 309-453.

INTRODUZIONE - CREAZIONE, SALVEZZA, GLORIFICAZIONE

25

Capitolo Primo

La creazione del cielo e della terra Luis F Ladaria

La dottrina della creazione, contrariamente a quanto si potrebbe credere, non si è sempre imposta con evidenza alla ragione umana. Non si metterà mai sufficientemente in rilievo loriginalità giudeo-cristiana di questo insegnamento. Anche se l'idea della creazione ha qualche precedente in Egitto e in Mesopotamia, il concetto di «creazione» è prima di tutto biblico. Esso esprime l'atto con cui Dio è la causa libera e amante di un universo essenzialmente buono e armonioso, tratto dal nulla e messo a disposizione dell'uomo, un atto che inaugura il tempo della storia. Così il tema della creazione ha uno spazio molto grande nelle Scritture ed è oggetto di una costante riflessione. Due racconti della creazione sono stati posti intenzionalmente all'inizio della Genesi, come un portico che apre sul disegno dell'Alleanza di Dio con gli uomini. La creazione viene vista come il primo atto della salvezza. Il suo tema è costantemente ripreso dai profeti e dai salmi, nel clima di un'adorazione ammirata e riconoscente. I libri sapienziali celebrano la Sapienza creatrice, presente sin dalle origini presso Dio. Il Nuovo Testamento non è da meno, associando esplicitamente la persona del Verbo, e del Cristo, ali' attività creatrice di Dio: «[Il Figlio] è l'immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili [ ... ] Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col l, 15-17). Nei due Testamenti la realizzazione del disegno creatore e salvatore di Dio sarà anche chiamata una «creazione nuova», nella quale saranno rivelati dei «cieli nuovi e una terra nuova». Inoltre non bisogna affatto stupirsi di ritrovare nelle confessioni di fede il riferimento alla creazione, che si trova già nei loro primi articoli ed è attribuita principalmente a Dio Padre 1 • I

Cfr. voi. I, pp. 97-98. I. LA CREAZIONE DEL CIELO E DELLA TERRA

27

Tra monismo e dualismo Appunto per la sua originalità, la dottrina giudeo-cristiana della creazione ha dovuto sempre mantenere l'equilibrio tra due estremi verso i quali il pensiero umano è stato attratto, quasi naturalmente, lungo tutta la storia. Da una parte il monismo nega che possa esistere qualche cosa che possa essere distinta da Dio. Essendo infatti supposta l'esistenza di un essere assoluto - e fatta astrazione del modo in cui lo si comprende - non è facile ammettere che altri esseri abbiano realmente un'esistenza distinta dalla sua. E alla fine non esisterebbe che Dio. L'infinità divina escluderebbe così ogni realtà fuori dalla sua. Le concezioni moniste e panteiste tendono a negare un'autentica esistenza a ciò che non è Dio, e dunque ignorano, necessariamente, la realtà creata come tale. Una variante di queste concezioni considera la realtà visibile come un'emanazione necessaria di Dio, non come il frutto della sua libera azione. Da un simile punto di partenza è ben difficile giungere all'idea di creazione. Vi è un secondo ostacolo a cui la dottrina cristiana sulla creazione ha dovuto far fronte: quello del dualismo, il quale non considera tutta la realtà come frutto dell'azione divina e che conduce a presupporre una pluralità di principi a tutto ciò che esiste. Si è talora intravista la materia come eterna e preesistente; la divinità eserciterebbe su di essa una semplice azione demiurgica di trasformazione e di «formazione» di ciò che esisterebbe già; ma questa azione verrebbe a possedere così dei presupposti non stabiliti da Dio stesso. Altrove, si è considerato il mondo materiale come una «caduta» da un mondo superiore, dovuta a un certo disordine morale. Da ciò la tendenza a considerare la realtà visibile come cattiva. La salvezza dell'uomo consisterebbe allora in una liberazione da questo mondo e da questa creazione materiale. Durante i primi secoli cristiani, la Chiesa dovette affrontare le diverse correnti gnostiche che erano già presenti2. Un denominatore, che le accomunava tutte, fu senza alcun dubbio la mancanza di chiarezza quanto alla nozione biblica di creazione e quanto alla sua bontà. Di fronte a questi due scogli, la fede della Chiesa ebbe il compito di confermare la verità e la bontà della realtà creata. Questa gode inoltre di un'esistenza autentica, sebbene totalmente ricevuta da Dio 3 • I due aspetti non si oppongono. L'uno e l'altro presuppongono un'azione libera di Dio, capace di donare l'essere a ciò che non esiste per se stesso. Ambedue presuppongono ugualmente che questo dono sia totale. Nelle formulazioni Cfr. voi. I, pp. 30-35. Cfr. J. LADRJÈRE, Approches philosophiques de la création, in La Création dans l'Orient Ancien, a cura di C. Derousseaux, Cerf, Paris 1987, pp. 13-38, in particolare p. 19. 2

J

28

LUIS F. LADARIA

della dottrina sulla creazione si troverà una doppia preoccupazione: affermare la libertà divina di creare, tenendo fermo il principio che questa creazione si è attuata «a partire dal nulla» (ex nzhilo). La libertà di Dio esclude ogni forma di monismo emanazionista, conferisce alla creatura una consistenza propria e garantisce la sua autentica esistenza. La creazione ex nihilo mette in evidenza che questa esistenza è ricevuta, che essa dipende assolutamente da Dio e che, di conseguenza, la creazione è buona nella sua origine. La storia della dottrina sul peccato originale, che sarà esposta in questo medesimo volume, mostra che il male, e in particolare il male morale, ha un'origine storica e non è per nulla una necessità metafisica. La creazione, mistero religioso e cristiano

Una seconda osservazione è degna d'importanza quanto la prima. La dottrina cristiana sulla creazione non è un semplice insegnamento filosofico. Già nell'Antico Testamento, essa è cresciuta e si è sviluppata in stretta relazione con l'esperienza del Dio della salvezza e dell'alleanza. Parlare di creazione, della libera produzione da parte di Dio di qualche cosa che non è lui, della sua manifestazione nell'opera creata, non ha alcun senso se non unitamente alla conoscenza di un Dio personale. Il Nuovo Testamento farà ancora un passo in avanti nella medesima direzione: la creazione è vista legata al mistero di Cristo (cfr. Gv 1, 3-4. 10; 1 Cor 8, 6; Col 1, 15-20; Eb l, 2-3 ). Non si può dimenticare questa prospettiva nella breve storia che ci si propone di sviluppare. La dottrina cristiana della creazione è una parte della dottrina su Dio e sul Cristo. Il primo volume di quest'opera, che è stato consacrato alle questioni fondamentali della fede cristiana, ha messo le basi necessarie per comprendere tutto ciò che bisogna ora spiegare. Solo se Dio è il creatore di tutto e il Cristo, suo Figlio, il mediatore universale, questi può salvare tutti gli uomini. La salvezza non è un'aggiunta estrinseca all'essere dell'uomo e del mondo, ed equivale alla sua pienezza definitiva solo se il disegno creatore è in rapporto con la salvezza portata da Cristo. Proprio perché Gesù è veramente uomo e, parimenti, il Figlio di Dio ha assunto la natura umana, la creazione acquisisce la sua dignità definitiva. La condizione di creatura è stata condivisa dallo stesso Figlio di Dio. Tutto questo deve significare qualche cosa per la dottrina cristiana della creazione. Essa così non è più intesa come «portico dei Gentili», come diceva sottilmente Karl Barth, nel quale si può andare d'accordo con tutti gli uomini, prima di penetrare nel mistero propriamente cristiano. Rimane comunque vero che questo aspetto della dottrina cristiana si presta in modo speciale al dialogo con la filosofia e le scienze. Inoltre la nozione di creazione esiste anche in altre religioni. Ma I. LA CREAZIONE DEL CIELO E DELLA TERRA

29

nella presente esposizione della storia dei dogmi non si possono dimenticare le connotazioni specificamente cristiane di questa nozione. Le pagine che seguono lo mostreranno. Infine, il senso ultimo della dottrina sulla creazione non si scopre se non nella trattazione specifica dell'antropologia cristiana, che occuperà il prossimo capitolo. L'uomo condivide con il mondo che lo circonda la sua condizione di creatura, ma egli è una creatura speciale, quella che comunica all'insieme il suo senso ultimo. In conseguenza di questo, tutto ciò che si andrà dicendo raggiunge nell'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, la sua pienezza definitiva. L'esistenza autentica e nello stesso tempo ricevuta, che è una caratteristica essenziale della creatura, acquista nell'uomo la sua piena realizzazione. Lui solo, infatti, tra tutti gli esseri di questo mondo, può comprendere la sua vita come dono, e la sua esistenza libera come autenticamente sua. Si traccerà in tre tempi lo sviluppo storico del dogma della creazione: il periodo dei Padri della Chiesa, quello della teologia scolastica e quello dei tempi moderni. Si raccoglieranno, strada facendo, gli insegnamenti propriamente dogmatici della Chiesa, constatando che sono relativamente pochi. La creazione è stata, il più delle volte, l'oggetto di un sereno possesso nella Chiesa e non ha dato luogo, come altri soggetti dogmatici, a difficili controversie.

I.

LA FEDE NELLA CREAZIONE

PRESSO I

p ADRI

DELLA CHIESA

1. Lo stupore davanti alla creazione: i Padri Apostolici Gli autori e i testi: I Padri Apostolici, a cura di A. Quacquarelli (CTP 5) Città Nuova, Roma 1981. Indicazioni bibliografiche: P. GrsEL, La creazione, Marietti, Torino 1987, cap. III: Genesi e costituzione del dogma della creatio ex nihilo, pp. 89-114; L. ScHEFFCZYK, Création et Providence, Cerf, Paris 1967; A. ORBE, La teologia dei secoli II e TI!. Il confronto della Grande Chiesa con lo gnosticismo, 2 voli., Piemme, Casale Monferrato 1995.

Ci vorranno degli anni prima che si formi e si stabilisca nella teologia cristiana una dottrina della creazione. Ma l'idea, in parte riflesso degli insegnamenti veterotestamentari, in parte arricchita dalla novità della mediazione creatrice di Cristo, che si trova nel Nuovo Testamento, appare chiaramente sin dai primi secoli. L'ordine della natura è oggetto di

30

LUIS F. LADARJA

ammirazione per Clemente Romano che traccia una bella descrizione del1' armonia cosmica: I cieli che si muovono secondo l'ordine di Lui gli obbediscono nell'armonia. Il giorno e la notte compiono il corso da Lui stabilito e non si intralciano a vicenda. Il sole e la luna e i cori delle stelle secondo la sua direzione girano in armonia senza deviazione per le orbite a essi assegnate 4•

Il testo raccoglie numerosi temi di Gn 1, malgrado l'innegabile influenza stoica. Ma è interessante notare che il quadro nel quale questo commento si iscrive è determinato dalla considerazione di Dio come «padre e creatore» 5 • La paternità divina, messa qui in relazione con la creazione, compare in altri passi dell'opera in un contesto trinitario e cristologico 6 • Si può dunque arguire che il mistero di Dio trino e la creazione si trovano implicitamente legati. D'altra parte, in questo medesimo passo, viene detto che Dio concede agli uomini i benefici della sua misericordia per mezzo di Gesù Cristo: Il creatore e signore dell'universo dispose che tutte queste cose fossero nella pace e nella concordia, benefico verso tutto e particolarmente verso di noi che ricorriamo alla sua pietà per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo 7 •

Ancora più chiara è l'impostazione genesiaca in un altro passo, dove la creazione dell'uomo appare il punto culminante della creazione: Lo stesso artefice e signore dell'universo si compiace delle sue opere. Con la sua immensa potenza fissò i cieli e li ornò con la sua incomprensibile intelligenza. [. .. ] Con le mani sacre e immacolate plasmò l'uomo, l'essere superiore e che tutto governa, quale impronta della sua immagine 8 •

L'inno a Dio creatore e salvatore, che Clemente pone poco prima della conclusione della sua opera, allude ugualmente, nella sua introduzione e conclusione, alla mediazione di Gesù Cristo 9 • Ellenismo e mondo biblico, con una presenza molto esplicita della novità di Cristo, si incontrano già in questi primi momenti del pensiero cristiano. L'omelia della II Lettera di Clemente contiene in questo medesimo senso delle interessanti allusioni. Vi si parla di liberazione dal peccato attra4 CLEMENTE ROMANO, Ai Corinti, XX, 1-2, in I Padri Apostolici, a cura di A. Quacquarelli (CTP 5) Città Nuova, Roma 1981, p. 63. 5 lbid., XIX, 2, p. 62; cfr. anche XXXV, 3, p. 72 e LXII, 2, p. 91. 6 Cfr. lbid. VII, 4, p. 53. 1 lbid., XX, 11, p. 63. s Ibid., XXXIII, 2-4, pp. 70-71. 9 Cfr. Ibid., LIX, 2, p. 88; LXI, 3, p. 91: «Te, il solo capace di compiere questi beni e altri più grandi per noi ringraziamo per mezzo del gran Sacerdote e protettore delle anime nostre Gesù Cristo»; LXIV, p. 92.

I. LA CREAZIONE DEL CIELO E DELLA TERRA

31

verso Gesù Cristo in termini di creazione. Questo indica come quest'ultima sia presente nella coscienza dell'autore, e che, allo stesso tempo, è contemplata in legame con la salvezza avvenuta per mezzo del Cristo: «[Vide] che non avevamo speranza alcuna di salvezza se non la sua. Ci chiamò quando non eravamo e volle che dal nulla esistessimo» 10 • Il vocabolario ricorda quello di Rm 4, 17. La creazione ex nihilo è chiaramente insegnata in un passo del Pastore di Erma: Prima di tutto credi che vi è un solo Dio il quale ha creato tutte le cose e le ha ordinate dal non essere all'essere 11 •

La creazione è considerata come una verità fondamentale della fede che beneficia di una certa priorità sulle altre. Un'espressione molto simile si trova nella medesima opera: «Dio che abita nei cieli e fece da ciò che non era le cose che sono» 12 • Il fatto che l'idea si ripeta non lascia pensare a un'affermazione fortuita. L'insistenza è toccante, perché l'insegnamento della creazione ex nihilo non si trova formulata esplicitamente se non in 2 Mac 7, 28 e Rm 4, 17. E non è stata poi così spesso ripetuta nei primi testi cristiani. L'idea della mediazione di Gesù, che la Lettera di Clemente metteva in relazione a quella della creazione, non ha qui la stessa sorte. La creazione di tutto da parte di Dio e la salvezza attraverso il Cristo sembrano seguire itinerari distinti. L'amore di Dio che ci ha creati è il primo sul cammino della vita, secondo l'inizio della Didaché 13 • L'espressione è ripresa in modo quasi letterale nella Lettera dello Pseudo-Barnaba 14 che, con questo precetto, avvia la descrizione del cammino di luce. Anche se non parla direttamente della bontà della creazione, l'interpretazione spirituale dello Pseudo-Barnaba dei divieti alimentari della legge veterotestamentaria, è da notare nel nostro contesto. Solo a partire da Gesù si può comprendere correttamente il senso dell'Antico Testamento; i Giudei non poterono raggiungere il vero senso di questi divieti, e per questo essi interpretano letteralmente le prescrizioni che si riferiscono alla condotta morale 15 • Tuttavia questa interpretazione non ha la sua origine presso il nostro autore, ma ha i suoi precedenti fuori dall'ambiente cristiano 16 • Omelia dello Pseudo-Clemente, I, 7-8, in I Padri Apostolici, cit., p. 222. ERMA, Il Pastore, Pr. XXVI, 1, in I Padri Apostolici, cit., p. 267. 12 Ibid., VI I, 1, 6, pp. 243-244. 13 Didaché, I, 2, in I Padri Apostolici, cit., p. 29. 14 Lettera di Barnaba, XIX, 2, in I Padri Apostolici, cit., p. 211: «Amerai chi ti ha creato, temerai chi ti ha plasmato, glorificherai chi ti ha liberato dalla morte». La creazione sembra essere messa in relazione con la risurrezione. 15 Cfr. Ibid., X, specialmente X, 12, pp. 201-202. 16 Cfr. J.J.A. CALVO, Didaché, Doctrina Apostolorum, Epistola del Pseudo-Barnabé, Ciudad Nueva, Madrid 1992, p. 193. 10 11

32

LUIS F. LADARIA

Ancora più importante è mettere in evidenza la dottrina del medesimo autore sulla nuova creazione nel battesimo. Sembra che la prima creazione della Genesi venga considerata dallo Pseudo-Barnaba come una prefigurazione della seconda, la rigenerazione dell'uomo in Cristo: Di noi la Scrittura parla quando riferisce al Figlio: «Facciamo l'uomo a immagine e somiglianza nostra» [... ] Ti mostrerò poi come parla a noi. Negli ultimi tempi fece una seconda creazione 17 •

Bisogna anche notare che lo Pseudo-Barnaba, in questo passo e in un altro a esso parallelo 18 , dà per la prima volta l'interpretazione trinitaria a Gn l, 26, che farà fortuna nella tradizione patristica: il «facciamo» di questo versetto è considerato come detto dal Padre al Figlio che, secondo il Nuovo Testamento, è il mediatore della creazione. Più avanti, lo Spirito Santo sarà ugualmente intravisto come il destinatario di questa parola del Padre. La creazione è dunque concepita in questo contesto in chiara relazione con la salvezza operata per mezzo di Gesù Cristo, anche se lo Pseudo-Barnaba non ne esplicita i termini esatti. La dottrina della creazione va così progressivamente assumendo una connotazione specificamente cristiana. Bisogna tuttavia riconoscere che questa dimensione non è poi stata sempre messa in rilievo durante la storia. Detto ciò, tutti gli scritti di questa prima epoca non considerano la creazione come un problema teologico sul quale attardarsi in modo specifico. La situazione cambierà piuttosto con gli Apologisti. La distinzione tra Dio e il mondo - e questo è al fondo il problema della creazione -, emergerà, sempre più chiaramente, come problema.

2. Gli Apologisti e leternità della materia Gli autori e i testi: GIUSTINO, Dialogo con Trifone, a cura di G. Visonà, Paoline, Milano 1988; Apologie, in Gli Apologeti Greci, a cura di C. Burini, (CTP 59), Città Nuova, Roma 1986; TEOFILO DI ANTIOCHIA, Ad Autolico, ibid.; ATENAGORA, Supplica per i cristiani, ibid. Indicazioni bibliografiche: J.J .A. CALVO, Antropologia de san Justino. Exégesis del mdrtir a Gen I-III, lstimto teologico campostelano/Monte de Piedad y Caja de Ahorros, Santiago de Campostela/C6rdoba 1988; G. MAY, Schop/ung aus dem Nichts. Die Entstehung der Lehre von der Creatio ex Nihilo, W. de Gruyter, Berlin-New York 1978.

Penetrando sempre di più nel mondo greco, il cristianesimo incontra il problema dell'eternità della materia, ritenuta in quest'epoca in un cer17 13

Lettera di Barnaba, VI, 12-13, in I Padri Apostolici, cit., p. 195. Cfr. ibid., V, 5, p. 192.

I. LA CREAZIONE DEL CIELO E DELLA TERRA

33

to modo come «rivale» di Dio 19 • La dottrina della creazione non si può sviluppare senza chiarire questo punto. Gli scrittori ecclesiastici del II secolo vi si impegnano. Aristide di Atene lo fa già: seguendo l'insegnamento biblico, distingue radicalmente ed esplicitamente Dio dagli elementi di questo mondo: questi infatti sono creazione mutabile, mentre Dio è immutabile; inoltre essi provengono dal non essere per «comando ., del Dio» 20 • Quest'ultima espressione si ispira alla Scrittura 21 • La sovranità di Dio sul mondo si manifesta nel fatto che questo universo è stato chiamato al1' esistenza da un comando di Dio che esclude ogni limitazione della sua libertà e ogni resistenza alla sua opera. La dottrina sulla creazione di san Giustino, martire, ha già da molto tempo suscitato interesse ed è stata oggetto di aspre discussioni. Concretamente è il problema della creazione della materia che attirò l'attenzione. Giustino, in effetti, nella sua prima Apologia, afferma che Platone ha ripreso da Mosè, il primo dei profeti, i suoi insegnamenti sulla creazione. Sembra così mostrare che, secondo il racconto della Genesi, il mondo intero fu fatto dalla parola di Dio, a partire però da un sostrato già esistente: Così, Platone, coloro che dicono queste cose e anche noi abbiamo imparato che tutto ciò si è verificato, grazie alla parola di Dio, dai principi enunciati da Mosè: anche voi potete esserne convinti 22 .

Giustino sembrerebbe riferirsi al Timeo (29-30). Nel medesimo libro egli aveva già affermato la coincidenza delle dottrine cristiane con quelle della filosofia 23 e segnalato che all'inizio Dio «essendo buono creò tutte le cose dalla materia informe a beneficio degli uomini» 24 • Questo testo è stato spesso interpretato come la prova che la dottrina della creazione ex nzhilo non si era ancora imposta. Ci si troverebbe così di fronte a un tentativo di conciliazione delle dottrine platoniche e bibliche, che porterebbe a vedere la creazione come una sistemazione da parte di Dio di una realtà anteriore. Ma questa interpretazione non è accettata da tutti. Si potrebbe infatti ipotizzare che Giustino avesse in mente un'azione esclusiva del Padre, che in un primo mo19 Cfr. P. GrsEL, La Creazione, Marietti, Torino 1987, p. 97. 20 ARISTIDE, Apologia, 4, 1, in Gli Apologeti greci, a cura di C.

Burini (CTP 59) Città Nuova, Roma 1986, p. 49. 21 Già in Gn 1, 3. 6. 9, ecc.; ma anche 33, 6-9; Sap 9, 1; Sir 39, 17; nel Nuovo Testamento: Eb 11, 3; 2 Pt 3, 5 e Cc 1, 18. 22 GruSTINO, I Apologia, 59, 5, in Gli Apologeti greci, cit., p. 139. 23 Ibid., 10, 3, p. 90. 24 Ibid, 10, 2, p. 90.

34

LUIS F. LADARIA

mento, quale creatore, tarebbe sorgere la materia amorta. Poi, in un secondo momento, con la mediazione del Verbo, viene a dare forma agli elementi informi per creare gli esseri concreti di cui si parla a partire da Gn l, 3 25 • Anche Atenagora sembra, almeno in certi testi, presupporre l'esistenza della materia senza porsi il problema della sua origine 26 • Ma altrove la stessa materia non soltanto è chiaramente distinta da Dio, ma anche definita come «generata e corruttibile» 27 • Altri apologisti affermarono con molta chiarezza la creazione ex nihilo. Così, secondo Taziano, Dio è il supporto di tutto, l'origine del mondo: La materia infatti non è senza principio come lo è Dio [. .. ] ma è generata e non è creata da altri, originata dall'unico creatore di tutte le cose 28 •

Tutta la materia è stata prodotta da Dio, «affinché ci si accorgesse della sua inaccessibilità e della sua informità prima che avesse una distinzione, e del suo ordinamento e della sua disposizione dopo che in essa avvenne la divisione» 29 • Sembra che Taziano conosca un doppio momento nella creazione, simile a ciò che alcuni vedono in Giustino: una creazione della materia ex nihilo, e solo in seguito un'operazione di ordine e disposizione di questa. Teofilo di Antiochia è forse l'apologista presso il quale la dottrina della creazione appare più chiara. La creazione ex nihilo di ogni cosa è enunciata più volte: «E Dio creò tutte le cose dal nulla, affinché attraverso le opere si conosca e si comprenda la sua grandezza» 30 • Contro i platonici, egli sottolinea il fatto che Dio è increato e che la materia non lo è; più ancora, nel caso contrario Dio non sarebbe creatore di tutto e conseguentemente a ciò la sua stessa unicità diventerebbe un problema. D'altra parte anche gli artigiani umani lavorano su una materia preesistente. Ma Dio si differenzia dagli uomini per il fatto che egli è in grado di creare degli esseri dotati di ragione. Infine, Dio crea «quello che esiste nella misura che vuole e nel modo in cui lo vuole» 31 • Con quest'ultima affermazione si giunge a un secondo punto, che Teofilo sviluppa con più chiarezza dei 25 Cfr. lo stato della questione in J.J.A. CALVO, Antropologzà de san Justino, Istituto teologico compostelano/Monte de Piedad y Caja de Ahorros, Santiago de campostela/C6rdoba 1988, pp. 42 ss. 26 ATENAGORA, Supplica per i cristiani, 10, 3, in Gli Apologeti greci, cit., p. 262; cfr. G. MAY, Schop/ung aus dem Nichts. Die Entstehung der Lehre van der Creatio ex Nzhilo, W. de Gruyter, Berlin-New-York 1978. 27 ATENAGORA, Supplica per i cristiani, 4, 1, in Gli Apologeti greci, cit., p. 254. 28 TAZIANO, Discorso ai Greci, 5, in Gli Apologeti greci, cit., pp. 189-190. 29 Ibid., 12, p. 197. JO TEOFILO DI ANTIOCHIA, Ad Autolico, I, 4, in Gli Apologeti greci, cit., p. 367; cfr. anche II, 10 e 13; pp. 391 e 396. 31 Ibid., II, 4, p. 383.

I. LA CREAZIONE DEL CIELO E DELLA TERRA

35

suoi contemporanei: quello della libertà divina di creare. Dio non ha creato per necessità; solo il creato ha delle necessità, non Dio. Non avendo dunque alcuna necessità, Dio ha creato il mondo, perché il mondo lo conosca; egli ha dunque creato per l'essere umano 32 • Il potere di Dio si manifesta nel fatto che egli fa le cose ex mhilo e come vuole 33 • Un doppio momento della creazione, in primo luogo la produzione della materia e poi la presa di forma da parte di questa, sembra presente in qualche passo del nostro autore: «Questo all'inizio insegna la divina Scrittura: in che modo la materia fu generata, nata da Dio, e come da essa Dio ha creato e plasmato il mondo» 34 • La chiara differenziazione tra la dottrina cristiana e la dottrina platonica è uno dei grandi apporti degli Apologisti. La materia non è increata, ma creatura di Dio. Questo punto sarà fondamentale per il confronto della teologia ecclesiastica con la gnosi. Ma vi è anche un altro punto sul quale la dottrina degli Apologisti ha sviluppato in modo considerevole l'insegnamento del Nuovo Testamento: la mediazione creatrice del Verbo.

La mediazione creatrice del Verbo Giustino conosce questa dottrina e vi si riferisce a profusione. Naturalmente, bisogna sottolineare, per evitare ogni possibile malinteso, che il creatore di tutto è il Padre, Dio immutabile, dal quale tutto ciò che è mutabile prende la sua origine. Dio Padre è chiamato lautore, il padre di ogni cosa, il creatore 35 . Seguendo una tendenza già incontrata negli autori anteriori, Clemente Romano per esempio, Giustino parla della «paternità» in senso largo, in riferimento alla creazione. L'insistenza nell'attribuire gli attributi di creazione al Padre può essere compreso nel quadro del1' opposizione a Marcione. Di fronte alla separazione tra il creatore e il salvatore, il Dio giusto e il Dio buono, Giustino, fedele al pensiero biblico, contemplerà l'unione delle economie dell'Antico e del Nuovo Testamento. Ma questa medesima fedeltà l'obbliga, precisamente per mantenere uniti i due Testamenti, a sviluppare la dottrina della mediazione del Verbo nella creazione. Il Verbo personale, identificato con Gesù, è il primogenito di tutta la creazione. Senza che ciò indichi un'ignoranza del suo carattere divino, la generazione del Verbo è legata, in Giustino come in altri numerosi autori dei primi secoli cristiani, alla creazione 36 • Basta notare che il Verbo è presentato in diverse occasioni come colui che realizza Jbid., II, 10, p. 391. 33 Cfr. Ibid., II, 13, p. 396. 34 Ibid., II, 10, p. 392. 35 Cfr. ].].A. CALVO, Antropologia de san Justino, cit., p. 40. 36 Su questo punto cfr. voi. I, pp. 139-143. 32

36

LUIS F. LADARIA

ed esegue ciò che il Padre ha pensato e deciso 37 • Ed è proprio del Verbo il compito di dare forma concreta al mondo e al cosmo. Il Verbo è anche «servitore» del Padre, creatore dell'universo 38 • Teofilo di Antiochia segnala anche lui in modo chiaro la sua fede nell'unico Dio creatore di tutto. Questo creatore è prima di tutto il Padre: È chiamato Dio (Théos) perché ha fondato tutte le cose sulla propria stabilità e per il significato di theein. Theein significa correre, essere in movimento, essere attivo, nutrire, provvedere, governare e dare la vita a tutte le cose. È Signore perché egli stesso è prima di tutte le cose; demiurgo e creatore perché egli stesso ha creato e fatto ogni cosa; altissimo perché egli stesso è al di sopra di tutto; onnipotente perché egli stesso domina ogni cosa e la contiene 39 .

Ma la mediazione del Verbo nella creazione di tutto l'universo è stata ugualmente evidenziata dal nostro apologista. La mancanza di chiarezza della teologia trinitaria dell'epoca si fa indubbiamente sentire nel legame istituito tra la generazione del Verbo e la decisione creatrice di Dio: «E quando Dio volle creare quanto aveva deliberato, generò questo Verbo capace di parlare, primogenito di tutta la creazione» 40 • Ma lo stesso Teofilo fa notare che il Verbo è sempre presente nel cuore di Dio come suo spirito e suo pensiero. Teofilo ci offre anche un commento al primo capitolo della Genesi, che è un piccolo trattato sulla creazione 41 • La mediazione del Verbo vi è menzionata in diversi punti 42 • Così pure Atenagora identifica il Verbo con il Figlio, l'intelligenza del Padre, che Dio aveva da sempre in se stesso e che perciò non è stata creata. Per mezzo di questo Verbo, Dio, l'autore dell'universo, ha distribuito le loro funzioni a tutti gli angeli e ministri 43 • Con questa insistenza sulla mediazione del Verbo, gli Apologisti raccolgono, nonostante i limiti a cui si è già fatto riferimento, un dato essenziale della teologia neotestamentaria. La lettera A Diogneto riassume in un bel passo la funzione mediatrice del Verbo nella creazione, lui che negli ultimi tempi è stato inviato da Dio sulla terra. In essa si sottolinea così la corrispondenza che esiste tra I' opera della creazione e quella della salvezza: Ma quello che è veramente signore e creatore di tutto e Dio invisibile, egli stesso fece scendere dal cielo, tra gli uomini, la verità, la parola santa e incomprensibile, e l'ha riposta nei loro cuori. [... ] Non già mandando qualche suo angelo [ ... ] ma II Apologia, 6, 3, in Gli Apologeti greci, cit., p. 157.

37

Cfr.

38

ID., Dialogo con Trifone, 58, 3 e 60, 2, a cura di G. Visonà, Paoline, Milano 1988, pp. 211e215.

GIUSTINO,

Ad Autolico, I, 4, in Gli Apologeti greci, cit., pp. 366-367. Ibid., II, 22, p. 407. Ibzd., II, 10-19, pp. 391-403. Ibid., II, 13, p. 396. ATENAGORA, Supplica per i cristiani, 10, 2, in Gli Apologeti greci, cit., p. 261.

J9 TEOFILO DI ANTIOCllIA, 40

41 42 41

I. LA CREAZIONE DEL CIELO E DELLA TERRA

37

mandando lo stesso artefice e fattore di tutte le cose, per cui creò i cieli e chiuse

il mare nelle sue sponde e per cui tutti gli elementi fedelmente custodiscono i misteri. Da lui il sole ebbe a osservare la misura del suo corso quotidiano, a lui obbediscono la luna che splende nella notte e le stelle che seguono il giro della luna; da lui tutto fu ordinato, delimitato e disposto [ ... ] lui Dio mandò agli uomini [ ... ] nella mitezza e bontà come un re manda suo figlio, lo inviò come Dio e come uomo per gli uomini; lo mandò come chi salva, per persuadere, non per far violenza. A Dio non si addice la violenza 44 •

3. La lotta contro il dualismo gnostico La liberalità creatrice della Trinità in Ireneo I testi: IRENEO DI LIONE, Contro le eresie e gli altri scritti, a cura di E. Bellini, Jaca Book, Milano 1981; TERTULLIANO, Opere scelte, a cura di C. Moreschini, UTET, Torino 1974. Indicazioni bibliografiche: A. ORBE, Teologia de san Ireneo, I, II, III, La Editoria! Catolica,

Madrid-Toledo 1985-1987-1988.

Nel confronto con lo gnosticismo 45 , si staglia la figura di Ireneo. Con lui ci si trova di fronte a un pensiero molto elaborato, che unisce nella stessa prospettiva la creazione e la salvezza dell'uomo da una parte, la libertà della creazione e la creazione ex nihilo dall'altra. Di fronte alla separazione gnostica del Dio creatore e del Dio salvatore, Ireneo afferma chiaramente che la creazione è un'iniziativa del Padre, per mezzo delle sue due mani, il Figlio e lo Spirito, a cui si rivolge l'invito di Gn 1, 26: «Facciamo l'uomo ... » 46 • Il Dio creatore è il Padre di Gesù Cristo. Tutta la Trinità opera nella creazione e per questo Ireneo mostra che non c'è che un solo Dio da cui tutto proviene. Questo Dio creatore, uno e trino, non ha bisogno di nulla. Ireneo ripete frequentemente l'idea, che non gli è propria, di un Dio a cui non manca nulla. Lui, increato, senza principio né fine, basta a se stesso ed elargisce l'essere a tutte le altre cose 47 : «non ha bisogno di nulla, ma per mezzo del Verbo e del suo Spirito crea, dispone, governa e dà a tutte le cose l'esistenza» 48 • Egli non ha bisogno della mediazione degli angeli né degli altri esseri. Questa sufficienza di Dio, che crea con suo Figlio e il suo Spirito, serve da una parte ad accentuare il suo pote-

A Diogneto, VII, 2-4, in I Padri Apostolici, cit., p. 358. Cfr. voi. I, pp. 30-35. 46 Cfr. IRENEO DI LIONE, Contro le eresie, IV, Pref, 4, in Contro le eresie e gli altri scritti, a cura di E. Bellini,Jaca Book, Milano 1981, p. 304; V, 5, 1e6, 1, pp. 418-420. 47 Cfr. Ibid., III, 8, 3, pp. 230-231. 48 Ibid., I, 22, 1, p. 97. 44 45

38

LUIS F. LADARIA

re, in quanto non ha bisogno di alcun intermediario, d'altra parte serve pure a sottolineare la dignità della creazione materiale, in particolare dell'uomo, formato dalle mani divine 49 • E se il Padre non è indigente, parimenti il Figlio, per mezzo del quale tutto è stato fatto, non è da meno: Questa amicizia di Abramo non se la procurò a causa di un suo bisogno il Verbo di Dio, che è perfetto fin dal principio [. .. ] ma, essendo buono, per poter donare ad Abramo stesso la vita eterna, perché l'amicizia di Dio procura l'incorruttibilità a quelli che la conseguono. Così pure all'inizio Dio non plasmò Adamo perché avesse bisogno dell'uomo, ma per avere uno nel quale deporre i suoi benefici. Perché non solo prima di Adamo, ma anche prima di tutta la creazione il Verbo glorificava il Padre, rimanendo in lui, ed era glorificato dal Padre [ ... ]. Né ci comandò di seguirlo perché avesse bisogno del nostro servizio, ma per procurare a noi stessi la salvezza 50 .

Se Dio non è indigente, allora egli crea perché lo vuole, liberamente. Prima della creazione, il Padre e il Figlio bastano a se stessi nella loro vicendevole glorificazione. La libertà della creazione si fonda nella pienezza della vita intradivina. Altrove, la stessa idea è ripetuta: Dio, per mezzo del Figlio e dello Spirito, «ha creato tutte le cose liberamente e spontaneamente» 51 • Le idee stesse della creazione del mondo egli le ha ricevute da se stesso, senza la necessità che qualcuno gliele comunicasse 52 • Tutto è pura benignità di Dio. La libertà creatrice di Dio contrasta con le idee pagane e gnostiche. Secondo il mondo pagano, come si è già visto, la materia è increata, e dunque necessaria. D'altra parte, per gli gnostici, Dio era libero nell'organizzazione della sua economia, ma non così il demiurgo che formava il mondo. Questi si credeva dio, pensava di operare liberamente, quando, in realtà, egli agiva ciecamente, secondo l'impulso di un altro, il Verbo, che egli nemmeno conosceva 53 • Di qui l'insistenza di Ireneo sul fatto che Dio non riceve da altri le sue idee. Origene si affiancherà a lui in questa opposizione alle dottrine gnostiche, che ritenevano ci fosse un impulso del Verbo sul demiurgo 54 • La creazione libera, per iniziativa spontanea di Dio che cerca solamente il bene delle sue creature, è, così, messa in relazione con la creazione ex nihilo. Le due idee si congiungono frequentemente. «Ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio» (Le 18, 27). Ireneo applicherà la formula 49 50 51

52

Cfr. Ibid., IV, 7, 4, p. 317. Jbzd, IV, 13, 4-14, 1, p. 330. Jbid., Iy, 20, 1, p. 345. Cfr. Ibzd. IV, 20, 1, p. 345.

Cfr. A. ORBE, La :eologia dei secoli 11 e III. Il confronto della Grande Chiesa con lo gnosticismo, I: Temi veterotestamentari, Piemme, Casale Monferrato 1995, p. 218. 54 0RJGENE, Commentario su san Giovanni, II, 14, 102, ed. fr. a cura di C. Blanc (SC 120) 1966, 53

p. 275.

I. LA CREAZIONE DEL CIELO E DELLA TERRA

39

alla creazione: gli uomini infatti non possono fare nulla ex nihilo. Il potere di Dio si manifesta nel fatto che è egli stesso a dare I' essere alla materia a partire dalla quale egli lavora 55 • La «prima creazione» della materia informe e l'«atto demiurgico», in cui si attua l'ordinamento concreto che conduce la creazione al suo fine, sono entrambe assolutamente l'opera di Dio che crea per mezzo della sua sola bontà: «In contrasto con gli gnostici, [Ireneo] fa della bontà di Dio l'origine della stessa materia informe. I valentiniani invocavano la "ignoranza, l'errore dell'Eone [ ... ] " come origine mitica della creatio prima (o substantia creationis) non della demiurgia. Di fronte a essi Ireneo presenta la sua soluzione: la bontà di Dio, origine della demiurgia [... ] e anche della materia informe» 56 • Tutto proviene così dalla bontà di Dio: «presentando come principio e causa della creazione la bontà di Dio» 57 • La «sostanza» della prima creazione è la sua sapienza, il suo potere e la sua volontà: «Liberamente e di propria iniziativa, ha creato, ordinato e portato a compimento tutte le cose, e la sua volontà è la sostanza di tutte le cose» 58 • Ciò che sta sotto a ciò che esiste, secondo Ireneo, è la volontà di Dio. Non si tratta di «sostanza» nel senso fisico, ma di ciò che dà sussistenza, di ciò che sostiene nel suo senso ultimo tutto ciò che esiste. Tutto ciò non solo nel primo momento della creazione, ma in tutti i tempi: «De cose] durano e si prolungano per la lunghezza dei secoli secondo la volontà di Dio creatore» 59 • Una volta ammesso questo principio generale secondo il quale tutte le cose traggono da Dio l'origine, Ireneo si mostra più prudente e riservato quando si tratta di spiegare a partire da che cosa Dio ha prodotto questa prima materia. Si accontenta di dire che egli l'ha tratta da se stesso (a semetipso 60 ). Sembra giustificare la sua prudenza - il fatto di non entrare in speculazioni ulteriori - a causa dell'impossibilità di spiegare la generazione del Verbo 61 • Il legame della creazione con il mistero di Cristo è molto chiaro in Ireneo. Si è già fatto riferimento all'intervento del Figlio e dello Spirito nella formazione dell'universo. D'altra parte, nel Verbo appeso in croce apparirebbe l'efficacia invisibile del Verbo creatore: Infatti il Verbo di Dio è veramente creatore del mondo e questo è il nostro Signore, che si è fatto uomo negli ultimi tempi, è nel mondo e in quanto è invisibile sostiene tutte le cose create, ed è impresso in forma di croce in tutto il creato,

55 IRENEO DI LIONE,

Contro le eresie,

II,

56 A. ORBE, La teologia ... , cit., p. 181. 57 IRENEO DI LIONE, Contro le eresie, III,

58 59

60 61

40

Ibid., II, 30, 9, p. 199. Ibid., II, 34, 2, p. 207. Ibid., IV, 20, 1, p. 345. Cfr. Ibid., II, 28, 5.7, pp. 190-191. LUIS F. LADARIA

10, 4, in Contro le eresie e gli altri scritti, cit., p. 140. 25, 1, in Contro le eresie e gli altri scritti, cit., p. 298.

perché come Verbo di Dio governa e dispone tutte le cose. Per questo «venne» visibilmente «nel suo regno», «si fece carne» e fu appeso al legno per ricapitolare in sé tutte le cose 62 .

Analogamente nella Esposizione della predicazione apostolica: E poiché egli stesso è il Verbo dell'Iddio onnipossente, che sotto specie invisibile s'è diffuso insieme in noi e in tutto questo mondo, e ne comprende la lunghezza e la larghezza e l'altezza e la profondità, giacché dal Verbo di Dio vengono tutte queste cose amministrate e governate ed è in queste crocifisso il Figlio di Dio, in ogni cosa impresso a mo' di croce 63 .

Senza entrare in considerazioni dettagliate sul senso di questi testi, si noti solamente la relazione instaurata tra l'efficacia cosmica del Verbo e la crocifissione visibile di Gesù. Proprio perché nella sua opera salvifica Gesù invita gli uomini dispersi alla conoscenza del Padre, si manifesta il governo e la «disposizione» del Verbo, ed è lui che rende possibile la coesione del mondo intero con una efficacia universale. «È giusto che il Verbo, incarnatosi per la salvezza degli uomini - obbediente al Padre adotti una forma che rende sensibile l'efficacia invisibile del Verbo sull'universo» 64. È molto probabile che Giustino avesse già anticipato questo pensiero 65 •

Dio e la creazione della materia in Tertulliano Nello stesso rnodo, è chiaro per Tertulliano che la materia è stata creata da Dio. Se non fosse infatti così, allora Dio dipenderebbe da quella e le sarebbe sottomesso. Il mondo materiale permette di conoscere Dio carne onnipotente. Ma Dio non meriterebbe questo titolo se la materia non fosse stata creata da lui. Se non si afferma questa creazione, si pensa in realtà a due dèi, non a uno solo 66 • Il concetto stesso di Dio si trova a essere in gioco quando si tratta della creazione e della materia prima. D'altra parte la questione dell'origine del rnale è, anch'essa, in stretta relazione con la dottrina della creazione libera ed ex nihilo. Riporre nella materia, che Dio non avrebbe creata, l'origine del rnale, porterebbe ad attribuire a Dio il rnale in quanto se ne sarebbe servito per la configurazione del mondo. Ibid., V, 18, 3, p. 447. ID., Esposizione della predicazione apostolica, 34, in Contro le eresie e gli altri scritti, cit., p. 502. A. ORBE, La teologia de san Ireneo, (BAC) La Editoria! Catolica, Madrid-Toledo 1987, p. 238. 65 Cfr. GIUSTINO, I Apologia, 55, in Gli Apologeti greci, cit., pp. 135-136; Cfr. J.J.A. CALVO, Antropologia de san ]ustino, cit., pp. 112ss. 66 TERTULLIANO, Contro Ermogene, 4, 7-8 e 20, in Opere scelte, a cura di C. Moreschini, UTET, Torino 1974, pp. 180 e 201. 62

63 64

I. LA CREAZIONE DEL CIELO E DELLA TERRA

41

Non si potrebbe discolpare Dio se gli si attribuisse la necessità di creare; ma a Dio corrisponde la libertà e non la necessità 67 . Dio è il solo a non avere origine 68 • Il legame tra la generazione del Verbo e la creazione è parimenti evidenziata da Tertulliano 69 • La sapi