L'ombra del re 8842916293, 9788842916291 [PDF]

Yucatán, Messico. Si dice che la Montagna delle Ossa sia un luogo maledetto. Si dice che chiunque abbia osato avventurar

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Italian Pages 397 [188] Year 2010

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Table of contents :
L'OMBRA DEL RE......Page 2
PROLOGO......Page 3
Capitolo 1......Page 8
Capitolo 2......Page 14
Capitolo 3......Page 21
Capitolo 4......Page 26
Capitolo 5......Page 35
Capitolo 6......Page 42
Capitolo 7......Page 47
Capitolo 8......Page 52
Capitolo 9......Page 57
Capitolo 10......Page 63
Capitolo 11......Page 71
Capitolo 12......Page 78
Capitolo 13......Page 84
Capitolo 14......Page 90
Capitolo 15......Page 96
Capitolo 16......Page 105
Capitolo 17......Page 109
Capitolo 18......Page 114
Capitolo 19......Page 119
Capitolo 20......Page 125
Capitolo 21......Page 129
Capitolo 22......Page 134
Capitolo 23......Page 139
Capitolo 24......Page 144
Capitolo 25......Page 150
Capitolo 26......Page 155
Capitolo 27......Page 161
Capitolo 28......Page 165
Capitolo 29......Page 170
Capitolo 30......Page 178
NOTA DELL'AUTORE......Page 187
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James Rollins

L'OMBRA DEL RE ₪ Titolo originale Jake Ransom and the Skull King's Shadow 2009

James Rollins – L’Ombra del Re

1

PROLOGO ₪

PREDATORI DI TOMBE

L'uomo stava fuggendo a rotta di collo giù per il ripido pendio del monte, in mezzo alla giungla, gli stivali che scivolavano sul terreno ricoperto di foglie bagnate e viscido fango. Lo strettissimo groviglio formato dai rami e dai rovi lo ostacolava, cercando di ghermirlo, ma lui si faceva strada strappandoli via. Non devo fermarmi... Quando s'imbattè in un brusco tornante, dovette lottare per non cadere a capofitto oltre la corona di rocce che delimitava il sentiero. Agitò un braccio per mantenere l'equilibrio, mentre imboccava la curva slittando nel fango. Con l'altra mano afferrò il pacchetto avvolto nella carta che si teneva stretto al petto. Soltanto per un soffio non era caduto, e nonostante tutto lui riprese a correre ancora più veloce. Si lanciò un'occhiata alle spalle. Sulla vetta del monte divampava ancora il fuoco. Montaña de Huesos: così i nativi chiamavano quel posto. La Montagna delle Ossa. Era un luogo maledetto, che tutti preferivano evitare. La sua cima spiccava dal cupo verde smeraldo della giungla dello Yucatán, nel Sud del Messico. Chiunque osasse avvicinarsi doveva affrontare la sfida lanciata da burroni e paludi, senza contare poi le zanzare e gli altri insetti voraci che tormentavano qualunque cosa si muovesse. Il monte era avviluppato in una crosta fitta e impenetrabile di foreste e rampicanti, che nascondevano il suo cuore più autentico dagli sguardi indiscreti. La vetta torreggiava su di un lago, nel quale i coccodrilli galleggiavano simili a tronchi spezzati. Dalla sua volta di fronde, scimmie grigie dal muso candido guardavano verso il basso con gli occhi sbarrati, stranamente silenziose, come minuscoli fantasmi di uomini appartenenti a un'altra era. Da qualche altra parte, sagome indistinte di giaguari si aggiravano furtive per le sue radure più nascoste. Quando pioveva, e ciò accadeva spesso, lungo le pendici del monte colavano copiose cascate e cataratte, simili ad argento fuso. Uno spettacolo da non perdere. Ma che si concedeva a ben pochi. Pochissime erano infatti le persone che avevano potuto posare lo sguardo su quel monte gigantesco, e ancora meno erano quelle che ne avevano risalito le pendici. E soltanto una ne conosceva il segreto. L'uomo che aveva scoperto la verità. La Montagna delle Ossa... non era una montagna. Tenendo stretto il suo carico, l'uomo correva lungo il buio sentiero che attraversava la giungla. Scimmie spettrali abbaiavano una dolce nenia che accompagnava il suo incedere zoppicante, come per incitarlo ad andare più veloce. Dalla coscia gli spuntava il mozzicone di una freccia rotta. A ogni nuovo passo un dolore lancinante gli trapassava la gamba, ma doveva andare avanti. I suoi inseguitori lo stavano circondando, ed erano sempre più vicini. James Rollins – L’Ombra del Re

2

Si chiamava Henry Bethel, professore di archeologia alla Oxford University. Insieme coi colleghi a lui più vicini, Penelope e Richard Ransom, aveva trascorso gli ultimi tre mesi della stagione delle piogge a compiere scavi sulla cima della Montagna delle Ossa. Avevano scoperto una quantità davvero formidabile di manufatti antichi: una maschera d'argento raffigurante un giaguaro, una corona di giada e opale, piccole sculture d'onice e malachite, un monile circolare formato da un serpente d'oro a due teste e molti altri oggetti d'inestimabile valore, risalenti al periodo classico della civiltà maya. Avevano trovato tutte quelle cose in una tomba scavata nella pietra sulla cima della montagna. Anche ora, mentre proseguiva nella sua fuga disperata, Henry si ricordava della prima volta in cui Penelope Ransom si era fatta calare nella tomba con una fune e, con la luce della torcia, aveva illuminato la cripta e i giganteschi sarcofagi che vi erano contenuti. In cima al coperchio della bara in pietra calcarea si trovava il più magnifico dei manufatti: una piramide d'oro alta sessanta centimetri, sormontata da una scultura di giada che raffigurava un serpente arrotolato, con le ali spalancate, come un drago. Era una creatura leggendaria. Kukulkàn, il serpente piumato sacro al popolo maya. Quella tomba rappresentava la scoperta della loro vita. E la voce si era sparsa rapidamente. Attirati dalle dicerie su oro e tesori, i banditi li avevano attaccati un paio d'ore prima, subito dopo il tramonto. Al riparo delle ombre del crepuscolo, il campo archeologico era stato rapidamente ridotto all'impotenza a suon di fucili, machete e minacce. Non appena aveva avuto inizio l'aggressione, Henry si era precipitato nella tenda dei Ransom, ma l'aveva trovata vuota. Non aveva idea di cosa fosse successo a Penelope e a Richard. Non ancora. Tutto ciò che sapeva era che doveva portare il pacchetto al sicuro. I Ransom gli avevano lasciato precise istruzioni. Azzardò ancora un'occhiata verso l'alto. I bagliori dell'accampamento in fiamme non si vedevano più. Gli aggressori avevano appiccato il fuoco a tutto il sito, facendo anche esplodere il serbatoio di benzina che alimentava il generatore. Dalla vetta riecheggiò un colpo di fucile. Con un sussulto, Henry fece un passo indietro, il tacco dello stivale sinistro slittò sul fango e lui perse l'equilibrio. Cadde pesantemente di schiena e iniziò a scivolare lungo la ripida discesa. Provò a puntellarsi coi gomiti, ma il fondo melmoso era troppo sdrucciolevole, per via di tutta la pioggia caduta nel corso della giornata. Le foglie di palma bagnate gli schiaffeggiavano il volto, e sulla colonna vertebrale sentiva i colpi delle rocce mezze sepolte dal fango. Il ramo di un cespuglio spinoso gli sfregiò la guancia, aprendogli uno sbrago rosso come la fiamma. E, nonostante tutto, lui continuava a tenersi l'involto ben stretto al petto. Il pendio del monte terminò di colpo, e Henry volò oltre il bordo. Si ritrovò sospeso per aria con un piccolo grido di sorpresa. Piombò a piedi uniti in un piccolo specchio d'acqua torbida che si trovava alle pendici del monte. Era poco profondo, non gli arrivava oltre la vita. Gli stivali andarono a sbattere contro il fondo sabbioso dello stagno e i denti gli si chiusero con uno schiocco rumoroso. E, nonostante tutto, il James Rollins – L’Ombra del Re

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pacchetto era ancora fra le sue mani. Ancora pochi passi... Il lago e la barca si trovavano a non più di un chilometro di distanza. Prese un profondo respiro e arrancò per tirarsi fuori di quello stagno... ma le gambe si rifiutarono di obbedirgli. Gli stivali erano intrappolati nella melma, affondati fino alle caviglie. Provò a tirarli fuori, ma il fango li stringeva in una morsa che non lasciava scampo. I suoi sforzi non facevano che risucchiargli le gambe ancora più a fondo. Sentì la melma e la sabbia che gli salivano oltre il polpaccio, fino a raggiungere le ginocchia. No... Il livello dell'acqua raggiunse rapidamente il petto. Il gelo dello stagno si stava insinuando fin nelle ossa. Sapeva bene in quale insidia fosse caduto. Sabbie mobili. Sollevò il pacchetto sopra la testa. Che cosa poteva fare? Aveva gli occhi annebbiati da un velo di lacrime di frustrazione e paura. In quel momento, la sua parte razionale gli venne meno, lasciando il posto al terrore più totale. Henry alzò lo sguardo al monte maledetto. Montaña de Huesos. La Montagna delle Ossa. Anche le sue ossa sarebbero andate ad aggiungersi a tutte le altre. Aveva deluso i Ransom. Spariti Penelope e Richard, nessun altro avrebbe mai conosciuto la verità. Osservò la luna che risaliva lungo il netto crinale della montagna. Quella vista lo fece rabbrividire, e perfino un movimento così insignificante contribuì ad accelerare le sabbie mobili. Il fango gli era arrivato alla vita, l'acqua al collo. Il segreto sarebbe morto con lui. Ormai consapevole di quale sarebbe stato il suo destino, sporse la testa cercando di tenere lo sguardo fisso sulla montagna. Una montagna che non era una montagna. La verità sembrava talmente ovvia adesso. Le linee brusche, i pendii scoscesi, la cima arrotondata. Anche se aveva tutto l'aspetto di un monte naturale, lui sapeva che il passare dei secoli aveva seppellito il suo vero cuore sotto strati e strati di fango, foglie, rampicanti e radici serpeggianti. Con gli occhi della mente, Henry cominciò a sbucciare e a strappar via garbugli e accumuli, fino a riportare alla luce quel cuore nascosto. Si figurò le quattro facce, i nove giganteschi gradini, la cima piatta che si ergeva guardando il sole nascente. Una piramide maya. L'antica struttura giaceva sepolta sotto la montagna fasulla. Ma non era quello il segreto più clamoroso. Nemmeno lontanamente. Henry infilò il dito sotto lo spago che avvolgeva strettamente il pacchetto. Inviò una silenziosa richiesta di perdono e una preghiera a Richard e Penelope Ransom. Quando il livello dell'acqua ebbe raggiunto la bocca, sentì il gusto dell'acqua sabbiosa. Tossì. La vista gli si sfocò. Delle luci gli danzavano davanti agli occhi. No, non erano luci... A dispetto del panico, la visione gli ritornò lucida. James Rollins – L’Ombra del Re

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Alcune torce si stavano avvicinando attraverso la palude acquitrinosa. Fiamme guizzanti. Il buio si schiuse, mostrando una dozzina di guerrieri. Erano mezzi nudi, coperti soltanto da perizomi. Alcuni di loro si fecero avanti con gli archi in posizione, le frecce di selce puntate contro di lui. Altri portavano i fucili in spalla. I cacciatori avevano trovato la loro preda. Dal centro dell'assembramento, si fece strada una sagoma più imponente. Il capo dei banditi. Ma Henry sapeva bene che quelli non erano banditi più di quanto la Montana de Huesos fosse realmente una montagna. Anche gli aggressori nascondevano un sinistro segreto. Henry sentì riecheggiare in lontananza un familiare rumore di eliche. Gli elicotteri si stavano dirigendo rapidamente verso l'accampamento in fiamme. Elicotteri militari. Prima di fuggire, Henry era riuscito a inviare un SOS via radio. Se solo fossero arrivati prima... L'alta figura del capo dei banditi si avvicinò a lunghi passi e s'inginocchiò. Henry cercò di vederlo in faccia, ma sembrava che la luce della torcia volesse sfuggire la sua forma. Vestito con un lungo soprabito e con un cappello dalla tesa piegata verso il basso, aveva più l'aspetto di un'ombra che di un uomo in carne e ossa. Allungò verso di lui una pertica di legno, con in fondo un insidioso gancio di acciaio. Henry sapeva bene che l'uomo non glielo stava porgendo per aiutarlo a tirarsi fuori delle sabbie mobili. Era il pacchetto, quello che gli interessava. Cercò di buttarlo sott'acqua, ma i suoi movimenti erano troppo lenti. Con un affondo della pertica, l'uomo glielo strappò di mano. Henry lottò per riprenderlo, ma ormai era troppo in alto per poterlo raggiungere. Il capo della banda si rialzò. Grazie a un'abile mossa, il pacchetto fece una giravolta in aria per andare poi a finirgli sul palmo della mano. Per un fugace attimo, Henry riuscì a cogliere l'immagine delle sue dita ossute che terminavano con delle unghie affilate. Quasi degli artigli. Poi l'uomo buttò via la pertica e fece per andarsene. « Grazie, dottor Bethel. Vi siete dimostrato un uomo davvero pieno di risorse », disse in un roco sussurro, con un accento bizzarro. Henry cercò di tirare il collo più indietro che potè. Le labbra sfioravano il pelo dell'acqua. Sputò per liberarsi la bocca. « Non l'avrete mai! » Alle sue parole soffocate seguì un'amara risata di soddisfazione. Voltandosi con un movimento veloce, il capo tornò su di lui. Da sotto il cappello, gli occhi sembravano ombre che brillavano sul manto di tenebre che le avvolgeva, sinistre, innaturali. Mentre Henry sprofondava sotto la superficie dello stagno, quegli strani occhi si fissarono su di lui. Sotto quello sguardo carico di domande, l'acqua sembrò diventare ancora più gelida. Mentre lo stagno si richiudeva sulla testa di Henry, sommergendolo completamente, lui rispose in silenzio ai cupi sospetti del capo. Sei arrivato troppo tardi. Sentì l'urlo dell'uomo. Se lo immaginò mentre strappava l'involto del pacchetto che lui aveva cercato di proteggere tanto coraggiosamente. Sapeva ciò che aveva trovato: nient'altro che foglie di palma secche, ripiegate in un unico fascio. Mentre affondava nell'acqua, Henry sentì l'urlo di rabbia del sinistro capobanda: James Rollins – L’Ombra del Re

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aveva finalmente capito che niente è ciò che sembra sulla Montagna delle Ossa. Non i banditi, non la montagna... e neppure il pacchetto legato con lo spago. Tutto finto. Lo scopo della fuga di Henry era aprire una falsa pista, in modo da distrarre i cacciatori dal vero sentiero. Mentre calavano le tenebre, e Henry sprofondava nell'ultimo ed eterno abbraccio della giungla, sulle sue labbra si formò un sorriso. Il segreto era salvo, diretto verso la destinazione alla quale apparteneva. Per rimanere nascosto, finché non ci fosse stato bisogno di lui. Nessuno fece caso al ragazzetto maya che saliva i due gradini davanti all'ufficio postale di Belize City. Aveva in mano un pacchetto legato con dello spago. Alle sue spalle, si vedeva il luccichio dell'oceano. Un mese intero, c'era voluto, perché il ragazzo e suo nonno riuscissero a raggiungere la costa. Avevano dovuto muoversi con cautela, facendo molta attenzione. Il nonno conosceva tutti i vecchi sentieri, le vie segrete della loro antica gente. Durante il lungo viaggio aveva insegnato molte cose al ragazzo: come lenire un mal di denti masticando la linfa dell'albero di chicle, come accendere il fuoco con un'esca e un pezzo di selce, come camminare nella giungla senza farsi sentire. Ma la lezione più importante non poteva essere espressa a parole. L'obbligo di onorare una promessa. Il ragazzo sollevò il pacchetto verso la buca delle lettere. Gli sarebbe piaciuto dare un'occhiata al suo contenuto, ma c'era una promessa. Così, si limitò invece a fissare l'indirizzo scritto sull'involucro di carta marrone. North Hampshire, Connecticut Immaginò il lungo viaggio che quel pacchetto avrebbe dovuto fare. Avrebbe tanto voluto seguirlo anche lui. Volar via, verso qualche Paese esotico. Il ragazzo fece scorrere un dito sulla prima riga: Mr Jacob Bartholomew Ransom Quanti nomi, per una sola persona. Scuotendo la testa, il ragazzo infilò nella buca delle lettere il pacchetto, che cadde sul fondo con un tonfo. Mantenuta la promessa, il ragazzo si girò. « Mr Jacob Bartholomew Ransom », sussurrò scendendo i gradini dell'ufficio postale. Con tutti quei nomi, di certo doveva essere qualcuno di molto importante. Magari un qualche principe lontano. Eppure, una domanda lo assillava... e per molti anni avrebbe continuato ad assillarlo. Chi era esattamente Mr Jacob Bartholomew Ransom?

James Rollins – L’Ombra del Re

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PARTE PRIMA TRE ANNI DOPO

₪ Capitolo 1 NOIA DA SCUOLA

Dal suo banco, Jake Ransom agognava con tutto se stesso che la lancetta grande dell'orologio sul muro spazzasse via gli ultimi minuti della lezione di storia della sesta ora. Altri ventiquattro minuti soltanto, e sarebbe stato libero. Lontano dalla Middleton Prep per un'intera settimana! E finalmente avrebbe potuto lavorare sul serio, almeno per un po'. Aveva già preparato una lista di cose da fare per pianificare ogni singolo giorno della sua settimana di vacanza: esplorare la ricca vena di molluschi fossili che aveva scoperto nella cava di roccia dietro casa sua, andare alla presentazione dell'ultimo libro di uno dei suoi scienziati preferiti, dal titolo Bizzarrie dei quark e arcani misteri dei quanti, assistere alla quarta conferenza di un famoso antropologo sulle tribù cannibali del Borneo (e chi lo sapeva che i bulbi oculari saltati in padella fossero dolci?) e molte altre cose. Adesso non desiderava altro che l'ultima campana suonasse, liberandolo dalla galera della sesta ora. Ma evadere non sarebbe stato così facile. Agnes Trout, l'insegnante di storia, batté le mani ossute, richiamando la sua attenzione intorpidita. Smunta come un gessetto, e altrettanto secca e polverosa, la professoressa lanciò un'occhiata alla classe da sopra la punta delle dita. « C'è ancora tempo sufficiente per un'altra presentazione. » Jake alzò gli occhi al cielo. Oh, fantastico... Non che la classe fosse più contenta. Mugolii di protesta si diffusero nell'aula, con l'unico effetto d'indurire ancora di più il segmento delle labbra dell'insegnante. « Potremmo anche fare due presentazioni, e fermarci oltre il suono della campana », li ammonì. Sulla classe ritornò prontamente il silenzio. La professoressa Trout annuì e si voltò verso la cattedra. Diede un'occhiata al registro, in cerca della nuova vittima che avrebbe dovuto presentare la sua relazione orale. Jake trovava divertente osservare le sue spallucce magre che si spingevano in alto, fino a sfiorarle le orecchie. Lui lo sapeva qual era il nome successivo nell'elenco alfabetico, ma la cosa invece sembrò cogliere l'insegnante di sorpresa. La donna si raddrizzò, le labbra rattrappite in una smorfia acida. « A quanto pare, ora è il turno della relazione di Jacob. » Nuovi mugolii di protesta. L'insegnante non fece neppure il tentativo di zittirli. Era più che evidente che si era già pentita della sua decisione di comprimere a forza un'ultima relazione prima dello squillo della campana. Ma, dopo quasi un anno di lezioni con lei, Jake sapeva che la professoressa Agnes Trout era fissata per ordini e regole. Quello che le interessava, molto James Rollins – L’Ombra del Re

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di più di un'autentica comprensione del fluire della storia, era la memorizzazione di nomi e date. E, ora che si era esposta, non le rimaneva altra scelta che invitarlo con un gesto della mano davanti alla classe. Jake lasciò sul banco libri e appunti. La relazione orale l'aveva ben stampata nella memoria. Mentre, a mani vuote, attraversava l'aula diretto alla lavagna, si sentiva addosso gli occhi di tutti i compagni. Anche se l'anno precedente aveva saltato una classe, rimaneva comunque il secondo allievo più alto. Sfortunatamente non era sempre una cosa positiva spiccare nella moltitudine, specialmente alla scuola media, e specialmente se si è saltata una classe. Nonostante ciò, Jake tenne le spalle ben dritte per tutto il percorso fino alla lavagna. Ignorò gli occhi che lo stavano fissando. Ben lontano dall'essere un guru della moda, quella mattina si era infilato le prime cose che gli erano capitate sotto mano, senza preoccuparsi di verificarne il livello di pulizia. Il risultato finale era una mise costituita da jeans logori, un paio di sneakers alte tutte sbrindellate, una polo verde sbiadito, e naturalmente la giacca d'obbligo della scuola, blu navy con lo stemma dell'istituto ricamato in oro sul taschino. Neanche i capelli biondo cenere si adeguavano alla moda corrente, che li avrebbe voluti rasati. La sua zazzera, invece, gli penzolava sparuta sulla fronte. Come quella di suo padre. O quantomeno, quella che sfoggiava nell'ultima fotografia che Jake aveva ricevuto da lui, ormai scomparso da tre anni, inghiottito dalla giungla dell'America Centrale. La portava ancora con sé, quella foto, incollata col nastro adesivo all'interno della copertina del suo quaderno. Vi erano ritratti i suoi genitori, Richard e Penelope Ransom, vestiti con le loro tenute da safari color cachi, che sorridevano felici mentre reggevano una pietra scolpita con dei simboli maya. I bordi della foto erano ancora anneriti e arricciati per via dell'incendio che aveva distrutto il loro accampamento in cima alla montagna. Attaccato sulla copertina del quaderno c'era anche un pezzetto di carta da pacco, su cui suo padre aveva scritto il nome di Jake e l'indirizzo della loro casa, a North Hampshire, nel Connecticut. Il pacchetto era arrivato sei settimane dopo che i banditi avevano attaccato il campo archeologico dei suoi genitori. Era stato tre anni fa. Era l'ultimo contatto che aveva avuto da loro. Quando si trovò di fronte alla classe, Jake prese in mano il cordino che portava intorno al collo. Attraverso la maglietta di cotone, sentiva contro il petto il minuscolo ciondolo che vi era appeso. L'ultimo regalo dei suoi genitori. Quel contatto rassicurante lo aiutò a raggiungere la concentrazione. Alla sua sinistra, la professoressa si schiarì la gola. « Ragazzi, Jacob farà una relazione su... be', voglio dire, la sua presentazione orale verterà su... » « ... sulle tecniche maya nel campo dell'astronomia, in relazione alla precessione degli equinozi », intervenne Jake. L'insegnante annuì. Forse con un po' troppo vigore. « Sì, sì, naturalmente. Gli equinozi. Molto interessante. » In Jake sorse il sospetto che la professoressa Agnes Trout non avesse capito del tutto quale fosse l'argomento della relazione. La donna indietreggiò verso la cattedra, quasi timorosa che lui potesse farle qualche domanda. Anche a lei, come a tutti, doveva esser giunta all'orecchio la storia di Mr Rushbein, l'insegnante di geometria. Di come Jake, davanti a tutta la classe, avesse confutato uno dei suoi teoremi provocando una crisi di nervi al professore. Da alJames Rollins – L’Ombra del Re

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lora tutti gli insegnanti della Middleton Prep guardavano Jake con una sorta d'inquietudine. E adesso, a chi sarebbe toccato? Jake prese un gesso e scrisse qualche calcolo alla lavagna. « Oggi vi mostrerò come i maya fossero in grado di prevedere eventi astronomici come le eclissi solari, analoghe a quella che avrà luogo il prossimo martedì, che a Londra sarà totale. » Un pezzo di carta appallottolato colpì la lavagna vicino alla sua mano, e il gesso gli si spezzò fra le dita, con un rumore stridente. « E questo, lo sapevano prevedere? » jake la conosceva, quella voce. Craig Brask. Un difensore della squadra juniores di football. Mentre Jake aveva saltato un anno, Craig ne aveva perso uno. E da quel momento lui era diventato il bersaglio di quel trogloditico ammasso di muscoli. « Brask! » esclamò la professoressa Trout. « Non sono disposta a tollerare altri giochetti da parte tua, nel corso delle mie lezioni. Ransom ha ascoltato con rispetto la tua relazione. » Con rispetto? L'argomento della relazione di Craig era stato la battaglia di Little Bighorn, « l'ultima difesa di Cus ter ». E aveva perfino sbagliato il finale: Ai musi rossi le hanno suonate di santa ragione! Quando i pochi risolini si furono finalmente acquietati, Jake trasse due profondi respiri e si apprestò a riprendere la relazione. Per prepararla, si era addentrato a fondo nell'argomento, analizzando come i maya fossero stati astronomi esperti, come fossero giunti a comprendere i maestosi movimenti del cosmo. Ricerche che lo avevano fatto sentire più vicino ai suoi genitori. Per loro, quello era stato il lavoro di tutta una vita. Ma adesso, mentre si trovava lì alla lavagna, Jake riusciva a percepire l'apatia che dominava la classe alle sue spalle. Scuotendo piano la testa, cancellò i calcoli che aveva scritto. Non era quello ciò che la classe voleva sentire. Si voltò verso di loro, si schiarì la voce e con aria sicura disse: « E cosa risaputa che i maya praticassero sacrifici umani. Usavano anche strappare il cuore alle vittime per poi mangiarlo ». Il repentino cambio di argomento spazzò via qualsiasi traccia di noia dalla classe. « Ma è una cosa ributtante », commentò dalla prima fila Sally Van Horn, la quale però si era subito raddrizzata sulla sedia. Jake tracciò sulla lavagna uno schizzo del corpo umano e illustrò il metodo con cui si svolgeva il sacrificio rituale con grande dovizia di dettagli: dai tipi di coltello utilizzati per la macellazione, fino al modo in cui il sangue che colava dall'altare veniva raccolto in speciali ciotole. Quando la campana suonò, nessuno si mosse. E ci fu perfino uno studente che alzò la mano per chiedere: « Quanta gente hanno ammazzato? » Prima che Jake potesse rispondere, la professoressa Trout gli fece segno di smettere con un gesto della mano. « Sì, molto interessante, Jacob. Ma penso che per oggi possa bastare. » Aveva un'aria vagamente verdognola, forse dovuta alla descrizione di Jake su come i maya usassero ossa e intestini per predire il tempo. Jake fece un sorrisetto mentre tornava al posto pulendosi le mani dal gesso. Qualche studente salutò con un applauso la fine della sua relazione, ma, come accadeva sempre, il ragazzo venne per lo più ignorato. Rimase lì a osservare gli altri che se ne andavano sorridenti, a gruppetti di due o tre, ridendo e scherzando. Jake era nuovo in quella classe e non si era fatto nessun vero amico. E la cosa non lo disturbava. La sua vita era già abbastanza piena. Si fermò solo un istante a James Rollins – L’Ombra del Re

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guardare la fotografia dei genitori all'interno della copertina, quindi richiuse il quaderno, si buttò lo zaino in spalla e si diresse verso la porta. Almeno non avrebbe dovuto pensare alla scuola per un'intera settimana. Da lì in poi niente poteva andare storto. Jake scese di corsa la scalinata di marmo della scuola, tuffandosi nello splendore del sole di aprile, e puntò verso la sua mountain bike. Uno scoppio di risa lo fece voltare a sinistra. Sotto un corniolo c'era sua sorella Kady. Era appoggiata al tronco dell'albero, vestita con la divisa gialla e oro della squadra seniores delle cheerleader. Esattamente come le altre tre ragazze che le stavano accanto, anche se era evidente che era lei il capo. Kady aveva concentrato su di sé la più completa attenzione di una mezza dozzina di ragazzi delle classi superiori, tutti quanti con la felpa della squadra. Kady rise di nuovo a qualcosa che era stato detto da uno dei ragazzi. Buttò la testa all'indietro con una mossa ben collaudata, facendo scendere una cascata di capelli biondi, solo di qualche tonalità più chiari rispetto a quelli di Jake. Allungò una gamba come per stirarla, ma Jake sapeva bene che più che altro era per far vedere a tutti quanto fosse lunga, e far sfoggio della sua nuova cavigliera d'argento. Stava cercando di catturare l'attenzione del capitano della squadra di football, Randy White, il quale però sembrava più interessato a una gara di spallate con uno dei suoi compagni. Per un breve istante, gli occhi di Kady si accorsero che Jake si stava avvicinando. La ragazza strinse le palpebre in un'espressione di avvertimento: si stava avventurando nel territorio proibito. Jake girò alla larga. Affrettò il passo, preparandosi a farsi un bel giro per evitare tutta l'élite della Middleton Prep lì riunita. E fu proprio a causa di quello sforzo di concentrazione che non si accorse di Craig Brask finché non gli fu praticamente addosso. Una larga manona scattò verso Jake e gli si andò a stampare ben aperta proprio in mezzo al petto, per poi afferrargli la maglietta. « E tu, dove credi di andare? » Craig Brask superava Jake di una testa intera, ed era due volte il suo peso. Aveva i capelli rossi rasati a spazzola, e sulla faccia aveva tante di quelle lentiggini che sembrava sempre pervaso da un vago rossore. Le maniche della giacca scolastica erano arrotolate, lasciando scoperti i bicipiti da gorilla. « Lasciami in pace, Brask », lo ammonì Jake. « Se no? » Ormai si erano avvicinati anche gli altri. Risatine maligne si levarono dagli spettatori. Quando Craig si voltò per sorridere al pubblico, con uno scatto Jake gli afferrò il pollice e glielo torse. Oltre alle antiche civiltà, aveva studiato anche qualcos'altro nel corso degli ultimi tre anni. Aveva allenato tanto il corpo quanto la mente, prendendo lezioni di taekwondo tre volte alla settimana. Quando mollò la presa, Craig indietreggiò barcollando. Jake si voltò e si diresse verso la bicicletta; voleva evitare che lo scontro assumesse proporzioni eccessive. Ma l'altro si lanciò in avanti e lo afferrò da dietro per il colletto. Jake sentì il cordino di pelle intrecciata spezzarsi e il ciondolo che vi era appeso gli scivolò lungo la pancia, andando a fermarsi là dove la maglietta s'infilava nei jeans. E la sua rabbia esplose, cieca e feroce. Senza pensarci due volte, si voltò e fulminò Craig con un gran calcio nel bel mezzo James Rollins – L’Ombra del Re

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del torace. Il ragazzo fece un volo all'indietro, per poi atterrare di schiena. Il piede d'appoggio di Jake scivolò sull'erba, e anche lui piombò a terra sul posteriore, digrignando i denti. Qualcuno gridò: « Kady, non è tuo fratello, quello lì? » Jake si lanciò un'occhiata alle spalle. L'élite della Middleton Prep era tutta rivolta verso di loro, capitano della squadra di football incluso. Con un'espressione accigliata sulla faccia, Randy White si avvicinò. Seguendo il suo esempio, anche tutti gli altri si fecero più vicini, inclusa la sorella di Jake. Quando li ebbe raggiunti, Randy puntò il dito contro il naso di Craig. « Brask, lascialo in pace. » Il comando era stato pronunciato in un tono che non ammetteva possibilità di discussione. Craig si massaggiò il torace ammaccato con lo sguardo truce. Randy tese la mano a Jake, ma lui riuscì a rimettersi in piedi da solo. Non voleva l'aiuto di nessuno. Si pulì il retro dei pantaloni. Randy si strinse nelle spalle e si voltò per andarsene, non prima di aver borbottato: « Strano ragazzo ». Mentre tutti gli altri si allontanavano, Kady prese Jake per il gomito e gli sussurrò all'orecchio: « Piantala di fare di tutto per mettermi in.... ». « Metterti in imbarazzo? » Con uno strattone, Jake si liberò dalla stretta della sorella e le restituì l'occhiataccia, muso contro muso. Erano alti uguali, anche se Katherine Ransom era maggiore di due anni. La faccia di Jake divenne ancora più rossa di quanto non lo fosse stata durante la lotta. Incapace di articolare parola, liberò il cordino da sotto la maglietta. L'oggetto che vi era appeso gli cadde nel palmo della mano. Una moneta d'oro. Veramente si trattava solo di mezza moneta, dal momento che era stata rozzamente divisa in due, e su ogni parte era inciso un glifo maya. Uno scintillio di sole catturò lo sguardo di Kady. Con la mano sinistra, la ragazza andò a toccarsi la gola. La sua metà di quella stessa moneta era appesa a un sottile girocollo d'oro. Le due parti erano arrivate col pacco tre anni prima, insieme col diario di bordo del padre e col blocco di schizzi della mamma. Nessuno dei due sapeva come mai quel pacchetto fosse stato inviato, né chi lo avesse spedito. Da allora, quei due pezzetti d'oro non avevano mai lasciato né il collo di Jake, né quello di Kady. Jake osservò attentamente la metà che si trovava sul palmo della sua mano. La luce si rifletteva sulla superficie lucida dell'oro, facendo scintillare il glifo che vi era stato tracciato. Il glifo sulla sua moneta rappresentava la parola maya be, che si pronunciava « bei », cioè « strada ». E, per la milionesima volta, Jake si domandò che cosa potesse voler dire. Doveva pur significare qualcosa. Voltate le spalle alla sorella, si ficcò la moneta in tasca e, ancora indolenzito, si avviò deciso verso la sua mountain bike ancora legata con la catena. Poco dopo stava già pedalando via. Quanto avrebbe desiderato non dover più ritornare in quella insulsa scuola! Ma scosse la testa. No, il suo cuore era troppo preso da un unico desiderio, per potersi preoccupare di qualsiasi altra cosa. James Rollins – L’Ombra del Re

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Mentre pedalava, si portò una mano sulla tasca dei pantaloni. Col palmo strofinò la moneta attraverso la stoffa dei jeans, quasi fosse la lampada di Aladino. Nel cuore di Jake c'era spazio per un desiderio soltanto: scoprire che cos'era successo a suo padre e a sua madre. Era per questo che stava lavorando così duramente. Se voleva avere una minima speranza di scoprire la verità sui suoi genitori, scoprire per quale motivo erano stati uccisi, prima sarebbe dovuto diventare come loro. Tale padre, tale figlio. Doveva seguire le loro orme. Più determinato che mai, Jake si sollevò sul sellino e arrancò faticosamente per salire lungo il pendio che portava a casa. Non c'era nient'altro che importasse.

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Capitolo 2 ₪

UN INVITO INASPETTATO

Soltanto un altro colpetto... Jake era sdraiato a pancia in giù, col sole che gli cuoceva la schiena. Era rimasto per tutto il sabato nella cava dietro casa sua. La lastra di roccia sotto di lui era per lo più piatta, ma ormai, dopo tutto quel tempo, ogni minima irregolarità della superficie si era trasformata in un bitorzolo dai poteri perforanti. Aveva le labbra contratte in una smorfia rigida, non di dolore, ma di scrupolosa concentrazione. Non devo danneggiare l'esemplare. Il fossile risalente all'Era Paleozoica sembrava un incrocio tra un granchio schiacciato e un qualche tipo di astronave aliena. Si riusciva perfino a distinguere un paio di minuscole antenne. Era un ritrovamento raro per quella zona. Raggiungeva quasi i novanta centimetri di lunghezza, uno straordinario esempio di Isotelus maximus, più comunemente noto come trilobite gigante. Un ritrovamento eccezionale. Jake teneva in una mano un piccolo scalpello, e nell'altra un minuscolo martello. Un altro bel colpetto e il fossile sarebbe stato libero dalla roccia che lo inglobava. Lui avrebbe potuto quindi portarselo in camera, in modo da poterne effettuare una pulizia più accurata, nelle condizioni adeguate. Mise lo scalpello in posizione, fece un bel respiro per calmare i nervi e sollevò il martello. Avrebbe voluto chiudere gli occhi, ma dubitava che l'avrebbe aiutato. Ci siamo. Fece oscillare il martello e... « Ehilà, mastro Jake! » ... colto così di sorpresa, si assestò un bel colpo deciso sul pollice, proprio in corrispondenza della nocca. « Mi senti? » Le urla gracchianti provenivano dalla radio ricetrasmittente appoggiata in bilico su una roccia accanto al suo gomito. Scuotendo la mano colpita, Jake rotolò su un fianco. Prese la radio e schiacciò il pulsante di trasmissione. « Che cosa c'è, zio Edward? » chiese esasperato. « La cena è quasi pronta. » Cena? « E ho il sospetto che tu abbia bisogno di un po' di tempo per darti una ripulita. » Jake lanciò un'occhiata al cielo, e finalmente si rese conto di come il sole si fosse ormai abbassato, e di quanto si fossero allungate le ombre. Concentrato com'era, non si era accorto del trascorrere del tempo. « Okay. Torno subito. » Gli ci volle ancora un minuto di lavoro con martello e scalpello per liberare il trilobite, che poi si ficcò in tasca. Una volta che ebbe finito, rotolò sulla schiena e si ritrovò faccia a faccia con un paio di mandibole bavose e un grosso nasone nero e bagnato. Fu raggiunto da una zaffata di alito caldo, e una massa informe di bava gli calò sulla fronte. Ugh. Jake allungò una mano per scostare il muso del segugio. « Diamine, Watson. Ci potresti uccidere un drago, con quel fiato. » Si tirò su a sedere. Ignorando l'insulto, Watson fece correre la lunga lingua bagnata sulla guancia di Jake. « Oh, sì, così va meglio. Condividiamo pure i nostri germi. » Ma, nonostante tutto, James Rollins – L’Ombra del Re

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sul volto del ragazzo si aprì un largo sorriso, ed elargì al vecchio cane una ruvida carezza dietro il suo floscio orecchio sinistro. Il segugio si mise a scodinzolare, tutto felice. Ormai vicino ai quattordici anni, Watson aveva fatto parte della famiglia più a lungo di Jake. Penelope Ransom lo aveva salvato da un allevatore di cani da caccia inglese che stava per affogarlo quand'era ancora un cucciolo, perché nato con una zampa anteriore zoppa. Watson camminava ancora con un incedere un po' claudicante, ma, come diceva sempre la mamma, sono proprio i difetti a fare di noi quello che siamo. E comunque, zampa fessa o no, se Watson vedeva uno scoiattolo, era perfettamente in grado di schizzare al suo inseguimento trasformandosi all'istante in una fulminea massa di pelo. Jake teneva sempre a portata di mano un fischietto per cani, per evitare che Watson si perdesse nel bosco. Soprattutto perché, con l'avanzare dell'età, la vista del segugio si stava facendo ogni giorno più debole. « Andiamo, Watson. È ora di pensare alla pappa. » L'ultima parola provocò un nuovo agitarsi di coda. La bestia sollevò il naso per aria, annusando. Quel senso di certo non si era indebolito, nonostante l'età. Probabilmente Watson sapeva già che cosa bolliva nelle pentole di zia Matilda. Jake lanciò un'ultima occhiata agli altri due fossili che avrebbe voluto raccogliere. Avrebbero dovuto aspettare fino all'indomani. Ormai la luce non era più così buona, e non voleva rischiare di commettere errori. Questo era l'insegnamento che aveva ricevuto da suo padre. Un archeologo deve saper essere paziente. Gli sembrava di sentire ancora la sua voce risuonargli nella testa: Non bisogna mettere fretta alla storia... tanto non scapperà da nessuna parte. Seguendo quel consiglio, Jake raccolse i suoi attrezzi e s'incamminò insieme con Watson. Uscì dalla vecchia cava e si diresse verso casa. Davanti a Jake si estendeva Ravensgate Manor, cinquantadue acri di colline punteggiate di foreste di aceri e querce nere. Jake si avviò lungo un sentiero ricoperto di corteccia. La tenuta risaliva a diverse generazioni precedenti, al primo Ransom che aveva piantato radici lì subito dopo la firma della Dichiarazione d'Indipendenza. Era stato un famoso egittologo, e ognuna delle generazioni successive aveva seguito le orme del capostipite: tutti esploratori, in un modo o nell'altro. Imboccata una curva, il ragazzo scorse la casa. Al centro di un lussureggiante giardino all'inglese, si trovava una piccola villa dalle colonne in pietra e i timpani in legno, i tetti spioventi e le finiture in rame, vetri colorati alle finestre e cardini d'ottone. Poco distante, un vialetto lastricato conduceva al cancello principale, i cui piloni sostenevano una coppia di corvi in pietra scolpita, da cui l'intera tenuta prendeva il nome. (Raven infatti significa « corvo ». (N.d.T.) Da quando i suoi genitori erano scomparsi, anche la casa sembrava abbandonata. Il rivestimento d'edera era diventato scarno, e qua e là erano comparse alcune chiazze giallastre; dal tetto mancavano delle tegole e una parte degli scuri era stata rattoppata con assi e nastro adesivo. Era come se qualcosa di essenziale fosse stato rubato... dalla tenuta, dalla casa, ma soprattutto dal cuore di Jake. Con Watson sempre al suo fianco, Jake si diresse a una delle porte secondarie. Entrò in casa passando attraverso un piccolo stanzino che fungeva da spogliatoio, dove si pulì le scarpe dalla terra e diede una spolverata ai vestiti. La borsa che conJames Rollins – L’Ombra del Re

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teneva gli esemplari che aveva raccolto e gli attrezzi l'appese a un gancio vicino alla porta. Dalla stanza accanto si affacciò una testa. Zia Matilda. Dalla cuffietta da fornaio che indossava spuntava qualche ricciolo bianco, che andava a incorniciare il viso coperto di rughe. Zia Matilda non entrò del tutto nella stanza. Di rado lo faceva. Sembrava sempre troppo occupata per riuscire a trasportare tutto il suo corpo in un'unica stanza. « Ah, eccoti qui, caro. Stavo giusto per servire la minestra. Meglio che ti sbrighi a darti una ripulita. » Gli angoli delle labbra le si arricciarono in una piccola smorfia di preoccupazione. « E tua sorella, dove potrebbe essere? » Non che la domanda presupponesse davvero un'effettiva risposta, specialmente da parte di Jake. Ormai lui e Kady trascorrevano pochissimo tempo insieme. Semplicemente, si trattava di un lamento rivolto all'universo. « Mi lavo e arrivo, zia Matilda. » « Fa' presto. » E si dileguò, tornando a soprintendere alla cucina e alle due cameriere. Ma poi la sua testa spuntò nuovamente dalla porta. « Oh, Edward vorrebbe che ti fermassi un attimo in biblioteca, prima di cena. E arrivata una lettera per te. » La curiosità fece affrettare il passo a Jake. Comprensibilmente meno interessato, Watson se ne trotterellò via a cercare qualche avanzo in cucina. La biblioteca si trovava proprio accanto all'ingresso principale. Per raggiungerla, Jake percorse tutta la sala centrale della residenza, che si estendeva dal retro della casa fino alla parte davanti. Su una delle pareti erano appesi i ritratti a olio dei suoi antenati, uomini e donne, su su fino al primigenio Bartholomew coi suoi folti baffoni e gli occhi socchiusi per difendersi dal sole, in posa accanto a un cammello. Ciascun ritratto era rivolto verso l'atrio centrale, e guardava la propria specifica bacheca da esposizione. La Mostra delle Curiosità, la chiamava suo padre. Ogni bacheca in vetro piombato conteneva manufatti e reperti frutto delle avventure di quel particolare antenato: scarafaggi e farfalle fissate con degli spilli su di una tavoletta di sughero, gemme ed esemplari di minerali, piccoli frammenti di ceramica, statuine e, naturalmente, fossili in numero sufficiente a riempire un intero museo, compreso un uovo di tirannosauro parzialmente schiuso. Jake passò sotto l'arco che conduceva alla biblioteca. Gli scaffali colmi di libri salivano per due piani, accessibili grazie a un paio di alte scale a pioli che scorrevano su rotaie di ferro battuto. Sulla parete si apriva anche un camino, abbastanza alto da poterci entrare senza essere costretti a piegarsi, in cui scoppiettava allegramente un fuocherello, che spandeva un'accogliente sensazione di calore in tutta la stanza. Un angolo era interamente occupato dall'imponente scrivania di quercia di suo padre. Il resto della mobilia era costituito da una serie di sedie e divani dalle imbottiture generose, che invitavano a sprofondarvi dentro e perdersi nei mondi racchiusi tra le copertine dei libri. In piedi dietro la scrivania c'era lo zio Edward. « Ah, eccoti qui, mastro Jake », disse. Aveva la schiena dritta e il portamento rigido, ma i suoi occhi non sembravano mai freddi, nemmeno ora, offuscati com'erano da una leggera ombra d'inquietudine. Sulla punta del naso era appoggiato un paio di leggeri occhiali da lettura. In mano, lo zio aveva una grossa busta gialla. « Questa è arrivata oggi. Spedita dall'Inghilterra. Dal distretto londinese di Blackfriars. » « Blackfriars? » Lo zio annuì. « Uno dei distretti finanziari più antichi. Banche e quant'altro. » Doveva saperlo bene. Era cresciuto a Londra, lui. James Rollins – L’Ombra del Re

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In effetti, Edward e Matilda non erano veramente gli zii di Jake. Di cognome facevano Batchelder. Erano amici del nonno di Jake e avevano gestito Ravensgate Manor per tre generazioni. Si mormorava che una volta, durante la Seconda guerra mondiale, da qualche parte in Africa, Edward avesse salvato il nonno di Jake. Ma l'intera storia, nessuno l'aveva mai raccontata. Non essendoci nessun parente in vita che potesse prendersi cura di Jake e Kady, zio Edward e zia Matilda erano diventati i loro tutori, e intanto continuavano a occuparsi della tenuta. La coppia aveva gli stessi atteggiamenti adoranti di qualsiasi genitore, e talvolta era altrettanto intransigente. Ma per lo più si poteva dire che sull'intero ménage della casa aleggiasse un'atmosfera di attesa, come se tutti quanti stessero trattenendo il respiro aspettando il ritorno dei veri padroni. Zio Edward andò incontro al ragazzo e gli porse la busta sigillata. Jake la prese e lanciò un'occhiata al nome scritto in cima. Mr Jacob Bartholomew Ransom Sotto compariva anche il nome completo di sua sorella. Il ragazzo avvertì un brivido lungo la schiena. L'ultima volta che aveva visto il proprio nome per intero, era stato scritto da suo padre, su un pacco che rimaneva ancora avvolto da un'ombra lugubre. E adesso, eccolo ancora qui, questa volta però battuto a macchina. Zio Edward si schiarì la gola. « Non sapevo se avresti preferito aspettare il ritorno di tua sorella, per... » Jake aprì la busta. Impossibile dire quando sarebbe tornata Kady. Sentì un tenue ringhio dietro di sé. Si girò e vide Watson che stava entrando di soppiatto nella stanza. Il cane aveva rizzato il pelo e teneva il naso per aria. Evidentemente era stato cacciato via dalla cucina e adesso stava andando da Jake in cerca di consolazione. Ma il suo abile fiuto doveva aver colto qualche refolo della posta appena arrivata, forse percepiva un aroma che solo il senso raffinatissimo di un cane può afferrare. La bestia non si avvicinò oltre. Con un basso ringhio di allarme, girò lentamente alla larga. « Buono, Watson... è tutto a posto. » Scrollando la busta, Jake ne fece uscire il contenuto. Un dépliant colorato accompagnato da diversi altri fogli gli scivolarono tra le dita e caddero sul pavimento di parquet. Watson indietreggiò con un balzo. Jake riuscì ad afferrare il foglio più grande, di spessa carta telata. Era di colore giallognolo, stampato a caratteri assai marcati, in un inchiostro nerissimo. Zio Edward si era inginocchiato a raccogliere le altre carte, compresa la lettera in cui erano avvolte. Diede una scorsa al malloppo. « Ci sono dei biglietti aerei. Due. Per te e per tua sorella. Prima classe. E questa sembrerebbe la prenotazione di una suite al Savoy. Un hotel di lusso. » Jake aggrottò le sopracciglia, mentre leggeva la riga che più aveva acceso la sua curiosità: Tesori maya del Nuovo Mondo. Lo zio Edward aprì il dépliant. Fotografie di oggetti d'oro e d'ambra decoravano quella che sembrava essere un volantino pubblicitario di una mostra. « Viene dal British Museum. Davvero molto strano. I biglietti aerei sono per dopodomani. Lunedì. E, stando a quanto c'è scritto qui, la mostra apre martedì prossimo. » « Martedì? » chiese Jake, senza riuscire a nascondere l'emozione. Aveva subito notato un altro particolare bizzarro. James Rollins – L’Ombra del Re

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Ricordava ancora quanto aveva detto a scuola il giorno prima sulle conoscenze astronomiche dei maya: Oggi vi mostrerò come i maya fossero in grado di prevedere eventi astronomici come le eclissi solari, analoghe a quella che avrà luogo il prossimo martedì, che a Londra sarà totale. Le rughe che attraversavano la fronte di zio Edward diventarono più profonde. « Questa storia non mi piace. Una comunicazione così laconica. Solo due biglietti. Uno per te e uno per tua sorella. » « Kady e io siamo grandi abbastanza per viaggiare da soli. E non mi dici sempre che dovrei visitare il British Museum, un giorno o l'altro? » L'espressione accigliata di zio Edward si fece ancora più grave. « Prima che si possa anche solo prendere in considerazione l'eventualità, devo fare qualche telefonata. Ci sono almeno un milione di dettagli cui pensare. Dobbiamo inviare... » Ma Jake ormai non sentiva più nulla di quanto diceva lo zio; il suo sguardo si era concentrato su una delle figure che comparivano sul dépliant aperto. Al centro della pagina c'era la fotografia di un serpente d'oro decorato di giade e rubini. L'animale si avvolgeva su se stesso a formare la figura di un otto, ma a ciascuna delle estremità era stata scolpita una testa, una delle quali aveva le fauci spalancate, mentre la seconda aveva la bocca chiusa, da cui usciva una piccola lingua biforcuta. Jake fissò l'immagine con gli occhi sgranati. Gli sembrava che l'intera stanza stesse oscillando sotto i suoi piedi, mentre il respiro si faceva sempre più corto. Aveva riconosciuto il serpente a due teste. Ne aveva visto un disegno sull'album di schizzi della mamma, e ne aveva anche letto una dettagliata descrizione nel quaderno di appunti di suo padre. Entrambi i fascicoli, che costituivano le due metà del loro diario comune, erano arrivati insieme con la moneta d'oro spezzata. Ma nel pacco non c'era nemmeno un biglietto, nessuna spiegazione. Alla fine, Jake sollevò il dépliant. « Questo qui è uno dei manufatti provenienti dagli scavi di mamma e papà. » Diede una scorsa alle altre pagine: molti oggetti avevano un'aria familiare, ma avrebbe dovuto confrontarli coi disegni. Zio Edward si avvicinò. « Pensavo che quei reperti fossero tutti rinchiusi in un qualche caveau di Città del Messico. » Jake annuì. Poco dopo che i banditi avevano attaccato l'accampamento dei suoi genitori, erano arrivati gli aerei delle forze armate messicane e l'intero sito era stato chiuso. Non si sapeva quanti oggetti fossero stati rubati, né che fine avessero fatto i corpi dei signori Ransom. Anche un altro loro collega era scomparso, il dottor Henry Bethel. Ma la maggior parte dei manufatti maya se l'erano ripresa i soldati. Data la loro importanza come patrimonio nazionale, essi non avevano mai lasciato il Messico. Fino a quel momento. Il museo londinese li aveva ottenuti in prestito in occasione di quella mostra. Tesori maya del Nuovo Mondo Lo zio lesse al di sopra della spalla di Jake. « Non c'è da meravigliarsi che vi abbiano invitato. Siete i figli delle persone che hanno scoperto quegli oggetti. » Jake non riusciva a staccare gli occhi dal dépliant. Con un dito seguì le curve del serpente a due teste. Di certo i suoi genitori dovevano averlo toccato. « Io ci devo andare », disse infine il ragazzo, con una ferma determinazione nella voce. Lo zio Edward gli appoggiò la mano sulla spalla, con fare rassicurante. James Rollins – L’Ombra del Re

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Chissà quando mai avrebbe avuto un'altra occasione come quella, prima che i manufatti venissero di nuovo messi sotto custodia. Jake sentì che le lacrime cominciavano a sgorgare. Trovarsi così vicino ai suoi genitori... Da davanti all'ingresso della casa giunse un suono di pneumatici che stridevano mordendo la ghiaia. I due furono raggiunti da un'eco di risate e di grida di saluto. Un attimo dopo, la porta si spalancò ed entrò Kady. Si voltò e, agitando il braccio, salutò ancora il corteo che l'aveva riaccompagnata a casa. « A domani, Randy! » Entrò in casa, e solo allora si accorse della presenza di Jake e dello zio Edward che la stavano fissando. Nel vedere le espressioni dei loro volti, un'unica ruga di preoccupazione si disegnò sulla sua fronte impeccabile. « Che cosa succede? » « Be', io non ho nessuna intenzione di andarci. » Kady iniziò a passare in rassegna le sue motivazioni, contandole sulle dita. « Domenica c'è il party in piscina di Jeffrey. Poi lunedì ho l'allenamento delle cheers... e poi un'altra festa. Senza contare le altre due feste di martedì. E di certo non rinuncerò a tutto questo solo per fare da babysitter a Jake in una barba di museo », concluse battendo un colpetto sul pavimento col piede. Jake sentì che la faccia gli stava diventando bollente. Sua sorella aveva speso a malapena un secondo per ascoltarli. E lui sapeva che, se Kady non fosse andata, non ci sarebbe andato neanche lui. Lo zio Edward non l'avrebbe mai lasciato partire da solo. Sentiva il cuore che gli martellava nel petto. « Ma, Kady, sono i reperti di mamma e papà! » La ragazza deglutì e lanciò un'occhiata fulminea al dépliant. Kady era molto più brava di Jake, quando si trattava di disegno o di cose artistiche. Aveva avuto modo di studiare a fondo l'album di schizzi della mamma. Quantomeno non appena il fascicolo era arrivato per posta. Poi, per i tre anni successivi, non si era più preoccupata di dargli nemmeno un'occhiata. Ma a Jake non era sfuggito il leggero tremito alle mani della sorella quando aveva visto il dépliant. Anche lei aveva riconosciuto il serpente a due teste. « Non so. E che comunque ho un sacco di cose da fare. » Jake si voltò verso lo zio Edward con un'espressione supplichevole. L'uomo si limitò a stringersi nelle spalle. Era evidente che si stava ancora domandando se fosse il caso di lasciarli andare. Soprattutto nel caso in cui non ci fosse stata collaborazione da parte di Kady. « Sono biglietti di prima, questi? E una suite prenotata al Savoy? » chiese improvvisamente Kady, prendendo in mano le scartoffie. Nella corazza della sorella si stava aprendo una crepa; Jake se ne accorse e decise di cambiare tattica. Nella foga del momento, aveva dimenticato con chi aveva a che fare. « Si tratta di una cosa grossa, poco ma sicuro. » Indicò i biglietti. « Guarda quanto costano. E si sono anche organizzati in modo che tutto coincida con l'eclissi solare. Nient'altro che una stupida trovata pubblicitaria, suppongo. Eppure... » Aveva notato la leggera scossa alle spalle della sorella, all'udire le parole trovata pubblicitaria. « Ci saranno di certo un sacco di fotografi. Troupe televisive, forse anche della gente famosa », incalzò. Negli occhi della ragazza si accese un luccichio. Diede un altro sguardo all'invito. Non appena vide che Kady aveva abboccato, Jake tirò l'amo. « E poi pensa allo James Rollins – L’Ombra del Re

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shopping... tutta la moda europea che ancora non è arrivata al North Hampshire Mail. Saresti la prima a sfoggiarla. » Kady si guardò le scarpe. « Be', magari giusto un saltino. Non dovrebbe essere tanto male, dopotutto. » Jake guardò lo zio Edward. L'uomo scosse la testa. Sapeva di essere stato sconfitto. Poteva anche riuscire a fermare Jake, ma non sarebbe mai stato in grado di mettersi tra Kady e una macchina fotografica. « Immagino allora che dovrò darmi da fare coi preparativi », disse. Kady annuì e Jake tirò un sospiro di sollievo. Ma c'era qualcuno che non era ancora del tutto soddisfatto. Watson era seduto vicino alla scrivania, il pelo ritto sul collo. I suoi occhi erano ancora puntati sulla busta gialla che era stata buttata via. E lui continuava a emettere un flebile ringhio.

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Capitolo 3 ₪

LO SPETTACOLO DI MR BLEDSWORTH

Jake non aveva mai visto una limousine prima di allora. Non aveva idea delle dimensioni stratosferiche che poteva raggiungere l'abitacolo interno. Gli sembrava di trovarsi nel ventre di un aviogetto nero che stesse volando rasoterra. La limousine sfrecciava attraverso le strette e tortuose vie di Londra. Al suo passaggio, i clacson strombazzavano e qualche pedone scuoteva il pugno verso l'imponente vettura. Erano in ritardo. Jake schiacciò la guancia contro il finestrino oscurato. Cercò di dare una sbirciatina al cielo. Seduta accanto a lui, Kady disse, con voce un po' troppo alta per via degli auricolari dell' iPod che aveva nelle orecchie: « Non ti preoccupare, non te la perderai, l'eclissi ». Poi riportò l'attenzione al minuscolo specchietto che aveva in mano. Stava controllando lo stato del suo viso dopo un'intera mattinata trascorsa nel bagno della loro suite a mettere in atto impenetrabili esperimenti con lucidalabbra, creme idratanti, gel per capelli, ombretti, mascara, un asciugacapelli e perfino una roba che aveva lasciato una polverina luccicante sul piano di marmo del bagno. E tuttavia, come ogni scienziato coscienzioso, Kady non si stancava mai di aggiungere qualche piccolo tocco al proprio lavoro. Jake la ignorò e si mise a scrutare il cielo azzurro. Attraverso il vetro oscurato, il sole brillava simile a un livido giallastro. La luna stava aspettando, pronta a dare inizio all'ineluttabile passeggiata che avrebbe trasformato il giorno in notte. Il ginocchio sinistro di Jake si alzava e si abbassava convulsamente, in preda all'agitazione. Il ragazzo era preoccupato. C'era un'altra forza, inarrestabile almeno tanto quanto sua sorella: all'orizzonte, grossi nuvoloni neri si stavano ammassando nel cielo. Era una corsa contro il tempo. Se il temporale avesse reso impossibile lo spettacolo dell'eclissi, Jake ci sarebbe rimasto malissimo. La limousine imboccò a tutta velocità una curva particolarmente stretta. Si sentì uno stridere di pneumatici. Jake venne sbattuto lontano dal finestrino. Il ghiaccio tintinnò in un bicchiere di cristallo. Una mano enorme afferrò il ragazzo e lo rimise a sedere dritto al suo posto; poi un vocione tonante lo rimproverò in un conciso accento inglese: « Mio giovane signore, se proprio vuole vedere il cielo, forse posso aiutarla io, prima che si rompa l'osso del collo ». Jake aveva quasi dimenticato che a condividere la limousine con loro c'era anche Morgan Drummond, il che era davvero sorprendente, se si consideravano le dimensioni dell'uomo. Il suo corpo riempiva l'intera metà anteriore della zona passeggeri dell'auto. Era tutto muscoli, coi lineamenti marcati. Indossava un abito gessato nero doppio petto, un vero e proprio tendone da circo, eppure a ogni suo moJames Rollins – L’Ombra del Re

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vimento i bicipiti tendevano al massimo il tessuto. Più che del capo della sicurezza della Bledsworth Sundries & Industries Inc., solo e unico sponsor della mostra sui maya, quell'omaccione enorme aveva l'aria di un sergente istruttore. Drummond s'inclinò verso Jake, poi allungò uno dei suoi grossi ditoni verso una fila di pulsanti accanto al gomito del ragazzo e ne schiacciò uno. Il tetto della limousine si aprì e, attraverso il vetro, ecco apparire il cielo. Quando l'auto superò a rotta di collo un autobus, i passeggeri seduti al secondo piano lanciarono un'occhiata oltre la ringhiera alla limousine sotto di loro. Jake si ritrovò quindi faccia in su, a fissare quei visi come un pesce rosso dentro una boccia di vetro. Ci fu un gran puntare di dita nella sua direzione. Lui salutò con la mano, ma non ci fu nessuna risposta. « Vetri a specchio. Loro non possono vederla », spiegò Morgan Drummond prima di rimettersi a sedere al suo posto, nascosto nell'ombra. Per essere uno dalla mole così gigantesca, era dotato di una singolare abilità di mimetizzarsi. Quando Drummond si appoggiò al sedile, Jake notò un minuscolo scintillio spiccare nell'oscurità. Proveniva dal suo fermacravatta di bronzo lucidato, che raffigurava il simbolo della Bledsworth Sundries & Industries Inc. Un grifone. Il mostro mitologico con la testa, le ali e gli artigli di un falco, e il corpo di un leone. Con una gemma nera per occhio, era in posizione rampante, come pronto a dilaniare una preda che si ritrae intimorita. Alcuni sostenevano che rappresentasse l'atteggiamento dell'azienda nella conduzione degli affari: attaccare il debole per poi divorarselo senza pietà. Durante il volo dal Connecticut a Londra, Jake aveva letto parecchio sullo sponsor della mostra. Nessuno era in grado di dire con esattezza dove o quando la compagnia avesse avuto inizio. Si lasciava intendere che la dicitura « sundries & industries » risalisse al Medioevo. Correva anche voce che la famiglia Bledsworth avesse accumulato le sue prime fortune vendendo pozioni fasulle contro la peste nera. E che alcuni di loro si fossero occupati di raccogliere i cadaveri delle vittime per poi venderli a pezzi a chi faceva ricerche mediche. Vero o no che fosse, i Bledsworth erano usciti dall'Età Buia con un carico d'oro più cospicuo di quello del re d'Inghilterra. Considerati attualmente una famiglia del tutto rispettabile, possedevano un intero isolato nel quartiere finanziario di Blackfriars. Jake si mise a sedere dritto e si schiarì la voce. Stava per formulare la domanda che lo tormentava dal momento in cui era atterrato a Londra. « Mr Drummond, signore, perché la vostra compagnia sponsorizza la mostra al museo? » Un vigoroso grugnito fu la risposta che ricevette. Non sembrava che il quesito avesse fatto molto piacere all'omone. Ma anche Kady abbassò lo specchietto e si tolse uno degli auricolari dell'IPod per ascoltare la sua risposta. Morgan Drummond fece un sospiro. « È stato molto dispendioso mettere in piedi tutto questo spettacolo. Le guardie extra, i sistemi di sicurezza elettronica... all'azienda ci è voluta una fortuna soltanto per strappare al governo messicano il permesso di portare fuori del Paese quei tesori nazionali. » Dal tono di voce, non sembrava molto compiaciuto del fatto che la sua compagnia stesse spendendo così tanto denaro in qualcosa di tanto frivolo. « E allora perché l'azienda lo fa? » chiese Jake. James Rollins – L’Ombra del Re

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Drummond si chinò verso di lui. « Mr Bledsworth ha insistito. E nessuno va contro la volontà di Mr Bledsworth. » Jake divenne serio. Aveva letto tutto sul solitario capo dell'azienda: Sigismund Oliphant Bledsworth IX. Era ormai sulla novantina e, essendo scapolo e senza figli, sarebbe stato l'ultimo dei Bledsworth. Esistevano solo poche fotografie che lo ritraevano. Grazie al computer, Jake era riuscito a trovarne soltanto una, scattata quando Bledsworth era molto più giovane: un bell'uomo con indosso l'uniforme dell'esercito britannico. Come quella dei suoi antenati medievali, la sua reputazione era offuscata dall'ombra di presunte scelleratezze: storie che narravano di opere d'arte trafugate dalla Francia e dalla Germania durante la guerra. Era stato di stanza anche in Egitto. Ma, dopo la Seconda guerra mondiale, il capo della Bledsworth Sundries & Industries non era più apparso in pubblico. Ormai, più che un essere umano, sembrava un fantasma. Jake aggrottò le sopracciglia. « Ma che interesse ha Mr Bledsworth a mettere in piedi tutto questo gran baraccone? » « Davvero non lo sapete? » chiese Morgan Drummond. Jake fece spallucce, si voltò verso la sorella, quindi di nuovo verso l'omaccione. « No. » « Mr Bledsworth si sentiva in dovere di farlo. C'era da saldare un debito. » « Un debito? » « Verso i vostri genitori. » L'aria nella limousine sembrò farsi improvvisamente più pesante. Jake faceva fatica a respirare. Drummond si appoggiò al sedile, tornando ancora una volta a dissolversi nell'ombra. « Chi pensate che avesse finanziato gli scavi dei vostri genitori? E soprattutto, chi pensate sia stato a mandarli laggiù? » Jake si accigliò. Mr Bledsworth? Poteva essere mai vero? Era stato il misterioso capo della Bledsworth Sundries & Industries a pagare perché sua madre e suo padre esplorassero la cima nota come Montagna delle Ossa? Ma perché? Quando la limousine rallentò, da davanti si sentì la voce dell'autista: « Siamo arrivati al museo, signori ». Quando scesero dalla limousine, Jake e Kady vennero accecati dalle luci di telecamere e macchine fotografiche. Spaventato, Jake fece un passo indietro, ma non poteva fuggire da nessuna parte. Dietro di lui, Morgan Drummond aveva srotolato la propria mole, innalzandosi come una muraglia. « Continuate a camminare », borbottò a bassa voce. Drummond li spinse avanti attraverso la folla di giornalisti che si stava accalcando davanti al museo. Cronisti e curiosi erano tenuti a distanza dietro due cordoni di velluto nero che correvano lungo una passatoia rossa. Lassù, dietro le colonne di marmo, torreggiava il British Museum, simile a un enorme caveau di banca. Tra le colonne era appeso un enorme striscione. Tesori maya del Nuovo Mondo Jake notò che molte persone indossavano degli speciali occhiali protettivi per osservare l'eclissi imminente. Alzò lo sguardo verso il cielo. Una mossa falsa, naturalmente: la luna stava già cominciando ad attraversare la superficie del sole. L'alone accecante gli colpì gli occhi, e lui distolse lo sguardo prima che la sua vista potesse restarne danneggiata. Verso sud, si accese all'improvviso come un'ondata di luce, seguita da un rombo di tuono. La tempesta stava ancora infuriando lungo il Tamigi, e minacciava di spazzar via il raro spettacolo. James Rollins – L’Ombra del Re

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« Non sono deliziosi? » urlò un grosso donnone. « Mamma e papà sputati. » « E guardate che bei vestiti. » « Proprio dei perfetti piccoli esploratori, niente da dire », chiocciò un'altra. Jake prese coscienza in quel momento di com'erano vestiti. Per gentile offerta della Bledsworth, ai due ragazzi erano stati forniti abiti su misura da un lussuoso negozio di Savile Row, famoso per la sua eccellente sartoria. Jake indossava dei pantaloni da safari e una camicia a maniche lunghe, entrambi color cachi, insieme con una giacca con tasche ovunque: tasche con la zip, tasche coi bottoni, tasche dentro ad altre tasche. Era stato fornito anche di un paio di stivali da escursione in goretex con zaino coordinato. E avrebbero voluto fargli indossare anche un cappello da safari, ma lui si era rifiutato. A Kady invece il cappello era piaciuto tantissimo. Eccolo là, baldanzosamente appoggiato sulla sua testolina. Altre macchine fotografiche lampeggiarono. La ragazza si fermò, giocherellando leziosa con uno dei cordoncini del cappello. Jake alzò gli occhi al cielo e proseguì verso il museo. Le urla erano diventate un frastuono indistinto. L'unica cosa che voleva era arrivare là dentro, lontano da tutta quella confusione. La Bledsworth Sundries & Industries, in collaborazione col museo, aveva organizzato un vero e proprio evento mediatico: giornali, televisione, perfino cartelloni pubblicitari su autobus e metropolitana. Tutto per promuovere la mostra. All'epoca, la scomparsa dei genitori di Jake aveva davvero fatto notizia: una storia che parlava d'oro, di banditi e di archeologi morti ammazzati. Ora i giornali avevano di nuovo dato fiato alle trombe. Tutti erano stati adeguatamente informati dei due orfani Ransom. E adesso, il fatto di avere i ragazzi lì per l'inaugurazione aveva fatto sì che tutti arrivassero muniti di macchina fotografica. Morgan Drummond diede una piccola spinta a Kady per incoraggiarla ad avanzare. Il suo vocione rimbombò nella folla: « Stiamo facendo tardi. Ci sarà tempo per fare altre foto dopo l'evento! » Mormorii di delusione seguirono il loro passaggio. Ma a Jake non era sfuggito lo sguardo che Drummond aveva lanciato a uno degli astanti: una lunga occhiata penetrante. Accanto alle corde si trovava un ometto dall'aspetto disgustoso, brutto come un rospo, tozzo e tutto vestito di verde, che sbocconcellava una ciambella. Gli occhi erano sepolti sotto un cespuglio di sopracciglia. Le grosse labbra erano impiastricciate di zucchero a velo. Aveva anche una macchina fotografica intorno al collo, ma, quando gli erano passati accanto, lui l'aveva lasciata penzolare senza preoccuparsi di sollevarla. L'uomo si era limitato a fare un cenno quasi impercettibile col capo alla volta di Drummond, che li aveva spinti ad andare ancora più veloci. Finalmente, Jake e Kady riuscirono a passare sotto lo striscione e a entrare nel museo. Fatta eccezione per le guardie in uniforme blu, l'atrio era meravigliosamente vuoto. Kady lanciò verso l'esterno un'occhiata colma di desiderio. « La cerimonia del taglio del nastro è nella Queen Elizabeth Court », disse Morgan Drummond, mentre, oltrepassato il bookshop, li guidava attraverso il pavimento di marmo lucido. « Ci saranno altri giornalisti? » chiese Kady, aprendo con uno scatto lo specchietto tascabile con la stessa abilità di un lanciatore di coltelli. « Solo quelli dei notiziari e del Times. Il museo ospita un evento esclusivo, riservato ai maggiori finanziatori. E anche loro hanno dovuto pagare una quota cospicua, per James Rollins – L’Ombra del Re

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potervi assistere. » « E di questa quota, la vostra azienda ne riceve una parte? » Drummond fulminò Jake con un'occhiataccia, come a voler sottolineare la grossolana stupidità di quella domanda. « Certo che sì. Solo per andare in pareggio con le spese sostenute per la mostra dovremo raccogliere una piccola fortuna. » E, a questo punto, nella sua voce s'inserì un vago tono di stizza. « Per quale motivo pensate che vi abbiano invitati, voi due? Non sono certo questi reperti muffiti ad attirare la folla. Sono le storie che fanno uscire di casa la gente. Storie come la vostra... insomma, con quell'aria di tragedia... » All'improvviso l'omone sembrò rendersi conto con chi stesse parlando, e si trasformò in un ragazzino che non riesce a spiccicare parola. Ebbe per lo meno la decenza di mostrare un alone di rossore intorno sul collo. Anche il viso di Jake si era surriscaldato, ma non per l'imbarazzo. Non appena capita l'antifona, la mano gli si era stretta a pugno. L'invito a presenziare a quell'evento non era un modo per rendere noti e celebrare i successi dei suoi genitori, ma per trarre vantaggio dalla loro tragedia: trasformare la loro morte in un freddo e insensibile flusso di contanti dentro le casse della Bledsworth Sundries & Industries. Di colpo si sentiva uno stupido, e al tempo stesso furioso. Li avevano fatti volare a Londra, lui e sua sorella, perché facessero il loro bello spettacolino davanti alla folla, come due marionette, e tutto soltanto per vendere qualche biglietto in più. Kady non sembrava minimamente turbata dalla rivelazione. Continuò a pavoneggiarsi, ansiosa di andare incontro a una nuova raffica di flash, di essere di nuovo al centro dell'attenzione. « Per di qua », disse Drummond, tenendo loro aperta una porta. Quando Jake l'ebbe varcata, davanti ai suoi occhi si aprì una vista spettacolare. Per una buona decina di metri quadrati si estendeva un gigantesco cortile interno, tutto lastricato di marmo. « La Great Court », proclamò Drummond. Infilò una mano in tasca e porse loro degli occhiali con le lenti scure. « Occhiali da eclissi. È meglio che ve li mettiate. » Jake obbedì e continuò ad attraversare il cortile. Il vasto spazio era circondato su tutti e quattro i lati dalle varie ali del museo. Ampie scalinate conducevano agli altri piani. Ma a catturare davvero l'attenzione di Jake fu la copertura che racchiudeva il cortile stesso. Era costituita da sezioni triangolari di vetro trasparente che sfolgoravano sotto la luce del sole, sembrando così prive di peso, come se fluttuassero sulle loro teste. Poi Jake spinse lo sguardo oltre la copertura di vetro. Gli occhiali scuri gli consentivano di osservare il cielo senza timore di rimanere accecato. Ormai la luna aveva coperto il sole per metà. L'eclissi totale non era lontana. Si sentì il brontolio di un tuono. Jake si voltò e guardò verso sud. Il fronte della tempesta, sempre più vicino, era ormai ben visibile. Sarebbe rimasto lontano per il tempo sufficiente?

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Capitolo 4 ₪

IL SOLE NERO

In un angolo nascosto del cortile del museo, Jake se ne stava appoggiato contro una gigantesca testa di pietra proveniente dall'Isola di Pasqua. La fronte pronunciata della statua e il suo naso affilato erano stati scolpiti nel basalto nero. E la faccia di Jake, mentre era intento a osservare la folla, si accordava alla perfezione con quella espressione accigliata. Tutti in smoking e abiti da cocktail, gli ospiti se ne stavano lì col loro bicchiere di champagne in mano mentre un cameriere passava con un vassoio d'argento sul quale erano disposte delle tartine al caviale. Una donna sfoggiava una tiara di diamanti in bilico su un alto pilastro di capelli candidi. Che fosse un membro della famiglia reale? Dall'altro lato del cortile, Kady si stava crogiolando davanti al riflettore di una telecamera. Un giornalista le teneva un microfono peloso puntato sotto il naso. « Ms Ransom, racconti agli spettatori di BBC One, siete emozionati all'idea di visitare questa mostra? » « Oh, ma certamente », rispose Kady, girandosi un pochino di lato. Jake sapeva che la sorella stava cercando di mettere in luce il suo lato migliore, o almeno quello che lei, quella mattina, aveva deciso essere il migliore per la televisione. L'intervista proseguì con un vistoso sventolio di mani da parte di Kady, la quale provvide anche a esercitare un'adeguata pressione sui talloni, in modo da ottenere un soddisfacente ondeggiamento dei suoi riccioli perfetti. Jake incrociò le braccia. Gli bruciava ancora la rivelazione di Morgan Drummond riguardo al vero scopo della loro presenza lì. Solo per vendere più biglietti. Sciolse le braccia e strattonò la tenuta da safari che indossava. Era tentato di strapparsela di dosso e andarsene via di corsa da quel posto. Ma poi? C'era anche sua sorella da prendere in considerazione. Ed era evidente che lei non aveva nessuna intenzione di andarsene. Jake si voltò dall'altra parte. Oltre la folla, in cima alla scala che conduceva al secondo piano, scorse un grosso nastro rosso. Un uomo in cilindro reggeva un enorme paio di forbici, simili a cesoie da giardiniere. « Il curatore del museo. Non durerà ancora molto. Sarà tutto finito prima ancora che ve ne accorgiate. » Morgan Drummond gli sfiorò un gomito, facendolo sobbalzare. Anche se quelle parole erano state pronunciate in un sussurro, avevano una vaga sfumatura di minaccia. Forse perché erano state accompagnate da un altro rombo di tuono. Jake scrollò le spalle e uscì dall'ombra di Drummond. Ancora una volta alzò gli occhi a osservare il cielo. La luna ormai aveva quasi coperto il sole. Nonostante gli occhiali protettivi, l'alone che il sole formava intorno al bordo lunare era sfolgorante, e faceva male agli occhi. Jake batté le palpebre e distolse lo sguardo, proprio nel momento in cui il rintocco James Rollins – L’Ombra del Re

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di una campana dava inizio all'evento ufficiale. Finalmente! Quando il curatore del museo sollevò un braccio per mettere fine al mormorio che serpeggiava tra la folla, tutti gli occhi si voltarono verso di lui. Le luci delle telecamere, fino a quel momento puntate su Kady, scomparvero. Come una pianta privata della luce del sole, la ragazza parve afflosciarsi. « Ci siamo », disse Drummond. Il curatore sollevò le forbici. « Se i fratelli Ransom potessero salire... È quantomai opportuno che siano qui per celebrare questa fausta occasione in onore dei loro genitori, i professori Richard e Penelope Ransom. » Morgan Drummond trascinò Jake fuori dell'ombra, portandolo al centro dell'attenzione generale. I due raggiunsero Kady che si stava già avviando verso la scalinata. Un applauso svogliato li accompagnò mentre salivano i gradini. Il curatore proseguì: « Sono certo che tutti voi conoscerete la storia dei Ransom, di come abbiano scoperto la Montagna delle Ossa, uno dei siti archeologici maya più remoti e inospitali. Superando ogni sorta di ostacoli, dai giaguari mangiatori di uomini alle zanzare della malaria, hanno esplorato una tomba superba, piena di reperti d'inestimabile valore storico che arricchiscono la nostra conoscenza degli antichi maya. Il British Museum, in collaborazione col generoso e filantropico sostegno della Bledsworth Sundries & Industries », e qui il curatore fece un cenno alla volta di Drummond che stava salendo le scale con Jake e Kady, « sono orgogliosi di presentare al pubblico, per la prima volta, i Tesori maya del Nuovo Mondo! » Un altro rombo di tuono seguì la dichiarazione. Nel momento stesso in cui Jake e Kady raggiungevano la cima delle scale, il curatore indicò il cielo e strillò: « Guardate! » Nell'atrio vennero spente tutte le luci. Jake sollevò lo sguardo a bocca aperta. La luna fece un movimento impercettibile e andò a coprire completamente il sole. L'eclissi era diventata totale. Tutt'intorno alla luna, la corona emanava raggi lucentissimi, come se nei cieli stesse risplendendo un sole nero. Jake trattenne il respiro, esterrefatto. Per effetto del bagliore dell'eclissi, la stanza era piombata in una penombra sinistra. Le superfici di marmo del cortile acquistarono una tonalità argentea, come se muri e pavimenti risplendessero di una luce interna. Il curatore continuò a parlare nell'oscurità: « Furono gli stessi maya, attraverso le loro conoscenze di astronomia e di matematica, a prevedere l'eclissi. E noi abbiamo scelto questo momento celestiale per inaugurare la mostra ». Si voltò con in mano le forbici gigantesche. « Mr Ransom, vuole aiutarmi? » Si accese un riflettore, inondando di luce la cima delle scale. Jake si costrinse a distogliere lo sguardo dal cielo per abbassarlo sul nastro rosso. Sapeva che al di là di esso si estendeva il corridoio che l'avrebbe condotto ai tesori dei suoi genitori. Ansioso di potervi accedere, fece un cenno d'assenso con la testa. Il curatore fece un ampio sorriso e sollevò una mano, invitando Jake a rimanere immobile mentre le macchine fotografiche lampeggiavano sotto di loro. Kady rimase impalata, con le braccia strette al petto. Jake sapeva che più tardi sua sorella gliel'avrebbe fatta pagare, per averle rubato la scena in un momento come quello. Come se avesse avuto la possibilità di scegliere. James Rollins – L’Ombra del Re

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Afferrò una metà delle forbici e insieme col curatore, con un unico scatto veloce, tagliò il nastro. Nel momento stesso in cui le forbici si richiusero e il nastro cadde per terra, il cielo fu attraversato dal bagliore accecante di un fulmine. E subito dopo esplose il rimbombo del tuono. In alto sulle loro teste, il tetto vibrò per l'impatto, e tutti rimasero immobili, congelati in un silenzio greve di timore... finché qua e là non si sentì il suono lieve di qualche sporadica risatina. Il curatore strizzò l'occhio a Jake. « Be', non avremmo potuto avere tempismo migliore, eh, ragazzo mio? » Raccolse le forbici e si raddrizzò. Jake si voltò a fissare il cielo. Nubi di tempesta si stavano srotolando davanti all'eclissi, nascondendola alla vista. Il cortile venne inghiottito da un'oscurità ancora più fitta. Il curatore sollevò un braccio verso il pubblico. « Rimanete dove siete, tutti quanti. Riporteremo la luce nel cortile nel giro di pochi istanti. E, nell'attesa, forse la cosa migliore è permettere che i fratelli Ransom facciano il loro ingresso alla mostra per primi, in modo che possano avere un momento in privato fra i tesori scoperti dai loro genitori. » Dalla folla si udirono levarsi mormorii di « Aaah » e « Che commovente », accompagnati da qualche piccolo applauso. Una voce soltanto, però, si levò al di sopra delle altre, piena di disprezzo. « I tesori scoperti dai loro genitori? Bah! Vorrete dire rubati! » Quest'ultima parola risuonò attraverso il cortile secca come un colpo di fucile. Seguì un silenzio sbigottito. L'uomo proseguì: « Che mi dite delle voci secondo le quali i Ransom sarebbero ancora vivi da qualche parte in America del Sud? E che avrebbero inscenato la propria scomparsa in modo da potersene scappare coi tesori più preziosi? » Jake sentì il cuore salirgli fino in gola. Le guance gli si erano infiammate di rabbia. Il curatore intervenne: « Suvvia, ci rifiutiamo di prestare orecchio a queste calunnie prive di... » Un urlo di disprezzo lo interruppe. « Richard e Penelope Ransom non sono nient'altro che un paio di ladri comuni, date retta a me! » Nel cortile si riaccesero di colpo le luci. Tolti gli occhiali da eclissi, Jake individuò l'uomo nella folla. Era il giornalista rospo che aveva visto fuori, quello che stava mangiando una ciambella. Jake fece un passo avanti, già pronto a saltargli addosso per ricacciargli in gola ogni singola parola, ma fu bloccato da una grossa mano aperta che lo sospinse verso il secondo piano, in cima alle scale. E, dopo di lui, Morgan Drummond spinse dolcemente avanti anche Kady. « Non c'è bisogno che ascoltiate queste brutture. Entrate alla mostra. » Alle sue spalle, il curatore fece un cenno a quelli della sicurezza. Le guardie del museo passarono di corsa accanto a Jake e Kady e scesero rumorosamente per le scale. Ma, nonostante tutto, l'uomo continuava a sbraitare. « Ladri! Ciarlatani! Le mani dei Ransom sono sporche di sangue! » Ognuna di quelle affermazioni era come un coltello che si conficcava nel cuore di Jake. Drummond lo spinse in avanti. « Andate. Io vi raggiungo tra un attimo. » Kady gli lanciò un'occhiata. I suoi occhi erano sbarrati, attoniti, pieni di paura. « Jake... » Doveva portarla via di lì. « Andiamo. » Si affrettarono a entrare nel locale che si apriva in cima alle scale. Jake camminava barcollando, quasi accecato dalla rabJames Rollins – L’Ombra del Re

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bia. Si era già addentrato di un bel pezzo nella mostra, quando finalmente si rese conto di quali meraviglie lo circondavano. Si fermò. E così anche Kady. « Mamma e papà », disse lei. Tutti e due erano di fronte a un poster gigantesco. Raffigurava la stessa foto che Jake aveva nel suo quaderno. I loro genitori che sorridevano all'obiettivo, quasi imbarazzati, coi loro vestiti cachi sporchi di fango, reggendo un blocco di pietra scolpito con delle figure maya. Alle spalle di Jake, si sentivano ancora le urla riecheggiare dal cortile. Altre bugie sui suoi genitori. Jake fissò quei volti riprodotti a grandezza naturale come se fossero ancora in vita. Era troppo. Distolse lo sguardo. Un urlo particolarmente potente arrivò fino a lui. « Assassini e ladri! » In quel momento, gli tornò in mente qualcosa: di come quell'uomo rospo avesse annuito a Morgan Drummond quand'erano entrati al museo. Come se quei due si conoscessero. Un cenno. Come un segnale convenuto. Jake ripensò alla rivelazione fattagli prima da Drummond. Che quella scenata non fosse nient'altro che uno stratagemma per attirare ancora più interesse intorno all'evento, per montare una polemica intorno alla mostra e vendere così più biglietti? O forse si trattava di qualcosa di più sinistro? Per qualche minuto, Jake girovagò per l'esposizione, perso nei propri pensieri. Anche Kady fece lo stesso. Teneva le braccia strette al petto, come se avesse paura di toccare qualsiasi cosa. I due ragazzi si muovevano seguendo orbite separate, come due pianeti i cui percorsi non osavano incontrarsi. E, mentre lui percorreva qua e là quella stanza, i timori di Jake cominciarono a svanire. Lo stupore placò il martellio rabbioso del suo cuore. Tutt'intorno a sé c'erano i manufatti e i reperti disegnati o descritti nei libri dei suoi genitori, come il serpente a due teste che aveva visto sul dépliant. Dal vero, nella luce fulgida delle lampade alogene, lo strano rettile era ancora più sfolgorante. Gli occhi erano rubini, le scaglie erano intagliate nell'oro con estrema minuzia. Le fauci erano fatte con schegge di avorio. Jake s'infilò una mano in tasca e ne estrasse il diario di lavoro di suo padre, insieme con l'album degli schizzi rilegato in pelle della mamma. Aveva voluto portare entrambi i volumi con sé durante la visita al museo. Aprì Il diario del padre e lesse la voce corrispondente al serpente a due teste. Dall'intricato arricciarsi a otto del rettile, è evidente che il reperto rappresenti la credenza maya nella natura eterna del cosmo. Dalla qualità del lavoro, il pezzo deve risalire al primo periodo classico. Posso solo supporre... Jake proseguì nella lettura, con la voce del padre che gli risuonava nella mente mentre continuava a camminare attraverso la mostra, fermandosi davanti a ogni oggetto. E, in questo suo vagare, ogni singolo pezzo lo avvicinava sempre di più ai suoi genitori. Era stata sua madre a lucidare quel giaguaro d'argento laggiù? E suo padre aveva forse contato il numero dei cerchi che, simili agli anelli di un tronco d'albero, costituivano la ruota del calendario maya? Ricordava ancora le lezioni che gli erano state impartite quand'era solo un bambiJames Rollins – L’Ombra del Re

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no... da suo padre, da sua madre. E non erano soltanto lezioni di archeologia. Ricordava sua madre che gli insegnava ad allacciarsi le scarpe. Il coniglietto s'infila nel buchetto del laccio, e poi sbuca fuori di qua... Si accorse che aveva rallentato il passo. Anche se si trovava a migliaia di chilometri da Ravensgate Manor, in quel luogo Jake sentiva un senso di vicinanza, d'intimità, come se avesse scoperto una stanza della sua casa che era rimasta nascosta per moltissimo tempo. « Quanto tempo credi che dovremo rimanerci, in questo posto? » fece Kady alla fine, col suo solito tono di esasperata impazienza. Jake si voltò verso la porta. Giù in cortile la confusione si era smorzata, ma si udiva ancora un mormorio di voci, troppo basso per poter distinguere le singole parole. Si sentiva ancora rombare il tuono. A differenza di Kady, lui non aveva nessuna fretta di andarsene. Si sentì trafiggere da un'acuta fitta di gelosia. Non voleva che ci entrasse nessun altro, lì dentro. Sarebbe stato come voler entrare nel suo cuore, in effetti, sopportava a malapena anche la presenza della sorella. Doveva vedere il pezzo forte della raccolta. Era appoggiato su un piedistallo, privo di qualsiasi teca di vetro: una piramide alta sessanta centimetri, completamente fatta d'oro massiccio. Nove gradini s'innalzavano fino a una piattaforma alla sommità, in cima alla quale era accovacciato un drago con le ali spiegate, che era stato ottenuto intagliando un grosso blocco di giada. Gli occhi, due rubini rosso fuoco, sembravano scrutare fin nel cuore di Jake. « Kukulkàn », mormorò il ragazzo, pronunciando il nome del drago piumato adorato dai maya. Aveva riconosciuto anche quell'oggetto. Stando al diario di suo padre, quell'inestimabile reperto era stato trovato sopra il coperchio di un sarcofago in pietra calcarea. Jake mise da parte il diario e aprì invece l'album di sua madre, cominciando a scorrere i vari schizzi per vedere se ce n'era uno che potesse corrispondere alla piramide. Finalmente Kady capi cosa stesse tenendo tra le mani il fratello. Dal centro della stanza, la ragazza si diresse a grandi passi verso di lui. « jake! Che ci fai con quello? » Non sapeva che lui avesse portato con sé i quaderni dei loro genitori. Non lo sapeva nessuno. Senza far caso alla sorella, Jake trovò la pagina giusta. Confrontò il disegno della piramide con l'originale. Studiò i nitidi schizzi a matita tracciati dalla madre, i segni lasciati dalla gomma, le correzioni, i minuscoli appunti scarabocchiati sui margini. Lì, davanti ai suoi occhi, si trovava ciò che l'aveva ispirata. La vista di Jake era appannata dalle lacrime e gli tremavano le mani. Prima che il quaderno gli cadesse per terra, Kady lo prese. « Perché l'hai portato qui? Avresti potuto perderlo, o potevano rubartelo. » « Come se te ne importasse qualcosa. » Jake si avvicinò alla piramide. Lei lo afferrò per un gomito. « E con questo cosa vorresti dire? » Jake si liberò con uno strattone e le scoccò un'occhiataccia. « Tu non ci volevi neanche venire, qui! La sola ragione per cui hai accettato era per metterti in posa davanti a una stupida telecamera! » La voce gli uscì inaspettatamente strozzata, cosa che lo fece andare ancora più in bestia. Il viso di Kady arrossì in un'ondata di rabbia. « Tu non sai... » Jake si riprese l'album. « E anche se l'avessi perso, il quaderno della mamma? Non l'hai degnato di James Rollins – L’Ombra del Re

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uno sguardo per anni. » Kady cercò di riafferrarlo, ma lui fece un balzo all'indietro, mantenendosi fuori della sua portata. Poi fece un giro che lo portò dal lato opposto della piramide. « Non ti interessa proprio più niente di mamma e papà? » Kady era rimasta immobile. Le sue spalle erano scosse da un tremito e il viso era diventato scarlatto. « Certo che m'interessa! » gridò. Poi, con un gesto del braccio, indicò la stanza tutt'intorno a sé. « Credi forse che queste cose possano riportare indietro mamma e papà? Credi che una qualsiasi di queste cose possa farlo? » Il dolore assoluto che percepì nella voce della sorella lo lasciò senza parole. Non aveva mai sentito quel tono. E ne fu spaventato. Lei continuò a urlare: « Tutto questo! L'album della mamma, questi tesori... vederli, averli qui vicino... tutto questo fa male ». Voltò la schiena alla piramide. « E perché guardarli, allora? A che cosa servirebbe? » Jake spalancò gli occhi. Kady scosse la testa. « Non lo sopporto. E neanche te sopporto! » « Che cosa c'entro io? » fece Jake, ferito. « Perché non ti tagli i capelli come tutta la gente normale? » Jake si scostò una ciocca dagli occhi con un dito, confuso. « Assomigli così tanto a papà che a malapena riesco a guardarti. » Lui ripensò alle parole che Kady aveva detto poco prima. Tutto questo fa male. La ragazza tirò su col naso e gli voltò le spalle. « Qualche volta... qualche volta vorrei che tu non fossi mai... » La stanza fu invasa da un lampo improvviso, accompagnato dal suono secco di un'esplosione. Il pavimento sobbalzò sotto i loro piedi, e dal cortile giunse l'eco di urla terrorizzate. Sia Jake sia Kady si voltarono in quella direzione, avvicinandosi l'un l'altro. Le luci in alto diedero un guizzo, quindi si spensero. La stanza fu inghiottita dall'oscurità. « Che cosa è successo? » sussurrò Kady nel buio, qualche istante più tardi. « Un fulmine. Deve aver colpito il museo », ipotizzò Jake. Non appena i loro occhi si furono abituati all'improvvisa oscurità, il ragazzo notò un tenue bagliore dietro di loro. Si voltò e si lasciò sfuggire un piccolo strillo di sorpresa. « Che c'è? » chiese Kady, senza fiato. Jake farfugliò qualcosa, afferrò Kady per il gomito e la costrinse a girarsi. « Guarda! » La piramide era avvolta da un tenue fuoco di colore blu. Le fiamme danzavano ai piedi del dragone, per poi colare giù per i nove gradini. Jake fissava il fenomeno a bocca aperta. Gli ci volle il tempo di un intero respiro per rendersi conto che aveva già assistito a uno spettacolo del genere in un museo delle scienze. « È un fuoco di sant'Elmo. Un tempo i marinai durante le tempeste vedevano fiamme come queste sugli alberi delle navi », disse, preso da una sorta di timore reverenziale. « Ma da che cosa sono generate? » Jake fece un passo avanti. « Fa' attenzione », lo ammonì Kady, che pure lo seguì. Il ragazzo sentiva che gli si stava accapponando la pelle. « Non preoccuparti. Sembra che si stia già esaurendo. » Come una marea che si ritira, il fuoco cominciò ad affievolirsi, svanendo a poco a poco in un turbine. Mentre faceva il giro intorno alla piramide, Jake notò qualcosa di strano. « Kady, vieni a vedere. » Le fiamme non si erano spente del tutto, ma sembravano aver liJames Rollins – L’Ombra del Re

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berato il passaggio a un'apertura di forma rotonda su un lato della piramide. Incuriosito, Jake si chinò per osservarla più da vicino. La coda del dragone si arricciava circondando il foro, che però non era veramente un foro. Era piuttosto una rientranza poco profonda nella superficie d'oro, come se in quel punto ci fosse stata incastonata una gemma che adesso era scomparsa. Le fiamme svanirono del tutto proprio nel momento in cui scattavano le luci rosse d'emergenza, immergendo la stanza in un bagliore color rubino. Jake si tirò su in piedi. Che strano... Sempre più incuriosito, tornò ad aprire l'album della mamma e trovò la pagina con lo schizzo della piramide. Nella luce fioca della stanza, riuscì a individuare lo stesso foro raffigurato nel disegno. E anche lì era vuoto. « Qui non c'è niente », borbottò, picchiettando col dito in quel punto. Kady allungò la mano e tastò il foglio. « Non più, per lo meno. Senti com'è rovinata carta. Si riescono ancora a sentire i solchi lasciati dalla matita. Qui doveva esserci disegnato qualcosa, prima. » « Credi che sia stato cancellato? » Kady annuì. « Chiunque sia stato, l'ha fatto in fretta. » « La mamma? » « Non lo so. » Jake abbassò l'album e fissò la piramide. Perché mai la mamma avrebbe dovuto disegnare qualcosa, per poi cancellarlo? Abbassò la testa e si mise a studiare il foro. Era perfettamente rotondo, circa della stessa misura di... Jake si schiaffeggiò la fronte. « Ma certo! » « Cosa? » Il ragazzo non rispose. Richiuse l'album e lo mise via. Si era ricordato di un'altra delle lezioni di suo padre. Non dare mai nulla per scontato. Solo gli scienziati da quattro soldi fanno così. Occorrono sempre prove, prove, e ancora prove. Si portò una mano al collo, fece scivolare sulla testa il cordoncino intrecciato e ne estrasse la sua metà della moneta d'oro. La sollevò in direzione della piramide. Sembrava della stessa misura del foro. Occorrono sempre prove, prove... Si avvicinò e allungò la mano che stringeva la moneta. « Che stai facendo? » chiese Kady spaventata. Senza far caso a lei, Jake appoggiò la mezza moneta nel foro. Sembrava adattarvisi perfettamente. Ma doveva esserne sicuro. ... e ancora prove. Sempre tenendo in posizione la propria metà, si voltò verso Kady. « Prova con la tua. » Jake sapeva che la sorella aveva con sé la moneta, ma la ragazza scosse la testa. « Kady! Ci dev'essere una ragione se mamma e papà ci hanno mandato una moneta spezzata. Non vuoi sapere perché? Questo potrebbe essere il primo indizio. » La ragazza ebbe un attimo di esitazione. Jake riusciva a vedere la paura nei suoi occhi... e forse anche il dolore. Nonostante ciò, Kady alzò lentamente la mano per slacciare la sottile catenina d'oro che reggeva la sua metà della moneta, quindi scivolò accanto a Jake, spalla contro spalla. Sfilò la sua moneta dalla catenina e la sollevò. « Se questa cosa mi farà star male... » lo ammonì Kady. Ma anche nella sua voce si avvertiva una punta di emozione. « Prova a vedere se entra. » Non appena la metà di Kady ebbe sfiorato la piramide, nella sala rimbombò un urlo, potente come lo sparo di un fucile per la caccia agli elefanti. Jake si voltò e riconobbe la sagoma di Drummond che stava correndo verso di loro. James Rollins – L’Ombra del Re

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« Non toccate... » Jake non avrebbe saputo spiegare perché fece quello che fece in quel momento. Fu come un istinto, qualcosa che era rimasto sepolto nel profondo del suo cuore. Senza badare a Drummond, si voltò verso Kady. Quell'urlo improvviso l'aveva raggelata. Jake afferrò la sua metà della moneta maya e la ficcò nel foro della piramide. Un incastro perfetto. Improvvisamente, la moneta così ricomposta acquistò un bagliore lucente, che evidenziava i contorni dei glifi maya riuniti al suo centro. Jake pronunciò le parole raffigurate dai due simboli: « Sak be ». Strada bianca. « Nooo! » urlò Drummond. L'uomo cercò di gridare qualcos'altro. Aveva l'aria di un avvertimento, ma le sue parole furono inghiottite da un'altra dirompente scarica di tuono. Con tutta la sua cieca forza, l'esplosione fece spegnere in un attimo le luci d'emergenza. E, prima che Jake potesse reagire, il mondo gli scivolò via da sotto i piedi. Il sangue gli andò alla testa, come se stesse precipitando giù per un pozzo. La sua visuale era invasa da un turbinio di stelle, e un rombo assordante gli riempiva le orecchie. Poi scomparvero anche gli astri, e in un certo senso fu come se il buio fosse diventato ancora più buio. E, nonostante tutto, lui continuava a tenere la mano di Kady nella sua. Sembrava essere rimasto il suo unico contatto con qualcosa di solido e reale. Le sue dita si stringevano forte intorno a quelle della sorella. Il momento sembrava non finire mai. Sebbene ancora incapace di distinguere alcunché con la vista, Jake percepiva che in quell'oscurità non erano soli. Sapeva che, nel buio, qualcosa li stava fissando. Poi quel qualcosa cominciò a muoversi verso di loro. Non vedeva niente, ma percepiva come una pressione esercitata nella sua testa a mano a mano che la « cosa » si avvicinava. Le dita di Kady si strinsero più forte alle sue. Anche lei la sentiva. Poche parole risuonarono stridule nella mente di Jake, simili al suono di unghie che grattano sul coperchio di una bara di pietra: Vieni da me... Jake si figurò l'immagine di dita scheletriche che nel buio si protendevano verso di lui. Ma, prima che quelle mani potessero raggiungerlo, qualcosa si lanciò in avanti, frapponendosi tra Jake e quell'essere in agguato nel buio, come per proteggerlo. Ancora privo della capacità di vedere, tutto ciò che riuscì a sentire fu una folata di vento, come se qualcosa provvisto di ali fosse sfrecciato in mezzo a loro. Non appena quel qualcosa fu passato, Jake ruzzolò a terra, e l'oscurità s'infranse in mille pezzi tutt'intorno a lui. Il mondo ritornò a essere un caleidoscopio di suoni e colori. Colse un lampo verde smeraldo e udì lo strido di uno strano uccello. Poi la Terra si riassestò. Ebbe la sensazione che le viscere gli fossero piombate in fondo ai piedi, ma le ginocchia sostennero il suo peso, anche se in realtà non era caduto da nessuna parte. O forse sì. Si trovava rannicchiato accanto a Kady, in mezzo all'erba alta. Le due metà della James Rollins – L’Ombra del Re

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moneta d'oro caddero ai suoi piedi tintinnando all'unisono. Lui si affrettò a raccoglierle. L'altra mano stava ancora stringendo quella della sorella. Una cosa che non faceva da quando aveva sei anni. Intorno a lui, il mondo era tornato a esistere... ma non era più lo stesso di un minuto prima.

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PARTE SECONDA ₪ Capitolo 5 NELLA TERRA PERDUTA

Jake si tirò in piedi accanto a Kady inspirando profondamente. E gli bastò quell'unico respiro per rendersi conto che c'era qualcosa che non andava. Qualcosa di spaventosamente grave. L'aria era troppo densa, troppo umida per essere quella di Londra. E odorava di fango e di vegetali in putrefazione. Si ficcò in tasca le due metà della moneta d'oro e cominciò a guardarsi in giro. Tutt'intorno a lui si estendeva un rigoglioso proliferare di felci grandi come ombrelloni. Alberi imponenti s'innalzavano da enormi grovigli di radici, simili alle ginocchia nodose di uomini giganteschi. E in alto, i rami intrecciavano un fitto baldacchino color smeraldo. Jake scosse la testa, nel tentativo di scacciar via quella visione illusoria. Che non se ne andò. Forse lui e Kady erano stati colpiti e avevano perso i sensi? Li avevano avvelenati con un qualche gas? O magari li avevano rapiti e trascinati in quella specie di strana giungla? Intorno a loro gli insetti intonavano un coro di ronzii. « Che cos'hai fatto? » chiese Kady. Lui le scoccò un'occhiata di fuoco. « Che cosa ho fatto io? Di che diavolo stai parlando? Io non ho... » Del tutto sorda a quanto stava dicendo, lei lo interruppe bruscamente. « Che cosa è successo? Dove siamo? » Dalla paura che si riusciva a percepire nella sua voce, Jake capì che la sorella si stava sforzando tanto quanto lui per capirci qualcosa. Cercò di spingere lo sguardo verso l'alto. La luce filtrava dalle fessure che qua e là si aprivano nella fitta copertura di fogliame. Uno spiraglio più ampio degli altri permise di vedere il sole, al cui fianco c'era ancora la luna, come se fosse la sua ombra oscura. Non appena Jake vi fissò sopra lo sguardo, la luna scivolò via. Stava terminando un'eclissi. Ma era la stessa che aveva avuto inizio a Londra? Doveva esserlo. Non ne era prevista un'altra per i sette anni seguenti. Ma, se si trattava della stessa eclissi, allora non era passato neanche un minuto. Era mai possibile? Mentre stava osservando il cielo, qualcosa entrò attraverso l'apertura nel tetto di foglie. Qualcosa fornito di ampie ali piumate, ma che svanì prima di poterlo osservare bene. Nonostante la calura, Jake ebbe l'impressione che il sangue gli si stesse ghiacciando nelle vene. Sentì qualcosa strisciargli sulla guancia. Un coleottero era atterrato sulla fronda di una felce di fronte a lui. Era grosso quanto la sua mano aperta, e sul davanti era fornito di un paio di minacciosi uncini a tenaglia, che fece schioccare contro di lui; poi, con un veloce frullo d'ali, distese la corazza di un verde iridescente e spiccò il volo. James Rollins – L’Ombra del Re

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Esterrefatto, Jake si chinò e indietreggiò di un passo, traballando. Il piede gli affondò nella melma di un fiumiciattolo che scorreva attraverso la radura. Abbassò lo sguardo in tempo per vedere un animale sgattaiolare via dalla punta delle sue scarpe. Era piatto come un granchio, ma il suo corpo ovale era suddiviso in solchi, che formavano come delle sezioni di corazza. Non può essere... Jake s'inginocchiò sulla sponda del torrente, si scrollò via lo zaino, aprì una delle tasche e cominciò a frugare in cerca di un oggetto che vi aveva nascosto dentro. « Che stai facendo? » gli chiese Kady, sempre più brusca. Jake tirò fuori il fossile di trilobite che aveva trovato nella cava rocciosa dietro casa. Lo tenne sospeso sopra la creatura nel torrente. Combaciavano perfettamente... solo che quella nell'acqua non era di pietra. La creatura zampettò via e sparì sotto una roccia. Jake si alzò. « È... è... » Doveva spingere le parole a viva forza fuori della bocca, per vincere la propria incredulità. « È un trilobite vivo! » Kady non era per niente impressionata. Accolse quel responso con un gesto sprezzante della mano, come se emanasse un cattivo odore. « Che cosa sta succedendo? » domandò ancora, questa volta con più energia nella voce. E ci aggiunse una pestata in terra col piede. Voleva una risposta. E la voleva subito. E ne ebbe una. Un fragoroso barrito. Jake e Kady si lanciarono l'uno contro l'altra, atterriti. Un secondo verso giunse a scuotere le foglie tutt'intorno, spruzzandoli di gocce di rugiada. Alla loro sinistra, alberi e arboscelli cominciarono a spezzarsi e a cadere. La terra tremava. Qualcosa di enorme si stava muovendo a grandi passi verso di loro. Jake strinse spasmodicamente la mano di Kady. Prima che potessero fare un altro respiro, dal sottobosco sbucarono un ragazzo e una ragazza. I due stavano correndo dritti incontro a Jake e Kady. La ragazza, coi capelli scuri che le svolazzavano sulle spalle simili ad ali di corvo, trascinava il ragazzo, più alto di lei, che armeggiava faticosamente con una lunga lancia che continuava a impigliarsi in rami e cespugli. « Oh, ma buttala via! » gli strillò lei. « La lancia di mio padre? Preferisco morire, piuttosto! » « È più probabile che sia tuo padre a ucciderti, se scopre che l'hai presa! » Un mugghio ancora più potente riecheggiò nella giungla. La terra tremò. I due ripresero a correre ancora più veloci. Solo quando si trovarono a un paio di metri di distanza, la ragazza si accorse finalmente della presenza di Jake e Kady. Dapprima cercò di evitarli, sorpresa, poi si lanciò verso di loro, veloce come un cervo. Indossava una larga camicia ricamata e una gonna lunga stretta in vita, con uno spacco che le arrivava a metà coscia. Gli occhi erano di un verde smeraldo che ben si accordava con la collana di giada che portava al collo. « Correte! » gridò loro. II ragazzo lanciò un'occhiataccia a Jake, squadrandolo da capo a piedi mentre gli passava accanto. Dinoccolato e longilineo, era vestito con una toga bianca, piena di macchie d'erba, accompagnata da una cintura di pelle e da un paio di sandali legati al polpaccio con delle stringhe. Un altro pezzo di pelle intrecciata a cordoncino gli teneva legata all'indietro la massa ricciuta di capelli castani, sporchi di fango. James Rollins – L’Ombra del Re

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Mentre correva, teneva la lancia alta sulla testa. Congelato sul posto, Jake fissava con gli occhi sbarrati la strana coppia. Kady gli diede uno strattone. « Fa' quello che dice! Corri! » Jake non perse tempo a discutere e lui e la sorella scapparono con gli altri due ragazzi. Dietro di loro si udì uno schiocco dirompente, come il frastuono di un terremoto, accompagnato da uno strido rabbioso. Jake lanciò un'occhiata dietro le spalle: un grosso ramo di un albero gigantesco si era spezzato ed era crollato al suolo. Una testa di proporzioni colossali si sporse in avanti, aprendosi un varco nella copertura di foglie. Era grossa come un frigorifero. Dalla pelle ricoperta di squame si levava una sorta di vapore, mentre gli occhi neri da squalo scrutavano in ogni direzione e dal muso, insieme coi ruggiti, uscivano lunghi schizzi di bava. I denti affilatissimi, come file di pugnali giallastri, digrignavano l'uno contro l'altro strappando via i rami più piccoli. Jake riconobbe quella bestia. Si trattava di un carnivoro, che era in cima alla catena alimentare. Milioni di anni fa. Impossibile... « Un tirannosauro! » gridò Jake, boccheggiando. Guardando dietro di sé, inciampò in una radice e finì a terra su un ginocchio. Kady gli urlò di tirarsi in piedi. Dietro di loro, la creatura scosse il grosso testone, e si fece strada in mezzo a due alberi giganteschi con la stessa forza di un bulldozer. Altri rami vennero divelti. Jake era quasi riuscito a liberarsi. « Presto! » gridò la strana ragazza. Come riusciva a capire quello che gli diceva? Che fosse tutto un sogno? Davanti a loro, la radura lasciava il posto a un picco rivestito dalla giungla, che bloccava il passaggio. Non sarebbero mai stati in grado di arrampicarsi abbastanza velocemente da sfuggire al tirannosauro. La ragazza sembrò leggere nei loro pensieri. « Non ce la faremo mai! Ci dobbiamo nascondere! Da questa parte! » Cambiò improvvisamente direzione, puntando a sinistra, dove, ai piedi di una roccia, c'era un rifugio formato da enormi massi che erano crollati dalla montagna. Gli altri la seguirono. Dietro di loro, sempre più vicino, si udì un altro grido, seguito da un rumore di rami spezzati. Jake arrischiò ancora un'occhiata... ma forse sarebbe stato meglio se non l'avesse fatto. Il tirannosauro si era fermato nel mezzo della radura. Fremeva in ogni singolo muscolo del corpo. La sua grossa coda si abbatteva come un'ascia sugli arbusti, decapitando le felci giganti. La bestia beccheggiava con la testa da una parte e dall'altra, come un uccello in cerca della preda. Nonostante il terrore, Jake si ricordò di un articolo che aveva letto, nel quale si spiegava che gli uccelli sono gli odierni discendenti dei dinosauri. Il tirannosauro, però, era qualcosa di ben diverso da una gallinella chiocciante. Il bestione era alto più di cinque metri. E quegli occhiacci neri riuscirono a scovare Jake. La belva si bloccò, con la testa ancora piegata da un lato, lo sguardo fisso sulla sua preda in fuga. « Più veloce! » strillò Jake. James Rollins – L’Ombra del Re

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Il tirannosauro si lanciò al loro inseguimento. Avanzava a grandi balzi, sette tonnellate di muscoli che facevano scuotere la terra, guadagnando sempre più velocità. La prima a raggiungere il mucchio di massi fu la ragazza. Si mise a cercare un'apertura, un passaggio attraverso il quale potersi intrufolare all'interno e mettersi in salvo. Jake e Kady arrivarono subito dopo, insieme con l'altro ragazzo. « Quaggiù! » La ragazza si mise in ginocchio, e avanzò carponi attraverso una fessura che si apriva tra due massi. « Dopo il passaggio si allarga! » urlò ancora, sollevata. Jake diede una gomitata a Kady. « Su, coraggio. » Fece entrare per prima la sorella, ma lui si tenne appiccicato ai suoi talloni. Per ultimo, li seguì il ragazzo vestito con la toga che procedette camminando all'indietro e mantenendo la sua lancia sempre puntata verso l'apertura. Jake scoprì che la ragazza aveva ragione. Dietro il masso si apriva una piccola caverna formata da lastre di roccia spezzata. Anche se era un buco strettissimo, riusciva a contenerli tutti e quattro. Proprio nel momento in cui Jake stava per mettersi seduto, il loro riparo di fortuna venne scosso da un tremito. Il tirannosauro aveva colpito il mucchio di roccia. Dall'alto scese uno spolverio di sabbia, accompagnato da una manciata di schegge. Jake alzò lo sguardo. Nella mente si figurò l'ammasso di pietre che avevano sulla testa e si rannicchiò. Su di loro si riversò una zaffata di fiato. Puzzava di uova marce. Il tirannosauro stava annusando, in cerca della sua preda. Jake si chinò per sbirciare fuori del tunnel. « Sta' indietro », l'ammonì Kady. Tutto quello che Jake riuscì a vedere fu un paio di zampe grosse come tronchi. I mastodontici artigli si contraevano, affondando nel terreno. Una zampa scalciò all'indietro, spazzando via un grosso grumo di fango e sassi, e lasciando un buco profondo nel sottobosco. Jake era steso spalla contro spalla accanto all'altro ragazzo. Il suo compagno di disavventura continuava a mantenere la presa sulla lancia, ma l'arma non era abbastanza lunga per raggiungere la fine del tunnel. Il loro sguardo s'incontrò. Si studiarono a vicenda. Sembravano avere più o meno la stessa età. « Io mi chiamo Jake », si presentò, senza sapere se l'altro sarebbe stato in grado di capirlo. Non sapeva che altro dire. Che cosa prescrive il galateo, quando ci si trova nascosti in un buco insieme con un estraneo, mentre fuori c'è un tirannosauro intenzionato a sbranarvi? « Io sono Pindoro. Pindoro Tiberio, secondogenito di Marcello Tiberio il Vecchio. » Jake distinse una sfumatura di vergogna nella sua voce. Pindoro indicò dietro di sé. « E lei è Mari. » « Marika », lo corresse la ragazza. « Chi se ne frega di come vi chiamate! Che diavolo sta succedendo, qui? » esplose Kady. La rabbia e l'esasperazione la fecero muovere troppo velocemente, al punto che andò a sbattere con la testa contro il soffitto roccioso della caverna. « Ahi! » Prima che qualcuno potesse risponderle, il tirannosauro ricominciò a tirare calci e unghiate. Strappò via altre zolle aprendo nuove voragini, come una gallina che raspa in terra in cerca di vermi, solo che in quel caso i vermi erano loro quattro. Poi sferrò un gran colpo all'ingresso del tunnel. Se il bestione non avesse smesso, avrebbe finito per far crollare l'intera grotta sulla James Rollins – L’Ombra del Re

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loro testa. Jake si lanciò un'occhiata intorno. Non c'erano altre uscite. Erano in trappola. Scrutò ancora fuori. Perché il tirannosauro era così determinato? Dovevano ben esserci delle prede più accessibili di loro. La spiegazione venne da Marika. « Non avresti dovuto cercare di rubarle l'uovo! » Pindoro si voltò verso di lei. « Ce l'avrei fatta, se tu non avessi pestato quella conchiglia rotta, facendo tutto quel baccano. » Jake sospirò. Quindi il tirannosauro era una femmina, una madre che stava proteggendo il suo nido. Non c'è di che stupirsi, allora... All'improvviso la bestia riprese a colpire la superficie della roccia, facendo tremare il rifugio. Da qualche parte, sopra di loro, crollò un masso. Tutti quanti trattennero il respiro... ma la caverna resistette all'urto. Per quanto tempo ancora, però? Da dietro, Kady punzecchiò Pindoro dietro la gamba. « Tu hai una lancia. Va' là fuori e caccialo via. » Il viso del ragazzo sbiancò. Si tirò da parte e borbottò: « Non servirebbe a niente ». « Ha ragione. Una lancia non è sufficiente. Non contro una creatura del genere », intervenne Marika. E ciononostante Jake notò come le dita di Pindoro si stringessero intorno all'arma... forse per fermare il tremito delle mani. « Non ci resta che sperare che se ne vada via da sola », disse ancora Marika, non troppo convinta. Kady si voltò, come se dando la schiena al problema questo si sarebbe dissolto. Era quello il modo in cui lei affrontava qualsiasi cosa andasse oltre la sua capacità di controllo. Negandone l'esistenza. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Jake ripensò alle parole terribili che gli aveva rivolto al museo. Su suo padre e sua madre. A quanto pareva, per lei la cosa più facile era chiudere il dolore in una bottiglia e metterlo via, negarlo, voltare le spalle a tutto quanto. Lui si rifiutava di comportarsi così. Che cosa avrebbero fatto i suoi genitori in questa situazione? Per un lungo momento lottò con se stesso in cerca di una risposta, per giungere infine a un'unica conclusione certa. Non ne aveva la benché minima idea. Il tirannosauro colpì ancora una volta la roccia con una spallata. Fuori, un altro masso crollò con grande fragore, rimbalzando al suolo. Sorpreso, il dinosauro grugnì, poi tornò a rivolgere l'attenzione alla sua preda sepolta. E ricominciò a scavare con gli unghioni. Jake si allontanò dall'apertura e andò a sbattere contro Kady, che lo tirò vicino a sé. « Tutto questo dev'essere un sogno, vero? » Si era domandato la stessa cosa anche lui. Ma, dalla paura che leggeva negli occhi di sua sorella, era chiaro che lei era la prima a non crederci. E non ci credeva nemmeno Jake. Era tutto vero. « Che cosa facciamo? » gli domandò ancora. Con gli occhi che si erano ormai abituati all'oscurità, Jake distinse un movimento vicino alla spalla di Kady. Dalla tasca della giacca stavano penzolando le cuffiette del suo iPod. Rimase lì per un secondo, mezzo ipnotizzato, a osservare gli auricolari che ondeggiavano davanti ai suoi occhi. Ed ecco che, nel panico, cominciò a farsi strada un'iJames Rollins – L’Ombra del Re

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dea. Qualcosa... Non aveva letto che... Le tonalità molto alte... « Watson! » gridò all'improvviso. Kady balzò via per lo spavento e ancora una volta sbatté la testa contro il soffitto. « Ahi! Jake, idiota che non sei altro... » Lui si girò verso il suo nuovo zaino in goretex e cominciò ad armeggiare per aprirlo. Vi rovistò all'interno. Quand'era ancora all'hotel, non aveva fatto altro che buttarci dentro alla rinfusa tutta la roba contenuta in quello vecchio. Avrebbe dovuto impiegare qualche minuto in più per organizzare meglio il tutto. Il tirannosauro continuava a ruggire. Finalmente, avanzando alla cieca, le dita di Jake trovarono quello che stava cercando. Lo tirò fuori e corse all'ingresso. « Che cos'hai in mente? Hai un'arma? » gli chiese Pindoro. Jake sollevò il fischietto per cani. « Spero di sì. » Il mondo fuori della grotta era occupato completamente dal tirannosauro. Un artiglio si sollevò per colpire nuovamente il mucchio di massi. Jake trasse un respiro profondo e si portò il fischietto alle labbra. Con tutta la forza che riuscì a raccogliere, soffiò più forte che poté. Non uscì nessun suono, ma lui conosceva bene l'effetto che quel fischio aveva sul suo segugio, a casa. Watson riusciva a udirlo da più di un chilometro di distanza. Non appena ebbe soffiato, il tirannosauro abbassò l'artiglio rampante e indietreggiò di un passo, poi di un altro, e infine scosse la testa, evidentemente infastidito. Esaurito tutto il fiato, Jake fu costretto a fermarsi per incamerare nuova aria. Il tirannosauro abbassò il muso e lanciò un mugghio. I capelli di Jake si sollevarono dalla fronte per lo spostamento d'aria. Il fiato del tirannosauro puzzava peggio di un armadietto da palestra. « Ma che cosa fai? Così lo fai arrabbiare ancora di più! » esclamò Kady, cercando di tirare indietro il fratello. Jake si liberò di lei con uno strattone. « È proprio questo il punto! » Voltandosi verso l'imbocco della grotta, soffiò ancora nel fischietto. II tirannosauro scrollò la testa e cominciò a barcollare sulle zampe. « Che succede? » chiese Kady. Jake spiegò: « Il cranio del tirannosauro, almeno da quanto si vede dai fossili, aveva delle cavità timpaniche gigantesche ». Kady gli diede un'occhiataccia. « Ehi, Einstein, parla come noi comuni mortali, se non ti spiace. » « Avevano le orecchie grosse! E perciò al loro udito i toni acuti risultano amplificati. Un fischietto per cani dev'essere una vera tortura, per loro », sbottò Jake, esasperato. Poi soffiò ancora con tutta la forza che riuscì a mettere insieme. Gli sembrava che la testa stesse per esplodergli. Finalmente, facendo una lenta svirgolata con la grossa coda, il gigantesco carnivoro si voltò. Lanciandosi un ultimo ruggito dietro le spalle, si allontanò a passi pesanti, per poi sparire, nuovamente inghiottito dalla giungla. I quattro aspettarono ancora un po', per sicurezza. Alla fine, Marika disse: « Credo che ormai starà tornando nella sua tana ». In caso la ragazza si stesse sbagliando, Jake continuò a tenere il fischietto stretto James Rollins – L’Ombra del Re

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in mano. « Sarà sicuro uscire di qui? » chiese Kady, rivolgendosi a Marika. La ragazza si strinse nelle spalle, mentre il suo sguardo non si staccava dalla mano di Jake. « Un flauto silenzioso che riesce a spaventare e a scacciar via le lucertole tonanti. Voi possedete magie assai potenti. » Ora che il pericolo immediato si era esaurito, la mente di Jake venne di nuovo invasa dalle domande, che si presentarono tutte insieme alla rinfusa. Che posto era mai quello? E com'era possibile che gli esseri umani e i dinosauri ci vivessero insieme? E come avevano fatto ad arrivare sin lì lui e Kady? Prima che fosse riuscito a concentrarsi su un'unica domanda, in modo da poterla formulare ad alta voce, Marika disse: « Adesso dovremmo andarcene. Il rumore potrebbe aver attirato altre creature ». Pindoro si spinse in avanti con la sua lancia. « Lasciate andare avanti me per primo, nel caso in cui ci siano in giro altre belve », propose con aria abbattuta. Ma gli occhi lo tradirono. Era come se non volesse incrociare lo sguardo di Jake. Dopo la dimostrazione cui aveva appena assistito, era evidente che Pindoro volesse mantenere le distanze dagli stranieri. L'espressione preoccupata del suo viso indicava tutta la sua diffidenza. Ma Marika non era altrettanto sospettosa. Dopo che furono usciti dalla grotta, lo sguardo della ragazza rimase inchiodato su Jake per un istante. La luce del sole che le risplendeva negli occhi color smeraldo rivelava un misto di curiosità e divertimento. Lei indicò il picco che si ergeva lì vicino. « C'è un sentiero che sale da quella parte. Dobbiamo arrivare al di là del Portale Spezzato. Là saremo al sicuro. » Al sicuro? Jake lanciò un'occhiata alla giungla scura che aveva riattaccato col suo coro di stridi e ronzii. Proprio come aveva sospettato, in quel nuovo mondo non ci si poteva dire veramente al sicuro da nessuna parte. L'urlo di un sauro uscì riecheggiando dal cuore della giungla. Ricordandosi all'improvviso dell'oscurità attraverso la quale erano giunti sin lì, Jake si sentì percorrere da un brivido. E ripensò anche alle parole gracchianti che erano emerse dal buio che si stendeva fra il loro mondo e quello. Vieni da me...

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Capitolo 6 ₪

IL PORTALE SPEZZATO

Jake stava salendo lungo lo stretto sentiero che, attraverso una serie di ripidi tornanti, conduceva in cima al picco. Marika faceva strada. In fondo, Pindoro guardava loro le spalle, esortandoli a muoversi in silenzio per non attirare altri mostri. Procedevano rapidamente. Il ritmo di marcia aveva lasciato poco spazio per le domande. Ma, nonostante tutto, Jake era riuscito a dare un'occhiata un po' più attenta alla collana di giada di Marika. Vi era intagliato un simbolo. Non era possibile sbagliarsi. Si trattava sicuramente del glifo maya baiarti, che significava « giaguaro ». In realtà, il simbolo aveva anche l'aspetto del felino della giungla. Marika indossava una blusa ricamata in stile maya, simile a quella che la madre di Jake aveva portato da un viaggio in America Centrale. E la pelle della ragazza aveva la stessa sfumatura del tè che la mamma prendeva ogni mattina, mescolato con una generosa porzione di panna. Era davvero possibile che fosse una maya? E Pindoro? Jake era riuscito a guardare un po' meglio il taglio dei sandali e la lavorazione del bronzo con cui era stata realizzata la punta della lancia. Quegli oggetti erano di foggia romana, databili intorno al II secolo a.C. I capelli, poi, legati in una lunga coda sulla schiena, sulla fronte erano pettinati a frangetta, come quella di Cesare. Maya, romani e tirannosauri. Che cosa stava succedendo? Dopo altre due svolte, apparve la vetta. Uno stretto sentiero s'insinuava attraverso due enormi torri di guardia costruite in pietra scura, ciascuna dell'altezza di un palazzo di dieci piani. Un tempo le due torri erano state unite da un arco, che adesso era crollato, lasciando solo due mozziconi sospesi nel vuoto, che avevano l'aria di essere abbandonati da molto tempo. « Il Portale Spezzato », disse Marika. Mentre continuavano a salire, Jake notò i mattoni con cui era costruita la struttura: erano tutti bucherellati e di un colore sanguigno, scurissimo. Pietra vulcanica. Davanti a lui, Marika si fermò, in modo così repentino che Jake andò a sbatterle addosso. Dal cielo si era levato uno strido sinistro, simile al verso di un coniglio strozzato, che aveva interrotto il continuo, monotono ronzio prodotto dagli insetti. Marika si girò, con gli occhi spalancati in un'espressione di puro terrore, ancora più forte di quello che aveva mostrato davanti al tirannosauro. Anche Jake si voltò, e Pindoro e Kady si fermarono. Una grande creatura si era librata nel cielo sostenendosi sulle ali carnose. A una prima occhiata, Jake aveva pensato che potesse trattarsi di uno pterodattilo, ma, quando l'essere emise un verso, si accorse dello sbaglio. Le ali appartenevano a una creatura scarna, che pareva costituita della sola pelle tesa sulla struttura delle ossa. Quando volò sopra di loro, Jake riuscì a distinguere le zampe anteriori e le posteriori, insieme con una James Rollins – L’Ombra del Re

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testa completamente pelata, di forma tonda, percorsa da una cresta coriacea. Il ragazzo percepì l'innaturalezza di quella creatura e tutto il suo corpo fu percorso da un brivido. Eppure, allo stesso tempo, quel mostro gli ricordava qualcosa... qualcosa che aveva già visto. « Un grakyl! » La voce di Marika vibrava di un terrore incredulo. La ragazza distolse a forza lo sguardo dal cielo per portarlo su Jake. Per la prima volta, lui scorse i segni inequivocabili del sospetto sul viso di lei. Ma un momento dopo erano già spariti, trasformandosi in una più marcata espressione di angoscia. « Cercate di raggiungere il portale! È la nostra unica possibilità! » Marika riprese a correre, nello stesso momento in cui il cielo veniva squarciato da un altro strido. Jake la seguì, rimanendo sempre all'erta. La creatura stava girando in tondo sopra di loro. Lui riusciva a sentirne lo sguardo di ghiaccio che li puntava. Con un altro strillo, il mostro ripiegò le ali e si tuffò in picchiata. Erano stati individuati. Marika prese a correre ancora più veloce lungo il sentiero roccioso che portava al valico. Le torri di pietra erano là che li aspettavano. Jake le tenne dietro, tallonato da Pindoro e Kady. A mano a mano che si avvicinavano al Portale Spezzato, sulla pelle di Jake cominciò a diffondersi una sorta di pizzicore, come se ci stessero ballando sopra migliaia di ragni. A ogni nuovo passo, la sensazione si faceva sempre più intensa. Il prurito cominciò a trasformarsi in bruciore. Confuso, il ragazzo inciampò su una pietra isolata. « Mari! » urlò Pindoro. La ragazza lanciò un'occhiata dietro di sé e vide che Jake era caduto. Tornò da lui e lo afferrò per un polso. A quel semplice tocco, la sensazione di bruciore si estinse all'istante, anche se lui continuava ad avvertire una strana elettricità, come una forte pressione atmosferica. Si lasciò trascinare fino al Portale Spezzato, finché non vennero a trovarsi entro la zona d'ombra delle torri. Marika gli fece fare qualche altro passo, e la pressione sparì all'improvviso, come d'incanto. Il ragazzo si voltò e vide che Pindoro aveva afferrato Kady ed entrambi stavano attraversando il valico di volata. Con un altissimo strido, la creatura calò in picchiata, lanciandosi sotto il Portale Spezzato. Jake si abbassò per schivarlo, ma il mostro si fermò di botto e prese a dibattersi a mezz'aria, immobilizzato sul passaggio come un insetto tenuto fermo con uno spillo su una tavoletta. Era come se una sorta di campo magnetico gli impedisse di andare oltre. Jake cadde all'indietro, e da lì riuscì a osservare bene la creatura. Le membra prese da quel dimenio terminavano con degli artigli. Appuntite protuberanze guarnivano gomiti e ginocchia. Ma peggio di ogni altra cosa era il muso... non perché fosse mostruoso, con quel naso suino e le fauci zannute, ma perché era troppo umano. Lo sguardo della bestia si concentrò su di lui, come se l'avesse riconosciuto. Poi, con un ultimo urlo stridulo, il grakyl cominciò a reagire, tempestando di colpi la forza che lo teneva in trappola, e si dimenò finché non riuscì ad allontanarsi dal Portale Spezzato, in un disperato battito d'ali. Solo una volta che fu ben lontano, sembrò riuscire finalmente a riprendere fiato e, con un volo tortuoso, si rituffò nella foresta. Accanto a lui, Marika tirò un lungo sospiro di sollievo. I suoi occhi continuarono a James Rollins – L’Ombra del Re

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seguire la creatura, come a voler essere certa che se ne stesse andando sul serio. Alla fine, distolse lo sguardo. « Un grakyl. » Nella voce della ragazza si percepiva ancora la paura, che però adesso era mescolata a un senso di euforia e a un pizzico di stupore. « Non ne avevo mai visto uno prima d'ora. Solo dei disegni... tratti da storie. » « Ma che diavolo era quella roba? » chiese Kady. In quel momento Marika sembrò accorgersi finalmente che stava ancora stringendo il polso di Jake, e ritrasse immediatamente la mano. Fu Pindoro a rispondere alla domanda di Kady. La sua voce si abbassò fino a diventare un bisbiglio, mentre gli occhi rimanevano fissi al cielo. « I grakyl sono le bestie maledette di re Kalverum, il re Teschio. Le sue schiave. Loro... » Marika l'interruppe bruscamente. « Dobbiamo andare. Il sole è già basso. » Jake si massaggiava il polso nel punto in cui Marika l'aveva tenuto stretto. Mentre si avvicinava all'altra estremità del Portale Spezzato, ripensò al prurito bruciante che aveva sentito. Aveva l'impressione che, se Marika non l'avesse tenuto stretto, per lui sarebbe finita allo stesso modo che per la creatura. Non sarebbe riuscito a passare. Che si trattasse di una qualche specie di muro invisibile? Una forma di difesa, per impedire a chiunque di oltrepassare il crinale? Jake osservò con attenzione le torri. I mattoni avevano tutta l'aria di essere di origine vulcanica, ma non c'era traccia di malta che li tenesse insieme. Al contrario, sembravano incastrati gli uni negli altri, e formavano un disegno complesso, come un rompicapo fatto di pietra. Jake notò anche delle scritte sbiadite che si sviluppavano in fasce lungo la torre di sinistra. Non assomigliava a nessuna delle iscrizioni che aveva visto. Prima che potesse analizzarla più a fondo, Marika s'incamminò decisa lungo il sentiero che si allontanava dal varco. A Jake non rimase altra scelta che seguirla. Dietro le torri si apriva un'immensa valle, circondata da dirupi scoscesi che si susseguivano senza soluzione di continuità. Aveva l'aspetto di un cratere generato dalla caduta di un meteorite, ma Jake notò che i bordi erano punteggiati di sfiatatoi che emettevano vapori di gas sulfurei. No, non era il cratere di un meteorite. La valle era il cono di un enorme vulcano. E non era vuota. « Che posto è, quello laggiù? » domandò finalmente Kady. Jake si stava ponendo la stessa domanda, mentre cercava di dare un senso a ciò che vedeva. Sotto di loro, una vasta porzione della vallata era stata diboscata, e appariva come un fitto intreccio di campi arati e frutteti di mele che circondava la caotica estensione di una città fatta di edifici di pietra e casette di legno. A vederla da lontano, sembrava che la città si fosse sviluppata in modo selvaggio. Da una parte, sorgeva quello che sembrava essere un castello medievale. Ma, al di là di esso, edificate lungo la linea del crinale opposto, si scorgevano file di dimore rupestri, simili a quelle che Jake aveva visto nei deserti del Nuovo Messico. E non era un obelisco egizio, quello che si ergeva da una delle piazze della città? Sembrava proprio quello di Washington in miniatura, con la differenza che questo era sormontato da uno scarabeo, l'antico simbolo che gli egizi utilizzavano per indicare il sole nascente. Non aveva senso. James Rollins – L’Ombra del Re

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« Calipso. La nostra patria », disse Marika, piena di orgoglio, prima di cominciare a scendere lungo il pendio che andava facendosi più dolce, fino a digradare in una stretta straducola ricoperta di ghiaia. « Aspetta », fece Jake, mentre dentro di sé lottava per trovare le parole in grado di esprimere l'entità della confusione che aveva in testa. « Come...? dove...? » Pindoro si avviò dietro Marika. « Troverete le vostre risposte a Calipso. » Le sue parole suonarono quasi come una minaccia. « Aspettate », insistette Jake; aveva bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa. « Tu sei un romano, non è così? » Il ragazzo si diede una sistemata alla toga. « Naturalmente. Stai forse mettendo in dubbio il mio lignaggio? » « No, no... » Preso da una sorta di euforia, Jake si girò verso la ragazza. « E, Marika, tu sei una maya, vero? » Lei annuì. « Da quindici generazioni, risalendo fino al primo della mia tribù che è giunto qui. Pindoro invece è la sedicesima generazione della sua famiglia. Ma le altre Tribù Perdute sono qui da ancora più tempo. Molto più tempo. » E riprese a scendere. Jake la seguì con lo sguardo, gli occhi sbarrati. Tribù Perdute? Si voltò verso Calipso, studiandola con più attenzione. Quella struttura col tetto ricoperto di paglia, non poteva forse essere una tipica abitazione vichinga? E quel gruppetto di case costruite su palafitte? Sembravano africane. Ma non ne era sicuro. In ogni caso, sembrava che tutta quanta la storia dell'umanità si fosse riunita laggiù, antichi popoli di tutte le età e di ogni terra. Ma come... e perché? Jake smaniava di poter dare un'occhiata più da vicino. Al contrario di sua sorella. Kady era rimasta di nuovo indietro. Nei suoi occhi si potevano leggere sospetto e preoccupazione. Si guardò indietro, verso le torri di pietra. « Forse non dovremmo addentrarci troppo. Se vogliamo uscire da questa specie di patetico Jurassic Park, forse dovremmo rimanere vicini al punto da cui siamo arrivati. » Jake quasi non sentì le sue parole. Un'altra struttura aveva attirato il suo sguardo. Si trovava alla destra di quella bizzarra città ed era circondata interamente dalla foresta. In effetti, per la maggior parte era nascosta dalla giungla, motivo per cui non era riuscito a scorgerla subito. « Dobbiamo riuscire a trovare un modo per tornare a casa », insistette Kady. Jake indicò la struttura mezza nascosta. « Che ne dici di cominciare a cercare da laggiù? » Kady si girò in quella direzione. Dalla giungla spuntavano soltanto i due ordini superiori della piramide, abbastanza perché lei riuscisse a vedere l'enorme scultura che si trovava sulla cima. Era un drago di pietra, incendiato dai raggi obliqui del sole. E se ne stava rannicchiato lassù, col collo teso, le ali spiegate al massimo della loro ampiezza, come pronto a spiccare il volo. La sua figura combaciava perfettamente con quella che si trovava in cima alla piramide d'oro esposta al museo, la stessa che avevano descritto i suoi genitori nei loro appunti. La mano di Jake si posò sui due quaderni che conservava nella tasca interna della giacca color cachi. Non c'era possibilità di errore, quanto alla struttura che vedeva laggiù. Era la stessa piramide. Solo a grandezza naturale. Lo stupore teneva Jake inchiodato nel punto in cui si trovava. James Rollins – L’Ombra del Re

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« Venite o no? » li richiamò Marika, nervosa. Jake lanciò un'occhiata a Kady. Aveva bisogno che pure lei capisse. Le dita si strinsero sopra i libri nascosti. Se era stata la piccola piramide esposta al museo a trasportarli in qualche modo fin lì, di certo quella nella vallata poteva celare la chiave che avrebbe potuto ricondurli a casa. Ma soprattutto Jake vedeva suo padre e sua madre che lavoravano dentro la tomba in Messico, nel momento in cui avevano scoperto la piramide d'oro più piccola. Avevano avuto sentore della verità? Ed era forse per mantenerne il segreto che erano morti? Più che un modo per tornare a casa, forse la piramide avrebbe potuto fornire una risposta a quello che era diventato il più grande mistero nella vita di Jake... nella vita di entrambi i fratelli Ransom. Che cosa era effettivamente accaduto ai loro genitori? Nuovi rumori sopravvennero a distoglierlo dai suoi pensieri. Un cigolio di ruote e un tintinnio sferragliante, accompagnati dallo scalpiccio di un grosso animale. Pindoro sì affrettò per sbirciare dietro la curva della strada. L'accozzaglia di rumori si faceva sempre più forte. Jake riuscì a distinguere anche il borbottio di alcune voci. Più in basso, Pindoro sollevò la lancia in segno di saluto, quindi si scansò per lasciare libero il passaggio. Comparvero due creature al galoppo, che trainavano un carro a due ruote al quale erano legate con delle cinghie di cuoio. Jake deglutì, incredulo. Gli animali grigio verdastri erano della stessa misura di cavalli da traino... ma non erano cavalli. Sembravano pesare almeno mezza tonnellata ciascuno. Mentre si trascinavano pesantemente sulle quattro zampe, Jake li riconobbe. « Sono europasaurui. Dinosauri nani. » Sul carro erano stipati tre uomini: uno teneva le redini e gli altri due erano armati di lancia e spada. Uno di loro saltò a terra e andò incontro ai ragazzi. Era vestito alla stessa maniera di Pindoro, ma indossava anche un'armatura in bronzo e un elmo. Marika incrociò le braccia e, in tono acido, disse: « Eronide, il fratello maggiore di Pindoro ». « Nostro padre è furioso, Pin! Che cosa stai facendo quassù al Portale Spezzato? » chiese il nuovo arrivato a voce alta. « Noi stavamo, volevo mostrare... » Eronide puntò il dito. « Per Giove, quella è la lancia di papà? » Pindoro si fece scivolare l'arma dietro la schiena. Lanciò un'occhiata al sentiero e a Marika, in cerca di una qualche via di salvezza. Eronide s'irrigidì stupefatto quando si accorse della presenza di Jake e Kady. Portò la mano sulla spada che aveva con sé. Fece cenno all'altro soldato romano di scendere dal carro. « Degli intrusi... » Il secondo soldato estrasse l'arma. Eronide si schiarì la gola per raggiungere un'adeguata tonalità baritonale di comando, poi chiese con fare arrogante: « Chi siete? » Pindoro si fece avanti deciso e piantò la lancia a terra. « Penso che... » La voce gli s'incrinò. Lanciò un'occhiata a Jake, poi abbassò lo sguardo a terra. Infine disse, in tono sicuro, per tenere testa al fratello: « Sono spie. Spie inviate dal re Kalverum, il re Teschio ».

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Capitolo 7 ₪

CALIPSO

Col giorno che andava facendosi sempre più caldo, la strada che congiungeva alla vallata si dimostrò più lunga di quanto non fosse sembrata dal Portale Spezzato. E fu resa ancora più lunga dai momenti di silenzio e dalle occhiate sospettose che lanciavano i due ragazzi più grandi che viaggiavano sul carro. Quasi percepissero anche loro il nervosismo, la coppia di dinosauri nani continuava a dare strattoni alle cinghie. Il soldato alla guida tirava spesso le redini, per tenere il passo con quelli che stavano andando a piedi. Vennero condotti in una rapida marcia attraverso le terre coltivate che si estendevano sul fondovalle. Jake camminava dietro il carro trascinando i piedi, con Kadv da un lato e Marika dall'altro; seguivano Pindoro e Eronide, l'uno armato di lancia, l'altro di spada. Nessuno voleva correre rischi, con delle spie in mezzo a loro. Guardando con la coda dell'occhio la spada e la lancia, Jake soppesò le possibili vie di fuga, ma dove sarebbero potuti andare lui e Kady? Di nuovo nella giungla selvaggia che li circondava? Da soli non sarebbero sopravvissuti a lungo. E poi... La sua attenzione ritornò su un punto lontano, là avanti. Marika doveva aver notato che il suo sguardo era fisso sulla piramide, perciò iniziò a spiegare: « Quello laggiù è il grande tempio di Kukulkàn, che protegge questa vallata e... » « Mari! Non parlare con le spie », sbraitò Eronide, interrompendola bruscamente. « Io parlo con chi mi pare! E poi loro non sono spie, sono stranieri », ripetè per la decima volta, quasi credesse che, se l'avesse detto abbastanza volte, sarebbe diventato vero. Eronide ridacchiò, beffardo. « Stranieri? E da un'eternità che in queste terre non arrivano degli stranieri e, se lo sono davvero, sono pronto a scommettere che sono state le oscure magie di re Kalverum a portarli qui. Per infiltrare delle spie in mezzo a noi. » Accanto a Jake, Kady sbuffò e squadrò Eronide dall'alto in basso con aria di disprezzo. Uno sguardo che aveva avuto modo di perfezionare a scuola, e che era in grado da solo d'incenerire una matricola. Il ragazzo cercò d'ignorarla, ma Jake notò che intorno allo scollo della tunica era comparso un leggero rossore, e lui si era rigirato la spada in mano, nervoso, come per averne una presa più sicura. Un suono smorzato fece voltare Jake. Qualcosa si era mosso. Dalla distesa erbosa emerse la testa di un animale che si erse fino a raggiungere un'altezza di oltre cinque metri; poi s'inclinò leggermente verso il basso, come per spiare il piccolo gruppetto di viandanti. Jake guardò in alto esterrefatto, trattenendo il respiro. La pelle della creatura era di un vago colore purpureo, i grandi occhi lucidi si aprivano sopra una bocca tumida. Dal naso a forma di tromba soffiò una sorta di breve belato nella loro direzione, poi la bestia venne nuovamente inghiottita dall'erba, e ricominciò a brucare. James Rollins – L’Ombra del Re

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Kady afferrò Jake per il gomito. « Che cos'era quello? » Il ragazzo scosse la testa, troppo stupefatto per parlare. Sembrava una specie d'incrocio tra un ornitorinco e un dinosauro. « Noi lo chiamiamo soffia corno. Sono molto utili per tirare gli aratri », spiegò Marika. Sparito il dinosauro, Pindoro cominciò a massaggiarsi la pancia. « Non è che dovremmo fermarci a mangiare qualcosa? » Eronide guardò il fratello minore con aria severa. « Non ci fermeremo affatto. Non con dei prigionieri con noi. » Lanciò un'occhiata truce a Jake, quindi tornò a rivolgersi a Pindoro. « Sarai fortunato a ricevere un po' d'acqua e di pane secco, dopo che nostro padre avrà scoperto che sei arrivato fino al Portale Spezzato da solo e che hai preso la sua lancia. » « Della lancia non c'è bisogno che il papà sappia nulla, no? » fece Pindoro con voce implorante. Eronide si strinse nelle spalle, continuando a camminare lungo la strada. « Vedremo. » Qualche centinaia di metri più avanti si estendeva la città di Calipso, che dominava la valle dalla cima di una piccola collina. Ma, per quanto quel luogo potesse accendere la curiosità di Jake, la sua attenzione continuava a essere attratta da ciò che si trovava al di là dei suoi confini. Avvolto dalla distesa di foreste che correva lungo il tratto destro delle mura della città, con le ali spalancate, l'enorme drago di pietra pareva librarsi sulla cima degli alberi. E sembrava che tenesse lo sguardo fisso proprio su di lui. Jake scambiò con Kady un'occhiata gonfia di speranza. Anche da così vicino, il drago continuava a combaciare esattamente con l'esemplare esposto al British Museum. La piramide doveva senz'altro nascondere un qualche indizio che avrebbe permesso loro di tornare a casa. Marika doveva aver letto il desiderio sul volto di Jake, perciò scosse la testa, a mo' di avvertimento. « E proibito avvicinarsi a quel luogo. Soltanto ai tre Maestri dell'alchimia è permesso accedervi, e spingere il proprio sguardo fino al cuore di cristallo di Kukulkàn. » Jake aveva percepito un filo di rimpianto nella sua voce, il che non fece che stuzzicare ancora di più la sua curiosità. Il cuore di cristallo di Kukulkàn? Che roba sarà? Eronide espresse il proprio disappunto con un grugnito. « Basta, Marika. Te l'ho già detto. Non si parla alle spie. » « Ma non sono spie! » insistette ancora una volta la ragazza. Kady si schiarì la gola. Forte. E tutti gli occhi si voltarono all'istante verso di lei. Perfino i due dinosauri pigmei che stavano tirando il carro ruotarono il lungo collo nella sua direzione. Jake si rabbuiò. Come riusciva a farlo? La ragazza si portò una mano sul fianco. Lo shock iniziale si era evoluto e ora si era trasformato in aperta irritazione. Si fece aria al viso col cappello color cachi, quindi lo sventolò in direzione del gruppo. « lo non capisco. Voi dovete essere matti, tutti quanti. Com'è che tutti parlate inglese? » Eronide inclinò il capo da un lato, come per soppesarla. « Inglese? È questa la lingua del vostro Paese? » Kady annuì. « Certo. Ed è quella che state parlando anche voi. » « No. Noi qui parliamo tuttomondo. Così come anche voi, del resto. » Con aria preoccupata, Kady si sfiorò le labbra con le dita. « Tuttomondo? » chiese Jake. « E un dono delle divinità del tempio », disse Eronide, contravvenendo al suo stesJames Rollins – L’Ombra del Re

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so ordine di non parlare con loro, e con la spada indicò verso la piramide. Marika spiegò con più precisione: « Lo spesso scudo che si erge da Kukulkàn per proteggere la nostra vallata fornisce anche una lingua comune a tutte le Tribù Perdute. Così ciascuno può comprendere il proprio vicino. Affinché tutti possano vivere uniti, in pace e armonia ». Sempre più esterrefatto, Jake fissò ancora una volta il drago di pietra. In pratica, funzionava come una sorta di traduttore universale. « Ma non abbiamo dimenticato la lingua della nostra tribù di provenienza. La possiamo ancora parlare, ma per farlo dobbiamo concentrarci molto », aggiunse Eronide, gonfiando il petto. E, per dare una dimostrazione di ciò, spiattellò lì per lì qualcosa in latino, rivolgendosi a Pindoro. Qualcosa che aveva tutta l'aria di essere un insulto. Pindoro arrossì, mentre Marika si arrabbiò. Doveva aver capito. « Pindoro non è affatto un codardo! E mille volte più coraggioso di te! » L'unica risposta che ottenne da parte di Eronide fu una risatina sprezzante. La ragazza maya indicò dietro di sé, verso il luogo da cui erano venuti. « Ti informo che non siamo soltanto arrivati al Portale Spezzato. Siamo andati oltre. » Pindoro s'irrigidì. « Mari! » « Siamo usciti nella giungla per rubare un uovo di lucertola tonante! » Gli occhi di Eronide divennero enormi, mentre riportava l'attenzione sul fratello minore. « Tu sei andato al di là del Portale Spezzato? » Pindoro provò a cavarsela usando un tono da smargiasso, mentre cercava le parole giuste. « Ero... dovevo provarci... perché... » Con un gesto brusco della spada, Eronide tagliò corto qualsiasi ulteriore spiegazione. « Quando nostro padre lo verrà a sapere, ti chiuderà nella tua stanza fino alla prossima luna piena. E farà solo bene! » Scuotendo la testa, Pindoro lanciò a Marika un'occhiata desolata. Lei fece una smorfia e, muovendo solo le labbra senza parlare, gli disse: Mi dispiace. Marciando a passo ancora più sostenuto, raggiunsero in breve la porta d'accesso alla città. Le mura erano alte come un palazzo di due piani. I pesanti cancelli di metallo erano aperti. Eronide corse avanti, e andò a parlare a una guardia appoggiata a una lancia. Jake non riuscì a sentire che cosa le diceva, ma lo vide indicare lui e Kady. La guardia si sporse in avanti e sgranò gli occhi quando scorse gli stranieri. Alla fine annuì, si tirò indietro e indicò loro che potevano passare. Un attimo più tardi, apparvero due enormi bestie. Jake ne riconobbe la specie. Othnielia, un piccolo dinosauro bipede. Ciascuno dei due othnielia era montato da un cavaliere vestito con un'armatura leggera e così lustra che scintillava sotto i raggi del sole. Uno dei due si chinò dalla sella e parlò a Eronide, che annuì e tornò di corsa verso di loro. « Andiamo! » ordinò il ragazzo, col volto arrossato dall'emozione. Scortato dai due mostri, il gruppo avanzò, addentrandosi nella città vera e propria. Jake non sapeva che cosa aspettarsi, ma Calipso si dimostrò un luogo caotico e colorato. All'interno delle mura, le strade erano lastricate di ciottoli e le case erano raggruppate tutte insieme. Una donna in grembiule sì affacciò a una finestra al secondo piano e si rivolse a un uomo magro che stava trainando un carretto. « Due meloni sanguinelli e un secchio di funghi bacca, per me. James Rollins – L’Ombra del Re

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Ma sarà meglio che questa volta siano belli maturi, Emmul! » « Così maturi che ti si scioglieranno in bocca! » Con un simile numero di persone e animali riuniti in unico luogo, Jake si sarebbe aspettato un profluvio di cattivi odori; la città, invece, era percorsa da una rete di canali, condutture e fossati di scolo. Un'opera d'ingegneria davvero strabiliante. La strada principale si arrampicava a spirale fino in cima a una collina dove, dietro alte mura di pietra, li attendeva un castello fiancheggiato da due torri. « Quella è Kalakryss, la sede del Consiglio degli Anziani », spiegò Eronide. Evidentemente, quella doveva essere la loro meta. Mentre continuavano ad avanzare, Jake abbassò lo sguardo sull'intrico di stradine e stretti vicoli. Ovunque guardasse, poteva riconoscere scampoli di civiltà diverse, provenienti da ciascuno dei continenti e dalle epoche più varie: una tenda sudatoria tipica della cultura dei nativi americani, un tempio sumero, un imponente Buddha di legno. E in mezzo a una piazza distinse la linea slanciata di un obelisco egizio scolpito con geroglifici. Marika doveva essersi accorta del suo sguardo meravigliato. « Le tribù sono molte. Se ne contano oltre quaranta. » « Come avete fatto ad arrivare fin qui, tutti quanti? » Era una domanda che aveva assillato jake nel corso di tutta la marcia. Più rimuginava sul miracolo del loro arrivo in quel posto, più il peso della moneta che portava intorno al collo aumentava. Doveva esistere un qualche genere di portale. E la moneta doveva aver funzionato come chiave. Ma quello non poteva essere l'unico passaggio. Non con tutta quella gente. Marika scosse la testa. « Non lo sappiamo. Secoli fa, le Tribù Perdute sono state chiamate qui in questo universo selvaggio, strappate dalle loro terre d'origine. Noi tutti siamo arrivati nel giro di alcune generazioni, e abbiamo costruito le nostre case in questa vallata. Dove Kukulkàn protegge noi tutti. » Jake fece scorrere lo sguardo attonito da Marika a Pindoro. Com'era possibile che dei popoli provenienti da epoche tanto diverse della storia umana fossero giunti in quel posto più o meno nello stesso periodo? Se ciò che Marika aveva detto era vero, le tribù non erano state strappate via soltanto dalle loro terre d'origine, ma anche dal loro tempo. Marika continuò: « Si parla di altre città simili a Calipso, in altre valli, nella giungla. Ma noi qui viviamo nel migliore dei modi possibili, in armonia con la terra, e ci aiutiamo l'un l'altro. O almeno, così facevamo... » Jake percepì una vaga traccia d'inquietudine dietro le ultime parole della ragazza. E poteva indovinare quale ne fosse l'origine. « E il re Teschio di cui avete parlato? Chi è? » Pindoro si frappose tra loro due. « Non dovreste parlare! Abbiamo già abbastanza problemi! » Eronide si voltò, lanciando loro un'occhiataccia. « Sbrigatevi! » Marika sospirò, ma obbedì. Con la mente in subbuglio, Jake continuò a camminare. Tribù Perdute. Aveva già sentito di storie del genere, nel corso della storia: villaggi scomparsi nel nulla all'improvviso, legioni romane che erano svanite senza lasciare traccia, civiltà intere che erano state semplicemente inghiottite dal tempo. Era forse qui che finivano tutti quanti? Aveva l'impressione che ci fosse molto altro da scoprire. « Ah! » Accanto a lui, Kady si allontanò con un balzello, e poi prese a strofinare vigorosamente la suola dello stivale sinistro su uno dei ciottoli che pavimentavano la strada. James Rollins – L’Ombra del Re

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Jake si lanciò un'occhiata alle spalle e vide l'impronta del suo stivale stampata in un mucchietto dì roba scura, simile a terriccio, che si trovava sul ciglio della strada. Solo che quello non era terriccio. L'odore nauseabondo lo provava senz'ombra di dubbio: escremento di dinosauro. Jake si sforzò di non sorridere, soprattutto quando sua sorella tornò al suo fianco, con un pallore leggermente verdognolo sul viso. « Noi non c'entriamo niente con questo posto. Dobbiamo tornare a casa. » « Torneremo a casa », la rassicurò Jake, mostrando una sicurezza maggiore di quella che provava in realtà. Kady trasse un profondo respiro e annuì. « È solo che potrebbe volerci un po' di tempo per capire in che modo », aggiunse Jake sottovoce. Si guardò intorno, considerando il crogiolo di culture di quel posto, mentre la sua inquietudine cresceva sempre più. E una nuova preoccupazione cominciò a prendere forma. Se tutta quella gente, dopo così tanti secoli, non aveva trovato un modo per aprire un portale che potesse riportarli a casa, come poteva sperare di riuscirci lui da solo? Tenendosi questo timore per sé, strinse la mano di Kady. Lei gli restituì la stretta. Per adesso, almeno potevano contare l'una sull'altro. Ormai, la loro sfilata aveva cominciato ad attirare un numero di sguardi sempre maggiore. La gente li segnava a dito, mentre i bambini correvano loro incontro cercando di strappare lo zaino di Jake, di toccare i vestiti di Kady, spinti dalla curiosità. Eronide e le guardie continuavano a sbracciarsi per tenerli lontani. Una bimbetta egizia, di non più di cinque anni, con la testa rasata e gli occhi dipinti, ignorò completamente Eronide e si lanciò di corsa verso Kady. Si mise in punta di piedi e le tese un fiore dai petali color cremisi. « Sei bella. » Kady accettò sia il regalo sia il complimento. « Grazie. » Dinanzi a quel semplice gesto di benvenuto, Jake notò una sfumatura di sollievo nella voce della sorella. Kady aveva lasciato andare la sua stretta, e aveva preso il fiore con entrambe le mani. Sulle sue labbra si vide baluginare l'ombra di un sorriso. Con questo piccolo gesto, forse Kady adesso aveva trovato qualcosa cui aggrapparsi, qualcosa che la facesse sentire meno sperduta. Era forse in questo modo che la comunità di Calipso era stata fondata, all'inizio? Con un semplice benvenuto offerto gli uni agli altri? La strada stava facendo un'altra curva, e Jake alzò lo sguardo. Proprio davanti a loro si ergeva il castello di Kalakryss. Notò le guardie che percorrevano i camminamenti delle mura, e si domandò che genere di benvenuto potessero aspettarsi. Lanciò un'occhiata a Marika. Il suo viso era teso in una smorfia preoccupata. E questo non era un buon segno.

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Capitolo 8 ₪

STRANIERI IN TERRA STRANIERA

Con una lancia puntata alla schiena, Jake marciava attraverso il cortile del castello. Al centro, sotto un albero che aveva le dimensioni di una gigantesca sequoia, altri soldati bivaccavano ridendo e scherzando. A sinistra, addossata al muro del castello, sorgeva una serie di stalle in pietra e recinti di legno. Da una delle cavalcature delle loro scorte giunse una specie di sbuffo: la bestia sentiva di essere vicina a casa e al cibo. Gli othnielia iniziarono a tirare le redini, ma i soldati in sella li colpirono ai fianchi con dei piccoli bastoni usati a mo' di bacchette, guidandoli e chiamandoli per tranquillizzarli. Lo stesso metodo utilizzato anche dai montatori di elefanti in India per tenere sotto controllo le proprie cavalcature. Non appena ebbero varcato il cancello, si fece loro incontro un drappello di soldati. Venivano dai campi di esercitazione che si trovavano dalla parte opposta del cortile, dov'erano in corso duelli d'addestramento con spade e lance. I soldati erano guidati da un uomo alto che indossava un elmo su cui spiccava una piuma cremisi. « La guardia sellata. Eronide è uno dei loro apprendisti », sussurrò Marika all'orecchio di Jake. Eronide si fece avanti e salutò il soldato con l'elmo piumato portandosi al petto il pugno destro. « Centurione Gaio, abbiamo degli stranieri introdottosi nel nostro Paese che dobbiamo presentare al cospetto del Consiglio degli Anziani. » Il centurione lanciò un'occhiata a Jake e a Kady. La sua unica reazione, appena percettibile, fu sgranare gli occhi. « Crediamo che possano essere spie inviate da re Kalverum », aggiunse Eronide, e così dicendo raddrizzò la schiena, irrigidendosi a tal punto che Jake pensò che qualche giuntura avrebbe potuto spezzarsi. Il centurione scrutò Jake e Kady. I tratti duri del volto si ammorbidirono, acquistando un'espressione divertita. Le rughe agli angoli degli occhi si fecero più profonde, segno che quell'uomo era solito ridere spesso. Anche se non aveva ancora detto una parola, Jake decise che Gaio gli piaceva. « Se queste qui sono spie, bisogna dire che il re Teschio se le sceglie ben giovani », sentenziò l'uomo dubbioso. Eronide spostò il peso del corpo da un piede all'altro. Il suo viso era diventato rosso come una barbabietola. Poi lui lanciò un'occhiata fulminea a Pindoro, come se volesse gettare la colpa sul fratello minore. Infine, per salvare la faccia, tornò a girarsi verso il centurione, e tutto d'un fiato disse: « Ma non dovrebbe essere il Consiglio degli Anziani a decidere su questioni di questo tipo, e ordinare... » Il centurione Gaio gli diede una pacca amichevole sulla spalla, al che Eronide rimase in silenzio. « Tu hai ragione, mio giovane Eronide. Questi due individui devono essere condotti davanti al Consiglio. Strane notizie segnano il loro arrivo qui. Specialmente tenuto conto delle voci riportate dagli esploratori che abbiamo inviato nel cuore della giungla... quelli che sono ritornati, per lo meno... » Il suo viso s'incupì, e fece un cenno alla volta delle due guardie sellate. « Ci penserò io a portare gli stranieri davanti al James Rollins – L’Ombra del Re

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Consiglio. Voi due tornate alle vostre postazioni alle porte. » Gaio si voltò di nuovo verso Jake e Kady, non prima di aver detto qualcosa a un ragazzino con indosso una toga legata in vita con una cintura, che partì di corsa, diretto al castello. Probabilmente era un messaggero, mandato avanti ad avvertire del loro arrivo. « Sono Marco Gaio, primo centurione della guardia sellata. » « Jake... Jacob Ransom. E questa è mia sorella, Kady. » « Katherine Ransom », lo corresse la ragazza, raddrizzando un tantino la posa, come a voler sembrare più alta; l'attenzione di quell'uomo su di lei l'aveva fatta arrossire un po'. Gaio fece un cenno col capo. « Nomi singolari quanto lo sono i vostri vestiti. Se volete seguirmi, cercheremo di ottenere un'udienza al Consiglio. » Si voltò poi verso Eronide, Pindoro e Marika. « Verrete anche tutti voi, e renderete un rapporto completo. » Alla sinistra di Jake, Pindoro gemette sottovoce. Era chiaro che non era contento di dover spiegare dov'era stato insieme con Marika. Al contrario, Marika annuì con decisione, del tutto pronta a collaborare; voleva dimostrare che, riguardo agli stranieri, era lei ad aver ragione. Tutti in gruppo s'incamminarono verso l'ingresso principale del castello. Quando entrò nel cerchio d'ombra disegnato dall'albero, Jake udì come un trambusto sopra la testa, e alzò lo sguardo. Fra i rami più bassi erano appollaiate delle piccole creature dalle ali ricoperte di scaglie e con la testa a punta. Minuscoli pterodattili. Gaio richiamò all'ordine uno dei soldati che stavano bighellonando lì intorno. « Qualche novità dagli esploratori? » « No, centurione. In tutta la notte, non una singola freccia alata ha fatto ritorno dalla giungla. Abbiamo inviato due frecce alate al giorno, così come ci era stato ordinato, ma non ne è ritornata nessuna. Ci stiamo preparando a inviarne un'altra proprio ora. » L'uomo indicò il punto in cui si trovava un altro soldato che, seduto su una specie di trespolo, teneva uno pterodattilo bloccato tra le ginocchia, ed era in procinto di legargli sulla schiena un piccolo tubicino color argento, come se fosse una minuscola sella. Il soldato finì il lavoro, si alzò e lanciò in aria lo pterodattilo. Le sue ali si aprirono di scatto, e la creatura si lasciò trasportare dal vento. Attraversò in volo il cortile, e con un frullio d'ali superò le mura del castello e si allontanò. Jake rimase a osservarlo, poi il suo sguardo si spostò sui rami pieni di pterodattili. A quanto pareva, li usavano come messaggeri. Una specie di piccioni viaggiatori. Distratto com'era, Jake andò a sbattere col ginocchio contro una scatola appoggiata per terra. Un sibilo lo fece indietreggiare. La scatola era in realtà una gabbia di legno con delle sbarre su uno dei lati. Sul fondo c'era una creatura raggomitolata. Jake non riuscì a distinguere di che genere di animale si trattasse, capì solo che l'essere stato disturbato l'aveva mandato su tutte le furie. Tutto ciò che vide fu un paio di occhi dorati, che riflettevano la luce del sole al tramonto. Si avvicinò di un passo, incuriosito... e la bestia fece un balzo improvviso contro le sbarre. Spaventato, Jake cadde all'indietro, atterrando sul posteriore. Non più grossa di Watson, quella creatura in gabbia era una palla di pelliccia nera striata di un arancione acceso, col pelo ritto, in assetto di attacco, e il muso incorniciato da una corta criniera. La creatura sputava e soffiava. Le labbra ripiegate all'indietro lasciavano vedere la piena lunghezza delle zanne, che era pari alla mano aperta di Jake. Somigliava a una piccola tigre dai denti a sciabola. Forse un suo antico antenato. Tipo il dinofelis. James Rollins – L’Ombra del Re

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« Allontanati di lì, ragazzo! » lo ammonì una guardia. Il trambusto aveva attirato l'attenzione del centurione. Il soldato al suo fianco gli fornì una spiegazione. « Una pattuglia l'ha catturata nella Foresta Sacra. Hanno pensato che magari avrebbero potuto addomesticarla. È una femmina molto giovane, non può avere più di un anno. Forse addirittura soltanto nove mesi. » « Nove mesi? Diventerà un bestione, allora », esclamò Gaio. Il soldato accanto a lui sospirò. « Ma è troppo selvatica, troppo pericolosa. Per poco non ha strappato via un brandello di carne al maestro di caccia Rullo. Così abbiamo deciso di tenerla per usarla come esca durante un'esercitazione di caccia. » Jake drizzò le orecchie. Durante la conversazione tra i due, si era di nuovo avvicinato alla gabbia. Avevano in mente di ucciderla. Non avrebbe saputo spiegare perché un attimo dopo fece quello che fece. Lanciatasi un'occhiata dietro la spalla, allungò una mano verso il chiavistello che teneva chiusa la gabbia. Kady se ne accorse, e, muovendo solo le labbra, mimò la parola: No. Lui la fissò intensamente, con le sopracciglia sollevate. Kady a volte poteva anche essere una ragazzetta presuntuosa ed egocentrica, ma aveva un debole per gli animali in difficoltà. L'anno prima aveva perfino convinto la sua squadra di cheerleader a sponsorizzare una marcia benefica a favore del rifugio per animali abbandonati della città. La ragazza alzò gli occhi al cielo, poi voltò le spalle a Jake. Quindi, indicando col dito un punto dalla parte opposta del cortile, lanciò uno strillo piuttosto acuto, con un'espressione di terrore stampata sul viso. « Che cos'è quella cosa laggiù? » E, come sempre accadeva con lei, tutti si voltarono a guardare. Approfittando del momento di distrazione generale, Jake fece scattare il chiavistello, poi si allontanò in fretta di qualche passo. Controllò la situazione intorno a sé. Nessuno si era accorto di quello che aveva fatto. Neppure la dinofelis, che era rimasta accoccolata sul fondo della gabbia. Jake azzardò un « Vai! » soffocato, per incitarla a muoversi. Finalmente, la bestia strisciò furtivamente verso le sbarre, e cominciò ad aprire pian piano lo sportello della gabbia col muso. Poi scivolò fuori, tenendosi schiacciata a terra, la lunga coda arricciata a formare un punto interrogativo, in una posa sospetta e guardinga. I suoi occhi erano inchiodati su Jake. Le narici si allargarono, assorbendo il suo odore. Le orecchie, ritte e all'erta, ruotavano come antenne radar. « Corri », la incitò lui sotto voce, e con un gesto della mano indicò i cancelli aperti del castello. Con un'improvvisa contrazione dei muscoli, la bestia schizzò via. L'unico segno del suo passaggio fu un convulso agitarsi d'ali quando lo stormo di pterodattili, spaventato, spiccò il volo dai rami dell'albero. Il roco stridio attirò l'attenzione dei soldati verso l'alto, e poi in basso, alla gabbia con lo sportello aperto. Subito scoppiò un trambusto di corsa e urla frenetiche, ma ormai era troppo tardi. La dinofelis volò fuori del cancello, scomparendo nell'intrico caotico della città. I soldati l'inseguirono a piedi, ma Jake aveva il sospetto che non sarebbe mai stata catturata. Cercò di mantenere un'espressione di assoluta innocenza, facendo appello a tutte le sue doti di attore. Colse però un lampo negli occhi di Marika. Fissò la ragazza James Rollins – L’Ombra del Re

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per qualche secondo, prima che questa distogliesse lo sguardo. Anche se aveva sospettato qualcosa, tenne comunque la bocca chiusa. Intervenne allora il centurione Gaio, secco e deciso, indicando il castello. « Ora basta. Non dobbiamo far aspettare gli Anziani. » Il castello di Kalakryss occupava tutta la metà posteriore del cortile. Mentre si avvicinavano all'ingresso principale, Jake studiò la fortificazione. Allungando il collo, riuscì a scorgere qualcosa che scintillava in cima alla torre di sinistra. I raggi obliqui del sole splendevano vividi, scendendo lungo una struttura di bronzo lavorato, a forma di cupola. Sembrava un osservatorio astronomico. Prima che potesse esaminarla più a fondo, oltrepassarono un arco e attraversarono una serie di porte monumentali. Jake si era aspettato che l'interno del castello fosse buio e sinistro, invece si trovò in un atrio reso più caldo da arazzi multicolore alle pareti e tappeti stesi sul pavimento. In quell'ambiente, ben isolato dalla calura del sole, si godeva di una temperatura gradevolmente più fresca. Il locale era illuminato da un enorme candeliere di bronzo... sul quale però non si vedeva lo sfarfallare discontinuo delle fiammelle. La luce risplendeva con un bagliore stabile e continuo. Jake pensò che fossero lampadine; ciascuna di esse, però, aveva una linea frastagliata e spigolosa. Sembravano dei pezzi di cristallo grezzo, solo che brillavano di luce propria. Jake distolse lo sguardo, aggrottando la fronte. Che cos'è che fornisce energia a quei cristalli? Gaio li guidò per il corridoio centrale di un lungo e stretto salone. Banchi di legno, simili alle panche di una chiesa, si allineavano su entrambi i lati, tutti rivolti verso il fondo della stanza. Alle pareti erano appesi degli stendardi, una dozzina su ciascun lato. Ognuno di essi era decorato con dei simboli, che ricordavano una raccolta di stemmi cavallereschi. Bandiere. Vedendo il suo interesse, Marika disse: « Quegli stendardi rappresentano ognuna delle Tribù Perdute ». Si fermarono in fondo al salone, sotto una serie di finestre alte e strette, al fianco delle quali si aprivano alcune porte sormontate da archi. Sotto, c'erano due ordini di banchi da tribunale, uno superiore e uno inferiore, ciascuno fornito di tre alte sedie. Dall'arco di sinistra uscirono in fila tre persone: tutte quante avevano un'analoga espressione preoccupata dipinta sul volto. Ma, a parte questo, non avrebbero potuto essere più diverse. Una indossava abiti simili a quelli di Pindoro ed Eronide, ma sulla fronte spiccava una corona di foglie d'alloro. Il secondo era un uomo anziano dai tratti asiatici, completamente calvo a parte dei lunghi baffi bianchi che gli scendevano fin sotto il mento, e una svelta barbetta. La terza invece era una donna di mezza età dai capelli rossi raccolti in trecce, vestita con una tunica verde e un paio di pantaloni. Sul capo portava un elmo ornato di due corna ricurve. « Il Consiglio Supremo di Calipso », bisbigliò Marika. Pindoro indietreggiò, cercando di nascondersi dietro Gaio. Sotto lo sguardo severo del Consiglio, Kady si strinse più vicino a Jake. Prima che qualcuno potesse parlare, dall'arco di destra risuonò una voce tagliente: « Stranieri? Di certo non è possibile. Ma se così fosse... ve lo immaginate? » La persona che aveva parlato fece la sua apparizione. Era di bassa statura e i capelli James Rollins – L’Ombra del Re

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grigi gli stavano un po' ritti sul capo, come se si fosse appena svegliato. Si capiva che era un maya dal pati, il quadrato di stoffa che portava legato intorno alle spalle, e dalle piume che decoravano le maniche. Accanto a lui, con un'ondeggiante andatura a papera, veniva avanti anche un altro individuo, tanto largo quanto alto. Il tondo ometto indossava una lunga tunica con cappuccio, che era abbassato, e lasciava vedere una cespugliosa capigliatura castana rasata sulla sommità della testa. Sembrava un monaco inglese di epoca medievale. L'uomo puntò il dito verso i ragazzi, e il maya si voltò, sgranò gli occhi e fece un passo verso di loro. « Mari? Che cosa ci fai qui, mia cara? Perché non sei a scuola? » chiese. « Papà, siamo stati Pindoro e io a... » Papà? Jake lanciò un'occhiata alla ragazza. Le sue parole vennero interrotte da un profondo vocione tonante, proveniente dal banco superiore. « Pindoro? » L'uomo con la corona di alloro si era alzato dalla sedia. I suoi occhi scrutavano la sala ai suoi piedi. Allora, seppur a malincuore, Pindoro si fece vedere. « Che cos'è questa storia? Quale misfatto siete andati tramando, tu e la tua amica? Non si tratterà di uno scherzo?... se state sprecando il prezioso tempo del Consiglio... » « No, padre, non è uno scherzo », disse Pindoro tenendo lo sguardo fisso al pavimento. Prima che qualcuno potesse parlare, dall'arco dietro il monaco sbucò un terzo uomo. Si muoveva in silenzio, sottile come l'ombra di una meridiana. Col capo completamente rasato, aveva la pelle di colore scuro, e un atteggiamento ancora più oscuro. Gli occhi neri erano freddi come la pietra. Il suo sguardo scorse sul gruppo senza lasciare intravedere il più piccolo baluginio di un'emozione. E a rendere la sua comparsa ancora più inquietante erano i tatuaggi che gli attraversavano la fronte, tracciati in un inchiostro rosso sangue. Erano dei geroglifici egizi. L'uomo andò a unirsi agli altri due, e insieme attraversarono l'ordine di banchi inferiore e si sistemarono ai propri posti. Jake notò che ciascuno di loro, appeso a una catena intorno al collo, portava un piccolo martelletto d'argento. Il ragazzo lanciò un'occhiata a Marika. Lei gli sussurrò: « Quei tre sono i tre Maestri dell'alchimia ». Il padre di Pindoro era rimasto in piedi al livello superiore. « Ora che il Consiglio è riunito, vediamo di scoprire chi sono questi stranieri, e quale pericolo possono rappresentare per Calipso. » E Jake sentì il peso di sei paia di occhi gravare su di lui e su sua sorella.

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Capitolo 9 ₪

IL CONSIGLIO DEGLI ANZIANI

« ... e alla fine li abbiamo condotti attraverso il Portale Spezzato », concluse Marika. Il silenzio calò sul Consiglio. Marika e Pindoro erano già stati ampiamente interrogati, e altri particolari erano stati forniti anche da Eronide. Per adesso, Jake e Kady erano stati ignorati. Finalmente il padre di Marika prese la parola. « Mi piacerebbe vedere una dimostrazione di questa strana magia che è riuscita a scacciare la lucertola tonante. » Il monaco accanto a lui annuì. « Sono d'accordo con Maestro Balani. Mi piacerebbe poterla vedere coi miei occhi. » Il terzo Maestro si limitò semplicemente a fissare Jake. Dal banco più in alto, il padre di Pindoro fece loro cenno con la mano che obbedissero. Jake s'infilò una mano in tasca. « Non so se sentirete qualcosa. » Prese il fischietto per cani e vi soffiò dentro. Non si udì nient'altro che il flebile suono di una nota lamentosa. E gli Anziani seduti al banco parvero udire ancora meno. Si strinsero nelle spalle scuotendo la testa. « E questo ha scacciato via una lucertola tonante? » fece il padre di Pindoro, con un'evidente sfumatura di dubbio nella voce. « Proprio così, Tiberio, è dotato di una strana alchimia silenziosa », dichiarò Marika. Jake allora si rivolse verso il banco sollevando in alto il fischietto di acciaio. « Questo non viene dall'alchimia. Viene da ciò che noi chiamiamo alchimia. » Aggrottò la fronte, confuso. Lui aveva pensato scienza, ma dalle labbra gli era invece uscita la parola alchimia. Tra i banchi si diffuse un tramestio, eccezion fatta per l'uomo egizio, il quale rimase impassibile. Jake si sfiorò la gola e ripensò a ciò che gli era stato spiegato da Marika. C'era una forza misteriosa che provvedeva a tradurre le sue parole in tuttomondo. Forse il traduttore universale pensava che alchimia e scienza fossero la stessa cosa? E forse lo erano, in qualche modo. Forse che gli antichi alchimisti non si dilettavano anche di chimica e fisica? Perfino Isaac Newton si considerava un alchimista. Jake provò di nuovo, concentrandosi sulle proprie parole. « Il fischio non è un prodotto dell'alchimia... ma della scienza. » Questa volta la parola uscì come voleva lui, ma per farcela aveva dovuto impegnarsi a fondo. La sua lingua aveva lottato per riuscire ad articolarla. Un po' come quando si cerca di parlare dopo che il dentista ha completamente anestetizzato la bocca. « Scienza? » gli fece eco il padre dì Marika. Jake si guardò intorno, cercando qualcosa con cui potergli dimostrare quello che intendeva. Si voltò verso Kady e, indicando la tasca della sua giacca, le disse: « Mostra loro il tuo iPod ». « Il mio iPod? » « Sì, faglielo ascoltare. » Lei si accigliò, ma obbedì. James Rollins – L’Ombra del Re

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Quando l'ebbe tirato fuori, Jake cominciò a spiegare: « Nel luogo da cui veniamo noi, facciamo ricorso a diverse forme di alchimia, che vanno sotto il nome di scienza ». Kady s'infilò un auricolare, accese la musica, e subito le sopracciglia le s'impennarono. « Ohhh, questa è Straightjacket Loverl » esclamò. E, quando si accorse di avere gli occhi di tutti puntati addosso, la sua voce tornò ad assestarsi su un tono più tranquillo. « È... è una delle mie preferite. » Con un gesto della mano Jake la invitò a proseguire. « Falla ascoltare anche a loro. » Kady si avvicinò all'ordine di banchi inferiore. Tanto gli Anziani quanto i Maestri si erano riuniti in un gruppetto, e a turno tutti ascoltarono dagli auricolari. I loro occhi si allargarono in espressioni di sorpresa, ma non persero la testa come si sarebbe aspettato Jake. Alla fine, i tre Maestri presero a discutere tra loro. Jake riuscì a cogliere qualche parola pronunciata dal padre di Marika: « ... una sorta di apparecchio per parlare a distanza... magari, con una miscela di cristalli verdi... » Il resto gli sfuggì. All'improvviso il padre di Pindoro tirò un pugno al suo lato del banco. « Basta con questa storia. Voglio sapere di più del grakyl che ha cercato di attaccarvi, lassù al Portale. Siete certi che fosse uno dei mostri al servizio del re Teschio? » « Io ne sono certo, Padre », disse Pindoro. La donna che indossava l'elmo con le corna, che doveva essere della stirpe dei vichinghi, prese la parola. « Re Kalverum diventa sempre più audace a ogni stagione che passa. Se quanto dicono i ragazzi è vero, significa che si è spinto fino a sfiorare i nostri confini coi suoi artigli. » « Il che è una cosa davvero assai preoccupante, Astrid. Quali sono le ultime notizie delle tue esploratrici? » domandò l'Anziano romano. La donna scosse il capo. « Di quelle che abbiamo inviato nel cuore della giungla non sappiamo ancora nulla. A ogni nuova luna preghiamo Odino perché le faccia tornare sane e salve. » « Vi uniremo anche le nostre preghiere », le assicurò l'uomo dall'aspetto asiatico. Poi si voltò verso Jake e Kady. « Prima che giudichiamo questi nuovi arrivati, vorrei sapere qualcosa di più di questo Paese da cui provengono. Come hanno fatto ad arrivare qui? » Jake sentì il peso della mezza moneta che portava intorno al collo. Per prima cosa si schiarì la voce; il suo timore era che Kady potesse parlarne, e lui non voleva. La moneta era forse il solo modo che avevano per tornare a casa. Se gliel'avessero portata via, sarebbero potuti rimanere intrappolati in quel posto per sempre. Ma una ragione ancora più profonda era che, molto semplicemente, Jake rifiutava l'idea di venire separato da quell'oggetto. Era l'ultimo dono che avessero ricevuto dai loro genitori. « Non lo sappiamo, come siamo arrivati fin qui. Ci trovavamo in un... in una grande sala. Durante un temporale », disse cauto, con voce esitante. Kady annuì. « E, un attimo dopo, è esploso un fulmine e... tutto il mondo è piombato nel buio. Abbiamo avuto come l'impressione di precipitare e poi... sbadabamì Eccoci là in mezzo alla giungla. » Le sue parole furono seguite da cenni d'assenso da parte degli Anziani. Jake sentì la parola fulmine ripetuta più volte dall'ordine superiore dei banchi. A quanto pareva, esistevano storie simili anche riguardo al modo in cui i loro popoli erano approdati in quel luogo. « Veniamo da una città che si chiama North Hampshire, in un Paese conosciuto come America », continuò Jake. « Ah Merika? Questa è una tribù a noi completamente sconosciuta », fece il padre James Rollins – L’Ombra del Re

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di Pindoro, con una ruga che gli attraversava la fronte. Jake alzò un po' la voce, come per dare più forza alle sue parole. « Non sappiamo come o per quale motivo siamo stati portati qui. Ma noi non ne sappiamo nulla, di questo re Teschio, e di certo non siamo spie di nessuno. Lo giuro. » E sollevò la mano destra nel gesto del boy scout, anche se degli scout, lui, non aveva mai fatto parte. Per un lungo momento, dall'alto del suo seggio, l'Anziano Tiberio tenne lo sguardo fisso su Jake. Il ragazzo rimase immobile con la mano alzata, sostenendo l'intensità di quello sguardo. Alla fine, il romano fece un cenno al centurione. « Porta questi due in un luogo appartato, mentre noi parliamo di ciò che è emerso da questo colloquio. » Gaio si toccò il petto col pugno chiuso, e fece segno a Jake e Kady che lo seguissero. Poi Tiberio aggiunse: « E fa' lasciare al ragazzo il suo bagaglio, e anche quello strano strumento musicale alla ragazza. Verranno esaminati dai Maestri, in caso nascondano qualche traccia dell'alchimia usata dal re Teschio ». La loro cella temporanea era priva di finestre, ed era poco più grande di uno sgabuzzino. Il pavimento era ricoperto di paglia secca. La parete di fondo era piena di scaffali su cui erano allineati dei barattoli di vetro verde, tappati con della spessa cera, che celavano oscuri contenuti. Barili di legno e giare di pietra alte fino alla vita erano sistemati lungo un'altra parete. Nel locale aleggiava un aroma muschiato e piccante. Una specie di dispensa, pensò Jake, mentre dal suo stomaco si levava un ruggito di protesta. Quand'è stata l'ultima volta che ho mangiato? Londra sembrava distante un milione di miglia, e anche un milione di anni. E forse era proprio così. Kady continuava a percorrere avanti e indietro quello spazio ristretto, con le braccia incrociate sul petto. Jake attraversò la stanza e si avvicinò a una delle pareti per dare un'occhiata all'unica luce che illuminava la loro cella. C'era una torcia di ferro imbullonata nella pietra che reggeva uno di quei cristalli incandescenti. Era troppo in alto perché lui potesse arrivarci; cercò qualche traccia di fili o cavi, ma non trovò nulla. Voleva dare un'occhiata più da vicino. Forse, trascinando qui uno di quei barili... Kady sferrò un calcio a una delle giare di pietra e lo affrontò: « Come abbiamo fatto a finire in questa gabbia di matti? » Nei suoi occhi si era accesa una scintilla di esasperazione. Jake si strinse nelle spalle; sentiva che la sorella aveva bisogno di una risposta, di una qualsiasi risposta. « Forse abbiamo innescato una qualche specie di... non lo so, magari un wormhole quantico. » « Un... che cosa? » « È come una crepa nel tempo e nello spazio. Un'anomalia spaziale, insomma. » Kady alzò gli occhi al cielo. « In altre parole... non ne hai la minima idea. » Jake le lanciò un'occhiataccia... ma, in effetti, sua sorella aveva ragione. Nella sua mente, rivide il reperto esposto al British Museum, tutto avvolto nella luce. « Be', quello che so è che deve avere qualcosa a che fare con la moneta spezzata che ci hanno dato mamma e papà. » Kady sollevò una mano e se la portò alla gola. « E allora, tanto per cominciare, per quale motivo ce li hanno mandati, questi stupidi affari? » Jake indietreggiò e si mise a sedere su uno dei barili. James Rollins – L’Ombra del Re

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« Penso... devono averlo fatto per nasconderli, perché fossero al sicuro. Ma non ne sono certo... » La sua voce s'incrinò sul finire della frase. Tutto ciò che sapeva era che la sua angoscia aumentava ogni secondo di più. Che cosa sarebbe successo se il Consiglio avesse deciso di bandire lui e la sorella e di rispedirli là fuori, nella giungla? Non sarebbero mai riusciti a sopravvivere. Kady si sedette su un barile accanto a lui. « Forse hai ragione, Jake. Mamma e papà non potevano sapere che avremmo finito per ficcare la moneta in quella piramide. » Si strinse le braccia al petto, sempre più preoccupata. Ancora una volta, Jake ripensò alla piramide luminosa al museo. Si ricordò anche di Morgan Drummond che correva verso di loro, intimandogli di allontanarsi. Forse quell'uomo sapeva qualcosa? O la sua unica preoccupazione era che loro non combinassero qualche guaio con un tesoro antico che si trovava sotto la sua responsabilità? Jake scosse la testa, cercando di dare un ordine alle mille domande che gli rimbalzavano nel cervello. « Quello che sappiamo per certo è che noi non siamo gli unici a essere atterrati quaggiù », disse infine, concentrandosi su ciò che sapeva esser vero. « Qualcuno o qualcosa ha messo insieme dei frammenti delle varie civiltà che hanno abitato la Terra, e poi li ha abbandonati qui, in questo mondo. » « È andata bene che queste tribù non si sono semplicemente ammazzate l'un l'altra non appena arrivate », commentò Kady. « Sono state costrette a mettersi insieme per poter sopravvivere. In un posto tanto pericoloso, il nemico del tuo nemico diventa tuo amico. » Jake si toccò la gola. « E poi c'è quella cosa del traduttore universale. Essere in grado di comunicare deve aver contribuito parecchio a preservare la pace qui. Qualsiasi cosa significhi qui. » « Ma dov'è che siamo? » Jake scosse la testa. « In un altro mondo? Un'altra dimensione? Se riuscissimo a capirlo, forse allora saremmo in grado di capire anche come abbiamo fatto ad arrivarci. » Kady fece un gran sospiro, come se quello fosse un compito troppo pesante. « Lascia perdere come siamo arrivati qui. Come facciamo a tornare a casa? » Ancora una volta, Jake notò una punta crescente d'isteria nella voce della sorella. E, prima che quella sensazione potesse coinvolgere anche lui, diede voce ai propri pensieri, cercando di tenere la testa impegnata per combattere la paura che gli attanagliava il cuore: « I due misteri sono strettamente intrecciati. Come siamo arrivati, e come tornare a casa. Non possiamo risolverne uno senza risolvere anche l'altro ». Kady allungò una mano e gliela strinse intorno alle dita. « Tu hai studiato tutta quella roba sull'archeologia e sulla storia antica. Se c'è qualcuno in grado di capire questo posto, quello sei tu. » Jake scosse la testa, ma nello stesso tempo nella sua mente si riaccese l'immagine del drago di pietra che si librava sulla vicina foresta. Dovevano esserci delle risposte, in quella piramide. E lui doveva trovare il modo di entrarci. Ma si ricordò dell'avvertimento di Marika. È proibito avvicinarsi a quel luogo. Soltanto ai tre Maestri dell'alchimia è permesso accedervi, e spingere il proprio sguardo fino al cuore di cristallo di Kukulkàn. Jake alzò gli occhi sulla gemma scintillante, grossa quanto un pugno, che brillava in cima alla torcia, e cominciò a mettere insieme i pezzi di un piano schematico. « Per prima cosa, quello che dobbiamo fare... » mormorò. Kady si chinò verso di lui, in ascolto. La voce di Jake si fece più sicura. « Quello che dobbiamo fare per prima cosa è raccogliere delle informazioni. » « Informazioni? » « Scoprire quante più cose posJames Rollins – L’Ombra del Re

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siamo. Ma, per fare questo, dovremo collaborare e fingerci sottomessi, così potremo esplorare per bene questo posto. » Kady aggrottò le sopracciglia. « Quindi dobbiamo fare ciò di cui siamo accusati. Dobbiamo spiare questa gente. » Jake annuì; si rendeva perfettamente conto del pericolo.« Finché rimarremo insieme, andrà tutto bene. Riusciremo a... » Un forte colpo li fece schizzare in piedi entrambi. Con uno scricchiolio, la porta della dispensa si aprì ed entrò Gaio. La sua voce risuonò dura e inesorabile: « Venite con me. Il Consiglio degli Anziani ha deciso il vostro destino ». Tutti gli occhi si voltarono verso di loro. Nessuno parlava. Quando Tiberio andò incontro ai ragazzi, il silenzio fece sembrare l'aria ancora più pesante. L'uomo aveva un'espressione severa e ostile sul volto. Oh oh. E le prime parole che il romano pronunciò non contribuirono certo a portar loro qualche sollievo: « Siete arrivati a Calipso in tempi difficili. Oscure creature minacciano i nostri confini e ci sono molte voci che parlano di mostri ancora più orrendi, nascosti nel cuore della giungla, forze che stanno montando come un uragano pronto ad abbattersi su di noi. Pertanto, il vostro arrivo non può non suscitare sospetti ». Jake si sentì stringere lo stomaco. « Ma, fin dal tempo della sua fondazione, Calipso è stata un luogo di pace e benevolenza. Anche dinanzi alle tenebre, noi non abbandoneremo i nostri principi. E, oltre a questo, attraverso la vostra strana alchimia, voi avete salvato non solo una delle nostre ragazze, ma anche mio figlio », concluse Tiberio sollevando un braccio in direzione di Pindoro. Le spalle del ragazzo, che già erano cadenti, si abbassarono ancora di più. Tiberio continuò: « La figlia di Maestro Balam ha anche reso testimonianza del terrore che ha visto sui vostri volti all'arrivo del grakyl, uno dei mostri mandati dal re Teschio. E lei è convinta che si trattasse di paura autentica ». Jake si ricordò della creatura inchiodata fra le torri, che si dibatteva a mezz'aria, cercando di oltrepassare la barriera. Certo che la sua paura era stata autentica! Lanciò un'occhiata a Marika, inviandole un silenzioso ringraziamento per aver confermato la loro versione. La ragazza abbassò timidamente lo sguardo, fissandosi i piedi. Tiberio richiamò ancora su di sé l'attenzione di Jake. « Anche se la decisione del Consiglio non è stata unanime, la maggioranza ha votato dì concedervi di rimanere a Calipso, per adesso. » Jake lasciò andare il respiro che stava trattenendo. Non era il più caloroso dei benvenuti in quel bizzarro Paese, ma andava bene lo stesso. Tiberio indicò il padre di Marika. « Maestro Balam è stato così gentile da aprirti la sua casa, giovane Jacob. ha manifestato il proprio interesse ad apprendere qualcosa di più su questa vostra scienza. » Jake ritrovò la voce. « Gr-grazie. Non saremo di nessun disturbo. Ve lo giuriamo. » Tiberio sollevò la mano. « Hai frainteso le mie parole. Tua sorella non verrà con te. » Jake si sentì mancare la terra sotto i piedi. « Che cosa? Aspettate. Io non penso che... » Tiberio lo zittì con un'occhiataccia. « L'Anziana Astrid Ulfsdottir ha presentato la richiesta di prendere Katherine Ransom con sé a Bornholm Hall. » L'alto donnone annuì. « È in forma e di membra forti. Vedo buone possibilità di fare di lei una guerriera. » Jake si voltò verso la sorella: James Rollins – L’Ombra del Re

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Kady era sbiancata. II romano continuò: « Un'ultima condizione per consentire la vostra permanenza qui a Calipso è che i miei figli vi siano assegnati in veste di... sorveglianti. Non vi sarà concesso di andare in giro per le nostre strade senza che loro vi accompagnino ». Jake afferrò il significato insito in quelle parole. Erano state loro assegnate delle guardie. « Pindoro si occuperà di te, Jacob, mentre Eronide si occuperà di tua sorella. Almeno per un po' di tempo. » Finché non si potranno fidare completamente di noi, pensò Jake. « Per adesso, basta così; si è ormai fatto tardi. Sarà meglio lasciare che voi due vi ritiriate nelle vostre nuove case, e che vi sistemiate. » La vichinga andò accanto a Kady, e le appoggiò una mano sulla spalla. Marika corse da Jake. L'espressione sul viso della ragazza era uno strano misto di rammarico ed entusiasmo. Ma lo sguardo di Jake era fisso su Kady. I loro occhi s'incontrarono. Sapeva quello che stava pensando la sorella. Lei aveva riposto tutta la sua fiducia in Jake, perché trovasse il modo di ritornare a casa. E nella sua mente riecheggiarono le parole che poco prima lui stesso aveva pronunciato per rassicurarla. Finché rimarremo insieme, andrà tutto bene. Ma, nello stesso momento in cui stavano per essere trascinati via, Jake si rese conto che il suo piano, nato da pochi minuti soltanto, stava già andando in mille pezzi. Come sarebbero riusciti a tornare a casa, adesso?

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Capitolo 10 ₪

LA STRADA BIANCA

Prima che li separassero, Jake abbracciò la sorella. Fu una sensazione strana. Non avrebbe saputo dire quand'era stata l'ultima volta che le aveva dato un vero abbraccio. E la cosa avvenne sotto lo sguardo di tutti, il che la rendeva ancora più imbarazzante. Le avvicinò le labbra all'orecchio, costringendosi a sussurrare in inglese, e non in tuttomondo. Non voleva essere sentito o compreso da altri. « Tieni gli occhi ben aperti, cerca di scoprire più che puoi. » « Che cosa dovrei... » « Cerca di stare al gioco. E fatti degli amici. » Questo era un talento che Kady padroneggiava completamente, una virtù che Jake faticava a comprendere. Ma, se si parlava di spionaggio, un'abilità del genere poteva rivelarsi davvero preziosa. Alle loro spalle, Tiberio si schiarì la gola. « Adesso basta. Sta calando la notte, e tutti noi abbiamo ancora molte cose da fare prima di poterci infilare nei nostri letti. » Jake fece un passo indietro. Sciolta dall'abbraccio del fratello, Kady sembrava non saper più cosa fare con le braccia. Alla fine, se le strinse al petto, in un gesto che tradiva tutto il suo nervosismo. L'Anziana vichinga le sfiorò il gomito. « Non c'è molta strada da fare per rientrare a Bornholm. Ma dovremo incamminarci adesso, o troveremo ad attenderci una cena ormai fredda. » Kady lanciò a Jake uno sguardo desolato, poi seguì Astrid Ulfsdottir che stava attraversando la sala. Jake le guardò allontanarsi. « Non ti crucciare, ah xi' paal », (Ah xi' paal è l'espressione maya che significa « figliolo ». (N.d.T.) disse il padre di Marika, scivolando nel suo originario idioma maya. « Vedrai tua sorella almeno una volta al giorno... se non addirittura più spesso. Fino ad allora, permettimi di mostrarti dove starai tu. » Marika strinse tra le dita un lembo della sua giacca da safari e cominciò a tirarlo verso l'arco che si trovava alla destra del banco superiore. Gli occhi di giada della ragazza scintillavano di timidezza. « Papà e io viviamo nella Torre della Luce, così come tutti i Maestri di Calipso. Vieni, lascia che ti mostri... » « Mari, lascia respirare il tuo amico », l'ammonì suo padre. « Ci sarà tutto il tempo per portarlo in giro e mostrargli ogni cosa, ma al momento credo che qualcosa da mettersi in pancia potrebbe interessargli di più. » Lo stomaco di Jake espresse il proprio consenso con un vigoroso brontolio. Il ragazzo proseguì fino all'arco, dove trovò ad aspettarlo una stretta scala a chiocciola. Prima d'imboccarla, esitò un attimo, non sapendo se dovesse scendere o salire. Marika intervenne: « Di sotto è il regno di Maestro Zahur. Lui non si sposta mai dalle fondamenta della torre; laggiù, rinchiusi in gabbie e ceste, tiene dei piccoli esseri della giungla che gli servono per i suoi esperimenti sull'alchimia della vita ». Jake si ricordò dell'egizio col tatuaggio. E notò anche che la bocca di Marika si era arricciata in una smorfia di disgusto; evidentemente la ragazza non apprezzava la linea di ricerca adottata da quell'uomo. Marika guidò Jake su per le scale. « I primi piani appartengono a Maestro Oswin. » James Rollins – L’Ombra del Re

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Mentre passavano attraverso i livelli della torre da lui occupati, abbassò la voce, soffocando un sorrisetto. « Lui non ama dover fare più scale di quanto non sia assolutamente necessario... a meno che non ci sia in ballo un buon pranzetto. » Dopo aver superato diversi altri piani, raggiunsero un ballatoio, e Marika s'infilò in un piccolo corridoio d'ingresso che conduceva a una porta di legno. Quindi estrasse una lunga chiave di bronzo e aprì la porta. « La nostra casa », disse, e con un gesto invitò Jake a entrare prima di lei. Il ragazzo si ritrovò in una vasta stanza comune, dalla forma circolare. Altre porte si aprivano sulle stanze vicine, mentre una stretta rampa di scale saliva al piano superiore. Non c'erano finestre, ma la stanza era comunque illuminata da pezzi grezzi di cristalli d'ambra fluorescente appesi a delle catene dì ferro fissate al muro con dei bulloni. Al centro della stanza, una tavola rotonda era già stata apparecchiata con zuppiere di ceramica bianca, dai cui coperchi fuoriuscivano vapori profumati di spezie e di stufato. A un lato della tavola, torreggiava una pila di focacce. Dall'altra parte, una grossa ciotola era colma di una grande quantità di frutti dalla buccia irta di spine, delle dimensioni dei meloni cantalupo. Mentre si stava avvicinando, Jake colse un movimento alla sua sinistra. Si voltò giusto in tempo per vedere un'angusta porticina, stretta come un'asse da stiro, che si chiudeva senza fare umore. « Chi...? » chiese Jake, nel momento stesso in cui Marika e suo padre lo raggiungevano. Lui continuò a fissare la porta. « C'è qualcun altro che vive qui con voi? » « Siamo solo noi due... adesso », disse Maestro Balam con un'ombra di tristezza nella voce. « Vieni. Sediamoci, finché il cibo è ancora caldo. » Mentre lo guidavano verso il tavolo, Jake continuava ad allungare il collo per guardare quella strana porticina. Forse se l'era soltanto immaginato, quel movimento. Si voltò allora verso la tavola imbandita e, seguendo l'esempio di Marika, si tuffò a capofitto nel cibo, usando le focacce come delle tortillas per tirar su da una delle zuppiere dei bocconi di carne stufata. Il pane era caldo, di consistenza gommosa, e la carne si scioglieva in bocca. Jake mangiava con una velocità vorace, senza rendersi conto di quanta fame avesse realmente. E, dopo qualche boccone, si sentì la faccia diventare bollente, e cominciò a sventolarsi la mano davanti alla bocca. Il che non faceva che far aumentare il senso di bruciore. Marika sorrise nel vederlo così in difficoltà. « Peperoncino. » Il bruciore si placò giusto quel tanto che bastava per permettergli di parlare. « È... è buono. » Il padre di Marika gli diede una pacca sulla schiena, mentre anche lui continuava a masticare un boccone di cibo. E gli occhi dell'anziano s'inumidirono. « Potrebbe essere più piccante di così », disse, quasi senza fiato. Il sorriso sul volto di Marika si allargò ancora di più, e la ragazza incoraggiò Jake a provare un po' di tutto quello che si trovava sulla tavola. Inoltre da una piccola brocca di ceramica gli versò nella tazza una densa brodaglia scura. Jake guardò il caldo liquido melmoso con un'ombra di preoccupazione, ma prese la tazza e annusò. Sgranò gli occhi, sorpreso, nel sentire quell'aroma caratteristico, che gli era ben noto; fu come recuperare un pezzetto di casa sua. « Cioccolata! » In realtà, non James Rollins – L’Ombra del Re

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avrebbe dovuto essere stupito. Erano stati proprio i maya a inventare le bevande a base di cioccolato. Jake ne assaggiò un sorso. Era più densa e amara di quella cui era abituato. Magari, con qualche marshmallow per addolcirla un po'... « Noi lo chiamiamo cacao », disse Marika. Jake annui e prese un altro sorso, ma sentì lo sguardo del padre di Marika che, di fianco a lui, lo stava studiando a fondo. Fece del suo meglio per assumere un'aria indifferente. Non voleva far sapere a nessuno quante conoscenze lui in effetti avesse sui costumi maya. Erano già abbastanza sospettosi. Quando il pasto si avviava ormai alla conclusione, Jake si sentiva talmente pieno che fu costretto ad appoggiarsi allo schienale della sedia. Alla sua destra, il padre di Marika fece lo stesso, mollando al tempo stesso un rutto tonante. Il che fece assumere alla figlia un'espressione di assoluto orrore. Apparentemente inconsapevole del suo strappo al galateo, l'ometto strizzò un occhio a Jake e si alzò. « Ho da leggere delle cose nel mio studio, prima di ritirarmi. Mari, perché non mostri a Jacob la sua stanza? » « Prima potrei mostrargli l'Astromicon, papà? Penso che potrebbe piacergli la vista che si gode da lassù. » Quando suo padre le accordò il consenso, Marika schizzò in piedi e in pratica strappò Jake via dalla sedia. « Ma non toccate niente, Marika. » « No, papà. » « E non rimaneteci troppo, lassù », aggiunse l'uomo aprendo una delle porte dall'altra parte della sala. Dietro le sue spalle, Jake colse lo scorcio fugace di un tavolo, sul quale erano ammucchiati grossi rotoli e fasci di pergamena, e scaffali pieni zeppi di altri libri e carte. Il suo sguardo rimase puntato in direzione dello studio, pieno di desiderio. Forse lì da qualche parte c'era la risposta che avrebbe potuto fargli capire dove si trovava, e come fare per tornare a casa. Marika lo trascinò verso la scala a chiocciola. E, prima ancora di poter rendersene conto, Jake stava salendo dietro di lei. « Dove stiamo andando? » le chiese, ricacciando indietro uno sbadiglio colossale. Con la pancia piena, il suo corpo gli sembrava pesare il doppio. « Vedrai. » Mentre salivano, una domanda continuava ad assillarlo. Con ancora sulle labbra l'aroma della cioccolata calda, chiese: « Mari, come fate a fare il cacao, qui a Calipso? Non avete bisogno delle piante originarie del vostro Paese? » La ragazza annuì. « E vero che abbiamo imparato a coltivare quello che vedi crescere in questo mondo, ma ciò non significa che abbiamo abbandonato completamente i nostri antichi usi. Alcuni uomini della nostra gente sono arrivati qui coi semi, che poi noi abbiamo piantato. E un'usanza che risale fino alla fondazione di Calipso. Noi tutti lavoriamo insieme in armonia, ma allo stesso tempo ciascuna tribù rende onore al luogo da cui proviene. Nella speranza che, un giorno, ci venga concesso il ritorno a casa. » Jake provò a farsi un'immagine mentale della città: non era tanto un crogiolo, quanto una sorta di spezzatino, fatto con brandelli di culture diverse, ciascuna delle quali conservava il proprio sapore e le proprie uniche e individuali peculiarità. Ormai stava cominciando a capirlo un po' meglio, quel posto. Finché non verrà loro concesso il ritorno a casa. Un desiderio che Jake capiva fin troppo bene. James Rollins – L’Ombra del Re

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« Eccoci arrivati », disse Marika, salendo di corsa gli ultimi scalini. Avevano raggiunto la fine della scala a chiocciola. Quando la ragazza aprì la porta in cima, furono investiti da un fresco alito di brezza. La calura soffocante del giorno aveva lasciato il posto al refrigerio della sera. E, dopo la cena pantagruelica, quell'arietta fu utile a Jake per rinfrescarsi un po' le idee. Con gli occhi ben aperti, uscì sul tetto della torre. Nel cielo sopra di loro c'erano più stelle di quante Jake avesse mai visto. Cercò d'individuare qualche costellazione nota, ma sembrava che niente fosse al proprio posto. Senza contare poi che la sua conoscenza nel campo dell'astronomia era alquanto limitata. A casa, Jake trascorreva gran parte del tempo con lo sguardo rivolto verso il basso, a caccia di fossili, studiando sui libri, oppure raspando in mezzo alla polvere o al fango in cerca di qualche indizio. Eppure c'era almeno un elemento sul quale non si poteva proprio sbagliare. Una striscia dì stelle e di luce scintillante attraversava il cielo col suo arco lucente. « La Via Lattea », mormorò. E, dentro di sé, sentì gonfiarsi un calore che attraversò tutto il suo essere, donandogli una gradita sensazione di familiarità, di casa. Anche Marika, spalla contro spalla con lui, alzò gli occhi verso il cielo. Sollevò un braccio e seguì la traccia della striscia di luce. « Sak be », disse, in lingua maya. Jake sentì il cuore fargli un balzo nel petto. Erano le stesse parole incise sulle due metà della moneta d'oro: sak be, « strada bianca ». Alzò lo sguardo verso il cielo. La Via Lattea... ecco cos'era ciò che i maya chiamavano Strada Bianca. Marika continuò: « Tra la nostra gente si crede che la Strada Bianca sia il sentiero che conduce a questo mondo. Il modo in cui siamo giunti sin qui ». Jake studiò ancora quello spruzzo di luce. Quella che solo un momento prima gli era sembrata una presenza calda e familiare adesso aveva acquistato un'ombra di gelido mistero. Le sue dita stavano ancora stringendo il cordoncino intorno al collo. Almeno per Jake e Kady, la Strada Bianca era stata davvero il sentiero che li aveva condotti sin lì. Ma avrebbe anche potuto riportarli indietro, in qualche modo? « Ogni notte, papà viene quassù a scrutare la volta celeste, cercando risposte sul mondo e sullo scorrere del tempo. » « E cerca anche un modo per tornare a casa? » Marika annuì. La sua voce si fece più bassa. « Trascorre tanto di quel tempo, quassù. Soprattutto negli ultimi anni. » Poi la ragazza dirottò l'attenzione di Jake dalle stelle al tetto della torre. Lungo tutto il bordo correva un parapetto di pietra che arrivava all'altezza delle spalle, ma al centro del tetto scoperto si ergeva una gigantesca cupola di bronzo. Jake l'aveva già identificata, da sotto. Era grande come un garage doppio. Il bronzo era stato battuto sino a farlo diventare lucido come uno specchio. La luce delle stelle si rifletteva lungo tutta la superficie, interrotta soltanto da piccole fenditure intorno al culmine, simili ai segni delle ore sul quadrante di un orologio. « Questo è l'Astromicon », spiegò Marika. « È qui che mio padre lavora, osserva i movimenti del sole, della luna e delle stelle. Aveva anche predetto la grande eclissi che ha avuto luogo ieri. » La curiosità e il desiderio attirarono Jake verso la fessura che, simile a un boccaporto, si apriva nella cupola. Doveva vedere dentro. James Rollins – L’Ombra del Re

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Ma, proprio mentre stava per avvicinarsi, qualcosa di scuro passò come in un lampo sul riflesso delle stelle. Anche Marika se ne accorse e trattenne il respiro in un gemito di paura. Immediatamente, Jake tornò con la memoria al mostruoso grakyl. Che fosse in qualche modo riuscito a trovarli? Tirò Marika verso la porta delle scale. Entrambi i ragazzi avevano lo sguardo fisso verso l'alto, mentre una grossa sagoma sorvolava in cerchio la sommità della cupola. Alla luce della luna, fu evidente che non poteva trattarsi di un grakyl. Era troppo grosso e il suo piumaggio era scuro. La creatura calò in picchiata per poi atterrare pesantemente, agitando le ali per frenare. Quindi rimase appollaiata sul parapetto che correva lungo il perimetro della torre. Marika, che stava per scappare via, si fermò. « È uno degli esploratori di Calipso! » La creatura si abbassò, rivelando la presenza di un uomo seduto sulla sua groppa, tenuto legato a una sella con delle cinghie. Con un'abilità che nasceva dall'esperienza, l'esploratore si liberò dei lacci e prese tra le braccia un passeggero che si trovava dietro di lui. Quindi scese dalla sella e atterrò sul tetto della torre. L'esploratore barcollò nella loro direzione, ma dopo pochi passi la spossatezza ebbe la meglio su di lui, facendolo crollare sulle ginocchia. E con lui, anche il suo carico finì riverso sul pavimento di pietra. « Aiutatemi... » disse, emettendo un roco e prolungato lamento. Marika si voltò verso la porta della scala. Echi di urla giunsero fino a loro. Qualcuno doveva aver visto arrivare l'esploratore, e aveva già chiamato aiuto. Lei si girò verso Jake. « Rimani qui. » E se ne corse via come un coniglietto spaventato, sparendo giù per le scale. Jake obbedì, in caso ci fosse bisogno di una mano. La creatura alata era rimasta ferma, il becco spalancato, ansimante, tanto esausta quanto lo era il suo cavaliere. L'enorme uccello sembrava possedere una forza sufficiente da ghermire una mucca dal pascolo e sollevarla in volo. L'esploratore si avvicinò alla figura riversa sulla pietra. Jake fece lo stesso, e vide che si trattava di una donna. Era vestita come la vichinga che aveva preso con sé Kady, con delle calzamaglie verdi, una tunica, e stivali che le arrivavano alle ginocchia. A giudicare dai capelli biondi, doveva appartenere al popolo di Astrid Ulfsdottir. Jake si ricordò quanto aveva udito riguardo alle esploratoci ancora disperse. A quanto pareva, ne era stata ritrovata una. « Vieni qua. Rimani con lei », gli ordinò l'esploratore, con un tono di voce che non ammetteva repliche. Jake si avvicinò di corsa e si abbassò, appoggiando un ginocchio su un lembo del mantello della donna. L'esploratore si tirò in piedi e tornò alla sua cavalcatura. Allungò una mano su di lei per calmarla, poi attraversò il tetto, raggiungendo un punto in cui c'era una pompa da azionare manualmente, con sotto un secchio. Lui aveva la testa adorna di una corona di piume, dello stesso colore di quelle sfoggiate dalla sua cavalcatura. Dai tratti duri del volto bruciato dal sole, s'intuiva che doveva essere un nativo americano. L'uomo porse il secchio colmo d'acqua al suo gigantesco volatile, e poi allungò ancora la mano su di lui, in una carezza. James Rollins – L’Ombra del Re

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Jake riportò l'attenzione sulla donna. Gli occhi erano aperti, ma sospettò che non riuscissero a vedere nulla. Il torace si alzava e si abbassava, ma non c'era traccia di altri movimenti. Non un battito di ciglia, non una contrazione muscolare. Anche quando Jake le prese una mano e gliela strinse, con l'intenzione di farle sapere che lì con lei c'era qualcuno, la donna non diede risposta. Da una spalla le sporgeva una grossa freccia. Tutt'intorno, la tunica era diventata scura di sangue. Jake allungò una mano verso il dardo e... « Non Io toccare! » L'urlo che si sentì risuonare congelò il gesto di Jake. Proveniva dalle scale. Jake si voltò e vide Maestro Zahur che si stava precipitando verso di lui, simile a un corvo nero, con la mantella che gli svolazzava dietro le spalle. Alla luce delle stelle, i tatuaggi rossi sembravano fiammeggiargli sulla fronte. Zahur si lasciò cadere sul pavimento di pietra e con un gesto della mano allontanò Jake, come se fosse un insetto noioso. E proprio in quel momento, Marika tornò insieme con suo padre. Maestro Balam si unì al collega, mettendosi dall'altro lato della donna. Zahur aveva già cominciato a esaminarla. Le toccò la gola e le labbra, quindi si chinò per guardarle bene gli occhi. Anche l'esploratore si avvicinò. « L'ho trovata insieme con altre due delle sue sorelle, proprio dietro il Picco delle Ossa. L'avevano portata fin lì con una barella. E anche loro due si reggevano in piedi a stento. Il mio capogruppo le ha condotte a Bornholm, ma ha ordinato a me di portare qui questa esploratrice. Per vedere se c'è qualche speranza di salvarla. » « E Livia », disse Maestro Balani in tono cupo. Marika si accostò a Jake. Sul suo viso si potevano riconoscere i segni della preoccupazione. « È la sorella di sangue dell'Anziana Ulfsdottir. Un tempo lei e mia madre erano molto amiche. Mi leggeva sempre le storie. » « Dobbiamo portarla nelle mie stanze, di sotto », disse Zahur, e le sue parole si levarono come una nube di vapore dalla rabbia profonda che stava ribollendo dentro di lui. « E laggiù che tengo tutti i miei unguenti curativi. Ma, prima, la punta della freccia è ancora affondata nella carne. Dobbiamo tirarla fuori. Subito. » Balam si voltò verso Jake e Marika. « Aiutateci. » Il Maestro fece ruotare la donna su di un fianco. Jake le teneva la testa in grembo, mentre Mari le si mise a cavalcioni all’altezza delle delle anche, in modo da tenerla ben ferma. Zahur afferrò la freccia. « Devo spingerla in modo da farle percorrere tutto il resto della spalla... poi così potremo spezzarne la punta e strappargliela via. » Fissò gli occhi su Jake. « E che nessuno la tocchi! » Balam sostenne la donna dall'altra parte. Zahur serrò le dita. « Ora! » disse ansimando, e si buttò sulla freccia con tutto il suo peso. La punta sbucò fuori della schiena della donna. Solo per un breve istante, Jake pensò che sembrava la testa di un serpente con le zanne protese, pronto a colpire col suo morso, ma poi batté una volta le palpebre e vide che non era altro che una punta di freccia, una vitrea scheggia di ossidiana nera come la più scura delle ombre. « E ora, veloci! » li ammonì Zahur. Balam si estrasse di tasca un corto bastoncino. Sembrava avere una delle estremità incandescente, ma Jake si avvide che in realtà la punta era un minuscolo frammento di cristallo. Balam allungò la mano e toccò la punta della freccia col cristallo. Un urlo perforò la James Rollins – L’Ombra del Re

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notte, innalzandosi verso il cielo. Il corpo della donna sussultava, ma l'urlo non era uscito dalla sua gola. Jake ne era sicuro, perché aveva ancora appoggiato in grembo il capo dell'esploratrice. Quello strillo era uscito dalla punta della freccia. Non appena Balam si fu tirato indietro, Jake vide che la punta non era più nera, ma si era trasformata in un limpido cristallo trasparente. Con gesti rapidi, Balam la spezzò e l'avvolse in un brandello di pelle. Solo allora Zahur fece di nuovo stendere la donna sulla schiena. Ora il suo corpo era di nuovo rilassato. Aveva gli occhi chiusi, ma il respiro era più regolare. « Sopravvivrà? » chiese l'altro esploratore. « È troppo presto per dirlo. Il diaspro sanguigno l'ha avvelenata. E potrebbero essercene ancora dei minuscoli frammenti dentro, schegge che si sono staccate dalla freccia », rispose Balam. Vennero interrotti dall'arrivo ansimante del Maestro inglese, che trascinò la massiccia mole del proprio corpo attraverso la soglia. « Ho sentito... che cosa posso fare? » Balam attraversò la stanza e mostrò al florido Maestro la punta di freccia avvolta nella pelle. « Calmati, Oswin. L'abbiamo estratta. » Il suo viso sbiancò, ma l'ometto allungò ugualmente la mano verso l'oggetto che gli veniva mostrato. « Dobbiamo analizzarlo, prima che svanisca del tutto ogni sua eventuale magia. » Zahur piombò su di loro come un uragano. « Siete impazziti? Dev'essere distrutta! » « Ma potrebbe darci delle risposte su ciò che il diaspro sanguigno... » Il resto delle parole fu pronunciato in un concitato bisbigliare fra i Maestri. Jake non riuscì a capire che cosa si stessero dicendo. Invece, mentre ancora stava sostenendo la donna, si accorse che le sue labbra si stavano muovendo. Piano, molto piano. Si abbassò verso di lei, cercando di avvicinare l'orecchio alla sua bocca. E, a ogni labilissimo respiro, la donna riuscì a pronunciare tre parole, ripetute in continuazione: « Lui sta arrivando... lui sta arrivando... lui sta arrivando... » Poi, di colpo, i suoi occhi si spalancarono. Il suo sguardo s'inchiodò su quello di Jake. Con una mano gli afferrò il polso, stringendolo come in una morsa. « Aiutami... » Prima che Jake potesse risponderle, la donna crollò all'indietro, ancora una volta priva di sensi, gli occhi nuovamente chiusi, la bocca muta. Senza essersi accorto di quanto era appena successo, Zahur si staccò improvvisamente dal gruppo e tornò accanto a Livia. « Basta così. » Fece un cenno verso l'esploratore. « Aiutami a portarla di sotto. Devo cercare di fare tutto il possibile coi miei unguenti per salvarle la vita. » Jake si alzò in piedi. « Ma lei ha... » Zahur lo tirò da parte prendendolo per un gomito. Insieme, i tre Maestri e l'esploratore usarono il mantello della donna a mo' di barella per portarla via. Allora il padre di Marika si rivolse ai due ragazzi. « Mari, va' con Jacob e mostragli il suo letto. Penso che tutti quanti abbiamo già avuto anche troppe emozioni, per questa sera. » Marika annuì. Jake si fece da parte e aspettò che il gruppetto passasse, diretto al piano inferiore. Quindi si avvicinò al parapetto, e fece scorrere lo sguardo sulla città di Calipso che si estendeva davanti a lui. Poteva distinguere la spirale della strada principale che si dipanava allontanandosi dal castello, fino a raggiungere la porta d'ingresso della città. Che pace, che silenzio. Eppure, bastava che Jake si voltasse e vedesse la chiazza di sangue fresco sul pavimento di pietra, per rendersi conto che quella serenità non James Rollins – L’Ombra del Re

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era altro che un'illusione. Lui sta arrivando... lui sta arrivando... lui sta arrivando... Dentro di sé, rivide gli occhi di un vivido azzurro dell'esploratrice. Solo per un attimo, ma sufficiente a fargli ricordare gli occhi di sua madre... sempre ridenti e così pieni di amore. Occhi che non avrebbe rivisto mai più. Aiutami... Si sentì rabbrividire. Non era riuscito a salvare sua madre, ma giurò silenziosamente che avrebbe fatto tutto il possibile per quella donna. Ma come? Non sapeva nulla di quel mondo. E, proprio quando lo sconforto stava per prendere il sopravvento su di lui, il suo sguardo si posò su un'ulteriore visione, quella che era la sua ultima speranza. Inondato dalla luce argentea della luna, il drago di pietra si librava sulla cupa distesa delle foreste, appena fuori della città. Il suo sguardo si spingeva verso i confini estremi della vallata, come un cane da guardia che stesse vigilando contro possibili intrusi. Jake sentiva che laggiù dovevano essere nascoste delle risposte. Ma sarebbe riuscito a svelarle in tempo?

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Capitolo 11 ₪

IL NOVELLO ALCHIMISTA

Jake si svegliò con le coperte tutte arrotolate intorno al corpo. Gli ci volle un momento per ricordarsi dove si trovasse, un momento nel quale i pensieri si succedettero frenetici. Aveva sognato i suoi genitori. Si mise seduto e si strofinò gli occhi. Il cuore gli stava ancora martellando nel petto, come quello di un cavallo da corsa dopo uno sprint in pista. Il sogno era ancora vivido nella sua mente e lo riempiva di terrore. Si trovava nella cava di roccia dietro casa, e stava rovistando in giro in cerca di fossili, quando sua madre e suo padre cominciavano a chiamarlo. Il panico che sentiva nelle loro voci lo costringeva ad arrancare a quattro zampe, cercando freneticamente una maniera per venir fuori di quel pozzo di roccia, ma le pareti erano diventate due volte l'altezza normale, e sembrava non esserci nessuna via d'uscita. E intanto i suoi genitori continuavano a urlargli di fare in fretta, ma lui non riusciva a vederli. E, mentre era lì che cercava un modo per scappare dalla cava, la sua attenzione veniva attratta da un puntino nel cielo. Jake sapeva che era quello l'origine della paura dei suoi genitori. Lo fissava con gli occhi sbarrati, e il puntino diventava sempre più grande, finché lui non vedeva che si trattava di una creatura alata, nera come un pozzo senza fondo, con un collo serpentiforme e la testa appuntita. La creatura si tuffava in picchiata su di lui, e la sua apertura alare continuava a crescere e a crescere, fino a oscurare perfino il sole. La sua ombra si stendeva sopra di lui e inghiottiva la cava intera. Di colpo, la temperatura si abbassava diventando di un gelo invernale. Poi una voce calava fino a lui, come se la creatura stesse portando in groppa un cavaliere che rimaneva nascosto alla vista. Vieni da me... Quelle parole, le stesse che aveva udito mentre precipitava nel tunnel buio che lo aveva condotto in quello strano mondo, lo avevano colpito con la stessa violenza di un fulmine, strappandolo di colpo dall'incubo. Rimase un attimo seduto, aspettando che si placasse il battito cardiaco. Tutto il suo corpo era madido di sudore, come se si fosse appena riavuto da un febbrone divampato all'improvviso. Riusciva ancora a sentire quella voce, uno stridio simile a qualcosa che stesse cercando di artigliarsi su una lapide. Infine, scalciate via lenzuola e coperte imbottite, si avvicinò alla finestra con indosso soltanto i boxer. Aprì le imposte e la luce del mattino si riversò nella stanza. Uno di quei piccoli uccelli sauri, quelli che la gente di Calipso chiamava « frecce alate », passò in volo davanti alla sua finestra. Lanciò gracchiando una nota acuta, e poi se ne andò. Jake respirò a fondo varie volte, cercando di calmarsi. Là sotto, la città di Calipso era già in pieno fermento. Carri che avanzavano lungo le vie, strade piene di gente, bestiame che incedeva lento e pesante nei viali più ampi. Jake sentì un moto d'attrazione verso quel nuovo mondo tutto da esplorare. Allontanatosi dalla finestra, andò nel punto della stanza dove, la sera prima, era faticosamente uscito dai vestiti lasciandoli cadere a terra. Dopo quella lunga giornata, James Rollins – L’Ombra del Re

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la bizzarra introduzione nel mondo di Calipso e le emozioni degli eventi in cima alla torre, a malapena era riuscito a raggiungere il letto. La sua stanza era appena più grande di un armadio scavato nella pietra, ma era molto accogliente. C'erano un letto e un comodino con sopra una lampada, una sedia e un guardaroba di legno intagliato con dei glifi maya. Non aveva ancora fatto un passo, che già due cose gli erano saltate agli occhi. I vestiti, che lui aveva lasciato sul pavimento, adesso erano piegati ordinatamente sulla sedia. Sembravano anche lavati di fresco. Jake prese la giacca safari, e sentì che era ancora tiepida, come se fosse appena uscita da un'asciugatrice. Ma quella era un'eventualità del tutto assurda, giusto? Seconda cosa, notò che lo sportello del guardaroba era socchiuso. Lo aprì un po' di più con un colpetto, e vide che qualcuno gli aveva riportato lo zaino. Fece scorrere la zip e controllò dentro. Sembrava esserci tutta la sua roba, ma per esserne proprio sicuro ne passò in rassegna il contenuto. Vicino al fondo, il suo dito s'impigliò in qualcosa di strano. E questo che cos'è? Tastò quella che sembrava una tasca interna. Doveva essersi aperta durante tutto il trambusto del giorno prima. Dentro, trovò una specie di bottone metallico color argento, all'incirca della misura di una moneta da dieci centesimi. Se lo rigirò tra le dita e, pizzicandone il bordo con un'unghia, ne fece uscire una piccola antenna. « Una cimice! » disse ad alta voce, sbalordito. Aggrottò la fronte. Era stata la Bledsworth a fornirgli lo zaino, insieme con tutti gli altri vestiti nuovi. A quanto pareva, gli avevano dato anche qualcos'altro. Alla scoperta di quella violazione della sua privacy, sentì un fiotto di rabbia ribollire dentro di sé. Attraversata di nuovo la stanza, scagliò quell'oggetto fuori della finestra. E, mentre saettava veloce attraverso il cielo, una freccia alata lo agguantò al volo come se si trattasse di una cimice vera e si allontanò. Jake scosse la testa. Perché mai quella gente, la stessa che aveva finanziato gli scavi di mamma e papà, avrebbe dovuto mettermi addosso una cimice? Si vestì velocemente, mantenendo sempre una smorfia pensierosa sul viso. Non aveva risposte, e qualsiasi indagine ulteriore avrebbe dovuto aspettare. In quel momento doveva pensare a cose più urgenti, come per esempio dare un'occhiata in giro nella sua stanza. La porta adesso era chiusa, ma era evidente che, mentre lui stava dormendo, qualcuno doveva essere entrato. Serrò il pugno in un moto d'inquietudine. La sera prima aveva voluto prendere una sola precauzione. Attraversò la stanza di corsa e infilò una mano sotto il letto, dove trovò i diari dei suoi genitori. Li aveva nascosti lì perché fossero al sicuro. Raccolse i due volumi, e subito ebbe come l'impressione che occhi furtivi lo stessero spiando, e orecchie nascoste fossero in ascolto. Si ficcò in tasca i quaderni e, quando si fu accertato con un colpetto della mano che si trovavano al solito posto, si sentì più rinfrancato. Per finire, si caricò lo zaino in spalla. Una volta pronto, aprì la porta. La sua stanza si trovava al secondo piano della casa di Balam. Le scale che portavano alla stanza comune si trovavano in fondo a una breve sala. Jake sentì delle voci che stavano borbottando qualcosa, in un tono troppo basso James Rollins – L’Ombra del Re

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perché lui potesse distinguere le parole. Si stava dirigendo verso l'imbocco delle scale, quando sentì qualcuno dire: « Insomma, vallo a svegliare, Mari! » « No, papà ha detto di lasciarlo dormire. » Jake spiò di sotto e scorse Marika, seduta al tavolo con un libro davanti a sé. Un ragazzo con indosso la toga e i sandali romani stava girando a grandi passi intorno al tavolo. Era Pindoro. Jake si ricordò che il ragazzo gli era stato assegnato come sorvegliante personale dall'Anziano Tiberio. Evidentemente, aveva già preso servizio. Marika dovette percepire in qualche modo la presenza di Jake, e lanciò un'occhiata in alto, nella sua direzione. Lui si raddrizzò, arrossendo un pochino per l'imbarazzo di essere stato colto in quella posa da spione. La salutò con la mano e si diresse verso le scale. La giovane maya si alzò. « C'è del porridge, è ancora caldo », gli disse, indicando una ciotola coperta. Pindoro alzò gli occhi al cielo. « Ma non abbiamo tempo... » « Lo dici solo perché tu te ne sei già fatte fuori tre tazze! » esclamò Marika, zittendolo con un'occhiataccia. Lui si passò una mano sullo stomaco. « Avevo fame! Mi hanno spedito a letto senza cena, ieri sera », ribatté lanciando uno sguardo truce verso Jake, come se la colpa della punizione fosse sua. Marika sospirò e si voltò verso Jake. Aveva gli occhi stanchi e velati. Sembrava che non fosse riuscita a dormire granché, quella notte. « Papà ci ha chiesto di andare a parlare con lui, prima di uscire. » Jake diede un'occhiata alla porta chiusa dello studio. « No. E nell'Astromicon, insieme con Maestro Oswin. Sono rimasti lassù tutta la notte », disse lei. « A studiare quella punta di freccia? » chiese Jake. « Penso di sì. » Pindoro si avvicinò. « Ma l'hai visto sul serio, il diaspro sanguigno? » Jake aggrottò le sopracciglia. « Il cosa? » « La punta di freccia che ha abbattuto l'esploratrice Livia, e che l'ha avvelenata. » Jake ripensò a quel letale frammento di cristallo, a come il suo colore scuro lo facesse sembrare un brandello d'ombra solidificato. E al solo ricordo sentì insinuarsi dentro di sé una sensazione di gelo. Marika intercettò lo sguardo di Jake. « L'abbiamo vista tutti e due. Mio padre è riuscito a smorzarla velocemente, annullandone il potere. » « Vorrei tanto averla potuta vedere anch'io », disse Pindoro. « No », replicarono Marika e Jake all'unisono, facendo indietreggiare l'altro di un passo. « Non desiderare mai una cosa del genere », tagliò corto Marika. Quindi, cambiando argomento, indicò il tavolo con un gesto della mano. « Ti andrebbe qualcosa da mangiare, Jacob? Il porridge di oggi è con le girobacche. È veramente squisito. » Jake scosse la testa. Il ricordo di tutto il sangue visto la notte precedente gli aveva tolto l'appetito. « No, grazie... e mi puoi chiamare Jake. » La concessione strappò un sorrisetto alla ragazza, prima di girarsi e dirigersi verso le scale. « Allora salutiamo mio padre, e poi potremo andare. » « Andare dove? » chiese Jake. « Papà ha pensato che ti avrebbe fatto piacere andare a trovare tua sorella. In modo da assicurarti che stia bene. Come te. » Jake annuì, con un lento cenno del capo. Anche se lui era ben lontano dal sentirsi bene, non disse niente. E si sentì anche pungere da un pizzico di senso di colpa. Quasi non ci aveva neppure pensato, a come se la stesse cavando Kady. James Rollins – L’Ombra del Re

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Probabilmente aveva trascorso la notte nascosta sotto il letto. Sulla cima della torre, la luce del sole risplendeva in una vampa accecante su tutta la cupola bronzea dell'Astromicon. Jake socchiuse le palpebre per proteggersi dal riverbero e seguì di corsa Marika che si dirigeva verso l'entrata. La ragazza bussò e, dopo qualche istante, con uno scricchiolio di cardini, la porta si aprì di quel tanto che bastava per far uscire la testa di Maestro Balam. I capelli grigi erano ancora più arruffati della sera prima, e gli occhi sembravano spiritati. Ma quando vide i ragazzi riuscì in qualche modo ad arrangiare un sorriso. « Ah, bene. Avevo proprio bisogno di scambiare una parola col giovane Jacob, prima che se ne andasse. » Si fece da parte, e con un gesto della mano invitò Jake a varcare la soglia. « Entra. Maestro Oswin se n'è andato in cerca del letto... e di una porzione di porridge, sospetto. E meno male, o qui dentro difficilmente ci sarebbe stato spazio per tutti. » Jake s'introdusse faticosamente attraverso la bassa porta. Marika e Pindoro cercarono di seguirlo, ma il ragazzo si era bloccato proprio nel mezzo, con lo sguardo fisso sulla superficie concava della cupola. L'intero spazio sopra di loro era occupato da un labirinto fatto di tubi di rame e volute a spirale di vetro color ambra. Attraverso i condotti scorrevano dei fluidi gorgoglianti e, di tanto in tanto, dalle valvole di rame uscivano fischiando piccoli sbuffi. E, cosa ancora più strabiliante, l'intero marchingegno ruotava lentamente intorno a un asse centrale. Cerano poi delle sezioni di dimensioni più ridotte che giravano a loro volta, ancora più veloci. Era come se sulla loro testa fosse stata sospesa la cassa aperta di un gigantesco orologio, e loro ci stessero guardando dentro. Solo che questo meccanismo non smetteva un solo istante di emettere sommessi sospiri e soffi, borbottii e scricchiolii, come un organismo vivo. Ad aggiungersi alla meraviglia del tutto, l'intero marchingegno era decorato con piccoli blocchi di cristallo, ciascuno dei quali aveva una diversa sfumatura dell'arcobaleno. Pendevano come le decorazioni di un albero di Natale metallico. Ma quei cristalli erano uno strumento per tenere in equilibrio l'intero meccanismo, o erano invece ciò da cui esso traeva l'energia per funzionare? Probabilmente entrambe le cose, stabilì Jake. Qualunque fosse il loro scopo, quello era molto di più di un semplice osservatorio. Il padre di Marika lo invitò di nuovo a entrare. Lo sguardo del ragazzo si abbassò sulla sezione inferiore della cupola. Era vuota, tranne che per un bancone da lavoro in bronzo che si estendeva lungo tutto il muro, pieno di bizzarri attrezzi e strumenti d'ogni genere: grovigli di tubi, secchi pieni di residui metallici, sostegni in legno che reggevano schegge di cristallo. Sparsi ovunque, c'erano libri rilegati in pelle, codici arrotolati dall'aria fragile, nonché fogli sciolti di pergamena. Su una zona del tavolo era posata una lastra di pietra alta quanto Jake. Ogni singolo millimetro della sua superficie era ricoperta di scritte minute. Assomigliava alla strana iscrizione che aveva visto incisa sul Portale Spezzato. Maestro Balam lo guidò verso qualcosa che Jake riconobbe immediatamente: l'iPod di Kady, che era stato meticolosamente smontato. Se avesse potuto vederlo, sua sorella si sarebbe strappata i capelli. Balam indicò con un gesto del braccio quella strage di componenti elettronici. « Noi James Rollins – L’Ombra del Re

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Maestri abbiamo parlato, ieri. Troviamo questa vostra scienza estremamente affascinante. Non siamo stati in grado di trovare nessun cristallo dentro la vostra scatola, niente che possa spiegare questa vostra alchimia che permette di trasmettere suoni a distanza. A quanto pare, ci sono molte cose che potete insegnarci, che potremmo condividere... così come anche noi potremmo fare la stessa cosa per voi. » Balam si voltò, a braccia conserte. « Pertanto, è stato deciso che ti prenderò sotto la mia tutela. Come apprendista. Insieme con mia figlia. » Alle spalle di Jake, Marika fece un gridolino, a metà tra il felice e l'emozionato. « Apprendista? » chiese Jake. « Per dare inizio al tuo addestramento nel campo dell'alchimia. » Jake non sapeva che cosa dire; si ricordò però del monito di Marika riguardo al drago della piramide, di come solo i Maestri dell'Alchimia potessero accedervi. Forse poteva essere un modo per raggiungere quell'obiettivo! Le sue speranze ebbero un'improvvisa impennata. « Se cominciamo con te adesso, chi lo sa? Potresti diventare un Maestro anche a soli trent'anni », continuò Balam. Trent'anni? « Non sarebbe meraviglioso? Saresti il più giovane Maestro nella storia di Calipso. » E il volto di Balam si allargò in un ampio sorriso. Jake ricacciò indietro un gemito. Non poteva certo rifiutare. « Come... da dove cominciamo? » Balam raddrizzò la schiena. « Possiamo anche iniziare domani. So che ora desideri vedere come sta tua sorella. Ma prima volevo darti questo. Il simbolo del tuo apprendistato. » S'infilò una mano in tasca e ne estrasse un oggetto argentato, di forma quadrata, piatto, dal lato lungo più o meno quanto il pollice di Jake. Fece un passo avanti e lo appuntò sulla giacca del ragazzo, come se fosse un tesserino di riconoscimento. Jake abbassò lo sguardo e fissò quella strana cosa. Nell'argento erano stati incastonanti quattro minuscoli frammenti di cristallo. Al centro ce n'era uno di colore bianco, come un diamante, solo che questo risplendeva di luce propria. Jake vi riconobbe la stessa pietra che brillava nelle torce e sulle lampade di Kalakryss. Intorno al diamante, altre tre pietre formavano un triangolo: un rubino, uno smeraldo e uno zaffiro blu ghiaccio. « I quattro cristalli principali dell'alchimia. Le quattro pietre angolari sulle quali si regge il nostro mondo », spiegò Balam. Poi si voltò verso il bancone e prese un cristallo di rubino delle dimensioni di un uovo. Se lo strofinò tra le mani, e cominciò a uscirne un bagliore, come se al suo interno si fosse acceso un fuoco. Quindi lo porse a Jake. Incuriosito, Jake lo prese, ma subito cominciò a palleggiarselo da una mano all'altra. Era sempre più bollente. Balam glielo tolse di mano, sghignazzando. Con un martello d'argento, simile a quello che portava al collo a indicare il suo stato di Maestro, diede un colpetto al cristallo. Esso risuonò come una campana, e al suo interno il fuoco si estinse. « Cristalli come questi ci forniscono il calore, mentre quelli di colore blu... » Prese uno zaffiro dalla tonalità molto tenue e soffiò sulla sua superficie. James Rollins – L’Ombra del Re

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Dal centro della pietra, cominciò a emanarsi come un'aura ghiacciata. Jake poteva immaginarne bene la funzione. Allungò una mano e la tenne sospesa sul cristallo. « È freddo. » Balam annuì, poi le diede un colpetto e la mise da parte. Quindi prese uno smeraldo. « Questi li usiamo per la comunicazione a distanza. Se si spezza un cristallo di smeraldo in due frammenti, ciascuna delle metà vibrerà nello stesso modo, anche quando si troveranno lontane l'una dall'altra. Come... » Venne interrotto da una nuova voce dal timbro metallico che proveniva da un'altra zona del bancone: « Maestro Balam, devo parlarti. È urgente ». « Scusatemi. » Balam si diresse verso quella che sembrava una racchetta da ping pong, ma vuota al centro e con un frammento di cristallo verde sospeso nel mezzo tramite una maglia di fili sottilissimi, come un ragno in mezzo alla sua rete. Jake vide i fili vibrare piano mentre dal centro ne fuoriusciva una voce: « Maestro Balam... » Questi toccò la pietra con un dito, interrompendo il suono; poi, con le labbra che quasi ne sfioravano la superficie, cominciò a parlare, come se stesse usando un walkie-talkie: « Eccomi, Zahur. Che succede? » Jake riuscì a percepire la tensione nella voce di Balam. Il suo fare calmo e distaccato si era irrigidito, acquistando una nota di preoccupazione. « Si tratta di Livia. » Seguì un lungo momento di silenzio. « Continua a peggiorare. I balsami e gli unguenti che ho usato con lei avrebbero già dovuto far effetto, ormai. Temo che avrò bisogno del tuo aiuto per cercare le schegge ancora disperse nella carne che la stanno avvelenando. » Jake ripensò all'esploratrice e si sentì trafiggere da una fitta d'inquietudine. Ricordò l'impegno che si era preso la sera prima, di aiutarla in qualsiasi modo avesse potuto. Balam sospirò e chiuse gli occhi. C'era un'ombra di rassegnato sconforto nella sua postura, come se la prognosi cui stava pensando fosse infausta. Si chinò sul cristallo. « Ti raggiungo nel sotterraneo. » Con un tocco delle dita, mise fine alla conversazione e si voltò verso Jake e gli altri. Si sforzò di atteggiare il viso a qualcosa che potesse in qualche modo assomigliare a un'espressione incoraggiante, ma ciò che gli venne fuori appariva fasullo. « Dovremo continuare la nostra chiacchierata più tardi. Va' a trovare tua sorella, Jacob. » E, con un gesto stanco della mano, il padre di Marika li invitò a uscire. Ma Jake rimase fermo al suo posto. Forse c'era una piccola cosa che poteva fare per aiutare l'esploratrice. « Maestro Balam, ieri sera, dopo che avete tolto la freccia dalla cacciatrice Livia, io l'ho sentita mormorare qualcosa. Non so se sia importante, ma se alla fine dovessero essere le sue ultime parole... » La voce gli si strozzò in gola. Deglutì con forza, ma era il minimo che potesse fare per quella donna. Le sopracciglia cespugliose di Balam si unirono in un'espressione cupa. « Tu l'hai sentita parlare? » « Sì. Ma sembrava che stesse delirando... che non si rendesse conto di quello che stava succedendo... » « E che cosa ha detto? » « Chiedeva aiuto, ma continuava anche a sussurrare: Lui sta arrivando. » « Lui sta arrivando », ripete Balam. I suoi occhi grigi, colti da un'ondata di angoscia, s'indurirono come pietre. « Grazie, Jacob. Ma non dire una parola di questo a nessun altro. Per ora, va' a trovare tua sorella. Ne riparleremo domani. » E i tre ragazzi furono condotti velocemente verso la porta. Una volta fuori, nella luce del mattino, gli sguardi di Marika e di Pindoro si fissarono su Jake. Gli occhi di Pindoro erano enormi, mentre quelli di Marika erano socchiusi James Rollins – L’Ombra del Re

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in un'espressione inquieta. Jake non aveva bisogno di nessun cristallo magico per leggere nelle loro menti. Sapeva a che cosa stavano pensando. Lui sta arrivando. Poteva esserci solo una persona in grado di suscitare una simile paura. Il re Teschio.

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Capitolo 12 ₪

BORNHOLM

« Ma chi diavolo è questo re Teschio? » chiese Jake mentre attraversavano il cortile del castello. Era da un po' che la domanda gli frullava in testa, ma solo adesso, alla luce del giorno, si era sentito nella disposizione d'animo giusta per sollevare la questione. Pindoro fece una smorfia e si morse il pollice. Lanciò un'occhiata a Marika, che si strinse più vicino ai ragazzi e abbassò la voce fino a ridurla a un bisbiglio: « Il suo vero nome è Kalverum. Più di mezzo secolo fa era un Maestro di Calipso. Mio padre è stato uno dei suoi apprendisti. A quel tempo, Kalverum era l'alchimista più dotato di Calipso, tanto da oscurare in abilità gli altri due Maestri. Ma, come ora fa Maestro Zahur, si è rinchiuso nei sotterranei e ha vietato a chiunque altro di scendervi. Inoltre teneva rinchiuse laggiù delle creature della giungla... » Marika rabbrividì. Fu Pindoro a continuare il racconto: « Si narra che laggiù abbia commesso ogni sorta di orrore, trastullandosi con un nuovo tipo di cristallo, il diaspro sanguigno: un cristallo nero che avvelena e guasta la carne ». « E forse quel veleno ha guastato pure lui », aggiunse Marika. « Kalverum si è isolato sempre di più, arrivando anche al punto di non uscire alla luce del sole per mesi interi. Poi hanno cominciato a sparire dei bambini... » Jake sentì uno strano rimescolio nello stomaco. « Mio padre non ha mai raccontato con esattezza che cosa sia stato trovato in quei sotterranei. Uno dei Maestri è stato ucciso. E per poco la torre non è stata distrutta da un incendio. Ma Kalverum è riuscito a fuggire. E un gruppetto di uomini se ne è andato insieme con lui. E stato un momento molto difficile per il nostro popolo. Siamo rimasti soltanto con un Maestro, per di più vecchio e malridotto... e i tre apprendisti che aveva a quel tempo. » « Tuo padre, Zahur e Oswin? » chiese Jake. Marika annuì. « Molta conoscenza è andata perduta, ma almeno ci siamo liberati di quel mostro. » « O almeno, così credevamo », aggiunse Pindoro. Marika proseguì col racconto. « Una ventina d'anni dopo, hanno iniziato a circolare delle storie, storie di bestie deformi che spuntavano fuori della giungla... come il grakyl che hai visto anche tu. Un giorno sono riusciti a catturarne una e l'hanno portata qui. I Maestri l'hanno esaminata, e vi hanno riconosciuto la malvagia alchimia di re Kalverum. Si sono convinti che si fosse costruito una roccaforte fra i dirupi dello Scheletro, la catena montuosa che si estende al di là della Palude dell'Alga di Fuoco. E, nel corso degli anni, cacciatori ed esploratori hanno continuato a sparire, mentre altri che sono tornati dal limite della palude raccontano storie di enormi colonne di un fumo nerastro che si levano dai picchi innevati dello Scheletro. » « Quindi, lui è ancora laggiù », disse Jake. « E diventa sempre più forte. Sono ormai alcuni anni che le sue bestie orrende si spingono sempre più lontano. Fino ad arrivare a sfiorare i nostri confini », concluse Marika. James Rollins – L’Ombra del Re

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Jake rivide il grakyl bloccato sul Portale, respinto dalla strana forza che proteggeva tutta quella vallata. « E questo diaspro sanguigno? Che cos'è, esattamente? » « Nessuno lo sa. Dopo l'incendio alla torre, quell'oscura alchimia è stata severamente vietata. Nessuno può più immischiarsene. Dovresti chiedere a mio padre... » Marika venne interrotta da un urlo: « Oh oh! Guarda un po' chi c'è! Il fratellino di Ero! » Jake si voltò e sull'altro lato del cortile vide un gruppetto di ragazzi più grandi. Erano seduti sulla staccionata di un recinto. Dietro di loro, stavano sellando degli othnielia. « Ancora paura delle lucertole, eh, Pin? » lo apostrofò uno di loro. Un altro si chinò verso il compagno. « Non ci si crede che sia davvero il fratello di Ero. Questo qui se la fa sotto anche soltanto a infilare il sandalo in una staffa. » Il viso di Pindoro divenne di un rosso acceso. Marika sfiorò il gomito dell'amico, ma questi la respinse in malo modo. Poi si allontanò a grandi passi e puntò verso il portone del castello, lasciandosi alle spalle lei e Jake. « Che cos'è questa storia? » chiese Jake a bassa voce. « Pindoro voleva entrare a far parte della Guardia Sellata che pattuglia la città, così come prima di lui avevano fatto anche il padre e il fratello. » Marika scosse tristemente la testa. « Non è andata bene. Si è fatto prendere dal panico mentre cercava di montare su una delle cavalcature. Ed è successo proprio davanti a tutti. C'era anche suo padre. Adesso dovrà aspettare fino all'anno prossimo. » « Ma che cos'è successo? » « Pin... be', quando si tratta di animali grossi, può diventare un po' ombroso. Hai notato che zoppica leggermente dalla gamba sinistra? È stata la vecchia cavalcatura di suo padre... una bestia davvero irascibile. Gli ha rotto la tibia quando aveva cinque anni. Pindoro si era spinto fin dentro il suo recinto per darle una manciata di erbe dolci. Nessuno stava guardando. » Jake fissò la schiena di Pindoro che si allontanava con un'andatura rigida, ma sembrava ardere dal desiderio di raggiungere di corsa l'ingresso del castello, per levarsi dalla vista di quei giovani cavalieri nel campo d'addestramento. Marika continuò: « La storia della sua brutta figura ha cominciato a circolare, diventando sempre più grossa ogni volta che veniva raccontata. Se Pin non fosse stato il figlio dell'Anziano Tiberio, forse non sarebbe stata una notizia così succosa. La gente può essere davvero crudele. È stato uno dei motivi per cui siamo andati al di là del Portale Spezzato, quando abbiamo trovato te e tua sorella ». « Che vuoi dire? » « Se fossimo riusciti a tornare con un pezzo del guscio di una lucertola tonante, o, meglio ancora, con un uovo... Sarebbe stata la prova del coraggio di Pin, e avrebbe messo fine a tutte quelle storie. Forse gli sarebbe stata perfino concessa una seconda opportunità di diventare una Guardia Sellata. » Ormai avevano raggiunto il portone, e seguirono Pindoro, che finalmente aveva rallentato, lungo la via principale. Jake lo affiancò con passo deciso. Non sapeva bene che cosa dirgli, ma di certo capiva come poteva sentirsi in quel momento. Il giovane romano tirò su col naso, e cominciò a parlare a voce bassa. « Ieri, con quella lucertola tonante... sei riuscito a cacciar via quella bestiaccia con quella tua specie di flauto. » « In realtà si tratta di un fischietto. » Jake s'infilò la mano in tasca e ne estrasse il tubicino d'acciaio. Lo porse a Pindoro, perché potesse guardarlo meglio. Il ragazzo lo prese, con uno sguardo pieno di desiderio. « Suona una nota che noi umani non siamo in grado di sentire. Certi animali sì, inJames Rollins – L’Ombra del Re

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vece. Perché non te lo tieni per un po'? » Pindoro fissò l'oggetto sgranando gli occhi. « Sul serio? » « Certo. » Jake si strinse nelle spalle. Magari Pindoro avrebbe potuto usarlo per tirarsi un po' su. Le dita del romano si strinsero intorno al regalo. « E questo strumento si può usare per tenere a bada le bestie selvatiche? » « Questo non lo so, ma di certo riesce ad attirare la loro attenzione. E, con un po' di esercizio, di certo può essere un buon mezzo per addestrarle. » Pindoro annuì. L'espressione dolente del suo sguardo si era un po' ammorbidita, lasciando il posto alla meraviglia. « Grazie », borbottò, e continuò a camminare lungo la strada, ora con passo più leggero. Marika venne accanto a Jake e gli sorrise. « Che c'è? » chiese Jake. Lei distolse lo sguardo, quindi tornò a guardarlo di nuovo, con la coda dell'occhio. Sulle sue labbra aleggiava l'ombra danzante di un sorriso. « Che c'è? » chiese ancora lui. « Niente. Assolutamente niente », rispose la ragazza. Il palazzo vichingo di Bornholm sorgeva dinanzi a loro, come una nave da guerra protesa sui tetti di Calipso. Era evidente che la metà superiore un tempo doveva essere stata la prora di una nave antica. Spiccava anche una prora di legno, nella quale era stata scolpita la sagoma di uno zannuto mostro marino, che sporgeva fino ad arrivare sulla strada. Sotto, si aprivano delle porte in legno massiccio, forse anch'esse recuperate dalla stessa nave. Pindoro afferrò un batacchio di ferro a forma di testa di lupo e bussò con decisione. Nella porta si apri una piccola finestrella protetta da una grata. « Chi desidera entrare a Bornholm? » « Io... » Pindoro si schiarì la gola, perché gli era uscita una voce simile a uno squittio spaventato. Ritentò, cercando di assumere un tono più grave. « Vengo per ordine del Maestro Balam, col nuovo arrivato Jacob Ransom. Per vedere sua sorella. » Un attimo dopo, uno dei due battenti della porta si aprì verso l'interno. Apparve allora un'alta donna bionda, che soppesò con lo sguardo i nuovi ospiti di Bornholm. E dalla ruga profonda fra gli occhi s'intuiva che non doveva piacerle granché quello che vedeva. « Entrate », disse in tono brusco. Dietro la porta, un salone sostenuto da puntoni si estendeva fino alla zona posteriore dell'edificio, dove un'altra serie di doppie porte conduceva a un cortile soleggiato. Non appena fu entrato, Jake rimase a bocca aperta dinanzi all'imponenza maestosa di quello spazio, simile a un'enorme caverna. Da dei candelieri in ferro a forma di palchi di cervo risplendevano grossi frammenti di cristalli bianchi. Essi contribuivano a illuminare un dipinto che occupava la parete di fronte al camino. Una barca cavalcava le onde incappucciate di bianco di un mare in tempesta, con le vele quadrate gonfie di vento, e i remi che sporgevano dalle fiancate. La guida notò lo sguardo dì Jake. « La Valchiria », disse e, baciandosi la punta delle dita, sfiorò l'immagine mentre ci passavano davanti. Evidentemente, doveva essere il nome della nave. Ma Jake vi riconobbe anche un nome che apparteneva alla mitologia nordica. « Le valchirie non erano delle antiche guerriere? Le scudiere di Odino? » La guida si voltò verso Jake. « Conosci le nostre storie. » Jake fissò dal basso in alto quegli occhi blu ghiaccio. « Qualcuna. » La donna annuì, compiaciuta. « Io sono Brunhildr, siniscalco di Bornholm. Siate i benvenuti. Tua sorella è fuori. James Rollins – L’Ombra del Re

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Seguimi », disse in tono più caloroso. Si era appena voltata, che da una scala davanti a loro giunse uno scalpiccio di stivali. Spuntarono due ragazze, entrambe coi capelli biondi e coi volti abbronzati perfettamente identici. Due gemelle. Non dovevano essere più grandi di Kady. Brunhildr si fermò davanti a loro. « Come sta l'Anziana? » chiese. Una delle ragazze scosse la testa. « L'Anziana Ulfsdottir è rimasta a Kalakryss tutta la notte, al capezzale della sorella. Anche adesso non ha ancora toccato il letto, e ha trascorso l'intera mattinata pregando Odino. » « E rifiuta il cibo. Noi però... abbiamo visto chi era a bussare alla porta e speravamo che ci fosse qualche altra novità sulle condizioni di Livia », aggiunse la seconda. Tutti gli occhi si voltarono verso Jake e gli altri. « Queste sono Hrist e Mist. Sono state loro a riportare la cacciatrice Livia fin qui dalle sponde della Palude dell'Alga di Fuoco », disse Brunhildr. Si fece avanti Marika e cominciò a parlare a bassa voce: « Non abbiamo buone notizie, temo. Mio padre e Maestro Zahur stanno continuando a prendersi cura di Livia... hanno fatto appello a tutte le loro capacità, ma temono che nella sua carne possano essere rimaste delle schegge di diaspro sanguigno, che la tengono in bilico tra questo mondo e l'aldilà ». Hrist e Mist si scambiarono un'occhiata inquieta. Mist sembrava sul punto di scoppiare in lacrime. Hrist allora disse alla sorella: « Abbiamo fatto tutto quello che abbiamo potuto ». Poi si voltò verso Jake e gli altri. « La cacciatrice Livia aveva attraversato da sola la palude con una piccola zattera, lasciando noi da sole a riva mentre lei cercava di dare un'occhiata più da vicino alla tana del re Teschio. Per cinque giorni, è stata via, prima di ritornare mezza morta, con una freccia nel petto. Non appena ha appoggiato un piede sulla riva, è stramazzata a terra. Senza dire una sola parola. » Marika lanciò un'occhiata a Jake e scosse la testa in modo appena percettibile. Suo padre si era raccomandato di non rivelare a nessuno ciò che aveva udito lassù in cima al tetto. Mist si strinse convulsamente le mani. « Lei deve sopravvivere. » « I Maestri stanno facendo del loro meglio », disse Marika, cercando di rassicurarla. Hrist sospirò. « Riferiremo queste notizie all'Anziana Ulfsdottir. » Prese la sorella per il gomito, e le due risalirono di corsa le scale. Brunhildr continuò ad attraversare la sala, diretta in cortile. « Tempi orribili, questi che stiamo vivendo. Mi dispiace che tua sorella sia arrivata a Bornholm all'ombra di una nuvola tanto cupa. » Jake diventava più inquieto a ogni istante che passava. Come se la sarebbe cavata Kady, insieme con queste donne così coriacee? Nel momento stesso in cui usciva alla luce, la vide al centro del cortile... che stringeva tra le mani un paio di spade! « No, in questo modo », stava dicendo Kady, rivolta al gruppetto di donne radunato intorno a lei. Indossava una tunica verde e un paio di stivali che le arrivavano al ginocchio. Con un passo di danza, si allontanò dalle altre facendo roteare le armi intorno al corpo in una serie di piroette mortali. Ma che cosa stava combinando? Jake trattenne il respiro quando la vide lanciare in aria una delle spade, che ruotò, riflettendo su di sé la luce del sole in uno sfolgorante scintillio... poi ricadde. Senza James Rollins – L’Ombra del Re

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la minima difficoltà, Kady l'afferrò per l'elsa e concluse il numero con un mezzo inchino, facendo fare alla spada un sussiegoso svolazzo a mezz'aria. E all'improvviso a Jake venne in mente dove aveva già assistito a quella messinscena: durante gli allenamenti della squadra di cheerleader di Kady, quando facevano gli esercizi col bastone. Sua sorella aveva provato quei numeri tante di quelle volte che probabilmente sarebbe stata in grado di farli anche dormendo... ed evidentemente ci riusciva anche con le spade. Uno scroscio di applausi seguì la sua dimostrazione. Lungo il muro di cinta correva una panca sulla quale sedevano uomini vichinghi in elmo e mantello. Ridevano, commentando tra loro a bassa voce. E, in fondo, Jake riconobbe un ragazzo più grande di lui, dall'aria familiare, con indosso una tunica. Evidentemente, a Eronide non dispiaceva affatto il suo compito di scorta personale. Se ne stava lì seduto, paralizzato dalla vista di Kady, intento a seguire ogni suo movimento. Non si poteva certo dire che non le stesse facendo una buona guardia. « Kady! » gridò Jake, richiamando la sua attenzione. Lei lo vide, e il suo viso si spalancò in un sorriso ancora più ampio. « Jake, eccoti qui! Me l'avevano detto, che saresti venuto! » Kady passò le spade a un'altra donna, quindi gli corse incontro. Jake vide che si era anche intrecciata i capelli, così com'era costume delle cacciatrici; i suoi, però, li aveva acconciati in una raffinata treccia alla francese. Kady notò lo sguardo del fratello, e si passò una mano sull'acconciatura. « Come mi sta? Quella specie di coda di cavallo che si fanno loro non mi andava proprio. Troppo stile Heidi, per i miei gusti. » Ma non era tutto. Jake notò che anche altre due ragazze si erano intrecciate i capelli alla francese. Strizzò le palpebre per vedere meglio. Non era ombretto, quello che s'intravedeva sugli occhi di una delle due? Oh, santo cielo. E lui che pensava di trovarla raggomitolata a piangere in angolo. « Come hai... Che cosa...? » balbettò. « Sto bene, se è questo che mi stai chiedendo. Mi hanno trattata con ogni riguardo. E tu, stai bene? » Jake non sapeva da dove cominciare. Della nottata che aveva appena trascorso avrebbe potuto citare dolore, spargimento di sangue, inquietanti voci di un nefando esercito che si stava costituendo fuori nella giungla. E lei, Kady, che cosa aveva fatto, intanto? Se l'era spassata intrecciando i capelli alle sue nuove amiche e scambiandosi i trucchi. Ma non cambiavano proprio mai, certe cose? Kady scoppiò a ridere. « Che c'è? Sei stato tu a dirmi di farmi degli amici. » Quello era vero, niente da dire. Sua sorella abbassò la voce. « E tu, che mi dici? Hai scoperto qualcosa? » Jake lanciò un'occhiata alle persone lì intorno. Tutti quanti avevano gli occhi puntati su di loro. Abbassò la voce fino a ridurla a un bisbiglio. « Saprò dirti qualcosa di più tra un po' di tempo. Ma, per adesso, quello che sto cercando di fare è trovare un modo per arrivare a quella piramide. Ci dev'essere una qualche fonte di potere, nascosta laggiù. Qualcosa che ha a che fare coi cristalli », concluse toccandosi la targhetta d'argento sulla sua giacca. Kady si chinò verso di lui e osservò la sua spilla. « Carina. » Le guance di Jake s'infiammarono. « Non è carina ! È... è... è importante. » Lei si raddrizzò e scrollò le spalle. « E allora se è così importante, questa piramide, tu che cosa stai facendo qui? » Frase pronunciata con un tono che sostanzialmente voleva dire: Perché sei James Rollins – L’Ombra del Re

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venuto a scocciarmi? « Perché volevo vedere come stavi. » La sollecitudine del fratello fece accigliare Kady; a quanto pareva, la ragazza aveva letto tra le righe. « Non sono del tutto sprovveduta, Jake. » « Non ho mai detto che tu lo fossi. » Ok, magari in effetti lo avevo pensato... E però, la conversazione non stava prendendo la piega che Jake aveva sperato. Facendo un ultimo tentativo, con un gesto della mano indicò verso l'ingresso di Bornholm. « E poi pensavo che forse saresti voluta venire con noi, a scoprire qualcos'altro di questa città. » « Con voi? Veramente, Ero vuole portarmi a vedere i loro campi da gioco. » Nella sua voce si era insinuata una ben nota sfumatura di sufficienza. Ero? E da quand'erano entrati così in confidenza, quei due? Kady proseguì: « Pare che tra un giorno o due ci sarà una specie di grande gara. Un torneo tra i romani e i... », arricciò il naso, « ... sumo, o roba simile ». Sumo? Jake passò mentalmente in rassegna altre possibilità, scorrendo tra le varie culture di cui aveva visto traccia in quel posto. « Non è che volevi dire sumeri? » « Può essere. Be', quello che è. Ero ha cercato di spiegarmi il gioco. Sembrerebbe una specie di polo. In ogni caso, mi porterà a uno dei suoi allenamenti. » E fece un cenno di saluto alla volta del suo guardiano, il quale glielo restituì, con un sorriso impacciato. A quel punto Jake si arrese, e decise di lasciar perdere. « Va be', allora, se tu sei okay, ci andrò da solo, con Marika e Pindoro. » « Basta che tu sappia bene quello che stai facendo. Non lasciarti distrarre. » Kady si strinse nelle spalle, ma nella sua voce si percepì una nota acuta. Lo fissò intensamente. Jake capì bene che cosa voleva dire. In altre parole, non perdere tempo in giro... trova un modo per tornare a casa. E, mentre lui si sarebbe occupato di quello, sua sorella avrebbe potuto continuare a giocare a Barbie guerriera delle valchirie. Mentre Kady tornava dalle altre, Jake la seguì con uno sguardo truce. Sua sorella stava scaricando tutto sulle sue spalle: capire quello che stava succedendo e come fare per tornare a casa. Ma lui, ci sarebbe riuscito? Sinistre parole gli riecheggiarono nella mente, parole che gli ricordavano che il tempo stava per scadere. Lui sta arrivando, lui sta arrivando...

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Capitolo 13 ₪

LA PRIMA TRIBÙ

Una volta di nuovo in strada, Jake si fermò sotto la prora della nave da guerra vichinga. Si voltò verso Marika e Pindoro. « E adesso, che si fa? » Aveva pensato che, solo per convincere Kady a tirar fuori il naso da sotto il letto, gli ci sarebbe voluta tutta la giornata. Ma non era andata così. Come al solito, sua sorella si trovava al centro dell'attenzione. Il che lo irritava ed era al tempo stesso motivo di sollievo. Rimase lì fermo sul ciglio della strada, incerto su cosa fare, da dove cominciare con le sue indagini. « Potremmo mostrarti qualcosa di più di Calipso », rispose Marika. « lo direi di andare al mercato », disse Pindoro. Alzò gli occhi verso il sole e si appoggiò una mano aperta sullo stomaco. « Sto morendo di fame. » « Ma se hai appena mangiato! » gli fece Marika. « È stato un secolo fa! » Marika alzò gli occhi al cielo. « Prima, cerchiamo di fare un bel giro della città. » Con Marika in testa, il gruppetto si avviò verso l'intrico di vie di Calipso. Ovunque si avvertiva aleggiare nell'aria come un senso di eccitazione, un'elettricità generata dal brulichio di gente e dall'acuto risuonare di grida e risate. Fuori di una pagoda cinese, dei bambini piccolissimi si stavano esercitando a suonare cembali e corni. « L'equinozio di primavera si sta avvicinando. Sarà fra due giorni. La città intera lo celebra con una grande festa », spiegò Marika. « Ed è il giorno delle olimpiadi! La battaglia finale per stabilire quale delle tribù si aggiudicherà la Torcia Eterna. Guardate laggiù! » aggiunse Pindoro con una rara nota di entusiasmo nella voce, prima di correre avanti. C'erano alcune famiglie che stavano facendo merenda in un piccolo parco fuori delle mura del castello. Pindoro le superò di corsa, puntando verso un promontorio dal quale si godeva di un'ampia visuale. Il ragazzo indicò verso il limite settentrionale della città. Un imponente stadio di pietra, simile a un Circo Massimo in miniatura, si estendeva fino al bordo vulcanico della valle; uno dei suoi fianchi era stato scavato direttamente nel ripido pendio. « Si tengono anche degli spettacoli e delle rappresentazioni teatrali, laggiù. Non è solo un posto da zuffe e baruffe », volle aggiungere Marika. Sulla destra di quella specie di Colosseo, un movimento attrasse l'attenzione di Jake. Lungo il crinale che si estendeva accanto allo stadio, disposte su più file, erano state scavate delle grotte. Dalla fila più alta, uno stormo di uccelli giganti spiccò il volo, scivolando sulla città in una perfetta formazione a V. « Il Popolo del Vento », disse Marika, intenta anche lei ad ammirare lo spettacolo accanto a Jake. La sua voce vibrava di stupore. « Sono gli unici che sanno come addomesticare i grandi raz alati. Li allevano fin da quando escono dalla covata, facendoli crescere insieme coi loro figli più piccoli. Si dice che siano più legati che fratelli e sorelle. » Quando la flotta alata li superò in volo, Jake ripensò all'esploratore che era atterrato in cima alla torre, tutto vestito in pelle e con una corona di piume. Ovviamente, loro non si sarebbero mai autodefiniti James Rollins – L’Ombra del Re

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« indiani », e neppure « nativi americani ». Quelli erano nomi che erano stati attribuiti da altri. Jake tenne lo sguardo fisso in alto mentre gli uccelli sorvolavano l'aria riscaldata da uno degli sfiati vulcanici. Popolo del Vento. Non poteva esserci nome più appropriato. I tre ragazzi seguirono con lo sguardo il percorso degli uccelli attraverso il cielo e oltre il castello. Quando infine furono scomparsi, Marika parve afflosciarsi su se stessa. « Si sta facendo tardi. Dovremmo tornare verso casa. » Jake volle lanciare ancora un'occhiata oltre la linea dei monti, ma il suo sguardo venne catturato da un movimento d'ombre, di qualcosa che strisciava lungo il bordo dei cespugli. Una sagoma scura attraversò sfrecciando il promontorio roccioso, agguantò un osso gettato in terra e ritornò indietro di volata, verso i cespugli. Poi, tutt'a un tratto, si fermò sul bordo e puntò lo sguardo dritto su Jake. Grandi occhi felini scintillarono nei raggi obliqui del sole, mandando lampi dorati. La dinofelis che Jake aveva liberato! Era scappata, quindi, e si era trovata un posto da dove poteva procurarsi qualche avanzo. « Ehi, guarda... » Jake si voltò verso Marika, ma la bestia era già scomparsa. « Che cosa? » chiese Pindoro. Jake scosse la testa, e fece loro cenno con la mano di proseguire. « Niente, non importa. » Fecero il giro delle mura del castello, fino a raggiungere l'ingresso principale. Qui Pindoro salutò Marika e Jake, che attraversarono il cortile ed entrarono nel mastio del castello. Marika si era ammutolita, assorta nei suoi pensieri, e così anche Jake preferì rimanere in silenzio mentre salivano sulla torre. Quando furono giunti al piano, la ragazza girò la chiave della porta di casa sua e finalmente parlò: « Mi domando come stia la cacciatrice Livia... » « Sstt! » fece Jake. Non appena fu entrato, vide che la stanza non era vuota. Un ragazzino, forse di un anno più giovane di lui, stava appoggiando una fruttiera sul tavolo. Jake fissò l'estraneo. L'altro gli restituì l'occhiata, quindi si ritirò, sparendo dalla porta laterale. Prima che si chiudesse del tutto, Jake riuscì a cogliere di sfuggita l'immagine di una specie di scala segreta per la servitù. Dinanzi alla reazione attonita di Jake, Marika si accigliò. « Era Bach'uuk. Ci aiuta in casa. » Jake stava ancora pensando al viso di quello sconosciuto. Il ragazzo aveva gli zigomi larghi e un arco sopraccigliare prominente, che sporgeva al di sotto di una fronte obliqua, mezzo nascosta da nere ciocche di capelli lisci. Prima che schizzasse via, i suoi occhi azzurri si erano soffermati su Jake, quasi come se lo avesse riconosciuto. Ma Jake lo aveva riconosciuto senz'altro... o quantomeno sapeva a quale tribù apparteneva quel ragazzo. Ne era sicuro, senz'ombra di dubbio. Bach'uuk era un uomo di Neandertal. « Loro si fanno chiamare 'ur' », gli spiegò Marika, dopo averlo condotto al tavolo. Lo invitò a sedersi e gli mostrò come fare per sbucciare uno dei frutti che erano stati portati per loro. Assomigliava a una banana, solo che aveva la forma di un cavatappi. Non era semplice sbucciarlo. La ragazza lo chiamò banafagiolo, ma non aveva il sapore né di una banana né di un fagiolo; piuttosto ricordava una pesca un po' troppo matura. James Rollins – L’Ombra del Re

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Ancora una volta, nel vedere la reazione attonita di Jake, Marika s'incupì e fraintese. « Non aver paura, gli ur possono anche avere uno strano aspetto, ma sono del tutto innocui e assolutamente pacifici. » Jake annuì, con la mente in subbuglio. Quindi, non soltanto le tribù appartenenti al genere umano, ali 'homo sapiens, erano state catapultate in quel mondo. Anche le tribù primigenie della specie erano state strappate dal proprio habitat per ritrovarsi intrappolate laggiù. Marika continuò: « Sono un popolo semplice. Anche con l'aiuto dell'alchimia che fornisce a tutti noi una lingua comune, gli ur parlano poco e, quando accade, lo fanno lentamente e con un vocabolario essenziale. Papà ritiene che le loro capacità mentali siano limitate. Ma sono forti e sono in grado di obbedire a dei semplici comandi ». Cercando di nascondere la propria reazione, Jake si sbucciò un altro banafagiolo. Non voleva contraddire Marika, ma si ricordò che alcuni studiosi di archeologia erano ormai giunti alla conclusione che l'uomo di Neandertal fosse intelligente tanto quanto lo sono gli umani odierni. Marika continuò, soppesando le parole: « Però l'estate scorsa un gruppo di scribi sumeri è andato nelle loro caverne, là sulle pareti rocciose del crinale, e ne è tornato descrivendo complesse pitture murali ». « Che erano state fatte dagli ur? » Marika annuì. « Mi piacerebbe vederle, un giorno. Gli scribi parlano di animali dipinti sui muri, animali che nessuno ha mai visto prima. D'altra parte, gli ur sono stati i primi ad arrivare in questa valle, e devono aver assistito alle cose più stupefacenti. » Jake era rimasto colpito. « Sono stati i primi? » Lei si grattò il labbro inferiore, pensierosa. « Si dice che fossero qui molto prima di qualsiasi altra delle Tribù Perdute. Le prime storie di Calipso narrano che, quando sono stati trovati, gli ur vivevano all'ombra del grande tempio di Kukulkán, e che sono stati i primi ad accogliere gli stranieri in queste lande inospitali, ponendo così le basi per la futura Calipso. E ancora oggi ci sono utili, svolgendo i loro servigi a Kalakryss, e lavorando nelle miniere sui monti per estrarre i cristalli grezzi che vengono utilizzati nella nostra alchimia. » Jake fissava quella stretta porticina e ripensò alla sera prima, a com'era stata apparecchiata la tavola, e ai suoi vestiti, che aveva ritrovato puliti e piegati. Forse gli uomini di Neandertal in quel posto si erano ridotti a essere semplici servi... o, peggio ancora, degli schiavi? Quell'ultimo pensiero grattò via un altro po' della patina dorata dall'immagine che Jake si era fatto di una Calipso abitata da gente pacifica e armoniosa. Marika sospirò. « Ma per lo più gli ur rimangono chiusi nelle loro caverne. È gente solitaria, molto timida. Le loro case si trovano sull'altro versante della catena montuosa, quello che dà sulla giungla nera. Non hai nulla da temere da Bach'uuk. Lui e suo padre servono la nostra famiglia da molti anni. Quando mia madre si è ammalata... quando lei... » La voce di Marika si affievolì all'improvviso. Scosse la testa, e fu come se tutta la sua attenzione fosse stata assorbita dal banafagiolo che teneva stretto in mano. Fu risparmiata dall'andare avanti grazie a un leggero grattare alla porta d'ingresso. Si udì girare una chiave, e la porta fu socchiusa. Sentirono delle voci, prima ancora che qualcuno entrasse. « Non c'è nient'altro che possiamo fare, Oswin. » Era il padre di Marika, che sembrava esausto e profondamente preoccupato. James Rollins – L’Ombra del Re

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« Ma noi lo sappiamo, che deve avere ancora delle schegge di diaspro sanguigno nella spalla ferita, altrimenti ormai si sarebbe svegliata. Se ne potessimo recuperare qualcuna e studiarla, potremmo comprendere meglio cos'è che ci minaccia. » « Il rischio è troppo alto. Sia per Livia, sia per Calipso. Il diaspro sanguigno contamina qualsiasi oggetto... e qualunque persona si trovi nelle sue vicinanze. » « Ma non possiamo rimanere per sempre all'oscuro, non quando c'è un'ombra cupa che minaccia d'inghiottire tutta la nostra vallata. Zahur si sta muovendo con troppe cautele. E forse lo fa deliberatamente. » Ci fu una lunga pausa, quindi Balam riprese a parlare con voce decisa: « Tu non lo pensi veramente, vero Oswin? » L'inglese sospirò. Marika e Jake si scambiarono un'occhiata. Non avrebbero dovuto origliare, ma nessuno dei due si mosse. « No, suppongo di no. Ma non riesco a dimenticare che Zahur è stato apprendista di Kalverum, un tempo. » « Sì, ma tutti noi abbiamo studiato sotto la sua supervisione. » Jake lanciò un'occhiata a Marika. Il monaco abbassò la voce. « Ma che dire degli esperimenti di Zahur? Sta usando i sotterranei di Kalverum. E lavora con delle bestie rinchiuse in gabbia, seguendo un percorso simile a quello tenuto un tempo da quel mostro. » « Questo perché studia l'alchimia della vita. Per una disciplina tanto importante, è necessario un lavoro di quel genere. Sai bene quanta parte delle arti guaritrici sia andata persa, quando Kalverum è stato scacciato. » « Sì, sì, hai ragione, lo so. Penso che la mancanza di sonno mi faccia vedere ombre ovunque. Vorrei solo che Zahur si muovesse più alla svelta. Mi sembra di sentire il tempo che ci incalza. Quelle parole che il ragazzo ha sentito. Lui sta arrivando... Non possiamo starcene qui per sempre a girarci i pollici. » « Ti comprendo, Oswin. E rendo omaggio ai tuoi metodi di studio. I tuoi audaci esperimenti hanno scoperto molte pratiche alchemiche che hanno reso migliori le nostre vite. Ma in questo caso sono d'accordo con Zahur. Anche se ciò potrebbe significare la morte della cacciatrice Livia, dobbiamo muoverci con grande cautela, quando si tratta di diaspro sanguigno, anche se si sta parlando di semplici schegge. » « Spero che tu abbia ragione, amico mio. Vedo tempi bui stendersi davanti a noi. » « Ed è proprio quando siamo immersi nel buio che dobbiamo confidare nella luce », disse Balam con voce solenne. Una risatina stanca giunse a sciogliere la tensione. « Questo non è leale. Citare il mio stesso padre. » « Era un uomo saggio. » Un altro sospiro. « Più saggio di me, a quanto sembra. » Seguì qualche parola di commiato borbottata a bassa voce... e poi, finalmente, la porta si aprì. Marika si girò di scatto nella sedia, fingendo uno straordinario interesse per la scelta di un banafagiolo dalla fruttiera. Balam entrò nella stanza. Quando vide i due ragazzi, le sue sopracciglia si sollevarono in un'espressione sorpresa. « Ah, siete già tornati. » Lanciò un'occhiata verso la porta, e poi di nuovo al tavolo. Quindi si passò le dita fra i capelli, con l'unico risultato di arruffarli ancora di più. « Così avete sentito tutto. » Marika lo guardò. « Mi dispiace, papà. Ma è proprio vero? Sul serio la cacciatrice Livia morirà? » Balam prese il viso della figlia tra le mani, accarezzandole dolcemente le guance, quindi andò al tavolo. Quando passò dietro le spalle della ragazza, Jake vide i lineamenti del suo volto afflosciarsi; l'uomo era incerto se dirle o no la verità. Alla fine, si voltò e guardò la figlia dritto negli occhi. « Sì. E’ solo una questione di James Rollins – L’Ombra del Re

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tempo. Non possiamo più fare niente. » Marika sbiancò in viso, ma annuì e si alzò. Poi andò ad abbracciare suo padre. In quel momento, a Jake sembrò di ricevere un colpo fortissimo in pieno petto; all'improvviso, il senso di perdita per i suoi genitori si era fatto così intenso da consentirgli a malapena di respirare. Padre e figlia si sciolsero dall'abbraccio. Marika però continuò a tenere il padre per la manica. « Tu non hai dormito per niente, papà. Hai bisogno di fare un bel bagno e di riposarti un po'. » L'uomo lanciò un'occhiata in direzione della porta della biblioteca. « Ma ho dell'altro lavoro che... » « ... dovrà aspettare finché tu non ti sarai fatto un pisolino », insistette sua figlia, e cominciò a tirarlo, come una mamma con un bimbo ribelle. « Lascia che io ti prepari un bagno. Ti sveglierò in tempo per la cena. » Balam si lasciò trascinare dalla figlia verso le scale. Quando i due si furono allontanati, Jake rimase seduto al tavolo. La sua attenzione, però, si spostò verso la porta dello studio. Si ricordò delle pile di carte, dei rotoli e dei libri che si ammassavano là dentro. Chissà che cosa avrebbe potuto scoprire... Prima ancora di rendersene conto, si era alzato in piedi. Non aveva molto tempo. Corse alla porta e saggiò la serratura, che si aprì con un breve cigolio che sul momento lo fece trasalire. Poi però si disse che non era stato così forte ed entrò nella biblioteca. La stanza aveva la forma di uno spicchio, e andava allargandosi verso un paio di finestre che si aprivano sulla città, sotto una delle quali c'era un tavolo da lavoro. Su entrambi i lati, gli scaffali di libri salivano fino ai falsi puntoni, pieni zeppi di tomi polverosi e pergamene arrotolate. In un angolo della stanza era ammassata ogni sorta di strane cianfrusaglie: uno scheletro di una creatura non meglio definita tenuto insieme con del filo di bronzo, una fila ordinata di rocce lucide, una collezione di piccoli blocchetti di legno sui quali erano incisi dei glifi maya. Addentrarsi in quella biblioteca era come entrare in uno dei Gabinetti delle Curiosità che c'erano a casa sua, a North Hampshire. Ma Jake non era lì per fare il turista; non ne aveva il tempo. Si avvicinò al tavolo e cominciò a passare in rassegna tutti gli oggetti, senza toccare nulla. Le pile di libri gli arrivavano all'altezza delle spalle, e lui temeva di farne crollare qualcuna. La sua attenzione venne invece attirata da un volume aperto, che si trovava proprio in mezzo al tavolo. Aveva i piatti della copertina fatti di legno, e le pagine erano ruvide e spesse. Era un raro codice maya, uno dei grandi libri nei quali era racchiusa la saggezza antica. I conquistadores ne avevano bruciata la maggior parte secoli prima. Al mondo ne erano rimasti soltanto pochi esemplari. Jake si chinò: la pagina mostrava una mappa della vallata. Un cerchio frastagliato indicava il cono vulcanico, e al suo centro era stata disegnata una rozza rappresentazione della piramide. Dalla cima del tempio fuoriusciva una spirale stilizzata, che si estendeva arrivando a sfiorare il limite estremo della valle in quattro punti. Nord, sud, est e ovest. Jake si chinò un po' di più sulla pagina. Sopra il punto a ovest era stato tracciato un arco. Anche se si trattava di un disegno molto schematico, Jake riuscì a riconoscere il Portale Spezzato, o piuttosto come sarebbe dovuto apparire se non fosse stato spezzato. La figura che si trovava sul punto orientale aveva un'aria familiare. Era un serpente a due teste, attorcigliato fino a formare un otto. James Rollins – L’Ombra del Re

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Jake s'irrigidì: aveva riconosciuto quel simbolo, per quanto disegnato alla bell'e meglio. Con gesti concitati s'infilò una mano in tasca e ne trasse il taccuino di appunti di suo padre. Lo aprì alla pagina che aveva letto al British Museum. Dall'intricato arricciarsi a otto del rettile, è evidente che il reperto rappresenti la credenza maya nella natura eterna del cosmo... Mentre leggeva, gli sembrava di risentire la voce di suo padre, e al tempo stesso rivide dentro di sé il manufatto esposto al museo, un serpente d'oro con gli occhi di rubino, il tesoro maya che gli scavi dei suoi genitori avevano riportato alla luce. Jake deglutì, fissando la mappa con gli occhi sbarrati. Là sopra era stato tracciato un disegno raffigurante lo stesso manufatto, a segnare l'ingresso orientale alla vallata. Com'era possibile? Nella sua mente si agitava un turbinio di dubbi e domande. C'era un'unica conclusione cui si poteva giungere: Qualcuno deve aver visto quel varco d'ingresso, e poi è tornato indietro nel proprio tempo per raccontarlo. Fu colto da un'ondata di speranza. Fissò la piramide che campeggiava al centro di quella mappa. Quella linea a spirale doveva rappresentare il campo che proteggeva la valle, pensò. Doveva scoprirne di più. Un rumore alle sue spalle lo fece sobbalzare. Era talmente concentrato, che non si era reso conto di essersi fermato troppo a lungo. Se Marika avesse scoperto che era entrato nello studio... Si voltò di scatto e vide una sagoma nello specchio della porta. Ma non era Marika. Il piccolo ragazzetto di Neandertal, Bach'uuk, era fermo sulla soglia della biblioteca. Il suo volto non lasciava trasparire nessuna emozione dinanzi all'infrazione di Jake. Se ne stava lì a fissarlo e basta. Poi si voltò e tornò verso il tavolo della sala. Aveva portato i piatti per la cena. Jake lo seguì, chiudendo la porta della biblioteca dietro di sé. « Stavo solo dando un'occhiata », borbottò a mezza voce. Bach'uuk lo ignorò completamente. Pochi secondi dopo, dal piano di sopra riecheggiò una voce: « Ti chiamo quand'è pronta la cena, papà ». Marika stava scendendo. « Ah, Bach'uuk. Lascia che ti aiuti. » E prese gli ultimi piatti che il ragazzo aveva ancora in mano. Lui allora chinò il capo e si ritirò verso la porticina della servitù. Quando Marika si fu voltata, Bach'uuk posò lo sguardo su Jake e si portò l'indice alle labbra, nel gesto universale che indica il silenzio. Poi scomparve, chiudendo la porta dietro di sé.

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Capitolo 14 ₪

UN INTRUSO NOTTURNO

Difficile dire che cosa l'avesse svegliato. Un momento prima Jake era immerso in un sonno profondo, e il momento dopo eccolo completamente sveglio, nella sua minuscola cameretta. La stanza era immersa in un buio nero come la pece. Le finestre erano completamente sbarrate, e la porta chiusa. Non si sentiva nessun rumore. Eppure, qualcosa lo aveva svegliato. Avvolto nelle lenzuola, Jake si sforzava di capire a che cosa fosse dovuta la tensione che l'aveva colto all'improvviso. Ogni fibra, ogni singolo nervo del suo organismo si era tutt'a un tratto messo in allerta. Scrutò la stanza, trattenendo il respiro. Oltre la testata di fondo del letto, riusciva a distinguere la sagoma massiccia del guardaroba. Ma nient'altro. Neppure un'ombra che si muovesse, nessun tramestio. Eppure, Jake sapeva di non essere solo. Non avrebbe saputo dire da dove gli giungesse quella certezza, ma lo sapeva. Sentiva che gli si era accapponata la pelle. Qualcuno, o forse qualcosa, si trovava in quella stanza insieme con lui. Riusciva a percepirne gli occhi che lo studiavano nel buio. Poi lo sentì... un basso ronzio, come di uno sciame di api. Cominciò e un attimo dopo si fermò. Jake non avrebbe saputo dire da dove provenisse, ma gli fece gelare il sangue nelle vene. Era un suono sconosciuto. E si trovava nella sua stanza. Gli occhi gli dolevano per lo sforzo di scrutare fin negli angoli più bui. Il cuore gli batteva fortissimo. Poi sentì un rumore tenue e furtivo. ... scritch, scritch, scritch… Sembrava qualcuno che stesse grattando con le unghie sul legno. Non sapeva che cosa stesse producendo quel suono, ma sentiva che si stava portando sempre più vicino a lui. Strinse la coperta e se la tirò su fino al mento. Poi si portò le gambe al petto, raggomitolandosi sotto il lenzuolo. Sul comodino era appoggiata una lampada. Marika gli aveva mostrato come fare per accendere e spegnere il frammento di cristallo. Ma aveva paura di sporgere la mano fuori della coperta. ... scritch, scritch, scritch… Il suono era più vicino, non c'era dubbio. E in quel momento lo strano ronzio di prima ripartì di nuovo. Ma che cos'era? Jake cercò di aguzzare al massimo la vista. Dal fondo del letto delle ombre scure si sollevavano fluttuando. Non ce la faceva più. Stese di scatto un braccio verso la lampada sul comodino e con un'unghia diede un colpetto alla sfera di cristallo, che emise un suono come di campana, e poi divampò di una luce splendente. Jake chiuse gli occhi un momento per proteggersi dal bagliore accecante, ma li riaprì subito per vedere ciò che si trovava appollaiato ai piedi del letto. Era un enorme insetto nero, grande quanto un cagnolino, fornito sul davanti di chele simili a quelle di un granchio. Le ali erano come quelle di una libellula e, quando James Rollins – L’Ombra del Re

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Jake fece il gesto di ritrarsi, si sollevarono in un frullio che produsse un rumore frusciante. L'insetto si sollevò in aria, come un elicottero che prende il volo. All'improvviso, da dietro la creatura si sollevò una coda ricurva di scorpione, che terminava con un pungiglione minaccioso, lungo quanto un dito. Alla luce della lampada, sembrava scintillare come se fosse stato intinto nel veleno, mentre le chele gigantesche schioccavano per aria. Jake avrebbe voluto gridare, ma era come se il suo petto fosse chiuso in una morsa di terrore. All'improvviso lo scorpione gigante si buttò dritto addosso a lui. Jake reagì d'istinto, facendo appello a una lezione che sua madre gli aveva dato su come fanno i cannibali della Nuova Guinea ad accalappiare le loro vittime. Quando quella bestia mostruosa gli si lanciò contro in picchiata, lui si rannicchiò ancora di più, poi allungò di scatto gambe e braccia, lanciando in aria la coperta come se fosse una rete. Questa andò a cadere proprio sopra lo scorpione, gli si attorcigliò intorno e lo fece piombare a terra. Jake rotolò fuori del letto a piedi nudi, vestito soltanto dei boxer. Non aveva nulla che potesse servirgli come arma. La creatura era caduta nello spazio che si trovava tra lui e la porta. Sotto la coperta, continuava a dibattersi e a contorcersi. Avrebbe dovuto saltargli sopra. Ma, in quel momento, una zampa nera riuscì ad aprirsi un varco, e sbucò fuori agitandosi in modo selvaggio. Il mostro era quasi riuscito a liberarsi. Jake indietreggiò di un passo, e urtò il comodino, facendo traballare la lampada. La lampada! Allungò una mano dietro di sé e l'afferrò. Lo scorpione si dimenava cercando di scappare attraverso il buco che si era venuto a formare nella coperta. Jake balzò in avanti tenendo la lampada sopra la testa, e con questa sferrò un colpo, più forte che poteva. Si sentì come uno scricchiolio, poi uscì un fiotto di roba liquida che andò a spruzzargli i piedi nudi. Lo schifo lo raggelò per una frazione di secondo di troppo. Nella coperta si aprì uno strappo, e la coda acuminata spuntò fuori, mirando dritta al polpaccio di Jake. Lui allora scaraventò la lampada mandandola a sbattere in un angolo della stanza. Il pungiglione dell'insetto riuscì soltanto a fargli un graffio alla gamba destra, per poi andare a colpire il pavimento di pietra. Dal pungiglione uscì uno schizzo di veleno. Nonostante ciò, dal graffio si sprigionò una scarica di dolore lancinante. La coda si sollevò di nuovo. Senza un attimo di esitazione, Jake riprese la lampada e cominciò a menar colpi sulla coperta, ancora e ancora, come se stesse cercando di conficcare un picchetto da tenda in un terreno ghiacciato. Da sotto la coperta cominciò a colare un liquido nero. Lui continuò a martellare, finché non si mosse più nulla. Solo allora lasciò andare la lampada, e indietreggiò barcollando. La gamba destra gli bruciava come una torcia accesa, ma con passo malfermo riuscì ugualmente a raggiungere la porta, la aprì e cominciò a urlare: « Aiuto! » Il richiamo che uscì era più simile a un rantolo. Ma tutto il gran battere che aveva fatto doveva aver già svegliato Marika e suo padre. Entrambe le loro porte si aprirono di scatto. Marika e suo padre uscirono con indosso delle camicie da notte lunghe fino alle caviglie. Balam fece segno a Marika di James Rollins – L’Ombra del Re

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rimanere indietro, e corse al fianco di Jake. Lui cercò di spiegare, ma era ancora troppo sconvolto. Con un braccio indicò l'interno della stanza, verso il macello che c'era sul pavimento. Balam sbirciò sotto la coperta. « Un pungicoda! » Corse di nuovo da Jake e lo afferrò per le spalle, osservando con attenzione ogni angolo del suo corpo. « Ti ha punto? » « Solo un graffietto », rispose Jake, e indicò il polpaccio destro. Ne usciva solo un sottile rigoletto di sangue, ma intorno alla scalfittura la pelle era già di un rosso vivo. Lui cominciò a vedere tutto annebbiato. Se Balam non lo avesse sostenuto per le spalle, probabilmente sarebbe stramazzato al suolo. Il Maestro chiamò Marika. « Prendi una coperta! Poi aiutami a portarlo di sotto. » Con un gesto della mano, Jake cercò di far loro intendere che non era il caso di agitarsi tanto. Poteva camminare con le sue gambe. Poi tutto il mondo cominciò a ruotargli intorno, e si sentì sprofondare nel buio. « Si sta svegliando », sussurrò una voce, che gli arrivò flebile e lontana, come una stazione radio sintonizzata male. Jake si lasciò sfuggire un lamento, quando all'improvviso l'oscurità si dissolse e una luce sfolgorante prese a turbinare tutt'intorno a lui. Rabbrividì e fece un paio di respiri profondi, cercando di scacciar via quel senso di vertigine. Poi la vista gli si assestò. « Aiutatemi a tirarlo su », disse una voce vicino al suo orecchio. Era il padre di Marika, che gli stava tenendo un braccio sotto la spalla. Quando Jake ebbe raggiunto un equilibrio, lo misero a sedere. Vide allora che si trovava sul tavolo della sala, avvolto in una coperta. Marika era a qualche passo da lui. Con una mano si teneva coperta la bocca, in un'espressione di viva preoccupazione. C'erano anche i Maestri Oswin e Zahur. L'inglese indossava una camicia da notte a strisce che gli sfiorava la punta dei piedi, e un berrettino a punta coordinato. Sembrava una versione cresciuta di uno dei nanetti di Biancaneve. Evidentemente doveva essersi fiondato lì direttamente dal letto. A Zahur erano venuti dei profondi cerchi scuri intorno agli occhi. Era rannicchiato sul bordo del tavolo, e teneva stretta la caviglia di Jake. Balam invece lo stava tenendo per le spalle. « Come ti senti? » Jake aveva la bocca secca. A malapena riuscì a fare un cenno col capo. Sentì le dita del padre di Marika che gli stringevano le spalle, come per rassicurarlo. « Sei un ragazzo fortunato, Jacob Ransom. Pochi sopravvivono alla puntura di un pungicoda. Se quel taglio fosse stato appena più profondo... » Jake sapeva che quelle parole volevano essergli di conforto, ma il tentativo non aveva avuto molto successo. Zahur gli stava ancora tenendo la caviglia. Intorno al polpaccio era stato avvolto uno spesso bendaggio marrone, che sembrava umidiccio. Forse era una specie di cataplasma che doveva servire ad assorbire tutto il veleno dalla ferita. Ma, a un certo punto, il bendaggio cominciò a muoversi. Jake sentì una stretta un po' più forte, che poi tornò ad allentarsi di nuovo. « La sanguisuga comincia ad agitarsi. Un chiaro segno che il sangue è stato ripulito dal veleno », disse Zahur. Allungò la mano e staccò la bestia dal polpaccio di Jake. Una grossa ventosa a una delle estremità lo costrinse a tirare un po' più forte e si James Rollins – L’Ombra del Re

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staccò con uno schiocco bagnato. Jake rabbrividì quando vide la sanguisuga contorcersi tra le mani di Zahur. Il Maestro la lasciò cadere in un catino pieno di acqua torbida. L'animale continuò a divincolarsi. Anche lo stomaco di Jake fece lo stesso. Ma la sua gamba adesso aveva un bell'aspetto, tranne che per il grosso segno che la ventosa aveva lasciato vicino al graffio. Il rossore era sparito, e non bruciava più. « Dovrebbe essere a posto. Fatelo riposare per tutta la mattina, e si riprenderà completamente », disse Zahur. Maestro Oswin spostò di lato il suo piedone, grosso come un tronco. « Il che significa che un'altra questione soltanto rimane ancora irrisolta: come abbia fatto il pungicoda a finire nella camera del ragazzo. » Balam aiutò Jake a scendere dal tavolo e a sistemarsi su una sedia. Marika si avvicinò e gli mise tra le mani una tazza di cioccolata bollente. Le dita di Jake le si strinsero intorno: era piacevole, quella sensazione di calore. Cominciò a sorseggiarla... non aveva mai assaggiato niente di così buono. Oswin incrociò le braccia. « Ho controllato la sua stanza, di sopra. Le imposte erano perfettamente chiuse. » « Ma potrebbe essere entrato dalla finestra prima, durante la giornata », disse Balam. « Forse stava cercando di sfuggire all'afa ed è stato attirato dalla frescura della camera... e, una volta calata la notte, è uscito dal suo nascondiglio. Sotto il letto o dietro il guardaroba. » Jake strinse le dita ancora più forte intorno alla tazza. Di certo d'ora in poi avrebbe controllato minuziosamente ogni minimo angolino della stanza. Balam si voltò verso Jake. « Hai lasciato aperte le finestre, durante la giornata? » Jake ci pensò su un momento. Si ricordava di averle spalancate al mattino, dopo essersi svegliato dall'incubo. Fece cenno di sì con la testa, lentamente. « Sì, penso di sì. » Balam annuì, come per dire che la questione era risolta. Oswin strinse le palpebre; evidentemente non era ancora soddisfatto. « Eppure, è strano trovare un pungicoda così lontano dalla giungla. » « Qualche volta volano fino in città », osservò Balam. Zahur si alzò. « Temo che la colpa possa essere mia. Quando ho sentito cos'era stato ad aggredire il ragazzo, sono andato a controllare le mie gabbie. Ne tengo sei, di pungicoda, nei sotterranei. Mi servono per studiarne il veleno. Ho trovato una delle gabbie vuota, con lo sportello spalancato. Non so da quanto tempo se ne fosse andato. Sono stato molto occupato nel prendermi cura della cacciatrice Livia. » Il suo viso si fece ancora più cupo. « E anche adesso dovrei tornare al suo capezzale. Diventa sempre più debole a ogni ora che passa. » Raccolse il catino con la sanguisuga e si diresse verso la porta. « Grazie per la vostra sollecitudine », gli disse Balam mentre si allontanava. « Sì... grazie », disse Jake. Zahur non disse una sola parola e sparì. Oswin fece un verso sprezzante. « Non m'interessa quello che dite. Qui c'è qualcosa che puzza come una carogna di rospo. Forse il pungicoda è volato nella stanza da solo... o forse qualcuno ce lo ha messo. » « Messo? » fece Balam, con aria di scherno. « Per ucciderlo. » Balam lanciò un'occhiataccia a Oswin scuotendo brevemente il James Rollins – L’Ombra del Re

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capo, come per dire: Non davanti ai ragazzi. Ma Jake si raddrizzò sulla sedia. « Chi è che vorrebbe uccidermi? » Oswin si strinse nelle spalle. « Forse una delle spie del re Teschio. Magari teme questa tua scienza. In ogni caso, tu rappresenti una pedina sconosciuta, in questa partita che Kalverum sta giocando. E forse vuole eliminarti dalla scacchiera. » « Basta così, Oswin. In questo modo quel povero ragazzo finirà per saltare in aria a ogni ombra che vede », lo rimproverò Balam. Oswin sospirò. « Forse sarebbe ora che tutti quanti noi saltassimo un po' di più per aria alle ombre che vediamo. O forse è solo che sono troppo stanco. Tutto ha un'aria più sinistra, quand'è notte. » E, scuotendo la testa, si trascinò goffamente verso la porta. Dopo che se ne fu andato, Balam tocco la spalla di Jake. « Non ascoltarlo. È stata solo una sfortunata serie di circostanze. Un incidente. » Ma le parole del pingue Maestro avevano fatto colpo su Jake. In un'occasione suo padre gli aveva detto: Le parole sono come le pallottole; una volta sparate, non è più possibile farle tornare indietro. E quelle pallottole erano penetrate a fondo dentro di lui. Se non era stato un incidente, chi poteva essere stato a mettere lo scorpione nel suo letto? Jake ripensò al Maestro egizio: lui stesso aveva ammesso che il pungicoda veniva dai suoi laboratori nei sotterranei. Ma Jake lanciò un'occhiata anche alla stretta porticina sulla parete di fondo della sala. Ripensò a come avesse trovato i propri vestiti lavati e ripiegati. Bach'uuk era riuscito già una volta ad andare e venire dalla sua stanza senza svegliarlo. E chi altri poteva essere a conoscenza della scala della servitù che s'insinuava segretamente lungo la torre? L'assassino poteva essere chiunque. Jake appoggiò la tazza sul tavolo; aveva perso ogni interesse per la cioccolata, adesso che una nuova paura lo aveva assalito. Se non fosse stato un incidente... se davvero qualcuno avesse cercato di ucciderlo... Balam doveva aver letto l'angoscia sul suo volto. « Che c'è che non va? » « Kady... mia sorella... » Jake non ebbe bisogno di aggiungere altro. Gli occhi di Balam si spalancarono. Il Maestro aveva capito immediatamente qual’era l'origine della sua inquietudine, e ciò spaventò Jake ancora di più. Nonostante il tentativo di liquidare l'aggressione come un incidente, lui doveva nutrire qualche occulto sospetto. « Salgo subito all'Astromicon e mi metto in contatto con Bornholm. Per accertarmi che la ragazza stia bene. » E così, in vestaglia com'era, si diresse verso la porta. Jake si alzò per seguirlo, ma barcollò. Balam gli puntò un dito contro. « Rimani qui. Mari, accertati che si riposi. E dagli dell'altro cacao caldo. » « Sì, papà. » Dopo che se ne fu andato, Marika avvicinò una sedia a Jake e si sedette accanto a lui. Seguì un lungo momento di silenzio imbarazzato; forse era dovuto al fatto che il ragazzo, sotto la coperta, era mezzo nudo. Ma poi lei si voltò e gli disse in tono deciso: « Ho visto cosa hai fatto a quel pungicoda. Bach'uuk mi ha aiutato a pulire mentre ti salassavano per liberarti dal veleno ». S'infilò una mano in tasca e appoggiò qualcosa sul tavolo. Era il pungiglione dello scorpione. « Gli ur credono che, quando si uccide qualcuno, lo si debba onorare, e che se ne debba conservare una parte per il cacciatore. » Jake si rifiutò di toccarla. James Rollins – L’Ombra del Re

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« L'ho bollito per pulirlo da ogni traccia di veleno. E sicuro. » Muovendosi con cautela, Jake allungò un braccio fuori della coperta e toccò il pungiglione. Quel coso lo aveva quasi ucciso. Lo prese in mano e lo esaminò. Riusciva a vedere se stesso che, un giorno, lo collocava nel suo personale Gabinetto delle Curiosità. Quell'idea lo aiutò a smussare un po' il senso di terrore che lo aveva colto. Anche la preoccupazione per Kady si era quietata un po'. Di certo sua sorella stava bene. « Grazie, Mari. » La ragazza distolse lo sguardo un po' troppo in fretta, arrossendo solo un pochino. « E stato Bach'uuk a suggerirmi di dartelo. È sua l'idea. Sembra che tu lo abbia davvero colpito. » Jake ripensò al ragazzo di Neandertal che si portava il dito alle labbra. Improvvisamente, Marika si alzò in piedi. « Vuoi dell'altro cacao? » E, prima che lui potesse darle una risposta, aveva afferrato la sua tazza ed era andata a una credenza posta contro la parete. Un boccale di pietra dal quale si levava un tenue vapore era appoggiato su un treppiede sostenuto da quattro scintillanti cristalli di rubino. Marika lo sollevò e, facendo molta attenzione, riempì la tazza fino all'orlo. Poi tornò da lui. Il rossore era sparito dal suo viso, sostituito da un'aria preoccupata. Lanciò un'occhiata alla porta di casa, e poi di nuovo a Jake. Mentre il suo amico si riscaldava le mani sulla tazza bollente, Marika tornò a sedersi accanto a lui. La sua fronte era aggrottata in un'espressione pensierosa. « Che c'è? » chiese Jake. Marika scosse il capo. « No, dimmi. » La ragazza ci rimuginò sopra ancora qualche istante. « Non ne ho voluto parlare a mio padre, e forse me lo sono soltanto immaginato. Non so. Ma ricordo di essermi svegliata, questa notte. Mi sembrava di aver sentito qualcosa in sala, ma, quando ho cercato di ascoltare più attentamente, mi è sembrato tutto tranquillo. In quel momento non ci ho fatto caso e mi sono rimessa a dormire. E forse davvero non era niente. » O forse sì, invece. Prima che potessero dire altro, la porta si aprì di colpo e il padre di Marika entrò incespicando nella stanza, quasi senza fiato. Doveva aver fatto tutta la strada di corsa. Jake si alzò; era la paura per sua sorella che gli aveva dato la forza per schizzare in piedi. Balam gli fece segno con la mano di rimettersi seduto. « Sta... sta bene », disse in un rantolo. « Ho messo in subbuglio tutta quanta Bornholm come un formicaio, ma laggiù non ci sono stati problemi. Hai visto? Con ogni probabilità è stato solo un incidente, come dicevo io », concluse appoggiando un braccio sul tavolo. Nell'apprendere che Kady stava bene, Jake si sentì invadere da un'ondata di sollievo, che però non riuscì a spazzar via del tutto i sospetti che si erano insinuati nel suo cuore. Le parole pronunciate da Maestro Oswin continuavano a tormentarlo. E le parole sono come le pallottole... Jake strinse tra le dita il pungiglione dello scorpione. Guardò Marika e nei suoi occhi lesse lo stesso dubbio. Non importava che cosa dicessero gli altri, lui sapeva che quell'aggressione non era stata affatto un incidente. Ma chi era a volerlo morto?

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Capitolo 15 ₪

IL CUORE DI CRISTALLO DI KUKULKÀN

Il mattino seguente, Jake si trovava seduto nell'Astromicon, pronto a cominciare il suo apprendistato. Si sentiva molto, molto meglio. Al mille per mille. Balam gli diede un vassoio di legno suddiviso in piccoli scomparti, ciascuno dei quali conteneva una scheggia di cristallo, ognuna di un colore diverso. Dovevano esserci almeno un centinaio di sfumature. « Ciascun cristallo serve per un unico scopo. Di alcuni sappiamo quale sia la funzione, come questo qui », spiegò Balam prendendone uno color vinaccia scuro dal vassoio e sollevandolo in modo che venisse colpito da una lama di luce filtrata attraverso uno dei dodici fori della cupola. Poi si voltò verso Marika, che era seduta su uno sgabello accanto a Jake, e sollevò un sopracciglio. « E qual è il nome di questo cristallo? » Lei aggrottò le sopracciglia, concentrandosi. « Ferro lucente? » Balam si lasciò sfuggire un sorriso scintillante d'orgoglio. « Molto bene. Questa pietra, quando viene bagnata, attrae il ferro verso il proprio cuore. » Diede una leccata al cristallo e lo avvicinò a un chiodino di metallo, che saltò via dal tavolo e si appiccicò alla scheggia. Affascinato, Jake si piegò in avanti per osservare meglio. Il cristallo era stato in qualche modo magnetizzato. Soddisfatto della dimostrazione, Balam sorrise nel vedere la reazione del suo allievo, quindi diede un colpetto al cristallo con un martelletto d'argento. Il chiodo di ferro ricadde tintinnando sul tavolo. « Altri cristalli rimangono ancora un mistero, ed è proprio studiando questi ultimi che io trascorro le mie giornate. Il più delle volte, l'alchimia è costituita da una parte di saggezza e nove parti di casualità. E spesso essa è pericolosa. » Balam appoggiò la mano sulla spalla di Jake e sfiorò la sua targhetta d'argento. « Queste sono le quattro pietre angolari dell'alchimia. E tu devi impararle molto bene. » Jake abbassò lo sguardo sui cristalli incastonati sulla sua targhetta: un rubino, uno smeraldo e uno zaffiro che formavano un triangolo intorno a un diamante. Balam toccò ciascuno di essi, l'uno dopo l'altro. « Da queste pietre derivano tutte le altre. Dalle quattro fluisce tutto il potere di Kukulkàn. » Mentre Jake stava studiando la targhetta, qualcosa cominciò a prendere gradualmente forma nella sua testa, qualcosa che aveva imparato molto tempo prima. Ma che cos'era? Qualcosa che aveva a che fare con le pietre colorate che formavano il triangolo: rosso, verde, blu... Poi, improvvisamente, si ricordò. Fu come un'esplosione stellare innescata nella sua mente. Qualcosa che suo padre gli aveva mostrato una volta che erano andati insieme in campeggio. Jake ruotò sulla sedia e si chinò verso il suo zaino, che era appoggiato sul pavimento. Vi frugò dentro e sepolto sul fondo trovò quello che stava cercando. La sua frenesia aveva risvegliato l'interesse di Balam. Jake tirò fuori un quarzo tagliato nella forma di un prisma triangolare. « Rosso, verde, blu. Sono i tre colori primari della luce! » Suo padre gli aveva spiegato come la televisione e i computer James Rollins – L’Ombra del Re

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usino cristalli di fosforo rossi, blu e verdi per produrre milioni di colori sullo schermo. E poi gli aveva mostrato anche qualcos'altro. Prima che qualcuno potesse reagire, Jake sollevò il prisma di quarzo. Quando il raggio di sole vi passò attraverso, la luce si rifranse in un piccolo arcobaleno che andò a proiettarsi sul muro. « Questa è alchimia avanzata! Pochi riescono a capire come, nascosti nel cuore della luce solare, vi siano tutti i colori del mondo. In effetti, tutta quanta l'alchimia ha inizio col sole. » Balam indicò le fessure aperte che correvano lungo il soffitto della cupola, poi tornò a portare l'attenzione su Jake. « Dove l'hai imparato? » « Dai miei genitori. Mi hanno insegnato come, mischiando insieme diverse luci colorate, si possa ottenere un nuovo colore. » Jake indicò l'arcobaleno sul muro, nel punto in cui la striscia rossa e quella verde si fondevano a creare una zona di giallo. « La luce rossa e la luce verde fanno il giallo. Mentre il rosso e il blu si fondono a formare il viola. E più mescolanze si fanno, più colori si possono creare. » Jake abbassò il prisma, e l'arcobaleno scomparve. Balam tenne lo sguardo fisso sul muro. Scosse lentamente la testa. « Una conoscenza simile è stretto appannaggio di uno specialista di terzo grado. Non di un apprendista del primo anno. Una conoscenza simile va al nocciolo stesso dei nostri metodi per forgiare nuovi cristalli, e realizzare nuove pietre colorate. » E con un cenno del capo, indicò il contenitore di cristalli multicolori. « Aspettate! State forse dicendo che voi avete fatto tutti questi cristalli? E come? » chiese Jake. Balam si avvicinò a Jake. « Lascia che te lo mostri. » Prese dalla scatola un frammento di smeraldo verde e una scheggia di rubino. Poi si portò al centro della stanza e sollevò le due pietre per metterle in un piccolo cestello di bronzo appeso a una catena che era fissata al meccanismo d'orologio sopra le loro teste. Balam tirò un'altra catena, che issò il cesto nel meccanismo. Jake lo perse rapidamente di vista, mentre ruotava e turbinava attraverso il complicato labirinto meccanico. Il fluido scorreva nei tubi di vetro, e la luce solare entrata attraverso le dodici fessure del tetto si rifrangeva attraverso il meccanismo. Jake ripensò alle parole di Balam: Tutta quanta l'alchimia ha inizio col sole. Era l'energia solare che, in qualche modo, alimentava tutto quel meccanismo? Voleva assolutamente capirci qualcosa. Nel frattempo, cominciò a vederci doppio per lo sforzo di fissare in alto, nel cuore di quel meccanismo mulinante. Finalmente il cerchio completò il suo giro. Balam allungò la mano e mostrò a Jake che dentro il contenitore era rimasto un solo cristallo. Scintillava di un bel giallo carico, quasi fosse un frammento del sole stesso. « Rosso e verde danno il giallo », mormorò Jake tra sé. Attonito, sgranò gli occhi guardando in alto, al vortice di quel meccanismo che gorgogliava tra mille scricchiolii. In qualche modo, le due pietre erano diventate una pietra sola. Ma com'è potuto succedere? « Nel corso dei secoli, gli alchimisti hanno forgiato cristalli di ogni tonalità, ottenendo colori diversi da ogni singola scintilla della luce solare », disse Balam. Ma c'era ancora una domanda che frullava in testa a Jake. Una domanda che non aveva smesso di assillarlo dal momento in cui aveva visto il candeliere di cristallo nel salone centrale del mastio del castello. « Ma cos'è che fa James Rollins – L’Ombra del Re

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accendere i cristalli? Cosa dà loro l'energia? » Il sorriso di Balam si fece ancora più caloroso. « Che inesauribile curiosità, Jacob. Non c'è da meravigliarsi che tu sia cresciuto così rapidamente in conoscenza. Ma forse Mari potrà illuminarti su questa faccenda. » Jake lanciò un'occhiata alla ragazza. Marika abbassò timidamente lo sguardo a terra, fissandosi la punta dei piedi. « Tutto il potere deriva dal cuore di cristallo di Kukulkàn. » Balam annuì. « Jacob, hai mai lanciato un sasso al centro di uno stagno, per vedere le increspature che si diramano verso l'esterno in tutte le direzioni? » Jake annuì. Certo che l'aveva fatto. « È lo stesso anche per il cuore di cristallo al centro del gran tempio. Il suo battito è come una pietra lanciata in uno stagno in stato di quiete. Esso produce delle piccole onde, che si diffondono su tutta la valle, innescando i nostri focolari e accendendo tutte le nostre pietre. E lui a far sì che tutte le tribù parlino un'unica lingua, prima di andare a infrangersi contro il crinale montuoso che circonda la nostra valle. » Jake si figurò il flusso di energia che fuoriusciva dal tempio, dando potere ai cristalli e proteggendo la valle. Marika aggiunse: « Ma, una volta uscite dalla valle, le onde di energia si dissolvono rapidamente. Se si va oltre una lega dal limite della vallata, le tribù non sono più in grado di capirsi l'un l'altra, e i cristalli verdi perdono la loro capacità di permettere la comunicazione a distanza. E questo il motivo per cui abbiamo bisogno delle frecce alate per inviare messaggi nel cuore della giungla, e insieme coi membri di ciascuna tribù viaggiano sempre anche dei cacciatori o degli esploratori ». Jake aveva colto il punto. Il campo protettivo arrivava solo fino a una certa distanza. Nessuna meraviglia, dunque, che le Tribù Perdute avessero scelto di fermarsi in quella valle. Con un sorriso preoccupato, Balam alzò lo sguardo al sole che brillava attraverso una delle fessure sulla copertura della cupola. « Devo andare da Maestro Zahur a vedere come sta la cacciatrice Livia. » Jake si agitò sulla sua sedia. C'era un particolare cristallo, che il padre di Marika non aveva menzionato e che accendeva in modo speciale la sua curiosità. « La pietra che ha avvelenato la cacciatrice Livia. Il diaspro sanguigno... » Sul volto di Balam calò un'ombra. « Noi non parliamo di queste cose perverse. È proibito forgiare pietre di quel genere. » Jake alzò lo sguardo al meccanismo che continuava a girare e girare. Balam dovette leggergli nel pensiero. « Quella cosa maledetta non è stata concepita qui nell'Astromicon. La purezza della luce solare non ha fatto nascere quella pietra. Essa proviene da una fiamma molto più cupa. » E, con queste dure parole, Balam si avviò a grandi passi verso la porta. Ma si bloccò, con la mano ferma sulla maniglia, e si voltò indietro. « Mari, forse per oggi lo studio dovrebbe limitarsi a imparare il nome delle pietre. Non vogliamo vessare troppo Jacob, dopo quello che ha passato stanotte. » Dopodiché uscì alla luce del sole. Quando la porta si fu richiusa con un colpo secco, Marika trasse un profondo respiro. Sul suo viso c'era uno sguardo dispiaciuto, come per chiedere scusa. « A papà non piace nemmeno doverne pronunciare il nome, del diaspro sanguigno. » « Ma io non capisco. È quello il nocciolo più importante del potere del re Teschio. Perché non dovremmo cercare di saperne qualcosa di più? » Marika spostò il contenitore delle schegge di cristallo, portandolo in mezzo a loro due. « Forse prima dovremmo sapere qualcosa di più di queste. » Anche se la sua amica tentennava, Jake aveva James Rollins – L’Ombra del Re

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visto un lampo di curiosità accendersi nei suoi occhi. Una curiosità pari almeno a quella che provava lui. Guardò il cristallo bianco che scintillava splendente dentro alla scatola. La luce bianca contiene tutti i colori dello spettro, mentre la luce nera è l'assenza di qualsiasi colore. Jake si sentì attraversare da un brivido, ripensando a come il diaspro sanguigno sembrava risucchiare dentro di sé la luce della luna. Dentro di lui risuonava ancora il monito di Balam. Il diaspro sanguigno non si forgia dalla purezza della luce solare, ma proviene da una fiamma molto più cupa. Jake si rannicchiò sul suo sgabello. Ma che gli importava del diaspro sanguigno, in fin dei conti? Non era un problema suo. Tutto quello che lui voleva era trovare una strada per tornare a casa. E il solo modo per fare ciò era scoprire ogni possibile informazione sulla piramide... il che implicava imparare più cose che poteva su quegli strani cristalli. E c'era un solo modo per farlo. Jake indicò con un cenno del capo il vassoio di legno. « Forse è meglio se cominciamo. » Qualche ora più tardi, Jake si stava prendendo una pausa all'aria aperta. Se ne stava seduto su una coperta, con le gambe incrociate, a prendere il sole in cima alla torre. Anche se faceva molto caldo, quello sfavillare di luce lo aiutava a sciogliere la tensione che era venuta montando dentro di lui. Pochi passi più in là, Pindoro sedeva sul bordo del parapetto. Per essere un ragazzo che aveva paura dei sauri, non sembrava per nulla spaventato dall'altissimo volo che si apriva alle sue spalle. Si dondolava avanti e indietro sul muretto, masticando con gusto quella che sembrava un'ala di pollo. Aveva la bocca tutta unta di salsa. « Non molte persone sopravvivono a una puntura di pungicoda. Apollo sta di certo vegliando su di te », disse, puntando l'ala in direzione di Jake. « Non penso che sia stato il dio Apollo », ribatté Marika. La ragazza era in ginocchio sulla coperta accanto a Jake e stava rovistando nel cesto di canne intrecciate che Pindoro aveva trascinato fin lassù, tra pagnotte e pezzi di carne essiccata che sembravano manzo. Alla fine, trovò un banafagiolo e si rimise a sedere con quello. « Che Jake sia ancora vivo è dovuto molto di più a Maestro Zahur che a una divinità dell'Olimpo. » Pindoro si strinse nelle spalle e si lasciò scivolare giù dal muretto. « E tu pensi che qualcuno abbia messo il pungicoda nella tua camera? » Marika lanciò un'occhiata a Jake, che annuì. « Ma chi farebbe mai una cosa simile? Ho sentito mio padre che parlava con Maestro Oswin. Tutti dicevano che è stato un incidente. Che uno degli animali di Zahur è scappato dalla sua gabbia ed è finito nella camera di Jake. » Marika scosse la testa. « Sono quasi sicura di aver sentito qualcuno muoversi nel salone, durante la notte. Ma non posso provarlo. » « E perché vorrebbero ucciderlo? » insistette Pindoro. Marika sbucciò lentamente il suo banafagiolo. « Forse perché qualcuno ha paura di lui. O di quello che sa. Della sua scienza, magari? » Pindoro non sembrava molto convinto, ma cambiò argomento. « E dunque, cos'altro fa questa scienza? Facci vedere qualcos'altro. » Appoggiandosi all'indietro, spostò lo sguardo su Jake. « Ehi, Pindoro, Jake non è mica una scimmia ammaestrata che balla a comando per una manciata di noccioline. » Ma, a dispetto della sua protesta, Jake si accorse che Marika stava cercando di nascondere la propria curiosità. E notò anche come i suoi occhi verdi riflettessero la luce del sole come due smeraldi. « Posso mostrarvi un paio di cose », propose. James Rollins – L’Ombra del Re

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« Non sei costretto », disse Marika, ma l'espressione sul suo viso s'illuminò. Sentendo una strana sensazione di calore dentro di sé, Jake si affrettò a rimettersi in piedi. Aveva lasciato il suo zaino nell'Astromicon. « Andiamo. » Fece strada agli altri e insieme tornarono a infilarsi nella stretta apertura che conduceva dentro la cupola. Lo zaino si trovava sotto il tavolo, accanto allo sgabello. Jake lo tirò fuori e cominciò a rovistarci dentro, finché non estrasse una sottilissima torcia elettrica. Era più o meno della stessa misura di un piccolo cacciavite. « Noi questa la chiamiamo 'torcia'. » Fece scattare l'interruttore, la puntò verso la parete, e cominciò a far danzare la piccola macchiolina di luce sulla bronzea superficie ricurva della cupola. Poi si voltò verso gli altri due. Pindoro era immobile, con le braccia incrociate. « E allora? Ne abbiamo anche noi, di luci. Le puoi trovare a ogni angolo, illuminano tutta Calipso. » Ma gli occhi di Marika si erano accesi d'interesse. « Posso vederla? » « Certo », rispose Jake, passandogliela. La ragazza se la rigirò tra le dita, quindi picchiettò sul vetro che ricopriva la lampadina. « Cos'è questo, una scheggia di una specie di cristallo piatto? È questo che riesce a emanare una luce così potente? » « No, è alimentata da... » Jake dovette concentrarsi per far uscire dalle labbra la parola: « batterie ». « Batteri? Che genere di batteri? » chiese Pindoro. Jake prese la torcia dalle mani di Marika e ne svitò il coperchio. Poi si fece scivolare sulla mano due batterie AA. « Queste qui generano energia, e fanno accendere la lampadina che si trova dentro la torcia. Usando l'elettricità. » Ancora una volta, dovette far forza sulla propria lingua per riuscire ad articolare quest'ultima parola. Passò una batteria a Marika e una a Pindoro. Marika esaminò la propria con la stessa concentrazione di uno scienziato che sta studiando una strana nuova specie di scarafaggio. Pindoro la sua la annusò, come se stesse domandandosi che gusto potesse avere. Alla fine, la puntò verso Jake. « Fa' qualcos'altro con questa roba. » « Pindoro... » cominciò Marika in tono di rimprovero. « Voglio solo vedere che altro può fare. Per esempio, che possono fare questi batteri ai nostri cristalli? » E, prima che qualcuno potesse fermarlo, si voltò verso la scatola dei cristalli e ficcò la batteria proprio nel bel mezzo della raccolta di frammenti. Jake s'irrigidì. Marika allontanò con uno spintone il braccio di Pindoro. Ma non successe niente. Eppure, quel gesto fece venire a Jake un'idea. Forse Pindoro aveva azzeccato una strada buona. Era possibile usare la sua scienza e la loro alchimia legandole insieme in qualche modo? E se fossero state collegate? « Rosso e verde danno il giallo », mormorò, ripensando alla dimostrazione del padre di Marika. Jake prese la batteria da Pindoro e si chinò a raccogliere una piccola scheggia di cristallo blu che era caduta per terra. Allontanatosi di un passo, salì in punta di piedi e mise batteria e cristallo blu dentro al cesto di bronzo. « Jake, noi non lo dovremmo toccare, quello », disse Marika. Jake le lanciò un'occhiata. Le parole di ammonimento che gli aveva rivolto non gli erano sembrate troppo convinte. James Rollins – L’Ombra del Re

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Pindoro era meno riluttante. « Non succederà niente. » Jake mantenne lo sguardo puntato su Marika. Se lei diceva di no, le avrebbe obbedito. Ma la curiosità della ragazza sembrava crescere ogni istante di più. Sotto quell'aspetto, Marika era esattamente come il padre. « L'alchimia è... per nove parti casualità », disse Jake, citando proprio lui. Marika respirò a fondo, e andò verso la porta. Jake temette che volesse andarsene, ma lei invece non fece altro che chiudere la porta che avevano lasciato aperta. Poi tornò a voltarsi verso di lui e gli fece un cenno d'assenso. Con un sorriso, Jake tirò la catena. Il cesto salì, sospeso a mezz'aria. Jake indietreggiò di un passo. La luce del sole splendeva con infiniti scintillii, rifrangendosi attraverso le centinaia di cristalli incastonati negli ingranaggi sopra di loro. Sulle prime, sembrò non accadere nulla... poi il meccanismo cominciò a girare un po' più in fretta. E cominciò a spargere la luce su tutte le pareti sotto forma di arcobaleni. « Jake... » fece Marika. Il meccanismo prese a ruotare ancora più veloce. Il vapore che fuoriusciva dalle minuscole valvole cominciò a fischiare. Gli ingranaggi ormai giravano tanto forte da trasformarsi in macchie indistinte. « Dobbiamo fermarlo! » strillò Marika. « Come? » chiese Jake. Tutti e tre se ne stavano chini sotto il meccanismo che ormai frullava in una massa turbinante di vetro e bronzo. Una massa che ansimava, grugniva, rugghiava e sospirava. E non c'era modo di fermarla. E, mentre la sua velocità andava aumentando sempre di più, l'intera stanza cominciò a tremare. Attrezzi e cristalli tintinnavano sul tavolo. Una pila di libri rovinò a terra. E quello ruotava ancora più furiosamente. Jake indietreggiò verso il tavolo. Ma che cosa ho combinato? « Jake! » gridò Marika. Sollevò la seconda batteria, che teneva ancora stretta in mano. Da una delle estremità sprizzavano delle scintille che schioccavano nell'aria, per poi venire risucchiate dal vortice dell'ingranaggio. Jake corse da lei e afferrò la pila. Gli diede la scossa: fu come ricevere sulla mano la frustata di un elastico. La lanciò sul piano del tavolo, dove rotolò fino ad andare a sbattere contro un pezzo di cristallo rosso delle dimensioni di un uovo d'oca; le scintille che ne sprizzavano colpirono la gemma, che si accese immediatamente, risplendendo come un sole color cremisi. E, prima che Jake potesse muovere un solo muscolo, il cristallo rosso si sciolse, spandendosi su tutto il piano del tavolo. E non era soltanto brillante come il sole... era anche altrettanto caldo! Il cristallo cadde dal tavolo e finì sul pavimento di pietra. Jake tirò un sospiro di sollievo... finché non vide che il granito aveva cominciato a ribollire tutt'intorno. Incandescente com'era, stava perforando la superficie di pietra! Nella mente di Jake prese forma l'immagine del cristallo che piombava in fiamme attraverso la torre, un piano dopo l'altro. Quando si sarebbe fermato? E... si sarebbe fermato? Marika era paralizzata dal terrore. Allora, Jake corse ad agguantare uno dei martelletti di argento. Se fosse riuscito a colpire il cristallo, e a spegnerlo come prima aveva visto fare al padre di Marika... James Rollins – L’Ombra del Re

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Si voltò verso la ragazza. Intuendo immediatamente quale fosse il suo piano, lei annuì. Insieme, i due si precipitarono in ginocchio accanto al rogo. Jake si riparava il viso, sia dalla luce accecante sia dal calore. Attraverso gli occhi socchiusi, individuò la pietra. Si era ristretta, fino ad assumere le dimensioni di un uovo di pettirosso. Ormai stava galleggiando in una pozza di roccia disciolta. Quando l'ebbe raggiunto col martello, il cristallo prese a restringersi sempre più velocemente, come se fosse consumato dal suo stesso fuoco interno, simile a una stella morente risucchiata in se stessa. Jake si fermò. Nel giro di un paio di secondi, il cristallo si era completamente consumato nelle fiamme, e ormai non era più grande della capocchia di uno spillo, ed emanava una luce perforante. Poi, in un ultimo guizzo di luce, si esaurì. « È sparito... » disse Marika, e si tirò indietro. L'espressione sul suo viso era un misto di orrore e curiosità. La pozza di granito sciolto s'indurì velocemente, come se fosse consapevole che non era quella la sua vera natura, e volesse ristabilire il prima possibile la normalità. In breve, tutto ciò che rimase fu una chiazza nerastra sul pavimento. Lo stesso non si sarebbe potuto dire per il tavolo. Ancora in ginocchio, Jake alzò lo sguardo sulla parte inferiore del buco perfettamente rotondo che si era formato sul piano di bronzo. Poteva guardarci attraverso. Il metallo non era più incandescente, ma ormai il danno era fatto. « Guardate! » disse Pindoro. Con tutta quella confusione, non si erano accorti che l'ingranaggio sopra di loro aveva rallentato. Non correva, né cigolava più. Adesso girava e basta. Jake alzò gli occhi al delicato meccanismo. Si sentiva forse qualche scricchiolio che prima non c'era? Forse adesso sbuffava un po' più rumorosamente? L'aveva distrutto? Il cesto di bronzo calò lentamente. Gli occhi di tutti erano fissi proprio su di esso. Pindoro puntò il dito contro Jake. « È la tua scienza. Guarda! » Aveva ragione. Jake si allungò, inclinò il cesto e si fece scivolare in mano la batteria. Sembrava uguale a prima... ma nel cesto non c'era nient'altro! Cercò il vassoio dei cristalli. La scheggia di cristallo blu era sparita. Jake lanciò un'occhiata alla chiazza affumicata sul granito. Che il cristallo fosse sparito allo stesso modo? Consumato dalle fiamme, bruciato dal meccanismo stesso, forse per alimentare quel suo folle turbinare? « Ma che cos'è successo? » chiese Marika. Jake potè soltanto scuotere il capo. Questo andava oltre la sua capacità di comprensione. Marika corrugò la fronte. Prese dal tavolo l'altra batteria e la porse a Jake. La sua espressione diceva che non ne voleva più sapere di tutta quella tensione. Per quanto la riguardava, lei con la sua scienza aveva chiuso. Sui suoi occhi era calato un velo di colpevolezza, che le faceva mordicchiare il labbro inferiore mentre tornava con lo sguardo verso il tavolo. La sua sofferenza per Jake fu come una pugnalata. E anche lui si sentì ancora più in colpa. Si ricordò delle parole che le aveva detto, citando suo padre: che l'alchimia è per nove parti casualità. Ma aveva tralasciato d'imparare la conclusione di quella frase: E spesso essa è pericolosa. James Rollins – L’Ombra del Re

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Jake fissò le due batterie nel palmo della sua mano. Avrebbe potuto ridurre completamente in cenere tutta la torre. Raccolse la torcia, inserì le pile, e avvitò il coperchio al suo posto. Per abitudine, premette col pollice l'interruttore. La torcia era ancora perfettamente funzionante. Se la ficcò in una delle tasche dei pantaloni. Pindoro fissò con gli occhi sbarrati il buco, là dove il metallo si era sciolto. « Che cosa facciamo, adesso? I Maestri ci appenderanno per i pollici. » « Mi dispiace », fece Jake. « E ci mancherebbe! » lo fulminò Pindoro. Marika lanciò a entrambi un'occhiata di fuoco, puntandosi le mani sui fianchi. Sei stato tu a dirgli di farlo, Pin. Nessuno di noi ha detto basta. Siamo tutti quanti colpevoli. » L'amico non ribatté nulla. Semplicemente, il suo viso si afflosciò dinanzi alla verità delle parole di Marika. « E domani è l'equinozio. E le olimpiadi! Ci saranno tutti! Aspetta che mio padre venga a sapere questa storia, e sarò fortunato se potrò rivedere il sole prima del prossimo equinozio! » Marika sospirò. « A questo non si può rimediare. Ma forse possiamo ritardare il momento in cui scopriranno quello che è successo. » Il viso di Pindoro s'illuminò. « Che cosa vuoi dire? Tuo padre se ne sta sempre quassù. Lui lo vedrà sicuramente. » Marika si avvicinò a una catasta di libri che era crollata durante il marasma. Raccolse due volumi e li impilò uno sopra l'altro per coprire il buco nel tavolo. « Portate qui anche gli altri. » Jake e Pindoro obbedirono, e la catasta si ricostituì, sino a formare una torre traballante. I ragazzi si scambiarono un sorriso soddisfatto. Il buco adesso era nascosto, e il segno della bruciatura sotto il tavolo poteva passare facilmente inosservato. Marika controllò il loro lavoro. « Papà lascia mucchi di libri come questo un po' ovunque, e poi se ne dimentica. » « Quindi potrebbe non trovare il buco anche per diversi mesi! » fece Pindoro. « No, lo troverà molto prima », rispose la ragazza sollevando le sopracciglia in un'espressione severa. « E come? » chiese l'altro. « Perché glielo dirò io. Ma aspetterò fino a dopo l'equinozio. » « Mari! » « No, Pin. Bisogna dirglielo. Però non c'è nessun motivo di rovinare la festa. Era il giorno preferito di mio padre e di mia madre. E adesso che siamo rimasti solo noi due... » Le sue parole si spensero, ma scoccò a Pindoro un'occhiataccia truce. « Non sarò io a mandare a monte l'equinozio! Ma, dopo i festeggiamenti, dirò tutto a papà. » Il ragazzo brontolò qualcosa sottovoce. Sembrava tutt'altro che d'accordo con lei. E, in quella particolare circostanza, Jake stava dalla parte del romano. Se qualcuno fosse venuto a scoprire quello che avevano fatto, il suo timore era che la sua carriera di apprendista sarebbe terminata all'istante. « Be', almeno non mi perderò le gare », disse Pin. Il sole era vicino alla linea dell'orizzonte quando i tre uscirono dall'Astromicon. Pin diede un'ultima occhiata all'interno, prima che Marika chiudesse la porta. « Non mi meraviglio che qualcuno abbia cercato di farti fuori. Questa tua scienza non porta altro che problemi. » Jake si voltò verso Marika. « Io non lo sapevo. Vorrei tanto poter tornare indietro. » « Mio padre dice sempre: 'Guarda due volte e fa' un solo passo, perché, se imbocchi certe strade, non si torna v più indietro'. » Tirò il catenaccio della porta e chiuse l'Astromicon. James Rollins – L’Ombra del Re

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I ragazzi poi raccolsero in silenzio ciò che rimaneva del loro pranzo, ciascuno immerso nei propri pensieri, di rammarico o di preoccupazione. Guarda due volte e fa' un solo passo... Jake ripensò al momento in cui, al British Museum, aveva inserito la mezza moneta di Kady nella piramide d'oro. Anche in quell'occasione aveva spiccato un balzo senza prima controllare, e si era trascinato dietro anche Kady. Se imbocchi certe strade, non si torna più indietro. E se la stessa cosa si fosse rivelata vera anche in quel caso? Jake si tirò in piedi, tenendo fra le braccia la coperta che avevano usato per il pranzo. Oltre le mura del castello, scorse il drago di pietra piazzato in mezzo alla foresta, di guardia al tempio. Si rifiutava di credere che non esistesse una maniera per tornare a casa. E tuttavia poteva sentire la pressione del tempo che passava, simile a delle fasce di acciaio che gli schiacciavano il petto. Una volta che fosse stato scoperto l'incidente, qualsiasi speranza di poter mai esplorare la piramide sarebbe andata perduta. Gli rimaneva ancora un giorno al massimo. Ma forse poteva anche bastare. Jake ripensò all'accorato lamento di Pindoro che temeva di perdersi le olimpiadi. Ci saranno tutti! Guardò ancora la piramide, stringendo le palpebre. Se tutta la città fosse stata impegnata allo stadio, chi mai si sarebbe preoccupato di controllare il tempio? Quella poteva essere la sua sola e unica possibilità. Doveva andare di soppiatto fin laggiù e scoprire quale segreto si nascondeva nel cuore di cristallo di Kukulkàn. Però le parole di Marika gli risuonavano ancora nella mente. Guarda due volte e fa' un solo passo... Se avesse fallito, non ci sarebbe stato modo di tornare indietro. Di certo lo avrebbero buttato in prigione, o scacciato. E Kady? Molto probabilmente avrebbe condiviso il suo stesso destino. « Sei pronto? » chiese Marika. Jake annuì. Gli conveniva essere pronto.

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PARTE TERZA ₪ Capitolo 16 OGGI SI GIOCA

Quando, il mattino seguente, Jake si alzò, vide che Marika e suo padre si trovavano già nella sala. I due si muovevano come una macchina ben oliata: sistemavano le ciotole sul tavolo, provavano col dito una brocca di cioccolata bollente, tagliavano a fette un melone rosa. Balam sussurrò qualcosa nell'orecchio di Marika, suscitando in lei una risatina sciocca. E, quando il padre si succhiò il dito scottato dalla cioccolata, la ragazza fu di nuovo presa dalla ridarella. I due si muovevano con la familiarità che si crea durante anni di amore reciproco. Era come una danza mattutina, spontanea e felice, condivisa da padre e figlia. Jake si fermò a metà delle scale, colpito dal ricordo di mattini simili a Ravensgate Manor: di sua madre che aiutava zia Matilda a friggere le uova col bacon, di suo padre seduto a tavola in vestaglia e calzini, sepolto nel suo giornale. Ricordi di risate, abbracci e sorrisi pieni di calore. « Guarda guarda... a quanto pare qualcuno ha finalmente deciso di unirsi a noi! » Jake si riscosse e, per quanto a malincuore, mise da parte il fantasma dei suoi genitori. Salutò il padre di Marika con la mano e continuò a scendere le scale. Durante la notte aveva preparato un piano, che nel buio della sua stanza aveva messo a punto fin nei minimi dettagli. In quel momento, si stava preparando psicologicamente a quel po' di scena necessaria per metterne in moto la prima parte. Gli ultimi passi li fece zoppicando, e fingendo di ansimare con un gemito sofferente. Essere costretto a imbrogliare Marika e suo padre lo faceva star male sul serio, ma non aveva altra scelta. Arrancò verso il tavolo. « Che c'è che non va? » gli chiese Marika. Jake si chinò e si massaggiò il polpaccio. « E da quando mi sono svegliato che ho la gamba tutta indolenzita. E... e... » Si portò una mano alla fronte. « Temo di non sentirmi troppo bene. » Balam corse da lui, gli sentì la fronte e lo invitò a sedersi. « Fammi dare un'occhiata. Non c'è da scherzare, col veleno di pungicoda. » Poi gli tirò su il pantalone ed esaminò la ferita che si stava rimarginando. « Niente infiammazione, né gonfiore », disse, sollevato. « Sembra che vada tutto bene. Probabilmente i muscoli sono stati intaccati dal veleno e sì sono irrigiditi. » Jake annuì. La cosa si metteva bene... proprio quello che ci voleva per il suo piano. Aveva bisogno di una scusa per rimanere a casa mentre tutti gli altri se ne andavano allo stadio ad assistere ai grandi giochi. Se fosse rimasto da solo, sarebbe potuto sgattaiolare furtivamente fino al tempio. « Forse è meglio che tu rimanga un altro giorno qui alla torre », propose Balam. « Peccato. Ti perderai le olimpiadi. » Jake si sforzò di assumere un'espressione delusa. « Mi metterò a letto. Magari per stasera starò abbastanza bene per poter venire alla festa dell'equinozio. » Marika toccò il braccio del padre. « Papà, io posso riJames Rollins – L’Ombra del Re

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manere con Jake. Non possiamo lasciarlo da solo. Se ha bisogno di qualcosa... o se peggiora... » Jake si raddrizzò sulla sedia. « No, no, starò benissimo. Davvero. Ci rimarrei troppo male, se tu dovessi perderti le olimpiadi per causa mia. Mi sentirei tremendamente in colpa. » Ma le sopracciglia di Balam si erano già unite in un'espressione preoccupata. Prima che potesse dare una risposta, la stretta porticina della servitù si aprì. Una piccola figuretta fece il suo ingresso nella stanza. Era Bach'uuk, che stava tenendo in equilibrio sulle braccia una grossa zuppiera. « Ah, il porridge... Mettilo pure sul tavolo, Bach'uuk. Grazie », disse il padre di Marika senza distogliere da Jake il suo sguardo preoccupato. Non appena Bach'uuk ebbe appoggiato la zuppiera sul tavolo, Marika s'illuminò all'improvviso. « E se fosse Bach'uuk a rimanere con te, Jake? Lui non ci sarebbe andato in ogni caso, ai giochi. In questo modo tu non dovresti sentirti in colpa. » Prima che Jake potesse rispondere, Marika continuò, rivolta all'ometto: « Bach'uuk, Jake si sente un pochino debole. Ti dispiacerebbe tenerlo d'occhio finché noi non saremo tornati dalle olimpiadi? » « Ci penso io », rispose Bach'uuk. E puntò su Jake uno sguardo intenso e penetrante. Jake si alzò. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era che qualcuno lo tenesse d'occhio, e meno che mai quel ragazzo di Neandertal. Non aveva dimenticato i sospetti su chi avesse potuto lasciare il pungicoda nella sua camera. Il padre di Marika si rivolse a Jake. « E, se ci sono problemi, Bach'uuk può correre giù nei sotterranei da Maestro Zahur. Il Maestro rimarrà qui nella torre ad accudire la cacciatrice Livia. » Jake sentì una morsa di ghiaccio nello stomaco. Gli sembrava che il suo bel piano gli si stesse sgretolando davanti agli occhi. Non solo sarebbe stato sorvegliato a vista da quello strano ragazzo, ma l'unica altra persona presente nella torre sarebbe stata proprio quella che aveva lasciato scappare il pungicoda. E se avessero di nuovo attentato alla sua vita? Rivide frettolosamente il da farsi. Forse avrebbe avuto maggiori opportunità se fosse andato allo stadio insieme con loro. Con tutta quella gente e in mezzo alla confusione, avrebbe potuto perdere gli altri e rimanere solo, e riuscire ugualmente ad andare di nascosto fino al tempio di Kukulkàn. Forse il suo piano poteva ancora essere salvato, dopotutto. Si stiracchiò la gamba e fece qualche passo intorno al tavolo. « Forse non sarà necessario. Ora che mi sono alzato e ho fatto un po' di movimento, la gamba sta decisamente meglio. » E per provarlo fece un intero giro intorno al tavolo. « Forse rimanere qui a ciondolare non è poi una così grande idea. Penso che mi faccia meglio se mi mantengo in movimento. E la tengo sempre in esercizio. E poi... mi dispiacerebbe troppo perdermi i giochi. » « Ne sei sicuro? » fece il padre di Marika, con aria dubbiosa. « Davvero, adesso la gamba sta molto meglio. Erano solo dei crampi. » Balam s'illuminò. « Allora partiremo per tempo. E andremo piano. Ma se tu ti senti affaticato, o se ti tornano i crampi... » Jake annuì vigorosamente. « Ve lo dirò subito. Promesso. » « Facciamo colazione, allora, prendiamo le bandiere e andiamocene ai giochi! » Marika obbedì, tutta contenta, e distribuì le ciotole colme di porridge caldo, in cui galleggiavano pezzi di frutta secca e ghirigori di miele. Dimenticato dagli altri, ma evidentemente consapevole che la sua presenza non era più necessaria, Bach'uuk si ritirò attraverso la porta della servitù. James Rollins – L’Ombra del Re

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Con la coda dell'occhio, Jake gli lanciò un'occhiata. Vide l'espressione sul viso del ragazzo. Delusione... e un'ombra di rabbia. Jake era contento che se ne fosse andato. « Su, finite di mangiare. Ci aspetta una giornata piena di emozioni! » disse allegramente Balam. Oltre le mura del castello, le strade erano gremite di gente. Gli stendardi sventolavano, la gente cantava, mentre altri ancora danzavano formando piccoli cortei. Marika tirò Jake da parte quando furono superati di corsa da un branco di ragazzini che percuotevano i cembali e suonavano il corno, seguiti da un drago cinese di seta che un gruppo di adulti stava portando tra grandi risate. Jake riconobbe i più giovani: li aveva visti mentre si esercitavano davanti alla loro pagoda, due giorni prima. Più si allontanavano dal castello, e più la calca intorno a loro aumentava. E Jake si sentiva schiacciare dalla pressante necessità di raggiungere la piramide. Doveva trovare il momento giusto per fuggire. Ma la ressa era davvero troppa. E poi c'era anche un altro problema. Non appena usciti dalle porte del castello, Marika lo aveva preso per mano. Evidentemente temeva di perderlo, o che venisse ancora colto da un improvviso attacco di debolezza. E si voltava a guardarlo molto spesso. Aveva le guance rosse per l'emozione, e nei suoi occhi danzava la luce del sole. Con l'altra mano sventolava una bandiera cremisi, decorata con un glifo maya. Marika vide che lui la stava fissando. « È la bandiera della squadra maya. Quest'anno non ci siamo qualificati, ma dobbiamo comunque dar prova del nostro orgoglio. » Maestro Oswin arrancava dietro di loro, pregandoli di andare più piano. « Avrei dovuto restare con Zahur », disse a Balam in tono lamentoso. « Se la cacciatrice non dovesse farcela, vorrei proprio cercare di recuperare una delle schegge di diaspro sanguigno. » « Abbiamo già tolto tutto quello che siamo riusciti a vedere la scorsa notte », sussurrò Balam. Jake dovette rallentare e avvicinarsi un tantino, per riuscire a sentire. « Ma continua a indebolirsi. Se sono rimasti dei frammenti nel suo corpo, sono troppo piccoli per riuscire a estrarli, e rischieresti soltanto di morire avvelenato tu stesso, se per sbaglio dovessi toccare una scheggia con un dito. » Balam picchiettò con la mano un pesante sacchetto che pendeva dalla sua cintura. « Ho qui con me il cristallo di Zahur per comunicare a distanza. Se ci sono problemi, ce lo farà sapere. Fino ad allora, non gettiamo ombre cupe su questo giorno lieto. » « Giusto. » Oswin si appoggiò una larga manona sulla sua gran pancia. « E ho anche saltato il mio porridge per fare spazio alla cena su al palazzo di Tiberio. I romani sì che sanno come si organizza una festa! » « Devono riuscire a vincere, prima », disse Balam, con poca speranza nella voce. « I sumeri hanno sconfitto la nostra squadra senza lasciarci fare neanche un punto. Sono agguerriti e ben determinati a vincere la Torcia Eterna per la loro tribù. » Ormai il gruppetto aveva raggiunto l'uscita della città e il fiume di folla si stava ammassando sempre di più. Continuando a stringere la mano di Marika, Jake venne trascinato dalla marea di gente che scorreva attraverso le porte settentrionali. Da quell'angolazione, l'enorme stadio sembrava proprio identico al Colosseo. IntoJames Rollins – L’Ombra del Re

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nacato di bianco e tinteggiato in toni dorati, esso brillava nella luce del mezzogiorno, emanando bagliori accecanti. Tutt'intorno allo stadio correvano degli archi imponenti, ciascuno dei quali conteneva colossali giganti di pietra. Mentre seguiva la folla, Jake alzò lo sguardo su una statua che raffigurava Zeus appoggiato a un fulmine. Le sue spalle sembravano reggere il peso dell'intera sezione superiore dello stadio. Jake ne adocchiò un'altra... Odino, il capo delle divinità nordiche. Ciascuna delle Tribù Perdute doveva avere un proprio simbolo esposto lì, pensò. Mentre proseguivano verso lo stadio, qualcuno li chiamò ad alta voce: « Ehi! Eccovi qua! » Pindoro li salutò con la mano e corse verso di loro. Quando li ebbe raggiunti, Marika finalmente lasciò la mano di Jake. Lui se la strofinò sulla giacca, contento di essere libero, ma anche un pochino deluso. Lo sguardo di Marika diceva che, forse, la mano non gliela stava tenendo soltanto perché non si perdesse in mezzo alla folla. A questo pensiero, i passi di Jake divennero improvvisamente più leggeri, ma il peso dei taccuini dei suoi genitori che sentiva nella tasca della giacca gli ricordarono il suo dovere. Non doveva perdere la concentrazione. Doveva arrivare al tempio, e doveva farlo oggi. « Faremmo meglio a sbrigarci », disse Pindoro, col viso in fiamme per l'emozione. Jake si voltò di nuovo verso la città, poi lanciò uno sguardo alla folla tutt'intorno. Forse poteva riuscire a scappare nel momento in cui entravano allo stadio. La calca avrebbe potuto offrire una buona occasione per sgattaiolare via. « Katherine è già dentro », disse Pindoro rivolto a Jake, catturando di nuovo la sua attenzione. Jake annuì. Forse, prima di mettere in atto la sua fuga, la cosa migliore era aspettare di aver parlato con Kady. Lei doveva essere informata di ciò che aveva in mente di fare. E forse avrebbe anche potuto essergli d'aiuto. E a quest'ultimo pensiero, Jake alzò gli occhi al cielo: ebbene sì, era proprio così disperato.

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Capitolo 17 ₪

LA PRIMA MISCHIA

Jake percorse un breve tunnel buio, e si ritrovò nello stadio inondato di sole. Il luogo risuonava già del brusio eccitato che si levava dalla folla. Attraverso tutti e tre gli ordini di sedili, era tutto uno sventolare di stendardi e bandiere, che formavano un guazzabuglio di colori intorno al campo centrale, secondo le postazioni assegnate a ciascuna delle tribù. E anche l'anello più esterno dello stadio era in fermento, coi giganteschi raz alati e il Popolo del Vento. « Da questa parte », li esortò Pindoro, quasi trascinandosi Jake dietro di sé. Marika si affrettò a seguirli. Pindoro li guidò in cima alla sezione romana, dove ad attenderli c'era una serie di posti vuoti. Jake e Marika corsero a occupare la prima fila. I due Maestri si sistemarono dietro di loro, abbandonandosi a un sospiro di felicità; erano contenti di non doversi più muovere. Pindoro non ne volle sapere di sedersi, e rimase invece in piedi accanto alla staccionata in fondo alla tribuna. Jake e Marika lo raggiunsero. Su ciascuno dei due lati del campo erano schierate due squadre di othnielia sellati. Intorno a loro era tutto un andirivieni di uomini e donne che aggiustavano cinghie e controllavano le cavalcature una per una. La squadra romana indossava delle fusciacche bianche, con sopra il segno del fulmine rosso di Giove. Dalla parte opposta del campo dovevano esserci i sumeri, che portavano delle morbide sciarpone nere, che gli coprivano la metà inferiore del volto. Stavano già montando in sella. « Non ci vorrà ancora molto », disse Pindoro. Marìka diede un'occhiata al sole e fece un cenno d'assenso. « Siamo quasi a metà del giorno dell'equinozio. » Improvvisamente, sulla gradinata accanto a loro apparve il centurione Gaio. L'uomo chiamò Jake. « Ho l'ordine di portarti da tua sorella, prima che abbiano inizio le olimpiadi. » Jake vide che la squadra dei vichinghi aveva preso posto in una delle sezioni vicine. Sfoggiavano bandiere blu oltremare, con un occhio argentato al centro. Jake seguì l'omone lungo una stretta rampa di gradini. Sentiva la sabbia che scrocchiava sotto i loro piedi mentre camminavano lungo il bordo campo. Dalla parte opposta della sezione vichinga, scorse un gruppetto di ragazze più grandi che indossavano l'elmo con le corna, tuniche verdi e pantaloni alla cavallerizza. Quando Gaio si avvicinò, alcune cominciarono a lisciarsi le tuniche e a bisbigliare l'una all'orecchio dell'altra, indicando col dito l'alto soldato dalle spalle larghe. Jake cercò d'individuare Kady. Poi, il gruppo si aprì per lasciar passare il centurione, e Jake la vide. Kady era appoggiata contro un muro, vicino a uno dei cancelli. Accanto a lei c'era uno degli atleti romani. Era piegato in avanti, come se fosse sul punto di darle un bacio. « Eronide! » sbraitò Gaio. James Rollins – L’Ombra del Re

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Il fratello di Pindoro si voltò, richiamato sull'attenti. Gaio indicò il cancello. « Non dovresti essere impegnato a controllare la tua cavalcatura, invece di star qui a fare gli occhi dolci a questa giovane? » « No... voglio dire, sì, centurione Gaio. » « Allora ti suggerisco di correre a farlo. » Con un rigido scatto, Eronide si portò un pugno al petto, poi si voltò e corse via con la coda fra le gambe. Kady si raddrizzò. Aveva in mano una bandiera arrotolata, probabilmente un regalo di Eronide. Ebbe almeno la decenza di mostrare un minimo di rossore sulle guance, quando si fece avanti per venire da loro. Jake scosse la testa. Certe cose non cambiano mai. Anche in questo bizzarro paese, Kady stava già puntando al capitano della squadra. « Jake », gli disse sua sorella, mentre gli si avvicinava. « Ho sentito che sei stato punto da qualcosa. Stai... » Lui la interruppe. « Non c'è tempo di spiegare. Ma penso che qualcuno abbia tentato di uccidermi. Mi hanno messo uno scorpione gigante nel letto. » Gli occhi della ragazza si spalancarono, e lo sguardo si fece più intenso. « Cosa? » Kady gli afferrò la manica della camicia. « Che cos'è successo? » Jake si sforzò di non parlare in tuttomondo. « E una lunga storia... con molti vuoti ancora da riempire. Ma adesso ho bisogno del tuo aiuto. » « Come? Per fare cosa? » « Ora che tutti quanti si trovano qui allo stadio, è la migliore, e forse l'unica possibilità che abbiamo per riuscire a raggiungere di nascosto quella piramide e darle un'occhiata. Ho bisogno soltanto di un qualche diversivo. Qualcosa che monti su un po' di trambusto. Una cosa qualunque, basta che io possa sgattaiolare via senza che nessuno se ne accorga. » « Okay. » « Okay cosa? » Kady fece un cenno d'assenso. « La mia squadra e io ci inventeremo qualcosa. » « La tua squadra? » Jake alzò lo sguardo sul gruppetto di ragazze vichinghe. Solo adesso notava che tutte quante avevano i capelli acconciati in una treccia alla francese, identica a quella di Kady. « Che cosa hai intenzione di... » Lei gli fece cenno di andarsene. « Ancora non lo so bene. Ma tu aspetta il mio segnale, e poi va'. » E, prima che lui potesse chiedere altro, si udì il suono di un gong, seguito dal battito pesante di un tamburo. Il centurione Gaio venne da loro. « È meglio che torniate ai vostri posti. Le olimpiadi stanno per cominciare. » Una volta tornato da Pindoro e Marika, Jake guardò le due squadre che formavano due schieramenti lineari sui lati opposti del campo. C'erano sette giocatori per ogni squadra. I sauri sbuffavano, tirando le redini coi lunghi colli. I cavalieri si urlavano l'un l'altro le istruzioni dell'ultimo minuto. E sulla folla andava calando un silenzio sempre più profondo, in attesa dell'inizio. Jake sentì rimbombargli nel petto il rullio di quattro enormi tamburi, uno per ciascun angolo dello stadio. Pindoro si sporse oltre la staccionata. Marika si mordicchiava le dita. I suoi amici avevano cercato di spiegargli le regole del gioco, ma Jake non aveva prestato molta attenzione. Tutto ciò che sapeva era che la prima parte delle olimpiadi era chiamata la mischia. Un corno suonò un'unica nota allungata, e su in alto, dalla ringhiera superiore che correva tutt'intorno al bordo dello stadio, uno dei favolosi raz prese il volo. Una sfera color cremisi, delle dimensioni di una zucca, cadde sulla superficie sabbiosa dello stadio. James Rollins – L’Ombra del Re

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Ciò che seguì subito dopo sembrò nient'altro che un puro e semplice parapiglia, una zuffa di bestie e cavalieri per aggiudicarsi la palla, ma sotto doveva esserci una qualche strategia... « Oh, no », gemette Pindoro. « Si sono beccati la Mossa del Piede Lungo... ma non lo vede, Ero? » Dalla sezione dei sumeri si levò un'ovazione. In quel punto dello stadio gli stendardi s'innalzarono più alti e si scatenò un folle sventolio di bandiere. Ma nulla di tutto ciò riuscì a spegnere l'entusiasmo di Pindoro. « E’ soltanto la prima mischia. Va bene, i sumeri si sono aggiudicati la palla. Ma la partita non è ancora finita... siamo solo all'inizio. » Ma i romani non se la cavarono meglio nella fase successiva. « Attenti all'uomo sulla sinistra! Sta puntando a ritagliarsi un passaggio! » strillava Pindoro. Ancora una volta, il ragazzo dimostrava di conoscere bene il gioco. Eronide lanciò la palla, che però andò a finire dritta dritta nelle mani dell'avversario. Il giocatore sumero passò a zigzag in mezzo ad altri due romani e scagliò la palla facendola passare attraverso gli anelli degli avversari. Un mugugno di delusione si diffuse tra gli spalti romani. Pindoro ricadde a sedere, mentre la squadra si rimetteva in formazione. « Ma perché nessuno mi ascolta? » « Perché non ti possono sentire », gli rispose Marika, mentre anche lei e Jake si rimettevano seduti. Pindoro incrociò le braccia. Forse era vero che i sauri lo rendevano nervoso per via dell'incidente, ma non si poteva negare che capisse alla perfezione come funzionava il gioco, e così pure la strategia. Anche meglio di suo fratello, probabilmente. Ma questo non era sufficiente a fargli conquistare un posto tra le Guardie Sellate. Nel cupo silenzio che era calato sulla parte romana, Jake si sedette, e in quel momento si udì il suono smorzato di una vocetta stridula: « Maestro Balani, mi senti? » Jake si voltò, e vide che il padre di Marika stava armeggiando col sacchetto che portava appeso in vita. Una volta che ne ebbe aperti i lacci, ne estrasse il piccolo telaio che racchiudeva il frammento di cristallo verde dentro una rete di seta intrecciata. « Maestro Balam... », dal cristallo la voce risuonò ancora, in un tono più insistente. Balam si chinò sulla pietra insieme con Oswin. Jake, che si trovava accanto al dispositivo per la comunicazione a distanza, si raddrizzò sul sedile fingendo di non ascoltare; Marika però gli si era avvicinata e gli aveva stretto la mano. La chiamata veniva da Maestro Zahur. I due ragazzi si misero all'erta, cercando di non perdersi neanche una parola. « Ti sento, Zahur. Che c'è che non va? » « Si tratta delia cacciatrice Livia. E da qualche minuto che sembra come impazzita, geme e si dimena. Sta lottando con tutte le sue forze. E, tra un lamento e l'altro, pronuncia delle parole incomprensibili, simili alle bolle che si formano in una pentola di porridge quando la si lascia sul fuoco troppo a lungo. Borbotta e si aggrappa a me, come se cercasse di comunicarmi qualcosa, ma ormai non può sfuggire alle ombre che si sono impossessate di lei. » Seduto al suo posto, Oswin brontolò: « Io ve lo avevo detto, che dovevamo fare di più per toglierle quelle schegge dal corpo ». Zahur, che non lo aveva sentito, proseguì: « È come se sapesse che la morte sta per raggiungerla, ma voglia lottare fino all'ultimo respiro per dire quello che sa ». A queste parole, Jake si sentì stringere le viscere. Rivide dentro di sé la testa di LiJames Rollins – L’Ombra del Re

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via appoggiata sul suo grembo, i suoi occhi azzurri, così simili a quelli di sua madre. Non riusciva a fare a meno di sentirsi legato a lei: quasi un legame di sangue, ma dovuto anche al giuramento che aveva pronunciato. Balam toccò il cristallo. « Puoi fare qualcos'altro per lei, Zahur? » « No. È finita. La morte ormai le si sta avvicinando con ali veloci. » Oswin si alzò, dando un colpetto sulla schiena di Jake. « Basta. Io devo tornare subito a Kalakryss. » Balam annuì e parlò di nuovo dentro il cristallo. « Oswin e io veniamo da te, Zahur. Non so che altro potremo fare se non offrire il nostro sostegno e attendere la sua dipartita. Non sopravvivrà, a meno che quei frammenti di diaspro sanguigno non svaniscano miracolosamente dalla sua carne. » « Capisco. » Balam mise fine alla chiamata e ripose lo strumento nel sacchetto. Quindi si chinò in avanti, e posò una mano sulle spalle di Marika e di Jake. « Io devo tornare a Kalakryss. » « Ma, papà... » Lui si alzò. « Rimanete pure qui e godetevi le olimpiadi. Io farò del mio meglio per raggiungervi al palazzo di Tiberio per la festa. » Poi agitò il braccio per richiamare l'attenzione di Gaio. « Centurione, vorresti essere tanto cortese da dare un'occhiata a mia figlia e al giovane Jake? E accompagnarli dopo la gara? » « Certamente, Maestro. Sarà un onore per me. » « Papà... » Marika cercò ancora di catturare la sua attenzione, ma lui se ne stava già andando insieme con Oswin. Il centurione Gaio occupò uno dei posti liberi dietro Jake e Marika. Dal campo si sentì risuonare un corno, e i giocatori rimontarono in sella per il secondo tempo. Pindoro si alzò nuovamente. Era l'unico fra i romani a mostrare così tanto entusiasmo. Jake fece per raggiungerlo accanto alla staccionata, ma Marika lo agguantò per un braccio e lo tirò giù a sedere. « Hai sentito che cosa ha detto mio padre? » Jake si accigliò. « A quanto pare, le cose non stanno andando bene. » « No, non quello. Alla fine. Quando ha detto che la sola speranza per Livia sarebbe un miracolo. Che se quelle schegge di diaspro sanguigno scomparissero, lei potrebbe sopravvivere? » Il suo sguardo rimaneva fisso su quello di Jake, ma il ragazzo continuava a non capire. Lei se ne rese conto dall'espressione del suo viso e sospirò. « Quei tuoi batteri e la forza di quell'elettrocittà. Sono riusciti a far dissolvere il cristallo di rubino, su all'Astromicon. » Jake batté le palpebre, sforzandosi di seguire il ragionamento dell'amica. Rivide quel cristallo rosso, grande come un uovo d'oca, mentre si restringeva fino a svanire. Ma pensò anche alla distruzione che aveva generato prima che ciò accadesse: il foro che aveva trapassato il tavolo sciogliendo il metallo, il pavimento di pietra bruciacchiato. Marika gli si avvicinò ancora di più. « Puoi proiettare i tuoi poteri sulla sua carne, in modo che quelle schegge scompaiano nello stesso modo? » « Forse. » Jake pensò velocemente. Che cosa sarebbe successo, se avesse somministrato una scarica elettrica alla ferita della cacciatrice? Aveva ancora sotto gli occhi quel buco nel bronzo. « Ma potrebbe anche ucciderla. » « Morirà comunque. » Sarà anche stato così, ma Jake non voleva essere proprio lui la causa della sua morte. E se qualcosa fosse andato storto? « Dovremmo per lo meno dirlo a mio padre e lasciare che sia lui a decidere », insistette Marika. Jake ebbe un attimo di esitazione. Una volta che Maestro Balam avesse scoperto James Rollins – L’Ombra del Re

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della catastrofe sfiorata all'Astromicon, lui poteva anche dire addio a qualsiasi speranza di entrare nella piramide. Ma poteva permettere che qualcuno morisse per proteggere quel segreto? E poi, aveva fatto un voto. Se c'era anche solo un'esigua possibilità di salvare la cacciatrice... Marika lesse la determinazione che a poco a poco stava affiorando sul suo volto. « Lo diremo a mio padre. » Jake annuì. I due si alzarono insieme e fecero per incamminarsi lungo la loro corsia, ma qualcosa agganciò Jake per una spalla. Si voltò, ed ecco lì il centurione Gaio che li guardava in cagnesco. E aveva afferrato anche la spalla di Marika. « Nessuno andrà da nessuna parte », disse il soldato, e con uno spintone li rimise a sedere. Marika si voltò verso Jake: dal suo viso traspariva chiara una domanda. E adesso, che cosa facciamo?

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Capitolo 18 ₪

IN FUGA ATTRAVERSO LA CITTÀ

Mentre cercava di pensare a un qualche modo per svignarsela, Jake sentiva gli occhi del centurione puntati sulla nuca. Non sarebbe stato facile farla in barba a Gaio. E, a peggiorare le cose, la partita si stava trasformando in una vera e propria disfatta. Tutt'a un tratto, si sentì esplodere un coro di voci: « E va bene, tutti in piedi! Non ci stiamo, a perdere! » Jake rispose al richiamo, non come atto di obbedienza, ma come spinto da una sensazione di orrore alla quale non era possibile resistere. Raggiunse Pincioro alla staccionata e guardò giù, a bordo campo. Oh, no... Un gruppo di donne vichinghe si stava disponendo in fila. E, come Jake aveva temuto, davanti a tutte si trovava Kady. Sua sorella era in equilibrio su una gamba sola, le braccia distese in una delle figure da cheerleader conosciuta come « high V ». Dietro di lei, le altre stavano imitando la sua posa. Kady ondeggiò le braccia e le puntò verso la folla. « Dai romani! Dai romani, dai, dai, dai! » Fece poi segno alle altre di continuare col ritornello d'incoraggiamento, mentre lei si avvicinava alle tribune. « Voglio sentire anche voi! » urlò, agitando le braccia, a tempo col ritmo del ritornello, e incitando la folla a seguirla. « Dai romani! Dai romani, dai, dai, dai! » Gli occhi di Kady riuscirono a scovare Jake nella folla, e s'inchiodarono su di lui con uno sguardo carico d'intensità. Lui colse l'imbeccata. Qualcuno doveva cominciare. Si schiarì la voce e, quando il coro successivo ebbe inizio, anche lui si unì all'urlo di esortazione. « Dai romani! Dai romani, dai, dai, dai! » Con una gomitata, Jake spronò anche Pindoro, il quale tentò goffamente di unirsi all'acclamazione. Un istante dopo, si unì a loro anche Marika. A poco a poco, l'urlo andò diffondendosi nel loro gruppo e oltre. Allora Kady gridò: « Battete i piedi! A tempo! Dai romani! Dai romani, dai, dai, dai! » E, insieme con la sua squadra di cheerleader, offrì una dimostrazione di ciò che intendeva, battendo forte i piedi alla fine di ogni ritornello. E questa volta non ci fu bisogno che Jake desse l'esempio. Nel giro di pochi secondi, le tribune vibravano dei colpi di centinaia di stivali. Tutto il pubblico era in piedi, e urlava insieme con lei. Kady li incoraggiava battendo le mani sopra la testa. E i suoi sforzi non si esaurirono tutti entro lo spazio delle tribune. Giù nel campo, la squadra romana aveva colto la nuova carica di entusiasmo, e lottò con forza per il possesso di palla. Con uno slancio vigoroso, Eronide si sollevò dalla sella e intercettò al volo un passaggio. La sua squadra gli si richiuse intorno in una formazione compatta, e insieme riuscirono a sfondare attraverso un punto debole nelle file dei sumeri. Eronide allora scagliò in aria la palla, che disegnò un ampio arco, sfuggì per un pelo alla presa di un difensore per andare a infilarsi liscia liscia dentro gli anelli avversari, che rappresentavano l'obiettivo del gioco. Tutt'intorno a Jake, le tribune esplosero in un tripudio di caotiche acclamazioni. Già fomentata dallo spettacolo delle cheerleader, la folla si accalcò sempre più addosso James Rollins – L’Ombra del Re

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alla staccionata. A bordo campo, Kady puntò un braccio verso Jake, e poi al cielo. Tieniti pronto, gli stava comunicando. Con l'altro braccio, la ragazza fece segno alla squadra, che subito si sparpagliò su un fronte più ampio, formando una riga che arrivava a coprire metà del lato del campo su cui si trovavano. Kady urlò: « Dritta dentro, han fatto centro! Dai romani, dai, dai, dai! Siamo tutti qui per voi! » A un suo segnale, le ragazze si misero in ginocchio l'una dopo l'altra, per poi rialzarsi di nuovo, in una sorta di ola. Sulla destra, in fondo, la sezione vichinga seguì subito l'esempio e si unì alla ola, scattando su dai propri posti con un urlo, per poi sedersi di nuovo. Kady incitò la sezione di Jake a fare lo stesso. « Dai romani, dai, dai, dai! Noi perdenti, questo mai! » E continuò la ola, a tempo con le altre cheerleader. « Su diritti... o sconfitti! » All'arrivo della ola successiva, i romani, accessi dal nuovo entusiasmo, si unirono all'euforia comune. Le acclamazioni non si spegnevano e il movimento fluttuante della folla si ripeteva avanti e indietro, accompagnato dalle urla d'incoraggiamento. Jake si lanciò un'occhiata dietro le spalle. Gaio era stretto in mezzo alla calca degli altri romani, obbligato anche lui a sollevarsi e risedersi. Il ragazzo allora si voltò subito verso Marika. « Tieniti pronta! Alla prossima ondata! » « Cosa? » Jake l'afferrò per il gomito e, tenendosi basso, la trascinò lungo la loro corsia, mentre tutti si alzavano. La ragazza tirò un lembo della toga di Pindoro, che tentò di protestare. « Sta' zitto e corri! » tagliò corto Marika. Insieme, i tre ragazzi si precipitarono verso il tunnel d'uscita, schiacciati in mezzo alla folla che continuava a premere verso la zona anteriore delle tribune. Pindoro teneva dietro agli altri due, ma guardandosi sempre alle spalle. « Dove stiamo andando? » urlò a Jake e a Marika. « Torniamo a Kalakryss! » gli rispose Marika. « Che cosa? Ma perché? » Schizzarono fuori dello stadio, sulla strada lastricata di ciottoli che riconduceva in città. All'udire uno strepitoso grido di giubilo dei romani, Pindoro rallentò. « Marika Balam, Jacob Ransom, Pindoro Tiberio, venite subito fuori! » si sentì chiamare Gaio; i suoi ordini uscivano rimbombando dal tunnel dello stadio. Jake corse ancora più veloce accanto a Marika, ma Pindoro sorpassò entrambi con le sue lunghe gambe. Girato un angolo, si trovarono in una zona dov'erano parcheggiati carri e carretti. « Laggiù! » gridò Pindoro correndo verso un carro a due ruote al quale era legato un dinosauro nano. Saltatoci sopra, con un gesto della mano invitò Jake e Marika ad avvicinarsi alla sbarra. « Ehm... mi potete sciogliere le briglie? » Marika obbedì subito, poi raggiunse Jake e Pindoro sul carro. Con un colpetto al posteriore, Pindoro incitò il dinosauro a partire. « Su! In marcia, cosce di piombo! » Fece schioccare la frusta per aria, e la bestia si trascinò in avanti un po' più velocemente, tirando il collo fino a fargli sfiorare la terra. Mentre andavano guadagnando velocità e il carro sferragliava in modo sempre più preoccupante, Jake riuscì a trovare un equilibrio accettabile, tenendo le ginocchia larghe e leggermente piegate. « Su! Su! » Il carro sfrecciava sempre più veloce; ormai stavano attraversando di James Rollins – L’Ombra del Re

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volata le porte della città. Magari i tète à tète coi sauri lo rendevano nervoso, ma di certo Pindoro sapeva come guidare un carro. Il giovane romano continuò a spron battuto lungo l'arteria principale. La strada era pressoché deserta, e non c'era quindi bisogno di rallentare. Gli edifici sfrecciavano via al loro passaggio. « Ma insomma, perché stiamo scappando dal centurione Gaio? » chiese Pindoro lanciando un'occhiata a Marika, dietro di lui. « Per aiutare la cacciatrice Livia. » « Che cosa? » Marika gli spiegò brevemente quello che avevano in mente di fare. « Prendere in prestito questo carro è stata proprio una grande pensata, Pin. Potremmo perfino riuscire a raggiungere mio padre e il Maestro Oswin », concluse. Nonostante il complimento finale, Pindoro si era fatto pallido. La mano ferma con cui reggeva le redini gli venne meno per un attimo. Il carro sbandò, e finì addosso a una bancarella che vendeva frutta, facendo volare per aria un mucchio di meloni dalla buccia spinosa. Con un gesto del braccio, Pindoro indicò dietro di sé, in direzione dello stadio. « E io che pensavo che ci fosse qualche problema grosso! Che dovessimo scappare per salvare la pelle! Ma no! Tutto questo caos solo perché a qualcuno è venuta l'idea idiota di usare la scienza per curare la cacciatrice Livia! Per le ginocchia di Giove, questa è follia pura! » Marika sbuffò. « Lasceremo che sia mio padre a decidere, Pin. Adesso guida e basta. » E puntò il dito in direzione del castello. Sul carro calò un'atmosfera di teso imbarazzo. Jake sapeva che il motivo principale era che avevano tutti quanti paura... sia per ciò che li aspettava, sia per quello che si erano lasciati alle spalle. Avrebbero dovuto affrontare una valanga di problemi, se Pindoro avesse avuto ragione e tutta questa storia si fosse rivelata nient'altro che un'enorme stupidaggine. Se avessero fallito, Jake avrebbe perso qualsiasi possibilità di entrare nella piramide. Ma non poteva lasciare che la cacciatrice Livia morisse solo perché lui non aveva nemmeno voluto fare un tentativo. Sapeva che suo padre e sua madre avrebbero fatto lo stesso. D'altra parte, però, Kady si era data un sacco da fare per aiutarlo a fuggire. Si sarebbe arrabbiata non poco, quando avrebbe scoperto che lui, alla piramide, non ci era mai arrivato. Ma non aveva altra scelta. « Sbrigatevi! Devono essere tutti giù nei sotterranei », gridò Marika mentre gli altri due entravano di corsa nella torre. La ragazza si buttò a capofitto giù per le scale. Jake la capiva, la sua angoscia. E se fossero arrivati troppo tardi? Sul viso di Marika c'era un'espressione tesa e colpevole... quasi pensasse che avrebbe dovuto averla prima, quell'idea. I sotterranei si trovavano più in profondità di quanto Jake non avesse pensato. Marika oltrepassò due piani sui quali si aprivano delle porte, e continuò ancora a scendere. Tutt'intorno alla scala a chiocciola, la pietra grigiastra diventava sempre più nera; forse un segno lasciato dall'antico incendio che aveva provocato il re Teschio. « Ci siamo, ormai », disse Marika, senza fiato. E indicò il punto in cui finalmente le scale terminavano, davanti a una porta socchiusa. Fu lei la prima a raggiungerla; bussò forte, gridando: « Maestro Zahur! Papà! » Jake e Pindoro la raggiunsero. La James Rollins – L’Ombra del Re

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sola luce proveniva da due candelieri di ferro, posti su ciascun lato della porta. I colpi di Marika avevano fatto aprire la porta un po' di più. Jake infilò dentro la testa, e vide che c'erano altre scale, che scendevano ancora. La luce emanata dai candelieri era abbastanza forte da mostrare il salone che si apriva di sotto. Si riuscivano a distinguere le sagome scure di un tavolo e di una sedia. « Maestro Zahur? » chiamò ancora Marika, con aria più incerta. Il silenzio fu l'unica risposta. « Forse sono nei sotterranei che si trovano ancora più in basso. Ho sentito che là sotto è un vero labirinto », disse Pindoro. All'udire quelle parole, Marika rallentò il passo, ma l'apprensione per Livia la spingeva a proseguire. Jake la seguiva da vicino. « Forse l'hanno portata da qualche altra parte. Magari su a casa tua, oppure nell'Astromicon. » O magari, invece, Livia era già morta. Arrivati nel salone, sentirono un gemito, come di uno spettro. Qualcuno c'era, là sotto. « Accendi le luci », disse Marika. Pindoro cercò a tentoni lungo una delle pareti che si stendevano accanto alle scale, mentre Jake fece lo stesso dall'altra parte. « Ne ho trovata una », fece Pindoro. Picchiettò la sfera di cristallo con l'unghia. Ma il buio rimase. Dalla sua parte, Jake trovò un'altra lampada. Cercò il pezzo di cristallo e gli diede un colpetto. Niente. ... ting, ting, ting.. « Non funzionano », fece Pindoro. Il rumore di uno stivale trascinato sul pavimento attirò l'attenzione di Jake, facendolo voltare. La porta in cima alle scale si chiuse di botto. La luce che dalla sala giungeva fin laggiù venne interrotta, e su di loro calò un'oscurità nera come la pece. « Ehi! Ci siamo noi, quaggiù! » strillò Pindoro, andando a sbattere contro Jake. Jake lo afferrò per il braccio. « Sta' zitto! » A qualche passo di distanza, Marika emise un gemito stridulo, terrorizzata. Pindoro cercò di liberarsi dalla stretta di Jake. « Ma che vuoi... » Per farlo tacere, lui lo strinse ancora più forte. Poi lo udì ancora. Un flebile ronzio... come uno sciame di api. Lo riconobbe subito, quel suono. Lo aveva già sentito nel cuore della notte. Un pungicoda. Poi, sopra la testa, sentì un altrettanto familiare scritch scritch di artigli, come se qualcosa stesse strisciando lungo il soffitto. Ce n'era un altro! « Marika, vieni qui », sussurrò Jake. Poi spinse Pindoro verso le scale. « Cerca di raggiungere la porta. » E, mentre Marika gli si avvicinava con passo guardingo, dal buio si udì levarsi un altro ronzio. Jake ripensò a quanto aveva detto Zahur riguardo al pungicoda mancante che poi era finito nella sua stanza... che era uno di sei. Il ronzio si fece sempre più forte e, nell'oscurità, se ne udirono altri che gli facevano eco; ormai era diventato un coro mortale. Quando Marika gli sbatté contro, Jake fece un salto. « Pungicoda », gli sussurrò la ragazza all'orecchio. Qualcuno aveva aperto tutte le gabbie di Maestro Zahur. James Rollins – L’Ombra del Re

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Dalla cima delle scale arrivò il sussurro concitato di Pindoro. « È chiusa a chiave! » Jake e Marika indietreggiarono, allontanandosi da quel grattare di artigli e dal ronzio di ali. Non avevano nessun tipo di arma... e non c'era modo di scappare da lì.

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Capitolo 19 ₪

TRAPPOLA MORTALE

Marika e Jake fecero tre gradini su per la scala del sotterraneo. Pindoro si allontanò dalla porta chiusa e li raggiunse. Non c'era modo di uscire da quella parte. Jake rimase immobile sul gradino. Non voleva ritrovarsi intrappolato su quella scala, quando gli altri pungicoda fossero sbucati in volo dall'oscurità. Avevano bisogno di trovare un'arma... e una luce. Poi Jake si ricordò. Dopo il disastro su all'Astromicon, si era ficcato la torcia nei pantaloni. Armeggiò per cercare di aprire la tasca e alla fine, non riuscendoci, la strappò con impazienza. Il bottone venne via con uno schiocco, volando attraverso la stanza. Jake tirò fuori la torcia e premette l'interruttore. L'oscurità venne interrotta da una lama di vivida luce. Colto di sorpresa, Pindoro trattenne il respiro, e rischiò quasi di finire dritto per terra. Marika si aggrappò al braccio di Jake. All'accendersi repentino della luce, ronzii e raschiamenti si erano fermati. « Dobbiamo trovare un posto dove nasconderci, dove quei pungicoda non ci possano raggiungere », disse Jake. « Pindoro aveva ragione quando ha detto che quaggiù è un vero labirinto », osservò Marika. « Ci sono altre stanze, oltre a questa. Se solo potessimo arrivarci... » Ma questo significava attraversare il salone, prima. Jake deglutì. La torcia emanava solo un sottile fascio luminoso. E l'oscurità che si stendeva tutt'intorno sembrava perfino più nera, adesso. Quando faceva scorrere il raggio per la stanza, si avvertivano ombre che sussultavano e tremolavano. La luce, invece che svelarli, sembrava creare altri nascondigli. Ma permise anche di scoprire l'esistenza di una porta chiusa, che si trovava esattamente dalla parte opposta rispetto a dove si trovavano loro. Per raggiungerla, avrebbero dovuto fare una corsa. Era la loro unica possibilità. Ma... e se l'avessero trovata chiusa? E se dietro di essa si fossero celate cose orribili, peggio ancora dei pungicoda? Chi poteva sapere che altro nascondeva Zahur nelle gabbie? In risposta a tutti i dubbi di Jake, si udì un lungo gemito. Si era dimenticato che anche prima aveva sentito quel suono. E sembrava provenire proprio da dietro quella porta laggiù. « C'è qualcuno, qui », sussurrò Marika. Ma era una cosa buona o cattiva? Jake azzardò un passo nel salone. Fece scorrere tutt'intorno il fascio di luce. Perlustrò il pavimento, il piano del tavolo, la volta sopra di loro, con le ombre scure dei puntoni. Un movimento fulmineo attrasse il suo sguardo verso le luci che pendevano dal soffitto. Una delle catene stava dondolando, e si accorse che attaccata a essa c'era una massa nera. Jake puntò il raggio contro il pungicoda. Quando la luce lo colpì, le ali del mostro si James Rollins – L’Ombra del Re

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aprirono di scatto e si mossero con un ronzio furioso, frullando fino a sfocarsi in un'immagine indistinta. La coda appuntita s'incurvò verso l'alto. Irritato dalla luce, il pungicoda lasciò il suo punto d'appoggio e spiccò il volo, lanciandosi in picchiata proprio addosso a Jake. Lui fece un balzo all'indietro, scontrandosi con Marika e Pindoro. Lo scorpione andò a sbattere nello stesso punto in cui prima si trovava lui... e s'infranse in mille pezzi, come se fosse stato di vetro. La coda velenosa cadde rimbalzando giù per le scale. Dopo qualche istante di attonito silenzio, Pindoro chiese: « Che cos'è successo? » Jake allungò una mano, e con un dito diede un colpetto a quella cosa. Era dura come una roccia e gelida. Quell'affare si era solidificato in un blocco di ghiaccio, come se qualcuno l'avesse immerso nell'azoto liquido. Ma chi mai poteva averlo fatto? « La tua torcia! » disse Marika, rispondendo così alla sua domanda silenziosa. Il fascio di luce adesso era puntato su una brocca di cristallo piena di fiori che si trovava sul tavolo. Prima i fiori erano freschi, ma ora si erano anneriti, ed erano ricoperti da una crosta di brina. La brocca esplose all'improvviso, facendo tintinnare le schegge di ghiaccio sul tavolo. « È la tua torcia », insistette Marika. « Quel batterio che ci hai messo dentro! È passato attraverso i macchinari dell'Astromicon. » Jake ripensò a quando aveva messo la batteria nel contenitore di bronzo... insieme con un frammento di cristallo blu, che era noto per le sue capacità di raffreddamento. Aveva pensato che il cristallo si fosse consumato passando attraverso la macchina, ma ora capiva che cosa era realmente successo. Rosso e verde fanno il giallo. « La batteria e il cristallo si sono fusi insieme! » Le proprietà del cristallo e l'energia della batteria in qualche modo si erano unite, creando così un raggio di luce dal potere refrigerante. Jake fece per sollevare la mano verso il raggio in modo da provarne l'effetto, ma Marika gli afferrò il polso. « No, non farlo! » Lui abbassò il braccio. Al buio non era possibile vedere che era arrossito per l'imbarazzo. Che cosa stupida che stava per fare! Le sue dita avrebbero anche potuto staccarsi dalla mano, per effetto del gelo improvviso. Tenne il raggio della torcia puntato davanti a sé. Adesso avevano un'arma... almeno fintantoché fosse durata la batteria. Ma chi poteva sapere di quanto tempo si trattava? « State dietro di me. Dobbiamo arrivare fino a quella porta laggiù », disse a Marika e a Pindoro. Jake cominciò ad avanzare lentamente, facendo ruotare la luce della torcia a destra e a sinistra. Si stava avvicinando al tavolo, quando uno strano rumore, come una specie di scritch scritch, lo mise in guardia. Indietreggiò con un balzo, e subito da sotto una seciia uscì a piccoli passettini un altro pungicoda, con la coda ritta che gocciolava veleno. Jake gli puntò addosso la luce. Le zampette rimasero congelate all'istante, ma, per via dello slancio, la bestia continuò a scivolare sulla superficie di pietra. Jake allora fece ricorso a una mossa di taekwondo e con un calcio radente fece volare via quel mostro. Poi, ruotando su se stesso, perlustrò con la torcia tutto lo spazio intorno. Se erano stati liberati tutti e cinque gli scorpioni di Zahur, voleva dire che ne rimaJames Rollins – L’Ombra del Re

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nevano in giro altri tre, che scorrazzavano... o volavano. Gli attacchi successivi arrivarono, uno dai puntoni e un altro dalla cima di un armadio. In un frenetico frullare di ali, i mostri si lanciarono giù in picchiata da due direzioni opposte. Jake non era in grado di fermarli entrambi. Puntò il fascio di luce contro uno dei due e lottò per mantenerlo fisso abbastanza a lungo da congelarlo. Il frullio d'ali si bloccò a mezz'aria, poi la bestia piombò sul tavolo come un sasso. Le zampe si ruppero sotto il suo peso, ma il corpo rimase intatto, come un raccapricciante centrotavola. Jake cercò di ruotare il raggio in tempo per congelare anche l'altro, ma, proprio mentre si stava girando, Pindoro tirò un pugno che fece precipitare al suolo lo scorpione, interrompendo il suo attacco. La bestia atterrò sulla schiena, e rimase così, agitando le zampe e facendo schioccare gli artigli. Mentre Pindoro indietreggiava barcollando, Jake balzò in avanti e con un calcio discendente conficcò un tallone nel ventre del mostro. « La porta! » disse poi, facendo cenno agli altri di andare avanti. Doveva esserci ancora un altro pungicoda, lì in giro. Marika la aprì con uno strattone. La camera dall'altra parte aveva l'aspetto di una piccola infermeria, con un lettino, scaffali pieni di bottigliette di vetro e un tavolo sul quale erano disposti rotoli di bende, forbici e vasetti pieni di dense pomate. Nel locale aleggiava un odore pungente, derivato probabilmente dalle medicine che venivano usate. Marika lanciò un urlo. Jake vide immediatamente quale ne era stato il motivo. Sdraiata sul letto, sotto una sottile coperta, c'era la cacciatrice Livia. Era pallida come un fantasma. La sua pelle aveva un lucore argenteo e sembrava quasi trasparente, nella flebile luce emanata da una minuscola lampada posta accanto al letto. Appoggiato sul suo petto, c'era l'ultimo scorpione. Aveva la coda velenosa inarcata verso l'alto, pronta a colpire. Jake ebbe timore di puntare la torcia sulla creatura. Il raggio avrebbe potuto colpire anche Livia col suo potere refrigerante. « State indietro », sussurrò agli amici, spegnendo il fascio di luce. Poi si accucciò e lentamente fece tre passi in direzione del letto. Doveva avvicinarsi. Da quando erano entrati, il pungicoda era rimasto immobile come una statua, all'erta, quasi fosse consapevole della minaccia. L'unica cosa che si muoveva erano gli occhietti neri che si trovavano in cima a delle sottilissime antenne. A Jake mancava un solo passo ancora... ma ormai era troppo tardi. Con una sferzata fulminea, la coda sferrò un colpo in avanti, come la testa di un serpente a sonagli che attacca. E si buttò sul sottile collo di Livia. Jake allora accese la torcia. Il raggio di luce andò a finire a meno di tre centimetri dal pungiglione dello scorpione, nel momento stesso in cui questo si conficcava nel collo della donna. Marika sussultò, senza fiato, mentre Jake manteneva la posizione. Lo scorpione gigante estrasse il pungiglione e indietreggiò, nel tentativo di sottrarsi al tocco ghiacciato del raggio. Ma Jake ruotò il polso e puntò la luce in direzione della testa. Le zampe della bestia vennero subito colte da spasmi e convulsioni. Gli artigli affondarono nella coperta, aprendovi dei buchi. Poi, con un ultimo tremito, il mostro James Rollins – L’Ombra del Re

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stramazzò a terra, come una marionetta alla quale fossero stati tagliati i fili. Jake aveva trasformato il suo cervello in un blocco di ghiaccio. Ancora scosso dai brividi, il ragazzo allontanò la creatura dalla cacciatrice con un colpo della mano. Marika corse da lui. Anche Pindoro si avvicinò, ma non prima di aver assestato un bel colpo di tallone al pungicoda, assicurandosi così che fosse effettivamente morto. « L'ha punta », gemette Marika. Spenta la torcia, Jake si chinò sulla cacciatrice. C'era del sangue che le colava dal collo, ma senza zampillare. Esaminò la ferita. Il pungiglione non aveva colpito un punto vitale. Con un buon bendaggio, tutto sarebbe dovuto tornare a posto. « Il veleno la ucciderà nel giro di pochi secondi », disse Marika. Jake guardò il petto di Livia che si sollevava e si abbassava sotto la coperta. « Forse no, Mari. Ho fatto l'unica cosa che potevo fare: ho congelato la coda per prima. Con un po' di fortuna, il veleno si sarà trasformato in ghiaccio rimanendo così intrappolato nel pungiglione. » Negli occhi di Marika si accese un flebile barlume di speranza. « Pochi minuti e sapremo se è andata proprio così. » Per qualche istante mantennero un vigile silenzio. Nel frattempo, Jake ebbe cura di tenere dolcemente premuto un pezzo di stoffa sulla ferita di Livia, ma ormai non sanguinava quasi più. Dopo tre minuti buoni, Marika si volse verso Jake con una nuova luce negli occhi. Il petto di Livia continuava a sollevarsi e abbassarsi, debolmente, ma non più di quanto non facesse prima. « Credo che ce la farà », disse Marika. Concreto come sempre, Pindoro provvide subito a smorzare la sua speranza. « Forse non è stata avvelenata dal pungicoda, ma dentro il suo corpo ci sono ancora quelle schegge di diaspro sanguigno. » E, come a conferma di queste parole, in quel momento la cacciatrice emise un basso lamento. Di colpo, sollevò la mano e con un gesto inconsulto fece cadere la lampada posta a fianco del letto. All'improvviso era come impazzita, il corpo scosso da fremiti convulsi. Le palpebre si spalancarono in un battito, rivelando gli occhi rovesciati. « Dobbiamo aiutarla! Ma cosa possiamo fare? » Marika si guardò in giro per la stanza, con l'aria persa. « Ma dov'è il Maestro Zahur? E mio padre, e il Maestro Oswin, dove sono? » Jake scosse il capo. Non aveva visto nessuno. « Che non siano ancora arrivati, forse? » Nella voce di Marika era comparsa una nota d'isteria. « Anche se fossero venuti fin qui a piedi, dal carro avremmo dovuto vederli. » « No, io penso che siano arrivati, invece », intervenne Pindoro, che si era inginocchiato per recuperare la lampada che Livia aveva fatto cadere. Da sotto il letto tirò fuori un sottile bastoncino di legno che sembrava una bacchetta magica. La punta di cristallo rifletteva la luce della lampada. Jake la riconobbe, era la bacchetta che il padre di Marika aveva usato per neutralizzare la punta di freccia in diaspro sanguigno. « La bacchetta di papà! » esclamò Marika. Quindi suo padre era stato lì. Marika la strappò dì mano a Pindoro e se la strinse al petto. Fece un giro completo su se stessa, come se si aspettasse di trovare all'improvviso suo padre lì in piedi dietro di lei. Sembrava trovarsi a un passo da un vero e proprio attacco di panico. James Rollins – L’Ombra del Re

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Jake cercò di calmarla. « Solo perché la bacchetta si trova qui, non ci dice che cosa sia realmente successo. Potrebbero essere andati ovunque. » E si trattenne appena in tempo dall'aggiungere: « Cadaveri, non ne abbiamo visti ». « E chi ci ha teso questa trappola, allora? Chi è stato a rinchiuderci quaggiù? » chiese Marika. « Forse Zahur », disse Pindoro. « Erano sue, quelle bestiacce dalla coda appuntita. Ed è stato lui a chiamare tuo padre. Forse era solo una scusa per attirarlo qui, mentre tutti gli altri erano impegnati con le olimpiadi. » Marika fece un cenno di diniego: non voleva crederci. Ma non scosse il capo con troppo vigore, né rimproverò Pindoro per il fatto di nutrire simili dubbi. Come Jake, anche lei si stava macerando nei sospetti. Le sue dita erano ancora strette intorno alla bacchetta. Dall'altra stanza giunse un forte rumore di cardini che scricchiolavano, come delle ossa che sfregassero l'una contro l'altra. I tre ragazzi s'irrigidirono. Stava arrivando qualcuno. « Rimanete qui », sibilò Jake. Sbirciò nella stanza immersa nel buio. La luce fioca gli consentì di scorgere una piccola porticina secondaria, che si stava aprendo lentamente. Un movimento furtivo: forse qualcuno che era venuto a controllare se loro erano morti. Jake scivolò nel salone. Dalla stretta porticina sgusciò fuori un'ombra. E se fosse stato uno dei Maestri? Anche in quel caso, Jake non avrebbe saputo come comportarsi. Di chi si poteva fidare? La porta si aprì un po' di più e l'intruso mise piede nella stanza. La piccola sagoma ne rivelò l'identità. « Bach'uuk », mormorò Jake. Il ragazzo si bloccò, raggelato. Sembrava pronto a scappar via come un fulmine. Jake poteva solo immaginare il terrore che aveva provato al sentir sussurrare il suo nome nel buio. Accese la torcia, ma tenne la luce puntata verso il pavimento. Bach'uuk rimase all'erta. Accanto a Jake comparve Marika. « Bach'uuk! » Alle sue spalle c'era Pindoro. « Sia lodato Apollo! Una via di fuga da questa trappola! ». Jake teneva ancora la torcia sempre pronta. E chi ci dice che di Bach'uuk possiamo fidarci? Marika, di sospetti di questo tipo, non ne aveva. Corse da Bach'uuk e lo strinse in un abbraccio. « Che cosa ci fai qui? » Liberatosi dalla sua stretta, il ragazzo cominciò a strofinare i piedi per terra. « Ho visto qualcuno... uno sconosciuto che scappava da sotterranei. Sono venuto a vedere se il Maestro Zahur aveva avuto qualche problema. » « Ci puoi giurare, che l'ha avuto », borbottò Pindoro. Marika stava per spiegare tutto, ma Jake l'interruppe. « Che aspetto aveva questo sconosciuto? » « Era fatto di ombra. » « Che cosa vuoi dire? » chiese Marika. Bach'uuk cominciò a tremare da capo a piedi. « Lo sconosciuto non aveva forma. Le ombre gli salivano sulle spalle e volavano dietro lui, come un mantello. Quando passava, le lampade si spegnevano, come mangiate dalle ombre. » Jake si voltò verso la stanza immersa nel buio. Ecco perché i cristalli non si accendevano. « Ho visto solo un unico luccichio. » E Bach'uuk si toccò la gola, come se stesse James Rollins – L’Ombra del Re

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indicando il fermaglio di un mantello. « Risplendeva solo perché era più nero delle ombre che lo ricoprivano. » Da quella descrizione, Jake lo riconobbe. « Il diaspro sanguigno. » « È andato di corsa dentro il castello, e le ombre lo hanno inghiottito. » E Bach'uuk scosse il capo, per dire che non sapeva altro. « Hai visto mio padre? O Maestro Oswin? » chiese allora Marika. Nella sua voce si sentiva risuonare l'inquietudine, come un campanello d'allarme. Bach'uuk si accigliò. « Non dopo stamattina. » La ragazza parve agitarsi ancora di più. « Che cosa facciamo? » chiese Pindoro. « Con chi possiamo parlare? I Maestri sono spariti. E tutti gli altri sono alle olimpiadi. » Dalla gola di Livia uscì il soffio di un debole lamento. Sembrava venire già da lontano, come se la donna si stesse dissolvendo, come se fosse sul punto di attraversare un confine oltre il quale loro non avrebbero più potuto seguirla. « Non possiamo abbandonare Livia. Dobbiamo cercare di salvarla. Può essere che lei abbia visto qualcosa », disse Marika. Jake sapeva che ciò non era molto probabile, ma nelle rughe intorno agli occhi di lei lesse anche l'angoscia per suo padre. Si soffermò a considerare la salute della cacciatrice. Sarebbe durata al massimo un'altra ora. Forse anche meno. Dovevano fare qualcosa. Annuì, più rivolto a se stesso che agli altri. « Cercheremo di distruggere il diaspro sanguigno che ancora si trova in lei. » Si aspettava delle proteste, e invece Pindoro lo sorprese. « Che cosa vuoi che facciamo? » Jake pensò rapidamente. Pindoro aveva le gambe più lunghe, e poteva correre più veloce di lui. « Bach'uuk, puoi fare salire Pin per le tue scale secondarie? Su fino all'Astromicon? È meglio che non vi facciate vedere. » Bach'uuk annuì. « Pin, voglio che tu raccolga tutti i pezzi in cui il Maestro ha smontato l'iPod di Kady. » « Quel suo apparecchio per la comunicazione a distanza, vuoi dire? » « Proprio quello. Porta tutto quaggiù. » Pindoro annuì e corse via con Bach'uuk. Jake si voltò e tornò vicino a Marika, che era seduta sul bordo del letto. Sarebbe stata un'attesa difficile. Abbassò gli occhi e scoprì la mano di Marika stretta nella propria. « Lui sta bene, ne sono certo », le disse a bassa voce. Non si riferiva a Pindoro. Lo sguardo di Marika era perso nel vuoto, affranto da angoscia e paura. « È tutto quello che mi è rimasto. » Jake le strinse le dita: lo conosceva bene, il dolore che stava provando. Perdere una madre o un padre... è una pena che non si può cancellare, mai.

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Capitolo 20 ₪

IO TI VEDO. . .

Come mai ci mettono così tanto? Jake non smetteva di camminare avanti e indietro per quella specie d'infermeria. Dopo essere rimasta più di un quarto d'ora seduta sul letto, Marika si era alzata all'improvviso e gli aveva chiesto di poter prendere la lampada per esplorare il salone. Anche Jake fu contento di alzarsi, finalmente. La tensione aveva innalzato una diga dentro di lui, che minacciava di rompersi da un momento all'altro. E così continuava ad andare avanti e indietro, lì al buio, con la sola compagnia del roco respiro della cacciatrice. Sentiva Marika rovistare in giro nella stanza vicina; a un certo punto, gli sembrò anche di sentirla parlare da sola. Dopo cinque, lunghissimi minuti, la ragazza tornò. Era pallida in viso. Aveva in mano qualcosa... uno degli apparecchi per la comunicazione a distanza. Il cristallo verde era sospeso nel telaio, fissato in un reticolo di sottili filamenti. Per la prima volta, Jake si rese conto che sembrava un acchiappasogni. Marika sollevò il cerchio intrecciato. « Ho trovato la raccolta di trasmettitori di Zahur. Questo mette in collegamento con papà. Non ho ricevuto nessuna risposta. Zahur ne aveva anche degli altri. Li ho provati tutti quanti. » Scosse la testa. « Sono tutti alle olimpiadi. » Jake capì che cosa voleva dire la sua amica. La maggior parte della gente doveva aver lasciato a casa i propri trasmettitori. Ma poi gli venne in mente un'altra ipotesi, ben più inquietante. « O forse gli apparecchi non funzionano affatto. Come le luci. Bach'uuk ha detto che il mantello di quell'uomo ha come risucchiato l'alchimia delle luci. Forse ha fatto la stessa cosa coi cristalli dei trasmettitori. » Marika abbassò lo sguardo sull'oggetto che teneva in mano. Si lasciò cadere sul letto. Sfiorò il cristallo di smeraldo al centro dell'acchiappasogni, forse cercando una sorta di contatto con suo padre. « Nessuno capisce veramente questo tipo di cristalli. Non del tutto, per lo meno », mormorò. Jake le andò vicino; sapeva che Marika aveva bisogno di parlare. Lei lo guardò, con un mezzo sorriso velato di tristezza, gli occhi che continuavano a riflettere l'angoscia che provava. « Ci sono molti misteri che ruotano intorno a queste pietre. » « Per esempio? » Marika riportò lo sguardo sul cristallo verde racchiuso nella trama intrecciata che teneva tra le mani. « In rare occasioni, si odono strane voci uscire dalle pietre trasmettitrici. Sussurri simili a richiami di spettri. Una parola qui, mezza frase là. Ai maestri viene detto che non sono altro che onde sonore, che rimbalzano contro la parete rocciosa intorno alla vallata. Ma mio padre è convinto che esse potrebbero essere dei messaggi in viaggio da altre valli, simili a Calipso... altre città, che si trovano lontano, molto lontano. » Come un'interferenza nelle linee telefoniche, pensò Jake. Le parole di Marika avevano risvegliato la sua curiosità. « Non sarebbe meraviglioso se posti del genere esistessero sul serio? » disse ancora la ragazza, pur senza mettere troppa passione nelle sue parole. « Mi piacerebbe poterli visitare, un giorno. » Nell'altra stanza si sentì aprirsi di colpo una porJames Rollins – L’Ombra del Re

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ta, e la conversazione venne così interrotta. Pindoro entrò di corsa nell'infermeria, portando in spalla una coperta raccolta in modo da servire come una sorta di sacco. Poco dopo arrivò anche Bach'uuk, che aveva portato delle lampade accese dai piani superiori. Senza fiato, Pindoro si avvicinò ai due amici. « Scusate se ci abbiamo messo un po'. Bach'uuk ha voluto avvisare la sua gente dell'intruso. Nel caso in cui dovesse tornare. Così dovremmo essere al sicuro. » « Buona idea. » Jake allungò la mano per prendere la coperta. « E adesso, che cosa vuoi che faccia? » chiese Pindoro, ancora ansimante. Jake indicò Livia. « Aiuta Mari a disfare il bendaggio alla spalla. Poi trova dell'acqua pulita e lava a fondo la pelle tutt'intorno alla ferita. » Mentre Pindoro e Marika si mettevano al lavoro, Jake sciolse il nodo che chiudeva la coperta e la stese sul pavimento. L'iPod di Kady era ridotto a un ammasso di pezzi smontati. Spulciò in mezzo al mucchio di rottami e ne estrasse il blocco della batteria. La sua speranza era che ci fosse ancora abbastanza carica. Da uno degli angoli spuntavano un paio di cavetti, l'uno nero e l'altro rosso. Coi denti, Jake strappò via l'involucro di plastica dall'uno e dall'altro. Non era sicuro della portata della scarica che sarebbe riuscito a ottenere; ricordava però che una volta aveva leccato l'estremità di una batteria da 9 volt, e la scossa era stata abbastanza forte. Fece toccare i due fili, e dalle due estremità sprizzarono un paio di scintille. Soddisfatto, raccattò la batteria e si avvicinò al letto. Marika si teneva una mano alla gola, mentre l'altra era appoggiata sulla spalla dì Livia. Pindoro invece si era fatto da parte. La ferita della freccia era profonda e sanguinava, e la pelle tutt'intorno era gonfia e raggrinzita. Da quel punto si diramavano sottili segni rossi, che disegnavano come una tela di ragno sulla pelle diafana di Livia, che si estendeva lungo il braccio per poi risalire fino al collo. La sola vista bastava a capire senz'ombra di dubbio che si trattava del veleno del diaspro sanguigno. Jake deglutì, facendo appello a tutto il suo coraggio. « Spostati, Mari. Bach'uuk, avvicinami quella luce. » Dopo aver tratto un respiro profondo, raccolse la batteria e puntò le estremità verso il liquido sanguinolento che si era raccolto nella ferita. « State indietro », ammonì. Non sapeva che cosa sarebbe successo. Col viso contratto in una smorfia, immerse i fili nel liquido e li mise in contatto. Si sentì crepitare uno schiocco di elettricità. Jake trattenne il respiro, ma non successe nient'altro. Sollevò i fili, togliendoli dalla ferita. Anche una volta fuori, continuavano a scoppiettare emanando scintille. E non smisero nemmeno dopo che li ebbe separati. « Jake? » fece Marika, chiaramente preoccupata. Tutt'a un tratto, i fili cominciarono a sbatacchiare all'impazzata tra le dita del ragazzo. Dalle loro estremità uscivano lingue sottili di un fuoco bluastro, che andarono a sferzare la carne ferita. Jake si allontanò, portando con sé la batteria. Ma i fiotti di fuoco elettrico continuavano a sprizzar fuori dei fili, risucchiati dentro la carne lacerata. Jake continuò a indietreggiare, finché non andò a sbattere contro la parete. Anche gli altri tre si erano allontanati dal letto, temendo le scintille vaganti che dalla batteria fluivano verso la donna. Livia cominciò a tremare. La testa s'inarcò all'indietro in un urlo silenzioso. Stava James Rollins – L’Ombra del Re

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per avere un colpo apoplettico. « La coperta! Copritele le spalle! Interrompete la connessione! » Marika e Pindoro girarono intorno al letto e afferrarono i due angoli opposti della coperta. Poi, con un forte strattone, la tirarono sopra la testa di Livia, facendola scivolare attraverso il fuoco elettrico. Su Jake l'interruzione di corrente ebbe lo stesso effetto di un calcio nello stomaco. La violenta reazione lo mandò a sbattere di nuovo dritto contro il muro. La batteria fece un gran botto e cominciò a uscire un fumo nero. Temendo che potesse essere tossico, Jake buttò tutto quanto nell'altra stanza. Poi corse accanto al letto. Livia era ancora nascosta dalla coperta, come qualcuno che fosse appena morto. E forse era proprio così. Il suo corpo giaceva là sotto, disteso e immobile. Jake scostò un angolo della coperta. Il viso della donna era privo di espressione, gli occhi spalancati. Marika e Pindoro fecero un balzo indietro. Gli occhi della cacciatrice erano neri, massicci come un lucido pezzo d'ossidiana. L'avevano uccisa, dunque? Da sotto le lenzuola spuntò all'improvviso una mano, che afferrò il polso di Jake. Le dita si strinsero, con una forza sufficiente a frantumare l'osso. Il corpo di Livia schizzò a sedere, come un pagliaccio in una scatola, e il suo naso arrivò a pochi centimetri da quello di Jake. Gli occhi neri della cacciatrice si fissarono in quelli del ragazzo, accesi di una luce malvagia. « Io ti vedo... » Le parole non venivano da Livia. Jake riconobbe la voce; l'aveva già sentita nel momento in cui era stato trasportato lì. Era la voce di una cripta aperta, antica e vetusta, una voce che proveniva da un luogo nel quale urla e sangue scorrevano in ugual misura... Prima che Jake potesse anche solo tentare di fare qualcosa per liberarsi, la mano si afflosciò e mollò la presa. Livia ricadde sul letto, esausta. Jake indietreggiò di un passo, massaggiandosi il polso. Che cosa significava tutto ciò? Ripensò al cristallo di rubino, che era diventato tanto incandescente da scavare un buco nel tavolo. Che l'elettricità avesse rilasciato i poteri malefici del diaspro sanguigno tutti in una volta? E, se era così, adesso che cosa sarebbe successo? Erano spariti una volta per tutti, consumati, bruciati? O erano diventati invece ancora più forti? Dal letto, il corpo di Livia venne scosso da una forte tosse, subito seguita da un respiro profondo, come se la cacciatrice fosse riemersa proprio in quel momento da una nuotata che l'aveva portata fin nei più profondi abissi dell'oceano. Gli occhi ruotarono tremolanti nelle orbite, per poi stabilizzarsi a poco a poco. Non erano più neri, ma avevano recuperato il loro colore blu ghiaccio. « D-dove mi trovo? » chiese infine con voce roca. Marika fece un passo avanti, entrando nel suo campo visivo. « Sei a Calipso, cacciatrice Livia. » « Io ti conosco... » Diede un altro forte colpo di tosse, come se volesse liberarsi da qualcosa di nauseabondo. « Tu sei la piccola Mari. La figlia di Balam. » « Proprio così », rispose Marika, con un sospiro di sollievo. « Che cos'è successo? » « Sei stata avvelenata da una freccia di diaspro sanguigno. » I suoi occhi si spalancarono, come se all'improvviso si fosse ricordata di un incubo. Con un gesto debole e incerto, si tirò via la coperta dalla spalla. La ferita James Rollins – L’Ombra del Re

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era ancora là, ma le linee rosso acceso del veleno erano scomparse. « Credo che tu ce l'abbia fatta, Jake », disse Pindoro. Jake si sentì riempire da un'ondata di sollievo e di orgoglio, anche se non riusciva a togliersi dalla mente l'immagine di quegli occhi neri. Ma Livia non sembrava trarre molto conforto dal fatto di essere ancora viva. Piuttosto, l'espressione sul suo viso sembrava ancora più agitata. Jake capì che gli spazi vuoti nella sua memoria andavano via via riempiendosi, come l'acqua che viene versata in un bicchiere, sempre più velocemente. Livia allungò una mano verso Marika e l'afferrò per la veste. « Per quanto tempo sono... che giorno è oggi? » Marika cercò di calmarla. « Siamo all'equinozio di primavera. » Livia reagì come se qualcuno le avesse conficcato un pugnale nella pancia. « No! » Cercò di tirarsi su, ma era evidentemente troppo debole. Marika s'inginocchiò accanto a lei. Livia l'afferrò di nuovo, questa volta con più forza. « Lui sta arrivando. » Nell'udire quelle parole a lui così familiari, Jake sussultò. « Il re Teschio », continuò Livia. « Ho catturato un grakyl, giù alle sabbie mobili della Palude del Seme di Fuoco. Prima che gli tagliassi la gola, me l'ha detto. Mi ha parlato di un attacco portentoso. Previsto per la notte dell'equinozio. » Le parole della cacciatrice erano state pronunciate con sicurezza, e fremevano di terrore. « Il re Teschio arriverà questa notte! »

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Capitolo 21 ₪

VENTO DI GUERRA

Pochi minuti dopo, Jake si trovava nel salone insieme con Marika. « Probabilmente si tratta solo di un incubo. Ma, in ogni caso, dovremmo informare gli Anziani. » Marika buttò l'occhio verso il tavolo su cui giaceva il pungicoda morto, come una sorta di macabro soprammobile. Un lugubre memento del turbine di pericolo che li avvolgeva. « Ma io continuo a non capire. Il grande tempio protegge la nostra vallata. Sia che il pericolo giunga dal cielo, sia dalla terra. Ci ha fatto scudo per centinaia e centinaia di anni. Gli eserciti del re Teschio non possono sfondare questa barriera. » Jake rivide l'immagine del grakyl che si dibatteva sul Portale Spezzato. Si strinse nelle spalle. « Come ho già detto, la cacciatrice potrebbe essersi sbagliata. Potrebbe trattarsi di una semplice allucinazione. È impossibile stabilire che genere d'incubi possano scatenarsi per effetto di quel veleno. » Marika sospirò, ancora più angustiata. Si vedeva chiaramente che era spaventata a morte, ma lei sapeva bene quali erano i suoi doveri nei confronti di Calipso. Non avrebbe abbandonato suo padre per lasciarsi andare a una crisi di lacrime. La stretta porta laterale si aprì di colpo e Bach'uuk rientrò con due ur più alti di lui, un uomo e una donna. Erano vestiti con pelli rozzamente cucite, che però apparivano pulite e ben tagliate. Bach'uuk sollevò un braccio. « Si occuperanno della cacciatrice Livia dopo che ce ne saremo andati. La proteggeranno. » Pindoro uscì dall'infermeria. « Siamo pronti? Livia non è contenta di dover rimanere qui. Continua a cercare di alzarsi dal letto. Ma io le ho promesso che farò in modo di avvertire mio padre. » Bach'uuk si rivolse agli altri ur nel loro idioma, un misto di suoni gutturali combinati con schiocchi della lingua. I due annuirono e si diressero verso l'infermeria. Pindoro continuò: « Le olimpiadi devono essere finite, ormai. Tutti gli Anziani si staranno dirigendo verso la casa di mio padre per i suoi tradizionali festeggiamenti della notte dell'equinozio ». « Allora è là che li incontreremo », concordò Marika. Jake e Pindoro la seguirono, con Bach'uuk al seguito. Bisognava che raccontasse dello strano uomo d'ombra. Una volta fuori, Jake si stupì di quanto fosse tardi. Il cortile era ormai immerso nella penombra del crepuscolo. Solo la cima più alta del grande albero a forma di cavatappi era ancora illuminata dal sole. Le frecce alate che vi avevano nidificato erano tutte appollaiate lassù, cercando di assorbire gli ultimi raggi. A occidente, il sole era già mezzo nascosto dal crinale frastagliato delle montagne. Dalla parte opposta della vallata, una grossa luna piena era apparsa appena sopra l'orizzonte, annunciando la notte imminente. « Faremo prima a piedi! » gridò Pindoro, e con un gesto del braccio indicò l'ingresso del cortile. « Taglieremo per il Parco della Grande Via. » Jake si ricordava del James Rollins – L’Ombra del Re

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parco dalla visita a Bornholm di due giorni prima. Si estendeva all'esterno delle mura del castello. I quattro partirono di corsa, col sole che continuava a calare. Una volta usciti dai cancelli, i ragazzi udirono gli echi della baldoria: urla, risate, rintocchi di campane, risuonare di corni, belati di sauri. Carri e carrozze illuminati avevano dato vita a una parata improvvisata. Jake immaginò che dopo il tramonto l'intero luogo sarebbe stato inondato di luce. O almeno, così sperava. I quattro si tuffarono nel parco, lasciandosi condurre da Pindoro attraverso il labirinto di sentierini di ghiaia. Là, sotto l'intricato groviglio di rami, era già calata la notte. Mentre stavano correndo attraverso la foresta, sorpresero una coppia d'innamorati. I due si staccarono in fretta e furia, fingendo di essere estremamente affascinati dai torciglioni che le radici degli alberi disegnavano ai piedi della loro panchina. Jake e gli altri continuarono a correre. Passando di volata dal belvedere dove si erano fermati il giorno prima, attraversarono un prato di fiori selvatici alti fino alle ginocchia. In lontananza, lo stadio era completamente immerso nell'oscurità. Jake si chiese dove potesse essere Kady. Era tornata a Bornholm? Se Calipso fosse stata attaccata, almeno si sarebbe trovata in mezzo alle migliori guerriere della città. Eppure avrebbe preferito essere con lei. Quei pensieri lo distrassero, facendolo inciampare. « Non manca molto, ormai », lo rassicurò Pindoro, che aveva preso il suo passo falso per un segno di stanchezza. Dopo un altro paio di curve del sentiero, gli alberi si fecero più radi, lasciando vedere un curatissimo prato all'inglese, punteggiato di cespugli che erano stati tagliati a forma di sfere perfette sulle quali si attorcigliavano delle spirali. In cima a una collinetta si trovava una casa bianca col tetto a punta e un doppio colonnato sulla facciata. A Jake fece pensare a un mausoleo. « Questa è casa mia », disse Pindoro mentre continuavano a correre. In occasione delle olimpiadi, nel giardino erano state montate delle piccole tende, e c'erano lunghe tavolate cariche di cibo e di vino. C'erano già alcuni invitati, i primi dei molti altri che sarebbero dovuti arrivare più tardi. Gironzolavano qua e là in piccoli gruppetti o a coppie. Mentre attraversava il cortile, Pindoro li scrutò uno per uno. Quando passò accanto a un'imponente statua di Apollo, qualcuno saltò fuori e lo afferrò per un braccio. « Ehi, Pinny! Ci crederesti? » Pindoro si liberò con uno strattone e si allontanò di un passo. Quello che gli era venuto addosso, un ragazzo più grande di lui, non sembrò accorgersene nemmeno. Aveva il volto di un rosso acceso, per effetto del vino e dell'eccitazione. Jake lo riconobbe: era uno dei tizi che qualche giorno prima si erano divertiti a tormentare Pindoro. « Crederei a che cosa, Regola? » chiese Pindoro, senza far nulla per nascondere l'irritazione. Il ragazzo gli diede una pacca sulla spalla. « Abbiamo vinto la Torcia! Per un solo punto! Avresti dovuto vederlo, tuo fratello, mentre gliela faceva passare proprio sotto il naso, a quei sumeri, e poi la infilava dritta dritta dentro l'anello. Whoosh! » E mimò con le braccia un poderoso lancio di palla. Pindoro si voltò verso Jake. « Abbiamo vinto! » « Pindoro! » Marika lo fulminò, riJames Rollins – L’Ombra del Re

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chiamandolo all'ordine. Ma non era possibile arginare l'entusiasmo di Regola. « Ero è stato portato fuori dello stadio sulle spalle della squadra romana. E quello schianto di cacciatrici ci guidavano tutti quanti nel canto... » Con ogni probabilità, stava parlando delle nuove cheerleader di Kady. Jake si fece avanti. « Sai dove siano andate le cacciatrici? » Regola lo prese per le spalle. « Ah, tua sorella! Se non ci avesse già messo sopra gli occhi Ero... » Jake lo allontanò con uno spintone. « Sai dove si trovi adesso? » « Nella foresta, per il grande falò! L'ultima volta che l'ho vista, era mano nella mano con Eronide », concluse con una strizzatina d'occhio. Marika prese da parte Jake. « È tradizione. Per la squadra che vince viene organizzato un grande falò nella Foresta Sacra, che rappresenta la Torcia Eterna. » La ragazza alzò gli occhi al cielo. « In realtà, non è che un'altra occasione per fare una gran bisboccia. » Jake lanciò lo sguardo in direzione della foresta che circondava il tempio della piramide. Tanto grande era la paura che provava per Kady, che sembrava aver riempito ogni spazio nel suo petto; ormai aveva perso qualsiasi capacità di parlare, di fare altre domande. Fu Pindoro a riempire il vuoto che si era venuto a creare nella conversazione. « E mio padre, lo hai visto, Regola? » Il ragazzo si accigliò. « È su nell'atrio. O forse giù nelle cantine, coi suoi amici più intimi. E offre loro il vino migliore! » Questa carenza di spirito democratico sembrava ferirlo profondamente. Pindoro lo spinse da parte e guidò gli altri verso la gradinata davanti al porticato. « Dobbiamo fare in modo di parlare con mio padre da solo... insieme con gli altri due Anziani. » In cima alle scale, una sagoma imponente si presentò a sbarrare loro la strada. « Eccovi qui, dunque! Vi ho cercati per tutto il pomeriggio. Mi sono perso la nostra vittoria alle olimpiadi, per causa vostra! » Il centurione Gaio torreggiava su di loro, il volto rosso come le piume del pennacchio sul suo elmo. Pindoro cominciò a balbettare, intimidito. Si fece avanti Marika. « Centurione Gaio, chiedo perdono per il nostro sotterfugio, ma c'era una buona ragione. Dobbiamo parlare con l'Anziano Tiberio. » « Se credete di poter trovare indulgenza presso l'Anziano... » « No, niente di tutto questo. Dovete farci passare! » La faccia di Gaio divenne ancora più rossa. Jake ebbe il sospetto che fosse più che altro per l'imbarazzo di essere stato sgridato da una ragazzina che gli arrivava a malapena alla vita. Il centurione parlò a denti stretti. « Marika Balam... » « Riguarda la cacciatrice Livia! » continuò la ragazza, quasi strillando. « Si è risvegliata, e ha un messaggio per il Consiglio che deve essere ascoltalo immediatamente. » Gaio studiò Marika come se stesse cercando di giudicare la verità delle sue affermazioni. E in quel momento s'inserì un'altra voce, che proveniva da dietro le spalle del centurione. « Cos'è che stai dicendo, di mia sorella? » Il centurione Gaio si fece da parte, rivelando la presenza dell'Anziana Ulfsdottir, che evidentemente era riuscita a sentire le ultime parole di Marika. « Che notizie hai di Livia? » chiese ancora. Nei suoi occhi si era accesa una scintilla d'inquietudine. « Stavo proprio venendo da Bornholm per controllare di persona le condizioni di mia sorella. Ho cercato di chiamare i Maestri attraverso i cristalli trasmettitori, ma non ho ricevuto risposta. » Marika chinò il capo. « È viva. E ci ha avvisato di un grande pericolo. » La donna chiuse gli occhi per un attimo, in un gesto che esprimeva tutto il suo sollievo e, dopo una preghiera silenziosa, chiese in tono risoluto: « Di quale pericolo ha parlato? James Rollins – L’Ombra del Re

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» « Forse anche l'Anziano Tiberio e l'Anziano Wu dovrebbero sentire questa storia », propose Gaio, che stava ancora guardando i ragazzi con una punta di dubbio. « Sì, naturalmente. » Ulfsdottir li condusse nel cortile interno. Durante il percorso, sussurrò a Marika: « Pensavo che il destino di mia sorella fosse segnato, che fosse stata avvelenata dalla malvagia alchimia di quelle schegge ». « È una lunga storia », rispose Marika, e con un cenno del capo indicò Jake. « Ma è stata la scienza dello straniero che l'ha salvata. » L'Anziana rivolse il suo sguardo ceruleo verso Jake, con un calore che lo fece sentire più alto di qualche centimetro. « Ti devo un grande debito di sangue, Jacob Ransom. E, per la chiglia delle Valchirie, è un debito che intendo onorare. » Arrivati in mezzo al cortile, trovarono il padre di Pindoro intento a parlare con l'Anziano asiatico. L'uomo si era spalmato di cera i sottili baffetti bianchi, che ora risplendevano alla luce delle torce. Il sorriso sul volto di Tiberio si dissolse quando il romano scorse suo figlio. « Pindoro! Dove sei stato? Lo sai tutti i problemi che hai causato al centurione? » Gaio si fece avanti. « Forse dovreste ascoltare quello che ha da dire il ragazzo. » Pindoro lanciò un'occhiata a Marika, in cerca d'aiuto. Lei gli fece un cenno appena percettibile, il cui significato era molto semplice da interpretare: Dillo a tuo, padre. Pindoro deglutì, e raddrizzò la schiena. Cominciò lentamente, con qualche balbettio qua e là, ma, a mano a mano che la storia andava avanti, la sua voce trovava sicurezza. Arrivato alla fine, il tono stridulo che tradiva il suo nervosismo era completamente sparito. E anche l'espressione sul viso di suo padre si era trasformata: dalla rabbia al dubbio, poi all'inquietudine e all'apprensione. Furono interrogati anche gli altri, compreso Bach'uuk, che rispose a monosillabi alla maggior parte delle domande. « Questa storia dev'essere il frutto di una forma di follia prodotta dal veleno. C'è lo scudo del tempio, che ci protegge », disse infine Tiberio. « Forse il re Teschio ha in mente di stringere d'assedio la nostra città », disse l'Anziano Wu. « Con l'intento di vincerci con la fame. » « Ma noi disponiamo di scorte enormi. E dalla roccia sgorgano sempre sorgenti di acqua fresca », disse l'Anziana Ulfsdottir scuotendo la testa. Mentre continuavano a discutere le probabilità di un attacco imminente, il cielo passò dal blu all'indaco. Il sole tramontò completamente e a oriente cominciò a risplendere qualche stella. E i timori di Jake per la sorella, da qualche parte, là fuori nella foresta, crebbero fino a trasformarsi in un grumo che gli gravava dolorosamente sul cuore. Ormai non poteva più starsene zitto. « Scusate se m'intrometto. » Tutti gli occhi si volsero verso di lui, ma Jake non fece marcia indietro. « Stando a quanto ha visto Bach'uuk, tra di voi c'è già almeno uno degli uomini del re Teschio. E chi sa che non ve ne siano anche altri? I tre Maestri sono scomparsi. Io non penso che dovreste prendere l'avvertimento di Livia come un segno di pazzia. E più aspettate, meno tempo avrete per organizzare una difesa. » Tiberio annui. « Il ragazzo ha ragione. Sferrare un attacco proprio questa notte, quando la maggior parte della città sta festeggiando, mentre molti saranno immersi nei fumi dell'alcol... si può intravedere una certa malvagia strategia, in questo piano. » « E allora, che cosa facciamo? » chiese l'Anziano Wu. « Allerterò il Popolo del Vento. Spediremo in aria tutta la loro flottiglia, affinché il cielo sia ben sorvegliato. Quanto alla terraferma, mobiliteremo sia la Guardia Sellata sia i singoli esploratori. » « E i James Rollins – L’Ombra del Re

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cittadini? » chiese Wu. L'Anziana Ulfsdottir rispose: « Mobiliterò tutta quanta Bornholm. Per cominciare, possiamo far trasferire tutti al castello. Originariamente Kalakrvss era stato costruito proprio per questo scopo. Come una linea di difesa estrema, nel caso in cui tutte le altre avessero ceduto ». Tiberio si voltò verso Jake e i suoi amici. « Centurione Gaio, penso sia meglio che portiate mio figlio e i suoi amici a Kalakryss. Una volta là, spargete la voce e chiamate a raccolta le vostre guardie intorno alle mura. » Gaio si portò un pugno al petto in segno di obbedienza. Quindi si voltò e, con un gesto del braccio, richiamò a sé i ragazzi. Jake però disse: « Anziano Tiberio. Mia sorella... è fuori, nella foresta. Insieme con vostro figlio, credo, e col resto della squadra romana ». Il vecchio aggrottò la fronte, senza capire. « Il falò nella Foresta Sacra », gli rammentò Pindoro. Tiberio annuì lentamente, mentre sulla sua fronte cominciarono a formarsi delle rughe di preoccupazione. L'Anziana Ulfsdottir rispose al suo posto: « Manderò loro un mio messaggero. Tu hai salvato mia sorella. Non intendo permettere che facciano del male alla tua ». Jake tirò un sospiro di sollievo. L'assicurazione ricevuta da quella donna imperturbabile riuscì ad attenuare un poco l'inquietudine del suo animo. Ma solo un poco. Risolta anche quell'ultima questione, Gaio radunò Jake, Pindoro, Marika e Bach'uuk, e si diresse verso l'uscita. E, mentre camminavano, il centurione borbottò a bassa voce: « Questa volta non scapperete via per conto vostro! » Nessuno obiettò nulla.

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PRIMO SANGUE

Quando si trovarono nuovamente fuori, in mezzo alla vegetazione, il sole era completamente tramontato. Le stelle riempivano la volta celeste, e la striscia bianca della Via Lattea attraversava il cielo in una vampa di luce. La luna piena risplendeva su Calipso e sui suoi festeggiamenti. Dai quartieri più in basso della città la musica si levava fino al cielo, accompagnata da canzoni intonate in un coro di lingue diverse. Ma per quanto sarebbe durata? Partito dal palazzo di Tiberio, un raz gigante volò basso sopra di loro. Jake riuscì a sentire lo spostamento d'aria provocato dalle ali al suo passaggio. Probabilmente era un esploratore, inviato a diffondere l'allarme tra il Popolo del Vento. « Continuate a camminare », li incitò Gaio quando Jake rallentò per osservare il volo dell'uccello. Il sentiero di ghiaia scricchiolava sotto i loro piedi, come se stessero procedendo su un tappeto di ossa frantumate. A ogni passo che facevano addentrandosi sempre più nella foresta, Jake non riusciva a sfuggire alla sensazione che qualcuno li stesse osservando... o, per meglio dire, che stesse osservando lui. Scrutò da una parte e dall'altra del sentiero. Trovandosi lì, immerso nell'oscurità, gli ritornarono in mente gli occhi neri di Livia, e le parole che le erano uscite dalla bocca. Io ti vedo... Si sentì percorrere da un brivido lungo la schiena, mentre maturava la certezza che qualcosa di spaventoso doveva abitare in quella buia foresta. Un'ombra sgusciò via alla sua sinistra, e si udì lo schianto di un ramoscello. Qualcosa c'era, là fuori! Trattenendo il respiro, scartò bruscamente sul sentiero, e andò a sbattere contro Bach'uuk. Quest'ultimo fu abbastanza svelto da afferrarlo, evitando così a tutti e due un ruzzolone per terra. Continuarono a camminare, affrettando il passo. Alla fine, Jake scorse uno spiraglio nel buio. Corse in avanti, mettendosi in testa al gruppo. Il sentiero usciva dalla foresta addentrandosi in uno dei tanti prati del parco. Quando irruppe fuori del folto degli alberi, la luce della luna si riversò su di lui come un dono gradito e, inondando di un lucore argenteo tutto lo spazio che si apriva dinanzi a loro, rivelò una figura appollaiata sul bordo del promontorio. Qualcosa di nero, come se un groppo d'ombra si fosse rifiutato di fuggire dinanzi alla luce lunare. Il primo pensiero di Jake andò al misterioso assassino che Bach'uuk aveva visto, l'uomo avvolto in un mantello di ombre vive. Tale illusione divenne ancora più manifesta quando la sagoma, accorgendosi del gruppo, si voltò spiegando due ali tenebrose. E, a vederle così, stagliarsi contro le stelle, era lampante che quelle ali non erano fatte né di tessuto né di ombra... ma piuttosto di pelle e di ossa. « Un grakyl! » urlò Gaio, dietro di loro. Jake scappò via, trascinandosi gli altri con sé. Rimase indietro solo il centurione, James Rollins – L’Ombra del Re

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che estrasse di colpo la spada e si accucciò. La fiera schizzò in alto nell'aria, con le ali spiegate. Poi, con un solo battito, si buttò in picchiata su Gaio. « Correte! Cercate di raggiungere il castello! » gridò il centurione. I ragazzi obbedirono, ma Jake continuò a guardarsi alle spalle con la coda dell'occhio. Con un gran dimenarsi di membra, il grakyl piombò addosso a Gaio, colpendolo con le ali. Ma, con un agile movimento, il centurione compì un giro su se stesso e menò un fendente con la spada. La fiera lanciò uno strillo, simile al suono di una forchetta arrugginita strisciata sopra una lavagna. Il sangue usciva a fiotti dalle ferite. Ma non fece nemmeno il gesto di scappare. Con uno strido di eccezionale potenza, si preparò a un nuovo attacco. E, quel che è peggio, altri stridi giunsero in risposta al richiamo del mostro. Da oltre il bordo del promontorio, un secondo grakyl calò in picchiata, in volo radente contro il centurione. Le due creature si buttarono su Gaio in un groviglio di artigli e denti. E, a quel punto, Jake si tuffò in un'altra zona della foresta, perdendo di vista il centurione. I quattro continuarono a scappare, troppo spaventati per dire qualsiasi cosa; riuscivano solamente a correre. E ancora una volta Jake ebbe quella sensazione incontrollabile di qualcosa che lo stava osservando; qualcosa che forse gli stava dando la caccia. Di nuovo percepì i suoni sommessi di un inseguimento in atto: un frusciare di foglie, uno spezzarsi di rami. Arrivarono alla panchina dove prima avevano sorpreso i due giovani innamorati. La coppia se n'era andata da un pezzo, ma qualcos'altro aveva preso il loro posto. Qualcosa che balzò dalla panchina con le ali spiegate, bloccando completamente il passaggio. Tutti si fermarono, agghiacciati. Un grakyl. Il naso suino fremeva annusando l'aria nella loro direzione. Le orecchie mulinavano, pronte a cogliere anche il minimo rumore. La bestia ansimava verso di loro, lasciando vedere una chiostra di denti irregolari. Ma non era uno dei soliti grakyl. Stringeva una spada in uno degli artigli, e dal cranio spuntavano due corna che si attorcigliavano a spirale come una specie di orrida corona. La bestia sibilò contro di loro e abbassò la spada, come se stesse cercando di valutare chi uccidere per primo. A tentoni, Jake cercò affannosamente la torcia, ma l'aveva messa in una delle tasche dei pantaloni, e non riusciva a tirarla fuori. Alle sue spalle, un rumore di rami spezzati lo avvertì che un'altra bestia si stava avvicinando da dietro. Erano circondati. Non aveva tempo di pensare a tirar fuori la torcia. Afferrò Mari e si tuffò di lato. Ma la bestia dietro di loro li superò con un balzo, come una chiazza d'ombra indistinta, e andò a colpire il grakyl alla gola, che crollò a terra di schiena. Si udì poi un lacerante urlo felino, quando un paio di denti a sciabola affondarono nel tenero collo del mostro, strappandone un brandello. Era la dinofelis che Jake aveva rimesso in libertà! Con le zanne inchiodate nella gola del mostro, la bestia continuò a scuoterlo finché le ali del grakyl non smisero di sbattere. A quel punto, Jake fece cenno agli altri di proseguire lungo il sentiero. Quando lui passò accanto al corpo del mostro, la bestia emise un basso brontolio e fissò lo James Rollins – L’Ombra del Re

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sguardo su di lui; i suoi occhi sembravano assorbire ogni minima pagliuzza di luce presente sotto la fitta copertura della vegetazione. La dinofelis doveva averlo seguito per tutto il tempo. Mentre la fissava, Jake lesse dentro i suoi occhi, e percepì il legame che c'era fra loro. Non come fra un animale e il suo padrone, ma piuttosto un rapporto fra pari. Tu guardami le spalle. E io guarderò le tue. Poi la bestia schizzò via e sparì di nuovo nel folto degli alberi. Ma Jake sapeva che era sempre là fuori. Corse di nuovo dai suoi amici. Sentiva ancora la presenza di uno sguardo su dì sé, ma ora la cosa gli dava un certo conforto. Era come essere un po' meno solo. « Per tutti i fuochi dell'Ade, che cos'era quella roba? Aveva le corna! E brandiva una spada! » disse Pindoro, senza fiato. « Era un grakyl reale. L'avevo letto... ma nessuno credeva che esistessero davvero », rispose Marika. « A me quello lì sembrava proprio vero! » disse Pindoro. Jake li fece arrestare al limitare della foresta, là dove terminavano le ombre dei rami. Davanti a loro, il sentiero era illuminato dalla chiara luce della luna. Ma in un attimo il mondo intorno a loro parve diventare all'improvviso un po' più scuro. Turbato, Jake vide che una bassa nube era scivolata davanti alla luna e stava continuando a scorrere verso il castello. In città, la musica si era fermata. Il silenzio era calato su Calipso. Dal cielo, calò un urlo lacerante. A questo segnale, dalla massa di nuvole cominciarono a uscire, l'una dopo l'altra, schiere di grakyl. Subito altre grida si levarono dalle strade. Jake spinse tutti quanti in avanti, al riparo della foresta. « Sono qui! Hanno superato la barriera. Come hanno fatto? » domandò Marika. « Non lo so, ma ce l'hanno fatta. » « Che cosa facciamo? » chiese Pindoro. « Dobbiamo trovare un posto dove nasconderci. Questa è la prima cosa da fare. » « E Gaio? » chiese Marika. Jake scosse la testa. Non potevano contare su nessun aiuto da parte del centurione. « Ci ha detto di andare al castello », disse Pindoro. Tutti quanti si voltarono verso Kalakryss. In cima alle mura si potevano già distinguere vari stormi di grakyl. Alcuni soldati sui bastioni stavano cercando di opporre resistenza, ma venivano regolarmente sopraffatti. Altri grakyl scomparvero nel cortile. Al di là del muro, si udivano i belati dei sauri e le urla degli esseri umani. Vicino allo stadio risuonò fortissimo uno squillo di tromba. Jake tornò a guardare verso l'alto, e in quel momento un'altra forza si levò nel cielo. Il Popolo del Vento! In un'ondata portentosa, i raz si librarono in aria disposti in diverse formazioni a V, spiccando il volo dalle loro abitazioni rupestri. Poi scesero in picchiata e, come una raffica di frecce nere, si conficcarono nella massa turbinante di nuvole nere, riducendola a brandelli. Bastò una sola incursione e decine e decine di grakyl piombarono a terra con le ali a brandelli. Gli affilati artigli dei raz riuscivano a strappare pelle e ossa senza difficoltà. Ma i cavalieri alati erano in forte minoranza numerica. Anche Pindoro se ne accorse. « Non riusciranno mai a resistere. Abbiamo bisogno di altre forze. » « Sì, ma chi? » chiese Marika. « Le Guardie Sellate sono. sparse in James Rollins – L’Ombra del Re

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giro per tutta Calipso. E il Popolo del Vento è composto da una tribù soltanto. » Pindoro scosse la testa. « Non lo so. Ma, per ora, Jake ha ragione. Abbiamo bisogno di un posto sicuro dove trovare riparo. Là magari potremo raccogliere altre forze. » Jake osservò attentamente Pindoro. A quanto pareva, le sue abilità di stratega non si limitavano soltanto a un gioco con la palla. C'era qualcun altro che avesse un piano? Jake si sorprese a studiare il più silenzioso fra i componenti del loro gruppo. « Bach'uuk, le vostre grotte si trovano sull'altro versante delle mura. » Il ragazzo annuì. « I nostri Anziani desiderano mantenere lo sguardo del nostro popolo puntato verso la foresta buia, per non dimenticare. » Jake si rivolse a Pindoro e Marika. « La città non è sicura, e il castello neppure. La nostra possibilità migliore potrebbe essere proprio nasconderci là fuori. » Pindoro si mise di fronte a Bach'uuk. « Il tuo popolo sarebbe disposto a venire qui e lottare per difendere Calipso? » Jake sapeva qual era la speranza nutrita da Pindoro: che proprio la tribù degli uomini di Neandertal potesse essere quella forza in più di cui aveva parlato. Ma Bach'uuk non resse lo sguardo del romano, e chinò gli occhi. I tratti del viso rimasero nascosti dietro le folte sopracciglia. « Non è costume del nostro popolo. Ma simili questioni devono essere decise dai nostri Anziani. » « Allora andremo a parlare con loro. E li convinceremo », disse Pindoro. Per un istante negli occhi del ragazzo ur si accese un lampo di rabbia, ma fu un fuoco che si spense subito, e il suo viso riacquistò la calma. Pindoro non se n'era neppure accorto. « Come facciamo ad arrivare laggiù? » Bach'uuk indicò oltre il castello, in direzione della Foresta Sacra. « C'è una strada. Io posso portarvi. Un tunnel. » Jake puntò lo sguardo là fuori. Per il momento, gli scontri erano concentrati in città e intorno al castello. La foresta era ancora immersa nel buio, indisturbata. E là fuori si trovava anche Kady. Marika aggrottò la fronte. « Non ricordo di aver mai sentito parlare di un tunnel che attraversa la foresta. » Bach'uuk indicò un punto lontano. Jake seguì la sua direzione. Sembrava puntare verso il drago di pietra. Che era laggiù, sospeso sulle cime degli alberi, illuminato dalla luna. « Stai parlando del grande tempio? » chiese Marika. Bach'uuk annuì. « Il tunnel è là. » « Dentro il tempio? » insistette lei. Un altro cenno affermativo, questa volta seguito da un grugnito impaziente. « Ma soltanto ai Maestri è permesso entrare nel Tempio di Kukulkàn », incalzò lei. Ancora una volta, una vampata d'ira si accese negli occhi del ragazzo ur. « Ai Maestri... e a quelli che li servono. » Marika fissò Bach'uuk ancora per un lungo istante, stupefatta, e poi si voltò verso Jake. « Non lo sapevo. » « Nessuno ci vede. Nessuno ci fa caso, a noi. Noi siamo soltanto degli ur », disse Bach'uuk, lasciando che almeno una parte della sua irritazione trapelasse in modo più evidente. Jake ripensò a come il padre di Marika sembrasse accorgersi a malapena della presenza di Bach'uuk. Quanto a Marika, lei di certo apprezzava l'aiuto del ragazzo, ma si ricordò anche la descrizione che gli aveva dato dell'intelligenza degli ur. Papà ritiene che le loro capacità mentali siano limitate. Ma sono forti e sono in grado di obbedire a dei semplici comandi. Jake la pensava diversamente. E, a quanto pareva, anche Bach'uuk. « Ci condurrai laggiù? » chiese al ragazzo ur. Bach'uuk annuì e fece per voltarsi, ma Marika rimase ferma dove si trovava. « Anche se agli ur è permesso arrivare fino al tempio, a noi non lo è. A tutti, tranne ai James Rollins – L’Ombra del Re

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Maestri, è proibito introdursi nella piramide. » Jake dovette fare uno sforzo di volontà per non alzare gli occhi al cielo. Provava un enorme rispetto per Marika, ma talvolta quella ragazza poteva raggiungere dei picchi di cocciutaggine che eguagliavano i suoi. Doveva assolutamente riuscire ad avere la meglio sulla sua rigidità. Le afferrò la mano. « Mari, a Calipso non ce ne sono più, di Maestri. Quantomeno, in questo momento non ce n'è nessuno. » Era consapevole di quanto le sue parole la ferissero: le ricordavano il fatto che suo padre era scomparso. Ma bisognava dirle per forza. Si sfiorò la targhetta ancora appuntata sulla sua giacca. « Come apprendisti, noi due siamo i soli Maestri che Calipso abbia, in questo momento. » Le sopracciglia della ragazza si unirono in un'espressione corrucciata, mentre lei si sforzava di digerire quel suo modo di porre la questione. Lanciò un'occhiata alla guerra in corso su nel cielo, poi, alla fine, annuì. « Forse hai ragione. » La sua voce si fece più sicura. « Dobbiamo tentare. » Jake le strinse un'ultima volta il polso, quindi fece cenno a Bach'uuk di mostrar loro la strada. Pindoro li seguì, borbottando: « Sareste voi due i soli Maestri rimasti a Calipso? Allora il nostro destino è sicuramente segnato ».

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PARTE QUARTA ₪ Capitolo 23 FISCHI NELLA FORESTA

La Foresta Sacra si estendeva come un mare nero intorno alla città assediata di Calipso. Si infrangeva sin contro le sue mura, in un contorto intreccio di vegetazione. Tutti gli alberi erano di dimensioni gigantesche, coi tronchi a cavatappi come quello che adornava il cortile del castello. Un sentiero si addentrava tortuoso nella foresta, illuminato sporadicamente da solitari globi di cristallo luminosi, i quali però erano posti a una grande distanza l'uno dall'altro, lasciando così ampie zone immerse nell'oscurità più profonda. E, proprio su quel sentiero, il gruppetto avanzava a tutta velocità per raggiungere il tempio, situato a più di due chilometri di distanza. Mentre correvano, i ragazzi sentivano i rumori della battaglia. La guerra non cessava di estendersi. Altri abitanti della città stavano cercando rifugio nella foresta. Mentre proseguivano, arrivavano loro le voci di chi già si era rintanato negli anfratti più disparati. Ma loro continuavano ad andare avanti, guidati da Bach'uuk. Jake scrutava tra la vegetazione nella speranza di cogliere il baluginio di una qualche fiamma che rivelasse la presenza di Kady e dei ragazzi romani. Ma non vide traccia di fuochi. O l'avevano acceso in un punto molto più all'interno, oppure l'avevano spento non appena era cominciata la battaglia. Aveva ancora i muscoli della mascella rigidi per la tensione. « Non ce la faremo mai a entrare nel tempio », sussurrò Marika, mentre correva accanto a lui. « Il cuore di cristallo di Kukulkàn che protegge la nostra valle, o meglio, che l'aveva protetta fino a stanotte, allo stesso modo innalza uno scudo che blocca l'ingresso alla piramide. Solo ai Maestri è consentito di attraversarlo. » Jake ripensò al grakyl che si dibatteva sul Portale Spezzato. « Stai dicendo che una barriera chiude l'ingresso al tempio? » Il viso della ragazza era in ombra, ma Jake sapeva che la sua espressione era accigliata. « Che cosa pensi che stessi dicendo, prima? Solo i Maestri possono entrare... e, a quanto pare, gli ur. » Jake aveva creduto che semplicemente ci fossero degli uomini a guardia del tempio, e che il divieto di cui parlava Marika non fosse altro che una mera superstizione. « E se non riusciamo a entrare, che facciamo? » « Come hai detto anche tu, forse siamo noi i Maestri, adesso, e ci verrà concesso il passaggio. O forse Bach'uuk conosce un varco segreto, noto soltanto agli ur. Ha parlato di un tunnel. » Jake annui e affrettò il passo. Avrebbe pensato a come attraversare quella barriera invisibile una volta arrivato là. Continuarono a camminare in silenzio attraverso la foresta. Si erano inoltrati moltissimo nel folto della vegetazione, e ormai non si udivano più sussurri o richiami. Nessuno degli abitanti della città che aveva cercato rifugio nella Foresta Sacra era arrivato così lontano. E perché mai avrebbe dovuto, del resto? Se quello che diceva Marika era vero, il tempio non avrebbe potuto offrirgli nessun riparo. James Rollins – L’Ombra del Re

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Jake percepì la presenza della piramide ancora prima di vederla. L'aria era diventata più pesante e carica di elettricità, come prima di un temporale, quando il cielo è basso e cupo e gli schiocchi dei fulmini si rincorrono in lontananza. I sensi di Jake si erano come affinati. Le sue orecchie riuscivano a cogliere anche il fruscio delle foglie più alte. Sentiva il dolce aroma del muschio notturno che ricopriva con la sua luminescenza spettrale i tronchi contorti degli alberi. E bastava il minimo accenno di brezza a fargli venire la pelle d'oca. E poi, eccola là. La foresta terminava a pochi metri dalla base della piramide. Jake uscì sulla radura. Non una cosa molto saggia da farsi, nel bel mezzo di una battaglia che non cessava di avanzare verso di loro. Ma non si era mai trovato davanti a uno spettacolo tanto stupefacente. Non c'erano dubbi. Era esattamente la stessa piramide raffigurata nel manufatto d'oro al museo. Solo che questa è di proporzioni gigantesche. Ciascuno degli ordini della piramide superava in altezza la testa di Jake, e l'intera struttura saliva e saliva fino a spingersi oltre la cima degli alberi più alti. E lassù, accovacciato sulla cima, c'era il drago di pietra. La luce lunare gli conferiva una tonalità argentata, facendone risaltare con vivida nettezza ogni minimo dettaglio. Sulle ali spiegate erano scolpite delle piume. Jake le osservò con gli occhi sbarrati. La statua rappresentava veramente un serpente piumato! Non c'era di che meravigliarsi se il popolo di Marika, una volta giunto laggiù, l'aveva chiamato Kukulkàn. Senza contare che forse i miti di Kukulkàn diffusi tra i maya provenivano proprio da quel luogo. Jake si ricordò di quello che aveva letto di nascosto nella biblioteca del Maestro Balam. Il che gli fece sorgere un'altra domanda: era forse da qui che, anni e anni addietro, tutte quelle antiche popolazioni avevano trovato una via per tornare a casa? Ed era da questo posto che avevano riportato nella loro terra natale i miti che parlavano di mostri e serpenti piumati? Jake si soffermò a studiare la statua. Il volto del drago era puntato verso l'orizzonte. Non aveva lineamenti da dinosauro né da rettile; in qualche modo, sembrava un essere completamente nuovo, con dei tratti che apparivano perfino vagamente umani. Quest'ultimo carattere gli derivava soprattutto dagli occhi di pietra, fissi sull'orizzonte in un'espressione corrugata: esprimevano un infinito senso di speranza e sembravano pieni di una saggezza antica. Per ultima, Jake notò la coda. Si arrotolava formando un cerchio completo intorno all'ultimo gradino della piramide, come se fosse stata posta là a protezione di un nido di uova. La punta formava un cerchio perfetto, che segnava l'accesso a una porta rotonda in cima alla struttura. A quanto pareva, quello era l'unico ingresso. E si trovava nel punto esatto in cui Jake aveva inserito le due metà della moneta maya nel reperto d'oro esposto al British Museum. « Da questa parte », disse Marika, indicando davanti a sé. Lungo la fascia centrale di quel lato della piramide, i giganteschi ordini erano incisi da una stretta rampa di scale, i cui gradini avevano dimensioni normali. E puntavano dritti alla porta d'ingresso. Era là che la ragazza si stava dirigendo. « Faremmo meglio a sbrigarci! » aggiunse Pindoro, buttandosi un'occhiata dietro le spalle mentre superava Jake. Jake allungò il collo e vide che uno stormo di grakyl, col suo volo scomposto, li James Rollins – L’Ombra del Re

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aveva già raggiunti, e così anche i raz dagli artigli affilati. Non c'era più tempo. Corse dietro a Pindoro, con Bach'uuk che lo seguiva a ruota. Poi si frugò in tasca per tirar fuori la torcia. Voleva averla a portata di mano, in caso fossero stati attaccati. Mise il pollice sull'interruttore, ma non lo premette. Voleva risparmiare la batteria. Non sapeva per quanto ancora sarebbe durata. Temeva pure che il raggio potesse attirare gli occhi sbagliati. Ma, alla fin fine, la cosa non avrebbe fatto nessuna differenza. I grakyl dimostrarono di essere dotati di una vista estremamente acuta. Alcuni di loro individuarono le quattro figure che salivano le scale della piramide illuminata dalla luna. La notte venne lacerata da uno strido. Jake alzò lo sguardo e vide una dozzina di grakyl che si stava buttando in picchiata addosso a loro. Quello in testa al gruppo era il più grosso, con le corna a spirale che gli uscivano dal cranio e la spada nera che rifletteva la luce della luna per tutta la sua perfida lunghezza. Era un grakyl reale. « Statemi vicino! » gridò Jake. Avevano percorso solo un quarto del lato della piramide. Non ce l'avrebbero mai fatta. Tutt'intorno a loro, i grakyl sbattevano contro le pareti di pietra della costruzione. Il capo di quelle sozze creature atterrò pochi gradini più in basso rispetto al punto in cui si trovava Jake. Si accucciò, le ali spiegate, la spada puntata dritta verso il cuore del ragazzo. Jake sollevò la sua unica arma. Puntò la torcia sul muso del grakyl e l'accese. Sulle prime, il fascio di luce non fece che infastidire la bestia. Poi, non appena il tocco refrigerante ebbe trasformato in ghiaccio i suoi bulbi oculari, il mostro cominciò a emettere un forte lamento. Colpendosi il viso con gli artigli, precipitò all'indietro e, mentre rotolava giù per i gradini, non cessava di graffiarsi la faccia. La sua spada cadde con un rumore di ferraglia, ma, prima che rimbalzasse lontano, Jake la afferrò. Avevano bisogno di qualsiasi arma riuscissero a procurarsi. Quindi la diede a Pindoro, ma di sfuggita riuscì a cogliere un emblema impresso a fuoco nell'elsa. Gli sembrò un'immagine familiare, ma per il momento non aveva il tempo di esaminarlo più a fondo. Gli stridi del grakyl reale avevano acceso la sete di sangue dei suoi compagni. Si stavano avvicinando al gruppetto da ogni direzione. Jake riuscì ad accecarne un paio, che caddero a terra com'era successo al loro capo. Pindoro fece del suo meglio per tenere a bada gli altri con la spada. Ma sempre più bestie li stringevano da tutte le parti, coi loro strepiti strazianti e rabbiosi. Dovevano andare avanti. Jake ruotò su se stesso e puntò la luce verso il grakyl che si trovava più in alto sulla scala. Ma quello, con un sibilo, piegò un'ala di scatto per proteggere gli occhi come una sorta di cappuccio. Quelle bestiacce stavano imparando la lezione. Jake allora ebbe un'altra idea e mirò alle ginocchia del mostro, puntando il raggio proprio sull'articolazione. « Seguitemi! » Corse verso il mostro che si trovava davanti a lui, sfidandolo a uno scontro aperto. La bestia cercò di farsi avanti per affrontarlo, ma le sue ginocchia erano due pezzi di marmo ghiacciato, e non ne volevano sapere di piegarsi. Ruzzolò in avanti, verso Jake; era ancora pronto a fare a brandelli la gola del ragazzo, ma questi si chinò e, con una mossa di taekwondo, scagliò la bestia giù per la scala. Gli altri grakyl si scansarono e proseguirono. James Rollins – L’Ombra del Re

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Jake cominciò a fare due gradini per volta. Dietro di lui, altri grakyl li incalzavano, raspando con gli artigli sulle scale, svolazzando di ordine in ordine, cercando di tagliar loro la strada. Non sarebbero mai riusciti a raggiungere l'ingresso. I loro inseguitori erano sempre più vicini. « Jake! » strillò Marika. Lui si voltò: uno dei grakyl l'aveva afferrata per la caviglia e stava cercando di trascinarla giù. Poi Jake udì un rumore simile a un fischio, e qualcosa colpì la testa del mostro. Il grakyl cadde come un sasso, lasciando andare Marika. E, di punto in bianco, dalle ultime propaggini della foresta si riversò una pioggia di pietre, e un gruppo di ragazzi con indosso la toga uscì nella radura ai piedi della piramide. Erano armati di fionde, e le usavano con perizia da esperti. Jake riconobbe un volto familiare. « Eronide! » gridò Pindoro. La sassaiola si abbatté sui diabolici grakyl con un gran fracasso di ossa frantumate e crani spezzati. Le bestie cercarono di scappare, ma un attimo dopo ebbe inizio una pioggia di frecce. Si sentivano vibrare gli archi, in un succedersi continuo di schiocchi. Dietro i giocatori romani era comparsa una fila di vichinghe, che stringevano tra le mani i loro corti archi. La flottiglia dei grakyl venne bersagliata di frecce, e ricacciata a terra in un tonfo. Ma la battaglia in corso intorno alla piramide non era passata inosservata. Altri stridi eruppero dal vortice di guerra sopra di loro. Un'intera ala nera dell'orda dei grakyl virò verso il basso. Dovevano essere più di tre dozzine. Alcuni puntarono verso la piramide, altri verso Eronide e i suoi. « Jake! » si sentì urlare. Lui distolse a forza lo sguardo dal cielo. Una ragazza in costume vichingo gli stava facendo dei gesti col braccio, incitandolo a entrare nella piramide. « Corri, Jake! » Era Kady. A malapena riuscì a riconoscerla. Aveva i vestiti strappati e il viso era ricoperto di sangue, eppure, in qualche modo, sembrava più alta. Stringeva in mano una spada che teneva puntata verso l'alto, indicando la cima della piramide. « Va'! Ora! » Jake rimase lì a guardare mentre Kady e gli altri scappavano di nuovo dentro la foresta. Poi, con uno scatto improvviso, corse verso l'ingresso della piramide. Lassù, il drago continuava a tenere lo sguardo fisso sulla volta celeste, l'espressione immutata, impassibile dinanzi alle urla e allo spargimento di sangue. Adesso era Pindoro a condurre il gruppo. Jake e gli altri gli tenevano dietro. Dovevano raggiungere l'ingresso. Non mancava molto. Erano quasi arrivati in cima. Ma, in quel momento, sulla scala davanti a loro atterrò una sinistra accozzaglia di mostri: erano in otto, guidati da un grakyl reale. E bloccavano il passaggio. Pindoro li affrontò con la sua spada rubata. Jake si fece avanti, pronto a lottare per difenderlo. Il romano però capì che quello era uno scontro che non potevano vincere. Troppa era l'inferiorità numerica. Abbassò la spada, in un gesto di resa. E allora le fauci del grakyl reale si allargarono in un ghigno simile a quello di uno squalo, mostrando i denti aguzzi. Ma Pindoro non aveva ancora giocato tutte le sue carte. Si portò una mano alle James Rollins – L’Ombra del Re

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labbra... e cominciò a soffiare. Jake udì un flebile suono, come di un acuto guaito che subito si dissolse nel nulla. Pindoro si era messo in bocca il fischietto per cani, e ci stava soffiando dentro con tutta la forza che aveva. L'orda di grakyl cominciò a strillare tenendosi strette le orecchie appuntite, quasi volessero strapparsele per proteggersi da quel rumore. In preda a un dolore tremendo, il disgustoso condottiero dello stormo emise un sibilo e schizzò via, girando su se stesso come se avesse perso l'equilibrio. Gli altri si dispersero in giro, cercando di sfuggire al fischio perforante degli ultrasuoni. Una volta libero il passaggio, Jake puntò il dito davanti a sé. « Via! » Pindoro corse insieme con lui. « Quelle bestiacce hanno delle orecchie enormi, e così ho pensato che forse... » « Hai pensato bene! » l'interruppe Jake. Pindoro aveva salvato la vita a tutti loro. I quattro salirono gli ultimi gradini e saltarono nella coda ricurva che circondava l'ingresso. Jake sentì un lieve prurìto, come quand'era passato attraverso il Portale Spezzato, ma niente di più. Salì ancora qualche scalino, poi si fermò per guardarsi alle spalle: i grakyl erano tornati, ma erano rimasti a mezz'aria davanti all'ingresso. Uno, con un colpo d'artiglio, cercò di menare un fendente contro di loro. Sulla sua pelle si vide scorrere una piccola ondata di scintille. Ma quello fu tutto. Il mostro non venne respinto, il che significava che la barriera della piramide, così come quella che circondava la vallata, non era attiva. Eppure la creatura si rifiutava di seguirli. E nessun'altra osò entrare. « Sembra che abbiano paura », mormorò Marika. Paura di che cosa? si chiese Jake con un pizzico di timore. « Paura o no, in ogni caso non se ne stanno andando », fece Pindoro. Era vero. Un numero sempre più grande di grakyl andava radunandosi là fuori. Jake immaginò l'intera piramide ricoperta dì quei mostri che strisciavano sulla sua superficie. Forse stavano soltanto aspettando di essere abbastanza per trovare il coraggio di fare irruzione all'interno. E Jake non voleva certo trovarsi lì, quando ciò sarebbe successo. « E adesso, da che parte? » chiese. Bach'uuk fece un gesto con la mano indicando che dovevano proseguire. Il tunnel d'ingresso scendeva bruscamente verso il centro della piramide. Il passaggio era buio, ma in fondo si riusciva a scorgere un baluginio di luce. Non avevano altra scelta che affrontare quanto si trovava davanti a loro.

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Capitolo 24 ₪

LO SPETTRO NELLA MACCHINA

Avanzando lungo il tunnel, Jake fece scorrere un dito sulla superficie del muro. Le pietre si susseguivano con ordine, ma non erano semplicemente giustapposte, esse s'incastravano l’una nell'altra come in un puzzle, ciascun blocco tagliato in una forma irregolare. Eppure le fughe tra una pietra e l'altra erano così sottili che Jake dubitava che sarebbe riuscito a farvi passare una lama di rasoio. La luce davanti a loro si stava facendo sempre più forte. Jake sentiva una sorta di pulsazione nell'aria, come se ci fosse qualcosa che gli comprimeva il torace. E a ogni passo, la sensazione continuava a crescere. Pindoro si massaggiò lo stomaco; evidentemente, lui quella strana sensazione la provava lì. A dispetto del pericolo, la fronte di Marika era aggrottata in un'espressione di curiosità. Solo Bach'uuk sembrava del tutto impassibile. Ma lui era già stato laggiù. Ormai dovevano mancare solo pochi passi alla fine. La pulsazione divenne ancora più intensa, il bagliore sempre più forte, quando infine il corridoio sfociò in un'ampia caverna, col soffitto a cupola come quello dell'Astromìcon. Jake si bloccò, stupito e nello stesso tempo sopraffatto da ciò che vedeva. Dal centro della sala pendeva una sfera di cristallo perfetta. Ruotava lentamente intorno a un punto fisso, sospesa a mezz'aria sotto la copertura della cupola. Il bagliore che emanava sembrava costante, ma Jake la sentiva pulsare a intervalli regolari, una a ogni giro completo. Il cuore di cristallo di Kukulkàn! Quelle pulsazioni erano il suo battito. Quando si fu abituato alla luce tenue, Jake vide qualcos'altro che suscitò la sua meraviglia. La sfera era in realtà costituita da tre sfere, l'una dentro l'altra come in una matrioska, che ruotavano in direzioni opposte: una da sinistra a destra, l'altra da destra a sinistra. La terza invece ruotava dall'alto verso il basso. Strane lettere erano incise sulla superficie di tutte e tre le sfere, che girando formavano combinazioni di ogni genere, come in una sorta di computer di cristallo. Marika avanzò lentamente, facendosi largo tra Pindoro e Bach'uuk. I suoi occhi erano diventati enormi. Il pavimento digradava sino a formare una conca al di sotto del cuore di cristallo, dove si trovavano tre versioni miniaturizzate delle sfere, una di smeraldo, una di rubino e l'altra blu zaffiro. Di nuovo, i tre colori primari. Jake abbassò lo sguardo sul suo tesserino argentato da apprendista. Le stesse tre pietre formavano un triangolo intorno al diamante. Evidentemente, quel disegno doveva rappresentare una versione in piccolo dell'installazione che aveva davanti agli occhi. Il diamante rappresentava il cuore di cristallo, mentre le gemme colorate raffiguravano le tre sfere più piccole. Affascinato, tornò a guardare il centro della stanza. Sotto il gigantesco cuore di cristallo, le sfere più piccole ruotavano a loro volta, come piccole lune intrappolate nella loro orbita dal pianeta che, lassù in alto, le goJames Rollins – L’Ombra del Re

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vernava... o, per meglio dire, due di loro ruotavano. Il cristallo di smeraldo sembrava infatti limitarsi a un tremolio e, mentre le altre brillavano di luce propria, quella verde era scura e opaca. Sì, doveva proprio esserci qualcosa che non andava. La causa di ciò divenne chiara quando, da un corridoio che si apriva sul lato opposto della cupola, uscirono delle ombre, simili al vapore che sale da una pentola d'acqua bollente, che fluttuavano intorno a una forma vagamente umana, della quale però non era possibile distinguere i dettagli. Le ombre infatti la avvolgevano completamente, come un falò di fiamme nere. Doveva essere l'assassino che Bach'uuk aveva visto scappare via da Kalakryss. Jake si tirò indietro, cercando riparo nel corridoio, e tirò Marika con sé. L'uomo d'ombra, se di un uomo davvero si trattava, s'inginocchiò accanto al cristallo verde e posò le mani sulla sua superficie. Dalle dita uscì un flusso di colore scuro, che entrò in profondità nella pietra di smeraldo. E il tremolio di quest'ultima divenne ancora più irregolare. L'assassino stava facendo qualcosa per contenere, o forse perfino per distruggere, quella sfera. Ma perché? Con quale scopo? Jake si ricordò che Marika aveva parlato dei doni di Kukulkàn, e ripensò alla sua descrizione del campo emanato dalla piramide, di come esso provvedesse a garantire una lingua comune a tutti, a proteggere la valle dai pericoli, e ad alimentare il potere dei cristalli che si trovavano nella valle. Tre doni... tre sfere colorate. Due doni funzionavano ancora, vale a dire quello della lingua e quello che riguardava il potere dei cristalli; non il terzo, però. Non la barriera. Ora Jake capiva come avevano fatto le forze del re Teschio a penetrare le linee di difesa della valle. La spiegazione ce l'aveva davanti agli occhi. Quella creatura aveva indebolito la barriera andando alla sua stessa fonte... aveva contaminato la sfera di smeraldo. Doveva essere fermato, o l'intera vallata sarebbe andata distrutta. Jake uscì allo scoperto. Si mise in punta di piedi e accese la torcia. Se si fosse mosso senza fare rumore, avrebbe potuto cogliere di sorpresa l'assassino. E, grazie al raggio della torcia, non avrebbe nemmeno dovuto avvicinarsi così tanto. Era un rischio che valeva la pena di correre. Sollevò una mano per intimare agli altri di stare indietro. Era avanzato di pochi passi, quando dall'orda di grakyl si levò un urlo lacerante. Nell'udire l'accento trionfale che aveva assunto il loro grido, Jake s'incupì. Pensò con timore a ciò che poteva significare per sé e per tutti gli abitanti della valle. Incuriosita dal rumore, la sagoma d'ombra lanciò un'occhiata verso l'ingresso. Il suo volto informe si girò proprio in direzione di Jake. Il ragazzo si bloccò all'istante, congelato come se fosse stato raggiunto da raggio della sua torcia. La creatura gli si lanciò contro. Jake riuscì a reagire, e sollevò la torcia. Puntò la luce dritta sulla chiazza d'ombra che ricopriva la faccia della figura misteriosa. L'oscurità scivolò via dal raggio come se fosse acqua. La creatura sgusciò via. Jake era quasi riuscito a scorgere il suo volto... quando il raggio prodotto dalla torcia, dopo un breve tremolio, si spense. Colto dal panico, cominciò a scuoterla. Riuscì a farla risplendere ancora per un altro secondo, ma poi si spense di nuovo. Sul volto dell'assassino tornò a riversarsi James Rollins – L’Ombra del Re

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un'ondata d'ombra, che ne inghiottì i lineamenti. Il misterioso personaggio alzò le braccia, e dalla sua sagoma uscì un ribollio di ombre che inondò tutta la parte più bassa del corpo di Jake. Le sue gambe divennero immediatamente fredde. L'ombra si addensò, fino ad assumere la consistenza del bitume. Ora il ragazzo non era più in grado di muoversi. « Jake! » gli urlò Marika. « Sta' indietro! » rispose lui. O rischiamo di rimanere intrappolati tutti quanti. La creatura sembrava non avere nessun problema a guadare la palude di ombra che lo divideva da Jake. Anche se quell'essere non aveva volto, Jake riusciva a immaginare un sorriso malvagio. E, anche se la sua voce era attutita dall'involucro d'ombra, Jake lo sentì dire: « Sei riuscito a sopravvivere alla mia trappola. Il mio padrone ne sarà compiaciuto. Ha grandi progetti su di te ». Il ragazzo non sapeva di cosa la creatura stesse parlando. Agitò convulsamente la torcia, ma le batterie si erano completamente esaurite. Poi sentì uno scalpiccio dietro di sé. Si guardò alle spalle e vide Marika, Pindoro e Bach'uuk che stavano accorrendo in suo aiuto, lanciandosi contro la chiazza d'ombra. Non gli avevano dato ascolto. Opposte emozioni si scontrarono nel profondo del suo cuore. Si sentiva sollevato, ma allo stesso tempo provava un vero e proprio terrore per ciò che sarebbe potuto accadere ai suoi nuovi amici. Pindoro fu il primo a colpire la chiazza d'ombra, ma le sue gambe vennero a mancare di sotto il corpo. Il ragazzo cadde faccia a terra. Bach'uuk e Marika usarono la schiena del romano come una sorta di ponte. Bach'uuk era davanti e, non appena arrivò all'altezza delle spalle di Pindoro, si girò, afferrò Marika per la vita e la lanciò verso Jake. La ragazza volò oltre la chiazza d'ombra, andando ad atterrare un paio di passi dietro di lui... e poi affondò fino alla vita, esattamente com'era accaduto a Jake. Cercò di muovere un passo, ma fu inutile. La loro piccola esibizione sembrava non aver prodotto altro effetto che quello di divertire la creatura d'ombra. Si udì una risatina soffocata, che però non aveva in sé nessun calore, soltanto gelo. « La figlia del Maestro e il figlio dell'Anziano. E un giovane ur. E voi pensate di poter contrastare il potere del re Teschio? » Ancora quella risata sinistra. « Jake... » disse Marika, dietro di lui. Lui si voltò. La ragazza si picchiettava la gola con un dito, come per indicargli qualcosa, ma non riusciva a capire che cosa volesse dire. Marika sollevò l'altra mano, che fino a quel momento aveva tenuto nascosta dietro la schiena. Fra le dita, stringeva un lungo e sottile bastoncino, che terminava con un cristallo incandescente. Era la bacchetta di suo padre. Senza farsi vedere dalla creatura d'ombra, la mostrò a Jake, e poi si picchiettò ancora la gola. E allora Jake ricordò. Bach'uuk aveva descritto un particolare che era riuscito a distinguere nella forma nebulosa dell'assassino fuggito da Kalakryss: un fermaglio sulla gola, decorato con un frammento di diaspro sanguigno. Jake si voltò a fronteggiare la scultura d'ombra. Marika gli fece scivolare in mano la bacchetta. Poi il ragazzo sollevò il mento e fissò la figura che si avvicinava sempre di più. La creatura sibilò: « Anche se il padrone ti vuole, non significa che io non possa farJames Rollins – L’Ombra del Re

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ti soffrire per tutti i problemi che ci stai causando. E quale modo migliore che farti morire uno dei tuoi amici proprio sotto gli occhi? » La creatura puntò un braccio. Jake azzardò un'occhiata, e vide Pindoro che lottava per liberarsi dalla chiazza nera. Aveva fuori soltanto la testa, e rantolava in cerca d'aria. E in quel momento le ombre salirono ancora, fino a ricoprire tutto il corpo del suo amico, riempiendogli il naso e la bocca e lasciando fuori soltanto gli occhi. Pindoro si divincolava, in preda al terrore. La sua bocca era tesa in un urlo silenzioso mentre tentava disperatamente di risucchiare ancora un po' d'aria. Jake si girò di scatto verso il mostro ammantato di ombre. « Lascialo anelare! » La creatura riportò l'attenzione su di lui: voleva assaporare il suo dolore. Ma, quando voltò la testa, Jake riuscì a scorgere il baluginio nascosto nell'ombra. Un frammento di tenebra più nero di qualsiasi altra ombra. Il fermaglio di diaspro sanguigno. Jake lanciò la bacchetta di Balam. Il cristallo s'incuneò nell'ombra e andò a colpire la pietra nera. Bastò un tocco soltanto, e il diaspro sanguigno sembrò schizzare in aria. Si udì un gridolino, quando dalla punta della bacchetta si sprigionò una luce accecante. Battendo le palpebre per proteggersi dal bagliore, Jake si avvide che il frammento di diaspro sanguigno, prosciugato di ogni potere, era diventato bianco. « No! » gemette la creatura, facendo eco all'urlo emesso dalla pietra. Le ombre vennero meno, come una montagna di neve che si scioglie all'improvviso. Jake incespicò, improvvisamente libero, mentre il lago d'ombra intorno a lui si dissolse nel nulla, e finì addosso a Marika, ma riuscirono a rimanere in piedi. Pindoro tossiva e ansimava, ma era ancora vivo. Bach'uuk lo aiutò a rialzarsi. Il giovane romano raccolse la spada e con passo malfermo si lanciò in avanti, puntandola al cuore dell'assassino. Ma, una volta dissolte, le ombre rivelarono un volto pallido e un ventre oltremodo grosso. « Maestro Oswin! » esclamò Marika, senza fiato. L'uomo non mostrava nessun segno di rimorso; dalla sua espressione trasparivano soltanto disprezzo e disgusto. « Ma perché? » chiese la ragazza, in un tono di voce che sembrava quasi una supplica. « E perché no? » fece lui, beffardo, storcendo il labbro. « Ma voi avete sempre servito fedelmente Calipso. » Lui si fece scappare un'aspra risata. « Ti sbagli. Io ho sempre servito il re Kalverum, il mio vero signore. L'ho servito fin da quando ero un apprendista, riconoscendo il suo genio. Qualcuno che non aveva paura d'investigare a foncio alchimie da cui tutti gli altri rifuggono. Lui ha scoperto un sentiero oscuro che conduce alla divinità, e a me è stato concesso di seguirlo. » « E allora perché non ve ne siete andato con lui, quando è stato bandito? » insistette Marika, il viso bianco e nauseato. Ancora una volta sul volto dell'uomo affiorò quel sorriso malvagio. « Ad altri è stato concesso di andare con lui; a me invece il re ha comandato di rimanere qui. Per essere i suoi occhi e le sue orecchie. In attesa del tempo in cui lui sarebbe potuto tornare! » « Quindi eravate voi la sua spia! » intervenne Pindoro, punzecchiando il prigioniero con la punta della spada, abbastanza forte da farlo sussultare. « E il suo agente sabotatore », aggiunse Jake, indicando con un cenno la sfera di James Rollins – L’Ombra del Re

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smeraldo offuscata. « Tutti questi anni... » disse Marika. Oswin sputò per terra. « Che razza di stupidi creduloni! Voi non sapete un bel niente di niente di questo Paese! Non avete idea delle forze che premono tutt'intorno a voi, anche in questo momento. In una parola... » All'improvviso, il suo corpo si contrasse in uno spasmo, e l'uomo ansimò, chinando lo sguardo. Le ombre si erano raggrumate ai suoi piedi, come un mantello dismesso. Ma non si limitavano a giacere per terra, prive di energia. Iniziarono a turbinare, come in un vortice. « No, mio Signore, no! » disse Oswin in un gemito. Le sue gambe cominciarono ad affondare. Gli occhi si spalancarono, enormi di panico. Di punto in bianco la sua faccia fu stravolta da una smorfia di dolore. Dalla gola gli uscì un urlo strozzato. Un urlo che ora non era più d'implorazione, ma di puro dolore. Oswin cercò di saltar fuori del turbine scuro, ma quest'ultimo lo teneva avvinto con lo stesso vigore con cui prima aveva imprigionato Jake. L'uomo cadde scompostamente a terra. Tutti quanti indietreggiarono. L'onda scura tirò il corpo ancora più giù, risucchiandolo completamente. Le sue dita tentavano di aggrapparsi alla liscia superficie di pietra del pavimento, ma non riusciva ad avanzare nemmeno di un millimetro. Ormai la sua faccia era una maschera di dolore e di terrore. « No! Non così! » Marika fece un passo verso di lui, ma Jake la trattenne. Quel demonio avrebbe potuto trascinarla via con sé. « Mio padre. Che cosa è successo a mio padre? » chiese la ragazza, quasi supplicando. Oswin parve non sentirla, oppure, semplicemente, non si curò di risponderle. Le sue dita lasciavano una scia insanguinata dietro di sé, mentre lui veniva trascinato dentro quelle fauci nere. Infine, con un ultimo grido di terrore, scomparve. Marika si girò e nascose il viso sulla spalla di Jake. Lui la circondò con un braccio. La pozza di tenebra continuò a turbinare, ma in breve sparì, come l'acqua che scorre giù per un tubo di scarico, lasciando dietro di sé nient'altro che la liscia superficie del pavimento di pietra. Tutti quanti ebbero bisogno di qualche momento per riprendersi. Pindoro picchiettò il suolo con la punta della spada, come se volesse provarne la solidità. Ancora tremanti, i ragazzi avanzarono fino a passare sotto il cuore di cristallo del tempio. Jake s'inginocchiò sotto la sfera. Ormai la pietra verde non palpitava nemmeno più. Nel suo nucleo più profondo, là dove le altre fere risplendevano, era ormai diventata scura... no, non esattamente. Era nera. Sul cuore della pietra si era posato un frammento di ombra solidificata. Con molta cautela, Jake toccò la superficie del cristallo. Era fredda, ma nulla di più. Non aveva idea di come fare per cancellare la venefica oscurità che si era insediata là dentro. Non c'era modo di raggiungerla con la bacchetta di Balam, non attraverso quel solido cristallo. E la torcia non aveva più energia, quindi non c'era modo di colpirla nemmeno in quel modo. Jake lanciò un'occhiata a Marika. La ragazza scosse la testa. Avevano bisogno di un vero Maestro, non di due apprendisti. James Rollins – L’Ombra del Re

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Pindoro tornò a guardare verso il punto in cui Oswin era stato risucchiato nel vuoto. « Ci ha traditi tutti quanti. Ma immagino che la cosa debba avere un suo senso strategico. » La reazione di Marika fu immediata. Sbottò: « Un senso? E che senso ci troveresti in tutta questa storia? » Con un ampio gesto del braccio, Pindoro indicò la stanza. « Il re Teschio aveva bisogno di un Maestro. Solo un Maestro sarebbe stato in grado di oltrepassare la barriera che racchiude il tempio e di abbattere lo scudo che proteggeva la nostra vallata. Non c'è da meravigliarsi che abbia accettato il proprio esilio con tanta facilità. Sapeva di poter rientrare nella vallata non appena fosse stato pronto. » Jack si raddrizzò. « Ma questo non vuol dire che noi dobbiamo permetterglielo. » Indicò Bach'uuk con un cenno del capo. « Siamo venuti qui con un piano, il tuo piano, Pin... per trovare un posto dove poterci raggruppare e cercare nuovi alleati. » Anche Marika era d'accordo con loro. « Non possiamo permettere che sia lui a vincere. » « E non lo faremo », le promise Jake... anche se poteva solo sperare di essere in grado di mantenere quel giuramento. Si erano appena messi in marcia, quando fuori del tempio si udì esplodere uno strido. Era talmente forte, che pure trovandosi all'interno Jake senti un dolore alle orecchie. E avrebbe potuto giurare di sentire il pavimento vibrare sotto di loro. Ripensò all'urlo trionfante che pochi minuti prima aveva scosso l'orda di grakyl. Probabilmente la causa di tanto entusiasmo si era appena manifestata. « È arrivato? » chiese Marika, dando voce ai timori di Jake. Non aveva bisogno di pronunciare nessun nome. Tutti loro sapevano a chi si stava riferendo. « Andiamo », disse Jake.

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Capitolo 25 ₪

SE AVESSIMO ABBASTANZA SPAZIO, E TEMPO...

Bach'uuk li guidò oltre il cuore di cristallo, nel tunnel che si apriva con una tortuosa rampa di strette scale, che si addentrava nei piani più bassi della piramide. I ragazzi procedevano in fila indiana. Jake si accorse che ormai dovevano trovarsi al di sotto della piramide, o forse quest'ultima era in effetti più grande di quanto non sembrasse da fuori. Forse ciò che si trovava in superficie non era che la punta di una struttura molto più estesa. Continuavano a scendere. Finalmente, le scale sfociarono in un'altra stanza, dalla copertura piatta ma di forma circolare. Gigantesche stalattiti di cristalli pendevano dall'alto soffitto, simili alle zanne di un colossale animale fossile, illuminando lo spazio dinanzi ai loro occhi. Jake seguì Bach'uuk nella stanza, ma il ragazzo ur proseguì verso un altro tunnel che si apriva sulla parete opposta. Sembrava che vi cominciassero altre scale. Ma quanto si scende in questo posto? si domandò Jake, mentre osservava attentamente la stanza. Rallentò il passo. Marika e Pindoro si tenevano stretti a lui. Sul pavimento si trovava un marchingegno di proporzioni gigantesche. Era una ruota circolare, tutta realizzata in oro puro. Era stesa per terra in senso orizzontale, con un diametro che arrivava a sfiorare i dieci metri. Aveva il bordo interno segnato da tacche disposte a intervalli regolari, come in un ingranaggio dentato. Una seconda ruota era incastrata dentro la prima. Mentre Jake la stava guardando, la ruota più grossa si mosse di alcuni gradi con un forte schiocco, facendo girare nel contempo anche la ruota più piccola all'interno. Poi si bloccò, come se fosse l'ingranaggio di un orologio. E forse era proprio così. Jake camminò lungo il bordo esterno. Anche se non vi era tracciato nessun segno distintivo, riconobbe la forma. E anche Marika, che lo stava seguendo, intuì la medesima cosa. « È come il calendario usato nella nostra tribù. » Jake annuì. I maya avevano sviluppato un calendario assai dettagliato, che si basava su di un sistema di ruote incastrate insieme a mo' d'ingranaggio. E, ancora una volta, gli si pose la questione di quale delle due cose fosse accaduta prima. Erano stati i maya a costruire quella struttura? O non era invece successo il contrario, che un antico maya fosse stato lì, dove ora si trovavano loro, e fosse poi ritornato a casa ricco di quella nuova conoscenza? Jake continuò a camminare intorno al bordo della ruota. Stando a quanto diceva Marika, la piramide era già lì molto tempo prima dell'arrivo delle tribù, prima ancora che gli uomini di Neandertal si stabilissero nella valle. Cominciava a sorgere in lui il sospetto di trovarsi dinanzi alla possibile fonte di tutta la scienza antica, una conoscenza che era stata scoperta in quel luogo e che i vari popoli avevano portato con sé nella propria terra. Bach'uuk, che aveva già visto quel marchingegno, era rimasto ad aspettarli all'ingresso del tunnel. James Rollins – L’Ombra del Re

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Jake stava per tornare indietro, quando finalmente notò le pareti della stanza. Erano ricoperte da file e file di antiche iscrizioni, dal pavimento al soffitto, dai contorni così netti che avrebbero potuto essere state incise da un raggio laser. Jake percorse con lo sguardo quell'antica scrittura. Che lingua era? Chi l'aveva scritta? Fece scorrere le dita sulle lettere. Dovevano essere stati i costruttori della piramide. Forse gli stessi che avevano trascinato le Tribù Perdute in quel luogo selvaggio. Continuando a camminare lungo il muro, si diresse verso Bach'uuk, le cui sopracciglia sembravano farsi sempre più pesanti per via dell'impazienza. Dovevano proseguire. Ma, quando Jake continuò a percorrere il perimetro della stanza, ecco che gli si parò dinanzi un bassorilievo che mostrava tre cerchi. Jake si allontanò di qualche passo per coglierne una visione globale... ma si bloccò con un piede a mezz'aria. Rimase a fissare come un allocco il primo cerchio, incapace di proferire parola. Si avvicinò un pochino. Anche se i dettagli non erano perfetti, quelle sagome rimandavano chiaramente a una rozza riproduzione cartografica della Terra. Fece scorrere un dito lungo le forme incise nel primo cerchio, mormorando i nomi dei continenti: « Africa, America del Sud, Australia... » Il cerchio successivo mostrava quegli stessi continenti incastrati fra loro, come i pezzi di un puzzle. La costa sporgente dell’America del Sud s'incastrava nel golfo dell'Africa, e così via. L'ultimo cerchio mostrava tutti i continenti fusi insieme a formare un'unica massa. A bocca aperta, Jake si spostò nuovamente per cogliere l'intera visione. Cominciava a capire che cos'era, quello che si trovava davanti ai suoi occhi. All'epoca dei dinosauri, il mondo non era altro che un unico, enorme super continente. Poi un colossale cataclisma, unito alle forze che si agitavano al di sotto della crosta terrestre, aveva finito per separare quell'unica grossa massa di terra, formando così i sette continenti che esistono ancora oggi. Jake deglutì, e borbottò il nome scientifico che serviva a indicare quel super continente rappresentato nell'ultimo cerchio: « Pangea ». Pindoro si trovava spalla a spalla con lui. Gli lanciò un'occhiata stranita. « Non sapevo che parlassi il greco. » Jake lo guardò, aggrottando la fronte. « Che cosa? » « Pangea. È greco. Io l'ho studiato a scuola. » Jake cominciò lentamente a capire. Pindoro aveva ragione. La parola Pangea è in effetti formata da due parole greche, pan, che significa « tutto », e gea, o gaia, che significa « mondo ». Quindi Pangea significa « Tuttomondo ». L'espressione sul volto di Jake era sempre più assorta. Tuttomondo era anche il nome con cui veniva indicato il linguaggio universale di Calipso. Non poteva essere una coincidenza, no? Lanciò un'occhiata a Pindoro, e poi alla mappa. Quindi si voltò lentamente, colpito da un'improvvisa intuizione. I suoi amici non parlavano tuttomondo, ma la lingua della Pangea. Si senti percorrere da un brivido, mentre ancora una volta osservava la mappa. La Pangea era un mondo preistorico, abitato da dinosauri e forme primitive di vita vegetale. Un mondo come quello. Appoggiò il palmo della mano sul super continente. Che sia proprio questo il mondo dove sono finito? All'improvviso capì che non aveva fatto altro che porsi la domanda sbagliata, fin dal primo momento in cui lui e Kady erano piombati lì. La questione non era dove si trovassero, bensì quando. Jake si trovava ancora sulla Terra... ma duecento milioni James Rollins – L’Ombra del Re

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di anni nel passato. « Questa è la Pangea », disse. Marika sembrava disorientata dinanzi alla reazione sbalordita dell'amico. « Jake, c'è qualcosa che non va? » Lui scosse la testa. Non aveva tempo di spiegare, e in ogni caso non era sicuro che avrebbero capito. Non ancora, per lo meno. Pindoro puntò la spada in direzione di Bach'uuk. « Dovremmo andare. » Jake si lasciò trasportare via di lì. Era come se le sue gambe fossero intorpidite dallo shock. Il suono di un forte click attirò i suoi occhi verso il meccanismo che si trovava per terra. Era scattato un altro dentello. La ruota interna più piccola fece un giro. Jake guardò di nuovo la mappa della Pangea scolpita sulla parete. È il tempo che si trova al centro di tutto. Sapeva che quello doveva essere il nocciolo del mistero celato in quel luogo. Stava per andarsene, quando qualcosa di dorato che stava rotolando sul pavimento attirò la sua attenzione. Sembrava una spessa moneta d'oro, che si fermò all'interno dell'anello più piccolo. Jake fece un passo verso l'ingranaggio. Ma è...? « Dobbiamo andare », insistette Pindoro, sollevando la spada. Evidentemente era in pena per la sua città. Ma Jake si sporse oltre il bordo dell'anello esterno, strabuzzando gli occhi per riuscire a vedere l'oggetto che si trovava nell'anello interno. Non era una moneta. Riconobbe la forma. Facendo attenzione alle ruote dentate, entrò nel meccanismo. Poi si chinò, e raccolse l'oggetto. Aveva ragione. Era un orologio da taschino, vecchio e ammaccato. Jake lo esaminò, rigirandoselo tra le dita. Suo padre ne aveva uno proprio come... Fu allora che vide l'incisione sul retro. La vista gli si annebbiò agli angoli, mentre cercava di leggere quello che c'era scritto. AL MIO AMATO RICHARD, UN PIZZICO D'ORO PER FESTEGGIARE ÌL NOSTRO DECIMO CICLO SOLARE INSIEME. CON TUTTO L'AMORE CHE PUÒ ESISTERE SOTTO LE STELLE, PENELOPE Jake ebbe l'impressione che all'improvviso la stanza avesse cominciato a pulsare. Come se una vita, che lui aveva creduto ormai estinta da molto tempo, avesse momentaneamente fatto ritorno. Barcollò di lato andando a inciampare sul bordo dell'anello, e finì in terra con un gran tonfo, ma non se ne accorse nemmeno. Tutto il suo mondo adesso era racchiuso in quell'orologio... e nelle parole che vi erano incise sopra. « Jake? » Marika corse da lui, e gli tese una mano per aiutarlo ad alzarsi. Lui la ignorò, lo sguardo fisso sull'orologio appoggiato sul palmo della sua mano. Le dita si strinsero intorno alla cassa d'oro. Era fredda e dura... ed estremamente reale. « Miracolo », sussurrò appena, quasi temendo che, se avesse alzato la voce, avrebbe potuto sparire. « Questo è l'orologio di mio padre. » Jake non aveva nessuna memoria di come fosse finito in quel lungo e stretto corridoio rozzamente intagliato nella roccia vulcanica. Ricordava di esser stato tirato in piedi e guidato con dolci gesti d'incoraggiamento e caute parole. Ricordava altre scale, e una lastra di pietra che Bach'uuk e Pindoro avevano dovuto aprire a forza di spallate. Il passaggio si trovava dietro quella pietra, un tunnel segreto. Bach'uuk James Rollins – L’Ombra del Re

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faceva strada, tenendo alto in mano un pezzo di cristallo bianco che emanava luce. Proseguirono in silenzio. I suoi amici sentivano che Jake era diventato come uno stagno ricoperto da un sottile strato di ghiaccio, e quindi procedevano con circospezione. Marika era sempre al suo fianco, aspettando che fosse lui il primo a parlare. Jake teneva stretto l'orologio da taschino con entrambe le mani. Era un peso che la forza di un solo braccio non sarebbe stata in grado di reggere. Ci voleva tutto il suo corpo per trasportarlo. « Che cosa significa tutto questo? » mormorò infine, rivolto più a se stesso che a Marika. Quella domanda era come un granello di sabbia che, una volta lasciato rotolare in libertà, si era trasformato in una valanga. Perché l'orologio si trovava lì? Come ci era finito? E quando? Forse suo padre e sua madre erano stati lì? O l'orologio era stato risucchiato in quel luogo per puro caso, com'era accaduto a Jake e a Kady? Se i suoi genitori erano stati lì, perché nessuno gliel'aveva detto, perché nessuno li aveva mai menzionati? Le domande turbinavano mescolandosi ai misteri. Jake si sentì attraversare da un brivido e, alla fine, gli affiorò alla mente un'ultima domanda. Una domanda che lui aveva cercato di tenere lontana con tutte le forze, perché si portava dietro un carico troppo grande di dolore e paura. Potrebbero essere ancora vivi i miei genitori? Era un argomento pericoloso. Se si fosse concesso il lusso di credere a una cosa del genere, e poi si fosse rivelata non vera, sarebbe stato come perdere suo padre e sua madre una seconda volta. E non sapeva se sarebbe riuscito a sopportarlo. Eppure... Abbassò lo sguardo all'orologio. Ne sentì il peso, passò un pollice sopra una delle ammaccature. Quella non era una fantasticheria da bambino, una speranza priva di fondamento. Quello era l'orologio di suo padre... e lui lo stava tenendo in mano. Lo strinse forte, e giunse a una conclusione. Per ora, quello sarebbe stato sufficiente. Non poteva sapere niente di più. Suo padre lo aveva messo in guardia contro i rischi di un'immaginazione sfrenata. Lui diceva sempre che un vero scienziato deve sempre confrontare le ipotesi con la realtà provata. Trasse un profondo respiro. Ecco, lui avrebbe fatto così, anche ora. Aveva trovato l'orologio di suo padre. E quella era una realtà. Ciò che poteva significare rimaneva avvolto nel mistero. Per ora. Una volta pacificato il cuore, potè permettere che le parole incise sul retro della cassa dell'orologio scorressero dentro di lui con tutto il loro calore, come un dolce sorriso di sua madre. Un pizzico d'oro per festeggiare il nostro decimo ciclo solare insieme. L'attenzione di Jake si spostò su ciò che lo circondava. Cominciò ad avere cognizione dell'acqua che gocciolava lungo le pareti. Percepì nell'aria un vago sentore di uova marce. Zolfo che usciva dai fori di sfiato del vulcano. Il tunnel stava diventando più caldo, e anche più umido. Sentì Pindoro dire a Bach'uuk: « Ormai dovremmo trovarci sotto la giungla da almeno una lega ». James Rollins – L’Ombra del Re

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Bach'uuk scosse la testa. « Non manca molto. » « Non fai che dire così! » si lagnò Pindoro. Jake deglutì, e ancora una volta fissò l'orologio da taschino. Con un'unghia fece scattare il meccanismo d'apertura. Adesso si sentiva abbastanza forte per farlo. La cassa era deformata, e dovette far forza sulle cerniere, ma alla fine riuscì ad aprirlo del tutto. La copertura di cristallo non era in condizioni migliori della cassa d'oro. Una crepa irregolare ne attraversava la superficie in tutta la sua lunghezza. E la cosa non fece che riaccendere i timori nel cuore di Jake. Come aveva fatto a ridursi così? Ma le sue paure si attenuarono subito, non appena vide la lancetta dei secondi percorrere il quadrante. Non avrebbe dovuto muoversi. L'orologio era uno di quei modelli all'antica che devono essere caricati girando la minuscola rondella in cima alla cassa. Ma non fu questo ciò che davvero sconcertò Jake, riportandolo totalmente alla realtà. La lancetta dei secondi ruotava a ritmo lento e costante. Ma nella direzione sbagliata. In senso antiorario. L'orologio stava andando indietro! Prima che potesse valutare il significato di ciò, sentì Pindoro gridare: « L'uscita! » jake cominciò a percepire un suono fragoroso. Bach'uuk alzò più in alto il cristallo, in modo da rendere visibile un'imponente cascata d'acqua che scorreva davanti all'imbocco del tunnel. Per forza quel passaggio era rimasto segreto. Il suo ingresso era nascosto sotto una montagna d'acqua! Senza altri indugi, i tre continuarono ad avanzare. Marika lanciò un'occhiata a Jake. Il ragazzo si mise l'orologio in tasca, che riabbottonò con cura, lasciandoci la mano appoggiata sopra, come se non volesse allontanarsene. Poi però incrociò lo sguardo di Marika, e annuì. Capiva bene qual’era la posta in gioco: finché sopra di loro continuava a infuriare la guerra, il mistero dell'orologio avrebbe dovuto aspettare. Eppure non poteva togliersi dalla mente la lancetta dei secondi che girava in senso antiorario. Nella sua testa risentì lo scatto del calendario a ingranaggi mentre girava. E rivide il bassorilievo che mostrava la divisione della Pangea. La chiave di tutti quei misteri stava in un'unica parola. Tempo. E almeno una cosa, Jake la sapeva per certo. Il loro stava per esaurirsi.

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Capitolo 26 ₪

IL LUNGO COMPITO

Gli spruzzi infradiciarono Jake fino al midollo. Bach'uuk li guidò oltre la cascata, facendoli passare attraverso una stretta cengia di roccia. I ragazzi si presero per mano, formando una catena. Un solo passo falso, e tutti quanti sarebbero precipitati sulle rocce appuntite sotto di loro. Ma non era quello l'unico pericolo. Anche se le cateratte dominavano tutto col loro fragore, al di là di esse c'era la giungla, coi suoi suoni rochi, i ruggiti, le grida, i sibili, i ronzii e gli stridi. Alla fine riuscirono a raggiungere il limite della cascata, e la cengia si allargò sotto i loro piedi. Pindoro si scrollò i capelli come un cane bagnato. Tutti si fermarono qualche istante a riprendere fiato. La luna piena era alta nel cielo; mezzanotte era ormai vicina. Gli aromi dei fiori notturni e del terriccio scuro e limaccioso si mescolavano con l'odore dolciastro di decomposizione che emanava l'antica foresta. Era un mondo primordiale, dove per la prima volta la natura si misurava coi semi e le foglie, coi denti e gli artigli, con le radici e i rampicanti. Era la lotta per il formarsi di una nuova vita. Jake guardava nel vuoto con gli occhi sbarrati, ancora sbigottito per ciò che il tempio gli aveva fatto scoprire. Adesso ce l'aveva, un nome per quel mondo. Pangea. E, a questo punto, capiva anche perché la tribù di Neandertal avesse scelto di vivere da quella parte del crinale. Lì albergava una grandiosa bellezza, un universo completamente selvaggio e meraviglioso. Bach'uuk continuava a farli avanzare verso una gola; in alto, sulle pareti ripidissime, si aprivano delle caverne, come finestre sulla facciata di un grattacielo. Alcune delle aperture erano buie, mentre altre risplendevano illuminate da fuochi... fuochi veri, non cristalli luminosi: lingue di fiamme che danzavano scintillando. Jake fece un conteggio mentale. Il numero delle caverne superava di gran lunga il centinaio; forse ce n'erano addirittura duecento. Questo non era un minuscolo villaggetto di ur, ma assomigliava piuttosto a una prospera metropoli. « Non avrei mai immaginato... » disse Marika. « È enorme! » esclamò Pindoro. Jake sentì una nota di speranza nella voce di Pindoro. Se si poteva convincere la tribù ad accorrere in difesa della città, forse c'era una possibilità di riuscire a respingere le forze del re Teschio. Bach'uuk finse di non udire le loro parole, o lo stupore che si celava dietro di esse. Ma, mentre continuava a camminare, sembrava che la sua statura fosse aumentata di qualche centimetro. I vari livelli su cui erano disposte le abitazioni erano collegati fra loro da rudimentali scale a pioli, mentre tralci di rampicanti si rincorrevano tra un piano e l'altro, reggendo cesti, secchi e ganci. Era come una città capovolta, dove il traffico scorreva James Rollins – L’Ombra del Re

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dall'alto verso il basso. Era evidente che il popolo di Neandertal nutriva un grande timore per i pericoli della giungla. Le caverne più basse si aprivano infatti molto lontano da terra, e si vedevano sporgere file di tronchi d'alberi appuntiti come spini. Dalla prima caverna sbucò un'alta figura irsuta, vestita con abiti di pelle cucita, che si rivolse a Bach'uuk parlando la lingua ur. L'espressione sul suo viso non era molto cordiale. Bach'uuk indicò il loro gruppetto e gli rispose. Seguì una breve discussione, ma alla fine l'uomo alto fece una smorfia e rientrò. Bach'uuk tornò verso di loro. « Kopat radunerà i nostri Anziani. Sanno dell'aggressione, ma gli ur non prendono decisioni affrettate. » « Ma che cosa c'è da decidere? Una volta terminato il lavoro con Calipso, il re Teschio porterà la guerra fin qui nelle vostre caverne », fece Pindoro. Bach'uuk si strinse nelle spalle. Dal momento che non avevano altra scelta se non aspettare, la mente di Jake mise da parte tutti i misteri della giornata per rivolgersi invece a una preoccupazione più immediata. Kady. Non aveva idea di dove fosse, né di cosa stesse facendo. Cominciò a evocare orribili scenari, al punto che i timori per lei gli accelerarono il ritmo della respirazione. Ma, prima che il panico riuscisse a prendere il sopravvento su di lui, l'uomo alto tornò da loro. Questa volta parlò in tuttomondo. « Venite. Gli Anziani vi ascolteranno. » La sua espressione non era più amichevole di prima, ma si girò e li condusse dentro. Bach'uuk sollevò un braccio e bloccò Pindoro che stava per oltrepassare la soglia. « Come straniero, non puoi portare un'arma alla presenza degli Anziani. » E allungò una mano per prendere la spada del grakyl. Le spalle di Pindoro crollarono, ma il ragazzo gliela passò. Stringendo l'arnia, Bach'uuk fece strada. Non ci volle molto perché Jake si sentisse completamente perso in quel labirinto. Lungo il percorso, vide altri membri del popolo degli ur. La maggior parte di loro si ritraeva, ma la curiosità li faceva rimanere nei paraggi. Tutt'a un tratto, il tunnel si allargò in una caverna naturale, al cui centro si trovava un piccolo specchio d'acqua che rifletteva le fiamme di un fuocherello. Anche le pareti risplendevano dello stesso bagliore. Vi era stato dipinto un vasto paesaggio, che mostrava una giungla selvaggia dove giganteschi sauri si spostavano pesantemente, e ovunque correvano, volavano o strisciavano bestie di ogni specie. Col guizzare delle fiamme, sembrava che gli animali danzassero. Marika camminò lungo la parete allungando il collo per vedere meglio. I suoi occhi luccicavano di meraviglia. Da un tunnel che si apriva dietro il fuoco, tre figure emersero dall'ombra. Avevano la schiena piegata dall'artrite, e i capelli ormai bianchi. Arrancavano appoggiandosi a grossi bastoni, che erano stati decorati con cristalli luminosi e ciondoli di bronzo lucido che riflettevano la luce del fuoco, creando un effetto che sembrava far danzare ancora di più gli animali dipinti sulla parete. Gli occhi dei tre uomini sembravano pressoché ciechi, in grado soltanto di distinguere la luce e il buio. Si lasciarono cadere pesantemente sulla roccia che si trovava vicino alle fiamme. Questi non erano soltanto degli Anziani; l'aggettivo più adeguato era Antichi. James Rollins – L’Ombra del Re

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Quello al centro parlò a Bach'uuk nella lingua degli ur, e questi chinò il capo e rispose. Tre paia di occhi si voltarono a fissare Jake. I loro sguardi gravavano su di lui, come se cercassero di penetrare dentro la sua mente. « Perché siete venuti da noi? » chiese l'Anziano di mezzo. Jake deglutì. « Veniamo a chiedervi di unirvi a noi nella lotta contro il re Teschio. » Le tre paia di occhi si limitavano a fissarlo, e null'altro. « Calipso cadrà, se non riuscirà a trovare altro aiuto », insistette Jake. « Tutte le cose hanno una fine », sussurrò l'Anziano di sinistra, con voce roca. « Ogni vita esiste soltanto nel breve periodo segnato dal battito del cuore », aggiunse quello di destra. L'Anziano al centro concluse quello che sembrava essere un antico proverbio: « Un cuore soltanto segna il tempo per il lungo computo ». Sollevò le mani vetuste e con le dita ossute formò un triangolo. Doveva riferirsi alla piramide, e al cuore di cristallo che pulsava al suo centro. L'Anziano abbassò le mani. « E il tempio soltanto sarà ancora qui, quando tutti noi saremo spariti. Così è stato detto, fin dal tempo in cui gli ur sono giunti per la prima volta in questa terra, e hanno camminato nella sua grande ombra. Nient'altro conta. » Jake si ricordò della storia che gli aveva raccontato Marika, di come la prima delle Tribù Perdute avesse scoperto questo popolo già stabilito lì. Anche gli uomini di Neandertal erano stati strappati dalla loro terra, e dal loro tempo, ed erano stati catapultati lì. Ma questo era avvenuto quanto tempo prima che arrivassero le altre tribù? « Quindi voi non ci aiuterete? » sbottò Pindoro, furioso. Non ci furono esitazioni. Nessun segno di scusa. E nemmeno di rammarico. Soltanto un rapido: « No ». « Ma voi dovete aiutarci », supplicò Marika. « Non è nel nostro costume », rispose l'Anziano, come recitando una litania che riecheggiava le parole pronunciate da Bach'uuk poco prima. « Noi non siamo come il popolo di Calipso. Una battaglia come questa, che si consuma nel breve termine, non è qualcosa che possa coinvolgere gli ur. Noi serviamo soltanto il tempio, perché esso segna il lungo computo. » Jake lo capiva, questo discorso. Il tempio aveva protetto gli ur quand'erano giunti in questa terra, e la venerazione per esso si era profondamente radicata nella popolazione. « Che sarà, sarà. Ma il tempio esisterà per sempre », concluse l'Anziano, con tono perentorio. Insomma, era chiaro che la città di Calipso non poteva aspettarsi nessun aiuto dal villaggio. Gli ur non intendevano smuoversi dalla loro posizione. Eppure, forse questo non valeva proprio per tutti gli ur. Bach'uuk si fece avanti. « Questo non è giusto. » Gli Anziani si voltarono lentamente verso di lui, mostrando un'evidente sorpresa. Bach'uuk continuò: « Ho visto molte cose, in quest'ultimo giorno. Carne che si trasforma in ghiaccio. Uomini che camminano avvolti nell'ombra. Mostri armati di spade » sollevò l'arma che avevano preso al grakyl reale, « e ho visto anche il cuore del tempio oscurato dal veleno ». Nell'udire queste parole, l'Anziano che si trovava più al centro gli fece cenno di mostrargli la spada. Gli altri sembravano assai meno colpiti. « La piramide esisterà sempre », salmodiò James Rollins – L’Ombra del Re

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uno dei due, e l'altro annuì. L'Anziano al centro si soffermò a esaminare l'arma che Bach'uuk gli aveva portato. Dalle reazioni dei tre, Jake dubitava che il giovane ur, mettendoli in guardia sulla possibilità di una minaccia al tempio, avesse scelto le argomentazioni giuste. I suoi occhi vennero attirati dalla spada. Quando Bach'uuk la girò verso la luce del falò, divenne visibile un simbolo impresso a fuoco nell'elsa. Prima, quando aveva passato l'arma a Pindoro, Jake era riuscito a scorgerlo di sfuggita, ma poi, con la confusione che era seguita, se ne era completamente dimenticato. Il simbolo risplendeva nel bagliore delle fiamme. E Jake, esterrefatto, lo riconobbe. Era un simbolo che conosceva bene, perché lo aveva già visto nella sua vita precedente. Era stampato in fondo al biglietto d'invito alla manifestazione del British Museum. Ed era cesellato sul fermacravatta indossato da Morgan Drummond, la loro guardia del corpo a Londra. Jake si sforzò di capire quale potesse essere il senso di ciò che stava vedendo. Si trattava evidentemente di un grifone, il logo aziendale della Bledsworth Sundries & Industries, Inc. Che cosa ci fa, quaggiù? Si avvicinò di più al fuoco, per esaminare meglio il segno. Bach'uuk notò il suo interesse, e Jake indicò l'elsa della spada. L'Anziano strinse le palpebre. « Un simbolo di corruzione. È un mostro composto da parti di bestie differenti. » « Ed è anche il simbolo del re Teschio », aggiunse Bach'uuk. Jake si ricordò di quanto gli aveva raccontato Marika di re Kalverum, che aveva usato il diaspro sanguigno per contaminare gli animali, trasformandoli in creature mostruose. Bastava solo pensare al grakyl, per stimare il risultato della sua malvagia alchimia. E anche il simbolo del grifone ricordava un po' l'immagine di un grakyl. Mentre Bach'uuk continuava a parlare a bassa voce all'Anziano, la mente di Jake era tutto un mulinare di pensieri. Qual’era il nesso, in tutta quella storia? A ogni nuova scoperta il mistero s'infittiva sempre di più. La mano gli scivolò in tasca e si strinse intorno all'orologio di suo padre. A ogni nuova scoperta, i fili che legavano il mondo moderno alla Pangea sembravano stringersi sempre di più. Ma che cosa significava tutto ciò? Jake osservò il grifone. Anche se non era in grado di provarlo, sapeva che nel mondo di Pangea stava accadendo qualcosa di più, qualcosa che doveva essere legato alla Bledsworth. Dall'altra parte del falò, Bach'uuk si stava infervorando sempre di più, mentre perorava la sua causa parlando la lingua madre degli ur. Jake non capiva niente, ma sentì citare la parola scienza. Bach'uuk stava facendo una pantomima con la torcia, e spiegava la faccenda del suo raggio refrigerante. Tutti e tre gli Anziani tenevano aggrottate le folte sopracciglia grigie. E tutt'a un tratto, Bach'uuk cominciò a implorarli in tuttomondo. « Noi ur abbiamo condiviso la nostra valle, come fa una madre con un bimbo, abbiamo offerto alle altre tribù la protezione che essa ci aveva concesso. Eppure adesso ce ne rimaniamo chiusi nelle nostre case, e li lasciamo morire. Questo non è giusto. Una madre non abbandona il suo bambino. » L'Anziano al centro scosse il capo. Per la prima volta, nella sua voce si poteva distinguere una sincera nota di rammarico. « Le vite James Rollins – L’Ombra del Re

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sono brevi. Non abbiate paura. La paura esiste soltanto nel breve periodo. » Jake intuì che Bach'uuk aveva bisogno di sostegno, e si fece avanti. Cercando un modo per dare sostanza all'argomentazione del suo amico, mostrò loro la sua torcia, e affermò con decisione ciò in cui lui stesso aveva iniziato a credere sempre di più: « Quest'oggetto viene da un mondo che si trova al di là di qualsiasi breve periodo. Esso ha viaggiato sin qui da un tempo lontano ». Un tempo molto, molto lontano, pensò. Per l'esattezza, duecento milioni di anni nel futuro. « E io credo che da quello stesso tempo tanto lontano una nuova minaccia per il tempio possa estendersi sin qui. » Gli Anziani fissavano la torcia, non tanto con timore quanto con curiosità. Doveva assolutamente convincerli del pericolo. Svitò il coperchio e scrollò la torcia, facendosi scivolare le batterie nel palmo della mano. « Questi oggetti racchiudono sia l'alchimia del vostro tempo, sia la scienza del mio. E, nelle mani sbagliate, questa combinazione è una minaccia per tutti. Anche per il tempio. » Buttò le batterie in mezzo al fuoco. Doveva fare in modo che gli Anziani capissero la piena portata del pericolo. Se aveva visto giusto, se davvero esisteva un legame tra il suo mondo e la Pangea, allora bisognava fare qualcosa, prima che fosse troppo tardi. Le batterie si surriscaldarono, e Jake fece segno a tutti di stare indietro. Anche se ormai erano esaurite, potevano ancora essere pericolose. Esposte alla fiamma, potevano... Entrambe le pile esplosero nello stesso momento, con uno scoppio più debole di quanto non avesse sperato Jake. Il risultato secondario, però, superò di gran lunga le sue aspettative. Apparentemente, nella batteria della torcia era rimasto immagazzinato un residuo dell'alchimia refrigerante del cristallo blu. Le fiamme si spensero. I tizzoni ardenti divennero neri e freddi all'istante. Ma ciò che fece ancora più effetto fu lo specchio d'acqua accanto al falò, che si ritrovò coperto da una consistente crosta di ghiaccio. Nessuno si mosse. Tutti erano rimasti senza parole dinanzi a quello spettacolo. Prima che qualcuno potesse prendere la parola, la loro attenzione venne attirata da un movimento all'ingresso della stanza. Un membro della tribù ur condusse dentro la sala una giovane donna che indossava un'uniforme da esploratrice romana, tutta sporca di sangue. Altri due ur portavano un secondo soldato, un uomo più anziano, con l'armatura da centurione. Aveva una gamba rotta, e la testa ciondoloni; sembrava a malapena cosciente. L'esploratrice si accorse di Jake e degli altri. La sua unica reazione fu un guizzo di sorpresa, che la donna si affrettò a soffocare. Poi si rivolse agli Anziani. « La valle è stata sconfitta. Kalakryss appartiene all'orda dei grakyl. Il Popolo del Vento è stato scacciato dalla vallata, e l'ultimo dei cavalieri è riuscito per un soffio a scappare attraverso il Passo del Serpente. Calipso ormai è nelle mani del re Teschio. » Dopo alcuni minuti di confusione e domande concitate, Pindoro finalmente chiese: « Che ne è di mio padre? » « Non saprei dire », rispose l'esploratrice. « La città è stata presa d'assedio dall'orda. La maggior parte degli abitanti se ne sta nascosta nelle case e nelle soffitte. Si sa poco. Ma gira voce di una richiesta. Da parte del re Teschio. » « Che genere di richiesta? » La donna lanciò un'occhiata a Jake. « Di consegnare gli stranieri. Abbiamo tempo fino al sorgere del sole, per obbedire. Si stanno già preparando ad appiccare il fuoco alla Foresta Sacra, per stanare la ragazza col fumo. Ma, se per le prime luci dell'alba non saremo in grado di consegnarli tutti e due, l'orda comincerà a massacrare gli abitanti della città. » Tutti gli ocJames Rollins – L’Ombra del Re

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chi si voltarono verso Jake. Il ragazzo poteva leggere la domanda che affiorava dalle loro espressioni: Che cosa voleva re Kalverum da lui e da sua sorella? Jake non si sentiva per nulla più saggio di loro, e scosse la testa, ammettendo la propria confusione. L'esploratrice riprese a parlare: « L'Anziano Tiberio ci ha inviato a parlare con gli ur. A chiedere il loro aiuto ». « Lo stesso motivo per cui siamo venuti qui anche noi », intervenne Pindoro. « Ma loro non ci aiuteranno. Va contro i loro costumi », aggiunse Marika. L'esploratrice scrutò Jake con occhi duri. « Allora forse la mia spedizione fin qui non è stata inutile. Se gli ur non ci possono aiutare, la sola speranza per Calipso sta nell'adempiere alla richiesta del re Teschio. Almeno per ora. » Marika trasse un respiro angosciato. « Che cosa? Non starete pensando di abbandonare Jake e sua sorella nelle mani di quel... » Jake le toccò il braccio, per farla tacere. Se c'era qualche speranza di evitare un massacro a Calipso, lui avrebbe dovuto consegnarsi al re Teschio. Ma una voce roca li interruppe, decisa e irremovibile: « No ». Jake si voltò, e vide che l'Anziano lo stava indicando. La voce del vecchio si abbassò, fino a trasformarsi nel profondo sussurro di un monito: « Una grande tempesta sta montando attraverso il tempo. Sorge dal passato, e si diffonde fino a raggiungere gli anni futuri. E si ferma in un turbine intorno a questo ragazzo. Questo abbiamo vaticinato leggendo le stelle. Per questo avevamo dato a Bach'uuk il compito di sorvegliarlo ». Jake sussultò, colto di sorpresa. « Gli stranieri non devono essere gettati nelle tenebre », concluse l'Anziano. « Ma Calipso... » disse Jake. L'Anziano ur puntò il bastone verso lo stagno ghiacciato. « Con questo, tu hai provato chi sei veramente. Davvero sei arrivato viaggiando attraverso un tempo lontano. Come il tempio. » Col bastone batté una volta sul pavimento di pietra. « Per proteggere gli uni e l'altra, gli ur si solleveranno contro l'ombra che è caduta sopra la valle. » « Allora combatterete? » chiese Pindoro. Negli occhi di Marika si era accesa una scintilla di speranza. « Se vogliamo continuare il nostro cammino, non abbiamo scelta. » Jake si sentì come nudo, sotto lo sguardo del vecchio. « La grande tempesta incombe su tutti noi. »

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Capitolo 27 ₪

IL PORTALE DEL SERPENTE

La luna piena si stagliava contro il passaggio orientale. A differenza del Portale Spezzato, che si trovava sul versante occidentale della vallata, questo era ancora tutto intero. Una scultura di pietra si estendeva ad arco sul passaggio, nero segno di malaugurio. Essa riproduceva la forma arricciata di un serpente a due teste avvolto su se stesso: una testa era rivolta a sud, e l'altra a nord. Era la stessa forma che Jake aveva visto sulla mappa nella biblioteca di Maestro Balam, e anche scolpita nell'oro al British Museum. Jake camminava a passo spedito lungo il sentiero, seguendo l'esploratrice romana e il massiccio guerriero ur di nome Kopat. Dopo di lui veniva Marika, insieme con Pindoro e Bach'uuk. Dietro, una lunga fila di membri della tribù ur, ciascuno dei quali portava un'arma: pertiche appuntite, asce di pietra, rozze bolas realizzate con sassi e strisce di pelle. Jake aggirò uno sperone di roccia che bloccava il passaggio. Più avanti lungo il sentiero, in fondo a un canalone, si era raggruppata una dozzina di othnielia pronta a essere montata, evidentemente nervosa. I cavalieri erano tutti uomini e donne molto giovani, appena più grandi di Jake, ma la paura li faceva sembrare ancora più giovani. Kopat si spostò di lato, radunando tutti gli ur in un gruppo. L'esploratrice romana, insieme con Jake e gli altri, si avvicinò invece alla sua squadra di othnielia. « Dov'è il centurione Porzio? » chiese uno dei cavalieri. L'esploratrice rispose: « Ha una gamba rotta. Non è più in grado di cavalcare. Gli ur si prenderanno cura di lui ». « E chi ci guiderà, allora? » chiese un altro. Evidentemente la vista del contingente di Kopat, con le loro armi primitive, non aveva acceso in lui molte speranze. Come la maggior parte degli abitanti di Calipso, non doveva nutrire molta fiducia nelle capacità degli ur per tutto ciò che andava oltre i compiti più umili. La donna romana si voltò verso Pindoro. « Adesso che il centurione Porzio è fuori uso, abbiamo una sella libera. » Tra le file dei cavalieri si diffuse un'onda di mormorii. « È il figlio di Tiberio... » « No, non Ero... quell'altro... » « Che disdetta... » Pindoro finse di non sentirli. La donna si avvicinò a un othnielia dall'aspetto terrificante, con un occhio accecato eia una brutta cicatrice dai bordi frastagliati. Se ne stava in disparte, lontano dagli altri, scalciando contro un mucchietto di sassi e fango. Jake indietreggiò. Se quella lì era la cavalcatura del centurione, non c'era da meravigliarsi che si fosse rotto una gamba. Anche al buio, l'espressione di malessere sul volto di Pindoro era facile da decifrare. Prima che potesse muovere un solo passo, che fosse per avvicinarsi alla cavalcatura abbandonata o per fuggire da essa, dietro di loro si sentì risuonare un corno. Nell'udire quel lamento di richiamo, Jake si sentì attraversare da un'ondata di briviJames Rollins – L’Ombra del Re

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di. Voltandosi, vide che tutti gli ur si erano radunati in fondo al sentiero. C'erano oltre cinquanta uomini. Un bel numero, ma era solo una parte del villaggio ur. Dove sono tutti gli altri? Kopat si era piazzato in cima a un macigno, a gambe larghe, con una specie di conchiglia a spirale alle labbra. Suonò di nuovo, e la cupa nota prolungata si levò fino alla luna col suo mesto richiamo. Ed ebbe una risposta. Fuori, nella giungla, risuonò un altro corno. Dallo scuro intreccio di vegetazione, emerse una grossa testa di rettile, che si levò in alto inondata dalla luce della luna. Raggiungeva per lo meno l'altezza di un edificio di dieci piani. Jake riconobbe quel lungo collo e la testa arrotondata. Era un brontosauro. Che cominciò a muoversi pesantemente verso di loro. Dietro si sollevò un'altra testa... e poi un'altra... e un'altra ancora. Come un prato di soffioni, davanti ai loro occhi venne a formarsi un intero branco di brontosauri. Erano in sette! E cominciarono tutti quanti ad avanzare lentamente. Il primo uscì dal sottobosco e si mise ad arrancare lungo il sentiero, in direzione del passo. Agganciati ai fianchi dell'enorme animale con delle imbracature di corda, vi erano i guerrieri ur. Simili a pulci sul corpo di un cane. Un prode guerriero sedeva su di un'alta sella, dietro la testa del bestione, dondolando a ogni sua falcata. E gli altri brontosauri venivano dietro, anch'essi ricoperti da un manto di guerrieri. La donna romana urlò alle Guardie Sellate: « In groppa! » Alcuni risposero al tono acuto della sua voce, ma gli altri avevano un'aria incerta... come se temessero di tornare ad avventurarsi nella valle. Marika tirò da parte Pindoro e Jake. « Non è uno spettacolo incredibile? » disse Pindoro, che non riusciva a distogliere gli occhi dalla lenta avanzata dei brontosauri. Marika li tirò indietro di un altro passo. « Sì, certo, l'attacco a sorpresa metterà in crisi l'orda dei grakyl, ma per quanto? Il re Teschio ha demoni ben più potenti al proprio comando. Peggiori dei grakyl. » « Ma che altro possiamo fare? » chiese Pindoro. Marika puntò lo sguardo su Jake. « L'unica vera possibilità di vittoria che abbiamo è ripristinare lo scudo protettivo del tempio. Senza di quello, siamo spacciati. » Jake rivide dentro di sé l'immagine dello smeraldo, contaminato fin nel suo nucleo più profondo da ombre cangianti. « Ma come? » « La tua scienza non potrebbe aiutarci a rimettere in sesto la pietra? A scacciare le ombre che le hanno avvelenato il cuore? Non puoi evocare il potere di quella tua elettro città? » Jake scosse la testa. « Non ho più batterie. Non c'è modo di generare altra elettricità. E, anche se fossi in grado di farlo, non sono sicuro che potrebbe rimettere a posto la pietra di smeraldo. » Eppure, Jake non riusciva ad accettare di lasciar perdere così. Cominciò a passare in rassegna tutti i modi possibili per produrre elettricità: vento, vapore, carbone, energia geotermica o solare... Tutti quanti andavano oltre le sue capacità, e certamente oltre il livello di tecnologia che avevano raggiunto lì. Doveva esserci una soluzione. La mano gli andò alla tasca e sfiorò l'orologio. Se suo padre fosse stato lì, lui sì che avrebbe saputo che cosa fare. Ma lui non c'era. Le dita di Jake si strinsero intorno alla cassa d'oro. Era possibile che i suoi genitori fossero ancora vivi? James Rollins – L’Ombra del Re

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« Dev'esserci un modo per scacciare le ombre dal cuore della pietra », disse ancora Marika. Jake quasi non la sentì neppure. Ma, in un angolo della sua mente, le parole pronunciate dalla ragazza fecero breccia, penetrandogli nel cervello... scacciare le ombre... mentre lui, nel frattempo, continuava a lambiccarsi con la giostra dei vari possibili metodi per generare elettricità. Carbone, vento, vapore, energia nucleare... Poi, tutt'a un tratto, capì. E s'irrigidì... quel tanto perché Marika se ne accorgesse. « Che c'è che non va, Jake? » Quasi aveva paura di risponderle, che parlare gli facesse perdere il filo dei pensieri. Ripassò ogni cosa nella mente una seconda volta. Rivide i ciondoli di bronzo che decoravano i bastoni degli Anziani ur, i riflessi che danzavano sulle pareti affrescate. Dovette chiudere gli occhi. « Jake? » insistette Marika. Ma il ragazzo stava calcolando che cosa sarebbe stato necessario... l'inclinazione, l'angolo, la distanza. « Per farlo dovremo essere in tre », stabilì infine, parlando ad alta voce. « Per fare cosa? » chiese Pindoro. Jake si voltò verso i suoi amici. « Dobbiamo tornare alla piramide. » A quel punto, li aveva raggiunti anche Bach'uuk. Aveva assistito all'avanzata del suo popolo con uno scintillio di orgoglio negli occhi. « Bach'uuk, ci potresti guidare fino al tempio? » Il ragazzo annui. « Se volete. » « Prima di partire, dovremo procurarci anche una corazza. » Marika lo afferrò per un braccio. « Jake, che cos'hai in mente? Hai trovato un modo per rimettere a posto il cristallo di smeraldo? » « Forse. » Era un'idea azzardata, ma, se aveva ragione, poteva anche spiegare come mai re Kalverum avesse aspettato proprio la notte, per sferrare il suo attacco: non aveva altra scelta. « E come farai a rimetterla a posto? » gli chiese Pindoro. « Con la batteria più antica e più grande del mondo », rispose Jake. Quando ebbe esposto il suo piano, lo sguardo di Pindoro si fece assente per qualche istante. « Pensi che funzionerà? » chiese Marika. Jake non aveva ragione di mentire. « Non lo so. » « E se fallissi? E se ti sbagliassi? » Lui si strinse nelle spalle. « Allora saremo spacciati. Ma, come hai detto anche tu, Mari, tanto siamo spacciati comunque. » « Volete smetterla di ripetere in continuazione la parola spacciati, voi due? » li rimbrottò Pindoro. Non aveva l'aria di sentirsi molto bene. « C'è qualcuno che ha un piano migliore? » Nessuno parlò. Jake stava cominciando a elaborare i dettagli, ma Pindoro interruppe il flusso dei suoi pensieri. « Questo tuo piano... ci vorrà una coordinazione perfetta. » Jake annuì. « ... e un diversivo potrebbe essere di aiuto », aggiunse il giovane romano. Prima che Jake potesse dirsi d'accordo, il suo amico lanciò un'occhiata alla squadra di Guardie Sellate, che senza troppo entusiasmo stava prendendo posto sulle proprie cavalcature. L'espressione sui loro volti fluttuava dalla speranza, portata dall'avanzare della tribù ur, alla disperazione per ciò cui avevano assistito a Calipso. Sempre col capo girato verso di loro, Pindoro riprese a parlare: « Jake, hai detto James Rollins – L’Ombra del Re

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che hai bisogno di tre persone. Il mio posto, potrebbe prenderlo Bach'uuk? » Marika sfiorò il gomito del ragazzo. « Abbiamo bisogno di te, Pin. » Lui cominciò ad allontanarsi. « Avete bisogno di tre persone. Non di me. Non è così, Jake? » Jake riconobbe la tensione nella voce dell'amico. E sapeva che non era frutto della paura, ma della determinazione. Pindoro non stava cercando di sottrarsi a quella missione pericolosa. In realtà, la sua intenzione era di lanciarsi in mezzo a fiamme ancora più alte. « Tre dovrebbero andar bene », rispose Jake. Pindoro annuì. Afferrò il polso che Jake gli aveva porto come gesto benaugurate, e si avviò, diretto al gruppo di Guardie Sellate. « Pin! » lo chiamò Marika. Jake appoggiò una mano sul gomito di Marika. « Pindoro sa quello che sta facendo. » Il giovane romano aveva dimostrato grande abilità in campo tattico. Era riuscito a individuare il punto debole del piano di Jake, e stava cercando di porvi rimedio. Perché l'impresa potesse avere una minima possibilità di riuscita, la coordinazione dei tempi doveva essere impeccabile. E un diversivo poteva fare la differenza tra il successo e il fallimento. « Aspettate il suono dei corni! » gridò loro Pindoro, allontanandosi. Mentre gli altri cavalieri montavano in sella, l'esploratrice romana stava ancora cercando di domare il gigantesco othnielia con la cicatrice. Quando Pindoro si avvicinò a quel bestione cocciuto, alle sue spalle si accese una scia di sbuffi di derisione. La bestia batté a terra una zampa, e per poco non tranciò via a Pindoro tutte le dita del piede. Ma lui rimase impassibile. Sollevò una mano e l'appoggiò sul suo collo coriaceo, mentre con l'altra si cercò in tasca il fischietto. « Fallo un'altra volta, Occhio Guercio, e il prossimo paio di sandali me lo farò con quella tua pellaccia squamosa », disse. L'othnielia ruotò il testone quadrato e puntò su Pindoro l'occhio sano. I due si fissarono. Il sauro fu il primo a cedere. Pindoro fece un balzo, agganciò una staffa, e si lanciò sull'alta sella. Si muoveva come se quei gesti li avesse già fatti migliaia di volte... e forse era proprio così, pensò Jake, se non altro nella sua immaginazione. Poi Pindoro si rivolse ai suoi compagni Guardie Sellate. « Che cosa state aspettando? Dobbiamo salvare Calipso! » L'esploratrice romana rimase a guardarlo a bocca aperta ancora per un altro istante, poi sfrecciò dalla sua bestia e saltò in sella. Al grido d'incoraggiamento di Pindoro, le Guardie Sellate s'incamminarono lungo il sentiero già percorso dagli ur in groppa ai loro brontosauri. Il corteo saliva lentamente verso l'enorme arco scolpito col serpente a due teste. Jake si voltò verso Marika e Bach'uuk. Adesso erano solo loro tre. E i suoi dubbi divennero ancora più forti. Come potevano sperare di sconfiggere il re Teschio da soli? Ma negli occhi di Marika c'era una scintilla di speranza, e Bach'uuk incrociò il suo sguardo con stoica determinazione. Jake trasse forza dai suoi amici. Sollevò un braccio e lo puntò dietro di sé, lungo il sentiero che seguiva il crinale. « Meglio sbrigarsi. »

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Capitolo 28 ₪

DIFESA ESTREMA

Ricoperti dalle armature di bronzo che Bach'uuk aveva preso in prestito da un fabbro giù al villaggio degli ur, ripercorsero a ritroso il sentiero verso la piramide. Che, rispetto alla prima volta, parve loro tre volte più lungo. L'incalzare del tempo si era fatto talmente pressante, che Jake avrebbe giurato di poter percepire il moto del Sole intorno alla Terra che avanzava inesorabile verso un nuovo giorno. Il peso del pettorale era sufficiente a ricordargli il fardello della sua responsabilità. E, a ognuno dei passi pesanti, la sua angoscia diventava sempre più grande. E se fallisco? E se mi sbaglio? Finalmente, Bach'uuk guidò di nuovo Marika e Jake all'interno dei piani inferiori della piramide, dove cominciarono a salire rapidamente verso la camera del cuore di cristallo. Quando Jake attraversò la stanza col calendario maya, il suo sguardo si soffermò sullo strano linguaggio inciso sulle pareti, sulla mappa di Pangea, e sulle due ruote appoggiate sul pavimento. Dentro la tasca, la mano si strinse intorno all'orologio di suo padre. Avrebbe voluto fermarsi, e in effetti i suoi piedi rallentarono un poco... ma quel mistero avrebbe dovuto aspettare. Si costrinse invece ad affrettare il passo su per le scale di pietra che conducevano alla stanza al piano superiore. La camera principale appariva esattamente come l'avevano lasciata. C'era sempre quella strana pressione che pulsava a ogni giro del cuore di cristallo. I bizzarri glifi giravano e ruotavano in centinaia di combinazioni, mentre la sfera oscillava al centro dello spazio ricoperto dalla cupola. E, sotto quella sfera gigantesca, altre due ne risplendevano, più piccole, una di un color cremisi carico, e l'altra di un blu vivace con delle sfumature argentate. Jake s'inginocchiò per dare un'occhiata più da vicino, mentre Marika rimase dietro di lui, facendo timidamente capolino da sopra una spalla. « Che te ne pare? Siamo arrivati troppo tardi? » gli chiese. « Non lo so. » Il cuore della pietra di smeraldo era tutto un turbinio di ombre cupe, un gorgo color inchiostro che urlava morte e corruzione. Non avevano più molto tempo, ormai. Jake si alzò e lanciò un'occhiata verso l'ingresso principale della piramide. Il tunnel saliva con una forte pendenza, nero come la pece. Da un momento all'altro si aspettava di vedere sbucare un'ondata di diabolici grakyl. « Andiamo », disse, e si avviò per primo verso l'imbocco. Poi si girò verso Marika. « Tu rimani qui nella camera. Io mi porto Bach'uuk più in su lungo il tunnel. Sai quello che devi fare, vero? » Marika spalancò gli occhi per la paura... parte della quale era per Jake. « Sii prudente. » Jake annui, anche se il suo piano era quanto di più lontano ci potesse essere dalla prudenza. Stava per andarsene, quando Marika all'improvviso gli si slanciò addosso e lo abbracciò forte. Poi lo lasciò andare. Jake si senti invadere da un'ondata di calore, e arrossì. Aprì la bocca, ma non trovò le parole. James Rollins – L’Ombra del Re

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« Va', cosa aspetti? » gli disse lei, e lo spinse via. Jake sbatté le palpebre. Era ancora senza parole. Non gli rimaneva dunque nient'altro da fare che girarsi di scatto e avviarsi di buon passo su per la salita del tunnel. Il cuore gli batteva forte nel petto, ma questa volta era una sensazione positiva. Quando ebbe percorso metà della strada, e ormai Marika non si vedeva quasi più, si fermò di nuovo e disse, rivolto a Bach'uuk: « Tu rimani qui e tieniti pronto. Io devo salire da solo ». Bach'uuk afferrò Jake per gli avambracci, nella tipica stretta degli ur. Jake gli restituì il gesto. Entrambi stavano per affrontare un rischio di proporzioni enormi; un rischio che avrebbe potuto costar loro la vita. Continuò da solo lungo l'ultima parte del tunnel. La galleria buia divenne un po' più luminosa quando comparve lo sbocco dell'uscita. L'apertura rotonda della piramide era occupata dal cielo stellato. A mano a mano che si avvicinava, Jake rallentava sempre più l'andatura... e aveva davvero un ottimo motivo per farlo. A tratti, le stelle venivano nascoste da strane chiazze d'ombra. Jake udiva soffi e stridi accompagnati dal battito di ali coriacee e dal raschiare di artigli sulla pietra. L'orda dei grakyl si era raccolta proprio fuori dell'imbocco del tunnel. Jake avanzò lentamente, finché non si sentì il corpo percorso da uno strano prurito, che gli fece accapponare la pelle. La stessa sensazione che aveva provato anche la prima volta che era saltato lì dentro, così come anche quand'era passato attraverso il Portale Spezzato; un secolo fa, o almeno così gli sembrava. Solo che, adesso, dell'energia di quel pizzicore non era rimasto altro che una tenuissima eco. Questo era tutto ciò che rimaneva dello scudo. Ma, a quanto pareva, era ancora abbastanza forte da tenere l'orda dei grakyl fuori del tempio. O almeno, così sperava Jake. Rimase lì in attesa, senza fare nulla, immerso in quel formicolio. Con lo sguardo, percorse la vallata che si estendeva fuori del tunnel. Stando così in alto, riusciva a scorgere persino la muraglia orientale. Il cielo aveva già cominciato a tingersi delle prime luci. Non c'era più tempo da perdere. Si portò le mani a coppa intorno alla bocca. « Ehilà! » gridò. Per tutta risposta, dall'alto cadde una cosa enorme, che andò ad atterrare sul gradino davanti all'ingresso del tunnel. La sagoma scura si girò, brandendo una lunga lama nera che aveva l'aspetto di una vitrea scheggia di ossidiana. Le ali si dispiegarono, oscurando il cielo. Un grakyl reale. Jake si lasciò cadere sulle ginocchia, avendo cura di rimanere entro la sfera d'azione dello scudo ormai agonizzante. Neri occhi puntuti lo fissavano intensamente. « Sono Jake Ransom, uno degli stranieri! » gridò, nella speranza che quella mostruosità dalla faccia di pipistrello lo capisse. Il grakyl reale salì un gradino e si fermò sulla soglia. Jake era abbastanza vicino da distinguere gli artigli giallastri e spezzati, e il grifo schiacciato del naso. La spada del mostro si sollevò, puntando contro il suo petto. Dentro l'armatura, Jake si sentì rabbrividire, ma doveva riuscire a guadagnare ancora qualche istante. Così, si portò le mani sui fianchi e si slacciò il pettorale di James Rollins – L’Ombra del Re

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bronzo, lasciando che cadesse sulla pietra con un gran clangore, in un chiaro segno di resa. Quella era stata un'idea di Marika. Quando Io sguardo gli cadde sulla lama della spada del grakyl reale, affilata come un rasoio, Jake cominciò a dubitare della saggezza della sua strategia. Ma ormai c'era dentro fino al collo. Non si poteva più tornare indietro. Sollevò un braccio. « Mi arrendo! » urlò ancora, in direzione di quella figura mostruosa. « Ma lo farò soltanto davanti al tuo signore! Soltanto al cospetto di re Kalverum! » Il grakyl reale si chinò verso di lui. Lo squarcio delle narici si gonfiò, e poi si richiuse. Al di là delle sue ali, a mano a mano che si avvicinava il sorgere del sole, il cielo a oriente risplendeva sempre di più. L'alba era la scadenza fissata dal re Teschio per la resa di Jake e Kady. Non c'era davvero più tempo. « Mi consegno! » urlò Jake. Tossì, per schiarirsi la voce. La paura gli aveva ingrippato il torace. Ciononostante, riuscì a ripetere ancora una volta il suo ultimatum: « Ma mi arrenderò soltanto davanti al re Teschio! » Il grakyl reale studiò Jake ancora per un momento; poi, con un ampio movimento delle ali, si girò. Dall'orrenda boccaccia sgorgò repentino un grido assordante, che riecheggiò per la vallata. Il richiamo venne ripetuto da altri mostri dell'orda. Presto la valle intera risuonò di quelle strida terrificanti. Il messaggio si stava diffondendo. Ma ci sarebbe stata una risposta? Sì o no? Entrambe le possibilità riempivano Jake di terrore. Fu un'attesa lunga e angosciosa. A Jake il cuore era salito fino in gola, e gli martellava all'impazzata. E, a peggiorare ulteriormente le cose, quando si era messo in ginocchio presso l'ingresso della piramide, aveva sentito il formicolio svanire a poco a poco. Lo scudo ormai si era quasi completamente dissolto. Il grakyl reale si teneva a debita distanza sui gradini esterni, ma per quanto avrebbe continuato a farlo? Quanto tempo mi rimane, ancora? Scrutò il cielo. A est, un bagliore rosato stava salendo pian piano dalla linea dell'orizzonte. L'alba si avvicinava rapidamente. La scadenza imposta dal re Teschio stava per scoccare. E la paura di Jake diventava sempre più forte. L'angoscia per Kady gli gravava sulla pancia come una pietra ghiacciata. E non poteva far altro che aspettare. Nel giro di pochi istanti, sull'ingresso della piramide si sarebbero visti risplendere i primi lucenti raggi del sole. A dispetto del poderoso batticuore, Jake si ricordò del significato che aveva questo particolare orientamento; era una cosa che aveva imparato da suo padre. Tutti i templi maya erano costruiti in modo tale da poter salutare la prima luce del nuovo giorno. Ed era per quello stesso motivo che anche le grandi cattedrali europee hanno la facciata principale sempre rivolta verso est. Jake si domandò se era da lì, da quello stesso edificio, che tale tradizione aveva avuto origine. Ma, prima che potesse riflettere oltre sul mistero, le urla dell'orda dei grakyl s'interruppero di colpo. Il silenzio calò all'improvviso, come una coperta gettata sull'intera vallata. Jake si alzò, oppresso da un senso d'inquietudine. Là fuori, sui gradini, l'orda dei James Rollins – L’Ombra del Re

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grakyl si era inchinata, il capo basso, le ali ripiegate dietro la schiena. Jake colse di sfuggita qualcosa che volava nel cielo. Aveva un'ampiezza alare quasi inverosimile... e sembrava aumentare ancora di più a ogni battito del suo cuore. Una specie di jumbo jet della famiglia dei dinosauri. Come riusciva qualcosa di tanto enorme a librarsi per aria? Sembrava una cosa impossibile... E a rendere il suo avvicinarsi particolarmente raccapricciante era il totale silenzio in cui avveniva. Scivolava verso il tempio senza emettere nessun suono, come se, più che di materia tangibile, fosse fatto di ombra. La creatura calò in picchiata, fino a che non fu altro che una sagoma scura che sfiorava in volo le cime degli alberi della Foresta Sacra. Sembrava il più mostruoso di tutti i dinosauri alati, lo pteranodonte. Poi, tutt'a un tratto, si girò e puntò deciso verso l'alto, tanto in alto e a una tale velocità che Jake non fu più in grado di vederlo. I muscoli delle gambe gli si contrassero in uno spasmo. Per non perderlo di vista, fu quasi sul punto di uscire dalla linea d'ombra disegnata dalla porta della piramide. Ma alla fine riuscì a restare al suo posto. E fu una fortuna... Un attimo dopo, lo pterosauro atterrò sul fianco della piramide, occupando la scalinata per metà. I grakyl si sparpagliarono sui lati. Uno solo rimase schiacciato sotto una delle pesanti zampe dell'enorme bestia. E, tra grida e lamenti, morì. Jake si costrinse a rimanere fermo sulla soglia. Tutto dipendeva dalla sua capacità di mantenere la posizione. Lo pterosauro abbassò il collo e distese le ali, come se volesse abbracciare il tempio. Anche se la creatura era di dimensioni gigantesche, Jake aveva parecchie difficoltà a distinguerla nitidamente. Una coltre di ombra aderiva infatti alla sua sagoma, aleggiando tutt'intorno al corpo. La sua testa lunga e stretta andò a fermarsi sulla sinistra dell'ingresso, a un paio di metri scarsi da lui. Avvolto in un'ombra che ricordava la criniera di un leone, il muso sembrava quello di un coccodrillo, con tanto di denti storti e appuntiti. Jake aveva visto abbastanza fossili di pteranodonte per sapere che quello non era un normale pterosauro. Tanto per dirne una, gli pterosauri non avevano i denti. Ma furono gli occhi che veramente lo fecero rabbrividire. Due sfere scure, come due lucidi diamanti neri, puntati fissi su di lui. Erano come vuoti tunnel senza fondo, diretti verso un luogo dove le urla riecheggiavano sempre, e il sangue scorreva a fiumi. Ma nemmeno questa era la cosa peggiore. Da dietro il collo del sauro, un grumo di ombra si staccò e andò a colpire la scalinata del tempio. Gli altri grakyl si tirarono indietro, incespicando l'uno sull'altro per tenersi fuori del suo percorso. Sulla scalinata, la massa informe si raddrizzò, formando la sagoma di un uomo. Era enorme, alto più di due metri. Indossava un'armatura nera che lo ricopriva dalla testa ai piedi. Era incoronato da un elmo recante un paio di corna, ma, a differenza di quelle sugli elmi vichinghi, queste erano attorcigliate in una serie di riccioli e contorsioni selvagge, come se fossero cresciute dal cranio di una bestia sottoposta a torture per l'intero corso della sua vita. L'essere sali per la scalinata con lunghe falcate, avanzando verso Jake con calcolata determinazione. Jake tentò di cogliere qualche tratto del volto, ma sotto l'elmo non si vedevano che James Rollins – L’Ombra del Re

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ombre. E, nonostante questo, lui sapeva bene chi stava salendo verso il tempio. Re Kalverum. Il re Teschio. Non appena la sagoma scura arrivò vicino all'ingresso, Jake si accorse del suo errore. Re Kalverum non indossava nessuna armatura. A ricoprire il suo corpo era un fitto strato di ombre, che scorrevano sulle sue forme come olio nero sulla pelle, stringendosi alle sue membra quasi cercasse di tenere nascosto al mondo l'orrore annidato nel suo cuore. Per il re Teschio, l'armatura erano le ombre. Anche se non riusciva a scorgere i suoi occhi, Jake sapeva che quel demonio lo stava fissando. Si sentiva la pelle percorsa da un prurito bruciante, che non aveva nulla a che fare con lo scudo del tempio. Avrebbe voluto correre... e poi correre, correre e correre ancora. Ma non si mosse. Più che il coraggio, a tenerlo ancorato al suo posto era il terrore. Re Kalverum sali fino in cima alla scalinata, portando la sua enorme mole sulla soglia del tempio. Jake si spostò di lato quando un braccio si stese nella sua direzione. Bastava un semplice tocco, e lui sarebbe morto: lo sapeva bene. La mano gli si avvicinò lentamente, cercando di raggiungerlo, con circospezione, come se si stesse muovendo in acque sconosciute. Quando passò attraverso lo scudo indebolito, una fiamma color smeraldo danzò sulla punta delle dita nere, squarciando l'ombra. E dalle tenebre emersero dita ricoperte di squame verdi grigiastre, che terminavano con lunghi artigli gialli. Nessuno aveva dita come quelle... per lo meno nessuno che appartenesse ancora al genere umano. La coltre di ombre che ricopriva re Kalverum vibrò di un brivido compiaciuto. L'essere sapeva che lo scudo non era più in grado di fermarlo. Tutto ciò che si frapponeva tra il re Teschio e il cuore della forza del tempio era un ragazzetto di una cittadina del Connecticut, North Hampshire. E, rendendosi anche lui conto di questo, Jake cominciò a indietreggiare con passo timoroso. Il compiacimento di re Kalverum venne allora a mescolarsi a una sorta di sinistro divertimento. Senza lo scudo, niente poteva più fermarlo. E Jake non poteva nascondersi da nessuna parte. Da quell'essere, cominciarono a fluire le parole che agghiacciarono Jake fin nel midollo delle ossa: « Vieni da me... »

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FUOCO E OMBRE

Qualunque persona sana di mente, trovandosi ad affrontare una torre fatta di ombre, fuggirebbe a gambe levate. Jake invece rimase ben saldo al suo posto. Il re Teschio fece un altro passo verso la soglia. Altri brandelli d'ombra si staccarono dalle sue membra, lasciando scoperte alla vista scaglie e una cresta di spine. Jake temeva ciò che sarebbe stato svelato, quello che le ombre nascondevano. Ma voltarsi gli era impossibile, intrappolato com'era tra l'orrore e una sorta di rapimento. Nonostante tutto, però, esisteva un limite a quanto la curiosità era in grado di sopportare. E, alla fine, con un battito di ciglia distolse gli occhi da quello squamarsi progressivo di ombre. Il che si dimostrò un errore. Lo sguardo gli cadde sul pettorale dell'armatura di bronzo che aveva abbandonato sulla soglia. Nello stesso momento, il piede sinistro di Kalverum andò a sbatterci contro. L'armatura sbatacchiò fragorosamente, e attirò al suolo l'attenzione del mostro. Kalverum si bloccò. Buttò un'occhiata a terra, poi a Jake, quindi ancora a terra. Il suo atteggiamento denotava sospetto e circospezione. Jake trattenne il respiro. Poi il re Teschio fece proprio quello che lui aveva temuto: si voltò verso est, là dove il sole stava facendo capolino da dietro l'orizzonte. I primi raggi del nuovo giorno cominciavano a spandersi, e puntavano verso la piramide. L'intero corpo del re Teschio s'irrigidì. « Intelligente, il ragazzo... » E poi quel demonio si lanciò verso il basso e fece per agguantare il pettorale. « No! » gridò Jake, cercando anche lui di afferrarlo. Ma Kalverum si muoveva con una rapidità che nasceva dalle ombre, un guizzo di tenebra che si contrapponeva al nuovo giorno. Raggiunse per primo il pettorale, e riuscì a ghermirlo. Jake si vide strappare di mano tutte le sue speranze. Il cuore gli sprofondò nel baratro del fallimento... ma di una cosa si era dimenticato, una cosa di vitale importanza. Non era solo. Dall'altra parte della vallata, il sorgere del sole fu salutato da un'assordante raffica di corni, che risuonarono con forza. E, in risposta al poderoso richiamo degli ur, giunse l'esplosione delle trombe romane. Un concerto cacofonico che sembrava indicare l'arrivo di una legione di migliaia di soldati. Pindoro! Il suo amico era arrivato insieme con le ultime Guardie Sellate e con l'esercito degli ur... e, come promesso, l'arrivo era stato debitamente annunciato. Tutt'intorno alla piramide, i grakyl si levarono in volo, come uno stormo di corvi spaventati che fuggono da un campo di granturco. Anche il re Teschio si era voltato verso nord, per valutare l'entità di questa nuova minaccia. James Rollins – L’Ombra del Re

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Era proprio il diversivo di cui aveva bisogno Jake. Con un balzo fulmineo, riuscì ad afferrare il pezzo di armatura e a strapparlo dagli artigli d'ombra del re Teschio. S'inginocchiò sulla soglia e diresse la superficie lucida del pettorale, scintillante come uno specchio, verso il sole nascente. Poi deviò il raggio di luce verso il tunnel che si apriva alle sue spalle. « Ora! » gridò. Giù nella galleria, il riflesso solare andò a illuminare Bach'uuk, che sollevò il proprio scudo, che si accese scintillante come un pezzo di sole, cosa che in effetti era. Bach'uuk inclinò la sua superficie piatta, e ne inviò il riflesso luminoso più giù lungo il tunnel, verso il punto in cui si trovava Marika. Avrebbe funzionato? Era stata proprio Marika a dare a Jake quell'idea: un modo per liberare dalle ombre venefiche la pietra di smeraldo che generava lo scudo, e forse cosi si sarebbe potuta ripristinare la barriera protettiva della vallata. Il piano aveva cominciato a prendere forma quando lei aveva detto: Dev'esserci un modo per scacciare le ombre dal cuore della pietra. La risposta era ovvia. Qual’è il modo migliore per scacciar via un'ombra? Farle risplendere contro una luce. E, allo stesso tempo, Jake si era anche scervellato a escogitare un modo per rimettere in funzione la pietra usando l'elettricità, qualcosa che potesse fondere insieme la scienza moderna e l'alchimia di Pangea. Esaurite le batterie della sua pila, doveva trovare una nuova fonte di energia. E qual è la più grande fonte di energia del mondo? La risposta sorge in cielo ogni giorno, e porta luce e calore a tutta quanta la Terra. Il sole. Anche il padre di Marika aveva fatto riferimento al legame esistente tra i cristalli e la luce solare. Era stato quando si trovavano nell'Astromicon, e stavano osservando i cristalli che danzavano attraverso le fessure della cupola illuminate dal sole. Le sue parole erano rimaste profondamente impresse in Jake. Tutta quanta l'alchimia ha inizio col sole. Per questo Jake aveva riposto ogni speranza nel sorgere del sole. Aveva cercato di rifletterne la luce dentro il cuore del tempio, in modo da scacciare l'ombra dalla pietra e usare l'energia solare per ridare vita al cristallo. Il problema era come far arrivare l'energia fin laggiù. Allora gli erano tornati in mente i ciondoli di bronzo appesi ai bastoni degli Anziani Neandertal. Gli specchi riflettono la luce del sole. Bastava soltanto che facesse rimbalzare la luce del mattino da uno specchio all'altro, dal suo a quello di Bach'uuk e poi a quello di Marika. E Marika poi avrebbe potuto riflettere la luce solare nel cuore della piramide, e immergere nel suo splendore il cristallo offuscato. Ma avrebbe funzionato? Tutti quei pensieri si erano susseguiti fulminei nella mente di Jake nello spazio di un singolo suono di corno. Tenne ben fermo il pettorale mentre l'orda dei grakyl, in risposta alla sfida dell'esercito di Pindoro, si levava in volo. Giù, lungo il tunnel, Bach'uuk rifletteva la luce sempre più in profondità, fin nel cuore della piramide. James Rollins – L’Ombra del Re

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Ma, con la coda dell'occhio, Jake si accorse che il re Teschio stava avanzando verso di lui. Poi fu come se il tempo si congelasse. Vide suo padre, seduto sotto un albero, che gli raccontava di Isaac Newton, di come avesse scoperto la gravità per via di una mela che gli era caduta in testa. Quella volta lui gli aveva detto che il dono più grande della mente umana consiste nella sua capacità di porre una sola domanda, composta da una parola soltanto. Tutta la storia dell'uomo deriva da quell'unica domanda. Perché? L'eco delle parole di suo padre adesso giungeva fino a lui. La scoperta della verità è quanto cerchiamo noi tutti. E l'uomo giusto insegue sempre la verità, e la difende anche a costo della propria vita. E così, nel momento in cui il re Teschio sferrò il suo attacco, Jake non batté ciglio. Immerso nel sole, tenne fermo il pettorale. Doveva aver fiducia nelle proprie convinzioni. Anche se ciò gli fosse costato la vita. Gli artigli cercarono di raggiungere la sua gola. Le unghie gli sfiorarono il collo bruciandogli la pelle, che al semplice contatto si coprì di vesciche. Poi, tutt'a un tratto, il formicolio lungo il suo corpo esplose in una folata color smeraldo dalla forza accecante. La deflagrazione ricacciò Jake nel tunnel, come se avesse ricevuto una spinta violenta al torace. Kalverum venne scaraventato nella direzione opposta, giù per la scalinata della piramide. Jake atterrò pesantemente di schiena. Il pettorale gli scappò di mano e rimbalzò con gran fracasso giù nella galleria. Ansimando in cerca d'aria, il ragazzo si alzò a fatica, cercando di raggiungere la soglia del tempio. Percepiva la pressione dello scudo energetico a mano a mano che gli si avvicinava. Già a un metro di distanza, i peli delle braccia vibravano. Si spinse avanti abbastanza da riuscire a vedere i gradini più in basso. Il re Teschio alzò lo sguardo verso di lui, stringendo i pugni fatti di ombra. Tutta la sua forma malvagia pulsava di odio. Jake capì che dentro quel guscio di tenebra andava montando una tormenta, che si stava preparando a rovesciarsi addosso allo scudo appena riformatosi. Ma, alto sopra di loro, si udì il rombo di un tuono. Sia Jake sia Kalverum volsero lo sguardo al cielo. E, quando il rombo si ripetè, insieme con lui giunse un arco di energia, un fuoco color smeraldo che attraversò tutta la valle, ricoprendola. L'energia parve divampare come un incendio lungo tutto il crinale vulcanico, e si condensò in un unico globo, che riempì il cielo, simile a un'aurora boreale. Lo scudo! Lo scudo si stava riformando su tutta la vallata! E, stagliandosi contro quello sfondo infuocato, l'orda dei grakyl prese a volare in formazioni scomposte. Poi la tempesta elettrica iniziò sul serio, tra esplosioni di tuoni sempre più forti. Dal cielo divampò una saetta biforcuta, che freddò a mezz'aria uno dei grakyl, per poi tornare di scatto verso il cielo... portando il grakyl con sé. La bestia venne strappata dalla valle e s'impennò altissima nel cielo. Poi fu scagliata a zampe all'aria ben oltre il rinato scudo. Altri fulmini color smeraldo si scatenarono dal cielo, e fulminarono altri grakyl colJames Rollins – L’Ombra del Re

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pendoli con una forza tale da ucciderli all'istante. Ma la maggior parte di loro venne ghermita e scaraventata violentemente fuori della valle. In fondo alla scalinata, il re Teschio aveva capito che la piega della battaglia aveva subito un brusco cambiamento. Di nuovo, volse lo sguardo verso Jake, che, per la prima volta, vide i suoi occhi. Due spruzzi di fiamma nera. Jake immaginò il fuoco che divampava da un cuore di puro diaspro sanguigno. Era come tenere lo sguardo fisso su qualcosa di antico e malvagio, qualcosa che risaliva a molto prima di qualsiasi Maestro corrotto. Dietro quegli occhi neri si nascondeva la bestia senza nome che da sempre abitava tutti gli incubi, che si aggirava nell'ombra e nei luoghi più reconditi, qualcosa che fin dagli inizi dei tempi se ne stava annidato agli angoli estremi dell'umanità. Jake si sentiva un urlo intrappolato in gola. Poi quello sguardo spaventoso svanì. Il re Teschio scivolò giù per la scalinata e raggiunse il suo cumulo d'ombra, dove balzò sull'alta sella. Le ali della bestia si sollevarono come grandi sudari di notte. Jake rimase a guardare quel mostro che girava in cerchio nel cielo, sospinto dai potentissimi battiti delle ali. E tutt'intorno a lui e al suo cavaliere continuavano a crepitare i fulmini, che saettavano ed esplodevano stagliandosi contro le ombre. A differenza dei grakyl, il re Teschio possedeva una qualche alchimia che gli consentiva di non essere immediatamente buttato fuori della valle. Ma, dalla rapidità dell'ascesa, Jake intuì che quella particolare protezione non sarebbe durata a lungo. La sagoma scura della bestia lottava per sfuggire all'energia dello scudo, e saliva sempre più in alto. Infine, con un'unica, potente deflagrazione, il re Teschio attraversò la barriera, divampando in un'esplosione di fiamme verdi, e volò via. Era finita. Eppure, Jake si sentiva tutt'altro che sollevato. Rimase lì, freddo e tremante, e sapeva bene perché. Un attimo prima che il re Teschio si voltasse per andarsene, Jake aveva percepito una promessa silenziosa: Tra noi non è finita. Nel momento in cui luce e tenebra si erano venute a incontrare in un difficile equilibrio, Jake aveva scelto di rimanere nella luce del sole. E da quel momento in avanti le tenebre non gli avrebbero tolto gli occhi di dosso, pronte a cogliere il momento in cui avesse messo un piede in fallo. A dispetto della recente vittoria, Jake avrebbe potuto farsi prendere dallo sgomento, avrebbe potuto perdere tutto il suo coraggio. Ma, ancora una volta, si ricordò di qualcosa di vitale importanza. Non era solo. Bach'uuk uscì di corsa dal cuore della piramide. E dietro di lui c'era Marika. La ragazza gli prese la mano, ancora calda dei raggi del sole. Jake mise il braccio intorno a Bach'uuk. Aveva bisogno di toccarli, di sentirne la solidità, per ricordare a se stesso che il mondo era molto di più che un ammasso di ombre. Insieme, i tre amici rimasero ad ascoltare le grida di giubilo che si sollevavano dalla città. « Ce l'hai fatta », gli sussurrò Marika. « Ce l'abbiamo fatta », precisò Jake. Ma le sue labbra si rifiutarono di aggiungere il James Rollins – L’Ombra del Re

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resto, che lui sapeva essere altrettanto vero. Per adesso. Non ci volle molto perché la volta celeste fosse completamente sgombra dalla presenza nemica. Nel giro di pochi minuti, dell'incendio color smeraldo non rimaneva nient'altro che poche tremolanti scintille. Poi anche quelle si spensero, e il cielo tornò del suo solito azzurro. « Dovremmo tornare in città. » Marika toccò lo scudo che s'innalzava dinanzi a loro. Soffi di energia color smeraldo le danzarono intorno alle dita. « Potremo uscire da questa parte? » chiese Jake. « Penso di sì. » La ragazza mosse un passo in avanti, tirandosi Jake con sé. Questi si sentì il corpo percorso dal solito formicolio... e poi, i due erano dall'altra parte, fuori dell'ombra e avvolti dalla pienezza della luce mattutina. Bach'uuk li seguì. Mosso dalla curiosità, Jake provò ad allungare una mano verso la porta del tempio. Lo scudo lo respinse, con uno scoppiettio di fiamme vivaci. Aveva loro permesso di uscire, ma in nessun caso li avrebbe fatti rientrare. Contenti che, almeno per adesso, il cuore della piramide fosse salvo, il terzetto scese di corsa la scalinata di pietra e raggiunse il sentiero che conduceva alla Foresta Sacra. Non avevano percorso più di una ventina di passi, che si ritrovarono circondati. Jake riconobbe il miscuglio di corazze nordiche e abbigliamento romano... il tutto alquanto malridotto, coperto di sangue e strappato. « Jake! » Il ragazzo si voltò e vide Kady che spintonava per farsi avanti. Com'era ovvio, sua sorella non si era allontanata di molto. Doveva aver pensato che lui fosse rimasto intrappolato all'interno della piramide per tutto quel tempo. Jake lasciò andare la mano di Marika e corse incontro a Kady, che lo strinse forte tra le braccia. Rimasero in silenzio per un lungo istante, abbandonandosi alla sensazione pura e semplice del loro essere fratello e sorella, lasciando che il calore dell'affetto familiare facesse dissolvere tutte le loro paure. « Pensavo... non sapevo... » disse lei, stringendolo con una forza tale da togliergli il fiato. « Lo so. Anch'io », ansimò Jake. Kady si staccò di scatto da lui e lo fissò intensamente. « Non farlo mai più! » « Fare più che cosa? » La ragazza sembrò in imbarazzo nel rispondere alla domanda. La sua era una paura senza parole. Alla fine, riuscì a cavarsela con un esasperato: « Spaventarmi in quel modo! » Ma Jake sapeva che le parole non erano in grado di contenere veramente tutto quello che provava. E lui si sentiva nello stesso modo, perso in un turbine di emozioni che non poteva essere racchiuso nello spazio di una frase. Erano sollievo e terrore, caos e senso di sicurezza, felicità e lacrime. La più dolorosa delle condizioni, e nello stesso tempo la più meravigliosa. Essere una famiglia, nient'altro che questo. Con un'ultima stretta, i due ragazzi si lasciarono andare. Tutti li stavano guardando. Ma Jake le rimase vicino. Poi si frugò in tasca e tirò fuori l'orologio d'oro. « Ho trovato questo », le disse, passando all'inglese, anche se la cosa gli costava un grosso sforzo di concentrazione. Nell'espressione di Kady comparve una ruga di blanda curiosità... che poi però si fece più profonda, esprimendo tutta una serie di emozioni che arrivarono a coinvolgere ogni singolo muscolo del viso. Turbamento, incredulità, sconcerto. « Ma è... » James Rollins – L’Ombra del Re

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Tossì; non era nemmeno capace di costringersi a pronunciare la cosa ad alta voce. « Sì. » Jake voltò l'orologio e le mostrò la scritta che vi era incisa. Kady si chinò per osservarla più da vicino. Quando sollevò il viso, i suoi occhi erano pieni di lacrime. « Quando... dove l'hai trovato? » Non era il momento migliore per mettersi a raccontare della mappa di Pangea e di tutto quello che aveva scoperto e imparato nel tempio, pensò Jake, ma comunque allungò il braccio dietro di sé, verso la piramide, e disse: « Là dentro ». La ragazza inarcò le sopracciglia, perplessa. « Ma come? Che cosa significa? » « Non lo so. » Non ancora, per lo meno, pensò. Lo sguardo di Kady si perse nel vuoto, lontano un milione di miglia, nel tentativo di sondare le implicazioni che aveva il ritrovamento dell'orologio in quel luogo. Jake immaginò che anche la sua espressione non doveva essere molto diversa. Decise di rimanere in silenzio. Non aveva parole che fossero in grado di alleggerirle il cuore. Ci sarebbe voluto del tempo, perché lo shock venisse riassorbito. Forse indovinando la sofferenza di Kady, dalla schiera dei romani usci Eronide. La gamba destra zoppicava, e sul lato sinistro del volto c'era un brutto graffio, dal quale s'intuiva che era arrivato a un soffio dal perdere l'occhio. Ma, prima che il giovane potesse parlare, dall'altra parte della città si udì risuonare una nuova esplosione di corni e di trombe. Ed era un clangore di trionfo. « Che cos'è? » chiese Eronide, piegando il capo in ascolto. « Pindoro. A capo del contingente degli ur », rispose Marika con un sorriso pieno di orgoglio. Eronide la guardò incredulo, poi si voltò. « Non sai quello che dici. » Si allontanò a passo deciso, prendendo dolcemente Kady sotto il braccio. La ragazza gli appoggiò la testa sulla spalla; sentiva il bisogno di un genere di consolazione che Jake non poteva darle. Però si concesse un ultimo istante per dare un'altra occhiata al fratello, mostrandogli un insolito sorriso, velato di tristezza. E, per la prima volta da moltissimo tempo, Jake si rese conto di quanto fosse bella sua sorella. Vide qualcosa, qualcosa che andava oltre il solito lucidalabbra, l'ombretto e i capelli acconciati alla perfezione (che in quel momento, per altro, erano tutti arruffati, con dei frammenti di foglie impigliati in mezzo). Per un breve istante vide la persona che sarebbe potuta diventare. E si sentì attraversare da un caldo brivido di orgoglio. Accompagnato però da un pizzico di dolore. C'era infatti un'altra cosa, che poteva riconoscere in quella stessa espressione di affetto: il fantasma del sorriso della loro madre, che risplendeva da una generazione all'altra. Avanzando in gruppo, si diressero verso la porta d'ingresso di Calipso. Cauti festeggiamenti erano già in corso. Anche se nessuno sapeva da dove fosse venuto il loro salvataggio in extremis, la volta celeste sgombra e lo scintillante spettacolo di saette li informava della cosa più importante: erano salvi. Gli abitanti della città stavano cominciando a uscire con circospezione dalle cantine e dalle umide soffitte dove si erano rintanati durante l'attacco. Si sentivano risuonare le campane, che dal castello annunciavano il cessato allarme. Camminando per le strade, Jake sentiva urla e richiami riecheggiare intorno a sé. Ma anche lacrime e singhiozzi. Era passato davanti a un solo cadavere, ed era quello di un grakyl, il cui corpo massacrato era stato abbandonato in mezzo alla strada. Ma di certo dovevano esserci state altre perdite. In quanti erano morti? ForJames Rollins – L’Ombra del Re

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se ci sarebbero voluti dei giorni, prima di poter dare una risposta a quella domanda. E a Jake si aprì il cuore quando vide le Guardie Sellate che sfrecciavano per la città, portando messaggi, diffondendo la notizia, radunando le loro forze disperse qua e là. Anche in cielo s'incrociavano i voli dei raz alati. Il Popolo del Vento era ancora lassù, pronto a cogliere qualsiasi indizio di un secondo attacco. Ma Jake sapeva che ciò non sarebbe successo. Almeno per ora. Davanti a loro, comparve il castello di Kalakryss. Il cortile era immerso nel caos più totale. Persone e animali occupavano ogni angolo, ed erano già state erette delle tende per dare riparo ai feriti. Jake fu quasi travolto da un grosso othnielia sfregiato. Gli ci volle una seconda occhiata per riconoscere la cavalcatura e lo sparuto spaventapasseri che c'era in groppa. In cima a quella bestia dall'aspetto terrificante, che rispondeva al nome di Occhio Guercio, c'era Pindoro. « Jake! Mari! Bach'uuk! » Con una serie di strattoni, il giovane romano fece fermare la cavalcatura e si lasciò scivolare giù di sella, con la stessa facilità con la quale si sarebbe alzato da una sedia sdraio. Qualunque fosse la paura che lo bloccava prima, adesso era completamente sparita. Corse da loro e cominciò ad abbracciarli, a dar pacche sulle spalle e a stringere le mani, talvolta anche tutto insieme. « Li avete scacciati! Siete riusciti a innalzare di nuovo lo scudo! » Il suo grido attirò verso di loro gli occhi di molti. Eronide si avvicinò zoppicando. « Pin, sei proprio tu? » chiese, scrutando il fratello dalla testa ai piedi. Questi sorrise, provando a sfoggiare un'espressione di orgoglio, che però gli uscì fuori un po' impacciata. Pindoro non era abituato a mettere in ombra il fratello maggiore. Ma le parole che aveva urlato avevano attirato l'attenzione di altre due persone. Gaio si fece strada a gomitate attraverso la moltitudine crescente che veniva raccogliendosi intorno a loro. Jake provò un'ondata si sollievo. Il centurione era sopravvissuto all'attacco dei grakyl nel parco. Ma era ricoperto di sangue, e un braccio era legato al collo. E, nonostante tutto, si stava dando da fare per sgombrare il passaggio all'uomo che veniva dietro di lui. L'Anziano Tiberio avanzava appoggiandosi a un bastone. Aveva una gamba bendata dalla caviglia fino a mezza coscia. Era evidente che ogni passo gli costava una grande sofferenza. Ma la voce era la stessa di sempre, forte e sicura: « Che cos'è questa storia dello scudo? » Pindoro fece come per correre incontro al padre e abbracciarlo, ma poi si trattenne. Ormai non era più un ragazzino. Si portò il pugno chiuso al petto, nel tipico saluto romano. « Padre, signore, è stato Jake Ransom. È riuscito a ripristinare lo scudo. » Tiberio volse lo sguardo severo verso Jake. « È vero? » Jake annuì, ma aggiunse. « Non l'ho fatto da solo. » Con un gesto inclusivo della mano indicò Pindoro, Marika e Bach'uuk. « Tutti noi abbiamo contribuito. » Tiberio li osservò con occhio indagatore. Poi si voltò, incamminandosi verso il castello. Senza una parola né un gesto, era chiaro che si aspettava che i ragazzi lo seguissero. « Voglio ascoltare maggiori dettagli della faccenda in privato. Anche i Maestri vorranno essere informati di quanto è accaduto. » Marika si avvicinò a Jake, con passo incerto. « Fate largo! James Rollins – L’Ombra del Re

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» gridò Gaio, lottando per sgombrare loro il passaggio. Nel parapiglia, Marika riuscì ad avvicinarsi al padre di Pindoro, e lo tirò per una manica. « Anziano Tiberio, che cosa intendete quando parlate di Maestri? » Nella sua voce si sentiva tremare la paura. « È stato il Maestro Oswin a tradirci. » Jake si avvicinò ancora un po', sul viso un'espressione sempre più preoccupata. Che il traditore fosse sopravvissuto, dopo tutto quello che era successo? Tiberio rispose alle parole di Marika con un cenno affermativo del capo. « Tutti noi ne siamo ben consapevoli. Tuo padre e Maestro Zahur hanno già informato il Consiglio. » Marika dovette aggrapparsi al braccio di Jake per non cadere. « Mio padre... è ancora vivo? » Accorgendosi del sollievo della ragazza, Tiberio rallentò il passo e la rassicurò. « Ma certo che è vivo. Oswin aveva lanciato un qualche oscuro incantesimo sugli altri due Maestri, che aveva fatto loro perdere i sensi, e poi li aveva legati in una cantina. Una volta risvegliatisi, sono riusciti a scappare. » Ormai avevano già raggiunto i portoni di legno del mastio principale. Una volta entrata nel salone, Marika ebbe prova di quanto le aveva raccontato l'Anziano. « Mari! Sia reso grazie a tutte le stelle! » Balam si trovava in un angolo della stanza, insieme con Zahur. Sentendo la confusione alla porta, si era voltato e, individuata all'istante la figlia, le corse incontro. Il sollievo che si poteva distinguere nella sua voce era lo stesso che un attimo prima risuonava nelle parole di Marika. Anche lui era cambiato. Il suo solito fare spigliato aveva acquistato una nuova durezza. Cerchi scuri gli segnavano gli occhi. Ma il viso gli si era illuminato alla vista di Marika, aprendosi in un sorriso, come un raggio di sole che riesce a fendere una spessa coltre di nubi scure. E la strinse forte a sé. « Pensavo che fossi morto », mormorò lei col viso affondato nel suo petto. Jake assistette alla loro riunione con un misto di sentimenti. Gioia, per lo più, ma non poteva ignorare anche un amaro barlume di gelosia. Lui avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di far ritornare in vita suo padre. « Non penso che Oswin ci avrebbe uccisi », la rassicurò Balam. « Non l'ha fatto, quando ne ha avuto la possibilità. Credo che, forse, in un suo modo distorto, una parte di lui continuasse a essere leale nei nostri confronti. » Zahur si era unito a loro. L'egizio aveva una visione diversa della faccenda. « O forse ci ha lasciato vivere solo per poter poi gongolare della sua vittoria. » A questa affermazione, Balam si fece scuro in volto; era evidente che preferiva credere alla sua versione dei fatti. Nonostante questo, era facile accorgersi di quanto il tradimento di un caro amico l'avesse profondamente ferito. Jake si allontanò, per lasciare a padre e figlia un momento tutto per loro. Anche il taciturno Tiberio sollevò un braccio in segno di benvenuto, e abbracciò il suo figlio più giovane. Jake distolse lo sguardo. Anche se era felice per i suoi amici, era uno spettacolo troppo doloroso cui assistere. Infilò la mano in tasca, e strinse l'orologio d'oro. Per adesso, quello avrebbe dovuto bastargli, come premio. Ma soltanto per ora...

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Capitolo 30 ₪

TEMPO E ANCORA TEMPO

Il nuovo Consiglio riempiva le due file di banchi più alti. Ancora una volta Jake e Kady si trovavano al centro dell'attenzione di sei paia di occhi. In cima sedevano gli stessi tre Anziani della prima volta: Tiberio, Ulfsdottir e Wu. Ora però erano contusi, ricoperti di sangue, e un po' più vecchi. Tre giorni erano passati, da quando Jake aveva innalzato lo scudo intorno alla valle. Ed erano stati tre giorni di domande, domande e ancora domande. Gli abitanti di Calipso dovevano affrontare una dura realtà. Anche se per ora la loro valle era salva, tale sicurezza non sarebbe durata per sempre. Da adesso in avanti avrebbero dovuto essere più vigili. Dal suo posto al centro dell'ordine inferiore di panche, Balam si alzò. Alla sua destra sedeva Maestro Zahur, e alla sua sinistra un nuovo Maestro. Poi cominciò a parlare con fare solenne: « Il nostro nuovo Maestro ha richiesto una piccola cerimonia privata per rendere onore ai cinque che hanno protetto sia la nostra valle, sia il gran tempio ». Balam indicò alla sua sinistra. Aiutandosi col bastone, il nuovo membro del Consiglio degli Anziani si alzò. I ciondoli di bronzo appesi all'asta di legno danzavano alla luce delle lanterne, tintinnando come campanelle al vento. L'Anziano ur salutò con un cenno i cinque ragazzi, riuniti ai piedi del banco. Dietro Jake e Kady c'erano Marika, Pindoro e Bach'uuk. Tutti quanti indossavano i loro vestiti più eleganti, e se ne stavano lì impettiti. Jake e Kady avevano messo i loro completi da safari, lavati e stirati di fresco. Avevano cercato di essere quanto più formali possibile. Nessuno di loro sapeva esattamente che cosa aspettarsi. L'Anziano ur, che si chiamava Mer'uuk, si avvicinò lentamente a loro cinque. Il vecchio membro della tribù era il primo degli ur a essere mai stato eletto Maestro del Consiglio degli Anziani. Quell'illustre carica era una ricompensa per la parte avuta dagli ur nel salvataggio di Calipso, e aveva inoltre il valore di un risarcimento dovuto da lungo tempo. Gli ur e gli abitanti della città non potevano più permettersi d'ignorarsi a vicenda. Non se volevano sopravvivere. Il re Teschio avrebbe attaccato ancora e, quando ciò sarebbe accaduto, l'intera vallata avrebbe dovuto essere unita. Con un gesto della mano, Mer'uuk fece segno ai cinque di mettersi in fila. Poi si fermò di fronte a Pindoro. Il Maestro gli scoprì il polso e sollevò in alto un monile di metallo argentato, in modo che tutti potessero vederlo. « Dal cielo della notte, questo metallo è caduto in una vampa infuocata. Esso contiene una rara e potente alchimia... un'alchimia in grado di creare legami. Perché voi siate uniti come una cosa sola. » Fatto un passo avanti, Mer'uuk chiuse con uno scatto il braccialetto intorno al polso di Pindoro, poi proseguì nella fila, passando a Bach'uuk. Un altro bracciale venne allacciato intorno al polso del ragazzo. Marika era in piedi accanto a Jake. Osservò Mer'uuk che faceva scattare un terzo James Rollins – L’Ombra del Re

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braccialetto intorno al polso sinistro di Kady. Sembravano tutti identici. Un attimo dopo, Marika stava armeggiando col suo. « Dev'essere stato forgiato con la magnetite », sussurrò. Sì, probabilmente i bracciali erano stati realizzati proprio in magnetite, una pietra dotata di proprietà magnetiche naturali. Jake tese il braccio e si tirò su una manica. Mer'uuk estrasse un quinto monile. Era aperto, e dotato di un fermaglio. L'Anziano l'infilò intorno al polso di Jake e lo richiuse di scatto. « E così, il legame è stato completato. Ora siete una cosa sola. » Jake osservò attentamente il proprio bracciale. Lo fece girare intorno al polso aggrottando la fronte. Non si vedeva nessun fermaglio, neppure un punto di congiunzione là dove le due metà si erano unite. Era perfettamente liscio, come se fosse stato fuso intorno al suo polso. Jake lo guardò più intensamente, socchiudendo le palpebre. Non riuscì a individuare nessun segno sulla sua superficie, ma in compenso scoprì qualcos'altro. Strane lettere erano state incise con un tratto leggerissimo lungo il bordo esterno. Jake riconobbe quei caratteri. Era la stessa lingua che compariva lungo tutta la superficie della piramide. Disorientato, alzò lo sguardo. Mer'uuk era ancora lì, in piedi davanti a lui, con l'ombra di un sorriso che gli aleggiava sul volto. Si chinò verso di lui e, sussurrandogli all'orecchio, disse: « Se vuoi scoprire la verità, devi smettere di vivere nel tempo breve ». E, dopo aver pronunciato quelle parole sibilline, si raddrizzò e ritornò al suo posto nella panca. Mentre aspettavano, Jake fece scorrere lo sguardo lungo la loro fila. Adesso tutti e cinque indossavano bracciali coordinati. Ora siete una cosa sola, aveva detto Mer'uuk. E che cosa voleva dire, poi, quell'ultima frase che gli aveva sussurrato? Se vuoi scoprire la verità, devi smettere di vivere nel tempo breve. Infine Tiberio prese la parola: « Ci sono altre richieste, prima di aggiornare la seduta di oggi? » La domanda era stata rivolta agli altri membri del Consiglio degli Anziani, ma Jake si fece avanti e alzò la mano. Le parole dell'Anziano ur continuavano a riecheggiargli nella testa. Soprattutto la parola tempo. Una parola che gli fece tornare in mente l'orologio d'oro di suo padre che gli pesava in tasca. E il luogo in cui l'aveva trovato: negli ingranaggi del gigantesco calendario maya che col suo ticchettio scandiva il lento scorrere dei giorni. Ogni singola cosa, tutti i misteri che aleggiavano intorno a quel luogo sembravano ridursi a un unico concetto. Il tempo. Tiberio accennò a Jake. « Desideri forse parlare, Jacob Ransom? » « Vorrei chiedervi un favore. Se posso. » Tiberio gli fece segno di continuare. « Vorrei poter entrare nella piramide un'altra volta. Per ritornare nel luogo in cui ho trovato l'orologio di mio padre. » Kady si fece avanti. « Lo vorrei tanto anch'io. » I due ne avevano già parlato fra loro. Kady voleva vedere la camera coi suoi occhi, e Jake aveva la sensazione che doveva esistere un qualche indizio, qualcosa che gli era sfuggito durante la sua prima incursione nella piramide. Tiberio li fissò, con aria accigliata. « È vero che apprezzo molto tutto quello che avete fatto per Calipso, ma il divieto di oltrepassare la soglia del tempio rimane. Soprattutto adesso. Ma lascerò ai Maestri la decisione finale. » Balam alzò la mano. « A voler essere ligi, solo i Maestri hanno il permesso di accedere al gran tempio. È una norma inequivocabile, che dev'essere mantenuta. » Jake sentì scivolar via ogni speranza. James Rollins – L’Ombra del Re

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« Tuttavia nessuno dice che i Maestri debbano essere solo tre. Quello che propongo al voto del Consiglio è di concedere a questi due ragazzi, per la durata di un solo giorno, il titolo di Maestri Juniores. Andiamo per alzata di mani? » Sei braccia si alzarono. Balam picchiò un pugno sul tavolo e, senza farsi vedere da nessuno, strizzò l'occhio a Jake. « Allora, approvata! » Due ore più tardi, Jake e Kady si trovavano in cima alla piramide. Lassù in alto, il drago di pietra continuava a vegliare in silenzio. Un passo avanti a loro, Balam teneva entrambe le mani sollevate contro lo scudo invisibile che sigillava l'apertura rotonda. « È ancora forte », disse l'Anziano, con un sospiro di sollievo. Lo si poteva sentire anche dal punto in cui si trovava Jake. Una forza simile a quella di una raffica di vento, che cercava di esercitare una pressione contro di lui. Si sistemò lo zaino, impaziente di poter entrare. « Per prima cosa, dovremo tenerci tutti per mano, così potrò farvi passare entrambi », disse Balam. Kady afferrò la mano dell'uomo, quindi tese l'altra a Jake. Ma lui, invece, si voltò. Marika, Pindoro e Bach'uuk stavano aspettando sui gradini più in basso. Ai suoi amici non sarebbe stato concesso di entrare, ma loro avevano voluto venire comunque. Sapevano quanto fosse importante per Jake. In due balzi fu da loro. « Grazie per essere venuti. Se non fosse stato per voi... per tutti voi, non so proprio dove sarei, adesso. » Pindoro divenne tutto rosso, un bel colore acceso. Fino a quel momento per il suo amico i complimenti erano stati merce rara, ma Jake aveva il sospetto che avrebbe dovuto farci l'abitudine, da ora in avanti. Andò poi a salutare Bach'uuk, ma, quando fece per stringere anche la mano di Marika, lei gliela spinse via e lo abbracciò. « Noi saremo qui fuori ad aspettarti », gli sussurrò in un orecchio. Il fiato della ragazza gli solleticò il collo. Jake si sentì il viso in fiamme; probabilmente doveva esser diventato rosso almeno tanto quanto Pindoro. « Potrebbe volerci un po' », borbottò staccandosi da lei. « E noi saremo ancora qui », disse Pindoro. Jake lanciò un'occhiata agli altri due, che fecero un cenno di assenso. Jake sorrise: un gesto goffo e impacciato, lo sapeva bene, ma era sincero. Non aveva mai avuto degli amici come loro. E solo adesso capiva quello che si era perso. Nel corso degli ultimi tre anni si era talmente concentrato sul seguire le tracce dei suoi genitori, che gli era sfuggita una cosa importantissima: una strada di quel tipo è meglio intraprenderla avendo degli amici al proprio fianco. Ma, così come per Pindoro riguardo ai complimenti, Jake aveva il sospetto che d'ora in avanti avrebbe dovuto farci l'abitudine. « Allora, vieni? » gli chiese Kady con un lungo sbuffo esasperato. Jake corse da lei e la prese per mano. Quindi, Balam in testa, varcarono la soglia del tempio. E, ancora una volta, il solito formicolio gli attraversò il corpo come un'onda, che fece vibrare i peli di tutto il suo corpo. Un attimo dopo erano all'interno e si stavano addentrando nelle viscere della piramide. James Rollins – L’Ombra del Re

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Mentre camminavano, Balam parlava con Kady, ma Jake quasi non li sentiva. Con la mente si trovava già nella camera del calendario maya. Qualcosa gli era sfuggito, là sotto, ne era sicuro... ma cosa? Una volta giunti al cuore della piramide, Kady abbracciò con lo sguardo l'immensa sfera di cristallo. « Riesco a sentirne il battito! » disse, stupefatta. E anche Jake lo sentiva. Quella pulsazione palpitante di energia emanata dall'enorme sfera. Al di sotto, ruotavano gli altri tre cristalli. E la sfera di smeraldo scintillava tanto quanto quella di rubino e quella di zaffiro. Balam vide dove si era concentrata l'attenzione di Jake. « Le ombre non hanno causato danni permanenti. È stato un vero colpo di genio da parte tua, la trovata di riflettere la luce del sole sul cristallo. Un colpo di genio, parola mia! » Jake si schermì. « L'idea me l'ha data Marika. E quello che voi stesso mi avevate insegnato. » Balam sollevò un sopracciglio. Jake allora gli spiegò, citando la lezione che proprio il Maestro gli aveva impartito. Tutta quanta l'alchimia ha inizio col sole. Balam scoppiò in una risata. « Allora c'è qualcuno che mi ascolta, di tanto in tanto. Ma, nonostante quello che mi dici, rimane geniale la tua capacità di escogitare un piano del genere. » E il vecchio allungò una mano e arruffò i capelli di Jake. Un gesto paterno, che gli inondò il cuore di calore. « E ora immagino che sarete impazienti di raggiungere la camera al piano inferiore », continuò Balam. « Sì. Pensate che sarebbe possibile per me e Kady andarci da soli? » Jake voleva poter esaminare la camera in privato. Se gli fossero venute delle curiosità, poteva sempre chiedere una volta tornato indietro. Balam non aveva nessun problema al riguardo, e fece loro cenno di andarsene alla svelta. « Sciò, sciò. Io qui ho un mucchio di cose da fare. Tornate pure indietro quando siete pronti. » Jake fece uno sforzo per non mettersi a correre. Guidò Kady verso l'uscita dall'altra estremità della stanza, e poi giù per una scala a chiocciola. La stanza circolare col calendario maya aveva esattamente lo stesso aspetto dell'altra volta. Per terra, le due ruote dentate risplendevano alla luce delle lampade. Ancora una volta Kady rimase senza fiato... ma per la ragione sbagliata. « Quanto oro! Deve valere una fortuna! » « Non è questo il motivo per cui siamo venuti qui », la freddò Jake. Per tutta risposta, Kady alzò gli occhi al cielo. « Lo so, lo so. Ma questo non significa che io non possa nemmeno dare un'occhiata. » « Non toccare niente, però. » Jake attraversò la stanza. Voleva riappropriarsi di ogni particolare, assorbirlo con lo sguardo, lentamente, meticolosamente. Suo padre glielo diceva sempre. L'attenzione sta nei dettagli. Ed è responsabilità di tutti gli scienziati lavorare con estrema precisione, ogni qualvolta si trovano ad affrontare i misteri della vita. Jake estrasse l'orologio da taschino. Eccolo, l'unico mistero su cui non poteva permettersi di sbagliare. « Dove l'hai trovato, l'orologio di papà? » gli chiese Kady. Jake indicò la ruota interna. « Era per terra, laggiù. » « Proprio laggiù? » « Sì, che cosa ti ho appena detto? » Kady tese la mano. « Fammelo vedere. » Suo fratello James Rollins – L’Ombra del Re

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ebbe un attimo di esitazione. Lo aveva sempre tenuto con sé. Non gli piaceva l'idea di perderlo di vista. Ma era per questo motivo che Kady non aveva ancora avuto la possibilità di vederlo da vicino. Sebbene riluttante, alla fine posò l'orologio sul palmo aperto della mano di lei. « Fa' attenzione. » Ancora una volta, la ragazza alzò gli occhi al cielo. Poi si allontanò da Jake e cominciò a guardarsi intorno per conto proprio. Jake tornò a concentrare l'attenzione sulla stanza. Le pareti erano ricoperte di scritte. Di certo doveva esserci una qualche risposta, celata dentro quel linguaggio sconosciuto. L'aveva chiesto anche a Balam, ma nessuno a Calipso era in grado di tradurne nemmeno una parola. Il suo sguardo scorse lungo la serie di caratteri e andò a posarsi sulle tre mappe scolpite in bassorilievo in una sezione della parete. Quasi di propria iniziativa, le sue gambe si mossero in quella direzione, portandolo più vicino. C'era qualcosa, in quelle mappe... Ancora una volta, le fissò attentamente, l'una dopo l'altra, studiando il modo in cui i continenti odierni si fondevano insieme come in una specie di puzzle, a formare un'unica enorme massa di nome Pangea. Che cosa c'era in quelle mappe, che continuava ad assillarlo? E fu solo in quel momento che Jake notò i caratteri sotto la mappa. La prima volta, era stato tale lo shock della scoperta di trovarsi nella Pangea, che non si era nemmeno accorto che c'erano delle scritte sotto i disegni. Anche se, in fin dei conti, non si trattava che di un'altra riga piena di quegli strani segni. Non gli dicevano assolutamente nulla. Tornò a concentrarsi sulle mappe. Il suo sguardo scorreva avanti e indietro. Sette continenti, che formavano un unico super continente. Ma quelle lettere lì sotto, proprio non riusciva a togliersele di mente. Otto lettere in tutto. Otto pezzi del puzzle. Ancora una volta, guardò la Pangea che si raggruppava insieme, fondendosi fino a formare una cosa sola. E poi, osservò di nuovo le lettere. E se...? Provò a immaginare di spingere le lettere l'una verso l'altra. C'era qualcosa che stava cercando di prendere forma. Qualcosa dall'aria familiare. Il mistero gli solleticava le meningi. Jake infilò una mano in tasca e tirò fuori l'album degli schizzi di sua madre. Strappò una pagina bianca e fece scivolare fuori della bindella la matita a carboncino che usava sempre lei. Tenendo la pagina premuta contro la parete, strofinò la matita su tutta la superficie in modo da ottenere una sorta di calco delle lettere. Una volta finito, si mise in ginocchio e piegò il foglio a fisarmonica in modo tale da unire le lettere, proprio come i continenti che avevano formato la Pangea. Cercando di muoversi con molta precisione, avvicinò l'una all'altra le singole lettere, raggruppandole finché non giunsero a formare un'unica parola. Poi, osservò attentamente quello che aveva creato. Lo shock lo fece schizzare nuovamente in piedi. Il pezzo di carta cominciò a tremargli tra le mani. Adesso capiva, cos'era quel tarlo che lo tormentava e che lo aveva costretto a tornare laggiù. Nella sua testa, separò le lettere dando loro una forma più comprensibile. James Rollins – L’Ombra del Re

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Lesse ad alta voce. « Atlantis, il nome latino di Atlantide. » Indietreggiò, allontanandosi dalla parete. Poteva mai essere vero? Era possibile che la piramide, e le conoscenze esibite in quel luogo risalissero fino ad Atlantide, l'isola mitologica dove un tempo aveva governato una razza superiore? Jake si sforzò di richiamare alla memoria tutto quello che sapeva in merito. Le prime storie erano state scritte da Platone. Lui affermava di essere stato ad Atlantide e di averne visto le meraviglie. E, stando al suo racconto, l'isola era stata distrutta e, ormai ridotta in macerie, era sprofondata negli abissi del mare. Jake ritornò accanto alla mappa, e con un dito sfiorò la superficie di Pangea. Il super continente sembrava davvero un'isola. Era questo, ciò che aveva visto Platone? Che il filosofo greco fosse stato trasportato fin laggiù... proprio com'era successo a Jake e Kady? E stava usando un'immagine poetica, Platone, quando disse che Atlantide era sprofondata nelle immense vastità del mare? Forse quello che intendeva dire era che la civiltà era scomparsa dentro il mare del tempo. Erano troppe cose da assimilare. Jake indietreggiò. Si girò, attonito, lo sguardo fisso sulle pareti, la mente ancora concentrata sul cuore di cristallo che si trovava sopra di loro. Era stato costruito dalla civiltà perduta di Atlantide, tutto quello? Era stata la loro tecnologia a riportare le altre Tribù Perdute ai tempi di Pangea? Oppure il popolo di Atlantide era la prima delle Tribù Perdute? Erano stati loro a dare inizio a tutto? Se fosse stato davvero così, che fine avevano fatto? La sua mente era affollata da una sequela senza fine di domande. Jake si premette i palmi delle mani contro le orecchie. Era riuscito a sciogliere un enigma soltanto per vederlo rifrangersi in mille e mille altri misteri. « Jake! » L'urlo venne a interrompere bruscamente il subbuglio che aveva in testa. Si voltò verso Kady. La ragazza si trovava al centro della ruota interna, e teneva tra le mani l'orologio del padre. Aveva fatto scattare il meccanismo di apertura, come se volesse controllare l'ora, ma adesso stava fissando con le palpebre socchiuse qualcosa che si trovava all'interno, e che l'aveva stranamente colpita. Lui fu contento che qualcosa fosse venuto a distrarlo. Attraversò la stanza e la raggiunse dentro l'anello. « Che c'è? » Sua sorella inclinò l'orologio e indicò la parte inferiore del coperchio. Jake lo spostò in modo tale che si trovasse completamente esposto alla luce. Sulla superficie d'oro era stata rozzamente incisa una forma. Jake la riconobbe. Si trattava di un ankh, il simbolo egizio noto anche come « chiave della vita ». Era uno dei simboli più importanti nell'antico Egitto, che i faraoni indossavano sempre durante le cerimonie solenni. Kady si avvicinò l'orologio. « E guarda un po' qui. La seconda lancetta sta ruotando all'indietro. » Era un particolare che Jake aveva già notato, ma si era dimenticato di riferirglielo. Era un mistero ben da poco, se paragonato al ritrovamento dell'orologio di suo padre. Cercò di riprendersi l'orologio. Voleva dare un'occhiata un po' più da vicino all'ankh. Kady glielo impedì. « Ma io non capisco. Che c'è che non va nell'orologio di papà? Forse, se provassimo a regolarlo... » Benché lui fosse ancora impegnato nel tentativo di vedere un po' meglio il simbolo egizio, al sentire le parole di Kady, il cuore di Jake gli fece un balzo nel petto. Soprattutto una delle parole che sua sorella aveva detto. James Rollins – L’Ombra del Re

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Regolare. Ma fu troppo lento. Le dita di Kady erano già sulla rotella dell'orologio. Quello che serviva per dargli la carica, ma anche per mettere a posto l'ora. « No! » urlò il ragazzo, cercando di fermarla. Nel lampo di un istante, gli ritornò in mente l'adagio di Balam: Guarda due volte e fa' un solo passo. Una perla di saggezza che invitava alla misura e alla cautela. E che Kady non aveva avuto modo d'imparare. E fu così che tirò in fuori la rotella. Nello stesso momento, si udì risuonare un frastuono assordante di meccanismi in movimento. Non proveniva dall'orologio, ma dalle ruote d'oro intorno a loro, che avevano cominciato a girare, mentre Jake e Kady si trovavano ancora nel centro. Un movimento lento all'inizio, ma che si era fatto sempre più veloce. Alla fine la macchina ruotava così vertiginosamente che un solo passo falso sarebbe potuto costare un piede a uno dei due ragazzi. E la rotazione divenne ancora più rapida, trasformando le ruote in una chiazza indistinta dal colore dorato. Jake stava ancora tenendo le mani di Kady tra le sue, con l'orologio ben stretto nel mezzo. E, quando le ruote cominciarono a dissolversi nel vortice, Jake sentì una forza montare sotto i suoi piedi. Sulle sue labbra prese forma un grido d'ammonimento: « Aspetta... » In alto ci fu un'esplosione di luce candida che li inghiottì. Il fulgore accecò Jake all'istante. Ma, anche se non riusciva a vedere nulla, sentì che veniva catapultato verso il cielo; era come trovarsi su un ascensore collegato al motore di un razzo. Durò meno di un istante. Poi tutto fu finito. Jake batté le palpebre cercando di cacciar via gli ultimi lampi di luce dagli occhi, mentre tutt'intorno a lui rombava il tuono. Tuono? La luce accecante si attenuò. Quando finalmente la vista gli si fu schiarita, Jake si guardò intorno, esterrefatto. Kady gli si accoccolò accanto, paralizzata dallo shock al pari di lui. Ovunque si girassero, non si vedevano altro che teche di vetro e piedistalli che reggevano antichi reperti. E, a un passo da loro, ecco la piramide d'oro, col suo drago di giada appoggiato su una base. Erano di nuovo al British Museum! Di nuovo a casa. È stato tutto un sogno? Jake stava ancora stringendo la mano di Kady, sul cui palmo c'era l'orologio da taschino di loro padre. Intorno al polso sinistro, ecco i bracciali di metallo. Prima ancora che potesse rendersi pienamente conto di tutto, furono raggiunti da un urlo, che li fece sobbalzare entrambi: « No! » Jake si girò. C'era un omaccione dalla mole possente che stava correndo verso di loro. Era Morgan Drummond, la loro guardia del corpo. Pochi secondi prima della loro scomparsa, Drummond stava correndo verso di loro, urlando. Proprio come ora. « Allontanatevi di là! » li ammonì in malo modo. Poi però, si bloccò di colpo, grattandosi la testa, si guardò intorno, per tutta la stanza, come se percepisse che qualcosa non andava. Ma, dopo un istante, riportò lo sguardo su di loro. Sul suo viso c'era un'espressione James Rollins – L’Ombra del Re

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vagamente sospettosa. « Che cosa stavate facendo, voi due? » Jake strappò l'orologio d'oro dalle dita di Kady e lo mostrò a Morgan. Prima che l'uomo potesse vederlo bene, se lo fece scivolare in tasca. « Stavo soltanto dando un'occhiata all'ora », disse, ammiccando a Kady. Sua sorella sobbalzò, poi annuì vigorosamente; ancora non era in grado di spiccicare parola. « Se stavate guardando l'ora, allora saprete che siete stati da soli qui dentro per un mucchio di tempo. Adesso che l'eclissi è finita, i mecenati del museo vorranno visitare la mostra », disse Drummond, recuperando il brusco tono di comando della voce. Jake guardò una finestra. L'eclissi? Se era appena finita, allora a Londra non era passato neanche un minuto. Mentre loro avevano trascorso una settimana a Pangea... e adesso erano ritornati nello stesso identico punto da dov'erano partiti. Tanto nello spazio quanto nel tempo. Drummond percorse la stanza con lo sguardo, come se stesse cercando qualcosa. I suoi occhi rimasero socchiusi, anche quando tornò a puntarli su Jake e Kady. « Avete toccato niente, voi due, qui dentro? » « Ma certo che no », fece Jake, fingendosi offeso. Anche Kady scosse la testa. « E non è successo niente di strano? » Jake aggrottò la fronte. « C'è stato un lampo, e un tuono. E poi si sono spente le luci. » Si strinse nelle spalle. « Ma non è che abbiamo paura del buio, quindi... » Parlò mantenendo un'espressione neutra sul viso, ma con lo sguardo sempre inchiodato sull'uomo. Non aveva dimenticato i sospetti avuti in precedenza su Morgan Drummond. La guardia del corpo aveva dichiarato che Jake e Kady erano stati portati a Londra come mossa pubblicitaria per attirare l'attenzione dei media sulla mostra. E se invece c'era dietro un qualche scopo oscuro? Qualcosa di ben più sinistro? Forse il boss di Drummond aveva sperato che loro due riuscissero ad aprire una porta su Pangea. Era quella la vera ragione per cui erano stati portati lì, e lasciati da soli dentro al museo? Nello sguardo di Drummond brillava sempre di più una scintilla di sospetto, ma un movimento attirò la sua attenzione, facendolo voltare. Si sentì un risuonare di voci emozionate. Un fiume di persone elegantemente vestite fece irruzione nella stanza. Drummond osservò accigliato i nuovi arrivati. Nella sua voce si avvertiva sempre più marcata una sfumatura di delusione: « Immagino sia ora che vi riporti al vostro albergo, voi due. Avete un volo, domattina presto ». Jake lanciò un'occhiata a Kady. Si tirò giù la manica per nascondere il suo bracciale di metallo. Seguendo il suo esempio, lei fece lo stesso. Jake le aveva già parlato del simbolo visto sulla spada del grakyl, e dei suoi sospetti riguardo alla Bledsworth. Anche adesso, quando Drummond si era voltato verso la folla di gente che si stava avvicinando, un lampo aveva attirato lo sguardo di Jake verso il suo fermacravatta di bronzo lucidato. Il piccolo grifone dagli artigli rampanti era il simbolo della Bledsworth Sundries & Industries. Ed era anche il simbolo di re Kalverum, il re Teschio. Drummond si voltò verso di loro. Un altro minuscolo scintillio tornò ad attirare l'attenzione di Jake verso il fermaglio dell'uomo. Avrebbe anche potuto sfuggirgli, se già il suo sguardo non fosse stato puntato in quella direzione. L'occhio del grifone luccicava di un minuscolo frammento di gemma scura. Lo aveva già notato, quell'occhio, durante il viaggio in limousine. Allora aveva pensato che si trattasse di un piccolo diamante nero. James Rollins – L’Ombra del Re

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Ma adesso sapeva la verità. Aveva riconosciuto la pietra di cui era fatto quell'occhio. Era una piccolissima scheggia di diaspro sanguigno, il cristallo forgiato dalla magia nera di re Kalverum. Jake cercò di ricacciare indietro un brivido di repulsione. Quella era la prova tangibile che esisteva una connessione tra il passato e il presente. Ma di che legame si trattava? Si costrinse a distogliere lo sguardo, per tenere nascosto quello che sapeva. « Allora, voi due avete finito qui? » fece Drummond. Jake scambiò un'occhiata con Kady. Lo shock si stava attenuando a poco a poco, e adesso nel suo sguardo si era acceso un fuoco. Negli occhi di sua sorella potè leggere la risposta alla domanda di Drummond. Una risposta che si accordava perfettamente con la sua. Avete finito qui? Per una volta, Jake e Kady erano uniti nella loro risposta. No... abbiamo appena cominciato.

FINE

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NOTA DELL'AUTORE ₪ Nel corso degli anni, è sempre stata mia abitudine aggiungere alla fine dei miei thriller una nota, dove indico quello che nel libro corrisponde a verità, e quello che invece è frutto della fantasia. Mi sembra pertanto opportuno fare la stessa cosa anche qui. Ma, prima di cominciare, lasciatemi dire qualcosa su di me. Pur essendomi laureato in veterinaria, sono sempre stato un archeologo dilettante. Ho sempre nutrito una vera passione per le cose sepolte e smarrite nel tempo. E, in effetti, a casa mia ce l'ho davvero un Gabinetto delle Curiosità, dove espongo ogni sorta di oggetto folle e bizzarro: dal gigantesco esemplare fossile sino al più piccolo degli insetti infilzato su uno spillo. E, in cima a ogni altra cosa, a mo’ di decorazione, svetta l'enorme zanna di un mammut di un centinaio di migliaia d'anni fa, proveniente dalla Cina. Ogni giorno, quella bacheca sta lì a ricordarmi la gioia di quella grandiosa avventura che è la vita su questa Terra. Non vi stupirà quindi che io senta molto vicino al mio cuore il giovane giramondo Jake Ransom; è proprio a Jake che ho infatti riservato l'avventura più pazza, la migliore di tutte quelle che ho scritto. Per dirla in due parole, Jake è esattamente com'ero io alla sua età. Un ragazzino fin troppo curioso su ogni aspetto del mondo, un po' impaziente, talvolta sbruffone, sempre con gli occhi ben aperti su tutto ciò che gli altri fanno, leggermente imbranato ma consapevole di esserlo, e del tutto incapace di cambiare la situazione. E subisce anche il tormento di una sorella maggiore, sempre convinta di saperne più di lui. È un genere di relazione che conosco fin troppo bene, essendo cresciuto all'ombra di tre fratelli... e di tre sorelle. Le liti, i risentimenti, ma, alla fin fine, la forza di un legame familiare profondo e incrollabile. Ma torniamo a Jake. In fondo, Jake è un autentico avventuriero, qualcuno sempre pronto a imboccare volontariamente il sentiero meno battuto... non importa quanti problemi possa causargli tale scelta. Così come Jake, anch'io amo viaggiare, e amo l'archeologia. Ma come succede a lui, nel corso degli anni coi miei viaggi mi sono andato a ficcare in più di un vespaio. Ho nuotato in fiumi che attraversavano la giungla, magari per poi imbattermi in un coccodrillo che si stava crogiolando al sole sulla riva. Più volte mi sono ritrovato intrappolato: dentro a una grotta, penzoloni da una fune, oppure bloccato in una crepa dove mi era impossibile qualsiasi movimento. Mentre stavo facendo un'immersione, sono stato a un soffio dal tagliarmi la mano con uno dei pesci urticanti più velenosi che esistano: una sola puntura, e muori nel giro di pochi secondi. Jake è fatto esattamente allo stesso modo: forse un po' troppo propenso ad avventure non del tutto salutari per lui, e, a ogni nuovo pasticcio in cui verrà a trovarsi, se la caverà sempre per il rotto della cuffia. Ci vorranno tutta la sua ingenuità, le sue capacità e l'aiuto dei suoi amici, per consentirgli di superare i pericoli e le vicissitudini che si troverà ad affrontare. La serie trabocca di elementi fantastici, ma è anche ben radicata nella realtà. Ciascun romanzo si fonda su una differente civiltà perduta tra quelle che hanno abitato la Terra nei secoli passati. La prima è quella dei maya. Varie volte nel corso del liJames Rollins – L’Ombra del Re

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bro compaiono dei glifi maya, la scrittura simbolica appartenuta a questo popolo dell'America Centrale. I glifi presenti nel libro sono autentici, e ciascuno svolge un ruolo importante nel dipanarsi dell'avventura. Allo stesso modo, i dettagli che vengono forniti della cultura maya, dai vestiti che indossavano fino alla loro stupefacente abilità nel campo dell'astronomia, sono effettivamente reali, e costituiscono un elemento integrante della storia. E sono stati aggiunti anche alcuni altri dettagli ugualmente veri: per esempio, come gli antichi maya abbiano inventato il cioccolato. Per quanto concerne la componente scientifica del libro, tutti i dinosauri che vi compaiono sono creature realmente esistite, di cui sono stati rinvenuti diversi fossili, e le discussioni riguardanti lo spettro della luce, le rifrazioni e le mescolanze tra colori si fondano tutte su dati di fatto. Infine, per questa serie mi sono voluto creare un mio personale linguaggio crittografato, brandelli del quale compaiono anche in questo romanzo. L'alfabeto si scompone negli equivalenti della lingua inglese, in modo che i lettori più volenterosi possano tradurre questi pezzetti di lingua e svelare così i messaggi segreti. Ecco quindi un piccolo assaggio della verità che si nasconde dietro il fantastico mondo di Jake Ransom. Spero che siate pronti a prendere il vostro zaino e a venire con me... l'avventura è appena cominciata! James Rollins

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