Introduzione a Rousseau
 9788842007142, 8842007145 [PDF]

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Zitiervorschau

Prima edizione 1974

INTRODUZIONE A

ROUSSEAU DI

PAOLO CASINI

EDITORI LATERZA

Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari CL 20-0714-2

JEAN-JACQUES ROUSSEAU

[ ] Tous ces vices n'appartiennent pas tant à l'homme, qu'à l'homme mal gou­ verné. ...

Narcisse, Préface.

Sitot que quelqu'un dit des affaires de

l'Etat, que m'imporle? on doit compter que l'Etat est perdu. Contra! social, III, XV.

I. COSCIENZA E SOCIETÀ

*

Rousseau ebbe un sentimento tormentoso e ge­ loso della propria singolarità. Aspri conflitti interiori l'indussero, nella tarda maturità, ad analizzare senza tregua il proprio io, a ricomporre nella memoria una immagine il più possibile coerente di se stesso e della propria vita: « Voglio mostrare ai miei simili un uomo in tutta la verità della natura, e quest'uomo sarò io. Io solo. Sento il mio cuore e conosco gli uomini. Non sono fatto come nessuno di coloro che ho visto; oso credere di non essere fatto come nes­ sun altro vivente [ .. ] » 1• L'egocentrismo che do­ mina molte pagine delle Confessioni, dei Dialoghi, delle Reveries, ha spesso sollecitato superficiali ana­ lisi estetico-letterarie. Lettori recenti, nutriti di co­ gnizioni di psicologia del profondo, vi hanno ravvi.

* Nelle note si abbrevia con la sigla OC seguita da numero romano e· da numero arabo il riferimento all'edi­ zione delle Oeuvres compl�tes a cura di B. Gagnebin e M. Raymond, Paris 1959 sgg., finora voli. 4; con la sigla CG si indica la Correspondance générale, ed. T. Dufour, Paris 1924-34, voli. 20; con la sigla SP si indicano gli Scritti politici a cura di M. Garin, con Introduzione di E. Garin, Bari 1971, voll. 3. I numeri arabi indicano sempre la pagina. l Confessions, I; OC, I, 5.

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sato invece un fenomeno morboso, vissuto con lu­ cida . consapevolezza e descritto con straordinaria In­ tensità espressiva. La varietà dei giudizi correnti tra gli interpreti di Rousseau non deve distrarre il suo lettore da un dovere primario. È necessario tener sempre presenti le pagine autobiografiche se si vuole comprendere intus et in cute secondo il motto di Persia che apre le Confessioni il pensatore politico, il mo­ ralista, il teorico dell'educazione, il romanziere, il musicista. Le connessioni tra gli eventi e le idee, l'« interno » e l'« esterno », vi si articolano variamente, dalle più ovvie testimonianze fattuali alle risonanze complicate e segrete che introducono il lettore av­ vertito nel cuore stesso del « problema Rousseau ». Non è meno necessario evitare l'errore, troppo dif­ fuso, di smembrare l'opera del ginevrino a seconda dei generi letterari o delle discipline cui ciascun testo appartiene: romanzo, pedagogia, politica, e via dicendo. Rousseau stesso, a ben guardare, ha indicato sot­ tili relazioni, che il suo lettore deve seguire, tra autobiografia e riflessione astratta; ha esibito il si­ gnificato profondo del proprio egocentrismo; ha sot­ tolineato più volte l'unità della propria opera. Tutti questi aspetti convergono in taluni autoritratti ai quali è indispensabile rifarsi per intendere - al di là di non poche mascherature - la vera fisionomia dell'uomo. Una tensione bipolare, una sorta di dua­ lismo tra emozione e ragione è descritta in una testi­ monianza delle Confessioni: -

-

Due cose quasi incompatibili si uniscono in me senza che io sappia precisare in qual modo: un temperamento ardentissimo, passioni vive, impetuose, e idee lente a nascere, impacciate, che si presentano sempre in ritardo. Si direbbe che il mio cuore e la mia mente non appar­ tengano al . medesimo individuo. Il sentimento, più ra­ pido della folgore, inonda la mia anima, ma anziché

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illuminarmi mi brucia e mi abbaglia. Sento tutto e non capisco nulla [ ] . Questa lentezza nel pensare, unita alla vivacità del sentire, non l'ho soltanto in conversa­ zione, ma anche da solo, quando lavoro. Le idee si ordinano nella mia testa con la più incredibile diffi­ coltà, circolano lentamente, fermentano fino a emozio­ narmi, eccitarmi, darmi palpitazioni, e in balla di tale emozione non capisco nulla nettamente, non saprei scri­ vere una sola parola, debbo attendere. Poi a poco a poco questo gran movimento si placa, il caos si dissipa, ogni cosa si colloca al suo posto, ma lentamente, e dopo una lunga e confusa agitazione [ ] 2• ...

...

Il trapasso dell'immediata reazione emotiva alla catarsi razionale è un dato costante del temperamento di Rousseau: un filosofo che « sente » prima di « pensare », e pensa per immagini ; un teorico della società assorto nell'osservazione del proprio io, la­ cerato da contraddizioni esistenziali delle quali ri­ cercherà una soluzione razionale. In certo senso, tutta l'opera sua può esser letta come ]a trascrizione simbolica di una rivolta emotiva, come una proie­ zione dei suoi conflitti o del suo difficile rapporto con se stesso e con il mondo reale. Rousseau stesso ne fu ben consapevole. Riferl, appunto, alla singo­ larità del proprio io l'autenticità dell'esempio mo­ rale e civile che propose. Fu questa una scelta deli­ berata: nei Dialoghi, riesaminando a posteriori l'in­ tero > in musica, con l'esaltazione della schiettezza artistica ed emotiva del canto ita­ liano, con la critica della musica francese, Rousseau sviluppava la propria argomentazione polemica a fa­ vore della « natura », dell'autenticità, della sponta­ neità nel dominio dell'espressione. Da questo punto di vista poteva ritorcere contro i suoi critici le ac­ cuse d'incoerenza: Se notano che l'amore della fama mi fa dimenticare l'amore della virtù, mi avvertano pubblicamente, e pro­ metto loro di gettare nel fuoco i miei scritti e i miei libri [ . ]. Intanto scriverò libri, farò versi e musica, se ne avrò il tempo, il talento, la forza e la voglia. Continuerò a dire con estrema franchezza tutto il male che penso delle lettere e di chi le coltiva, e non mi riterrò meno capace per questo. È vero che un giorno si potrà dire: questo nemico dichiarato delle scienze e delle arti scrisse e pubblicò testi teatrali. Questo di..

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scorso, credo, sarà una satira stesso, ma del mio secolo 17•

amarissima non di me

Certo, al di là dell'applauso volgare, Rousseau si rendeva ben conto che v'era qualcosa di profonda­ mente equivoco nell'omaggio largitogli da quella so­ cietà che rifiutava. Il successo stesso finiva per svuo­ tare e svigorire la sua polemica, per destinare al con­ sumo le sue proposte di un diverso linguaggio mu­ sicale e letterario. Probabilmente le Confessioni tra­ sfigurano in un'autodifesa a oltranza i conflitti di quegli anni. Ma è innegabile che le singole scelte si compongono in una sincera ricerca di autenticità: il suo comportamento doveva « dare un esempio », a costo di sconcertare i suoi amici enciclopedisti 18• L'ab­ bandono dei figli, la scelta della povertà, la « riforma suntuaria », coincidono con il rifiuto di prostituire la penna e di negare in tal modo le proprie convin­ z ion i Si legge in una pagina di suprema dignità: .

Avrei potuto gettarmi completamente dalla parte più redditizia, e, anziché asservire la mia penna alla co­ piatura, destinarla a comporre scritti che, a giudicare dal favore che sentivo attorno e che mi ritenevo in grado di sostenere, potevano farmi vivere nell'abbon­ danza o addirittura nell'opulenza. Bastava che avessi aggiunto qualche maneggio di autore alla preoccupazione di pubblicare buoni libri. Ma sentivo che lo scrivere per guadagnarmi il pane avrebbe ben presto spento il mio genio e ucciso il talento çhe avevo nel cuore più che nella penna, nato com'era da un modo di pensare elevato e fiero, che solo poteva nutrirlo. Nulla di vigo­ roso o di grande può uscire da una penna tutta ve­ nale [ ] . Anziché l'autore rispettabile che avrei potuto essere, sarei diventato uno scribacchino. No, no, ho sempre sentito che la condizione di autore non può essere illustre e rispettabile se non quando non sia un mestiere. È troppo difficile pensare nobilmente quando ...

17 Ivi, 974. 18 Confessions, VIII; OC, I, 363. 27

si pensa soltanto per vivere. Per potere, per osare pro­ nunziare grandi verità non si deve dipendere dal pro­ prio successo. Gettavo i miei libri al pubblico con la certezza di aver parlato in nome del bene comune, senza nessun'altra preoccupazione. Se l'opera era mal accolta, tanto peggio per chi non voleva trarne profitto. Quanto a me, non avevo bisogno della sua approvazione per vivere. Il mio mestiere poteva nutrirmi anche se i miei libri non si vendevano; e ·questo appunto li faceva vendere 19•

Cedimenti, compromessi, orgoglio, egoismo si tra­ sfigurano nella consapevolezza di una missione. Era la ricerca di un assoluto che s'imponeva ora a Rous­ seau. Lo sforzo di ritrovare la « natura » all'interno dell'uomo non poteva non implicare un distacco ra­ dicale dalla società e dalla cultura che rappresenta­ vano l'anti-natura, il negativo da negare. Ancora una volta autobiografia e riflessione coincidono, e la rea­ zione caratteriologica si decanta in una salda scelta razionale.

III. LA STATUA

DI

GLAUCO

Una nuova occasione esterna finl di distogliere Rousseau dalla paradossale mondanità di quegli anni, riconducendolo a meditare sul suo « grande e triste sistema ». Fu « colpito » dal nuovo quesito proposto nel 1 753 dall'accademia di Digione e sollecitato a indagare più a fondo il gran tema delle origini delle diseguaglianza. A Saint Germain, nel tardo autunno del 1 753 , « immerso nel folto della foresta - scrive - ritrovavo l'immagine dei primi tempi e ne trac­ ciavo fieramente la storia » 1.• L'impervio regresso 19 Confessions, IX; OC, I, 402·3. 1 Confessions, VIII; OC, I, 388. 28

verso la preistoria si articolò in fantasiose ipotesi, al margine di copiose letture. Il segreto dell'uomo di natura era sepolto in interiore homine. Svelarlo significava ritrovare l'uomo di natura sotto le defor­ mazioni imposte dalla cultura, discernere i lineamenti originari della statua di Glauco, rosa dalle tempeste e deturpata dai sedimenti marini. L'immagine plato­ nica, cosl pregnante, rinvia a un archetipo : alla ri­ cerca dell'« anima » umana ancora incontaminata, im­ mersa « in quella celeste e maestosa semplicità cui il suo creatore l'aveva improntata » 2• Rousseau non insiste nel secondo Discorso su questo tema, né sul primato della coscienza e della libertà, come farà nell'Emilio. Rivive la suggestione mitica del para­ diso perduto come tensione soggettiva verso un io idealizzato, ma inconsapevole; integro, ma supposto privo di « doni sovrannaturali ». Il quesito - « qual è l'origine della disegua­ glianza tra gli uomini, e se essa è autorizzata dalla legge naturale » - non si prestava a una trattazione retorica. L'enunciato era audace e poneva in que­ stione due assiomi correnti tra i teorici della scuola giusnaturalistica. Imponeva un serio confronto con gli autorevoli trattatisti che avevano ammesso l'egua­ glianza originaria di tutti gli uomini in quanto, ap­ punto, immediata espressione della legge di natura; e che poi, surrettiziamente, avevano giustificato l'ine­ guaglianza presente come effetto della medesima leg­ ge di natura. Cosl la rivolta personale contro il lusso, l'ingiustizia sociale, l'ipocrisia e l'alienazione si ap­ profondisce in un intenso dialogo con i « giurecon­ sulti » (Grozio, Pufendorf, Barbeyrac, Burlamaqui} e con i « politici » (gli antichi, Machiavelli, Bodin, Hobbes, Locke, Jurieu, Montesquieu). I loro nomi compaiono sempre più spesso sotto la penna di Rous­ seau dal 1 753 in poi, e le sue riflessioni sul « diritto politico » non si possono intendere senza a�er pre2

Discorso sull'ineguaglianza; SP, I, 130, 142. 29

senti le posizioni dottrinali contro le quali la sua critica è rivolta. Si rammenti la testimonianza circa la sua passività di lettore, intento in gioventù ad accumulare « un magasin d'idées » 3• Negli anni crea­ tivi, · quest'atteggiamento s'inverte. Rousseau prende le distanze dai suoi autori. Reagisce, critica, · elabora una propria verità ed un diverso modello di società, che oppone alle teorie dominanti. Più o meno espli­ citamente, trattando di eguaglianza, stato di natura, diritto di natura, sovranità, patto sociale, prende posizione nelle controversie aperte tra i grandi giu­ snaturalisti o i loro epigoni, esprime idee innova­ triei nella fraseologia corrente in seno alla scuola. La sua polemica contro l'ideologia media degli enci­ clopedisti si precisa, nella misura in cui gli enciclo­ pedisti sono adepti del giusnaturalismo. Certe malac­ corte « riduzioni » della teoria politica rousseauiana alle sue > che giustificava tale ineguaglianza sul piano del di­ ritto. Al di là delle molteplici implicanze e digres­ sioni, è questo il vero nucleo teorico del second() Discorso. È la pars destruens della teoria politica rousseauiana, che precede cronologicamente e logica­ mente le proposte costruttive del Contratto sociale. Fin dall'esordio del Discorso sull'ineguaglianza è nettamente respinta la fictio corrente in differenti versioni tra i teorici del giusnaturalismo: uno « stat() di natura » nel quale gli . esseri umani si immagina­ vano già pienamente razionali, liberi, autonomi, eguali, ignari di ogni potere o coercizione sociale. Rousseau si differenzia profondamente dai suoi au­ tori, sia nel dare un contenuto opposto all'astrazione dello « stato di natura » e nell'immaginare in con­ creto il comportamento dell'uomo preistorico, sia nel descrivere le molteplici crisi di trapasso dalla prei­ storia alla società civile e l'evoluzione della natura umana nel contesto sociale. Secondo Locke, Pufen­ dorf, Burlamaqui, l'uomo « naturale » - quest'astra­ zione - era un essere già razionale, dominato e guidato in tutto il suo agire dalla recta ratio, da una legge di natura iscritta nel suo cuore da Dio stesso. Questa legge invariabile e sovrastorica gli insegnava a non ledere i diritti altrui e a vivere in pace con i · propri simili. Si fondono in questa concezione i pre­ supposti del diritto romano e i suggerimenti del neo­ stoicismo, molto diffusi nel secolo XVII, e la ver­ sione razionalizzata e secolarizzata dell'« ottimismo » teologico d'origine sociniana, del quale Locke e Pu­ fendorf erano seguaci. Opposta a questa si presen­ tava a Rousseau la costruzione « pessimista » di Hobbes, contro la quale teologi, politici e filosofi non avevano cessato di polemizzare per quasi un secolo. Nel Leviathan l'uomo è descritto come un essere debole, pauroso, e insieme aggressivo, violento. egoista: donde la ferocia dei rapporti sociali e la lotta implacabile, che assimilano lo stato di natura 31

:allo stato di guerra. La legge di natura, in quest'altra .dimensione del giusnaturalismo, non è che il princi­ pio egoistico dell'autoconservazione. Sia nell'una che nell'altra versione la stipulazione del patto sociale, concepita come un fatto storico o no, significava l'uscita dallo stato di natura e l'instau­ razione di un ordine politico, ma con caratteristiche profondamente diverse. Nella prospettiva lockiana del Secondo trattato sul governo il patto interviene sem­ plicemente a sanzionare con una manifestazione di .consenso le buone inclinazioni dell'umanità primi­ tiva, contrastare talune forze disgregatrici, assicurare l'appropriazione della terra. Di qui l'arricchimento dei singoli e l'istituzione dello Stato che li protegge, garantendone la libertà, la vita, i possessi. Nella teo­ ria hobbesiana invece il patto pone termine al bellum -originario, istituisce un potere « forte » , capace di far rispettare una ferrea legge di pace ai « lupi » umani. Anche per Hobbes il patto è un atto consensuale, ma il consenso è sollecitato necessariamente dall'istin­ to di autoconservazione e dall'impossibilità di soprav­ vivere nell'universale ostilità di tutti contro tutti. Su questi autori Rousseau pronunzia articolati giudizi storico-politici. Dal punto di vista strettamente giuridico-formale rivolge loro un'obiezione comune. Il dibattito corrente circa la legge di natura è con­ traddittorio perché si fonda su un artificio : la proie­ zione, nel passato, di analisi morali e di modelli so­ dali che rispecchiano l'umanità contemporanea. Cosl l'idea di legge di ·natura esposta nei « libri scienti­ fici » di Grazio, Locke, Pufendorf, Burlamaqui, è un'astrazione « metafisica » , un « qualcosa che è im­ possibile intendere, e quindi osservare, senza spic­ -cate capacità di ragionamento e senza una profonda metafisica » 4• Come potevano i primitivi possedere la chiarezza intellettuale necessaria per distinguere il giusto dall'ingiusto, il buono dal cattivo, e cosl via? 4

Discorso sull'ineguaglianza; SP, I, 133-4. 32

Non è questo il prodotto di un raffinamento intellet­ tica e nel­ tuale che si sviluppa « solo a l'ambito di pochissime persone in stessa »? Astrazione filosofica è natura, cui « tutti i filosofi hanno di risalire », ma al quale « nessuno è Rousseau individua con estremo acume il ideologico di questi concetti, costruiti sulla dell'umanità moderna, utilizzati dai dai compilatori dell Encyclopédie per giustificare uno stato di cose esistente. Rifiutando consapevolmente i modelli di società concorrenziale e possessiva dise­ gnati da Hobbes e Locke, rovescia anzitutto il loro metodo : anziché giustificare la società presente in base alla /ictio di uno stato di natura, duplicato più o meno identico di questa società, si propone di porre sotto accusa la società presente a partire da un'ipotesi circa · l'autentica umanità primordiale lo stato di natura quale realmente fu - e di rico­ struire per successive approssimazioni il processo evolutivo per cui, a partire da una sostanziale egua­ glianza « morale », se non « fisica », si è giunti alle profonde diseguaglianze che dividono gli uomini mo­ derni. Cosl, al metodo « analitico » dei teorici del di­ ritto naturale si contrappone il metodo « genetico » è stato detto anche « dialettico » - capace di fissare le singole fasi del processo di « estraneazione », per cui l'uomo è caduto dal paradiso perduto della pura natura agli inferi della società di diseguali. I filosofi, « parlando senza posa di bisogno, di avidità, di oppressione, di desiderio, di orgoglio, hanno tra­ sferito nello stato di natura idee prese dalla società: parlavano dello stato selvaggio, e dipingevano l'uomo civilizzato » 6 • Il metodo rousseauiano mira a capo­ volgere questo tipo di analisi, a conoscere la « na'

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5 6

lvi, 139. lvi, 139 .

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tura » originaria dell'uomo: il che è possibile sol­ tanto tracciando « congetture » o « ipotesi » di la­ voro analoghe a quelle che usano fisici e geologi per interpretare i dati dell'esperienza. Hobbes e Locke avevano tentato, ciascuno a suo modo, di applicare allo studio della società i criteri descrittivi, analitico-sintetici, che avevano avuto suc­ cesso nello studio della natura, soprattutto in mec­ canica, fisiologia e « filosofia corpuscolare » . Rousseau si richiama piuttosto ai nuovi orientamenti storico­ genetici, ormai affermatisi in geologia e in zoologia grazie agli « Aristoteli e Plinii dei nostri tempi >) . I tentativi settecenteschi di ricostruire la storia della Terra, i primi accenni di biologia trasformista, ebbe­ ro in lui un osservatore attento. Nel circolo degli enciclopedisti questi temi erano all'ordine del giorno: vari articoli del grande dizionario, i primi scritti filo­ sofici di Condillac e Diderot offrono interessanti ter­ mini di paragone in tal senso. Entrambi questi scrit­ tori rielaborarono e commentarono spunti della gran­ de opera di Buffon, l 'Histoire nature/le générale et particulìère ( 1749 sgg.); Rous:;eau vi attinse a sua volta una quantità di osservazioni generali circa l'uo­ mo « fisico », e, curiosamente, anche circa l'uomo « metafisica e morale >) . Gli furono soprattutto pre­ ziosi i dati antropologici e le considerazioni metodo­ logiche che contraddicevano l'astratta concezione del­ lo « stato di natura » e dell') cor­ rente presso i giusnaturalisti. I passi dell Histoire naturelle direttamente citati nelle note del Discorso rivelano senza equivoco tale debito, che risulta anche più ampio se si considerano attentamente certe no­ zioni-chiave. Buffon conduce la sua descrizione della specie umana e delle specie animali sulla base di copiose informazioni anatomiche, fisiologiche, etnolo­ giche; pone a più riprese il quesito del rapporto tra uomo e animali, inclusi nella (( grande catena del­ l'essere », sottolineando analogie e differenze sia sul piano dell'anatomia comparata, sia dal punto di vista '

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psico-fisiologico. L'uomo rientra nel regno animale, ma gode d'altra parte di una « assoluta superiorità di natura » sulle bestie. Il segreto della sua « per­ fettibilità » è celato, se non nell'evoluzione biolo­ gica, nella storia della specie: nel descrivere la con­ quista della Terra da parte dell'homo sapiens, Buffon risale ai « primi tempi », allorché gli animali erano tutti « indipendenti » tra loro, e l'uomo « criminale e feroce, non era in grado di addomesticarli ». Sol­ tanto la formazione della società ha reso possibile la sua vittoria: L'uomo deriva il suo potere dalla società, e grazie ad essa ha perfezionato la sua ragione [perfectionné sa raison ] , esercitato il suo spirito e unificato le proprie forze. Prima era forse l'animale più selvaggio e meno terribile di tutti: nudo, senz'armi né riparo, la terra non era per lui che un grande deserto popolato di mostri, dei quali era spesso preda [ ] Ma quando, con il pas­ sar del tempo, la specie umana si estese, si moltiplicò e si diffuse, e grazie alle arti e alla società l'uomo poté muovere alla conquista dell'universo, fece retrocedere a poco a poco le bestie feroci e purgò la terra dagli ani­ mali giganteschi, di cui ritroviamo ancor oggi gli enormi scheletri [ ] 7. ...

.

...

Erano temi largamente diffusi tra geologi, natu­ ralisti e studiosi di antichità (basti pensare ai umana alla stasi e all'inerzia· degli animali. La « cultura )> - si direbbe in termini moderni - ha tuttavia caratte­ ristiche ambivalenti. La « perfettibilità », che è la molla del progresso, non implica un univoco giudizio di valore; ma è « fonte di tutti i malanni dell'uomo », poìché genera contemporaneamente « la sua · intelli­ genza e i suoi errori, i suoi vizi e la sua virtù )> . B

lvi, t. II, 441. (Corsivi miei.) 36

La prima parte del Discorso sta dunque sotto l a suggestione diretta dell'Histoire naturelle di Buffon, autorità che merita il rispetto dei filosofi per la sua sublime ». Rousseau vi si ispira « ragione solida e riguardo all'origine monogenica delle razze umane, all'analogia anatomica tra uomo e primati, al loro antagonismo, agli stati di sogno e di veglia; para­ frasa addirittura Buffon a proposito delle malattie che insidiano l'uomo civile, della durata della vita, del nesso tra « bisogni » e « passioni » nello sviluppo della ragione 9 • Tuttavia il Discorso non mostra una adesione pedissequa al testo di Buffon; vi si nota piuttosto una critica immanente, dalla quale emerge una riflessione originale. Sostanzialmente, di nuocere ai suoi simili e di ve­ derli soffrire. « Da questi due principi, senza che sia necessario ricorrere a quello della socievolezza natu­ rale, sembrano derivare tutte le regole del diritto naturale )); beninteso, un diritto naturale innato, grez­ zo, non interiorizzato come corpus dottrinale, e desti­ nato a evolversi insieme con l'uomo stesso. Rousseau sottolinea con energia la differenza · tra la pietà e compassione spontanea del suo uomo di natura e la 38

sociabilitas dei filosofi. In un'immagine ricca d'effetto contrappone lo spontaneo altruismo del « selvaggio » alla fredda indifferenza del « filosofo » 1• La cultura, la meditazione, il ragionamento sono contro natura: « L'uomo che medita è un animale depravato ». La filosofia inaridisce l'animo, estirpa gli istinti, trasfor­ ma in chiusura egoistica l'innocente « amore di sé » , che, tralignando, diventa « amor proprio » . Molti anni più tardi Rousseau attribuirà all'in­ fluenza malefica dell'amico Diderot quest'immagine del filosofo e le altre frasi più sconcertanti del Di­ scorso. Non è facile verificare la cosa, in un testo cosl decisamente polemico proprio nei confronti dei philosophes. Voltaire lo postillò con acredine, lo de­ finl un « libello contro il genere umano » e ironizzò, scrivendo all'autore: « È impossibile dipingere con colori più energici · gli orrori della società umana. Nessuno ha usato tanto ingegno per ridurci a bestie: viene voglia di camminare a quattro zampe leggendo il vostro libro » 2• Palissot non si lasciò sfuggire lo spunto, e mise « a quattro zampe » Rousseau in una farsa che ebbe successo a Parigi qualche anno più tardi. L'interpretazione banale di non pochi lettori contemporanei ridusse la tesi rousseauiana alla pro­ posta di un ritorno alla barbarie. Eppure Rousseau aveva chiaramente avvertito che non riteneva possi­ bile « tornare a vivere nelle foreste con gli orsi » , che la natura umana non è « retrograda » , e soprat­ tutto che lo stato di natura era per lui una nozione­ limite puramente ipotetica, una specie di termine 1 (( A turbare i sonni tranquilli del filosofo e a strap­ parlo dal suo letto sono rimasti solo i pericoli che minacciano la società intera. Si può impunemente sgozzare il suo simile sotto la sua finestra; non ha che da tapparsi le orecchie con le mani e farci sopra un bel ragionamento per impedire alla natura che si rivolta in lui di farlo identificare con la vittima )), Discorso sull'ineguaglianza, SP, I, 164. 2 Voltaire a Rousseau, 30 agosto 1755; ma si veda anche la replica di Rousseau, entrambe in CG, II, 203 sgg.

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di paragone: « Uno stato che non esiste più, che forse non è mai esistito, che probabilmente non esisterà mai, e del quale tuttavia bisogna avere nozioni giuste per giudicar bene del nostro stato presente » 1• I singoli sviluppi concernenti la formazione della sensibilità, della conoscenza intellettuale, del linguag­ gio, degli istinti associativi, rielaborano originalmente spunti gnoseologici e psico-fisiologici tratti ancora da Buffon, Diderot, Condillac. Non vanno intesi come enunciati speculativi formulati in vista di una teoria della conoscenza, ma come tentativi di ricostruzione del lungo processo di sviluppo che sottende la struttura della società moderna. Il punto di vista antropologico serve a illustrare il processo di estra­ neazione donde è sorta la diseguaglianza civile. L'in­ tervento della provvidenza divina è escluso, perché tale processo è attribuito all'uomo stesso, non come una « colpa » originale che si tramandi ereditariamen­ te, ma come un effetto della fragilità umana e del caso. La soluzione « laica » e « sociale » del problema della teodicea è già inclusa nella tesi centrale · del Discorso. Il che non implica affatto un abbandono, neppure temporaneo, delle ispirazioni religiose, chiaramente presenti in testi contemporanei come la prefazione al Narcisse. Ed è la soluzione della questione della teodicea che spiega l'insistenza di Rousseau sul libero arbitrio umano, sull'intervento del « caso » nella serie continua degli accadimenti, vista come un « concorso fortuito di parecchie cause esterne che potevano an­ che non verificarsi mai e senza le quali l'uomo sa­ rebbe rimasto eternamente nella sua condizione pri­ mitiva » 4• In questo modo Dio viene « discolpato >> da qualsiasi sospetto di concorso nel male : ha creato l'uomo « buono », non ha favorito né predisposto la sua caduta, non l'ha cacciato dal paradiso terrestre. Ciò equivaleva a smitizzare il peccato di Adamo ed l

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Discorso sull'ineguaglianza; SP, I, 1 3 1 . lvi, 171. 40

a razionalizzare il racconto biblico. n . pessimismo storico di Rousseau ha un preciso contrappunto nel suo ottimismo morale e metafisica. La denunzia del­ l'ineguaglianza implica un'alternativa: la possibilità di redimere l'uomo e la società. La seconda parte del Discorso è straordinaria­ mente densa. Ritmo e tempo aderiscono senza scarti alle successioni tematiche. Dopo un esordio clamo­ roso - l'immagine del primo uomo che recinge la proprietà, precipitando l'umanità nel suo lungo dram­ ma - il tono è dapprima pacato, poi sostenuto, dram­ matico, poi analitico, obiettivo e disteso, per diven­ tare sempre più intenso e incalzante nel climax con­ clusivo. Una precisa linea ascendente conduce il let­ tore dall'analisi antropologica dell'umanità preistorica all'analisi politica dell'umanità civilizzata, alla denun­ zia del patto ingiusto, della successione delle forme di dominio e di sfruttamento. L'antitesi tra natura e cultura non è più moralistica e grezza come nel primo Discorso, ma si configura come l'esito di com­ plesse mediazioni concettuali. Le cognizioni moderne riguardo alle culture prei­ storiche - paleolitico, neolitico, bronzo, ferro, e le subclassificazioni correnti tra gli specialisti - non debbono deformare l'interpretazione del testo sette­ centesco né per difetto né per eccesso. La tentazione di considerare Rousseau un precursore perspicace può essere altrettanto fuorviante quanto la sufficienza di chi lo valuti, alla luce della scienza del poi, come un autore che non ha più nulla da suggerirei. L'ermeneu­ tica orientata verso il presente - si tratti di prei­ storia o di scienze umane - è generalmente effimera. Una lettura corretta deve invece render conto del­ l'intero disegno, che rispecchia controversie vive al­ lora, e organizza intuizioni sparse in una trama coe­ rente. Rousseau, descritta la dispersione originaria degli individui umani nell'improbabile « stato di na­ tura » , fa subentrare (ed è la vera origine storica della società) la fase della caccia e della pesca. Invenzione .

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delle armi, addomesticamento degli animali, cottura del cibo, sono momenti di un'evoluzione che va verso la formazione di gruppi umani prima effimeri, poi durevoli. È la prima « rivoluzione »: famiglia, pro­ prietà, sviluppo del linguaggio e dei sentimenti, feste, segnano l'uscita dalle tenebre dello stato di natura e la creazione di una « società naturale ». Nonostantè le « vendette terribili » che vi si praticano a causa delle passioni amorose o possessive, è questo ancora un « juste milieu », un'età felice ed equilibrata che sarebbe stato bene conservare per sempre 5• È la con­ dizione attuale dei « popoli selvaggi a noi noti » at­ traverso le relazioni dei viaggiatori. Si possono variamente giudicare le diacronie rous­ seauiane, tracciate secondo criteri astratti e generali che non hanno alla loro base alcuna prova sperimen­ tale, alcun reperto paletnologico. Ma vanno viste in funzione della tesi principale . . Occorre seguire mo­ mento per momento l'analisi del processo di ripie­ gamento e sdoppiamento della coscienza dovuto alla manipolazione dei prodotti, al lavoro, al linguaggio, ai . rapporti interumani, alla crescita dei bisogni e delle ambizioni, alla tecnologia ed alla specializza­ zione. Il contatto pratico con le cose, i bisogni, la produzione di oggetti, la divisione del lavoro svilup­ pano tutte le facoltà umane: memoria, immagina­ zione, amor proprio, stima degli altri, rapporti di sottomissione e sopraffazione, inganno reciproco, am­ bizione, « concorrenza e rivalità da un lato, conflitto d'interessi dall'altro, e sempre il desiderio nascosto di fare il proprio interesse a spese degli altri » 6• L'interdipendenza tra « interno » ed « esterno », eventi economici e modificazioni psicologiche, prassi e giudizi di valore, si può anche leggere come un abbozzo di teoria della conoscenza « materialistica », se ci si riferisce alla tematica baconiana cosl presente s lvi, 179-80. 6 lvi, 185. 42

a Diderot e documentata da numerosi articoli dei si vuoi primi volumi dell'Encyclopédie; non L'anaintendere l'esclusione dell'anima i'rnrn� lisi della « diseguaglianza nascente » mento culminante nel processo di acc:unmln� la ricchezza sociale che segue l'invenzione tallurgia, dell'agricoltura e la difesa giuridica proprietà privata. Di qui la rapina e la sfrenata dei ricchi a danno dei poveri: > . Di qui l'abbandono del provvidenzialismo cristiano alla Bossuet, la laicizzazione del processo storico 14, la netta distinzione tra l'ordine « divino >> della natura e i rapporti interumani: Ciò che è bene e conforme all'ordine è tale per natu­ ra delle cose, indipendentemente da ogni convenzione umana. La giustizia · viene sempre da Dio, sua unica fonte, ma, se sapessimo riceverla tanto dall'alto, non avremmo bisogno né di governo né di leggi [ . . ]. A considerare umanamente le cose, mancando una sanzione naturale, le leggi della giustizia sono vane tra gli uomini [ . . . ]. Occorrono dunque delle convenzioni e delle leggi per unire i diritti ai doveri e per ricondurre la giustizia al suo oggetto IS. .

Ma « convenzioni >> e « leggi » debbono essere create mediante un consenso autentico, un accordo tra libere volontà. Le leggi di natura cui si appella­ vano . i teorici del diritto naturale non erano che una mistificazione del consenso, il risultato di uno pseudo consenso tra volontà di schiavi. Soltanto la distru­ zione del privilegio e l'eguaglianza possono dar luogo a « nuove associazioni », fondate sull'equità, sulla retta ragione e sui costumi virtuosi: ossia, nel lin­ guaggio del Contratto sociale, sulla « volontà gene­ rale ».

14 Si veda infra, cap. IX.

15 Manoscritto di Ginevra, II, IV; SP, Il, 52-3. 47

V. LA VOLONTÀ GENERALE

Tra le questioni, più dibattute della filologia rous­ seauiana sono l'evoluzione cronologica e la matura­ zione concettuale interna che si notano nei testi politici composti tra il 1754 e il 176 1 : l'articolo Economia politica, l'abbozzo detto Manoscritto di Ginevra e i frammenti politici, il Contratto sociale. I primi due sono anticipazioni o saggi frammentari delle Institutions politiques, progettate fin dal 17 50, riprese attorno al 1 756, e mai compiute. Rousseau rinunziò al progetto, e pubblicò il Contratto come punto d'arrivo e stralcio parziale, ma definitivo, delle sue riflessioni sulla società e sullo stato 1 • Nella sua apparente chiarezza e semplicità, il Contratto è una delle opere più fraintese e controverse nella storia del pensiero politico: a parte le deformazioni inten­ zionali e le letture erronee, non è affatto agevole comprendere questo stadio finale della teoria politica rousseauiana, se si trascura di ricostruirne - attra­ verso l'analisi dei testi precedenti - gli stadi inter­ medi. Ciò è possibile soltanto in parte, per ragioni obiettive: dal punto di vista strettamente cronolo­ gico, si può tener conto delle date di pubblicazione della voce Economia politica (nel volume V del­ l'Encyclopédie, novembre 1 755) e del Contratto so­ ciale (pronto nell'agosto 1 7 6 1 , apparso nel 1 762). Ma questi termini a quo e ad quem non soccorrono molto, perché i singoli testi si presentano, per cosl dire, come mosaici composti con tessere a volte iden­ tiche, e tutte di datazione incerta. Cosl tra la voce Economia politica e il Manoscritto di Ginevra si notano sia coincidenze testuali, sia divergenze con­ cettuali; a sua volta, il Contratto è un rimaneggia­ mento di gran parte del Manoscritto di Ginevra. l

Confessions, IX; OC, I, 405.

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Questo rappresenta dunque, insieme con gli altri frammenti, una fase intermedia, fluida: ma ogni al­ tro tentativo di datazione e di interpretazione resta inevitabilmente sul piano delle ipotesi. È possibile seguire tuttavia la maturazione del pensiero di Rousseau almeno in un caso di capitale importanza: riguardo al concetto di volontà generale. Qui' il punto di riferimento preciso è offerto da Di­ derot. Il direttore dell'Encyclopédie aveva fornito « utili consigli » a Rousseau per il secondo Discorso 2• La collaborazione intellettuale e l'amicizia tra i due uomini, ancora intensa nel 1755, entrò in crisi nel 1757. Alla vicenda biografica corrisponde una svolta teorica: nella voce Economia politica si legge un rin­ vio di consenso alla voce Diritto naturale di Diderot, pubblicata nel medesimo volume dell'Encyclopédie. Un importante capitolo del Manoscritto di Ginevra confuta invece minutamente l'articolo di . Diderot. Diderot rappresenta dunque il polo dialettico, il « reagente » rispetto al quale Rousseau precisò le sue tesi anti-giusnaturalistiche, soprattutto riguardo al concetto di volontà generale. Tuttavia lo sviluppo polemico non appare lineare. Dopo il secondo Di­ scorso, la voce Economia politica può sembrare esi­ tante, come se Rousseau, scrivendo per I'Encyclopé­ die, si preoccupasse di smussare e temperare i toni della sua critica anti-giusnaturalistica. Ma la preoc­ cupazione, anche se c'era, non mutò il suo atteggia­ mento di fondo. Le diversità di vedute tra il secondo Discorso e la voce Economia politica sono solo ap­ parenti. Diverso è piuttosto l'argomento dei due scritti : il primo è una diagnosi della degenerazione so­ ciale dallo stato di natura al patto iniquo; il se­ condo - senza contraddire tale diagnosi - disegna la prognosi del buon governo, la teoria e la pratica dello stato giusto. In questo senso, Economia poli2 Confessions, VIII; OC, I, 389. Cfr. Rousseau a St Germain, lettera del 26 febbraio 1770; CG, XIX, 252 nota.

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tica prefigura non poche tesi del Contratto sociale, già a cominciare dal concetto di inteso in una prospettiva ben rente tra i giusnaturalisti. È sommi capi questa elaborazione Pufendorf, l'autore costantemente nn-...... seau, aveva descritto l'entrata uommt stato sociale come un solenne impegno, assunto ciascuno, di rinunziare una volta per tutte alla pria volontà particolare, di costituire un corpo so­ ciale, e di sottomettersi alla « volontà positiva di tutti in generale [ volonté positive de tous en gé­ néral 3 ] ». Tale sottomissione - a un'assemblea o a un capo eletto è definitiva, irrevocabile, e si atti­ cola attraverso due « convenzioni » : un pactum unio­ nis e un pactum subjectionis. Ne risulta una volontà unica. Lo stato è « una persona morale composta, la cui volontà, formata dall'insieme delle volontà di molti riunite in virtù delle loro convenzioni, è con­ siderata volontà di tutti in generale [ volonté de tous généralement ] , ed è autorizzata per questo mo­ tivo a servirsi delle forze e delle facoltà di ciascun individuo privato per conseguire la pace e la sicu­ rezza comune » 4• Polemizzando contro Hobbes, Pu­ fendorf disegna un assetto gerarchico del potere nato dalla spontanea sottomissione dei contraenti all'au­ torità da loro stessi prescelta. Il trapasso dallo stato di natura allo stato sociale è privo di lotta, dominato dall'equità, dai giuramenti, dalla fedeltà ai patti. · La « legge naturale » si "prolunga e si realizza senza frat­ ture nelle leggi positive. I bravi cittadini educati al dovere « comprendono tutta la necessità e l'utilità del governo civile ». Non mancano certo i malfat­ tori e i ribelli [ esprits méchants et malfaits] che rifiu-

3 S. Pufendorf, Les devoirs de l'homme et du citoyen, trad. fr. di }. Barbeyrac, Amsterdam 17345, voll. 2, Il, sez. v, §§ 7-9. 4 lvi, sez. VI, §§ 5 sgg; 50

tano la « volontà generale di tutti »; ma agiscono per mera insipienza e ignoranza. È sufficiente che il sovrano impieghi, contro di loro, i mezzi di repres­ sione e di coercizione affidatigli dalla legge 5 • Nel suo articolo Diritto naturale, Diderot riespo­ se sommariamente questi principi di Pufendorf. Sep­ pe dare, con il suo sapido stile dialogico, ben altra concisione e più vivo mordente drammatico sia alle sue obiezione anti-hobbesiane, sia alla formula della « vo­ lontà generale ». Anche Diderot introduce, come Pu­ fendorf, la figura di un « malvagio » (méchant ) anti­ sociale. Costui acquista una precisa veste simbolica: il suo acume dialettico e il suo senso di equità - pur nella violenza della passione egoistica - fanrio di lui il portavoce della politica ferina di Hobbes. Sa illu­ strare le sue ragioni, giustificare razionalmente la sua aggressività e i suoi « istinti invincibili », dimostrare che il suo diritto di uccidere gli altri è reciproco - ossia dà agli altri un pari diritto su lui stesso e cosl stabilisce una paradossale equità in seno al bellum omnium contra omnes 6 , A questo suo per­ sonaggio hobbesiano Diderot offre una scelta molto netta: la repressione violenta, o la persuasione ra­ zionale e il ravvedimento. In quest'ultimo caso, il violento va « edificato » mediante il rinvio ai prin­ cipi supremi che regolano la volontà generale. Gli si deve mostrare il fondamento stesso del diritto naturale, fonte extrastorica della ragione universale che si identifica con la recta ratio del genere umano preso come un tutto, e che contiene i prindpi asso­ luti del giusto e dell'ingiusto: « La volontà generale è sempre buona - afferma solennemente Diderot non ha mai ingannato né mai ingannerà [ ] Alla . . .

.

5 S. Pufendorf, Du droit de la nature et des gens, trad.

fr. di J. Barbeyrac, Amsterdam 1712, l. I, l , 13 e l. VII, 2, 1-6. 6 D. Diderot, art. Diritto naturale, trad. it. in Enciclo­ pedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e de1 mestieri, Bari 1968, 394. 51

volontà generale deve rivolgersi l'individuo per co­ noscere i propri doveri di uomo, cittadino, padre, figlio; se gli convenga vivere o morire » . Diderot aggiunge - ed è un punto capitale - che la volontà generale è una sorta di saggezza oggettiva, « deposi­ tata » nel diritto positivo dei popoli civili, nelle usanze dei selvaggi, perfino nelle convenzioni che regolano le associazioni a delinquere: L'uomo che ascolta soltanto la sua volontà partico­ lare è nemico del genere umano [ . . ] . La volontà gene­ rale, in ogni individuo, è un atto puro dell'intelletto che ragiona, nel silenzio delle passioni, su ciò che l'uo· mo può pretendere dal suo simile, e su ciò che il suo simile può pretendere da lui [ . ] . Poiché tra le due volontà, l'una generale e l'altra particolare, la volontà generale non sbaglia mai, non è difficile scoprire a quale bisognerebbe che appartenesse, per la felicità del ge­ nere umano, il potere legislativo [ ] . Pur supponendo la nozione della specie umana perpetuamente fluida, la natura del diritto naturale non cambierebbe, poiché sa­ rebbe sempre relativa alla volontà generale e al deside­ rio comune dell'intera specie [ ... ] 7• .

..

...

Benché queste parole siano state scritte prima delle analoghe e più note espressioni rousseauiane, gli interpreti hanno posto in dubbio che la paternità del concetto di « volontà generale » sia dovuta a Diderot. Ma è indubbio che la fonte comune di Di­ derot e di Rousseau era Pufendorf, e che i due amici discutevano animatamente questi problemi attorno al 1753. Comunque, la divergenza dei loro punti di vista si disegna nettamente nei testL Rousseau rime­ ditò la tematica dell'articolo Diritto naturale, la sot­ topose ad una critica minuziosa, quasi interlineare, che compendia gran parte delle sue reazioni anti­ giusnaturalistiche. In sintesi, negò le premesse della concezione giusnaturalistica · che reputava la volontà 7

D. Diderot, ivi, 397.

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,generale « depositata » una volta per tutte nei patti, nei libri dei giureconsulti, nel diritto positivo: affer­ mò energicamente, al contrario, che la volontà ge­ nerale è una creazione continuamente rinnovata del­ la coscienza popolare, un'espressione immediata della ragione e della volontà dei membri del popolo so­ vrano · riuniti in assemblea. Quanto al méchant di Diderot, costui non può essere « edificato » con un rinvio alla coscienza o al diritto, che rischierebbe .di restare un ammonimento retorico e inefficiente. Lo si deve convincere, dimostrandogli piuttosto l'inte­ resse esclusivo che ha di aderire al patto sociale. Sono sviluppi che Rousseau maturò gradualmente .dalla voce Economia politica al Manoscritto di Gi­ .nevra. Nel primo di questi scritti, dopo aver distinto secondo linee abbastanza tradizionali la società fami­ liare dalla società civile, fissa un'altra distinzione mol­ to netta tra sovranità e governo, che avrà un'impor­ tanza capitale nel Contratto 8• Ma già in questo passo, sovrano è senz'altro il popolo. Il corpo sociale è ·qui definito con un'immagine organicistica, nella qua­ le si è creduto di vedere uno spunto autoritario, un'eco remota del tradizionale ammonimento conser­ ·vatore di Menenio Agrippa. In realtà la similitudine tra società e organismo vivente è una metafora occa­ sionale, che non si deve leggere in chiave propria­ mente « organicista » . Rousseau se ne serve non certo per privilegiare una casta di uomini saggi capaci di _governare (la « testa ») rispetto alle altre membra, inette, cui spettino funzioni puramente subalterne. Al contrario, la metafora introduce l'idea che la volontà generale procede da tutto l'organismo preso nel suo insieme. Essa è la risultante vivente di ogni :singola parte e del tutto, prodotta da una sorta di ·« corrispondenza interna » o di « sensibilità recipro­ ·ca » 9• È il linguaggio corrente della biologia pan·

8

Economia politica, in Enciclopedia cit., 415. Cfr. SP,

9

lvi, 416; SP, I, 281.

l, 280.

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psichista, usato soprattutto da Buffon: « Il corpo politico è anche un essere morale che ha una volontà, e questa volontà generale, che tende sempre alla con­ servazione del tutto e di ciascuna parte, ed è causa delle leggi, è, per tutti i membri dello Stato, la regola del giusto e dell'ingiusto » 10• Segue un pun­ tuale rinvio alla tesi enunciata nell'articolo di Dide­ rot, « che il presente articolo sviluppa ». Le dilfe­ rentiae sono quasi impalpabili : qui per Rousseau la volontà generale è un dato oggettivo della retta ragione, conoscibile da parte del soggetto mediante una precisa scelta etica: « per seguirla bisogna cono­ scerla, e soprattutto bisogna ben distinguerla dalla volontà particolare, cominciando da se stessi; distin­ zione sempre difficile, che soltanto la più sublime virtù può convenientemente indicare ». Qui è già posto il nesso tra morale e politica, libertà e autorità, sovranità della legge e limiti del potere esecutivo, diritti e doveri dei cittadini. Il punto d'incontro tra i vari momenti è offerto dalla « più sublime delle isti­ tuzioni umane », la legge, che l'uomo - dice so­ lennemente Rousseau - deve ad una « ispirazione celeste ». Il testo ci carica di metafore: Per quale arte imperscrutabile si è potuto trovare il mezzo di assoggettare gli uomini per renderli liberi? D'impiegare al servizio dello stato i beni, le braccia, la vita stessa di tutti i suoi membri, senza costringerli e senza consultarli? D'incatenare la loro volontà con il loro beneplacito? Di far valere il loro consenso contro il loro rifiuto, e di forzarli a punirsi da sé quando fanno ciò che non hanno voluto? Come può accadere che obbe­ discano e che nessuno comandi? Che servano e non ab· biano padroni? Tanto più liberi di fatto, in quanto, sotto un'apparente soggezione, ciascuno perde della pro­ pria libertà solo quel che può nuocere alla libertà altrui. Questi prodigi sono opera della legge. Solo alla legge IO

Jbid. 54

gli uomini debbono la giustizia e la libertà. È questo salutare organo della volontà di tutti che ristabilisce nel diritto l'uguaglianza naturale tra gli uomini. È questa voce celeste che detta a ciascun cittadino i precetti della ragione pubblica e gl'insegna a modellare la propria con­ dotta sui principi dettati dal suo proprio giudizio e a non essere in contraddizione con se stesso 11•

La volontà di tutti, o generale - le due espres­ sioni qui sono ancora sinonime, mentre nel Con­ tratto figurano ben distinte - è comunque la fonte del potere, la regola suprema e il limite dell'autorità dei magistrati. Ma come si esprime in concreto? Rousseau non ripete - come Pufendorf e Dide­ rot - che è incorporata una volta per tutte nei patti istitutivi o depositata nel diritto positivo. Certo, su questo punto cruciale nel suo pensiero v'è ancora . un'evidente oscillazione. In un passo accenna vagamente alla volontà generale vigente nella « grande città del mondo », una sorta di legge di natura co­ smopolitica ispirata allo stoicismo, che più tardi re­ spingerà. Altrove si riferisce invece alla volontà gene­ rale di uno stato ben determinato, « che va sempre consultata quando le leggi sono mute » 12• Sembra cosl sancito il principio della consultazione popolare in regime di democrazia diretta, per cui la volontà generale è in ogni caso espressa « dal basso ». Ma Rousseau è ancora esitante dinanzi alle difficoltà pratiche di tale procedura, e lascia un ampio margine di discrezionalità al « governo » rispetto al « sovra­ no », ai capi rispetto al popolo. Sarà sufficiente che l'esecutivo sia composto di uomini « giusti », perché la volontà generale venga correttamente interpretata. Su questo punto estremamente importante il Con­ tratto sociale è ben altrimenti intransigente: la vo­ lontà generale non può essere rappresentata né meIl

12

lvi, 420; SP, l, 285. lvi, 423; SP, l, 282, 287. 55

diata, e la sua espressione diretta è protetta da pre­ cise garanzie costituzionali 13 • L'articolo Economia politica insiste . sulle condi­ zioni educative, morali e politiche che rendono con­ cretamente possibile la crescita di una volontà popo­ lare retta: amor di patria, rettitudine di governanti, one'5tà di costumi, sana « formazione » interiore dei cittadini, virtù politica. La parte finale dell'articolo è dedicata al buongoverno, all'equa ripartizione della ricchezza, all'amministrazione della finanza pubblica, al fisco, ossia agli argomenti « economici » in senso proprio. Qui, come in Emilio e in altri scritti, gli interpreti hanno più volte rilevato il relativo arcai­ smo delle idee economiche rousseauiane, nostalgiche di un'economia chiusa e tagliate fuori dai contempo­ ranei sviluppi teorici della fisiocrazia e del mercan­ tilismo. Il chiarimento definitivo del concetto di volontà generale è r�gisjra �o i� un capitolo assai tormentato . del Manoscrztto dt Gznevra, pot escluso dalla reda­ zione definitiva del Contratto ; è un ulteriore, deci­ sivo confronto con le tesi di Hobbes, Pufendorf e Diderot. Nel contesto, Rousseau riannoda tutte le fila della propria meditazione attorno allo stato di natura, alla degenerazione sociale, al patto iniquo. Ora il concetto di volontà generale diventa la chiave di volta della critica anti-giusnaturalista. L'obiezione di maggior rilievo verte sul concetto tradizionale di sociabilitas (sociabilité). Com'è possibile appellarsi - nel senso di Diaerot e Pufendorf - alla volontà di una « società generale del genere umano », intesa come suprema depositaria dei principi del diritto e della giustizia? È una chimera che esiste soltanto « nei sistemi dei filosofi », mentre la realtà storica non ci presenta se non modelli di società antagoniste, competitive, violente. E poiché il preteso « progres­ so » non è che corruzione e decadenza, e la ragione 13

In/ra, cap. VII. 56

·è un prodotto tardivo dello stesso sviluppo sociale,

il preteso patto sociale dettato dalla natura è una vera e propria chimera, poiché le sue condizioni sono 14 . sempre ignote e impraticabili [ ... ] » • In altri termini, Rousseau respinge nuovamente, e con più precisa consapevolezza, il patto ingiusto > dell'uomo, il dissidio tra il mondo ferino dell'astu­ zia e della forza e il mondo ideale della « natura », la dicotomia tra etre e paraitre, le alienazioni sociali che ne conseguono - e perfino le dolorose tensioni interiori, la malignità e ostilità dei philosophes, il >; ma gare, re­ gate, feste popolari nelle quali i singoli si ritrovino unanimi come parti di un tutto e celebrino con sem­ plicità l'appartenenza alla città: Bisogna dunque escludere ogni spettacolo in una repubblica? Al contrario, bisogna darne molti. Sono nati nelle repubbliche ed è nel loro seno che brillano con vera festosità. A quali popoli più s'addice riunirsi spesso e formare dolci legami di piacere e di gioia, se non a quelli che hanno motivo di amarsi e di restare uniti per sempre? Abbiamo già pubbliche feste; creia­ mone altre, e ne sarò felice. Ma non accogliamo quegli spettacoli esclusivi che tengono tristemente segregate poche persone in un antro oscuro [ ] No, popoli felici, non sono quelle le vostre feste. Dovete riunirvi al­ l'aperto, sotto il cielo; e darvi tutti al dolce sentimento della vostra felicità [ ] . Piantate in mezzo a una piazza un palo incoronato di fiori, riunite il popolo, . e avrete una festa 9, ...

.

...

9 lvi, 613 (si è modificata la traduzione). 94

Le danze e i canti dei popoli primitivi, le feste popolari di Sparta sono i modelli ai quali Rousseau si ispira. La simbologia della festa rivoluzionaria riprenderà questi motivi. La Lettera sugli spettacoli, con le pagine sulla comunità rustica dei Montagnons e con il panegirico delle virtù popolari e civili, dà un contenuto corposo e un « colore locale » ape for­ mule astratte dei testi politici. Nel 1758 fu accolta con favore a Ginevra; ma non accadde lo stesso per l'Emilio e il Contratto. Nel giugno 1762, subito dopo la condanna parigina che costrinse Rousseau a cer­ care rifugio a Yverdon, il governo di Ginevra decretò il rogo dei due libri e l'arresto dell'autore. La crisi del mito di Ginevra è ovviamente legata a quest'epi­ sodio ed alle polemiche che ne seguirono. Ma si deve anche notare che i magistrati ginevrini erano stati perspicaci nel considerare il Contratto come un libro sedizioso e contrario alla interpretazione conserva­ trice della costituzione. Su alcuni punti essenziali, smentiva certe tesi costituzionali che l'oligarchia aveva imposto nel 1734, e faceva esplodere nuova­ mente il vecchio conflitto di opinioni e d'interessi in materia di diritto costituzionale. Allora, nella lotta tra oligarchi e partito borghese riguardo al diritto di protesta (représentation) una commissione di esperti aveva espressamente fissato questi assiomi: l ) il go­ verno di Ginevra è sl una « ariste-democrazia » o una « repubblica mista », ma vige in esso il principio classico della divisione dei poteri : l'autorità sovrana è costituita da « diverse parti » che stanno in equi­ librio reciproco (i singoli « consigli » gerarchicamente ordinati sotto la supremazia del Petit Conseil). 2) La sovranità popolare è tale solo di nome, dato che il Conseil Général dev'essere convocato soltanto in oc­ casioni straordinarie, a discrezione dei magistrati e su loro iniziativa 10• Quattro anni più tardi, l'Editto to

Représentations des dtoyens et bourgeois de Genève, Genève 1734; cit. in Derathé, ].-]. Rozme,m et la science politique de son temps, Paris 1970, 15. 95

ài Mediazione siglato dalla Francia, da Zurigo e Berna, ribadl questi prindpi, confermando la ditta­ tura di fatto del Petit Conseil e dei sindaci, e il primato politico degli oligarchi. Un accostamento tra questi documenti costituzio­ nali e le tesi rousseauiane è sufficiente per mostrarne l'inconciliabilità. La struttura del potere a Ginevra emarginava la sovranità popolare, negava la distin­ zione tra legislativo ed esecutivo, eludeva tutte le garanzie democratiche previste dal Contratto. La con­ danna del libro pose brutalmente Rousseau di fronte a una realtà che aveva ignorato, ma stimolò d'al­ tra parte la fazione « borghese » o « popolare » a prendere posizione ed a formulare un'aperta sfida .all'oligarchia. Trascorse quasi un anno prima che Rousseau si decidesse a reagire alla condanna; lo fece soltanto quando anche la sua Lettera a monsignor De Beaumont fu condannata, nell'aprile 1 7 63 . Con solennità, rinunziò ai suoi diritti di citoyen : Vi dichiaro - scrisse al primo sindaco - che abdico in perpetuo al mio diritto di borghese e cittadino della ·Città e repubblica di Ginevra. Dopo aver adempiuto come meglio ho potuto ai doveri connessi al titolo, senza goderne alcun vantaggio, non credo di restare debitore verso lo Stato !asciandolo. Ho cercato di ono­ rare il nome ginevrino; ho · teneramente amato i miei -compatrioti; non ho tralasciato nulla per farmi amare da loro: il risultato non poteva essere peggiore [ . . ] 11• .

L'epistolario degli anni 1 762-63 registra momento per momento le disillusioni, i conflitti, le circostanze giuridiche e politiche della vicenda che segnò la « scoperta » del regime ginevrino. In città un gruppo pro-rousseauiano si organizzò sotto la guida di un dttadino autorevole, J.-F. De Luc, decano della bor­ ghesia. Riesumò la vecchia arma della protesta, indi11 Rousseau a J. Favre, 12 maggio 1763; CG, IX, 284. 96

rizzando al primo sindaco un� « umilissima e rispet­ tosa représentation », nella quale si contestava come illegittima la procedura di condanna dell'Emilio e del Contratto. I firmatari erano quaranta il 1 8 giugno 1763 ; l'atteggiamento dilatorio del Petit Conseil li fece accrescere a cento 1'8 agosto, a quattrocento­ ottanta il 20 agosto. Il caso Rousseau diventò cosl l'occasione di uno scontro tra gruppi sociali, interessi economici, fazioni politiche, e offd al partito per­ dente del 1734 la possibilità di rimettere in que­ stione la violenza legale degli oligarchi. I quali, per bocca del procuratore Jean-Robert Tronchin, rigetta­ rono sia le représentations concernenti Rousseau, sia la legittimità della iniziativa stessa. A questo punto, nel settembre-ottobre 1763, la questione procedurale diventò la chiave della faccenda. Aveva o no il Petit Conseil un diritto di vetÒ (droit négatif) nei con­ fronti delle représentations d'iniziativa popolare? Il dibattito parve concluso dalla pubblicazione di « un'opera scritta a favore del Conseil con un'arte infinita, grazie alla quale il partito dei représentants fu ridotto al silenzio e schiacciato [ . . . ] Siluit terra » 12• Erano le Lettere scritte dalla campagna, dovute alla penna del Tronchin. Rousseau si era proposto più volte di rispondere alle accuse dei suoi giudici per chiarire la propria posizione religiosa e ribadire le proprie tesi giuridico-politiche. Aveva redatto ab­ bozzi di repliche, rimasti incompiuti. Nel momen­ to in cui la questione personale si allargò sul ter­ reno del conflitto costituzionale, e Tronchin parve averla risolta a vantaggio della parte dominante, Rousseau uscl dal suo riserbo e accettò, per la prima volta, di prender posizione nel dibattito politico. Lo sollecitarono in questo senso > 4 • Al contrario, il programma dell'Emilio è tutto orientato in senso « domestico »: la cura dell'edu­ cando è affidata · a un precettore privato. Il punto di vista è diverso per un motivo ben preciso. Anche in · questo caso, Rousseau « adattò >> i propri prin­ cìpi regolativi alla realtà sociale che aveva sott'occhio. La totale sfiducia nei governi e nelle > esi­ stenti - soprattutto la Francia - gli fece abban­ donare come impraticabile l'ideale supremo dell'edu­ cazione pubblica; ma il progetto alternativo doveva esser capace di rovesciare punto per punto la pratica pedagogica corrente. Il nesso tra pedagogia e poli­ tica si pone dunque in termini violentemente pole­ mici. Secondo una testimonianza indiretta, Rousseau notò una volta, prima di scrivere l'Emilio, che per educare bene i giovani > di Vincennes non soltanto la genesi del suo primo Discours, ma l'intuizione prima di tutti i suoi « principi >>. 1750 L'Accademia di Digione premia il Discours sur les sciences et les arts (9 luglio), che vede la luce alla fine dell'anno. Pubblicazione del Prospectus dell'Encyclopédie, e della Défense de l'Esprit des lois di Montesquieu. 1751 I luglio. Pubblicazione del volume I dell Encyclopédie ; nel Discours préliminaire D'Aiembert menziona il pri­ mo scritto di Rousseau; si moltiplicano i pamphlets sul Discours sur les sciences et les arts. Rousseau scrive la '

Réponse au roi de Pologne. 1752 Composizione dell'opera in musica Le devin du village,

che viene rappresentata a Fontainebleau, dinanzi al re, il 18 ottobre,. Rousseau non si presenta all'udienza reale. Rappresentazione al Théatre Français di Narcisse ou l'amant de lui-méme, commedia giovanile che Rousseau pubblica ora con una notevole « Préface >> . « Riforma suntuaria » : Jean-Jacques decide di farsi copista di mu­ sica « un tant à la page >>.

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Dopo il decreto di sospensione del 7 febbraio 1752, provocato dall'« atfaire cles Prades », l'Encyclopédie ripren­ de la pubblicazione con il volume III. Querelle des bouf­ fons, alla quale Rousseau partecipa con la Lettre sur la musique française, accolta con vive reazioni nell'ambiente teatrale. L'Accademia di Digione pubblica un nuovo ban­ do di concorso sul tema: « Quelle est l'origine de l'iné­ galité parmi les hommes, et si elle est autorisée par la loi naturelle? ». Rousseau medita il tema nella foresta di Saint-Gennain. 1 754 Compone il Discours sur l'origine de l'inégalité. Va a Ginevra; a Chambéry scrive la « Dedica alla Repubblica di Ginevra » ( l giugno); è riammesso alla Chiesa calvi­ nista e reintegrato nei diritti di citoyen ( I agosto). Nel­ l'ottobre il Discours sur l'inégalité è pronto per la stampa. Composizione dell'articolo Economie politique. 1 755 Terremoto di Lisbona. Voltaire si trasferisce a « Les Délices », presso Ginevra. Morte di Montesquieu. Pub­ blicazione del Diicours sur l'origine de l'inégalité. L'arti­ colo Economie politique appare nel volume V dell'En· cyclopédie. 1756 Rousseau si trasferisce nel parco della Chevrette pres­ so Parigi, appartenente a Madame d'Epinay, ed è suo ospite in una casetta detta l'Ennitage. Porta a termine l'Extrait du proiet de paix perpétuelle e la Polysynodie, redatti sui manoscritti dell'abbé de Saint-Pierre, con i rispettivi ]ugements. Mentre lavora al primo abbozzo del Contrat social (il cosiddetto Manuscrit de Genève), pro­ getta Emile e La nouvelle Hélozse. Lettera a Voltaire sulla provvidenza in polemica con il Poème sur le dé­ sastre de Lisbonne. 1 757 Attentato Damiens contro Luigi XV; scoppia la guerra dei Sette anni. Nel volume VII dell'Encyclopédie ap­ pare la voce Genève, scritta da d'Alembert in base ad una serie di indicazioni di Voltaire. Rousseau si inna­ mora di Madame d'Houdetot; tra il marzo e l'ottobre, le sue relazioni con Grimm, Saint-Lambert, Diderot, si fanno assai tese. Nel dicembre la rottura con gli enci­ clopedisti è consumata: Madame d'Epinay invita Rous­ seau a lasciare l'Ermitage, ed egli si trasferisce a Mont­ morency. 1758 Rousseau risponde all'articolo Genève con la Lettre à D'Alembert sur les spectacles. ]ulie ou la nouvelle Hé­ lo"ise è compiuta. Si approfondisce la crisi del parti phi­ losophique, già iniziata l'anno precedente con gli attacchi di Moreau, Palissot, Chaumeix e altri libellisti, soprat­ tutto contro l'Encyclopédie, e ora contro il saggio De l'esprit di Helvétius, pubblicato nel luglio.

1753

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Solenne condanna governativa dell'Encyclopédie, di De l'esprit e di altri scritti dei philosophes. Revoca del pri­ vilegio dell'Encyclopédie, che sospende la pubblicazione fino al 1766. Ospite del maréchal de Luxembourg presso Montmorency, Rousseau lavora all'Emi/e. 1760 Redazione di Emile e del Contrae social. In dicembre La nouvelle Hélolse, stampata in Olanda, è posta in vendita in Inghilterra. 1761 Ai primi dell'anno, La nouvelle Hélolse ottiene grande successo anche a Parigi. Il Contrae social e l'Emi/e sono inviati al torchio, rispettivamente presso i librai Rey di Amsterdam, e Duchesne di Parigi. 1762 Rousseau scrive le quattro lettere autobiografiche a Malesherbes. Pubblicazione di Emile e del Contrai so­ eia!, subito condannati a Parigi (9 giugno) e a Ginevra (19 giugno). Rousseau fugge a Yverdon, ma il 10 luglio è costretto dal governo del cantone di Berna a rifugiarsi a Motiers, in Val-de-Travers, territorio svizzero appar­ tenente al re di Prussia. Ottenuto asilo politico da Fe­ derico Il, si fa raggiungere qui da Thérèse Levasseur. 1763 Pubblicazione della Lettre à Christophe de Beaumont, replica al Mandement pastorale emanato dall'arcivescovo di Parigi contro l'Emi/e. In seguito all'atteggiamento dei pubblici poteri di Ginevra, Rousseau rinunzia solenne­ mente ai suoi diritti di « citoyen » ( 12 maggio). Il partito dei représentants si organizza e presenta le proprie ri� chieste, cui replica nel settembre-ottobre il procuratore generale Tronchin, con le Lettres écrites de la campagne. 1764 Rousseau compone le Lettres écrites de la montagne, che vedono la luce nel dicembre. Appare anonimo il libello di Voltaire, Sentiments des citoyens, ove si svela la sorte dei figli di Rousseau. 1765 Rousseau è costretto a lasciare Motiers in seguito al conflitto con il pastore Montmollin e con la locale chiesa calvinista. Si rifugia nell'isoletta di Saint-Pierre sul lago di Bienne, ma il consiglio di Berna, cui la località appar­ tiene, lo costringe alla fuga. Breve soggiorno a Parigi. 1766 Rousseau giunge a Londra con David Hume ( 13 gen­ naio), ma ben presto (giugno-luglio) rompe i rapporti anche con lui. Trascorre un anno a .Wotton (Derby) con Thérèse, e vi porta a termine la prima parte delle Con­ fessions. Si pubblicano I'Exposé succinct di Hume e il Précis pour ].-]. Rousseau di Madame Latour de Fran­ queville, che rendono di pubblica ragione la querelle con Hume. 1767 Rousseau rientra in Francia (maggio) sofferente di gravi disturbi nervosi.

1759

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Si reca a Lione, Grenoble, Chambéry, Bourgoin; qui sposa civilmente Thérèse, la madre dei suoi figli, ab­ bandonati negli anni '50 all'ospizio dei trovatellL 1769 Vive a Monquin nel Delfinato. Erborizza e compone i libri VII-XII delle Confessions. 1770 Ritorna a Parigi, in rue Platrière. Letture private delle Confessions, che suscitano allarme nell'ambiente dei phi­ losophes. Morte di Voltaire. Rousseau partecipa alla sot­ toscrizione pubblica per il suo monumento. 1772 Composizione delle Considérations sur le gouverne­ ment de Pologne e dei dialoghi Rousseau juge de Jean­ Jacques. 1774 Rapporti amichevoli con Gluck; Rousseau assiste alle prime rappresentazioni parigine delle sue opere Ifigenia e Orfeo e Euridice. Riprende a comporre musica, per una Daphnis et Chloé, e di nuovo per Le devin du village. 1775 Grande successo della scena lirica Pygmalion alla Co­ médie Française. 1776 Rousseau, oppresso da mania di persecuzione, tenta di deporre il manoscritto dei Dialoghi sull'altare di No­ tre-Dame; avendo trovato il coro chiuso, consegna il manoscritto al Condillac (25 febbraio). Distribuisce pub­ blicamente in strada il messaggio A tout François aimant encor la justice et la vérité. Inizio della composizione delle Réveries du promeneur solitaire. 1788 Il 1 2 aprile compone l'inizio della decima Réverie, che rimarrà incompiuta. Il 20 maggio si trasferisce a Erme­ nonville, ospite del marchese René de Girardin. Il 2 giugno muore improvvisamente; è sepolto nell'« Ile cles Peupliers », donde le sue ceneri ·· saranno solennemente trasportate al Panthéon nel 1794. 1768

STORIA DELLA CRITICA

« Un quadro anche incompleto dello stato degli studi rousseauiani - avvertiva Albert Schinz nel 194 1 , presentando il suo Etat présent des travaux sur ].-]. Rousseau - esigerebbe un grosso volume. La bibliografia concernente il filosofo di Ginevra è almeno pari a quella riguardante Platone, Dante, Cervantes, Shakespeare, Goethe [ .. ] ». Negli ultimi trent'anni la letteratura critica si è notevolmente accresciuta. Si sono avuti bilanci parziali di studi, ma nessun vero « quadro » d'insieme. D'altra parte la critica, anche recente, riecheggia spesso le contro­ versie del passato, rendendo vana ogni cesura tra