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Italian Pages 145 Year 1987
Biblioteca A delphi 177
GEORGES D U M E ZIL
« ...Il monaco nero in grigio dentro Varennes»
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Luigi X V I e M aria Antonietta vennero ar restati a Varennes nel 1791, mentre fuggiva no. Più di due secoli prima, il medico-mago Xostradamus aveva scritto, nelle sue Centu rie profetiche, una quartina che corrisponde in maniera impressionante, e sino al minimo dettaglio, a ciò che avvenne alla coppia re gale. Molti hanno notato, a partire dall’ini zio dell'Ottocento, questa concordanza in spiegata. M a solo un grande studioso come Georges Dumézil, che ha passato la sua vi ta in mezzo alle lingue e alle civiltà più re mote, poteva avere l’idea mirabile di affron tare questo enigma nella cornice di una sor ta di romanzo poliziesco, dove il Dupin o lo Sherlock Holmes è evidentemente Dumézil stesso. Il risultato è questo libro (1984), sor prendente per l’abilità nell’analizzare una questione insolubile come per la maestria con cui questa ricerca rigorosa viene ironi camente trasposta in forma romanzesca. L’orientalista Espopondie, trasparente alter ego di Dumézil nell’indagine, non vuole altro che far funzionare la ragione sino alle estre me conseguenze. Così non condivide l’atteg giamento di coloro che, «col pretesto di pro teggersi dall’irrazionale, rifiutano di regi strare quelle osservazioni che lo stato delle nostre conoscenze non consente di interpre tare». Al giovane amico che lo assiste nella ricerca consiglia di leggere Nostradamus come fosse Virgilio, ricostruendo il suo lessi co e spiegandolo attraverso il suo stesso lin guaggio. Allora la quartina di Nostradamus, come un fiore giapponese nell’acqua, si espande in un’immagine compiuta, alluci natoria, e da ogni parola affiora un dettaglio di quella notte fatale della nostra storia, come se qualcosa o qualcuno parlasse den tro di lui [Nostradamus], rivolgendosi a ciò che nel nostro cervello è predisposto e orga nizzato per accogliere suoni articolati e rico noscerne il senso». In un'intervista di pochi mesi precedente alla sua morte, Dumézil affermava che aveva
scritto questo libro «per divertirsi». M giochi di un sapiente sono quanto di più rio. E Dumézil stesso lo ha lasciato in dere nella seconda parte di questo libro, è una illuminante riflessione su un a enigma: il significato delle ultime parole Socrate, « Dobbiamo un gallo ad Asclepi Secondo Dumézil, quelle parole erano la sposta del filosofo a un sogno. Con esse, crate mostrava di aver capito che la sua p tita era già «stata giocata, nell’invisibile comunica col nostro mondo solo attrave oracoli, segni, sogni premonitori». G eorges D u m ézil (1898-1986) h a riv o lu zio n in q u e sti ultim i c in q u a n t’a n n i, la n o stra visi d elle civ iltà in d o e u ro p e e. N u m ero se sue op sono s ta te p u b b lic a te o sono in p re p a ra z i presso A delphi.
In c o p e rtin a : L ’arresto di L u ig i X V I e dtl'.a Varennrs il 2 2 giugno 1791. C o lle z io n e p r:\ ¿ ta
DELLO ST E S S O AUTORE:
Gli dèi dei Germani Matrimoni indoeuropei A CURA DELLO S T E S S O AUTO RE:
II libro degli Eroi
GEORGES DUMÉZIL
.Il monaco nero in grìgio dentro Varennes» SOTIE NOSTRADAMICA SE G U IT A DA:
D ivertim ento sulle ultime parole di Socrate
A D ELPH I ED IZIO NI
Titolo originale L e m o y n e n o ir e n gris d e d a n s V a ren n e s » Sotie nostradamique suivie d’un D ivertissem ent sur les dernières paroles de Socrate
« ...
Traduzione di Gioia Zaganelli
© 1984 ÉDITIONS GALLIMARD © 1987 ADELPHI EDIZIONI S .P .A . 127373
PARIS MILANO
IN D IC E
A Pierre Nora
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«... Il monaco nero in grigio dentro Varennes »
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« Noi siamo debitori di u n gallo ad Asclepio... »
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a Pierre Nora Caro amico, lei, che mi ha gentilm ente sollecitato a pubblicare queste riflessioni, vorrà riferire al lettore qualche in formazione utile. Si potrebbe chiamare la prim a parte del libro « Si stema del mondo, volume I ». M a siccome né io né le prossime generazioni scriveremo i volum i successivi, ho preferito una dicitura p iù modesta. È inutile cercare qualche chiave interpretativa. H o continuam ente mescolato ricordo e finzione. Se la con versazione con Gustave Charles T oussaint davanti al l ’isola di Jan Mayen è quasi esattamente riprodotta, temo che, nella Sotie, sia necessario ingarbugliare un po’ i personaggi, o meglio rid u rre i tre Perfetti al solo che non lo è: come avrei potuto a sessant’anni di d i stanza distribuire le battute con precisione? Ad ogni modo, l ’ultim o inverno di Espopondie, al pari dei no stri rapporti, ai quali egli deve probabilm ente il no me, sono stati davvero come li descrivo. Si può d u n que considerare autentico il fascicolo che si trova nel secondo capitolo. Devo però riconoscere che da lungo tempo lo avevo accantonato quando, alla fine del 1968, 11
il terzo piano della Biblioteca dell’Università di Princeton, presi dagli scaffali un Nostradamus dell’ini zio del XVIII secolo. Rileggendo, toccando con mano le quartine su «V arennes» e su «N arbon e Saulce», il problem a ha ripreso vita in me e ho deciso di svi lupparlo. Il lettore vorrà certo ricorrere al testo. L ’edizione commentata di Le Pelletier è stata finemente ripro dotta nel 1976 da Jean de Bonnot, Faubourg SaintH onoré 7. Sono questi i due volumi da consultare. Il mio lavoro non sarebbe progredito di molto se i miei nipoti e m ia nuora non si fossero sobbarcati a molte ricerche filologiche, lessicali, statistiche e stori che. Se la responsabilità delle argomentazioni, dello schema e delle conclusioni è dunque mia, a loro spetta in gran parte il m erito dell’operazione. Affettuosamente grazie Georges Dumézil
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.IL MONACO N ER O IN G R IG IO D E N T R O VARENNES» S O T IE N O S T R A D A M IC A
a Henri Sauguet, in ricordo di Roger Désormière e di Claude-Eugène Maître
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Una sessantina di anni fa, tra il 1922 e il 1925, ebbi la fortuna di legarmi di amicizia con Espopondie, uno degli uom ini che più profondamente, e credo più utilm ente, hanno influito su di me. Io godevo dei miei venticinque anni, lui si avvicinava ai cinquanta. Le battaglie del 1918 mi avevano plasmato un poco, reso più umano, sottratto al microcosmo, certo esal tante ma irreale, dei khâgnes1 e dei libri, per preci pitarm i in quel miscuglio di episodi infernali e para disiaci che era a quell’epoca, per un giovane sottote nente di artiglieria, il magma indistinto di un esercito in guerra. N iente a che vedere con la stufa del capi tano Cartesio: avevo riflettuto poco, avevo vissuto. Al contrario, gli anni della mia amicizia con Espopondie, l’ultim o più dei prim i, tracciarono una volta per tu t te le linee fondamentali del mio pensiero e del mio comportamento. Egli aveva frequentato a lungo le regioni più re mote dell’Asia, dotto itinerante e am m inistratore come molti grandi orientalisti dell’inizio del secolo, ed è 1. Corsi propedeutici ai concorsi dell’École norm ale supérieure.
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attraverso questo passaggio che io, esordiente in quegli studi, ero entrato in contatto con lui. Il mio Oriente non era il suo, ma condividevamo una parte dell’In dia. E poi iniziavo allora ad abbozzare le prime idee, cariche di illusioni, sugli indoeuropei, sulla m ito logia comparata: tu tto ciò lo interessava. Ben presto, comunque, non fu più questo il centro dei nostri rapporti. La sua sensibilità per la poesia, la musica, le arti plastiche non era da meno. Aveva letto pro digiosamente, vissuto intensamente. Doveva alla sua formazione scolastica di filosofo la capacità di domi nare con eleganza questa massa di sapere e di espe rienza. In sua compagnia ho assistito a concerti di avanguardia, a incontri di pugilato, e visitato i musei belgi: ogni volta mi si chiariva qualcosa di inso spettato. Ma è soprattutto dopo l’autunno 1924 e durante l ’ultim o inverno della sua vita che l’ho conosciuto davvero. Sapevo che dai tempi del suo ritorno in Fran cia, alla vigilia della guerra, non godeva di buona sa lute. Appresi allora che soffriva di due malattie, di cui una di cuore, che richiedevano terapie incompatibili. Le crisi si moltiplicarono in ottobre. A volte Espopondie non usciva per intere settimane. Presto ebbe la certezza che si avvicinava la fine e decise di andar sene con saggezza. Dal punto in cui era giunto guar dava alla propria vita senza compiacimento né rim pianto. Poiché aveva avuto ciò che chiamava con finta um iltà la « debolezza » di conservare plichi di lettere, alcune m olto intim e - aveva attraversato non poche burrasche - e anche fascicoli di appunti, taccuini, libri iniziati e poi abbandonati - aveva pubblicato pochissi mo - sentì il desiderio, prim a di distruggerli, di com piere un ultim o viaggio tra quei m onum enti insignifi canti o im ponenti delle sue idee, delle sue ricerche e, se non proprio delle sue passioni, alm eno di qualche affetto sincero e di non pochi miraggi sentimentali. Probabilm ente quanto aveva conosciuto di me gli ispirava fiducia. E altrettanto probabilm ente io lenivo 16
un poco un suo cruccio di cui una volta mi aveva me» so a parte: quello di andarsene senza lasciare figli,