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Stefano Massini
7 minuti Consiglio di fabbrica
Einaudi
DEBUTTO DELLO SPETTACOLO:
20 novembre 2014, Bologna, Teatro Arena del Sole. INTERPRETI:
Ottavia Piccolo, Paola Di Meglio, Silvia Piovan, Olga Rossi, Maiga Balkissa, Stefania Ugomari Di Blas, Cecilia Di Giuli, Eleonora Bolla, Vittoria Chiacchella, Arianna Ancarani, Stella Piccioni. REGISTA:
Alessandro Gassmann. PRODUZIONE:
Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro Stabile dell’Umbria, Teatro Stabile del Veneto.
7 MINUTI
Nel 1954, negli Stati Uniti, Reginald Rose metteva il proverbiale dito nella piaga della società americana scrivendo per Studio One Twelve Angry Men (La parola ai giurati). A distanza di sessant’anni, credo che qui, in Europa, in piena crisi economica, il dito nella piaga possa e debba riguardare il mondo del lavoro. Di piú: l’etica stessa del lavoro. L’ira di Rose oggi infiamma ben altri scenari. Forse un consiglio di fabbrica. Forse undici operaie intorno a un contratto da rinnovare.
Il Consiglio di fabbrica della Picard & Roche
BLANCHE
61 anni, operaia specializzata portavoce delle altre
MIREILLE
22 anni, operaia ai telai sognatrice di vite normali
SABINE
26 anni, operaia al reparto tinte se potessi morderei il mondo
ODETTE
52 anni, operaia da trenta, reparto cardatura madre di Sabine piú sigarette che pensieri
RACHEL
35 anni, operaia ai telai lunghe braccia tatuate
AGNIESZKA
24 anni, impiegata della Polonia neanche mi ricordo
MAHTAB
32 anni, operaia specializzata chiamare per nome la paura
ZOÉLIE
22 anni, operaia reparto filati non chiedersi nulla, non chiedermi nulla
ARIELLE
36 anni, operaia reparto cardatura
io sono il mio lavoro SOPHIE
19 anni, impiegata per decidere ho tutto il tempo
LORRAINE
22 anni, operaia reparto tinte la migliore scelta è non scegliere
Una stanza con grandi finestre. Linoleum grigio a terra, neon sul soffitto. E logo gigantesco della Picard & Roche. Un distributore di bibite. Armadietti contro i muri, ognuno con un nome: se ne contano un centinaio. Un tavolo nel mezzo. Qualche sedia. Due panche. Un orologio appeso alla parete. Una numerosa squadra di operaie si trova nello spazio, sedute o in piedi, addossate al muro. Pesante aria d’attesa. ARIELLE
Ehi, gente! Rumore di passi... Silenzio. Tutte tendono l’orecchio. ZOÉLIE
Io non sento nulla. ARIELLE
Vi dico di sí. MIREILLE
Non c’è nessun rumore. RACHEL
Te lo sei sognata. LORRAINE
Prenditi un calmante, Arielle, dammi retta. ODETTE
Quanto tempo è che la tengono là dentro? ARIELLE
Tre ore e venti. SABINE
Sarà sfinita. LORRAINE
Portavoce senza voce. ODETTE
Sta facendo buio. RACHEL
Ancora un po’ e la inviteranno a cena. MIREILLE
Per avvelenarla, certo. RACHEL
Arrosto di operaie al forno. SABINE
Ti stupiresti? ARIELLE
Un’altra ora in questo stato e svengo. MIREILLE
Svenire, mai. RACHEL
Semmai morire, meglio. C’è piú dignità. Ridono. ODETTE
Passi nel corridoio! Ci siamo! MIREILLE
Ti ci metti anche tu, Odette? ARIELLE
Ha ragione: passi per le scale, viene qualcuno. Si apre la porta. Entra Sophie. Giovanissima.
SOPHIE
Salve a tutte! RACHEL
Santo Dio, Sophie, sei tu! SOPHIE
Non ce l’ho fatta prima... RACHEL
Non ti sei persa niente. LORRAINE
Falso allarme. ARIELLE
È una tortura. SABINE
Meglio un falso allarme che brutte notizie. SOPHIE
Nessuna novità? MIREILLE
Calma piatta. SOPHIE
Blanche non è ancora uscita? RACHEL
Ammesso che ne esca. ODETTE
È ancora di là, coi capi. LORRAINE
Una contro dieci. SOPHIE
Dieci? SABINE
Li ho contati io, prima che entrassero. Dieci, certo. Dieci cravatte. MIREILLE
Uno squadrone. RACHEL
“Plotone”. D’esecuzione.
ODETTE
Quattro cravatte sono della proprietà, tre dei nuovi padroni e altri tre dei soci stranieri. LORRAINE
I soci stranieri! Ne ho già perso uno, io, di lavoro, a Marsiglia: licenziata, per i soci stranieri. Ristrutturazione industriale. Nuovo piano di recupero. Volevano mandarci a Singapore. I soci stranieri! SABINE
Sono tre su dieci, Lorraine, non la maggioranza. LORRAINE
Chissenefrega! MIREILLE
Muoiano tutti! Al gran completo. RACHEL
A pensarci bene, in effetti, bastava un colpo di genio: tutti e dieci nella stanza, Blanche esce con una scusa, chiude bene la porta... a quel punto un bel po’ di gas, aprire il rubinetto... E il gioco è fatto! SABINE
Problema risolto! MIREILLE
Fabbrica a noi! RACHEL
Operaie padrone! SABINE
Picard & Roche salvata dalla manodopera! LORRAINE
Altro che Consiglio di fabbrica! SABINE
Stanza dei bottoni! AGNIESZKA
Finitela di dire scemenze! SOPHIE
Non hanno mai interrotto, neanche un attimo? MIREILLE
Non si è vista uscire neanche una cravatta. Tutti infilati là dentro. SABINE
Dieci contro una. ARIELLE
Brutta aria. AGNIESZKA
Ci fanno tutte fuori, vi dico. ARIELLE
Brutta aria. RACHEL
E smettila. AGNIESZKA
Brutta aria. ARIELLE
Me lo sento, non finisce bene. RACHEL
Qualcuna faccia star zitte queste due. SOPHIE
Non pensavo ci volesse tanto. LORRAINE
Nessuna pensava. SOPHIE
Che avranno da dirle? ARIELLE
Chiudono i cancelli e basta, le dicono questo. SOPHIE
Non credo. ARIELLE
Io sí: ci chiudono. RACHEL
Ma che ti dice il cervello? Voi del reparto cardatura siete fatte tutte strane: ci vuole sempre una dei telai che vi riapra gli occhi! Se volevano chiudere e basta ti sembra che la tenevano tre ore? Le dicevano «va’ di là, di’ a tutte che da lunedí fine»: sono tre secondi, non tre ore.
SABINE
È vero. MIREILLE
Ha ragione. RACHEL
Qui c’è sotto un qualche piano: salterà fuori una proposta. La faranno. Giuro. Giuro che salta fuori una proposta. ARIELLE
Pur di non andare a casa, accetterei tutto. MIREILLE
Parla per te. ARIELLE
Perché, tu no? RACHEL
Nossignora, no davvero! ARIELLE
Non ci credo. ODETTE
Ti ricordo che ogni decisione passa da qui, Arielle. ARIELLE
Decisione di cosa? Come se potessimo decidere. AGNIESZKA
Decidere, certo. Il come. Come farsi licenziare. RACHEL
Miseria, siamo noi il Consiglio di fabbrica: ci hanno elette, decidiamo noi, decidiamo per tutte e duecento, o no? LORRAINE
Ha ragione. MIREILLE
Giusto. AGNIESZKA
Se decidiamo tutto noi, perché non ci siamo noi, di là, con le cravatte? Aspettare qui mi fa schifo, non ha senso. ODETTE
Blanche fa solo la portavoce. Il regolamento vuole cosí: noi decidiamo, poi una sola riferisce. Le cravatte propongono, lei ascolta e riferisce. ARIELLE
Farà anche la portavoce, intanto sta là dentro da tre ore. MIREILLE
Con dieci uomini... Viene da pensar male. AGNIESZKA
Perché? Tu invece pensi bene? Siamo attaccate a un filo, quelli stanno chiusi da tre ore e tu sei tranquilla? MIREILLE
Era una battuta, cara scema. Voi dell’Est non capite le battute, non ci riuscite, è piú forte di voi. AGNIESZKA
Prova a dire meno cretinate e vedrai capisco anch’io. MIREILLE
Non ci giuro: tu sei impiegata, io operaia. SOPHIE
Ancora, Mireille? MIREILLE
Siete le uniche due impiegate, carina, qui dentro. RACHEL
Minoranza! LORRAINE
Impiegate e operaie sono teste diverse. MIREILLE
Teste diverse. RACHEL
E di’ quel che vuoi: gira meglio la nostra. Voi avete i numeri nel cervello, noi tecnica. Mani. Telai. Giuro: è una testa migliore. AGNIESZKA
Migliore! MIREILLE
Migliore. AGNIESZKA
Giusto per i capelli, guarda. ODETTE
Buone, ragazze, per favore. LORRAINE
Aria elettrica. MIREILLE
E poi voglio dire: se la “portavoce” sta tre ore là dentro... si potrebbe anche fare un brutto pensiero. Su di lei, intendo. ODETTE
Che vuoi dire, Mireille? MIREILLE
Niente, lo so io. Lascia perdere. ODETTE
Butta fuori. MIREILLE
Ragiono da operaia, io, non da impiegata. Mani, tecnica, telai. ODETTE
E io sono operaia come te. MIREILLE
Voglio vedere i risultati. SABINE
Parla. MIREILLE
Dico che questa storia della portavoce non mi va a genio. Se una resta tre ore a colloquio con le cravatte, magari... LORRAINE
Magari? MAHTAB
Magari ottiene cose per sé. ODETTE
Per sé! MAHTAB
Per sé. ODETTE
Non Blanche, non lei. RACHEL
Ah no. ODETTE
No. MIREILLE
Sentiamo. ODETTE
La conosco da trent’anni, entrammo qui a lavorare insieme. In queste stanze non c’erano ancora i neon, facevamo le riunioni in sala mensa... RACHEL
... le donne andavano in carrozza e gli uomini a cavallo! SABINE
Sei una serpe, Rachel! RACHEL
Se ero una serpe non me ne stavo qui tre ore parcheggiata: se ero serpe facevo io la portavoce, ed ero di là a usare meglio il tempo. ZOÉLIE
Blanche l’abbiamo scelta noi. LORRAINE
Abbiamo votato. SABINE
Solo perché era la piú anziana. ODETTE
Che c’è ora? Blanche non vi va piú bene? RACHEL
Io non l’ho votata. MIREILLE
Neanch’io. ODETTE
Mi fate schifo! AGNIESZKA
Fatto sta che non torna. ARIELLE
Qualcuna ha da fumare? Una sigaretta o impazzisco. ODETTE
Io ne ho solo un pacchetto. ARIELLE
Solo un pacchetto? ODETTE
Non mi basta fino a stasera. SOPHIE
Hai piú sigarette addosso tu che tatuaggi Rachel. ODETTE
Se poi ci buttano tutte fuori e perdo il posto non me ne bastano nemmeno tre, di pacchetti. ARIELLE
Chi c’è di voi che fuma? LORRAINE
Chiedi a Mahtab. RACHEL
Perché? Mahtab fuma? Pensavo nel Corano fosse proibito. SOPHIE
Tutte le arabe che conosco fumano. LORRAINE
Mahtab non è araba. RACHEL
No? MAHTAB
Di Teheran. RACHEL
Non è lo stesso? MAHTAB
Non direi. ZOÉLIE
E comunque non c’è scritto. SABINE
Come dici?
ZOÉLIE
Non c’è scritto, nel Corano, che non si può fumare. MIREILLE
Tu che ne sai? Non eri turca? RACHEL
Il Corano turco è uguale a quello di Teheran? MAHTAB
Identico. RACHEL
Per risparmiare. LORRAINE
Soci stranieri, anche lí. AGNIESZKA
Zitte, mi sembra di sentire... passi in corridoio... RACHEL
Non c’è nessuno: sono i topi. ARIELLE
Non ci sono topi in fabbrica. MIREILLE
Sí che ce ne sono: la Picard & Roche è piena. SABINE
Sono loro: i soci stranieri. RACHEL
Vuoi dire i sorci stranieri. RACHEL
Incravattati! Ne ho visti due o tre giusto ieri l’altro: fumavano in un angolo e leggevano il Corano. Ridono. ARIELLE
Ma come fate a ridere? SABINE
In che senso? ARIELLE
Niente, niente. In questo momento... io non potrei mettermi a scherzare. RACHEL
Nessuno scherza: stiamo aspettando, e mentre uno aspetta, parla. SABINE
O nel Corano delle operaie sta scritto che è proibito? RACHEL
Bel colpo! MIREILLE
Hai sentito, Odette? Tua figlia ha sempre la risposta pronta. ODETTE
Non per nulla è mia figlia. SOPHIE
Se mi avessero detto di farmi eleggere con mia madre al Consiglio di fabbrica, mi sarei messa a ridere. MIREILLE
Brava. Per una volta la penso come un’impiegata. LORRAINE
Io non mi sarei fatta neanche assumere in una fabbrica con dentro mia madre. AGNIESZKA
Forse neanche tua madre in una fabbrica con dentro te. LORRAINE
Parli tu, che sei fuggita dalla Polonia per non veder tua madre. AGNIESZKA
Magari. MIREILLE
È sua madre che l’ha spedita qui per non vederla piú. AGNIESZKA
Probabile. LORRAINE
La mia vecchia aveva un negozio di bottoni, e io sono finita qui a muovere i telai. Si chiamava Suzanne: aveva fatto verniciare un’insegna gigantesca – gigantesca piú di lei, che è tutto dire – con su scritto
BOTTONI SUZANNE .
Se invece che a vendere i bottoni fosse stata in fabbrica, avrei pensato di non fare l’operaia. SABINE
Avresti venduto bottoni. E tua figlia avrebbe fatto l’operaia. MIREILLE
Di’ la verità, Odette: pur di non farti comandare da tua figlia, ti sei fatta eleggere con lei al Consiglio! ODETTE
Chissà, può darsi. SABINE
È cosí. Sicuramente. MIREILLE
E tu, Sabine? Ti sei fatta eleggere per controllarla? RACHEL
Mai lasciare una madre senza sorveglianza. SABINE
Sinceramente? MIREILLE
Sinceramente. ODETTE
Mi aspetto il peggio. SABINE
Speravo che non la votassero. ODETTE
Quella che si dice una brava figlia. SABINE
Dentro di me pensavo che duecento operaie – dico: duecento! – non potevano essere tanto stupide da eleggere madre e figlia. Dicevo: sceglieranno una sola. RACHEL
Basta e avanza. SOPHIE
È che le donne trovano sempre il modo di farsi del male. RACHEL
Le donne? Nel tuo caso, Sophie, le bambine! LORRAINE
È stata eletta al Consiglio per errore, datemi retta: hanno confuso i voti per la fabbrica con quelli per la scuola. MIREILLE
Vuoi dire l’asilo. ODETTE
Quanti anni hai, tesorino? Dieci? LORRAINE
Ne ha sette e mezzo, giuro. MIREILLE
Nel suo armadietto ho contato tre bambole. LORRAINE
E quel bel ragazzo che la viene a prendere? RACHEL
Ogni bambina ha il suo giocattolo. ODETTE
L’amico è un motociclista! MIREILLE
Si sarà confuso. RACHEL
Ha sbagliato strada. Qualcuna gli spieghi l’errore. SABINE
Ci vuole una lettera anonima. MIREILLE
Una lettera, certo! Scriviamola! Carta e penna! Fuori! Chi ce l’ha? Ecco a cosa serve il Consiglio di fabbrica! RACHEL
Abbiamo o non abbiamo giurato di «fare l’interesse delle operaie»? MIREILLE
Delle operaie: non delle impiegate! ODETTE
Scommetto che non arrivi a vent’anni, Sophie. Sbaglio? SOPHIE
Vi rispondo se mi dici quanti anni hai tu, Rachel. RACHEL
Uno in meno di chi me lo chiede. ODETTE
Sempre. RACHEL
Certo. SABINE
Rachel ne ha trentacinque. RACHEL
Mi meraviglio di te, Odette: non hai insegnato a tua figlia che non si dice mai l’età di una donna? ODETTE
Tu che c’entri con le donne, Rachel? Tu sei una bestia. MIREILLE
Rachel ne ha trentacinque, confermo. RACHEL
Che ne sai? MIREILLE
Visto sulla tua cartella. RACHEL
Sono una bestia di trentacinque anni. LORRAINE
A che ti serve saperlo, Sophie? SOPHIE
Per sapere a che età si diventa bestie. RACHEL
Mille punti! MIREILLE
Te la sei cercata. AGNIESZKA
Impiegata batte operaia. RACHEL
A buon rendere.
SOPHIE
Io comunque ne ho diciannove. LORRAINE
Giura! ZOÉLIE
Diciannove! ARIELLE
Misericordia! ODETTE
Diciannove anni e ti sei candidata? SOPHIE
Diciannove anni e mi hanno votata. ODETTE
Non per niente la fabbrica è in crisi. ARIELLE
Operaie governate da ragazzine con le trecce. RACHEL
Peggio: da impiegatine con le trecce. ODETTE
Un incubo. ARIELLE
Come se non bastasse la realtà: Blanche non si vede. Per me è già un incubo. MIREILLE
Fra i miei incubi peggiori c’è di restare chiusa in una fabbrica piena di ritratti di mia madre. Mia madre da bambina. E ho detto tutto. Ridono. Si apre la porta. Entra Blanche. Capelli bianchi, grandi occhiali spessi. Silenzio. Tutte la fissano. La sua espressione è imperscrutabile, stanca, confusa. ARIELLE
Dunque? Silenzio. Tutte guardano Blanche. Lei non dice niente, guarda a terra. Chiude la porta, attraversa la stanza. Passa in mezzo alle altre, si siede. Le si fanno intorno. La situazione è tesa, il silenzio quasi irreale. BLANCHE
Che ore sono? LORRAINE
Blanche... BLANCHE
Che ore sono? ODETTE
Le sei e trentotto. BLANCHE
Bene. Le sei e trentotto. Abbiamo poco piú di un’ora. AGNIESZKA
Non ci dici niente? BLANCHE
La scadenza è alle otto. Le otto esatte. SABINE
Scadenza? BLANCHE
Per le otto dobbiamo aver votato, e io dovrò riferire nell’altra stanza. MIREILLE
Votare su cosa? ARIELLE
Chiuderanno la fabbrica? RACHEL
Che ti hanno detto le cravatte? BLANCHE
In queste votazioni sul futuro della fabbrica – devo dirvelo – per regolamento non è ammessa l’astensione.
MIREILLE
Arielle ti ha fatto una domanda. SABINE
Siamo salve, sí o no? BLANCHE
Ognuna di noi dovrà votare espressamente, e siccome siamo undici, avremo un risultato certo. RACHEL
Maledizione, vuoi rispondere? BLANCHE
Rispondo, Rachel, certo: rispondo. Silenzio. BLANCHE
Se tutto quello che vi interessa è sapere se ci licenziano... se la domanda – l’unica – è se la fabbrica chiude i cancelli, la risposta è no: la fabbrica non chiude. Va bene? Non chiude. ZOÉLIE
No? ARIELLE
Mi basta, giuro, mi basta. AGNIESZKA
Siamo salve! BLANCHE
La fabbrica non chiude, Agnieszka. A te forse basta, a me no. RACHEL
C’è altro? BLANCHE
C’è altro, Rachel, sí, c’è altro. RACHEL
Avanti: fuori. MIREILLE
Che aspetti? Dicci. BLANCHE
Qualcuna ha una sigaretta? Ho un tamburo qui nella tempia, maledizione, mi sta spaccando la testa... Allora, con calma. Ci sediamo? Vi sedete? Volete stare in piedi? Va bene, state come volete, mi alzo io. Si può aprire una finestra? C’è aria chiusa. Dunque. C’è poco tempo. (Come farà piú di una volta, si rivolge a se stessa come sdoppiandosi) Forza, Blanche, con ordine... Questa sigaretta, si può avere? MIREILLE
Tieni. ARIELLE
Allora? ODETTE
Ti senti bene, Blanche? BLANCHE
No, Odette, non mi sento bene per niente, ma non posso dirmelo, ci sono cose piú importanti del mio star male. D’altra parte che c’è di nuovo? Fa ridere... Dio, se fa ridere: è una vita che sto male e non posso mai dirmelo: c’è sempre qualcosa intorno di piú importante. E vabbè: zero, pulire il tavolo. Sempre. Pulire il tavolo. Ci sei Blanche? Ci sono. Che schifo di sigaretta, che roba fumate? Raccolgo i fatti, e ora... Partiamo. La fabbrica non chiude. Ve l’ho detto: se la notizia che volevate è questa, io la notizia ve l’ho data. Sembra tutto chiaro, vero? Eppure... Ho una confusione micidiale in testa, cerco di fare ordine, di rimettere a posto, non ci riesco, è come se una palla da biliardo mi rotolasse, qui, nel cranio, e sbatte sbatte sbatte da ogni parte. Ecco, diciamo, dirò che... MIREILLE
Hanno messo condizioni. RACHEL
Che vi dicevo? Ci sono condizioni, sí. BLANCHE
Veramente, Rachel, no: non è esatto. Di condizioni ce n’è una sola. ODETTE
Una sola? BLANCHE
Una sola. LORRAINE
Su cui votare? BLANCHE
Su cui votare. ARIELLE
Che condizione è? MAHTAB
Cosa vogliono? SABINE
Cambiano i contratti? ARIELLE
Licenziano una parte? ZOÉLIE
Quanta gente? RACHEL
Riducono i turni, vero? ODETTE
È cosí? Lo fanno? BLANCHE
No, i turni sono a posto. E nessuna di tutte e duecento – operaie e impiegate –, nessuna perderà il lavoro. ARIELLE
E non va bene? ZOÉLIE
È una buona notizia. LORRAINE
È una grande notizia. SABINE
Che sollievo! SOPHIE
Che vi dicevo? ODETTE
E ce lo dici in questo modo, Blanche? Non sei contenta? BLANCHE
Certo.
ODETTE
Però? BLANCHE
Però io sono stata là dentro quasi quattro ore: quattro ore inutili. LORRAINE
Inutili, dici? SOPHIE
Perché? BLANCHE
Perché l’unica cosa importante è successa dieci minuti fa. Ero sul punto di uscire. Stavo per tornare qui, da voi, stavo per dirvi che eravamo salve: «la fabbrica non chiude». Io ero contenta, Odette, mi spiego? Non stavo nella pelle dalla voglia di tornare qui, a dirvi che era fatta. Mi avete aspettata per ore, sono stata seduta a quel tavolo per ore, come se stessero cancellando tre turni su cinque, come se avessero licenziato cento di noi, come se per salvare la fabbrica avessero chiesto sei pagine di condizioni. Invece... ZOÉLIE
Invece quattro ore in una stanza per una condizione sola. BLANCHE
Sí, Zoélie: è cosí. Quattro ore per una condizione sola. Semplicissima. E quel che è peggio, detta col sorriso. O meglio: neanche detta. Consegnata col sorriso, all’ultimo minuto, prima di uscire, all’ultimo secondo. Vi ripeto: dieci minuti fa, dopo che per quattro ore – quattro ore, dico – avevamo parlato di cosa? Del niente. Di quelle ore io non posso raccontarvi una lite, un pugno su un tavolo, un solo tono di voce che non fosse una carezza, mi spiego? Sorrisi. Sorrisi. Che cosa sto vivendo, mi chiedevo? Cos’è questa colla che mi sento addosso, dappertutto, che mi scivola sul collo, mi appiccica le dita? Cos’è questa serenità – falsa, finta, fintissima – che mi si appiccica perfino sulla faccia, sulla mia faccia – non sulla loro, sulla mia! –, cos’è questa maschera che da loro passa a me come nulla fosse? Di quelle quattro ore mi ricordo solo sorrisi, sorrisi e parole, parole giuste, giustissime, discorsi ben fatti, perfetti: quanto loro tengono al marchio, quanto al personale, quanto tengono a noi, quanto tengono al nome – e alla storia, sí, certo, eccome,
alla storia! – della Picard & Roche. Mi chiedevo «cosa stanno dicendo? cosa vogliono?» Solo alla fine, poi, ecco, guarda caso: la lettera. MIREILLE
La lettera? C’è una lettera? BLANCHE
È rivolta a tutte voi, a ognuna di voi del Consiglio di fabbrica. Come vostra portavoce mi hanno chiesto di consegnarne una a testa, ecco: passatele alle altre. Ce l’avete tutte? Non apritela, ve lo chiedo: abbiate pazienza almeno un attimo. Ascoltatemi. Se leggerete senza ascoltarmi, sarà tutto piú difficile... RACHEL
Che fesseria! MIREILLE
Leggiamo e basta. RACHEL
Ne ho piene le scatole di questi tuoi discorsi. BLANCHE
Posso sbagliarmi, ma se leggerete subito credo che vorrete votare subito, senza pensarci. LORRAINE
Pensarci! BLANCHE
Sí, Lorraine: pensarci. E io invece voglio che ci pensiamo bene, senza precipitare: rappresentiamo tutta la fabbrica, ricordatevelo, ricordatevelo sempre. In quel foglio c’è scritto qualcosa su cui dovremo votare, tutte e undici. Ma non per noi: per tutte. Io so già cosa c’è scritto, me l’hanno spiegato mentre stavo in piedi sulla porta. Mentre ero seduta no, lí non se n’è fatta parola, c’era da sorridere, e ascoltare bei discorsi. Ma in quelle righe c’è la richiesta – io lo chiamo il ricatto – di chi ci ha comprato. Comprato, Arielle, sí, è inutile che scuoti la testa: lo penso, si tratta di questo, e non facciamo finta di non saperlo. Siamo state vendute. Picard & Roche non esiste piú. La fabbrica non chiude, ve l’ho detto. Voi me l’avete chiesto, e io vi ho risposto: non chiude. Ma di fatto è strano – Dio, se è strano – rispondervi cosí, perché la verità è che è finito tutto, non c’è piú niente, non c’è piú nulla. Fine. Basta. Chi ci teneva fino a
oggi, da domani è in minoranza. Decidono altri. E questa lettera è il primo segno. Passiamo di proprietà: c’è un cambio di gestione, non cambia nulla ma cambia tutto. Prima che leggiate io – come portavoce – voglio dirvi solo questo: leggete non solo quello che c’è scritto, leggete – vi prego – quello che non c’è scritto ma è come se lo fosse. La lettera, vi avverto, è scritta a ognuna con il tono che hanno usato con me, lo stesso, preciso, identico: ogni lettera comincia con «cara Mireille», «cara Sabine», «Cara Rachel»... Non c’è altro. Il tempo è poco. Siamo qui per votare. Leggete. Tutte aprono la loro lettera. Ognuna legge, in parti diverse della stanza. Lungo silenzio. RACHEL
Ti hanno consegnato per noi solo questa lettera? BLANCHE
Solo questa. MAHTAB
Non c’è altro? BLANCHE
Non c’è altro. AGNIESZKA
La condizione per non chiudere sarebbe questa? BLANCHE
L’hai letto. MIREILLE
Non sembra neanche una condizione. ODETTE
È una richiesta. LORRAINE
Ci chiedono di andargli incontro. ARIELLE
Noi a loro. BLANCHE
Ce lo chiedono, sí. RACHEL
Come si spiega? SABINE
Non si spiega. RACHEL
Non mi piace. ARIELLE
Mi viene da ridere, scusate. Non so se mi viene da piangere o da ridere. LORRAINE
Prima di venire alla Picard & Roche, lavoravo in un’altra fabbrica, a Marsiglia, la Leclercq. Ve l’ho detto, poco fa. Bene: passò di mano, anche quella. Per non farla chiudere ci proposero un piano. Trasferimenti. Riducevano gli stipendi a tutte del 10 per cento, e tutte le ultime assunte finirono fuori. Io ero fra quelle. Ci scrissero una lettera, la ricevetti, ricordo ancora il logo sulla carta intestata, le due “elle” color azzurro, lo sgorbio della firma, ce l’ho fisso chiaro in testa, ce l’avrò ancora chissà per quanto. Ora invece, qui... ricevo questa, di lettera. ZOÉLIE
Non so che dire. AGNIESZKA
Cosa si aspettano? BLANCHE
Che votiamo. Sí o no. Sarà anche una “richiesta”, come avete detto, ma vogliono che la votiamo: la fabbrica accetta o la fabbrica rifiuta. ARIELLE
È impossibile votare no. BLANCHE
Tu credi, Arielle? ARIELLE
Perché? Hai qualcosa in contrario? BLANCHE
Non lo so. ARIELLE
Non lo sa! AGNIESZKA
Blanche, in effetti è strano. Davanti a questa lettera tu potresti rifiutare? BLANCHE
Forse sí. ARIELLE
Non ci credo. BLANCHE
Anzi, ve lo dico: il mio voto è no. ODETTE
Che ti prende? AGNIESZKA
Non capisco. ARIELLE
Dio se è vero che il mondo gira male! Vi prego, ragazze, votiamo subito. MAHTAB
Sí, votiamo subito. AGNIESZKA
Forse è meglio. ARIELLE
Votiamo subito, prima che di là le cravatte ci ripensino. BLANCHE
Che vi dicevo? Appena avreste letto quel foglio, avreste voluto votare. Votare sí, senza pensarci, senza mettere in moto il cervello, senza... ARIELLE
Andiamo, Blanche, che cavolo! Va bene, diciamo che sei stanca, sei distrutta: quelle ore là dentro ti hanno fatta a pezzi. Hai una faccia che la dice chiara. Diciamo che hai la testa andata, va bene? Ti capisco, e ti perdono il tono. Ma se vuoi che ti diamo retta, scordatelo: qui è tutto a nostro vantaggio. BLANCHE
Ne sei sicura, Arielle? ZOÉLIE
Perché? Dubbi?
BLANCHE
Ne ho, onestamente, sí. ZOÉLIE
C’è una lettera scritta, che vuoi di piú? ODETTE
La lettera, appunto. Vorrei essere sicura, Blanche: mi fido dei tuoi dubbi, ma non ti capisco. Ho letto bene cosa c’è scritto? Questi signori manterrebbero tutti i contratti. BLANCHE
È cosí. ODETTE
Non toccherebbero gli stipendi. BLANCHE
È cosí. ODETTE
A patto solo che noi rinunciamo a... BLANCHE
... a sette minuti di intervallo ogni giorno, hai letto bene. MIREILLE
Chiedono questo. SABINE
Solo questo. ODETTE
Sette minuti di lavoro in piú. AGNIESZKA
Sette minuti. MAHTAB
La pausa fra i turni non durerebbe piú quindici minuti ma otto. ZOÉLIE
Per il resto rimarrebbe tutto com’è. BLANCHE
Tutto. ARIELLE
Identico a ora.
MAHTAB
C’è scritto. ZOÉLIE
Si impegnano. BLANCHE
Si impegnano. ARIELLE
Nero su bianco. BLANCHE
Nero su bianco. AGNIESZKA
Mentre le altre fabbriche chiudono, mentre le impiegate – le impiegate, dico, quelle come me – cercano lavoro e leggono gli annunci sui giornali, noi restiamo come siamo, senza sbalzi. Maledizione, ho un paio di amiche – ma che dico amiche? Non sono amiche, so a malapena come si chiamano – una parola oggi, una parola domani: ragazze simpatiche, una è pure lei dell’Est. «Dove scendete?» «Alla Dumont». «Come si sta alla Dumont?» «Non ci lamentiamo: il marchio è forte». Bene. Una è a spasso da febbraio, l’altra da maggio. Ogni giorno che salgo sul tram penso: eravamo in tre, sono rimasta sola, e forse da domani smetterò anch’io. Forse? Non forse. Stamattina ne avevo la certezza. Si fa presto a scomparire, è una cosa da nulla: fino a ieri ogni mattina sul tram, poi all’improvviso niente. E invece... ARIELLE
Invece resti sul tram. RACHEL
In tutti i sensi. SOPHIE
Solo con sette minuti di intervallo in meno. MAHTAB
(leggendo) «Vi proponiamo di rinunciare a meno della metà dell’intervallo pattuito in sede di contratto, dunque a soli 7 minuti, premiando lo sforzo della proprietà di venirvi incontro in questo delicato passaggio storico». BLANCHE
«Premiando lo sforzo»... ARIELLE
Sette minuti! MIREILLE
Solo questo! AGNIESZKA
Mi sembra tutto abbastanza chiaro. BLANCHE
Tutto abbastanza chiaro. AGNIESZKA
Per fortuna. BLANCHE
Per fortuna! Davvero non vi rendete conto? Non c’è nessuna di voi – accidenti, sono io la sola? – non ce n’è una a cui il conto non torna? Un dubbio, un dubbio solo, non vi viene? SOPHIE
No, Blanche. Perché non voglio che mi venga: non posso permettermeli, su un fatto come questo, i dubbi. ARIELLE
Brava. SOPHIE
Vi dico io com’è che è andata: posso provarci, un’idea ce l’ho. Voglio dire: sono o non sono un’impiegata? Vedo i conti, leggo i numeri, mi spiego? Entrate, uscite: la fabbrica funziona. Produce molto, produce bene, i costi sono bassi, la richiesta di filati tiene e il mercato tessile non è sceso. Ripeto: sono i numeri, li ho visti, con i miei occhi. Perfetto. La proprietà vende quote? Le comprano altri: questo è il commercio, Blanche, non è l’inferno. Soci stranieri? Soci stranieri. Ben vengano: sono soldi, faranno il mio stipendio; purché mi paghino non mi interessa da chi arrivano. Mi seguite? D’accordo. Quando i nuovi proprietari sono entrati, hanno fatto i loro calcoli: duecento dipendenti fra operaie e impiegate. Un buon equilibrio. Tanto che lo comprano. Perché tu questo lo dimentichi, Blanche, o non vuoi proprio vederlo: se noi – come dici – «siamo state vendute», vuol dire che qualcuno ha deciso di comprarci. E non è un gran male, mi sembra. Perché si dà il caso che lo ha fatto a
prezzo pieno, va bene? L’avete letto sui giornali: non ci hanno svendute, non eravamo spazzatura con debiti sotto o altre porcherie. Ecco. Affare chiuso. Qualcuno ha brindato, non mi scandalizzo: mi sta bene, anzi. I proprietari avranno detto: «Questa barca naviga bene cosí com’è: potremmo risparmiare magari sui costi, ma aspettiamo. Cerchiamo un’intesa, costruiamo un buon clima. Veniamoci incontro». Ed ecco la lettera. ARIELLE
È cosí. AGNIESZKA
Mi torna. ZOÉLIE
È nel loro interesse. MAHTAB
Gli conviene. LORRAINE
Se è cosí votiamo, votiamo e basta. ODETTE
Blanche? BLANCHE
Qualcuno ha brindato. Dici cosí, Sophie? SOPHIE
Perché lo penso. BLANCHE
E non pensi che se accettiamo questa lettera, quel qualcuno brinderà di nuovo? SOPHIE
Può darsi. Non lo so. Magari sí. Di certo brinderò io... Cosa c’è ora? Ti faccio ridere? BLANCHE
No, Sophie, non mi fai ridere. Sorrido solo perché... perché non ci capisco niente. Non di voi, non di te. Parlo di me. Con tutto che ho sessant’anni ancora non l’ho capito con che diavolo di telaio mi hanno messa insieme. Fatto sta che mi va bene tutto, fuori che questa
sensazione, alla bocca dello stomaco, di esser presa in giro: questa non la accetto. SABINE
E per la tua sensazione alla bocca dello stomaco, noi cosa dovremmo fare? BLANCHE
Se lo sapessi non starei da trent’anni a un telaio: sarei in qualche università o che so io. Fatemi rimettere a posto i pensieri: ne ho cinquanta che sfrecciano su e giú... Allora. Il fatto è che avete ragione, a sentirvi: è tutto chiaro. Chiaro per come sembra. Ed è proprio questo che non mi torna. ARIELLE
Perfetto, ho capito: non c’è bisogno d’altro. MIREILLE
Che vuoi dire? ARIELLE
Che è semplice, Mireille. Semplicissimo. Tu, Blanche, sei di quelle che a ogni giro devono farsi domande, vero? Sei di quella razza che a ogni angolo deve sapere il nome della strada, non ti accontenti di camminare e basta, non puoi fidarti che ci sia un cavolo di marciapiedi sotto le zampe, e che da qualche parte si andrà pure a finire: deve esserci per forza il baratro dieci passi avanti? Sai come si chiama questo gioco? Si chiama farsi male, vivere da bestie. Non è il mio gioco. BLANCHE
E il tuo gioco qual è, Arielle? ARIELLE
Avere uno stipendio, merda! Sto qui da nove anni, non lo voglio perdere. BLANCHE
Non lo vuoi perdere. ARIELLE
Per niente al mondo. BLANCHE
Sono con te. ARIELLE
Sei con me? Davvero? Allora vota sí e non farti questi scrupoli.
BLANCHE
Ma se il lavoro lo perdessimo proprio votando sí? ARIELLE
Sei pazza! BLANCHE
Se il lavoro lo perdessimo facendogli vedere che cediamo, come niente fosse, a forza di piccoli pezzi? A forza di sette minuti... AGNIESZKA
Che discorsi fai, Blanche? BLANCHE
Voglio chiedervi una cosa. Ammettiamo che la Picard & Roche stia bene in salute, come ha detto Sophie. In ottimo stato? In ottimo stato. La vendono. Cambia proprietario. Arrivano i nuovi. I nuovi lo sanno – lo sanno benissimo – che noi ci aspettiamo il peggio. Voi al loro posto cosa fareste? Non cerchereste di avere un vantaggio? Non provereste a ottenere comunque qualcosa? Non cerchereste, no, di spremere il limone? Per guadagnare, dico, solo per guadagnare. Ripeto: sanno che ci aspettiamo il peggio. Sanno che accetteremo, probabilmente, tutto. Pur di lavorare... Dio, non la sopporto questa frase – che vuol dire? che significa? – «pur di lavorare»!... SABINE
Va bene, sí, è possibile. Ma con questo? Potevano farci mille proposte peggiori, lo sai. SOPHIE
Potevano chiederci un’ora di piú al giorno. Qui si parla di sette minuti. BLANCHE
Davanti a un’ora di piú ci avremmo pensato, avremmo discusso. Sette minuti sono un invito a votare e basta, di stomaco, senza testa. E voi state per farlo. LORRAINE
Non ti seguo. SOPHIE
Per me non ha senso. ARIELLE
Lasciamola perdere.
LORRAINE
Se Blanche ci tiene cosí tanto a perdere il posto, io non sono con lei: votiamo e basta. ODETTE
Ferme! Un attimo. Io mi ricordo quando siamo entrate qui a lavorare, Blanche. Mi ricordo il nostro primo giorno, mi ricordo la tua faccia, il modo in cui mi salutasti, ed entrammo al turno insieme. Ti conosco, so che non parli a caso. Sei stata tu là dentro. Per delle ore. Se hai avuto una sensazione, credo dobbiamo almeno starti a sentire. Cosa vuoi dirci? ARIELLE
La domanda non è cosa vuol dirci, la domanda è: perché perdiamo tempo. BLANCHE
No. La domanda, Arielle, è cosa sei disposta a fare – cosa siamo disposte ad accettare, a perdere – tutte, tutte noi e quelle che ci hanno mandate qui, pur di avere il lavoro? Cosa possiamo dare – noi a loro, alle cravatte – perché loro ci diano... cosa? Quello che ci spetta? Quello che ci devono? Non dovrebbe essere scontato, porca miseria? Ecco, vedi, il punto è questo, solo questo: noi – io, tu – lavoriamo ai telai, chi alla cardatura, chi ai filati – io e Odette stiamo alla Picard & Roche da trent’anni, tu ci stai da nove –, vuol dire che a fine mese abbiamo speso il nostro tempo qui, in fabbrica, ore e ore al giorno. Sbaglio? Loro in cambio ci pagano. Noi diamo a loro, loro dànno a noi. Ora ti chiedo – rispondimi, se puoi; qualcuna mi risponda –: perché ho sempre la sensazione che noi dobbiamo ringraziare? Non è uno scambio alla pari? Non lo è? ARIELLE
Sai qual è la differenza fra me e te? Che tu non ti fermi, cazzo, devi sempre andare avanti. A me non interessa, io voglio stare ferma, qui, e sentirmi la terra sotto i piedi, non la sabbia. Tutto il resto puoi tenertelo. BLANCHE
Io vorrei solo che ne parlassimo. ARIELLE
Brava! E a me invece parlare non piace, le cose si sanno bene – si sanno meglio – anche prima di parlare. Sempre.
BLANCHE
Ah sí? Lo pensi? ARIELLE
Lo penso. BLANCHE
Qui sul tavolo c’è una proposta: sembra una lettera di smancerie, di fatto non lo è. Tanto che su questa proposta dobbiamo dare un sí o un no. Allora ti chiedo, vi chiedo: perché non dovremmo prendere in considerazione tutte le strade? Compreso il fatto di rifiutare. MIREILLE
Per la semplice ragione che non possiamo. ZOÉLIE
Le fabbriche chiudono, Blanche. LORRAINE
Non li leggi i giornali? ODETTE
Il momento è quello che è, lo sappiamo tutte. BLANCHE
E lo scorso anno? E tre anni fa? E cinque? Lorraine, quando è stato che ti hanno cacciata dall’altra parte, con quell’altra lettera? LORRAINE
Quattro anni fa. BLANCHE
Quattro anni fa! Anche allora il momento era tremendo? Anche allora? È sempre stato cosí, dico: identico, uguale, come adesso. Solo che ora non possiamo neanche reagire, non possiamo far nulla, non possiamo dire nulla: hanno ragione loro, le cravatte, sempre, perché «il momento è quello che è». E con questo ottengono. Torno a chiedervi: al loro posto, non provereste a spremere il limone? AGNIESZKA
Chiedono solo sette minuti. BLANCHE
No. Ti sbagli. Non è vero. Chiedono sette minuti sapendo benissimo che noi diremo: «l’abbiamo scampata bella, potevamo perdere tutto».
MAHTAB
Quindi? BLANCHE
Quindi... Sophie ha la sua idea su questa storia: ce l’ha spiegata. Lei d’altra parte è impiegata, vede i conti, l’ha detto: entrate, uscite. Ok. Io i conti non li vedo. Ma vedo qualcos’altro. Sto al telaio. Ci sto da anni, ho due dita della mano – queste due, le piú esterne, destra e sinistra – che ormai la sera non le sento proprio piú; dice che è artrite, io la chiamo telaite, ma mi sta bene: era nel conto, fino dall’inizio – che poi non è vero perché all’inizio le cose le fai e basta, ti ci butti dentro, dici «ci penserò col tempo», e il tempo poi fila via che non è un attimo: è mille volte meno, che il telaio in confronto è lento... Ad ogni modo: basta: è andata cosí. Però. C’è un però. Con tutto che sto al telaio, gente, la mia idea ce l’ho anch’io su com’è andata. E non è l’idea di Sophie. Mi spiace, Sophie: proprio no. O meglio: la prima parte è tutta giusta. La fabbrica funziona? Funziona, è vero. Proprio per questo non ci fanno regali. Regali! Loro ci mettono alla prova, sí, è questo che penso: per vedere cosa possono ottenere, di piú, sempre di piú, di piú. Lo fanno in modo furbo, certo. Se cercassero tutto subito non otterrebbero, ci sarebbe scontro. Hanno un’altra via: questa. Sorrisi. La lettera. Solo sette minuti. Come si può non accettare? E siccome tutto dice di accettare... io rifiuterei. ARIELLE
Che fesserie dici? Dovremmo addirittura ringraziarli, altro che rifiutare. AGNIESZKA
Sí, lo penso anch’io. ZOÉLIE
Anch’io. BLANCHE
Quindi accettate la proposta? AGNIESZKA
Io accetto, sí. ARIELLE
Anch’io, subito. MAHTAB
Sette minuti. SOPHIE
Pensavamo di essere licenziate, Blanche. BLANCHE
Mi hai preso per stupida? Credi che io non avessi paura, prima di entrare là dentro? Ho tre figli a casa, Sébastien e Gilbert senza lavoro. Vengo qui da trent’anni tutti i giorni in treno, faccio a piedi dalla stazione fino ai cancelli, non ho chi mi accompagna. Il lavoro mi serve, che cavolo, come a voi: non sono diversa. ARIELLE
Non mi interessa: siamo diverse, invece, diversissime, perché il tuo voto è no. Pensa cosa vuoi, fa’ le tue matasse, gira e rigira le cose finché non le hai disfatte, e ti sei disfatta il cervello, tu per prima. Hai detto che alle otto devi dare una risposta? Bene, da quanto mi sembra c’è già. Non sei il Consiglio, Blanche, non sei la fabbrica: sei solo la nostra portavoce. Il tuo voto conta uno, solo uno, il resto lo decidiamo in dieci. BLANCHE
Votiamo, allora: ve lo chiedo io. ARIELLE
Voglio vedere chi ti viene dietro in questa pazzia. BLANCHE
Vediamolo, allora, sono d’accordo. MIREILLE
Qualcuna ha un gettone per le birre? ARIELLE
Dov’è il foglio con l’elenco dei nomi? SABINE
Ce l’ha Odette. Tieni il gettone, Mireille. ODETTE
La prima è Zoélie. ZOÉLIE
Mi spiace, Blanche: mi sta bene, voto sí. BLANCHE
Non deve dispiacerti per me, Zoélie, parliamo della fabbrica.
ODETTE
Lorraine, tocca a te. LORRAINE
Non perdo un altro posto in questo modo: voto sí. ODETTE
Arielle. ARIELLE
Ti ricordo che noi, Blanche, rappresentiamo tutte le altre. L’hai detto tu stessa. Per i tuoi dubbi vuoi lasciarle senza contratto? BLANCHE
E per le tue paure vuoi darglielo a tutti i costi? ARIELLE
Comunque il mio voto è sí. ODETTE
Mahtab. MAHTAB
Accetto. ODETTE
Agnieszka. AGNIESZKA
Per una volta nella vita mi capita un incastro fortunato, e dovremmo passarci sopra? BLANCHE
Quindi è sí? AGNIESZKA
Assolutamente. ODETTE
Sabine. SABINE
Sí. BLANCHE
È tuo diritto. ODETTE
Bene. Mireille.
MIREILLE
Purtroppo voto sí: la verità è che siamo costrette. ARIELLE
Costrette! MIREILLE
(bevendo nervosamente la sua birra) Dieci cravatte ci dànno una lettera di condizioni, e noi la respingiamo? Dovremmo accettare qualsiasi proposta, la verità è questa: anche se ci avessero detto di rinunciare a tutti e quindici i minuti, anche se ci avessero proposto di tagliare via quaranta di noi. Decidono loro, basta. Blanche ha ragione: ti ricattano col «cosa sei disposta a fare pur di lavorare». È cosí, è vero. E per questo voto sí, cazzo, voto sí! (Spacca la bottiglia sul tavolo). BLANCHE
Odette, tocca a te, se non sbaglio. ODETTE
Sí. Il mio voto è sí. Rachel. RACHEL
Che vuoi che faccia? Se vedi una scelta. BLANCHE
Quindi, sí. RACHEL
Mireille l’ha detto: non mi piace ma siamo costrette. BLANCHE
Manchi solo tu, Sophie. SOPHIE
Accetto. BLANCHE
Perfetto. L’unico voto contrario è il mio. Un no e dieci sí. ARIELLE
Per me possiamo andarcene a casa. BLANCHE
Vuoi che rinunciamo anche a discutere? ARIELLE
Discutere? La sentite? Discutere! Sei sola, l’unica contraria. Se tu avessi un minimo di buon senso ti terresti stretto il tuo posto ai telai, Blanche. Dammi retta: zittisciti i dubbi e festeggia che hai ancora un lavoro. Basta. Non c’è altro. Sei la portavoce. Riferisci alle cravatte che accettiamo, e che abbiamo salvato la fabbrica. ODETTE
Un momento. ARIELLE
Che c’è ora? ODETTE
Blanche, tu davvero pensavi che potessimo rifiutare? Cerco di spiegarmi: sapevi bene che avremmo votato tutte sí. Hai votato contro sapendo di essere sola. Io voglio chiederti: se fossero state altre di noi a votare contro, se ci fosse stata una possibilità – una vera possibilità – di non accettare, tu davvero avresti votato contro? Rischiando di mandare tutto in aria? BLANCHE
L’avrei fatto, sí. ODETTE
Per sette minuti? BLANCHE
No. Non per i sette minuti. Per quello che rappresentano, Odette. ARIELLE
Mio Dio! A sentir te ogni cosa è un rompicapo. Basta! BLANCHE
È la gente come te che mi fa paura, Arielle, sai? Quella che davanti ai discorsi – a ogni discorso, qualunque sia – ingrana la marcia e scappa. Rompicapo. Punto. Rompicapo. Punto. Non sapete dire altro: appena qualcosa è un minimo diverso dal normale, fate subito barriera. Rompicapo. Punto. ARIELLE
Non sono sola: siamo dieci, ti ricordo, contro una. BLANCHE
Dovrebbe bastare a far star zitti? Siccome sbagliate in dieci, l’undicesimo si mette in fila e zitto?
AGNIESZKA
Come ti permetti di dirci che sbagliamo? Chi ti credi di essere? BLANCHE
Lo dico perché lo penso. ZOÉLIE
Che carattere! SOPHIE
Arielle ti sta solo dicendo che... ARIELLE
Non ho bisogno di te, Sophie: so spiegarmi bene. Blanche, questa tua difesa dei sette minuti non ha senso. È ridicola, e come vedi sei sola. Se tutte e dieci – tutte – pensiamo di accettare, se tutte votiamo sí – l’hai sentito – vorrà pur dire qualcosa. O no? Tutto qui. BLANCHE
Se dieci pensano rosso, l’undicesimo deve arrossire. ARIELLE
No. L’undicesimo prende atto. Solo questo. BLANCHE
Quindi non posso parlare? ARIELLE
Mi sembra chiaro che non ci interessa. RACHEL
A me interessa. Fatela parlare. ARIELLE
Dio! Sentite: fra dieci giorni avremo già preso l’abitudine: l’intervallo durerà otto minuti, punto e chiuso. Forse ricorderemo che un tempo erano quindici. Ma chi se ne frega. Andrà comunque bene. BLANCHE
Andrà comunque bene? ARIELLE
Lo penso. BLANCHE
E cos’altro, poi, Arielle, ti farai andare comunque bene? LORRAINE
Gira i fatti come vuoi: sette minuti per tenersi un contratto sono pochi. BLANCHE
Pochi, Lorraine? Pochi? Quando vi dicevo che la lettera non mi piace, intendevo proprio questo. Posso sbagliarmi, certo. Forse mi sbaglio di sicuro, sto esagerando, sono stanca, e in questo caso, gente, fin d’ora: scusatemi. Ma... Ma è da quando avete visto la lettera che ripetete «sette minuti sono pochi». Non mi piace, non mi va giú, non lo accetto. La verità? La verità è che l’ho detto anch’io, dentro di me. Sí, è cosí. Quando sulla porta mi hanno dato la lettera, quando l’ho aperta, ho pensato «sette minuti, solo sette, cosa sono sette minuti?»... È questa frase che non mi convince. Perché quei sette minuti, vedete, saranno anche pochi. Ma sono sette per ognuna di noi. E in una settimana fanno quasi cinquanta. In un mese sono quasi tre ore. Per ognuna, dico, per ognuna. In fabbrica siamo duecento. Vuol dire che con quella lettera ottengono... MIREILLE
... seicento ore di lavoro in piú. SABINE
Ogni mese. LORRAINE
Ogni mese, sí. BLANCHE
Vi torna? È cosí? Seicento ore al mese? RACHEL
È cosí. BLANCHE
Ora, credo di aver diritto di pensare – di dirlo, almeno, o no? – che seicento ore al mese di lavoro – lavoro non pagato, gratuito, senza niente in cambio – non sono una cosa leggera, un capriccio da scrivere in una lettera «cara Rachel», «cara Odette», «care tutte del Consiglio». Non mi piace. Tu parlavi di giocare, Arielle. Come se il mio fosse il gioco del complicare quello che è facile. Bene, qui di gioco ce n’è un altro, sai? Piú nascosto, sotto, cavoli, sotto, fra le pieghe. Sotto! Qui c’è il gioco del togliere poco a tutte, per guadagnare tanto dalla somma. È piú facile. Volete accettarlo, questo gioco? Vi sta bene? Può anche starvi bene, può
piacervi, non dico di no: pur di mantenere il posto si può inventare che è un buon patto. Ma per favore non chiamatelo fortuna, per favore non dite che è un regalo: non lo è, gente, non lo è. ODETTE
Seicento ore al mese! RACHEL
È come se entrassero a lavorare altre operaie. SOPHIE
Sí, ma non pagate. RACHEL
Assumere senza assumere. BLANCHE
Sí, è cosí! Noi gli regaliamo il lavoro di altre operaie, loro non si disturbano neanche a assumerle, gliele offriamo noi, senza chiedere nulla, e anzi... magari pure li ringraziamo: Arielle prima lo ha detto. Noi con sette “piccoli” minuti – cosa sono sette minuti? Niente! –, noi con sette minuti moltiplicato duecento gliene diamo mille e quattrocento al giorno. Che succederà se domani – con seicento ore in piú di lavoro al mese – i soci stranieri diranno «il personale è in esubero: di qualcuna possiamo far senza». Di chi sarà la colpa? ODETTE
Nostra? Vuoi dire questo? BLANCHE
La colpa sarà di quella frase, Odette: «sono solo sette minuti». È falso. Non sono solo sette minuti. AGNIESZKA
Ferme tutte, un momento: non impazziamo. Blanche, ti rendi conto di cosa dici? Il tuo ragionamento non sta in piedi. Sette minuti moltiplicato duecento fa una bella somma, è vero: ti do atto. Ma restiamo al punto di partenza... BLANCHE
Il punto di partenza è che dobbiamo votare. AGNIESZKA
Appunto. BLANCHE
Votare per tutte quante, Agnieszka. Ve l’ho già detto: non decidiamo solo per noi. Per la miseria, come faccio a spiegarvelo? Ce l’ho in testa ma dirlo è un’altra cosa... Ci hanno elette! Elette! Vorrà dire qualcosa? Siamo qui per decidere per tutte. Non per guardare cosa serve a noi undici. Sette minuti per me sono pochi, per te anche, per Arielle, per Odette. Ma moltiplicati su tutte e duecento, fanno un’altra cosa. Una cosa enorme. E quella cosa enorme dà conseguenze. Noi non dobbiamo pensare ai sette minuti, ma alla somma di tutti i sette minuti. ARIELLE
Pensare o non pensare, non mi interessa: qui ci chiedono un sí o un no. SABINE
E comunque, anche ragionando come te: proprio perché dobbiamo occuparci di tutte, Blanche, se tu fossi in noi, avanti, cosa faresti? Rimanderesti indietro la proposta... per difendere cosa? Sette minuti di intervallo? Ti prendi questa responsabilità? MIREILLE
E poi... come glielo andiamo a dire alle altre? SABINE
Giusto. C’è anche questo. BLANCHE
Glielo spieghiamo. SABINE
Glielo spieghiamo? BLANCHE
Semplicemente. LORRAINE
E credi che ti ascoltino? ARIELLE
Questa è bella! SABINE
In che mondo vivi, Blanche? Ti guardi intorno, giú, ai telai? Pretendi di parlare, di spiegare, di dire cose, fare discorsi come fai qui con noi?... Credi che tutto il mondo sia disposto come te a rincorrere le idee? Perché il punto è questo, solo questo: tu rifiuteresti l’accordo – questo accordo! Sette minuti!... – per cosa in fondo? Per un’idea? Magari è
un’idea anche giusta, non dico di no, ma è pur sempre un’idea, solo un’idea, una cosa d’aria, mi spiego? Una cosa di testa. BLANCHE
Una cosa di testa? SABINE
Della tua testa. BLANCHE
Seicento ore al mese sono una cosa di testa? SABINE
Sí, per me sí. Sono un ragionamento, non un fatto. BLANCHE
Seicento ore al mese non sono un fatto? Allora cos’è un fatto? Cos’è? SABINE
Il fatto è che firmando non perdiamo il lavoro, tutto qui: tutto il resto è solo un’idea. Va’ a dirlo a tutte e duecento le altre e vedrai che risultato. MIREILLE
Sette minuti contro uno stipendio. ODETTE
Hanno ragione, Blanche; non capirebbero. BLANCHE
E siccome non mi capirebbero, non devo provarci? Anche se è giusto, devo far finta che non lo sia perché non mi capirebbero? Ti rendi conto di cosa stai dicendo, Sabine? Tutto quello che dipende da un’idea – come dici tu: l’idea! – non va bene solo perché non è facile da dire? Perché ci vuole il ragionamento? Dobbiamo decidere solo cose stupide, allora, solo cose come: «il sole splende in cielo sí o no», e barrare la casella? Siccome chi ci ha elette non capirebbe, dobbiamo scegliere per loro cose da imbecilli, come fossero deficienti, analfabete? SABINE
Sette minuti contro uno stipendio. BLANCHE
Bianco o nero? SABINE
Sette minuti contro uno stipendio!
BLANCHE
Bianco o nero! LORRAINE
Non avremo piú nessun cavolo di intervallo se la fabbrica chiude, lo capisci? SABINE
E a quel punto cosa gli diremo? Che abbiamo fatto saltare la baracca solo perché la proposta puzzava di strano? O perché tu avevi un’idea? BLANCHE
Va bene, può darsi che sia io a sbagliare. Vorrei sentire però cos’hanno da dire tutte le altre: visto che votate tutte sí, e senza nessun dubbio, avrete dei motivi. O lo fate solo per garantirvi lo stipendio? SOPHIE
Mi offendi! BLANCHE
Voi offendete me. Zoélie, tu perché accetti? ZOÉLIE
Io... La lettera a me sembra onesta: magari è vero che loro fanno uno sforzo perché Picard & Roche ha la sua storia. Io quando mi hanno assunta ero felice, conoscevo il nome, non era una fabbrica come tutte le altre. Perché non dovremmo credergli? SOPHIE
Giusto! Perché dovrei pensare per forza che vogliono tradirmi? AGNIESZKA
Non è che i proprietari devono essere a tutti i costi dei bastardi. MIREILLE
Ma che cazzo dite? ZOÉLIE
Ci dànno i loro soldi, ci pagano, tengono su il marchio. MIREILLE
Ma dài! Ora vuoi vedere che diventano dei santi? AGNIESZKA
Non ha detto questo. MIREILLE
Stava per dirlo, miseria. La verità è che quelle come voi, quelle che vengono da fuori... ODETTE
Mireille, ti prego... MIREILLE
No, ora fammi dire! Voi, sí, le polacche, le turche, e quelle come Mahtab, voi tutte vi sentite come le pecorelle salvate dal pastore! BLANCHE
Questo cosa c’entra? MIREILLE
C’entra, sí, eccome. Per essere accettate vogliono un lavoro, trovano un lavoro. E siccome per loro è tutto, una volta che ce l’hanno, si sentono miracolate. ODETTE
Non mi sembra un buon argomento, Mireille. MIREILLE
Merda, se lo è! Dico: non è una fiera della carità, questa. Siamo in fabbrica. Quelli sfruttano, sfruttano piú che possono, non fanno sconti. AGNIESZKA
Quindi gli facciamo la guerra? MIREILLE
Quindi non mi fido. AGNIESZKA
Allora perché non voti contro, se hai coraggio? Hai detto che voti sí. MIREILLE
Voto sí perché di sette minuti al distributore bibite non me ne frega niente. AGNIESZKA
No cara: dillo, non è vero! Tu voti sí perché anche tu, come tutte noi, quei novecento euro al mese non li puoi perdere. MIREILLE
Basta. Ne ho piena la testa di questi discorsi. BLANCHE
Quello che sto cercando di dirvi è che sette minuti non saranno niente. Ma sono nostri, mi spiego? Ognuna di noi ha in casa, sopra i mobili, qualcosa che di per se stesso non vale niente, eppure è nostro, sta con noi, lo abbiamo scelto. E al di là di questo: è in casa nostra, sta lí dentro, dietro la nostra porta. Ditemi perché all’improvviso, senza volerlo, senza una ragione, dobbiamo essere obbligate a buttarlo fuori? C’è un senso? Perché noi non possiamo togliere niente alle cravatte, non possiamo decidere nulla dei loro soprammobili, ma loro sí? Cosa c’è di diverso? Solo perché stanno un gradino sopra? Chi sarebbero, loro, senza le mie mani sui telai, senza quelle di Odette o di Lorraine? RACHEL
D’accordo, ti seguo: tutto giusto. Ma resta il fatto che è cosí, Blanche, è cosí da sempre, non puoi farci niente. BLANCHE
Non puoi farci niente perché non vuoi far niente! RACHEL
Sbagli. BLANCHE
Sbaglio? Io sbaglio? Siete corse subito a votare sí, tutte! Gli regalate sette minuti, perché? Perché non vi interessa tenerli? Perché non vi servono? O non è che pur di non avere peggio, accettiamo di scendere a patti, a compromessi, sempre? ARIELLE
Sei ridicola. RACHEL
No, non è vero: ha ragione: è cosí. Ma non c’è soluzione, Blanche. BLANCHE
Perfetto. Se non c’è soluzione perché ti sei fatta eleggere? Se il tuo voto non serve a cambiare nulla, se perfino su sette minuti di intervallo vi inchinate a loro, perché stiamo qua? Che ci facciamo? ODETTE
Questo discorso adesso che senso ha? BLANCHE
Perché stai qui, Odette? A cosa serve il tuo voto? Il mio voto, il suo, quello di Arielle, a cosa serve se ogni cosa era già scritta prima?
Possiamo cambiare le cose: vogliamo cambiarle o no? RACHEL
Non dipende da noi. BLANCHE
E da chi allora? Miseria, da chi dipende, Rachel? Da chi? Dal tuo voto, dipende! Dal mio voto, dal tuo sí o dal tuo no, da quello che decidiamo! Non può essere sempre colpa del sistema, vuoi capirlo? Non può, non può! Datemi una sigaretta, santo Dio! Noi diciamo di continuo: non posso cambiare io le cose. Intanto ti fai i tatuaggi sulle braccia con scritto libertà... Non ci capisco niente. Ma come gira il mondo? Come gira? Una sigaretta, ho detto! A forza di cedere sette minuti, sette minuti, sette minuti, lasciamo che le cose vadano come sempre. Chi vinceva ieri vince oggi, chi perdeva ieri perde oggi, sempre uguale, sempre uguale, sempre uguale, di sette minuti in sette minuti, che tanto «sono poca cosa». RACHEL
Va bene, rispondimi: se rifiutiamo che succede? LORRAINE
Ve lo dico io che succede: gli diamo il pretesto. Diranno «il personale non collabora»; entro tre mesi chiudono i cancelli. Ci schiacciano. BLANCHE
Oppure il contrario. Sophie ha visto i conti, l’ha detto prima: non era tutto perfetto? Non eravamo una fabbrica modello? Non ci hanno svenduto, non eravamo spazzatura – non lo siamo, sono loro che hanno bisogno di noi –: Sophie lo hai detto, sí o no? SOPHIE
L’ho detto. BLANCHE
Allora? Allora noi rifiutiamo, gente: loro non se lo aspettano. Ma hanno bisogno di noi. Cosa fanno? Se diciamo di no, gli dimostriamo che non ci facciamo schiacciare, che non lasciamo neanche sette minuti, se quei sette minuti sono nostri. ARIELLE
Bella soddisfazione. BLANCHE
Soddisfazione? No, per niente: solo giustizia, nient’altro. ARIELLE
E va bene. Cosa ottieni se poi ci chiudono lo stesso? BLANCHE
Non ci chiudono, se hanno firmato per il marchio: ma che lingua parlo? Se volevano chiuderci, l’avevano già fatto. Ci vogliono appese a un filo. Cominciano a toglierci sette minuti. Dicono «vediamo cosa fanno». Se accettiamo, fra un anno saranno gli altri sette, e poi... MAHTAB
E poi? BLANCHE
... e poi tutto il resto. Senza correre. Lentamente. Tutto. Ma se ora ci rifiutiamo, non ci chiuderanno. Ripeto: non ci chiuderanno. L’avrebbero già fatto. AGNIESZKA
Quindi gli tiriamo la porta in faccia, se in cambio ci chiedono un passo? BLANCHE
Un passo! Seicento ore al mese di passi. ARIELLE
Sei prevenuta, Blanche. La verità è questa: qualunque cosa ti avessero chiesto, avresti detto no. BLANCHE
Io ti sto parlando di un dubbio che ho, Arielle: ti ho dimostrato che i tuoi sette piccoli minuti sono una valanga di ore al mese... vuoi rispondermi? Com’è possibile che ogni volta che in questa fogna di mondo qualcuno dice il contrario, c’è subito chi gli dice “prevenuto”? Non ho pregiudizi, non condanno per partito preso. Ti sto solo chiedendo: perché far finta di venirci incontro – coi modi, la lettera, i sorrisi – e poi in realtà mettersi in tasca seicento ore al mese di lavoro gratis? Dico a te: comportarsi cosí è giusto? ARIELLE
Non lo è. BLANCHE
D’accordo: rispondi a questa domanda. Se mi avessero mandata da voi con un altro piano... se vi avessero detto di scegliere fra chiudere la
fabbrica e restare ma solo con metà stipendio. Rispondimi, cosa avreste votato? ZOÉLIE
Avremmo respinto. LORRAINE
Avremmo chiesto un’altra via. BLANCHE
Un’altra via, certo, Lorraine! Quale? LORRAINE
Che ne so? Un’altra. SABINE
Diminuire i costi. BLANCHE
Diminuire i costi, infatti! Brava! I costi non sono per noi dipendenti, né per le stoffe. Le fusioni commerciali, le politiche di marketing, i consigli di gestione: non si possono diminuire, vi chiedo, tutte quelle spese? Non sono anni che lo chiediamo? Adesso invece – con questa lettera davanti – voi che fate? Chiedete di diminuire i costi? Lo fate? Oppure invece votate subito sí – senza riserve – perché «sette minuti in fondo sono pochi»? Io vi sto chiedendo: se noi tutte lavoriamo per la Picard & Roche, se per la miseria che ci dànno al mese ci finiamo le mani ai telai o respiriamo i vapori delle tinte... diavolo, non abbiamo diritto – sí, uso questa parola, va bene: diritto –, non abbiamo diritto almeno a quei quindici minuti di intervallo per prendere fiato? Sono un diritto, quei quindici minuti, sono un diritto o sono un lusso? Perché, allora, quei quindici minuti possono diventare otto? Se votiamo sí, daremo l’impressione che ci sono altre cose che volendo – con un’altra lettera, semplicissimo! – ci possono chiedere di togliere. Altri lussi. E a quel punto che faremo? Accetteremo ancora? Di nuovo? All’infinito? Solo perché sono «piccoli passi»? E se a forza di piccoli passi ci faranno indietreggiare di chilometri? Non è la stessa cosa che farci tornare indietro d’un colpo? Se votiamo sí, quale sarà il prossimo «piccolo passo»? A cosa rinunceremo? A tre giorni al mese di assicurazione? A un mese l’anno di protezione? A cosa? Ditemelo: a cosa? RACHEL
Ho cambiato idea: voto contro. Silenzio. ARIELLE
Sei pazza? AGNIESZKA
Rachel... SABINE
Per quale ragione? SOPHIE
Stiamo perdendo la testa, qui dentro. SABINE
Ho detto: per quale ragione? ARIELLE
Non è chiaro? Blanche le ha detto del tatuaggio: l’ha punta sul vivo, la conoscete. RACHEL
Questo non c’entra. ARIELLE
Ho la mia idea. RACHEL
Non ti rispondo. ARIELLE
Tutto chiaro. RACHEL
Non ti rispondo. ARIELLE
Basta guardarti. Rachel afferra Arielle per la camicia e la spinge con forza a terra. ODETTE
Ferme! Allora? Che vi prende? Rachel! AGNIESZKA
Dovevo immaginarlo: a forza di parlare ci saremmo fatte rincretinire.
ARIELLE
Che senso ha? Potevamo votare subito, dare il verdetto alle cravatte e finirla cosí. ODETTE
Se Rachel è convinta dei discorsi di Blanche, nessuno può obbligarla a votare a favore. RACHEL
Non mi ha convinta Blanche. MIREILLE
Cosa dici? RACHEL
Ho una testa che ragiona, sí, ce l’ho anch’io. ARIELLE
Brava. RACHEL
Devo per forza farmi convincere da Blanche? Voto contro, ma per un altro motivo. SABINE
Vorrei sentirlo. RACHEL
Non credo interessi. ODETTE
Ti sbagli. RACHEL
Tanto restiamo in minoranza: siete nove contro due, che cosa ve ne viene? MIREILLE
Se riguarda tutte... RACHEL
Riguarda tutte: infatti. Proprio questo. LORRAINE
Siamo obbligate a sentirla? RACHEL
Riguarda tutte... ma non solo tutte noi, Mireille. E neanche tutte e duecento quelle che ci hanno eletto. ARIELLE
Non vedo perché dobbiamo ascoltarla. RACHEL
Non ti preoccupare, l’ho già detto: sto zitta. ARIELLE
Propongo di votare definitivamente. AGNIESZKA
E ufficialmente. Scrivendo i voti, in modo che nessuna possa ripensarci. ODETTE
Io insisto: vorrei che Rachel continuasse a parlare. ARIELLE
E io insisto per votare. ODETTE
Abbiamo sentito solo il parere contrario di Blanche... ARIELLE
Votiamo e basta. ODETTE
Se un’altra sceglie di passare con lei per un motivo diverso... LORRAINE
Un motivo diverso? ODETTE
Cosa ci costa ascoltarla un momento? LORRAINE
Non ha senso: questa storia ha già preso troppo tempo. ARIELLE
E poi i voti sono ancora in netta maggioranza a favore dell’accordo: a che serve discutere? ODETTE
Che significa? ARIELLE
Mi sembra chiaro: siamo nove contro due, la maggioranza per decidere è di almeno sei su undici: se i numeri fossero altri, staremmo qui a parlare
anche tutto il tempo, ma il risultato è talmente chiaro... ODETTE
Non sono d’accordo. ARIELLE
Votiamo, vi dico, e mettiamoci la firma: è impossibile che altre quattro cambino idea. ODETTE
Non quattro: tre. Cambio posizione anch’io. AGNIESZKA
Non ci credo! SABINE
Come previsto. ARIELLE
Niente di nuovo. MIREILLE
Si può sapere perché? ARIELLE
Lo fa solo per principio, Mireille: solo per non darla vinta, solo per continuare a romperci la testa su questi maledetti sette minuti. ODETTE
E se invece Blanche mi avesse convinta? Non può essere? O è proibito cambiare parere? ARIELLE
Come vuoi. ODETTE
Adesso che i voti sono otto contro tre, sarò libera di ascoltare Rachel? ARIELLE
Solo purché dopo votiamo. ODETTE
Voteremo. ARIELLE
Avanti. ODETTE
Rachel?
RACHEL
A che serve? ODETTE
Ti prego. RACHEL
Me lo avete chiesto voi... BLANCHE
È cosí. RACHEL
Tutto quello che ha detto Blanche può starmi bene, mi sta bene... Ma io in testa, ecco, ho un altro fatto... Blanche dice che dobbiamo pensare alle altre che ci hanno votato. Bene: non basta. Io penso invece a tutti quelli che stanno fuori di qui. A chi con Picard & Roche non c’entra nulla. Questo fatto dei sette minuti non mi piace. E non mi piace perché riguarda tutti. Sí. Eccome. Tutte le operaie, tutti gli operai, tutti quelli che lavorano, dentro e fuori di qui... LORRAINE
Questo non ci interessa. RACHEL
No? ARIELLE
No. RACHEL
Picard & Roche è il nome di questa baracca, noi ci stiamo dentro: d’accordo. Ti sei chiesta cosa succede se accettiamo? Noi ci teniamo il posto, va bene, loro si prendono sette minuti: fine della storia? Credi davvero? No. La notizia finisce sui giornali. Ti è venuto in mente? Altra gente legge. Altre cravatte leggono. Toh, guarda. All’improvviso c’è una novità, grande come una casa: d’ora in poi in fabbrica c’è un nuovo gioco: invece che aggiungere diritti, si tolgono. E perché no? Se è riuscita a loro, alla Picard & Roche, può riuscire a noi: ci si può provare. Se accettiamo, in massimo un anno ci saranno cento, mille fabbriche dove – cosí, d’un tratto, senza ragione – arriveranno lettere come questa. Silenzio.
Fuori dalle finestre è sceso il buio. Si vede l’alone giallo di un lampione. SABINE
Va bene, Rachel: se anche fosse? In quelle fabbriche hanno i loro consigli, come il nostro. LORRAINE
Decideranno, come noi adesso. SABINE
Voteranno. RACHEL
No. Mi spiace: no. Per chi verrà dopo non sarà come per noi. ODETTE
Che vuoi dire? BLANCHE
Ha ragione. Se un’altra fabbrica prima di noi avesse accettato un accordo cosí... Se ci fosse un precedente, a Bordeaux, a Lione... Se qualcuno avesse già accettato di perdere qualcosa pur di lavorare, noi saremmo qui a dirci «l’intervallo è un lusso: c’è chi l’ha già barattato». E qui, ora, in questa stanza, la situazione sarebbe completamente diversa, perché ci sentiremmo obbligate, tutte, a votare come gli altri. ARIELLE
E se anche votassimo contro? A che servirebbe? Credi che non ci sarà, domani, non so dove, un’altra fabbrica dove toglieranno sette, otto, dieci minuti di intervallo? Le cravatte si faranno fermare da chi? Da cosa? Da noi? Se vogliono, lo faranno. Nessuno ci penserà due volte perché alla Picard & Roche hanno rifiutato. BLANCHE
Qui ti sbagli. Se rifiutiamo, se difendiamo i sette minuti, allora sí che la notizia andrà sui giornali, allora sí che insegneremo qualcosa. Noi, sí, noi. ZOÉLIE
Insegnare! ARIELLE
Insegnare cosa... BLANCHE
Dignità. Vi fa cosí schifo? ARIELLE
Ma tu davvero credi che la gente – le persone – stiano dietro a queste cose? BLANCHE
No. Appunto. ARIELLE
Appunto cosa? BLANCHE
Appunto riceviamo questa lettera. ODETTE
Mi hai convinta, Blanche. Confermo che voto contro. ARIELLE
Ecco, brave, tornate a casa felici: rifiutate l’accordo. ZOÉLIE
Rifiutare! AGNIESZKA
A quale prezzo! ARIELLE
Perdere tutto. BLANCHE
Ti ho già detto: non credo. MIREILLE
E tu correresti il rischio? SOPHIE
Lo correrebbe, certo: lei sí. Cosa le costa, in fondo? SABINE
Che vuoi dire? SOPHIE
Blanche sta qui dentro da un sacco, come tua madre. Fra tre, massimo quattro anni, smettono di lavorare. ODETTE
Questo non ha nessun senso. BLANCHE
Lasciala parlare, Odette. SOPHIE
Vieni qui a farci una lezione sulle battaglie, su cosa possiamo insegnare. Tu puoi farlo, Blanche, certo: il prezzo non te lo fanno scontare per quarant’anni. LORRAINE
Sophie ha ragione. Chi ti credi di essere per parlarci cosí? Solo perché hai i capelli bianchi? Quanti anni sono che sei qui? Venti? Trenta? Forse di piú, d’accordo, va bene, lo so: c’eri già quando ancora questi neon non c’erano, e con Odette facevate le riunioni in mensa. Fatto sta. Hai il tuo posto, qui dentro, ce l’hai da un secolo, da mille anni o da che sta ritto l’universo. Io sono entrata l’anno scorso, va bene? Anzi, no: sono undici mesi e un paio di giorni, me lo ricordo perché firmai tre giorni prima del compleanno: con mio padre festeggiammo in pizzeria. Primo contratto vero dopo il licenziamento. Fino allora facevo le pulizie nei condomini: scale tutte uguali, ascensori e cani che pisciano dove hai appena strofinato. Quindi festeggiammo, festeggiammo eccome! Ho ventidue anni, quaranta meno di te. E sai che ti dico? Che Dio mi ammazzi se ora, in questo momento, qui davanti, non sono te quarant’anni fa. Comincio adesso in questo posto, mi spiego? Là fuori ho un ragazzo che mi tira, viene a prendermi all’uscita: Sabine l’ha visto ieri, Mireille lo conosce. Se mi va bene, lo sposo, ce ne andiamo in affitto. Giuro che mi prendo un cane e lo faccio pisciare dove una tizia pulisce. Sorridi? È inutile che sorridi: con quali soldi lo faccio, se anche qui mi tirano un calcio in culo? Dimmelo, avanti! Lasciatemi parlare! Per te è facile: vieni qui e parli di diritti. Hai ragione, certo: sei brava, formidabile, hai letto pure un paio di libri, ci giuro. Ma cosa pretendi? Che a ventidue anni io mandi a quel paese un posto per questioni di principî? Per i diritti? E poi diritti di cosa? Guardiamoci negli occhi: per sette minuti? Torno a pulire la piscia dei cani per sette minuti? Lascia perdere me, non m’importa nulla di sentire cosa dici, se lo dici a me: pensa di dirlo a te stessa, cazzo, quando avevi la mia età. Cosa avresti votato, quarant’anni fa, Blanche? BLANCHE
Avrei votato come te. Anzi: l’ho fatto, Lorraine. E non l’ho fatto una volta sola, l’ho fatto tante volte. Se vuoi sbagliare come me, accomodati.
Fra quarant’anni al posto mio ci sarai tu, uguale identica a me, a sentirti dire che sei pazza. Un bello schifo. Tant’è. Vi piace? Io non posso costringere nessuno. Silenzio. SOPHIE
Vabbè. Era previsto che votassimo un’altra volta, credo che dovremmo farlo. ODETTE
Propongo però di votare per scritto; poi leggeremo i voti. MIREILLE
Per scritto? Perché? ODETTE
Cosí ognuna di noi sarà piú libera di votare come crede, senza che il suo voto sembri un appoggio a Blanche o a quello che ci ha detto. ARIELLE
Per me va bene. BLANCHE
Scusate, vorrei però che votaste soltanto voi. ODETTE
Non è possibile, lo sai. BLANCHE
Anzi, vorrei che non votassero né Rachel né tu, Odette. I nostri sono gli unici tre voti contrari, tutte le altre sono per il sí. Se tutti i voti saranno favorevoli, scriveremo il verbale e la finiamo qui. SABINE
Faremo cosí: è una buona strada. ODETTE
Come volete. Ognuna prenda il suo foglio di carta, poi lo ripieghi e lo metta qui sul tavolo. Le otto votano. Silenzio. ODETTE
Bene. Ci sono allora otto foglietti. (Apre un foglietto e legge) Favorevole. (Apre un foglietto e legge) Favorevole. (Apre un foglietto e legge) Favorevole. (Apre un foglietto e legge) Favorevole. (Apre un foglietto e legge) Favorevole. (Apre un foglietto e legge) Contrario... ARIELLE
Come sarebbe? AGNIESZKA
Roba da matti! SABINE
Chi è? ODETTE
Scusate, non abbiamo finito: ne mancano due. (Apre un foglietto e legge) Favorevole. (Apre un foglietto e legge) Questo voto non è valido: c’è una cancellatura. ARIELLE
Come, una cancellatura? Che vuol dire? Fa’ vedere... (prende il foglio). Il regolamento dice che è proibito astenersi: dobbiamo votare sí o no, tutte, lo sapete. ODETTE
Se chi ha lasciato quel biglietto vuoto ci dicesse chi è, potremmo capire se il suo è piú un sí o... AGNIESZKA
Inutile, non ve lo dirà mai. BLANCHE
Di certo sappiamo che ora i voti sono sei favorevoli, quattro contrari e un indeciso. RACHEL
Che non sappiamo chi sia. ARIELLE
D’accordo. Io lo capisco che qualcuna possa avere le idee confuse. Ma vorrei sapere chi è che ha votato no. SABINE
Giusto: chi è che ha cambiato idea? ODETTE
Il voto era segreto.
SABINE
Chi è? Voglio saperlo. LORRAINE
Siamo comunque in maggioranza. SABINE
Chi è stata! MAHTAB
Posso parlare? AGNIESZKA
Ecco, appunto: dicci perché hai votato contro. Ci avrei giurato che eri tu. MAHTAB
Mi dispiace: non sono io; io ho votato a favore, come te. AGNIESZKA
Non ci credo. MAHTAB
La mia scrittura la conosci: se vuoi controlla i fogli. AGNIESZKA
Di’ quel che vuoi: non ci credo. MIREILLE
Quel voto contrario è mio. È inutile che cerchiate tanto, ve lo dico: è mio. Silenzio. MIREILLE
Ma sí: Blanche ha ragione, è come dice lei. Dignità. Seicento ore al mese non gliele regalo, nossignore. Loro non mi regalano niente, perché dobbiamo fargli regali noi? Alla Mont-Dupois ha preso fuoco un intero capannone, il mese scorso: l’avete sentito? Le cravatte avevano ridotto il personale, un mese prima: il personale nei gruppi antincendio. Avevano votato, d’accordo? Anche là, in fabbrica, il Consiglio: voto favorevole. Per risparmiare. Ho deciso, chi se ne frega: voto no. MAHTAB
Ho chiesto di parlare. Posso? ODETTE
Certo, Mahtab: parla. AGNIESZKA
Stasera tutte vogliono far conferenze. ZOÉLIE
Fatela parlare! MAHTAB
Io so che quello che dico non ti piacerà, Blanche. Però tu prima hai detto di una sensazione che hai allo stomaco, e che ti dà fastidio. Ecco: ce l’ho anch’io. Anzi, io ho un dubbio. E voglio dirlo, perché sia tutto chiaro. Ripeto, però, Blanche: non ti piacerà. BLANCHE
Ti ascolto. MAHTAB
Voi siete nate qua: per voi è tutto normale. Il lavoro, lo stipendio, stare qui stasera a parlare. Io sono qui da dodici anni. Ma i ricordi ce li ho tutti, in fila: laggiú ho lasciato un altro mondo, dove tutto sta per venirti addosso, da un momento all’altro, sempre, di continuo, e mentre con una gamba stai qui, con l’altra sei già pronta a scappare. Io forse sbaglio, ma credo che voi parliate a volte di paura, senza sapere cos’è. Io lo so cos’è, la paura, perché ce l’ho dietro le spalle: la paura vuol dire che non ti puoi fidare. Di nessuno. Mai. Proprio di nessuno. Perché se tutto sta sempre per crollare, la cosa piú importante diventa salvarsi. Basta: solo salvarsi. E per salvarsi non ci sono regole, e nemmeno cortesia: prima ti metti in salvo, poi tiri il fiato, ti guardi intorno e vedi la tua salvezza quanto è costata. A chi è costata. La mia sensazione è che voi, qui, cominciate a conoscere la paura solo ora, dopo tanto tempo. Perché solo ora – con le fabbriche che chiudono, i fallimenti, le crisi – cominciate ad aver bisogno – anche voi – di salvarvi. Ecco, Blanche... Io non so cosa sei disposta a fare, tu, per salvarti. BLANCHE
Che vuoi dire, Mahtab? MAHTAB
Se tu venivi qua da noi a dirci «licenziano metà fabbrica», avremmo fatto una guerra. E la fabbrica si bloccava. Ma se tu vieni qua a dirci «tutto confermato tranne sette minuti», puoi anche convincerci – come
stai facendo – a rispondere no. È strano, ma puoi farlo. In questo caso saremo noi – le operaie, la fabbrica – a rifiutare: le cravatte potranno dire «l’avete voluto voi: noi non vi avremmo mai dimezzate». E decideranno chi tenere. Chi salvare. E chi premiare, perché ha salvato loro. BLANCHE
Mi stai accusando di essere d’accordo con le cravatte? MAHTAB
Come faccio a escluderlo? Sei la nostra portavoce, loro parlano con te. Noi ci affidiamo a te. Chi mi dice che tu in quelle quattro ore non hai fatto un accordo per salvare te stessa... senza di noi? BLANCHE
Hai questo dubbio? MAHTAB
Ti avevo avvertita. BLANCHE
È un dubbio o è un sospetto? MAHTAB
Ognuno cerca di salvarsi. BLANCHE
Ripeto: è un dubbio o un sospetto? MAHTAB
Non mi piace pensarlo. BLANCHE
Quindi lo pensi? MAHTAB
Non ti dico di no. BLANCHE
Bene. Chi altra di voi? Parlo a tutte: chi altra ha quest’idea in testa? Devo saperlo. ODETTE
Io non lo penso, Blanche. LORRAINE
Neanch’io, sono sincera. MIREILLE
Neanch’io. BLANCHE
Le altre? Non parla nessuna? AGNIESZKA
È che questa regola della portavoce è fatta male, Blanche: sei stata per ore di là, con le cravatte, senza testimoni. BLANCHE
Senza testimoni! ZOÉLIE
Se tu fossi al nostro posto... BLANCHE
Se fossi al vostro posto, non penserei niente del genere. AGNIESZKA
Non puoi dirlo: tu non sei al nostro posto. BLANCHE
Quindi ognuna di voi, nei miei panni, pur di salvare il suo posto di lavoro... Blanche guarda le altre. Silenzio. BLANCHE
Hai ragione, Mahtab, e ti ringrazio, sai? Ti ringrazio, davvero: mi hai fatto capire qualcosa, e ti ringrazio. Siamo alla fine. Se è cosí, la paura è dappertutto, è vero. È finita. Stiamo a farci a pezzi pur di salvare la pelle. A qualsiasi costo. Non ci posso credere. Silenzio. Blanche prende il cappotto. Attraversa la stanza. ODETTE
Che vuoi fare? BLANCHE
Lascio il Consiglio, Odette. Il regolamento lo prevede, non faccio nulla di vietato: nessuno può costringermi a star qui. E poi a che serve? È
inutile: ormai sono le otto, abbiamo finito. Scegliete un’altra portavoce, tanto neanche di lei vi fiderete. Scrivi nel verbale che il mio voto è contrario. Decidete voi il resto: votate sí, rinunciate ai sette minuti, sdraiatevi per terra e ringraziate le cravatte, mi raccomando. Blanche va verso la porta. LORRAINE
Blanche!... Il mio voto è no, passo con te. BLANCHE
Passi con me, Lorraine? No. Se voti no, tu non passi con nessuno, semplicemente voti no, con o senza di me. Decidi. Blanche esce. Fuori dalle finestre ha cominciato a piovere a dirotto. ODETTE
Ci rimane l’ultima votazione, quella definitiva. Dirò i vostri nomi: dovete rispondere chiaramente «Accetto» o «Rifiuto l’accordo», io scriverò i voti. Zoélie. ZOÉLIE
Accetto. ODETTE
Lorraine. LORRAINE
Rifiuto. ODETTE
Siamo in parità. Arielle. ARIELLE
Accetto. ODETTE
Mahtab. MAHTAB
Accetto. ODETTE
Agnieszka. AGNIESZKA
Accetto. ODETTE
Sabine. SABINE
Accetto. ODETTE
Cinque voti per l’accordo. Uno solo contrario, piú quello di Blanche e il mio: cinque contro tre. Tocca a te, Mireille. MIREILLE
Rifiuto. ODETTE
Cinque contro quattro. Rachel. RACHEL
Rifiuto. ODETTE
Cinque voti a favore e cinque voti contrari. Decide tutto il tuo voto, Sophie. Silenzio. ODETTE
Questa volta, temo, non puoi lasciare il tuo voto in bianco... Silenzio. ODETTE
Hai deciso? SOPHIE
Sí, ho deciso. ODETTE
Dunque? Buio.
Questo testo teatrale è liberamente ispirato a una storia vera.
Il libro
U
N A V E C C H I A E G L O R I O S A A Z I E N D A T E S S I L E V I E N E C O M P R ATA D A
una multinazionale. Sembra che non si preparino licenziamenti, operaie e impiegate possono tirare un sospiro di sollievo. Però... Però c’è una piccola
clausola nell’accordo che la nuova proprietà vuole far firmare al Consiglio di fabbrica. Chiuse in una stanza a discutere, undici donne dovranno decidere se accettare la riduzione di sette minuti della pausa pranzo. Sette minuti sembrano pochi e la delegata del Consiglio di fabbrica all’inizio è la sola ad avere dei dubbi. Ma a poco a poco il dibattito si accende e ognuna delle donne dovrà ripercorrere pubblicamente la propria vita prima di arrivare al voto. L’originale percorso di Stefano Massini nei territori del teatro politico e sociale lo riporta, in questo caso, sui binari di uno schema classico basato su un fitto dialogo a molte voci in una scena fissa. Il modello potrebbe essere quello di La parola ai giurati, un famoso film scritto da Reginald Rose e diretto da Sidney Lumet. Come in quel film i componenti della giuria rappresentavano uno spaccato della variegata società americana degli anni Cinquanta, cosí in 7 minuti emerge la complessità della società europea di oggi (la pièce è ambientata in Francia, dove è avvenuto il fatto di cronaca da cui Massini prende spunto): le undici protagoniste sono diverse per età, provenienza, esperienze di vita, paure e ossessioni; alcune piú conformiste altre piú ribelli. Ma competizione generazionale e competizioni etniche sono alla fine guerre fra poveri al cospetto di un «padrone» sempre piú anonimo, cinico ed esigente col quale, volenti o nolenti, tutti prima o poi devono fare i conti.
L’autore
Stefano Massini è nato a Firenze nel 1975. Nel 2013 gli è stato assegnato il Premio speciale Ubu per il complesso della sua opera drammaturgica. Di lui Einaudi ha pubblicato Lehman Trilogy, rappresentata al Théâtre du Rond-Point di Parigi e al Piccolo di Milano con la regia di Luca Ronconi.
Dello stesso autore
Lehman Trilogy
© 2015 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino In copertina: fotogramma da Metropolis, Fritz Lang, 1927. Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo cosí come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche. Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo. www.einaudi.it Ebook ISBN 9788858417393